Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Pra: la
ragione conversazionale d’Antonino e la conversazione degl’hegeliani – la
scuola di Montecchio Magiore -- filosofia veneta -- filosofia italiana – Luigi
Speranza (Montecchio Maggiore). Filosofo italiano.
Montecchio Maggiore, Vicenza, Veneto. Studia a Padova sotto TROILO. Insegna a
Rovigo, Vicenza, e Milano. Partecipa attivamente alla Resistenza, nelle file di
"Giustizia e Libertà", guadagnandosi II croci di guerra al merito
partigiano. Collabora alla ricostruzione politica e culturale del paese, con
una filosofia sempre sorretta da un'alta ispirazione morale. Medaglia d'oro
quale benemerito della scuola, della cultura e dell'arte, dei Lincei,
dell'Istituto lombardo di scienze e eettere, dell'accademia olimpica di
Vicenza, nonché membro autorevole della società filosofica, della quale è stato
anche presidente. Studia la scessi, la logica e la dialettica medioevale, Hume,
Condillac, la logica hegeliana, Marx, il pragmatismo, e la storia della
storiografia. Connetta la sua attività storiografica con l'esplicitarsi di
interessi teorici che lo portamp ad elaborare,un'originale filosofia che
denomina trascendentalismo pratico, poi evoluta in una forma di razionalismo
storicista e critico. Il suo interesse si rivolge al chiarimento del rapporto
tra teoria e prassi in una prospettiva anti-metafisica che lo pone in contrasto
con le posizioni dell’idealismo, e più in generale con ogni forma di dogmatismo
teoricistico per favorire la libera esplicazione dell'iniziativa
pratico-razionale dell'uomo. Fonda la “Rivista di storia della filosofia”, un
riferimento costante e prestigioso. Autore di un fortunato “Sommario di storia
della filosofia” (Nuova Italia, Firenze) e poi direttore di una monumentale
“Storia della filosofia” (Vallardi, Milano). Elabora una posizione indicata
come trascendentalismo della prassi. Successivamente, avvicinandosi a PRETI,
propone uno storicismo critico, più attento alle strutture della ragione con
cui l'esperienza storica si struttura. Altre sagi: “Il realismo e il
trascendente” (Padova, Milani); “Amore di sapienza”; “Aviamento allo studio
della storia della filosofia” (Vicenza, Commerciale); “La didache”;
“Insegnamento del Signore alle genti per mezzo dei dodici apostoli. Documento
del I secolo” (Vicenza, Commerciale); Educare, Verona, Scaligera, Pensiero e
realtà, Verona, Scaligera, “Scoto Eriugena e l’accademia nel medio-evo”
(Milano, Bocca); Condillac, Milano, Bocca, Il pensiero di MATURI, Milano,
Bocca, Necessità dell'universalismo” (Vicenza, Collezioni del Palladio);
“Valori e cultura immanentistica” (Padova, Milani); “Hume” (Milano, Bocca); “La
storiografia filosofica antica” (Milano, Bocca); “La scessi” (Milano, Bocca);
Giovanni di Salisbury, Milano, Bocca), “AMALRICO DI BENE” (Milano, Bocca);
Autrecourt (Milano, Bocca); “Dewey” (Milano, Bocca); “Il problema del
linguaggio nella filosofia del medio-evo” (Milano, Bocca); “Prassi. Appunti
delle lezioni di Storia della filosofia a cura di Reina. Milano, La Goliardica;
Il pensiero filosofico di Marx, Borso, Shake ed., Milano); “La filosofia
occidentale”; “Compendio di storia della filosofia con larga scelta di passi”;
“La filosofia antica” “La filosofia nel medio-evo” (Firenze, Nuova Italia);
“Storia della filosofia” (Firenze, Nuova Italia); “La dialettica in Marx:
Introduzione alla critica dell'economia politica (Bari, Laterza); Profilo di
storia della filosofia” (Firenze, Nuova Italia); “Antologia filosofica”
(Firenze, Nuova Italia); “La dialettica hegeliana e l'epistemologia” (Milano,
CUEM); “Hume e la scienza della natura umana” (Roma, Laterza); “Logica e
realtà: momenti della filosofia nel medio-evo” (Roma-Bari, Laterza); “Storia
della Filosofia”, Scalabrino Borsani, La filosofia indiana, Milano, Vallardi,
Beonio-Brocchieri, La filosofia cinese e dell'Asia orientale, Milano, Vallardi,
Giannantoni, Plebe, Donini, La filosofia greca (Milano, Vallardi); La filosofia
ellenistica e la patristica Cristiana (Milano, Vallardi); “La filosofia nel
medio-evo” (Milano, Vallardi); La filosofia moderna” (Milano, Vallardi);
Casini, Merker, “La filosofia moderna” (Milano, Vallardi); “La filosofia
contemporanea” (Milano, Vallardi); La filosofia contemporanea (Milano,
Vallardi); “La filosofia della seconda metà del Novecento”, Padova, Piccin
Nuova libraria-Vallardi); “Logica, esperienza e prassi: momenti della
filosofia” (Napoli, Morano); “Il realismo nella storia della filosofia”
(Milano, Unicopli); “La storiografia filosofica”; I. A. A. con. Santinello,
Garin, Geldsetzer e Braun, Padova, Antenore, Hume. La vita e l'opera (Roma,
Laterza); Banfi, Relazioni dall'incontro; Banfi: le vie della ragione, Milano,
con Formaggio e Rossi (Milano, Unicopli); “Il pragmatismo” (Napoli,
Bibliopolis); “L’empirismo critico di Preti” (Napoli, Bibliopolis); “Filosofi”
(Milano, Angeli); “Metodi di storiografia filosofica”, in Panorami filosofici.
Itinerari del pensiero (Padova, Muzzio); “Ragione e storia” (Milano, Rusconi);
“Storia della storiografia” (Milano, Angeli); “La guerra partigiana”, Borso
(Firenze, Giunti-INSMLI); “Dialettica hegeliana ed epistemologia analitica”
Colombo (Brescia, Morcelliana); “Il trascendentalismo della prassi, la
filosofia della resistenza” (Milano-Udine, Mimesis); Cambi, Razionalismo e
prassi a Milano (Milano); Badaloni, Studi offerti a P. (Milano, Angeli);
Bianchi, degli saggi di P., in La storia della filosofia come sapere critico.
Studi offerti, Milano, Montesperelli, Introduzione, in Mirri, Conti, Filosofi
nel dissenso, Foligno, Mirri, Fra Vicenza e Pisa. Esperienze morali,
intellettuali e politiche in Il contributo di Pisa e della Scuola Normale
Superiore alla lotta anti-fascista ed alla guerra di Liberazione, Pisa, Pacchi,
Il filosofo e l’educatore, in In onore, Montecchio Maggiore, Cassinari,
Filosofia e storia della filosofia, Conversazione con Papi, «Itinerari
filosofici», Rambaldi, Ricordo «Rivista di storia della filosofia», Garin, P.,
«Rivista di storia della filosofia», Santucci, Filosofo e storico della
filosofia, «Rivista di storia della filosofia», Rambaldi, L’esistenzialismo
positivo «Rivista di storia della filosofia», Torre, La "Rivista di storia
della filosofia", Milano, Paganini, Dall’empirismo classico all’empirismo
critico, Le ricerche tra storia e teoria, Giordanetti, Manoscritti di P.,
«Rivista di storia della filosofia», Rambaldi, Et vos estote parati. P., la
vigilia, «Rivista di storia della filosofia», Barreca, L’archivio P., «Rivista
di storia della filosofia», Rambaldi, P. in Enciclopedia filosofica, Milano,
Id., P., insegnante a Vicenza, «Rivista di storia della filosofia», Rigamonti,
Gli Hume, «Rivista di storia della filosofia», Parodi, Selogna, Per una
filosofia minore. Il pensiero debole, «Rivista di storia della filosofia»,
Vona, Ricordo, Rivista di storia della filosofia», Rambaldi, Filologia e
filosofia nella storiografia, in «ACME», Franzina, Partigiano. Dal fascismo
alla Resistenza e alla sua storia, in «Belfagor», Descrizione, in "Rivista
di storia della filosofia", Ricordo di P., Informazione filosofica,
"studi filosofici". Barreca, Giordanetti, Fondo P., Milano, Cisalpino.
P., in Dizionario di filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia, Presentiamo
P.: l'uomo, il filosofo. Una mostra biografico-documentaria dall'archivio
inedito Università degli Studi di Milano, Biblioteca di Filosofia, Borso, Una
via religiosa alla Resistenza, "Humanitas", Fascicolo speciale in
memoria anniversario della fondazione della Rivista, in Rivista di storia della
filosofia, Milano, Angeli,. Borso, 'fucino', "Rivista di storia della
filosofia", Bisogno, Anselmo in Italia: tra P. e Rovighi, in «Dianoia.
Rivista di filosofia del Dipartimento di Filosofia e Comunicazione
dell'Bologna», Riconoscimenti l'Accademia dei Lincei gli ha conferito il Premio
Feltrinelli per le Scienze Filosofiche. Scuola di Milano, Treccani Enciclopedie
on line, Istituto dell'Enciclopedia. Opere Vincitori del Premio Feltrinelli
Filosofia Università Università Premi Feltrinelli, lincei. L'ultima opera di
Dal Pra, la lunga intervista rilasciata a Fabio Minaz- zi (il quale ha, con
ampiezza di riferimenti, sollecitato la memoria storica e l’interpretazione
teorica del filosofo ‘milanese’ intorno al proprio pen- siero ricollocato nel
suo tempo storico) che porta significativamente il ti- tolo di Ragione e
storia, è un'occasione preziosa per rileggere e ripensare la vicenda filosofica
di P. e il significato che essa ha assunto nella filosofia italiana
contemporanea. Si è trattato di una presenza filosofica ampia e variegata,
gestita da una cattedra universitaria illustre e operati- vamente immersa nella
organizzazione della ricerca filosofia (con riviste, collane, raccolte di
documenti, ecc.), ma soprattutto aperta al dialogo — e al dialogo critico - con
tutta la filosofia attuale e con la stessa tradizione filosofica che alimenta
(e deve alimentare) la ricerca contemporanea!. Con P. siamo davanti a un
maestro, come è stato sottolineato anche in occasione della morte?, non solo
perché ha accompagnato da protagoni- sta il travaglio della filosofia, -
travaglio complesso, giocato su fronti teorici, ma anche ideologici e politici,
intessuto di opposizioni, di contrasti, di rifiuti e di fughe in avanti come
pure di resistenza e di rilanci da parte della tradizione -,, bensì anche per
il ruolo di inter- locutore critico, di coscienza vigile e inquieta, ma salda
nei principi che la guidano (la laicità, la ragione, la criticità, tanto per
anticipare), che ha assunto in questo lungo e conflittuale itinerario. Il suo
doppio ruolo di organizzatore della ricerca filosofica e di vigile coscienza
filosofica si è venuto delineando già nei primi anni del secondo dopoguerra,
per perma- nere poi nei decenni successivi, sia pure in forme mutate, come
centrale [P., F. Minazzi, Ragione e storia, Rusconi, Milano; per la
bibliografia degli scritti di Dal Pra: La storia della filosofia come sapere
critico. Studi offerti a P., Angeli, Milano; Cfr. E. Rambaldi, Ricordo di P.,
«Rivista di storia della filosofia, I e Id., In ricordo di P,, «Bollettino
SFI»; ma anche rico- struzioni composte prima della morte: Pacchi, Il filosofo
l’educatore, in In onore di P., Quaderni della Biblioteca Civica, Montecchio
Maggiore; Garin, Per P., in La storia della filosofia come sapere critico, cit.
Cambi, Pensiero e tempo: ricerche sullo storicismo critico: figure, modelli,
attualità, Firenze nel dibattito filosofico italiano; doppio ruolo —- va
aggiunto - che P. ha vissuto con straordinario equilibrio e senza oscurare né
l’uno né l’altro dei suoi ambiti di lavoro, come è riuscito a pochi filosofi
della sua ge- nerazione (forse a Preti o a Garin o a Pareyson, molto meno a
Geymonat o a Paci, che hanno avuto un'evoluzione più tormentata e un campo di
lavoro meno organico). Di questo ruolo di maestro della filosofia nazionale, di
questa immersione in un complesso travaglio storico, di questo felice
equilibrio tra i due ambiti della sua ricerca (storico e teorico) è puntuale
testimone il libro-intervista già ricordato. In esso P. ripercorre,
sinteticamente e in prospettiva, più di cinquant’anni di filosofia italiana,
dandoci non le cronache ma la ‘storia’ (l’interpretazione) di quel mezzo
secolo, assumendosi come protagonista, ma in quanto immerso in una temperie
collettiva e con essa e in essa interagente. L'immagine che ci consegna di quel
cinquanten- nio è sostanzialmente positiva e assai fedele nel processo
tortuoso, anche ambiguo, sempre inquieto che viene descrivendo come proprio
della filosofia italiana. In esso viene indicato anche un filo rosso che ne
rileva la ricchezza e lo sviluppo: la ragione, che è stata la grande
protagonista del dibattito e che si è evoluta verso forme sempre più ricche e
radicali di criticità. Certamente in questo richiamo alla centralità della
ragione ci sono — e assai diretti — gli echi di quel neoilluminismo che era
stato una voce autorevole e innovatrice (ma anche di sintesi) sul fronte laico
della filosofia italiana. Ma sono echi che non offuscano affatto la portata del
suo disegno storico e teorico, poiché si tratta di un neoilluminismo che fa,
via via, i conti con le critiche alla ragione avanza- te da marxisti, da
empiristi e da dialettici (assai meno dagli ermeneutici), arricchendosi e
sofisticandosi. Il volume risulta avere - così - un doppio obiettivo: di
interpretazione storica e di messaggio teorico. Sul primo piano P. sottolinea
almeno tre aspetti: il ruolo di svolta filosofica (anche filosofica) giocato
dalla Liberazione e dalla Resistenza; il caratterizzarsi della filosofia - dopo
questa svolta - in direzione critica, ma secondo una criticità aperta; il
neoilluminismo come tappa cruciale (e plurale) del rinnovamento della filosofia
ita- liana ed europea. In tal modo P. pone in luce il senso del pensiero
contemporaneo riconoscendolo nell’apertura e nel pluralismo, ma anche nella
vocazione antidogmatica e postmetafisica. Qui interviene, poi, la le- zione
teorica del volume: nel disegnare l’orizzonte di quella criticità a cui P. si
mostra consapevolmente e radicalmente fedele, posta al punto d’incontro di
diversi modello filosofici, ma visti come intersecantisi e reci- procamente
integrativi (quali prassismo, empirismo e storicismo). P., Minazzi, Ragione e
storia, cit. passim. Sui filosofi italiani: VERRA (si veda), Parlano i filosofi
italiani, in La filosofia, ERI, Torino; P., Filosofi, Angeli, Milano e Id.,
Studi sull’empirismo critico di Preti, Bibliopolis, Napoli. Quanto al ruolo
della Resistenza, P. è assai esplicito: per lui stesso è l'approdo di un lungo
travaglio che lo conduce dal realismo cristiano a un immanentismo critico, che
sposta il baricentro etico del suo lavoro dall’impegno religioso a quello
civile-politico, che viene a evidenziare la centralità della categoria della
prassi, intesa però come prassi storica; di un travaglio che attraverso
molteplici contatti con gli ambienti padovani e vicentini lo indirizza verso un
cristianesimo eretico, poi lo immerge negli studi filosofici. Dal Pra aveva
compiuto tali studi a Padova, con TROILO (si veda), ma era stato influenzato
anche da STEFANINI (si veda) e da ZAMBONI (si veda), maturando una netta
posizione antidealistica, ma studiando con passione le opere di CROCE (si veda)
(soprattutto La storia come pensiero e come azione). Poi aveva affidato lo
sviluppo di un pensiero autonomo ad alcuni studi teorici (che mostrano il suo
passaggio dal realismo cristiano all’immanentismo critico: Il realismo e il
trascendente; Pensiero e realtà; Necessità attuale dell’universalismo
cristiano; Valori cristiani e cultura immanentistica) e ad altri storici (su
Scoto Eriugena e il neoplatonismo medievale; Condillac; su Il pensiero di
Maturi; che svolgono alcuni sondaggi/bilanci sul pensiero cri- stiano e su quello
idealistico, su Maturi erede fedele di SPAVENTA (si veda) e su un filosofo
appiattito dall’idealismo storiografico come Condillac), che avevano tra loro
una significativa continuità e simmetria, una problematica unità: erano tutti
testimonianze di una viva e sofferta ricerca in corso, che liberamente si
veniva confrontando con i nodi della filosofia e della storia italiana di
quegli anni*. «Un momento rilevante della mia maturazione filosofica si
colloca, e sia in senso storico che teorico. Teoreticamente «l’essere passato
attraverso la rivendicazione della primarietà della coscienza e
dell’autocoscienza mi ha infatti introdotto al problema della storia in senso
vero e proprio», come riconoscimento del- la storicità del pensiero e quindi
della necessità di sviluppare la riflessione anche attraverso le indagini di
storia della filosofia. Ma fu un momento che coincise con il rinnovamento della
vita nazionale (prima nell’attività clandestina antifascista poi nella guerra
di liberazione e nella Resistenza) in senso democratico, secondo un modello di
democrazia dal basso, capace di fare i conti con la tradizione nazionale, che
conduce al FASCISMO, e di avviarne una nuova, attivata su principi di
partecipazione e di solidarietà, di giustizia e libertà. Il dopoguerra
filosofico in Italia assunse, infatti, il volto di una ri-fondazione del
pensiero nazionale, aprendo la filosofia italiana a modelli eu- ropei e
americani (l’esistenzialismo, il neopositivismo, il materialismo storico, il
pragmatismo) che permettessero di innovarne le prospettive [Cfr. P. Minazzi,
Ragione e storia, cit.; Rambaldi, Ricordo di P., cit.; Cambi, Razionalismo e
prassi a Milano, Cisalpino-Goliardica, Milano; P., Minazzi, Ragione e storia] e
attuando in essa un intenso dialogo tra correnti e posizioni diverse. A questo
lavoro critico e pluralistico di sondaggio internazionale partecipò attivamente
anche la Rivista di storia della filosofia, fondata da P. e al rinnovamento
teorico del lavoro filosofico P. (con Vasa) dette il suo contributo col trascendentalismo
della prassi, una filosofia antiteoreticistica e problematicistica, connotata
dal primato della prassi, intesa, appunto, come prassi storica. La vocazione
della filosofia postbellica si delineava come legata al criticismo, al valore
della criticità, ma assun- ta senza ipoteche univoche, senza attenersi ad
alcuno indirizzo di scuola, anzi incrociando problematicamente i diversi
indirizzi del pensiero con- temporaneo, per decantarne il radicalismo e la
capacità di affinamento teoretico. Bene, questo compito era indicato anche dal
lavoro svolto dalla «Rivista» di P., in ambito storico e teorico. Questo lavoro
critico/aperto venne consolidandosi nelle posizioni del neoilluminismo: un
movimento as- sai articolato e variegato, in verità, ma che manteneva un
intento comune nella fedeltà alla ragione e nel riconoscimento della sua
priorità nel lavoro filosofico, vista come strumento critico capace di
illuminare anche i domi- ni della prassi (etica e politica). Il neoilluminismo,
in Abbagnano come in Preti, in Paci come in Geymonat, in P., anche in Banfi
razionalista critico e in Garin storicista critico”, viene indicato come
l’approdo del tra- vaglio postbellico in filosofia e come la ‘via aurea’ anche
per la riflessione attuale, in quanto capace di saldare criticamente insieme
ragione e vita, ragione e storia. Se pure oggi esso deve essere svolto in forma
più matura, più articolata e sottile, come la stessa evoluzione della ricerca
teorica di P. ci viene ad indicare con precisione. Anche tutto quello che è
avve- nuto nel pensiero filosofico (italiano e non) tra gli anni Sessanta e gli
anni Novanta, tra strutturalismo e fenomenologia, tra marxismo critico e
filosofia postanalitica, tra neostoricismo e ermeneutica, non cancella affatto
l’attualità di quell’indirizzo, anzi lo conferma e lo impone ancora come un
filo rosso della teoresi*. Ed è proprio questo l’altro obbiettivo e/o risultato
del volume Ragione e storia: obiettivo pienamente raggiunto, poiché [Per il
clima filosofico postbellico in Italia cfr. Garin, Anni dopo, in Id., Cronache
della filosofia italiana, Laterza, Bari; P., Il razionalismo critico, in E.
Garin (a cura di), La filosofia italiana dal dopoguerra a oggi, Laterza, Bari;
Bobbio, Empirismo e scienze sociali in Italia, in Atti del Congresso Nazionale
di filosofia (L'Aquila), Relazioni introduttive, Società Filosofica Italiana,
Roma. Sul neoilluminismo cfr. Dal Pra, Il razionalismo critico, cit.; Pasini,
Rolando (cur.), Il neoilluminismo italiano, Il Saggiatore, Milano. Ma anche:
Ferrari, Origini e motivi del neoilluminismo italiano, Rivista di storia della
filosofia, LECALDANO, L'analisi filosofica tra impegno e mestiere, Rivista di
Filosofia. Sull’attualità del neoilluminismo cfr. P., Minazzi, Ragione e
storia, cit.; Pasini, Rolando (cur), Il neoilluminismo italiano] specialmente
negli ultimi due capitoli - viene indicato sia il processo di maturazione di
questo modello neoilluministico, così come è stato rivissuto da P., ma in
fedeltà ai suoi principi, sia il modello massimo (per così dire) raggiunto da
questo stile di pensiero, da questa prospettiva teoretica. Ripercorrere
analiticamente - restando dentro il testo e andando oltre di esso, ripensando
cioè å part entière la filosofia elaborata da P. - questo cammino è ciò che ci
ripromettiamo di fare nei paragrafi seguenti, allo scopo di sottolineare la
profonda fedeltà attuata da P. a un modello critico di filosofia, ispirato a
una criticità che proprio nel criterio di apertura, di reciproco innesto tra
prospettive teoriche diverse e risolte in senso anti-teoricistico, viene a
riconoscere il proprio principio animatore e il proprio senso. La densa
intervista di P. a Minazzi si offre, abbiamo detto, come un'occasione preziosa
per ripensare l’avventura filosofica di P.; inoltre — e soprattutto — per
cogliere con nitidezza il posto che essa occupa nella filosofia nazionale
contemporanea, nel percorso del neoilluminismo e nella radicalizzazione del
criterio della criticità vista come fulcro del pensiero filosofico attuale. Di
questa criticità P. ci consegna - ancora oggi - un'immagine assai acuta: non
formalistica, plurale e aperta, capace anche di rovesciare se stessa cogliendo
i propri limiti interni e le integrazioni ab extra che le sono necessarie. Sul
neoilluminismo P. si è soffermato abbastanza di recente par- lando del
razionalismo critico, nel volume laterziano dedicato alla filosofia italiana
contemporanea Partendo da Banfi, Banfi di «Studi filosofici» e teorico di una
razionalità critica come momento integratore dell’esperienza rispettata e
potenziata nel suo pluralismo e nella sua sto- ricità, procede dal nuovo
razionalismo di GEYMONAT al neopositivismo critico di Preti,
all’esistenzialismo positivo di Abbagnano, toccando anche la propria opera - in
particolare la Rivista di storia della filosofia, che muove da alcune premesse
che in parte si richiamo al pensiero di Banfi e «in parte sottolineano
un'accentuazione polemica antidealistica nella con- cezione della storia del
pensiero? — e quella di Vasa, quella di Bobbio e di altri studiosi più giovani
(da TAGLIABUE (si veda) a Santucci (si veda). P. viene così delineando i
confini geo-storici del neoilluminismo che proprio in una prospettiva teorica
legata al razionalismo critico raggiunge la propria più forte identità. Tale
movimento aveva congiunto «temi filosofici e posizioni politiche, ma assegnando
ai primi la priorità e il ruolo di guida. Sia pure secondo diverse angolazioni,
con uscite più o meno convincenti e coerenti, il neoilluminismo si
caratterizzava come una filosofia engagée [P., Il razionalismo critico] ma
razionale, tesa a costruire il proprio modello di razionalità criticamen- te,
aprendosi alle varie tecniche di razionalità e mantenendo aperta anche l’idea
stessa della ragione; senza ontologizzarla, senza assolutizzarla, bensì
ponendola sempre al servizio dell'esperienza e della storia, dei loro intricati
processi; che essa può illuminare e contribuire a risolvere attraverso un
controllo esercitato dagli uomini in carne ed ossa. Attraverso una serie di
convegni - su cui si sono soffermati di recente PASSINI (si veda) e ROLANDO (si
veda) - il modello neoilluministico di filosofia venne messo ulteriormente a
fuoco e decantato nella sua ampiezza, ma anche nella sua problematicità; fino
al convegno fiorentino che mostra già in atto una rottura all’interno del
movimento. Poi, secondo P., si va verso la dissoluzione: diversi filosofi si
separano per ragioni filosofiche e politiche, dando vita a modelli difformi di
razionalismo, in cui sussiste ben poco di comune e si poten- ziano invece le
differenze (si pensi agli esiti di Preti o di Geymonat, di PACI (si veda) o di
Garin, come sottolinea lo stesso P.). Soprattutto è la doppia istanza di
razionalismo e di storicità che viene a rompersi, dando luogo a filosofie o
analitiche o storiche (come rivelano gli esiti di Bobbio e di Garin), che non
colgono più l’elemento di criticità nel reciproco innesto di ragione e storia.
Gradatamente si entra poi in una fase - come già Bobbio aveva rilevato parlando
del neoempirismo in Italia e della sua parabola" - in cui si sondano
piuttosto «i limiti della ragione», oppure si operano riduzioni (acritiche)
della ragione, avviluppandola in una lunga crisi da cui non è più uscita. In
tale fase si ha ancora un'eclisse della storia o la sua riduzione in chiave
politico-prassica, come pure declina la politica culturale del neoilluminismo,
assediata da nuovi massimalismi e da nuove divisioni nella Sinistra. E P. così
- significativamente - chiudeva quel saggio: la crisi della ragione mette in
evidenza come all’unidireziona- le movimento della razionalità possa
sottentrare una pluralisti- ca politica di potenza e un'articolata elaborazione
del consenso, cioè una razionalità tecnica e operativa, strumentale ed
efficiente. Così emerge in forma più svagata e dissacratoria come sia la
traduzione storica sia la funzione della riflessione filosofica si trovino
attraverso vari legami in relazione col movimento sto- rico presente; e in esso
possano collaborare e ripristinare, continuamente rinnovandolo, quel senso
della ragione che ha una sua, anche se breve, primavera. E sono parole che
riaffermano l’attualità di quella lezione teoretica, come P. stesso la verrà
fissando nel suo ultimo testo: caratterizzata [Cfr. PASINI (si veda), Il
neoilluminismo italiano. Cfr. BOBBIO, Empirismo e scienze sociali in Italia.
P., Il razionalismo critico] dall’unità critica di ragione e storia, da una
criticità che nella loro reci- proca intersezione riconosce il proprio campo
d’azione e il proprio fon- damento. P. alla fine del suo ‘viaggio filosofico’,
ci consegna, quindi, un monito e un legato: ritornare a quel neoilluminismo
(come formula di politica culturale), animarlo - ancora - attraverso il
razionalismo critico e fissare l'identità di tale modello di pensiero nella
reciproca interferenza di ragione e storia, attuata secondo procedure sempre
più sottili e sempre più plastiche. Intorno al futuro di questo neorazionalismo
critico (per co- sì definirlo, in modo - forse - inadeguato) P. non ci dice poi
molto di più - come vedremo -, anzi lo rimodella partendo dalla riflessione di
Preti, che pur non aveva decantato a pieno (anche nel proprio itinerario
teoretico, approdato a un empirismo critico e poi ricondotto verso Kant e verso
Husserl, verso il trascendentalismo) l’istanza neoilluministica e che aveva
messo la sordina (anche se niente affatto soffocata) all’istanza della
storicità, alterando il profilo del suo razionalismo in senso empiristico e
teoreticistico, e al- lontanandosi da quell’intersezione tra ragione e storia
che P. stesso indicava come la ‘sezione aurea’ della teoresi
razionalistico-critica. Va sottolineato, infatti che il costante richiamo a
Preti che anima il volume-intervista di P., il suo presentarlo non solo come
una delle grandi voci (e europee) della filosofia italiana del dopoguerra
(quale Preti, di fatto, fu), bensì anche come un modello di teoresi, rischia di
mettere in ombra proprio l’asimmetria che corre tra Preti e P.. Pur riconoscen-
do a Preti, forse, maggiore genialità filosofica, acume e rigore esemplari, finezza
nell’elaborazione del tessuto teoretico (e non solo rispetto a P., che pur lo
eguaglia per conoscenze storiche, per pulizia filosofica, per viva sensibilità
teoretica: siamo davanti a due filosofi di razza, in cui agi- sce å part
entière la teoreticità filosofica), va anche riconosciuto che il suo modello di
ragione (trascendentalistico-analitico) è assai diverso da quello che guida la
ricerca di P. (criticistico-storico-prassico). Ma non solo: il modello
dalpraiano si rivela — sia pure nella sua esecuzione un po’ pro grammatica,
carente di sviluppi analitici - più pregnante e più resistente (nel tempo
storico e nella teoria) rispetto a quello pretiano; tanto che P. può riproporlo
come via centrale anche nella crisi filosofica (e non) degli anni Ottanta. E
ciò accade perché in P. quel modello di ragione si è interrogato più
radicalmente su se stesso, recuperando nell’orizzonte della propria teoreticità
anche l’elemento extrateorico, storico e prassico, ponendolo come un fattore,
centrale e determinate, del fare teoria. Sulla parabola del pensiero di Preti
cfr. F. CAMBI (si veda), Metodo e storia. Biografia filosofica di PRETTI,
Grafistampa, Firenze, e Razionalismo e prassi a Milano, cit.; ma anche F.
Minazzi (a cura di), Il pensiero di PRETTI nella cultura filosofica del
Novecento, Franco Angeli, Milano. Cfr. P., Studi sull’empirismo critico di
Preti, cit., e P., Minazzi, Ragione e storia. Anzi, a ben riflettere,
l’incontro con Preti corrisponde a una fase della evoluzione del razionalismo
di P., alla quale però P. stesso assegna un'enorme importanza, indicandocelo un
po’ come la chiave di volta del suo pensiero; il che è vero e no. In tal modo,
infatti, viene a met- tere in ombra qual razionalismo critico a cui - in
conclusione — assegna il ruolo di guida, storica e teorica. Va, infatti,
sottolineato che la riflessione teorica di P., dopo il suo passaggio giovanile
dal realismo cristiano all’immanentismo, si è contrassegnata attraverso tre
tappe o fasi, che però non sono mai del tutto separate e che si differenziano
soprattutto per la diversa accentuazione di comuni elementi teoretici: la fase
del trascendentalismo della prassi, che - come abbiamo indica- to altrove! -
può essere considerata chiusa intorno che pone l’accento sull’antiteoricismo
della nuova filosofia e sul primato della prassi storica, sulle motivazioni
extrateoretiche che accendono e guidano i processi di teoreticità; la fase
dell’empirismo critico, che sviluppa la teoricità in senso analitico e che
corregge e integra il primato della prassi col ruo- lo-chiave riconosciuto
all’intelligenza; non a caso le guide di que- sta fase sono Dewey da un lato e
PRETI di Praxis ed empirismo dall’altro; la fase del razionalismo critico che
riafferma la centralità della storia nella teoresi, sia come molla genetica,
sia come struttura, e che richia- ma a un uso critico della ragione che non è
più inteso in senso solo strumentalistico o empirico-analitico; è una fase che
si apre con la ri- lettura di Marx e continua a crescere fino ai richiami a
Banfi e alle tesi di Ragione e storia. Certamente, come abbiamo già accennato,
questa terza fase attendeva di essere ulteriormente sviluppata e meglio
definita nei suoi confini e nelle sue strutture; stranamente - nella coscienza
di P. - essa si allacciava troppo intensamente ancora (e l’abbiamo detto) al
lavoro di Preti, mentre da esso in realtà veniva a differenziarsi
profondamente; pur tuttavia è una fase nettamente riconoscibile è abbastanza
ben definita, anche se non cancella affatto le altre due precedenti, bensì le
integra e le rinnova, radicalizzandole. Infatti il telos che guida il processo
di P. nella ricerca filosofica è una precisa e convinta fedeltà alla criticità,
alla ragione critica, di cui la fase di approdo del suo pensiero e anche la
testimonian- za più radicale. Cfr. Cambi, Razionalismo e prassi a Milano, cit.
Sulle fasi del pensiero di P., scandite dal trascendentalismo della prassi e da
uno storicismo critico/razionalismo critico, cfr. Rambaldi, Ricordo di P.
Quando P. a liberazione avvenuta, riprende il lavoro filosofico in modo
organico, la sua fisionomia filosofica presenta ormai caratteri in parte nuovi:
siamo davanti a un filosofo decisamente laico, che fa i conti con l’idealismo e
che si apre alle filosofie internazionali, ma che fa tutto ciò ancorando il suo
pensiero al metacriterio della criticità. Il rinnovamento è avvenuto attraverso
la scoperta della storicità e del lai- cismo, «al quale Dal Pra giunse in un
modo che mostra tutta la serietà del suo procedere: non lo abbracciò di colpo,
bensì tentò, con profondo dramma interiore e sotto la tragica spinta degli
eventi politici, di assi- milare la componente pratica» dell’immanentismo laico
alla concezione cristiana, come ci ricorda RAMBALDI (si veda). Di qui (da
questa esperienza culturale e politica insieme) nascono anche l’antiteoricismo
e la coscien- za del primato della prassi che verranno a caratterizzare la sua
posizione filosofica postbellica, contrassegnata come «trascendentalismo
possibile della prassi». Si è trattato di una presa di posizione assai netta,
rivolta a ricollocare nell’esperienza il senso e il ruolo della teoresi,
sottraendola a ogni ipoteca metafisica e ponendola, invece, al servizio di un
uomo finito, problematico, faber, che con fatica (e attraverso molti errori)
cerca di dare un ordine razionale alla realtà, ispirandosi ad un Logos sempre
ipoteti- co e strumentale, ma che, proprio per questo, deve essere
costantemente sviluppato e controllato. Tutto il lavoro che P. conduce a ritmi
intensissimi e su fronti assai variegati si coagula intorno a questo progetto
di razionalità prassica e aperta e, in quel momento, attenta soprattutto a
garantire la propria apertura. Nella ricchissima produzione di quegli anni!’ ci
sono alcuni testi che hanno un po’ la funzione di boa: di indicatori del
tragitto. Tali la Premessa al primo numero della RIVISTA DI STORIA DELLA
FILOSOFIA e ancora i Cinque anni di vita, sempre sulla Rivista nel primo
numero; l’articolo Sul concetto di criticità, sempre sulla Rivista e quello su
Critica metafisica e immanentismo, sulla Rivista di filosofia, preceduti da
Problematicismo e teoreticismo, e da A proposito di trascendentalismo della
prassi, usciti sulla Rivista, seguiti poi da Sul trascendentalismo della
prassi, relazione presentata al Congresso di filosofia a Bologna. A questo
nucleo centrale fanno corona anche gli interventi su Dewey, su ABBAGNANO (si
veda), su GENTILE (si veda), sull’esistenzialismo, sul positivismo logico, sul
socialismo, ma anche le discussioni - che furono copiose e articolate — sul trascendentalismo
della prassi con le diverse risposte di P. (e di Vasa)”. È però attraver- [Cfr.
la bibliografia degli scritti di P. in La storia della filosofia come sapere
critico, e P., Minazzi, Ragione e storia, cit. Cfr. di P., L'identità di teoria
e prassi nell’attualismo gentiliano, «Riso quel corpus di interventi principali
che P. viene delineando la sua posizione filosofica, che è nettamente
anti-teoricistica, ispirata alla criticità, regolata dal «trascendentalismo
della prassi. Nel volume-intervista così P. rievoca quelle posizioni: il tema
del «trascendentalismo della prassi ha le sue radici più profondi lontane in
questo terreno culturale (più che filosofico), di un movimento che era, per un
lato, cattolico e, per un altro lato, aperto a vari indirizzi di pensiero
moderno e che si valeva, in modo precipuo, delle riflessioni svolte da Vasa. La
sua genesi fu complessa (politica, culturale e filosofica), ma diventa
progressivamente, l’anima dell’atteggiamento critico assunto dalla Rivista nei
confronti dei vari indirizzi di pensiero contemporanei. Esso si caratterizzava
come anti-teoricismo in nome - ha sottolineato Minazzi - dell’esigenza libera e
mobile della ricerca, che non può approdare ad alcun assoluto, e fa leva su una
istanza di natura eminentemente pratica sottolineando la parzialità e la
limitatezza storicamente condizionata nonché la piena responsabilità (morale e
teorica) del punto di vista filosofico che de- cide di assumere. Esso prospetta
un quadro problematico più ampio e aperto al cui interno nessuno può illudersi
di vedere in modo privilegiato l’assoluto né può quindi trasformarsi in
messaggero privilegiato dell’‘absoluto’», ap- proda a un senso non garantito
del reale, un senso solo possibile, che proprio nella libertà della sua apertura
ritrova il criterio fondante», per lasciare aperta ogni via di esplicazione
all’iniziativa pratico-razionale dell’uomo, come rileva PACCHI (si veda),
citato anche da Minazzi nella sua intervista. Da parte sua P. sottolinea il
carattere di possibilità che è costitutivo del trascendentalismo della prassi
(t.d.p.): l’aggettivo più importante, in questa prospettiva critica, era
proprio possibile, che vista critica di storia della filosofia; Sul
trascendentalismo dell’esistenzialismo trascendentale; Il pragmatismo
axiologico d’ABBAGNANO (si veda); Positivismo logico e metafisica, Socialismo e
metafisica; sulle discussioni intorno al trascendentalismo della prassi
rinviamo a Cambi, Razionalismo e prassi a Milano, P. Minazzi, Ragione e storia,
Pacchi, Il filosofo l’educatore] soggettivamente - significa libertà e quindi
esclusione di ogni chiusura metafisica o ancora teoreticistica del t.d.p., come
pure soltanto praticistica — e irrazionalistica: in quanto il suo
anti-intellettualismo si applicava all’esercizio della ragione, era un criterio
di organizzazione interna e non solo di superamento/negazione, (che sono «le
insidie nel trascendentali- smo della prassi»)?5. Anche nella ricostruzione di
P. e Minazzi emerge con forza il carattere critico del t.d.p., l'aspetto di
criticità aperta, capace di radicaliz- zarsi e trascendersi nelle sue chiusure,
attraverso il varco del possibile e il costante rinnovamento (e revisione)
delle strutture teoretiche, in modo da non farle retrocedere né nel
teoreticismo né nel prassismo irrazionali- stico; rinnovamento attuato con uno
scandaglio sempre più consapevole della propria libertà e del suo effettivo
esercizio secondo molteplici mo- delli e/o paradigmi e attraverso il loro
intreccio. A ben guardare il t.d.p. manifesta - per noi oggi - proprio questo
carattere di criticità aperta in- nestata però nell’esercizio effettivo,
operativo della ragione, quindi un ca- rattere di razionalismo critico
orientato in senso storico-critico, in quanto la storicità viene recuperata
all'orizzonte della criticità, secondo il dettato anche del pensiero banfiano,
che P. indica come una delle matrici teoriche del suo t.d.p.?°. Se nella
discussione, che fu ampia e articolata, e che ho altrove ricostruita, intorno
al t.d.p. prevalsero i richiami all’«ancora teoreticismo» o al prassismo
(legato a una prassi non-marxiana, di sapore quasi pragma- tista — e la critica
non era del tutto peregrina, come si cercat di mostrare in Razionalismo e
prassi a Milano - oppure al metafisicismo che venivano a caratterizzarlo, più
in ombra resto il suo carattere razionalisti- co e il suo tipico criticismo,
che sono invece gli aspetti che la ricostruzione più recente ha posto
maggiormente — e giustamente - in luce. Tutta l’ope- razione del t.d.p., sia in
P. che in VASA (si veda), si sviluppa invece in un’ottica di razionalismo
critico, di liberazione, di ampliamento delle tecniche di razionalità, di
revisione aperta dei propri statuti e di elaborazione di una idea di ragione
che faccia centro - appunto - sulla criticità. Criticità che P. (l’anno della
presentazione ‘ufficiale’ al Congresso di Bologna del t.d.p., va ricordato),
indica come problema del fondamento e del fondare, da sottrarre a ogni ipoteca
metafisica, anche minimale, e ad ogni ipoteca teoreticistica — «il fondamento
sarebbe rilevabile come dato della conoscenza»? —, senza cadere in alcun
prassismo come atto di fondazione, riconfermando così un teoreticismo
fondazionistico (sia pu- [P., Minazzi, Ragione e storia, Cfr. Cambi,
Razionalismo e prassi a Milano, P. Sul concetto di criticità, «Rivista critica
di storia della filosofia re risolto in forma prassica). Va invece posto al
centro del processo critico «l’inattualismo della prassi», ovvero la
«possibilità di fare dell’inattuale e quindi del non-saputo la funzione
universalizzante della trasformazione dell’esperienza e dell’attuale»?°: la
criticità è un «ideale-limite d'un impegno pratico-puro»*; il che significa un
processo di pensiero fondati- vo che rimuove il fondamento ed accoglie
l’extrateoretico come matrice e momento-chiave della teoreticità, che su tale
esteriorità e su tale apertura si misura nel suo senso e nella sua efficacia.
La criticità, per affermarsi nella sua identità verace, deve innestarsi con e
nella storicità, deve interagire con e assumere la storia, intesa come prassi
sociale, di uomini reali collocati in un tempo reale e in una situazione
altrettanto reale e determinata. Questo innesto di t.d.p. e criticità viene a
connotare in senso fortemente razionalistico il prassismo di P. (pur lasciando
in ombra i suoi rap- porti col marxismo, con la dialettica e la filosofia della
praxis, che verranno affrontati più tardi)” e a dare un carattere non-kantiano
al suo criticismo, che si nutre piuttosto della lezione hegeliana e di quella
deweyana, come dei richiami alla soggettività-in-situazione
dell’esistenzialismo. Tra CROCE (si veda), Dewey ed ABBAGNANO (si veda) si
viene a descrivere l’orizzonte problematicistico di questa criticità, assai
vicina - ma con anche forti caratteri differenziali - a Banfi. Siamo davanti a
un criticismo storico-prassi- co e pluralistico-aperto, che gioca audacemente
come suo «fondamento» proprio la critica del fondare e il pluralismo del
fondamento, fino ad ac- cogliere l’extrateoretico come momento - e cruciale —
della fondazione possibile. Siamo davanti anche a una posizione teoretica di
largo fascino e di rigore - se pure spesso imbozzolata in lessici
post-attualistici e esi- stenzialistico-trascendentali —, di indubbio valore e
di notevole forza, che restò - invece — poco operante nella cultura filosofica
nazionale, per vari motivi: tecnico-filosofici, culturali, politici (per il
ritorno degl’ismi filosofici; per la fine del pluralismo culturale del
dopo-Resistenza; per le chiusure neodogmatiche della guerra fredda); ma anche
perché lo stesso P. e VASA (si veda) non vollero imprimerle un'accelerazione e
un potenziamento e perché assunsero - in modi diversi - l’empirismo a
interlocutore fonda- mentale, lasciando in ombra quel faccia-a-faccia della
teoresi tra ragione e storia, che era, invece, il lievito e il legato del
trascendentalismo della prassi, recuperandolo poi in anni molto lontani da
quelli della maturità e per vie aperte anche dal postempirismo, maturando
attraverso ragioni e suggestioni da questo sollecitate. Cfr. Cambi,
Razionalismo e prassi a Milano, Sul Banfi teorico del razionalismo critico Cfr.
PAPI (si veda), Il pensiero di BANFI (si veda), Parenti, Firenze; BANFI (si
veda) e il pensiero contemporaneo, Atti del Convegno di studi banfiani (Reggio
Emilia), La Nuova Italia, Firenze; Cambi, Razionalismo e prassi a Milano. P. ha
diretto la propria indagine storiografica su Hume, visto come maestro dello
scetticismo moderno e corretto interprete della sua portata antimetafisica e
problematizzante, del suo ruolo di ‘de- costruttore’ della ragione e di appello
ai diritti dell’empiria (soprattutto importanti in Hume). In questa scelta
agivano ragioni storiografiche (di revisione della storiografia positivistica e
di quella idealistica, dimostra- tesi per il filosofo scozzese assai povere;
per porre al centro del pensiero humiano quella «scienza della natura umana»,
di tipo naturalistico, che era in votis nella sua ricerca), ma soprattutto
impulsi teorici, sollecitati da quel neoilluminismo rivolto - specialmente con
PRETI — a risolvere la ra- gione in organizzazione dei saperi scientifici e in
costruzione elaborata a partire dall'esperienza umana e ad essa orientata a
ritornare. Proprio in quegli anni P. subiva - come ha ricordato - un
avvicinamento con PRETI, visto come interprete critico del razionalismo critico
banfiano, che lo sviluppava poi in senso empiristico e strumenta- listico e che
assegnava un ruolo cruciale allo scetticismo nella vita dialettica della
ragione. Hume, quindi, costituisce una via per affrontare lo scetticismo -
indagato poi anche nell’antichità, con Lo scetticismo greco” -, ma anche per
rileggere in senso empiristico lo statuto della razionalità, facen- do assumere
al criterio-guida della criticità un aspetto più operativo, più tecnico, ma anche
più ristretto. Siamo nella fase dell’empirismo critico di P., che manifesta
sensibili vicinanze a quello di PRETIi teorizzato, ma con esso non coincidente,
e sul quale hanno insistito — giustamente - tanto Rambaldi quanto Minazzi?.
Infatti per Rambaldi, e l'amicizia con PRETI ad attuare «una evoluzione di P.
che lo conduce a dare uno spazio nuovo alla teoria rispetto alla prassi»? ed a
convergere con le posizioni a assunte poi da Preti in Praxis ed empirismo, con
un pensiero tendente a risolvere ogni aseità logico-teorica in termini di
costruzione empirica, storicamente ma razionaliticamente connotata. Questo
empirismo critico, ha scritto Minazzi, è un empirismo consapevole del ruolo e
delle funzioni che le strutture (razionali e istintive) svolgono nel pro- cesso
costitutivo dell’esperienza stessa. Lo stesso empirismo di Hume si presenta
come un modello di questa «filosofia critica, capace di opera- [P, Hume e la
scienza della natura umana, Bocca, Milano (la seconda edizione, interamente
rielaborata, esce a Bari, da Laterza); P., Minazzi, Ragione e storia, P. Lo
scetticismo greco, Bocca, Milano (Laterza, Bari. Cfr. Rambaldi, Ricordo di P.,
cit.; P., Minazzi, Ragione e storia Rambaldi, Ricordo di P.] re una fondazione
aperta dei problemi e delle strutture della esperienza e della cultura che la
illumina e l’organizza, quale Hume ha intrapreso nel trattato della natura
umana, imprimendo un impianto sistematico alla sua ricerca empiristica. Lo
studio delle diverse componenti dello scetticismo storico (Hume, lo scetticismo
antico, Autrecourt) esprime sia l’esigenza di una ricomprensione critica della
storia del pensiero, capace di ricollocare le diverse forme e fasi dello
scetticismo, sia l’obiettivo di cogliere il valore teorico del pensiero
scettico: critico in quanto empirico”, in quanto connotato dal realismo, come
sottolinea PRETI. Intorno all’empirismo critico P. è tornato più volte negli
ultimi venti anni ripercorrendo con cura e sagacia il complesso itinerario e il
significato del pensiero di PRETI, mettendo in evidenza il complesso perimetro
che lo individua, in cui istanze trascendentalistiche e neopositivistiche si
saldano a forti elementi di marxismo e di pragmatismo, come pure la den- sa
tensione critica, di continuo approfondimento e di continua revisione che lo ha
contrassegnato. Si tratta di un empirismo appunto critico, cioè attraversato da
un'istanza criticista e quindi attento a sondare le proprie condizioni di
possibilità, ma anche a leggere i propri limiti e ad integrarli con altre
tradizioni di pensiero, capaci di salvaguardare ora l'autonomia del teoretico
ora la sua funzionalità pratico-sociale e storica‘. P. sottolinea anche, di
questo modello di criticità, la sensibile attualità, di cui la pubblicazione
degli inediti e delle lezioni di PRETI aveva voluto e vuole essere
testimonianza, «prova concreta» di vitalità di una tradizione
empiristico-critica a cui noi, per parte nostra, ci sforziamo, sia pure con la
nostra modestia e con il nostro volenteroso impegno, di essere, in qualche
modo, presenti. La fedeltà a PRETIcorre come una costante in P. e testimonia di
una tappa essenziale della sua evoluzione teoretica, quella appunto che è stata
definita dell’empirismo critico, contrassegnata da una risoluzione in senso
empirico-tecnico della razionalità, piuttosto che in chiave storica. Certamente
l’aspetto storico non scompare mai dalla teoresi di Dal Pra, ma si indebolisce,
si sfuma nel contorno, per lasciare al centro l’indagine logico-empirica del
razionale. Se dovessimo citare alcuni testi che indichino con chiarezza questa
presa di posizione in P., non potremmo, forse, individuare alcun testo
esplicitamente programmatico di questo mutamento di accento, bensì potrebbe
essere indicato tutto il lavoro condotto sulla «Rivista» con i numeri unici dedicati
alla tradizione dell’empirismo logico e dello strumentalismo, a Dewey e a
Russell, a Car- [P. Minazzi, Ricordo di P. P. Studi sull’empirismo critico di
PRETI. P. Minazzi, Ragione e storia] nap e su su fino a VAILATI (si veda). Si
tratta di un lavoro imponente non tanto per quantità quanto per qualità, per
capacità di approfondimento e per impe- gno teoretico, poiché si tratta sempre
di contributi che tendono a sondare gli aspetti di teoreticità di quegli
empirismi (critici). Anche RAMBALDI (si veda) sottolinea questo spostamento di
accento e di orizzonti nel pensiero dalpraiano in vicinanza col neorazionalismo
(o neoilluminismo) e attraverso «una più specifica sensibilità per i problemi
di storia della scienza» e una ricollocazione della istanza razionale in ambito
empirico-analitico*. Il suo «storicismo critico» storiografico si carica ora di
aspetti più nettamente razionalistici e si colloca in più stretta simbiosi con
l’empirismo critico di PRETI, per non lasciarlo più come interlocutore-principe
della propria ricerca teoretica, anche attraverso gli ulteriori sviluppi di un
«ritorno a Hegel» e a Marx e una ripresa (critica) della dialettica, nonché di
un richiamo al raziona- lismo critico come reciproca intersezione di ragione e
storia che viene a chiudere la traiettoria teoretica di P.. La fase empiristica
di P. va considerata più che come una fase in senso proprio (una tappa) come
un'istanza che anima da un momento particolare in poi il complesso profilo
della teoresi, offuscandone sì altri aspetti, precedentemente più sviluppati e
necessari di ulteriori artico- lazioni, ma decantandone altri ancora e
evidenziandoli come momenti centrali e fondanti. In tal senso, però, questa
fase si manifesta come una crescita irreversibile della teoresi critica di P.,
come funzionale al suo radicalismo e alla sua capacità costruttiva
nell’esperienza, come un nucleo costitutivo, anche se niente affatto finale.
Infatti, dopo questo approdo dal trascendentalismo della prassi a un empirismo
critico, la ri- flessione teoretica di P. si rimette in marcia, muove verso
ulteriori orizzonti, incontra Hegel e Marx, esige un confronto con la
dialettica e della dialettica con l’epistemologia per attuare non solo il
recupero di un versante della teoreticità sacrificato dall’empirismo (anche
critico) nella sua sordità storicistica (se pure non alla storia vista come
processualità), ma anche una rifondazione più critica, più radicale della
teoresi. Nei secondi anni Cinquanta non si assiste in P. a una riduzione
empiristica della criticità - come in parte invece si assiste nel suo referente
principe: in Preti, però all’istanza critica viene fatta assumere una curvatura
empiristica che la emancipa da ipoteche postidealistiche e an- cora
teoreticistiche e la immerge sul terreno delle tecniche di razionalità, come
pure - tuttavia - la riduce nella sua portata più radicale, nella sua capacità
metacritica, in quanto capace di collegare la teoresi all’extrateoretico, al
tempo sociale o storia che l’empirismo lascia, necessariamente, ai margini nei
suoi aspetti genealogici e decostruttivi, nelle sue capacità [Sul lavoro della
«Rivista di storia della filosofia» cfr. P., Minazzi, Ragione e storia, e
Cambi, Razionalismo e prassi a Milano. Cfr. Rambaldi, Ricordo di P.] di
dissolvere aseità e di mostrare le ‘impurità’ delle genesi. Quello di P. è un
empirismo ‘senza miti’, siano essi l’Analisi o la lingua o la verificazione
(presenti, invece, ancora in Preti), che lavora con una nozione plastica
d’esperienza, storicizzata, esistentiva, aperto alla propria autocritica,
assunto come canone e non come fondazione, che sottolinea le ragioni critiche e
costruttive dell’empirismo e le impone come essenziali per la crescita della
teoresi, tali lo strumentalismo e l’anti-metafisica, la costruttività della conoscenza
e il dinamismo dell’esperienza: un empirismo strumentale che è un momento della
teoresi critica, e come tale necessario, ma che non rappresenta affatto né la
sua interezza né il suo traguardo. P. stesso ci ha detto come e perché è
arrivato a un recupero della dialettica e cosa abbia significato questa ripresa
dello storicismo attraver- so Hegel e Marx. Alla base sta «la questione
decisiva e aperta del rapporto tra teoria e prassi, ragione e storia, che
sottrae la conoscenza a ogni sussistenza autonoma e la sottopone a un'indagine
critica che ne dissolve l'assolutezza di sostanziale carattere metafisico,
facendola incontrare con la prassi, attraverso l’incontro con Marx e con Dewey,
visti come correttori ma anche continuatori di Hegel. Anzi, nota P., sentivo
l’esigenza di collegare in qualche maniera lo strumento conoscitivo ad una
dimensione della razionalità concreta», quella illuminata da Marx e da Dewey,
relativa al rapporto che si viene ad instaurare tra la dimensione logica del
pensiero e il tessuto concreto dell’esperienza, tra la configurazione astratta
delle interpretazioni teorico-ideali del mondo e la dimensione della prassi. Di
qui l’esigenza di ripensare la transazione e la dialettica come stru- menti
concettuali capaci di leggere in modo interattivo la teoria e la prassi, la
ragione e la storia. Ma è soprattutto «lo studio della dialettica» che «si
presentava come più interessante proprio perché era ricco di una complessa
tradizione di pensiero» e perché ricomprendeva anche la transa- zione deweyana.
Preti, Praxis ed empirismo, Einaudi, Torino e Id., Il mio empirismo critico, in
Saggi filosofici, I, La Nuova Italia, Firenze. P. Minazzi, Ragione e storia,
P., Presentazione, in Dewey, Bentley, Conoscenza e transa- [Lo studio delle
mediazioni tra ragione e storia — che ritorna così, come abbiamo detto, al
centro del pensiero di P. - si compie in una direzione più operativa, più
legata a tecniche di razionalità, più segnata dalle esigenza di un empirismo
critico, rispetto alla fase del «trascendentalismo della prassi, ma ne rinnova
e ne sviluppa l’istanza fondamentale. E la dialettica si pone esplicitamente su
questo terreno di mediazione tra cono- scenza e prassi, e prassi storica in
particolare. È lo strumento più maturo per pensare questa mediazione, anche
perché dotato di una ricca tradizione storica che ne ha approfondito le
strutture e il significato. Anche Rambaldi riconosce l’importanza del rapporto
Hegel-Marx per comprendere P. che svolge una indagine, sorretta dallo
storicismo critico e condotta sull’ismo della ‘dialettica’ come struttura
formale» in Marx, ma non solo in Marx (anche in Hegel, attraverso Marx, e in
Dewey, attraverso Hegel)”. La scelta di Marx non è causale: nasce dalla volontà
di adire una dialettica non-speculativa, antiteologica (non-metafisica),
nutrita di referenti empirici e attivi nella comprensione dell’esperienza,
quindi risolta in senso strumentale e niente affatto ontologico. Il Marx di P.
- come molto Marx, da quello di CORNU (si veda) a quello ‘galileiano’ di VOLPE
e - è un Marx che opera la rivoluzione cognitiva più radicale della modernità,
innestandola nella prassi, rivolta a sussumere la prassi nel tessuto
logico-organistico della dialettica, come scrive Rambaldi. Il Dewey
‘dialettico’ di P. trova poi una precisa definizione nel saggio su Dewey e il
pensiero di Marx come poi - molti anni dopo - nella introduzione a Conoscenza e
transa- zione di Dewey e Bentley”. In ambedue i casi è la vicinanza/distanza da
Hegel che viene a sottolineare l'aspetto empirico e cognitivo della dialet-
tica e il suo sostanziarsi di caratteri prassici, in quanto capace di cogliere
i nessi tra teoria e storia, tra conoscenza e tempo storico. Esce da Laterza il
volume su La dialettica in Marx, fino all’opera che studia il configurarsi di una
dialettica empirico-epistemica nella riflessione svolta fino a Per la critica
da Marx e che è erede e correttrice a un tempo della dialettica hegeliana, sia
pure con oscillazioni e pentimenti. L'incontro con Marx si faceva centrale
poiché - pur mantenendo un ruolo autonomo alla teoria, una «relativa autono-
zione, La Nuova Italia, Firenze; ma anche Id., Dewey e il pensiero del giovane
Marx, «Rivista di filosofia. Rambaldi, Ragione e storia. Su Marx cfr. Il
marxismo italiano degli anni Sessanta e la formazione teorico-politica delle
giovani generazioni, Editori Riu- niti, Roma, VOLPE, Logica come scienza
storica, Editori Riuniti, Roma; A. Cornu, Marx e Engels dal liberalismo al
comunismo, Feltrinelli, Milano; Rossi, Marx e la dialettica hegeliana, I e II,
Editori Riuniti, Roma. Sull’importanza di Dewey nel pensiero di P. cfr.
Rambaldi, Ricordo di P.] mia della teoria nei confronti della prassi» (ha detto
Rambaldi)” - attiva anche una ripresa dello studio del nesso che deve correre
tra ragione e storia e che nella dialettica trova il proprio dispositivo
fondamentale. L’opera su Marx ha quindi un preciso connotato cognitivo e una
funzione in qualche modo programmatica, aspetti che superano de- cisamente il
suo pur importante e significativo impegno di ricostruzione e interpretazione
storica. Il primo elemento sottolineato da P., intorno alla dialettica marxia-
na, è il suo forte legame con la dialettica di Hegel e che, «se la dialettica è
sempre presente nelle pagine (di Marx), dalla Tesi di dottorato al Capitale,
non è ovunque presente allo stesso modo e con una formulazione rigoro- samente
identica, ma viene scandita secondo diverse fasi: «il metodo dia- lettico è
largamente presente nei primi scritti di Marx, assunse poi una posizione
nettamente diversa e fortemente critica nei riguardi della dialettica, nella
Sacra famiglia, nell’ideologia tedesca e nella Miseria della filosofia, per poi
tornare esplicitamente a una rivalutazione della Logica hegeliana e del metodo
dialettico nell’Introduzione, fino a Perla critica”. Si tratta però di una
dialettica antidealistica, ripensata in termini realistici, ma non
ontologistici o scientifici (alla Engels). Marx guarda, in particolare, a una
fondazione empiristica dalla dialettica e a un suo uso empirico-critico e storico;
essa è uno strumento pratico per una descrizione concreta delle condizioni in
cui si svolge l’attività umana» e tale «processo fondato in modo
pragmatico-fattuale diverrebbe strumento utile perla elaborazione di un
discorso scientifico nell’ambito del sapere storico», che ne indichi la
processualità e il senso. La dialettica è in Marx uno strumento limitato di
analisi applicabile con frutto ad un complesso determinato di fatti, ma che
anche mantiene oscillazioni e qualche regressione (verso Hegel). In Marx è
all’opera quella nuova logica che riguarda la fondazione empiristica della
dialettica e che collega divenire storico e concetto, ma sempre per via
ipotetica ed euristica, senza necessità a-priori. Dietro queste affermazioni
sta il marxismo empiristico di PRETI espresso nell’opera, ma ci sta anche la
ripresa di quel razionali- smo critico anni Quaranta-Cinquanta che viene
ricondotto - anche nel suo nucleo più problematico: il nesso teoria/prassi o
ragione/storia — verso terreni analitici, assumendo la dialettica a strumento
cognitivo-principe di queste mediazioni. Ma una dialettica risolta in puro
strumento cognitivo, sottratta a ipoteche ontologiche e speculative, ancora
presenti nella stessa tradizione marxista, nella «dialettica della natura» e nelle
formula- zioni del Diamat. Così «la nuova filosofia» di Marx assumeva
«caratteri di grande interesse proprio per chi fosse interessato a considerare
in modo [P. La dialettica in Marx, Laterza, Bari] particolare il rapporto che
può instaurarsi tre le strutture della razionalità e il mondo della prassi. E
Marx su questo terreno è una buona guida, perché fa un uso «euristico» della
dialettica, attraverso anche i numerosi richiami all’esigenza di mettere sempre
capo a riscontri empirici sicuri, alla rivendicazione della base sensibile
dell’esperienza e alla necessità di sottoporre sempre il piano teorico al
riscontro puntuale dell’esperienza. Assunta la dialettica in questi termini
cognitivi, si tratta poi di innestarla nel circuito tecnico del pensiero epistemologico
contemporaneo, mostrando la funzione di interazione (critica) che essa esercita
e di correzione alle ipostasi analitiche (attuando una critica
dell’epistemologia), ma anche quella di estensione critico-analistica su
terreni come la storia - che sfuggono alla sola logica analitica, richiamandosi
in questa operazione al lavoro del marxismo critico per tradurre il movimento
della dialettica in ‘schema empirico’. Non si tratta, certo di superare il
metodo scientifico bensì di integrarlo e di assumerlo in forma critica,
rivivendone le istanze in ambiti differenti con metodologie differenti. La
dialettica si fa una di quelle tecniche dell’intelletto che devono rendersi
operative per attuare un approfondimento» della «istanza della criticità». Così
P. ritorna - ma in forma più ricca e matura - verso il razionalismo critico
degli inizi del suo pensiero (laico), riconfermando al centro la nozione di
criticità, innestando questa nella relazione tra ragione e storia, ma
dispiegando questo nesso - attraverso la dialettica - in modo empirico,
analitico-critico, mostrando la puntuale, concreta interferenza tra conoscenza
e prassi, tra l'autonomia teoretica e il terreno della storia e della prassi.
Nell’intervista P. riconosce con precisione questa sua unitaria vocazione
teoretica. Più che ad una corrente del pensiero contemporaneo nel corso del- la
mia ricerca e delle lezioni universitarie ho cercato di dare rilievo ad un
problema concernente il nesso tra lo sviluppo storico e la struttu- ra teorica
che mi è sembrato farsi strada verso correnti diverse confi- gurandosi in
molteplici modi. Il suo chiarimento mi ha poi indotto a prestare attenzione
particolare alle differenti fasi del pensiero critico, riconoscendo in esso il
volano stesso del pensiero e del pensiero occidentale in particolare. Ed è
intorno al nesso ‘attivo’ di teoria e prassi che si gioca — oggi - il destino
della criticità, torna a ricordarci P. P., Minazzi, Ragione e storia. La ricca
e complessa parabola che il razionalismo critico vive nella rifles- sione di P.
si caratterizza come una sua crescita concentrica, intorno ad un nucleo forte e
stabile (il nesso teoria/prassi o ragione/storia) che, però, viene
articolandosi secondo accenti diversi (ora sottolineando il ruolo della prassi
ora quello della teoria ora il loro equilibrio e/o reversibilità). In questo
processo si dispiega un modello critico (autocritico/metacritico) di teoresi
che si salda a una prospettiva stabile, ma al tempo stesso la dispiega in tutta
la sua variegata problematicità, in tutto il suo iter di sviluppo e di
approfondimento. La lezione teoretica di P. si innesta così al centro del
problema teoretico contemporaneo, legandosi alla volontà di pensare una ragione
che coglie le sue stesse radici/implicazioni extrateoretiche, che esce dalla
sua purezza/aseità per definirsi come strumento e come strumento pratico e che
intorno alla sua valenza pratica deve costantemente interrogarsi e definirsi.
Aspetti tutti che travagliano e strutturano la riflessione contemporanea. Siamo
davanti quindi a una ripresa dello storicismo, risolto nella forma critica e
nel suo nucleo più radicale alla luce di una criticità aperta e consapevolmente
aperta, che si gioca intorno all’interrogazione fondativa e la risolve in senso
storico-empirico come costruzione di processi razionali a partire da una
particolare condizione storica, tramata di problemi concreti e determinati. Lo
storicismo critico di P. è, in realtà, un razionalismo critico che viene
sviluppandosi attraverso un empirismo critico, per approdare a un potenziamento
analitico della stessa criticità, conducendola oltre il suo carattere
esigenziale o programmatico e connettendola invece a precise tecniche di
razionalità (come la dialettica). Tutto questo colloca P. in una significativa
zona di confine tra neoilluminismo e neostoricismo - tra PRETI e GARIN potremmo
dire? -, annodando insieme le due anime del neorazionalismo postbellico, nel
quale la sua posizione filosofica nettamente si colloca e nel quale viene a
ricoprire un ruolo di punta e una funzione di continuità. Ruolo di pun- ta
poiché pone faccia a faccia Analisi e Storia, le media reciprocamente,
riprendendo le più deboli e parziali mediazioni di PRETI (si veda) e di GARIN
(si veda) (negli opposti fronti) e conducendole verso esiti di connessione più
intima e più tecnica (attraverso la dialettica, che non a caso resta marginale
tanto in Preti quanto in Garin, dal punto di vista strettamente
logico-cognitivo). Funzione di continuità, poiché Dal Pra ha continuato a
riflettere intorno al nucleo del neoilluminismo, trasportando le sue istanze
teoretiche in una nuova stagione filosofica e, quindi, aggiornandone la voce ma
ricon- fermandone la prospettiva, sia pure allargata e sofisticata. Si è
trattato, in breve, di una crescita del razionalismo critico che lo ha
contrassegnato sia dal punto di vista tecnico e cognitivo, arricchendone [Cfr.
PRETI, Praxis ed empirismo, cit., e GARIN, La filosofia come sapere storico,
Laterza, Bari] LA FEDELTÀ ALLA RAGIONE STORICA E CRITICA] e determinandone le
procedure razionali, sia dal punto di vista teoretico generale (o filosofico),
fissandone il connotato di criticità e la dimensione aperta del suo lavoro
critico, che si contrassegna, anche, come controllo costante dell’itinerario di
criticità (quindi come metacritico). Ora - però - è proprio su questo fronte
della criticità e della sua aper- tura che possono essere colte anche le
timidezza o le eventuali chiusure del razionalismo critico di P. E prima di
tutto le sue chiusure rispetto alle ultime voci della filosofia critica e della
stessa ricerca di mediazione tra ragione e storia, tra pensiero e tempo,
rappresentate dalla filosofia at- tuale, specialmente dalla ermeneutica critica
e dalla sua doppia identità della decostruzione e dalla interpretazione, in
quanto capace di riafferrare il faccia a faccia tra teoria e storia e di
sondarne gli intrecci, le filiazioni, i nessi cognitivi, immaginativi e
pratici. Accanto all’ermeneutica anche la teoria critica dei francofortesi
appare assai sullo sfondo®, nel lavoro filosofico di P., non recepita nella sua
base metacritica e nella sua volontà di liberalizzare la dialettica e di
ricondurla al suo puro (e vero) iter cognitivo. Eppure tanto l’ermeneutica
quanto la teoria critica hanno procedu- to avanti nell’ambito di una storicizzazione
del pensiero, di una revisione storico-critica della ragione e di un suo
potenziamento non-formalistico. Entrambe poi hanno sondato le matrici
extrateoretiche della ragione e il suo stretto e problematico legame con la
prassi (sia etica sia politica). Purtuttavia l’attenzione di Dal Pra per queste
frontiere della teoresi con- temporanea è stata - nel complesso - esile. Tutto
questo ha un'origine e un senso, ma anche un costo. L'origine del
silenzio/disinteresse nasce da quel collocarsi di Dal Pra nell’ambito del
neoilluminismo, cioè in un modo di fare filosofia cha muove dalla ragione e che
l’assume come prospettiva fondamentale, sen- za pensare come utile e come
possibile una sua destrutturazione radicale e una decostruzione in senso
nietzschiano o heideggeriano (Nietzsche e Heidegger sono, infatti, i ‘grandi
assenti’ nel pensiero filosofico di P.: nell’intervista Nietzsche non viene mai
citato né lo è Heidegger), una sua ricomprensione ermeneutica. Così, tutto ciò
produce anche un silenzio intorno ad altre procedure critico-razionali - come
il Verstehen, il comprendere- capaci di pensare la non-aseità del teoretico, di
ricollo- carlo nelle sue origini storiche e di ripensarlo intorno al proprio
senso. I costi sono evidenti: la criticità - pur assunta come aperta — viene
fermata nel suo processo metacritico e nella sua radicalizzazione, ancorandola
ad un ambito storicistico inteso in senso un po’ pragmatista, come dialogo tra
teoria e prassi e non come lavoro decostruttivo/ricostruttivo del senso storico
del loro rapporto e quindi dell’uso teoretico della tradizione (ei- detica e
linguistica) che facciamo in questo campo quando assumiamo come guida
l’intersezione (reciproca) di ragione e storia. Certo sono co- sti storici che
non limitano affatto l’itinerario teorico dalpraiano e il suo et Cfr. P.
Minazzi, Ragione e storia] significato attuale, ma indicano anche un compito
oltre di esso: di fare i conti - in quella interazione (reciproca) - anche con
gli appositi dell’er- meneutica critica, in particolare, che proprio su quella
medesima ‘lun- ghezza d’onda'’ si è esercitata, se pure con procedure assai
diverse rispetto al razionalismo critico”. Con tutto questo niente viene tolto
al significato teorico e storico del lavoro di Dal Pra: alla sua fedeltà alla
ragione, anzi ragione critica, anzi ad una criticità aperta, ma che conferma al
centro un suo nucleo storico- teorico essenziale (ripetiamo ancora: il nesso
problematico e tensionale tra ragione e storia) e lo impone come asse del
pensiero contemporaneo, come un po’ il suo ‘osso di seppia’ e la sua sfida
ancora incompiuta. E pro- prio in questo richiamo prende corpo l’attualità di
P., connessa alla funzione che il suo razionalismo critico non ha ancora finito
di esercitare: funzione di memento teoretico e di exemplum critico e
analitico-critico. La lezione filosofica di P. - pur nei suoi confini, pur con
gli inevita- bili limiti storici - viene oggi a sfidare proprio quei
neodogmatismi che in molti territori della filosofia vengono a prendere corpo,
e partendo del- le scienze assunte come modello ne varieteur di razionalità o
dal rilancio della metafisica, come ‘sapere dell’inizio’ e del fondamento, o
dalla set- torializzazione tecnica e tecnologica della filosofia che la depriva
proprio della sua generalità e quindi della sua radicalità. Dal Pra con la sua
densa ed esemplare lezione teorica, consegnataci anche nella rivisitazione
fattane con Minazzi in limine vitae, ci aiuta a resistere alle sirene di una
teoreticità che vuole - per molte vie — ricostruire approdi sicuri, certezze
confortanti e quel «mondo della sicurezza» che le filosofie del Novecento -
come ben vedeva Dal Pra - hanno dissolto per sempre e al cui posto hanno collo-
cato una teoresi inquieta che vuole interrogare se stessa e il proprio costi-
tuirsi, che intende pensarsi in modo autentico e radicale, e criticamente
radicale, partendo proprio dal traguardo storicamente raggiunto nel suo
processo - tipicamente occidentale — di progressiva problematizzazione e
spostando oltre di esso la frontiera dell’indagine critico-radicale. Per la
teoreticità ermeneutica cfr. Gadamer, Verità e metodo, Fabbri, Mi- lano 1972 e
L. Pareyson, Verità e interpretazione, Mursia, Milano; Vattimo (cur.),
Filosofia, Laterza, Roma-Bari. Cfr. P., Filosofi del Novecento, cit. e Id.
(cur.), Storia della filosofia, Milano, Vallardi. Mario Dal Pra. Pra. Keywords:
hegeliani, storiografia della filosofia antica, la filosofia antica, la
filosofia italica antica, la filosofia romana, la filosofia romana antica,
Antonino, Crotone, Velia, Filolao, Vico, Croce, la storia della filosofia,
filosofia della storia della filosofia, storiografia filosofica. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Pra” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza – GRICE
ITALO!; ossia, Grice e Prepone: la ragione conversazionale e il principio
conversazionale – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. According to Ippolito di
Roma, a pupil of Marzione. He argues that, in addition to there being a principle of good and a
principle of evil, there is a third intermediate principle of justice. Grice:
“Only I don’t multiply principles beyond necessity, since ‘principle’ means
‘1’!”
Luigi
Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Prepostino: la ragione conversazionale
del divino di Romolo – Roma – filosofia lombarda -- filosofia italiana – Luigi
Speranza (Cremona). Filosofo
italiano. Cremona, Lombardia. Summa theologica, Manichean, caraterismo. Prepostino.
Luigi Speranza -- Grice e Prestipino:
all’isola -- la ragione conversazionale -- conversazione e ragione in Vico -- per
una antropologia filosofica – filosofia siciliana -- filosofia italiana – filosofia
siciliana -- Luigi Speranza (Gioiosa Marea). Filosofo italiano. Giosiosa Marea, Messina,
Sicilia. Insegna a Siena. Studia il socialismo, marxismo ed estetica. Saggi: “La
teoria del mito e la modernità di VICO (si veda)” (Palermo, Montaina); “L'arte
e la dialettica in VOLPE (si veda)” (Messina, D'Anna); “Che cos'e la filosofia:
strutture e livelli del conoscere” (Gaeta, Bibliotheca); “Per una antropologia
filosofica: proposte di metodo e di lessico” (Napoli, Guida); “Marxismo (e
tradizione gramsciana – GRAMSCI (si veda) -- negli studi antropologici, Natura e società” (Roma, Riuniti); “Da GRAMSCI
(si veda) a Marx” (Roma, Riuniti); “Modelli di strutture storiche”
(Bibliotheca, Narciso e l’automobile, La Città del Sole, Realismo e Utopia” (Roma,
Riuniti); “Tre voci nel deserto: Vico, Leopardi, Gramsci” (Roma, Carocci); Scheda
su Aracne, Da una sponda all’altra del mediterraneo: memorie di militanza
comunista. Intervista a P.. Art. in: Historia Magistra. Rivista di storia
critica, Risorgimento e dialettica storica in Gramsci, dal Calendario del
Popolo Autori Aracne. Giuseppe Prestipino. Prestipino. Keywords: antropologia
filosofica, Vico, Volpe, Gramsci,
Narciso e l’automobile, Leopardi. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Prestipino” – The Swimming-Pool Library.
Luigi
Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Pretestato: la ragione conversazionale
del Giove del Campidoglio – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo
italiano. He achieves high office under Giuliano. He writes a commentary of
Temistio – Accademia. Vettio
Agorio Pretestato.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!;
ossia, Grice e Preti: la ragne conversazionale, la retorica conversazionale, e
la logica conversazionale – la scuola di Pavia -- filosofia lombarda -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Pavia). Filosofo italiano. Pavia, Lombarida. Grice: “I like
Preti. He wrote “Retorica e logica,” which I enjoyed since this is what I do: I
find the rhetoric (the implicature) to the logic (the explicature).” Grice:
“Preti was a bit of a Stevensonian, with his ‘Praxis ed empirismo, and I mean
C. L. Stevenson, not the Scots master of narrative!”. Studia a Pavia sotto LEVI, VILLA e SUALI. Studia Husserl.
Insegna a Pavia e Firenze. I suoi saggi nella
rivista banfiana "Studi Filosofici", lo vedeno coinvolto in una
polemica sull'immanenza e la trascendenza. In
“Fenomenologia del valore” (Principato, Milano) e “Idealismo e positivismo”
(Bompiani, Milano) emerge con evidenza quell'impostazione tesa a conciliare
istanze razionalistiche ed empiristiche. In “Praxis ed empirismo” (Einaudi,
Torino) presenta in maniera relativamente organica, per quanto rapidamente,
alcuni temi al confine tra pensiero teoretico, filosofia morale e filosofia
politica. “Retorica e logica: le due culture” (Einaudi, Torino) è un saggio a
cavallo tra la ricostruzione storico-filosofica e il saggio teoretico, con il
quale si intende dimostrare, prendendo le mosse dalla polemica aperta da C. P. Snow,
l'inconciliabilità tra le due forme di cultura che si intrecciano nel dibattito
occidentale, quella logico-scientifica e quella umanistico-letteraria, e la
necessità di far prevalere la prima sulla seconda al fine di non cedere a nuove
forme di oscurantismo elitario e fanatico. Inoltre, affianca costantemente
alla propria attività di autore quella di curatore di classici del pensiero
filosofico. Il suo stile, volutamente trascurato, è rapido, nervoso e
semplice, in implicita polemica con il bello scrivere e l'ermetismo tipico
delle scuole idealistiche italiane. Tenta
trovare una via alternativa al rapporto fra un pensiero unitario e inglobante --
di tradizione hegeliano-crociana -- e uno invece dualistico, nel distinguo fra
saperi umanistici e scientifici. Il rifiuto di una strenua dicotomia non deve
annullare bensì esaltare le differenze. Altri
saggi: “Linguaggio comune e linguaggi scientifici” (Bocca, Milano);
“L’universalismo” (Bocca, Milano); “Alle origini dell'etica contemporanea: Smith, Laterza, Bari); “Storia del pensiero
scientifico, Mondadori, Milano); “Che será, será” (Firenze, Fiorino); “Umanismo
e strutturalismo: saggi di estetica” (Liviana, Padova); “La scessi e il
problema della conoscenza, “Rivista critica di Storia della Filosofia”, “Saggi
filosofici” (Nuova Italia, Firenze); “In principio è la carne” (Angeli, Milano);
“Il problema dei valori: l'etica di Moore” (Angeli, Milano); “Flosofia della
scienza” (Angeli, Milano); “Morale e meta-morale. (Grice: “moralia e
transmoralia”); “Saggi filosofici inediti” (Angeli, Milano); L'esperienza insegna: saggi civili d sulla
Resistenza” (Manni, San Cesario, Lecce); In principio è la carne, Scarantino,
"Rivista di Storia della Filosofia", Notizie sull'operosità
scientifica e sulla carriera didattica, Minazzi, "Il Protagora"; Filosofare
onestamente, andando là dove il pensiero ci porta. Lettere a GENTILE; Minazzi, "Il
Protagora", Ci terrei tanto a venire a Firenze. Lettere a GARIN, Minazzi,
"Il Protagora", Qui a Firenze si muore nel silenzio e nella
solitudine. Lettere a PRA, Minazzi, "Il Protagora". Franzini, Il mito
delle due culture e la filosofia dei giornali, in "La Tigre di Carta",
Zanardo, Enciclopedia Italiana, Appendice,
Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Minazzi, P. (Angeli, Milano), Pra, Studi
sull'empirismo critico”, Bibliopolis, Napoli, Lecis, Filosofia, scienza,
valori: il trascendentalismo” (Morano, Napoli); Minazzi, Filosofia (Angeli, Milano);
Minazzi, “L'onesto mestiere del filosofare” (Angeli, Milano); Minazzi, “Il caco-demone
neo-illuminista. L'inquietudine pascaliana di reti” (Angeli, Milano); Peruzzi, Filosofo
europeo (Olschki, Firenze); Parrini e Scarantino, “P.” (Guerini, Milano); Tavernese,
P.: la teoria della conoscenza: in
principio è la carne, Firenze Atheneum, Scandicci, Scarantino, La costruzione della filosofia come scienza
sociale (Mondadori, Milano); Minazzi, Suppositio pro significato non ultimato.
G neo-realista logico studiato nei suoi saggi inediti (Mimesis, Milano) Minazzi,
Le opere e i giorni. Una vita più che
vita per la filosofia quale onesto mestiere, Mimesis, Milano Cambi, Mari, Intellettuale critico e filosofo
attuale (Firenze); Il contributo italiano alla storia della filosofia, Filosofia,
Roma, Istituto dell'Enciclopedia,
Minazzi e Sandrini, Il razionalismo critico europeo, Mimesis, Milano.
Minazzi, Sul bios theretikòs (Mimesis, Milano); Maria, Un punto di vista
cattolico (Stamen, Roma); Franzini, Il mito delle due culture e la filosofia
dei giornali.
Nuovo Politecnico 17 Einaudi 1968, 3?
ed., 1974 GIULIO PRETI RETORICA E LOGICA Le due culture C. L. 350-9 In questo,
che il suo pi recente libro, Giulio
Preti, prendendo occasionalmente le mosse dalla celebre polemica delle due cul-
ture, supera l'aspetto polemico e pragmatico della questione stessa e tenta di
mettere in rilievo una struttura antinomica della nostra civilt occidentale:
antinomia che si rispecchia profonda- mente nei modi di persuadere, dimostrare
e provare, i quali volta per volta si richiamano o al concreto dei rapporti
umani o ad un puro ideale di verit, a quello che giudichiamo sarebbe meglio
credere, oppure invece a quello che pensiamo di dover oggettiva- mente pensare,
al rispetto per la tradizione e per i nostri maggiori oppure al rispetto di ci
che vero... Variando le coppie antino-
miche, lautore ravvisa la medesima forma di antinomia nella po- lemica tra
umanesimo e scienza moderna, tra retorica e logica, tra cultura
valutativa-normativa e pensiero scientifico avalutativo. Fedele alla sua
ispirazione fondamentalmente scientifica, lautore prospetta le antinomie, ma
non sceglie: la scelta implicita nel-
limpianto stesso della ricerca. Giulio Preti (1911-1972), laureato in filosofia
nel 1933, stato molti anni vicino ad A.
Banfi, collaborando attivamente a Studi Filosofici. Altre espe- rienze lo hanno
poi definitivamente allontanato dal pensiero banfiano, del quale ha per
conservato una certa impronta kantiana e latteggiamento anti- dogmatico. Per
circa vent'anni ha insegnato Storia della Filosofia e Filosofia allUniversit di
Firenze. Tra le sue opere: Idealismo e Positivismo (Bom- piani, Milano 1943);
Alle origini delletica contemporanea (Laterza, Bari 1957); Praxis ed empirismo
(Einaudi 1957; 2 ed. 1967). Nuovo Politecnico 17 Giulio Einaudi editore s.p.a.,
Torino P. RETORICA E LOGICA Vecchia, forse quanto la civilt europea stessa, la
polemica delle due culture letteraria e
scientifica. Ma attualissima oggi, in questo momento di crisi di tutti i valori
e di perplessit morale, in cui tutti coloro che esercitano una qualunque
attivit intellettuale filosofi, scrittori,
artisti sembrano arrestarsi a chiedersi
che cos' quello che essi professano di fare, e perch, e chi sono loro, loro che
si dicono filosofi o scrittori o artisti... Attualissima oggi, che una gloriosa
ma vetusta civilt, premuta dalle giovani barbarie dellEst e dell'Ovest, si vede
costretta a ripiegarsi su se stessa, a fare i conti di cassa. Questa nostra
vecchia civilt, il cui unico patrimonio si teme non sia altro che una eredit
fatiscente e ipotecata, una tradizione che sembra oramai non aver altro presti-
gio che quello della canizie, deve ora fare, appunto, lin- ventario di quella
tradizione; deve fare i conti con la sua storia e con ci che in essa vivo o morto in questo pre- ciso momento. Di
questa tradizione fanno parte una ricca eredit let- teraria, una gloriosa
storia della scienza: luna e laltra, nei millenni, hanno dato, a volte in
cooperazione, pi spesso in discordia, il carattere e il volto a quella che an-
cora si chiama civilt europea, e non si sa per quanto ancora continuer a
chiamarsi cos. Letteratura e scienza: due forme, due atteggiamenti, che a lungo
si sono conte- si il primato nella nostra cultura, e che entrambe hanno preteso
di caratterizzarla; e che ora si trovano ancora di fronte, forse per lultima
volta, nel grave momento storico in cui sembra decidersi se la civilt europea
debba continuare a vivere, oppure debba voler morire. Per questo il noto saggio
di Snow ha avuto tanta fortuna, e l’onore di tanti commenti, tante discussioni,
tante traduzioni, fra cui una italiana. In realt un brutto libro, arbitrario, superficiale, in
cui un tema cos importante stato
impostato e trattato con una disinvoltura giornalistica che non meritava. Nonstar
ad esporre il libro, anche troppo noto. La tesi di partenza molto semplice: Sono convinto che la vita intellettuale,
nella societ occidentale, si va sempre pi spaccando in due gruppi contrapposti
... Due grup- pi antitetici: a un polo abbiamo i letterati, che come per caso,
senza che nessuno se ne accorgesse, cominciarono ad autodefinirsi
intellettuali, quasi che non ce ne fossero altri... Letterati a un polo e
scienziati allaltro, i pi rap- presentativi dei quali sono i fisici . Due gruppi che e questa , secondo Snow e tutti coloro che
sono poi inter- venuti nel dibattito, la calamit pi grossa non comuni- cano, si ignorano, a volte si
disprezzano. Gli scienziati hanno un ottimismo, che ai letterati sembra
superficiale e ignorante ignorante della
immanente tragicit della si- tuazione umana. Ma lo Snow osserva: vero, la situa- zione umana tragica, e questo lo sappiamo tutti; ma
non detto che in ogni caso non ci si
possa far niente: Per la maggior parte
delle persone di profondo senti- re, per quanto coraggiose e felici, e qualche
volta soprat- tutto per quelle pi felici e pi coraggiose, quel senso del- la
condizione tragica sembra costituzionale, parte del pe- so della vita. Questo
vale per gli scienziati che ho meglio conosciuto, come per chiunque altro. Ma quasi tutti ed qui
che veramente si manifesta il colore della speranza non vedrebbero alcuna ragione perch, proprio
per il fatto che la condizione individuale ! Mi riferisco all'ultimo: The Two
Cultures and a Second Look, 1963; trad. it., Le due culture, Milano 1964. Le
citazioni saranno tutte dalla sud- detta traduzione italiana. 2 pp. 5e6. II
tragica, lo debba essere anche la condizione sociale. Cia- scuno di
noi solo; ciascuno di noi muore solo:
bene, un destino contro il quale non
possiamo lottare ma nel- la nostra
condizione ci sono molte cose che non dipendo- no dal destino, e se non
lottassimo contro di esse sarem- mo men che uomini . Ed ecco la tesi principale dello Snow:
latteggiamento dei letterati
conservatore, o peggio. Essi non sentono, spesso avversano, le speranze
sociali. La miseria, la fame, il bisogno di ci che si suol chiamare,
filisteicamente, progresso materiale, di molte classi, di molti popoli po- veri
e poverissimi, li trovano indifferenti, quando non ad- dirittura ostili. Gli
scienziati invece inventano e affina- no gli strumenti per la lotta contro i
mali rimediabili del- l'umanit, contro la fame, la miseria, le malattie: sono
ot- timisti e, in generale, progressisti. Non si possono sottovalutare i
bisogni elementari quando i propri sono stati soddisfatti ma quelli degli al-
tri non lo sono stati ancora. Agire in tal modo non signi- fica fare sfoggio
della propria superiorit spirituale. Si- gnifica semplicemente essere disumani,
o pi esattamente antiumani. Era questo,
di fatto, secondo le mie intenzioni, il cen- tro dellintera argomentazione.
Prima di mettermi a scri- vere la conferenza, avevo intenzione di intitolarla I
ric- chi ed i poveri, e sarebbe stato meglio non cambiare opi- nione. La rivoluzione scientifica il solo metodo in virti del quale la maggior
parte degli uomini pu raggiungere le cose di primaria importanza (anni di vita,
libert dalla fa- me, sopravvivenza dei fanciulli), quelle cose di primaria
importanza che noi consideriamo ovvie e naturali, ma che in realt abbiamo
conquistato attraverso la nostra rivolu- zione scientifica da tempo non poi cosi
immemorabile . E finalmente, ma le due
cose sono strettamente connes- se, mentre i letterati sono individualisti,
pieni di pregiu- dizi sociali e razziali (a cui spesso hanno dato appoggio nei
loro scritti), gli scienziati, abituati al lavoro in grup- po, sono assai
scevri da tali pregiudizi, si sentono di col- laborare con ogni uomo (o con
ogni collega? ), qualunque ne sia lorigine sociale o il colore della pelle. 2.
Questa dunque la tesi-base della conferenza-libro dello Snow. Dove, in primo
luogo, evidente, almeno per noi
non-inglesi, lesagerazione della spaccatura. Molte co- se che dice Snow valgono
per l'Inghilterra o forse solo per
lUniversit di Cambridge? Da noi (e non solo in Ita- lia, ma anche in Francia,
negli Stati Uniti, e forse anche altrove) le cose sono un po diverse. Certo,
tutti conosciamo la stupida ignoranza scientifica di molti letterati e dico stupida, perch quasi quasi se ne gloriano,
ne fanno una civetteria, come se lasinaggine potesse mai essere un pregio. Ma
qui ancora pi deplo- revole lignoranza
scientifica... degli scienziati. La scien- za moderna richiede, e quindi
alleva, molti proletari della ricerca o savants btes (come li chiama A. Huxley
sulla scia di V. Hugo): piccoli ricercatori senza cultura e senza luce,
Bavavoor della ricerca scientifica in laborato- rio, le cui micro-ricerche si
compongono poi nei grandi quadri scientifici che trascendono la loro
intelligenza e la loro cultura. Molti di loro riescono poi a salire in
cattedra ahim: e, se pure possono
educare qualcuno, educano soltanto degli altri Bavavoor, che quando verr il
loro turno saliranno in cattedra. Fuori del loro Istituto, smettono di pensare,
e ricadono immediatamente al livel- lo di mentalit pre-logica delle loro mogli,
madri e nonne. Per questo, proprio per mancanza di intelligenza, cultura e
fantasia, sono spesso degli ottusi conservatori. Mentre per i letterati succede
(sempre da noi, in Italia, in Fran- cia e altrove) proprio il contrario: per
quanto modesti, non scadono mai al livello di bruti, di Bavavoor della penna:
conservano un senso di critica, di autonomia, di libert dal costume e dalla 86a
ro)).&v. ben giusto, con buona pace
di Snow, che si siano arrogato il titolo di intellettuali. poi vero che molti di questi proletari della
ricer- ca, mentre poco si curano, fuori del campo ristretto delle loro
ricerche, di approfondire la loro cultura scientifica, coltivano invece, come
nobile hobby, discipline letterarie, oppure (ora assai di moda) la storia dellarte. Di conse-
guenza nei nostri climi non c un vero e proprio antago- nismo tra i
rappresentanti delle due culture: quelli della cultura letteraria godono di un
primato che nessuno con- testa loro, tanto meno gli scienziati per bene. E qui
for- se sta il vero guaio. Comunque,
inutile lamentare il fatto che materialiter non si intendano tra loro letterati e scienziati e non comunichino. Allalto livello di
specializzazione in cui og- gi giunto
tutto, difficile che qualcuno intenda
molto nel suo stesso mestiere; assurdo
pretendere che si in- tenda di quello altrui. Ed notevole che una simile pos- sibilit sia
stata in genere sostenuta, e auspicata come at- tualit, proprio da letterati, i
quali veramente non si ren- dono conto di che cosa significhi una conoscenza
impe- gnata in materie terribilmente ardue per i loro stessi cul- tori. Ritornando
alla dicotomia di Snow, di fatto reazionari ci sono da una parte e dallaltra,
progressisti da tutte e due. E, se vero
che labitudine al lavoro in gruppo por- ta molti lavoratori alla ricerca
scientifica a superare mol- to pi facilmente pregiudizi sociali e
razziali, anche vero che sarebbe
ingiusto dimenticare la massa di scritti che letterati di ogni rango e valore
hanno prodotto per com- battere tali pregiudizi, per sostenere la causa delle
classi inferiori e dei popoli oppressi. % L'opposizione, evidentemente,
ron tra lettera- ti e scienziati:
l'opposizione tra Binando litterae e
scienza. Ogni uomo quelluomo che : buono
o catti- vo, generoso o chiuso, nobile o volgare, progressista o reazionario,
libero e sano oppure codino... Nessuno
solo un letterato o solo uno scienziato: e la sua forma- zione, i suoi
abiti, il suo condizionamento derivano solo in piccola parte dall'attivit
intellettuale che esercita; as- sai pi massiccio invece linsieme di preformazioni che porta in
essa. Il torto dello Snow stato di
parlare, come egli stes- 14 RETORICA E LOGICA so dichiara, di due culture in
senso antropologico: nel senso di gruppi di uomini, entro cui ci sono atteggia-
menti comuni, regole e schemi di comportamento, pre- supposti comuni e un
comune modo di accostarsi alle co- se. Sono caratteristiche sorprendentemente
estese e pro- fonde: e contrastano con altri schemi mentali, siano reli- giosi,
politici o di classe !. Qui sta lerrore. assai improbabile che scienziati e letterati
costituiscano due culture in questa accezione: soprattutto se si confrontano
con le molte altre e ben pi eterogenee culture che convivono in una qualunque
so- ciet civile della nostra epoca: quella dei commessi del commercio, per
esempio, o degli operai delle grandi cit- t industriali, o dei maestri
elementari; oppure, per stare nellambito di professioni intellettuali, quella
degli atto- ri di teatro o dei pittori... Le culture, in senso antropo- logico,
sono assai pi di due (cosa che anche Snow intui- sce ) e, a paragone, probabile che letterati e scien- ziati ne
formino una sola. Lopposizione piuttosto
tra due forme forme mentali, se si vuol
parlare con linguaggio mentalistico; forme della cultura o dello spirito
oggettivo: due diverse scale di valori, due diverse nozioni di verit, due
diver- se strutture del discorso. Prima che letterati e scien- ziati esistono
le lettere e le scienze. La faciloneria nomi- nalistica di alcuni neosocratici
contemporanei a questo punto protester. O Platone, io vedo i cavalli, non vedo
la cavallinit. Ora, il nominalismo certo
una grande filosofia, un atteggiamento carico di poteri critici: ma va
sostenuto con una raffinata tecnica filosofica, con sottili distinzioni in una
logica molto elaborata, altrimenti cade in banalit pi vuote e pi assurde di
quelle dello stes- so realismo platonico. Certamente, al livello cosale esi-
stono letterati e scienziati, non le lettere e le scienze ! p. 11. Cfr. p. 54: La parola cultura ha un
secondo significato, che io ho esplicitamente sottolineato nella conferenza
originaria. Essa viene usata dagli antropologi per indicare un gruppo di
persone che vivono nel- lo stesso ambiente e sono unite da abitudini, opinioni
e modi di vita comune . . . Gli scienziati da una parte, i letterati dallaltra,
di fatto esistono come culture nellaccezione antropologica. p. 10. tanto meno
qualcosa come una cultura letteraria o una cultura scientifica. Ma come non si
capisce bene in che modo facesse Antistene ad identificare, a vedere i ca-
valli, distinguendoli per esempio dagli asini, dai pipistrel- li e dai numeri
della lotteria, senza l'applicazione di uno schema eidetico della cavallinit,
cos non si capisce co- me si distinguano letterati, scienziati, spazzini da
bische- ri qualunque, se non per il fatto che essi fanno qualco- sa che si
chiama letteratura o scienza o nettezza urba- na, o altro. Queste forme hanno
un loto tipo di esistenza se si vuol
dire cos, unesistenza storica. Nel corso dei seco- li hanno sviluppato le loro
forme specifiche forme, na- turalmente,
indefinitamente aperte a contenuti svariati, eppure determinanti al loro
interno certi rapporti, certe direzioni intenzionali, certi schemi di discorso.
Cosi il letterato porta dentro alla sua attivit la sua esperienza di uomo, ma
si trova di fronte a, ed entro, la forma della letteratura; cos lo scienziato.
In un breve, ma luminoso ed equilibrato contributo in un fascicolo dedicato
allunit della scienza, John Dewey ha messo bene in evidenza, naturalmente nel
suo linguag- gio e nei limiti di esso, una distinzione tra scienza come
atteggiamento e scienza come corpo di dottrina [ subject- matter]'. Lunit della
scienza, comunque si risolva la cosa dal secondo punto di vista, esiste
certamente dal pri- mo: come atteggiamento e metodo la scienza non solo unitaria, ma trascende persino le scienze,
n confinata agli scienziati. In che cosa
consiste latteggiamento scien- tifico?
Nel suo lato negativo, libert dal
dominio del- l'abitudine, del pregiudizio, del dogma, della tradizione
acriticamente accettata, dal mero egoismo. Positivamen- te, volont di ricercare, esaminare, decidere,
trarre con- clusioni solo sulla base delle prove e solo dopo essersi da- ta la
pena di procurarsi tutte le prove disponibili.
in- tenzione di raggiungere credenze, e di mettere alla prova quelle che
si ritengono, sulla base del fatto osservato, ri- : Unity of Science as a
Social Problem, in International Encyclopedia of Unified Science, vol. I, n. 1,
p. 29. conoscendo per che i fatti sono privi di significato se non rimandano a
idee. E viceversa atteggiamento spe-
rimentale che riconosce che, anche se le idee sono neces- sarie per operare con
i fatti, tuttavia sono ipotesi di lavo- ro che devono essere saggiate mediante
le conseguenze che producono . Ora
non il caso di entrare a discutere la
caratterizza- zione deweyana dellatteggiamento scientifico se tale caratterizzazione sia corretta, se
sia sufficiente, eccetera. Qui e ora possiamo prenderla per buona: essa basta a
mostrare come esista un atteggiamento genericamente scientifico, ossia una
forma che definisce leidos scienti- ficit e informa, appunto, la cultura
scientifica nel suo complesso. il modo
con cui ragionano e procedono gli scienziati gua scienziati, anche se non solo
essi; anche se essi, forse troppo spesso, qua uomini se non dimenticano e
ragionano come dei primitivi. ugualmente
caratterizzabile la cultura delle pumzazae litterae? Tentativi per
caratterizzarla ce ne sono stati moltissimi (e lo si visto anche negli interventi nellat- tuale
controversia): ma disgraziatamente sono stati fatti non con mentalit
scientifica (come invece stata fatta,
dagli scienziati stessi, la caratterizzazione della scienza), bensi da
letterati con mentalit letteraria. Donde lineli- minabile caos. (E forse questo
fatto potrebbe essere un avvio, peraltro alquanto negativo, a caratterizzare
latteg- giamento e la formza mentis letterari). Tenteremo nel se- guito di
farlo. Qui ci preme di osservare una cosa: che anchesso un atteggiamento, una forma mentis, aperto,
come quello scientifico, ad ogni subject-matter. Luna e laltra sono due
culture due forme uni- versali, due
atteggiamenti universali, con cui luomo prende posizione di fronte al mondo, ai
suoi simili e a se stesso. Non si pu fare una spartizione irenica di in-
teressi: i moti degli astri come il destino (pi o meno tragico) delluomo e tutti gli argomenti che stanno in
mezzo interessano tanto la letteratura
quanto la scienza. Se la letteratura oggi suole stare, in genere, prudentemente
alla larga da certi argomenti scientifici che una volta invece arditamente
trattava; se molti argomen- ti intorno all'uomo, alle sue angosce, i suoi
problemi, la sua situazione nel cosmo sono oggi dominio quasi esclu- sivo delle
lettere bene, queste sono situazioni
contin- genti, transitorie. Torner ad esserci una poesia del co- smo ed una
scienza delluomo. 4. Contro una cosa devo qui, subito, chiaramente e de-
cisamente protestare: contro lidentificazione della scien- za con la
tecnica contro questa colpevole,
ignobile, ca- strazione della scienza e del suo altissimo significato teo-
retico. La scienza conoscenza: forse
nellunico senso possibile di questa parola. La scienza visione, o costru- zione, del mondo certo nellunico senso possibile di questa
frase, visione (o costruzione) del mondo. Che es- sa sia suscettibile di molte
e importanti applicazioni tec- niche, che sia un importantissimo, e lunico
sicuro, stru- mento di instaurazione del regnum hbominis, un fatto indiscutibile; ma ci non autorizza a
ridurne il significa- to a quello banausico della tecnica. La riflessione
scienti- fica nata dalla riflessione
tecnica come il discorso teolo- gico
nato dalla prassi magica: ma non c niente di pi stupido che
lidentificare lessenza con lorigine. Dal pun- to di vista del realismo del
senso comune basterebbe os- servare che se la scienza serve, e serve in maniera
cosi sistematica e sicura, perch vera: il suo successo prati- co , in fondo,
la verificazione fattuale, sperimentale, del- le sue ipotesi. Da un punto di
vista pi elaborato, possia- mo dire che in essa
fondamentale la nozione di verit, di cui un momento costituito dalla verificazione speri-
mentale: una tale verificazione (che, del resto, non di per se stessa e necessariamente un fatto
tecnico mentre un successo tecnico sempre una verificazione sperimen- tale) tale solo entro un complesso apparato
teorico, di simboli e concetti astratti. E questo reticolato di simboli e
concetti costituisce una struttura per una interpretazio- ne sistematica dei
contenuti fattuali, ossia per la costru- zione di un quadro del mondo, di una
natura. Lo Snow pure non accetta lidentificazione semplice e pacifica di
scienza e tecnica. Anzi, come dice lui stesso ', egli in opere precedenti ha
tentato di tracciare tra le due una linea di separazione : ora la crede meno
netta, e parla di una complessa dialettica tra la scienza pura e quella
applicata , che , secondo lui, uno dei
problemi pi gravi della storia della scienza , problema del quale attualmente vi sono molti aspetti . . . che
ancora sfuggo- no alla nostra comprensione
. Perch, secondo lui, il processo
scientifico ha due motivazioni: una la
com- prensione del mondo naturale, laltra
il controllo su di esso. Entrambe queste motivazioni possono essere
domi- nanti in ogni singolo scienziato; i diversi campi della scienza possono
trarre dalluna o dallaltra i loro stimoli originari . Ma, a prescindere dagli stimoli eterono- mi
(psicologici e/o storici), la motivazione strettamente, autonomamente
scientifica la prima la comprensio- ne del mondo naturale. Ma lo
Snow parla a lungo di un altro fatto, apparente- mente simile, per, come egli
fa giustamente notare, pro- fondamente diverso dalla applicazione tecnica della
scien- za (del tipo della medicina o dellingegneria tradizionali): la
rivoluzione scientifica nell'industria. Un fatto nuovo nella storia,
caratteristico degli anni in cui viviamo, e.che forse un giorno sar considerato
come uno dei tratti pro- pri del neocapitalismo del secolo xx. Cibernetica,
teoria della comunicazione, teoria delle macchine logiche, costi- tuiscono gli
esempi pi salienti di questo fatto, di una scienza che non si applica, ma
diviene industria. Lo Snow la considera una gran bella cosa, un punto decisa-
mente a favore della cultura scientifica, in cui sono ripo- ste le supreme
speranze dellumanit. Personalmente, io non ne sono altrettanto entusiasta: si
tratta, in realt, di unappropriazione capitalistica della scienza. indubbio che tale situazione d alla scienza
mezzi materiali di ricer- ca altrimenti insperabili, le apre nuovi grandi
orizzonti. Ma ci sono enormi pericoli: luno
quello di abbassare ! Le due culture cit., p. 67. 2 p.68. . p. 67. pp.
22 SER. la scienza ad attivit banausica,
servile, soggetta a fini che non le sono propri
in altri termini, riabbassarla a tecni- ca, confinata ad elaborare
strumenti di potenza e succes- so per fini che le sono estranei. Anche
psicologicamente e sociologicamente la cosa non
soddisfacente: con la ri- voluzione francese lo scienziato divenuto un professo- re e forse non
stato del tutto un bene per la libert del- la scienza. Ma segner
veramente la fine della civilt scien- tifica il momento in cui lo scienziato sar
divenuto un im- piegato dellindustria! Andr perduta la sovrarit della scienza:
la sua libert, il suo spirito critico, il suo isola- mento da valori e da fini,
la sua costituzionale irresponsa- bilit (nel senso che il re irresponsabile, cio non pu venir giudicato).
Non solo: ma come risultato si rischier di avere una scienza magari
sviluppatissima nel lato tecni- co-sperimentale, per svuotata di... mentalit
scientifica. Un certo magismo che comincia a circolare tra giovani en- tusiasti
della cibernetica o della teoria delle comunicazio- ni veramente preoccupante. Ma, Snow insiste in
tutto il suo libro, c in gioco una situazione etica e storica di estrema
importanza. Abbiamo gi accennato, nelle pagine precedenti, a questo aspetto del
suo pensiero. La vittoria contro la miseria nel mondo nelle mani della rivoluzione scientifica: e
soprattutto i popoli delle aree sottosviluppate o dei paesi coloniali ed ex
coloniali chiedono al mondo civile scienziati di buo- na volont che vi rechino
e vi organizzino la rivoluzione scientifica. La cosa mi sembra
indiscutibilmente vera nel presup-
posto, per, che rimanga nel mondo il regime capitalisti- co: un presupposto che
certamente Snow giudica intoc- cabile, io no. Ma, a parte questo, la cosa ha i
suoi pericoli. Certamente, la cultura occidentale (europea) divenuta la cultura, in tutto il mondo, in
virti della scienza ma anche in virtii
del monopolio che l'Europa conservava del- la scienza, monopolio che sosteneva
con le armi. Regala- re la rivoluzione scientifica a popoli di civilt troppo
di- versa, e senza il correttivo del controllo su di essi, ri- schioso come regalare armi (insegnandogli
ad usarle) ad un bambino o a un pazzo. Quella scienza decadr a strumento a strumento del prete, o dello stregone, o di
vari Ciombe che lo rivolgeranno prima contro i loro stessi po- poli, poi contro
di noi... Gi quello che successo nella
Germania, e quello che tuttora sta succedendo negli Sta- ti Uniti, dovrebbe
renderci esitanti a regalare simili cose a barbari. Ma non voglio imbarcarmi in
profezie. Comunque, per noi, non sta in ci il valore preminente della scienza,
ben- si nello scacco in cui pone costumi, tradizioni, religioni, sostituendo ad
essi, in tutti i campi che riesce a conqui- stare, la luce della ragione e la
forza della libera universa- lit umana. II. Poche parole merita la conferenza
di F. R. Leavis', il cui tono sprezzante e acre, la volgare polemica ad homi-
nem, sono spiaciuti anche a persone che per altri versi po- tevano essere
daccordo con lui nella difesa della cultura letteraria. Due punti soltanto (che
del resto sono i fondamentali nellintervento di Leavis) meritano qualche
commento. 1. Secondo il Leavis, lerrore fondamentale di Snow stato quello di proporre come rimedio al
sentimento della tragicit della condizione umana la speranza sociale, cio la
speranza in un futuro benessere universale frutto del progresso scientifico e
tecnologico. Conosciamo gi la risposta di Snow. Va bene ognuno muore, ognuno muore solo, ecc.; la
tragicit della condi- zione umana quella
che . Per ci sono condizioni uma- ne, che, anche se non sono la condizione
umana, sono purtuttavia causa di dolore, malessere, ecc. per esem- pio, la situazione di miseria
cronica in cui versano intere popolazioni nel mondo: e a queste il progresso
scientifi- co e tecnologico pu arrecare rimedi, e non si capisce per- 1 The Two
Cultures? The Significance
of C. P. Snow, in The Specta- tor, 9 marzo 1962, Pp. 297 SEE. LA POLEMICA DELLE DUE CULTURE 2I ch lumanit dovrebbe
rinunciarvi. Io aggiungerei: ogni discorso generico intorno alla condizione
umana un discorso da letterati
marci quello che importa di de- terminare quello che pu significare
questa espressione. ridicolo che la
condizione umana debba riguardare il destino metafisico delluomo, mentre non ne
facciano par- te la fame, il freddo, le malattie, il lavoro eccessivo, ecc.:
tutte cose a cui, ovviamente, il progresso scientifico e tecnologico pu
arrecare sollievo. Ma Leavis in un certo senso questo anche disposto ad ammetterlo. Egli non vuol
dire che dovremmo disprez- zare o cercare di impedire il processo di quella che
egli chiama civilizzazione esterna, e che si
determinata col progresso tecnologico. (Come tutti i reazionari, riduce
la scienza a tecnica, e questa, cosi castrata come mera attivi- t
banausica, disposto, bont sua, ad ammetterla).
So- lo considera la proposta tecnologica di Snow come insuf- ficiente,
disastrosamente insufficiente. Benessere, pro- sperit, ore libere non
significano salvezza o felicit: Ho letto di recente, nellEconomist, una
preoccu- pata recensione di un libro di un sociologo francese, il cui tema
... l'incapacit delloperaio
dellindustria che ine- vitabilmente considera vita solo quella riservata alle sue
vacanze, di usare il suo tempo libero in modi che non sia- no essenzialmente
passivi. E per questo per me richiama alla mente quella visione globale che
rende per la maggior parte di noi priva di fascino la speranza sociale, di
Snow la visione del nostro imminente
domani di quel- lo che l'America di
oggi: lenergia, la tecnologia trion- fante, la produttivit, lalto livello di
vita, e limpoveri- mento della vita; il vuoto umano; vuoto e noia che chie-
dono alcool di una specie o di unaltra.
Chi vorr affer- mare che luomo medio di una societ moderna pi pie- namente umano, o pi vivo, di un
Boscimano, di un con- tadino indiano, o di un membro di uno di quei popoli
primitivi che sopravvivono intensamente, con le loro me- ravigliose arti e
abilit e intelligenza vitale? !. I partigiani di Snow si sono ampiamente
divertiti a 1 P. 303, col. 1. questultima boutade. Selvaggi, contadini indiani,
et si- milia, sono come gli americani di cui parla Pascarella, che erano
americani e manco lo sapevano sono
felici, non- ch salvi (beati pauperes spiritu quoniam eorum est re- gnum
coelorum) e manco lo sanno e, stupidi,
han- no fatto di tutto (in passato) e continuano a fare (nel pre- sente) quello
che possono per uscire dal loro stato di fe- lice e santa miseria, fame,
sporcizia, malattie. A parte gli scherzi, per considerare tutta la storia
dellumano incivi- limento come un colossale errore del genere umano non ci
vuole meno di un reazionario letterato cristiano. Ma comunque la questione
non qui. Indubbiamente, lo stato di
alienazione umana in cui vivono gli americani di oggi e in cui si avviano a
vivere gli uomini di tutto il mondo civile non
cosa da minimizzare. A questo propo- sito, certamente, Leavis ha
ragione. Resta da dimostrare che la colpa di tutto ci stia proprio nel
progresso tecno- logico (e quindi [? ] nella scienza) e non nellappropria- zione
capitalistica e neocapitalistica del lavoro e della stes- sa tecnica. Che
davvero si debba scegliere tra fame e pi- docchi da una parte, disumanizzazione
dallaltra e sem- pre perch ci sono
uomini che vogliono sfruttare altri uo- mini. Leavis (e purtroppo non solo
lui) ovviamente con- vinto che ogni
capitale da Dio, e chi al capitale
resiste a Dio resiste; ma, con buona pace sua e di tutti i libe- rali del
mondo, questo non affatto ovvio. 2. Ma
veniamo alla tesi centrale del Leavis
una tesi che molti, anche non reazionari come lui, e anche fuori del
Regno Unito, credo sarebbero disposti a condividere. Mentre la scienza legata (e limitata) alla tecnica e alla
civilizzazione esterna, compito della grande arte di mettere luomo di fronte a se stesso, alla
sua condizio- ne umana, alle sue credenze
nonch di portarlo alla su- perstizione e maledizione religiosa, a
credere di non ap- partenere a se stesso.
A che scopo, a che scopo alla fin fine? Per che cosa, alla fin fine,
vivono gli uomini? Naturalmente, a tali
domande non ci possono essere, in alcun senso corren- te della parola,
risposte: e il mondo della risposta LA POLEMICA DELLE DUE CULTURE 23
complessiva differisce quanto differiscono Conrad e Law- rence, 0 due qualunque
grandi scrittori. Ma la vita nella civilt di unepoca in cui non si pongono tali
domande creative, o esse non hanno influenza sulla sensibilit ge- nerale, tende
in modo caratteristico a mancare di una di- mensione: tende a non avere
profondit alcuna profon- dit dalla quale
non ci si protegge tacitamente con labi- tudine al non farci caso (cosi Snow ci
ingiunge di vivere nella speranza sociale). Venendo alle prese con la gran- de
letteratura scopriamo quello che in fondo crediamo realmente. A che scopo a che scopo alla fin fine? Per che cosa
vivono gli uomini? Tali questioni operano e ad- ditano a ci che soltanto potrei
chiamare una profondit religiosa di pensiero e di sentimento. Forse, fissandomi
sullaggettivo, potrei ricordarvi Tom Brangwen in The Rainbow, che presso lovile
nel tempo in cui nascono gli agnelli contempla il cielo notturno: Conobbe di
non ap- partenere a se stesso '. Il che
richiama alla mente un intervento di Davy
e di altri, i quali rimproverano alla corrente scientistica la ten-
denza a subordinare i valori umani a fini tecnologici e a perdere di vista una
pretesa totalit dell'essere umana: e, come terza cultura' invocano, sudicioni,
la strada della credenza nella caduta e redenzione delluomo - il 1 p. 302,
coll. 1e 2. 2 Cfr. c. pavy, Toward a Third Culture, London 1961. * A qualcosa
come una terza cultura sembra accennare anche il Lea- vis. Ma verr a quella
esplicita nota positiva che stata per
tutto quanto lo scritto il mio scopo (perch io non sono un luddista) in questo modo: il progresso della scienza e
della tecnica implica un futuro umano di mu- tamento cosi rapido e di tal
natura, di prove e stimoli cos senza preceden- ti, di decisioni e possibili
non-decisioni cos gravi e pericolose nelle loro conseguenze, che il genere
umano - ci sicuramente chiaro avr biso- gno di essere nel pieno
intelligente possesso della sua piena umanit (e pos- sesso significa qui non
confidente padronanza di ci che ci appartiene
la nostra propriet, ma una vitale deferenza fondamentale verso ci a cui,
in quanto si apre sullignoto e su ci che in s
impartecipabile, sappiamo di appartenere). Non ho voluto dire che
lumanit avr bisogno di tutta la sua sapienza tradizionale il che potrebbe suggerire lidea di un
conserva- torismo che, per quanto mi riguarda,
nemico. Ci che ci occorre, e con- tinuer ad occorrerci non meno di
ora, qualcosa che ha la vivacit del pi
profondo istinto vitale; in quanto intelligenza, una facolt radicata, for- te di esperienza, e supremamente
umana di risposta creativa alle sfide
del tempo; cosa che estranea ad entrambe
le culture di Snow (p. 303, col. 1. I corsivi sono miei). 24 RETORICA E LOGICA
che ovviamente richiama il vagheggiamento del selvag- gio e del contadino
indiano. Evidentemente, oltre la fa- me, la sporcizia e le malattie, fanno
parte degli eterni va- lori umani anche lignoranza e la superstizione... Ma,
lasciando le aberrazioni, vediamo laspetto pi se- rio della questione. Compito
della letteratura, e solo di questa, sarebbe, a differenza della scienza,
mettere luo- mo di fronte a se stesso, alla sua condizione e al suo desti- no.
Ora, vero che molta parte della
letteratura di ogni tempo, e in particolare della letteratura contemporanea, si
occupa assai di queste domande, domande a cui la tec- nologia non pu certo in
alcun modo rispondere, non po- tendo neppure porsele. Per, ripetiamolo ancora
una vol- ta, la tecnologia non la
scienza. E la scienza queste do- mande non solo pu porsele, ma di fatto se le
pone e vi risponde. O meglio, ci sono scienze che se le vanno po- nendo e
stanno rispondendovi, anche se male, per ora, es- sendo di fatto le scienze pi
giovani. Naturalmente, se le pongono e vi rispondono in maniera scientifica,
cio cir- costanziata, sensata, areligiosa, senza nebulosit, vaghez- ze e squarci
lirici. La psicologia e la sociologia, la psico- patologia, l'antropologia
queste domande se le pongono. Da esse sappiamo molte cose sulluomo e sulla
condizio- ne umana, molte pi cose di quanto un letterato per quan- to geniale
potrebbe insegnarci: molte cose sulla nascita e sulla morte, sulleredit
biologica, i complessi e le ne- vrosi, gli equilibri e squilibri interni da cui
dipende la nostra felicit privata se
questa parola deve conser- vare un senso. E tutto questo finalmente!
senza miti di caduta e redenzione. Ma forse c qualcosa di pi. Forse
quella che si chiama condizione umana, forse quel destino delluomo, so- no
proprio dovuti al fatto che la scienza
ancora molto giovane molto pi
giovane di quella scimmia che ha chiamato se stessa homo sapiens. Paure avite,
pregiudi- zi etici residui di epoche primitive, unorganizzazione so- ciale che
ancora sa di barbarie e di rapina, costituiscono tutta la tragedia della
condizione umana, dnno il suo sapore drammatico al destino delluomo, rendono
as- surdo il mondo in cui si vive. Perch, in fin dei conti, si muore. E
questo lultimo baluardo della religione:
co- me a Clochemerle, sar possibile costruire orinatoi, ma ancora molto difficile cacciare via il prete
dal cimitero. Tuttavia la mentalit scientifica dissipa il mistero dal-
l'universo, e con esso le nostre paure; fa conoscere luo- mo alluomo, e con ci
dissipa il mito di un suo desti- no tragico; e alla fine fa apparire la morte
per quello che un fatto naturale,
intrinseco alla stessa struttura della vita, e quindi caccia via e la paura
della morte, e il prete dal cimitero. III. Di contro alle tante cose sciocche
che si sono scritte nel dibattito delle due culture, un posto a parte merita il
bellissimo intervento del Trilling': un letterato, certo, che in ultima istanza
difende la civilt delle lettere, ma con una difesa che, forse inavvertitamente,
lo fa passare dallaltra parte. Purtroppo
quasi impossibile riassume- re il suo scritto, ricchissimo di brevi
annotazioni di vario genere, e per niente sistematico. Ci limiteremo, anche in
questo caso, al rilievo di alcuni punti che ci sembrano particolarmente
interessanti. 1. Il Trilling fa unosservazione, in s molto ovvia, ma che in
questa polemica in cui troppi sembrano aver smarrito il buon senso, finisce con
lessere unosservazio- ne intelligente. Si discute come se le riforme che il
genere umano at- tende, i soccorsi che i popoli delle aree depresse attendo-
no, insomma come se lavvenire pratico dellumanit di- pendesse dai letterati o
dagli scienziati. Certo, la salvezza del mondo, dice Trilling, non dipende
dallinsegnamento dellinglese nelle universit. Ma lo Snow sembra che ac- cusi la
cattiva cultura dei letterati del fatto che nel mon- do non si godono ancora
pienamente ed ovunque i bene- ! L. TRILLING, Science, Literature and Culture. A
Comment on the Lea- vis-Snow Controversy, in Commentary, giugno 1962, pp. 461
sgg. 26 RETORICA E LOGICA fici effetti delle capacit e delle buone intenzioni
degli scienziati. Ma si dimentica una cosa: la politica e i politi- ci,
l'inerzia e la cattiva volont di questi ultimi. Cos ci si muove nel regno
dellutopia: al posto dei re-filosofi del- l'utopia platonica sono subentrati,
non meno mitici, i re- filosofi scienziati degli uni contro i re-filosofi
letterati de- gli altri. Quindi mentre
si discutono, ad istanza di Sir Charles [Snow], i meriti relativi dei
re-filosofi scientifici a paragone e in contrasto con i re-filosofi letterari,
la po- litica continua nella sua vita autonoma, uno degli aspet- ti della quale la massiccia resistenza alla ragione . L'osservazione, ripetiamolo, ovvia: il mondo non nelle mani di nessuna cultura, ma, se mai,
della massic- cia incoltura dei politici e degli interessi di chi li paga. Ma
forse proprio per questo, pur avendo molta ragione, il Trilling non ha del
tutto ragione. Il mondo non neppure
nelle mani dei politici: questi non sono altro che dei mercenari, di solito
abbastanza stupidi, venduti a co- loro che li pagano, e di cui fanno, pi o meno
bene, pi o meno in buona fede, gli interessi. Paris vaut bien une messe il loro motto di sempre. E sono disposti a
qua- lunque cosa, a uccidere la loro madre, ad andare a messa, a ingannare i
loro elettori (questo poi normalissimo).
Per, questo accade perch c quatcuno che vuole che va- dano a messa, che uccidano
la madre o che ingannino gli elettori. Le contraddizioni, le atrocit, le
immoralit dei politici sono le contraddizioni, atrocit ecc. delle forze che li
controllano e che non sono forze
politiche. Sono forze e interessi economici, forse: ma anchessi agiscono in un
concreto ambiente storico, sociale, in un costume, alla luce e al cospetto di
determinati valori (o pseudo-va- lori) etici.
in questa sostanza del costume che gli stessi interessi economici si
configurano concretamente e che quelle forze sono, appunto, forze. Il momento
economi- co, preso per s, , come tutto ci che viene preso per s, un momento
astratto. Il concreto il costume,
lethos. in questo e su di questo che
agisce, in qualunque modo poi agisca, la cultura. Certo, non ci sono
re-filosofi; apparentemente i so- li re sono i politici, i quali per fanno solo
finta di co- mandare. Ed assurdo
parlare, come si fa anche troppo e troppo a vanvera un po dappertutto oggi nel
mondo, di una responsabilit diretta degli uomini di cultura. Ma re- sta pur
sempre loro una responsabilit indiretta, la re- sponsabilit etica. 2. A questo
punto il Trilling sarebbe, credo, molto soddisfatto. Ch la sua risposta gi data nel suo artico- lo. Il grande valore
della letteratura sta proprio in ci, che la letteratura, egli dice, , o
meglio deve sempre, per noi oggi, essere
critica della vita '. Se unopera let- teraria ha una qualsiasi vera
esistenza artistica, ha valore come critica della vita; in qualunque complicato
modo abbia scelto di parlare, essa fa una dichiarazione circa le qualit che la
vita dovrebbe avere, circa le qualit che la vita non ha ma dovrebbe avere .
vero, ci sono molti e grandi scrittori che hanno so- stenuto tesi
reazionarie, antisociali, che portavano per di- rettissima ad Auschwitz. Ma,
osserva molto profonda- mente il Trilling,
si deve credere la storia e non il nar- ratore della storia . E a questo proposito fa unosser- vazione
che veramente meriterebbe di essere meditata: nei sentimenti antisociali di
molti di questi letterati non c' qualcosa di molto profondo, una critica della
vita che diviene anche critica della societ, e non semplicemen- te di questa
-societ, ma della socialit stessa come ele- mento da cui in qualche modo
dipende la condizione u- mana? C' un solo modo possibile di prendere in
considera- zione le affermazioni antisociali di molti scrittori moder- ni,
ed di dubitare che le loro espressioni
di sentimento antisociale siano tuttaltro che stupide. Piaccia o non piac-
cia, un fatto che unimpresa culturale
caratteristica del nostro tempo stata la
messa in problema della societ stessa non
le sue forme ed aspetti particolari, ma la sua 1 p. 458, col. 2. ? p. 472, col.
2. 2 stessa essenza. La critica della vita si
estesa fino a que- sto punto estremo. Fra i modi per intendere questo
fe- nomeno, quello dell'orrore e della costernazione, come fa Sir Charles, forse il meno utile. Molto meglio, mi sem-
bra, cercare di intendere ci che implica
questa appas- sionata ostilit alla societ, chiedersi se sia un simbolo, ben
notevole, del declino dell'Occidente, oppure non sia forse un atto di energia
critica da parte dell'Occidente, un atto di energia critica da parte della
societ stessa lo sforzo della societ per
identificare in se stessa ci che solo
apparentemente buono, lo sforzo di tornare a capi- re la natura della vita che
essa destinata a promuovere. Non vorrei
anticipare la risposta, ma questi problemi co- stituiscono, ne sono sicuro, il
modo giusto per affronta- re il fenomeno
. Ripeto, queste osservazioni sono di una tale seriet ed importanza che
andrebbero meditate a lungo. un orri-
bile effetto del risentimento plebeo che invade la bassa e media cultura del
nostro tempo, il fatto che opinioni e passioni dei pi siano prese a criterio
per giudicare di fat- ti culturali. Chiedere alla cultura qualsiasi cultura di essere eco di sentimenti e risentimenti,
passioni e religio- ni, di massa,
chiedere alla cultura di essere non cultu- ra, ma propaganda e
giornalismo. Si sono fatti della demo- crazia, della democrazia sociale, del
socialismo dei fetic- ci, cui si deve sacrificare senza chiedere che cosa siano
e se valgano davvero tanto. La vecchia idea del contrat- to sociale significava
proprio questo: che ogni uomo ac- cetta di rispettare certe regole, di fare
certi sacrifici per la societ, se questa gli d il modo di vivere quella vita
che vorrebbe vivere. Che veramente democrazia e/o so- cialismo mettano gli
uomini nella condizione umana pit desiderabile,
cosa per lo meno da discutersi; n
certo che la risposta sia per essere affermativa. Ma quello su cui non
sono daccordo con Trilling che il porre,
e il porre correttamente, questi problemi, circa la critica della vita e della
societ, sia compito, e compi- to esclusivo, della letteratura. Anchegli fa qui
quello che, ' p. 473, col. 1. in altri rispetti, tanto giustamente rimprovera a
Snow: scivola dal piano dellessere a quello del dover-essere, da quello della
realt a quello dellutopia. Di fatto, ben
lun- gi dallessere provato e provabile che la letteratura, e tan- to meno poi
la cultura letteraria, sia sempre critica della vita e della societ; e tanto
meno poi che questo, della let- teratura, sia lunico modo, o il pi corretto, di
assolvere a questo compito. Ad esso si pu assolvere, molto pi correttamente
sebbene pi lentamente, con la cultura e la mentalit scientifica: e, come
abbiamo gi detto, ci sono scienze le quali, sebbene per ora alquanto incerte e
pro- blematiche, portano su ci. 3. Per, qualcosa del genere lo dice anche
Trilling. Anche lui ha il sospetto che Snow e gli altri non parlino realmente
di scienziati, bensi di ingegneri e tecnici, e che ben altra cosa siano la
scienza e la mentalit scientifica; e che questultima implichi anche la
considerazione critica dei problemi dianzi accennati. [Lo Snow] non propone
niente per leducazione del- lo scienziato oltre, naturalmente, la scienza. Dice
che gli scienziati devono essere istruiti non solo in termini scientifici, ma
anche in termini umani, ma non dice co- me. Gli scienziati ma comincia a sorgere il dubbio se es- si
siano realmente scienziati e non tecnici superiori o in- gegneri devono avere una parte decisiva nelle
faccende dellumanit, ma Sir Charles non suggerisce mai che, se cosf, dovranno affrontare difficolt e
perplessit e che la loro istruzione dovrebbe includere lo studio di libri non
necessario che siano letterari, non
necessario che siano tradizionali: potrebbero essere opere contempo-
ranee di storia, sociologia, antropologia, psicologia, filo- sofia che potrebbero proporre i difficili problemi
e met- tere innanzi la tragica complessit della condizione uma- na, che
insinuerebbero lidea che non sempre
facile ve- dere loggetto com realmente in se stesso !. 4. Trilling ufficialmente un rappresentante della cul-
tura letteraria, ed notevole critico
letterario di profes- ! pp. 468, col. 2-469, col. 1. 3sione. E questo suo
scritto mira certamente a criticare lo Snow in difesa della cultura letteraria.
Tuttavia c nel suo articolo unosservazione finale con la quale siamo
profondamente daccordo (a meno di alcuni particolari), ma che, proprio per
questo, ci ha sorpreso. Trilling rimprovera sia a Snow sia a Leavis di avere
discusso il problema in termini culturali . Cultura, nel senso di Snow, equivoco (consapevolmente equivoco): designa
una forma di civilt e una classe di uomini. Trilling genialmente vede qualcosa
di comune alla radice dell’ambiguit stessa: l'adozione di quello che (noi, non
Trilling) potremmo chiamare un punto di vista valutativo o moralistico, per il
quale necessariamente ci si deve riferire a persone umane (singole o gruppi) e
ai loro valori personali. E la colpa, per Trilling e per noi, sia di Snow sia
di Leavis stata di porre la questione,
appunto, in ter- mini culturali. Pensare
in termini culturali considerare le
espres- sioni umane non soltanto nella loro esistenza palese e in- tenzione
dichiarata, ma per cosi dire nella loro vita segre- ta, rendendosi conto dei
desideri e impulsi che stanno dietro la formulazione aperta. Nei giudizi che si
fanno quando si pensa nella categoria della cultura ci si fonda in gran parte
sullo stile in cui fatta unespressione,
nella convinzione che lo stile indicher, o riveler, ci che non si voleva
esprimere. Parte integrante dellidea di cultura
il momento estetico, e i giudizi su gruppi sociali proba- bilmente si
devono fare soprattutto su una base estetica
ci piace o non ci piace quello che si chiama il loro stile di vita, e
anche quando giudichiamo le morali, il criterio secondo cui scegliamo tra due
morali aventi, per esem- pio, uguale rigidit o uguale lassezza, probabile che sia un criterio estetico !. Questa categoria della cultura, questo
modo cultu- rale di pensare, ha indubbiamente il suo fascino: opera meno con
astrazioni e mere oggettivit, pi con effettivi e concreti sentimenti umani, e
opera sul modo in cui essi conformano e condizionano la comunit umana, sul mo-
! p. 475, coll. 1-2. 3I do in cui
costituiscono e indicano la qualit dellesistenza umana. Questo modo di pensare,
nellet contempora- nea, dovuto allazione
di Marx, di Freud, dellesisten- zialismo in generale, e insomma a tutto ci che
le tenden- ze moderne implicano di senso della contingenza della vi- ta, e da
cui impariamo che lunica cosa su cui si pu e si deve disputare sono i
gusti. un modo di pensare passio- nale,
che trasforma in peccato ogni errore. Non solo, ma esso eminentemente soggettivo. Dice Trilling un po
pa- radossalmente: Nei momenti di
maggiore depressione potremmo es- sere indotti a chiederci se ci sia una reale
differenza tra l'essere La Persona Che definisce se stessa mediante il suo
impegno verso questa o quella idea di morale, politi- ca, letteratura od
urbanistica e lessere La Persona Che definisce se stessa mediante il portare
pantaloni senza piega |. Ora, dice
Trilling, non possiamo sfuggire al modo cul- turale di pensiero pi di quanto
possiamo sfuggire alla cultura stessa. Ma c tuttavia, a salvarci, la possibilit
di un discorso razionale. Possiamo trovare conforto e co- raggio nellidea di
Intelletto [Mind], la facolt la cui an- tica potenza negata dal nostro affidarci allidea di cultu-
ra. Per noi oggi, lIntelletto deve inevitabilmente sem- brare una povera cosa
grigia, poich esso cerc sempre di staccarci dalle passioni ... e dalle
condizioni di tempo e luogo. Tuttavia
salutare per noi il prenderlo in conside- razione, per quanto grigio
esso sia, a causa della vivida fe- de che in altri tempi si riponeva in esso,
che fosse la fa- colt che non apparteneva a professioni, o a classi sociali, o
gruppi culturali, ma all'Uomo, e che fosse possibile per gli uomini, e
conveniente loro, impararne luso proprio, essendo esso il mezzo per comunicare
gli uni con gli altri. Fu sulla base di
questa fede che la scienza fond dap- prima la sua esistenza . ../. i Il passo
ci sembra ampiamente degno di considerazio- ne. Che sono, in sostanza, queste
due categorie della ci- p. 476, col. 1.
? p. 476, coll. 1e2. vilt, questi due
modi di pensiero, il culturale e l in- tellettuale? Il secondo, ce lo dice lo
stesso Trilling, pro- prio il modo
scientifico di pensare ove non si
abbassi la scienza a ingegneria o tecnica superiore. E Trilling lo ca-
ratterizza molto nitidamente nei suoi tratti essenziali: la sua razionalit, la
sua libert da valori e da impegni ideo- logici, la sua insieme libera e
necessaria universalit uma- na. proprio
questa, la civilt fondata sullIntelletto, la civilt della scienza. E
quellaltro, il modo culturale? Essenzialmente va- lutativo, storicistico,
umanistico: estetico, dice Tril- ling, e nel senso generico di valutativo, e
nel senso spe- cifico che alla fine ogni giudizio morale porta sulle qua- lit
personali dei soggetti morali da cui emanano, e attra- verso i cui atti si
realizzano, i valori e quindi porta su
valori di persone e stili di vita appresi in atti di imme- diatezza emozionale,
pressa poco come i valori estetici. Ma non
appunto questo il modo retorico, letterario, u- manistico e storicistico
di pensare? Dove pi che a cono- scere si mira a valutare, e a valutare secondo
schemi valu- tativi precostituiti e ammessi come dati nel consensus cosa che abbiamo gi osservato a proposito
della possibi- lit di comprendere, o di non comprendere, il significato delle
tendenze antisociali di alcuni grandi scrittori con- temporanei. Snow, Leavis,
tutti quelli che hanno parteci- pato alla discussione (anche da noi), hanno
discorso, qua- lunque partito prendessero, in questo modo retorico e umanistico,
non in modo scientifico anche gli
avvocati della cultura scientifica! E, come era prevedibile, la di-
scussione risultata disgustosa e
inconcludente, lascian- do amareggiato lo stesso Trilling. IV. Un notevolissimo
tentativo di spostare la discussione
dal piano culturale a quello dellIntelletto stato fat- to proprio da un letterato, A.
Huxley !. . ! Literature and Science, London 1963 (trad. it., Letteratura e
scienza, Milano 1963. Ma le nostre citazioni sono dall'edizione inglese).
Indubbiamente in questo scritto troviamo un tono as- sai pi elevato e
filosofico che non negli altri che gli han- no dato origine: e anche se Huxley
non ha la profondit e lacutezza di Trilling, certamente le sue idee appaiono pi
chiare, e tratta il problema con molto maggiore am- piezza. Il problema delle
presunte responsabilit politiche e sociali delle due culture, e di ci che da
esse pu aspettar- si l'umanit,
volutamente (e, secondo me, molto oppor- tunamente) tralasciato: invece
c uno sforzo di appro- fondire le strutture delle due culture come discorsi e
tipi di discorso ciascuno con una propria struttura e propri valori, ciascuno
presente ed operante nella nostra civilt. Tuttavia va fatta subito
unosservazione. Huxley re- stringe il campo della sua indagine e del suo
confron- to da una parte alle scienze, dallaltra allarte letteraria poesia soprattutto, e secondariamente romanzo
ecc. Manca il rilievo degli aspetti
riflessi e paideutici, cio pro- priamente manca la considerazione della cultura
(taude- ta) scientifica e di quella letteraria. Questo per noi il li- mite principale della sua trattazione.
Altri rilievi saranno fatti a proposito di singoli punti che verranno messi in
evidenza. 1. Huxley riprende ed applica all'argomento delle due culture una
celebre distinzione, che risale al Dil- they: la distinzione tra scienze
norzotetiche e scienze idio- grafiche, a cui Dilthey voleva ridurre la
distinzione tra scienze naturali e scienze dello spirito (morali 0, co- me oggi
si direbbe, umane). Le prime hanno per og- getto principale il rilievo di
leggi, cio di enunciati ge- nerali sotto cui ricomprendere unitariamente la
variet degli aspetti empirici della natura, dei fatti empirici con- statati. Le
seconde hanno invece per oggetto la descrizio- ne di cose (0, meglio, persone)
o eventi singoli nella loro irriducibile, storica, singolarit. I modelli di
questi due tipi di scienze potrebbero essere, rispettivamente, la Fisi- ca e la
Storia. Huxley applica questa idea alla distinzione tra scienza e creazione artistica
letteraria. Lo scienziato esamina un 34
RETORICA E LOGICA certo numero di casi particolari, nota tutte le somiglian- ze
ed uniformit, e da queste astrae una generalizzazione, alla luce della quale
(dopo che stata provata al cospetto dei
fatti osservati) devono venire compresi e trattati tutti i casi analoghi. Il
suo obiettivo primario non la concre-
tezza di qualche evento singolo, ma le generalizzazioni astratte, nei termini
delle quali tutti gli eventi di una da- ta classe acquistano un senso. Il modo
di accostarsi alle- sperienza dellartista letterario . . . molto diverso. Il suo metodo consiste nel
concentrarsi su qualche caso indivi- duale, scrutarlo cosf intensamente che
alla fine egli per- viene a renderlo trasparente. Ogni particolare concreto,
pubblico o privato, una finestra aperta
sulluniversa- le !. Le scienze fisiche
sono nomotetiche; esse cercano di stabilire leggi esplicative, e queste leggi
sono necessa- riamente utili e illuminanti quando trattano di relazioni tra
invisibili e intangibili sottostanti alle apparenze ... La letteratura non nomotetica, ma idiografica; il suo obiettivo
non dato da regolarit e leggi
esplicative, ma da descrizioni di apparenze e qualit palesi di oggetti
percepiti come totalit, da giudizi, confronti e discrimi- nazioni, da
intuizioni ed essenze, e finalmente dalla I- stigkeit delle cose, il
non-pensiero nei pensieri, l'identit senza tempo in uninfinit di perpetue morti
e perpetue rinascite . Purtroppo si
muove da unepistemologia piuttosto ar- caica (su per gi rimasta allepoca di
Whewell e di J. S. Mill), e si fa... della letteratura. Si invoca quella
misterio- sa intuizione che rende trasparente il particolare fino a che traluce
in esso luniversale... Ma come? Ritorniamo un momento indietro, alla distinzione
dil- theyana tra legge e descrizione del singolo. Assai pi che una
generalizzazione, la legge
unastrazione ri- duce gli aspetti
dellesperienza a certe relazioni (per lo pi, ma non necessariamente,
matematiche) tra certi ipo- tetici dati primi risultanti da una previa
dissectio naturae. Ma anche la descrizione, anche quella del singolo e
dell'unico, costruita mediante predicati
universali rife- riti ad atomi logici. Un descritto un x che soddisfa alle condizioni poste da
una funzione proposizionale, per lo pi molecolare, del tipo f(x) o g(x), f(x) e
g(x), se f(x), g(x). Il descritto
quellunico x che soddisfa a quelle condizioni: ma la sua unicit (ove non
si tratti degli enti astratti, ossia meramente sintattici, della matematica)
de- ve venire o postulata mediante un postulato particolare, oppure stabilita
sulla base di un postulato metafisico ge- nerale, come, per es., il principio
leibniziano dellidenti- t degli indiscernibili. Il vero e proprio singolo (di
fatto, una mera astrazione logico-matematica)
lindescrivibile oggetto di una conoscenza immediata, indicato da un sim-
bolo che lo denota ma non lo significa n connota (ossia indicato da un nome
proprio); oppure occorre considera- re ogni singolo come un singolo relativo,
un zodo (se mi si permette la metafora), per cosi dire il punto (logico) di
intersezione di un fascio di linee (logiche), e tale che non si intende se non
a partire da queste. E solo per ci in es- so pu trasparire luniversale: solo se
quellintersezio- ne si pu far dipendere dalle relazioni generali tra que- gli
universali, ossia se quel singolo si pu assumere come un paradigma. Perci larte
letteraria, e il metodo lettera- rio di esposizione, sono sempre armi a doppio
taglio; pos- sono, attraverso la fantastica esemplificazione artistica, far
trasparire leggi universali di relazioni tra universali; ma possono ugualmente,
nellinvenzione, mistificare il reale e farsi strumento di propaganda delle tesi
pi assurde. Per questo ci che in seguito Huxley dice circa la scien- za e la
letteratura pu essere vero e non vero. La scienza tende ad un sistema
monistico, ad un unico sistema di leg- gi, ad un unico ordine razionale dove
lenorme variet del- l'universo ridotta
in qualche modo ad unit; la lettera- tura accetta la singolarit degli eventi,
nella loro diversi- t e molteplicit e relativa incomprensibilit '. S, ma pu
essere vero anche il contrario: la scienza, come succede ampiamente nelle
scienze contemporanee (e in particola- ! PP. 11-12. re nella Fisica) pu anche fermarsi ad
unirriducibile plu- ralit, postulare una complementariet, oppure addirit- tura
proclamare un ideale puramente descrittivistico del sapere. Mentre la
letteratura, nella pretesa di passare ol- tre il singolo per intuirvi
luniversale, rischia spesso di mistificare la molteplice variet di situazioni e
di sistemi di valori nellunicit di qualche paradigma. Oggi come og- gi, nel
complesso (e statisticamente parlando),
assai pi platonica la letteratura che non la scienza. 2. Nello scritto
di Huxley la coppia nomotesi-idiogra- fia prende altri aspetti:
pubblicit-privaticit, oggettivi- t-soggettivit. Per un filosofo ovvio che queste coppie non sono affatto
equivalenti, almeno nei secondi mem- bri: non
detto che il particolare sia privato e sog- gettivo, o che il soggettivo
sia particolare e priva- to anzi, c' una veneranda tradizione filosofica che ha
detto esattamente il contrario). Ma, tant', Huxley acco- sta queste cose, e ci
pu servire a capire meglio il suo pensiero. Ch, pressa poco, quello che vuol
dire questo: che la scienza prescinde
dalla vita intima, spirituale, delle persone private, dai loro bisogni e
problemi intimi, dai loro stati danimo personali, per fissare rapporti obiet-
tivi ma astratti; mentre la letteratura si rivolge a questa specie di intimit.
Huxley fa un esempio. Ci siano persone che stanno os- servando un incendio.
Simili in tutti sono alcune espe- rienze intellettuali, riguardanti il
tentativo di pensare lo- gicamente le cause dellincendio stesso e della
combustio- ne in generale. Ma ben diverse sono invece le esperienze emozionali:
qualcuno pu derivarne eccitamento sessua- le, chi un piacere estetico, chi
terrore, ecc. Tali esperien- ze, del
tipo emozionale, sono ben diverse da quelle del ti- po logico, e, in questo
senso, pi private di queste. Ora, da questo punto di vista, la scienza pu essere definita come un
espediente per integrare, ordinare e comunicare le pi pubbliche tra le
esperienze umane. Meno sistema- ticamente, anche la letteratura si occupa di
tali esperien- ze pubbliche. Tuttavia il suo interesse principale si rivol- ge
alle esperienze pi private delluomo e alle interazioni tra i mondi privati di
individui senzienti e coscienti e gli universi pubblici della realt oggettiva,
delle conven- zioni sociali logiche e dellinformazione accumulata che correntemente a disposizione . E ancora:
Lo scienziato osserva le sue pi pubbliche esperien- ze e i resoconti di
quelle di altre persone; le concettualiz- za nei termini di qualche linguaggio,
verbale o matema- tico, comune ai membri del suo gruppo culturale; colle- ga
questi concetti in un sistema logicamente coerente; e alla fine cerca delle
definizioni operative dei suoi concet- ti nel mondo della natura, e cerca di
provare, mediante os- servazioni ed esperimenti, che le sue conclusioni logiche
corrispondono a certi aspetti degli eventi che accadono fuori. A modo suo,
anche il letterato un osservatore, or-
ganizzatore e comunicatore delle pi pubbliche esperien- ze sue e di altre
persone, di eventi che accadono nel mon- do della natura, della cultura e del
linguaggio. Da un cer- to punto di vista, tali esperienze costituiscono la materia
prima di molti rami della scienza. Sono anche la mate- ria prima di molta
poesia, molti drammi, romanzi e sag- gi. Ma mentre lo scienziato fa del suo
meglio per ignora- re i mondi rivelati dalle esperienze pi private sue e di al-
tre persone, il letterato non si confina mai a lungo in ci che meramente pubblico. In lui, la realt
esterna co- stantemente riferita al
mondo intimo dellesperienza pri- vata, la logica condivisa si modula nel
sentimento non condivisibile, lindividualit brava erompe finalmente at-
traverso la crosta del costume culturale
. Ci sarebbe preliminarmente da osservare una cosa. Che Huxley
attribuisce al fazto della letteratura, al suo essere, quello che invece un programma, un dover-essere. Hux- ley
cristiano e intimista attribuisce a s come scrittore, e, per estensione, a
tutta la letteratura, una tale funzione; e in ci , pi o meno, simile a Leavis e
a Trilling. Ma dia- molo per buono, e accettiamo per un fatto generale que- :
PP. 7-8. p. 8-9. sto che soltanto una proposta e un programma. Accet-
tandolo, avremmo, almeno in linea di massima, sciolto il problema delle due
culture, non pi antitetiche, ma complementari. E rallegriamoci con Huxley, il
quale, pi ancora di Trilling, ha sollevato la questione fuori del bas- so
giornalismo e delle polemiche contingenti, elevandola ad un problema di
filosofia della civilt. Ma anche con tutte le possibili concessioni, la cosa non
risulta del tutto persuasiva. Sorgono non piccole difficol- t dordine gnoseologico
ed ontologico. In primo luogo, quali sono i limiti tra pubblico e privato? Fino
a che punto si pu parlare di unesperienza privata, e con- siderarla un
esperienza? Le emozioni che ognuno pro- va di fronte allincendio sono private,
le nozioni in- torno alle cause della combustione in generale sono pub- bliche.
E le nozioni intorno alle cause delle emozioni private, questa o quella o
quellaltra, sono pubbliche o private? E poi
come si fa ad affermare che Tizio pro- va eccitamento sessuale, Caio
piacere estetico, ecc., se non mediante esperienze pubbliche, prove obiettive,
di qualunque genere esse siano? Resta di vero un fatto so- lo: che laccordo su
enunciati logico-descrittivi (di tipo scientifico) di gran lunga pi generale (al limite, uni- versale) che non laccordo su enunciati
emozionali. Ma se queste fossero soltanto espressioni di stati privati, a parte
le difficolt logiche inerenti alla possibilit di usa- re un linguaggio umano,
fatto di comun-segni, per tali espressioni, la letteratura si ridurrebbe a mera
autobio- grafia intima. a che pro?
Ancora pi inammissibile il parlare di
mondi pri- vati. Mondo privato un
quadrato rotondo. Un mon- do una
costruzione intersoggettiva, un luogo di incon- tro delle sfere di appartenenza
di ciascuno unit si- stematica ed
obiettiva di esperienze correlate, intercon- nesse, secondo legami universali e
necessari. Altrimenti mondo una metafora
per parlare di un insieme sconnesso di emozioni, fantasie, sensazioni, opache
le une alle altre, e perci ineffabili. ora qui un grande problema: il problema
della lingua. La lingua, con il suo vocabolario, la sua semantica, la sua
sintassi, fatto di segni pubblici, comuni, che appunto perch tali sono pluri-situazionali,
e quindi costituiscono delle unit ideali di significazione. Come si pu dire,
descrivere, ci che privato, la mera emozione,
o la mera sensazione, come vissuta? Si possono soltanto esprimere? Ma allora si
riducono agl’ululati dei cani e ai gemiti dei sofferenti? Ma Huxley parla anche
delle due culture come due lingue: ritorneremo sullargomento. Fra le coppie
dialettiche in cui Huxley sviluppa l’antinomia scienza-letteratura ce n' una
estremamente interessante: la coppia mondo della scienza mondo del- la vita. Il mondo di cui tratta la
letteratura il mondo in cui vivono tutti
gli uomini anche gli scienziati, in
quanto uomini. Il mondo in cui si vive, e si muore; si ama, e si odia; si
spera, e dispera. Un mondo vario, fatto di passio- ne e ragione, di pressioni
sociali e impulsi individuali, di regole, di rituali, di linguaggio che si
comunica e senti- menti incomunicabili. Anche lo scienziato, come indivi- duo
privato, abita in questo mondo, ma come
chimico di professione, oppure, per esempio, fisico o fisiologo di professione,
egli labitante di un mondo radicalmente diverso non luniverso delle apparenze date, ma il
mon- do delle strutture sottili indotte, non il mondo sperimen- tato fatto di
eventi unici e qualit diverse, ma il mondo delle regolarit quantificate . ..
Per la scienza nella sua to- talit, lo scopo ultimo la creazione di un sistema moni- stico nel
quale al livello del simbolo e nei
termini delle componenti induttive della struttura invisibilmente e in-
tangibilmente sottile limmensa
molteplicit del mon- do ridotta a
qualcosa di simile allunit, e linfinita suc- cessione di eventi unici di specie
diversissime finisce or- dinata e semplificata in un solo ordine razionale . Il letterato invece accetta lunicit degli
eventi, la fram- mentaria variet del mondo, la radicale incomprensibilit del
mondo-della-vita pre-concettuale, e si dedica al compito paradossale di rendere
la casualit e informalit dellesistenza individuale nelle opere darte, altamente
or- ganizzate e significative '. Questi
passi meriterebbero un lungo commento, anzi il punto che essi pongono potrebbe
essere il tema di un intero trattato di filosofia. Tutta la corrente della
filosofia fenomenologica pit re- cente e
ricordiamo qui, tra i molti, soltanto lultimo Husserl e Merleau-Ponty insiste su qualcosa (e certo non sempre la stessa cosa) come l esperienza
antepre- dicativa, lesperienza presignificativa, il mondo della vi- ta.
Unintera scuola letteraria con notevoli riflessi nel- la cinematografia affida
proprio allarte in genere, alla let- teratura in particolare, questo compito
dello sguardo, della visione allucinantemente distaccata da ogni con- cetto e
significazione: e in questo compito appunto larte si differenzierebbe dal
pensiero logico, dalle scienze e dal- la filosofia, in cui il dato primario invece assunto in e sussunto a
significati, cio concetti, leggi generali, e quindi arricchito di nessi
relazionali, rimandi intenzio- nali, eccetera. Ci vorrebbe un lungo discorso
per critica- re questo punto di vista, sotto certi aspetti tanto sugge- stivo:
descrivere unesperienza ante-predicativa, scioglie- re i contenuti dai loro
significati, un quadrato rotondo: perch
i contenuti sono tali per, ed entro, quei signi- ficati; descrivere si pu
soltanto con parole, e le parole sono, appunto, predicati e significati. Di qui
il tormento- so, insolubile problema di trovare un linguaggio che non sia un
linguaggio un impossibile sistema
preistorico di simboli denotanti ma non significanti, cio allusivi, mi-
steriosi magici. Larte si fa magia,
stregoneria, allusi- vit surrealismo o
ciarlataneria. La concezione di Huxley (non per niente scrittore cristiano) sfiora anche questa:
anche lui assegna allarte (per lo meno allarte letteraria) il compito di
parlare del- lineffabile; anche lui si pone il problema della peculiare natura
del linguaggio poetico (e come potrebbe non por- ! pp. 11-12. selo, se il problema fondamentale della filosofia
dellar- te oggi?) e parla a pi riprese
di artifici e procedimen- ti magici del discorso poetico '. Tuttavia non questo che egli vuol dire. Qualcosa di
simile, forse ma di into- nazione
cristiana, spiritualista, tardo-ermetica: si tratta non di esperienze
antepredicative e presignificative, ma di esperienze (ahim) dellanima,
intimissime, priva- tissime, uniche e perci ineffabili. Lambizione dellar- tista letterario parlare dellineffabile, comunicare in pa-
role ci che le parole non intesero mai comunicare. Per- ch tutte le parole sono
astrazioni e stanno per quegli aspetti di una data classe di esperienze che
sono riconosci- bilmente simili. Gli elementi dellesperienza che sono uni- ci,
aberranti, diversi dal normale, restano fuori dal confi- ne del linguaggio
comune. Ma sono precisamente questi elementi delle esperienze umane pi private
che lartista letterario aspira a comunicare
. E nella pagina dopo il nostro si scopre abbastanza: In paradiso i
santi sperimentano una beatitudine che non gustata non s'intende mai. E lo
stesso vero delle estasi e delle pene
degli esseri umani sulla terra. Se non si provano, non si possono comprendere.
A dispetto di tutte le penne che sempre i poeti impugnarono s, e a dispetto di tutti i microscopi
elettronici, ciclotroni e cal- colatrici elettroniche degli scienziati il resto
silenzio, il resto sempre
silenzio . Lasciamo stare i santi in
paradiso con le loro beatitu- dini: come gli idioti e i bambini, non hanno cultura,
e non ne hanno bisogno (per questo forse per entrare nel regno dei cieli
bisogna farsi simili a fanciulli). E se il re- sto silenzio, il silenzio non cultura. Di ci di cui non si pu parlare,
bisogna tacere, diceva molto opportunamente il mistico Wittgenstein. E se
stessimo a quan- to dice lermetico-mistico A. Huxley, la poesia si ostine-
rebbe a parlare di ci di cui si deve tacere, a comunicare lincomunicabile una esperienza che non si pu neppu- ) Per
es., a pp. 27, 31. p. 12. 1 In italiano nel testo. P. 13. re chiamare esperienza, perch non ha
dellesperienza lintersoggettivit e la significativit. Ma perch, allora? Dice un
aureo aforisma dellottimo Lec: Un consiglio agli scrittori: giunge un momento
in cui bisogna smette- re di scrivere. Anche prima di incominciare . Sf, per- ch? Perch il pi privato il pi universale, lineffabile il pi vero. Il che letteratura, anzi retorica e della peggiore. 4. Ma accanto a questa
troviamo nello Huxley una seconda concezione, che in qualche modo ci richiama
alla mente il Lebenswelt del tardo Husserl.
Il mondo del quale tratta la letteratura
il mondo in cui gli esseri umani sono nati, vivono e alla fine muoiono;
il mondo in cui amano e odiano, in cui sperimentano trionfo e umiliazione,
speranza e disperazione; il mondo delle sofferenze e delle gioie, della follia
e del senso co- mune, della stupidaggine, della furberia e della saggezza; il
mondo delle pressioni sociali e degli impulsi individua- li, della ragione
contro la passione, degli istinti e delle convenzioni, del linguaggio
comunicato e del sentimento e sensazione incomunicabili; delle differenze natie
e del- le regole, dei ruoli, dei rituali solenni o assurdi imposti dalla
cultura dominante. Ogni essere umano si rende con- to di questo mondo vario e
conosce (nella maggior parte dei casi, piuttosto confusamente) a che punto si
trova nel- la relazione con esso. E inoltre, per analogia con se stes- so, pu
congetturare a che punto si trovano gli altri, ci che sentono e come probabile si comportino !. Anche Husserl, soprattutto nella Crisi, ha
insistito sul fatto che la scienza (e in genere si potrebbe aggiungere senza
forzarne il pensiero, tutta la cultura) opera su un mondo-della-vita, su un
mondo circostante pre-scien- tifico intuitivo, al quale attinge le sue convinzioni
di ba- se, le sue datit gregge, comprese quelle relative alla si- tuazione
dello scienziato operante in questo mondo. E la scienza opera poi una pi o meno
accentuata idealizzazio- 1 pp. I0-I1. ne
ed obiettivazione di questo mondo, che finisce per di- staccare nettamente la
Weltanschauung scientifica da quella pre-scientifica intuitiva. Secondo Huxley
(non se- condo Husserl, che qui non centra pi) compito della let- teratura parlare ir questo mondo e di questo mondo. Si
noti, qui non si tratta del mito di unesperienza ante- predicativa, di
contenuti ineffabili di cui bisogna parlare. L'esperienza pre-scientifica esperienza in senso pieno, ricca (forse anche
troppo) di significati, di schemi inter- pretativi e/o valutativi, di
convenzioni, di pregiudizi. Non ha nulla di mistico, e in ultima analisi anche
nulla di privato: anzi lesperienza del
mondo sociale, ed co- municabile per
eccellenza; il contenuto semantico del
linguaggio comune. Indubbiamente da
questa che con- cretamente muove ogzi attivit culturale, scientifica o let-
teraria che sia. Ma le forme scientifiche di pensiero, la scienza e la
filosofia, la trascendono, costruendo quadri del mondo liberi dal valore
(wertfrei, dice Weber) e lon- tane dallintuizione. La letteratura, in questo
caso, rimarrebbe al livello del- lesperienza prescientifica, del Lebenswelt:
sarebbe di- scorso che non solo parte da questo mondo (il che fanno, in ultima
analisi, tutti i discorsi), ma anche porta su di esso, in esso si muove. Il che
sarebbe forse da accettare, o per lo meno da prendere in seria considerazione.
Di fat- to il rimprovero che da ogni parte si muove alla scienza (e con essa
alla filosofia di tipo scientifico) di
essere tec- nica, astratta, lontana dallintuizione comune e dal mon- do della
vita; e ad essa si contrappone la cultura lettera- ria (e la filosofia di tipo
umanistico) come corrente, con- creta, vicina allintuizione comune e al mondo
della vita e ai problems of men. Ma in che senso larte letteraria sa- rebbe
cultura, cio pur sempre unelaborazione e ma- nipolazione di questo mondo della
vita? L'artista, ri- sponde Huxley, si indirizza al compito paradossale di
rendere la frammentariet e informit dellesistenza in- dividuale in opere darte
altamente organizzate e signi- ficative '. Dove per siamo scivolati dal piano
del mon- 1 p. 12. 44 RETORICA E LOGICA do della vita e dell'esperienza
quotidiana nella problema- tica del singolo e delle ineffabili profondit di
bergsonia- na memoria: mentre in realt lesperienza del mondo del- la vita proprio la meno privata, la meno libera, la
me- no individuale, la pi banale che sia dato pensare. Quel- lego che funge in
essa un ego eminentemente sociale,
situato, condizionato, comune; ch solo attraverso la ri- flessione sulla forma
razionale delle scienze si raggiunge invece lidea di un ego puro,
trascendentale, libero. 5. Letteratura e scienza: non due culture in senso
antropologico, come pretendeva Snow e accettavano i suoi oppositori, ma due
forme di riflessione, due modi di sa- pere, due diverse maniere di rapportarsi
verso lesperien- za, il mondo e il senso comune, lego e gli altri. E due mo- di
diversi di linguaggio. Giustamente lo Huxley insiste su questo punto, cui de-
dica molte pagine ed osservazioni mi
sembra, molto in- teressanti. Sia la scienza che la letteratura devono puri-
ficare il linguaggio della trib, che
inadeguato sia co- me mezzo di espressione scientifica sia come mezzo di
e- spressione letteraria. Ma le due forme procedono in mo- do diverso: la
scienza creando un linguaggio semplificato e tecnicizzato (jargonized) al limite, il linguaggio ma- tematico. Invece
lartista letterario purifica il linguag- gio della trib in un modo radicalmente
diverso. Lo sco- po dello scienziato , come abbiamo visto, dire una cosa, e una
cosa sola, per volta. Con la massima energia biso- gna sottolineare che questo
non lo scopo dellartista let- terario.
La vita umana vissuta simultaneamente a
mol- teplici livelli e ha molteplici significati. La letteratura un accorgimento per riferire i fatti
molteplici ed esprime- re i vari significati. Quando lartista letterario si
mette a dare un senso pi puro alle parole della sua trib, lo fa con il
proposito espresso di creare un linguaggio capace di esprimere non il singolo
significato di qualche scien- za particolare, ma la multipla significanza
dell'esperienza umana, ai suoi livelli pi privati come ai suoi livelli pi
pubblici. Purifica, non semplificando e gergalizzando, ma approfondendo ed
estendendo, arricchendo con armonici allusivi, con sovratoni di associazione e
sottotoni di ma- gia sonora . La
pagina molto bella e interessante. Il
linguaggio della poesia non quello della
scienza. Le esigenze di questultimo
univocit semantica, controllabilit sin- tattica, riferimento a
esperienze intersoggettive non so- no
quelle della poesia, in cui predominano la polivalen- za, lallusivit ed
evocativit del discorso, attraverso i suoi valori semantici propri, ma anche i
suoni, i toni, i ritmi... Evitando il gergo tecnico, dice Huxley qualche pa- gina pi avanti, luomo di lettere assume le parole del- la
tribd e, con un processo di selezione e ridisposizione, le trasforma in un
altro linguaggio pi puro: un linguag- gio in cui possibile comunicare esperienze private non
partecipabili, dare espressione allineffabile, esprimere, direttamente o per
implicazione, le diverse qualit e si- gnificati dellesistenza nei molteplici
universi cosmico e culturale, intimo ed
esterno, dato e simbolico in cui gli
esseri umani sono predestinati, per la loro molteplice na- tura anfibia, a
vivere, muoversi ed avere il loro essere con- fuso . Nellanalisi, molto interessante, del
linguaggio poeti- co, Huxley ne mette in rilievo due artifici (devices) in realt assai pi di due tecniche, bens due
strutture proprie e costitutive. Una tecnica, antica quanto la poe- sia, quella della metafora, per mezzo della quale si pu parlare di una cosa nei termini di
qualcosaltro, e cos, per via indiretta, esprimere un numero maggiore dei mol-
teplici significati, soggettivi ed oggettivi, della vita di quanto non si possa
esprimere mediante il linguaggio di- retto
. Laltra quella del linguaggio
magico o te- merit (recklessness) verbale, con il che Huxley allude ad un
particolare uso simbolico del linguaggio, per cui o- gni parola cessa di
essere, come invece nel linguaggio
scientifico, significante ed operativa in un contesto, ben- sl viene assunta
come un idea cio viene isolata da 1 p.
14. a P. 17. D. 26. contesti, presa in s; diviene una parola-isola, un para-
digma indipendente di suoni e significati , e cosi assume una nuova
significanza, problematica, misteriosamente magica |. La temerit verbale apre insospettate
finestre sulli- gnoto. Usando parole-idee liberate in modo temerario, il poeta
pu esprimere, pu evocare, pu persino creare po- tenzialit di esperienza finora
sconosciute o forse inesi- stenti, pu scoprire aspetti dellessenziale mistero
delle- sistenza, che altrimenti non sarebbero mai emersi... . La
metafisica morta nella forma dominante
del pen- siero scientifico contemporaneo. Essa sembra ora rifugiar- si ai
margini di esso, nelle zone dellarte figurativa e del- la poesia. Arte,
religione, metafisica sono sorte dalla co- mune matrice della magia primitiva,
dove segno, rituale, parola e contenuto magico coincidevano dove Brabman, la formula sacrificale, era il
St, l'essere da cui sprigiona- va lincantesimo (724y4) dellesistenza empirica.
E questa sembra ora la poesia secondo Huxley: Il linguaggio purificato della
scienza strumentale, una tecnica per
rendere intelligibili esperienze pubbliche adattandole in uno schema attuale di
riferimento o in un nuovo schema di riferimento che pu prendere posto ac- canto
al vecchio. Il linguaggio purificato dellarte lettera- ria non mezzo per altro: un fine in se stesso, una co- sa di
significanza e bellezza intrinseca, un oggetto magico dotato, come il Tischlein
di Grimm o la lampada di Ala- dino, di poteri misteriosi . V. Forse questo saggio richiederebbe una
conclusione. Ma una vera e propria conclusione non c'. Abbiamo visto che la
polemica delle due culture cominciata
come una polemica tra due gruppi di uomini dotti, due classi di intellettuali,
e per di pi, ahim, 1 1 p. 32. 3 di
professori, dediti a discipline diverse. Le ragioni arre- cate pro luna e
contro laltra, e viceversa, non si solleva- no da una banale retorica
valutativa, su piani moralistici od etico-politici. Ma negli interventi pi
raffinati, fatti in nome di un modo di pensare pit solido, pit filosofico,
abbiamo visto come tale polemica abbia comunque poco interesse, e mol- to
probabilmente sia priva di senso. Qualunque riflessione di uomini legata a interessi umani e, se questa frase deve avere un significato
pi che meramente retorico, interessa i destini degli uo- mini, dell'umanit come
dei singoli. Lo stesso disinteres- se pratico, che si pu ritrovare nelle forme
pit elevate di scienza come in quelle pi elevate di letteratura, non forse che unastuzia della vita per penetrare
pi profon- damente nel destino umano e conseguirvi un dominio pi sicuro e pi
profondo. Lo schema simmeliano vita - pi che vita - pi vita vale per ogni forma
di attivit spiritua- le oggettiva. N tanto meno si tratta, cos immediatamente e
inge- nuamente, di conservatorismo (0 reazionarismo) e di pro- gressivismo
rispettivi di letteratura e scienza come nomi di classi di uomini dediti a
professioni intellettuali. Reazionari e progressisti ci sono da una parte e
dallaltra. Se mai, se questa coppia pu valere, vale per letteratura e scienza,
non per letterati e scienziati: perch, in fin dei conti, ci possono benissimo
essere letterati con mentalit scientifica e professori di materie scientifiche
con mentalit umanistica (a volte c' da chiedersi persino se abbiano, in
generale, una qualsiasi mentalit tan- to
sono stupidi). Quella invece che si rivela
una dualit dialettica in seno allattuale civilt anzi, in seno alla plurisecolare tradizione
della nostra civilt. Letteratu- ra e scienza non sono semplicemente due tipi di
pro- fessione intellettuale, o due classi di materie dinsegna- mento
scolastico: sono due forme, due atteggiamenti, due metodi insomma, due civilt. I piccoli politici, i
gior- nalisti, i pedagogisti, in genere gli spiriti pratici e super- ficiali
potranno tentarne tutte le conciliazioni possibili. Del resto, da millenni
queste due forme convivono sullo stesso suolo della nostra civilt! Ma la pace
non si ot- tiene se non approfondendo la guerra
le contraddizioni non si superano se non approfondendole. Bisogna
ricono- scere queste due forme per quello che sono: due strut- ture culturali
antitetiche, e probabilmente complementa- ri nel senso di Bohr; due diverse
concezioni della verit, due diverse forme di cultura accentrate intorno a
valori- base antitetici; due diverse scale di valori, e quindi due diverse forme
di moralit. 1. C. Perelman ha elaborato una bellissima teoria, la teoria di
quelle che egli ha chiamato coppie filosofiche ' L'operazione di partenza che
porta, in una cultura, alla creazione di tali coppie unoperazione di dissociazione di nozioni, di
insiemi di argomenti. Di fronte a una no- zione unitaria formata da elementi
confusi e contraddit- tori, designati da un medesimo termine, si opera una se-
parazione in coppie antitetiche: subentrano due nozioni, e mediante questa
dualit si tende a togliere le contraddi- zioni che si trovavano nella primitiva
sostanza. Di fatto, un modo di togliere
le contraddizioni; ma le nuove nozioni, che risultano dalla dissociazione,
possono acqui- stare una tale consistenza, essere cosi fortemente elabo- rate,
e apparire cos tanto indissolubilmente legate allin- compatibilit che
permettono di risolvere, che presentare questa in tutta la sua forza sembra un
altro modo di por- re la dissociazione .
Gli esempi migliori sono forniti dalla filosofia. Il Pe- relman assume come
tipica una coppia dissociativa, che prende in un certo senso come paradigma di
tutte le cop- pie filosofiche: quella di apparenza e realt, che egli sim-
boleggia con apparenza/realt, o, pi genericamente, con termine I/termine II. La
coppia in questione nasce dalle contraddizioni che presenta lesperienza allora si dis- socia la realt dallapparenza,
in modo che al moltepli- ce delle apparenze, frammentarie, incoerenti, slegate,
! Cfr. c.
PERELMAN L. OLBRECHTS-TYTECA, Trait de
lArgumentation, Paris 1958, parte III, cap. IV (trad. it., Trattato dellargomentazione, To- rino
1966. Ma le nostre citazioni sono dalledizione francese). 2 P. 553. si oppone
lunit sistematica, coerente, delle realt:
Mentre le apparenze possono opporsi, il reale coeren- te. L'elaborazione di esso avr per
effetto di dissociare, tra le apparenze, quelle che sono ingannevoli da quelle
che corrispondono al reale . Il termine
II viene elaborato in un sistema, e cos ge- nera una molteplicit di altre
coppie derivate o subordi- nate alla coppia-base, che vengono a costituire
delle soli- dariet argomentative. Non solo, ma, come nel paradig- ma
apparenza/realt, il secondo termine introduce nei contenuti del primo una
valutazione (0, mediante le cop- pie derivate, un sistema solidale di
valutazioni), una ge- rarchizzazione, ed anche un principio di spiegazione
delle contraddizioni che si rinvengono nel primo. Il termine II fornisce un criterio, una norma
che permette di distin- guere ci che
valido da ci che non lo , di tra gli aspet- ti del termine I; non semplicemente un dato, ma una costruzione che
determina, a partire dalla dissociazione del termine I, una regola che permette
di gerarchizzarne i molteplici aspetti, qualificando come illusori, erronei,
ap- parenti, nel senso squalificativo di questo termine, quelli che non sono
conformi a quella regola che fornisce il rea- le. In rapporto al termine I, il
termine II sar, insieme, normativo ed esplicativo . Quindi la dissociazione e- sprime una
visione del mondo, stabilisce delle gerarchie, di cui si sforza di fornire i
criteri ?. Notiamo che il termine II
presuppone il termine I, ed ad esso
correlativo non si tratta perci di una
vera an- titesi (il reale una scelta
nellapparente): qui il pensiero di Perelman appare alquanto confuso, perch
daltra parte il termine II appare antitetico (come il bene al male, il valore
al disvalore) rispetto al primo. un
punto in cui la sua costruzione, daltra parte preziosissi- ma, mi sembra che
vada corretta. . In secondo luogo, notiamo che la coppia pu rovesciar- si in
una diversa situazione argomentativa. Ma, osserva giustamente Perelman, non pu
rovesciarsi semzplicemen- ; P. 556. i P. 557. D. 561. 5te: quando il termine I
diviene il termine II, si deve or- ganizzare, strutturare in maniera coerente,
e allora lex ter- mine II si dirige in maniera diversa, e quindi anchesso muta
di senso. Tentiamo ora di rielaborare questa dottrina, per poi applicarla al
tema delle due culture: la trasformeremo in una teoria delle coppie
dialettiche, la quale, forse, pu anche fornire uno schema generico per una
fenome- nologia dialettica della cultura (lasciando ai lettori di buo- na
volont di stabilire, se lo ritengono utile, quanto di derivazione hegeliana
essa contenga). Come abbiamo osservato, il termine I (per es., appa- renza)
nelle coppie perelmaniane ambiguo:
esso al contempo la sostanza su cui
opera il termine II e lanti- tesi di esso. Noi invece proponiamo lo schema (1)
AS A/A, che, tra laltro, rende anche meglio lidea di dissociazio- ne. A la sostanza su cui si compie loperazione
dissocia- tiva: per esempio, lesperienza nella coppia apparenza / realt;
qualcosa di confuso, cio di globale, indiffe- renziato (o comunque non
sistemzaticamente differenzia- to), e in cui, naturalmente, emergono delle
specifiche contraddizioni spicciole (per unesperienza il bastone immerso nell
acqua spezzato, per. altre non lo ). A un sistema organico di argomenti, ossia di
tesi, orga- nizzato secondo determinate categorie, procedimenti di- scorsivi,
schemi valutativi, ecc. Per esempio, lo
schema della realt com' costruito dalla scienza. Quello che re- sta fuori, che
non vero (0, pi genericamente, vali- do)
rispetto al sistema A, A: apparenza,
illusione, non-essere, male, ecc. ecc.
sono tutti termini per un A' correlativo ad un A. Naturalmente, quanto
pi ricco e meglio costruito A, tanto pi
rado e sporadico lin- sieme di fatti che
costituisce il contenuto di A: una rego- la bene costruita non ha eccezioni, o
ne ha pochissime. O, per lo meno, a partire da A si hanno, come ha rilevato il
Perelman, criteri teorici per la spiegazione dei fatti rele- gati in 4.
Tuttavia pu darsi che A resista ad A: ossia, che a SI partire da esso sia possibile un rilievo di
valori che non sono spiegati, o dileguano, in A. Allora la coppia pu
rovesciarsi: A pu venire organizzato in uno schema coerente, teorico; sulla
base di determinate validit (cri- teri di verit, valori, ecc.), di fronte alle
quali i fatti tipi- ci e formali di A appaiono il disvalore. Non si forma pe-
r, realmente, una coppia A /A', bens si opera con uno schema (2) A-B'/B"
affatto analogo allo schema (1), ma dove B rappresenta lorganizzazione formale
e sistematica di A, e B' rappre- senta una serie di momenti di A. Non si pu
quindi sta- bilire semplicemente le equivalenze (3 ) A na B A ca B' bensf (3
bis) A'>B" A" B' Cos la coppia apparenza/realt non si rovescia
nella coppia realt/apparenza, ma in altre coppie come, per esempio,
dogmatismo/esperienza, deformazione intel- lettualistica/esperienza vissuta, e
simili. (Ricordiamo che, di fatto, siamo pi spesso di fronte a serie congiunte
di coppie, che non a singole coppie). Abbiamo cosi lo schema AA /A (4) AL
B'/B" non propriamente circolare (quale sarebbe invece se vi- gesse lo
schema (3), bens dialettico. La sostanza di A si venuta articolando in due sistemi antitetici
A e B, che sono, allincirca, anche complementari nel senso di Bohr. Se si vuole
una sintesi, una ricostituzione di A, essa
da- ta dallanalisi filosofica che riconosce lo schema e spiega
l'esistenza delle coppie dialettiche a partire da A. Per u- sare una poco
simpatica terminologia, essa data da
quel- la riflessione superiore che, ponendosi sopra le coppie dialettiche,
intende, attraverso esse, la struttura di A, e in un certo senso la
ricostituisce ma non pi come uni- t
sostanziale, confusa, bensi come matrice di quella dia- lettica. 2. Possiamo
ora tentare di cogliere il significato del- lantitesi letteratura-scienza come
coppia dialettica. La civilt (e per civilt intendo sempre la mostra, quella
europea occidentale) si sviluppata
storicamente, in un miscuglio di valori, di norme, di procedimenti, di idee,
che irto di contraddizioni:
contraddizioni sempre presenti, sempre operanti, ma che tuttavia si fanno
senti- re in modo particolare in quei momenti di pi acuta cri- si, quale quello che attraversiamo in questo secolo. In
questa civilt ci sono tante cose: poesia e teatro, reli- gione, arte
figurativa, politica, retorica, scienza... In esse si rispecchiano attorno ad esse si polarizza la coscienza
de i contrasti profondi che dividono i popoli,
le societ, gli uomini stessi in quanto singoli.
ovvio che per inten- dere, e per ci stesso evitare, non i contrasti (ch
essi esi- stono e sussistono ir re), ma per lo meno le contraddizio- ni in cui
tali contrasti si rispecchiano nella riflessione cul- turale, il procedimento
normale quello, teorizzato da Perelman,
della dissociazione: della dissociazione in cop- pie, filosofiche o meno, a
livelli di generalit e/o astra- zione pi o meno elevati. Per questo i tentativi
irenici sulla base del c anche, consistenti nel lasciare sizmzpli- citer
sussistere i contrasti soltanto perch i termini di ta- li contrasti ci sono, mi
appaiono ingenui e stupidi. La- sciano le cose come sono, nel loro caos, senza
fare alme- no il tentativo di vederne le strutture antitetiche, gli op- posti
valori in giuoco non portano pace, ma
lasciano sussistere la guerra, una guerra cieca di cui non si vedono neppure
chiaramente le ragioni. I fautori di tali posizioni ireniche temono
limpoverimento che decisioni intellet- tuali (essi dicono dogmatiche)
potrebbero introdurre, senza vedere che una ricchezza non inventariata, non
clas- sificata, pi povera di ogni
povert. Nella storia di questa civilt ad un certo momento sor. ge la scienza,
dapprima identica in generale con la mentalit scientifica, con la razionalit.
Essa ha per criterio- base il valore del vero, o meglio, forse, del vero razio-
nale, ed opera entro il mondo della cultura, dei valori, delle tradizioni,
delle istituzioni, delle credenze, in una direzione critica, a discriminare le
esperienze e i contenu- ti validi secondo un ideale criterio di obiettivit
razionale da quelli di mera opinione, soggettivit, sentimento. Con la scienza
si introduce quindi una dissociazione in seno alla civilt: essa opera come un
termine II della dia- lettica perelmaniana, o come un termine A del mio sche-
ma (1) (dove A la sostanza della
civilt). A (il termine I della coppia perelmaniana) diventa il termine I in una
serie pressoch equivalente di coppie: opinione, re- torica, apparenza di fronte a scienza, dialettica (o logi- ca),
realt. Di contro, per, la grande tradizione letteraria (che nellepoca platonica
come allepoca della querelle secen- tesca
simboleggiata in Omero) tende a sua volta a rior- ganizzare la cultura
secondo prospettive opposte della
soggettivit, del sentimento, dei valori, della tradizione. Essa diventa, per
esempio, umanit e spiritualit di fronte alla materialit o naturalit della
scienza ', co- noscenza del pi profondo di fronte alla conoscenza del
superficiale, ecc. Cos, elaborando e
trascegliendo i con- tenuti stessi della civilt di base secondo un proprio
siste- ma di prospettive e di valori, essa si pone come termine II (nei nostri
schemi (2) e (4) come B) in una coppia antitetica alla precedente. Dobbiamo
osservare che entrambe tendono ad una por- tata universale, non solo in senso
critico, ma anche in sen- so costruttivo. N la scienza n la letteratura voglio-
no in fatto elizzinare dalla civilt i loro opposti-presup- posti dialettici, ma
solo subordinarli secondo un proprio criterio di valore. Ripetiamo: i c' anche
hanno ra- gione ci saranno sempre e una
scienza e una letteratu- ! Anche recentemente W. M. Simon (The Two Cultures in
Nine- teenth-Century France: Victor Cousin and Auguste Comte, in Journal of the
History of Ideas, gennaio-marzo 1965, pp. 45 sgg.) interpreta la que- relle
delle due culture come tensione tra un orientamento verso la na- tura e le cose
materiali e un orientamento verso lumanit e le cose spiri- tuali (la scienza e
le umanit) (p. 45). ra. Nessuno pensa che non sia per esserci sempre una
scienza e una letteratura; scienziati e poeti e letterati ci saranno sempre. Ma
proprio in questo sta la futilit del c' anche
nel mettere pace dove non occorre. Solo che in una civilt della scienza
il ruolo delle attivit lette- rarie (e quindi anche i loro scopi, di
conseguenza le loro forme, mezzi, ecc.) sar subordinato, complementare, con-
finato a determinati momenti e aspetti della vita. E in una civilt delle
lettere il ruolo della scienza sar a sua volta marginale, subordinato,
strumentale: tipica a que- sto proposito
la tendenza a considerare la scienza solo come tecnologia, o comunque un
momento teorico della tecnica. D'altra parte in entrambe le forme c anche un
mo- mento esplicativo dei contenuti del termine antitetico. Grosso modo, in
entrambe questo compito affidato alla
psicologia (o alla psico-sociologia): ma da una civilt al- laltra cambia
lorientamento stesso della psicologia
nel- la cultura scientifica la psicologia prevalentemente una scienza naturale
descrittiva ed esplicativa, nella cultura letteraria una scienza morale comprensiva e intuitiva
(mentre la sociologia diviene una scienza storica), 3. In tutta la storia della
nostra civilt (naturalmente, soprattutto in tutta la storia della filosofia,
ch nella fi- losofia che la civilt
riflette se stessa) si pu riscontrare la dialettica delle due culture.
Nellantichit classica, per esempio, le coppie dialetti- che opinione/scienza,
apparenza/verit, retorica/logi- ca, e le altre simili, si possono interpretare
molto gene- ricamente come sistemi, forse non ancora del tutto con- nessi, in
cui si articola la nostra coppia fondamentale. In pieno Medioevo, la celebre
battaglia delle sette ar- ti, la lotta tra Parigi e Orlans, oppure, pi tardi,
nel Trecento e Quattrocento, la lotta tra la via modernorum e la via antiqua, e
pi tardi ancora la lotta tra il tardo ter- minismo e laverroismo da una parte e
il rinnovamento della via antigqua per opera dei primi umanisti dallaltra, si
possono (forse) ricondurre alla coppia dialettica lette- ratura/scienza. Pi
chiara l'opposizione in tempi vicini. Il Simon' ha molto felicemente
considerato da questo punto di vista il conflitto tra lo scientismo positivista
di Comte e lumane- simo spiritualistico-eclettico di V. Cousin. La
dissociazione letteratura/scienza non si presenta- va a Cousin cos vividamente
come a noi oggi tuttavia questi ne era
in qualche modo consapevole. Lamentava che i filosofi non avessero raggiunto
tra loro laccordo che regna invece nelle scienze naturali: e con il suo
ecletti- smo mirava, tra laltro, anche a questo
a trovare una base scientifica per la filosofia, base che doveva essere
co- stituita dallestensione del metodo scientifico alla psi- cologia. Ma quale
metodo scientifico! Egli ripudiava il matematismo del Seicento, linduttivismo
del Settecento: la filosofia doveva operare secondo tecniche e metodi spe-
ciali, suoi propri, atti a trattare dei fenomeni della co- scienza, dei
principii universali e necessari della ragione umana, dei concetti di giustizia
e moralit ?. Di fatto ope- rava con tutti i caratteri distintivi di una civilt
delle let- tere ed egli era un uomo del
tutto legato ad una tale ci- vilt. Egli stesso aveva cominciato come studioso
di lette- ratura, e nei suoi ultimi anni doveva ritornare ad argo- menti
letterari. Amava le frasi poetiche, i fini esaltati, i discorsi edificanti. E
la sua filosofia rispecchia tale tipo di cultura. Intanto il suo stesso
psicologismo, ben diverso da quello, per esempio, degli empiristi e positivisti
ingle- si dello stesso periodo. Luomo
per lui microcosmo (una tipica idea umanistica!), onde la
psicologia una specie di scienza
universale concentrata. E fondamentale in essa non lanalisi obiettiva, comportamentistica, ben-
sf lintrospezione, che gi ai suoi tempi, e molto giusta- mente, Comte
denunciava come a-scientifica. E poi il suo moralismo! Denunciava il sensismo
come immorale e lo associava a cose come il demagogismo. Il criterio di va-
lutazione culturale prevaleva nettamente nella critica e discussione teoretica.
E questo carattere si accentuer nei suoi ancor pi bolsi seguaci. In un articolo
sulla Revue i The Two Cultures in
Nineteenth-Century France ecc. cit. P. 50. 5 des deux mondes H. Baudrillart difende Cousin dagli attacchi
dei positivisti non sulla base della maggior verit delle sue dottrine, ma su
quella del loro maggior valore etico. E cosi il Caro, il Vacherot, respingeranno
gli attac- chi del positivismo, che minacciava di privare lumanit di tutta
quanta la sua eredit intellettuale e morale, di tutto ci che rende la vita
degna di essere vissuta, e cio della fede nellesistenza di Dio, nellimmortalit
dellani- ma, nella libert del volere e nella morale trascendente '. Di contro,
i positivisti, per esempio il Taine, attaccano Cousin per la sua propensione
alla retorica in mancanza di una filosofia coerente, ma soprattutto per
la-scientifi- cit della sua psicologia. Comte, Taine, Ribot affermano
nettamente che i metodi delle scienze umane, in parti. colare della psicologia
e sociologia, devono venire model- lati su quelli delle scienze naturali,
orientati verso la fisio- logia, cio verso la comportamentistica, e staccati
dallin- trospezione. Si ponevano cos tipiche coppie filosofiche, come
materialismo/spiritualismo, fisiologia/introspezione, leg- gi
scientifiche/valori umani, varianti della coppia fonda- mentale scienza
/letteratura . Le stesse considerazioni si possono applicare, in Italia, alla
reazione idealistica contro la scienza e contro il po- sitivismo. La nostra
filosofia non ha avuto il suo Comte: in compenso ha avuto una parodia di Cousin
nella perso- na di B. Croce. La tipica riduzione del sapere a storia, il
biografismo, la svalutazione della scienza come pseu- do-concetto e mera
tecnica non hanno bisogno di molti commenti. Come non ha bisogno di commenti
tutta la ! Cfr. E. caro, M. Littr et le positivisme, 1883; E. VACHEROT, La
scien- ce et la conscience, 1875. Citati in simon, The Two Cultures in Nine-
teentb-Century ecc. cit., p. SI. 2 Queste coppie sono citate dal simon, The Two
Cultures in Nine- teentb-Century ecc. cit., pp. 57-58. Tuttavia il Simon conclude che in real- t non c'erano
due culture, ma due correnti di una medesima cultura, volte alla ricostruzione
filosofica della societ dopo le devastazioni illumi- nistiche. Questo non
contraddice con il nostro schema: la coppia dialettica, abbiamo detto, opera
entro una medesima sostanza (nella fattispecie, entro una medesima civilt); e
inoltre il termine II (ma, rovesciandosi, anche il termine I in quanto diventa
II) mira a una ricostruzione e sistemazione dell'intero, secondo per parametri
che sono opposti a quelli dellaltro. LA POLEMICA DELLE DUE CULTURE" 57
bassa letteratura gentiliano-spiritualista con le solite ac- cuse di
materialismo, annullamento della libert e dei valori creativi dello spirito,
ecc., lanciate contro il po- sitivismo e lo scientificismo in genere e con la solita ri- duzione della scienza a
tecnica. Ma forse, oggi, il momento storico pi interessante per esemplificare
il contrasto delle due culture il
Seicen- to. questo infatti il secolo in
cui un forte e vittorioso gruppo di pensatori afferma, contro il tradizionale
classi- cismo e contro lintera e risultante mentalit umanistica, al contempo la
nascita di un nuovo pensiero, moderno, e la nascita della nuova scienza quella che ancora oggi , anche per noi, la
scienza, affermando lequazione di queste due cose, la modernit e la scienza. In
questo mo- mento storico in cui viviamo, momento in cui gli umani- sti, i
seguaci di una civilt delle lettere, sono pi disposti a riconoscersi in un
Erasmo o in un Montaigne che non in un Cousin, e gli scienziati sono pi
disposti a riconoscersi in un Galilei e in un Cartesio che non in un Comte - in
questo momento un esame storico di quella polemica forse pi interessante che il riconoscere la
frattura delle due culture in qualsiasi altra epoca, anche pi vicina a noi nel
tempo. 4. Abbiamo notato nel Trilling una preziosa osserva- zione: che il
problema delle due culture stato impo-
stato da entrambi i protagonisti Snow e
Leavis in quello che lo stesso Trilling
chiama il modo culturale di pensare. Recentemente questo modo culturale stato introdotto dal marxismo, dalla
psicanalisi, e da ultimo da varie forme, americane e/o americanizzanti, di
sociolo- gismo. Si tratta di ci: che tesi, enunciati, atteggiamenti, ecc.,
vengono riferiti a gruppi sociologicamente (per es. classi socio-economiche,
gruppi sociali), oppure psicologi- camente, definiti, e per ci stesso valutati
(in quanto il modo stesso di riferimento
valutativo). Questo modo oggi
molto diffuso, e i marxisti non sono certo gli unici a praticarlo; ma la
critica marxista in qualche modo
esemplare di esso. Quando si dice, per esempio, che lempiriocriticismo o il
neopositivismo, o la relativit einsteiniana, sono espressioni del neo-capita-
lismo, della tipica separazione dellimpresa dal lavoro e quindi dalla realt,
oppure mascheramenti (mistifica- zioni) idealistiche dellalienazione del
lavoro, ecc., si compiono due operazioni: 1) si traducono teorie in ideo-
logie, ossia in mistificazioni pseudo-teoretiche di pro- grammi pratici; 2) si
getta, per cosi dire, lombra valuta- tiva (o svalutativa) proveniente dalle
classi interessate sulla teoria stessa. Ora, fino a che il materialismo storico
(od ogni altra forma di sociologia del conoscere) afferma che concetti, teorie,
idee, non nascono da un partus virginis per opera dello Spirito Santo, ma dalla
vita, dalla carne, dalle- sperienza (e in essa, indubbiamente, hanno parte
impor- tantissima a dir poco i rapporti umani entro la socie- t e il
lavoro) bene, fino a questo punto ha,
indiscutibil- mente, perfettamente ragione. Tanta, ovvia, ragione, che di
fronte alle idiozie dello storicismo spiritualista viene fatto di chiedersi se
i sostenitori di questultimo non sia- no, piuttosto che dei cretini, delle
persone del tutto in cattiva fede. Per la genesi storica non ha alcun
significa- to teoretico-valutativo: se il testo degli Elementi di Eu- clide
fosse stato battuto a caso e per giuoco da una trib di scimmie dattilografe, il
loro valore matematico non ne risulterebbe scemato di un grammo. E se uno
strozzino che avesse prestato un milione al tasso del 50 per cento an- nuo
sostenesse che il suo debitore dopo un anno gli deve I 500 000, la sua ignobile
figura non potrebbe gettare alcu- na ombra sulla verit matematica per cui K +
50/100 K =150/100 K. Questo modo culturale di pensare tipicamente u- manistico, cio retorico e non
logico, valutativo e non conoscitivo. Dal punto di vista logico-conoscitivo
(cio fi- losofico-scientifico) la prima cosa da farsi chiedersi che cosa sono le due culture quali le loro forme, struttu- re, quali i
caratteri differenziali. Non la
valutazione che deve precedere la descrizione fenomenologica, ma questa, se
mai, dovr costituire la base teoretica, la piattaforma conoscitiva, della
successiva valutazione e/o scelta non
scientifica (perch nessuna valutazione e/o scelta scientifica: la scienza non valuta e non
sceglie), ma per lo me- no scientificamente fondata. Il merito di Huxley stato di fare il primo tentativo in questo
senso: di liberarsi dalla superficialit giornalistica e dalla canaglieria
socio-politica, e di impostare, seriamen- te e serenamente nel modo
intellettuale di pensare, una- nalisi fenomenologico-strutturale della
letteratura e della scienza. Ma forse lanalisi di Huxley insufficiente: noi l'abbiamo impostata nei
paragrafi precedenti, e ci propo- niamo di riprenderla. 5. La coppia dialettica
cultura umanistica/cultura scientifica presenta un singolare e gravissimo
problema. La scienza wertfrei: non
valuta, ed anzi essenziale al- l'atteggiamento
scientifico lroy1) di ogni valutazione. Ma la vita intrisa di valori, e il mondo della vita un mondo di valori. Qui sta il limite in verit un autolimite del- la scienza, per cui il termine I della
coppia non si lascia ridurre senza residui nella scienza stessa. proprio qui lappiglio pi forte della polemica
che i partigiani della cultura letteraria muovono alla cultura scientifica: di
es- sere non soltanto libera da valori, ma cieca ai valori. qui il punto da cui pu muovere il tentativo,
che da seco- li si ripete, di abbassare la scienza a mera tecnica (o me- glio
tecnologia): unattivit subordinata, strumentale, che piega la materia ai fini
dello spirito. In questa visione concorrono, con le forme pi stupide ed oscene
di spiri- tualismo e idealismo, anche forme pi sottili, pi esperte, persino
apparentemente scientistiche, come il materia- lismo storico-dialettico e certe
forme di pragmatismo '. Il problema merita unindagine a s. Va ricercato se, e
come, ci sia un posto della ragione nel giudizio e di- scorso valutativo; se, e
come, possa riinnestarsi una sfera di valori sopra una concezione del mondo
ottenuta con una serie di operazioni, tra le quali cera anche una previa
purificazione teoretica dai valori. | Dopo queste ricerche non saremo certo in
grado di de- cidere, cosi semplicemente come corollario di esse, se sia 1 . . n
Forse non Dewey: ma il caso andrebbe analizzato e discusso a lungo. preferibile
un'educazione letteraria o uneducazione scien- tifica, un giornalismo
letterario o un giornalismo scienti- fico, ecc.
Questo no. Ma sapremo almeno su che cosa stiamo effettivamente
discutendo, che cosa sono e voglio- no essere i due termini del conflitto, in
che rapporto stan- no di fronte alla sostanza comune della civilt europea. E di
l le discussioni pratiche, per chi ama farle, potranno trarre un avvio pi
chiaro e le scelte potranno risultare pi adeguatamente motivate. Che appunto il fine prati- co di ogni ricerca
scientifica. II. La polemica antiumanistica del Seicento Nel presente saggio
esamineremo due temi tipici del pensiero innovatore del Seicento: la polemica
anticlassi- cistica (o, come vedremo, antiumanistica) in nome del- la cultura
scientifica; e l'affermarsi dellidea di moderni- t, e del valore di questa, di
fronte al tradizionalismo. Due temi che vanno esaminati insieme perch qui si
pre- sentano indissolubilmente intrecciati. Infatti, i moderni affermano la
loro modernit in nome dei valori tipici della cultura scientifica, e in difesa
di questa, mentre cri- ticano nella cultura tradizionale, rappresentata dagli
uma- nisti (e per quanto tra questi si trovassero anche spiriti decisamente
moderni), i caratteri tipici di una cultura let- teraria. Il Seicento ci si
presenta dunque come un secolo tipi- co di conflitto tra le due culture. Tipico
e per noi operanti nei nostri anni e nel
nostro secolo paradigma- tico:
perch in gran parte ai grandi temi della
querelle secentesca che si riconduce la querelle attuale. 1. Se vogliamo
fissare da un punto di vista il pi sto- rico possibile la nozione di filosofia
moderna, il metodo pi idoneo quello di
affidarsi alla storia stessa, e chieder- ci quando sorga nei pensatori stessi,
o per lo meno in al- cuni pi eminenti e pi significativi, la coscienza di esse-
re, appunto, moderni. Indiscutibilmente, i leaders del pensiero di ogni epoca
hanno affermato la propria novit rispetto al passato e si sono detti moderni; e
spesso sono stati, in consonanza dissonante, rimproverati di essere tali dai
loro avversari tradizionalisti o conservatori. Cosi nel Medioevo sono stati
detti mzoderni i nominalisti e affini, in quanto appa- rivano discostarsi
dallaurea tradizione boeziana. E in- dubbiamente gli scrittori umanistici e
rinascimentali si sentirono moderni nei confronti di quella decadente cultura
scolastica con la quale erano in conflitto. Limma- gine di un Medioevo cupo e
barbarico e di una cultura scolastica deprimente anima e corpo risale proprio
agli scrittori del Rinascimento a
Rabelais, per esempio e tanto per fare un nome; e la ribellione a quella
cultura in nome dei nuovi ideali umanistici era salutata e giustifica- ta come
rinascita dello spirito e della cultura:
Erano tempi ancora tenebrosi;
scrive Gargantua a Pantagruel,
che risentivano della miseria e delle calami- t dei goti, i quali
avevano mandato in rovina ogni buona cultura. Eppure, con laiuto della divina bont,
allet mia luce e dignit furono restituite alle lettere. Ora tutte le discipline
sono state recuperate, e le lingue instaurate. Tutto il mondo pieno di uomini sapienti, di precettori
dottissimi, di biblioteche vastissime; e sono del parere che mai ai tempi di
Platone, di Cicerone e di Papiniano, non vi fu tanta comodit di studio, quanta
ne troviamo adesso '. 2. Per, i moderni
medievali erano pur sempre dei lettori e commentatori di classici, di quel
tanto di classici che conoscevano: erano i depositari di una tradi- zione,
esattamente come i veteres o antiqui loro rivali, e in alcuni casi pretendevano
anzi (non discutiamo qui se a ragione o a torto) di rappresentarla in modo
anche pi ge- nuino. E gli umanisti del Rinascimento, anche se non sempre e non
tutti, prendevano troppo alla lettera il ca- none dellimitazione dei classici;
anche se molti di loro volevano vedere nella tradizione classica una tradizione
vivente, rispetto alla quale si poteva anche innovare e mi- gliorare nei
particolari, tuttavia consideravano tutti, pi o meno, la cultura classica come
/4 cultura, cultura esem- plare, perfetta nella sua forma, anche se, nani sulle
spal- ! Cit. in E. GARIN, L'educazione in Europa, Bari le di giganti, i moderni
potevano in qualche particolare sapere meglio e di pi. I libri, le lettere, gli antichi, - scrive
Garin' esponendo Rabelais, non sono
pagine morte, soffocate di glosse morte: sono uomini insigni, gli eroi
dell'umanit, i modelli ideali a cui il giovane deve guardare per farsi degno di
loro, simile a loro . 3. La novit dei moderni del Seicento invece pro- prio in ci: che essi,
capovolgendo latteggiamento rina- scimentale, considerano i classici e i loro
libri come ma- gazzini dai quali, eventualmente, si possono ancora attin- gere
molte particolari cognizioni utili e valide
m24 nega- no invece il carattere esemplare, la validit della forma,
della cultura classica. Non si criticano soltanto singole e specifiche dottrine
(in realt, quasi tutte) di questo o quel pensatore antico, ma al contempo,
soprattutto, si critica il metodo di pensiero degli antichi. Da questo punto di
vista particolare rilievo acquista la celebre polemica antiaristotelica cui
sono associati, pi o meno, i nomi dei massimi creatori del pensiero moderno,
Galileo, Bacone, Gassendi, Pascal... In realt, la polemi- ca contro Aristotele
e laristotelismo non una cosa nuo- va e
peculiare del Seicento. La stessa diffusione della filo- sofia peripatetica nel
Medioevo non era stata certo immu- ne da violente opposizioni; e una polemica
antiaristoteli- ca caratterizza tutto un grosso filone del pensiero umani-
stico e rinascimentale a partire da Petrarca e da Coluccio Salutati. Ma queste
polemiche antiaristoteliche erano sta- te condotte o in difesa di un pi genuino
cristianesimo, o in nome di Platone, o in nome di una tradizione ermetica, o di
tutte queste cose insieme: comunque si era sempre trattato di un conflitto di
autorit, di un conflitto di tra- dizioni. Per i moderni invece Aristotele insieme il cam- pione storico, l'esemplare e
il simbolo di un modo di pen- sare, di un metodo e di una logica: non unautorit ne- gata in nome, e a favore, di altre
autorit, ma la testa di turco colpendo
la quale si mira a colpire lo stesso principio di autorit. ! p.77. A proposito
di questo, bene approfondire un tan-
tino questo concetto. Secondo una certa diffusa tradizio- ne storiografica il
principio di autorit viene interpretato come un cieco rifiuto di pensare con la
propria testa di fronte alla lettera di un testo facente, appunto, autori- t, e
come feroce ed illiberale pretesa che altri facessero altrettanto. Che,
soprattutto in materia di fede e di dog- ma religioso, si sia giunti,
specialmente nella Spagna del- l'Inquisizione e nel periodo pi nero della
Controrifor- ma, anche a questi eccessi,
innegabile: ma mai, anche nella stessa teologia, e soprattutto nella
filosofia, nessun pensatore serio, n medievale n rinascimentale, giunto a tanto. Argumentum ex auctoritate
infirmissimum est, diceva gi san Tommaso. Che in materie difficili e contro-
verse, in questioni dove scarse sono le evidenze razionali e/o le prove
empiriche, lopinione di qualche serio e ac- creditato pensatore abbia un peso
notevole, e aumenti la probabilitas di una tesi, cosa abbastanza conforme al buon senso: ma la
probabilit non la verit. Lautorit unaltra cosa. La parola deriva da auctor. Gi
nel Medioevo una serie di scrittori, in materie profa- ne prevalentemente antichi,
erano stati dichiarati aucto- res: essi formavano la tradizione e auctoritas significa- va appunto
tradizione. Essa valeva per una classe di dot- ti che dicevano di pensare e
insegnare non in nome pro- prio, ma di conservare, trasmettere, recitare una
tradizio- ne. E se nellUmanesimo-Rinascimento gli auctores si ac- crescono di
numero, sono meglio conosciuti, la tradizio- ne si fa pi ampia e perci pi
elastica, la situazione per sostanzialmente non muta: lauctoritas, nel senso di
tra- dizione classica, resta non tanto
come il dominio tiran- nico degli enunciati di uno scrittore, quanto, in
maniera pi sottile ma per questo anche pi pericolosa, come sen- so della
tradizione il criterio della verit.
Quando i moderni si ribellano allautorit, si ribellano ai libri.
L'Umanesimo-Rinascimento ha opposto ai catti- vi libri della peggiore
scolastica medievale e tardomedie- vale i buoni libri degli antichi, che
unamorosa filologia andava riscoprendo ed emendando, restituendoli a nuova
vita; i moderni ripudiano, di principio, i libri come ta- li, buoni o cattivi
che siano, cercando la verit nella ra- gione e nell'esperienza, e continuando a
leggere i libri so- lo sussidiariamente, per quel tanto di ragione e di espe-
rienza che possono contenere. 5. Nel complesso, il pensiero moderno si presenta
per la prima volta nel Seicento come una radicale rottura con un lungo passato
di civilt; ma, naturalmente, come una radicale rottura soprattutto nei
confronti del Rinascimen- to umanistico. Certo, la storia non ha pietre miliari
o bar- riere doganali non si passa da
unepoca ad unaltra mo- strando un passaporto e varcando una linea di frontiera.
Ed ogni epoca si porta dietro dalle precedenti, e soprat- tutto da quelle
immediatamente precedenti, pesanti ere- dit che solo lentamente, e quasi mai
con progressione li- neare, vengono poi inventariate e rinunciate. Questo va-
le anche per il Seicento rispetto al Quattro e Cinquecen- to. Ma la violenta
polemica secentesca contro gli antichi, contro il passato in genere, contro i
libri, soprattutto una polemica contro
la cultura di questi secoli (e contro i suoi persistenti epigoni
secenteschi). inutile vederci una
polemica contro la scolastica una
scolastica che 1 fi- losofi del Seicento in gran parte ignorano, da cui raccol-
gono forse inconsapevolmente molte eredit parziali, e della quale rispettano i
pochi grandi autori che conosco- no. C' la polemica contro gli antichi: ma fino
a che pun- to e in quali forme li conoscevano?
Combattono non tanto Aristotele, quanto laristotelismo rinascimentale;
non tanto Platone, quanto il neoplatonismo
i loro ber- sagli erano piuttosto Cremonini e Paracelso che non Ari-
stotele di Stagira e Platone di Atene. E soprattutto com- battono il culto per
gli antichi, la mentalit che faceva della cultura classica, greca e latina,
nella sua forma e nei suoi metodi, una cultura perfetta ed esemplare: cio la
mentalit dellUmanesimo rinascimentale. 66 RETORICA E LOGICA II. 1. notaa tutti la lunga polemica sostenuta
contro la scienza ufficiale del suo tempo da Galileo Galilei. Scien- ziato e
non filosofo, la sua polemica ben lungi
dallab- bracciare la totalit della cultura, e tanto meno poi inve- ste la
filosofia in senso stretto tuttavia,
data lenorme importanza che gli sviluppi della nuova scienza ebbero nella
formazione del pensiero moderno nel complesso, e della filosofia moderna in
particolare, la sua polemica ri- veste un diretto interesse filosofico. I
limiti di essa non stanno tanto nella limitazione dellintento, quanto, e so-
prattutto, nella posizione storica dello stesso Galilei, che per molti
aspetti uomo schiettamente moderno,
rappre- sentante del nuovo tipo di umanit e di civilt, ma per molti altri
aspetti ancora uomo del Rinascimento.
Formatosi a Firenze, in ambiente cio quantaltri mai umanistico, ebbe in giovent
interessi critico-letterari, che in qualche modo coltiv anche in seguito;
tuttavia le sue tendenze letterarie furono controbilanciate da interessi
tecnici: si che mentre si occupava dellAriosto e del Tas- so frequentava le
lezioni che Ostilio Ricci, discepolo di N. Tartaglia, teneva all'Accademia
fiorentina del Dise- gno, dedicate al disegno geometrico applicato a problemi
tecnici e fu proprio a queste lezioni
che matur in lui lidea della nuova scienza, al contempo matematica e tec-
nico-sperimentale. Per, anche se compensati, le sue ten- denze e i suoi gusti
umanistici si faranno sentire nella sua stessa opera di scienziato come residuo
di un platonismo non mai ben superato, e soprattutto in una caratteristica
segregazione della scienza: nel momento stesso che ne af- ferma lautonomia, che
reclama per le verit scientifiche il diritto a venir giudicate sul terreno loro
proprio, che quello delle sensate
esperienze e delle dimostrazioni matematiche
nel medesimo momento egli afferma insie- me lautonomia di altre forme di
cultura, come la poesia o la teologia, nelle quali la mentalit scientifica non
deve penetrare. Onde la scienza resta libera e sola: non il car- dine di una
civilt, come sar poi per i pensatori pi completamente moderni, ma un'attivit o
accademica, o tec- nica, ma pur sempre particolare e isolata. Per questo Ga-
lileo non ha completamente il senso della sua stessa mo- dernit: nel leggere le
sue pagine si ha l'impressione mol. to chiara che egli non polemizzi contro una
vecchia cultu- ra in nome di una nuova, ma che combatta contro deter- minati
uomini, o, tutt'al pi, determinati ambienti acca- demici e universitari uomini meschini, o ciechi, o fanati- ci, il
cui errore di credere ciecamente nei
maestri, i quali invece, se tornassero al mondo, darebbero ragione a lui,
Galileo Galilei. 2. Ma pur con questi limiti, ripetiamolo, la polemica
galileiana gi annuncia in modo chiaro la coscienza di un nuovo modo di pensare
nei confronti della tradizione an- tica, medievale e rinascimentale. Al centro
di essa sta, com noto a tutti, la polemica antiaristotelica: la quale, come
viene spesso ripetuto nel Dialogo sopra i due massimi sistemi, rivolta pi contro gli aristotelici che contro
Aristotele; contro seguaci ciechi e ostinati, che di Aristotele hanno fatto un
idolo e un ora- colo, dellopus aristotelico un testo sacro '. Cio, soprat-
tutto contro gli aristotelici rinascimentali, di Pisa, di Pa- dova di quelli che di fronte alla scienza
rinascimentale osavano sostenere lautorit di Aristotele; il che, dice Ga-
lileo, Aristotele stesso non avrebbe mai fatto:
Noi avia- mo nel nostro secolo accidenti e dimostrazioni nuove e ta- li,
ch'io non dubito punto che se Aristotele fusse allet nostra, muterebbe
oppinione . Giacch Galileo, facendo
proprio lempirismo aristote- lico (o meglio, attribuendo ad Aristotele il suo
proprio empirismo), afferma la progressivit del sapere. Idea tut- t'altro che
nuova: gi in Giovanni di Salisbury si trova, messa in bocca a Bernardo di Chartres,
limmagine, che ebbe tanta fortuna, dei moderni come nani sulle spalle di
giganti: i classici erano giganti, i moderni sono nani ma nani che, potendo salire sulle spalle dei
giganti, vedono ! Dialogo sopra i due massimi sistemi, g. Il (Opere di GALILEO
GALILEI, Torino 1964, vol. II, p. 145). P. 72. pi lontano di loro. E idea tutt'altro che
estranea alla mentalit rinascimentale: se antichi vuol dire pi vec- chi, e pi
vecchi vuol dire con maggiore esperienza, i veri antichi sono i moderni questa idea si trova gi nei Problemata marina
(1546) di Cassmann e nella Cena delle Ceneri di G. Bruno. In s, e cosi
concepita, questa idea del progresso non colpisce le basi del classicismo e del
tradizionalismo, ma solo di quella specie di fanatico dogmatismo che vuol fare
di un autore, sia pur grande, un ipse dixit, e dei suoi testi (non delle sue
prove o dimostrazioni) dei testi sacri. I classici rimangono classici, il loro
metodo esemplare. Lo stesso Galileo afferma una specie di identit del proprio
metodo e di quello aristotelico, e persino del metodo ari- stotelico e della
matematica pitagorica. A Simplicio che gli obietta che Aristotele fece il principal suo fondamen- to
sul discorso 4 priori, mostrando la necessit dellinalte- rabilit del cielo per
i suoi principii naturali, manifesti e chiari; e la medesima stabil doppo a
posteriori, per il sen- so e per le tradizioni degli antichi , Salviati
risponde: Cotesto, che voi dite, il metodo col quale egli ha scritta la sua
dottrina, ma non credo gi che e sia quello col quale egli la investig, perch io
tengo per fermo che procurasse prima, per via de sensi, dell'esperienza e delle
osservazioni, di assicurarsi quanto fusse possibile della conclusione, e che
doppo andasse ricercando i mezi da po- terla dimostrare, perch cosi si fa per
lo pi nelle scienze dimostrative: e questo avviene perch, quando la conclu-
sione vera, servendosi del metodo
resolutivo, agevol- mente si incontra qualche proposizione gi dimostrata, o si
arriva a qualche principio per s noto; ma se la conclu- sione sia falsa, si pu
procedere in infinito senza incontrar mai verit alcuna conosciuta, se gi altri
non incontras- se alcun impossibile o assurdo manifesto. E non abbiate dubbio
che Pittagora gran tempo avanti che e ritrovasse la dimostrazione per la quale
fece lecatumbe, si era assi- curato che ] quadrato del lato opposto all'angolo
retto era uguale ai quadrati degli altri due lati; e la certezza della ! Cfr.
GARIN, L'educazione in Europa cit., p. 59. conclusione aiuta non poco al
ritrovamento della dimo- strazione, intendendo sempre nelle scienze dimostrati-
ve 3 Il che, storicamente, era anche
abbastanza esatto: ef- fettivamente Aristotele aveva asserito che i principii
del- le scienze particolari erano stabiliti per induzione, e sol- tanto si
esponevano in forma dimostrativo-deduttiva. E forse anche storicamente vero che la geometria
pitagori- ca muovesse da particolari conoscenze empiriche. Ma que- sto fare
dell'empirismo una specie di philosophia peren- nis, questa preoccupazione di
affermarne lantichit di fronte a deviazioni pit recenti del tutto nello spirito del- lUmanesimo
rinascimentale: sembra che manchi la con- sapevolezza della grande novit umana,
del nuovo tipo di civilt, che la stessa scienza galileiana sta portando nel
mondo. La progressivit sembra qui ridursi ad un mero ampliamento quantitativo e
miglioramento qualitativo di una forma nella sua essenza immutabile. vero per che in Galileo lidea della
progressivit del sapere sembra connettersi con un pensiero pi profondo: con
lidea dellinfinit del vero. Extensive,
cio quanto alla moltitudine degli intelligibili, che sono infiniti, lin- tender
umano come nullo, quando bene egli
intendesse mille proposizioni, perch mille rispetto allinfinit co- me uno zero . Invece intensive, nelle proposizioni che
arriva ad intendere perfettamente, cio nei teoremi delle matematiche pure, che
certamente sono poche rispetto al- l'infinito numero che Dio ne conosce,
Galileo crede che la cognizione [dell'intelletto
umano] agguagli la divina nella certezza obiettiva, poich arriva a comprenderne
la necessit, sopra la quale non par che possa esser sicurezza maggiore . Per, anche qui, non tolta la dialettica fi- nito-infinito. Dio
conosce tutte le proposizioni matemati- che, nella loro infinit, in un solo
istante e intuitivamente, mentre il nostro intelletto deve procedere con discorsi e con passaggi di conclusione in
conclusione ; ma vi an- che qualcosa di
pi: perch mentre noi apprendiamo una ! Dialogo, g. I (Opere cit., II, pp.
73-74). ? P. 135. per una, per passaggi graduali, le affezioni, cio le pro-
priet degli enti matematici (per es., del cerchio), proprie- t che sono
infinite, lintelletto divino con la
semplice apprensione della sua essenza [ del cerchio, preso come e- sempio]
comprende, senza temporaneo discorso, tutta la infinit di quelle passioni; le
quali anco poi in effetto vir- tualmente si comprendono nelle definizioni di
tutte le co- se, e che poi finalmente, per esser infinite, forse sono una sola
nellessenza loro e nella mente divina '. Ma questo passo termina con
lesaltazione, fatta da Sa- gredo, delle grandi conquiste dellingegno umano.
Dun- que: la progressivit data dalla
partecipazione dellin- telletto umano alla ragione divina, ma lintelletto
umano discorsivo e finito, di fronte
allunit e infinit del vero quale in s,
ossia nellapprensione divina. Si tratta dun- que di una progressivit infinita,
di una verit che viene conquistata in un processo ir infinitura. 3. Il che pretto platonismo rinascimentale, che ram-
menta molto da vicino le dottrine di un Cusano o di un Bruno. Cusano accentua
al massimo e sviluppa nelle sue conse- guenze lidea dellinfinit di Dio unidea non certo nuo- va, ma sulla quale in
genere la scolastica aristotelica non aveva insistito. Questa infinit rende
incommensurabile la mente divina alla mente umana, legata al finito, e quindi
alla divisione e al molteplice. Ch linfinit divina uni- t: Dio
linfinito uno, lassoluto, lincondizionato. La verit, quindi, che identica alla stessa natura di Dio, irraggiungibile alla mente umana. Il pensiero
umano le- gato al discorso: determina un
concetto per mezzo di un altro, ma per fare ci deve percorrere linfinita
successio- ne dei termini medi, in una catena, virtualmente, infinita, di
sillogismi ma in tal modo sfugge proprio
lincondizio- nata unit dellessenza, che
al di l di ogni paragone. Lu- nica forma genuina di sapere dunque la docta ignoran- tia. Ma, come sar
poi per Galileo, questa dottrina non si risolve in una rinuncia
scettico-mistica al sapere scientifico, ma anzi termina in unaffermazione della
progressivit di esso. Dal punto di vista delle questioni che stiamo trattando
lo scritto pi interessante del Cusano il
De Conjecturis. La praecisio veritatis
inattingibile alla nostra mente: ogni umana asserzione positiva del
vero conjectura, i- potesi, molteplice e
dispersa e quindi assolutamente ina- deguata nei confronti della verit,
che unit. Tuttavia la mente umana sizzilitudo della mente divina, e partecipa,
come pu, al potere creativo di questa: onde essa crea un mondo congetturale,
ipotetico, fondato sulla sua strut- tuta; inadeguato, ma che conserva, nella
molteplicit e nella differenza, una somiglianza con la verit: Cogno- scitur . .. inattingibilis veritatis unitas
alteritate conjectu- rali !. Il
rapporto, la sizzilitudo, quello
dellinfinita molte- plicit allunit, di unapprossimazione allinfinito: In solo .
. . divino intellectu, per quem omne ens existit, veri- tas rerum omnium, uti
est, attingitur; in aliis autem intel- lectibus aliter atque varie . E questa varietas, dicevamo, infinita, e si approssima indefinitamente
alla praecisio del concetto divino, senza mai adeguarla. Il risultato lindefinita progressivit del sapere: ch
lessenza stessa delle menti create consiste nella partecipazione allatto della
mente divina onde questa non semplicemente ir- raggiungibile, bensi
avvicinabile allinfinito: Non sunt autem ipsae mentes in se divini luminis ra-
dium capientes, quasi participationem ipsam natura prae- venerint, sed
participatio intellectualis incommunicabilis ipsius actualissimae lucis earum
quidditas existit. Actua- litas igitur intelligentiae nostrae in participatione
divini intellectus existit. Quoniam autem actualissima illa virtus non nisi in
varietate alteritatis accipi potest, quae potius quadam concurrentia potentiae
concipitur, hinc partici- pantes mentes in ipsa alteritate actualissimi
intellectus quasi in actu illo, qui ad divinum intellectum relatus alte- ritas
sive potentia existit, participare contingit. Potius | De Con., I, cap. II,
fol. 41v (NicoLaus von cuEs, Philosophische Schriftn, a cura di A. Petzelt,
vol. I, Stuttgart 1949, p. 124). P. 145. igitur omnis nostra intelligentia ex
participatione actuali- tatis divinae in potentiali varietate consistit. Posse
enim intelligere actu veritatem ipsam, uti est, ita creatis conve- nit
mentibus, sicut Deo proprium est actum illum esse va- rie in creatis ipsis
mentibus in potentia participatum. Quanto igitur intelligentia deiformior,
tanto eius poten- tia actui, uti esi, propinquior; quanto vero ipsa fuerit ob-
scurior, tanto distantior. Quapropter in
propinqua, remota atque remotissima potentia varie differenter participatur.
Nec est inaccessi- bilis illa summitas, ita aggredienda quasi in ipsam accedi
non possit, nec aggressa credi debet actu appraehensa; sed potius, ut accedi
possit semper quidem propinquior ipsa, semper, uti est, inattingibili remanente.
Tempus e- nim ad aevum ita pergit, cui nunquam
quamvis accesse- rit continue
poterit adaequari . 4. Concezioni analoghe si ritrovano, un secolo e
mez- zo dopo, nel pensiero di Giordano Bruno, sebbene, in ve- rit, non cosi
nitide e non cos vicine al pensiero di Ga- lileo. Dalla concezione metafisica
di un Uno-Infinito che si espande in tutte le cose e in tutte le menti, infinit
con- tratta che si espande e nella quale si contrae ogni espan- sione, Bruno
deriva la sua fondamentale concezione gno- seologica, per cui la verit consiste
nel riportare il molte- plice disperso nei sensi e nellimmaginazione all'unit:
processo infinito, che la mente umana non pu completa- mente assolvere. Luno ente summo, nel quale indifferente latto dal- la potenza, il quale
pu essere tutto assolutamente ed tutto
quello che pu essere, complicatamente
uno, im- menso, infinito, che comprende tutto lo essere ... Per il che non vi
sonar mal ne lorecchio la sentenza di Eracli- to, che disse tutte le cose
essere uno, il quale per la mu- tabilit ha in s tutte le cose. E perch tutte le
forme so- no in esso, conseguentemente tutte le diffinizioni gli con- ' pp.
145-46. vengono; e per tanto le contradittorie enunciazioni sono vere. E quello
che fa la moltitudine ne le cose, non lo
ente, non la cosa, ma quel che appare,
che si rappresenta al senso ed nella
superficie della cosa !. Lunit discende
al molteplice nella produzione delle cose: la mente ripercorre, con cammino
infinito, la strada a ritroso, cercando di risalire allunit: Prima ... voglio
che notiate essere una e medesima scala per la quale la natura descende alla
produzion de le cose, e lintelletto ascende alla cognizion di quelle; e che
l'uno e laltra da lunit procede allunit, passando per la moltitudine dei mezzi
.... Secondo, considerate che
lintelletto, volendo liberar- se e disciorse dallimmaginazione alla quale congionto, oltre che ricorre alle matematiche
ed imaginabili figure, a fin che o per quelle o per la similitudine di quelle
com- prenda lessere e la sustanza de le cose, viene ancora a ri- ferire la
moltitudine e diversit di specie a una e medesi- ma radice. Come Pitagora che
puose gli numeri principii specifici de le cose, intese fundamento e sustanza
di tutto la unit... di Aggiungi a quel
che detto che, quando lintelletto vuol
comprendere lessenzia di una cosa, va simplificando quanto pu: voglio dire,
dalla composizione e moltitudi- ne se ritira, rigittando accidenti
corrottibili, le dimensio- ni, i segni, le figure a quello che sottogiace a
queste cose. Cossi la lunga scrittura e prolissa orazione non intende- mo, se
non per contrazione ad una semplice intenzione. Lintelletto in questo dimostra apertamente
come ne lu- nit consista la sustanza de le cose, la quale va ricercando o in
verit o in similitudine. Credi che sarebbe consum- matissimo e perfettissimo
geometra quello che potesse contraere ad una intenzione sola tutte le
intenzioni di- sperse ne principii di Euclide; perfettissimo logico chi tutte
le intenzioni contraesse ad una. Quindi
il grado ' De la causa, principio e uno, dial. V (Opere di crorDANO
BRUNO e di TOMMASO CAMPANELLA, a cura di A. Guzzo e di R. Amerio, Ricciardi,
Na- poli 1966, pp. 406-7). , P. 407. P. 408. delle intelligenze: perch le
inferiori non possono inten- dere molte cose, se non con molte specie,
similitudini e forme; le superiori intendono megliormente con poche; le
altissime con pochissime, perfettamente. La prima in- telligenza in una idea
perfettissimamente comprende il tutto; la divina mente e la unit assoluta,
senza specie al- cuna ella medesima lo
che intende e lo che inteso. Cos- si,
dunque, montando noi alla perfetta cognizione andia- mo complicando la
moltitudine; come, descendendosi alla produzione delle cose, si va esplicando
la unit. Il descen- so da uno ente ad
infiniti individui e specie innumerabi- li; lo ascenso da questi a quello '. Da questa tensione di infinito complicato
e infinito e- splicato, da questo doppio infinito processo di discesa ed ascesa
tra luno e luno nasce anche per il Bruno la pro- gressivit del sapere, il senso
di uno svolgersi del sapere umano nel tempo in cospetto delleterno. Nella Cena
delle Ceneri si difende la nuova cosmologia copernicana (e bru- niana) dal
conservatorismo culturale dei pedanti. Il mo- derno ci che
pi vecchio; e daltra parte tutto ci che ora tradizionale un giorno fu novit, e ci che
oggi novit un giorno sar tradizione.
PRUDENZIO Sii come la si vuole, io non voglio di- scostarmi dal parer degli
antichi, perch dice il saggio: nellantiquit
la sapienza. TeoFILO E soggionge:
in molti anni la prudenza. Se voi intendeste bene quel che dite, vedreste, che
dal vostro fondamento sinferisce il contrario di quel che pensate: voglio dire,
che noi siamo pi vecchi ed abbiamo pi lunga et, che i nostri prede- cessori;
intendo, per quel che appartiene in certi giudizii, come in proposito [ della
cosmologia ]. Non ha possuto es- sere sf maturo il giodicio dEudosso, che visse
poco dopo la rinascente astronomia, se pur in esso non rinacque, co- me quello
di Calippo, che visse trent'anni dopo la morte dAlessandro Magno; il quale,
come giunse anni ad anni, possea giungere ancora osservanze ad osservanze.
Ippar- co, per la medesma ragione, dovea saperne pi di Calippo, perch vedde la
mutazione fatta sino a centononantasei 1 pp. 409-10. anni dopo la morte
dAlessandro. Menelao, romano geo- metra, perch vedde la differenza di moto
quattrocento- sessantadui anni dopo Alessandro morto, raggione che nintendesse pit dIpparco. Piti
ne dovea vedere Maco- metto Aracense milleduecento e dui anni dopo quella. Pi
nha veduto il Copernico quasi a nostri tempi appresso la medesma anni
milleottocentoquarantanove. Ma che di questi alcuni, che son stati appresso,
non siino per stati pi accorti, che quei che furon prima, e che la moltitudi-
ne di que, che sono a nostri tempi, non ha per pii sale, questo accade per ci
che quelli non vissero, e questi non vivono gli anni altrui, e, quel ch peggio,
vissero morti quelli e questi negli anni proprii . 5. Torniamo ora a Galileo. La sua idea
della progres- sivit del sapere, come in Bruno, da una parte eminen- temente, tipicamente moderna: il
sapere progredisce con lesperienza, e le esperienze si accumulano negli anni;
in questo senso assurdo invocare
lautorit degli antichi. Ma, come in Bruno, c tutta la pesante eredit del plato-
nismo rinascimentale, che abbiamo visto dal confronto col Cusano. La
progressivit ha qui le sue radici in una fondamentale disequazione tra il
pensiero umano disper- so nella mala infinit del molteplice ed una eterna
verit: la storia unindefinita tensione
del tempo verso leterni- t, che mai non sar raggiunta. Onde il sapere umano non
sar mai verit, ma conserver sempre, di fronte a s, un criterio trascendente di
verit assoluta. Ci sar sempre la veritas, propria dellintelletto divino, e la
conjectura, li- potesi, propria dellintelletto umano. Vero che nel pensiero di Galilei ci sembra
attenuar- si: c' in lui un oggettivismo che manca in Cusano, e in virti del
quale sembra che la verit umana e quella divi- na in alcuni casi possano anche
coincidere. Per esempio, per ci che riguarda le matematiche. Esse per Cusano
so- no la forma della stessa mente umana e prodotte da que- sta: rispetto alle
idee della mente divina sono soltanto similitudo (stanno a queste come le
figure geometriche ! La Cena de le Ceneri, dial. I (Opere cit., pp. 203-4). disegnate
stanno alle idee matematiche delle medesime quali sono nella mente). In Galileo
non pare sia cosi: in- tensive le cognizioni matematiche sono uguali nella men-
te umana e nella mente divina: e anche Dio le apprende, sia pure con intuito
immediato. E mediante esse luomo legge la verit scientifica nel grande libro
della natura anche qui, coglie
unobiettivit. Per, come abbiamo visto, resta una differenza, anche qualitativa,
essenziale: l'intelletto divino non solo appren- de diversamente le idee, ma le
apprende diverse, in una unit assoluta che
irraggiungibile dalla nostra mente. 6. Questo residuo teologico,
tipicamente rinascimen- tale, affiora anche nelle dottrine di derivazione
agostinia- no-platonica che Galilei invoca per difendere la scienza dagli
attacchi dellortodossia chiesastica
dottrine che forse hanno contribuito ad aggravare la sua posizione, non
essendosi egli accorto che il Rinascimento era finito e si viveva oramai in
piena Controriforma. Queste dottrine sono esposte soprattutto nella celebre
Lettera 4 Benedet- to Castelli, ampliata poi notevolmente nella Lettera a Ma-
dama Cristina di Lorena. La tesi centrale di questi scritti , certo,
tipicamente moderna la si ritrover nei
gianse- nisti, in Pascal, e ancora nel pensiero di protestanti ingle- si e
olandesi ai princip del Settecento: i campi della fede e della scienza, della
rivelazione e della conoscenza uma- na (sensibile-intellettuale), sono divisi e
non si devono so- vrapporre. Galileo muove da due considerazioni comple-
mentari: la prima che, tutto derivando
da Dio, sovrana- tura e natura, rivelazione e mezzi naturali umani di cono-
scenza, sarebbe stato contrario all'economia del Creatore se Egli avesse fatto
conoscere mediante la rivelazione ci che era accessibile ai mezzi culturali
umani, ossia la natu- ra; mentre era necessario affidare alla rivelazione ci
che trascende la natura, cio ci che trascende sensi e discorsi naturali vale a dire, lessenza di Dio stesso e delle
cose sopramondane, i voleri di Dio nei riguardi dei comporta- menti umani,
ecc. Laltra idea che la Bibbia richiede comunque
interpretazione, ch il suo senso letterale, sto- ricamente relativo alla
cultura e mentalit del popolo cui la Scrittura era stata originariamente
destinata, spesso assurdo e ripugnante.
Di conseguenza, anzi a maggior ra- gione, questa interpretazione necessaria per tutte quelle frasi della
Bibbia che abbiano sapore astronomico, cosmo- logico, comunque
scientifico: Stimerei . .. che lautorit
delle Sacre Lettere avesse avuto la mira a persuadere principalmente a gli
uomini quegli articoli e proposizioni che, superando ogni umano discorso, non
potevano per altra scienza n per altro me- zo farcisi credibili, che per la
bocca dellistesso Spirito Santo: di pi, che ancora in quelle proposizioni che
non son de Fide lautorit delle medesime Sacre Lettere deva essere anteposta
allautorit di tutte le scritture umane, scritte non con metodo dimostrativo, ma
o con pura nar- razione o anco con probabili ragioni, direi doversi reputar
tanto convenevole e necessario, quanto listessa divina sa- pienza supera
ognumano giudizio e coniettura. Ma che quellistesso Dio che ci ha dotato di
sensi, di discorso e dintelletto, abbia voluto, posponendo luso di questi,
darci con altro mezo le notizie che per quelli possiamo conseguire, sf che anco
in quelle conclusioni naturali, che o dalle sensate esperienze o dalle
necessarie dimostrazioni ci vengono esposte dinanzi a gli occhi e allintelletto,
do- viamo negare il senso e la ragione, non credo che sia ne- cessario il
crederlo, e massime in quelle scienze delle qua- li una minima particella
solamente, ed anco in conclusioni divise, se ne legge nella Scrittura; quale
appunto lastro- nomia, di cui ve n cos
piccola parte, che non vi si tro- vano n pur nominati i pianeti, eccetto il
Sole e la Luna, ed una o due volte solamente, Venere, sotto il nome di
Lucifero '. Stante, dunque, ci, mi par
che nelle dispute di pro- blemi naturali non si dovrebbe cominciare dalle
autorit di luoghi delle Scritture, ma dalle sensate esperienze e dalle
dimostrazioni necessarie; perch, procedendo di pa- ti dal Verbo divino la
Scrittura Sacra e la natura, quella come dettatura dello Spirito Santo, e
questa come osser- | Lettera a Madama Cristina di Lorena (Opere cit., vol. I,
pp. 560-61); cir. anche la Letera a Benedetto Castelli (ibid., pp. 528-29). vantissima
esecutrice de gli ordini di Dio; ed essendo, di pi, convenuto nelle Scritture,
per accomodarsi allinten- dimento delluniversale, dir molte cose diverse, in
aspet- to e quanto al nudo significato delle parole, dal vero asso- luto; ma,
allincontro, essendo la natura inesorabile ed immutabile, e mai non
trascendente i termini delle leggi impostegli, come quella che nulla cura che
le sue recon- dite ragioni e modi doperare sieno o non sieno esposti alla
capacit degli uomini; pare che quello degli effetti na- turali che o la sensata
esperienza ci pone dinanzi a gli oc- chi o le necessarie dimostrazioni ci
concludono, non deb- ba in conto alcuno esser revocato in dubbio, non che con-
dennato, per luoghi della Scrittura che avessero nelle pa- role diverso
sembiante; poi che non ogni detto della Scrit- tura legato ad obblighi cos severi comogni effetto
di natura, n meno eccellentemente ci si scuopre Iddio negli effetti di natura
che ne sacri detti delle Scritture ... '. Queste pagine, apparentemente cos limpide
e quasi ovvie (e tali anche dovevano apparire a Galileo), in realt cosi
tormentate e non esenti da qualche ombra di con- traddizione, meritano un certo
commento. Galilei cerca di suffragare le sue dottrine circa i rapporti fra
scienza e fede con larghe citazioni tratte da padri della Chiesa, e in
particolare da sant'Agostino e
certamente esse rispon- dono ad una mentalit platonico-agostiniana largamente
diffusa nel Rinascimento. I padri, e soprattutto gli africa- ni come
Tertulliano e sant'Agostino, avevano unidea as- sai precisa quando
distinguevano nel messaggio cristiano, e in genere biblico, ci che doveva
essere accolto de fide e ci che poteva essere lasciato alla scienza,
eventualmente acconsentendo a interpretazioni della lettera del testo sa- cro:
la Rivelazione ha soltanto lo scopo di indicare alluo- mo le vie della salvezza
religiosa, non mai quello di un addottrinamento scientifico. E ci soprattutto
per una ra- gione chiarissima e specifica: che la conoscenza scientifica della
natura ha punta o poca importanza, non conta,
inessenziale, e perci Dio lascia che in essa luomo si ar- rangi con i
suoi mezzi naturali. La natura solo
fenomeno I, pp. 559-60.di Dio, e luomo , nel complesso, per essa sufficiente.
Qualcosa del genere, qua e l, dice anche Galileo: la Bib- bia ha voluto
rivelare solo quelle verit che sono necessa- rie alla salute degli uomini,
quindi che riguardano i rap- porti di Dio con luomo, i destini dellanima, la
morale si cose che, daltra parte, avendo almeno uno dei due termi- ni della
relazione trascendente, trascendono lintelletto naturale. Per pare che la regia sopreminenza se gli
deva [alla teologia] nella seconda maniera, ci
per l'altezza del suggetto e per lammirabil insegnamento delle divine
rivelazioni in quelle conclusioni che per altri mezzi non potevano dagli uomini
esser comprese e che sommamente concernono allacquisto delleterna
beatitudine ' Molti filosofi moderni, in
questo o in altri modi equi- valenti, ripeteranno la medesima cosa. Tuttavia il
pensie- ro moderno, preso nel suo complesso, non vi potr aderi- re: alla fine
troveremo non la separazione dei campi, ma panteismo, deismo, materialismo e
infine positivismo da una parte, disperati tentativi di conciliazione
dall'altra. L'autonomia della scienza Galileo la paga troppo cara: con una
subordinazione che, se anche non di
contenuto dottrinale, tuttavia lo
comunque di dignit e di oggetto, e quindi con una sostanziale
limitazione del suo campo, con una sostanziale rinuncia a divenire lanima, la
forma, della cultura umana nel suo complesso. I due ultimi seco- li del pensiero
moderno, il Settecento illuministico e lOt- tocento, finiranno, in genere, con
un netto rifiuto di tali limiti. Ma, a parte ci, il testo galileiano, esaminato
pi atten- tamente, appare malsicuro e oscillante. Da una parte vi fa capolino
un quasi-neo-averroismo (non come dottrina del- le due verit, che anzi decisamente ed esplicitamente ne- Bata: due
veri non possono mai contrariarsi )
nella forma di una specie di gnosticismo, per cui la lettera del- la
Scrittura fatta per gli incolti, per la
plebe, per acco- modarsi allintendimento delluniversale, ma non ha su questo
piano verit assoluta oltre la lettera c
un significato esoterico che compito dei
dotti intendere e svela- re. Di qui, per quanto riguarda la scienza, un
audacissimo rovesciamento delle posizioni e delle pretese dei teologi quasi, addirittura, l'affermazione di una
supremazia del- la fisica sulla teologia, ch la parola della Bibbia appros- simata e non rigorosa, mentre la
legge della natura e la pa- rola della scienza che tale legge scopre ed
enuncia neces- saria. La verit
scientifica non arbitraria, non opinabi- le: Io vorrei pregar questi prudentissimi
Padri, che vo- lessero con ogni diligenza considerare la differenza che tra le dottrine opinabili e le dimostrative;
acci, rappre- sentandosi bene avanti la mente con qual forza stringhino le
necessarie illazioni, si accertassero maggiormente come non in potest de professori delle scienze
dimostrative il mutar lopinioni a voglia loro ... '. In fondo, la paro- la della Bibbia storica: anche se viene dallEterno, par- la
nel tempo e nel linguaggio del tempo; ma il libro della natura eterno, astorico, parla eternamente sempre il
me- desimo linguaggio, incurante se coloro che lo dovrebbero leggere lo
capiscano o no. (A questo punto la condanna ecclesiastica di Galilei, in piena
Controriforma, diviene comprensibilissima). Per... Il gran libro della natura pur sempre un libro: in questo Galileo rimane
senza scampo un uomo della tradizione umanistica. Gli umanisti avevano oppo-
sto alle orribili compilazioni, ai centoni, alle cattive tra- duzioni, ai
commenti artificiosi dei libri medievali i pi genuini, eleganti, intelligenti
testi scritti dalle grandi fon- ti della stessa cultura medievale, dai grandi
autori dellan- tichit; Galileo va al di l anche degli umanisti filologi, e
oppone ai loro libri pur sempre scritti da uomini il grande libro della natura.
Ma si tratta ancora di un testo, cio di un messaggio da decifrare, di qualcosa
che consta di sim- boli attraverso cui parla un autore. Questa volta lautore
non n Aristotele n Platone, Dio stesso, autore del libro della natura: ma
il libro non mai la realt, che ri- mane
nel suo autore. E con ci si connette laffermazione che le ragioni divine
restano nascoste, e che la sapienza divina
superiore alle congetture umane; e finalmente, nel campo della stessa
filosofia della natura, si connettono i limiti posti alla conoscenza umana. 7.
L'aspetto del pensiero galileiano in cui affiora pit decisamente la coscienza
della modernit della sua posi- zione
tuttavia proprio qui, nellaffermazione dellauto- nomia della scienza.
Autonomia un po equivoca, in quan- to pu anche significare il confinamento
della scienza a campi limitati della cultura, anzich l'affermazione di una
civilt delle scienze; ma tuttavia fondata su argomenti de- cisamente moderni,
che scuotono il mito della civilt clas- sica come civilt modello e colpiscono i
difetti fondamen- tali di una civilt delle lettere di origine umanistica. A
tutti nota la polemica contro
laristotelismo, che Galileo ha in comune con molti altri moderni. Polemica
contro laristotelismo del suo tempo, non contro Aristo- tele come tale:
Simplicio, laristotelico alquanto ridicoliz- zato nei Dialoghi, non n un peripatetico antico n uno scolastico
medievale, ma un collega di Galilei, un profes- sore di Pisa o di Padova. In
primo luogo, laristotelismo combattuto
per il fat- to che si fonda sullautorit di Aristotele. E quello che qui si
respinge non tanto lautorit di
Aristotele come tale (per esempio, in nome di unaltra autorit), quanto lautorit
in genere. Non era cosa nuova, perch gi ingegneri e scienziati del Rinascimento
(per esempio, N. Tartaglia) si erano ribellati all'autorit. Nelle scienze han-
no valore soltanto le sensate esperienze e le dimostrazioni matematiche, non le
citazioni di autori per quanto impor- tanti ed illustri. Questo punto anche troppo noto perch occorra insistervi:
ma forse opportuno che ci soffermia- mo
brevemente ad intenderne il significato. Il principio di autorit, spesso
invocato dagli scolastici e ancora an-
zi maggiormente, con riferimenti filologici precisi e preoc- cupazioni di
correttezza testuale ed ermeneutica di cui in- vece gli scolastici si erano
assai meno preoccupati dagli scrittori
del periodo umanistico ed umanistico-rinasci- mentale, non significava mera o
cieca tirannide culturale, mancanza di libert di pensiero, o simili (sebbene
una certa storiografia ottocentesca si sia compiaciuta di vederlo sotto questa
luce): bensi rispondeva ad un preciso e de. terminato concetto di cultura:
cultura come tradizio- ne. La cultura era depositata nelle opere degli
auctores, i classici: compito delluomo colto, del clericus medie. vale come
dellhumanista, era assorbirla, conservarla, tra- mandarla come un grande e
sacro patrimonio. Non solo nella teologia, ma in tutto il sapere questo
concetto era ritenuto fondamentale: e questo spiega, per esempio, lac- canimento
della Chiesa contro l eresia copernicana, co- me, in genere, contro tutte le
innovazioni anche fuori del campo teologico. A questa storica universalit di
tra- dizione il pensiero moderno contrappone luniversalit del sapere empirico e
concettuale, una universalit non legata alla storia, non legata a tradizioni e
istituzioni, ma fondata sulla stessa natura
e sulla stessa natura raziona- le delluomo. E infatti negli scritti di
Galileo la polemica contro la- ristotelismo non
che un aspetto di una pi vasta pole- mica contro questa cultura in cui
il sapere si risolve in memoria, la scienza in filologia e in storia. La
filologia e la storia servono soltanto a conoscere le cose passate che pi non
sono attuali, non le cose presenti e la
natura eternamente presente e
attuale: Passiamo a sentire i testimoni
deglIstorici. Io non posso non ritornare a meravigliarmi che pur il Sarsi vo-
glia persistere a provarmi con testimoni quello che io pos- so ad ogni ora
veder per via di esperienza. Si esaminano i testimoni nelle cose dubbie e
passate e non permanenti e non in quelle che sono in fatto e presenti; e
cos ne- cessario che il giudice cerchi
per via di testimoni sapere se vero che
ier notte Pietro ferisse Giovanni e non se Giovanni sia ferito, potendo vederlo
tuttavia e farne il visu reperto '. Questa polemica investe luso tanto tipicamente u- manistico! di rifarsi alle testimonianze dei poeti,
contro il quale Galileo polemizza allegramente; e investe anche la tendenza,
pure cos tipicamente umanistica, a invocare 1! Saggiatore (Opere cit., I, p.
768). il consensus gentium, tipico sempre in una cultura di tipo
tradizionalistico e libresco. Ma pit
dico che anco nelle conclusioni delle quali non si potesse venire in cognizione
se non per via di discorso, poca pi stima farei dellattestazioni di molti che
di quel- le di pochi, essendo sicuro che il numero di quelli che nelle cose
difficili discorron bene minore assai
che di quei che discorron male. Se il discorrere circa un proble- ma difficile
fusse come il portar pesi, dove molti cavalli porteranno pi sacca di grano che
un caval solo io accon- sentirei che i molti discorsi facesser pi che un solo,
ma il discorrere come il correre e non
come il portare e un caval barbero solo correr pi che cento frisoni '. E prima aveva detto: Intanto non posso
mancare per avvertimento suo [del Sarsi] e per difesa di quelli [Cardano e
Telesio] di- mostrare quanto improbabilmente ei conclude la lor poca scienza
della filosofia dal piccol numero de suoi seguaci. Forse crede il Sarsi de
buoni filosofi se ne trovino le squadre intere dentro ogni ricinto di mura?
Signor Sarsi, credo che volino come laquile e non come gli storni. ben vero che quelle, perch son rare, poco si
vedono, e meno si sentono, e questi che volano a stormi dovunque si posano
empiendo il ciel di strida e di rumori, metton sossopra il mondo. Ma pur
fussero i veri filosofi come la- quile e non piuttosto come la fenice. Signor
Sarsi, infinita la turba degli sciocchi,
cio di quelli che non sanno nul- la; assai son quegli che sanno pochissimo di
filosofia; po- chi son quelli che ne sanno qualche piccola cosetta; po-
chissimi quelli che ne sanno qualche particella; un solo Dio quello che la sa tutta. Sicch per dir quel
chio vo- glio inferire, trattando della scienza che per via di dimo- strazione
e di discorso umano si pu dagli uomini conse- guire, io tengo per fermo che
quanto pit essa parteciper di perfezione, tanto minor numero di conclusioni
permet- ter dinsegnare, tanto minor numero ne dimostrer ed in conseguenza tanto
meno alletter e tanto minore sar il numero dei suoi seguaci. Ma per lopposito
la magnificenza de titoli, la grandezza e numerosit delle promesse, at- traendo
la natural curiosit degli uomini, e tenendoli per- petuamente ravvolti in
fallacie e chimere, senza mai far loro gustare lacutezza di una sola
dimostrazione, onde il gusto risvegliato abbia a conoscer linsipidezza de suoi
cibi consueti, ne terr numero infinito occupato, e gran ventura sar dalcuno che
scorto da straordinario lume naturale si sapr torre dai tenebrosi e confusi
laberinti nei quali si sarebbe con luniversale andato sempre aggirando e
tuttavia pi avviluppando. Il giudicar dunque dellopi- nioni di alcuno in
materia di filosofia dal numero dei se- guaci, lo tengo poco sicuro . Questo passo di notevole interesse, perch vengono messe in
confronto due tipiche concezioni antitetiche in- torno al valore universale
della cultura pi precisamen- te intorno
al tipo di universalit che in giuoco. Il
primo tipo, che Galilei respinge,
caratteristico di civilt vecchie e conservatrici, quali la civilt antica
nellet post- aristotelica (per es., Cicerone), la civilt scolastica medie-
vale, la civilt umanistica: l universalit
qui, concre- tamente e storicamente, il corsensus, della gente in gene-
rale, ma pi in particolare dei dotti. La verit ha qui un criterio di natura,
diciamo, sociale: vero quello che ammesso da tutti, o per lo meno dai pi, in
cerchie di competenti qualificati (professori, accademici, scrittori ri-
conosciuti). Laltro tipo caratteristico
del razionalismo scientifico: la verit non
di natura storica e (almeno im- mediatamente) sociale, ma un sussistere obiettivo, fon- dato sulla
prova e sulla dimostrazione: il sapere ha una universalit ideale, la quale,
piuttosto che sul consensus, sulla tradizione e sull'ammissione da parte di
gruppi so- ciali qualificati, si fonda su di una libera ricerca indivi- duale,
in quanto per l'individuo supera i limiti della sua soggettivit e della sua
biografia ed opera secondo criteri metodici e razionali rigorosi. Questi sono i
criteri del metodo scientifico alla cui for- mulazione, come tutti sanno,
Galilei rec notevoli contri- buti, e che egli contrappone al metodo umanistico,
in ge- 1 pp. 638-39. nerale e in alcuni suoi specifici aspetti. Uno di questi
aspetti la polemica, molto viva in ogni
suo scritto, con- tro la retorica con le sue caratteristiche contaminazioni
valutative. qui che, pi che in altri
aspetti, Galileo si oppone ad Aristotele e a tutta una civilt classicistica che
si rifaceva a lui (ma per il persistere in Aristotele stesso di fondamentali
strutture del platonismo) una civilt in
cui criteri di valore potevano divenire, ed essere usati co- me, criteri di
verit. Per esempio, per questo tipo di civil- t i moti dei corpi celesti devono
essere circolari, perch il circolo
figura perfetta; la Terra deve stare in basso perch meno nobile degli
astri, i quali perci devono sta- re in alto... Ma la scienza esente da valori: essa pro- cede per leggi e
conseguenze di leggi, cause ed effetti, e, in quanto scienza, non valuta, e
tanto meno pu usare di concetti valutativi in funzione esplicativa. Dice
Galileo a proposito delle figure circolari: Quanto a me, non avendo mai letto
le cronache e le nobilt particolari delle figure, non so quali di esse sieno pi
o men nobili, pi o men perfette, ma credo che tutte sieno antiche e nobili a un
modo o, per dir meglio, che quanto a loro non sieno n nobili e perfette, n
ignobili ed imperfette, se non in quanto per murare credo che le qua- dre sien
pi perfette che le sferiche, ma per ruzzolare o condurre i carri stimo pi
perfette le tonde che le triango- lari. Ma, anche qui, la modernit di Galilei
ha dei limiti. L'autonomia del sapere che egli afferma cos energica- mente e
chiaramente esprime una piena consapevole mo- dernit nei confronti della
tradizione classicistica: ma re- sta limitata alle matematiche e alle scienze
della natura. Manca ancora laffermazione delluniversalit della scien- za come
forma di tutta la cultura in generale, che invece sar cos tipica del
cartesianismo (pi ancora dei cartesia- ni che di Cartesio stesso). Pi anziano
di Galilei e, rispetto allo sviluppo del- la scienza moderna, assai pi
arretrato di lui, Francesco Bacone ha tuttavia unassai pi forte consapevolezza
del- la modernit e del significato universale della rivoluzione scientifica
come inizio di una nuova era. Come scienziato,
praticamente un fallito. Le sue dot- trine generali sulla natura, per
quanto sotto certi aspetti assai interessanti, tuttavia rimangono, nel
complesso, en- tro i limiti del pensiero rinascimentale. E lo stesso pu dirsi,
per quanto possa suonare paradosso, della sua tan- to celebrata dottrina del
metodo scientifico, la quale, per quanto pi elaborata di quella galileiana (e
anche di quel- la cartesiana), resta per al di qua delleffettivo metodo della
scienza moderna, impigliata nellempirismo rinasci- mentale e in concezioni
metodologiche di origine retori- ca'. Ma Bacone, assai pi dei suoi entusiasti
continuato- ri e ammiratori, ha una chiarissima nozione della sua po- sizione
storica e del suo merito: egli solo
laraldo, il trombettiere (buccinator) della nuova civilt della scien- za.
Afferma che la sua filosofia non deve essere considera- ta come opinione
personale, pensamento suo privato, ma come prodotto della sua epoca, temporis
partus mascu- lus. Sebbene Bacone sia stato un pensatore ben poco reli- gioso,
tuttavia tutti gli storici hanno notato nel suo pen- siero indubbi segni della
sua educazione calvinistica. Tra laltro, un certo gusto profetico: egli
annuncia lavven- to di una nuova umanit, il compimento di un decreto provvidenziale
per la sopravvenuta pienezza dei tempi. LInstauratio Magna Scientiarum recava
sul frontespizio la figura di una grande nave che a vele spiegate passa tra due
colonne, certamente le colonne dErcole; e sotto lil- lustrazione c un versetto
della Bibbia: Multi pertran- sibunt, augebitur scientia (Daniele, XII, 4).
Lallegoria i. Su questultimo punto cfr. p. Ross1, Francesco Bacone. Dalla magia
alla scienza, Bari viene spiegata nel Novum Organum (I, 93): Non si de- ve omettere la profezia di Daniele
intorno agli ultimi tempi del mondo: Multi pertransibunt, augebitur scien- tia,
che significa chiaramente essere nei fati, cio nella Provvidenza divina, che la
definitiva esplorazione e co- noscenza del mondo, che per tante e lunghe
navigazioni sembrano compiute o gi prossime ad esserlo e lo svilup- po delle
scienze coincidano nella medesima epoca . Bacone d molta importanza alle
scoperte geografiche: e, anticipando una tesi oggi divenuta luogo comune, fa
cominciare con esse una nuova era nella storia delluma- nit appunto, let moderna. Non solo: nella disputa
circa la superiorit degli antichi e dei moderni, di cui Ba- cone si pu considerare
liniziatore, egli sta decisamente dalla parte della cultura moderna contro
lantica, classi- ca, fondata dai Greci; ed uno degli argomenti fondamen- tali a
favore dei moderni costituito appunto
dalle cono- scenze geografiche di questi ultimi. Scrive nella Redargu- tio
Philosophiarum: necessario ammettere che
i nostri tempi, a con- fronto di quelli di cui parliamo [lantichit greca], han-
no il vantaggio di usufruire di quasi duemila anni di av- venimenti e di
esperienze e di esser giunti a conoscere due terzi della terra (per non
parlare, poi, delle opere dei grandi ingegni e dei frutti delle loro
meditazioni). Vede- te pertanto come fossero angusti e limitati gli spiriti di
quella et, sia che consideriate la cosa dal punto di vista dei tempi, sia la
consideriate da quello delle regioni del- la terra. Essi non possedevano
neppure una storia di mil- le anni, una storia che fosse degna di questo nome:
ave- vano soltanto favole e sogni. Quante parti del mondo co- noscevano questi
greci che chiamavano sciti tutti i popoli del Nord, e celti tutti i popoli
dell'Occidente? Essi, nep- pure per sentito dire o per fama, conoscevano nulla
in A- frica al di l delle parti pit vicine allEtiopia e in Asia al di l del
Gange; e tanto meno avevano nozione delle ter- re del Nuovo Mondo.
Considerarono inabitabili molti territori e molti climi in cui infiniti popoli
vivono e respi- rano, e celebrarono come grandi imprese i viaggi di De-
mocrito, di Platone, di Pitagora che non furono certo lun- 88 RETORICA E LOGICA
ghi, ma piuttosto simili a gite nei dintorni di una citt. Lesperienza, figli miei, simile allacqua: pi si e- stende e meno si
corrompe. Nei nostri tempi, come ben sapete, l'Oceano stato percorso, nuovi mondi sono sta- ti
scoperti, le estreme regioni del Vecchio Mondo sono conosciute in ogni parte in
ogni loro particolare . 2. Abbiamo
accennato dianzi al fatto che Bacone pu considerarsi, a un dipresso,
liniziatore di quella pole- mica degli antichi e dei moderni, che, sebbene in
segui- to degenerasse in una polemica letteraria, alle origini tanto caratteristica della coscienza che gli
iniziatori del pensiero moderno hanno della loro modernit, in polemi- ca
soprattutto contro il classicismo cos essenziale alla mentalit umanistico-rinascimentale.
Come abbiamo gi detto, qui ripetiamo che questo classicismo non sempre aveva
preso le forme di pedantesca imitazione o di fetici- stica adorazione dei
classici antichi: ma pur sempre con- siderava la cultura classica, presa nel
suo complesso, co- me cultura esemplare, paradigma in generale della cultu- ra
in quanto, appunto, cultura umana
bumanae litte- rae. Per gli umanisti, insomma, anche se i modelli anti-
chi sono parzialmente superabili e migliorabili, quella che resta insuperabile
ed eterna la formza della cultura
classica nel suo complesso; mentre per i moderni pro- prio questa forma che caduta e superata, e va sostituita con la
forma moderna anche se, viceversa, in
molte lo- ro creazioni, in molti particolari, i classici possono sem- pre
contenere prodotti degni di ammirazione o verit da conservare. Non discutono
laffermazione che la filosofia, la scienza, la poesia, ecc., antiche siano
state create da grandissimi geni ne
affermano per larcaicit, la primi- tivit. Ed
appunto questa la posizione di Bacone, per esem- pio nella gi citata
Redargutio Philosophiarum. Questa, come lantecedente Temporis Partus Masculus,
contiene una critica della cultura scientifica rinascimentale di una ! Riportato da BACONE, La Nuova
Atlantide e altri scritti, a cura di Paolo Rossi, Milano 1954, pp. 84-85. cultura,
in sostanza, che deriva dai greci, anzi da pochi grandi ingegni greci: Non
negherete certamente che tutta la variet della vostra dottrina non se non una parte della filosofia gre- ca, e
non certo di quella che stata nutrita
nei boschi e nelle foreste della natura, ma nelle scuole e nelle celle, come un
animale ingrassato in casa. Se prescindete infat- ti da un ristretto numero di
greci che cosa possono pre- sentare i romani o gli arabi o gli uomini del
nostro tem- po che non derivi dalle idee di Aristotile, di Platone, di
Ippocrate, di Galeno, di Euclide, di Tolomeo, o che non sia in esse compreso?
Vedete dunque che le vostre ric- chezze sono il possesso di pochi e che le
speranze e le for- tune di tutti gli uomini sono riposte forse in sei cervelli
. E tuttavia Dio non vi ha fatto dono di anime razionali perch portiate a degli
uomini il tributo che dovete al vo- stro autore (vale a dire la fede che dovuta a Dio e alle cose divine), n vi ha
accordato una ferma e valida perce- zione sensibile per contemplare le opere di
pochi uomini, ma per studiare il cielo e la terra che sono opera di Dio . Qui dobbiamo osservare prima di tutto
alcuni temi che Bacone ha in comune con Galilei. Anche qui la pole- mica contro
il principio di autorit: non per, qui, come tradizione, ma come divinizzazione
di uomini, sia pure grandissimi. Inoltre, anche qui (sebbene un tantino im-
plicita) la separazione della scienza dalla fede. Lautorit ha senso solo nella
teologia, che presuppone la fede: ma questa
dovuta solo a Dio e nei riguardi delle cose di- vine (come abbiamo visto
in Galileo). In terzo luogo, la scienza umana non si deve fondare sui libri, ma
sullaper- to studio della natura mediante i sensi, che sono stati da- ti da Dio
all'uomo proprio perch luomo instauri il suo ! Come insiste E. Garin
(L'educazione in Europa cit.), gli umanisti hanno buttato via le tarde e
cattive compilazioni medievali e sono ritorna- ti ad abbeverarsi alle pure
fonti classiche di quelle stesse compilazioni. Os- servo per che in questo modo
di fatto hanno buttato via, in molti casi, sostanziali innovazioni e
sostanziali progressi medievali, e hanno ristretto paurosamente il campo delle
auctoritates e il contenuto stesso della cultu- ta. S che nella cultura moderna avvenuto spesso un ricupero, contro le-
minazione umanistica, di molte scoperte e innovazioni medievali. \ irta
Philosophiarum (da BAcONE, La Nuova Atlantide ecc. cit, - 80-81). regno sulla
natura, che per principio gli
soggetta la natura il regnum bominis'. Ma Bacone va pi addentro
nella cosa, in un esame e in una critica di quella cultura greca che per i
pensatori del Rinascimento appunto tutta
la cultura, la cultu- ra. Questa cultura, Bacone ribadisce continuamente,
non esemplare. Non si tratta di ingegni
moderni superio- ri agli antichi: anzi, Bacone
disposto a riconoscere che i grandi classici, quanto ad ingegno, erano
dei giganti. Ma era la forma del loro sapere che era sbagliata. La forma, cio il metodo: ed in questo, prima
di e sopra tutto, sta la superiorit dei moderni, anche se pi poveri di
ingegno: Ascoltate, figli miei, ci che
vogliamo dirvi: se dichia- rassimo di giungere a risultati migliori di quelli a
cui son giunti gli antichi dopo essere entrati nella stessa via che essi hanno
seguito, non potremmo certo impedire con nessun artificio verbale che ci si
accusi di pretendere a una superiorit di ingegno o di merito. Questa pretesa
non ha nulla di nuovo o di illecito ma
inferiore alle nostre for- ze, che, ne siamo ben consapevoli, sono
inferiori non so- lo a quelle degli antichi, ma anche a quelle dei contem-
poranei. Poich ... uno zoppo che segue la via giusta ar- riva ... prima di un
corridore che segue una strada sba- gliata, noi abbiamo seguito un altro
sistema. Ricordatevi che la questione concerne la via da seguire e non le for-
ze... E poco pi avanti seguono queste affermazioni estre- mamente
significative: Non vi accaduto di rilevare, figli miei, quanta sotti-
gliezza e quanta forza dingegno siano presenti presso i fi- ! Bisogna per
notare qui due differenze tra Galilei e Bacone. La pri- ma ovvia: Galilei parla di sensi e discorso,
Bacone solo di sen- si. Infatii per lui il difetto principale della cultura
greca il suo aprio- rismo e
deduttivismo, un abuso di discorso e una carenza di esperienza sensibile.
Laltra differenza pi sottile. Per
Galilei senso e discorso sono sufficienti all'uomo, senza autorit e
rivelazione, per conoscere la natura, e perci sarebbe contrario all'economia
divina un intervento di rivelazione diretta in questo campo. Per Bacone invece
la natura il regnum bominis, destinata da Dio all'uomo e posta in suo
dominio: perci va indagata con i soli mezzi umani, i quali non soltanto sono a
ci sufficienti, ma sono a ci preordinati. 2 RESO Pbilosophiarum (Bacone, La
Nuova Atlantide ecc. cit., P. 97). losofi scolastici che si abbandonano allozio
e alle contem- plazioni; arroganti a causa della stessa oscurit nella qua- le
sono stati allevati? E non avete esaminato le ragnatele che essi hanno tramato
per noi, mirabili per il tessuto e la sottigliezza del filo, ma prive di ogni
interesse e di ogni utilit? Per quanto ci riguarda, noi affermiamo quanto se-
gue: il metodo che noi applichiamo alle arti e il modo del- la nostra ricerca
sono tali da produrre leguaglianza del- l'ingegno e delle facolt tra gli uomini,
cos come accade- va per leredit presso gli spartani. Infatti, se si tenti di
tracciare una linea retta e un cerchio perfetto affidandosi solo alla fermezza
della mano e al giudizio della vista, la- bilit della mano e della vista
conteranno molto; ma se si user una riga o un compasso questa abilit non conter
assolutamente nulla; per la stessa ragione un uomo potr esser di molto
superiore ad un altro nella contemplazione delle cose (il che dipende soltanto
dalle forze della men- te), ma nel sistema che noi proponiamo non v', tra gli
in- telletti umani, una differenza di molto maggiore di quan- to non soglia
essercene fra le percezioni sensibili dei vari uomini '. La querelle baconiana contro gli antichi
non si presen- ta affatto, dunque, come un paragone degli ingegni: anzi,
tutt'al contrario, tesa com' verso laffermazione di una nuova cultura oggettiva
ed universalmente umana, vuole proprio distruggere la validit di un pensiero
che si affidasse invece alla soggettivit dellingegno. Ed proprio la situazione oggettiva, storica e
umana, dei greci ci che fa si che essi per noi non debbano essere esempla- ri.
Ci era stato detto con molta chiarezza poche pagi- ne prima (in parte gi
citate) della medesima Redargu- t10: La vostra dottrina ... deriva dunque dai greci.
Qual il carattere di questa nazione? Non
entrer in una pole- mica oltraggiosa e pertanto non ripeter n imiter ci
che gi stato detto da altri. Mi limiter
ad affermare che quella nazione fu sempre precipitosa nellingegno e profes-
sorale nei costumi, ed ambedue queste cose sono profondamente contrarie alla
sapienza e alla verit. N oppor- tuno
passar sotto silenzio le parole di un sacerdote egizia- no rivolte a uno dei pi
grandi uomini di Grecia. Questo sacerdote fu un verace conoscitore dei greci
quando affer- m che i greci erano degli eterni fanciulli. Non ha indo- vinato
con esattezza? I greci infatti furono eterni fanciul- li non soltanto nella
storia e nelle loro narrazioni, ma so- prattutto nello studio della natura. E
non simile alla in- fanzia quella
filosofia che sa soltanto ciarlare e disputare senza mai generare e produrre?
Inetta nelle discussioni, essa non anche
sterile di opere? Ricordatevi dunque (come ammonisce il profeta) con quale
pietra siete stati scolpiti e ricordatevi qualche volta che la Grecia la na- zione di cui voi seguite
lautorit. Esaminiamo ora i tempi in
cui nata e si diffusa questa vostra filosofia. Let in cui
essa fu fondata, figli miei, era vicina alle favole, povera di storia,
scarsamente informata ed illuminata sui viaggi e sulla conoscenza del- la
terra: essa non aveva n la venerazione dellantichit, n l'abbondanza dei tempi
moderni ed era priva sia della nobilt sia della dignit. tuttavia lecito credere che in quegli antichi
tempi esistessero uomini divini che aveva- no conoscenze assai pi profonde di
quelle proprie della comune tradizione degli uomini. Ma necessario ammet- tere che i nostri tempi, in
confronto a quelli di cui parlia- mo, hanno il vantaggio di usufruire di quasi
duemila anni di avvenimenti e di esperienze . ..!. Cio: 1) la cultura greca giovane
e ci in molti sen- si: che manca di tradizioni, che immatura; 2) la cultura greca infeconda, perch interamente soggettiva,
mera- mente verbale; insomma, sbagliata nel metodo. qui ve- ramente che la critica baconiana
diviene radicale: ch il metodo , appunto, per cos dire, lanima di una cultura,
ossia la sua forma. Se si respinge il metodo di una civilt, si respinge in
blocco quella stessa civilt. E, come
noto, Bacone scriver un nuovo organo, ossia una nuova lo- gica e una
nuova dottrina del metodo ch il rinnova-
! Cfr. PLATONE, Timseo, 22b. 2 Redargutio Pbilosophiarum (sAaconNE, La Nuova
Atlantide ecc. cit., p. 84). mento di queste
la condizione prima e radicale per il rinnovamento di tutto il sapere e
lavvento della scienza moderna. Veramente, anche il Rinascimento aveva sentito
il pro- blema del metodo, e aveva per questo aspramente com- battuto
laristotelismo scolastico e la logica di esso. Ma aveva cercato nellantichit
stessa delle posizioni metodi- che alternative allaristotelica, rinnovando
logiche e filo- sofie rivali dellaristotelismo. Cosi su basi epicuree, oppu- re
(pid spesso) neoplatoniche, si erano diffusi atteggia- menti di radicale
empirismo. Cosi P. Ramo e la sua scuo- la avevano cercato di attingere dai
precetti della retorica ciceroniana regole non solo per una diversa tecnica
della persuasione, ma anche per una diversa tecnica della ricer- ca scientifica.
Secondo studi recenti ', F. Bacone stesso ne fu fortemente influenzato: ma fu
proprio questo il suo li- mite. In realt voleva andare oltre, superare lo
stesso Ri- nascimento cercava un metodo
affatto moderno. Il giovanile Temporis Partus Masculus (e in misura mi- nore
anche lassai pi maturo Nuovo Organo)
pieno di una critica veemente non solo contro Platone, Aristo- tele,
Galeno, ma anche contro Paracelso, Telesio, Agrip- pa, ai quali muove laccusa
di legare arbitrarie teorie con osservazioni meramente scoperte a caso: Non
vedi . . . che questi sottili costruttori di eccentri- ci e di epicicli, che
questi conduttori del carro della terra, si compiacciono di consultare i
fenomeni in modo vago e ambiguo? E lo stesso avviene nelle teorie generali. Se
qualcuno capace di far uso soltanto della sua lingua ma- terna (e renditi ben
conto della giustezza di questo para- gone) leggesse la scrittura di un idioma
sconosciuto e os- servando qua e l qualche parola affine nel suono e nei ca-
ratteri a quelle della sua lingua, credesse di poter dare immediatamente alle
parole affini il medesimo significato (anche se invece in realt esse hanno
assai spesso un sen- so molto differente) e se infine costui, dopo questi
ravvi- cinamenti, pretendesse, con molta fatica ma anche con molta licenza, di
indovinare il senso di tutto il restante 1 . Cfr. rossi, Francesco Bacone ecc.
cit. discorso, costui sarebbe in tutto simile a questi interpreti della natura.
Ciascuno di loro infatti prigioniero dei suoi propri idoli (e non tanto di
quelli del teatro, quanto prin- cipalmente di quelli del foro e della spelonca)
simili a tan- te diverse lingue materne, subito si preoccupa di stabilire
analogie e interpreta tutto il resto secondo questi rappor- ti particolari . 3. Il radicalismo di Bacone si manifesta
soprattutto nella dottrina degli idola, una dottrina che affiora gi nei suoi
primissimi scritti e che culmina nella notissima trat- tazione del Novum
Organum. Gli idoli sono pregiudi- zi, ma in un senso molto profondo: non
semplicemente giudizi erronei, bensi vere e proprie strutture mentali e
culturali che si frappongono tra la mente umana e la na- tura, e fanno da
ostacolo alla comprensione di questa. Se alcuni di essi sono innati (idola
specus e idola tribus), al- tri invece sono acquisiti, dati dalla cultura, cio
dalledu- cazione e dalla tradizione (idola fori, idola theatri). Con- tro i primi
(disposizioni soggettive, inganni dei sensi)
ri- medio il metodo, la cui regolare applicazione garantisce lobiettivit
del sapere (per questo il metodo, non
lin- gegno, che genera un sapere certo). Ma per evitare i se- condi (inganni
del linguaggio comune, dogmi delle scuole filosofiche) occorre un radicale
allontanamento sia dal lin- guaggio comune sia dalle tradizioni: ricominciare
assolu- tamente da capo, creando al contempo gli strumenti lin- guistici idonei
alla manipolazione concettuale e alla co- municazione della scienza (due
compiti che si fondono in uno). Due compiti che si fondono in uno: qui, per
giudizio u- nanime degli storici, sta la grande novit, la precipua mo- dernit
di Bacone, nonostante la grande quantit di ele- menti rinascimentali che
rimasero nel suo pensiero scien- tifico impedendogli di diventare quello
scienziato moder- no che egli aspirava a divenire. Inferiore a Galileo nella
effettiva realizzazione della scienza, come filosofo della scienza egli ebbe
invece idee indubbiamente pi chiare, ! In La Nuova Atlantide ecc. cit., pp.
69-70. pi fresche, pi moderne: onde a lui, e non a Galilei, si ispir poi quella
grande matrice della civilt scientifica moderna che fu la Royal Society; e alla
sua filosofia, non a quella di Galilei, ancora si ispireranno gli illuministi
set- tecenteschi e i positivisti dell'Ottocento. La scienza deve essere
strumento mediante cui luomo adempie alla sua destinazione terrena, dominare la
na- tura. Un ideale che, in s, si potrebbe dire ancora rina- scimentale, se
Faust si pu in un certo senso considerare la raffigurazione mitica delluomo del
Rinascimento; ma Faust un mago, non uno
scienziato. Lideale faustiano, cosi vivo in Bacone, si innesta su di una
concezione reli- giosa e sociale tutta moderna, e in essa si trasvaluta. La
scienza dominio dellumana societ sulla
natura, servi- zio sociale ed ha per
fine il bene sociale. La scienza rina- scimentale del mago o dellalchimista (ma
anche del mago naturale e persino del matematico!) scienza privata: la scienza moderna pubblica. Di qui l'esigenza del meto- do, che
non solo garantisca la validit obiettiva e pubbli- ca dei risultati, ma cosa su cui Bacone insist moltissi- mo faccia della scienza non solo una raccolta di
inven- zioni, ma unars inveniendi, indefinitamente progressiva, in quanto ogni
nuova scoperta diviene il punto di parten- za per indefinite successive
scoperte. Di qui anche la ri- forma del linguaggio scientifico. Esso deve
servire allela- borazione teorica delle scoperte empiriche e sperimentali e perci deve avere quel rigore, quellunivocit
seman- tica, quell'adeguatezza ai concetti che designa, che man- cano al
linguaggio comune, sviluppatosi storicamente in epoche prescientifiche. E
inoltre esso deve costituire un metodo per comunicare, non per alludere
velatamente: linguaggio aperto e concettuale, non ermetico e simbolico come
quello dellalchimista faustiano. E qui si innesta unultima osservazione. Come
Galilei, e del resto anche come Cartesio, Bacone parla di una ri- forma
radicale del sapere scientifico, non di tutta la cultu- ra; accanto alle scienze
rimangono le discipline divine ed umane, la teologia, la giurisprudenza, la
storia, scienze di memoria, di autorit e tradizione, alle quali sono anco- ra
adeguati i vecchi strumenti linguistici e dialettici. Ma mentre per Galileo la
scienza sta accanto a queste, invece in Bacone essa acquista un ruolo primario,
diviene il cen- tro della civilt moderna, lattivit in cui propriamente luomo
moderno, passate le colonne dErcole, realizza la profezia di Daniele e conquista
il proprio destino terreno. Bacone
laraldo non solo della scienza moderna, ma an- che, e soprattutto, della
moderna civilt della scienza. IV. 1. Nella Storia dell'idea di progresso il
Bury sostiene unidea molto simile alla nostra:
Se vogliamo tracciare utili linee di demarcazione nel flusso
ininterrotto della storia, dobbiamo trascurare le an- ticipazioni e i
preannunci; non ci facciamo scrupolo per- ci di affermare che, per quanto
riguarda la scienza e il pensiero, la storia moderna comincia nel xvii secolo.
La ribellione contro la tradizione, serpeggiante un po do- vunque, un nuovo
tipo chiaro e preciso in tutte le espres- sioni letterarie ... tutte queste
cose segnano linizio di una nuova era '.
Ora, egli afferma, molto giustamente, che da questo punto di vista il xvII
secolo si accentra in Descartes . E questo anche per quanto riguarda la rottura
con la tra- dizione classica: Nel Rinascimento lautorit di greci e romani aveva
dominato indiscussa nel regno del pensiero: nellinteres- se di un libero
sviluppo ulteriore era necessario indebo- lirla. Bacone e gli altri avevano
iniziato il movimento per abbattere questa tirannia, ma linfluenza di Cartesio
fu molto pi grande e pi decisiva, e il suo atteggiamento fu pi netto e senza
compromessi. Egli non ebbe la reveren- za di Bacone per la letteratura
classica: andava orgoglio- so di aver dimenticato il greco, imparato da
giovanetto. La sua opera fu pit ispirata a una rottura netta e assoluta col
passato, per costruire un sistema che non prendesse niente a prestito dai
morti . ! BurY, Storia dellidea di
progresso, trad. it., Milano La coscienza della modernit e il radicalismo
antitradi- zionalistico raggiungono in Cartesio una tale chiarezza, e sono
affermati con tanta energia, che veramente si pu fa- re di Cartesio quasi il
campione o modello del pensa- tore moderno. Non che Cartesio abbia inventato la
polemica anti- classicistica. Egli si forma e poi, durante la sua non lunga
vita, opera in una vivacissima atmosfera di cultura, nella quale si incontrano,
si scontrano, si combattono e si com- promettono correnti classicistiche di tardo
umanesimo e correnti radicalistiche moderne. Lumanesimo era ancora molto vivo.
Non solo nel sen- so che erano in pieno sviluppo gli studi classici,
filologici, che si studiavano gli antichi, se ne pubblicavano a stampa le
opere, si redigevano dizionari greci e latini: ma anche nel senso che
linsegnamento scolastico e il pensiero filo- sofico e letterario erano
impregnati di umanesimo. Con la creazione del loro collegio i gesuiti hanno
creato il modello di liceo classico. La loro. educazione (e cosi il pensiero
dei loro professori) fondamentalmen- te
umanistica, di un umanesimo appena temperato dal- lortodossia cattolica e da
residui di scolastica aristoteli- ca. Ma
notevole il fatto che la loro educazione e il loro pensiero, che
volevano essere moderni, di fatto erano gi, agli inizi del Seicento,
essenzialmente conservatori; il loro era un umanesimo che sottolineava al
massimo i non pochi e non leggeri elementi reazionari di cui, fino dal suo
sorgere nel Trecento, lUmanesimo (soprattutto italiano: Petrarca, Coluccio
Salutati) era stato portatore; mentre ne lasciava cadere, o ne metteva in
ombra, gli elementi positivi e moderni
per es., l'ideale delluomo di lettere come libero civis in una libera
civitas, l'umanit delle let- tere come liberazione ed equilibrio interiori,
ecc. Nellin- sieme, lumanesimo gesuitico risultava un infelice com- promesso,
politicamente anche troppo efficace, ma tale che sul terreno culturale
suscitava le polemiche e le criti- che di tutte le correnti laiche di pensiero.
2. Ma cera anche una notevole corrente di pensie- ro umanistico laico, in
polemica con i gesuiti, in un cer- 98 RETORICA E LOGICA to senso modernizzante,
ma purtuttavia legata alleredit umanistico-rinascimentale. Essa si ispirava
all'opera di Montaigne, i cui Essays esercitarono una profondissima influenza
su tutto il pensiero francese; profondissima an- che sullo stesso Descartes, e
ancora sul pensiero di B. Pascal. Il pensiero di Montaigne apparve in Francia,
ma non soltanto in Francia, come il compendio della cultura uma- nistica.
Montaigne non era, propriamente, un dotto e tan- to meno un filologo, non era
un umanista di professio- ne (una figura che il tardo Rinascimento aveva gi
abbon- dantemente criticata e ridicolizzata); bensi un uomo li- bero, un
gentiluomo di provincia che nella lettura dei classici cercava la propria
humzanitas, un alimento al pro- prio pensiero, e soprattutto alla comprensione,
morale e psicologica, delluomo in genere e di se stesso in specie. Gli Essays
sono un testo decisamente autobiografico: at- traverso la lettura dei classici
e le riflessioni che i passi che viene leggendo gli suggeriscono, Montaigne
dipinge se stesso, il suo carattere, i suoi vizi, le sue virt. Ma at- traverso
se stesso Montaigne dipinge l'uomo in genere: si badi bene, non perch si
ritenga un individuo deccezio- ne
unincarnazione dellidea platonica di uomo ma al contrario, perch egli si sente un uomo
qualunque, un uo- mo come gli altri. Prende s come campione, non nel senso di
modello, paradigma, bensi nel senso di uomo sta- tisticamente medio, e quindi
pi o meno uguale a tutti gli altri. Questo tono
insieme la causa e leffetto di un atteg- giamento generale, filosofico o
quasi, che gli deriva dalla lettura dei classici, dallo spettacolo di tanta e
cos poca scienza. Come ogni qualunquista, egli
scettico e conser- vatore; e come ogni scettico conservatore qualunquista. Nella morale oscilla tra stoicismo
e scetticismo (due cose, del resto, sul terreno pratico molto simili); in
filosofia teoretica, se una gli si pu attribuire (non era certo un temperamento
speculativo!), decisamente scettico. LA-
pologia per Raimondo di Sebonda, il pi lungo e filosofi- co degli Essays, un vero e proprio testo di scetticismo. Vi si
sottolineano le ragioni di un dubbio teoretico totale: la pochezza e loscurit
delle nostre conoscenze, le in- sufficienze dei metodi umani di conoscenza, la
molteplici- t dei punti di vista. Questo scetticismo ha certo lo scopo di dare
all'uomo uninteriore tranquillit, fondata su di uno spregiudicato antidogmatismo;
ma ha anche, e so- prattutto, lo scopo, ampiamente dichiarato, di combatte- re
le novit in fatto di religione, di combattere il pro- testantesimo e il libero
pensiero (deismo) in favore della cattolica fede dei padri, conservata, si
noti, non perch si possa provare come pi vera, ma perch le altre concor- renti
novit non hanno maggiori possibilit di prova- re la propria verit. Cos si
compie la parabola dellUma- nesimo: comincia, nel Tre e Quattrocento, col
cercare nelle favole dei poeti e nelle rivelazioni del divino Pla- tone
conferme della fede cattolica; finisce col cercare ne- gli scrittori antichi i
conforti ad un atteggiamento scetti- co, che deve generare un puro fideismo
scettico. 3. Lo scetticismo di Montaigne fu poi redatto in for- ma sistematica
da Pierre Charron. Ma il suo spirito uma- nistico fu continuato nel Seicento da
un gruppo di scritto- ri e pensatori che si raggruppavano attorno al circolo
dei fratelli Dupuy. Il loro umanesimo
decisamente anti-ge- suitico: essi affermano lideale del philosophe
libero, alieno da onori e da impieghi, volto agli studi e alle medi- tazioni
come fini a se stessi. Sono, come i moderni, de- cisamente antiaristotelici e
antiscolastici. Finalmente, di- mostrano un notevole interesse per la nuova
scienza che sta nascendo, senza per scorgerne il vero significato sto- rico.
Elia Diodati fu amico fedele di Galilei e si adoper a diffonderne le dottrine:
al suo interessamento si deve la diffusione a stampa, in versione latina, della
Lettera 4 Madama Cristina di Lorena. Ma sono e restano degli eru- diti, degli
ammiratori degli Antichi anche se non di
A- ristotele. Essi ritengono ancora che le bumanae litterae, particolarmente la
storia, portino luomo alla saggezza. Ma si tratta di una saggezza scettica,
come quella di Mon- taigne: diffidano della ragione, con i suoi schemi e i suoi
ideali astratti, e studiano luomo come irriducibile variet di atteggiamenti, di
caratteri, di credenze, di teorie... Una variet che insegna a non dogmatizzare,
a non affidarsi ad alcuna evidenza razionale. Uno scetticismo che, come in
Montaigne, finisce in un fideismo e conservatorismo re- ligioso. A capo
dellAccademia Dupuy una tetrade forma-
ta da Gassendi, La Mothe le Vayer, Naud e Diodati. Di questi di gran lunga il
pi importante P. Gassendi. La sua prima
opera, che sollev molto scalpore, furono le Exercitationes paradoxicae, frutto
dei corsi di filosofia da lui tenuti ad Aix-en-Provence dal 1617 al 1623. Sono
un pesante e deciso attacco contro Aristotele e laristoteli- smo, in uno
spirito decisamente umanistico, che utilizza molti luoghi comuni dello
scetticismo retorico di Cicero- ne, nonch tutti gli argomenti antidogmatici di
Montai- gne. Vi si attaccano di Aristotele lapriorismo, il sistema- ticismo, il
metodo sillogistico. Il risultato uno
scettici- smo empirico o un empirismo su basi scettiche: non si possono
conoscere le essenze, non si pu conoscere la realt in s, ogni soluzione che la
mente umana possa escogitare soltanto
provvisoria; lunico compito possi- bile per la mente umana la descrizione storica, ossia la descrizione
dei fenomeni, nella loro irriducibile molte- plicit e variet, cosi come si
presentano allesperienza. Tipico a questo proposito il tema, che sembra il pun- to di arrivo
dellumanesimo erudito, della molteplicit dei punti di vista. Non c opinione a
cui non ne sia stata con- trapposta unaltra, non c dottrina che non sia stata
con- traddetta. I filosofi moderni affermavano che ci deriva dalla mancanza di
metodo e di sani princip della filoso- fia tradizionale: affermavano che,
appunto per questo, i classici non possono costituire dei modelli, che bisogna
buttare via i libri, e cercare di nuovo la verit. Ma Mon- taigne, Charron,
Gassendi, come tutti gli umanisti, non si liberano dai libri e dalla
tradizione: e se questi, con le lo- ro contraddizioni, non dnno nessuna verit
sicura, biso- gna rinunciare ad averne una. Questo spiega il comportamento
apparentemente con- traddittorio di Gassendi circa il tema del consensus gen-
tium. Negli scritti scettici, per esempio nelle Exercitationes e soprattutto
nella lettera contro Herbert di Cherbu- ry, egli nega decisamente che esista un
tale consensus: con Montaigne ripete che non c opinione che non venga
contraddetta, che non c regola di morale o articolo di fe- de religiosa che,
passando un confine, non divenga immo- rale ed eresia. Tuttavia afferma che
lunica fonte della ve- rit e delle norme morali
costituita da convenzioni, rego- le sociali, in sostanza da consensus; e
nei pi tardi scritti epicurei addurr volentieri il consensus a riprova di mol-
te tesi, Il fatto che per Gassendi, come
per ogni umani- sta, il consensus e la tradizione sono lunica possibile fon- te
di verit e di valore; ma la consapevolezza della sua va- riabilit storica e
geografica porta a negare che esso abbia un qualunque fondamento in qualcosa
come una ragione umana unica ed universale, bensi che esso si basi solo su
situazioni storiche contingenti. Donde lo scetticismo, e al- la fine il
fideismo religioso e il conservatorismo morale e politico di Gassendi, il doux
prtre libertino e creden- te, rivoluzionario e timorato. La critica
allapriorismo aristotelico, l'affermazione de- cisa e radicale del valore
dellesperienza, hanno indotto molti storici della filosofia ad accostare
Gassendi a Gali- leo e a Bacone. Accostamento che regge ancora di pit se si
considera la seconda fase del pensiero gassendiano, quella epicurea, che
culmina nel postumo Syntagma phi- losophicum. Si anche discusso il passaggio dallo scetti-
cismo allepicureismo, scorgendovi una contraddizione contraddizione che forse non c', se si
considera lepicu- reismo come un'ipotesi probabile, la pi probabile alla lu- ce
dellesperienza sensibile, di cui tale filosofia accetta, al- meno di principio,
il controllo ed il cimento. Tuttavia an- che cosi siamo ben lontani non solo da
Galileo, di cui manca il razionalismo matematico, il senso di unassoluta
struttura razionale che regge la natura; e dallo stesso Ba- cone, certo assai
pi empirista di Galileo, ma che tuttavia non riteneva del tutto attendibile la
conoscenza sensoria- le, e comunque rifiutava di risolvere la scienza in mera
historia naturalis. Minore, ma purtuttavia degna di rilievo la figura di F. La Mothe le Vayer. I suoi
scritti hanno un tono decisamente scettico. Vivace la polemica antirazionalistica; e, anche qui,
largomento-base lirriducibile disparit
delle opinioni degli uomini, su tutti gli argomenti, teore- tici, morali,
religiosi. Di qui, anche in lui, il senso di equi- librio, libert, pace
interiore, aristocratico isolamento che deriva dallroyn scettica. Come in molti
umanisti, si af- faccia una specie di tesi storicistica: i sistemi scientifici
che si succedono hanno lo scopo di salvare i fenomeni nel modo pi elegante e pi
ragionevole possibile; in que- sto modo lipotesi copernicana si rivela migliore
di quel- la tolemaica. Analogamente, le varie religioni sono da con- siderarsi
ipotesi, tentativi per spiegare i fenomeni stori. co-morali, le azioni e i
costumi degli uomini. E, a quanto pare, anche il pensiero di La Mothe culmina
in uno scet- ticismo cristiano, in una posizione fideistica: umiliata la
superba ragione, negata fede ad ogni costruzione che pre- suma di cogliere un
ordine razionale del mondo, non re- sta che un atto di fede. Non molto diverso,
per quanto ci interessa qui, il pensiero
di Gabriel Naud. Con la differenza che
aristo- telico: ma di un tipo di aristotelismo decisamente. empi- rista,
che diffida di tutte le idee e astrazioni
follie ispi- rate dalle passioni e dai pregiudizi; e ha come unica rego-
la metodica lattenersi ai fatti. Di qui il suo gusto per la storia, gusto che
si risolve in una storiografia che diffida di tutti i valori e tenta di
spiegare tutti i fatti storici me- diante le pi elementari passioni umane. Anche
qui, la modernit di questo scrittore
limitata: il suo piano di indagine non supera quello di Machiavelli e di
Mon- taigne. 4. Malgrado qualche somiglianza estrinseca e qualche reciproca
simpatia iniziale, Cartesio resta decisamente di- verso e inconciliabile con il
gruppo Du Puy. Non non vuol essere lo scettico libero erudito che ama il sapere
rimanendo decisamente un dilettante; ha
voluto esse- il costruttore di una nuova
et, di una nuova filosofia, di una nuova scienza. Gli dava decisamente noia lo
scetti- cismo, divenuto atteggiamento culturalistico, dei puteani, cosi come a
loro dava decisamente noia il suo razionalismo che a loro appariva (e forse
anche era, o per lo meno doveva diventare in seguito) dogmatico. Pi profonde
erano le simpatie, e le affinit, che lo le- gavano al padre Mersenne e al suo
gruppo di matematici e fisici matematici, come Carcavy, Pascal padre, ecc. Intorno a padre Mersenne gravitava tutto un
mondo, non solo francese ma internazionale, di scienziati creatori del- la
scienza moderna e di filosofi che di questa scienza si fa- cevano interpreti e
sistematori; ed era un centro attorno a cui si annodavano molte relazioni. Non
eruditi e storici aperti alla scienza moderna, come Gassendi e Diodati, bensi
scienziati attivi cultori di questa medesima scienza, il padre Mersenne e i
suoi amici avevano una pi spicca- ta modernit. Tuttavia rimanevano in loro
residui di men- talit rinascimentale, un certo vago platonismo (che ri- corda
in qualche modo quello di Keplero), assai palese nellopera di Mersenne e che
ancora si rifletter in certe sfumature del pensiero matematico del giovane B.
Pascal - l'idea di una mistica armonia matematica che regge il sistema del
mondo ancora una tipica idea
rinascimenta- le che scomparir proprio ad opera degli sviluppi della scienza
moderna nel corso del Seicento, e di cui non si tro- va gi pi traccia nel
pensiero di Descartes maturo. Ma Descartes
legato soprattutto a quel gruppo di scrittori e pensatori che chiamavano
se stessi moder- nes, un gruppo fiorito in Francia intorno al 1620. Si tratta
di poeti e scrittori (Cartesio lunico
filosofo del gruppo) tutti animati da un deciso atteggiamento antiu- manistico:
disprezzo per gli antichi, e persino per le lingue classiche, abbandono delle
tradizionali forme letterarie, abbandono delle tradizionali regole retoriche.
Thophile de Viau, parlando dellAntichit diceva le sotte antiqui- t. Nei
Fragments d'une histoire comique si scaglia con- tro l'imitazione degli
antichi. I libri degli antichi erano, quando furono scritti, nuovi: ma i libri
che si fanno ad imitazione di quelli nascono vecchi. Dobbiamo liberarci da un
rispetto servile, bandire figure che per noi non han- no senso. Non facciamo
pit versi lirici, noi che non ab- biamo la lira; non facciamo pit versi eroici,
noi che vivia- mo in un'et in cui non ci sono eroi! Al posto di questa inutile
retorica, la verit e la ragione, nude e crude:
Bi. sogna che il discorso sia fermo, che il senso vi sia natura. le e
facile, il linguaggio adeguato e significativo . Descar. tes nel Discorso dir:
Quelli che hanno un raziocinio pi forte e sanno meglio elaborare il loro
pensiero per renderlo chiaro e intelligibile, riusciranno sempre i pi
persuasivi, anche se parlano solo il basso bretone e non abbiano mai studiato
retorica . Pi importante ancora Jean
Guez de Balzac, amico di Cartesio. Le sue Lettres, per quanto piene di erudi-
zione e di retorica, apparvero ai suoi tempi come il ma- nifesto del
modernismo. Vi afferma che il greco e il lati- no sono inutili e che gli
antichi non hanno altro pregio che quello di essere venuti prima. Contro il
tradizionali- smo culturale afferma, come gi Galileo a proposito della scienza
e come far poco dopo Cartesio per la filosofia, lesistenza di una ragione
eterna e universale, che illumi- na ugualmente tutti i secoli e tutti i popoli
e deve costi- tuire lunica regola per lo scrittore. Di qui una lotta a fondo
contro lUniversit, fatta di filologi ed umanisti. a questi modernes che pi strettamente si
connet- te Cartesio, nella medesima critica ad una cultura fonda- ta sulla tradizione,
critica fatta in nome di una nuova cul- tura fondata sulla ragione universale e
atemporale. A pi riprese anchegli afferma linutilit dello studio delle let-
tere classiche; per esempio, nella Ricerca della verit: Un uomo dabbene non obbligato a sapere il latino e il greco, pi
dello svizzero o del basso bretone, oppure a sapere la storia dell'Impero, pi
di quella del pi piccolo Stato dEuropa; ... egli deve soltanto stare attento a
por- re la sua soddisfazione in cose oneste e utili, e a non ca- ricare la sua
memoria se non di quelle pi necessarie .
Ma il latino e il greco, la storia antica, ecc., non servo- no a prendere
contatto con la civilt antica, umanistica? Certo: ma proprio a questa che Cartesio muove una
critica a fondo. Da questo punto di vista
importantis- sima la prima parte del Discorso. Poco importa qui se !
Cito dal volume r. DESCARTES, Regole per la guida dellIntelligenza | La ricerca
della verit mediante il lume naturale | Discorso sul metodo, Bari 1954. Il
passo di sopra a p. 98. sia una storia (unautentica autobiografia) o una fiaba
(cio, in fondo, unautobiografia ideale, narrata nelle pro- spettive di Cartesio
adulto e formato, come era nel 1637): l'essenziale che qui Cartesio prende posizione contro
tutta la tardeia umanistica, contro la sua stessa educa- zione: Io sono stato
istruito nelle lettere sin dalla fanciul- lezza; e poich mi si era fatto
credere che con lo studio avrei acquistato una conoscenza chiara e sicura di
tutto ci ch' utile alla vita, avevo un desiderio grandissimo dimparare |. Ma ecco la delusione: quello che aveva
appreso era un sapere poco solido e per lo pit inutile. Lo dice pure nella
Ricerca della verit, in maniera anche pi dura: Un uomo dabbene non ha lobbligo
daver letto tutti i libri, n daver imparato con cura tutto ci che sinsegna
nelle scuole; e anzi questo sarebbe, in certo modo, un di- fetto della sua
educazione, nel caso che egli avesse impie- gato un tempo eccessivo nelle
esercitazioni letterarie. Egli ha da far molte altre cose durante la sua vita,
il cui corso deve venir misurato cos esattamente, che a lui ne resti la parte
migliore per praticare le buone azioni, che gli dovrebbero essere insegnate
dalla propria ragione, nel ca- so che egli non apprendesse niente se non da
essa . Seguiamo pi da vicino la critica
allistruzione umani- stica qual condotta
nel Discorso. Il primo punto, gene- rale e in qualche modo riassuntivo, che la cultura uma- nistica porta allo
scetticismo. Abbiamo visto che tale era la conclusione del tardo umanesimo
francese, di Montai- gne, di Charron, di Gassendi e La Mothe le Vayer... Alla
fine del corso di studi nel collegio di La Flche, dice Car- tesio, mi trovai
intricato in tanti dubbi ed errori, che mi sembrava di non aver cavato altro
profitto, cercando di istruirmi, se non questo: di aver scoperto sempre pi la
mia ignoranza ?. Un po pi avanti, nello
stesso Di- scorso, parlando della filosofia tradizionale, insegnata nel- le
scuole, dice: i P. 127. P. 93. p. 128.
106 Della filosofia dir soltanto che, vedendo come essa sia stata coltivata
dagli intelletti pi eccellenti di ogni tempo, che ci nonostante non c', in
essa, nulla di cui non si seguiti a disputare come di cosa ancora dubbia, non
avevo tanta presunzione da sperare di riuscirvi io meglio degli altri. D'altra
parte, considerando quante diverse o- pinioni possono essere sostenute da
persone anche dotte circa uno stesso argomento, mentre non ve ne pu essere pi
di una conforme a verit, reputavo presso che falso tutto ci che fosse soltanto
verosimile !. Circa l'insegnamento
propriamente umanistico lettera. rio, egli fa un'osservazione tipicamente
modernistica che si riallaccia a quanto abbiamo visto sopra: linutilit, o
addirittura pericolosit, di una simile cultura per /hon- nte homme, la cui
sapienza e dottrina deve essere guida e impegno di vita: Conversare con gli
uomini di altri secoli quasi lo stesso
che viaggiare; certo, bene saper
qualcosa dei co- stumi dei vari popoli per giudicare meglio dei nostri, e non
stimare ridicolo e irragionevole tutto ci che
con- trario alle nostre abitudini, come credono coloro che non hanno
visto mai nulla; ma quando simpiega troppo tempo a viaggiare, si diventa alla
fine stranieri nel proprio pae- se, e cosi chi
troppo curioso delle cose del passato di- venta, per lo pi, molto
ignorante di quelle presenti . A ci si
connette la dura critica che egli muove alla mo- rale antica: I trattati di
morale degli antichi pagani mi parevano, sf, ..., superbi e magnifici palazzi,
ma costruiti su sabbia e fango; essi levano in alto la virti e la stima di essa
sopra tutte le cose del mondo, ma non insegnano abbastanza a conoscerla, e
spesso quello a cui dnno un cos bel nome non
che insensibilit, o orgoglio, o disperazione, 0 par- ricidio ?. Qui c un netto contrasto con lideale
umanistico, per esempio di un Montaigne o dei signori dellAccademia Dupuy.
Lumanista, uomo colto e distaccato, conquista ! p. 130. 2 p. 129. p.130. attraverso
lo studio dellantichit un equilibrio interiore, che meramente privato e soggettivo, fatto di
scetticismo e di distacco. E la storia, magistra vitae, gli insegna tut- t'al
pi un cinico pseudo-realismo, di fatto uno scettici- smo morale, quale quello
di un Machiavelli o di un Nau- d. A ci Cartesio oppone la concezione moderna,
tanto caratteristica di un Galilei o di un Bacone, di una cultura mondana ed
utile nel presente e nella societ attuale; del- l'uomo di cultura come bonnte
homme, uomo che sa vi- vere eticamente e saggiamente nel mondo, nel suo mon-
do. Pu apparire strana una dichiarazione del genere in Cartesio, un uomo che
dipinge se stesso come privo di ambizioni, privo di preoccupazioni pratiche,
contento di dedicare la sua vita alla contemplazione, alla scienza pura e
disinteressata. Ma la contraddizione
solo apparente: anche se pura e disinteressata, anche se coltivata in
aristo- cratica solitudine e distacco, la scienza sempre, per la sua ideale validit universale
obiettiva, conoscenza della realt, e quindi feconda di impegni pratici,
orientata ver- so il mondo reale, strumento di dominio delluomo (non del
singolo, ma dellumanit articolata nelle societ uma- ne) sul mondo. Affiora qui
uno dei caratteri dellopposi- zione delle due culture, sul quale ha posato
particolar- mente laccento lo Snow. i L'opposizione tra lideale di cultura
scientifica e lidea- le di cultura letteraria si accentua nella critica che De-
scartes fa alla retorica e all'arte potica
discipline asso- lutamente inutili: Apprezzavo molto leloquenza, ed ero
appassionato per la poesia; ma pensavo che luna e laltra sono doni di natura pi
che frutti dello studio. Quelli che hanno un ra- ziocinio pit forte e sanno
meglio elaborare il loro pen- siero per renderlo chiaro e intelligibile,
riusciranno sem- pre i pi persuasivi, anche se parlano solo il basso breto- ne
e non abbiano mai studiato retorica: cos, come quelli che san creare le
fantasie pi gradevoli, ed esprimerle con maggior grazia e ornamento, non
cesseranno di esse- te i migliori poeti, anche se ignorano larte poetica '. 1 p. 129. Il che ricorda assai da vicino ci che abbiamo
visto af- fermare da Thophile e da Balzac. Molto interessante quello che Cartesio dice delle ma- tematiche discipline che, come tutti sanno, erano per
lui di estrema importanza. Il Rinascimento le aveva tuttal. tro che
disprezzate: anzi, si devono proprio a matemati- ci-filologi rinascimentali,
come Francesco Maurolico, Fe- derico Commandino, Guidobaldo del Monte, la
diffusio- ne della geometria greca nelle sue fonti originarie, non- ch il suo
ampliamento e proseguimento nellideale del rigore euclideo in contrasto con i
procedimenti empirici ed ermetici dellalgebra di origine araba. E nel collegio
dei gesuiti, come del resto in tutti gli ambienti colti fran- cesi, le
matematiche erano tenute in grande onore. Ma Cartesio osserva che poi luso ne
era limitato alle sole arti meccaniche, stupendosi che su fondamenti cosi fermi
e solidi non si fosse costruito nulla di pi alto e importante . Cio, che non si fosse costruito su basi ma-
tematiche un sistema cosmologico, una filosofia della na- tura, una fisica. In
effetti, lumanesimo civilt delle let-
tere: una civilt che in ogni campo tende al discorso re- torico, qualitativo,
valutativo, e in cui le matematiche, per quanto onorate, hanno sempre un posto
margina- le, accessorio, ausiliario, tecnico (e ancora oggi gli ultimi epigoni
dellumanesimo le considerano cos). Solo in una civilt delle scienze esse
acquistano il duplice valore di disciplina modello e di scienza fondamentale.
In questo senso Galileo pi moderno di Bacone,
ed pit suo con- tinuatore Cartesio che
non Gassendi. 5. Abbiamo gi visto in Bacone un radicalismo anti- classicistico
e antiumanistico, che invece, per esempio, manca in Galileo. In Cartesio esso estremamente accen- tuato, e si risolve in
una decisa tabula rasa di tutto il pas- sato, di tutta la tradizione. Nella
Ricerca * Eudosso, cio il personaggio di Cartesio, prega lerudito Epistemone
(il rappresentante della cultura universitaria, tradizionale) ! p. 130. ? Dp. di
lasciarlo intrattenersi con Poliandro, lhonnte homme che non uomo di cultura, affinch io possa subito but- tare all'aria
tutto il sapere acquisito fino ad oggi. Poich, dal momento che non basta a
soddisfarlo, esso non po- trebbe essere se non cattivo, e io lo ritengo con
qualche cognizione di causa male costruito e con le fondamenta non sicure .
Come abbiamo gi avuto occasione di vedere, lumane- simo oscilla tra due criteri
di validit: luno il consen- sus, cio
l'accordo dei pi o dei pi tra i dotti, laltro
l'autorit del grande autore di genio
il primo, criterio di origine latina (Cicerone), il secondo tipicamente
uma- nistico (tanto tipico della filosofia umanistica, che alcuni storici, come
Windelband, hanno considerato questa fi- losofia come, essenzialmente, un
conflitto di autorit). Cartesio respinge lun criterio e laltro. Nelle Regulae
si legge una considerazione che in parte richiama un passo di Galileo. La
regola III infatti enuncia il principio:
Riguardo agli argomenti da trattare si deve fare ri- cerca non di ci che
altri abbiano opinato o di ci che noi stessi congetturiamo, bensi di ci che da
noi si possa in- tuire con chiarezza ed evidenza; perch solo cosi si acqui- sta
scienza !. E nel commento a questa
regola: Anche se tutti fossero ingenui e
sinceri e a noi mai volessero dare per vere delle cose dubbie, ma le espones-
sero tutte in buona fede dal momento che
tuttavia non quasi mai detta una cosa da
qualcuno, senza che da qualche altro sia affermato il contrario, sempre saremmo
incerti a chi dei due si debba credere. E non servirebbe a nulla fare il
calcolo delle adesioni, per seguire quella opi- nione che propria del maggior numero di autori; poich,
quando si tratti di questione difficile,
da credere che la verit intorno ad essa possa essere trovata da pochi
piut- tosto che da molti. Ma quandanche tutti consentissero tra loro, tuttavia
la loro dottrina non sarebbe bastevole: e Invero non riusciremo mai ad essere,
per esempio, mate- matici, sebbene ritenessimo a memoria tutte le dimostrazioni
degli altri, se non abbiamo anche intelligenza capace di risolvere qualunque
problema; oppure filosofi, se avre- mo letto tutte le argomentazioni di Platone
e di Aristote- le, ma senza che siamo in grado di portare sicuro giudizio
intorno agli argomenti proposti: cosi, invero, mostrerem- mo di avere imparato
non le scienze, ma la storia . D'altra
parte, per, Cartesio non vuole lasciate la cul- tura allintuizione e creazione
del genio. Come Bacone, ne diffida, e invece
e questo forse il tratto pi tipico
della cultura scientifica si appella ad
un universale buon senso, ossia ad una universale ragione umana. Ricordia- mo
il celebre inizio del Discorso sul metodo: Il buon senso la cosa nel mondo meglio ripartita: ciascuno,
infatti, pensa di esserne ben provvisto, e anche coloro che sono i pi difficili
a contentarsi in ogni altra co- sa, per questa non sogliono desiderarne di pi.
N vero- simile che tutti si ingannino:
anzi ci dimostra che la fa- colt di ben giudicare e di distinguere il vero dal
falso (ch propriamente quel che si dice buon senso o ragione) uguale per natura in tutti gli uomini, e che
la diversit delle opinioni non deriva dal fatto che gli uni siano pi
ragionevoli degli altri, ma solamente dal condurre i nostri pensieri per vie
diverse e dal non considerare le stesse co- se. Poich non basta avere un buon
ingegno: quel che pi importa di
applicarlo bene. Le anime pivi grandi sono capaci dei pi grandi vizi come delle
pi grandi virti; e quelli che seguono sempre la via diritta, anche se cammi-
nano assai lentamente, possono andare molto pi innanzi di coloro che, correndo,
se ne allontanano . Mi sembra che qui vadano messi in rilievo due punti. Il
primo laffermazione delluniversalit
della ragione, come forma essenziale all'umanit in quanto tale, patri- monio
comune degli uomini (in quanto tali). Poco pi avanti dice: Quanto alla ragione
o buon senso, essendo questa la p.9.
Cfr. anche Discorso, p. 136: Non una conoscenza certa, dun- que, per lo pi quel che ci fa persuasi, ma
labitudine e l'esempio. Ma per la scoperta di verit un po difficili la
maggioranza dei consensi vale poco o nulla, perch pi facile che la scopra un uomo solo che non
tutto un popolo. III sola cosa che ci fa
uomini e ci distingue dalle bestie, vo- glio credere che sia tutta intera in
ciascuno, seguendo in ci l'opinione comune dei filosofi, i quali dicono che il
pi e il meno soltanto negli accidenti,
non nelle for- me o nature degli individui duna stessa specie . Il secondo punto ricorda Bacone: limportanza, fon- damentale ed esclusiva,
attribuita al metodo. La ragione solo
astrattamente una facolt astrattamente umana: in concreto, nella sua attualit,
essa metodo. La raziona- lit si esplica
sempre, e solo, nel procedimento metodi- co, fuori del quale resta unastratta
potenzialit. Solo il metodo conduce alla verit; in virt di esso si pu tro- vare da s, pur avendo un ingegno
mediocre, tutto ci che possono trovare gli ingegni pit sottili . Questo radicalismo si esplica nellauspicio
dell'evento impossibile delluomo che nasca adulto e costruisca da s tutto il
suo sapere. Due testi paralleli della Ricerca e del Discorso * affermano la
stessa cosa, con le medesime consi- derazioni: nascendo, la nostra mente una fabula rasa, ma il giudizio ancora immaturo. Sensi, inclinazioni na-
turali, fantasia, precettori la riempiono di idee confuse e di errori: Avviene cos, che, essendo stati noi tutti
fanciulli pri- ma che uomini, e per in balia dei nostri appetiti, e biso- gnosi
per lungo tempo di precettori, spesso contrari gli uni agli altri e forse non
sempre capaci di consigliarci per il meglio,
quasi impossibile che i nostri giudizi siano co- sf puri e solidi come
se avessimo avuto fin dalla nascita l'intero uso della ragione e fossimo stati
guidati sempre soltanto da essa . Ed
ecco la posizione di assoluto radicalismo cartesiano. Facciamo in modo di
essere quel neonato con luso intero della ragione. Facciamo tabula rasa di
tutto quello che ab- biamo appreso e ricominciamo tutto da capo. La nostra
cultura come un quadro difettoso,
riuscito male, abboz- zato da una pluralit di apprendisti inesperti. Nella
Ricer- ; PD. 125-26. . Ricerca, nellop. cit., p. 101. , PP. 93-94 101-2, Discorso, pp. 132-34 dellop. cit. D.
133. ca Epistemone dice che lintelletto
come un eccellente pittore che tenti invano di dare lultima mano al
quadro, correggendo come pu i molti errori delle mani inesperte che lhanno
preceduto; ma Eudosso afferma recisamente:
Il vostro paragone scopre molto bene il primo osta- colo che ci capita;
ma voi non parlate del mezzo di cui ci si deve servire per guardarsene. Il
quale , mi sembra, che come il vostro pittore farebbe molto meglio a
ricomincia- re tutto da capo quel quadro, dopo aver innanzi tutto pas- sato la
spugna l sopra per cancellare tutte le linee che vi si trovano, piuttosto che
perder tempo a correggerle; cosi bisognerebbe pure che ogni uomo, non appena ha
rag- giunto un certo termine che vien chiamato let del giudi- zio, si
risolvesse una buona volta a togliere dalla sua im- maginazione tutte le idee
imperfette che vi sono state tracciate fino ad allora, e ricominciasse di buon
proposito a delinearne di nuove .... Nella stessa Ricerca e nel Discorso c
anche limmagi- ne, cosi pi razionalistica e secentesca, delledificio: il no-
stro sapere come un edificio costruito
male, perch fatto da troppe mani e inesperte; inutile tentare di raccomodar-
lo: meglio demolirlo e rifarlo di sana pianta . 6. E cosi l'atteggiamento
radicalistico diventa esso stesso la prima regola del metodo il dubbio metodi- co. Dubitare di ogni idea
prima accolta nella mente, da qualunque fonte provenisse dai sensi, dallimmaginazio- ne, dalla
tradizione o dai libri. Gli argomenti per il dubbio sono tratti in gran parte
da Montaigne, e derivano per- ci dalla tradizione classica dello scetticismo.
Per questo Cartesio stato a volte
riaccostato a Montaigne, e persino agli umanisti dellAccademia Dupuy. Ma invece
egli vol- ge in senso opposto latteggiamento montaigniano. Nulla pi utile per comprendere appieno
l'atteggiamento del moderno filosofo scientista in antitesi con quello del pen-
satore umanistico che un confronto fra Montaigne e Des- cartes. Ne delineiamo
qui i tratti fondamentali. ! p. 102. 2 Ricerca, p. 103; Discorso, p. 134. In
Montaigne, come abbiamo gi detto e ripetuto, lo scetticismo il risultato, la conchiusione della cultura
classica: per cosi dire il chiudersi
della tradizione cul- turale ad ogni innovazione, ad ogni idea nuova un fer- mare la storia. Al contrario,
Cartesio non uno scetti- co, e lo
dichiara espressamente: Io non intendevo ... dimitare gli scettici, i quali
dubitano per dubitare e affet- tano di essere sempre irresoluti nel giudizio;
ch, anzi, tutti i miei propositi erano di raggiungere la certezza, e se
scansavo la terra mobile e la sabbia era solo per trovare la roccia 0
largilla '. A Cartesio i motivi scettici
servono per motivare una sospensione della tradizione, per fare #4- bula rasa
di essa: lo scetticismo risultante dalla tradizione ne per lui, per cos dire, lautocritica, al di l
della quale si apre lideale di una mathesis universalis, di un sapere
assolutamente razionale, autofondato, evidente, condotto metodicamente sulla
base di indiscutibili evidenze razio- nali. Ripetiamo: per Montaigne, come
ancora per gli umani- sti del secolo successivo, la cultura pumanae litterae; essenzialmente monologo, meditazione
interiore in ulti- ma analisi, evasione.
Non a caso gli Essays di Montaigne sono unautobiografia: perch tutta la cultura
letteraria biografica e autobiografica,
rivolta al singolo e alla sua ri- cerca interiore, privata, di felicit, cio di
equilibrio inte- riore (atarassia) e di distacco dagli impegni mondani
(apatia). Ed notevole come anche
Cartesio esponga le sue idee sulla cultura in forma autobiografica: ma in lui
l'autobiografia sfocia nel cogito ergo sum
nella pura universalit trascendentale del cogito, in cui il singolo si
dissolve, o meglio attinge luniversalit umana, il piano di ragione universale e
necessario; e cio il piano su cui la cultura si pu e si deve ricostruire da
capo, ma non pi come bumanae litterae, bensi come scienza. E qui si inserisce
lultima considerazione. Lo scettici- smo di Montaigne unarma contro le rotture religiose che
caratterizzano let moderna: contro il protestantesi- mo e il deismo a questo proposito linizio dellApologia 1 Dp.
114. 114 per Raimondo di Sebonda molto
esplicito. Ora, su que- sto terreno anche Cartesio sembra seguire Montaigne. Le
prudenti riserve delle prime due parti del Discorso circa la religione e la
politica, la morale provvisoria di ispi- razione scettico-stoica della terza
parte, ci riportano deci- samente a Montaigne e ad una saggezza di tipo scetti-
co-umanistico. Qui Cartesio sembra veramente fare mac- china indietro: le
considerazioni circa la privaticit delle scienze e la pubblicit della religione
e della po- litica, sulle quali poi si basa la decisione di non estende- re a
queste ultime il dubbio metodico (e la conseguente ri- forma del sapere),
sembrano persino in contraddizione (almeno parziale) con le considerazioni
circa la tavdeta umanistica. Opportunismo, cio vigliaccheria? Scrupoli e
timidezza filosofica? Disinteresse per i problemi pratici? Si possono sostenere
e confutare tutte queste interpreta- zioni del comportamento di Cartesio,
discutendoci sopra fino a quando si vuole: ma la cosa riguarda la biografia
delluomo Rn Descartes, non la posizione storico-filoso- fica del filosofo
Cartesio. Di fatto, la sua limitazione ap- parir insostenibile; la sua
distinzione tra privaticit della scienza e pubblicit della religione arriver
addi- rittura a rovesciarsi, sotto la spinta di Bacone da una par- te,
dellintimismo religioso protestante dallaltra. Il radi- calismo razionalista
che Cartesio riservava alle parti pi teoretiche della cultura si estender anche
alla politica e alla morale, dando origine ai sistemi di diritto naturale cosi
caratteristici del Seicento e allethica more geometri co demonstrata (il
titolo dellopera di Spinoza, ma lidea
appartiene a tutto il secolo). Per quanto poi riguarda la religione, Cartesio
stesso pretender di gettare le basi di una teologia razionale assoluta,
dedicando esplicitamente ai problemi dellesistenza di Dio e dell'immortalit
della- nima la sua massima opera filosofica, le Meditationes de prima
philosophia. E con questa opera produrr un effet- to ben al di l delle sue
intenzioni: distinguendo, quasi senza volerlo, la parte comune, dimostrabile,
razionale della teologia dagli elementi confessionali e dogmatici de- gli
insegnamenti chiesastici, fornir ai deisti la base teore- tica per la loro
costruzione e per la loro polemica: dar origine a quel programma di costruire,
contro le religioni positive, una religione senza rivelazione e senza misteri
che cosi tipica dell'et moderna. 7.
Ancora un ultimo punto circa il radicalismo anti- classicistico e modernistico
di Cartesio. Abbiamo gi det- to, a proposito di Galilei e di Bacone, che i
moderni ne- gano soprattutto che la cultura antica, greca e latina, sia
esemplare: pi ancora che singoli e specifici risultati e asserzioni, ne negano
il metodo. Abbiamo gi visto come anche Cartesio, non meno di Galilei, riponga
le basi di un radicale rinnovamento del sapere nella scoperta e nellap-
plicazione sistematica di un nuovo metodo, che egli ha poi esposto nelle Regole
e nel Discorso. Questo meto- do per Cartesio
soprattutto una logica. La logica era anchessa eredit classica: lOrgazon
rimaneva, pi o me- no, il testo fondamentale di questa disciplina. Contro la
logica aristotelica c'erano state, a dire il vero, notevoli ri- bellioni per
tutto il periodo dellUmanesimo e Rinasci- mento. Tali ribellioni si erano
risolte da una parte in una riabilitazione della retorica ciceroniana, per
esempio per opera di Pietro Ramo e della sua numerosa scuola. Dal- tra parte,
fra quei torbidi pensatori, eredi della magia quattro e cinquecentesca, che si
dedicavano ancora ai so- gni dellalchimia, pensatori che ancora pullulavano nel
primo Seicento, si magnificava come una logica la famosa arte di Raimondo
Lullo. ln un caso e nellaltro si ten- tava di opporre al formalismo della
sillogistica aristoteli- ca una logica concreta, che portasse ad una presa di-
retta sulle cose. Ma la logica moderna non si muover in nessuna di queste due
direzioni: essa cercher di opporre al verbalismo e residuo retoricismo della
logica aristoteli- ca una logica pi snella, pit efficace, modellata sulle
strut- ture del discorso matematico. Quello che Cartesio critica soprattutto linutilit della Logica
tradizionale, sia ari- stotelica, sia lulliana: I sillogismi e la maggior parte
dei precetti della logi- Ca servono piuttosto a spiegare agli altri le cose che
gi si sanno, ovvero anche, come larte di Lullo, a parlare senza discernimento
delle cose che uno ignora, invece di impararle. Quella logica contiene, senza
dubbio, anche precet- ti ottimi, verissimi, ma mescolati con quelli ne ha tanti
altri nocivi, o per lo meno inutili, che separarli- unim- presa ardua, come
quella di cavar fuori una Diana o una Minerva da un blocco di marmo neppure
sbozzato . Questa in sostanza unaccusa che muovevano anche gli
umanisti, per esempio i ramisti che Cartesio sembra ignorare: indubbiamente la
dialettica ramista, oscillante com'era tra retorica psicologismo ed empirismo,
non po- teva interessarlo. A parte ci, Cartesio non molto chia- ro nella sua critica alla logica
antica: ne denuncia soltan- to, e in modo affatto generico, linutilit e il
fastidio. Ma forse il motivo di questa mancanza di chiarezza sta nel fatto che
egli intuiva ancora troppo oscuramente ci che voleva sostituire a quella
logica, la sua idea rivoluziona- ria: lidea di una logica matematica, di una
nuova discipli- na che nelle Regole vagheggia come mathesis universa- lis, dove
la logica fosse non soltanto la riflessione meta- discorsiva sul discorso
matematico e sulle strutture di es- so, ma il discorso logico-matematico
coincidesse con quel- le stesse strutture e ad esse si riducesse. Donde la
critica che simultaneamente muove anche alla geometria greca e allalgebra
rinascimentale: discipline in cui l'oggetto del discorso non coincide con le
strutture del discorso stesso. Vv. Alla met del secolo ritroviamo le medesime
polemiche e le medesime affermazioni modernistiche in B. Pascal. Se per qualche
aspetto la posizione di questultimo pu ap- parire pi arretrata di quella di
Cartesio, con residui di pensiero umanistico e rinascimentale, per altri la sua
po- sizione appare pi matura e, se possibile, anche pi con- sapevole.
Ricordiamo che il giovane Pascal fu educato quasi e- sclusivamente dal padre
Etienne Pascal un gentiluomo di toga,
colto, che era molto amico di un gruppo di matematici e scienziati, tra cui il
grande Fermat. In questo am- biente c'era uno spiccato amore e gusto per la
nascente scienza moderna; tuttavia questo conviveva con un catto- licesimo di
tradizione, intinto di una sottile vena platoni- cheggiante che poteva anche
preludere, inconsapevolmen- te e preterintenzionalmente, ad una specie di
deismo. Questo ambiente era quindi largamente aperto, pi che al cartesianismo,
alle idee scientifiche provenienti dallIta- lia, da Galilei e dalla sua scuola.
Tale influsso italiano ben visibile nel
pensiero scien- tifico di B. Pascal: ha in comune con quello di Galilei e
Torricelli l'accostamento di un deciso matematismo con un altrettanto deciso
empirismo; Pascal quindi del tut- to
fuori dellalternativa Cartesio-Gassendi, avendo in co- mune col primo solo il
matematismo, con il secondo solo lempirismo (ma con pi deciso orientamento
sperimenta- listico, il che appunto un
tratto della scuola italiana). Certamente c anche qualche riflesso del pensiero
di Cartesio un pensatore molto stimato e
profondamente sentito dai pensatori di Port-Royal, ma per il quale Pascal non
simpatizzer mai del tutto (e non solo per motivi re- ligiosi). Ben presto il
pensiero di Pascal venne interamente as- sorbito dal problema religioso: perci
la sua produzione intorno alla scienza, e alle polemiche da questa
suscitate, scarsa (anche se molto
importante), e nel complesso molto giovanile. Due testi tuttavia ci interessano
qui in modo particolare. 1. Il primo la
prefazione ad un Trait du Vide, che Pascal aveva in mente di scrivere, ma non
fini mai. Il te- sto della Prefazione venne composto nel 1647, ma fu pubblicato
postumo e lacunoso solo nel 1779 con il tito- lo assai significativo di De
lautorit en matire de philo- sophie. Infatti questa Prefazione contiene in
sostanza una polemica contro il principio di autorit nelle discus- sioni
scientifiche, arieggiando molto da vicino la Lettera a Madama Cristina di
Lorena del Galilei, con qualche eco baconiana (probabilmente) e qualche non
trascurabile tratto personale. Pascal,
avuto sentore dellesperienza di Torricelli, la- veva ripetuta, e ne aveva
pubblicati i risultati, con un ten- tativo di interpretazione teorica
dellesperienza stessa, nelle Expriences nouvelles touchant le Vide (1647). Pas-
cal vi aveva accettata, e vivacemente sostenuta, lipotesi che nello spazio
superiore del tubo torricelliano si formas- se il vuoto: e questo aveva
scatenato un mare di polemi- che. Cartesio negava il vuoto per ragioni
metafisiche; i Gesuiti (come il padre Nol), in genere blandamente ari-
stotelici, avevano invocato contro lipotesi del vuoto lau- torit di Aristotele.
Era, certo assai meno drammatica, la situazione polemica in cui si era trovato
Galilei. Perci nella Prefazione al trattato sul vuoto che aveva intenzio- ne di
scrivere Pascal combatte labuso del principio di au- torit con argomenti in
gran parte derivati da Galilei. Pascal comincia con losservare che Il rispetto verso lAntichit, anche nelle
materie dove dovrebbe avere meno vigore,
giunto oggi ad un punto tale, che tutte le opinioni di essa sono prese
per oracoli, e persino le oscurit ne sono considerate come misteri; che non si
possono pi proporre idee nuove e il testo di un autore basta per demolire le
ragioni pi forti !. Egli procede
distinguendo campi del sapere in cui lau- torit
legittima da altri in cui non lo . La distinzione analoga a quella di Galilei, ma si trova
anche in Bacone (e in Giansenio): ci sono scienze che dipendono dalla we- moria
e scienze che dipendono dal ragionamento: Per introdurre attentamente questa
distinzione, bi- sogna considerare che alcune scienze dipendono soltanto dalla
memoria e sono puramente storiche, avendo per sco- po la conoscenza di ci
che stato scritto dagli autori; al- tre
dipendono soltanto dal ragionamento e sono affatto dogmatiche, avendo per scopo
la ricerca e la scoperta di verit nascoste. Quelle del primo tipo hanno i
medesimi limiti dei libri in cui sono contenute . .. *. Nelle scienze del primo
tipo vige ovviamente il princi- pio di autorit: ! B. PASCAL, Opuscoli e scritti
vari, Bari Nelle materie in cui si cerca di sapere soltanto ci che gli autori
hanno scritto quali la storia, la
geografia, la giurisprudenza, le lingue, soprattutto la teologia insom- ma, in tutte quelle che hanno per
principio o il fatto pu- ro e semplice o listituzione, divina od umana, bisogna
ne- cessariamente ricorrere ai libri degli autori, poich in es- si contenuto tutto ci che si pu saperne: dal che
segue evidentemente che se ne pu avere una conoscenza inte- ra, cui non sia
possibile aggiungere nulla !. Ma il
luogo in cui tale autorit ha il massimo vigo- re nella teologia: perch in questa lautorit insepara- bile dalla verit, e noi conosciamo
questa solo mediante quella: in modo che per conferire completa certezza alle
materie pi incomprensibili per la ragione basta mostrar- le nei libri sacri
(nello stesso modo che per mostrare lin- certezza delle cose pi verosimili
basta mostrare che que- ste non vi sono contenute), perch i suoi princip sono
al di sopra della natura e della ragione e la mente umana, es- sendo troppo
debole per arrivarci con le sue proprie for- ze, non pu giungere a tali alte
intellezioni se non vi portata da una
forza onnipotente e soprannaturale . Ma
ben diversa la situazione per le materie
che dipen- dono dallesperienza e dal ragionamento; qui non ha pi senso il
principio di autorit: Non lo stesso per
gli argomenti che cadono sotto i sensi o sotto il ragionamento: qui
lautorit inutile e la sola ragione
riesce a conoscerli. Queste due cose, autori- t e ragione, hanno i loro diritti
separati: l aveva il so- pravvento luna, qui tocca allaltra di dominare. Ma
sic- come gli argomenti di questo genere sono proporzionali all'ambito della
mente, questa vi trova unintera libert di dispiegarvisi, la sua inesauribile
fecondit vi produce continuamente e le sue invenzioni possono essere senza fine
e senza interruzione .. .. Ovviamente, il complesso di questo discorso
arieggia, e riassume, la lettera galileiana, forse con qualche eco ba- coniana.
Ma un lettore attento vi pu trovare qualcosa di } D. 4. i PP. 4-5. PD. 5. molto diverso. C in questa pagina di Pascal un
positi- vismo tutto moderno, che ancora mancava in Galilei e neppure era cosi
nitido in Bacone. Nel testo pascaliano manca assolutamente il senso dellautorit
come tradizio- ne. Ci sono in sostanza due tipi di scienze: filologiche e
naturali. In quelle filologiche predomina lautorit: ma non nel senso di una
tradizione storica, delle opinioni dei pi o dei pi dotti, bensi unicamente nel
senso che in queste scienze si tratta soltanto di sapere che cosa scrit- to nei libri, e quindi i libri vi
tengono il posto che nelle scienze naturali
tenuto dallesperienza sensibile. (E trat- tandosi di scienze storiche,
in cui non si fanno leggi e ge- neralizzazioni induttive, il ragionamento vi ha
una fun- zione affatto secondaria). Si osservi che questo vale an- che per la
teologia. Ritorneremo su alcuni aspetti del pen- siero religioso di Pascal: ma
qui osserviamo che, mentre Galilei enumera esplicitamente tra le autorit
teologiche, accanto naturalmente alla Bibbia, anche le opinioni dei padri e dei
teologi autorevoli (cio ci che si chiama tra- dizione della Chiesa), Pascal
ricorda solo i libri sacri come se la
teologia stessa si riducesse a filologia biblica. Un punto che Pascal riprende
da Galilei quello della progressivit del
sapere scientifico. Anche per lui non si tratta di una progressivit del vero,
ma solo della progres- sivit della conoscenza di una natura di per s eterna e
immutabile: I segreti della natura sono nascosti: sebbene essa agi- sca sempre,
non sempre se ne scoprono gli effetti: il tem- po li rileva di epoca in epoca
e, sebbene essa sia in se stes- sa sempre uguale, non sempre ugualmente conosciuta . Anche qui rientrano i vecchi temi: per
esempio, che noi vediamo di pi degli antichi perch siamo pit in alto di loro ,
cio perch abbiamo ampliato lesperienza al di l della loro, partendo dalla loro.
E si ritrova anche lidea che i veri antichi siamo noi, con una tipica
reminiscenza baconiana: 1 2 Le prime conoscenze che gli Antichi ci hanno date
sono servite da scalini per salire alle nostre (p. 7). Si ricordi la vecchia
metafora dei na- ni sulle spalle di giganti. Quelli che chiamiamo antichi in
verit erano nuovi a tutto, e formavano propriamente linfanzia degli uomi- ni; e
siccome noi abbiamo aggiunto alle loro conoscenze le esperienze dei secoli che
li hanno seguiti, in noi che si pu
trovare quellantichit che onoriamo negli altri !. Ci sono per altri spunti pi
originali, e comunque an- che pi interessanti. Per esempio, Pascal paragona la
sto- ria dell'umanit alla vita di un uomo: lumanit intera come un uomo singolo, che passa dalla
fanciullezza alla maturit e lantichit la fanciullezza del genere uma- no. C' qui un
senso corale della cultura e della storia
le quali non sono opera di singoli, non si accentrano at- torno a
individui privilegiati, ma sono opera del genere umano: questo propriamente il protagonista della sto-
ria. uno spunto bruniano che viene
sviluppato in una visione molto nitida della storia della cultura: ma di una
storia della cultura vista senz'altro sotto langolo delle strutture pi tipiche
della cultura scientifica. Inoltre si chiarisce meglio il senso di questa
progressi- vit: essa dipende, vero,
dall'aumento di esperienze, ma implica anche un mutamento nelle teorie generali
e nei concetti. Ci perch le teorie sono generalizzazioni indut- tive, e quindi
soggette a cadere o a trasformarsi in segui- to al presentarsi di fatti
empirici nuovi. Finalmente c una critica fondamentalmente nuova al
tradizionalismo che tende a chiudere la cultura in unere- dit degli antichi. Un
tale atteggiamento, dice Pascal,
contrario alla natura razionale delluomo. Listinto, per esempio quello
degli insetti, conservatore, immobile:
una volta assestato, rimane immutabilmente quello che . Invece la ragione
umana progressiva; e questo perch la
natura, avendo per fine soltanto di mantenere gli ani- mali in un ordine di
limitata perfezione, ispira loro una tale scienza necessaria sempre uguale per
tema che essi vadano in deperimento, e non permette che lingrandisca- no per
tema che oltrepassino i limiti che essa ha loro pre- scritti. Non vale lo
stesso per luomo, prodotto solo per l'infinito
. LI 25.8 L’idea certamente rinascimentale tramite il Bovil- lo, risale a Pico della
Mirandola: gli animali hanno una loro definita natura, ed entro a questa una
loro limitata perfezione; ma luomo non ha una natura, indetermina- to e quindi indefinitamente, e
infinitamente, perfettibile. Per, se lidea
rinascimentale, luso che ne fa Pascal
affatto moderno: non riguarda la perfezione interiore rag- giungibile
dal singolo, ma lindefinita progressivit del genere umano progressivit che non si attua attraverso le
bumanae litterae, ma nel progresso scientifico. 2. Inunaltro scritto pascaliano
troviamo accenni po- lemici ad un aspetto della cultura classica, la Logica
ari- stotelica, che connettono Pascal a Cartesio. Come Carte- sio, anche Pascal
non si limita a criticare il principio del- lautorit degli antichi, ma colpisce
l anima stessa del- la cultura greca, latina e medievale: la sua logica, con-
trapponendole una nuova logica, ricavata dalle matema- tiche, in particolare
dalla geometria, assunta come mo- dello unico di discorso rigoroso. Cartesio
per non era giunto a ricavare dal modello matematico neppure i prin- cip di una
nuova logica: aveva formulate solo alcune re- gole di metodo relative allidea
di una matbesis universa- lis, la quale idea poi si risolta in pratica nella creazione della
geometria analitica cosa
importantissima, certo, ma pur sempre realizzazione molto limitata a paragone
del progetto originario. Pascal invece arriva a formulare alcune regole
logiche, e a vederne la problematica: sf che si pu affermare che solo con lui
comincia propriamente la Logica moderna. Qui per non ci interessa in
particolare questa Logica, bensi soltanto la polemica contro la sillogistica
aristote- lica, in quanto dottrina del metodo. Tale polemica con- tenuta nellArt de persuader. Lo scritto
comincia con uninteressante distinzione tra retorica e logica. Entrambe
rientrano nel medesimo ge- nus, larte di persuadere; ma si rivolgono a due
facol- t diverse, che sono le due vie dingresso delle convin- zioni:
lintelletto e la volont, lintelligenza e il cuore: La via pi naturale quella dellintelletto, giacch non si dovrebbe mai consentire se non alle
verit dimo- strate; ma la pi comune, sebbene contro la natura, quella della volont. Infatti tutti quanti
sono uomini so- no quasi sempre indotti a credere non dalla prova, ma dal
gradimento. Questa via bassa, indegna,
aliena, e quindi tutti la sconfessano ...!. Ora, queste due facolt hanno ognuna i suoi princi-
p e i primi motori delle sue azioni. Quelli dellintelletto sono verit naturali
note a tut- ti, come per esempio che il tutto
maggiore della parte, oltre parecchi assiomi che alcuni ammettono ed
altri no, ma che, una volta ammessi, sono, anche se falsi, altrettan- to
efficaci ad indurre la credenza quanto i pi veri. Quelli della volont sono
certi desideri naturali e co- muni a tutti gli uomini, come il desiderio di
essere felice che nessuno non pu non avere, oltre parecchi scopi par- ticolari
che ognuno persegue per raggiungerli e che, se hanno la forza di piacerci,
anche se sono in realt danno- si sono altrettanto forti per fare agire la
volont quanto se ne producessero la vera felicit . Corrispondentemente, ci sono due metodi di
persua- sione: quello della convinzione, che si dirige allintellet- to, e
quello del gradimento, che si dirige al cuore. Ov- viamente, il primo metodo
(come del resto risulta da quello che segue)
identico alla logica. Questa in
so- stanza larte che porta alla distinzione razionale tra vero e falso e che si
fonda sulla dimostrazione. E laltro me- todo, quello del gradimento? Pascal non
lo dice: ma evidentemente la retorica,
che si fonda sul sentimento del valore, e che costituisce verit non per
lintelletto, ma per il cuore, ossia, appunto, per il sentimento. Essa si affida
a qualcosa che non n fermo n universale:
I princip del piacere non sono fermi e stabili. Sono diversi in ogni uomo e
variabili in ogni singolo con tale differenza che nessun uomo differisce da
altri pit di quan- to differisca da se stesso in tempi diversi. Un uomo ha
piaceri diversi da una donna; ne hanno diversi un ricco e un povero; diversi sono un principe, un uomo
darmi, un commerciante, un borghese, un contadino, i vecchi, i gio- vani, i
sani, i malati; e i minimi accidenti li cambiano !. Ora, anche se Pascal non lo dice, chiaro che questo uno dei caratteri del discorso persuasivo di
tipo retorico: in quanto fondato su sentimenti e passioni, deve assume- re
premesse diverse a seconda della composizione del suo uditorio concreto, come
ha mostrato il Perelman. Invece il discorso razionale, logico, si affida
alluniversale umano della ragione e si presenta con i caratteri della
necessit. solo a questo tipo di
persuasione logica, razionale, che Pascal vuole dedicare il suo studio. Ma le
regole della logica egli le estrapoler dalle forme del discorso matema- tico,
perch questo, e questo solo, discorso
perfettamen- te razionale: Il metodo per
non errare desiderato da tutti. I logi-
ci fanno professione di condurre ad esso, ma ci arrivano soltanto i geometri,
e, fuori della loro scienza e di quelle che la imitano, non ci sono vere
dimostrazioni. Tutta lar- te ne
racchiusa nei precetti che abbiamo detti: essi soli bastano, essi soli
provano, tutte le altre regole sono inuti- li e nocive ?. Ecco dunque affermato non solo il
carattere assoluta- mente razionale della matematica in se stessa, ma anche la
capacit del discorso matematico di venire imitato, ossia di far da campione ad
ogni discorso razionale in ge- nere; e insieme viene negato il valore esemplare
e cano- nico della logica tradizionale. Poco prima infatti aveva detto: Mi
guarderei bene dal mettere in parallelo le regole della Logica [tradizionale]
con quelle dellaltra scienza [matematica], che insegna il vero metodo per
guidare la ragione. Ma al contrario sarei assai disposto ad escluder- nele, e
quasi definitivamente . E poco pi avanti
ribadisce il concetto che gi si trova p. 98. 2 Le regole per le definizioni,
gli assiomi e le dimostrazioni, trattate nelle pagine precedenti in Cartesio:
la Logica tradizionale contiene poche buone regole frammischiate con un mucchio
di inutili e di no- cive: Il difetto di
un ragionamento falso una malattia che
si guarisce con questi due rimedi '. Se n composto un altro con un'infinit di
erbe inutili in cui le buone si tro- vano frammischiate e restano senza
efficacia per la cattiva qualit del miscuglio
. Pesantezza e gonfiatura retorica, inutile complicazione, vuoto
verbalismo sono i vizi della Logica classica: di fron- te al barocchismo di
questa sta lestrema semplicit della logica matematica. Per scoprire tutti i sofismi e tutti gli
equivoci dei ra- gionamenti capziosi hanno inventato dei nomi barbari che
stupiscono chi li ode; e mentre non si possono sbrogliare tutte le involuzioni
di questo nodo cosi intricato se non tirando uno dei capi additato dai
geometri, ne hanno se- gnati molti altri strani tra cui quelli si trovano
compresi, senza sapere bene quale sia quello buono . Non ho quindi nessun dubbio che queste
regole, es- sendo le vere, non debbano essere semplici, spontanee, na-
turali come sono. Non sono barbara e
baralipton che for- mano il ragionamento. Non bisogna agghindare la mente: i
modi sostenuti e penosi la riempiono di sciocca presun- zione con unelevazione
che le estranea ed una gonfia- tura vana
e ridicola al posto di un nutrimento solido e vi- goroso . Contro il barocchismo del tardo umanesimo
sta, cate- goria squisitamente moderna, lidea della semplicit. Sem- plicit
della natura, che significa universalit umana, con- tro le involuzioni del
genio. Le seguenti parole possono venire assunte come limpresa del pensiero
scientifico mo- derno contro lumanistica civilt retorica: Nulla
pi comune delle cose buone:
questione sol- tanto di saperle discernere; ed certo che sono tutte na- | Le due regole
essenziali della logica pascaliana: definire tutti i no- mi che si impongono;
provare tutto, sostituendo mentalmente le definizio- NI al posti dei definiti.
2 p. 106. PD. 107. turali e alla nostra
portata, ed anzi conosciute da tutti. Per non si sanno distinguere. Questa una cosa genera- le. Ma non nelle cose straordinarie e stravaganti che si
trova uneccellenza di qualsiasi genere; per arrivarci ci si innalza, e invece
ci si allontana da essa: il pi delle volte bisogna abbassarsi. I migliori libri
sono quelli che i lettori credono che avrebbero potuto scrivere anche loro. La
na- tura, che sola buona, affatto familiare e ordinaria '. 3. Laspetto del pensiero pascaliano che sembra,
in un certo senso, pi vicino alleredit di Montaigne il pen- siero religioso. Anche per Pascal,
infatti, la via della fede passa per lo scetticismo. E Montaigne fu un autore
sul quale continu a meditare per tutta la sua vita. Ma pure, nonostante
lindubbia influenza esercitata dagli Essays su Pascal, nonostante le non poche
analogie di superficie, vi una
profondissima diversit di pensiero: e dalla profon- dit di questa differenza si
pu, in un certo senso, misu- rare l'abisso che separa il pensatore moderno,
formato al. la scuola della nuova scienza, dal tardo umanista di mez- zo secolo
prima. C un famoso Colloquio di Pascal con De Saci, che fu redatto da Fontaine,
segretario di De Sa- ci e pubblicato dopo la morte di Pascal; tuttavia leviden-
za interna non lascia dubbi circa lautenticit del resocon- to, tanto che
si persino pensato che Fontaine
utilizzasse appunti fornitigli dallo stesso Pascal (appunti di cui re- sterebbe
traccia in alcune Penses). In questo Colloquio Pascal, non ancora permeato dello
spirito di Port-Royal, ancora sotto linfluenza dei suoi stu- di scientifici e
delle sue meditazioni filosofiche, esalta il pensiero di due autori: lo stoico
Epitteto e lo scettico Montaigne, ripetendo in succinto le ragioni scettiche di
questultimo, e lodandone (entro certi limiti, per la pre- senza di De Saci,
tutt'altro che entusiasta) anche il fidei- smo scettico. Ma questultimo non , o
per lo meno non simpliciter; la
conclusione di Pascal. Stoicismo e scettici- smo sono i due poli tra cui
oscilla la ragione umana fuori della fede cristiana la grandeur e la misre delluomo, ! p. 106. oscillante
tra un irraggiungibile ideale di perfezione e la disperazione circa le sue
capacit effettive. Lo scetticismo rappresenta la coscienza della zzisre. Ma
questa situazio- ne non definitiva: il
Cristianesimo, con i dogmi della creazione, della caduta e della redenzione,
insegna alluo- mo e l'origine della grandeur e lorigine della mzisre, e la via
della grazia in cui si supera, in Dio, questa dialettica inerente alla
situazione umana. Non si tratta dunque di tenersi la fede dei padri perch,
tanto, la ragione non in grado di
fornirci una verit migliore: bensi di aderire al messaggio biblico perch lunico che spieghi questa cosa inesplicabile,
lo scacco della ragione. Non c' affatto il senso di tenersi aderenti al
concreto di una tradizione sto- rica in quanto tale (e al cristianesimo perch
per avventu- ra tale tradizione), ma
quello di una scelta assoluta di fronte ad uno scacco delle facolt umane che
non di ora o di ieri, ma intrinseco alla condizione umana di sempre
(per lo meno dopo la caduta) e contrario alla natura uma- na di sempre. Di
fatto, per quanto riguarda la scienza Pascal non veramente scettico. Nei suoi limiti umani,
accontentando- si di certezze relative ed evidenze naturali, la scienza va- lida: cessa di essere tale se commisurata
allideale di una scienza assoluta, assolutamente razionale, dove ogni no- zione
fosse definita e ogni principio dimostrato
il che a noi, nellattuale condizione umana, non possibile. Se nel pensiero di Pascal ci sono
residui rinascimentali, non sono di tipo montaigniano: piuttosto che allautore
degli Essays ci viene fatto qui di pensare a Cusano e a Galilei. 4. Un cenno
meritano le Provinciali, contenenti la fa- mosa polemica contro la morale dei
casuisti. In questa morale in gran parte gesuitica era penetrato lo spirito u-
manistico, nel senso preciso di unattenuazione della logi- ca del giudizio del
confessore a favore di un approfondi- mento della situazione psicologica del
peccatore, della considerazione delle circostanze concrete del peccato, ecc. Non solo: ma essi avevano, con il nome di
probabilit, introdotto nella teologia morale il criterio umanistico del
consensus: il parere della maggior parte dei teologi, o di teologi molto
autorevoli, diveniva norma, per cos dire giurisprudenziale, per il confessore.
Pascal si ribella sde- gnato contro questa mentalit, alla quale attribuisce le
enormit e il lassismo cui erano giunti questi teologi mo- rali. Abbiamo gi
visto come nella Prefazione al Trait du Vide la teologia divenisse una specie
di filologia bibli- ca, senza riguardo alla tradizione della Chiesa e alle opi-
nioni dei teologi. Qui c la medesima posizione: c nel- la Bibbia una legge, e
questa va applicata alla lettera. Non valgono qui n lapprofondimento
psicologico e circostan- ziale del caso concreto, n il consensus e l'autorit:
vale sempre, e solo, la lettera del libro sacro. La distanza dalla mentalit
umanistica immensa. VI. 1. Da Bacone a
Descartes trasse in parte origine quel- la famosa querelle des anciens et des
modernes, che fu tanto caratteristica degli ambienti colti della Francia del
Seicento, ma ebbe una vasta eco anche fuori della Francia e si protrasse nel
tempo molto oltre il Seicento. Questa querelle fu soprattutto un fatto
letterario e una disputa tra letterati: per trasse dai filosofi alcune delle
sue non molte ragioni profonde e vitali. In se stessa per lo pi frivola: vista per come fenomeno
complessivo pu avere un interesse maggiore di quanto non ne abbia se vista nei
particolari: infatti in essa si avverte lo sforzo, da parte di un forte gruppo
di scrittori moderni, di affer- mare i valori del mondo moderno contro il
persistere del- ladorazione per i classici; di negare, comunque se ne giu- dichino
poi autori e prodotti particolari, il carattere esem- plare della civilt
antica. Alcuni storici della querelle, come il Rigault, hanno vi- sto in essa
la lotta tra due princip di cui
intessuta la nostra civilt: la tradizione e il progresso. Due mentalit si dividono il mondo, la
mentalit an- tica e la mentalit nuova, tutte e due legittime, perch
corrispondono a due bisogni reali dell'umanit, la tradi- zione e il progresso. La
tradizione non la si rispetta sempre, ma non si dubita della sua
esistenza; un insieme di idee ammesse e
di fatti compiuti, e non si pu negare n il passato n la storia. Del progresso
si contesta spesso la realt, lo si considera come un sogno, perch insieme un giudizio sul passato, discutibile
come tutti i giudizi, e una speranza per lavvenire, che l'avvenire pu deludere,
co- me tutte le speranze. Ma il progresso non
un sogno, ma una verit |. Di qui
limportanza della querelle, nonostante i suoi moltissimi aspetti frivoli: Di
fatto la disputa degli antichi e dei moderni non una frivola questione di precedenza. Al fondo
del dibat- tito c'era unidea filosofica, una delle pi grandi che pos- sano
essere state proposte alla mente umana, poich inte- ressa la dignit della sua
natura: lidea del progresso in- tellettuale dellumanit. Cera unidea letteraria
correlati- va, lidea dellindipendenza del gusto e dellemancipazio- ne dello
spirito moderno, liberato dallimitazione degli an- tichi . Dunque: il partito degli antichi il partito della tra- dizione, il partito dei
moderni il partito del progres- so. Ma
seguendo il dibattito nella sua lunga, complicata e, il pi delle volte, noiosa
storia, emerge, seppure sporadi- camente, anche un altro fatto: lidea che la
civilt moder- na soprattutto una civilt
delle scienze, e, in un certo de- terminato modo (che del resto abbiamo visto
affiorare in Balzac e in Descartes e si ritrova in Pascal), questa idea
determina anche una concezione delle arti, delleloquen- za, della poesia, che
rende arcaica e retorica larte antica nei confronti della moderna. 2. A quanto
pare, la querelle nacque in Italia a pro- posito di una disputa pro e contro la
Gerusalemme Li- berata. Fu Alessandro Tassoni che nei Pensieri diversi (1620)
inseri un Paragone degli ingegni antichi e mo-
Histoire de la querelle des anciens et des modernes, in CEuvres com-
pltes de H. Rigault, t. I (1859), pp. 1-2. PP. xxx sg. Per limportanza della querelle
nellaffermazione mo- derna dell'idea di progresso cfr. anche BurY, Storia
dellidea di progresso Cit., capp. IVe v. 130 RETORICA E LOGICA derni. Il suo
libro fu tradotto in francese e i motivi del Tassoni furono ripresi, in seno
allAcadmie frangaise di recente fondazione, da un poeta, il Boisrobert, che nel
1635 tenne un discorso che suscit molto scandalo, poi- ch, tra laltro, vi
veniva attaccato Omero. Ma la campagna contro il culto dei classici venne
ripre- sa con maggiore violenza e in modo pi sistematico da Desmarets de
Saint-Sorlin, il quale nelle Dlices de les- prit (1658), nel Discours prliminaire
au pome de Clovis (1673), ma soprattutto nel Trait pour juger des potes grecs,
latins et frangais (1670), attizz la disputa. Nel suo odio per gli antichi e
per i loro ammiratori Desmarets mosso
soprattutto da fanatismo cristiano. Ci che egli soprattutto condanna il paganesimo dei poe- ti antichi, a cui
contrappone lideale moderno di una letteratura cristiana, (di cui diede egli
stesso dei pessimi esempi con i poemi Marie Magdeleine e Clovis). Ma ac- canto
a questo motivo cristiano si ritrovano i temi che ab- biamo gi visto in Bacone
e in Descartes: che i veri anti- chi siamo noi, e che, mentre la natura costantemente la stessa, i prodotti umani
sono storicamente progressivi: Sebbene
lantichit sia venerabile per aver dissodate le menti come ha fatto della terra,
essa non cos felice, n cosi dotta, n
cosi splendida come i tempi moderni, che sono veramente la vecchiaia consumata,
la maturit, e quasi l'autunno del mondo, avendo i frutti, le ricchezze e le
spoglie di tutti i secoli passati, e la possibilit di giu- dicare e trarre
profitto di tutte le invenzioni, di tutte le esperienze e di tutti gli errori
degli altri; mentre invece lantichit non
che la giovinezza e rozzezza del tempo, e quasi la primavera dei secoli,
la quale ha solo un po di fiori. E chi vorrebbe confrontare la primavera del
mondo con il nostro autunno? Sarebbe come voler confrontare le prime case degli
uomini con i sontuosi palazzi dei no- stri re . La natura produce in ogni tempo
opere perfette: in ogni epoca ci sono stati dei bei corpi, dei begli alberi,
dei bei fiori. I mari, i fiumi, il sorgere e il tramontare degli astri sono
stati ugualmente belli dalla creazione in poi; ma non lo stesso per le opere degli uomini: queste
hanno cominciato con lessere imperfette, e si sono perfezio- nate a poco a
poco. Le opere di Dio sono state perfette dal momento della creazione, mentre
per l'invenzione gli uomini si correggono gli uni sugli altri, e gli ultimi
sono i pi fortunati, i meglio istruiti e i pi perfetti, secondo il genio che
Dio d loro !. 3. Da allora lAcadmie frangaise (e con essa un vasto pubblico di
persone colte) si divider in due partiti: gli anciens e i modernes due tipi di gusto letterario, ma anche due
modi di concepire la funzione delle lettere nella cultura, due mentalit in
conflitto. Il partito degli anciens vanta nomi illustri: Boileau (che fu a
lungo il pi autorevole del gruppo), Racine, La Fontaine, La Bruyre.
Ciononostante i mzodernes sono i pi forti: hanno un or- gano di stampa (il Mercure Galant ) e il vasto pubblico con loro. In questo gruppo emergono le figure
dei fra- telli Perrault e di Fontenelle. Pierre Perrault tradusse in francese
la Secchia Rapita; nella premessa a questa traduzione (1678) riprendeva la polemica
modernistica, in deliberato contrasto con Boi- leau. Ma fu soprattutto Charles
Perrault che scaten di nuo- vo la battaglia, con un famoso Pome sur le sicle de
Louis le Grand, letto in una solenne seduta dell'Acadmie fran- gaise nel 1687.
In questo poema, dove loccasione corti- giana fa scudo alla polemica contro
Boileau, egli esalta le scoperte scientifiche dell'et moderna e le migliori
cono- scenze sulla natura possedute dai moderni. Ch Ch. Per- rault, pur essendo
un letterato, un deciso fautore della
scienza: tra laltro, per linfluenza che aveva su Colbert, contribui
notevolmente alla fondazione dell Acadmie des Sciences. Per questo egli batte
laccento soprattutto sulla superiorit scientifica della civilt moderna rispetto
al- l'antica. Ma nel suo poema non si ferm l: os anche parlare male di Omero.
Gli accademici lo ascoltarono in silenzio, e alla fine lo applaudirono: ma
Boileau ne fu vio- ! Cit. in CEwvres compltes de H. Rigault cit., pp. 112-13. lentemente
urtato e violentemente protest. E cosi si rin- focol la polemica. Perrault torn
presto sull'argomento, nei Parallles des anciens et des modernes del 1688.
Questo lo scritto pi filosoficamente
elaborato se pur si pu parlare di filo-
sofia in questo autore, che usa per la sua polemica tutti gli oramai molti loci
che la cultura del tempo gli offriva. Metter qui in rilievo soltanto alcuni
aspetti che sembra- no di maggiore importanza filosofica. Lidea fondamentale di
Perrault, da cui ne dipendono molte altre nel saggio in questione, questa: che non bi- sogna giudicare lartefice
ma lopera. Non si sottolineer mai abbastanza questo pensiero, che tanto
differenzia la mentalit scientifica dalla mentalit umanistica. Per que-
stultima, tutta rivolta com alla soggettivit empirica, all'uomo come concreto
psicologico, prima dellopera sta luomo che la produce, il genio. E il grande
argomen- to dei sostenitori dellantichit classica, allora (come del resto
ancora oggi), era la grandezza dei grandi geni delle- t antica, dopo dei quali
non ci sarebbe stata, in generale, che una lunga decadenza. Come abbiamo gi
visto, in gene- rale nessuno dei moderni discute la grandezza dei clas- sici
antichi qualche dubbio affiora soltanto
negli scrit- ti giovanili di Bacone. Ma il problema non riguarda il me- rito
soggettivo, bensi il valore oggettivo del lavoro cultu- rale prodotto. A questo
proposito Perrault enuncia la teo- ria che abbiamo gi visto in Desmarets: la
natura im- mutabile, produce sempre con
la medesima perfezione, non decade. Perci, coeteris paribus, in ogni epoca si
deve ritrovare il medesimo numero di uomini di ingegno e di uomini dotati. Ma i
prodotti dello spirito umano crescono e si perfezionano gli uni sugli altri.
Non si tratta, quindi, di paragonare gli ingegni antichi e moderni, ma i
prodotti dello spirito: e i moderni sono necessariamen- te migliori. A questo
proposito Perrault assume anche un secondo punto di vista, pure molto
interessante: non tanto l in- venzione
che conta, quanto il perfezionamento dellin- venzione. Ovviamente, gli antichi
hanno inventato tutto, dal momento che prima di loro non cera niente: ma i
moderni hanno introdotto quei perfezionamenti che sono quelli che conferiscono
un valore alle loro invenzioni. In altri termini: possiamo ammirare quanto
vogliamo gli an- tichi per avere creato una civilt; ma giudicata obietti-
vamente la loro una civilt rozza,
arcaica, giovanile. Anche qui, i veri antichi siamo noi, se per antichi si
intende pi esperti e pi civili. E anche qui ritorna, ac- canto al senso
obiettivo, il senso corale, universale, della civilt, con quella medesima idea
che abbiamo gi visto in Pascal: il progresso
un progredire della mente uma- na, simile al passaggio dallinfanzia alla
maturit, come di una mente sola. Quindi
lumanit, il tempo, che
protagonista del progresso storico della civilt, non que- sto o
quelluomo. Tutti questi argomenti, sebbene usciti dalla penna di un letterato,
sono evidentemente ispirati da una menta- lit antiumanistica e antiletteraria.
E questa mentalit pe- netra anche nellestetica di Perrault (se pure non trop- po parlare qui di una estetica). Egli
distingue tra bel- lezze esterne e assolute e bellezze relative e particolari:
le prime, appunto, eterne e obiettive, le seconde invece contingenti, legate al
gusto, alla moda, ecc. Naturali le prime
artificiali le seconde. Perrault non definisce la bellezza eterna e obiettiva,
non dice che cosa sia, in che cosa consista: la indica arte per arte. Per
esempio: In architettura, le bellezze naturali e positive che piacciono sempre,
consistono per gli edifici nellessere al- ti e di grande estensione, nellessere
costruiti con pietre ben levigate, bene unite, le cui saldature siano pressoch
impercettibili; che ci che deve essere perpendicolare lo sia perfettamente, e
cos ci che deve essere orizzontale, che il forte porti il debole, che le figure
quadrate siano ben quadrate, le rotonde ben rotonde, e che il tutto sia
disegnato con propriet, con linee molto vive e molto ni- tide !. Tutto sommato, un ideale alquanto
razionalista, geo- metrizzante. Carattere razionalistico che appare ancora pi
ovvio in quello che Perrault dice delleloquenza
e ! Parallles, t. II, p.
45 (Euvres compltes de H. Rigault cit., p. 199). che ricorda tanto da vicino Descartes e Pascal.
Nellelo- quenza le bellezze assolute ed eterne sono date dal ragio- nare in
modo giusto e coerente, provare ci che si affer- ma, confutare le obiezioni
mediante ragioni solide e con- vincenti; mentre lo stile, gli ornamenti, la
grazia, labbon- danza o la concisione, ecc., tutto ci affatto arbitrario e varia secondo lumore
degli uditori, il gusto e la moda del secolo '. Osserva giustamente il Rigault
che Perrault mette nel novero delle
bellezze eterne delleloquenza le ragioni solide e convincenti, le deduzioni
esatte e conse- guenti, il concatenamento regolare delle idee in una pa- rola, tutto ci che riguarda il
vero; e relega tra le bellez- ze accidentali tutto ci che riguarda il bello . E
forse anche vero. Ma leloquenza arte della parola, discor- so: Perrault vi porta le esigenze di
una civilt scientifi- ca, tende ad imporre i valori fondamentali di questa e questi valori fondamentali portano pi sul
vero che sul bello, pi sulla obiettiva universalit del primo che sul- la
emozionale variabilit del secondo. 4. Accanto a Charles Perrault dobbiamo
ricordare Fontenelle, la cui opera si intreccia (anche cronologica- mente) con
quella dell'amico, e contiene circa gli stessi temi, le stesse motivazioni. Ma
Fontenelle, oltre ad essere pi filosofo,
anche pi decisamente portato verso laffermazione di una civilt delle
scienze. Non per nulla fu lautore di due opere assai lodate al suo tempo,
lHistoire de lAcadmie des Scien- ces (della quale fu segretario dal 1697 al 1740)
e la Go- mtrie de lInfini, un trattato citato con onore da dAlem- bert. Cos
pure ebbero molta risonanza i notissimi Entre- tiens sur la pluralit des
mondes, i quali, sebbene scrit- ti in forma divulgativa, mostrano un grande
interesse e unottima informazione nella scienza del secolo. Perci non c da
stupirsi se nelle Rflexions sur la potique et sur la posie en gnral (1678)
Fontenelle giunga ad una concezione della poesia che risente fortemente della
men- : Parallles, t. III, p. 49 (CEuvres compltes de H. Rigault cit., p. 192).
p. 202. : talit scientifica, ispirata ai
valori dominanti di una civil- t delle scienze, s da risolvere il valore della
poesia in funzioni pragmatiche o in funzioni conoscitive, e conce- pire quindi
la poesia stessa su di un piano eteronomico. Fontenelle fa nascere la poesia da
due cause: la neces- sit di scolpire le leggi nella memoria degli uomini pri-
ma dellinvenzione della scrittura; e limitazione del can- to degli uccelli. Uno
scopo pragmatico, quindi, e uno sco- po estetico: ma il momento estetico si
esaurisce per lui in questa musicalit, che rimane in fondo una qualit e-
strinseca alla poesia stessa, dipendente pi dal verso che dal contenuto. Quanto
a questultimo, molto interessante quello
che egli dice circa luso pratico delle immagini. Tra queste pe- r hanno valore
soltanto le images spirituelles, ossia quelle immagini che mostrano in modi
nuovi delle re- lazioni obiettive tra idee, come, per esempio, chiamare gli
adulatori idolatri tiranni dei re o il dire che il delitto perseguito dal rimorso incorruttibile. Ma pi
in al- to ancora di queste immagini intellettuali, in un genere superiore (e
massimo) di poesia Fontenelle pone imma- gini ancora pi intellettuali, immagini
metafisiche relati- ve all'ordine generale delluniverso, allo spazio, al tempo.
Qui la poesia diviene filosofia, metafisica, scienza. Vari sono gli scritti di
Fontenelle sulla querelle. Ne ri- corderemo due, i pi importanti. Uno alquanto
giovanile, i Dialogues des Morts (1683), dove, ad imitazione di Lu- ciano,
immagina che morti recenti si incontrino nellOl- tretomba con morti antichi e
discutano dei costumi, del- le idee, ecc.
Particolarmente interessante il
dialogo (III) tra Socrate e Montaigne
dove, naturalmente, Mon- taigne
il sostenitore degli antichi e Socrate il portavo- ce di Fontenelle.
Socrate si meraviglia nel sentire da Mon- taigne che il mondo non migliorato nei secoli venuti do- po la sua
morte, ma anzi peggiorato, degenerato
(uni- dea assai diffusa tra i sostenitori degli antichi); per iro- nizza
sulladorazione che lumanista manifesta per lan- tichit, e ad un dato momento
osserva: | Fate attenzione ad una cosa. Lantichit un oggetto di una specie particolare; la
lontananza lingrandisce. Se 136 aveste conosciuto Aristide, Focione, Pericle e
me (visto che volete mettermi nel novero) avreste trovato nel vo- stro secolo
persone che ci somigliavano. Ci che fa s che di solito si sia cosi ben disposti
verso lantichit, che si in collera contro il proprio secolo e lantichit se ne avvantaggia. Si collocano
gli antichi molto in alto per ab- bassare i propri contemporanei. Quando
vivevamo noi, stimavamo i nostri antenati pi di quanto non meritasse- ro; ed
ora, la nostra posterit ci stima pi di quanto non meritiamo: ma e i nostri
antenati e noi, e i nostri poste- ri, tutto
affatto uguale: credo che lo spettacolo del mon- do sarebbe assai noioso
per chi lo considerasse da un cer- to punto di vista, perch sempre la medesima cosa . Sarebbe interessante sviluppare e
verificare lannotazio- ne psicologica che questo passo contiene. Nel gusto
anti- quario e umanistico, come in genere nel tradizionalismo, si cela spesso
un certo disadattamento nei riguardi della societ in cui si vive, nei riguardi
del proprio tempo; e di conseguenza un disappunto per lesaltazione di contem-
poranei, dei quali non si sentono i valori. Ma forse, pi che un desiderio di
avvilire (o non riconoscere) i valori contemporanei, si cela un desiderio di
evasione. Comun- que, sono cose che
difficile decidere (e certo andrebbe- ro considerate caso per caso e
generalizzate solo statisti- camente) n
qui il luogo per farlo. Piuttosto, va
fatta unaltra osservazione. Anche Fon- tenelle, nei Dialoghi, esalta il
progresso scientifico e scor- ge in esso la specifica superiorit dei moderni.
Tuttavia non si tratta di un progresso morale, n di una sostanzia- le
modificazione della situazione umana nel mondo. Nel dialogo tra Socrate e
Montaigne, Socrate, come abbiamo visto, disillude Montaigne: gli uomini antichi
non erano migliori dei moderni; la natura umana
sempre uguale. Ci sono secoli dotti e secoli ignoranti, secoli rozzi e
seco- li raffinati, eccetera, ma non ci sono secoli pi virtuosi e secoli pi
malvagi. Gli abiti mutano: ma ci non
signi- fica che cambi pure la figura dei corpi. La cortesia o la grossolanit,
la scienza o lignoranza, una maggiore o mi- * FONTENELLE, Dialogues des Morts
anciens avec des modernes, in Eu- vres, Paris 1823, vol. III, pp. 424-25. nore
rozzezza, il temperamento serio o leggero, non sono che lesteriore delluomo, e
tutto ci muta: ma il cuore non cambia, e tutto luomo nel cuore. In un secolo si ignoranti, ma pu venire la moda desser dotti:
si inte- ressati, ma la moda di esser
disinteressati non verr. Sul numero enorme di uomini alquanto irragionevoli che
na- scono in cento anni, la natura ne ha forse due o tre doz- zine di
ragionevoli, che deve distribuire su tutta la terra; e capita bene che non se
ne trovano mai da nessuna parte in quantit sufficiente per stabilirvi una moda
di virt e dirittura . Nel dialogo (il V)
tra Erisistrato e Harvey, Erisistra- to ammira la recente scoperta della
circolazione del san- gue, ma dubita che tali nuove scoperte portino ad un
reale progresso nella medicina: Ammetto
che i moderni sono migliori fisici di noi; conoscono meglio la natura ma non sono medici migliori: noi guarivamo i
malati altret- tanto bene quanto li guariscono loro . La prova
che la gente continua a morire. Harvey per profetizza che quando le
ancora recentissime scoperte della nuova ana- tomia e fisiologia saranno
approfondite e diffuse, la me- dicina migliorer: Forse non si
avuto ancora il tempo di trarre qualche utilit da tutto ci che si imparato da poco; ma impossibile che col tempo non se ne vedano
grandi effetti . Altrimenti sarebbe
strano che conoscen- do meglio luomo non lo si guarisse meglio. Se no, per- ch
ci si divertirebbe a perfezionare la scienza del corpo umano? Tanto varrebbe
piantare l tutto . Ma Erisistra- to risponde: Ci si perderebbero delle
conoscenze mol- to piacevoli: ma, per quanto riguarda lutilit, credo che
scoprire un nuovo condotto nel corpo delluomo o una nuova stella nel cielo sia
proprio la medesima cosa. La na- tura vuole che entro determinati tempi gli
uomini si suc- cedano gli uni agli altri per mezzo della morte; permes- so loro di difendersi da questa fino
a un certo punto ma al di l di questo,
si avr un bel fare nuove scoperte nel- l'anatomia, si avr un bel penetrare
sempre pi nei segre- i PP. 425-26. P. 433. ti della struttura del corpo umano, ma non si
inganner la natura: si morir come sempre
!. Si noti l'osservazione: ci si perderebbero delle cono- scenze molto
piacevoli. Montaigne aveva duramente cri- ticata la medicina per la sua
inefficacia; Cartesio lamen- tava che la scienza non avesse portato
miglioramenti nel- larte medica, e si aspettava anche questo dalla sua ri-
forma del sapere e dalle sue stesse ricerche fisialogiche; Fontenelle pure
spera in un miglioramento dellarte me- dica
ma comunque la scienza ha un valore in se stessa; un valore che molto
rozzamente Fontenelle esprime in ter- mini estetico-edonistici. Ma pure in
questa maniera al- quanto semplicistica ed elementare, Fontenelle stacca la
questione del valore della scienza da quella delle applica- zioni tecniche di
essa, e proprio in questo si oppone alla mentalit umanistica, che abbassava il
sapere scientifico al ruolo di tecnologia, ad utilit eteronoma; ed afferma che,
anche se i costumi non migliorano, anche se le tecniche non se ne avvantaggiano,
la nuova scienza ha un valore in se stessa. 5. Idee pi mature, anche se
apparentemente meno originali, si trovano nella Digression sur les anciens et
les modernes, uscita nel medesimo anno (1688) in cui usci- rono i Parallles di
Perrault. notevole il fatto che
Fontenelle dichiara di affrontare la questione da un punto di vista scientifico
anzich acca- demico-retorico: Se avessi impiegato grandi giri di eloquenza,
avessi opposto dei fatti storici che tornano ad onore dei moderni ad altri
fatti storici che tornano ad onore degli antichi, e dei passi favorevoli agli
uni a passi favorevoli agli altri, se avessi trattato da eruditi testardi
quelli che ci trattano da ignoranti e spiriti superficiali, e seguendo le leggi
stabili- te tra i letterati avessi reso esattamente ingiuria per ingiu- ria ai
partigiani dellantichit, forse si sarebbero maggior- mente gustate le mie
prove. Ma mi parso che prendere la cosa
in quel modo fosse per non finire mai, e che dopo 1 p. 435. molte belle declamazioni da una parte e
dallaltra si rimar- rebbe stupiti di non aver fatto un passo innanzi. Ho cre-
duto che la via pi breve fosse di consultare su tutto quanto la fisica, che ha
il segreto di abbreviare molte con- troversie che la retorica rende
infinite . Il tema fondamentale quello che abbiamo gi visto: la natura non
muta, e cos non muta la natura umana: Se
la si comprende bene, tutta la questione di premi- nenza tra gli antichi e i
moderni si riduce a sapere se gli alberi che erano in altri tempi nelle nostre
campagne fos- sero pi grandi di quelli di oggi. Nel caso che lo siano sta- ti,
Omero, Platone, Demostene non possono venire ugua- gliati in questi ultimi
secoli; ma se i nostri alberi sono al- trettanto grandi quanto quelli di altri
tempi, possiamo u- guagliare Omero, Platone e Demostene . . . Gli ammirato- ri
degli antichi ci facciano un po dattenzione: quando ci dicono che quelle
persone sono le fonti del buon gusto e della ragione e i lumi destinati ad
illuminare tutti gli altri uomini, e che non si
intelligenti che nella misura che le si ammirano, che la natura si esaurita producendo quei grandi originali, in
verit li fanno di una specie diversa dalla nostra, e la fisica non daccordo con tutte queste belle frasi. La
natura ha fra le mani una certa pasta che
sempre la stessa, che essa gira e rigira in mille modi, e di cui forma
gli uomini, gli animali, le piante; e certamente non ha formato Platone,
Demostene e Omero con unar- gilla pi fine e meglio elaborata di quella dei nostri
filoso- fi, oratori e poeti di oggi .
Ecco dunque risolta la grande questione degli antichi e dei moderni! I secoli
non introducono alcuna differenza naturale tra gli uomini; il clima della
Grecia e dellItalia e quello della Francia sono troppo vicini per introdurre
qualche differenza sensibile tra i greci o i latini e noi: e se pure ve ne
introducessero qualcuna, sarebbe molto facile can- cellarla. Eccoci dunque tutti
perfettamente uguali greci, : ) Sa ; ;
FONTENELLE, Entretiens sur la pluralit des mondes. Digression sur ee pai et les
modernes, a cura di R. Shackleton, Oxford 1955, pp. 103-604. ? p. 161. 140 RETORICA E LOGICA latini e francesi '. E tuttavia noi moderni siamo superio- ri
agli antichi, perch abbiamo una notevole somma di co- noscenze che gli antichi
non avevano; e, inoltre, le nostre idee sono pi vere, perch quelli che ci hanno
preceduto hanno scontato molte idee false, e quindi noi siamo im- muni da molti
errori da cui il passato non era immune:
Dobbiamo essere grati agli antichi di aver esaurito per noi la maggior
parte delle idee false che si potevano ave- re; era assolutamente necessario
pagare allignoranza e al- lerrore il tributo che hanno pagato . . . Cos,
essendo illu- minati dalle idee degli antichi, ed anche dai loro errori,
non strano se li sorpassiamo . Ci vale indubbiamente per le scienze:
avendo bisogno di molte esperienze e dell'aiuto del ragionamento che si
perfeziona a poco a poco, hanno bisogno di molto tempo per perfezionarsi. Forse
non vale per la poesia e leloquen- za che richiedono molte meno idee:
Leloquenza e la poesia non richiedono che un certo numero di idee abba- stanza
limitate, e dipendono principalmente dalla vivacit dellimmaginazione; ora, gli
uomini possono aver accu- mulato in pochi secoli un piccolo numero di idee, e
la vi- vacit dellimmaginazione non richiede una lunga serie di esperienze, n
una grande quantit di regole per aver tut- ta la perfezione di cui capace. Ma la fisica, la medicina, le
matematiche, sono composte di un numero infinito di idee, e dipendono dalla
correttezza del ragionamento, il quale si perfeziona con estrema lentezza;
occorre anche che spesso siano aiutate da esperienze che solo il caso fa
nascere e non arrivano al momento giusto in cui occorro- no. evidente che tutto ci senza fine, e gli ultimi fisici o matematici
dovranno naturalmente essere i pi bravi
. Quindi: Per quanto riguarda
leloquenza e la poesia, che co- stituiscono l'oggetto della disputa principale
tra antichi e moderni, sebbene non siano in se stesse molto importan- ti, credo
che gli antichi abbiano potuto raggiungere la per- fezione, poich, come ho
detto, la si pu raggiungere in pochi secoli
non so precisamente quanti ne occorra- no . Ora, si noti un punto di
grande importanza. Nel mo- mento in cui Fontenelle vi interviene, la
querelle preva- lentemente letteraria,
riguarda soprattutto la poesia e le- loquenza
ricordiamo che, almeno come pretesto, si
scatenata nellAcadmie frangaise in seguito alla denigra- zione di Omero
da parte dei modernes. Ma Fontenelle la riporta alle origini ideali sostiene cio la superiorit dei moderni
soprattutto per la loro superiorit scientifica, e ci perch, per lui, eloquenza
e poesia in se stesse non sono molto importanti. Dunque, non sostiene
decisamen- te la superiorit dei letterati moderni rispetto ai modelli
greci ma in che cosa dunque sostiene
cosi genericamen- te la superiorit dei moderni?
/a superiorit della civil- t moderna, quella che egli sostiene la superiorit di una civilt che ha la sua
espressione massima nelle scien- ze matematiche e naturali e ha come valori
prevalenti i valori tipici di una mentalit scientifica. Alla luce di questa
interpretazione si possono forse me- glio intendere l pagine tortuose che
chiudono la Digres- sion. Fontenelle ha ammesso che nelle arti letterarie gli
antichi abbiano potuto raggiungere la perfezione: quindi non si potr superarli si potr uguagliarli, per, per le
considerazioni fondamentali enunciate allinizio. Poi in- troduce considerazioni
rivolte a rendere relative le nozio- ni di antico e moderno: ci che ora antico (per e- sempio, le lettere latine) un
tempo stato moderno (ri- spetto ai
classici greci, che gi per gli scrittori latini era- no degli antichi); e ci
che ora moderno un gior- no sar antico.
La prospettiva storica che ora appiatti- sce la distanza tra greci e latini, un
giorno appiattir la di- stanza tra questi e gli attuali moderni: e tolta questa
di- stanza storica, tolta la passione che ora
in gioco, un medesimo criterio giudicher tutti insieme. Per cui giu- sto che noi cominciamo gi da ora a
trattare gli antichi co- me dei moderni, senza idolatrie e ingiuste indulgenze
a lo- ro riguardo. Ora, in tutte le scienze e in tutte le arti noi ! p. 167. abbiamo una tecnica molto pi raffinata, regole
pi preci- se e pi severe; gli antichi, pi liberi, avevano in un certo senso un
gioco pi facile, anche se, in compenso, erano meno sorretti dalle regole
tecniche e dalle conoscenze. In fondo, Fontenelle propende per la letteratura
moderna, pi regolare pi razionale. Dice,
per esempio: A poco a poco si venne a
riconoscere il ridicolo delle licenze che si accordavano ai poeti. Esse quindi
vennero tolte loro luna dopo laltra, e al punto in cui siamo, i poe- ti spogliati
dei loro antichi privilegi sono ridotti a parlate in modo naturale. Sembrerebbe
che il mestiere sia molto peggiorato e la difficolt di fare versi assai
maggiore. No perch noi abbiamo la mente
arricchita da un'infinit di idee poetiche che ci vengono fornite dagli antichi
che ci sono sotto gli occhi; siamo guidati da un gran numero di regole e di
riflessioni che sono state fatte in questar- te... Anche qui dunque viene
applicato lo schema abbiamo tutta lesperienza degli antichi pi il progresso dei
mo- derni: ed notevole che il progresso
sia tutto dalla par- te intellettuale (regole e riflessioni). E dice appunto
qual. che pagina pi avanti: DallArt
Potigue e da altre opere della stessa mano vediamo che la versificazione pu
avere oggi altrettanta nobilt, ma nello stesso tempo pi rigore ed esattezza di
quanto mai non ebbe . Di qui lidea di un
progresso indefinito: per Fontenelle neppure i tempi moderni rappresentano la
pienezza dei tempi. Ed ogni culto per lantichit (anche per let mo- derna quando
sar divenuta antica) ferma il progresso, ed
in questo senso dannoso: Se i
grandi di questo secolo avessero sentimenti di ca- rit verso i posteri, li
avvertirebbero di non ammirarli troppo e di aspirare sempre per lo meno ad
uguagliarli. Nulla ferma tanto il progresso delle cose, nulla limita tan- to le
menti, quanto l'ammirazione eccessiva per gli anti- chi. Per il fatto che ci si
era fatti devoti allautorit di Aristotele, e non si cercava la verit altro che
nei suoi scritti enigmatici, e mai nella natura, la filosofia non soltanto non
progrediva in modo alcuno, ma era caduta in un abis- so di guazzabugli e di
idee inintelligiili, da cui si dur un monte di fatica a trarla fuori.
Aristotele non ha mai fatto un vero filosofo, ma ne ha soffocati molti che lo
sarebbero diventati se fosse stato loro permesso. E il male che se un capriccio di questo genere riesce
una volta a stabilirsi tra gli uomini, ci star per un bel pezzo, ci vorranno
secoli a liberarsene, anche dopo che se ne sar riconosciuto il ri- dicolo. Se
un giorno ci si ostinasse su Descartes, metten- dolo al posto di Aristotele,
sarebbe pressa poco lo stesso inconveniente
. In mezzo a queste considerazioni Fontenelle inserisce uno schema di
filosofia della storia che riuscir alquanto familiare al lettore italiano: Il
confronto che abbiamo fatto degli uomini di tutti i secoli con un uomo solo pu
estendersi a tutta la nostra questione degli antichi e dei moderni. Una buona
mente colta composta, per cosi dire, di
tutte le menti dei seco- li precedenti: non
che una medesima mente che si
col- tivata per tutto quel tempo. Cos questo uomo che vis- suto dallinizio del mondo fino ad oggi
ha avuto la sua in- fanzia in cui non si
occupato che dei bisogni pi urgenti della vita, la giovinezza in
cui riuscito abbastanza bene nelle cose
dellimmaginazione, come la poesia e leloquen- za, e in cui anche ha cominciato
a ragionare, ma con meno solidit che calore. Ora nellet virile, in cui ragiona con pi forza e
con pi lumi che mai . L'immagine della
storia come sviluppo analogo a quel- lo di un solo uomo (per cui i vecchi siamo
noi) non nuova: labbiamo gi vista. Ma in
questo passo di Fonte- nelle acquista un significato ben diverso. Per gli altri
luomo universale invecchiava nel senso di un accumu- larsi di esperienze,
conoscenze, tecniche, ecc. Per Fon- tenelle
significa azche questo, ma non solo questo: le epo- che successive della storia
hanno ciascuna una forma ti- } P. 175. PP. 171-72. pica, dei valori propri cio una civilt peculiare, distin- ta dalle
altre non solo quantitativamente, ma per la sua interna struttura
spirituale-oggettiva. Let classica, gio- vinezza del mondo, caratterizzata dalla fantasia e dal
sentimento, che sono alla base dei valori letterari; let moderna, virilit del
mondo, dai valori della ragione e della conoscenza, che sono alla base dei
valori scientifici. Ecco perch, in ultima analisi, Fontenelle disposto a concedere ai sostenitori degli
antichi la perfezione della letteratura classica, scorgendo il progresso
letterario dei moderni pi negli aspetti intellettuali che in quelli pro-
priamente poetici della letteratura stessa. Perch per lui la civilt moderna ,
di fronte alla civilt classica preva- lentemente letteraria e umanistica
(retorico-poetica), una civilt della scienza: e in ci, soprattutto, sta la sua
supe- riorit. III. Retorica e logica Nel primo di questi saggi (sez. v) abbiamo
cercato di mostrare come letteratura/scienza costituisca una coppia dialettica
operante dissociazioni entro la sostanza della nostra civilt. Nel saggio
storico precedente abbiamo vi- sto sorgere i motivi della dissociazione stessa,
e alcune im- portanti coppie dissociative cui essa d luogo quando si afferma
come coscienza stessa della modernit. Ora vo- gliamo riprendere lanalisi da un
punto di vista stretta- mente teorico, dellanalisi fenomenologica di una
struttu- ra bipolare tipica della civilt. A questa analisi bisogna premettere,
eventualmente ri- petendo, alcune considerazioni. Il presupposto fattuale della
nostra analisi la sostanza della civilt:
un concre- to in cui esistono di fatto molte forme, molte attivit, molte idee,
molti modi di conoscere e pensare. Questa
la totalit della cultura, totalit assunta per in modo so- stanziale,
come essere, non ancora articolata alla luce di un concetto. Le dissociazioni
filosofiche ne mostreranno le articolazioni, si da rendere ragione dei
contrasti, delle contraddizioni, che in essa sussistano. La dissociazione ha lo
scopo di mettere ordine, di sostituire alla totalit con- fusa un organismo
articolato. Ora, ognuno dei termini secondi della coppia ha di fronte questa
totalit, la vuole ordinare e regolare, non mutilare (e tanto meno sopprimere).
Questo significa che in una cultura scientifica le lettere continuano,
ovviamen- te, ad esistere, fino a che trovano cultori (ed assai vero- simile che siano per trovarne
sempre); e del resto anche in una cultura letteraria le scienze continuano la
loro sto- ria. Una civilt delle scienze non
una civilt in cui si col- tivino solo le scienze, e basta; come una
civilt delle lette- re non una civilt
priva di sapere scientifico. Possiamo
dire che, in un certo senso, nelle due culture i valori materiali sono i
medesimi sono i medesimi, per- ch
nelluna e nellaltra ci sono tutti i valori. Non
una scelta di valori quella che le caratterizza e le oppone, ben- si una
diversa gerarchia dei valori stessi, il fatto che sono scelti diversamente i
valori centrali e superiori rispetto a quelli marginali e subordinati.
Naturalmente, la cosa non affatto priva
di importanza: nella vita di una cultura, come nella moralit di un singolo, la
gerarchia tutto. Ed un valore,
rigorosamente parlando, non rimane identi- co se gli si muta il posto nella
gerarchia: divenendo diver- so il suo significato, diversa la sua funzione in
seno alla vita culturale complessiva, anche le sue realizzazioni con- crete
tendono a mutare: persino i contenuti ne risentono. Si opera una dialettica, di
cui la coppia eteronomia/auto- nomia lo
schema pi generale: ch da una parte il valo- re subordinato tende ad assumere,
nei confronti di quelli primari, un ruolo ausiliario (eteronomia); dallaltra
invece tende a riscattare una funzione sua propria, ad esplicarsi in aree
lasciate libere dai valori dominanti, secondo una funzione non-concorrenziale
con essi (autonomia). Cos in una cultura fortemente politicizzata larte osciller
tra lassumere compiti di propaganda (io lancio il verso co- me una parola
dordine dagitazione) nel suo momento eteronomo, o divenire rifugio di anime
solitarie, nel suo momento di autonomia. In una cultura fortemente scien-
tificizzata larte osciller invece tra una funzigne didasca- lica e una funzione
di surrogato della metafi$ica (dadai- smo e simili). E invece la scienza, per
esempio in una ci- vilt cosi prevalentemente letteraria come quella del Rina-
scimento, osciller tra atteggiamenti iperutilitaristici (tec- nica o
addirittura magia) da una parte, e atteggiamenti in- vece di purezza formale,
teoretica (neceuclidismo della geometria rinascimentale) dallaltra: in entrambi
i casi, con la rinuncia ad essere conoscenza e concezione del mondo. Se questa
gerarchia di valori la consideriamo nel con- creto pratico-umano, dei rapporti
scambievoli e compor- tamenti degli uomini, essa diviene una moralit. Da que-
sto punto di vista le due culture sono due diverse moralit, due diversi tipi di
rapporto e comportamento umano - due modi diversi di venire o non venire in
contatto, di comunicare o non comunicare, due diversi modi di defi- nirsi della
persona singola di fronte alla sostanza sociale. Ma la civilt si chiama civilt,
cultura, radeta, in quanto nel gruppo umano civile e colto i rapporti sono
prevalentemente costituiti, comunque dominati e media- ti, dalla comunicazione
discorsiva, dal discorso. Questo serve all'eredit non-biologica, alla
trasmissione agli altri e agli eredi del patrimonio di esperienze, abiti, idee
acqui- site. La comunicazione discorsiva
il modo normale di entrare in rapporto, nonch la sostanza, il concreto
stes- so, della riflessione. Essenziale ad una cultura il suo tipo di discorso la cultura
discorso (discorsi). Ed il tipo di discorso riflette, per cos dire, la
forma dominante, o li- deale dominante, di rapporti umani. C una stretta corre-
lazione, in un certo senso unequivalenza, tra moralit e tipo di discorso. E
connesso con ci c un terzo elemento: la nozione o idea di verit. Nella sua
genericit, lidea di verit e- sprime il valore formale supremo di ogni cultura,
di qual- siasi tipo: lidea stessa della
validit del conoscere, di autenticit del rapporto umano, di genuinit del
valore, in quanto contenuti dei discorsi. Il mito metafisico-teolo- gico in cui
si chiude la riflessione antica, il mito che iden- tifica tutti i valori nel
Dio che Logos e Verit, allude ap- punto,
e adombra, questo rapporto sostanziale di momen- ti equivalenti. Scopo di questo
saggio appunto mostrare come hu- manae
litterae e scienza siano caratterizzate da due diver- se gerarchie di valori e
moralit, due diversi tipi di discor- so, due diverse nozioni di verit.
Prendendo le mosse dal momento centrale (che
quel- lo pi rilevante in un'analisi fenomenologica della cultu- ra) il tipo di discorso riportiamo la coppia lettere/ scienza alla
coppia retorica/logica. Partiremo da questa, per vederne le connessioni e le
implicazioni. I. Gli studi di Perelman'
hanno profondamente rinnova- to nella cultura contemporanea lantico e da tempo
scre- ditato concetto di retorica, cercando di coglierne, al di l delle
degenerazioni e dello scadimento di tono che que- sta nobile arte ha subito per
secoli, il profondo signifi- cato culturale, la funzione, determinando le
strutture del discorso retorico e indagandone i rapporti con il discorso logico
(in senso stretto). Sono stati proprio questi studi che hanno dato lavvio alle
meditazioni di questo saggio non solo,
ma.in genere a tutti gli scritti di questo volu- me. dalle dottrine del Perelman, quindi, che
prendere- mo le mosse: tuttavia con punti di vista, gusti culturali,
convinzioni e intenti talmente diversi, che le sue dottrine ne verranno
profondamente modificate, e spesso anche molto liberamente rielaborate. 1.
Partiamo, con il Perelman, dalla distinzione tra due aspetti pragmatici, due
scopi, del discorso: persuadere e convincere. Distinzione antica quanto la
nostra civilt, e che pu farsi risalire alla distinzione greca classica tra sta
e da\nbeva. Nellet moderna la troviamo, per esem- pio, in Pascal, in Kant, con
il medesimo accento raziona- listico che aveva la distinzione platonica tra
opinione e verit: la persuasione diretta alla parte irrazionale (e- mozionale),
soggettiva della mente umana, la convinzio- ne rivolta alla parte razionale,
oggettiva. Relativa a tem- pi, luoghi, persone, tradizioni, gusti la prima;
assoluta, e- terna, immutabile la seconda. Tuttavia bisogna riconoscere che
tali connotazioni re- stano piuttosto vaghe, e per di pi implicano posizioni
metafisiche che pochi filosofi oggi sarebbero disposti ad accettare tanto
tranquillamente. Anche il Perelman non se ne contenta. Vediamo, seguendo in
parte lo stesso Pe- relman, di stabilirla diversamente. Rifacendoci alle pre-
ziose indicazioni di Stevenson in Ethics and Language, ! Oltre il gi citato
Trait de lArgumentation, gli scritti raccolti in Rbtorique et Philosophie,
Paris 1952. possiamo definire il discorso persuasivo come quello de- stinato a
indurre, con soli mezzi discorsivi (naturalmen- te), nellascoltatore certi
atteggiamenti, ossia certe dispo- sizioni a comportarsi in determinati modi
(per esempio, a comperare, o no, un certo prodotto; a votare, o no, per una
certa lista o un certo candidato; a sposarsi, 0 no; ecc.). Dice giustamente
Perelman: Per chi si preoccupa del ri-
sultato, persuadere pi che convincere,
poich la con- vinzione non che il primo
gradino che conduce allazio- ne. Per Rousseau, non serve a nulla convincere un
bambi- no se non lo si sa persuadere '.
Convincere, dun- que, non porta direttamente sulle azioni: porta diretta- mente
solo sulle credenze, atteggiamenti anche questi, ma atteggiamenti di seconda
intenzione (verso atteggia- menti, non verso azioni). I due criteri
(irrazionalit-razionalit, destinazione prag- matica immediata - destinazione
pragmatica mediata) ten- dono a coincidere fattualmente. L'azione non ha la
con- vinzione per condizione n necessaria n sufficiente. Pu esserci azione,
anche consapevole, senza convinzione; men- tre una convinzione (nel senso sopra
definito) non porta necessariamente allazione. Per usare la nota terminolo- gia
di Stevenson, ad uguali credenze (nella terminologia perelmaniana qui adottata,
ad uguali convinzioni) posso- no corrispondere, e di fatto spesso
corrispondono, atteg- giamenti diversi. Un mio amico crede, convinto, che in una certa regione alpina
quest'estate far assai fresco; e anch'io lo credo: ma questa convinzione
costituisce, per lui, un motivo per andarci a passare le vacanze, per me un
motivo per non andarci. Latteggiamento direttamen- te orientato verso lazione
non implica soltanto credenze (convinzioni), ma anche tutto un impegno
dellintero uo- mo, in unintera gamma di fini e valori (non importa se grandi o
piccoli, importanti o meno). Cio: la per- suasione richiede sentimenti,
atteggiamenti valutativi che la convinzione non richiede. Un esame degli
strumenti (barometro, igrometro, ecc.) pu convincermi che domani piover, sia
che la cosa mi faccia piacere, sia che non mi 1 Trait de lArgumentation cit.,
I, p. 35. faccia piacere ma da sola tale convinzione non mi per. suade
a niente. Dal punto di vista della scienza psicologica questa di.
stinzione certamente molto
problematica probabil- mente falsa, o
per lo meno insostenibile. Ma dal punto di vista di una fenomenologia
(storico-empirica) della cultu- ra essa appare ben netta e quasi universalmente
ricono- sciuta. la distinzione tra due
tipi di discorso, un discor- so persuasivo, con riferimenti pragmatici, e
quindi emoti- vo-valutativi (sentimentali), mirante a stabilire unadesio- ne
tra i partecipanti al discorso, e un discorso probativo- dimostrativo, avente
per scopo la verit, oggettivo, razio- nale, non immediatamente pragmatico e non
portante su valori, bensi su fatti (di qualsiasi ordine di realt) Giustamente
Perelman fa corrispondere a questi due tipi fondamentali di discorso, la cui
distinzione era gi stata chiaramente riconosciuta dai greci, le due grandi tyva
antiche, le due artes sermocinales del Medioevo (la grammatica, penso, essendo
preliminare ad entrambe) della retorica e della logica. Onde un tipo di
discorso pu anche dirsi discorso retorico, laltro potremmo dirlo di- scorso
logico (prendendo per il termine logica in sen- so piuttosto lato, per es.
circa come lo prendevano i logici inglesi dell'Ottocento). Perelman,
soprattutto nel saggio Logique et Rbtori- que (1950)', ha mostrato, mi sembra
con ottime ragioni, l'opportunit di isolare e teorizzare con il nome di discor-
so retorico il discorso persuasivo, e di esporne le struttu- re tecniche sotto
il titolo di Retorica. Sono ragioni so- prattutto storiche: perch in sostanza i
maestri della Re- torica antica, in particolare Aristotele, intendevano con
questo termine proprio la tecnica del discorso persuasivo, nei suoi tre generi,
giudiziario, politico ed epidittico. 2. Il genere epidittico, il meno valutato
dagli antichi (proprio perch il pi... retorico, in senso dispregiati- vo) invece quello che oggi riveste la maggiore
importan- za anzi si pu dire che in una
filosofia della cultura oggi ! il primo
(pp. 1 sgg.) della raccolta cit. Rbtorigue et Philosophie. ISI
lunico che rivesta un interesse. Proprio perch non ha fini pratici
spiccioli, ma ha un intento culturale, paideu- tico; soprattutto perch quello che fornisce il genus del discorso
letterario in prosa. Esso porta sui valori mo- rali, e in genere sui valori di
una civilt; mira a rinforzare o suscitare atteggiamenti (sentimenti) non
semplicemente nei riguardi di una decisione contingente (giudiziaria o
politica), ma nei riguardi dei grandi valori di cui intes- suta una civilt. Proprio per il suo
carattere non-pratico, pi difficilmente degenera da discorso persuasivo in di-
scorso propagandistico. Sono soprattutto le strutture e le regole di un tale
discorso che costituiscono loggetto della nuova Retorica. Ora, dal punto di
vista in cui ci mettiamo in questo stu- dio, il discorso
retorico-epidittico il modello, e anzi
il genus del discorso letterario; mentre il discorso logico il modello e il gens del discorso
scientifico. Quanto alle sue forme, la cultura letteraria la cultura retorica; la cul- tura scientifica la cultura logica; ovvero, pi adeguata-
mente: la forma della cultura letteraria
la retorica, la forma della cultura scientifica la logica. La seconda parte dellasserto non
credo sia per solleva- re obiezioni, ove per Logica si intenda non la sola sin-
tassi o la pura semantica logica, ma qualcosa che venga a conglobare anche la
metodologia scientifica, la teoria del- la verificazione e della prova: ossia
tutto ci che ha atti- nenza alladesione puramente intellettuale, universale e
necessaria qual la caratteristica del
sapere (cio quella che prima abbiamo chiamato convinzione in contrappo- sto a
persuasione). Meno ovvia pu apparire la prima parte dellasserto la forma della cultura letteraria la retorica. Infatti, non il solo Huxley, ma
moltissimi, credo, sarebbero pro- pensi a vedere lanima, il nocciolo, della
civilt delle lette- re nella poesia, tuttal pi allargando il concetto di que-
st'ultima fino a comprendere tutta la creazione letteraria in genere (e
soprattutto, per limportanza che ha assunto nella nostra epoca, la narrativa).
Non credo per che qui cl troviamo di fronte ad una sostanziale opposizione di
punti di vista. Di fatto, la poesia come tale (nel suo momento di autonomia), e
in genere il fatto letterario come tale possono costituire il fiore, il
profumo, di una civilt, ma n il tronco n il frutto di essa. Entro una cultura,
come abbiamo detto, si organizza lintera vita degli uomi- ni: parziale pu
esserne la forma, ma il suo contenuto
sempre, almeno virtualmente, totale. I vecchi devoti di Omero su cui gi
ironizzava Platone, Coluccio Salutati e tutti i partigiani della civilt delle
lettere fino a Huxley, non hanno mai assegnato alla creazione letteraria un
com- pito soltanto letterario. Tranne pochi amanti del calligrafi- smo, la
maggior parte dei cultori di letteratura e critici let- terari stima di poco
valore un testo che, per quanto ricco di pregi formali, povero di contenuti, come suol dirsi, umani.
(Le lettere sono bumzanae litterae: e, qualunque sia lorigine storica di questo
humanae, il suo significato stato sempre
inteso in questo senso e quello che
conta non lorigine di una cosa, o di una
espressione, ma il modo in cui essa attualmente , e funziona). Per ritornare
alla poesia, quando essa si carica di quei contenuti per cui diviene un fatto
concreto di cultura e non una solitaria di- lettazione, essa contiene messaggi,
comunica si fa di- scorso. E il suo discorso
diviene un tipo particolare di di- scorso retorico. Anche storicamente i limiti
tra Poetica e Retorica non sono mai stati chiari. Anche il discorso poetico,
quando ha da dire qualcosa di pit che i fatti pri- vati del poeta, un discorso persuasivo. Visto da questo
angolo, il discorso poetico (anche se non degenera in di- scorso
propagandistico) un discorso epidittico:
e spesso il discorso epidittico un
discorso poetico in prosa. (Le considerazioni precedenti valgono tanto pi
ovviamente per la narrativa, che credo non sia il caso di ripeterle). La cosa
si pu considerare, giungendo alle medesime conclusioni, operando con la coppia
dialettica autono- mia/eteronomia. Considerate nel loro momento di au- tonomia
le forme di creazione letteraria (poesia, narra- tiva, ecc.) si organizzano
secondo i propri valori specifici e le proprie finalit interne, e secondo tali
prospettive possono venire giudicate (0, come suol dirsi, criticate). Tuttavia
esse continuano ad essere fatti di civilt e signi- ficano qualcosa in essa: di
conseguenza qui acquistano di- RETORICA E LOGICA 153 versi valori e diverse
finalit. Questo il piano di ete-
ronomia: ma solo su questo piano che una
produzione spirituale un momento della
civilt cui appartiene. Per cui se, in unestetica o in una critica darte, lecito isola- re come essenziale o assoluto
il valore artistico come tale, in una fenomenologia della cultura tale valore
appa- re sempre come un momento particolare', mentre i pro- dotti artistici
(soprattutto letterari) vi si dispongono per i loro contenuti, che possono
essere molto vari. Ora, se guardiamo i momenti e i valori che i teorici e i
patrocinatori della civilt della poesia hanno additato co- me essenziali a tale
civilt, troviamo che sono gli stessi di una civilt retorica in generale, cio
quelli a cui si indiriz- za il discorso retorico a differenza del discorso
logico. Per esempio, si insiste sulla huzzanitas: un rivolgersi alluo- mo
concreto, di cui lintelligenza scientificizzante solo un momento, ma che anche emozione, volont, sen- timento,
intuizione pratica, tradizione quelluomo
che vive una vita che non solo
speculazione teoretica, ma anche, anzi
soprattutto, bisogno, lavoro, azione, amore e odio, speranza e paura; e nella
cui vita conta tutto questo, e tutto questo si esprime in persuasioni che non si
posso- no ridurre, se non eccezionalmente, a prove scientifiche e/o
dimostrazioni matematiche. Ma secondo i creatori della neoretorica
contemporanea, secondo Stevenson, se- condo Perelman, come era secondo il
vecchio Aristotele, proprio questo il
tipo del discorso retorico questo il suo
oggetto e scopo (provocare ladesione a persuasioni che non si lasciano ridurre
a discorso apodittico o a prova fattuale ), questo il suo metodo, la sua
struttura. ! Sebbene storicamente sia difficile incontrarla, possiamo
immaginare una cultura estetizzante (come, secondo una tradizione storiografica
arcai- ca, si riteneva fosse stata quella del Rinascimento): ossia una cultura
in cui il valore artistico sia centrale (nello stesso modo in cui lo in una per- sona estetizzante). In questo
caso per, nel passare ai modi di vita, il con- cetto di arte si trasvaluta e
diviene sommamente vago. In fondo, espres- sioni quali la vita come opera
darte, lo Stato (la politica) come opera d'arte
dubbio siano pi che metafore. ? Cfr. Rbtorique et Philosophie cit., p.
18: La retorica, nel nostro senso della parola, differisce dalla logica per il
fatto che essa si occupa non l verit astratta, categorica o ipotetica, ma di
adesione. Il suo scopo di Produrre o di
accrescere l'adesione di un uditorio determinato a certe te- Sh... Perelman insiste molto in tutte le sue opere
su questo punto, che lo scopo e il valore della Retorica quello di costituire, di fronte alla Logica,
lpyavov di un tale tipo di discorso umanistico. Ne citeremo una pagina sola, ma
che ci sembra particolarmente nitida:
perch essa opera veramente umana
che la retori- ca ... ha conosciuto il massimo del suo splendore nelle epoche
di umanesimo, cosi nella Grecia antica come nei secoli del Rinascimento. Se il nostro secolo deve liberarsi
definitivamente dal positivismo, ha bisogno di strumenti che gli permettono di
comprendere la realt umana. Per quanto ne sembri lontana, la nostra
preoccupazione si avvicina, forse, per il suo movente, agli ultimi tentativi di
Bachelard o alle ri- cerche degli esistenzialisti contemporanei. Vi si potrebbe
trovare la medesima preoccupazione per luomo e per ci che sfugge alla
giurisdizione di una logica puramente for- male e dellesperienza. Noi crediamo
che una teoria della conoscenza, corrispondente a questo clima della filosofia
contemporanea, ha bisogno dintegrare nella sua struttu- ra i procedimenti
argomentativi utilizzati in tutti i campi della cultura umana e che, per questa
ragione, un rinnova mento della retorica sarebbe conforme all'aspetto umani-
stico delle aspirazioni della nostra epoca *. 3. E qui veniamo a toccare un
punto di estremo inte- resse un punto
che costituisce uno dei problemi pi at- tuali della filosofia contemporanea. Ci
troviamo di fronte al discorso valutativo. Un mondo civile un mondo di valori: i discorsi valutativi di
ogni genere (morali, esteti- ci, giuridici, ecc.) hanno un posto di importanza
non tra- scurabile in qualsiasi civilt. Ora, la scienza wertfrei, esente da valori: i retori
direbbero materialistica, i sen- timentali arida intendendo in ogni caso sorda ai valori. Di
qui, come noto, la tendenza a
identificare la letteratura come quella attivit umana, spirituale, che diretta verso i valori: non su questo punto, infatti, che si impernia
lappassionata difesa di un Leavis, o anche di 1 p. 43. I corsivi sono miei.
RETORICA E LOGICA 155 un Trilling, secondo una rispettabile tradizione
anglo-sas- sone? E i valori non sono strettamente connessi con lhw- manitas,
con quel mondo di sentimenti, emozioni, volon- t, che rivendicato come campo proprio dalla poesia e
dalle lettere? Non sarebbe questo, il discorso valutativo, il tipo di discorso
intorno a ci che sfugge alla giurisdizio- ne di una logica puramente formale e
dellesperienza? Effettivamente, le correnti odierne della filosofia meta-
morale (a partire dai suoi massimi maestri, Moore e Ste- venson) sono concordi
sulleterogeneit del discorso valu- tativo rispetto al discorso
logico-descrittivo. La logica del- la valutazione non si pu riportare
simzpliciter alla logica della scienza. Stevenson, e anche, con moltissima
insisten- za, Perelman, ravvisano nel discorso valutativo un discor- so
persuasivo, che ha a che fare, per usare il linguaggio di Stevenson, non solo
con credenze ma anche, soprat- tutto, con atteggiamenti. Perelman, riferendosi
esplici- tamente a Stevenson, ribadisce che tale discorso persua- sivo un discorso retorico, e il suo 6pyavov
non la Lo- gica, bensi la Retorica. E
veniamo cosi al polo opposto rispetto alla posizione che identificava la
cultura letteraria con la cultura poeti- ca; veniamo alla posizione, che del
resto assai tradizio- nale e ancora ha
molti sostenitori, che tenderebbe a iden- tificare la cultura letteraria con
quelle che si son chiama- te in vari modi: scienze dello spirito
(Geisteswissen- schaften), scienze morali, scienze umane insomma, quelle scienze delluomo qua homo, in
cui il momento va- lutativo o almeno
appare ai sostenitori della civilt delle lettere ineliminabile, essenziale, costitutivo. E non
per niente in quasi tutto il mondo civile la maggior parte di tali discipline
viene studiata nel curriculum delle facol- t di lettere. Qui il discorso
dovrebbe farsi molto lungo: ch non
affatto indiscutibile che tali scienze non possano essere Sa Oggi, che
abbiamo perduto le illusioni del razionalismo e del posi- tivismo, e ci
rendiamo conto dellesistenza di nozioni confuse e dellim- portanza dei giudizi
di valore, la Retorica deve ridiventare uno studio vi- vo, una tecnica nelle
faccende umane e una logica dei giudizi di valore (p. 41. Corsivo mio). wertfrei e non possano essere (e di fatto
spesso lo sono, almeno in via tentativa) trattate con metodi del tutto
scientifici. Ma, comunque, queste discipline sono anche tradizionalmente
trattate in maniera valutativa e lettera- ria (si pensi, per fare un caso solo,
e il pi grosso, a quel grande equivoco che
la storia: scienza o disciplina lette- raria?) Ora, anche di queste
l6pyavov la Retorica. Ci- tiamo ancora
una volta Perelman: Non si potrebbero prendere nelle discipline delle scienze
umane dei testi considerati come tradizionali mo- delli dargomentazione, e
svolgerne sperimentalmente i procedimenti dargomentazione che consideriamo come
convincenti? vero che le conclusioni cui
giungono tali esposizioni non hanno la medesima forza costrittiva che hanno le
conclusioni dei matematici, ma occorre per que- sto dire che non ne hanno
alcuna, e che non c modo di distinguere il valore degli argomenti di un buon o
di un cattivo discorso, di un trattato di filosofia di primo ordi- ne o di una
dissertazione da principiante? E non si po- trebbero sistematizzare le
osservazioni cosi fatte? Avendo dunque intrapresa questa analisi dellargo-
mentazione in un certo numero di opere, specialmente fi- losofiche, e in certi
discorsi dei nostri contemporanei, nel corso del lavoro ci siamo resi conto che
i procedimenti che ritroviamo erano, in gran parte, quelli della Retorica di
Aristotele; comunque, le preoccupazioni di questi ultimi erano stranamente
vicine alle nostre . 4. Seguendo la
tradizione filosofica e retorica, e in pi le posizioni assunte dai
metamoralisti recenti (lo Steven- son soprattutto, ma, sebbene in modo pi
confuso, anche gli oxoniensi), Perelman riprende, dandogli uno sviluppo molto
originale e amplissimo, fino a farlo diventare il te- ma principale della sua
filosofia della Retorica, il tema delluditorio*. In sede pragmatica, si pu
affermare che la situazione fondamentale in cui si colloca ogni atto
discorsivo rap- 1 p.9. 2 pp. 19 sgg.;
Trait de lArgumentation cit., I, pp. 22 sg8. presentabile come quella di un oratore di
fronte ad un uditorio. Loratore parla allo scopo di mantenere, raffor- zare,
oppure modificare in un certo senso le credenze o convinzioni o giudizi del suo
uditorio. Ora, da questo punto di vista, una differenza essenziale tra il
discorso persuasivo, che mira ad influenzare la per- suasione, e il discorso
volto alla convinzione cio tra il
discorso retorico e il discorso logico, sta nella qualit del- luditorio. O
meglio, in un certo senso, nella quantit. Il discorso retorico si rivolge a un
concreto e preciso udito- rio, che
sempre, per ci stesso, parziale; il discorso logi- co mira ad un
generico, atemporale e aspaziale, uditorio universale. Diceva gi Kant: Quando essa [la credenza,
Fiirwabrbalten] valida per chiunque in
quanto ragione- vole, il suo fondamento
obiettivamente sufficiente, e la credenza si chiama convinzione
{[berzeugung]. Se inve- ce ha il suo fondamento soltanto nella qualit [
Beschaf- fenbeit] particolare del soggetto, si chiama persuasione [Uberredung]
. La distinzione per noi estremamente
importante, e ce ne serviremo ampiamente per qualificare le due culture, fino
ai loro pi profondi aspetti etico-morali. Tuttavia ci rendiamo conto che essa altamente problematica e ri- chiede delle
precisazioni altrimenti rischia di non
voler dire nulla. Il discorso retorico
un discorso che si rivolge ad un uditorio particolare: io per preferirei
dire determina- to. Infatti anche lo stesso Perelman, molto acutamente, afferma
che luditorio sempre, per colui che
argomen- ta, una costruzione pi o meno sistematizzata ; ossia, es- so costruzione delloratore . Cio: largomentazione retorica muove da
presupposti, non solo, ma anche sentimenti, emozioni, valutazioni di- ciamo, con parola unica, da opinioni
($6Ear) che sup- pone presenti e operanti nel suo uditorio ?. Ovviamente, 3
Kritik der reinen Vernuntt, ed. Reclam, p. 830. . Trait de l'Argumentation
cit., I, $ 4, p. 25. . .P. 27: Ogni ambiente potrebbe venir caratterizzato
dalle sue opi- nioni dominanti, dalle sue convinzioni ammesse senza
discussione, dalle premesse che esso ammette senza esitazione: queste
concezioni fanno parte 158 RETORICA E LOGICA queste sono relative alla cultura
delluditorio stesso: di- pendono dalla classe sociale, grado di istruzione,
naziona- lit, ecc. E anche,
storicamente, dallepoca. Ora, dicia- mo che un uditorio U; pi ampio di un uditorio i non quando pi numeroso (in s, il numero conta poco), ma
quando pi eterogeneo: ossia quando tra
gli uditori c' un gruppo di n persone (n= 0) appartenenti alludito- rio U,
pi (= 0) gruppi di un numero variabile
(ma sem- pre diverso da zero) di persone appartenenti ad altri udi- tori (cio,
in concreto, aventi opinioni parzialmente diver- se). chiaro che il discorso rivolto a U: non potr
partire da tutte le opinioni di U1: ma dovr selezionare un grup- po di queste
appartenenti a tutti i gruppi (o uditori par- ziali) che lo compongono.
Unulteriore selezione, e di conseguenza riduzione, richieder il discorso
rivolto ad un uditorio U; pit vasto di U.. E cosi via. E cos via non significa
per all'infinito che non avrebbe senso:
ma il processo sembra avere come limite luditorio universale, ossia l'insieme
delle convinzioni che sono comuni a tutto il genere umano, in ogni luogo e tem-
po e in qualunque situazione. Ma mentre pregiudizi (opi- nioni tradizionali),
passioni, sentimenti, emozioni, espe- rienze vissute, sono estremamente
variabili, lunica cosa costante la ragione
o buon senso (non nel significato di senso comune, che variabilissimo, ma nel senso carte- siano,
come sinonimo di ragione): il quale, si dice,
la cosa meglio distribuita nel mondo. Perci il discorso che si rivolge
alluditorio universale il discorso
logico e scien- tifico (o filosofico-scientifico): il pi ricco di argomenta-
zioni strettamente logiche e/o di convalide fattuali, il pi povero di appelli
sentimentali, di indicazioni valutative, di argomenti fondati sullautorit o sul
consensus. Lobiezione ovvia che un
simile uditorio universa- le non esiste. Di fatto un uditorio sempre determina- to. Un discorso che si
rivolge a uomini (e che, tra laltro,
fatto da un uomo) sempre
storicamente determinato, x sempre in
situazione. La frase un discorso valido per della sua cultura ed ogni oratore
che vuol persuadere un uditorio partico- lare non pu far altro che adeguarvisi
[5'y adapter] . tutti gli uomini, in
ogni luogo e in ogni tempo rischia persino di essere un non-senso. Di fatto,
uditorio universale unastrazione
idealiz- zante, e in ultima analisi anche luditorio universale una costruzione delloratore. Unastrazione
idealizzante, o una costruzione, che muove da una cultura determinata (quel-
la, ovviamente, delloratore) e ne fissa, per esclusione di tutti gli altri, alcuni
caratteri. E fettivamente, poi, luditorio universale finisce per essere un
uditorio determinatissimo, assai poco esteso
un uditorio dlite '. Questo vale anche per la scienza: co- me ha messo
bene in evidenza, ai suoi tempi, il Peirce, il discorso scientifico valido quello che usa argomenti e si fonda su
esperienze che la cultura scientifica (qui, in senso antropologico: la societ
degli scienziati) ammette come tali. Ma qui (come del resto in tante altre
ricerche) si rivela forse l'insufficienza della mera considerazione pragmatica.
Bisogna passare ad un punto di vista meno culturale e pi strutturale.
Accontentiamoci qui di due osservazioni. Dal punto di vista storico, fattuale,
il discorso raziona- le di fatto il pi
universale, quello cio che contiene me- no materie opinabili, il meno soggetto
a discussioni (nel senso corrente e volgare della parola). un privile- gio che gli stato ottenuto nel corso della storia; le sue
strutture linguistiche e logico-linguistiche, i suoi metodi di prova sono stati
selezionati nel corso di secoli di espe- rienza culturale. I greci hanno
espressa questa universa- lit obiettiva, questa validit col termine dvayxn,
neces- sit: e da allora questo termine
passato nella Logica e nella Gnoseologia per indicare un tipo di
inferenza o un valore modale che viene ad una proposizione dal tipo di
inferenza mediante cui la si deriva da altre. Ma nel si- gnificato
originario come ancora oggi nel pensiero
di al- cuni analisti del linguaggio
alludeva ad una specie di costrizione, di ineluttabilit: al fatto che
nessun uomo sano di mente e in buona fede poteva negarne levidenza. ! $ 7, pp. 4o sge.; cfr. anche
Rbtorique et Philosophie cit., part. a P. 22. 160 RETORICA E LOGICA
un modo di dire popolare come
vero che due e due fanno quattro, per significare che qualcosa vero al di l di qualunque possibile
differenza di opinioni. Ma se stiamo sul terreno fattuale si tratta di
ununiver- salit empirica, relativa pi
ancora che relativa (ag- gettivo che non ha senso se si nega che abbia senso
lag- gettivo assoluto), approssimata, parziale. Anche le veri- t scientifiche
sono state spesso oggetto di discussioni; verit che per secoli erano state
ritenute scientifiche, ad un dato momento si sono rivelate come enunciati falsi
o privi di senso per esempio, che il
moto naturale della- ria e del fuoco
verso lalto. Diciamo tuttavia che la ve- rit razionale, anche quando, di
fatto, non universale (non ammessa da tutti), lo di diritto: nel senso, alme- no, che pu
divenirlo. Ha sempre ununiversalit poten- ziale. E ci perch ottenuta con la massima astrazione possibile
da quelle che sono le fonti principali dellopinio- ne e della diversit di
opinioni: lautorit, la tradizione (il costume), i sentimenti (emozioni) e quindi il tipo di cul- tura, lepoca
storica, la nazione, il gruppo sociale, ecc. Cio: il discorso razionale il meno storicamente de- terminato. E qui si
inserisce la seconda considerazione. La concezione di una verit razionale
eterna, atemporale, aspaziale, sovrastorica pu essere accusata di metafisici-
smo e non a torto, se si guarda al tipo
di discorso in cui di solito stata
proclamata e difesa. Tuttavia c un sen- so, molto pi umile ma assai pi
verificabile, in cui si dice che la verit razionale eterna ecc.: lo nel senso che essa vuole esserlo, che
appartiene alla sua essenza lesigenza di esserlo. una cosa che si dimentica troppo spesso,
soprat- tutto da parte di chi abituato
al modo culturale (u- manistico, letterario) di argomentazione. Tu dici cos
perch sei positivista, perch sei idealista, perch sei... un discorso che si fa spesso. Ma
nessuno nato positi- vista, idealista, o
altro; e nessuno ha sposato (senza possibilit di divorzio) uno di questi -ismi.
La risposta ra- zionale ad obiezioni di questo genere una sola: dico cos perch mi appare vero, e ho
ragioni per ritenerlo ta- le. Se le ragioni contrarie mi apparissero comunque
con- vincenti, valide, modificherei le mie tesi. In generale, RETORICA E LOGICA
I6I nel modo razionale di argomentazione non si pu pensa- re che quello che si
dice non sia valido per tutti (cio, per tutti quelli che sono a conoscenza dei
presupposti logici e fatturali del discorso): se si conoscono ragioni possibi-
li di obiezione valida da parte di chicchessia, il discorso va eo ipso in
qualche modo mutato. Lo stesso vale per ci che riguarda la verit futura. Le-
sperienza storica mi istruisce sul fatto che molte verit scientifiche si sono
rivelate col tempo degli errori e sono state abbandonate, oppure si sono
conservate con una va- lidit soltanto parziale. Di fatto, la verit scientifica
ha una tenacia molto maggiore di tutti gli altri valori cultu- rali (ad
eccezione di quelli etici, i quali, pi che tena- cia, hanno vischiosit:
tuttavia non si pu parlare di eternit. Ci rende probabile lillazione circa il
futu- ro: quei discorsi razionali che oggi appaiono validi, un giorno, forse,
appariranno erronei. Ma non si va pi in l di cos, di questa considerazione
affatto astratta e forma- le. In realt, se possiamo anche solo intravvedere in
che cosa e perch (intendo un che cosa e un perch de- terminati) le nostre
convinzioni razionali (scientifiche) di oggi potranno un giorno apparire
erronee, procediamo su- bito da ora a modificarle. Ammettiamo per vero e per
va- lido razionalmente solo ci che non soltanto ci appare so- stenuto da
ragioni valide, ma anche tale che non sappia- mo scorgere ragioni obiettive
valide ad invalidarle. Dice- va Galileo che se Aristotele fosse tornato al
mondo sa- rebbe stato galileiano e non aristotelico: e intendeva ci non nel
senso storicistico della verit relativa ad unepo- ca, ma nel senso che se
Aristotele, da vivo e al suo tem- po, avesse conosciuto i fatti e le ragioni
con cui Galileo criticava la fisica peripatetica e affermava la fisica moder-
na, avrebbe propugnato questultima '. ! Cio, la stessa considerazione vale
anche per il passaggio dal presen- te al passato, e, con buona pace di alcuni
amici storicisti, rende problema- tica la possibilit di una vera e propria
storia della scienza. Possiamo ca- Pire e intendere costumi, istituzioni
politiche, idee religiose, ecc., di un al- tro popolo e/o di unaltra epoca a
partire dalla situazione concreta di quel popolo e/o di quell'epoca, e usare
dei criteri della situazione storica deter- minata (popolo ed epoca) per
giudicare della validit di quei costumi, isti- tuzioni, ecc. - Ma non cosi di
una tesi scientifica: essa oggi ci appare vera 162 RETORICA E LOGICA 5.
Ritorniamo ora al discorso retorico-persuasivo e, spesso con laiuto del
Perelman, cerchiamo di fissarne le strutture fondamentali. Nella polemica
antiretorica e antiumanistica condotta dai fautori della nuova mentalit
scientifica, alcuni filosofi del Seicento hanno elencato, accanto alle
tradizionali fa/- laciae gi note alla Logica aristotelica, dei tipi particolati
di sofismi che dominano nel discorso comune e che, al- la luce dell'ideale
logico-scientifico di verit, appaiono essere cause di errori. Cosi, per
esempio, il capitolo xx (della quinta edizione, xviti della prima) della
Logigue de Port-Royal si intitola Des mauvais raisonnemens que lon commet dans
la vie civile & dans les discours ordinaires. In verit non si tratta di
sofismi nel senso di fallacie (contravvenzioni alle buone regole della Logica
formale): ma di forme di argomentazione che suppongono una struttura discorsiva
e un modo di convinzione diversi da quello logico. Gli autori della Logigue
avvertono che, mentre le classiche fallaciae logiche sono fonti di errori nelle
materie scien- tifiche, questi altri tipi di sofismi agiscono invece fuori di
questo campo, e soprattutto in questo
dei costumi, e delle altre cose che sono rilevanti per la vita civile e che
costituiscono l'argomento abituale della conversazione degli uomini . Questi sofismi sono distinti in due grandi classi: so-
phismes damour propre, dintert et de passion e faux raisonnemens qui naissent
des objets mmes. Vale la pe- o falsa, corretta o erronea,
valida o invalida e ci appare talc per
ragioni che sono, per costruzione, indipendenti dal popolo e dall'epoca. An-
che se ci mettiamo nei panni dello scienziato di allora, tuttavia conoscia- mo
le ragioni per cui quella tesi che egli ha sostenuta (oggi) vera o fal- sa - e dobbiamo mantenerla
o modificarla di conseguenza. Fare diversa- mente un mero gioco astratto o una commedia - e
comunque quella che va perduta la
scientificit di quel fatto di cui facciamo la storia. (Per cui facciamo, si,
della storia, ma non storia della scienza). ! La Logique ou LArt de Penser...
par A. Arnauld et P. Nicole, d. critique par P. Claire e F. Girbal, Paris 1965, p. 260: ...Il serait sans doute
beaucoup plus utile de considerer generalement ce qui engage les hommes dans
les faux jugemens qu'ils font en toute sorte de matire; & principalement en
celle des mceurs, & des autres choses qui sont impor- tantes la vie civile, & qui font le sujet
ordinaire des leurs entretiens. RETORICA
E LOGICA 163 na di riportare l'introduzione alla trattazione dei sofismi del
primo gruppo parole che riecheggiano
evidentemen- te considerazioni di Pascal e di Malebranche: Se si esamina con
cura ci che fa sf che di solito gli uomini aderiscano ad unopinione piuttosto
che ad unal- tra, si trover che non la
penetrazione della verit e la forza delle ragioni, ma qualche legame damor
proprio, di interesse o di passione. il
peso che fa traboccare la bi- lancia e che ci fa decidere nella maggior parte
dei nostri dubbi: ci che d il massimo
avvio ai nostri giudizi e vi ci fa aderire pi fortemente. Giudichiamo delle
cose non per ci che sono in se stesse, ma per ci che sono ri- spetto a noi; e
la verit e lutilit sono per noi la medesi- ma e identica cosa. Non ci vogliono altre prove oltre ci che si
vede ogni giorno: che cose, le quali da ogni altra parte sono ritenu- te dubbie
o addirittura false, sono ritenute certissime da tutti quelli che appartengono
ad una nazione o ad una professione o ad un istituto. Infatti, non essendo
possibi- le che ci che vero in Spagna
sia falso in Francia, n che la mente di tutti gli spagnoli sia costituita in
modo tanto diverso da quella di tutti i francesi, che giudicando le co- se soltanto
secondo le regole della ragione ci che gene- ralmente pare vero agli uni appaia
generalmente falso agli altri evidente
che questa diversit di giudizio non pu venire da altra causa, se non questa,
che agli uni piace ri- tenere per vero ci che
loro di vantaggio, mentre gli al- tri, non avendovi interesse, ne
giudicano in altro modo '. Due cose qui sono particolarmente di rilievo. La
prima il carattere emozionale che alla base di questo genere di persuasioni non-razionali:
carattere emozionale indica- to un po rozzamente da termini come amor proprio,
in- teresse, utilit, passione, ma tuttavia indubbio e co- mune a tutte le
specie di sofismi che vengono descritte. La seconda il carattere tipicamente sociale di queste
for- me di sofisma: legate al rapporto che luomo ha con gli altri uomini, nella
nazione, nel gruppo sociale o nell’istituto: carattere sociale che viene
contrapposto alluniver- salit della convinzione razionale. Questo carattere
sociale, umano, ancora pi ma- nifesto,
nonostante il titolo, nei faux raisonnemens qui naissent des objets mmes. A
questa classe appartengo- no infatti quello che gli autori chiamano le sophisme
de lautorit', comprendente il sofisma del consensus gen- tium e in generale molti dei sofismi che sono
basati sul- la stima (positiva o negativa) che si porta alle persone che
esprimono un'opinione, anche in materie dove quella stima (o disistima),
essendo fondata su altri motivi, non dovrebbe essere rilevante. Accanto alla
Logigue de Port-Royal ovvio ricordare
lelencazione dei sofismi fatta da Locke nel libro IV, ca- pitolo xvII, $$ 19-22
del Saggio sullintelligenza umana. Egli distingue quattro specie di argomentazioni, che gli
uomini, ragionando tra loro, ordinariamente usano per ot- tenere lassenso di
altri, o, quanto meno, per intimidirli e tacitare la loro opposizione . Di queste quattro specie solo la quarta,
largumentum ad judicium, porta con s una
vera istruzione e fa progredire la conoscenza
. Gli altri tre sono, praticamente, dei sofismi. E sono: largu- mentum
ad verecundiam, largumentum ad ignorantiam, largumentum ad hominem. La
prima pressoch identi- ca a parecchi dei
sofismi della seconda specie nella classi- ficazione dei porto-realisti:
consiste nel riverberare sugli enunciati la stima, il valore, l'autorit di
coloro che li e- nunciano. Le altre due specie di sofismi si riferiscono in- vece
a una situazione concreta umana (e in ultima analisi emozionale) del
contraddittore, ridotto al silenzio proprio sulla base della sua
situazione in quanto, cio, linterlo-
cutore messo in una situazione che
diremmo di auto- rit negativa: sono dunque delle specie di argumentum ad
verecundiam rovesciato. Ripetiamo: queste, che per i logici moderni sono so-
fismi, erano invece classiche forme di argomentazione retorica, e affondano le
loro radici nellintera tradizione pp. 282 sg. :
Beggi sullintelligenza umana, trad. it., Bari 1951, vol. II, p. 398. 3
p. 399. della civilt letteraria. (Ci
risulter, spero, dalla tratta- zione che segue). 6. Cominciamo da un caso
particolare, ma importan- tissimo, di argomentazione ad hbominem. Questa,
secondo la definizione di Locke ',
consiste nello stringer dappres- so un uomo con certe conseguenze tratte
dai suoi propri princip o concessioni . Lo stesso Locke, nel $ 22, chia- risce
che questo tipo di argomento consiste nel mostrare all'avversario che in errore, che ha sbagliato. Ci ci fa pensare
ad un esempio molto illustre allar-
gomentazione ironica di tipo socratico. Se linterlocutore, incautamente,
enuncia una proposizione (per es., una de- finizione), da questa si traggono
delle conseguenze: e se queste sono insostenibili, l'interlocutore deve trovare
il coraggio o di rimangiarsi il primo enunciato o di sostene- re le conseguenze
stesse nella loro paradossalit. Con ci, osserva Locke, non si provata la verit di nulla: e questo il noto limite della dialettica negativa di
origine eleatica. Ma non questo, almeno
per ora, il pun- to che ci interessa: bensi dobbiamo fare due osservazio- ni.
La prima che in tale forma di
argomentazione le- nunciato non viene considerato in s, nella sua significan-
za logica, ma come lenunciato di una persona: largo- mentazione si volge alla
persona, e la persona legata al- la
responsabilit del suo enunciato. Quindi, anche se il procedimento di
confutazione logico, la situazione di-
scorsiva tipicamente umana la verit (o falsit) ap- pare come la verit (o
falsit) di un uomo. La seconda considerazione ci suggerita proprio dal- l'esempio del dialogo
socratico. Tranne il caso che le conseguenze della proposizione confutata siano
manife- stamente delle falsit fattuali, negli altri casi la falsit ri- sulta da
unintuizione, non da un discorso: e, non essen- do fattuale, di solito di natura emozionale. Le conse-
guenze non sono provate false (non essendo fattuali) n dimostrare assurde (non
essendoci premesse vere con le quali risultino incompatibili): la loro
inammissibilit di 1 S21. solito di natura emozionale. Sono conseguenze
vergogno- se o ridicole. Questo procedimento
vecchio quanto la letteratura. Si pensi alla commedia di Epicarmo o a
quella di Aristo- fane, in cui la poleinica antifilosofica condotta proprio in questo modo. , attraverso
tutti i tempi, si pensi quan- to questo metodo (di criticare mediante la qualit
emo- zionale delle conseguenze) sia stato applicato in tutti i settori della
civilt delle lettere. Questi due caratteri di una delle forme pi fondamen- tali
di argomentazione retorico-letteraria
intendo dire il carattere umano e il carattere emozionale (valuta- tivo)
dellargomentazione stessa, non sono due caratteri semplicemente giustapposti o
compresenti. Derivano in realt dal medesimo carattere di un discorso che si ri- volge ad una umanit
psicologicamente concreta e perci limitata, di un discorso che si svolge nel
concreto di una interpersonalit sociale e non nellideale di ununiversale
intersoggettivit (obiettivit). 7. Quello che da Locke in poi si suole chiamare
ar- gumentum ad verecundiam costituisce non solo una del- le strutture
fondamentali dellargomentazione retorica, ma (noi riteniamo) la forma, lanima,
dellintera civil- t letteraria. Tale argomento consiste nel citare le opi-
nioni di uomini il cui ingegno, dottrina, eminenza, pote- re, o qualche altra
causa, ha ottenuto un nome, e ha sta- bilito la loro reputazione nella stima
comune con una qualche specie di autorit. Quando gli uomini sono innal- zati ad
una qualunque specie di dignit, si considera im- modesto che altri vi deroghino
in alcun modo, e mettano in dubbio lautorit di coloro che di tale autorit sono
in possesso. Si soliti censurare questo
comportamento co- me segno di troppo orgoglio, quando uno non cede pron-
tamente a ci che stato determinato da
autori approva- ti, e che usualmente, da altri, sono accettati con rispetto o
sottomissione; o quando altri si mette ad insistere nel- la propria opinione
contro la corrente del pensiero del- lantichit, questo considerato come insolenza; o quan- do uno
mette su un piatto della bilancia il pensiero pro- RETORICA E LOGICA 167 prio
contro quello di un qualche sapiente dottore, o di uno scrittore altrimenti
approvato. Chiunque appoggi le proprie opinioni a simili autorit ritiene con ci
di aver causa vinta, ed pronto a
censurare come impudente chiunque le contrasti
. Gi queste righe ci mettono di fronte ad una struttura discorsiva
alquanto complessa, di cui cercheremo di scan- dire gli elementi. Il primo
punto che qui ci interessa di fissare
stato ampiamente analizzato dal Perelman: ed la dipendenza della persuasione retorica
dalla qualit del- le persone che intervengono nel dramma oratorio (lora- tore e
lobiettore od eventuali obiettori). Qui la verit (0, forse meglio, la validit)
del discorso appare in funzio- ne del valore della persona che la sostiene. La
Logique de Port-Royal, come abbiamo detto, parla a lungo di questo sofisma,
sotto il titolo di faux raisonnemens qui naissent des objets mmes. opinione falsa ed empia che la verit sia
talmente simile alla menzogna, e la virt al vizio, da essere impos- sibile il
discernerle: ma vero che nella maggior
parte delle cose c' un miscuglio di errore e di verit, di vizio e di virt, di
perfezione e dimperfezione, e che tale miscu- glio una delle fonti pi comuni dei falsi giudizi
degli uomini. Infatti a causa di questo miscuglio ingannatore che
le buone qualit delle persone che si stimano fanno si che ne vengano approvati
i difetti, e che i difetti di coloro che non si stimano fanno s che si condanni
quello che hanno di buono, perch non si pensa che le persone pi imperfette non
lo sono in tutto e che Dio lascia alle pi virtuose delle imperfezioni che,
essendo dei residui del- linfermit umana, non devono essere oggetto della no-
stra imitazione, n della nostra stima.
La ragione di ci sta nel fatto che gli uomini non con- siderano le cose
nei particolari: non giudicano che se- condo la loro impressione pi forte e
sentono ci che maggiormente li colpisce
cos quando scorgono in un di- scorso molte verit, non notano gli errori
che vi sono ! Sio, 168 RETORICA E LOGICA frammischiati: e viceversa, se ci sono
verit frammischia- te in mezzo a molti errori, non fanno attenzione che agli
errori, la parte pi forte prevalendo sulla pi debole e l'impressione pi viva
soffocando quella pi oscura . Siamo di
fronte ad un classico esempio di quella che Duprel ha chiamato la pense
confuse: e precisa- mente a quella che lo stesso Duprel ha analizzato come idea
di merito personale. In essa si troverebbero mesco- lati due elementi
irriducibili: il merito dellintenzione e il merito del risultato ottenuto o del
successo. Non si pu ridurre questa dualit a uno solo dei due elementi (per es.,
a quello dellintenzione): perch nel merito dellin- tenzione implicito il valore di quello che sarebbe
stato il risultato, ove conseguito; e nel merito del successo implicata lidea che esso non frutto del caso, ma c sta- ta, da parte di
chi lo ha conseguito, una consapevole in- tenzione di conseguirlo. Nozione
confusa, quindi, ma non falsa: il negarla porta a negare uno specifico valore
so- ciale. E del resto, osserva sempre il Duprel, molte im- portanti idee
morali, come quelle di giustizia, felicit, libert, sono idee confuse. Dunque:
unidea come quella di merito personale con- tiene una valutazione che si
riferisce, circolarmente, e al- le qualit del soggetto agente e al risultato
ottenuto. Su questa circolarit si fondano le valutazioni che hanno ri-
ferimento alla qualit personale dei partecipanti a una di- scussione: ch chi di solito buono si presume che com- pia
sempre atti buoni, e quindi sia veritiero, non parli a caso, ecc.; e
viceversa. del resto la fondamentale
strut- tura, eminentemente problematica, della nozione stessa di persona morale
quale, per esempio, lha definita Max Scheler: la persona morale un centro unitario di atti, e da questi trae
la sua qualificazione ma al contempo i
suoi atti vengono qualificati dalla sua qualit personale. Il Perelman ha
insistito sul fatto che la chiarezza delle nozioni, la necessit di un
linguaggio inequivoco, une- ! La Logique ou LArt de Penser
cit., pp. 274-75. ? La Pense Confuse, in E. DuPREL, Essais pluralistes, Paris
1949, PP. 324 568. P. 326. sigenza del discorso scientifico: ma che tale
esigenza non vige sul piano del discorso valutativo e in genere si oppo- ne ad
altre esigenze che nascono dai bisogni di decisione e di azione '. Insomma:
questo tipo di sofisma ad verecundiam, fal- lace nel discorso di tipo
scientifico (e perci condannato dagli autori della Logigue de Port-Royal e da
Locke), invece una struttura tipica del
discorso giuridico, mora- listico, e in genere valutativo; ed ha un'importanza
fon- damentale nella logica (retorica) di questo tipo di discor- si. I valori
ammessi dalluditorio, il prestigio dellora- tore, il linguaggio stesso di cui
ci si serve tutti questi elementi sono
in costante interazione quando si tratta di conquistare l'adesione delle menti
, dice lo stesso Perel- man. E il motivo ce lo suggerisce egli stesso, che dice
e spes- so ripete: Il linguaggio
non soltanto mezzo di comu- nicazione: anche strumento di azione sulle menti, mez-
zo di persuasione . Gi gli antichi (per
es., Isocrate) di- cevano che la retorica
psicagogica, e in questo senso la difendevano dagli attacchi dei
filosofi. Io direi: il ti- po di discorso retorico, e in genere di discorso
umanisti- co o letterario, un tipo di
discorso non semplice- mente, e non principalmente, comunicativo (nel senso di
comunicazione di conoscenze), bensi, direi, comunitario: un modo di essere in concreta, personale,
partecipa- zione. 8. Ecco perch Locke, assumendo il principio di auto- rit pi
nel suo aspetto confutatorio che in quello proba- torio, lha chiamato argumentum
ad verecundiam, mo- strando con ci di vederne la profonda unit di radice con
gli altri sofismi retorici, ad hominem e ad ignoran- tiam. Si tratta qui di una
specie di autorit a rovescio. Linterlocutore
fatto entrare nella discussione con il con- creto della sua persona: e
in questo caso con la piccolez- ! Cfr. PERELMAN e OLBRECHTS-TYTECA, Trait de lArgumentation
cit., I, pp. 176-82. 2 p. 178. * D.
177. 170 za, povert della sua persona.
La tesi da lui sostenuta non viene sciolta da lui e considerata, come avviene
nella pro- va scientifica, nellideale obiettivit del vero e del falso; ma al
contrario viene considerata come espressione del- la persona, legata alla
sostanza di essa e con essa co-valu- tata. Chi sei tu, che pretendi di saperne
pi di Aristo- tele? Oppure; Non vedi che ti contraddici? (ma la contraddizione
diventa una situazione umana dellinterlo- cutore: logicamente essa
significherebbe che non entram- be le tesi che egli sostiene possono essere
vere, non che ci che egli dice sia eo ipso privo di valore). Perch cri- tichi
gli altri, se non sai fare meglio? (ma so con certez- za che Parigi dista da
New York pi di cento chilometri, sebbene non sappia esattamente quanto). 9.
Veniamo ora direttamente all autorit, il grande principio di ogni civilt
umanistica in ogni epoca il pi
accanitamente condannato e pi attivamente combattu- to dai sostenitori di una
civilt delle scienze. Questo forse il
punto pi critico in cui si misura il conflitto delle due forme operanti in seno
alla nostra civilt: ch qui che, come
vedremo pi volte anche nel seguito di questo saggio, entrano in conflitto non
soltanto due tecniche di argomentazione relative a due diversi tipi di
discorso, ma due idee di verit, due idee del posto e della funzione del sapere
in seno alla societ e alla storia in
ultima analisi, persino due opposte concezioni morali. Se lasciamo da parte
laccezione pi rozza, e forse al- quanto convenzionale, dellautorit come ipse
dixit, considerandola come una degenerazione patologica, in un senso pi sottile
e pi profondo il principio dautorit co- stituisce il fondamento e lanima di
tutta la civilt uma- nistica anche nelle sue pi normali e pi sane manifesta-
zioni. Esso interviene ogni volta che esponiamo le nostre vedute attraverso,
mediante, lesposizione di (o semplice- mente il richiamo a) opinioni di autori
che, sinceramente oppure per verecundia, stimiamo pi importanti, oppure
sappiamo essere pi stimati, di noi. Esso interviene ogni volta che, quasi a
scusarci della paradossalit di quanto stiamo dicendo, ci affanniamo a mostrare
come i nostri asserti, le nostre posizioni, non siano poi cos nuovi, ab- biano
dietro di s una tradizione che conta illustri autori, eccetera. Cosi, quasi
inavvertitamente, abbiamo mostrato due maniere distinte di operare, quasi due
valenze, del prin- cipio di autorit. Alla base c sempre quella caratteri- stica
struttura, cui abbiamo accennato allinizio del $ 7, per cui la stima che
accompagna un oratore (un autore, uno scrittore, ecc.) si riversa, per cos
dire, sulle sue ope- re, sulle sue parole, sulle sue opinioni. Ma ci si pu
espli- care come autorit di un singolo uomo, di un singo- lo autore, in un
concreto ambiente umano in cui vige la stima per quelluomo, se ne sente l
autorit. Oppure si esplica nel senso pi vasto e pi profondo della tradi- zione.
Tutti sappiamo che il concetto di auctoritas
medie- vale: le auctoritates sono poi i testi, le sentenze, le pro-
posizioni degli auctores e questi sono
quegli autori uf- ficialmente riconosciuti sui quali si fonda la cultura stes-
sa: sono quelli che noi chiamiamo i classici. Nel senso di auctor o di classico
non implicato soltanto il con- cetto di
alte valutazioni dellopera (e/o della persona): ma insieme il concetto che esso
appartiene ad un insieme fondamentale che costituisce la tradizione.
Quest'ultima, pi ancora del fondamento,
la cultura stessa: persona colta
quella che ha appreso, che conosce, che possiede la tradizione dei
classici il professore, il doctor, il
lector medievale. Gli auctores formano cosi la parte scelta della co- munit
culturale, i raccoglitori e trasmettitori delleredi- t (x\.fjpoc), del
patrimonio comune di cultura di un po- polo. Anche qui, la loro
universalit universalit concre- ta,
storica, legata alle vicende di un popolo (o di un grup- po di popoli che la
storia ha finito con lassociare), di una lingua, e alle istituzioni culturali
in esso vigenti. La forza dellauctor supera di gran lunga il suo stesso
prestigio: donde il grande valore etico, quasi religioso, che negli am- bienti
culturalmente conservatori assume il concetto del- l'autorit cosi definito.
Cosi Aristotele non pi solo un grande
filosofo, ma il Filosofo di un intero mondo culturale; e Dante non pi solo un grande poeta, ma il poeta di
nostra gente. 10. Passiamo cost ad unaltra categoria fondamentale nella
struttura della civilt retorico-umanistica: la doxa. Lo scopo
dellargomentazione retorica di mostrare
che le convinzioni esposte sono endoxai, probabili (nel sen- so di conformi
alla doxa): ed alla doxa si appella tut- ta la civilt letteraria; ed appunto in ci che consiste la sua umanit, il
suo senso del concreto storico onde le
tendenze storicistiche che ha sempre avuto la filo- sofia di ispirazione
retorico-letteraria, e viceversa le sim- patie verso lUmanesimo che in genere i
filosofi storicisti hanno. La doxa , prima di tutto e fondamentalmente, con-
sensus gentium, opinione degli uomini, del prossimo: senso comune (che non la medesima cosa del buon senso di cartesiana
memoria), evidenza umana, fatta di sentimenti materiali nellabitudine, nella
tradizione, nel costume. Lappello ad un tale consensus non solo un metodo comunissimo dargomentazione
retorica; ma un metodo fondamentale
dellapologetica religiosa, e si ritro- va ancora come fondamento
pseudo-teoretico della mag- gior parte delle filosofie spiritualistiche. Si
badi, non si tratta qui di un appello alla pura universalit della ragio- ne:
bensi ad esigenze, a sentimenti, che dovrebbero essere scolpiti in ogni cuore
umano... E i sostenitori del valore delle arti nei confronti del sapere
intellettuale molto spesso invocano questa concreta universalit del- larte,
questo suo appellarsi ai sentimenti pi profonda- mente e pi generalmente umani.
Da questo punto di vista, il concetto di autorit ac- quista un particolare
rilievo. Lappello allautorit lap- pello
allopinione dei migliori. I testi dell'Art de Pen- ser e del Saggio di Locke
cui prima abbiamo accennato mettono bene in rilievo questo punto. I migliori
so- no tali in un concreto umano, sono tali per una stima di cui li circonda il
consensus. la loro qualit personale, per
cosi dire globale, che li rende autorit:
la fa- ma di cui godono e, molto spesso (se sono vivi), la posizione
sociale che occupano. Non sono aquile che volano solitarie, ma le guide e i
campioni dei pi. Anche i classici della tarda antichit (epoca eminentemente
reto- rica) erano sentiti cosi: come campioni, e quindi come modelli per gli
altri. La loro divinizzazione nellepoca del Rinascimento (divinizzazione tanto
rimproverata da Bacone e da Galilei ai pedanti loro contemporanei) gi un processo degenerativo (e tipicamente
tardo-rinasci- mentale, manieristico) dallautentico senso dellauctoritas
medievale (sia scolastica, sia umanistica): che
concreta universalit umana, senso comune incarnato, non testi- monianza
di genio solitario. Essi rappresentano lopinio- ne ufficiale onde la condanna di chi presuma di con-
trapporre alla loro autorit la propria privata convinzione. 11. Il tipo del
discorso letterario, cio retorico, dun-
que costituito da un argomentare che muove dalla doxa e finisce nella doxa: che
si muove in un concreto umano e sociale di cultura (sentimenti, opinioni,
tradizioni) stori- camente determinato, per ristabilirlo o ricostruirlo (qua-
le era il genere epidittico per gli antichi), sia anche per mutarlo, ma per
mutarlo mantenendo una coerenza nel- la sostanza. In questo ultimo caso, la
critica (e l'esempio forse pi perspicuo ne
la critica illuministica di quel co- stume che viene criticato (che ,
per esempio, il tipico equivoco della critica voltairiana). Per questo,
tecnicamente, la base del discorso lettera- rio
quella che lo Stevenson ha chiamato definizione per- suasiva: i bravi
soldati non scappano, i buoni italia- ni non comperano automobili straniere, i
veri ameri- cani non hanno simpatie per il comunismo, ecc. La de- finizione
persuasiva lega un carattere C ad un nome N
e in questo assomiglia ad una comune definizione; ma que- sto nome N
o accompagnato da un attributo di
valore, 0 esso stesso, nellaccezione
corrente, connotante un ta- le attributo (cio,
associato ad una emozione): infatti basterebbe dire un soldato non
scappa, ecc., nel caso che soldato, italiano, americano, ecc., siano associati
a determinate emozioni. Un simile procedimento presup- pone evidentemente una
dox4: presuppone cio emozioni, valutazioni, convinzioni che vigano in maniera
indi. scussa nelluditorio, nella tradizione di quelluditorio, ecc, Un elemento
tipico della definizione persuasiva lin-
terconnessione tra fatto e valore, conoscenza ed emozio- ne. Il fatto dato nella concretezza umana del costume,
dove ogni evento carico di significati
axiologici e ogni valore ha tradizionali, abituali esemplificazioni in fatti
de- terminati. Sia la considerazione del fatto in s, fatta astra- zione da ogni
concomitante emozionale, sia la considera- zione del valore puro, come
autovalore, isolano il discor- so dalla doxa, dalla concreta vita abituale dei
pi: la mancanza di emozione rende arido il discorso, la man- canza di esempio
lo rende astratto; in ogni caso, non persuasivo, quindi non efficace come
strumento di cultu- ra pragmatica in seno ad una societ. E aridit e a-
strattezza sono, come noto, due costanti
bersagli po- lemici della cultura umanistica verso la cultura scientifi-
cistica come verso la cultura scolastica. Formule co- me val pi l'esempio che
il precetto, oppure formule pi teoreticamente ambiziose come quella della verit
del cuore stanno appunto a indicare questa esigenza del concreto emozionale,
della compenetrazione del fatto col valore
che, tra laltro, ha reso perplessi alcuni metamo- ralisti, i quali, di
fronte a frasi come la signora X ha il naso rosso!, hanno osservato come ogni
aggettivo pos- sa funzionare da aggettivo di valore. Di fatto, la definizio- ne
persuasiva esplicita questo rapporto, ossia stabilisce la funzione valutativa
di frasi denotanti fatti. Dalle definizioni persuasive, come da premesse mag-
giori (princip), muove largomentazione retorica, la qua- le, pi o meno con
lausilio di ttor intermedi, porta cer- ti caratteri di valore su determinati
fatti, oppure mira a rendere probabili certi fatti dubbi sulla base di determi-
nati caratteri di valore ( pi probabile che un delitto sia stato commesso da un
pregiudicato che non da una per- sona rispettabile e incensurata; il criterio
filologico della lectio difficilior; e simili). Il concreto discorso giuridico
(come del resto in genere il discorso etico) esemplifica molto bene questo tipo
di logica retorica, con forme di argomentazione le quali alla luce di una
logica rigorosa (scientifica) sarebbero invece invalide o per lo meno
problematiche. i Ma, naturalmente, la definizione persuasiva pu rima- nere
sottintesa: che un modo (derivante
dallhabitus agli studi di Logica) per dire che pu mancare affatto, e agire solo
come connettivo implicato nel sentimento e nella doxa. Non occorre dire: Gli
uomini coraggiosi non scappano; Vittorio
scappato di fronte al nemico; Vitto- rio dunque non coraggioso (dove gli uomini corag- giosi non
scappano sarebbe la premessa maggiore per- suasiva); si pu dire e si dice: Vittorio un uomo co- raggioso? Ma
se scappato! 12. E quicisi presenta un
ultimo aspetto del discorso retorico-letterario, un aspetto che forse meglio di
ogni al- tro ci mette in risalto il carattere letterario della... ci- vilt
delle lettere (retorica). Un discorso che tende al concreto emozionale, al rap-
porto umano e al modo di pensare che Trilling chiama culturale e che si
accentra (muove da- e ritorna a-) nel giudizio su persone entro una societ,
tende naturalmen- te a preferire lesemzpio al discorso formale: a presenta- re
direttamente allemozione un campione intuitivo in cui si cala il concetto. I
precetti retorico-poetici sono accom- pagnati dalla lettura dei classici, che
sono concreta e intuitiva attuazione dei precetti medesimi, e sui concetti
astratti presentano il vantaggio di offrirsi ad unimmedia- ta presa di
posizione emozionale. Cosi il discorso morale si esemplifica nel racconto
(fiaba, apologo, romanzo a te- sl, ecc.) Questo modo di discorrere, plastico,
visivo, si pu, con Vico, far risalire ad Omero. E tutti sanno che Vico ha
ravvisato in esso la struttura tipica, la forma gnoseologi- ca della stessa
conoscenza poetica, cio della poesia. Ma non
la forma di gran parte del romanzo e del teatro mo- derno? La maggior
parte dei pi seri difensori della ci- vilt delle lettere, tutti coloro che
hanno voluto vedere nell'opera letteraria qualcosa di pi e di meglio che non un
fatto calligrafico o di gusto (edonistico), hanno pro- Prio insistito su ci:
lopera letteraria, la grande opera 176 RETORICA E LOGICA letteraria, contiene
un messaggio: morale, civile, politico, religioso... Ma questo messaggio,
questo insegnamento (se c') comunque non
nella forma discorsiva del trattato di morale, di politica, ecc., e neppure
nella forma retori- ca (epidittica) del sermone, bensi nella forma dellesem-
pio plastico, dove la dialettica dei concetti diviene dram- ma dei personaggi,
i valori divengono eroi, le implicazio- ni logiche fattuali destini... Il buon
scrittore letterario non loda e non biasima quello che vuole venga approva- to
o disapprovato: lo mostra, ossia lo presenta allemo- zione nella forma plastica
dell'esempio. Cosi la Capanna dello zio Tom, Le mie prigioni, I Miserabili sono
state opere di propaganda, pit per quello che hanno mostrato e fatto sentire
che non per quello che hanno detto. E an- cora oggi tendono, pi o meno, in
questa direzione il ro- manzo, il teatro, il film impegnati. 13. Un'ultima
osservazione, che non esula completa- mente dal tema di questa sezione del
nostro saggio. Filosofia caratteristica della contemporanea civilt del- le
lettere lo storicismo. Ma questa parola,
storicismo, divenuta oramai equivoca a
tal punto, che non si sa pi che cosa voglia dire. Ci sono tanti e poi tanti
storici- smi! Ma in paesi pi decisamente dominati dalla tradi- zione
retorico-letteraria, come il nostro (ma anche altrove ce ne sono
manifestazioni) venuto prendendo forma e
corpo un peculiare storicismo, che direi biografismo. Si tratti di arte
figurativa, di letteratura, di filosofia, qui dominante luomo: lo studio delle sue produzioni del tutto subordinato allo studio della sua
biografia ambien- te, formazione,
situazione sociale e politica, ecc.; la sua stessa produzione vista come documento autobiografi- co si che spesso il documento minuto (una
lettera, il frammento giovanile di un lavoro incompiuto) diviene quasi pi
importante del capolavoro. Prima, e pi, della Critica della ragion pura c'
Kant; prima e pi del Faust c' Goethe. Ripensiamo a quanto abbiamo detto a proposito
del principio di autorit, degli argomenti 44 hominem, ecc.: lopera qualifica
lautore, ma lautore qualifica lopera; il valore di questultima nell'uomo che lha scritta, non (0 non tanto)
nella sua verit e problematicit obiettiva, uni- versale. Tutto il sapore
diviene storia; ma la storia stessa diviene biografia. II. Simmetricamente a
quanto abbiamo fatto per indaga- re la forma caratteristica del discorso nella
cultura lette- raria, dovremmo ora tentare di descrivere nelle grandi li- nee
la forma caratteristica del discorso nella cultura scien- tifica. Ma questo
compito ci appare, qui, non meno im- portante, per meno necessario. Infatti da
Bacone ad og- gi la produzione di opere di metodologia delle scienze, di
epistemologia e di logica del discorso scientifico immen- sa: mentre, se si eccettuano i pochi
scritti che abbiamo ci- tati, e pochi altri che non abbiamo citati, l'indagine
paral- lela sulla forma del discorso retorico
pressoch nulla. Per questo ci limiteremo a pochi cenni, rivolti pi che
altro a sottolineare alcuni aspetti che avranno un partico- lare rilievo nel
seguito di questo saggio. 1. Come abbiamo chiamato il discorso tipico della
cul- tura letteraria discorso retorico, nel senso di persua- sivo, cosi
possiamo chiamare il discorso tipico della cul- tura scientifica discorso
logico, nel senso di probativo- dimostrativo. Se dovessimo fissare quale ne il carattere formale pit importante, dovremmo
dire che questo il carattere del- la
necessit. Gi dai tempi di Aristotele, per tutta quanta la tradizione logica
occidentale, questo precipuamente che
distingue il discorso apodittico dal discorso dialettico e retorico. Il primo,
come noto, muove da premesse ne-
cessarie termina in conseguenze
necessarie; il secondo muove da premesse probabili (verosimili) e termina in
conseguenze probabili (verosimili). A questo proposito, per, bisogna guardarsi
da equivocit inerenti (in conse- guenza della storia stessa delle scienze e in
genere della civilt occidentale) in parole come probabile, probabi- 178
RETORICA E LOGICA lit. Infatti, sarebbe anche troppo facile osservare che in
molte zone della scienza contemporanea la necessit ha fatto posto alla
probabilit: le leggi deterministi- che alle leggi stocastiche, le previsioni
infallibili alle pre- visioni meramente probabili, il procedimento ipotetico
per tentativo ed errore al procedimento per deduzione matematica. Ma facciamo
attenzione che comunque non siamo in presenza di unapertura della mentalit
scien- tifica a strutture tipiche della mentalit letteraria. La pro- babilit
scientifica non sinonimo dellvotia
retorica: anzi, le due cose sono assolutamente inconfrontabili. La probabilit una relazione e la misura di tale relazione:
si deduce con un calcolo matematico, altrettanto dedutti- vo e rigoroso (cio,
necessario) quanto ogni calcolo ma- tematico. Lenunciato matematico che
attribuisce ad un evento una probabilit
p altrettanto rigoroso e neces- sario
quanto lenunciato che, data unaccelerazione, una velocit iniziale, ecc.,
attribuisce ad un proietto una de- terminata parabola. Le leggi stocastiche
sono pur sem- pre leggi, quanto quelle deterministiche (meccaniche). E anche il
principio di indeterminazione, su cui si basa il muovo orientamento stocastico,
stabilisce una connessio- ne quantitativa recessaria tra i due errori di
determina- zione (previsione) del momento e della posizione, il cui prodotto
ron pu essere inferiore alla costante di Planck. La probabilit come
verisimiglianza retorica, invece, ci'
che sembra al senso comune e alle auctoritates. Limprobabilit che una persona
seria, per bene, incensu- rata, abbia compiuto una certa azione vergognosa o
mal- vagia (che so, uno stupro violento o un assassinio a scopo di rapina) unimprobabilit morale, fondata non su un
calcolo delle probabilit, non su leggi statistiche di di- stribuzione (e
infatti nei buoni classici romanzi polizie- schi, modelli di applicazione del
metodo scientifico, il grande detective non ne faceva conto alcuno), bensi su
un giudizio concreto, sociale, sull'uomo. Anzi, un tale giudi- zio di
improbabilit (0, viceversa, di probabilit, quando si ritiene pi probabile che
lassassino o il bruto sia stato quel certo tipaccio che noto a tutti per tale, o, in America, il
disoccupato, il bohmien o il comunista) il pi delle volte si fonda su un tipo
di inferenza che nella logi- ca scientifica (anche in quella stocastica!) erroneo: una specie di fallacia del
moralista, per cui si tende ad at- tribuire allessere le qualit del dover-essere,
a pensare che la realt sia come dovrebbe essere, come si vorrebbe che
fosse 0, pi spesso, che ron sia come non
dovrebbe essere, come non si vorrebbe che fosse '. Piuttosto, si potrebbe fare
unaltra osservazione, assai pi rilevante. Per Aristotele e per tutta la
tradizione lo- gica occidentale che ha da lui preso le mosse, la differen- za
tra il discorso (sillogismo) apodittico e quello dia- lettico-retorico gnoseologica, non logica. Il sillogismo ha
sempre la sua intrinseca necessit logica (altrimenti un sofisma o un paralogismo): ma il
privilegio del sillo- gismo apodittico
dato dalla necessit delle sue premes- se, necessit che si trasmette alle
conclusioni: e tale ne- cessit significa evidenza razionale. E su questo pun-
to lepistemologia contemporanea difficilmente potrebbe accordarsi con la
concezione aristotelica. Da una parte il convenzionalismo che, introdotto nella
logica contempo- ranea da alcuni filosofi della matematica (in particolare da
R. Carnap), anche se molto discusso ne domina oggi le stesse impostazioni di
base; dallaltra lepistemologia di molti empiristi radicali rendono inammissibile che in qualsiasi punto
di un discorso scientifico si trovi unevi- denza razionale, una necessit, che
non sia la necessi- t per cui le regole del linguaggio (sintattiche e semanti-
che) determinano le derivazioni, deduzioni, conseguenze da certi enunciati a
certi altri enunciati: ma gli assiomi del sistema, come le stesse regole del
linguaggio, sono convenzionali; e lesperienza scientifica soltanto ipotetica. E
la mediazione che necessaria: solo
questa ma que- sta ha il carattere della
necessit. Enunciati teorici con e- nunciati teorici, enunciati teorici con
enunciati di osser- vazione, enunciati di osservazione con esperienze tra questi vige una mediazione che necessaria. Rimane li- dea di connessione
necessaria in fondo, di causalit ? ! Cfr. PERELMAN e
OLBRECHTS-TYTECA, Rbtorique et Philosophie cit., PP. 26-27. Sulla probabilit, cfr. ibid., p. 33: Trait de
l'Argumentation cit., I, pp. 59-61, 94-95, e passim. anche se ovvie ragioni
tratte dalla storia del pensiero con- sigliano di andare molto cauti (o forse
meglio di evitarlo) nelluso di questa veneranda parola. 2. Un altro aspetto del
discorso di tipo scientifico (ri- guardante, questo, il suo momento materiale,
la qualit del suo contenuto)
lintersoggettivit. dubbio che le
matematiche pure costituiscano il noc- ciolo della cultura scientifica, la
cultura scientifica; co- me dubbio che
la poesia costituisca la cultura lette- raria. Questi sono, da una parte,
prodotti-limite, prodot- ti di elezione, il fiore delle rispettive culture;
dallal- tra ne sono, forse, i fondamenti formali e gnoseologici. Ma, in
entrambi i casi, siamo di fronte ad aspetti astratti. Per quanto riguarda la
civilt scientifica, il suo momento concreto
rappresentato dalla scienza naturale, e da tutte quelle discipline che,
bene o male, perfettamente o imper- fettamente, su quelle si modellano. E
queste scienze sono tutte scienze empiriche: lempiria vi rappresenta il carat-
tere dominante. Il principio di verificazione, per quanto discusso (spesso
anche troppo cavillosamente), per quan- to pi volte riformulato, resta, di
massima, un principio epistemologico indiscutibile. In fondo, che la scienza
sia empirica, che il suo conte- nuto materiale sia un contenuto di
esperienza, un trui- smo. Ma quanto
infinitamente equivoco questo termine
esperienza! Quante mai cose, quanto diverse, e a volte persino contraddittorie, preso a significare! Non voglia- mo qui farne
unanalisi, ch una tale analisi richiederebbe un trattato a s. Tuttavia c un
punto che vogliamo met- tere in rilievo: non ogni esperienza esperienza scien- tifica. Al contrario,
quellesperienza che ha vigore nella scienza, e che veramente serve di prova
alle ipotesi e alle leggi, unesperienza
assai selezionata, o meglio una clas- se di esperienze assai selezionate.
Anzitutto, devono essere esperienze significanti: non quindi meri stati
vissuti, non mere situazioni sensoriali provate, bensi percezioni
significative. Vale a dire, ta- li che ogni contenuto di esperienza inserito, per cosi di- re, in un tessuto di
esperienza, sf da rimandare ad altri e, tramite questi, ad altri ancora, entro
un orizzonte totale che non mai dato e
che si allarga indefinitamente. Tale significanza, tale connessione, mediata dai concetti (so- prattutto non esclusivamente dai concetti teorici e dalle leggi (scientifiche e/o di natura):
onde la funzione ineliminabile della teoria nella costituzione dellesperien- za
scientifica. In secondo luogo (ma questo aspetto forse connesso al precedente), lesperienza
scientifica deve essere costitu- trice dell'oggetto, oggetto in questo
peculiare preciso senso. Non ogni esperienza
costitutrice dell'oggetto: n a rigore lo sono semplici connessioni o
associazioni. Il problema della costituzione dell'oggetto assai com- plesso, e, oltre al fatto che
richiederebbe un'intera trat- tazione per s, esula in massima parte dal tema di
questo saggio. Qui accenniamo solo a qualche aspetto. In primo luogo, come ha
ben analizzato Husserl, le qualit stes- se dell'oggetto (per es., il colore, la
conformazione, ecc.) non sono quelle vissute. Lalbero che vedo verde: bene. Posso anche dire (poich
verde il nome non di un co- lore, ma di
una classe di colori) che un certo
determina- to verde. Ma, di fatto, quello che vedo una serie di sfu- mature cromatiche
diversissime e continuamente varian- ti: ma tutte queste sfumature vissute sono
adom- bramenti di quel verde, che , per cos dire, il colore oggettivo
dellalbero. E cosi, secondo un celebre esempio di Moore, la forma del
soldo circolare; ma nelle espe- rienze
vissute essa non circolare se non raramente,
e se il soldo lo guardano molte persone insieme, ciascuna lo vede con una forma
(per lo pi ellittica) diversa. Ma la forma circolare la forma obiettiva del soldo. Que- sti
colori, queste forme, obiettivi non sono in realt dati nel senso in cui sono
dati i loro adombramenti nell'esperienza vissuta: ma in un certo senso si
costitui- scono sulla base di tali adombramenti. Qui, ovviamente, funziona una
selezione: si stabilisce un'esperienza stan- dard la quale costituisce il
colore, o la conformazione, o- biettivi
tra laltro (nel caso di costituzione di qualit standard in esperienze
scientifiche, quali misurazioni, let- ture di scale graduate, ecc.) in modo
tale che, pit o meno con lausilio di qualche legge matematica o fisica, gli
adombramenti vissuti sono spiegabili a partire dallipo- tesi che la qualit vera
sia quella standard. Lo stesso si ripete, in maniera peraltro assai pi com-
plicata, per il passaggio dalle qualit all'oggetto. Questo non un semplice fascio di qualit percettive: se
cosi fos- se, non si potrebbe dire che muta, ma ad ogni mutamen- to di qualit
dovremmo parlare di un nuovo oggetto. Se, per esempio, diciamo che una sbarra
di ferro riscaldata di- venta rossa, qui presupponiamo che loggetto sbarra di
ferro rimanga identico nonostante il fatto che alcune qualit (colore, calore)
siano diverse. In altri casi invece una diversit di qualit porta ad affermare
una diversit di oggetto. costituita
pertanto una specie di trama di identificazione
quella che la mitologica ontologia pre- kantiana chiamava sostanza, e
che noi potremmo anche continuare a chiamare cos, purch con sostanza inten-
diamo soltanto la funzione categoriale. Questa trama di identificazione
funziona anche da cri- terio di selezione e da trama di riferimento. Le qualit
vengono selezionate in qualit vere e costanti, costituen- ti proprie
delloggetto, e qualit variabili oppure contin- genti: le prime appartengono a
una qualit generica che qualit propria
dell'oggetto, ma nelle sue specificazioni pu variare (per es., un cane deve
avere un mantello co- lorato, ma la lunghezza del pelo e la specificit del
colore possono variare indefinitamente, o per lo meno entro li- miti molto
ampi); le altre possono anche non esserci (una persona che diventa calva ancora la medesima persona di quando aveva i
capelli). La vecchia distinzione tra qua- lit primarie e secondarie, cara ai
teorici secenteschi del- la scienza, aveva
tra laltro anche questo
significato; e cos, per esempio, Newton definisce esplicitamente: Quelle qualit
dei corpi che non si possono n aumen- tare n diminuire, e quelle che si
ritrovano in tutti i cor- pi sui quali
possibile fare esperimenti, si devono ritene- re qualit universali dei
corpi '. Non solo: ma nelle sintesi
delle qualit nell'oggetto, la ! Philosophiae naturalis Principia Mathematica,
Amstelodami 1723, p. 357. ( la terza delle regulae philosophandi). RETORICA E
LOGICA 183 medesima trama funziona anche (insieme, ch le due fun- zioni sono
interdipendenti) da trama di riferimento. Log- getto non soltanto un fascio di qualit selezionate: ma
tali qualit sono anche interconnesse, riferite le une alle altre, e, almeno
ipoteticamente, formano un sistema uni- tario. E ad esse, e a loro ipotetici
mutamenti inessenziali, si riportano, come dipendenti (magari in connessione
con circostanze esterne) la presenza o lassenza di qualit acci- dentali e i
mutamenti delle qualit variabili. Nella costituzione dell'oggetto funzionano
indubbia- mente degli elementi formali (Husserl direbbe delle pop- gai
intenzionali) della stessa natura di quelli che, quan- do si tratta di oggetti
generali (regioni) e concetti si chia- mano categorie: non solo quella di
sostanza una ca- tegoria, ma lunit di
ogni oggetto individuale costitui- ta
mediante una specie di categoria individuale. E funzio- na indubbiamente una
intuizione eidetica, senza la qua- le non avrebbe neppure senso parlare di un
oggetto co- me di una cosa permanente nei, e ad onta dei, mutamen- ti anzi, a stretto rigore, non avrebbe neppure
senso parlare di mutamenti). Ma nella scienza queste funzio- ni vengono
esplicate dal sistema degli assiomi e delle leg- gi generali le leggi scientifiche, le quali, ben lungi
dallessere induttive (in realt sono assiomi, e nelle scien- ze meglio
formalizzate addirittura tautologie), stabilisco- no i criteri per la
formazione della nozione di oggetto re- lativamente alla regione loro propria:
oggetto (corpo) fisico, oggetto (corpo) chimico, essere (corpo) viven- te, soggetto
psichico, ecc. L'esperienza scientifica stes- sa predeterminata, formalmente, da tali princip
assio- matici, e con essa la formazione stessa degli oggetti di quella
esperienza. Con ci non vogliamo dire che tali leg- gi siano innate, attinte a
qualche mitologica natura della mente umana o a qualche ancor pi mitologico re-
gno delle idee certo, storicamente si
sono formate sul- la base di esperienze, di scacchi e successi, di tentativi ed
errori; come mostra ogni storia del pensiero scientifi- co, si sono venute
estrapolando e successivamente raffi- nando dalle esperienze e nozioni della
vita comune e del mondo-della-vita. Ma quella che a priori
la loro fun- 184 RETORICA E LOGICA zione, non la loro origine, non il
modo in cui sono entrate nel sapere scientifico, ma il modo in cui vi operano
attual- mente. 3. Abbiamo detto che non ogni esperienza esperien- za scientifica, e non ogni qualit
empirica entra nella co- stituzione delloggetto scientifico. Funziona una selezione,
la quale obbedisce a vari e complessi criteri. Uno dei pi importanti tra questi
criteri , abbiamo det- to, quello dellintersoggettivit. Una volta si diceva og-
gettivit: ma questa parola troppo
filosoficamente scre- ditata, e poi, se applicata allesperienza, la qualit che
si- gnifica appare alquanto problematica. Diciamo, dunque, intersoggettivit
(che non esclude loggettivit, ma lha per condizione-limite: ch ci che fosse,
per avventura, oggettivo sarebbe, 4 fortiori, intersoggettivo). Naturalmente,
non si pu definire che cosa sia linter- soggettivit. Se ne possono per indicare
alcuni criteri, al- cune condizioni necessarie. La prima, la pi generica, quella della ripetibilit. O- gni esperienza
da sola, ogni esperienza che si presenta una volta e che transita nel flusso
del vissuto, non mai unesperienza
scientifica, n si pu dire intersoggetti- va. Io stesso che lho vissuta non ne
posso essere comple- tamente certo. L'esperienza scientifica quella che, alme- no di principio, ripetibile. E si noti bene, qui di princi-
pio non vuole alludere ad una possibilit astratta, mera- mente logica, di
ripetere lesperienza stessa: ma solo al fatto banale che molti, per tante
ragioni contingenti, non sono sempre in grado di ripetere esperimenti
scientifici, per i quali occorrono apparecchi, mezzi, circostanze adat- te (per
es., uneclisse solare), ecc. Per questo la scienza ideale piuttosto sperimentale che empirica; e quelle
scienze che non possono divenire sperimentali, o possono divenirlo solo in
parte, selezionano tuttavia quelle osser- vazioni empiriche che, per essere pi
costanti, pi facil- mente si possono ripetere, e considerano (nella costituzio-
ne dei loro oggetti) accidentali quelle qualit che si riferi- scono ad
osservazioni non ripetibili o difficilmente ripe- tibili. Una seconda
condizione quella della descrivibilit in
comune. Non un qualunque oggetto un
possibile ar- gomento di discorso scientifico: esso deve poter venir de-
scritto. Unesperienza ineffabile, indescrivibile, non una possibile esperienza scientifica, n pu
venire invocata a verifica di un enunciato, o entrare in una generalizzazione
empirica. Ma, si dir, una visione, unallucinazione, un so- gno, possono
benissimo venire descritti. Sf, ma non ir co- mune: qui ritorna, appunto, la
condizione pi importan- te e discriminante; la condizione dellintersoggettivit.
Occorre che, almeno di principio, sia possibile che lespe- rienza possa venire
vissuta contemporaneamente da pi osservatori, A, B, C, ecc.: non solo, ma che,
sotto certe ipotesi abbastanza ovvie (e nella pratica facilmente rea- lizzabili
con una soddisfacente approssimazione), ognuno di essi descriva quella
esperienza nel medesimo modo: cio con i medesimi enunciati, o con enunciati che
le con- venzioni linguistiche dei parlanti considerano sinonimi. Si noti bene:
non si richiede affatto che le esperienze siano vissute nello stesso modo.
Oltre tutto, la questione se due esperienze Ei ed E. (due perch vissute
simultanea- mente da due diversi osservatori, o perch vissute in mo- menti
diversi dal medesimo osservatore) siano vissute nello stesso modo , a stretto
rigore, priva di senso. Psi- cologicamente, occorre che esse vengano inserite
in e ri- dotte a un complesso di comportamento, dal quale sol-
tanto si pu inferirne luguaglianza e la differenza. Dal punto di vista
logico-epistemologico, quello che
rilevan- te il comportamento
linguistico. Se A in una determina- ta situazione di esperienza (cio quando in atto una cer- ta percezione sensoriale)
dice verde, e B nella medesima situazione dice pure verde, e ci si ripete
costantemente (e ogni volta che, e fino a quando, si ripete), non occorre
sapere se A e B vivono nel medesimo modo quella si- tuazione (cio se provano la
medesima sensazione) lesperienza gi eo ipso intersoggettiva e comune tra A e
B. N daltra parte sarebbe comunque possibile verifi- care le esperienze stesse
cos come sono vissute. (Tra laltro, il vissuto
unipotesi o un limite, comunque una nozione puramente teorica). A questo
punto il discorso si dovrebbe fare maledetta- mente complicato e difficile.
Rimandiamo alle Meditazio- ni cartesiane di Husserl. Nellesperienza di ogni
soggetto individuale viene a costituirsi una specie di sfera di appar- tenenza
propria: c' un mondo che mi appartiene, che
il mio: sono le mie esperienze vissute, le mie routines, gli oggetti che
in esse si vengono a costituire, le relazioni tra tali oggetti. Questa mia
sfera di appartenenza (di me come singolo, come soggetto individuale) ha un nocciolo
o centro quello che i vecchi filosofi
chiamavano il sen- so interno e ha una
periferia, o meglio un campo (ch si dispone in profondit), che va da questo
centro (ossia dalle esperienze, ed oggetti correlati, pi strettamente connesse
con il nucleo) verso una non ben delimitata pe- riferia. Intermedio il mio corpo, con i suoi sensi, le sue
risposte a stimoli, ecc.: ogni relazione tra il mondo cir- costante e il
nocciolo dellesistenza propria si stabilisce tramite questa sfera di
appartenenza che il corpo. Nel campo
della mia esperienza si presentano gli altri
i qua- li sono, sf, oggetti, ma non semplici oggetti, non cose: ch,
attraverso esperienze di accordo e/o di conflitto, essi mi sono dati come altri
io, altri soggetti individuali, ciascuno con il suo nucleo, la sua sfera di
appartenenza, il suo orizzonte (entro il quale cado io). In comune si vie- ne a
stabilire una zona, che lo spazio comune
in cui si collocano, si giustappongono, si relazionano, le sfere di
appartenenza, i corpi di ognuno: quello
che chiamia- mo il mondo fisico non nel
senso di regione della scien- za fisica, ma nel senso di mondo corporeo (del
mzi0 e degli altri corpi). solo
attraverso i corpi, nel medio del mon- do fisico, che i soggetti comunicano:
cio, in altri termini, le esperienze comuni, descrivibili in comune,
intersogget- tive, sono quelle che si collocano in questa sfera che il mondo fisico. Di qui il deciso empirismo
della scienza. Solo la rotitia intuitiva quinque sensuum verifica le asserzioni
scientifi- che, le rende cio universalmente (intersoggettivamente) valide.
Certo, uno psicologo pu trovare questa nozione dei quinque sensus, questa
descrizione dellesperienza sen- soriale, arcaica, cio non vera (ch
scientificamente arcaico significa non vero, 0, se si preferisce, non pi vero,
confutato). Ma come astrazione filosofica essa resta pur sempre valida (a parte
il valore numerale di quel quin- que): i cinque sensi restano le basi
dellobiettivit co- me intersoggettivit. 4. Chiudiamo questa sezione con alcune
osservazioni. a tutti noto l'importante
ruolo che hanno nelle scien- ze le matematiche
tanto che la loro presenza sembra un fattore decisivo per la
scientificit di una disciplina che aspiri ad essere scientifica. Anche se questo
non del tut- to vero, certo che le scienze pi rigorose, pi perfet-
te soprattutto le pi fondamentali ed
esemplari: la- stronomia e la fisica classica
hanno tutta la loro par- te teorica formulata in linguaggio matematico.
Le matematiche in se stesse sono apparse per secoli e secoli non solo come il
modello della scienza come tale, ma come le scienze per eccellenza. Questo
secondo punto certo oggi assai
controverso: personalmente, lo ritengo affatto erroneo e insostenibile. La
matematica pura o mero linguaggio, o per
lo meno porta su oggetti mera- mente formali. In s non ha alcuna rilevanza nei
riguardi dell'esperienza, di ci che si chiama volgarmente real- t. Se pure
porta su oggetti, questi sono talmente astrat- ti e formali che ci troviamo proprio
ai confini del valore semantico del termine oggetto. Perci la cultura
scientifica pu cos poco identificarsi con la matematica quanto poco la cultura
letteraria pu identificarsi con la poesia. Non per niente sono state os-
servate (per esempio da Novalis) affinit tra la matemati- ca (pura) e la
poesia: entrambe sono poste ai limiti, cio costituiscono dei puri linguaggi
simbolici in cui luso del linguaggio in generale forzato ai suoi limiti di significa- tivit entrambe costituiscono per, per cosi dire, il
fiore e insieme il campione per i valori tipici rispettivi delle due culture.
Ed entrambe, poesia e matematica, divengono cultura solo in un piano di
eteronomia, solo se, per co- si dire, riempite di contenuti di esperienza
rispetto ai qua- li, in s, esse sono indifferenti. Nel campo epistemologico ci
significa che la matematica entra come elemento costitutivo del sapere
scientifico solo in quanto interpre- tata. Le nozioni matematiche ricevono
uninterpretazione scientifica come misure
comunque poi vengano intro- dotti e definiti (nelle varie scienze) i
concetti metrici. O- vunque pu farlo, la scienza (pi o meno, ogni scienza) so-
stituisce ai meri concetti qualitativi concetti metrici. Que- sti adempiono ad
una doppia funzione o meglio, a due
funzioni distinte ma connesse. (Lascio a chi ama favoleg- giare sulla genesi e
le origini lindagare quale delle due sia venuta prima ad esistenza). Luna quella, appunto, di essere interpretazioni di
simboli matematici e quindi di portare
dentro la scienza il rigore dimostrativo e gli esem- plari procedimenti di
calcolo (ragionamento astratto) del- le matematiche. Laltra quella di conseguire la massima
intersoggettivit possibile nella conoscenza umana. Certa- mente, anche nelle
misure intervengono spesso elementi soggettivi: equazione personale, parallasse
nellos- servazione dei segni, ecc. Ma, tutto sommato, le misure sono affidate a
quel tipo di sensazione-percezione che
meno variabile da soggetto a soggetto, su cui piu facile (anche se non assolutamente
garantito) l'accordo degli osservatori. Sappiamo tutti che pi facile accordarci su quanti gradi segna un
termometro che non su generiche sensazioni termiche personali; e come persino
nozioni gi di per s quantitative come vicino e lontano, alto e basso, giovane e
vecchio divengano pi intersoggetti- ve se sostituite da nozioni metriche come
distante metri m,alto metri , di et anni 4. Forse l'elemento comune a questi
due aspetti (rigore razionale e intersoggettivit fattuale) dato dal fatto che gli oggetti propri delle
mate- matiche (sia pure interpretate) sono costituiti da relazioni ordinali tra
oggetti in generale (quindi da strutture ordi- nali che sono alla base del
linguaggio stesso nel suo uso lo- gico)
e che queste, non gli oggetti in relazione, sono pro- priamente
intersoggettive. Non vogliamo qui discutere questo punto uno dei pit ardui e controversi dellintera
filosofia della scienza. Ma certo che la
cultura scientifica venuta nei secoli
sele- zionando le esperienze, costituendole, per cosi dire, in gerarchia. Non
tutte le esperienze sono scientificamente va- lide; ma anche nelle motitiae
quinque sensuum i quinque sensus non sono alla pari. La vista ha un indubbio
status di privilegio regale, si che i suoi dati prevalgono net- tamente (tranne
in pochissimi casi veramente ecceziona- li) su quelli delludito e del
tatto non parliamo poi del- l'olfatto e
del gusto, di cui la scienza non fa quasi nessun conto. Varrebbe forse la pena
(ma qui non il luogo) di riprendere le
tesi, solo apparentemente paradossali, di Berkeley nella Teoria della visione.
La vista certamente il pi astratto, il
pi distaccato, il pi simbolico dei cin- que sensi: quello in cui i dati sono pi
poveri di con- tenuti iletici e pi ricchi di rimandi e connessioni inten-
zionali. In un certo senso almeno, potrebbe sostenersi (forse solo come
metafora, ma efficace metafora) che la vi- sta
un linguaggio i cui significati sono i dati degli altri sensi. Per
questo, forse per il fatto di essere il
pi sim- bolico, e quindi il pi formale, la vista il senso pi in- tersoggettivo. 5. Unultima
osservazione. Indubbiamente al flusso vissuto dell'esperienza appartengono
altrettanto i momen- ti emozionali (che tanto rilievo hanno nella cultura
lette- raria) quanto i contenuti propriamente percettivi. Ma le- sperienza
scientifica , di diritto, costituita esclusiva- mente di questi ultimi: i
primi, per quanto possano esse- re stati, psicologicamente e sociologicamente,
importanti nel determinare la genesi della cultura scientifica stessa, non
costituiscono contenuti legittimi non
costituiscono prove, in quanto non appartengono mai al significato (logico) dei
concetti scientifici. Questo fatto di
estrema importanza: gran parte della polemica umanistica contro la cultura
scientifica si fonda infatti su ci che
la scienza indifferente ai valori, onde
(nel linguaggio retorico) materialistica, meccanicisti- ca, ecc. In ogni momento della storia in cui valori pi
o meno sacri appaiono minacciati, risorge costante que- sta accusa alla
mentalit scientifica. Ora, in un certo senso tale accusa valida. Fa pena sentire scienziati e filosofi
scientisti belare scuse come scolaretti colti in castagna, giurare che la
scienza sensibile ai valori, anzi
religiosa e con ci rinnegare quella
stessa che la struttura fondamentale
della conoscenza scientifica, la sua prima regola di metodo, e in ultima ana-
lisi anche il suo massimo pregio la
Wertfreibeit. La scienza non morale,
come non morale larte, come non morale il diritto: non un mondo di valori, ma una complessa forma
dello spirito oggettivo che si organizza attorno ad uno specifico e intrinseco
valore immanente diciamo, nel caso della
scienza, la verit, ma sarebbe pi esatto dire la verit scientifica. E questa ha
tra le sue strutture fondamentali lintersoggettivit, la massima possibile
intersoggettivit per tornare ad usare la
termi- nologia di Perelman, il rivolgersi alluditorio (idealmen- te)
universale. Non voglio entrare qui nel problema della privaticit o meno delle
emozioni una questione che, se pure ha
un senso (del che dubito), comunque
molto dif- ficile da risolvere. C per un fatto chiarissimo e incon- testabile:
che le emozioni sono pochissimo intersoggetti- ve, simili in ci a quelle
sensazioni che la scienza tende a eliminare o a risolvere in altre pi
simboliche. Inutile di- re che tutti gli uomini provano emozioni: certo, tutti
gli uomini, e non solo essi (per lo meno anche tutti gli ani- mali), provano
emozioni ma non sono le stesse in tutti,
o per lo meno mancano affatto quelle strutture linguisti- che, discorsive,
simboliche che possano renderle tali. Ora, io non penso che i valori consistano
di emozioni ossia, per parlare in modo
meno mitico, che i giudizi di valore possano ridursi semplicemente
allespressione di emozioni. Certamente il discorso valutativo ha una strut-
tura assai complessa, come una struttura assai complessa hanno le attivit
rivolte alla realizzazione di valori: en- trano in gioco funzioni a livello
fenomenologico pit ele- vato desideri,
interessi, sentimenti, autovalori... Ma lErfillung, la ultimatio intuitiva e
verificante di un di- scorso valutativo per quanto complesso pur sempre unapprensione emozionale (o un
insieme di apprensioni emozionali) di un valore elementare, di un
valore-emozio- ne (o di un insieme di tali valori). E a questo livello viene
meno ogni certezza di intersoggettivit:
questo il limite che di fatto incontrano sempre il discorso valutativo e
la comunicazione di valori. Per questo lidea stessa di verit scientifica esige
che la scienza sia immune da valutazioni. La contaminazione con valori genera
una pseudo-scienza e una cattiva filo- sofia. III. Lanima, ossia la forma, di
una cultura la sua no- zione di verit.
Questa non propria della sola cultura
scientifica (anche se, nella nostra civilt, tende a identifi- carsi con
questa), ma di ogri cultura. Verit esprime la validit come tale del prodotto
culturale, ne riassume il valore dal punto di vista formale il suo contrario ler- rore, ossia la scoria, ci che non vale,
ci che occorre eli- minare. Errore/verit costituisce una coppia filosofica
fondamentale di ogni discorso, di ogni tipo di discorso anzi, pi ancora che apparenza/realt,
costituisce la ve- ra e propria coppia fondamentale. Ed appunto nellac- cezione della verit che
vogliamo qui confrontare le due culture. Riprendiamo quindi il confronto tra le
due lo- giche la logica del discorso umanistico, ossia la
reto- rica, e la logica del discorso scientifico, ossia la logica tout court.
I. A questo scopo ci sembra sommamente istruttivo ritornare su quei tipi di
sofismi di cui parlano i logici del Seicento (noi ci siamo riferiti alla Logigue
de Port- Royal e al Saggio di Locke). Questi sofismi non sono af- fatto le
fallaciae classiche: non sono propriamente errori di logica formale, e perci in
senso stretto non apparten- gono alla Logica. Perci n Aristotele, n i suoi
continua- tori antichi e medievali ne hanno fatto cenno. Non sono sofismi nel
senso di uso scorretto di forme logiche: so- no sofismi soltanto perch sono
forme di argomenta- zione del tutto extralogica. Ed proprio in questo senso che sia gli autori di
Port-Royal sia Locke li criticano: che in ii propriamente, non provano,
logicamente, nulla. Questo fatto dovrebbe farci riflettere: i cosiddetti so-
fismi ad hominem, ad verecundiam, ad ignorantiam, non sono affatto sofismi.
Sono forme di argomentazione per- suasiva, non forme fallaci di dimostrazione:
non dimo- strano nulla (neppure in maniera scorretta) perch il loro scopo retorico, non logico, e quindi mirano alla
persua- sione, non alla verit. Sf: ma soltanto ove sia distinta questa da
quella, ove la a\m0era si venga ad opporre alla $6ta. Poich questulti- ma il modo concreto di essere della verit, il
suo mo- do di presentarsi, e di vigere, come valore sociale. L#v- Sotov, quel
probabile di cui parla Aristotele nella Re- torica, quello che vige nei rapporti umani, che vige
nei tribunali e nelle assemblee. Ora, proprio nellanalisi di Aristotele,
ripresa e approfondita da Perelman, lautorit, e in genere la qualit personale
di coloro da cui proviene l'opinione,
fondamentale per stabilire il probabile. Con il considerare dei sofismi
gli argomenti che muo- vono dalle qualit personali di coloro che sostengono
cer- te opinioni, i logici moderni (gli autori dell'Art de Penser e Locke)
vengono eo ipso ad opporre un diverso concet- to di verit: un concetto per cui
verit diviene una no- zione puramente logica, fondata su evidenze non-valuta-
tive e indipendenti (almeno di principio) da rapporti e qualit umane, su
evidenze inerenti alloggetto e agli elementi puramente gnoseologici essenziali
alla costituzio- ne delloggetto stesso. 2. Se ripensiamo la polemica pascaliana
delle Provin- ciali contro il probabilismo etico-teologico alla luce di quanto
abbiamo detto sopra, essa ci si illumina di una lu- ce particolare.
Sospendiamo, almeno per un momento, la simpatia quasi istintiva che suscita in
noi lautore delle Provincia li, e cerchiamo di metterci da un punto di vista
storico pi distaccato. Che senso aveva il probabilismo di quei teo- logi? Due
punti qui vanno presi in particolare considerazio- ne. Il primo il criterio, diciamo, formale di probabilit: probabile l'opinione di un autore illustre per lo meno che sia abbastanza illustre per
rendere probabile la sua opinione. Evidentemente, c un circolo. Ma forse lo
giu- dichiamo tale alla luce di una logica che non quella pro- babilistica cio, semplicemente, alla luce della logica.
Ma la situazione concreta etico-teologica:
la situazione del confessore che deve giudicare nel foro del
confessionale. molto simile alla
situazione del giudice il quale dipen-
de, nel suo giudizio, dalla lettera della legge, ma anche dal- la
giurisprudenza. E cost il confessore ha i dieci comanda- menti, le loro
interpretazioni dogmatiche, ecc., ma anche i pareri di illustri teologi
morali questi sono la sua giu-
risprudenza. Egli si trova di fronte alla responsabilit di un giudizio; non
solo, ma, attraverso lui, tutta la
Chiesa che giudica. La probabilit questo
appoggio giurispru- denziale, questo
dividere la sua responsabilit con uomi- ni che sono, o sono stati, eminenti in
seno alla Chiesa stes- sa, e quindi in qualche modo ne costituiscono
lespressio- ne. Il giudizio di quei teologi morali probabilisti si collocava in
un concreto storico e aspirava ad essere vali- do in quel concreto. Il secondo
elemento appunto questo. Essi non vole-
vano giudicare gli atti in abstracto, misurandoli semplice- mente al metro
della lettera della legge. Giudicavano atti concreti di uomini in carne ed
ossa: cercavano di riporta- re il peccato, o presunto peccato, alla qualit
personale e alla situazione reale del peccatore. La direzione dinten- zione e
il giudizio su questa erano certo forme molto goffe per esprimere queste
esigenze; e per di pi (ovvia- mente ha ragione Pascal) si prestavano a infinite
ipocrisie, ad abusi di ogni genere. Ma lesigenza era proprio questa: di dare un
giudizio valido in un concreto umano; l'equit qui prevaleva nettamente sulla
certezza della legge. A ci lanima giansenista di Pascal sembra rispondere
qualcosa come umano, troppo umano. Ma non
que- sto il punto che qui ci interessa.
invece la risposta di Pa- scal come uomo della cultura scientifica che
vogliamo ca- pire; e la risposta io
voglio la verit, non la probabili- t. Una verit assoluta, logica, che deduca il
giudizio dal precetto e il precetto dalla legge. Se la legge dice non uccidere,
non lecito il duello, e ogni uccisione
in duel- lo peccato. N lanalisi delle
circostanze (quale la classe sociale cui appartengono i duellanti), n lanalisi
dellin- tenzione (per esempio, non quella di uccidere, ma quella di difendere
il proprio onore), n il parere di illustri teo- logi possono togliere
l'evidenza razionale di una tale de- duzione: il comandamento divino assoluto, e altrettan- to assoluto il valore del sillogismo che ne deduce il
sin- golo giudizio nel caso concreto. Siamo cosi al punto: la cultura
umanistica si volge ver- so una validit entro un concreto umano, storico,
psico- logico, sociale; la cultura scientifica opera con lidea di un valore
assoluto, lidea di verit. Questo forse
il pi profondo significato di quellantinomia tra opinione (o probabilit) e
verit, tra retorica e logica, che da Pla- tone arriva fino a noi anche se oggi si presenta camuffa- ta in
forme pi sottili. La validit tipica del
giudizio di valore: un giudi- zio che non sia una proposizione, vale o vige, non vero o falso; la verit tipica dellenunciato scientifico, che una proposizione significante, e si verifica
o falsifica nel rapporto con l'oggetto, con il vnua, che in quello (e nel
sistema di enunciati cui esso appartiene) si costituisce. Ti- pico della
cultura retorico-letteraria il riportare
la verit a validit, o meglio il fare della validit il criterio della verit
stessa: donde i criteri della autorit (i sofismi della trattazione di Locke),
il criterio del consensus gen- tium; criteri che la cultura scientifica
respinge come, ap- punto, sofistici, cio estranei alla verit, eteronomi ri-
spetto allimmanente autonormativit del sapere stesso. 3. Prendiamo brevemente
in esame unaltra tipica no- zione: quella di paradosso. Essa appare subito
equivoca. Logicamente, e nelluso scientifico, un paradosso una contraddizione e nullaltro che una contraddizione. In questo
senso si parla di paradossi dellinfinito, para- dossi della teoria degli
insiemi, ecc. Ma nelluso uma- nistico e
retorico paradosso unaltra cosa:
unopinio- ne pu essere paradossale anche se del tutto scevra di contraddizioni,
anche se lenunciato di essa del tutto
RETORICA E LOGICA 195 coerente con il sistema di enunciati di cui fa parte.
Para- dosso ci che va contro le
opinioni, o i sentimenti, dei pi, o contro le opinioni tradizionali, ecc. Le opinioni o i detti di uno scrittore, di un
oratore, di un causeur in un salotto vengono qualificati paradossali se in
qualche modo urtano contro il senso comune
cio, appunto, con- tro lopinione sociale. Siamo dunque di fronte a due
diversi criteri dell erro- re come
violazione del principio logico o come viola- zione della 86ta. Di conseguenza,
ovviamente, a due di- versi criteri della verit. Da una parte, in quella cultu-
ra che ha nella retorica il suo organo, il criterio della ve- rit fondamentalmente il consensus gentium:
l'opinione umana, vigente nel concreto sociale, sulla base di cui si or-
ganizza la vita sociale stessa, secondo i contenuti della quale si forma quella
comune Lebenswelt che il princi- pio di
ogni esperienza individuale (intendo, dellindividuo sociale concreto) come di
ogni comunicazione. quello che si suole
chiamare senso comune, spesso confuso con il buon senso o addirittura con la
ragione. lecita questa confusione?
Stando alla definizione car- tesiana di buon senso la capacit di distinguere il vero dal
falso e alla generale accezione
filosofica del termine ragione, si deve dire che ben altra cosa sono il senso
co- mune e il buon senso. Per . . . Qui
proprio un caratteri- stico punto di divaricazione delle due culture.
Per la cul- tura scientifica (e per quella filosofica che nasce da que-
st'ultima) lidentificazione senzaltro da
respingersi: non affatto. detto che il
senso comune sia il buon senso. Per la cultura umanistica le due cose si
identificano: levi- denza umana, psicologica (cio socialmente e storicamen- te
condizionata), costituisce la base delluniversalit con- creta, della validit
universale delle opinioni. Vero che
anche nella cultura umanistica non sempre il senso comune criterio di verit: corrente il concetto che il volgo ignorante, si inganna facilmente, anzi vuol
essere ingannato; che contano le opinioni dei sapienti, anzi (in materie
difficili) dei pi sapienti: di qui il criterio dellauctoritas. Si, ma in
quanto, da una parte si postula O si presuppone concretamente una societ
gerarchicamente organizzata una societ
che distingue (non im- porta qui se tale distinzione corrisponda o meno ad una
gerarchia di classi sociali) il volgo dalla gente dotta, gli ignoranti dai
sapienti, ecc. In tal caso la classe
eletta rappresentativa: il privilegio ad
essa accordato, di essere depositaria della verit, non dipende o non dipende tanto dallessere tecnicamente pi esperta in certi
argo- menti (come il caso nella analoga
gerarchizzazione in se- no alla cultura scientifica), quanto dalla qualit personale
di coloro che la formano, dal fatto che questi vengono re- putati pi pienamente
uomini. Per questo la civilt scientifica pu apparire, soprat- tutto nei suoi
momenti polemici, pi democratica. Il buon senso, dice Cartesio, la cosa meglio distribuita tra gli uomini:
nessun uomo, come tale, ne il rappresen-
tante o il portatore. Nelle scienze non ci sono auctores: la scienza di tutti, la verit non ha padrone. Ma
osservia- mo subito che questo non significa restituire al consensus gentium o
alla $6a ro\}.Wwv i diritti usurpati dallaucto- ritas. Il buon senso non affatto il senso comune. La lo- gica
scientifica muove, come ogni umana attivit, dalla co- mune Lebenswelt: ma opera
contro di essa, sostituendo- ne alle rappresentazioni ingenue le concezioni
scientifica- mente elaborate. La verit non ha padrone, vero: ma questo non signi- fica affatto che
essa sia patrimonio collettivo. La scienza potrebbe far suo il detto di Eraclito:
uno per me come diecimila, se il migliore. Ogni singolo la pu conosce- re:
e una volta che labbia riconosciuta (cio fondata e provata) essa vale per
tutti, anche per coloro che non la conoscono, o non la riconoscono. Ove si
ponga in contra- sto con la verit scientifica, lopinione ogni opinione, per quanto diffusa e
accreditata scade a pregiudizio e fi-
nisce nel folklore. Non ci ha trattenuto il fatto che illustri pensatori del
passato avessero creduto allastrologia o alla magia o alle streghe: una volta
riconosciute come scienti- ficamente false e infondate, tali rappresentazioni
sono fi- nite nel bidone delle spazzature in cui si accumulano i pre- Ei, o nei
musei di anticaglie degli eruditi o dei fol- oristi. Mentre dunque la verit
umanistico-letteraria un va- lore legato
alluniversale concreto, storicamente determi- nato, la verit scientifica un valore che si appella ad una libera ideale
universalit umana in generale. Libera nel senso che essa non riconosce alcuna
autorit come tale n di uomini, n di
dotti, n di tradizione: che anche un solo scienziato pu riconoscerla e farla
valere contro le opinioni anche pi venerande e accreditate. Ideale per- ch essa
, in un certo senso, astratta, cio (meglio) for- male: i suoi criteri sono
criteri formali, in un certo senso a priori, rispetto ad ogni possibile
esperienza e ad ogni possibile discorso. Non
all'uomo concreto (sociale) che essa si rivolge, ma ad un ideale
uditorio universalmente umano, definito soltanto, ed esclusivamente,
dalloperare e giudicare con quei criteri. 4. E qui torna a proposito una
precisazione. Un letto- re esperto di epistemologia contemporanea, leggendo le
righe di sopra, potrebbe aver scosso la testa: averci trova- to una concezione
della verit scientifica retorica e al- quanto arcaica. Effettivamente,
epistemologi pragmatisti e neopositivi- sti (alludo soprattutto alla teoria
della coerenza: Car- nap, Neurath, Hempel, ecc.) hanno messo in evidenza co- me
nel campo scientifico vigano criteri di autorit sociale e, soprattutto, di
consensus degli scienziati. Da questo punto di vista questi ultimi
costituirebbero una specie di cultura in senso antropologico, cio un
particolare grup- po sociale, e la verit scientifica sarebbe in ultima analisi funzione
del corsersus di tale gruppo, con le sue eventua- li auctoritates. Infatti,
tutta la matematica di livello superiore presup- pone una matematica intuitiva
(per esempio, larit- metica dei numeri interi positivi o la geometria intuitiva
elementare) che costituisce al contempo e linterpretazio- ne normale (o anche,
meno direttamente, linterpretazione normale di interpretazioni) delle teorie pi
formalizzate e, in definitiva, la base per tutte le tecniche di controllo della
consistenza delle teorie e della completezza dei loro sistemi di assiomi. Ma
questa matematica intuitiva, ove non ci si voglia appellare a troppo
problematiche for- me di intuizione intellettuale, non ha che unevidenza,
diciamo, psicologica; di fatto siamo di fronte piuttosto ad una matematica
preliminare, presupposto attivo e indi- scusso di tutte le costruzioni pi
elevate. Tale prelimi- narit significa, in fondo, tradizione: sono matematiche
antichissime, le quali, per non risalire anche pi indietro, ci vengono dai
greci e hanno attraversato tutta la storia della nostra civilt scientifica. Un
discorso analogo, anche se non proprio del tutto identico, si pu fare per le
scienze vere e proprie. Pren- diamo pure la fisica; ch quello che a questo
proposito va- le per essa vale 4 fortiori per tutte le altre. Anche qui, da
varie parti si messa in rilievo la
presenza di una fisica preliminare la
fisica delle grandi leggi scientifiche (t;- po principio di inerzia),
soprattutto la fisica degli ap- parecchi (tra cui la fisica degli organi di
senso animali, in particolare umani): questa entra in gioco gi al livello
elementare dei cosiddetti protocolli, delle semplici re- lazioni circa
osservazioni ed esperimenti. Questa fisica preliminare fuori discussione: ogni contraddizione spe-
rimentale con essa a priori impossibile
(perch ogni esperimento la implica nel suo significato), ogni contrad- dizione
teorica con essa rende contraddittorio lintero si- stema (appunto perch i fatti
di esperienza che do- vrebbero sostenere una teoria in contraddizione con la
fi- sica preliminare ne presuppongono la verit come condi- zione della loro
stessa validit). In fondo, la teoria del- la coerenza meno paradossale di quanto appaia a prima
vista: ch di fatto ogni relazione intorno a pretesi esperi- menti ed
osservazioni empiriche che entri in contraddizio- ne con i postulati stessi
dellosservazione scientifica non pu venire ammessa come valida. Anche qui, come
nel caso delle matematiche, leviden- za, il privilegio, di questa fisica
preliminare un fatto di tradizione. Ogni
scienziato, per essere un vero scienziato anzich un dilettante, per avere
unautorit scientifica, de- ve possederla: a questo riguardo essa un requisito assai pi fondamentale che non la
conoscenza di elevate dottri- ne scientifiche o la capacit di maneggiare
difficili calcoli. La cosa si fa ancora pi pesante se si scende al livello
degli esperimenti stessi. Non ogni esperimento, fatto da chicchessia, ha valore
scientifico: occorre che provenga da istituti e laboratori seri, sia fatto da
ricercatori seri, che godono di credito. Sembra dunque che una delle pi
essenziali distinzioni tra le due culture venga cos a cadere. E in un certo
senso ci anche vero: le due culture non
sono certo nate e fio- rite una su Marte e laltra sulla Terra sono due momenti e aspetti di una medesima
civilt, si sono trasmesse e con- tinuano a trasmettersi in modo quasi identico,
le rispetti- ve discipline vengono insegnate nelle medesime scuole, a volte
persino dai medesimi maestri . .. Le istituzioni che organizzano, diffondono,
trasmettono le produzioni dello spirito sono costituite in un certo modo: sono
fatti emi- nentemente sociali, dominati quindi dalla logica (di- ciamo cos)
della vita sociale e delle istituzioni stesse. Non a questo livello pragmatico che potremo
trovare essen- ziali differenze: esse riguardano la forza, cio il criterio
formale, ideale, di validit. Fd qui che,
nonostante tutto, la verit scientifica rimane diversa dalla probabilit o
validit retorico- umanistica. Gli aspetti sociali e tradizionali della verit
scientifica riguardano la prassi, la dimensione pragmatica, non la validit
ideale. N la matematica n la fisica preli- minare sono di principio dei tabi:
pesanti rivoluzioni scientifiche le hanno a volte messe in forse, le hanno an-
che modificate. Ma comunque il loro carattere tradiziona- le non conferiva loro
eo ipso validit, verit: quegli scien- ziati conservatori che si sono mostrati
pi restii ad accet- tare rotture nella tradizione non hanno invocato n la
santit di questa n il peso degli auctores che laveva- no costituita; si sono
limitati, pragmaticamente, a racco- mandare prudenza nellaccettazione di novit
che non era- no completamente sorrette dal peso dellevidenza scienti- fica ma questultima rimasta pur sempre il criterio,
pragmaticamente decisivo, teoreticamente unico, della ve- rit. Laritmetica dei
numeri interi positivi, la geometria elementare euclidea devono, certo, il loro
privilegio alla loro antichit: ma solo nel senso che, essendo discipline coltivate
da molti secoli, e praticamente esaurite, non han- no mai rivelato la presenza
di contraddizioni; a questo, non al genio o allautorit dei loro fondatori, ci
si appella quando si usano come criteri per altre discipline matema- tiche.
Dove il criterio sociale e l'autorit appaiono pi costi- tuzionali nel sapere
scientifico proprio nel settore spe-
rimentale. Per quanto ci possa sembrare strano,
questo il campo in cui lindividualit dello scienziato meno li- bera, lautorit pi forte. Ci dipende,
ovviamente, dal fatto che il settore sperimentale proprio il luogo in cui posto il criterio assoluto della verit
scientifica, il banco di prova e il tribunale dultima istanza per le teorie
con- correnti. Per, anche qui, lautorit
pragmatica, come pragmatico il
criterio sociale. Ogni esperimento
valido solo se fatto secondo
canoni determinati e osservato da osservatori buoni (fisiologicamente bene,
normalmen- te, dotati se sono uomini, apparecchi ben costruiti se sono
apparecchi): ma quando queste condizioni sono sod- disfatte, esso sempre valido. Lautorit dellistituto di
ricerche o del ricercatore vige solo per la presunzio- ne meramente pragmatica che in quellistituto o da parte di quel
ricercatore si lavori bene, cio conforme- mente ai canoni del metodo
sperimentale: e contro questi ultimi non c autorit o tradizione che tenga. 5.
Passiamo ora ad unultima differenza essenziale re- lativa alla struttura del
giudizio scientifico nei confronti di quello umanistico-retorico: la presenza o
meno dellele- mento valutativo. Quest'ultimo
talmente essenziale alla verit retorica che, come abbiamo visto, stato consi- derato dai pi seri sostenitori
della cultura letteraria come il suo elemento peculiare e differenziale.
Mentre noto a tutti che (almeno nel suo
puro ideale teoretico) la scienza
wertfrei. Ritorneremo su questo argomento, cui dedi- cheremo lultimo capitolo
di questo libro. Per ora qui li- mitiamoci ad alcune annotazioni pi consone al
tema di questa sezione. C' una forma di argomentazione che assolutamente tipica della cultura
letteraria argomentazione che contamina
un punto di vista axiologico (per esempio, morale: ma non necessariamente) con
un punto di vista ontologi- co. La sua forma generica potrebbe cos
schematizzarsi: p deve essere vero perch p
bene (oppure: p de- ve essere falso, perch p male); oppure, in forma ge- neralizzata: p
implica q; q male; dunque p deve essere
falso. Di questo tipo di argomento usano, e abu- sano, soprattutto i filosofi
aspiritualisti quando criticano dottrine di ispirazione scientifica (o anche
no) per le loro (reali o presunte) conseguenze etiche: per esempio, il ma-
terialismo e il determinismo, oppure lo scetticismo, ecc. Ma tale modo di
ragionare si trova anche presso altri pen- satori, come alcuni pragmatisti
(James lo ha addirittura teorizzato nella Volont di credere) o neomarzxisti (si
ri- cordi la critica alloggettivismo borghese e la connes- sa affermazione
della partitariet del sapere). La scienza ripudia questa forma di
argomentazione: es- sa respinge ogni contaminazione di punti di vista descrit-
tivo-esplicativi con punti di vista valutativi. Anche se nel concreto
psicologico percezione ed emozione sono inscin- dibili, nellastrazione
scientifica avviene una royn) del momento emozionale, un isolamento del momento
rap- presentativo puro. La scienza non conosce n il bene n il male, n il bello
n il brutto, n il desiderabile n lavver- sabile
conosce solo il vero e il falso, ci che
e ci che non . Spinoza stato
forse il pi nitido assertore di que- sto puro ideale teoretico salvo poi caricarlo, a sua volta, di valori
religiosi, facendone il quadrato rotondo di un amor intellectualis. E successa
qui la stessa cosa che accadde alla forma di argomentazione retorica dichiarata
sofisma dalla Logi- ca secentesca: quel tipico modo di argomentazione stato chiamato, nel nostro secolo, fallacia
del moralista stato quindi considerato
un modo di argomentazione logi- camente (scientificamente) scorretto. Il fatto
che p sia be- ne (o male) non implica che p sia vero (o falso): se pio- ve,
lenunciato piove vero, anche se mi
dispiace, anche se oggettivamente male,
che piova. Vuol dire che ci si metter rimedio: ma il fatto il fatto, e non pu venire negato. Discorso
anche troppo ovvio, ma di una ovviet che viene dimenticata non appena si sale a
fatti di ordine in- tellettuale pi elevato, e quando sono in gioco valori pi
pesanti. In tempo di guerra la previsione fattuale, scienti- fica, della
sconfitta del proprio paese considerata
di- sfattismo. E il medesimo ragionamento di sopra, se ap- plicato ad argomenti
morali trova subito degli oppositori. Per esempio: se la tesi del determinismo
scientifico ve- ra, e se vero che il determinismo rende illusoria la
mo- rale, la morale illusoria un ragionamento del genere non verr accettato
dal moralista di tipo letterario, che subito anzi ne concluder dunque la tesi
del determini- smo deve essere falsa
commettendo cos la sua tipica fallacia. Ora, a me sembra chiaro che
anche qui sono in gioco due diverse nozioni di verit: la verit scientifica che,
eliminati i momenti emozionali, fissa soltanto i momenti rappresentativi
dell'esperienza, ed elabora una nozione di oggetto e di fatto costituita di
questi soli momenti; la verit (o meglio probabilit) umanistico-retorica che si
muove nel concreto psicologico della rappresentazione-e- mozione. O anche: una
cultura che subordina il momento pura- mente conoscitivo al concreto sociale,
al mondo umano di valori vigenti entro una societ; una cultura invece che,
libera da ogni vincolo storico e sociale, elabora una no- zione universalissima
per ogni tempo e luogo, per ogni uomo al di l dei suoi concreti condizionamenti
psicologi- ci e sociali. IV. Passiamo cosi allultima sezione di questo saggio,
desti- nata ad un altro tema quello
dellatteggiamento etico e morale delle due culture. Ch indubbiamente,
investendo ciascuna lintera sfera della civilt rappresentano ciascuna un
diverso modo complessivo di porsi delluomo di fronte al cosmo, al proprio
destino e allumanit stessa. La stessa Wertfreibeit della scienza fondata, come atteggiamento RETORICA E LOGICA
203 volontario, come roy compiuta deliberatamente e me- todicamente, da una
norma derivante da quel valore fon- damentale e centrale che domina la cultura
scientifica: la verit. Mentre la sensibilit ai valori che domina la cul. tura
umanistico-letteraria implica al contrario una scarsa sensibilit verso la verit
(in senso stretto), che in essa tende a scadere a valore secondario, quando non
addirit- tura strumentale. Volgiamo quindi lattenzione a questo aspetto delle
due culture. 1. Riprendiamo il tema perelmaniano dell uditorio - unutile
fictio, che serve egregiamente, con la sua tra- sparente metafora, a mettere in
luce le strutture essenzia- li del discorso in quanto tipico di una cultura.
Ricordiamo che il discorso retorico, persuasivo, si ri- volge sempre ad un
uditorio limitato e antropologicamen- te qualificato per sesso, et, grado di cultura, convinzio-
ni preliminari, ecc. ecc. Esso muove da
tali qualit an- zi, il suo
presupposto appunto la qualit
delluditorio. Pi luditorio vasto (vale a
dire, come abbiamo visto, eterogeneo), pi la sua qualificazione risulta
indetermina- ta, e di conseguenza pi rade e pi formali (ossia ricche di
variabili e povere di costanti descrittive) diventano le sue condizioni
preliminari, o come si potrebbe anche
dire usando il termine con una certa libert
le sue premesse materiali. AI limite, troviamo luditorio universale:
natural mente, anche questa una fictio,
ma una fictio fortemen- te operativa, in quanto luniversalit esigenza caratteri- stica del discorso
scientifico (e del discorso filosofico in quanto assuma, nella sua ideale
essenzialit, il discorso scientifico come proprio modello): ma lessenziale qui
non tanto il fatto delluniversalit cos
in genere (che forse esigenza di ogni
cultura), ma del tipo di universa- lit di cui si tratta. I filosofi
razionalisti in genere l'hanno descritta come universalit necessaria dove questo aggettivo necessario rischia di
essere quasi pi importan- te del sostantivo. Essa rimanda, pit che al
contenuto, alla forma stessa del discorso, al rapporto tra premesse e con- 204
RETORICA E LOGICA seguenze, e alla contraddittoriet che deve vigere tra la
negazione del conseguente e laffermazione dellantece- dente affinch linferenza
sia corretta (cio necessariamen- te, non contingentemente, valida). Emozioni,
sentimenti, convinzioni, ecc., per quanto possano essere diffusi, non sono mai
universali; tanto meno nel senso di necessaria mente universali. Solo la forma
logica del discorso tale. Naturalmente,
questa un limite: la logica pura, o an-
che le matematiche pure, now sono la cultura scientifica (anzi, persino abusivo chiamarle scienze), come (e
for- se a maggior ragione) la poesia non
la cultura letteraria. Si tratta per in ogni caso di campioni o ideali,
di forme che determinano lessenza della regione culturale cui si ri- feriscono.
Abbiamo gi visto come la realt del sapere scientifico sia assai pi complessa (e
anche assai pi pro- blematica). Ma qui lessenziale sta nel cogliere due aspet-
ti: da una parte dei tipi di discorsi che si rivolgono sem- pre ad un pubblico
determinato, e vigono in connessione con emozioni, sentimenti, opinioni, ecc.,
preliminari di questo medesimo gruppo; dallaltra un tipo di discorso che si
rivolge a un pubblico idealmente universale, ossia idealmente indeterminato,
nel quale non si presuppongo- no (idealmente) opinioni preliminari, ma al quale
si pre- sentano soltanto evidenze necessarie: siano esse le eviden- ze
apodittiche della logica e matematica, oppure le evi- denze dellesperienza
percettiva pura (con royn di senti- menti e quindi valori). Ora, la sfera dei
sentimenti, convinzioni, ecc., comuni e istituzionalizzati in una societ si chiama
costuzze. Le sue istituzioni hanno una certezza concreta, ma condizio-
nata nel costume luomo appoggiato, protetto, ma non libero, la sua autotrascendenza da una patte limitata da tab, dallaltra
diretta verso certe forme determinate dalle consuetudini e dalle istituzioni.
Di contro, la cultura di tipo scientifico si appella ad una libera universalit:
essa indipendente (almeno de jure, come
esigenza implicita nella propria forma) dalle concre- tezze condizionanti del
costume pu, quindi, eventual- mente,
rivolgersi criticamente contro di queste. Non si appoggia n al numero n
allautorit, n al consensus n RETORICA E LOGICA 205 alla tradizione, ma
all'evidenza. Uno pu valere per tutti (anche se in pratica ci accade assai
raramente), n tutti fanno la verit. 2. Risale, mi sembra, a Hegel la celebre e
importante distinzione tra eticit (Sifzlichkeit) e moralit (Mo- ralitt). Le due
parole sono varianti derivate da etimi si- nonimi; e non un caso, perch la distinzione stessa re- cente, ed
ben lungi dallessersi imposta nelluso. Eppure una distinzione, credo, di estrema
importanza, senza la quale lintera filosofia della morale destinata a brancola- re tra gli equivoci:
poich siamo di fronte a due tipi di va- lore ben diversi, aventi un posto ben
diverso nella gerar- chia dei valori, e strutture diversissime. In comune hanno
soltanto lessere valori pratici, cio relativi al comporta- mento volontario
(consapevole) degli uomini ma i valo- ri
pratici sono molti, e non vanno confusi gli uni con gli altri per la semplice
affinit di genere. Leticit coincide concretamente con il costume: si arti- cola
in istituzioni, tradizioni, routines fissate da canoni so- ciali: senso comune pratico. Forma un sistema chiu-
so, nel senso che i suoi istituti, i suoi #45, le sue norme si motivano gli uni
con gli altri secondo lo schema generi-
co che, per es., bisogna essere onesti se si vuol godere della stima degli
altri, e la stima degli altri
indispensabi- le per poter vivere onestamente: s che, come ha osser-
vato molto giustamente Veblen, toccare un istituto signi- fica mettere in crisi
lintero ethos sociale donde laccani-
mento dei conservatori nella difesa anche di singoli istitu- ti, persino
secondari, nel timore che la piccola frana di un punto non finisca col produrre
una frana generale . La moralit invece
unaltra cosa. Di solito, da Hegel in poi, la si considera quel tipico valore
pratico che stato teorizzato da Kant:
essa risiede unicamente nella volont razionale, che, come la rousseauiana
volont generale, non n la volont di un
singolo (come tale), n la volon- t di tutti (come insieme dei singoli),
bensi volont del- luniversale
necessario. Ossia, libera universalit,
in cui 1 Cfr. il cap. Iv di questo volume. la volont, in quanto razionale, si
fa legislatrice universa- le indipendentemente da ogni circostanza empirica
(stori- ca) determinata. Essa quindi (un quindi che invano si cercherebbe in
Kant, per lo meno in modo esplicito) non
legata al costume, ma anzi pu porsi criticamente di fronte al costume,
giusta lantichissimo ideale socrati- co; non
legata alla $6Ea, ma anzi nasce da una sospen- sione di questa (anche
se, a volte, finisce per convalidarla e ricostituirla, ma con altre motivazioni
- comunque non pi come $ta). La chiusura delleticit non soltanto formale (cio circolarit delle
motivazioni), come non soltanto formale
lapertura della moralit. Si tratta anche di un modo diverso di assumere
i contenuti. Leticit, per la sua stessa natura di comportamento sociale, di
costume, si riferisce necessariamente ad un gruppo sociale, ed , struttural-
mente (se si potesse dire, direi volontariamente, con- sapevolmente ') ad esso
relativa: non costume cos in generale e
in astratto (il che sarebbe persino privo di senso), bensi i/ costume di un
gruppo: un popolo, una na- zione, una razza, un partito, un clan, una gang ...
Carat- teristico delleticismo di essere
sempre o nazionalista o razzista o partitario o chiesastico..., di essere
sempre chiu- so in un gruppo sociale, e legato alla true way of life di quel
gruppo. Un vero italiano non beve caff (si diceva in tempi per fortuna ormai
lontani); una donna italiana non permette che il marito lavi i piatti, ecc.,
cosi come un vero americano non ama il comunismo... Intendiamoci: un tale
atteggiamento in determinate circostanze storiche pu anche divenire
progressista. Li- dea di nazione non
sempre stata reazionaria, come
og- gi: nel secolo scorso ha avuto, come tutti sanno, una no- tevole
carica rivoluzionaria; e cosi il partitarismo che do- mina in partiti
rivoluzionari pu per un certo tempo ave- re una funzione rivoluzionaria.
Ma un progressivismo a breve raggio: un
progressivismo di cui sempre immi- nente
la chiusura, e quindi la degradazione a conservato- ! Tale riferimento diventa
volontario e consapevole in coloro che sostengono ideologicamente o
razionalizzano il costume stesso. rismo (o peggio). Basta che la rivoluzione
abbia successo, ed eo ipso nazione, o partito (0 chiesa) divengono idee con
funzione ideologica conservativa. Di contro, latteggiamento morale, ad un tempo
indivi- duale e libero-universale, non conosce chiusure: la pura idea di una sfera di valori che tende
ad attuarsi attraverso lautotrascendersi di una persona morale. E poich - co-
me gi aveva intuito Platone e come Kant cerc di dimo- strare con tutti i mezzi
dialettici che possedeva la mora-
lit autovalore, essa autofondata: non deriva da nessu- na norma
trascendente (poich il valore morale di una tale norma dovrebbe commisurarsi
alla luce di criteri della moralit stessa), n da una pretesa sfera di valori
che la preceda (essendo essa stessa tale sfera di valori, o almeno il
fondamento di questa). Di conseguenza, coincide con la libert. libera universalit. Di qui il suo carattere
per- manentemente rivoluzionario, di fronte al costume e agli istituti di
questo, nei confronti dei quali si pone come un principio non solo
indipendente, ma superiore: di cui, in- somma, rappresenta, almeno per ci che
riguarda la forma e il criterio di validit, il momento di negazione quindi di critica e di movimento. Ma, daltra
parte, anche laspet- to conservatore, o addirittura reazionario, che pu pren-
dere in certe epoche della storia, quando un pesante etici- smo rivoluzionario
rischia di voler schiacciare nellethos della rivoluzione (cio di un gruppo) la
libera universalit e il libero autosviluppo della sfera dei valori. Ora, indubbio che tanto leticit quanto la moralit
hanno trovato, e trovano, espressione nellopera di uomi- ni di lettere; mentre
la scienza, essendo wertfrei (lo abbia- mo ripetuto, e lo ripetiamo ancora: ma
non lo si ripeter mai abbastanza), non pu direttamente esprimere n luna n
laltra. E se guardiamo agli scienziati, purtroppo le lo- ro vite individuali
(statisticamente parlando) appaiono an- che troppo dominate da atteggiamenti
eticistici. Tuttavia, per la forma, la cultura letteraria opera entro il concreto
etico, la cultura scientifica entro la libera universalit mo- rale. La cultura
letteraria discorso rivolto agli uomini:
e il discorso letterario, anche quando non
meramente epi- dittico, tuttavia mira a persuadere e a convertire, cio a
208 RETORICA E LOGICA modificare gli atteggiamenti umani in vista della
restaura- zione o conservazione dellantico costume, oppure dellin- staurazione
di un nuovo costume. La cultura scientifica
discorso rivolto ad un astorico universale: afferma una ve- rit che vale
in s, universalmente e necessariamente, e contro la quale non vigono istanze
storiche, umane. La ve- rit logica (o in genere scientifica) autofondata, come la moralit; la probabilit
retorica fondata sul consensus, sulla
tradizione o sullautorit, comze il costume. 3. Di qui unaltra coppia
dialettica, che apparentemen- te
l'opposto della precedente, ma in realt ne una con- seguenza (e l'apparente
contraddizione nasce da equivoca- zione). Si tratta dellantitesi tra il
carattere personalistico della cultura letteraria e, contro, luniversalismo
della cul- tura scientifica. Dovrebbe sembrare il contrario. La scienza, come
la moralit, individuale e personale:
sganciato da ogni cow- sensus, da ogni tradizione, da ogni autorit, il singolo
vi appare sovrano e legislatore, ha per criterio solo la sua ra- gione; mentre
nella cultura letteraria, come nel costume, il singolo ha un limite nella
concretezza storica dellopi- nione e dellethos. Si ricordi, a questo proposito,
quanto abbiamo osservato circa i sofismi della trattazione por- torealista e
lockiana. Tuttavia il singolo concreto
so- lo in quanto si pone, e si definisce, entro il gruppo: in es- so persona tra le persone, ed entro il gruppo che si de- finisce la sua
qualit personale quella per cui la sua
opi- nione conta molto, poco o nulla, a seconda dei casi. Si pi- gli il
rapporto dal lato che si vuole: ma il concreto-umano resta il singolo in quanto
definito e collocato entro un gruppo (o un gruppo di gruppi); e il gruppo si
compone di tali singoli concreti. Mentre abbiamo detto male dicen- do che nella
scienza come nella moralit il singolo ha per criterio solo la sua ragione:
dovevamo dire la ragione, senza aggettivo possessivo. Ci stato messo energica- mente in evidenza da
Kant per quanto riguarda la ragione (pura) pratica; un po meno energicamente
(forse) per quanto riguarda la conoscenza: ma vale nellun caso e nel-
laltro naturalmente se stiamo alla
descrizione dell’essenza, non alle condizioni storiche di attualit di queste
forme della civilt. Il diritto del singolo, qui, costituito proprio dal fatto che la verit non
gli appartiene come sin- golo, non sua:
ch non appena essa viene riconosciuta come la sua verit, gi non pi verit, gi
scaduta ad opinione. 4. Nonad una comunit di anime che si rivolge il di-
scorso scientifico, ma ad una comunit di intelletti 0, pi esattamente, poich (essenzialmente)
intelletto non ha plurale, allintelletto
simzpliciter che esso si rivolge. E qui tocchiamo un ultimo, pi profondo punto,
col quale, credo, arriviamo ai limiti irriducibili della polemi- ca delle due
culture. Ogni attivit umana (e forse do- vremmo dire ogni comportamento animale
in genere) sempre rivolta a realizzare
valori, ed sempre lealt a quei
determinati valori che in e mediante essa si costitui- scono nella loro
concreta attualit, mentre, in astratto, ne costituiscono le guide o modelli trascendentali.
Anche lat- tivit della scienza non sfugge a questa legge che forse
tautologica. La scienza wertfrei;
ma non lo lattivit u- mana che produce
il discorso scientifico (la contraddizione
solo apparente: ch siamo a due livelli logici differenti). La stessa
Wertfreibeit un valore, o la condizione
per un valore poniamo, per la validit
conoscitiva o verit. Ma ci sono molte specie o classi di valori; ci sono valori
della vita, valori dell'anima, valori dellintelletto. In una civilt ci sono
tutti (se si vuole, questa la si pu anche prendere per una definizione di
civilt), n concepibile una civilt che
manchi di una classe di essi. forse
impos- sibile, e certo comunque non auspicabile, volerne soppri- mere una
classe o laltra: e se la polemica delle due cultu- re mirasse ad uno scopo del
genere, non varrebbe neppure la pena di occuparsene. Ma diversa la gerarchia in cui i valori si dispongono:
in una civilt barbarica o neobarba- rica (quale la civilt nordamericana di
oggi) prevalgono i valori della vita, e gli altri vengono a questi subordinati;
in una civilt di tipo letterario prevalgono i valori della- nima; in una civilt
di tipo scientifico prevalgono i valori dell'intelletto. Tutti indistintamente
gli apologeti e i sostenitori di una civilt letteraria sono stati espliciti a
questo proposi- to: i valori supremi sono quelli dell'anima (la bellezza, la
giustizia, lintima comprensione di s e degli altri, ecc.), mentre i valori dellintelletto
sono mediati, strumentali: i pi fanatici hanno cercato di ridurli addirittura a
valori strumentali della vita. Non la
verit che conta, ma leffi- cacia pragmatica del sapere e hanno condannato la lealt ai valori
dellintelletto via via come rozzezza, barbarie, in- sensibilit etica,
materialismo... e, da ultimo, come og- gettivismo borghese, strumento
ideologico della bieca reazione capitalistica. AI contrario, luomo di
scienza almeno fino a che ta- le
leale ai valori dellintelletto e alla verit (scienti- fica) in cui tutti
si accentrano. Ogni deviazione inconsape- vole da essa errore; ogni deviazione consapevole e volon-
taria disonest, cattiva fede,
mistificazione. Lessere pre- cede il dover-essere: qualunque cosa avvenga del
mondo, bisogna sapere che cosa il mondo;
qualunque siano le conseguenze per lanima, occorre che lintelletto determi- ni
ci che vero. Se lanima ha bisogno di
miti o di illu- sioni, tanto peggio per lanima. A questo punto si arresta la
possibilit di discorso tra i fedeli di una cultura e dellaltra. Molte
discussioni sorte re- centemente a proposito di tentativi di applicare a scien-
ze umane e alla definizione di contenuti fattuali di tipici valori dellanima il
metodo del sapere scientifico hanno ri- velato chiaramente che questo era il
punto della reciproca incomprensione: il pathos per lordine concettuale, per la
definibilit dei contenuti, per la riduzione degli enunciati a proposizioni
verificabili non ha trovato comprensione negli uomini dellanima, che se ne sono
sentiti urtati, tur- bati, scandalizzati; mentre il loro patetico belare sulla
sa- cert dei valori, sugli ideali di giustizia, libert, ecc., ap- parso agli altri anche pi ridicolo che
pietoso. Sono in gioco due gerarchie da
ultimo due strutture axiologiche, due tipi umani, destinati a collaborare senza
comprendersi e senza incontrarsi entro il grande fiume di una antica e vitale
civilt, che nata dalle contraddizioni e
di esse vive. IV. Cultura axiologica e cultura teoretica Largomento delle due
culture suscettibile di venir af-
frontato da molti punti di vista. Nei capitoli precedenti si presentato spesso uno spunto, che allora o
non abbiamo raccolto, o abbiamo poco sviluppato, e anzi, a volte, ab- biamo
decisamente respinto. Riallacciamoci ad un tema fondamentale del capitolo
precedente: quello della Wertfreibeit della scienza. La scienza abbiamo detto e ripetuto opera con una decisa, metodica, toyn) di
tutte le considerazioni axiologiche. La scienza non valuta. Anche quando normativa, quando si fa tecnologica, essa
addita soltanto delle vie da seguire, dei possibili procedimenti operativi
secondo fini-in-vista: ma non dice nulla circa il valore di questi fini stessi;
n, in ultima analisi, circa il valore degli stessi procedimenti o- perativi. Si
dice spesso, soprattutto da parte di pensatori influenzati dal pragmatismo 0,
comunque, da forme di scientismo pragmatico, che la scienza pu indicare i pro-
cedimenti operativi pi razionali; e perci, aggiungerebbe Dewey, reca anche
delle indicazioni sulla razionalit degli stessi fini-in-vista. Ma, chiediamoci,
che significa procedi- menti operativi pi razionali? Per esempio (per prendere
un caso molto frequente), pu significare pi economici: il procedimento pi
razionale , in questa ipotesi, quel- lo che consegue un dato fine, con
determinate caratteristi- che, con il minor costo, nel modo pi economico. La
scien- za, per, non insegna che il procedimento pi economico il pi razionale: insegna una variet di
procedimenti possibili, e ne valuta i relativi costi e qui si arresta il suo compito. Nello
scegliere il pi economico tra di essi entra in gioco un criterio valutativo,
che in s non n pi n meno scientifico,
quindi n pi n meno (scientificamente) 212 RETORICA E LOGICA razionale, di altri
possibili: la razionalit o meno della scelta
del tutto relativa a quel criterio, sta e cade con esso. Tanto vero che ove entri in gioco un altro
interesse pu persino apparire pit razionale l'adozione di altri procedimenti
operativi, anche se meno economici: per e- sempio, ragioni di politica sociale
possono indurre a se- guire procedimenti pit costosi, perch, poniamo, i pi e-
conomici implicherebbero licenziamenti di mano dopera, con aumento della
disoccupazione, ecc. Cosi io posso ac-
quistare un oggetto in un negozio in cui
venduto pi ca- ro, 0 perch ho qualche gratitudine verso il padrone del
negozio, o perch sono abituato a servirmi in esso, o per- ch sono innamorato
della commessa... La scelta pi razionale dei mezzi pu dunque non coincidere con
la pi economica: i mezzi stessi si presen- tano investiti di valori spesso non si tratta del semplice rapporto
mezzi-fini, ma anche di criteri di valore che en- trano in gioco nella scelta
dei procedimenti. I racconti di guerra sono pieni di problemi del genere: un
generale non esita, per ottenere un certo risultato militare, a mandare
migliaia di uomini al massacro; un altro invece esita, cer- ca altri modi per
risolvere il problema militare, oppure si rassegna addirittura ad una
momentanea sconfitta pur di evitare la strage. Conflitti di questo genere sono
problemi morali, non problemi di scienza militare: solo alla luce di certi criteri di valore che
una strategia pu apparire pi razionale di unaltra. E questo si vede persino nel
caso pi semplice, in cui sembra che il problema della scel- ta sia meramente
scientifico, addirittura puramente mate- matico: quello della strategia nei
giochi; dove c sempre il presupposto, sottaciuto perch ovvio, che il giocatore
voglia vincere la partita. Ma ci possono essere circostanze in cui invece pi razionale perdere la partita anzich
vincerla, o metterci il tempo pi lungo anzich il pi breve. Cosi per la
considerazione della razionalit dei fini- in-vista. La conoscenza pu indicare
quali mezzi, quali costi, implichi la realizzazione di un fine; oppure quali ne
saranno le conseguenze una volta che esso venga rag- giunto. E alla luce di
tali conoscenze pu apparire, a volte, pi ragionevole rinunciarvi che
perseguirlo. Alla luce delle conoscenze non significa per come conseguen- za
logica delle conoscenze stesse: per quante informazio- ni queste possano dare,
lasciano pur sempre sospeso il problema valutativo questo
deciso alla luce di una struttura normativo-valutativa che pone le
conoscenze in determinate relazioni axiologiche che la pura struttura teorica
non contiene. Ma la vita non , non pu essere wertfrei. In senso la- to,
vivere valutare gi al livello biologico pi elemen- tare,
l'organismo compie atti di scelta: e questi, se allar- ghiamo il concetto di
valutazione, sono gi valutazioni. Ma comunque una civilt priva di momenti
axiologici non esiste, n concepibile.
Per questo la scienza pu tenere il posto centrale in una civilt, ma non pu
esaurirla o risol- verla tutta nella propria forma. Dunque, ci troviamo qui di
fronte ad unaltra coppia: cultura axiologica/cultura scientifica. Come abbiamo
gi avuto occasione di vedere, molti au- tori tendono a riportare a questa la
coppia delle due cul- ture, identificando la cultura letteraria con la cultura
axiologica. Sono soprattutto i letterati anglo-sassoni pi seri che tendono ad
assegnare alla letteratura questo alto compito; ma in qualche modo, anche se in
maniera meno nitida, questa in fondo
lidea anche degli esistenzialisti francesi. Ma
stato soprattutto Perelman che, raccoglien- do un atteggiamento
largamente diffuso nella filosofia con- temporanea, ha identificato
largomentazione retorica con la logica del discorso valutativo. La base
emozionale, psi- cologico-concreta e storico-concreta del valore, che rende il
giudizio valutativo irrazionale alla luce del criterio strettamente scientifico
di verit-razionalit, rende la strut- tura del'discorso retorico la pi idonea a
dare al discorso axiologico tutto quel tanto di razionalit, di comunica- bilit,
di trasparenza intersoggettiva di cui esso
suscet- tibile. Forse tutto ci va ammesso con riserve. In primo luo- go,
anche se spesso la letteratura si
mostrata legata ai problemi axiologici e ai sentimenti, non si pu dire a
prio- ri, senza un atto di arbitrio, che essa sia tutta, sempre e 214 RETORICA
E LOGICA necessariamente cosi. In secondo luogo, scienze come le- conomia
politica pura o la dottrina pura del diritto elabo- rano in maniera formale,
cio scientifica, strutture axiolo- giche specifiche, mostrando come, almeno di
principio, la scienza, in s sempre wertfrei, possa ciononostante porta- re sw
valori e strutture valutative. N detto
che largo- mentazione retorica, con la sua profonda invalidit dal punto di
vista logico, sia lunica possibile forma di discor- so valutativo che nel discorso axiologico la ragione in
senso autentico (ossia nel senso che si connette alla verit scientifica) non
possa avere un posto pi importante, una funzione fondamentale, anche se non
decisiva. Ma pur con queste riserve vogliamo qui, in questo ulti- mo capitolo
di questo saggio, assumere come ipotesi liden- tificazione della coppia cultura
letteraria/cultura scienti- fica con la coppia cultura axiologica/cultura
teoretica, per indagare la problematica del loro rapporto. 1. Partiamo dalla
struttura del giudizio di valore un
giudizio del tipo x buono, x bello, o simili. Un simi- le giudizio
non n razionale, n irrazionale, n valido
n invalido: preso da solo, come ha detto una volta Ayer, non che uninteriezione. Ma anche vero che di solito le persone
ragionevoli non fanno meri giudizi di questo ti- po: i giudizi di solito sono
accompagnati con una motiva- zione. La forma normale per un giudizio
axiologico piut- tosto: x buono, perch
, x bello, perch -, dove -- una variabile (metalinguistica) proposizio-
nale: in parole povere, al posto dei trattini sta una propo- sizione. Per
esempio, x buono, perch ha perdonato i
suoi nemici, x bello, perch ha dei
colori ben disposti. la motivazione che
pu essere buona o cattiva, e co- me tale conferisce validit o meno al giudizio
di valore. Naturalmente, per, essa di solito non si riduce ad un semplice
enunciato atomico, come alluso dai
nostri trat- tini; pu assumere la forma di un enunciato molecolare, o
macromolecolare cio, insomma, di un
discorso pi o meno lungo. Pu contenere anche altri enunciati axiologi- ci che
implicano logicamente quello motivato (per esem- pio, enunciati axiologici o
normativi generali): ma l’essenziale (e il nocciolo di tutta la teoria che
stiamo per espor- re) che in essa sempre presente un enunciato fattuale (o un
insieme di enunciati fattuali) o comunque teorico, conoscitivo. A questo
proposito Stevenson ha messo in evidenza co- me in caso di disaccordo su un
giudizio valutativo (ovvia- mente, un giudizio valutativo complesso, cio
includente la motivazione) ci possiamo trovare di fronte a due tipi di- stinti
di disaccordo: che egli chiama di atteggiamento e di credenza. Se A dice X buono, perch ha perdonato i suoi nemici, e B
dice X non buono, la sua negazione pu
riferirsi o alla proposizione motivante X ha perdo- nato i suoi nemici cio pu ritenere che, di fatto, X non ha
perdonato i suoi nemici: in tal caso il disaccordo di credenza. Oppure B pu ritenere che, in
generale o nel caso specifico, laver perdonato i propri nemici non sia una
ragione sufficiente per dire buona una persona, o addirit- tura che il perdono
(in generale oppure nel caso specifico) sia (o fosse) una cosa cattiva. In tal
caso il disaccordo di atteggiamento.
Anche se il momento propriamente valu- tativo (latteggiamento) non si lascia
interamente ri- durre al momento conoscitivo (la credenza), tuttavia certo che il giudizio di valore complesso,
cio motivato, contiene un elemento conoscitivo come suo momento es- senziale
(tale cio che la negazione della proposizione mo- tivante implica la negazione
dellintero giudizio). Insistiamo su questo punto, del resto abbastanza ovvio,
perch esso ha un ruolo fondamentale e nellimpostazione di quello che stato chiamato, in maniera assai suggestiva
per quanto assai passatista, il problema del posto della ragione nella morale,
e nellimpostazione del problema delle due culture nel senso specifico che gli
abbiamo volu- to dare in questo capitolo. Infatti, quanto al primo punto, lestremamente
equivoco termine ragione pu intendersi in senso meramente formale, cio come
semplice coerenza logica di un discorso valutativo: in questo senso un tale
discorso sarebbe razionale se fosse regolare rispetto ad un ammissibile sistema
di logica. La logica non limitata
necessariamente al discorso conoscitivo: di fatto, qualun- que discorso pu
essere formulato in maniera coerente rispetto ad una qualunque logica
proposizionale. Di fatto, gi la logica aristotelica poteva applicarsi senza
notevoli difficolt alla formalizzazione di un discorso valutativo (per esempio,
con una premessa maggiore valutativa, una minore fattuale, una conclusione
valutativa), e con poche innovazioni a quella di un discorso normativo; e oggi
so- no stati fatti numerosi e interessanti tentativi per formu- lare sistemi
logici formalizzanti discorsi valutativi. In questo caso si tratta per di una
razionalit me- ramente formale: e non c giudizio valutativo, per quan- to folle
e insostenibile, che non si possa, volendo, rendere razionale di questo tipo di
razionalit. Ma in ogni al- tro senso, nessun discorso valutativo razionale. Non si tratta qui di un
particolare atteggiamento di scetticismo o irrazionalismo axiologico di unaccentuazione del di- vario tra la
razionalit del discorso teoretico (conoscitivo) e la irrazionalit del discorso
valutativo. Tale atteggiamen- to stato
assunto da (o per lo meno attribuito a) L. Witt- genstein e molti positivisti
logici. Non vogliamo qui ad- dentrarci in una discussione del genere, che esula
dagli scopi del nostro saggio: ci limitiamo ad osservare quello che gi stato una preziosa conquista di Hume, e che
da Hume in poi dovrebbe essere considerata cosa pacifica nel- la filosofia: che
la ragione ordina, e non crea, contenuti. E ci nel campo della conoscenza come
del valore. I conte- nuti ultimi del sapere (le sensazioni) sono altrettanto
ir- razionali quanto i contenuti ultimi del valore (le emo- zioni e/o gli
atteggiamenti). Tuttavia c un altro senso di ragione che storicamen- te ha
avuto molta importanza, ed pi vicino a
ci che con tale termine si intende nel linguaggio ordinario. la raison illuministica la riflessione logica e metodica, or- dinata,
sulle sensate esperienze. Questa
tipicamente scientifica, e, come mostra il costante scacco di tutte le
axiologie naturalistiche, per le valutazioni rimane sempre un mero ideale.
Lunica razionalit (in questo secondo senso) del discorso valutativo sta nella
razionalit del suo momento conoscitivo, delle sue motivazioni. Gli unici di-
saccordi risolvibili razionalmente sono i disaccordi di cre- denza. La prova
che laccusato non ha commesso il fatto toglie ogni senso alla discussione circa
il configurarsi giu- ridico del preteso reato. Vedremo meglio in seguito
limportanza che questo fat- to ha circa il problema delle due culture. Basti
per ora un suggerimento: un sistema tradizionale di valutazioni pu entrare in
crisi non soltanto per un mutarsi degli atteg- giamenti, ma anche e pi irrimediabilmente se il suo sistema di motivazioni si rivela
teoricamente falso: se, cio, la scienza lo dichiara erroneo. Il caso delle
streghe, per quanto sia un caso-limite, mostra in modo molto chia- ro quello
che vogliamo dire. 2. Le ricerche axiologiche di questo secolo, dovute so-
prattutto alle iniziative filosofiche di Moore e di Husserl, hanno portato ad
una dottrina, che risulta chiaramente da ci che abbiamo detto nel paragrafo
precedente: che i predicati di valore sono predicati di secondo ordine, cio
predicati di predicati. Gli oggetti (cose, persone) han- no le loro qualit
axiologiche in virt4 delle loro qualit descrittive (conoscitive), per esse:
vale a dire che, nelle medesime circostanze, due oggetti aventi le medesime
qualit (o propriet) hanno i medesimi valori. Moore e metamoralisti derivanti da
Moore, come Hall- dn, si sono posti il problema della necessit che lega il
valore (intrinseco) alla qualit su cui si fonda e in cui si motiva, fino al
punto che, in alcuni casi, sembra addirit- tura identificarsi con essa (nel
linguaggio comune, come anche nel linguaggio poetico, certe descrizioni sono eo
ip- so valutazioni; meno spesso anche il viceversa, certe va- lutazioni sono
implicitamente descrittive): una necessit che da una parte assomiglia ad una
necessit di tipo logi- co ma non una necessit logica; dallaltra assomiglia ad
una necessit di tipo causale ma non una necessit naturalistica, causale. Si dice
allora che una necessit sui generis, una
necessit axiologica. E dal punto di vista dellindagine axiologica pura que- sta
soluzione potrebbe forse essere soddisfacente. Non pe- r se ci poniamo il
problema dal punto di vista della prag- matica dei giudizi di valore; e neppure
da quello della lo- gica del discorso valutativo. Dal primo punto di vista si tratta,
in qualche modo, di una necessit di tipo naturale, causale: certe qualit delle
cose suscitano, o sono atte (in condizioni normali, o nella maggior parte dei
casi) a susci- tare, determinate emozioni; si tratter, probabilmente, di leggi
stocastiche e non dinamiche, ma comunque siamo di fronte ad una specie di
causalit: ho paura del fuoco per- ch scotta, e aborro dalle scottature perch
fanno male. E se, con Halldn, riteniamo che il contenuto empirico del predicato
di valore sia lattitudine di una qualit a su- scitare un'emozione (e non
l'emozione stessa), allora la necessit che lega il predicato di valore alla
propriet descrittiva di tipo causale (o
per lo meno stocastico). A questo livello del giudizio di valore un tale legame
non un legame logico, cio analitico (o
sintetico a prio- ri). Ma il discorso valutativo, in una cultura, ha una strut-
tura pi complessa. Molto spesso in un discorso valutati- vo complesso e culturalmente
elevato non si motivano i giudizi di valore mediante il ricorso immediato al
rappor- to tra qualit ed emozioni; bensi in modo deduttivo, me- diante il
ricorso a concetti (definizioni) e/o ad enunciati nomologici (assiomi) che
legano certi caratteri generali con un determinato valore in generale.
L'economia politi- ca classica (smithiano-ricardiana), la scienza pura del di-
ritto sono esempi molto caratteristici di scienze valutati- ve a carattere
assiomatico-deduttivo. Da Platone fino ai nostri giorni (compresi ') la storia
della filosofia attraversata da
reiterati tentativi di legare, in una specie di identificazione, la nozione di
valore (in- trinseco) con quella di essenza. Un bravo soldato quello che si comporta come un soldato,
conformemente cio, allessenza del soldato (Husserl); una buona au-
tomobile quella che ha tutti gli organi,
e in cui tali or- gani funzionano, come
intrinseco alla nozione (cio al- lessenza) dell'automobile (R. S.
Hartmann)... C' solo da osservare che una tale essenza essa stessa, gi in s, una costruzione
valutativa (e/o normativa): non dal
concetto empirico di soldato che si ricava il concetto va- ! Si veda, per
esempio, La estractura del valor (1959) di Robert S. Hart- man. lutativo di
bravo soldato, n dal concetto empirico di automobile quello di buona
automobile: lessenza qui gi una
costruzione culturale che contiene lidea di co- me deve essere un soldato o
unautomobile come si de- ve. Siamo cio di fronte ad una sintesi sui generis,
di- versa dalla sintesi empirico-descrittiva. Comunque, una volta costruiti
sistemi assiomatici del genere, la valutazione viene motivata deduttivamente
me- diante le qualit stesse. Il rapporto qualit (o predicati)- valore diviene
un rapporto logico: la sua necessit di- viene non analoga, ma identica, alla
necessit di unimpli- cazione logica (per es., di tipo sillogistico). Oggi assai diffusa la tendenza a distinguere il
va- lore dal bene, ossia il valore dalloggetto-avente-valo- re, come il senso
comune distingue il colore o il sapore dalla cosa colorata o dalla cosa
saporita. Anche se forse in alcuni specifici casi la distinzione pu lasciare
perplessi, tuttavia in linea di massima essa appare conveniente, e spesso
addirittura ovvia. Adottiamola qui evitando lulte- riore discussione. Abbiamo
visto che il predicato di valore un
predicato che porta, primariamente, su predicati. dunque un pre- dicato di secondo ordine. Analogamente,
come gi aveva ben visto Husserl, loggetto-avente-valore un vonua di secondo ordine, o meglio un vnua
fondato. La qualit- valore inerisce alloggetto-avente-valore in quanto allog-
getto simzpliciter inerisce una determinata qualit o un in- sieme di tali
qualit. Il passaggio dal soldato al buon soldato il passaggio da un vnpa di un certo livello
ad un vnua costruito in una sintesi pi complessa, una sin- tesi sopra una
sintesi quindi in una sintesi di secondo
grado. Ma poich il fondamento (quale discorsivamente si esplica nella motivazione
del giudizio) della sintesi che d luogo al secondo vnua nella sintesi che costituisce il primo,
questultima il fondamento di quella:
perci si dice che loggetto-avente-valore
un vnua fondato (forse la tradizione nostrana preferirebbe mediato: ma
questo termine oramai troppo equivoco).
La cosa molto importante per il nostro
tema. Infatti il vinua fondante
teoretico, conoscitivo e le
proposi- zioni relative sono vere o false. Loggetto-di-valore come tale
sussiste solo a condizione che sussista l'oggetto pri- mario: perde di senso
dire che una certa donna una cat- tiva
strega o una buona fata quando si ritiene impossibile che esistano streghe e
fate; e il valore di un regno di Uto- pia rester un valore meramente fantastico
per limpossi- bilit che ha il regno di Utopia di essere nel mondo... 4. La
considerazione precedente acquista un rilievo anche maggiore (e forse anche
troppo banalmente ovvio) se passiamo a considerare, oltre i valori intrinseci,
i valo- ri estrinseci. Forse per le implicazioni spiritualistico-metafisiche a
cui essa potrebbe anche prestarsi (ma, ovviamente, solo in un discorso le cui
premesse permettessero la fondazione di una tale implicazione) forse per questo, alcuni filoso- fi,
soprattutto della corrente pragmatista, hanno negato la distinzione tra valori
intrinseci ed estrinseci o meglio, hanno
negato lesistenza di valori intrinseci. Naturalmen- te, siamo in un campo in
cui il termine esistenza ha tut- taltro che un significato chiaro ed univoco: c
persino il pericolo che non abbia affatto senso il parlare dellesi- stenza o
meno di valori di un tipo o dellaltro... Possia- mo, certo, costruire modelli
di discorso valutativo in cui la distinzione tra valori estrinseci ed
intrinseci non sia re- sa possibile dalle regole formali del discorso stesso:
ten- tativi del genere sono stati fatti da Dewey e da alcuni suoi interpreti
e/o seguaci. Ma, tralasciando la discussione cir- ca il successo effettivo di
tali tentativi, il risultato un tipo di
discorso valutativo estremamente impoverito, e quindi una logica del giudizio
di valore del tutto inadegua- ta allanalisi di questi giudizi in una civilt
come la nostra. Senza la distinzione tra valori intrinseci ed estrinseci vie-
ne meno uno dei cardini di unadeguata axiologia
il di- scorso valutativo verrebbe abbandonato alla pi comple- ta
irrazionalit. Possiamo introdurre una generica definizione duso del valore
estrinseco (e implicitamente del valore intrinseco): un oggetto x ha un valore
estrinseco W quando esso fa parte delle condizioni di attualit di un valore V.
Cos, per esempio, il valore estrinseco di un buon pianofor- te deriva dal fatto
che le qualit di quel pianoforte sono condizioni per una buona esecuzione
pianistica. Come si vede, non occorre provare che esistano valori intrinse- ci
e valori estrinseci: lunica cosa che occorre provare (ma basta lesperienza
quotidiana a provarla) che ci sono co-
se (qualit) approvate e apprezzate indipendentemente dal fatto che esse siano,
o non siano, condizioni per altre cose apprezzate; mentre ci sono cose (qualit)
apprezzate in vista di un fatto del genere. Per tornare al filo del nostro
discorso, nella motivazio- ne del valore estrinseco l'elemento conoscitivo ha
una funzione ancora pi palese e dominante. Tanto che colo- ro i quali (come
Dewey) hanno ridotto tutti i valori a va- lori estrinseci, hanno
conseguentemente negata la distin- zione tra conoscenza e valutazione. In
sostanza, dire che una cosa p una
condizione per lattuazione di unaltra cosa g, significa affermare che un
determinato processo P, del quale p il
punto di parten- za o comunque un momento essenziale, sboccher nella si-
tuazione g. Tale implicazione non , in genere, una impli- cazione logica, bensi
fattuale diciamo, genericamente,
fisicale. Essa in genere non si pone da sola: presuppo- ne un intero sistema di
implicazioni nomologiche, di leg- gi scientifiche e/o di natura come suol dirsi, un quadro del mondo.
Ovviamente, ove questo quadro risultasse pri- vo di valore teoretico, non vero,
il giudizio di valore e- strinseco risulterebbe immotivato (e in questo caso si
pu anche dire erroneo termine che pi
difficilmente pu usarsi per il giudizio di valore intrinseco). II. i. In un
punto il pragmatismo ha ragione: che i valo- ri non sono sempre soltanto
oggetto del sentimento (del- lapprensione o giudizio), ma si dispongono nella
praxis. Si offrono alla volont come qualcosa che deve essere at- tuato:
divengono mete e fini, o per lo meno determinano, (o concorrono alla
determinazione di) mete e fini, e con- seguentemente progetti e corsi di
azioni. In questo senso i filosofi moderni (postkantiani) han parlato di valori
come dover-essere: il che in senso asso- luto non esatto, se
vero che, come dice Keats, a thing of beauty is a joy for ever.
Tuttavia vero che, per la lo- ro stessa
radice emozionale e sentimentale, i valori tendo- no a divenire princip di
corsi di azione, e spesso lo diven- tano di fatto tendono ad attuarsi, ossia a determinare la
produzione di fatti, eventi, situazioni, cose, investiti di valore.
Normalmente, ovvio che l'apprezzamento
della musica genera i concerti, e l'apprezzamento per certi tipi di rapporto
sociale genera le rivoluzioni (o le reazioni). Per questo si considerato spesso come essenziale al
giudizio di valore l'aspetto normativo: in molti casi valu- tazione e
prescrizione (consiglio, ecc.) sono equivalenti, nel senso preciso che sono vicendevolmente
implicati. Lazione A buona implica si
deve compiere lazione A, e viceversa. In verit questo non accade sempre: in
molti casi il giudizio di valore non si traduce in una norma, an- che se pu
concorrere, indirettamente, alla motivazione di norme: questo un bel cucciolo non implica compra- lo, anche
se pu concorrere a motivare questultimo con- siglio. In altri casi, la norma
non appare traducibile in un giudizio di valore
dura lex, sed lex; tuttavia la norma o appare affatto irrazionale,
oppure si motiva, almeno parzialmente o indirettamente, con un giudizio di
valore (segui quel consiglio, perch chi lo ha dato una perso- na saggia). Per questa ragione, e
per altre che sarebbe troppo lun- go discutere, noi qui consideriamo il
giudizio di valore fondamentale rispetto allenunciato normativo: questo si
presenta dunque come un enunciato fondato su un giudi- zio a sua volta fondato,
e quindi in rapporto mediato con le proposizioni conoscitive. 2. Unaltro punto
di verit del pragmatismo, derivan- te dal precedente, questo: che quando si dispongono nella praxis
tutti i valori divengono estrinseci: tutti si di- spongono entro il concreto di
un processo causale-temporale, in nessi di condizioni e di implicazioni
fattuali. Quando i valori divengono fini, entrano in un concreto di condizioni
per cui si trasvalutano. molto citata a
questo proposito la gustosa storiella di C. Lamb, di come nellan- tica Cina si
fosse casualmente scoperto, in seguito allin- cendio di una capanna, il pregio
del porco arrostito; e co- me fosse invalsa la prassi, invero assai
antieconomica, di incendiare le case per arrostire i porci. Per bisogna an-
dare pi cauti di quanto si sia fatto finora nellinterpreta- re la morale di
questa favola. La considerazione del- lantieconomicit del bruciare case per
arrostire porci sva- luta il valore estrinseco di questo procedimento, ma non
toglie nulla al pregio della carne del maiale arrosto non porta a concludere che il maiale
arrosto cattivo, ma sem- plicemente che
bisogna trovare procedimenti pi econo- mici per cucinarlo. Cio: in un concreto
corso di azioni entra in gioco una molteplicit di valori (e di norme), per cui
si mette in ope- ra una specie di calcolo (naturalmente, questa solo una metafora) dei valori: generalizzando
un noto concetto del- l'economia, si pu dire che lattuazione dei valori nella
praxis ha un costo. In questo momento pratico ed estrinseco i valori cessa- no
di essere essenziali, cio isolati e inconfrontabili an- zi, entrano nel gioco come complementari
o come rivali: possono anche entrare in conflitto. La situazione di con- flitto
di valori tanto tipica e frequente negli
atti di voli- zione e progettazione pratica, che a moltissimi moralisti
essa apparsa addirittura essenziale,
definitoria, della mo- ralit la moralit
implicherebbe sempre una scelta, con- cetto che ha senso solo nel presupposto
di una rivalit o conflitto di valori. Non avrebbe senso parlare di Eracle al
bivio se per una via ci fossero tutti e soli valori, per laltra solo disvalori
o mancanza di valori. Perci parecchi moralisti contemporanei, tra i quali
massimo Scheler, hanno parlato di una gerarchia di valo- ri: i valori si dnno
(o si pongono) in gerarchia, in atti di preferenza; la moralit stessa non
sarebbe, stricto sensu, un valore, bensi coinciderebbe co. la gerarchia (o una
ge- rarchia) di valori. Mi sembra per che a tale proposito siano assai
convincenti alcune considerazioni che, indipen- dentemente da Scheler e dalla
scuola dei valori materia- li, aveva fatto Simmel: considerazioni che si
ricollegano a quanto abbiamo accennato a proposito del porco arro- stito.
Dicevamo che lantieconomicit insita nel bruciare capanne per arrostire maiali
non toglie nulla al pregio del sapore della carne del maiale arrosto: solo che
questo va- lore inferiore al valore
della capanna (tanto pi che ci sono modi pi economici per arrostire il porco).
Ma fin- ch stiamo al momento puro della valutazione (0, con un linguaggio
psico-fenomenologico, dellemozione-sentimen- to in cui vissuto il valore) tra le due cose non c
dissi- dio: la congiunzione logica la carne di porco saporita e la capanna comoda
perfettamente valida: tra i due enunciati (giudizi) non c
contraddizione. Ora, se vero che i
valori si dnno sempre in atti di preferenza, ci ri- guarda preferenze rispetto
al medesimo predicato di valo- re: possiamo accettare la tesi (scheleriana, ma
non solo scheleriana) che bello significhi pi bello, cosi come lontano
significa ad una distanza maggiore di una certa misura standard. Come questa
esplicazione di lontano risolve il paradosso, gi osservato da Galileo, che,
mentre una certa signora si lamenta che la chiesa troppo lonta- na da casa sua, un certo
corriere dice che Napoli vicina a Roma -
cos quella esplicazione di bello spiega in qual- che modo il variare dei gusti
con lallargarsi delle espe- rienze, e perch, per esempio, un luogo che mi
pareva me- raviglioso quando non ne avevo visti altri, dopo certe e- sperienze
di viaggio mi possa apparire mediocre o addirit- tura insignificante. Ma i
grandi valori, soprattutto quan- do si organizzano categorialmente, quando si
strutturano come autovalori, non sono direttamente confrontabili. Mi sembra
quindi che abbia ragione Simmel: -la con- correnza, o il conflitto, dei valori
sorge solo in sede prati- ca: non quando si tratta di pregiare carni cotte e
ammira- re case, ma quando si tratta di decidere se convenga bru- ciare le case
per cuocere le carni. E lo stesso si dica per le norme. Finch non entrano in
conflitto pratico, norme non-contraddittorie non sono in conflitto di nessun
genere. Per riferirci ad un celebre esempio di Simmel, la nor- ma sii fedele
alla parola data e la norma d allesercito del tuo paese in guerra tutte le
informazioni utili che pos- siedi non sono affatto in conflitto: anzi, sono
comple- mentari, per esempio, nelletica degli agenti dei servizi se- greti.
Solo in circostanze determinate possono entrare in conflitto: ed solo in tali circostanze che si impone una
scelta. Ma ripetiamo la profonda osservazione di Sim- mel: in questi casi il
valore (Simmel dice il dovere) sacrificato resta un valore: un senso oggettivo
di colpa ac- compagna anche la pi razionale delle scelte. 3. A quanto pare, le
considerazioni dei paragrafi pre- cedenti ci hanno portato piuttosto fuori dal
filo del nostro discorso in questo saggio, e ancor pi fuori dal tema del libro.
Ma forse non tanto quanto pu sembrare a prima vista. Infatti, un risultato
appare subito: che fino a che si discute di valori intrinseci, il valore di una
buona teo- ria scientifica, quello di una buona istituzione sociale, quello di
una bella poesia, eccetera, sono inconfrontabili: non possibile, non ha neppure senso metterli in
gerar- chia. solo sul piano pratico che
possono, in determinate circostanze, entrare in conflitto cio solo nei loro mo- menti estrinseci,
quando da valori divengono fini, che pos- sono entrare in conflitto e, in tal
caso, devono venire ge- rarchizzati. Cos le due culture possono (e ci, del re-
sto, avviene di fatto) convivere luna accanto allaltra fino a che non si
presentano circostanze che, nei loro momen- ti estrinseci, le pongano in
conflitto pratico . Ma il discorso che vogliamo fare un po pi profon- do, pi filosofico. Il mondo
il cui quadro costruito dal sapere scien-
! Cfr., per questo argomento: G. SIMMEL, Intersecazione dei cerchi so- ciali,
in Nuova Collana di Economisti, vol. XII, Torino 1934, pp. 263 SEB. "Cfr.
c. SIMMEL, problemi fondamentali della
filosofia, trad. it. di A. Banfi, Vallecchi, Firenze s. a. , PP. 204-5. 3 Nei
capitoli precedenti abbiamo dato alle due culture e alla loro antitesi un
significato diverso, per il quale esse erano in conflitto anche in- trinseco,
dialettico. Qui invece, a titolo di ipotesi di lavoro, ne abbiamo mutato il
significato, per cercare di intendere meglio il senso del conflitto attuale
(Snow, ecc.). Tenendo presente ci, il lettore non trover contrad- dizione tra
questo capitolo e quelli che lo precedono. tifico un sistema di oggetti e questi oggetti sono von) uata di primo
grado, nella cui costituzione non entrano categorie (predicati) di valore. Il
mondo della scienza non n bello n
brutto, n buono n cattivo: latteggiamen- to dello scienziato, in quanto tale
(nel momento che ta- le, e tale
rimane) quello dellascetica atarassia
del sag- gio stoico-spinoziano. Per questo ha ragione Scheler, che luomo (in
quanto essere che costruisce la scienza)
la- sceta della vita. Ma questo non
latteggiamento della vita di
nessun essere vivente, di nessun uomo; non pu essere neppure l'atteggiamento
definitivo dello scienziato, o del filosofo, in quanto uomo-che-vive '. La
vita praxis, e il mondo della vita un mondo di valori. costituito di cose che sono vonmhuata di
secondo ordine, sono beni (o ma- li);
costituito di azioni, di opere, che tendono a realiz- zare valori, ad
attuarli in fatti e cose. Ma un mondo un
insieme universale di rapporti; e un mondo di valori un insieme di rapporti axiolo- gici. Cio, in
parole povere, un mondo di valori
costitui- to da una molteplicit di valori almeno se deve essere un mondo reale. Ora,
come le idee della mente divina se- condo Leibniz, tutti i valori sono
possibili, ma non tutti sono compossibili per quanto riguarda la loro
attuazione in un mondo. E, di conseguenza, non tutti si collocano al medesimo
livello. Un mondo di valori quindi
costitui- to da due sfere: da una sfera di cose e di fatti, con i loro
presupposti categoriali-teoretici; e poi da una sfera di be- ni, che ha per
presupposto trascendentale una sfera di va- lori gerarchizzati e/o organizzati
attorno a qualche valo- re centrale. I filosofi morali non sono mai riusciti a
definire la mo- ! Anche la razionalit o la verit, in quanto oggetto e meta del-
lazione, della ricerca, di uomini viventi (ch tali sono scienziati e filo-
sofi) che ne fanno la loro vocazione o semplicemente il loro mestiere, sono
dati in peculiari sentimenti, vissuti in un loro pathos peculiare. Non si
confondano i livelli: che la scienza sia wertfrei, cio costituisca i suoi 0g-
getti senza investirli di predicati axiologici, non significa affatto che essa
non abbia o non sia, un valore per coloro che praticano lattivit scientifi- ca;
e che, essendo un valore, non abbia il suo dover-essere, il suo ethos. ralit
come valore specifico. I pi moderni (citiamo ix pri- mis Max Scheler, ma
bisognerebbe ricordare kantiani co- me Simmel) hanno ripreso in maniera
originale e profon- da una possibile interpretazione della morale kantiana: la
moralit non esiste come valore specifico; essa
piutto- sto, come valore in s, il valore dei valori, come valore pratico
la direzione della volont verso un mondo di valo- ri. Il contenuto
ideal-obiettivo (trascendentale) della mo- ralit una sfera di valori gerarchizzati (e/o organizzati
attorno a qualche valore centrale). Ma un mondo di valori, in quanto ha da
essere un mon- do attuale o
attuabile suppone un mondo reale, con le
sue strutture, le sue leggi, i suoi fatti e le sue cose: con la sua
Wertfreiheit, che in tal caso diviene, negativamen- te, inerzia rispetto
allazione morale, ma, positivamente, disponibilit per i valori, per la moralit.
Ci che distin- gue il volgare moralista dall'uomo morale proprio que- sto, che il primo si pasce di un
lips service ai valori, a for- mule o giudizi preformati, e poco si cura
dellattualit o attuabilit di un mondo di valori
la frase sublimemen- te idiota fa ci che devi, avvenga che pu pu essere
il suo motto. Luomo morale dice come posso: preoccu- pato di instaurare un
mondo reale, ha di fronte le condi- zioni che questo gli pone, e quali saranno
di fatto le con- seguenze delle sue azioni. In questo senso linsegnamento di
Dewey rimane prezioso. III. La breve ricerca di questo capitolo volge oramai decisa-
mente alla sua conclusione. Abbiamo di fronte due strut- ture, due modi di
fondare un mondo: teoretica e axio- logica. Si dir che esse si distinguono solo
per astrazione che nel concreto della
vita, della societ, della storia, esse so- no indissolubilmente unite; che si
tratta di uno dei tan- ti dualismi di cui si pasceva una vecchia filosofia
dogma- tica. E forse questo sar anche vero: ma io non ne sono affatto convinto.
Identit e distinzioni non sono mai del tutto empiriche, n scienze naturali come
la psicologia o la sociologia possono mai metterle in evidenza: potranno al
massimo rilevare la concomitanza o non-concomitanza, la dipendenza, o
indipendenza, fattoriale, o simili, di di- stinti una volta che partano
dallipotesi della distinzione. Per questo io penso che le distinzioni, solo che
abbiano un briciolo di fondamento nellesperienza comune, non sono quasi mai
inutili, e comunque mai dannose: anche se l'indagine, fattuale o filosofica che
sia, mostrer che si tol- gono, la stessa prova del loro togliersi servir ad
illumina- re rapporti, correlazioni, dipendenze e/o opposizioni che invece
lipotesi dell'identit non avrebbe mai messo in ri- lievo. Per queste, e per
molte altre ragioni, io mantengo qui le dicotomie tra conoscenza (verit
teoretica) e valutazio- ne (valore), tra teoria e prassi. 1. E sulla base di
tale mantenimento, usando qui di una terminologia certo equivoca e pericolosa,
ma, agli sco- pi di questo saggio, abbastanza intuitiva e utile, chiamer
soggetto un soggetto attuale (di qualunque genere di at- tualit) di atti
conoscitivi, persona un soggetto attuale di atti valutativi e/o pratici (volti
cio alla volontaria realiz- zazione di valori). Chiamer poi persona morale una
per- sona soggetto di atti valutativi e pratici in quanto rivolti per non a
determinati e singoli valori qui-e-ora, bensi ad un mondo-di-valori
gerarchicamente disposti e accentrati. Com' noto, Scheler e N. Hartmann (dai quali
ho tolto, pressa poco, questa mia terminologia), pur essendo dac- cordo su
tanti punti dellaxiologia, non furono daccordo soprattutto su questo: che
mentre Scheler riteneva pos- sibile una persona senza soggetto, e per questo
parlava an- che di persone collettive e di Dio come persona, N. Hartmann non
ammetteva la possibilit di una persona che non fosse anche un soggetto mentre un soggetto pu non essere una persona,
il viceversa non possibile. La
persona al limite tra il regno
dellessere (della natu- ra) e quello del dover-essere ideale (dei valori),
volto a realizzare questo in quello. Per questo deve essere un soggetto
conoscente. (E perci egli negava lesistenza di per- sone collettive e di Dio
come persona). Non qui il luogo di
entrare nella discussione: tanto pi che essa implicherebbe anche laccettazione
di molti presupposti metafisici e dei metodi dei due autori. Tutta- via il
problema ha una sua importanza. Ci sembra diffici- le ammettere una persona,
soprattutto una persona mora- le, senza un soggetto: vale a dire una volont
tesa alla rea- lizzazione di valori nel mondo, senza un mondo, cio sen- za una
qualsivoglia conoscenza del mondo *. Ricordiamo che il giudizio di valore un giudizio secondario, e che l'oggetto
valutato un vnpa fondato: e infine che
il mondo-dei-valori il mondo dellessere
(teoretico) inve- stito di un sistema di valori che in esso si attuano 2. A
livello dello empirico, ossia del soggetto singo- lo fisio-psichico, troviamo
forse la pi profonda unit tra soggetto e persona: tanto che, essendo proprio a
questo livello che si pone lindagine della psicologia, assai diffu- sa tra psicologi e filosofi
psicologisti la tendenza a negare la dicotomia. Tuttavia, gi a questo livello,
per quanto le faccende siano piuttosto complicate, la dicotomia stessa operan- te: chi impreca contro la pioggia
distingue bene tra la co- noscenza del fatto (piove) e la valutazione del
medesi- mo. E anche lazione, volta sempre allattuazione di valo- ri, si fonda
su conoscenze (o su credenze: che qui lo
stes- so): si prende lombrello perch si sa che la sua cupola ! Cfr. N. HARTMANN, Etbik (1926), I. T., VII Abschn.,
24. Kap.; M. SCHELER, Der Formalismus in der Ethik usw. (1966), Vortwort... zur
drit- ten Auflage, pp. 19 sg. 2 Nella celeberrima tesi XI su Feuetbach, Marx ha
scritto: Die Phi- losophen haben die Welt nur verschieden interpretiert; es
kommt darauf an, sie zu verdndern. Confesso
che, frastornato dalle interpretazioni cor- renti, sono rimasto per anni
perplesso sul senso di questa frase: mi sem- brava persino che non avesse
senso, mufare un mondo non previamente in- terpretato. E dove andava a finire
la pretesa scientifica del socialismo? Diventava una specie di folle
superstizione tipo Zen? Ma forse Marx, co- me Kierkegaard, pensava che con
Hegel la filosofia avesse dato tutto quel- lo che poteva, e che con il sistema
di Hegel linterpretazione del mondo fosse completa: e quindi riteneva che
oramai lunico problema fosse quello di mutare il mondo realizzando la
filosofia. (Si confrontino le pagine per la Verwirklichung der Philosophie gi
negli appunti per la dissertazione di dottorato). impermeabile, si prendono le
medicine perch si sa (o si crede) che abbiano una certa azione
terapeutica... inuti- le andare
all'infinito con gli esempi. E questo vale anche per le motivazioni: si
apprezza o si biasima sulla base di credenze, vere o erronee che siano, circa
gli effetti o i ri- sultati di certe qualit delle cose. Come ha osservato il
tanto citato Stevenson, un disac- cordo di credenza produce un disaccordo di
valutazione. E, aggiungiamo, una crisi nelle credenze produce una cri- si nelle
valutazioni. Se fosse vera quellunit inscindibile che sostengono alcuni
psicologi, crisi di questo genere non potrebbero mai sorgere: ch latteggiamento
condizione- rebbe sempre (e non soltanto spesso) e n ogni misura (e non
soltanto in una certa misura) la credenza
e vicever- sa. Ma il mutamento di credenze produce un dramma mo- rale
(grande o piccolo che sia): latteggiamento resta co- munque scosso, anche se
spesso si ricostituisce sulla base di altre motivazioni. Ma tutto il sistema
delle motivazioni ne viene rivoluzionato, e il sistema stesso degli atteggia-
menti rischia di perdere di coerenza. 3. Mala problematica insita nella
situazione preceden- te ci interessa di pi a livello dellego sociale, cio del
sog- getto e della persona sociale. Naturalmente, occorrerebbe una lunga
discussione per giustificare l'ammissione, che si fa qui, di un ego sociale:
molti infatti non sarebbero disposti ad ammettere lego sociale come un piano di
attualit dellego (il soggetto so- ciale come un piano di attualit del soggetto,
la persona sociale della persona), o sulla base di una metafisica no-
minalistica (per cui reali sono soltanto gli individui), o, al contrario, sulla
base di nebulose concezioni umanisti- co-spiritualistiche. Ma da un punto di
vista positivo con- cetti come questi, di persona sociale o soggetto sociale,
si presentano correlati con caratteristiche esperienze, di ca- rattere assai
simile (se non forse affatto identico) alle e- sperienze che verificano gli
enunciati delle scienze stori- che (delle quali purtroppo non abbiamo finora
unadegua- ta analisi epistemologica). Leggi, istituzioni, opinioni cor- renti,
idee etiche (quali, per esempio, si esplicano nelle motivazioni di certe
sentenze di magistrati), ecc., hanno unobiettivit di tipo empirico, anche se
non si tratta del- lesistenza empirica delle cose che si costituiscono nel- la
normale esperienza sensoriale (percezione). Sf che, da questo punto di vista,
si pu parlare di persona sociale come lattualit della persona al livello della
sfera dei va- lori socialmente ammessi e costituiti: valori principalmen- te
etico-giuridici e religiosi, ma anche, sebbene in modo meno ovvio, estetici,
edonistici (vitali), strumentali (si pensi, ancora una volta, alla storiella
del porco atrostito). Questi valori si organizzano in maniera pi o meno coe-
rente (a seconda delle societ e delle epoche storiche) se- condo sistemi di
categorie valutative e si dispongono in gerarchie, le quali sono tipiche delle
varie culture (axiolo- giche). Vivendo entro i conflitti della nostra cultura e
co- me membri attivi della medesima non sempre scorgiamo nitidamente questo
fatto: ma ce ne accorgiamo non appe- na, viaggiando e/o studiando, ci troviamo
di fronte a cul- ture molto lontane dalla nostra nello spazio o nel tempo:
allora, per cosi dire per effetto della prospettiva data dalla distanza,
scorgiamo pi facilmente quando ci sforziamo di capirli, gli schemi formali e i
contenuti di tali diverse cul- ture, non tanto in questo o quel singolo, ma
come culture sociali. Lo stesso discorso vale per il soggetto del conoscere. A
partire dal linguaggio comune, che
tipica istituzione so- ciale, per giungere ai linguaggi scientifici (che
nascono da convenzioni linguistiche ammesse nella societ dei dotti), fino ai
tipi di inferenza ammessi, gi le strutture linguisti- co-formali del sapere
sono di istituzione sociale: si ap- prendono, si comunicano, e, fuori dei gradi
di libert che esse eventualmente permettono, ogni deviazione da esse porta alla
non-validit dei discorsi, delle teorie, delle proposizioni. stato molto spesso (e forse anche troppo)
sottolineato il fatto che teorie, convenzioni scientifiche, assiomi insomma, ci che molto globalmente potremmo
chiamare la verit scientifica, si pone ed
tale in un concreto sociale, ed ha una validit sociale. Anche qui, i-
stituzioni (come scuole, accademie, ecc.) costituiscono la fonte autoritativa e
l'appoggio sociale di questa verit quella che deve sapere ogni cittadino che
aspiri a titoli di studio o si presenti a concorsi per esami. Ma ci vige anche
a livelli pi profondi anche al livel- lo
dellesperienza sensoriale. Non alludo soltanto allEr- fabrung scientifica,
all'esperienza (di osservazione o speri- mentale che sia) che verifica teorie
scientifiche e, in forma di enunciati protocollari, fornisce la base per le
induzioni che conducono alle costruzioni teoriche; ma anche alla co- mune Erlebnis,
a ci che si vede o si crede di vedere. Ve- diamo il mare azzurro e la moneta
circolare: ma questo non mai ci che
realmente (otticamente) vediamo: in-
vece uno standard sociale, che, attraverso i complessi e molteplici
condizionamenti subiti da ognuno di noi fin dalla prima infanzia, guida le
nostre integrazioni percetti- ve e gestaltiche. Lesperienza sensibile che
conta, quella che vera, quella esperita da organi sensoriali e
appara- ti nervosi normali: ma lo stesso normotipo, che fa da campione, da
termine di riferimento, per la valutazione della sensibilit di ogni
singolo, una creazione sociale e vige in
una societ. noto, per esempio, che
mentre nella nostra societ le parole di un uomo stimato pazzo non so- no
attendibili, in altre civilt succede il contrario: le paro- le di un pazzo (o
presunto tale) sono rivelazioni della di- vinit. Reticolati di categorie
teoriche, sistemi logico-linguisti- ci, regole per losservazione e la
sperimentazione, normo- tipi sensoriali
tutto ci costituisce quel piano di attuali- t del soggetto del conoscere
che si pu chiamare sogget- to sociale. E cosi possiamo parlare, senza pericoli
di me- tafisica e di misticismo romantico, di un soggetto sociale e di una
persona sociale, correlati di due culture sociali, una scientifica ed una
axiologica. Ma listanza nominalistica resta vera nel senso che, sul piano
esistenziale dellattualit, esistenti sono soltanto i singoli (gli individui
come residuo dell'analisi, cio ele- menti costitutivi, della societ). E da
questo punto di vi- sta si pu, entro certi limiti e con le dovute cautele, par-
lare di cultura nel senso antropologico di Snow
pro- prio nel senso di gruppi professionali di singoli, di indivi- dui,
dediti ad una cultura o allaltra: di scienziati, di magistrati, di preti e...
di letterati. E qui si pu parlare di una cultura scientifica e di una cultura
axiologica, formate da coloro che, professionalmente o per vocazione, opera- no
in un campo o nellaltro, che sono ricercatori o profes- sori 0 educatori o
giudici o predicatori, o scrittori, incar- nando le forme concrete e le
istituzioni dellego sociale. 4. Ora, chiediamoci: le due culture si
identificano, o sono diverse e distinte? Prescindiamo dagli uomini: per-
mettendoci forse un eccessivo ottimismo, possiamo postu- lare che ogni
professionista persegua lealmente i valori della sua professione: che lo
scienziato sia leale alla veri- t, il magistrato alla giustizia, ecc. In questa ipotesi, ci sar un costante accordo
tra le culture sociali, oppure po- tranno esserci divergenze o conflitti?
Consideriamo le forme in astratto (il che ci
permesso appunto dallipotesi della lealt). La scienza, abbiamo det- to e
ripetuto fino alla noia, wertfrei:
conosce, non valu- ta. La cultura axiologica valuta, e persegue nella praxis un
mondo di valori. Cos stando le cose, non ci dovrebbe es- sere conflitto alcuno.
Ma, come abbiamo gi osservato, le valutazioni si ap- poggiano a motivazioni: e
queste sono conoscenze, valide o non valide come conoscenze, cio vere o false. Razional-
mente, un conflitto di credenze deve portare, o per lo me- no pu portare, ad un
conflitto di valutazioni. gui, e so- lo
qui, che tra la cultura teorica e la cultura axiologica pu sorgere,
indirettamente, un conflitto. E cio quando mu- tamenti intervenuti nel sapere
scientifico scalzano la veri- t delle conoscenze che motivano valutazioni
attuali, fa- cendole regredire a pregiudizi. Una motivazione scientifi- camente
invalida rende invalido il giudizio di valore che essa appoggia: e la civilt di
un popolo si misura dalla scientificit delle motivazioni dei suoi giudizi di
valore. Un popolo che appoggia le sue valutazioni a motivazioni prescientifiche
o antiscientifiche un popolo incivile:
tut- to il suo ethos scade ad imposizioni bestiali e tiranniche. Gli esempi
sono a portata di mano. Il pi banale, ma an- che il pi clamoroso, quello delle streghe e degli inde- moniati.
Non per nulla il Malleus maleficarum dichiara- 234 RETORICA E LOGICA va
contraria alla religione e alla vera filosofia la miscre- denza scientifica
nelle streghe (qualche secolo appresso di- verr ugualmente contrario alla
religione e alla vera fi- losofia il non credere che i comunisti siano figli e
incarna- zioni del diavolo in persona): tolta la credenza nella pos- sibilit
della stregoneria cade anche, come reato impossi- bile, il reato di
stregoneria, e con esso la liceit di colpire in sede giudiziaria persone
antipatiche ai preti o alla co- munit, ricerche scientifiche di ricercatori
isolati non inse- riti in tradizioni e in corpi scientifici ufficiali,
ecc. Ma pi importante, anche se meno
cinematografico, il caso degli
indemoniati. Gi nel Corpus Hippocraticum c uno scritto medico in cui si cerca
di provare che la malattia sacra (cio, credo, lepilessia) non affatto sacra, ma una malattia come le altre: ciononostante per
millenni, fino al Settecento avanzato, si continu a pensare che ma- lattie
nervose e mentali fossero malattie sacre, dovute cio alla presenza di demoni o
spiriti maligni comunque qualificati. Ci portava ad un pesante giudizio di
valore morale negativo sulle disgraziate persone che (consenzien- ti o no)
ospitavano il Maligno la malattia
mentale era u- na cosa da punire piuttosto che da guarire. E cosi atti com-
piuti in stato di follia, come infanticidi compiuti da puer- pere impazzite,
erano considerati orrendi delitti (e pi or- rende ancora ne erano le
punizioni). Lo studio scientifico del sistema nervoso, che appunto si inizia
nel Settecento (Haller ecc.) porta alla convinzione (che gi Lamettrie af- ferma
decisamente con tutte le sue implicazioni valutative in campo morale) che si
tratta di malattie vere e proprie, non di malignit n immanenti n
soprannaturali: e che di conseguenza i malati vanno curati, non puniti. Oggi
tutto ci , per noi, ovvio sebbene in
pratica non ci si compor- ti sempre come se fosse tale. Pi attuale il caso, tuttora discusso, del diritto di na-
tura: un venerando concetto di origine metafisico-reli- giosa che oggi molti
giuristi e filosofi del diritto ritengono (e, io penso, ben a ragione) affatto
mitologico, ma che al- cuni giuristi (soprattutto di destra) invece vorrebbero
rivalutare, ad onta della sua assoluta improbabilit (ed an- CULTURA AXIOLOGICA
E CULTURA TEORETICA 235 zi insignificanza) teoretica '. Ammesso un sistema di
nor- me di natura, esso costituisce un sistema assoluto di riferimento e
valutazione di tutte le norme di un diritto storico (e di tutti gli atti in
conformit o meno a queste ultime) e
quindi diventa relativamente facile rendere ta- bi certi istituti (per es., il
matrimonio, la famiglia, la pro- priet privata), rendere contro natura certe
rivoluzioni o anche semplicemente certe prassi legislativamente am- messe o
imposte. inutile obiettare che se per
natura si intende (e credo che sia lunico modo per dare un senso a tale
termine) l'insieme dei fenomeni in quanto compreso e ordinato secondo leggi
scientifiche, tutto ci che accade, e comunque accada, naturale
in tal caso lidea che certi fenomeni siano innaturali o
antinaturali so- lo il segno di una
deficienza del nostro sapere. Di fatto, fuori delluso filosofico e scientifico,
chiamiamo naturale o ci che conforme a
nostre abitudini, o ci che in ar- monia
con una selezione dei nostri impulsi, o ci che ci giova e che ci piace. In
questo senso il rapporto eteroses- suale non-parentale, la salute, il riposo
alternato al lavo- ro, ecc., sono naturali, mentre il rapporto omosessuale o
incestuoso, la malattia, il sopralavoro sono contro na- tura. chiaro per che se natura si concepisce cos,
un tale concetto non serve pi a fondare nessun valore e nes- suna norma in modo
assoluto: serve pi a dichiarare che non a fondare leticit o la non-eticit di
certe prassi e di certi istituti. Tanto pi che in genere dallessere e dal !
Rimando al bel libro di BOBBIO, Giusnaturalismo e positivismo giu- ridico,
Milano 1965. 2 In un certo senso, si potrebbe ancora parlare di diritto
naturale con- nesso con un contratto sociale, ove tali nozioni venissero
demetafisicizza- te e demiticizzate, perdendo per con questo la loro pretesa di
criteri e fon- damenti assoluti. Ci che distingue un sistema reale di diritto
da un possibi- le gioco giuridico (che formalmente potrebbe essere anche pi
perfetto e rigoroso di qualsiasi reale legislazione) l'efficacia del sistema stesso. Ora tale
efficacia dipende in parte dalla forza coattiva della pubblica autorit, ma in
parte dal consenso etico della popolazione soggetta (direttamente o in-
direttamente) al sistema delle norme. Sia ci un bene, sia ci un male, un fatto che in tutte le societ civili
odierne la tendenza di ridurre al minimo
la coazione e a massimizzare invece il consenso. Quest'ultimo di- pende dalla
libera accettazione del sistema di leggi da parte dei singoli. Ora, ogni
sistema giuridico-politico instaura un insieme di libert e unito ad esso un
insieme complementare di illibert: per es., la libert di gode- re in pace dei
frutti del proprio lavoro implica lillibert di impadronirsi fatto non si
possono dedurre il dover-essere, il valore, la norma: tale pseudo-deduzione da
Moore in poi si chiama fallacia del naturalista. Ritornando al filo del
discorso, certo che anche se va-
lutazioni e norme perdono le loro vecchie motivazioni, con ci non detto che non si possano rimotivare. Per
questo, della rimotivazione, un
procedimento che sem- pre, pi o meno, cambia il significato dei giudizi di
valore o pi esattamente ne muta il campo
(estensionale) di ri- ferimento: in parole tradizionali, ne muta la casistica
sot- tostante. Stevenson ' fa l'esempio di il rapporto sessuale
extramatrimoniale cosa cattiva, motivato
con il perico- lo della nascita di figli fuori del matrimonio, ecc.; ma la
conoscenza di norme igieniche e dellimpiego di anticon- cettivi (o altre
tecniche anticoncettive) toglie tale motiva- zione: e con ci il giudizio
cadrebbe, se non venisse rimo- tivato. Si pu allora rimotivare: per esempio,
con le com- plicazioni emozionali che (soprattutto nelle donne) tale rapporto
porta con s. Ma in tal caso il tabi
portato su di un altro piano: ha perduto di oggettivit, e quelle me-
desime considerazioni degli aspetti emozionali e sentimen- tali dell'atto
possono, in determinati casi, servire proprio a giustificazione dellatto stesso
(ossia a motivarne una va- lutazione positiva). Analoga , per esempio, la
faccenda della perturbatio sanguinis, parto di una fantastica genetica
prescientifica, che serviva a motivare la maggiore severit del giudizio etico e
della norma di legge nei confronti della donna a- dultera. Ora che la biologia
ha sfatato questo mito, facen- con lastuzia o la forza di tali frutti, ecc. -
Nel caso del consenso ogni sin- golo accetta liberamente libert e illibert
(contratto sociale-politico) a certe condizioni. Si potrebbe chiamare diritto
di natura linsieme mini- male delle condizioni necessarie al mantenimento del
contratto: cio lin- sieme delle condizioni senza cui singoli, o gruppi etnici,
o classi, ecc., non sono pi disposti, non hanno pi interesse, ad accettare liberamente
il sistema di libert e illibert costituito dall'ordinamento. Va da s che in una
tale accezione il diritto di natura, per quanto empiricamente si ri- veli
abbastanza stabile in certi sottoinsiemi di condizioni, tuttavia nel complesso variabile (da epoca a epoca, da
civilt a civilt, da gruppo a gruppo, ecc.): e quindi, sebbene possa costituire
un'efficace piattaforma per la discussione pratico-empirica di leggi e istituti
storici, non pu co- stituire un fondamento e un criterio assoluto per il
diritto stesso. ! Ethics and Language cit., p. 123. dolo decadere a volgare
pregiudizio, i sostenitori di que- sta maggiore severit devono ricorrere ad
altri argomenti: il ruolo della donna nella famiglia, il carattere diverso dei
suoi rapporti con i figli, e, come prima, le diverse reazioni sentimentali ed
emozionali della donna. Ma una volta in- trodotte queste nuove motivazioni, la
colpa stessa mu- ta di senso: infatti, anche qui, queste ragioni possono in
certi casi venire recate non a condanna, ma a giustificazio- ne, della donna e
a sostegno del divorzio. 5. L'elemento importante in tutto ci costituito dal- la solidariet degli istituti
del costume: s che una rimoti- vazione, e conseguente mutamento di senso, di
una nor- ma, potenzialmente mette in crisi tutto il costume e questo ben lo sanno i conservatori. Questo
punto molto importante per intendere la
ten- sione dinamica, e in alcuni casi il conflitto aperto, tra ethos e cultura
scientifica. Quest'ultima infatti in
genere pi mobile e comunque pi aperta ai mutamenti, pi progressiva: non
solo, ma le motivazioni dei suoi cambia- menti, della dottrina che adotta e di
quella che confuta, obbediscono soltanto al valore essenziale e immanente al-
la scienza stessa, il valore della verit scientifica, lunico che in essa
risulti decisivo. Lethos pit statico,
meno in- cline ai mutamenti: e in genere in ogni societ non so- lo sono molto
numerosi gli individui conservatori, ma le istituzioni stesse tendono
decisamente allautoconserva- zione... La dinamica delleshos stata magistralmente schizzata dal Veblen', la
cui teoria in proposito voglio qui riferire con una certa libert. Il
costume un complesso di istituzioni,
intenden- dosi con ci un insieme di abiti ampiamente prevalenti in una certa
comunit, relativi a certe particolari funzioni, a determinati rapporti, della
comunit e degli individui che la compongono. Un principio di riflessione
trasforma que- sti abiti in costumi, cio li fissa in leggi o canoni, ne fa de-
gli atteggiamenti o sentimenti ne fa,
insomma, degli abi- ! T. VEBLEN, La teoria della classe agiata, trad. it.,
Einaudi, 1949. 238 RETORICA E LOGICA ti di pensiero che a livelli di civilt gi
abbastanza elevati possono giungere a divenire princip, e pi in l ancora con-
cezioni della vita, atteggiamenti spirituali, ideologie. Come sorgono e si formano
le istituzioni del costume? Veblen, come del resto, credo, la maggior parte
degli an- tropologisti suoi contemporanei, mette questo fatto in re- lazione ai
meccanismi dell'evoluzione della specie. Le isti- tuzioni sorgono come abiti
selezionati di risposte a stimoli in circostanze standard, modi caratteristici
di risposta a stimoli in determinate situazioni. Naturalmente, tra que- sti
abiti c' anche quello di vivere una vita associata, il che a sua volta richiede
la formazione per selezione di abi- ti associativi: La vita delluomo in societ, proprio come la
vita del- le altre specie, una lotta per
lesistenza e perci un pro- cesso di adattamento selettivo. L'evoluzione della struttu-
ra sociale stata un processo di
selezione naturale delle istituzioni. Il progresso che si fatto e che si sta facendo nelle istituzioni
umane e nellumano carattere si pu ascri- vere sicuramente a una selezione
naturale delle abitudini mentali pi idonee a un processo di forzato adattamento
degli individui a un ambiente che
progressivamente mu- tato col crescere delle comunit e con le mutevoli
istitu- zioni sotto cui gli uomini sono vissuti
!. vero che le istituzioni
derivano dalle azioni degli uo- mini; ma
anche vero che esse fanno, e selezionano, gli uomini per adattarli alle
istituzioni: Non appena una data
tendenza o un dato punto di vi- sta
riuscito a farsi accettare come criterio o norma di vi- ta obbligatoria,
reagir sul carattere dei membri della so- ciet che lha accettato come norma.
Esso former in par- te le loro abitudini mentali ed eserciter una sorveglianza
selettiva sullo sviluppo delle attitudini e delle inclinazio- ni. Questo
effetto operato, in parte da un
adattamento coercitivo, frutto di educazione, delle abitudini di tutti gli
individui, in parte da uneliminazione selettiva degli in- dividui e dei filoni
di sviluppo inadatti. Quel materia- le umano che non si presta ai metodi di
vita, imposti dal- 1 p. 151. CULTURA AXIOLOGICA E CULTURA TEORETICA 239 lo
schema accettato, viene represso o addirittura elimi- nato |. Dunque: esperienze di adattamento,
soluzioni vitali si fissano, e divengono costume. Divengono anche standards
valutativi, che operano sugli uomini formandoli e, comun- que, determinandone
il destino entro il wzilieu sociale. Ci determina la tendenza del costume,
appunto, a istituzio- nalizzarsi, a fissarsi, a divenire autoconservativo, arch
al di l delloriginaria sua funzione vitale e pragmatica: il co- stume diventa
tradizione, inerzia storica. Di qui la sua cri- si immanente, perpetua: perch,
mutando le circostanze vitali (storiche, ambientali), anche le istituzioni
dovrebbe- ro mutare, non essendo esse altro che metodi di risposta a
circostanze mutevoli; non solo, ma le stesse istituzioni, operando una
selezione nel materiale umano, mutano la stessa situazione umana, e cosi
vengono a mutare anche le precedenti condizioni che le avevano fatte nascere.
Perci si pu dire che le istituzioni del costume na- scono gi vecchie: sono
sempre in ritardo, mai adeguate agli sviluppi della situazione umana. E allora
vengono in conflitto o con la situazione reale o con il materiale uma- no che
esse stesse sono venute creando: a questo punto, da vitali divengono
antivitali, e la selezione comincia a funzionare in senso inverso. Sorte con un
determinato va- lore, per rispondere a determinati scopi, nelle mutate si-
tuazioni mutano senso e valore e spesso agiscono come un freno al progresso od
evoluzione, sbarrando la via alla for- mazione di istituzioni pi adeguate.
Linerzia delle tradizioni (sostenuta praticamente dal coagularsi intorno ad
esse degli interessi di alcune classi, o caste o ceti) d origine a quel
complesso atteggiamento che il
conservatorismo. Ma qui, a questo proposito, ci interessa soltanto un fatto,
peraltro molto importante: il fatto che, in generale, le istituzioni sono tra
loro solidali nel senso che si
sorreggono, si motivano le une con le al- tre; in una specie di movimento
circolare in virti del qua- le il costume si chiude nella sua immanenza, diviene
so- stanziale. Questa sostanza del costume, che si suol chia- 1 p. 168. 240
RETORICA E LOGICA mare anche lordine sociale, costituisce lo sfondo della vita
quotidiana, lo sfondo delle normali attivit degli uo- mini, e perci ha,
indubbiamente, per se stessa un valore vitale, quasi animale (non certo
spirituale, come preten- dono i conservatori): romperla, mutando in tutto o in
par- te le istituzioni (ma, data la circolarit, o sostanzialit che dir si
voglia, il mutamento parziale rischia di mettere in crisi ogni volta lintero
sistema! ), un rischio, un avven- tura
spirituale, che molte persone (tanto pi quando ne sono minacciati interessi
dominanti) corrono mal volen- tieri: richiede una disperazione, o unascesi, che
pochi hanno. Giova a questo proposito leggere una bellissima pagina di
Veblen: La repugnanza sentita dalla
gente per bene a ogni pro- posta di allontanarsi dai metodi di vita
accettati un fatto di comune esperienza
quotidiana. Non infrequente sen- tire
quelle persone che dispensano ammonizioni e consigli salutari alla comunit,
esprimersi energicamente sugli in- calcolabili effetti perniciosi di cui la
comunit soffrireb- be da cambiamenti cosi relativamente insignificanti come
l'abbandono della Chiesa anglicana a se stessa, unaccre- sciuta facilit di
divorziare, ladozione del voto femmini- le, la proibizione della preparazione e
della vendita del- le bevande eccitanti, labolizione o restrizione del diritto
di eredit, eccetera. Ognuna di queste innovazioni, ci si dice, scuoterebbe la
struttura sociale dalla base, ri- durrebbe la societ a un caos, sovvertirebbe i
fondamen- ti della morale, renderebbe la vita impossibile, rovi- nerebbe
lordine della natura, eccetera. Questi vani mo- di di dire sono senza dubbio
iperbolici; ma nello stesso tempo, come ogni esagerazione, sono indice di un senso
vivo della gravit delle conseguenze che essi intendono descrivere. Si sente che
leffetto di queste e simili innova- zioni nello sconcertare lo schema di vita
accettato, appare assai pi grave che il semplice mutamento di una voce iso-
lata nella serie delle sistemazioni collettive. Ci che vale cosf ovviamente per
le innovazioni di primaria importan- za, vale in grado minore per i cambiamenti
di una minore importanza immediata. Lavversione per il cambiamento in gran parte lavversione per il disturbo di
fare il riequilibrio che ogni cambiamento rende necessario; e que- sta
solidariet del sistema delle istituzioni di una data ci- vilt o di un dato
popolo fortifica la resistenza istintiva a ogni mutamento nelle abitudini
mentali degli uomini, per- sino in cose che, prese a s, sono di minore
importanza . 6. Siamo cosi giunti al
termine di questo capitolo e di questo
volume. Il momento propriamente teoretico, co- noscitivo, della cultura la cultura scientifica si configu- ra in un peculiare rapporto con
la vita degli uomini e con la civilt complessiva. In virt della sua strutturale
Wert- freibeit, in virti della sua libera universalit umana, la cultura
scientifica appare come il momento del negativo: come negazione liberante, come
strumento della stessa au- totrascendenza della vita e della storia: e appunto
per que- sto la sua struttura
essenzialmente a-storica. Ci richiamiamo qui a quanto hanno messo in
evidenza molti filosofi, forse a partire dallo stesso Platone ma per stare in tempi meno remoti,
richiamiamoci a filosofi come Simmel o come Scheler. La cultura, ogni cultura,
nasce dalla vita: ma, una volta sorta, esercita rispetto alla vita una specie
di ascesi, la sospende, le volta le spalle, ed elabora forme ideali di validit
che obbediscono a criteri immanenti, non pi a quello della loro immediata
vitalit. Questo vale per quello specifico e peculiare valore che la verit, come per ogni altro valore. Ma, a
questo punto, le forme di cultura mettono in crisi la vita stessa: la scon-
certano nel momento stesso che tendono a riorganizzarla entro orizzonti pi
vasti, pi ricchi, pi comprensivi. On- de ritornano alla vita come pit vita.
Come abbiamo detto, la cultura axiologica, per le sue motivazioni, per le
stesse progettazioni pratiche che im- plica nella sua tendenza ad attuare i
valori nellessere, si appoggia alla cultura scientifica: e un quadro axiologico
del mondo presuppone sempre un quadro scientifico del- lessere (della natura,
della storia, eccetera). La non-coin- cidenza del quadro del mondo utilizzato
dalla cultura a- xiologica con quello presentato dalla scienza produce una !
pp. 161-62. 242 RETORICA E LOGICA crisi storica di civilt, e quindi rappresenta
un elemento dinamico di mutamento (parlo sempre in seno alla civilt, ossia sul
terreno della vita riflessa, culturale). Ma la cultura axiologica, in quanto si
organizza in un sistema di istituzioni etiche, tende a chiudersi nella sua
sostanziale immutabilit, nella sua immanenza
come ab- biamo visto. E chiudendosi diviene non solo extravita- le (pi
che vita), ma antivitale (meno vita). E ci ac- cade quando i suoi presupposti
reali sono mutati, ossia quando si fonda su un quadro dellessere erroneo erro- neo proprio dal punto di vista del
sapere. Il sapere, in quanto regolato dal solo autovalore della verit, meno vischioso delletbos: naturalmente, tende
anch'esso a conservarsi, ma la legge della verit, con lac- centuato ascetismo
che richiede, neutralizza gran parte dei motivi di vischiosit. La scienza pi spregiudica- ta, e quindi, per il suo
stesso ufficio, pi aderente ai mu- tamenti che intervengono nella realt. Onde
essa, operan- do criticamente contro linvecchiata base pseudo-teoretica che
sorregge un arcaico sistema di istituzioni etiche (e quindi di valori), la
costringe a mutarsi, costringendo con ci lintero sistema a rimotivarsi, quindi
a riorganizzarsi: con il risultato che nasceranno istituzioni etiche diverse, e
spesso molto diverse, dalle precedenti. E cosi lascesi scientifica strumento di riadattamento delletbos alle
esigenze della vita: restituisce al mondo dei valori la sua fondazione, la
condizione stessa della sua efficacia
mantiene aperte le vie della sua stessa autotra- scendenza. Questa, e
non altra, la funzione primaria della
cono- scenza scientifica, in quanto conoscenza, entro la dialetti- ca storica
della civilt. Chiederle altro chiederle
di di- venire teologia oppure tecnologia, ideologia oppure pro- gettazione
pratica, chiederle di tradire la sua
funzione, di sparire come tale dalla civilt. Ma
anche chiedere alla vita di chiudersi in una immanenza antivitale, in
una pace e sicurezza che la pace della
morte. Nuovo Politecnico Pubblicazione settimanale, 27 luglio 1974 Direttore
responsabile: Giulio Bollati di Saint Pierre Registrazione presso il Tribunale
di Torino, n. 2337, del 30 aprile 1973 Stampato per conto della Giulio Einaudi
editore s. p. a. presso la Litografia Bona in Torino C.L. 350-9 a cura di Franco Cambi Giovanni Mari {B cs Asd
Intellettuale critico e filosofo attuale yy _ STUDI E SAGGI - 100- Giulio Preti
Intellettuale critico e filosofo attuale a cura di FRANCO CAMBI GIOVANNI MARI
FIRENZE UNIVERSITY PRESS 2011 Giulio Preti: intellettuale critico e filosofo
attuale / a cura di Franco Cambi e Giovanni Mari. - Firenze : Firenze
University Press, 2011. (Studi e saggi ; 100)
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Studi di Firenze Firenze University Press Borgo Albizi, 28, 50122 Firenze,
Italy Printed in Italy PRASSI, INTELLETTO, RAGIONE. IL NUOVO NEOCRITICISMO DI
PRETI Massimo Baldacci P., GEYMONAT E LA FILOSOFIA SCIENTIFICA Coniglione TRE
STUDI SU PRETI (E DUE APPENDICI) Franco Cambi SPIGOLATURE ALLA GIULIETTO
Alberto Peruzzi UN EMPIRISTA LOGICO DI FRONTE AL 68 Giovanni Mari P.: LA
FILOSOFIA COME EDUCAZIONE E COME RESPONSABILIT Luca Maria Scarantino IL
MATERIALISMO DI P. Giulia Santi IL KANT DI PRETI NEI SAGGI FILOSOFICI
Elisabetta Scolozzi P. DOCENTE UNIVERSITARIO Alessandro Mariani Franco Cambi e
Giovanni Mari (a cura di) Giulio Preti : intellettuale critico e filosofo
attuale Firenze Franco Cambi e Giovanni Mari La facoltà di scienze della
Formazione di Firenze, erede della Facoltà di Magistero, già ubicata in via
Parione, in cui hanno insegnato figure di intellettuali di alto prestigio, non
solo nazionale e versati in molte discipline, ha voluto ricordare uno di questi
grandi filosofi che vi hanno operato, a lungo e con impegno: P., che nella
Facoltà è stato docente di filosofia
teorica, di filosofia morale e di storia della filosofia all’anno della morte.
Un docente di alto valore scientifico e di rigoroso modello didattico, che lascia
una profonda impronta nella Facoltà e, soprattutto, in molti filosofi tuttora
operanti in questa. Su P. ormai fin dagli anni Settanta e Ottanta (Cambi fu l’artefice
del primo saggio ricostruttivo/interpretativo del suo pensiero) si venuta a costruire una ricca e attenta
galleria di studi che ne hanno, in modo preciso, evidenziato sia il modello
teorico, analizzandolo nella varietà/complessità e nella criticità aperta, sia
la densa articolazione della ricerca, esemplare per ampiezza e rigore, che va
dalla logica alla storia della filosofia, dai classici antichi agli autori pi
contemporanei. Come contributo da parte della Facolt che lo ebbe come maestro,
in occasione dei cento anni dalla sua nascita (1911) si voluto dare vita a que- sto volume che
raccoglie una serie di testi di allievi e studiosi del pensiero pretiano per
ricordarne lo spessore intellettuale e critico oltrech tanto pi attuale quanto
pi il pensare contemporaneo si mostra nel suo esser frastagliato e irriducibile
a un'unica prospettiva teorica e metodologica. Un pensiero che in queste pagine
viene attentamente ripreso nei suoi contrassegni teoretici: di pluralismo
integrato e critico (Minazzi), di alto profilo dialettico-critico (Baldacci),
di legame a una lettura assai comples- sa della scienza (Coniglione), di
apertura dinamica e di intensa dialetticit interna (Cambi), di organica
formazione critica anche allinterno dellap- proccio dialettico (Peruzzi). Ma
qui viene illuminata anche la personalit di intellettuale di Preti: disorganico
si detto e disorganico, dopo le-
sperienza attuata a Milano tra Liberazione, Resistenza e spirito del 45, in
modo voluto e permanente (rispetto alle ideologie politiche sulle quali assume
sempre un'ottica critica: si rilegga il messaggio su questo piano presente in
Praxis ed empirismo; ma si vedano anche la sua resistenza al 68 e le
testimonianze contenute in Que ser, ser). Disorganico non si- gnifica
non-schierato (su un fronte laico e di sinistra) ma piuttosto libero Franco
Cambi e Giovanni Mari (a cura di) Giulio Preti : intellettuale critico e
filosofo attuale Firenze University Press VII P.: INTELLETTUALE CRITICO E
FILOSOFO ATTUALE praticante di una teoria capace di svolgere un ruolo critico,
nei confronti della cultura e dei suoi nessi sociali e politici. Un
intellettuale ed un filo- sofo che si dichiarano tali anche in questo tipo di
critica e in questo ruo- lo, minoritario e talvolta inquietante. Su Preti
intellettuale intervengono in particolare Mari e Scarantino, con saggi assai
significativi e capaci di ricordarci, oggi, quel ruolo-chiave
dellintellettuale, insostituibile da par- te di altre figure emerse poi nel
panorama culturale (il matre penser, il
quasi-guru, lopinion-maker ecc.). Su aspetti pi filologico-critici e
interpretativo-settoriali si dispongo- no i saggi di Santi e di Scolozzi, sul materialismo
di Preti e sul suo Kant, contributi anch'essi illuminanti per approfondire
dimensioni-chiave (o strutturali) del pensiero pretiano. Il saggio di Mariani,
invece, rievoca il Preti docente universitario e lo fa, felicemente, attraverso
le testimonianze di allieve e allievi che di quel magistero hanno fatto tesoro
per esercitare spesso, a loro volta, la professione di docenti. In queste voci
prende cor- po anche il Preti-uomo: una personalit complessa e sfuggente, ma
forse, sotto la scorza ora ironica, ora perfino tagliente, molto carica di
squisita umanit, che proprio in alcune forme del suo comunicare di docente ve-
niva nettamente a manifestarsi. NEOREALISMO LOGICO, TRASCENDENTALISMO
STORICO-OGGETTIVO ED ONTOLOGISMO CRITICO IN PRETI Fabio Minazzi DellAssoluto
devesi dire che esso essenzialmente
Resultato, che solo alla fine ci
che in verit; e proprio in ci consiste
la sua natura, nellessere effettualit, soggetto, o svolgimento di se stesso.
Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Fenomenologia dello spirito [1807] 1. Ancora
sulla rilevanza di Pascal per la riflessione e di Preti Pascal ha avuto modo di
rilevare, fin dal 1987, Fulvio Papi
stato studiato da Preti per tutta la vita, proprio perch esiste
unaffinit istin- tiva pi profonda, una specie didentificazione rovesciata tra
la riflessione di Preti e il pensiero di Pascal. Per la verit non sono molti
gli interpreti dellopera pretiana che hanno giustamente scritto sulla
significativa e pre- gnante rilevanza di Pascal nellambito della biografia
intellettuale di Preti. Rilevanza sulla quale ha pi recentemente insistito, in
uno contributo che, anche da questo punto di vista, presenta molteplici,
persuasive, conside- razioni, il primo interprete sistematico dellopera
pretiana, ovvero Franco Cambi. Ma sempre per questa stessa ragione, pubblicando,
nel 2004, il ! Cfr. F. Papi, Giulio Preti: l'ombra vuota dellidea e il fuoco
della passione in F. Minazzi (a cura di), Il pensiero di Giulio Preti nella
cultura filosofica del Novecento, Franco Angeli, Milano 1990, pp. 36-37 (poi
riedito anche in F. Papi, Vita e filosofia. La scuola di Milano: Banfi,
Cantoni, Paci, Preti, Guerini e Associati, Milano 1990, p. 242). Cfr., in
questo stesso volume, il suo contributo Tre studi su Preti (e due appen- dici).
Cambi , effettivamente, il primo autore di una monografia espressamente
consacrata allo studio sistematico ed analitico del pensiero e dellopera del
pensa- tore pavese, cfr. F. Cambi, Metodo e storia: biografia filosofica di
Giulio Preti, gra- fistampa, Firenze, s. a. (ma: 1979). Naturalmente,
precedentemente a Cambi, sono stati pubblicati altri contributi significativi
dedicati allopera pretiana e tra questi non devono essere dimenticati sia gli
importanti studi pionieristici di Ermanno Migliorini (cfr. la sua Introduzione
al volume di G. Preti, Umanismo e strutturali- smo, da lui curato per Liviana,
Padova 1973 e il suo contributo su Il pensiero axiolo- gico di G. Preti. Da
Praxis ed empirismo a Retorica e logica, presentato nel corso del XXIV
Congresso Nazionale di Filosofia (L'Aquila 28 aprile - 2 maggio 1973) poi edito
nelledizione che ne raccoglie gli atti (Roma 1974, vol. II, tomo I, pp. 18-25),
sia Franco Cambi e Giovanni Mari (a cura di) Giulio Preti : intellettuale
critico e filosofo attuale Firenze University Press 2 MINAZZI volume, Il
cacodmine neoilluminista, anchio ho parimenti avvertito le- sigenza di
indicare, programmaticamente, fin dal sottotitolo del libro, la profonda
inquietudine pascaliana di Giulio Preti, inquietudine ad un tempo teoretica ed
esistenziale, sottolineandone proprio la sua importan- za strategica decisiva
per una migliore intelligenza critica dellopera del pensatore pavese. Questa
inquietudine, del resto, non appartiene al solo filosofo Preti e, anche nello
stesso Pascal si delinea costantemente come unantinomia feconda e critica,
invero paradossale ed insolubile, sempre emblematica e costitutiva, della
stessa nostra modernit. Da questo particolare e specifico punto di vista,
eminentemente filoso- fico, allora
estremamente interessante e criticamente fecondo poter rin- tracciare, con
precisione, anche la genesi del primo pensiero che ha indotto Preti a scorgere,
proprio nella riflessione pascaliana, un momento teoretico ed esistenziale tra
i pi significativi e decisivi, tale, insomma, da aiutare a poter meglio
intendere, realisticamente (appunto secondo un realismo uma- no e critico la Banfi)}, la stessa nostra, eminentemente
contraddittoria, condizione antropologica di uomini della modernit. Da questo
punto di vista non allora senza
significato tener presente lopera prima di Preti, la felice e, invero, poco
considerata e ancor meno studiata, Fenomenologia del valore, significativamente
dedicata alla Daria adorata (appunto alla Me- nicanti, la consorte di Preti con
la quale il filosofo pavese fu poi comunque legato per tutta la vita, malgrado
la loro separazione, consumatasi nei primi i preclari contributi di Mario Dal
Pra (a partire dalla sua fine ed acuta Presentazione dei Saggi filosofici di G.
Preti, da lui raccolti, con la collaborazione di Franco Alessio ed Ermanno
Migliorini, nei due densi volumi apparsi presso La Nuova Italia, a Firenze, nel
1976, 2 voll., cfr. vol. I, pp. V-XXVII, oltre a quanto si legge anche nel
precedente Ricordo di Giulio Preti ospitato sulla Rivista critica di storia
della fi- losofia, XXIX, 1974, n. 4, pp. 432-47, con contributi specifici,
rispettivamente, di Alessio, Dal Pra ed Eugenio Garin). L'espressione citata
tra virgolette tratta da un appunto del
4 febbraio 1935 presente nei Diari di Antonia Pozzi (Diari e altri scritti,
nuova edizione a cura di Onorino Dino, note ai testi e postfazione di Matteo M.
Vecchio, viennepier- re, Milano 2008, p. 39). In un suo appunto alle lezioni
universitarie che, con ogni probabilit, si riferisce al corso di Estetica
tenuto da Banfi nellanno accademico 1933-34, la Pozzi, in riferimento specifica
allopera del Beato Angelico, annota: [...] Nellarte gotica, dopo la simbolica
mdv dellastratta dogmatica, si diffonde il senso della pi intima vita umana - |
Il realismo dei sentimenti, dellintimit umana nelle celle di S. Marco del Beato
Angelico - | La funz. del realismo non
di copiare la realt, ma di introdurre nellarte il sapore speciale della
realt, per impedire che larte diventi simbolica e di maniera - [...] (la
citazione tratta dalle puntuali note di
commento di Vecchio ai Diari della Pozzi, cit., p. 79, nota 7). Anche nelle
grandi lezioni di storia della filosofia di Banfi dedicate, in quegli stessi
anni, ad autori come Spinoza e Nietzsche, emergeva largamente questo nuovo
senso del realismo critico con il quale, banfianamente, si veniva invitati a
studiare la realt dal punto di vista di un problematicismo critico, aperto,
vigile e, al contempo, affatto razionale, in grado cio di sempre comprendere
(ermeneuticamente, diremmo oggi), le ragioni dellesistente e le sue stesse
conflittualit costitutive. anni Cinquanta). Questo primo libro pretiano peraltro nato in un preciso ed assai
circoscritto contesto umano, storico, filosofico, culturale ed anche
esperienziale, poich direttamente
connesso con tutto il particolare ed ef- fervescente clima della scuola
banfiana della seconda met degli anni Trenta, i terribili anni Trenta di cui ha
parlato espressamente Dino Formaggio. Anche la stessa modalit della sua stesura nata, sartrianamente, sui tavolini dei vari
Caff di Pavia dove Preti aspettava il termine delle lezio- ni private che sua
moglie impartiva allora, a domicilio, ai vari studenti - rinvia ad una
specifica e stratificata modalit di scrittura e di riflessione, assai mobile,
sempre finalizzata - per dirla con le stesse, parole di Ban- fi (risalenti ad
un'epoca coeva, allagosto 1939) a
chiarire lesperienza spirituale e approfondirla per una elaborazione ed
accentuare la nostra sensibilit culturale fuor dogni pretesa sistematica.
Quest'opera prima pretiana cos nata
proprio da un preciso suggerimento banfiano che il filosofo pavese ha tuttavia
poi realizzato praticando una complessa for- ma di riflessione critica di cui
ora la pagina stampata ci offre una docu- mentazione ampiamente stratificata e
sofisticata (come non rilevare, per esempio, il tono decisamente esistenziale
di molte importanti note di questo testo che si intrecciano costantemente con
il rigoroso dipanarsi - hegeliano, kantiano e fenomenologico - anche la Husserl - del testo?). D'altra parte, last
but not least, in questa articolata prospettiva erme- neutica, non paia allora
paradossale inaugurare una riflessione sullultimo Preti prendendo proprio le
mosse dal primissimo Preti, giacch la genesi, forse pi profonda e riposta,
della maturazione pi fine e criticamente av- vertita della sua stessa
riflessione filosofica pu infatti essere individuata in alcuni leit-motiv, in
alcuni orizzonti strategici decisivi che, pur essen- dosi poi dipanati
criticamente con varia ed anche innovativa curvatura teoretica nel corso della
intensa biografia intellettuale pretiana, tuttavia consentono anche, appunto,
di meglio intendere, unitariamente, un vasto ed articolato programma di ricerca
e il suo stesso, pi riposto ed intimo, cuore critico. Sempre per questa ragione
non allora affatto un caso che 4 Perla
disamina di questo fondamentale rapporto sia comunque lecito rinviare al saggio
introduttivo che ho premesso al volume di Daria Menicanti, Canzoniere per
Giulio, a cura e con uno studio di F. Minazzi, con tre disegni inediti
dellAutrice, Manni, San Cesario di Lecce 2004, pp. 7-59. 5 Cfr. Dino Formaggio,
Una vita pi che vita in Antonia Pozzi, in G. Scaramuzza (a cura di), La vita
irrimediabile. Un itinerario tra esteticit, vita e arte, Alinea, Firenze 1997,
pp. 141-168. La citazione tratta da una significativa lettera
cronachistica di Banfi a Clelia Abate del 16 agosto 1939 che ho gi
espressamente richiamato nel volume Giulio Preti: bibliografia, Franco Angeli,
Milano 1984, p. 63, nota 33. 7 Per una prima disamina critica di questo volume
in questa sede sia tuttavia sufficiente rinviare a quanto ha persuasivamente e
finemente rilevato Ettore Brissa nel suo saggio Due figure della Fenomenologia
del valore, in F. Minazzi (a cura di), Il pensiero di G. Preti nella cultura
filosofica del Novecento, cit., pp. 341-349. P., impostando il suo problema
filosofico della fenomenologia dei valori richiami subito, in modo
programmatico e strategico, proprio la lezione pascaliana. Ma allora, onde
meglio intenderne il preciso ruolo euristico e strategico, conviene senz altro
ripercorrere analiticamente le- satto perimetro della primissima riflessione
pretiana 2. Il giovane Preti: il significato metodologico-critico del problema
di dio nella riflessione di Kant ed Hegel Preti, avviando la sua disamina
critica della fenomenologia del valore, proprio nella sezione delle ricerche
preliminari, prende le mosse, la
Feuerbach e la Kierkegaard, dallassoluto
individuale esistente, appunto dallindividuo singolo, in carne ed ossa,
ricordando peraltro, con l Hegel, autore dellEnciclopedia delle scienze
filosofiche in compendio (cfr. il $ 375, citato nelledizione crociana del
1923), che la inadeguatezza dell'animale alluniversalit la sua malattia originale; ed il germe innato della morte. La negazione di
questa inadeguatezza appunto ladempimento
del suo destino. Secondo il giovane Preti questo tema non solo culmina, in
nega- tivo, nella malattia di Hlderlin, emblematicamente espressa nellIperio-
ne, nonch, posteriormente, anche nella Montagna incantata di Thomas Mann (in
base alla quale la spiritualit percepita
appunto come malattia e lussuria), ma d anche origine, in positivo, alla
disperazione positiva, maschile, di volere essere quello che si ,
contrapposizione della propria finitezza allinfinito dello Spirito*. Mentre
dunque la disperazione fem- minile vorrebbe inseguire unimpraticabile fusione
romantica dell Uno col Tutto - dando appunto luogo alla fine di Empedocle -, di
contro la di- sperazione maschile aprirebbe, invece, ad un diverso orizzonte
strategico che ripropone il tema - decisamente kantiano - della possibilit di
poter concepire un Assoluto concretamente esistente che ci riporta, appunto, al
problema critico dellIdeale della Ragione. 2.1 Dio come ideale della ragione
Ricordando la problematicit intrinseca dellidea di dio come svolta da Kant nella sua Dialettica
trascendentale, Preti rileva come questa stes- sa idea di dio in Kant si scinda
in una duplicit categoriale coincidente con la sua stessa problematicit. Da un
lato dio si configura infatti come lIdeale della Ragione, completamento e
integrazione di tutta lesperien- za trasposta in termini e rapporti razionali.
Questo , naturalmente, il 8 G. Preti, Fenomenologia del valore, Giuseppe
Principato, Milano-Messina 1942, p. 13, ma cfr. pi in generale le pp. 9-39 che
si sono tenute complessivamente presenti nel testo. ? G. Preti, Fenomenologia
del valore, cit., p. 14, mentre le citazioni che seguono nel testo sono tratte,
rispettivamente, dalle seguenti pagine: p. 14; pp. 14-15; pp. 19- tradizionale
dio del razionalismo filosofico e allora lindimostrabilit dellesistenza di Dio
ha perci in Kant il valore positivo di una scoperta di un limite
metodologico-razionale del sapere, dellintegrazione infinita di esso da parte
della Ragione. Nella Critica della ragion pura il concetto di dio finisce cos
per assumere un valore eminentemente metodologico, con la conseguenza che la
stessa fede morale non pu configurarsi come lassolutizzazione del sentimento,
bens come la consapevolezza dellasso- lutezza della stessa Moralitt kantiana e
della sua autonoma problemati- cit. Proprio su questo punto decisivo Hegel,
avversando decisamente la soluzione, mitica e problematica, invocata dai
romantici come Hlderling (che trasformano, eo ipso, un problema aperto in una
unit in atto), pro- spetta scrive
Preti l'esigenza autenticamente kantiana
di far valere quel limite come limite razionale, come il termine cui si deve
volgere tutto lo sviluppo del sapere. In questa precisa prospettiva
interpretativa in cui assai agevole ritrovare l'influenza diretta
di autentico imprinting della lezione banfiana - questa precisa esigenza
kantiana pu allora essere in- dicata anche come il tema fondamentale, e invero
decisivo, della stessa Fe- nomenologia dello spirito hegeliana. Come noto per Hegel [...] dellAssoluto devesi dire
che esso essenzialmente Resultato, che
solo alla fine ci che in verit; e proprio in ci consiste la sua
natura, nellessere effettualit, soggetto, o svolgimento di se stesso. Per
quanto possa sembrare contraddittorio che l'Assoluto sia da concepire essen-
zialmente come resultato, basta tuttavia riflettere alquanto per render- si
capaci di questa parvenza di contraddizione. Il cominciamento, il principio,
l'assoluto, come da prima e immediatamente vien pronun- ziato, solo lUniversale. Se io dico tutti gli
animali, queste parole non potranno mai valere come una zoologia; con
altrettanta evidenza balza agli occhi che le parole: divino, assoluto, eterno,
ecc. non esprimono ci che quivi
contenuto; e tali parole in effetto non espri- mono che lintuizione,
intesa come limmediato. Ci che pi di ta-
li parole, e sia pure il solo passaggio a una proposizione, contiene un
divenir-altro che deve venire riassimilato: ossia una mediazione. Muovendosi decisamente contro
la tipica, diffusa e nota interpretazione romantica di Kant, in questa precisa
prospettiva interpretativa, emergereb- be allora lintento pi vero e profondo di
Hegel che sarebbe proprio quello di restaurare un vero e proprio criticismo,
con la duplice conseguenza che, allora, tutto il sistema hegeliano sarebbe
puramente metodologico, non ontologico-metafisico e, in secondo luogo, che il
movimento delle stesse categorie hegeliane tendenti allassoluto (inteso quale
dio-sostanza) 20; p. 22; p. 16 (nota 12); p. 17 (nota n. 12); pp. 19-20 (nota
n. 12); p. 12 (nota n; 12); p. 23-24 (nota n. 16); p. p. 24 (nota n. 16); 1
Preti trae questa famosa citazione hegeliana da G.W.F. Hegel, Fenomenologia
dello spirito, trad. it. di Enrico De Negri, La Nuova Italia, Firenze 1923, p.
17. sarebbe sempre essenziale, ma non esistenziale. Conseguentemente, per-
lomeno se si legge il sistema di Hegel in modo decisamente non-metafisi- co (e
anche non-neohegeliano!), allora la Sostanza-Dio sarebbe soltanto la struttura
unitaria concreta del sapere mentre, di contro, il soggetti- vismo [idest: sarebbe] il risultato del [sic]
hegelismo come metafisica. 2.2 Dio come esistente assoluto Ma, dallaltro lato,
il problema kantiano di dio rinvia anche ad un se- condo aspetto, quello tipico
e tradizionale proprio della tradizione cristia- na, secondo il quale il
concetto di dio rinvia, emblematicamente, proprio a quello dellesistente
assoluto, appunto allesistenza di dio e a tutti i problemi che ne sono poi
scaturiti nelle varie epoche storiche. In questo caso allora lesistenza di dio,
pur non essendo, di per s, n essenza, n realt, tutta- via implica, per esempio
d la Descartes, un rinvio ai concetti di essenza e di realt, donde la genesi
dello stesso dubbio iperbolico. Ma proprio se il problema dellesistenza di dio
viene invece affrontato in modo conseguen- te, perlomeno nei termini della
classica metafisica realistica-ontologica
la Anselmo dAosta, ne consegue, allora, kantianamente, unimpossibilit
essenziale, come del resto Preti puntualmente rileva: [...] se Dio lEssere perfettissimo maggiore del quale non
se ne pu pensare alcuno, non pu essere pensato anteriormente al suo atto di
creazione: altrimenti potremmo pensarne un altro gi creante, il qua- le, contro
la definizione, sarebbe maggiore di quello. Perci Dio non pu essere prima della
creazione, perch prima non sarebbe se stesso: non si pu dunque porre fra Dio e
il mondo un rapporto causale, per il fatto che la causalit (efficiente) implica
una diversit temporale di momenti. Il rapporto sar perci rapporto essenziale.
Conseguentemente, commenta ancora puntualmente Preti, proprio in quanto
creatore, Dio immanente e impersonale.
Necessariamente im- manente e impersonale, il che sembra allora valere, pi in
generale, per tutto lesistente-essente. Per esempio, Platone [rileva
Preti] lunit immanente delle proprie
opere: la filosofia di Platone. Ma Platone
anche colui che ha creato quel- le opere e pensata quella filosofia, e
che in esse non si esaurisce. Nellatto creativo, il creatore dunque soltanto lunit delle cose create: la
tra- scendenza sta allorigine di quellatto, solo essa personale e soggettiva. Insomma: con la sua
impostazione critica Kant mostra come lesistenza trascendentale di dio non
possa essere mai dimostrata con nessuna argo- mentazione razionale, anche se il
concetto di dio pu invece essere pensato come lunit trascendentale dei
fenomeni. Pertanto, perlomeno dal pun- to di vista del criticismo kantiano, gli
idealisti post-kantiani (per esempio Fichte ed Hegel) si illudono di aver
superato Kant, proprio perch Kantha sempre mostrato, dal suo punto di vista
trascendentalistico, che lassoluto categoriale
un limite ed una norma ideale del mondo dellesperienza, non individualit
esistenziale. Tuttavia a Preti non sfugge di aggiungere come costituisca anche
un grande merito di Hegel laver determina- ta la possibilit di un tale Essere
come Assoluto che sorregga tutta la ra- zionalit dellesperienza, e che essa
trovi come proprio Risultato. In tal modo, sempre secondo questa curvatura interpretativa
scaturita, eviden- temente, a stretto contatto con la lezione banfiana,
lassoluto razionalismo dogmatico spinoziano viene infine sciolto criticamente,
trasformandosi, appunto, nella lezione di Hegel e, proprio grazie alla
mediazione critica del trascendentalismo di Kant, in un metodo di risoluzione
razionale del reale, risoluzione positiva e creativa che Hegel prospetta
riducendo siste- maticamente lesistenziale allessenziale. Perci la realt
dellAssoluto si trova alla fine come comprensione in sistema di tutto il reale
nellEssere. Allora, esattamente in questa peculiare e preziosa prospettiva
hegeliana metodologica, interpretata, kantianamente, quale metodo di
risoluzione critico-razionale del reale, solo le molteplici figure, determinate
e storiche, dello Spirito possono effettivamente concorrere, positivamente, ad
affron- tare il problema dellesistenza dellAssoluto. Ed esattamente in questo preciso contesto
teoretico che Preti avverte l'opportunit di richiamare - in nota! sia la sua adesione alla corrente del
neokantismo di Marburg e alla lezione banfiana, sia a un preciso riferimento al
pensiero di Pascal. 3. Il giovane Preti tra Marburg, Husserl e Banfi Avendo
seguito puntualmente lesatta disamina sviluppata da Preti, non sar ora
difficile scorgere in questa stessa sua impostazione del problema filosofico
dellassoluto individuale esistente il preciso riverberarsi criti- co del cuore
teoretico della scuola neokantiana di Marburg che consiste, appunto, nella
scoperta del senso metodologico della filosofia kantiana e nel riaccostamento
di Hegel a Kant sulla base di un comune razionali- smo metodologico
trascendentale. Scoperta che, tuttavia, nella riflessio- ne di Preti si
intreccia anche con una viva sensibilit (esistenzialista, la Kierkegaard, ma anche d la Sarte) per il
tema della concretezza sensibile del singolo (la carne, in senso
anti-evangelico, anche la Nietzsche,
autore dellAnticristo) che lo porta infine a sottolineare limportanza
dellanimali- t integrale delluomo quale essere naturale ( la Pascal).
L'interpretazione della filosofia kantiana come un metodo trascendentale in
virt del quale la sintesi teoretica non pu mai essere individuata nellessere in
s, sempre transeunte ed in fieri, bens solo ed unicamente nella legge del
conoscere, consente anche di comprendere come per Preti l'autonomia (relativa)
del pensiero si debba costantemente intrecciare criticamente anche con il rico-
noscimento dellindipendenza oggettiva del dato dell'esperienza. Proprio questa
mossa critica, di netta ascendenza kantiana, consente a Preti di far sua anche
la metodica filosofica di un Cohen o di un Natorp, intendendo 8 FABIO MINAZZI
il metodo trascendentale come unanalisi trascendentale delle obiettivi- t di
cultura. E per Preti lo sviluppo pi completo ed intimo di questo punto di vista
ed un raccostamento sempre pi intimo alla necessit he- geliana di ricomprendere
lesperienza nellunit in s e per s del Logos, si ha quando sulle posizioni della
scuola di Marburg si innestano punti di vista derivati da Husserl. Il che per
Preti vuol dire certamente un rin- vio alla lezione di Nicolai Hartmann, ma
significa anche e soprattutto un rinvio ai Principi di una teoria della ragione
di Banfi, proprio perch a suo avviso il pesatore italiano in grado di superare definitivamente i
residui panlogistici della scuola di Marburg, come il minumum di metafisica che
N. Hartmann deve ancora postulare. In sintonia con la lezione banfiana Preti
vuole pienamente recuperare allantinomia soggetto-oggetto il suo specifico
carattere di mera legge trascendentale di continuit teoretica (come afferma
citando espressamente il Banfi dei Principi). Ma a questo proposito sar meglio
lasciare direttamente a Preti la parola: Per il razionalismo critico
trascendentale del B. il problema fondamentale
la ricerca trascendentale dellidea del conoscere: tale idea quella della correlazione soggetto-oggetto,
come sintesi sempre presente in ogni momento fenomenologico della conoscenza
concre- ta, ma mai in atto come pura sintesi ideale. Onde una problematicit di
tutti gli aspetti fenomenologici della conoscenza, che spinge ogni momento a
trapassare dialetticamente in altri. La Filosofia lultimo di questi gradi di sviluppo:
essa essenzialmente sistematicit anti-
dogmatica, sistema aperto, in cui tutti i momenti precedenti sono ri-
conosciuti nella loro problematicit e nellattuazione, in essi presente,
dellidea del conoscere. I motivi del hegelismo e del kantismo vengono cos a
fondersi nel loro significato puramente metodologico e teoretico. Il pensiero
di Kant ha quindi per Banfi il valore di scoperta della pu- ra sintesi
conoscitiva, e di indagine dellesperienza nella sua struttura universale; Hegel
quello di aver purificato il kantismo e di aver svol- to il panlogismo
implicito nella concezione kantiana, secondo lide- ale di un sistema puro razionale
delle strutture totali dellesperienza. Questa modalit specifica di lettura di
Kant e Hegel rinvia, ancora una volta, proprio ed espressamente ai Principi di
una teoria della ragione di Banfi e consente a Preti di assumere il problema
critico di una razionali- t critica metodologica che trasforma lintegrazione
critica dellesperien- za nella scoperta, critico-sistematica ed aperta, del
piano dell'autonomia relativa della trascendentalit, mediante il quale
lintreccio problematico delle stesse categorie del pensiero si dispone in un
determinato, ma costi- tutivo, universo ontologico critico, mediante il quale
il reale viene siste- maticamente trasposto e trasvalutato onde dar luogo ai
differenti campi disciplinari. In questa prospettiva Preti eredita anche il
preciso senso fi- losofico dellinnovativa domanda banfiana: come hegelianizzare
Kant sen- za dar luogo ad alcuna metafisica della storia? Esattamente lungo
questo specifico percorso critico-trascendentale e fenomenologico si
inseriranno NEOREALISMO LOGICO, TRASCENDENTALISMO STORICO-OGGETTIVO 9 poi anche
tutti i diversi rilievi critici con i quali Preti mostrer, via via, le ombre
metafisiche della prospettiva banfiana, le sue insufficienze critiche, i suoi
dogmatismi intrinseci, la sua mancanza di una sufficiente conside- razione dei
molteplici piani di mediazione critica posti in essere dallana- litica
dellintelletto entro il progetto di dispiegamento di una razionalit volta a
poter sempre meglio integrare lesperienza delluomo. Ma non certamente in questa fase iniziale del suo
programma di ricerca che Preti esplicita questi rilievi critici, di cui non ha
ancora piena consapevolezza. In questa fase Preti avverte, semmai, la necessit
di precisare la sua con- vinta adesione critica a questo preciso universo prospettico,
a questo vasto ed ampio programma di ricerca, entro il quale intende appunto
lavorare alacremente, e certamente in piena autonomia critica, pur
riconoscendosi, tuttavia, nei suoi assunti costitutivi, nelle sue premesse,
come anche nel- la sua metodologia, come del resto lo stesso Preti dichiara
espressamente: [...] a questa interpretazione di Kante di Hegel che, iniziata
dal Cohen culmina col Banfi, io aderisco per ragioni storiche e teoretiche.
Dopo Leibniz e Hume a me pare evidente che lidealismo tedesco nella sua
corrente razionalista non potesse ritornare a posizioni metafisiche
pre-leibniziane e pre-humeane; linterpretazione di Maimon, consi- derata da
Kant stesso come la pi ortodossa,
chiaramente orientata in questo senso; la pi vasta comprensione di
Hegel, in cui non si vie- ne a trovare pi nulla di inconseguente o di morto,
che ne consegue, e la polemica antihegeliana dei secondi romantici sono per me
con- ferme assai eloquenti. Non a caso Preti, onde meglio documentare questa
sua programma- tica e fiduciosa adesione a questo peculiare programma di
ricerca (ad un tempo, come si visto,
teoretico e storiografico), richiama poi sia le pa- gine della sua precedente
Difesa del principio di immanenza, sia le stes- se analisi sviluppate nella
Fenomenologia del valore. Ed esattamente
in questo preciso contesto teoretico che si inserisce un emblematico richia- mo
- sempre in nota! - al pensiero di Blaise Pascal. 4. Sulrapporto tra Preti e
Pascal (con un appunto inedito pretiano) Ridisegnando la polemica tra il
romanticismo e lhegelismo come lotta tra Seele e Geist, Preti rileva come per
Hegel siano unicamente gli spiriti " Cfr. G. Preti, Difesa del principio
dimmanenza Sophia, IV, 1936, 2-3, pp. 281-301 in relazione al quale sia lecito
rinviare al mio studio Il principio dimma- nenza nel dibattito filosofico
italiano degli anni Trenta: il confronto tra Giulio Preti e Carmelo Ottaviano,
Il Protagora, XXVIII-XXIX, 1988-1989, nn. 13-16, pp. 245- 74, unitamente al
Manoscritto inedito di Giulio Preti sul problema dellimmanenza, presentazione,
cura e note di commento di F. Minazzi, ivi, pp. 275-91. 10 FABIO MINAZZI che
costituiscono la civitas Dei agostiniano-leibniziana, mentre per i romantici
essa semmai intessuta di anime (ma
Schiller parla anche di Hertz, di cuore). Come
noto Hegel non gradiva molto la pappa del cuo- re, cui contrapponeva
senz'altro le pi rilevanti dinamiche di sviluppo del Geist. Ma proprio su questo punto specifico che Preti
annota anche come [...] un simile contrasto era gi nel 600 espresso dalla
questione se gli animali abbiano un anima - il che, come noto, nega Cartesio, affer- mano i
giansenisti. La polemica ha un significato assai pi profondo di quel che possa
parere: in Cartesio la riduzione dellanima a pensiero e del corpo a sostanza
estesa, dotata di movimento meccanico, esclu- de |anima (animale) e riduce
tutta la realt a Spirito e ad essenza logica (a idee chiare e distinte); la
negazione di un'anima animale
conseguente allo sforzo di riduzione; ma per Pascal si tratta di reinte-
grare lesistenza dellanima come fatto necessariamente connesso con lanimalit
delluomo (la nature de Phomme est tout nature, omne animal, Pense, $$ 94 e 94
bis delled. Bruschvicg), e come fondamen- to della caduta di esso, come della
riconquista di Dio. Ebbene, proprio questo recupero critico integrale
dellintrinseca com- plessit umana in cui la stessa anima risulta strettamente
interconnessa - idest necessariamente connessa - con lanimalit delluomo
configura per Preti linteresse oggettivo, specifico ed invero emblematico della
po- sizione pascaliana. Pascal guarda infatti alluomo globalmente, nella sua
effettiva concretezza umana e quindi anche nella sua intrinseca contrad-
dittoriet: la natura delluomo in tutto
natura: omne animal. Non c' nulla che non si possa rendere naturale, n nulla di
naturale che non si possa far scomparire!?. Pascal trasforma questa peculiare
curvatura dellespressione scritturale (Gen. VII, 14 ed Ecclesiaste, XIII, 19)
nellaf- fermazione del riconoscimento che luomo
in tutto animale, che co- stituisce la premessa critica per la denuncia
pascaliana dellantinomicita costitutiva delluomo, della sua intrinseca
duplicit, della sua grandezza come anche della sua miseria. Mentre una pianta,
rileva ancora Pascal nei suoi Pensieri, non si conosce miserabile, la grandezza
delluomo si radica proprio in questo, che esso ha coscienza della propria
miseria. Richiamando, con riferimento alla classica edizione di riferimento
predi- sposta da Lon Brunschvicg, nel 1897, tutta la sezione seconda e terza
dei Pensieri di Pascal, Preti rileva come questo rilievo pascaliano sia,
invero, decisivo e diffuso in pressoch tutta la riflessione del pensatore
francese che trova infine una sua espressione paradigmatica del pi alto
interesse teoretico nel suo celebre colloquio con Louis Le Matre de Saci di
Port- 12 Blaise Pascal, Pensieri,, traduzione, introduzione e note di Paolo
Serini, Arnoldo Mondadori, Milano 1972, p. 173 (pensiero n. 247), mentre la
citazione che segue immediatamente nel testo
tratta da p. 216 (pensiero n. 372). 8 Cfr. la riedizione B. Pascal,
Penses et Opuscoles, Hachette, Paris 1971. NEOREALISMO LOGICO,
TRASCENDENTALISMO STORICO-OGGETTIVO 11 Royal: Entretien de M. Pascal avec M. de
Saci sur Epictte ed Montaigne, rdig par Fontaine". In questa riflessione
dialogata Epitteto e Montai- gne rappresentano due momenti, intrecciati e
costitutivi, della condizione umana: lo stoicismo di Epitteto sottolinea
infatti il valore e la grandez- za delluomo, facendo tuttavia comprendere agli
uomini che non devono mai essere dipendenti dai beni materiali ed esteriori che
li trasformano, appunto, in schiavi; lo scetticismo di Montaigne mostra, di
contro, tutta la insufficienza della ragione umana, disingannando coloro che
credono ciecamente alle proprie opinioni o che pensano che la stessa conoscenza
scientifica sia per sua natura inattaccabile. Montaigne umilia, dunque,
l'intelletto umano, mentre Epitteto sottolinea la grandezza morale delluo- mo.
Ma per Pascal solo ed unicamente nel loro pur conflittuale intreccio critico,
queste due posizioni possono mostrare la loro verit reciproca e relativa. Si
tratta di un intreccio critico mediante il quale una posizione combatte e
critica apertamente laltra prospettiva, ma che, al contempo, consente,
pascalianamente, di combattere e criticare, tanto il naturale lor- goglio
umano, quanto laccidia propria, ancora, delluomo concreto, in carne ed ossa, in
quanto interamente animale. Ma secondo Preti proprio questo reciproco legame
critico insolubile tra stoicismo e scetticismo do- cumenta ed illustra il
carattere paradossalmente antinomico della natura umana: antinomia invero
paradossale ed insolubile che rimanda sempre ad un aspetto costitutivo del
concreto vivere umano: [...] la posizione delluomo intimamente contraddittoria: da una par- te
sta la sua grandezza (messa in evidenza dallo stoicismo), dallaltra la sua
impossibilit, in quanto essere naturale, di esplicare tale grandezza spirituale
fino a comprendere pienamente il mondo e realizzare il pro- prio Destino (il che messo in evidenza dallo scetticismo). Vi dun- que unantinomia, la stessa che si
ritrova nel pensiero di Kierkegaard, non di momenti parziali integrabili in una
sintesi, ma paradossale ed insolubile. La soluzione data soltanto dalla volont religiosa. la vo-
lont, attribuita anche agli animali (Pense, $ 340) non la volont cartesiana, cio un aspetto
fenomenologico del pensiero, ma un atto esistenziale, legato alla naturalit, al
di qua o al di l del pensiero lo- gico (essenziale): essa porta all'affermazione
di una verit du coeur, in cui tutto luomo, prendendo coscienza della propria
naturalit e conse- guente limitazione della propria spiritualit, conformemente
alla logi- ca neo-accademica abbandona il presunto mondo dellessere (certezza
geometrica) si ritira nel probabile e scommette (Pense, $ 233) per lesi- stenza
di Dio, in cui si risolve (negativamente) lantinomia. 14 Unedizione italiana di
questo testo stata del resto curata
dallo stesso Preti nella sua raccolta degli Opuscoli e scritti vari di Pascal
(Laterza, Bari 1959, pp. 52-70) per unanalisi del quale sia comunque lecito
rinviare al mio I] Cacodmone neoillu- minista, cit., pp. 126-135. 12 FABIO
MINAZZI Proprio quest'uomo pascaliano, paradossale ed antinomico, che pren- de
coscienza critica della propria naturalit integrale implicante una limi-
tazione della sua stessa spiritualit, ovvero del suo stesso flebile pensiero,
costituisce lindicazione strategica della modernit che, sempre secondo Preti,
ci riporta ad una antropologia critico-costituiva (ma non mai fon- dante!)
nella quale se la carne si colloca indubbiamente allinizio di ogni pensiero,
appunto quale principio e conditio sine qua non di ogni discorso possibile,
tuttavia anche la morte, quale distruzione radicale della carne animale, ne rappresenta,
al contempo, uno svolgimento ineliminabile e necessario. Certamente Pascal
oscilla costantemente tra teologia e scien- za, mentre per Preti il confine
ultimo e intrascendibile della vita, appun- to la morte della carne,
costituisce, invece, il tragico ma naturale destino umano: esito inevitabile,
ma che deve allora essere percepito come il rifles- so ultimo dello stesso
lavoro infinito e pure sempre parziale e rettificante della razionalit umana.
In questa prospettiva, come poi Preti affermer esplicitamente in Idealismo e
positivismo, dellanno successivo, il 1943, il lavoro cui guarda il pensatore
pavese sicuramente una fede - anche se
fede soltanto in se stesso, richiamando esplicitamente, e banfianamente, lunit
dialettica della libera universalit dellesperienza e della Ragio- ne, nella
piena consapevolezza critica di essere uomini, solo uomini; e, in fondo pi
religiosi, vogliamo essere una cosa sola - quello che siamo - uomini. Uomini
consapevoli che per vivere il dramma della nostra epoca ci vuole molta energia
e molto coraggio - molta umilt, e molta vo- glia di lavorare. In questa
prospettiva Preti ben consapevole di
voler fare dello stesso pensiero incluso
il pensiero filosofico - un lavoro, an- zi, come riconoscer poi esplicitamente
nel 1958, ne Il mio punto di vista empiristico, un onesto mestiere, proprio
perch il pensiero-lavoro cui guarda costituisce un'attivit di integrazione
critica dellesperienza che ha fede solo in se stessa e vuole lasciare i propri
prodotti incrostati alla terra ben sapendo che proprio questo loro carattere di
transitoriet stori- ca costituisce lunico modo per luomo di aprirsi alleterno
mediante una vita di lavoro e di sofferenza, ben sapendo che ci che sar
costruito, con fatica, sar, inesorabilmente, travolto dalla storia perch
costruiamo una casetta per noi, non un monumentum aere perennius. La centralit
strategica di questa lezione pascaliana non sar mai pi dimenticata da Preti che
la richiamer sempre in modo programmatico, poich questo rilievo di Pascal non
solo consente di collocarsi criticamen- te al centro della modernit scaturita
dal Rinascimento e dalla genesi del pensiero scientifico, ma consente anche di
cogliere quellapertura esisten- ziale connessa alla naturalit animale per il
cui tramite luomo pu pren- !5 G. Preti, Idealismo e positivismo, Bompiani,
Milano 1943, pp. 238-9 da cui sono tratte tutte le citazioni, anche quelle che
seguono immediatamente nel testo, mentre lultima citazione sul lavoro quale
piena responsabilit nei confronti della propria opera tratta da p. 236. NEOREALISMO LOGICO,
TRASCENDENTALISMO STORICO-OGGETTIVO 13 dere piena consapevolezza,
antropologico-critica e filosofica, del suo stesso essere mortale, proprio
perch si deve pensare, in primis et ante omnia, come essere animale, in carne
ed ossa. Una interessante conferma dell importanza e del rilievo costante e
stra- tegico che questo celebre Colloquio di Pascal con de Saci riveste per
Pre- ti offerta anche dalla
consultazione della copia personale di Preti della sua edizione degli Opuscoli
e scritti vari, attualmente conservata presso il Fondo Giulio Preti del Centro
Internazionale Insubrico dellUniversit degli Studi dellInsubria di Varese. Come
si evince agevolmente da varie indicazioni e da alcuni appunti questa
copia stata ampiamente utilizzata da
Preti anche per le sue lezioni universitarie fiorentine (probabilmente in
connessione con il corso dellanno accademico 1964-65 consacrato a Gli inizi
della filosofia moderna. Il Seicento"). Ma senza ora entrare nel me- rito
specifico di questo corso, pu tuttavia essere interessante richiamare alcuni
appunti di lettura che Preti indica, quale proprio pro-memoria, in chiusura del
Colloquio: 1. Questione filologica: 1) testo di netta ispirazione giansenistica
che riflette in modo ben pre- ciso un certo stato danimo di P. R. [Port-Royal]
verso Pasc[al] (ammi- razione e diffidenza - luna e laltra giustificati); 2)
redazione tardissima; 3) testo ben costruito (autonomi: tre parti I. teoria
filosofica; II. impli- cazioni etico-religiose; III. impl[icazioni]
pedagogiche); 4) riferimenti molto autentici al pensiero di Pascal Leggere poi
la Lettera a Fermat; Conclusione: razionalismo-scetticismo pascaliano: a)
Cusano > Pascal (conjectura, ragione matematica, simboli che rimandano a
verit pi alta e non del tutto comprensibile) misticismo cusaniano,
fondamentalismo pascaliano b) Montaigne, Cartesio > Pascal Notare come
P[ascal] volga gli argomenti cartesiani pi in senso scet- tico che nel senso
che essi avevano nel sistema cartesiano (dubbio me- todico), quindi pi vicino al gruppo Dupuy (Gassendi, La Mothe
Le Vayer) che non a Clartesio] stesso. Onde la soluzione fideistica, non
razionalistica. Differenza C[artesio]-Pascal - innatismo cartesiano rilevante
dai carat- teri interni delle idee - quello pascaliano dal consensus (scopo
comune), funzione di fondamento nelle matematiche, cio evidenza pragmatica non
logica (come invece in C[artesio]). wh 16 Per una sintetica descrizione del
quale cfr. F. Minazzi, Giulio Preti: bibliogra- fia, Franco Angeli, Milano
1984, pp. 402-403, con riferimento ai quaderni autografi II, 20. 14 FABIO
MINAZZI Da questi brevi, ma pregnanti, appunti inediti non solo abbastan- za agevole rintracciare l'andamento
complessivo (ed anche analitico) del commento che Preti pu aver svolto a
lezione in relazione al Colloquio, ma si possono anche evincere alcune
indicazioni preziose, che confermano, ulteriormente, il valore, invero
paradigmatico, del razionalismo-scettici- smo pascaliano, perlomeno cos come
viene letto e interpretato da Preti anche nel corso degli anni Sessanta. In
questa chiave, la precisa attenzio- ne critico-filologica al testo costituisce
il punto di partenza sperimenta- le ineludibile per la migliore intelligenza
critica (e anche filosofica!) del testo pascaliano che Preti inquadra non solo
storicamente, rintraccian- do, appunto, una precisa eco dellispirazione
giansenistica che perva- de complessivamente il testo, ma anche studiandone,
teoreticamente, la struttura interna che, di conseguenza, viene sciolta
criticamente nelle sue differenti implicazioni filosofiche, etico-religose e
pedagogiche. Il riferi- mento allintegrazione del testo con la lettura della
Lettera a Fermat con- sente poi a Preti di insistere perlomeno su due punti
(che, ancora una volta, sono puntualmente segnalati in modo evidente nella
copia sulla quale il pensatore pavese lavorava): a) la riduzione della ricerca
matematica ad un mestiere, ovvero ad un lavoro che pu senz'altro essere
associato a quello dellartigiano: [...] per parlarvi francamente della
matematica, trovo che essa il pi alto
esercizio dellintelligenza; ma nello stesso tempo la riconosco tanto inutile,
da far ben poca differenza tra un uomo il quale non sia altro che un matematico
e un bravo artigiano. Per questo chiamo la matematica il pi bel mestiere del
mondo: ma in fin dei conti non che un
mestiere - e spesso ho detto che buona
per saggiare, ma non per impiegare la nostra forza; b) la difesa e il
riferimento esplicito allideale moderno dell honntet: 17 Come lo stesso Preti
rilever in Retorica e logica nel testo pascaliano [il ri- ferimento
preciso alla Prefazione per il Trattato
del vuoto di Pascal precedente- mente citata nel testo della traduzione
italiana laterziana curata dallo stesso Preti, con riferimento esplicito e
complessivo alle pp. 3-7] manca assolutamente il senso dell'autorit come
tradizione. Ci sono in sostanza due tipi di scienze: filologiche e naturali. In
quelle filologiche predomina lautorit: ma non nel senso di una tradi- zione
storica, delle opinioni dei pi o meno dotti, bens unicamente nel senso che in
queste scienze si tratta soltanto di sapere che cosa scritto nei libri, e quindi i libri vi
tengono il posto che nelle scienze naturali
tenuto dallesperienza sensibile. (E trattandosi di scienze storiche, in
cui non si fanno leggi e generalizzazioni indut- tive, il ragionamento vi ha
una funzione affatto secondaria). Si osservi che questo vale anche per la
teologia (G. Preti, Retorica e logica, Einaudi, Torino 1968, p. 120, corsivo
nel testo). 18 B, Pascal, Opuscoli e scritti vari, cit., pp. 198-199, corsivo
mio, mentre la cita- zione che segue immediatamente nel testo tratta da p. 198. NEOREALISMO LOGICO,
TRASCENDENTALISMO STORICO-OGGETTIVO 15 Vi dir pure che, sebbene voi siate
quello che io stimo il maggiore matematico di tutta l Europa, non sarebbe stata
tale qualit ad attirar- mi: bens il fatto che io mi immagino nella vostra
conversazione molta intelligenza e civilt
e per questo vi ricercherei. Una conversazione sociale intessuta di
molta intelligenza e civilt co- stituisce per l'appunto lideale dellhonntet.
Proprio questa significativa precisazione, compiuta attraverso la
considerazione della Lettera a Fermat, consente poi a Preti di meglio precisare
la natura, ad un tempo razionalisti- ca e scettica, della posizione pascaliana
che nei suoi riferimenti a Cusano, Montaigne e Cartesio , appunto, considerata
come davvero emblematica e di riferimento per tutta la tradizione della
modernit. Il misticismo cu- saniano, cui, come
noto rimandano anche le conjecturas matematiche e scientifiche, trova
cos un suo preciso pendant teorico nel fondamentali- smo religioso pascaliano.
Ma vi di pi. Se in Cusano il carattere
ipote- tico-congetturale, molteplice e sempre disperso, della conoscenza umana
non pu mai essere confuso con linattingibile unit della praecisio veri- tatis,
tuttavia la mente umana costruisce, nella molteplicit dispersa delle sue
congetture, una struttura che presenta anche una somiglianza con la verit che
consente, dunque, unapprossimazione dellinfinita molteplicit allunit divina. Su
questa base dunque possibile scorgere
unindefinita progressivit del sapere presente tanto in Cusano quanto in Pascal,
che giustifica sia pure in una
prospettiva decisamente infinita - la parteci- pazione (similitudo) della mente
umana a quella divina. In tal modo, sul piano teoretico, il razionalismo
pascaliano, aprendosi coraggiosamente al- le argomentazioni dello scetticismo,
riesce cos a corrodere, dallinterno, la metafisica cartesiana delle idee
innate. Il che se da un lato apre nuova- mente allorizzonte del fideismo
religioso, daltra parte consente anche a Pascal di attribuire alla razionalit
matematica (e scientifica, pi in gene- rale) una specifica evidenza pragmatica
(e non pi logico-metafisica, co- me in Descartes), attraverso la quale emerge,
proprio in seno al pensiero moderno e alla sua stessa metafisica, una breccia
critica particolarmente importante e preziosa perch, appunto, consente di
guadagnare una nuo- va e assai differente prospettiva euristica e filosofica. Certamente
in Pascal questa sua nuova apertura critica all'evidenza pragmatica scaturisce
ancora entro la precisa individuazione dellantino- mia, insolubile e
paradossale, propria delluomo che trova una sua possibile soluzione solo nella
volont religiosa che si radica sul terreno della pro- babilit implicante la
pratica di una scommessa. Tuttavia, pur entro que- sto contesto, volutamente e
decisamente religioso ed evangelico, a Preti, ancora una volta, preme
sottolineare tutta la modernit della paradossale soluzione pascaliana, la quale
consente comunque alluomo moderno di prendere piena consapevolezza critica
dellinsopprimibile sua animalit integrale che lo fa infine necessariamente
fuoriuscire dal mondo metafi- sico dellessere per aprirlo ad un mondo pi incerto,
variabile e probabile, in cui anche la stessa razionalit dogmatica cartesiana
deve essere profon- 16 FABIO MINAZZI damente ripensata alla luce delle
contingenze storiche e delle molteplici limitazioni esistenziali che sempre
accompagnano linsorgenza critica del pensiero. Il che, ancora una volta, induce
nuovamente a sottolineare tut- to il valore eminentemente teoretico di questa
posizione filosofica di Pa- scal, al di l della sua stessa scelta religiosa,
proprio perch, come si legge emblematicamente nelle ultime righe della nuova
introduzione postuma predisposta da Preti per la riedizione einaudiana della
sua traduzione del- le Lettere provinciali (apparse peraltro, nel novembre
1972, proprio una manciata di mesi dopo la scomparsa di Preti, morto il 28
luglio dello stes- so anno a Djerba), [...] nella critica scettica la ragione stessa che si distrugge in nome
del suo stesso non raggiunto valore ideale assoluto; e la forma del discorso
razionale resta pur sempre la forma in cui fede ed esperienza del sacro pi
validamente si esprimono, almeno per chi, essendo ancora vivo, ancora legato alla condizione umana - alla
miseria come alla gran- dezza di questa. Beati i poveri nello spirito: ma
proprio questo non mai riuscito a Pascal
- di farsi povero nello spirito. Il che spiega, nuovamente, lo specifico
fascino teoretico della posizio- ne di Pascal che Preti, nellintero corso della
sua biografia intellettuale, ha letto anche con differenti e persino
contrastanti accentuazioni interpreta- tive (soprattutto in relazione al
preciso valore storico-civile della nota po- lemica pascaliana contro il
molinismo dei gesuiti, svolta soprattutto nelle Provinciali), senza tuttavia
mai rinunciare a scorgere nel Pascal del celebre Colloquio con de Saci un
momento filosofico eminente che ci aiuta, strate- gicamente, a meglio intendere
criticamente la stessa modernit scaturita dalla nascita e dalla successiva
affermazione del pensiero scientifico e della sua stessa intrinseca dinamicit.
Del resto lindividuazione di una eviden- za pragmatica, non logica, emergente
dalla riflessione pascaliana, rinvia anche ad una nuova forma di razionalismo
critico che, invero, costituisce lasse critico privilegiato entro il quale
si sempre dipanata, complessiva- mente,
pressoch tutta la riflessione filosofica pretiana?0. 19 B, Pascal, Le
Provinciali, introduzione e traduzione di Giulio Preti, Einaudi, Torino 1972,
p. XIX. La prima edizione di questa traduzione era apparsa nel 1946 presso un
editore milanese dellambito banfiano: Maria Adalgisa Denti (come se- condo
numero dei Classici del pensiero). In merito a questa traduzione va anche
ricordato che, in realt, fu predisposta, in prima battuta, dalla moglie di
Preti, la po- etessa Daria Menicanti, mentre il filosofo pavese si riserv poi
il compito di rivedere complessivamente il lavoro. L'attribuzione finale di
tutto il lavoro al solo Preti sca- turisce da un allora assai diffuso (per
quanto assai discutibile) costume etico-civile, nonch da una specifica
generosit umana (e scientifica) della stessa Menicanti. 2 Per una pi puntuale
disamina del razionalismo critico di Preti sia comun- que lecito rinviare al
testo recente di una mia relazione, Giulio Preti razionalista cri- tico
europeo, che ho presentato e discusso nellambito della prima giornata di studio
promossa a Firenze in occasione del centenario della nascita del pensatore
pavese, NEOREALISMO LOGICO, TRASCENDENTALISMO STORICO-OGGETTIVO 17 5. Lo stile
filosofico pretiano: un cantiere critico sempre aperto Presentando, nel 1957,
alcune considerazioni concernenti Lontologia della regione natura nella fisica
newtoniana, il filosofo pavese ha avu- to modo di premettere allo sviluppo del
suo saggio una significativa av- vertenza preliminare, in base alla quale
informa esplicitamente il lettore che questa ricerca verr piuttosto impostata e
proposta che non condot- ta a fondo e risolta!, con la conseguenza che l'Autore
si limiter ad illu- strarne il significato teoretico e storico. Rispetto allo
stile peculiare del lavoro filosofico di Preti questo rilievo non affatto marginale o peregri- no. Preti,
infatti, ha sempre lavorato sviluppando, con rigore, differenti e pur liberi
sondaggi critici, in cui il Nostro imposta e variamente propone alcuni
possibili percorsi di ricerca. Percorsi e sentieri che, tuttavia, Preti non
sviluppa mai oltre un determinato punto di sviluppo analitico, met- tendo cos
capo ad un eventuale, possibile ed autonomo sistema filosofi- co. Semmai questi
stessi diversi sondaggi critici sono sempre impostati e sviluppati da un punto
di vista filosofico meta-riflessivo dalla cui artico- lazione analitica sempre
urge e si manifesta la viva esigenza di delineare una possibile (ma non mai
effettivamente realizzata), impostazione com- plessiva sistematica, unitaria e
teoreticamente coerente. Il che contribui- sce a delineare la cifra precisa
dello stile filosofico pretiano. Uno stile che lo vede saggiare, anche in
molteplici direzioni, molti e differenti sentie- ri teorici, avendo tuttavia
l'accortezza critica di saper ricondurre le sue singole puntuali disamine - sia
pur diversamente impostate, variamen- te proposte e anche differentemente
lumeggiate ed articolate entro un quadro
di riferimento teorico tendenzialmente sistematico, organico ed, appunto,
unitario. Proprio perch, per dirla con le parole di Preti stesso, risalenti ai
primissi anni Settanta, problematico e tentativo, inconcluso e inconcludente,
il saggio soprattutto un educato
tentativo di contestare luoghi comuni, idee correnti - ivi compresi, se il caso, i luoghi e le idee della
contestazione stessa. Per questa ragione, ad uno dei pi fini e fe- lici
interpreti dellopera pretiana come Mario Dal Pra, questi suoi saggi sono
apparsi cos essenziali e geometrici, tali da configurare, senz'altro, Il
contributo di Giulio Preti nel quadro del razionalismo critico europeo,
promosso dallAccademia Toscana di Scienze e Lettere La Colombaria in attiva
collaborazione con l'insegnamento di Filosofia teoretica dellUniversit degli
Studi di Firenze della prof. ssa Maria Grazia Sandrini, nella giornata del 10
maggio 2011 (i cui atti sono attualmente in fase di stampa), unitamente alla
mia relazione Il razionalismo critico nella lezione filosofica di Giulio Preti
(1911-2011), presentata nel quadro del decimo ciclo di Intellgo, svoltosi nel
Castello di Copertino, nella giornata del 28 aprile 2011, che, salvo errore, ha
emblematicamente inaugurato, proprio nel profondo Sud del Salento, le
celebrazioni dellanno del centenario della nascita di Preti. 2 G. Preti, Saggi
filosofici, Presentazione di Mario Dal Pra, La Nuova Italia, Firenze 1976, 2
voll., vol. I, p. 413. 2 G. Preti, Que ser, ser, Il Fiorino, Firenze 1970, p.
8. 18 FABIO MINAZZI un contributo primario al pensiero contemporaneo?. Tant'
vero che proprio dallinsieme composito ed articolato di questi studi raccolti,
nel 1976, nei due corposi volumi dei Saggi filosofici, anche solo riferendosi
alle disamine storiografiche e metodologiche del secondo volume, sem- pre
risulta un quadro storico vivo e concreto, pieno di suggerimenti per ulteriori
ricerche, nel quale non si sa se pi ammirare la chiarezza della prospettiva con
cui il materiale documentario viene illuminato oppure la consapevolezza critica
con cui lesposizione storica viene presentata nei suoi condizionamenti
culturali pragmatici storici e convenzionali. Il che vale non solo per pressoch
tutta la produzione saggistica pretiana, che ac- compagna la sua attivit
filosofica (dagli esordi fino alla fine della sua vita), ma coinvolge anche i
suoi molteplici interventi giornalistici (la cosiddetta micro-saggistica
pretiana), nonch il suo stesso peculiare modo di lavo- rare quotidiano,
ampiamente documentato da tutti i molteplici e ricchis- simi suoi inediti,
attualmente conservati presso il Fondo Giulio Preti del Centro Internazionale
Insubrico dellUniversit degli Studi dellInsubria*. In questa chiave ermeneutica
anche le sue stesse opere in volume pi note e discusse da Idealismo e positivismo (1943) al
celeberrimo Praxis ed empirismo (1957), dal forse meno noto (ma non meno bello
e signifi- cativo) Alle origini dell'etica contemporanea (1957), fino a
Retorica e logi- ca (1968) - rimandano, invero, sempre e costantemente, alla
produzione saggistica pretiana. Come mi
pi volte capitato di rilevare, tutti questi differenti libri-manifesto
(secondo la felice e nota qualificazione di Eu- genio Garin) possono infatti
essere considerati come delle punte di un iceberg che rinviano tutte ad un pi
ampio e diffuso lavoro sotterraneo analitico, mobile e continuo. Solo grazie a
questo diffuso lavoro analitico di fondo si sono infatti innalzate quelle
stesse acuminate punte polemiche che, in tal modo, sempre presuppongono e
sempre rinviano ad un molto pi ampio, diffuso ed articolato lavoro saggistico,
frammentario ed assi- duo che costituisce il pi vero ed autentico laboratorio
critico-filosofico pretiano. Un laboratorio mediante il quale Preti non si del resto limitato a lavorare solo sui temi
documentati dai saggi da lui editi nel corso della sua vita, perch questa sua
articolatissima produzione saggistica analiti- ca rinvia, al contempo, anche ad
un numero estremamente vario di stu- di, note e saggi rimasti inediti che si
intrecciano poi con tutti i testi della sue preziose lezioni universitarie che
sono state scritte e pensate con tale 2 M. Dal Pra, Presentazione in G. Preti,
Saggi filosofici, cit., vol. I, p. IX, mentre la citazione che segue nel
testo tratta da p. XXVII. 24 Per una
prima descrizione di questo Fondo G. Preti di autografi cfr. F. Minazzi, G.
Preti: bibliografia, cit., pp. 271-458 e le aggiunte concernenti nuovi qua-
derni descritti ne Il pensiero di G. Preti nella cultura filosofica del
Novecento, cit., pp. 451-458, anche se allo stato attuale sono stati poi
rintracciati altri nuovi importanti quaderni autografi. 235 Cfr. E. Garin,
Ricordo di G. Preti. Tre libri, Rivista critica di storia della filo- sofia,
XXIX, 1974, 4, pp. 441-447. rigore di impianto e di svolgimento da costituire,
a loro volta, altri docu- menti eccellenti che documentano ulteriormente questa
sua vita di ricer- ca e di riflessione continua. Ponendosi allora da questo
privilegiato punto di vista volutamente saggistico, del tutto interno e
strategico per la stessa produzione fram- mentaria pretiana, veramente difficile sottrarsi allimpressione
che Preti stesso abbia voluto consapevolmente configurare e praticare la sua
inquieta e continua ricerca filosofica sotto forma di una indagine voluta-
mente frammentaria ed espressamente saggistica, proprio perch sempre volta a
rimettere in discussione critica varie piste di ricerca e anche i vari,
provvisori, assunti teorici cui, di volta in volta, il pensatore pavese pensa- va
di poter legittimamente pervenire. Esattamente entro questo preciso orizzonte
metariflessivo si colloca, complessivamente, tutta lopera pre- tiana. Come
ancora si legge nella prefazione a Que ser, ser, Preti infatti dichiara
espressamente che [...] gi Russell ha distinto una filosofia dellintelletto da
una filosofia dellanima; e antica almeno quanto Pascal la distinzione tra esprit de gometrie ed
esprit de finesse. C un discorso che
rigorosa me- tariflessione sulla cultura, i suoi linguaggi, le sue
strutture formali: e questa, oggi, la
filosofia in senso pieno e regio. Ma c la possibili- t di altri discorsi, pure
di metariflessione sulla cultura, ma meno ri- gorosi e pi densi di materia:
discorsi in cui valutazioni, sentimenti, speranze e timori non vengono del
tutto sospesi, ma in parte espressi, nel modo pi motivato possibile. In questa
forma di discorso (voglia- mo ancora chiamarlo filosofico?) non possibile il solo rigore formale; entrano in
giuoco molti aspetti umani di chi lo tiene: razza, sesso, et, educazione,
esperienze vissute, letture fatte e non fatte... - anche, tra laltro, un certo habitus al rigore
razionale formale, e di conseguen- za un deciso atteggiamento critico. [...]
Questo tipo di filosofia si sempre
avvalso e continua ad avvalersi, di forme non trattatistiche e non sistematiche
di esposizione: il dialogo, la narrativa, il teatro - e il saggio.
Quest'ultimo, per la sua stessa brevit, per il suo stesso tono apparentemente
dogmatico (derivante dalla brevit), per la sua strut- tura asistematica, per la
sua possibilit di non concludere, rivela, nella sua stessa forma letteraria, in
che sfera di riflessione si muova, a qua- le specie di riflessione si diriga.
Per lo scrupolo acquisito nel mestiere di filosofo, lautore del saggio sa di non
poter concludere in maniera necessaria: invita soltanto a considerare, anzi a
ri-considerare, le cose del tema che tratta, accennando a motivi, ragioni di
sostegno, consi- derazioni che sembrano appoggiare una certa conclusione
possibile, non necessariamente enunciata. 2 G. Preti, Que ser, ser, cit., pp.
9-10, corsivo nel testo, mentre la citazione che segue nel testo tratta da p. 11 (anche in questo caso il
corsivo nel testo). 20 FABIO MINAZZI
Certamente ben vero che Preti, in questa
stessa pagina, distingue nettamente tra i micro-saggi giornalistici e gli studi
filosofici pi rigorosi, tuttavia, malgr soi, questa distinzione pu essere
contestata proprio rife- rendosi alla sua stessa produzione filosofica
complessiva, entro la quale il filo rosso della sua metariflessione filosofica
si costantemente esercitata sia pur in scritti di differente respiro
teoretico e anche di varia ampiezza di analisi - secondo quella precisa modalit
saggistica, non a caso di chiara ascendenza illuministica (e humeana!) - che
gli ha consentito di mettere capo, complessivamente, ad una produzione
filosofica ad altissimo tasso di criticit e anche di frammentariet, pur sempre
anelando, al contempo, ad un impianto filosofico invero sistematico,
richiedente ed aspirante ad una classica e affatto rigorosa esposizione
metodica ed ordinata. Da que- sto punto di vista questa, dunque, pu cos essere
anche assunta come la precisa fisionomia critica della sua stessa,
instancabile, ricerca filosofica, nonch della sua pratica della metariflessione
filosofica. Senza mai dimen- ticare che per Preti il compito del filosofo
non la progettazione, pi o meno
rivoluzionaria, di un avvenire: ma, se vuole occuparsi del presente, la critica
razionale di questo. Preti non ha del resto mai dismesso questo rigorosissimo
abito sistematico della pratica saggistica configurante una metariflessione
critica razionale continua, indicando cos nella stessa pro- blematicit da lui
indagata in vari ambiti disciplinari, lorizzonte intellet- tuale pi autentico
cui, a suo avviso, deve sempre essere ricondotta la pi rigorosa metariflessione
filosofica. Donde, ad un tempo, il fascino e la difficolt della valutazione
critica della sua stessa opera filosofica. Il fascino, proprio perch Preti fa
sem- pre toccare con mano al suo lettore il gusto e la ricchezza della disami-
na filosofica, da lui sempre praticata e vissuta come una ricerca aperta e
provvisoria, in grado di sondare criticamente differenti piste di ricerca, pur
percependo, al contempo, lesigenza di mettere sempre capo ad una riflessione
unitaria, sistematica e globale. Per questa ragione nella pagi- na di Preti si
avverte sempre tutta la forza vitale dell indagine filosofica, attenta a
cogliere gli aspetti pi diversi e anche riposti di un determinato problema, avendo
peraltro la capacit di saperlo leggere e rileggere anche alla luce di
differenti e persino opposte ascendenze culturali e teoretiche. Al punto che la
capacit critica con la quale Preti in
grado di individuare i differenti fuochi problematici e di sviscerare alcuni
nodi decisivi, abitua- no il lettore a sempre spezzare criticamente ogni
dogmatica contrappo- sizione prospettica, introducendolo cos ad uno stile di
analisi filosofica che procede sempre per molteplici, inaspettate e felici
contaminazioni critiche continue, in grado di meglio precisare i differenti
temi, onde far appunto emergere il loro nucleo problematico intrinseco ed
incandescen- te. Nelle mani di Preti un problema filosofico torna sempre ad
illuminarsi di una inconsueta profondit prospettica e di una ricchezza
problemati- ca che spiazza ogni tradizionale impostazione, donando al suo
lettore il gusto pi vero della stessa meta-riflessione teoretica. Anche se poi
questa sua meta-riflessione teoretica in
genere dipanata avendo la rara capacit di tener sempre nel debito conto lo
spessore storico delle differenti tradi- zioni di pensiero, restituendo, in tal
modo, ancora una volta, tutta leffet- tiva complessit - culturale, civile ed
epistemologica - di un determinato problema. Donde, nuovamente, la necessit,
nello studiare il suo pensiero, di saper sempre cogliere, con precisione, i
suoi stessi orizzonti di pensie- ro (le sue costanti teoretiche) unitamente
alle variazioni, ai mutamenti e ai cambiamenti concettuali che lo stesso Preti
ha fatto suoi e ha teorizza- to nei differenti, inquieti, decenni della sua
intensa attivit di ricerca. In questo senso specifico continuit e discontinuit
si intrecciano cos con- tinuamente nellopera pretiana, mettendo capo ad un
vasto ed articola- to programma di ricerca filosofico meta-riflessiovo
veramente aperto ed originale, nel quale la pratica continua della riflessione
filosofica diviene, socraticamente, uno stile di vita. Lo stile di un cantiere
sempre in fieri in cui, a la Neurath, lo stesso filosofo pratica la
meta-riflessione filosofica fa- cendo sua la consapevolezza critica di dover
continuamente riprogettare il suo stesso programma di ricerca, saggiandolo e
ponendolo in tensione critica continua con i problemi culturali, conoscitivi,
etici e civili che av- verte essere quelli decisivi (e vitali!) per la propria
stessa attivit critica. In questa spirale critica, sempre aperta e pur anelante
alla sistematicit del trattato, la filosofia si configura certamente come una
metariflessione critica di secondo livello che sempre si rivolge,
consapevolmente, ad altre forme culturali (variamente elaborate dalle
differenti discipline), ma che lo fa sempre rivendicando, con piena coerenza,
il proprio autonomo ruolo meta-riflessivo, libero e critico. 6. Il focus teoretico
pretiano: il trascendentalismo storico-oggettivo Come emerso dalla precedenti considerazioni
concernenti il partico- lare innesco banfiano-marburghiano del punto di vista
filosofico del giovane Preti, per il pensatore pavese l'acquisizione critica
kantiana della trascendentalit costituisce un punto di svolta e di non ritorno
per la me- ta-riflessione filosofica. Agli occhi di Preti la rivoluzione
copernicana inaugurata da Kant infatti
in grado di porre finalmente lindagine filo- sofica su un nuovo piano critico,
che volge decisamente le spalle ad ogni impostazione metafisica. Facendo
propria la rivoluzione copernicana inaugurata da Kant la filosofia non pu
infatti pi interrogarsi su ci che possiamo sapere, n pu pi chiedersi che cosa
possiamo effettivamente conoscere del mondo, perch la sua domanda muta
radicalmente di sen- so. Per Kant la conoscenza non pi un problema, ma un dato di fatto e allora occorre proprio
partire dalla positivit stessa del conoscere storico effettivo per interrogarsi
sulla sua possibilit, sui suoi limiti e sul suo va- lore. In altri termini la
domanda kantiana relativa alla conoscenza diven- ta la seguente: quali sono gli
oggetti che il procedimento conoscitivo riesce effettivamente a costruire in
modo che risultino adeguati alla sua stessa intenzione conoscitiva? Proprio
questa costituisce linnovativa domanda 22 FABIO MINAZZI kantiana che scaturisce
dalla scoperta della dimensione della trascenden- talit, in virt della quale la
possibilit della conoscenza non rinvia pi ad un mondo - mitico -
inevitabilmente e metafisicamente collocato al di l della conoscenza stessa. Al
contrario la conoscenza viene assunta in tut- ta la sua positivit effettiva e
la domanda filosofica si esplica nello studio critico delle condizioni di
possibilit di quella stesa conoscenza. Per que- sto motivo la filosofia diventa
una metariflessione di secondo livello che si rivolge alle altre riflessioni
per studiarne, analiticamente, luniverso di discorso, i linguaggi, le
categorie, i metodi, i principi di verificazione e di falsificazione, gli
assunti programmatici, le regole deduttive, ecc. Il che si radica poi nella
scoperta kantiana che la stessa ragione umana presenta perlomeno due facce
intrecciate e sempre interrelate: quella del Verstand, dellintelletto, mediante
il quale si costruisce, analiticamente, un deter- minato sapere, e quella della
Vernunft, della ragione, mediante la quale le nostre idee non sono pi intese
quali simboli di oggetti inconoscibili, bens come principi regolativi,
direzionali, che dirigono, guidano, stimo- lano e regolano la nostra stessa
ricerca conoscitiva. In questa prospettiva copernicana lintenzione conoscitiva
delinea unicamente lidea di un og- getto e pertanto ogni particolare oggetto
disciplinare non rimanda mai ad un mitico mondo metafisico, posto in un utopico
e non mai raggiungi- bile al di l della nostra stessa possibilit di conoscere
il mondo, ma rinvia sempre ad una determinata disciplina, ad un campo
conoscitivo specifi- co e delimitato, entro il quale sempre (ed unicamente!) si
costruisce quel peculiare oggetto della conoscenza. Sempre per questo motivo
con Kant lindagine epistemologica si sposta decisamente dalla tradizionale
questio- ne metafisica, attinente la genesi della conoscenza (quid facti?), al
nuovo problema critico della sua giustificazione epistemologica (quid juris?).
Con Kant la questione genetica della conoscenza perde cos di interesse, per- ch
se ne mostra la radice gratuitamente metafisica (ancora presente nello stesso
empirismo humeano che pure ha svegliato Kant dal sonno dog- matico della sua
formazione razionalistico-leibniziana), mentre lanalisi epistemologica
attinente la disamina critico-trascendentale delle condi- zioni di possibilit
della conoscenza effettivamente costruita dall'uomo in un determinato ambito
disciplinare diventa il punto di partenza, sempre irrinunciabile, per una
filosofia che mostra di non possedere pi un suo oggetto specifico ed autonomo,
proprio perch lo rintraccia e lo indivi- dua nei differenti settori
disciplinari costruiti dalle differenti conoscenze oggettive formatesi entro i
diversi ambiti disciplinari. Questo specifico assunto critico-trascendentale,
di chiara ascendenza kantiana, costituir sempre, perlomeno nella riflessione di
Preti, un assun- to irrinunciabile per la stessa pratica effettiva del suo
onesto mestiere di filosofo. Naturalmente attorno a questo incandescente ed
innovativo nu- cleo concettuale, implicante, per parte sua, un ben preciso e
affatto pecu- liare programma di ricerca filosofico, Preti ha poi variamente
organizzato e anche differentemente contaminato - sempre sul piano critico diverse prospettive di indagine filosofica.
Senza peraltro dimenticare che questo stesso nucleo incandescente del
trascendentalismo ha subito esso stesso, nel corso dei decenni, alcune non
banali riformulazioni prospettiche. Non per nulla Preti si via via reso conto della necessit di
ripensare conti- nuamente e criticamente la stessa funzione euristico-critica
di questo suo trascendentalismo, ponendolo sempre pi in relazione con la
dimensione del linguaggio, senza peraltro omettere di considerare,
analiticamente, la stessa emergenza teorica del punto di vista
trascendentalistico ponendolo in relazione con la storia del pensiero logico
occidentale. Come ha rilevato lo stesso Preti in un suo importante studio
consacrato alla disamina de Il linguaggio della filosofia: La conoscenza un fatto: il nostro compito analizzarla, rilevar- ne le strutture; e
sulla base di tale analisi potremo anche vederne gli eventuali limiti interni.
Ma la conoscenza discorso. Se al
dualismo ipostatico soggetto-oggetto, sostituiamo, proprio seguendo i pi vali-
di insegnamenti di Kant e di Husserl, la tensione intenzionale noesi- noema,
abbandonato il linguaggio soggettivistico e mentalistico, tale tensione si
configura come tensione segno-significato. Il problema della conoscenza problema semantico. In particolare, il problema
della conoscenza filosofica problema di
semantica del linguaggio che si impiega nella discussione filosofica. La
tradizionale domanda che cosa possiamo conoscere? si trasforma in quest'altra:
che cosa possiamo dire?, Il che ci riporta anche alla tipica mossa socratica:
ma di cosa stiamo esattamente parlando? Ma in Preti questa classica domanda
socratica si sostanzia e arricchisce proprio grazie al suo nuovo innesto
critico sullo- rizzonte trascendentalista kantiano, in virt del quale il
pensatore pavese pu allora prendere in considerazione anche differenti e
contrastanti in- dirizzi concettuali, scorgendone un fecondo nesso critico
entro il nuovo e fecondo livello meta-riflessivo che, a suo avviso, connota,
complessiva- mente, latteggiamento filosofico pi autentico e conseguente. Del
resto nella disamina pretiana questo orizzonte trascendentalistico denuncia,
sistematicamente, il carattere mitico di ogni eventuale pretesa radicali- stica
pure presente in Husserl, per non parlaren poi, delle stesse ricadute kantiane
in una problematica realistico-metafisica nel corso della consi- derazione
dellego o della coscienza pura sviluppata da Kant nella Critica della ragion
pura. Ma anche la presenza di queste incoerenze e di queste oscillazioni, che
contraddistinguono il pensiero stesso di autori come Hus- serl e Kant, inducono
sempre pi Preti ad assumere il linguaggio umano come una forma privilegiata e
invero decisiva dellintersoggettivit della conoscenza umana. Preti,
richiamandosi espressamente alle riflessioni di
G. Preti, Saggi filosofici, cit., vol. I, p. 462, corsivo nel testo,
mentre la cit. che segue nel testo
tratta da p. 463. Morris, sottolinea come gli stessi segni linguistici
debbano essere considerati come dei comun-segni nel duplice senso che sono
prodotti da appartenenti ad una determinata comunit linguistica e che tutti i
sog- getti di questa comunit sono in grado di intenderli. Il carattere ideale e
plurisituazionale dei segni linguistici, nonch la loro componente seman- tica e
anche quella delloggettivit che possiamo comunemente attribuire loro,
costituiscono aspetti differenti, ma intrecciati ed interconnessi, che scaturiscono
tutti dalla natura comun-segnica del linguaggio umano. Il che poi induce Preti
a prendere in debita considerazione anche laspetto storico, ineliminabile, del
linguaggio il quale, per sua intrinseca natura, rinvia sempre ad una
tradizione: [...] anche il linguaggio in
un certo modo rituale: come usi e costu- mi, ordine degli alimenti nei pasti,
etc. Le parole e le frasi hanno die- tro una storia che , per cos dire,
cristallizzata e fossilizzata nelluso. Possiamo volontariamente e
consapevolmente rinnovare, mutare, ta- le tradizione; non possiamo per
ignorarla, sotto pena di non essere intesi o di essere fraintesi. Il che vale,
a maggior ragione, anche per la stessa filosofia e il suo lin- guaggio, dove
ogni termine si inserisce e sempre si riferisce ad una precisa tradizione
concettuale di cui porta molteplici segni nella sua stessa carne linguistica.
Proprio sulla scorta di queste precise considerazioni, di natu- ra
squisitamente critico-epistemologiche, il trascendentalismo pretiano si apre
allora, conseguentemente, ad una considerazione propriamente (ed anche
eminentemente) storica della dimensione della stessa oggettivita. Ma, si badi
bene, questo trascendentalismo storico-oggettivo di Preti da un lato non ha
nulla a che vedere con i vari storicismi metafisici di marca hegeliana (ed
anche marxiana) e, dallaltro lato, non implica mai nessuna apertura al piano
dellipostasi metafisica e, tanto meno, delle reificazioni
realistico-metafisiche. Infatti il terreno squisitamente e programmatica- mente
linguistico dellimpostazione di questa disamina filosofica impedi- sce a Preti
di ipostatizzare le espressioni del linguaggio che dal suo punto di vista
indicano unicamente una forma e una struttura formale del lin- guaggio che non
aprono ad un mitico piano assoluto e incontaminato, ma che, al contrario,
proprio in quanto elementi di un linguaggio storica- mente dato, rinviano ad
una tradizione specifica, insomma a una dimen- sione gi situata e configurata.
Come ha sottolineato lo stesso Preti in un passo decisivo, che personalmente ho
pi volte richiamato, [...] un tale trascendentalismo ha ben poco a che fare con
quello sog- gettivistico-idealistico che si dice nato da Kant: infatti non si
tratta di forme pure di una coscienza in generale o io penso, bens di schemi,
scheletri, costruiti dalluomo (e il perch e il come siano stati costru-
iti piuttosto oggetto di antropologia
positiva, per esempio di una sociologia del conoscere, che non di speculazione
filosofica). Si tratta piuttosto di un trascendentalismo storico-oggettivo, che
rileva le for- me costitutive dei vari universi di discorso attraverso lanalisi
storico- critica dei linguaggi ideali che fungono da modello a questi universi,
dalle regole di metodo che si sono imposte storicamente e ancora vi- gono nel
sapere, etc. Insomma, si tratta di unOntologia trascendentale (o meglio, di
ontologie trascendentali) che non pretende di cogliere le forme e strutture di
un Essere in s, ma vuole determinare il modo (i modi) in cui la categoria
dellessere in atto nella costruzione,
stori- camente mobile e logicamente convenzionale (arbitraria), delle regio- ni
ontologiche da parte del sapere scientifico (in particolare) e della cultura
(in generale). Assumendo esattamente questo innovativo punto di vista come il
nu- cleo privilegiato di un preciso programma filosofico si pu allora meglio
intendere non solo la ricerca di Preti che troviamo documentata nei suoi studi
editi (e soprattutto nella sua produzione saggistica), ma si pu anche rintracciare
un prezioso filo rosso che pu esserci di valida guida euristi- ca anche nello
scandagliare, criticamente, il mare magnum dei suoi stessi scritti inediti. Da
questo punto di vista la filosofia viene infatti praticata, sistematicamente,
come una metariflessione vertente su altre riflessioni di differente livello.
Naturalmente tale inferiorit non concerne mai una valutazione axiologica, bens
rinvia unicamente ai differenti piani di ana- lisi e di scandaglio critico dei
differenti oggetti disciplinari. Ma, si badi, la filosofia si configura
esattamente come una meta-riflessione di secondo livello, proprio perch, di per
s, non possiede pi alcun oggetto specifico. O, meglio ancora, loggetto della
filosofia pu e deve essere rintracciato, di volta in volta, andando a studiare
le differenti discipline che formano, appunto, l'oggetto della sua
considerazione critica. Sono queste discipline che, istituendosi nel proprio
specifico ed autonomo ambito disciplinare, forgiano i propri oggetti, le
proprie categorie, i propri linguaggi, i propri metodi di inferenza, i propri
protocolli, i propri universi di discorso e tutto quanto attiene, insomma, alla
loro propria e specifica disciplina. Ri- spetto a questo ambito di studio la
filosofia sembrerebbe allora collocarsi, ala Mach, tra le pieghe pi riposte del
discorso scientifico, avendo appunto la capacit critica, a la Kant, di sapersi
tuttavia sempre interrogare sulla possibilit di questa stessa disciplina presa
in considerazione epistemo- logica, sul significato e i limiti precisi delle
sue categorie, delle sue rego- le inferenziali, del suo stesso linguaggio,
nonch del suo stesso specifico universo di discorso. Proprio per questo motivo
metariflessivo di fondo il trascendentalismo storico-oggettivo di Preti considera
sempre ogni disci- plina dal punto di vista, per dirla questa volta con
Husserl, della sua pecu- liare ed autonoma ontologia regionale. Linstaurazione
di una disciplina 28 G. Preti, Il mio punto di vista empiristico [1958] ora in
G. Preti, Saggi filosofici, cit., vol. I, p. 486. Per una mia disamina di
questo passo affatto emblematico cfr. perlomeno Il cacodmone neoilluminista,
cit., passim. 26 coincide, infatti, con la costruzione di una ontologia
regionale peculiare. Naturalmente sempre a questo specifico livello di analisi
pretiana, luni- verso linguistico costituisce allora, costantemente, il terreno
privilegiato di studio per il cui tramite, sempre secondo Preti, si pu
impostare, nel miglior modo possibile, lanalisi critica-epistemologica di ogni
singolo e differente ambito disciplinare. Da un punto di vista semantico le
categorie di ogni disciplina hanno del resto proprio la funzione specifica di
consentire la costituzione ana- litica di differenti regioni ontologiche. Ma
queste categorie sono sempre pensate da Preti,
la Kant, come forme vuote che possono e devono es- sere eventualmente
riempite da specifici contenuti empirico-fattuali. Ma anche in questo caso,
kantianamente, i contenuti risultano essere sempre predisposti secondo modalit
affatto specifiche che sono appunto instau- rate dalle forme vuote e a priori
delle stesse categorie. In questo senso la rivoluzione copernicana kantiana continua
insomma sempre ad ope- rare nelluniverso della riflessione filosofica pretiana,
proprio perch il Nostro abbandona senz'altro ogni riferimento allidea astratta,
propria, tipica e specifica, della tradizione dellempirismo classico. Secondo
la tra- dizione dellempirismo classico, che possiede delle precise radici anche
nel pensiero dellantichit della Grecia classica, un pensiero si delineereb- be
unicamente, per mera induzione (anche, aristotelicamente, tramite il processo
inferenziale dellenumerationem simplicem!) quale reale astra- zione dal
concreto terreno dellesperienza sensibile ed empirica. Al con- trario, e in
profonda sintonia con Kant, il pensatore pavese si dichiara invece convinto che
ogni forma concettuale costituisca sempre la conditio sine qua non per il cui
tramite possiamo appunto vedere e interrogare conoscitivamente il mondo. In
questa prospettiva trascendentalistica il pensiero non pi concepito come unastrazione vuota, bens
come una direzione, un orientamento formale, mediante il quale ci si dirige
ver- so il mondo concreto dellesperienza, guidando ed orientando la nostra
stessa esperienza. Naturalmente la conoscenza oggettiva non nasce solo da
questo movimento allin gi, perch si deve anche intrecciare con un movimento
opposto, allin su, mediante il quale quella stessa pro- iezione semantica
risulta essere pi o meno riempita da un determinato contenuto che contribuisce
a modellare, ma che pure dotato di una
sua autonomia specifica ed irriducibile. L'intreccio critico tra la proiezione semantica
posta in essere dalla trama delle differenti categorie formali e, di contro, il
riempimento, pi o meno riuscito, di questa stessa trama formale vuota,
costituisce il processo complessivo della conoscenza che proprio relazionando,
per dirla con Galileo, alcune certe dimostrazio- ni con altre determinate
sensate esperienze configura, infine, un de- terminato ambito di conoscenza
oggettiva. Se si intende la pratica della metariflessione filosofica secondo
questa specifica curvatura teoretica, emergono allora alcune importanti conse-
guenze specifiche. In primo luogo, come aveva peraltro accennato lo stesso
Kant, la critica alla metafisica che ha costituito sempre il terreno privilegiato
di ogni filosofica scientifica richiede, per il suo stesso sviluppo in-
trinseco, di mettere capo ad un nuovo punto di vista che sappia delineare il
programma di una metafisica critica. Il passaggio (kantiano) dalla cri- tica
della metafisica (quale campo di uno sterile contrasto senza fine tra le
differenti filosofie che ha pure dominato la tradizione plurimillenaria
dell'indagine filosofica) alla metafisica critica (intesa esattamente quale
disamina critico-epistemologica delle differenti ontologie regionali co-
stituite dalle varie discipline) inaugura allora una nuova stagione per la
disamina filosofica. Quella entro la quale la filosofia, dismessa ogni pre-
tesa egemonica, dichiara la vuotezza formale del proprio oggetto di stu- dio,
ponendosi umilmente nella condizione di studiare i differenti ambiti
disciplinari di cui vuole parlare filosoficamente. Questa consapevole ri-
nuncia a voler costituire un proprio dominio di comando (un autentico
imperialismo concettuale) su tutte le altre discipline che si sono venute
progressivamente liberando da ogni eventuale dominio filosofico dogma- tico,
rivendicando pienamente la propria autonomia disciplinare, richiede,
precisamente, lassunzione di un punto di vista metariflessivo critico, in virt
del quale la filosofia si configura, appunto, come una meta-riflessio- ne che
ha per proprio oggetto privilegiato di analisi le riflessioni poste in essere
dalle altre differenti discipline. In questa prospettiva se la filosofia perde
allora il proprio ruolo (metafisico) di regina delle scienze, tuttavia ne
guadagna sul piano della sua funzione critica, perch dora in poi si pone su un
nuovo terreno di analisi che ne potr consentire uno sviluppo pi rigoroso e
fecondo. Non per nulla Preti a questo proposito ha dichia- rato che da questo
punto di vista [...] la filosofia quindi non ha finito la sua storia.
Forse e io ne so- no fermamente
convinto - sta appena uscendo, faticosamente, dalla sua preistoria, e la sua
storia comincia solo, e proprio, ora. Lunica cosa che va perduta la millenaria dimensione religiosa - la
pretesa di co- gliere degli assoluti in s. Le nostre ontologie regionali, i
nostri quadri del mondo, si muoveranno entro i limiti di una cultura
storicamente data, di linguaggi effettivamente usati o concretamente
proponibili. Si muoveranno, cio, nella sfera del relativo. 7. Il programma
pretiano del neorealismo logico (con riferimento ad alcuni suoi scritti
inediti) Proprio sulla base filosofica programmatica del suo trascendentali-
smo storico-oggettivo si pu allora comprendere come Preti sia riuscito a
contaminare criticamente tradizioni di pensiero che, di primo acchito, G. Preti, Saggi filosofici, cit., pp.
473-474, il corsivo nel testo (la
citazione ancora tratta dal saggio Il
linguaggio della filosofia). 28 FABIO MINAZZI appaiono anche come profondamente
diverse quando non, addirittura, affatto divergenti. Ma anche in questo caso,
come si accennato, pro- prio lapertura filosofica intrinseca del
programma di ricerca filosofico di Preti che ci consente di meglio intendere
tutte queste sue molteplici aperture, come anche il significato pi preciso di
questi differenti in- nesti. A questo livello critico Preti non opera infatti,
come invece pu sembrare ai lettori pi distratti ed affrettati, delle sintesi affatto
estrin- seche, ovvero delle mere giustapposizioni tra tradizioni concettuali
ete- rogenee e contrastanti. Al contrario, Preti, addirittura more hegeliano,
tiene sempre conto dello specifico momento di verit di ciascuna rifles- sione
filosofica: ne tiene conto per poi riportarla riformulandola, anche liberamente
e assai criticamente, allinterno del proprio punto di vista, entro il quale
quella determinata tradizione di pensiero viene appunto richiamata onde poter
meglio lumeggiare un determinato aspetto di un problema peculiare, quello che,
proprio in quel determinato studio, vie- ne analizzato e considerato. Proprio
su questo specifico terreno di ana- lisi critica, aperta e contaminante, le
disamine poste in essere da Preti assumono allora un fascino affatto
particolare, che ne sottolinea tutta la loro originalit filosofica. Infatti il
lettore delle sue riflessioni si rende sempre conto che nelle mani di Preti le
differenti tradizioni concettua- li di pensiero sono sempre metabolizzate
criticamente, onde poter fun- gere alla migliore intelligenza - appunto
critico-problematica - di una determinata questione, che viene sempre
scandagliata e dipanata nella sua autonomia relativa, avendo appunto la capacit
di scorgerne molte- plici aspetti, per delucidare i quali Preti non teme mai di
potersi affida- re a differenti e contrastanti tradizioni di pensiero. Cos
operando Preti ha allora la rara capacit, autenticamente filosofica, di saper
variamen- te riportare gli strumenti euristici e concettuali elaborati dalle
diverse tradizioni di pensiero al problema specifico che sta dipanando in un
de- terminato momento della sua ricerca, mostrando cos, nel corso com- plessivo
della sua attivit di riflessione, anche singolari accentuazioni o significativi
mutamenti di prospettiva (come inevitabilmente sempre accade, perlomeno in un
pensiero vivo e mobile, sempre pronto a rive- dere criticamente le sue stesse
posizioni teoriche). Non stupisce allora la feconda capacit con la quale Preti
ha saputo scorgere la significativa convergenza esistente tra le ricerche
dellempi- rismo logico, con particolare riferimento alla lezione di Rudolf
Carnap, e quelle della fenomenologia delineata da Edmund Husserl. La duplice
natura, ad un tempo teoretica e normativa, della Logica formale chia- ramente affermata da Husserl, mentre,
in modo sia pur meno chiaro e programmatico, emerge anche - sia pure quale
problema aperto - nelle riflessioni carnapiane. Ma tanto per Husserl come per
Carnap il discorso logico , in primis, un discorso metalinguistico, vertente
sulle strutture proprie e specifiche degli enunciati linguistici. Preti si
riferisce soprat- tutto alla semantica husserliana, sviluppata nel secondo
volume delle Lo- gische Untersuchungen, nella quale attraverso minute analisi
ricche di sottili ma ben fon- date distinzioni veniva messa in evidenza la
funzione significativa del mezzo linguistico, scoprendo un esse obiectivum, la
Bedeutung, come una specie di direzione o virtualit o senso del segno, il
quale, non costituisce entro di s (n semplicemente si costituisce per mezzo
suo) un contenuto rappresentativo, ma rimanda ad esso come a proprio
riempimento o perfezionamento (Erfiillung). Questo concetto della Erfllung,
alquanto trasvalutato in senso matematico,
alla base della nozione semantica di verit quale viene elaborata da
Tarski, e ancora trova un certo sviluppo nella semantica carnapiana. Ma, al
contempo, occorre anche subito aggiungere che le fini e persua- sive indagini
pretiane concernenti la storia della semantica pura non tengono conto solo del
pur ricco ed articolato dibattito filosofico della contemporaneit, ma vengono
anche messe in feconda relazione con gli sviluppi pi riposti del pensiero
filosofico, prestando particolare atten- zione anche alle molteplici
discussioni dei logici medievali. Ma, nuova- mente, proprio questa sua feconda
ed oltremodo felice capacit di saper sviluppare, liberamente e criticamente, la
disamina di un determinato problema come quello della semantica pura avendo, al
contempo, an- che la non comune capacit di saperne recuperare le lontane radici
me- dievali, nonch quelle che variamente rinviano alle stesse, pi cospicue e
rilevanti, tradizioni concettuali occidentali, emerge anche in questo ca- so.
In questa specifica prospettiva, ancora una volta, la mediazione criti- ca
della lezione del trascendentalismo finisce del resto per riemergere in tutta
la sua rilevanza euristica e filosofica. Non per nulla nella produzio- ne
inedita e pi matura di Preti la scelta stessa del termine di riferimento da lui
utilizzato per indicare il complesso orizzonte del suo programma di ricerca
filosofico pi maturo rinvia proprio ad una pluralit di indica- zioni in cui
questo rimando esplicito alle tradizioni di pensiero medieva- li, moderne e
kantiane gioca sempre un ruolo affatto specifico e rilevante. Cos,
predisponendo degli scritti inediti consacrati programmaticamen- te ad una
illustrazione teoretica e storica del neorealismo logico* Preti di- chiara
espressamente come i suoi saggi vogliano proporre un punto di vista
sullontologia filosofica cui diamo il nome di neo-realismo, ma che potrebbe
altrettanto bene essere chiamato realismo fenomenologico oppure 30 G. Preti,
Saggi filosofici, cit., vol. I, p. 344, corsivi nel testo; la citazione tratta dal saggio Il problema della L-verit
nella semantica carnapiana del 1955. 3 Per un approfondimento del quale sia
anche lecito rinviare al mio studio Prolegomeni per una storia carsica del
neorealismo logico. Il contributo critico-te- oretico di Giulio Preti che
figura nel volume Realismo ed antirealismo, a cura di Mariano Bianca e Paolo
Piccari, Aracne, Roma MMXI, pp. 91-126, unitamente al mio precedente saggio La
rivalutazione del trascendentale di Giulio Preti e la pro- spettiva del neorealismo
logico, Il Protagora, XXXVII, luglio-dicembre 2010, n. 14, pp. 313-340. 30 oggettivismo
trascendentale. Preti avverte del resto subito come il ter- mine neorealismo
sia un nome relativamente nuovo per una dottrina assai antica che il Nostro
dichiara di aver [...] derivato dalla meditazione e discussione della
problematica pi strettamente filosofica (teoretica) della filosofia analitica,
della logica e dellepistemologia contemporanea (di Moore, di Russell, di
Carnap, di Ayer, etc. etc.) alla luce di dottrine del primo Husserl (delle
Logische Untersuchungen). Ma essa risale alla Scolastica trecentesca. In
effetti il riferimento di Preti ai neorealisti della fine del XIII secolo e del
XIV secolo (Buridano e la sua scuola, Nicola dAutrecourt, Marsi- lio di Inghen,
Gregorio di Rimini, ecc.), sviluppato sempre sullo sfondo della tradizione
occamista, gli consente di riconsiderare con attenzione la distinzione propria
della logica medievale tra significatio e suppositio, in virt della quale una
parola pu denotare solo grazie alla sua specifica in- vestitura significativa.
Per esempio, esemplifica Preti, il termine cane pu denotare i cani proprio
grazie alla propria significatio. Conseguentemente cane quindi significa il
cane e denota cani (supponit pro canibus). Ma proprio con riferimento specifico
al piano prettamente logico-semantico (e, quindi, non a quello direttamente
ontologico-metafisico) poi sorta una
celebre e nota divergenza di posizione tra i realisti platonici, da un lato, e
i nominalisti, dallaltro lato. Se infatti per il realismo metafisico il termi-
ne cane rinvia senz'altro allidea sostanziale propria dei cani (ovvero alla
tota collectio dei cani intesa come linsieme-unit di tutti i cani esistiti ed
esistenti, insomma, la Platone, alleidos
dei cani, alla caninit), al contra- rio per il nominalismo cane costituisce una
generalizzazione induttiva, un concetto che si ricava grazie all'esperienza
diretta dei cani empirici. Rispetto a questa contrapposizione tra realisti e
nominalisti i neo-realisti logici si collocano in una posizione affatto
singolare, poich, con i reali- sti, condividono lidea che la parola cane rinvii
ad un paradigma obiet- tivo (certamente non mai inteso quale unit metafisica in
s), in virt del quale possiamo leggere e selezionare il mondo dellesperienza,
ma, daltra parte, in sintonia con i nominalisti, riconoscono anche il ruolo
specifico 32 G. Preti, Il neorealismo logico. Saggi di ontologia filosofica, p.
1, corsivi nel testo, cito direttamente dal manoscritto autografo pretiano (che
nel Fondo Preti corrisponde alla schedatura: I, 49) attualmente conservato presso
il Centro Internazionale Insubrico dellUniversit degli Studi dell Insubria (per
la descrizione di questo autografo cfr. F. Minazzi, G. Preti: bibliografia,
Franco Angeli, Milano 347-351). Di questo saggio esiste anche unedizione pirata
(a cura di Luca Maria Scarantino, Rivista di storia della filosofia, LXI, 2006,
3, pp. 676-700), ma, na- turalmente, nel presente scritto tutti i miei
riferimenti saranno forniti basandosi esclusivamente sul manoscritto autografo
pretiano. Le citazioni che seguono im- mediatamente nel testo sono pertanto
tratte dalle seguenti pagine dellautografo pretiano: p. 1-2; p. 3; p. 4. che i
cani empirici esercitano nella nostra conoscenza del mondo. Infatti per i
neo-realisti logici medievali il concetto di cane (ovvero la sua signi-
ficatio) sempre in relazione ai cani
empirici e intrattiene quindi un nes- so col mondo empirico dei cani del tutto
analogo a quello che si instaura, per esempio, tra un progetto architettonico e
ledificio effettivamente co- struito in base a quello stesso progetto. Ci espresso [rileva Preti] nella distinzione (a
cui sembra ri- dursi quella tra significatio e suppositio) tra suppositio pro
significato non ultimato e suppositio pro significato ultimato. Lultimatio il ri- empimento intuitivo, completo, di quel
progetto che era il concetto significato nel nome (nel termine categorematico);
e quando il ter- mine sta per un contenuto di questo tipo, esso denota. Il
significato differisce dalla denotazione quindi non per il genere, ma per
specie: una denotazione incompleta, non
riempita completamente, e quin- di, in un certo senso, vaga (contiene note che
rimangono indetermi- nate, quindi variabili). Proprio questa innovativa e
feconda impostazione neo-realista logi- ca medievale finisce poi per assumere
tutto il suo rilievo euristico e fi- losofico allinterno della rivoluzione
copernicana di Kant. Per Preti le conseguenze principali della posizione
trascendentalistica kantiana sono infatti due. In primo luogo Kant inaugura una
nova dottrina del concet- to, in virt della quale il concetto pensato sempre come una funzione di
integrazione critica ed unificante dell'esperienza che non ha quindi pi nulla a
che vedere con una sua pretesa natura rappresentativa (quella che la tradizione
dellempirismo ha invece invariabilmente connesso al pen- siero umano). In tal
modo tutti i tradizionali e sempre parologistici non- sensi inevitabilmente
connessi alle rappresentazioni del pensiero umano vengono eliminati in modo
radicale, mostrandone la loro natura squisi- tamente metafisica. In secondo
luogo loggetto-del-conoscere non pu pi essere pensato come un presupposto del
conoscere stesso, ma si configura, al contrario come il contenuto specifico del
conoscere stesso. Lapparen- te paradossalit del trascendentalismo kantiano,
strettamente connessa con la scoperta del giudizio sintetico a priori, ne
costituisce cos la sua pi vera forza euristica e critica:
loggetto-del-conoscere costituisce un te- los che viene indicato al conoscere
dalle sue stesse strutture formali. Conse- guentemente, solo entro lorizzonte
della direzione intenzionale posta dal processo del conoscere pu allora individuarsi
la verit della conoscen- za cui luomo pu eventualmente attingere. Da
sottolineare come questa nuova prospettiva critico-epistemologica del
neo-realismo logico ripresa ed inaugurata da Kant con il suo trascendentalismo colta da Preti nel- la sua precisa
collocazione concettuale, come spesso torna a sottolineare e a ricordare in
differenti scritti inediti. Tra questi, perlomeno nella pre- sente sede, sia
allora sufficiente limitarsi a ricordare quanto si legge in un quaderno inedito
pretiano risalente alla seconda met degli anni Sessan- 32 FABIO MINAZZI ta,
espressamente intitolato Logica e Ontologia*. Questo scritto si apre ricordando
come la cattedra di Kant, a Knigsberg, si chiamasse di Lo- gica e Metafisica,
proprio perch le due discipline furono a lungo as- sociate, come il fondamento
e il nocciolo stesso della filosofia teoretica. In questa prospettiva la
Logica, quale scienza del Logos, era quindi con- cepita quale scienza
obiettiva: la scienza delle strutture del Logos, ossia delle strutture -
postulate razionali - dellEssere. La Logica coincideva quindi con lOntologia.
Naturalmente la polemica dichiaratamente anti- metafisica della filosofia
moderna (inclusa quella di matrice kantiana) ha contestato questa coincidenza
tra Logica ed Ontologia, ma questo non ha significato un deciso abbandono di
ogni portata ontologica della Logi- ca, bens soltanto l'abbandono di una
pretesa metafisica di essa. In Kant, per esempio, proprio in virt della
rivoluzione copernicana, la Logica si configura come la disciplina che
stabilisce le leggi dell'accordo dellin- telletto con se stesso, per quanto
concerne la mera forma del conoscere. In altri termini la logica allora una disciplina formale, non ontologica
perch concerne la determinazione delle condizioni formali della validi- t dei
nostri discorsi attinenti la realt, concerne cio la verit come ac- cordo del
pensiero con se stesso (con le sue leggi), non del pensiero con il suo oggetto.
Tuttavia ben noto come per Kant la
struttura del pensiero concerne unicamente i fenomeni che costituiscono oggetti
interni al pen- siero stesso, con la conseguente che [...] allora lunico
essere, o realt, o natura di cui abbia senso discor- rere quello fenomenico, costruito dal pensiero, secondo
le sue forme o funzioni, e in accordo con le strutture logiche di queste. La
Logica diviene quindi una specie di Ontologia (o per lo meno la base di es-
sa): solo che non si tratta di una ontologia metafisica (poich non por- ta
sugli elementi o forme pure dellEssere delle cose in s), bensi di unontologia
critico-trascendentale, riferita cio agli elementi o for- me pure del pensiero
in quanto in esso, e da esso, si costituiscono gli oggetti (fenomeni) Questa
posizione kantiana ovvia, del resto da
lui stesso dichiara- ta, per quanto riguarda i compiti della Logica
trascendentale (in par- ticolare dellAnalitica). Egli riprende dalla scolastica
wolffiana (ma, molto probabilmente, pi ancora dalla scolastica anti-wolffiana,
per esempio da Crusius) il compito di una filosofia analitica, e, a quanto
pare, cerca di realizzarlo negli scritti teorici del decennio che precede la
Dissertazione del 70. Cfr. G. Preti,
Logica e Ontologia, quaderno manoscritto di 18 pagine autogra- fe conservato
presso il Centro Internazionale Insubrico dellUniversit degli Studi
dellInsubria di Varese, [nel Fondo Preti corrisponde alla schedatura: I, 49],
per la descrizione del quale cfr. F. Minazzi, G. Preti: bibliografia, cit., p.
344). Le citazioni che seguono nel testo sono tratte, rispettivamente, dalle
seguenti pagine: p. 1; pp. 1-2; p. 2; p. 3; p. 4; pp. 5-6; p. 6; p. 7 e p. 8. Proprio
il fallimento di questo programma specifico di Kant, segna- to, peraltro, dal
suo essere stato svegliato, grazie a Hume, dal suo sonno dogmatico, ha infine
consentito al pensatore di Knigsberg, di scoprire i giudizi sintetici a priori:
[...] con la scoperta delle sintesi a priori egli [Kant] scopre pure il pia- no
trascendentale e cos il tema della ontologia analitica viene affidato
allEstetica e alla Logica trascendentale: quegli elementi puri a prio- ri che
costituiscono la trama ideale della costituzione delloggetto ci sono, ma sono
forme della stessa attivit del pensiero - in particolare dellintelletto. In
questo preciso contesto per Pretilaspetto pi importante e decisivo della
posizione trascendentalistica di Kant consiste nel rilevare [...] che
lAnalitica trascendentale si salda alla Logica formale (ele- mentare): la
mediazione data dalla teoria delle
funzioni logiche del giudizio, cio da una classificazione logico-formale dei
tipi di propo- sizioni. superfluo
ricordare che il nocciolo dellAnalitica dei concetti la teoria delle dodici categorie, e quello
dellAnalitica dei principii la tavola
fisiologica pura dei principii generali della scienza naturale pura; ed inutile dire che se queste sono, per noi, le
parti pi caduche della grande opera kantiana, ci che morto di Kant, lui, invece, ne andava
orgoglioso, e le considerava invece lapporto pi prezioso da lui arrecato alla
costruzione di una filosofia come scienza - e di fatto sem- bravano realizzare
il progetto di una filosofia analitica nel senso sopra descritto. Ora la tavola
fisiologica dei principi contiene lo schema di una fisiologia pura
trascendentale, ossia lenumerazione dei princip puri a priori dellintelletto i
quali rendono possibile una scienza della natura in generale, in quanto
condizioni della pensabilit degli oggetti secondo Leggi; Questa tavola fondata su quella delle categorie. E que-
sta, in fondo, non sono che i nomi (0, se si preferisce, i concetti) delle
funzioni logiche del giudizio, in quanto i vari modi dellunit sinte- tica delle
intuizioni non sono dati da altro che dalle funzioni logiche del giudizio, e
anzi coincidono con esse. E in questo modo la logica formale diviene, proprio
in quanto esposizione delle leggi dellaccor- do del pensiero con se stesso, il
fondamento di unOntologia generale critica (o trascendentale). La non breve
citazione di questo interessante passo inedito ci consen- te di meglio
comprendere il modo con il quale Preti guardava, per dir- la con unincisiva
espressione di Jean Petitot, alla tragedia della ragione post-kantiana. Infatti
la filosofia post-kantiana - considerato peraltro % Cfr. Jean Petitot, Per un
nuovo illuminismo. La conoscenza scientifica come valore culturale e civile,
Prefazione, cura e traduzione dal francese di F. Minazzi, 34 FABIO MINAZZI lo
svolgimento parziale del punto di vista kantiano, nonch le sue oscu- rit
intrinseche - ha cercato di completare questo programma partendo proprio dal
piano dellontologia kantiana quale esplicitazione delle leggi del pensiero.
Questa, perlomeno, stata la soluzione di
Hegel, ma secon- do Preti il filosofo di Stoccarda ha poi dipanata e continuata
[lontologia kantiana] in una cos pesante e barocca interpretazione metafisica,
che il risultato stato piuttosto quello
di screditarla. Inoltre nella prospettiva dellidealismo romantico si sempre pi affermata uninterpretazione de-
cisamente materiale della logica, con linevitabile pretesa metafisica che essa
potesse senz'altro determinare non tanto l'accordo formale e vuoto del pensiero
con se stesso (analitico e, quindi, senz'altro intellettualistico!, perlomeno
per i romantici la Hegel) quanto
lindividuazione delle cate- gorie supreme dellessere in quanto tale (idest
dellessere, dellunit, della cosa, dello spirito, ecc.). Questa, in
particolare, stata proprio la soluzione
metafisica hegeliana. Di contro, rileva ancora Preti, si invece configurata una ben diver- sa via
ermeneutica, quella che ha inteso la logica quale scienza delle de-
terminazioni del pensiero o Logos o ragione. Tra i contemporanei, il pi vicino,
per questo particolare aspetto, allispirazione trascendentalistica della
concezione kantiana dello status e della natura della logica sembra essere Ed.
Husserl e non per niente Preti richiama allora espressamente la definizione
husserliana della logica quale scienza del Logos in senso pregnante: come
scienza del Logos nella forma della scienza, ossia come scienza delle parti
essenziali che come tali costituiscono la scienza auten- tica che si legge in
Formale und transzendentale Logik. Ma riferendosi ancora a questa definizione
husserliana Preti rileva come [...] la scienza autentica la scienza costituita secondo lideale della
pura scientificit, il telos e il compimento dellidea stessa della ragione giudicante
(apofantica). Nella logica quindi, in sostanza, si esplicita il senso
intenzionale della Ragione stessa in quanto questa la diezio- ne teleologica dellidea di scienza
(in generale, ossia nella sua pura e formale generalit). Non ora il caso di seguire pi analiticamente e
dettagliatamente lo svolgimento complessivo di questa pur assai interessante
disamina inedita pretiana, tuttavia mi auguro che quanto stato riferito consenta comun- que di ben
comprendere tutto l'ampio respiro teoretico, nonch il preci- so orizzonte
critico-concettuale entro il quale Preti ha inteso inserire, del tutto
consapevolmente, il proprio, assai originale, realismo fenomenolo- gico (o
oggettivismo trascendentale), che, come si
visto, fa tutt'uno con il Bompiani, Milano 2009, in particolare le pp.
127-182, cui sia lecito affiancare anche le considerazioni del mio precedente
volume Teleologia della conoscenza ed escatolo- gia della speranza. Per un
nuovo illuminismo critico, La Citt del Sole, Napoli 2004. suo neorealismo
logico. Semmai, in questa sede varr la pensa conclude- re queste considerazioni
ricordando un altro interessante appunto inedi- to pretiano, connesso
nuovamente con i suoi molteplici lavori ed appunti consacrati allo sviluppo
analitico e prospettico di unontologia critica. In un quaderno manoscritto di
Saggi logico-ontologici* Preti, riferendosi nuovamente ed esplicitamente al
neorealismo, traccia i seguenti appunti: 1. Lintenzionalita (suppositio).
L'unit di significazione - Sua traduzione positivista [Principio di
verificazione] [Monadismo]; Denotazione e significazione (simboli e segni
concettuali) Sinonimia La quaestio de universalibus nominalismo [formalismo]
[convenzionalismo] realismo [logicismo] concettualismo [intuizionismo] neo-realismo
- affinit col: 1 nominalismo 2 concettualismo 3 realismo; PORN 5. Definizioni e
essenze 6. Classificazione - Specie e generi. Questo appunto interessante non solo per lo schema
complessivo dello sviluppo storico-concettuale ed analitico che Preti evidentemente
intende- va prospettarsi per illustrare tutta la pregnanza teoretica della
prospettiva del neorealismo logico, ma anche perch consente, nuovamente, di
cogliere anche la collocazione strategica di questo suo programma di ricerca
filo- sofico entro la tradizione del pensiero occidentale. In particolare,
emerge nuovamente, con forza, il nesso che Preti individua tra questa
tradizione di pensiero, scaturita dal dibattito dei logici medievali del tardo
XIII se- colo e del XIV secolo, con la successiva tradizione dellempirismo
logico. Ma, come si visto, proprio
questo prezioso e fecondo legame concettuale trala dottrina dellintenzionalit
(connessa conla nozione scolastica della suppositio) con il principio di verificazione
neopositivista rinvia, ancora una volta, alla mediazione decisiva della
rivoluzione copernicana kantia- na che se da un lato sembra raccogliere e
riannodare criticamente i fili del dibattito della tarda scolastica*, dallaltro
lato, proprio con il suo trascen- 3 G. Preti, Saggi logico-ontologici,
risalente ai primissimi anni Sessanta [nel Fondo Preti corrisponde alla
schedatura: I, 33], p. 2; per una sua descrizione cfr. F. Minazzi, G. Preti:
bibliografia, cit., p. 331. % A questo proposito sia comunque lecito rinviare a
F. Minazzi, Sulla genesi del- la filsoofia trascendentale. A proposito di una
rcente pubblicazione (Il Protagora, XXXVII, gennaio-giugno 2010, sesta serie,
n. 13, pp. 193-200, edito in un numero monografico consacrato a Kant e il
problema del trascendentale, in cui figura anche un mio secondo scritto, Sullo
statuto epistemologico del trascendentale kantiano, pp. 87-115, cui mi permetto
ancora di rinviare). dentalismo, apre ad un nuovo orientamento di pensiero che
trova proprio in Husserl e in tutti i principali esponenti dellempirismo logico
un terreno fecondo per mezzo del quale il trascendentalismo storico-oggettivo
pu allora dispiegare tutto linteresse euristico e filosofico della sua
innovati- va posizione teoretica. Ma, ancora una volta, proprio nellimpostare
pro- grammaticamente tale sua disamina, si nota, nuovamente, come l'impianto
critico analitico del programma di ricerca neorealista logico pretiano sia tale
da saper spiazzare le chiusure dogmatiche delle differenti tradizioni di
pensiero, onde individuare un suo autonomo punto di vista critico che gli
consente di intrecciare con maggior libert di pensiero e anche con mag- gior
fecondit critico-prospettica i contributi che i vari autori hanno pu- re
elaborato autonomamente, entro il proprio specifico punto di vista. In tal modo
nellonesto mestiere della filosofia pretiana la pratica della stessa
riflessione filosofica si configura, sempre, come il frutto di un lavoro cri-
tico continuo onde rendere sempre pi chiare le nostre idee sul mondo e sulla
conoscenza, con la consapevolezza - dichiarata - che, come peraltro si gi visto (per ripetere, totidem verbis, una emblematica
dichiarazione risalente ad Idealismo e positivismo), si lavora sempre e solo
sapendo di essere uomini, solo uomini; e, in fondo pi religiosi, vogliamo
essere una cosa sola - quello che siamo - uomini. Integralmente umani, appunto la Pascal. Ovvero animali dotati,
simmelianamente, di una razionalit teoretico-pragmatica, nati comunque per
morire nella contingenza, pro- blematica e transeunte, di un mondo storico
delimitato, finito e relativo. PRASSI, INTELLETTO, RAGIONE. IL NUOVO
NEOCRITICISMO DI PRETI Massimo Baldacci In seno alla scuola di Banfi, Giulio
Preti! ha elaborato un pensiero di grande spessore e originalit. Infatti, la
connessione organica che egli ha istituito tra razionalismo trascendentale,
empirismo logico e filosofie del- la prassi (la filosofia del giovane Marx e il
pragmatismo di Dewey) lo ha portato a una filosofia inedita, che stata caratterizzata come empirismo critico o
come trascendentalismo storico-oggettivo, e che si pu vedere come una forma di
nuovo neo-criticismo, per riprendere unespressione di Schnadelbach?. Per un
inquadramento del pensiero di Preti nella tradizione che fa capo ad Antonio
Banfi, indispensabile rilevarne sia gli
elementi di continui- t, sia quelli di rottura rispetto ad essa. Dal momento
che ho evidenziato laspetto della continuit in altra sede, in questo contributo
intendo sot- tolineare piuttosto le rotture euristiche introdotte da Preti,
ritenendole rilevanti anche per il campo di cui mi occupo: la pedagogia. 1.
Lacritica di Preti a Banfi: il ruolo dellintelletto Nel saggio postumo La filosofia
di Marx e la crisi contemporanea5, Preti asserisce che il limite della
filosofia speculativa idealista quello
di ! G. Preti, Idealismo e positivismo, Bompiani, Milano 1943; Praxis ed
empiri- smo, Einaudi, Torino 1957; Retorica e logica, Einaudi, Torino 1968;
Saggi filosofici, 2 voll., La Nuova Italia, Firenze 1976; In principio era la
carne. Saggi filosofici inediti, a cura di M. Dal Pra, Franco Angeli, Milano
1983. ? Sul pensiero di Preti vedi: M. Dal Pra, Studi sullempirismo critico di
Giulio Preti, Bibliopolis, Napoli 1988. F. Minazzi (a cura di), Il pensiero di
Giulio Preti nel- la cultura filosofica del Novecento, Franco Angeli, Milano
1990. P. Parrini e L.M. Scarantino, Il pensiero filosofico di Giulio Preti,
Guerini, Milano 2004. 3 H. Schnadelbach, Il nostro nuovo neokantismo, in S.
Besoli e L. Guidetti (a cura di), Conoscenza, valori e cultura. Orizzonti e
problemi del neocriticismo, Quaderni di discipline filosofiche, n. 2, 1997, p.
11. 4 Vedi M. Baldacci, Il problematicismo, Milella, Lecce 2003, pp. 126 sgg. 5
G. Preti, La filosofia di Marx e la crisi contemporanea, in G. Preti, In
principio era la carne, cit., pp. 35-103. Franco Cambi e Giovanni Mari (a cura
di) Giulio Preti : intellettuale critico e filosofo attuale ISBN 978-88-
6655-039-6 (print) ISBN 978-88-6655-044-0 (online PDF) ISBN 978-88-6655-048-8
(online EPUB) 2011 Firenze University
Press 38 MASSIMO BALDACCI funzionare in base a categorie astratte, rompendo i
ponti con lesperien- za, e che questo difetto colpisce anche Banfi, il quale
nel criticare il dog- matismo di Gentile: [...] pone laccento sullautonomia
della ragione, la quale riconosce e pone in se stessa, nelle sue pure idee,
quella problematicit mediante la quale risolve in s tutti i limiti e le
particolarit che lintelletto (scien- tifico, pragmatico ecc.) pone al pensiero,
ed entro cui questo tende a chiudere lesperienza. In questo modo, il pensiero
filosofico si trova ad essere: [...] perennemente teso nella sua antinomicit,
la quale non indotta dai fatti
dellintelletto o dellesperienza, non
riconosciuta come un limite del movimento storico della scienza, ma posta immediata- mente a se stessa. Da qui, secondo
Preti, deriva il secondo limite dellidealismo: [...] la nullificazione
dellintelletto, che o viene risolto nella pura espe- rienza o viene travolto
dal prevaricare della ragione, che ne scioglie ogni sintesi determinata
nellinfinit dellIdea (e questo vale tanto per Gentile quanto per Banfi). E
prosegue precisando: Infatti, la conoscenza intellettiva (scientifica, pragmatica)
appa- re un momento necessario nel processo di trasposizione dellespe- rienza
sul piano della ragione; ma si pone laccento sullautonomia di questultima, la
quale riconosce e pone in se stessa, nelle sue pure idee [...] quella
problematicit mediante cui risolve in s tutti i limiti e le particolarit che
lintelletto pone al pensiero, ed entro cui tende a chiudere lesperienza?.
Cosicch: [...] ad un movimento puramente in se stessa di una Ragione tesa nella
sua pura (ma vuota) dialetticit [...] fa riscontro un movimento altrettanto
libero [...] dellesperienza, abbandonata a se stessa e alla sua anarchia. 6
Ivi, p. 82 (corsivo dellautore). 7 Ivi, p. 83. 8 Ibid. ? Ibid. (corsivo
dellautore). 1 Ibid. IL NUOVO NEOCRITICISMO DI PRETI 39 In ultima analisi, il fondamentale
difetto delle filosofie speculative, in- clusa quella di Banfi, di aver: [...] misconosciuta la funzione
centrale dellintelletto, che media conti- nuamente esperienza e ragione,
costruendo la prima (la quale propria- mente non si pu dire che esista prima di
tale costruzione) secondo le strutture puramente formali (cio, puramente...
strutturali, linguisti- che, sintattiche) della seconda ". Riassumendo, le
obbiezioni di Preti alla filosofia speculativa di Banfi si possono cos
sintetizzare: a. di porre laccento sullautonomia della ragione (e il termine
autono- mia viene riportato due volte in corsivo), mentre il ruolo
dellintelletto fondamentale per
trasporre lesperienza sul piano razionale; b. che lantinomicit delle idee della
ragione non sia derivata dallintel- letto o dalla storia della scienza, ma sia
posta come sussistente in s, generata immediatamente nella sfera della ragione;
c. che la problematicit antinomica delle idee permetta alla ragione di risolvere
in s, in maniera autonoma, particolarit e limiti che lintel- letto impone al
pensiero circa lesperienza; d. che ci porta a misconoscere la funzione di
mediazione dellintelletto e dunque a sopprimerlo, mentre esso indispensabile per la trasposi- zione
dellesperienza sul piano della ragione, perch
lintelletto che costruisce la prima secondo le strutture formali della
seconda, assicu- randone cos la trasponibilit razionale. e. che in questo modo
la ragione ed esperienza restano su un piano di reciproca esteriorit: la prima
rimane astratta, la seconda resta confi- nata nella sua anarchia. Cerchiamo di
mettere in luce il senso di queste obiezioni. I punti (a) ed (e), il primo e
lultimo, definiscono la tesi di Preti: la for- ma di autonomia che Banfi
ascrive alla ragione ne determina lastrattezza e lesteriorit rispetto
allesperienza, e dunque la sua inefficacia. Ma qua- li sono i difetti di questa
forma di autonomia che portano a questo esito? Il punto (b) individua il primo
di questi difetti: la ragione auto-produ- ce le proprie idee antinomiche, senza
alcuna relazione con lintelletto, la storia o lesperienza. Preti ravvisa qui un
difetto che si potrebbe definire genetico: la genesi delle idee non pu
compiersi in questo modo irrelato, se non al prezzo di partorirle gi morte
nella loro astrattezza. Il punto (c) identifica il secondo difetto: la ragione
provvede in manie- ra auto-sufficiente a risolvere in s le particolarit in cui
il pensiero chiude lesperienza. Preti individua qui un difetto che si potrebbe
definire fun- 1 Ivi, p. 84 (corsivo dellautore). 40 MASSIMO BALDACCI zionale:
la funzione della ragione non quella di
risolvere direttamente le posizioni determinate del pensiero circa lesperienza,
ponendosi in ci come auto-sufficiente. In qualche modo, Preti sembra rifarsi
allarchitetto- nica kantiana, cio alla distinzione tra ragione (Vernunft) e
intelletto (Verstand) e al loro rapporto: la ragione non ordina direttamente
lespe- rienza, a ci provvedono le categorie dellintelletto, bens ha una
funzione regolativa rispetto alluso dellintelletto. Il punto (d) identifica
lesito combinato dei due difetti, quello gene- tico dellauto-produttivit della
ragione e quello funzionale della sua auto-sufficienza. Questo esito consiste
nel misconoscimento della funzio- ne dellintelletto: una ragione auto-produttiva
e auto-sufficiente prevari- ca l'intelletto (ossia, la conoscenza scientifica)
e ne annulla il ruolo. Qui Preti chiarisce che si tratta di un errore
strutturale e funzionale al tempo stesso: lopera di mediazione dellintelletto
tra lesperienza e la ragione
indispensabile per la trasposizione razionale della prima, poich:
(dl) lintelletto che costruisce
lesperienza (che senza la sua funzione orga- nizzatrice non si pu dire neppure
tale), non direttamente la ragione; (d2) ma lintelletto compie quest'opera
costruttiva secondo le strutture formali stabilite dalla ragione. In altre
parole, lintelletto costruisce e mette in forma lesperienza in modo conforme
alle strutture della ragione, ed perci
grazie alla sua intermediazione che lesperienza viene trasposta sul piano
razionale. In termini astratti, usando S per strutture, e assegnando i livelli
1, 2, 3 ri- spettivamente alla ragione, allintelletto e all'esperienza si ha
che S4 pre- scrive a S2 le forme e i modi di ricostruire S3. Il punto (e)
completa largomentazione di Preti: senza lintermediazio- ne dellintelletto, la
ragione non cattura lesperienza, restando imprigio- nata nellastrattezza della
sua falsa auto-produttivit e auto-sufficienza, mentre essa, lesperienza, rimane
allo stato anarchico, informe e caotica. Circa la pedagogia, questo significa
che una mera filosofia delleduca- zione (che definisce il piano della ragione),
senza il supporto di una scienza delleducazione (che definisce il piano
dellintelletto) destinata a rima- nere
astratta rispetto alla concreta esperienza educativa. Ma rimaniamo ancora al
problema sollevato da Preti. Denunciata la- strattezza di una ragione privata
del supporto dellintelletto, Preti si pre- occupa anche di evidenziare il
rischio di un intelletto orfano della guida della ragione, infatti: [...] a
tutte quelle posizioni che, in genere, tendono ad eliminare dalla filosofia il
piano della logica trascendentale [...] si pu obbiettare che cadono nel
dogmatismo opposto, a loro volta dando allintelletto un principio immediato, e
quindi finendo per nullificarne pi o meno la funzione. 2 G. Preti, La filosofia
di Marx, cit. p. 84. IL NUOVO NEOCRITICISMO DI PRETI 41 In altri termini, punto
(f), senza la guida della ragione, lintelletto
co- stretto a sua volta ad auto-produrre un proprio principio che
privato dei modelli formali (linguistici e sintattici) della ragione non pu
provvedere in maniera adeguata alla costruzione dellesperienza. Preti sembra
perci ritenere fondata larchitettonica kantiana, pur reinterpretando il significa-
to dei suoi livelli, che rimangono per articolati secondo la tripartizione:
ragione-intelletto-esperienza. Questo richiamo alla necessit della logica
trascendentale, implica li- nadeguatezza del tentativo di risolvere la
pedagogia in una disciplina me- ramente empirica di stampo positivista come la
pedagogia sperimentale, privandola della componente della filosofia
dell'educazione. Tentativo che alimenta ununilateralita complementare a quello
di una filosofia delle- ducazione meramente speculativa. 2. Il rovesciamento
della filosofia di Banfi: al principio sta la prassi Come si visto, nel saggio inedito sulla filosofia di
Marx, del 1948, Preti obietta (b) che nel razionalismo idealistico lantinomicit
delle idee della ragione non venga derivata dallintelletto o dalla storia della
scienza, ma sia posta come sussistente in s, generata immediatamente nella
sfera del- la ragione; e in nota! asserisce di considerare i Principi di una
teoria della ragione, di Banfi, come il massimo punto darrivo della filosofia
speculati- va, ma di non poter continuare una simile filosofia se non
rovesciandola, assumendo verso di essa un atteggiamento analogo a quello dei
seguaci immediati di Hegel (tra i quali Marx) verso il suo sistema. Il
bersaglio della critica di Preti dunque
il Banfi dei Principi di una teoria della ragione (le cui posizioni il filosofo
milanese avrebbe in parte rivisto, e soprattutto integrato, negli anni trenta e
quaranta, specialmente con l'adesione al marxismo). Qual il processo genetico con cui, nei Prin-
cipi..., Banfi arriva allidea antinomica della ragione? A proposito delli- dea
del conoscere (nella quale, per lui, lesigenza teoretica trova espressione
nella sua purezza), Banfi scrive che: [...] tale idea non ha la sua origine n
in un processo di astrazione, n in un atto dilluminazione soggettivo. Essa ha
la sua origine, come ogni idea speculativa, nel processo totale della coltura,
per cui il mo- mento della teoreticit si
venuto elevando ad autonomia fissandosi in aspetti idealmente
obbiettivi". E continua asserendo: B G. Preti, La filosofia di Marx, cit.,
nota 112, p. 83. 14 A. Banfi, Principi di una teoria della ragione, cit., p. 12
(corsivo mio). 42 MASSIMO BALDACCI
appunto non di fronte ad una presunta esperienza immediata, ma
allinterno di tale tradizione filosofica stessa che noi cerchiamo, sui
risultati raggiunti, di definire con sempre maggiore chiarezza la forma
trascendentale del conoscere. Per concludere, una volta posta lidea del
conoscere come sintesi sog- getto/oggetto, rispetto alla sua individuazione
Banfi precisa: [...] non si tratta qui affatto di un'intuizione, ma di un
risultato del processo dialettico del pensiero filosofico [...]. Il rapporto
soggetto- oggetto non affatto dato originariamente
alla coscienza, si sviluppa piuttosto e si eleva sempre pi chiaramente di mano
in mano che la sfera teoretica e lattivit conoscitiva acquistano autonomia
nellauto- coscienza culturale". In altre parole, secondo Banfi, si arriva
all'idea razionale attraverso un processo dialettico interno al pensiero
filosofico, e dunque intrinseco alla ragione. E anche se le posizioni del
pensiero filosofico che il processo dia- lettico scioglie dalla propria
assolutezza dogmatica, risolvendoli nel pro- cesso stesso di genesi dellidea,
si potessero definire come intellettuali, lintelletto assumerebbe qui il
carattere della mera negativit e dogmati- cit che deve essere risolta e
superata nella positivit dell'idea razionale. Il rilievo di un residuo di
astrattezza idealistica del Banfi dei Principi..., mosso da Preti, non appare
perci privo di riscontri. Questa impostazio- ne secondo Preti va rovesciata. Ma
in che senso? Secondo il razionalismo speculativo di Banfi la ragione
auto-produce le proprie idee antinomiche, l'origine dellidea razionale la ragione stessa e il suo processo dialetti- co. In altri termini, allorigine,
in principio, sta il logos. Rovesciare questa impostazione significa assumere
che allorigine, in principio, sta la prassi, ed solo grazie allopera
dellintelletto che da questa si arriva alle strutture della ragione, del puro
logos. questo il tema del grande saggio
incompiuto e lasciato inedito In principio era la carne', del 1963-64, le cui
linee sono in parte gi anticipate in Praxis ed empirismo, del 1957. Quello che
qui in gioco il processo di genesi delle strutture
funzionali del conoscere. E la tesi che
il piano originario non va individuato nel logos, ma nella carne: nella vita
degli uomini in carne ed ossa, nella prassi sociale che li mette in relazione
reciproca e in rapporto col mondo. In questo modo viene data risposta alla
domanda da dove prendono origine le strutture del conoscere. Secondo Preti, che
richiama esplicitamente il marxismo, sono pro- priamente le esigenze connesse
alla vita che spingono luomo ad elabora- 15 Ivi, p. 13 (corsivo mio). 16 Ibid.
(corsivo mio). ! Vedi G. Preti, La filosofia di Marx, cit., p. 82. !8 G. Preti,
In principio era la carne, in G. Preti, In principio era la carne. Saggi
filosofici inediti, cit., pp. 161-201. IL NUOVO NEOCRITICISMO DI PRETI 43 re la
tecnica, la scienza e la cultura, ossia il logos. In altre parole, il logos
deriva dalla carne e vi fa ritorno: il loro rapporto circolare (e dunque lo anche il rapporto prassi-teoria). Ma il mondo
della vita da cui pren- de origine il logos non ha la struttura
ante-predicativa che gli attribuisce la neo-fenomenologia, esso gi costruito di relazioni, significati, cre-
denze, valutazioni; in altre parole, cos descritto, sembra che il piano
dellesperienza identificato da Preti come basilare si possa identificare col
piano del senso comune, al quale il linguaggio ordinario d gi struttura. In
questa prospettiva, gli stessi dati iletici, la mera materia prima del co-
noscere, sono solo un concetto-limite del processo del conoscere, e diven- gono
oggetti di conoscenza solo in quanto si organizzano secondo sintesi noematiche
che presuppongono una forma intenzionale. In altri termi- ni, lesperienza sempre costruita secondo certe sintesi nelle
quali la ma- teria iletica costantemente
congiunta a forme intenzionali e organizzata secondo di esse. La materia
iletica bruta, informe, una mera
astrazione, anzi il limite di ogni
astrazione analitica. Il linguaggio interviene co- stantemente
nellorganizzazione dell'esperienza, anche di quella di senso comune, che viene
per cos dire messa in forma dal linguaggio ordinario. L'elaborazione
dellesperienza si svolge secondo le modalit dell intel- letto (leggi: in
maniera intellettuale), che procede nel finito, nellem- pirico storico e
culturale, descrivendo fatti e ponendo tra loro relazioni. E in questo modo,
spesso, opera abbattendo le strutture del senso comune, nonch i suoi
pregiudizi, e le ricostruisce in modi diversi. Il razionalismo speculativo, al
contrario, converte le relazioni in enti metafisici, cadendo nel dogmatismo
ontologico. Per evitare questa caduta, occorre invece da- re alla ragione il
ruolo meramente formale di limite ideale dellesigenza, corrente in tutta la
cultura, delluniversalit e consistenza. Su questa base pu essere reimpostato il
processo di costruzione del- le strutture funzionali del conoscere, muovendo
dalla prassi per arrivare alla ragione attraverso la mediazione dellintelletto.
Al livello basilare della prassi, la conoscenza
un fatto, non un problema?:
essa basata su evidenze che hanno un
valore vitale e rap- presenta uno strumento della vita per il proprio
mantenimento. Su questo piano, il termine conoscenza, asserisce Preti, un termine generico per indicare le
transazioni vitali dell'organismo vivente con lambiente. E ri- 1 Ivi, p. 165.
20 Ivi, p. 169. 21 Ivi p. 186. Ivi, p.
187. 23 Ivi, p. 165. 24 Cfr. ivi, p. 169. Ivi, p. 167 (corsivo dellautore). 26
Ivi, p. 172. 2 Cfr. ivi, p. 174. 44 MASSIMO BALDACCI spetto allatteggiamento
naturalistico che permea questo livello, il conoscen- te e il conosciuto si
distinguono e si oppongono, il soggetto e l'oggetto sono uno di fronte allaltro
(anche se si deve rammentare il carattere transattivo della conoscenza),
conformemente al modo in cui il realismo concepisce le cose. Ma ad altri
livelli le cose si mettono diversamente, avverte Preti. Ad un livello pi alto
(che si pu far corrispondere a S2), attraverso un processo di astrazione e
idealizzazione dei contenuti e delle loro relazioni, la conoscenza si organizza
in forma scientifica, secondo le strutture for- mali e le categorie del
discorso scientifico. Aldi sopra di questo livello, in questo saggio Preti pone
il piano trascen- dentalistico, che si apre grazie ad unastrazione che
presuppone lepoch dellatteggiamento ontologico-naturale e una sorta di
passaggio al limite. In questo piano trascendentale, si colloca la banfiana
idea del conoscere come antinomia soggetto/oggetto, la quale pone come
correlative le cate- gorie dellego trascendentale e del mondo trascendentale,
che rappresen- tano idee della ragione nel senso preciso della Ragione pura
kantiana? e dunque, sia singolarmente che nella loro correlazione
trascendentale, hanno una funzione meramente regolativa. Lo scheletro formale
delle strutture funzionali del conoscere rimane grosso modo quello dei lavori
degli anni Cinquanta, con la sola variante che al livello pi astratto S4 questa
volta viene evidenziata la componente gnoseologica dellidea trascendentale del
conoscere, piuttosto che quella epistemologica dellOntologia formale costituita
dai linguaggi ideali? Nel saggio del 1963-64 viene per chiarito il problema
della genesi costrutti- vistica di tali strutture, attraverso due tesi
fondamentali: (1) il processo della costruzione muove dal livello del senso
comune (S3), dallesperienza degli uomini in carne e ossa, e risale attraverso
il li- vello delle strutture dellintelletto (S2), alle strutture della ragione
Sj. Con ci, come abbiamo gi rilevato si d risposta alla questione dello- rigine
delle strutture funzionali del conoscere (da dove hanno origine). Ma in questa
sistemazione, lintelletto non solo la
stazione intermedia del procedere dallesperienza alla ragione, bens rappresenta
il motore o principio dinamico di tale processo. Infatti, laltra tesi che: (2) il processo costruttivo basato su operazioni di astrazione e idea-
lizzazione, unite allepoch dellatteggiamento naturalistico che sospende
qualsiasi valore ontologico alle nozioni elaborate. 28 Cfr. ivi, p. 175. 2 Cfr.
ivi, p. 179. 30 Cfr. ivi, p. 180. 31 Ivi, p. 185. 32 G. Preti, Lontologia della
regione natura nella fisica newtoniana, in G. Preti, Saggi filosofici, cit.,
pp. 413-35. Vedi anche: G. Preti, Linguaggio comune e linguaggi scientifici, in
G. Preti, Saggi filosofici, vol. 1, cit., pp. 127-220; G. Preti, Praxis ed
empirismo, cit., pp. 68-94. IL NUOVO NEOCRITICISMO DI PRETI 45 Preti, infatti,
oltre a enunciare pi volte questa tesi nel corpo della trat- tazione, la
ribadisce al termine dellitinerario costruttivo: [...] le categorie della
gnoseologia trascendentale sono ricavate, attra- verso un laborioso processo di
successive enoyai e successive astra- zioni-idealizzazioni, dalloriginaria
situazione delluomo in carne e ossa [...]?3. In questo modo viene risolta
laltra questione dellorigine delle strut- ture del conoscere, ossia il problema
di come si formano tali strutture. Nel quadro messo a punto da Preti, non la ragione che auto-produce le idee
attraverso un proprio svolgimento dialettico interno, come nel raziona- lismo
speculativo (e come avviene nello stesso Banfi); bens queste idee sono
costruite dallintelletto attraverso successive operazioni dastrazione-
idealizzazione che culminano nelliper-astrazione del passaggio al piano
trascendentale, che Preti definisce attraverso l'analogia del passaggio al
limite propria dellanalisi matematica. Il fatto che siano il frutto di un
laborioso processo costruttivo dellin- telletto, e non della spontaneit dello
sviluppo della ragione, non im- pedisce per che, come asserito nel saggio
sullOntologia della regione natura nella fisica newtoniana, una volta costruite
intellettualmen- te, queste idee e categorie siano poste con funzione di a
priori entro il sistema, e che quindi funzionino come idee regolative al
livello della ra- gione o come categorie formali costitutive degli oggetti di
conoscenza a quello dellintelletto. Si tratta per di a priori storico-relativi,
convenzio- nali bench oggettivi, e come tali valevoli solo relativamente al
sistema e fino a nuovo ordine. Tuttavia, la tesi della costruzione per
astrazione-idealizzazione delle ca- tegorie a partire dallesperienza (e delle
idee movendo dal piano categoriale) non
esente da rischi, e il suo valore deve essere messo in rapporto con la
necessit di individuare un processo di tipo intellettuale, alternativo allo
svolgimento dialettico intrinseco della ragione su cui si era attestato Banfi.
In linea di principio, il pericolo
quello di ricadere nei limiti della vec- chia gnoseologia empirista,
dalla quale Banfi rimaneva immune postu- lando che il rapporto tra esperienza e
ragione non fosse di tipo astraente, ma di trasposizione della prima secondo le
forme razionali della seconda. Il limite della vecchia gnoseologia empirista
basata sullastrazione dallesperienza
quello di mettere capo a concetti che categorizzano solo ci che comune a un certo insieme desperienze. In
questo modo, il con- cetto assume un carattere sostanzialista, e dunque
dogmatico-ontologico, e nel contempo si presenta impoverito rispetto allesperienza,
e perci in- capace di tornare produttivamente ad essa. 8 Ivi, p. 184. ** G.
Preti, Lontologia della regione natura nella fisica newtoniana, cit. 46 MASSIMO
BALDACCI Rispetto al processo astraente, Preti evita il rischio della caduta
nel sostanzialismo ontologico chiamando in causa come correlato dellastra-
zione lepoch, la quale sospende qualsiasi valore ontologico e sostanziale delle
nozioni elaborate. Rimane per il pericolo che lelaborazione metta capo a
nozioni vuote e astratte nel senso deteriore del termine, ossia si- tuate su un
piano che trascende lesperienza e impoverite rispetto ad es- sa, e dunque
estranee ed inefficaci rispetto allesperienza stessa. Il modo in cui Preti
cerca di evitare tale pericolo si rende trasparente in un altro scritto, ossia
nella Presentazione introduttiva al volume Sostanza e fun- zione di Ernest
Cassirer. Qui Preti segue Cassirer nella critica al concet- to-sostanza della
dottrina scolastica e della gnoseologia empiristica, che procede per astrazione
dei dati comuni, giungendo cos a una rappresen- tazione tanto dogmatica quanto
impoverita dellesperienza. A tale tipo di concetto Cassirer oppone il
concetto-funzione, che costituisce la forma di rappresentazione tipica del
pensiero scientifico (la scienza stessa
un tessuto di concetti-funzione)?, e che usa un differente tipo
dastrazione, nella quale i tratti disomogenei non sono eliminati ma sostituiti
da va- riabili espresse da simboli. E in un saggio posteriore, Cassirer
chiarisce che secondo il proprio idealismo trascendentale il momento intellettuale
(connesso ai concetti-funzione) non deriva da un allontanamento dallin-
tuizione sensibile, perch questultima
sempre organizzata secondo un ordine che
gi intellettuale. Il dato, cio, non
semplice materia ileti- ca, ma possiede sempre una forma; la materia
originaria, come tale, un puro concetto
limite. Il modo in cui Preti interpreta il ruolo simbolico dei concetti-funzione cruciale per comprendere come si deve vedere
il processo di astrazio- ne-idealizzazione a cui, nel saggio In principio era
la carne, egli affida il compito di elaborare le strutture intellettuali e
razionali a partire dalle- sperienza. Preti, infatti, scrive: Il simbolo ha una
funzione irriducibile, che non quella di
rap- presentare, o dipingere, o economizzare lesperienza. Il simbolo [...]
implica un distacco dallintuizione, una sospensione dellesperienza, una
astrazione-idealizzazione che conferisce al pensiero ampi gradi di libert
rispetto allesperienza stessa. 3 E. Cassirer, Sostanza e funzione. Sulla teoria
della relativit di Einstein, La Nuova Italia, Firenze 1973. 6 G. Preti,
Presentazione a E. Cassirer, cit., p. XIII. 9 Ivi, p. XII 38 E. Cassirer, La
teoria della conoscenza e le questioni di confine della logica, in E. Cassirer,
Conoscenza, concetto, cultura, a cura di G. Raio, La Nuova Italia, Firenze
1998, pp. 28-9. 3 Ivi, p. 31. 4 G. Preti, Presentazione a E. Cassirer, Sostanza
e funzione, cit., pp. IX-X (cor- sivo mio). IL NUOVO NEOCRITICISMO DI PRETI 47
E subito aggiunge: Non c' per una dicotomia, un netto taglio gnoseologico (e
tanto meno ontologico) tra esperienza e regno dei simboli: ch mentre non esiste
neppure, a stretto rigore un'esperienza in senso vero e proprio la quale non
sia gi investita di una funzione simbolica [...], daltra parte il mondo dei
simboli indefinitamente stratificato in
livelli simbolici di progressivo formalismo [...]!!. In altre parole, come
Cassirer, Preti non fa dellesperienza la sfera dei meri dati iletici, della
materia informe del conoscere. L'esperienza, come si visto,
gi costruita secondo una trama simbolica, fornita dal linguag- gio
comune. Pertanto, considerando questi passi insieme a quanto Preti scrive nel
saggio In principio era la carne, si deve interpretare il processo di
astrazione-idealizzazione con cui si risale dall'esperienza alle catego- rie
dellintelletto (e da queste alle idee della ragione) non nei termini del- la
vecchia gnoseologia empirista (che egli respinge esplicitamente), bens secondo
la forma di astrazione-idealizzazione realizzata dal linguaggio scientifico,
che quella della formulazione delle
leggi scientifiche e, ag- giungiamo noi, della modellizzazione scientifica, nel
contesto della qua- le il passaggio dal livello della realt a quello del
modello, solitamente, collegato a
processi di astrazione e idealizzazione?. Lepoch da un lato, e
lastrazione-idealizzazione inteso come processo di sostituzione della variet
dellesperienza con simboli e variabili legati in concetti-funzione, ossia in
categorie-significati, differenziano lempirismo di Preti dalla vecchia
gnoseologia empirista. Il processo astrattivo codifica lesperienza in categorie
formali, che sono svuotate di contenuti specifici e sono trasformate perci in
variabili, lepoch ne sospende qualsiasi valore ontologico. Tuttavia, questo
passaggio dallesperienza codificata secondo illinguaggio comune alla trama
categoriale del linguaggio formale di una scienza, pone comunque un problema.
Asserire che la formazione delle strutture concettuali dellintelletto muovendo
dal piano dellesperienza implica operazioni di astrazione e idealizzazione
sarebbe relativamente poco problematico, in quanto non impegna circa la
struttura complessiva di tale processo di formazione (non si afferma cio che
esso si riduce a tali operazioni). Pi problematico sostenere che queste strutture sono pre-
cisamente prodotte per mezzo di operazioni dastrazione dallesperienza 4 Ivi,
p.X. 4 Vedi R.N. Giere, Spiegare la scienza, Il Mulino, Bologna 1996, p. 117. A
que- sto proposito significativo il modo
in cui Preti descrive il metodo di Galileo: L'esperimento con la fantasia in realt un procedimento astrattizzante che
riduce il fenomeno a un tipico schema o modello matematico; G. Preti, Storia
del pensiero scientifico, Mondadori, Milano 1975 (1957), p. 171 (corsivi miei).
Probabilmente, quando Preti parla di processi di astrazione-idealizzazone si
deve pensare a qualco- sa di analogo a un procedimento di modellizzazione
scientifica dei fenomeni. 48 MASSIMO BALDACCI (linguisticamente codificata), in
quanto in questo caso si cade nella dif- ficolt creata dallindeterminatezza
dellesito, perch nella codificazione formale dellesperienza se ne possono
trascegliere come pertinenti aspet- ti del tutto diversi. Infatti, come osserva
lo stesso Cassirer: lastrazione rimarrebbe senza direzione e senza guida se non
pensasse gli elementi, onde essa ricava il concetto, come collegati da un
principio mediante una determinata relazione e ordinati in virt di essa*.
Pertanto, sempre se- condo Cassirer, se s'intende affermare che il concetto si
forma per astra- zione occorre dare a questo termine un senso completamente
diverso da quello della dottrina sensista-empirista, identificandolo con atti
di pen- siero diversi e indipendenti, ognuno dei quali comporta una peculiare
interpretazione del contenuto dellesperienza*. Per compiere lastrazione del
concetto occorre cio essersi gi posti secondo un determinato pun- to di vista,
dal quale interpretare in maniera unitaria lesperienza; ossia necessario pensare lesperienza secondo una
specie concettuale di ca- rattere categoriale. Per compiere lastrazione del
concetto dallesperienza occorre dunque porre gi un a priori, imponendo
allesperienza un punto di vista secondo cui interpretarla in modo unitario.
Come possono per le strutture fun- zionali del conoscere essere formate per
mezzo di un processo dastrazio- ne, quando sono queste strutture a rendere
possibile lastrazione stessa? A questo proposito, per salvaguardare la coerenza
dellimpostazione di Preti, si deve fare appello alla struttura circolare del
pensiero, che egli conside- rava tipica della filosofia. Occorre cio postulare
un rapporto circolare tra lintelletto e lesperienza, per cui lesperienza si d
sempre costruita secondo un ordine che in quanto simbolico-linguistico gi in qualche modo quasi-intellettuale, e
lastrazione da questa di strutture intellettua- li si compie secondo punti di
vista (che si potrebbero vedere come schemi danticipazione), che sono essi
stessi intellettuali, e che si ridefiniscono e si precisano nel corso del
processo dastrazione stesso dai dati despe- rienza. Questo, come si gi detto, non toglie che una volta costruite
per astrazione-idealizzazione (ed epoch) le categorie siano poste come a pri-
ori del conoscere. Un problema analogo si pone nel rapporto tra intelletto e
ragione: la- strazione dellidea del conoscere dal piano categoriale possibile solo in quanto tale piano sia gi
stato pensato secondo la struttura di questa idea. Difatti, Preti scrive che
lidea antinomica del conoscere ottenuta
attra- verso lidealizzazione di una struttura costante che il conoscere presen-
ta ad ogni livello in cui venga analizzato. Ma questa affermazione ha
unimplicazione forte, poich il fatto di ritrovare la medesima struttura a 4 E.
Cassirer, Sostanza e funzione, cit., p. 36. Ivi, pp. 37-8. 3 Vedi G. Preti,
Lezioni di filosofia della scienza, cit., p. 57. 4 G. Preti, In principio era
la carne, cit., p. 183. IL NUOVO NEOCRITICISMO DI PRETI 49 livelli diversi di
analisi significa o che questa struttura ha una radice on- tologica, inerisce
cio allessere in s delle cose, oppure che questa struttu- ra stata imposta allanalisi da un atto
preliminare, e quindi la si ritrova costantemente perch la si messa fin dallinizio nelle cose. Dato che le-
poch provvede a sospendere qualsiasi valenza ontologico-naturalista, si deve
optare per la seconda soluzione. Ma qual
il livello logico nel quale si opera l'imposizione di questo punto di
vista? Se si risponde che la ragio- ne
si torna alla soluzione di Banfi: lidea del conoscere viene auto-prodotta dalla
ragione, per cui si lascia astrarre dal piano categoriale dellintelletto solo
se questo piano gi pensato in funzione
di tale idea. Ma in questo modo lintelletto perderebbe la funzione motrice che
Preti intende affi- dargli, e tornerebbe a subordinarsi alla ragione. Anche questo
processo deve perci essere pensato secondo un rapporto circolare tra
lintelletto e la ragione. Si perviene cos a una doppia circolarit verticale
(ossia tra piani logici diversi): il circolo prassi/intelletto a un primo
livello, e quello intelletto/ragione a un secondo livello. Per concludere, si
pu evidenziare la rilevanza delle seguenti tematiche nel pensiero di Preti: (A)
il ruolo centrale dellintelletto, vero intermedia- rio del rapporto tra ragione
ed esperienza; e (B) il carattere primario della prassi vitale. Si tratta di
due motivi che sono molto importanti anche ai fini di un ripensamento
dellassetto teorico della pedagogia problematicista, che nella versione di
Giovanni Maria Bertin prescinde da entrambi. Ma di questo mi occuper in altra
sede. Come si detto, non per sufficiente considerare il pensiero di
Preti come una rottura rispetto a quello di Banfi, occorre coglierne anche gli
elementi di continuit. A questo proposito, se ci si domanda qual il nu- cleo che istituisce la continuit tra
la teoria di Banfi e il pensiero di Pre- ti entro il programma di ricerca del
criticismo la risposta potrebbe essere la seguente: tale nucleo costituito da un trascendentalismo di
caratte- re oggettivo e storico, che d ai concetti e alle idee un valore
meramente metodico nei riguardi della concreta e vitale esperienza. 4 G.M.
Bertin, Educazione alla ragione, Armando, Roma 1975. 48 Vedi il capitolo
aggiuntivo della seconda edizione di M. Baldacci, Il proble- maticismo,
Milella, Lecce, in corso di stampa. 4 Vedi I. Lakatos, La falsificazione e la metodologia
dei programmi di ricerca scientifici, in I. Lakatos, A. Musgrave, Critica e
crescita della conoscenza, Feltrinelli, Milano 1986, pp. 164-276. GIULIO PRETI,
LUDOVICO GEYMONAT E LA FILOSOFIA SCIENTIFICA Francesco Coniglione Per intendere
adeguatamente certi caratteri dellepistemologia di Giulio Preti riteniamo sia
necessario riferirla ad un duplice sfondo problemati- co. Da un lato ci pare
eccessivamente restrittivo assumere come punto di riferimento internazionale il
neopositivismo, in quanto esso un ogget-
to storiografico troppo vasto per certi aspetti e troppo limitato per altri,
bens assumere come punto di riferimento la cosiddetta filosofia scienti- fica
la quale se presenta indubbie
intersezioni col positivismo - tuttavia non
totalmente riducibile ad esso; e vedremo tra breve quale sia il signi-
ficato di questa delimitazione. In secondo luogo indispensabile vedere in che modo egli si
collochi allinterno della filosofia italiana non nel suo complesso, ma in
relazione a quelle componenti e a quelle tendenze che dalla filosofia
scientifica hanno cercato di trarre ispirazione ponendola in contrapposizione
alla tradizione specificatamente italiana di intenderne lo statuto. In questa
direzione particolarmente significativo
il confron- to con Ludovico Geymonat, che non solo gli fu contemporaneo, ma
ebbe anche numerosi momenti di intersezione con lo sviluppo del suo pensiero
nel corso dei quali le reciproche posizioni ebbero a chiarirsi per contrasto o
anche per reciproca influenza. Infine, limiteremo la nostra analisi an- che
temporalmente, ponendo come terminus ad quem il 1955 in quanto riteniamo non
solo che gli anni 1950-1955 sono stati i pi decisivi per la formazione dei
caratteri peculiari dellepistemologia italiana del secondo dopoguerra?, ma che in quel torno di anni che si vengono a
definire in modo abbastanza compiuto le rispettive posizioni di Preti e
Geymonat sulla filosofia scientifica. ! Per tale aspetto si vuole portare un
contributo in direzione della soluzione del problema storiografico posto da P. Parrini, Preti teorico della
conoscenza, in F. Minazzi (a cura di), Il pensiero di Giulio Preti nella
cultura filosofica del Novecento, Franco Angeli, Milano 1990, p. 63 - di
individuare l'orientamento di pensiero nellambito del quale la concezione
pretiana della conoscenza possa essere collocata. ? A. Maros DellOro, Il
Pensiero Scientifico in Italia (negli anni 1930-1960), Gianni Mangiarotti,
Cremona 1963, p. 50. Pertanto non vogliamo prendere in esame lintero lascito
filosofico dei due autori, sia nella cronologia che nei temi trattati, gi
efficacemente analizzato e di- scusso in altri lavori, che ho avuto comunque
presenti, come quelli di F. Cambi, Franco Cambi e Giovanni Mari (a cura di)
Giulio Preti : intellettuale critico e filosofo attuale ISBN 978-88- 6655-039-6
(print) ISBN 978-88-6655-044-0 (online PDF) ISBN 978-88-6655-048-8 (online
EPUB) 2011 Firenze University Press 52
FRANCESCO CONIGLIONE Nel far questo duplice confronto si assume esplicitamente
un profilo metafilosofico, che eviti di entrare nel merito delle singole
soluzioni che Preti o Geymonat hanno fornito alle maggiori questioni di tipo
episte- mologico e che li vedono tra gli interpreti pi significati in ambito
italia- no, privilegiando piuttosto l'interrogazione della filosofia su se
stessa, sul proprio statuto e sul suo rapporto con le scienze cos come si sono
venute a costituire dopo la rivoluzione scientifica galileiana; una
interrogazione, tuttavia, che assume a proprio perimetro l'ambito problematico
della fi- losofia scientifica!. 1. Se ci poniamo sul primo versante - quello
internazionale - possiamo facilmente notare come i connotati propri della
filosofia scientifica siano spesso o sfumati nella genericit oppure siano
identificati di volta in vol- ta, a seconda dellinterprete o dellindirizzo
storiografico, con particolari correnti ed autori che sono ben lungi dal
rappresentarne in modo esclu- sivo le peculiarit. Nel primo caso, si indicano
tutte le filosofie e i filosofi che intessono in qualche modo un rapporto privilegiato
con la scienza, che la tengono in grande considerazione, che ad essa si
ispirano e dei cui risultati tengono conto nelle proprie riflessioni, o che
genericamente ne voglio imitare lo stile e il modo di procedere. Nel secondo
caso la si so- vrappone al positivismo, al neopositivismo, alla filosofia
analitica o se ne fanno rappresentanti singoli autori, come Russell, Carnap,
Reichenbach, Metodo e storia: biografia filosofica di Giulio Preti,
Grafistampa, Firenze 1979; M. Dal Pra, Studi sullempirismo critico di Giulio
Preti, Bibliopolis, Napoli 1988; P.L. Lecis, Filosofia, scienza, valori. Il
trascendentalismo critico di Giulio Preti, Morano, Napoli 1989; F. Minazzi,
Lonesto mestiere del filosofare. Studi sul pensiero di Giulio Preti, Franco
Angeli, Milano 1994; F. Minazzi, Contestare e creare. La lezione epis-
temologico-civile di Ludovico Geymonat, La citt del sole, Milano 2004; F.
Minazzi, Il cacodemone neoilluminista. Linquietudine pascaliana di Giulio
Preti, Franco Angeli, Milano 2004; F. Minazzi, Ludovico Geymonat epistemologo,
Mimesis, Milano 2010 e L. Scarantino, Giulio Preti. La costruzione della
filosofia come scienza sociale, Bruno Mondadori, Milano 2007. 4 Filosofia
scientifica e approccio metafilosofico non si sovrappongono, sia perch il secondo stato praticato anche da pensatori che con la
filosofia scien- tifica non hanno avuto alcun legame consolidato (come avviene
ad esempio con Dilthey, con Simmel, ritenuto uno dei pi significativi
metafilosofi della prima met del Novecento, e poi con Habermas, per non dire di
Heidegger e di tanti altri che hanno parlato di fine della filosofia, dei
metaracconti ecc.; oppure emerge con forza quando si affronta la vexata
quaestio della distinzione/contrapposizione tra analitici e continentali), sia
anche perch consistenti parti della filosofia contempo- ranea, che di solito si
pongono nellalveo della filosofia scientifica (come ad esempio quella
analitica), hanno spesso trascurato questa questione e, riprendendo un atteg-
giamento tipicamente wittgensteiniano, hanno a lungo evitato di porsi il
problema della legittimit della propria pratica filosofica. solo in tempi pi recenti che nato linteresse per la metafilosofia allinterno
della filosofia analitica: si veda A. Biletzki, Wittgenstein: Analytic Philosopher,
in A. Biletzki, A. Matar (a cura di), The Story of Analytic Philosophy. Plot
and Heroes, Routledge, London-New York 1998, pp. 202-3. GIULIO PRETI, LUDOVICO
GEYMONAT E LA FILOSOFIA SCIENTIFICA 53 Popper, Hempel, Quine, Dummett, Searle o
Bunge, e molti altri ancora, che non sempre con essa hanno una stringente
coestensione semantica 0 una adesione lungo tutto liter della propria
riflessione. In effetti la filosofia scientifica - per dirla in maniera assai
sintetica - un progetto sui generis che
(per limitarci al Novecento), inteso in senso proprio vede nella scienza il
modello per la filosofia, la quale deve porre e risolvere i suoi problemi
secondo quegli stessi metodi e criteri, in base alle stesse esigenze di
precisione, delle scienze particolari. In tale accezione la filosofia
scientifica ha un proprio oggetto, diverso dalla scienza, e quindi in grado di portare ad una conoscenza
distinta da quelle da essa forni- teci; tuttavia ci deve essere effettuato imitando
il metodo e le procedure della conoscenza scientifica, ispirandosi al suo stile
di pensiero. Tuttavia a questa definizione in senso stretto si sono associati
altri significati che ne hanno accompagnato la storia e hanno alimentato la
discussione su di essa: stata infatti
intesa anche come metascienza, teoria della scienza, che assume come proprio
oggetto la scienza, cercando o di comprenderne le strutture logico-sintattiche,
riducendosi a sintassi logica del linguag- gio scientifico, come avverr compiutamente
con il Carnap; oppure le si assegnato il
compito di trarre fuori dalla scienza quella filosofia che le implicita e che lunica possibile, in grado di pervenire alla
soluzio- ne dei problemi che la tradizionale filosofia aveva lasciato sempre
irrisol- ti. In entrambi questi casi la filosofia viene privata di un proprio
oggetto autonomo di indagine per diventare filosofia di... (della scienza,
della fisica, della biologia ecc.), o nellaccezione logico-metodologica
proposta da Carnap, oppure nella versione contenutistica fatta propria da altri
au- 5 Su queste diverse accezioni e sulla problematica da esse veicolata mi
permetto di rimandare - per evitare ripetizioni - a miei precedenti lavori,
dove contenu- ta anche unampia
bibliografia sullargomento: F. Coniglione, Russell e la nascita dellidea di
filosofia scientifica, in G. Bentivegna, S. Burgio, G. Magnano San Lio (a cura
di), Filosofia, scienze, cultura, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ) 2002, pp.
181-218; F. Coniglione, Per la storia della filosofia scientifica. Il Circolo
di Vienna e la Scuola di Leopoli-Varsavia, in G. Gembillo (a cura di),
Filosofia e scienze. Studi in onore di Girolamo Cotroneo, Rubbettino, Soveria
Mannelli (CZ) 2005, pp. 109- 141; F. Coniglione, The Place of Polish Scientific
Philosophy in the European Context, Polish Journal of Philosophy, 1, 2007:
7-27; F. Coniglione, Il pensiero infermo. Origine e destino della filosofia
scientifica, in B. Bonghi, F. Minazzi (a cura di), Sulla filosofia italiana del
Novecento, Franco Angeli, Milano 2008, pp. 151-174; F. Coniglione, Filosofia
scientifica europea e positivismo italiano, in G. Bentivegna, F. Coniglione, G.
Magnano San Lio (a cura di), Il positivismo italiano: una questione chiusa?,
Atti del Congresso tenutosi a Catania, 11-14 settembre 2007, Bonanno,
Acireale-Roma 2008, pp. 39-67. 6 W. Tatarkiewicz, Historia filozofii, PWN,
Warszawa 1988 (1950), vol. III p. 263. 7 R. Carnap, Sintassi logica del
linguaggio, Silva, Milano 1966 (1934); R. Carnap, Philosophy and Logical
Syntax, Kegan Paul, London 1935. 8 J.K. Feibleman, The scientific Philosophy,
Philosophy of Science, 28, 3, 1961. 54 FRANCESCO CONIGLIONE tori, come
Feibleman. Infine la filosofia scientifica stata anche intesa co- me filosofia che ha a
proprio fondamento la scienza, i risultati della quale dovrebbe utilizzare o
per arrivare a sintesi pi generali, non raggiungibili allinterno della scienza
a causa della sua frammentazione specialistica; oppure per stimolarne
lulteriore avanzamento, indicando nuovi orizzon- ti cognitivi e mettendone in
luce i presupposti teoretici spesso impliciti o taciti, grazie a una
riflessione meno segnata dai limiti dello specialismo e pi libera di spaziare
allinterno di scenari teorici inconsueti: filosofia scientifica, dunque, come
riflessione filosofica sulla scienza, che si preoc- cupa di estenderne i
risultati al di l del loro ambito specialistico e di fa- vorirne lulteriore
avanzamento. Sebbene il movimento della filosofia scientifica abbia le sue
radici nei filosofi-scienziati della seconda parte dellOttocento, con il loro
richiamo al metodo induttivo quale strumento procedurale da applicare anche
alla ricerca filosofica, essa ha tuttavia la sua pi grande fioritura e diffu-
sione con il grande sviluppo della scienza agli inizi del Novecento e in
particolare con la rinascita e la straordinaria vitalit della nuova logica che,
dopo limpulso originario fornito da George Boole, ha nei Principia Mathematica
di Russell e Whitehead di inizio secolo la sua consacrazio- ne e il suo
monumento. Da allora sembra che la filosofia che voglia farsi scienza abbia
trovato il metodo suo proprio; come afferma Russell, allo stesso modo in cui la
filosofia naturale rinascimentale era potuta diven- tare fisica sperimentale
grazie allutilizzo del metodo matematico, cos la filosofia sarebbe diventata
scientifica grazie allimpiego della logica"; o, come avrebbe icasticamente
sostenuto Schlick!, La filosofia malata,
la sua unica cura la logica. E
Reichenbach riteneva a sua volta che la filo- sofia, ammalata di spirito di
sistema, si stia ora, con laffermarsi della fi- losofia scientifica,
riprendendo dalla malattia ed in
convalescenza. una fiducia smisurata,
direi quasi temeraria, nei poteri taumaturgici della logica, la cui importanza
per lintera filosofia scrive nel 1928
Carnap - stata avvertita ancora da
pochi; ma - continua - se la filosofia ha lin- tenzione di incamminarsi per la
via della scienza (in senso rigoroso), non ? Un luogo topico in cui queste
varie accezioni di filosofia scientifica si in- trecciano e si sovrappongono
nei diversi esponenti del tempo - che appunto si ri- conoscevano sotto la
comune bandiera di filosofia scientifica -
il Congresso Internazionale di Filosofia scientifica tenutosi a Parigi
nel 1936. Cfr. AA.VV., Actes
du Congrs International de Philosophie Scientifique, Hermann & Cie, Paris
1936. 10 B, Russell, La conoscenza del mondo
esterno, Newton Compton, Roma 1971 (1914), p. 77; B. Russell, Misticismo e
logica, Newton Compton, Roma 1970 (1917), p. 98. 1 M. Schlick, Aforismi, in A.
Ioly Piussi (a cura di), Problemi di etica e aforismi, Ptron, Bologna 1970, p.
200. 2 H.,
Reichenbach, New Approaches in Science: Philosophical Research, in H.
Reichenbach, Selected Writings, 1909-1953, a cura di M. Reichenbach e R.S.
Cohen, Reidel, Dordrecht 1978, p. 250. GIULIO
PRETI, LUDOVICO GEYMONAT E LA FILOSOFIA SCIENTIFICA 55 potr rinunziare a questo
strumento energico ed efficace per la precisio- ne dei concetti e per la
chiarificazione delle situazioni problematiche. Eppure, abbiamo detto, non stato solo questo il modo in cui stata pro- priamente intesa la filosofia
scientifica: indipendentemente dalla accettazio- ne o meno della logica come
strumento terapeutico in grado di rimettere in salute la filosofia, essa aveva
vissuto la grande stagione del positivismo euro- peo nel corso della quale la
sua sorte era stata in bilico o tra l'essere pericolo- samente risucchiata da
una onnivora scienza, o di autolegittimarsi (oppure venire dagli stessi
scienziati legittimata) come diversa da essa e tuttavia in sua stretta correlazione.
E in questultimo caso, poteva condividerne i me- todi, accettarne le
conclusioni - dalle quali non pu prescindere se non cor- rendo il rischio di
finire come la colomba kantiana - o, infine, ritenere di starne alla base,
anche se in modo il pi delle volte tacito ed inconsapevole. in questa fase che le diverse accezioni prima
rilevate si sovrappongono, si intersecano, a volte si distinguono nelle diverse
fasi del pensiero di uno stes- so autore, altre invece scolorano in una
generica attenzione per la scienza. 2. Se ora volgiamo lattenzione alla
specifica situazione italiana, non
difficile constatare come il positivismo, al di l e indipendentemente
dalla specifica consistenza teorica delle proprie tesi filosofiche, si sia
collocato il pi delle volte in maniera
inconsapevole - allinterno di questo gene- rale clima, cercando di declinare
anch'esso una filosofia scientifica, che nella figura di Ardig" e nella
Rivista di filosofia scientifica (1881-1891) di Morselli hanno avuto i loro
esempi pi significativi, sino a giungere a quei positivisti che di solito
vengono salvati dalla generale reprimenda che ha colpito il positivismo
italiano, cio Vailati, Enriques e Calderoni. In tutti costoro tuttavia presente con le caratteristiche e lacume propri di cia-
scuna biografia e del background filosofico-scientifico che ne ha retto la
riflessione lesigenza di un
avvicinamento tra pensiero scientifico e pen- siero filosofico e non solo nel
senso semplicistico e unilaterale di un andare la filosofia ad imparare dalla
scienza, ma anche in senso inverso, ovvero della necessit per la scienza e gli
scienziati di non ignorare il pensiero fi- losofico, se non volevano poi
esserne le vittime. questa, possiamo
dire, la conditio sine qua non, il minimo comun denominatore, il punto di con-
vergenza su cui tutti i filosofi scientifici si trovano d'accordo. Ma quando
poi si vada ad esaminare pi da vicino come si articolano i modi specifici di
tale rapporto, emergono le differenze e si possono apprezzare le diverse prospettive
metafilosofiche dei vari protagonisti della filosofia scientifica, gli snodi
teorici su cui vengono a definirsi le diverse posizioni, che mar- cano il
proprio terreno per differenziarlo da quello di altri. 3 R. Carnap, Prefazione
alla prima edizione di La costruzione logica del mondo, Fratelli Fabbri, Milano
1966 (1928). * F, Coniglione, S. Vasta, Introduzione a R. Ardig, Scritti di
filosofia scientifica, Bonanno, Acireale-Roma 2008, pp. 7-51. 56 FRANCESCO
CONIGLIONE una vicenda pi volta
raccontata quella che ha segnato la sconfitta di questo tentativo di connubio
tra scienza e filosofia e inaugurata la lunga egemonia dellidealismo italiano
tra le due guerre, per cui ci asteniamo dal ritornarci sopra. Facciamo solo
notare tuttavia che, nonostante lidea- lismo, correnti minoritarie cercavano di
coltivare un modo di fare filoso- fia diversa e pi attenta allo sviluppo del
pensiero scientifico. Infatti, oltre alle figure gi citate (specie quella di
Enriques, attivo lungo tutti gli anni Trenta e unico rappresentante italiano di
spicco della filosofia scientifica ai congressi del movimento che si tenevano
allestero), non bisogna dimenti- care il lavoro svolto dalla rivista Scientia,
che sin dagli anni Venti aveva pubblicato in Italia alcuni degli scritti del Circolo
di Vienna, con articoli di Reichenbach, Schlick, Frank, Neurath e Carnap,
specie quelli maggior- mente attenti al dibattito metodologico legato allo
sviluppo della scienza, anche se limpatto sulla cultura italiana di tali
scritti fu assai limitato". E cominciavano anche ad essere pubblicate le
prime opere di Geymonat che, oltre a tentare una nuova lettura del positivismo
che lo liberasse dal- le mille accuse di matrice idealista', nella sua
successiva opera! presen- tava alcune delle tesi fondamentali dei circolisti!8.
Erano nondimeno, nel periodo tra le due guerre, poche gocce nel mare di una
filosofia italiana a tutt'altro interessata che allepistemologia, verso la
quale del resto anche gli scienziati nutrivano la loro diffidenza, convinti che
in merito tutto or- mai fosse stato gi detto da Galilei. Con la caduta del
fascismo il cammino della filosofia scientifica italia- na sembra di nuovo
prendere vigore allinterno di un nuovo fervore che 3 L, Geymonat, Paradossi e
rivoluzioni. Intervista su scienza e politica a cura di G. Giorello e M.
Mondadori, Il Saggiatore, Milano 1979, p. 32. Un articolo di Schlick
(Positivismo e realismo, Sophia, I-II-III, 1937: 85-96, 263-281) fu pubblicato
anche nella rivista Sophia di Carmelo Ottaviano, filosofo cattolico
tradizionalista e re- alista, ma appunto per ci avversario acerrimo
dellidealismo e vicino al realismo scientifico sostenuto da molti scienziati,
che apprezzava le finissime ricerche della Scuola di Vienna (cfr. F.
Coniglione, Sophia. Nel segno di Ottaviano: una rivista a tutto campo, in P. Di
Giovanni (a cura di), La cultura filosofica italiana attraver- so le riviste,
Franco Angeli, Milano 2006, pp. 89-124). Un altro filosofo tra i primi a
interessarsi in Italia di Wittgenstein, Schlick, Carnap, Frank e Reichenbach fu
Giorgio de Santillana, cfr. A. Maros DellOro, Il Pensiero Scientifico in Italia
(negli anni 1930-1960), cit., p. 25. 16 L, Geymonat, Il problema della
conoscenza nel positivismo. Saggio critico, F.lli Bocca, Torino 1931. 1 L,
Geymonat, La nuova filosofia della natura in Germania, F.lli Bocca, Torino
1934. 8 Ovviamente Geymonat nel corso degli anni Trenta pubblic anche diversi
articoli su rivista, sui quali rinviamo alla bibliografia curata da Mario
Quaranta in C. Mangione, Scienza e filosofia. Saggi in onore di Ludovico
Geymonat, Garzanti, Milano 1985, pp. 823-854. 2 A. Maros DellOro, Il Pensiero
Scientifico in Italia (negli anni 1930-1960), cit., pp. 19-20. GIULIO PRETI,
LUDOVICO GEYMONAT E LA FILOSOFIA SCIENTIFICA 57 mira al rinnovamento della
cultura filosofica italiana e che vede affianca- ti nella comune battaglia
empiristi, pragmatisti ed esistenzialisti. Torino coni suoi intellettuali di
spicco finisce per diventare il centro che raccoglie le forze di queste comuni
convergenze intorno al Centro di Studi Meto- dologici che, fondato nel 1947 su
iniziativa di Geymonat e di matemati- ci e scienziati come Piero Buzano,
Eugenio Frola, Enrico Persico, Cesare Codegone, Prospero Nuvoli, vede
protagonisti anche filosofi e umanisti come Abbagnano e Norberto Bobbio. da questo clima che nasce il mo- vimento
razionalista e critico che prende il nome di neoilluminismo e che, in polemica
ai convegni della Societ Filosofica Italiana rinata nel dopo- guerra, organizza
a cominciare dal 1953 i propri convegni. E non
un caso che nel primo di essi (il 3-4 giugno 1953) la dichiarazione
conclusi- va, che in qualche modo detta lagenda del movimento, includa tra i
suoi quattro punti quello in cui si sottolinea la necessit che si stabilisca
tra filosofia e scienze una connessione articolata che risulti capace di sgom-
brare la filosofia da problemi e concezioni derivanti da fasi arretrate della
ricerca scientifica, e capace di dare un contributo positivo alla critica e al
rinnovamento delle strutture di fondo delle scienze. nella sostanza ripreso in nuce uno degli
aspetti della filosofia scien- tifica, da noi prima delineato, ma in un forma
abbastanza generica e ire- nicamente condivisibile anche da filosofi e
scienziati di diversa tendenza. Tali due compiti assegnati alla filosofia
avrebbero potuto facilmente pre- cipitare in un programma in cui o la filosofia
si trasformava essa stessa in scienza mediante un bagno purificatore nella sua
metodologia e nelle sue procedure sperimentali, oppure avrebbe ridotto le sue pretese
accon- ciandosi ad un lavoro di secondo grado, a un metadiscorso sulle scienze,
per chiarirne le procedure razionali e quindi servire da stimolo e pungo- lo
allulteriore progresso della conoscenza scientifica. Perch appunto in ci stava
il discrimine: se si trattava di sottolineare il reciproco fecondo beneficio
che sarebbe derivato da un interscambio tra filosofia e scienza, da un dialogo
interdisciplinare tra filosofi e scienziati, tutti si sarebbe- ro trovati
daccordo, a meno di non essere degli irriducibili irrazionalisti o idealisti;
ma quando si trattava di andare a precisare il modo in cui la filosofia avrebbe
potuto trarre vantaggio dalla scienza o in che senso la scienza poteva fruire
del pensiero filosofico, insomma quando si trattava di precisare il senso
preciso che una filosofia scientifica avrebbe dovuto assumere, allora le strade
rapidamente divergevano e finivano per preva- 2 S. Rinaldi, Il centro studi
metodologici di Torino e la filosofia della scienza in Italia nel secondo
dopoguerra, in F. Minazzi, L. Zanza (a cura di), La scienza tra filosofia e
storia in Italia nel Novecento, Presid. del Cons. dei Ministri, Roma 1987, pp.
621-633. 2! M. Pasini, D. Rolando (a cura di), Il neoilluminismo italiano.
Cronache di filosofia (1953-1962), Il Saggiatore, Milano 2000. 2 Ivi, p. 11 58
FRANCESCO CONIGLIONE lere le difese gelose delle reciproche autonomie, con gli
scienziati che non volevano farsi dettare il mestiere dai filosofi e questi
ultimi che non vole- vano abdicare a una teoresi che avesse modi peculiari di
articolare i pro- pri argomenti, non riducibili a quelli specifici delle
scienze. allinterno di questa difficile
quadratura del cerchio tra diverse esi- genze e differenti influenze che
dobbiamo cercare di intendere il pensiero di Preti e le sue distinzioni e
convergenze con quello di Geymonat. 3. Le riflessione sul rapporto tra
filosofia e scienza, e quindi il modo specifico di intendere da parte di Preti
la filosofia scientifica, devono esser fatte risalire ai primi contatti che
egli ebbe con le tesi del neopositivismo. Questi si collocano per allinterno di
un periodo di formazione che lo ve- de condividere e riprendere le tematiche
trascendentali del neocriticismo e quindi lo portano anche allattenzione verso
la riflessione fenomenologica. proprio
nel congiungersi di questa sua preliminare formazione che gli deriva in gran parte dal maestro
Banfi - con le problematiche proprie del positivismo del Circolo di Vienna a
doversi scorgere la particolare forma che in lui assunse il concetto di
filosofia scientifica. L'influenza husserliana spiega il perch, nonostante la
vicinanza al ne- opositivismo, Preti fosse cauto nel condividere in maniera
totale le tesi dei suoi principali rappresentanti. Ed proprio in merito alla filosofia scienti- fica
(trascurando qui gli altri elementi di dissenso) che egli opera i propri
distinguo. In questa luce assume particolare significato la rivendicazione
della possibilit di una metafisica empirica, che scaturisce dallesigenza di
intervenire nel processo della scienza non restandone allesterno, come semplice
spettatrice, ma collaborando dal di dentro con essa. Ci non pu per esser fatto
mediante la costruzione di una metafisica dogmatica o di una logica
trascendentale con significato metafisico, ma imboccando la strada gi battuta
da varie parti, in particolare dal Circolo di Vienna, ov- vero quella di
costruire una filosofia della scienza, o filosofia scientifica, la quale opera
con analisi concrete, assumendo fin dove
possibile, come suoi gli stessi metodi delle scienze. Tuttavia questo
progetto ha il difetto di non inserirsi in nessuna forma culturale specifica,
cio di non essere n scienza n filosofia e quindi di rimanere marginale,
accessorio rispet- to a tutte le forme culturali esistenti, cos mancando di una
luce che ne illumini lorigine ideale e la funzione nell'economia del sapere
umano. A tale fine sarebbero preziose le analisi trascendentalistiche della
scuola di Marburgo (come pure quelle fenomenologico-critiche di Banfi), anche
se 2 Per quanto riguarda la cronologia della vita e delle opere, nonch la
biblio- grafia di e su Giulio Preti rinvio a F. Minazzi, Giulio Preti:
Bibliografia, Franco Angeli, Milano 1984 (che ovviamente aggiornata sino al 1983). 2 G. Preti, Il
problema di una metafisica empirica, Studi filosofici, I, 1940: 251. Ivi, p. 252. GIULIO PRETI, LUDOVICO GEYMONAT
E LA FILOSOFIA SCIENTIFICA 59 troppo astratte in quanto prive di un connettivo
che le colleghi a quelle dedite allanalisi della scienza effettiva. In
effetti questa un'esigenza avanzata
qualche anno prima anche da Geymonat nei confronti della scuola di Marburgo.
Partendo da uno dei postulati metodologici fondamentali di tutto il
positivismo, e quindi an- che di quello viennese, ovvero che per compiere una
vera critica della conoscenza necessario
prendere come oggetto di esame non la ragione astrattamente intesa, ma le
discipline concrete nelle quali questa ragio- ne rivela le proprie capacit
conoscitive, e quindi in particolare le scien- ze, considerate nel loro
complesso svolgimento storico**, Geymonat, pur riconoscendo che la scuola di
Marburgo ha fornito pregevolissimi con- tributi circa le questioni di critica
delle scienze, e in special modo circa il problema della determinazione e valutazione
filosofica della matemati- ca e della fisica, tuttavia le rimprovera il difetto
di assumere la generica posizione di critica dei metodi scientifici, finendo
alla fine per limitarsi al puro ufficio di scienza universale delle singole
discipline particolari, e cio di generalissima metodologia, ovvero di studiare
la scienza nella sua astrattezza. Ne segue che, nello studiare il processo
della conoscenza scientifica, il neocriticismo non ritiene i risultati della
scienza come diret- tamente rilevanti per la critica filosofica, per cui la scienza
viene vista come un oggetto estraneo, scisso, dalle ricerche filosofiche. Ed
appunto contro contro questa assurda scissione reagisce, in nome dellunit della
vita te- oretica, la nuova filosofia della natura, delle scuole di Berlino e
Vienna. Geymonat e Preti sembrano gi condividere, sia pur con diversi accenti,
la medesima prospettiva. Tuttavia il filosofo pavese trova la soluzione alla
insufficienza prima rilevata in una metafisica empirica, la quale partisse
induttivamente dal lavoro delle scienze e dalle categorie di esse epurate dalla
filosofia delle scienze, e, sulla scorta della sistematica della Ragione
fornita da ricerche trascendentaliste, ne sistemasse i concetti in una visio-
ne complessiva del reale nei suoi aspetti scientifici; si risponderebbe alla
esigenza di fornire la cultura moderna di una Weltanschauungin armonia con
tutto lo spirito di essa cultura, e una filosofia scientifica, che sarebbe
insieme filosofia delle scienze naturali e della Natura, delle scienze stori-
che e della Storia, ecc. Tutta la folla dei risultati che la filosofia in
questi anni, procedendo anarchicamente, ha messi insieme, troverebbe, purifi-
cata e sistemata, il suo vero posto. Ma
questa anche una opzione ben presto abbandonata in favore di una pi
cauta rivendicazione delleredit kantiana, verso la quale egli 26 L. Geymonat,
La nuova filosofia della natura in Germania, cit., p. 5. 27 Ivi, pp. 6-7. 28
Ivi, pp. 20-21. 2 G. Preti, Il problema di una metafisica empirica, cit., p.
252. 3 Anche successivamente Preti parler di metafisica empirica, ma in una ac-
cezione depotenziata rispetto a quella che ha assunto in questo saggio, cio
volta a 60 FRANCESCO CONIGLIONE trova troppo violentemente polemico il
neopositivismo, pieno di astio verso Kant e i kantiani, che considera
corruttori del pensiero, metafisici impastoiati nei miti prescientifici del
rudimentale pensiero greco. Ep- pure il pensiero kantiano conosce un aspetto
che in assoluta continuit con quanto poi
fatto dal neopositivismo: non certo il soggettivismo di un Io puro
trascendentale autore della sintesi a priori - verso il quale giusta- mente il
neopositivismo polemizza - ma invece quello svolto dalle cor- renti neokantiane
e dalla scuola di Marburgo, specie il Cassirer, secondo cui lattivit del
soggetto ed altre espressioni simili sono in sostanza me- tafore, per indicare
elementi della struttura logica del sapere. Sicch il pensiero di Kant per
questo aspetto si riassume nella tesi di una traduzio- ne da parte del pensiero
intellettuale, secondo proprie strutture, del dato dellesperienza: in sostanza ci che sostiene anche il Circolo
di Vienna quando riduce il pensiero logico a linguaggio e le strutture del
Logos a una sintassi, ove ogni linguaggio si pu ricondurre, in ultima analisi,
a quello reale, cio agli enunciati traducenti, immediatamente o mediata- mente,
fatti desperienza?. E quando Preti lamenta che Carnap e ami- ci non si rendono
ben conto di questa relazione con il kantismo non fa altro che sostenere quanto
pi recentemente emerso negli studi di
Mi- chael Friedman e di Alan Richardson sulle connessioni tra kantismo della
scuola di Marburgo e neopositivismo. Tale linea di pensiero cerca di trovare un
suo punto di fusione nel volu- me del 1943, Idealismo e positivismo, che, a
dispetto del titolo, tutto una
presentazione e difesa del suo nuovo positivismo, sotto la cui bandiera, per,
si vogliono far confluire le altre forme di positivismo, quali quello del
Circolo di Vienna e della fenomenologia di Husserl, nonch il trascen-
dentalismo di Cassirer e Banfi. Tutto un paragrafo (il III del cap. II) infatti dedicato alla valutazione di Kant:
viene ribadito e meglio articolato quanto gi espresso circa il fondamentale
limite del neopositivismo in merito al- la valutazione del trascendentalismo e
al tempo stesso si cerca di liberare la filosofia kantiana dei suoi pi evidenti
e inaccettabili difetti, ovvero lo psicologismo e linterpretazione della
funzione unificatrice della ragione individuare e determinare con precisione le
differenti ontologie critiche operanti allinterno dei vari (e spesso
conflittuali) universi di discorso messi in essere dalle singole discipline,
dalle singole teorie e dalle molteplici tradizioni intellettuali (F. Minazzi,
Lonesto mestiere del filosofare. Studi sul pensiero di Giulio Preti, cit., p.
51). | G. Preti, Il neopositivismo del Circolo di Vienna, Studi filosofici,
III, 1942: 208-221. 2 Ivi, p. 218. 3
M. Friedman, A Parting of the Ways. Carnap, Cassirer, and Heidegger, Open
Court, Chicago and La Salle (Ill.) 2000. 3 A. Richardson, The Fact of Science
and Critique of Knowledge: Exact Science as Problem and Resource in Marburg
Neo-Kantianism, in M. Friedman, A. Nordmann (a cura di), The Kantian Legacy in
Nineteenth-Century Science, The MIT Press, Cambridge-London 2006, pp. 211-226. GIULIO PRETI, LUDOVICO GEYMONAT E LA FILOSOFIA
SCIENTIFICA 61 e dellintelletto come autocoscienza, eredit che deriverebbe dal
platoni- smo mediato da Leibniz. Ma
importante notare che, a prescindere dal- le analisi e soluzioni
particolari da Preti fornite in questo volume (come la tesi della sostanziale
identit tra idealismo e positivismo, o il modo in cui il pensiero di Husserl
corregge e integra il positivismo, e cos via), il fuoco dellattenzione in esso catturato dal problema dello statuto
della filosofia e di conseguenza del valore della metafisica e del destino che
a questa de- ve essere riservato nel nuovo positivismo da lui proposto: infatti uno dei pericoli cui pu incorrere il
positivismo quello di non trovare un posto per la ricerca filosofica. Tuttavia
Preti, pur sposando la dottrina tipica del neopositivismo secondo la quale la
metafisica priva di senso a ragio- ne
della non verificabilit in linea di principio delle sue proposizioni e di
conseguenza difendendo il carattere intersoggettivo (e quindi oggettivo) della
conoscenza sensibile e del vero sapere, tiene a precisare che ci non una esclusiva esigenza delle scienze ma di
tutta la cultura, in quanto non solo la scienza, ma larte e la religione, la
stessa mistica, tendono irresisti- bilmente alla comunicazione
intersoggettiva*, che deve assumere pertanto quella forma di obiettivit
che tipica di ogni espressione e che
pertanto connessa ad una certa tecnica;
questa nel caso del pensiero umano co-
stituita dal discorso logico, per cui la logica matematica diventa nel nuovo
positivismo il prezioso strumento per mezzo del quale - abbandonando lingenua
fede nei suoi poteri magici nutrita da Carnap - il pensiero diven- ta
effettuale: si dice qualcosa e si sa cosa si dice. Insomma, la strategia di
Preti chiara e in piena sintonia con la
filo- sofia scientifica: non si tratta di restringere la scientificit alle sole
scienze, che di essa sono in ogni caso le portatrici privilegiate, quanto
piuttosto di farne una esigenza che possa investire lintero campo della
cultura, tutto il sapere umano: La filosofia ha sempre aspirato ad essere
scienza; e for- se ci che la distingue dalle singole scienze soltanto il fatto che, mentre queste attuano
lideale scientifico nei riguardi di una sezione particolare dellesperienza, la
filosofia deve trasporre tutta quanta lesperienza nella sua forma di
scientificit un'esigenza che per assuma quale punto di partenza e criterio
proprio il modo di intendere la scientificit nellambito delle scienze
storicamente costituite e che hanno dato prova di s, quelle scienze che sono al
centro dellattenzione del Circolo di Vienna e del nuo- vo positivismo. In
questo quadro la filosofia assume uno statuto di auto- nomia: essa un grado di riflessione pi alto del pensiero
scientifico*! e 3 G. Preti, Idealismo e positivismo, Bompiani, Milano 1943, pp.
105-110. 36 Ivi, p. 32. 7 Ivi, pp. 49-53. 38 Ivi, p.61. 9 Ivi, p. 91. 4 Ivi, p.
119. 4 Ivi, p. 85. 62 FRANCESCO CONIGLIONE in quanto scientificit - non scienza
- costretta a porsi da un punto di vista
di riflessione pi elevato; essa ha s un suo contenuto, una propria legislazione
e quindi una sua autonomia, secondo quanto rivendicato da Husserl e Banfi (il
piano trascendentale o la riflessione sul pensiero in forma di pensiero,
esaminato iuxta propria principia)*, ma nella sua struttura discorsiva, nel suo
metodo e nella tecnica del filosofare, nonch nei suoi metodi di accertamento
della validit delle proprie proposizio- ni, la filosofia essenzialmente eguale alle scienze e vigono
per essa i due principi che ne stanno alla base, sin dai tempi della scienza
galileiana: il discorso logico e lesame della sua validit formale, e
lesperienza**. Que- sta maggiore elevatezza della filosofia, che pu essere
caratterizzata anche come razionalismo trascendentale, gioca sulla circostanza
della fram- mentariet delle scienze, che operano sempre un taglio sulla realt
(e qui si menziona Reichenbach), e sulla sempre continua emergenza di nuova
esperienza che costringe alle novit e a profondissimi mutamenti dei siste- mi
scientifici. Onde, compito della filosofia
appunto quello di integrare questi tagli in una unit, che li ricomprenda
tutti e li giustifichi, grazie alla scoperta di una legge unitaria
trascendentale. Essa cos va alla ricerca della legge di formazione dei sistemi
del sapere, siano essi quelli scientifici siano le singole filosofie, con ci
spezzando la loro finitezza nella misura in cui il dato non pu mai essere
pienamente ed esaustivamente risolto in essi; essa si dimostra esigenza
critica, ricerca, metodo e in quanto tale va al di l delle singole filosofie,
dei singoli sistemi. L'accettazione del trascendentalismo nel modo depurato da
lui propo- sta, porta Preti a dare un giudizio della metafisica che ne eviti la
liquida- zione. Se infatti essa non pu ambire a presentarsi come scienza
(secondo linsegnamento kantiano), pu nondimeno avere nella scienza un uso re-
golativo, anche se non costitutivo**; pi ancora, rispetto a quanto avreb- be
ammesso Kant, essa pu fornire i modelli secondo i quali ricondurre ad unit
legale la molteplicit dellesperienza; pu cio costruire degli 4 Ivi, p. 119. 5
Insomma, il nuovo positivismo non riconosce alla Filosofia un'essenza di- versa
di quella delle scienze particolari, ma solo un compito diverso. Non si oppo-
ne infatti alle scienze, n pretende di completarle - ma vuol essere anchesso
una scienza particolare, pur sapendo che tale scienza - la filosofia - per lo stesso suo oggetto meno rigorosa, ma
pi mobile e aperta di ogni altra scienza particolare (ivi, pp. 91-92). 4 Ivi,
p. 93. interessante il fatto che Preti
qui riprenda in sostanza lesigenza di Galvano Della Volpe di intendere il
pensiero come sintesi delleterogeneo, ovvero di intuizione empirica e forma
della Ragione. Preti non cita mai in questopera le sue fonti n viene fornita
alcuna bibliografia, tuttavia di certo egli ha presente la Critica dei principi
logici pubblicata da Della Volpe nel 1942 e quindi confluita nella Logica come
scienza positiva del 1950. 4 Ivi, p. 100. 46 Ivi, pp. 116-117, 131. GIULIO
PRETI, LUDOVICO GEYMONAT E LA FILOSOFIA SCIENTIFICA 63 pseudo-enti, ponendo tra
essi delle relazioni: ci che comunemente
si chiama ipotesi, ed lanima del metodo
sperimentale. Per cui il nuo- vo positivismo di Preti non ritiene la metafisica
una sorta di alchimia o di astrologia, o il semplice momento prescientifico
della filosofia, ma, a differenza del Circolo di Vienna, accoglie e giustifica
da un certo punto di vista la pretesa di una Metafisica autonoma; e questo
punto di vista , in puro spirito kantiano, quello di una sua interpretazione,
per espri- merci in termini contemporanei, euristica: anche la scienza ha
bisogno di ipotesi metafisiche, senza le quali essa dovrebbe accontentarsi di
semplici descrizioni del dato, mentre ci cui mira il trovare le leggi fondamenta- li dello
sviluppo fenomenologico della realt studiata, la connessione di queste leggi
con il complesso dellesperienza**. Ma ipotesi metafisiche che abbiano la forma
di scienza, che siano idealmente scientifiche; ovvero che abbiano la forma
della razionalit, anche se non la natura di scienza. pertanto ammissibile in questa luce per Preti
una vera e propria meta- fisica scientifica che lui distingue in
ipotetico-deduttiva e in costruttiva; e allinterno di questultima egli colloca
la precedente metafisica empi- rica che tiene a distinguere da quella sua forma
deteriore che invece la metafisica
costruttivo-dogmatica (una variet della quale sono le me- tafisiche mitiche).
Una metafisica il cui prezioso apporto alla scienza giudicato appunto dalla sua fecondit sul
piano scientifico e filosofico, dalla sua capacit di costruire modelli, cio
ipotesi di come il Cosmo po- trebbe essere costituito e funzionare: la
molteplicit dei modelli metafi- sici, la loro complementarit (si prende a
prestito lespressione di Bohr), una
necessit derivante da una realt infinitamente complessa, per cui essi devono
necessariamente contraddirsi, e, attraverso la contraddizio- ne,
completarsi". Grazie alla loro molteplicit e lungo le molteplici vie che
essi possono tracciare, la scienza poi trover la sua strada. questa metafisica scientifica che Preti ha in
mente quando, in uno scritto pi di- vulgativo e impegnato, difende le esigenze
che stanno al di sotto di un materialismo depurato dalle sue scorie
metafisiche: La scienza non pu fare a meno di un quadro del mondo, di una
cornice entro cui inserire le sue ricerche e la sua azione pratica; altrimenti
viene a mancare ogni idea direttrice, ogni impulso progressivo [...]*. Certo,
accanto alla metafisica scientifica Preti ammette anche una me- tafisica
speculativa, intesa come lo sforzo supremo dellessere umano e 47 Ivi, p. 117.
48 Ivi, p. 120. 4 Ivi, pp. 143-150. 50 Ivi, pp. 123-131. 51 Ivi, p. 136. G. Preti, Gli scienziati di fronte alla crisi
della scienza. 2 I positivisti, Il Politecnico, 17, 1946: 2. 9 G. Preti,
Idealismo e positivismo, cit., pp. 150-159. 64 FRANCESCO CONIGLIONE della
filosofia di indagare le strade possibili per pervenire a quella fina- le
identit di Pensiero ed Essere che rappresenta lesigenza nascosta delle varie
metafisiche, delle quali essa cercherebbe di coordinarne i risultati in modo da
trasformarle in una sorta di ontologia universale. Ma non questa la strada sulla quale il pensiero
successivo di Preti si incammi- ner, per cui questa esigenza resta da una parte
lestremo limite della sua precedente formazione filosofica, dallaltra il punto
prospettico dal quale si svolge una visione della filosofia e della metafisica
compatibile con la filosofia scientifica e quindi che non contraddica i
caratteri fondamentali del nuovo positivismo da lui difeso. Ed in questa luce significativo il fatto che
tale modo di intendere la me- tafisica scientifica (ipotetico-deduttiva ed
empirico costruttiva) finisce per concordare con quella posizione tipicamente
popperiana che aveva fatto aspramente polemizzare il filosofo austriaco con i
neopositivisti del Circo- lo di Vienna sul valore e il significato della
metafisica; non solo, ma questo avviene anche in Popper sulla base di un'attenta
considerazione del trascen- dentalismo kantiano da lui esplicitata nel
manoscritto del 1930-1933 della sua Logica della scoperta scientifica rimasto
inedito. In esso assai pi presente ed
attenta la discussione dellimpostazione kantiana (per cui egli arriva ad-
dirittura a parlare di una definizione trascendentale della conoscenza), poi
illanguiditasi e un po resa generica nellopera effettivamente edita, della cui
mancata considerazione viene rimproverato il positivismo logico; i suoi
esponenti (Feigl, Carnap, Schlick e Wittgenstein) fondano le loro ricerche di
teoria della conoscenza su un concetto di conoscenza del tutto differente dal
concetto kantiano. Come ha sostenuto Coffa, il furor teutonicus di cui Neurath
e Carnap vibravano allepoca, nelle loro denunce della filosofia tradizionale,
contrasta nettamente con il ben pi ragionevole atteggiamento che Popper
mostrava verso il passato, specialmente verso Kant. Non qui il caso di approfondire questo argomento
o di esprimere delle riserve critiche sulle particolari soluzioni fornite da
Preti nel suo 5 Per tale aspetto si ricorda che Popper aveva criticato il
neopositivismo per la sua tesi della mancanza di significato della metafisica,
che invece per lui ne pos- siede tanto da poter essere euristicamente utile
alla scienza. Analogamente Preti, nel parlare della metafisica mitica, ovvero
di quella tipologia che la pi lontana
dalla metafisica scientifica, tiene a precisare che essa non difettosa perch tratti di una realt che non
possa essere pensata, ma perch il suo concetto non pu mai diventare concreto,
ovvero essere realizzato in termini positivistici con una verifica (ivi, p.
147). 5 Vedi K.R. Popper, Logica della scoperta scientifica, Einaudi, Torino
1970 (1934), e, per le vicende che hanno portato alla revisione del primitivo
manoscrit- to, ora parzialmente pubblicato in K.R. Popper, I due problemi
fondamentali della conoscenza, Il Saggiatore, Milano 1987 (1930-1933), vedi
quanto contenuto ivi, pp. Xv-xvi, 465-474. 56 Ivi, p. 79. 9 A.J. Coffa, La
tradizione semantica da Kant a Carnap, Il Mulino, Bologna, 1997 (1991), p. 528.
GIULIO PRETI, LUDOVICO GEYMONAT E LA FILOSOFIA SCIENTIFICA 65 volume; n
vogliamo fare una tassonomia esatta delle varie forme in cui egli intende la
metafisica; quanto detto sufficiente per
capire il senso della polemica e dei distinguo da lui effettuati nellarticolo
in cui discu- te gli Studi per un nuovo razionalismo di Geymonat. In questa
prima e importante testimonianza dellincontro con laltro maggiore esponente e
conoscitore delle tesi del Circolo di Vienna (mai citato nel corso del vo- lume
Idealismo e positivismo, a cui si preferisce tra gli italiani Della Vol- pe, pi
volte menzionato con approvazione) Preti non solo esprime il suo dissenso in
merito a particolari soluzioni del Circolo di Vienna, condivise da Geymonat (il
problema dei protocolli, la nozione di famiglia di con- cetti, la necessit del
passaggio da una pura logica formale a una logica trascendentale allo scopo di
poter risolvere il problema dal rapporto tra pensiero ed esperienza, i limiti
del convenzionalismo viennese, accen- tuato a scapito del momento empiristico
da Geymonat; e cos via), ma - questa la
cosa pi importante nellottica del nostro studio - vede nello antimetafisicismo
del Circolo il rischio di travolgere tutta la filosofia, tutto quanto il
pensiero, in quanto molti problemi metafisici hanno un reale significato
epistemologico, come ad esempio quello del mondo re- ale. A essere in
particolare sottoposto a critica il suo
convenzionalismo nella misura in cui
inteso come lunica possibile interpretazione della logica matematica e
non ci si avvede che la spiegazione e giustificazione degli assiomi, delle
regole e delle convenzioni che ne stanno a base, ap- partiene a un ramo del
sapere che non la Logica matematica,
non la metodologia, non la critica scientifica: la scienza totale delluomo, la scienza della
cultura intesa come la manifestazione obiettiva delluomo nella sua storia. Tale
deriva metodologista, che fa identificare metodo- logia e filosofia, fa della
scienza un che di astratto, di avulso dalla concreta vita delluomo nella storia
e nella societ, spezzando ogni sua connessione culturale col resto della
cultura e facendo il vuoto pneumatico nella vita storica e culturale. La
conseguenza un razionalismo parziale,
imperfet- to, destinato a fermarsi nellanticamera di quelli che sono i veri
problemi di una filosofia razionalista. Un razionalismo che, non rendendosi
conto della propria parzialit, minaccia di degenerare in forma di irrazionali-
smo o di spiritualismo, in quanto tende a identificare i propri limiti con
quelli della ragione e quindi finisce per consegnare al campo della non ragione
gli altri domini, quali quelli del sentimento, della legge morale, delle
ispirazioni liriche e religiose. E di ci ne
prova lopera di Geymo- nat, in cui troviamo una netta affermazione
irrazionalistica nel campo SF. Minazzi, Lonesto mestiere del filosofare. Studi
sul pensiero di Giulio Preti, cit., pp. 46-47. 9 G. Preti, I limiti del
neopositivismo, Studi filosofici, VII, 1946: 87-96. Ivi, p. 93. & G. Preti, La scienza in
cerca della filosofia, Il Politecnico, 38, 1947: 27-28. 66 FRANCESCO CONIGLIONE
morale. Ma, domanda Preti, perch [...] si dovrebbe sottrarre la con- dotta,
ossia linsieme dei comportamenti, alla ragione scientifica? [...] Sottrarre la
vita morale ai valori dellintelletto significa porla fuori della ragione, e
viceversa: significa, in nome di una scientificit male intesa, opporsi
allultima e pi grande conquista che ancora manca alla nostra intelligenza. Qui
si scorge la portata complessiva della filosofia scien- tifica di Preti, alla
quale nulla deve essere estraneo e che - con maggior radicalismo di quanto
espresso da Geymonat - ritiene di poter ricondur- re tutto il campo del sapere
sotto limperio della scienza: la scienza dei comportamenti e in generale
letica, come anche le altre espressioni della cultura umana, possono essere
intese come una scienza avente la stessa struttura di quelle che studiano gli
altri fenomeni, ma naturalmente al- tro linguaggio, altri concetti, altre ipotesi
di lavoro, altre categorie, ecc. Una scienza per la quale varranno esattamente
le stesse esigenze logiche che valgono per le altre. 4. Dalla ricostruzione che
abbiamo sinora effettuato dei primi lavori di Preti mi sembra emerga con
chiarezza come la irresistibile seduzione della scienza in lui suscitata dallesigenza di sfuggire a
quel bellum om- nium contra omnes, e che egli sperimenta nella fasi della sua
formazione come un urtarsi, pi che di posizioni, di ambizioni personali, di
libidini di dominio e/o di servit, di chiacchiere a vuoto dietro cui si
nasconde- vano pienezze di interessi non precisamente... speculativi - non lo
ab- bia mai portato all'abbandono tout court della filosofia e addirittura
della metafisica. L'impressione che egli aveva di una filosofia in cui contasse
poco la logica e nulla lesperienza, cio di un campo libero dove ognu- no che
avesse un cavallino, o anche semplicemente un somarello, potesse galoppare a
piacere, era alla base dellattrazione su di lui suscitata dal neopositivismo
logico (oltre che dallesistenzialismo per la sua tipica anti- sistematicit e
lotta al dogmatismo), in quanto questo sembrava accoppiare le due esigenze
fondamentali della logica (il rigoroso impiego di deter- minati procedimenti
logici) e dellesperienza (la possibilit di ricorrere ai fatti, almeno come
ultima, ma costante, istanza di controllo di teorie ed asserzioni), oltre che
ad incarnare quellideale di intersoggettivit da lui sottolineato in Idealismo e
positivismo come una imprescindibile ca- ratteristiche che deve avere ogni
filosofia responsabile. A questa duplice
Preti fa riferimento in particolare al saggio di L. Geymonat Stati
sentimentali e valutazioni etiche, in L. Geymonat, Studi per un nuovo
razionalismo, Chiantore, Torino 1945, pp. 268-297. 8 G. Preti, I limiti del
neopositivismo, cit., pp. 95-96. 64 Ivi, p. 96. & G. Preti, Il mio punto di
vista empiristico (1958), in G. Preti, Saggi filosofici, La Nuova Italia,
Firenze, 2 voll., I, p. 476. 6 Ibidem. GIULIO PRETI, LUDOVICO GEYMONAT E LA
FILOSOFIA SCIENTIFICA 67 esigenza verso una filosofia intesa come un onesto
mestiere e non un modo per urlare le proprie passioni o peggio ancora, sfogare
una propria personale libido loquendi, si accoppia anche linfluenza della
fenome- nologia di Husserl che, incontratasi col neokantismo e col relativismo
di Simmel, aveva dato luogo a un nuovo razionalismo estremamente esper- to,
aperto, problematico. Del resto non si deve dimenticare che proprio Husserl
aveva proposto un concetto di filosofia come scienza rigorosa, in ci
riprendendo lin- segnamento del maestro Brentano che era stato uno dei padri
fondatori a Vienna della filosofia scientifica europea con la sua tesi che Vera
philo- sophiae methodus nulla alia nisi scientiae naturalis est; e di tale
nesso Preti consapevole. Tuttavia,
diversamente da Brentano, per il quale la scientificit veniva a coincidere con
quella messa in atto dalle scienze na- turali, in Husserl la scientificit della
filosofia veniva rivendicata in pole- mica con quella delle scienze naturali e
quindi non era modellata sullidea di positivit: la filosofia aveva carattere
fondante e doveva andare in cerca di quei principi assolutamente chiari, di
quei fondamenti indiscussi che stanno al di l di ogni atteggiamento
ingenuamente naturalistico e che permettono alla filosofia, intesa come
fenomenologia, come scienza eide- tica, di farci venire ad una conoscenza
obiettiva e a risultati universali e necessari. Insomma la filosofia per Husserl scienza dei fondamenti, scienza
universale dellessere nel mondo e in quanto tale essa a dover costituire la fondazione delle
scienze e non viceversa, cio come mutua- zione dalle scienze storicamente date
dellideale di scientificit cui dove- va essere ispirata la riforma della
filosofia. Per tale motivo il concetto di scienza rigorosa di Husserl non aveva
nulla a che vedere con lidea di filosofia scientifica come veniva elaborata tra
Ottocento e Novecento da filosofi e scienziati. Tuttavia, nonostante le strade
intraprese dai circolisti di Vienna e dalla scuola brentaniana per molti
aspetti sono state divergen- ti (Husserl
il caso pi emblematico), in molti altri pensatori esse furono comuni
(specie col filone di Twardowski e dei suoi allievi polacchi): la ge- nerale
accettazione dei metodi empirici, linteresse per la logica, il rigetto delle
entit astratte e delle ipostatizzazioni metafisiche, laffidarsi al rigore della
metodologia, specie di quella scientifica. 7 G. Preti, Il mio punto di vista
empiristico, cit., p. 476. 8 Ivi, p. 478. F,
Brentano, Uber die Zukunft der Philosophie. Felix Meiner, Hamburg 1968 (1929),
p. 36. 7 G. Preti, Il neopositivismo del Circolo
di Vienna, Studi filosofici, HI, 1942: 208-209. 71 E. Husserl, Philosophy as Rigorous Science, (1911)
in Q. Lauer (a cura di), Phenomenology and the Crisis of Philosophy, Harper
& Row, New York 1965. ? D. Jacquette, Fin de sicle: Austrian thought and
the rise of scientific philoso- phy, History of European Ideas, 27, 2001: 313. 68 FRANCESCO CONIGLIONE anche questo modo specifico di intendere il
rapporto tra filoso- fia e scienza della posizione husserliana ad essere
presente nei primi scritti di Preti (che ben conosceva la filosofia come scienza
rigorosa di Husserl), in particolare nellesigenza di una filosofia ancora
intesa come fondazione delle scienze, che queste sono incapaci di darsi da so-
le e che quindi spetta alla filosofia di delineare mediante la riduzione
fenomenologica. Tuttavia tale influenza non scivola verso una sorta di
autarchia filosofica, che finisce per convertirsi in idealismo, in quan-
to assai forte in Preti la compresente
influenza del trascendentalismo elaborato dalla scuola di Marburgo, specie
cassireriano, che vede solo nella scienza storicamente costituita, nello stato
di fatto delle scienze razionali, il punto di partenza per ogni considerazione
di teoria della conoscenza, e che per questo aspetto si fa erede della
concezione il- luminista di filosofia. Questa eredit fa s che Preti propenda
sempre verso uno dei due poli in cui poteva essere sviluppato il progetto
episte- mologico kantiano, ovvero quello trascendentale nel quale si rigetta lo
psicologismo in favore della connessione tra epistemologia e logica? e si
assume quale punto di partenza la scienza, in cui la conoscenza, va- le a dire
la scienza, lobiettivo proprio del
metodo trascendentale, e la pietra di paragone dellepistemologia*; mentre sostanzialmente ac- cantonato il progetto
fondazionale (laltro polo), in cui la filosofia viene vista come fondazione e
giustificazione delle scienze e quindi tesa alla esibizione di quelle
fondamenta che avrebbero dovuto porre la scienza su un terreno talmente saldo
da sottrarla ad ogni possibilit di dubbio scettico (ed questo in sostanza il progetto husserliano,
almeno in una sua prima fase). Grazie a questa impostazione neocriticista
lepistemologia, intesa quale luogo privilegiato in cui la filosofia affronta il
problema della conoscenza, non trova la propria adeguatezza in criteri di
razionalit da essa stessa posti - in modo da costituire una sorta di
autocoscienza filosofica e metodolo- 73 G. Preti, Filosofia e saggezza nel
pensiero husserliano, (1934), in G. Preti Saggi filosofici, La Nuova Italia,
Firenze 1976, 2 voll. E. Rodriguez,
Giulio Preti e Ludovico Geymonat: un confronto tra due percorsi filosofici per
la costruzione di un nuovo razionalismo, in F. Minazzi, Il pensiero di Giulio
Preti nella cultura filosofica del Novecento, cit., p. 324. 73 G. Preti, Idealismo
e positivismo, cit., pp. 18-24. % E. Cassirer, Storia della filosofia moderna,
Il Saggiatore, Milano 1968, 4 voll, I, pp.32 e IV, pp. 133, 328). 7 E.
Cassirer, La filosofia dellilluminismo, La Nuova Italia, Firenze 1974 (1932),
p. 10. 78 F, Coniglione La parola liberatrice. Momenti storici del rapporto tra
filosofia e scienza, CUECM, Catania 2002, pp. 182-188. A. Richardson, The Fact of Science and Critique of
Knowledge: Exact Science as Problem and Resource in Marburg Neo-Kantianism,
Isis, 99, 2008: 215. 8 AJ. Coffa, La
tradizione semantica da Kant a Carnap, cit., p. 331. GIULIO PRETI, LUDOVICO
GEYMONAT E LA FILOSOFIA SCIENTIFICA 69 gica dello scienziato cui questo
dovrebbe al limite adeguarsi se smarrisce la retta via bens nella pratica effettiva degli
scienziati, nella conoscenza di fatto conseguita e storicamente consolidatesi.
Essa parte dalla scienza (essa il datum,
il faktum da spiegare e giustificare) e ritorna alla scien- za (il faktum che
costituisce il suo criterio di convalida, il metro della sua adeguatezza). E
sar proprio questo insistere sul faktum della scienza uno dei leit-motiv del
Preti maturo e il motivo principale del privilegiamen- to nel giovane Preti del
trascendentalismo della scuola di Marburgo e di Cassirer in particolare, che ne
permette una pi agevole connessione con le prospettive dellempirismo logico*.
Questa esigenza, che matura progressivamente nellopera di Preti a partire dal
suo trascendentalismo e che avr la sua piena espressione nella riflessione
matura, non affatto estranea a Geymonat,
che la porta sempre avanti con continuit in tutte le sue opere, anche se non a
partire da una esigenza di carattere trascendentale, ma interpretando nel modo
pi autentico e corretto lo spirito del neopositivismo logico (in sostanza schlickiano
e anticarnapiano)*, con lo spogliarlo del suo normativismo per farne una
metodologia descrittiva di quanto le scienze reali di fatto sono**. E tale
comune condivisione giunge nelle opere successive di Preti quasi ad assumere lo
stesso giro di frasi che possiamo ritrovare in alcuni scritti di Geymonat. 8!
M. Ferrari, Ernst Cassirer. Dalla scuola di Marburgo alla filosofia della
cultu- ra, Olschki, Firenze 1966, pp. 21-28. &2 L. Bertolini, Il
trascendentalismo nei primi scritti di Giulio Preti, in F. Minazzi (a cura di),
Il pensiero di Giulio Preti nella cultura filosofica del Novecento, cit., pp.
290-1. 8 M. Schlick, Teoria generale della conoscenza, Franco Angeli, Milano
1986 (1925), pp. 380, 404, 412; M. Schlick (1979) Philosophical Papers, ed. by
H.L. Mulder and B.F.B. van de Velde-Schlick, Reidel, Dordrecht 1979, vol. I
(1909- 1922); K.R. Popper, I due problemi fondamentali della conoscenza, cit.,
pp. 59, 99-101; K. Ajdukiewicz (1951) Logika, jej zadania i potrzeby w Polsce
wspolcze- snej, in K. Ajdukiewicz, Jezyk i poznanie, PWN, 2 voll., Warsawa
1985, vol. II, p. 133; C.G.
Hempel, Empiricism in the Vienna Circle and in the Berlin Society for
Scientific Philosophy. Recollections and Reflections, in F. Stadler (a cura
di), Scientific Philosophy: Origins and developments, Kluwer, Dordrecht et al.
1993, pp. 1-9. ** L. Geymonat, Caratteri e problemi della nuova metodologia, in
L. Geymonat Saggi di filosofia neorazionalista, Einaudi, Torino 1953, pp.
67-81. 85 Scrive Preti: Di fatto, tutte le
analisi - anche quelle di Kant e di Husserl - si muovono sul terreno obiettivo
del discorso. Solo lanalisi del discorso come tale pu evitare reificazioni che
rendono il problema della conoscenza impossibile, la conoscenza un mistero. La
conoscenza un fatto: il nostro
compito analizzarla, rilevarne le
strutture; e sulla base di tale analisi potremo anche vederne gli eventua- li
limiti interni. Ma la conoscenza
discorso. Se al dualismo ipostatico soggetto- oggetto sostituiamo,
proprio secondo i pi validi insegnamenti di Kant e Husserl, la tensione
intenzionale noesi-noema, abbandonato il linguaggio soggettivistico e
mentalistico tale tensione si configura come tensione segno-significato. Il
problema della conoscenza problema
semantico. In particolare, il problema della conoscen- 70 FRANCESCO CONIGLIONE
Questa duplice eredit alla base di
quella oscillazione sul metodo** che avrebbe caratterizzato la fase iniziale di
sviluppo del pensiero di Pre- ti? e che lo spinge in alcuni casi a criticare la
posizione di Geymonat, da lui avvertita come troppo sbilanciata verso una
visione della filosofia co- me metodologia delle scienze, in altri a sostenere,
in congruenza con il suo pensiero (e col proprio trascendentalismo), la necessit
di trovare nel- za filosofica problema
di semantica del linguaggio che si impiega nella discussione filosofica. La
tradizionale domanda che cosa possiamo conoscere? si trasforma in quest'altra:
che cosa possiamo dire? (G. Preti, Saggi filosofici, cit., pp. 461- 62; ma cfr.
anche G. Preti, In principio era la carne, Franco Angeli, Milano 1983, p. 173;
G. Preti, Lo scetticismo e il problema della conoscenza, ora come Scetticismo e
conoscenza, CUECM, Catania 1993 (1974), pp. 17, 28-29). E si veda ora quanto
scritto Geymonat dieci anni prima in merito allabbandono della prospettiva
psicologista dellempirismo, alla necessit di considerare il linguaggio delle
teorie scientifiche, che hanno natura precipuamente linguistica, e quindi di
spostare lattenzione su di esso e infine sulla scienza come dato di fatto
intrascendibile: Negare la validit as- soluta delle leggi scientifiche;
sostenere il carattere convenzionale dei pi comuni postulati della matematica e
della fisica; ripudiare come grossolani equivoci alcuni concetti che furono
considerati da secoli come forniti della maggiore evidenza; sot- toporre ad una
radicale revisione i pi rispettabili principi della logica; rivoluzionare le
teorie che formavano il vanto dei nostri avi; tutto ci possibile perch le nostre critiche, per forti
che siano, non rischiano pi - ormai - di scuotere la solidit della scienza. Il
metodologo del nostro tempo pu permettersi, senza alcun timore, di pro- vare il
carattere umano e variabile di tutta la scienza; pu porre in luce le intrinseche
limitazioni della sua solidit, proprio perch questa solidit non pi in discussione, perch - qualunque abbia a
risultare il suo carattere - essa si
ormai imposta al di sopra di ogni dubbio (L. Geymonat Caratteri e
problemi della nuova metodologia, in L. Geymonat, Saggi di filosofia
neorazionalista, Einaudi, Torino 1953, pp. 67-81). 86 Tali oscillazioni non
furono rare nel pensiero di Preti, spesso motivate da contingenze polemiche o
dalla necessit di collocarsi e differenziarsi allinterno del dibattito
filosofico contemporaneo, cos come
avvenuto ad es. per il concetto di filosofia generale (F. Minazzi,
Giulio Preti: Bibliografia, cit., pp. 20-21). Un al- tro esempio pu essere
quello del concetto di filosofia da un lato definito in modo assai restrittivo
e sostanzialmente assorbito allinterno di quello della scienza (G. Preti,
Continuit ed essenze nella storia della filosofia, in G. Preti, Saggi
filosofici, cit., pp. 114-116), dallaltro rivendicato nella sua autonomia dalla
scienza (G. Preti, Continuit e discontinuit nella storia della filosofia, in G.
Preti, Saggi filosofici, cit., IL, pp. 217-243) e addirittura ricercato per una
sua forma specifica (G. Preti, Continuit ed essenze nella storia della
filosofia, cit.,). Sul modo di intendere la fi- losofia in questi due ultimi
saggi vedi M. Dal Pra, La metodologia della storiografia filosofica di Giulio
Preti, in F. Minazzi, (a cura di) Il pensiero di Giulio Preti nella cultura
filosofica del Novecento, cit., pp. 201-220. Faccio notare che la definizione
polivoca di filosofia data da G. Preti (Continuit e discontinuit nella storia
della filosofia, cit., pp. 218-219) ha il suo pendant scientifico nel modo in
cui L. Geymonat (Convenzionalit e storicit delle teorie scientifiche, in L.
Geymonat Saggi di filosofia neorazionalista, cit., pp. 55-66) riprende e
utilizza la definizione di geometria forni- ta da Veblen: stesso anno, stessa
impostazione, ma su tematiche diverse. # E. Rodriguez, Giulio Preti e Ludovico
Geymonat: un confronto tra due percorsi filosofici per la costruzione di un
nuovo razionalismo, in F. Minazzi, (a cura di) Il pensiero di Giulio Preti
nella cultura filosofica del Novecento, cit., p. 325. GIULIO PRETI, LUDOVICO
GEYMONAT E LA FILOSOFIA SCIENTIFICA 71 le scienze storicamente costituite quei
piani intersoggettivi e quei metodi pi positivi in grado di fare della
filosofia un onesto mestiere e di per- mettere cos di scoprire cosa abbiano in
comune queste diverse forme del sapere, [...] che cosa le renda, appunto,
sapere*. Insomma era lesigen- za per Preti di trovare un piano di ricerca che
muovesse dallesperienza e dalla conoscenza intellettuale, procedendo per le vie
possibilmente pi (relativamente) oggettive e sul terreno il pi possibile
aderente allespe- rienza verificabile. 5. Per quanto riguarda la prospettiva
metafilosofica, abbiamo visto come quello di Preti sia nella prima fase del suo
pensiero una sorta di program- ma massimalista di filosofia scientifica, in cui
la filosofia costituirebbe una sorta di architettonica generale della scienza e
una sua sistemazione unitaria e complessiva, la cui scientificit consegnata alla adozione del metodo delle
scienze fin dove possibile: una
prospettiva verso la qua- le hanno militato altri filosofi scientifici, come il
giovane Schlick o alcu- ni esponenti della scuola polacca, come Tadeusz
Czezowski o Andrzej Grzegorczyk. In ci v' la ragione del suo dissenso verso un
neopositivi- smo che viene esaminato e criticato nella forma che aveva assunto
dopo la svolta che aveva allontanato il Circolo di Vienna dal modo originale di
intendere la filosofia scientifica praticato dai suoi iniziatori (specie il
primo Schlick) e che assegnava ancora alla filosofia un ampio ruolo, ivi
compreso quello di mettere al sicuro le fondamenta sulle quali poggiano le scienze
speciali: un progetto non molto lontano da quello di Husserl (significa- tive
le date di pubblicazione), anche se compiuto con strumenti logici e non
fenomenologici. Tuttavia, successivamente alla svolta dovuta allin- fluenza
della filosofia di Wittgenstein, la filosofia era stata dai viennesi destituita
di ogni validit che non fosse la chiarificazione del linguaggio della scienza e
quindi indirizzata verso quella esclusiva vocazione me- 88 G. Preti, Il mio
punto di vista empiristico, cit., p. 477. 9 Ivi, p. 479. F, Coniglione, Logica, scienza e filosofia in
Tadeusz Czezowski, Axiomathes, 10 Years, a cura di Roberto Poli, vol. VIII,
nrs. 1-3, 1997: 191-250. 9 A. Grzegorczyk, Mata propedeutyka filozofii
naukowej, Inst. Wyd. Pax, Warszawa
1989. M. Schlick, Die Aufgabe der
Philosophie in der Gegenwart, (1911) trad. ingl. in M. Schlick Philosophical
Papers, cit., p. 108. 9 Di questa
differenza tra un primo e un secondo Schlick
consapevo- le L. Geymonat, Paradossi e rivoluzioni. Intervista su
scienza e politica, a cura di G. Giorello e M. Mondadori, pp. 36-37, 39, che la
attribuisce alla influenza di Wittgenstein e alla svolta conosciuta dalla
fisica con la meccanica quantistica. Tuttavia Geymonat non focalizza il
problema della filosofia scientifica. % M. Friedman, Dynamics of Reason. The 1999 Kant Lectures at
Stanford University, CSLI Publications, Stanford 2001, pp. 14-17. 72 FRANCESCO CONIGLIONE todologica che proprio nel
Carnap della Sintassi logica avr la sua pi esplicita, chiara e coerente
realizzazione. Tale programma massimalista della filosofia scientifica fu
allinizio estraneo al pensiero di Geymonat che, molto pi fedele allimpostazione
del Circolo e lontano dalle seduzioni della fenomenologia e del trascen-
dentalismo della scuola di Marburgo, tende a identificare ragione e scienza e
quindi a sposare quel razionalismo timido o incompleto, che abbiamo visto Preti
gli aveva rimproverato. Insomma, in questa fase del loro svi- luppo filosofico
sarebbero profonde le differenze tra Preti e Geymonat in merito alla statuto
della filosofia; come afferma Scarantino, mentre per Preti questa doveva essere
concepita quale struttura formale delle for- me spirituali, in continuit con la
tradizione neokantiana e cassireriana, invece per Geymonat essa veniva intesa
come metodo analitico che per- mette di chiarire i procedimenti scientifici. In
effetti, abbiamo visto co- me Preti nella prima fase del suo approccio al
neopositivismo abbia avuto una pi viva esigenza della funzione della filosofia
rispetto a quanto fatto da Geymonat; questa cominciava laddove finiva la
funzione e il lavoro del neopositivismo, ma giovandosi dei risultati da questo
conseguiti; per cui anche la metafisica avrebbe finito per fruire di questa
depurazione e dis- sodamento del campo del discorso, in quanto molti dei famosi
problemi metafisici nascondono, in generale, veri e propri problemi
filosofico-scien- tifici; solo che la metafisica li rende vani impostandoli in
modo illecito. La critica positivistica ce li deve restituire purificati e
posti nel loro vero senso; ma lerrore del neopositivismo sta nellilludersi di
averli risolti, o meglio dissolti. una
posizione che fa essere Preti perfettamente in linea con le posizioni che nello
stesso torno di tempo venivano esposte dai filosofi della scuola di
Leopoli-Varsavia nei confronti del neopositivismo, i quali pure insistevano nel
criticare, specie in Carnap, lillusione che, mediante lanalisi linguistica, i
problemi della metafisica potessero essere dissolti piuttosto che risolti8; e
non un caso che la filosofia analitica o
scientifi- ca polacca sia stata anche caratterizzata per la mancata influenza
del pen- siero di Wittgenstein, cos come
avvenuto per il primo Schlick. Coglie 9 R. Carnap, Sintassi logica del
linguaggio, cit. % L. Scarantino, Giulio Preti. La costruzione della filosofia
come scienza sociale, cit., pp. 148, 237-240.
G. Preti, Recensione a L. Geymonat, Studi per un nuovo razionalismo
(Chiantore, Torino 1945), Analisi, I, 2. 1945: 114-115. J. Lukasiewicz, Co data filozofii wspczesna
logika matematyczna?, (1936) in Logika i metafizyka, WfiS Uniwersytetu
Warszawskiego, Warszawa 1998, p. 69; J. Lukasiewicz, Logistic and Philosophy,
in Selected Works, (1936), a cura di L. Borkowski, North Holland, Amsterdam
1970, p. 227; M. Kokoszynska, Wraenia z Pierwszego Miedzynarodowego Kongresu
Filozofii Naukowej, Ruch Filozoficzny, XIII, 1937: 5-10; K. Ajdukiewicz, Jezyk
i poznanie, cit., passim. ? Su tutto cid mi permetto di rinviare ancora una
volta a quanto da me detto nelle opere gi citate. GIULIO PRETI, LUDOVICO
GEYMONAT E LA FILOSOFIA SCIENTIFICA 73 bene questa specifica caratteristica del
neopositivismo Alan Richardson! quando afferma che di solito le ricostruzioni
standard del neopositivismo hanno il torto di trascurare il fatto che suo
compito fondamentale stato quello di
portare il rigore, la chiarezza e i metodi della scienza nella filosofia e cos
permetterle di superare la propria crisi grazie alle risorse offerte dal- le
scienze esatte: L'empirismo logico
stato, in primo luogo, un progetto volto ad assicurare lo status
scientifico della filosofia, a trovare un luogo perla filosofia allinterno di
una cultura scientifica. Solo che tale compito non fu condiviso nel corso
dellintera storia del neopositivismo viennese e venne di fatto liquidato dopo
la svolta wittgensteiniana e definitivamen- te affossato con la sintassi logica
di Carnap. proprio questultima fase che
Preti ha davanti e che critica nellopera di Geymonat da lui discussa. Tuttavia
riteniamo che tale divaricazione tra Preti e Geymonat debba essere collocata pi
correttamente allinterno delliter intellettuale di en- trambi, nellambito di
quella sintonia discorde! dove per noi laccento cade, per quanto riguarda il
problema della filosofia scientifica, pi sul pri- mo termine che sul secondo.
Innanzi tutto riteniamo che Preti abbia avuto presente nella sua critica solo
alcuni degli aspetti delle concezioni espres- se da Geymonat negli Studi per un
nuovo razionalismo del 1945, piuttosto che le concezioni contenute in La nuova
filosofia della natura in Germania del 1934 (da lui mai citato). In questultimo
studio Geymonat ha maggior- mente presente la fase iniziale del neopositivismo,
quella anteriore allin- fluenza di Wittgenstein e ancora assai segnata dalle
tesi di filosofia della natura di Schlick come anche dalla sua concezione di
filosofia scientifica. E infatti successivamente Geymonat giudic severamente La
nuova filo- sofia della natura in Germania, addirittura ripudiandola in quanto
le in- formazioni sul Circolo di Vienna non sono esposte col sufficiente
spirito critico, sfuggendogli il loro significato complessivo, cos come lui
stesso si rese conto successivamente quando si rec a Vienna per sei mesi a
partire 100 A. Richardson, Scientific Philosophy as a Topic for History of
Science, cit., p. 90. 1 F, Minazzi, Il cacodemone neoilluminista. Linquietudine
pascaliana di Giulio Preti, cit., p. 33. 102 Geymonat ha sostenuto la
sostanziale continuit del pensiero di Schlick, che a suo avviso non presenta
quella brusca cesura tra una prima e un seconda fase del suo pensiero. Tuttavia
tale continuit da lui inscritta allinterno
di una comune ispirazione empiristica, sicch linfluenza di Wittgenstein viene
intesa - diversamente da come fanno i sostenitori delle due fasi - come un
ulteriore arric- chimento delle sue precedenti posizioni, che semmai subirono
un approfondimento e un arricchimento dovuto agli sviluppi della fisica
contemporanea, in particolare della meccanica quantistica (L. Geymonat,
Evoluzione e continuit nel pensiero di Schlick, (1985) in L. Geymonat, La
ragione, Piemme, Casale Monferrato 1994, pp. 87-95). Quanto da noi qui e
altrove sostenuto non in contraddizione
con tale idea di Geymonat in quanto limita la svolta dovuta a Wittgenstein alla
concezione della filosofia scientifica di Schlick, prendendo in esame anche
opere precedenti a quelle cui fa riferimento Geymonat. 74 FRANCESCO CONIGLIONE
dallautunno del 1933'. Per cui le tesi di tale volume sono anteriori alla sua
frequenza del Circolo di Vienna e anteriori alla influenza di Wittgen- stein,
onde la vera e propria fase di divulgazione delle tesi neopositivistiche
avviene negli anni che vanno dal 1935 al 1945'. Di ci ne dimostrazio- ne il saggio Nuovi indirizzi
della filosofia austriaca del 1935, incluso negli Studi, in cui egli espone la
tipica dottrina wittgensteiniana, fatta propria anche da Schlick, per la quale
il significato dei concetti dipende dalle re- gole (sostanzialmente
convenzionali) per luso dei termini. Ne segue che per analizzare il pensiero
umano, necessario compiere una sua
analisi grammaticale e sintattica, cos come
stato fatto per importanti concetti scientifici la cui
problematicit stata risolta analizzando
le regole che ne governano i significati (come ad es. quelli di serie,
simultaneit, antinomia degli insiemi). Onde il compito della ricerca
filosofica quello di procede- re ad una
chiarificazione del significato, stabilendo se un certo problema ha un senso
oppure no; mentre compito della ricerca scientifica sarebbe quello di decidere
della verit o falsit di un asserto e quindi distinguere i problemi apparenti o
sinnlos, da respingere, e quelli genuini, sinnvoll, dei quali possibile dare una soluzione scientifica.
Come si vede siamo in piena linea di continuit con l'insegnamento
wittgenstein-schlickiano, in cui il compito della filosofia tutto inscritto in questa opera di chiarifi-
cazione sia del linguaggio scientifico, come anche di quello comune, che compito precipuo della filosofia teoretica!.
Tuttavia ci non toglie il fatto che Geymonat non affatto appiattito sulle tesi pi estreme del
neopositivismo e avanza delle istanze che, se non sono in piena linea con le
posizioni del Preti in fase di formazione, tutta- via vanno incontro e in certi
casi preannunciano molte delle istanze che questi svilupper nel prosieguo del
suo pensiero: la necessit di tener mag- giormente in conto la dimensione
storica e dinamica della scienza", il cui sviluppo avviene per crisi
successive e in modo discontinuo, richiedendo una ragione dialettica!; poi
l'atteggiamento non liquidatorio su Kant, del quale si rifiuta il sintetico a
priori e lassolutezza delle forme a priori, ma si cerca in qualche modo di
recuperarne lesigenza allinterno dellat- tivit sintetica soggettiva mediata dal
linguaggio comune, inteso non co- me qualcosa di fisso e universale ma
esprimentesi in forme storicamente 103 Ivi, p. 87. 14 F, Minazzi, Contestare e
creare. La lezione epistemologico-civile di Ludovico Geymonat, cit., pp.
187-92. 15 L, Geymonat, Nuovi indirizzi della filosofia austriaca, Rivista di
filosofia, XXVI, 2, 1935: 146-175 (poi in L. Geymonat, Studi per un nuovo
razionalismo, cit., pp. 13-15, 26-29); L. Geymonat, Convenzionalit e storicit
delle teorie scientifiche, (1951) in L. Geymonat, Saggi di filosofia
neorazionalista, cit., pp. 55-66. 16 L, Geymonat, Nuovi indirizzi della
filosofia austriaca, cit., pp. 33-35, 110. 107 Ivi, p. 6; L. Geymonat, Convenzionalit
e storicit delle teorie scientifiche, (1951) in L. Geymonat, Saggi di filosofia
neorazionalista, cit., pp. 55-58. 08 L, Geymonat, Studi per un nuovo
razionalismo, cit., pp. 157-8. GIULIO PRETI, LUDOVICO GEYMONAT E LA FILOSOFIA
SCIENTIFICA 75 variabili!; o anche linsistenza sullimportanza del linguaggio
comune e dellesperienza quotidiana, che tanto spazio avr nel pensiero di Preti,
e lidea che non esiste un'unica razionalit scientifica cui corrisponderebbe una
razionalit della natura, ma tante, come sono tante le logiche, ciascu- na
determinata dalle sue regole sintattiche: la cos detta razionalit della natura
non pu essere altro che la razionalit concreta e determinata dalle teorie
scientifiche, con le quali la natura trovasi espressa!!! Infine, in me- rito al
ruolo della filosofia, non affatto vero
che questa sia schiacciata ad una mera e sola analisi del linguaggio
scientifico, di quello appartenente alla fisica matematica in particolare;
Geymonat propone piuttosto unac- cezione molto ampia di filosofia, che viene ad
essere riflessione sullespe- rienza umana nel suo complesso, conoscitiva e
sentimentale, purch tale riflessione avvenga secondo il criterio della
precisione critica accuratis- sima, mantenendo la propria analisi sempre fredda
e obiettiva e rima- nendo sempre nel campo dellesatto e del verificabile! In
particolare, per lanalisi degli stati d'animo Geymonat sostiene che si debba
fare una- nalisi fenomenologica, quanto pi scrupolosa possibile e diversa da
quan- to fa la psicologia!!5; lo stesso dicasi per i fenomeni della vita
collettiva per i quali viene auspicata una sorta di osservazione
partecipante!!*. In- somma vero filosofo non
chi autolimita il proprio lavoro ad un campo 10 L, Geymonat, Il pensiero
di Kant alla luce delle critica neo-empiristica, (1943) in L. Geymonat Studi
per un nuovo razionalismo, cit., pp. 36-54. Successivamente Geymonat rivaluta
vari aspetti del pensiero di Kant contenuto nella sua opera spes- so
sottovalutata, Principi metafisici della scienza della natura (1786), pur
rimanendo fermo nello steso giudizio in merito alla priori, ritenendo che egli
possa venire considerato, senza alcun dubbio, come un precursore del pi serio
metodologi- smo. [...] Credo che sia difficile trovare anche in un metodologo
odierno, maggiore chiarezza di espressione e di pensiero: ogni tentativo di
introdurre nozioni assolute nella ricerca scientifica non altro - per Kant - che un tentativo di
opporre una barriera alla ragione investigatrice. La battaglia contro
l'assoluto nella scienza la battaglia
contro questa barriera, contro ogni sorta di chimere, contro il pericolo di
addormentare la ragione umana sul molle guanciale delle qualit occulte [...] E
un insegnamento ancor oggi prezioso, poich ancora oggi il progresso della
scienza si trova spesso intralciato da riferimenti metafisici (tanto pi
pericolosi in quanto inconfessati, che tocca per l'appunto al filosofo
smascherare e combattere. In questa battaglia Kant ci ha fornito un mirabile
esempio di decisione e coraggio; su di esso
bene riflettere seriamente, proprio per essere in grado di imitarlo e di
emular- lo (L. Geymonat, Metafisica e scienza in Kant, (1959) in L. Geymonat,
La ragione, Piemme, Casale Monferrato 1994, pp. 127-128, 130, 135). no L,
Geymonat, Nuovi indirizzi della filosofia austriaca, cit., p. 33; L. Geymonat,
Studi per un nuovo razionalismo, cit., pp. 110-119, 269-270; L. Geymonat, La
nuova impostazione razionalistica della ricerca filosofica, (1951) ora in L.
Geymonat, La ragione, cit., p. 87. ui L, Geymonat, Studi per un nuovo
razionalismo, cit., pp. 260, 278-279. u2 Ivi, p. 301. n? Ivi, pp. 299-301. 4
Ivi, pp. 329-335. 76 FRANCESCO CONIGLIONE ben definito, ma colui che ama il
rigore, la chiarezza, l'esattezza, anche allorch queste lo costringano a
rinunciare a sintesi grandiose, piene di fascino e di bellezza!!5. Certo non v
in Geymonat lattenzione di Preti per la metafisica e il tentativo di
giustificarne e difenderne il ruolo nella scienza; non v' quella visione
massimalista della filosofia che nulla vuo- le escludere dal campo della sua
scientificit (e qui la differenza da Preti evidenziata in merito al problema
morale significativa), tuttavia la dif-
ferenza tra Preti e Geymonat non sembra essere alimentata da questioni di fondo,
ma da un diverso atteggiamento nei confronti del neopositivi- smo, pi cauto e
meno fanatico quello di Preti, pi entusiasta quello di Geymonat, che capace di ingoiarlo in blocco e lavorarci
dentro, per interpretarlo in maniera pi conforme alle proprie esigenze!!,
Geymonat non ha intenzione di ridurre la filosofia a una sterile disci- plina
di secondo livello, ad una metariflessione sui concetti e le strutture
conoscitive fornite da discipline consolidate e definite nel loro carattere di
scientificit, bens quello di trasporre e di trasferire al discorso filoso- fico
quei concetti di rigore, esattezza e verificabilit razionale da lui indi-
viduate come metodo precipuo delle discipline scientifiche storicamente
costituitesi, allinterno di una concezione della filosofia improntata a una
nuova razionalit ad un tempo estremamente modesta ed ambiziosa, nella quale si
esprime il nuovo illuminismo!. in
effetti questo un ca- rattere comune di tutti coloro che in Italia si
accostarono, in diversi gra- di, al neopositivismo, che evitarono di accettare
in modo acritico i suoi punti di vista pi radicali e polemici, per cui la
condanna alla metafisica, ad esempio, non si trasform mai in una condanna della
filosofia. Ed us Ivi, p. 340. u6 quanto
si evince da una lettera di Preti ad A. Banfi del 20 luglio 1950, in F.
Minazzi, Giulio Preti: Bibliografia, cit., pp. 37-38. u7 L, Geymonat, La nuova
impostazione razionalistica della ricerca filosofica, cit., pp. 92-96. Parecchi
anni dopo Geymonat (Paradossi e rivoluzioni. Intervista su scienza e politica,
cit., p. 57) attribuisce al nuovo razionalismo come da lui inteso il progetto
per cui lattivit filosofica avrebbe dovuto costituire delle grammati- che
capaci di farci comprendere il significato dei concetti noti nelle varie
discipline e delle teorie su di essi costruite. Non c'era nemmeno bisogno di
sposare le tesi che pi profondamente connotavano il programma antimetafisico
dei viennesi... Si trattava, al contrario, di unattivit in cui ogni serio
filosofo poteva impegnar- si perch forniva un metodo di analisi critica che non
restringe la ricchezza dei nostri veri effettivi pensieri. Cos scrivevo allora.
E aggiungevo che questa era la via maestra del nuovo razionalismo, un nuovo
razionalismo per tempi e uomini nuovi. Come si vede la elaborazione di tali
grammatiche innanzi tutto non era limitata alle scienze fisico-matematiche;
inoltre non coincideva con la loro sintassi logica n aveva connotati
antimetafisici. Questa prospettiva non era molto lontana dal programma pretiano
della filosofia come analisi dei linguaggi che costituivano le ontologie
regionali delle varie discipline. us M. Pera, Dal neopositivismo alla filosofia
della scienza, in E. Garin (a cura di), La filosofia italiana dal dopoguerra a
oggi, Laterza, Roma-Bari 1985, p. 103. GIULIO PRETI, LUDOVICO GEYMONAT E LA
FILOSOFIA SCIENTIFICA 77 questa anche
lesigenza prevalente nella riflessione di Preti. Da quanto egli scrive negli
anni immediatamente successivi a quelli prima esami- nati - i medesimi in cui
Geymonat produce alcuni dei suoi lavori pi significativi entrati a far parte
del Saggi di filosofia neorazionalista!!? - emerge con chiarezza come egli sia
a favore della sostanziale identit strutturale di scienza e filosofia: cos come
non esiste una scienza, cos pure non esiste una filosofia, ma molteplici filosofie,
tenute insieme da ci che tiene unite le scienze, e cio la scientificit, essendo
la distinzio- ne tra pensiero filosofico e pensiero scientifico un frutto
neoromantico. Non solo, ma viene stigmatizzato il carattere deteriore della
metafisica in quanto non risponde alle esigenze di scientificit che oggi formu-
liamo nei nostri linguaggi perfetti; ci giustifica la lotta delle correnti
scientiste innanzi tutto contro quella metafisica inconsapevole di troppi
filosofi contemporanei [...] che hanno volto del tutto le spalle ad ogni
esistenza di scientificit, hanno ripudiato qualsiasi forma di controllo dei
loro discorsi: sono dei letterati [...] dei retori, degli autobiografi, ten-
denti a denotare in maniera impropria ed allusiva emozioni, speranze, paure e
delusioni personali. Dunque, una forte esigenza di scientificit e critica alla
metafisica, ma anche lidea di poter elaborare un discorso filosofico che abbia
le stesse richieste che la critica scientifica pone al discorso scientifico:
verificabilit e rigore'?0. Ma si detto
che questa una esigenza prevalente in
Preti, specie nel- la ricostruzione ex post facto del proprio pensiero che egli
ne fa e che ha verosimilmente influenzato molti degli interpreti!!. Ed infatti
non so- no mancati in lui quelle tipiche oscillazioni che ne hanno
caratterizza- to il pensiero: diversamente si esprimeva qualche anno prima
quando, dopo aver definito lepistemologia come una riflessione della scienza su
se stessa, della scienza che si prende a proprio oggetto (per ci distin-
guendola dalla filosofia della scienza, pi interna alla problematica pro-
veniente dalla tradizione filosofica), finiva per affermare con decisione che
La filosofia o diventa letteratura, volta a rapsodeggiare variazioni sul
destino delluomo, oppure, se vuole conservare i suoi tradizionali caratteri
razionalistici, di formalit e universalit, non pu che diveni- re epistemologia
unitaria. Ma in tal modo finisce per essere affievo- lita esigenza
dellautonomia della filosofia dalla scienza, visto che essa, 1 L, Geymonat
Alcuni atteggiamenti filosofici che derivano da posizioni scien- tifiche ormai
abbandonate, (1953) in M. Pasini, D. Rolando (a cura di), Il neoillumi- nismo
italiano. Cronache di filosofia (1953-1962), cit., pp. 20-24. 20 G, Preti,
Criticit e linguaggio perfetto, (1953) in G. Preti, Saggi filosofici, cit., I,
pp. 114-116. 21 G. Preti, Il mio punto di vista empiristico, cit., pp. 482-484.
122 G. Preti, Due orientamenti nellepistemologia, (1950) in G. Preti, Saggi
filo- sofici, cit., I, p. 55. 78 FRANCESCO CONIGLIONE interpretata come
epistemologia unitaria, non pu che essere collocata allinterno del campo della
scienza. stato sostenuto che il
contrasto tra i due filosofi sia emerso in parti- colare a seguito della
relazione tenuta da Geymonat, in occasione del con- gresso di Torino del
movimento neoilluminista tenutosi il 3-4 giugno 1953. In questa occasione
Geymonat avrebbe sostenuto che la filosofia non debba costruire una sintesi
delle scienze, ma limitarsi a considerare il rapporto tra i metodi delle varie
scienze, intervenendo per la loro modifica critica dallinterno; per cui la
filosofia dovrebbe essere intesa come metodologia e come coscienza storica
dellevolversi delle scienze e degli intrecci ai quali essa va incontro, non
senza una prospettiva di unificazione del sapere, con ci puntando a
giustificare il compito della filosofia della scienza rispetto alle scienze, pi
che il compito semplicemente della filosofia rispetto alla scienza. A quanto
pare, nella discussione che ne segu (e della quale non resta, cos come della
relazione di Geymonat, alcuna traccia scritta se non nelle cronache effettuate
dalle riviste, per cui dobbiamo affidarci al ricor- do di Dal Pra) prende corpo
il contrasto tra Geymonat e Preti, ovvero tra la filosofia intesa come
filosofia delle scienze e quindi come loro metodo- logia generale, in Geymonat;
e - in Preti - la filosofia come sintesi delle scienze, cio come determinazione
dello stesso piano della scientificit e come mantenimento di alcuni
tradizionali problemi metafisici rielaborati in forma logica rigorosa*. Di
fronte alla tesi di Geymonat di un discor- so filosofico che ha il compito di
porre in luce le strutture di ogni singo- la scienza, promuovendo la
consapevolezza del processo di ricerca, v' il rifiuto pretiano di una mera
considerazione metodologica delle scienze e l'esigenza di determinare il
carattere di scientificit delle varie discipli- ne (anche di quelle morali)
sulla base di una loro considerazione storica: questo sarebbe il compito della
filosofia. Ma, come abbiamo visto, Geymonat nelle sue opere pi significative di
questo periodo era stato lungi dalloperare una cos drastica riduzione. 123 Ad
ulteriore esemplificazione delle oscillazioni di Preti nel corso della sua
carriera, si veda quanto dice della filosofia, intesa non pi come epistemologia
della scienza unitaria, ma come meta-epistemologia, in G. Preti, Pluralit delle
scienze e unit eidetica del mondo scientifico, in G. Preti, Saggi filosofici,
cit., II, pp. 511-512. Questo carattere della filosofia di Preti stato anche notato dagli interpreti pi at-
tenti, che vedono in ci le non poche difficolt in cui si incorre nella
interpretazione del suo pensiero; cfr M. Dal Pra, Introduzione a G. Preti, In
principio era la carne. Saggi filosofici inediti (1948-1970), Franco Angeli,
Milano 1983, p. 9; P.L. Lecis, Giulio Preti e lidealit del soggetto
trascendentale, in F. Minazzi, (a cura di) Il pensiero di Giulio Preti nella
cultura filosofica del Novecento, cit., pp. 364-365; questa, intesa in modo pi simpatetico, la
spiralit del pensiero di Preti di cui parla F. Minazzi, Il cacodemone
neoilluminista. Linquietudine pascaliana di Giulio Preti, cit., pp. 38 sgg. 124
M. Dal Pra, Il razionalismo critico, in E. Garin, La filosofia italiana dal do-
poguerra a oggi, cit., p. 57. 15 G. Zanga, Un convegno a Torino e nuovi compiti
per la filosofia italiana, Il pensiero critico, 7-8, 1953, p. 104. GIULIO
PRETI, LUDOVICO GEYMONAT E LA FILOSOFIA SCIENTIFICA 79 Ci tanto pi vero per lopera del 1934, nella
quale non solo viene riven- dicato il valore filosofico dei risultati
scientifici!, ma la filosofia scientifi- ca viene intesa come qualcosa di pi
ampio del positivismo, che ne una
particolare declinazione! e di conseguenza si rigetta lidea che la filosofia
possa essere riassorbita in una scienza particolare: la filosofia , e rester,
sempre la conoscenza razionale riflessa dellatto conoscitivo, anche se il suo
metodo non pu che esser quello di tener conto anche e sopra tut- to dei
risultati della ricerca scientifica!*. Tale dipendenza nel metodo di
trattazione non segno di inferiorit in
quanto la filosofia, quale regina di ogni nostro sapere (vengono quasi
letteralmente riprese alcune espres- sioni di Schlick), non dipende solo dalla
scienza, ma da tutti i risultati di questo nostro sapere, empirico,
scientifico, storico, artistico. Per cui se la filosofia dipende e si avvale di
tutte le nostre conoscenze, daltro lato pe- r le completa. Ed infatti tutte
queste conoscenze, come aveva ben intuito lo Schlick, richiedono veramente
qualcosa di diverso da s medesime per essere spiegate in modo completo; ma ci
richiedono non perch risulti- no in s poco chiare, bens perch vengono sempre a
porre qualche altro problema, che trascende i limiti della loro ricerca. Questi
nuovi problemi, ai quali siamo portati da tutte le nostre conoscenze
particolari, rappresen- tano un tipo superiore di questioni, cui si risponde,
non, come pretende- rebbe lo Schlick, con una forma di atti estranei
allintelletto, ma con una forma di intelligenza pi pura, pi completa:
lintelligenza filosofica!?0. Sicch Geymonat parla del nuovo spirito che anima
il neopositivismo e che rivolto sopra
tutto a ristabilire una profonda continuit fra la filo- sofia, eterna madre
delle pi alte questioni dell'animo umano, e la scienza, cardine fondamentale di
tutta la nostra odierna civilt! Come si vede tutt'altro che svalutazione della
filosofia e sua riduzione a mera metodo- logia delle scienze consolidate, a
pura sintassi logica del linguaggio delle teorie scientifiche in stile
carnapiano! Ma non questa solo una
posizione di quasi ventanni prima; anche in un saggio del 1952 (ovvero lanno
prima del convegno di Torino), Geymo- nat fa esplicito riferimento alle
posizioni del neoilluminismo in rapporto alla metodologia scientifica,
sostenendo che esso non consiste nellassor- bimento della filosofia da parte
della scienza, ma piuttosto nellaggior- namento dello spirito critico della
filosofia moderna, sulla base della piena consapevolezza dei metodi e caratteri
delle ultime, pi significative, ricer- che scientifiche. Non a caso viene
distinta la funzione del metodologo da quella del filosofo: il primo si propone
il compito di analizzare le basi e i procedimenti della scienza effettiva, i
rapporti tra teorie ecc. (ci che oggi 126 L. Geymonat, La nuova filosofia della
natura in Germania, cit., p. 7. 127 Ivi, p. 27. Ivi, p. 41. 129 Ivi, pp. 41-42.
150 Ivi, p. 110. 80 FRANCESCO CONIGLIONE rientra nel compito della filosofia
della scienza), in tal modo fornendo allo scienziato una maggiore
consapevolezza dei mezzi di cui fa uso; la sua ope- ra costituisce cos il pi
prezioso contributo della scienza contemporanea allopera del filosofo. Il
neorazionalismo si basa appunto sull'opera del me- todologo quale punto-base
per una riforma della filosofia: non
questo un programma puramente metodologico, ma largamente filosofico che
ne integra lopera valorizzandola su di un piano non puramente scientifico;
sicch non sarebbe in linea di principio inconcepibile che qualche studioso di
metodologia intendesse il proprio lavoro in maniera pi ristretta e quin- di
finisse per disinteressarsi delle questioni filosofiche generali. Ma il neo-
razionalista vede la metodologia solo come una premessa, nella misura in
cui convinto che la razionalit non possa
essere studiata a priori, ma solo nelle sue concrete realizzazioni. Nondimeno
esso nutre il convincimento che la consapevolezza filosofica di tutte le
conseguenze ricavabili da questa posizione
per un compito schiettamente filosofico che trascende la pura metodologia?
Ne segue che metodologia della scienza e filosofia neorazio- nalista (o
neoilluminista) sono lungi dal coincidere; e per sostenere questo punto di
vista Geymonat non solo rivendica di aver in passato assunto delle posizioni
critiche nei confronti del neopositivismo viennese (cos come gli stato riconosciuto da critici quali Filiasi
Carcano e Capone-Braga), ma non esita e ribadire le manchevolezze riscontrate
nella concezione filosofi- ca ricavata dalle loro premesse metodologiche.
Giacch il neorazionalismo (da distinguere dal neopositivismo) attribuisce al
rinnovamento metodo- logico - il cui merito non va negato ai viennesi -
un'importanza decisiva per tutta la filosofia'*: le tecniche razionali da esso
messe in atto possono e debbono essere applicate allo studio delle altre
questioni concernenti la vita e la cultura, portandovi il medesimo abito di
spregiudicatezza critica e il medesimo rigore di analisi e di osservazione'.
Persino le questioni tradizionali della metafisica possono essere affrontate in
modo nuovo, ri- nunziando allimpostazione radicalmente antimetafisica: [...] lo
spirito innovatore del neorazionalismo si spinge a punti ancora pi ambiziosi; e
precisamente ad applicare la propria indagine critica alle stesse questioni
ritenute di maggior attualit fra i metafisici mo- derni, non pi col solo
intento negativo di denunciarne i presupposti dogmatici, ma al fine di scoprire
se al di sotto di questi presupposti -
non si possa ritrovare un nucleo del problema, consistente e forni- to di significato!*.
ni L, Geymonat, Neorazionalismo e metodologia, Annali della Facolt di Lettere e
Filosofia e di Magistero dellUniversit di Cagliari, 1952, rist. in Saggi di
filosofia neorazionalistica, Einaudi, Torino 1953; ora in L. Geymonat, La
ragione, cit., pp. 99-103. 132 Ivi, p. 108. 133 Ivi, p. 109. 134 Ivi, p. 110.
GIULIO PRETI, LUDOVICO GEYMONAT E LA FILOSOFIA SCIENTIFICA 81 Una posizione
ribadita, tra laltro, proprio nel secondo convegno del movimento neoilluminista
(Milano, 20-21 dicembre 1953) dove Geymo- nat, in polemica al modo di fare
filosofia di Aliotta non sostiene la inuti- lit di questultima o la sua
scomparsa come disciplina autonoma, bens esprime la sua convinzione che esista
un altro modo di filosofare, molto diverso da quello prospettato dallAliotta.
Per attuarlo, bisogna per ave- re il coraggio di compiere una svolta radicale,
facendo dellattivit filo- sofica qualcosa di molto pi serio, di molto
impegnativo e faticoso, non meno serio e non meno denso di controlli che
qualunque attivit scien- tifica particolare; una seriet e una svolta di cui
Geymonat d prova accingendosi ad affrontare - con gli strumenti messi a
disposizione dalla moderna metodologia - alcuni classici problemi tratti dalla
storia della filosofia, come la questione del nulla e delle tenebre in
Fredegiso di Tours o lanalisi critica delle discussioni sulla prova ontologica
o il problema de- gli universali!5,
questo un programma di filosofia scientifica che nel suo rifiuto
dellantimetafisica dei viennesi e nella sua visione pi complessiva di una
filosofia neorazionalista ispirata ai metodi della scienza assomiglia molto a
quello fatto proprio dalla scuola di Leopoli-Varsavia, che appunto del rifiuto
della liquidazione meramente sintattica e linguistica della filo- sofia aveva
fatto la propria peculiare caratteristica! Dal Pra sembra avvedersi di questo
fatto e facendo riferimento ai Saggi di filosofia neorazionalista del 1953
sostiene che in essi vi un elemento
nuovo rispetto a quanto sostenuto precedentemente (ovvero nel corso del
convegno di Torino del 1953 in cui egli sostiene vi sia stata la descritta di-
varicazione con Preti): il fatto che Geymonat accetta ormai un orizzonte
filosofico che oltrepassa l'ambito della semplice metodologia; si tratta di
passare, infatti, dalla metodologia delle teorie scientifiche allo studio di
altre questioni della vita e della cultura; in tal modo linvito di Preti era
accolto, anche se in un modo caratteristico, e cio non tanto aprendo la strada
alla disamina di vecchi problemi della tradizione metafisica, epu- rati alla
luce dei nuovi criteri, quanto invece estendendo lapplicazione di quei nuovi
criteri a campi diversi della scienza, a questioni, appunto, della vita e della
cultura! A parte il fatto che, come abbiamo visto, Geymonat parla esplicitamente
di riesaminare i tradizionali problemi della metafisica (lestensione a quelli
della vita e della cultura era gi avvenuta nelle opere precedenti), singolare la tesi di Dal Pra per cui Geymonat
finisce per ac- cettarein un saggio scritto nel 1952 linvito di Preti
rivoltogli nel convegno 155 L, Geymonat, Alcuni atteggiamenti filosofici che
derivano da posizioni scien- tifiche ormai abbandonate, cit., pp. 22-23. 86 L,
Geymonat, Saggi di filosofia neorazionalista, cit., pp 101-137. 157 F, Coniglione,
Per la storia della filosofia scientifica. Il Circolo di Vienna e la Scuola di
Leopoli-Varsavia, cit; F. Coniglione, The Place of Polish Scientific Philosophy
in the European Context, cit. 158 M. Dal Pra, Il razionalismo critico, cit.,
pp. 61-62. 82 FRANCESCO CONIGLIONE del 1953! Perch forse questo sfuggito agli interpreti, che spesso si sono
limitati a ripetere lautorevole giudizio di Dal Pra: le posizioni di Geymo- nat
di apertura alla filosofia e la fuoriuscita dal metodologismo viennese sono ben
antecedenti al famoso convegno del 1953; di essi si ha traccia in tutta la sua
precedente opera per ricevere una loro esplicita e assai chiara formulazione
nei due saggi del 1951 e del 1952. 6. In cosa risiederebbe allora il dissenso
tra Preti e Geymonat? Se ci fer- miamo al periodo considerato, ovvero sino ai
due congressi di Torino e Mi- lano del 1953 e agli anni immediatamente
successivi, vediamo che esso si caratterizza in una prima fase, e nella misura
in cui Preti influenzato dalla
fenomenologia e ancor pi dal neocriticismo, da una maggiore propensione da
parte del filosofo pavese in direzione di una filosofia scientifica che sia in
grado di ricomprendere in s tutte le varie forme di cultura (aspetto che nel
prosieguo del suo pensiero avr sempre pi peso), e da una attenzione e
valorizzazione della metafisica come orizzonte ipotetico e unitario allin-
terno del quale la scienza traccia la sua strada. D'altra parte, in nessuna
fase del suo pensiero Geymonat segnato da
una esclusiva ed estremistica con- divisione del metodologismo neopositivista e
dalla tesi di una filosofia come mera analisi linguistica della scienza si
tratta piuttosto di una questione di accenti che variano in dipendenza
dell'argomento trattato. In ogni caso non assistiamo affatto ad una sua
conversione su influenza di Preti verso un modo pi comprensivo di intendere la
filosofia, cos come stato soste- nuto,
ma piuttosto ad una evoluzione endogena che aveva forti motivazioni gi
allinterno del modo in cui veniva da lui interpretato il neopositivismo e che
negli anni successivi a quelli da noi considerati trover ulteriori moti-
vazioni nelladesione al materialismo dialettico e al marxismo. 159 F, Minazzi,
Il cacodemone neoilluminista. Linquietudine pascaliana di Giulio Preti, cit.,
pp. 34-38; L. Scarantino, Giulio Preti. La costruzione della filosofia come
scienza sociale, cit., pp. 231-245. 140 Ad esempio nel 1936 Geymonat, nel
recensire lopera di Reichenbach sulla probabilit, sottolinea come sia un errore
pensare che questo sia un problema che possa essere risolto mediante una
formalizzazione matematica, in quanto il pro- blema della possibilit o meno di
applicare il calcolo delle probabilit un
proble- ma filosofico molto generale, che non pu semplicemente risolversi
scegliendo una definizione della probabilit piuttosto che unaltra, ma dipende
da una complessa analisi critica di tutto questo tipo di calcolo (L. Geymonat,
Nuovi indirizzi della filosofia austriaca, cit., p. 37). Con ci Geymonat
sottolinea come lanalisi pura- mente sintattica di un concetto o di un
problema, o anche la sua formalizzazione assiomatica, costituiscano solo le
premesse affinch una critica filosofica possa aver luogo con piena
consapevolezza ed evitando gli inganni e gli equivoci che posso- no scaturire
da una errata posizione del problema, non certo la sua soluzione, che richiede
sempre una presa di posizione filosofica. Insomma, come avrebbe detto Preti (G.
Preti, Recensione, cit.), la filosofia comincia laddove finisce la sintassi e
la metodologia: non pare che da questo punto di vista tra i due autori vi sia
una reale divaricazione, se non per una questione di accenti e di scansioni
temporali. GIULIO PRETI, LUDOVICO GEYMONAT E LA FILOSOFIA SCIENTIFICA 83 In
ogni caso - e questo l'elemento che
accomuna i due pensatori - in entrambi, pur con le variazioni e le incertezze
esaminate (specie in Preti), ritroviamo un concetto di filosofia scientifica
intesa in una duplice acce- zione: come filosofia che accetta e fa propri i
criteri di scientificit proposti dai saperi storicamente costituiti e quindi si
propone come sapere rigo- roso e intersoggettivamente controllabile,
quellonesto mestiere che sia Geymonat che Preti invocano; e come
metariflessione sulle varie forme di articolazione della cultura umana, che per
assume in Preti una de- clinazione di tipo trascendentale, in Geymonat
meramente linguistica. In nessuno dei due
invece presente lidea che la filosofia possa essere ridot- ta alla mera
analisi linguistica delle forme concrete del sapere scientifico (e quindi
essere una filosofia di...) o debba essere intesa come astrazio- ne e
generalizzazione a partire dalle scienze, allo scopo di effettuare una sintesi
onnicomprensiva che ci faccia pervenire ad una verit sul mondo indipendente ed
eccedente rispetto alle varie articolazioni del sapere, una sorta di
super-scienza ad esse sovraordinata. Con gli anni Cinquanta, possiamo
concludere, le posizioni dei due pen- satori raggiungono il loro punto di
maggior raccordo, con un Preti che si avvicina sempre pi alle posizioni empiriste
del neopositivismo, pur man- tenendo laccezione di filosofia scientifica aperta
che abbiamo delineato; e un Geymonat che sviluppa ulteriormente le aperture
verso la filosofia scientifica e quindi riduce il suo tasso di metodologismo e
sintatticismo, che tuttavia mai aveva messo a tacere, neanche nel suo periodo
pi neo- positivista, lesigenza di una filosofia autonoma rispetto alla sintassi
logi- ca della scienza. Per tutta questa fase, ci sembra che sia corretto
estendere la diagnosi da Parrini! rivolta al solo Preti anche a Geymonat: si
tratta in entrambi i casi di una questione di dosaggio tra esigenze
razionalisti- che (e diremmo filosofiche) ed esigenze empiristiche o
riduzionistiche, pi tipicamente di origine neopositivista (o di una certa fase
del neoposi- tivismo). Quel dosaggio e quel giusto riconoscimento del ruolo
della filo- sofia che fu una caratteristica della filosofia scientifica nel suo
senso pi proprio e che sembra essere stato uno dei motivi fondamentali dellepi-
stemologia italiana, per questo aspetto molto pi simile alla filosofia ana-
litica polacca di quanto non fosse allepistemologia viennese, specie se di
provenienza carnapiana. 14! P, Parrini, Presentazione a L. Scarantino, Giulio
Preti. La costruzione della filosofia come scienza sociale, cit., p. XIII. 12
P, Parrini, Preti teorico della conoscenza, cit., p. 62. TRE STUDI SU PRETI (E
DUE APPENDICI) Franco Cambi I. Giulio Preti: un filosofo eclettico? 1. Una
lettura di superficie...e en profondeur dello stile-di-pensiero Sia liter
evolutivo del pensiero di Giulio Preti, nel percorso declina- to durante
quattro decenni (e che decenni, anche dal punto di vista cul- turale, oltre che
sociale e politico!), sia il modello complesso e dinamico assunto via via dal
suo razionalismo critico (che va pensato come fo- cus di questo modello, come
gi indicava Dal Pra e oggi ci ricorda Fabio Minazzi), possono apparire (e sono
apparsi) contrassegnati da un para- digma (o tensione o orientamento che sia)
di tipo un po (molto?) eclet- tico. Da una volont/capacit (ma critica, va
sottolineato) di ibridare/ miscelare vari tipi di filosofia (ismi o metodi che
siano), di renderli tra loro interattivi e organicamente pregnanti in modo
reciproco, delinean- do cos un fare-filosofia di sintesi e un obiettivo di
pensiero che nella cri- ticit fissa il suo asse caratterizzante e il suo
principium individuationis. Pertanto il pensiero denso e plurale e organico di
Preti solo in superficie (ovvero a uno sguardo frettoloso e non interpretativo)
pu apparire co- me eclettico e quindi contrassegnato da coabitazione di modelli
diversi attuata attraverso uno sguardo di sintesi, mentre in realt e pi in
profon- dit un fenomeno aperto e
dinamico, plurale e organico al tempo stesso, guidato in tale operazione da
un'ottica trascendentale che tiene fisso lo sguardo a ci che regola il diverso,
a ci che accomuna, alle funzioni che fanno rete. Ed alla luce di questo punto-di-vista che si
organizza tutta l'avventura di pensiero del filosofo pavese, la quale
attraversa e epoche e modelli assai difformi, carichi di tensioni, aperti a
molteplici soluzioni, ma in essi fa valere quello sguardo kantiano che , alla
fine, il vero e pi radicale imprinting originario e permanente del pensiero di
Preti. Un kantismo neokantiano e marburghese ma che costantemente si rinnova
nellincontro con altre posizioni filosofiche, dalle quali assorbe nuove lin- fe
e attraverso le quali supera gli stessi formalismi del trascendentalismo
tradizionale. Un trascendentalismo, allora, problematico e aperto, che fa da
fulcro a quellapparente eclettismo e che ne rivela, invece, la profon- da
identit teoretica, connessa a una filosofia dell esperienza che vede lattore
dellesperienza stessa sempre meglio definito nel suo ruolo tra- Franco Cambi e
Giovanni Mari (a cura di) Giulio Preti : intellettuale critico e filosofo
attuale ISBN 978-88- 6655-039-6 (print) ISBN 978-88-6655-044-0 (online PDF)
ISBN 978-88-6655-048-8 (online EPUB)
2011 Firenze University Press 86 FRANCO CAMBI scendentale proprio dalla
sua stessa concretezza empirica e storica. E nel suo farsi costruttore
delluniverso dei significati, dal linguaggio e le sue forme alle stesse forme
simboliche della cultura e proprio al loro deter- minarsi storicamente e
socialmente. Il pensiero di Preti non
eclettico, bens sintetico-critico guidato da un trascendentalismo non
formalistico che lo lega a cogliere le strutture dellesperienza, partendo dal
trinomio di soggetto/cultura/societ. E su queste strutture viene a filtrare le
varie esperienze filosofiche possibili e significative e a delinearne lo
specifico valore o funzione. Quindi il suo eclettismo solo apparente, mentre in realt l opera una
precisa volont di sintesi filosofica, ancorata a un esercizio di filosofia cri-
tica a sua volta radicata sullanthropos, riletto in particolare come attore
complesso del fare-esperienza. Va anche sottovalutato che in questa volont di
sintesi e di sintesi criti- ca Preti interpreta anche un istanza profonda della
filosofia del Novecento, che nella sua ricchezza/variet di ismi e di modelli ha
tenuto fermo un bisogno comune: di fissare una teoria dellesperienza e la
fenomenologia delle sue forme, tessendo un quadro organico dei suoi fronti
plurali e dei suoi diversi livelli. A questo scopo, per, bisogna aprire il
pensiero filoso- fico ai vari contributi arricchendo e affinando cos la
comprensione della ricchezza, variet, complessit dellesperienza. A una lettura
attenta del cammino del pensiero di Preti tale aspetto sintetico-produttivo
risulta in modo evidente. E in molti modi. 1) Sul piano del confronto con le
filosofie del tempo (e non solo di quello pi immediatamente contemporaneo) per
estrarne contributi meto- dologici e/o tematici. E confronto che stato, in Preti, costantemente ripreso. 2)
Sul piano del modello teoretico di sintesi che si affina e integra in s i vari
contributi riportandoli al focus di un trascendentalismo sempre pi ricco e
criticamente fine. 3) Sul piano di una densa filosofia dell'esperienza che
abbina razionali- smo critico e fenomenologia della cultura sulla base di
unantropologia e storica e culturale, in cui la prospettiva del linguaggio si
fa determi- nante nella regolazione e nel potenziamento dellesperienza stessa.
Da ci emerge un modello filosofico di forma raffinata e complessa. Tutt'altro
che eclettico. Bens critico e sottilmente critico. Modello che ancora oggi
continua a parlarci e per la sua ricchezza e la sua volont di rigore. E che,
perfino, continua a parlarci anche dai suoi margini e dal- le sue possibili
zone d'ombra o di minor luce. Margini e zone che ci sono ma che non
indeboliscono affatto la lectio di tale percorso di riflessione radicale. Anzi,
ne evidenziano sia lidentit sia la funzione epocale (e di unepoca di cui lo
stesso postmoderno si fatto, pi
nitidamente, erede: del pluralismo, del mtissage, del dialogo, orientati a dar
luce alla com- plessit propria dellesperienza dei moderni). TRE STUDI SU PRETI
(E DUE APPENDICI) 87 2. Le tappe di una sintesi costante in un cammino
costantemente ripreso Gi con le opere-chiave di Preti (o libri-manifesto come
ebbe a dire Garin) disposte nei tre decenni del suo lavoro maturo quellottica
di co- struzione-di-sintesi del pensiero pretiano appare in piena luce e si
delinea (nella sua costante ripresa) come un identikit di quel pensiero.
Idealismo e positivismo nel 1943 delinea i punti dincontro (logici e
metodologici) di quei due modelli filosofici, assunti nella loro piena maturit
e oltre ogni loro accezione metafisica. Sono due prospettive che si allineano
nellanalisi del concreto, cio dell'esperienza come essa si d allattore-uomo e
alla sua mente, ricondotta alloriginariet e immediatezza del suo fare
esperienza. Gi qui, allora, niente eclettismo ma integrazione critica per
permettere un'analisi anch'essa critica del fare esperienza. E si rilegga la conclusione
dellopera per convincersene. E tutto ci si compie alla luce di un critici- smo
gi flessibile e aperto, volto a leggere le strutture stesse, ma dinami- che, in
cui lesperienza si d. Praxis ed empirismo rilancia un'operazione analoga
quindici anni dopo, collegando intimamente filosofie opposte e qui accolte,
invece, dentro un tessuto di dialogo, ovviamente critico. La filosofia della
prassi e lempiri- smo logico si fanno plafond per attivare una metafisica
critica (alla Dewey) dellesperienza, a base antropologica, storico-culturale, e
una fenomeno- logia della cultura di contrassegno logico e socio-culturale al
tempo stes- so. Una posizione di sintesi attiva che ben venne ad illuminare
tutto un contesto culturale, sia come provocazione sia come - appunto -
sintesi. E come tale fu recepita. Se pure se ne fissarono anche i limiti, in un
modello feuerbachiano dellanthropos come pure nella idealizzazione della
scienza come regola aurea dei saperi. Anche qui niente eclettismo, bens costru-
zione di una filosofia pluralistica capace di delineare una lettura critica
dellesperienza: en structure e secondo funzione socio-cultural-politica. Anche
lopera del 68 (Retorica e Logica) si dispone su questa frontiera. Riprende il
tema delle due culture e attraverso unanalisi strutturale che ne fissa
lintegrazione dialettica dentro una condizione storica dei sape- ri e
dell'esperienza in generale. Quella dei moderni che gi dal Seicen- to attiva nella cultura europea e che, oggi, noi
dobbiamo fissare come modello culturale di base, che garantisce insieme la
variet delle forme culturali e la loro costante integrazione. Ancora: niente
eclettismo bens strutturalismo critico. 3. La teoreticit di sintesi e di
radicalizzazione Ma qual la teoresi che
in quest'opera costante di costruzione sintetica e critica dentro lesperienza
del Mondo Moderno e al di l delle posizioni filosofiche irrigidite in ismi si
viene a delineare? proprio quel raziona-
lismo critico avanzato pi volte sottolineato dagli interpreti pi acuti del
pensiero pretiano. Quelli che cercano di leggere lo stemma pi trasversale 88
FRANCO CAMBI e pi permanente dentro unavventura di pensiero che, in s, polimor- fa, duttile, in continua
metamorfosi. Stemma che lega trascendentalismo, empirismo e elementi di
storicismo (molto critico) in un mlange che of- fre un dispositivo di analisi e
di ricostruzione dellesperienza dei moderni secondo un'ottica complessa e
non-riduttiva. S, vero, elementi di irrigi-
dimento di tale esperienza ci sono: lantistoricismo dichiarato (ma eser- citato
a met), la scienza come regola ne varietur del cognitivo, l'assenza
dellinterpretazione sia rispetto al linguaggio, sia allanthropos sia allex-
periri. Ma ci non fa velo al disegno avanzato di teoreticit che Preti vie- ne a
rappresentare e che stato pi e pi volte
esposto e comunicato: dal convegno del 1987 agli studi di Dal Pra, a quelli di
Minazzi, di Petitot, di Scarantino e di molti altri. Il suo trascendentalismo
empiristico, posto den- tro unempiria storico-sociale, in cui la cultura ha un
ruolo assolutamente chiave per dire/capire il Mondo, fa emergere sia una teoria
dellesperienza (che si incardina sul metodo razionale-critico e da l rilegge
forme e livelli e tensioni nellesperienza: cultural-linguistico-scientifica),
sia una teoria della cultura (complessa, dinamica, aperta, regolata dalla
criticit) come pure una teoria della societ e una teoria dellanthropos.
Elementi attra- verso i quali prende corpo, come gi detto, una metafisica
critica: quella di un uomo-in-carne-e-ossa come attore dellesperienza, che si d
in una mente che legge il mondo e lo fa attraverso il linguaggio e
specializzando i linguaggi, proprio per possedere part entire la complessit stessa del Mondo.
Come pure si d in unazione volta a promuovere istanze e biso- gni di
quellanthropos concreto e universale, di cui ogni soggetto porta- tore. L si delinea anche una
gnoseologia che si fa analisi dei linguaggi e indagine strutturale della
cultura. Siamo davanti a un modello teoretico s complesso, s che ha attinto a
vari modelli filosofici, ma che si dato
un nettissimo profilo di teoreticit (di sintesi? sia pure; ed un elemento di positivit e proprio nellagire
fi- losofico del Novecento che Preti ricordava e negativamente, gi negli anni
Quaranta, come un tempo di proliferazione di ismi, Pun contro laltro armati,
produttori di un caos riflessivo, che andava disboscato e ridotto allordine).
Teoreticit capace di accogliere la lectio dei moderni e di inol- trarla come
memento metodico nel fare-pensiero e del presente e dellav- venire (almeno di
quello che ci sta in vista). Una teoreticita - proprio per questo - fine,
organica, produttiva. 4. La filosofia dell'esperienza a base antropologica Si
tratta di una teoreticit, poi (e non
affatto secondario, se pure que- sto risulta un aspetto meno
sottolineato nell'analisi del pensiero di Pre- ti) consegnata (nel senso di
fatta emergere da e resa funzionale a) un anthropos letto come carne e logos e
il logos come riflessivit critica (alla Kant: rivolta a leggere le condizioni
di possibilit dell'esperienza che quel corpo-pi-mente fa) e come organizzazione
logica (rigorosa e proprio TRE STUDI SU PRETI (E DUE APPENDICI) 89 perch
metodicamente definita) dellesperienza stessa.
luomo empiri- co, critico, sociale dei Moderni che Preti pone al centro
della sua filosofia critica/ricostruttiva e lo pone proprio come a quo e ad
quem, come atto- re e fruitore di quellesperienza costruttiva che la filosofia
deve mettere a fuoco e pensare come patrimonio intellettuale comune. Come
visione del mondo, da sottrarre alla cattura (autoritaria,
deresponsabilizzante, in toto nefasta) di chiese, di ideologie, di partiti; da
sviluppare invece secon- do un modello di esercizio
intellettuale post-ideologico e, pertanto, post- impegnato, ecc.: libero
soprattutto. Proprio lopera-manifesto del 57 (letta insieme al saggio, dello
stesso anno, su Adam Smith) ci mette meglio a fuoco questo modello di anthro-
pos, moderno, critico, democratico, ma che in s gi porta bisogni e valori, a
partire dai quali va ri-costruita e la cultura (e la societ). E sono valori di
uguaglianza e di vitalit concreta (carnale/sociale) che si impongono, come pure
di universalit e rigore che regolano il pensiero, attivando in ciascuno quella
libera universalit umana che in un altro volume, uscito sempre nel 1957, Preti
indicava come la scoperta luminosa e permanen- te della civilt greca e come
animatore costante della cultura occidentale, sia conoscitiva che sociale.
Siamo davanti a una filosofia dellesperienza, allora, ricca, complessa e
organica al tempo stesso, come gi ricordato che pone al centro il doppio
dispositivo della concretezza (umano-sociale) e della criticit (articolata e
aperta). Un modello di pensiero, per, inevitabilmente di ieri, proprio di un
tempo in cui l'impegno, categoria depoca, continuava a tessere il pensiero
anche dei disorganici? Forse, non proprio. 5. L'attualit postmoderna di un
iter/modello filosofico Guardato dal postmoderno (dopo-le-ideologie;
dopo-le-certezze; nel- pluralismo/dissenso; nella-decostruzione; nella-differenza;
ecc.) cosa ci dice il pensiero di Preti, riletto nel suo stemma pi dinamico, pi
aperto, declinato al di l del suo stesso gioco critico di ismi assunti come
vettori di un metamodello critico? Nulla? Poco? Molto? Io propendo per il mol-
to e per tre ragioni. 1. Perch ci delinea che pensare-il-pensiero , ormai, un
processo sem- pre in movimento. Posto nellansia di una trasformazione continua,
in cui conta pi la tensione teoretica che il modello di teoresi a cui ci si
deve, tuttavia, legare. Ma sempre in modo mobile e aperto. Come Preti stesso ha
fatto rispetto al suo trascendentalismo critico, al suo razionalismo
empiristico e critico, al suo neoilluminismo. Poich lo ha vissuto co- me sempre
in costruzione/ricostruzione. Sempre in affinamento e allarga- mento, tramite
un dialogo critico con le, via via, sempre nuove posizioni di pensiero, come
pure con quelle della tradizione medesima, su cui co- stantemente tornato. 90 FRANCO CAMBI 2,
Perch ci ha consegnato una filosofia dell'esperienza ricca e densa, inscritta
in una metafisica critica sottile e matura, legata a una analisi tra-
scendentale delle forme dellesperienza, capace di fissarne struttura, me- todo
e gioco dialettico (tra le forme stesse). Sempre ancorandosi a quella
condizione moderna da cui noi abitiamo il mondo. E che lo stesso post- moderno
continua tener viva come radice. Come gi molti ebbero a sot- tolineare nel
dibattito sul postmoderno intessuto nei primi anni Ottanta. Tesi che continua a
mantenere una sua precisa validit. 34, Perch pu guidarci, con un suo modello
(trascendentale-empiri- co-critico), a dar corpo a quel metamodello (fatto di
complessit, artico- lazione, pluralismo) di cui il sapere e il pensare (e il
sapere e lesperienza) contemporanei reclamano come dispositivo-trasversale-guida,
sempre pro tempore e in situazione, certo, ma capace di dare ordine alla stessa
caoticit, come complessit, come divergenza, come inquietudine, tipica del Mondo
Attuale. E a ogni suo livello. Anche dei saperi. Anche della ri- flessivit
filosofica. Quel modello pretiano che attiva uno sguardo meta, interpretativo e
regolativo, ci si offre come un punto di vista efficace per attraversare il
nostro tempo storico, senza perdere di vista limpegno del pensiero a dar Ordine
e Senso al reale. Che attiva, s, uno specifico mo- dello, ma che nel far ci d
corpo a un'istanza comunque fondamentale e da non far deperire. Che poi listanza stessa, a ben guardare, della
teore- ticit compresa nella sua identit organica e nella sua funzione
rivelativa del tessuto pi formale dellesperienza stessa. Ieri. Oggi. E anche
domani. II Riflessioni sullultimo Preti 1. 1957: il modello maturo del pensiero
pretiano? Gli anni 1957-58 vedono il pensiero filosofico di Preti manifestarsi
nella sua piena maturit. Quel pensiero che media trascendentalismo e empiri-
smo, pensiero scientifico e antropologia storico-materiale, alla luce di un
razionalismo critico di marca neoilluminista e che si dispone come uno dei
modelli pi avanzati (ed europei, notava Garin) della filosofia italiana. Un pensiero
sottilmente analitico, metodologicamente aggiornato e finissi- mo, storicamente
interpretato, ma sempre criticamente orientato e perfino a cogliere le penombre
stesse di tale modello integrato e complesso. Tra le tre opere del 57 (Praxis
ed empirismo; Alle origini delletica contempo- ranea; Storia del pensiero
scientifico) e i due articoli del 58 (Il mio punto di vista empiristico e
Scienza e tecnica) Preti delinea un preciso modello di teoreticit per una
cultura moderna e aperta, che fissa nella scienza (e nel suo metodo: la
verificazione) il proprio volano e ne sviluppa il profilo analitico-critico in
ogni ambito della vita culturale e sociale. Ma di tale modello fa emergere
anche la costruzione storico-culturale degli a priori, come gi ebbi a sottolineare
in un mio articolo di alcuni anni fa. Un mo- dello quindi saldo e inquieto al
tempo stesso. Che si fissa come empiri- TRE STUDI SU PRETI (E DUE APPENDICI) 91
stico, ma critico, e come antistoricistico, ma recuperando la storicit in
prospettiva critica. Un modello maturo e organico, anche e proprio den- tro la
biografia filosofica di Preti. Un modello che fece discutere, ma che apparve
subito come significativamente attuale e avanzato. Negli anni successivi tale
modello non muta. Si riconferma. Si ostende anche. Ma piano piano qualcosa si
trasforma. Prende quota unaltra stagione del pensiero pretiano. Sempre ancorata
al trascendentalismo, ma che svilup- pa una nuova teoria della cultura, s
ancora metodologica, ma pi inquieta e dialettica. la stagione che avr al proprio centro
Retorica e logica (del 1968), Umanesimo e strutturalismo (postumo, del 1973),
gli interventi (numerosi e variegati) su La Fiera Letteraria (tra il 1967 e il
1968, raccolti in parte in Que ser, ser, del 1970) e la ripresa di Cassirer,
sempre nel 1970, con la pre- sentazione a Determinismo e indeterminismo.
Allora: c' un centro in questo ultimo Preti? E qual ? E cosa viene a
configurare rispetto alla stessa fase di maturit? Detto in breve: il centro ,
come gi detto, una teoria dialet- tica della cultura, di marca s
trascendentalista, ma pi propriamente cas- sireriana e pertanto animata dal
problema delle strutture (nelle sue forme, nella sua dialettica, nelle sue
stesse logiche oggi e qui). E questo centro si fa immagine culturale di massa,
esce dal suo ambito specialistico-accademico e diviene - negli anni Sessanta:
anni di diffusione sociale della cultura e di un pi efficace ruolo di
orientamento etico-politico e di mentalit sociale da parte di questa -
messaggio, appunto, sociale. La collaborazione a La Fiera Letteraria (che
riprende, in un clima diverso, l'impegno dellintellettuale che Preti sent
proprio al tempo del Il Politecnico di Vittorini ma ora de- clinandolo nella
forma, diciamo cos, dellintellettuale critico e costitutiva- mente disorganico,
sia al Politico sia al Mercato) lo testimonia nettamente. 2. La teoria della
cultura Preti stesso, nellavvio del suo
Retorica e logica che ci indica nel pro- blema delle due culture il punto di avvio
di una riflessione struttura- listica sulla cultura stessa. L quel
problema posto come epocale e da
sviluppare ormai molto sul serio. Sotto legida dello strutturalismo, s, ma di
uno strutturalismo di forma fine, trascendentalistico e fenomenologico e critico,
di cui, forse, Cassirer resta un modello non del tutto implicito. Cassirer,
infatti, come credo di aver mostrato in un articolo recente, ha un ruolo
generativo e costante nellorganizzazione del pensiero pretia- no. Il Presente
storico figlio del Passato e, qui da
noi, la civilt europea ha una tradizione, centrata su due fuochi culturali:
leredita letteraria e la gloriosa storia della scienza. Letteratura e scienza
sono due forme, due atteggiamenti, che ora si trovano ancora di fronte, forse
per lultima volta, da studiare attentamente nella loro identit e funzione, se
voglia- mo che la civilt europea debba continuare a vivere. Allora esse vanno !
G. Preti Retorica e logica, Einaudi, Torino 1968, p. 9. 92 FRANCO CAMBI fissate
sia nelle loro strutture, sia nella loro dialettica. Strutture gnoseolo-
gicamente diverse, ma dialetticamente complementari, secondo un gioco di
alternanze e di integrazioni, che risulta sempre storico e in cui cultura
axiologica e cultura teoretica si legano come coppia dialettica, animate da
retorica e logica, da persuasione e dimostrazione. Abbiamo cos, due modi di
fondare un mondo: teoretico e axiologico?. Tra essi si dispone un conflitto, ma
sempre empirico e storico, connesso a situazioni vitali, in cui proprio il
teoretico svolge una funzione di critica dellethos e di suo sviluppo. L'opera
del 68 d corpo a una teoria della cultura, riletta mo- re philosophico (secondo
le strutture), e a una sua dinamica aperta, in cui proprio al pensiero viene
riservato un ruolo innovatore. Contro ogni ide- ologismo, oltre ogni storicismo
dogmatico. A questa quota, per, lopera mostra anche alcuni punti deboli:
lapartheid della teoresi, che tutta da
dimostrare; la sua storicit prevalentemente formale (relativa alle for- me
culturali), che offusca i suoi interni condizionamenti storico-sociali. Il
limite stesso di un kantismo che indaga strutture e tende a fissarle, pur nella
storia e nella storia di una civilt come compatte e ne varieretur. E qui proprio il cassirerismo pretiano che si fa
significativo. Il quale, pur tuttavia, reclama una visione articolata e in
movimento della cultura, ca- pace di renderla pi nuova e problematica rispetto
al dominio del princi- pio di verificazione reso centrale nellopera del 57,
Praxis ed empirismo. Ma c' di pi: anche la visione della scienza si amplia.
Anche si stori- cizza nella contemporaneit. Accanto alle scienze naturali, come
scien- ze tout court, ora anche le scienze umane acquistano voce e attraverso
lo strutturalismo (e la sua nozione di struttura) vengono rese metodologi-
camente rigorose. Umanesimo e strutturalismo, rispetto alla Storia del pensiero
scientifico del 57, allarga l'orizzonte del fare-scienza: le strutture fungenti
sono quasi leggi di natura, che agiscono come trascendentali, e ci vale
nelleconomia politica, nella psicoanalisi, nella linguistica ecc., dando corpo
a epistemai che agiscono come regolativi oggettivi fungenti e non essenti,
eidetici e non empirici, sebbene non mai attuali se non nei fatti di esperienza
che essi modellano e in cui lintuizione eidetica, che li tematizza, li
riconosce e li isola (per astrazione). L'ultimo Preti fissa, cos, una teoria
della cultura pi complessa e dina- mica, anche pi storica (connessa a una
civilt: quella europea), e dialettica, animata dalla nozione di struttura,
colta nella sua funzione trascendenta- le. E c' qui un pi netto richiamo a
Kant, attraverso unottica cassireriana soprattutto. E poi la stessa nozione di
scienza si amplia, se pure unifican- do i suoi diversi domini, ancora, intorno
al principio-struttura e alla sua funzione intenzionale e trascendentale. Alla
luce dello strutturalismo, ri- letto more theoretico, Preti aggiorna il suo
kantismo, come pure sviluppa la nozione di scienza, allargandone i confini. Ma
cos si pone anche come 2 Ivi, p. 227. G. Preti, Umanismo e strutturalismo,
Liviana, Padova 1973, p. 19. TRE STUDI SU PRETI (E DUE APPENDICI) 93 un
interprete fine e complesso di tutta una temperie culturale degli anni
Sessanta, che tra due culture, struttura, funzione, dialettica ha messo a fuoco
i propri principi-guida. 3. L'uso del saggismo L'ultimo Preti, per, esce anche
(di nuovo) dallAccademia (che stato il
luogo specifico del suo pensiero e indicato orgogliosamente come tale:
specialistico e separato) per farsi saggista. E d prova di essere uno scrit-
tore di saggi preciso, efficace, ben consapevole di un altro stile nelleser-
cizio del pensiero, in cui laxiologico, il letterario, il persuasivo hanno una
precisa cittadinanza. Tutta la serie di articoli apparsi su La Fiera Lette-
raria sono un episodio significativo di questo ulteriore sviluppo del suo
pensiero. Che si fa impegnato nel non-impegno (come schieramento po- litico
della cultura). Si fa pensiero critico-ironico. Connesso a procedu- re di
logica della persuasione e di efficacia retorico-letteraria. Capace di
rinnovare mentalit e visioni del mondo. Certo, contro ogni pensie- ro
soggettivo, contro ogni ideologismo, contro ogni anti-scientismo, ma motivando
sempre il suo argomentare per persuadere. E quindi per fare educazione della
societ e aprire a una nuova (rigorosa e critica insieme) visione del mondo, in
cui la critica vista proprio nel suo essere disorgani- ca si mostra nella sua
stessa funzione di mutamento sociale, rinnovando coscienze, stili di pensiero,
universo axiologico. Preti si fa saggista, anzi micro-saggista. Ma qui rende
operante un preciso obiettivo etico-politico, connesso a un'idea di democrazia
aperta. Lintellettuale disorganico si fa (e deve farsi) organico a unidea di
cultura critica, da sviluppare costan- temente nel confronto del e col presente
e da diffondere. Allora, qui, emergono quattro aspetti 1) la valorizzazione
della forma- saggio; 2) limpegno per e della cultura ma posta sopra al
politico; 3) una visione del mondo di tipo moderno e fertile nellesercizio
stesso della de- mocrazia. 4) una tensione educativa, relativa alla mentalit e
connotata dal potenziamento dello spirito critico, della mente libera e capace
di rinno- vare le prospettive socialmente vigenti. Luso della forma-saggio anche un richiamo di Preti al suo uso di
Simmel, presenza banfiana e giovanile. Certo altro il saggiamo simmeliano posto come forma pi
alta del pen- siero. In Preti il saggio
occasionale. Il suo pensare resta organico e siste- matico. E
metodologicamente definito. Per: ora la forma-saggio, col suo persuadere, col
suo diffondersi si pone accanto al pensare rigoroso e lo problematizza anche.
Almeno lo pone en question, avvicinandolo alla re- torica e attraversandolo con
la logica delle due culture. Qui tale forma- di-quasi-micro-saggio si palesa
nel suo dialogo col lettore (con artifici specifici: interrogazioni retoriche;
testimonianze in prima persona) e nel suo concludere convincente s, ma sempre
interlocutorio, come pure nel ritornare ai problemi di fondo (esempi: Arte: una
parola equivoca; Ser- ve ancora la filosofia?; Chi ha paura della scienza?).
Dentro quei saggi si delinea unidea di cultura (che quella teorizzata poi in Retorica e logica 94
FRANCO CAMBI e che mette al centro la cultura autentica, teoretica, da far
valere per/ nella democrazia, che Preti accoglie dalla riflessione di Dewey
(riletto nel 1958) e di Oppenheim (su cui si sofferma nel 1964) e vede
contrassegnata proprio dallesercizio del libero pensiero. 4. L'identit pi
problematica di un pensiero? L'ultimo Preti (quello degli anni Sessanta) porta
avanti, rinnovandolo, lo stemma complesso del suo pensiero (di sintesi e di
interazione tra pi modelli), facendolo procedere oltre la sintesi stessa del
1957 fortemente ancorata al primato del pensiero analitico, sia pure posto al
servizio di un uomo contrassegnato dalla coscienza sensibile e da un ruolo
attivo nel- lo sviluppo della vita sociale. E lo fa secondo tre traiettorie: 1)
la ripresa di Kant applicata a una teoria della cultura, complessa e organica e
criti- ca al proprio interno, fissata in strutture e dinamiche; 2) lattenzione
allo strutturalismo che si fa il suo interlocutore fondamentale, rispetto al
me- todo e alla stessa norma della scienza e/o dei saperi; 3) la coltivazione
di un saggiamo colto e vivace al tempo stesso che rilancia, dentro e con- tro
la cultura di massa, unidea di cultura alta e articolata e capace di tener vivo
lo sguardo critico, l'innovazione e il dissenso. Possiamo dire che, nellopera
di questo decennio, Preti si delinea ancor pi come intel- lettuale disorganico
al servizio della cultura e della condotta delluo- mo, a cui intende porgere un
punto-di-vista sul mondo che, s, carico
di storia, di tradizione anche, ma che filtra sempre attraverso un uso cri-
tico della mente, tanto sul piano axiologico quanto su quello teoretico (il
ritorno del problema dellarte, la riedizione del testo di Hume, del 1946, sono
sintomi efficaci), capace di svolgere anche e proprio un preciso ruo- lo e
sociale e politico. Lintellettuale Preti sta cos, insieme, con e contro il
"68, con cui, a molta distanza, interloquisce. Con il suo
ritorno-all-impe- gno, s ma contro e oltre il suo impegno ideologico.
Prospettandone uno pi squisitamente culturale, incardinato sullesercizio
critico della mente proprio di un individuo disorganico, appunto, ma libero e
capace di por- tare, nella stessa societas prospettive costanti di libert. III
Preti e Pascal: il dialogo di una vita 1. I tre volti del Pascal di Preti Con
Pascal Giulio Preti ha avuto un rapporto privilegiato. stato uno dei suoi autori su cui tornato pi volte e lungo tutto il cammino
del- la sua ricerca. Ne stato editore e
interprete. Dal 1944 (anno di Pascale i giansenisti uscito per Garzanti nella
collana I filosofi) fino alla morte. Nel testo del 1944, Pascal viene
contestualizzato tra crisi del XVII seco- lo, giansenismo e nuova scienza,
nonch ripresa critica del messaggio cri- stiano in chiave di filosofia
dellesistenza. Ma sono temi che torneranno TRE STUDI SU PRETI (E DUE APPENDICI)
95 anche nelle riprese successive. Le Provinciali escono nella traduzione di
Preti nel 1972. Sul pensiero di Pascal
ritornato pi volte anche negli an- ni della maturit piena del suo
pensiero: nel 1957 e nel 1968, dedicandogli pagine assai fini nel contesto del
Storia del pensiero scientifico e di Retorica e logica. Nel 1959 pubblica
Opuscoli e scritti vari presso Laterza. Pascal si offre a Preti come un
interprete-chiave del Moderno (e del suo baricentro: il Seicento) e come acuto
teorico delle logiche dei saperi moderni, appunto. Poi anche come un sensibile
interprete dellantropologia connessa allav- vento della Modernit che fissa,
delluomo, le contraddizioni esistenziali e lansia di riscatto, che il filosofo
francese incardina in modo radicale nel- la fede, ma una fede senza dogmi e
incardinata a sua volta sul messaggio biblico, da riattivare, agostinianamente,
nella coscienza, animata proprio da un cor inquietum che vive, insieme, un
bisogno di certezza e unansia di verit come approdo di una scelta personale. Va
subito detto, per, che il Pascal dei Pensieri resta nella riflessione pretiana
abbastanza fuori sce- na. Di esso riconosce la matrice in Montaigne e Port
Royal, ma su queste frontiere lattenzione pretiana resta pi tiepida. Forse
proprio il richiamo fatto al maestro francese sia dallesistenzialismo religioso
(e non solo) sia dallo spiritualismo cattolico (filosofie con le quali Preti
dialoga sempre assai criticamente) hanno invitato il filosofo pavese a lasciare
fuori scena questo aspetto, pur fondamentale, nel pensiero di Pascal. Anzi per
molti il suo contributo pi alto, moderno, attualissimo sempre. Ma a un pen-
satore come Preti, cos estraneo in sostanza alla tematica religiosa (e si
rileggano le stesse pagine di Praxis ed empirismo dedicate a Religione e
scienza per fissare il dialogo pretiano col religioso: critico, materialistico,
decostruttivo e connesso alla crescita della scienza come ritiro del magi- co e
del teologico e vittoria della tecnica e delletica laica), quel fronte del
pensiero di Pascal interessa poco, se non come posizione storica (contro i
gesuiti e la Chiesa-Tradizione) e quaestio storico-culturale collocata nel
decollo del Moderno (dove , invece, molto significativa). A Preti interessa
soprattutto laltro Pascal: lo scienziato e il logico. Interprete della pole-
mica antiumanistica del Seicento, come sottolineer nel volume del 68 e acuto
diagnostico delle due culture, come pure aperto polemista contro il principio
di autorit. Sono questi i tre volti che guidano, e gi dal 1944, il dialogo tra
il razionalista critico Preti e lo scienziato religioso e quasi mistico Pascal.
Un dialogo che, oggi, pu apparirci, un po incompleto. Capace di sacrificare le
tensioni e le connotazioni pi profonde di quellan- tropologia della finitezza
cos care al filosofo francese e che lo rende, nel suo radicalismo esistenziale
e intellettuale ad un tempo, ancora nostro in- terlocutore, e acuto e
problematico, perfino nelle soluzioni ultime che ci presenta, ancorate, anche
qui modernamente e molto, al doppio principio della scommessa e del come se. Ma
questo , di fatto, un altro discor- so che poco ci illumina sul dialogo,
intenso e costante, tra Preti e Pascal. Un aspetto, questo, del pensiero
pretiano fin qui meno affrontato, anzi lasciato un po in ombra dai critici,
anche da quelli pi attenti e pi fini, ma che
centrale proprio per declinare
part entire linterpretazione sottile del 96 FRANCO CAMBI Moderno che
Preti ha tenuto ferma nello sviluppo stesso del suo pensiero. Solo Papi aveva,
nel convegno su Preti del 1987, fissato con la sua consueta finezza, il posto
che Pascal occupa nel pensiero pretiano, sottolineando che [...] Pascal stato studiato da Preti tutta la vita, e vi
sono alcune ragio- ni di congenialit importanti, ma di superficie: la ragione
scientifica contro la tradizione, lo sguardo sul mondo piuttosto che la
recitazione dei libri, la perfettibilit del sapere rispetto allautorit, la
riforma del metodo che derivata dalla
struttura del ragionamento geometrico che
semplice, e funge da modello prendendo il posto della logica sillogi-
stica, la separazione delle discipline scientifiche e filologiche secondo le
metafore dellintelligenza e del cuore. Ma oltre a questo, c' unaf- finit
istintiva pi profonda, una specie di identificazione rovesciata. La conoscenza
per Pascal tutto il lavoro possibile
che dato allin- telligenza di una
creatura finita ed ospite di un mondo dominato dal disegno di Dio. Anche per
Giulio Preti la conoscenza lunico lavoro
filosofico serio per un uomo che immerso
nel ciclo naturale che lo condiziona e, infine, lo domina tra carne e morte, le
quali sono il nostro destino. [...] come in Pascal, prigioniero tra teologia e
scienza, anche in Preti illimpido lavoro della ragione ha un suo riflesso
tragico sul confine intrascendibile della vita. Queste di Papi sono parole illuminanti
per delineare proprio la com- plessit e la centralit, in Preti, del dialogo con
Pascal. 2. Alle radici del Moderno Rileggiamo le pagine di Retorica e logica,
dove il ruolo articolato e ri- velativo che Pascal svolge nel Seicento, nel
secolo che inaugura davvero la Modernit nei saperi e nella societ stessa (con i
suoi Leviatani ma anche con la crescita della borghesia, con le logiche
dispotiche del cuius regio ma anche con le voci del giusnaturalismo, della
tolleranza, del costituzionali- smo politico, ecc.), risulta del tutto
illuminato. L Pascal s collocato nella
polemica antiumanistica, e nella nascita della nuova scienza, ma vi collocato come esponente di un modernismo pi
maturo e consapevole. Egli sta al centro di quelliter culturale che contesta
lautorit e la memo- ria del passato come segno efficace del fare-cultura. Alla
memoria con- trappone il ragionamento, che si organizza nellesperienza e si
attiene alla logica scientifica, la quale si appella a un pensare del genere
umano come tale, e lo lega al presente, al pensare in atto di individui in
carne ed ossa, qui e ora viventi e, appunto, pensanti. Qui Pascal sta gi sul
fronte della futura Querelle des anciens et des modernes, valorizzando le
posizioni dei 4 F. Papi, Giulio Preti: l'ombra vuota dellidea e il fuoco della
passione, in F. Minazzi (a cura di), Il pensiero di Giulio Preti nella cultura
filosofica del Novecento, Franco Angeli, Milano1988, pp. 36-37. TRE STUDI SU
PRETI (E DUE APPENDICI) 97 moderni, per i quali gli antichi non bastano e il
dubbio, la ricerca, il ragionamento, appunto, sono i nuovi principi
metodologici, da poten- ziare oltre che da riconoscere e legittimare. Cos
Pascal vive il travaglio del Moderno e lo riattiva nei suoi scritti solo
apparentemente minori, co- me il Trattato sul vuoto (del 1647) e come L'arte di
persuadere (del 1657). Sono due testi-chiave e proprio per capire la mentalit
del Moderno e il suo stesso strumentario logico, che gi per Pascal si duplica
in due model- li esemplari disposti sulle frontiere delle due culture. Tali
modelli sono, appunto, la retorica e la logica. La prima convince, si basa sul
gradimento, si appella al cuore e si rivolge a un uditorio ristretto,
tendenzialmente ad hominem ed propria
dei saperi filologici, storici, religiosi. La seconda si lega allintelletto,
guarda alla verit dimostrata, si connette a un metodo, si rivolge a un uditorio
universale e, col Moderno, si lega anche a un prin- cipio di semplicit, oltre
che di rigore formale, mutuato dalle matematiche. Sempre nellArte di
persuadere, per, Pascal riconosce che ogni ragiona- mento parte da
principi-valori indimostrati, bens presupposti e su di essi si sviluppa. Preti
citer, nel 1958, tale punto di avvio del ragionare anche ne Il mio punto vista
empiristico e lo citer come principio a cui sempre di fatto ci si attiene,
anche nel filosofare. Ma che bisogna criticamente rico- noscere e sottoporre a
verifica empirica, poich che la filosofia sia pensare senza presupposti unaffermazione avente valore assai pi
polemico che non costruttivo; essi sono scelti, anche se un filosofo deve
motivare le sue scelte e necessariamente deve ricorre a quellesperienze che lo
han- no ad esso indotto, esperienze sue s, ma in cui tutta una generazio- ne
potr pi o meno, riconoscervisi. Tali scelte sono, insieme, formali e
storico-socio-culturali, sempre. E vanno, sempre, motivate e mostrate, con un
ragionamento persuasivo (mai dimostrativo). Ma c' di pi: in quelle pagine del
1968 Preti riconosce in Pascal anche il teorizzatore pi fine e inquieto delluomo
moderno, della sua coscienza infelice e delle sue antinomie (tra intelletto e
cuore, tra logos e pathos, tra miserie e grandezza). Pascal il primo, netto interprete dellantropolo- gia
del soggetto moderno, scisso, infelice, affranto, lacerato, ma insieme
portatore consapevole della propria forza nel mondo, legata alla mente, al
conoscere, alla scienza, alla tecnica e, insieme, alla coscienza di s e al
possesso critico della propria immagine. Allora possiamo dire che Pascal , per
Preti, il baricentro del Moderno (un interprete pi chiave di altri: da Bacone a
Kant) e lo proprio per- ch ne legge i
nuclei pi profondi e li tematizza con precisa chiarezza: 1) il passaggio
dallautorit alla ricerca, al metodo; 2) l'affermazione di due metodi diversi e
complementari al tempo stesso: retorica e logica, appun- to; 3) la coscienza
che pensa sempre collocata in un punto-di-vista che valoriale e sociale, in quanto
etico-culturale; 4) che protagonista di questa avventura di pensiero e di
vita sempre luomo finito, il singolo
chiamato 5 G. Preti, Saggi filosofici, I-II, La Nuova Italia. Firenze1976, I,
pp. 475-76. 98 FRANCO CAMBI a leggersi nelle sue contraddizioni di specie e
nelle sue attese rispetto alla Vita, al Mondo, al suo Senso. I richiami di Papi
(riconfermati, pi en passant e nella medesima oc- casione anche da Minazzi e
Peruzzi) risultano del tutto efficaci per deli- neare il nesso Preti-Pascal, ma
per rileggerlo soprattutto come chiave per ricomprendere proprio i
caratteri-base del Moderno stesso. 3. Lidea avanzata di scienza Ma gi nel testo
del 1968 Preti sottolinea anche lidea pi matura e pi squisitamente critica che
Pascal ha della scienza. Un'idea legata allinflusso italiano, di Galilei e di
Torricelli. Assai meno vicina al modello cartesiano. La sua scienza sperimentale, in cui la matematica strumento. Non fonda- mento e fine. Proprio
il Trattato sul vuoto nella sua prefazione segue i criteri esposti da Galilei
nella Lettera a Cristina di Lorena, valorizzando il ragio- namento che antidogmatico in quanto rivolto a
ricercare/scoprire verit nascoste. Qui valgono gli argomenti che cadono sotto i
sensi o sotto il ra- gionamento. Essi stanno contro lautorit e esigono una
mente libera, che produce invenzioni costantemente rinnovate. Preti parla, a
questo pro- posito, di un positivismo tutto moderno, che ancora mancava in
Galilei e neppure era cos nitido in Bacone. Anche se da Galilei stesso riprende
il principio della progressivit del sapere scientifico che progressivit della conoscenza di una natura
per s eterna e immutabile. Tale progressivit
connessa, per, anche a un mutamento nelle teorie generali e nei
concetti, e proprio perch le teorie sono generalizzazioni induttive fondate su
fat- ti empirici, che possono rinnovarsi e mutare. Da ci Pascal deduce anche la
perfettibilit del genere umano, da realizzare nel progresso scientifico. La
scienza moderna si lega alla logica dellintelletto, che allora (nel
Seicento) governata dalle forme del
discorso matematico posto come discorso perfettamente razionale. Una logica
governata dallidea di semplicit, propria della natura e della mente. E
riesumata, per cos dire, nellesprit de gometrie. Pascal, quindi, scienziato modernissimo gi nel cuore del
Seicento. Di quella scienza ancora in ascesa fissa i principi qualificanti: la
speri- mentazione, il ragionamento logico-formale, il modello matematico, la
funzione progressista e il proprio iter evolutivo/progressivo. Una scienza che
ha gi in s molti dei miti del positivismo, come ben riconosce Pre- ti. Tra
Galilei, Bacone e Cartesio Pascal occupa una posizione di fatto pi avanzata,
criticamente pi sottile e culturalmente pi complessa, pur ri- tenendo dai tre
Maestri elementi e suggestioni assai significative. E di cui Preti si fa
testimone. Gi nel 1957, nella sua Storia del pensiero scientifico, Preti si era
ferma- to su Pascal, riconducendolo verso il calcolo delle probabilit, verso
la G. Preti, Retorica e logica, Einaudi,
Torino1968, p. 120. TRE STUDI SU PRETI (E DUE APPENDICI) 99 geometria
proiettiva sintetica, sottolineandone la genialit precoce (ve- ro enfant
prodige matematico, a soli sedici anni compone un Essay pour les coniques) e
linflusso esercitato su Leibniz, a proposito del calcolo infi- nitesimale, come
pure le annotazioni svolte sulla curva roulette (cicloide). Pur grande
matematico (e anche tecnologo: costruisce nel 1642 la prima macchina
calcolatrice) e anche logico matematico (si veda alla pagina 313 della Storia),
Pascal va, per, valorizzato per la sua immagine della scien- za: matematica s,
ma sperimentale; governata dal ragionamento; sempre storica ed evolutiva;
orientata a scoprire i misteri della natura per gover- narla da parte delluomo,
in un processo di continua perfettibilit umana. Nel testo stesso del 1959 che
raccoglie Opuscoli e scritti vari Preti an- cora sottolinea che, tra le
Provinciali, opera mirabile, ma che non get- ta alcuna luce sul pensiero
pascaliano e non aiuta a capire la filosofia e la teologia di Pascal, e i
Pensieri, opera frammentaria, disordinata e da altri riorganizzata intorno allApologia
della religione cristiana, ma solo ipoteticamente, un ruolo-chiave hanno gli
scritti minori per capi- re il sistema-Pascal proprio nel suo volto, appunto,
sistematico. L, tra opuscoli e lettere, cogliamo tutta la ricchezza e
lorganicit di un pensiero squisitamente moderno nei principi e
nellarticolazione. Anche qui Preti riconferma il suo significativo dialogo col
pensatore francese, sviluppan- done, sia pure per cenni, una visione dinsieme.
4. Stili del pensiero: tra logica e retorica Per Preti, quello del 1968,
Pascal anche il teorizzatore pi attento
e organico (e proprio in quanto posto alle origini stesse del Moderno) della
lettura metodologica e critica e problematica delle due culture. Come gi detto, Pascal a teorizzare lopposizione e specificit
di retorica e logica, ma anche a fissare la loro funzione relativa nella
cultura e la loro storica gerarchizzazione, connessa a presupposti ideali e
axiologici, individuali s, ma soprattutto collettivi. Se, come Preti ricorda
nellincipit del suo vo- lume, la polemica tra le due culture vecchia,
anche attualissima oggi, in questo momento di crisi di tutti i valori e
di perplessit morale in cui gli intellettuali si interrogano sul proprio agire,
ma momento in cui una gloriosa ma vetusta civilt deve fare i conti di cassa*.
La differenza e la funzione distinta e la possibile (o no) complementarit tra
letteratu- ra e scienza ci sta davanti in modo radicale e va rivista per
comprendere struttura e funzione della cultura che proprio oggi - non possiamo ab- bandonare e
proprio perch il mondo attraversato da
giovani barbari a Est e a Ovest. Non un
caso, infatti, che tale problema sia stato rilan- ciato proprio negli anni
Sessanta: di crescita della cultura di massa, ma anche di proliferazione delle
scienze e di rilancio del pensiero poetico; 7 B. Pascal, Opuscoli e scritti
vari, a cura di G. Preti, Laterza, Bari 1959, p. 110. 8 G. Preti, Retorica e
logica, cit., p. 9. 100 FRANCO CAMBI tra le due culture vige, cos,
un'opposizione, un contrasto, testimoniato da tutta una serie di saggi che non
oltrepassano questo confine dellaut- aut. Il problema da riprendere sia in senso storico, sia in
quello teorico. Tale dualismo attiene al Moderno, di cui siamo direttamente
figli. Ed strutturato dalle due logiche
gi pascaliane e che ora possiamo rileggere alla luce delle coppie filosofiche
di Perelman e risolvere meglio secon- do un'ottica complementare e dialettica
di cui Preti? ci offre il paradigma formale e lanalisi integrata, subordinata
sempre a un criterio di valore di cui una fase storica della civilt di fatto depositaria. Dentro gli emisferi
della logica e della retorica Pascal ci conduce da maestro. Ne rileva i
principi propri e regolatori, come pure le radicali dif- ferenze postulando
anche una loro scelta come base di una valorizzazio- ne storica o delluna o
dellaltra. Pascal, dentro il Seicento, rivive questo problema delle due logiche
in modo esemplare, ma il tema-problema,
del secolo; secolo che si pone come una radicale rottura con un lun- go
passato di civilt ma soprattutto nei confronti del Rinascimento umanistico! e
vi collaborano, in vari modi, Galilei, col suo platonismo, Bruno, con la
metafisica delluomo Uno-Infinito, Bacone, col suo Novum Organom e il De Argumentis,
Montaigne, col suo individualismo scettico e stoico, Cartesio, col suo
matematismo come fondamento delle Regulae: in tutti il dualismo tra scienza e
letteratura si esprime e si impone come il tema del secolo. Ma Pascal ad entrare pi specificamente nel
modello delle due logiche ed a teorizzarle nel loro specifico e complementare
con- gegno. Pascal cos svolge un lavoro esemplare a cui noi stessi, oggi, dob-
biamo attingere per disporci alla quota pi alta (o dialettica) per rileggere
strutture e funzioni delle due culture. Come il testo di Preti programma-
ticamente (gi dal titolo) si propone di fare. E lo fa in modo esemplare nei
capitoli terzo e quarto che rileggono Retorica e Logica e Cultura axiologi- ca
e Cultura teoretica secondo un dettato analitico e culturale assai fine. 5. La
dimensione teoretica delle Provinciali Certo, Preti anche lettore e traduttore e prefatore delle
Provinciali, sulle quali tornato, in
particolare, due volte: nel 1954 e nel 1972. Fermia- moci sul testo pi tardo. L
il testo pascaliano viene con precisione con- testualizzato nel contrasto
gesuitismo/giansenismo, viene riportato alle complesse polemiche teologiche e
pastorali, viene riconosciuto come ca- polavoro della letteratura francese
classica!!, ma, in particolare, viene sottolineato un suo fascino teoretico
relativo al pensiero religioso, s, ma ancor pi al tessuto logico-dialettico
dellargomentare. Cos le Provin- ciali mediano esprit de gometrie e esprit de
finesse, umiliano la ragione ? Ivi, pp. 50, 51-54. 10 Ivi, p. 65. 1 B, Pascal,
Le Provinciali, a cura di G. Preti, Einaudi, Torino 1972, p. VIII. TRE STUDI SU
PRETI (E DUE APPENDICI) 101 ma attraverso la ragione e fanno emergere, in tal
modo, le vie daccesso alla fede e all'esperienza del sacro. Preti rilegge le
Provinciali alla luce del suo Pascal del 1968 e ne pone al centro con pi
decisione la stessa con- traddizione fondamentale, che testimonianza proprio della condizione
umana. solo un accenno, ma assai
significativo. Attraverso lo scetticismo si minano alla base le superbe pretese
della ragione. Per [...] nella critica scettica
la ragione stessa che si distrugge in nome del suo stesso non raggiunto
valore ideale assoluto; e la forma del di- scorso razionale resta pur sempre la
forma in cui fede ed esperienza del sacro si esprimono, almeno per chi, essendo
ancora vivo, legato alla condizione
umana - alla miseria come alla grandezza di questa. Sono le parole che chiudono
lIntroduzione al testo maior pascaliano e l Preti mette a fuoco il legame tra
scetticismo-fede-ragione (ancora), ra- dicando tale inquieto mlange cognitivo
nella stessa condizione umana, in quellantropologia materiale del finito che
Preti aveva, nel 1957, descritto tra Marx e Dewey e che ora ritorna, ma in una
sequenza pi dialettica e pi inquietante proprio nel finissimo pensiero di Pascal.
S, si tratta solo di un accenno, che Preti integra poi, per, con altri punti:
la lettura delle- sprit de finesse (dove c' una forte molteplicit di principi
da applicare si- multaneamente e che tratta la saggezza della vita); lo scontro
tra due concezioni religiose, due esperienze religiose, due modi di vivere
lespe- rienza religiosa entro la medesima Chiesa, rappresentate da gesuitismo e
giansenismo; gesuitismo che Preti rilegge, per, come compito attivo, per
realizzare il Regno di Dio che deve advenire, realizzarsi sulla terra,
costruendo entro la Chiesa dei credenti, il Corpo Mistico di Cristo'9; nel
giansenismo pascaliano si colloca la fede come disperazione e scom- messa
contro la vita: un punto di vista che da allora fino ad oggi il catto- licesimo
non ha mai potuto accettare!. Le Provinciali, lette cos in filigrana,
testimoniano che alla fine stato proprio
l'atteggiamento (se non l'insegnamento) molinistico che si impo- sto nel mondo cattolico, e agisce
tuttora (come atteggiamento, non come dottrina teologica nella sua organicit
sistematica) sugli ultimi, fino a poco tempo fa imprevedibili, sviluppi del
cattolicesimo della contestazione. Come pure testimoniano la complessit della
teoresi pascaliana ricompo- sta nel suo intero, di cui rimandano anche le
interne tensioni e le appa- 2 Ivi, p. XIX. 3 Ibid. 4 Ivi, p. XV. 1 Ivi, p. XVI.
16 Ivi, p. XVII. v Ivi, p. XIX. 18 Ivi, p. XIV. 102 FRANCO CAMBI renti
contraddizioni, come pure la radice stessa della problematica di tale teoresi,
collocata nellambito inquieto/inquietante della esistenza umana, in cui miseria
e grandezza sono gli aporetici sigilli. Forse possiamo dire che, attraverso
Pascal, Preti affina il suo stesso pensiero e, nella sua ultima stagione, ne
ripensa i principi antropologici e storici, coniugando insieme finitezza e
progresso in una dimensione di razionalit e critica e costruttiva al tempo
stesso, aperta alla sfida reci- proca di questi due modelli cognitivi (gometrie
e finesse) che si media- no attraverso lo scetticismo. E qui forse anche il
saggio sullo scetticismo, uscito postumo (nel 1974), si fa interlocutore
significativo e complemen- tare. Con esiti pi generalizzanti, anche.
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Firenze 1976. G. Preti, In principio era la carne. Saggi filosofici inediti
(1948-1970), Angeli, Milano 1983. 104 FRANCO CAMBI Appendice 1: Uno sguardo su
Preti dal Postmoderno 1. A quasi quarantanni dalla morte di Preti possiamo dire
che il cli- ma filosofico mutato? Che
nuovi paradigmi hanno preso corpo e cittadi- nanza nel pensare filosofico
stesso? Che siamo, ormai, dentro una nuova stagione del pensare? S, forse
dobbiamo dirlo. E analizzare il nuovo con- testo (en structure) e l ripensare
lo stesso messaggio filosofico di Preti. Quali i caratteri dominanti in questo
iter di rimessa a fuoco del filosofico in questi quarant'anni? Primo. Il
richiamo a un tempo nuovo, Postmoderno, da rileggere an- che nellottica della
Globalizzazione e dellIntercultura. Come pure s dei Grandi Racconti, ma anche
dellEtnocentrismo e dellUnicit di una Tra- dizione dichiarandoli esauriti. Il
pensiero, qui e ora, si fa plurale, dismor- fico, complesso. E s attiva in
questo confronto/conflitto/dialogo, sempre. Secondo. Il primato di un modello
del pensare come interpretazione (rispetto allo spiegare) che si attiva da un
contesto, fatto di credenze e di valori (riconosciuto anche da Preti, ma posto
nella superiorit della Tra- dizione Occidentale del Logos/Ratio/Vernunft).
Pensiero che ha in s un punto-di-vista rispetto alla stessa teoreticit e che,
se viene criticamente esposto e esaminato, si rivela come processo
interpretativo meglio rappre- sentato dal circolo ermeneutico, sia pure
laicizzato, per cos dire. Terzo. L'avvento di un pensiero post-metafisico
radicale, che respinge ogni fondazione. Anche quella analitica, quella
empiristica e si colloca, inve- ce, in un'esperienza plurale complessa,
problematica sempre, di cui le filoso- fie del Novecento ci hanno dato una
ricca e significativa lettura, ma proprio nella loro
variet/complessit/interazione, pi che singolarmente prese. Sono, ovviamente,
tre caratteri sommariamente indicati. Ma sui quali esiste, ormai, una
ricchissima letteratura critica e una ricostruzione storica efficace, per farci
capire che il nostro pensare filosofico, oggi, si dispone su una frontiera
ancora pi radicale rispetto agli anni del pensiero pretiano. Pi radicale
attraverso Nietzsche, Heidegger, il secondo Wittgenstein, au- tori, infatti, di
cui il pensiero pretiano non si mai, ex
professo, occupato. Collocandosi cos in unaltra epoca. Se pure rappresentandola
al meglio. 2. Ma, letto da qui, il pensiero pretiano ci parla ancora? E cosa ci
dice? Cosa pu dirci? Intanto ci testimonia, possiamo dire, il punto di arrivo
del tempo che precede il Postmoderno, il Novecento in senso proprio. E da l ci
invia alcuni messaggi che si accordano col Postmoderno stesso e ci in- vitano a
abitarlo efficacemente, dal punto di vista teoretico. Quindi Preti pur dal
prima-del-Postmoderno ci invita ad attraversarlo in modo signifi- cativo poich
ci rimanda unimmagine di pensiero pi orientata a quella complessit e
problematicit attuale. Intanto in quanto pensiero sempre in fieri, in movimento
e in condizione di dialogo con tutti i fronti del pensare filosofico, ergo
dinamico e dialettico ad un tempo. Poi in quanto pensie- ro che, pur legandosi
a un trascendentalismo logico-dialettico e alla cen- tralit del mentale come
Logos, sviluppa questi aspetti in una prospettiva TRE STUDI SU PRETI (E DUE
APPENDICI) 105 problematica. Si pensi alla storicizzazione degli a-priori
presente gi nel suo pensiero pi maturo. Si pensi anche agli esiti complessi
sulla cultura e sui linguaggi che la regolano criticamente in Retorica e
logica. Sono gi segni efficacissimi di un possibile dialogo col Postmoderno.
Gli a-priori possono essere sviluppati in senso
storico-linguistico-antropologico (cul- turale), se dipanati su se stessi. La
dialettica dei modelli mentali/linguistici complica la nozione di mente e
problematizza il Logos, legittimandone un pluralismo, che pu, anch'esso, essere
ulteriormente radicalizzato. E an- cora: lanthropos a cui Preti tiene fisso lo
sguardo luomo corporeo in cui passione e
pensiero, organicit e mente si scandiscono come polarizzazioni da
dialettizzare, da unificare in un processo reale: di vissuto, di materialit
(corporea e sociale), di storicit (socio-comunicativa e culturale). Luomo in
carne e ossa posto al centro di Praxis ed empirismo un buon inizio per una filosofia del
Postmoderno, se pur da rendere pi socio-culturale e meno materiale,
recuperandone la complessa storicit. Che Preti lascia in penombra, ma che non
elide affatto. 3. Su queste tre frontiere (o a partire da queste) potremo
fissare il dia- logo Preti-Postmoderno e accogliere alcuni legati del suo pensiero.
Con unoperazione di ritaglio? Non proprio. Se si tiene conto del primo punto gi
sopra ricordato. Preti una sintesi
aperta e critica e complessa del Mo- derno (e del Novecento come suo), approdo
al tempo stesso s esemplare, ma anche problematica. Tutto il suo iter di
pensatore nel suo dinamismo e nel suo profilo complesso (di dialogo e di
sintesi tra i modelli filosofici novecenteschi) si dispone ad essere emblema e
frontiera di tutta unavven- tura europea e occidentale del pensiero. Posizione
che Preti - come pi volte stato
ricordato: da Dal Pra, da Minazzi, anche da Peruzzi e molti altri, e un po
anche dal sottoscritto - occupa in modo limpido e che lo rende una
figura-chiave della filosofia europea. Forse pi chiave di tante altre pi
conosciute/riconosciute e pi enfatizzate. Infatti di quel Nove- cento Preti
rivive e interpreta: 1) il pluralismo dinamico e dialogico, ri- letto
nellottica della sintesi; 2) l'approdo a una sintesi non sistemica, ma
problematica, sempre; 3) i nuclei attorno ai quali quellapprodo si articola
nella sua identit tensionale e problematica, quindi aperta: il Logos, gli a-
priori, la dialettica delle formae mentis e dei linguaggi, la soggettivit che
li possiede e sostiene; 4) lidea di esperienza che vicina a elaborare, sempre
pi lontana dallempirismo classico e neo e sempre pi vicina ad una teo- ria
dellesperienza che si profila complessa, dialettica, polimorfa e sempre
dinamica e in senso sociale, culturale e storico. Il pensiero di Preti si
dispone sulla frontiera delle filosofie del Novecen- to come un indicatore
sensibile del loro divenire, integrarsi, criticamente aprirsi luna verso laltra
e del loro produrre una sintesi efficace per farci comprendere il nostro
stare-nell-esperienza e la formalizzazione stessa dellesperienza. da qui che bisogna partire per decidere se e
come Preti ci aiuta per leggere lo stesso Postmoderno, epoca che gli sta oltre
s, ma di cui egli, con la sua fine sensibilit teoretica e culturale, ha gi
accennato 106 FRANCO CAMBI in alcuni nodi problematici, pur lasciandoli ai
margini del proprio eser- cizio di ricerca. Perch? Per il suo trascendentalismo
neokantiano che guarda alle logiche pi che ai vissuti. Per il suo vincolo a
unidea di Mo- dernit, dominata dalla scienza e da una societ problematica al
suo in- terno, che ha bisogno di modelli e valori fermi e regolativi. Di cui
ancora Kant (riletto con Marx e con Dewey) e aggiornato con Cassirer, ma anche
con Pascal, ci pu essere una guida preziosa. Sta per, di fatto, che nel suo
pensiero certi margini del Moderno sono evocati, compresi come problemi e
rilanciati come problemi aperti (sia pure sottovoce). Quindi come inter- prete
sintetico del Novecento, come enunciatore di alcuni suoi problemi interni, come
evocatore di un (possibile?) procedere-avanti (o oltre? for- se no, ma lavanti
c', c' accennato, come gi detto), come enunciatore di nodi-problematici, come
teorico di un'esperienza riletta alla luce di pi filosofie, significative tutte
per possederne la complessit: da tutti questi punti Preti ci parla anche nel
Postmoderno. Non del Postmoderno. Ma ci aiuta a capire alcuni nuclei-di-base e
alcune frontiere interne, sia pure con quel suo disegno filosofico fortemente
ancora trascendentalistico (che un punto
donore e un limite, in parte, al tempo stesso) e non pi aper- tamente
interpretativo come postulato
dallavventura postanalitica, er- meneutica, decostruttiva e sempre legata a un
Logos come interpretazione propria del Postmoderno. Un Postmoderno ora (2011)
gi in declino, per un ritorno della razionalit forte del tecnologico, tarata su
una ragione costruttivistica e ormai lontana dalle critiche radicali e dai
rovesciamen- ti della ratio critico- ermeneutica? Forse, ma non in modo cos
connotato come passaggio senza ritorno e come ripresa di un dogmatismo
funzionale alla societ iperproduttiva e ipertecnologica del presente, poich
anches- sa niente affatto esentata dal comprendersi criticamente,
radicalizzandosi nelle strutture e funzioni, sviluppandole alla luce della
razionalit critico- radicale di cui il Postmoderno stato (ed ) un emblema preciso, efficace e
ancora oggi, alla fine, necessario. TRE STUDI SU PRETI (E DUE APPENDICI) 107
Appendice 2: Ricordo di Preti come docente universitario Ho seguito le lezioni
di Preti sia come allievo sia come uditore nel cor- so degli anni Sessanta e
poi fino allanno della morte. Per me
stato un punto di riferimento nella mia formazione di studente e poi di
studioso e un vero maestro di lavoro intellettuale, insieme al prof. Borghi.
Sono i due docenti che nelliter dei miei studi hanno lasciato pi traccia e con
stili di- versi di didattica e di impianto culturale dei loro studi. Preti come
docente si atteneva a un modello didattico tradizionale, ma rigoroso ed
efficace nel trasmettere la complessit e la ricchezza di una disciplina come la
filosofia. Le sue lezioni erano lineari e organiche. Re- citate seguendo un
percorso gi scritto, in cui anche le citazioni da testi erano gi trascritte.
Lezioni, quindi, che erano gi degli studi da pubbli- care. Come poi di
fatto avvenuto per i suoi ultimi corsi,
curati da allievi, e in cui si ritrovano i caratteri del suo lavoro di studioso
e di docente. In Preti, infatti, il filosofo e il docente di filosofia erano
strettamente uniti. Cos i suoi corsi risultavano precisi, argomentati, e - come
gi detto - li- neari e organici. Cos anche gli allievi erano introdotti dentro
un pensa- re-filosofico puntuale e nel linguaggio e nellargomentazione come
pure denso, densissimo di riferimenti storico-filosofici e, talvolta, anche
scien- tifici. Corsi che spaziavano su tutto il panorama della filosofia
occidentale. Io stesso ho seguito corsi su Hegel, sulla nascita della logica in
Grecia (e poi del discorso morale), sulla costruzione di un mondo morale, ma
an- che su Popper, Hempel e su Moore. Mia sorella ne segu uno su Tommaso dAquino
e il pensiero medievale. Corsi in cui i testi degli autori venivano letti,
esaminati e commentati con grande attenzione sia filologica sia cri- tica.
Certo, erano delle lezioni molto lectiones. Che potevano apparire (e lo erano)
s di alta tradizione accademica, anche se un po ingessate. Prive di
digressioni, di discussioni tra allievi e docente (verso il quale si aveva
tutti e soprattutto massima reverenza), di interventi dal vivo. Infatti, in
esse era pi il pensiero-pensato messo al centro che non il pensare-in-atto, il
costruirsi stesso del pensare filosofico, il suo stesso interno problema-
tizzarsi, decostruirsi e ricostruirsi. Anche se, sempre, pensiero-pensato di
altissimo profilo. Certamente era un modello didattico che proprio negli anni
Sessanta veniva rimesso (e radicalmente) in discussione, dichiarato troppo
trasmissivo e baronale. E si pensi al ruolo avuto dal 68 anche co- me
rivoluzione didattica, universitaria in particolare. Ora erano i seminari a
prendere il posto delle lezioni. E seminari significava studiare insieme e
percorrere terreni di indagine (e di metodo) pi aperti. A tutto ci Pre- ti
rimase insensibile. Anzi fu ironicamente contrario, in difesa del rigore e
della sistematicit del sapere, quindi della sua aristocraticit, e di lin- guaggi
e di forma mentis, che reclamava il suo essere esposto e non altro. Quanto allo
stile comunicativo di Preti era soprattutto scientifico e anche distaccato,
senza colloquio coi giovani nello spazio della lezione, mentre lo era (e anche
un poconfidenziale) fuori dello spazio della lezio- ne stessa, quando il
docente si fermava a parlare (s di filosofia, ma anche 108 FRANCO CAMBI del pi
e del meno) con gli allievi e metteva pi a nudo la sua umanit: ironica, ma
colloquiale, curiosa e, pur con molte mediazioni e con precisi formalismi,
affettuosa. Qua e l, con una battuta
anche nelle lezioni, ma raramente -, con una breve digressione
scherzosa, il Preti-docente salta- va fuori dal registro scientifico. E faceva
emergere i suoi connotati di uo- mo: scettico di fondo, ma sensibile alla
comunicazione personale (se pure frenata e occasionale). Uno scettico che nel
registro ironico fissava il suo identikit comunicativo. E con unironia che
talvolta invadeva la comu- nicazione anche coi colleghi (e si faceva anche tagliente)
e si manifesta- va anche nei momenti ufficiali (negli esami e negli stessi
esami di laurea: singolarmente ironiche erano le note che faceva in calce alle
tesi di laurea per la discussione; mi ricordo, scritto di suo pugno, unacqua
fresca!). La sua era anche una comunicazione umorale, a seconda dei giorni e
dei suoi stati d'animo. Alloccasione perfino un po dispettosa. Ricordo di una
studentessa che interrogata sullo scetticismo lo defin un movimen- to deleterio
e che fu allontanata con un via, via... fuori, fuori da Preti, senza altro
commento. Ma ricordo anche il suo salutare, per strada, oscil- lante a seconda
dellumore, denunciato un po da tutti gli allievi. Ricordo anche il procedere
delle sue lezioni. Avviate sempre in orario. Alle quali giungeva col suo
quaderno di appunti e rigorosamente senza libri. Che esprimeva con ordine,
scandite dal fumo di molteplici sigarette (Gauloises) e inframezzate da colpi
di tosse. Che chiudeva facendo un segno sul suo quaderno di appunti. Che, come
ho detto, ogni tanto spezzava con battute ironiche: ne ricordo una, in un corso
di morale, che si riferiva alla perora- zione di una sua zia che lo invitava a
non andare a ballare come prova di un modello moralistico e diffuso di etica
privata. Dette con garbo e con efficacia, appunto, ironica. Fu assente in tanti
anni, solo allultima lezione, nel 1972, senza preavviso e con sorpresa di
tutti. Forse un avvertimento per una carriera arrivata alla fine e chiusa con
un segnale informale di addio? Forse. Due mesi dopo in Tunisia Preti moriva. E
le sue sofferenze erano gi visibili nella sua difficolt di tenere (per durata,
non per altro) la lezione come pure di muoversi senza che, ogni tanto, non si
ripiegasse su stesso premendosi laddome (come gi accadeva a volte
per strada). Ma come, per gli allievi della mia generazione, Preti stato educato- re e formatore? Educatore lo stato per il suo stile di uomo, riservato e
ironico, libero e distaccato (dal politico, dall'Accademia), da intellettuale
disorganico (ergo critico, critico-radicale, ancorato al dissentire e al pro-
blematizzare). Formatore lo stato per il
suo magistero scientifico: per lo stile (rigoroso, preciso, logicamente denso e
organico, come gi detto) del suo pensiero che nelle lezioni appariva nel suo
essere risultato (per dirla con Hegel), ma che si imponeva come modello.
Ripeto: di pensiero-pen- sato? S, ma per questo anche del pensiero-pensante,
richiamandolo alla documentazione, allanalisi, all'evidenza del tessuto teoretico.
Allora: 1) Preti fu, per molti allievi, un incontro decisivo; 2) tenne fede a
una tradizione accademica alta e la mostr ancora allopera e con pre- cisione;
3) tenne fede anche alloggettivita della ricerca (lasciando fuori TRE STUDI SU
PRETI (E DUE APPENDICI) 109 il suo pensiero e i suoi testi dalle lezioni, pur
importanti e di successo che fossero); 4) introdusse i giovani a un lavoro
filosofico rigoroso; 5) cultu- ralmente denso e metodologicamente consapevole;
6) tenne viva quella figura dellintellettuale s schierato ma mai organico e la
conferm an- che negli anni in cui veniva rimessa radicalmente in discussione
(tra 68 e dintorni). stato, quindi, un
vero Maestro. Un Maestro depoca? Anche. Ma che ancora pu insegnarci, e non
poco, anche sul piano della didat- tica (il rigore) e della comunicazione
(l'atteggiamento ironico). Anche in tempi, come i nostri, ormai lontanissimi da
quelli del Mondo Occidentale degli anni di Preti, culturalmente, politicamente,
anche filosoficamente e perfino accademicamente. E qui va aggiunto un
purtroppo. Ripensare il magistero di Preti pu essere, anzi e proprio, assai
utile nella deriva at- tuale e della Cultura e dellUniversit. SPIGOLATURE ALLA
GIULIETTO Alberto Peruzzi Che lItalia sia patria di santi, navigatori e poeti
pu essere universal- mente riconosciuto con relativa facilit. Sullidea che sia
anche patria di altrettanto numerosi filosofi, il consenso meno ampio - e a ragion ve- duta.
Naturalmente non il mero numero che interessa:
s'intende gran- di filosofi. Certo, potremmo far leva sui presocratici, che per
scrivevano in greco, e sui medievali, scriventi in proto-italico, che con Roma
in un modo o nellaltro avevano a che fare. Ma poi? Troviamo teologi, metafi-
sici di ogni specie, traduttori, chiosatori, divulgatori, polemisti e infine
storici della filosofia. Tanti e alcuni
anche grandi. Mentre di gente che (1) abbia elaborato idee nuove, avendo
presente lo stato dellarte in ambi- to internazionale, e (2) le abbia
argomentate con scrupolo in relazione a temi concernenti la natura, la
conoscenza, il linguaggio, la mente, letica, l'estetica... ne troviamo pochina.
Galileo parlava di s come matemati- co e filosofo, se non fosse che oggi lo
consideriamo un fisico pi che un matematico o un filosofo; e anche se il
significato dei termini cambia nel corso dei secoli, potremmo nel migliore dei
casi dire che stato anche fi- losofo.
Analogamente, Leopardi stato anche
filosofo morale, ma prima di tutto resta un grande poeta. Basta scorrere
lelenco dei principali autori dei quali tratta un comune manuale di (storia
della) filosofia, per accorgersi che di italiani ce ne sono pochi. I manuali,
in genere, coprono per sommi capi e in modo confuso il XX secolo, ma siccome
siamo gi nel XXI presumibile che nei
prossi- mi anni le cose cambieranno. Allora supponiamo di ritrovarci nel 2030 e
di avere davanti un manuale di filosofia fresco di stampa. Di quali grandi
filosofi italiani del XX secolo dovrebbe parlare? Sono pronto a scommet- tere
che fra essi non ci sar un nome che invece lo meriterebbe: quello di Giulio
Preti. Nato a Pavia nel 1911 e morto a Djerba (Tunisia) nel 1972, il giovane
Preti si leg al gruppo milanese di Antonio Banfi, collaborando stabil- mente
alla rivista Studi filosofici. Tra i primi in Italia, si interess di feno-
menologia, di semantica, di meta-etica e di storia del pensiero scientifico.
Tra le sue opere, ne segnalo tre: Idealismo e positivismo (1943), Praxis ed
empirismo (1957), Retorica e logica (1968), da cui sono tratti i brani sotto
riportati. Figura di spicco nella breve stagione del neoilluminismo, Preti fu
tra i primi che tennero in Italia lezioni di logica matematica e filosofia
Franco Cambi e Giovanni Mari (a cura di) Giulio Preti : intellettuale critico e
filosofo attuale ISBN 978-88- 6655-039-6 (print) ISBN 978-88-6655-044-0 (online
PDF) ISBN 978-88-6655-048-8 (online EPUB)
2011 Firenze University Press 112 ALBERTO PERUZZI della scienza - e non
con lo spirito divulgativo degli apostoli in eterno ri- tardo, ma sulla scorta
di ricerche di prim'ordine che entravano nel vivo delle questioni allora
dibattute in Europa e in America. Fu lunico italiano della sua generazione che
avrebbe potuto discutere con Russell e Carnap senza farsi mangiare la pappa in
capo - e, tra i colleghi che pi o meno avevano la sua et, il solo Geymonat
arriv a riconoscerne la differenza di statura. Purtroppo, Preti ha sempre ed
esclusivamente scritto in italia- no, quindi le sue idee non hanno avuto
influenza (come meritavano) sulle frontiere della ricerca in campo
internazionale. solo in anni recenti che
allestero, e soprattutto in Francia, si stanno accorgendo che Preti aveva
anticipato strade che hanno poi reso famosi nel mondo altri nomi... che da lui
avrebbero ancora molto da imparare. La scienza
utile, la filosofia vera - la
scienza prassi, la fi- losofia conoscenza, queste celebri frasi di una
famigerata dottrina si odono risuonare fin troppo spesso. Confesso che non so
confutarle - non le capisco. Come non capisco il pragmatismo in genere. [...]
Il nuovo positivismo, razionalismo critico [...] dunque antimetafisico. Suo compito l'indagine delle forme e strutture dell
esperienza e del- la cultura. [...]
dunque una filosofia fatta di lavoro, in cui il filosofo lavora senza
ambizione, senza volere nella filosofia porsi come rivela- zione, non come un
artista o un profeta religioso, ma piuttosto come uno scienziato che collabora
con tutta lumanit a costruire il sapere degli uomini. La filosofia ha sempre
aspirato ad essere scienza; e forse ci che la distingue dalle singole
scienze soltanto il fatto che, mentre
queste attuano lideale scientifico nei riguardi di una sezione partico- lare
dellesperienza, la filosofia deve trasporre tutta quanta lesperienza nella sua
forma di scientificit. Non dunque
scienza, ma scientificit (Idealismo e positivismo, 1943). Ecco quindi il
significato di una cultura democratica. Non si tratta di una cultura facile,
dilettantesca, da universit popolare o piccola divulgazione: perch questa, ove
non sia sorretta da autentica cultura preparata altrove con limpiego delle
tecniche appropriate, ri- schierebbe di non essere cultura affatto, e tanto
meno dunque cultura democratica. [...] L'essenziale che, sia pure attraverso i debiti gradi di
apprendimento (di apprendimento, non di iniziazione!), tutti pos- sano, senza
aver bisogno di rivelazioni privilegiarie, arrivare a sapere tutto quello che
altri sanno. L'essenziale che non ci
siano autorit, che la cultura si fondi su qualcosa che tutti possano verificare
in co- mune [...] (Praxis ed empirismo, 1957). Una motivazione scientificamente
invalida rende invalido il giu- dizio di valore che su essa si appoggia: e la
civilt di un popolo si mi- sura dalla scientificit delle motivazioni dei suoi
giudizi di valore. Un popolo che appoggia le sue valutazioni a motivazioni
prescientifiche o antiscientifiche un
popolo incivile: tutto il suo ethos scade ad im- posizioni bestiali e
tiranniche (Retorica e logica, 1968). SPIGOLATURE ALLA GIULIETTO 113 Varie
iniziative sono state progettate per ricordarlo nel centenario del- la nascita
di Giulio Preti: giornate di studio, convegni, cicli di lezioni a lui
intitolate e perfino un sito internet. Nel momento in cui scrivo queste righe,
soltanto alcune delle iniziative in cantiere sono gi state realizza- te, altre
sono in corso, altre vedranno la luce nel prossimo autunno. Pri- ma della fine
dellanno ragionevole supporre che se ne
aggiungeranno di nuove, delle quali finora non
giunta notizia. A cose fatte se ne potr trovare l'elenco completo sul
sito , cui rimando per informazioni circa lelenco delle opere di Preti,
riferimenti alla letteratu- ra critica e, appunto, indicazioni riguardo alle
iniziative per il centenario. A causa di un imprevisto dellultima ora, a
Firenze stata cancellata un'intera
giornata di studi dedicata a Preti, organizzata da Franco Cambi presso la
Facolt di Scienze della Formazione, in cui Preti fu docente (ai suoi tempi si
chiamava Magistero e, lo so, era unaltra cosa). Peccato, c'erano le premesse
perch la giornata di studi fosse una pregevole occasione per discu- tere di
Preti e sviluppare un fecondo confronto di idee, ma, a testimonian- za della
volont di chi aveva organizzato la giornata fiorentina, le relazioni in
programma saranno pubblicate in volume entro la fine di quest'anno. Le
spigolature che seguono sono dunque una strana creatura: dovevo mettere sulla
carta le parole dapertura che avrei pronunciato se la giornata di studi si
fosse tenuta e ho finito per scrivere qualcosa di diverso. Certo, sono ancora
parole di circostanza, relative all'anno del centenario della nascita di Preti,
ma hanno acquistato una valenza pi generale: alludono a uno spirito che, quando
un evento celebrativo si svolge, manca e, quan- do non si svolge, non manca.
Evidentemente, qualche premessa di quanto sto per dire dev'essere sbagliata.
Lascio a voi scegliere quale. gi curioso
che il volume di atti di una giornata che non c stata sia la prima opera
pubblicata per il centenario di Preti. Verosimilmente, altro seguir sotto forma
di atti di conferenze o di articoli su giornali e riviste; e in effetti, anche
se concentrati in poche citt, gli eventi celebrativi pre- visti in memoria di
Preti non sono pochi. Chiunque si sia interessato alla filosofia di Preti, alla
sua figura di intel- lettuale, al suo magistero, al suo lascito di idee, non pu
che rallegrarsi di una simile fioritura di iniziative, alcune delle quali si
propongono perfino sulla scena internazionale. Ed una collocazione pi che giusta: dovendo
stilare un elenco dei filosofi italiani del Novecento che abbiano dato un
contributo di rilievo durevole e non circoscritto al contesto peninsulare, il
nome di Preti infatti uno dei pochi
presentabili allestero. Eppure, quello di Preti non un nome che ricorra sulla bocca di fi- losofi
e storici della filosofia italiani con la stessa frequenza dei nomi di altre,
ben pi note, figure del nostro parterre novecentesco: dai nomi di Croce e di
Gentile, prima, a quelli di Abbagnano, Geymonat e Bobbio, poi per i quali
sfortunatamente pi arduo indicare quale rilevanza abbia- no, nellodierno
dibattito internazionale in filosofia su temi di pertinen- za dellepistemologia
o della filosofia del linguaggio, della filosofia della scienza o della
filosofia morale e politica, rispetto a quanto non lo sia per 114 ALBERTO
PERUZZI Preti. Unaffermazione eccessiva? Per pigrizia, per non ripetere cose gi
dette e anche per incuriosire i bendisposti, mi esimo da spiegarne i motivi in
quest'occasione, ma un dato di fatto che
tali motivi sfuggono tuttora a non pochi colleghi che insegnano filosofia negli
atenei italiani. Se sfuggono a loro, figuriamoci agli altri. A titolo di test,
potremmo andare allingresso di un dipartimento di filosofia e chiedere agli
studenti che entrano ed escono: avete mai letto niente di Preti? Sapete se ci
sia mai stato un filosofo che si chiamasse cos? Sono pronto a scommettere che
la risposta pressoch unanime sarebbe negativa in entrambi i casi. Quanto ai
docenti liceali di filosofia, forse un Preti che ricordano c', ma quel Luigi che milit nel partito socialdemocratico
e fu pi volte ministro. Perci, mi dico, ogni iniziativa volta a far conoscere
quel Preti che invece fu filosofo
benemerita... Se non fosse che, un attimo dopo, la necessit di qualche
distinguo si affaccia alla mente, accompagnato da una serie di p (ove la p sta
per preoccupazione). A questo punto, se fosse ancora vero quel che Preti mi
disse (Ci pensi? Lo stato mi paga per pensare!), avrei dovuto elencare ciascuna
p, fornirne gli opportuni dettagli e corredare ognuna con i motivi che ne
legittimano il carattere di p. Avrei dovu- to, supponendo che lo stato paghi
pure me per fare la stessa cosa (pen- sare), anche se non solo quella,
ovviamente. Invece, siccome da bravo mi adeguo al compito che l'universit di
stato attribuisce oggi ai professori, non posso permettermi il lusso di pensare
pi di tanto e cos mi limiter a domandare. Ecco le domande che pongo: I. Sono
forse apprezzabili iniziative accademiche, nel nome di Preti, cu- rate da chi
non se m mai interessato prima, tant' vero che non ha mai scritto una riga su
di lui e non si mai letto neanche un
riga di quel che stato scritto su di
lui? II. Sono apprezzabili conferenze, nel nome di Preti, tenute da studiosi
che si sono anche documentati per bene ma sono tra i pi lontani dal suo quadro
di idee? (Che ne direste di una lezione sulla Torah tenuta da un nazista o di
una sulla carit tenuta da Pol Pot? Beh, non potrebbero es- ser stati fulminati
sulla via di Damasco, dopo una vita di perdizione? Non posso escluderlo, ma
sono restio a credere a simili folgorazioni in filosofia e ho molti dubbi su
quel che, in filosofia... ma anche altrove, dicesi che ne consegua, ovvero, che
i folgorati riscattano ogni nefan- dezza con la presa visione della verit.
Dicesi e basta, per, perch in filosofia, ma anche altrove, lovvio non ha
priorit sulle ragioni e, per ricordare una battuta di Gauss, i Beoti che dalle
strida passano al con- senso, via folgorazione, beoti restano.) III.Sono
apprezzabili lezioni di chi a malapena si
letto un articolo o un libro di Preti e al riguardo disquisisce su punti
problematici, ignoran- do allegramente quanto Preti ha scritto prima e quanto
ha scritto do- po e soprattutto ignorando le sue argomentazioni? IV. Sono
apprezzabili relazioni su Preti che poi informano il pubblico pre- valentemente
sul relatore? SPIGOLATURE ALLA GIULIETTO 115 Ma queste quattro - direte - non
sono vere domande: sono solo do- mande retoriche! Spero che lo diciate. E qui
la faccenda si fa interessante, perch sono anche domande nelle quali il nome
Preti potrebbe essere rimpiazzato da un altro a piacere e, volendo, sostituito
con un nome co- mune (di una disciplina o di un problema). Gi in passato
mi capitato di essere presente a
iniziative nelle quali successo quel che
per me, e spero per voi, non
apprezzabile. Credo pure che quanto
capitato a me sia ca- pitato a molti altri. Si ripeter (si sta
ripetendo, si ripetuto) anche per il
centenario di Preti? Temo di s. Se, di fatto, le cose vanno in questo modo,
evidentemente c chi non dellavviso che
le domande precedenti siano retoriche... e allora da una questione di
circostanza spunta fuori una que- stione di etica professionale. Nello
specifico, qualcuno (non dello stesso avviso) potrebbe suggerire che le opere
di Preti siano ancora ricche di spunti e potrebbe continuare ponendo a sua
volta una domanda retorica: nel fatto che ognuno prenda da Preti quel che gli
interessa, ovvero, tragga spunto cos come pi gli ag- grada, c' qualcosa di
male? Vale a dire: le parole dello scrivente sono su- perflue, perch dettate da
spirito illiberale. Per replicare a tale ingiuria, non resterebbe altro che
mettere insieme un florilegio di spunti, che in precedenza i pi o meno illustri
Tizio, Caio e Sempronio hanno tratto da Preti, per documentare di volta in
volta Pin- consistenza, la vaghezza, la velleitariet dello spunto e (collettivamente)
lincapacit degli spuntatori di seguire un ragionamento filosofico ampio e
articolato, di respiro non parrocchiale, talora molto esigente (per le com-
petenze scientifiche richieste al lettore) e per giunta tuttaltro che mono-
litico, ch Preti aveva in odio la filosofia sistematica. Niente di strano, in
fondo: il suo, come ogni ragionamento che si rispetti, chiedeva di essere
compreso prima di trarne spunti. Invece, da bravo (vedi sopra), lascio stare...
e poi, siccome sono cos pochi gli studiosi che si sono interessati a Preti, mi
sembrerebbe di sparare sulla croce rossa. Cos mi terr lingiuria. Non posso per
fare a meno di notare che il suggerimento da cui segue lingiuria ha senso per
filosofi di cui sia gi ampiamente noto il pensiero oppure per filosofi che al
di l di spunti non abbiano altro da offrire. Ne concludo che il suggerimento
non ha senso nel caso di Preti. Lo so che questo un banale entimema. Banale anche la pos- sibilit di rimediare al suo
carattere ellittico? Solo per met: se un
dato di fatto che il pensiero di Preti
poco noto a studenti e docenti di filosofia, il compito di mostrare che
Preti ha da offrire ben altro che una serie di spunti esige una lunga e
laboriosa argomentazione. (A chi di voi
interessato sa- r lieto di fornire riferimenti ai lavori nei quali
largomentazione gid stata delineata:
oggi, dunque, il compito non parte da zero.) Pochi se ne sono ac- corti? Niente
di cui stupirsi: come parlare di ragnatele ai castori e dighe ai ragni. Del
resto lidea che non ci sia niente di cui accorgersi, specialmente quando mette
in gioco il casellario che ci siamo gi fatti,
cos confortevole! Finch dalle nostre parti bellamente si fa finta che il
suggerimento abbia senso nel caso di Preti, i locali amanti di Sophia destano
qualche, pi che 116 ALBERTO PERUZZI legittima, p. Siccome, poi, il fingimento
suddetto non peculiarit esclu- siva di
quanto avviene entro i patrii confini, la derivata della p continua a essere
positiva. Non mi risulta esistere un campo della cultura, dalla scien- za alla
storia dellarte, dalla musicologia alla dietologia, in cui si verifichi quel
che succede allamata: cio, che abbia luogo con tale frequenza e sia apprezzato
cos tanto quel che apprezzabile non . Intendiamoci, succede anche altrove, ma
non con la stessa pervicacia. Il che
quanto di pi di- sgraziato si possa immaginare, perch offende la
disciplina che dovrebbe avere massima cura del rigore argomentativo, proprio
perch affronta te- mi che al rigore mal si prestano. La cura messa ripaga, come
la storia della scienza insegna. La cura non messa alimenta lidea (rancorosa)
secondo la quale ognuno ha la sua filosofia (cos si dice, sbandierando lidea
come uno dei diritti fondamentali delluomo). Un attimo dopo - contrordine,
compagni! - sento di dovermi corregge- re. Perch? Semplice: la cosa pi
abominevole che possiamo fare per ono- rare la memoria di Preti condannarlo allaccademismo degli addetti ai
lavori, i quali ora giulivi ora protervi si parlano addosso, scevri dal minimo
scrupolo educativo, culturale, autenticamente teoretico. David Lodge ha gi
scritto un libro, Il professore va al congresso, che ritrae unaffine varie- t
faunistica, dunque non mi dilungo al riguardo. Apprezzabile o no nel senso su
indicato, se un'iniziativa riesce ad attrarre lattenzione di studenti e di
giovani ricercatori verso Preti e a spingerli alla lettura di anche una sola
sua opera, liniziativa da considerarsi
riuscita perch evita loblio di quel che ci sta a cuore e che vogliamo condividere
con le giovani genera- zioni. Non solo: se studiosi d'impostazione e di
formazione quanto mai diversa affrontano il compito di discutere tesi e
argomentazioni di Preti, da un lato si sprovincializza la sua lezione e
dallaltro si avvia quel pro- cesso di fertilizzazione incrociata che pi volte
in passato ha portato a un nuovo quadro di idee, o quanto meno ha gettato nuova
luce su questioni altrimenti condannate ad ammuffire. Pi che sufficiente, no?
S, ma... E qui ritornano le domande retoriche. In Italia ogni anno si celebra
l'anniversario di qualcuno o qualcosa. La tabella delle ricorrenze cos fitta che i destinatari delle iniziative,
se volenterosi, ne rimangono storditi e, se ignavi, cestinano tutto. Lasciando
gli ignavi al loro destino, ci interessano i volenterosi. Il pi delle volte il loro
stordimento trae motivo dalla variegata superficialit delle iniziative, dalla
pressoch vacua novit dei contributi, dallevanescente traccia che lasciano e
dalla fuorviata at- tenzione che eventualmente suscitano. LUnesco riserva alla
filosofia un giorno allanno, perch comprensibilmente un anno intero intitolato
a colei che, madre di tutte le scienze,
dalle figlie oggi vituperata o a malincuore tollerata, sarebbe
eccessivo. Capisco. di misera
consolazione che, non essendoci lanno della filosofia ac- canto allanno
dellastronomia, della chimica (proprio il 2011) e di tan- te altre belle cose,
ci sia almeno lanno di un filosofo; e poich di filosofi grandi e piccoli ne
sono nati e morti un bel po, ogni anno i candidati non mancano. Scelto il
candidato, in suo nome simbasticono eventi solo per- SPIGOLATURE ALLA GIULIETTO
117 ch lanno quello e ricapiter solo fra
un secolo, dunque non conviene rimandare, altrimenti non potremmo esserne i
protagonisti. questo che conta, dunque
bisogna pur inventarsi qualcosa! Che poi sia acqua calda o fumo del tutto secondario. S, ma... perch
questacredine che genera sospetti anche su ci che in corso dopera? Perfino nel caso in cui la
ricorrenza riguardi qualcuno che abbia scritto su temi e problemi che non hanno
mai finito dessere 0g- getto dampio interesse... perch non hanno mai cominciato
(per usare un giochetto che piaceva a Preti), le iniziative hanno comunque un
valore: buone o cattive che siano, possono rendere consapevoli molte persone
che il de cuius esistito, ha scritto la
tale e talaltra opera in cui ha sostenuto tesi curiose come le seguenti..., ha
osato criticare... (qui mettete un nume tutelare di ieri) ed stato precursore di... (qui mettete un nume
tutelare di oggi) e fra i suoi contributi ce ne sono alcuni rilevanti per
quegli stessi temi e problemi oggi sul tappeto, temi e problemi che le stesse
molte per- sone giudicano di primaria rilevanza. S, ma... possono, e basta. Ab
posse ad esse non est inferentia e, scusate se lo ripeto fino alla noia, per
indicare cosa rilevante a cosa bisogna
pri- ma capire bene temi e problemi. Quanto al generato sospetto, restituisco
al mittente, perch se c' una cosa che pi ha allignato in questo paese e al
contempo pi dannosa come habitus
mentale proprio quella filoso- fia del
sospetto con cui Preti non ha niente a che spartire. State tranquilli:
laltalena di S, ma... si ferma qui. Se dite che in quanto precede ci sono
volgari insinuazioni, fatte sulla scorta di evidenze non comprovate, spero
tanto che abbiate ragione. Le cattiverie insinuate sono supposizioni, mere
supposizioni (antipatiche, supponenti, prevenu- te)? Anchio voglio tanto che lo
siano. A meno di prove in contrario, mi piace pensare che tutte le iniziative
sorgano da un autentico interesse per largomento e, nel caso del centenario di
Preti, nascano dalla voglia di ca- pire e far capire meglio la lezione di un
piccolo grande uomo - il Giuliet- to`- senza liquefarsi in celebrazioni
biblio-oleografiche e senza rimbalzare. Rimbalzare in che cosa? Nel
preoccuparsi di mettere in luce pi i celebran- ti che il celebrando. Orbene, da
quale pulpito viene la p? C' del veleno nella domanda e sono costretto a fare
l'avvocato dufficio del pulpito. Nel mio piccolo di ex-allievo di Preti, ho
cercato di sviluppare sul piano dellepistemologia e della teoria del linguaggio
alcuni temi da lui affrontati e ho cercato di ri- solvere alcuni dei problemi
ai quali riandava di continuo la sua indagine: due tipi di ricerche che,
volendo essere serie, affrontano questioni molto specifiche e finiscono per
avere aspetti abbastanza tecnici, al punto tale che pi volte le mie relazioni a
convegni sono state declassate da filosofia a esercizi di matematica). Continuo
a stupirmi che i nostri filosofi con- fondano il disquisir sulla filosofia con
il farla - e chi pi disquisisce sulla filosofia, naturalmente sfruttando quella
di altri, di filosofia ne fa poca. Di fatto, occupo la cattedra che fu di Preti
e questo, almeno per me, significa pur qualcosa: se posso andarne giustamente
fiero, anche fonte di seve- 118 ALBERTO
PERUZZI ri confronti fra i suoi magnifici corsi e quelli che riesce a tenere il
sotto- scritto. A partire dai primi anni Ottanta ho promosso pi di
un'iniziativa volta a farne conoscere il pensiero. Cominciando con le
introduzioni ai suoi due ultimi corsi universitari, il cui testo di Preti nello stesso senso in cui il Cours
de linguistique gnrale di Saussure, ho
scritto alcuni sag- gi sul pensiero di Preti, sparsi in libri e riviste, pi
altri che stanno l nel cassetto/cartella del pc (e che probabilmente ci
resteranno perch saggi su... Chi-era-costui? scritti da uno che si rifiuta di
versare contributi alle case editrici per stampare un libro). Nel 2007, insieme
a Carlo Bernardi- ni, Franco Pacini, Gigliola Paoletti Sbordoni e Paolo Rossi,
ho promosso listituzione di un premio nel nome di Chi-era-costui? da parte
della Re- gione Toscana! e, soprattutto, nellarco di quarant'anni (da quando
fre- quentavo le sue lezioni a oggi) mi sono sforzato di portare avanti il suo
discorso in direzioni che Giulietto non poteva prevedere. Cos ho finito pure
per scontrarmi con limpossibilit di conservare tutto ci che voleva trasmettere
a noi allievi, improbabili filosofi in erba. Occorreva rinuncia- re a qualcosa
della sua eredit e mi costato dire
chiaramente a che cosa intendevo rinunciare, spiegando le ragioni della
rinuncia. Non so quanti altri, ai quali stia davvero a cuore il ricordo di
Preti, abbiano accettato di pagare lo stesso prezzo. Non spetta a x giudicare
se quel che x ha fatto era degno di un erede di y. Non mi sono neppure posto il
problema quando lho fatto per Preti. E lho fatto non per dovere, per
occasionali motivi, per convenienza (es- sendo linteresse per la sua filosofia
estraneo alle commissioni dei nume- rosi concorsi in cui sono stato ovviamente
bocciato), e tanto meno lho fatto per prender parte a ricorrenze ancora lontane
da venire. Se mi sono permesso qui di ricordare tutto ci solo per aiutare a capire una cosa: in- vece
che da un alto pulpito, le p scaturiscono da radici nel pensiero stesso di
Preti e coinvolgono la storia di una vita, perch a ventanni, la risposta che
detti al quod vitae sectabor iter fu dovuta allincontro con quel mae- stro di
acume e onest intellettuale. Oggi, a coloro i quali, smaniosi dintervenire, si
sentano offesi dal- le parole precedenti, cosa posso dire? Vengono in mente i
versi di Yeats: Vorrei stendere il mio mantello sotto ai tuoi piedi / Ma sono
povero / Ho solo i miei sogni / Ho steso i miei sogni sotto ai tuoi piedi /
Cammina con passo lieve / Perch cammini sui miei sogni. E c' una cosa che mi
preme aggiungere nelloccasione: evitate liquefazione e rimbalzo! I pi abili
ere- di di chicchessia in questo benedetto paese riescono non solo a miscelare
liquefazione e rimbalzo ma anche a farlo senza che nessuno se ne accorga e,
quandanche ci per disgrazia avvenisse, presumono e prevedono che andr a loro
maggior gloria. La cosa straordinaria
che hanno successo in questa presunzione-previsione. ! Cfr. .
SPIGOLATURE ALLA GIULIETTO 119 Il successo nel peccato non cancella il peccato
e, bench liquefazione e rimbalzo si presentino anche divisi, lun peccato non
esclude laltro. Anzi, la gamma delle miscele
ampia e raggiunge massima ampiezza proprio tra i filosofi,
frequentemente affetti da ego ipertrofici (con conseguente scarsa voglia
dimparare qualcosa dagli altri), da mania loquendi (che li porta a usare 2
parole per esprimere un concetto quando ne sono sufficienti n), e da
lantanofrenia, ovvero: non sapendo articolare una nitida idea, ipotesi o
teoria, ma sapendo invece disprezzare la superficie dei fatti (sfortunata-
mente per loro, pi profonda di quel che ci vedono dietro), e non avendo il
coraggio di assumersi piena responsabilit di ci che affermano (quan- do c
qualcosa di affermato), i lantanofrenici si nascondono dietro a una cortina di
citazioni, di allusioni ad auctoritates, meglio se controverse; e, non sapendo
articolare una linea argomentativa che stia in piedi, si butta- no di peso in
affreschi epocali-ancestrali in cui mescolano tutto con tut- to pur di non
dimenticare nulla, offrono pur di ismi e, ovviamente, pi intricato il quadro che ne emerge, pi sono felici.
Dallantico senso del labirinto al recente senso della complessit, sempre la stessa felicit che ci viene
rivelata: quella di chi ha finalmente capito che il mondo troppo complicato da capire - e troppo
complicato da mettere a posto... almeno fintanto che ci affidiamo a schemi,
lineari e rigidi, di una razionalit teutonica, cui si contrappone lalba di una
nuova razionalit, oltre la scienza e oltre il senso comune, di cui ci recano
Annun- cio. Come no? Non forse evidente
il vantaggio di uniporazionalit che
anche iper-razionale? Non evidente
che ci avviciniamo allessenza delle cose liberandoci dallidea che un'essenza ci
sia? Non evidente la verit del discorso
che denuncia il mito della verit? Non venite da me a chiede- re le risposte,
per favore. Andate a chiederle ai cantori dello stordimento. Sanno loro quale,
fra liquefazione e rimbalzo, scegliere di volta in volta. Come faccio a
dimenticarlo? stato Preti a farmi vedere
le su menzio- nate affezioni, perch, ingenuo, non le vedevo affatto. Spero che
non siate ingenui comero io ma scusatemi se credo che le condizioni della
forma- zione e della cultura filosofica in Italia non siano tali da avvalorare
tale speranza. Il punto che, come si
scorgono le affezioni, comincia a pren- der forma una pur minima bussola per
orientarci nella foresta di pensieri, credenze, comportamenti, giudizi di
valore, teorie, norme, metodi per co- noscere, modelli dazione, stili di
ragionamento, pratiche di vita... - una bussola che va oltre le contingenze
commemorative. la filosofia presa sul
serio e non ci s'improvvisa filosofi dalloggi al domani, come non ci s
improvvisa idraulici, elettricisti, medici, matematici e via di seguito. La
filosofia non ha teoremi da offrire, non aggiusta gli scarichi, non fa di-
ventare ricchi e neanche possiede la forza consolatoria di una fede, ma ha una
cosa straordinaria ed proprio questa
bussola. Ci vale in partico- lare per la filosofia di Preti e chiunque ne sia
stato allievo gli sar sempre grato per laiuto a orientarsi nei pi diversi
ambiti dellesperienza umana. Ahim, la bussola
delicata: ci vuole grazia nel maneggiarla altrimenti si sciupa subito (e
come si sciupa, fa il servizio opposto). La sua manuten- 120 ALBERTO PERUZZI
zione impegnativa e tra le altre cose
richiede un lungo lavoro su se stes- si, per arrivare a... lonesto mestiere del
filosofare, come lo chiamava Preti: qualcosa che esige una disciplina rigorosa.
Non tutti reggono alla prova, non tutti laccettano. Il guaio che coloro i quali non reggono alla prova, o
non laccettano, si spaccino poi per filosofi e che coloro ai quali gli
spacciatori si rivolgono non sappiano riconoscere la differenza tra chi cerca
di fare onestamente il mestiere e chi no. Ora, liperegoico loquendimaniaco
lantanofrenico non uno storico ma
sovente si atteggia a tale, anche se, allorquando definito tale, si dichia- rer
offeso dalla lettura riduttiva che assimila quanto dice (e non dice) a considerazioni
storiche. Ch Egli incarna la sofferta figura dellIntellet- tuale, che vede
oltre e vede infra. Naturalmente, gli storici di professio- ne hanno di che
sudare per distinguere la loro fatica da una tale capacit visionaria.
Altrettanto naturalmente ci saranno degli sciocchi capaci di interpretare
quanto appena letto come se attribuissi la palma doro per la filosofia agli
storici della medesima: un significato verso il quale soffro dintolleranza
alimentare, perch quella metariflessione che slitta sem- pre di piano, come
Preti ripeteva, fatta di argomenti e
negli argomenti pu entrare anche lintelligenza cronologica, ma questa non li
esaurisce. In proposito, due cose soltanto. La prima: Preti non stato solo un filosofo da aula universitaria
o da biblioteca. stato coinvolto nella
vita culturale italiana come un intel- lettuale a tutto tondo: dalla polemica
con Togliatti sul posto da dare alle scienze nella scuola italiana, al rifiuto
del 68. Interveniva senza peli sulla lingua circa la dimensione politica del
fare cultura, denunciava i filosofi in minigonna, prendeva spunto da eventi di
cronaca per impostare una riflessione di pi ampio respiro sulla societ
contemporanea, assumeva posizioni secche, su temi che infuocavano gli animi,
poco plaudite dagli schieramenti di turno lun contro laltro armati; e lo faceva
sempre riven- dicando la difesa di alcuni valori che considerava fondamentali,
fra i quali il valore della conoscenza e la dignit della filosofia, a dispetto
di tutto e di tutti (compresi specialmente i filosofi suoi connazionali). La
seconda: Preti avr detto cose giuste e cose sbagliate (in entrambi i casi
dicendone alcune di nuove e altre in modo nuovo, cos nuovo che i pi dotti
lettori italiani a lui contemporanei non erano in grado di iden- tificare cosa
stesse dicendo) ed sicuramente
apprezzabile il fatto che in ricorrenze come questa si passino al setaccio le
sue tesi e le sue argomen- tazioni. Setacciamo quanto vogliamo, ma cerchiamo di
non dimenticare che Preti resta lontano mille miglia dalla triplice patologia
alla quale mi sono riferito. Non fosse altro che per questo, non merita oggi
una qualsi- asi miscela di liquefazione e rimbalzo. Perch simili spigolature in
occasione del centenario della sua nascita? Per invitarvi a dis-occasionarne la
lezione, che fu e resta quella di umin- tempestiva figura dello spirito,
contrapposta alla figura che non solo in- carna la triplice patologia, ahim ben
pi rappresentata tra gli amanti di Sophia, qui come anche altrove, allora come
oggi, ma che pure responsa- SPIGOLATURE
ALLA GIULIETTO 121 bile di reazioni altrettanto disgraziate nei confronti della
filosofia. Infatti, cos come molti filosofi si pensano l'ombelico del mondo,
molti non-filo- sofi pensano che i filosofi siano una specie giustamente in
estinzione. Pur essendo convinto che il modo migliore di confrontarsi con le
sciocchezze, che spesso si presentano a coppie (come appunto in questo caso)
sia non degnarle di replica, e pur ammettendo di non esser sempre stato
coerente con tale convinzione, cosa posso dire a conclusione di un intervento
pi lungo del necessario? Vi invito a leggere le opere di Preti, perch troverete
in esse una serie di argomenti, finemente tessuti, grazie ai quali individua-
re come sciocchezze - filo- o anti-sofiche che siano - molte affermazioni non
facilmente riconoscibili come tali... e vi troverete pure un filo dA- rianna
per imparare a non ripeterle. Quanto a vaghezza, quel che precede non certo manchevole. Non lo intenzionalmente! La vaghezza sparir se
accoglierete linvito. UN EMPIRISTA LOGICO DI FRONTE AL 68 Giovanni Mari Tra il
luglio 1967 e il dicembre 1968 Preti collabora alla Fiera lettera- ria, il
settimanale allora diretto da Manlio Cancogni, pubblicando una serie di brevi
saggi. Questi, nella loro reintegrata forma originaria, con i titoli originari
trascurati dalle esigenze giornalistiche e in una di- versa successione,
vengono pubblicati nel 1970 in un volumetto compar- so per le edizioni Il
Fiorino di Firenze. Il libro, che sar lultimo di Preti uscito prima della sua
morte, ha come titolo, Que ser, serd, il ritornello con cui, in una nota
canzone di Doris Day, si insiste sconsolatamente sulla imprevedibilit del
futuro. E del futuro il volume evita accuratamente di parlare concentrandosi
invece sul presente, di cui comunque e dei suoi sviluppi dopo le osservazioni
del filosofo... que ser, ser. E il presente, nei mesi in cui Preti scrive
questi testi, vede lesplosione del 68 che, nel- le sue espressioni
politico-sociali come in quelle culturali (anche coeve), costituisce il focus
degli interventi brillanti ed in genere assai polemici di Preti. Que ser, ser
offre quindi la possibilit di misurare, da diversi punti di vista, non tanto o
soltanto il giudizio, del resto noto, del filosofo sul 68, quanto, come e con
quale significato e valore lempirismo logico di Preti riesca a porsi di fronte
a tali accadimenti. Un confronto non casuale, che vede Preti a modo suo
partecipare al 68. Un coinvolgimento che lo in- teressa come docente e
intellettuale ed a cui non si sottrasse, elaborando una precisa posizione che
attraversa tutto il volumetto. Un posizione su cui questa breve Nota intende
soffermarsi. Che l'operazione possa essere legittima lo conferma,
indirettamente, lo stesso Preti quando, a sostegno delle critiche che rivolge a
Lvi-Strauss a partire da un'intervista dellan- tropologo francese, dice che nel
breve saggio [come sono appunto quelli che compongono Que ser, ser] appaiono pi
nitidi luci e ombre, sfondi di pensiero, presupposti e dubbi, che invece nelle
grandi opere sono, na- turalmente, come diluiti e dispersi. Nei quindici saggi
che formano il volume, Preti parla di molti proble- mi (e ad altrettanti fa
riferimento): della scienza, prima di tutto, ma anche della poesia e della
bellezza, della letteratura, della morale, del progresso e della storia, della
politica, della societ, della psicoanalisi, dellantropo- ! G. Preti, Que ser,
ser, Firenze, Il Fiorino 1970, p. 63. Franco Cambi e Giovanni Mari (a cura di)
Giulio Preti : intellettuale critico e filosofo attuale ISBN 978-88- 6655-039-6
(print) ISBN 978-88-6655-044-0 (online PDF) ISBN 978-88-6655-048-8 (online
EPUB) 2011 Firenze University Press 124
GIOVANNI MARI logia strutturale, del dialetto, di Adorno, di Marcuse, di Freud,
di Russell, di Lvi-Strauss... e poi del 68, della societ contemporanea, della
demo- crazia, dello sviluppo industriale, dellistruzione, ecc. Su tutti questi
argo- menti esprime una propria posizione, con chiarezza e una certa radicalit,
cio senza compromessi. Gli effetti che intende introdurre nel contesto in cui
scrive sono affidati a tesi asciutte e precise, talvolta unilaterali, perch
questo gli appare il modo migliore in cui il metadiscorso del filosofo pu
cercare di produrre tali effetti attraverso la critica razionale. Ma comun- que
tesi filosofiche, appartenenti sempre ad un discorso filosofico da cui Preti
non intende allontanarsi. alla filosofia
come tale, quindi, che egli intende affidare tale efficacia politico-sociale,
nel senso di un metadiscor- so in grado di criticare ci che ricade sotto le
proprie categorie e perci efficace. Efficace per questo tipo di critica, e non
per aver assunto vesti estranee alla filosofia, la quale giudicata essere in grado di apportare il
proprio contributo alla discussione pubblica politica e sociale. In ci ri-
velando un'idea della filosofia e della sua critica della cultura in grado di
essere non neutrale (politicamente e socialmente) senza rinunciare al pro- prio
statuto. Vedremo brevemente come in questo modo il filosofo debba inventarsi un
tipo di discorso ed una specifica pratica teorica, che senza abbandonare la
filosofia professata raggiunge gli scopi non meramente o rigorosamente
filosofici. 1. Un contesto di lotta Attraverso i saggi emerge con chiarezza il
giudizio di Preti sul presen- te, o almeno gli aspetti pi criticabili e
negativi di esso su cui si sofferma quasi esclusivamente. Il primo elemento da
sottolineare la caratterizza- zione del
presente come lotta: una lotta tra gli uomini che hanno bisogno di urlare in
nome di credenze e ideologie assolute, e una lotta contro il razionalismo
obiettivo ed in particolare contro lobiettivismo razionalista, destinato a
raccogliere le migliori eredit storiche della filosofia. Ogni intervento
scritto in questo contesto si presenta quindi come una presa di posizione nei
confronti delle parti in lotta, che oc- corre identificare, combattere e
criticare. Nella lotta si affrontano es- senzialmente rivoluzionari
apocalittici e conservatori reazionari, anche attraverso le rispettive
espressioni culturali che interessano al metalin- guaggio filosofico. Infatti
lobiettivismo razionalistico l a
bloccare le pretese di entrambi: si noti: degli uni e degli altri, dei
conservatori co- me dei rivoluzionari. La battaglia di Preti quindi rivolta su due fron- ti, anche se contro il 68 e la sua cultura che soprattutto
argomentera. Non da sottovalutare questo
aperto rifiuto a schierarsi da una parte o 2 Ivi, pp. 15-16. Ivi, p. 16. UN
EMPIRISTA LOGICO DI FRONTE AL 68 125 dallaltra. Infatti in entrambe le parti
egli identifica nemici della filosofia. Le poste in gioco sono innumerevoli, ma
al filosofo interessano le sorti dellobiettivismo razionalista che egli
salvaguardia non semplicemente difendendone i caratteri, ma criticando
attraverso di esso le culture che pretendono rovesciarlo. In questo modo
difende la filosofia intervenendo nel contesto, cio nei confronti delle sue
forme culturali. La lente attraverso cui fuoriesce il giudizio negativo sul
presente quindi il 68, cio una contestazione
che appare contagiare societ e cultura, giovani e maestri, scuole, universit,
fabbriche, istituzioni e mass media. Le categorie con cui Preti descrive ed
interpreta questo mo- vimento sono prima di tutto filosofiche, ma poi anche
politiche. Tra le prime, due appaiono essenziali, irrazionalismo e
risentimento; tra le seconde centrale
senz'altro quella di totalitarismo democratico. Date queste premesse, e
dato il profondo convincimento circa il ruolo che deve avere la filosofia cui
non compete alcuna progettualit socia- le, si capisce che la raccolta termini
con il saggio che d il titolo al libro e con le seguenti parole sul 68: Questo
risentimento totale non ha al- cuna prospettiva, non ha un domani. Non neppure rivoluzionario [...] c' un no senza un
si, una negazione che, alla fine, non riuscir a di- struggere altro che gli
stessi distruttori. E dopo... que ser, sera*. Mi sembra che le cose, per
fortuna, non siano andate in questo modo e che il prevalente giudizio storico
sul 68 risulti assai diverso da quello messo a fuoco da Preti. Ma tutto ci qui
non interessa, perch sono le idee filo- sofiche che egli mise in gioco e lo
stile con cui le impieg ad interessare, anche al fine di comprendere meglio il
nostro presente lontano ma non estraneo a quello di allora. Lirrazionalismo per Preti una violenta ondata che attraversa
il mondo e che percuote con forza le rocce della filosofia: arbitrarie visio-
ni neo-metafisiche o pseudo-metafisiche, ideologie neppure mascherate che hanno
di mira l'obiettivismo razionalista: freudismo, neo-marxi- smo, neo-fenomenologia,
varie rinascite religiose, tutto converge nella lotta contro il razionalismo
obiettivo. Questo irrazionalismo prodot- to e rappresentato dal 68, dominante
fino a costituire un nuovo con- formismo, che condanna la protesta ad una
babele piuttosto che a un rinnovamento o ad una rivoluzione, non irrazionalistico perch critica, anche
radicalmente, le vecchie idee e i vecchi valori che sono certa- mente in crisi
o morti, ma per il modo ed il linguaggio in cui attua ta- le critica. La quale,
da un lato sembra non voler riconoscere che essa non pu non essere parte
integrante della civilt odierna che contesta; che la confutazione, per avere
validit e intellegibilit, dovr essere esposta in un linguaggio che il medesimo linguaggio delle idee che si
vogliono contestare. Analogamente ai marinai di Neurath dobbiamo cri- ticare il
linguaggio con il linguaggio, dobbiamo rinnovarlo e migliorar- 4 Ivi, p. 130.
126 GIOVANNI MARI lo con quello che abbiamo e con cui stiamo parlando.
Dallaltro, ignora che non tutti i valori sono ugualmente morti, che ve ne sono
alcuni che sembrano restare saldi nella crisi, come ponti sopra il tumultuoso
fluire degli eventi, che occorre salvare e interpretare alla luce dei nuo- vi
problemi. Questo doppio rifiuto di un corretto rapporto col passato fa
sprofondare il 68 in una cultura del rinnovamento apocalittico, intrisa di una
esaltazione della soggettivit tipica delle epoche romantiche, che a Preti
appare capace di dire solo di no. Il risentimento la spiegazione dellirrazionalismo: Quando i
risen- timenti contro la societ esistente sono molto forti ed esplodono in
volont di rinnovamento apocalittico, e daltra parte la conservazione si arrocca
in posizioni reazionarie, l'esplosione di irrazionalismo inevitabile. Il concetto di risentimento
compare pi volte in Que ser, ser e costitu- isce la principale spiegazione di
determinati comportamenti sociali, qua- si che, tolta a questi ogni credibilit
razionale, non rimanga per spiegarli che il ricorso ad una categoria
socio-psicologica. Il risentimento infatti
un sentimento dellescluso o degli esclusi, che Preti impiega a secondo
dellesclusione di cui tratta, ma che in generale si presenta come rabbia e
risentimento dellescluso, il quale nega dei valori che non riesce a vive- re e
ad assorbire. Per quanto riguarda il movimento si tratta dei valori dellalta
cultura che la societ di massa offre ai pi anche nel caso in cui questi non
siano allaltezza di assorbire tali valori. Per quanto riguarda Marcuse o
Adorno, del risentimento verso una civilt fortemente intri- sa di razionalismo.
Ma non una categoria neutrale. Essa, ad
esempio, frequentemente impiegata da
Nietzsche, in un quadro di neoaristocra- ticismo culturale, per spiegare alcune
culture della moderna societ di massa, come laspirazione alleguaglianza, alla
democrazia o a certi ideali socialisti. In Nietzsche pure connessa ad un certo antisemitismo.
Tutti questi elementi sono rinvenibili, a loro modo, nel ragionamento di Pre-
ti, che quindi, da questo punto di vista, potrebbe essere accostato ad una
critica del 68 di tipo nietzscheano. Un 68 che, oltre ad essere irrazio- nale e
risentito, plebeo e vive nel formicaio
della nostra societ. Invece il nesso con lantisemitismo tocca a Lvi-Strauss,
nella cui antro- pologia Preti, a causa di certi accostamenti tra civilt
primitiva e civilt occidentale sostenuti dallantropologo francese, sospetta la
presenza di un risentimento ebraico nei confronti della nostra civilt in cui
gli ebrei rimangono in sostanza degli stranieri, dei meticci. Laddove, a questo
punto, quello che colpisce non laccusa
di irrazionalismo rivolto al 68, una critica in s tuttaltro che infondata,
quanto la familiarit della spie- gazione con una filosofia, quella di
Nietzsche, che difficilmente potrebbe risultare estranea a tale accusa. Ivi,
pp. 15-18, 8, 31, 11 e passim. 6 Ivi, pp. 15-16, 34, 64, 66, 75, 130 e passim.
7 Ivi, p. 64. UN EMPIRISTA LOGICO DI FRONTE AL 68 127 Secondo Preti la societ
di oggi (Preti non usa il plurale) di
fat- to totalitaria, noi viviamo in una democrazia totalitaria*. Il giudizio
(che ricorda quello marcusiano che accomuna comunismo e capitalismo nella
stessa valutazione negativa) non riguarda le forme costituzionali o
politico-formali della nostra societ, ma il modo in cui di fatto essa ten- de
ad organizzare la vita dei cittadini. I due principali effetti di questa
condizione sono un insufficiente libert (nulla di libero ammesso dal totalitarismo democratico) ed un
elevato processo di massificazione di tutti i comportamenti (il formicaio) cui
corrisponde, sulla base del mi- to delluguaglianza di tutti gli uomini, a ogni
costo, l'auspicio di una democrazia sociale. Con un ragionamento vagamente
marxista, Pre- ti parla di un totalitarismo al di l delle differenze degli
ordinamenti politici, frutto dellidentico processo di industrializzazione e di
sviluppo tecnologico che hanno ampliato, in maniera pericolosamente predomi-
nante e soffocante, la sfera dellamministrazione burocratico-politica: La
societ di oggi (qualunque ne siano le tecniche per la determinazione del potere
politico) di fatto totalitaria: in
guerra e in pace, nei consumi e nei gusti, nelle abitudini e nei rapporti
umani, essa tende a unorga- nizzazione complessiva e completa degli individui entro
le sue strutture economico-sociali. 2. Il metodo e lo strumento Se questo , a
grosse linee, il contesto di lotta in cui Preti intende intervenire per
combattere una battaglia in difesa della filosofia e di una cultura lontana
dallirrazionalismo, in che modo e con quali strumenti ritiene di poter condurre
la propria lotta? La risposta di Preti mi sem- bra rivesta un particolare
interesse. Sia, perch articola lidea della filo- sofia come metariflessione
sulla cultura in rigorosa metariflessione, la filosofia in senso pieno e regio,
e altri discorsi, pure di metariflessione sulla cultura, ma meno rigorosi.
Discorsi in cui valutazioni, sentimenti, speranze e timori non vengano del
tutto sospesi, ma espressi nel modo pi motivato possibile, nel rispetto del
rigore razionale formale e con un deciso atteggiamento critico. Un tipo di
discorso che non mira ad ununiversalit di diritto, ma semmai solo ad una certa
universalit fattuale, che non si avvale della forma trattatistica di
esposizione, ma del dialogo, della narrativa, del teatro e, appunto come nel
caso di Que ser, ser, del saggio!!. In questo modo Preti va oltre lantitesi di
retorica e logica proponendo un discorso che non sistematico, n logico, n reto- 8 Ivi, pp. 57,
81 e passim. Ivi, p. 47 1 Ivi, p. 81. u
Ivi, pp. 9-10. 128 GIOVANNI MARI rico, n ideologico o irrazionalistico, eppure
razionale e provabile. Sia per il modo in cui giustifica l'articolazione del
metalinguaggio filosofico in due discorsi, rilevando che si possono ammettere
due basi dei discorsi le quali aprono a due discorsi ugualmente razionali,
giustificabili ed ammissibili ancorch non equivalenti sul piano del rigore, una
base come presuppo- sto teorico che porta sui fatti, e una base personale
investita da tali fatti e che reagisce nei loro confronti. Due basi, o due
fonti, e due discorsi che non sono in antitesi, anche perch possono benissimo
essere tenuti dallo stesso filosofo (ancorch non nello stesso momento). Lo
strumento della battaglia dunque questo
tipo di discorso meno rigoroso che Preti delinea in maniera empirica, di fatto
descrivendo la pratica teorica della sua battaglia o, se si preferisce,
attraverso unauto- riflessione sull impiego immediato di un certo discorso in
una determi- nata battaglia culturale portata avanti da quel filosofo empirico
che lui stesso. In particolare Preti non
prefigura, ovviamente, alcuna regola che stabilisca le modalit di passaggio da
un livello o sfera di metadiscorso allaltro, ma neppure delinea gli statuti
teorici dei due differenti discor- si, al di l del fatto di essere entrambi dei
metadiscorsi, con le eventuali aree di sovrapposizione e di opposizione
reciproca. Con tutto ci i due metadiscorsi risultano sufficientemente
identificati, soprattutto in ba- se alle differenti mission, ed anche non
scollati. Il nesso non tuttavia teorico,
ma umano, personale, o, se si preferisce, antropologico, cio costituito da un
certo habitus al rigore razionale formale. Insomma il filosofo tale in ogni occasione, e quando non fa
discorsi sistematici e non pretende alluniversalit ed alle conclusioni
stringenti e fondate, non per questo non pu comporre metadiscorsi e apportare
il proprio contributo di critica e di razionalit pubblica. I discorsi meno
rigoro- si sono una specie di metadiscorso immediato del filosofo che intende
partecipare alla lotta senza con questo abbandonare la tipica posizio- ne del
filosofo, precisamente la sua metaposizione. Senza abbandonare questa posizione
ma senza rinunciare ad intervenire in un certo modo nel mondo dei discorsi,
egli deve rifornirsi di un discorso che faccia par- te del mondo delle
posizioni e di quello delle metaposizioni, cercando di trasformare questa
duplicit in una posizione, cio in discorsi con effetti, e mantenendo lunit e
l'identit personale, composta da certi abiti di razionalit, rigore, criticit, e
pubblicit degli argomenti. I due discorsi non sono quindi scollegati perch sono
umanamente collegati anche se teoricamente indipendenti. Non casualmente, e su
questo ritorneremo nella parte finale della No- ta, la posizione rinvenuta tra
i due mondi, le finalit polemiche perseguite e le critiche dei saggi, sono
alimentate da diverse teorie e impostazioni teorico-culturali. Il risultato e
gli effetti ricercati nella lotta prevalgo- no sulle preoccupazioni di
omogeneit e di purezza teorica, tuttavia al- le diverse teorie si fa ricorso in
nome di un coerente obiettivo critico. E se sopra erano venuti in mente
Nietzsche e Marx-Engels qui, di fronte a questo spregiudicato ricorso a diverse
teorie ai fini pratici della battaglia UN EMPIRISTA LOGICO DI FRONTE AL 68 129
filosofica, di fronte a questa specie di primato politico ricercato senza
abbandonare la filosofia, vengono in mente (e ci ritorner nelle Conclu- sioni),
sia per contrapposizione sia per affinit di problematica, lidea e il valore
teorico della filosofia rispetto alla politica presenti in Materialismo ed
empiriocriticismo di Lenin. 3. Alcuni temi principali della pratica teorica Tra
i pi importanti temi che Preti sceglie per intervenire nel contesto col tipo di
discorso prefigurato, vi sono quelli della scienza, della morale, della
letteratura, della storia, della bellezza, dell'educazione. Tra gli autori
verso cui rivolge particolari critiche vi sono Marcuse, Lvi-Strauss e Freud. In
tutti questi casi il discorso teorico viene svolto al fine di determina- re
effetti culturali attraverso l'anello del metadiscorso meno rigoroso, orientato
dagli aspetti umani di chi tale discorso tiene. Mi soffermer soltanto sulla
questione della scienza e della conoscenza scientifica e sulla questione della
morale e della politica. Nelle pagine dedicate a questi temi troviamo materiale
sufficiente per rilevare e comprendere luso politico o umano del metadiscorso e
misurarne la sua efficacia. Il tema della scienza e della conoscenza
scientifica ricorre in quasi tutti i saggi, in particolare in un gruppo di essi
posti nella prima parte del volume: Filosofia unidimensionale?, Marcuse e la
scienza, La psicoanalisi scienza?,
Dobbiamo riprenderci la nostra scienza. Possiamo iniziare da questultimo in
vengono posti con chiarezza i termini politici della questione. Chi ha
sottratto la scienza e a chi? E in che cosa consiste la nostra scienza? La
scienza stata sottratta agli scienziati,
che non hanno pi il potere di una volta sulla loro ricerca. E chi si
impadronito della scienza la societ
moderna, precisamente il potere dellindustria e della politica: tutto deve
servire agli altri cio in ultima
istanza, al potere e ai suoi organi. La causa
innanzitutto i costi stessi e la pesantezza dellodier- na ricerca
scientifica, e leffetto principale il
venir meno di una ricerca pura e disinteressata. Quest'ultima quindi la nostra scienza, che sfug- gita di
mano agli scienziati pu e deve essere coltivata dai filosofi: Si, noi filosofi
possiamo riprenderci la nostra scienza. Per essere filosofi basta un cervello
che funzioni, una risma di carta e qualche matita. Forse anche qualche libro:
ma si trovano, insegneremo soltanto a chi vorr ascoltare. E nella societ del
benessere e dei consumi si riesce sempre a non morire di fame. Il quadro diogenesco rafforzato dalla forte esigenza di libert ed
autonomia critica della filosofia, che deve rifuggire da essere metodo- logia,
complesso di tecniche varie al servizio dellindustria e della po- litica,
sottintesa e incontrollata metafisica della piattaforma ideologica della societ
industriale avanzata, nonch esplicita ideologia politica come quella
dellimpegno del filosofo. L'idea di una filosofia come me- talinguaggio capace
di determinare abiti critici ed autonomi, e lidea di un metadiscorso meno
rigoroso in grado di fornire strumenti per una 130 GIOVANNI MARI battaglia
culturale comunque condotta da una metaposizione autonoma, costituiscono
lalternativa a tutte queste posizioni". Notevole il distacco nei confronti della societ
industriale e della ri- cerca scientifica necessariamente finanziata
dallindustria e dal potere pub- blico. Ma la vera ragione del distacco non n politica n sociale, teorica come emerge bene dalla critica
delloperazionismo svolta in Filosofia uni- dimensionale? Le rigorose
considerazioni metalinguistiche svolte in que- sto saggio coincidono con le
considerazioni meno rigorose di Dobbiamo riprenderci la nostra scienza, ed
entrambe approdano ad un tipo di giudizi assai critico nei confronti della
societ e della democrazia industriali che non si discosta molto, vale la pena
di sottolinearlo, da quello avanzato dai movimenti studenteschi degli anni
sessanta, settanta ed ottanta, spesso sollevato proprio in nome di una cultura
disinteressata ed autonoma dal capitale. Nellultimo saggio ricordato la
battaglia non pi tra razionali- t e
irrazionalit, tra obiettivismo e soggettivit, ma tra due diverse for- me di
conoscenza razionale. Due forme che Luomo ad una dimensione, il libro di
Marcuse da cui il testo prende le mosse, non riesce a distinguere, rendendo
sterile il pur importante appello a combattere la minaccia di monodimensionalit
che effettivamente (scrive Preti) incombe sul- la cultura filosofica
contemporanea. L'errore di Marcuse nella
ricer- ca delle cause del fenomeno, che egli individua nelle correnti che un po
sommariamente si chiamano di filosofia analitica o neopositivistiche, che
invece Preti ritiene come le pi moderne ed emancipate. Il nemico invece loperazionismo, una mentalit che
si impadronita di tanta ricerca
filosofica, e secondo la quale i concetti non sono affatto teorici: sono
meramente operativi. Significano operazioni (reali) e progetti di ope- razioni
(reali) da compiere [...] progetti e regole operative con una portata pi o meno
tecnologica. Di conseguenza, la scienza non
scienza, cio co- noscenza, sapere, ma tecnologia [...] se vuole uscire
dai sogni della meta- fisica (e integrarsi nei fini e nellorganizzazione della
societ industriale). E non solo una certa filosofia si piegata alla mentalit della societ industriale.
La logica matematica passata addirittura
al servizio di la- boratori elettronici di grandi industrie o delle forze
armate, dimostrando che in questa societ si afferma un appiattimento pragmatico
del sapere da cui sempre pi difficile
sfuggire. Una mentalit che secondo Preti, esattamente come l'irrazionalismo,
conduce un attacco alla concezione della scienza e del sapere scientifico che
difendono lautonoma dimensio- ne della teoria. Questa trascende lesperienza, la
collega in significati che rimandano, oltre che ai dati attuali, a unindefinita
ricchezza di dati possibili [...] Il concetto teorico, proprio perch porta sul
fatto, ha un si- gnificato che non
costituito dal fatto, che trascende il fatto. Laddove risulta assai
chiaramente il cuore della battaglia di Preti, rivol- ta alla difesa di una
dimensione metalinguistica della conoscenza (scien- 12 Ivi, pp. 57-59. UN
EMPIRISTA LOGICO DI FRONTE AL 68 131 tifica) rivendicata nei confronti
dellirrazionalit come della razionalit operativistica, dellempiria dei fatti
come della metafisica, dellideologia e dellirrazionalit, della politica
profetica come della societ industriale, nei confronti dei reazionari come dei
rivoluzionari e portata avanti, come nella migliore tradizione classica, in
nome della libert e del disinteresse del bios theoretikos. Che poi questa
battaglia venga svolta con larma di un metalinguaggio meno rigoroso, che
mescola teoria ed emozioni, di- mostra soltanto che la sua necessit, cio la
necessit di una determinata pratica teorica, si fonda sulla consapevolezza che
la posta in gioco, insieme alla teoria,
la persona: quella del medesimo filosofo che tenendo entram- bi i
discorsi combatte per la teoria e per un mondo pi razionale a favore di tutte
le persone (laddove viene in mente il convincimento del saggio di Seneca che
nella speculazione condotta nellotium ritiene di svolgere un'attivit dal valore
universale)!3. Negli altri scritti sullo stesso tema si precisa questa idea di
scienza. In Marcuse e la scienza, in polemica con lidea marcusiana che la
ragione sia un'attivit rivolta a cambiare il mondo con contenuti di libert e
hu- manitas, Preti sottolinea che cambiare il mondo non di per s razio- nale, e che comunque la
scienza ha come fine non il mutamento ma la visione razionale del mondo, avendo
come unico valore la verit (va- lidit conoscitiva razionale), essendo immune da
ogni altro valore per- ch qualsiasi giudizio di valore non appartiene
alluniverso di discorso di una scienza. In questo senso, aggiunge Preti, la
scienza repressiva [...] La scienza ascetismo, rigore, repressione di impulsi:
per questo cosa altamente civile, perch
ogni civilt, in quanto tale, sempre
repressiva. Laddove siamo nel caso di un metadiscorso meno rigoroso che difen-
de il metalinguaggio rigoroso attraverso un uso personale delle categorie del
discorso rigoroso che costituisce un ottimo esempio della pratica te- orica di
Que ser, ser. A sua volta la difesa strenua, nei confronti dellirrazionalismo e
dellin- dustria, del carattere puramente conoscitivo della verit scientifica
apre ad una concezione trascendente, ma non trascendentale, metalinguistica ma
forse sarebbe pi preciso chiamare neo-speculativa della conoscenza scien-
tifica, ad un'idea della theoria a base empirica che ha cambiato le regole di verit
ma non il significato del valore in s puro di essa. Insomma Ari- stotele pi
Carnap". Nel tempo, il nostro, della societ della conoscenza e della
knowledge based economy, in cui la ricerca di base riceve continui impulsi da
quella applicata e dai finanziamenti privati e pubblici, queste preoccupazioni
di Preti possono anche apparire ingenue e per certi versi da studioso isolato.
Invece esse tengono vivo laspetto imprescindibile, ga- lileiano, che una
ricerca compiuta in nome della verit pu benissimo non essere antagonista o
necessariamente estranea alla finalizzazione tecnica. 13 Ivi, pp. 21- 27. 14
Ivi, pp. 31-37. 132 GIOVANNI MARI Come dire, che a differenza del Seicento oggi
laccento non pu continuare a battere solo sulle conseguenze pratiche della conoscenza.
Gli stessi temi e lo stesso spirito neo-speculativo di Preti sono rinve- nibili
in La psicoanalisi una scienza?, che si
caratterizza per una forte critica a Popper ed al principio di falsificazione:
Ogni scienza, proprio nella misura che
pi sistematica e pi perfetta, ha una parte teorica a priori, la
quale costruita in modo che non pu mai
venire falsificata dallesperienza e serve di base alla spiegazione di qualunque
fatto nel suo campo di significazione. Laddove emerge con chiarezza che il problema
della scienza sia come un insieme di enunciati tautologici possa alla fine
produrre nuova conoscenza. Per quanto riguarda la scientificit della psi-
coanalisi Preti opta per un giudizio di proto-scienza (ancora piena di metafore
oscure ma di enorme fascino e di concetti fecondissimi an- corch
insufficientemente elaborati). Chiariti questi aspetti metalingui- stici, Preti
passa alla metariflessione meno rigorosa proponendoci un altro esempio della
sua pratica teorica, in questo caso rivolta alla critica dellestensione, gi
iniziata da Freud e oggi tanto di moda di una serie di concetti psicoanalitici
ai fenomeni sociali o addirittura storico-etici. Come quando, ad esempio, la
psicoanalisi fornisce una base al mito del 68 diun'uguaglianza universale, che
non si potr trovare che in ci che vi di
pi basso e di incivile nell'uomo, cio nellincoscio, nellEs, e nel- le sue
sporcizie. Oppure quando, scrive, si ha limpressione che venga inventata una
morale eterna o naturale impiegando concetti come il complesso di Edipo, con
tutti i connessi fenomeni psicologici che do- vrebbero essere accaduti e
accadere in ogni societ in ogni tempo. E qui temo, sostiene Preti, che siamo in
pieno arbitrio e in piena mitologia. Il saggio Morale e politica intende
criticare liniziativa di Bertrand Russell ed altri, tra cui J.-P. Sartre, di
istituire nel 1967 a Stoccolma un tri- bunale che condannasse la politica
statunitense, di intervento militare in Vietnam, in nome di fondamentali
principi umani e morali. La conclusio- ne di Preti che, non potendosi mai andare in politica al
di l di un ethos particolare, la sentenza del tribunale non affatto una sentenza, ma una clamorosa
manifestazione di opinioni. Al centro del testo vi dunque la questione del rapporto tra morale e
politica alla luce del rapporto tra mo- rale e etica, ovvero alla luce di una
distinzione sempre pi sottaciuta che invece Preti intende sottolineare. Ci che
Preti intende innanzitutto com- battere
lidea di una politica fondata sulla morale: Si parla di introdurre o reintrodurre
la morale nella politica. Ma come se si
volesse introdurre una stanza in un armadio, o unautomobile nel carburatore. La
politica nella morale [...] la politica dentro la morale. Le metafore, tra laltro
assai efficaci, indicano che lidea di morale in cui possibile pensare e collocare la politica
deve essere tale da prevedere una pluralit di versioni morali, cio di idee
personali di ci che buono e giusto
perseguire, ma anche, e !5 Ivi, pp. 47-53. UN EMPIRISTA LOGICO DI FRONTE AL 68
133 qui le cose si complicano ancora di pi, di una pluralit di ethos colletti-
vi che sono il referente diretto di ogni politica. La modernit ha cercato di
trovare una risposta al primo problema, da una parte, attraverso una
formalizzazione della morale in cui i rapporti morali sussistono anche
indipendentemente dalle differenze morali specifiche: Il formalismo della
morale kantiana [...] ha portato proprio a questa conclusione: la moralit
non un valore specifico. Essa consiste
nel rispetto per i valori in gene- rale e in una gerarchia di valori. Le uniche
forme di immoralit sono lipocrisia e lincoerenza (che contraddicono, appunto,
alla legge forma- le della moralit). I valori politici non sono che un gruppo
di valori o un insieme di mezzi per attuare un certo mondo di valori. In questo
senso la politica nella morale, come un
mondo di valori in una morale formalizzata che non usa o fonda il potere contro
alcun valore specifico. Condannare come immorale una prassi politica un errore di dogmati- smo, perch si assolutizza
la propria morale in Morale. Dal lato dellethos - a differenza della moralit
leticit, cio il costu- me, non formale e
regola in concreto tutto il ciclo della vita delluomo - Preti sottolinea la
fine di due contraddizioni che hanno attraversato la modernit. La prima,
lantitesi tra morale individuale e morale sta- tale, di fatto oggi superata a scapito
dellindividuo, come effetto della perdita di ogni sacralit e di assolutezza
dello Stato diventato unor- ganizzazione politico-amministrativa pervasiva e
onnipotente: la socie- t, come si gi
visto, totalitaria e tende al formicaio.
La seconda, quella tra eticit e moralit statale, cio tra appartenenza
individuale ad un certo costume e la necessit di sospendere la validit di
questa eticit al di l dei confini comunitari o nazionali. Ad esempio in guerra,
quando nei confronti dello straniero l'assassinio pu diventare eroismo. Ma
oggi, sottolinea Preti, quando il formarsi di vasti complessi industriali, eco-
nomici e politici internazionali, i viaggi e il turismo tutto contribuisce ad
aprire il senso della trib ed il medesimo costume ci sta sempre pi accumunando,
la validit di quella sospensione, come del nazionalismo che la giustifica,
appaiono scaduti (tanto pi per noi in epoca di pro- cessi globali). Tuttavia,
sia sul terreno della morale che su quello delletica, le vecchie contraddizioni
si attenuano o tendono a scomparire, ma nuove e non me- no drammatiche
compaiono. Se la morale formale ha disinnescato la vio- lenza contro gli
individui in nome di un particolare mondo di valori, ed in particolare quella
del potere eretto a baluardo assoluto di determinati valori; e se la crisi del
nazionalismo e linternazionalizzazione dei costumi ha tolto molta efficacia
alla doppia etica, non per questo i conflitti vengono meno. Essi appaiono a
Preti lesito necessario, sia della responsabilit della scelta sul piano della
morale formale, sia sul piano del nuovo ethos che non potr che affermarsi
contro i vecchi costumi. Se il formalismo morale de-dogmatizza e quindi depotenzia
la contrapposizione dei valo- ri, non per questa tale contrapposizione scompare
e quando si tratta di valori politici il ricorso alla spada (fatta di acciaio o
fatta di mere parole) 134 GIOVANNI MARI
comunque inevitabile. E sul terreno dellethos, se un nuovo costume, e
quindi unaltra etica (e perci anche unaltra etica politica e militare) si va
formando, ricordiamoci che esso si forma attraverso una rivoluzione. Nella
storia vince sempre il pi forte ( tautologico) e un nuovo costu- me si forma
travolgendo interessi economici, valori ideali, abiti, istituzio- ni,
convinzioni, legati a vecchi costumi, c' un pi forte che schiaccia il pi
debole, una maggioranza che spinge ai margini della vita e della so- ciet una
minoranza. Da qui due osservazioni circa i due tribunali di Stoccolma e di
Norim- berga in cui etiche particolari sono state trasformate in sentenze. Nel
pri- mo caso quella dei pacifisti, nel secondo quella dei vincitori della
seconda guerra mondiale. In entrambi i casi Preti fa appello alla consapevolezza
della specificit etica ed ideologica su cui si sono basate tali sentenze, e
allesigenza che i giudici ed i loro sostenitori si sentano legati ai valori ed
allethos cui si ispirano le sentenze pena lincoerenza e la cattiva fede di
comportarsi in nome di unideologia affatto diversa, in nome di una concezione
tribale [che ammette le deroghe per gli stranieri] del costu- me e dei rapporti
umani. Di nuovo tutta la metariflessione rigorosa sulla morale formale e
sulletica approda ad una conclusione politica esposta in una metadiscorso meno
rigoroso ma efficace e coerente. In questo caso rivolto a determinare effetti
politici attraverso una pratica teorica intessu- ta di considerazioni kantiane
e hegeliane. Le quali, per noi oggi, insieme alla formalizzazione della morale
ed oltre la soluzione rivoluzionaria di Preti, pongono il problema di una
formalizzazione delletica, cio di un pluralismo degli ethos e delle culture
particolari dei popoli sul piano in- ternazionale (Rawls parlerebbe del
problema di un diritto dei popoli). 4. Conclusioni Ho ripetutamente
sottolineato, anche attraverso una lettera dei testi rivolta a rinvenirne
esempi, che il saggi di Preti vanno considerati una pratica teorica finalizzata
a produrre effetti politici in un determinato contesto, il 68, senza praticare
un linguaggio politico, ma costruendo un tipo di discorso filosofico, cio
metalinguistico, per ottenere tali ef- fetti indirettamente, cio attraverso la
critica delle culture corrisponden- ti a determinati comportamenti sociali e
politici oggetto finale, ancorch non diretto, della critica. In altre parole,
che Preti fa politica da empiri- sta logico, senza abbandonare i presupposti e
i caratteri di questa forma di metalinguaggio filosofico. Apparentemente
fornisce sostegno a tutte quelle posizioni, come attualisti, storicisti,
marxisti e cattolici sociali (per rimanere in ambito nazionale) che hanno
sempre difeso e spesso insisti- to sulloggettivo significato politico che la
filosofia riveste. Questo giudi- 16 Ivi, pp. 79-84. UN EMPIRISTA LOGICO DI
FRONTE AL 68 135 zio pu non essere rifiutato, ma solo in parte e con alcune
precisazioni, riassumibili nella consapevolezza teorica della distinzione
introdotta tra rigorosa metariflessione e altri discorsi meno rigorosi, che
troviamo alla base della pratica teorica dei saggi e degli effetti politici
ricercati che Preti attua senza scegliere un determinato impegno o un
determinato schieramento (partito) politico. Con la convinzione che la
filosofia sia in grado, autonomamente e liberamente, senza abbandonare il
proprio lin- guaggio, di definire e perseguire tali effetti, cio di prendere
filosoficamente posizione in un contesto senza assumere una esplicita posizione
politica: si noti, n con i conservatori, n con i rivoluzionari. Si tratta di un
radicale antileninismo teorico, un leninismo che negli anni in cui Preti
scrive, soprattutto in certa filosofia francese, andava molto di moda e co-
stituiva una specie di controcanto delloperazionismo. Preti dimostra che non necessario prendere posizione politica per
far svolgere alla filo- sofia una funzione critico-politica, che la filosofia
ha proprie ed autono- me risorse che le permettono di svolgere un discorso
politicamente non neutrale, critico e capace di proporre effetti nella civilt
cui tale discorso appartiene. Che capace
di prendere posizione facendo appello esclusi- vamente al proprio linguaggio,
costruendone in questa prospettiva uno meno rigoroso, senza bisogno di
introdurre da altri linguaggi, segnata- mente da quelli politici, una posizione
non neutrale. Indipendentemente dagli specifici, e naturalmente discutibili,
effetti politici prefigurati dalla pratica teorica di Que ser, ser, tra i quali
alcuni sono per molti versi pi a sinistra del 68, indipendentemente da tutto
ci, rimane l'indicazione che la filosofia, purch il filosofo ne sia capace e ci
si impegni, in grado di dire la sua sul
presente senza confondersi con i partiti e i valori po- litici, cio liberamente
e autonomamente. Da intellettuale disorganico verrebbe da dire. A questa prima
osservazione vorrei aggiungerne altre due entrambe relative allimpiego di
discorsi meno rigorosi e terminare, sperando mi sia scusata, con una nota
personale. La prima per sottolineare pi espli- citamente che tali tipi di
linguaggio sono tali perch personali, pi den- si di materia personale, come
sentimenti, speranze e timori, cio stati emotivi e sentimentali. a questo tipo di materia che la pratica
teorica si rif e non alle parti politiche in gioco, per prendere posizione. Ma
si tratta di una materia che non
spontanea, n lasciata a se stessa:
legata ad un certo habitus al rigore razionale e critico, e tali i
discorsi devono essere espressi nel modo pi motivato possibile, cio pubblico.
In altre parole si tratta di un personale che
filosofico. Con questa proposta Pre- ti sottolinea la necessita di
sfondare certi limiti del linguaggio filosofico empirista senza abbandonarne i
valori; che la filosofia non pu essere solo avalutativa, senza dover
abbandonare le forme pi attente alla scientificit del suo discorso, senza le
quali non potrebbe esserci quello meno rigoro- so; che se ci sono due discorsi
e per certi versi ci sono anche due filosofi, gli abiti sono li stessi, e la
scissione personale evitata; che se non
si pu stare in silenzio, se non esistono ambiti di cui in linea di principio si
deve 136 GIOVANNI MARI tacere, in ceri casi la filosofia per parlare deve
assumere un certo punto di vista, che non
quello politico, ma quello personale ma non meramente individuale; che
cos si inventa un discorso adatto al presente, un pre- sente investito
personalmente da cui la filosofia non pu filosoficamen- te sfuggire (una forma
di impegno filosofico). Una proposta in cui non
possibile separare la teoria dallemozione, la storia dal presente, la
tra- dizione dal giudizio e dalla critica dei fenomeni culturali del presente.
Seconda osservazione, strettamente connessa alla precedente, ed an- che questa
gi richiamata di sopra. Nella proposta critica conta soprat- tutto il punto di
vista, che lega teoria, emozioni, passato e presente. Da questo punto di vista
si definisce un obiettivo polemico; la selezione degli argomenti non n dogmatica n unilaterale, si possono
rinvenire armi teoriche laddove gli abiti si accordino ancorch in maniera meno
rigo- rosa. L'effetto prioritario
rispetto alla purezza od omogeneit dottrina- le. Non si tratta di eclettismo se
non da un punto strettamente scolastico; dal punto di vista teorico-emozionale che
mira ad una determinata cri- tica, non si tratta di eclettismo ma di capacit di
attingere da dove si pu secondo gli abiti ed una pratica teorica meno rigorosa,
ma coerente col metalinguaggio rigoroso. AAA Un breve nota personale, che pu
risultare utile ad illustrare ci che ho cercato di dire sin qui. Circa
vent'anni dopo la pubblicazione dei saggi di Que ser ser, insieme ad alcuni
amici, non solo di Firenze, il sottoscritto ha fondato una rivista Iride, con
un sottotitolo Filosofia e discussione pubblica. Ritengo che ci che in 23 anni
Iride ha pubblicato di pi in- teressante corrisponda allidea di pratica teorica
o di autonomo impegno filosofico rivolto al presente che Preti ha esemplificato
in Que aera, ser. Sia nel senso che determinati effetti politici in ambito
culturale sono stati ricercati autonomamente da qualsiasi schieramento
politico, sia perch si cercato di
commisurare il rigore con l'assunzione di un punto di vista non avalutativo,
sia perch la rivista partita dai
problemi e non dalle scuole o indirizzi filosofici. Personalmente ho
partecipato attivamente ed intensa- mente al 68, ero cio dalla parte dei
rivoluzionari. Eppure vent'anni do- po ho promosso Iride, la cui idea non stata certamente estranea a tale esperienza
personale. Come dire: che le ragioni di Preti elaborate contro il "68 si
sono dimostrate valide anche con certi frutti del 68, che il 68 non era poi cos
babele o solo no come pensava Preti. GIULIO PRETI: LA FILOSOFIA COME EDUCAZIONE
E COME RESPONSABILIT Luca Maria Scarantino Accettando di buon grado linvito di
Alberto Peruzzi e Franco Cambi a trattare il tema della responsabilit politica
in riferimento allopera di Giu- lio Preti, iscrivo volentieri questo breve
contributo entro una tradizione di studi pretiani solidamente radicata nella
citt di Firenze. Qui, presso la se- de universitaria che ebbe Preti come
docente e ove si formarono la maggior parte dei suoi allievi, si andata sviluppando un'attenzione nei
confronti della filosofia di Preti che ha in gran parte contribuito a superare
i vari ste- reotipi interpretativi aggrumatosi nel tempo attorno alla sua
figura: tra essi, quello di un Preti essenzialmente filosofo della scienza a
lungo rimasto in auge. Fu proprio Peruzzi, denunciando il diffuso invaghimento
per il Pre- ti epistemologo', a delineare tra i primi un percorso
interpretativo volto a integrare lopera filosofica pretiana entro la pi vasta
storia della cultura eu- ropea del Novecento - un percorso culminato poi
nellintervento su Preti filosofo dei valori svolto da Paolo Parrini in
occasione del grande convegno (2002) per il trentennale della morte di Preti.
Un approccio, questo, teso so- prattutto a proseguire limpegno teorico pretiano
nelle sue diverse direzioni e che si integrava, completandosi a vicenda, con
gli studi milanesi condotti sotto il precoce impulso di Mario Dal Pra e
alimentati, tra laltro, dallim- pegno bio-bibliografico, documentaristico e
archivistico di Fabio Minazzi?. Da parte mia, ho cercato di ricostruire questa
dimensione non esclusi- vamente epistemologica dellopera di Preti insistendo
sul suo tentativo di costruzione della filosofia come disciplina sociale, in
cui lelemento caratte- rizzante dato
dalla nozione di persuasione razionale*. Senza ribadire con- cetti gi studiati,
basti ricordare che proprio questultima, la persuasione razionale, rappresenta
agli occhi di Preti la struttura teoretica di una comu- 1 A. Peruzzi, morale la filosofia della morale?, in Il
cuore della ragio- ne. Omaggio a Giulio Preti, Quaderni della Antologia
Vieusseux, Gabinetto G.P. Viesseux, Firenze 1987, p. 309. P. Parrini, Preti
filosofo dei valori, in Il pensiero filosofico di Giulio Preti, a cura di P.
Parrini e L.M. Scarantino, Guerini, Milano 2004, pp. 21-46. 3 Per una
ricostruzione dei primi venticinque anni di studi pretiani, si veda in par-
ticolare il mio Venticinque anni di studi su Giulio Preti, Iride, 24, 1998, p.
371-385. 4 L.M. Scarantino, Giulio Preti. La costruzione della filosofia come
scienza socia- le, Milano, Bruno Mondadori, 2007. Franco Cambi e Giovanni Mari
(a cura di) Giulio Preti : intellettuale critico e filosofo attuale ISBN
978-88- 6655-039-6 (print) ISBN 978-88-6655-044-0 (online PDF) ISBN
978-88-6655-048-8 (online EPUB) 2011
Firenze University Press 138 LUCA MARIA SCARANTINO nicazione interpersonale
libera e democratica, la quale costituisce quel che Preti ebbe a definire come
il leitmotiv della propria vita filosofica. Di essa egli si applica a fornire,
lungo lintera sua opera, una costruzione episte- mica che non si limiti a
enunciare compiti o programmi filosofici, ma che metta effettivamente in tavola
gli strumenti concettuali mediante i quali si possa articolare una
comunicazione persuasiva e razionale. Le sue pagi- ne sul discorso
propagandistico, nei capitoli finali di Praxis ed empirismo, non sono appelli
etico-morali a forme di comportamento virtuoso, n ana- lisi di natura
comunicativo-sociologica, ma conseguenze epistemicamen- te necessarie di un
impianto teorico che si snoda lungo lintera sua opera. Questimpianto , come
ormai chiaro, quello di un pluralismo ontolo- gico o categoriale cui fa da
contraltare lasistematica pregnanza del mondo della vita, il mondo
dell'esperienza immediata e della carne. Ad esso dedi- cata per l'essenziale lopera filosofica
di Preti: sia nelle strutture categoriali e trascendentali nelle quali si
articola, sia nelle sue conseguenze sul piano eti- co-morale. Non entreremo qui
negli ingranaggi di questelaborazione, il cui funzionamento abbiamo cercato di
descrivere nella monografia del 2007. Li- mitiamoci piuttosto a delineare
schematicamente un bilancio dellesperienza pretiana, con particolare attenzione
alla sua attualit filosofica e culturale. Troviamo infatti nella congiunzione
di episteme e morale una delle ca- ratteristiche principali del pensiero di
Preti, retaggio dellinsegnamento banfiano e, pi generalmente, di tutta una
tradizione filosofica di matrice socratica: lidea che le strutture morali
dellagire riposino sulle strutture epistemiche del conoscere, ossia per dirlo altrimenti - che la persona morale
sia funzione del soggetto epistemico. Il punto che ci interessa in questa sede che la funzione della filosofia come paideia
prende la forma di un'educazione morale, uneducazione dei comportamenti e degli
atteg- giamenti, che si svolge attraverso l'apprendimento di un modo di pensa-
re non dogmatico, non essenzialista, non fondazionalista. Filosofia come
scienza della cultura, analisi delle strutture formali e intenzionali del sa-
pere, e filosofia come educazione morale coincidono. Gli atteggiamenti umani
possono essere modificati educando a concepire le proprie rap- presentazioni
non gi come datit ontologicamente necessarie, ma come funzioni storicamente
variabili e pragmaticamente determinate: quel che in termini tecnici si pu
descrivere come una trasformazione della neces- sit ontologica della
rappresentazione in sua necessit storica. Si tratta di un procedimento di
estrema complessit, che Preti realizza attraverso una storicizzazione radicale,
ma non relativistica, degli a priori del conoscere, la cui variabilit storica
viene trasposta sul piano della giustificazione epi- stemica (e mai sul piano
della verit categoriale) sino a prendere la forma di una storicit della
Lebenswelt o storicit del senso comune. 5 G. Preti, Praxis ed empirismo,
Einaudi, Torino 1957, p. 22. Per una
ricostruzione dinsieme del pensiero e della filosofia di Preti, si veda il mio
Giulio Preti. La costruzione della filosofia come scienza sociale, cit. GIULIO
PRETI: LA RESPONSABILIT POLITICA 139 Donde la peculiare importanza dellopera
pretiana. Preti non un pre- dicatore, un
filosofo che spenda tempo a indicare agli altri cosa fare un filosofo che fa, che costruisce
teoreticamente le strutture epistemiche (filosofiche) che permettono di
costruire il senso in maniera aperta e non limitata culturalmente. in questo che consiste la sistematicit aperta
del- la sua opera. Qui entra in gioco il concetto di responsabilit. La
struttura del senso come orizzonte aperto di possibilit, questa vera e propria
filo- sofia dellazione che si trova in Preti, conduce a portare limpegno umano,
la responsabilit, su di un piano globale. Significa cio fare dell'educazione
filosofica un mezzo affinch ogni individuo sia consapevole di vivere in un
mondo complesso in cui le proprie azioni avranno un effetto sullinsieme
dellumanita, andando assai al di l delle loro conseguenze immediate. La
responsabilit, lo sforzo che si richiede a ciascun individuo consiste preci-
samente nel pensare l'insieme di queste conseguenze, nel conoscere, stu- diare,
formarsi in maniera tale da poter prevedere gli effetti delle proprie azioni
nella maniera quanto pi articolata possibile sul piano intersoggettivo e
culturale. La comprensione non , nel realismo critico pretiano, semplice
ottemperanza a norme predeterminate, ma autentico dovere, responsabilit umana
su cui si fonda l'insieme delle relazioni interpersonali. La vera e propria
svolta pragmatica che Preti imprime alla filosofia con- temporanea, e di cui
egli traccia le principali linee di sviluppo, assicura in tal modo non solo un
esito democratico al pensiero, una costruzione del- la cultura democratica,
come egli stesso aveva perfettamente compreso, ma pi fondamentalmente
restituisce alla filosofia una presa culturale e sociale che essa sembrava aver
in parte perduto nel corso della modernit - o della postmodernit. Per questo possibile individuare un fuoco te- matico
principale del discorso pretiano proprio nella costruzione di una persuasione
razionale, intesa non solo come struttura comunicativa, ma altres come
struttura epistemica soggiacente a unintersoggettivit aper- ta, a livello tanto
interpersonale quanto storico-collettivo. Un aspetto particolarmente
significativo della sua opera dato pro-
prio dallaver recuperato la potenza teoretica della filosofia come elemen- to
di trasformazione culturale. Preti non
un intellettuale sartriano. La filosofia, scrive, necessariamente impegnata ma il suo impegno punta a modificare un
ethos, non un partito. Ma un ethos, come egli ha cerca- to di mostrare, anche e anzitutto una struttura epistemica, o
meglio un insieme di strutture epistemiche che determinano le regole e i
criteri del giudizio, della credenza e in generale i criteri di validit del
sapere. in- 7 Cf. G.P., Praxis ed
empirismo, cit., p. 243, ove si dice che la filosofia non mai di fatto, e di diritto non deve essere,
neutrale o indifferente. Per qui la filosofia sceglie un ethos piuttosto che un
altro, non un partito piuttosto che un altro. Sulla critica filosofica che
obbedisce sempre a profondi bisogni sociali, ed
profon- damente impegnata entro il divenire e le sorti di una societ e
della cultura di questa, si veda Criticit e linguaggio perfetto (1953) in G.
Preti, Saggi filosofici, La Nuova Italia, Firenze 1976, v. 1, pp. 105-126. 140
LUCA MARIA SCARANTINO tervenendo su questo piano, con gli strumenti concettuali
(formali) propri del pensiero filosofico, che questultimo riesce a incidere sul
piano della cultura mantenendo al tempo stesso la propria specificit - quel che
Pre- ti avrebbe chiamato, e vale per la filosofia come per ogni altra
disciplina, lautonomia della propria dimensione trascendentale. Lopera pretiana
non ha quindi nulla di edificante. anzi
uno stru- mento di grande potenza teorica con cui pensare i problemi e le
strutture socioculturali del tempo presente. Perch il discorso pubblico obbedisce
in alcuni paesi a regole in gran parte simili a quelle del discorso
scientifico, in cui leffettivit, la coerenza, il rispetto dei fatti sono
condizione neces- saria per la sua accettabilit, mentre in altri paesi esso
sembra rispondere a criteri di validit di natura assai pi sociale? Perch in un
paese come lI- talia un discorso politico di tipo maccartista, tutto incentrato
sulla paura del comunismo, ha potuto avere successo, alla met degli anni
Novanta, e quali sono i meccanismi di formazione della credenza che ne hanno
reso possibile l'affermazione? Tutta la tematizzazione della complessa relazio-
ne tra convinzione e persuasione, tutta lanalisi del consensum gentium, quel
particolare tipo di pressione conformista che determina i criteri del giudizio
allinterno di un gruppo chiuso, trovano momenti di applicazio- ne in numerosi
gruppi di fenomeni simbolici e sociali che caratterizzano le societ
contemporanee. Si pensi daltro canto alle derive identitarie che attraversano
una parte, forse ancora minoritaria ma di sicuro non trascurabile, delle societ
euro- pee di oggi. Al di l dei motivi storico-sociali che possono essere
allorigine di tali forme di chiusura identitaria, quali ne sono le strutture
epistemiche, e come misurarne la portata per mezzo delle categorie filosofiche?
Proprio il piano del senso e la costruzione della sua illimitatezza pragmatica
(il fri- empimento infinito il cui limite sta proprio nellesperienza
fondamentale dellazione) rendono possibile la costruzione di um idea di
partecipazione, di citoyennet che trascenda i limiti di un gruppo nazionale,
etnico o cul- turale per svolgersi su di un piano globale, il piano di
un'umanit che non un concetto
moralistico ma il luogo simbolico di uninterazione umana non pi possibile su di
un piano inferiore. Cos, il superamento di forme dogmatiche di universalismo, e
al tempo stesso il rifiuto di un relativismo etico, entrambi conseguenze
necessarie del pluralismo categoriale pretia- no (cui si accompagna la
tematizzazione, nel saggio del 1962 Il linguaggio della filosofia, di un trascendentale
situato)*, appaiono come forme em- brionali di una filosofia
dellinterculturalit che trova nel pensiero pretia- no i suoi (impliciti)
presupposti teoretici. Sono solo alcuni temi di cruciale importanza per la
contemporaneit che lopera pretiana ci aiuta ad analizzare e talora persino a
comprende- 8 G. Preti, Il linguaggio della filosofia, (1962) in G. Preti, Saggi
filosofici, cit., v. 1, pp. 455-474. Su questo tema, cfr. i miei Giulio Preti,
cit., pp. 319 sgg. e, successiva- mente, Persuasion, rhtorique et autorit,
Diogne, 217, 2007, pp. 22-38. GIULIO PRETI: LA RESPONSABILIT POLITICA 141 re.
In essa non si troveranno prediche inutili, ma strutture concettuali operative,
in grado di esercitare proprio oggi, sulla cultura e sulle strut- ture simboliche
con cui ci troviamo a operare, la propria azione analiti- ca, chiarificatrice,
educativa. Esse lo fanno in una direzione ben precisa, quella di unapertura
concettuale, culturale, filosofica di cui l'elaborazione politica contemporanea
sembra avere un gran bisogno. Se di attualit di Preti si pu dunque
parlare, esattamente in questa
direzione: quella di un pensiero che offre gli strumenti concettuali per
pensare lintegrazione, linclusione, la fusione degli orizzonti culturali - quel
che InSuk Cha ha recentemente chiamato la mondializzazione della Lebenswelt. IL
MATERIALISMO DI GIULIO PRETI Giulia Santi 1. Il pensare filosofico, tra fluidit
e rigore tendenza assai diffusa a fare
degli -ismi filosofici della specie di es- senze immobili, che si ripresentano
nel corso della storia del pensiero con variazioni del tutto accidentali, ma
sempre con il medesimo nocciolo o anima di verit. [...] Per molti pu
rappresentare un ottimo pretesto per non leggere gli autori, per esimersi da
pesanti obblighi filologici, per scri- vere monografie dove la costruzione
sistematica pu facilmente sostituirsi alla lettura attenta e sensibile. Il
pensiero viene cacciato per forza dentro a questi -ismi, ci stia o no: e il
povero pensatore (che, essendo morto non pu pi protestare) deve dire quello
che conforme allo schema, anche se non
lha mai detto, o lha detto dando alle espressioni un senso tutto diverso?.
Mi parso opportuno cominciare questo
contributo con queste ci- tazioni, riguardanti le forzature che talvolta
vengono imposte attraverso sclerotizzanti etichettature ermeneutiche nella
lettura di autori, in quanto gi altamente significative rispetto alla
diametralmente opposta matrice del pensare pretiano. Prima infatti di osservare
direttamente il limpido filosofare di Giulio Preti, e nello specifico la forma
assunta dal suo materialismo, necessario
riflettere in maniera preliminare sulle forme pi intime e profonde della sua
impostazione filosofica. Preti stesso, forse, avrebbe ritenuto dovero- so
rendere pi denso e problematizzare il lemma materialismo, qui uti- lizzato nel
titolo, a partire innanzitutto proprio da quell-ismo finale, cos da effettuare
opportuni distinguo, evidenziando a cosa quel termine non pu affatto riferirsi.
Gia da un primo confronto con i testi, emerge immediatamente una ca-
ratteristica basilare della ricerca filosofica intessuta da Preti. Le
riflessioni ! G. Preti, Saggi filosofici, La Nuova Italia, Firenze 1976, vol.
II p.247. Il corsivo nel testo. 2 Ivi,
vol. II p. 221. Il corsivo nel testo.
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2011 Firenze University Press 144 GIULIA SANTI del filosofo pavese si
proiettano lungo una linea ben netta che attraversa, nello stesso tempo, le
terre del fluido speculare antidogmatico e quelle di un procedere rigoroso e
coerente sia linguisticamente, sia teoreticamente. Quello che immediatamente
balza agli occhi nell'approccio con questau- tore quindi da una parte la dinamicit delle sue
riflessioni, che si tradu- ce in un rifiuto, nettissimo, di ogni
cristallizzazione acritica e dogmatica, dallaltra parte il rigore con il quale
egli analizza ogni posizione e concetto, posti sotto esame, nelle loro
molteplici sfaccettature, riuscendone, coeren- temente, a focalizzare, con
estrema lucidit, forze e debolezze interne. Il rifiuto di ipostatizzazioni del
pensiero, non deve mai essere frainteso con una mancanza di un adeguato rigore,
tanto nella riflessione tanto nelle- sposizione delle proprie posizioni.
Osservando pi attentamente, Preti rifiuta, quindi, ogni rigidit, dif- fidando,
innanzitutto, da ogni cieco e acritico utilizzo degli -ismi, visti come realt
chiuse in compartimenti stagni, senza n storia, n vita, pur non giungendo mai,
con questo, a disconoscere tout court lesistenza e limportanza delle tradizioni
come termini di riferimento, in fase di ela- borazione, da parte del filosofo,
e di ermeneutica, in fase di lettura e con- fronto, da parte del critico. Noi
viviamo entro una tradizione: il nostro linguaggio, le catego- rie con cui
organizziamo le nostre ricerche e i nostri discorsi, la pro- blematica stessa
di cui ci occupiamo hanno senso nei riguardi di un linguaggio, di categorie, di
problemi che sono giunti a noi attraverso millenni di storia. Preti comprende
come il problema della continuita e discontinuita degli autori e dei pensieri,
rispetto a tradizioni con le quali entrano in relazione, sia una questione complessa,
per il denso intreccio di significati, e irta di insidie, se ci si riferisce
alle evoluzioni sia della storia del pensiero in ge- nerale, sia delle
riflessioni di un singolo nello specifico. Preti rileva come lutilizzo di
categorie concettuali, troppo spesso rigido steccato che poco rispecchia la
complessit della realt, mantiene comunque utilit e ope- rativit come strumento
regolativo nelle mani del critico per ricostruire la trama di pensieri, in
senso orizzontale (nella contemporaneit) e ver- ticale (in un respiro
diacronico), nella quale lautore pu essere inquadra- to. Tale operazione legittimata, in questi termini, anche dal
fatto stesso che lautore per primo ha operato, a monte, una precisa e
necessaria scel- ta. Sebbene il lettore non debba mai isterilire il precipitato
di un filosofo in sterili -ismi, non
corretto nemmeno che non valuti come sia stato per primo lautore stesso
a collocarsi, a prendere posizione, sono parole di Preti, a schierarsi operando
una scelta ben precisa, spesso coraggiosa e dalle spinose conseguenze,
implicando, molte volte, una conseguente ade- G. Preti, Saggi filosofici, cit.,
vol. I, p. 484. IL MATERIALISMO DI GIULIO PRETI 145 sione in questo e
quellaltro partito politico, questo o quellaltro partito religioso. Pensare
criticamente, prendendo una posizione chiara su pun- ti nodali, sia che ci
avvenga scrivendo pagine, sia intraprendendo batta- glie, significa prima di
tutto abbracciare e sostenere un idea, significa non essere indifferenti, nel
corso della storia. Non avere il timore di ritenersi appartenenti a una parte,
pur rimanendo vigili e critici, mai dormienti, in un torpore acefalo, vuol dire
diventare partigiani in difesa del proprio punto di vista, per quanto pronti a
maturarlo. Preti, inoltre, non liquida mai alcuna questione senza averne prima
svi- scerato in profondit, e con estremo rigore filologico, gli aspetti pi
intimi, non accettando mai facili riduzioni interpretative. Il tarlo della
critica lo porta sempre a tenersi alla larga dalle sdrucciolevoli superfici,
piastrellate di posizioni squadrate con laccetta, che lo condurrebbero a non
rilevare gli elementi validi ed euristicamente fecondi allinterno di posizioni
an- che non totalmente condivise o, al contrario, di individuare invece impas-
se in punti di vista globalmente presi come riferimento primario. Ancora una
volta riemergono nello stesso tempo fluidit e rigore nelle modalit del
filosofare di Preti. In tale ottica deve essere letta anche la critica spietata
e a tutto tondo portata avanti da Preti nei confronti di ogni discorso che si
ponga su un terreno metafisico. Nella metafisica infatti, prima di tutto, il
nostro intra- vede un pensiero non puntuale scientificamente, soprattutto nei
metafisici moderni, non potendo accettare ci che esso ha di inconsistente dal
pun- to di vista logico, di indefinitamente equivoco dal punto di vista
semanti- co, di incontrollabile dal punto di vista empirico*. La metafisica
mostra il fianco proprio in quanto pretende di raggiungere una conoscenza ulti-
ma, reificando e cristallizzando il proprio oggetto, assolutizzandolo, per di
pi senza essere in grado di rispondere allesigenza di rigore e veri- ficabilit
che un'indagine scientificamente condotta richiederebbe. Preti avvertendo tutta
lurticante boria racchiusa in ogni processo conoscitivo che aspiri a
raggiungere leterno, lassoluto, limmutabile, si chiede allora quali possano
essere il compito, il cammino e lambito della filosofia. La filosofia deve
innanzitutto riconoscere come priva di senso la nozione delleternamente vero5,
senza disconoscere il valore e la portata dello storicamente vero, che se non
offre appagamento a chi pervaso da una
sete dincrollabilit, dallansia dell'eterno, a chi invece accetta pacifi-
camente leventualit di morire, nel senso pi completo della parola, ma ci tenga
invece a formarsi le idee pi chiare possibili, pi intersoggettive possibili,
idee che contribuiscano a liberare lui e i suoi simili da incubi e fantasmi
dellaldil e rendano pi comoda e ridente possibile la casetta delluomo terreno -
per costui il difetto si tramuta in massimo pregio. 4 Ivi, vol. I, p. 477. 5
Ivi, vol. I, pp.75-76, dalle quali sono tratti anche i riferimenti seguenti
fino a dove diversamente indicato. 146 GIULIA SANTI Partendo da queste
considerazioni, Preti inevitabilmente giunge a ri- pensare anche gli ambiti
propri ai quali la filosofia pu estendere il pro- prio ambito di indagine,
sempre mantenendo, come filo d'Arianna, questo coerente intreccio di fluidit e
rigore. A Preti appare allora fuorviante de- terminare a priori quale sia e
come si determini loggetto proprio della filosofia. Non intatti possibile congelare una volta per
tutte e senza alcu- na declinazione storica e tramite uninterpretazione univoca
quali siano i problemi sui quali la filosofia si pu, si potuta e si potr, esprimere, e quelli,
potremmo dire, off limits. Della storicit nella quale luomo immerso non pu non partecipare anche ci che
la filosofia pone sotto la propria lente. La philosophie est una metarflexion
dont le niveau est toujours su- sceptible dtre dplac, afferma dunque Preti
citando Jacques Ruytinx, per poi continuare dichiarando che essa non ha un
locus proprio, ma deve porsi ad un livello superiore. Da ci non pu non
risultare quindi una distorsione asserire, con estre- ma semplificazione, che
lelemento di continuit, fondo opalescente di ogni riflessione filosofica, in
ogni tempo e in ogni luogo, consista in problemi invariabili, quasi fossero
fossili, nelle loro declinazioni, gi determinati nel passato e predeterminabili
rispetto al futuro. Si soliti affermare
che [...] i problemi rimangono, sono costantemente gli stessi. Il problema
della conoscenza, del bene, dellarte, della realt, dellorigine del mon- do...
ecco i problemi costanti cui umanita pensante si trova sempre di fronte. [...]
Anche qui il solito pericolo; i problemi della filosofia son A, B, C...; se in
un pensatore essi mancano, non un
filosofo; se ne mancano alcuni, filosofo
incompleto; se ne pone altri, bene, ma non sono problemi filosofici. Che un modo per ottenere vittoria sul- la realt
un po troppo a buon mercato. [...] Ma anche ammesso che i problemi restino gli
stessi, pur sempre vero che, nel corso
della storia della filosofia, essi, se mai, restano identici solo formalmente.
Compito della filosofia diviene allora immergersi sempre nella dimen- sione
storica ritagliando dimensioni di intelligibilit del reale, senza dogma-
tizzazioni dei propri risultati, mantenendo nello stesso tempo un compito
generale e particolare, di ampia sistemazione in vasti quadri complessivi e di
ristretta penetrazione critico-sistematica in singoli campi della cultura*. In
ultima analisi, per concludere questa prima ricognizione nel pensie- ro di
Preti, una filosofia e un pensiero cos caratterizzati si materializzano G. Preti, Saggi filosofici, cit., vol. I, p. 512, dove si cita
lespressione di J. Rutynx in Le problmatique philosophique de lUnit de la
Science, Societ ddition Les Belles Lettres, Paris 1962, p. 339, nota 2. 7 G. Preti, Saggi filosofici, cit., vol. II, pp.
223-224. Il corsivo nel testo. 8 Ivi,
vol. I, p. 484. IL MATERIALISMO DI GIULIO PRETI 147 necessariamente
nellutilizzo di una particolare forma dellargomentare, nonch in un genere
particolare di scrittura: il saggio. Preti nel corso del- la sua vita, anche se
non in maniera esclusiva, ha scritto numerosissimi saggi, molti dei quali
rimasti inediti fino alla sua morte, indirizzando la sua attenzione su
molteplici ambiti dindagine. Preti si rivolge a destina- tari diversi e perci
modula, con dinamismo, le forme utili ad analizzare la propria Weltanshauung e
descrivere la propria narrazione conoscitiva senza mai venir meno a limpidezza
critica, rigore e chiarezza. Tali saggi non devono essere visti come riferimenti
minori, allinterno della produ- zione dellautore, in quanto sono vere e proprie
trivellazioni critiche nei pi ampi orizzonti della ricerca filosofica, tali da
scalfire dure rocce dog- matiche, senza mai sprofondare in sabbiosi terreni di
totale relativismo, aprendo sempre nuove sfide che riannodino fili sciolti di
pensiero. Come li defin Mario Dal Pra, i saggi di Preti sono tessere di un
mosai- co che mano a mano si venivano disponendo nel luogo a ciascuna riservato
e che, nellinsieme rendevano sempre meno incompiuto il quadro, che era
rigorosamente presente fin dallinizio e che operava in modo ordinato e continuo
nello sviluppo di una riflessione costruttiva? arricchendo sem- pre di nuove
sfaccettature e nuovi slanci il proprio procedere investigativo. 2. Le tre
ruote dentate Dopo aver dedicato uno sguardo dinsieme alle caratteristiche che
si pongono come fondamenta alla base di tutto l impianto filosofico svilup-
pato nel corso degli anni da Giulio Preti,
possibile ora penetrare allin- terno dei gangli e degli ingranaggi i cui
ponderati movimenti ad incastro permettono alla macchina pretiana di avanzare
con precisione rigorosa negli orizzonti del pensiero moderno. Sono
principalmente tre le ruote dentate che con coerenza trovano un loro incastro
innescando cos il meccanismo che anima la riflessione di Pre- ti, e sono
lempirismo logico, il trascendentalismo e le filosofie della prassi. Sebbene
sia principalmente il terzo aspetto quello che pi riguarda questo
contributo, necessario stabilire,
sinteticamente, in che cosa con- sistano i primi due elementi e in che modo le
loro dentature trovino una possibilit di incastro. Giulio Preti, proprio grazie
al suo procedere non preconcetto e nello stesso tempo scrupoloso, riesce a
rivalutare, in ottica critica, diversi indi- rizzi di pensiero nel tentativo
continuo di stabilire incontri reciprocamente costruttivi e di fondare piani di
mediazione tra posizioni, fino ad allora, ritenute totalmente divergenti, senza
possibilit di dialogo. Per quanto riguarda lempirismo logico possibile rintracciare una ri- costruzione
delle caratteristiche e delle motivazioni che spinsero Preti ad ? M. Dal Pra,
da Presentazione, in G. Preti, Saggi filosofici, cit., pp. VII-IX. 148 GIULIA
SANTI avvicinarvisi allinterno del saggio I! mio punto di vista empiristico,
del 1958 e poi raccolto tra i Saggi filosofici10. Allinterno di questo scritto,
il nostro dichiara come sia stata un'esigenza ben precisa di rigore ad averlo
portato ad avvicinarsi allempirismo, in seguito alla constatazione dello status
quo interno alla ricerca filosofica. Preti descrive con ferocia il panorama
degli inizi della sua militan- za filosofica, come un bellum omnium contra
omnes, nel quale ognuno si riteneva in diritto di combattere e galoppare con
qualsiasi mezzo, cavallo o asinello che fosse, in un autoreferenziale
vaniloquio, nel quale la logica contava poco e lesperienza nulla, senza
preoccuparsi quindi della possibile inconsistenza dal punto di vista logico e
positivo delle proprie scorazzate, senza preoccuparsi di rendere la filosofia
un onesto mestiere e non una gara a chi riesce a imporre la sua posizione
urlando pi forte. Preti si avvicina allempirismo logico attratto principalmente
dalla volont di garantire controllabilit ed esperibilit alle metodologie e agli
assunti, smascherando, daltro canto, linverificabilit dei discorsi meta-
fisici. La propria adesione, parola di
Preti, allempirismo logico risul- ta derivare principalmente dal bisogno che la
ricerca filosofica tornasse a fare i conti con lesperienza, su vie
possibilmente pi (relativamente) og- gettive e sul terreno il pi possibile
aderente allesperienza verificabile!!. Giulio Preti, per lo spirito
genuinamente critico e per il suo acuto ri- flettere teoretico, lascia spazio
all'emergere di criticit anche in questa posizione, che pur in parte soddisfa
la sua sete antidogmatica e antimeta- fisica. Nel procedere dellindagine, il
nostro rintraccia nel neoempirismo, proponendosi di colmarla, una globale
svalutazione del ruolo e dellambito dapplicazione della filosofia, in senso
stretto, ritenendola quasi un tuttu- no con la metafisica stessa o al massimo
un possibile strumento unica- mente di analisi del linguaggio, la necessit di
introdurre una pluralit di ontologie regionali (orientando cos lempirismo logico
verso un trascen- dentalismo), perdendo cos la presunta pretesa di cogliere il
reale in s e di accentuare ancor di pi la storicit, nella quale il processo
conoscitivo immerso, e il suo rapporto
con la prassi. proprio a partire da
questi rilievi che la dentatura della prima ruota inizier a intersecarsi con le
altre due, il trascendentalismo e le filosofie della prassi, in particolar modo
il marxismo e il pragmatismo di Dewey, arricchendosi in complessit e profondit,
nonch in originalit della posi- zione cos elaborata. In Praxis ed empirismo,
Preti descrive come di pro- fonda consonanza il rapporto tra empirismo logico e
filosofia della praxis, fondata sul loro nascere come reazioni allidealismo e
ad ogni sistema che tende ad una soluzione assolutizzante e di conchiusone
della realt. 10 G. Preti, Saggi filosofici, cit., vol. I, pp. 475-495. 1 Ivi,
p. 479. 2 G. Preti, Praxis ed empirismo, Einaudi, Torino 1957, pp. 19-20. IL
MATERIALISMO DI GIULIO PRETI 149 Preti costruisce cos la sua filosofia come un
punto di vista in continua crescita, un sistema aperto, sebbene riferendosi al
sistema egli dichiari di non possedere nulla che assomigli a una cosa del
genere3, che via via si potenzia affilandosi sotto la lama tagliente della
ricerca pi autentica, con un suo sviluppo e una sua coerente concatenazione
interna, ma che non diviene mai rigido prisma metafisico. 3. Le filosofie della
praxis: pragmatismo e materialismo Una volta delineato come la posizione di
Preti si vada costituendo co- me un meccanismo nel quale coerentemente tre
ruote dentate (empirismo logico, trascendentalismo e filosofie della prassi) si
muovono simultanea- mente, anche se con peculiarit differenti, opportuno ora chiedersi quali nello specifico
siano gli apporti del pragmatismo e del materialismo, nello specifico
allinterno della trama filosofica cos costituita. Un ruolo altamente
significativo in questi crocevia filosofici
svolto dallattenzione pretiana per la prassi, che mantiene ben
conficcato luomo nel suo mondo terreno. Cosa si intende per per praxis? Nel
primo capitolo di Praxis ed empirismo, Preti utilizza una definizione operativa
inglobando in questo gruppo quelle filosofie (avvicinando in tal modo
pragmatismo e marxismo) che mantengono un orientamento atti- vo, fattivo e
volontaristico verso il mondo, che pretenda non di interpretare il mondo, bens
di modificarlo, un'elaborazione che riesca a coniugare momento speculativo e
momento tecnico. Nel momento in cui si af- ferma che la filosofia orientata verso la prassi, verso il mondo, lo
stesso pensare umano si presenta appunto, come umano e nel suo valore uma- no,
come attivit delluomo che fa la sua storia, essere che fa se stesso, che
risolve i propri problemi in un dinamico rapporto di prassi e pensiero. Nello
specifico, il pragmatismo (Preti si avvicina in particolar modo alla
formulazione di Dewey), configurandosi principalmente come unepiste- mologia,
riconnette l'indagine conoscitiva delluomo alla sua sfera pratica. Il filosofo
pavese riassume lo strumentalismo! di Dewey nellespressione ipotesi, teorie e
concetti scientifici sono strumenti dellazione, pur rile- vando come sia
maggiormente preciso, invece, sul piano della metodologia, l'utilizzo del
temine operativismo, in quanto pone maggiormente laccento sulle trasformazioni
che il mezzo innesca sul piano delle situazioni preesi- stenti. Il contributo
del pragmatismo per una visione complessa della co- !3_G. Preti, Saggi
filosofici, cit., p. 475. 4 G. Preti, Praxis ed empirismo, cit., p. 12. 15 Ivi,
vol. I, p. 478. 16 Ivi, vol. I, p. 84 (il corsivo nel testo), dalla quale tratta anche la citazione seguente. 150
GIULIA SANTI noscenza e del pensare umano consiste proprio in questo
riavvicinamento tra la scienza e la praticit, che porti a concepire lo stesso
sapere come pratico. Preti dichiara come recidere questo legame o porre i due
termi- ni, verit e praticit, come elementi contrapposti, non pu che portare ad
un disconoscimento tanto della conoscenza che luomo pu elaborare, tan- to dei
suoi effetti pratici di trasformazione. Un semplice articolo, secondo Preti, pu
portare ad una misinterpretazione del contributo del pragmati- smo
allepistemologia. fuorviante infatti
sostenere che la verit luti- le, in
quanto tramite questespressione si giungerebbe ad un avvizzimento del vero e un
suo irrigidimento dogmatico, introducendo lutilit come criterio per legittimare
il vero. A differenza di questa prima espressione, sottraendo larticolo, e
sostenendo quindi che la verit utile si
recupe- ra il carattere empirico della conoscenza, colmando la frattura tra
questi due termini. Se poniamo infatti la verit del sapere in opposizione al
suo essere di validit pratica si fuoriesce dalla dimensione reale della
scienza. In secondo luogo, il materialismo, apporta alla conoscenza la
ricchezza di un continuo confronto con la prassi nella sua dimensione storica.
Ad in- vestigare il mondo, dunque, vi
luomo concreto, luomo storico, luomo che vive realmente in una societ,
la quale ha un passato, un presente ed un futuro verso cui si protende'*. Le
forme di pensiero pi rigorose divengo- no allora strumento mediante cui luomo
trasforma il mondo in un mon- do di leggi e di significati. Le ontologie
regionali si declinano dunque nel divenire, immerse nella storicit delluomo e
della cultura che costruisce. Il materialismo riconnette lo scorrere del tempo
e il mutare del mon- do prima di tutto alla materiale storicit e al materiale
mutare prima di tutto degli essere viventi che partecipano di questi processi.
La reale dialettica delle strutture del pensiero la dialettica delle strutture sociali. [...]
Gli uomini mettono del tempo a nascere e a mo- rire, a moltiplicarsi - e quindi
i rapporti di popolazione a mutarsi. Le macchine mettono del tempo a produrre,
a logorarsi, a rifarsi; le per- sone mettono del tempo a spostarsi, a
comunicare. La societ si muta nel tempo, come ogni altro fenomeno naturale,
empirico: perci la fi- losofia muta nel tempo. Tempora mutantur, et nos mutamur
in illis; ma anche vero il contrario:
che i tempi mutano con il nostro mutare. Non
che ci sia- mo noi e il tempo: ma noi siamo il tempo, e il tempo noi. La prima posizione del materialismo
storico che la storia, sia essa
economica, politica, religiosa o filosofica, la fanno gli uomini! . 17 G.
Preti, Praxis ed empirismo, cit., p. 84. 18 G. Preti, Saggi filosofici, cit.,
vol. I, p. 73, nota 25. !9 il primo presupposto di ogni storia umana naturalmente lesistenza di in- dividui umani
viventi: K. Marx, Ideologia tedesca, trad. it., Milano, 1947, I p. 45. La nota
qui riportata presente nel testo di
Preti. G. Preti, Saggi filosofici, cit.,
vol II p. 241. IL MATERIALISMO DI GIULIO PRETI 151 Da questa citazione si
desume come, ancora una volta, lanalisi di Pre- ti non sia mai unidirezionale e
non eluda mai le problematicit interne ad ogni valutazione, anche quindi nella
tradizione materialista. Il Nostro non pu non riscontrare come anche il
materialismo rischi di ricadere o in una metafisica della natura, nuovamente
pregna di realismo, o in una metafisica del divenire storico, pietrificando il
divenire in perpetue leg- gi preconfezionate. Preti allora ammonisce che il
materialismo storico , s, un potente strumento di indagine storica concreta, ma
non bisogna per credere che sia una chiave che apra immediatamente tutte le
porte. Le applicazioni semplicistiche che in genere se ne sono fatte lo hanno
al- quanto screditato: invece va applicato con agilit, spirito critico e vigile
occhio storico, per cogliere di volta, in volta e in concreto come si svolto il processo storico reale?!. 4. La
carne Il cuore del materialismo di Giulio Preti risiede, in maniera pi orga-
nica e approfondita, nel saggio In principio era la carne del 1963-1964, che da
il titolo allomonima raccolta, pubblicata nel 1983. Innanzitutto Preti tocca
direttamente il nocciolo del materialismo, sovvertendo la proposizione, in
principio era il logos, antica formulazione mitologica delle filosofie
orientali e poi divenuto cardine del pensiero cri- stiano, ne in principio era
la carne. Il cristianesimo aveva individuato il logos, come lelemento
primordia- le, e solo come sua derivazione il corpo, la materialit, intesa cio
come materia seconda, originata per successiva incarnazione e quindi tramite un
progressivo decadimento. Al contrario invece Preti ritiene che [...] il singolo organico, vivente, in carne, ossa
e sangue, il principio, la condizione e lo scopo di ogni potere, di ogni
sapere, di ogni valore e disvalore, di tutto il vero e il falso, il bello e il
brutto, il bene e il ma- le - di tutta la storia e di tutta la realt umana.
Subito dopo questaffermazione Preti aggiunge come la primariet del- la carne
sul logos venga in epoca moderna affermata nello stesso tempo da molteplici
filosofie?! Ivi, vol. II, p. 243. Il corsivo
nel testo. 2 G. Preti, In principio era la carne, Franco Angeli, Milano
1983. 23 Ivi, p. 163. 2 interessante
rilevare come tutte le filosofie menzionate costituiscano degli importanti
riferimenti per Preti. Si evidenzia cos un elemento che consente a quelle ruote
dentate, in apparenza cos poco conciliabili, di trovare un ulteriore terreno di
dialogo e confronto. 152 GIULIA SANTI [...] marxismo, pragmatismo,
esistenzialismo, neopositivismo; persino, implicitamente, certe forme di
neokantismo e della fenomenologia (non lultimo Husserl ricaduto, nella
vecchiaia, nel mito ebraico-cristiano)?. Con questo capovolgimento il filosofo
pavese non mira a negare qual- siasi realt allelemento razionale, quasi a
dipingere una realt esclusiva- mente carnale, bens intende negare che il logos
possa venir considerato il principio primo, di cui la materia solo una discesa, uno scadimento. Come
sostiene anche Sebastiano Timpanaro, il materialismo rivendica la priorit della
natura sullo spirito, 0, se vogliamo, del livello fisico sul biologico e del biologico
sulleconomico-sociale e culturale: sia nel senso di priorit cronologica (il
lunghissimo tempo trascorso prima che la vi- ta apparisse sulla terra, e
dallorigine della vita allorigine delluomo), sia nel senso del condizionamento
che tuttora la natura esercita sull'uomo e continuer ad esercitare, almeno in
un futuro prevedibile, senza con questo annullare alcuno degli altri livelli.
Preti approfondisce ulteriormente cosa egli intenda per logos e quali rapporti
intercorrano con la carne. In particolare il Nostro sottolinea co- me la cultura,
ovvero le scienze, le tecniche, la sfera valoriale formino quel logos che non
pu che derivare dalla carne, dalla vita, come suo potenzia- mento e non pu che
ritornare nuovamente ad essa per un suo arricchi- mento, e in questo schema
lautore propone un interessante riferimento a Simmel e alla sua formulazione
vita, pi che vita, pi vita. Tutte le verit sono in funzione dellesperienza
vitale e tutti i giu- dizi di valore, come tutti gli ottimismi e anche i
pessimismi, sono in funzione di esigenze vitali della carne. La carne non solo allorigi- ne, ma il criterio primo, come ultimo, di ogni vero
e di ogni falso, di ogni bene e di ogni male. Il logos cio non pu che partire
dal mondo della vita, come sua im- magine, o meglio come costruzioni plurali su
di esso basate, ma non pu che ritornare, come cultura, alla vita stessa. Il
logos quindi rete che luo- mo lancia per
afferrare nelle sue maglie regioni conoscitive. A questo punto diviene
inevitabile chiedersi in che cosa consistano queste immagini del mondo e in che
modo Preti distingua la sua formu- lazione tanto da una riproposizione di un
realismo ingenuo e metafisico, tanto da un soggettivismo che sfocerebbe in un
relativismo conoscitivo. Preti incrina sotto il maglio della critica sia il
presupposto realisti- co od oggettivistico, per il quale la conoscenza sarebbe
vera solo se con- duce ad una piana corrispondenza tra limmagine e la realt
vista come G. Preti, In principio era la
carne, cit, p.163. 2% S. Timpanaro, Sul materialismo, Unicopli, Milano 1998,
cap. I, p. 6. 7 Ivi, pp. 168-169. IL MATERIALISMO DI GIULIO PRETI 153 archetipo
e termine ultimo, sia il presupposto soggettivistico, per il quale invece il
processo conoscitivo si ridurrebbe ad un atto mentale?8. Da questa stringente
critica i due poli della conoscenza non svaniscono totalmente, bens permangono
privati dellipostatizzazione classica, non pi come res assolute, totalmente
scisse e indipendenti tra loro. I due ful- cri e il processo conoscitivo stesso
recuperano il loro senso e la loro fun- zione solo allinterno della tensione
conoscitiva, di una specifica tensione conoscitiva, che prende forma unicamente
in un concreto e determinato atto, in un'esperienza caratterizzata storicamente
e socialmente. 5. Concludendo: Preti nel fiume carsico del pensiero moderno
italiano Un'indagine di questo tipo focalizza il ruolo e limportanza rivestita
da Preti allinterno della linea di sviluppo del pensiero filosofico moderno.
Giulio Preti innalzando la sua voce come quel bimbo della novella di Andersen
che sbugiarda il re nudo, sradica i carismi dellassoluto: eter- nit, necessit
verit riportando la fecondit degli strumenti conosci- tivi nellambito
dell'umano. La filosofia, nelle riflessioni del filosofo pavese, sebbene
sottratta alle pretese di cogliere lassoluto in s, con la sua funzione
metariflessiva di- viene fluido e proficuo strumento nelle mani delluomo per
indagare il mondo, la praxis culturale, le forme e la storia nella quale immerso. La filosofia diviene grimaldello
pronto a scardinare ogni deriva metafi- sica, idealistica e irrazionalistica,
che costruisce la sua efficacia euristica, delimitando il proprio orizzonte di
riferimento entro ontologie regionali. Giulio Preti potrebbe allora venir letto
come una delle anse pi signifi- cative di quel fiume carsico di pensatori
italiani, il cui corso si affianca ad autori, cos diversi tra loro, come
Giacomo Leopardi, Ludovico Geymonat, Sebastiano Timpanaro, per limitarsi ad
alcuni, tutti non organici e alter- nativi al predominante pensiero idealista
prima, e irrazionalista poi, che hanno caricato la molla potente del
criticismo, rilasciando, in un tempo diluito, tutta la forza impressa, portando
il pensiero a compiere un balzo nella modernit. 28 G. Preti, In principio era
la carne, cit, pp. 172, come i precedenti termini uti- lizzati tra
parentesi. Cfr. G. Preti, Saggi
filosofici, cit., vol. I, pp. 127-129, da dove
tratta anche lespressione a seguire. IL KANT DI PRETI NEI SAGGI FILOSOFICI
Elisabetta Scolozzi Osservo soltanto che non vi
nulla dinsolito nel fatto che - tanto nel- le conversazioni comuni
quanto negli scritti, e mediante il raffronto dei pensieri espressi da un
autore sul suo oggetto si possa
intendere lautore anche meglio di quanto egli intendesse se stesso: pu accadere
infatti, che costui non abbia determinato sufficientemente il suo con- cetto, e
cos abbia talvolta parlato, o anche pensato, contrariamente alla propria
intenzione! [KrV B 370]. Cos scrive Immanuel Kant nel Libro primo della
Dialettica trascen- dentale della Critica della ragion pura con lintento di
definire il significa- to del concetto di idea in contrapposizione allaccezione
platonica. Questa sua osservazione si rivela tanto pi appropriata se la
accostiamo alla stessa critica gnoseologica kantiana che ha conseguito un ulteriore
sviluppo te- orico nonch approfondimento critico nel dibattito filosofico e
scientifico del Novecento. Nel momento in cui le nuove scoperte scientifiche
otto- novecentesche hanno reso pi complesso il problema della comprensione
della natura e riproposto il divario tra lindagine scientifica e il pensiero,
la riflessione elaborata dal pensatore di Knigsberg si configurata come un momento necessario nonch
un riferimento irrinunciabile per la rile- vanza che assume la sua
epistemologia. Un'opera filosofica, infatti, pur prendendo origine dai nodi
problematici di una determinata epoca storica (nel caso degli scritti kantiani
la mecca- nica newtoniana), pu essere meglio intesa e sviluppata, secondo
quanto rileva Kant, anche in contesti storici distanti dal sentire proprio del
suo autore. Invero, come ha puntualmente osservato Fulvio Papi, in chiusura del
suo libro Capire la filosofia: [...] un testo filosofico rispetto alla vita
stessa dellautore che vi ha la- vorato costituisce una alterit, si pu dire che
esso ha le caratteristi- che che sono proprie di un mondo possibile. Il testo
filosofico non lapertura nel mondo
dellesperienza vissuta, una
modellizzazio- ne simbolica che, proprio in ci che , mostra il suo essere altro
che ! I. Kant, Critica della ragion pura, introduzione, traduzione e note a
cura di Giorgio Colli, Adelphi, Milano 19763, p. 375. Franco Cambi e Giovanni
Mari (a cura di) Giulio Preti : intellettuale critico e filosofo attuale ISBN
978-88- 6655-039-6 (print) ISBN 978-88-6655-044-0 (online PDF) ISBN
978-88-6655-048-8 (online EPUB) 2011
Firenze University Press 156 ELISABETTA SCOLOZZI si consegna in questa guisa
per gli altri ma anche per se stesso come autore. Il proprio se stesso si trova
quindi in un instabile, ambiguo statuto che consiste nelloscillare tra il
proprio vissuto e il testo filoso- fico che ha una vita propria di oggetto
simbolico, di mondo possibile?. Proprio in virt di questa caratteristica di
mondo possibile che as- sumono gli scritti kantiani, possibile considerare dinamicamente le
questioni teorizzate dal pensatore tedesco e inserirle in un'ottica di con-
temporaneit. Entro questo specifico orizzonte lindagine kantiana non superata in quanto accolta e accettata nei
suoi limiti come vera, bens - ricorrendo alle parole di Giulio Preti la cui
riflessione filosofica aveva preso forma nellambiente universitario neokantiano
sviluppatosi intorno alla figura di Antonio Banfi? - contemporanea [] una
filosofia quando ha ancora contro di s della antitesi, vale a dire non ha
ancora potuto ac- quietarsi e passare alleternita in una sua verit!. Seguendo
pertanto tale impostazione che presuppone la comprensione del testo in quel
che il suo significato storico
unitamente al suo contributo teorico, Preti riformula il criticismo elaborando
una riflessione autonoma non contaminata dallismo filosofico kantiano. In altri
termini, andan- do oltre la fedele adesione alla lettera del kantismo, il
pensatore pavese ci fornisce una lettura originale della lezione del filosofo
di Knigsberg che tiene presente i nuclei problematici aperti dalla
contemporaneit al punto da rappresentare, come ricorda Fabio Minazzi nel suo
studio sul pensiero del nostro autore, un capitolo (0, se si preferisce, un
paragrafo) assai in- teressante della storia del neocriticismo?. L'orizzonte
critico entro il quale Kant pone il problema teorico della scienza attraversa
l'indagine pretiana che cerca, sulla scorta di esso, di for- mulare proposte di
adeguamento alle mutate situazioni speculative. Una volta riconosciuta la
validit della comprensione epistemologica kantia- na, Preti propone una lettura
critica del neopositivismo, vale a dire tenta di accostare limpostazione
kantiana alle tesi dellempirismo logico. L'in- tegrazione problematica e
feconda tra il positivismo e il trascendentali- 2 F. Papi, Capire la filosofia,
Ibis, Como-Pavia 1993, p. 108. Informazioni pi dettagliate sulla biografia del
filosofo pavese sono fornite da F. Minazzi, Giulio Preti: bibliografia, Franco
Angeli, Milano 1984, pp. 17-85. Inoltre per una disamina dell'ambiente
culturale banfiano si rimanda al volume di F. Papi, Vita e filosofia. La scuola
di Milano: Banfi, Cantoni, Paci, Preti, Guerini, Milano 1990, il quale, nel
capitolo finale, Giulio Preti: l'ombra vuota dellidea e il fuoco della passione
(pp. 235-60) esamina i momenti fondamentali della riflessione pretiana. Il
trascendentalismo trasformato con la logica, il pragmatismo e il mar- xismo
definiscono le due anime della battaglia culturale pretiana: il razionalismo e
lumanesimo. 4 G. Preti, Idealismo e positivismo, Bompiani, Milano 1943, p.
9. F. Minazzi, Lonesto mestiere del
filosofare. Studi sul pensiero di Giulio Preti, Franco Angeli, Milano 1994, p.
33, il corsivo nel testo. IL KANT DI
PRETI NEI SAGGI FILOSOFICI 157 smo pu, pertanto, diventare una modalit di
accesso alla riflessione del pensatore pavese e, in particolare, una chiave di
lettura privilegiata per la comprensione degli scritti pretiani raccolti nei
Saggi filosofici. La variet e l'ampiezza dei temi e delle questioni affrontate
nei due volumi del 1976 rende conto della molteplicit di piani della disamina
pretiana che, tuttavia, non impedisce una prospettiva unitaria di lettura.
Infatti, nonostante il loro carattere di saggi autonomi scritti per svariate
occasioni in un arco temporale che va dagli anni Trenta agli anni Sessan- ta
del XX secolo (il primo saggio in ordine temporale, Filosofia e saggez- za nel
pensiero husserliano, stato pubblicato
nel 1934, mentre lultimo saggio, Pluralit delle scienze e unit eidetica del
mondo scientifico, risale al 1965), il filo conduttore che li ispira e li
accomuna il dialogo filosofi- co con il
pensatore di Knigsberg. Kant si configura, dunque, quale oriz- zonte aperto che
acquista il suo senso nellambito di una discussione pi vasta intorno alla
problematica culturale dellimpresa scientifica, il cui momento teoretico assume
una forma logica connettendosi, pertanto, con le formule del neopositivismo. Da
questa riformulazione della dottrina kantiana alla luce delle tema- tiche
dellempirismo logico elaborate dal Wiener Kreis, emerge un nuovo positivismo
perch nuovi sono i motivi che lo hanno ispirato. Il pensatore pavese ci
fornisce il suo biglietto da visita, nell'opera del 1943, Idealismo e
positivismo, dove il riferimento a Kant si configura come cartina di tornasole
per indagare il nuovo positivismo per via negativa, cio in polemica contro la
metafisica. Pertanto solo rintracciando la metafisica insita nellidealismo e
nel positivismo si pu delineare un nuovo positivismo antidogmatico $ Le varie
componenti che animano la riflessione di Preti rendono difficile
uninterpretazione unitaria del suo pensiero. Mario Dal Pra (Studi sullempirismo
critico di Giulio Preti, Bibliopolis, Napoli 1988, p. 40, da cui tratta la citazione), per esempio, ritiene
che lindirizzo principale della riflessione pretiana sia lempiri- smo critico
anche se profondamente corretto mediante le strutture formali del tra-
scendentalismo convezionalistico, o storicistico. Minazzi, invece, sottolinea
come lorizzonte del trascendentalismo storico-oggettivo sia il filo rosso che
attraversa lindagine del pensatore pavese: attraverso una complessa mediazione
della lezione del neopositivismo, del trascendentalismo neocriticista, della
fenomenologia hus- serliana, del marxismo e del pragmatismo, grazie alla quale
ognuna di esse viene trasfigurata, individuando degli intrecci problematici
sempre ricondotti ad una trama unitaria, Preti ha cos configurato un originale
trascendentalismo storico- oggettivo, in virt del quale la scienza e la filosofia,
luomo e la storia, la conoscenza e laxiologia, sono qualificati tramite
lindividuazione delle strutture fungenti con le quali un ambito dellesperienza
viene normato e strutturato. F. Minazzi, L'onesto mestiere del filosofare.
Studi sul pensiero di Giulio Preti, cit., p. 71. Inoltre si segnala il
contributo di Franco Cambi, Metodo e storia. Biografia filosofica di Giulio
Preti, grafistampa, Firenze 1979, p. 58 (da cui
tratta la citazione), che mette in evidenza come lavvicinamento pretiano
della visione kantiana della filosofia alle strutture operative del linguaggio
riduce la riflessione filosofica ad un grado zero che viene ad interdire ogni
relazione dialettica con ci che resta escluso e ogni trascendimen- to del
fondamento medesimo. 158 ELISABETTA SCOLOZZI per il quale lunica realt di cui
ha senso e vale la pena di parlare, la realt pensata, pensata nelle forme e strutture del soggetto
trascendentale. Il positivismo nuovo elaborato da Preti, se non vuole fermarsi
alla semplice descrizione dei procedimenti della conoscenza scientifica, deve
definire il suo atteggiamento confrontandosi con il problema critico dove le
nozioni che servono alla comprensione dellesperienza sono logiche non metafisi-
che. Pertanto il positivismo pu indagare le forme e le strutture dellespe-
rienza rinunciando ad una metafisica che vuole presentarsi come scienza.
Tuttavia Preti, dopo aver messo in guardia dagli sbandamenti metafi- sici cui
pu incorrere il nuovo positivismo, osserva quanto segue: [...] anche la scienza
ha bisogno di ipotesi metafisiche, senza le quali essa dovrebbe accontentarsi
di semplici descrizioni del dato, mentre ci cui mira il trovare le leggi fondamentali dello
sviluppo fenome- nologico della realt studiata, la connessione di queste leggi
con il complesso dellesperienza. In altre parole, la metafisica una volta
tenute a freno le piacevoli sebbe- ne illusorie speranze di addentrarsi nella
conoscenza dellincondizionato (sia esso lesperienza dei positivisti o
l'assoluto degli idealisti), si configura come indagine sulla natura del
pensiero, sulle strutture e i principi della conoscenza umana. Gi Kant aveva
rivolto una particolare attenzione al ruolo della meta- fisica nella
comprensione scientifica poich, quantunque la metafisica fos- se qualcosa di
soggettivamente reale, occorreva capire se essa fosse anche oggettivamente
possibile. A tal riguardo, nella Prefazione ai Prolegomeni ad ogni metafisica
futura che vorr presentarsi come scienza, osservava: [...] il mio
proposito di convincere tutti coloro,
che reputano oppor- tuno occuparsi di metafisica, di questa verit: che assolutamente ne- cessario sospendere
provvisoriamente il loro lavoro, considerare tutto ci che si fatto come non fatto, e porre anzi sopra ogni
altra cosa la questione possibile in
genere ci che si dice metafisica?. Se essa
scienza, come avviene che non riesce, come altre discipline, ad affermarsi
universalmente e stabilmente? Se non
scienza, come avviene che non cessa di glorificarsi come scienza e di
trattenere lintelletto umano con speranze non mai morte, ma non mai realizzate?
[AA IV 255-256]. La risposta a questi interrogativi sar fornita dalla disamina
episte- mica delle condizioni di possibilit del reale nell'indagine della
natura, 7 Questa e la successiva citazione sono tratte da G. Preti, Idealismo e
positivi- smo, cit., p. 83, p. 120. 8 I. Kant, Prolegomeni ad ogni metafisica
futura che vorr presentarsi come scienza, introduzione, traduzione, note e
allegati a cura di Piero Martinetti, postfa- zione e apparati di Massimo
Roncoroni, Rusconi, Milano 1995, p. 29. IL KANT DI PRETI NEI SAGGI FILOSOFICI
159 che trova la sua trattazione pi precisa nei Primi principi metafisici della
scienza della natura. Kant, infatti, dopo aver criticato le pretese inganne-
voli di una ragione che brancola tra concetti vuoti di significato, esamina le
condizioni sotto le quali i concetti dellintelletto possono avere realt
oggettiva. A tal fine, [...] una metafisica speciale della natura rende alla
metafisica genera- le dei servizi eccellenti e indispensabili portando degli
esempi (casi in concreto), per realizzare i concetti e i teoremi di questultima
(propria- mente della filosofia trascendentale), cio per dare senso e
significato a una semplice forma di pensiero? [AA IV 478]. Questa analisi
critico-trascendentale intrapresa da Kant sulle struttu- re della fisica del
suo tempo sintetizzata da Preti nei
seguenti termini: [...] egli [Kant] parte dal modello della fisica-matematica
newtoniana (con le relative regulae philosophandi), della quale analizza le
strutture cercando di distinguervi i tipi di enunciati in essa validi [...] e i
rispet- tivi criteri di verificazione. Crea cos le regole fondamentali per luso
di un linguaggio perfetto scientifico, che dovrebbero essere quelle di ogni
discorso scientifico in generale: e poi critica gli enunciati metafi- sici in
quanto non traducibili nei termini del linguaggio scientifico. Alla luce di ci,
il trascendentalismo si integra criticamente con il ne- opositivismo. Nel
momento in cui si elimina lingannevole discorso me- tafisico dalla scienza,
lanalisi delle strutture della ragione, a parere di Preti, sostituisce il
rigore matematico e la verificabilit empirica del lin- guaggio scientifico ai
termini vaghi e ambigui. Questa sintassi rigorosa permette di evitare eventuali
reificazioni che potrebbero contaminare la conoscenza scientifica. Mentre in
Idealismo e positivismo, Preti utilizza la critica alla metafisica kantiana per
rimuovere il velo metafisico dellidealismo e del positivismo con lintento di
elaborare un nuovo positivismo antimetafisico, nei Saggi filosofici presenta un
criticismo rielaborato con le categorie dellempirismo logico, vale a dire Preti
precisa il nuovo positivismo soffermando latten- zione sulla parte teoretica,
la logica matematica. Si tratta di due orizzonti gi presenti nellopera del
1943, ma, come gi allora il pensatore pavese
I. Kant, Primi principi metafisici della scienza della natura,
introduzione a cura di Ludovico Geymonat, nota informativa e traduzione a cura
di Luigi Galvani, Cappelli, Urbino 1959, p. 21, i corsivi sono nel testo. 10 G.
Preti, Criticit e linguaggio perfetto in G. Preti, Saggi filosofici, a cura di
Franco Alessio, con una presentazione di Mario Dal Pra, La Nuova Italia,
Firenze 1976, 2 voll., vol. I, pp. 117-18 (il corsivo nel testo), mentre le successive citazioni
sono tratte dal saggio Il linguaggio della filosofia, ivi, vol. I, p. 462 (i
corsivi sono nel testo), pp. 470-71. 160 ELISABETTA SCOLOZZI ricordava, la loro
interconnessione era solo presupposta ma non chiara- mente esposta ed
esaminata. Preti, partendo dalla constatazione che la conoscenza un fatto di fronte al quale il filosofo deve
operare non una giustificazione bens uno studio critico dei processi e delle
condizioni di validit, intende il proble- ma della conoscenza come un problema
semantico poich solo lanalisi critica del discorso consente di evitare le
incrostazioni metafisiche insite nell'impresa scientifica. Per questa ragione,
nel saggio del 1962, Il linguag- gio della filosofia, la domanda kantiana che
cosa possiamo conoscere? diventa che cosa possiamo dire?. Tuttavia occorre
distinguere un lin- guaggio simbolico da quello propriamente logico: il primo,
in quanto me- taforico, mi conduce ad un paralogismo, il secondo il linguaggio proprio della scienza ed costituito dalle regole di esplicitazione
sistematica dei contenuti stessi. In questo modo la teoria delle strutture
trascendentali acquista un si- gnificato semantico e traduce le parti formali
del discorso nei protocolli empirici e nel linguaggio delle cose. I principi e
le categorie diventano, en- tro i quadri della semantica, degli ascrittori
formativo-sistemativi che fondano la dimensione dei significati. La scienza,
perci, si configura come ricerca di significati, non come una scoperta di regolarit
nella natura quanto piuttosto unintroduzione delle stesse. In questo modo Preti
riconferma la lezione kantiana espressa puntualmente nei Prolegomeni come
segue: lintelletto non attinge le sue leggi (a priori) dalla natura, anzi
piutto- sto le impone ad essa!! [AA IV 320]. In questa nuova prospettiva
lintelletto diventa il legislatore della na- tura che non attinge le sue leggi
dalla natura, anzi piuttosto le impone ad essa. L'oggetto, dunque, si conosce
in quanto risultato della nostra intera- zione con il mondo, vale a dire
unicamente dalle condizioni di possibilit dellesperienza che giacciono nel
nostro intelletto. Proprio prendendo le mosse da questi rilievi critici Kant pu
predi- sporre la sua rivoluzione copernicana che spiega come gli oggetti che a
noi appaiono come apparenze possono conformarsi al nostro modo di
rappresentazione. In altri termini il soggetto e loggetto della conoscen- za
non si costituiscono come due res metafisiche, ma come funzioni dellatto del
conoscere'. Infatti non si tratta di uno spostamento nel rapporto di conoscenza
tra soggetto e oggetto quanto piuttosto - come osserva Preti in un saggio
incompiuto del 1971-1972 pubblicato postu- mo - nellanalizzare a quali
condizioni entro tali strutture e sotto tali u I. Kant, Prolegomeni ad ogni
metafisica futura che vorr presentarsi come scienza, cit., p. 157, le
spaziature sono nel testo. 2 G. Preti, Idealismo e positivismo, cit., p. 81. IL
KANT DI PRETI NEI SAGGI FILOSOFICI 161 leggi [del pensare ndr] possa costruirsi
una rappresentazione dellogget- to conforme ad esse. I fenomeni, pertanto, per
diventare oggetti di esperienza devono es- sere inseriti allinterno di ordini
di legalit. Questultimi rappresentano la dimensione trascendentale del
linguaggio scientifico e costituiscono, a parere di Preti, linsieme di regole
secondo cui si devono organizzare le definizioni. Questa problematica trova una
sua pi compiuta trattazione nello scritto del 1953, Linguaggio comune e
linguaggi scientifici, dove il Nostro, distinguendo tra gli enunciati del senso
comune e gli enunciati tecnici (questultimi dotati di un calcolo e di
unassiomatica), mette in evidenza come un fatto del senso comune
(caratterizzato dallimmediata certezza pragmatica) acquista un significato
allinterno di una precisa disciplina scientifica. A questo punto, nella parte
finale del saggio in questione, pu trarre la seguente conclusione: [...]
mediante le categorie, dice Kant, la mente trasforma i dati dellintu- izione in
concetti empirici, e forma le proposizioni empiriche. Questo, nel nostro
linguaggio, equivale a dire che mediante
le leggi scienti- fiche, espresse nel loro formalismo, che cose e fatti
acquistano signi- ficato teorico. Pertanto, dalla corrispondenza tra la
dottrina kantiana delle catego- rie e le leggi scientifiche, si desume che le
categorie, per la caratteristica di essere formali e trascendentali, sono forme
mediante cui i fatti del senso 3 G. Preti, Lo scetticismo e il problema della
conoscenza, Rivista critica di sto- ria della filosofia, anno XXIX, gennaio-marzo
1974, fasc. I, pp. 3-31; ivi, aprile- giugno 1974, fasc. II, pp. 123-43 e ivi,
luglio-settembre 1974, fasc. III, pp. 243-63, la citazione si trova a p. 253. !
Gli ordini di legalit sono, a parere di Kant, condizioni di oggettivit che ren-
dono conoscibili gli oggetti di un'esperienza possibile, ossia condizioni di
possibilit della conoscenza scientifica. Secondo Preti, le condizioni di
scientificit dipendono dal discorso logico nel quale la matematica assume il
ruolo di sintassi logica nelle teorie scientifiche, perdendo la funzione di
costruzione sintetica. Sulla fecondit te- oretica di questultima e sul limite
della concezione pretiana si sofferma Jean Petitot che, nel capitolo dedicato
al pensatore pavese, scrive: dal punto di vista trascen- dentale, la
legalizzazione analitica conduce allo sviluppo matematico di un'estetica
trascendentale e non a una sintassi logica. La formalit delle regole riguarda
il modo in cui i momenti categoriali delloggettivit si trovano a essere
interpretati matematicamente [...] e non il modo in cui il concetto di oggetto
si trova a essere pensato logicamente (J. Petitot, Per un nuovo illuminismo. La
conoscenza scientifica come valore culturale e civile, prefazione, cura e
traduzione dal francese di Fabio Minazzi, Bompiani, Milano 2009, p. 327, i
corsivi sono nel testo). !5 Questa citazione
tratta da G. Preti, Due orientamenti dellepistemologia in G. Preti,
Saggi filosofici, cit., vol. I, p. 65, mentre le successive citazioni si
trovano nel saggio Linguaggio comune e linguaggi scientifici, ivi, vol. I, p.
210, p. 211 (il corsivo nel testo). 162
ELISABETTA SCOLOZZI comune acquistano significato, cio si traducono in fatti
nel linguaggio formale della teoria. Inoltre il ricorso alla nozione di
meanings introdotta da John Dewey consente di estendere la nozione di a priori,
poich la se- mantica permette di organizzare le esperienze in un discorso
formando un reticolato di nozioni in riferimento alle quali le esperienze
divengono significati. Infatti: dire che le categorie sono concetti formali,
vuol dire che esse sono delle pure variabili, non sono altro che significati,
ossia la- stratto di proposizioni e classi di proposizioni. Tuttavia il
carattere formale delle categorie non comporta un allonta- namento dal
contenuto fattuale, anzi piuttosto le regole duso oggettivo delle nostre
categorie permettono lapplicazione del principio ad un con- cetto empirico.
Preti, facendo propria linterpretazione marburghese della riflessione kantiana
approfondita dalla disamina cassireriana!, intende queste va- riabili
dinamicamente. Infatti la priori immobile e astorico proposto dal filosofo di
Knigsberg si apre al divenire storico sperando che lidea diret- trice proposta
da Kant in riferimento alla meccanica newtoniana, si possa estendere alla fisica
contemporanea, come ha cercato di fare, per esempio, il filosofo di Breslavia.
Nonostante la crisi delle strutture deterministico-causali, Preti con- vinto che la struttura centrale della
scienza della natura sia ancora new- 16
interessante notare come Preti, al fine di chiarire il contenuto
fattuale, in- troduce lesempio della dinamica osservando quanto segue: non si
possono fon- dare i principi della Dinamica sui concetti di forza e
accelerazione; al contrario, saranno i principi della Dinamica che prescriveranno
le regole duso dei termini forza e accelerazione e quindi in questo senso, ne
fonderanno i concetti (ivi, vol. I, p. 211). La trattazione kantiana in
proposito si rivela piuttosto chiara nel mo- mento in cui si confrontano la
Deduzione trascendentale con lAnalitica delle propo- sizioni fondamentali: le
categorie sono funzioni che unificano sotto un'intuizione la sintesi delle
diverse rappresentazioni in un giudizio, vale a dire sono le condizioni formali
con le quali si forma loggetto dellesperienza prescrivendo le leggi a priori
alle apparenze. Esse non acquistano valore obiettivo in quanto sono applicabili
ai sensibili, ma sono essi stessi a fornire lobiettivit alle rappresentazioni
sensibili. 17 Sullincontro di Preti con il filosofo delle forme simboliche cfr.
in partico- lare il contributo di F. Cambi, Cassirer nel pensiero di Preti: una
matrice essenzia- le, Il Protagora, anno XXXVII, sesta serie, n. 13,
gennaio-giugno 2010, pp. 181-92 che definisce nei seguenti termini la lettura
cassireriana del Nostro: un rapporto costante e di ripresa, di riuso, ma
pertanto anche di guida. Cassirer come punta di diamante del neokantismo
riconferma il trascendentalismo come metodo e lo rin- nova e lo affina (la
citazione si trova a p. 190). importante
ricordare come Preti ri- tenga di fondamentale importanza linterpretazione
kantiana di Cassirer in quanto ha il merito, al di l della sua validit di
fronte ai progressi scientifici del Novecento, di cogliere come, partendo dalla
profonda ispirazione di questa gnoseologia critica, si debba svolgere in
concreto una gnoseologia che interpreti il senso delle nuove dot- trine
scientifiche ed epistemologiche. G. Preti, Presentazione in E. Cassirer,
Sostanza e funzione - Sulla teoria della relativit di Einstein, La Nuova
Italia, Firenze 1973, p. VIII, i corsivi sono nel testo. IL KANT DI PRETI NEI
SAGGI FILOSOFICI 163 toniana e di questultima predispone una disamina nel
saggio del 1957, Lontologia della regione natura nella fisica newtoniana. Qui
il pensa- tore pavese, connettendo la nozione husserliana di ontologia
regionale con la fisica newtoniana, enuclea la struttura del linguaggio
scientifico, le regole di discorso o verificazione sulle quali il filosofo di
Knigsberg ha riflettuto elaborando la sua dottrina trascendentalistica.
Riflettere sulle re- gole di metodo, sui principi e sulle categorie che
costituiscono lontologia della regione natura significa chiarire
fenomenologicamente la nozione a priori di natura in quanto costituita come
oggetto o correlato di una conoscenza (umana) in generale'*. Pertanto, secondo
la dottrina kantiana la dimensione spazio-tempo- rale e le categorie
costituiscono la condizione necessaria per losservabili- t intersoggettiva
degli oggetti della natura e rappresentano le condizioni di pensabilit del
mondo scientifico. Nella riflessione pretiana si tratta di concetti teorici per
la descrivibilit discorsiva degli oggetti del mon- do scientifico, dove la
nozione di mondo scientifico la
corrispondente moderna del concetto kantiano di natura. Quindi, da un lato il
principio di verificazione dellempirismo logico consente di eludere il discorso
metafisico con lintroduzione del rigore e della validit intersoggettiva della
conoscenza, poich determina le con- dizioni di significativit scientifica [...]
di un discorso in generale come condizioni di verificabilit delle frasi od
enunciati di cui il discorso stesso consiste. Dallaltro lato il
trascendentalismo evita il limite della sterili- t del linguaggio logico
giungendo cos alla nozione di metafisica critica: Kant disse che la stessa
critica della ragione era una metafisica cri- tica: allo stesso titolo si pu
dire che la stessa critica metalinguistica
una filosofia critica. Il discorso che porta alle strutture formali
(logi- che) e semantiche (fenomenologiche) dei linguaggi e dei discorsi cul-
turali (scientifico, morale, religioso, giuridico) esso stesso costruttore delle categorie
fondamentali di questi linguaggi, e quindi delle loro ontologie regionali?!. !8
G. Preti, Lontologia della regione natura nella fisica newtoniana in G. Preti.,
Saggi filosofici, cit., vol. I, p. 414. ! Preti definisce lespressione mondo
scientifico nei seguenti termini: mon- do
il correlato noematico delle strutture formali che nella scienza operano
come forme noetiche del sapere scientifico stesso; e scientifico sta ad
indicare che esso il correlato non di
qualsiasi reticolato di forme noetiche in genere, bens di quelle che
costituiscono lesplicitazione, operata dalle ricerche epistemologiche,
delleidos scienza. G. Preti, Pluralit delle scienze e unit eidetica del mondo,
ivi, vol. I, p. 507, il corsivo nel
testo. 2 G. Preti, Le tre fasi dellempirismo logico, ivi, vol. I, p. 313. 2!
L'esempio adottato da Preti per spiegare il concetto di metafisica critica il seguente: per esempio, il discorso che
usiamo per descrivere i fenomeni fisici pre- determina, come tra gli altri ha
accennato lo Eddington, la forma di ci che chia- miamo natura fisica: non certo
le leggi empiriche di questa natura, ma le leggi 164 ELISABETTA SCOLOZZI La
pluralit di ontologie cos conseguita dipende dai differenti universi di
discorso nei quali si pronuncia il giudizio di realt. Per questa ragione, di
fronte allo specializzarsi delle ricerche, Preti si propone di raggiungere
lunit della scienza tramite lunit del linguaggio scientifico. Questulti- ma
dovrebbe essere data da una epistemologia unitaria che sia in grado di definire
unitariamente gli scopi umani, le direzioni e strutture teoreti- che, le regole
formali di validit degli enunciati, le tensioni di sviluppo. Tuttavia, siccome
si tratta di ununit ideale dove per la dimensione tra- scendentale kantiana
fornisce l'autonomia ad ogni singola scienza, essa possibile solo come unit storica della
scienza, unit dinamica, stimolo unitario di variazione che segue il variare dei
parametri fondamentali lo- gico-formali e logico-trascendentali. Alla luce di
ci, il nostro autore predispone una particolare forma di trascendentalismo che
si interroga sulle costruzioni teoriche attraverso cui gli oggetti vengono
presentati nellesperienza: [...] si tratta [...] di un trascendentalismo
storico-oggettivo, che rile- va le forme costruttive dei vari universi di
discorso attraverso lanali- si storico-critica dei linguaggi ideali che fungono
da modello a questi universi, dalle regole di metodo che si sono imposte
storicamente e ancora vigono nel sapere, etc. Insomma si tratta di unOntologia
tra- scendentale (o meglio, di ontologie trascendentali) che non pretende di
cogliere le forme e strutture di un Essere in s, ma vuole determinare il modo
(i modi) in cui la categoria dellessere
in atto nella costru- zione, storicamente mobile e logicamente
convenzionale (arbitraria), delle regioni ontologiche da parte del sapere
scientifico (in particola- re) e della cultura (in generale). La lettura
pretiana di Kant si sofferma ampiamente, come abbiamo avuto modo di esaminare,
soprattutto sul primo dei tre noti interessi del- scientifiche entro cui
collochiamo quelle leggi empiriche mediante cui costruiamo quel quadro fisico
del mondo di cui parla Planck (ivi, vol. I, p. 472, i corsivi sono nel testo).
Questa esemplificazione si rivela particolarmente significativa soprattut- to
se confrontata con la riflessione critico-trascendentale condotta da Kant sulla
meccanica newtoniana ed affidata ai Primi principi metafisici della scienza
della natura. Qui Kant, interrogandosi sulle condizioni di oggettivit che
rendono co- noscibili gli oggetti di un'esperienza possibile, individua le
condizioni di possibi- lit della conoscenza scientifica. Nello specifico le
categorie del Verstand e i rela- tivi Grundstze, esposti e definiti
relativamente alloggetto in generale, diventano costruibili, vale a dire
acquistano senso e significato, solo nel momento in cui si applicano ad un
oggetto particolare (la materia), di cui ci
fornito solo un concetto empirico (il movimento). 2 Questa e la
successiva citazione sono tratte dal saggio Due orientamenti nellepistemologia,
ivi, vol. I, p. 59, p. 77, i corsivi sono nel testo. 2 G. Preti, Il mio punto
di vista empiristico, ivi, vol. I, p. 486, mentre la succes- siva si trova a p.
476. IL KANT DI PRETI NEI SAGGI FILOSOFICI 165 la ragione, ossia sul problema
della conoscenza in generale e della scienza in particolare, perch la
preoccupazione che anima lanalisi del Nostro
quella di trovare, di fronte al bellum omnium contra omnes che dominava
il dibattito filosofico della prima met del Novecento, piani di discorso e
metodi pi positivi, pi intersoggettivi, di poter fare della filosofia un onesto
mestiere. La filosofia, dunque [...] non ha pi un oggetto proprio e non fonda
mediante quel suo og- getto le varie forme della cultura, le quali si fondano
da s. La filosofia quindi [...] questa
stessa formalit della cultura in quanto auto- riflessa. In parole pi piane, la
filosofia ha ora per oggetto la cultura stessa, nelle sue varie forme,
conoscitive e no [...]. Non ricerca verit materiali, ma il senso di vero, in
quanto valore che il sapere si pone [...] come scopo e criterio; non ricerca
che cos' bello, ma il senso di bello in quanto scopo e criterio delle attivit
(valutative e/o creati- ve) estetiche; non ricerca che cosa bene, ma il senso di buono in quanto
categoria del giudizio e della norma della moralit storica. Entro questa
immagine dellargomentare filosofico, il riferimento ai problemi etici nei Saggi
filosofici costituisce un'ulteriore prova della pos- sibilit di un discorso
metamorale al fine di ribadire lattivit diagnosti- ca del filosofo che opera
sulla realt analizzando la struttura logica di un discorso morale. In questo
modo, alla diffidenza dei neopositivisti verso questa tipologia di temi, il
suggerimento di Preti un parallelismo
tra le- sperienza morale e gli enunciati empirici. Inoltre, la trattazione
pretiana della morale diviene un momento di confronto con lesposizione kantiana
che resta tale anche laddove il pensa- tore pavese non discute dei risultati
teorici della sua posizione, ma avanza solo delle chiarificazioni
metodologiche. 24 G. Preti, Introduzione. Lo stato attuale della filosofia in
Enciclopedia Feltrinelli - Fischer, Filosofia, a cura di Giulio Preti,
Feltrinelli, Milano 1966, p. 11. 25 A tal riguardo Preti scrive come il
discorso scientifico, esso [il discorso mo- rale ndr] si organizza intorno a
significati (categorie) che rimandano ad atteggia- menti ed emozioni, ma hanno
nel discorso una funzione indipendente, e in un certo senso a priori (G. Preti,
Il mio punto di vista empiristico in G. Preti, Saggi filosofici, cit., vol. I,
p. 490). Pertanto non si pu sottrarre la morale dalla ragione scientifica se si
vuole evitare un irrazionalismo. 26 Su questo punto si segnala per esempio il
saggio del 1935, I fondamenti del- la logica formale pura nella
Wissenschaftslehre di B. Bolzano e nelle Logische Untersuchungen di E. Husserl
(ivi, vol. I, pp. 11-31), dove Preti per spiegare la lo- gica husserliana si
serve della logica kantiana, nella quale la prima rintraccia i suoi fondamenti.
Si veda inoltre il saggio del 1955, Materialismo storico e teoria dellevo-
luzione (ivi, vol. I, pp. 377-412, la citazione si trova a p. 403) dove Preti
discutendo della situazione delluomo nella storia della natura o evoluzione
naturale e nella storia umana, si serve dellidea kantiana di finalit per
precisare che luomo [...], mediante il complesso di atti e comportamenti
chiamato pensiero, introduce nella natura il concetto, e quindi ordine,
orientamento, finalismo: pertanto, luso costi- 166 ELISABETTA SCOLOZZI
Conclusioni [...] c' il fatto che di soliti i filosofi che si studiano hanno
letto filoso- fi, i quali a loro volta avevano letto filosofi [...]. Di qui un
tramandar- si di temi, un tramandarsi di termini, un tramandarsi di linguaggi:
e con questultimo vocabolo intendo qualcosa di molto pregnante, che racchiude
non solo luso di parole determinate, ma anche il modo di organizzare i
discorsi, il modo di provare le asserzioni, e [...] un intera topica. Non solo
cio delle regole logico pure di conseguenza forma- le, ma anche degli schemi
generali di implicazione materiale, o anche semplicemente dei principii generali
contenutisticamente determina- ti. Ci costituisce una tradizione filosofica, o
per meglio dire [...] delle tradizioni filosofiche. Questo passo risulta
particolarmente significativo a riguardo della collocazione del pensatore
pavese in una tradizione concettuale. Infat- ti la riflessione del Nostro, per
quanto si situa dichiaratamente in una tradizione di continuit con la dottrina
kantiana in virt della lezione banfiana e della frequentazione con le opere del
neokantismo, si presen- ta come un elemento di discontinuit in quanto elabora
una versione del kantismo arricchita con i contenuti logici del neopositivismo.
Questa strana [...] irruzione di metafisica idealistica entro i quadri di una
di- scussione [...] condotta con i metodi della semantica neopositivista,
ottenuta sostituendo le categorie - idest i concetti a priori - con le strut-
ture logico-sintattiche del pensiero, permette di costruire entro il lin-
guaggio scientifico, lontologia regionale di una determinata scienza in una
certa epoca storica. L'apertura kantiana alla conoscenza scientifica,
l'intreccio virtuoso tra la riflessione trascendentale e le conoscenze
scientifiche ha consentito al pensatore pavese di indagare, sia pur entro
lorizzonte del discorso logi- co, le condizioni di possibilit della scienza che
sono condizioni indispen- sabili della nostra conoscenza oggettiva delle teorie
scientifiche. Inoltre seguendo il suggerimento kantiano presente nella
definizione di trascen- tutivo delle idee rende sterile il sapere, luso
regolativo crea una direzionalit nella ricerca e nel lavoro. Infine nello
scritto, Continuit e discontinuit nella storia della filosofia (ivi, vol. II,
pp. 224-25), il Nostro pone a confronto il problema della mo- rale kantiana con
quella platonica al fine di dimostrare come, nonostante laffinit formale del
loro interesse per la morale, gli interrogativi di partenza e gli esiti da
raggiungere sono differenti. Infatti, mentre Kant intento a determinare luniver- salit e la
necessit della morale, Platone vuole raggiungere il contenuto dellidea del
Bene. 7 G. Preti, Continuit ed essenze nella storia della filosofia, ivi, vol.
II, p. 246. 28 Questa e la successiva citazione sono tratte da ivi, vol. I, p.
64, p. 512 (il cor- sivo nel testo). IL
KANT DI PRETI NEI SAGGI FILOSOFICI 167 dentale, secondo il quale la conoscenza
non si riferisce agli oggetti ma alla nostra conoscenza possibile degli
oggetti, Preti pu cos raffigurare la filosofia come una riflessione di secondo
livello che concerne la natura e la possibilit delle nostre rappresentazioni
degli oggetti dell'esperienza: [...] la filosofia meta-riflessione, e per questo non ha un
locus pro- prio. Di fronte alla scienza, lepistemologia filosofia; ma sviluppan- dosi unepistemologia
scientifica, il luogo della filosofia si sposta ad un livello superiore, quello
della meta-epistemologia. Kant non solo
il punto di arrivo della storia del pensiero moderno, ma anche la matrice della
problematica del pensiero contemporaneo che ritro- va nella difesa kantiana del
valore culturale della scienza e nella fondazio- ne del problema della
conoscenza un termine di confronto fondamentale. 2 Kant, nella Sezione VII
dellIntroduzione della prima Critica, definisce il tra- scendentale nei
seguenti termini: chiamo trascendentale ogni conoscenza che in generale si
occupa non tanto di oggetti, quanto invece del nostro modo di conoscere gli
oggetti, nel senso che tale modo di conoscenza dev'essere possibile a priori
[KrV A 13/B 25]. I. Kant, Critica della ragion pura, cit., p. 67, la spaziatura
e il corsivo si trovano nel testo. GIULIO PRETI DOCENTE UNIVERSITARIO
Alessandro Mariani 1. Nel ricordo degli allievi Accanto allallievo di Antonio
Banfi, allonesto filosofo dal rigore analitico e dalla cartesiana pulizia,
allempirista logico dalla sensibi- lit storica, linguistica e fenomenologica,
al filosofo europeo, al teorico del mondo scientifico, del razionalismo critico
e delle due culture - ampiamente illuminato nelle pagine precedenti emerge un altro Giulio Preti, altrettanto
interessante e strettamente collegato al suo fare ricerca. Mi riferisco al
docente universitario, attivo presso la Facolt di Magistero dellUniversit degli
Studi di Firenze dal novembre del 1954 al giugno del 1972, con una brevissima
parentesi - nellAnno Accademico 1958/1959 - presso la Facolt di Lettere e
Filosofia dello stesso Ateneo. Per ragioni anagrafiche (Giulio Preti nato a Pavia il 9 ottobre del 1911 ed morto a Djerba il 28 luglio del 1972) sarebbe
stato impossibile, per me, ricostruire la memoria personale di questo importante
segmento pedago- gico che riguarda direttamente lattivit di Preti, anche perch
la didattica ha sempre assunto per lo studioso pavese un significato profondo,
sia sul piano umano (si pensi al rapporto con gli studenti) sia su quello
filosofico (si pensi all'esigenza di sistematizzare/giustificare il suo
pensiero). Pertan- to, cercando di far emergere ricordi vivi, ho posto una
serie di domande ai suoi allievi reperibili e di successo intellettuale, i
quali hanno risposto con una dovizia di informazioni che sono andate ben oltre
la semplice testi- monianza, cogliendo una serie di nuclei assai importanti
costantemente scanditi tra la personalit di Giulio Preti, il suo stile
comunicativo, le sue lezioni e il rapporto che egli ha avuto col 68. Per maggiore
chiarezza riporto di seguito gli otto quesiti posti a Giulio Barsanti, Franco
Cambi, Roberto Dami, Giorgio Paganini, Alessandro Pa- gnini, Gigliola Paoletti,
Paolo Parrini (che il 30 maggio del 1986 aveva gi tenuto, nella sala del
Gabinetto G.P. Vieusseux, una conferenza su L'ultimo Preti e i suoi corsi
universitari), Alberto Peruzzi, Lucia Poli, Mauro Sbordoni e Andrea Spini, che
ringrazio sentitamente per lattenzione, la sensibilit e la generosit dimostrate
nel ricordare le tracce che il Professor Preti ha lascia- to nel loro iter
formativo. 1) Dai Suoi ricordi di studente universitario quale immagine di
Giulio Preti emerge? 2) Per quali ragioni definirebbe Preti come educatore? 3)
Quali erano i metodi didattici maggiormente utiliz- Franco Cambi e Giovanni
Mari (a cura di) Giulio Preti : intellettuale critico e filosofo attuale ISBN
978-88- 6655-039-6 (print) ISBN 978-88-6655-044-0 (online PDF) ISBN
978-88-6655-048-8 (online EPUB) 2011
Firenze University Press 170 ALESSANDRO MARIANI zati da Preti? 4) Tra ricerca e
didattica universitarie esiste un nesso inscin- dibile. Potrebbe evidenziare
questo nesso alla luce della lectio di Preti? 5) Qual era il rapporto che Preti
docente universitario aveva con i classici? 6) In quali termini si pu parlare
di una comunicazione formativa nella lunga azione didattica svolta da Giulio
Preti? 7) Quale relazione educativa instaurava con gli studenti e i laureandi?
8) A quali, tra i suoi molteplici lavori scientifici, Preti faceva maggiore
riferimento durante le sue lezioni? 2. La personalit Dalle risposte pervenute,
tutte molto ampie e significative, i compor- tamenti di Giulio Preti appaiono
sempre connotati dalloriginalit, anche se in molti casi enfatizzati dalla
vulgata che circolava su dilui. A tal punto che, come afferma Gigliola
Paoletti, circolavano molte voci che lo dipin- gevano come uno terribile che
dava 13 agli esami (la pi comune); come uno che impediva la frequenza agli
studenti-lavoratori (diffusa in genere dai compagni che frequentavano
Vigilanza); come uno sciupafemmine (dallo spogliatoio femminile). Ovvero, un
uomo avvolto nel fumo delle sue sigarette, con abitudini singolari e con una
fisiognomica particolare. Tra le immagini di Preti ricordate da Gigliola
Paoletti ne segnalo tre. Il professore tiene le lezioni settimanali pomeridiane
di filosofia te- oretica e dal suo studio raggiunge laula, situata in fondo al
lungo cor- ridoio al primo piano di Magistero, in Via Del Parione 7: lentamente
mi si avvicina, piccolo, un po claudicante, con limmancabile Gauloise accesa,
ci fa entrare, qualche battuta, un sorriso sdentato, si siede alla cattedra,
apre uno dei suoi preziosi quaderni dove annotava il meglio delle sue ricerche
e dei suoi pensieri per narrarli con generosit agli stu- denti nel corso della
lezione, producendo in me ogni volta meraviglia e desiderio di conoscere; il
professore, piccolo, seduto dietro al gran- de banco della gremita
aula-biblioteca dove tiene le lezioni del Corso sulla filosofia dellOttocento e
- nel silenzio generale - legge, spiega, annota e commenta in mezzo ad una
nuvola di fumo la Prefazione al- la Fenomenologia dello spirito di Hegel; il
professore dopo la lezione pomeridiana (e alcuni incontri che oggi potremmo
chiamare semina- riali autogestiti, sulla cui qualit vigilava attraverso nostri
compagni gi laureati) con un gruppetto di noi cammina e chiacchiera lungo il
marciapiedi sinistro di Via Tornabuoni che da Piazza Santa Trinita ci porta al
Bar Giacosa, dove per la prima volta in vita mia, poco pi che ventenne,
sorseggio fiduciosa un Biancosarti da lui offerto (noi studenti squattrinati al
massimo potevamo sorseggiare una gazosa!). Nella memoria di Giulio
Barsanti ancora presente immagine di un
uomo inarrivabile. Entrava in aula preceduto da una giovane donna che si sedeva
in disparte e l rimaneva silenziosa e immobile per un'ora. Tanto bella quanto
inarrivabile pure lei. GIULIO PRETI DOCENTE UNIVERSITARIO 171 Una personalit
umana, certamente, ma anche filosofica, come sotto- linea Andrea Spini: [...]
il tratto, forse, che pu - in qualche misura - rendere unimmagi- ne di
Preti quella di un volteriano, anzi di
un Voltaire che - ridendo ironicamente - si fa beffe, smascherandole, di tutte
le pretese storici- stiche. Ad esse opponeva unaltra lettura della storia,
tutta giocata sul filo della conoscenza come strumento di liberazione da ogni
dogma, anche della scienza stessa. Di essa, rubandola a Dewey (non casual-
mente, essendo stato il primo a cercare una fecondazione del marxismo con il
pragmatismo), accettava solo il suo fondamento: essere libera da pregiudizi,
pur sapendo che anche questa era una pretesa che per dare i suoi frutti umani
doveva essere concepita come telos, mai co- me forma chiusa. 3. La
comunicazione La comunicazione pretiana era intessuta di ironia e di rigore, di
argo- mentazione e di acume, di onest e di amichevolezza. Giulio Preti [afferma
Lucia Poli] era un professore affascinante: di una bruttezza rara, ostentava
con civetteria la sua bocca senza denti, il suo cipiglio cespuglioso, le sue
membra spigolose e sghembe, quasi a far gioco di s e lanciava strali al curaro
contro gli studenti sprovveduti e soprattutto contro le studentesse (perch la
Facolt di Magistero era perlo pi frequentata da ragazze), in modo da rendere il
suo sottofondo critico una sorta di omaggio. Il dono dellironia e del sarcasmo
sottile lo circondava come unaura. E questo prima ancora di cominciare la
lezione. Poi, quando iniziava a parlare di filosofia, con cadenza lenta e
precisa, leggermente cantilenante, inchiodava tutti al banco. Educatore
[prosegue Lucia Poli] colui che stimola
alla crescita. In questo senso Giulio Preti ci spingeva ad essere allaltezza
del suo umorismo intel- lettuale per noi non sempre comprensibile, ma
catturante. Allusioni, richiami continui a Voltaire, a Husserl, a Kant,
mescolati magari ai no- minalisti medioevali, ci spiazzavano e ci spingevano a
leggere di pi, ad aprire la mente oltre il libro di testo. Insomma lo studio
diventava un percorso personale e una sfida al miglioramento di s. [...] forse
non cera un metodo prefissato, era soprattutto la forte personalit del maestro
a comunicare emotivamente negli scolari un processo di imi- tazione e di
affezione alle materie trattate. Su questultimo aspetto Roberto Dami ritiene
che se per formazione di un individuo si intende lacquisizione degli strumenti
critici per leggere, interpretare la realt, tutta lazione didattica di
Preti una comunicazione formativa e,
direi, non solo intellettuale ma anche umana. 172 ALESSANDRO MARIANI Come ha
asserito Giorgio Paganini, Preti era un filosofo e un docen- te che [...] ti
sorprendeva continuamente perch, qualsiasi argomento filo- sofico o pi
genericamente culturale trattasse, te lo faceva riscoprire al di fuori dei
luoghi comuni o delle categorie interpretative comune- mente accettate.
Naturalmente ci sono modi diversi di riscoprire la filosofia. Ma quello di
Preti era in un certo senso il pi radicale: lo at- tribuirei al suo metodo di
lavoro metalinguistico. Nel senso esatto che a lui interessavano il linguaggio
e le implicazioni logico-formali su cui inevitabilmente sono costruite le
teorizzazioni, le argomentazioni, le definizioni e i concetti filosofici. Con
tutto ci che poi ne conseguiva. [...]. Ma, nel rapporto con gli studenti ci lo
portava [...] a smontare non solo particolari posizioni su un argomento di
studio - il che a mio parere da
ritenersi sommamente educativo, ma anche a mettere in crisi interessi o
convinzioni espresse dallinterlocutore vanificandone il linguaggio con il quale
venivano esposte. Secondo Franco Cambi, [...] lo stile comunicativo di Preti
era soprattutto scientifico e anche distaccato, senza colloquio coi giovani
nello spazio della lezione, men- tre lo era e confidenziale fuori dello spazio
della lezione stessa quando il docente si fermava a parlare (s di filosofia, ma
anche del pi e del meno) con gli allievi e metteva pi a nudo la sua umanit:
ironia, ma colloquiale, curiosa e, pur con molte mediazioni e con precisi
formali- smi, affettuosa. Qua e l, con una battuta, con una brevissima digres-
sione scherzosa, il Preti-docente saltava fuori del registro scientifico. E
faceva emergere i suoi connotati di uomo: scettico di fondo, ma sensi- bile
alla comunicazione personale (se pure frenata e occasionale). Uno scettico che
nel registro ironico fissava il suo identikit comunicativo. E unironia che
talvolta invadeva la comunicazione coi colleghi (e si face- va anche tagliente)
e si manifestava anche nei momenti ufficiali (negli esami e negli stessi esami
di laurea: singolarmente ironiche erano le note che faceva in calce alle tesi
di laurea per la discussione; ne ricor- do una, scritta di suo pugno, acqua
fresca!). Come dichiara Alessandro Pagnini, Preti era un uomo che sapeva far
vivere il proprio lavoro, comunicava agli studenti il pathos della ricerca. Non
veicolava solo contenuti, ma la forma del pensiero pensante. Essere allievi di
Preti, asserisce Alberto Peruzzi, [...] significava educarsi a una forma
mentis, della quale tratti distin- tivi erano il fatto di poter usare un
termine solo dopo aver riflettuto sul suo significato, il fatto di poter
affermare qualcosa solo se avevamo capito bene le ragioni a sostegno e le
possibili obiezioni. Ogni discorso fumoso, per quanto di facile presa, era
bandito. I discorsi oscuri non avevano limprimatur della profondit ma erano
piuttosto un segnale GIULIO PRETI DOCENTE UNIVERSITARIO 173 di scarso impegno
nel compito chiarificatore che spetta alla filosofia. Associazioni e analogie
andavano bene per i letterati, non per i filo- sofi. Venivamo educati a
sviluppare una specie di radar nei confronti di ogni discorso retorico,
indipendentemente dalla condivisione o no della tesi sostenuta. 4. Le lezioni
Tra i possibili metodi didattici, continua Alessandro Pagnini, in Pre- ti ne
emerge [...] uno solo: la lezione ex cathedra. [...]. Preti faceva lezione e
insie- me si interrogava con gli studenti sui punti pi spinosi, dal punto di
vista dellinterpretazione, e su quelli teoricamente pi ardui. Li anda- va a
cercare, non li tralasciava, come invece fa spesso il professore che semplifica
per agevolare lapprendimento dello studente. Sulla lezione cattedratica di
Preti insiste anche Giulio Barsanti: [...] venni a conoscenza della sua
presenza e autorevolezza subito, al primo anno (1968-1969), stupendomi del
fatto che a lui anche gli stu- denti politicamente pi impegnati non
richiedessero forme di didatti- ca pi aperta e partecipata. Poi capii. Era
lunico che avrebbe dovuto essere registrato, passivamente. Sui corsi del
filosofo pavese interviene anche Mauro Sbordoni: [...] erano essi stessi il
frutto delle sue ricerche che egli comunicava im- mediatamente ai suoi studenti
rendendoli cos i primi fruitori delle sua attivit di studioso e ricercatore.
[...]. Le sue lezioni avevano continui e frequenti riferimenti con i classici
(si trattasse dei classici dellantichi- t o del pensiero moderno) i cui testi
egli spesso citava (senza peraltro fare mai alcun sfoggio di erudizione) nelle
lingue originali (greco, lati- no, francese, inglese, tedesco...). In questo
modo cos Preti dimostrava di fatto anche limportanza, ai fini di un corretto
approccio alle fon- ti, della conoscenza della lingua con cui esse erano state
redatte. Non a caso esigeva in sede di esame la conoscenza in lingua originale
dei titoli e anche di alcuni termini chiave (spesso devo dire - esperienza
personale - con qualche indulgenza per le nostre cattive pronunce...). A
proposito di classici devo dire che a mio parere linsegnamento di Giulio Preti
si connot in maniera particolare anche per la capacit di individuare
rapidamente quelli che sarebbero stati i nuovi classici del pensiero
contemporaneo. il caso di Karl Popper.
Credo che sia stato il primo docente italiano ad impostare un corso che
prendeva le mosse da questo pensatore. Qualche anno dopo (diciamo a partire da-
gli anni 70) spunteranno qua e l tanti zelanti scopritori di Popper. 174
ALESSANDRO MARIANI Nella memoria di Roberto Dami sono stampati [...] il suo
grosso bagaglio culturale e la conoscenza dei classici del pen- siero sempre
mirata a coglierne gli aspetti fondamentali; c'era sempre una breve citazione
che ci faceva cogliere l'essenza di un problema, di unargomentazione. In questo
senso i classici erano sempre presenti, erano sottofondo permanente della sua
analisi. I classici e non autoreferenzialmente se stesso. Infatti, come
dichiara Mauro Sbordoni, [...] non mi ricordo di avere mai sentito in lezione
un riferimento di- retto di Preti ai suoi scritti. Credo che questo si dovesse
non tanto a modestia (penso che Preti - giustamente - avesse un alto concetto
della sua intelligenza e della sua capacit di produzione intellettuale?) quanto
(azzardo una spiegazione) al fatto che egli sentiva limpegno di mantenere una
netta distinzione fra la sua azione di docente e la bat- taglia delle idee che
ha sempre svolto esponendosi in prima persona e in prima linea: dai suoi
scritti ne Il Politecnico di Vittorini a Praxis ed empirismo, a Retorica e
logica, agli scritti sulle riviste, compresi i suoi ultimi amari articoli dopo
il 68. In aula (la mitica aula 4, ubicata in fondo al corridoio di Via Del Pa-
rione 7, con laffaccio sullArno), ricorda Giorgio Paganini, Preti si limitava
soltanto a leggere e spiegare le lezioni, con lausilio di un quaderno che
portava sempre con s (non voleva essere registra- to). Alla fine dellora se ne andava
e tornava nel suo Studio. Molto ra- ramente si fermava a parlare con noi degli
argomenti trattati. Invece, a livello personale, si divertiva un mondo a
spiazzarti e non solo su argomenti di studio. A deridere e demolire le tue
presunte certezze. In breve, a toglierti la parola. Questo non piaceva e poteva
anche essere molto castrante. Ma - ed
qui secondo me laspetto peculiare della sua didattica - proprio perch ti
sentivi colpito cos duramente, non potevi accettare quei suoi giudizi
liquidatori, ed eri spinto a reagire, a riconsiderare e quindi ad arricchire le
tue conoscenze. Tra i ricordi di Andrea Spini emergono quelli del [...] primo e
secondo anno di universit - da matricola a fagiolo, co- me venivamo definiti
dalla tramontante goliardia (sempre odiata) -, e, seppur attraversato, per
dirla con Vittorini, da astratti furori, fui catturato dal medioevo di Preti.
Nelle condanne del vescovo Tempier [...] delle argomentazioni di Abelardo (ma
anche di Tommaso) non era difficile cogliere i volti del potere (Foucault
sarebbe arrivato dopo, e fuori dellorizzonte pretiano), cos come comprendere -
con stupo- re che quelle aride
discussioni sulla suppositio, in realt minavano ogni forma di autorit che non
fosse affidata alla ratio. E che dire, poi, GIULIO PRETI DOCENTE UNIVERSITARIO
175 di Husserl], e della sua trasparenza della coscienza alla quale Preti, ri-
dacchiando con la sua bocca sdentata, sempre affogata nel fumo delle Gauloises,
opponeva Carnap e il suo richiamo allopacit ineliminabile della coscienza? Lezioni,
in realt riflessioni ad alta voce, nelle quali si coglieva (almeno il
sottoscritto) lofferta a pensare con rigore, magari - come gli contester, non
senza qualche ragione, Garin [...] - giocan- do troppo sulle dicotomie tra
forme di sapere (come si usa dire oggi). 5. Il rapporto col 68 Il rapporto tra
Preti e i movimenti studenteschi sessantottini
stato molto difficile e carico di tensioni. Anche se attraverso un
atteggiamento ironico c' stato addirittura un rifiuto di quei barbari che
avrebbero in- quinato il rigore, il sacrificio e la sobriet della ricerca
filosofica. Lo stesso modello didattico, come riferisce Franco Cambi, [...]
proprio negli anni Sessanta veniva rimesso e radicalmente in discussione,
dichiarato troppo trasmissivo e baronale. E si pensi al ruolo avuto dal 68
anche come rivoluzione didattica, universitaria in particolare. Ora erano i
seminari a prendere il posto delle lezioni. E seminari significava studiare
insieme e percorrere territori di indagi- ne (e di metodo) pi aperti. A tutto
ci Preti rimase insensibile. Anzi fu ironicamente contrario, in difesa del
rigore e della sistematicit del sapere, quindi della sua aristocraticit e di
linguaggio e di forma men- tis, che reclamava di essere esposto e non altro.
Anche durante gli anni immediatamente successivi al 68, come ha scritto Paolo
Parrini, Preti aveva preso delle posizioni molto dure nei confronti sia del
movimento degli studenti sia, soprattutto, di certe concessioni e cedi- menti
da parte di numerosi colleghi. In un primo momento ci lo aveva condotto a una
situazione di isolamento pressoch totale, ma proprio negli anni fra il 70 e il
72 le cose avevano nuovamente iniziato a mu- tare. Con gioia, egli si era reso
conto di poter ancora svolgere un ruolo in Facolt, che vi era un buon numero di
studenti disposti a seguirlo e a impegnarsi nello studio della filosofia; ed
una cosa che mi ripeteva spesso era che questo gli aveva fatto capire che, se
pure continuava ad essere in rotta con molti studenti e ci non poteva non dispiacergli - non era
per, o non era pi, in rotta con tutti gli studenti. Di qui anche il particolare
impegno e la rinnovata fiducia con cui in quegli anni tor- mentati volle
svolgere la sua funzione di professore e il particolare signi- ficato che,
anche sul piano umano, rivestono queste sue ultime fatiche. ! P, Parrini,
L'ultimo Preti e i suoi corsi universitari, Quaderni della Antologia Vieusseux,
5, 1986, p. 42. Su Giulio Preti docente universitario si segnalano anche 176
ALESSANDRO MARIANI 6. Conclusioni. Un formatore alla ricerca? Da tutte le
interviste emerge una vera e propria qualit di educatore esplicitata attraverso
una didattica universitaria tradizionale che si intrec- cia sapientemente con
una ricerca filosofica fresca, vivace e originale. An- che perch - prosegue
Paolo Parrini, [...] nellaula universitaria la fatica di Preti era indirizzata
quasi esclu- sivamente (a parte qualche divagazione di costume) allanalisi
degli aspetti squisitamente tecnici delle questioni filosofiche nel tentativo,
appunto, di reperire convergenze strettamente teoriche. Per questo sono
convinto che una valutazione del carattere sincretistico della filosofia
italiana di quegli anni che non voglia correre il rischio di tradursi in una
condanna sommaria e indifferenziata non possa prescindere, tra le altre cose,
da un esame attento, e orientato teoricamente, di quello che stato linsegnamento universitario di Preti.
D'altronde, come sostiene Alberto Peruzzi, Preti era un filosofo a tutto tondo.
Anche quando si rivolgeva a stu- denti che poco masticavano di filosofia, le
esigenze di ancor maggio- re chiarezza e semplicit nelle argomentazioni non gli
impedivano di trasportare il discorso su un piano alto di riflessione. La
ricostruzione storica delle questioni esaminate poteva snodarsi per pi
settimane ma tornava immancabilmente alle domande centrali. I suoi corsi erano
fi- nemente tessuti, preparati con grande scrupolo e con precisi riferimen- ti
ai testi, accompagnati da commenti puntuali e simultanei richiami ad autori
lontani nel tempo, permettendo agli studenti di superare le differenze di
lessico che potevano esserci fra un autore e laltro e, natu- ralmente,
impedendo una rapida acquisizione, tanto pi che non era- no corsi su temi
facilmente riconoscibili nel panorama della cultura italiana dellepoca e anche
per questo motivo era richiesto uno sforzo notevole per preparare lesame. Era
per uno sforzo che dava frutti du- raturi, fornendo un bagaglio di concetti che
a distanza di decenni e in relazione alle pi diverse tematiche non avrebbe
perso il suo smalto. In via conclusiva, ma pretianamente non chiusa, possiamo
dire che da tutte le interviste emergono alcuni punti fermi: 1) quello con
Preti stato per i suoi allievi
intervistati un incontro decisivo; 2) egli ha tenuto fede alla tradizione
filosofica occidentale, a quella accademica e alloggettivi- le testimonianze di
Umberto Cattabrini, Domenico Maselli, Giovanni Nencioni e Gigliola Paoletti
Sbordoni, in Alberto Peruzzi (a cura di), Giulio Preti filosofo euro- peo,
Firenze, Leo S. Olschki, 2004, pp. 227-242 e il dossier curato da Fabio
Minazzi, Per il centenario della nascita di Giulio Preti, in Il Protagora, 15,
2011, pp. 103-192. 2 Ivi, p. 44. GIULIO PRETI DOCENTE UNIVERSITARIO 177 ta
della ricerca; 3) ha introdotto i giovani ad un lavoro/lavorio culturale e
filosofico rigoroso, chiaro, denso e consapevole; 4) ha tenuta viva la figura
di intellettuale schierato, ma mai organico; 5) ha tenuto sempre lezioni
rigorose e precise, come libri stampati. In altri termini, il filosofo pavese ha
incarnato la figura di un intellet- tuale disorganico, di uno studioso inquieto
e di un esempio magistra- le, che - come ha sottolineato Franco Cambi - stato anche educatore e formatore. Educatore
lo stato per il suo stile di uomo,
riservato e ironico, libero e distaccato (dal politico, dallAccademia), da
intellettuale di- sorganico (ergo: critico, critico-radicale, ancorato al
discutere e al problematizzare). Formatore per il suo magistero scientifico:
per lo stile (rigoroso, preciso, logicamente denso e organico) del suo pen-
siero che nelle lezioni appariva nel suo essere risultato (per dirla con
Hegel), ma che si imponeva come modello. Di pensiero-pensato? S, ma per questo
anche del pensiero-pensante, richiamandolo alla do- cumentazione, allanalisi,
all'evidenza del tessuto teoretico. [...].
stato, quindi, un vero Maestro. Un Maestro depoca? Anche. Ma che ancora
pu insegnare e non poco sul piano della didattica (il rigore) e della
comunicazione (lallenamento ironico), anche in tempi, come i nostri, ormai
lontanissimi da quelli del Mondo occidentale degli an- ni di Preti,
culturalmente, politicamente, anche filosoficamente e... accademicamente. E qui
va aggiunto un purtroppo. Ripensare il ma- gistero di Preti pu essere, anzi e
proprio, utile nella Deriva attuale e della Cultura e dellUniversit. INDICE DEI
NOMI Abate C. 3 Abbagnano N. 57, 113 Abelardo P. 174 Adorno Th.W. 124, 126
Ajdukiewicz K. 69, 72 Alessio F. 2, 159 Aliotta A. 81 Andersen Ch. 153 Anselmo
dAosta 6 Ardig R. 55 Aristotele 131 Ayer A. 30 Bacone R. 97-98, 100 Baldacci M.
VII, 37, 49 Banfi A. 1-3, 7-9, 37-39, 41-42, 45, 49, 58, 60, 62, 76, 102, 111,
156, 169 Barsanti G. 169-170, 173 Beato Angelico 2 Bentivegna G. 53 Bernardini
C. 118 Bertin G.M. 49 Bertolini L. 69 Besoli S. 37 Biletzki A. 52 Bobbio N. 57,
113 Bohr N. 63 Bolzano B. 165 Bonghi B. 53 Boole G. 54 Borkowski L. 72 Brentano
F. 67 Brissa E. 3 Bruno G. 52, 100, 137 Brunschvicg L. 10 Bunhe M.A. 53 Burgio
S. 53 Buzano P. 57 Calderoni M. 55 Cambi F. VII, 1, 51, 85, 102, 113, 137, 157,
162, 169, 172, 175, 177 Cancogni M. 123 Capone Braga G. 80 Carnap R. 28, 30,
52-56, 60-61, 64, 68, 72-73, 112, 131, 175 Cartesio 10, 13, 15, 98, 100
Cassirer E. 46-48, 60, 68-69, 91, 102-103, 106, 162 Cattabrini U. 176 Cha I.S.
141 Codegone C. 57 Coffa A.J. 64, 68 Cohen H. 7, 9, 54 Cohen R.S. 7, 9, 54
Colli G. 155 Coniglione F. VII, 51, 53, 55-56, 68, 71, 81 Crisius C. 32 Croce
B. 113 Cusano N. 13, 15 Dal Pra M. 2, 17-18, 37, 52, 70, 78, 81-82, 85, 88,
102, 105, 137, 147, 157, 159 Dami R. 169, 171, 174 della Volpe G. 62 DeNegri E.
5 Denti M.A. 16 Franco Cambi e Giovanni Mari (a cura di) Giulio Preti :
intellettuale critico e filosofo attuale ISBN 978-88- 6655-039-6 (print) ISBN
978-88-6655-044-0 (online PDF) ISBN 978-88-6655-048-8 (online EPUB) 2011 Firenze University Press 180 GIULIO
PRETI: INTELLETTUALE CRITICO E FILOSOFO ATTUALE de Santillana G. 56 de Saussure
F. 118 Descates R. (vedi anche Cartesio) 6, 15 Dewey J. 37, 87, 94, 101, 106,
148- 149, 162, 171 Di Giovanni P. 56 Dilthey W. 52 Dino O. 2-3 Doris Day 123
Dummett M. 53 Eddington A. 163 Engels F. 128 Enriques F. 55-56 Epitteto 11
Feibleman J.K. 53-54 Feigl H. 64 Fermat P. 13-15 Ferrari M. 69 Feuerbach L. 4
Fichte J.G. 6 Filiasi Carcano P. 80 Formaggio D. 3 Foucault M. 174 Frank Ph. 56
Fredegiso di Tours 81 Freud S. 124, 129, 132 Friedman M. 60,71 Frola E. 57
Galilei G. 26, 47, 56, 98, 100, 111 Galvani L. 159 Garin E. 2, 18, 76, 78, 87,
90, 102, 175 Gassendi P. 13 Gauss F. 114 Gembillo G. 53 Gentile G. 38, 113
Geymonat L. 51-52, 56-59, 65-66, 68-83, 112-113, 153, 159 Giere R.N. 47
Gregorczyk A. 71 Gregorio di Rimini 30 Guidetti L. 37 Habermas J. 52 Hartmann
N. 8 Hegel G.W.F. 1, 4-10, 34, 41, 107- 108, 170, 177 Heidegger M. 52, 60, 104
Hempel C. 53, 69, 107 Hlderlin F. 4 Hume D. 9, 33, 94 Husserl E. 3, 7-8, 23,
25, 28, 30, 34, 36, 60-62, 67-69, 71, 152, 165, 171, 175 Ioly Piussi A. 54
Jacquette D. 67 Kant I. VIII, 4-9, 21-26, 31-33, 35, 60, 62, 64, 68-69, 71,
74-75, 88, 92, 94, 97, 106, 155-164, 166- 167, 171 Kierkegaard S. 4, 7, 11
Lakatos I. 49 La Mothe Le Vayer F. 13 Lauer Q. 67 Lecis P.L. 52, 78, 102
Leibniz GW. 9, 61, 99 Leopardi G. 111, 153 Lvy-Strauss C. 123, 124, 126, 129
Lodge D. 116 Mach E. 25 Magnano San Lio G. 53 Maimon M. 9 Mangiarotti G. 51
Mangione C. 56 Mann T. 4 Marcuse H. 124, 126, 129-131 Mariani A. VIII, 169
Mariano B. 29 Mari G. VII, VIII, 102, 123 Maros dellOro A. 51, 56 Marsilio di
Inghen 30 Martinetti P. 158 Marx K. 37, 40-42, 101, 106, 128, 150 INDICE DEI
NOMI 181 Maselli D. 176 Matar A. 52 Menicanti D. 2-3, 16 Migliorini E. 1-2 Minazzi
F. VII, 1, 3, 9, 13, 18, 30, 32-33, 35, 37, 51-53, 57-58, 60, 65, 68-70, 73-74,
76, 78, 82, 85, 88, 96, 98, 102, 105, 137, 156- 157, 161, 176 Montaigne M. 11,
13, 15, 95, 100 Moore G. 30, 107 Morris C. 24 Morselli E. 55 Mulder H.L. 69
Musgrave A. 49 Natorp P. 7 Nencioni G. 176 Neurath O. 21, 56, 64, 125 Nicola
dAutrecourt 30 Nietzsche F. 2, 7, 104, 126, 128 Nordmann A. 60 Nuvoli P. 57
Oppeneim F. 94 Ottaviano G. 9, 56 Pacini F. 118 Paganini G. 169, 172, 174
Pagnini A. 169, 172-173 Paoletti Sbordoni G. 118, 176 Papi F. 1, 96, 98, 102,
155-156 Parrini P. 37, 51, 83, 137, 169, 175-176 Pascal B. 1-2, 7, 9-16, 19,
36, 94- 102, 106 Pasini M. 57, 77 Pera M. 76 Perelman C. 100 Persico E. 57
Peruzzi A. VII, 98, 102, 105, 111, 137, 169, 172, 176 Petitot J. 33, 88, 161
Piccari P. 29 Planck M. 164 Platone 6, 30, 166 Poli L. 71, 169, 171 Popper K.
53, 64, 69, 107, 132, 173 Pot P. 114 Pozzi A. 2-3 Preti G. VII, VIII, 1-35,
37-49, 51- 52, 58-78, 81-83, 85-109, 111- 121, 123-141, 143-153, 155-167,
169-177 Quaranta M. 56, 88 Quine W. 53 Raio G. 46 Rawls J. 134 Reichenbach H.
52, 54, 56, 62, 82 Reichenbach M. 52, 54, 56, 62, 82 Richardson A. 60, 68, 73
Rinaldi S. 57 Rodriguez E. 68, 70 Rolando D. 57, 77 Roncoroni M. 158 Rossi P.
118 Russell B. 19, 30, 52-54, 112, 124, 132 Rutynx J. 146 Sandrini M.G. 17
Santi G. VIII, 143 Sartre J.-P. 132 Sbordoni M. 118, 169, 173-174, 176
Scaramuzza G. 3 Scarantino L.M. VIII, 30, 37, 52, 72, 82-83, 88, 137 Schiller
J. 10 Schlick M. 54, 56, 64, 69, 71-74, 79 Schnadelbach H. 37 Scolozzi E. VIII,
155 Searle J. 53 Seneca L.A. 131 Simmel G. 52, 67, 93, 152 Smith A. 89, 103
Spini A. 169, 171, 174 Spinoza B. 2 Stadler F. 69 Tarski A. 29 182 GIULIO
PRETI: INTELLETTUALE CRITICO E FILOSOFO ATTUALE Tatarkiewicz W. 53 Vieusseux
G.P. 137, 169, 175 Tempier E. 174 Vittorini E. 91, 174 Timpanaro S. 152-153
Voltaire (Arouet F.) 171 Togliatti P. 120 Tommaso dAquino 107 Whitehead A.N. 54
Torricelli E. 98 Wittgenstein L. 52, 56, 64, 71-74, Twardowski J. 67 104
Vailati G. 55 Yeats W. 118 van de Velde-Schlick B.F.B. 69 Vasta S. 55 Zanga G.
78 Vecchio M.M. 2 Zanza L. 57 STUDI E SAGGI Titoli Pubblicati ARCHITETTURA E
STORIA DELLARTE Benelli E., Archetipi e citazioni nel fashion design Benzi S.,
Bertuzzi L., Il Palagio di Parte Guelfa a Firenze. Documenti, immagini e
percorsi multimediali Biagini C. (a cura di), LOspedale degli Infermi di
Faenza. Studi per una lettura tipo- morfologica delledilizia ospedaliera
storica Frati M., De bonis lapidibus conciis: la costruzione di Firenze ai
tempi di Arnolfo di Cambio. Strumenti, tecniche e maestranze nei cantieri fra
XIII e XIV secolo Gregotti V., Una lezione di architettura. Rappresentazione,
globalizzazione, interdisciplinarit Maggiora G., Sulla retorica
dellarchitettura Mazza B., Le Corbusier e la fotografia. La vrit blanche
Messina M.G., Paul Gauguin. Un esotismo controverso Tonelli M.C., Industrial
design: latitudine e longitudine CULTURAL STUDIES Candotti M.P., Interprtations
du discours mtalinguistique. La fortune du sutra A 1.1.68 chez Patanjali et
Bhartrhari Nesti A., Per una mappa delle religioni mondiali Nesti A., Qual la religione degli italiani? Religioni
civili, mondo cattolico, ateismo devoto, fede, laicita Rigopoulos A., The
Mahanubhavs Squarcini F. (a cura di), Boundaries, Dynamics and Construction of
Traditions in South Asia Vanoli A., I] mondo musulmano e i volti della guerra.
Conflitti, politica e comunicazione nella storia dellislam DIRITTO Allegretti
U., Democrazia partecipativa. Esperienze e prospettive in Italia e in Europa
Curreri S., Democrazia e rappresentanza politica. Dal divieto di mandato al
mandato di partito Curreri S., Partiti e gruppi parlamentari nellordinamento
spagnolo Federico V., Fusaro C. (a cura di), Constitutionalism and Democratic
Transitions. Lessons from South Africa Fiorita N., L'Islam spiegato ai miei
studenti. Otto lezioni su Islam e diritto Fiorita N., L'Islam spiegato ai miei
studenti. Undici lezioni sul diritto islamico Sorace D. (a cura di), Discipine
processuali differenziate nei diritti amministrativi europei Trocker N., De Luca
A. (a cura di), La mediazione civile alla luce della direttiva 2008/52/ CE
ECONOMIA Ciappei C. (a cura di), La valorizzazione economica delle tipicit
rurali tra localismo e globalizzazione Ciappei C., Citti P., Bacci N.,
Campatelli G., La metodologia Sei Sigma nei servizi. Unapplicazione ai modelli
di gestione finanziaria Ciappei C., Sani A., Strategie di
internazionalizzazione e grande distribuzione nel settore dellabbigliamento.
Focus sulla realt fiorentina Garofalo G. (a cura di), Capitalismo distrettuale,
localismi dimpresa, globalizzazione Laureti T., L'efficienza rispetto alla
frontiera delle possibilit produttive. Modelli teorici ed analisi empiriche
Lazzeretti L. (a cura di), Art Cities, Cultural Districts and Museums. An
Economic and Managerial Study of the Culture Sector in Florence Lazzeretti L.
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verso le generazioni future Galletti M., Zullo S. (a cura di), La vita prima
della fine. Lo stato vegetativo tra etica, religione e diritto Mannaioni P.F.,
Mannaioni G., Masini E. (a cura di), Club drugs. Cosa sono e cosa fanno Finito
di stampare presso Grafiche Cappelli Srl - Osmannoro (FI) Giulio Preti. Preti.
Keywords: retorica e logica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Preti” – The
Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!;
ossia, Grice e Preve: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale
– la scuola di Valenza -- filosofia piemontese -- filosofia italiana – Luigi
Speranza (Valenza). Filosofo
italiano. Valenza, Alessandria, Piemonte. Important Italian philosopher. He is the tutor
of FUSARO, of Torino. Il comunitarismo
è la via maestra che conduce all'universalismo, inteso come campo di confronto
fra comunità unite dai caratteri del genere umano, della socialità e della
razionalità. – “Elogio del comunitarismo”. Di ispirazione marxiana ed
hegeliana, scrive saggi di argomento filosofico. Studia a Torino. Sotto Garrone
sull’elezione politica italiana”. Studia Hegel, Althusser, Sartre, e Marx. Scrive
"L'illuminismo e le sue tendenze radicali e rivoluzionarie: enogenesi della
nazione: il problema della discontinuità con la romanità classica”. Insegna a
Torino. Analizza esistenzialmente il
comunismo. Membro del centro di studi sul materialismo storico. Pubblica
“La filosofia imperfetta” (Angeli, Milano), dove testimonia la sua adesione di
massima all’ontologia dell'essere sociale di Lukács, ed anche, indirettamente,
il suo distacco definitivo dalla scuola d’Althusser. Fonda “Metamorfosi”. Spazia
d’un esame dell'operaismo ida Panzieri a Tronti e Negri, all'analisi del
comunismo dissidente dei socialisti alla critica delle ideologie del progresso
storico, all'indagine sullo statuto filosofico della critica comunista
dell'economia politica. Organizza un congresso dedicato al comunismo a Milano,
e vi svolge una relazione sulle categorie modali di necessità e di possibilità all’interno
del comunismo. Da quest'esperienza nasce una rivista chiamata “Marx 101”, che
usce in due serie di numeri monografici e di cui e membro del comitato di
redazione. Collabora a “Democrazia Proletaria”, organo dell'omonimo partito, che
poi divenne insieme con i fuoriusciti dal partito comunista la componente
politica e militante del partito della ri-fondazione comunista. S’iscrive a democrazia
proletaria, facendo parte della direzione nazionale. Nella battaglia fra i
sostenitori di una scelta ecologista – Capanna -- e comunista, sostiene la
seconda. Quando la democrazia proletaria e l'associazione culturale comunista
confluiscono nel partito della ri-fondazione comunista, abbandona la militanza
politica. Con la pubblicazione dei saggi usciti presso l'editore Vangelista di
Milano, affronta il suo tentativo di coerentizzazione di un paradigma
filosofico comunista globale. Si verifica infatti una discontinuità nella sua produzione.
Opta per l'abbandono di ogni “ismo” di riferimento, uscendo del tutto dalla
cosiddetta sinistra e dalle sue procedure d’accoglimento e cooptazione. Ritenendo
che la globalizzazione nata dall'implosione dell'Unione Sovietica non si lasci
più interrogare attraverso le categorie di destra e di sinistra, richieda altre
categorie interpretative, P. diviene inoltre un convinto sostenitore della
necessità di superare la dicotomia sinistra-destra. Questa posizione, condivisa
da alcuni filosofi e movimenti internazionali, è criticata da molti, tra cui il
filosofo Evangelisti, che ne sottolinea l'ambiguità ideologica. P. si ha dedicato
a temi come il comunitarismo, la geopolitica, l'universalismo, la questione
nazionale, oltre ovviamente ad un'ininterrotta attenzione al rapporto
marxismo-filosofia. Cerca di opporsi alla deriva post-moderna seguita dalla
stragrande maggioranza della sinistra italiana -- in particolare dai filosofi
legati al partito comunista italiano -- con un recupero dei punti alti della tradizione
marxista indipendente, del tutto estranea alle incorporazioni burocratiche del
marxismo come ideologia di legittimazione di partiti e di stati -- soprattutto
Lukács, Althusser, Bloch, ed Adorno. Dopo la fine del socialismo reale, che chiama
comunismo storico, ed in dissenso con tutti i tentativi di sua
continuazione/rifondazione puramente politico-organizzativa, lavora su di una
generale rifondazione antropologica del comunismo, marcando sempre più la
discontinuità teorica e politica con i conglomerati identitari della sinistra
italiana -- Rifondazione Comunista in primis ma anche la scuola operaista e Negri
in particolar modo. I suoi interventi sono apparsi sia su riviste legate
alla sinistra alternativa -- L'Ernesto, Bandiera Rossa -- che su riviste come Indipendenza
e Koiné, dove sostene l'esplicito superamento del dualismo destra-sinistra,
approdando a posizioni antitetiche a quelle di BOBBIO (si veda). Collabora con la rivista
Comunitarismo, prima, e Comunità e Resistenza. È redattore di Comunismo e
Comunità. Al di là delle prese di
posizione sulla congiuntura politica, tre cardini della sua filosofia sono
l'interpretazione della storia della filosofia, l'analisi filosofica del
capitalismo e la proposta politica per un comunismo comunitario
universalistico. Ri-leggendo l'intera storia della filosofia utilizza una
deduzione sociale delle categorie del pensiero non riduzionistica, che gli
permette di discernere la genesi particolare delle idee dalla loro validità
universale. Infatti quello di lui è un orizzonte aperto universalisticamente
alla verità, intesa hegelianamente come processo di auto-coscienza storica e
sintesi di ontologia e assiologia, dell'esperienza umana nella storia. Nella
sua proposta di ontologia dell'essere sociale riconosce razionalmente la natura
solidale e comunitaria degl’uomini e l'autonomia cognoscitiva della filosofia,
contrastando ogni forma di riduzionismo nichilistico, relativistico o
partigianamente ideologico. Viene definito un strenuo difensore dello statuto
veritativo della filosofia da una parte, e deciso oppositore di ogni
fraintendimento relativistico dall’altra. Intende il capitalismo come totalità
economica, politica e culturale da indagare in tutte le sue dimensioni. Propone
di suddividerlo filosoficamente e idealisticamente in tre fasi: capitalismo astratto,
capitalismo dialettico con una proto-borghesia illuministica o romantica, una
medio-borghesia positivistica e poi esistenzialistica, e una tardo-borghesia sempre
più individualistica e libertaria; capitalismo speculativo (post-borghese e
post-proletaria) in cui il capitale si concretizza come assoluto, espandendosi
al di là delle dicotomie precedenti a destra economicamente, al centro
politicamente e a sinistra culturalmente. Nell'analisi filosofica del
capitalismo, più volte insiste sulla critica al politicamente corretto, dove studia
il concetto consterebbe dei seguenti punti nella sua concezione -- dove è
considerato un'arma del capitalismo per attrarre fasce deboli a sé, nonché
un'ideologia di fondo dell'occidente imperialista. ‘Americanismo’ come
collocazione presupposta, anche sotto forma di benevola critica al governo
statunitense. Religione olocaustica: Non aderisce al negazionismo
dell'Olocausto e condanna i genocidi, ma considera la shoah un fatto non unico,
utilizzato dal sionismo per legittimare le azioni di Israele tramite il senso
di colpa dell'Europa. Auschwitz non può e non deve essere dimenticato, perché
la memoria dei morti innocenti deve essere riscattata, e questo mondo nella sua
interezza appartiene a tre tipi di esseri umani: coloro che sono già vissuti,
coloro che sono tuttora in vita, e coloro che devono ancora nascere. Ma
Auschwitz non deve diventare un simbolo di legittimazione del sionismo, che
agita l'accusa di anti-semitismo in tutti coloro che non lo accettano
radicalmente, e che non sono disposti a derubricare a semplici errori i suoi
veri e propri crimini. Teologia dei diritti umani, che considera -- come altri
filosofi marxisti come LOSURDO (si veda), o comunitaristi -- solo un
grimaldello e un paravento del capitalismo per imporsi ed eliminare, in realtà,
i diritti dei popoli e dei lavoratori, attuando il liberismo e l'imperialismo
globali. “Antifascismo in assenza completa di fascismo. L’antifascismo,
positivo un tempo, è considerato un fenomeno dannoso e a favore del sistema
capitalistico, visto che il fascismo (da lui deprecato soprattutto per la
colonizzazione imperialistica dell'Africa e la mascalzonaggine imperdonabile dell'invasione
della Grecia, è stato ormai sconfitto, volto a creare tensioni tra le diverse
forze anti-sistema, e a fungere da nuova ideologia della sinistra post-comunista
e post-stalinista (dopo il graduale abbandono del marxismo-leninismo avvenuto per gli effetti della de-stalinizzazione), che
diviene così inutile. Falsa dicotomia Sinistra/Destra come "protesi di
manipolazione politologica". Derivata dal precedente, questa teoria
punterebbe a indebolire le critiche anticapitalistiche, impedendo l'unione tra
comunisti, comunitaristi e socialisti nazionalitari contro il capitale. Al
contempo, anche per le nette e costanti affermazioni contro i tribalismi, i
razzismi e i nazionalismi soprattutto coloniali, è da ritenersi estranea al
cosiddetto rossobrunismo (i cosiddetti nazionalboscevichi) di cui fu tacciato
da Evangelisti, che a suo dire si configurerebbe come una folle somma dei difetti
degli estremismi opposti. L'unione di sostenitori rasati del razzismo biologico
con sostenitori barbuti della dittatura del proletariato sarebbe certamente un
buon copione di pornografia hard, ma non potrebbe uscire dal piccolo circuito a
luci rosse del sottobosco politico. La sua
proposta politica va nella direzione di un comunismo comunitario
universalistico, da intendersi come correzione democratica e umanistica del
comunismo, dal momento che quello storico sarebbe stato reo di non aver messo
in comune innanzitutto la verità. Quello tratteggiato da lui è un sistema
sociale che costituisce una sintesi di individui liberati e comunità solidali.
Non è inteso come inevitabile sbocco storicistico o positivistico di una storia
che si svilupperebbe linearmente, né tuttavia in modo aleatorio, bensì in
potenza, a partire dalla resistenza alla dissoluzione comunitaria innescata
dall'accumulazione individuale di merci. Qui il problema dell'auspicabile
democrazia viene impostato su basi antropologiche, scommettendo sulle
potenzialità ontologiche della bontà del potenziale degl’uomini, ente
politico-comunitaria – “zόoa politika; razionali e valutativi della giusta
misura sociale – “zόa lόgon échon” -- e generica, in senso marxiano – “Gattungswesen”
-- cioè in grado di costruire diversi
modelli di convivenza sociale, compreso quello in cui gl’uomini, affermando la
priorità etica e comunitaria per contenere i processi economici altrimenti
dispiegantisi in modo illimitato e dis-umano, può realizzare le sue
potenzialità ontologiche immanenti, attualmente alienate. La liberazione
avverrebbe quindi a partire dal suo radicamento comunitario in cui agisce
collettivamente, pur rimanendo l'individuo stesso l'unità minima di resistenza
al potere. Adere al partito comunista italiano, ma presto si allontanò
(essendo ostile al compromesso storico tra PCI e DC, promosso da Berlinguer e
Moro), entrando poi a far parte della Commissione culturale di Lotta Continua.
In seguito si iscrisse a Democrazia Proletaria durante la sua ultima fase. Dopo
lo scioglimento della Democrazia Proletaria, e in seguito alla confluenza di
quest'ultima in Rifondazione Comunista, si è sempre più allontanato
dall'attività politica in senso stretto. In seguito manifestò critiche verso
l'operaismo e il trotskismo che animavano talvolta queste esperienze della
post-sinistra extraparlamentare. Se dal punto di vista teorico si era già
distanziato dalla sinistra italiana a seguito della dissoluzione dell'Unione
Sovietica e della svolta della Bolognina, il distacco emotivo definitivo dalla
sinistra avvenne con il bombardamento NATO in Jugoslavia durante la guerra del
Kosovo, che ricevette il beneplacito del governo italiano. Considera questo
fatto come la fine della legalità costituzionale italiana riferendosi alla
violazione dell'articolo 11 e un atto di tradimento verso i valori fondanti
della Repubblica Italiana. Sul tema scrisse Il bombardamento etico. Saggio
sull'interventismo umanitario, l'embargo terapeutico e la menzogna evidente. Molto
clamore ha suscitato (anche tra le file della sinistra alternativa) la sua
adesione ad alcune tesi del Campo Antimperialista per l'esplicito sostegno da
questi fornito alla resistenza irachena. È stato uno dei filosofi di
riferimento del comunismo comunitario, nonché animatore della rivista Comunismo
e Comunità. Altre saggi: “La classe operaia non va in paradiso: dal
marxismo occidentale all'operaismo italiano, in “Alla ricerca della produzione
perduta” (Bari, Dedalo); “Cosa possiamo chiedere al marxismo”; “Sull'identità
filosofica del materialismo storico”; “Marxismo
in mare aperto”; “Rilevazioni, ipotesi, prospettive” (Milano, Angeli); “La
filosofia imperfetta”; “Una proposta di ricostruzione del marxismo ” (Milano,
Angeli); “La teoria in pezzi”; “La dissoluzione del paradigma teorico operaista
in Italia” (Bari, Dedalo); “La ricostruzione del marxismo fra filosofia e
scienza”; “La cognizione della crisi. Saggi sul marxismo di Althusser” (Milano,
Angeli); “La rivoluzione teorica di Althusser, in Il marxismo” (Pisa,
Vallerini); “La passione durevole” (Milano, Vangelista); “La musa di Clio
vestita di rosso, in Trasformazione e persistenza. Saggi sulla storicità del capitalismo”
(Milano, Angeli); “Il filo di Arianna. XV lezioni di filosofia marxista”
(Milano, Vangelista); “Il marxismo e l’eguaglianza”, Urbino; “IV venti”; “Il
convitato di pietra”; “Saggio su marxismo e nichilismo” (Milano, Vangelista); “L'assalto
al Cielo”; “Saggio su marxismo e individualism” (Milano, Vangelista); “Il
pianeta rosso”; “Saggio su marxismo e universalismo” (Milano, Vangelista); “Ideologia
Italiana”; “Saggio sulla storia delle idee marxiste in Italia” (Milano,
Vangelista); “Il tempo della ricercar” “Saggio sul moderno, il postmoderno e la
fine della storia” (Milano, Vangelista); “L'eguale libertà”; “Saggio sulla
natura umana” (Milano, Vangelista); “Oltre la gabbia d'acciaio”; “Saggio su
capitalismo e filosofia” (Milano, Vangelista); “Il teatro dell'assurdo”; “Cronaca
e storia dei recenti avvenimenti italiani”; “Una critica alla cultura dominante
della sinistra nell'attuale scontro tra berlusconismo e progressismo” (Milano,
Punto Rosso); “Strategia politica”; “Premesse teoriche alla critica della
cultura dominante della sinistra esposta nel Teatro dell'assurdo” (Milano,
Punto Rosso); “Il marxismo vissuto del Che”; “Lettere di Che Guevara a Tita
Infante” (Milano, Punto Rosso); “Un elogio della filosofia” (Milano, Punto
Rosso); “Quale comunismo?”; “Uomini usciti di pianto in ragione” (Roma, Manifesto);
“La fine di una teoria”; “Il collasso del marxismo storico del Novecento” (Milano,
UNICOPLI); “Il comunismo storico novecentesco”; “Un bilancio storico e teorico”
(Milano, Punto Rosso); “Nichilismo Verità Storia”; “Un manifesto filosofico
della fine del XX secolo” (Pistoia, CRT); “Gesù. Uomo nella storia, Dio nel
pensiero” (Pistoia); “Il crepuscolo della profezia comunista. A 150 anni dal
“Manifesto”, il futuro oltre la scienza e l'utopia” (Pistoia, CRT); “L'alba del
Sessantotto”; “Una interpretazione filosofica” (Pistoia, CRT); “Marxismo,
Filosofia, Verità” (Pistoia, CRT); “Destra e sinistra. La natura inservibile di
due categorie tradizionali” (Pistoia, CRT); “La questione nazionale alle soglie
del XXI secolo”; “Nota introduttiva ad un problema delicato e pieno di
pregiudizi” (Pistoia, CRT); “Le stagioni del nichilismo. Un'analisi filosofica
ed una prognosi storica” (Pistoia, CRT); “Individui liberati, comunità solidali.
Sulla questione della società degli individui” (Pistoia, CRT); “Contro il
capitalismo, oltre il comunismo”; “Riflessioni su di una eredità storica e su
un futuro possibile” (Pistoia, CRT); “La fine dell'Urss”; “Dalla transizione
mancata alla dissoluzione” (Pistoia, CRT); “Il ritorno del clero. La questione
degli intellettuali oggi”( Pistoia, CRT); “Le avventure dell'ateismo. Religione
e materialismo oggi” (Pistoia, CRT); “Un nuovo manifesto filosofico.
Prospettive inedite e orizzonti convincenti per la filosofia” (Pistoia, CRT); “Hegel
Marx Heidegger. Un percorso nella filosofia” (Pistoia, CRT); “Scienza,
politica, filosofia. Un'interpretazione” (Pistoia, CRT); I secoli difficili.
Introduzione al pensiero filosofico dell'Ottocento e del Novecento, Pistoia,
CRT); “L'educazione filosofica. Memoria del passato, compito del presente,
sfida del future” (Pistoia, CRT); “Il bombardamento etico. Saggio
sull'interventismo umanitario, l'embargo terapeutico e la menzogna evidente” (Pistoia,
CRT); “Marxismo e filosofia. Note, riflessioni e alcune novità” (Pistoia, CRT);
“Un secolo di marxismo. Idee e ideologie, Pistoia, CRT); “Un filosofo controvoglia.
Introduzione a G. Anders, L'uomo è antiquato” (Bollati Boringhieri); “Le
contraddizioni di Bobbio. Per una critica del bobbianesimo cerimoniale” (Pistoia,
CRT); “Marx inattuale. Eredità e prospettiva” (Torino, Boringhieri); Verità
filosofica e critica sociale. Religione, filosofia, marxismo” (Pistoia, CRT); “Dove
va la sinistra?” (Boninsegni, Roma, Settimo Sigillo); “Comunitarismo filosofia
politica” (Molfetta, Noctua); “La filosofia classica tedesca, Dialettica e
prassi critica. Dall'idealismo al marxismo (Molfetta, Noctua); “L'ideocrazia
imperiale americana” (Roma, Settimo Sigillo); Filosofia del presente. Un mondo
alla rovescia da interpretare” (Roma, Settimo Sigillo); Filosofia e geopolitica”
(Parma); All'insegna del Veltro, Del buon uso dell'universalismo. Elementi di
filosofia politica” (Roma, Settimo Sigillo); Dialoghi sul presente.
Alienazione, globalizzazione destra/sinistra, atei devoti. Per un pensiero
ribelle” (Napoli, Controcorrente); “La comunità ritrovata. Rousseau critico
della modernità illuminista, Torino, Libreria Stampatori); “Marx e gl’antichi
greci” (Pistoia, Petite plaisance); “Il popolo al potere. Il problema della
democrazia nei suoi aspetti filosofici” (Casalecchio, Arianna); “Verità e
relativismo. Religione, scienza, filosofia e politica nell'epoca della
globalizzazione” (Torino, Alpina); Elogio del comunitarismo” (Napoli, Controcorrente);
“Il paradosso De Benoist. Un confronto politico e filosofico” (Roma, Settimo
Sigillo); “Storia della dialettica” (Pistoia, Petite plaisance); “La democrazia
in Grecia. Storia di un'idea, forza di un valore, in Presidiare la democrazia
realizzare la Costituzione. Atti del seminario itinerante sulla difesa della
Costituzione, Bardonecchia, Susa, Bussoleno, Condove, Borgone Susa, Edizioni Melli-Quaderni);
“Sarà Dura!, Storia critica del marxismo. Dalla nascita di Karl Marx alla
dissoluzione del comunismo storico novecentesco” (Napoli, La città del sole); “Il
presente della filosofia italiana, Pistoia, Petite plaisance, Storia dell'etica,
Pistoia, Petite plaisance, “Hegel anti-utilitarista”
(Roma, Settimo Sigillo); Storia del materialismo, Pistoia, Petite plaisance, Una
approssimazione a Marx. Tra materialismo e idealismo, Saonara, Il Prato); Ri-pensare
Marx. Filosofia, Idealismo, Materialismo” (Potenza, Ermes); Un trotzkismo
capitalistico? Ipotesi sociologico-religiosa dei Neocons americani e dei loro
seguaci europei, in Neocons. L'ideologia neoconservatrice e le sfide della
storia, Rimini, Il Cerchio); “Alla ricerca della speranza perduta. Un
intellettuale di sinistra e un intellettuale di destra "non
omologati" dialogano su ideologie e globalizzazione” (Roma, Settimo Sigillo);
La quarta guerra mondiale, Parma,
All'insegna del Veltro, L'enigma dialettico del Sessantotto quarant'anni dopo,
in La rivoluzione dietro di noi. Filosofia e politica prima e dopo il '68,
Roma, Manifesto); “Il marxismo e la tradizione culturale europea, Pistoia,
Petite plaisance, Nuovi signori e nuovi sudditi. Ipotesi sulla struttura di
classe del capitalismo contemporaneo” (Pistoia, Petite plaisance, Logica della
storia e comunismo novecentesco. L'effetto di sdoppiamento” (Pistoia, Petite
plaisance); “Elementi di Politicamente Corretto. Studio preliminare su di un
fenomeno ideologico destinato a diventare in futuro sempre più invasivo e
importante, Petite Plaisance, Filosofia
della verità e della giustizia. Il pensiero di Kosík, con Cesana, Pistoia,
Petite plaisance, Lettera sull'Umanesimo, Pistoia, Petite plaisance, Una nuova
storia alternativa della filosofia. Il cammino ontologico-sociale della
filosofia, Pistoia, Petite plaisance, Lineamenti per una nuova filosofia della
storia. La passione dell'anticapitalismo, con Luigi Tedeschi, Saonara, Il
Prato,.Dialoghi sull'Europa e sul nuovo ordine mondiale, Saonara, Il Prato, Collisioni.
Dialogo su scienza, religione e filosofia, Pistoia, Petite plaisance, Marx:
un'interpretazione, Nova Europa). Prefere non definirsi marxista ma
appartenente alla "scuola di Marx", e «allievo indipendente di Marx»;
Elogio del comunitarismo, Controcorrente, Napoli, Personalmente, non sono credente né
praticante. Non credo in nessun Dio personale, considero ogni personalizzazione
del divino una indebita e superstiziosa antropomorfizzazione, e sono pertanto
in linea di massima d’accordo con Spinoza. Ma ritengo anche la religione, così
come la scienza, l’arte e la filosofia, dati permanenti dell’antropologia umana
in quanto tali desti durare tutto il tempo in cui durerà il genere umano (Elementi di politicamente corretto. Convegno,
Lukács e la cultura europea (II intervento)
Relazione Congresso Nazionale di DP (terzultimo intervento) Destra e Sinistra: confronto tra P. e LOSURDO
(si veda); Carmilla: I rosso-bruni: vesti nuove per una vecchia storia Democrazia comunitaria o democrazia proprietaria?”;
“Considerazioni sulla geopolitica”; “Il bombardamento etico dieci anni dopo”. Monchietto,
Colletti; Marxismo, Filosofia, Scienza. L'“ultimo” filosofo marxista su la
RepubblicaTorino Addio al filosofo, In
memoria, Fusaro Un lutto veramente
grande per noi di Gianfranco La Grassa, La Sala Rossa ricorda la figura e
raccogliendosi in un minuto di silenzio, P., Con Marx e oltre il marxismo; Comunismo
e Comunità » Laboratorio per una teoria anticapitalistica A. Volpe e P. Zygulski, Verità e filosofia,
in Monchietto e Pezzano, Invito allo Straniamento. I. filosofo, Pistoia, Petite
Plaisance, P., Elementi di politicamente
corretto. E qui concludiamo con una serie di previsioni artigianali. Ricordo al
lettore che questo non è ancora un Trattato di Politicamente Corretto, che ho
peraltro intenzione di scrivere, in cui i cinque punti principali indicati
(americanismo come collocazione presupposta, religione olocaustica, teologia
dei diritti umani, anti-fascismo in assenza completa di fascismo, dicotomia
Sinistra/Destra come protesi di manipolazione politologica) verranno discussi
in modo più analitico e preciso. Da Intellettuali e cultura politica
nell'Italia di fine secolo, Rivista Indipendenza, Da Gli Usa, l’Occidente, la
Destra, la Sinistra, il fascismo ed il comunismo. Problemi del profilo
culturale di un movimento di resistenza all’Impero americano, Noctua Edizioni,
P.: audio congressi DP (Radio Radicale)
Intervista politico-filosofica (Repaci, P.) «La costituzione italiana è stata distrutta
per semprre con i bombardamenti sulla Jugoslavia, e da allora l’Italia è senza
costituzione, e lo resterà finché i responsabili politici di allora non saranno
condan morte per alto tradimento (parlo letteralmente pesando le parole), con
eventuale benevola commutazione della condanna a morte a lavori forzati a vita.
Eppure, questi crimini passano sotto silenzio, perché si continuano ad interpretare
gli eventi di oggi in base ad una distinzione completamente finite (P.,
Elementi di politicamente corretto) Bobbio, Né con Marx né contro Marx, Riuniti,
Roma, Storia dei marxismi in Italia, Manifestolibri, Roma, Alessandro
Monchietto, Marxismo e filosofia in Preve, Editrice Petite Plaisance, Pistoia, Zygulski,
P.: la passione durevole della filosofia, presentazione di Pezzano, Pistoia,
Editrice Petite Plaisance, Monchietto e Pezzano, Invito allo Straniamento. I. P.
filosofo, Pistoia, Petite Plaisance, Zygulski,
e l'educazione filosofica, in Educazione Democratica, Foggia, Edizioni del Rosone, gennaio, Monchietto,
Invito allo Straniamento. II. Marxiano, Pistoia, Petite Plaisance, Massimo (Bontempelli); Bentivoglio, Il senso dell'essere nelle
culture occidentali (Milano, Trevisini); Formenti, Il socialismo è morto. Viva
il socialismo!, Meltemi, Milano). LA MISERIA DEL MONDO ROMANO
E LA FORMAZIONE SOCIALE DEI PRESUPPOSTI DEL CRISTIANESIMO. IL
ROVESCIAMENTO DIALETTICO DELL'IMPERIUM IN BASILEIA E L'INVERSIONE
ONTOLOGICO-SOCIALE DELLA TERRA IN CIELO La filosofia stoica, nata sulla
base della violazione sistematica del comune senso del pudore (anaideia),
e poi gradualmente “normalizzata” in innocuo sapere del saggio capace di
vincere il turbamento (ataraxia), diventò la koiné filosofica più dif-
fusa nel mondo ellenistico-romano. E questo non è un caso, perché si passò da
una prima fase “politica”, provocatoriamente antischiavistica ed
antiproprietaria, ad una seconda fase “apolitica” di semplice cura
dell'anima individuale. Il percorso normalizzatore dall’anaideia
all'ataraxia è ovviamente mistificato e nascosto dalla manualistica
filosofica ordinaria, che lo rovescia integralmente. Tace e censura il
momento fondante dell’anaideia, e sostiene al contrario che la teoria della
ataraxia è la sola “filosofia politica” delo mondo romano. Se si legge
Seneca e Marco Aurelio, tuttavia, si vede che in realtà quello che viene
impropriamente chiamato “stoici- smo”, ed invece non lo è per niente, non
è altro che la vecchia buona “cura di sé” platonica (ricordo la corretta
interpretazione di Alessandro Biral cui ho accennato nel precedente
capitolo su Platone), del tutto desocializzata. E vedremo più avanti che
proprio la desocializzazione della saggezza sta al centro di quella che Hegel
ha chiamato la “miseria del mondo romano”. L'unica definizione filosofica
possibile della “miseria sociale”, a fianco ovviamente della povertà
materiale della gente (povertà materiale su cui tornerò diffusamente nel
prossimo capitolo), è proprio la desocializzazione della saggezza, per la
saggezza stessa, non avendo più alcun mandato sociale, non può che
avvizzire nell'ampio spettro di posizioni che vanno dallo specialismo
alla stravaganza, e cioè dalla filologia universitaria ai punkabbe-
stia. Il pensiero stoico ha però “messo in circolo” due elementi
filosofici nuovi, e cioè l'universalismo del genere umano (katholikòs) e
l’idea di necessità provvidenziale (pronoia). Il primo concetto è ovviamente
un derivato categoriale del cosmopoli- tismo prodotto dalle conquiste di
Alessandro il Macedone in Oriente, mentre il secondo ha una derivazione
“mista”, in parte greca ed in parte orientale. Zenone riteneva che
l'universo periodicamente terminasse nella conflagrazione e che gra-
dualmente si ricostituisse nello stesso modo. Come il vuoto che lo avvolge, il
tem- po è un interstizio cavo fra gli eventi (Leibniz dirà poi qualcosa
di simile). I fatti della storia universale ritornano eternamente. Si
ripresenterà in futuro un nuovo Socrate per subire un nuovo processo, e
ci saranno nuovi Anito e nuovi Meleto per accusarlo. Chi sostiene quindi che il
concetto di storia universale è nato con il cristianesimo e con la
fusione messianica giudaico-cristiana (Karl Lòwith ed altri) a mio avviso
sbaglia. Il concetto di storia universale è nato prima in forma ciclico-
ripetitiva con lo stoicismo di Zenone, ed è nato sulla base di una provvidenza
pu- ramente naturalistica e non divino-religiosa (pronoia), il
cristianesimo l’ha incor- porata in una visione messianica e salvifica
della storia, e poi la filosofia classica tedesca della storia (Fichte,
Hegel e Marx) l’ha rielaborata in forma dialettica. Ma questo punto verrà
ovviamente sviluppato più avanti. Al tempo di Zenone, data
l'impossibilità di pensare la storia universale con un solo concetto unitario
trascen- dentale riflessivo (non possiamo infatti imputare a Zenone di
non essere vissuto nel settecento illuministico europeo), era inevitabile
che la si pensasse nella forma ciclica della ripetizione. Il pensiero
ciclico, infatti, riflette in forma astratta il ciclo delle stagioni che
determina l'agricoltura, la pastorizia, l'allevamento e l'uscita in mare
dei pescatori, mentre il pensiero lineare-progressivo riflette la fine dei
cicli stagionali e l'avvento dell’accumulazione “lineare” del capitale.
Ma su questa ov- vietà, naturalmente, ritornerò più avanti in un prossimo
capitolo. Lo stoicismo, quindi, passata la fase provocatoria
dell’anaideia, consegna al mondo classico posteriore i due concetti di
universalismo cosmopolitico e di prov- videnza necessaria (pronoia).
Entrambi staranno alla base del cristianesimo. È giun- to allora il
momento di parlare delle origini del cristianesimo, di Gesù di Nazareth e
di Paolo di Tarso, che ne sono stati entrambi i fondatori a “pari grado”, il
primo nella sua dimensione messianica, ed il secondo nella sua
complementare dimen- sione di assoggettamento universalistico ad un unico
salvatore, codice filosofico già presente da almeno duecento anni nei
trattati in lingua greca “sulla monar- chia” (perì basileias). Mentre
infatti il primo ciclo della filosofia greca produce innu- merevoli testi
sulla natura (perì physeos), natura con cui veniva metaforizzata la so-
cietà (Diodoto, ecc.), ora il secondo ciclo della filosofia greca vede la
pubblicazione di innumerevoli testi sulla monarchia (perì basileias), con
cui veniva metaforizzato l'incredibile bisogno di protezione ed
assistenza dei poveri abbandonati allo sca- tenamento selvaggio della
crematistica. E chi non coglie questo punto resta fuori dalla storia
della filosofia come un amante della musica che restasse fuori dalla sala
dei concerti e non potesse sentire che echi musicali vaghi e lontani.
Affrontiamo quindi il noto e cruciale problema dell’interpretazione
filosofica delle origini storiche del cristianesimo. Si tratta del
secondo grande problema teori- co del pensiero occidentale, dopo il primo
grande problema che abbiamo affrontato nei capitoli precedenti, quello
delle origini e della natura della filosofia greca clas- sica e poi
ellenistica. Anche in questo caso, quindi, mi comporterò come mi sono
comportato in precedenza per il primo caso, ispirandomi alla genesi storica
della deduzione delle categorie del pensiero ed al metodo
ontologico-sociale. In estrema sintesi, sebbene mi ritenga più competente
per il primo problema che per il se- condo (sono infatti un filosofo che
legge correntemente il greco antico ed il latino, non sono per nulla un
esegeta biblico e non conosco assolutamente né l'ebraico né l’aramaico),
considero l’analisi ontologico-sociale delle origini del cristianesimo La
miseria del mondo romano e la formazione sociale dei presupposti del
cristianesimo più facile di quanto lo sia l’analisi complessiva
del mondo greco. I Greci antichi sono già volati via, infatti, e non sono
più fra noi, mentre i cristiani, sia pure “ir- riconoscibili” rispetto ai
loro lontani progenitori (e vedremo il perché in questo e nei prossimi
capitoli), sono ancora fra noi, e per quanto mi riguarda mi auguro che
restino con noi a lungo. Una parentesi. D'accordo con lo studioso
di scienze sociali svedese Myrdal, io ritengo che il massimo di
“oggettività” possibile nelle scienze sociali ed in filoso- fia, in cui
non esiste la matematizzazione, l'esperimento e la verifica dei
protocolli sperimentali, sia l’esplicitazione pubblica chiara e veridica
delle proprie premesse di valore. Ciò vale soprattutto quando si parla di
politica (destra e sinistra, ecc.) e di filosofia (credenti e non
credenti, ecc.). E farò anch'io così, interrompendo brevemen- te la mia
esposizione. Il lettore, infatti, ha il diritto di sapere bene come la
pensa colui che sta leggendo. : Personalmente, sono stato
battezzato a pochi giorni di vita nel culto cattolico romano. Ho perso la
cosiddetta “fede” nelle discussioni adolescenziali e da allora potrei
essere classificato fra coloro che si dicono e vengono detti “atei”.
Termine che non mi piace, peraltro, e in cui non mi riconosco, perché non
mi piace per nulla che ci si definisca in negativo con l'alfa privativo
(a-teo). Da filosofo, preferisco le definizioni in positivo, e non quelle
in negativo. Pur non essendo in alcun modo un “credente”, e pur ritenendo
(a differenza di Benedetto Croce) che se lo vogliamo e lo riteniamo
necessario “possiamo anche non dirci cristiani” (su questo punto Alain de
Benoist ha ragione e Croce ha torto), sono tuttavia un sostenitore della
necessità sociale della religione. La religione, a mio avviso, è sempre e
comunque un katechon contro lo scatenamento della bestialità nichilistica
della crematistica nei rapporti sociali ( si tratta di un punto che mi
differenzia fortemente dal mio maestro di ontologia sociale Lukécs). Gli
atei mangiapreti a mio avviso non lo capiscono, ed è per questo che
considero il loro un pensiero dell'intelletto astratto (Verstand) e non
della ragione concreta (Vernunft). Dal punto di vista dell'intelletto
astratto (Verstand) mi sembra del tutto logico sostenere non solo che Dio non
è logicamente “dimostrabile” (vedi la Critica della Ragion Pura di Kant)
e che non è logico rappresentarselo come un soggetto progettante
antropomorfizzato (vedi l’Etica di Spinoza), ma che siano anche del tutto
plausibili le teorie dell'evoluzione darwiniana e delle capacità auto
poietiche ed auto-organizzative della materia e dell'energia, da cui
deriva la necessaria conclusione per cui “Dio non esiste”. Dal punto di
vista della ragione concreta (Vernunft), sono un sostenitore della
necessità sociale della religione, che nonostante tutti i suoi difetti e
la possibile corruzione venale e pedofiliaca di molti suoi esponenti (
comunque minore di quanto sosten- gono i suoi avversari laici) considero
in termini di katechon, e cioè di freno verso una bestializzazione
crematistica integrale dei rapporti umani. Sbagliano quindi coloro che
contrappongono il bel mondo dei Greci, riletti come atei e materialisti
(vedi Nietzsche, Onfray e compagnia cantante) al mondo posteriore
superstizioso dei cristiani. Se infatti costoro conoscessero meglio i
Greci, che invece non conosco- no e su cui coltivano pittoreschi ed
infondati luoghi comuni da scuola media, saprebbero che i Greci veri si
fondavano sul katechon, ed anche se preferivano quello razional-politico
non disdegnavano certamente anche quello religioso. Detto que- sto, e
messe bene le carte in tavola, passiamo a ragionare di filosofia. Costanzo
Preve UNA NUOVA STORIA ALTERNATIVA DELLA FILOSOFIA Il cammino
ontologico-sociale della filosofia n pelle plowance oa LA Questo libro - la cui
scaturigine lautore ci rivela essere una intuizione da lui avuta la mattina del
9 ottobre 2007 costituisce la sintesi
migliore dellopera quarantennale di Costanzo Preve. Si tratta non di un normale
manuale di storia della filosofia, ma di una esposizione approfondita e
sensata, col con- sueto metodo previano della deduzione storico-sociale delle
categorie, dei principali autori e delle principali tendenze filosofiche.
Preve, in queste pagine, dimostra magistralmente che si pu fare storia della
filosofia - e filosofia - non solo in modo erudito, ma in modo partecipato,
umano, comunitario. L'originalit delle singole interpretazioni pone questa
opera come una vera e propria miniera doro per tutti quei giovani studiosi che
vorranno, negli anni a venire, rapportarsi alla storia della filosofia in modo
privo di pregiu- dizi e lontano dagli schemi del senso comune. Ma se i frutti
maggiori di questa sua ricerca potranno venire nel futuro, certo che, gi dalla fine del 2008, le idee
contenute in queste pagine hanno comiciato ad alimentare e a nutrire la
riflessione di molti, una linfa che si
diffusa percorrendo anche insospettabili sentieri. Adesso finalmente
lopera si offre sulla tela per come lautore lha dipinta. Costanzo PREVE nato a Valenza (Alessandria) il 14 aprile
1943. ISBN 978-883-7588-108-5 30 il
giogo 50 Collana diretta da Luca Grecchi Oro Yp ioyxs ovtuyodor kai dikm, mola
Euvmpig TOVE Kaprepwotepa; Eschilo, Frammento 267. Tv TAdEL uddog Bvta Kvpiog
xe Eschilo, Agamennone, 177. Evppper OMPPOVEV UIT OTEVEL Eschilo, Eumenidi,
520. OUNW CHWPPOVEV ETLOTA0OL Eschilo, Prometeo, 982. In copertina: Vincent val
Gogh, Autoritratto davanti al cavalletto, 1888. Amsterdam, Van Gogh Museum. ..
Se uno ha veramente a cuore la sapienza, non la ricerchi in vani giri, come di
chi volesse raccogliere le foglie cadute da una pianta e gi disperse dal vento,
sperando di rimetterle sul ramo. La sapienza
una pianta che rinasce solo dalla radice, una e molteplice. Chi vuol
vederla frondeggiare alla luce discenda nel profondo, l dove opera il dio,
segua il germoglio nel suo cammino verticale e avr del retto desiderio il retto
adempimento: dovunque egli sia non gli occorre altro viaggio. MARGHERITA
GUIDACCI Costanzo PREVE, Una nuova storia alternativa della filosofia. Il
cammino ontologico-sociale della filosofia ISBN 978-88-7588-108-5 Copyright 2013
editrio elile P nane Associazione culturale x j fini di lucro Chi non spera
quello siii che non sembra sperabile i
di non potr scoprirne la realt, WWW.pI etiteplaisance.it ) poich lo avr fatto
diventare, e-mail: info@petiteplaisance.it con il suo non sperarlo, Via di
Valdibrana 311 51100 Pistoia qualcosa
che Si ue ae dea Tel.: 0573-480013 Fax: 0573-480914 SCEMO ROTA MORENO: ERACLITO
C. c. postale 44510527 Costanzo Preve UNA NUOVA STORIA ALTERNATIVA DELLA
FILOSOFIA Il cammino ontologico-sociale della filosofia elite plaisance pelile
p Nota editoriale Questo libro la cui
scaturigine lautore ci rivela essere una intuizione da lui avuta la mattina del
9 ottobre 2007 costituisce la sintesi
migliore dellopera qua- rantennale di Costanzo Preve. Si tratta non di un
normale manuale di storia della filosofia, ma di una esposizione approfondita e
sensata, col consueto metodo pre- viano della deduzione storico-sociale delle
categorie, dei principali autori e delle principali tendenze filosofiche.
Preve, in queste pagine, dimostra magistralmente che si pu fare storia della
filosofia e filosofia non solo in modo erudito, ma in modo
partecipato, umano, comunitario. L'originalit delle singole interpretazioni
pone questa opera come una vera e propria miniera doro per tutti quei giovani
studiosi che vorranno, negli anni a venire, rapportarsi alla storia della
filosofia in modo privo di pregiudizi e lontano dagli schemi del senso comune.
Ma se i frutti maggiori di questa sua ricerca potranno venire nel futuro, certo che, gi dalla fine del 2008, le idee
contenute in queste pagine hanno comiciato ad alimentare e a nutrire la
riflessione di molti, una linfa che si
diffusa percorren- do anche insospettabili sentieri: lautore aveva
terminato la stesura dei quaranta vibranti capitoli distesi in pi di seicento
cartelle dattiloscritte con la sua vecchia Lettera 22, e in un primo incontro a
Vicenza ne aveva fatto partecipi alcuni amici chiedendo loro un contributo
critico sulle tesi sostenute. Nel 2009 Petite Plaisance assunse l'impegno di
editare il volume: molte foto- copie di quelle seicento cartelle hanno
cominciato a circolare, molti si sono dedicati alla composizione di quelle
pagine. dunque doveroso ringraziare
questi amici di Costanzo: Andrea Bulgarelli, Carmine Fiorillo, Diego Fusaro,
Davide Gallo Lasse- re, Luca Grecchi, Alessandro Monchietto, Giancarlo
Paciello, Giacomo Pezzano, Francesco Ravelli, Enrico Varesio. Nostro desiderio
era di riuscire a pubblicare il libro allinizio del 2011. Ma l'Associazione ha
dovuto fronteggiare molte difficolt e siamo stati chiamati ad un silenzioso
esercizio di paziente attesa. Adesso finalmente lopera si offre sulla tela per
come lautore lha dipinta. g) pelle plassance Associazione culturale senza fini
di lucro Prologo Il lettore gi sicuramente
a conoscenza del fatto che unOntologia dell'Essere Sociale esiste gi, ed la grande opera redatta dal vecchio Lukcs fra
il 1964 ed il 1971, anno della sua morte. Essa
stata egregiamente tradotta in lingua italiana da Alberto Scarponi, che
ha curato anche la traduzione dei successivi Prolegomeni. A loro volta i
Prolegomeni sono una semplice riscrittura dellOntologia, in cui peraltro la
riformulazione ripetuta degli stessi problemi porta a nuovi approfondimenti
qualitativi ed a nuove prospettive critiche. Dal momento che conservo il senso
delle proporzioni, so bene che ogni composi- tore di musica ha diritto ad
ispirarsi a Mozart ed a Beethoven, ma sarebbe incauto se pensasse di poter
eguagliare Mozart e Beethoven. Ed io infatti non penso affatto di eguagliare il
maestro Lukdcs, e neppure mi riprometto di riuscire a riformulare un'ontologia
dell'essere sociale all'altezza del lavoro fatto da Lukcs fra il 1964 ed il
1971. Il periodo storico diverso ed anzi
imparagonabile, perch mentre allora la prospettiva politica era ancora quella
di modificare in corso d'opera il socialismo realmente esistente prima della
sua dissoluzione catastrofica, oggi (2013) la disso- luzione gi avvenuta, e sembra irreversibile. E tuttavia,
il termine ontologia dell'essere sociale non
una paroletta che pu soltanto connotare un'opera irripetibile, ma una parola simile ad estetica, etica,
idealismo trascendentale, filosofia della storia, storia della filosofia, ecc.
In breve, il termine ontologia dell'essere sociale connota una scelta
filosofica e metodologica generale, per cui non si tratta di una parola coperta
da un copyright che se ne assicura cos giuridicamente l'esclusiva, ma una parola a disposizione di tutti coloro che
ritengono di poterne liberamente elaborare il significato. Del resto, Platone
non avrebbe mai pensato di possedere l'esclusiva del termine repubblica, ed
Epicuro si sarebbe messo a ridere se qualcuno gli avesse proposto di brevettare
il termine natura. Ho quindi scelto di impossessarmi in parte del titolo
Ontologia dell'Essere Sociale ftitolando per il mio libro Una nuova storia
alternativa della filosofia) senza alcuna intenzione n di criticare Lukcs, n di
competere con lui, n tantomeno di preten- dere di andare oltre l'altissimo
livello da lui raggiunto. Il sottotitolo
stato scelto per il semplice fatto che, dovendo in qualche modo nominare
la mia personale filosofia, oltre che la mia personale interpretazione del
marxismo (che un Lukcs redivivus quasi certamente non approverebbe), mi sono
reso conto che questultima . a tutti gli effetti una ontologia dell'essere
sociale, e dunque non aveva senso ricoprirla con altri nomi fuorvianti e
pomposi. Ho quindi scritto anche una mia personale Ontologia dell'Essere
Sociale. In quanto alla sua maggiore o minore qualit filosofica, H lettore sovrano, e giudicher lui. Prologo Ci sono per
due piccoli fatti autobiografici che possono aiutare non certo a giudi- care la
qualit di questo lavoro (gi Hegel diceva che tutto quanto c'era di personale
nelle sue opere era falso), ma possono aiutare invece a collocare la genesi
psicologica soggettiva di questa opera. In primo luogo, possibile dire che il mio primo lavoro
filosofico compiuto ed edito era gi dedicato ad una monografia
critico-comparativa dellOntologia dell'Essere Sociale (cfr., Costanzo Preve, La
filosofia imperfetta, Franco Angeli, Milano, 1984). Si trattava di una
monografia critica, in quanto non si limitava ad esporre analiticamente i
contenuti dellOntologia, ma ne forniva anche interpre- tazioni parzialmente
divergenti, secondo linarrivabile modello del rapporto di Marx con Hegel, che
riconosceva Hegel come il suo maestro di metodo filosofico (la Scienza della
Logica, ecc.), ma nello stesso tempo si permetteva di criticarlo quando lo
avesse trovato opportuno. Si trattava di una monografia comparativa, perch le
soluzioni date da Lukacs ai principali problemi filosofici del nostro tempo
erano paragonate alle soluzioni date da altri insigni filosofi (particolarmente
tre, e cio Louis Althusser, Ernst Bloch e Martin Heidegger), e la loro relativa
superiorit non era semplicemente affermata apoditticamente, ma era argomentata
a partire proprio dalla comparazione. Questo mio lavoro del 1984 ha avuto per
la sciagura di avere una titolazione incongrua ed affrettata, frutto di un
consiglio maldestro datomi da un amico che non si riconosceva affatto in questa
scelta. E cos, anzich darle un titolo pi sensa- to, le diedi un titolo del
tutto surreale ed insensato. Tutte le filosofie sono per loro natura
imperfette, nessuna pu essere perfetta per il semplice fatto che non esiste
alcuna fine filosofica della storia, ma lontologia dell'essere sociale restava
nel 1984 (e lo ancora nel 2013, anzi
lo pi di allora) la migliore esistente
nel novero delle idee del tempo. Mi scuso quindi, quasi un quarto di secolo
dopo, per il titolo affrettato ed incongruo dato a quella lontana opera, da
lungo tempo affidata alla critica roditrice non dei topi, ma del macero cui le
case editrici mandano i volumi invenduti perch non intasino il prezioso spazio
dei magazzini di deposito. La stesura di quellopera del 1984 fu per me
liberatoria. A lungo avevo colti- vato in precedenza una sciagurata concezione
strumentale della filosofia di tipo ideologico e/o epistemologico, alla ricerca
di una vera filosofia rivoluzionaria e proletaria (lato ideologico), e/o di una
vera filosofia scientifica e post-metafisica (lato epistemologico). Tutto
questo mi aveva portato ad oscillare in modo insensato, sterile ed improduttivo
fra le due scuole di Lucio Colletti e di Louis Althusser. Avrei continuato ad oscillare
senza tirar fuori un ragno dal buco se la lettura dell'ultimo Lukdcs non mi
avesse aperto gli occhi sulla sterilit delloscillazione tra ideologia ed
epistemologia, termini apparentemente opposti ed il realt complementari che lo
stesso Lukcs mi insegn a considerare in solidariet antitetico-polare, e quindi
come poli della stessa unit alienata. Ci sono molte forme di alienazione,
ovviamente, ma per quanto riguarda specificamente la filosofia l'alienazione
massima e centralissima che pu colpirla sta nell'accettazione di una funzione
ancillare e subalterna o all'ideologia (che ha sostituito in forma depotenziata
la precedente funzione ancillare e subalterna alla 8 Prologo religione ed alla
teologia) o allepistemologia (che ha sostituito la precedente funzio- ne
ancillare e subalterna alla gnoseologia e ad ogni teoria della conoscenza e
della metodologia in generale). La liberazione da questa alienazione pu essere
trovata dalla filosofia soltanto nel ritorno allontologia, e pi esattamente in
un ritorno allontologia nel senso di Aristotele e di Hegel, ritorno unito ad
uninterpretazione dello spirito filosofico di Marx (spirito a volte non
coincidente con la sua lettera) che lo ricolleghi appunto sia ad Aristotele che
ad Hegel. Dopo la pubblicazione di quest'opera, piena di difetti e connotata da
un titolo inutile e fuorviante, fui considerato nei piccoli gruppi dei cultori
dellontologia come una sorta di lucacciano anomalo ed irregolare (le ortodossie
sono infatti sempre per natura sospettose di qualunque deviazione -
assomigliano infatti agli atomi di Democrito e non a quelli di Epicuro). nei successivi due decenni decisi di scen-
dere dal nobile cavallo di cui non ero il proprietario (non potevo infatti
acquistare il nobile cavallo di Hegel, Marx o Lukcs), comprare a poco prezzo un
asinello, e cavalcare questo asinello in piena indipendenza. La cavalcata di
questo asinello testimoniata dalle opere
da me pubblicate in varie lingue europee fra il 1984 e il 2012. L'ontologia
dell'essere sociale restava nello sfondo, ma non era pi per me oggetto di uno
specifico interesse monografico. Nel frattempo era sopravvenuta la catastrofe
dissolutoria del comunismo storico novecentesco realmente esistito (1917-1991),
cui Lukcs era stato del tutto interno ed organico (uso qui il termine di
Antonio Gramsci), e mi sembr (n da allora ho pi cambiato idea) che la rottura
di Lukcs con lortodossia comunista era stata ancora troppo debole ed incerta,
ed era ormai necessaria una rottura molto maggiore e pi qualitativa, in quanto
per tornare allo spirito di Marx bisognava ormai sbarazzarsi della lettera del
marxismo, secondo la formula radicale dell'amico recentemente scomparso
Jean-Marie Vincent. Ripeto ancora che su questo punto non ho cambiato idea, ed
anzi penso di avere proceduto ancora troppo poco su questa strada. Nella prima
settimana dell'ottobre 2007 ho per partecipato con due relazioni distinte al
quinto Congresso Marx Internazionale tenutosi a Parigi fra la Sorbona e
lUniversit di Nanterre. In quell'occasione, il sabato 9 ottobre, ho partecipato
ad un piccolo atelier in cui si teneva il Colloquio Lukcs, presieduto dal pi
stimato lucacciano vivente, il filosofo romeno-francese Nicolas Tertulian. Ero
il solo italiano, ma c'erano brasiliani, francesi, americani ed un giapponese.
In quell'incontro mi resi conto che il mio abbandono degli studi ontologici era
stato troppo frettoloso, e sarebbe invece valsa la pena ritornarci sopra con
maggiore cura. Dallintuizione che ebbi quella mattina del 9 ottobre 2007 nato questo saggio. Ed il maggiore onore che
avrei potuto rendere a Lukcs sarebbe stato il coraggio, in questo mio attuale
lavoro, di fare direttamente riferimento alla sua Ontologia dell'Essere
Sociale. E cos ho fatto. Il lettore dir poi sovranamente se si trattato di un arbitrio o di una pre-
sunzione inaccettabile. Si tratta, ovviamente, di unopera critica del tutto
indipendente, e cio di una mia libera interpretazione dell'ontologia
dell'essere sociale. Il lettore che crede al Limbo di Dante in cui gli spiriti
magni del passato continuano a vivere e che
possibile 9 Prologo evocare facendo ballare i tavolini nelle sedute
spiritiche potrebbe dire che un Lu- kacs redivivus non sarebbe d'accordo in
tutto o in parte con quanto scrivo. Ma chi scrive non crede in tali evocazioni,
e quindi non si pone questi problemi che Kant, a proposito di Swedenborg, defin
a suo tempo sogni di un visionario. La mia esposizione comprende una parte
introduttiva e una parte storico-genetica con una ricostruzione ontologica
dell'intera vicenda del pensiero occidentale dalle origini ad oggi. Rimarr da
realizzare, se sar possibile farlo in futuro
e se non da me auspico da altri , la parte sistematica sull'analisi
ontologico-sociale del moderno capitalismo globalizzato, della sua natura e
delle sue contraddizioni specifiche. In questa parte finale del prologo mi
limito a riassumere la traccia sintetica di questo contenuto per fare cosa
grata al lettore e permettergli di dare uno sguardo d'insieme al complesso di
argomentazioni e di tesi di questo lavoro. L'introduzione ha come oggetto il
chiarimento dei due termini ontologia ed essere sociale. Il termine ontologia,
il cui uso moderno deve essere contestualizzato nel suo significato polemico ed
oppositivo a gnoseologia, ed al criticismo gnoseologico di Kant e dei suoi
epigoni neokantiani in particolare, significa ristabilimento nel- le nuove condizioni e nei nuovi contesti
storici - del punto di vista di Aristotele dell'unit fra categorie del pensiero
e categorie dell'essere, unit infranta appunto dal criticismo e da altre scuole
consimili. Questo ristabilimento, iniziato con Spinoza, si sviluppa poi con
Fichte, Hegel e Marx, e Lukdcs deve esserne considerato solo lultimo
sistematizzatore di buon livello. Il termine essere sociale, a sua volta, deve
essere interpretato come opposizione determinata a due impostazioni filosofiche
scorrette, responsabili di due ricadute ideologiche ancora pi scorrette, e cio
da un lato il materialismo dialettico di Engels, Lenin, Stalin e Mao, che
unifica presunte (ed in realt inesistenti) leggi della natura e della
societ che in questo modo viene
scorrettamente naturalizzata , e dall'altro lato lindividualismo borghese
anti-comunitario, definito a suo tempo da Marx robinsonismo, che invece
costruisce il concetto di societ non in modo sociale, main modo
programmaticamente asociale (individualismo possessivo, ecc.). Appare chiaro
che questi tre complessi concettuali (ristabilimento dell'unit ontologica delle
categorie dell'essere e delle categorie del pensiero, critica del na- turalismo
del materialismo dialettico, ed infine critica dellindividualismo antico-
munitario) sono in realt lati di un unico complesso teorico che si tratta di
rifiutare consapevolmente. Per questa ragione la piena comprensione
dell'Introduzione preliminare alla
comprensione analitica delle parti successive. Offriamo dunque al lettore una
ricostruzione dialettica ed ontologico-sociale dell'intera storia del pensiero
occidentale a partire dai presocratici greci fino a Lukcs. Che significa
ricostruzione ontologico-sociale? Significa ricostruzione storico- genetica, in
quanto non basta dichiarare in modo aprioristico lunit ontologica delle
categorie del pensiero e delle categorie dell'essere se poi non si riesce a
dare la genesi storica e sociale di questa unit. Soltanto una
ricostruzione sia pure sommaria ed
inevitabilmente con qualche errore, semplificazione ed imprecisione della storia del pensiero filosofico
occidentale, ricostruzione compiuta con il metodo dialettico 10 Prologo della
genesi sociale delle categorie, pu rendere plausibile la teoria dell'unit
ontologica delle categorie dell'essere e del pensiero, unica alternativa da un
lato a quella che Hegel aveva definito la dossografia della filastrocca di
opinioni casuali (dossografia con cui vengono confezionati abitualmente i
manuali di storia della filosofia per i licei e per le universit), e dall'altro
a tutte le costituzioni aprioristiche e formalistiche del soggetto conoscente
(Cogito di Cartesio, Soggetto come flusso di sensazioni e me variopinto di
Hume, Io Penso di Kant, Soggetto come funzione energetica della volont di
potenza in Nietzsche, ecc.). Una ricostruzione ontologico-sociale (termine
equivalente a quello di storico- genetica) delle filosofia occidentale preliminare (e nello stesso tempo indispen- sabile) a qualunque
sistematizzazione dellontologia dell'essere sociale applicata alla quotidianit
presente. Fu questo l'approccio di Hegel, che avrebbe ritenuto insuffi- ciente
la semplice esposizione di una logica e di una filosofia del diritto senza aver
svolto preliminarmente e contestualmente una storia fenomenologica dello
spirito umano, una filosofia della storia in generale e soprattutto una
ricostruzione della storia della filosofia alternativa alle abituali
dossografie compilative ed alle noiose e diseducative filastrocche di opinioni.
Chi scrive non possiede certo la finezza interpretativa di Hegel, Marx e Lukcs,
ed pienamente consapevole dei propri
limiti. Nello stesso tempo, chi scrive
con- sapevole che alcuni suoi predecessori nel campo della ricostruzione
storico-genetica delle categorie (dal tedesco Alfred Sohn-Rethel alla greca
Maria Antonopoulou) hanno certamente aperto la strada, ma hanno anche fornito
alcune interpretazioni discutibili, o comunque migliorabili. Il lavoro che presentiamo
al lettore programmaticamente
migliorabile, ma per poterlo migliorare ci vuole una discussione critica
specifica su tutti i singoli punti presi in esame, discussione che non potr mai
avvenire se ci si barrica ( proprio il caso di usare questo verbo!) allinterno
del bunker dei difensori della costituzione formalistica del soggetto, della
separazione di principio fra le categorie dell'essere e le categorie del
pensiero, della negazione positivistica del valore conoscitivo e veritativo
autonomo della pratica filosofica, della riduzione della pratica filosofica
stessa a ideologia e/o ad epistemologia, ed infine della concezione della
storia della filosofia come filastrocca di opinioni. Rimarr da lavorare in
profondit ad un'esposizione sistematica del rapporto fra il punto di vista
filosofico dellontologia dell'essere sociale ed il mondo contemporaneo. Questo
mondo contemporaneo potr essere indagato assumendo liberamente il punto di
vista di Marx, da allievi indipendenti di Marx, e soggettivamente convinti di
portarne avanti sia il metodo di analisi che il contenuto di pensiero. L'ordine
di successione espositiva di questo successivo lavoro ancora da compiere potr
esse- re strutturato sulla base del primato sia del metodo di analisi sia dei
contenuti di pensiero ereditati da Marx. Ma in cosa consiste esattamente questo
metodo di analisi e questo contenuto di pensiero? Il Prologo Non posso
certamente anticipare tali analisi in questo Prologo, ma posso rias- sumere a
beneficio del lettore i punti fondamentali che toccano questo metodo e questo
contenuto. Ogni esposizione sistematica, infatti, presuppone che una volta
chiarita la genesi sociale delle categorie, esposta in questo volume, si passi
a chiarire anche la natura del metodo e quella del contenuto. Il metodo
dell'ontologia dell'essere sociale non pu che essere un metodo che ha come
titolare un soggetto socialmente determinato e non aprioristicamente fondato in
modo eterno (l'approccio trascendentale ha appunto la funzione di costituirlo
in modo programmaticamente destoricizzato e desocializzato), e come oggetto una
totalit logico-ontologica (nel senso di Hegel), costruita dialetticamente in
modo rigorosamente monomondano (sempre nel senso di Aristotele e di Hegel) e
non bi- mondano (nel senso di Platone e di Tommaso d'Aquino). E tuttavia questa
totalit logico-ontologica presenta alcune ambivalenze ed alcune difficolt. Da
un lato, infatti, questa totalit in una
certa misura sferica e non piramidale, e quindi tutti gli elementi che la
costituiscono dovrebbero farne parte organicamente in modo non gerarchico (nel
senso, grosso modo, della totalit dialettica della Scuola di Francoforte, e di
Adorno in particolare). Dall'altro, se ci si colloca allinterno del metodo di
Marx (come ha fatto a suo tempo Lukcs, e come intendo fare io stesso), impossibile evitare del tutto una concezione
topologica, cio caratterizzata spazialmente da un sotto e da un sopra, il sotto
della struttura (e cio dal rapporto allinterno di un modo di produzione
determinato fra lo sviluppo delle forze produttive sociali e la natura
classista dei rapporti sociali di produzione) ed il sopra delle sovrastrutture
(forme di coscienza sociale di tipo ideologico, ecc.). pr Non potendo
certamente risolvere il problema del rapporto fra la concezione sferica e la
concezione topologica della totalit unitaria dell'essere e del pen- siero, nel
lavoro futuro ancora da compiere ritengo giusto scegliere la successione di
tipo topologico, per cui parto dal sotto, e cio dal basso, per risalire a poco
a poco verso il sopra, e cio l'alto delle forme ideologiche. Occorrer quindi
definire prima la personale concezione di modo di produzione ipercapitalistico
post-borghese e post-proletario (e cio la concezione speculativa di Capitale,
inteso come concetto unitario), e su questa base la natura delle forze
produttive sociali di questa fase storica (con annesse polemiche contro
leconomici- smo, o meglio le interpretazioni economicistiche di queste forze
produttive, speculari alle interpretazioni fondate sulla decrescita virtuosa),
e poi la natura dei rapporti sociali di produzione classisti, il cui classismo
implica la ripresa aggiornata della teoria leniniana dellimperialismo, contro
le troppo rapide ed inesatte teorie di una globalizzazione mondiale
post-imperialistica. E di qui, mano a mano, occorrer risalire alle cosiddette
sovrastrutture, uti- lizzando liberamente in questa prospettiva
ontologico-sociale non solo Lukcs, ma anche altri pensatori marxisti e non,
scelti senza alcun settarismo e spirito di parrocchia ideologica. 12 x
Prologo questo un impegno di grande
lena, cui occorre prepararsi in un tempo non certo breve, con studi
appropriati, lavori preparatori, confronti serrati ma anche di grande respiro
teoretico. Il contenuto dellontologia dell'essere sociale non pu che essere
orientato a quello che definir anticapitalismo radicale moderno. Non credo
quindi che si possa realmente contribuire allo sviluppo creativo dellontologia
dell'essere sociale senza essere al contempo anche soggettivamente e
politicamente anticapitalisti. finito
(ed finito vergognosamente) il tempo in
cui si poteva dire alla Hilferding che il marxismo poteva prevedere il
passaggio dal capitalismo al socialismo come lo scienziato pu prevedere
l'eclissi del sole. E cos come lontologia dell'essere sociale presuppone il
rifiuto del principio di Kant, secondo il quale esiste una differenza
ontologica di principio fra le categorie del pensiero e le categorie dell'essere,
nello stesso modo lontologia dell'essere sociale presuppone anche il rifiuto
del principio di Hume chiamato fallacia naturalisti- ca, per cui i giudizi di
fatto devono essere separati in modo radicale dai giudizi di valore. In modo
alternativo agli approcci di Kant e di Hume, invece, l'ontologia dell'essere
sociale assume il fatto che il capitalismo
una realt alienata, e quindi da un lato
una realt che deve essere conosciuta con un certo grado di distacco e di
oggettivit (c' infatti differenza fra la datit conoscibile dell'intelletto
scientifico ed i sogni di un visionario), e dall'altro una realt negativa, alienata ed alienante. Il
giudizio che diamo della realt sociale
quindi ad un tempo ontologico ed as- siologico, un giudizio di fatto e
un giudizio di valore. E questo implica il fatto che lontologia dell'essere
sociale deve rifiutare l'approccio di almeno tre grandi pensatori, David Hume,
Immanuel Kant e Max Weber, e si costituisce appunto in lotta (anche Kant
riconosceva che la filosofia un
Kampfplatz, un campo di battaglia) contro questi tre approcci, che ne fanno
peraltro logicamente uno solo. Terminato questo libro, si apre dunque la porta
per un successivo cammino sul terreno della ricerca e dello studio
dellontologia dell'essere sociale che sar quindi apertamente anticapitalistica.
Si tratter, per, di sviluppare un anticapitalismo comunitario adatto al nostro
tempo, che non solo rifiuti lindividualismo iper- capitalistico di oggi, ma
anche le varie forme di collettivismo eterodiretto di tipo carismatico
sviluppato dal defunto comunismo storico novecentesco (1917-1991), del
quale per bene non dare un giudizio
interamente negativo, secondo la moda dellantitotalitarismo che infuria fra gli
intellettuali di oggi. Chi scrive, infatti, non
in alcun modo un intellettuale, ma
un allievo critico ed indipendente di Marx, sostenitore di una
interpretazione comunitaria del comunismo, ed
un filosofo che considera lontologia dell'essere sociale il punto pi
avanzato del pensiero contemporaneo. Detto questo, cos come i magistrati
dovrebbero parlare con le loro sentenze, e non con i loro irrilevanti
pronunciamenti moralistici e manipulitistici, nello stesso modo i filosofi non
dovrebbero parlare attraverso sparate ideologico-identitarie di appartenenza,
ma dovrebbero esprimersi esclusivamente attraverso le loro argo- mentazioni
filosofiche. E cominciamo a farlo. 13 Introduzione - IL SIGNIFICATO FILOSOFICO
DEL TERMINE ONTOLOGIA DELL'ESSERE SOCIALE I grandi filosofi scelgono
generalmente in modo molto intelligente i titoli delle loro opere. Pensiamo a
titoli come la Critica della Ragione Pura di Kant, la Fenomenologia dello
Spirito di Hegel, Essere e Tempo di Heidegger. In tutti questi tre titoli anticipato in forma sintetica il contenuto
che poi verr sviluppato in modo analitico. La stessa cosa, ovviamente, avviene
per lOntologia dell'Essere Sociale di Lukcs. Sul suo esempio, bene che sia fatto anche per questo presente
lavoro. Se si deciso di intitolarlo
sobriamente Per una nuova storia alternativa della filo- sofia. Il cammino
ontologico-sociale della filosofia, e non in qualche altro modo biz- zarro
maggiormente attualizzante, ci dovuto a
ragioni profonde. E questo ci porta prima a scomporre i due termini ontologia
ed essere sociale, e poi a ricomporli nella loro unit espressiva. Portate a
termine queste due operazioni successive di scomposizione, prima, e
ricomposizione, poi, potremo considerare terminata lIntroduzione e potremo
dunque iniziare il nostro cammino, prima nella sua parte storica e poi se non io, auspico che altri lo facciano in
futuro , nella sua auspicabile parte sistematica. Secondo il Dizionario Filosofico UTET di
Nicola Abbagnano il termine onto- logia (che non a caso lesistenzialista
neokantiano Abbagnano identifica con il termine metafisica ed in questa identificazione filosoficamente
e filologica- mente scorretta ed arbitraria
possibile giudicare in controluce l'insieme del suo pensiero, e
giudicarlo negativamente!) ricorre per la prima volta nello Schediasma
Historicum di Giacomo Thomasius del 1655, e sta direttamente alla base del
signi- ficato che poi ne diede Wolff, e che fu il significato che Kant critic.
Il significa- to moderno di ontologia, intesa come descrizione analitica di
categorie comuni all'essere ed al pensiero, sta alla base del trittico di Wolff
(psicologia razionale, cosmologia razionale e teologia razionale), e fu questo
trittico ad essere investito dalla critica gnoseologica di Kant, basata
come noto sulla distinzione qualitati-
va (e quindi, a modo suo, ontologica) fra le categorie dell'essere e le categorie
del pensiero. Nella parte storico-sociale di questo saggio dimostrer (o cercher
di dimostrare) che la vittoria di Kant su Wolff non fu dovuta a casuali motivi
di maggiore performativit soggettiva da parte di Kant su Wolff, ma ad una
severa ragione storico-sociale, nella misura in cui lontologia di Wolff era
ancora ideologi- camente al servizio di una indiretta legittimazione ideologica
di un potere di tipo signorile-tardofeudale, che si basava ancora su di un
rapporto fondativo dell'Al- dil sull Aldiqu (ed appunto per questo aveva bisogno
di sostenere lunit delle categorie dell'essere divino e del pensiero umano),
mentre il criticismo vincitore 15 Introduzione di Kant, invece, poteva
autonomizzare integralmente lAldigu stesso, affidando lo stesso Aldiqu
allintelletto (Verstand), e relegando la ragione (Vernunft) all Aldil. Ma, data
limportanza dell'argomento, rimandiamo agli appositi capitoli il chia- rimento
di come la vittoria di Kant su Wolff si basava in realt su due elementi teorici
e su due funzioni sociali ed ideologiche distinte. Da un lato, essa consentiva
di criticare Je pretese dellontologia (e cio della metafisica ontologica - per
Kant come per Abbagnano si tratta della stessa cosa) di poter esercitare una
funzione norma- tiva sulla realt politica e sociale protoborghese in ascesa, e
questa fu la ragione del suo gigantesco successo, che dura ormai da pi di
duecento anni e fa tuttora di Kant il filosofo universitario per eccellenza,
quello su cui giura in modo quasi unanime il grande circo della filosofia
accademica internazionale. La gnoseologia
infatti il succedaneo della religione per questi professori senza Dio.
Dall'altro, esso curiosamente, pur chiamandosi criticismo, permette di
criticare soltanto l Aldil, laddove una
vera macchina da guerra teorica che non permette in alcun modo di criticare 1
Aldiqu. Il criticismo, quindi, permette di criticare solo il mondo celeste,
mentre non permette di criticare il mondo terrestre, e questo infatti il motivo del suo successo anche per
i prevedibili tempi futuri del breve e del medio termine (sul lungo termine,
invece, nutro una moderata speranza sulla vittoria del buoni, di cui fanno
parte sia Lukcs sia il sottoscritto). Vedremo pi avanti che il termine
ontologia in proposito molto simile al
termi- ne materialismo, in quanto entrambi i termini hanno una genesi storica
molto precisa. Il fatto che in greco antico, la lingua della nascita della
filosofia occiden- tale, non esistessero n il termine ontologia, n il termine
materialismo (nato anch'esso alla fine del Seicento e allinizio del Settecento
per opera di Bayle e di Leibniz), ma ci fossero invece gi i termini to on e he
hyle (rispettivamente, lessente e la materia, o pi esattamente lessente alla
luce dell'essere e la materia inscindibile nella forma), non deve affatto
essere ritenuto casuale. I termini non c'erano perch i termini indicano
concetti, e questi concetti (ontologia e materialismo, appunto) sono concetti
pienamente moderni, prodotti da una congiuntura storico-sociale specifi- ca ed
irripetibile, quella della modernit europea borghese di tipo illuministico e
pre-illuministico, che analizzeremo nello specifico. Il pensiero greco classico
non aveva bisogno di connotarsi con il termine appo- sito di ontologia perch
era gi integralmente ontologico, fondandosi appunto sullunit delle categorie
del pensiero e delle categorie dell'essere, unit che era il suo presupposto
fondante integrale. Vedremo pi avanti, infatti, che un'operazione di tipo
criticista-kantiano nel contesto del pensiero classico era letteralmente im-
pensabile e non concettualizzabile, e questo perch l'operazione kantiana
presup- pone socialmente l'esigenza di delegittimazione delle pretese normative
non certo di una religione in generale, ma di una religione organizzata in
potentissime Chiese gerarchiche e legate al potere, Chiese prodotte dalla
tripartizione organiz- zativa del cristianesimo (cattolici, protestanti ed
ortodossi). Nel mondo classico greco non esistevano n Chiese organizzate di
tipo monoteistico (e neppure poli- teistico, come linduismo indiano), n libri
sacri di riferimento la cui interpretazio- 16 IL SIGNIFICATO FILOSOFICO DEL
TERMINE ONTOLOGIA DELL'ESSERE SOCIALE ne legittima era sequestrata da
organizzazioni gerarchico-clericali, e quindi non c'era alcuno spazio per il
criticismo, impossibile ed impensabile. Sta qui, appun- to, il segreto del
fatto che tutte indistintamente le scuole filosofiche dell'antichit classica
erano ontologiche, da quelle fortemente veritative (Platone, Aristotele,
Epicuro, ecc.) a quelle scettiche (sofisti, accademici, scettici, ecc.). Non
era quindi necessario nel mondo antico lottare per lontologia, cos come
non necessario per gli esquimesi lottare
per il ghiaccio e per la neve e per i tuareg ed i beduini lottare per la
sabbia. Dopo Kant e dopo la grande rivoluzione criticista, che sta alla base
della filo- sofia apologetica borghese contemporanea (lo ripeto: il
criticismo una macchina da guerra per
giustificare la critica del cielo e per impedire la critica della terra), invece ridiventato necessario lottare per il
ristabilimento dellontologia. Questa lotta a volte sembra disperata, perch si
svolge spesso contro lintero establishment informalmente organizzato della
filosofia universitaria. Lo stesso materialismo moderno, riproposto in modo
mirabilmente sistematico da Federico Alberto Lange nel 1866, non che una forma di neokantismo criticista,
perch si basa sulla critica della pretesa di estendere la validit del pensiero
umano al di l di certi limiti di tipo psicofisico. Non a caso secondo Lange il
materialismo rinasce dalle sue ceneri ogni volta che luomo dimentica questi
limiti e pretende di dare valore oggettivo a costruzioni metafisiche che hanno
solo un valore fantastico e illusorio. Esamineremo le ragioni che hanno portato
il materialismo marxista di Engels ad adottare il significato neocriticista di
Lange, anzich riprendere il significato marxiano desunto da una ripresa
creativa della Scienza della Logica dell'idealista Hegel. Mentre infatti la
produzione di una teoria filosofica
largamente casuale e non pu essere dedotta anche se questa stessa produzione individuale
non sfugge neanch'essa ad una deduzione sociale generale delle categorie ,
laccet- tazione e/o l'emarginazione sociale di una certa concezione filosofica
non mai casuale ed aleatoria. Il
significato di filosofia di Lange vince a partire dal 1866 su quello di Hegel
per ragioni spietatamente storico-sociali, che cercheremo per l'ap- punto di
esaminare analiticamente pi avanti. Se dunque nel mondo antico il punto di
vista ontologico era un dato intuitivo che non aveva bisogno di fondazioni
filosofiche di secondo grado, nel mondo moderno postkantiano esso ha invece
bisogno di un ristabilimento consapevole. Questo ristabilimento
consapevole passato grosso modo per due momenti
storici successivi, che indagheremo analiticamente pi avanti, ma che
anticipiamo gi sommariamente in questa Introduzione, tracciando qui solo le
linee generali di que- sto complesso ristabilimento. Il primo grande ciclo
storico di ristabilimento ontologico dell'unit fra le catego- rie del pensiero
e le categorie dell'essere stato
caratterizzato dalla successione di tre grandi pensatori profondamente
ontologici, e cio Fichte, Hegel e Marx. Possiamo qui trascurare il fatto,
peraltro non indifferente, per cui questi tre grandi pensatori si
autorappresentavano e si autocertificavano in modo diverso, e cio come
idealista soggettivo Fichte, come idealista assoluto Hegel, ed infine come 17
Introduzione critico materialistico dell'idealismo Marx. L'autocertificazione
soggettivamente sincera di un filosofo
certamente un dato da non trascurare, ma poich sappia- mo che
l'ingannarsi su se stessi per uno
svariato insieme di ragioni biografiche
un dato permanente dell'essere umano nel mondo, e nessuno vi pu sfuggire
(tanto meno i cosiddetti geni), questa autocertificazione soggettiva sincera
deve essere accompagnata da una legittima interpretazione esterna, cui non si
chiede che di dare spiegazioni razionali di quanto afferma (logon didonai). E
la mia inter- pretazione sta in ci, che Fichte, Hegel e Marx fanno parte della
stessa filiera (come direbbe un produttore di latte e formaggi), e questa
filiera rappresen- tata dall'ontologia
dell'essere sociale, e cio dal ristabilimento dell'unit fra le categorie dell'essere
e le categorie del pensiero. D'altra parte, se si vuole cominciare a criticare
il mondo presente, questo ristabilimento
inevitabile. E vedremo che Fichte inten- deva criticare l'epoca della
compiuta peccaminosit, Hegel intendeva criticare il triangolo composto dal
conservatorismo dei vecchi ceti, dall'economia politica individualistica
inglese ed infine dalla furia del dileguare giacobino-russoviana, ed infine
Marx (ga va sans dire) intendeva criticare l'alienazione capitalistica. Per
ragioni che analizzer pi avanti, dopo il 1866 e lo sviluppo del neocritici- smo
e del ritorno a Kant, Fichte ed Hegel diventano temporaneamente dei cani morti,
e Marx non diventa invece un cane morto, perch viene assunto in cielo e
santificato (anzi, viene fatto Santo Subito, come il papa polacco, Padre Pio e Madre
Teresa di Calcutta) dalla socialdemocrazia tedesca di August Bebel desi- derosa
di padrini teorici credibili, ma l'assunzione in cielo di Marx avviene con una
aureola di tipo positivistico e quindi neokantiano. Vedremo appunto pi avanti
le maestose ed inesorabili ragioni storico-sociali di tutto questo, ragioni
contro cui non pu nulla anche il pensatore pi dotato (mi limiter ad elencane
tre: Georges Sorel, Antonio Gramsci ed appunto Gyrgy Lukacs). Dopo il 1956
(destalinizzazione di Krusciov, ecc.) si apre di fatto un secondo ciclo storico
di ristabilimento di un'ontologia dell'essere sociale basato anch'esso su di
una riformulazione aggiornata dellunit fra le categorie dell'essere e del
pensiero. Il primo fiore promettente
stato appunto lOntologia dell'Essere Sociale di Lukcs. Il valore di
questo ristabilimento ontologico deve essere esaminato in modo contrasti- vo
con altre coeve riproposizioni filosofiche, che esamineremo nell'ultima sezione
di questo lavoro. Si tratta della dialettica negativa di Adorno, dello
strutturalismo antidialettico di Althusser, del trotzkismo filosofico di
Sartre, dell'utopia messia- nica di Bloch, del pessimismo di Giinther Anders,
del neokantismo formalistico di Bobbio e di Habermas, ecc. La grandezza
relativa di Lukcs appare appunto ancora pi grande se la mettiamo in relazione
con questi eminenti pensatori. Il tramonto, anch'esso relativo, del punto di
vista dellontologia dell'essere sociale, per cui essa appare invisibile sulla
scena visibile del dibattito filosofico contempo- raneo in cui appaiono invece visibili soltanto
oggettivazioni di pensiero pro- vocatoriamente anti-ontologiche , pu essere
spiegato attraverso il metodo della deduzione sociale delle categorie. Il fatto
allora che lontologia dell'essere sociale sia oggi nascosta, e visibili in
primo piano siano invece altre filosofie anti-ontologiche 18 IL SIGNIFICATO
FILOSOFICO DEL TERMINE ONTOLOGIA DELL'ESSERE SOCIALE (ermeneutica, pensiero
debole, nichilismo, relativismo dei valori, filosofia analitica anglosassone,
insomma, tutto il circo che Lukcs considerava fondato sulla soli- dariet
antitetico-polare fra lesistenzialismo ed il neopositivismo), sar appunto
loggetto delle riflessioni analitiche conclusive di questo mio lavoro. Fin qui
abbiamo analizzato il termine ontologia. Dobbiamo ora analizzare il se- condo
termine, quello di essere sociale. Qui il discorso appare ad un tempo concet-
tualmente pi semplice e pi bisognoso di analisi plurale differenziata. Una
intera parte sistematica dovr successivamente essere scritta e dedicata ad un
panorama analitico dellattuale capitalismo ed ispirata appunto a questa nozione
ontologi- ca di essere sociale, e mi auguro che questo compito possa essere
assolto. Per par- te mia, in questa sede, mi limito a segnalare i tre aspetti
fondamentali di questo essere sociale. Ancora una volta, questa segnalazione pu
essere fatta soltanto in base ad un metodo contrastivo: l'essere sociale si
contrappone ad una visione pu- ramente storicistica e sociologistica, che in
quanto tale di fatto anche nichilistica
e relativistica, perch ignora che l'essere sociale ha come presupposto
ontologico l'essere naturale dell'uomo, e pi esattamente luomo come ente
naturale generi- co (Gattungswesen), profilo storico-antropologico che lo mette
in rapporto con il genere in quanto tale (Gattung), in base ad un rapporto
definibile in termini di conformit al genere (Gattungsmdissigkeit); l'essere
sociale ha una sua specificit differenziale che lo separa dall'essere naturale,
l'agire teleologico del lavoro come forma originaria (Urform) e modello
(Vorbild) della prassi (Praxis), e questa specifi- cit differenziale di tipo
ontologico impedisce di parlare, come far il materialismo dialettico di Engels,
Lenin, Stalin, Trotzky e Mao, ecc., di leggi dialettiche comu- ni ed omogenee
della natura e della societ; infine, l'essere sociale richiede per sua natura
ontologica che sia il pensiero (filosofico) che l'essere (sociale e
comunitario) vengano esaminati rifiutando il punto di vista individualistico
che parte appunto dallatomo sociale originario come monade dell'intero sociale
successivo, punto di vista che gi Marx connot correttamente come robinsonismo.
Da un punto di vista storico-genetico possiamo dire che lo storicismo
sociologistico a base nichili- stica, il criticismo gnoseologico che separa le
categorie del pensiero e le categorie dell'essere, la presunta fallacia
naturalistica che impedirebbe di pensare insieme la conoscenza di un fatto e la
sua immediata valutazione, la naturalizzazione del- la societ intesa semplicemente
come natura applicata e raddoppiata, ed infine la costruzione individualistica
ed atomistica della societ privata in questo modo automaticamente di ogni
dimensione comunitaria, ecc., fanno parte di un unico complesso filosofico
unitario, che si contrappone in toto allontologia dell'essere sociale. Rimando
per lanalisi pi accurata alle pagine dei vari capitoli: concentriamoci in
questa Introduzione su di una segnalazione sintetica dei tre aspetti prima
indicati. In primo luogo - come vedremo meglio pi avanti il grande progetto emanci- patorio della
filosofia di Karl Marx, fondato sul riconoscimento ontologico dell'esi- stenza
dellalienazione come dato strutturale della riproduzione capitalistica, fu pi
tardi colpito da alcune patologie ideologiche, le maggiori delle quali furono
lo sto- ricismo ed il sociologismo. Secondo la patologia storicistica, veniva
negato lo spazio 19 Introduzione di una antropologia filosofica, con la scusa
che si sarebbe trattato di una forma di essenzialismo, e cos non si poteva
ammettere lesistenza di una essenza umana generica, che come noto lo stesso Marx aveva connotato con il
concetto inequi- vocabile di ente naturale generico (Gattungswesen). Eppure,
anche ammettendo che ci che viene definito essenza umana non preesista alla
costituzione storica delluomo in comunit, e quindi non esista affatto un Adamo
nel paradiso terre- stre prima del peccato originale (cosa che sono largamente
disposto ad ammet- tere), il carattere integralmente storico dell'essenza umana
ha come presupposto biologico-antropologico il concetto fondativo di natura
umana. Tipico dello storici- smo allora
la riduzione integrale della natura umana alla storia, con conseguente
eliminazione di questo concetto. Eppure il genere (Gattung) la sintesi dialet- tica di natura umana e di
essenza umana, e quindi del tutto
corretto e plausi- bile parlare per l'individuo singolo concreto di conformit o
meno al genere (Gattungsmiissigkeit). Lo storicismo rifiuta questa impostazione
antropologica ed ontologica, ed attua una riduzione integrale delluomo alla
storicit. La riduzione integrale delluomo alla storicit implica necessariamente
la conclusione filosofica che l'uomo al
cento per cento storia, e senza la storia non
nulla, perch la storia il suo
unico fondamento. Parafrasando Lenin, diremo allora che il nichilismo ne- cessariamente la fase suprema dello
storicismo. A sua volta, lo storicismo deve cercare in tutti i modi un criterio
di autocertificazione e di autoaccertamento, e poich non pu trovarlo al di
fuori di esso (avendo escluso sia Dio, sia la natura umana - e restandogli solo
lo scorrere insensato della storia), cerca di trovarlo in se stesso, e
generalmente lo trova nel successo o nellinsuccesso dei progetti storici. In
questo modo chi vince ha ragione e chi
perde ha torto. Questo esito, che in genere la mo- numentale ignoranza dei
dilettanti e dei mestieranti attribuisce a Hegel, consacra- to come papa degli
storicismi nichilisti adoratori del successo, non pu che dar luogo ad una forma
di nichilismo integrale, che sfugge del tutto ai cosiddetti lai- ci, e che
invece viene correttamente diagnosticato dai filosofi religiosi (ad esempio il
dotato Joseph Ratzinger), i quali per non potranno mai accedere ad una vera
ontologia dell'essere sociale, perch non possono fare a meno di dedurre
l'essere sociale da una preventiva creazione divina. E tuttavia, nonostante
questa inevita- bile carenza, il pensiero religioso resta quasi sempre (ho
messo il quasi, perch il pensiero religioso fanatico ed integralista non affatto migliore del laicismo, e pu talvolta
avere conseguenze pratiche ancora peggiori - in fondo, il professore
universitario scettico meno pericoloso
del lapidatore di donne che si ritiene ispi- rato direttamente da Allah)
migliore del pensiero derivato dal nichilismo storici- stico. Sulla base della
sua vergognosa idolatria del successo come unico parametro da usare per il
giudizio storico (idolatria che ha come presupposto la cosiddetta fallacia
naturalistica di Hume, che separa i fatti dai valori e nello stesso tempo
fornisce ai valori una base puramente utilitaristica), lo storicismo stato la com- ponente essenziale del cambio
di campo del ceto intellettuale sedicente marxi- sta e comunista nel decennio 1985-1995.
Se infatti lunico criterio assiologico
il successo storico, dal momento che la storia del comunismo storico
novecentesco 20 IL SIGNIFICATO FILOSOFICO DEL TERMINE ONTOLOGIA DELL'ESSERE
SOCIALE veramente esistito (1917-1991) si
conclusa con un palese insuccesso, ne deriva che la storia ha emesso il
suo giudizio. Chi vince un bravo
ragazzo, chi perde una testa di ... Ho
scelto volutamente un'espressione volgare, perch non avevo graficamente altro
modo di connotare l'incredibile ed insopportabile volgarit filosofica dello
storicismo. Non a caso Lukcs riport ripetutamente un detto del poeta latino
Marco Anneo Lucano nel suo poema Pharsalia, e cio causa victrix diis placuit,
sed victa Catoni (la causa vincente piacque agli di, ma quella vinta piacque a
Catone). Non conosco in tutta la letteratura filosofica mondiale
un'affermazione tanto incompatibile con lo storicismo di ogni tipo. Il
sociologismo quella forma applicata di
storicismo che aspetta la salvezza dall'azione di un soggetto definito in modo
esclusivamente sociologico. Nel caso del marxismo, come noto, se ne sono date molte varianti diverse,
ma tutte basate su di un presupposto angustamente sociologistico. In Karl Marx
si trattato del lavoratore collettivo
cooperativo associato, dal direttore di fabbrica all'ultimo ma- novale, alleato
con le potenze della scienza e della tecnica, definite a sua volta dallo stesso
Marx con il termine inglese di general intellect. Per il modello marxista post-
marxiano classico di Engels e di Kautsky si
trattato della classe operaia, salariata e proletaria, organizzata dai
socialdemocratici sia sul piano sindacale che su quello politico. Per Lenin ed
i bolscevichi si trattava dello stesso soggetto di Engels e di Kautsky, che non
sarebbe per mai passato dal suo in s sociale al suo per s politico senza la
necessaria mediazione del partito politico comunista, variamente definito nella
storia del marxismo successivo in termini di intellettuale collettivo o di
moderno Principe (il termine, come noto,
fu coniato da Antonio Gramsci). Per Mao Tse Tung e Che Guevara, infine, il
soggetto storico rivoluzionario era costi- tuito fondamentalmente dalla classe
dei contadini poveri in lotta contro l'egoismo delle metropoli imperialistiche
e delle loro aristocrazie operaie egoiste e complici. E potremmo continuare, ma
non ha senso perdersi in esemplificazioni anali- tiche in questa Introduzione.
Ci che conta impadronirsi del nucleo
concettuale della questione. Ed esso sta in ci, che il sociologismo soltanto il fratello minore dello storicismo,
e sta ad esso come lattiva casalinga Marta sta alla contemplativa Maria nella
parabola dei Vangeli, in cui la seconda ascolta rapita il Salvatore e la prima
si d da fare in cucina. Il punto di vista dellontologia dell'essere
sociale il solo che pu realmente fron-
teggiare le due patologie complementari dello storicismo e del sociologismo,
forma- zioni ideologiche entrambe impotenti di fronte alle smentite storiche. E
questo per- ch lontologia dell'essere sociale non nega affatto la crucialit
decisiva della storia, e non nega neppure il ruolo indispensabile dei soggetti
sociali organizzati, ma in- serisce questi due fattori materiali in una forma
senza la quale questi due fat- tori non possono trovare alcun fondamento. E
questa forma essenziale (uso qui il linguaggio di Aristotele poi corretto ed
integrato - ma non modificato - da Hegel)
appunto il genere (Gattung), che ha come specificazione antropologica e
storica lente naturale generico (Gattungswesen), nel suo rapporto
contraddittorio con la propria conformit o meno al genere stesso
(Gattungsmissigkeit). Il genere stesso, 21 Introduzione inoltre, non pura e vuota potenzialit riempibile
all'infinito in modo relativistico (dynamis), ma realizzazione in atto di questa potenzialit
(energheia) in quanto la realizzazione in atto di questa potenzialit allude ad
un contenuto, il contenuto antropologico dell'uomo come animale sociale,
politico e comunitario (politikn zoon), e dell'uomo come animale dotato di
ragione, linguaggio e capacit di calcolo geometrico delle proporzioni applicato
alle proporzioni sociali e comunitarie (zoon logon echon). Ma su questo
ritorneremo pi avanti in modo analitico e (speriamo) convincente. In secondo
luogo, lontologia dell'essere sociale si oppone allindebita natura- lizzazione
della storia sociale compiuta dal cosiddetto materialismo dialettico (Diamat),
il quale negava la specificit ontologica dell'essere sociale attraverso la sa-
cralizzazione di presunte (ed in realt inesistenti) leggi dialettiche unificate
della natura e della storia. Nel nostro lavoro - sviluppato invece sulla base
del metodo della deduzione sociale delle categorie del pensiero nella loro
interfaccia filosofica ed ideologica , segnaleremo che questa naturalizzazione
non stata in alcun modo un errore,
ma stata invece in un certo senso
necessaria ed inevitabile in almeno tre congiunture storiche distinte.
Primo, stata necessaria ed inevitabile
nel pensiero dei primitivi, la cui dipendenza dalla natura era talmente forte e
di- retta da rendere fisiologica la costruzione mentale collettiva e
comunitaria di un unico complesso teorico e simbolico comprendente il
macrocosmo naturale e il mi- crocosmo sociale, in cui da diventava un'appendice
derivante ontologi- camente dal precedente. E possibile infatti - anche se
paradossale definire il pen- siero dei
primitivi come un materialismo dialettico, e la deduzione sociale delle
categorie permette di capire perch non avrebbe potuto in alcun modo essere una
ontologia dell'essere sociale. Secondo,
stata necessaria ed inevitabile ai tempi del primo positivismo
ottocentesco europeo (Auguste Comte nel 1830, ecc.), in quanto la comune
ricerca di cosiddette leggi scientifiche - che avrebbero dovuto sosti- tuire
integralmente le vecchie cause prime della metafisica, per cui la sociologia
umana diventava di fatto del tutto omogenea concettualmente all'astronomia,
alla fisica, alla chimica ed alla biologia , costituiva storicamente il solo
modo di affer- mare e di legittimare il nuovo ruolo sociale di due professioni
emergenti, quella del medico e quella dell'ingegnere. noto che il medico e l'ingegnere erano due
profili professionali gi esistenti (ed anche generalmente ben pagati)
nell'antichit, ma solo con il positivismo ottocentesco queste due figure
emergono socialmente in tutta la loro interezza. Terzo, stata necessaria ed inevitabile al tempo
della costruzione staliniana del socialismo, in particolare dopo il 1929 e la
scelta della collettivizzazione integrale dell'economia che richiedeva un
meccanismo unico in cui integrare simbolicamente tutte le possibili
sovrastrutture (storia, filosofia, letteratura, pedagogia, ecc.), da cui deriva
la decisione del Comitato Centrale del PCUS del 25 gennaio 1931 di condannare
ufficialmente tutte le tendenze filosofiche contrastanti con lunica ammessa,
linterpretazione ortodossa del materialismo dialettico. Cercheremo di chiarire,
usando il metodo della deduzione sociale delle categorie, che si trattava di
una scelta sistemica e non di un errore, perch qua- 22 IL SIGNIFICATO
FILOSOFICO DEL TERMINE ONTOLOGIA DELL'ESSERE SOCIALE lunque versione
dellontologia dell'essere sociale sarebbe stata incompatibile con la falsa
coscienza necessaria che la costruzione staliniana del socialismo portava
necessariamente con s. In terzo luogo, lontologia dell'essere sociale del tutto incompatibile con l'auto-
rappresentazione apologetica che il pensiero borghese fa della propria genesi
sto- rica. Questa autorappresentazione apologetica si fonda su di una indebita
indi- vidualizzazione del soggetto storico, sviluppata gradualmente da Hobbes,
Locke, Hume e Smith (non a caso, tutti e quattro inglesi o scozzesi, in ogni
caso britannici ed anglofoni), individualizzazione indebita cui si oppose
precocemente Hegel, la cui filosofia politica
tutta rivolta contro questa impostazione individualizzante, che poi Marx
connot mirabilmente come robinsonismo. Sullanalisi di questo cruciale passaggio
rimando ovviamente alle specifiche pagine del libro. Questa corrente
individualistica di pensiero, tuttavia, non
neppure in grado di costruire unaccettabile ontologia dell'essere
individuale, e cio dell'ente storico moderno speci- fico. L'essere individuale,
infatti, unastrazione del tutto
artificiale. vero, e ci deve essere
sottolineato, che nella modernit capitalistica l'essere individuale si rapporta
direttamente e senza mediazioni castali al genere, e per questo dato on-
tologicamente irreversibile la modernit non deve essere rimossa e rifiutata con
impossibili ritorni alla tradizione precapitalistica. Questo dato, di
importanza inestimabile, sar evidenziato perch senza la sua piena comprensione
divente- rebbe impossibile scrivere unontologia dell'essere sociale adatta ai
tempi che stiamo vivendo. Ma su questo, appunto, ritorneremo pi avanti. Dopo
aver scomposto i due termini di ontologia e di essere sociale, e dopo aver
anticipato sommariamente temi che saranno sviluppati analiticamente in segui-
to, possiamo ora terminare questa Introduzione ricomponendoli, e si tratta
allora di trovare la forma teorica pi opportuna per una loro corretta ricomposizione.
Ancora una volta, un riferimento ad Hegel ci sar di aiuto. Vi sono due
affermazioni di Hegel (o meglio, due citazioni letterali documenta- te) che
sembrano a prima vista incompatibili. Da un lato, Hegel ha affermato che la
filosofia si occupa di ci che , ed
eternamente, e con questo ha gi fin troppo da fare. Dall'altro, Hegel
afferma che la filosofia il proprio
tempo appreso nel pensiero. Si tratta in effetti di tesi che possono sembrare
inconciliabili. Che cosa dunque la
filosofia e quale il suo oggetto
specifico? Si tratta di una philosophia perennis, che nel corso del tempo
storico non cambia n di metodo n di oggetto, e risponde sempre alle stesse
insopprimibili esigenze delluomo di sensatezza della sua vita individuale e
sociale, oppure si tratta di un sapere integralmente storico, ed addirittura
storicistico, del tutto relativo al tempo storico ed allo spazio geogra- fico
in cui si svolge? Quando si tratta di commentare affermazioni di un filosofo di
grande valore che troviamo indiscutibilmente contraddittorie, un buon principio
metodologico consiste nel ritenere che questa contraddittoriet non sia il
frutto di stupidit, su- perficialit o distrazione, ma nasconda invece un nucleo
razionale che si tratta di individuare.
vero che quandoque dormitant atque Plato et Kant et Hegel (e gi gli an-
23 Introduzione tichi dicevano che quandoque dormitat atque Homerus, ogni tanto
dormicchia anche Omero), per cui anche nei testi dei grandi filosofi si trovano
distrazioni, banalit e cadute di livello. In questo caso, per, possiamo dire
che questa contraddittoriet solo
apparente, e proprio dalla comprensione di questo enigma risulta la corretta
natura dellontologia dell'essere sociale e la sua relativa superiorit rispetto
alle sue grandi oggettivazioni filosofiche rivali di oggi. Da un lato, vero che la filosofia ha un oggetto
veritativo generale, che consiste proprio in ci che , ed eternamente. L'ontologia dell'essere sociale
ha come oggetto l'essere sociale in generale, ci che contraddistingue lo
specismo umano dallo specismo animale, e quindi il minimo comun denominatore di
genere (Gattung, Gattungswesen) che unifica le storicit differenziate dei vari
e distinti modi di pro- duzione (comunismo primitivo, antico-orientale,
schiavistico, feudale, asiatico, capitalistico, socialistico-reale, ecc.), in
quanto ne tratta gli elementi permanenti definiti dal rapporto del binomio
essenza umana/natura umana con i modi di produ- zione stessi. Dall'altro, vero che questo occuparsi di ci che , ed eternamente, deve trovare la sua specifica
determinazione (Bestimmung) in una societ concreta, che appunto il luogo ideale del presente storico
in cui vive il filosofo. In questo senso, non
affatto contraddittorio dire che l'ontologia dell'essere sociale il luogo in cui si uniscono insieme i due
elementi della permanenza ontologica (la filosofia si oc- cupa di ci che ,
ed eternamente, e con questo ha gi
abbastanza da fare) e della storicit determinata (1a filosofia il proprio tempo appreso nel pensiero).
Abbiamo indicato cos nellIntroduzione i tratti generali della nostra
interpreta- zione dell'ontologia dell'essere sociale, certo diversa ed
innovatrice rispetto a quella di Lukacs, ma che crediamo non incompatibile ed
anzi complementare con essa. Ma questa
solo una dichiarazione apodittica. Per poterla giustificare necessario metterla alla prova prima con una
ricostruzione storica della filosofia occidentale, e poi con un esame
ontologico del nostro tempo da apprendere nel pensiero. E allora proviamoci. Il
lettore ci giudicher. 24 L'ontologia dell'essere sociale alla prova della
ricostruzione sensata della vicenda complessiva della filosofia occidentale
ONTOLOGIA DELL'ESSERE SOCIALE E DEDUZIONE STORICO-SOCIALE DELLE CATEGORIE DEL PENSIERO
NEL LORO INTRECCIO DI ELEMENTO FILOSOFICO E DI ELEMENTO IDEOLOGICO L'ontologia
dell'essere sociale, annunciata nel Prologo e nell'Introduzio- ne, deve ora
essere messa alla prova. Nelle pagine che seguono essa verr messa alla prova
nella sua dimensione strutturale e sociale. L'ideale sarebbe riuscire a non
saltare nessun passaggio logico. Se non ci riusciremo, il lettore ci perdoni.
L'ontologia dell'essere sociale, in ogni caso, non il titolo di un saggio, che pu essere
riuscito o meno, ma la connotazione di
un approccio filosofico generale, che pu e che dovr in futuro essere
perfezionato e migliorato. Per il momento, eventuali errori, anche gravi,
devono essere messi in conto. LA NATURA AD UN TEMPO NECESSARIAMENTE FILOSOFICA
ED IDEOLOGICA DELLE CATEGORIE DEL PENSIERO UMANO L'uomo antropologicamente un ente naturale generico
(Gattungswesen), ed pertanto del tutto
naturale che anche il pensiero umano sia generico, e possa essere riempito di
sensazioni, impressioni ed idee nel modo pi diverso, una di- versit che certamente legata al caso individuale (
infatti inevitabile che anche la casualit sia necessaria come disse Hegel), ma che passa pur sempre
per il filtro della storia e della geografia, del tempo e dello spazio
determinati in cui si vive. Se Jaspers ha ragione nel dire (ed io lo credo) che
luomo l'unico animale in grado di
anticipare la propria morte individuale, ne consegue che anche lunico anima- le costretto a dare un
significato al breve segmento temporale che intercorre fra la sua nascita e la
sua morte. Se questo vero - come mi
sembra plausibile allora luomo il solo animale costretto a dare senso
(Sinngebung) alla propria vita, e ad inserirla e collocarla in un ambito pi
generale. Chiamare essere questo ambito generale mi sembra molto razionale, e
non certamente frutto di un cattivo pensiero metafisico, come dicono i
positivisti di tutti i tipi. Il significato da dare alla propria vita
individuale e collettiva (pi precisamen- te, individuale perch collettiva, o pi
esattamente comunitaria) quindi un pro-
dotto simbolico dellanticipazione mentale della propria morte individuale, che
Heidegger ha in fondo avuto ragione a definire la sola possibilit autentica
delluomo, autentica proprio perch si tratta del solo caso in cui la possibilit
coin- cide con la necessit, in quanto possiamo fare in teoria tutto, salvo
ovviamente una sola cosa, quella di non morire. E dal momento che la sola cosa
che non nella no- stra possibilit quella di non morire, in quanto il morire
prima o poi una neces- sit inderogabile,
ne consegue che il dar un significato alla nostra vita diventa una necessit
altrettanto inderogabile, che comprende ovviamente anche la possibilit di
decidere che essa non ha avuto e non avr nessun significato, al di l del
passare del tempo o come si espresse
Schopenhauer del veleggiare verso la
morte. Il significato che diamo alla nostra vita non ha ovviamente alcun
significato scientifico, perch la scienza
caratterizzata concettualmente da un inevitabile processo di
disantropomorfizzazione. Noi oggettiviamo il mondo fuori di noi, lo
matematizziamo e lo sottoponiamo a procedure sperimentali di verificazione e/o
di falsificazione di ipotesi, ma possiamo fare tutto ci soltanto nella misura
in cui lo abbiamo preventivamente disantropomorfizzato integralmente. Nel nono
capi- tolo chiariremo (mi scuso per lanticipazione) che la matematizzazione
pitagorica del mondo non in alcun modo
un'anticipazione della scienza moderna di Galilei, perch Pitagora non interessato ad una matematizzazione
sperimentale del mon- 27 CarrroLo I do, ma ad una estensione al mondo sociale
in cui vive del calcolo delle buone pro- porzioni geometriche. Se del tutto privo di ogni significato
scientifico nel senso moderno e seicen- tesco del termine, il significato che diamo
alla limitata porzione di vita che ci
concessa assume per necessariamente un doppio significato filosofico ed
ideologico. Il significato filosofico deriva dalla prima definizione di
filosofia anticipata nellIntro- duzione, per cui la filosofia si occupa di ci
che , ed eternamente, e con questo ha gi
fin troppo da fare. Il significato ideologico, che sempre una inevitabile rica- duta (fall out)
di quello filosofico, deriva invece dalla seconda definizione hegelia- na,
segnalata insieme alla prima, per cui Ia filosofia il proprio tempo appreso nel pensiero.
Si di fronte allora al primo problema
teorico serio di questa ontologia dell'essere sociale, quello del corretto rapporto
fra filosofia ed ideologia, 0 pi esat- tamente fra l'eterna veritativit della
riflessione filosofica (loccuparsi appunto di ci che , ed eternamente) e la sua inevitabile ricaduta
ideologica contingente (il proprio tempo appreso nel pensiero, o meglio
l'aspetto sociale del proprio tempo appreso nel pensiero). Partire con il piede
sbagliato su questo delicatissimo problema significa ro- vinare tutto. Ed
esistono due modi apparentemente opposti ma complementari di rovinare tutto,
che consistono da un lato nel ridurre lo spazio della filosofia a spazio
integrale dell'ideologia, e dall'altro nell'affermare con sciocca sicumera che
l'ideologia soltanto quella degli altri,
mentre noi ne saremmo magicamente privi. Iniziamo dalla seconda versione,
che anche la pi sciocca e grottesca, per
poi passare alla prima, che
indubbiamente pi seria, ma anche
pi mortifera. Colui che afferma che ideologici sono sempre e solo gli altri,
mentre lui ne sa- rebbe miracolosamente immune in quanto praticante esclusivo
della filosofia e/o della scienza, ricorda lo sciocco che in pieno sole afferma
che tutti gli altri fanno ombra, al di fuori di lui che un puro spirito che i raggi solari
attraversano senza oscurarlo sul terreno. Come ha scritto argutamente il grande
esperto di ideologia Terry Eagleton, lideologia
come lalitosi, ed appartiene sempre agli altri e mai a noi. Ed
infatti proprio cos. Vedremo pi avanti
che la cosiddetta deideolo- gizzazione non
che la forma ideologica dominante del tempo presente, la cui
funzione quella di consacrare
religiosamente l'eterno presente capitalistico, pri- vato di ogni storia, e di
trasformarlo in destino ineluttabile che nessuna volont umana potr mai
modificare. Scrivere una storia ontologico-sociale del pensiero umano in base
al presuppo- sto dell'identit fra filosofia ed ideologia, o pi esattamente fra
spazio filosofico veritativo e spazio ideologico di legittimazione e/o di
contestazione sociale, si- gnifica rovinare metodologicamente tutto prima
ancora di incominciare. L'uomo infatti non pu fare a meno di rappresentarsi
ideologicamente i propri interessi individuali e collettivi, perch solo su questo
terreno pu definirli, determinarli e prenderne coscienza e consapevolezza.
Nello stesso tempo, nel corso di questo ine- vitabile processo, si forma
un'eccedenza concettuale che va al di l di questa rappre- sentazione
ideologica, e questa eccedenza concettuale
allora la matrice sociale, o La natura ad un tempo necessariamente
filosofica ed ideologica delle categorie del pensiero umano pi esattamente
ontologico-sociale, di ci che fa parte della componente veritativa, e cio di ci
che , ed eternamente. questa allora la genesi storica ed
ontologico-sociale del concetto di verit. Per poterlo per definire
correttamente necessario risalire ai
cosiddetti albori della storia. I L'UNIT ONTOLOGICA DI MACROCOSMO NATURALE E DI
MICROCOSMO SOCIALE E LA SUA PROGRESSIVA DIFFERENZIAZIONE STORICA possibile disegnare una storia sociale della
verit. Ed possibile se riflet- tiamo
sulla genesi storica dello spazio occupato da questo concetto. Una storia
ontologico-sociale del concetto di verit inizia dalla constatazione per cui,
per i nostri antichi e lontani progenitori detti spesso impropriamente
primitivi, la verit coincideva interamente con la sopravvivenza del gruppo e
con l'insieme di comportamenti individuali e collettivi che assicuravano e
garantivano questa sopravvivenza, mentre il falso coincideva con l'insieme di
comportamenti indi- viduali e collettivi che avrebbero messo in pericolo questa
sopravvivenza stessa. Ci che riproduce il gruppo vero, ci che ne minaccia la riproduzione falso. Pi chiaro di cos! E tuttavia tale
chiarezza non deve essere frettolosamente interpretata attra- verso categorie
moderne. Questa concezione primitiva di verit
in linguaggio moderno potrebbe
essere definita come utilitarista o meglio pragmatista. Ma non affatto cos. Soltanto i mestieranti del tutto
privi di senso storico e sociale che usurpano il titolo di storici della
filosofia potrebbero definire i nostri lontani progenitori utilitaristi o
pragmatisti. I termini di classificazione hanno sempre una storia, ed al di
fuori del contesto storico in cui sono nati non possono essere retro- datati,
se non per analogia, ed anche questa analogia
quasi sempre impropria. L'utilitarismo non consiste nella sciocca
banalit da bar per cui il vero l'utile,
ma in una corrente di pensiero storicamente determinata che si opposta a suo tempo alla metafisica
religiosa, alla dottrina del diritto naturale ed alla teoria del contratto
sociale, opponendo a queste tre concezioni una teoria dellautomaticit armonica
dei rapporti sociali, in cui la rete degli scambi fra venditori e compratori
costituiva una sorta di mano invisibile che non richiedeva n una fondazione
religiosa n una fondazione politica della convivenza sociale. In quanto al
pragma- tismo, si tratt di una ben precisa reazione americana tardo-ottocentesca
e primo- novecentesca allegemonia accademica delle correnti di pensiero
neo-criticiste e neo-idealiste, divise praticamente su tutto, ma unite nel
cercare una fondazione trascendentale (i neokantiani) ed ideale (i
neohegeliani) del rapporto fra co- noscenza e prassi. I nostri lontani
progenitori, quindi, non anticipavano per nulla lutilitarismo ed il
pragmatismo. Vivendo immersi nella natura, e dipendendo interamente dalla
natura stessa in quanto cacciatori, pescatori, raccoglitori, orticultori ed
allevato- ri, percepivano in forma largamente intuitiva lunit di natura e di
societ, o pi esattamente lunit di macrocosmo naturale e di microcosmo sociale.
La differenza 31 CarrroLO II disciplinare fra le cosiddette due culture e fra
le facolt scientifiche ed umanisti. che gli era ovviamente del tutto ignota e
letteralmente impensabile. Oggi tutti no (all'infuori forse di qualche geniale
artigiano polivalente fai-da-te) viviamo immers nella pi spinta divisione
sociale del lavoro, e non potremmo sopravvivere neppu- re una settimana se essa
si interrompesse. Tutti i prodotti con cui noi ci vestiamo, che mangiamo e
beviamo, in cui abitiamo e con cui ci curiamo, ecc., provengonc da questa
divisione sociale del lavoro. Per la maggior parte di noi come scrisse argutamente Charles
Baudelaire la campagna quello strano posto in cui i polli vanno in
giro crudi. Ed appunto sul presupposto
di una divisione sociale del lavoro che noi oggi possiamo scomporre il concetto
unitario di verit in verit scientifica, filosofica, politica, religiosa, ed in
spazio del vero, del certo, dellesatto, del veridico, ecc. Non dunque seriamente possibile negare la natura
ontologico-sociale unitaria della nozione di verit, e di come essa implicasse
lunit ontologica diretta fra il macrocosmo naturale ed il microcosmo sociale (o
meglio, comunitario-tribale). La dipendenza dalla natura nelle comunit
primitive era tale da non permettere neppure la distinzione moderna fra etica,
politica, scienza e religione. L'idea che le categorie dell'essere e le
categorie del pensiero, su cui si basata
la cosiddetta rivoluzione copernicana di Kant sul presupposto della preventiva
costituzione formalistico-astratta del soggetto conoscente, ecc., sarebbe stata
impensabile ed intraducibile per i nostri lontani progenitori. Essi dipendevano
talmente della na- tura che erano costretti ad abbandonare i vecchi e a morire
di fame e di freddo e ad eliminare i neonati con malformazioni. Si tratta di
cose note. Ma, appunto, ci che noto
spesso non conosciuto. E non conosciuto, soprattutto, da quegli storici
della filosofia per cui di fatto le categorie del pensiero cadono dal cielo
come la pioggia. Per costoro sarebbe addi- rittura plausibile che i primitivi
potessero dottamente discutere intorno al fuoco se esista o meno qualcosa
chiamato verit oggettiva ed universale, oppure se sia meglio scegliere un
tollerante e pluralistico relativismo. L'unit ontologica originaria fra
macrocosmo naturale e microcosmo sociale re- ster a lungo la matrice
fondamentale del pensiero umano, e soltanto gli ultimi secoli sono riusciti a
scalfirla. Vedremo pi avanti che per scalfirla ci sono voluti, prima, i grandi
scienziati seicenteschi come Galilei, e poi c' voluta la distinzione kantiana
fra categorie del pensiero e categorie dell'essere. In entrambi i casi non
si trattato certamente di due pensate
geniali di un astronomo di Pisa e di un filosofo della Prussia Orientale, ma
si trattato di risultati di un severo
processo sociale e storico sottostante. Tornando ai nostri lontani progenitori,
lunit ontologica di macrocosmo natu- rale e di microcosmo sociale, derivata
dalla loro strettissima dipendenza dalla na- tura per la sopravvivenza e la
riproduzione del gruppo tribale, non
ancora che un'immagine statica, e le immagini statiche non esistono,
perch prima o poi sono investite dal movimento storico. In questo caso il
movimento storico descritto in modo
sostanzialmente esatto dalla teoria marxiana dei modi di produzione, che 32
L'unit ontologica di macrocosmo naturale e di microcosmo sociale e la sua
progressiva differenziazione storica mette in correlazione dialettica da un
lato lo sviluppo delle forze produttive socia- li, e dall'altro la natura
classista dei rapporti sociali di produzione. A tutt'oggi, mi sembra che questo
modello teorico non sia stato ancora superato, e questo indipen- dentemente dal
giudizio storico differenziato che possiamo dare sul comunismo storico
novecentesco realmente esistito (1917-1991). L'interazione fra lo sviluppo
delle forze produttive (agricoltura, allevamento, guerra, costruzione di templi
ed edifici, navigazione, fusione dei metalli, ecc.) e lapprofondimento
classista dei rapporti sociali di produzione produce una pe- culiare divisione
antagonistica del lavoro sociale, prima o inesistente o limitata alla divisione
del lavoro tra i due sessi, femminile e maschile (caccia, orticoltura, cura dei
vecchi e bambini, ecc.). In una formula sintetica potremo allora esprimerci
cos: lunit ontologica fra il macrocosmo naturale ed il microcosmo sociale,
oggetto necessario della intuizione olistica della totalit del mondo, viene
subordinata (0, pi esattamente, sottomessa, sussunta ed incorporata) alla
divisione antagonistica del lavoro sociale. Uso il termine antagonistico per
sottolineare la formazione di classi sociali antagonistiche, pur sapendo bene
che la divisione sociale del lavoro (costruzione delle piramidi egizie e delle
ziggurat mesopotamiche, ecc.) viene vis- suta ancora come frutto di una armonia
cooperativa. Questa situazione implica che la religione cambi di funzione, e
diventi unideo- logia di legittimazione del potere (faraoni egizi, re-sacerdoti
mesopotamici, re- imperatori cinesi, ecc.), pur continuando ovviamente a
funzionare come garante supremo della sensatezza del mondo. E se prima il concetto
di verit era sorto in modo ontologico-sociale dalla necessit globale di
riproduzione della comunit tribale, ora il concetto di giustizia, prima ancora
del tutto impensabile ed inde- terminabile, sorge nel suo doppio aspetto
dialettico-contraddittorio di garanzia metafisica del sistema sociale
disegualitario e classista, da un lato, e di esigenza di ristabilimento
delleguaglianza precedente, dall'altro. In questo senso, non c' alcuna
differenza di principio fra la misura (metron) dei Greci, il ristabilimento del
vero mandato del Cielo dei cinesi, e lira di Dio contro le iniquit degli uomi-
ni dei profeti ebraici vetero-testamentari. Le prime grandi civilt storiche,
dagli antichi egizi ai popoli mesopotamici, dal- la civilt dell'Indo a quella
del Fiume Giallo in Cina, fino alle stesse civilt pre- colombiane (aztechi,
maya, incas, ecc.) si costituirono in modo necessariamente del tutto
prefilosofico, sulla base di una comune simbologia culturale basata sulla
capacit dei re-sacerdoti di interagire positivamente e virtuosamente con le
forze della natura. A sua volta, la natura non era certo quella dei moderni
agrituri- smi e degli ecologisti della domenica, che per natura intendono
soltanto lop- posto complementare dellinquinamento urbano e dei tubi di
scappamento, ma era il fondamento dell'interazione fra agricoltura ed
irrigazione (Nilo, Eufrate e Tigri, Indo, Fiume Giallo, ecc.). Il pensiero
filosofico, quindi, non temporalmente
coestensivo all'intera storia umana. Non
allora del tutto esatto ed
anzi improprio dire che luomo natu- raliter filosofo. I nostri progenitori,
infatti, non lo erano. In un primo momento, essi 33 CarrroLo II cercarono di
garantirsi attraverso la magia ed il totemismo la necessaria armonia fra il
macrocosmo naturale ed il microcosmo sociale, pena l'interruzione della so-
pravvivenza fisica del gruppo tribale. In un secondo momento, con il
progressivo sviluppo della divisione antagonistica del lavoro sociale, questa
unit ontologica fra macrocosmo naturale e microcosmo sociale fu sequestrata da
caste di re-sa- cerdoti e di nobili armati. La genesi storica della filosofia
deve quindi essere collocata in un terzo momen- to storico. Questo terzo
momento storico caratterizzato dalla
problematizzazione critica degli equilibri sociali e culturali che si erano
variamente costituiti nel secon- do momento (il momento della costituzione
degli imperi dispotici dei re-sacerdoti), il quale a sua volta aveva conservato
largamente i contenuti simbolici del primo momento, quello dei nostri
progenitori tribali (in primo luogo lilozoismo, cio lidea della profonda
solidariet fra uomini e animali e delluniversale animazione di tutta la natura,
minerale, vegetale ed animale). Messe cos le cose in ordine, possiamo fare un
altro piccolo passo avanti. IL LA TEORIA DEL PERIODO ASSIALE DI KARL JASPERS E
L'INSIEME DEI PROBLEMI INTERPRETATIVI CHE ESSA PONE Nel 1959 il filosofo
esistenzialista Karl Jaspers pubblic un importante saggio sull'origine e sul
senso della storia. La filosofia di Jaspers era caratterizzata da due elementi
convergenti e complementari, e cio da un punto di vista esistenziali- stico
mirato a dare senso all'esistenza umana individuale e da una concezione
dellontologia come periecontologia, e cio come unontologia che avvolge les-
sere (periechon) e gli gira intorno senza poterlo mai assorbire. In questo
saggio Jaspers descrive un asse della storia, situato tra 1800 e il 300 a.C.,
un processo spirituale di circa cinquecento anni che avrebbe avuto il suo pun-
to culminante intorno al 500 a.C., cui d il nome di Periodo Assiale. Ne cito
diretta- mente un breve brano: In questo periodo si concentrano i fatti pi
straordinari. In Cina vissero Confucio e Lao Tse, sorsero tutte le tendenze
della filosofia cinese, meditarono Mo Ti, Chuang Tse, Lie Tsu ed innumerevoli
altri. In India apparvero le Upanishad, visse Budda e, come in Cina, si
esplorarono tutte le possibilit filoso- fiche, fino allo scetticismo ed al
materialismo, alla sofistica ed al nichilismo. In Iran Zarathustra propag
l'affascinante visione del mondo come lotta fra bene e Male. In Palestina
fecero la loro apparizione i profeti biblici, da Elia ad Isaia e Geremia. La
Grecia vide Omero, i poeti tragici, Tucidide, Archimede ed i filosofi
Parmenide, Eraclito e Platone. Tutto ci che
implicato da questi nomi prese forma quasi con- temporaneamente in quei
pochi secoli in Cina, India, Persia, Palestina e Grecia, senza che nessuna di
queste regioni sapesse delle altre. Partiamo allora dalla constatazione storica
fatta da Jaspers, per cui ci fu vera- mente nel mondo una sorta di Periodo
Assiale. A questo punto, uno si aspetterebbe che Jaspers facesse un passo in
pi, e proponesse un'ipotesi storico-genetica, e quindi ontologico-sociale, di
questo miracolo e di queste stupefacenti coincidenze. Niente di tutto questo.
Jaspers constata tutto questo, e subito svolazza via parlan- do d'altro.
Evidentemente, un miracolo ha voluto che cadessero dal cielo contem-
poraneamente in diverse regioni del mondo alcune sublimi teorie filosofiche, da
Confucio a Socrate, da Budda a Zarathustra, da Geremia ad Fraclito. Questo
silenzio di Jaspers ad un tempo
stupefacente e vergognoso. stupefa-
cente, perch quando ci si imbatte in una serie di coincidenze ci si
aspetterebbe che si facesse come Darwin alle isole Galapagos, in cui la serie
di coincidenze osservate porta quasi spontaneamente alla creazione di
un'ipotesi teorica, nel caso di Darwin all'ipotesi teorica dell'evoluzione
della specie. vergognoso, perch vergognoso che si possa sostenere di fatto la
teoria per cui le concezioni filosofiche cadono dal cielo. E tuttavia, anche i
meteorologi danno spiegazioni sulla simultanea caduta 35 dal cielo di piogge
simili in diverse aree del pianeta, in quanto si pone il problema di come
analoghi equivalenti omeomorfi (tipo il tao cinese, il dharma indiano, il logos
greco, ecc.) possano essere prodotti quasi simultaneamente (il termine equi-
valenti omeomorfi del filosofo indiano
Raimundo Panikkar, ed indica i concetti che hanno giocato un ruolo analogo
nelle differenti culture e civilt). Questo mistero parzialmente spiegato dallirresistibile
antipatia verso Marx e il marxismo coltivata da Jaspers. L'antipatia tale da far s che il pur dotato Jaspers non
voglia neppure prendere in considerazione il metodo ontologico-sociale della
deduzione storica delle categorie, centro e cuore di questo saggio. C' qui
evidentemente la paura del riduzionismo, delleconomicismo, della riduzione
della sublime filosofia a volgare pratica ideologica, ecc. Jaspers vissuto in un contesto storico in cui effettivamente
il metodo marxista era applicato in modo insopportabilmente riduzionistico e
volgare. Ma l'abuso di uno strumento, o pi esattamente il suo uso arbitrario e
scorretto, non devono essere scambiati per il suo uso corretto. Ed allora
lasciamo Jaspers ai suoi pregiudizi, e torniamo ad occuparci del problema che
ci interessa, che formuler cos: che cosa ci sta dietro, sopra o sotto a questa
serie di coincidenze che si possono tranquillamente chiamare Periodo Assiale?
Tentiamo allora uninterpretazione ontologico-sociale. Potremmo ovviamente
sbagliarci, ma meglio l'errore (sempre correggibile) della vuota insensatezza
di chi si limita a constatare ieraticamente il miracolo dellemergere del
Periodo Assiale. Il Periodo Assiale, infatti, c' stato veramente, ed un bene che qualcuno lo abbia segnalato. Ma
questo periodo assiale ha una genesi storica, ed bene allora cercare di darla. Il Periodo
Assiale di Jaspers coincide con quella che prima ho chiamato la terza fase
dello sviluppo mondiale del pensiero umano.
comunque necessaria una ricostruzione storico-genetica ed una
interpretazione ontologico-sociale di questa successione logico-temporale in
tre fasi. L'ho gi illustrata precedentemente, e tut- tavia, data l'assoluta
crucialit metodologica di questo problema, che ci accompa- gner nel corso di
tutto saggio, un'ennesima ripetizione ed un ennesimo riappro- fondimento non
saranno certamente inutili. In una prima fase l'intuizione sociale diretta
dell'unit del macrocosmo naturale e del microcosmo sociale assume una natura
necessariamente magico-animistica, che tuttavia non per nulla irrazionale, ma al contrario estremamente raziona- le, purch
non si pensi che la raison sia nata con Galilei e con Voltaire (come pensa
peraltro il novantacinque per cento dei presuntuosi neoilluministi odierni, se-
guaci idolatrici della suprema destoricizzazione). Questa intuizione
olistica estre- mamente razionale, perch
concepisce la verit della totalit come funzione della sopravvivenza e della
riproduzione del gruppo. Di qui deriva ovviamente anche lunit immediata fra le
categorie dell'essere e le categorie del pensiero. Senza questa unit, infatti,
il gruppo si sfalderebbe e si frantumerebbe. I primitivi erano forse primitivi,
ma non erano certamente stupi- di come molti filosofi contemporanei. In questa
prima fase la divisione del lavoro Le 4 La teoria del Periodo Assiale di Karl
Jaspers e l'insieme dei problemi interpretativi che essa pone sociale era
ancora minima, e si svolgeva anch'essa in modo del tutto naturale fra sessi (uomini
e donne) e fra classi d'et (giovani e vecchi). E tuttavia questa natu- ralit
era anche immediatamente sociale, perch comportava lo sviluppo di un dominio
sociale degli uomini sulle donne e di un dominio simbolico dei vecchi sui
giovani. Vi qui una dimostrazione
eccellente del significato di unit dialettico- contraddittoria fra natura e
societ. In una seconda fase lo sviluppo delle forze produttive sociali comporta
progres- sivamente lapprofondimento della divisione antagonistica del lavoro
sociale. Il lavoro umano continua ad essere fondamentalmente collettivo e
cooperativo, ed quindi impossibile la
costituzione stabile di ideologie privatistico-individuali- stiche di tipo
robinsoniano. E tuttavia cominciano a formarsi le classi sociali, e allinterno
di questa formazione il concetto di verit comincia a coniugarsi con il concetto
di giustizia, che uniti logicamente insieme diventano il primo concetto
contraddittorio della storia, quello di vera giustizia. Mentre il precedente
concetto primitivo di verit era ancora unitario e non contraddittorio, perch
definiva la riproduzione globale e non separata del grup- po, il concetto di
vera giustizia si divide necessariamente in due lati contrad- dittori, perch
per la classe dei dominanti la giustizia riflette simbolicamente la sacralit
delle gerarchie sociali di potere, consumo e status, mentre per le classi
dominate la vera giustizia riflette invece simbolicamente il ristabilimento
dello stato di eguaglianza precedente nel frattempo violato e abolito. In questa
seconda fase gli Stati monarchico-imperiali si costituiscono sulla base di una
legittimazione interamente religiosa (faraoni, re-sacerdoti, ecc.). Questa
religione, lungi dall'essere basata sullignoranza come sosterranno poi in modo superficiale gli
illuministi settecenteschi, i professori ottocenteschi e i marxisti
novecenteschi , si basava sulla diretta comprensione, pi che razio- nale, del
fatto che lunico collante simbolico che potesse tenere insieme la societ era la
religione, e soltanto la religione. In una terza fase, l'equilibrio fra i
dominanti ed i dominati, ancora sostanzial- mente conservato nella seconda
fase, comincia ad incrinarsi ed a fessurarsi, a causa delleccessivo ed anormale
approfondimento della separazione antagonisti- ca fra ricchi e poveri. I ricchi
diventano egoisti, ed i poveri invidiosi. La sinergia viziosa fra egoismo dei
ricchi ed invidia dei poveri diventa cos il primo problema filosofico della
storia della filosofia mondiale, anche se ovviamente in modo non temporalmente
sincronizzato nei vari contesti geografici, quasi sempre non co- municanti (e
se fra l'India e la Grecia qualche comunicazione indiretta potrebbe esserci
stata, assolutamente sicuro che invece
fra la Cina e la Grecia non ci pu essere stata nessuna comunicazione, n diretta
n indiretta). E tuttavia la produzione di alcuni significativi equivalenti
omeomorfi (ta0, dharma, logos, ecc.) non deve essere riferita - con un eccesso
di immediatezza - ad una natura umana comune, in quanto la natura umana esiste
certamente, ma soltanto l'essenza umana sociale comune pu produrre concetti
filosofici confrontabili in quanto equivalenti omeomorfi. 37 La filosofia nasce
quindi nel contesto di questa terza fase dello sviluppo del pen- siero umano.
Da un punto di vista storico-genetico, essa
prodotta da una situa- zione inedita, avvertita come pericolosa per la
stessa sopravvivenza del gruppo comunitario, per cui la separazione
antagonistica fra le classi sociali e fra i ricchi e i poveri diventa
insopportabile. Da un punto di vista ontologico-sociale, invece, il primo
problema filosofico, sia in senso storico che logico (primo perch stato pre- cedente, e primo perch il pi importante, in quanto ha appunto il
primato), diventa il modo razionale di affrontare la sinergia viziosa fra
l'egoismo dei ricchi e l'invidia dei poveri. La societ deve allora riacquistare
e riconquistare l'armonia perduta, e non
un caso che il concetto di armonia passi dalla natura alla societ, e
diventi oggetto privilegiato di tutte le possibili teorizzazioni dei filosofi,
dalla Cina alla Grecia. E tuttavia, se questa condensazione di fenomeni storici
e di innovazioni teo- riche provocata da
elementi sociali comuni, il modo specifico con cui questa con- densazione logica
si realizza nei vari contesti geografici
molto differenziato. Qui l'esame comparativo e contrastivo si farebbe
lungo ed analitico, ma per gli scopi di questa ricostruzione ontologico-sociale
basteranno quattro esemplificazioni, lan- tica Cina, l'antica India, l'antico
Israele e l'antica Grecia. Non ho ovviamente alcuna intenzione di metterle
tutte sullo stesso piano, e non certo per ragioni di presunta superiorit. Si
tratta soltanto di relativa com- petenza. Sulla genesi ontologico-sociale della
filosofia in Grecia mi considero re- lativamente competente, anche perch me ne
occupo da pi di quaranta anni e conosco la lingua greca. Sulle altre tre genesi
storiche il mio dilettantismo invece
manifesto e la mia specifica incompetenza addirittura pittoresca. Ma qui non si
ha a che fare con un'impossibile cultura mostruosa. Se vi sono errori nei
prossimi tre capitoli, lo specialista li corregger. Qui si tratta soltanto di
stabilire un meto- do credibile di accertamento della genesi storica delle
categorie del pensiero, che devono essere dedotte socialmente, e non cadono
miracolosamente dal cielo come la pioggia. La specificit irripetibile della
genesi storico-sociale della filosofia greca potr cos essere raggiunta con un
metodo contrastivo, che anche il metodo
migliore per l'apprendimento delle lingue straniere (a suo tempo, ho insegnato
la lingua francese agli italiani con l'ausilio di una grammatica contrastiva,
che evidenzia- va le differenze grammaticali e sintattiche fra le due lingue).
Anticipo qui subito le principali differenze contrastive: in Cina c'era la
necessit di grandi lavori idraulici collettivi, pena la disgregazione integrale
della societ, necessit invece del tutto assente in Grecia; in India c'era la
necessit di giustificare e legittimare una divi- sione castale della societ di
tipo razzistico, necessit invece del tutto assente in Grecia; nell'antico
Israele esisteva una religione monoteistica del Libro, basata su di un patto
fra Dio e il suo popolo eletto, religione monoteistico-sacerdotale del tutto
assente ed addirittura inconcepibile in Grecia. Si tratta dunque di tre
elementi contrastivi fondamentali. Abbiamo quindi una serie di frazioni, dotate
di un minimo comun denominatore e di differenti nume- 38 La teoria del Periodo
Assiale di Karl Jaspers e l'insieme dei problemi interpretativi che essa pone
ratori. Il minimo comun denominatore
costituito dalla comune condensazione di fattori storici ed
ontologici-sociali, ruotanti tutti intorno allo scontro fra la giu- stizia dei
dominanti e la vera giustizia dei dominati. Il numeratore invece diverso nell'antica Cina, nellantica
India, nell'antico Israele e nell'antica Grecia. Esaminiamoli separatamente.
IV. LA GENESI ONTOLOGICO-SOCIALE DEL PENSIERO FILOSOFICO NELL'ANTICA CINA La
religione degli antichi cinesi presentava caratteri comuni a quelli presenti in
tutte le religioni mondiali primitive, ma possedeva anche caratteri di tipo
sciama- nico, tuttora riscontrabili in alcune popolazioni nomadi siberiane e
mongole. Lo sciamanesimo presenta un carattere fortemente ilozoistico, fondato
su un rapporto strettissimo fra uomini ed animali. Esso fortemente legato alla predizione di oro-
scopi e di vaticini, con cui si esorcizzava la paura del futuro. Non allora un caso che i primi documenti scritti
della cultura cinese siano iscrizioni oracolari su osso, seguite poi sempre da
iscrizioni oracolari su bronzi e sulla parte esterna di campa- ne di bronzo. La
prima dinastia cinese storica si chiama Dinastia Shang (1650-1027 avanti
Cristo), ed il termine cinese Shang significa essere mercante, scambiare, ne-
goziare. Nello stesso tempo, i primi cinque imperatori mitici della prima
dinastia leggendaria Hsia (2000-1600 circa avanti Cristo) sono tutti e cinque
sovrani inse- gnanti, che insegnano appunto i fondamenti della riproduzione
sociale, e cio larte idraulica di imbrigliare la piena dei fiumi, la
costruzione di armi di giada, la fusione del bronzo, l'allevamento dei bachi da
seta, ecc. Come interpretare filoso- ficamente questa lontana mitologia cinese,
tenendo conto appunto che la dinastia Hsia viene viene prima della posteriore
dinastia Shang? Mi sembra del tutto plausibile ipotizzare che questa
successione mitica riflet- ta interamente la logica di sviluppo da una prima
fase di tipo prevalentemente agricolo-comunitario, e quindi ancora chiuso ed
autosufficiente,.ad una seconda fase di interazione e di scambio mercantile
(shang) con altri gruppi culturalmente ed etnicamente affini. E tuttavia,
seguendo il suggerimento del sinologo tedesco Ralf Moritz (che mi ha
personalmente iniziato allo studio sensato e non solo dossografico della storia
della filosofia cinese), tutte le scuole filosofiche cinesi antiche sono
caratterizzate da una debolissima e quasi inesistente distinzione fra Soggetto
ed Oggetto, il che comporta nellessenziale una parallela non distinzione fra il
Sociale ed il Naturale. Secondo Moritz la filosofia cinese, esaminata in
unotti- ca comparativo-contrastiva con tutte le altre filosofie mondiali, quella in cui si conservata maggiormente l'impronta dell'unit
organica fra macrocosmo naturale e microcosmo sociale. Il concetto di ta0,
inteso come la giusta via, o la giusta norma di tutte le cose, naturali e
sociali, ha cos permesso per duemila anni di continuare a concepire la
struttura istituzionale della societ cinese come un riflesso imme- diato
dell'ordine cosmico celeste. Ma se il Cielo stava sopra l'impero del mezzo,
l'Acqua stava alla sua base, e con lacqua la necessit di lavori idraulici
continui di tipo collettivo. 41 CarrtoLo IV Mencio (Meng Tzu) dice
letteralmente nel suo libro: Lo sviluppo dello xin [la potenza spirituale ed
emozionale delluomo] significa capire che cos' la natura umana. E comprendere
la natura umana, significa comprendere il Cielo. Il sino- logo americano
Graham, in unopera recente del 1989, precisa che in Cina non ci si chiede,
diversamente che nella tradizione occidentale di origine greca, che cosa sia la
verit, bens dove sia la via (ta0), cio quale sia il modo migliore di realizzare
se stessi e di governare la comunit. E Fung Yu Lan, autore della storia della
filosofia . cinese pi diffusa in Italia, scritta per purtroppo in base ad una
metodologia orri- bilmente dossografica e quindi di fatto inutile (la
destoricizzazione infatti diffusa nel
mondo come la stupidit e l'intelligenza) afferma peraltro letteralmente: I ci-
nesi enfatizzano l'essere (shi), non l'avere (you). Ecco perch non enfatizzano
mai la conoscenza (zhi shi). A questo punto, per non abusare della mia
incompetenza disciplinare, giunto il
momento di fare alcune osservazioni critiche su quanto finora stato detto. In primo luogo, come del resto
ha affermato Moritz in un suo saggio dedicato all'approccio comparativo fra la
genesi ontologico-sociale della filosofia greca e quella cinese antica, in Cina
la produzione agricola sempre stata
dominante, ed anche per di pi inserita organicamente nella necessit di continui
lavori idraulici organizzati in cui la fusione di natura e di societ diventava
di conseguenza quasi visibile, e perci ovvia e presupposta, mentre in Grecia la
natura del suolo e la collocazione geografica marittima hanno reso precocemente
possibile lo sviluppo del commercio e di una corrispondente produzione
artigianale e manifatturiera, oltre ovviamente della moneta coniata, matrice
inesauribile dellarricchimento individuale e dellapprofondimento della distanza
sociale fra poveri e ricchi. La dinamica di propagazione smisurata della
ricchezza individuale incentivata so- prattutto da questo commercio marittimo
monetario avrebbe cos provocato, per necessario contraccolpo, la formazione di
un pensiero della misura (metron). Ma su questo mi soffermer analiticamente a
partire dal capitolo ottavo. In secondo luogo, l'osservazione di Fung Yu Lan,
per cui la filosofia cinese non ha mai messo al centro il problema gnoseologico
della conoscenza in quanto tale - il che comporta l'assunzione immediata ed
irriflessa dell'identit delle categorie del pensiero e delle categorie
dell'essere data per ovvia e scontata , deve essere probabilmente spiegata in
senso ontologico-sociale con il fatto che non
mai sta- to necessario in Cina delegittimare logicamente una
(inesistente) religione mo- noteistica, dotata per di pi di apparati
sacerdotali organizzati gerarchicamente. Vedremo pi avanti, nel capitolo
dedicato alla genesi storica del criticismo di Kant, che la separazione
ontologica fra le categorie del pensiero e le categorie delles- sere del tutto impensabile al di fuori di
un'esigenza di delegittimazione politica borghese delle pretese della teologia
di essere direttamente normativa in sen- so politico e sociale. Kant gi probabilmente entrato trionfalmente nelle
facolt di filosofia cinesi, ma se lo ha fatto lo ha fatto sulla base
strutturale della diffusione dell'individualismo capitalistico nella Cina
stessa. L genesi ontologico-sociale del
pensiero filosofico nell'antica Cina In terzo luogo, lacuta osservazione del
sinologo americano Graham ci proprio al cuore del problema che ci interessa,
che quello di una rifondi integrale, che
non pu e non deve fermarsi a mezza strada o fare compro! opportunistici, della
storia della filosofia occidentale in senso ontologico-sc Graham ripete uno
stereotipo consolidatosi in pregiudizio a proposito della f fia greca, secondo
il quale essa si occuperebbe della verit (aletheia, orthotes, ve piuttosto che
della via (il ta0), come fa invece saggiamente la filosofia cine: cos fosse,
allora bisognerebbe proprio lasciar perdere la lingua greca, impai cinese e
convertirsi in massa a Lao Tse, Confucio, Chuang Tse, Meng Tese, i 1 ecc. infatti del tutto logico giungere alla
conclusione che meglio occupa una cosa
pratica e concreta come la giusta via (o la giusta norma) per \ il meglio
possibile, piuttosto che interrogarsi astrattamente su cosa sia la v
interrogazione preceduta dallo scetticismo sofistico sul se esista e se esista conoscibile , e se conoscibile se
sia comunicabile. Se le cose stessero cos, Cor non potrebbe che vincere contro
Socrate con punteggio tennistico. Ma, appunto, le cose non stanno affatto cos.
Graham ripete un bimille luogo comune sulla natura della filosofia greca, che
risale addirittura al gi Aristotele, e su cui mi soffermer nel capitolo
settimo. In realt, la filosofia gre sempre avuto lo stesso oggetto di quella
cinese, e cio il rinvenimento di una ; via, la via della misura (metron) per la
soluzione pratica dei conflitti sociali. Sec lantichista britannico Thomson, il
metron frutto di un approccio razional
alla lotta di classe. Graham non ha colpa se non lo comprende, dal momenti come
specialista dell'antica Cina, prende per buona ad occhi chiusi linterpre ne
classica dellantichistica occidentale e della dossografia manualistica. Ed questa allora una ragione in pi per
ricostruire questa tradizione d grafica alla luce di una deduzione storica
delle categorie e di una ontologia dell sociale. La genesi ontologico-sociale
del pensiero filosofico nell'antica Cina In terzo luogo, lacuta osservazione
del sinologo americano Graham ci porta proprio al cuore del problema che ci
interessa, che quello di una
rifondazione integrale, che non pu e non deve fermarsi a mezza strada o fare
compromessi opportunistici, della storia della filosofia occidentale in senso
ontologico-sociale. Graham ripete uno stereotipo consolidatosi in pregiudizio a
proposito della filoso- fia greca, secondo il quale essa si occuperebbe della
verit (aletheia, orthotes, veritas), piuttosto che della via (il ta0), come fa
invece saggiamente la filosofia cinese. Se cos fosse, allora bisognerebbe
proprio lasciar perdere la lingua greca, imparare il cinese e convertirsi in
massa a Lao Tse, Confucio, Chuang Tse, Meng Tse, i legisti ecc. infatti del tutto logico giungere alla
conclusione che meglio occuparsi di una
cosa pratica e concreta come la giusta via (o la giusta norma) per vivere il
meglio possibile, piuttosto che interrogarsi astrattamente su cosa sia la
verit, interrogazione preceduta dallo scetticismo sofistico sul se esista e se esista se sia conoscibile , e se
conoscibile se sia comunicabile. Se le cose stessero cos, Confucio non potrebbe
che vincere contro Socrate con punteggio tennistico. Ma, appunto, le cose non
stanno affatto cos Graham ripete un bimillenario luogo comune sulla natura
della filosofia greca, che risale addirittura al grande Aristotele, e su cui mi
soffermer nel capitolo settimo. In realt, la filosofia greca ha sempre avuto lo
stesso oggetto di quella cinese, e cio il rinvenimento di una giusta via, la
via della misura (metron) per la soluzione pratica dei conflitti sociali.
Secondo lantichista britannico Thomson, il metron frutto di un approccio razionalistico alla
lotta di classe. Graham non ha colpa se non lo comprende, dal momento che, come
specialista dell'antica Cina, prende per buona ad occhi chiusi linterpretazio-
ne classica dellantichistica occidentale e della dossografia manualistica.
Ed questa allora una ragione in pi per
ricostruire questa tradizione dosso- grafica alla luce di una deduzione storica
delle categorie e di una ontologia dell'essere sociale. M LA GENESI
ONTOLOGICO-SOCIALE DEL PENSIERO FILOSOFICO NELLANTICA INDIA Secondo lo storico
ed indologo italiano Michelguglielmo Torri tre sono le teorie che vengono
proposte per spiegare il rapporto storico fra gli arya, e cio i portatori della
concezione castale della societ, e la societ indiana precedente. La prima (poco
seguita, e sostenuta principalmente dai nazionalisti indiani contemporanei
riuniti in partiti ispirati al fondamentalismo induista) sostiene l'origine
autoctona degli arya stessi. Ma questa ipotesi sembra poco verosimile, perch le
precedenti civilt dette vallinde (le civilt della valle dell'Indo di Harappa e
Mohenjo Dar, oggi in Pakistan) parlavano probabilmente una lingua dravidica e
non indo-euro- pea, ed i dravidi furono spinti verso il Sud dellIndia dagli
stessi arya (ma alcune popolazioni di aree tribali del Nord dell'India parlano
ancora lingue dravidiche, sia pure ormai incomprensibili per gli indiani del
Sud), e non sembra inoltre che fossero caratterizzati da un sistema castale,
ecc. La seconda, considerata di gran lunga la pi probabile, quella dellirruzione violenta degli arya
indoeuropei nel subcontinente indiano, mentre la terza accetta anch'essa la
tesi dellirruzione, ma la interpreta come una migrazione pacifica progressiva.
Dato il carattere guerresco dei poemi classici indiani (Ramayana, Mahabharata,
ecc.), la seconda teoria appare pi probabile della terza. Assumendo il punto di
vista della seconda teoria, integrata dalla terza per il periodo successivo
dell'espansione al Sud del Gange, appare chiara la centralit del concetto
filosofico di dharma, inteso come dovere sociale, o pi esattamente dovere di
casta, nel senso dellinserimento individuale in un ordine sacralizzato, e
sacralizzato appunto dal dovere di mantenimento ritualizzato delle distinzioni
castali. Questo concetto di dharma appare specificamente indiano, e non tradu- cibile in alcun modo in concetti
analoghi della tradizione cinese, ebraica o greca. L'ordine universale del
cosmo gerarchizzato cos duplicato
simbolicamente non certo da un monoteismo di tipo ebraico e cristiano, ma da un
politeismo naturali- stico. A me sembra che questo politeismo sia strutturato
simbolicamente su di una duplicazione celeste del pluralismo della
gerarchizzazione castale, e del resto indologi professionali come Louis Dumont
hanno affermato che limmagine antro- pologica dellhomo gerarchicus,
contrapposta allhomo aequalis occidentale, caratte- rizza il profilo di fondo
degli elementi di lunga durata (longue dure) della societ indiana. Questo
politeismo fortemente ilozoistico (come
tutti i politeismi, vedi le Metamorfosi di Ovidio), e questo ha portato Hegel a
sostenere spregiativamente che [...] in Cina domina l'intelletto privo di
fantasia [...] in India per contro non vi
oggetto che stia saldo di fronte alla poesia ed alla fantasia. Per Hegel
gli indiani 45 [...] non hanno, come i cinesi, una superstizione distinta,
accanto al resto della loro attivit, ma tutto il loro modo di essere non che una fantasticheria sognante. Non avrei
riportato queste affermazioni eurocentriche ed un po' razziste di Hegel,
contenute nelle sue Lezioni sulla Filosofia della Storia, se accanto ad esse
non ci fosse anche un'osservazione estremamente intelligente. Hegel infatti
critica co- loro che, gi ai suoi tempi, affermavano che Pitagora era stato
fisicamente in India o almeno vi aveva ricavato i fondamenti della sua
filosofia. Pitagora avr anche viaggiato in Egitto, ma il suo pensiero squisitamente ed essenzialmente greco
(rimando il lettore al nono capitolo). La presenza della trasmigrazione delle
anime e di pratiche alimentari vegetariane pu certamente testimoniare la
presenza di influssi orientali, ma la natura complessiva del suo pensiero ancora pi greca di quanto lo sia la natura
dei pensieri di un Socrate o di un Protagora. infatti difficile negare che la
nozione di dharma sia organicamente connessa con l'ordine castale, che doveva
essere talmente radicato in India che lo stesso bud- dismo, sorto
originariamente in opposizione frontale ed esplicita con il politeismo castale
ariano, raggiunse addirittura per un certo tempo il potere politico (regno di
Asoka, ecc.), ma poi spar dall'India senza praticamente lasciarvi tracce (se
non storico-archeologiche). E vi allora
il principale fattore storico-culturale contrastivo con la filosofia greca. La
filosofia greca non comprende nessun fattore castale, ed anzi del tutto incompatibile con esso. Certo,
esistono residui storici marginali in Grecia di in- vasioni doriche precedenti
con sovrapposizione castale dei nuovi arrivati sugli abitanti originari, ed il
residuo storico pi conosciuto quello di
Sparta, con la sovrapposizione castale degli Spartiati sui Perieci e sugli
Iloti. Ma gli stessi Greci consideravano Sparta una eccezione irripetibile, e
comunque Sparta non gioc al- cun ruolo nello sviluppo ulteriore della filosofia
greca. La totale mancanza dell'elemento castale di tipo indiano (e del concetto
di dhar- ma che lo accompagna necessariamente) ebbe una conseguenza importante
da un punto di vista ontologico-sociale. Abbiamo visto nellIntroduzione, e
vedremo pi analiticamente in seguito, che il concetto ontologico-sociale di
individualit pre- suppone un rapporto con il genere (Gattung) e con la
conformit al genere stesso (Gattungsmiissigkeit). Ebbene, questo rapporto
diviene di fatto impossibile se esso resta mediato da un ordine castale.
L'ordine castale non permette infatti un rap- porto fra l'individuo ed il
genere, perch questo rapporto
sequestrato di fatto dall'ordine castale stesso. I Greci erano estranei
ad ogni ordine castale, e quindi ad ogni proiezione sim- bolica di questo tipo.
Certamente, anche negli ordinamenti della polis pi demo- cratica (lAtene di
Clistene, su cui mi soffermer nel dodicesimo capitolo), vi erano
discriminazioni fra uomini e donne, liberi e schiavi ed infine fra cittadini,
meteci e stranieri. Per questa ragione bisogner aspettare i tempi moderni per
poter reim- postare correttamente un rapporto ontologico-sociale fra individuo
e genere, in /quanto solo i tempi moderni hanno abolito le differenze
giuridiche fra uomini e donne e fra
liberi e schiavi (ma non ancora fra cittadini e stranieri). E tuttavia, 46 La
genesi ontologico-sociale del pensiero filosofico nell'antica India queste
discriminazioni giuridiche e politiche non furono mai trasformate in di-
scriminazioni castali e razziali. Per questa ragione Nietzsche, da molti considerato
un buon interprete del mondo classico greco, non lo fu invece per nulla. I suoi
Greci, del tutto inesistenti, sono castali e razzisti, e non sono allora altro
che la prioiezione destoricizzata della sua personale polemica (del tutto
legittima, ed anzi parzialmente fondata) contro l'ipocrisia della cultura
borghese del suo tempo, e della sua variante pi insopportabilmente filistea,
quella della cultura universita- ria tedesca, cui per sua fortuna Marx sfugg
completamente (una sola cosa sicura: un
Marx professore in una universit tedesca non avrebbe mai potuto concepire la
sua geniale critica dell'economia politica, che per sua natura ignora del tutto
i confini disciplinari, laddove il Limite Disciplinare la sola religione di questa casta di senza
Dio). Vi qui allora il filo rosso della
continuit tra il pensiero greco e quello ontologi- co-sociale contemporaneo: il
rapporto di conformit o meno fra l'individuo e il ge- nere, non mediato
dallappartenenza castale precedente (India), o da una divinit trascendente, sia
in versione esclusivistico-particolare (ebraismo), sia in versione
universalistica (cristianesimo e Islam, in tutte le loro versioni
differenziate). Non si tratta allora di parlare bene o male di queste
mediazioni castali e/o monoteistiche. Ognuno pu opinare (meinen) come vuole, pu
sposarsi con chi vuole, e pu aderire a ci che crede. L'importante che non scambi - come si dice popolar- mente
- fischi per fiaschi. 47 VI. LA GENESI ONTOLOGICO-SOCIALE DEL MESSIANESIMO
RELIGIOSO ESCLUSIVISTA NELL'ANTICO ISRAELE Personalmente non so se noi europei
di oggi proveniamo da Atene, da Gerusalemme o da tutte e due. Lo statuto
epistemologico di questo dilemma
certamente superiore a quello a quello del conflitto simbolico fra Roma
e Lazio e fra Milan ed Inter, ma non di molto. Di una cosa per sono
moderatamente sicuro, e la enuncer cos: sulla base della tradizione filosofica
dellantico Israele non possibile
arrivare ad una visione ontologico-sociale del mondo. Affermazione in-
dubbiamente antipatica, ed inoltre politicamente scorretta. E tuttavia, in
filosofia le affermazioni si argomentano razionalmente, ed ci che cercher di fare in questo capitolo.
Vi oggi un pregiudizio infondato, per
cui gli ebrei sarebbero stati gli invento- ri del monoteismo, e quindi i
fratelli maggiori dei cristiani posteriori. Si tratta di due falsit, 0, se
vogliamo esprimerci in modo pi moderato e secondo i vincoli del politicamente
corretto odierno divinit idolatrica non
migliore di molte di- vinit idolatriche antiche , di due posizioni inesatte.
Per quanto concerne il cri- stianesimo, esso per potersi costituire dovette
rompere con l'ebraismo del tempo in modo radicale, in quanto le eresie devono
rompere con le ortodossie con molta maggiore virulenza di quanto debbano
demarcarsi o coesistere con religioni com- pletamente diverse (in quel caso, il
politeismo greco-romano). E dovette rompere, perch questo presunto fratello
maggiore non poteva consentire su almeno due punti qualificanti della nuova
religione, il carattere messianico di Ges di Nazareth (figuriamoci poi sulla
credenza della sua resurrezione dopo la morte!) ed il carat- tere
universalistico e non tribale-particolaristico del suo messaggio. Anche Caino e
Abele e Romolo e Remo erano fratelli, ma non per questo dovremo evitare per
buonismo concordistico posteriore la verit storica sui loro rapporti
conflittuali. Questo non significa ovviamente che i rapporti conflittuali
debbano durare per sempre e non possano essere ricomposti pacificamente. Ma
tacere per buonismo concordistico ipocrita sulla verit storica non serve a
nessuno. In quanto alla cosiddetta invenzione del monoteismo, gi a suo tempo
Sigmund Freud, in una sua opera magistrale, sostenne che gli ebrei avrebbero
do- vuto farsi psicanalizzare collettivamente per liberarsi dalla loro nevrosi
di on- nipotenza e si superiorit sugli altri popoli, ed il miglior modo di
farlo sarebbe consistito nel riconoscimento razionale del fatto che il loro
monoteismo non era affatto un meraviglioso prodotto autoctono dovuto alla predilezione
che Dio aveva nei loro confronti (un Dio che predilige qualcuno la bestemmia pi grande verso la divinit che
si possa concepire, ed stato proprio
l'ebreo Spinoza a di- 49 CarrroLo VI struggere limmagine di un Dio concepito in
modo antropomorfico come qualcuno che predilige), ma era derivato dalla
religione monoteistica egiziana del faraone Akhenaton (e vedi su questo anche
gli studi storici di Jan Assmann). In proposito, la lettura del romanzo storico
di Mika Waltari, Sinuhe lEgiziano,
storicamente pi attendibile dell'intero Antico Testamento. Ho
volutamente iniziato con la citazione di due ebrei perseguitati, e cio Baruch
Spinoza e Sigmund Freud (anche il secondo lo fu, perch dovette abbandonare
Vienna poco prima di morire), perch la rilevazione della sciocca arbitrariet
della presunta invenzione del monoteismo non ha ovviamente nulla di antisemiti-
co. E non solo non ha nulla di antisemitico, ma
anche uno strumento razionale di lotta contro l'antisemitismo, perch
lantisemita si nutre di una presunta diver- sit (non importa se superiore o
inferiore) del popolo ebraico, e succhia questa diversit come il ragno succhia
la mosca incappata sciaguratamente nella sua ra- gnatela. Lottare contro
l'antisemitismo, e nello stesso tempo riconoscere al popolo ebraico una
presunta diversit radicale di tipo etnico-religioso (diversit di cui si nutrono
appunto i sionisti religiosi fondamentalisti e gli antisemiti di ogni tipo),
equivale a cercare di spegnere le fiamme buttandogli sopra dei fiammiferi
accesi. Il vero presupposto filosofico di ogni razionale lotta allantisemitismo
consiste infatti (ma gi gli ebrei razionali ed intelligenti Baruch Spinoza e
Sigmund Freud lo sape- vano) nel ristabilimento dellassoluta normalit del
popolo ebraico. Gli ebrei non furono infatti per nulla i fondatori del
monoteismo, e numerosi studi storici recenti testimoniano che il loro
monoteismo fu un fatto relativamente recente, preceduto da un robusto
politeismo anteriore. E questo fatto mi permet- te di aprire un'importante
parentesi teorica sul modo ontologico-sociale, e non aprioristico, di
considerare i tre grandi complessi del politeismo, del monoteismo e
dellateismo. Non si tratta infatti di crederci (0, viceversa, di non crederci,
in quanto il credere ed il non credere sono solo posizioni opposizionali-com-
plementari dell'intelletto, laddove la ragione li esamina necessariamente nella
loro unit contraddittoria). Si tratta allora di considerarli nel loro aspetto
filosofico. Politeismo, monoteismo ed ateismo sono posizioni che riflettono
tutte e tre in vario modo una comprensione ontologica parziale dell'unione fra
il macrocosmo naturale ed il microcosmo umano-sociale. Il politeismo riflette
l'esistente pluralit delle diverse forze della natura e dell'agire sociale
umano, e per questo non af- fatto
primitivo e neppure inferiore al monoteismo, e sul fatto che non sia affat- to
inferiore hanno concordato pensatori eminenti come David Hume, Friedrich
Nietzsche e Max Weber. Il monoteismo, invece, riflette ed interpreta
correttamente lidea dell'unit universalistica della ragione umana e su questa
base dell'intero ge- nere umano. In questo senso il Dio (Gott) solo la proiezione del Genere (Gattung), e
questa proiezione in s non neppure
unalienazione (Entfremdung), come a suo tempo sostennero almeno tre pensatori
che mi interessano (nell'ordine, Feuerbach, Marx e Lukcs). Per dirla in modo
sintetico-paradossale (ma ci ritorneremo pi avanti), a mio avviso il
capitalismo aliena necessariamente, mentre la religione in s non aliena
necessariamente, ma aliena soltanto in alcuni casi (peraltro abbastanza 50 La
genesi ontologico-sociale del messianesimo religioso esclusivista nell'antico
Israele numerosi storicamente). L'ateismo, infine, riflette correttamente
l'esigenza di au- tonomia e di indipendenza assoluta della ragione umana
universalistica di potersi pensare senza alcuna mediazione simbolica di tipo
politeistico e/o monoteistico. Politeismo, monoteismo ed ateismo devono quindi
essere messi sullo stesso piano come sintesi unitarie parziali della stessa
comprensione essenziale di una totalit olistica razionale. Il politeismo ne
interpreta il principio del pluralismo vi- talistico, il monoteismo il
principio dell'unit universalistica della ragione, e latei- smo infine il
principio dell'autonomia e dellindipendenza radicale della ragione umana
autofondata. Per questo motivo, una corretta impostazione ontologico-so- ciale
non dovrebbe contrapporli luno allaltro, ma tematizzarne l'essenziale loro
complementariet. Non sono quindi d'accordo con quei pensatori (e cito qui, un
po alla rinfusa, Alain de Benoist, Michel Onfray e lo stesso Jan Assmann) che
sostengono la supe- riorit del politeismo e dellateismo sul monoteismo in base
alla teoria della cosid- detta tolleranza pluralistica. Mentre infatti per sua
stessa natura il monoteismo avrebbe una concezione monopolistica,
esclusivistica e totalitaria della verit (il mio Dio lunico vero, e tutti gli altri sono falsi e
bugiardi, per cui chi ci crede
infedele), con le ben note conseguenze politiche (crociate, jihad
islamica, ecc.), il politeismo per sua propria natura sarebbe invece tollerante
e pluralista, in quanto non avrebbe alcuna riserva nellincludere nuove divinit
nel suo Pantheon affolla- tissimo. E non sono d'accordo non perch queste
argomentazioni siano infondate, ma perch in un'ottica ontologico-sociale le
cause materiali della tolleranza, o vicever- sa dellintolleranza, non devono
mai essere fatte risalire e ricondotte ad un profilo simbolico (monoteistico,
politeistico o ateistico che dir si voglia), ma devono sem- pre essere
rintracciate nell'uso ideologico di questi profili simbolici, che abbiamo visti
essere parziali e complementari, e non esclusivi. Il politeismo pu tran-
quillamente essere intollerante (esempi sommari: gli assiri, i mongoli, le
espan- sioni militari romane, ecc.), cos come pu essere intollerante lateismo
(esempio: l'ideologia atea del regime sovietico staliniano e post-staliniano).
Non sono quindi intolleranti per natura n il politeismo, n il monoteismo, n
lateismo, ma tutti e tre devono essere sottoposti ad analisi ontologico-sociale
nei loro due versanti dellinterpretazione filosofica globale del mondo e del
loro uso di legittimazione politico ed ideologico. Ritornando alla questione
dell'ebraismo, sono personalmente d'accordo con lin- terpretazione dello
storico italiano Mario Liverani, che connota l'Antico Testamento in termini di
grande romanzo identitario, costruito in un'epoca relativamente tar- da sulla
base di una integrale retroazione post-esiliaca (posteriore cio all'esilio col-
lettivo a Babilonia, dove il popolo ebraico era stato deportato dal re
babilonese Nabucodonosor), elaborata e scritta soltanto dopo che Ciro il
Grande, fondatore dell'impero persiano a base ideologico-religiosa
zoroastriana, permise agli ebrei di ritornare in Palestina, da loro conquistata
circa mezzo millennio prima sulla base di spaventosi massacri di indigeni. 51
CarrroLo VI Ciro il Grande aveva una politica religiosa pluralistica, che
raddoppiava nel mondo della simbologia astratta un fatto materiale concreto, e
cio che l'impero persiano imponeva imposte differenziate in aree geografiche e
sociali appartenenti a differenziatissimi modi di produzione. Per questa
ragione, che Marx avrebbe correttamente definito strutturale (la pluralit estrema
dei modi di produzione e dei sistemi di vita dell'impero persiano, testimoniata
dalle meravigliose Storie di Erodoto, vera chiave interpretativa indiretta
anche dell'Antico Testamento ebrai- co), l'impero di Ciro non impose n
l'obbligo della lingua persiana (la lingua di comunicazione commerciale di
questo impero rest laramaico, che fra laltro era anche la lingua parlata dagli
ebrei), n l'obbligo della conversione alla religione zoroastriana, che rest
esclusivamente la religione nazionale dei soli persiani. La sovrastruttura
pluralistica persiana fu quindi il riflesso della sua struttura geo-
graficamente ed economicamente differenziata. In questo contesto, Ciro sollecit
attivamente tutti i popoli del suo impero, e gli ebrei in primo luogo, a
dotarsi di libri sacri, e cio di testi scritti di legittimazione religiosa. Per
questa ragione Yahweh, che era allinizio l'oggetto di un culto di tipo tribale-
identitario aggiunto per ad altre divinit della zona (Baal, Astarte, divinit
minori della terra e della fertilit, ecc.), divent il Dio Unico degli Ebrei.
Secondo Liverani, allinizio tutta questa simbologia era ancora incorporata
allinterno del politeismo egiziano, ma a partire dal XII secolo avanti Cristo
l'Egitto decade, e mostra di non essere pi in grado di garantire la sicurezza
in cambio della fedelt. Il riferimento egiziano del Patto si rompe
definitivamente, e questa rottura viene sancita sim- bolicamente con il
cosiddetto esodo dall'Egitto, dovuto alla persecuzione del faraone contro Mos,
cui viene peraltro apertamente riconosciuto il titolo e il ruolo di principe
egiziano (e ricordo ancora Freud ed Assmann, che insieme a Liverani sono le mie
fonti principali dirette ve ne sono
anche altre, che non nomino per brevit). La costituzione storica del monoteismo
ebraico particolare implica ovviamente molti elementi, dalla purezza razziale
(su cui l'insistenza ossessiva, e
francamen- te sgradevole agli occhi di un contemporaneo, anche perch quasi
sempre legata a massacri tribali spaventosi, vedi il mostruoso Deuteronomio)
alla responsabilit personale del singolo rispetto al suo Dio esclusivistico,
ecc. L'Antico Oriente ci aveva abituato alla strage selettiva, in cui venivano
squar- tati e sterminati i membri delllite politico-militare e religiosa degli
avversari, e di cui i bassorilievi assiri ci forniscono innumerevoli plastiche
rappresentazioni in terracotta. Ma nell'Antico Testamento vi una novit: il massacro razziale
generalizzato. Mi rendo conto del carattere sgradevole e politicamente
scorretto di quanto dico, ma non saremo lontani dal vero affermando che
limperdonabile ed inaccettabile Hitler
stato un diligente allievo del Deuteronomio. Liverani rileva en passant
che anche il cosiddetto herem, la maledizione biblica, era funzionale al totale
rimpiazzo dei popoli estranei da parte dell'unico po- __polo eletto. Si tratta
di una vera e propria strategia teologica di potenziamento del 52 La genesi
ontologico-sociale del messianesimo religioso esclusivista nell'antico Israele
potere, il cui aspetto odioso
lesclusivismo razziale, e l'aspetto positivo invece lindividualizzazione del rapporto fra
il singolo ed il suo Dio unico. Questa unit dei contrari implica ovviamente che
questo Uno si divida in due, dando luogo a due opposti contraddittori, il Dio
di George Bush e del messianesi- mo ideocratico americano dei neo-conservatori
(neocons), da un lato, ed il Dio dei grandi pensatori ebraici universalistici
(Spinoza, Bloch, Benjamin, ecc.), dall'altro. Da un lato, c' il Dio esclusivo e
legato di fatto ad un singolo popolo eletto (un tempo gli ebrei, oggi gli
americani del Destino Manifesto e della Casa sulla Collina, il popolo che lo
svergognato bestemmiatore Bill Clinton ha spudoratamente definito nel suo
discorso dinsediamento alla Casa Bianca l'unico popolo indispensabile nel
mondo), il Dio in nome del quale si gettano le bombe atomiche su Hiroshima e
Nagasaki e si invade lIrak nel 2003, il Dio in nome del quale si moltiplicano
le basi militari in tutti i paesi del mondo, pianificando ossessivamente la
prossima guerra con la connivenza di un'Europa asservita e terrorizzata.
Dall'altro lato, invece, c' la grande tradizione umanistica ebraica che ha
progressivamente universalizza- to l'originale profilo razzistico ed
esclusivistico, i cui due grandi esponenti storici sono stati Spinoza, il
molitore di lenti, e Karl Marx, il nipote di un rabbino ebraico di lontana
origine marocchina, da cui Marx aveva ereditato la carnagione scura (gli amici
lo chiamavano infatti il Moro). Detto questo, passiamo finalmente ai Greci.
Devo ammettere al lettore che lo faccio con un sospiro di sollievo, nel doppio
significato di contenuto e di compe- tenza specialistica. 53 VII. IL PASSO
FALSO INIZIALE. LA RICOSTRUZIONE DI ARISTOTELE DELLA STORIA DELLA FILOSOFIA
PRECEDENTE E LA SCIAGURATA SUCCESSIVA FILASTROCCA DI OPINIONI La prima storia
scritta della filosofia occidentale
contenuta nella Metafisica di Aristotele, e da allora sempre servita da modello a tutte le storie
successive della filosofia fino ad oggi. Le ragioni di questo indiscutibile
successo, che dura da pi di duemila anni, sono l'oggetto principale di
riflessione di questo settimo capitolo. Aristotele si occupa dei suoi
predecessori in modo totalmente destoricizzato e desocializzato, ed proprio questa sintesi di destoricizzazione e
di desocializ- zazione che evidentemente
piaciuta a tutti i suoi successori. Si tratta dunque di trovare le ragioni
storiche e sociali che spiegano perch
piaciuta loro cos tanto. E non sar neppure difficile farlo, se useremo
un corretto metodo di indagine stori- co-genetico ed ontologico-sociale.
Facciamo, per, un passo per volta. Aristotele classifica le posizioni
filosofiche che gli stanno alle spalle attraver- so un criterio, il criterio
delle Quattro Cause (materiale, formale, efficiente e finale). Il criterio
delle Quattro Cause distinte sta alla base della sua considerazione unitaria
del mondo della natura e di quello della societ. Anche la societ, per
esempio, caratterizzata da una causa
finale (la vita buona, eu zen). In questo c' sicuramen- te un'eredit indiretta
dell'intuizione olistica del pensiero primitivo e della sua unione ontologica
fra macrocosmo naturale e microcosmo sociale. Ma, nello stesso tempo, questa
unit gi stata abbondantemente fessurata,
ed il mondo sociale gi ampiamente trattato
secondo categorie sue proprie distinte da quelle natura- li. Ovviamente, regna
sempre il presupposto dell'unit ontologica delle categorie dell'essere e delle
categorie del pensiero, per le ragioni gi ampiamente segnalate in precedenza:
non cera nessun bisogno di delegittimare kantianamente le pretese metafisiche
di chiese monoteistiche, visto che nel mondo di Aristotele di queste chiese non
c'era nemmeno l'ombra. Aristotele descrive comunque un'astratta divi- nit con
cinque diverse determinazioni complementari (Atto Puro, Motore Immobile, Causa
Prima, Pensiero del Pensiero e Fine Ultimo). La teologia monoteistica cristiana
posteriore (Tommaso d'Aquino, ecc.) individuer la principale (e pi utile ai
suoi scopi) determinazione nella terza, e cio nella Causa Prima, identificata
con il Dio biblico. Identificazione, quest'ultima, di cui la teologia
domenicana porta linte- ra responsabilit, in quanto lidentificazione della
Causa Prima aristotelica con la Creazione Divina biblica andava contro la
lettera e contro lo spirito di Aristotele che, tuttavia, essendo gi morto da
tempo, non poteva pi protestare. Come tutti i Greci, Aristotele partiva dal
presupposto dell'eternit della materia caotica, in- dipendentemente dal fatto
che per alcuni questa materia caotica possedeva in se stessa la capacit di
darsi una propria forma (Epicuro, ecc.), mentre per altri la for- 55 CarrroLo
VII ma doveva esserle data dall'esterno (il nous di Anassagora, il demiurgo
platonico, ecc.). In ogni caso, luso teologico medioevale di Aristotele fa
parte di una storia che esamineremo pi avanti. Il nostro filosofo applica alla
classificazione delle diverse teorie filosofiche pro- poste nei circa trecento
anni precedenti il metodo delle Quattro Cause. Vi sono in- fatti i filosofi che
hanno privilegiato le cause materiali (l'acqua di Talete, laria di Anassimene,
l'infinito indeterminato apeiron di Anassimandro, ecc.), filosofi che
hanno privilegiato le cause formali (il numero in Pitagora, lidea in Platone,
ecc.), filo- sofi che hanno negato ogni causa efficiente ed ogni causa finale
(Democrito, ecc.), facendo cadere gli atomi nel vuoto (vuoto come
noto negato da Aristotele) in una
totale casualit, e filosofi invece che le hanno affermate entrambe (lui stesso,
per es.). Questa classificazione
totalmente destoricizzata e desocializzata, in quan- to tutti questi
filosofi potrebbero idealmente essere riuniti intorno ad una grande tavola
rotonda, in cui ognuno prende la parola e sostiene la sua opinione. Non pos-
siamo stupirci del fatto che questa concezione destoricizzata e desocializzata
della filosofia abbia incontrato lentusiastica approvazione dei professori
universitari e dei loro seguaci subalterni (i professori liceali), in quanto
questa concezione viene incontro alla loro spontanea rappresentazione del
mondo, in cui ognuno seduto ad un tavolo
ed entra in competizione dialogica con altri colleghi, finch la pro- posta pi
intelligente adottata dai loro committenti
esterni (divisi in politici ed in ricchi finanziatori). I primi filosofi sono
quindi concepiti come la proiezione di colleghi nel frat- tempo defunti. Questi
colleghi sono certamente stati volenterosi, tenendo conto della mancanza di
laboratori e della loro imbarazzante ignoranza delle scienze naturali moderne e
dei metodi attuali di rilevamento sociologico (sondaggi, ecc.). E tuttavia essi
sono anche inevitabilmente superati, non potendo ancora tener conto del big
bang, della deriva dei continenti, della sfericit della terra, della gra-
vitazione universale, della teoria dell'evoluzione della specie, e soprattutto
del di- sincanto postmoderno verso le cosiddette grandi narrazioni. I primi
filosofi diventano cos tutti dei volenterosi colleghi purtroppo ancora
largamente disinformati. Aristotele non ha certamente colpa di questa pittoresca
deformazione della sua classificazione. E nello stesso tempo la prima domanda
che ci porremo sar la seguente: questa classificazione aristotelica pu essere
in qual- che modo corretta, o deve essere decisamente archiviata e sostituita?
La risposta deve essere netta: questa concezione aristotelica deve essere
filolo- gicamente studiata, ma deve anche essere archiviata e sostituita.
Archiviata, perch fa parte dell'archivio storico delle grandi produzioni
concettuali umane. Sostituita, perch ci d un'immagine deformata delle origini
della filosofia, origini ricostruite in totale assenza dell'elemento
storico-genetico e di quello ontologico-sociale. Ci si pu chiedere,
naturalmente, come stato possibile che
un grande pen- satore come Aristotele abbia potuto creare un simile capolavoro
classificatorio di destoricizzazione e di desocializzazione. A questa domanda
non possiamo rispon- dere, perch Aristotele
ormai morto da tempo, e non possiamo chiederglielo. Ma 56 Il passo falso
iniziale. La ricostruzione di Aristotele della storia della filosofia
precedente possiamo razionalmente ipotizzare che nessuno pu chiamarsi fuori dal
proprio tempo, cos come il barone di Minchhausen non pu salire in cielo
tirandosi da solo per il proprio codino. Il punto di vista della genesi storica
dei fenomeni non certamente innato
nell'uomo, ma sorge soltanto ad un certo punto dello sviluppo storico, ed legato al pi ampio concetto di storia
universale unificata in un solo concetto trascendentale-riflessivo, che secondo
lo studioso tedesco Koselleck non sorge in Europa prima della seconda met del
Settecento. possibile avanzare una cauta
ipotesi. Aristotele chiude nel modo pi brillante possibile il primo periodo
unitario del pensiero greco, il periodo che va da Talete, Pitagora, Parmenide,
Eraclito ed Anassimandro fino a lui stesso compreso, ed allora del tutto naturale che ne tracci un
bilancio anch'esso unitario. Il secondo periodo unitario del pensiero greco, da
Epicuro a Plotino, non era ancora iniziato, ed Aristotele non poteva certamente
presagirne e prevederne la natura e gli svi- luppi (pi esattamente, la natura
individualistico-privatistica ed i posteriori svi- luppi religiosi; il
privatismo provoca, ed in un certo senso addirittura invoca la compensazione
religiosa). Vediamo qui plasticamente davanti a noi la madornale erroneit del
punto di vista storiografico che divide questo periodo profondamen- te unitario
in due fasi successive, la fase detta presocratica e la successiva fase
socratico-platonica. Qui sta il secondo pi grande riorientamento gelstaltico
cui siamo chiamati nella considerazione storiografica della filosofia greca. Il
primo ri- orientamento gelstaltico - come si
detto in precedenza sta nello
smettere di considerare i filosofi greci come professori universitari intorno
ad una tavola ro- tonda che enunciano luno dopo laltro profonde verit
differenziate che si tratta di scegliere secondo i nostri gusti e le nostre
preferenze (c il vuoto? c' il pieno? c' Dio? c' il caso? c' lacqua? c'
l'infinito? ci sono le idee eterne delliperuranio? ci sono sono soltanto i
concetti astratti? e via pluralisticamente opinando). Il se- condo
riorientamento gelstaltico sta nello smettere di dividere i primi filosofi
greci in socratici ed in presocratici. Questa divisione ha ovviamente alle
spalle un fatto incontrovertibile, il fatto cio che i dialoghi di Platone ci
sono pervenuti, ed in que- sti dialoghi Socrate
il rappresentante indiscusso della posizione filosoficamente corretta
contro i cattivi sofisti, relativisti e convenzionalisti. Ma questo teatro
filosofico, che peraltro integra gli altri due teatri ateniesi, quello tragico
e quello comico, un episodio
esclusivamente ateniese. Atene stata
centrale, indubbiamen- te, ma non pu cancellare lunitariet del pensiero greco.
Lo stesso Platone (e ne parleremo nel quattordicesimo capitolo) almeno altrettanto pitagorico di quanto stato socratico. Aristotele chiude quindi un
periodo storico unitario ed omogeneo (in questo-stesso saggio i capitoli
dallottavo al sedicesimo fanno parte di ununi- ca trattazione, spezzata
unicamente per ragioni di migliore leggibilit e chiarezza analitica), e questo
fu un esempio ben compreso da Hegel nelle sue Lezioni sulla Storia della
Filosofia, su cui avr modo di tornare ampiamente in seguito. Il bilancio che fa
Aristotele dei suoi predecessori
certamente destoricizzato e desocializzato, ma anche unitario, e rimproverare ad Aristotele
di non aver letto Marx sarebbe una sciocchezza imperdonabile ed un anacronismo
ridicolo. 57 Carrroro VII E tuttavia, perch questa ridicolaggine della storia
destoricizzata e desocializza- ta della filosofia, ricostruita come dossografia
di opinioni, ha potuto durare cos a lungo, e tuttora furoreggia incontrastata?
In fondo, la storia della filosofia
l'unico campo disciplinare in cui ci si
fermati a Diogene Laerzio, il quale si distingue appunto per una
concezione puramente dossografica della filosofia stessa, e tutte le concezioni
alternative, da Hegel a Sohn-Rethel, sono state respinte, mentre il cosiddetto
marxismo non ha certamente saputo offrire un'alternativa sensata, sacralizzando
per pi di un secolo la penosa Lavagna dei Cattivi e dei Buoni (e cio dei
cattivi idealisti e dei buoni materialisti, proiezione ideologica retroattiva
dello scontro ideologico fra borghesi e proletari, destra e sinistra,
progressisti e conser- vatori). Non possiamo certamente limitarci a quanto
detto prima sulla visione sponta- nea del mondo dei professori universitari. Ci
siamo concessi una parentesi umori- stica innocente. Tutti i gruppi sociali,
dai professori universitari agli scommettitori sulle corse dei cavalli, dalle
prostitute ai primari di ospedale, dai killer della mafia ai commercialisti,
ecc., producono una propria visione del mondo costruita sulla proiezione ideale
della propria pratica lavorativa. E quindi non possiamo accon- tentarci di
questa tragicomica spiegazione. Bisogna andare pi in profondit, e non
sempre facile farlo senza cadere in
semplificazioni ed in riduzionismi. E tuttavia non possiamo sottrarci ad un
tentativo di spiegazione. Il modo di studiare, insegnare, divulgare e scrivere
la storia della filosofia lultimo anello
della catena di un insieme articolato di configurazioni politiche, economiche e
sociali, che costituiscono quello che potremo definire societ, e che Marx ha
proposto di studiare attraverso il filtro metodologico del concetto di modo di
produzio- ne. Finora abbiamo conosciuto tre modi di produzione basati sullo
sfruttamento (schiavistico, feudale e capitalistico), pi una quarta formazione
economico-socia- le che si mostrata
largamente incapace di costruire una societ postcapitalistica accettabile (il
comunismo storico novecentesco, o socialismo realmente esistito). quindi normale che in tutti e quattro questi
tipi di societ abbia regnato una con- cezione ideologica caratterizzata dalla
destoricizzazione e dalla desocializzazione dell'immagine unitaria della
riproduzione dell'insieme sociale. La storia della fi- losofia non poteva che
esserne lultimo e pi irrilevante anello della catena. ora Cerchiamo ora di
raddrizzare, anche se in modo largamente inadeguato, questo lungo filo storico
ideale. 58 VII. IL POEMA DELLA NATURA DI ERACLITO SECONDO LINTERPRETAZIONE DEL
GRAMMATICO ALESSANDRINO DIODOTO Un'interpretazione storico-genetica ed
ontologico-sociale delle origini della filo- sofia greca dovrebbe iniziare
logicamente da una decifrazione del famoso fram- mento di Anassimandro, in
cui contenuto il segreto nascosto nello
scrigno del tempo. Se per ho deciso di rimandare lanalisi del frammento di
Anassimandro al capitolo undicesimo, iniziando invece dall'analisi del poema
sulla natura (phy- sis) di Eraclito, ci avviene perch qui abbiamo una
miracolosa fonte storiografica diretta che risale a duemila anni fa, quella del
grammatico alessandrino Diodoto. Prima ancora, ad ogni modo, bisogna seguire il
consiglio del film di Woody Allen, per cui prima di uscire con una ragazza
bisogna farsi una doccia e profumarsi sotto le ascelle. L'equivalente teorico
di questa operazione deduttiva di Woody Allen
la liberazione da almeno quattro deformazioni intollerabili. Ne ho gi
parlato, ma conviene ritornarci sopra. Possiamo definire le quattro
deformazioni intollerabili in termini di Scuole alla Rovescia, di scuole cio
che rovesciano qualsiasi corretto approccio storico-gene- tico ed
ontologico-sociale al problema che ci interessa. Nellordine le definirei la
Scuola della pensata casuale geniale, la Scuola dei colleghi scienziati
primitivi non ancora purtroppo sufficientemente informati, la Scuola dei
sapienti generici matti come un cavallo, ed infine la Scuola dei precursori
dello scontro politico fra destra e sinistra. Il lettore mi consenta un po di
timido umorismo, perch meglio riderci
sopra che arrabbiarsi. La Scuola della pensata casuale geniale ci informa che
alcuni Greci della at- tuale costa turca dell'Anatolia, ad un certo punto della
storia, cominciarono a cer- care larch (il fondamento, il principio e l'origine
delle cose), e qualcuno lo trov nell'acqua, qualcun altro nell'aria, qualcuno
pens che ci fosse soltanto il vuoto in cui gli atomi si uniscono a caso,
qualcuno invece pensava che tutto fosse pieno, ecc. Si tratta di affermazioni
talmente generiche e banali da chiedersi se basta veramen- te cos poco per
conseguire l'immortalit. E ci mi ricorda mia nonna, la cui cultura artistica si
era fermata agli impres- sionisti francesi, per cui tutte le avanguardie
posteriori erano formate da farabutti e cialtroni che guadagnavano milioni con
gli scarabocchi. Ogni volta che vedeva in fotografia un Picasso sosteneva
fieramente: Questo riesco a disegnarlo persino io!, per cui ho trascorso la mia
prima infanzia a chiedermi seriamente perch non lo facesse, in modo da poter
diventare ricchi come pasci e non dover misurare i soldi per la spesa come
faceva invece mia madre. Solo pi tardi ho acquisito una cultura artistica di
tipo maggiormente storico. Queste miscele di acqua, aria, atomi 59 CarrroLo VII
ed altri pasticci mi ricordano peraltro anche un comico di una vecchia
trasmissione televisiva italiana, che parlava in continuazione di brodo
primordiale. La Scuola dei colleghi scienziati primitivi non ancora purtroppo
sufficiente- mente informati, non avendo conseguito una laurea scientifica in
qualche dipar- timento universitario (ripeto qui quanto gi anticipato nel
precedente capitolo), rappresenta limmagine spontanea che il positivismo ha
sistematizzato ormai da quasi duecento anni. Prima ci sono stati dei
volenterosi pasticcioni che cercavano i principi materiali delle cose, e
bisogna comunque ringraziarli per aver sostituito druidi, stregoni, sciamani,
aguri ed aruspici, ma la loro funzione si
esaurita del tutto quando, a partire dal Seicento, sono arrivati degli
scienziati veri (sottoli- neato veri) a calcolare ed a sperimentare. Non basta
dire acqua, bisogna anche misurarne la temperatura. Misurata la cosiddetta
materia, la filosofia perde del tutto di ruolo e di significato. Si tratta
ormai solo pi di una chiacchiera inutile, che i buoni scienziati sopportano
semplicemente perch hanno ben altro da fare che chiacchierare con tronfi
sapientoni. Se qualcuno crede che abbia esagerato, si vede che non ha mai
ascoltato quello che dice il novanta per cento (valutazione bassa) dei
cosiddetti scienziati, la cui ignoranza della funzione storica e sociale della
filosofia oscilla in genere fra il pittoresco e linsopportabile. La Scuola dei
sapienti matti incurabili si ferma stupita di fronte a personag- gi che
affermano da un lato che lEssere , e non pu non essere, e dall'altro che niente
, e tutto diviene, e solo il divenire esiste. L'insensatezza di queste
generiche idiozie tale da stupirsi per
la pazienza con cui vengono ascoltate. Che cosa vuol dire che lEssere ? Che Dio
esiste, e non cambia mai idea nella sua vita eterna? Che il mio cane Fido ed il
mio gatto Marameo sono? Che si diventa vecchi, e di- ventando vecchi si diventa
anche rincoglioniti? Che c' una palla sferica in cielo che rimane l per sempre?
Potremmo continuare con questa insensata e demenziale elencazione, ma non ce n'
ragione. Il fatto che la maggior parte delle persone, messe di fronte a queste
banalit sapienziali, stia zitta e non reagisca, per di pi talvolta
colpevolizzan- dosi per la propria ignoranza, ricorda la paura di osare fare
brutta figura contenuta nel detto Tutto ci che avreste voluto sapere sul sesso
e non avete mai osato chie- dere. Ma cosa saranno mai dunque questo essere e
questo divenire? Sarebbe interessante fare un'inchiesta sui lettori degli
articoli de Il Corriere della Sera scritti dal sapiente bresciano Emanuele
Severino. Soltanto la pietas mi impedisce di conti- nuare a rigirare il
coltello nella piaga. E tuttavia il male che fanno alla filosofia (non ad una
scuola filosofica particolare fra le altre, proprio alla filosofia in quanto
tale, come pratica sociale potenzialmente universalistica cui tutti hanno
diritto) questi sapienti oracolari molto
grande, e non dovrebbe essere messo sotto silenzio per cautela accademica o
timore reverenziale della plebe verso coloro che hanno ac- cesso al circo
mediatico. La Scuola dei precursori dello scontro politico fra destra e
sinistra affronta il problema degli antichi Greci come se costoro avessero
anticipato lo scontro epo- cale tra Prodi e Berlusconi, tra fascisti e
antifascisti, borghesia e proletariato, atei 60 Il poema della natura di
Eraclito secondo linterpretazione del grammatico alessandrino Diodoto e
credenti, materialisti ed idealisti, progressisti e conservatori, ecc. Da una
parte lakropolis, polo elevato in cui si concentrano sacerdoti, filosofi
idealisti, conserva- tori, ecc. Dall'altra parte lagor, il mercato ed il luogo
delle assemblee democrati- che, dove si concentrano i pensatori laici, gli
studiosi della natura, i materialisti che deridono le inesistenti divinit, ecc.
Questa quarta scuola certo migliore
delle tre precedenti, perch almeno tenta, sia pure con rigidit bipolare, di
abbozzare a grandi linee una deduzione sociale delle categorie del pensiero, e
non si limita a far cadere dal cielo delle pensate pi o meno originali. E
tuttavia la proiezione nel mondo antico del modello dicotomico contemporaneo
non pu portare a nes- sun vero risultato interpretativo. A chi appartiene
Pitagora, allakropolis o all'agor? E se appartiene allakropolis dei sapienti
dittatori collegiali, allora come
possibile che il pitagorico Clistene abbia stabilito la costituzione
politica pi democratica mai esistita? Gli studenti liceali ed universitari del
primo anno di filosofia dovrebbero essere difesi sul piano civile, penale ed
amministrativo nei loro diritti soggettivi e nei loro interessi legittimi ad
avere della filosofia un'immagine socialmente sensata. Questo saggio, con tutti
i suoi probabili difetti, ha di mira proprio questo scopo. Incominciamo da
Diogene Laerzio (cfr. IX, 15), che ricorda come il grammatico alessandrino
Diodoto aveva gi attestato che il poema di Eraclito sulla natura non trattava
in realt della natura, ma dello Stato (politeia), e che la natura (physis) vi
stava dentro solo in funzione di modello. Diodoto aveva a disposizione lintero
poema filosofico di Eraclito, e non solo i pochi frammenti sparsi di cui
disponiamo, frammenti che a prima vista potrebbero far pensare che Eraclito sia
stato una sorta di relativista, negatore assoluto della permanenza di alcunch,
per cui il succo del suo discorso avrebbe potuto ridursi al famoso detto generico
ed indeterminato tutto scorre (panta rei), detto che esaurisce le vaghe
reminiscenze liceali su questo autore. E tuttavia Diodoto un testimone pi credibile di Aristotele,
perch non un filosofo in proprio, e non
sente il bisogno di inserire i suoi predecessori nel proprio sistema. Inoltre,
il panta rei non appartiene neppure ad Eraclito, ma all'era- cliteo ateniese
Cratilo. Sarebbe come cercare di interpretare Marx senza neppure disporre delle
sue opere, ed avendo come unica fonte i commenti di Stalin. Secondo
l'eccellente ricostruzione storico-filologica di Antonio Capizzi, la chia- ve
della comprensione della metafora naturalistica di Eraclito, che utilizza la
physis come modello per spiegare il nomos (in questo caso il polemos) che regge
la dinamica della lotta di classe nella polis di Efeso a quei tempi la pi ricca ed importante citt
della Ionia , sta nell'analisi del periodo storico di Ermodoro di Efeso, che
rifiut la sottomissione ai persiani del re Dario e restaur lisonomia, e cio
l'eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. In quanto seguace ed amico di
Ermodoro, Eraclito non pu essere connotato come aristocratico, come fanno tutti
gli sciocchi manuali in circolazione, ma semmai come ultrademocratico. A quei
tempi i democratici era- no connotati come fautori dellobbligatoriet di
scrivere le leggi e di non lasciarle allarbitrio orale dei reggitori (e si
pensi alla rivendicazione plebea romana della scrittura delle Dodici Tavole), e
per questa ragione Eraclito indica Pitagora come 6l CarrroLo VII caposcuola dei
ciarlatani (fr. 81), in quanto Pitagora (in questo maestro di Platone) sarebbe
stato un sostenitore delloralit esclusiva delle leggi stesse. Egli equipara la
ricchezza privata allinfamia (fr. 125 a); ripete che il popolo deve combattere
in difesa delle leggi isonomiche come combatterebbe sulle proprie mura contro
il nemico (fr. 44); ed infine questo presunto sostenitore del mobile casino
creativo e del tutto scorre afferma letteralmente (fr. 30) che questo ordine isonomico
identico per tutti non lo ha fatto n un uomo n un Dio. Esso da sempre,
e sar fuoco semprevivo, che regolarmente si accende e regolarmente si
spegne. Come spiegare il fatto che Eraclito, considerato il sostenitore della
teoria per cui niente e tutto scorre
(panta rei), sostenga invece lesatto contrario, per cui esiste un ordine da
sempre, che e sar per sempre fuoco semprevivo?
Certo, non lo sappiamo con sicurezza. E tuttavia il contesto storico, che
conosciamo nelle sue grandi linee (o meglio, lo conosciamo se non ci rifiutiamo
di conoscerlo pur poten- dolo fare, conservando cos i nostri pittoreschi
pregiudizi), ci dice che quest'uomo decise di rompere con i suoi concittadini
che avevano voltato le spalle alla sua costituzione democratico-isonomica,
scelse si salire sullacropoli e passare il resto della sua vita a giocare a
dadi con i ragazzini, attuando cos una sua personale secessione da una polis in
cui non poteva pi riconoscersi, non certo perch era aristocratico, ma proprio
al contrario perch era invece ultrademocratico. La filosofia politica
presocratica, infatti, si sempre
espressa attraverso metafo- re necessariamente naturalistiche, ed il per
physeos (sulla natura) significava anche sempre metaforicamente per politeias
(sulla costituzione). Ho scritto necessaria- mente perch a quei tempi il
pensare insieme natura e societ passava attraverso la nozione di necessit
organica che le collegava (kat to chreon). Mentre in una fase precedente in cui la separazione fra le classi sociali,
ed il conflitto che necessa- riamente ne derivava quando la differenza fra
ricchi e poveri diventava infinita e indeterminata (apeiron, aoriston) , questa
scissione fra macrocosmo naturale e microcosmo sociale veniva ancora percepita
in modo magico-sacrale, ora emerge la necessit di una sua riformulazione
razionale (/0g0s). Il grammatico alessandrino Diodoto aveva quindi colto il
punto essenziale, lad- dove la classificazione aristotelica delle quattro cause
non lo aveva colto. Eraclito aveva probabilmente inteso esprimere in linguaggio
naturalistico la compresen- za di un ordine isonomico stabile e perfetto (il
fuoco semprevivo che e sar per sempre) e
di un conflitto insanabile (polemos) fra coloro che vogliono mantenerlo e
coloro che si fanno trascinare dalla smisuratezza delle passioni private. La
lotta di classe non certo qualcosa che
debba essere scoperta n tantomeno inventata, perch sempre un'evidenza immediata. Possiamo dire
che, in un certo senso, Eraclito stato
il primo filosofo (e per questo abbiamo cominciato proprio con lui) che ne ha
plasticamente espresso la logica complessiva: da un lato, la costituzione
isonomica accompagnata da costumi egualitari e dal rifiuto del lusso e delle
ric- chezze eccessive, un logos che e
sar sempre fuoco semprevivo; dall'altro lato, il polemos e la guerra di tutti
contro tutti che deriva fatalmente e necessariamente (kat to chreon) dallo
scatenamento degli egoismi contrapposti. 62 Il poema della natura di Eraclito
secondo l'interpretazione del grammatico alessandrino Diodoto Non un caso che molti grandi filosofi posteriori
(Hegel e Marx in primo luo- go) abbiano tenuto Eraclito in grande
considerazione. E non un caso che tutti
gli estimatori del pensiero dialettico (fra cui chi scrive) abbiano ritenuto
Eraclito un eminente precursore. E non
un caso, infine, che i rappresentanti della destoriciz- zazione e della
desocializzazione nella ricostruzione della storia della filosofia non ci
abbiano capito mai assolutamente niente, e si siano limitati a balbettare
linsulso mantra per cui tutto scorre, sapere per barcaioli ed idraulici, ma non
per storici della filosofia degni di questo nome. Eraclito affront il problema
della lotta di classe in termini naturalistici, e non cerc di esorcizzarla.
Altri pensatori, invece, ritennero opportuno in qualche modo esorcizzarla,
attraverso la mediazione dei rapporti geometrici equilibrati applicati alla
societ o attraverso la concettualizzazione astratta (1Essere) della permanenza
e della stabilit della buona legislazione. Occupiamocene. 63 IX. IL NUMERO DI
PITAGORA ED IL LOGOS COME CALCOLO SOCIALE DELLE BUONE PROPORZIONI GEOMETRICHE
NELLA COMUNIT Non facile individuare con
precisione il cuore del pensiero dei Greci. Pochi possono vantarsi di essersi
avvicinati, mentre nessuno pu dire di esserci riuscito. Come ha scritto il
grande poeta greco moderno Yorgos Seferis, possiamo aggirarci soltanto per le
rovine dell'antica Asine, perch del nome del re di Asine non resta che un verso
di Omero. E tuttavia fra coloro che si sono avvicinati di pi a questo cuore c'
stato certamente Hegel, il pi greco in senso assoluto dei filosofi mo- derni e
contemporanei (fra i meno greci citerei, alla rinfusa ma non senza averci prima
pensato sopra, Schopenhauer, Kierkegaard, Nietzsche, e ovviamente Kant, il meno
greco di tutti in senso assoluto). Secondo Hegel, i Greci hanno ad un tempo
animato ed onorato il finito. Animare il finito significa ovviamente rinunciare
al concetto biblico-cristiano di creazione, e riconoscere al finito la capacit
potenziale di automovimento e di direzione verso la propria finalit che il
finito stesso contiene in s (dynamei on). Onorare il finito significa cercare
la perfezione non in un infinito smisurato ed in- determinato (apeiron,
aoriston), ma proprio nel finito stesso, che
perfetto proprio perch finito.
Altro che uomo copernicano ed universo infinito alla Giordano Bruno! Con tutto
il rispetto per il filosofo di Nola bruciato vivo sul rogo nel 1600, la via
giusta non sta nelluniverso fisico infinito, ma nel mondo sociale finito! In
ogni caso, rimando ai capitoli in cui mi occuper storicamente del Seicento la
questione dellinfinitezza metaforica dell'universo nell'et moderna, che
presenta aspetti imparagonabili con il mondo dei Greci. Non sarebbe corretto da
parte mia accusare gli altri di anacroni- smo e di proiezione temporale
indebita, e poi cadere io stesso in questa trappola. E tuttavia, bisogna
tornare al problema che ci interessa, e cio che cosa significa esattamente
onorare il finito. Onorare il finito significa prima di tutto misurarlo, e cio
definirne esattamente la misura (metron). I Greci antichi hanno sempre pensato
che bisognasse misurare il finito, perch il finito era una somma di entit
finite caratterizzate da una pro- priet anch'essa misurata. Si tratta
evidentemente di un approccio razionalistico alla lotta di classe (George
Thomson). Questo approccio razionalistico alla lotta di classe caratterizza
unitariamente tutto il primo periodo della filosofia greca, da Pitagora ad
Aristotele compreso, e cio dalla misurazione delle proporzioni geome- triche
intese in senso sociale (le proporzioni fra ricchezze e le proporzioni di
potere politico), tipica della scuola di Pitagora, fino alla distinzione tra
economia e cremati- stica, tipica della filosofia di Aristotele. 65 CarrtoLo IX
Cos come la concezione numerica della scuola di Pitagora non ha nulla in co-
mune (nonostante le apparenti somiglianze superficiali) con la quantificazione
ma- tematica della natura della posteriore scienza di Galilei e con il
posteriore domi- nio sulla natura di Bacone, nello stesso modo la scienza
economica di Aristotele, basata sulla distinzione fra economia e crematistica,
non ha nulla in comune con la posteriore scienza economica di Adam Smith,
che in realt una crematistica dellin- dividuo
che usurpa il nome di economia sociale. Ma su tutto questo nodo di problemi
rimando ai relativi capitoli. Il calcolo (logos) delle proporzioni geometriche
in Pitagora (la matematica greca non conosceva ancora il calcolo algebrico, ma
derivava invece dalle misurazio- ni terrestri dellantico Egitto e dalle
misurazioni celesti dell'antica Mesopotamia)
una proiezione diretta della necessit di conservare nellorganizzazione
socia- le della politeia (la costituzione della polis, che peraltro Pitagora, a
differenza di Eraclito, preferiva non scritta, e qui sta il carattere
aristocratico della sua natura socio-politica) una giusta proporzione. Tutti i
paradossi (tipo quello di Achille che non raggiunge mai la tartaruga) non erano
certo gli stupidi giochini che sono diventati nel demenziale insegnamento
odierno della filosofia, ma erano le problematizzazioni serissime che
derivavano dalla pretesa pitagorica di misurare il mondo, e di poter in questo
modo trovare le giuste proporzioni sociali della propriet, del potere e del
consumo. La stessa scelta della dieta vegetariana per i governanti esprimeva
anch'essa, da un lato, lintuizio- ne olistica dell'unit del vivente fra uomini
ed animali, e testimoniava dall'altro il metron nella dieta stessa. Ma cos'
dunque questo metron da misurare? Non
certamente il numero di Galilei o del gran libro della natura scritto in
caratteri matematici delle neces- sarie dimostrazioni e delle sensate
esperienze del nostro astronomo pisano. Il me- tron un concetto ad un tempo geometrico, sociale,
politico, economico e religioso. Per poterlo capire non potremo evitare una
breve spiegazione storica ed etimolo- gica. Spiegazione che tuttavia opportuno rimandare al capitolo
undicesimo, per- ch solo il frammento di Anassimandro permette di mettere al
centro il concetto di giustizia (dike), nel suo doppio aspetto dialettico di
rendere giustizia e di pagare il fio (diken didonai). In Pitagora invece il
metron direttamente numero, e si tratta
di spiegare il perch. Due sono le catatteristiche peculiari della figura di
Pitagora. La prima il viaggio iniziatico
di formazione, che lo porta in Egitto, che era a quei tempi il luogo geogra-
fico e simbolico della sapienza eterna e senza tempo, in cui Pitagora pu
imparare le tre forme classiche della sapienza orientale, la geometria egizia
(necessaria per la corretta misurazione statale e faraonica dei campi irrigati
dal Nilo), laritmetica fenicia (necessaria per calcolare il valore esatto delle
merci scambiate), ed infine l'astronomia caldea (necessaria per accertare
astrologicamente i corretti rapporti nu- merici fra cielo e terra, e cio fra il
macrocosmo naturale ed il microcosmo sociale che a sua volta esattamente come in Cina - avrebbe dovuto
armonizzarsi con il primo per non dissolversi nel disordine, nella dismisura e
nel caos primigenio). 66 Il numero di Pitagora ed il logos come calcolo sociale
delle buone proporzioni geometriche nella comunit Questa sapienza orientale
pensava se stessa come permanente, naturale, cosmi- ca e destoricizzata, anche
se ovviamente non lo era per nulla. Questa permanenza simbolica era il riflesso
astratto di civilt che si pensavano come eterne e perma- nenti, in quanto la
loro permanenza ideale era il riflesso di altune permanenze materiali come la
regolazione dei fiumi (Egitto e Mesopotamia), o come il commer- cio (Fenicia).
L'Oriente non infatti il luogo
delleterno, cos come l'Occidente non il
luogo della storia. Hegel poteva pensarlo, ma nel frattempo c' stato Marx, che
ci ha insegnato a correlare le grandi idealit concettuali con la loro gene- si
storica e con la loro funzione ideologica. La seconda caratteristica peculiare
della figura di Pitagora la sua
emigrazio- ne nella cosiddetta Magna Grecia (Megale Hellas), ed esattamente
nella citt di Crotone. La Sicilia e la Magna Grecia hanno giocato per il mondo
greco classico lo stesso ruolo di luogo fantastico di possibile sperimentazione
politico-sociale illi- mitata che ha giocato a partire dal Settecento lo spazio
vuoto americano per gli europei. Sicilia e Magna Grecia sono state il Far West
dei Greci. Ma come lo spazio vuoto americano era in realt pieno di pellirossa
da sterminare e di messicani da cacciare, nello stesso modo lo spazio vuoto
siciliano ed italico era in realt pieno di popolazioni autoctone da sterminare
o sottomettere e di stranieri (etruschi e cartaginesi soprattutto) da scacciare
con guerre interminabili e sanguinosissime.
inevitabile che i Greci rappresentassero simbolicamente i loro nemici in
termini di barbarie, disordine e dismisura ed invece amassero pensare se stessi
in termini contrapposti di civilt, ordine e misura. Questa contrapposizione
dicotomica ideale sta alla base delle dieci coppie di contrari su cui si basa
la teoria pitagorica. Queste dieci coppie di contrari sono con tutta evidenza
(almeno per chi scrive) la trasposizione simbolica di una op- posizione e di
una contrariet sociali, cos come Io era la natura in Eraclito secon- do
linterpretazione di Diodoto. Il senso ultimo della tavola pitagorica delle
dieci contrariet oppositive sta nel fatto che gli uomini devono inserire i loro
progetti di vita comunitaria sul lato sinistro della tavola, quello dell'uno,
del limite e del- la misura, mentre se lo iscrivono sul lato destro, quello del
molteplice, del caos e dellillimitato, non possono che perire. La polarit
limite/illimitato infatti la prima e
fondamentale polarit della tabella pitagorica delle opposizioni. Comprendiamo
meglio allora perch Hegel ha scritto che i Greci hanno onorato il finito e
perch ha anche affermato che il cuore dellidealismo consiste nel comprendere
che il finito ideale. Per i pitagorici
la vita umana pu prosperare soltanto allinterno di un peri- metro dato, in
quanto fuori da questo perimetro c' soltanto il caos, e quindi non soltanto
lindeterminato, ma anche linsensato.
quindi probabile che il concetto di senso filosofico delle cose per cui ci che la geometria misura nello stesso tempo inscindibilmente il senso
delle cose stesse (questo concetto
centrale in Platone, per cui nessuno pu entrare nella sua scuola se
non geometra) -, deri- vi geneticamente
dalla primitiva insensatezza numerica prodotta dallindeterminato e dal non
calcolabile, e questo ci spiega perch per Pitagora i teoremi dovessero 67
CarrroLo IX essere tenuti segreti, e chi li rivelava meritava la morte. Oggi i
segreti sono gli ar- mamenti nucleari, allora erano erano i teoremi della
geometria, e questo dovuto al fatto che
sia gli armamenti nucleari sia i teoremi geometrici hanno in comune il fatto di
essere strumenti del potere politico. I circoli pitagorici erano infatti
strumenti di potere politico, un po come i par- titi politici di oggi. Non ha
alcun senso scandalizzarsi di tutto questo. Anche se non sono mai esistiti
partiti dellakopolis e partiti dellagor (ho polemizzato nei due capitoli
precedenti contro questa indebita trasposizione retroattiva dello scon- tro
moderno tra destra e sinistra, progressisti e conservatori, borghesia e
proletariato), plausibile immaginare che
lo spazio perimetrato che i pitagorici esprimevano in termini di rapporto
numerico stabile e permanente (e quindi eterno, ed ecco perch l'eternit delle
idee geometriche sar il modello delliperuranio platoni- co) fosse di fatto la
trasposizione simbolica dello spazio economico-sociale diretto dallakropolis,
mentre il caos e la molteplicit non fossero altro che l'arbitrio casuale delle
decisioni dell'insieme dei proprietari privati e dei commercianti. I gruppi
pitagorici sono quindi stati i primi partiti politici organizzati della storia
occidentale. Questo partito pitagorico ha guidato una guerra sulla base
dell'ideologia dello scontro fra la virt limitata ed il vizio illimitato
(Crotone contro Sibari), ed stato poi
detronizzato da un sanguinosissimo colpo di Stato che ne ha massacrato e
disperso i membri. Eraclito aveva gi correttamente compreso che il polemos inevitabile, che la ricchezza privata un'infamia (fr. 125 a), e che nessuna sua
perimetrazione numerica limitativa pu arrestare la dinamica della lotta di
classe. Nella tradizione filosofica occidentale, tuttavia, c' stata una
corrente di pen- siero che ha ritenuto di poter arrestare il tempo. Questa
tentazione di arrestare il tempo, tuttavia, ha anch'essa profonde motivazioni
storico-sociali. giunto il momento di
occuparci di Parmenide. 68 X. LEssERE DI PARMENIDE COME METAFORA E PROIEZIONE
IDEALE ETERNA DELLA STABILIT E DELLA PERMANENZA NEL TEMPO DELLA BUONA
LEGISLAZIONE Nella bimillenaria tradizione filosofica occidentale il termine
essere ha gio- cato un ruolo decisivo, e questo ha contribuito a rendere a poco
a poco del tut- to incomprensibile il significato originario dei frammenti che
ci restano del poe- ma di Parmenide di Elea. Ho gi notato che la
contrapposizione folkloristica di Parmenide, guru dell'essere e di Eraclito,
guru del divenire, degna dei giochi te-
levisivi a quiz, ed ha lo statuto epistemologico della canzoncina della Vispa
Teresa. Tuttavia, bene ricordare al
lettore almeno alcuni significati principali assunti dal termine essere nel
pensiero occidentale dalle origini ad oggi. Trascurando qui gli antichi Greci,
il primo significato rilevante di essere
quello che lo identifica prima con lUno dei neoplatonici e poi con il
Dio monoteista dei cristiani e dei successivi musulmani. Si tratta di una vera
e propria onto-teo- logia unificata, come dir poi Martin Heidegger. A questa
onto-teo-logia unificata, mirabilmente sistematizzata da Tommaso d'Aquino e
dalla teologia domenicana medioevale che
risacralizz cos in forma razionale lunit ontologica del ma- crocosmo naturale e
del microcosmo sociale , reag fortemente prima il nomina- lismo sia laico
(Abelardo) che religioso (Guglielmo di Occam), e poi il panteismo
rinascimentale (Giordano Bruno). Il periodo storico della costituzione
formalistica del soggetto, da Cartesio a Kant,
un periodo di declino storico della onto-teo-logia, e questo non certo a
caso, in quanto lonto-teo-logia consacrava in quel periodo sto- rico il dominio
simbolico delle vecchie classi signorili e tardo-feudali, e la borghe- sia
nascente era interessata ad infrangere razionalmente il nucleo metafisico di
questa onto-teo-logia, e cio lunit delle categorie dell'essere e delle
categorie del pensiero. Il grande filosofo Kant infranse questa unit
ontologica, sostituendo la nuova religione gnoseologica borghese alla vecchia
religione onto-teo-logica tardo- feudale e signorile, e si acquist cos la
riconoscenza perenne di tutto il nuovo clero universitario. La restaurazione
della categoria di essere da parte di Hegel
basata sullattribuzione all'essere di una genericit assoluta, che si concretizza
e si determina progressivamente mediante una logica dialettica (Scienza della
logica, ecc.). Per Marx e poi per Lukcs il termine essere non pu che
significare linsie- me pensabile concettualmente della totalit espressiva della
societ e della storia. L'Uno-Tutto non
per pi declinato in modo religioso e bimondano - come per Plotino ed i
neoplatonici - ma costruito
concettualmente con l'intreccio della per- manenza ontologica (ci che , ed eternamente) e della determinatezza storica
(il proprio tempo appreso nel pensiero).
questo lunico possibile ritorno a Parmenide, non certo la ripetizione
ieratica e sapienzale (pi esattamente: pseudo- 69 CAPITOLO X jeratica e
pseudosapienziale) secondo cui da pazzi
(e tutto il mondo moderno sarebbe pazzo, al di fuori di un professore
universitario in pensione di Brescia) ritenere che le cose possano mutare nel
tempo. Parmenide, di cui presuppongo qui l'appartenenza alla scuola pitagorica,
gi ampiamente attestata dalle fonti classiche, pensa radicalmente un numero
solo, il Numero Uno. Sostenendo la cosiddetta sfericit dell'essere, non bisogna
pensare che alluda ad una sorta di palla splendente in cielo. Il termine
sfairiks significa infatti congiuntamente sferico ed anche congiuntamente
globale, totale e complessivo. In greco moderno, duemila e cinquecento anni
dopo Parmenide (la non conoscenza del greco moderno, custode semantico
incomparabile dei signifi- cati originari della filosofia classica, rappresenta
uno dei pi pittoreschi elementi di ignoranza dei professori europei di
filosofia), il termine sfairiks continua ad avere lo stesso doppio significato
semantico; si dice, ad esempio, un'idea globale del problema, mia sfairik
andilipsi tou provlimatos). Non avrei fatto questa deviazione semantica se non
avessi voluto sottoline- are il fatto che il termine parmenideo di sfericit
dell'essere non allude ad un gigantesco pallone aerostatico in cielo, ma
connota semanticamente e concettual- mente lo stesso oggetto teorico che Hegel
e Marx (senza contare anche Adorno, Marcuse e Luk4cs) hanno pi tardi connotato
in termini di totalit espressiva. Certo, sarebbe sbagliato attualizzare
eccessivamente questa analogia, perch da un lato Parmenide non poteva ancora
isolare l'essere sociale dall'essere naturale, ma li pensava in strettissima
unit ontologica (vedremo pi tardi che questo isolamen- to, parzialmente
anticipato da Aristotele, dovr aspettare il Settecento illuministi- co-borghese
per poter essere concettualizzato e sviluppato), e dall'altro non poteva
ovviamente ragionare sulla base della distinzione kantiana e della successiva
ride- finizione hegeliana di intelletto (Verstand) e di ragione
(Vernunft). quindi chiaro che il
concetto di sfericit di Parmenide ed il concetto di totalit in Hegel e Marx non
ricoprono esattamente lo stesso spazio teorico. E tuttavia, pur non rico-
prendolo, sono largamente comparabili, e questa comparabilit deve essere messa
alla base del ragionamento. Ma qual
l'esatta natura storico-genetica ed ontologico-sociale del concet- to
parmenideo di essere? Di quale sfericit, cio di quale totalit il riflesso astrattizzato? Ammetto che non
possiamo saperlo con certezza. Non possiamo ar- rivarci con il metodo deduttivo
diretto, e neppure con il metodo induttivo indiret- to. Dovremo arrivarci con
quello che Peirce chiama il metodo abduttivo, e cio non il metodo di Aristotele
(la deduzione) o il metodo di Stuart Mill (linduzione), ma il metodo di
Sherlock Holmes e di Hercule Poirot: succede X, un fatto straordinario ed
inesplicabile; se per Y vero, X smette
di essere straordinario ed inesplicabile, e diventa invece razionalmente
spiegabile. L'essere di Parmenide un
tipico esempio di sfida all'abduzione.
infatti straordinario decidere di chiamare essere la totalit sferica di
tutto ci che pu essere pensato. allora
plausibile che ci sia un sostrato socialeche fa da riferi- mento materiale a
questa concettualizzazione ideale. Si tratta di discutere spregiu- 70 L'Essere
di Parmenide come metafora della stabilit e della permanenza nel tempo della
buona legislazione dicatamente tutte le ipotesi che ne possono essere date,
scartare le meno plausibili, ed accettare la pi plausibile. Alfred Sohn-Rethel,
che stato uno dei grandi fondatori del
metodo della de- duzione sociale delle categorie filosofiche (e che appunto per
questa ragione oggi trascurato e
dimenticato), ha cercato di dare una spiegazione materialistica della categoria
parmenidea di essere. Sohn-Rethel nota acutamente che il concetto di Essere in
Parmenide caratterizzato da una totale
genericit indeterminata ( infat- ti indeterminato come lapeiron di
Anassimandro), e si chiede allora che cosa possa aver causato questa
indeterminatezza astratta assoluta. Se infatti io penso in modo astratto sostiene Sohn-Rethel ci vorr qualcosa di astratto che faccia s che
io pensi astrattamente. E Sohn-Rethel ritiene di individuare la sorgente
materiale e sociale di questa astrattezza nella moneta coniata, moneta coniata
originatasi prima in Lidia, poi passata dalla Lidia alle isole greche di Chio e
di Egina, e pro- gressivamente diffusasi in tutto lo spazio economico e
culturale greco. La moneta implica il passaggio dal baratto concreto allo
scambio astratto, perch con una moneta si possono comprare le cose pi diverse,
indipendentemente dai materiali con cui sono costruite. Non c' dubbio che la
moneta, insieme con la fusione dei metalli (e del ferro in particolare), abbia
giocato un ruolo decisivo nella costituzione materiale della civilt greca. La
moneta stata anche un fattore primario
per il sorgere dellecono- mia schiavistica antica, perch ha permesso di
comprare gli schiavi come si com- prano tutte le altre merci, mentre prima ci
volevano guerre di conquista di tipo assiro-babilonese. E tuttavia a mio avviso
Sohn-Rethel si sbaglia. E si sbaglia di grosso, nonostante il fatto che almeno
ci ha provato, e gli sciocchi che continua- no a proporre un concetto
indefinibile, ieratico, sapienziale, sacerdotale e falsa- mente profondo (come
direbbe Hegel) di essere non gli arrivano neppure alle caviglie. Chi ci prova
pu sbagliare, ma chi non ci prova neppure rester sempre a pestare sul suo
quadratino di terra, come un tempo facevano i soldati nel cortile delle
caserme. Sohn-Rethel sbaglia perch proietta nel lontano passato greco
limportanza che la forma merce e quindi
il denaro come merce astratta per eccellenza - ha assunto a partire dal
Settecento europeo, importanza che ha determinato prima l'economia politica di
Adam Smith e poi la critica dell'economia politica di Karl Marx. Per i Greci,
ed in particolare per i Greci del tempo di Parmenide, ci che contava non era la
forma astratta del valore di scambio e della moneta coniata che ne era la
portatrice astratta, ma era proprio l'esatto contrario, e cio la buona
legislazione comunitaria che ne permetteva la limitazione e la sua
sottomissione al metron. Come si vede, la realt storica e concettuale invertita rispetto a come se la rappresenta
Sohn-Rethel. Il concetto generale ed astratto di Essere, infatti,
presumibilmente non deriva dalla proiezione della funzione mercantile-astratta
della moneta coniata, la cui introduzione nel mondo greco equivale appunto (e
qui Sohn-Rethel ha ragione) allirruzione del Nulla nel mondo dell'Essere, ma
proprio al contrario, e cio dal 71 CAPITOLO X
x concetto di buona legislazione comunitaria, che essendo buona pensata come non migliorabile e non
modificabile, e quindi eterna, stabile e permanente. Parmenide allude
certamente alla sua polis di Elea, ed i suoi frammenti descrivono proprio le
cavalle che salgono sulla akropolis della sua citt per un sentiero erto e
difficile. E sono queste cavalle concrete le portatrici materiali del concetto
astratto di essere inteso come proiezione metafisica della buona legislazione
comunitaria, dotata per ci stesso di stabilit e di permanenza, e quindi di
eternit. Riflettere su Parmenide in modo ieratico-sapienziale, destoricizzato,
desocia- lizzato (e quindi privato di ogni chiave di interpretazione semantica)
e pomposo- giornalistico non serve a niente, se non ad incrementare quella
particolare forma di idiozia presente in molti filosofi di professione fondata
sull'idea che meno ci si fa capire, pi si
profondi. Se invece ci si accosta a Parmenide in modo storico- genetico
ed ontologico-sociale, allora si guadagnano molti punti di vista illumi- nanti,
nuovi ed inediti. In primo luogo, che i Greci pensavano in modo sferico, sulla
base cio dell'idea di totalit espressiva, e questo modo sferico esattamente quello che verr poi restaurato in
forma storica da Hegel e da Marx. In secondo luogo, che la permanenza e la
stabilit eterna della buona legislazione comunitaria sta alla base dell'idea
sociale di eternit della cultura occidentale. In terzo luogo, che tutte le
forme di sensismo e di empirismo non possono giungere a questo tipo di
comprensione, e nonostante si presentino come pi concrete sono paradossal-
mente molto pi astratte della stessa idea di Essere, perch questa idea allude
alla cosa pi concreta di tutte, e cio all'idea della coesione sociale e
comunitaria, mentre lempirismo sacralizza invece concettualmente la dispersione
caotica degli atomi sociali individualizzati. In quarto luogo, infine, che il
concetto di Uno non ha bisogno necessariamente di un supporto teologico per
essere pensato (il Dio monoteistico cristiano, musulmano ed ebraico), perch
lUno stesso del tutto au- tonomo ed
autofondato in modo logico ed ontologico. Bisogna quindi rispettare
l'onto-teo-logia, ed io la rispetto mille volte di pi dellempirismo e del
sensismo, ma essa non pu essere lultima parola di una trattazione ontologica
dellessere. In quanto a Parmenide (ed affermo voluta- mente una cosa
paradossale e provocatoria!) la sua trattazione dell'essere socia- le del suo
tempo filosoficamente del tutto omogenea
alla trattazione che ne far Lukcs (e sulla sua scia, ma pi modestamente, chi
scrive) nel suo tempo. In en- trambi i casi, l'essere sociale pensato in modo unitario con una categoria
sfe- rica. La differenza ovviamente sta nel fatto che in Parmenide non pu
esistere la storia, intesa come concetto universalistico di tipo trascendentale-riflessivo
(concetto sorto nella seconda met del Settecento europeo sulla base di una ge-
nesi ideologica borghese), e per questa ragione la buona legislazione
comunitaria, concepita in modo pitagorico, viene rappresentata nella forma
della stabilit, della permanenza e della eternit temporale. Oggi, sulla scorta
di Eraclito, sappiamo invece che il polemos non si pu esorcizzare. 72 CarrroLo
XI oggi sostituiti dal silenziamento mediatico per i violatori della nuova
religione postmoderna globalizzata, il politicamente corretto), ed il concetto
di vera giusti- zia, e cio del ristabilimento egualitario della comunit. In
seguito segnaler che anche il concetto di comunismo presenta un duplice aspetto
contraddittorio, perch da un lato
futuristico, in quanto viene proiettato nel futuro sulla base della
proiezione anticipante dell'evoluzione prevista delle contraddizioni sociali
del presente, e dall'altro retroattivo,
perch non pu che essere pensato che come ristabilimento. L'interpretazione
ontologico-sociale del frammento di Anassimandro resa ne- cessaria dal fatto che in questo
frammento il concetto di arch (principio, fonda- mento, origine, sorgente) legato strettamente al concetto di dike
(giustizia) ed al concetto di diken didonai (rendere giustizia e/o pagare il
fio di una colpa). Per sua fortuna Anassimandro non era informato della
cosiddetta fallacia naturalistica di David Hume e della distinzione di Max
Weber fra giudizi di fatto e giudizi di valore, che tutti gli sciocchi
considerano ovvi ed intoccabili come la tavola pitago- rica. Per questa sua
felice situazione di ignoranza Anassimandro pu legare stret- tamente insieme
un'affermazione ontologica (e cio lesistenza dellapeiron, inteso come unione di
infinito e di indeterminato) ed un'affermazione assiologica, e cio morale e
politica (il fatto che da questa esistenza dellapeiron deriva necessaria- mente
il diken didonai, e cio il rendere giustizia ed il pagare il fio di una colpa).
Esagerando un po, direi che praticamente tutto il sapere filosofico greco conte- nuto nello scrigno del frammento di
Anassimandro. Conviene quindi riportarlo, citando anche i termini greci
originali, e poi commentarlo al meglio. Il frammento di Anassimandro, riportato
da Simplicio, suona cos: Anassimandro ha detto che principio degli esseri [arch
ton onton] l'infinito [apei- ron] [...]
di dove infatti gli esseri trovano la loro origine [genesis], l hanno anche la
loro dissoluzione [phthor] secondo infallibile necessit [kat to chreon]: essi
infatti si pagano reciprocamente la pena ed il riscatto [allelois diken didonai]
dellingiusti- zia commessa [adikia] e questo secondo l'ordine [taxis] del tempo
[chronos]. inevitabile che traduzione ed
interpretazione facciano tutt'uno, trattandosi di un testo sapienziale di
duemila e cinquecento anni fa. Nessuno (e tantomeno chi scrive) pu seriamente
pretendere di aver capito interamente il frammento di Anassimandro. Heidegger
ne ha fornito un'affascinante interpretazione, che per qui non discuto perch
non la condivido. Si pone per il problema oggettivo del- la compresenza di un
linguaggio naturalistico (arch, apeiron) e di un linguaggio politico-giuridico
(dike, adikia). A questo punto le grandi classi di interpretazioni del
frammento di Anassimandro diventano due, quella che decide di interpretare
questa compresenza e quella che rifiuta di interpretarla con stolida
superficialit. La maggior parte dei manuali di filosofia segue la seconda
stolida strada attra- verso due varianti tragicomiche, che potremo chiamare del
brodo primordiale e della gloriosa scoperta dellacqua calda. La prima
interpretazione, che fa di Anassimandro il fondatore della prima fa- colt di
chimica della storia, si pu formulare cos: mentre i rozzi semplificatori 74
L'Apeiron di Anassimandro: il pericolo dellinfinitezza delle ricchezze
individuali per la convivenza comunitaria Talete ed Anassimene si erano
limitati alla semplice aria ed alla semplice acqua, Anassimandro capisce
che necessario partire da un composto
chimico, che non si ancora determinato e
specificato e che pure riempie lo spazio infinito di un universo in espansione;
bravo collega! Una geniale anticipazione della nascita dell'universo! Dati i
tempi e la mancanza di laboratori e di finanziamenti alla ri- cerca, non si
poteva certo pretendere di pi, e possiamo congratularci con questo lontano collega!
La seconda interpretazione afferma che luomo, nascendo nel tempo, dovr mo- rire
nel tempo, ed in questo modo paga fatalmente il prezzo di essere nato (diken
didonai). Siamo polvere, ed in polvere ritorneremo! La morte Ia sola possibilit autentica! Prima o poi,
toccher a tutti! E tuttavia questo profondo pensiero resta anche una sublime
banalit, ed inoltre non appare chiaro perch Anassimandro ha deciso di usare un
surreale linguaggio giuridico e giudiziario (adikia, diken didonai). Comunque
la si giri, mi sembra che ci troviamo sempre tra i piedi il termine giu-
stizia. Il posteriore commento classico di Aezio, che rappresenta il punto di
vista peri- patetico ispirato ad Aristotele ed a Teofrasto, fa parte della
classe dei commenti che ignora questa ambivalenza naturalistico-giudiziaria, ed
infatti, dopo aver esposto sommariamente la sua tesi (Anaximandros fesi ton
onton archen einai to apeiron) af- ferma subito: E tuttavia Anassimandro
sbaglia [amartanei] perch non dice cos' l'infinito, se aria, acqua, terra o un
qualche altro elemento corporeo [soma]. Sbaglia, inoltre, perch considera la
materia [hyle], ma ignora la sua causa efficiente [aition]. In realt,
l'infinito altro non che materia
[apeiron ouden allo he hyle estin], ed inoltre la materia non pu essere in
atto, in assenza di una sua causa efficiente [poioun aition]. Il commento di
Aezio di enorme interesse. Aezio
rimprovera Anassimandro di non essere aristotelico, ma non dobbiamo
scandalizzarci per questo, perch gli antichi erano molto pi interessati alla
verit o alla falsit di quanto affermavano piuttosto che alla corretta
ricostruzione storiografica del passato. E allora, come non possiamo
rimproverare Aezio di interpretare Anassimandro con il metodo di Aristotele,
non possiamo neppure rimproverarlo perch non utilizza il metodo di Marx della
deduzione sociale delle categorie del pensiero. Ma quello che non possiamo
rimproverare ad Aezio, possiamo rimproverarlo a chi, nel 2013, non ha ancora
preso atto del fatto che Marx esistito,
ci ha lasciato un metodo genetico ed ontologico-sociale, ed bene considerarlo seriamente senza stupidi
risolini di sufficienza e senza virtuose prese di distanza dal cosiddetto
totalitarismo. Ignorando questi buffi personaggi destoricizzanti, la chiave del
problema (gi individuata peraltro da pensatori intelligenti come Havelock,
Mondolfo, Thomson, ecc.) sta nel mettere in rapporto il principio materiale
dellapeiron, e cio dell'infini- to-indeterminato (i due termini non possono
essere separati, pena lincomprensibi- lit finale assoluta) ed il principio
ideale della adikia (ingiustizia). Il frammento di Anassimandro si inserisce
cos nella pi complessiva cultura globale greca (secondo l'approccio corretto di
un Carlo Diano), per cui la filoso- 75 CarrroLo XI fia dei Greci non in alcun modo isolabile dalle loro altre
forme culturali. Cito Diano: La storia della filosofia non pu pi essere fatta
come la storia della pura e nuda filosofia. Chi dal V secolo di Atene toglie, a
mo di esempio, un Eschilo, un Pericle, un Euripide, un Fidia, fa come chi da un
libro togliesse tutti i termini con- creti per lasciarvi solo gli astratti. Non
si poteva dire meglio, anche se ovviamente il consiglio di Diano non stato seguito. E tuttavia io lo seguir, senza
per questo poter garantire la sua verit. L'adikia la violazione del principio del metron, la
regola che e sar fuoco semprevivo
(Eraclito), l'oggetto del pensiero che e
sar eternamente (Hegel). Nelle societ impropriamente dette primitive ciascun
membro della comunit riceveva la giusta parte del prodotto del suo lavoro
(dikaion) come parte non ulte- riormente divisibile (atomon, e poi in latino
in-dividuum) del lavoro sociale collet- tivo (to koinn, da cui deriva
direttamente il termine, indistinguibile per i Greci, di comunit-societ, koinonia).
George Thomson nota che le figure mitiche delle Moire rappresentavano le an-
tenate del clan matriarcale, deputate dalla tradizione al mantenimento
dellegua- glianza. Si trattava di uneguaglianza non ancora mediata dalla
politica, che era in un certo modo vissuta direttamente (kat physin), in quanto
si originava e fioriva direttamente (phyo) dalla comunit sociale stessa
intuita, pensata ed intesa come una sua spontanea e naturale espansione vitale
(bios). Ancora una volta, ripeto che sta qui la vera arch del pensiero
filosofico classico, e non in una anticipazione della facolt di chimica o in un
insieme di incomprensibili detti sapienziali. Thomson nota parimenti che le
Erinni (e ci torneremo nel prossimo capitolo a proposito di Eschilo) non erano
in origine niente altro che queste stesse Moire nel loro aspetto negativo della
condanna dellingiustizia (adikia), in quanto la loro funzione sociale specifica
era proprio quella di perseguitare coloro che avevano violato queste
antichissime leggi religiose egualitarie. Thomson rileva inoltre che, nel
periodo in cui i Greci antichi passarono dalla precedente comunit tribale a
forme embrionali di Stato politico, queste Moire-Erinni furono subordinate a
Zeus (immagine della monarchia, o pi esattamente della monarchia aristocratica,
se riflettiamo sul fatto che il luogo simbolico di questo primato monarchico
era il posto d'onore nel banchetto degli altri dei). Zeus, distributore massimo
della dike, e cio della giustizia, cos
il soggetto sim- bolico titolare di un concetto che avr poi una ricca
evoluzione semantica, che sun- teggeremo tra poco. Prima, per,voglio far notare
che mentre l'et moderna, carat- terizzata dallaccumulazione capitalistica
illimitata e dalla legalizzazione della dismisura proprietaria che si pensa
come duplicazione sociale dell'universo fisico infinito, ha prodotto una
costituzione formalistica del soggetto (Cartesio, Kant, ecc.), carat- terizzato
da una capacit astratta di conoscenza (duplicazione, quest'ultima, del
sottostante lavoro astratto), l'et antica ha pensato invece il soggetto nei
termini di garanzia dellamministrazione della Dike, e chi non riflette su
questo fatto ma- croscopico dovrebbe dedicarsi a tutto, salvo che alla storia
della filosofia. 76 L'Apeiron di Anassimandro: il pericolo dell'infinitezza
delle ricchezze individuali per la convivenza comunitaria La ricca evoluzione
semantica del concetto di giustizia (dike, donde il diken dido- nai di
Anassimandro) pu essere riassunta in sei punti: Sentiero, e quindi via da
seguire per tutto il gruppo, ed anche per l'individuo isolato rimasto per caso
staccato dal gruppo stesso. Ricordo qui ancora il giudizio dato dal sinologo
americano Graham, per cui la filosofia cinese sarebbe stata caratterizzata
dalla via (#20) e non dalla verit. Non
esatto. La filosofia occidentale, correttamente ricostruita, si origina
proprio da un concetto di via (dike), intesa come sentiero co- munitario della
vita razionale. Abitudine, e quindi insieme di comportamenti che sono etici
pro- prio perch precedono ogni successiva problematizzazione morale, la quale
nasce soltanto sulla base di un'imputazione astrattamente in- dividualizzante.
A questo significato fanno riferimento sia letica di Aristotele (lethos
comunitario si basa sulle abitudini sociali introietta- te dallindividuo
libero, razionale ed autosufficiente) sia la posteriore eticit di Hegel (i
Sitten, che devono presupporre a
differenza che in Aristotele la
problematizzazione morale individuale definita peraltro da Hegel non morale, ma
invece significativamente moralista). Vendetta o Punizione. E quindi, da un
lato vendetta come peculiare forma di invidia intesa come corruccio (il
phthonos ton theon, l'invidia degli di nella tragedia antica), e dall'altro
come punizione per la vio- lazione di un equilibrio (isorropia). Vedremo nel
prossimo capitolo che la politica nasce in Grecia come tecnica razionale (e cio
arte prati- ca, techne) per garantire non l'eguaglianza (la democrazia antica
non comunista, e tantomeno di sinistra),
ma l'equilibrio, equilibrio impossibile se la dismisura fra le ricchezze
non frenata (katecho, katechein) dalla
politica stessa. Questa isorropia
evidentemente spo- stata simbolicamente da Anassimandro nella natura, e
qui si radica a mio avviso lunit ontologico-sociale fra apeiron (principio
materiale) ed adikia (violazione di un principio morale). Altro che la fallacia
natu- ralistica di David Hume e la distinzione fra giudizi di fatto e giudizi
di valore in Max Weber! Giudizio, e quindi razionalizzazione logica (logos), in
cui il termine logos assume prima una veste calcolante dei rapporti geometrici
pro- iettati sulla convivenza sociale (il logos di Pitagora), e poi una veste
discorsiva dovuta alla costituzione democratica degli ateniesi, basata sulla
isonomia (eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alle leggi) e sulla 77
CarrroLo XI isegoria (diritto di tutti i cittadini di parlare in assemblea), e
si tratta ov- viamente del notissimo /ogos di Socrate (dialogos, oppure pi
propria- mente secondo linterpretazione di Olaf Gigon, sokratiks logos). La
personificazione della Dea della Giustizia. Qui Thomson nota corret- tamente
che lantropomorfizzazione esplicita dei principi della convi- venza sociale
(archai) non originaria, ma sopravviene
soltanto in un secondo momento, quando i culti passano dalla fase
tribale-famiglia- re alla fase comunitario-politica. La personificazione della
Dea della Giustizia implica ovviamente il passaggio dalla vendetta al giudizio,
passaggio descritto in modo sublime nella Orestea di Eschilo. L'idea astratta
di Giustizia. Si tratta evidentemente di un momento posteriore che presuppone
storicamente l'elaborazione razionale e dia- logica del momento precedente.
Ancora una volta, questa elaborazione presuppone lerroneit della tesi
illuministico-feuerbachiana (ed anche - ahim - giovane-marxiana), secondo cui
ogni forma di religione presuppone una forma precedente di alienazione
(Entfremdung). Non cos. La
religione il presupposto logico e
storico della filosofia, che senza questo presupposto simbolico non esisterebbe
neppure. Ed in- fatti la Dea della Giustizia
il presupposto della posteriore trasforma- zione ed elaborazione
platonica in Idea di Giustizia. Il punto principale di cui impadronirsi
concettualmente in questa ricostruzione di Thomson sta in ci, che come le
Erinni puniscono le trasgressioni alla Moira, cos Dike punisce le trasgressioni
al metron. Impadroniamoci concettualmente di questo punto, e la filosofia greca
smetter di essere il luogo onirico-demenziale di chimici in erba che si interrogano
sui composti primitivi (solo acqua? solo aria? solo brodo primordiale?, ecc.) o
di simpatici perditempo che si chiedono mangiando olive e bevendo vino resinato
se Tutto Sia oppure se invece Tutto Divenga, oppure se Achille riuscir o meno a
raggiungere la famosa tartaruga. Che cos' questo metron? Nei poemi omerici la
parola metron usata soltanto nei
significati concreti e materiali di stecca di misura, oppure di quantit
definita di grano, olio e vino. Ma gi in Esiodo il termine comincia a
significare anche e so- prattutto moderazione, perch comincia ad essere
socialmente chiaro che i nuo- vi rapporti di classe basati sullo sfruttamento e
su di una estrema ed intollerabile disuguaglianza porterebbero appunto alla
dissoluzione (phthor, nel linguaggio di Anassimandro) di cui poi lintera
comunit umana dovrebbe pagare il fio (diken didona). Il limite, metron, quindi prima di tutto il frutto di un
approccio concettualmen- te razionale alla lotta di classe. Senza porre chiaramente
un limite (peras), linfinito- 78 LApeiron di Anassimandro: il pericolo
dell'infinitezza delle ricchezze individuali per la convivenza comunitaria
indeterminato (apeiron) dissolverebbe lintera societ. Ed il non mettere limiti
non produce soltanto ingiustizia (adikia), ma anche dissoluzione (phthor). Ma
cos' che per sua propria irresistibile natura non conosce limiti? A questa
domanda ha risposto lateniese Solone, che scrisse: La ricchezza non conosce
limiti. Ed il suo seguace ottocentesco Karl Marx ne riprese l'intuizione
scrivendo: La circolazione semplice delle merci
la vendita per la compera - ser- ve da mezzo per un fine ultimo che sta
fuori dalla sfera della circolazione, cio per l'appropriazione dei valori
d'uso, per la soddisfazione dei bisogni. Invece la circolazione del denaro come
capitale fine a se stessa, poich la
valorizzazione del valore esiste soltanto entro tale movimento sempre
rinnovato. Quindi il movimento del capitale
senza misura. Solone scrive: La ricchezza non conosce limiti. Marx
scrive: Il movimento del capitale senza
misura. Il lato dellontologia dell'essere sociale, per cui essa si occupa di ci
che , ed eternamente, ci permette di
situare i rilievi di Solone e di Marx sullo stesso piano ideale,
logico-ontologico. Il lato dellontologia delles- sere sociale per cui essa il proprio tempo appreso nel pensiero ci
costringe invece a situare questi due rilievi, separati da duemila e
cinquecento anni, in una determinazione specifica (Bestimmung) che individui i
due diversi modi di produ- zione in cui agiscono Marx e Solone. Marx si muove
con tutta evidenza allinterno del modo di produzione capitalistico. Ma Solone,
in che modo di produzione si muove? Sbagliare la connotazione del modo di
produzione in cui si muove Solone significherebbe rovinare tutto. Ma io
assicuro il lettore che non roviner tutto. 79 XII LA RIFORMA DEMOCRATICA DEL
PITAGORICO ATENIESE CLISTENE COME APPLICAZIONE POLITICA DIRETTA DELLA CENTRALIT
DEL METRON E DELL'ISORROPIA, FONDAMENTI ONTOLOGICO-SOCIALI DEL SAPERE
FILOSOFICO ANTICO Cominciamo con un innocente indovinello: che cosa hanno in
comune i seguaci totalitari e trinariciuti del materialismo dialettico di
Stalin, i seguaci della filosofia del martello dello scriba del caos Nietzsche,
ed infine i seguaci liberaldemocrati- ci e politicamente corretti di Hannah
Arendt? Che cosa unisce gli esponenti filoso- fici della sinistra comunista
(Stalin), della eterna destra fascista dei superuo- mini che dominano sui
malriusciti invidiosi (Nietzsche), ed infine del centro virtuoso lontano dai
due incresciosi opposti estremismi (Arendt)? Rispondere a questo indovinello
equivale a partire con il piede giusto per l'apprezzamento storico-genetico ed
ontologico-sociale del pensiero greco classico. Tutti costoro hanno in comune
una pittoresca ed incurabile ignoranza sulla na- tura sociale e classista
dell'antica Atene. Essi infatti danno assolutamente per scon- tato che si sia
trattato di una societ schiavistica divisa polarmente in liberi ed in schiavi,
in cui i liberi non facevano niente dalla mattina alla sera (e per questo pote-
rono creare larte, la filosofia, la tragedia, la commedia, ecc.), mentre gli
schiavi, con il loro duro lavoro, li mantenevano e consentivano loro la vita
activa e la pratica politica della democrazia. E invece le cose non stavano
assolutamente cos. Il modo di produzione, e quindi i rapporti sociali di
produzione dominanti nella Atene classica, non era affatto schiavistico, ma era
un modo di produzione basato sui piccolo produttori indipendenti. La schiavit
ovviamente c'era, ma ad Atene re- stava relativamente marginale (miniere del
Lavrion, polizia scitica di schiavi di Stato, ecc.). La stragrande maggioranza
dei cittadini liberi lavorava, ed il modo di produzione schiavistico vero e
proprio dovette aspettare le conquiste orientali del bandito macedone
Alessandro, incendiario di Persepoli ed uccisore dei suoi stessi amici nel suo
perenne stato di ubriachezza, e poi le conquiste di quella Roma il cui impero
rappresent storicamente lunit degli interessi di tutte le classi schiavisti-
che del Mediterraneo, come peraltro l'impero americano rappresenta oggi lunit
di tutte le oligarchie finanziarie del mondo capitalistico occidentale (e se
cos non fosse, non si spiegherebbe la presenza di basi militari fornite di armi
nucleari in Italia a pi di sessanta anni dalla fine della seconda guerra
mondiale). L'antica Atene era quindi sostanzialmente una societ di piccoli
produttori in- dipendenti, prevalentemente commercianti, agricoltori ed
artigiani, e non fu mai quella specie di agriturismo per conversatori oziosi
mantenuti dagli extra-comu- nitari che si sono immaginati Stalin, Nietzsche ed
Hannah Arendt. Per capire que- sto fatto elementare non c' neppure bisogno di
conoscere il greco moderno (che 81 CarrroLo XII per aiuterebbe, vedi gli studi
di Thanassis Kalomalos), il giapponese o il birmano, perch esiste gi un'ottima
bibliografia nella pi accessibile lingua inglese (e si veda l'ottimo studio di
Ellen Meiskins Wood). Tuttavia, questa segnalazione resta del tutto inutile,
perch i peggiori sordi sono coloro che ci sentirebbero benissimo, ma si tappano
le orecchie, ed i peggiori ciechi sono quelli che ci vedrebbero benissimo, ma
chiudono gli occhi come la nota scim- mietta. E dunque non ci curiamo di loro,
ma guardiamo e passiamo. I loro pitto- reschi pregiudizi ricoprono per una
specifica funzione sociale, che compendier qui ancora una volta: la
destoricizzazione in generale ricopre una funzione ideo- logica inestimabile
per le classi dominanti, che quella di
impedire la formazione di una coscienza storica critica, che demistificherebbe
la pretesa di naturalit astorica del loro dominio; la destoricizzazione
specifica della filosofia greca antica
decisiva, perch la filosofia greca antica il codice genetico dellautocoscienza
culturale del mondo occidentale. Riprendersi simbolicamente Atene quindi una parte essenziale del
ristabilimento di un punto di vista ontologico-sociale pi generale. I Greci
misuravano i loro anni partendo dai primi giochi di Olimpia (776 a.C.).I giochi
di Olimpia erano di tre tipi (corsa, lancio e lotta), ed evidente che simula- vano mimeticamente i tre
principali movimenti della guerra oplitica (corsa contro l'avversario, lancio
ad un certo punto del giavellotto contro di lui, ed infine scontro fisico corpo
a corpo). E per, se la guerra vera e propria (polemos) era senza regole, la
lotta olimpica (agn) si basava invece sulle regole (nomoi). Le regole olimpiche
furono in una certa misura il modello della posteriore regolamentazione demo-
cratica, che anch'essa una lotta (agn)
regolata in modo ferreo (nomo). Le regole sono quindi un compromesso fra due
principi opposti, il principio dellillimita- tezza dei mezzi da usare per
vincere ed il limite delle regole imposte ad un agone razionalmente regolato.
Ancora una volta, ricordo la prima opposizione della lista dei contrari, quella
fra limite ed illimitato. La fondazione artistica della democrazia ateniese,
lOrestea di Eschilo, si basa anch'essa su questa dialettica. Per capirlo, basta
richiamare brevemente il contenuto delle sue tre tragedie: l Agamennone, le
Coefore e le Eumenidi. Nell'Agamennone
messo in scena il ritorno da Troia di Agamennone. Ma men- tre Ulisse
trova a casa la fedele Penelope, Agamennone trova invece la moglie Clitennestra
ed il suo amante Egisto che lo uccidono mentre sta facendo il bagno. Dal
momento che i Greci credevano nella maledizione del destino per i crimini fat-
ti dai propri predecessori, la sua concubina Cassandra ricorda il crimine del
padre di Agamennone, Atreo, che, per vendicarsi del fratello Tieste che aveva
insidiato sua moglie, gli aveva ucciso i figli e gliene aveva servito le carni
arrostite facendole passare per selvaggina. Lo stesso Agamennone, peraltro,
aveva sacrificato agli di dieci anni
prima la figlia Ifigenia, per propiziare
la partenza degli Achei verso Troia. Eschilo vuole in questo modo ricordare
agli ateniesi che le origini non sono caratterizzate da una sorta di stato di
natura felice, ma da uno stato perenne di caos e di crudelt, 82 La riforma
democratica del pitagorico ateniese Clistene: centralit del metron e
dell'isorropia e che quindi la polis degli ateniesi il risultato di un processo di incivilimento
ra- zionale. Allinizio non c'erano gli agriturismi di ecologisti felici e
seminudi, ma il massimo di crudelt e di ferinit incontrollata. Nelle Coefore i
figli di Oreste ed Elettra promettono al padre di fargli vendetta, ed il fatto
che la vendetta venga ancora identificata con la giustizia testimoniato dal fatto che egli mandi al loro
fianco la dea della giustizia (e cio il quinto signifi- cato di dike segnalato
nel precedente capitolo). Oreste uccide quindi con un ingan- no sia Egisto che
la madre Clitennestra. E subito gli compaiono davanti furibonde le Erinni, le
antiche dee della maledizione. Nelle Eumenidi, infine, Atena chiamata a giudicare Oreste (il terzo
significato di dike), e sceglie una giuria popolare composta dai migliori
(aristoi) membri della comunit che lei protegge (e cio Atene, perch Atene la proiezione simbolica della lontana Micene
di Agamennone). Met dei giurati vota per la condanna e met per l'assoluzione.
Atena decide che la parit dei voti sia a favore dellaccu- sato. Alle Erinni che
imprecano contro il verdetto, Atena ribatte che la giustizia si difende con le
regole della democrazia, grazie alle quali [...] Zeus protegge chi parla, e fa
sempre prevalere ci che bene nella
contesa di sole parole. E tuttavia Atena non disprezza affatto le Erinni, ed
afferma: destino delle Erinni di rego-
lare tutte le vicende degli uomini. Chi non comprende che il dolore proviene da
queste dee, privo della sapienza che
riconosce i veri mali della vita. In queste due affermazioni di Atena racchiusa la chiave simbolica della
democrazia antica. Da un lato, Zeus fa sempre prevalere ci che bene nella contesa di sole parole. Dall'altro,
le Erinni devono restare nella sua citt, da tutti onorate. Si tratta di un
compromesso simbolico. Ed infatti la democrazia
frutto di un compromesso politico-sociale, che a sua volta deriva da una
elaborazione razio- nalistica degli esiti dissolutori della lotta di classe fra
ricchi e poveri. Il fatto che oggi la filosofia universitaria si occupi di
tutto, ma non di questo, segnala la sua lontananza dall'oggetto della filosofia
degli antichi Greci. Un semplice riassunto sommario del processo di costituzione
della democrazia ateniese infatti il
prin- cipale testo filosofico del mondo antico, e si dovrebbe allora imparare a
leggerlo ed interpretarlo, prima nella sua formazione (Clistene), e poi nella
sua critica interna (Socrate) ed esterna (Platone). Verso la fine del VII
secolo la polis degli ateniesi era dominata da un gruppo di aristocratici che
avevano per effettuato una riconversione oligarchica. In segui- to
all'introduzione della moneta coniata attraverso i mercanti delle vicine isole
di Eubea e di Egina, una parte del ceto aristocratico ateniese trad le antiche
norme che regolavano la propriet collettiva della terra, vendendo ai mercanti
egineti i prodotti delle terre che amministrava in nome della dea Atena, come
se si fosse trattato di propriet private. Si venne cos a determinare una
situazione per cui i contadini, se per una qualsiasi ragione, come un cattivo
raccolto, una guerra, o al- tro ancora, non riuscivano a trarre il necessario
per vivere dal loro lotto di terra, si vedevano costretti ad acquistare il
necessario per vivere nel mercato, dal momento che lorganizzazione
collettivistica della comunit arcaica si era nel frattempo dis- 83 CarrroLo XII
solta. I contadini giungevano a contrarre debiti con i ricchi possidenti
aristocratici, offrendo come garanzia lipoteca sulla loro terra e addirittura
sulla loro stessa perso- na. Molti contadini poveri, non potendo saldare i
debiti, furono ridotti in schiavit. Chi conosce ed ha letto il capitolo
dedicato da Marx nel primo libro del Capitale alla cosiddetta accumulazione
primitiva del capitale potr assimilare pi facilmente questa importante lezione
ontologico-sociale. In questo modo Atene era sull'orlo della dissoluzione:
l'apeiron della accumu- lazione delle ricchezze, non regolato dal metron,
portava alla resa dei conti (diken didonai). Nel 592 a.C., per salvare la
comunit dalla disgregazione, fu nominato con pieni poteri il saggio Solone.
Solone percorse una via di compromesso, che dimo- stra come la democrazia sia
nata sulla base di un approccio razionalistico alla lotta di classe (proprio
quello che oggi sembra inesistente, in quanto nulla arresta lo stra- potere
delle oligarchie finanziarie e la moderna forma di schiavit, il lavoro flessi-
bile e precario). Egli legittim i rapporti mercantili, legalizz la propriet
privata e la circolazione monetaria, ma abol la schiavit per debiti dei
cittadini ateniesi. Questo provvedimento fu lunico limite che impose allo
sviluppo dell'economia mercantile, impedendo di trasformare in merce anche i
membri della comunit. I cittadini ateniesi, pur divisi per censo e con un
accesso diseguale alle pubbli- che cariche, avrebbero potuto far valere i loro
diritti riunendosi periodicamente in un'assemblea generale (ecclesia). Racconta
Plutarco: Solone aveva scontentato i ricchi, perch aveva annullato i loro
crediti, ma aveva scontentato ancora di pi i poveri, perch non aveva riparti-
to le terre fra i cittadini, n li aveva resi economicamente eguali, come aveva
fatto Licurgo a Sparta. I cento anni che seguirono la riforma di Solone videro
quindi lo sviluppo di una vera e propria lotta di classe. Quest'ultima non si
svolse per con la costituzione di due partiti politico-ideologici (optimates e
populares a Roma, comunisti e liberali nel Novecento europeo, ecc.), ma con una
divaricazione geo- grafico-territoriale fra gli abitanti della costa dellAttica
(paraliaci), gli abitanti della pianura coltivata e della citt abitata
(pediaci), ed infine gli abitanti delle terre mon- tane (acriti). I tre gruppi
sociali perseguivano strategie di arricchimento diverse (i paraliaci con il
commercio marittimo, i pediaci con i pascoli di allevamento), mentre gli acriti
erano essenzialmente produttori di grano per il mercato interno. Il cosiddetto
tiranno Pisistrato, pur provenendo da una ricca famiglia di mer- canti, esercit
un potere populistico per pi di trent'anni, basandosi sui pi po- veri (chi
cerca analogie con l'oggi sempre
irresistibili, e sempre ingannatorie - le pu forse trovare nel peronismo
argentino). In ogni caso, il conio della prima mo- neta dargento di Atene, la
dracma con su impressa limmagine della civetta, fu il fattore decisivo per la
riformazione dei partiti antagonisti dei ricchi e dei,poveri. Si ripresentavano
pari pari le condizioni distruttive del tempo di Solone. Nacquero allora ad
Atene i due veri propri partiti politici, quello aristocratico di Isagora e
quello democratico di Clistene. Isagora chiam per due volte in suo soccorso gli
spartani di Cleomene. Clistene fece appello al popolo (demos), prese il potere e
var una costituzione integralmente democratica, in cui tutti i cittadini (si 84
La riforma democratica del pitagorico ateniese Clistene: centralit del metron e
dellisorropia intende, i maschi liberi con cittadinanza, non le donne, gli
schiavi e gli stranieri) potevano non solo votare, ma partecipare al potere
politico, essere eletti in cariche di potere, e ricevere anche un sussidio per
le giornate di lavoro perse per assistere alle tragedie ed alla commedie, i cui
autori ricevevano stipendi pubblici regolari per la loro composizione. Il
cosiddetto teatro, infatti, era una cerimonia pubblica di purificazione
spirituale (katharsis), e non certamente uno spettacolo tipo quelli di
Shakespeare, Corneille o Molire. Se il problema stava nella divaricazione di
interessi fra paraliaci, pediaci ed acriti, la soluzione fu la loro mescolanza
geometrica in demoi (cio in circoscrizioni elet- torali, che sostituivano cos
le vecchie trib): in ogni demos ci stava una parte di paraliaci, una parte di
pediaci ed una parte di acriti. Si tratt di una scelta ispirata al pitagorismo,
per cui alcuni autori (come il francese Lvque) hanno correttamente parlato del
pitagorico Clistene. Ed io accetto interamente questa ipotesi inter- pretativa.
Clistene, come poi Pericle, faceva parte del clan aristocratico degli
Alcmeonidi. Questo ha spinto alcuni commentatori frettolosi (Luciano Canfora ed
altri) a so- stenere che la cosiddetta democrazia non mai esistita, che il popolo non mai andato al potere, che le lites sono
inevitabili in qualunque regime, in quanto gli Alcmeonidi (come gi prima
Pisistrato ed il figlio Ippia) erano sempre e solo stati degli oligarchi che
avevano governato sfruttando per i loro scopi l'appoggio po- polare. Non questa la mia opinione. Che Clistene e
Pericle (il pitagorico Clistene e l'anassagoreo razionalista Pericle) si siano
appoggiati al demos, un fatto storico
incontrovertibile. Ma ci che conta non
questo, quanto il fatto che attraverso questa mescolanza territoriale e
pitagorica si perseguita effettivamente lisorropia,
e cio l'equilibrio sociale, e che l'economia di mercato individuale stata regolata dalla misura comunitaria. Si
tratta del punto filosofico essenziale. Il fatto che que- sto punto non possa
essere capito ed assimilato, da un lato, dai fautori dell'eterno destino
elitario del dominio di alcuni ricchi illuminati sulla massa dei pecoroni
plaudenti, e dall'altro da coloro che hanno creduto (e tuttora credono) che gli
ate- niesi non facessero nulla dal mattino alla sera (e per questo potessero
filosofare, ecc.), in quanto mantenuti da schiavi da liberare (Stalin), da
picchiare anche di pi (Nietzsche), oppure da ignorare in quanto non iscritti
all'universit (Hannah Arendt), non cambia la realt delle cose. In compagnia
ideale con coloro che invece lo hanno capito, andremo avanti verso la figura di
Socrate. - 85 XII. SOCRATE, IL MOSCONE FASTIDIOSO DEL NOBILE CAVALLO DELLA
DEMOCRAZIA DEGLI ATENIESI. LA CRITICA RAZIONALE AL FALLIMENTO POLITICO DEGLI
AUTOMATISMI DEL MODELLO DEMOCRATICO DI CLISTENE Ges di Nazareth e lateniese
Socrate hanno in comune una cosa, e cio di non aver scritto niente, per cui
tutto ci che hanno (o avrebbero) detto ci viene da altri, e questi altri non
sono sempre affidabili. Per quanto riguarda Ges di Nazareth ed i Vangeli
canonici ed apocrifi ne accenneremo pi avanti. Per quanto riguarda Socrate
dobbiamo fidarci di Platone e di Senofonte, e gi Hegel diceva che il se- condo
era pi affidabile, perch non avendo un suo personale sistema filosofico da
promuovere, non aveva bisogno di nobilitare le sue personali posizioni teoriche
retrodatandole a Socrate. In ogni caso, in questo capitolo partir dal presuppo-
sto, che so peraltro filologicamente molto discutibile, che ci che ha veramente
detto Socrate sia ci che contenuto nei
cosiddetti dialoghi socratici di Platone, perch in quanto agli altri dialoghi,
ed in particolare i pi tardi, del tutto
evidente e non contestato da nessuno che Socrate un puro prestanome dei punti di vista
pitagorici di Platone. Io parto invece dal fatto che Socrate non fosse un
pitagorico, e quindi non sia sta- to un teorico dell'educazione (paideia) della
classe dei reggitori della Repubblica, non sia stato un sostenitore della
geometria come propedeutica dellarte di go- vernare, ed in altre parole che non
sia stato un megafono di Platone. In accordo con l'ormai vecchia
interpretazione di Olaf Gigon, credo che Socrate sia stato il portavoce di una
forma culturale del patriottismo nazionalistico ateniese, per cui Atene, oltre
che essere la citt della scultura e dellarchitettura, della tragedia e del- la
commedia, era anche la capitale indiscussa del sokratiks logos, che non era
tanto una ben precisa teoria filosofica determinata (per esempio, la teoria
dellesistenza della verit contro il relativismo), quanto piuttosto una forma
socio-culturale, quella dell'estensione della isegoria politica nell'assemblea
(ecclesia) alla isegoria filosofica nel mercato (agor), in evidente omologia e
parallelismo. Atene era il luogo della parrhesia, e cio del parlare libero e
chiaro aperto a tutti (a tutti, compresi gli stra- nieri, gli schiavi e le
donne, e questa apertura globale caratterizzer anche la scuola epicurea del
Giardino e la scuola stoica del Portico, entrambe nate ad Atene, e solo pi
tardi estesesi altrove). Il sokratiks logos, quindi, non tanto un contenuto spe- cifico determinato
quanto una forma sociale, l'estensione della isegoria dall'ecclesia allagor.
Che poi lempirico Socrate non fosse d'accordo con Protagora e con Gorgia certo rilevante, ma non decisivo. Ma chi era
Socrate? La risposta facilissima, perch
lha fornita lui stesso. Socrate era il moscone fastidioso e linsopportabile
tafano che ronzava continua- 87 CarrroLo XIII mente intorno al nobile cavallo
della polis degli ateniesi. Se vogliamo prendere sul serio questa
auto-attribuzione (come io faccio), allora ne conseguono alcune cose. Primo,
che il Socrate autentico non era un sapiente di tipo pitagorico come il suo
(indiretto) allievo Platone, in quanto i sapienti di tipo pitagorico si
aggrega- vano abitualmente insieme in comunit politico-religiose, e non
andavano in giro a chiacchierare nellagor con giovani e vari sfaccendati.
Secondo, che il Socrate autentico non era un nemico della democrazia, come la
pigrizia storiografica lo dipinge. Se infatti Socrate viene indagato con un
metodo ontologico-sociale, che lo collochi cio nel suo contesto comunitario,
l'attribuzione di nemico della demo- crazia a Socrate non sta n in cielo n in
terra. Esaminando il modo in cui questa sciocchezza ha potuto sorgere, e
tornando poi al Socrate storico e non alla sua proiezione retroattiva
destoricizzata e desocializzata, potremo capire molte cose preziose. Qui
infatti la destoricizzazione e la desocializzazione, nemiche dellap- proccio
storico-genetico ed ontologico-sociale, celebrano i loro grotteschi trionfi.
Chi scrive non ritiene affatto di stare vivendo oggi in una democrazia. Volendo
definire il dispotismo smisurato del denaro che ci domina, e che militarmente ga- rantito da un impero armatissimo
a legittimazione messianico-veterotestamentaria (e quindi per nulla greca), lo
definirei una oligarchia finanziaria globalizzata che viene legittimata
periodicamente da plebisciti pluralisti ampiamente manipolati (sondaggi,
finanziamenti stratosferici ai politici buoni e marginalizzazione diffa-
matoria dei cattivi da parte del circo mediatico asservito, ecc.). Volendo per
giocare al gioco del politicamente corretto, ipotizziamo che si tratti invece
veramente di una democrazia, e vediamo allora con un metodo storico-
contrastivo le differenze con l'antico modello classico ateniese. Queste
differen- ze non stanno affatto come
scrisse nel 1819 Benjamin Constant - nel fatto che la libert degli antichi
sarebbe stata collettivistico-comunitaria mentre quella dei moderni (cio dei
ricchi: per lo sfacciato Constant vigeva l'equazione Moderno = Ricco) avrebbe
avuto come suo fondamento il diritto assoluto di godersi le proprie ricchezze
senza rompiscatole giacobino-comunisti. La differenza essenziale stava nel
fatto che gli antichi, ignari della fallacia na- turalistica, del disincanto
del mondo, del politeismo dei valori, della separazio- ne kantiana fra
categorie dell'essere e categorie del pensiero, della smentita delle
grandi-narrazioni, ecc., credevano in genere nell'esistenza del Bene, non ancora
definito in modo neoplatonico-cristiano ma concettualizzato ancora in modo co-
munitario (Bene = Garanzia del metron, oggetto della dike), e quindi non
potevano rassegnarsi alla semplice automaticit del principio numerico-casuale
di maggio- ranza. Senza aver ancora letto Joseph Ratzinger, i Greci antichi
sapevano perfet- tamente che la semplice decisione politica (boulesis) fondata
sul puro principio di maggioranza equivaleva esattamente a ci che oggi viene
definito come nichili- smo o come relativismo. Gorgia, ritenuto un sostenitore
di entrambi, non era un filosofo, ma un retore giudiziario, e quindi un
avvocato. Nessuno pu oggi sostenere seriamente che gli avvocati siano i
titolari del vero e del falso, visto che il loro mestiere consiste esat- 88 Socrate:
La critica razionale al fallimento politico degli automatismi del modello
democratico di Clistene tamente nel far assolvere un criminale che ha
strangolato un intero caseggiato. In quanto a Protagora, ritenuto da molti
superficiali un relativista, perch sostene- va che luomo era la misura di tutte
le cose, non era affatto un relativista, ma un normativista antropologico (come
Aristotele e Ratzinger, del resto), in quanto par- tiva non da questo o da
quell'uomo, ma proprio dal buon vecchio concetto univer- sale unitario di Uomo
con la U maiuscola, proprio il concetto che gli althusseriani amano come i tori
il panno rosso. Socrate apparteneva a questo mondo, un mondo che credeva che il
Bene esi- stesse veramente, coincidesse con il Vero, non fosse n relativo n
convenzionale, ed appunto per questo ronzava come un tafano nell'agor rompendo
le scatole al nobile cavallo della polis degli ateniesi. Niente pi stupido ed anacronistico che
rappresentarsi Socrate come un partecipante habermasiano ad una tavola rotonda
di professori universitari o ad un pensionato perdigiorno. Erede della
concezione precedente di verit (vero ci
che garantisce la riproduzione comunitaria, falso ci che la mette in pericolo), cos come della
concezione precedente di giustizia (giusto
ci che frena katechein lo scatenamento dellillimitato apeiron
con l'imposizione della giusta misura
metron), Socrate criticava la democrazia atenie- se dall'interno. Non
era quindi un nemico della democrazia, se non per i teorici del forma- lismo alla
Kelsen-Bobbio per cui la democrazia non pu essere definita in modo sostanziale
a partire dai suoi contenuti, ma soltanto in modo formale a partire dalle sue
procedure. Socrate era il pensatore meno bobbiano che sia mai esistito, e chi
non lo capisce non capisce proprio nulla. Un insigne rappresentante di coloro
che non capiscono nulla di Socrate stato
il pur volenteroso e benintenzionato professore americano Stone, che ha
riscritto in modo avvocatesco la famosa Apologia di Socrate. Come noto, lApologia il discor- so di difesa che Socrate ha tenuto
davanti alla foltissima giuria popolare che poi lo condann a morte con il
veleno indolore della cicuta. Sulla competenza delle giurie popolari basterebbe
leggere le Vespe di Aristofane, ma nel caso di Socrate il processo fu
interamente politico. Formalmente, si trattava di due accuse, che Socrate defin
la vecchia accusa(quella di non credere agli di della polis) e la nuova accusa
(quella di corrompere i giovani con le sue opinioni politiche
antidemocratiche), ma in real- t si trattava di una resa dei conti politica
contro coloro che avevano collaborato direttamente con gli Spartani oppure
contro coloro che erano stati troppo tiepidi con l'occupazione (e Socrate, non
avendo fatto parte della giunta collaborazionista di Crizia, poteva essere
collocato nel secondo gruppo). L'avvocato francese Vergs, esperto in processi
politici, ha spiegato in unopera fondamentale che quando si di fronte ad un processo politico si pu decidere
se strisciare come vermi chiedendo piet, decidere di attenersi unicamente ad un
livello procedurale formale, sfidare apertamente i giudici rivendicando il
proprio operato, oppure dichiararsi non-colpevole. Socrate si difese da solo, e
sostenne so- stanzialmente di non essere colpevole: non vero che non credeva negli di della 89
Carrroo XII polis, e non vero che
corrompeva i giovani; anzi, avrebbe dovuto ricevere una pensione dallo Stato
(mantenimento a vita nel Pritaneo, ecc.). Con questa ultima richiesta imbestial
i bizzosi pensionati ateniesi, e fu condannato a morte. Rifiut l'offerta di
scappare (cfr. Critone) e pass le ultime ore prima di morire dissertando
sullimmortalit dell'anima in modo apertamente orfico-pitagorico (e interpreta-
to alcuni secoli dopo come precristiano). Cos muore aggiungo io
un patriota ateniese sincero, un moscone della democrazia, un eroe
comunitario. Altro che un filosofo da bar o un nemico della democrazia! Stone
non ci capisce nulla, e riscrive lintera Apologia, sostenendo di aver trovato
duemila anni dopo la giusta strategia processuale con cui Socrate avrebbe
potuto probabilmente essere assolto. Riporto qui sommariamente la riscrittura
difensiva di Stone, perch si tratta di un vero capolavoro di destoricizzazione
e di desocia- lizzazione integrale, che mostra gli abissi tragicomici di ogni
rifiuto dell'approccio ontologico-sociale. Stone infatti afferma che Socrate
non avrebbe dovuto fare una difesa sostanzialistica, affermando di essere nel
giusto e cos irritando i pensio- nati ateniesi (Stone ha certamente in mente le
giurie dei telefilm tipo Perry Mason), ma avrebbe dovuto fare unarringa
puramente formalistica, sostenendo che ad Atene cera il diritto astratto di
dire tutto quello che uno pensava (Stone traduce cos il termine greco
parrhesia, che significa invece sincerit, veridicit, diciamoci la verit, e non
invece diritto astratto di dire quello che uno vuole), e pertanto anche lui
aveva avuto il diritto di farlo. E quindi, perch condannarlo a morte se si era
limitato a fruire del diritto di dire quello che pensava? Ed in quanto a quello
che Socrate veramente pensava, Stone gli attribuisce apertamente l'ostilit
verso la democrazia. Non mi sarei soffermato tanto a lungo sul pittoresco
equivoco di Stone, se dietro a questo equivoco non ci fosse un intero gigantesco
complesso di fraintendimenti. In breve, la distinzione fra il diritto formale
di dire tutto quello che uno pensa e l'eventuale contenuto di verit e di
giustizia di quello che uno dice
distinzione che Stone fa retroagire storicamente fino a Socrate non nasce prima del Settecento europeo, e
nasce appunto soltanto nel Settecento europeo perch con lo sviluppo del modo di
produzione capitalistico ci che uno dice diventa interamente irrile- vante,
perch non fonda pi i presupposti della convivenza comunitaria, fondata ormai
sullabitudine dello scambio (David Hume, Adam Smith), e quindi, diven- tando
irrilevante, pu essere interamente liberalizzata. Socrate era del tutto
estraneo a questa situazione storico-sociale, che pi tar- di Lukdcs nella sua
Ontologia dell'Essere Sociale definisce onnipotenza astratta e concreta
impotenza. E mai definizione fu pi esatta e geniale, in quanto lonni- potenza
astratta di poter dire quel che si vuole (o quasi; si pu infatti riempire di
fango tutto, da Dio al comunismo al sesso maschile, ma non discutere la proble-
matica dellolocausto ebraico) si coniuga alla concreta impotenza di intervento
sui meccanismi anonimi della globalizzazione economica, dellimpoverimento e
della precariet sociali di massa, della distruzione ecologica del pianeta, ed
infine sui processi di istupidimento antropologico di massa prodotti dalla
sinergia di cir- 90 Socrate: La critica razionale al fallimento politico degli
automatismi del modello democratico di Clistene co mediatico, pulsione
consumistica eccessiva e distruzione della scuola da parte delle cavallette
sindacalistiche e psico-pedagogiche di vario tipo. Lasciamo stare il grande
Socrate. Socrate, moscone della democrazia, eroe del dialogo, credeva nella
unit veritativa delle categorie del pensiero con la giu- stizia comunitaria
delle categorie dell'essere sociale. Pensare che avrebbe potuto essere invitato
al ballo sociale dei relativisti significa non capire assolutamente niente
della Grecia antica. 91 XIV. PLATONE, UN PITAGORICO SOCRATICO, LE BASI
ONTOLOGICO-SOCIALI DEL MODELLO IDEALISTICO BIMONDANO E L'INDIVIDUALIZZAZIONE
DELL'IDEALE DELLA ISORROPIA ALL'INTERNO DELL'ANIMA DEL SINGOLO La grandezza di
Platone stata tale, da rendere difficile
commentarlo adegua- tamente. Platone, infatti, si commenta da s, ed ha avuto
ragione Hegel nel dire che con la sua Repubblica, lungi dallo scrivere una
banalissima utopia program- maticamente inapplicabile, egli ha espresso al suo
punto pi alto lo spirito greco. Lukcs, nella sua Ontologia dell'Essere Sociale,
distingue lidealismo bimondano di Platone (bimondano perch comprende due mondi,
il mondo sensibile ed il mon- do intelligibile delliperuranio) e lidealismo
monomondano di Hegel (monomon- dano perch comprende un solo mondo, il mondo
della storia umana come luogo esclusivo del processo di autocoscienza del
soggetto). Questa distinzione corretta,
ma la sua piena comprensione impossibile
sen- za una complessiva ricostruzione ontologico-sociale dell'intero pensiero
occiden- tale dalle origini ad oggi. La monomondanit, infatti, un risultato che pu essere idealmente
raggiunto soltanto attraverso le vicende della bimondanit. Entrambe sono
ideali, ed ecco perch (come verr chiarito in seguito) non corretto dire che solo la bimondanit ideale mentre la monomondanit sareb- be
materiale. In questo senso, idealisti sono stati sia Platone che Hegel e Marx.
Questa dichiarazione pu certo sembrare apodittica, ma ho preferito anticiparla
gi adesso, perch la sua comprensione non pu aspettare Spinoza, Kant e Hegel, ma
comincia con Platone ed Aristotele. La monomondanit ideale di tipo storico,
impossibile prima del Seicento e del Settecento europeo, ha avuto bisogno per
affermarsi e costruirsi della bimondanit platonica precedente. sul suo terreno, infatti, che la coscienza umana
ha potuto specchiarsi (speculativo, da speculum, specchio) fuori di s. Non ha
dunque nessun senso qualunque operazione di scelta o di preferenza fra Platone
ed Aristotele. Cos come Kant stato il
presupposto indispensabile sia di Fichte che di Hegel, e solo dopo aver
accertato la necessit di questo presupposto
possibile criticare la sua separazione fra categorie del pensiero e
categorie dell'essere, nello stesso modo solo il riconoscimento dell'operazione
bimondana platonica permette di ca- pire che il pensiero aristotelico ha
bisogno di questa operazione come suo presup- posto non solo storico, ma anche
logico. Platone ha avuto e avr centinaia di interpreti. Volendo scegliere (in
modo ine- vitabilmente arbitrario) il migliore ed il peggiore, indicher come
migliore Nicola Cusano, e come peggiore Karl Popper. E spiegher brevemente le
ragioni di questa scelta. 93 CaprroLO XIV Nicola Cusano stato il pensatore che ha utilizzato
creativamente la filosofia di Platone per disegnare il profilo dellumanesimo rinascimentale.
E non a caso, proprio la struttura bimondana del suo pensiero gli permette di
disegnare lau- tosufficienza ideale dellumanesimo. Egli dice infatti: [...] non
ergo activae cre- ationis humanitatis alius extat finis quam humanitas, ed in
questo modo l'umanit stessa diventa il solo fine possibile della creazione. Lo
stesso Cusano, in un bel latino medioevale di facile comprensione, afferma che:
[...] potest igitur homo esse humanus deus atque deus humaniter, potest esse
humanus angelus, humana bestia, huma- nus leo aut ursus, aut aliud quodcumque.
Il presupposto di questa monomondanit assoluta, per cui luomo pu diventare un
dio o una bestia, o qualunque altra cosa (aliud quodcumque), proprio la distanza che si stabilisce fra il
cielo e la terra. proprio perch Dio e le
bestie fanno parte di due mondi idealmente diversi che possiamo poi pensarli
allinterno dello stesso mondo come possibilit alternati- ve. Certo, il platonismo
rinascimentale un fenomeno sociale
individualistico, e quindi non ha molto in comune con il Platone originale, che
era un pensatore co- munitario, il cui pitagorismo geometrico era al servizio
appunto della comunit. E tuttavia Cusano, uomo del Quattrocento a met fra la
Germania e lItalia, visitatore di Costantinopoli prima della sua caduta nel
1453, riesce a cogliere lo spirito di Platone. Per questo l'ho messo al punto
pi alto. Al punto pi basso della vergognosa destoricizzazione metto invece Karl
Popper, autore di un dilettantistico libello che imputa congiuntamente a Platone,
Hegel e Marx la promozione del totalitarismo in quanto nemici della societ
aper- ta. Non contesto affatto il pieno diritto di Popper a giudicare con
implacabile severit il comunismo storico novecentesco veramente esistito
(1917-1991). Sono perfettamente convinto che vi siano ragioni profonde per una
condanna inesorabi- le e senza appello (anche se lo dico subito - non questa la mia opinione storico- politica). Ma
ci che insopportabile e volgare che si scomodino grandi pensatori come
Platone ed Hegel (di Marx se ne parler a parte) per le proprie polemiche di
bassa cucina ideologica. L'antipatia destoricizzata di Popper verso Platone
deve servirci invece da pun- to di partenza ideale per poterlo giudicare
diversamente. Popper un santone
dell'epistemologia e della critica al marxismo, le due colonne teoriche con cui
oggi il successo garantito, nel doppio
aspetto di successo universitario per lepistemo- logia e di successo mediatico
per la critica al marxismo. Si pu quindi ipotizzare che la realt sia invertita
rispetto a quanto sostiene. E infatti Popper si presenta come guru della
cosiddetta societ aperta, e dal momento che la rappresenta- zione
ideologica sempre invertita rispetto
alla realt ontologico-sociale data, ne deriva che egli difende la societ pi
chiusa possibile, la societ capitalistica che si pensa come culmine del
progresso storico e quindi fine simbolica della storia. Contro i modelli di
societ chiuse (che Popper identifica con i progetti rivoluzio- nari, unico
evidente modo di riaprire la storia stessa) egli propone la cosiddetta
ingegneria sociale a spizzico, e cio le riforme di aggiustamento caso per caso,
cosa gi ampiamente nota a Tutankhamen, Nabucodonosor ed a Assurbanipal. 94
Platone: le basi ontologico-sociali del modello idealistico bimondano.
L'isorropia nell'anima del singolo E tuttavia, perch Popper antipatizza per
Platone? Qui sta il cuore del proble- ma. Che antipatizzi per Marx, da lui
scambiato per il padre spirituale ed il consi- gliere segreto di Stalin, in fondo naturale, perch Marx rappresenta il
concetto di rivoluzione. Che antipatizzi per Hegel, parimenti naturale, perch egli condivide il
concetto inglese di civil society come superiore al government (traduzione:
supe- riorit degli automatismi del mercato sugli interventi statali), ed odia
il concetto hegeliano di Stato etico, che probabilmente confonde con
l'imposizione polizie- sca dei mutandoni alle signore che prendono
pacificamente il sole sulla spiaggia. Ma perch se la prende con un signore
morto quasi duemila e cinquecento anni fa, le cui proposte politiche concrete
sono comunque palesemente inapplicabili oggi, e sono inapplicabili sia che ci
piacciano sia che invece non ci piacciano? Forse che possibile pensare che sia realistico proporre
oggi il comunismo di gruppo dei governanti, la selezione eugenetica forzata
delle coppie, l'educazione basata sulla geometria e sul modello rigido di
dialettica, ecc.? Certamente no. Si tratta di un modello inapplicabile, e che
oggi nessuno propone seriamente. E allora, perch diavolo il mediocre Popper se
la prende tanto con Platone? La ragione c', naturalmente. Platone rappresenta
il punto massimo di critica qualitativa globale della societ presente (nel caso
di Platone, la democrazia mercantile greca fondata sulla dismisura ormai
incontrollata delle ricchezze; nel nostro caso, il sistema capitalistico
globalizzato postborghese e postproletario).
questo che intollerabile per
Popper, ed invece ovviamente questo che
deve stare alla base della nostra stima e reverenza verso Platone. E qui
abbiamo la genesi storica ed ontologico-sociale dellidealismo, che al- trimenti
ci apparirebbe inspiegabile, come se ad un certo momento della storia un
ateniese barbuto dalle spalle larghe (platys, in greco classico) avesse avuto
una pen- sata geniale, secondo la quale non ci sono solo i singoli cavalli, ma
in cielo permane come modello lidea eterna di Cavallo, e cos ovviamente avviene
per quella che per Platone lidea pi
importante, quella di giustizia (dike). Altro che presocratici e post-socratici!
La Dike di Platone la stessa dike di
Eraclito, Pitagora, Parmenide ed Anassimandro! Ed anche la stessa dike di Socrate, che per
riassume integral- mente la precedente veste pitagorico-geometrica, visto che
la sua semplice pratica dialogico-discorsiva del moscone fastidioso della
democrazia ateniese si era risolta in un fallimento pratico ed in una ingiusta
condanna a morte! E non a caso nella sua Lettera VII Platone dice apertamente
che stata la condanna a morte di Socrate
ladikia che lo ha spinto a concepire la sua intera filosofia politica. La
genesi storica ed ontologico-sociale dellidealismo sta quindi nella criti- ca
determinata allingiustizia (adikia) e poi duemila anni dopo alla alienazione
(Entfremdung) della realt sociale presente. Questa critica presuppone una presa
di distanza spaziale simbolica dalla realt stessa, e questa presa di distanza
spazia- le simbolica, non potendosi ancora pensare in forma temporale
(impossibile pri- ma del Settecento europeo), deve pensarsi appunto in forma spaziale,
e cio nella forma della contrapposizione fra l'Alto, buono, ed il Basso,
cattivo. La religione olimpica dei Greci, che metteva gli di simbolicamente fra
le nuvole sullalto di un 95 CarrtoLo XIV monte, e riservava le forze oscure e
pericolose (dette ctonie) nel ventre della terra e nel profondo delle caverne
(si consiglia al turista distratto di visitare in proposito le grotte
peloponnesiache del Tenaro a Pyrgos Dirou), serviva da modello mitico per la
trasposizione del banchetto di Zeus al pi puro ed idealizzato Iperuranio.
L'idealismo, quindi, una cosa buona, e
non certo una cosa cattiva, come riten- gono in commovente e sospetta concordia
i seguaci positivisti di Comte, i seguaci neopositivisti di Carnap (per cui il
filosofo semplicemente un musicista
privo di talento), i seguaci comunisti di Althusser, i seguaci trinariciuti di
Stalin, i se- guaci multitudinari di Toni Negri, e via citando. Ed una cosa buona, del tutto indipendentemente
dalle concrete proposte politiche empiriche degli idealisti, che possono essere
buone, cattive, splendide o semplicemente idiote ed insopportabili. E tuttavia,
lidealismo resta il modello teorico inarrivabile del necessario distacco dal
reale sociale presente, la cui adesione pu essere invece definita, nei termini usati
da Fichte, dogmatismo. Non c' infatti peggior dogmatico di colui che sostiene
il dogma massimo e principalissimo, quello per cui le cose non possono essere
cambiate. Ma su questo rimando a Fichte, il maestro idealista segreto di Marx,
che ha espresso questo basilare concetto nel modo pi esauriente possibile. A
differenza di come si pu pensare, lidealismo non una filosofia per intel- lettuali, ma esclusivamente una filosofia per filosofi. Il
termine intellettuale (in greco moderno dianooumenos) non a caso inesistente in greco antico, perch gli
intellettuali come gruppo sociale specifico non nascono prima della fine
dellOtto- cento (caso Dreyfus in Francia, ecc.), ed scorretto retrodatarlo allantichit (sofisti
come intellettuali laici, circolo augusteo di Mecenate, circolo dei poeti del
Dolce Stil Novo, ecc.). Nel settimo libro della Repubblica Platone descrive in
modo mira- bile il destino di ogni vero filosofo, che quello di essere maltrattato, deriso, emar-
ginato, ed infine anche ucciso, quando insiste nel contrapporre il cielo
dellidea- lismo e del mondo delle idee alla caverna dei rapporti sociali
ingiusti in cui vive. A differenza del philosophos, il dianooumenos invece
lecca i ricchi ed i potenti e vezzeggia i pregiudizi degli abitanti della caverna,
ed anzich essere maltrattato, emarginato ed ucciso viene onorato, ben pagato e
ritenuto magari organico alle burocrazie politico-sindacali che accettano
soltanto pifferi della rivoluzione (uso qui lespressione di Vittorini quando
respinse la funzione ancillare e subalterna che Palmiro Togliatti ed il suo
coro di plauditores erano disposti a riconoscergli). Platone resta il patrono
dei filosofi, e fece bene Raffaello quando lo dipinse nella Scuola di Atene con
il dito rivolto al cielo. In quanto ad Aristotele, nel prossimo ca- pitolo
intenderemo il dito rivolto verso la terra in termini di dito rivolto piuttosto
al riconoscimento della funzione normativa del concetto di natura umana. Ma
ogni cosa a suo tempo. Esistevano gli intellettuali nell'antichit? In senso
specifico no, perch a mio avviso non esistono prima del caso Dreyfus. Ma se li
intendiamo come teorici ri- voluzionari forse s (pensiamo a Blossio di Cuma, il
filosofo stoico che appoggi i movimenti popolari greci e romani del suo tempo),
e se li intendiamo come retori e conferenzieri di successo certamente s, e
pensiamo ad Apuleio ed a Luciano. 96 Platone: le basi ontologico-sociali del
modello idealistico bimondano. L isorropia nell'anima del singolo Costoro
giravano loikoumene romana come oggi i loro equivalenti girano loikoume- ne
globalizzata occidentale di lingua inglese, riscuotendo successo in platee
colme di mature signore ingioiellate stanche di mariti che parlano solo di
calcio e dei loro acciacchi, di sindacalisti e politici al potere con velleit
di una certa Kual Kultura, di studentesse coscialunga estasiate, di colleghi
invidiosi del loro successo che fingo- no ipocrita e cerimoniale ammirazione,
ed infine di giovani occhialuti persi in quel- la che Hegel avrebbe chiamato
vuota profondit, che poi sempre la
superficie alla moda prevalente nelle scuole accademiche sponsorizzate dal
circo mediatico. Ma costoro erano leccati, mentre i filosofi sarebbero stati
irrisi e picchiati. In tutta la storia della filosofia occidentale questo
maestoso fenomeno ontologico-sociale non
mai stato descritto meglio di quanto lo sia stato nel settimo libro
della Repubblica. La scuola platonica italiana di Guido Calogero e di Gabriele
Giannantoni si distinta per la sua
preferenza della libera oralit dialogica di Socrate rispetto al suo presunto
irrigidimento dogmatico compiuto successivamente da Platone. In particolare
Giannantoni, forse il maggiore amico di Socrate nella filosofia ita- liana del
secondo Novecento (ma gi Antonio Labriola lo aveva preceduto nella seconda met
dell'Ottocento), sostiene che il dialogare di Socrate, fatto di do- mande,
esami e confutazioni, che approda necessariamente al sapere di non sa-
pere, radicalmente diverso dalla
dialettica di Platone, perch questa un
vero e proprio sapere, anzi lunica vera scienza. Largomentare di Socrate
invece se- condo Giannantoni sarebbe sempre ad hominem. Per questo il
valore supremo per Socrate non sarebbe la scienza (nel senso della episteme di
Platone, che diventer poi duemila anni dopo la philosophische Wissenschaft di
Hegel e a mio avviso an- che di Marx), ma il dialogo, e soltanto
il dialogo. Il dialogo per Socrate sarebbe il valore supremo, assoluto, e
superiore anche ad ogni precedente credenza religiosa. La stessa domanda
socratica del cos'? (ti estin), che sta al centro di ogni dialogo socratico,
non sarebbe la domanda di una essenza, come sar per Platone che ne trarr la sua
teoria delle Idee, ma una domanda su
cosa l'interlocutore pensa ed intende, ed allora equivale semanticamente a che
cosa vuoi dire?, che cosa chiami con questo nome?, ecc. Socrate non cercherebbe
insomma la definizione, ma la comunicazione, il consenso (omologhia). E non a
caso Giannantoni ha ripetu- tamente scritto che Socrate stato il fondatore della filosofia, e che
prima di lui non c'erano ancora propriamente filosofi, ma soltanto sapienti
(sopho), tesi condivisa anche da Giorgio Colli, sia pure con un diversissimo
apparato argomentativo e critico. La tesi di Giannantoni merita una
discussione. Da un lato, essa offre un mera- viglioso apparato argomentativo
per coloro che sostengono (come chi scrive) che Socrate, lungi dall'essere un
nemico della democrazia, ne era in realt un inter- prete autentico, in quanto
la democrazia, prima di essere una presa di decisioni in base al nudo principio
di maggioranza (principio nichilistico e relativistico per sua inevitabile
essenza), era una tecnica dialogica tesa al convincimento reciproco razionale
(e ricordo qui la gi citata frase di Eschilo nelle Eumenidi: Zeus protegge chi
parla, e fa sempre prevalere ci che bene
nella contesa di sole parole). Ma, 97 CariroLo XIV dall'altro, pur restando
legittima la sua preferenza di Socrate rispetto a Platone (ognuno, infatti,
preferisce sempre sovranamente chi vuole, e la sola cosa che gli si pu
chiedere che porti argomenti, logon
didonai), non accetto personalmente la sua conclusione, e ci porter ovviamente
un mio argomento razionale contrario (logon didonai). Pitagora aveva messo in
cima alla sua coppia di contrari il Limite e lIllimitato. Nei capitoli
precedenti abbiamo gi argomentato (e non possiamo qui ripeterlo) che questa
opposizione sta a fondamento dell'intera filosofia greca, perch ladi- kia si
basa sulla prevalenza caotica dellillimitato ed indeterminato (apeiron) sul
limitato, e cio sul finito (che Hegel individua come ci che i Greci hanno ad un
tempo animato ed onorato). Se prevale ladikia, bisogna poi pagarne il fio
(diken didonai) secondo l'ordine (taxis) del tempo (chronos). E il solo modo di
imporre la dike fra i mortali il calcolo
geometrico delle buone proporzioni sociali (Pitagora), il riconoscimento
dell'ordine democratico isonomico come fuoco sempre vivo (Eraclito), ed il
concetto generale ed astratto di Essere (to on) come metafora della stabilit e
dell'eterna permanenza della buona legislazione politica comunitaria
(Parmenide). Questo ordine comunitario fu applicato ad Atene prima in forma an-
cora oligarchica (Solone), e poi radicalmente democratica (Clistene). Ma gli
auto- matismi sociali della mescolanza dei demoi fra benestanti e poveri non
resistettero a lungo, in quanto furono infranti prima dallarricchimento
commerciale di pochi, e poi dalle passioni demagogiche scatenate dalla guerra
del Peloponneso. Socrate quindi il moscone
fastidioso della democrazia, il suo massimo patriota (altro che nemico!), in
quanto cerca il consenso (omologhia) attraverso il dialogo maieuti- co, in cui
si comincia presupponendo di non sapere e si fanno partorire le idee attraverso
il loro passaggio (in greco dia) della ragione (logos) da un interlocutore
allaltro (dialogos). Fin qui si potrebbe consenterire con Giannantoni. E
tuttavia, appunto, il Limite prevale sull'Illimitato, e questo principio deve
pur sempre applicarsi anche al dialogo (dialogos). Il buon dialogo non un dialogo illimitato, ma un dialogo che viene invece limitato non solo
dal consenso dei dialoganti (omologhia), ma dal fatto che c' stato il
raggiungimento, inevitabilmen- te dialettico, di una verit comune. Non si
tratta solo di dire che il presupposto trascendentale di ogni dialogo la possibilit di raggiungere un comune
consenso (tesi oggi che caratterizza la scuola neokantiana di Jurgen Habermas),
ma si tratta di dire che questo dialogo non pu essere considerato in termini di
infinita inde- terminatezza (secondo la critica di Hegel al cattivo infinito
del concetto di cosa in s di Kant intesa come concetto-limite, Grenzbegriff).
Ora, nessuno contesta il fatto che Calogero e Giannantoni abbiano preferito
linfinita indeterminatezza del dialogo interminabile di Socrate al limite
veritativo posto ad un certo punto da Platone. Ma questo limite veritativo di
Platone, che corrisponde peraltro alla de- terminazione (Bestimmung) di Hegel,
corrisponde invece pienamente allo spirito profondo dellonore verso il finito
che contraddistingue la filosofia greca. Certo, l'interpretazione socratica di
Giannantoni non deve essere assimilata alle vol- garit destoricizzate di
Popper, e deve invece essere presa sul serio. Ma essa resta 98 | sbagliata, ed
in un certo senso proprio la sua infinita indeterminatezza esprime
indirettamente unideologia tipica dei professori universitari, che si
rappresentano il mondo come il luogo della comunicazione razionale infinita. In
un certo senso {ma ci ritorner pi avanti) la stessa dialettica negativa di
Adorno fa parte della stessa costellazione filosofico-ideologica di cui fa
parte il dialogo socratico illimi- tato di Calogero e di Giannantoni. La
dialettica - come dovrebbe essere noto (ma non lo sempre) - non pu per sua stessa natura essere
solo negativa, perch consta di tre momenti ontologici interconnessi, di cui il
primo quello astratto, il secondo quello
propriamente negativo, in quanto dialettico, dove sorge la contrad- dizione, ed
il terzo quello speculativo, quello
della ragione, che detto specula- tivo
perch il concetto vi si riconosce come in uno specchio (in latino speculum).
Non discuto qui il valore filosofico della dialettica negativa di Adorno in
quanto tale. Il suo valore ideologico
per simile a quello del socratismo interminabile di Giannantoni, ed un alibi dato alla classe degli intellettuali
per poter giustificare davanti a se stessi il fatto di non determinarsi mai, ed
in questo modo di elevare la cosiddetta moralit (Moralitt) a valore assoluto,
rifiutando in questo modo ogni approdo ad una vera etica comunitaria condivisa
(Sittlichkeit). Si dir che per criticare il socratismo indeterminato ed
infinito di Giannantoni ho usato il modello dialettico di Hegel anzich quello
di Platone. certamente cos. Ma anche il
modello platonico un modello della
determinazione ontologica temporale della realt ideale. Certo, la
determinazione non mai perfetta, perch n
la partecipazione (metexis), n l'imitazione (mimesis), potranno mai esaurirne
la perfezione ideale assoluta. E tuttavia, anche se sarebbe stupido ed
anacronistico interpretare Platone come un precursore imperfetto di Hegel (Dio
me ne guardi e liberi, e mi corregga se per caso cadessi in tentazione!), dal momento
che il con- cetto di determinazione storica dellIdea non poteva essere presente
nel pensiero dei nostri maestri Greci, vi
comunque in lui la consapevolezza che lidea (nella forma di eidos,
essenza eterna visibile con gli occhi della mente ben addestrata dal- la
paideia, l'educazione dialettica) nel mondo deve fare i conti con la hyle, la
materia che il divino artigiano (demiurgs) modella dandole forma allinterno
dello spazio caotico vuoto (chora). Il dar forma attraverso l'equilibrio
armonico (lisorropia comune alla ginna- stica, alla musica ed alla geometria)
proviene in Platone dalla scuola pitagorica. In genere i manuali danno molto
spazio alle irrilevanti chiacchiere da taverna greca fra Socrate ed i sofisti
(mi esprimo volutamente in questo modo innocentemente provocatorio), mentre
lasciano in ombra il carattere profondamente pitagorico del pensiero di
Platone. E perch diavolo lo fanno? Da un lato, perch gli spontanea- mente congeniale lidea di
filosofia come libero chiacchiericcio nellagor, con ine- vitabile conclusione
diretta che il massimo cui pu giungere la filosofia il sapere di non sapere, e con laltrettanto
inevitabile conclusione indiretta che, visto che la filosofia al massimo pu
arrivare a capire che non pu sapere proprio niente, solo la scienza vale
qualcosa, visto che essa almeno qualcosa sa. Il dialogo intermina- bile giunge
cos inevitabilmente al positivismo; dal momento che il sapere dovr 99 CaritoLo
XIV pur sempre determinarsi, e si determiner nelle facolt scientifiche,
lasciando la fa- colt di filosofia alla vuota profondit e/o alla filologia
archeologico-maniacale. Dall'altro, perch i manuali sono costruiti sul
presupposto dellesistenza di due fasi distinte della filosofia greca classica,
quella pre-socratica e quella post-socra- tica, e si farebbero strozzare
piuttosto che ammettere quanto sosteniamo in questa ricostruzione
storico-genetica ed ontologico-sociale, e cio che il ciclo della filosofia
classica unitario, e va direttamente da
Anassimandro ad Aristotele compreso. Il pitagorismo si basava sul presupposto per
cui l'armonia sociale comunitaria era inseparabile dallarmonia dell'anima
(psych), intesa come cura di s. Scrive Alessandro Biral, autore di una delle
migliori monografie italiane su Platone del Novecento: Il tempo della scienza
non il tempo della cura di s. Ma,
secondo Platone, merita il nome di scienza soltanto quel sapere che conferisce
il giusto ordine all'anima e rende migliore e felice colui che ad esso si
dedica. Proprio per- ch vera scienza
quella in virt della quale luomo si cura di s. E del resto, nel Carmide
(cfr. 164 d 165 a), Platone sostiene che
il detto Sii sag- gio si identifica con il detto del tempio di Delfi Conosci te
stesso. Acutamente Platone rileva che il detto Conosci te stesso non un generico consiglio, ma il saluto augurale del dio, che augura a
tutti coloro che entrano di comportarsi da saggi, e non soltanto di nutrire
astrattamente opinioni sagge. Ed infatti, in propo- sito Platone chiarisce
(cfr. Leggi, 689 b-c) che [...] da
definire ignorante quelluo- mo che ospita nella sua anima dei bei pensieri. Ma
essi si limitano a stare l fermi e tutto l'agire si muove in modo contrario. Ad
un uomo siffatto non deve essere consentito di governare, ma deve essere
biasimato come ignorante, anche nel caso in cui fosse un grande ragionatore e
padrone di tutte le sottigliezze logiche e in possesso di tutte quelle abilit
che conferiscono prontezza all'anima stessa. Le forme del sapere, finalizzate a
se stesse e disgiunte dal governo di s, non potreb- bero che generare squilibri
nella comunit, perch lanima delluomo
come una citt, e cio [...] una bestia polimorfa, dalle molte teste:
teste di animali mansueti e feroci che gli spuntano da ogni parte, capace di
trasformarle e di generarle tutte da s (cfr. Fedro, 238 a). A questa bestia
tiranna Platone d il nome di epithymetikn, il pulsare di una gran folla di
desideri ciechi. Non per fatale che essa
possa dominare per sempre, ed in questa possibilit di salvezza sta il cuore del
pensiero di Platone, che lo mette al di sopra di tutti i fatalisti che si
crogiolano nella banale constatazione della co- siddetta esistenza del male nel
mondo. Allepithymetikn infatti possibile
unire il thymoeids, paragonato al leone, un animale che pu allearsi con il
precedente oppure allearsi con il loghistikn, la parte razionale dell'anima.
Ma, sia chiaro, per Platone il loghistikn da solo, non contemperato con le
altre due parti, pu diven- tare perverso, perch [...] come pu essere chiamata
virt (aret) quella sapienza che rimane sterile ed alloggia soltanto nella mente
senza diventare governo della vita? (cfr. Leggi, 689 e). Ed infatti Platone
scrive: Se saggezza significa conoscere se stessi, nessuno e saggio in virt
della sua sola competenza, della sua arte o della sua tecnica. 100 Platone: le
basi ontologico-sociali del modello idealistico bimondano. L' isorropia
nell'anima del singolo Non amo molto la citatologia, tipico sapere dei
nullatenenti, ma in questo caso era necessaria. Platone appare qui un
precursore di Freud (l'io risulta da un equi- librio messo sempre in pericolo
dallo scontro distruttivo fra diverse componenti), di Marx (la sola teoria
non ancora sapere se non si unisce ad
una prassi), di Aristotele (la filosofia
un sapere pratico, e quindi n poietico n semplicemente teorico), di
Lukcs (allinterno dellonnipotenza astratta e della concreta impo- tenza lanima
umana avvizzisce in un ampio arco di posizioni che vanno dallo specialismo alla
stravaganza), ecc. Ma, anzich al gioco infantile dei precursori, meglio affidarsi al gioco maturo
dellaccertamento ontologico-sociale. E qui, il pitagorismo di Platone appare in
piena luce. Platone ribadisce il principio meritocratico tipico della scuola
pitagorica, per cui nella sua Rapubblica si dice esplicitamente (libro terzo)
che i figli di governanti possono essere assegnati all'artigianato, ed invece i
figli di artigiani, se meritevoli, al governo. Un principio molto pi
meritocratico ed individuale di quanto avvenga oggi, in cui dagli schermi
dellosceno circo mediatico ci sorridono sghi- gnazzando i faccioni degli eredi
dei ricchi, sia dei ricchi dinastici che dei figli delloligarchia finanziaria.
E tuttavia, sulla questione dell'accesso
al potere delle donne (libro quinto) che Platone appare pi pitagorico. Le donne
pitagoriche erano infatti note nell'antica Grecia come i fachiri e gli elefanti
in India ed i cavolini e le patatine in Belgio. A Glaucone che gli ripete il
noto argomento sulle differen- ze naturali fra uomini e donne (argomento oggi
stolidamente ripetuto sia dai ma- schilisti baffuti che dalle femministe
differenzialiste vocianti in corteo i loro mantra di odio verso il maschio),
Socrate risponde che le femmine degli animali domestici (ad esempio i cani da
guardia) forniscono gli stessi servizi dei maschi, quando sono state addestrate
nello stesso modo, ed lecito supporre
che questo valga per la specie umana, per cui se le donne e gli uomini
ricevessero la stessa educazione (paideia) emergerebbero fra le prime come fra
i secondi governanti capaci di guida- re la citt. Ancora una volta, la
filosofia si occupa di ci che , ed
eternamente, e questa eterna affermazione di Platone, valida nellanno
370 avanti Cristo come nellanno 2013 dopo Cristo, continua a brillare luminosa
fra i brontolii sprezzanti dei maschilisti e le grida isteriche delle
femministe. Nel quarto libro della Repubblica Adimanto obbietta a Socrate che i
governanti potrebbero non essere felici a rinunciare al possesso di ricchezze e
di beni. Sar questo il presupposto psicologico del successivo rifiuto di
Aristotele del cosid- detto comunismo platonico, e cio la naturalit del desiderio
insopprimibile della propriet privata trasmissibile ai discendenti della
propria famiglia. Socrate risponde in modo oggi spaesante, ma nello stesso
tempo razionale: nel modo se- condo cui alcuni trovano la propria realizzazione
non nella ricchezza, ma in altre cose, constatazione che forse Silvio
Berlusconi potrebbe non capire, ma la maggio- ranza della gente s. Qui siamo
sempre di fronte al potere dell'educazione nella coltivazione delle
inclinazioni. E tuttavia, anche per coloro che hanno accesso alla propriet
privata (la terza classe della Repubblica) Platone stabilisce forti limitazio-
ni alla propriet privata delle ricchezze. 101 CarrroLo XIV La stessa teoria
della degenerazione progressiva delle costituzioni, dalla timo- cratica
alloligarchica e dalla democratica alla tirannica (le ultime due non sono
neppure propriamente costituzioni, perch regno dellinvidia la prima e dellar-
bitrio la seconda), teoria esposta nellottavo libro della Repubblica (a mio
avviso il pi importante di tutti, e persino pi importante del sesto e del
settimo, dove sono esposti in positivo gli ordinamenti dello Stato ideale), si
fonda sul ruolo decisivo della ricchezza nella dissoluzione degli ordinamenti
sociali. Ed oggi, infatti, tutti i dilettanteschi tentativi di spiegare il
processo di dissoluzione del comunismo sto- rico novecentesco realmente
esistito in termini di crimini e/o di errori politici ed ideologici, anzich di
divaricazione di sapere, ricchezze e potere allinterno delle societ comuniste
stesse, mostrano di essere molto al di sotto dell'ottavo libro della Repubblica
di Platone, in cui questo idealista pitagorico confesso si mostra in gra- do di
diagnosticare i motivi materiali che portano prima alla ricerca degli ono- ri,
e poi alla ricerca ancora pi distruttiva delle ricchezze personali e del
vantag- gio personale (pleonektein). Soltanto un freno (katechon, katechein)
potrebbe arrestare questa dissoluzione (phthor), che porta allingiustizia
(adikia), di cui prima o poi bisogner pagare il fio (diken didona), secondo
l'ordine (taxis) del tempo (chronos). Espressione, quest'ultima, che potremmo
tradurre in linguaggio moderno post- settecentesco come pagarne il prezzo
secondo la logica della storia. Essendo questa una ricostruzione
storico-genetica ed ontologico-sociale (e quin- di logicamente sensata e non
una filastrocca di successive opinioni casuali) non mi interessava proporre
ennesimi stimoli per la cosiddetta attualit di Platone. Lasciamo gli stimoli ai
vibratori e lattualit al circo mediatico ed al chiac- chiericcio degli
intellettuali con accesso a questo circo mediatico stesso (la societ dello
spettacolo di Guy Debord). A me interessava semmai la completa inattua- lit di
Platone, perch concordo con Nietzsche che soltanto linattuale pu esse- re
realmente interessante e rilevante (non concordo certo con Nietzsche su molte
cose, anzi, ma su questa s). E mi interessava ancora di pi la corretta
collocazione dellidealismo platonico allinterno di una ontologia storica
dell'essere sociale. Da un lato, esso
una mirabile riproposizione del precedente sapere pitagorico, mediata
dall'oralit dialogica socratica, riflesso dellisonomia e dellisegoria della
polis degli ateniesi. Dall'altro, il
presupposto logico e storico delle posteriori forme di idea- lismo storico
moderno. I suoi dispregiatori passano, ma per fortuna Platone resta. 102 XV. LA
PRIMA FORMULAZIONE SISTEMATICA DELLONTOLOGIA DELL'ESSERE SOCIALE IN ARISTOTELE.
LA NORMATIVIT ONTOLOGICA DELLA NATURA UMANA INDIVIDUALE Ho gi ampiamente
anticipato nel Prologo e nellIntroduzione che lontologia dell'essere sociale
non soltanto il nome di un volume (in
tre tomi) e di un insieme articolato di saggi, interviste e prolegomeni scritti
dal vecchio professore unghere- se Lukcs fra il 1964 ed il 1971, anno della sua
morte, ma anche e soprattutto una
posizione filosofica generale, che mirava nella sua intenzione soggettiva a due
sco- pi fondamentali. Primo, a ristabilire un punto di vista ontologico sul
mondo, punto di vista largamente dimenticato a partire dallaffermazione del criticismo
kantiano e del connesso primato della gnoseologia sullontologia stessa.
Secondo, a modifica- re in corso d'opera l'autoconsapevolezza filosofica del
comunismo storico novecen- tesco, persuadendolo ad abbandonare l'ideologia
naturalistico-meccanicistica del materialismo dialettico (Diamat), in favore di
un radicale riorientamento onto- logico-sociale, per cui il socialismo non pu
pi decentemente pensarsi come il ri- sultato inevitabile di alcune leggi
dialettiche della natura-storia (Engels), oppure come risultato del
materialismo in lotta contro il punto di vista convenzionalistico
dellempiriocriticismo (Lenin), ma deve essere rivisto in termini di frutto di
un la- voro sociale (Arbeit), modello (Vorbild) di una prassi razionale
dell'intera umanit pensata unitariamente come genere (Gattung). Su tutto questo
ordine di problemi ritorner analiticamente nel quarantesimo ed ultimo capitolo
di questo lavoro, volto ad esporre sistematicamente la mia per- sonale versione
non certo del libro di Lukcs, che si legge da s senza riassunti deformanti e
non ha alcun bisogno di esposizioni divulgative ( infatti scritto con chiarezza
cristallina), ma dellontologia dell'essere sociale in generale come io la
intendo e concepisco. E tuttavia, in questo capitolo bisogna giustificare
quanto ho anticipato nel titolo, per cui Aristotele il primo pensatore che formula in modo
soddisfacente una vera e propria ontologia dell'essere sociale. E perch dunque
il pri- mo, e non il secondo dietro Platone o il terzo dietro qualche precedente
autore scorrettamente indicato magari come presocratico? Le motivazioni di
questo perch sono molto importanti. Un'ontologia dellesse- re sociale pu
chiamarsi tale quando fondata senza
mediazioni o senza trasfigu- razioni metaforiche indirette sull'essere sociale
stesso. Questo non avviene ancora in Anassimandro, che esprime in modo
sapienziale-intuitivo la consapevolezza del fatto che l'estensione
dellinfinito-indeterminato (apeiron) al mondo sociale e comunitario comporta
una ingiustizia (adikia), e bisogner prima o poi pagarne il fio (diken didonai)
nel tempo del nostro vivere (il chronos, che non in nessun modo il kairds, il momento). Questo
non avviene ancora in Eraclito, che secondo la 103 CaprroLo XV testimonianza di
Diodoto ha avuto bisogno di una mediazione naturalistica, che chiama fuoco
semprevivo, e pertanto eterno (nulla a che fare, dunque, con il pittoresco
panta rei di Cratilo), il nomos sociale della isonomia e la rinuncia al lusso
dei ricchi come povera contropartita allasservimento della Ionia (in lingua
turca, persiana e araba i Greci vengono ancora chiamati yunan, per marcare come
per gli occidentali la grecit sar magari Atene e Sparta, ma per il vicino
oriente sempre e solo la Ionia). Questo
non avviene ancora in Pitagora, in cui l'essere sociale pensato esclusivamente come ordine di
proporzioni geometriche estese al vivere politico, da interpretare
metaforicamente secondo una tavola dei contrari in cui peraltro saggiamente
primeggia la dicotomia Limite/Illimitato. Questo non avviene ancora nel
pitagorico Parmenide, in cui l'essere sociale
correttamente inteso in termini di totalit sferica, e vengono
correttamente individuati come nichili- sti (e cio sostenitori dellesistenza
del nulla) coloro che rifiutano la sua presa in considerazione come assoluta
unit sferica, ma di cui ci si limita a consacrare la permanenza, la stabilit e
l'eternit nella forma metaforico-sapienziale della buona legislazione non
ulteriormente mutabile e perfezionabile. Questo non avviene an- cora nel moscone
della democrazia ateniese Socrate, che prende atto del fatto che i meccanismi
pitagorici di equilibrio stabiliti dai legislatori Solone e Clistene non
funzionano automaticamente, e ci vuole un surplus di razionalit comunicativa,
la comunicazione dialogica basata sulla premessa metodologica del sapere di non
sapere, sul metodo maieutico di far partorire le idee giuste non con la
semplice enunciazione sapienziale (siamo infatti ad Atene, patria dellisegoria,
e quindi pa- tria anche del sokratiks logos), ed infine sullaccordo. E questo
infine non avviene ancora neppure in Platone, che ovviamente quello che ci va pi vicino, ma che
deve necessariamente pensare in modo idealistico-bimondano la propria critica
ra- dicale alla societ mercantile ateniese, in cui il denaro conta pi del
merito, inteso come virt (aret). Il modo idealistico-bimondano quindi la premessa logica necessaria
dellontolo- gia dell'essere sociale, ma non
ancora unontologia dell'essere sociale. Essa presup- pone infatti la
critica aristotelica a Platone, connotato felicemente come un amico delle idee.
Solo questa critica al raddoppiamento bimondano della monomon- danit sociale e
politica dell'uomo (quindi anche metafisico-ontologica) pu dar luogo ad una
vera e propria ontologia dell'essere sociale. Ontologia dell'essere sociale
significa infatti piena autonomia del mondo umano. Questa piena autonomia del
mondo umano il tessuto di tutta la
grande filosofia di Aristotele. Il passaggio del concetto di universale dal
livello della cosiddetta idea di Platone al livello della astrazione logica del
pensiero in Aristotele rappresenta infatti non certo il ristabilimento (perch
non cera ancora stato nessun Kant che ne rendesse neces- sario il
ristabilimento), ma quanto meno la stabilizzazione sistematico-concettuale
dellintegrale autonomia fondata su se stessa dellontologia dell'essere sociale
umano e storico. Qui non c' lo spazio e
neppure la necessit di esaminare in
dettaglio tutto il gigantesco apparato categoriale di Aristotele. Basti invece
notare che il suo presupposto, mai da lui messo in discussione, dell'unit
ontologica delle categorie 104 Aristotele: la prima formulazione sistematica
dell'ontologia dell'essere sociale dell'essere e del pensiero, non solo un dettaglio secondario di tipo
gnoseologico (secondo la vera e propria fissazione maniacale non tanto del
grande Kant quan- to dei posteriori litigiosi nanetti neokantiani), ma il fondamento dellintuizione olistica
dell'unit del mondo, intuizione olistica che poi egli svilupper in modo originale,
non per diverso nellessenziale (la filosofia infatti tratta di ci che , ed eternamente, e con questo ha gi abbastanza da
fare) da come faranno in segui- to Spinoza, Fichte, Hegel, Marx e Lukacs (non
aggiungo anche chi scrive, perch mantengo ancora un sobrio senso delle
proporzioni). Qual la sostanza
(hypokeimenon) e l'essenza (ousia) dellontologia aristotelica dell'essere
sociale? In estrema sintesi, si tratta del concetto di natura umana. La natura
umana il fondamento dellontologia
aristotelica dell'essere sociale. Dal mo- mento che questa la tesi centrale di questo capitolo, sar
necessario discuterla un poco. Non
facile, perch questa concezione sta gi da tempo alla base dellaristote-
lismo cristiano, da Tommaso d'Aquino a Joseph Ratzinger fino a professori
aristo- telici cristiani come Enrico Berti, ed in minor misura Giovanni Reale.
Dal momento che la mia posizione
diversa, sar necessario individuare prima il nostro minimo comun
denominatore, e poi gli elementi differenziali dellinterpretazione che mi
distinguono dallaristotelismo cristiano contemporaneo. Ancor prima, per, bene ancora fare riferimento
allinterpretazione che Aristotele d della teoria delle idee. Il cuore teorico
di questa interpretazione non sta tanto nelle sue notissime critiche, riassunte
da Alessandro di Afrodisia fra il 198 ed il 211 dopo Cristo e desunte da un
saggio dello stesso Aristotele intitolato Sulle Idee oggi perduto, che esponeva
in forma compiuta ci che nella Metafisica
appena accennato. Queste critiche sono ovviamente interessanti, e si
possono trovare esposte in qualunque buona opera monografica o in qualunque
manuale completo. Il cuore teorico sta invece in due punti cui accenner
brevemente. In primo luogo, Aristotele sostiene che la dottrina di Platone per
molti aspetti si ricollega alle dottrine pitagoriche, ma possiede anche una sua
originalit che la separa dalle dottrine degli Italici (sesto paragrafo del
libro primo della Metafisica). Come si vede, sottolineando nel capitolo
precedente la strettissima derivazione di Platone dai pitagorici, ed ignorando
sovranamente lirrilevante chiacchiericcio dopolavoristico ateniese nellagor fra
Socrate ed i sofisti, non ho fatto altro che ricollegarmi alla venerabile
tradizione di Aristotele. In secondo luogo, a proposi- to della cosiddetta
separazione di Platone dai pitagorici, dove esattamente stia questa
separazione detto chiaramente dallo
stesso Aristotele, che fu personal- mente allievo di Platone e doveva dunque
conoscerne molto bene anche le co- siddette dottrine non scritte (anche Platone
aveva certamente i suoi ascoltatori esoterici ed essoterici). Egli riferisce
infatti, sempre nella Metafisica, che mentre nei Dialoghi platonici sono
concettualizzati soltanto due livelli di realt (quello sensi- bile del mondo empirico
e quello intelligibile delle idee eterne ed immutabili), nel suo insegnamento
orale Platone affermava lesistenza di ben quattro distinti livelli di realt: la
realt degli enti sensibili, la realt degli enti matematici, la realt delle idee
vere e proprie (tipo la Giustizia ed il Bello), ed infine la realt dei
Principi, cio l'Uno e 105 Pali : CaprroLo XV la Diade, intesa come il
necessario processo di rottura dell'unit dellUno, che com- porta il passaggio
della qualit alla quantit, e quindi alla dimensione della misu- rabilit, per
cui lo stesso Platone ci dice che con la Diade nasce anche il contrasto fra il
grande e il piccolo. Dalla quantit, prodotta dalla Diade, nascerebbe per
Platone lIllimitato, che invece per Pitagora era una semplice opposizione polare
al Limite. Tutto questo potr certamente sembrare astruso ed incomprensibile al
profano curioso, ma lo sembrer molto meno se lo interpreteremo in modo
ontologico-so- ciale. Cerchiamo di farlo in ordine. Primo, il pensiero di
Platone non si origina dal chiacchiericcio dopolavoristico con i sofisti
sullagor, ma da una interpretazione originale del pensiero di Pitagora da cui
deriva. Secondo, al di sopra del sempli- ce mondo delle Idee ci stanno i due
Principi, che prevedono lautonoma divisione dellUno in Due (lUno si divide
sempre in Due, sosteneva negli stessi anni la filo- sofia cinese classica,
ripresa poi nel Novecento da Mao Tse Tung). Terzo, la Diade comporta il
passaggio dalla qualit pura alla quantit numerica, la misura e l'illi- mitato,
e perci il rapporto fra la quantit e la qualit sta alla base della dialettica
(tesi ripresa sia dallo Hegel della Scienza della Logica, sia da Marx nella sua
distin- zione fra aspetto qualitativo ed aspetto quantitativo della teoria del
valore-lavoro, il cui lato qualitativo comporta l'alienazione, mentre quello
quantitativo comporta la produzione illimitata). Quarto, i tre mondi delle
idealit vere e proprie (giustizia, bel- lezza, ecc.), delle idealit matematiche
(il triangolo, il cerchio, la misurazione delle proporzioni architettoniche,
musicali, sociali, ecc.), ed infine delle idealit materiali (il cane, il
cavallo, ecc.) sono distinti, e debbono essere trattati in modo specifico.
Quinto (e questo forse il punto pi
rilevante), Platone si mostra paradossalmente pi vicino ad Eraclito che a
Parmenide, perch la spaccatura necessaria interna all'identit dell'Uno e della
Diade non comporta soltanto la superiorit della teoria dei Principi sulla
teoria delle Idee, ma comporta l'accettazione implicita della teoria del polemos
che regge tutte le cose. Che cos' infatti lazione della Diade se non lo
scatenamento del polemos? Non nasce infatti il polemos dallo scatenamento
smisu- rato della quantit, e questo scatenamento smisurato ideale della quantit
non forse la matrice della adikia che
regna tra i mortali, e di cui bisogner pagare prima o poi il fio (diken
didonai)? Questa interpretazione sembrer certamente strana e mostruosa ai
commenta- tori pii e politicamente corretti, ma si tratta semplicemente di uno
sviluppo dia- lettico coerente delle due teorie aristoteliche precedentemente
ricordate, e che per completezza ripeto ancora una volta: primo, Platone un allievo di Pitagora, ed il suo pensiero
deve essere interpretato come una brillante ed originale eresia pi- tagorica,
assai pi che come un irrigidimento dogmatico del libero chiacchierare infinito
ed indeterminato di Socrate (il Socrate di Guido Calogero e di Gabriele
Giannantoni, ovviamente, non il vero Socrate, nel frattempo svanito per sem-
pre nella tempesta del tempo); secondo, Platone ha sovraordinato alla sua
teoria delle idee una teoria dei Principi, che fondandosi sulla divisione
dellUno in due accoglie di fatto la tesi di fondo eraclitea sul polemos come
madre di tutte le cose. Ed a queste due tesi pienamente aristoteliche aggiungo
una terza di cui porto lin- 106 Aristotele: la prima formulazione sistematica
dell'ontologia dell'essere sociale tera responsabilit, per cui in questo modo
Platone, ritenuto da tutti gli sciocchi un conservatore amante di ci che immobile e non cambia mai, invece un pensatore che, come Marx e Mao Tse
Tung (il paragone effettivamente un po
azzardato, ma come disse Rousseau -
meglio avanzare un paradosso che ripe- tere per l'ennesima volta un
pregiudizio), pensava che lUno producesse la Diade, la Diade producesse la
Quantit (il grande ed il piccolo), la Quantit producesse la Dismisura, e tutti
i tentativi di opporsi alla Dismisura con la Misura sarebbero stati precari e
fragili (vedi i tre fallimenti dei viaggi in Sicilia, ecc.). Aristotele non
accetta questa teoria conflittuale e potenzialmente catastrofica, ed questa che non accetta, non tanto lo
sdoppiamento dei due mondi. Se infatti il problema fosse stato soltanto la
bimondanit dei due mondi, perch avrebbe dovuto affaticarsi tanto a riportare la
teoria dei due Principi? E mentre la teoria dei due Principi porta al
disordine, egli intende riportare l'ordine nel mondo della so- stanza
(hypokeimenon). E riporta questo ordine (taxis) con la sua teoria della natura
umana, che invece non un fondamento
dialetticamente contraddittorio e conflit- tuale, ma il principio di ordine (taxis) del mondo
(cosmos). Ed in questo modo, appunto, dalla decostruzione della teoria
platonica dei Principi (dei Principi lo
ripeto non delle Idee), egli fonda la
prima vera e propria ontologia dell'essere sociale. Ci abbiamo messo un po di
tempo per arrivarci (neanche poi troppo, per), ma ci siamo finalmente arrivati.
. La natura umana di Aristotele una
categoria normativa dell'ordine sociale. L'ordine sociale si fonda su di una
corretta interpretazione ontologica della na- tura umana. In proposito, sar
forse utile discutere questa tesi aristotelica
che, dico subito, io accetto nellessenziale attraverso il filtro di tre interpretazioni,
tutte legittime ed interessanti e tutte e tre da me non condivise: la teoria
storicista dellinesistenza della natura umana e del suo integrale scioglimento
nella storia, la cui variante marxista sono i rapporti sociali di produzione;
la teoria postmo- derna del cosiddetto pensiero debole, per cui ogni
riferimento alla natura umana
potenzialmente matrice di una dittatura della verit sul diritto alla
cosiddetta differenza; terzo, la teoria aristotelico-critiana per cui
Aristotele avrebbe ragione a fondare l'ordine sociale sulla normativit
antropologica della natura umana, ma che questa teoria meglio assicurata dandole un ulteriore
fondamento religioso, il fondamento della rivelazione cristiana. La prima
scuola sciagurata che nega la pertinenza ontologico-sociale della ca- tegoria
di natura umana quella del cosiddetto
storicismo marxista, ma questa negazione coinvolge anche altre scuole marxiste,
come quella del materialismo sovietico di Stalin, obbligatoria in URSS dopo il
1931, e come quelle dei nemici filo- sofici del rapporto di continuit
Hegel-Marx (Galvano Della Volpe e Lucio Colletti in Italia, Louis Althusser in
Francia, ecc.). In alcuni capitoli successivi cercher di chiarire come Marx non
ne sia direttamente responsabile, perch mor (1883) senza lasciarsi indietro un
vero chiarimento sistematico delle sue opinioni filosofiche. Chiarimento che
non lasci non tanto perch fosse occupato con altre cose (ste- sura del
Capitale, inutili polemiche perditempo con confusionari come il signor 107
CariToLo XV Vogt, furibondi articoli russofobi in difesa dell'impero ottomano
in cui sostanzial- mente non poteva ancora capire che il vero progetto
dissolutore di quest'ultimo non sarebbe venuto dalla Russia zarista, ma
dall'Inghilterra ipercapitalista affama- ta di petrolio, ecc.), ma perch riteneva
erroneamente (segnalo al lettore questo av- verbio con una sottolineatura
grafica) di aver gi fatto i conti con la filosofia prima del 1848, e che non ce
ne fosse pi bisogno. E tuttavia, poich restava un genio, scrisse egualmente il
Capitale sulla base della scienza tedesca di Hegel (Wissenschaft im deutschen
Sinn). Ne parleremo pi avanti, ovviamente. Per ora basti dire che, sulla base
di una discutibile interpretazione di una delle Tesi su Feuerbach, tutto il
posteriore circo marxista neg la pertinenza del venerabile concetto
aristotelico di natura umana, sostenendo che questultima non esisteva, era
un'invenzione ideo- logica delle classi dominanti sfruttatrici per eternizzare
il presunto nesso natura umana-istinto proprietario innato nell'uomo (da cui
l'impossibilit antropologica e sociale del comunismo), e che ci che i
reazionari chiamavano natura umana non era altro che l'insieme dei rapporti
sociali di produzione, da cui derivare peraltro l'inevitabile trapasso naturale
dal capitalismo al socialismo. Lo storicismo marxista, che in Italia stato propugnato per pi di mezzo se- colo da
una pittoresca banda di seguaci di Benedetto Croce che credevano di essere
marxisti perch votavano a sinistra (equivoco che sta alla base di qualunque
ricostruzione sensata della storia pirotecnica e surreale del cosiddetto
marxismo italiano del secondo dopoguerra 1945-1991), non poteva che sfociare in
un nichili- smo relativistico ed individualistico di tipo radicale di sinistra
(Pannella-Bonino, quotidiano il manifesto, ecc.), ed stato merito di Augusto Del Noce laverlo
segna- lato nel pittoresco disinteresse assoluto del popolo colto di sinistra.
La scuola di Lukcs stata cos lunica a
segnalare il fatto che il nucleo antropolo- gico del pensiero di Marx la categoria di ente naturale generico
(Gattungswesen), che questo termine implica etimologicamente il fatto che
esista un genere umano (Gattung), e che questo fatto infine implica che esista
qualcosa di ontologico de- finibile come conformit al genere (Gattungsmissingkeit).
Impostare le cose in questo modo implica il riferimento non solo a Hegel, ma
anche e soprattutto ad Aristotele, ma l'unico testo sistematico che ne sviluppa
il tema stato scritto in francese da
Michel Vade, e nessuno lo ha mai tradotto in italiano e neppure recen- sito
(unica eccezione, naturalmente, lo scrivente). In ogni caso, i lettori di Lukcs
in Italia non hanno mai superato la capienza di una sala di media dimensione.
In sintesi, l'eliminazione del concetto di genere (Gattung) e di natura umana
in Marx pu essere plasticamente raffigurata come un ebete con gli occhi
sgranati e la bocca aperta che sega furiosamente il ramo dell'albero su
cui seduto. E con questo detto (quasi) tutto. La seconda scuola che
nega lesistenza della natura umana quella
che definirei sinteticamente post-moderna (Gianni Vattimo, ecc.), che teme che
un concetto nor- mativo di natura umana possa servire da pretesto ideologico
per una normazio- ne (e cio messa a norma) dei comportamenti umani che si
discosterebbero dallunica norma socialmente accettata. In questo modo, un
potere autoritario e 108 repressivo avrebbe la scusa filosofica per punire
penalmente i comportamenti an- ticonformistici, considerati non normali. Questo
evoca una Polizia dei Costumi, armata o meno di bastoni, che non solo reimpone
alle donne sulla spiaggia i vir- tuosi mutandoni (ne abbiamo gi evocato in
precedenza la pittoresca immagine), ma criminalizza anche i gay in base al
fatto che la loro sessualit andrebbe contro la norma della vera natura umana.
Questa concezione si fonda su di una interpretazione dilettantesca dello Stato
Etico di Hegel, confuso con lassistenzialismo clientelare di Mastella e
naturalmen- te con l'ordine dato dal papa (mi scuso, ma non ricordo quale) che
volle ricopri- re pudicamente i nudi di Michelangelo. E tuttavia, questi
debolisti nemici del concetto normativo della natura umana non hanno tutti i
torti, perch ci che essi (giustamente) temono
ampiamente avvenuto in passato e potrebbe certamente avvenire in futuro.
Ma qui, ancora una volta, siamo in piena confusione fra il livel- lo ideologico
ed il livello propriamente filosofico-veritativo del pensiero. Alivello
ideologico, e cio manipolativo-strumentale, non nego affatto la impos- sibilit
che un Grande Moralizzatore organizzi una Polizia dei Veri Costumi Virtuosi per
controllare i comportamenti intimi (e sacrosanti) delluomo, dalla sessualit
all'uso di alcolici e droghe leggere (sulle droghe pesanti, mi spiace, ma sono
perch la polizia entri anche nelle camere chiuse). Si tratterebbe, per, di un
uso ideolo- gico indebito ed intollerabile della teoria filosofica
dellesistenza ontologica della natura umana, che in quanto tale (pensiamo al
democratico Spinoza, che era un en- tusiastico sostenitore dellesistenza
oggettiva della natura umana) non comporta af- fatto una teoria politica basata
su orwelliane e foucaultiane sorveglianze totali del comportamento umano
(sorveglianze che peraltro sono gi ampiamente in atto, particolarmente di tipo
eletttronico, ma che non derivano da moralismi bigotti, ma dal fatto che il
moderno capitalismo in effetti una
societ della sorveglianza totale). Pi avanti mostreremo anzi che oggi il
problema storico della natura umana si basa appunto su di un rapporto diretto
(e non pi mediato da caste di tipo indiano, da ordines di tipo cristiano
medioevale o dalla schiavit greco-romana) fra lindi- viduo ed il genere, e che
questo rapporto ontologico, e non
comporta affatto la Polizia dei Costumi o il controllo sui comportamenti
sessuali degli individui nelle camere chiuse e nei locali di incontro. La terza
ed ultima scuola quella che invece
accetta apertamente la teoria ari- stotelica della natura umana (con i
necessari aggiornamenti storici, ovviamente, do- vuti alle nostre conoscenze
biologiche ed etologiche, che sono molto maggiori di quelle di cui disponeva il
vecchio Aristotele), ma ritiene opportuno non lasciarla cos com', oppure
svilupparla sulla base di una ontologia dell'essere sociale pie- namente
mondana (come quella di chi scrive, e
come certamente stata quel- la di Lukcs
conclusa prima del 1971), ma al contrario di innestarla apertamente sulla
philosophia perennis del cristianesimo. Ho forti dubbi sul fatto che Agostino
possa essere arruolato fra i suoi fondatori. Ritengo invece che i veri fondatori
di questa sobria ed intelligente teoria siano stati i teologi domenicani
medioeva- 109 CarrtoLO XV li, e Tommaso d'Aquino in particolare, e che gli
stessi nominalisti (Guglielmo di Occam, ecc.), erroneamente considerati come
precursori in saio da francescano dellempirismo inglese settecentesco, non
ruppero assolutamente con i domenica- ni su questo punto decisivo, ma si
limitarono ad individualizzarlo nel singulus in doppia opposizione ai mercanti
pingui e truffatori ed ai pretoni avignonesi cor- rotti e meritevoli di pene
infernali (merito eterno di Dante quello
di aver messo all'inferno individui simili a coloro cui oggi il falso dantista
e vero giullare del potere Roberto Benigni lecca gli stivali - per non dire di
peggio!). Ma su questo ovviamente ritorner pi avanti, perch considero i grandi
nominalisti medioevali non certo gli empiristi in tonaca e dei nemici
dellontologia dell'essere sociale, ma in un certo modo i primi pensatori
europei che hanno saputo individualizzare corretta- mente lontologia dell'essere
sociale (ovviamente, con i limiti del tempo). Che dire dei moderni sostenitori
di questa posizione (Joseph Ratzinger, profes- sori cattolici come Enrico
Berti, Giovanni Reale, ecc.)? Personalmente, non credo di credere al loro Dio
biblico, e sono anzi un dispregiatore confesso del Vecchio Testamento (salvo
invece in buona parte il Nuovo perch ci vedo un implicito co- munitarismo che
mi piace, e che comunque sempre meglio
dellindividualismo laico odierno). Il mio Dio, se proprio devo sceglierne uno
al Supermercato del pensiero occidentale,
quello di Spinoza, debitamente riveduto e corretto da Hegel e da Marx.
In quanto allateismo, non ne sono particolarmente interessato, lo lascio ai
tarantolati neodarwiniani di Micromega (Flores D'Arcais e compagnia bella), e
considero la causa di negare Dio, sensata ed encomiabile nei periodi storici in
cui il potere classista si basava su Dio e mandava al rogo i suoi negatori,
oggi del tutto inutile e surreale, perch Dio
stato ridotto, dal capitalismo invasivo di tutti gli ambiti della vita
umana, a semplice organizzatore di funerali ed a direttore sanitario per
l'assistenza ai malati poveri e per il salvataggio di giovani drogati sbandati.
Si tratta, ovviamente, di una funzione sociale meravigliosa, e per di pi com-
piuta molto meglio (perch realizzata con pi passione) di quanto possa esserlo
da burocrati pubblici distratti ed inefficienti, ma questo non cambia nulla sul
fatto che la legittimazione sociale del potere in una societ ferocemente
classista come la nostra non sta pi nelle mani di pittoreschi pretoni vestiti
nei modi pi strani (ma gi luso diffuso del clergyman segnala un trend di
secolarizzazione di tipo protestante-individualistico), ma nelle mani di un
nuovo clero di pubblicitari, gior- nalisti, attori, veline e professori
universitari di scienze sociali. Oliviero Toscani e Beppe Grillo contano oggi
in Italia pi di Ratzinger, purtroppo (segnalo al lettore questo purtroppo,
scritto da un non-credente nel suo Dio biblico, ma nello stesso tempo da un sincero
apprezzatore della sua funzione di katechon, in quan- to il katechon la principale funzione di unontologia
dell'essere sociale, come il freno lo
per una macchina veloce). Data l'importanza cruciale del tema, in nome
del vecchio motto latino repetita iuvant, ripeto qui i quattro punti sviluppati
in precedenza: 110 Aristotele: la prima formulazione sistematica dellontologia
dell'essere sociale 1. Il concetto aristotelico di natura umana gi pienamente un concetto ontologi-
co-sociale autonomo e monomondano. Non potrebbe esistere senza il presupposto
della critica aristotelica non tanto alla teoria delle idee (come ripetono
pigramente tutti i manuali), quanto alla teoria dei principi, in quanto la
teoria della Diade di- struttiva finisce per riproporre la vecchia
delegittimazione integrale di un sistema sociale proprietario che sfocia
necessariamente nellingiustizia (adikia). Aristotele invece intende legittimare
(almeno parzialmente, e si veda il prossimo capitolo consacrato alla sua
concezione limitativa di economia) il sistema della propriet privata
schiavistica, sia pure nella forma moderata del consiglio di liberare sempre
gli schiavi dopo un certo tempo. Il rifiuto della Diade comporta una
rifondazione ontologica globale, un rifiuto sia della teoria platonica delle
idee che della teoria platonica dei principi, ed una risistemazione metafisica
generale sul principio del- la natura umana. La teoria della natura umana
comporterebbe lo sviluppo di una teoria del diritto naturale, che verr poi
sviluppata dagli stoici (e lo vedremo pi avanti), che Aristotele non pu per
sviluppare perch ancora legato allo
spazio simbolico della Citt-Stato (polis) e non ancora dell'intero mondo
abitato (cikoume- ne). E tuttavia, con tutti i suoi limiti storici, quella di
Aristotele gi a tutti gli effetti una
vera ontologia dell'essere sociale. Aristotele
quindi un precursore di Marx al- meno quanto lo di Hegel. 2. Per ragioni storiche che
indagheremo pi avanti, il marxismo storico real- mente esistito, fondato
congiuntamente da Engels e da Kautsky nel ventennio 1875-1895, rifiut il
fondamento ontologico-sociale, interpret Hegel sulla base della falsa dicotomia
di metodo dialettico (buono) e di sistema idealistico (catti- vo), accett
l'impostazione neokantiana di Lange dandone un'illusoria curvatu- ra
materialistica, incorpor il concetto di scienza positivistica come previsione
necessaria, e in questo modo sfoci su quella perversa sintesi di natura e
societ, viziosamente ricalcata sul pensiero primitivo dell'unione di macrocosmo
natu- rale e microcosmo sociale, che poi si chiam materialismo dialettico, e su
cui Marx (che pure non aveva esplicitato il suo pensiero filosofico) era
restato del tutto estraneo ed indifferente. Molto peggiore nei suoi effetti del
pittoresco materiali- smo dialettico fu per lidentificazione del marxismo con
lo storicismo assoluto, macchina filosofica destinata per sua inesorabile
logica dialettica interna a sfociare nelladesione allindividualismo della
societ radicale dei consumi ed al rifiuto di ogni comunitarismo. 3. Questo
stesso pensiero individualistico-radicale, essendo del tutto indiffe- rente che
i suoi sostenitori votino a destra oppure a sinistra (essendo in una democrazia
manipolata il voto ormai assimilabile alla scelta di un piatto oppure di un
altro al ristorante), anch'esso ostile
al concetto aristotelico-normativo di natura umana, perch ne teme luso
ideologico per la legittimazione di una Polizia dei Costumi, armata o meno di
bastoni e manganelli. Paura legittima, ma che per concerne soltanto luso
perverso e manipolatorio di questo concetto, in quanto il 111 RO erge I Tae MO
suo uso corretto allude soltanto alla definizione sociale processuale di un
concetto credibile e comunitario di genere (Gattung), e non certo alla
persecuzione statuale di gay, ecc. 4. Il concetto aristotelico di natura
umana invece di regola accettato dal
pen- siero religioso odierno, ed anzi il
principale fattore del dialogo inter-relogioso. Questo concetto un katechon rispetto alla dissoluzione
sociale dell'individualismo capitalistico, diagnosticato da Marx quando
scrisse, sulle orme di Solone (la filo- sofia infatti tratta di ci che ,
ed eternamente), che la produzione
capitalistica senza misura (apeiron,
aoriston, ecc.). La correttezza ontologico-sociale di questa posizione del tutto indifferente al fatto (pur
rilevante) se Dio esista o no. Se Dio esiste
meglio, ma anche se non esistesse lontologia dell'essere sociale
resterebbe la filosofia migliore etsi Deus non daretur (anche nel caso che Dio
non esistesse). In ogni caso, la superiorit filosofica dellaristotelismo
cristiano su ogni tipo di pen- siero detto laico la superiorit della catena dell'Himalaya
sulla depressione del Mar Morto. Torniamo ora ad Aristotele. Paul Ricoeur ha
fatto giustamente notare che la teoria aristotelica del giusto mezzo (messotes)
non deve essere interpretata in ter- mini di apologia e consacrazione della
mediocrit e del conformismo, in quanto al contrario una teoria della vetta cui deve aspirare
luomo, e, come scrive lo stesso Ricoeur, una cresta, un vertice, e non gi una
specie di palude in cui luomo affonda. Molto ben detto. Ricoeur nota anche che
per Aristotele non si delibera mai sui fini, ma solo sui mezzi, e questo
potrebbe sembrare un avvallo al relativi- smo. E tuttavia non cos, perch nel sesto libro dellEtica
Nicomachea Aristotele sostiene che ancora pi importante della phronesis
(tradotta spesso con il termine latino prudentia, ma che in realt significa
saggezza pratica) l'essere diventato
phronimos, l'uomo saggio capace di volta in volta di prendere la decisione
pratica giusta. Si tratta della stessa concezione che abbiamo trovato nella
concezione pla- tonica ricordata da Alessandro Biral. In entrambi i casi si
tratta di una saggezza pratica, che non ha nulla a che fare con il dovere di
Kant. E citando per lultima volta Ricoeur, sono d'accordo con lui quando dice
che la nozione di prassi, che ha avuto poi una cos gran fortuna con Marx, nata con Aristotele. La prassi infatti il luogo dellazione, e lazione quella che discrimina il Bene dal Male. La
prassi quindi a tutti gli effetti una
virt (gret). Certo Ricoeur esagera, quando dice che questo concetto nato con Aristotele. nato certamente prima, ma solo Aristotele lo
definisce come azione volta a modificare in modo virtuoso i comportamenti
umani, distinto dalla poiesi (la fabbricazione di oggetti materiali) e dalla
teoria propriamente detta (la contemplazione della verit in s, poi connotata da
Aristotele come bios theoretiks). Per i Greci il termine virt (aret) non aveva
nulla del retrogusto moralistico che questo termine ha oggi assunto (ad
esempio, una donna virtuosa, ecc.). Virt 112 Aristotele: la prima formulazione
sistematica dellontologia dell'essere sociale significava semplicemente
esercitare nel modo migliore possibile la funzione cui si assegnati (la virt del coltello quella di tagliare, virt della barca quella di non affondare, virt del medico quella di curare, ecc.). Per Aristotele (ma
anche per Platone, come si visto in
precedenza) il solo luogo in cui esiste la virt
la prassi, e quindi la virt
prassi per sua propria essenza. A mio avviso, dal momento che la
prassi il luogo della trasformazione di
ci che vizioso e la conservazione di ci
che invece gi virtuoso e non ha dunque
bisogno di essere trasformato, il concetto di prassi di Aristotele ricopre
quasi integralmente quello di Marx, con la piccola correzione per cui i
filosofi non devono limitarsi ad interpretare il mondo, ma devono trasformarlo,
rivoluzionandolo se cattivo e
conservandolo se buono (mi prendo
integralmente la responsabilit di questa ardita analogia!). L'uomo ha due virt
fondamentali, quella di essere un animale sociale, politico e comunitario
(politikn zoon), e quello di essere un animale dotato di ragione, di linguaggio
(nel senso di dialogos di Socrate), ed infine di capacit di calcolo del- le
proporzioni geometriche applicate all'equilibrio sociale nel senso di Pitagora.
Questi tre ultimi significati interconnessi si dicono in greco zoon logon
echon, dove logon l'accusativo di logos
ed echon significa che possiede. Il primo significato, inteso nel senso per cui
la filosofia si occupa di ci che , ed
eternamente, ci dice che luomo un
animale per sua natura (la natura umana, appunto) comuni- tario, ed il presente
individualismo scatenato probabilmente
soltanto un inci- dente della sua lunga storia, un incidente storicamente
contingente e non eterno. Il secondo significato ci dice che in ogni epoca
storica luomo realizza in modo diverso (il proprio tempo appreso nel pensiero)
la propria capacit razionale, i propri sistemi di dialogo sociale, ed infine la
propria capacit di calcolo scientifi- co. La stessa scienza cos sottoposta integralmente alla storicit, e
non diventa un feticcio religioso astorico ed assoluto. La nostra trattazione
di Aristotele non terminata. Nel
prossimo capitolo ne in- dagheremo le concezioni economiche. Ma possiamo gi
concludere che per lui la possibilit emancipativa della natura umana non era
concepita in termini di casua- lit aleatoria (kat to dynatn), ma di essente in
possibilit (dynamei on), lo stesso concetto che in Marx descritto come ente naturale generico
(Gattungswesen). Ma su questo sar necessario ancora tornare, e tornare, e
tornare. 113 XVI. - LA PRIMA CRITICA SOCIALE SISTEMATICA PRIVA DELLA MEDIAZIONE
SIMBOLICA DELLA NATURA AL PERICOLO DELLA CREMATISTICA IN ARISTOTELE Nel
capitolo precedente ho rinvenuto la genesi dellontologia dell'essere so- ciale
in Aristotele nella sua critica alla teoria dei principi e della Diade di
Platone, in cui la dinamica potenzialmente distruttiva dello scatenamento della
quantit, fondamento numerico della smisuratezza sociale, era frenata
(katechein, katechon) dal fatto che la natura umana aveva in s la potenzialit
ontologico-antropologica (dynamei on) di produrre un tipo umano phronimos,
capace cio di portare nel cam- po della decisione politica (boulesis) quel
giusto mezzo di comportamenti (messo- tes), che lungi dall'essere una
razionalizzazione moderata e conservatrice era in- vece (secondo lopportuna
interpretazione di Paul Ricoeur) una cresta, un picco, un vertice in cui si pu
conseguire la vita felice (eu zen). Questa, ovviamente, non che la genesi personale. La genesi sociale
sta invece nel fatto che Aristotele vive tra due periodi storici, e proprio
l'aver vissuto tra due mondi ha prodotto un tempo intermedio (Zwischenzeit) in
cui la democrazia antica si era gi stabilizzata in un panorama schiavistico
moderato, che aveva attutito quella furibonda lotta di classe precedente da cui
erano nati i concetti di apeiron e di adikia in Anassimandro, il concetto di
fuoco semprevivo di Eraclito, il sogno della regolamentazione ge- ometrica
perfetta dei rapporti sociali di Pitagora, la proiezione simbolica nel con-
cetto di Essere (to on) del carattere stabile e permanente della buona
legislazione eterna di Parmenide, la pratica dialogica nellagor di Socrate,
grande patriota della sua citt e non certo nemico della democrazia, ed infine
la grande sintesi politica della Repubblica di Platone, nei cui dieci libri
sono contenuti tragicamente sia il modello delle tre classi sia lo schema
dialettico dellinevitabile corruzione progressiva dei reggitori. In una parola,
il carattere ontologico-normativo del concetto di natura umana rappresenta nel
rarefatto mondo della filosofia il risultato storico-sociale di questo processo
ideale durato tre secoli, che Aristotele non
in grado di ricostruire gene- ticamente per la necessaria falsa
coscienza degli agenti storici (teoria destoricizzata delle quattro cause, idea
strampalata per cui la filosofia nascerebbe da una non me- glio identificata e
generica meraviglia, anzich dallelaborazione razionale dei conflitti sociali,
ecc.), ma che per egualmente pu in qualche modo sistematizzare al massimo
livello possibile. Aristotele stato
anche il fondatore della filosofia dell'economia, e dicendo fondatore intendo
proprio dire il fondatore. Questo fatto basilare ampiamente 115 CarrroLo XVI noto agli specialisti
(Henry Denis, Karl Polanyi, Geoffrey de S. Croix, Moses Finley, ecc.), era gi
ampiamente noto a Marx, mentre
sistematicamente ignorato dai manuali liceali ed universitari di storia
della filosofia, che arrivano al massimo (ma neppure tutti) a riportare
distrattamente che Aristotele nella Politica avreb- be distinto fra economia e
crematistica, senza peraltro neppure immaginare le conseguenze dirompenti di
questa distinzione, sulla quale poi indirettamente Marx costru la sua critica
dell'economia politica. Certo, non mia
intenzione at- tualizzare indebitamente Aristotele, anche se il metodo
dellontologia dell'essere sociale
veritativo, e quindi tratta anche e soprattutto di ci che in filosofia ,
ed eternamente. Nello stesso tempo, per,
la critica dell'economia politica di Marx presuppone un punto di vista
critico-qualitativo sull'economia politica inglese di Smith e Ricardo, e cio
uno sdoppiamento teorico, lo stesso sdoppiamento qua- litativo che c' in
Aristotele fra l'economia propriamente detta (oikonomia, e cio la regola,
nomos, per gestire correttamente con la regola della messotes la casa, oikos,
in vita del vivere bene, eu zen), e la crematistica (chrematistik, e cio larte
di procurar- si e di accumulare ricchezze, chremata). Ora, se questa non filosofia al 100%, non capisco che cosa sia
la filosofia, a meno che con questo termine si alluda a quel gossip
gnoseologico-ermeneutico che viene chiamato oggi filosofia nei dipartimenti
universitari. Un giovane filosofo italiano, Luca Grecchi, ha invece costruito
il modello di umanesimo greco pro- prio sulla consapevolezza di questa
distinzione e sulla sua elaborazione sistemati- ca. Oggi si tratta di una vox
clamans in deserto, ma la logica della storia ci fa ragio- nevolmente pensare
che verranno giorni migliori, esaurito il ciclo del pentimento della sciagurata
e fallimentare generazione sessantottina (1968). Comunque, per non disturbare i
colleghi di economia, che potrebbero aversela a male per questa indebita
invasione di campo disciplinare, la riflessione filosofica sull'economia di
Aristotele ignorata in favore del vacuo
chiacchiericcio sulla cosiddetta filoso- fia del linguaggio (per non dire di
peggio). Io seguir qui una strada opposta. La filosofia dell'economia la chiave della filosofia di Aristotele. In
proposito, una delle ragioni del silenziamento del suo pensiero sta nel fatto
che, anzich prestare attenzione al suo metodo di analisi, si preferito prestare attenzione alle sue
opinioni contingenti, che, essendo estrema- mente politicamente scorrette, non
potevano che indignare virtuosamente tutti i buonisti del mondo. Aristotele sostiene
infatti che lo schiavo tale (anche) per
natura, che le donne non devono partecipare alla vita pubblica (con una eviden-
te svolta a destra rispetto al pitagorismo platonico), che i poveri di citt
(teti) non dovrebbero poter votare, che i tripodi di Efesto non si muoveranno
da soli ci vogliono necessariamente gli schiavi per spostarli, ecc. Orrore!
Orrore! Ma allora era un reazionario! Ma allora era uno schiavista! Ma allora
Veltroni pi buono di lui! Viva Bobbio,
viva Habermas, viva la liberaldemocrazia! Insomma, da qua- lunque parte lo si
guardi, Aristotele non va bene! Se lo si guarda dal punto di vista della
centralit dell'economia, diventa un comunista! Se lo si guarda invece dal punto
di vista delle opinioni che professa, diventa un fascista! 116 La prima critica
sociale sistematica priva della mediazione simbolica della natura Naturalmente,
Aristotele non era n l'uno, n laltro. E tuttavia ha ragione Geoffrey de S.
Croix, quando afferma: Aristotele molto
vicino a Marx nella sua analisi della comunit politica su almeno tre punti.
Comincia con la classificazione delle parti (mere) che costituiscono il corpo
della citt, distinguendo i cittadini se- condo le funzioni che svolgono nel
processo di riproduzione complessivo. Finisce con una dicotomia fondamentale
fra proprietari e non proprietari, e cio fra ricchi (euporoi) e poveri
(aporoi), rilevando che i poveri sono sempre pi numerosi dei ricchi, e per
questo vogliono la democrazia, che
definibile come il regime dei po- veri (aporoi) e non certo come il
bobbiano regno delle regole formali (cfr. Politica, 1291 b7-13). Infine,
interpreta sempre la posizione economica di un uomo come la principale
determinante del suo comportamento. Riflettiamo con attenzione su questa
affermazione di S. Croix, e cio che Aristotele interpreta sempre la posizione
economica di un uomo come la princi- pale determinante del suo comportamento.
Non siamo ancora al concetto mar- xiano di prevalenza della struttura economica
sulla sovrastruttura ideologica, ma ci manca proprio poco. Ed infatti
Aristotele si spinge a dire che il thes, e cio il la- voratore salariato
povero, anche se formalmente libero, svolge un lavoro doulikn, adatto cio allo
schiavo. Questa affermazione molto
antipatica, e certamente poco umanistica. Devo dire che molte opinioni di
Aristotele sono sgradevoli e non condivisibili, non tanto perch cos appaiono a
noi pi di duemila anni dopo, ma perch gi ai suoi tempi (vorrei insistere su
questo gi ai suoi tempi) vi erano pensatori che non sareb- bero stati d'accordo
con lui. Nellorazione funebre pronunciata da Pericle circa un secolo prima si
dice: Non vergognoso per nessuno
confessare di essere povero, ed soltanto
vergognoso non sforzarsi di uscire dalla povert. I cittadini che si occupano
degli affari della citt possono nello stesso tempo provvedere ai propri, e cos
chi si dedica alle proprie attivit pu nello stesso tempo essere attivo in poli-
tica. Con questo Pericle smentisce con pi di duemila anni di anticipo le
visioni di Stalin, Nietzsche e Hannah Arendt, per cui i Greci potevano
occuparsi di politica perch non facevano nient'altro. E comunque Aristotele
resta uno scopritore dell'economia (Polanyi). E lo re- sta perch Polanyi riesce
a periodizzare i due grandi momenti di sviluppo delleco- nomia come scienza sociale,
cosa che gli economisti professionali, che fondano il loro sapere sulla
destoricizzazione ed ancor pi sulla desocializzazione (il Robinson Cruso di
Locke, di Hume e di Smith) non potrebbero mai fare. Per periodizzare
storicamente l'economia, infatti, bisogna uscire dal cerchio magico
autoreferenziale dell'economia stessa, per entrare nella filosofia, o pi
esattamente nel metodo della deduzione sociale delle categorie, della genesi
storica delle teorie e dellontologia dell'essere sociale, intesa come
elaborazione dialettica del rapporto fra la natura umana storicamente data e
l'insieme dei rapporti sociali di produzione vigenti in un certo momento
storico. Se ci si colloca in questa ottica si pu allora capire Karl Polanyi,
che periodizza appunto in due distinti momenti l'evoluzione dellecono- mia. 117
CarrroLo XVI In un primo momento l'economia propriamente detta ancora incorporata (em- bedded) allinterno
della societ, e non pu essere logicamente separata e distinta dal resto dei
rapporti sociali, politici e religiosi. In un secondo momento, a partire dal
decollo capitalistico del Settecento britannico, e non prima di quello, leco-
nomia pu essere svincolata, e quindi isolata dal resto della societ. Aristotele
sta ancora allinterno del primo momento di embeddedness, anche se in grado di presagire la dinamica
autonomizzante della crematistica. Marx sta ovviamente in pieno dentro il
secondo momento, parte dall'esistenza di una economia gi inte- ramente
desembedded, e appunto per questo pu fare ci che Aristotele non avrebbe mai
potuto fare, e cio una critica dell'economia politica. E tuttavia hanno ragione
quegli interpreti (De S. Croix, Polanyi, Henri Denis, ecc.) che interpretano la
distin- zione aristotelica fra economia e crematistica come una anticipazione
significativa, anche se ancora imperfetta, di una critica dell'economia
politica. Ed hanno ancora pi ragione quei commentatori filosofici (Luca
Grecchi, e se me lo si permette, il modesto scrivente) che ritengono che il
cuore dellumanesimo greco si debba indi- viduare proprio nellelaborazione
filosofica ulteriore di questa distinzione. Il caso contrario, l'umanesimo
diventa una pomposa e tronfia etichetta che gli sciocchi si autoattribuiscono,
credendo che lautodefinirsi Umanisti li faccia uscire dalla condizione di
bestie senza cervello e senza sensibilit sociale e comunitaria. Ho rilevato in
precedenza che per cogliere il lato ontologico-sociale del pensiero di
Aristotele ci vuole un riorientamento gestaltico. Bisogna smettere di fissarsi
sul- le sue opinioni (in larga parte oggi inaccettabili), per guardare invece
al suo metodo (secondo i rilievi di De S. Croix prima citati), e soprattutto
alla sue contraddizioni. E sono le sue contraddizioni le cose pi interessanti.
Facciamo l'esempio del suo atteggiamento verso la schiavit. Nella lingua greca
lo schiavo (doulos) era anche chiamato ragazzo, anche se era gi anziano (pais),
oppure addirittura corpo (soma). Aristotele, che pure afferma che la
schiavit secondo natura (kat physin),
scrive per (cfr. Politica, V, 1254 b) che la natura ten- de senza dubbio a
formare i corpi degli schiavi in modo che siano diversi da quelli degli uomini
liberi [...] e tuttavia accade sovente il contrario: degli schiavi hanno dei
corpi da uomini liberi, e degli uomini liberi hanno anime da schiavi. Qui la
contraddizione logica tale da poterla
spiegare soltanto con il fatto che lanima filosofica veritativa di Aristotele
configgeva con laltra sua anima ideologico giu- stificativa. E scrive anche
Aristotele (cfr. Economica, I, cap. V, 14-16): Bisogna stabilire sem- pre un
termine al lavoro degli schiavi. giusto
ed utile, infatti, far brillare davan-
ti ad essi la libert, quale premio per le loro pene, perch gli schiavi si
sobbarcano volentieri la fatica, quando si aspettano una ricompensa, e quando
il tempo del servaggio limitato. La
motivazione sar anche utilitaristica, ma questa insisten- za nel limitare il
tempo del lavoro dello schiavo non pu non far pensare al tema del limite
(peras) su cui abbiamo tanto insistito in precedenza, individuando in esso la
base simbolica del pensiero antico. 118 La prima critica sociale sistematica
priva della mediazione simbolica della natura La stessa critica aristotelica al
comunismo platonico deriva dal suo concetto di natura umana. Scrive Aristotele
(cfr. Politica, 1262 b): Vi sono due impulsi di inte- resse e di amore
predominanti nell'uomo: il sentimento della propriet e l'affetto esclusivo.
Come si vede, siamo di fronte ad una constatazione di tipo dialettico, perch la
propriet (aspetto egoistico) legata
allaffetto (aspetto altruistico). Egli nota anche (cfr. Politica, 1263 b) che
tra quanti possiedono beni in comune, o in forma indivisa, i contrasti sono
molto pi frequenti che non tra i cittadini i cui interessi siano separati. anche interessante un rilievo (che sar poi
accettato da Epicuro, pi o meno negli stessi termini) secondo cui essere
generosi e sovvenire alle necessit degli amici, degli ospiti e dei
conoscenti, il pi grande dei piaceri,
che per non potrebbe essere gustato se non si posseggono dei beni in propriet
privata (cfr. Politica, 1263 b 5). Potrei continuare, ma ci che conta rilevare che persino nella polemica contro il
comunismo platonico Aristotele usa argomenti altruistici e comunitari. C'
inoltre un rilievo di Aristotele che suona stupefacente alle nostre orecchie
individualistiche (cfr. Politica, VII, 12, 1332): La vita felice richiede un
certo so- stegno di beni materiali, ma in misura minore per quegli individui
che hanno le migliori disposizioni morali, ed in pi grande quantit, invece, per
coloro le cui disposizioni, sul piano etico, sono meno buone. In buona
sostanza, Aristotele dice che la ricchezza
un dato compensatorio che serve a risarcire le insufficienze umane ed
intellettuali dei poveri di spirito. Si tratta di una verit solare
probabilmente ignota a Berlusconi, Prodi e Cordero di Montezemolo, ma non per
questo meno esatta e socialmente pertinente. E qui ven- gono anche individuate
le radici ultime della crematistica (cfr. Politica, I, IX, 1257): Alcuni pensano
che laccumulazione sia anche il vero obbiettivo dellamministra- zione
domestica, e vivono perci immersi nellidea che sia loro dovere conservare
intatta la loro riserva di denaro, o addirittura di accrescerla all'infinito.
La ragione di un tale atteggiamento si ritrova nel fatto che essi si impegnano
unicamente a vivere, e non a vivere secondo il bene. Ora, poich l'appetito di
vivere illimitato, essi sono egualmente
portati a desiderare dei mezzi illimitati per soddisfarlo. Da nemico della
citatologia, scienza per nullatenenti, ho comunque deciso di chiudere il ciclo
critico dedicato al primo periodo della filosofia antica (con il prossi- mo
capitolo, dedicato ad Epicuro, inizier lanalisi critica del secondo periodo,
quel- lo ellenistico, e poi romano-cristiano) con questa citazione aristotelica
rivelatrice. rivelatrice perch siamo
sempre di fronte a ci che Hegel ha definito onorare il finito. Aristotele onora
il finito sostenendo che vivere secondo il bene significa respingere il nesso
fra lillimitato appetito di vivere e lillimitata accumulazione di denaro per
soddisfarlo. Certo, Marx non si esprimer con questi termini. Ma mi prendo la
responsabilit di affermare che lo spirito (Geist) del suo pensiero pro- prio questo, e che la conformit al
genere, di cui parla Lukcs, consista proprio nella capacit di diventare
phronimos, e diventando appunto saggio, di imparare ad onorare il finito. 119
CarrroLo XVI Ed il comunismo - a mio avviso
consiste proprio nella capacit di imparare ad onorare il finito in senso
sociale, ed a respingere l'infinito proprio in senso sociale, nel senso del
dominio dellinfinitezza delle ricchezze. Concludendo cos il ciclo unitario di
questi capitoli (dallottavo al sedicesimo compreso: con il prossimo siamo in un
altro ciclo storico-teorico interamente di- stinto) potremo riassumere il senso
complessivo in questo modo sintetico. I La saggezza filosofica del primo
periodo della filosofia greca classica ha come ra- dice l'esigenza sociale di
frenare lillimitatezza delle ricchezze (katechon, katechein). Il compito
ideologico mistificante della destoricizzazione e della desocializzazione nella
ricostruzione della storia della filosofia intesa come filastrocca di opinioni
casuali proprio quello di non far capire
questo. Questo insegnamento, quindi, non ha di mira l'educazione (paideia), ma
al contrario l'ignoranza (amatheia). Il Questo filo conduttore, basato sul
katechein, si svolge attraverso una logica sto- rica Razionalmente
ricostruibile, dallindividuazione di Anassimandro del nes- so fra
linfinito-indeterminato, l'ingiustizia e il doverne poi pagare il fio (apeiron,
adikia, diken didonai) al nomos della isonomia fra i cittadini come fuoco
semprevi- vo di Eraclito, dal concetto di armonia geometrica dei rapporti come
proiezione dellarmonia interiore dell'anima ed esteriore della societ (anima
comunitaria) di Pitagora e Platone al concetto di Essere (to on) di Parmenide
come proiezione ideale della buona legislazione intesa come entit stabile ed
eterna. Aristotele chiude ide- almente questo ciclo unitario con un concetto di
umanesimo fondato sulla natura umana come rinuncia allillimitatezza
dellarricchimento crematistico. Nel secondo periodo il baricentro sociale, e
quindi ideale, cambier completa- mente. Dal prossimo capitolo cercheremo di vedere
come. 120 XVII. IL NECESSARIO RIPIEGAMENTO INDIVIDUALISTICO IN UNA COMUNIT
PROTETTA DI AMICI IN. EPICURO E LA SUA SPIEGAZIONE ONTOLOGICO-SOCIALE
L'antichista italiano Piero Innocenti, gi traduttore dei lavori fondamentali di
George Thomson, ha scritto una splendida storia delle varie interpretazioni che
sono state date di Epicuro e della sua scuola.
evidente che Epicuro sempre stato
un pretesto nobile per poter parlare d'altro, e cio del proprio modo di
collocarsi nel tempo storico in cui si viveva. Questo vale ovviamente per tutti
indistamente i filosofi, ma per Epicuro pi ancora che per gli altri. L'esempio
ne stato dato da Karl Marx, con la sua
tesi di laurea del 1841 a Jena sulla Differenza fra la filosofia della natura
di Democrito e di Epicuro. A mio avviso, questa tesi di laurea, tra laltro
scritta senza tenere metodologicamente alcun conto del metodo della deduzione
storica delle categorie, non possiede una grande rilevanza teorico-critica,
mentre invece rappresenta una testimonianza inestimabile per ricostruire il
processo di pensiero (Denkweg) di Marx stesso, e vedremo fra poco come.
Epicuro, quindi, come pretesto per parlare d'altro. Per Michel Onfray,
lateologo nemico dei pretoni, un
pretesto per ricostruire una sorta di storia ideale eterna dellateismo, che va
da Democrito a lui stesso (naturalmente, o come dicono in francese, ca va sans
dire!). Per Walter Otto, nemico dei materialisti e dei riduzioni- sti, un pretesto per evidenziare il ruolo
essenziale degli dei in Epicuro (altro che intermundia!). Per Jean Fallot, per
riproporre l'attualit della concezione del piacere misurato e del corretto modo
di affrontare la morte che Epicuro continua a trasmet- terci a pi di duemila
anni di distanza. Per Althusser, Epicuro
un pretesto per la costruzione di una genealogia(che a me sembra invece
piuttosto una grande narrazione del soggetto) di cosiddetti materialisti
aleatori(nellordine: Epicuro, Machiavelli, Spinoza e infine Marx), genealogia
con cui dovremmo oggi espiare e pagare il fio (diken didonai) per avere prima
creduto come imbecilli allumanesimo antropologico, al materialismo dialettico
ed allo storicismo assoluto. Insomma, a ciascuno il suo Epicuro! Ma questo
Epicuro di tutti in realt l'Epicuro di
nessuno. Per questa ra- gione,
consigliabile limitare i nostri Epicuro a due soli commentatori,
sceglien- doli fra i pi illustri ed eminenti (in questo caso, lo Hegel delle
Lezioni sulla storia della filosofia ed il Marx della tesi di laurea sopra
citata). Soltanto dopo, in nome del detto per cui i nani devono salire sulle
spalle dei giganti per poter vedere pi lontano, avanzer alcune mie personali
interpretazioni di tipo storico-genetico ed ontologico-sociale. 121 CaprroLo
XVII L'atteggiamento di Hegel verso Epicuro
certo paradossale, ma anche rivelato- re ed interessante. Di fronte alle
lamentele per cui ci arrivato di lui
troppo poco e dobbiamo accontentarci di poco pi delle tre lettere riportate da
Diogene Laerzio, Hegel rileva che certamente i filologi pazzi e maniacali
avrebbero pane per i loro denti se si scoprissero ancora dei suoi testi
completi, ma che d'altro lato bisogna compiacersi del fatto che sia arrivato
cos poco, che anzi fin troppo. Sarebbe
stato meglio, infatti, che non fosse arrivato niente. La sola cosa che
Hegel disposto a riconoscere ad
Epicuro la sua nobile concezione etica
del piacere come limite, e ci stupiremmo del contrario, visto che Hegel parte sempre
dal fatto che i Greci hanno onorato il finito, e dunque Epicuro, ponendo
l'etica come misura (metron) del piacere regolato, dominato e padroneggiato, ha
ovviamente a suo modo onora- to anche lui il finito. Per il resto, come dice
un'espressione popolare, sarebbe stato meglio perderlo che trovarlo. E
tuttavia, un genio come Hegel non dice (qua- si) mai sciocchezze, anche se a
volte dice cose criptiche, spaesanti e paradossali. Conviene quindi riflettere
sulle ragioni che lo hanno spinto a dire queste cose cos poco politicamente
corrette. Le ragioni sono molte, ma in questa sede ricostrut- tiva e non
monografico-analitica posso limitarmi a ricordarne solo tre. La terza la pi importante. In primo luogo, Hegel
ritiene che ogni filosofia sia necessariamente ideali- smo, e che quindi il
materialismo filosofico di fatto non esista e non possa esi- stere, perch se si
elabora sistematicamente il concetto nelle sue determinazioni e non ci si ferma
a met strada, anche il punto di partenza pi materiale dovr necessariamente
approdare all'idea. E tuttavia in Epicuro la stessa teoria atomisti- ca
non ricavata in modo sensistico, ma posta in forma puramente razionale ed ideale
(atomon idea). Epicuro potrebbe tranquillamente essere definito in termini di
idealismo della materia, in quanto ovviamente la stessa materia (hyle), quando
diventa lunico principio di tutto, diventa un'idea, e cio lidea di materia, e
tutte le strida ed i brontolamenti dei nemici dellidealismo non possono farci
proprio niente. Tuttavia io non giungerei comunque a questa decisione, perch
non penso neppure che Epicuro sia stato un materialista, in quanto condivido la
tesi della studiosa greca Maria Antonopoulou (che riprender pi avanti), secondo
cui il vero e proprio materialismo non nasce prima (e quindi prima non c'era)
del set- tecento europeo, in cui adempie alla funzione ideologica (attenzione,
alla funzione ideologica, non filosofica) di offrire un quadro spaziale
omogeneo ed ideale per il libero scorrimento della merce capitalistica in alto,
in basso, a sinistra ed a destra in un medium materiale non pi diviso nell'Alto
divino e nel Basso umano, nel Secolo umano e nel Millennio divino, ed altri
dualismi ontologici funzionali alla visione ideologica tardo feudale e
signorile della societ nobiliare degli Ordines sacralizza- ti della metafisica
cristiana. In secondo luogo Hegel ce lha con Epicuro perch lo vede come uno
sciagurato precursore di lingua greca degli altrettanto sciagurati sensisti,
empiristi e mate- rialisti del settecento illuministico, per i quali nutre un
pittoresco disprezzo. A dif- ferenza di Horkheimer e Adorno, Hegel non
disprezza affatto lilluminismo, che 122 Il necessario ripiegamento
individualistico in una comunit protetta di amici in Epicuro considera anzi
come la premessa necessaria di ogni idealismo moderno. Ritiene di vivere in
un'epoca di gestazione e di trapasso, e pensa che quest'epoca non avrebbe
neppure potuto esistere senza questa premessa logico-storica. Per quello che
vale, sono completamente d'accordo con lui, ed ho sempre trovato stucchevoli
nella loro pittoresca mancanza di storicit tutte le affrettate liquidazioni
dellillu- minismo. La sola cosa che non sopporto la trasformazione diretta destoricizzata
dell'eredit illuministica in identit ideologica di bandiera dei laici
antimarxisti di oggi (Scalfari e gruppi di La Repubblica ed L'Espresso,
Micromega ed altri tarantolati del darwinismo e della lotta neovolteriana
contro i pretoni, ecc.). Per il resto, viva l'illuminismo ed ancora pi viva la
critica idealistico-dialettica ai limiti intellet- tualistici dell'illuminismo
stesso. In proposito, per, la chiave di tutto sta nella comprensione anticipata
(ed ecco perch la anticipo fin da adesso) che il limite dei Greci non ha nulla
a che fare con il limite di Kant. Il limite dei Greci un limite on- tologico, basato sull'identit
fra le categorie del pensiero e le categorie dell'essere, e quindi un limite che indica direttamente la necessit
di limitare le smisurate ed illimitate ricchezze, mentre il limite di Kant un limite gnoseologico, che presup- pone la
separazione ontologica fra le categorie dell'essere e del pensiero, con il bel
risultato di permettere di pensare soltanto la critica alla pretesa normativa
della metafisica dellaldil sul mondo empirico dellaldiqua, e non permette
invece di criticare la violazione ontologico-sociale del dominio della
smisuratezza capitali- stica nellaldiqua. Il criticismo di Kant, che presuppone
una costituzione soltanto formalistica del soggetto e fa da sbarramento a
qualunque sua costituzione storico- sostanzialistica (Hegel, Marx, ecc.), una vera macchina da guerra teorica per non
consentire la critica dialettica del capitalismo stesso inteso come totalit
olistica e come unit sferica (riuso qui il termine di Parmenide gi analizzato
in preceden- za). Mi scuso con il lettore per aver anticipato in forma
sintetica tesi che verranno sviluppate pi avanti in modo pi analitico, ma la
filosofia si occupa anche di ci che , ed
eternamente, e non solo del tempo storico specifico di Epicuro e di
Kant, che non sarebbe infatti comparabile se ci attenessimo strettamente al
principio del proprio tempo appreso nel pensiero. La filosofia non si occupa
infatti solo della storia del genere umano (Gattung), ma anche della sua natura
(Aristotele, ecc.). In ogni caso, per concludere su questo punto, lo stesso
Innocenti rileva che su Epicuro viene retrodatata lantipatia che Hegel nutre
per i sensisti e gli empiristi settecenteschi, cui invece vanno tutte le
virtuose simpatie anglosas- soni dei laici (Augusto Viano, Nicola Abbagnano, e
via via enumerando tutta la filosofia italiana, e specialmente torinese). In
terzo luogo, infine, Hegel non ce lha semplicemente con Epicuro perch uno svevo settario e/o un prete travestito
che non sopporta la materia, ma per- ch diagnostica perfettamente la natura
profonda delle filosofie ellenistiche in ter- mini di falsa libert, oppure (uso
qui un termine caro al mio maestro Lukcs) di interiorit all'ombra del potere,
quando non di Grand Hotel dell Abisso (Grand Hotel Abgrund). Di questo giudizio
di Hegel bisogna parlare, chiedendoci se sia vero o falso, non certo del
chiacchiericcio pettegolo dellopinare (meinen). 123 CaprroLo XVII Sebbene
infatti io mi consideri personalmente un modesto allievo di Hegel (e di Marx,
naturalmente), non sempre sono ovviamente d'accordo con gli specifici giu- dizi
che Hegel d su moltissime civilt (India, Cina, ecc.) e su molti filosofi. Nel
caso di Epicuro non sono d'accordo, e non sono d'accordo su due punti, che
tocca- no il primo giudizio teorico complessivo sulla natura della filosofia di
Epicuro, ed il secondo sulla sua stessa collocazione storica. A proposito della
valutazione globale della filosofia di Epicuro,
chiaro che tal- volta noi andiamo a cercare i nostri Greci come se
entrassimo in un negozio ben fornito, ed ognuno alla fine si sceglie i Greci
che vuole. Il borgomastro antisemita di Vienna disse un giorno: Decido io
chi ebreo e chi no, e nello stesso modo
oggi i filosofi scelgono loro chi ha veramente interpretato al massimo livello
la sfuggente grecit, da Parmenide a Socrate, da Platone ad Aristotele, da
Epicuro agli stoici. Nei capitoli precedenti ho messo in guardia contro questo
atteggiamen- to soggettivistico ed arbitrario da shopping in un supermercato,
rilevando come la ricchissima storia della filosofia greca classica giri sempre
intorno ad un solo concetto centrale, quello del katechein contro la Dismisura
e del modo per frenare la dismisura stessa con il metron. E tuttavia, impossibile impedire alla gente di scegliersi
il suo guru preferito di riferimento (oggi tira molto forte il Dalai Lama, ma domani
chiss!). Secondo il filosofo greco (moderno) Charalambos Theodoris,
Epicuro stato il pensatore che ha saputo
pi e meglio di tutti gli altri non solo interpretare, ma an- che salvarela
grande eredit complessiva del pensiero classico, trasmettendone integralmente
il metron dalla comunit politica ormai irreversibilmente distrutta alla comunit
protetta di amici. Non si tratterebbe quindi di individualismo, come spesso si
ripete, ma di comunitarismo solidale. Ed infatti il primo pensiero del
testamento di Epicuro la segnalazione
agli amici di occuparsi del figlio rima- sto orfano dell'amico Metrodoro, ed
inoltre lo stesso Epicuro respinge il comuni- smo con lo stesso argomento di
Aristotele, secondo cui il comunismo ci toglierebbe il pi grande piacere della
vita, quello di beneficare gli amici. Il problema non sta certamente nel
decidere se il primato che Theodoris assegna ad Epicuro sia cor- retto o meno,
o se sia opportuno invece assegnare retroattivamente il Nobel ideale ad un
altro, il che restringerebbe fatalmente la scelta ai soli Platone ed
Aristotele, scatenando una demenziale gara fra utopisti e moderati. Ognuno
opina sovra- namente come vuole. Il problema
di capire che nel caso di Epicuro la cosiddetta rottura individualistica
rispetto al passato classico molto meno
grande di come spesso si pensa. Hegel ha invece ragione nellessenziale a
constatare che le filosofie dette elle- nistiche rappresentano una rottura
qualitativa rispetto alle filosofie precedenti perch segnano l'abbandono del
carattere direttamente politico delle precedenti. Sebbene questo giudizio debba
essere sfumato (e lo vedremo nel prossimo capitolo a proposito dello stoicismo
antico), resta il fatto che nellessenziale
impossibi- le sottovalutare la rottura storica verificatasi nel
trentennio 320-290 avanti Cristo nellarea culturale di lingua greca. Il
gangster Alessandro il Macedone (uso qui il 124 Il necessario ripiegamento
individualistico in una comunit protetta di amici in Epicuro moderato aggettivo
con cui lo ha connotato lo storico greco Kyriakos Simopoulos) non conquist
soltanto lecumene persiana, favorendo dopo la sua morte precoce da smodato
ubriacone (nessuno come il presunto allievo di Aristotele viol tanto
costantemente la regola greca del metron, il che dimostra che anche il maestro
mi- gliore del mondo non pu nulla contro una cattiva indole) la formazione dei
regni ellenistici, il cui modello politico-ideologico star poi alla base della
basileia cristia- na (e cio lasservimento di tutti ad un solo Re Salvatore,
Soter), ma distrusse con l'immissione massiccia della monetazione quanto
restava ancora di moderatamen- te economico (e non crematistico) nel mondo
ellenofono. Se allora la crematistica domina incontrastata, e non si sono
ancora sviluppate le condizioni per un ciclo storico nuovo (e si tratta di una
situazione storica sinistramente analoga a quella di oggi, caratterizzata dalla
crematistica globalizzata smisurata nella concentra- zione delle ricchezze sia
nella distruzione ecologica dell'ambiente), non possiamo rimproverare a
posteriori ai nostri lontani antenati di aver sviluppato una strategia di
difesa amicale-comunitaria contro questa situazione. Ovviamente, i cosiddet- ti
epicurei di oggi si distinguono per ignorare i massacri sionisti in Palestina
ed americani in Irak (circa un milione di morti solo nei tre anni 2003-2006), e
per concentrarsi in simulazioni amicali in cui si beve bene, si mangia bene, si
scelgo- no i migliori agriturismi e si decidono i viaggi pi interessanti in cui
accarezzare negretti cenciosi ma sorridenti. Non era questo il tetrafarmakon di
Epicuro. Quella di Epicuro stata a tutti
gli effetti una filosofia di resistenza, ed anche la resistenza una strategia politica. Ridurla ad
individualismoo a semplice cura di s attra- verso il piacere limitato significa
decontestualizzare e destoricizzare la sua col- locazione in un momento storico
in cui lo smisurato per eccellenza (Alessandro il Macedone non lo chiamerei
grande neanche morto) dovette essere fermato dai suoi soldati perch se no si
sarebbe gettato persino sullIndia e sulla Cina. Per questa ragione, e per altre
minori di questo tipo, mi sento di sfumare il duro giudizio di Hegel. A
proposito di Marx, l'importanza filosofica decisiva della sua tesi di laurea
del 1841 a Jena sulle differenze fra latomismo di Democrito e quello di
Epicuro stata a lungo sottovalutata
(come del resto avvenuto per il suo
Quaderno Spinoza). In realt Marx ha cominciato a tematizzare la sua concezione
della libert dellin- dividuo (metaforizzata nella declinazione dell'atomo dalla
sua rigida traiettoria verticale, clinamen, parekklisis) proprio con questa
tesi. So di andare contro corrente (e peraltro me ne compiaccio!), ma mi
spingerei a dire che questa tematizzazione della libert individuale, compiuta
attraverso la tortuosa deviazione del clinamen epicureo, ancora pi importante della sua posteriore
rottura con Hegel e con Feuerbach, tanto enfatizzata dalle ricostruzioni
tradizionali del processo di pensie- ro (Denkweg) di Marx nel decennio
1838-1848. infatti nellelaborazione
filosofica ulteriore di questo clinamen (lo scrivo in modo lucreziano clinamen,
ma sarebbe molto meglio usare il termine greco originale parekklisis) che
Marx in grado di auto-interpretarsi come
un atomon nato borghese, che per non ricade vertical- mente borghese, ma cade
liberamente come intellettuale rivoluzionario. Come 125 CarrroLo XVII ha
scritto in modo insuperabile in una sua monografia critica il filosofo atenie-
se Alexandros Chryssis, il giovane Marx
il Marx della rivolta nel giardino di Epicuro. Benjamin Farrington, lantichista
marxista inglese che ha scritto un'ottima mo- nografia su Epicuro, ha
ipotizzato che il giovane Marx avrebbe desunto da Epicuro lidea stessa della
possibilit dell'abolizione dello Stato, per cui l'insieme marxiano delle
comunit autogestite ed autogovernate non pi bisognose di uno Stato auto-
ritario accentratore sarebbe derivato dall'idea delle comunit solidali di amici
che entrano in relazioni amicali reciproche. Forse Farrington si spinge troppo
in l, ma ritengo che la sua ipotesi meriti una discussione e debba pertanto
essere presa sul serio. Marx scrisse che il comunismo del futuro non avrebbe
mai potuto essere previ- sto e tantomeno descritto, perch era impossibile
scrivere ricette per le osterie del futuro. E tuttavia, seguendo l'insegnamento
di Diodoto a proposito di Eraclito, per cui anche quando si parla di natura si
parla in realt di rapporti sociali, non dobbiamo limitarci a constatare quello
che soltanto gli stupidi si rifiutano di fare, e cio che Marx ha dovuto pensare
persino la sua propria scelta rivoluzionaria personale attraverso la mediazione
della metafora della parekklisis. E quindi persino il suo comunismo presenta
tracce del mondo di Epicuro. Il comunismo di Marx, pur fondandosi su di una
concezione storica e non solo naturalistica dei bisogni (ed in questo,
ovviamente, il suo concetto di bisogno ric- co si distingue sia da Epicuro sia
da Rousseau), non intendeva certamente abban- donarsi ad una concezione smodata
e smisurata di desiderio (il comunismo dei desideri smodati ed illimitati semmai quello del visionario Toni Negri, il
pensa- tore meno spinoziano e meno marxiano dell'intero orbe terracqueo). In
questo Marx restava epicureo. Platone nella Repubblica aveva definito lo stato
di natura anterio- re alla nascita delle classi uno stato di porci (e cos si
intende lautodefinizione del poeta latino Orazio come porco del gregge di
Epicuro), ma Epicuro respinse totalmente questa connotazione. Per Epicuro,
peraltro (e qui si avvicina invece a Platone), la giustizia naturale impraticabile nello Stato gonfio di lusso
(sic!). Bisognava quindi praticare una secessione necessaria ed un esodo
inevitabile. Per questo fond il Giardino (kepos), l'orto coltivato da una
comunit che soddisfi i bi- sogni essenziali e rifiuti i beni superflui. Beni
superflui, a loro volta, che nascono da vana opinione (mai definizione fu a mio
avviso tanto azzeccata e felice). Egli fond anche la casa, come centro
editoriale per la diffusione delle sue idee, che fu di fatto la prima casa
editrice politica della storia occidentale. Gi in vita, infatti, Epicuro cre
migliaia di amici (philoi), nonostante i denigratori che lo dipingeva- no come
un gaudente ed un donnaiolo, che per di pi accoglieva tutti a filosofare nel
suo giardino, compresi donne e schiavi. A differenza dei misticheggianti
hippies e degli individualisti gaudenti di oggi, Epicuro elabor un pensiero
originale, considerato critico ed eversivo nella societ storica in cui visse.
Sia pure addomesticato, il suo pensiero restava politico, e per questo fu diffamato
fino a quando fu (provvisoriamente) oscurato dal cristianesi- 126 Il necessario
ripiegamento individualistico in una comunit protetta di amici in Epicuro mo.
Per questo intendo criticare blandamente Hegel per non averlo capito a fondo,
ed invece lodare il giovane Marx per averlo capito (sia pure attraverso una me-
diazione naturalistica alla Diodoto). E del resto, che cosa il comunismo di Marx se non lanticipazione
ideale di un insieme libero ed indipendente di comunit di amici reciprocamente
solidali? 127 XVII. LA FUGA IN AVANTI COSMOPOLITICA DELLA COMUNIT DEI SAGGI E
LA COMPENSAZIONE UTOPICA ALLA MISERIA DEL MONDO REALE DEGLI STOICI Ho sostenuto
nei capitoli precedenti che esiste un primo ciclo unitario del pen- siero
filosofico greco che si apre con i grandi saggi Eraclito e Pitagora e si chiu-
de con Aristotele. La tradizionale distinzione fra periodo presocratico e
periodo postsocratico, con al centro ovviamente la figura di Socrate, non soltanto lega- ta allinerzia della
tradizione, inerzia dovuta al fatto che nei dialoghi platonici Socrate fa da
autorevole portavoce delle opinioni di Platone. Essa dovuta a mio avviso ad un indiretto e quasi
sempre inconsapevole effetto di occultamento di tipo sia storiografico sia
ideologico. E che cosa si vuole propriamente occultare con questa centralit di
Socrate? In un'ottica ontologico-sociale come quella che sto adoperando per
ricostruire la logica genetica nella deduzione sociale delle ca- tegorie,
l'insistenza sulla (sostanzialmente innocua e pittoresca) presenza gratuita del
pensionato Socrate nellagor, in cui sembra che la filosofia si divida in due
parti, il patrocinio gratuito socratico ed il patrocinio a pagamento sofistico,
vuole occultare il fatto che Socrate incomprensibile
al di fuori di una logica del katechein e del metron, in quanto lo stabilire
che cosa sia qualcosa, in una societ basata sulla isegoria, e quindi sul
dialogos (dei tre termini in corsivo il pi importante quindi), non
possibile fissare un metron, e quindi attivare collegialmente un kate-
chein comunitario in grado di frenare la dismisura, se prima non si collegialmente stabilito che cosa sia
qualcosa (ti estin). Per occultare questa funzione pubblica di- rompente della
pratica filosofica del tutto normale che
essa diventi lininterrotto ed innocuo domandare dopolavoristico di un vecchio
perdigiorno circondato da giovani ancora pi perdigiorno di lui (il primo
almeno un pensionato, di cui si
presuppone un leggero rincoglionimento presenile, ma i giovani sono evidente-
mente distratti da una pi utile attivit imprenditoriale, per dirla con
Berlusconi, Marchionne e Montezemolo). Abbiamo visto nei capitoli precedenti
che il concepire la funzione sociale della filosofia antica in termini di
disinteressato chiacchiericcio per semicolti (mid-brows) significa non capirci
proprio niente, cos come sarebbe non capirci niente credere che Fidia sia stato
un precursore di Brancusi, Aristofane di Molire e Sofocle di Shakespeare. Altra
la funzione sociale, altro il contenuto simbolico. So perfetta- mente che
queste sono prediche inutili, come diceva argutamente Luigi Einaudi, ma la
logica con cui il filosofo scrive molto
simile alla logica di chi consegna un messaggio in una bottiglia e lo getta nel
mare. improbabile che venga raccolto, a
meno che lo getti in una corrente che passer davanti ad una certa riva. Nel mio
129 CaprrroLo XVII caso, scommetto che prima o poi i pescatori si stancheranno
di pescare pesci post- moderni. Il mercato del pesce cambia, e cos i gusti
della gente. A proposito delle filosofie ellenistiche, quasi tutti i
commentatori insistono sul fatto che lo stoicismo e lepicureismo sono molto
diversi, ma entrambi hanno in comune la proposta della liberazione filosofica
dal turbamento (ataraxia). In quan- to al cercare un piacere moderato, ed
evitare di trovarlo (come dice surrealmente Epicuro) nelle donne, nei fanciulli
e nei pesci (questa triade mi ha sempre affa- scinato, dal momento che mi sempre piaciuto molto il pesce, in
particolare alla griglia), si tratta certamente di un tratto comune sia
allepicureo Lucrezio sia allo stoico Seneca. E tuttavia l'impostazione che
intendo proporre si discosta da questi luoghi comuni di carattere
erotico-culinario con inclinazioni manifeste verso la pedofilia. La scuola di
Epicuro certamente allinterno del nuovo
ciclo filosofico elleni- stico, e tuttavia conserva forti elementi di continuit
con la precedente. Non c' soltanto la nota ripresa dellatomismo di Democrito,
con le modificazioni libere (clinamen, parekklisis) che poi piacquero tanto al
giovane Marx. C' soprattutto il decentramento del metron nella comunit di
amici, in cui l'amicizia (philia) gio- ca un ruolo analogo a quello giocato in
precedenza dalla concordia fra i cittadini (omonoia). Ed allora solo con lo stoicismo che le cose
cambiano veramente. infatti assai pi lo
stoicismo, ben pi che lepicureismo, a segnare un netto discri- mine storico e
qualitativo. Scrivendo quasi settecento anni dopo la nascita dello stoicismo
antico atenie- se del Portico Dipinto (Stoa Poikile) di Zenone di Cizio
limperatore neoplatonico Giuliano lApostata dice che bisogna rifarsi a quei
filosofi che scelsero Dio a gui- da, e cita nell'ordine Pitagora, Platone,
Aristotele e la scuola stoica di Crisippo e Zenone. Si tratta praticamente
dell'intera tradizione filosofica greca, con lovvia eccezione di Democrito e di
Epicuro. Giuliano intendeva sviluppare quella che oggi chiameremmo
un'operazione politico-ideologica rivolta verso la nuova basi- leia cristiana
(ai suoi tempi vecchia solo di cinquant'anni, e quindi ragionevolmen- te
pensabile come reversibile), e l'aspetto filosofico di questa operazione
politico- ideologica consisteva in un interpretazione teologica della
tradizione filosofica greca, in cui si mettevano in fila i quattro ritratti di
Pitagora, Platone, Aristotele e Zenone. Ma chi era il vero Zenone, non quello
idealizzato da Giuliano? Se cerchiamo di individuare il suo profilo storico
reale, ci accorgiamo di quanto pu cambiare un profilo filosofico nel corso dei
secoli. Lo Zenone che Giuliano ar- ruola fra i precursori del suo neoplatonismo
era nella realt un filosofo che non solo metteva sullo stesso piano uomini ed
animali, ma che anzi deduceva il cor- retto comportamento umano dal
comportamento etologico degli animali stessi. Difficile pensare ad una maggiore
rottura con Platone ed Aristotele. ovvio
che i manuali di filosofia politicamente corretti ed insopportabilmente noiosi
censuri- no questo fatto, ma nessuna storia della filosofia ricostruita in modo
ontologico- sociale potr farlo. 130 Fuga in avanti cosmopolitica della comunit
dei saggi e compensazione utopica alla miseria del mondo reale degli Stoici
Zenone fu il primo filosofo greco che dovette imparare il greco come si impara
una lingua straniera, in quanto era un fenicio di Cipro, la cui lingua semitica
era simile allarabo ed allebraico di oggi. Scrisse una Politeia in opposizione
a quella di Platone, in cui sosteneva la totale inutilit dell'istruzione
umanistica generale (enkyklios paideia), la libert assoluta del sapiente, la
cui parrhesia non avrebbe do- vuto essere limitata da nessun politicamente
corretto derivato dal conformismo sociale, la comunanza delle donne,
l'abolizione della moneta, dei templi, dei gin- nasi, il disprezzo per i
cadaveri ed infine l'invito a nutrirsi di carne umana. Dopo aver meditato su
Giocasta ed Edipo, concluse che non c' niente di terribile nel possedere la
propria madre, visto che alcuni animali lo fanno. L'anima infatti in- teramente mescolata con il corpo
e si dissolve quando i suoi componenti. Quindi, non c niente oltre al mondo
sensibile e nulla tranne il corpo. Diogene Laerzio, che sempre pettegolo, ma non mai noioso, riporta che per Zenone [...] si
possono scopare indifferentemente fanciulli e fanciulle, che se ne sia
innamorati o meno; non c' differenza infatti fra amati e non amati, n fra
femmine e maschi, ma tutto va bene per tutti (la crudezza del verbo
scopare solo una traduzione letterale
dal greco antico). Tutto questo non si trova nei manuali di filosofia. In
questo modo, allora, non si riesce a capire che il concetto fondamentale degli
inizi del nuovo ciclo filosofico el- lenistico non pi la ricerca del metron sociale e la
condanna (diken didonai) dellin- giustizia (adikia) derivata dallappropriazione
privata smisurata ed indeterminata (apeiron), il che porta necessariamente a
pensare lisonomia come fuoco semprevivo e la permanenza della buona
legislazione nelleternit come essere (fo on), ma al contrario la violazione provocatoria ed
individualistica delle norme della vita sociale e comunitaria, in una parola la
continua violazione sistematica del comune senso del pudore (anaideia). Il
concetto di anaideia non si trova in nessun manuale di storia della filosofia,
ed un peccato, perch per almeno mezzo
secolo resta centrale nella ricostruzione on- tologico-sociale del pensiero
antico. Anaideia significa che si rifiuta laidos, il senso di vergogna sociale
che l'individuo prova quando viola le regole della comunit. Il fatto , appunto,
che non cera pi una comunit degna di questo nome, e quan- do non c' pi (come
oggi), allora l'individuo avvizzisce in un arco di posizioni che vanno dallo
specialismo alla stravaganza. L'anaideia
soltanto la stravaganza portata agli estremi, ed il solo modo di ostentare una protesta
provocatoria in una situazione in cui la societ appare priva di fondamenti
comunitari, e allora tanto vale manifestare il proprio dissenso. Anche oggi i
managers con il telefonino ed i punkabbestia dei centri sociali sono
assolutamente intercambiabili sul piano del fondamento filosofico (tutte le
bande dei professori universitari concordano sul fatto che oggi la societ non
ha pi fondamenti metafisici, ma si fonda unicamente su regole formali), e la
loro differenza puramente crematistica,
in quanto i primi sono pieni di soldi, mentre i secondi ostentano le loro
gloriose pezze sul sedere. La posteriore saggezza stoica quindi un'elaborazione tarda del primitivo
con- cetto di anaideia. Anche Diogene il Cinico (s, proprio lui, quello che
cercava luo- 131 CarrroLo XVII mo con una lanterna e viveva in una botte)
scrisse una Politeia, in cui diceva che il denaro doveva essere abolito e
sostituito con astragali (dadi per il gioco dei bam- bini), considerava
legittima lantropofagia anche nei confronti del proprio padre e lincesto con la
propria madre, sosteneva la parit assoluta fra uomo e donna anche nel vestiario
ed invitava ovviamente ai rapporti indiscriminati tra i due sessi, con
conseguente abolizione del matrimonio (e quindi della propriet privata trasmis-
sibile per testamento). Eforo esalta nei barbari Sciti linnato senso di
giustizia, ed afferma che non c' bisogno di ricorrere alla Repubblica di
Platone per giustificare la tesi del comuni- smo, che il filosofo aveva
riservato ai governanti. Secondo Eforo il mettere tutto in comune, dai beni
alle donne, non frutto del logos, ma
deriva direttamente dalla natura (physis). Ed
stato il socratico Antistene, contemporaneo di Platone e suo avversario,
il primo a sostenere che la virt del saggio (aret) non si commisura pi con le
istituzioni politiche, ma ricerca in se stessa il proprio fondamento
(autarchia). Il termine di riferimento diventa cos la physis, e non pi il
nomos. Da un punto di vista ontologico-sociale di deduzione storica delle
categorie del pensiero, l'affermazione di questo punto di vista (anticipato
dalla polemica di Antistene contro Platone)
inseparabile dal processo storico di formazione di una comunit
cosmopolitica in cui finalmente Greci e barbari si mescolano, e non c' pi
nessun bisogno di calcolare pitagoricamente delicati equilibri (isorropiai) fra
ricchi e meno ricchi del tipo della Costituzione di Clistene e della stessa
Politeia di Platone. Ormai solo il
denaro (chrema) l'equivalente generale (isodynamia). In questa situazione, sparito
il fondamento sociale (koinonia), resta solo la virt individuale (aret). Questo
cosmopolitismo da un lato un derivato
inevitabile, ma anche dall'altro una
vera e propria fuga in avanti. Di l il severo giudizio di Hegel sullo
stoicismo. La parrhesia di Diogene il Cinico sar largamente simile alla
posteriore parrhesia di Luciano di Samosata: prendere in giro la gente e
stroncare tutte le posizioni filosofiche possibili, e poi chiamare questa
distruzione dissolutoria fi- losofia un
gioco da ragazzi, quando si colti e
spiritosi, ma questo pensiero debole(Luciano di Samosata, Gianni Vattimo di
Torino, ecc.) rivela solo in contro- luce la forza schiacciante della
crematistica dominante nell'ambiente sociale in cui si vive (crematistica
schiavistica per Luciano di Samosata, crematistica capitalistica per i
pensatori deboli del postmoderno all'ombra del capitale finanziario). E
tuttavia il pensiero stoico antico, che dovette essere poi normalizzato per di-
ventare funzionale ai nuovi dominatori romani, passando dalla precedente
anaide- ia alla virtuosa e totalmente innocua humanitas, mostra anche per il
suo carattere dialettico. Il concetto di natura implica infatti il concetto di
diritto naturale (physi- kon dikaion), ed il concetto di diritto naturale
reintroduce necessariamente il concet- to di giustizia (dike). logico allora che lo stoicismo dia luogo a
due fenomeni stori- ci interconnessi, il fenomeno della creazione di utopie
geografico-politiche di tipo apertamente comunista, ed il fenomeno dell'impegno
politico diretto di filosofi stoici a fianco di movimenti rivoluzionari
dellepoca. Entrambi i fenomeni, ovvia- 132 Fuga in avanti cosmopolitica della
comunit dei saggi e compensazione utopica alla miseria del mondo reale degli
Stoici mente, sono silenziati dalle filastrocche di opinioni che abusano il
nome di storie della filosofia, ma non per questo devono essere dimenticati o
marginalizzati. Per quanto riguarda la creazione di utopie geografico-politiche
di tipo comuni- sta, si tratta ovviamente di un comunismo che non viene
ricavato (come sar poi il caso per Marx) da una teoria dello sviluppo storico,
ma viene ricavato da una teoria radicalizzata della natura umana e del diritto
naturale. Le due principali utopie comuniste sono quella di Evemero nella Sacra
Iscrizione (Ier Anagraph) e del viaggio di Giambulo nell'isola degli adoratori
del Sole, entrambe riportate in dettaglio da Lucio Bertelli, che non ha solo
scritto una storia completa ed analitica dell'utopia greca, ma ha anche
disegnato (e qui lo ringrazio) una storia alternativa della filosofia
greca. per questo, ovviamente, che non
lo conosce nessuno. Il con- formismo bovino colpisce selvaggiamente con il
silenziamento rituale qualsiasi innovatore. Ma in queste cose (forse) il tempo
sar galantuomo. Per quanto riguarda l'impegno politico diretto dei filosofi,
Bertelli riporta i due casi del filosofo stoico Sfero di Sparta, che appoggi il
tentativo rivoluzionario di Cleomene di riportare in vigore l'antica
costituzione egualitaria di Licurgo, questa volta per senza pi lodiosa
divisione in tre caste (spartiati, perieci ed iloti), ma interamente
comunistizzata, e fu poi ovviamente massacrato, e del filosofo Blossio di Cuma,
che prima appoggi a Roma la politica del tribuno Tiberio Gracco, e poi fugg a
Pergamo in Asia Minore per combattere nella rivolta di Aristonico, una rivolta
egualitaria contro l'imperialismo romano basata sul programma di libera- zione
integrale degli schiavi. AI di fuori di pochissimi specialisti nessuno conosce
i nomi e le azioni di Sfero di Sparta e di Blossio di Cuma, mentre tutti
pensano che la filosofia sia nata dal- le simpatiche chiacchiere del pensionato
ateniese Socrate con altri giovani perdi- giorno. In proposito Nietzsche semplicemente esilarante con la sua
dilettante- sca teoria dei Greci dionisiaci che potevano permettersi di essere
tali perch gli schiavi malriusciti lavoravano per loro, teoria come noto ripresa congiuntamente da Stalin (il
modo di produzione schiavistico come secondo stadio nella marcia trionfale
verso il comunismo, il suo, naturalmente) e da Hannah Arendt (la vita activa
riservata nell'antichit ai pochi che non lavoravano). E tuttavia, perch nes-
suno conosce Sfero di Sparta e Blossio di Cuma e tutti conoscono Socrate?
Soltanto una ricostruzione ontologico-sociale della storia della filosofia antica
pu spiegare questo semplicissimo enigma. E per finire su questo punto riassumo
come di consueto i punti essenziali. 1) L'epicureismo certamente a tutti gli effetti una filosofia
ellenistica, che tuttavia anche a met
fra i due mondi. Da un lato, attua una secessione dalla comunit politica per
ricentrarsi sulla comunit solidale ed egualitaria pro- tetta di amici,
indipendentemente uomini, donne, liberi e schiavi. Dall'altro, conserva il
principio greco del metron, continua nella sua etica ad onorare il finito
(Hegel), riassume al massimo livello il punto di vista greco sul mondo 133
CarrtoLo XVIII (Theodoridis), ed addirittura anticipa idealmente la marxiana
abolizione dello Stato (Farrington). 2) Lo stoicismo antico, che settecento
anni dopo Giuliano lApostata arruo- la nella tradizione delle filosofie
religiose, nasce invece all'insegna della vio- lazione sistematica del comune
senso del pudore derivante dalle regole della vita associata (anaideia). E
tuttavia, il senso di vergogna (aidos), che stava a fondamento dell'etica
originaria dei Greci, e che ne determinava direttamente il comportamento
comunitario (che poi Kant, il meno greco dei filosofi che sia mai esistito,
avrebbe definito eteronomo), era gi stato distrutto dallo sca- tenamento
crematistico dell'economia schiavistica, di cui lanaideia solo una reazione diretta. I paragoni con
l'oggi saltano agli occhi, e farli non significa affatto violare la storicit di
quei tempi. Prima di diventare una pratica di vita addomesticata per saggi
benestanti (Seneca), schiavi (Epitteto) ed imperatori romani filosofi (Marco
Aurelio), lo stoici- smo anim movimenti politici rivoluzionari ed egualitari
(Sfero di Sparta, Blossio di Cuma), e svilupp utopie egualitarie di tipo
direttamente comunista (la Sacra Iscrizione di Evemero ed il viaggio di
Giambulo nell'isola degli adoratori del Sole). Il silenziamento su questi
aspetti essenziali non pu essere spiegato che con mo- tivi di manipolazione
ideologica e di riscrittura normalizzata della storia della filosofia occidentale.
134 XIX. LA MISERIA DEL MONDO ROMANO E LA FORMAZIONE SOCIALE DEI PRESUPPOSTI
DEL CRISTIANESIMO. IL ROVESCIAMENTO DIALETTICO DELL'IMPERIUM IN BASILEIA E
L'INVERSIONE ONTOLOGICO-SOCIALE DELLA TERRA IN CIELO La filosofia stoica, nata
sulla base della violazione sistematica del comune senso del pudore (anaideia),
e poi gradualmente normalizzata in innocuo sapere del saggio capace di vincere
il turbamento (ataraxia), divent la koin filosofica pi dif- fusa nel mondo
ellenistico-romano. E questo non un
caso, perch si pass da una prima fase politica, provocatoriamente
antischiavistica ed antiproprietaria, ad una seconda fase apolitica di semplice
cura dell'anima individuale. Il percorso normalizzatore dallanaideia
all'ataraxia ovviamente mistificato e
nascosto dalla manualistica filosofica ordinaria, che lo rovescia
integralmente. Tace e censura il momento fondante dellanaideia, e sostiene al
contrario che la teoria della ataraxia
la sola filosofia politica delo mondo romano. Se si legge Seneca e Marco
Aurelio, tuttavia, si vede che in realt quello che viene impropriamente
chiamato stoici- smo, ed invece non lo
per niente, non altro che la
vecchia buona cura di s platonica (ricordo la corretta interpretazione di
Alessandro Biral cui ho accennato nel precedente capitolo su Platone), del
tutto desocializzata. E vedremo pi avanti che proprio la desocializzazione
della saggezza sta al centro di quella che Hegel ha chiamato la miseria del
mondo romano. L'unica definizione filosofica possibile della miseria sociale, a
fianco ovviamente della povert materiale della gente (povert materiale su cui
torner diffusamente nel prossimo capitolo),
proprio la desocializzazione della saggezza, per la saggezza stessa, non
avendo pi alcun mandato sociale, non pu che avvizzire nell'ampio spettro di
posizioni che vanno dallo specialismo alla stravaganza, e cio dalla filologia
universitaria ai punkabbe- stia. Il pensiero stoico ha per messo in circolo due
elementi filosofici nuovi, e cio l'universalismo del genere umano (katholiks) e
lidea di necessit provvidenziale (pronoia). Il primo concetto ovviamente un derivato categoriale del
cosmopoli- tismo prodotto dalle conquiste di Alessandro il Macedone in Oriente,
mentre il secondo ha una derivazione mista, in parte greca ed in parte
orientale. Zenone riteneva che l'universo periodicamente terminasse nella
conflagrazione e che gra- dualmente si ricostituisse nello stesso modo. Come il
vuoto che lo avvolge, il tem- po un
interstizio cavo fra gli eventi (Leibniz dir poi qualcosa di simile). I fatti
della storia universale ritornano eternamente. Si ripresenter in futuro un
nuovo Socrate per subire un nuovo processo, e ci saranno nuovi Anito e nuovi
Meleto 135 CariroLo XIX per accusarlo. Chi sostiene quindi che il concetto di
storia universale nato con il
cristianesimo e con la fusione messianica giudaico-cristiana (Karl Lwith ed
altri) a mio avviso sbaglia. Il concetto di storia universale nato prima in forma ciclico- ripetitiva con
lo stoicismo di Zenone, ed nato sulla
base di una provvidenza pu- ramente naturalistica e non divino-religiosa
(pronoia), il cristianesimo lha incor- porata in una visione messianica e
salvifica della storia, e poi la filosofia classica tedesca della storia
(Fichte, Hegel e Marx) lha rielaborata in forma dialettica. Ma questo punto
verr ovviamente sviluppato pi avanti. Al tempo di Zenone, data l'impossibilit
di pensare la storia universale con un solo concetto unitario trascen- dentale
riflessivo (non possiamo infatti imputare a Zenone di non essere vissuto nel
settecento illuministico europeo), era inevitabile che la si pensasse nella
forma ciclica della ripetizione. Il pensiero ciclico, infatti, riflette in
forma astratta il ciclo delle stagioni che determina l'agricoltura, la
pastorizia, l'allevamento e l'uscita in mare dei pescatori, mentre il pensiero
lineare-progressivo riflette la fine dei cicli stagionali e l'avvento
dellaccumulazione lineare del capitale. Ma su questa ov- viet, naturalmente,
ritorner pi avanti in un prossimo capitolo. Lo stoicismo, quindi, passata la
fase provocatoria dellanaideia, consegna al mondo classico posteriore i due
concetti di universalismo cosmopolitico e di prov- videnza necessaria
(pronoia). Entrambi staranno alla base del cristianesimo. giun- to allora il momento di parlare delle
origini del cristianesimo, di Ges di Nazareth e di Paolo di Tarso, che ne sono
stati entrambi i fondatori a pari grado, il primo nella sua dimensione
messianica, ed il secondo nella sua complementare dimen- sione di
assoggettamento universalistico ad un unico salvatore, codice filosofico gi
presente da almeno duecento anni nei trattati in lingua greca sulla monar- chia
(per basileias). Mentre infatti il primo ciclo della filosofia greca produce
innu- merevoli testi sulla natura (per physeos), natura con cui veniva
metaforizzata la so- ciet (Diodoto, ecc.), ora il secondo ciclo della filosofia
greca vede la pubblicazione di innumerevoli testi sulla monarchia (per
basileias), con cui veniva metaforizzato l'incredibile bisogno di protezione ed
assistenza dei poveri abbandonati allo sca- tenamento selvaggio della
crematistica. E chi non coglie questo punto resta fuori dalla storia della
filosofia come un amante della musica che restasse fuori dalla sala dei
concerti e non potesse sentire che echi musicali vaghi e lontani. Affrontiamo
quindi il noto e cruciale problema dellinterpretazione filosofica delle origini
storiche del cristianesimo. Si tratta del secondo grande problema teori- co del
pensiero occidentale, dopo il primo grande problema che abbiamo affrontato nei
capitoli precedenti, quello delle origini e della natura della filosofia greca
clas- sica e poi ellenistica. Anche in questo caso, quindi, mi comporter come
mi sono comportato in precedenza per il primo caso, ispirandomi alla genesi storica
della deduzione delle categorie del pensiero ed al metodo ontologico-sociale.
In estrema sintesi, sebbene mi ritenga pi competente per il primo problema che
per il se- condo (sono infatti un filosofo che legge correntemente il greco
antico ed il latino, non sono per nulla un esegeta biblico e non conosco
assolutamente n l'ebraico n laramaico), considero lanalisi ontologico-sociale
delle origini del cristianesimo 136 La miseria del mondo romano e la formazione
sociale dei presupposti del cristianesimo pi facile di quanto lo sia lanalisi
complessiva del mondo greco. I Greci antichi sono gi volati via, infatti, e non
sono pi fra noi, mentre i cristiani, sia pure ir- riconoscibili rispetto ai
loro lontani progenitori (e vedremo il perch in questo e nei prossimi
capitoli), sono ancora fra noi, e per quanto mi riguarda mi auguro che restino
con noi a lungo. Una parentesi. D'accordo con lo studioso di scienze sociali
svedese Myrdal, io ritengo che il massimo di oggettivit possibile nelle scienze
sociali ed in filoso- fia, in cui non esiste la matematizzazione, l'esperimento
e la verifica dei protocolli sperimentali, sia lesplicitazione pubblica chiara
e veridica delle proprie premesse di valore. Ci vale soprattutto quando si
parla di politica (destra e sinistra, ecc.) e di filosofia (credenti e non
credenti, ecc.). E far anch'io cos, interrompendo brevemen- te la mia
esposizione. Il lettore, infatti, ha il diritto di sapere bene come la pensa
colui che sta leggendo. : Personalmente, sono stato battezzato a pochi giorni
di vita nel culto cattolico romano. Ho perso la cosiddetta fede nelle
discussioni adolescenziali e da allora potrei essere classificato fra coloro
che si dicono e vengono detti atei. Termine che non mi piace, peraltro, e in
cui non mi riconosco, perch non mi piace per nulla che ci si definisca in
negativo con l'alfa privativo (a-teo). Da filosofo, preferisco le definizioni
in positivo, e non quelle in negativo. Pur non essendo in alcun modo un
credente, e pur ritenendo (a differenza di Benedetto Croce) che se lo vogliamo
e lo riteniamo necessario possiamo anche non dirci cristiani (su questo punto
Alain de Benoist ha ragione e Croce ha torto), sono tuttavia un sostenitore
della necessit sociale della religione. La religione, a mio avviso, sempre e comunque un katechon contro lo
scatenamento della bestialit nichilistica della crematistica nei rapporti
sociali ( si tratta di un punto che mi differenzia fortemente dal mio maestro
di ontologia sociale Lukcs). Gli atei mangiapreti a mio avviso non lo capiscono,
ed per questo che considero il loro un
pensiero dell'intelletto astratto (Verstand) e non della ragione concreta
(Vernunft). Dal punto di vista dell'intelletto astratto (Verstand) mi sembra
del tutto logico sostenere non solo che Dio non
logicamente dimostrabile (vedi la Critica della Ragion Pura di Kant) e
che non logico rappresentarselo come un
soggetto progettante antropomorfizzato (vedi lEtica di Spinoza), ma che siano
anche del tutto plausibili le teorie dell'evoluzione darwiniana e delle capacit
auto poietiche ed auto-organizzative della materia e dell'energia, da cui
deriva la necessaria conclusione per cui Dio non esiste. Dal punto di vista
della ragione concreta (Vernunft), sono un sostenitore della necessit sociale
della religione, che nonostante tutti i suoi difetti e la possibile corruzione
venale e pedofiliaca di molti suoi esponenti ( comunque minore di quanto
sosten- gono i suoi avversari laici) considero in termini di katechon, e cio di
freno verso una bestializzazione crematistica integrale dei rapporti umani.
Sbagliano quindi coloro che contrappongono il bel mondo dei Greci, riletti come
atei e materialisti (vedi Nietzsche, Onfray e compagnia cantante) al mondo
posteriore superstizioso dei cristiani. Se infatti costoro conoscessero meglio
i Greci, che invece non conosco- no e su cui coltivano pittoreschi ed infondati
luoghi comuni da scuola media, sa- 137 CaprroLo XIX prebbero che i Greci veri
si fondavano sul katechon, ed anche se preferivano quello razional-politico non
disdegnavano certamente anche quello religioso. Detto que- sto, e messe bene le
carte in tavola, passiamo a ragionare di filosofia. In estrema sintesi, il
cristianesimo si basa sul contributo a
pari grado dei suoi fondatori,
rispettivamente Ges di Nazareth e Paolo di Tarso. Il primo ha svilup- pato un
messaggio di tipo messianico (e secondariamente apocalittico), derivato
direttamente dalla tradizione profetica ebraica, e dal profeta Isaia in
particolare. Il secondo, invece, ha sviluppato un messaggio derivato da una
tradizione com- pletamente diversa, quella della basileia ellenistica, ed in
cui la liberazione umana viene pensata come il frutto dellasservimento
volontario di tutti i membri (mere) della societ a questo unico
Liberatore-Benefattore, siano essi schiavi (douloi), liber- ti (apeleutheroi) e
liberi (eleutheroi). Ma vediamo prima Ges di Nazareth, e dopo Paolo di Tarso.
Per la ricostruzione del messaggio originale del Ges storico vale lo stesso
prin- cipio metodologico che vale per la ricostruzione dei contenuti
ontologico-sociali della filosofia antica. Bisogna infatti partire con il piede
giusto e non con il piede sbagliato. Per la filosofia antica il piede
sbagliato lelencazione dossografica
delle opinioni dei filosofi antichi, in cui la de storicizzazione e la
desocializzazione possono essere compiute in nome della teoria delle quattro
cause o di una generica ed astorica meraviglia, oppure in qualsiasi altro modo,
mentre il piede giusto la collocazione
storica e sociale delle categorie del pensiero allinterno delle catego- rie
dell'essere sociale, caratterizzato storicamente dalla dismisura delle
ricchezze e dall'esigenza di un katechein. Per il Ges storico il piede
sbagliato consiste nel chiedersi arbitrariamente chi era veramente Ges, mentre
il piede giusto consiste nel chiedersi prima perch e sulla base di quali accuse
(in modo molto simile a quanto si fa con Socrate) stato crocefisso, e poi chi stato a crocefiggerlo, se il governatore
militare romano Ponzio Pilato o il sinedrio ebraico di Caifa, oppure tutti e
due. Se non si impostano cos le cose si girer sempre su se stessi, ed ognuno,
da Ernest Renan a Joseph Ratzinger, si sceglier arbitrariamente il suo Ges la carte, secondo il doppio parametro del suo
gusto personale e del politicamente corretto vigente nell'epoca. Avremo cos un
Ges guerriero ed un Ges pacifista, un Ges maschili- sta ed un Ges femminista,
un Ges che offre laltra guancia ed un Ges che invece frusta i mercanti nel
tempio, un Ges che sostiene che pi
facile che un cammello passi per la cruna di un ago piuttosto che un ricco vada
in paradiso, ed infine un Ges che sostiene che ognuno deve fare il suo dovere a
seconda dei talenti (e cio dei soldi) che possiede. Come si vede, questo Ges
arbitrario, riempibile a piacere,
l'equivalente religioso della filosofia intesa come dotta e filologica
filastrocca di opi- nioni. Il Ges arbitrario e la filosofia delle opinioni
confluiscono necessariamente entrambi nel libero chiacchiericcio che ha oggi
sostituito la seriet del ricostruire e del pensare. In base a quali accuse e
perch stato crocefisso il Ges storico?
Partendo dal fatto che il proclamarsi messia non era un reato per gli occupanti
romani, che non cono- scevano il cosiddetto reato di opinione, ma lo era invece
per le autorit ebraiche, 138 La miseria del mondo romano e la formazione
sociale dei presupposti del cristianesimo che lo punivano con la lapidazione,
dovremmo concluderne che stato il
sinedrio ebraico a condannare Ges, consegnandolo peraltro al braccio secolare
del po- tere militare romano perch eseguisse la sentenza. Ma resta il fatto che
quando i romani crocefiggevano qualcuno mettevano sulla croce un cartiglio che
indicava il reato commesso. Il cartiglio posto sulla croce di ges era composto da
quattro lettere (INRI), di cui le prime due indicavano il nome (Ges Nazareno) e
le ultime due il reato (Re dei giudei). Bisogna quindi sapere esattamente che
cosa voleva dire Re dei giudei. Inoltre, bisogna cercare di capire se la
condanna fu legittima (non dico giusta, perch fu ingiusta in ogni caso, ma
soltanto legittima), oppure fu fon- data su un equivoco ed una menzogna,
manipolata dal sinedrio mafioso ebraico. La mia opinione la seconda, ma dovr brevemente motivarla. Il
termine Re dei giudei, in una situazione storica in cui non cera pi nessun re
dei giudei ma soltanto un sinedrio collaborazionista con loccupante romano, era
il nome che i romani davano ai capi politico-militari dei cosiddetti zeloti
(dal greco zelotes, fanatici, in latino sicari), i membri del partito
insurrezionale dei parti- giani antiromani. Da sempre, il potere chiama
terroristi coloro che si oppongono ad una occupazione militare straniera, ci
che avviene anche oggi, ed ecco perch la filosofia si occupa non solo del
proprio tempo appreso nel pensiero, ma anche e soprattutto di ci che , ed eternamente. Ges fu dunque crocefisso come
terrorista zelota, e chi fa smorfie in proposito fa come le tre scimmiette che
non vedono, non sentono e non parlano. Se infatti Ges fosse stato uno zelota
(come sostengono innumerevoli studi storici, di cui personalmente me ne sono
letto al- meno una decina), la condanna sarebbe stata ingiusta, ma almeno la si
potrebbe definire legittima. Ad esempio Barabba, lenfant du pays salvato dalla
plebaglia gerosolimitana, era uno zelota confesso, che aveva pugnalato un
soldato romano (a quei tempi, il maggior equilibrio di forze fra insorti ed
occupanti non aveva ancora costretto i partigiani a farsi saltare in aria come
i moderni kamikaze). Resta il fatto, incontrovertibile storicamente, che Ges
non poteva essere condannato a morte dalloccupante romano per generici reati di
opinione (vogliamoci bene, vi porto la pace, offrire laltra guancia, i ricchi
andranno all'inferno, c' un solo Dio in cielo ed io sono suo figlio, ecc.), ma
soltanto per insurrezione armata ed uccisione di soldati occupanti (gli zeloti,
appunto, i cui capi si facevano chiamare, ed erano chiamati re dei giudei). E
tuttavia, personalmente non aderisco a questa pur razionale interpretazione,
sempre che, ovviamente, si considerino i Vangeli come documenti storici, e non
come miti arbitrari costruiti artificialmente pi tardi (Ambrogio Donini), che
si sono addirittura inventati un Ges storicamente mai esistito (la storiografia
so- vietico-staliniana su Ges). Alla luce dei testi evangelici, Ges non sembra
essere stato uno zelota, anche se per crocefiggerlo hanno dovuto inventarsi il
suo esserlo stato. Pare che Ges si auto-interpretasse come un servo sofferente
(cfr. Isaia, 53; Saggezza di Salomone, 2, 13-20), e non come re vittorioso (il
che lo avrebbe fatto di- ventare zelota). Sta di fatto, ed stato testimoniato chiaramente (cfr. Luca, 4,
14-30) che Ges rischi il linciaggio e la lapidazione quando in una sinagoga
annunci 139 CaprroLo XIX che con la sua venuta era possibile annunciare un nuovo
Anno di Misericordia del Signore. Ma cos'era l'Anno di Misericordia del
Signore? Si trattava di un provvedimento politico-religioso di remissione dei
debiti, di liberazione degli schiavi per debiti (qui il parallelismo con Solone addirittura provocatorio), ed in generale di
una redistribuzione comunistico-comunitaria delle ricchezze private.
Conformemente alle attese messianiche dellepoca, questo provvedimento comunista
era inestri- cabilmente mescolato alla guarigione dei malati e dei ciechi ed
alla stessa resurre- zione dei morti (Lazzaro, ecc.), senza contare che sulla
base dell'unione fra macro- cosmo naturale e microcosmo sociale il terremoto
sociale di una redistribuzione delle ricchezze era simbolicamente unito ad un
terremoto naturale. E tuttavia, per attuare questo Anno di Misericordia del
Signore, non bastava un an- nuncio in una sinagoga di provincia, ma bisognava
andare a purificare il Tempio di Gerusalemme. Data la pittoresca ignoranza
storica oggi dominante, molti non sanno che il tempio non era una sorta di
chiesa in cui si pregava e basta, ma una sorta di ministero dell'economia che
raccoglieva le tasse e redistribuiva i beni. Purificare il Tempio, quindi, non
significava derattizzarlo e farci passare laspi- rapolvere, ma significava
cacciare le bande di sacerdoti e scribi corrotti che ne ave- vano a lungo
assicurato una gestione mafiosa e privatistica. Quando il galileo Ges arriv a
Gerusalemme, la banda mafiosa del sinedrio fu presa dal terrore. Altro che Mani
Pulite! Qui si trattava di una vera rivoluzione sociale (ripeto: Anno di
Misericordia del Signore), che li avrebbe spazzati via. Fu relativamente facile
per loro corrompere il pi corrompibile degli apostoli, (nonostante il nome da
zelo- ta, non credo alla storiella per cui Giuda sarebbe stato uno zelota
deluso, che si vendicato del suo capo
pacifista!), e fare intervenire gli occupanti romani contro il terrorista
rivoluzionario. I romani non aspettavano altro! E cosla storia si ripete.
Aprite i giornali, e di Ges ne troverete uno al giorno nelle aree geografiche
occu- pate dalle armate imperiali (fra cui ovviamente anche la nostra)! E cos
Ges fu crocefisso come zelota, cosa che probabilmente non era, e fu crocefisso
congiuntamente dagli occupanti romani e dal sinedrio mafioso ebraico. Che poi
sia risorto da morte o meno, ognuno creda ci che vuole, ma qui non siamo pi nel
campo della filosofia, ma della cosiddetta fede. Dal momento che chi scrive non
crede purtroppo alla resurrezione dei morti, neppure se lunico morto
resuscitato il figlio di Dio (su questo,
mi spiace, considero pi razionale l'Islam, generalmente etichettato come
irrazionalistico), ritengo razionale lipo- tesi medico-positivistica, per cui
Ges stato staccato dalla croce ancora
vivo, ed poi morto due mesi dopo per le
conseguenze delle ferite riportate. Ma, come dico, tutto questo per la
filosofia non ha la minima importanza. Importante invece accertare per quale reato Ges stato crocefisso (terrorista rivoluzionario
zelota) e chi lo ha fatto crocefiggere (l'alleanza fra il Sinedrio mafioso
ebraico ed il potere militare romano che non voleva grane). Ed ancora pi
importante accertare il carattere
messianico-sociale del suo progetto di purificazione politico-religiosa del
Tempio (l'Anno di Misericordia del 140 La miseria del mondo romano e la
formazione sociale dei presupposti del cristianesimo Signore) da ottenere con
la cacciata delle bande corrotte di scribi e sacerdoti (ove gli scribi erano
quelli che raccoglievano le tasse). Crocefisso Ges, e distrutto nel sangue il
suo progetto sociale di tipo comuni- tario-comunista (mi spiace, ma non si
tratta di estremismo riduzionistico, bens di semplice deduzione sociale delle
categorie), il cristianesimo cessa di essere un pro- getto messianico ebraico,
e deve diventare per sopravvivere un progetto univer- salistico (katholiks)
garantito in qualche modo dalla divina provvidenza (theik pronoia). giunto allora il momento di Paolo di Tarso,
cofondatore a pari grado del cristianesimo storico. Se Ges era mosso da una
interpretazione messianico-politica dell'Anno di Misericordia del Signore, da
ottenere attraverso una purificazione del tempio fa- vorita dal sacrificio
volontario di un servo sofferente, Paolo
un cittadino roma- no di origine ebraica (per la precisione un fariseo,
l'equivalente della sinistra pa- rolaia ed ipocrita dellepoca, che a parole era
per il messianesimo e di fatto lo boi- cottava in mille modi quando si
presentava), influenzato dallideologia ellenistica del Salvatore (Sotr) e del
Benefattore (Everghetes). Non bisogna quindi stupirsi se Paolo non potesse che
interpretare cos il messaggio messianico di Ges: al posto dell'annuncio
dell'Anno di Misericordia del Signore propiziato dalla purificazione del
tempio, la proposta di asservimento di tutte le parti (le aristoteliche mere)
della societ ad un unico Salvatore. Quanto dico
documentato (anche laborrita citatologia a volte serve a qualcosa) nella
Lettera ai Corinzi (cfr. 7, 20-24). A Corinto sembra che lintera popolazione
fos- se divisa grosso modo in tre parti equivalenti, gli schiavi (douloi), i
liberti (apeleuthe- roi), ed infine i liberi (eleutheroi). E vediamo cosa
scrive Paolo: Ciascuno rimanga nella condizione in cui era quando fu chiamato.
Eri uno schiavo quando sei stato chiamato? Non farti inquietare da questo.
Anche se avessi la possibilit di diven- tare libero, scegli piuttosto di fare
buon uso della tua schiavit. Infatti lo schiavo che diventato cristiano un liberto del signore, mentre il libero
che stato chiamato uno schiavo di Cristo. Siete stati comprati
[si intende: da Cristo]! Non diventate schiavi di uomini! Ciascuno, fratelli
miei, resti davanti a Dio in quella condizione in cui stato chiamato. La citazione chiarissima, anche se falangi di pretoni
manipolatori l'hanno in- terpretata per secoli come invito interclassista a non
contestare lordine dominante (dimenticando il precedente Anno di Misericordia
del Signore di Ges). La libera- zione
pensata nella forma dellasservimento universale ad un unico Liberatore
(Sotr, Everghetes). questa la forma
simbolica che ha preso, e non poteva non prende- re, il messaggio cristiano in
un contesto sociale in cui vi erano tre parti (mere) della societ, i liberi, i
liberti e gli schiavi. Ma qual era questo contesto sociale? Era il contesto
sociale dell'impero romano, lorganizzazione politico-militare che garantiva
lunit economica di tutte le classi schiavistiche dell'antichit. Per
interpretarlo user linsuperabile modello simboli- co di Hegel, dal momento che
vorrei tanto, ma non ne conosco uno migliore. 141 CaprroLo XIX Le Lezioni sulla
filosofia della storia tenute a Berlino da Hegel contengono unana- lisi
filosofica dell'impero romano addirittura stupefacente, anche perch le analo-
gie con la situazione storica attuale sono letteralmente incredibili. Hegel definisce
l'impero romano come la finitezza portata all'infinito, e mi permetto
liberamen- te di interpretare questa frase hegeliana come la finitezza del
possesso privato portata all'infinito arricchimento incontrollato, l'esatto
contrario del metron greco. Ma la citazione fondamentale per capire il pensiero
di Hegel questa: Il mondo romano, nel
suo disorientamento e nel suo dolore per l'abbandono da parte di Dio, ha
generato il dissidio con la realt e il comune anelito a una soddisfazione che
pu essere raggiunta solo interiormente, nello spirito, preparando cos il
terreno per un superiore mondo spirituale.
evidente dal contesto che questo superiore mondo spirituale per Hegel il cristianesimo. Si tratta di una lettura
frontalmente opposta a quella che far Nietzsche sullavvento del cristianesimo
come decadenza. Due sono comunque i punti essenziali del problema su cui Hegel
attira lattenzione. In primo luogo, proprio l'aver accolto tutti gli di
conquistati in un unico Pantheon romano li svuota di ogni vero significato. Se
infatti un dio ammesso in un Pantheon di
una civilt barbarica che si fonda sui giochi gladiatori, allora vuol dire che
si tratta di un dio ormai divenuto del tutto irrilevante. Si afferma il
plurali- smo, e potrebbe sembrare un progresso rispetto alla precedente
intolleranza, ma la precedente intolleranza significava pur sempre che le
differenze venivano prese sul serio, ed appunto per questo erano in lotta
reciproca. Ma ora queste differenze, assunte ufficialmente in un Pantheon, si
equivalgono e sono tutte uguali. Un simile eguagliamento nellindifferenza non
pu che portare al dolore per l'abbandono da parte di Dio. Si tratta esattamente
della situazione attuale. In superficie, globa- lizzazione pittoresca,
multiculturalismo, pensiero debole, relativismo, everything goes, ed altro
ancora. In profondit, dominio del possesso, ed ancora del possesso, e solo del
possesso. Un mondo in cui c' soltanto il possesso, appunto un mon- do disorientato per
l'abbandono da parte di Dio. In secondo luogo, per mostrare come non mi sto
inventando nulla e non sto liberamente fraintendendo Hegel, Hegel stesso
individua la religione dei romani nella cosiddetta finalit pratica. Ma il
finito che interessa ai romani non pi il
finito onorato dai Greci, e cio il metron dell'equilibrio comunitario
(isorropia), ma il finito della propriet
privata. Scrive allora Hegel: Il diritto assoluto soltanto lastratto diritto di propriet [...]
lesistenza di me la mia propriet e
questa interiorit non va pi oltre, ed ogni contenuto ulteriore in essa scomparso. E con ci gli individui
sono posti come atomi, ma nello stesso tempo essi stanno sotto il duro governo
delluno [...] il sog- getto autorizzato
solo al possesso, la persona delle persone (e cio limperatore) al possesso di
tutti, cosicch il diritto singolo nello
stesso tempo abolito e privato di forza giuridica. Questa contraddizione la miseria del mondo romano. Si tratta anche
della miseria del mondo presente. Dopo la disoluzione del comu- nismo storico
novecentesco recentemente defunto (1917-1991) si creata una situa- zione generalizzata che
Lukcs avrebbe definito in termini di unione di astratta onnipotenza e concreta
impotenza del soggetto individuale. Da un lato, esso 142 La miseria del mondo romano e la
formazione sociale dei presupposti del cristianesimo astrattamente onnipotente,
e pu fare quello che vuole. Dall'altro,
concretamente sorvegliato in ogni momento della vita da onnipotenti
sistemi di controllo che gli sfuggono, e la sola oggettivazione della sua
libert che ha a disposizione lacceso
alla propriet privata con i giganteschi differenziali di potere, consumo e
status sociale che questo comporta. Il presidente USA, lunico che pu ordinare
di di- struggere il mondo con le sue bombe atomiche, esattamente la persona delle persone di cui
parla Hegel. Gli individui sono infatti posti oggi come atomi, ed il
soggetto autorizzato solo al possesso.
L'analisi filosofica hegeliana mi sembra insuperabile. Non a caso, Heidegger
dir che oggi solo un dio pu ancora salvarci. Agli atomi sociali astrattamente
onnipotenti e concretamente impotenti viene dato come contenuto della libert
solo laccesso al possesso e lincontrollato ed irrilevante opinare (meinen), in
cui tutti possono dire quello che vogliono, ma in cui qualunque cosa dicano del tutto irri- levante, perch soltanto
laccesso al possesso conta. La legittimazione paradossale di questo potere
vergognoso deve ancora essere studiata, e lo sar nel prossimo capitolo.
L'Impero del Ricco, infatti, si rovescer simbolicamente in Regno del Povero. La
realt superer la fantasia pi scatenata. Ma questa appunto la dialettica. 143 XX. IL REGNO
CELESTE DEL POVERO ED IL REGNO TERRESTRE DEL Ricco. SULLA GENESI ONTOLOGICO-SOCIALE
DELLA FONDAZIONE IDEOLOGICA DEL CRISTIANESIMO COSTANTINIANO E POST-COSTANTINIANO
La fine del mondo antico e la dissoluzione politico-militare dell'unit dellim-
pero romano sono stati sempre fra gli argomenti preferiti della storiografia,
perch nell'analisi di questi due fenomeni si incrociano al massimo grado le interrelazioni
dialettiche fra cosiddette cause esterne e cosiddette cause interne. Lo storico
francese Piganiol, chiedendosi se l'impero romano sia morto di cause naturali
op- pure sia stato assassinato, giunse alla conclusione che era stato
assassinato (dalle invasioni barbariche, ovviamente). E tuttavia, senza
sottovalutare il ruolo storico importantissimo delle invasioni barbariche (che
per distrussero soltanto lunit politica della parte occidentale dell'impero,
non quella orientale che dur fino al 1453
ma leurocentrismo occidentalistico presuntuoso non ha ancora imparato ad
accettare che il cosiddetto impero bizantino era in realt un impero romano a
tutti gli effetti), ritengo sulla base del metodo di Marx che le cause interne,
attinenti la riproduzione dei parametri essenziali di un modo di produzione (in
quel caso, il modo di produzione schiavistico maturo nel suo passaggio dalla
schiavit al colo- nato e da un'economia monetaria fiorente ad un'economia
autarchica di autocon- sumo), siano state molto pi importanti delle cause
esterne. Non a caso, chi non possiede questo metodo strutturale non ha ancora
capito oggi, pi di un ventennio dopo, le cause strutturali interne della
dissoluzione dei regimi del comunismo sto- rico novecentesco realmente esistito
(1917-1991), e continua a cianciare di tradi- menti (Gorbaciov, Eltsin, ecc.) e
di complotti CIA. Ma come l'impero romano non croll per predominanti cause
esterne (che pure ci furono, ovviamente), ma per predominanti cause interne,
nello stesso modo il comunismo storico novecentesco non croll per predominanti
cause esterne (che pure ci furono, ovviamente), ma per predominanti cause
interne, su cui ci soffermeremo analiticamente negli ultimi capitoli di questa
ricostruzione ispirata al metodo della genesi storica delle catego- rie del
pensiero e dellontologia dell'essere sociale. Non questa la sede per una elencazione ed un
esame critico delle cosiddette cause interne del crollo del mondo antico
(passaggio dall'economia schiavisti- ca delle villae all'economia del colonato
dei latifundia, indebolimento demografico causato da nuove spaventose epidemie,
rarefazione della circolazione monetaria dovuta al progressivo esaurimento
delle miniere di argento, insopportabilit pro- gressiva dell'imposizione
fiscale e tributaria, fino addirittura alla insalubrit delle condutture di
piombo per lacqua, ecc.). L'elencazione delle cause non serve a nul- 145
CariToLO XX la, se queste cause non vengono correttamente gerarchizzate per
ordine di impor- tanza. E se si vuole seguire il metodo di Marx, che non obbligatorio ma resta il migliore esistente
gratuitamente sul mercato delle idee, la causa strutturale pi importante resta
la crisi della produzione schiavistica generalizzata investita da una pressione
esterna (i barbari, appunto) e da una pressione interna (il passaggio al
colonato derivato dalla rarefazione della moneta per gli scambi commerciali).
Tutto questo, ovviamente, incasellato
dalla divisione universitaria del lavoro come storia e non come filosofia. E
tuttavia la cosiddetta filosofia deriva di- rettamente dalla cosiddetta storia
(ho scritto cosiddette perch in realt sono d'accordo con Marx, che esista cio
una sola scienza indivisa della totalit sociale, ed i dipartimenti organizzativi,
utilissimi per l'attribuzione dei concorsi, devono poi essere decompartimentati
dall'analisi dialettica unitaria). Vorrei per intro- durre un elemento
essenziale che non ho quasi mai trovato nelle analisi storiche del periodo, e
cominciare proprio da quello per la ricostruzione complessiva di quel tempo
lontano ed affascinante. Affascinante, soprattutto, per le sconcertanti
analogie con i nostri tempi. ovvio,
infatti, che la cultura imperiale (l'Inghilterra del settecento con Gibbon, e
gli USA oggi con i consulenti imperiali del governo) sia affascinata per
analogia dallascesa e poi dal declino dell'impero romano, in quanto nell'impero
romano vede se stessa con duemila anni di ritardo e vorrebbe scongiurare il
declino e la caduta. Ma non questo per me
l'aspetto pi impor- tante. Io non sono un consulente imperiale, ma un libero
filosofo dellontologia dell'essere sociale. L'aspetto a mio avviso pi
importante di quel complesso periodo storico
l'aspettativa sociale decrescente nel passaggio fra le generazioni. Oggi
si di fron- te allo stesso fenomeno
generalizzato, ma solo alcuni sociologi intelligenti lo af- frontano. Oggi il
diffondersi a macchia dolio delle aspettative sociali decrescenti, per cui i
figli staranno quasi sicuramente peggio dei loro genitori (non in Cina ed
India, ovviamente, ma in Europa e negli stessi USA, che sono pur sempre il
centro dell'impero), dovuto al passaggio
da un capitalismo di tipo fordista-keynesiano che conservava forti elementi di
sovranit statale sulla moneta, ad un capitalismo finanziario globalizzato che ha
costretto le classi dominanti metropolitane a pas- sare dal lavoro fisso al
lavoro a termine flessibile e precario. Questo ha comportato ovviamente anche
alcune altre distruzioni derivate, prima fra tutte la distruzio- ne della
scuola liceale europea, basatasi per due secoli sulla proiezione ideale di un
lavoro fisso e stabile dalla maturit alla morte. Come noto, questa distruzio- ne capillare della
scuola, la cui origine sistemica e strutturale
dovuta a severe ragioni di passaggio d'epoca capitalistico e non certo a
sbandamenti culturali contingenti (pur esistenti, e si veda la conversione
della generazione del 1968), stata
delegata dalla classe dominante neoliberale-finanziaria a bande scomposte di
pedagogisti pazzi, psicologi invasivi e sindacalisti bulimici. Ma su questo si
dir qualcosa pi avanti. Se le aspettative sociali decrescenti, per cui in media
i figli staranno peggio dei padri, sono oggi dovute al passaggio da un
capitalismo fordista-keynesiano con 146 Sulla genesi ontologico-sociale della fondazione
ideologica del cristianesimo costantiniano e post-costantiniano sovranit
statale sulla moneta ad un capitalismo finanziario globalizzato neolibe- rale,
erano allora dovute alla disgregazione dei meccanismi di riproduzione so- ciale
basati sulla doppia disponibilit di schiavi e di moneta. Entrata in crisi que-
sta doppia disponibilit, chiaro che
anche le cosiddette classi medie, o meglio medio-basse, cominciarono ad avere
aspettative sociali decrescenti, mentre le classi basse cominciavano a ribellarsi
(pensiamo ai bagaudae in Gallia) ed a pre- ferire i barbari, che almeno non
facevano pagare le tasse ed espropriavano soltanto i latifondisti ricchi.
Questa crisi frontale della riproduzione sociale tardo-antica e particolarmente
delle aspettative sociali decrescenti soprattutto nell'ampia fascia delle
classi medie imperiali sta alla base dell'abbandono sociale di massa della
cultura della huma- nitas, impropriamente e scioccamente chiamata pagana (il
pagus era il villaggio, mentre in realt questa cultura era urbana al massimo
grado, non certo pagana), sintesi umanistica basata soprattutto sulla koin
filosofica stoica, da lungo tempo passata dalla fase provocatoria iniziale
della anaideia (scopare con la madre, man- giare la carne del padre, ecc.) alla
fase della ataraxia, del tutto equivalente all'etica del gentleman britannico,
ben espressa nella nota poesia di Rudyard Kipling. I ge- stori di un impero
devono infatti prima di tutto imparare una disciplina interio- re del
comportamento, perch in caso contrario i loro subalterni potrebbero non
rispettarli pi. In questo i padroni coloniali romani ed i padroni coloniali
inglesi dovevano seguire etiche dellautocontrollo molto simili. Tutto questo
per crolla in un'epoca di crisi della riproduzione e di aspettati- ve sociali
decrescenti. Al periodo della humanitas classica succede unepoca di angoscia
(il termine dellantichista inglese
Dodds). Gli stessi governanti se ne rendono perfettamente conto. La giunta
militare illirica di Diocleziano tenta un ristabilimento forzato della
situazione attraverso provvedimenti di emergenza come lultima grande
persecuzione organizzata dei cristiani, ma questi metodi fa- scisti (mi si
perdoni questa impropriet analogica!) non riescono. Da che mondo mondo, si governa meglio con la vaselina che
con la frusta, con Veltroni e Sarkozy piuttosto che con Pinochet e
Papadopoulos. giunto il momento di
Costantino detto il Grande. La figura di Costantino una delle pi interessanti del mondo antico,
ed an- che paradossalmente una delle
meno studiate e conosciute (non parlo degli specia- listi, evidentemente). E
questo non avviene certamente a caso. Studiare Costantino significherebbe
studiare il contesto sociale della legalizzazione del cristianesimo e del suo
inserimento organico negli apparati ideologici di Stato (uso qui il corret- to
termine di Louis Althusser). Ed questo
ovviamente ad essere temuto come il fuoco da una cultura che vive di
destoricizzazione. Noi seguiremo ovviamente la via opposta. Costantino attu
riforme militari ed economiche radicali. Ci voleva ovviamente anche una riforma
simbolica che sovrastasse tutte le altre, e questa riforma simbo- lica fu lo
spostamento della capitale imperiale da Roma a Costantinopoli, e cio Bisanzio
ribattezzata. San Pietroburgo diventa Leningrado, e Bisanzio diventa 147
CaprroLo XX Costantinopoli. La conseguenza linguistica di questa scelta dirompente, per- ch il latino, privato di una
corte imperiale (curtis) si spezzer in una decina di lingue neolatine, mentre
il greco, ridiventato lunica lingua ufficiale di un impero (autocratoria),
rester una lingua unitaria fino ad oggi. E tuttavia, la riforma simbo- lica di
Costantino dello spostamento di capitale non fu certamente lunica. Per la prima
volta nella storia dell'impero, le forze armate furono ampiamente germanizzate,
perch in questo modo costavano molto meno delle truppe di lin- gua latina e
greca. La tecnica della difesa in profondit delle frontiere dell'impero
implicava lequipaggiamento di costosissime divisioni di cavalleria, e questo
ov- viamente comportava un aumento della pressione fiscale in un momento
storico di relativa crisi dei commerci. Ma fu la riforma monetaria di
Costantino l'elemento decisivo, senza il quale non si capirebbe l'esigenza di
legalizzare la chiesa cristiana come gigantesco apparato di welfare per poveri.
Il venire meno delle risorse eco- nomiche dei normali benefattori ricchi pagani
(everghetai) comportava la loro sostituzione con un apparato capillarmente
diffuso nel territorio. Come ci riporta analiticamente lo storico antico
Zosimo, Costantino fece pra- ticamente sparire dalla circolazione monetaria il
denario dargento, base della ric- chezza delle classi medie e medio-basse
precedenti, ed impose la circolazione uni- ca di una nuova moneta doro, il
solidus (da cui soldi, ecc.). Con questa moneta erano pagati gli stipendi
militari ed amministrativi, e ci ovviamente per un certo periodo ravviv il
consumo di questi ceti largamente parassitari. Ma tutti gli altri finirono con
l'andare in rovina, concentrandosi in basso in fondo alla scala sociale nella
categoria dei cosiddetti humiliores. Non esistono riforme monetarie a costo
zero. Come tutti sanno, al di fuori della corporazione dei professori di storia
con- temporanea, l'introduzione dell'euro al posto della vecchia lira ha
comportato la distruzione di tutte le conquiste in termini di potere d'acquisto
del salario reale raggiunto in quasi mezzo secolo dai ceti subalterni in
Italia. Tutte le vecchiette italiane lo sanno, pur avendo solo la licenza della
quinta elementare, mentre pos- siamo essere sicuri (e scommetterci sopra) che
gli unici che non lo sanno e non lo vogliono sapere sono gli economisti ed i
professori di storia contemporanea. Le riforme di Costantino erano talmente
cattive e reazionarie e portavano ad una tale acutizzazione della struttura
oligarchica della societ (come ho detto, il solo paragone possibile con le riforme finanziarie della attuale
globalizzazione selvaggia) da richiedere imperativamente l'allargamento della
base di consenso politico. Sta qui la chiave della legalizzazione del
cristianesimo e del famoso Editto di Milano del 313 dopo Cristo. Ma soprattutto
si afferm quella tipica inversione dia- lettica che caratterizza le societ
classiste, indifferentemente schiavistiche, feudali o capitalistiche. Pi si
afferma in terra il potere dei Ricchi, pi viene compensato simbolicamente in
cielo con la santificazione dei Poveri. L'antichista americano Peter Brown, in
uno studio che considero personalmente il pi importante contributo in assoluto
per linterpretazione di quel passaggio d'epoca, ci ha spiegato che questo
passaggio d'epoca non avrebbe mai potuto compiersi senza la santificazione del
Povero, ed inoltre afferma esplicitamente che 148 Sulla genesi
ontologico-sociale della fondazione ideologica del cristianesimo costantiniano
e post-costantiniano lattuale ideologia dei cosiddetti diritti umani
corrisponde funzionalmente oggi all'ideologia della centralit del povero
allora. E questo non deve stupire chi
abituato al metodo dialettico di Hegel e di Marx. Pi i diritti umani
reali vengono violati con invasioni militari illegali e con la saturazione
dello spazio geografico mondiale con basi militari imperiali armate con ordigni
nucleari di distruzione di massa e pi nel mondo rovesciato delle ideologie di
legittimazione del potere se ne predica la centralit. Pi l'economia reale,
attraverso una riforma monetaria che distruggeva il potere d'acquisto delle
classi medie, veniva consegnata ai ricchi, e pi nel mondo ideologico
compensatorio della religione il potere simbolico veniva dato ai poveri. In
Matteo (cfr. 5, 3) viene detto che i poveri di spirito (pneuma) sono beati,
per- ch di essi il Regno dei Cieli. Ho
letto in proposito interpretazioni francamente demenziali, tipiche della
teologia selvaggia e fai-da-te che Ratzinger cerca di frenare. C' persino chi
ha tradotto pneuma con fiato, per cui i poveri di fiato sarebbero quelli che
sono rimasti a corto di respiro per avere troppo riso o troppo pianto. La demenzialit come la pubblicit, irrefrenabile.
Interpretando il testo di Matteo allinterno del suo contesto storico
espressivo, esso diventa invece com- prensibilissimo. In primo luogo,
ricordando il testo di Paolo citato nel capitolo precedente (cfr. Lettera ai
Corinzi, 7, 20-24), appare chiaro che lasservimento uni- versale (katholiks),
di tutti imembri della societ (liberi, liberti e schiavi) allUnico Salvatore
(sotr) e Benefattore (everghetes) Divino, implicava un'operazione simbo- lica
di spoliazione di ogni identit precedente (kenosis), perch solo da questo pre-
ventivo svuotamento (kenosis, appunto, il termine greco per indicare lo svuota-
mento) ci si poteva riempire della nuova identit. In secondo luogo, allinterno
di una polemica contro lo gnosticismo (inesistente al tempo di Paolo, ma ancora
esistente al tempo del traduttore Gerolamo), si afferma che tutti
indistintamente sono chiamati alla Salvezza, mentre invece gli gnostici
(l'equivalente dei sofisticati intellettuali francofortesi dellepoca mi prendo tutta la responsabilit per que- sta
spaesante analogia storica!) dicevano in sostanza che soltanto pochi individui
fortemente spirituali (gli psichici), o almeno fortemente intellettualizzati
(gli pneu- matici) potevano salvarsi, mentre non potevano salvarsi i bestioni
ignoranti che non ascoltano Beethoven, non leggono Proust e parlano soltanto
della Juve e del Milan (gli ilici). Sono questi i poveri di spirito (pneuma). E
Gerolamo diceva loro: Vi salverete tutti, anche quelli che leggono soltanto la
collezione Harmony e non leggono Kant in tedesco con sottotitoli in polacco!. E
tuttavia Ges aveva detto chiaramente: Se vuoi essere perfetto vai, vendi tutti
i tuoi averi, dalli ai poveri e seguimi (cfr. Matteo, 19, 21); ed anche: pi facile per un cammello passare per la
cruna di un ago che per un ricco entrare nel regno dei cieli (cfr. Matteo, 21,
24). Resta inteso che il regno dei cieli (basileia ton ouranon) non significa
affatto luogo sulle nuvole dove si suona larpa salmodiando in un'ebete e
astorica felicit priva di carnalit, ma significa invece il regno terre- stre
(basileia) secondo il mandato celeste della giustizia divina (theik dike).
Vorrei insistere molto su questo punto, perch falangi di pretini e pretoni per
secoli hanno 149 CaritoLo XX diffuso limmagine di un luogo in cui cori dopolavoristici
di peccatori perdonati intonano noiosissime lagne tenendo i piedi sulle nuvole
e tuttavia non precipitan- do in basso secondo i canoni della legge della
gravitazione. Una simile immagine da cartolina
ovviamente funzionale alla corrosione laica, che ha buon gioco nel
mostrarne la totale mancanza di scientificit, con la triste conclusione di far
per- dere la consapevolezza che persino questa immagine da asilo infantile per
bambini ritardati un katechon sociale
migliore di tutta la prosopopea laica sul disincanto del mondo, il politeismo
dei valori, la fondazione formalistica del vivere sociale e la pubblicit a
punti per riempire i carrelli della spesa. E tuttavia, la questione del
risarcimento simbolico del Povero resta cos solo impostata. Brown parla di
rivoluzione dei patrocini. Secondo lui, la nuova ideologia dominante
rivendicava a s il merito di aver messo radici nella parte infima della societ
per mezzo della cura vescovile dei poveri. Ed infatti cos. E perch da al- meno duemila anni le
Chiese rompono i timpani e battono i tamburi sulla centralit simbolica del
povero, magari davanti a tavoloni di lurchi miliardari benefattori? Ma semplice, ed
semplice come lUovo di Colombo. Questo avviene perch il povero lunica figura sociale esistente che per definizione del tutto incapace di prassi
au- tonoma progettante e che essendo appunto vuoto di spirito (pneuma) pu
essere riempito dalla benevolenza del volere delle classi dominanti. Il povero,
in poche parole, vuoto di prassi ed riempito di benevolenza. Secondo una
testimonianza di Giovanni Crisostomo del quarto secolo, i cosid- detti poveri
non superavano la percentuale del decimo della societ , mentre un altro decimo
era invece composto dei cosiddetti ricchi (plousio). I restanti otto decimi erano
composti in varia misura da tutta la stratificazione dei cosid- detti ceti
medi, e se Crisostomo non mente o non si sbaglia, faccio notare che oggi la
composizione della societ ancora pi
ingiusta di allora, in quanto oggi i poveri sono pi numerosi del dieci per
cento di allora. Alla faccia del progresso! Nel frattempo, la Chiesa cattolica
in circa trecento anni aveva di fatto cominciato a conquistare le classi medie
del tempo, che non volevano certamente il comunismo e la spartizione dei beni
del messaggio evangelico primitivo (e ti credo, come dico- no a Roma!), ma
volevano un risarcimento spirituale per la miseria del mondo romano (Hegel), ed
erano dispostissime a finanziare l'assistenza ai poveri, dal momento che
l'epoca comportava comunque il diffondersi dell'ansia sociale per le
aspettative decrescenti e per limpoverimento che ne derivava. Le classi medie
sono quindi decisive (e lo sono anche a mio avviso per la crisi di oggi ma ci ritor- neremo ampiamente pi avanti),
come aveva capito Aristotele e come invece non ha mai capito il marxismo
storico novecentesco, ipnotizzato dalla decisivit sociale delle sole componenti
operaie, salariate e proletarie. E per finire, Brown sostiene (e qui per si
sbaglia) che la tarda antichit fu testimone della transizione da un mo- dello
di societ in cui i poveri erano in gran parte invisibili ad un altro in cui
giun- sero a giocare un ruolo potente nell'immaginario. E Brown sbaglia perch
sembra che limpoverimento e la caduta delle aspettative crescenti di promozione
sociale delle classi medio-basse romane non siano state un massiccio fenomeno
storico, 150 Sulla genesi ontologico-sociale della fondazione ideologica del
cristianesimo costantiniano e post-costantiniano ma una semplice illusione
nellimmaginario. Non cos, e credo di
averlo se non dimostrato almeno segnalato. La promozione simbolica del Povero
per coprire con una inversione dialettica il predominio del Ricco, favorito
dalla riforma monetaria oligarchica di Costantino (accolgo qui la decisiva
testimonianza di Zosimo), doveva ovviamente accompa- gnarsi ad un insieme di
provvedimenti materiali e di sistematizzazioni teologiche, che ora ricorder
brevemente. In primo luogo, lorganizzazione ecclesiastica cristiana fu chiamata
a suppli- re la totale incapacit dello stato e la correlata decadenza della
beneficienza del vecchio notabile (everghetes) nel garantire la sopravvivenza
materiale dei poveri. Non a caso, Giuliano lApostata cap che questo era il
punto essenziale, e cerc di costruire una rete di assistenza sociale
alternativa, non riuscendoci perch mor due anni dopo essere salito al potere.
La freccia di un soldato persiano sassanide anticip un probabile colpo di stato
cristiano con pittoresca mattanza successiva. Quando arrivarono i barbari unti
di grasso e si beccarono una parte delle terre dei latifondisti romani, il solo
apparato istituzionale che trovarono fu quello cristiano, e per questo
dovettero poi convertirsi. Non ci si converte ad un'opinione astrat- ta, ma ci
si converte prima o poi alla pensione ed alla mutua. Inoltre, ci si converte
volentieri ad un apparato teologico che sostiene che Dio non vuole il
disordinato casino generale, ma vuole la divisione della societ in tre ordines
sacralizzati, e cio i bellatores, i feudatari armati (alla faccia del porgere
laltra guancia!), gli oratores, e cio i pretoni stessi in preghiera, ed infine
i laboratores, che laboravano e laborava- no senza lamentarsi, pena
squartamento in terra ed inferno nell'aldil, e laborando mantenevano lintera
piramide feudale. Ma questo venne solo pi tardi, quando il feudalesimo europeo
si assest (i due secoli 800-1000, ecc.). In secondo luogo, fu necessario
eliminare tutti i Vangeli cosiddetti apocrifi, in cui Ges fa lamore con Maria
Maddalena, ecc., e canonizzare solo tre vangeli si- nottici (Matteo, Marco,
Luca) ed un vangelo filosofico (Giovanni). Ci si pu chiede- re perch non
sarebbero bastati i tre sinottici. La risposta
relativamente semplice. Dai tre Vangeli sinottici viene fuori un Ges messianico
figlio di Dio pi o meno nel senso in cui Maometto un uomo di Dio (rasul-illah), da cui risulta
che aveva perfettamente ragione Ario ad interpretare Cristo come uomo, e non
come Dio. Se avesse vinto Ario, il cristianesimo si sarebbe storicamente posizionato
pi o meno come l'Islam: in breve, c' Dio, questo Dio unico e non ce ne sono altri, e Ges stato il sigillo dei profeti. Ma vedremo pi
avanti le ragioni storiche e sociali della sconfitta di Ario a Nicea nel 325
dopo Cristo. In terzo luogo, il Vangelo filosofico di Giovanni dice giustamente
che in princi- pio c'era il logos, il quale era ad un tempo presso Dio e Dio.
La traduzione cor- rente pretesca del logos con la parola latina verbum
(parola) correttissima, mentre il
mantenimento in italiano del termine (In principio era il Verbo, ed il Verbo
era presso Dio, ed il Verbo era Dio) testimonia il dilettantismo e
lopportunismo furbesco degli apparati pretoneschi. L'unica traduzione corretta
di logos-verbum ovviamente la Parola,
che significa, liberamente tradotto, In principio c' Dio, e quindi la parola
151 CarrroLo XX di Dio, che lunica
parola vera, perch viene da Dio. Se lo si fosse tradotto cos, che sarebbe il
solo modo sensato di tradurre questa espressione (da piccolo pensavo che in
principio ci fossero i verbi, e dopo venissero gli aggettivi e gli avverbi), si
potrebbe capire che la parola originaria
la parola della verit, la parola della verit coincide con la parola
della giustizia (dike), la giustizia un
fuoco semprevivo (Eraclito) e coincide con la permanenza eterna della buona
legislazione metaforizzata con il ter- mine Essere (to on), e si sarebbe
finalmente trovato il missing link fra lo spirito (pneu- ma) della filosofia
classica e quello posteriore del cristianesimo. Ma appunto per questo che tutto ci nascosto dietro il demenziale ed ambiguo
termine di verbo cos come un tempo le gambe delle ballerine erano nascoste dai
mutandoni della censura ecclesiastica. In quarto luogo, l'affermazione della
concezione della trinit (aghia triada)
in- separabile dal contesto culturale del neoplatonismo. Cos come
linterpretazione positivistica del marxismo fu un portato necessario
del'contesto storico ottocente- sco, nello stesso modo linterpretazione
neoplatonica del cristianesimo fu un por- tato necessario del contesto storico
del terzo o quarto secolo. I musulmani non l'hanno accettata, mentre come noto Hegel l'ha fortemente lodata, con
argomenti peraltro velatamente ateo-umanistici, perch solo con la trinit si pu
giustificare filosoficamente l'incarnazione divina nell'uomo, la processione
(proodos) della ve- rit dal livello ideale (per Hegel, il livello della Scienza
della Logica, da lui definita argutamente Dio prima della creazione del mondo)
al livello storico (da lui de- finito come equazione di Reale e di Razionale),
e pi in generale la razionalit del ritmo triadico di sviluppo dialettico della
realt (momento astratto, momento dialettico e momento speculativo). Bench io mi
consideri un allievo di Hegel (ov- viamente, nelle condizioni storiche odierne)
non condivido la sua retroazione al cristianesimo. Sono anzi convinto, per
dirla in breve, che sarebbe stato meglio per tutti se fosse passata la sana e
razionale interpretazione di Ario, per cui Ges
semplicemente la Parola (logos) del Padre. E tuttavia, dal momento che
sono gi considerato un eresiarca del marxismo, mi basta ed avanza un
eresiarcato, e non c' nessun bisogno che me ne si appioppi anche un altro. In
quinto luogo, infine, la vittoria di Atanasio su Ario, e cio del carattere di-
vino e non solo umano del Figlio, non pu essere spiegata altrimenti a mio av- viso che con l'intervento esterno di un fattore
ideologico, e cio della necessit di consacrare simbolicamente per trasferimento
ideale la divinit dellimperatore romano e poi bizantino. Si trattava peraltro
non certo di una novit, quanto della prosecuzione della lunga durata (longue
dure) della concezione sacrale orientale della divinit del sovrano, concezione
che dal faraone egizio passa ai sovrani me- sopotamici ed infine agli stati
ellenistici. Sotto alcuni aspetti, l'impero bizantino lultimo dei grandi stati ellenistici, anche
se poco noto che i suoi governanti abo-
lirono per legge il termine greci (ellenes), imposero il nuovo termine di romani
(romaioi in greco, e poi in turco rum, e cio nazione greca milliyet i-rum), ed
il ter- mine greco, scomparso per pi di mille e cinquecento anni (e scomparso
perch significava pagano, donde il detto di Paolo, per cui il cristianesimo era
pazzia 152 SuULtta genesi ontotogico-sociate detta fondazione ideotogica de
cristianesimo costantiniano e posi-costantiniano per i Greci), fu riproposto
fra il 1780 ed il 1820 dagli illuministi greci, e neppure da tutti (il pi noto
di loro, Adamantios Korais, avrebbe preferito non riesumarlo ed adottare il
termine francese di grec, in greco moderno graiks). Mi sono permesso questa
chiarificazione etimologico-storica per far notare il peso semantico-simbo-
lico che il triplo termine di ellenas, romaios-romis, ed infine graiks, si
porta dietro. Nella sua evoluzione si potrebbe leggere in controluce (ma solo
chi conosce il greco moderno pu farlo!) lintera storia del rapporto simbolico
fra il pensiero antico e quello moderno. Tutto quanto ho detto pu essere
verificato, con effetti esilaranti, dalla ricostru- zione del Concilio di Nicea
del 325 dopo Cristo. Ho scritto effetti esilaranti perch noto che la Chiesa cattolica, mediante il suo
papa anti-relativist di oggi, sostiene che la verit non pu essere messa ai
voti. Ebbene, nel 325 dopo Cristo, a Nicea, la verit fu proprio messa ai voti,
e per di pi la contesa fu sciolta da Costantino, che non era ancora neppure
diventato cristiano (secondo la tradizione, lo fece solo in punto di morte, nel
337 dopo Cristo). Ma una sommaria ricostruzione di quella fissazione eterna
della verit della trinit messa ai voti pu essere utile oltre che ovviamente
divertente. L'atteggiamento di Costantino verso il cristianesimo era molto
simile a quello che sedici secoli dopo ebbe Stalin verso il marxismo, ed il
Concilio di Nicea che normalizz il cristianesimo nel 325 ebbe la stessa
funzione della decisione del co- mitato centrale del PCUS del 25 gennaio 1931
(e si veda pi avanti il capitolo 37, che studia la Nicea del Marxismo). Si
trattava della stabilizzazione ideologica di una religione (nel caso di
Costantino) e di una quasi religione (nel caso di Stalin). Per ora, occupiamoci
solo della prima. Nel maggio del 325 viene aperto il primo Concilio ecumenico a
Nicea (oggi Izmit presso Costantinopoli). L'occidente latino non praticamente rappresentato; ci sono solo
teologi di lingua greca. Il solo occidentale, Osio vescovo di Cordova, per fortemente anti-ariano, e Costantino ha
bisogno del consenso dell'occidente di lingua latina. Egli interviene
direttamente, quindi, per far mettere in minoranza le posizioni umanistiche di
Ario, e per far ottenere la maggioranza alla diarchia Atanasio-Osio.
L'organizzazione ecclesiastica viene modellata integralmente su quella
dell'Impero, cui si sovrappone, ed entro la cui cornice si inserisce. pe- raltro interessante notare che prima di
morire Costantino si riavvicina agli ariani moderati e concilianti, come
Eusebio di Cesarea, amico di Ario, e nel 335 (due anni prima di morire)
riconvoca a Tiro un altro concilio (limitato alle chiese orientali) in cui
riabilita parzialmente l'ormai quasi ottantenne Ario, senza peraltro modificare
i dogmi di Nicea, dominanti ormai nella parte occidentale dellimpero. Chi come il sottoscritto esperto della storia del marxismo, si trova
a proprio agio nel dibattito teologico bizantino, perch da un lato questo dibattito
prende sul serio la parte filosofica della sua teologia (e quindi Platone ed
Aristotele in un caso, Marx ed Engels nell'altro), e dall'altro la discussione
filosofica comple- tamente intrisa di
richiami politici ed ideologici, che sono sempre determinanti in ultima
istanza. E tuttavia, una seria analisi ontologico-sociale del pensiero del 153
CarrroLo XX mondo antico non potrebbe mai fermarsi qui, pena un intollerabile
riduzionismo. necessario infatti, prima
di congedarsi dal mondo antico, prendere ancora in esame il grande
neo-platonismo, che ha giocato il doppio ruolo di estrema trincea simbolica del
mondo antico e di base teorica per l'elaborazione della posteriore teologia
cristiana medioevale. 154 XXI IL MUTAMENTO DI FUNZIONE SOCIALE E POLITICA DELLA
SINTESI FILOSOFICA NEOPLATONICA DALLESTREMA DIFESA DEL MONDO ANTICO ALLA
LEGITTIMAZIONE DEL MONDO GERARCHICO FEUDALE La filosofia neoplatonica stata il terzo ed ultimo fattore
ontologico-sociale es- senziale per la costruzione simbolica della fede
cristiana. Nel prossimo capitolo, infatti, in cui verr illustrato il
complementare contrasto fra le cattedrali teologiche aristoteliche delle scuole
domenicane e la reazione nominalistica ispirata allegua- litarismo sociale del
pauperismo francescano, siamo gi di fronte ad un panorama spirituale che ormai del tutto al di fuori del periodo della
costituzione della stessa filosofia cristiana. La comprensione della corretta
natura sociale di questo nomina- lismo individualistico francescano (Occam,
ecc.) di cruciale importanza, perch
dalla sua analisi risulta chiaramente che l'individuo pu e deve essere pensato
al di fuori ed indipendentemente dalla sua incorporazione messianica
veterotesta- mentaria attuata dallo sgradevole calvinismo protestante e poi dalla
sua corre- lata e derivata fondazione dellindividualismo possessivo. Si tratta
di un punto essenziale, per alcuni aspetti paradossalmente ancora pi importante
di una pur rilevante ricostruzione del pensiero greco classico, e scrivo questa
eresia perch il pensiero greco, pur essendo molto superiore, ha avuto solo una
funzione indi- retta nella costituzione del moderno profilo individualistico
occidentale, mentre lo sgradevole calvinismo messianico veterotestamentario,
con la sua coda privati- stica posteriore, ha giocato un ruolo molto maggiore.
Ma di tutto questo insieme di problemi, ovviamente, parler nei prossimi
capitoli. Mi permetter invece di ripetere ancora una volta i contenuti dei due
capitoli precedenti, perch il lettore deve avere sempre davanti agli occhi in
una sintesi plastica i tre fattori simbolici costitutivi del fenomeno
cristiano, unico modo per evitare la solidariet complementare ed
antitetico-polare fra i sostenitori della teo- ria della decadenza alla
Nietzsche (il cristianesimo come invidia dei malriusciti e come decadenza
platonico-popolare rispetto alla meravigliosa grecit apollineo- dionisiaca) ed
i sostenitori della teoria della provvidenza dei posteriori teologi cristiani.
Anche se per il pensiero non abituato alla dialettica e bisognoso di un
salutare riorientamento gestaltico le due teorie della decadenza e della
provvi- denza sembrano opposte ed incompatibili, nella realt si tratta di una
sola ed unica teoria, che anzich ricostruire la genesi storica del
cristianesimo in forma ontologi- co-sociale preferisce opinare (e a questo
punto, nellirrilevante mondo dellopinare, ciascuno opina come vuole) se esso
sia stato buono (teoria della provvidenza) o cattivo (teoria della decadenza).
155 CaritoLO XXI Il primo fattore ontologico-sociale che ha consentito la
nascita del cristianesimo stata la
miseria del mondo romano, che ha provocato il disorientamento gene- rale per
l'abbandono del mondo da parte di Dio, preparando cos il terreno per un superiore
mondo spirituale. I fattori della miseria romana, plasticamente rappre-
sentabili con losceno combattimento fra i gladiatori nel circo, sono numerosi,
ma abbiamo deciso di insistere soltanto su due di loro. Da un lato, Roma ha
accolto tutti gli dei delle terre occupate e brutalizzate nel suo Pantheon, ma
in questo modo, sotto la scorza superficiale della tolleranza plu- ralistica,
li ha fatti diventare irrilevanti ed intercambiabili, perch il pluralismo delle
differenze relative comporta necessariamente il nichilismo psicologico ed
esistenziale. Se infatti sono todos Caballeros, allora no hay mas Caballeros,
ma soltanto peones e gringos. Dall'altro, il fondamento dell'impero romano,
organo politico di coordinamento di tutte le classi schiavistiche e
proprietarie, era la garanzia giuridi- ca e giudiziaria della sicurezza del
possesso, e limperatore diventava la persona delle persone che in questo modo
simbolicamente tutti i possessori, ridotti ad atomi individuali privi di
qualunque sostanza etico-comunitaria. Questo Imperium insensato e crudele si
rovescia dialetticamente in Basileia celeste, e cio in Regno di Dio, e allora
Dio stesso, mediato nella figura messianica del Cristo, deve diventare lunico
(donde il monoteismo) imperatore che pu chiedere lasservimento volon- tario di
tutte e tre le categorie sociali distinte del mondo romano, i liberi, i liberti
e gli schiavi (cfr. Paolo di Tarso, Lettera ai Corinzi, 7, 20-24). Vorrei
insistere molto su questo punto cruciale, perch solo in questo modo possibile capire veramente in che senso ed in
quali limiti Paolo stato il vero
fondatore della religione cristia- na universale (katholik), emancipandola
radicalmente dal precedente ambiguo ed esclusivistico messianesimo ebraico. Il
secondo fattore ontologico-sociale fu invece il rovesciamento (che presuppone
per logicamente e storicamente il precedente rovesciamento dell'Imperium terre-
no in Basileia dei cieli) del regno materiale dei Ricchi (gli honestiores),
prodotti dalle spaventose riforme monetarie di Costantino, in regno ideale dei
poveri (humilio- res). Si tratta di un processo ricostruibile storicamente con
una chiarezza tale, che il suo essere stato messo sotto silenzio non pu
spiegarsi altrimenti che in termini di occultamento ideologico funzionale alla
legittimazione di una societ classista. Ma di questo fattore, appunto, abbiamo
gi trattato con maggiore ampiezza nel precedente capitolo. Ci occupiamo ora del
terzo fattore, e cio del neoplatonismo. In proposito, vi sono stati gi alcuni
tentativi (Mario Vegetti, ecc.) di spiegarne la struttura dupli- cando
semplicemente in cielo la struttura politica del tardo impero romano (l'Uno che
diventa la proiezione dell'unico imperatore, le ipostasi maggiori che diven-
tano la proiezione di chi gli sta spazialmente pi vicino, senatori e
funzionari, e via via scendendo nella emanazione della gerarchia del potere).
Sono questi gli inconvenienti di una scorretta applicazione di un principio
metodologico giusto, quello della deduzione sociale delle categorie (ne ho gi
parlato in precedenza, a proposito della scorretta interpretazione del concetto
di essere in Parmenide 156 Il mutamento di funzione sociale e politica della
sintesi filosofica neoplatonica come duplicazione simbolica astrattizzante
della diffusione della moneta coniata).
necessario perci ridiscuterli radicalmente. Il neoplatonismo, come noto, fu allinizio un nobile tentativo di
rilegittimare filosoficamente il politeismo pagano antico (Plotino di Licopoli,
Giuliano detto lApostata, Proclo, ecc.), e divent poi in pochi secoli la
copertura filosofica della nuova fede cristiana (e poi anche musulmana qualche
secolo dopo). Come spiega- re questo mistero? Non pretendo certamente di
spiegarlo, ma penso invece di poterne avanzare uninterpretazione
storico-genetica ed ontologico-sociale. Per quanto riguarda il suo ruolo di
ultima trincea del politeismo pagano, la spiegazione relativamen- te semplice, perch Platone, sia
pure eclissato a lungo dallepicureismo e so- prattutto dalla sapienza stoica,
sia pure ammorbidita per poterla acclimatare negli ambienti dei benpensanti
romani (Cicerone, Seneca, ecc.), non aveva mai cessato di essere un punto di
riferimento per la cultura filosofica antica (Plutarco, ecc.). Bastava soltanto
liberarlo dalle interpretazioni scettico-accademiche prima e
neo-pitagorico-iniziatiche poi, e Plotino fece esattamente questo, lo restaur e
lo liber (se mi si permette un ardito paragone attualizzante, ci che Plotino
fece allora con Platone necessario farlo
ora con Marx, liberandolo da tutti i marxi- smi diventati obsoleti). Ma chi era
Plotino? Plotino rifiut sempre di dire quando e dove fosse nato, ma in realt
era egizia- no, ed era cresciuto in un ambiente bilingue greco-copto (il copto
era la variante parlata dellantico egizio) dove ci si nutriva insieme di
Platone e della vecchia sim- bologia mitica egizia. A trentanove anni segu
limperatore Gordiano III nella spe- dizione contro i persiani sassanidi, che
seguivano la religione zoroastriana, il cui dualismo Bene-Male (Orzmud-Ahriman)
non faceva che personalizzare il dualismo Spirito-Materia che poi Plotino
svilupp nelle sue Enneadi. del tutto
plausibile che Plotino si sia immerso nello studio di questo dualismo
spirituale, se pensiamo che il Re sasanide di Persia Sapore si era portato
dietro il grande filosofo dualista Mani, fondatore del manicheismo. Plotino
cominci a scrivere soltanto a quarantanove anni, dieci anni dopo che il segreto
della scuola di Alessandria era stato tradito da Erennio e da Origene. Compose
cinquantaquattro trattati, dando il permesso di leggerli soltanto a pochi
allievi, ed il compito di correggerli al pi amato. Non volle mai essere
ritratto. Rifiutava le medicine, si asteneva dai bagni, ma si faceva fare ogni
giorno dei mas- saggi. Si vergognava di avere un corpo, e di trascinare cos
l'idolo con cui la natura ci ha avvolto. Figuriamoci se valeva la pena di
lasciare un'immagine di quella immagine! Ho riportato questi dati biografici di
Plotino perch a mio avviso necessario
interpretarli. Di tutti il pi curioso e difficile da capire per noi
moderni il vergo- gnarsi di avere un
corpo. Lo si interpreta in generale in modo inesatto, come an- ticipazione
della posteriore mortificazione cristiana del corpo (vivere nel deserto, vivere
su di una colonna come Simeone lo Stilita, castrarsi come Origene, mettersi il
cilicio come Pascal, ecc.), ma io non lo credo proprio. Il corpo fisico (soma)
era 157 CaprroLo XXI in quel periodo venuto a noia a tutte le persone sensibili
del mondo greco-romano per una ragione relativamente semplice: mentre nellepoca
classica dei Greci esso non era venuto a noia, ma anzi era amato ed esaltato
(vedi in Platone il Fedro, il Convito, ecc.), in quanto unione (synolon) di
corpo (soma) e di anima (psych), nel mondo romano il corpo era diventato
oggetto di maialoni impegnati in banchetti in cui mentecatti arricchiti si
ingozzavano di cibarie costosissime per poi vomitarle subito dopo. Si legga in
proposito il Satyricon di Petronio, in cui lex schiavo arric- chito Trimalcione
racconta di avere prestato i suoi buchi anteriori e posteriori alla padrona
(buco anteriore) e poi al padrone (buco posteriore). In questo mondo del
fornicare (la fornix era il portico sotto cui dormivano gli schiavi, che i
padroni visitavano appunto applicando la libert intesa come libera scopata
generale del ricco sul povero nessuna
differenza, peraltro, con lattuale industria della prosti- tuzione
globalizzata!) posso capire che una persona sensibile come Plotino potesse
vergognarsi di avere un corpo. Non posso certo riportare qui il complesso
sistema filosofico di Plotino, e ri- mando ad una dettagliata esposizione
monografica, peraltro facile da trovare. In breve, considero scorrette ed
affrettate le abituali liquidazioni di Plotino in ter- mini di incomprensibile
pensiero mistico-religioso dell'antichit. In accordo con il filosofo greco
Stavros Kouloubaritsis, che stato la mia
guida alla comprensione del neoplatonismo antico, ritengo Plotino uno dei
filosofi pi facili da comprende- re, purch ovviamente se ne abbia la chiave
giusta. Si ricordi quello che ho detto nel capitolo dedicato a Platone, in cui
ho accettato la tesi di Biral per cui il con- cetto centrale di Platone la cura di s. Nello stesso modo
Kouloubaritsis nota che Plotino riprende integralmente questa concezione
dell'autonomia delluomo, la padronanza dellazione che egli chiama autexousion,
quella stessa libert che si trova nella sesta Enneade a proposito dellarte. Ma
Kouloubaritsis nota anche che Plotino va oltre il concetto aristotelico di
giusto mezzo (messotes) perch ritiene che non basti, ed occorra andare oltre la
virt, verso la vera e propria intelligenza, definita come la capacit di
decidere se valga la pena agire o non agire, desiderare o non desiderare.
Ed qui, e solo qui, che Plotino pu
essere definito neo-platonico e non neo-aristotelico. Plotino afferma anche la
teoria del male come assenza di essere, e tutti sanno che Agostino la adott
nella sua lotta contro i manichei del suo tempo. Ma sanno male ed
affrettatamente, perch Plotino la deduce in via puramente razionale, ed in
questo greco al cento per cento, mentre
invece in Agostino la nozione di vo- lont
legata al peccato originale, e di conseguenza c' una perversione interna
della volont nella sua essenza stessa. E colgo qui l'occasione per dire che
Agostino, il pensatore meno greco (e pertanto pi antipatico) della tarda
antichit, non pu in alcun modo essere definito platonico (come fanno per bovina
inerzia i manuali), perch tutto il suo pensiero si basa sul peccato originale e
sulle cattive inclinazioni innate nell'uomo (vedi la sua polemica con Pelagio),
e qui di platonico non c' pro- prio niente. Ci si accontenti di considerare
Agostino come il teorico della citt di Dio, modo educato per dire che la Chiesa
ha il diritto di ficcare il naso dove vuole 158 ti HU INen o j]ju z0H1 SOC le e
po tica de A SH esi fl OSOICA Heopiatonica e di obbligare con la forza a
praticare ilo cristianesimo (e ci sono testi di Agostino dedicati proprio al
costringere ad entrare, impelle intrare). Ma non si tiri in ballo Platone per
onorare questo poliziotto prepotente, per favore! I nemici di di Hegel (e di
conseguenza di Marx, vedi scuola di Della Volpe e di Colletti) hanno spesso
collegato questi due spiriti magni a Plotino, per poter poi sghignazzare contro
la metafisica. Non ci vedo peraltro niente di male. Come spiega egregiamente
Kouloubaritsis, Plotino parte sempre dalla metafora dello specchio per capire
la pluralit degli oggetti intellegibili. L'uomo per vedersi ha bisogno di uno
specchio, perch in un mondo completamente privo di specchi non potrebbe mai
vedere il suo volto. Per questo anche la materia importante per Plotino, perch proprio la materia che, lungi dall'essere un
semplice residuo negativo della estrema lontananza dallUno ideale, ci che permette che si svolga il gioco degli
specchi in cui possiamo vederci. Kouloubaritsis
a mia conoscenza (ma ammetto di non essere uno specialista in
neo-platonismo) il solo interprete che abbia saputo valorizzare il concetto di
mate- ria (hyle) in Plotino, e secondo me ci
riuscito perch, come tutti i Greci sia antichi che moderni, non crede
che possa esistere un pensiero puramente monistico, e ritiene perci che dallUno
ci sia sicuramente emanazione (proodos), ma sia ancora pi importante dire che
c' anche la conversione (metanoia), che comporta necessa- riamente il ritorno
(epistrophe). Senza ritorno, infatti, ci sarebbe solo dispersione, e tutte le
cose si disperderebbero in un gran fiume che si perderebbe. Come sostiene oggi
il cosiddetto pensiero debole. L'idea di Hegel, per cui le cose sono prima in
s, poi escono fuori di s ed infine rientrano in s e per s (dotate quindi di
autocoscienza, Selbstbewusstsein), deriva quindi dal neoplatonismo. Ebbene,
questo un bene e non un male. La concezione dialettica di Plotino,
infatti, non in alcun modo uno
sbandamento mistico, ma il concentrato
della buona eredit del pensiero greco. Del resto, non dice anche Marx qualcosa
di simile, quando afferma che non esiste il soggetto formale ed astorico di
Cartesio e di Kant, ma esiste invece il concreto soggetto storico indagato da
Hegel nella Fenomenologia dello Spirito, che deve perdersi e ritrovarsi nel
mondo delle estraneazioni storiche (Entusserungen), fra le quali la pi
importante pro- prio l'alienazione
capitalistica (Entfremdung), e solo in questo modo luomo potr avere una consapevolezza
speculativa di se stesso (speculum, specchio, nel senso di specchiarsi nella
propria autocoscienza storica)? Il neoplatonismo, quindi, fu una buona cosa, e
non dobbiamo stupirci che un filosofo intelligente come Hegel lo abbia capito.
Ora, per, abbandoniamo la fi- losofia vera e propria (ci che , ed eternamente) per andare alluso ideologico del
neoplatonismo, nel doppio aspetto dell'uso pagano e delluso cristiano (e mi
verrebbe da dire non cristiano, ma neo-cristiano, perch il il cristianesimo costan-
tiniano molto pi neocristiano che
cristiano). Ma, appunto, qui c' solo ideologia e non filosofia propriamente
detta. Non possiamo per evitarla, se vogliamo ap- prendere il nostro tempo nel
pensiero (in questo caso, il tempo antico di Giuliano e Costantino). 159
CaritoLo XXI Giuliano l'Apostata fu molto intelligente nel capire che la
sintesi filosofica ne- oplatonica era di fatto la sola che poteva legittimare
il mantenimento della cultura classica dei Greci, in un momento storico in cui
ormai il termine greco era diven- tato sinonimo negativo di non-cristiano. La
sintesi filosofica neoplatonica, infatti, era la sola che permetteva di pensare
congiuntamente lUno ed i Molti, senza che l'Uno dovesse necessariamente essere
pensato nei termini del terribile Dio biblico veterotestamentario, del tutto
incompatibile nella sua mostruosa e soggettivistica separatezza con la
filosofia greca, e senza che i Molti fossero pensati come frutto di una
dispersione pluralistica nellinsensatezza puramente sociologica (l'odierno
essere che si consuma di Gianni Vattimo, la verit come convenzione comuni-
taria di Richard Rorty, lermeneutica interminabile delle universit che si
rovescia necessariamente nel chiacchiericcio mondano delle conferenze delle
star dello spet- tacolo colto per presenzialisti, ecc.). Non dimentichiamo che
gli equivalenti delle due posizioni c'erano gi nel mondo antico, dai fanatici
dellUno-Dio Biblico come Ambrogio e poi il terribile Agostino fino ai
conferenzieri post-antichi (perch come c' ora un postmoderno ci fu anche allora
un postantico) come Apuleio e Luciano. Il pensare congiuntamente lUno ed i
Molti costituisce una scienza filosofica della totalit, che ovviamente non affatto obbligata a ricalcare bovinamente le
soluzioni date a suo tempo da Plotino o da Proclo. Ed infatti, sulla base della
moderna costi- tuzione settecentesca dell'idea di storia universale concepita
idealmente (Fichte) come unico soggetto trascendentale riflessivo (Koselleck),
Hegel e poi Marx si di- scostarono da Plotino su di un punto radicale, e cio
sulla monomondanit im- manente e non pi trascendente del rapporto fra lUno
(lidea universalistica di storia) ed i Molti (le differenziate culture
filosofiche in Hegel, i differenziati modi di produzione in Marx). Ma il
modello resta quello della scienza filosofica neopla- tonica, che chiude nel
modo pi onorevole possibile il ciclo della filosofia classica dei Greci. dunque paradossale che la corrente
antidialettica italiana (Lucio Colletti, Giuseppe Bedeschi, Luciano Albanese,
Dante Argeri, ecc.) abbia creduto di poter liquidare Marx tacciandolo di
neoplatonismo nascosto, laddove il neoplatoni- smo di Marx, ereditato con
modificazioni radicali da Hegel, non
neppure poi tanto nascosto. Ma ci che per Colletti (il pensatore che
mi in un certo senso pi lontano, e che
per questo ringrazio per avermi permesso indirettamente di definirmi in
opposizione a lui per differentiam specificam, per dirla con gli scolastici del
due- cento) era male, per me invece un
fattore positivo da rivendicare. Ma su questo torner ampiamente negli ultimi
capitoli dedicati a Marx ed al marxismo, fino all'ultimo, intenzionalmente
dedicato a Lukcs, in cui chiarir finalmente al lettore (e glielo devo, visto
che ho scelto di intitolare questo saggio nello stesso modo in cui quarant'anni
fa e quali quarant'anni! - lui aveva
intitolato i suoi) le concor- danze e le differenze nel modo di concepire,
definire e sviluppare unontologia dell'essere sociale. La sintesi filosofica di
Plotino la prima filosofia greca
(ed interessante che sia ad un tempo la
prima e lultima) che richieda la conoscenza di una terminologia 160 Il
mutamento di funzione sociale e politica della sintesi filosofica neoplatonica
filosofica specifica che si distacca interamente dal linguaggio filosofico
preceden- te. AI di fuori di alcuni dialoghi dialettici di Platone e di alcuni
passaggi della Metafisica di Aristotele quasi tutti i filosofi Greci precedenti
usano o il linguaggio metaforico della natura (Eraclito) o il linguaggio
parlato ordinario (Epicuro). Solo con Plotino si afferma il primo vero e
proprio lessico filosofico specialistico, che richiede quel tipo di approccio
ermeneutico-storico di cui ha parlato Adorno nella sua meravigliosa
Terminologia filosofica. D'altro canto, una scienza filosofica richie- de e
quasi impone una complessa terminologia filosofica specifica (Hegel docet). E
tuttavia, il generoso sforzo di Giuliano non poteva avere successo. Il mon- do
antico si era come svuotato dall'interno a causa della miseria dell'impero ro-
mano. La grande filosofia classica di lingua greca, una volta incorporata nella
cultura dei ceti schiavistici ricchi di lingua latina (faccio ovviamente
eccezione per Lucrezio, il cui epicureismo resta comunque dubbio, essendo stato
un poeta dell'angoscia - secondo lespressione del latinista Perelli - quanto di
pi lontano dallo spirito originale di Epicuro) si era come disseccata. Hegel
coglie bene questo punto, che invece lo sciocco Nietzsche non riesce
assolutamente a cogliere. Si era infatti giunti ad un tale punto di crisi da
far comprendere la famosa frase criptica (e per chiarissima) di Heidegger, per
cui ormai solo un Dio pu ancora salvarci. In queste condizioni, impossibile salvare un patrimonio storico,
sia pure inesti- mabile, senza incorporarlo in una nuova sintesi espressiva.
Sappiamo oggi (ma Giuliano poteva ancora pensare che i processi storico-cultu-
rali fossero reversibili) che questa sintesi nuova stata quella cristiana. E tuttavia possiamo
chiederci il perch del fatto, apparentemente ovvio, per cui i cristiani
scelsero di adottarla. Il discorso sarebbe lungo, ma mi limiter a discutere tre
sole ipotesi. La terza di gran lunga la
pi importante. In primo luogo, il motivo per cui i cristiani scelsero la sintesi
neoplatonica banale. Essi non ne avevano
una propria, e la sintesi neoplatonica era la migliore disponibile nel mercato
delle idee del tempo. Chi ha difficolt a capire questo processo di adozione
filosofica del neoplatonismo da parte dei cristiani pensi per analogia
contrastiva al processo di adozione filosofica compiuto dai marxi- sti dopo il
1875. Da un lato, Marx non aveva prodotto una filosofia sua propria in senso
sistematico, e dall'altro sul mercato delle idee allora regnava il positivismo.
Il neoplatonismo fu a tutti gli effetti il positivismo dei cristiani. In
secondo luogo, il neoplatonismo, con la sua teoria delle processioni degli enti
dall'uno fino alla materia e ritorno, era l ideologia ideale (ho scritto
ideologia, non certo filosofia, la quale, essendo veritativa o con pretese
veritative, non ide- ologica per sua
propria essenza) per una legittimazione teorica di un sistema ge- rarchico. Lo
studioso egiziano Samir Amin, che un
economista di professione ma fa spesso incursioni geniali nella storia della
filosofia, ha studiato in modo compa- rativo le filosofie cristiana e musulmana
medioevale, e le ha correlate appunto ai sistemi sociali stratificati che
entrambe in qualche modo sacralizzavano. E tuttavia il terzo punto che ora discuteremo il pi
importante in senso asso- luto. Il neoplatonismo offr finalmente al
cristianesimo il quadro teorico ideale per 101 CAPITOLO AXI neutralizzare
definitivamente l'elemento messianico-rivoluzionario delle origini. noto che lApocalisse di Giovanni, con cui si
chiude il Nuovo Testamento, un testo
messianico che rivela (rivelazione in greco
apokalypsis) le sorti della Bestia e di Babilonia la Grande, e cio del
ripugnante dominio oppressivo dell'impero schia- vistico romano. Non a
caso, il testo neotestamentario
preferito dalle altrettanto ripugnanti correnti fondamentaliste del
protestantesimo americano, la corrente re- ligiosa che si pensa come emanazione
di una religione imperiale, anche se rispetto allApocalisse originale inverte
paradossalmente le cose, perch pensa il proprio ripugnante impero come buono ed
i suoi nemici come cattivi (stati-canaglia, rogue states, ecc.). Mi sono sempre
chiesto non ho mai trovato risposta come le chiese di oggi, invischiate con mille
compromessi con il potere, abbiano potuto conservare nei loro testi sacri anche
l Apocalisse. Ritengo che il segreto stia nella de contestualizzazione storica.
Opportunamente decontestualizzati, infatti, i vangeli e la vispa Teresa sono in
effetti del tutto equivalenti. Sul fatto che il Ges storico sia stato un
profeta messianico ben inserito nella tra- dizione ebraica non ci sono dubbi,
come ho gi sostenuto in un capitolo precedente. Ho gi respinto linterpretazione
zelotica del capo militare crocefisso non certo per le sue innocue chiacchiere
pacifiste (i vogliamoci bene sono infatti sempre stato onorati dal potere), ma
per l'essere stato un sostenitore della lotta armata contro gli occupanti e
della restaurazione di un regno ebraico (INRI, Ges nazareno re dei giudei). Ho
invece cautamente accettato l'ipotesi storica per cui il contenuto socia- le
del suo messaggio si basava sullannuncio di un Anno di Misericordia del
Signore, e cio di un programma sociale comunistico di redistribuzione delle
ricchezze, remissione dei debiti e liberazione degli schiavi, programma che risaliva
ai primi tempi del passaggio dalla tribalit ebraica egualitaria alla nuova
propriet priva- ta regale (Davide, Salomone, ecc.). Ho anche segnalato che
questo programma implicava una purificazione del tempio, con connessa messa in
pericolo della collaborazione di classe fra il sinedrio ebraico mafioso (Caifa)
e loccupante mi- litare romano (Ponzio Pilato). E, per finire, ho trovato la
chiave della condanna a morte di Ges per terrorismo nell'accordo fra questi due
centri di potere alleati. In ogni caso, una cosa sicura: Ges era un profeta messianico, si
pensava come un messia, e sarebbe caduto dalle nuvole se avesse potuto
immaginare che lo avreb- bero fatto diventare un Dio, sia pure con curiose e
bizzarre ipostasi dialettiche. Ancora una volta
per sicurezza ripeto il concetto:
Ges sarebbe caduto dalle nuvole se avesse saputo che lo avrebbero fatto
diventare un Dio. Ma anche Paolo era totalmente allinterno di un progetto
messianico. Sostenendo che tutte le classi del mondo romano doveva
sottomettersi ad un unico Salvatore (cfr. Corinzi, 7, 20-4), che sarebbe venuto
presto (parousia, e cio essere presente davanti a noi, paron), egli parlava di
un regno di Dio (basileia) concreto qui ed ora sulla terra, ed aveva in mente
uomini e donne concreti (di qui la resurrezione del- la carne, poi sostituita
dalla famosa e per nulla cristiana immortalit dellani- ma di origine
orfico-platonica), e non certo pecoroni salmodianti e belanti sulle novolette
che anzich suonare la chitarra elettrica suonano larpa). 162 Il mutamento di
funzione sociale e politica della sintesi filosofica neoplatonica La parousia
non venuta. Come ha scritto il grande
storico Alfred Loisy: Cristo predic il regno di Dio, ed venuta la chiesa. Ges, convinto che la fine
del mon- do fosse imminente, non avrebbe secondo Loisy fondato la chiesa.
L'istituzione ecclesiastica sarebbe nata e si sarebbe affermata in seguito al
progressivo venir meno, fra i credenti, della tensione escatologica iniziale,
in risposta ad esigenze storico-sociali del tutto estranee alloriginario
annuncio di fede. E tuttavia Loisy sbaglia, in quanto la sua pittoresca
ignoranza del metodo di Marx gli impedisce di capire che cosa veramente accaduto allora. Non vero che Ges fosse convinto dell'imminente
fine del mondo in generale. Ges era convinto che stesse finendo in modo
catastrofico non il mondo, ma solo quel mondo dellingiu- stizia e
delloppressione. Qui stava quellunione di testimonianza apocalittica (vi rivelo
che questo mondo del peccato sta per finire) e di testimonianza messianica (vi
riveloche sono io il messia che toglier i peccati del mondo, se seguirete il
mio messaggio di fratellanza, e cio di eguaglianza e di solidariet
comunitaria). E Loisy non pu capire nulla, neppure dall'alto di cinquanta anni
di studi biblici, perch non possiede la chiave per capire. Ges annunciava lo
stesso contenuto so- ciale emancipativo annunciato da Parmenide, l'eternit del
bene e della giustizia. questo il
significato del motto di Hegel che abbiamo messo al centro di questa
ricostruzione ontologico-sociale della storia della filosofia occidentale, e
cio la filosofia si occupa di ci che , ed
eternamente, e con questo ha gi fin troppo da fare. Il neoplatonismo
liquid completamente questo contenuto messianico, spiri- tualizzandolo e
ridefinendolo in una innocua scala di enti, che pi tardi i teolo- gi
francescani (Bonaventura da Bagnoregio, ecc.) definirono Itinerarium mentis ad
Deum. In questo senso, paradossalmente (ma non troppo), il neoplatonismo esegu
il compito che Max Weber assegn ai razionalizzatori dei primitivi contenuti
messianici di tutte le religioni. Sul pensiero di Max Weber ritorner pi avanti,
perch Weber stato uno dei maestri di
Lukdcs. Personalmente, considero molto intelligente, ed anche sostan- zialmente
esatta, la sua teoria sulla religione e sulla sua natura sociale. In breve,
Weber riconosce che quasi tutte le religioni nascono e si sviluppano in una
forma messianica, ma che per ad un certo punto del loro sviluppo storico
insorge un inevitabile disincanto (Entzauberung), perch le loro promesse
messianiche non si avverano, ed anzi le cose sociali vanno di male in peggio. A
questo punto, o il disincanto si diffonde ed uccide la religione (la storia ci
mostra decine di religioni di tipo messianico che si estinguono dopo pochi
anni, decenni o secoli), oppure la stessa religione si libera del suo primitivo
elemento messianico e si ricicla nella forma di una razionalizzazione dei
costumi della vita quotidiana, ispirando letica familiare e sociale e gestendo
simbolicamente i riti di passaggio (nascita, matrimonio, morte, ecc.). Questo
passaggio dalla prima fase messianica alla seconda fase di razionalizza- zione
della vita quotidiana e di risarcimento simbolico per la smentita del messia-
nesimo originario pienamente riuscito
non solo nel cristianesimo, ma in tutte le 163 CarrroLo XXI grandi religioni
precedenti e successive, ed un buon esame storico comparativo in grado di dimostrarlo chiaramente. Il
neoplatonismo, questa grande filosofia greca, fu anche lo strumento simboli- co
della neutralizzazione razionale dell'elemento messianico. E dal momento che
questo elemento messianico era socialmente impossibile ed irrealizzabile (i
pove- ri sono soggetti sociali ancora pi inefficaci dei proletari, che pure si
difendono bene), la razionalizzazione neoplatonica compensatrice non fu in
alcun modo un tradimento, come tendono a dire i confusionari di ogni tipo. La
tradizione cristia- na europea - comunque la si giudichi, ed io non la giudico
poi troppo male - vie- ne anche di l. Prima lo si capisce, e meglio . 164 XXI
LA SACRALIZZAZIONE RELIGIOSA DEGLI ORDINES SOCIALI MEDIOEVALI, LE GRANDI
CATTEDRALI TEOLOGICHE DOMENICANE ED IL SIGNIFICATO ONTOLOGICO-SOCIALE DELLA
CONTESTAZIONE NOMINALISTICA FRANCESCANA A differenza di come molti pensano, esiste
gi una filosofia universalistica della storia nel medioevo, ma si tratta di un
universalismo parziale, in quanto questo universalismo limitato al popolo cristiano, ed il resto del
mondo visto unica- mente come residuo da
distruggere o da convertire. Ma se qualcuno pensa che oggi siamo pi avanti di
allora, ebbene si sbaglia, perch loccidentalismo esclu- sivistico ed il
disprezzo per il resto del mondo resta intatto. Non si tratta per pi di
convertire i barbari alla vera religione cristiana, ma di convertirli all'unico
vero modo di vivere, il consumismo occidentale laico basato sulla propriet
priva- ta illimitata del capitalismo finanziario multinazionale. Il cosiddetto
progresso rispetto al medioevo resta un'illusione, e per dirla con Georges
Sorel possibile parlare sensatamente di
progresso soltanto rispetto alla tecnologia. Chi crede che Roberto Benigni sia
pi avanti di Dante Alighieri veramente
un caso irre- cuperabile di incomprensione filosofica della storia. E qual questa filosofia medioevale della storia? In
estrema sintesi, una idea della storia come caduta, cio come allontanamento
dalla vera natura divina e uma- na. Pur sapendo di compiere una parziale
scorrettezza concettuale, affermo che il concetto di caduta nella filosofia
cristiana della storia copre lo stesso contenuto sim- bolico del concetto di
alienazione nel pensiero di Marx. Se poi qualcuno (Lwith, ecc.) vorr sostenere
che il concetto di alienazione non altro
che una secolariz- zazione razionalistica del precedente concetto di caduta,
ebbene lo sostenga pure. C' qualcosa di vero, ovviamente, ma non si coglie
egualmente il punto essenziale, e cio che dopo Hegel possibile concettualizzare razionalmente il
passaggio qua- litativo dalla rappresentazione religiosa (Vorstellung) al concetto
filosofico vero e proprio (Begriff), e tutte le teorie della secolarizzazione
pura e semplice (Schmitt, ecc.) non colgono questo salto qualitativo, e si
fermano a rilevare tutti gli (ovvi) ele- menti di continuit. Il fatto che la specie umana, o se vogliamo il genere
(Gattung), continua nel tempo, e sarebbe strano che non ci fossero anche
robusti elementi di continuit sia nella sua immagine del mondo (Weltbild) sia
nella sua concezione generale del mondo (Weltanschauung). Questo schema di
Caduta Redenzione si situa spazialmente
in uno Spazio ap- punto largamente simbolico, in cui si cade verso il Basso e
ci si redime salendo verso l'Alto. Nella Divina Commedia di Dante, appunto, si
scende all'Inferno e si 165 CAL OLO AALE sale verso il Purgatorio ed il
Paradiso. Ma ovviamente lalto delle cattedrali gotiche non ha nulla a che fare
con lalto dei grattacieli delle metropoli moderne. L'alto dei grattacieli uno spazio privato, risultante dalla
speculazione edilizia, per cui su di una superficie relativamente modesta si
possono costruire migliaia di locali da vendere o da affittare. L'alto delle
cattedrali medioevali uno spazio
pubblico, in cui lagor della libera discussione socratica sostituita dal pulpito della predica- zione
dei sacerdoti. Nei fondamentali Studi su Dante di Erich Auerbach viene
ricostruita in modo magistrale la filosofia della storia di Dante, il che fa di
Dante uno dei principali filo- sofi medioevali, e non solo un poeta (qualcosa
di simile si potr dire seicento anni dopo per laltro grande poeta-filosofo
italiano, Giacomo Leopardi). Dante disegna una rappresentazione della storia
scandita da alcuni avvenimenti capitali: il pecca- to originale, che segn la
caduta degli uomini e linizio del corso storico; lincarna- zione di Cristo, e
cio la prima redenzione, che permise agli uomini di risollevarsi; una seconda
caduta, determinata dal fatto che la Chiesa si
trasformata in potere politico, dalla conseguente crisi dell'autorit
imperiale, ed infine dallavvento di una societ mercantile, che riduce tutto ad
avidit e denaro; ed infine, una fine del mondo che viene annunciata come non
lontana (cfr. Paradiso, XXX, vv. 130-132). C' stata dunque una prima caduta ed
una prima redenzione, una seconda caduta e l'attesa di una seconda redenzione.
Le folle presenzialiste postmoderne che oggi affollano gli eventi delle letture
giullaresche di Dante non immaginano certa- mente che cosa a quei tempi
arrovellasse il nostro massimo poeta nazionale. Chi vuole farsi plasticamente
un'idea della rappresentazione simbolica del mondo nel medioevo deve andare a
visitare la cittadella monastica di Mont Saint Michel in Normandia. Salendo dal
basso verso lalto si ha infatti la trasformazione in pietra materiale delle
gerarchie sociali ideali: nell'ordine dal basso verso l'alto, la dispensa, la
stanza per i pellegrini comuni (laboratores), poi lo scriptorium (la filosofia
e la teologia), poi pi su il salone per i pellegrini di riguardo (nobili, re,
bellatores), ed infine pi in alto ancora, il chiostro e la chiesa. Questa disposizione
verticale suggeriva una ben precisa scansione simbolica: al livello inferiore,
il nu- trimento del corpo; al livello intermedio, il nutrimento dello spirito
nello studio e nella lettura silenziosa; al livello pi alto, che coincideva con
il piano di accesso alla Chiesa, il nutrimento della meditazione cristiana ed
il trionfo della fede. A differenza di come sostengono i goffi manuali
dossografici di storia del- la filosofia, il medioevo stato il trionfo del materialismo, e
particolarmente del materialismo del tatto. I medioevali volevano soprattutto
toccare, e non solo nel senso boccaccesco del termine. I re di Francia
toccavano i plebei, e li guarivano dalla scrofola. I fedeli volevano vedere le
reliquie, e se possibile anche toccarle. Dovunque, regna la materia. Certo, non
si tratta del materialismo dell'antichit (gli atomi che cadono nel vuoto
deviando dalla loro traiettoria verticale e formano il mondo senza bisogno di
un intervento demiurgico esterno), e neppure del materialismo moderno (la materia
come medium spaziale del libero scorrimento simbolico delle merci in tutte 166
Le cattedrali teologiche domenicane ed il significato ontologico-sociale della
contestazione nominalistica francescana le direzioni senza pi alcun controllo e
giudizio morale celeste, e poi la Materia come sciocca divinit idolatrica del
comunismo storico novecentesco). A differenza del materialismo antico e del
materialismo moderno il materialismo medioevale
un materialismo del contatto diretto materiale di Dio e del mondo. Chi
pensa che io stia esagerando rifletta sul tema della cosiddetta
transustanziazione, cio della presenza materiale, e non solo simbolica, di
Cristo nellostia consacrata. Agli occhi di un moderno, si tratta di
superstizione pura, ma questo possibile
pen- sarlo solo dopo dosi massicce di demitizzazione razionalistica, cui il
popolo dei credenti anche oggi del tutto
estraneo (stimmate di Padre Pio, liquefazione del sangue di San Gennaro, ecc.).
Ma dove i filosofi illuministi vedono solo residui di superstizione e la
presenza di una plebe irredimibile, la gente comune, che conta sempre pi dei
filosofi razionalisti, vede, sente e soprattutto tocca il dolore, il dolore
che sempre materiale. In caso contrario,
non si capisce bene la dinamica di una storia apparentemente tanto assurda come
la transustanziazione, e cio la trasfor- mazione materiale del corpo e del
sangue di Cristo in pane e in vino. Il notevole teologo razionalista Berengario
di Tours, che dubitava che la tran- sustanziazione producesse veramente la
presenza materiale del corpo di Cristo nellostia, fu condannato nel 1079 in un
concilio presieduto da Gregorio VII, lo stesso papa che afferm per primo in
modo sistematico il primato assoluto della chiesa sul potere politico imperiale
del tempo (lotta per le investiture, ecc.). Senza voler troppo indulgere in una
lettura alla Sohn-Rethel, faccio egualmente lipote- si che l'insistenza sulla
realt materiale del processo di transustanziazione non sia altro che il
raddoppiamento simbolico della realt materiale del primato papale sul potere
politico. Non mi spiegherei altrimenti il fatto, altrimenti inesplicabile, che
la chiesa non abbia mai mollato su questa questione, anche se pu sembrare plau-
sibile che non lo abbia mai fatto per salvare simbolicamente il ruolo
essenziale del prete nell'esecuzione materiale dell'atto di transustanziazione.
Intorno al 1330 Occam scrive un piccolo trattato (De sacramento altari seu de
cor- pore Christi) in cui sostiene semplicemente che la transustanziazione logicamente indimostrabile, in quanto lunica
realt materiale la quantit e non solo la
qualit, e quindi bisogna crederci e basta, senza pretendere di dimostrarlo. Per
questo, e solo per questo, fu proclamato eretico, e se non fosse scappato in
Baviera, lavreb- bero certamente bruciato vivo per questo (e poi se la prendono
con il cosiddetto irrazionalismo dei musulmani!). Del resto, un recente studio
dello storico Pietro Redondi ha sostenuto (con argomenti assolutamente
plausibili) che lo stesso pro- cesso a Galilei del 1632 non aveva tanto di mira
il suo copernicanesimo, quanto proprio il fatto che la sua teoria quantitativa
della natura riprendeva il vecchio argomento di Occam, sostenuto dai luterani,
per cui le sostanze sarebbero cos due, la sostanza divina e la configurazione
quantitativa del pane e del vino (teo- ria luterana della consustanziazione,
nemica della teoria cattolica della semplice transustanziazione). Secondo
Redondi, l'accusa di negare il sistema geocentrico sarebbe stata meno grave
dell'accusa di negare la trasformazione integrale di Cristo in pane ed in vino.
167 CarrroLo XXII Il razionalismo moderno che ride delle discussioni bizantine
sul sesso degli an- geli e sulle discussioni cattoliche sulla
transustanziazione dall'alto della boriosa epistemologia contemporanea mostra
di non sapere neppure che cosa sia lanalisi ontologico-sociale della genesi
delle categorie del pensiero. Se un tema permane per pi di cinquecento anni, da
Berengario di Tours a Galileo Galilei passando per Occam, si pensa forse che fosse
una pura perdita di tempo e non invece un modo, sia pure contorto, con cui gli
uomini di quel tempo cercavano di rappresentarsi simbolicamente i loro rapporti
sociali? La questione, infatti, stava nella materialit vera e propria della
fede cristiana. E del resto, la compresenza contraddittoria di qualit e
quantit, evidente nella teoria della transustanziazione, non corrisponde forse
alla compresenza contraddittoria di un elemento qualitativo (l'alienazione) e
di un elemento quantitativo (la misura del tempo di lavoro sociale medio e la
sua tra- sformazione in prezzo di produzione) nella teoria del valore-lavoro di
Karl Marx? So di aver stupito con questa ardita analogia il lettore pio e
timorato, ma senza meraviglia (Aristotele) non c' neppure filosofia. In
proposito, il medioevo teo- logico cristiano (su quello musulmano non dico
nulla, data la mia imperdonabile e pittoresca ignoranza dellarabo) una miniera di stimoli e di spaesamenti. Il
fatto che in esso la lotta di classe,
che nel mondo antico era del tutto trasparente e senza veli, e per questo i
filosofi potevano concettualizzarla chiaramente, sia pure spesso sotto metafore
naturalistiche (il fuoco semprevivo di Eraclito, ecc.), non pu praticamente
essere concettualizzata, e deve sempre passare attraverso metafore religiose.
L'invenzione sociale ed ideologica del Purgatorio, studiata dallo storico
francese Jacques Le Goff, in proposito
rivelatrice. Il cristianesimo originario e proto-medio- evale conosceva
soltanto uno schema rigidamente dualistico proiettato nell'aldil, con la
conseguenza che fra il Paradiso e l'Inferno risultava problematico introdurre e
pensare il terzo luogo dell'eternit. Vi erano state certo anticipazioni
studiate da Le Goff (Agostino, Gregorio Magno, Beda il Venerabile, ecc.), ma
non erano state sufficienti per imporre socialmente la creazione simbolica del
Purgatorio. C' volu- ta la rivoluzione commerciale del XII secolo. E fu questa
rivoluzione commercia- le a far creare il Purgatorio dai teologi. interessante che Le Goff, lungi dall'essere
un marxista, un intellettuale che
si sempre autodefinito di destra. Ma in
queste cose non conta la ridicola autodefinizione identitaria di tipo sportivo,
ma soltanto il rigore del metodo che si usa per interpretare la storia. I veri
inventori del Purgatorio furono alcuni preti parigini come Pietro Cantore e
Simone di Tournai, ma nel secolo successivo tutta questa materia fu codificata
da Innocenzo IV nel 1254 e da teologi come Alessandro di Hales e Tommaso dAqui-
no. Alla base sta il fatto che la Chiesa si inser positivamente nella
rivoluzione com- merciale, nonostante le proteste pauperistiche degli eretici
(lestrema sinistra del tempo). Toller mestieri che prima aveva considerato
illeciti, come il prestito di denaro dietro interesse, e si fece mediatrice fra
le nuove esigenze mondane degli uomini e le loro speranze di salvezza
dell'anima. Proprio quando per i mercanti e gli esponenti delle fiorenti
corporazioni e per i primi banchieri poteva farsi pi 168 Le cattedrali
teologiche domenicane ed il significato ontologico-sociale della contestazione
nominalistica francescana inquieta lidea della morte, accett ufficialmente la
concezione del Purgatorio e la fece predicare, ed in questo modo offr a molti
cristiani un concreto messaggio di speranza. Bisogna tener conto del fatto che
il prestito ad usura si fonda sul tempo, ed il tempo per sua natura un dono gratuito di Dio. L'usuraio, per cos
dire, fa lavora- re Dio al suo posto, e fa lavorare Dio per il suo egoismo
personale di arricchimento crematistico. Il fatto di legittimare, sia pure con
la mediazione simbolica di una espiazione a tempo da passare in Purgatorio, fu
un fatto indubbiamente dirom- pente. Fino al XII secolo i soli prestatori ad
usura erano gli ebrei, ma di essi si dava per scontato che essendo per di pi
stati un popolo deicida (secondo linterpre- tazione puramente giudeofoba del
proceso di Ges discussa in un precedente ca- pitolo), sarebbero comunque andati
all'inferno. Ora, invece, a far lavorare il tempo, regalo di Dio, per arricchire
i mercanti ed i banchieri, sono dei cristiani (se non ricordo male, la citt
piemontese di Asti fu la prima a legalizzare completamente il prestito ad
usura). Dargli una via di salvezza con i castighi purgatori diveniva cos un
vero e proprio aggiornamento teologico, simile a quello che oggi i laici
chiedono a gran voce ai poveri pretoni disorientati. La teoria marxiana del
fatto che il tempo di lavoro sia direttamente l'origine dell'alienazione, ove
questo tempo di lavoro sia incorporato nel processo di ac- cumulazione del
capitale, non deriva certo direttamente dalla concezione religiosa per cui il
tempo, dono di Dio, non deve essere alienato dal denaro. A mio avvi- so, per,
esiste una derivazione indiretta, che risale addirittura a considerazioni di
Esiodo (gli uomini non sono mai n del tutto buoni n del tutto cattivi, e per
questo gli dei concedono loro un'ambigua speranza). Del resto, se esiste una
continuit antropologica del genere umano (Gattung), e se la filosofia si occupa
di ci che , ed eternamente, perch
stupirsene? In tutti i periodi storici, nonostante ovvie diffe- renze, gli
uomini hanno sempre ritenuto che vi fossero la Giustizia e lIngiustizia, ed il
massimo di ingiustizia (adikia) consistesse nel rubare agli altri uomini lo
spazio ed il tempo in cui vivevano. Vi sono indubbiamente tipi diversi di
sfruttamento (schiavistico, feudale, capitalistico, ecc.), ma in tutti questi
casi vi un minimo comun denominatore,
che gli sfruttatori prendono per s pi spazio (abitano in palazzi e giardini, e
confinano i poveri in tuguri malsani), e soprattutto pi tempo, aumentando le
ore di lavoro agli sfruttati (circa la met del primo libro del Capitale di
Marx dedicato a questo furto di tempo,
da cui un recente saggio di Diego Fusaro ha estratto il tema della cosiddetta
schiavit salariata in Marx). La fabbricazione del Purgatorio, avvenuta nel
quarantennio 1140-1180, certa- mente un
equivalente storico-sociale funzionale della fabbricazione del marxismo,
avvenuta nel ventennio 1870-1890. Da entrambi questi fenomeni sono derivati
capolavori letterari, come la Divina Commedia di Dante, e capolavori filosofici
(il grande marxismo critico del Novecento). La fabbricazione del Purgatorio fu
certa- mente delegata ad un piccolo gruppo di teologi esperti in scritture, ma
solo uno sciocco pu pensare che si sia trattato di una committenza diretta, a
pagamento, da parte di un gruppo di mercanti desiderosi di essere salvati da un
gruppo di 169 CarrroLo XXI intellettuali conoscitori del latino (la conoscenza
del greco avrebbe certo implicato un supplemento di cento zecchini doro). Solo
uno sciocco pu pensare ad una telefonata del genere, fatta da Giovanni Agnelli
ad Hannah Arendt: Signora, i comunisti mi rompono le scatole in fabbrica con
scioperi continui. Per favore, mi costruisca una bella teoria del
totalitarismo, ed io la ripagher con azioni FIAT. Gli intellettuali si muovono
autonomamente, interpretando liberamente lo spirito del tempo (Zeitgeist), ed
il contesto sociale circostante poi seleziona la ricaduta ideologica delle loro
produzioni disinteressate, funzionalizzandola ad interessi sociali collettivi.
La fabbricazione del Purgatorio in
proposito veramente un caso da manuale, o come si dice oggi, un case-study. E
tuttavia, la semplice fabbricazione simbolica del Purgatorio non poteva certa-
mente bastare. Lo sviluppo economico e commerciale avvenuto prima della grande
catastrofe della Peste Nera del 1348 aveva contribuito a formare
un'articolazione sociale complessa. Le esigenze di medici competenti, preti
colti, notai che registras- sero i passaggi di propriet, avvocati e funzionari
dei comuni e dellamministra- zione imperiale, ecc., aveva dato luogo alla
formazione delle Universitates e delle quattro facolt originarie (diritto,
medicina, teologia ed artes, essendo questultima una specie di super liceo
classico-scientifico). In casi del genere, la sistematizzazio- ne del sapere
filosofico non si fai mai aspettare a lungo. E poich qui ci si limita ad una
ricostruzione storico-genetica ed ontologico-sociale delle categorie del
pensie- ro, senza ovviamente avere l'impossibile velleit di ricostruire lintera
storia della filosofia (come scrisse Hegel, bisogna che anche il casuale sia
necessario, e quindi una simile ricostruzione non pu certo dedurre tutti i
filosofi elencati nelle dosso grafie),
bene soffermarsi su due correnti decisive del pensiero di questo
periodo, laristotelismo ed il nominalismo. Indagheremo quindi prima
laristotelismo, e poi il nominalismo, sia dal punto di vista del loro contenuto
veritativo sia dal punto di vista della loro funzione ideologica.
L'aristotelismo giunse in Europa occidentale attraverso il meritorio lavoro
inter- culturale dei traduttori di Toledo, che traducevano direttamente
dall'arabo al lati- no saltando il testo greco originale. Tutto questo era
dovuto alle scelte culturali suicide dell'impero carolingio prima e sassone
poi, e soprattutto al provincialismo aggresivo del papato romano. Occuparsi di
filosofia senza il greco infatti un po come
occuparsi di tecnologia oggi senza l'inglese. Ma mentre la poesia non integralmente traducibile, la filosofia
invece in- tegralmente traducibile,
purch ovviamente di ogni termine si dia l'equivalente semantico e concettuale
giusto. Ho personalmente discusso a lungo su Hegel con dei filosofi indiani che
non conoscevano il tedesco e lo avevano letto in traduzio- ne inglese, eppure
ne avevano capito perfettamente sia la lettera che lo spirito, mentre vi sono
personaggi come Habermas, che pure almeno in teoria dovrebbero conoscere la
lingua tedesca, e tutto ci che hanno capito di Hegel che bisogna demarcarsene completamente per
poter diventare veramente moderni e non re- stare incollati al pensiero
metafisico. Con simili tedeschi, meglio il dialetto polinesiano delle isole
Tonga! 170 Le cattedrali teologiche domenicane ed il significato
ontologico-sociale della contestazione nominalistica francescana Aristotele
giunse cos in Europa passando dall'arabo al latino. E siccome tut- tavia i
testi filosofici (compresi quelli scritti in cinese antico) sono integralmente
traducibili, perch la loro traducibilit integrale rispecchia la veritativit
poten- ziale (dynamei on) che vi sta sotto, ci che conta che arriv. Il solo paragone di- rompente
possibile quello che possiamo stabilire
con Hegel e con Marx. Una cometa luminosissima era apparsa nel cielo della
filosofia. Questa cometa arriv attraverso la meravigliosa interpretazione del
medico arabo di Cordova Averro, uno dei pi grandi filosofi mai esistiti nella
storia. Dal momento che non esiste- vano apparati ideologici di tipo
inquisitorio come quelli che poi condizionarono il pur dottissimo Tommaso
d'Aquino (la religione musulmana ne era priva), non possiamo stupirci del fatto
che linterpretazione di Aristotele data da Averro sia mille miglia al di sopra di
quella di Tommaso. La ragione di questa manifesta e pit- toresca superiorit non
deve essere cercata in contingenti fattori personali (forse l'essere
medico meglio che essere soltanto
frate), ma deve essere cercato in un fattore sociale esterno: Averro fu
certamente perseguitato da rompiscatole esterni (la pianta dellidiozia cresce
in tutto il mondo, anche fra i pinguini dell'Antartide, non appena ovviamente
giungono i cosiddetti ricercatori), ma almeno non era controllato a vista da
papi, papetti, superiori domenicani, inquisitori, professori della Sorbona ed
altri scriteriati ideologi del potere. L'averroismo latino stato un fenomeno sociale importantissimo,
importante almeno come il marxismo critico novecentesco. Il fatto che se ne
parli relativa- mente poco nei manuali di filosofia dovuto al silenziamento opportunistico cui i
conformisti indulgono sempre. E tuttavia l'attribuzione ad Averro della cosid-
detta teoria della doppia verit un falso
storiografico clamoroso, perch Averro non sotenne mai che esistevano due
distinte verit, una religiosa ed una filosofico- scientifica, ma che la verit
era ovviamente una ed una sola, in quanto tutte le in- dicazioni che il dotto
pu trarre dalle verit filosofiche ricostruibili razionalmente dallintelletto
sono esattamente quelle che il credente pu trarre dalle credenze reli- giose
contenute nella rivelazione divina.
questo il contenuto della falsafa (in ara- bo filosofia) di Averro. La
verit una sola, ma ci possono essere due
distinte forme di accesso. Nel pensiero occidentale una teoria del tutto simile
si pu trovare in Hegel, grande ammiratore di Aristotele, per cui lo Spirito
Assoluto ovviamente Uno, e non potrebbe
che essere tale, ma esso pu essere colto sia attraverso la via della
rappresentazione religiosa (Vorstellung), sia attraverso la via della
concettua- lizazione filosofica (Begriff). Conclusione filosofica: sia per
Averro che per Hegel non esiste, e non pu esistere, una qualsivoglia doppia
verit. Che poi questa posizione filosofica sia vera (come tendo a pensare io),
oppure sia falsa e da cor- reggere (come hanno pensato un mucchio di eminenti
pensatori, dai positivisti a Feuerbach, da Marx a Lenin, ecc.), lo discuteremo
meglio pi avanti. La chiave filosofica per capire quanto stiamo cercando di dire
la si trova in due canti gemelli del Paradiso di Dante, in cui il poeta mette
insieme San Francesco, fondatore dell'ordine dei francescani, e San Domenico,
fondatore dell'ordine dei domenicani. Nel periodo storico in cui visse Dante, i
due ordines erano spesso vi- 171 CaritoLo XXII sti come alternativi, in quanto
quasi sempre i domenicani difendevano luso di Aristotele come base filosofica
della teologia cristiana, mentre quasi sempre i francescani lo rifiutavano in
nome di una teologia di origine agostiniana (spesso scorrettamente definita
come platonica). Ma Dante rifiuta questa alternativit in favore di una
complementariet fra i due. Celebra le nozze mistiche di Francesco con la Povert
e di Domenico con la Fede, fa celebrare Francesco dal domenicano Tommaso
d'Aquino e Domenico dal francescano Bonaventura da Bagnoregio. E tuttavia,
appare chiaro dal testo che Dante sente maggiormente Francesco ri- spetto a
Domenico, in quanto concretizza nei dettagli di vita il primo mentre non lo fa
con il secondo. Senza bisogno di ricorrere ad una sorta di lettura sintomale
alla Althusser, direi che questo dimostra come la questione della paupertas
stesse particolarmente a cuore a Dante. Ed infatti questa questione stata centrale nel Duecento e nel Trecento
almeno quanto la questione dello sfruttamento capitalisti- co (Ausbeutung) stata centrale nell'Ottocento e nel
Novecento. Non possiamo ov- viamente pretendere che questo sia chiaro ai giullari
dantisti degli eventi post- moderni, ma possiamo sperare invece che il nostro
paziente lettore lo capisca. Secondo Henry Denis la stessa Summa Theologica di
Tommaso d'Aquino stata una risposta
allaverroista latino Boezio di Dacia, che alla Sorbona di Parigi ave- va negato
l'immortalit dell'anima (come poi fece duecento anni dopo laristote- lico
mantovano Pietro Pomponazzi nell'universit di Padova) ed aveva insegnato
apertamente che il bene supremo per luomo
la felicit sociale comunitaria (fe- licitas politica). evidente che questa tesi di Boezio di Dacia
(uno degli autori pi silenziati della storia della filosofia occidentale,
ed chiaro il perch) corrispon- deva
perfettamente a quello che aveva insegnato Aristotele mille e cinquecento anni
prima. Aristotele aveva infatti insegnato tre cose del tutto incompatibili con
la fede cristiana, e cio appunto: 1) che scopo delluomo la felicit politica, sociale e comunitaria;
2) che il mondo fisico deve essere inteso come eterno e non come creato; 3) che
lanima forma del corpo materiale,
ed pertanto impossibile con- cepirla
come sinolo autonomo e sussistente, che possa pertanto permanere dopo la morte
del corpo stesso. Il capolavoro aristotelico di Tommaso d'Aquino sta dunque
nell'avere ripro- posto Aristotele separandolo da queste tre tesi
aristoteliche. Il lettore non filosofo dir che
impossibile. Non vero. Tutto possibile per i filosofi. Ci sono stati pla-
tonici che hanno tagliato via la teoria delle idee, spinoziani che hanno
trasformato Spinoza in teorico esagitato dei centri sociali, ed infine marxisti
che hanno sepa- rato Marx dalla teoria dello sfruttamento capitalistico e dalla
prospettiva del co- munismo, trasformandolo in una sorta di profeta ecologista
della globalizzazione. Non possiamo quindi stupirci del fatto che Tommaso abbia
trasformato Aristotele in massimo teorico della teologia cristiana. E tuttavia,
non possiamo confondere il grande Tommaso con i poveracci sopra indicati.
Tommaso (sul quale si svilupp precocemente una leggenda metropo- litana a
proposito della sua uccisione, cfr. Purgatorio, XX, 68-69) fu un grandissi- mo
filosofo, che ancora oggi si legge con meraviglia, del tutto indipendentemente
172 Le cattedrali teologiche domenicane ed il significato ontologico-sociale
della contestazione nominalistica francescana dal fatto che si abbia o no la
sua fede. Per lui Dio la spiegazione
ultima delle cose, ma non la causa diretta dei fenomeni naturali (e Ratzinger
oggi pensa esatta- mente la stessa cosa). Ancor pi, Tommaso ha sostituito il
metodo della lectio, per cui il professore universitario legge il testo che
vuole nel silenzio pecoresco degli studenti passivizzati, con il metodo
dialogico della quaestio, per cui si
costret- ti a discutere nel merito tutti i dubbi e le obiezioni. C' da
restare ammirati per il coraggio di questo metodo, in quanto personalmente, in
tutta la seconda met del novecento, non ho quasi mai incontrato docenti
marxisti tanto coraggiosi (uniche parziali eccezioni, Roger Garaudy e Jean
Hyppolite, ed in Italia Ludovico Geymonat) da accettare il metodo della
quaestio, ma ho sempre incontrato soltanto presuntuosi e tronfi babbioni che
praticavano esclusivamente il metodo unilaterale della lectio. Come noto, Tommaso avanza la tesi per cui lanima
umana, oltre ad essere la forma sostanziale delluomo, anche la sua forma sussistente, il che
significa che forma dotata di un a
esistenza autonoma rispetto al corpo. Mi immagino Aristotele redivivus che ha
imparato il latino ed ascolta roba del genere. La pratica della fi- losofia
insegna a non stupirsi di niente, neppure di Stalin che si autoproclama il vero
interprete di Marx. E tuttavia Tommaso sostiene che luomo, ente finito per
definizione, possiede parzialmente (partim habere) la natura divina, alla qua-
le partecipa ( evidente qui luso del termine platonico di metexis). Mi sembra
un'ottima impostazione antropologica, che sta alla base sia della posteriore
con- cezione umanistica di Cusano e di Marsilio Ficino, sia alla posteriore
concezione antropologica marxiana dell'ente naturale generico (Gattungswesen).
L'uomo non infatti direttamente identico
al genere umano di cui pure fa parte (Gattung), ma ne partecipa ontologicamente
(nel lessico tomista, partim habere), il che significa che ontologicamente un essente-in-possibilit (nel
lessico aristotelico, dynamei on), il che ne rende possibile il processo di
progressiva conformit al genere stesso (nel linguaggio dellontologia
dell'essere sociale di Lukcs, Gattungsmiissigkeit). E tuttavia, seguendo qui
Polanyi, il punto essenziale per l'attualit di Tommaso sta in ci, che seguendo
Aristotele Tommaso considera ancora l'economia come incorporata (embedded)
nell'essere sociale complessivo, e ne rifiuta quella separa- zione che star
alla dellopera di Adam Smith del 1776. Dico subito apertamente che un'eventuale
economia postcapitalistica, che non potr ovviamente che tenere conto della
critica dell'economia politica fatta da Marx, dovr tornare allo spirito di
Aristotele e di Tommaso, in quanto in entrambi il bene comunitario, e non il
valore di scambio, sta alla base dello stesso scambio delle merci e della stessa
propriet privata, che pure entrambi non mettono in discussione. La polemica di
Tommaso contro il comunismo degli eretici del tempo ricalca gli argomenti di
Aristotele contro il comunismo di Platone, e non riveste quindi un particolare
interesse. Pi interessante il fatto che
al centro dell'etica economica di Tommaso ci stia il concetto di moderazione e
di misura (metron). Condannabile cercare
di ottenere guadagni che eccedano i bisogni vitali, cos come condannabile la concorrenza sfrenata, lapprofittare di
congiunture favorevoli 0, peggio, delle necessit e delle 173 CarrroLo XXII
difficolt del prossimo. Certo, siamo sempre allinterno della teoria del giusto
salario e del guadagno moderato (lucrum moderatum), e non mi sogno neppure di
sostenere che saremmo gi sul terreno marxiano della critica dell'economia
politi- ca. Ma ci sono almeno due questioni teoriche che bisogna assolutamente
eviden- ziare in Tommaso, da cui traspare l'incredibile superiorit di questo
domenicano rispetto agli ideologi della globalizzazione di oggi. In primo
luogo, Tommaso sostiene che la propriet privata
un istituto del di- ritto positivo, e non certo del diritto naturale.
Secondo quest'ultimo, infatti, tutti i beni dovrebbero essere comuni, anche se
poi lo stesso Tommaso nota timidamente che la propriet privata stessa, ove sia
moderata e serva a fini sociali,
estranea ma non contraria al diritto naturale stesso. E tuttavia queste
oscillazioni ci fanno capi- re il perch del fatto che tutti i veri sostenitori
del capitalismo oggi siano contrari al diritto naturale, liquidato come residuo
metafisico premoderno. Il solo marxista che abbia veramente capito questo punto
cruciale stato Ernst Bloch, in mezzo al
coro asinesco dei marxisti scientifici nemici del pensiero detto metafisico. In
secondo luogo, Tommaso scrive (cito letteralmente): In caso di estrema ne-
cessit, tutte le cose sono comuni (omnia sunt communia). Per cui a colui che
soffre una tale necessit lecito
sottrarre allaltro ci che serve al suo sostentamento, se non trova chi glielo
voglia dare spontaneamente. Mi sembra molto chiaro. Sono un nemico della
citatologia, ma in questo caso la citazione era indispensabile. Tommaso
giustifica quello che potremmo chiamare un comunismo in situazioni di
emergenza. Non certamente ancora il
comunismo di Marx, che non si basa sull'emergenza pauperistica ma sulla
completa soddisfazione dei bisogni in con- dizioni di altissima produttivit
tecnologica, ma ne a mio avviso comunque
un presupposto logico e storico. E quindi, se l'economia politica inglese di
Smith e Ricardo una delle tre fonti e
parti integranti esplicite del marxismo (Lenin), io direi invece che le teorie
economiche di Aristotele e di Tommaso, sia pure non esplicitamente citate, ne
sono ancora di pi dei presupposti impliciti, almeno in un'ottica ricostruttiva
di tipo storico-genetico ed ontologico-sociale, come quella che stiamo cercando
di praticare. Non possiamo oggi comprendere la crucialit assoluta delle nozze
mistiche fra San Francesco e la Povert nel Paradiso di Dante senza tener conto
del vero e proprio shock causato in quegli anni dalla deriva crematistica e
speculativa della Chiesa cattolica. I banditi cominciarono a lucrare sulle
rendite e sulle indulgenze, iniziando una deriva su di un piano inclinato che
poi port al Lutero del 1517. E non solo, ma gli stessi banditi cominciarono a
bruciare vivi tutti gli estremisti ed i terroristi dellepoca, e cio sia i
ribelli sociali (lollardi in Inghilterra, hussiti in Boemia, ecc.), sia i
teologi pauperisti ribelli, scelti soprattutto fra i cosiddetti fran- cescani
spirituali. Lo stesso Occam, il pi grande filosofo europeo del Trecento, riusc
a scampare soltanto perch, convocato ad Avignone, scapp in Germania presso
limperatore. I conflitti di classe novecenteschi possono essere capiti meglio
se ci si impadronisce storiograficamente dei conflitti di classe del Trecento.
E come nel Novecento molti spiriti eletti cercarono in un partito comunista
ideale il loro 174 Le cattedrali teologiche domenicane ed il significato
ontologico-sociale della contestazione nominalistica francescana risarcimento
psicologico ed esistenziale rispetto alla brutale esistenza empirica del reale
(stalinismo sovietico, fascismo, capitalismo colonialista, ecc.), nello stesso
modo nel trecento molti spiriti eletti cercarono il loro risarcimento
nellequivalente religioso del tempo, e cio nella cosiddetta Chiesa invisibile.
La concezione filosofica che sta alla base della Chiesa invisibile (e cio
l'invisibile comunit dei veri credenti) fu quella che lo studioso francese di
Occam, Pierre Alfri, ha chiamato ontologia della singolarit. E che cos' questa
ontologia della sin- golarit, che sta alla base della critica delle
pseudo-entit collettive (Chiesa cattolica corrotta, ordo franciscanus corrotto
dalla vittoria dei conventuali sugli spirituali, ecc.)? semplice, se ovviamente si possiede la chiave
giusta. Dire che luniversale di per s non esiste, ma esiste soltanto il
singularis, e che soltanto nella singolarit esiste la perfetta ontologia
dell'essere sociale, significa che le pseudo-entit colletti- ve prima citate
non sono nulla, se non praticano la simplicitas e la paupertas comuni sia a Ges
di Nazareth sia a Francesco d'Assisi. Solo il singolo frate francescano che le
pratica, infatti, pu veramente dirsi francescano, mentre lordo franciscanus, se
ha smesso di praticarle, solo un
universale vuoto ed inesistente. Ed
questa, ap- punto, la base storica ed ontologico-sociale del cosiddetto
nominalismo, che deve ovviamente sfuggire non solo ai postmoderni nichilisti di
oggi (ad esempio ad Umberto Eco, il cui Occam nel Nome della Rosa solo la caricatura medioevale del detective
empirista Sherlock Holmes, il cui fine
la legittimazione della risata post- moderna contro il fascista Jorge da
Burgos, maschera medioevale di Francisco Franco), ma anche ai compilatori delle
storie dossografiche della filosofia euro- pea. In queste storie Occam diventa
un cretino perditempo che taglia con il suo rasoio i ragionamenti superflui, e
che sostiene che luniversale non esiste, ed esi- ste solo il singolare.
Insomma, non c' l'Uomo, ma solo Giovanni, Tommaso ed Annibale. Perbacco! Una
vera scoperta! Che cos' la penicillina al confronto? Il grande nominalismo
medioevale, che fa da fondamento filosofico-ideologico alla protesta sociale
contro la corruzione della chiesa, la degenerazione dell ordo fran- ciscanus e
la cannibalesca brama di denaro dei mercanti e dei banchieri (destinata a
vincere alla grande con le signorie, i principati e le compagnie di ventura
quat- trocenteschi), e fa da copertura ideale alla chiesa invisibile degli
individui singoli che praticano veramente la paupertas e la simplicitas diventa
occasione di chiacchiere in- sulse di perditempo che si chiedono stupidamente
se esista luniversale o se esista solo il singolare! Ci sarebbe appunto da
ridere, se ogni tanto la destoricizzazione e la desocializzazione del sapere
filosofico non creassero mostri, per dirla con Goya! Il nominalismo
medioevale stato storicamente il primo
episodio moderno di ten- tativo di mettere direttamente in rapporto l'individuo
con il genere. L'individualit non nasce quindi con Hobbes, ma con Occam. Per
essere esatti, essa era gi nata con Abelardo. Non voglio certo dedurre la sua
scelta di fare lamore con Eloisa (vedi la bellissima Storia delle mie disgrazie),
per cui fu poi castigato orrendamente con la castrazione, dalla sua scelta
nominalistica in filosofia, per cui, pensandosi 175 CarrroLo XXII come
individuum, si pensava anche automaticamente come abilitato a fare lamore, come
ogni individuo degno di questo nome pu e deve fare. La passione amorosa, sia
spirituale che fisica, non ha bisogno di essere fondata su deduzioni teoriche.
E tuttavia, pur sapendo che non cos, mi
piace gratuitamente pensare che sia cos. Inoltre e qui chiudo
mi piace pensare che la critica nominalistica ai (cattivi) universali
corrotti sia lantecedente della critica marxiana dell'economia politica, la
quale invece non avr un fondamento filosofico nominalistico, bens dialettico-
idealistico, e quindi universalistico. Ma di questo pi avanti. 176 XXIII. LA
NATURA ONTOLOGICO-SOCIALE DELLA RIVOLUZIONE PROTESTANTE EUROPEA E
DELL'AFFERMAZIONE DEL RAPPORTO DIRETTO FRA L'INDIVIDUO E LA DIVINIT MEDIATO DAL
TESTO VETERO-TESTAMENTARIO Il protestantesimo non fu certamente una rivoluzione
borghese pura, in quan- to nel Cinquecento la classe borghese vera e propria
non si era ancora per nulla de- marcata dalle strutture feudali e signorili, e
cercava anzi in tutti i modi di inserirsi in esse senza pensare affatto di
contestarle in modo rivoluzionario. Le sue strategie di inserimento erano
peraltro profondamente differenziate da paese a paese. In Inghilterra scelse
precocemente a partire dalla fine del
Quattrocento la strate- gia
dellarricchimento privato, quella stessa strategia anti-statuale che poi ebbe
il nome, duecento anni dopo, di civil society, nulla a che fare ovviamente con
ci che viene chiamato con questo nome nella Filosofia del Diritto di Hegel (e
cio biirger- liche Gesellschaft). In Francia scelse invece la diversa via
statalistica dell'accesso alla nobilt (anoblissement) mediante il funzionariato
giudiziario ed amministrati- vo (noblesse de robe). In Spagna la cacciata degli
ebrei (marranos) e dei musulmani (moriscos), i due gruppi etnici che avevano
per fino al 1492 esercitato funzioni di fatto preborghesi, e la possibilit di
promozione sociale generalizzata nel fun- zionariato statale in America e nelle
Filippine, oltre che nell'Italia occupata, fecero s che per una vera e propria
autonomia sociale della borghesia spagnola si dovette aspettare lOttocento. Non
analizzo qui la specificit di ogni singolo paese euro- peo, ma chi ne interessato pu ricorrere al magnifico studio
di Perry Anderson, Lo Stato Assoluto, guida ineguagliabile alla formazione
dell'Europa moderna. Quando inizia la rivoluzione protestante? In generale la
si fa iniziare simbolica- mente la notte del 31 ottobre 1517, in cui Martin
Lutero inchiod le sue 95 tesi ere- tiche sulla porta della cattedrale tedesca
di Wittenberg. E tuttavia, siccome il dirit- to di periodizzare autonomamente
il flusso storico un diritto naturale
delluomo, mi permetter di proporre due date alternative, il 1510 e prima ancora
il 1484, spiegando ovviamente perch lo faccio, e lo faccio soprattutto perch
senza spa- esamento e modificazione delle abitudini consolidate non esiste
riorientamento gestaltico nella considerazione della storia, e quindi anche
della filosofia. Nel 1510 Martin Lutero fa un viaggio a Roma, ed a mio avviso
questo viaggio a Roma un vero e proprio
viaggio iniziatico, senza il quale forse il protestan- tesimo non sarebbe mai
nato, o sarebbe nato, ma non nella forma specifica che gli 177 CaprroLo XXIII d
Lutero. Questo viaggio determina un suo senso di repulsione talmente forte da
sbloccare di fatto le residue resistenze. Con questo colgo l'occasione per
respin- gere le pittoresche spiegazioni psicologiche correnti su Lutero, per
cui il protestan- tesimo sarebbe nato da un suo complesso psicologico,
caratterizzato da un incon- scio senso di colpa nato dallinteriorizzazione di un
modello repressivo, e legato quindi all'infanzia e alla proiezione su di un Dio
severissimo e terribile dellim- magine paterna. Bevuto a piccoli sorsi, Freud
fa bene, ma bevuto a garganella a bottiglioni pieni produce un diffuso
rincoglionimento storiografico, peraltro fun- zionale indirettamente alla
legittimazione capitalistica ed alla rimozione della lotta di classe. Il
capitalismo ha sempre paura delle resistenze sociali, mentre se ne fa un baffo
del complesso di Edipo e del mancato superamento della fase sadico-anale.
Riflettiamo un attimo sulla Roma del 1510. Siamo abituati a considerarla come
un meraviglioso cantiere rinascimentale aperto, in cui in trecento metri di
strada puoi incontrare Raffaello, Michelangelo e Bramante, e di intrattenerli
sulla tradu- zione latina di Platone fatta da Marsilio Ficino. Non nego che
fosse anche questo. Ma Roma era fondamentalmente una citt di cortigiane e di
puttane, di banditi notturni e di truffatori turistici autorizzati, un'oscena
industria di reliquie e di taglieggiamenti sui turisti religiosi. Non c' quindi
da stupirsi che un signore come Lutero arrivasse a convincersi che sul soglio
di Pietro non sedesse il rappre- sentante di Cristo, ma lAnticristo in persona.
E per capire questo, bisogna sapere che da circa trent'anni lidea dell
Anticristo circolava massicciamente in Europa. E questo ci porta alla seconda
data di cui si parlato. Il 23 novembre
1484 si era verificata una congiunzione planetaria fra Giove e Saturno sotto il
segno dello Scorpione, evento di grande rilevanza astrologica, per- ch secondo
la teoria dellarabo Albumasar avrebbe dovuto preludere ad un gran- de
rivolgimento. In poche parole, una sorta di equivalente dell11 settembre 2001.
Per alcuni, sarebbe nato un profeta eccellente e mirabile nellinterpretazione
delle Scritture, mentre per altri sarebbe venuto un grande eresiarca
proveniente dal settentrione. Il punto centrale da capire che le grandi attese messianiche di mas- sa
non sono mai semplici scoppi di irrazionalismo
come credono i positivisti di ogni tipo
ma sono sempre fenomeni sociali che nascono dalla percezione di
diseguaglianze ormai intollerabili, unite per di pi a fenomeni esterni. I
turchi era- no sbarcati a Otranto nel 1480, anche se non avevano potuto
allargarsi allinterno, avevano decapitato un po' di pugliesi locali e poi si
erano reimbarcati. Tutti pensa- vano, comunque, che ci avrebbero riprovato,
perch il loro sultano aveva lasciato capire che si riprometteva la conquista
militare sia di Venezia che di Roma. Il clima di isterismo sociale era alle
stelle, e questo spiega fenomeni altrimenti inspiegabili, dalla pubblicazione a
stampa delle profezie millenaristiche di Gioacchino da Fiore alla predicazione
di Savonarola a Firenze. Un anno prima dell'affissione delle tesi di Lutero,
nel 1516, il Concilio del Laterano aveva imposto ai vescovi cattolici di
controllare che nella predicazione pubblica non venisse predetto in alcun modo
il futuro dalla Sacra Bibbia, n si affermasse di conoscerlo dallo Spirito Santo
o per rivelazione divina. 178 Natura ontologico-sociale della rivoluzione
protestante e dellaffermazione del rapporto diretto fra l'individuo e la
divinit Soltanto un esame genetico ed ontologico-sociale pu ricostruire questo
clima. In caso contrario, cos come pu sembrare che un signore di Mileto
chiamato Talete abbia pensato che lacqua sta all'origine di tutto, nello stesso
modo pu sembra- re che due professori universitari, l'olandese Erasmo e il
tedesco Lutero, abbiano opinato il primo che esiste il libero arbitrio del volere,
mentre il secondo riteneva che invece non esistesse, e ci fosse invece al suo
posto la predestinazione. Eppure, liberata dalla pedanteria dossografica
destoricizzata, la discussione svoltasi fra il 1520 e il 1530 fra Erasmo e
Lutero a proposito dei due problemi del libero esame e del libero arbitrio stata assolutamente fondativa per il corso
ulteriore della storia della filosofia dei cinquecento anni successivi. I temi
del libero esame e del libero arbitrio (come
noto, Lutero affermava il primo e negava il secondo) sono stati infatti
decisivi nel dibattito posteriore, perch trattano delle due decisive categorie
ontologiche modali della possibilit e della necessit. Queste due categorie
modali hanno infatti regnato a tal punto nel dibattito successivo da
consigliare che la loro discussione cominci gi da qui, anche se la loro
secolarizzazione vera e pro- pria dovr aspettare il Settecento e lOttocento.
Discutiamo dunque prima il tema del libero esame, e poi quello del libero
arbitrio, mostrando il filo rosso che li collega al dibattito ulteriore. Martin
Lutero aveva sollevato il tema del diritto assoluto del credente ad inter-
pretare liberamente i testi sacri, e per questo li aveva tradotti nella lingua
tedesca parlata e ne aveva poi favorito la diffusione a stampa. stato detto che la rivolu- zione
protestante stata favorita in modo
decisivo dallinvenzione della stampa, ed
possibile concordare moderatamente con questa valutazione, purch non la
si assolutizzi trasformandola in una spiegazione tecnologica della storia.
Dalla stampa al collegamento in rete via internet ovvio che il mezzo influenzi il mes- saggio
(o meglio, il modo sociale in cui il messaggio viene recepito, dal massimo di
attivizzazione collettiva al massimo di passivizzazione individualistica - e
chi vuole intendere intenda), ma sarebbe sbagliato concluderne che il
mezzo il mes- saggio (Mac Luhan, ecc.).
La stampa fu certamente importantissima fra il 1520 e il 1560, ma la
rivoluzione protestante fu dovuta a profonde ragioni sociali, non certo alla
tecnologia della carta stampata. Il tema del diritto assoluto del credente ad
interpretare liberamente i testi biblici e neotestamentari era gi stato
ovviamente sollevato nel medioevo, e non era nuovo, ma in questo caso il punto
fondamentale stava nel fatto che non era pi socialmente possibile bruciare sul
rogo immedia- tamente chi lo aveva sollevato, dati i nuovi rapporti di forza
politici e sociali. Nel 1520 Lutero poteva predicare liberamente in Germania,
mentre nel 1320 o nel 1420 sarebbe stato bruciato vivo, il che non deve farci
concludere in modo relativistico che la verit in s relativa ai rapporti di forza in cui inserita, ma che la sua enun- ciazione e la
sua connessa ricaduta ideologica invece lo sono. Vi qui
non di- mentichiamolo mai - la base storica per poter distinguere la
filosofia, che si occupa di ci che , ed
eternamente, e si propone l'accertamento veritativo della corretta na-
tura del rapporto fra essere individuale ed essere sociale (nel linguaggio di
Hegel e di Lukcs, fra universalit, particolarit ed individualit), e lideologia,
che inserisce 179 CarrroLo XXIII necessariamente questi contenuti allinterno di
inevitabili (e quasi sempre benefici) scontri di interessi collettivi. La
rivendicazione del libero esame di
origine greca, ed per questo che
non esatto dire che Lutero si oppose
allo spirito classico. Lutero si oppose parzialmente all'umanesimo, questo certo, ma si oppose allumanesimo perch
questultimo si era degradato a cultura cortigiana ed era degenerato in puro filologismo
eru- dito ed in estetismo al servizio dei committenti ricchi. Troppo spesso gli
umani- sti quattrocenteschi avevano fatto lapologia del denaro e troppo spesso
avevano considerato la povert unicamente come simbolo di vergogna e di
fallimento. In questo senso, lapologia calvinista della ricchezza come segno
del favore divino si inserisce in un rapporto di continuit e non di rottura con
le oscene dichiarazioni degli umanisti in favore del denaro. I primi umanisti
fiorentini del quattrocento avevano gi detto apertamente che il denaro pu di
gente nata fra i rifiuti fare no- bili illustri e che un uomo senza il denaro
non un uomo. Dante non lo avrebbe mai
detto, e avrebbe spedito all'inferno chi lo avesse scritto. Ma qui c'era con
tutta evidenza la copertura ideologica servile della legittimazione del nuovo
potere dei Medici, e dell'accesso alla nobilt attraverso la via del commercio e
della specu- lazione bancaria. Viste le cose sotto questa ottica, persino la teoria
di Max Weber sulla decisivit della sintesi di vocazione e di professione
(Beruf) appare oggetto di moderata relativizzazione. Non c' dubbio infatti che
vi sia stato un legame fra protestantesimo e decollo dello spirito
capitalistico, anche se gli animal spirits di questo decollo crescono sotto
tutti i climi (e si vedano gli odierni decolli ultraca- pitalistici in India ed
in Cina). Ma in Europa la legittimazione del denaro non ha avuto nessun bisogno
di aspettare i disgustosi ed esagitati predicatori calvinisti, che peraltro
credevano talmente poco al libero esame da portare al rogo il medico spagnolo
Michele Serveto sulla base di un dissenso interpretativo sulla natura del- la
trinit. La legittimazione del denaro (e qui rimando al precedente capitolo)
cominci in Europa con la sconfitta storica della chiesa invisibile di Occam e
dei francescani spirituali, e lo stesso umanesimo (che Dio benedica comunque la
sua riscoperta della lingua greca!) si inserisce pienamente in questa
sottomissione della cultura alle nuove esigenze ideologiche sorte con la
mescolanza dei vecchi ceti feudali tradizionali e dei nuovi ceti arricchiti con
il commercio, il prestito ad usura ed il mercenariato militare di ventura
(signoria, principati, corti dei nuovi stati naziona- li, ecc.). Detto questo,
viva la grande arte rinascimentale! Nulla mi
pi disgustoso delle miserabili guardie rosse cinesi che credevano di
opporsi alla borghesia nel partito distruggendo opere darte e reperti
archeologici! Un quadro di Raffaello vale per me pi dell'intera produzione
ideologico-gruppuscolare di tutto il secon- do Novecento, cui ho anch'io
sciaguratamente contribuito, sia pure in minima par- te! E tuttavia, tutto
questo non toglie niente al fatto storico per cui la legittimazione ideologica
dellarricchimento individualistico non ha dovuto aspettare Lutero, e tantomeno
Calvino, ma era gi stata compiuta dallumanesimo italiano, nella mi- sura in cui
quest'ultimo aveva accettato di essere incorporato negli apparati ideo- 180
Natura ontologico-sociale della rivoluzione protestante e dellaffermazione del
rapporto diretto fra l'individuo e la divinit logici della nuova classe al
potere dopo il periodo 1350-1450, frutto del matrimonio fra vecchi ceti feudali
e nuovi ceti arricchiti (Medici, ecc.). Tornando al nostro tema della decisivit
del libero esame luterano dei testi biblici,
noto che Hegel ritenne che qui si trovasse la vera origine del mondo
moderno, in quanto da questa libert interpretativa originaria sarebbero poi
sorte progressiva- mente tutte le altre libert economiche e politiche della
modernit, fino ed oltre il famoso postulato kantiano della libert del volere,
che Hegel accetta integralmen- te, salvo a denunciarne il carattere astratto di
cattiva infinit e ad integrarlo con la sua costituzione storico-dialettica del
soggetto, costituzione storico-dialettica del soggetto che fu poi alla base
della integrazione sociale-classista attuata (a mio avviso, con pieno successo)
da Karl Marx. Questa scelta di Hegel non deve stupirci, in quanto la stessa
filosofia hegeliana della storia una filosofia
della libert, ed in quanto filosofia della libert si poi prestata a scelte politiche
differenziate, da Karl Marx (la libert concreta del sog- getto rivoluzionario
contro la libert astratta del borghese-cittadino) a Benedetto Croce (la libert
liberale come modello eterno e sovrastorico di ogni possibile liber- t). Hegel
sublimava cos il proprio protestantesimo luterano di famiglia, nutrito di
antipatia verso il cattolicesimo, religione dellobbedienza papista e del culto
pagano-idolatrico delle reliquie. Possiamo per chiederci in piena libert
interpre- tativa se veramente Hegel abbia o no avuto ragione ad individuare nel
libero esa- me biblico di Lutero la sorgente originaria del concetto di libert
occidentale. In proposito, la mia opinione
cautamente negativa. Dal momento per che questo tema della libert
dinterpretazione, legata alla libert di diffusione pubblica pe- nalmente e
civilmente non punibile di questa libert dinterpretazione uno dei temi filosoficamente pi importanti
della storia, bene discuterne gi fin da
ora, anche se il tema ritorner continuamente. Non c' dubbio che una delle forme
in cui il potere si manifesta la censura
delle opinioni dissenzienti e limpedimento penale e giudiziario della libert
despres- sione. La cartina di tornasole per capire quali siano realmente i
fattori ideologici di legittimazione di un sistema sociale infallibilmente rinvenibile nelle
proposizioni penalmente sanzionabili. Nel medioevo negare Dio era penalmente
sanzionabile, in quanto Dio era il fondamento simbolico della legittimazione
sociale feudale, mentre oggi qualunque mascalzone pu vendere i jeans con Cristo
che li indossa e pu riempire di fango la religione fra gli schiamazzi
approvativi della nuova plebe postmoderna. In compenso oggi negare lOlocausto
ebraico del 1943-45 un reato penalmente
perseguibile (del tutto indipendentemente dal fatto che il genocidio nazista
sia veramente avvenuto nei termini e nella quantit simbolica del famoso 6
milioni), laddove sputare su Cristo non lo
pi, perch il complesso di colpa dell'Europa deve essere mantenuto
all'infinito, visto che sullespiazione di questo complesso di colpa si basa
l'appoggio al sionismo israeliano ed il mantenimento delle basi militari
americane. Non c' bisogno di conoscere la parabola del Grande Inquisitore di
Dostoevskij per sapere che Ges Cristo sarebbe stato bruciato vivo per eresia
dalla Chiesa cattolica, e sarebbe stato bruciato vivo proprio nei termini 181
CarrroLO XXIII del Concilio Laterano del 1516, in quanto come noto Ges prevedeva il futuro partendo dalla
Sacra Bibbia, ed affermava di conoscerlo dallo Spirito Santo e per rivelazione
divina. Ricordo ancora lo sconcerto e l'indignazione del mio vecchio amico
editore Vangelista di Milano quando gli dissi che Marx sarebbe stato certa- mente
ucciso da Stalin se avesse esposto pubblicamente le sue opinioni sulla natu- ra
sociale del suo comunismo, anche se poi aggiunsi prudentemente che Marx,
essendo quello che i Greci antichi chiamavano phronimos, e cio non completamen-
te cretino, sarebbe stato zitto ed avrebbe utilizzato la sua conoscenza del
greco per scrivere un innocuo libro sulla lotta di classe nella Atene di
Pericle. Ma, mentre la libert d'espressione pubblica un dato politico-sociale che di- pende dai
rapporti di forza nella congiuntura storica, oppure dalla totale irrile- vanza
sistemica nella riproduzione sociale classista complessiva (come oggi, in cui
la riproduzione sociale sopporta tutto
all'infuori della sola contestazione delle cifre del genocidio
ebraico attraverso le tecniche del
silenziamento, dellemargi- nazione e della demonizzazione delegate agli
appositi ceti dei giornalisti e/o degli intellettuali), il libero esame
luterano qualcosa che merita una
riflessione ulteriore. Si tratta di un vero pozzo senza fondo, che non si
scandaglia mai abbastanza. Marx scrisse a suo tempo che bisognava passare dalla
semplice innocua inter- pretazione del mondo alla sua trasformazione
rivoluzionaria. Giustissimo, se per si aggiunge subito che non esiste
trasformazione senza preventiva interpretazione, ed anzi la natura della
trasformazione pratico-politica del mondo dipende stretta- mente dalla
preventiva interpretazione teorico-filosofica di esso, visto che l'agire
delluomo un agire teleologico (Lukcs), e
lontologia dell'essere sociale parte pro- prio dal principio che la differenza
fra l'ape e l'architetto, secondo i termini usati da Marx, sta nel fatto che la
prima non progetta lalveare, mentre il secondo invece dovrebbe progettare le
sue realizzazioni politico-sociali. Non basta quindi ripetere che Lutero
sosteneva che bisognasse compiere un libero esame dei testi biblici. Bisogna
anche chiedersi, o meglio richiedersi, che cosa contenevano i testi biblici. Me
lo sono gi chiesto nel sesto capitolo (Antico Testamento), e poi nel diciannove-
simo (Nuovo Testamento), ma il tema
talmente importante da richiedere un conti- nuo ritorno esegetico. Sulla
scorta soprattutto della lettura di Mario Liverani, ho parlato dellAnti- co
Testamento come di un grande romanzo identitario che si pone al servizio di una
strategia teologica di potenziamento del potere, da un lato, e di rafforzamento
sim- bolico delleccezionalissimo esclusivistico ebraico, dall'altro. Nella
confezione di quest'opera si possono ovviamente riscontrare elementi mitici di
origine diversa (sumerica, egiziana ed assiro-babilonese), residui politeistici
evidentissimi (e si vedano gli studi rivelatori dellepigrafista romano Massimo
Baldacci), riscritture redazionali differenziate a seconda se si voleva o meno
evidenziare il ruolo dei sa- cerdoti, sistematizzazioni addirittura
commissionate dall'imperatore zoroastriano Ciro il Grande, ecc. tutto pane per gli esegeti biblici, trib che
rispetto ed ammi- ro, leggo e commento, ma di cui non faccio parte. E tuttavia,
la ricaduta storico- ideologica di questo grande romanzo identitario posto al
servizio di una strate- 182 Natura ontologico-sociale della rivoluzione
protestante e dellaffermazione del rapporto diretto fra l'individuo e la
divinit gia teologica di rafforzamento etnico-sacerdotale invece a tutti gli effetti il mio pane, e
quindi mi permetto di aprirci il becco in proposito. Questo grande romanzo
identitario, dallesodo dall'Egitto all'occupazione armata genocida della
Palestina, ecc., ha una potenzialit simbolica ed analogica addirittura
esplosiva, perch pu essere messo facilmente al servizio di strategie similari
di occupazione territoriale e esclusivista (pensiamo alla trinit dei coloni
americani dell'ovest, la Bibbia, il fu- cile e la bottiglia di whisky per
risolvere i problemi di conciliabilit dei due fattori precedenti), o della
pretesa di primato politico che deriva dal mandato divino (la house on the hill
dei predicatori protestanti americani, i neo-cons di oggi, doppio si- gnificato
inglese e francese del termine, ecc.). Non ha quindi molto senso elogiare
semplicemente il libero esame interpretativo, come non avrebbe senso elogiare
le mine che si usano per le esplosioni minerarie se fossero date in gioco a
bambini incauti ed un po scemi. Dare l'Antico Testamento in mano a popoli
colonialisti e razzisti significa consegnare un ordigno esplosivo. Ammazzi gli
indiani e sei con- vinto di ammazzare simbolicamente gli egiziani, i madianiti
e gli amaleciti. E via di questo passo. A questo punto, ci si pu chiedere
seriamente se sia meglio che questa vera e propria bomba ad orologeria venga
consegnata alla libera interpre- tazione analogico-simbolica di tutti, oppure
venga sorvegliata da un'apposita casta di pretoni-filologi esperti del contesto
storico. Negli USA, qualunque idiota televisivo finanziato da petrolieri texani
pu legittimamente aprire la sua Bibbia, e sentirsi ipso facto Mos, Giosu,
Gedeone e Sansone. Nulla di male, se questo idiota televisivo non occupasse il
mondo con basi nucleari e non potesse lanciare aggres- sioni distruttive
unilaterali. Certo, il libero esame di Martin Lutero non ha nessuna colpa, cos
come Marx non ha nessuna colpa per i gulag di Stalin. Nello stesso tem- po i
Greci antichi non avrebbero mai fatto lapologia del libero esame formalmente
concepito, ma soltanto della saggezza nellinterpretazione. E qui nasce tutto il
pro- blema filosofico della libert intesa come arbitrio contingente oppure
della libert intesa come manifestazione pratica della conoscenza del bene. E ci
ritorneremo. Il tema del cosiddetto libero arbitrio del credente forse ancora pi impor- tante del precedente,
perch la sua secolarizzazione ha dato luogo al tema del rapporto fra possibilit
e necessit nella storia, centrale nella discussione marxista posteriore sul
problema del rapporto (possibile e/o necessario) fra capitalismo e comunismo.
Ne parler ovviamente pi avanti, ma bene
che le origini di questo tema vengano gi messe in luce attraverso la
ricostruzione degli inizi di questo dibattito. E gli inizi si situano proprio
nel contesto storico che stiamo analizzando, nonostante il fatto che sia
necessario ricorrere a dati ancora anteriori, come il con- trasto fra Agostino
e Pelagio. Il primo dibattito filosofico esplicito sul libero arbitrio del
volere umano e sulla predestinazione divina fu quello fra Agostino e Pelagio.
Purtroppo, impossibile ricostruirne oggi
i termini esatti, perch di Agostino abbiamo praticamente tutto, e di Pelagio
praticamente nulla. Il potere ecclesiastico ha spazzato via tutto. Sarebbe come
se oggi di Marx non fosse rimasto nulla, al di fuori delle critiche di Popper.
In ogni caso, il cuore dellargomentazione di Agostino sul fatto che senza la
grazia 183 CarrroLo XXI divina noi non ci salveremmo, ed il libero arbitrio certo coaudivante, ma non decisivo, ci noto nellessenziale, anche se la monumentale
stupidit dei commen- tatori posteriori non
quasi mai in grado di ricostruirla correttamente. Il cuore della teoria
della predestinazione divina, infatti, si basa direttamente sulla teoria
soggettivistica del tempo inteso come distensio animae, e cio come struttura
nasco- sta della percezione soggettiva che lega insieme la memoria del passato,
la realt immediata del presente e la speranza del futuro. Con un'operazione
analogica teo- ricamente sbalorditiva, Agostino mette in correlazione il tempo
del soggetto umano e l'eternit del soggetto divino. Dio, in altri termini, pensato come un soggetto che anzich vivere
nel tempo, il che implica che il futuro pu soltanto essere oggetto di speranza,
ma non di conoscenza, vive nelleternit, e cio vede simultaneamen- te con una
sola occhiata diretta il passato, il presente ed il futuro, ed in questo modo -
per dirla in maniera semplice sa sempre
come le cose andranno a finire. Dio vede simultaneamente Adamo che accetta la
mela da Eva, Cesare che conquista la Gallia, Napoleone che si fa incoronare
imperatore, il pilota americano che sgan- cia la bomba ad Hiroshima, ed
ovviamente i rapporti di forza nel mondo nel 2817 e nel 9017 (ammesso,
ovviamente, che il mondo esista ancora). Sarebbe come se io, seduto alla mia
scrivania, vedessi contemporaneamente il mio trisavolo che ha com- battuto
nell'esercito napoleonico, mio padre che scarpinava nella nave sul fronte
greco-albanese nel 1941, la mia nascita e la mia morte, ed infine il matrimonio
di un mio lontanissimo nipote con unisolana delle Tonga nel 2156. Il tutto, sia
chiaro, contemporaneamente. Se la distensio animae hominis il tempo, la distensio animae Dei l'eternit. Se infatti si accetta
l'attribuzione a Dio della cosiddetta onnipotenza, ne deriva che se non potesse
conoscere il futuro e non vivesse nelleternit da sem- pre non sarebbe
onnipotente. Ma l'eternit circolare e
ciclica, per cui Dio appunto vede simultaneamente linizio e la fine del
mondo. questa la ragione per cui esiste
la predestinazione; Dio sa gi da sempre come andr a finire. Lutero era un mona-
co agostiniano, e non possiamo quindi stupirci che ereditasse questa lontana
teoria dellonnipotenza, della predestinazione e del soggetto trascendente che
dall'alto dell'eternit vede in un attimo tutto lo svolgimento del tempo
concentrato in un punto. La teoria agostiniana della visione simultanea eterna
di Dio, con connessa ca- pacit di conoscenza degli eventi addirittura prima che
avvengano empiricamen- te, sta alla base della visione medioevale del mondo
esattamente come la critica di Hume alla categoria di causalit sta alla base
della concezione capitalistica del mondo stesso. Come vedremo pi avanti,
l'unione delle due teorie del diritto na- turale e del contratto sociale davano
pur sempre un primato simbolico ed una priorit temporale alla politica
sull'economia. Criticando la categoria astratta di causalit, Hume criticava
anche la concezione per cui era la politica (intesa come contratto sociale che
applica nella societ i dettami del diritto naturale) che causa- va la societ.
Nella concezione di Hume, poi ripresa ed ampliata da Adam Smith, la societ non
richiedeva pi una causazione politica, ma si auto-istituiva sulla base della
propensione abitudinaria della natura umana allo scambio delle merci. 184
Natura ontologico-sociale della rivoluzione protestante e dell'affermazione del
rapporto diretto fra l'individuo e la divinit E cos l'economia che fonda la politica, e non pi la
politica che fonda l'economia. Ma su questo tema cruciale, appunto, torner pi
avanti. Agostino stato lo Hume del
medioevo cristiano. Dio pensato
integralmente come soggetto, ma si tratta di un soggetto che non vive nel tempo,
ma nelleterni- t, e pertanto non ha neppure bisogno di prevedere il futuro,
perch lo vede men- tre si svolge a tutti gli effetti. interessante ora aprire una breve parentesi
sulla secolarizzazione successiva della onnipotenza previsionale di Dio, in
particolare quando Dio sar sostituito a met Settecento dalla Storia, come nuova
divinit im- perfettamente secolarizzata. Anche su questo punto sar costretto ad
anticipare, ma credo che sia il procedimento corretto. Il trasferimento
dellonnipotenza previ- sionale (o pi correttamente, addirittura visionale) da
Dio alla Storia non che il
raddoppiamento del passaggio dallagostinismo politico dei preti al marxismo
agostinianizzato dei marxisti successivi. Il fatto che la religione di questi
ultimi sia durata solo un secolo circa, mentre la variante originale di
Agostino sia durata pi a lungo, deve essere fatto oggetto di specifica
riflessione. E lo sar. Da un punto di vista psicologico-sociale, la convinzione
di essere ispirati e be- nedetti da Dio oppure di essere ispirati e benedetti
dalla Storia, questo Dio seco- larizzato ed altrettanto onnipotente, adempie
alla stessa funzione sociale. I com- battenti della New Model Army di Oliver
Cromwell della guerra civile inglese del 1640-1650 ed i combattenti della
Krasnaja Armija (armata Rossa) di Vladimir Lenin della guerra civile russa del
1918-1921 hanno in comune la stessa ispirazione reli- giosa, ed il fatto che
gli uni fossero anglicani e gli altri fossero atei ha veramente soltanto un
interesse minore. Come si vede, una riconsiderazione ontologico-sociale della
nascita del prote- stantesimo europeo fatta in base al metodo storico-genetico
ed ontologico-sociale consente di disoccultare le radici religiose della
modernit. del tutto naturale che la
falsa coscienza organizzata dell'immagine ideologica borghese del mondo si
autorappresenti la nascita della modernit in termini di progresso, e cio di
vittoria della razionalit scientifica sullignoranza e la superstizione. Come
avviene sempre nel rapporto concreto fra storia ed ideologia, la realt sistematicamente rovescia- ta rispetto alla
sua rappresentazione, come peraltro avviene nello scatto delle fo- tografie. In
realt la nascita della modernit, limitandoci ovviamente ai suoi tratti
ideologici rovesciati, risulta da due processi di secolarizzazione, che ripeto
ancora sommariamente, perch non vorrei che fossero sfuggiti al lettore
frettoloso. In primo luogo, la trasformazione del libero esame
vetero-testamentario (nel Nuovo Testamento Ges
troppo buono per poter realmente ispirare e legittima- re laccumulazione
capitalistica primitiva, la schiavizzazione di milioni di neri, il commercio
triangolare, l'espropriazione di milioni di contadini ed operai, ecc.a ci vuole il pugno duro del Dio degli
eserciti) in raddoppiamento simbolico ed analogico del grande romanzo
identitario ebraico e della strategia sacerdotale di potere, permette di
concettualizare, giustificare e legittimare la missione esclu- siva del
colonialismo inglese nella sua conquista del mondo. Se Dio con te, puoi massacrare gli irlandesi cattolici
e papisti, occupare l'India, accumulare enormi 185 CapitoLo XXIII ricchezze con
il commercio degli schiavi (e non bisogna mai dimenticare che per- sino il buon
empirista liberale John Locke era azionista di una compagnia schia- vistica, e
soprattutto non se ne vergognava). Questa proiezione mimetica della mis- sione
del popolo eletto, e delleccezionalismo ebraico (che tutti i grandi pensatori
ebrei, da Spinoza a Freud, hanno sempre apertamente esecrato), tessuto
ideologico fondamentale delloccidentalismo e delle sue mostruose conseguenze, stato un derivato concreto anche (non solo,
ovviamente) del libero esame. Certo, la Chiesa cattolica non ha le carte in
regola per credersi migliore. Negli stessi anni, alluni- versit di Salamanca,
avallava di fatto le tesi di Seplveda sui nativi americani come homunculi degni
di essere schiavizzati (per di pi, con dotti argomenti aristo- telici),
lasciando di fatto solo il grande Bartolomeo di Las Casas che difendeva gi
l'uguaglianza naturale di tutti gli uomini (sempre, peraltro, con argomenti
tratti dalla tradizione greca). In secondo luogo, l'accoglimento della teoria
della predestinazione di Agostino, sostenuta pi o meno con gli stessi argomenti
della onnipotenza previsionale di Dio, che vivendo nelleternit era un soggetto
titolare della capacit di sapere come tutto sarebbe andato a finire, fece da
supporto ideologico ad una folle presunzione di auto-investitura da spiriti
eletti. Se Dio con noi, per poterlo
sapere la cosa migliore arricchirsi e
vincere tutte le guerre. Detto questo, non sono sicuro che Max Weber abbia
ragione nella sua teoria del nesso strettissimo fra protestante- simo (in realt
calvinismo, perch il luteranesimo dopo il 1525 e la sconfitta dei contadini ribelli
di Thomas Mintzer, narrata sia da Engels che da Bloch, divent ben presto una
religione per aristocratici e contadini) e capitalismo. Vi sono anche altre
teorie genetiche, come quella del ruolo degli ebrei (Werner Sombart), ecc. E
comunque questo non il luogo per una pur
facilissima rassegna sulle teorie alternative sulla nascita del capitalismo in
Europa. invece importante far notare da
subito che lidentificazione proiettiva con le decisioni di Dio, sorta con il
puri- tanesimo inglese e poi evolutasi nell'odierna missione speciale degli USA
come unico paese indispensabile del mondo (Bill Clinton in un suo delirante
discorso dinvestitura alla presidenza), ha avuto anche una secolarizzazione
laica ed atea con la teoria marxista dei voleri della Storia, questo
equivalente imperfettamente secolarizzato di Dio. Ma qui siamo gi ben oltre il
nostro argomento. Siamo gi in- fatti ben dentro il pensiero moderno, che a
partire dal prossimo capitolo tenteremo di interrogare con un'ottica nuova, e
decisamente inconsueta per le anime pie e politicamente corrette. 186 XXIV. IL
SIGNIFICATO ONTOLOGICO-SOCIALE DELLA COSTITUZIONE FORMALISTICA DEL SOGGETTO NEL
Cocito ERGO Sum DI CARTESIO Il modo abituale con cui la dossografica scolastica
racconta la nascita del pensie- ro moderno
in generale un pezzo di umorismo demenziale di grande efficacia, di
fronte al quale Buster Keaton un triste
attore di drammi lacrimosi. Da un lato, un coro di cretini che si rifiutavano
di guardare dentro un cannocchiale, salmodiando che tanto Aristotele aveva gi
detto tutto quello che era possibile dire (ipse dixit), e che come le famose
scimmiette si coprivano gli occhi e le orecchie, mentre il solo non
completamente cretino, cio Galileo Galilei, ci guardava dentro e ci vedeva che
la terra girava intorno al sole e non viceversa, anche se i preti, che
ovviamen- te non si smentiscono mai, volevano per questo bruciarlo vivo, e lo
costrinsero a strisciare davanti a loro, anche se Galilei riusc comunque a
bofonchiare Eppur si muove!. Dall'altro, un signore seduto su di una stufa
(evidentemente con un asse fra il suo sacro sedere e la caldaia - senza questo
asse provvidenziale, niente pensiero filosofico moderno!), che ad un certo
punto esclama Cogito ergo sum e snocciola quattro regole che se ben applicate
possono permetterci di conoscere tutto (evidenza, analisi, deduzione, enumerazione).
E tuttavia non ci si dovrebbe fidare troppo di lui, visto che pensava che lo
stesso mondo esterno non esistesse, e fosse un trucco di un diavolo malvagio.
La ricostruzione delle origini del pensiero moderno seguendo il metodo che
definirei Woody Allen-Buster Keaton non
affatto una follia, ma funzionale
ad una ricostruzione destoricizzata e soprattutto desocializzata dei processi
del pensiero. Essa l'equivalente
funzionale, per la classe degli intellettuali, del sangue di San Gennaro e
delle stimmate di Padre Pio per le classi popolari. In entrambi i casi il
miracolo sostituisce i processi del pensiero. Ma mentre nel caso delle classi
popolari si tratta nobilmente di elaborare il dolore delle disgrazie, nel caso
degli intellettuali si tratta invece di raffigurarsi il processo della
conoscenza umana come frutto delle loro pensate geniali. Il lettore
intelligente, a questo punto, avr gi capito quale delle due forme di
mistificazione degna di maggiore condanna
morale. In un'ottica ontologico-sociale, i miracoli di Galileo e di Cartesio
appa- iono maggiormente spiegabili. Nel caso di Galilei, la formazione e lo
sviluppo di una scienza matematica quantitativa della natura si pu spiegare con
una grande rivoluzione scientifica, correttamente definita dal grande
epistemologo americano Thomas Kuhn come un salto di paradigma, e poi criticata
negli anni Trenta del 187 CarrroLo XXIV Novecento da Husserl in modo
ragionevole, ma a mio avviso non del tutto con- vincente. Nel caso di Cartesio,
invece, si tratt del primo passo decisivo per quella costituzione formalistica
del soggetto, che fece da nuova sostanza per lelaborazio- ne di un pensiero
astratto che potesse corrispondere a quel lavoro astratto su cui si svilupper
poi il modo di produzione capitalistico. Se infatti la metafisica l'ontologia delle classi signorili e feudali,
la gnoseologia lontologia della nuova
classe borghese europea. L'impadronirsi con sicurezza di questo semplice
concetto permette di guardare lo sviluppo del pensiero moderno con un nuovo e
decisivo riorientamento gestaltico. La vecchia scienza aristotelica aveva
sostanzialmente resistito all'attacco por- tatole dal neoplatonismo
quattro-cinquecentesco. E non si tratta solo del fatto che questo
neoplatonismo, sorto innocuo con Marsilio Ficino, era evoluto in senso
panteistico dando luogo ad una delegittimazione generalizzata della teologia
cat- tolica, con logiche conseguenze repressive (Giordano Bruno). Si tratta del
fatto che grandi fabbriche manifatturiere - soprattutto per l'allestimento di
parchi d'arti- glieria e per l'armamento civile - vengono costruite in tutta
l'Europa. Se pensiamo che la stessa rete (web) di Internet deriva direttamente
dal progetto militare di Arpanet non ci stupiremo pi che anche ai primi del
Seicento la spinta verso i mutamenti dei modelli teorici sia venuta da
un'esigenza militare. In questa nuova realt economica alla figura dellartigiano
medioevale, che in- trattiene rapporti con cose concrete e non ha ancora
bisogno di un grande ap- parato matematico complesso per raccontarle, in quanto
bastano gli strumenti di lavoro e la materia cui li applica, va sostituendosi
la figura del padrone della fabbrica manifatturiera, che ha invece a che fare
con flussi di prodotti e di merci, con un numero di operai fra i quali dividere
il salario, con capitali da investire ed interessi da calcolare. Senza contare,
inoltre, le esigenze della navigazione transo- ceanica, che richiedeva un
apparato matematico complesso per calcolare i tempi, le previsioni e le
posizioni. Non a caso, lo scienziato sovietico Hessen ritenne che la stessa
definizione fisica di lavoro (forza per spostamento) abbia avuto come genesi
teorica indiretta le esigenze della nuova industria inglese dei trasporti. So
bene che su questa strada vi sono reali pericoli di riduzionismo di tipo
esternisti- co, che possono nascondere le serie ragioni interne che spiegano i
mutamenti dei paradigmi scientifici. Lo so, e ne tengo conto. E tuttavia sono
preferibili gli errori di eccessivo riduzionismo esternistico agli errori che
derivano dal ritenere che il decorso teorico sia della filosofia che della
scienza sia dovuto o alla casualit assoluta o alla autoreferenzialit dei ceti
specializzati dei filosofi e degli scienziati. In linguaggio cattolico, sono
entrambi peccati, ma mentre il primo un
peccato veniale, il secondo un peccato
mortale. La teoria delle rivoluzioni scientifiche di Kuhn un'ottima teoria, certamente superiore alla
teoria della cosiddetta falsificabilit di Popper, di cui studi detta- gliati su
casi specifici hanno dimostrato che nei fatti non mai stata concretamente applicata dagli
scienziati empirici. Essa si applica a moltissimi casi concreti (dal passaggio
dal geocentrismo alleliocentrismo, all'abbandono della teoria del flogi- 188 Il
significato ontologico-sociale della Costituzione Formalistica del Soggetto nel
Cogito ergo Sum di Cartesio sto in chimica, fino al passaggio dal fissismo
allevoluzionismo), ed io sono anche d'accordo con Paul Sweezy, nel fatto cio
che essa avrebbe dovuto essere applicata anche al marxismo, ma noto che il conservatorismo e la vilt della
comunit de- gli intellettuali marxisti, legata con mille fili ai burocrati
nichilisti degli apparati partitici e statuali, ne ha sempre impedito l'estensione
al marxismo stesso. Sono capaci tutti di lodare Galileo, ma quando ci si trova
di fronte ad un caso concreto di tipo galileiano (in questo caso, il
rovesciamento astronomico del marxismo), allora persino il galileiano Simplicio
diventa un genio dell'innovazione. Ma su questo ci soffermeremo pi avanti.
Basti dire per ora che la teoria di Kuhn
ottima, ma non spiega quali siano le basi materiali che di fatto
costringono la boriosa e conservatrice comunit degli scienziati a mutare di
paradigma scientifico. Su questo il vecchio Marx, che Kuhn sembra
ignorare, sempre in grado di dare la
zampata decisiva. Un discorso analogo pu essere fatto per il pur grande
Husserl, che ha dedicato riflessioni decisive a questo passaggio d'epoca. Nelle
sue Meditazioni Cartesiane del 1930 Husserl da un lato loda Cartesio per aver
avuto il coraggio di porsi il problema di una fondazione razionale della
scienza, e dall'altro lo rimprovera per aver avuto un pregiudizio galileiano,
secondo cui la realt sarebbe divisa in una materialit puramente meccanica ed in
una spiritualit puramente immateriale. Nel 1935 Husserl tiene due conferenze,
una a Vienna e laltra a Praga (pubblica- te poi postume nel 1954 con il titolo
La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale), in cui mette
sotto accusa lintera scienza moderna per aver indebi- tamente ritagliato dalla
totalit dell'esperienza umana quel particolare aspetto pur esistente che la quantit, promuovendolo ad un unico
essere-in-s delle cose. La diretta conseguenza di una siffatta concezione del
sapere che paradossalmen- te i problemi
morali, intersoggettivi, di significato globale della vita umana, ecc.,
offrendosi come non omologhi al metodo che consente di indagare l'aspetto quan-
titativo della vita, finiscono con l'essere svalutati come mere apparenze
soggettive. Per Husserl, che pure era un matematico di professione, la
matematizzazione della natura uno
strumento indispensabile per la successiva applicazione tecnologica, ma non l'essere in s delle cose. Ho anticipato la
critica di Husserl al pensiero galileiano perch questa antici- pazione ci
permette di comprenderne meglio la sua genesi. Da un lato, Husserl ha
perfettamente ragione a criticare la riduzione scientistica di tutti gli
aspetti della vita umana, ed anticipa genialmente con la sua critica le
successive volgarit con- tro la filosofia (Lucio Colletti, i cosiddetti laici
alla Micromega, filosofia analitica anglosassone criticata da Herbert Marcuse,
ecc.). Dall'altro, la pittoresca ignoranza da parte di Husserl sia di Hegel e
Marx sia del metodo ontologico-sociale marxista gli impedisce non solo di
sapere che il suo tipo di critica gi
stata fatta (critica di Marx allinfinitezza quantitativa del capitale nella
distruzione della natura e nellestorsione del plusvalore, ecc.), ma anche di
diagnosticare le ragioni sociali del comportamento di Galilei e di Cartesio.
Sembra quasi che questi due colleghi, anzich prendere in esame il suo metodo
fenomenologico trascendentale, abbiano deciso di quantificare la natura
materiale e di santificare il meccanicismo. Una 189 CarrroLo XXIV analoga
mancanza di senso storico manifestata
dal pur grande Ernst Cassirer, quando nella sua peraltro stupenda storia della
filosofia moderna rimprovera a Cartesio di aver cercato in Dio il fondamento
della conoscenza scientifica, non accorgendosi in questo modo che questultima
ne sarebbe risultata indebolita. Il principio del razionalismo sarebbe stato
cos scalzato dallarbitrio della credenza in Dio, aprendo cos la strada al
doppio irrazionalismo di chi nega contemporane- amente sia Dio che la scienza.
Ha ragione Cassirer: Cartesio resta imperdonabile per non aver letto Kant. La
destoricizzazione resta imperdonabile anche se viene esercitata da geni
filosofici assoluti come Husserl e Cassirer. In realt, il pur volenteroso Husserl
non coglie il punto essenziale, e questo non solo per la sua pittoresca
ignoranza di Hegel e di Marx, ma anche e soprattutto perch - come del resto
tutti gli scienziati di professione - riduce sistematicamente lo spazio della
filosofia a spazio dellepistemologia (come peraltro osservarono criticamente
sia Heidegger che Adorno). La scienza moderna ha fatto benissimo a quantificare
il mondo. Se non lo avesse provvidenzialmente quantificato, ci sogneremmo di
poter andare a Parigi in treno ed a New York in aereo. Con la scienza
qualitativa di Aristotele - come diceva una vecchia canzone risorgi- mentale -
andremo ancora piedi da Lodi a Milano. Viva la quantificazione, se essa
fornisce lavatrici, farmaci e mezzi di trasporto! Il problema non sta nella scienza,
ma nellautocoscienza della filosofia. La filosofia avrebbe dovuto prendere atto
del- la provvidenziale quantificazione scientifica della natura, e sulla base
di questa presa d'atto inevitabile, sobria e razionale, avrebbe dovuto per
tempo ritagliarsi il proprio spazio conoscitivo specifico. Filosofi
intelligenti come Spinoza, Kant e Hegel lo hanno fatto. Filosofi meno
intelligenti, ed anzi decisamente stupidi, han- no creduto invece di agganciare
il loro carro alla locomotiva delle scienze dette positive, come se la
filosofia avesse avuto soltanto un metodo ed un contenuto negativi. In
definitiva, del tutto inutile
prendersela con Galilei e con Cartesio.
meglio invece capire la natura storico-genetica ed ontologico-sociale
del pensiero di entrambi, e di Cartesio in particolare. Italo Cubeddu, che ha
scritto un'ottima introduzione al Discorso sul Metodo di Cartesio, lo ha
definito un appello ai lettori, perch Cartesio sente di doversi giustificare di
fronte a loro per poter continuare tranquillamente le sue ricerche di fisica.
Il fatto di doversi giustificare davanti a qualcuno di cui pure si stanno
facendo gli interessi storici (situazione gi vissuta da Tommaso d'Aquino, che
do- veva giustificarsi per fare gli interessi storici della Chiesa davanti alla
Chiesa stes- sa) rivela che i grandi pensatori strategici (e Cartesio lo era)
sono sempre qualche passo avanti rispetto ai pecoroni cui pure si rivolgono
idealmente. Qualcosa del genere capit anche al vecchio Lukcs: stava facendo gli
interessi storici a lungo termine del comunismo, e la bestiale idiozia dei
burocrati e delle loro basi osan- nanti lo costringevano allemarginazione. In
questo senso, la Chiesa stata molto pi
grata a Tommaso e la borghesia stata
molto pi grata a Cartesio di quanto il movimento comunista sia stato grato a
Lukcs e a quelli come lui. Da questo fatto, personalmente, sono spinto a trarne
conseguenze epocali. 190 Il significato ontologico-sociale della Costituzione
Formalistica del Soggetto nel Cogito ergo Sum di Cartesio Cartesio propone un
vero e proprio itinerarium mentis in veritatem attraverso una vera e propria
ricostruzione autobiografica, nella forma di una confessione esisten- ziale.
Antonio Negri ha parlato di un romanzo filosofico, anzi di un romanzo di
formazione, il primo Bildungsroman del pensiero borghese. Sono completamente
d'accordo. Il Discorso sul Metodo di Cartesio (che in realt parla del metodo
vero e proprio solo per meno di un quinto del totale delle pagine) il primo vero e pro- prio romanzo di
formazione (Bildungsroman) del pensiero borghese. Ma, appunto, questo romanzo
di formazione racconta la formazione non di un soggetto storico e dialettico,
come nella Fenomenologia dello Spirito di Hegel, ma di un soggetto cono-
scitivo totalmente destoricizzato e desocializzato, come e deve essere appunto il suo Cogito.
Questo il punto essenziale da capire.
Capito questo, si dispone della chiave per aprire lo scrigno dei segreti del
pensiero borghese successivo, almeno fino a Kant compreso. Dopo Kant, invece
(Fichte, Hegel, Marx, ecc.), la filosofia si ri- mette in movimento, e si
rimette in movimento superando, sia pure con una parziale conservazione
(Aufhebung), la precedente costituzione formalistica del soggetto. Il pensiero
borghese deve nascere, e non era possibile che fosse diversamente, con
un'operazione di destoricizzazione e di desocializzazione. Ristoricizzazione e
risocializzazione (Hegel, Marx, ecc.) sono venute dopo, e non potevano che
venire dopo. Hobbes ha dovuto partire da una improbabile situazione primitiva
(bellum omnium contra omnes, homo homini lupus, ecc.) per poter distruggere
l'antropologia sociale e comunitaria di Aristotele (luomo come politikn zoon,
ecc.). Locke ha do- vuto costruirsi il primo lavoratore-proprietario (il
Robinson di Defoe e soprattutto di Marx), che legittimava cos la sua propriet
privata originaria con il suo lavoro individuale originario. Hume ha dovuto
legittimare il suo pensiero interpolando la natura umana nel capitalismo con le
presunte abitudini astoriche della natura umana in generale (spinta
allaccoppiamento dei sessi, ricerca dell'utile individua- le, predisposizione
alla cura della prole, esigenza di intraprendere libere attivit economiche per
superare gli altri in ricchezza e prestigio
si noti la sapiente suc- cessione di un dato naturale con un dato
storico!). E, per finire, Smith pre- suppone il mercato e lo spazio mercantile
come dati originari della propensione umana allo scambio economico che non
hanno neppure bisogno di presupposti filosofici (la discussione sui diritti
naturali delluomo) o di presupposti politici (la discussione sulle modalit di
un buon contratto sociale). Ma su questi quattro pen- satori torneremo pi
avanti in un capitolo successivo. Per ora basti registrare con- cettualmente il
fatto che il pensiero borghese, proprio per poter nascondere ( il caso di dire
larvatus prodeo, procedo mascherato, anche se non nel senso di Cartesio) il
fatto di essere integralmente storicizzato e socializzato, deve fingere di
essere in- vece destoricizzato e desocializzato. Cartesio non fa che precedere
la serie Hobbes- Locke-Hume-Smith sopra accennata. Nel suo caso, per, ad essere
destoricizzato e desocializzato lo
stesso soggetto della conoscenza, il Cogito. Ma perch il pensiero deve
precedere l'essere, e non viceversa? Se capiamo questo, capiamo perch lunica
possibile ontologia della borghesia
appunto la gnoseologia. Hegel defin Cartesio un eroe del pensiero perch
avrebbe posto il 191 CarrroLo XXIV pensiero stesso di fronte alla semplice
opposizione al suo contenuto, il pensare e l'estensione o essere. Marx ritiene
invece che Cartesio veda il mondo con gli occhi del periodo manifatturiero,
soprattutto per il fatto, poi contestato dagli animalisti odierni, che vede gli
animali come vere e proprie macchine. E tuttavia, con tutto il rispetto verso
Marx, penso che sia errato e riduzionistico incatenare Cartesio al periodo
manifatturiero puro e semplice. Cartesio va molto oltre al suo tempo, e non pu
essere ridotto (come ha fatto negli anni Trenta l'austriaco F. Borkenau) ad un
semplice ideologo del periodo manifatturiero. La costituzione formalistica del
soggetto (il Cogito) in Cartesio
qualcosa di correlato al pensiero astratto come derivazione concettuale del
lavoro astratto. In questo Cartesio un
vero precursore geniale, perch ai suoi tempi il lavoro ca- pitalistico astratto
vero e proprio non cera ancora, e dovette aspettare quasi un secolo per essere
prima affermato (Smith) e poi criticato (Marx). Eppure, se non gli si concede
questa implicita previsione, si finisce con il non coglierne leccezio- nalit
fondativa. E neppure Heidegger la coglie appieno, quando ricostruendo la storia
della verit nel pensiero occidentale si limita a constatare un po banalmente
che Cartesio (e non Kant) sarebbe stato il fondatore della metafisica moderna,
in quanto per primo avrebbe determinato l'ente come oggettivit del
rappresentante ed avrebbe concepito la verit come certezza del rappresentare,
riducendo cos la verit a certezza rappresentativa. Non nego che sia anche cos
Ma Heidegger si ferma a met strada, in quanto anche questo genio del pensare
rifiuta sempre siste- maticamente di indagare le determinazioni
ontologico-sociali del pensiero stesso. In Cartesio la verit esiste ovviamente
ancora, ci sono le idee innate, c' Dio, e ci sono anche le prove razionali per
poterlo dimostrare. Heidegger ha torto nel dire che Cartesio riduce
integralmente la verit a certezza oggettivata dell'ente. Ha per indirettamente
ragione nel dire che con questa concezione si apre effet- tivamente un processo
di pensiero per cui a poco a poco la verit, che in Cartesio coesiste ancora
contraddittoriamente con la certezza, viene a poco a poco sostituita
integralmente dalla certezza, ed alla fine di questo processo c soltanto la
certezza, e la verit non esiste pi. Detto questo, Heidegger si ferma, perch
dopo c' solo la terra incognita del metodo di Marx, che egli ignora e
disprezza. La borghesia nascente non ha effettivamente nessun bisogno della
verit, perch la verit la obbligherebbe a problematizzare filosoficamente i
propri presupposti, e soprattutto farebbe a pezzi il presupposto
universalistico di cui si nutre. Essa infat- ti vorrebbe rappresentare il
progresso dell'intera umanit, da un lato, e praticare lo schiavismo e
l'espropriazione selvaggia, dall'altro. Ha invece effettivamente biso- gno
della certezza del rappresentare, perch su questa certezza delle rappresentan-
ze si fondano tutti i suoi progetti imprenditoriali, commerciali e militari. Il
passag- gio dalla verit alla certezza
quindi prima di tutto un processo storico e sociale, che viene occultato
nel mondo della filosofia con il passaggio dalla metafisica alla gnoseologia.
Ed questa la ragione per cui la
gnoseologia resta lunica vera me- tafisica della borghesia. Per poter portare a
termine questo processo, ci vorr per un Kant, perch solo con Kant viene
stabilito realmente il fondamento di questa 192 Il significato
ontologico-sociale della Costituzione Formalistica del Soggetto nel Cogito ergo
Sum di Cartesio metafisica a base gnoseologica, e cio la separazione di
principio fra le categorie del pensiero e le categorie dell'essere. In Cartesio
questo pezzo decisivo della metafisica a base gnoseologica non c' ancora. E non
c' ancora perch non ci pu ancora essere, in quanto socialmente e politicamente
la vecchia metafisica continua ancora ad esercitare un ruolo ideologico
decisivo per la legittimazione comples- siva del sistema signorile e
tardo-feudale in vigore. Qui sta la radice storica del famoso dualismo
cartesiano fra pensiero ed estensione, res cogitans e res extensa. In questo
dualismo, peraltro, resta inteso che permanga la pi totale identit ontolo- gica
fra le categorie del pensiero e le categorie dell'essere, che soltanto Kant
conte- ster veramente. Bench il cosiddetto occasionalismo, e cio la sincronizzazione
provvidenziale garantita da Dio fra il pensiero e l'estensione, dovette
aspettare per essere sistematizzato il prete oratoriano francese Malebranche,
questo occa- sionalismo provvidenzialistico
gi perfettamente presente in Cartesio. Da questo occasionalismo deriver
pi tardi anche l'armonia prestabilita di Leibniz, ed anche l'ipocrita teodicea
leibniziana del cosiddetto migliore dei mondi possibili, che poi Voltaire nel
Candido defin metafisico-cosmo-scemologia. Ma il migliore dei mondi possibile
di Leibniz non certo il mondo borghese
del mercato di Smith - come hanno sostenuto molti goffi seguaci marxisti del
metodo delicatissimo della deduzione sociale delle categorie - ma il mondo del compromesso educato fra la
nobilt e la nascente borghesia. In quanto pensatore della res cogitans,
Cartesio stato il capofila della
tradizione spiritualistica francese. In quanto teorico della res extensa,
Cartesio stato lispi- ratore del
successivo materialismo francese settecentesco e poi della filosofia di Giacomo
Leopardi. Richiesto di dove si trovasse spazialmente il suo Dio, Cartesio
rispose nullibi, e cio in nessun posto. Ma anzich giocare allinterminabile
gioco del Cartesio spiritualista e/o ateo mascherato (larvatus), io preferisco
battere un'al- tra strada. E la sunteggio cos: Cartesio stato il grande teorico della costituzione
formalistica del soggetto (il Cogito); questa costituzione formalistica, perch programmaticamente destoricizzata e
desocializzata; e lo perch il pensiero
deve imporsi all'essere come messa a disposizione integrale dell'essere stesso
come estensione materiale simbolica da progettare e sfruttare; alla base ci sta
la ancora lenta emersione del lavoro capitalistico astratto, che richiede un
soggetto astratto che si fa portatore di un pensiero altrettanto astratto.
Vi per un pensiero alternativo che
nasce. Quello di Spinoza. Occupiamocene. 193 XXV. LA CENTRALIT DEL PENSIERO DI
SPINOZA NEL RISTABILIMENTO MODERNO DELL'ONTOLOGIA DELL'ESSERE SOCIALE Tutti i
metodi, anche i migliori, devono essere utilizzati con parsimonia e mo-
derazione. Il metodo della deduzione storico-sociale delle categorie del
pensiero certamente migliore del
non-metodo della compilazione dossografica delle opi- nioni casuali in
successione, ma non per questo si deve pensare che sia in grado di dedurre
socialmente tutti i pensatori della storia della filosofia. Chi si mettesse su
questa strada giungerebbe facilmente al ridicolo. Enzenberger riporta che lo
scrittore inglese Belfort Bax ricorda che Marx ed Engels si divertivano al
gioco della deduzione sociale di tutti i pensatori e di tutte le pi curiose e
strampala- te eresie religiose, ma resta il fatto che lo hanno fatto per gioco,
e nessuno potr mai dedurre socialmente il culto del coccodrillo sacro che gioca
a carte con la foca monaca ed il lupo siberiano. Hegel scrisse che bisogna che
anche il casuale sia necessario, e che limprevedibile possa aver luogo. giunto allora il momento di dirlo, perch il
lettore malizioso non pensi che abbia avuto maniacalmente lidea di dedurre
socialmente lintera storia della filosofia. La considerazione storico-ge-
netica ed ontologico-sociale della storia della filosofia non significa la sua
deduzione maniacale. Il pessimismo di Schopenauer e la riscrittura filosofica
della religio- ne cristiana di Kierkegaard, ad esempio, non sono certo
socialmente deducibili dal contesto storico dei problemi della borghesia di
Francoforte e di Copenhagen. Nietzsche, questo scriba del caos (Ferruccio
Masini), non socialmente deducibi- le,
ed a differenza di come ha fatto Heidegger nella sua romanzesca ricostruzione
della consumazione finale in tecnica planetaria della lunga storia della
metafisi- ca occidentale, io non mi azzarderei mai a dire che il baffuto
tedesco sia stato il punto terminale della integrale soggettivazione
dell'essere della onto-teo-logia in volont di potenza pura e semplice. La
ricostruzione ontologico-sociale della storia della filosofia occidentale deve
limitarsi ferreamente ai pensatori che interpretano e danno forma teorica
sublimata a tendenze storico-sociali pi profonde. Chi in- vece pretende di
dedurre tutti, finisce con il discreditare il metodo genetico al punto di non
dedurre pi nessuno. Nel capitolo precedente, ad esempio, mi sono permesso di
proporre una modesta deduzione sociale di Cartesio, ma non mi sarei mai
permesso (a differenza, ad esempio, del pur bravissimo Lucien Goldmann) di fare
la stessa cosa con Blaise Pascal. Eppure, nulla sarebbe stato teoricamente pi
195 CarrtoLo XXV facile. Goldmann ipotizza che il dio nascosto (dieu cach) di
Pascal sia la metafora compensativa dellimpossibilit della noblesse de robe
francese di accedere al potere politico, impossibilit che viene compensata e
sublimata in una visione tragica della vita in Pascal. Ebbene, questa spiegazione
di Goldmann mi sembra simile alla spiegazione di Sohn-Rethel sulla derivazione
del concetto astratto di essere in Parmenide dalla diffusione della moneta
coniata. possibile, non si pu certo
escludere in via di principio, ma il rapporto di causalit in questo caso talmente labile da confondersi con un dato di
casualit. E quando il dato di casualit ed il rapporto di causalit coincidono,
si pu sospettare che il metodo non debba essere proposto, e si ripieghi
prudentemente sull'ipotesi sempre per
dirla con Hegel - che in questo caso il casuale sia necessario. Ho fatto questo
discorso per affermare che non far nessun tentativo sociale di dedurre lopera
di Spinoza. Spinoza un fatto miracoloso
ed indeducibile, un dono che la filosofia ha fatto ai mortali. Non stato per nulla un pensatore bor- ghese, come
si suole ripetere scioccamente, a meno che non si intenda affermare la banalit
sociologica per cui apparteneva di nascita alla piccola borghesia ebraica
commerciale della citt olandese di Amsterdam. Il suo pensiero del tutto disorga- nico e disomogeneo alla
riproduzione del capitalismo borghese olandese dei suoi tempi, altrettanto
ferocemente schiavistico di quello inglese e francese. A differen- za di come
ha sostenuto Antonio Negri, che ha voluto a tutti i costi comunistizza- re
Spinoza, suscitando fastidio e disapprovazione in tutti gli spinoziani europei
(Mignini, Giancotti, Tosel, ecc.), io non credo che sia mai esistita una
meraviglio- sa eccezione olandese. Certo, l'Olanda era una repubblica mercantile
integrale (come Venezia, del resto), ed era nei suoi interessi il mantenere la
convivenza (fino ad un certo punto, per) fra cattolici, protestanti, ebrei e
musulmani, ecc. Certo, Spinoza il frutto
di un incrocio culturale particolare, che metteva insieme sotto il coperchio
del cartesianesimo filosofico lesegesi biblica eretica, il libertinismo
erudito, il panteismo neoplatonico e bruniano, ecc. Tutto questo ovvio. E tuttavia, Spinoza rappresenta
un'eccezione singolare, un pensatore che non
stato organico a nulla ed a nessuno, un filosofo cui non si applica una
seria deduzione sociale delle categorie. Spinoza e resta una miracolosa eccezione singolare. E
cos lo tratter in questo capitolo. Secondo Hegel, Spinoza un punto talmente importante della filosofia
mo- derna, che in realt si pu dire: o tu sei uno spinoziano, o non sei affatto
filosofo. L'affermazione di Hegel
paradossalmente estremistica, come devono essere del resto tutte le
proposizioni filosofiche significative. Il moderatismo, e soprat- tutto la
stucchevole retorica della cosiddetta complessit, alibi per tutti i tartufi,
gli ipocriti ed i pesci in barile del sottomondo intellettuale, vengono dopo ed
in subordine alle affermazioni recise di questo tipo. Personalmente, sono
assolu- tamente d'accordo con Hegel. Se si comincia con Spinoza l'esame della
filosofia moderna, si comincia bene, proprio perch Spinoza, in un certo senso,
anticipa ge- nialmente, senza ovviamente averlo potuto immaginare, la critica
alle tendenze gnoseologiche e positivistiche del cosiddetto pensiero
moderno. questo un 196 La centralit del
pensiero di Spinoza nel ristabilimento moderno dellontologia dell'essere
sociale punto cruciale di cui necessario
impadronirsi concettualmente. Il principio es- senziale del filosofare moderno
non sta in Cartesio, perch non sta e non pu stare in un dualismo irrisolto e
semplicemente posto fra una concezione materialistica della natura estesa ed
una concezione formalistica, destoricizzata e desocializzata del soggetto
conoscente (il Cogito). Il principio essenziale del filosofare moderno non sta
in Kant (e tantomeno poi nel neokantismo, ad un tempo posteriore e dete-
riore), perch Kant, nella sua legittima lotta politico-ideologica illuministica
contro le pretese normative della metafisica religiosa, ha creduto di poterla
condurre con la sua illegittima distinzione fra le categorie dell'essere e le
categorie del pensiero. Il principio essenziale del filosofare moderno non sta
nemmeno in Marx, che pure il pensatore
di riferimento principale per ogni ontologia dell'essere sociale, in quanto
Marx ha oscillato fra due paradigmi filosofici distinti, quello idealistico e
quello materialistico, contribuendo cos a confondere le idee ai suoi pur
volenterosi se- guaci. E lo stesso Hegel, il punto pi alto della filosofia
moderna, non avrebbe potuto costituire il suo concetto di soggetto storico
processuale e dialettico se prima Spinoza non lo avesse pensato come sostanza.
Sostanza che poi il pensiero capi- talistico, da Locke a Hume, dovette sciogliere
nella rete dei flussi mercantili del valore di scambio assolutizzato. In
sostanza, Spinoza il vero principio
essenziale di ogni filosofare moderno. E lo , paradossalmente, perch restaura
il grande principio ellenico dell'identit on- tologica fra le categorie
dell'essere e le categorie del pensiero. Lo fa, ovviamente, utilizzando la
terminologia filosofica dominante ai suoi tempi, quella del carte- sianesimo.
Si tratta di quello che (un po'
impropriamente) chiamato paralle- lismo psicofisico, che istituisce
correttamente il rapporto parallelo fra l'ordine e la connessione delle cose
(ordo rerum) e l'ordine e la connessione delle idee (ordo idearum). Questo
parallelismo psicofisico, ovviamente, serve ad eliminare lidea (e cio, la terza
idea) di un dio sincronizzatore e collegatore del mondo dello spirito e del
mondo dell'estensione (Cartesio, cartesianesimo religioso, occasionalismo,
Malebranche, ecc.). E tuttavia, pi che di parallelismo psicofisico, termine un
po am- biguo, sarebbe meglio parlare di identit ontologica fra le idee e le
cose. noto che Marx si impadron
concettualmente della propria identit rivoluzio- naria passando attraverso la
metafora della deviazione nella caduta degli atomi (clinamen, parekklisis). Ma
nello stesso anno in cui discusse a Jena la sua tesi in filosofia greca (1841),
scrisse anche un Quaderno Spinoza, che rappresenta a tutti gli effetti il primo
passo fondativo della sua filosofia politica. Si tratta della demo- crazia
diretta dei produttori, definita come l'unione di tutti gli uomini che hanno
collegialmente pieno diritto a tutto ci che
in loro potere (cfr. B. Spinoza, Trattato teologico-politico, cap. XVI).
Se quindi Spinoza il principio essenziale
di ogni filo- sofare moderno (principio dell'immanenza assoluta, e principio
della separazione della religione dal potere politico unito al principio della
democrazia diretta dei produttori sul loro prodotto) anche il principio essenziale della
posteriore filoso- fia politica di Marx. Su questo punto Antonio Negri ha
ragione. Non credo - come lui afferma - che si debba creare un partito degli
spinozisti, e non lo credo perch 197 CaritoLo XXV vuole espellere da questo
partito di cui si sente evidentemente
guru, profeta ed ispiratore - Hegel e la dialettica, ma si pu consentire con
lui quando si spinge a dire che lo spinozismo
il trascendentale ontologico della rivoluzione (sic!), e la stessa
democrazia qualcosa sub specie
aeternitatis. Certo, antipatizzando per Hegel, Negri non pu sapere che Hegel
aveva gi espresso il concetto di sub specie aeternitatis con il concetto di ci
che , ed eternamente. Ma non si pu
volere tutto. Lukcs coglie molto bene la specificit moderna di Spinoza quando
scrive nella sua Ontologia dell'Essere Sociale che Spinoza compie una
correzione rispetto allantropologia filosofica greca, per cui il dominio
delluomo sui propri affetti non pi
quello della ragione sugli istinti (il che pu ancora essere reificato in un
fatto trascendente, come appunto avvenne nel cristianesimo) ma quello degli
affetti pi forti su quelli pi deboli, il che, sempre secondo Lukcs, pu essere
definito come il compimento della autocostituzione processuale,
terreno-immanente, dell'uo- mo. Mi sembra difficile fare un elogio pi grande a
Spinoza. Ed unendo insieme Hegel, Marx e Spinoza, formulerei in questo modo
sinteticamente il problema: Spinoza un
punto talmente importante della filosofia moderna che o si spi- noziani, o non sia affatto filosofi;
partendo da lui, per legittimo pensare
ci che lui ha pensato come sostanza (e cio l'identit ontologica di Dio e
Natura) come soggetto (e cio costituzione processuale della soggettivit e non
come au- toposizione formalistica destoricizzata e desocializzata alla
Cartesio); pensandola come soggetto si ha in questo modo il concetto per
pensare il compimento della autocostituzione processuale, terreno-immanente,
delluomo; ed questo il tratto
caratteristico della filosofia di Marx, che non
uno strutturalismo epistemologico, un materialismo dialettico o uno
storicismo assoluto, ma un umanesimo
rivolu- zionario a base dialettica. La formulazione sintetica stata un po lunga, ma non volevo saltare
nessun pezzo essenziale. E tuttavia un pezzo ho finito con il saltarlo, ed il riconosci- mento del fatto che
Spinoza stato il primo critico
filosofico dell'ideologia, e questo in un periodo storico in cui lo stesso
termine di ideologia non esisteva ancora. Pi esattamente, stato un critico dell'illusione ideologica,
anche se non poteva ovvia- mente ancora impadronirsi del concetto di necessit
sociale dell'ideologia stes- sa, e quindi nellimpossibilit di farla sparire. Si
tratta di un punto essenziale, che bene
subito far proprio concettualmente. Torner nell'ultimo capitolo di questo
scritto sulla teoria dell'ideologia di Lukdacs, che ritengo spinoziana al
massimo grado. In breve, secondo Lukcs, lil- lusione ideologica si origina dal
fatto che luomo, elaborando in modo necessaria- mente antropomorfico ed
antropomorfizzate i contenuti del proprio rispecchia- mento quotidiano dei
fatti della vita (perch i miei cari sono morti cos presto?, ecc.), estende
questa antropomorfizzazione anche ai rispecchiamenti scientifici del vivere
sociale, e con questa estensione anzich approdare alla scienza approda alla
religione, che Lukcs (in questo allievo ortodosso di Feuerbach, Marx, Engels e
198 La centralit del pensiero di Spinoza nel ristabilimento moderno
dellontologia dell'essere sociale Lenin) considera sempre come unalienazione
(Entfremdung). Ne parleremo ap- punto pi avanti, perch la mia posizione diversificata (io considero infatti sullo
stesso piano, e del tutto complementari, l'illusione religioso-trascendente e
lillu- sione laico-immanente, tesi che Lukcs non avrebbe certo potuto
condividere in questa forma). Tornando a Spinoza, si pu notare che su questo
punto la sua teoria dellillusio- ne ideologica
eguale a quella di Lukcs, anche se ovviamente non esiste (e non pu
esistere) il termine tecnico di ideologia. L'illusione nasce in Spinoza dallin-
debita antropomorfizzazione del concetto di Dio, che anzich essere concepito
come realt sostanziale assoluta priva di progettualit, buona o cattiva che
sia, concepito come traslazione
trascendente della realt umana, per sua natura pro- gettante. Come si vede, lo
stesso Feuerbach non ha aggiunto nulla di essenziale a questo concetto
spinoziano di alienazione religiosa. E tuttavia, il punto essenziale non qui, ma sta in ci, che i marxisti non sono
stati capaci di imparare da Spinoza il segreto filosofico che avrebbe loro
permesso di esaminare razionalmente la loro propria illusione ideologica
antropomorfizzante. Anche se il tema dovrebbe essere trattato pi avanti,
approfitto di questo mio elogio di Spinoza per parlarne su- bito. Spinoza ha
individuato nella indebita antropomorfizzazione di Dio il nucleo di tutte le
illusioni e di tutte le paure delluomo. In questo - ma solo in questo - stato un materialista prosecutore di Epicuro,
ed anche per questo la cop- pia Epicuro-Spinoza
piaciuta tanto al giovane Marx. I marxisti, in teoria seguaci di
Epicuro, Spinoza e Marx, hanno in realt fatto tutto l'opposto, perch hanno
invece antropomorfizzato sia la storia sia il loro stesso movimento
politico-ideo- logico. Hanno antropomorfizzato la storia, costruendo una vera e
propria Grande- Narrazione (Lyotard) in cui un soggetto pieno, allinterno di un
flusso storico-tem- porale concepito come continuo ed omogeneo (lo storicismo,
appunto), garantisce con il mantenimento della sua identit (rivoluzionaria)
iniziale la realizzazione finale del suo progetto originario (il ristabilimento
della giustizia sociale perduta
equivalente laico della caduta nel peccato originale). Hanno poi
antropomorfiz- zato anche il loro proprio movimento ideologico, inventandosi un
padre fondatore divinizzato che non si sbaglia mai (Karl Marx, appunto), un suo
san Paolo che lo interpreta sempre correttamente e senza errori (Engels,
appunto), una sua parousia storica messianica e liberatrice che fonda quanto pi
assomiglia al regno di Dio in terra (Lenin, appunto) ed infine una lotta
zoroastriana e manichea fra il Bene (lortodossia) ed il Male (il relativismo).
Se avessero letto (e soprattutto capito, che
altra cosa) Spinoza, avrebbero potuto sviluppare opportuni anticorpi.
Ma noto che non c' peggior sordo di chi
non vuol sentire. stato Spinoza un ateo,
che ha nascosto il suo ateismo implicito sotto una maschera
panteistico-neoplatonica? Da Bayle in poi si
sviluppata la tendenza a concepirlo come un ateo virtuoso, ma questo uso
ateo di Spinoza non fa a mio avviso parte della storia dello spinozismo vero e
proprio, come non ne fa parte linterpretazione panteistica di Lessing, che pure
ha giocato un ruolo decisivo nella 199 CarritoLo XXV partenza dellidealismo
tedesco posteriore. La Storia della Filosofia dell Accade- mia delle scienze
della defunta URSS parla apertamente dellateismo di Spinoza, ma questa
interpretazione deve passare attraverso un filtro ermeneutico pi com- plesso ed
articolato. Che il Dio di Spinoza non abbia nulla a che vedere con il Dio
ebraico e cristiano mi sembra evidente, a meno che queste divinit ed i loro
appa- rati sacerdotali possano rinunciare alla loro concezione teistica,
antropomorfizzata e soggettivistico-normativa della divinit stessa (giudizio
finale, ecc.). E tuttavia, anzich chiedersi se Spinoza fosse un ateo mascherato
per opportunismo, oppu- re un panteista neoplatonico passato attraverso la
terminologia filosofica cartesia- na con il suo meccanicismo palese ed
ostentato, meglio farlo passare
attraverso le due tradizionali interpretazioni materialistica ed idealistica.
Solo dopo sar pos- sibile proporre la mia personale interpretazione di Spinoza,
che deriva comunque dalla precedente interpretazione di Andr Tosel. La grande
maggioranza degli spinozisti non religiosi inserisce Spinoza nella tra- dizione
materialistica. interessante in proposito
notare il fatto che quasi tutti i marxisti antistaliniani recepiscano ed
accettino di fatto la sacralizzazione atea della storia della filosofia fatta
nel 1931 da Stalin, con la connessa tavola dei buoni (i materialisti) e dei
cattivi (gli idealisti). E tuttavia costoro possono rispondere che accettano
questa tabella non perch lha proposta per la prima volta Engels, lha poi
consacrata Lenin, che per definizione non sbaglia mai, e l'hanno infine
recepita Stalin, Trotsky e Mao Tse Tung, ma perch risulterebbe dalla storia
della filosofia stessa. A me personalmente non risulta per niente, e che non
risulti per niente lo discuter nel prossimo capitolo, in cui manifester la mia
adesione allinterpreta- zione della studiosa greca Maria Antonopoulou. Ma torniamo
al nostro Spinoza materialista. La spinozista italiana Emilia Giancotti ha
riassunto in questo modo chiaro e cristallino l'interpretazione materialistica
di Spinoza: Ateismo, determinismo, definizione della materia come attributo
della sostanza, teoria della verit come corrispondenza dell'idea al dato reale,
riduzione dell'anima ad idea del corpo, concezione delluomo come parte della
natura, libert come ragione ossia come consapevolezza della necessit,
democrazia diretta. Sono questi i principi dello spinozismo che, senza cadere
in banali semplificazioni, rendono legittima la sua collocazione allinterno di
una linea di sviluppo del pensiero occidentale che, pas- sando attraverso le
elaborazioni del materialismo metafisico, approda al materiali- smo storico e
dialettico. Pi chiaro di cos! Emilia Giancotti aggiunge che lanalisi spinoziana
degli affetti, in particolare nel principio del superamento delle passioni
attraverso la conoscenza, stata una
fonte della psicoanalisi freudiana, mentre il concetto di libert dell'uomo come
consapevolezza della necessit, attraverso la mediazione di Hegel, passer a far
parte del patrimonio dottrinario del materiali- smo storico e dialettico, vedi
Anti-Dihring di Engels. Devo personalmente molto all'ombra benefica di Emilia
Giancotti, che mi in- vit ripetutamente ad Urbino permettendomi di partecipare
ad alcune delle pi profonde discussioni filosofiche della mia vita. E tuttavia
il rispetto che si deve alla 200 La centralit del pensiero di Spinoza nel
ristabilimento moderno dell'ontologia dell'essere sociale filosofia, di cui
tutti siamo figli, mi induce a criticare molte delle sue affermazioni. In primo
luogo, essendo allieva ed amica di Ludovico Geymonat, Emilia Giancotti
difendeva anche il cosiddetto materialismo dialettico, sia pure nella versione
di Geymonat e non in quella di Stalin. E tuttavia questo per me un errore, per- ch il miglior involucro
filosofico per poter concettualizare il progetto comunista di Marx non n il materialismo dialettico n il
materialismo aleatorio, e neppure lo spinozismo anti-hegeliano di Negri e di
Illuminati, ma lontologia dellessere
sociale. In secondo luogo, non credo che esista qualcosa chiamata linea di
sviluppo del pensiero occidentale da Epicuro a Marx oppure da Platone a Hegel,
e che questa immagine continuistico-bidimensionale sia solo unillusoria
grande-narrazione deterministico-teleologica con l'esito prefissato dalla
vittoria finale della Scienza (materialistica) sulla Filosofia (idealistica).
Un sogno - o meglio, un incubo posi-
tivistico. In terzo luogo, penso abbia ragione Lukcs nel rilevare che ci che
caratteriz- za Spinoza non sia tanto il superamento delle passioni attraverso
la conoscenza, tema cristiano per eccellenza (la conoscenza del Bene, infatti,
ci fa superare, o alme- no controllare, le passioni stesse), quanto proprio il
far giocare una passione contro laltra (in questo caso, la passione della
conoscenza). E ancora, in quarto luogo (e questo un tema che percorre sia lOntologia che i
Prolegomeni di Lukcs) la concezione marxiana della libert non deve e non pu
essere identificata con la coscienza della necessit. Questa certamente un'opinione di Engels, che era per
strettamente correlata ideologicamente alla credenza nel crollo necessario
della pro- duzione capitalistica, per cui la libert era ridefinita come
consapevolezza del singolo del necessario crollo della produzione capitalistica
stessa. Meno di mezzo secolo prima Marx aveva definito ben diversamente la
libert. Non certo coscienza della necessit, identificata nella caduta verticale
degli atomi di Democrito, ma deviazione consapevole dalla necessit stessa,
metaforizzata dalla deviazione degli atomi stessi in Epicuro (clinamen,
parekklisis). Fu infatti Plekhanov, nei suoi peraltro profondi studi su Spinoza
e lo spinozismo, a popolarizzare lidea che Marx avesse desunto da lui la
coincidenza di libert e di consapevolezza della necessit. Ma questa
equazione sbagliata, ed assomiglia
allequazione che in quegli stessi anni veniva fatta fra Darwin ed il darwinismo
sociale. Darwin aveva certo parlato di lotta per la vita (struggle for life),
ma ne aveva parlato esclusivamente per il mondo animale, non per luomo. L'uomo,
infatti, da un lato fa parte del mondo animale, ma dall'altra parte il suo
genere specifico (Gattung) lo mette in condizione di su- perare consapevolmente
la lotta per la vita con la cooperazione e la solidariet. Nello stesso modo
Spinoza, non potendo ancora disporre di un concetto di storia (che appunto -
secondo linterpretazione di Koselleck
nasce soltanto cento anni dopo Spinoza nel senso di unificazione
simbolica della temporalit umana in base ad un solo concetto unitario di tipo
trascendentale riflessivo), non poteva neppure interpretare la storia stessa
come luogo dell'identit di libert e di coscienza della necessit. Mai come in
questo caso, la retroazione di simili concetti
indebita e pericolosa. 201 CarrroLo XXV Con questa discussione critica
con l'ombra benefica di Emilia Giancotti non in- tendo certo affermare che
Spinoza non appartenga alla storia del materialismo, se qualcuno ovviamente (ma
non il mio caso) pensa che esista una
storia unitaria del materialismo da Democrito a Marx e oltre. Io non lo penso,
ma se qualcuno vuole pensarlo lo pensi pure.
sempre meglio costruire una (inesistente) gran- de narrazione
teleologica che pensare che la filosofia sia soltanto una disordinata
filastrocca di opinioni casuali. La prima tesi
errata, ma razionale. La seconda
semplicemente stupida, e la stupidit
irrecuperabile. Detto questo, diamo la pa- rola a Hegel, che invece
suggerisce che di Spinoza si possa dare uninterpretazione apertamente
idealistica, o almeno di precursore indiretto dellidealismo. Nelle sue Lezioni
sulla Storia della Filosofia Hegel infatti ci invita, a proposito di Spinoza,
ad uno sbalorditivo ennesimo riorientamento gestaltico. Hegel parte dal fatto
che molti hanno mostrato corruccio verso Spinoza. Ci si aspetterebbe che Hegel
confermasse la banalit per cui coloro che hanno mostrato corruccio verso
Spinoza lo hanno fatto perch Spinoza ha negato recisamente lesistenza del Dio
personale ebraico e cristiano in favore di un Deus sive Natura, ci per cui la
comu- nit ebraica lo ha colpito con una terrificante scomunica ed un fanatico
ha cercato addirittura di pugnalarlo. Niente di tutto questo. Per Hegel,
invece, quelli che han- no accusato Spinoza di ateismo (e che per lui hanno
torto e lo hanno interpretato male) sono meno preoccupati di Dio che del
finito. Quelli che cos lo denigrano non vogliono infatti salvare Dio, ma la
mondanit. Essi gli mostrano corruccio per- ch Spinoza li ha distrutti insieme
con il loro mondo. Trovo questa affermazione hegeliana stupefacente per
acutezza e pertinenza. Hegel ritiene infatti che non si possa nemmeno iniziare
a filosofare se lanima non si tuffa in questetere di un'unica sostanza, in cui
viene sommerso tutto quel che precedentemente era ritenuto vero. Ogni filosofo
deve cos giungere necessa- riamente a questa negazione di tutto ci che particolare, e ci non nient'altro che la liberazione dello spirito
e la sua base assoluta. Ci che grandioso
nel modo di pensare di Spinoza riassume
Hegel - l'aver egli potuto rinunciare ad
ogni determinazione, ad ogni particolare, per riferirsi soltanto allUno, per
poter tenere in considerazione soltanto questo. Come noto, Hegel not che Spinoza aveva esagerato
nel suo idealismo, fino a vedere nellUno soltanto Dio e non invece anche il
mondo (acosmismo). E qui Hegel riprende il tema del suo capolavoro filosofico
del 1802 (cfr. Rapporto dello scetticismo con la filosofia), saggio-chiave per
la comprensione di tutto il suo pensiero posteriore, per cui l'essenza della
filosofia non sta certamente nel rimuovere lo scetticismo, ma nel partire
coraggiosamente da una sua analisi radicale per poterlo poi conservare-superare
(aufheben) nella sua posteriore elaborazione dialettica. Spinoza (e non Fichte)
diventa cos per Hegel il primo vero idealista, ed per questo che gli si mostra corruccio, non
perch abbia negato Dio, o lo abbia identi- ficato con la natura, ma perch ha
distrutto il mondo empirico di chi ritiene di poterlo conoscere direttamente e
senza mediazione filosofica nella sua molteplicit irrelata. Spinoza ha
distrutto quella che il filosofo marxista ceco Karel Kosfk nel- 202 La
centralit del pensiero di Spinoza nel ristabilimento moderno dell'ontologia
dell'essere sociale la sua Dialettica del Concreto (un capolavoro assoluto del
marxismo novecentesco) chiamer poi il mondo della pseudo-concretezza. Ho
riportato abbastanza esattamente le opinioni della Giancotti e di Hegel per- ch
esse permettono di inquadrare la questione-Spinoza oggi, finito il tempo dello
Spinoza di Bayle, di Lessing, di Engels e di Plekhanov. E tuttavia, ritengo che
la lettura di Spinoza fatta dal filosofo francese Andr Tosel sia quella che ci
porta pi vicini allo spirito di Spinoza. Tosel inserisce Spinoza nella
cosiddetta tradizio- ne materialistica, cosa che io mi guardo bene dal fare, ma
tutto ci veramente di secondaria
importanza. Ci che conta, invece, ci che
si trova dentro Spinoza. Tosel osserva che Spinoza un grande riformatore della metafisica perch
in lui l'essere non viene creato (teologia cristiana), e neppure sta l da
sempre (metafisica platonica), ma viene prodotto, ed in quanto viene prodotto anche intelligibile in via di principio.
Questa lettura avvicina di fatto Spinoza al Vico del verum ipsum factum, in
quanto proprio il fatto che la verit non sia un presupposto atemporale ma sia
un prodotto della prassi umana la fa diventare anche oggetto di conoscenza
possibile. A me sembra che le cose stiano proprio cos, che la coppia
Spinoza-Vico stia in questo senso congiuntamente all'origine del pensiero
moderno. Secondo Tosel, Spinoza voleva costruire veramente un'etica, ed riuscito a farlo perch ha evitato la doppia
via ingannatoria del libero arbitrio e del dover essere. Il dover essere stacca
luomo reale dall'uomo ideale, e qui abbiamo una critica an- ticipata alla
morale di Kant. Il presupposto formalistico del libero arbitrio, inve- ce,
mette al centro dellazione un uomo (luomo dellumanesimo astratto), che diventa
cos teoricamente onnipotente e creatore delle sue scelte libere, laddove invece
quel poco o tanto che luomo concreto pu veramente fare lo pu fare sol- tanto se
capisce che cosa lo determina e lo produce a sua volta come effetto. Anche qui,
ovviamente, abbiamo una geniale critica anticipata alla morale di Kant, che
secondo Lukcs (ed io concordo) fa continuamente oscillare luomo moderno da una
onnipotenza astratta ad una concreta impotenza. Nellinterpretazione di Tosel,
l'etica di Spinoza prima di tutto una
teoria delle possibilit immanenti offerte alla natura umana, senza alcuna
garanzia divina e senza alcuna sicurezza finale. L'etica, in definitiva, sempre e solo una possibilit di etica data
all'uomo capace di eticizzarsi, nel significato aristotelico del termine
possibilit come essente-in-possibilit e singolarit individuale (dynamei on). Il
fatto che questa possibilit razionale di vivere eticamente abbia come
fondamento lente specifico, e cio la singolarit dellesistenza materiale, fa s
che non ci possa essere una liberazione etica simultanea di tutti imembri della
collettivit umana (multitu- do). E tuttavia Spinoza un pensatore della democrazia radicale, e non
potrebbe mai teorizzare e giustificare la separazione della societ in due parti
platonicamente intese, la parte che gi
stata capace di eticizzarsi e la parte che non ne anco- ra stata capace, e quindi deve sottomettersi
politicamente agli etici. Tosel nota che per Spinoza il saggio non pu trovare
la sua salvezza individuale fuori della citt, e pertanto fuori della politica.
Il fatto che Spinoza abbia una filosofia politica democratica, ed abbia sempre
rifiutato ogni tentazione elitaria ed aristocratica di 203 CaprroLo XXV una
dittatura di illuminati fa s che - secondo Tosel - la democrazia sia una si-
tuazione politica di coesistenza regolata del saggio e di coloro che non lo
sono ma che potrebbero in via di principio diventarlo tutti, di colui che si
suppone abbia acquisito il controllo razionale di se stesso e della sua natura
e di coloro che non l'hanno acquisito. La tentazione dellelitarismo, che da
Platone in poi assimila la filosofia politica occidentale, verrebbe cos da
Spinoza esplicitamente esclusa. Ritengo che Tosel abbia ragione nellessenziale,
e che i punti che mette in eviden- za siano pi importanti dell'etichetta che
possiamo incollare al sistema di Spinoza, se esso cio faccia parte della
cosiddetta tradizione materialistica (Giancotti), op- pure se con un
riorientamento gestaltico radicale possiamo invece collocarlo agli inizi
impliciti dellidealismo moderno (Hegel, e sulla sua scia, il modesto
scrivente). invece pi importante
guardare a Spinoza con gli occhi di Tosel, e mi permetto allora di concludere
questo capitolo con una riformulazione complessiva e rias- suntiva personale.
Spinoza del tutto estraneo alla
costituzione formalistica del soggetto (il Cogito di Cartesio), che fa da
presupposto gnoseologico alla messa-a-disposizione-del- mondo (Heidegger e la
sua concezione di immagine del mondo, Weltbild, come oggetto di manipolazione
integrale degli enti in un mondo preventivamente desa- cralizzato, e quindi
secolarizzato). L'operazione astrattizzante di Cartesio (il Cogito,
appunto) funzionale alla
concretizzazione estrema di un mondo ridotto ad esten- sione (res extensa),
estensione che metafora del piano
orizzontale su cui si svolge lo scambio delle merci del mercato capitalistico.
Questa estensione (res extensa) non deve avere n Alto n Basso, n Dio n Diavolo,
n Paradiso n Inferno. Deve essere una semplice estensione liscia, un piano di
scorrimento perfetto, un luogo di svolgimento di spinte puramente meccaniche,
una fisica d'urto di particelle. Certo, Cartesio ancora per molti versi un uomo di
transizione, ed a fianco di questi elementi futuribili conserva ancora elementi
metafisici tradizionali (idee innate, lesistenza di Dio, prove razionali della
sua dimostrabilit, ecc.). Ci penseranno progressivamente Locke, Hume e Kant a
perfezionare la secolarizzazione. Spinoza utilizza il lessico filosofico
cartesiano, e non poteva fare diversamen- te. Il meccanicismo
deterministico limmagine del mondo
dellepoca, frutto del progresso delle scienze naturali. Ma Spinoza sfugge ad
ogni riduzionismo (atei- smo, panteismo, libertinismo, neoplatonismo,
meccanicismo, determinismo, ecc.), perch propone un umanesimo non
antropocentrico, cui riesce a giungere proprio perch si era preventivamente
liberato di una immagine antropomorfica di Dio. Si tratta anche di un umanesimo
democratico e non elitario, in cui i saggi non si costi- tuiscono in setta
platonica, ma coabitano, coesistono, soffrono e godono insieme con i
non-ancora-saggi, ma pur sempre saggi-in-possibilit (Aynamei on). Il comu- ne
genere, infatti (Gattung) permette un comune processo di conformit al genere
(Gattungsmdissigkeit). L'etica e la politica cos coincidono. Spinoza quindi un filosofo dellemancipazione a pari
grado con Marx. Il ter- mine essenziale : a pari grado. 204 XXVI. LA GRANDE
INSTAURAZIONE ILLUMINISTICA DEL FONDAMENTO METAFISICO DEL PENSIERO BORGHESE MODERNO:
IL TEMPO DEL PROGRESSO, LO SPAZIO DELLA MATERIA ED IL LAVORO ASTRATTO. LA
CRITICA UTILITARISTICA AL DIRITTO NATURALE ED AL CONTRATTO SOCIALE In un certo
senso, il difficile comincia adesso. L'individuazione nel metron e nel
katechein del cuore del pensiero filosofico greco non difficile, se appena si capisce il perch del
fatto che trecento anni dopo la sua formazione Aristotele poteva aver- ne
dimenticato la genesi ed in questo modo, partendo logicamente da questa di-
menticanza, poteva proporne una classificazione destoricizzata e desocializzata
sulla base dello schema delle quattro cause (materiale, formale, efficiente e
finale). Le ragioni del passaggio del pensiero stoico dall'originale
contestazione provoca- toria dei costumi ordinari (anaideia) all'innocuo
modello del saggio imperatore che cerca di opporsi alla totale e feroce
insensatezza del mondo con il controllo delle passioni (ataraxia) non sono
difficili da comprendere, se ci si impadronisce della dinamica storica di
legittimazione ideologica dell'impero schiavistico romano. Il processo al
profeta messianico Ges di Nazareth e la sua crocifissione per terrorismo zelota
(INRI) non sono difficili da capire, se pensiamo alla pericolosit per le classi
dominanti e per la collaborazione sinedrio ebraico mafioso / occupante militare
romano dell'annuncio rivoluzionario-sociale dell Anno di Misericordia del
Signore, programma di remissione dei debiti e di liberazione degli schiavi. La
stes- sa trasformazione di un annuncio messianico di liberazione sociale in
religione ge- rarchica di gestione simbolica della vita quotidiana in un quadro
socio-politico di gerarchie feudali sacralizzate non affatto difficile da capire, se ci si
impadronisce concettualmente della teoria maxweberiana della trasformazione
necessaria di un annuncio utopico-messianico in razionalizzazione simbolica
della vita quotidiana, in particolare nei suoi momenti di passaggio (la morte,
innanzitutto). facile capire altres che
il solo modo concettuale-simbolico di razionalizzare la propria intransigente
opposizione morale ad una chiesa corrotta ed ad un ordo franciscanus
normalizzato e collaborazionista era la costruzione di una filosofia no-
minalistica, che negava gli universali astratti e concretizzava tutto ci che
cera di sacro e di buono nella somma di individui che formavano la chiesa
invisibile. facilissimo capire, altres,
che il perdonismo pacifista del Nuovo Testamento, pieno di inviti ad offrire
laltra guancia allo schiaffo e ricco di minacce ai ricchi di restare fuori dal
regno dei cieli (che significa, ovviamente, non regno delle nuvole, ma regno
terrestre secondo il mandato dei cieli), non poteva adattarsi ai nuovi pro-
getti colonialisti ed imperialisti inglesi ed olandesi (e poi americani), ma ci
voleva un ritorno simbolico allAntico Testamento per poter proiettare i propri
progetti 205 CarrroLo XXVI sacralizzati sul popolo eletto da Dio. Ed forse meno facile, infine, ma neppu- re
troppo difficile, capire che l'accoglimento sociale generalizzato della teoria
del Cogito di Cartesio non dovuta ad un
generale rincoglionimento intellettuale di massa degli uomini del seicento, ma
al fatto che al vecchio lavoro artigianale e contadino precedente, che
richiedeva una mentalit materiale e materialistica (altro che metafisica
idealistica medioevale!), si stava sostituendo un nuovo lavoro astratto di
gestione ed organizzazione della produzione precapitalistica, lavo- ro astratto
che richiedeva imperativamente un pensiero astratto ed un soggetto astratto che
ne fosse il portatore. Tutto questo, e molto altro ancora, stato relativamente facile da capire, anche
se impossibile sottoporlo alla
discussione razionale dei sostenitori della filosofia come dossografia di
opinioni casuali. Ad un certo punto, a Talete viene in mente lacqua, a Locke la
tolleranza, a Hume lurto delle bocce di biliardo, ecc. Costoro non vogliono
essere defraudati del loro modo di concepire il processo storico del pensiero,
cos come i bambini non vogliono essere defraudati della palla con cui giocano.
E tuttavia, bisogna finalmente passare a ragionare sul perch fino ad ora le
cose sono state relativamente semplici, ed il difficile inizia soltanto adesso.
Le ragioni sono molte, ma qui per chiarezza mi limiter a discuterne solo due.
La prima la meno importante, anche se
sociologicamente la pi efficace. La seconda
di gran lunga la pi importante, anche se ben pochi sono riusciti fino ad
oggi ad impadronirsene concettualmente. Iniziamo allora dalla prima, la pi
semplice e banale, che richiede soltanto un atto di coraggio intellettuale e di
anticonformismo. La seconda, invece, far da tessuto concettuale connettivo non
solo di questo capi- tolo, ma anche dei successivi, fino al quarantesimo ed
ultimo. La prima ragione della difficolt di concettualizzare questo passaggio d'epoca
sta in una sorta di intimazione, lintimazione ad adeguarsi alla cosiddetta mo-
dernit, salvo l'esclusione, lirrisione ed il confinamento nelle cosiddette
lunatic fringes, gruppi marginali
pittoreschi che credono alla terra piatta ed agli uomini verdi. Il circo
mediatico asservito, che ha sottomesso integralmente alla sua ri- produzione
ideologica complessiva le caste universitarie dei professori di scienze sociale
e di filosofia (vi sono ovviamente eccezioni, che come noto da sempre confermano la regola), ha da
tempo imposto al chiacchiericcio dei semi-colti il ter- mine modernit nel
significato di adeguamento passivo alla riproduzione capi- talistica
complessiva anonima ed impersonale, ed il termine modernizzazione nel
significato di partecipazione attiva ai processi di adeguamento individuale e
collettivo. Pregare diventato
premoderno, e mettersi un piercing al naso
inve- ce diventato interamente moderno. Da Adorno a Bloch, da Heidegger
a Lukacs, una parte della grande filosofia novecentesca si opposta a questa dittatura della pubblicit
(lespressione az- zeccatissima di Adorno), ma dopo il crollo del comunismo
storico novecentesco in Europa (1989-91) anche la filosofia universitaria stata normalizzata, per cui si passati dal consenso ad Adorno allo studio
filologico dei testi minori di Adorno, letti come si legge Duns Scoto e
Malebranche. 206 La Grande Instaurazione illuministica del fondamento
metafisico del pensiero borghese moderno Ovviamente, tutto questo passeggero.
passeggera l'ammirazione per Habermas, che ha seppellito per la seconda
volta i suoi maestri, tanto migliori di lari, il quale spaccia per pensiero
metafisico tutto ci che critica il capitalismo, definito come lultimo involucro
possibile del pensiero post-metafisico. In pro- posito, Roland Barthes ha
scritto un giorno: Ad un certo punto, mi
diventato completamente indifferente non essere pi considerato moderno.
Non si poteva dire meglio. Chi scrive ha smesso da tempo di interiorizzare una
sorta di vergogna culturalistico-intellettuale per poter essere criticato come
non moderno. Essere post-moderni infatti
socialmente accettato, ed anzi incoraggiato e favorito, men- tre essere
definiti e considerati non-moderni ed anti-moderni oggetto di vergo- gna. In questo grottesco
gioco delle tre carte i pubblicitari ed i giornalisti, diventati # clero della
modernit capitalistica, e quindi gli oratores che anzich pregare Dio pregano il
flusso globalizzato delle merci, hanno quasi completamente imposto ai filosofi
ed ai politici il terreno simbolico su cui
obbligatorio muoversi. La prima mossa, ed anzi la prima regula in senso
cartesiano-spinoziano dunque ignorare
sovranamente qualunque ingiunzione ad adeguarsi alla cosiddetta modernit. La
modernit il primo degli idola di cui
disfarsi, per dirla con Bacone. Chi ne accetta la costruzione pubblicitaria
all'adeguamento gi al di fuori di ogni
vero dibattito filosofico, e non ci rientrer probabilmente pi dentro. Il
secondo punto per molto pi importante
del precedente. Mentre per il precedente basta un atto di coraggio, e cio il
far mancare l'assenso soggettivo al comando imperativo di modernizzarsi, e
mentre nei modi di produzione pre- capitalistici a base religioso-sacrale si
poteva pagare questa mancanza dassenso con il rogo, oggi lo si paga al massimo
con l'emarginazione, la mancanza di re- censioni da parte della trib dei colti,
ecc., per questo secondo punto, invece, non basta ridere o piangere come direbbe Spinoza - ma bisogna anche
capire. E capire (intelligere) e la cosa pi difficile di questo mondo, perch
costringe ad una conversione (metanoia) di tutto il proprio orientamento
culturale. Dico subito al lettore entusiasta di non farsi illusioni: solo i
giovani sono fisiologicamente e psico- logicamente capaci di metanoia, i vecchi
e le persone di mezza et salvo eccezioni
mumericamente poco rilevanti - non lo sono quasi mai. E qual questo secondo punto concettuale decisivo? In
estrema sintesi, esso sta in ci, che senza distinguere accuratamente la
borghesia ed il capitalismo la comprensione filosofica della cosiddetta
modernit del tutto impossibile. La
borghesia un soggetto sociale e
culturale complessivo, che non soltanto
no- minalisticamente composto da una addizione di singoli borghesi l'uno
diverso dall'altro, il che comporterebbe se si vuol essere conseguenti
l'impossibilit asso- luta di usare questo concetto. In quanto soggetto, gli si
applica il pensiero dialet- tico, che un
pensiero delle vicende contraddittorie del soggetto stesso nelle sue odissee di
perdita e di possibile riappropriazione. Il capitalismo, o pi esattamente il
modo di produzione capitalistico (Marx), non
affatto un soggetto sociale e cul- turale complessivo, ma un processo strutturale anonimo ed
impersonale, o se si vuole un processo senza soggetto (Louis Althusser), oppure
per dirla con Martin 207 CarrroLo XXVI Heidegger un Dispositivo di impianto e
di imposizione (Gestell). del tutto
chia- ro che la Borghesia e il Capitalismo si intersecano continuamente in un
intreccio strettissimo, ma che in senso storico la stessa Borghesia stata il motorino dav- viamento economico
dellaccumulazione capitalistica. Non intendo negare una simile ovviet. La
borghesia non certo la res cogitans di
Cartesio, come il capita- lismo non ne
certamente la res extensa. Bisogna evitare ogni occasionalismo alla
Malebranche. Nelle stesso tempo, solo la preventiva distinzione concettuale
astrat- ta potr permettere poi le operazioni di ricollegamento storico fra le
due entit. Il pensiero liberale ed il pensiero marxista hanno invece sempre
condiviso un curioso minimo comun denominatore, e cio lidentificazione fra
borghesia e capi- talismo, per cui la borghesia
sempre stata vista come il suo lato soggettivo, ed il capitalismo il suo
lato oggettivo. La borghesia, in altre parole, il creatore, ed il capitalismo
il creato. Questa confusione porta al livello della rappresentazione
(Vorstellung) alla religione del capitalismo, ed al livello del concetto
(Begriff) alla metafisica filosofica del capitalismo. Impadroniamoci quindi
concettualmente di questo nucleo metafisico, e tutto quel che ne seguir non
ne che dettaglio, inte- ressante
certamente, ma pur sempre dettaglio. A proposito del capitalismo e della sua
progressiva costituzione storica, i libera- li ed i marxisti ne condividono
entrambi la stessa concezione provvidenzialistica. Per i liberali lavvento del
capitalismo stato provvidenziale, perch
in questo modo lhomo oecomomicus, il soggetto proprietario imprenditore visto
come il su- premo modello antropologico dell'intera umanit, ha potuto
finalmente liberar- si degli impacci religiosi ed assolutistici, creando un
mondo che per i suoi critici sar magari solo un grande ammasso di merci (Marx),
me per i suoi apprezzatori moderni svincolati dai pregiudizi pre-moderni invece il regno delle oppor- tunit e del
consumo finalmente alla portata di tutti. Per i marxisti l'avvento del
capitalismo altrettanto e forse ancor pi
provvidenziale, perch il presupposto
storico necessario al suo successivo subentrare come stadio supremo e
definitivo dell'evoluzione umana. Certo, per i primi il capitalismo buono e l'alienazione non esiste (Habermas ha
scritto che non un concetto
scientificamente operativo - sento gi che Adorno si rivolta nella tomba, visto
che stato lui ad innalzare il
parricida!), mentre per i secondi il capitalismo cattivo ed esiste l'alienazione (ad eccezione
che per i seguaci di Althusser, che sul punto dellinesistenza dellalie- nazione
condividono il punto di vista dei liberali). E tuttavia, direbbe Heidegger, la
loro differenza si situa soltanto nellirrilevante mondo dei valori, laddove nel
ben pi importante mondo della concezione globale metafisica liberali e marxisti
condividono integralmente lidea della provvidenzialit dell'avvento del
capitali- smo stesso. Robert Brenner, che ha dedicato studi profondi alla
nascita e poi al successivo decollo (take off) del capitalismo inglese, ha
accertato che questa nascita non ha avuto alcun carattere di fatale necessit,
ma stata dovuta integralmente ad una
serie di coincidenze storiche del tutto contingenti e casuali. In altre parole,
il ca- pitalismo cos come noi lo conosciamo, inteso come processo non solo di
differen- 208 La Grande Instaurazione illuministica del fondamento metafisico
del pensiero borghese moderno ziazione funzionale ma anche e soprattutto di
separazione fra economia e politica, seguita poi da un dominio progressivo
della prima sulla seconda, avrebbe anche potuto non nascere mai, e non c'era
nessuna necessit storica provvidenziale, pi o meno secolarizzata e laicizzata,
che ne imponesse la nascita. E del resto an- che Karl Polanyi era giunto alle
stesse conclusioni di Robert Brenner, sulla base di una ricchissima analisi
comparativa delle societ umane. La regola storica genera- le - secondo Polanyi
- che la cosiddetta economia sempre stata incorporata (embedded) nella pi
generale riproduzione sociale a base politica e religiosa. La religione
non quindi una superstizione, cui si pu
al massimo concedere un'ir- rilevante ed impotente coltivazione nella sfera
privata (un po come accade per la pornografia
per la filatelia), e la politica non
una escrescenza parassitaria di caste di burocrati mangioni.
L'affermazione del primato dell'economia su tutte le altre sfere dellagire
umano (e qui potrei citare oltre a Karl Polanyi ed a Robert Brenner anche
autori meno conosciuti come Karl Marx e Max Weber) un dato storico, non certo
metafisico-provvidenziale. Questo riguarda il capitalismo, o pi esattamente il
modo di produzione capita- tistico (che non
affatto una determinata societ capitalistica realmente esistente, ma un
modello teorico ad un tempo idealtipico nel senso di Weber ed ontologico nel
senso di Lukcs). Il capitalismo non
quindi uno strumento il cui manico
sempre tenuto strettamente in mano da un artigiano chiamato borghesia,
ma un processo dinamico di allargamento
anonimo ed impersonale, una struttura di strutture alla Althusser o se si vuole
alla Luhmann, un dispositivo (Gestell) alla Heidegger. In ogni caso, il
capitalismo e la borghesia non si identificano. Per pi di duecento anni in
molte parti del mondo c' stato (e tuttora in molte parti c' ancora) un
capitalismo dialettico borghese e proletario, ma ora sta emergendo un nuovo
capitalismo speculativo, largamente post-borghese e post-proletario. Lo
analizzeremo pi avanti. Per ora, basti rilevare che chi confonde ed identifica
la borghesia (un soggetto sociale trascendentale e riflessivo, e quindi dotato
di au- tocoscienza dialettica) ed il capitalismo (una struttura di strutture
modali la cui riproduzione allargata
fortemente sistemica, e quindi anonima ed impersonale) non in grado di tematizzarne in modo
filosoficamente e concettualmente adegua- to n la nascita, n lo sviluppo, n
lattuale trapasso verso un modo di produzione ad un tempo ipercapitalistico, ma
anche postborghese e postproletario. Con tutto il rispetto, ritengo che la
grande ontologia dell'essere sociale di Lukcs, presuppo- sto indispensabile di
ogni lavoro posteriore (come il mio qui presente), sia ancora segnata (e non
poteva storicamente essere diverso
Lukcs morto nel 1971) dalla
sostanziale identit fra borghesia e capitalismo, e quindi dall'impossibilit di
at- tingere concettualmente lidea di una societ ad un tempo ipercapitalistica e
per anche postborghese e postproletaria. Ma facciamo un passo per volta. Sono
perfettamente a conoscenza del fatto che il concetto sociologico di bor- ghesia
non affatto univocamente definibile e
determinabile, anche perch (come tutti gli studiosi di impronta marxista) ho
sempre diligentemente studiato le cosid- dette rivoluzioni borghesi, da quella
inglese del 1640 a quella francese del 1789. 209 CarrtoLo XXVI Se ci si limita
ad un (pur necessario ed indispensabile) approccio sociologico si scopre che il
concetto unitario, o pi esattamente storico-unitario, di borghesia non
corrisponde mai a nulla determinato. Esistono strati sociali diversi, spesso
con interessi addirittura divergenti. La storica francese Rgine Robin,
studiando la cosiddetta borghesia francese prima del 1789, non riuscita a trovarla, ma ha soltanto potuto
classificare strati sociali diversi. La Robin ha ragione. Il concetto di
borghesia largamente artificiale, e
risulta da una sovrapposizione categoriale posteriore resa possibile proprio
dall'avvento del capitalismo, il che ha consentito di unificare in modo
trascendentale-riflessivo il concetto di borghesia come por- tatrice unitaria
della gestione dei processi economici di accumulazione del capita- le. Lo
stesso Marx, che pure aveva una grande sensibilit storica, utilizza il concet-
to unitario di borghesia come soggetto portatore (Trger) dei nuovi rapporti di
produzione capitalistici. E tuttavia,
nel nostro pieno diritto problematizzare autonomamente lintera
questione, senza farci spaventare dai grandi del passato che lo hanno gi fatto.
Se lo facciamo, scopriamo lintersecarsi dialettico di un processo strutturale,
sistemi- co, anonimo ed impersonale (l'affermarsi progressivo dei rapporti di
produzione capitalistici) e di un processo dialettico soggettivo, sia pure di
un soggetto colletti- vo costruito attraverso un concetto unitario di tipo
trascendentale-riflessivo (l'af- fermarsi della borghesia come soggetto
portatore di una cultura contraddittoria, basata sulla compresenza di una
coscienza apologetica e di una coscienza infelice). Esaminiamo allora questo
secondo aspetto. Da questo esame risulter poi lintero contenuto ulteriore di
questo capitolo. E non essendo qui possibile (e neppure ne- cessario l'eccessiva fissazione sui singoli alberi fa
perdere di vista l'insieme della foresta) fornire una completa descrizione
dossografica sui singoli autori (basta per questo la lettura di una buona
analitica storia della filosofia), limitiamoci a fissare alcuni punti
essenziali da ricordare. In primo luogo, non bisogna dimenticare mai che la
stessa fissazione del concet- to astratto di borghesia non che la costituzione ideale (donde
necessariamen- te lidealismo) di un soggetto ricavato idealtipicamente (Karl
Marx, Max Weber), laddove nellempirica realt sociologica questo soggetto non
esiste veramente se non come aggregato plurale di strati sociali diversi ed in
alcuni casi addirittura an- tagonisti. Chi pensa che il metodo marxista
consista in una registrazione storicisti- ca e sociologica del reale empirico,
sempre pluralistico per definizione, si interdice con questo ogni possibile
comprensione. La borghesia
necessariamente lidea di borghesia. Chi vuol rifiutare questa astrazione
per odio verso lidealismo la ri- fiuti pure, e si trover con un pugno di mosche
in mano. In secondo luogo, proprio perch il concetto di borghesia un concetto unita- rio ricavato con una
astrazione trascendentale-riflessiva, esso si compone ontolo- gicamente di due
lati complementari e contraddittori, il lato apologetico, che lo fa aderire al
processo di sviluppo capitalistico fino a farsene assorbire, ed il lato
problematico-infelice, che gli porta ben presto alla coscienza (o meglio, alla
auto- coscienza, Selbstbewusstsein) l'impossibilit di una vera fondazione e di
una vera 210 La Grande Instaurazione illuministica del fondamento metafisico
del pensiero borghese moderno universalizzazione. Gran parte della filosofia
degli ultimi trecento anni si fonda su questa contraddizione dialettica,
ed per questo che essa appare
praticamente indecifrabile per il pensiero non dialettico. In terzo luogo,
vi qui la chiave per comprendere il
perch sia della preferenza del pensiero apologetico per la semplice
costituzione formalistica del soggetto, da Cartesio a Kant, sia per la sua
preferenza verso laltrimenti incomprensibile mos- sa teorica kantiana che fissa
la differenza ontologica fra le categorie del pensiero e le categorie
dell'essere. Il primo aspetto impedisce che il soggetto diventi il titolare
dinamico e contraddittorio delle avventure dellautocoscienza, ed in questo modo
della possibile contestazione della totalit sociale capitalistica, restando cos
fissa- to al suo puro ruolo gnoseologico-epistemologico di conoscitore delle
scienze della natura in vista della loro applicazione tecnologica rivolta alla
valorizzazio- ne del capitale. Il secondo aspetto (ma ne parler pi diffusamente
nel prossimo capitolo) permette di criticare soltanto il mondo ultraterreno
della legittimazione metafisico-religiosa della societ, ed invece consente
appunto di non-criticare la to- talit altrettanto e pi metafisica della societ
capitalistica. Tutto ci consente di capire i due caposaldi del pensiero
apologetico borghese-capitalistico, l'arresto del pensiero filosofico a Kant
(dopo Kant ci sono certamente ancora interessanti chiacchiere alla Schopenhauer
ed alla Nietzsche, ma non c' pi filosofia vera e propria, perch Kant ha gi
praticamente detto tutto quanto cera da dire) e lan- tipatia verso Hegel,
individuato come la sorgente filosofica di tutte le possibi- li critiche alla
totalit unitaria del mondo, del tutto indipendentemente dalle sue personali (e
del tutto irrilevanti) opinioni conservatrici. In quarto luogo, possibile su questa base comprendere i tre
pilastri costitutivi della fondazione della metafisica borghese, e cio
l'unificazione simbolica unitaria del Tempo sotto lidea astratta di Progresso,
l'unificazione simbolica unitaria dello Spazio sotto lidea astratta di Materia,
ed infine l'unificazione simbolica unitaria delle attivit umane prime
qualitativamente differenziate sotto lidea astratta di Lavoro. In tutti e tre
questi casi si di fronte ad un possibile
sviluppo dialettico, che consente di definire questi tre concetti borghesi e
non solo capitalistici. Nel caso del progresso, la problematizzazione marxiana e
marxista che ne contesta larre- sto alla fine capitalistica della storia, e lo
prolunga fino all'esito comunista della soluzione delle contraddizioni sociali.
Nel caso della materia, la problematizza- zione marxiana e marxista che la
prolunga a fondamento metafisico della visio- ne proletaria e rivoluzionaria
del mondo (materialismo dialettico, ecc.). Nel caso del lavoro, infine, la
problematizzazione marxiana che non si limita all'economia politica critica di
contestazione delle ingiustizie della distribuzione classista del capitalismo
(socialisti ricardiani, Owen, Sismondi, Proudhon, ecc.), ma costruisce una
critica globale dell'economia politica sulla base dellunificazione dialettica
del concetto filosofico di alienazione e del concetto economico di valore. In
quinto luogo, infine (e qui si ha al massimo grado la sottomissione reale e non
solo formale del pensiero borghese alla legittimazione capitalistica pura e
sempli- ce), si ha la critica utilitaristica alle precedenti fondazioni
filosofico-politiche del 211 CaprroLo XXVI diritto naturale (giusnaturalismo)
ed al contratto sociale (contrattualismo). Queste fondazioni precedenti
stabilivano pur sempre un primato della politica sulleco- nomia, ed in questo
modo potevano sempre reclamare che questultima fosse in- corporata (embedded)
allinterno della pi ampia comunit politica. Lo sviluppo dialettico sia del
diritto naturale che del contratto sociale, infatti, avrebbe permes- so il
passaggio dalla legittimazione del vecchio comunitarismo disegualitario (ri-
mando qui alla filosofia politica della democrazia diretta di Spinoza
richiamata nel precedente capitolo). Tagliando alla radice ogni possibile
sviluppo sia del diritto naturale che del contratto sociale Hume, che resta
l'esempio maggiore di dominan- za del pensiero capitalistico su quello borghese
(mentre al contrario Hegel resta l'esempio massimo di dominanza del pensiero
borghese su quello capitalistico, e per questo oggi gli viene preferito Hume
nel chiacchiericcio apologetico universita- rio), afferma il principio
dellutilitarismo, lunica base filosofica sicura sulla quale pu svilupparsi
l'economia politica e la sua fondazione teorica, lauto-istituzione
utilitaristica della societ. Ho qui elencato cinque punti fondativi, fra i
molti possibili. Questi cinque pun- ti, per, sono sufficienti. Nella parte che
resta di questo importante ventiseiesimo capitolo, senza alcuna illusione di
completezza e scontando anche alcuni errori nello sviluppo deduttivo (siamo
infatti su terreno vergine, trascurato non a caso sia dai pensatori liberali
che dai pensatori detti impropriamente marxisti, carat- terizzati entrambi
dalla destoricizzazione e dalla desocializzazione nella esposi- zione delle
categorie, che non vengono mai dedotte, ma soltanto poste), mi limiter a
disegnare soltanto i tratti essenziali di alcuni di questi temi. Di quelli qui
dimenticati me ne occuper pi avanti. La via
ancora lunga, e il sentiero
appena disegnato nell'erba. Il tema della costruzione concettuale artificiale
del lavoro astratto (il quale - a differenza di come pensano gli innumerevoli
seguaci di Hume e di Smith - unidea
generale che non si trova affatto in natura e non in alcun modo oggetto di esperienza empirica
diretta) di tutti il pi importante e
decisivo., perch il lavoro astratto la
base materiale (ma Marx avrebbe detto ed
ha detto sen- sibilmente sovrasensibile)
della societ capitalistica. Appunto per questa ragione ne riserver la
trattazione analitica e dialettica ai capitoli successivi. Per comodit del
lettore, ne anticipo qui subito la trattazione in quattro punti sintetici.
Primo, il lavoro non soltanto la base
materiale della riproduzione umana, sia per chi lo svolge direttamente sia per
chi mantenuto parassitariamente dal
lavoro sociale degli altri, ma anche il
principale fattore della richiesta di riconoscimento che luomo inevitabilmente
rivolge verso il resto della societ (Hegel). Secondo, il ri- conoscimento del
lavoro non pu avvenire se il lavoro umano
alienato e sfrutta- to (Marx). Terzo, la richiesta marxiana di abolire
socialmente il carattere alienato e sfruttato del lavoro sociale umano deriva
dalla problematizzazione tragica del pensiero borghese stesso, e cio dal
rilevamento doloroso della coscienza infelice borghese di non perseguire
l'universalit del proprio progetto in presenza struttu- rale dellalienazione e
dello sfruttamento. Quarto, infine, lattuale situazione stori- 212 La Grande
Instaurazione illuministica del fondamento metafisico del pensiero borghese
moderno ca agli inizi del XXI secolo
resa difficile non solo dallindebolimento strutturale delle classi
salariate, operaie e proletarie a livello mondiale, ma anche dal venir meno dei
residui della coscienza infelice borghese in quanto, in estrema sintesi, il
postmoderno pu essere definito come una liquidazione concettuale degli ultimi
residui della coscienza borghese stessa, cui si impone ormai di aderire
integral- mente ad un mondo reso concettualmente liscio dal dominio finanziario
e tecno- logico. Mi scuso per questa sommaria anticipazione, ma in questo modo
il lettore pu cominciare il suo spaesamento ed il suo riorientamento
gestaltico, senza il quale le righe stampate vengono bens lette, ma non vengono
in realt viste. L'unificazione borghese del tempo avviene sotto l'egemonia
della categoria di Progresso. Questa categoria
figlia di un secolo (il Settecento) che ha prodotto per la prima volta
un concetto unificato di storia universale (e non solo di storia sacra biblica,
o di storie particolari, di Francia, di Firenze, di Napoli, ecc.) intesa in
senso trascendentale-riflessivo (trascendentale perch trascende i singoli stati
e personaggi, e riflessivo perch in
grado di ritornare criticamente su se stessa au- tovalutandosi criticamente).
Mentre Ernst Cassirer ha correttamente individuato il secolo della storia e del
senso storico dell'illuminismo, in Italia il neoidealismo italiano di Croce e
Gentile ha largamente confuso le acque, insistendo sul carattere astratto ed
astorico del pensiero illuministico. La presunta incapacit del pen- siero
illuministico di capire la storia in
realt un luogo comune polemico della cultura della Restaurazione posteriore al
1815, influenzata dalle riflessioni di Burke sulla rivoluzione francese, per
cui capire la storia era l'equivalente dotto del con- servatorismo
tardo-feudale e del lasciare le cose cos come stavano, dal momento che questa
era la storia. In realt il Settecento produce il concetto moderno uni-
versalistico di storia, e lo produce perch lautoconsapevolezza della propria
sto- ricit era funzionale al progetto borghese complessivo di storicizzare, e
quindi di abolire, il precedente regime signorile e feudale. In questo senso il
pensiero di Marx figlio diretto di
questa strategia illuministica di storicizzazione (e quindi di abolizione) del
mondo feudale, perch applica la stessa strategia storicizzante al mondo
borghese-capitalistico, che viene anch'esso storicizzato per giustificarne
l'abolizione. interessante, ed anche
paradossale, che i difensori oggi dell'eternit destoricizzata del capitalismo
utilizzino gli stessi argomenti usati intorno al 1790 (Burke, ecc.) dai
difensori della naturalit dei sistemi feudali-signorili. Ma in questo abbiamo
la conferma del carattere in un certo senso eterno della mistifi- cazione
ideologica. Il tempo del progresso rompe con il tempo ciclico esemplificato dal
ritorno cir- colare delle stagioni per imboccare la via lineare
dellaccumulazione capitalisti- ca, ormai largamente indipendente dalle stesse
stagioni naturali. Per Turgot (cfr. Discorsi di storia universale, 1756) il
progresso il cammino lento dell'umanit,
pen- sata come un tutto espressivo (e qui abbiamo una chiara anticipazione del
concetto di Io del Fichte 1794). La velocit del progresso dipende dalle
circostanze esterne e soprattutto dalla natura degli uomini vissuti nelle varie
epoche. Non esistono per Turgot epoche illuminate ed epoche oscure. Anche in
quelle oscure, il progresso 213 CaprroLo XXVI non si ferma mai. Esso infatti si
realizza a dispetto della ragione umana, utilizzan- do per i suoi scopi
provvidenziali le assurdit ed i disastri della storia fatti dagli uomini.
Faccio notare in proposito che Turgot nel 1756 da un lato secolarizza inte-
gralmente il vecchio concetto stoico di provvidenza (pronoia), e dall'altro
anticipa il concetto di potere del negativo nella storia che sar poi ampiamente
utilizzato sia da Hegel che da Marx (che peraltro non fece che comunistizzare
il concetto hegeliano). Se Turgot ha anticipato il posteriore concetto
hegelo-marxiano di potere prov- videnziale del negativo, Condorcet ha
anticipato la concezione stadiale della sto- ria che poi il marxismo adott
entusiasticamente per fornire ai suoi aderenti una rassicurante concezione
prefissata del corso storico con teleologia incorporata (in cinque stadi del
comunismo primitivo, dello schiavismo, del feudalesimo, del ca- pitalismo ed
infine del rassicurante ed inevitabile comunismo risolutivo finale). Per
Condorcet la storia dell'umanit
ricostruita in dieci epoche successive, di cui nove vanno dalle origini
dell'umanit fino al tempo in cui vive e scrive lo stesso Condorcet (che quindi
ritiene di stare vivendo nella nona). Partendo dal presente (la rivoluzione
francese in corso), e volgendosi a considerare da questo punto di vista
privilegiato la storia precedente del passato, ci si pu immaginare lavveni- re,
la decima epoca, la societ del futuro come compimento delle promesse di
emancipazione. E Condorcet formula in modo incomparabile per chiarezza
l'essenza della de- cima epoca: Le nostre speranze sullo stato futuro della
specie umana possono ri- dursi a questi tre punti importanti: la distruzione
della diseguaglianza tra le nazio- ni; i progressi delleguaglianza in seno ad
uno stesso popolo, e da ultimo, il reale perfezionamento delluomo. Siamo nel
1794, lo stesso anno in cui Fichte scriver la sua immortale Dottrina della Scienza.
Anche Fichte ovviamente periodizza la sto- ria dell'umanit passata, presente e
futura in cinque epoche successive, collocan- dosi nella terza, che definisce
l'epoca della compiuta peccaminosit. Ma ci ritorne- remo pi avanti, ovviamente.
Per il momento, ci si ricordi che senza la tradizione di Turgot, Condorcet e
Fichte non avremmo mai avuto la concezione di Marx, che anche lui
concettualizza simultaneamente il passato (Comunismo primitivo, schiavi- smo e
feudalesimo), il presente (capitalismo) ed infine il futuro (comunismo). Ho
ritenuto opportuno insistere molto sulla natura predittiva del concetto
borghese di progresso per due ragioni, di cui la seconda la pi importante. In primo luogo, perch
esaminando spregiudicatamente la genesi di queste secola- rizzazioni
provvidenzialistiche e di queste periodizzazione teologiche si tocca con mano
il fatto che Marx si pienamente inserito
in una linea concettuale gi esi- stente, ed
allora legittimo (anche se contestabile - ma tutto in via di principio contestabile) sostenere
che la genesi del suo pensiero non sta affatto in una com- mittenza operaia,
salariata e proletaria (questa committenza esiste, e sar appun- to il marxismo
del ventennio 1875-1895 edificato congiuntamente da Engels e soprattutto da
Kautsky, il papa rosso), ma sta invece in uno sviluppo dialettico geniale della
coscienza infelice del pensiero borghese, e solo di esso. 214 La Grande
Instaurazione illuministica del fondamento metafisico del pensiero borghese
moderno Con questo ( quasi umiliante doverlo dire) non si intende affatto
svalutare il gigantesco ruolo storico della classe operaia, ma soltanto
ristabilire alcuni elementi genetici ed ontologico-sociali minimi per una
ricostruzione razionale della storia del pensiero. In secondo luogo, infine,
appare qui chiara la non-coincidenza assoluta fra la borghesia, classe
dialettica in bilico fra la coscienza apologetica e la coscienza in- felice, ed
il capitalismo, la cui logica del tutto
estranea a qualsiasi compimento teleologico del progetto di liberazione umana.
Al capitalismo la distruzione della diseguaglianza fra le nazioni ed i
progressi delleguaglianza in seno ad uno stesso popolo (i due elementi
fondamentali del progresso in Condorcet, pensatore bor- ghese al cento per
cento e politicamente girondino) non interessano assolutamen- te nulla. Nel
momento in cui scrivo (2008) la diseguaglianza fra le nazioni al massimo, e la cosiddetta globalizzazione
non fa che approfondirle, ed in quanto ai progressi delleguaglianza in seno ad
uno stesso popolo (nel nostro caso quello italiano), essi sono al minimo
storico, e sono ancora peggiori di quelli raggiunti al tempo della cosiddetta
Prima Repubblica (1946-1992). Se il tempo
stato unificato concettualmente sotto lidea del progresso, lo
spazio stato unificato concettualmente
sotto lidea di materia. L'idea di materia, quindi, lungi dall'essere una base
simbolica per l'emancipazione proletaria, rivoluzionaria e comunista, stata ed
un presupposto per l'unificazione spaziale orizzontale dello scorrimento
delle merci capitalistiche, che abolisce ogni dualismo ontologico Alto/Basso e
Dio/Uomo e permette cos di unificare concettualmente un solo mondo, il mondo
della produzione capitalistica. Dal momento che su questo punto la mia
interpretazione diverge sensibilmente da quella di Lukcs, che non avrebbe
certa- mente mai sostenuto qualcosa di simile, ci ritorner sopra nei capitoli
successivi. Max Weber ha chiarito a suo tempo che il significato delle cose si
origina dalle loro relazioni sociali. Per Marx la merce, appunto, una relazione sociale, e que- sta relazione
sociale il valore di scambio (o
semplicemente, valore). Il presup- posto dello scambio il concetto di equivalenza, in quanto tutte
le merci devono essere omogenee, per poter essere appunto valutate e scambiate.
Lo stesso tempo di lavoro sociale medio, che gli economisti inglesi fissano
come sostanza del valo- re, deve potersi fondare su di un presupposto materiale
omogeneo ed equivalente, che appunto la
materia. Nel primo libro del Capitale Marx utilizza il termine di materialit
universale (allgemeine Materiatur) per indicare questa omogeneizza- zione
concettuale ed ideale dello scambio universale. Per la studiosa greca Maria
Antonopoulou il movimento del capitale intenso come unit della produzione e
della circolazione delle merci provoca una sorta di reificazione concettuale,
che a sua volta costituisce la materia in un vero e proprio soggetto ideale
autonomo, che si manifesta appunto come materialit universale (allgemeine
Materiatur). Una storia del materialismo che abbandonasse il presupposto della
continuit concettuale del termine
materia nella storia ed adottasse il criterio marxiano-weberiano a
proposito del significato delle cose, e dei concetti che intendono esprimere le
cose stesse, potrebbe facilmente dimostra- 215 CaprroLo XXVI re che i concetti
di materia in Democrito, Platone, Aristotele, Epicuro, ecc., non giungono mai
ad una nozione unificata della materia stessa. Come la storia univer- sale, anche
la materia universale omogenea un prodotto
storico del Settecento. E se la storia universale del progresso e la materia
omogenea ed autofondata sono entrambe dei prodotti concettuali storico-sociali,
ce n' abbastanza per mettere la pulce nellorecchio a tutti coloro che
conservano quella che Wright Mills chia- mava opportunamente immaginazione
sociologica. Su questo, ovviamente, bi- sogner ritornare pi avanti. Ma non ha
senso ritornare sugli argomenti se prima non si
riusciti ad impadronirsi del loro nucleo concettuale. E tuttavia, pi
ancora che sul tempo del progresso e sullo spazio della materia, bisogna qui
ancora concentrarsi sulla critica di Hume al diritto naturale ed al con- tratto
sociale, critica che si serve di un'ipotesi antropologica sulla natura umana e
di una interpretazione apparentemente innocente della categoria di causalit.
Qui siamo infatti nell'anello mancante (missing link) del passaggio del
pensiero propriamente ancora borghese al pensiero gi compiutamente
capitalistico. Il passaggio
delicatissimo, e deve essere compreso con assoluta chiarezza. Il
tema di tale importanza da giustificare
un'ennesima ripetizione. Mai come in questo caso, repetita juvant. La
costituzione simbolica della societ capitalistica infatti in una certa misura il quarto stadio
di una ricostruzione storica della filo- sofia politica fatta non sulla base di
una disordinata filastrocca di opinioni (Hobbes
pessimista sulla natura umana, Rousseau invece ottimista, Locke pensa che la propriet sia un
diritto naturale inalienabile, i comunisti utopisti alla Babeuf non lo pensano,
e via liberamente opinando a ruota libera), ma sulla base di un criterio
storico-genetico ed ontologico-sociale. Ricostruiamolo allora ancora una
seconda volta. In un primo momento, al tempo degli antichi Greci e del pensiero
classico, la costituzione della comunit politica vista come il naturale sbocco della socialit
comunitaria delluomo (politikn zoon), socialit che si differenzia dalla
socialit ani- male per essere frutto di una capacit di ragione (logos), di
linguaggio (dialogos, ise- goria) e soprattutto di applicazione dei rapporti di
armonia geometrica e musicale alla ripartizione del potere e della ricchezza
(metron). La violazione di queste nor- me comporta lo scatenamento
dellinfinito-indeterminato (apeiron), e questo scate- namento comporta
l'ingiustizia (adikia), e la conseguente impossibilit di riportare la concordia
fra i cittadini (omonoia). La filosofia politica ha quindi come base la capacit
di frenare lo scatenamento dellindeterminato (katechein). Sia che si scelga la
via di una regolazione differenziata del potere politico in base ad una paideia
specifica e rivolta esclusivamente ai governanti (Platone), sia invece che si
scelga la via di una costituzione oligarchica fondata sulla famiglia e la
propriet privata misurata (Aristotele), resta comunque in comune il fatto che
la ragione (logos) deve restare pubblica (isegoria), e deve nutrire la capacit
di freno (katechein) dello scate- namento della diseguaglianza del potere e
delle ricchezze private (adikia). In un secondo momento, con il passaggio dal
mondo antico alla societas christia- na, viene abbandonato il nucleo del
pensiero greco, lautofondazione razionalistica 216 La Grande Instaurazione
illuministica del fondamento metafisico del pensiero borghese moderno della
comunit umana, e si passa all'idea di salvezza collettiva attraverso lasser-
vimento volontario ad un unico liberatore celeste (cfr. Paolo, Lettera ai
Corinzi, 7, 20-4). Questo messianesimo moderato sostituisce il precedente
messianesimo radicale-rivoluzionario di Ges di Nazareth, che fu crocifisso come
zelota da una decisione congiunta del sinedrio ebraico collaborazionista e del
potere militare delloccupante romano, e che invece probabilmente (considerando
i Vangeli come testi storici e non come invenzioni arbitrarie posteriori)
intendeva purificare il tempio per annunciare l'Anno di misericordia del
signore (cfr. Luca, 4, 14-30). Dopo trecento anni ci fu la normalizzazione
costantiniana, il cristianesimo fu incorpo- rato simbolicamente negli apparati
ideologici del tardo impero attraverso il prima- to simbolico-compensatorio del
Povero (Peter Brown) e fu ufficializzato attraverso il Credo di Nicea del 325
dopo Cristo. Se prima lasservimento simbolico riguar- dava le tre classi del
mondo schiavistico romano, e cio gli schiavi (doulo), i liberti (apeleutheroi),
ed i liberi (eleutheroi), ora invece nelle nuove condizioni storiche las-
servimento simbolico rimane, ma si struttura nelle nuove tre classi dei
guerrieri- nobili-feudatari (bellatores), dei sacerdoti-monaci-preti
(oratores), ed infine dell'in- sieme delle classi lavoratrici (laboratores). I
conflitti fra il papa e limperatore sono certo importanti, ma non al punto di
far mutare radicalmente lo schema teologico di legittimazione sociale. Quando
per la Chiesa comincia a mostrare una corruzione intollerabile, il pau- perismo
francescano prende la via del nominalismo, e cio della concentrazione in un
solo individuo (in-dividuum, non ulteriormente divisibile), dei due valori cri-
stiani fondamentali ed irrinunciabili, la paupertas e la simplicitas, traditi e
violati dalla chiesa corrotta. La corruzione della Chiesa anche il fattore emotivo che scatena la
ribellione di Lutero, che non avrebbe per mai potuto vincere se non si fossero
nel frattempo costituiti i fattori indipendenti dellindipendenza degli stati
nazionali e dello sviluppo capitalistico (Max Weber). E tuttavia il rinnova-
mento evangelico del cristianesimo, propugnato dalla rivoluzione protestante,
non pu avvenire, ed anzi le cose peggiorano ancora, perch levangelismo
originario viene sostituito dall'adozione del messianesimo militare e razzista
di tipo vetero- testamentario, con cui il colonialismo razzista olandese ed
inglese metaforizza il proprio ruolo attraverso lidentificazione simbolica con
il popolo ebraico, lunico popolo del mondo che abbia con Dio un rapporto
privilegiato particolare. Con la controriforma cattolica e con il messianesimo
esclusivistico protestante in un certo senso finiscono mille e cinquecento anni
di storia continua del cristianesimo, ed il cristianesimo negli ultimi
cinquecento anni non pi lespressione di
una societ integralmente cristiana, ma
una religione testimoniale e militante di mino- ranza, concentrata sui
temi della sessualit e della bioetica (cattolicesimo), della difesa della
comunit nazionale minacciata (ortodossia), e della propria arrogante
autoinvestitura ad esecutore unico del mandato di Dio sul mondo (protestantesi-
mo fondamentalista imperiale USA). In un terzo momento, a partire dal tardo
Cinquecento europeo, ta filosofia po- litica si riposiziona simbolicamente in
base al motto etsi Deus non daretur, il che 217 CarrtoLo XXVI significa Che Dio
esiste, e nessuno intende metterlo in discussione (anche perch come dir bene Giordano Bruno i dotti possono anche governarsi da soli, ma
i rozzi popoli devono essere governati dalla religione), ma che il potere pu
essere fondato razionalmente anche se per ipotesi Dio non esistesse. Questo
program- ma viene svolto in due momenti logicamente successivi ma praticamente
sincro- nizzati, il momento dello stabilimento dei Diritti Naturali dell'Uomo
(giusnaturali- smo) ed il momento dello stabilimento delle regole e delle
modalit per fondare il Contratto Sociale (contrattualismo). In questa sede, non
ha senso discutere in detta- glio le varie proposte alternative di costituzione
teorica del nesso Diritto Naturale/ Contratto Sociale (Grozio, Pufendorf,
Hobbes, Locke, Rousseau, ecc.), in quanto ci che conta qui impadronirsi concettualmente della sua logica
unitaria. E ci che conta qui
sottolineare il fatto che in tutte le sue possibili varianti
(assolutistica in Hobbes, liberale-proprietaria in Locke, democratica in
Rousseau, comunistica in Babeuf, ecc.) il nesso fra diritti naturali e
contratto sociale (pi esattamente, i diritti naturali da garantire con un
adeguato contratto sociale) fondativo
della societ, e quindi la politica che
fonda ed sovrana sull'economia, e non
viceversa. Si tratta di una teoria politica incompatibile con la pretesa di
dominio assolutistico del capitalismo. Per il capitalismo impensabile che la politica fondi l'economia,
o meglio che la societ economica venga causata da una precedente discussione
sui diritti naturali innati delluomo in quanto uomo o sul tipo di contratto
sociale e politico atto a fondare una societ giusta. In altre parole, il
giusnaturalismo ed il contrattualismo, nati nel Cinquecento per legittimare in
buona parte il potere esistente, stavano scivolando nel Settecento non solo
verso la sinistra, ma ad- dirittura verso quella che si chiamerebbe oggi
estrema sinistra. Bisognava disfar- sene in qualche modo. Nei prossimi capitoli
vedremo in che modo se ne sono di- sfatti prima Hegel e poi Marx, che infatti
non furono in alcun modo dei teorici del diritto naturale e del contratto
sociale, ma anzi ne furono dei critici. Hegel e Marx, per, volevano creare una
nuova teoria politica, e cio una teoria del primato della politica
sull'economia. La logica dello sviluppo capitalistico, invece, voleva ben
altro, e cio una teoria del primato dell'economia sulla politica. David Hume fu
il pensatore strategico che gliela forn, ed Adam Smith non fece che applicarla
alla nuova teoria economica. In un quarto momento, quindi, Hume elabora la
teoria della autofondazione spon- tanea della societ sulla base delle tendenze
psicologiche insite nella natura umana. La critica della categoria di causalit
svolta brillantemente da Hume significa ap- punto che la societ in cui viviamo
non affatto causata da qualcosa che la
pre- cede temporalmente, in questo caso da un contratto sociale fondativo, ed
in quanto | alle idee generali che fanno base al diritto naturale esse non sono
che chiacchiere vuote (cfr. la seconda parte del primo libro del Trattato sulla
natura umana), merite- voli di essere buttate via insieme con il libro che le
contiene. Nel mondo incan- tato della falsa coscienza necessaria agli agenti
storici (Marx) David Hume non si rende conto che il suo concetto di natura
umana, da lui concepito come una fortezza inespugnabile, era in realt una idea
generale altrettanto e pi astratta 218 La Grande Instaurazione illuministica
del fondamento metafisico del pensiero borghese moderno di quanto lo fossero le
idee generali di diritto naturale e di contratto sociale da lui tanto
disprezzate. Il modo con cui Hume ha interpolato nel suo concetto di natura
umana componenti biologiche ed addirittura genetiche (spinta allaccoppiamen- to
dei sessi, predisposizione alla cura della prole, ecc.) e componenti
interamente storiche e sociali (ricerca dell'utile individuale, necessit di una
propriet privata attraverso cui soddisfare i propri bisogni, esigenza di
intraprendere libere attivit economiche per superare gli altri in ricchezza e
prestigio, ecc.) pi degno di un astuto
giocatore delle tre carte napoletano che di un gentiluomo scozzese con la
parrucca incipriata. E tuttavia questa interpolazione del biologico e del
sociale, unita ovviamente alla ipostatizzazione della natura umana sociale
media di quei tempi, sta alla base del processo mentale di auto-istituzione
economica della societ fon- data sulle abitudini al valore di scambio
generalizzato ed alle aspettative vi- cendevoli che ne derivano, le stesse
abitudini e le stesse aspettative che poi Adam Smith chiam etica della
simpatia, e che poi Kant critic come eteronoma. Questa natura umana, costruita
sulla base di una serie di induzioni sul comporta- mento medio (ed il tempo di
lavoro sociale medio contenuto nel valore coincide largamente con la natura
umana sociale media che deve rispecchiarlo),
la stessa natura umana del romanzo poliziesco inglese, dallo Sherlock
Holmes di Conan Doyle ad Hercule Poirot ed a Miss Marple di Agatha Christie.
L'imprenditore ed il detective, infatti, devono basarsi sullo stesso studio
induttivo delle costanti del comportamento umano, da cui dedurre poi le
aspettative di profitto (primo caso) e la soluzione dei casi criminali (secondo
caso). Il concetto di autoistituzione della societ su basi comportamentali
abitudinarie senza la mediazione non solo del diritto naturale e del contratto sociale
ma anche e soprattutto di uno stato politico, passa poi dalla concezione
utilitaristico-armonica di Hume e di Smith (la mano invisibile, ecc.) alla
concezione utopica dellestinzio- ne dello stato in Marx. In entrambi i casi si
hanno delle societ senza stato, tenute insieme esclusivamente da abitudini
reciproche e da aspettative vicendevoli. Chi crede che gli elementi detti
impropriamente autoritari della concezione marxista dello stato vengano da
Hegel, ecc., si sbaglia di grosso. Marx si limita a rovesciare dialetticamente
(con una cattiva dialettica, per) la costituzione utilitaristica della societ
capitalistica senza la mediazione di uno stato politico in una nuova costitu-
zione utilitaristico-solidale della societ comunista anch'essa senza la mediazione
di uno stato politico (Bernard Chavance, Pierre Rosanvallon). A questo punto,
chiudo qui questa prima analisi genetica della formazione del pensiero
borghese-capitalistico moderno. Non si si lasci scappare il punto concet- tuale
essenziale: il termine borghese-capitalistico, inteso in senso unitario, un termine dialettico, la cui natura quella di sdoppiarsi logicamente prima, e di
dividersi storicamente poi, in due lati contradditori, sia pure in correlazione
essen- ziale. E su questa base concettuale affronteremo i capitoli successivi.
XXVII. IL KANT DELLA CRITICA ALLA METAFISICA. IL SIGNIFICATO ONTOLOGICO-SOCIALE
DELLA SEPARAZIONE FRA LE CATEGORIE DELL'ESSERE E LE CATEGORIE DEL PENSIERO La
Critica della Ragion Pura di Kant uno
dei capolavori assoluti della lunga storia della filosofia occidentale. Da pi
di duecento anni letta, discussa e com-
mentata, e fra duecento anni possiamo scommettere che lo sar ancora. Dato lalto
contenuto specificatamente filosofico, sarebbe scorretto sottoporla ad una
lettura sociologistica, riduzionistica ed ideologica, cose se Kant avesse
lavorato unica- mente per committenza indiretta della classe borghese
desiderosa di fondare su se stessa (ovviamente, nella forma metaforizzata del
destino e delle speranze dell'umanit) sia il mondo della scienza che il mondo
della moral, strappando questi due mondi alla supervisione esterna della
religione e soprattutto dei suoi apparati politici e sacerdotali. Dunque, no ad
ogni lettura riduzionistica, ideologi- ca e sociologistica. Le opere
filosofiche di qualit hanno sempre un loro autonomo contenuto di verit. Se la
metodologia la scienza dei nullatenenti,
l'ideologia la scienze degli apparati
politici e la sociologia la scienza
degli apparati confindu- striali e sindacali. Kant stato prima di tutto un onore per la
filosofia mondiale, un maestro del pensiero ed uno stimolo inesauribile per il
pensare indipendente. Chi scrive ritiene che lo Hegel della Scienza della
Logica abbia sostanzialmente ragio- ne e che invece il Kant della Critica della
Ragion Pura abbia sostanzialmente torto, e con questo si schiera contro
lottanta per cento (almeno) della koin filosofica universitaria europea, che ha
fatto in varia misura di Kant l'equivalente gnoseo- logico secolarizzato di
quello che Ges di Nazareth per i
credenti e gli apparati ecclesiastici. Ovviamente, tutto questo non avviene per
caso, perch la gnoseologia critica a
tutti gli effetti la metafisica di legittimazione della borghesia capitalistica
(laddove la parte della borghesia dotata di inquietudine e di coscienza
infelice si rivolge soprattutto ad un Marx depurato del suo imbarazzante
comunismo rivo- luzionario ed a uno Heidegger ridotto a pensatore del non c' pi
niente da fare alla Umberto Galimberti). E tuttavia Antonio Gramsci non ha
tutti i torti a rilevare che esistono intellet- tuali pi organici di altri alla
costruzione di una solida immagine del mondo. Nessuno ha direttamente
commissionato a Kant la gnoseologia critica, come nessuno ha direttamente
commissionato ai teologi del dodicesimo secolo l'in- venzione del purgatorio.
Ma come il purgatorio permetteva ai banchieri cristiani di peccare prestando ad
usura lasciandosi uno spiraglio di salvezza ultraterrena 221 i CarrroLo XXVII I
possibile, e come il marxismo deterministico e teleologico-necessitato di
Engels e di Kautsky permetteva alla classe operaia, salariata e proletaria di
sentirsi sicura della propria inevitabile (e del tutto illusoria) vittoria
finale, nello stesso modo il criticismo di Kant permetteva alla classe borghese
di chiarire in primo luogo a se stessa che la propria scienza (Wissenschaft),
intesa come autoconsapevolezza del proprio ruolo noumenico nel mondo fisico dei
fenomeni, non dipendeva pi da un fattore esterno, la metafisica religiosa ed i
suoi apparati sacerdotali, ma si fondava su se stessa, e cio sulla propria
immanente autoriflessione intellettuale. Credo che Kant sia stato completamente
consapevole di stare esercitando un ruolo di committenza sociale e politica
indiretta, anche se in base alla nota falsa coscienza necessaria degli agenti
storici (cui ovviamente nessuno pu sfuggire, compreso Marx ed ovviamente il
modestissimo scrivente, che in nessun momento ritiene in modo megalomane di
essere il portavoce incarnato del logos nella storia) chiamava gli interessi
borghesi interessi dell'intera umanit. Le grandi opere filosofiche si scrivono
cos come le grandi opere darte vengono dipinte e scolpi- te, in modo del tutto
gratuito. Le motivazioni piscologico-psicoanalitiche posso- no essere le pi
diverse, dalla mancata elaborazione del complesso di Edipo alla lotta sublimata
contro l'autorit paterna, dallincoercibile narcisismo al desiderio di
sopravvivere idealmente dopo la propria morte con i propri scritti geniali,
ecc. Tutto questo peraltro del tutto irrilevante,
ed infatti Hegel scrisse argutamente che tutto ci che di personale c' nei miei
scritti, falso. Kant scrive la Critica
della Ragion Pura cos come Marx scrisse il Capitale, in base ad una
insopprimibile pulsione gratuita. E tuttavia il problema della committenza
sociale indiretta di una grande opera filosofica non pu essere rimosso, in
quanto la ricaduta ideologica della creazione filosofica non quasi mai frutto di una intenzione
consapevole e trasparente del filosofo, ma
un dato sociale indipendente dalle sue dirette vo- lont. Come ha scritto
Marx, lostrica produce la perla esclusivamente per il suo piacere, e sono poi i
gioiellieri e le signore benestanti che utilizzano la perla per i loro scopi,
cui lostrica del tutto estranea. Kant fu
dunque contemporaneamente un grande filosofo gratuito ed indipen- dente, ed un
ideologo organico alla visione borghese del mondo, la cui ontologia dell'essere
sociale non pu essere ovviamente un'ontologia dell'essere sociale, ma una metafisica a base gnoseologica, come
vedremo analiticamente fra poco. E tuttavia, Kant non pu essere confuso con i
successivi ritorni a Kant, cos come Marx non pu essere confuso con il ritorno
staliniano a Marx e Ges di Nazareth non pu esser confuso con quellindubbio
ritorno a Ges dell'inquisitore spa- gnolo Torquemada. Il primo grande ritorno a
Kant, inaugurato nel 1866 dalla Storia del Materialismo, di Lange (si noti la
data, un anno prima della pubblicazione
del primo libro del Capitale di Marx), trasforma praticamente Kant in un
consulente gnoseologico del positivismo. Ulteriormente sviluppato il
neokantismo diventa praticamente sinonimo di filosofia universitaria tedesca e
di canone gnoseologico obbligatorio per chiunque volesse filosofare secondo i
canoni accademici con- sentiti. Se questo non
un sintomo (non dico una prova, mi basta il termine 222 Il Kant della
critica alla metafisica. Significato ontologico-sociale della separazione fra
categorie dell'essere e del pensiero sintomo) del fatto che il criticismo (o
neocriticismo, in questo caso) la
metafi- sica gnoseologica della borghesia, mi chiedo che cosa significhi allora
sintomo. E del resto il giovane Lukcs, quando ruppe con il modo kantiano e
neocriticista obbligatorio di fare filosofia nelle universit tedesche
dellepoca, lo fece attraverso la dirompente mediazione della sua amicizia con
il vulcanico Ernst Bloch, che si comportava come se lintera filosofia
contemporanea non esistesse, e filosofava invece al modo di Aristotele e di
Hegel. Lukcs ha scelto bene i due personaggi di riferimento del passato, e cio
Aristotele e Hegel, entrambi filosofi caratterizzati dallintentio recta nel
rapporto fra il pensiero e le cose, dal rifiuto della mediazione gnoseologica e
soprattutto dal rifiuto di separare le categorie del pensiero dalle categorie
dell'essere. In altre parole, il ristabilimento di uno sguardo ontologico-
sociale sul mondo presuppone il ritorno al modo di filosofare di Aristotele e
di Hegel ed il cortese rifiuto di ogni mediazione critico-gnoseologica alla
Kant. Ma, appunto, per poter rifiutare consapevolmente Kant bisogna prima
conoscerlo, e per conoscerlo bisogna assolutamente saltare la fastidiosa e
fuorviante media- zione di ogni ritorno a Kant. E tuttavia, il primo ritorno a
Kant posteriore al 1866 pur sempre
inquadrabile nella ricerca di una sofisticata consulenza gnoseologica al
positivismo, notoria- mente carente sul piano della sofisticazione
gnoseologica. Questo ritorno a Kant ebbe come ricaduta una stagione
estremamente creativa nel campo della storia della filosofia, da Windelband a
Cassirer, che giunge addirittura fino all'italiano Nicola Abbagnano. La storia
della filosofia di impronta neokantiana si distingue per un'assoluta
destoricizzazione e desocializzazione nella ricostruzione dei si- stemi di pensiero,
ma nello stesso tempo ispirata ad una
grande chiarezza ter- minologica nella ricostruzione dei concetti. La stessa
leggendaria chiarezza di Norberto Bobbio, frutto di una desocializzazione e di
una destoricizzazione asso- luta nella ricostruzione dei profili filosofici (si
tratta di un metodo che sta alloppo- sto di quello che sto qui cercando di
usare), e che d luogo appunto ad una serie di dicotomie del tutto inadatte alla
comprensione storico-dialettica delle cose e dei processi storici (ed appunto
per questo adorate e santificate dal pensiero universita- rio politicamente
corretto), deriva direttamente da Kant e dal neokantismo. Il secondo ritorno a
Kant non pi interessato a fornire una
sofisticata consu- lenza gnoseologica al positivismo, ma rivolto a costruire sistematicamente un
profilo polemico rivolto contro Hegel, contro Marx, e contro il pensiero
dialettico della totalit alla Hegel-Marx. Kant
visto cos come il geniale critico anticipato della successiva caduta
metafisica del pensiero, iniziata con Fichte, e poi sempre pi scivolata verso
il sempre maggiore irrazionalismo anti-scientifico, romantico e mistico di
Hegel, Marx e Heidegger. E vedremo allora perch Kant considerato di fatto lultimo pensatore della
filosofia occidentale, dopo il quale c' stato certamen- te un ricco e
pittoresco filosofare, ma non c' pi stato nulla che possa realmente comportare
un progresso della filosofia. Kant
lulfimo dei filosofi, il sigillo del filosofare, pi o meno come Maometto lultimo ed il sigillo dei profeti. Ma per
potersi impadronire concettualmente del perch Kant considerato il sigillo defi- 223 CarrroLo
XXVII nitivo dell'islam filosofico borghese bisogna tornare al punto di
partenza e svolgere il discorso cercando di non saltare i vari passaggi logici necessari.
Devo ovvia- mente dare qui per scontata nel lettore la conoscenza della trama
concettuale della Critica della Ragion Pura. Chi scrive ne ha sostenuto prima
un difficilissimo esame scritto ed orale in una universit francese, e poi lha
analizzata per trentacinque anni consecutivi per gli studenti liceali italiani.
In ogni caso, questa trama concet- tuale
svolta analiticamente in qualsiasi manuale universitario e liceale di
storia della filosofia. La costruzione della metafisica a base gnoseologica che
fa di Kant il sigillo dei filosofi e del suo criticismo lultima filosofia
possibile dellautocoscienza filoso- fica borghese-capitalistica, fine
criticista e laica della filosofia che si accompagna e si interseca
strettamente con la fine capitalistica e proprietaria della storia, verr da me
discussa, ricostruita e criticata in quattro momenti logici successivi (sempre
ovviamente presupponendo nel lettore la piena conoscenza nozionistica della
Critica della Ragion Pura). In primo luogo, attraverso lanalisi della
ricostruzione della filosofia precedente a lui fatta da Kant stesso, in cui i
tagli tematici sono effettuati in funzione della sua stessa originale
costruzione sistematica. In secondo luogo, attraverso lanalisi della sua
cosiddetta rivoluzione copernicana, rivolta a mettere il soggetto conoscente
(l'Io penso) e le tre rispettive facolt conoscitive delluomo (sensibilit,
intelletto e ragione) al centro delle differenziate capacit co- noscitive umane
(conoscenza sensibile della matematica, conoscenza intellettuale del mondo
fisico, conoscenza razionale del mondo metafisico). Questa rivoluzio- ne
copernicana, che stata lindubbio
presupposto del posteriore pensiero dei tre grandi idealisti successivi
(nellordine: Fichte, Hegel e Marx), viene fatta per nella forma della
costituzione formalistica del soggetto gi proposta da Cartesio, e quin- di
nella forma destoricizzata e desocializzata con cui appunto la borghesia
capita- listica vede necessariamente se stessa, come culmine invalicabile cio
della storia e della societ. In terzo luogo, attraverso la separazione
ontologica delle categorie del pensiero e delle categorie dell'essere,
operazione teorica mai perseguita prima con tanta sistematicit e chiarezza,
pietra miliare in negativo della delegittimazio- ne della conoscenza normativa
del mondo della metafisica religiosa ed in positivo del primato della scienza
sulla filosofia (intesa come conoscenza veritativa autono- ma del mondo, e
ridotta a gnoseologia di servizio della scienza, pi o meno come nel medioevo
era stata ridotta a gnoseologia di servizio alla teologia). questo terzo punto il pi importante dei
quattro. In quarto luogo, infine, attraverso il ro- vesciamento dei ruoli
rispettivi dell'intelletto (Verstand) e della ragione (Vernunft), rovesciamento
che dovette essere opportunamente e provvidenzialmente rad- drizzato dai tre
grandi idealisti successivi (nell'ordine: Fichte, Hegel e Marx) per poter
restaurare lintentio recta, il parallelismo ontologico dellordo rerum e
dellordo idearum (Spinoza) ed infine lontologia dell'essere sociale dei nostri
maestri Greci. Ho ridotto a solo quattro i passaggi logici, ed in questo modo
ne ho saltati molti altri. Se per il lettore non far mancare la sua attenzione,
credo che la discussione di questi quattro punti successivi sar sufficiente per
comprendere il meccanismo . 224 Il Kant della critica alla metafisica.
Significato ontologico-sociale della separazione fra categorie dell'essere e
del pensiero metafisico di questo vero e proprio islamismo filosofico borghese di
cui Kant diven- ta il sigillo definitivo dei filosofi. Il primo punto riguarda
il modo con cui Kant ha legittimato la sua propria fi- losofia attraverso la
ricostruzione orientata delle correnti della filosofia anterio- re. Tutti i
filosofi, grandi o piccoli, tendono a legittimare la propria filosofia del
presente attraverso una lettura orientata della filosofia del passato. Chi
scrive queste righe, che il filosofo pi
piccolo fra tutti quelli che cita e citer, intende esplicitamente legittimare
la sua lettura filosofica del presente capitalismo assolu- to postborghese e
postproletario e dellepoca di gestazione e di trapasso (Hegel) in cui stiamo
vivendo attraverso la presente lettura alternativa e straniante della
tradizione filosofica fatta in base ai due metodi, liberamente interpretati,
della de- duzione sociale delle categorie (Sohn-Rethel) e dellontologia critica
dell'essere sociale (Lukcs). un mio
assoluto diritto, ed intendo esercitarlo senza alcuna censura o autocensura
introiettata dalla dittatura del politicamente corretto. Passando ad esempi
illustri, Aristotele ha definito la sua stessa filosofia, basata sull'uso di un
concetto plurimo di causa, attraverso una ricostruzione destoricizzata e
desocia- lizzata della tradizione filosofica precedente fatta in base alla
teoria delle quattro cause (materiale, formale, efficiente e finale). Hegel ha
scritto una storia della filo- sofia (pi esattamente, ne sono state registrate
e poi pubblicate le lezioni da parte di allievi) che fa da tessuto storico di
giustificazione genetica del suo stesso sistema. E potrei moltiplicare gli
esempi. Il modo di guardare al passato spiega infatti sia il modo di in cui
guardiamo al presente sia il modo in cui immaginiamo il futuro (Kant avrebbe
detto che cosa possiamo sperare dal futuro
tema su cui Lucien Goldmann ha incentrato la sua bellissima introduzione
al pensiero di Kant). In che modo Kant ricostruisce il passato della filosofia?
Nel prossimo capitolo esaminiremo il modo in cui Kant ha ricostruito la storia
dell'etica come storia della successione di visioni eteronome (e quindi
cattive) della morale, cui contrappone la sua nota visione autonomo-imperativa
basata sul dovere incondizionato, che peraltro interpreter (mi scuso per
lanticipazione, ma anch'essa, come la ripeti- zione, juvat) come critica di
ogni comunitarismo e come apologia dellindividuali- smo incondizionato
autoreferenziale, borghese fino al midollo. Nella Critica della Ragion Pura,
invece, il passato della filosofia
ricostruito in modo unilateralmente gnoseologico, come se la filosofia
avesse come scheletro la gnoseologia (laddove il suo scheletro ammesso che ne abbia uno, ed a mio avviso ce
lha non
la fon- dazione gnoseologica ma
la fondazione del comunitarismo solidale e del rispetto della libert
dell'individuo congiuntamente). Ci sono quindi, da un lato, i raziona- listi
sostenitori del giudizio analitico (Cartesio, Spinoza e Leibniz), e dall'altro
gli empiristi sostenitori del giudizio sintetico a posteriori (Locke, Berkeley
e Hume). Si tratta di una classificazione alla Borges, che non bisogna a mio
avviso lasciare assolutamente passare senza contestarla radicalmente. Se la si
lascia passare, il sigillo dei filosofi dellislamismo filosofico borghese, cio
del laicismo fondamen- talistico nemico sia di Marx che di Hegel (e di Ges),
viene impresso con la cera- lacca bollente nel libro della filosofia del
presente e del futuro. 225 CarrroLo XXVII Non
infatti un caso che i Greci siano pressoch assenti in Kant. Come si
spiega questa pittoresca assenza? Non certo con l'ignoranza di Kant. Kant
infatti li co- nosceva benissimo, ma non li sentiva come veramente interessanti
e fondativi per almeno due ragioni. In primo luogo, perch i Greci avevano
unanimemente fondato ii e solidale, in cui non ci poteva essere nessuno spazio
per anticipazioni individualistiche di tipo categorico. Il concetto etico di
saggez- za (sophia) dei Greci, inteso come saggezza pratica (phronesis) non
lascia nessuno spazio ad a priori categorici di alcun tipo, dal momento che ai Greci
non poteva saltare in mente di tematizzare i comportamenti di un individuo
borghese isolato ed astrattizzato nel suo dovere. I Greci per dovere (kathekon)
intendevano prima di tutto un dovere verso la collettivit, e non certo quel che
Kant invece intendeva. In secondo luogo, perch i Greci non avevano teologie e
metafisiche monoteistiche rivelate fornite di appa- rati sacerdotali da
delegittimare con distinzioni sapienti fra fenomeni e noumeni, intelletto e
ragione, scienza e metafisica, e tutto lambaradan delle ossessioni laiche e
laicistiche del moderno individualismo relativistico a base nichilistica e
storici- stica che i nostri progenitori ellenici non avrebbero mai neppure
potuto concepire (fortunati loro!). dunque
normale che Kant conosca i Greci, ma non li senta. Il motivo per cui il grande
Kant non li sente, debitamente rovesciato,
esatta- mente il motivo per cui personalmente li sento tanto vicini.
L'ontologia infatti mi interessa, mentre della gnoseologia, come dicono a Roma,
non me ne potrebbe fregare di meno. A proposito della distinzione fra
razionalisti (Cartesio, Spinoza e Leibniz) ed empiristi (Locke, Berkeley e
Hume) diciamo subito educatamente che essa non sta in cielo n in terra, se
ovviamente vogliamo porci non in un'ottica gnoseologica ma in un'ottica
ontologico-sociale. Queste due coppie di pensatori possono essere tenute
insieme solo in modo estrinseco, sulla base di un dato del tutto secondario,
ricavato dal poco rilevante approccio gnoseologico. Anche Napoleone, Vittorio.
Emanuele III e Berlusconi hanno in comune il fatto di essere tutti e tre
piccoli di statura, ma solo uno storico incauto ne farebbe il parametro per un
giudizio stori- co. Il lettore non deve stupirsi per il mio atteggiamento
provocatoriamente critico verso la gnoseologia, in quanto non si tratta per
nulla di disprezzo o di sottovalu- tazione verso la conoscenza detta
scientifica della natura e della societ. La co- noscenza scientifica procede
secondo parametri propri, e secondo regole stabilite. autonomamente dalle comunit
scientifiche specialistiche senza alcun intervento di consulenti gnoseologici
esterni, che verrebbero percepiti come ridicolmen- te incompetenti, e questa
conoscenza viene poi validata esclusivamente dalla | sua efficacia pratica e
dalla sua posteriore applicazione tecnologica. Dal volo degli elicotteri alla
psicologia, dallinsulina e dagli antibiotici fino alle scoperte della ge- .
netica di oggi, la gnoseologia del tutto
assente, e la sua interazione con la ricerca scientifica e la sua applicazione
tecnologica nulla. questa la ragione per cui definisco la
gnoseologia una metafisica borghese, e non un contributo alla ricerca
scientifica e tecnologica. 226 Il Kant della critica alla metafisica.
Significato ontologico-sociale della separazione fra categorie dell'essere e
del pensiero Tornando al nostro tema, i tre signori chiamati Cartesio, Spinoza
e Leibniz han- no avuto in comune solo il periodo storico (e neppure quello,
per la verit), non certo una sorta di comune (ed inesistente) razionalismo conoscitivo.
Leibniz stato di fatto un apologeta di
una concezione teistica del mondo, e la sua stessa teoria del migliore dei
mondi possibili (che poi sulla base delle riflessioni sul terremoto di Lisbona
del 1755 Voltaire pi tardi defin scemologia) fa riferimento ad un Dio che ne
garantisce la teodicea positiva, non certo ad un meccanismo storico immanente
della societ, come nei posteriori Turgot e Condorcet. In questo senso
Leibniz piuttosto assimilabile a
Malebranche ed a Berkeley. Si tratta di ristabi- litori del teismo religioso di
fronte alla sfida deistica e soprattutto di fronte alla nuova fisica di Newton.
Non parlo qui ovviamente del Leibniz teorico delle pic- . cole percezioni, del
tempo come rapporto soggettivo di continuit e dello spazio come rapporto
soggettivo di contiguit (questo Leibniz
stato determinante per la teoria kantiana posteriore del tempo e dello
spazio come forme a priori della sensibilit e non come flussi e recipienti
assoluti di Newton). Parlo del Leibniz come propugnatore consapevole di una
teologia razionale unificata che mettes- se finalmente d'accordo cattolici e
protestanti ed interrompesse il ciclo di guerre religiose annientatrici
(peraltro gi largamente interrotto con le paci di Westfalia del 1648). Di
Cartesio ho gi parlato in un capitolo precedente. La sua filosofia frutto di un compromesso fra la teologia
precedente (res cogitans intesa in senso sostan- ziale come anima immortale,
idee innate, dimostrazioni metafisiche dellesistenza di Dio, morale provvisoria
di adeguamento ai costumi feudali e signorili, ecc.) e le nuove prospettive
materialistiche del pensiero borghese moderno (res extensa, fisica dei vortici,
analisi materialistica delle passioni del corpo, animali come mac- chine da
sperimentazione medico-scientifica, Dio che non occupa un suo spazio-
nullibi-privilegiato, ecc.). Queste due componenti sono tenute insieme da una
co- stituzione formalistica del soggetto (il Cogito), che riflette il modo
necessariamente destoricizzato e desocializzato (e quindi individualistico) con
cui il nuovo mondo borghese-capitalistico interpreta se stesso. In quanto a
Spinoza, in un capitolo pre- cedente l'ho interpretato come precursore del
concetto idealistico di unit astrat- ta del mondo (Hegel), come precursore
della democrazia diretta (Giancotti) e del concetto marxiano di genere
(Gattung) come spazio comune del processo storico di divenire-saggi non solo
dei dotti separati dagli altri, ma dei dotti mescolati con tutti gli altri
(Tosel). Comunque la si giri, Cartesio, Spinoza e Leibniz non hanno
praticamente nulla in comune, a meno che si decida che in comune abbiamo avuto
la glicemia, il colesterolo e l'attrazione sessuale per le belle signore. Un
discorso analogo vale anche per Locke, Berkeley e Hume, i quali non hanno avuto
nulla in comune, se non il passaporto britannico. Il comune possesso del
passaporto britannico stato in ogni caso
il pretesto per creare la grande narra- zione mitica di una linea inglese della
storia della filosofia, caratterizzata da un sobrio empirismo nominalistico e
dal rifiuto delle fumisterie metafisiche conti- nentali, linea inglese che
inizia con Occam, passa poi da Bacone, trionfa con Locke, 227 CarrroLo XXVII
Hume, Bentham e Stuart Mill, continua con Bertrand Russell e con lemigrato au-
striaco Wittgenstein e culmina oggi con la (demenziale) distinzione fra
analitici (e cio anglofoni sobri e scientifici) e continentali (e cio europei
che mangiano rane e lumache, cantano canzoni tirolesi, assistono alle corride,
suonano la chitarra, ecc.). Questa linea inglese, a mio avviso
inesistente, una protesi ideologica
indiretta per affermare la superiorit dellanglofonia Usa-Gran Bretagna-Canada
anglofo- no-Australia sul resto del mondo). A suo tempo Marcuse lo cap perfettamente
(cfr. L'Uomo ad una dimensione), ma temo che il circo universitario europeg non
possa capirlo, perch non ha la strumentazione concettuale storico-genetica per
farlo. Berkeley, lo si detto, un semplice apologeta religioso,
l'equivalente britan- nico-protestante del francese Malebranche. Il francese
segue la fisica nazionale di Cartesio, mentre il britannico segue la fisica
nazionale di Newton. Entrambi de- realizzano il mondo materiale per affermare
meglio la potenza spirituale di Dio. Qualcuno mi spieghi che cosa c'entra con
tutto questo il famoso empirismo. Io non lho ancora capito, a meno che mi si
dica che senza la vista, ludito, il tatto, il gusto e lodorato non posso
entrare neppure a contatto con il mondo, e solo dopo e su questa base posso poi
formarmi idee astratte come la giustizia e l'ingiustizia. Sono sempre grato a
coloro che inventano lacqua calda. In quanto a Locke, era un sostenitore della
conoscenza a base empirica, del contratto sociale e dell'immagine deistica del
Dio cristiano ragionevole. Hume era invece un avversario di tutte e tre queste
concezioni lockiane, ed era quindi un totale e consapevole anti-Locke. A
proposito della conoscenza a base empirica, ne contesta la validit, e
ricostruisce il mondo esterno sulla base di un concetto fondativo di natura
umana, inesistente in quanto tale in Locke. A proposito della teoria del
diritto naturale e del contratto sociale, elimina la prima come insieme di idee
generali del tutto astratte, indi- mostrabili e fantasmatiche, ed elimina la
seconda attraverso la mediazione della critica alla categoria della causalit,
negando che la societ venga causata da un contratto politico-sociale ed
affermando che si autocostituisce sulla base di auto- matismi di aspettative
reciproche di tipo economico e non politico. A proposito del deismo razionale e
ragionevole di Locke, afferma nella sua stupenda Storia Naturale della
Religione che il deismo non affatto
superiore alla superstizioni politeistiche e teistico-cattoliche, in quanto il
teismo non fa che proiettare su Dio le manie organizzative degli intellettuali
che vorrebbero sempre organizzare razio- nalmente il mondo. A questo punto,
qualcuno mi spieghi che cosa hanno avuto in comune Locke e Hume, al di fuori
del fatto che ringraziavano dicendo Thank You anzich Merci Beaucoup oppure Muchas
Gracias. E nello stesso tempo Kant ha le sue buone ragioni per costruire una
storia della filosofia a base gnoseologica. Come pi di duemila anni prima
Aristotele aveva compiuto un'operazione necessariamente destoricizzante e
desocializzante con la sua teoria delle quattro cause (materiale, formale,
efficiente e finale), nello stesso modo Kant compie un'operazione
necessariamente destoricizzante e desocializ- zante con la sua teoria del
giudizio sintetico a priori, teoria basata sulla riscrittura , della storia
della filosofia precedente in base alla (inesistente) dicotomia fra ra- 228 Il
Kant della critica alla metafisica. Significato ontologico-sociale della
separazione fra categorie dell'essere e del pensiero zionalisti (sostenitori
del giudizio analitico) ed empiristi (sostenitori del giudizio sintetico a
posteriori). La metafisica borghese-capitalistica a base gnoseologica cos fondata. Il secondo punto da
discutere la teoria kantiana dell'Io
Penso (Ich Denke), che lo stesso Kant ha definito rivoluzione copernicana nella
filosofia, in quanto il soggetto conoscente viene messo al centro dell'attivit
conoscitiva e l'oggetto co- nosciuto ne viene messo alla periferia. La
metafora astronomica, e lo veramen- te, in quanto il campo
conoscitivo fatto oggetto delle capacit
di visibilit di tre telescopi. Il primo telescopio, quello della conoscenza
sensibile che ha come lenti le forme a priori spaziali e temporali della
sensibilit stessa (Sinnlichkeit), permette di vedere il vicino pianeta delle
matematiche. Il secondo telescopio, quello della conoscenza intellettiva, che
ha come forme a priori le dodici categorie unificate dell'attivit coordinativa
formale dellappercezione trascendentale (Ich Denke), permette di vedere il pi
lontano pianeta della fisica (cui oggi potremmo aggiun- gere anche la chimica,
la biologia e la genetica). Il terzo telescopio, quello della ragione
metafisica (Vernunft) ha delle lenti oscurate e poco chiare (le tre idee di
anima, mondo Dio), ed in questo modo non possiamo vedere il mondo della me-
tafisica. So bene che Kant non si
espresso in questo modo astronomico, ma attraverso il meccanismo di
poter fare o meno l'operazione della sintesi a priori fra la priori stesso
(nell'ordine: spazio e tempo, categorie ed infine le tre idee della ragion
pura) ed il dato esterno della conoscenza stessa. Ma mantengo ugualmente la
metafora astronomica, perch essa permette di collegare insieme il tema della
conoscibilit ed il tema della visibilit come metafora della conoscibilit
stessa. E dato che il mondo del capitalismo (metaforizzato in fenomeno) visibile, ed il mondo della religione
(metaforizzato in cosa in s oppure in concetto-limite) non visibile, il primo mondo ha diritto ad una
dimensione pubblica, mentre il secondo ha diritto al massimo ad una dimensione
privata. Il codice genetico del laicismo successivo sta qui, e chi non ha
capito ancora che il cosiddetto laicismo
il rifles- so rovesciato ed astrattizzato del capitalismo che si afferma
come nuova divinit sensibile (Karl Marx parler di sensibilmente sovrasensibile,
Roger Garaudy di monoteismo del mercato, e Martin Heidegger di dispositivo
tecnico frut- to della risoluzione storica integrale della metafisica
occidentale, ecc.), fa come la scimmietta che piuttosto che considerare la
genesi storica delle categorie si mette le mani davanti agli occhi. La
costituzione formalistica del soggetto in Kant porta a termine il processo di
destoricizzazione e di desocializzazione della soggettivit apertosi con
Cartesio, e lo perfeziona togliendole lultimo residuo metafisico precedente,
lidentificazione della funzione pensante (il cogito) con la sostanza pensante
(la res cogitans). Il campo conoscitivo dell'attivit filosofica viene
sgomberato da ogni pretesa veritativa au- tonoma, bollata di metafisica
premoderna (Habermas, ecc.), e la conoscenza pub- blica, tolta alla pretese
religiose e filosofiche, viene riservata alla scienza naturale di Newton ed
alla scienza sociale di Max Weber, fondata a sua volta sui due nuovi articoli
di fede della conoscenza universitario-borghese del mondo, il Politeismo dei
229 CarrtoLO XXVII Valori ed il Disincanto del Mondo, rispettivamente il padre
e lo spirito santo della nuova trinit. Se poi qualcuno oltre al padre e lo
spirito santo vorr anche cercare il figlio, lo trover nellAttivit
Imprenditoriale pura, unica vera creatrice del mondo in presenza della nicciana
morte di Dio e della heideggeriana risoluzione finale della lunga storia della
metafisica occidentale nella gabbia d'acciaio della tecnica planetaria che si autoriproduce
come un vero e proprio processo senza soggetto. La sola alternativa alla
deduzione trascendentale delle categorie fatta da Kant ovviamente unesplicita deduzione sociale
delle categorie stesse. E non bisogna pensare che sia necessario attendere Marx
e Sohn-Rethel (o il pi modesto scri- vente) per farlo. Scrive N. Merker:
L'accentuazione dell'Io come soggetto di atti- vit dinamica consent a Fichte
interessanti avanzamenti rispetto a Kant. In primo luogo il conoscere non privo di presupposti, perch anzi il primo
presupposto lattivit pratica. Le
categorie e le regole che governano la formulazione dei giu- dizi, essendo il
risultato di un processo continuo, non possono venir ridotte ad un numero
determinato, come ad esempio nella tavola delle dodici categorie di Kant.
Inoltre i due procedimenti a priori ed a posteriori non sono separabili. Essi
confluiscono in unit perch le leggi e le categorie a priori che riscontriamo
nella nostra attivit conoscitiva sono, in quanto prodotte da noi, anche
costitutive della realt. Gi lattivit pratica ci suggerisce che esiste una reale
ed oggettiva unit di soggetto e oggetto. Nellattivit conoscitiva riformuliamo
semplicemente in termi- ni di riflessione cosciente le relazioni di
soggetto-oggetto che nella prassi hanno un'unit immediata. Ho scelto questa
lunga citazione di Merker perch in essa ci sono gli elementi concettuali minimi
per la comprensione del problema della rivoluzione coperni- cana in Kant e del
suo duplice carattere dialettico. Da un lato, questa rivoluzione copernicana
riflette il nuovo ruolo del soggetto nel contesto storico della societ liberale
e capitalistica, che non deve pi conformarsi ad un volere divino esterno ma si
autopone etsi Deus non daretur (come se Dio non esistesse). Dall'altro, il
fatto che il soggetto sia posto indipendentemente dalla sua genesi
pratico-storica ne permette l'operazione di destoricizzazione e di
desocializzazione, che a sua volta permette la rappresentazione ideologica ed
ideologizzante della concezione della societ capitalistica come seconda matura
delluomo e quindi come fine della storia. Tutti coloro che accuseranno il
marxismo di essere un pensiero teleologico- messianico della fine della storia
(Max Weber, Benedetto Croce, Karl Lwith, ecc.) non avranno tutti i torti (anzi!),
ma dimenticheranno in genere che il punto di vista ideale da cui partono anch'esso a tutti gli effetti un punto di
vista formalistico ed astorico di fine (capitalistica) della storia stessa. E
tuttavia, il terzo punto da esaminare il
pi interessante e significativo. Si tratta dell'operazione kantiana di
separazione ontologica (e gnoseologica) delle categorie dell'essere e delle
categorie del pensiero. In genere i manuali di filosofia presentano questa
operazione come una fatto ovvio, ed anzi come una constata- zione talmente
evidente e ragionevole da non meritare neppure una discussione critica. Le
cose, ovviamente, stanno esattamente al contrario, e bisogner per que- 230 Il
Kant della critica alla metafisica. Significato ontologico-sociale della separazione
fra categorie dell'essere e del pensiero sto ricordare alcuni temi
apparentemente noti (ma il noto, appunto, non
mai realmente conosciuto) della storia della-filosofia occidentale.
Nessuna delle sei principali scuole filosofiche greche (naturalismo metaforico
presocratico nelle sue varie e convergenti dimensioni storiche, platonismo,
aristo- telismo, epicureismo, stoicismo e neoplatonismo) si sarebbe mai sognata
di met- tere in dubbio lunit ontologica delle categorie dell'essere e delle
categorie del pensiero. L'intero pensiero filosofico greco, da Talete a Proclo
(e si parla di mille anni di storia!), si basa anzi sul presupposto di questa
unit, che anche la ragione princi- pale
del fascino che tutto questo pensiero ha per noi a tanti secoli di distanza. Ho
gi detto - e qui lo ripeto che i Greci
non avevano bisogno di delegittimare una casta sacerdotale monoteistica che
basa il suo potere civile sullinterpretazione monopolizzata di una rivelazione
contenuta in libri sacri di vario tipo. Come
noto, i Greci avevano una ricchissima mitologia, avevano religioni di
salvezza attraverso riti individuali di purificazione e di iniziazione, avevano
cerimonie po- litiche in cui la religione era strettamente intrecciata con la
ritualit pubblica di tipo identitario, ecc., ma non avevano mai avuto libri
sacri di legittimazione trascen- dente, per cui non sarebbe mai venuto loro in
mente di separare il trascendente ontologico dal trascendentale gnoseologico.
Con il cristianesimo si afferm la mediazione dellinterpretazione sacerdotale
dei libri sacri. La proposta di Marcione, che voleva lasciare completamente
agli ebrei l'antico testamento come loro libro esclusivo e riservare ai
cristiani il solo nuo- vo testamento, fu prima emarginata e criminalizzata
(gnosticismo! gnosticismo!) e poi respinta, ed in questo modo il cristianesimo
successivo dovette portarsi dietro quella che (a mio avviso, ovviamente mi prendo sempre la responsabilit delle
eresie che sostengo) resta la profonda incompatibilit fra una versione esclusivi-
stica ed addirittura razziale del popolo eletto (antico testamento) ed una
versione universalistica, pacifista e non-violenta di una liberazione rivolta a
tutti (nuovo testamento). E tuttavia in questo dualismo tragicomico non c'era
posto per una specifica separazione gnoseologica fra le categorie dell'essere e
quelle del pensiero. Il pensiero moderno (e cio posteriore al quindicesimo
secolo) non avrebbe mai potuto concepire che la sua contestazione alla teologia
esclusivistica della chie- sa (e poi delle chiese) potesse basarsi sulla
distinzione gnoseologica fra le categorie dell'essere e quelle del pensiero. Ci
fu prima la proposta panteistico-naturalistica di Giordano Bruno, giustamente
punita con la pena di morte e con il rogo ( co- mica in proposito la denuncia
cattolica novecentesca della cosiddetta intolleran- za dei comunisti!), e poi
l'elaborazione delle due teorie del diritto naturale e del contratto sociale,
fondate entrambe sull'ipotesi etsi Deus non daretur. E tuttavia, n il panteismo
naturalistico, n laristotelismo materialistico, n il giusnaturalismo, n infine
il contrattualismo si sarebbero mai sognati di fondare filosoficamente il loro
discorso sulla separazione fra lato gnoseologico (categorie del pensiero) e
lato ontologico (categorie dell'essere). Cartesio propose un paral- lelismo,
non certo una differenza ontologica, e Spinoza ricompose questo paral- 231
CarrroLo XXVII lelismo in una visione ontologicamente unitaria, realizzando cos
quel ritorno ai Greci che era possibile in quel contesto storico. Kant attua
quindi un'innovazione radicale. E la attua perch era finalmente giun- to il
momento storico in cui era diventato possibile la compiuta ed esplicita dele-
gittimazione pubblica non tanto della pretesa della metafisica a presentarsi
come scienza (come dicono i manuali di storia della filosofia, che non
sospettano mai i moventi politico-sociali che stanno alla base della produzione
pubblica delle idee), quanto della ben pi importante e corposa pretesa della
religione di det- tare normativamente i propri contenuti etico-politici alla
nuova societ civile borghese, ed anzi gi borghese-capitalistica. Le categorie
dell'essere vengono in questo modo definite inconoscibili, e le categorie del
pensiero, a questo punto le sole conoscibili dal soggetto, possono pienamente
identificarsi simbolicamente con le categorie del nuovo essere, e cio non pi
Dio ma la societ borghese- capitalistica. Vi
per ancora da concettualizzare il punto pi importante. Gli anni intorno
al 1780, in cui Kant dietro la delegittimazione delle pretese teoriche della
metafisica di presentarsi come scienza delegittima in realt le pretese
politiche della religione di essere un fattore normativo della vita
politico-sociale, sono anche gli anni in cui la religione cominciava comunque a
non essere pi normativa della vita sociale, in quanto la normativit era passata
alla capacit della produzione capitalistica di assicurare una normativit
alternativa, attraverso nuove merci e nuovi servizi, e soprattutto attraverso
l'apertura di nuovi canali professionali ed imprenditoriali di promozione
sociale. La delegittimazione della metafisica, quindi, arriva proprio quando
non neppure pi socialmente necessario
delegittimarla. Kant una not- tola di
Minerva che si alza al crepuscolo, non
un uccello che annunzia il giorno. Delegittima teoricamente ci che stava
comunque perdendo ogni funzione sociale. E questo il punto che ci introduce al quarto ed ultimo
tema da trattare. La delegittimazione kantiana delle pretese della metafisica a
presentarsi come scienza passava come
noto dalla distinzione fra la facolt dellintelletto (Verstand), lo
strumento in grado di conoscere i fenomeni e quindi di fare vera scienza, e la
facolt della ragione (Vernunft), vista come la facolt delle illusioni
dialettiche (per Kant la dialettica
infatti pura logica dell'apparenza). La totalit per Kant certamente un'idea regolativa del giudizio
riflettente (Urteil), ma non certamente un'idea che potesse realmente
determinare (bestimmen) la conoscenza scientifica della realt. E quindi
bisognava attenersi strettamente alle sicurezze dellintellet- to, e non
lasciarsi andare ai sogni del visionario della ragione dialettica, certo
migliori della vecchia evocazione delle anime dei defunti di Swedenborg, ma in
ultima istanza derivati dalla stessa fonte inaffidabile. Il neokantismo
posteriore, sviluppatosi come consulente sofisticato del positi- vismo
ottocentesco e poi dellanti-marxismo novecentesco, ha involgarito in modo
insopportabile la critica kantiana alla metafisica, facendo di Kant un campione
del- la distruzione della metafisica, ed agendo in questo modo nei confronti di
Kant pi 0 meno come ha agito Croce nei confronti di Hegel e Stalin nei
confronti di 232 Il Kant della critica alla metafisica. Significato ontologico-sociale
della separazione fra categorie dellessere e del pensiero Marx. Kant in realt
si dichiarava un innamorato della metafisica, e voleva sem- plicemente
sostituire la sua proposta metafisica a base pratico-morale alla vecchia
metafisica alla Wolff basata sulla teologia razionale. Kant non lo avrebbe mai
permesso, se avesse potuto saperlo, ma nello stesso tempo questo sviluppo posi-
tivistico-volgare, di cui non fu in alcun modo responsabile, portava comunque a
termine una logica immanente del suo pensiero. E tuttavia, parafrasando la
corretta intuizione storiografica di Martin Heidegger, intorno al 1780 la
metafisica cominciava gi a scendere dal cielo della teologia (0 meglio dalla
onto-teo-logia) per atterrare nell'aeroporto della riproduzione tec- nica del
capitalismo. Tutte le principali categorie metafisiche della onto-teo-logia
precedente, in primo luogo la categoria modale della necessit, si stavano
riformu- lando (in questo caso, dalla necessit del volere divino luteranamente
concepito alla necessit della riproduzione allargata dei rapporti sociali
capitalistici di pro- duzione), e si stavano riformulando in modo secolarizzato
e laicizzato. Kant sta- va allora conducendo lultima guerra contro il
dispotismo feudale-signorile a base onto-teo-logica, proprio mentre si trattava
di condurre la prima guerra del nuovo periodo storico, la guerra contro la
secolarizzazione terrena delle categorie me- tafisiche. Ovviamente, la mia non
intende essere in alcun modo una stroncatura di Kant e del suo pensiero. Chi
scrive non ha perso del tutto il senso delle proporzioni, e sa perfettamente di
essere un nano rispetto al pensiero potente di Kant. Ma qui non si tratta di
dare un voto a Kant, quando di interpretare in modo storico-genetico ed
ontologico-sociale la natura del suo pensiero. E comunque chi scrive ritiene di
essere un nano rispetto a Kant, ma di non esserlo affatto rispetto allorchestra
ne- okantiana odierna, la cui funzione sociale
appunto quella di non rendere possibile la critica alla metafisica
realizzata nellimminenza della produzione capitalistica (basata sull'unione
inscindibile di alienazione e di sfruttamento), e di non render- la possibile
proprio accampando l'argomento per cui la sola critica sensata alla metafisica quella che si fa all'(ormai irrilevante)
aldil trascendente. Sparare su Ratzinger, sui mullah musulmani, sui pope
ortodossi, ecc. (il Dalai Lama e la reli- gione ebraica invece vengono sempre
risparmiati per principio),
indubbiamente molto pi facile che criticare il capitale finanziario, le
transnazionali e le forze ar- mate dell'impero americano. E tuttavia, il
discorso su Kant non ancora finito, e
richieder ancora almeno un capitolo ulteriore di discussione. 233 XXVIII. IL
KANT DELLA FONDAZIONE INDIVIDUALISTICA DELLA MORALE ED IL RIFIUTO DELL'ETICA
COMUNITARIA COME ETERONOMIA La teoria kantiana della morale ampiamente nota, ed ha avuto anche una grande
fortuna allinterno del movimento operaio di ispirazione marxista (pro- fessori
universitari di ispirazione neokantiana nella socialdemocrazia tedesca fra il
1890 e il 1914, ecc.). E tuttavia una sua interpretazione storico-genetica ed
ontologico-sociale pu essere di una certa utilit. Solo attraverso di essa,
infatti, possibile comprendere le
ragioni di fondo del suo indiscutibile successo negli ultimi duecento anni, che
rilever subito per comodit del lettore, anche se sarebbe stato meglio svelare
il loro segreto solo alla fine della mia trattazione. In primo luogo, la morale
kantiana ha avuto successo non tanto nonostante sia inapplicabile, ma proprio
perch del tutto inapplicabile, e questo
svela la sua natura profonda- mente religiosa. Le morali religiose, infatti,
devono essere inapplicabili, in quanto la loro funzione non consiste nel poter
essere applicate, ma al contrario nelloffri- re uno sfondo compensatorio ideale
al modo concreto e quotidiano peccaminoso ed immorale in cui si vive
necessariamente in una societ classista di qualunque tipo (asiatico,
schiavistica, feudale, capitalistica, socialistico-burocratica, ecc.). In secondo
luogo (e questo punto altrettanto
importante del primo), la morale kantiana ha avuto successo perch rompe
decisamente con qualunque posizione comunitaristico-solidale della fondazione
della morale, fondando la morale stessa nella coscienza individuale, e soltanto
in essa. Come noto, questo passaggio
dalla fondazione comunitaristico-solidale della morale alla fondazione
individualistico- coscienziale di essa
stato realizzato da Kant sotto lo schermo della preferenza per la
cosiddetta autonomia rispetto alla cosiddetta eteronomia. Fissiamo dunque bene
i due punti essenziali, quello della impossibilit della sua concreta
applicazione come ragione essenziale del suo successo, quello del passag- gio
dalla fondazione comunitaristico-solidale, definita negativamente in termini di
eteronomia, allo fondazione individualistico-coscienziale (morale
dellintenzione), definita positivamente in termini di autonomia. In questo
modo, la metafisica mo- rale di Kant
diventata a tutti gli effetti una religione laica, ed ha cos pienamente
incorporato il principio di ogni religione, quello di essere ritualizzato la
domenica (o il sabato, o il venerd, poco importa), e di non essere ovviamente
per nulla pra- tica negli altri giorni feriali della settimana. La teoria
morale di Kant si basa sulla distinzione preliminare fra massime ed imperativi.
Le massime sono soggettive, per cui qualcuno ha come massima lan- dare al mare
e qualcun altro l'andare in montagna, c' chi
vegetariano e chi non lo 235 CarrroLo XXVIII , ecc. C' chi di vendica di
ogni offesa che riceve ( l'esempio scelto da Kant), e chi invece ha come
massima il perdonare chi lo ha offeso. Ma per Kant evidentemente impossibile fondare una morale universale
sulle massime soggettive. Ci sono poi gli imperativi, che sono oggettivi in
quanto rivolti a tutti, e che Kant distingue ulteriormente in ipotetici e
categorici. Gli imperativi ipotetici si distinguono a loro volta in regole
dellabilit (se vuoi essere promosso, devi studiare) e consigli della prudenza
(se vuoi avere una vecchiaia sicura, devi risparmiare, se vuoi farti ben
volere, sii cortese e generoso con gli altri). Ma Kant, ovviamente, cos come ha
respinto la morale arbitraria e soggettiva fondata sulle massime, nello stesso
modo respinge la morale utilitaristica fondata sulle regole dellabilit e sui
consigli della prudenza. Non accetta infatti il principio ipotetico del nesso
se ... allora. Il nesso se ... allora non pu dar luogo ad una morale
universalistica, o pi esattamente con pretese universalistiche. Kant d tre
formulazioni distinte e convergenti del suo imperativo categorico: agisci in
modo che la massima della tua volont possa valere sempre, al tempo stesso, come
principio di una legislazione universale; agisci in modo da conside- rare
l'umanit, sia nella tua persona, sia nella persona di ogni altro, sempre an-
che come scopo, e mai come semplice mezzo; agisci in modo che la volont, con la
sua massima, possa considerarsi come universalmente legislatrice rispetto a se
medesima. Le tre formulazioni sono largamente complementari, ma la prima insi-
ste soprattutto sulla legge (oggettiva), mentre la terza insiste invece sulla
volont. (soggettiva). La seconda, invece, appare come una sostanziale
secolarizzazione del vecchio motto evangelico non fare agli altri quello che
non vorresti fosse fatto a te. Per poter mettere in atto un comportamento
stabilmente ispirato allimperativo categorico,
necessario che si possa presupporre la libert del volere umano. Kant sa
bene che la cosiddetta Libert del volere
altrettanto indimostrabile dellesi- stenza di Dio, e non cerca neppure
di farlo, avendo anche escluso questa possibilit nell'esame delle antinomie
dell'idea di mondo nella terza parte della Critica della Ragion Pura. Egli la
definisce quindi curiosamente come un fatto della ragione, luni- co giudizio
sintetico a priori non fenomenico. Kant esclude che la libert sia cono-
scibile, in quanto per conoscerla dovremmo avere un'intuizione intellettiva,
cosa impossibile perch a sua volta la libert non un fenomeno, ma anzi il solo modo di sfuggire alla catena di nessi
causali che caratterizza il mondo dei fenomeni stes- si. evidente che questa concezione filosofica
kantiana di libert interessante, ed meritevole di uno studio particolare.
L'elemento paradossale sta in ci, che non appena la libert come fatto della
ragione che non richiede alcun tipo di dimostrazione logica evocato, immedia- tamente essa viene
identificata con lasservimento volontario. La libert, quindi, coincide con la
servit volontaria. Qui sta la specifica secolarizzazione kantiana del
cristianesimo, perch ci che in Paolo di Tarso era lasservimento volontario di
tutte e tre le classi della societ schiavistica romana all'unico salvatore
(cfr. Lettera ai Corinzi, 7, 20-4), in
Kant lasservimento volontario di tutti i membri unificati 236 Il Kant
della fondazione individualistica della morale ed il rifiuto dell'etica
comunitaria come eteronomia idealmente del genere umano alla Legge Morale. La
legge morale, quindi, la se- colarizzazione
del salvatore cristiano. Ma il salvatore cristiano (almeno in Paolo) era ancora
il portatore di una speranza escatologica di tipo egualitario e di una
soluzione redentrice dei conflitti sociali sanguinosi evocati nella Apocalisse
di Giovanni. Qui invece la realizzazione della legge morale esclude
esplicitamente ogni redenzione meccanica della societ. Ed infatti la libert
astratta a priori come fatto della ragione della filosofia politica liberale
deve escludere in ogni forma la sua concretizzazione egualitaria. Si tratta di
una libert di individui che parte- cipano alla comune societ civile borghese.
La loro formalit a priori ha come a posteriori il mondo del mercato
capitalistico regolato dalle leggi. Per questa ra- gione Kant resta il massimo
filosofo politico liberale, anche se non si
mai speso per una irrilevante classificazione scolastica delle forme di
stato e di governo. I condottieri lasciano questi particolari poco importanti
ai furieri. L'idea secondo la quale la libert del volere umano non abbia
bisogno di es- sere dimostrata, essendo un fatto intuitivo della ragione
(Faktum der Vernunft) non deriva in Kant da una concezione ottimistica
preliminare, in quanto Kant dice apertamente che luomo un legno storto, che non si pu pensare
realisticamen- te di raddrizzare. E tuttavia, legno storto o meno, bisogna
presupporre la libert del volere umano come un fatto intuitivo della ragione.
Non si cerca di sciogliere il nodo gordiano degli innumerevoli argomenti pro o
contro la libert del volere umano, ma li si taglia con l'intuizione immediata
del fatto della ragione. Michel Foucault ha introdotto l'ipotesi che alle
spalle di questa decisione kantiana ci sia stato l"entusiasmo per la
rivoluzione francese del 1789. E nonostante il fatto che la teoria kantiana
della libert del volere come fatto della ragione sia stata enun- ciata prima
dellanno 1789, possibile dire che
nellessenziale Foucault ha ragione, perch l'atmosfera di attesa della
possibilit della rivoluzione precedeva il 1789 nella coscienza della parte
migliore degli intellettuali di quel periodo. Poca gente oggi dichiara che la
libert del volere delluomo un fatto
ovvio ed indiscutibile della ragione, e questo per un insieme di ragioni che
qui sar ne- cessario compendiare. In primo luogo, mentre Kant esprimeva il suo
entusiasmo per la rivoluzione del 1789 (salvo ovviamente esprimere il suo
orrore per lese- cuzione di Luigi XVI e per lestremismo dei giacobini ma questo
un classico del pensiero moderato, che vorrebbe sorvegliare il decorso
rivoluzionario come si sorveglia la bollitura dellacqua per la colazione),
tutta la generazione intellettua- le di oggi al potere negli apparati
giornalistici, editoriali ed universitari, scottata dalla sua riconversione dal
gesticolare sessntottino alla depressione sociologica posteriore, ha trasformato
il 1917 russo in modello demonologico dell'utopia che si trasforma
inevitabilmente in terrore, ed ha ripiegato come male minore nel dominio
imperiale USA sul mondo, che ci difende con le sue armi nucleari contro barbuti
fondamentalisti islamici e contro baffuti dittatori populisti. L'entusiasmo
si dialetticamente rovesciato nel
sorrisino di scherno dellulti- mo uomo nicciano, che sa bene che ormai Dio morto, e per questo appunto tutto diventa
possibile. In secondo luogo, la psicoanalisi di Freud ha interamente 237
CarrroLo XXVII secolarizzato la vecchia teoria luterana della predestinazione
divina, attribuendo la predestinazione dei comportamenti umani che si
vorrebbero soggettivamente liberi alla fatalit dello svolgimento degli stadi
psicologici dell'infanzia e dellado- lescenza, per cui le varie fissazioni di
origine orale ed anale ed i vari complessi di Edipo non risolti rendono del
tutto illusoria lidea che l'adulto possa autodeter- minarsi liberamente nelle
sue scelte consapevoli. Come noto, l'infantilizzazione
che inevitabilmente ne deriva, con i complessi di colpa che accompagnano questa
infantilizzazione generalizzata, rappresenta il principale argomento per la
medi- calizzazione psicologica dell'intera societ, per l'indebolimento del potere
paterno (e come pu pretendere di comandare il padre, se il suo Super-Io il frutto di fissa- zioni sadico-anali, di
regressioni orali e di elaborazioni sublimate dell'odio verso il padre, la
madre, o il cugino Filippo?), e per la totale espropriazione del prestigio
degli insegnanti, sostituiti da ridicole bande invasive di pedagogisti pazzi,
di psi- cologi maniaci, di assistenti sociali soffocanti e di sindacalisti
assatanati. In questa societ medicalizzata, ovviamente, della libert del volere
non ne pi nulla. Il let- tino dello
psicoanalista ha sostituito qualunque progettualit rivoluzionaria. Marx era
certamente figlio di un complesso di Edipo non risolto, e del fatto che voleva
distruggere la societ capitalistica perch ci vedeva in essa l'ombra ingombrante
del padre. In quanto a Lenin, la sua violenza era certamente dovuta ad una sua
fis- sazione sadico-anale. Pi tempo sul vasino, e probabilmente non avremmo
avuto il 1917? In terzo luogo, infine, la teoria di Heidegger sul
perfezionamento anonimo ed impersonale del Dispositivo (Gestell) tecnico del
mondo non certamente soltanto una
sofisticata ipotesi filosofica sul destino della societ occidentale, ma ormai un dato psicologico che si addirittura travasato nelle riviste femminili
del- la donna moderna (Umberto Galimberti). E quando una concezione filosofica
arriva fino alle riviste femminili del ceto medio, insieme a consigli sulle
creme, i profumi, l'arredamento, i viaggi intelligenti ed i consigli erotici,
possiamo pro- prio concluderne che la metafisica si ormai ridotta in tecnica di riproduzione so-
ciale anonima ed impersonale del Kapital-Gestell. In questa situazione
epocalmente nuova nella storia universale dell'umanit non c' pi ovviamente
spazio per il programma dell'Io di superamento del Non-Io (Fichte), per il
programma di Hegel di adeguamento del reale (wirklich) e del razionale, ed
infine per il programma di Marx di superamento sociale consapevole del nesso
alienazione/sfruttamento. L'incrocio fra Popper, Freud e Heidegger ha
certamente dato un colpo (provvi- sorio, comunque) all'intuizione autoevidente
di Kant sulla libert del volere come Faktum der Vernunft. E tuttavia Kant non
ne certamente responsabile, se oggi il
meccanismo culturale universitario-giornalistico-editoriale diffonde lidea che
la libert consista nel riuscire a vincere la concorrenza imprenditoriale
dell'India e della Cina (nonostante il fatto che i nostri lavoratori purtroppo
sono ancora troppo pagati rispetto ai cinesi e agli indiani), ed infine nello
scegliere un luogo per va- | canze intelligenti in cui non incontrare la solita
marmaglia dirottata alle Maldive o a Sharm el-Sheikh. 238 Il Kant della
fondazione individualistica della morale ed il rifiuto dell'etica comunitaria
come eteronomia Vorrei per insistere sul fatto che il grande successo della
morale kantiana ri- siede proprio nel fatto di essere inapplicabile, cos come
il grande successo della religione cristiana, superata limbarazzante fase
estremistica di tipo messianico, consistito
nel rinvio in un innocuo (e francamente incredibile) consesso di suo- natori
darpa assisi sulle nuvolette. Il concetto di dovere (Pflicht) certamente un nome sublime e grande, che per
esige la sottomissione, in quanto presenta semplicemente una legge che penetra
da se sola nell'animo e si procura venerazio- ne. Questa dichiarazione
apodittica stata a suo tempo smontata da
molti pen- satori, da Schopenhauer e Nietzsche, che hanno mostrato come questo
imperativo categorico nascondeva in realt un imperativo ipotetico sottostante,
perch il vero movente psicologico del trattare gli altri come fine e non come
mezzo non poteva che essere la paura della reciprocit, del fatto cio che
essendo gli altri pi forti di noi avrebbero potuto cominciare loro a trattarci
come mezzo e non come fine. Ma questo per me non un argomento contro Kant, in quanto Kant del tutto disin- teressato alla credibilit
pratica di quanto dice. Egli ha infatti voltato talmente le spalle alla phronesis
di Aristotele da non essere pi accessibile a ragionamenti di tipo aristotelico
(o hegelo-marxiano). Il dovere (kathekon, Pflicht), infatti, esiste veramente,
ma pu esistere soltanto come dimensione comunitario-solidale, non certamente
come nome sublime e grande che esige la sottomissione. Il totale disinteresse
di Kant per largomentazione pratica ispirata alla phronesis aristotelica rivelato da un curioso episodio che
generalmente i manuali non ri- portano, ma che
ovviamente noto agli studiosi. Kant riteneva la veridicit, e cio il dire
sempre sinceramene la verit, un presupposto formale a priori dell'agire morale,
in quanto ovviamente se mento non posso pi agire moralmente (su que- sto, le
regole dell'abilit ed i consigli della prudenza del medico portano peraltro il
medico stesso ad agire spesso diversamente). Fu chiesto a Kant come avrebbe
dovuto agire luomo giusto se un fuggiasco inseguito da un feroce assassino
aves- se cercato rifugio nella sua casa e se l'assassino, giunto alla sua
porta, gli avesse chiesto se colui che inseguiva si trovava nella sua casa.
Dalle sei scuole filosofiche greche principali al cristianesimo, da Spinoza
allempirismo inglese fino allo scet- tico Hume, comprendendo tutte le persone
ispirate dal buon senso (che poi Lukcs ha definito in termini di
rispecchiamento quotidiano), chiunque risponderebbe: Non ho mai visto quello
che lei cerca. Anzi, l'ho visto mezz'ora fa che stava scap- pando in quella
direzione (indicando ovviamente la direzione della pi vicina stazione dei
carabinieri). Ma Kant afferma che persino in quel caso non consen- tito mentire, in quanto la formalit
della veridicit come precondizione universale della morale non tollera
eccezioni. E tuttavia, sostiene Kant, posso sempre spera- re che linseguito
riesca a scappare per i tetti (sic!), ed in ogni caso non potrei mai essere
ritenuto penalmente responsabile (!). Mostrare la pedantesca e filistea idiozia
di Kant sarebbe come sparare sulla Croce Rossa. E tuttavia abbiamo qui il cuore
del tentativo titanico di Kant di creare una morale che escluda ogni componente
psicologica e sociale di tipo eteronomo. Egli fa l'esempio del deposito di
denaro che ci stato affidato da un
padrone che 239 CarrroLo XXVIII nel frattempo
morto e non ha lasciato nessun scritto a questo riguardo. Secondo Kant,
soltanto il senso del dovere ci potrebbe spingere a restituire il deposito,
visto che nessuno ne saprebbe mai niente. In realt, ci sarebbero certamente dei
furbac- chioni (o pi probabilmente, dei poveracci) che si terrebbero il
deposito, ma ci sa- rebbe probabilmente anche una (esigua) maggioranza che lo restituirebbe
agli ere- di legittimi, per un insieme differenziato di ragioni psicologiche
(introiezione fin dall'infanzia del senso di colpa, introiezione dei sentimenti
comunitari di giustizia, paura del giudizio di Dio dopo la morte, sentimenti di
simpatia verso gli eredi del lascito, ecc.). Ma sono appunto questi motivi che
Kant vuole escludere. Deve resta- re soltanto il dovere per il dovere, senza
altre componenti. Ora, di fatto nessuno agisce cos, ed (aggiungo io), un bene che nessuno agisca cos. Atomi
insensibili, privi di motivazioni psicologiche, che agiscano solo in base alla
formalit astratta del dovere, formerebbero una societ da incubo. E del resto,
Kant ha teorizzato con maniacale argomentazione teutonica che la
masturbazione una buona alter- nativa
alle noie di una famiglia, che possono distogliere dall'attivit di pensiero.
Attenzione, non ha detto che la masturbazione
un piacere solitario, un frutto della solitudine, oppure che fa
diventare ciechi (minacciosa teoria della mia nonna materna). No, ha detto
che una ragionevole alternativa alle
noie di famiglia. Non intendo affatto accanirmi con Kant. Intendo soltanto
sottolineare con pittoresca insistenza che non solo tutte le morali del mondo
sono eteronome, e non potrebbero essere diversamente, ma che anche bene che siano eteronome, e bene ha
fatto Hegel non solo a distinguere fra la moralit e leticit (distinzione
impossibile in Kant, in quanto tutte le forme di eticit devono necessariamente
essere sciolte e ricomposte in un unico modello formale di moralit categorico-
trascendentale), ma anche a rimettere al loro posto le motivazioni soggettive
del comportamento. C' infatti una fortissima omogeneit fra il modo con cui Kant
aveva ricostruito in modo gnoseologico lintera storia della filosofia precedente
(lo scontro fra razionalisti ed empiristi e la sua soluzione alternativa,
ecc.), ed il modo in cui riscrive la storia dell'etica. Dal momento che il
criterio metodologico di Kant quello di
purificare la for- ma del comportamento isolandone ed in questo modo
eliminandone progressiva- mente le motivazioni materiali, egli distingue nella
sua tavola delle distruzio- ni quattro tipi di motivazioni eteronome, i motivi
soggettivi interni ed esterni, ed i motivo oggettivi interni ed esterni.
Rimandando alla (necessaria) lettura diret- ta di Kant, si ha qui il rifiuto
delle motivazioni in base all'educazione (Montaigne, ma anche Cartesio, che
sostenevano che ci si dovesse conformare agli usi ed ai costumi del proprio
paese), alla costituzione civile (Mandeville nella Favola delle Api, per cui i
fini individuali, soggettivamente cattivi, si trasformano per conto loro in
fini sociali, oggettivamente buoni), al sentimento fisico (Epicuro, che fondava
la sua etica sul sentimento del piacere), al sentimento morale (Hutcheson, ed
il suo sentimento della giustizia e della simpatia insito nella natura umana,
da cui poi anche Hume e Smith), alla perfezione (stoici antichi e Wolff), ed
infine alla volont di Dio (la morale fondata in modo teologico). interessante notare (in quanto in 240 Il Kant
della fondazione individualistica della morale ed il rifiuto dell'etica
comunitaria come eteronomia questi casi le assenze sono ancora pi significative
delle presenze) che in questa tipologia in sei parti manchi del tutto la motivazione
principale che uno si aspette- rebbe, e cio la ricerca dellapprovazione degli
altri membri della comunit. E tut- tavia, questa assenza la chiave interpretativa principale di tutta
questa elaborata tassonomia kantiana. Sospendiamo provvisoriamente queste
considerazioni su Kant e torniamo ad esaminare le origini del processo di
costituzione del pensiero umano (capitolo se- condo). Ricostruendo questo
processo storico-genetico di costituzione (processo storico-genetico che per
definizione assente nell'approccio
formalistico, destori- cizzato e desocializzato di Kant), appare evidente che
non nasce prima la religione, e poi l'etica da cui viene dedotta, ma l'etica e
la religione nascono storicamen- te insieme intrecciate strettamente, in quanto
l'etica si basa sulle regole solidali- comunitarie che permettono la
sopravvivenza fisica del gruppo nelle condizioni naturali date (il che pu
implicare ovviamente in caso di penuria di risorse lab- bandono dei vecchi e
l'eliminazione dei bambini malformati), regole tribali-comu- nitarie in cui
l'individuo cerca naturalmente l'approvazione e la simpatia dei suoi simili, e
la religione assicura simbolicamente la permanenza eterna di queste regole
etiche dandone una garanzia divina. E quindi, anche se storicamente l'etica e
la religione nascono insieme, logica- mente nasce prima l'etica (la funzione
della sopravvivenza comunitario-solidale del gruppo) e poi la religione (la
garanzia simbolica del fondamento divino di queste regole sociali
riproduttive). Quanto dico qui sommariamente
stato di- mostrato da innumerevoli studi etnologici comparati, ed comprensibile a tutti coloro che vogliano
rifletterci sopra (al di fuori, ovviamente, dei sostenitori del ritorno a
Kant). Come si spiega, allora, il fatto che nonostante queste solari evidenze
di tipo comunitario-solidale, storico-genetico ed ontologico-sociale si
continui a predicare l'impossibile ed inapplicabile morale kantiana, e non la si
storicizzi come pro- dotto teorico superato di un'epoca ormai del tutto trascorsa?
L'ho gi detto in precedenza, ma repetita juvant. In primo luogo, lo scopo
segreto di questa formula- zione kantiana della morale non quello di fornire un insieme applicabile di
nor- me etiche, ma al contrario di fornire un ideale asintotico di morale
programmati- camente inapplicabile, che funga da compensazione festiva per lo
scatenamento feriale degli animal spirits dellaccumulazione capitalistica. In
secondo luogo, evidente che luomo
borghese non pu pensarsi ed autorappresentarsi come mem- bro solidale di una
comunit, ma deve pensarsi come individuo sovrano ed originario. Questo
individuo titolare di una assoluta
sovranit politica nella societ civile liberale, da cui sono escluse tutte le
classi pericolose il cui accesso al suffragio universale (cfr. Costituzione
giacobina del 1793, mai entrata in vigore) avrebbe messo sicuramente in
pericolo la propriet privata (siamo infatti in una fase sto- rica precedente
alla economizzazione del conflitto salariale, alla nazionalizzazione
imperialistica e razzistica delle masse ed alla loro integrazione consumistica
nella societ manipolata dello spettacolo mediatico). CaritoLo XXVII Questo
individuo ha diritto alla propriet privata originaria fondata sul suo lavoro
robinsoniamente inteso (Locke), ed agisce in base a costanti antropologi- che
comportamentali della natura umana (Hume). Kant non fa altro che portare a
termine sul piano teorico-astratto il processo di costituzione formalistica del
sog- getto iniziato con Cartesio e la rappresentazione destoricizzata e
desocializzata del suo comportamento. La formalizzazione, tanto amata dai
neokantiani, coincide infatti con la destoricizzazione e con la
desocializzazione, e nello stesso tempo offre un'alternativa individualistica
radicale a qualunque riproposizione dellagi- re comunitario, spacciato per
autoritarismo organicistico eteronomo. Che poi questo neokantismo
individualistico si presenti in vesti di destra o di sinistra, questo irrilevante per ogni severo esame filosofico,
e pu interessare solo i letto- ri di rivistine di gossip politico-parlamentare
(amanti del premier, Sark insieme a Karl, ristoranti gratuiti per parlamentari
mangioni, ed altre perle di ci che a suo tempo Heidegger ha chiamato
chiacchiera, Gerede, curiosit, Neugier, ed equivoco, Zweideutigkeit). E
tuttavia non posso finire in questo modo con Kant. Kant stato ovviamente un pensatore strategico per
la visione borghese del mondo, ma anche
stato un donatore di alcune fra le concezioni pi geniali della storia della
filosofia. La sua teoria estetica, consegnata nella mirabile Critica del
Giudizio, (si sar gi capito che per chi scrive si tratta della migliore fra le
tre Critiche di Kant), resta oggi attualis- sima, e non ne parlo solo perch il
suo contenuto estraneo alla linea
principale delle mie analisi. Ma
soprattutto linterpretazione del giudizio teleologico che merita
un'analisi particolare. Quando scrisse della natura del giudizio teleologico,
Kant non poteva ancora sapere che nel secolo successivo si sarebbe formata una
metafisica teleologica della storia, quella del marxismo. Kant non lo sapeva,
ma noi invece lo sappiamo, ed abbiamo quindi il permesso di rifletterci sopra
spregiu- dicatamente. Spinoza aveva gi rilevato che l'essenza del cerchio sta
nella sua produzione, e cio nella mano che lo disegna. E sulla sua scia Kant
rileva che il cerchio il princi- pio
della soluzione geometrica di una grande quantit di problemi, ma questo non
significa affatto che il cerchio sia lunit finalistica dei problemi che grazie
ad esso vengono risolti. La finalit del fiume Nilo non quella di consentire l'agricoltura agli
antichi egizi, anche se noi possiamo spiegarci perch sulle rive di quel fiume
sono sorti grandi insediamenti umani. La ragione per cui viene prodotto un oro-
logio non sta nella natura meccanica dell'orologio, ma sta al di fuori
dell'orologio stesso, nella finalit per cui lorologiaio lo ha costruito e per
cui i suoi acquirenti lo compreranno. Kant ha ragione. Quando visse, la scienza
che dettava il modello per tutte le altre era la fisica, non la biologia, ed
era evidente che la finalit interna degli orga- nismi naturali non potesse
essere conoscitivamente determinata, ma solo riflessa dal pensiero (giudizio
detto riflettente). Il massimo che si poteva raggiungere era una spiegazione
meccanicistica. E la stessa filosofia della storia di Kant era costitu- ita in
questo modo: nel corso storico possiamo soltanto sperare che si vada verso 242
II Kant della fondazione individualistica della morale ed il rifiuto delletica
comunitaria come eteronomia il meglio, non possiamo pretendere di determinare
con sicurezza che certamente sta andando verso il meglio. Che dire? In breve,
che Kant su questo punto ha perfettamente ragione, ed il successivo marxismo
deterministico e necessitaristico ha avuto invece completamente torto. bene che non lasci dubbi su questo punto,
perch su quasi tutte le questioni fondamentali della filosofia sono un allievo
di Hegel e di Marx ed un avversario di Kant (e gli ultimi due capitoli lo
dimostrano ampiamente). Ma su questo punto la mia opinione invertita: su questo punto Kant ha avuto
ragione, e se qualcuno su questo punto (e solo su questo punto) mi propone un
ritorno a Kant, ebbene, gli andrei volontariamente dietro. E tuttavia, la questione di tale importanza da meritare una
discussione ulteriore. Dovr anticipare cos temi che tratter nei prossimi
capitoli, e tuttavia data la crucialit
della questione sono sicuro di fare cosa
gradita al lettore. Il rifiuto kantiano di determinare il corso storico del
futuro, e di limitarsi di speranze di un giudizio riflettente di tipo
teleologico tratto dalla considerazione della natura, cui Kant non applicava
consapevolmente le categorie del determini- smo fisico e della precisione
matematica, non era soltanto qualcosa di saggio e di razionale da rivendicare
ancora oggi, dopo la consumazione e la smentita delle previsioni scientifiche
del marxismo storico novecentesco e del suo codice ide- ologico staliniano.
Questo rifiuto era comune a quasi tutte le filosofie della storia illuministiche
di quel periodo, inglesi, francesi, tedesche, ecc. E questo non un caso, perch le filosofie settecentesche
della storia ignoravano la nozione positivi- stica di legge scientifica, intesa
come insieme di regolarit accertabili del corso storico che avrebbero permesso
la previsione certa del futuro storico delluma- nit. Certo, esisteva
l'ideologia del progresso, che in precedenza ho interpretato in termini di
necessaria unificazione trascendentale-riflessiva della temporalit ideologica
borghese. Ma questa robustissima ideologia del progresso (che soltan- to
Rousseau ed alcuni pochi altri osarono rifiutare esplicitamente, ben prima di
Walter Benjamin e di Georges Sorel) non si fondava sulla concezione di legge
storica come previsione scientifica del corso storico. Questa concezione
determi- nistico-necessitaristica, adottata da Engels nel suo scritto fondativo
sul passaggio del socialismo dallutopia alla scienza, era assente sia nel
pensiero illuministico che nel posteriore pensiero idealistico. In Fichte c' certamente
una filosofia della storia, ed anzi la sua teoria sulla cosiddetta epoca della
compiuta peccaminosit addirittura
fondante per inten- derne il pensiero. E tuttavia la stessa accusa di Hegel, di
proseguire cio il cattivo infinto indeterminato di Kant, ci mostra
indirettamente quello che comunque ri- sulta dai testi fichtiani, e cio che in
Fichte non c' nessun determinismo e nessun necessitarismo storico. Per Fichte
la storia, come per Kant, continua ad essere il luogo ideale di un giudizio
riflettente, anche se ovviamente sono sempre deter- minabili i passaggi in cui
l'Io (e cio lunit concettuale e metaforizzata dell'intera umanit intesa come
soggettivit attiva e trasformatrice) modifica il Non-Io (e cio l'insieme degli
ostacoli che il mondo del pregiudizio e della corruzione ci met- te
invariabilmente davanti). Il passato
razionalmente ricostruibile, il presente
243 CaprroLo XXVIII logicamente determinabile, ma il futuro resta privo
di qualunque determinazione teleologico-necessitaristica. Si dir che Hegel, con
la sua critica al cattivo infinito indeterminato di Kant e Fichte, ha invece
messo un tassello per la costruzione di una filosofia della storia
necessitaristico-deterministica. Non
cos. In un suo mirabile e dettagliato studio sulla Scienza della Logica
di Hegel, letta in controluce con le concezioni di Engels sulle presunte leggi
dialettiche della natura e della societ, lo studioso svedese Eric Liedman ha
accertato che il concetto di legge dialettica non esiste in Hegel, mentre
invece (ahim) presente nel primo libro
del Capitale di Marx pubblicato nel 1867. Ed il fatto che questo concetto sia
assente nello Hegel del 1812 e sia invece pre- sente nel Marx del 1867 non si
pu spiegare che in un modo, e cio che nel frattem- po era intervenuto il
positivismo (ed anche il darwinismo), che invece si nutriva del concetto di
legge scientifica intesa come previsione certa dell'esito di processi di
temporalit future che ci concepivano come il proseguimento lineare omoge- neo
delle temporalit passate e presenti. Liedman (ma non solo lui) dimostra cos che
Hegel avr magari avuto tutti i difetti del mondo, ma non ha mai difeso una
concezione della filosofia della storia come previsione scientifica del futuro
sulla base estrapolazione logica delle regolarit storiche e sociali del
presente. Il fatto detto in breve - che
Marx si fatto intrappolare dalla
concezione positivistica delle leggi scientifiche, e di l poi sorta l'applicazione ideologica
sviluppata dalla coppia Engels-Kautsky fra il 1875 ed il 1895. Althusser ha
quindi ragione nellauspicare una scienza marxista della strut- tura del modo di
produzione capitalistico depurata dalle tre nozioni ideologiche di Origine,
Soggetto e Fine. Ha invece torto nel credere che il marxismo possa essere
questo, laddove il marxismo realmente esistito al di fuori di alcuni cena- coli
catacombali proprio stato questo e non
poteva che essere questo (e cio una grande narrazione
deterministico-teleologica dell'origine, del soggetto e del fine). E non poteva
che essere questo, ovviamente, per gli scopi funzionali per cui era stato
creato, la rassicurazione metafisica di un soggetto subalterno, e quindi reli-
gioso per sua profonda essenza sociale. Ha anche torto nel rifiutare l'eredit
idea- lista, perch questa eredit idealista non coincide in alcun modo con la
metafisica deterministico-teleologica della grande narrazione dell'origine, del
soggetto e del fine, ma ne anzi a tutti
gli effetti il pi sicuro antidoto teorico e filosofico. In questo modo, cos, la
prima parte di questa ricostruzione ontologico-sociale della storia della
filosofia terminata. Entriamo nella
seconda parte, che non si arrester fino al quarantesimo ed ultimo capitolo. Il
bello per cos dire comincia soltanto adesso 244 XXIX. IL RISTABILIMENTO DELL'ONTOLOGIA
DELL'ESSERE SOCIALE IN FICHTE E LA CONNOTAZIONE DEL PRESENTE COME EPOCA DELLA
COMPIUTA PECCAMINOSIT Nei suoi Dialoghi di Profughi Bertolt Brecht ha scritto
che tutti coloro che man- cano di senso dell'umorismo non potranno mai capire
la dialettica di Hegel. Sono perfettamente d'accordo. Aggiungo per che le prime
lezioni filosofiche di senso dell'umorismo devono iniziare dallo studio della
filosofia di Fichte. In Fichte non abbiamo soltanto il ristabilimento del punto
di vista dellontologia dell'essere sociale dopo la parentesi kantiana, ma anche
un vero e proprio quaderno di esercizi sul rapporto fra senso dell'umorismo e
filosofia teoretica. Prendiamo ad esempio la nota undicesima tesi su Feuerbach
di Marx, che dice: I filosofi hanno soltanto diversamente interpretato il
mondo, ma si tratta ora di trasformarlo. Trascuriamo qui il fatto che in alcuni
ambienti politici la lettura e lo studio erano diffamati come semplice
interpretazione del mondo, mentre per trasformazione di esso si intendeva la
friggitura dei salamini ai festival di partito. Trascuriamo il fatto che
mettere in opposizione linterpretazione e la trasforma- zione qualcosa di demenziale, perch non possibile trasformare nulla se prima non lo
si interpretato, in quanto se lo si
fosse giudicato buono durante linterpre- tazione non bisognerebbe ovviamente
trasformarlo, ma conservarlo. L'elemento irresistibilmente umoristico
dell'intera faccenda sta in ci, che questa undicesima tesi di Marx stata considerata per pi di un secolo come la
fondazione del materiali- smo, e pi esattamente del materialismo della prassi
(opposto allidealismo, evidente- mente considerato come la filosofia della
contemplazione passiva per eccellenza), laddove invece essa non fa che
esprimere in modo sintetico la formula idealistica di Fichte, gi perfettamente
espressa circa cinquanta anni prima (1794). Per Fichte, infatti, i filosofi
precedenti avevano sempre e soltanto interpretato il mondo, sulla base del
presupposto dogmatico dellesistenza preliminare dell'oggetto, laddo- ve si
trattava ora di trasformarlo, sulla base della comprensione che gli oggetti
sociali esterni a noi (nel suo linguaggio, il Non-Io) erano, sono e saranno
anche in futuro prodotti dell'attivit umana, che quindi un'attivit trasformatrice per sua stessa
essenza. La trasformazione nel febbraio 1845 in materialistiche di tesi che
erano state espresse nel 1794 in forma pienamente idealistica ovviamente un pezzo di al- tissimo umorismo
storico, ma anche un esempio di come la
terminologia filosofi- ca, lungi dall'essere una libera creazione idealtipica
(le possibilit del filosofare di Nicola Abbagnano e Norberto Bobbio), sempre dipendente dalla congiuntura storica.
Nel 1794 lattivismo rivoluzionario di tipo giacobino si esprimeva in forma 245
\ CarrroLo XXIX idealistica (non pi soltanto interpretare, ma anche
trasformare), laddove mezzo secolo dopo, nel 1844, lo stesso attivismo
rivoluzionario, che si esprimeva peraltro con gli stessi identici termini (non
pi soltanto interpretare, ma anche trasforma- re), riteneva di stare
rovesciando il vecchio idealismo in nuovo materialismo. Naturalmente chi lo
faceva non era affatto stupido. In cinquanta anni circa (1794- 1844) il termine
idealismo aveva subito una mutazione semantica che era anche e soprattutto una mutazione
sociale, trasformandosi da rivendicazione giacobina- rivoluzionaria (Fichte) in
apologia conservatrice del ruolo della religione e del di- ritto dello stato a
controllare in modo poliziesco la societ civile (destra universita- ria
hegeliana). Per questo dico con Brecht che chi non ha senso dell'umorismo non
pu studiare la filosofia. Gli ismi sono sempre e soltanto maschere, che vengono
indossate volta a volta da sinceri rivoluzionari e da ipocriti piagnoni. La
parola comunismo era sempre la stessa, ma la sua funzione storica nel passaggio
dai compagni di Gramsci ai funzionari delle cooperative dell'Emilia Romagna era
to- talmente cambiata. Passiamo ora ai quattro volumi della Storia della
Filosofia Occidentale di Bertrand Russell, che acquistai su di una bancarella
nel lontano 1966. Ero troppo giovane ed inesperto allora per poter interagire
criticamente con quello che leggevo, e non potevo ancora capire che Bertrand
Russell riscriveva lintera tradizione filosofica occidentale con maniacalit gnoseologica.
Riletta oggi, lopera un pezzo di altis-
simo umorismo inglese, da associare alla Pantera Rosa di Peter Sellers. La
destori- cizzazione e la desocializzazione delle categorie del pensiero in Bertrand Russell addirittura totale. Di
Spinoza si dice che il suo sistema metafisico
del tipo di cui capostipite
Parmenide. Di Hegel interpreta l'identit di reale e razionale in termini di
quella sorta di compiacenza che deriva dal credere che qualunque cosa sia, giusta (sic!). Di Marx dice che la sua economia un prodotto della classica economia
britannica, di cui cambia solo la forza motrice (sic!). In nessun momen- to,
Russell mostra di sospettare che Marx non ha alcuna intenzione di creare unen-
nesima versione di una economia politica di sinistra, ma intende invece
scrivere una critica filosofica globale dell'economia politica. Di Dante egli
dice che pur essendo, come poeta, un grande innovatore, fu come pensatore
alquanto indietro sui suoi tempi. Potrei continuare con questo florilegio, e
soprattutto con le storiel- le esilaranti sulla vita privata dei filosofi
(inimitabile quella in cui Schopenhauer
getta dalle scale una cucitrice, le causa lesioni permanenti, deve mantenerla a
vita con cinque talleri al mese, e quando muore scrive sul suo diario in latino
obit anus, abit onus, la vecchia morta,
il debito saldato, segno di una
conoscenza del latino che oggi perduta),
ma non c' qui lo spazio necessario. E tuttavia la stupidit di Bertrand
Russell una stupidit interamente
sociale, frutto cio della maniacalit anglosassone di poter riscrivere lintera
storia della filosofia sulla base esclusiva degli (irrilevanti) problemi della
teoria della conoscenza. Ma vediamo come il nostro lord giudica Fichte. Qui
devo citarlo, perch in caso contrario il lettore sospettoso e neopositivista
potrebbe pensare che lo stia pren- dendo in giro: L'immediato successore di
Kant, Fichte, abbandon le cose in s, e 246 Ristabilimento dell'ontologia
dell'essere sociale in Fichte. Il presente come epoca della compiuta
peccaminosit port il soggettivismo ad un punto assai prossimo alla pazzia.
Fichte sostiene che l'Io la sola realt
definitiva [sic], e che esiste perch postula se stesso. Il Non-Io, che ha una
realt subordinata, esiste anch'esso solo perch lIo lo postula. Fichte non ha
importanza come filosofo puro, ma per essere stato il fondatore del nazio-
nalismo tedesco. LIo come concetto metafisico fu facilmente confuso con il
Fichte empirico. Poich l'Io era tedesco, ne conseguiva che i tedeschi erano
superiori a tutte le altre nazioni. Di questa sintesi esilarante richiamo
soprattutto lespressione Fichte port il soggettivismo fino ad un punto assai
prossimo alla pazzia. evidente che
Russell non ha neppure capito il significato semantiee del termine Io in
Fichte, e non aven- done capito il significato semantico non pu neppure averne
capito il significato concettuale. Il termine Jo in Fichte non allude
affattovad una autoposizione narci- sistica prossima alla pazzia, ma connota il
concetto unificato dell'intera umanit, pensata come se fosse un solo soggetto
storico e morale ed intesa come attivit sociale e culturale permanente, che non
ha nessun Dio al suo esterno, e quindi si produce da sola tutto il bene e tutto
il male di cui capace. E tuttavia la
pittoresca stupidi- t mostrata da Russell
un fatto sociale, non certamente individuale, in quanto in mille altri
frangenti Russell dimostra di non essere affatto stupido, ma di essere al
contrario spiritoso, colto ed acutissimo. La stupidit che Russell dimostra
rispetto a Fichte quindi una stupidit
integralmente sociale, da cui bisogna partire per poter comprendere cos lintera
logica della storia della filosofia degli ultimi due- cento anni. noto che il rapporto fra il finito e
l'infinito forse la chiave teorica
principale per comprendere lintero idealismo tedesco (del quale secondo mia interpreta- zione - Marx stato il sigillo, e non certo il superatore
materialistico). Hegel scrisse che lidealismo si basava sulla proposizione per
cui il finito era ideale. Dire che il finito era ideale, e quindi ideale
non solo l'infinito contrapposto al
finito (come avrebbe detto Kant, se fosse stato interpellato in proposito),
signifi- cava dire che l'infinito non
ontologicamente e gnoseologicamente contrapposto al finito (e Kant
avrebbe detto in proposito che il finito
conoscibile, mentre lin- finito non
conoscibile ma solo pensabile), ma che l'infinito si determina nel
finito, che ne solo una sua
determinazione (Bestimmung). E tuttavia limitarsi a queste banali precisazioni
gnoseologiche e da manuale scolastico non ci permette di capire l'essenza della
questione. Nicolao Merker, uno dei migliori conoscitori italiani dellidealismo
tedesco, ha rilevato che in Fichte il temine finito una metafora per indicare l'accettazione del
dispotismo feudale esistente, ed il termine infinito una metafora per indicarne il processo di
superamento. Qui sta infat- ti la chiave dell'intera questione, che sfugge
interamente non solo al pittoresco lord Russell, ma anche a tutta la manualeria
dossografica-compilativa. Ed infatti, come in Parmenide il concetto di
essere una metafora per indicare la
stabilit e la permanenza eterna nel tempo della buona legislazione a base
pitagorica, nello stesso tempo in Fichte il finito la metafora dellaccettazione servile del
dispoti- smo feudale, e l'infinito la
metafora del processo del suo superamento rivoluzio- 247 CarrroLo XXIX nario.
In caso contrario, saremo condannati a ripetere la lezioncina gnoseologica
kantiana (peraltro rivolta anch'essa contro le pretese del dispotismo normativo
delle chiese in Germania), secondo cui il finito conoscibile in quanto determina- bile
dallappercezione trascendentale (Ich Denke) attraverso le categorie a loro
volta rese possibili dalla spazio-temporalizzazione materiale delle forme a
priori della sensibilit. Ma questa nobile tiritera gnoseologica di cui non mi sogno affatto di contestare la
funzione sociale anti-feudale che esercit
non ci permette di capire nulla di quanto avvenne allora. Figlio di un
tessitore di nastri sassone, Fichte era, tra i filosofi dellidealismo, lunico
che fosse di estrazione sociale plebea. La miseria della gente povera dei
villaggi feudali ed il quotidiano contatto che il giovane Fichte ebbe con la
male- dizione della servit della gleba, furono esperienze che lasciarono in lui
tracce profonde. Nel 1788 (e quindi un anno prima dello scoppio della
rivoluzione fran- cese) Fichte redige una serie di annotazioni (cfr. Pensieri
casuali di una notte insonne) ispirate ad un illuminismo radicale e
rivoluzionario. In questo scritto si affaccia il progetto di scrivere un libro
che mostri lintera corruzione dei nostri governi e dei nostri costumi. Lungi
dall'essere il prodotto narcisistico di un pazzo (interpretazione di Bertrand
Russell), la Dottrina della Scienza del 1794
la realizzazione, interamente astrattiz- zata e filtrata in un
lingiaggio formalizzato (l'Io, il Non-Io, l'io minuscolo teoretico e pratico,
ecc.) del programma abbozzato sei anni prima nel 1788. Quest'opera si basa
sulla distinzione radicale fra la logica formale e la dottrina della scienza
(Wissenschaftlehre), concetto che come vedremo Fichte trasmise non solo a Hegel
ma anche a Marx (di cui vedremo pi avanti il Triumph der deutschen Wissenschaft
e la scienza im deutschen Sinn annunciata nelle sue lettere). La logica
formale la scienza dell'uso corretto
delle categorie del pensiero, e si basa sulla preventiva separazione
metodologica di principio fra forma e contenuto (n potrebbe esser
diversamente). La dottrina della scienza, invece, che una vera e propria scienza filosofica (mentre
invece la logica formale non lo ) presuppone un rapporto or- ganico
(ontologico, appunto, o se si vuole ontologico-dialettico) fra un soggetto che
progetta, agisce, trasforma e modifica il mondo ed un oggetto naturale e/o so-
ciale che ne viene di conseguenza agito, modificato e trasformato. Fichte, che
si au- todefinisce idealista ma potrebbe
tranquillamente essere anche definito realista o addirittura ndalo! scandalo!)
materialista, definisce la realt in termini di sviluppo dialettico frai posti
in correlazione essenziale dell'Io e del Non-Io, per cui la dialettica stessa
pu esser definita come l'unificazione sintetica dellop- posizione creatasi
attraverso la determinazione reciproca che risulta dal processo stesso. Se si ben compreso questo punto, apparir del tutto
inutile qualunque discorso di separazione fra una dialettica presunta idealista
ed una dialettica presunta materialistica. E cos come l'operazione di addizione
e di sottrazione non si scinde in operazione idealista ed operazione
materialista, nello stesso modo la dialettica
sempre una e solo una. In termini sintetici, l'operazione teorica che fa da tessuto e da
rete alla scienza filosofica, che a differenza della logica formale 248
Ristabilimento dell'ontologia dell'essere sociale in Fichte. Il presente come
epoca della compiuta peccaminosit si basa sulla connessione organica fra forma
e contenuto e fra soggetto ed oggetto. In Marx, come noto, il termine Io ridefinito in termini di soggetto
rivoluziona- rio anti-capitalistico, ed il temine Non-lo ridefinito come unit di alienazione e di
sfruttamento nella produzione capitalistica. Ma la grammatica teorica resta a
tutti gli effetti quella di Fichte, anche se curiosamente (ma non troppo!)
viene chiamata materialistica, in quanto (come vedremo in un capitolo apposito)
la materia far da metafora per la libert, la prassi, lateismo ed il primato
della struttura sulla sovrastruttura. Ma di que i avanti. Come reagisce Kant?
In modo assolutamente p dibile, reagisce con un at- teggiamento di totale e
provocatoria incomprensione. Saverdote del finito (di cui abbiamo fatto in
precedenza la deduzione storica e sociale),
cieco, sordo e muto di fronte ad una logica dialettica dell'infinito
(cui rimandiamo alla sua deduzione storica e sociale). Il 7 agosto 1799 fa
pubblicare una solenne dichiarazione contro la filosofia di Fichte, in modo che
fosse ben chiaro che lui non c'entrava nulla con questultima. Il 1799 anche lanno in cui Fichte viene licenziato
per ateismo dall'universit di Jena, ed
anche lanno in cui lipocrita marpione Schelling accet- ta di prenderne
il posto dopo la cacciata. La presa di distanza di Kant quindi un colpo ulteriore sferrato a chi gi a terra per conto suo, in un contesto in
cui un falso amico, e reale ipocrita-marpione, approfitta per sedersi sulla sua
cattedra, pi veloce della luce. Capiamo ora meglio perch Spinoza, che valeva da
solo duemila Schelling messi uno sopra laltro, aveva rifiutato la servit
universitaria promes- sagli ad Heidelberg. E tuttavia vogliamo credere che Kant
fosse disinteressato nella sua presa di distanza. Dopo aver deplorato che
Fichte non si fosse limitato a fare il ripetitore della sua propria filosofia
critica ed averlo definito come filosofia dell'elemento scolastico, Kant
dichiara: Con la presente dichiaro di considerare la dottrina del- la scienza
di Fichte un sistema del tutto insostenibile. Pura dottrina della scienza infatti n pi n meno che mera logica, la
quale, con i suoi principi, non pu presumere di arrivare fino all'elemento
materiale della conoscenza. Essendo pura logica, essa astrae dal contenuto di
questa, e volerne tirar fuori un oggetto
fatica sprecata, ed unimpresa
alla quale non si era ancora messo nessuno. E se poi la si tenta si costretti, ammesso che sia valida la
filosofia trascendentale, a passare subito oltre di essa, ed a finire nella
metafisica. Questo testo kantiano di
estremo interesse, e commentandolo si capiranno molte cose non solo sul
delicato passaggio storico dal criticismo allidealismo, ma sull'intera
filosofia degli ultimi duecento anni. Nel Dizionario Filosofico UTET di Nicola
Abbagnano, bibbia del neokantismo universitario italiano scritta pi di un
secolo e mezzo dopo questa dichiarazione solenne kantiana, il termine ontolo-
gia non neppure citato, e c' solo un
rimando al termine metafisica, per cui si d per scontato che i due termini si
identificano. Questa assurda identificazione, assurda perch lontologia, lungi
dallidentificarsi con la metafisica, ne
un'alter- nativa radicale (e rimando qui all'ultimo capitolo dedicato a
Lukcs), deriva per linearmente dalla considerazione di Kant, per cui la
dottrina della scienza fichtia- 249 CaprroLo XXIX na non poteva che finire nel
cosiddetto elemento scolastico (Wolff, Tommaso d'Aquino, ecc.). E tuttavia,
qualche altra considerazione sar di qualche utilit. Kant era soggettivamente
convinto di essere in qualche modo il sigillo della filosofia. In questa stessa
dichiarazione contro Fichte termina scrivendo: La filo- sofia critica, per la
sua irresistibile tendenza a soddisfare la ragione dal punto di vista teoretico
come da quello morale-pratico, deve serbare la convinzione che ad essa non si
impone alcun mutamento di vedute, n alcuna correzione, n alcuna ricostruzione
del suo edificio dottrinale. Il sistema della Critica si appoggia ad un
fondamento del tutto sicuro, di solidit indiscutibile, e sar per tutte le
epoche fu- ture indispensabile alla realizzazione dei fini supremi
dell'umanit. difficile essere pi chiari.
Kant era soggettivamente convinto di avere edifi- cato una filosofia
definitiva, e lo dice esplicitamente senza lasciar adito al dubbio. Quando lo
ho definito in precedenza, con una certa malizia, il sigillo finale dei
filosofi dell'islam filosofico borghese, ho certo esagerato un poco, ma mi sono
ba- sato sulle sue stesse dichiarazioni.
curioso che questa accusa di voler chiudere la storia, la filosofia e la
religione, e di concepirsi come il sigillo di tutte e tre, sia sempre rivolta
verso Hegel, ed invece Kant ne sia sempre assolto. Le cose stanno esattamente
all'incontrario. Ma di questo pi tardi. Kant non comprende che la dottrina
della scienza non solo non e non pu
essere mera logica, ma si fonda proprio sul distacco dalla mera logica stessa.
Kant si rivela il vero fondatore del materialismo ottocentesco (intendo la
Storia del Materialismo di Lange del 1866, da cui derivarono poi linearmente
Engels, Lenin, Stalin, ecc.), il quale presupponeva appunto il cosiddetto
elemento materiale del- la conoscenza (cosa in s, Ding an Sich), che poi fece
da presupposto alla cosiddetta teoria del rispecchiamento
(Widerspiegelungstheorie), sulla quale si fond Materialismo ed
Empiriocriticismo di Lenin e tutta la posteriore scolastica del Diamat
sovietico e cinese. Formalmente, il criticismo non ancora materialismo, ma inserito nel
positivismo ottocentesco (Lange, Engels, ecc.), sfocia nel materialismo
dialetti- co, e questo uno dei tanti
paradossi della filosofia che richiede luso del senso dell'umorismo, perch Kant
resta il critico della dialettica come logica dellappa- renza (Herbart,
Trendelenburg, ecc.). Ma se la natura pu essere considerata come oggetto ideale
di rispecchiamento scientifico successivo (Lenin, Geymonat, lo stesso\Lukcs,
ecc.), la societ deve essere bens conosciuta (se non la conoscia- mo, ron
possiamo neppure trasfomerl, ma non pu essere rispecchiata, per- ch impossibile rispecchiare una prassi
trasformatrice. L'Io fichtiano, infatti, non rispecchia il Non-Io, ma lo
trasforma, e solo in questo modo lo conosce. Non pretendo ovviamente di
convincere con queste pacate argomentazioni filosofiche i sostenitori del
neokantismo e/o del materialismo dialettico, sia nella versione ontologica
sovietico-staliniana sia nella versione gnoseologica althusse riana. So bene
per esperienza quarantennale che entrambe le trib sono al di l di qualunque
possibile convincimento, e lo so perch (a differenza di come pensa Habermas) la
stessa argomentazione convincente un
fatto sociale, non un dato | retorico o gnoseologico. Ma torniamo a Kant. 250
Ristabilimento dell'ontologia dell'essere sociale in Fichte. Il presente come
epoca della compiuta peccaminosit In questa dichiarazione Kant confessa di aver
scritto una lettera a Fichte in cui lo sconsigliava di coltivare infruttuose
sottigliezze (apices), ma Fichte gli avrebbe risposto rifiutando cortesemente,
e dichiarando che non avrebbe cessato di inte- ressarsi all'elemento
scolastico. In questa incomprensione ci sta la chiave teorica di tutto il
nostro discorso. Lungi dall'essere un ritorno al cosiddetto elemento
scolastico, la filosofia di Fichte al
contrario il solo modo di congedarsi veramente dallelemento scolastico, inteso
come il fondamento della onto-teo-logia metafisica tradizionale. Il criticismo
di Kant, lungi dall'essere un vero congedo, ne effettua soltanto una
delegittima- zione gnoseologica, delegittimazione che stava peraltro i inutile
negli stessi anni, in cui lo sviluppo capitalistico-*spostava la legittima-
zione dal cielo (della divinit) alla terra (del consumo e dell'apertura di
canali di promozione sociale verticale). Il dualismo kantiano cos di fatto la metafora sofi- sticata di un
arresto della critica al finito, in cui il finito non era che l'accettazione
metaforica del dispotismo feudale, o se si vuole del compromesso del dispotismo
illuminato di Federico Il di Prussia. Ed
curioso che Kant, che mantiene lelemen- to scolastico della cosa in s
(il suo elemento materiale della conoscenza) accusi Fichte proprio della cosa
che Fichte non fa, ed in cui lui invece
impigliato. Kant ha invece ragione nel dire che Fichte si accinto ad una impresa alla qua- le non si
era ancora messo nessuno, anche se il suo approccio formale-gnoseolo- gico non
pu consentirgli di spiegarne le ragioni storico-genetiche ed ontologico-
sociali. Non bisogna pensare che Fichte abbia avuto la pensata geniale di porre
lIo, che a sua volta pone il Non-Io, cos come a suo tempo Talete ha avuto la
pensata geniale di individuare nell'acqua larch di tutte le cose. Se infatti
Fichte ha fatto nel 1794 una operazione teorica alla quale prima non si era
ancora messo nessuno perch lattivit
pratica della classe borghese euro- pea, metaforizzata nel termine lo, fa della
stessa classe borghese idealtipicamente concepita la prima classe sociale della
storia che pu rappresentare la propria stessa prassi senza ricorrere ad una
mediazione trascendente esterna, e cio il volere di Dio. Gli stessi Greci, che
pensavano se stessi e la propria prassi politica (praxis) senza la mediazione
di una divinit trascendente dotata di libri sacri e di appara- ti sacerdotali,
avevano mantenuto comunque lesternit degli dei stessi (Epicuro, ecc.), come
metafora dell'esempio che essi davano ai mortali (ed infatti Epicuro ritenuto erroneamente un ipermaterialista li definisce immortali felici). La borghesia,
in quanto produttrice integrale del proprio mondo sociale, la prima classe che pu veramente pensarsi
simbolicamente come originaria e fon- datrice, e che pu quindi metaforizzare la
propria funzione storica come unit sog- gettiva di un concetto trascendentale-riflessivo
della storia universale (Koselleck). Per questo Fichte pu accingersi a qualcosa
che prima di lui non aveva mai fatto nessuno. E tuttavia Fichte un pensatore borghese, ma non lo certamente nel senso di Hume e di Kant.
Lo nel senso di primo teorico della
coscienza infelice della borghesia stessa.
allora un borghese rivoluzionario, di cui Marx sar un erede 251 CaprroLo
XXIX diretto. Ci sta qui un punto essenziale, di cui bisogna indicare almeno i
passaggi principali. In primo luogo, il processo storico di cui Fichte si sente
parte metaforizza- to nella forma del
ringiovanimento (Verjungen). Lontano da ogni teoria di tipo deterministico e
necessitaristico del corso storico (ricordo ancora che prima del positivismo il
concetto di legge storica non esiste neppure), Fichte si raffigura il corso
dell'umanit in cinque epoche successive. Nella prima epoca, quella dellin-
nocenza del genere umano, la ragione domina attraverso l'istinto. Nella
seconda, la ragione si afferma nelle forme dell'autorit e della coercizione
esterna contro le spontanee tendenze peccaminose degli individui. Nella terza,
che Fichte considera quella in corso durante la sua vita e che battezza epoca
della compiuta peccami- nosit, domina un atteggiamento intellettualistico che
mira solo al vantaggio ed allutilit immediati dell'individuo. Da tale
atteggiamento di egoismo, frutto della critica illuministica alle religioni
positive e dellassolutizzazione nichilistica delle conoscenze scientifiche
separate dagli scopi sociali cui dovrebbero subordinarsi, si sviluppa la
rivolta contro ogni autorit esterna, cos che domina l'anarchia. Nella quarta
epoca, con l'affermarsi progressivo della scienza filosofica razionale, la ve-
rit riconquistata come principio
normativo e valore supremo, e su questa base potr cominciare il reale riscatto
dell'umanit. Nella quinta epoca, infine, l'epoca dell'uomo redento dalla
compiuta peccaminosit, ogni attivit si svolge alla luce della ragione e della
libert, intesa non come arbitrio del volere del singolo, ma come comprensione
di una fondazione comunitaria della societ. Non c' dubbio che la filosofia
della storia di Fichte si iscriva in una visione religiosa, in cui la quinta
epoca non che il ritorno alla prima,
ed perci un rista- bilimento
dell'origine. Si tratta di una visione romantica del ristabilimento dellin-
tero originario decaduto e spezzato, una visione che in quanto tale non
potrebbe resistere alle obiezioni logiche di un Lucio Colletti e di un Louis
Althusser, e che a mio avviso Marx modific radicalmente, togliendole gli
aspetti teleologici. Ma di questo parleremo pi avanti. Per ora basti notare che
Fichte individua con una certa precisione la natura dellepoca in cui oggi
stiamo vivendo, e la individua con un anticipo di due secoli. L'epoca in cui
stiamo vivendo, infatti, caratterizzata
dal rifiuto di ogni scienza filosofica della verit, denunciata come protesi
ideologica di un presunto pensie- ro forte autoritario. Quest'epoca anche l'epoca di una totale anarchia, che
non certamente l'anarchia di Bakunin e
di Kropotkin, ma l'anarchia
dellindividua- ismo esasperato e del mercato capitalistico come unica
normazione automatica esterna dell'agire umano. Quest epoca, infine, l'epoca in cui la critica laica alle
religioni positive e l'assolutizzazione del metodo delle scienze della natura
eretto ad unica razionalit possibile fanno venir meno ogni sensatezza della
vita individuale e comunitaria. Quanto dico potr sembrare un inutile ritorno ad
una visione romantica del- la societ, e tuttavia preferisco (cito Rousseau)
enunciare un paradosso piuttosto che ripetere un pregiudizio. In breve: non
conosco nessuna descrizione filosofica 252 Ristabilimento dellontologia
dell'essere sociale in Fichte. Il presente come epoca della compiuta
peccaminosit approssimata migliore dellepoca in cui stiamo vivendo (2013) della
concezione fichtiana dellepoca della compiuta peccaminosit. E tuttavia, a
differenza dei seguaci di Heidegger per riviste fem c' lidea che per cui
dall'epoca della compiuta peccaminosit si un ringiovanimento (Verjungen)
dellintera societ. evidente c potendosi
marxianamente inventare un soggetto rivoluzionario mo inili, in Fichte u uscire
con Fichte, non UA dini mosse da flussi deleuziano-negriani, generale intellect
informatizzato, contdi- ni poveri organizzati in partiti
marxisti-leninisti-maoisti, ecc.), deve metaforizzare filosoficamente questo
soggetto nella Giovent. Ed infatti dice: La scelta di una filosofia dipende da
quello che si come uomo, perch un
sistema filosofico non un'inerte suppellettile,
che si pu lasciare o prendere a piacere, ma
animato dallo spirito delluomo che lha [...] per essere filosofi bisogna
essere nati tali, essere stati educati tali, e tali educarsi: non c' arte umana
che valga a far diventare filosofi. Ed
per questo che questa scienza si ripromette pochi proseliti fra gli
uomini gi fatti. Se le dato di avere
qualche speranza, essa la ripone nella giovent, la cui conge- nita energia non
si ancora rovinata nella fiacchezza dei
nostri tempi. facile oggi sorridere con
una smorfia cinica di tipo postmoderno sullingenui- t romantica di queste
affermazioni. Oggi si preferisce la saggezza disincantata di Benedetto Croce,
per cui il solo vero problema dei giovani
quello di aspettare di diventare vecchi. L'epoca in cui viviamo l'epoca in cui la giovent, preco- cemente
integrata nell'industria del consumo e del divertimento, e nello stesso tempo
precarizzata e flessibilizzata in modo da non poter mai raggiungere letica
professionale hegeliana (il cui presupposto
la stabilit nel tempo delle professio- ni), spesso meno idealista delle stesse
generazioni pi anziane. Nel nostro caso italiano (2013), essa deve anche
sopportare le lezioni di disincanto come saggezza. E tuttavia queste note sono
inspirate dal passaggio fichtiano dalla terza alla quarta epoca possibile
(possibile, ovviamente, non necessaria), quella del ristabilimento del rispetto
verso la verit prodotta da una scienza filosofica razionale. In secondo luogo,
infine, Fichte stato il primo teorico
moderno del comunitari- smo. Ho molto insistito nei primi capitoli di questa
storia alternativa della filoso- fia occidentale sul fatto incontrovertibile
che la filosofia nata dal comunitarismo,
o pi esattamente nata dalla
problematizzazione dialogica e razionale (/ogos, isegoria) della crisi delle
precedenti forme di convivenza, dissolte dalla dismisura delle ricchezze
private (adikia, apeiron). Con gli sviluppi prima ellenistico-romani e poi
cristiani questa strettissima unione di pensiero filosofico e di comunit solidale
si apparentemente perduta, attraverso il
suo ripiegamento in comunit protette e solidali di amici (Epicuro), la sua fuga
in avanti in una forma di cosmopolitismo ideale di utopia dei dotti
(stoicismo), di asservimento di tutti ad un unico libera- tore divino (Paolo,
Lettera ai Corinzi, 7, 20-4), ed infine della ricostruzione di una chiesa
invisibile di praticanti (Occam). E tuttavia questa radice comunitaria di ogni
vera filosofia non pu che riaffiorare, ed infatti con Fichte riaffiorata. 253 CaprroLo XXIX In una sua
critica al diritto naturale (cfr. Fondamento del diritto naturale, sezione III
paragrafo 9), Fichte scrive che luomo
realmente titolare di diritti soltanto quando vive in comunit con altri,
cos come soltanto in una comunit pu essere pensato. Un diritto originario perci una mera finzione. Non si poteva dire
meglio. Per diritto originario Fichte intende ovviamen- te il diritto
robinsoniano dell'individuo isolato di Locke, ma anche quella vera e propria
unione di solitudini originarie che fa da tessuto al contratto sociale di
Rousseau, da cui proviene la tradizione individualistica della cosiddetta si-
nistra. Per Fichte non sarebbe in alcun modo possibile una indagine sui diritti
come diritti originari, senza badare alle limitazioni rese necessarie dai
diritti degli altri. E ancora: Si pu parlare di diritti soltanto a condizione
che una persona venga pensata come persona, cio come individuo, dunque in
rapporto con altri individui, e che fra questa persona e le altre, anche se non
venisse istituita una so- ciet reale, si concepisca tuttavia una societ
possibile. Concludiamo. Il comunismo inteso nel senso di Karl Marx, concepito a
lungo come esito prefissato necessario di una determinazione teleologica voluta
dalla storia, deve essere concepito oggi (dopo le smentite tragicomiche della
storia re- ale novecentesca) come una societ possibile. Come societ possibile,
essa non pu essere che una comunit. Non potr essere certamente una comunit di
tipo greco, e neppure un ristabilimento religioso di una origine nel frattempo
deca- duta (come la concepiva Fichte sulla base probabile di filosofie della
storia alla Giambattista Vico), ma sar comunque una comunit. La cosiddetta
sinistra, giunta oggi al suo massimo grado di estenuazione, decadenza ed esaurimento,
non potr in alcun modo contribuire idealmente al suo concepimento, perch que-
sta cosiddetta sinistra intrisa di
individualismo anarcoide, ed perci
soltanto una componente dellepoca della compiuta peccaminosit. Certo,
questa una lettura personale di Fichte,
di cui porto ovviamente lintera responsabilit.
possibile che lo fraintenda, ma credo di fraintenderlo meno di Bertrand
Russell (spinse il soggettivismo sino alla pazzia) e di Immanuel Kant (ri- torn
all'elemento scolastico della vecchia metafisica). In ogni caso, si tratta
dellin- vito cortese ad un ennesimo riorientamento gestaltico. 254 XXX. HEGEL E
LA SCOPERTA PROGRESSIVA DELLA FILOSOFIA PRIMA E DELLA SCIENZA FILOSOFICA POI
COME TERRENO DEL RISTABILIMENTO DELLONTOLOGIA DELL'ESSERE SOCIALE Whitehead ha
scritto che tutta la storia della filosofia occidentale pu ridursi ad una serie
di note a margine delle opere di Platone. L'affermazione certo un po esagerata e volutamente
estremistica, ma resta corretta nellessenziale. Platone ha infatti imposto ai
filosofi successivi il tema dellesistenza della verit, ed an- che se questo
tema stato poi declinato in modi diversi
dal suo, e che lo stesso Platone non avrebbe mai neppure potuto immaginare (la
onto-teo-logia cristiana, il razionalismo cartesiano, la dialettica hegeliana,
il progetto marxiano di eman- cipazione dell'umanit, ecc.), resta il fatto che
Platone ha aperto lo spazio fra la verit e l'opinione, e fra il Vero da un lato
ed il Relativo ed il Convenzionale dall'altro. Questo campo di battaglia (il
termine Kampfplatz di Kant), imposto da
Platone quasi duemila e cinquecento anni fa, rester probabilmente per sempre
fino alla trasformazione astronomica del sole in una nova ed il connesso venir
meno della base materiale per il proseguimento della discussione. Nello stesso
modo stato scritto che la storia della
filosofia dopo Hegel pu essere vista come una successione di reazioni diverse
alla sua opera. Ed vera- mente cos.
Bisogna per aggiungere che le menzogne, i fraintendimenti, gli uti- lizzi
ideologici perversi, ed infine l'odio e lantipatia verso Hegel, come pure la
simpatia e l'apprezzamento, sono fatti sociali nel senso di Durkheim, e non
sono certamente semplici oggetti di chiarimento seminariale universitario. quindi ne- cessario, prima di iniziare
l'esame dei fraintendimenti pi pittoreschi e diffusi, cercare di spiegare il
perch del fatto che l'atteggiamento verso Hegel non mai un semplice dato filosofico di opinione
(Meinung), ma un fatto sociale che trova
al di fuori del semplice dato teorico conflittuale la sua spiegazione
storico-genetica ed ontologico-sociale. La stessa cosa, del resto, era gi
avvenuta agli inizi della filoso- fia greca, in cui il ristabilimento
democratico della misura sociale (metron) contro l'ingiustizia (adikia)
derivata dallillimitatezza delle ricchezze (chremata) e del po- tere tirannico
(hybris) non frenato dal potere della ragione (katechein, logos) non stato mai in alcun momento un dato teorico di
convincimento socratico (sokratiks logos), ma
sempre e solo stato un fatto sociale. La stessa cosa, ovviamente, si pu
riscontrare anche nellatteggiamento verso Hegel. E cerchiamo allora di cogliere
subito il cuore sociale della questione-Hegel, al di l della variopinta messe
di discorsi e di interpretazioni. 255 CAPITOLO XXX Fichte aveva chiarito che
l'epoca della compiuta peccaminosit era l'epoca in cui regnava esclusivamente
la corrosione razionalistica di ogni precedente certez- za a base tradizionale
e religiosa, corrosione razionalistica che produceva anarchia sociale e
nichilismo culturale (il tema del nichilismo, e lo stesso termine che lo con-
nota, non nasce affatto con Nietzsche, come molti pensano, ma nasce esattamente
allepoca di Fichte). Fichte sapeva bene che non si poteva certamente restaurare
il tempo definitivamente trascorso dal fondamento religioso-tradizionale della
so- ciet, e bisognava stabilire un nuovo fondamento sociale veritativo in base
al presup- posto che si era ormai entrati in unepoca di gestazione e di
trapasso (lespres- sione come noto
di Hegel). E dal momento che non si poteva regredire da questa terza
epoca alla seconda precedente, chiaro
che bisognava invece avanzare da questa terza epoca verso una quarta. Non siamo
ovviamente qui di fronte ad una filosofia necessitaristico-meccanicistica della
storia, che verr solo ai tempi del positivismo con la nozione (comtiana) di
legge storica, e che era impensabile ed inconcepibile ai tempi di Fichte. Su
questo punto Fichte era un kantiano integrale, riteneva che alla storia si
potesse solo applicare un giudizio di tipo riflettente e non certo determinante
(come nel caso delle scienze naturali), e su questa base ancora kantiana
concepiva il passaggio dalla terza epoca (l'epoca della compiuta pecca-
minosit) alla quarta (l'epoca del ristabilimento di una credibile verot
filosofica come sola base possibile di una nuova comunit). Ricordo quanto ho gi
sostenuto nel capitolo precedente: per Fichte la societ non poteva che essere
una comunit, in quanto il giusnaturalismo a base individualistica con i
cosiddetti diritti innati dell'individuo isolato non era filosoficamente
difendibile, in quanto fin dal principio l'individuo entra in una rete di
rapporti obbligati con i suoi simili. La quarta epoca, che evidentemente Fichte
non pu dimostrare con un giudi- zio determinante, ma solo evocare con un
giudizio riflettente, l'epoca auspica-
bile dellaffermazione della scienza filosofica razionale, in cui la verit riconqui- stata come principio e valore, e su
questa base (e solo su questa base) pu iniziare il riscatto dell'umanit. Pi
avanti chiarir (o pi modestamente cercher di chiarire) che questo rester il
codice filosofico di Karl Marx, anche se ovviamente Marx so- \stituir alla
giovent di Fichte la classe operaia, salariata e proletaria, il lavora- Di
collettivo cooperativo associato, il general intellect, e compagnia cantante,
oltre ovviamente a chiarire il nesso fra alienazione e sfruttamento con la
connessa critica dialettica all'economia politica. Vorrei insistere molto sul
fatto che il codice filosofico fichtiano rester in Marx assolutamente intatto,
a partire ovviamente dallundicesi- ma tesi su Feuerbach del 1845, del tutto
incompatibile con qualunque posteriore teoria del cosiddetto rispecchiamento
(Widerspiegelung). Ma torniamo a noi. Tutte le successive prese di distanza di
Hegel rispetto a Fichte, ivi compresa la sua (a mio parere errata) preferenza
del sistema idealistico | di Schelling rispetto a quello di Fichte, devono
essere subordinate ad un dato di fondo, che qui ripeter per evitare ogni
pittoresco fraintendimento. Hegel si collo- ca allinterno del passaggio
fichtiano dalla terza alla quarta epoca, e cio dellepoca della compiuta
peccaminosit (nel suo linguaggio, del regno animale dello spirito) ; 256 Hegel
e la scoperta della filosofia e della scienza filosofica come terreno del
ristabilimento dellontologia dell'essere sociale allepoca del ristabilimento
della scienza filosofica della verit come solo fonda- mento possibile per una
nuova comunit politico-sociale. Da l nasce storicamente e socialmente lodio e
lantipatia verso Hegel, fenomeni che non possono certamente essere limitati (e
tantomeno aboliti) da educati chia- rimenti universitari di tipo seminariale.
Hegel, infatti, esprime l'esigenza di una sovranit della scienza filosofica della
verit sia nei confronti delle certezze e delle esattezze raggiungibili mediante
la scienza della natura di Galileo e di Newton, sia rispetto alla tradizione
religiosa, sia soprattutto rispetto al mercato capitalistico ed ai suoi
automatismi economici. In questo modo Hegel si mette contro i preti, gli
scienziati di laboratorio e soprattutto i capitalisti, che non possono tutti e
tre (sia pure per motivi diversi diversi
ma convergenti) accettare questa insopportabile sovranit della scienza
filosofica della verit sullincenso delle chiese, sulle provet- te dei
laboratori ed infine sulle quotazioni di borsa, oggi definite il giudizio dei
mercati. In questo consiste il problema-Hegel. Chi non ne comprende la natura,
si per- der inevitabilmente nel chiacchiericcio colto degli argomenti teorici
pro 0 con- tro Hegel. Io imboccher pertanto una strada completamente diversa,
una strada storico-genetica ed ontologico-sociale. La stessa ricostruzione
razionale del profilo filosofico di Hegel, che tenter in questo e nei due
successivi capitoli, deve quindi essere preceduta dallo studio dei
fraintendimenti, dellotie-e dellantipatia verso Hegel, in quanto prima si
studia un fatto sociale, e soltanto dopo si possono pro- ficuamente discutere i
vari passaggi logici della filosofia propriamente detta. I fraintendimenti di
Hegel sono ovviamente molti, in quanto il loro numero in fun- zione della legittima antipatia
sociale che lo stesso Hegel suscita nelle chiese, nei laboratori e soprattutto
nelle borse-valori. Per chiarezza, mi limiter a segnalare solo sette
fraintendimenti fra i molti possibili. L'elenco ovviamente non esausti- vo, ma tuttavia sufficiente a completare la pars
destruens, cui ovviamente dovr seguire una pars costruens. Un primo
fraintendimento tocca la natura del lessico filosofico hegeliano, con- siderato
non solo difficile, ma mistico ed incomprendibile. Contrapposto alla chia-
rezza (indiscutibile) di Kant, il linguaggio di Hegel ritenuto oscuro ed incom- prensibile, ed in
questo modo si incrementa il sospetto che si tratti di una ripropo- sizione
dello gnosticismo segreto del tardo impero romano. Ebbene, le cose stanno
esattamente al contrario. Il linguaggio di Hegel uno dei pi semplici e chiari di tutta la
storia della filosofia, se si ammette per che una scienza filosofica deve
dotarsi di un proprio lessico concettuale specifico, che bisogna imparare come
bi- sogna imparare d'altronde un lessico fisico, chimico e biologico, fatto di
cui nessu- no si lamenta ma che tutti trovano ovvio. Ma evidente che chi intende la filosofia come un
libero opinare incontrollato a ruota libera, in cui regna il relativismo ni-
chilistico assoluto dei punti di vista, non potr che avere antipatia verso un
les- sico come quello di Hegel. A suo tempo Lukcs, che ha dedicato decenni di
studi al pensiero di Hegel, ha definito il suo pensiero gnoseologia
democratica, perch Hegel lo aveva concepito come accessibile potenzialmente a
tutti, in un momento 257 CarrtoLO XXX storico in cui ampollosi cretini (fra cui
come sempre si distingueva il confusionario Schelling) sostenevano che solo il
genio poteva intuire lunit mistica fra la Natura e lo Spirito. Lukdcs fa notare
giustamente che Hegel si sempre opposto
alla vuota profondit di questa gnoseologia aristocratica basata sullineffabile
intuizione del Genio, solo possibile portatore della comprensione del mondo. Il
lessico di Hegel certamente di difficile
comprensione, richiede studio e concen- trazione, ecc., ma programmaticamente alla portata di tutti
coloro che decidono di applicarvisi. La scienza filosofica di Hegel cos potenzialmente (dynamei on) alla portata
di tutti, e questo non un caso, perch
deriva dal ripensamento auto- nomo fatto da Hegel nei confronti del pensiero di
Platone e di Aristotele. Da un lato, infatti, Hegel riprende il progetto di
Platone, per cui la sola possibile fonda- zione filosofica razionale di una
comunit consiste in una scienza filosofica della verit e del bene, in particolare
in una situazione storica in cui le vecchie fondazio- ni religioso-comunitarie
tradizionali sono entrate in crisi irreversibile (dato storico che accomuna la
situazione del 390 avanti Cristo in Grecia e del 1810 dopo Cristo in Europa).
Dall'altro, Hegel accetta pienamente le critiche fatte da Aristotele a Platone,
sul fatto che non opportuno proporre che
la societ venga diretta da una casta sociale separata di governanti che
praticano il comunismo di gruppo e la selezione genetica dei candidati al
matrimonio. Il progetto di Platone, quindi, viene da un lato giustificato nella
sua intenzione (il fondamento della comunit sociale su di una scienza
filosofica della verit e del bene), ma viene anche consi- derato frutto di una
operazione di intelletto astratto (Verstand), evidente peraltro nel disegno
della sua Repubblica. Trascurando di denunciare l'ipotesi dilettantisti- ca
secondo la quale Hegel avrebbe ereditato lidea di societ chiusa e perfetta di
Platone (Popper e popperiani, ecc.), laddove in realt esattamente l'opposto, ri- sulta che Hegel ha
invece pienamente recepito l'insegnamento di Spinoza, per cui ormai nei tempi
moderni saggi e non-saggi sono "condannati a vivere insieme, e non possono
pi essere separati in modo platonico. Tutti, saggi e non-saggi, possono
potenzialmente (dynamei on) impadronirsi di un lessico filosofico unitario
democratico, per complicato e tecnico che sia, a differenza di come sostengono
gli sciocchi pomposi che riservano al cosiddetto genio la comprensione
ineffabi- le del mondo. Un secondo fraintendimento fondato sull'idea che Hegel pensasse di aver
ca- pito tutto, e di essere in questo modo diventato Dio. Il tema francamente demen- ziale, e nello stesso
tempo il fatto che questa percezione sia stata tanto diffusa ai suoi tempi ci
impone la sua presa in considerazione. Persino un simpatizzante di Hegel come
il poeta Heine ha scritto: Ero giovane e fiero, e colpiva il mio orgoglio
limparare da Hegel che non esisteva il buon Dio che sta nei cieli, come lo
crede- va mia nonna, ma ero invece io stesso il buon Dio che sta sulla terra. E
tuttavia l'accusa a Hegel di credersi l'equivalente di Dio in terra trova in
Schopenhauer, e soprattutto in Kierkegaard, accenti di vero e proprio odio
scatenato. | Per Schopenhauer Hegel un
accademico mercenario, un corrotto che fa l'elogio dello stato prussiano
unicamente perch ne mangia il pane. Hegel
um; 258 Hegel e la scoperta della filosofia e della scienza filosofica
come terreno del ristabilimento dellontologia dell'essere sociale ciarlatano
pesante e stucchevole, che si esprime nel gergo pi ripugnante ed insieme insensato,
che ricorda il delirio dei pazzi. un
sicario, il sicario della verit che rende la filosofia serva dello stato e
colpisce al cuore la libert di pen- siero. Per Hegel, il caposezione e luomo
erano una sola ed unica cosa. Hegel
luomo della verit remunerata. Kierkegaard, per cos dire, va gi ancora pi
duro. Il sistema hegeliano avreb- be un fondamento ridicolo, dimenticandosi
dellesistenza del Singolo, ed in que- sto modo uno sgraziato professorino
pretenderebbe di aver scoperto la necessit di ogni cosa, guardando le cose con
gli occhi di Dio. E conclude Kierkegaard: Gli dei dell'Olimpo si sono
certamente abbandonati a scoppi di risa. Ho evitato di riportare altri volgari
insulti di Schopenhauer e di Kierkegaard, perch dico subito di trovarli del
tutto legittimi. Mi spiego. Sia Schopenhauer che Kierkegaard capiscono
perfettamente che Hegel intende trattare la storia come un oggetto razionale
della conoscenza umana, ed appunto per questo sono tanto fu- riosi. Nel loro
ridurre la filosofia di Hegel al semplice fatto di essere pagato dallo stato
prussiano i due critici preannunciano la marmaglia urlante delle sezioni del
comunismo storico novecentesco che di fronte a qualsiasi tipo di critica
politica 0 filosofica si alzava in piedi rossa di indignazione gridando: Chi vi
paga? Chi vi paga?, come se qualunque tipo di critica non potesse che essere
interpretata che come il corrispettivo di un pagamento corruttivo da parte di
non meglio identifi- cati capitalisti.
del tutto evidente inoltre che Hegel non sosteneva la deduzione della
neces- sit di ogni cosa, avendo scritto invece che bisogna che anche il casuale
sia ne- cessario. Ed curiosa lidea che
lo stato etico di Hegel fosse unideologia di fun- zionari statali, laddove
Hegel si limitava a constatare l'evidenza per cui esistono due tipi di etica,
l'etica familiare e l'etica professionale, ed entrambe non possono essere
dedotte e derivate dalla semplice morale categorica kantiana. Ma qui i due
critici di Hegel anticipano la buffa idea diffusa oggi dai nemici di Hegel, per
cui lo stato etico sarebbe uno stato poliziesco che manda la polizia dei
costumi ad imporre i mutandoni alle signore in bikini sulla spiaggia ed a fare
irruzione nei lo- cali per gay. Ovviamente non
cos. Un simile stato non sarebbe affatto uno stato etico, ma uno stato
morale, ed anzi uno stato moralistico. E tuttavia, come ho detto, il
fraintendimento di Hegel un fatto
sociale, e non certamente un equivoco scioglibile con un opportuno seminario
universitario. Considero del tutto legittime ed opportune le sfuriate di
Schopenhauer e di Kierkegaard, e mi congratulo anzi con loro per aver avuto il
coraggio del turpi- loquio. Chi ritiene che la storia umana non abbia nessun
senso, non possa essere pensata concettualmente con un concetto unitario di
tipo trascendentale riflessivo, e sia soltanto o un veleggiare verso la morte
(Schopenhauer) o il teatro tragico di scelte alternative (1Aut Aut
kierkegaardiano), ha tutte le ragioni per sputare su Hegel, anche se avrebbe
potuto avere la generosit di pensare che Hegel sosteneva tutte queste cose
gratis, ma se pensa qualcosa lo pu fare soltanto perch qualcuno lo paga.
Definirei questo atteggiamento un nichilismo morale a base sociologico- 259
CarrroLo XXX economica, ed anche un aspetto permanente della subalternit e
della bestialit umana. Un terzo fraintendimento, ben pi socialmente grave dei
due precedenti, quel- lo che fa
diventare Hegel il fondatore ed il papa dello storicismo. Per storicismo,
evidentemente, non intendo il suo irrilevante significato universitario, che
riguar- da il ben poco rilevante problema metodologico (metodologia=scienza per
nullate- nenti) se il metodo delle scienze della natura sia eguale o diverso
dal metodo delle scienze storiche e sociali ( infatti chiaro come la luce del
sole che diverso!), ma intendo la nota
posizione ideologica a base nichilistica per cui il successo storico lunico indice del vero e del falso, del
giusto e dellingiusto, dal momento che Dio non esiste, Platone aveva torto nel
pensare che esistesse un'idea iperuranica del Bene, ed in quanto al buon Kant
ha magari ragione in teoria, ma in pratica
del tutto inapplicabile. Hegel sarebbe dunque stato il fondatore dello
storicismo inteso in questo senso, ed
infatti in questo modo che il dilettante anglofono Bertrand Russell ed i
trinariciuti militanti del defunto comunismo storico novecentesco (chi vi paga?
Chi vi paga?) lo hanno sempre concepito. Si d il caso, per, che si tratti
soltanto di un pittoresco equivoco. del
tutto evidente che il successo o l'insuccesso storico non possono essere indici
del bene e del male, e solo un cinico cretino pu veramente pensarlo. Non certo
Hegel, che riteneva che la filosofia avesse come oggetto ci che , ed eter- namente, e con questo avesse fin troppo
da fare. In proposito, Hitler non ha cer- tamente perso perch avesse torto
(trascuro qui la lunga elencazione delle ragioni storico-morali per cui aveva
torto), ma ha perso unicamente perch disponeva di petrolio e acciaio in misura
minore dei suoi vincitori. L'Italia non
certamente entrata in guerra nel 1940 con motivazioni morali peggiori
che nel 1915, ma ha semplicemente perso perch si scelta lalleato pi debole anzich quello pi
forte. La bomba di Hiroshima non stata
certamente eticamente migliore del lager di Auschwitz, ma avendo vinto la
guerra gli USA hanno potuto anche riscriverne le motivazioni morali,
diffondendo la leggenda della assoluta incomparabilit di Auschwitz con
qualsivoglia altro evento storico, fola che non resisterebbe a cinque minuti di
argomentazione razionale di tipo comparativo. E potremmo continuare, ma il
succo del discorso chiaro: il criterio
storicistico del successo un criterio
nichilistico abbietto, che distrugge ogni possibilit di considerazione
ontologica della differenza fra il Bene ed il Male. Hegel non pu essere stato
tanto stupido dal sostenere un simile principio per cinici deficienti. Ed
infatti non lo ha mai sostenuto. Hegel non ha sostenuto che la storia il criterio del bene e del male, e tantomeno
che il successo storico il solo criterio
del bene e del male. Hegel ha sostenuto che la storia il terreno moderno in cui siamo costretti a
cercare le tracce del bene e del male. La verit non la storia, ma
qualcosa che deve essere cercata allinterno della storia umana, non
fuori di essa. Se questa mia interpretazione di Hegel giusta (ma mi rendo perfettamente colpo che
pu essere filologicamente contestata, anche se penso che pu essere contestata
soltanto decontestualizzando citazioni staccate dallo spirito generale 260
Hegel e la scoperta della filosofia e della scienza filosofica come terreno del
ristabilimento dellontologia dell'essere sociale della filosofia hegeliana), ne
risulta che Hegel non stato il papa del
cosiddetto giustificazionismo storico, e che quest'ultimo stato soltanto un'abbietta ricadu- ta
ideologica novecentesca. Si tratta, tra laltro, dell'accusa di Herbert Marcuse
al cosiddetto neo-hegelismo di destra del Novecento, accusa che non solo condivido
pienamente ma che vorrei anche estendere al non meno abbietto hegelismo di sinistra,
anch'esso sciaguratamente intriso di giustificazionismo storico. Un quarto
fraintendimento consiste nel ritenere che Hegel abbia proclamato la fine
definitiva nel suo pensiero sia della filosofia sia della storia. In poche
parole, Hegel avrebbe decretato che il trentennio 1800-1830 sarebbe stato
l'esito definitivo sia della storia propriamente storica (cio non tanto gli
eventi fattuali, quanto il loro significato ultimo in termini di filosofia
universalistica della storia delluma- nit), sia della storia della filosofia e
della religione (nonch dell arte). Nonostante questa tesi abbia avuto difensori
illustri (Kojve, ecc.), a me sembra del tutto inso- stenibile, non soltanto per
la sua pittoresca idiozia intuitiva, ma anche per ragioni filologiche ed
ermeneutiche. Hegel riteneva che la filosofia fosse come luccello di Minerva
che sia alza al crepuscolo, e che comunque la filosofia fosse soltanto il
proprio tempo appreso nel pensiero. E che la filosofia non potesse in ogni caso
andare oltre al proprio tempo storico era un principio che Hegel applicava
anche e soprattutto a se stesso. Non era un genio che pensasse di essere al di
l ed al di sopra dei comuni mortali, come pensava il pomposo confusionario
Schelling. Pensava che quanto potesse dirsi nel trentennio 1800-1830 non
potesse essere la stessa cosa che avrebbe potuto essere detta nel trentennio
1900-1930, o nel trenten- nio 2000-2030. Attribuire a Hegel questa sciocchezza
non pu che derivare da un pregiudizio sociale di antipatia verso Hegel. In un suo
ottimo studio sul concetto di fine della storia Perry Anderson ne rintraccia le
radici nel francese Cournot, nel positivismo posteriore e nellutopia di origine
positivistica sulla scoperta del metodo scientifico definitivo per amministrare
scientificamente lintera ripro- duzione sociale. Questa concezione, che sta
alla base del cosiddetto comunismo scientifico di tipo sovietico (altro che
Hegel e Marx!), sarebbe stata definita da Hegel un delirio dell'intelletto
astratto, che immagina di fermare il corso storico del mondo con la scoperta
definitiva di marchingegni amministrativi a base ma- tematica. Lo studio di
Perry Anderson poco conosciuto, ma anche decisivo per chiunque voglia togliersi
dalla testa che lidea di amministrazione scientifica defi- nitiva della
riproduzione sociale derivi da Hegel, laddove
in realt esattamente il contrario. La totalit dialettica della societ
non pu per sua natura essere sotto- posta ad una amministrazione definitiva.
Non a caso, l'idea di fine della storia
oggi diffusa presso gli stessi ambienti ipercapitalistici che
antipatizzano per Hegel. Il quinto fraintendimento ancora pi interessante del precedente. Si
tratta della concezione hegeliana dell'intelletto scientifico (Verstand) e
delle sue specifi- che capacit conoscitive. In proposito, esiste una curiosa
convergenza fra le scuole neopositivistiche (Carnap, ecc.) e le scuole marxiste
anti-hegeliane (Della Volpe, Althusser, Colletti, ecc.) per accusare Hegel di
irrazionalismo, ostilit verso la scienza moderna, ecc. Ho detto in precedenza
che le ragioni di questa ostilit sono 261 CarrroLo XXX sociali, e non possono
essere contestate in modo dialogico-razionale. E tuttavia an- ticiper subito
quattro ordini di ragionamento. In primo luogo, con il termine scienza (Wissenschaft)
Hegel non intende la stessa cosa che si dice in francese ed inglese science
(pronunciata nel primo caso sians e nel secondo caso saiens), ma intende
scienza filosofica della totalit dellin- tero e delle sue connessioni
dialettiche. Come dir pi avanti, questa
esattamen- te la stessa concezione di scienza di Marx, e cio scienza
filosofica critica della dinamica delle contraddizioni del modo di produzione
capitalistico allinterno di una filosofia della storia universale intesa come
concetto unitario trascendentale- riflessivo e ispirata dall'idea guida
dell'emancipazione umana dalle alienazioni storiche (in linguaggio fichtiano,
il Non-Io). Il pensare che esista una scienza filo- sofica della verit
dell'intero corrisponde esattamente al passaggio fichtiano dalla terza epoca
della compiuta peccaminosit alla quarta epoca del recupero di un concetto
normativo-sociale di verit. Si pu ovviamente rifiutare integralmente questa
concezione di scienza intesa come scienza filosofica della verit dell'intero
razionalmente ricostruibile con il metodo dialettico (per quanto mi riguarda,
lac- cetto con entusiasmo e gratitudine), ma non fingere di non sapere di che
cosa si tratta. allora pi onesto dire:
Non credo che esista qualcosa come una scienza filosofica dell'intero. Se
esiste inconoscibile. E se conoscibile
incomunicabile (ripropongo qui la nota mossa scettica di Protagora, gi
criticata dal Socrate plato- nico), anzich incominciare a suonare il solito
organetto: Hegel irrazionale, odia la
scienza moderna, un mistico romantico,
ecc.. Almeno ci si potrebbe capire. Da una parte avremmo gli allievi (critici,
ovviamente) di Hegel e di Marx. Dall'altra, gli eterni scettici empiristi
allievi di Protagora e di Gorgia in vesti moderne, o meglio postmoderne. In
secondo luogo, non si pu chiedere a Hegel di accettare il significato kantia-
no di intelletto (Verstand). curiosa
questa pretesa che Hegel diventi neo-kantiano per poter essere accettabile, e
questo dimostra indirettamente quanta arroganza e quanta sicumera ci stia
dietro questa richiesta. Kant aveva avuto tutte le sue buone ragioni per
esaltare la capacit conoscitiva dell'intelletto (Verstand), perch a Kant
interessava delegittimare le pretese conoscitive (e di riflesso politico-normative)
della metafisica del trascendente onto-teo-logico, ed era quindi del tutto
logico che individuasse nella spazio-temporalizzazione terrestre dei fenomeni
il limite della conoscenza. Come ho gi detto in un capitolo precedente, i
limiti della cono- scenza metafisica sono semplicemente la metafora dei limiti
che il nuovo mondo borghese pone alle pretese feudali-signorili di continuare a
dominare spiritual- mente la nuova societ. Ma Hegel non si pone questo
problema, considerandolo (a ragione) come ormai sorpassato nella nuova epoca di
transizione e di trapasso. Molto prima di Heidegger, e con ben maggiore
articolazione storica e dialettica, Hegel sa bene che ormai la metafisica non
sta pi in cielo, ma calata sulla terra
della storia e della societ, e che
quindi impossibile essere un popolo civile sen- za metafisica (accusa
che fa all'Inghilterra empirista ed economicista). La ragione hegeliana
(Vernunft) allora semplicemente la
facolt che studia la secolarizza- 262 Hegel e la scoperta della filosofia e
della scienza filosofica come terreno del ristabilimento dellontologia
dell'essere sociale zione storica della metafisica nel suo essere ormai
incorporata in forze terrene, storiche e sociali. Per questo studio la semplice
facolt fenomenica dell'intelletto kantiano (Verstand) insufficiente, perch Hegel, un buon secolo
prima di Husserl, sa perfettamente che questa facolt si fonda sullastrazione
della quantificazione matematica della natura, e non quindi adatta alla valutazione complessiva di
una societ. Si vuole forse pretendere che i metodi di ricerca della signora
Rita Levi Montalcini nei suoi laboratori di chimica e di biologia siano gli
stessi metodi che si possono impiegare per la valutazione complessiva della
societ capitalistica? Nessuno lo potrebbe onestamente pretendere, e chi lo
proponesse uscirebbe scon- fitto in qualunque dibattito a ci dedicato. Eppure
la volgarit verso Hegel (che lo ripeto
senza stancarmi - un fenomeno sociale non aggredibile con argomen- tazioni
filosofiche razionali) non si ferma certamente davanti a questo. Egli deve
restare un nemico della scienza moderna. In terzo luogo, Hegel sa bene che
l'intelletto (Verstand) lo strumento
conosci- tivo per eccellenza, ed uno
strumento insostituibile, delle moderne scienze della natura derivate dalla
rivoluzione scientifica seicentesca di Galileo e di Newton. Come ho detto,
Hegel non deve certamente aspettare la critica di Husserl per es- serne
perfettamente consapevole. Certo, egli vive nel contesto della critica roman-
tica tedesca al meccanicismo deterministico della scienza anglo-francese
(Goethe, ecc.), e quindi non pu essere del tutto estraneo a questo clima
organicistico, anche se non scende mai al livello delle sciocchezze di uno
Schelling. E tuttavia, ancora oggi vi sono tendenze culturali e scientifiche (Bateson,
il tao della fisica di Capra, la terra intesa come gaia, e cio come organismo
vivente, ecc.) che critica- no con strumenti aggiornati il punto di vista
meccanicistico. Al tempo di Hegel, certamente, non erano ancora visibili i
fenomeni di distruzione ecologica dellam- biente. La mia opinione in
proposito non voglio lasciare dubbi al
riguardo - che la scienza in quanto tale
non affatto responsabile dei disastri
ambientali, ma il solo responsabile la
dinamica smisurata dellaccumulazione capitalisti- ca. Chi accusa la scienza in
quanto tale (heideggerismo da giornali femminili alla Galimberti, pubblicit per
agriturismi e fette biscottate, ecc.) non pu in al- cun modo rifarsi
decentemente a Hegel, che avrebbe sorriso di fronte alla accuse alla scienza in
quanto tale di fare disastri sociali. Hiroshima non frutto della scienza, ma dei criminali
storici e sociali che l'hanno provocata. Hegel
sempre prima di ogni altra cosa il filosofo delle avventure
dellautocoscienza umana, ed il termine autocoscienza (Selbstbewusstsein)
significa etimologicamente essere con- sapevoli di quanto si sta facendo. Le
bombe non sono mai consapevoli, in quanto solo gli uomini che le gettano lo sono
(o pi esattamente, non lo sono). Se qualcuno decide di essere contro la scienza
in generale, salvo poi a ricorrere ad essa in caso di malattia o di spostamenti
rapidi da Parigi a New York, lo sia pure, ma non faccia riferimento a Hegel per
legittimare filosoficamente questa sua posizione. Hegel aveva un grande
rispetto per l'intelletto scientifico (Verstand) e le sue conquiste.
Semplicemente pensava (e chi potrebbe seriamente dargli torto?) che non si
trattava di una facolt ad un tempo conoscitiva e valutativa della realt
(Vernunft), ma di 263 CarrroLo XXX una facolt puramente conoscitiva e non
valutativa. O qualcuno pensa veramente che dopo un'operazione di
disantropomorfizzazione scientifica della realt (il la- boratorio chimico e
biologico della signora Levi Montalcini) si possa fare a meno di una sua
riantropomorfizzazione valutativa in termini di giudizio di Bene e di Male
sulla societ in cui viviamo? Forse anche i seguaci di Carnap, Colletti ed
Althusser non giudicano anche loro il mondo in cui vivono con modalit
antropomorfizzan- ti? Sono forse dei robot per potere evitare di farlo? In
quarto luogo, infine, Hegel produce effettivamente una critica dell'intelletto
astratto, ma non nel senso di intelletto applicato alla ricerca fisica, chimica
o bio- logica, quanto nel senso di intelletto applicato alla valutazione
dell'intero sociale dinamico in cui viviamo. Come vedremo analiticamente in un
successivo capitolo dedicato specificatamente a questo cruciale problema, egli
considera intellettua- listiche, e perci sbagliate e fuorvianti, le tre
posizioni apparentemente oppo- ste, ma anche segretamente solidali, del
tradizionalismo nostalgico (Metternich, i vecchi ceti, la cultura della
Restaurazione), della fondazione individualistica dell'economia politica
inglese (utilitarismo, Hume, Bentham, Smith, Ricardo, ecc.), ed infine del rivoluzionarismo
russoviano e giacobino del contratto sociale im- mediato (Rousseau,
Robespierre, rovesciamento dialettico della virt in terrore, ecc.). Su questo
punto la critica di Hegel alle pretese di applicazione dell'intelletto astratto
alla societ resta nellessenziale esatta, e si pu anzi dire che, lungi dalles-
sere esaurita, deve ancora in buona parte essere utilizzata. Ma su questo
punto, appunto, ritorner pi avanti in modo analitico. Il quinto
fraintendimento, di tutti il pi comico, irritante e grottesco (si tratta del
fraintendimento dei dilettanti volenterosi Bertrand Russell e Karl
Popper), quello secondo cui Hegel
avrebbe affermato che tutto quanto
reale, in quanto avviene realmente, sarebbe anche razionale. A questo
punto, qualunque persona dotata di sensibilit filosofica, alzerebbe la manina
per dire che non si pu conside- rare razionale Hiroshima o Auschwitz per il
fatto di essere realmente avvenute. Questa persona, ovviamente, avrebbe
completamente ragione. Per il fatto di essere realmente avvenute, non per
questo Hiroshima ed Auschwitz sarebbero razionali. Ed infatti Hegel non ha mai
pensato qualcosa di simile. Come ha accertato Herbert Marcuse nel suo libro in
lingua inglese del 1941 intitolato Ragione e Rivoluzione (ma come risulta comunque
da una lettura contestualizzata delle stesse opere di Hegel, anche senza
bisogno della mediazione interpretativa di Marcuse), Hegel per rea- le
(wirklich) non intendeva l'insieme di tutti gli eventi fattualmente avvenuti,
ma soltanto ci che portato al proprio
concetto (Begriff), e questo risulta dalla sua Scienza della Logica, che anch'essa un vero e proprio romanzo di
formazione (Bildungsroman), che ha come portatore non il percorso della
coscienza storica ver- so lautocoscienza (cfr. Fenomenologia dello Spirito), ma
il passaggio dialettico dalla categoria pi vuota ed astratta (l'essere, Sein)
alla categoria pi piena e concreta (il concetto, Begriff). Se ci si mette in
questa ottica, lunica filologicamente possibile trattandosi di Hegel, di cui
non si pu fingere che non abbia scritto la Scienza della Logica, ci si accorger
che per Hegel reale e razionale solo il
concetto (Begriff), e 264 Hegel e la scoperta della filosofia e della scienza
filosofica come terreno del ristabilimento dellontologia dell'essere sociale
pertanto l'adeguamento di qualcosa al suo vero concetto. Il concetto la sintesi di reale e di razionale, non certo
il dato empirico effettuale. Ad esempio lo stupro un fenomeno fattuale che purtroppo avviene di
frequente. Nel linguaggio di Hegel, tuttavia, lo stupro non veramente reale, perch non corrisponde al
concetto (Begriff) del rapporto sessuale fra un uomo ed una donna, che per sua
stessa na- tura presuppone il libero mutuo consenso di entrambi. E potremmo
ovviamente continuare, pur sapendo che sarebbe completamente inutile (chi
antipatizza ver- so Hegel, infatti, non
aggredibile con argomenti razionali, perch se si liberasse del suo
pregiudizio svanirebbe immediatamente nell'aria). forse meglio, invece, svolgere due ordini di
ragionamenti integrativi. In primo luogo, da dove pu derivare la curiosa idea
storicistico-giustificazioni- sta per cui tutto ci che avviene realmente in
senso effettuale anche di per s ra-
zionale? Se riteniamo che questa opinione non sia di Hegel (Marcuse, lo scrivente,
ecc.), da dove pu derivare? Il discorso sarebbe lungo, ma credo che si tratti
di una doppia secolarizzazione, e cio della secolarizzazione della provvidenza
stoica poi travasatasi nel cristianesimo (pronoia, providentia), e poi della
secolarizzazione del- la teodicea di Leibniz, per cui nonostante tutte le
peggiori disgrazie vivremmo pur sempre nel mondo migliore possibile. Di qui
deriva la strana idea per cui, nono- stante Auschwitz, Hiroshima e le guerre
imperiali USA per il controllo totale del mondo di oggi vivremmo comunque nel
migliore dei mondi possibili, essendoci certamente un disegno occulto e segreto
della storia che attraverso il male porta comunque al bene. Che attribuisce
questa visione provvidenzialistico-religiosa a Hegel dimentica che Hegel ne ha
addirittura proposto un'alternativa radicale nella sua Scienza della Logica e
nella sua Fenomenologia dello Spirito, per cui al centro del- la considerazione
filosofica non ci sta pi il misterioso significato provvidenziale dell'evento fattuale
in quanto tale, ma l'adeguamento al suo concetto (Begriff) di una realt non
ancora razionale, ma che pu diventare per potenzialmente tale (dynamei on),
perch non esistono ostacoli ontologici di principio a questo suo di- venire
(Hegel non accetta infatti il vincolo del peccato originale, e si anzi affret- tato a darne uninterpretazione
allegorica di tipo razionale, anche se non poteva certamente arrivare
all'opinione di origine marxiana per cui il peccato originale non altro che la nascita della propriet privata e
della societ di classe questa comunque l'opinione di chi scrive). Hegel non
secolarizza quindi la teologia, ma anzi rompe con essa. Leibniz l'aveva
secolarizzata, con la sua teoria del migliore dei mondi possibili, teoria
giustamente connotata da Voltaire in termini di scemo- logia. Ma Hegel non lo
fa. La sua teoria dell'identit di reale e razionale, infatti, l'alternativa a questa concezione
provvidenzialistica imperfettamente secolariz- zata (Leibniz ed il migliore dei
mondi possibili, Stalin ed il marxismo come stori- cismo provvidenzialistico,
ecc.). Essa dice infatti che il reale deve essere portato al razionale, e solo
quando viene portato ad esso diventa realmente reale, perch prima soltanto fattuale, e quindi non ancora per
nulla reale. In secondo luogo, linterpretazione marcusiana (ed anche previana,
me lo si consenta) dell'identit di reale e di razionale che esclude ogni
storicit fattuale, sta 265 CarrroLo XXX alla base dellinterpretazione
lucacciana (da me fatta propria) della conformit al genere
(Gattungsmiissigkeit), e se non lo pensassi fermamente non parlerei certa-
mente di ontologia dell'essere sociale e non avrei certamente scelto di
concludere questa trattazione storica con un capitolo dedicato a Lukcs. La mia
stessa inter- pretazione di Marx, infatti, risulta da una sovrapposizione fra
l'itinerario sogget- tivo della Fenomenologia dello Spirito e l'itinerario
oggettivo della Scienza della Logica, itinerari che hanno entrambi Spinoza come
presupposto essenziale di ogni filosofare successivo. Ma questo ormai ben chiaro al lettore che mia ha cor-
tesemente seguito fin qui. Vi poi un
sesto ed ultimo fraintendimento, da cui partir perch proprio dalla sua confutazione che si origina
la mia ricostruzione del percorso filosofico (Denkweg) di Hegel. Hegel ha
infatti avuto un Denkweg che occorre assolutamente ricostruire. Molti
commentatori hanno diffuso lidea che il giovane Hegel stato romantico e mistico, non ha mai smesso
di essere romantico e mistico anche nel- la sua maturit, e quindi il suo
sistema filosofico non che una
sublimazione razio- nalizzata della precedente pulsione romantica e mistica.
Questo fraintendimento certamente meno
rozzo e volgare di molti di quelli precedentemente segnalati, ma resta un
fraintendimento a tutti gli effetti. In estrema sintesi, il Denkweg di
Hegel contrassegnato dalla progressiva
con- sapevolezza che, con la fine dei vecchi fondamenti religiosi tradizionali,
la sola le- gittimazione razionale di una comunit politica moderna poteva
essere la filosofia, e la filosofia intesa come scienza filosofica della verit.
Per giungere a questa piena presa di coscienza, che culmina nella composizione
della Fenomenologia dello Spirito e della Scienza della Logica, in cui questa
consapevolezza ormai definitivamente
acquisita, Hegel ha avuto bisogno di razionalizzare una serie di rotture, che
ricor- der ancora una volta. In primo luogo, una rottura con Kant, di cui ho gi
parlato, e di cui posso limitar- mi a ripetere alcuni punti essenziali. Kant
aveva criticato in modo impareggiabile la metafisica dellal di l trascendente,
ma in questo modo non aveva fatto che fon- dare l'epoca della compiuta
peccaminosit, in cui la critica di ogni metafisica del trascendente non aveva
potuto fondare una nuova metafisica morale dellimpera- tivo categorico, ma si
era rovesciata dialetticamente dallascetismo della morale al regno animale
dello spirito. Essendo lascetismo morale kantiano totalmente inap- plicabile
nella vita sociale reale, che si basa su di una etica dei costumi condivisi e
non su imperativi categorici astratti, non ne poteva che discenderne
dialetticamen- te il suo contrario, e cio il regno animale dello spirito dei
contrapposti egoismi (gli animal spirits dell'economia capitalistica inglese).
Il fatto che la metafisica nella nuova
epoca moderna di gestazione e di trapasso era scesa dal cielo alla terra. Non
si trattava quindi n di liberarsene (empirismo di Locke, scetticismo di Hume),
e neppure di fondare una cattiva metafisica a base individualistica, formalistica
e moralistica (Kant), ma di fondare una vera metafisica credibile a base
storico- razionale. Ed ci che appunto
Hegel ha fatto, e che a mio avviso Marx e Lukcs hanno completato. 266 uo pina
ui Hegel e la scoperta della filosofia e della scienza filosofica come terreno
del ristabilimento dellontologia dell'essere sociale In secondo luogo, una
rottura con Schulze e, con tutti coloro che riproponevano il vecchio modello
sofistico-scettico dellimpossibilit della conoscenza filosofica ideale del
mondo. L'opera di Hegel del 1802 (cfr. Rapporto dello scetticismo con la
filosofia) in proposito assolutamente
fondamentale, ed errato trascurarla
nella ri- costruzione del Denkweg di Hegel. In questa opera Hegel effettua
quella vera e pro- pria distruzione della pseudoconcretezza (Karel Kosk) che
consiste nel negare che la verit possa trovarsi nella semplice molteplicit
delle determinazioni iso- late della realt cos come questa realt si presenta
davanti ai nostri cinque sensi. Si tratta dello stesso ragionamento fatto pi
tardi da Hegel a proposito di Spinoza, per cui agli avrebbe provocato corruccio
non certo negando Dio, ma distruggen- do il mondo di chi pensava di conoscerlo
senza passare per la mediazione di una astrazione idealizzante (per Hegel
l'Assoluto, per Spinoza il Deus sive Natura, ecc.). Hegel connota la concezione
di realt di Schulze (e di tutti gli scettici, i relativisti ed i debolisti dopo
di lui) come una improbabile roccia sotto la neve. In questa concezione dice Hegel
la stolida percezione degli oggetti diventa linnegabile realt. La
filosofia deve quindi vincere prima di tutto questa stolidit, ma sic- come
tipico degli stolidi il rifiuto di
accettare di essere tali possiamo ipotizzare che le probabilit di riuscirci
siano effettivamente limitate (ma questo lo dico io, non Hegel). Lo scetticismo
empiristico, infatti, alla portata di
tutti i cretini. Che cosa ci vuole, infatti, a ripetere linsulso mantra
relativistico: Il tale pensa questo, il tale pensa talaltro, Tizio, Caio e
Sempronio pensano cose diverse, cos
stato e cos sempre sar, e non c' modo di sapere chi ha ragione, perch
tot capita, tot sententiae!? Qualunque chiacchierone da bar, infatti, all'altezza di questo mantra
scettico-empiristico e di questo relativismo. La filosofia, invece, comincia
proprio dalla problematizzazione veritativa di questa banalit. Chi invece
ritiene che la filosofia consista nel continuare a ripetere in forma
sofisticata la banalit per cui ognuno la pensa come vuole, allora non solo non
pu capire nulla di Hegel, ma anche della filosofia greca e di Platone.
Questo il messaggio mandato da questa
operetta giovanile hegeliana, in cui c' gi in nuce l'intero sviluppo posteriore
del suo pensiero filosofico. In terzo luogo, una salutare rottura con
Schelling. La rottura con lopportunista che aveva approfittato del
licenziamento di Fichte per rubargli la cattedra, con il pomposo trombone che
pensava che soltanto il genio poteva
avere un'intuizione dell Assoluto, con il filosofo per cui l Assoluto si dava
come un colpo di pistola, ed era di fatto concepito come la notte in cui tutte
le vacche sono nere, ecc., stata la vera
precondizione che ha permesso a Hegel di volare con le proprie ali sen- za
l'impaccio dellincurabile confusionario Schelling, che per me resta l'esempio
massimo (ma il lettore lo avr gi capito) di come non si deve filosofare.
Eppure, in un'operetta dedicata alla Differenza fra i sistemi di Fichte e di
Schelling, Hegel aveva preso posizione per il secondo contro il primo,
sostenendo che Fichte aveva anco- ra contrapposto astrattamente la scissione
originaria tra l'Io ed il Non-Io, mentre Schelling era migliore perch aveva
compreso che entrambi erano momenti interni ad una sola unit assoluta. 267
CarrroLo XXX Mi permetto di non essere d'accordo con Hegel. A mio avviso, anche
su questo punto, Fichte stato migliore
di Schelling. Devo ovviamente darne ragione al let- tore, perch non consueto dire apertamente che non si d'accordo con un autore che resta pur sempre
il nostro principale autore di riferimento. Personalmente, ri- tengo che la
natura resta un dato esterno ed estraneo ai progetti soggettivi di eman-
cipazione umana. Basta per questo guardare i visetti smarriti dei bambini
ricove- rati in un reparto ospedaliero di oncologia pediatrica. Su questo il
pessimismo di Leopardi resta insuperabile. La natura non una nostra amica, ma solo il limite invalicabile di ogni progetto
umano. Per questa ragione, non vedo come possa essere integrata in un'unit
espressiva con lo spirito (inteso come processo di au- tocoscienza progressiva
delluomo nella storia). La natura resta esterna allo spirito, e non ontologicamente dialettizzabile con esso. Per
questa ragione Fichte aveva ragione allora, ed a maggior ragione continua ad aver
ragione adesso. Per evitare catastrofi ecologiche terribili, la natura deve
essere semplicemente rispettata, non dialettizzata. La dialettica sempre e soltanto un rapporto delluomo con se
stesso. Detto questo, loperetta hegeliana resta comunque geniale. In essa Hegel
fa no- tare che la filosofia, o pi esattamente il bisogno della filosofia,
nasce soltanto quando la potenza dellunificazione scompare dalla vita degli
uomini, quando diventano privi di significato gli sforzi vitali della vita per
rinascere nellarmo- nia, in una parola, dalla potenza della scissione, unica e
vera matrice sociale della genesi della filosofia stessa. Scrive Hegel: La
filosofia figlia della scissione, in
quanto la scissione (Trennung) la fonte
del bisogno di filosofia. Se infatti esaminiamo pi da vicino la forma particolare
di una filosofia, la vediamo scaturire da un lato delloriginalit vivente dello
Spirito, e dall'altro da una forma particolare di una scissione da cui procede
il pensiero. Il lettore noter che questa concezione del bisogno di filosofia
originato da una Trennung sociale
esattamente il modello interpretativo utilizzato in tutto questo mio
saggio, modello contrapposto a quello di Aristotele (la filosofia come insieme
di posizioni derivate dalla classificazione delle quattro cause), di Cartesio
(la filosofia come pensare chiaro e distinto frutto di una costituzione
formalistica del Cogito), ed infine di Kant (la filosofia come critica delle
pretese della metafisica ultraterrena di essere scienza). Mentre i pur grandi
Aristotele, Cartesio e Kant non si sognano neppure di cercare la genesi reale
del bisogno di filosofia, ma ne danno per scontate (e quindi per non-dedotte)
le ragioni di insorgenza (equivalente teorico del creazionismo nelle scienze
naturali, per cui il presupposto divino ci al- leggerisce dal compito di
dedurre materialisticamente le ragioni dell'insorgenza della vita sulla terra),
Hegel invece propone un'ipotesi storico-sociale, la Trennung della precedente
comunit. Ora lo posso proprio dire. Il mio metodo genetico, im- piegato in
tutto questo saggio, non deriva direttamente da Marx, Lukcs o Sohn- Rethel (che
pure vi hanno la loro parte), ma deriva dalla concezione anticipata da Hegel
nel suo studio del 1802. In quarto luogo, per finire, Hegel ha dovuto rompere
(o se vogliamo, supera- re) con il suo punto di vista precedente. Prima di
giungere alla piena consape- 268 Hegel e la scoperta della filosofia e della
scienza filosofica come terreno del ristabilimento dellontologia dell'essere
sociale volezza del fatto che nei tempi moderni la comunit sociale pu soltanto
essere fondata sulla filosofia, o pi esattamente su di una scienza filosofica
della verit razionalmente ricostruibile nella storia, Hegel aveva proseguito
per pi di un de- cennio lidea che questa fondazione comunitaria potesse essere
perseguita attra- verso la religione comunitaria spontanea dei Greci e /o
attraverso lo stesso amore cristiano. Si tratta, come noto, del cosiddetto giovane Hegel. Ma qui,
appunto, tocchiamo con mano lerroneit del punto di vista di chi semplicemente
sostiene la piena continuit fra il giovane Hegel e lo Hegel del suo compiuto
sistema. Una continuit materiale esiste ovviamente anche nel caso di rotture.
Personalmente, non credo all'esistenza di rotture epistemologiche, che vorreb-
bero venderci lidea di un Marx pienamente scientifico e privo di presupposti
scientifici (Althusser). E tuttavia non si pu negare che rotture avvengono nel
Denkweg di tutti i filosofi, dai pi grandi ai pi piccoli. Il Denkweg di tutti i
filosofi sempre un intreccio dialettico
di continuit nell'intenzione soggettiva (nel caso di Hegel, di fornire alla
nuova comunit un fondamento veritativo indiscutibile) e di rottura nella
formulazione oggettiva (nel caso di Hegel, il passaggio da una fondazione
sull'amore a una fondazione sulla scienza filosofica della verit). Nel mio
modestissimo caso personale (e mi scuso di inserirlo in una considerazione su
Hegel - ma sono del tutto consapevole del senso delle proporzioni) l'intenzione
soggettiva di trovare una base filosofica credibile al marxismo rimasta intatta dal- la mia prima giovinezza,
ma la rottura avvenuta nel passaggio
dalla tentazione scientistica di Althusser allontologia dell'essere sociale
(sia pure debitamente cri- ticata e modificata) di Lukcs. Come si vede, il
riferimento personale non stato fatto
per narcisismo o megalomania, ma per indicare come lesperienza personale della
rottura pu aiutare a capire anche rotture ben pi nobili ed importanti, da
Aristotele a Hegel. Il Denkweg di Hegel quindi esiste, ed un Denkweg che lo ha portato dalla rifles-
sioni giovanili sulla bella comunit spontanea della religione naturale dei
Greci e sulle antinomie dell'amore cristiano fino alla meditata e razionale
convinzione che non si poteva tornare a queste due nobili configurazioni
spirituali, ma si doveva invece coraggiosamente passare ad una nuova
configurazione, quella della fonda- zione di una comunit moderna su di una
scienza filosofica della verit sociale accessibile a tutti, e non solo ad
alcuni geni pomposi. In questo Hegel non fu mai un intellettuale, perch gli
intellettuali sono quella categoria di persone che pen- sano che le verit
sociali sono accessibili solo alla loro piccola (e meschina) casta, e non fu
mai un giusnaturalista, perch pensava che non ci fossero i diritti naturali di
un individuo isolato, ma solo i costumi effettivi di una comunit. Partendo da
questi presupposti, e ricostruito il suo Denkweg autentico, possiamo passare ad
una esposizione critica del suo incomparabile sistema filosofico. 269 XXXI.
HEGEL ED IL RISTABILIMENTO ONTOLOGICO-SOCIALE DELLA STORICIT. LA FENOMENOLOGIA
DELLO SPIRITO, LA FILOSOFIA DELLA STORIA E LA STORIA DELLA FILOSOFIA, TRE
ASPETTI DI UN UNICO COMPLESSO IDEALE Bisogna sempre tenere bene a mente il
progetto filosofico di Hegel per poterlo giudicare correttamente, e quindi
accettarlo oppure respingerlo. infatti
del tutto legittimo respingerlo, se lo si ritiene opportuno, ma necessario averne ben capito la natura, cosa
che da due secoli dilettanti, confusionari, superficiali e chiacchiero- ni
sistematicamente non fanno, e che probabilmente nei due prossimi secoli non
faranno, in quanto lincomprensione di Hegel
un fatto sociale (Durkheim), e non certamente un equivoco che possa
essere sciolto con argomentazioni seminariali o con saggi pi o meno chiari ed
intelligenti. Il progetto filosofico di Hegel, che sta integralmente alla base
del posteriore progetto di Marx e dei suoi interpreti di tipo
ontologico-sociale (Lukcs, ecc.), quello
della costruzione dialettica di una scienza filosofica della verit sociale e
comunitaria della natura della convivenza umana (e solo di questa, e quindi non
delle procedure di conoscibilit, verificabilit e validit delle scienze della
natura). Se ci si impadronisce fino in fondo di questo concetto, si capir
immediatamente che questo progetto di costruzione dialettica di una scienza
filosofica della verit (ci che , ed
eternamente), partendo metodo- logicamente dallinterpretazione del
presente (il proprio tempo appreso nel pen- siero), incompatibile con almeno quattro principali
impostazioni teorico-pratiche. In primo luogo,
incompatibile con qualunque enunciazione di verit eterne di tipo
religioso alla Joseph Ratzinger. Con questo, non voglio negare la funzione
sociale positiva della religione, che
sempre un katekhon sociale rispetto alla cor- rosione di tipo
relativistico-nichilistico. Il relativismo, infatti, non affatto di per s una cattiva cosa, se un punto di vista metodologico di tipo scettico
nel senso dato a questo termine da Hegel nel suo saggio sul rapporto dello
scetticismo con la filosofia. Anzi, la filosofia parte sempre dal dubbio
metodico di tipo inevitabil- mente relativistico (ironia e maieutica di
Socrate, dubbio metodico e iperbolico di Cartesio, ecc.). Il relativismo,
quindi, il necessario punto di partenza
della filosofia, che nasce a sua volta da un fenomeno sociale ben preciso, la
scissione (Trennung) dovuta a motivi materiali di vario tipo (divisione del
lavoro sociale, privilegi di casta, propriet privata incontrollata e smisurata,
percezione dellin- tollerabilit della adikia, ecc.). Il relativismo,
quindi, qualcosa di storicamente e
socialmente posto da qualcosa d'altro (la scissione, appunto). Trasformarlo in
271 CarrroLo XXXI valore sociale, come si
fatto nella lunga storia che va da Gorgia a Rorty, signifi- ca non
comprenderne la natura politica. Un conto
infatti tollerare giudiziaria- mente l'enunciazione di punti di vista
plurali ed incompatibili (cosa da rivendicare in un mondo in cui per dirla con lo Spinoza di Tosel i saggi vivono insieme ai non-saggi e
non percorribile la via di caste
separate di sapienti-governanti alla Platone), e un conto sostenere che la sola verit degna di questo
nome la non-verit programmatica del
relativismo dei valori. Contro costoro la religione avr sempre ragione, perch
la religione, sia pure nella forma depotenziata della rappresentazione
(Vorstellung), esprime pur sempre la corretta esigenza sociale e comunitaria
dellesistenza della verit. La verit, infatti, esiste, mentre quella del
relativismo una non-verit che si
specchia nel suo narcisistico ed autoreferenziale pluralismo variopinto.
Eppure, la verit contenuta nella religione (in qualunque religione) rispetto
allo scetticismo pluralistico della dittatura delle opinioni (che a sua volta,
nonostante quello che opina il cosiddetto pensiero debole, non affatto il regno della tolleranza universale
fondata sulla estinzione delle cosiddette verit forti, ma soltanto il totalitarismo degli apparati dei
dispensatori mono- polistici delle opinioni consentite, e cio il circo
finanziario, il circo mediatico ed il circo politico, la trinit infernale del
Politicamente Corretto), non pu essere per Hegel il fondamento della comunit
umana. In secondo luogo, incompatibile
con qualunque costituzione formalistica del soggetto (da Cartesio a Kant), e
con la destoricizzazione e la desocializzazione del sapere storico umano.
Questo sapere, fondato sul nesso di destoricizzazione e la
desocializzazione, funzionale alla
delegittimazione critica delle fondazioni pre- cedenti della societ feudale e
signorile. La sua critica, per, si limita a criticare questa metafisica nel
frattempo divenuta irrilevante e sorpassata (il fondamento del legame sociale
capitalistico non sta pi infatti in un volere divino, in un flusso del consumo
capitalistico), mente impedisce ogni critica (e questa appunto la sua funzione ideologica specifica) alla
metafisica incorporata nella societ capitalisti- ca, la cui natura per usare il temine di Marx quella di essere sensibilmente
sovrasensibile. In terzo luogo,
incompatibile con qualunque concezione positivistica di scien- za. Al
tempo di Hegel questo concetto positivistico di scienza non era ancora stato
enunciato (il corso di filosofia positiva di Comte fu pubblicato nel 1830, un
anno prima della morte di Hegel, ed a mia conoscenza Hegel non giunse mai ad
esa- minarlo se lo avesse fatto, lo
avrebbe trovato banalissimo ed indegno di acco- glimento critico), e tuttavia
era stato largamente anticipato da alcune formula- zioni tardo-illuministiche
(gli idologues francesi, ecc.). Questa concezione, lungi dallaccettare lidea di
una scienza filosofica della totalit sociale, respinge proprio il nesso fra
filosofia e scienza, e pensa che la scienza nasca proprio liberandosi e
congedandosi non tanto da una cattiva filosofia, quanto proprio dalla filosofia
in quanto tale (nel linguaggio di Auguste Comte, cui i vari Colletti e
Althusser non aggiungono assolutamente nulla, la scienza positiva delle leggi
della natura e della societ nasce soltanto rompendo con la metafisica ed i suoi
fondamenti). 272 Hegel ed il ristabilimento ontologico-sociale della storicit
Non illudiamoci. Questa concezione, enunciata per la prima volta in modo orga-
nico da Comte nel 1830, quella che regna
incontrastata da quasi duecento anni. Riformulando il concetto fichtiano di
epoca della compiuta peccaminosit ed ap- plicando questo concetto al tempo
presente, direi che lattuale forma dellepoca della compiuta peccaminosit ha
assunto il profilo di una solidariet antitetico-po- lare (e quindi
complementare di due opposti in correlazione dialettica essenziale) fra lo
scetticismo relativistico della proclamazione della totale inesistenza di una
verit filosofica, da un lato, e l'arroganza scientistica dellunicit normativa
del canone delle scienze positive della natura, dall'altro. In quarto
luogo, incompatibile con lo storicismo,
inteso appunto come attribu- zione al flusso vincente degli eventi storici del
compito di essere lunico canone del vero e del falso (index veri ed falsi). Ho
gi criticato ampiamente nel capitolo pre- cedente questa interpretazione che fa
di Hegel proprio l'esatto contrario di quello che stato, e cio il papa fondatore dello
storicismo. Lo storicismo infatti sempre
l'involucro del pi scatenato relativismo storico, ed il relativismo
storico sem- pre l'abito preferito dal
nichilismo e dallapologia servile dei (provvisori) vincenti. Ma qui il
fraintendimento di Hegel ci introduce alla natura dell'ideologia, intesa non
solo come forma di falsa coscienza, ma anche e soprattutto come forma di falsa
coscienza necessaria. infatti necessario
che tutti i cretini ed i manipolatori falsifichino in questo modo la limpida
concezione di scienza filosofica di Hegel, perch solo in questo modo possibile gettare via il bambino (la scienza
filosofica democraticamente condivisa ed accessibile a tutti della verit sulla
natura della comunit) con lacqua sporca (il carcame delle motivazioni
ideologiche della giu- stificazione di tutto quanto avviene, carcame
proveniente non certo da Hegel, ma semmai dalla teodicea religiosa del migliore
dei mondi possibili di Leibniz). La formula ideale per la comprensione della
scienza filosofica di Hegel quella di
tutte le ontologie dell'essere sociale degne di questo nome: bisogna infatti
par- tire dal proprio tempo vissuto nel pensiero per arrivare alla scienza
filosofica, il cui oggetto appunto ci
che , ed eternamente. Se si comprende
che senza partire da una interpretazione filosofica del proprio tempo storico
(il che comporta la sto- ricizzazione degli eventi e la socializzazione del
punto di vista comunitario della riproduzione umana) non si potr mai arrivare
ad una scienza filosofica non-relati- vistica dal ci che , ed eternamente, ma soltanto a stanche
ripetizioni delleter- na rivelazione religiosa, ad apologie della costituzione
formalistica del soggetto e del modello previsionale e positivistico delle
scienze della natura, ed infine ad abbiette giustificazioni di tutto
quanto avvenuto soltanto perch avvenuto, ecc., ebbene, allora si posseder la
chiave per capire sia lo spirito che la lettera del pensiero Hegel, unica
anticamera filosofica del posteriore sistema di Marx. Ma le ordinarie
esposizioni scolastiche di Hegel non solo non aiutano, ma generalmente
impediscono questo tipo di comprensione. Non si tratta certamente di una con-
giura della manualistica per non far capire Hegel. Bando a simili paranoie com-
plottistiche. La manualistica costretta
per sua natura a seguire un metodo di tipo cronologico-dossografico. Questo
metodo funziona per molti autori, ma per Hegel 273 CariroLO XXXI non funziona.
Il segreto filosofico di Hegel come ho
detto in precedenza - sta nel fatto che parte dalla storicit concreta in cui
siamo inseriti, ne siamo consapevoli oppure lo rimuoviamo poco importa (e cio
il proprio tempo appreso nel pensiero) per giungere alla verit (e cio alla
scienza filosofica di ci che , ed
eternamente, e non attingibile n
dalla rivelazione religiosa, n dallo storicismo nichilistico, n dalla scienza
positivistica, n dalla costituzione formalistica e destoricizzata del soggetto
conoscente). Questa la formula-Hegel, e
senza questa formula Hegel ridotto ad un
insieme di irritanti ed incomprensibili oscurit, luogo per le scorrerie di
confusionari (Russell, Popper, Colletti, ecc.). Secondo la manualistica
cronologico-dossografica abbiamo un ragazzo svevo di famiglia protestante, che
al liceo ha cattivi voti in filosofia (indizio sicuro que- sto di brillante
avvenire filosofico al liceo
l'originalit considerata un peccato),
danza intorno all'albero della libert nel 1789 (si tratta del famoso entusiasmo
di cui parla Foucault a proposito di Kant), riflette sulla vita di Ges,
sull'amore cristiano e sulla religione civico-naturalistica dei Greci, ed
infine dopo tutte que- ste oscillazioni intorno alla fine del Settecento decide
di mettersi ad ululare con i lupi (lespressione
tratta dal titolo di un magnifico saggio di Rudolph Bahro su Hegel), e
cio di riconciliarsi con il cosiddetto mondo dei filistei, come era- no
chiamati in Germania i non-rivoluzionari. Poi, ad un certo punto, si accende
nella sua testa una lampadina, ed allora i manuali espongono in modo verboso la
famosa dialettica, in cui lartificialit di sottoporre tutto al metodo triadico
(tesi, antitesi e sintesi) conduce necessariamente all'opinione per cui si
tratta di qualcosa di talmente insensato da consigliare un ripiegamento
rassicurante o ver- so il precedente criticismo di Kant (e cio verso la
costituzione formalistica, desto- ricizzata e desocializzata del soggetto), o
verso la posteriore scienza positivistica dei medici e degli ingegneri. La cosa
che in genere non viene mai detta che la
dialettica di Hegel non un
ristabilimento mistico dell'intero precedente originario in una causalit finale
prefissata, e quindi non si tratta di una pulsione al ritorno al paradiso
terrestre dopo la decadenza (Hegel, infatti, non n Nietzsche n Spengler, non annuncia
l'Ubermensch n il tramonto dell'occidente). Si passa poi alla Fenomenologia
dello Spirito, che appare effettivamente pi sensata, facendo per credere che
l'approdo finale dello Spirito Assoluto, anzich essere una proposta ra- zionale
per la comprensione storicizzata dellarte, della religione e della filosofia,
sia una metafora per dire che Hegel si credeva il secondo messia dopo Ges di
Nazareth. In questa situazione il passaggio alla Scienza della Logica sembra
proprio il farneticare di un pazzo, laddove si tratta soltanto di un sobrio
ristabilimento del punto di vista ontologico degli antichi Greci, che non si
sarebbero mai sognati di separare le categorie dell'essere dalle categorie del
pensiero, non avendo caste sacerdotali monoteistiche da delegittimare. A questo
punto la frittata fatta. Hegel diventa
un maschilista patriarcale (Sputiamo su Hegel era il titolo di un libello fem-
minista italiano di Carla Lonzi), un sostenitore delle corporazioni (che tutti
i cre- tini frettolosi assimilano immediatamente alle corporazioni fasciste di
Mussolini) e dello Stato etico (e cio lo Stato della polizia dei costumi con
burka e mutandoni 274 Hegel ed il ristabilimento ontologico-sociale della
storicit obbligatori). Se a questo punto qualcuno non ancora giunto ad antipatizzare per Hegel, si
vede che la pazienza umana non ha limiti. Il filosofo australiano Peter Singer
consiglia di non usare verso Hegel il meto- do cronologico-dossografico, ma di
partire dalla sua filosofia della storia, dal suo concetto storico e non
naturalistico di natura umana, e dal modo in cui Hegel definiva il suo stesso
tempo storico, e cio il proprio tempo storico appreso nel pensiero. Singer ha
ragione. Hegel ha voluto creare un sistema filosofico, non scri- vere un
insieme di aforismi staccati, e quindi ha senso non attenersi alla narrazio- ne
biografico-cronologica, ma cercare il punto di partenza migliore dentro il suo sistema.
Il filosofo americano Tom Rockmore ha paragonato il sistema di Hegel ad una
giostra circolare, che si pu prendere in qualsiasi punto, ma che conviene
prendere nel punto in cui gira meno veloce ed
perci pi agevole saltarci su. I consigli di Singer e di Rockmore sono
preziosi, cos come preziosa
l'esposizione di Hegel fatta dal filosofo inglese Findlay (rovinata purtroppo
nella traduzione italiana dal fatto che il traduttore ha tradotto il termine
inglese notion, che in quel- la lingua significa concetto, e cio Begriff, con
la parola italiana nozione non vi sono
limiti all'umana follia!). Ho citato volutamente tre anglosassoni (Singer,
Rockmore e Findlay), perch proprio il fatto che Hegel sia lontanissimo dal modo
di pensare anglosassone medio (che di
tipo scettico, empiristico ed utilitaristico) costringe i filosofi anglosassoni
intelligenti e filo-hegeliani (ce ne sono molti, per fortuna) ad esporlo nel
modo migliore possibile, laddove gli europei sono sempre invischiati nel
pomposo accademismo universitario. Non
infatti un caso che lo stesso Marcuse abbia scritto nel 1941 il suo
capolavoro in lingua inglese. Sta qui un altro dei paradossi hegeliani: il
filosofo apparentemente pi difficile del mondo pu essere esposto nel modo
migliore possibile in una lingua che non tollera inutili complicazioni pompose.
Seguiamo quindi in questo nostro capitolo gli insegna- menti di Marcuse,
Singer, Rockmore e Findlay, e mandiamo al diavolo la vuota profondit (Hegel).
Se allora saliamo sulla giostra hegeliana nel punto in cui gira meno veloce,
non possiamo che porci subito il problema della nostra propria autopercezione
come enti integralmente storici. Noi siamo infatti prima di ogni altra cosa
unit di senso storico, e non soggettivit formalizzante titolari di una gnoseologia
critica e/o di una morale trascendentale. Certo, possiamo sempre rifiutare di
prendere in consi- derazione questa realt storicamente data, e ritagliare da
questa realt un insie- me di situazioni volutamente destoricizzate (la
malattia, la solitudine, il fallimento esistenziale, e sopra ogni cosa
evidentemente la prospettiva paurosa della morte imminente). Tutte queste
situazioni sono anch'esse storiche (ad esempio la morte un dato biologico, ma il modo di affrontarla
e di ritualizzarla invece un dato
anch'esso storico), ma ammetto che
possibile destoricizzarla, e chiamare anche questa destoricizzazione
saggezza eterna. Ma resta il fatto che dopo il Settecento non pi possibile censurare il fatto che siamo
enti completamente storici. Dante poteva anche non pensarlo nel 1310, e vedersi
come protagonista di un dramma messianico. Ma gi Marx ed Engels scrissero: Noi
conosciamo una sola scienza, la 275 CapiroLo XXXI scienza della storia. In
questo senso, Hegel non ha scoperto nulla, ma ha soltanto dato una veste
filosofica sistematica e rigorosa al modo di essere della modernit borghese
europea. Paul Sweezy ha intitolato una sua raccolta di saggi Il Presente come
Storia. E partendo dal presente come storia e dalla problematizzazione scetti-
co-relativista che bisogna prendere in considerazione metodologicamente per poi
abbandonarla, possibile intraprendere un
percorso che ci potr portare alla fine a capire che la filosofia ha come
oggetto ci che , ed eternamente, e
questo (e solo questo) lidealismo.
L'assunzione di questo punto di vista non comporta affatto necessariamente
l'approvazione di tutte o alcune delle opinioni espresse da Hegel a proposito
di valutazioni filosofiche (Platone, Spinoza, Kant, Epicuro, ecc.), religiose
(ebrai- smo, cattolicesimo, protestantesimo, ecc.), o politiche (la famiglia,
le corporazio- ni professionali, lo stato prussiano, ecc.). La conoscenza
dettagliata di queste sue opinioni
ovviamente necessaria in quella disciplina specialistica che possiamo
chiamare hegelologia, che comporta la buona conoscenza della lingua tedesca e
di tutta la sterminata letteratura secondaria di commento su Hegel ed il suo
tempo, che ovviamente non basterebbe ad esaurire una vita intera dedicata
soltanto a que- sto oggetto di studio. La hegelologia dossografica anch'essa una disordinata filastrocca di
opinioni su Hegel, e pu addirittura diventare di ostacolo allimpa- dronirsi
concettuale dello sguardo storico sul mondo. Vedremo pi avanti che Marx era
soggettivamente convinto di e essere appro- dato a questo sguardo storico sul
mondo, fondendo insieme il punto di vista valutativo della totalit della
scienza filosofica di Hegel ed il punto di vista predit- tivo sulle tendenze
storiche in corso derivato dal concetto positivistico di scienza. Discuter ovviamente
pi tardi nel capitolo apposito se Marx sia riuscito in questa impresa o si sia
semplicemente illuso di riuscirci. Per ora rileviamo soltanto di es- sere
riusciti a salire sulla giostra hegeliana nel punto in cui essa gira meno
veloce, e cio la propria collocazione individuale nel flusso storico. I
problemi, allora, non finiscono, ma cominciano soltanto adesso. Giambattista
Vico aveva gi ampiamente anticipato il cuore teorico di questo problema (la
propria corretta autopercezione storica) con la sua formula del verum ipsum
factum, per cui la verit vera e propria poteva e doveva essere cervata non
tanto nella quantificazione del mondo della natura, quanto nella ricognizione
di quello che luomo aveva veramente fatto, e cio la storia. I manuali di storia
della filosofia presentano in generale in opposizione il cogito ergo sum di
Cartesio ed il verum ipsum factum di Vico, ed in questo non sbagliano, perch si
tratta effettiva- mente di due approcci alternativi al problema della
conoscenza umana. E tuttavia sarebbe sbagliato concepirli come qualcosa di
incompatibile, perch sono in una certa misura storicamente complementari, in
quanto entrambi sgorgavano dallo stesso problema di autocostituzione
storico-filosofica dellautocoscienza borghese. Da un lato, la borghesia aveva
bisogno di dotarsi di una costituzione formalistica destoricizzata e
desocializzata del soggetto, ed ho cercato di spiegarne le ragioni nei capitoli
dedicati a Cartesio, allinstaurazione illuministica generale ed a Kant. 276
Hegel ed il ristabilimento ontologico-sociale della storicit Dall'altra, la
stessa borghesia aveva bisogno di sostituire alla vecchia storia sa- cra
cristiana (di cui lultima manifestazione esplicita stata la teodicea di Leibniz e la sua annessa
scemologia) una nuova storia sacra, la sua, fondata sul fatto che la verit
della storia (verum) si identificava in ultima istanza con tutto ci che era
riuscita a fare (factum), e cio commercio internazionale, sviluppo della ma-
nifattura, sistema di fabbrica, giornalismo e opinione pubblica, costituzioni
libe- rali, smascheramento delle cosiddette imposture religiose, letteratura,
scoperte scientifiche, romanzo storico, ecc. Hegel si situa nello stesso solco
di Vico, anche se ovviamente con una struttura argomentativa diversa. Per
Hegel, tuttavia, il fatto che un soggetto deve dotarsi di una autoconsape-
volezza storica non era un dato astratto. Come ha scritto il Rosenkranz, Hegel
voleva diventare il Machiavelli della Germania. E come ha scritto Otto Pggeler,
al concetto di natura e di vita degli anni giovanili si sostituisce quello di
Assoluto, ed ora l'Assoluto non pi
soltanto l'ideale di un tempo realizzatosi nella polis gre- ca, ma gi presente nella totalit etica di un popolo.
Credo che Pggeler abbia ragione in questa ricostruzione genetico-concettuale: l
Assoluto in Hegel non cade dal cielo, ma
la metafora della totalit etica di un popolo, e quindi dellintenzione di
questo popolo di darsi un'unit costituzionale. Come ha accertato mirabilmente
Koselleck, il termine tedesco Staat ai tempi di Hegel non aveva il significato
se- mantico di baraccone burocratico o di istanza tirannica, ma corrispondeva
seman- ticamente al termine inglese Commonwealth ed al termine francese
Rpublique. Incidentalmente, Pggeler ha fatto questi corretti rilievi genetici
sul concet- to di Assoluto in Hegel (l'Assoluto come metafora per indicare la
totalit etica di - una comunit che si trasforma in stato per garantire la
propria riproduzione in un mondo dominato dalla volont di potenza
diplomatico-militare) per poter colpire meglio Hegel. Secondo Pggeler, Hegel ha
voluto dare una risposta filosofica nuo- va e convincente alle scissioni
dellepoca, ma a questo compito la filosofia secondo lui dovrebbe rinunciare.
Pggeler attribuisce a Hegel la pretesa di determinare il futuro dell'umanit, ma
con questa valutazione in realt mira ad un altro obiet- tivo, quello di
togliere alla filosofia il diritto di dare un giudizio storico-politico sul
presente. Qui sta infatti il segreto della questione-Hegel. Insieme ad Hyppolite,
Pggeler stato uno dei massimi
commentatori di Hegel nel Novecento. L'antipatia verso Hegel, fortissima in
ambiente universitario al di fuori di piccoli gruppi di hege- lologi
specialisti, in genere politicamente muti, sta proprio nel fatto che, con il
pretesto di negare la possibilit della filosofia di conoscere il futuro
(impossibilit sulla quale peraltro concordo anch'io), le si vuole negare il
diritto di giudicare la natura della scissione (Trennung) nel presente storico.
E questo non un caso: se infatti la
filosofia rivendica la propria sovranit (kyriarchia, exousia) nel giudicare la
natura delle scissioni storico-politiche del presente storico, che ne sar
allora delle pretese di sovranit delle oligarchie economico-finanziarie e dei
ceti politici e giornalistico-universitari al servizio di queste oligarchie?
Non ne resterebbe pi nulla. Questa pretesa di giudizio sulla natura delle
scissioni ridarebbe al filosofo 277 CaprroLo XXXI il primato del giudizio
complessivo che, sia pure con esiti costituzionali diversi, rivendicavano anche
Platone e Spinoza, e che Occam rivendicava con la teoria no- minalistica del
singolo veramente cristiano in un mondo in cui gli universali (Ordo
Franciscanus Corruptus, Ecclesia ladrorum, ecc.) si erano totalmente venduti al
potere. In questo senso, lantipatia verso Hegel
un fenomeno sociale, ed il riferimento ad Otto Pggeler mi ha aiutato a
definirlo meglio. Il punto di vista storico di Hegel coincide infatti con la
rivendicazione assoluta del pensiero di giudicare la natura delle scissioni
storiche in cui viviamo, ed allora non esistono forze esterne (capita- lismo,
banchieri, giornalisti, pretoni, pretini, rabbini, e neppure apparati
ideologici di partito e di Stato) che possono espropriare il nostro diritto
assoluto (ed questo il secondo
significato che do a questo termine dopo quello di totalit etica di una nazione
che si fa stato per non farsi mangiare dagli imperi vicini) a dare una va-
lutazione concettuale del mondo inteso come totalit espressiva. Hegel secondo questa mia modesta lettura il filosofo moderno della libert assoluta ed
incon- dizionata, in quanto nessuno pu affermare di avere il monopolio della
propriet privata del concetto (Begriff). Certo, chi pensa che il termine libert
equivalga allarbitrio incondizionato dellopinare a ruota libera (meinen),
arbitrio scientifico del relativismo che pone sullo stesso piano Spinoza e
Beppe Grillo, Kant e Nanni Moretti, ecc., non potr mai neppure avvicinarsi alla
concezione di Hegel. Assumendo come pertinente l'ipotesi storiografica di
Pggeler, il percorso dalla certezza sensibile e dal sapere immediato al vero e
proprio Sapere Assoluto, che come
noto l'oggetto della
Fenomenologia dello Spirito, indicherebbe metaforica- mente il passaggio dalla
frantumazione pulviscolare degli staterelli tedeschi alla coscienza di
costituire ormai una compiuta totalit etica, meritevole di costituirsi in Staat
(nel senso di Rpublique e di Commonwealth, non di baraccone burocratico gestito
da caste parassitarie inefficienti). L'Assoluto, inteso come raggiungimento si
una totalit etica ormai meritevole di farsi Stato, occuperebbe cos in Hegel il
posto che occupava Eraclito il fuoco semprevivo (e cio la metafora di una co-
stituzione democratica), ed in Parmenide lEssere (e cio la metafora della
stabilit e della permanenza nel tempo di una buona legislazione pitagorica). E
tuttavia in filosofia le ideazioni hanno una fisiologica eccedenza rispetto
alle motivazio- ni storiche contingenti che ne hanno permesso la genesi e la
costituzione teori- ca. Nel caso dell'Assoluto hegeliano, si tratta del fatto
che una vera autocoscienza (Selbstbewusstsein)
la premessa di una vera libert (Freiheit), e quindi la libert non pu
definirsi n come larbitrio del volere dellimprenditore sovrano nei suoi
investimenti finanziari (che - come
tutti sanno la definizione odierna e
sciagu- rata di libert), n come postulazione kantiana che renderebbe Pelo il
mondo degli imperativi categorici. Il contenuto della Fenomenologia dello
Spirito appunto questo, e ci fa di
questo libro uno dei capolavori assoluti della letteratura filosofica
universale. La libert, infatti, non un
dato postulabile a priori (o meglio, lo
soltanto in termini di po- tenzialit pura della natura umana in societ,
dynamei on). Non esiste un soggetto 278 Hegel ed il ristabilimento
ontologico-sociale della storicit formalisticamente costituito che disporrebbe
della libert, cos come un neonato ben formato dispone gi di gambe e braccia (e
che comunque non potrebbe mai usare senza leducazione necessaria). La
libert unacquisizione storica, che tocca
sia la storia universale sia la storia dell'individuo singolo concreto. Per
questa ragione la Fenomenologia dello Spirito
un romanzo di formazione (Bildungsroman), e le sue figure sono metafore
di momenti educativi di consapevolezza anche e soprattutto per i singoli
individui. Qui non potr certamente analizzare quest'ope- ra immortale, ma mi
limiter a segnalare la decisivit di alcuni passaggi. Hegel sa bene che il
dominio ed il potere delluomo sull'uomo non proviene mai dal consenso. Il
contrattualismo, nonostante tutti i suoi meriti (ho gi fatto notare che la
teoria del contratto sociale
delegittimata da Hume per poter far passare il primato degli automatismi
economici sulla sovranit politica), aveva fat- to circolare lidea che
l'accettazione del potere di alcuni su altri provenisse da un mutuo contratto
di accettazione funzionale. Hegel sa bene che non pu essere cos. Il potere di
qualcuno su qualcun altro nasce dal fatto che il vincitore ha saputo superare
la paura della morte nello scontro, mentre il vinto ha abbassato gli occhi,
preferendo la sopravvivenza servile alla morte in combattimento. Ebbene, questa
da un lato una ovviet, e dall'altro un segreto ipocritamente seppellito da sette
sigilli. Oggi, ad esempio, l'impero USA chiede sottomissione assoluta
minacciano l'annientamento atomico a chi non gliela consente, e poi chiama
terroristi coloro che gliela rifiutano, mentre civili (ad esempio lattuale
Europa asservita) sareb- bero coloro che invece abbassano gli occhi per la
paura. allora del tutto naturale che
nella manualistica filosofica la nascita hegeliana del dominio venga o taciuta
o segnalata distrattamente come un particolare secondario. Ci vuole anche qui
un riorientamento gestaltico. L'analisi hegeliana della nascita del dominio
dalla forza, o meglio dal nesso coraggio della forza/paura della sottomissione,
deve essere oggi messa al centro di qualunque insegnamento della filosofia, se
si vuole capire la natura storica imperiale del periodo storico che stiamo
vivendo. La dialettica della lotta per il riconoscimento fra il servo ed il suo
signore forse la figura fenomenologica
hegeliana pi conosciuta. Essa sfugge totalmente all'uni- verso espressivo kantiano
e neokantiano e tutti i ritorni a Kant, come sfugge a tutte le inutili
giaculatorie gnoseologiche per perditempo. La sottomissione attua- le dei
continentali agli analitici testimonia, nel rarefatto mondo sottomesso
dellirrilevante sapere universitario, la sottomissione storica della grande
filosofia della tradizione Spinoza-Hegel-Marx alle stupidaggini scolastiche che
nei campus USA spesso definita
filosofia. Questa figura hegeliana sta alla base della scien- za filosofica
posteriore di Marx, che non in alcun
modo un sapere economico sullestorsione del plusvalore travestito sotto un
apparente scambio di equivalen- ti, ma
appunto un sapere del riconoscimento (del lavoratore da parte del suo
sfruttamento), in vista di un autoriconoscimento (dell'intera umanit, pensata
logicamente come un unico concetto trascendentale-riflessivo, che comprende che
il lavoro sua propriet indivisa, e
non oggetto di dominio o di compravendi-
ta). bene che il processo che porta dal
semplice riconoscimento (che implica an- 279 CarrroLo XXXI cora la permanenza
di due soggetti antagonisti, sia pure parzialmente inciviliti ed addomesticati)
al vero e proprio autoriconoscimento (che implica l'abolizione della scissione,
Trennung, fra sfruttatori e sfruttati) venga concettualmente compre- sa. Se la
si comprende, la derivazione lineare di Marx da Hegel appare quasi ovvia, e
nessun rigurgito di antipatia verso Hegel riuscir mai a nasconderla. La
connotazione hegeliana delle filosofie ellenistiche in termini di interiorit
impotente allombra del potere pu essere giudicata troppo severa, ma mi sembra
difficile negarne la plausibilit. Epicuro, ovviamente, pu piacere (giovane
Marx) o non piacere (Hegel), ma qui non si tratta di dare voti. Anche ammesso
che Hegel si sia sbagliato su Epicuro e sugli stoici (ed io stesso ne ho dato
due letture differen- ziate nei capitoli a ci dedicati), resta il fatto che si
danno situazioni storiche in cui la filosofia perde di fatto ogni funzione
politica orientativa della comunit, e deve ripiegare penosamente in piccoli
circoli protetti. per me evidente che
oggi vivia- mo una simile situazione, e che la generale delegittimazione
politica seguita alla dissoluzione del comunismo storico novecentesco realmente
esistito (1917-1991) ha comportato anche e soprattutto la generalizzazione
dellantipatia verso Hegel e verso Marx. Non si tratta quindi di un insieme di
valutazioni storiografiche pi o meno corrette su Epicuro, Pirrone o Zenone. Si
tratta di accettare pienamente la legittimit della critica di Hegel a quei
pensieri che si ritirano dalla polis per ef- fettuare secessioni ed esodi. Per
quanto mi riguarda, laccetto pienamente. La critica hegeliana alla cosiddetta
coscienza infelice rivolta come
noto alla sensibilit religiosa
medioevale. Personalmente, non mi convince nemmeno troppo. Da quanto mi dato capire, il Medioevo non stato per nulla infelice, ma semmai
messianico (ricordo qui la mia accettazione della teologia di Auerbach sulla
filosofia della storia di Dante). Qui il protestantesimo luterano di Hegel lo
porta spontaneamente ad antipatizzare verso il cattolicesimo medioevale. Hegel
aveva peraltro un'altissima concezione di Dio, ed era irritato da coloro che
labbas- savano. Il clero cattolico fece in proposito una protesta collettiva
ufficiale, perch Hegel ridicolizzava nei suoi corsi il dogma della
transustanziazione, affermando che su questa base la divinit sarebbe stata
contenuta negli escrementi di un topo che aveva mangiato unostia (la fonte Michelet). Un giorno davanti alla cattedrale
di Colonia, mentre vedeva vendere medaglie benedette, esclam: Chiss se potr
vivere fino al giorno in cui tutte queste buffonate finiranno!. Ad un allievo
cretino che gli magnificava le delizie dei buoni nell'aldil, Hegel disse
severamente: Ah, cos lei vuole riscuotere anche una mancia, per aver curato la
sua signora madre malata e per non aver avvelenato il suo signor fratello
maggiore!. E potremmo continuare con questa sapida aneddotica, ma non necessario, perch noto che Hegel non riteneva soffermarsi sulla
cosiddetta inesistenza di Dio (si tratta di un sapere positivistico alla
Odifreddi, ridicolo nella sua petulante presunzione di su- periorit laica sulle
plebi superstiziose preda di quella che Viano chiama lim- postura), ma
preferiva puntare sul fatto che di Dio si avesse una rappresentazione (Vorstellung)
pi adeguata e meno animalesca. 280 Hegel ed il ristabilimento
ontologico-sociale della storicit La coscienza infelice che pass poi a Marx ed
al marxismo non fu limpossibi- lit mistico-teologica medioevale di essere Dio,
ma l'impossibilit del profilo cultu- rale borghese di essere realmente
universalistico. La coscienza infelice si identifica con l'impossibilit del
raggiungimento di una autocoscienza universalistica. Qui sta la matrice
dell'intera scienza filosofica di Marx, che
infatti un episodio non certamente del cosiddetto pensiero operaio,
salariato e proletario (la cui natura
quella di semmai di oscillare perpetuamente come un pendolo fra
leconomicismo della equa distribuzione e il messianesimo dell'attesa di un
salvatore in questo caso la Storia
divinizzata cui assoggettarsi in modo paolino), quanto della coscien- za
infelice borghese. Ma di questo pi avanti. La ricostruzione hegeliana della
storia della filosofia, della storia della religione e della filosofia della
storia un'unica ricostruzione. I singoli
alberi sono certo tutti interessanti, ma ci che conta la logica complessiva che presiede alla
ricostruzio- ne. Non si tratta di sottoscrivere a tutto ci che Hegel ha
scritto. Ad esempio, ci che Hegel ha scritto dell'India e della Cina mi sembra
francamente una sciocchez- za. Essere hegeliani non significa sottoscrivere
tutto ci che i suoi allievi hanno trascritto dalla sue lezioni orali. Essere
hegeliani (ed io mi sento di esserlo pia- mente) significa comprendere che la
verit parte dalla storia, o meglio dalla feno- menologia dialettica della
propria collocazione individuale e collettiva nel flusso storico, ma che la
verit non si esaurisce nella storia, perch tende verso qualcosa che , ed eternamente, e con questo il campo della
filosofia non pu e non deve essere indentificato con quello dell'ideologia
(marxismo), dellepistemologia, della gnoseologia e della morale categorica. E
con questo, mi sembra, si dice molto. 281 XXXII. LA FILOSOFIA POLITICA DI HEGEL
E LA SUA OPPOSIZIONE DETERMINATA AL CONSERVATORISMO DEI VECCHI CETI, ALLA
DISPERSIONE INDIVIDUALISTICA DELL'ECONOMIA POLITICA INGLESE E ALLA FURIA DEL
DILEGUARE RUSSOVIANO-GIACOBINA Il 9 novembre 1977 stata pubblicata la seguente dichiarazione
sul prestigioso quotidiano francese Le Monde: Ci che sciocca i tedeschi la tendenza diffusa nella stampa estera ad
assimilare lattuale caccia al terrorismo della Rote Armee Fraktion ad un
ritorno del nazismo, laddove ai loro occhi tale caccia precisamente destinata a lottare contro il
ritorno di quel romanticismo tetro, crudele, al limite della follia, che ha
sedotto pi di una volta, dal Medioevo a Nietzsche a Wagner, passando per Hegel,
le zone torbide dell'anima tedesca.
questo romanticismo che ha generato il culto della violenza, che ha
sostituito l'adorazione della Storia all'adorazione di Dio, che ha condotto
ieri a Hitler e rinasce oggi sotto la forma della Rote Armee Fraktion. Questo
testo, ispirato ad un sublime umorismo demenziale, non stato pubbli- cato da un qualche BCI
(Bollettino per Cretini Incurabili, ciclostilato a cura dei sud- detti),
ma stato pubblicato su uno dei pi colti
quotidiani europei. Giustamente Jacques DHondt ne ha preso lo spunto per una
ottima messa a punto del pro- blema Hegel. Ma non bisogna farsi illusioni di
alcun tipo. La libera caccia a Hegel un
fatto sociale, e nello stesso tempo un derivato ideologico della sconfitta
militare tedesca prima del 1918 e poi del 1945. La germanofobia ideologica in Europa l'alibi miserabile per culture come
quella francese, inglese, italiana, ecc., per assolversi delle proprie
porcherie storico-politiche, dai massacri coloniali fran- cesi, inglesi e
italiani alle corresponsabilit negli stessi scatenamenti delle guerre del
1914-1918 e del 1939-1945. Per poter inchiodare per sempre la Germania al suo
passato irriscattabile bisogna farla diventare una sorta di grande Transilvania
di vampiri sanguinari, nell'ordine Lutero, Guglielmo II, Wagner, Nietzsche,
Hegel e Hitler. Mi si dir che questi personaggi avevano in comune solo l'accento
tedesco, che per hanno anche Schumacher, Kant e Ratzinger. Non importa. Qui non
si tratta di fare della storiografia, ma della demonologia. E questa
demonologia non bisogna dimenticarlo mai
- non rivolta ad una ricostruzione
razionale della storia europea, ma
rivolta ad eternizzare il complesso di colpa e di vergogna de- gli
europeo, in modo che accettino per sempre di essere occupati militarmente da
basi USA dotate di bombe atomiche. Chi non capisce che lodio verso Hegel serve
anche a questo, mostra di non capire gli elementi minimi delluso ideologico
della falsificazione storica e filosofica. Ed
difficile esser un maestro della storiografia filosofica quando si analfabeta dell'ideologia. 283 CarrroLo
XXXII difficile oggi sostenere
seriamente che Hegel stato a suo tempo
un pensatore organico alla Restaurazione dopo il 1815. Al tempo dell'URSS di
Stalin fu impo- sto come dogma storiografico di Stato l'interpretazione
dellidealismo tedesco e di Hegel in particolare come reazione aristocratica alla
Rivoluzione francese, ed un Comitato centrale del PCUS fu addirittura dedicato
a smentire ufficialmente un professore sovietico di filosofia, tale Alexandrov,
che non aveva adottato questa interpretazione in una sua storia della filosofia
moderna. So bene che l'ideologia ha le sue esigenze, ed infatti rimprovero agli
storici della filosofia di essere troppo spesso degli analfabeti
dell'ideologia, di non essere vaccinati contro di essa e quindi di caderne
preda come pesci non appena essa tende le sue reti attraverso gli apparati
politici, universitari, editoriali e giornalistici. E tuttavia le due
concezioni di Hegel come espressione della reazione aristocratica alla
Rivoluzione francese e di Hegel precursore dellautoritarismo di Bismarck e del
totalitarismo di Hitler de- vono essere intese non come qualcosa di
storiograficamente interessante, ma come una proiezione ideologica
dell'alleanza fra l'URSS e gli USA nella Seconda guerra mondiale, pi o meno
come oggi Maometto visto come il
precursore ideologico dei patrioti suicidi impropriamente chiamati kamikaze.
Chi stato politicamente Hegel? Jacques
D'Hondt, che insieme a Jean Hyppolite ed a Herbert Marcuse la mia principale fonte storiografica su
Hegel (e ritengo che D'Hondt, Marcuse e Hyppolite bastino ed avanzino, anche se
qualco- sa pu essere trovato anche in altri pensatori secondari, come Fetscher,
Losurdo, Cesa, Taylor, ecc.), lo definisce un riformatore progressista, e fa notare
che tutti gli assistenti-ripetitori nominati da Hegel sono stati tutti, l'uno
dopo laltro, arre- stati, imprigionati e destituiti. In ogni caso, nella
Berlino di Hegel non esisteva- no partiti o club politici autorizzati, e quindi
definire Hegel di centro-sinistra (Peperzak) oppure definirlo come reazionario
anti-liberale comunque frutto di una
retrodatazione arbitraria. Il solo modo di attingere oggi il profilo della
filosofia politica di Hegel sta nel collocarla nel suo tempo storico, leggendo
la sua Filosofia del Diritto nel contesto storico in cui stata scritta, e non certamente esaminan-
dola con la prospettiva delle ideologie politiche novecentesche ed anche tardo-
ottocentesche. Hegel, infatti, del tutto
estraneo non solo al Novecento (fascismo, comunismo, impero USA, ecc.), ma anche estraneo al tardo Ottocento (pragmati-
smo, positivismo, marxismo, ecc.). Essendo un carattere pienamente autunnale
(Livio Sichirollo), concluse l'estate, anche se pu essere legittimamente
interpreta- to come una primavera, e cos io linterpreto (su questo ho a suo
tempo dissenti- to con Sichirollo, che insieme ad Emilia Giancotti sono stati
maestri e compagni ad Urbino, e che appartengono ormai la mondo dei pi anche se sono ancora vivi nel pensiero e
nella memoria). La filosofia politica di Hegel deve a mio parere essere
ricostruita a partire da. ci cui egli si opponeva e da ci che egli criticava ed
evitava, cos come il presup- posto per capire la filosofia di Marx sta nel
fatto che egli non si opponeva soltanto genericamente ad un indeterminato capitalismo,
ma si opponeva a quasi tutte le teorie di sinistra del suo tempo. Se si adotta
questo approccio metodologico, 284 La filosofia politica di Hegel Hegel
ridiventa in un certo senso attuale, perch anche oggi vi sono equivalenti
moderni e post-moderni delle posizioni cui egli si oppose ai suoi tempo. Questo
non significa che si debba indebitamente attualizzare Hegel. Questo significa
invece che l'analogia consentita, se per
si pienamente consapevoli che si tratta
solo di una analogia interpretativa, e non di una regolarit nel ripresentarsi di
fantomatiche leggi storiche. A suo tempo, Hegel si oppose a tre posizioni
ideologico-politiche concreta- mente esistenti: il conservatorismo reazionario
dei cosiddetti vecchi ceti alla Metternich, che si riconoscevano nella
filosofia della Restaurazione ed auspicava- no il ritorno alla situazione
anteriore al 1789; l'imitazione dell'economia politica inglese e dello Staat
ridotto a governement, cio a puro regolatore politico del fun- zionamento
dell'economia capitalistica, che in quel momento storico coincideva di fatto
con lo scatenamento liberale integrale (la grande fame dell'Irlanda non era
ancora avvenuta, ma era nell'aria); la ripresa del giacobinismo russoviano e
ro- bespierrista, colpito dai termidoriani nel 1794, ma ancora ben vivo nella
memoria storica e nei progetti politici radicali. Sono questi i tre punti di
vista politici cui si oppone Hegel, e senza esaminarli impossibile ricostruire oggi la natura del
suo pensiero politico. Il mondo dei vecchi ceti (o se lo si vuole chiamare cos,
dellancien rgime) era stato colpito duramente dalla Rivoluzione francese del
1789, ma noto che esso ormai
scricchiolava da tempo, ed il cosiddetto dispotismo illuminato, pi che una
anticipazione incerta ed inconseguente della rivoluzione borghese imminente,
deve essere meglio inteso come ultima tappa dellassolutismo, che a sua
volta assai pi lultima frontiera contro
il modo di produzione capitalisti- co (Perry Anderson). La strategia politico-militare
dellInghilterra, che mobilitava contro la Francia rivoluzionaria e napoleonica
tutte le forze signorili e tardo-feu- dali europee, riusc a galvanizzare ancora
per qualche decennio i vecchi ceti, e Metternich dopo il 1815 costru per loro
un'Europa a loro immagine e somiglianza. Ma Hegel non credette mai che sarebbe
stata possibile una vera restaurazione. Oggi siamo ancora in un clima abbietto
di convinzione che si sia potuto restaura- re per sempre il modello di
capitalismo liberale incontrollato precedente il 1914, ed infatti Alain Badiou
parla correttamente di seconda restaurazione (io accetto pienamente questa
connotazione). Ma Hegel non pensava l'equivalente di questa concezione da servi
nel 1815, perch tutta la sua Fenomenologia dello Spirito era stata scritta
nella convinzione di stare vivendo allinterno di un'epoca di gestazione e di
trapasso. Per Hegel, il mondo delle gerarchie sacralizzate feudali e signorili
era definitivamente tramontato, ed ogni tentativo di tenerlo in vita era
destinato al fallimento. Non a caso (ricordo qui Pggeler) la sua intenzione era
quella di concepire l'Assoluto come metafora filosofica del ristabilimento
politico di una comunit nazionale e statuale (il Machiavelli della Germania),
fondata per sulla scienza filosofica, e non pi sulla tradizione religiosa pura
e semplice. La filosofia della Restaurazione, infatti, era un filosofia del
primato assoluto della religione sulla filosofia intesa come scienza
filosofica, ed una filosofia del primato del diritto 285 CaritoLo XXXII
consuetudinario sul diritto ricostruito su basi razionali (la sua Filosofia del
Diritto, appunto). Per Hegel lIlluminismo aveva portato a termine una
necessaria funzio- ne di distruzione del vecchio, ed Hegel era riuscito a
concettualizzare pienamente la positivit di questa funzione distruttiva
attraverso la sua concezione filosofica generale della positivit dialettica del
negativo nella storia. Anche se non utilizz mai la categoria pessimistica
fichtiana del presente come epoca della compiuta peccaminosit, di fatto
condivideva le conclusioni di Fichte, per cui si trattava di un'epoca
provvisoria, che avrebbe dovuto essere sostituita da un'epoca illuminata (e
quindi, da un nuovo Illuminismo - lidealismo di Hegel infatti pensato come un nuovo Illuminismo
della ragione dialettica che sostituisce il vecchio Illuminismo dell'intelletto
astratto), ed illuminata proprio da una scienza filosofica diretta a tutti e
non solo ad alcuni geni pomposi autoproclamatisi tali (si tratta di ci che
Lukcs ha correttamente definito gnoseologia democratica). Chi esalta la
tradizione medioevale intendendola come un comunitarismo positivo rispetto al
nuovo individualismo proprietario borghese lo faccia pure, se lo vuole e cos
gli piace, ma non pensi di potersi collegare al pensiero dialettico di Hegel (e
ovviamente di Marx). Il rapporto di Hegel con la posizione dei no- stalgici dei
vecchi ceti , a ben vedere, analogo a quello che abbiamo noi con i nostalgici
del comunismo storico novecentesco recentemente defunto e seppelli- to.
Indubbiamente anche nelle strutture pi autoritarie e degradate del baraccone
burocratico staliniano c'erano elementi di solidariet comunitaria ed
esistenziale migliori dellattuale scatenamento privatistico di oligarchi
miliardari e di belve privatizzatrici liberate dalla loro gabbia.
L'ex-dissidente Alexander Zinoviev, che pure suo tempo fu perseguito dai culi
di pietra dell'apparato burocratico so- vietico, lo ha capito benissimo, e lo
ringrazio qui per avermi fatto da guida alla comprensione globale del sistema
sovietico, che fu sempre di fatto un katekhon contro lo scatenamento degli
animal spirits capitalistici, solo vero fattore pericoloso dellattuale
congiuntura storica. E tuttavia il mondo dei burocrati comunisti e del- le
grandi masse assistite e spoliticizzate, positivo o meno il ruolo di katekhon
che ha giocato nella storia novecentesca (a differenza del pur stimabile
Solzenitsyn, penso che abbia giocato un ruolo molto positivo) non pu pi essere
restaurato. L'autobus della storia gi
passato da quella fermata, ed inutile
aspettare che ripassi ancora, perch da quella fermata non ripasser mai pi. Le
due ideolo- gie gemelle, complementari ed antitetico-polari della
sacralizzazione gerarchica cristiana tradizionale e del materialismo dialettico
sovietico sono entrambe defini- tivamente trapassate, e non si potranno quindi
riformare n i vecchi ceti feudali e signorili, n i nuovi ceti socialisti e
comunisti. Questo ci insegna Hegel, e mi sembra un insegnamento di valore
inestimabile, anche se so bene (per usare una vecchia espressione del liberale
piemontese Luigi Einaudi) che si tratta per ora di prediche inutili. Il mondo
della nuova economia politica inglese stava appena affacciandosi al- lora
nell'Europa continentale, e non poteva quindi ancora realmente comparire nella
analisi di Hegel. E tuttavia mi azzardo a dire che se Hegel avesse potuto 286
La filosofia politica di Hegel conoscere la proposta economica di List, che
contrapponeva alle armonie del mer- cato di Smith una legittima fase
mercantilistica e protezionistica per poter garan- tire la crescita di una comunit-Stato,
l'avrebbe certamente preferita (ed io con lui, ovviamente). I giudizi dei
mercati (questa espressione ad un tempo sciocca ed idolatrica oggi molto di moda, e non a caso, perch i
periodi di decadenza sono sempre anche periodi di stupidit diffusa) devono
sempre passare dopo i giudizi delle comunit. Il fondamento filosofico
dell'economia politica inglese, che si presenta come un sapere privo di
presupposti filosofici laddove
ovviamente un impasto di sensi- smo, empirismo, scetticismo ed
utilitarismo, sta in una operazione di destoriciz- zazione e di
desocializzazione preventiva (il robinsonismo), che sta ovviamen- te agli
antipodi della concezione hegeliana, e di l deriva il pittoresco odio verso
Hegel della corporazione degli economisti, la cui scienza infatti non
resisterebbe cinque minuti alla corrosiva critica della dialettica. E tuttavia
Hegel non stato avaro di complimenti e
di riconoscimenti alla nuova scienza dell'economia po- litica. Nel paragrafo
189 (con nota) della sua Filosofia del Diritto Hegel definisce l'economia
politica come la scienza dellappagamento della particolarit sogget- tiva, nella
relazione con i bisogni ed il libero arbitrio di altri. Si tratta quindi di una
nuova scienza dell'intelletto astratto (Verstand) e non della ragione
dialettica (Vernunft). Essa anche una
scienza in cui l'intelletto si sfoga nei suoi fini sogget- tivi e nelle sue
opinioni morali. In quanto scienza del sistema dei bisogni Hegel colloca
l'economia nellambi- to della societ civile (biirgerliche Gesellschaft). Il
concetto hegeliano di biirgerliche Gesellschaft non solo non identico al concetto empiristico-liberale di
civil society, ma ne addirittura
l'opposto. Nella concezione liberale-lockiana (o se si vuole,
liberale-smithiana), la civil society il
fondamento ultimo della societ, e lo Stato non
che una superfetazione utilitaristica, che si tratta di limitare (libert
da, come premessa della libert di), e non certo di dotare di legittimit.
Attraverso il linguaggio rarefatto ed ipocrita della politologia si ha qui
ovviamente la fondazio- ne del primato delleconomico sul politico. L'economico,
raddoppiato dal chiac- chiericcio di saturazione e di legittimazione della
cosiddetta opinione pubblica, cio del monopolio mediatico del primato delle
opinioni consentite (civil society e public opinion marciano sempre insieme
come i carabinieri di una volta), deve infatti avere sempre il primato sul
politico (teoria dellautoistituzione della societ sulla base del primato
dell'abitudine mercantile in Hume, ecc.).
ovvio che Hegel rifiuti radicalmente questo approccio liberale. In
questo senso, ma solo in questo senso, Hegel
un pensatore anti-liberale, e lantipatia verso di lui da parte dei vari
Bobbio, Dahrendorf, Berlin, Aron, ecc.,
pi che giustificata. Chi vuole attribuire un primato metafisico alla
riproduzione capitalistica pura, in cui gli animal spi- rits si fondono con la
civil society e con la public opinion (ho qui lasciato non tradotti
nell'originale in lingua inglese le tre persone della trinit capitalistica),
non potr simpatizzare per Hegel, teorico del primato della scienza filosofica e
della politica comunitaria sull'economia assolutizzata e divinizzata. 287
CarrroLo XXXII Hegel riconosce lesistenza dei bisogni, e del fatto che in una
certa misura l'economia politica aiuta a determinarli, coordinarli e
soddisfarli. In questo senso l'economia politica, come l'ideologia, necessaria e non pu essere in alcun modo
abolita. A suo tempo alcuni marxisti meccanicisti e poco dialettici (il giovane
Bucharin, Rosa Luxemburg) concepirono il socialismo come la fine dell'economia
politica. Si tratta di un errore, in quanto l'alternativa radicale al mercato
(almeno di alcuni beni, non necessari alla riproduzione vitale delluomo - il
bisogno di cure mediche non della stessa
natura del bisogno di visitare il Madagascar) non pu che essere la
distribuzione amministrativa di un iper-Stato benefattore, con conseguente
asservimento dei consumatori egualizzati dai distributori. pi o meno come capitava gi nell'antico
Egitto, e mi pare poco opportuno prefigurare il socialismo del futuro sulla
base del modello sociale degli antichi faraoni.
vero peraltro che la mummificazione rituale dei capi comunisti defunti
(Lenin, Stalin, Mao, Dimitrov, ecc.) non fu certo casuale, perch riprodusse
simbolicamente lo stesso tipo di legittimazione religiosa. I sacerdoti egizi
mummificavano Amenofi come i burocrati sovietici mummificarono Stalin, in
quanto in entrambi i casi la per- manenza fisica del corpo del loro
faraone-babbione sacralizzava direttamente la permanenza ideale del loro
dominio. Abbiamo qui un esempio luminoso del fatto- re materiale dell'ideologia
nella sua funzione di legittimazione dei rapporti sociali. Non si pu seriamente
pretendere di ricavare da Hegel una teoria dei modi di produzione o una critica
dell'economia politica. Chi le considera necessarie per capire il presente
(come chi scrive) deve rassegnarsi ad aspettare Marx, con tutte le antinomie
che il pensiero di questultimo presenta (di cui chi scrive pienamente consapevole). E tuttavia, se Hegel
non un critico dell'economia politica,
non neppure un apologeta indiretto del
primato normativo della riproduzione econo- mica su tutti gli altri ambiti del
legame sociale comunitario, ed anche per
questo, ovviamente, che oggetto di
antipatia da parte dei seguaci di Locke (medico, mer- cante schiavista,
filosofo empirista e cristiano ragionevole). Con la sua definizio- ne
dell'economia politica come sapere dell'intelletto e non della ragione, Hegel
si ricongiunge semmai ad Aristotele ed alla sua critica alla assolutizzazione
della . crematistica, critica che fu ripresa poi anche da Tommaso d'Aquino.
Questo non . sfugge ovviamente al grande storico francese dell'economia Henri
Denis, gi am- piamente citato, uno dei pochi commentatori capaci di notare che
Hegel critica gh economisti inglesi perch tratterebbero erroneamente luomo come
un essere solo | naturale, ignorando che la libert umana un prodotto storico, e non solo natu rale.
Denis coglie qui un punto che sfugge a molti commentatori, per cui l'estremo
artificialismo dell'economia politica, che nell'epoca della manipolazione
pubblid- ; taria e della creazione pianificata di bisogni del tutto artificiali
tende addirittura a rendere la natura umana un dato interamente manipolabile,
si fonda curiosamente | su di un presupposto interamente naturalistico, e cio
destoricizzato e desocializ- zato. Ma qui Denis raggiunge idealmente Polanyi
nel capire che l'isolamento ar tificiale dell'economia dal resto dei rapporti
sociali non affatto un dato naturale, |
ma al contrario un prodotto non solo
storico, ma addirittura iperstorico (e liper-; 288 La filosofia politica di
Hegel storico, per cancellare le sue sporche tracce, si presenta sempre con labito
candido del sovrastorico e dell'eterno parmenideo) di una congiuntura storica
particolare, di cui abbiamo gi parlato. In quanto sapere storico e limitato del
sistema dei bisogni l'economia politica ha il suo posto nella riproduzione
umana. Ma essa non si accontenta di essere un sapere subordinato all'etica
comunitaria. In quanto teologia del capitalismo, essa vuole il dominio assoluto
nel proprio regno, e vuole che la sua pipa brandeggiata dai suoi sacerdoti
anglofoni possa dominare sul turibolo dellincenso dei preti e sul megafono dei
sindacalisti in sciopero. Ma perch la sua pipa-totem brandeg- giata nelle sue
messe anglofone possa mandare tranquillamente il suo odore di trinciato verso
il cielo della speculazione finanziaria bisogna prima che vengano delegittimate
sia larte che la religione che la filosofia. L'arte deve diventare mer- cato
dellarte, con venditori che battono con il martelletto l'acquisto di miliardari
gi intenzionati a nascondere i capolavori dellarte in caveau di banche
svizzere. La religione deve diventare affare privato personale del credente,
assimilato cos al filatelico o al pornografo, che ha diritto alla sua sfera
privata, cos come la sfera pubblica deve invece diventare luogo sacro della
trinit degli animal spirits, della civil society e della public opinion. In quanto
alla filosofia, bisogna che nel migliore dei casi diventi gnoseologia critica
del mondo (nel frattempo esaurito) della meta- fisica dellal di l, e nei
peggiori dei casi venga sbeffeggiata come residuo infantile di maniaci che
anzich dedicarsi al pi produttivo inglese finanziario si dedicano al tedesco
filosofico. Eppure, nonostante tutte queste indecenti manipolazioni, difficile togliere di mezzo questa semplice
verit: l'economia politica, sapere le- gittimo del sistema dei bisogni, qualcosa che in qualunque comunit civile non
pu essere divinizzato e posto al di sopra di tutto, ma qualcosa di subordinato al sapere razionale
degli interessi complessivi di una comunit. La critica di Hegel alla sinistra
del tempo a mio avviso ancora pi
interessan- te delle due critiche allillusione restaurativa dei vecchi ceti ed
al sapere astratto della sovranit dell'economia politica liberale
capitalistica. Anch'essa del tutto
attuale, se non si pretende ovviamente di poterla applicare direttamente alla
congiuntura storico-politica di oggi. Il cuore della questione sta in ci, che
Hegel non critica la sinistra perch sarebbe troppo collettivistica, ma proprio
per la ragione opposta, perch il suo fondamento
eccessivamente individualistico. Da momento che anche oggi (2013)
lincurabilit della sinistra europea sta proprio nel suo essere inguaribilmente
individualistica, e di non saperlo pure,
bene dedicare a questo aspetto del pensiero politico di Hegel
un'attenzione particolare. Ci sono stati recentemente pensatori (come il francese
Louis Dumont) che sono riusciti a diagnosticare la natura individualista
dellincurabile patologia filosofico-sociale della sinistra, dal populismo
baffuto di Zapata al radicalismo glabro di Zapatero, ma sono ragioni storiche
inesorabili che impediscono (per ora; domani chiss!) la presa in considerazione
pubblica di queste diagnosi. La sinistra oggi
il problema, e ritiene di essere la cura. Ma impossibile che il problema curi se stesso.
Oggi gli apparati culturali, politici e giornalistici della cosiddetta sinistra
sono il vettore 289 CaprroLo XXXII marciante della secolarizzazione
individualistica dellattuale ipercapitalismo mul- ticulturale globalizzato
interamente post-borghese e posto-proletario, ed quindi impossibile che siano in grado di fare
luce su se stessi e di scoprire la loro funzione sociale, visto che sono
impregnati di quella falsa coscienza necessaria degli agenti storici che
impedisce per principio ogni rinnovamento del metodo dialettico della
Fenomenologia dello Spirito, e cio laccesso allautocoscienza
(Selbstbewusstsein) sul- la propria funzione. Un bagno di Hegel farebbe bene,
ma la porta della doccia chiusa.
Eppure come ha scritto felicemente
Jacques D'Hondt chi stato toccato dallala della filosofia
hegeliana acquista un altro portamento!. Ernst Cassirer ha sostenuto che
Rousseau (si noti bene: Rousseau, non Marx)
stato il fondatore del pensiero di sinistra, perch solo Rousseau ha
veramente rovesciato la teodicea in sociologia, individuando il peccato
originale non in un caduta teologica che avrebbe prodotto la malvagit mondana,
ma nelliniqua distribuzione dei bene terreni frutto di un contratto sociale
ingiusto da rinnovare e raddrizzare. E infatti scrive Rousseau: Nego che la
malvagit sia connaturata alla specie, come insegna il sofista Hobbes, o sia
necessario ammettere la dottrina del peccato originale, come propaganda il
retore Agostino. Qui sta il logos fon- dativo della sinistra, che a mio
avviso un buon /ogos, e pu essere pienamente
rivendicato a distanza di pi di due secoli.
infatti assolutamente vero che il sofista Hobbes ed il retore Agostino
sono inaccettabili. Solo la sofistica pu sostenere che la malvagit sia
realmente connaturata alla specie umana e non sia anche soprattutto (anche se
non esclusivamente) un dato sociale, e solo la retorica pu sostenere che il
peccato originale non sia anch'esso un dato storico che nasconde lo sviluppo di
una societ divisa in classi (e rimando qui ai capitoli due e tre di questo
scritto). La filosofia si erge soprattutto contro la sofistica di Hobbes e la
retorica di Agostino, ne svela i vizi teorici attraverso la ricostruzione
storico-genetica ed ontologico-sociale e mostra cos la via per la liberazione.
Non ha quindi senso ripudiare il logos della sinistra enunciato da Rousseau. E
tuttavia Rousseau coniuga questo logos in modo nevroticamente individuali-
stico. Indentificando lintero sistema dei costumi sociali come corrotto egli
non fa che spostare il peccato originale dalla religione alla societ. Hobbes e
Agostino, apparentemente espulsi dalla porta, rientrano immediatamente dalla
finestra. La denuncia russoviana della corruzione sociale che dovr essere
riscattata attraverso un azzeramento ideale (lo stato di natura, che come noto in Rousseau non la descrizione di una societ di selvaggi
realmente esistita, ma il grado zero concettuale della ricostruzione sociale
integrale), ha come portatore un indivi duo libero di ogni peccato sociale
(lEmilio russoviano infatti il grado
zero della societ radicale), che costruir insieme ad altri individui liberati
come lui la nuova societ, che apparir cos fondata sul contratto sociale
stipulato da indivi dui virtuosi. Virtuosi, indiscutibilmente, ma sempre
individui. Il fatto che, vizioso o virtuoso, Robinson malvagio o Robinson
buono, l'individuo non mai il fonda-
mento della societ. Fondamento della societ per Hegel non mai l'individuo, ma sempre la comunit, assunta prendendo in
considerazione la scissione (Trennung) 290 ai La filosofia politica di Hegel
che la caratterizza storicamente (il proprio tempo appreso nel pensiero).
Rimando qui alla critica di Fichte allindividualismo del diritto naturale,
critica che anche costitutiva del
pensiero posteriore di Hegel. La critica di Hegel a questa sinistra originaria
si incentra quindi su tre punti principali, che conviene segnalare subito in
forma riassuntiva ed analizzare poi separatamente: la critica generale
allastrazione illuministica, la critica politica al cosiddetto rovesciamento
della virt in terrore del robespierrismo giaco- bino, ed infine la critica
filosofica generale alla cosiddetta furia del dileguare. Personalmente,
condivido la prima e la terza, mentre respingo fortemente la se- conda. Ma qui
non conta ci che lo scrivente accetta o respinge, quanto la com- prensione dei
punti teorici fondamentali. La critica generale di Hegel allilluminismo nota, ma converr sempre ripeter- la, per
coglierne nuove sfaccettature. Hegel accusa lilluminismo di essere il pen-
siero dell'intelletto astratto, e su questo punto mette insieme il sensismo materiali-
stico, lempirismo lockiano, lo scetticismo humeano, la corrosione volterriana
ed infine punto pi alto di tutto
lilluminismo il criticismo kantiano.
Questo regno dell'intelletto astratto
condannato con espressioni simili a quelle usate dal Fichte dellepoca
della compiuta peccaminosit, ma a differenza di Fichte c' anche il
riconoscimento non solo della necessit, ma anche dellassoluta indispensabilit
della corrosione critica illuministica, per astratta che abbia potuto essere.
Ci che differenzia radicalmente Hegel dai filosofi reazionari della
Restaurazione, infatti, che questi
ultimi semplicemente deplorano il movimento illuministico, mentre Hegel non lo
deplora per nulla, ma ne riconosce dialetticamente lunit di indispen- sabilit e
di insufficienza. Oggi il cosiddetto rilancio dell'illuminismo, con slogan
ridicoli e pomposi come illuministi di tutto il mondo, unitevi! (rivista
Micromega, quotidiano Repubblica, ecc.),
primariamente rivolto contro il marxismo connotato come utopia
sanguinaria, ma impregnato ovviamente
soprattutto di antipatia verso Hegel, perch Hegel stato colui che verso lilluminismo ha avuto
latteggia- mento pi sano e pi sobrio, e cio una critica non distruttiva. La
critica hegeliana verso lilluminismo si basa sul fatto che questultimo ha un
codice teorico comune a tutte le scuole (dal deismo allateismo materialistico),
e cio lindividualismo anti-comunitario. Le cose non sono sostanzialmente
cambiate oggi. Tutti gli odierni ritorni allilluminismo sono infatti
infallibilmente indivi- dualistici e anti-comunitari, ed uno spoglio
sistematico della sua ampia letteratura ( ampia, perch i suoi propugnatori sono
numerosissimi negli apparati ideologici universitari ed editoriali) pu
facilmente accertarlo. L'individualismo anti-comu- nitario, mascherato da
progressismo, modernizzazione e liberalizzazione dei co- stumi, polemica contro
il cosiddetto fondamentalismo cattolico e musulmano, ecc., tuttora il codice filosofico fondamentale
della sinistra europea. Hegel non avrebbe certo potuto prevederlo, ovviamente.
Ma ha previsto, invece, l'incredibile forza distruttiva e corrosiva
dellindividualismo anti-comunitario. Di fronte alla Rivoluzione francese,
fenomeno cui a quei tempi nessuno poteva sottrarsi al dovere di darne una
interpretazione storico-filosofica generale (come 291 CarrroLo XXXII del resto
avvenne nel Novecento con la Rivoluzione russa del 1917), Hegel pren- de una
posizione facilmente riassumibile. Da un lato, essa connotata come un immane spettacolo,
rappresentato dal tentativo di sovvertire ogni assetto pre- esistente della
societ e di fondare lo Stato sulla base del puro pensiero e del puro progetto
razionale (quello dei giacobini, appunto). Dall'altro, i suoi esiti del periodo
1793-1794 sono connotati come l'evento pi orribile ed allucinante che la storia
ricordi, in base alla figura dialettica del rovesciamento della virt sogget-
tiva (le intenzioni morali di Robespierre) in terrore della ghigliottina.
Questa va- lutazione hegeliana stata
alla base di tutte le liquidazioni novecentesche della Rivoluzione russa del
1917, da Maurice Merleau-Ponty (cfr. Umanesimo e Terrore e Le Avventure della
Dialettica) fino a Frangois Furet (cfr. Il passato di una illusione). La parte
pi degenerata della generazione del 1968 ha trovato in questa pappa rea-
zionaria l'alibi ideologico colto per la propria riconciliazione (Vershnung)
con lo spirito capitalistico della globalizzazione ultracapitalistica e con le
grida rauche in favore dei bombardamenti umanitari contro stati canaglia,
genocidi inesistenti e certificati come tali e dittatori baffuti e barbuti
nemici dei cosiddetti diritti uma- ni. Bench io sia soggettivamente un
ammiratore di Hegel ed un sostenitore del co- siddetto hegelo-marxismo respingo
completamente questo ululare con i lupi. Anche il pi grande filosofo della
modernit pu ululare con i lupi, ma non
obbligatorio ululare con lui. Certo, Hegel rileva che Robespierre, lungi
dallesse- re un mostro sanguinario, come gridavano gli sciocchi del tempo
(nemici delle poche migliaia di vittime fatte da Robespierre, ed amici dei
milioni di vittime fatte nelle guerre napoleoniche il morto politico fa orrore, mente il morto
militare piace a tutti i tartufi di questa terra particolarmente ricca di tartufi),
fu qualcuno che prese la virt molto sul serio, ma sulla virt soggettiva non pu
fondarsi una comunit, che pu fondarsi solo su costumi condivisi (Sitten). Su
questo Hegel ha sostanzialmente ragione. Ma egli ignora (e non pu non ignorare
in base alla categoria di falsa coscienza necessaria del pensiero borghese) che
Robespierre non mirava solo alla virt, ma mirava proprio ai costumi politici
egualitari diffusi, e proprio questo faceva paura alle canaglie termidoriane.
Dal momento che le ca- naglie termidoriane volevano soprattutto rubare, ed impadronirsi
legalmente dei beni portati via alla nobilt ed al clero, evidente che dovettero decapitare Robespierre
ed i suoi eroici seguaci, mentre il solito popolo bue ed idiota (le tri-
coteuses, e cio le cucitrici che stavano sotto la ghigliottina inneggiando a
tutte le teste tagliate, monarchici o giacobini che fossero) si inebriava del
sangue versato. E tuttavia Robespierre, infangato e sporcato da gente che non
gli pu neppure stare alle caviglie, resta a pi di duecento anni di distanza una
figura immortale, del tutto comparabile s figure come Socrate, Ges, Francesco
di Assisi e Lenin (e non si stupisca il lettore di questi accostamenti
apparentemente borgesiani, e certamente assurdi e scandalosi per il
Politicamente Corretto ed i suoi conformistici seguaci). E tuttavia chiaro che Hegel doveva effettuare quel
particolare sganciamento simbolico della Rivoluzione francese il cui codice
teorico sempre lo stesso da due 292 di La filosofia politica di Hegel secoli: viva
il 1789, abbasso il 1793! Come noto,
Marx ed Engels non lo seguiro- no su questo terreno (ed insieme a loro storici
come il mio indimenticato maestro Albert Soboul), anche se persino loro sono
stati a mio avviso inutilmente severi e sprezzanti verso Robespierre, accusato
del reato contrario di quello cui lo accus Hegel, quello di essere stato troppo
borghese. E tuttavia lo ripeto, e qui chiudo su questo punto: il fatto che il
nostro maestro sia stato un filisteo, non significa che filistei dobbiamo
esserlo anche noi; il fatto che egli abbia deciso di ululare con i lupi, non
significa che dobbiamo ululare anche noi! La critica hegeliana alla russoviana
furia del dileguare mi sembra invece sen- satissima. Per furia del dileguare
Hegel intende l'errore contrattualistico rus- soviano, per cui per poter
fondare il nuovo contratto sociale equo ed egualitario (ed individualistico,
nel senso di una comunit astratta di individui sradicati ed originati, e non
dedotti dai costumi di comunit precedenti), bisogna saltare tutti i momenti
intermedi (soprattutto la famiglia e la corporazione professionale), per
arrivare subito alla comunit di Emili e di Nuove Eloise. Il fatto che Rousseau
fosse un signore che abbandon quattro figli alla ruota dei conventi non a mio avviso del tutto casuale (anche se
sarebbe errato giudicare il suo pensiero solo su dati biografici). Questo
pensatore politico era pervaso di sentimenti fortemente anti-politici, ed anche
il fatto che il suo romanzo preferito fosse il Robinson Cruso non certo casuale. Il suo ideale di vita stava
nel fatto che lo lasciassero tranquillo a fare erboristeria, perch solo fra le
piante mute un simile Robinson poteva vivere.
dunque del tutto ovvio che la sua furia del dileguare lo rendesse
impaziente di lasciarsi alle spalle la famiglia, la societ civile e lo Stato.
Per Hegel i costumi morali comunitari (leticit, Sittlichkeit) si imparano in
due luoghi. La prima radice etica la
famiglia, la seconda radice etica la
cor- porazione professionale. E questo corrisponde esattamente al senso comune
ed all'esperienza quotidiana. Prendiamo un medico sposato (o una donna medico
sposata, non cambia nulla). Come titolare di coscienza individuale puramente
mo- rale, in senso kantiano, egli un
individuo socialmente sradicato, n medico n padre di famiglia, ma semplicemente un'unit astratta di libert del
volere, luogo ideale per linfinita casistica morale kantiana di impossibili
imperativi categorici spaventati da ogni possibile (ed inevitabile) eteronomia.
Come padre di famiglia invece titolare
di ben precisi doveri etici verso i vecchi genitori, la moglie e i fi- gli.
Come medico titolare di altrettanto
fortissimi doveri etici verso se stesso (il dovere del continuo aggiornamento professionale),
verso i colleghi (il dovere di interpellarli quando non sicuro delle sue diagnosi, prognosi e
terapie), ed infine verso i pazienti. Ma Hegel constata che questa persona non
esaurisce i suoi doveri etici verso la famiglia e verso la corporazione
professionale, ma deve tener conto di un terzo tipo di valori etici, quelli verso
la comunit complessiva, che al tempo di Hegel non poteva essere che lo Stato
nazionale (Staat), che correttamente Koselleck ha sostenuto essere soltanto
l'equivalente tedesco del francese rpublique e dellin- glese commonwealth, con
tutta la carica semantico-simbolica che questi termini si portavano dietro. 293
CarrroLo XXXII Che dire? In breve, che Hegel aveva ragione nellessenziale,
senza per questo dover scioccamente dargli ragione a posteriori sulle
valutazioni congiunturali che dava su singoli empirici aspetti della Germania
1815-1831. Ma per questo che oggi
Hegel odiato. odiato dai tradizionalisti conservatori, che
vorrebbero rifondare il senso della comunit su metafisiche ultraterrene
sacralizzate da sfilate salmodianti di pretoni con i loro turiboli di
incenso. odiato da chi vorrebbe che solo
il giudizio dei mercati e dei loro brokers urlanti possa fare da fondamento
sociale comunitario. odiato infine da
chi ha come ideale radicale una societ di single la cui filosofia sia solo un
impasto di relativismo merceologico ed un carne- vale permanente di stili di
vita ingentiliti da un uso moderato di droghe leggere che dovrebbero liberare
la coscienza. Ma la coscienza si libera diversamente. E chi capisce questo
capisce anche che la filosofia di Hegel non
solo l'anticamera della liberazione, ma
gi la liberazione essa stessa. Come Spinoza, Hegel dunque il presupposto imprescindibile di ogni
filosofare moderno. 294 XXXIII. LA SCIENZA FILOSOFICA DI KARL MARX. LA
CENTRALIT DELLA CATEGORIA MODALE DI POSSIBILIT ONTOLOGICA SENZA ALCUNA GARANZIA
NECESSARIA DI FILOSOFIA DELLA STORIA SECOLARIZZATA DI SUPERAMENTO COMUNISTA
GLOBALE DEL MODO DI PRODUZIONE CAPITALISTICO Per pi di un secolo, il
marxismo stato in uropa ed in molte
parti del mondo (gli USA sono un'eccezione rilevante, ed in questa eccezione c'
in nuce il loro ruolo imperiale) un fatto sociale totale (Durkheim). In questo
fatto sociale totale, del tutto assimilabile a quello delle grandi religioni,
non ha alcun senso sottoporlo all'esame seminariale universitario sul suo
statuto teorico, gnoseologico ed epistemologico e sui suoi numerosi
fraintendimenti. La categoria di fraintendimento utilissima per esaminare Kant e Spinoza,
ma del tutto inutile per esaminare il
pensiero (pe- raltro non coerentizzato) di un autore che la storia stessa ha
trasformato in profeta escatologico mondiale. I fraintendimenti, quindi, fanno
parte della fisiologia del marxismo, non della patologia. tuttavia me ne occuper pi analiticamente in
un capitolo successivo, dal momento che il primo passo metodologico quando ci
si occupa di Marx resta pur sempre quello di distinguere accuratamente fra il
pen- siero marxiano (di un signore cio chiamato Karl Marx, nato nel 1818 e
morto nel 1883), il codice marxista primario (elaborato congiuntamente da
Engels e da a Kautsky nel ventennio di fondazione 1875-1895), ed infine i
differenziati marxi- smi plurali posteriori al 1895, nel loro intreccio
specifico di scienza, filosofia ed ideologia. In quanto fatto sociale totale il
marxismo ha come caratteristica il fatto che non necessario conoscerlo per giudicarlo e
prendere posizione. Ho gi molto insistito in precedenza che lantipatia verso
Hegel un fatto sociale, non certo un
insieme puro e disinteressato di legittime opinioni filosofiche kantiane o
positivistiche, in quanto dietro lantipatia verso Hegel ci sta un fatto
politico-sociale, il rifiuto di riconoscere alla scienza filosofica una
specifica sovranit sul giudizio della totalit sociale, sovranit che ove venisse
consentita verrebbe inevitabilmente tolta lad- dove i nemici di Hegel
vorrebbero che invece venisse ben conservata, la sovranit della rivelazione
religiosa, dellopinare politico pluralistico, dellintenzione rivolu- zionaria
soggettivamente sincera e soprattutto del mercato capitalistico e del libero
scorrimento sovrano della crematistica e della merce. ovvio che per Marx lan- tipatia verso
Hegel moltiplicata per dieci, anche se
ovviamente vengono messe in atto strategie di depistaggio e di neutralizzazione
(Marx teorico del mercato ca- pitalistico globale, Marx innocuo sociologo
dellalienazione intesa come generico 295 CarrtoLo XXXII disagio del singolo
nella societ massificata, Marx inteso come apologeta dello sviluppo delle forze
produttive e della scienza contro ecologisti e fautori della co- siddetta
decrescita, ecc.). Marx era comunista, si proclamava tale e non lasciava alcun
dubbio di voler essere ritenuto tale. Un buon modo ideologico di diffamarlo,
ovviamente, sta nelladdossargli la responsabilit morale dei crimini commessi
dal comunismo storico novecentesco realmente esistito (gul7g, persecuzioni di
dis- sidenti, geopolitica sovietica di occupazione di stati contigui al confine
russo, ecc.). Dire che il suo comunismo non era della stessa natura
statalistico-militare di quello dell'URSS
filologicamente esatto, ma non pu ovviamente smuovere chi decide di
posizionarsi su questo argomento ideologico, appunto perch Marx, a differenza
di Platone o di Kant, non mai oggetto di
semplice studio disinteressa- to, ma
sempre un oggetto simbolico di odio o di amore, e lo soprattutto per chi del tutto analfabeta sul piano della
conoscenza del suo pensiero. Su questo punto ho un'esperienza personale di
quasi mezzo secolo (e quale mezzo secolo: 1960- 2010!), che si pu compendiare
cos: meno conosci Marx, le sue opere ed il contesto storico in cui vissuto, e pi lo ami e/o lo odi, un quanto
lamarlo e lodiarlo rivolto verso uno
spettro, non verso una persona reale. Su questo punto Jacques Derrida, parlando
di spettri di Marx, coglie il punto essenziale della questione. In questo e nei
tre capitoli successivi, per un totale di quattro capitoli, mi occu- per di
Marx e del marxismo, riformulando in modo il pi possibile sintetico con-
siderazioni svolte altrove in forma pi analitica. Ma dico subito che le
esigenze di esposizione scolastica mi hanno costretto a formulare distinzioni
(scienza filosofica e scienza positiva in Marx, pensiero marxiano vero e
proprio e marxismi succes- sivi, marxismo ideologico di legittimazione prima
della socialdemocrazia tedesca e poi del comunismo storico novecentesco e
marxismo filosofico di testimonianza radicale, ecc.) che nella complessa realt
storica non esistono, perch solo il loro intreccio di fatto esiste. Le
distinzioni servono, ma servono solo se si
del tutto consapevoli che le si usa per chiarire dei pensieri, non certo
per ricostruire la totalit della realt concreta. Da un punto di vista
storico-genetico, che non si limiti a dedurre il singolo individuo empirico
Karl Marx (su questo punto personalmente, in accordo con Hegel, ritengo che
nella storia il casuale sia necessario, e sia del tutto impossibile dedurre
dialetticamente un singolo individuo, cos come Hegel sostenne arguta- mente che
la filosofia non pu dedurre la penna del professor Krug, uno scioc- co non
altrimenti noto che aveva chiesto a Hegel di dedurgli la sua penna), ma che
ambisca invece a dedurre storicamente e filosoficamente la natura del suo
pensiero, il pensiero di Marx deriva da un episodio tardoromantico di coscienza
infelice dellimpossibile universalismo della borghesia tedesca. Fichte aveva
indi- viduato in un'epoca della compiuta peccaminosit il rifiuto di rendere
socialmente e politicamente normativa una scienza filosofica della verit e
dell'emancipazione, e molti giovani hegeliani di sinistra (oltre allo stesso
Feuerbach) avevano ripre- so in forma critica il suo programma di unione di
rivoluzione e di filosofia. La filosofia della rivoluzione del giovane Marx,
comunque la si voglia giudicare e 296 La scienza filosofica di Karl Marx
spezzettare (influenza di Hegel, influenza di Feuerbach, ecc.), deriva
linearmente da una crisi della coscienza borghese, e meno si rimuover questo
evidente fatto biografico e meglio sar. Da un punto di vista
ontologico-sociale, invece, bisogna volgere lo sguardo non tanto verso le
vicende spirituali empiriche e largamente casuali di un tedesco chiamato Karl
Marx, quanto verso un autonomo processo di richiesta di ricono- scimento (nel
senso esatto assunto da questo termine nella figura servo-signore della
Fenomenologia dello Spirito di Hegel) delle nuovi classi salariate, operaie e
pro- letarie create dallo stesso sviluppo capitalistico prima in Inghilterra,
poi in uropa Occidentale e negli USA, ed infine nel resto del mondo. Per
richiesta di ricono- scimento distinguerei subito fra richiesta di
riconoscimento relativa e richiesta di riconoscimento assoluta. Si tratta di
una distinzione generalmente ignorata nelle esposizioni divulgative del
pensiero di Marx e del marxismo, che tuttavia ritengo assolutamente essenziale.
La richiesta di riconoscimento relativa consiste nella richiesta collettiva e
comu- nitaria delle classi operaie, salariate e proletarie (i tre termini non
coincidono, ma per ora per brevit li identificheremo) di essere riconosciute
allinterno del modo di produzione capitalistico, assunto come dato sociale
intrascendibile. L'espressione politica di questa richiesta di riconoscimento
relativa pu ovviamente assumere molte forme (tradeunionismo sindacale inglese,
socialdemocrazia tedesca, socia- lismo francese, comunismo italiano 1945-1991),
tutte interessanti ma anche tutte ferreamente subordinate alla relativit di
questo riconoscimento. Il processo di av- vio di questa richiesta di
riconoscimento relativo pu essere individuato in quel- la che il sociologo
Bauman chiama economicizzazione del conflitto. Il conflitto viene ritenuto
fisiologico, ma nello stesso tempo viene ferreamente limitato alla
distribuzione del prodotto. Ai capitalisti viene riconosciuto il monopolio
nelle de- cisioni macroeconomiche di investimento e di speculazione
finanziaria, mentre le classi operaie, salariate e proletarie (e nei punti alti
della produzione capitalisti- ca, sempre pi salariate, ma anche sempre meno
proletarie) si riservano con la pressione elettorale, politica e sindacale il
loro miglioramento nellambito del salario diretto e indiretto (scuola, servizi,
assicurazioni sociali, sanit, ecc.). Alla economicizzazione del conflitto segue
inevitabilmente prima la nazionalizza- zione imperialistica delle masse, necessaria
per trasformare le classi subalterne in carne da cannone fanatizzata per le
guerre di spartizione imperialistica del pia- neta, e poi la neutralizzazione
mediatico-consumistica nell'epoca del loro declino sociologico-politico.
Economicizzazione del conflitto di classe e sua ferrea limi- tazione all'ambito
distributivo di beni e servizi, nazionalizzazione imperialistica delle masse e
loro bestializzazione razzista per il loro uso come carne da cannone, ed infine
neutralizzazione mediatico-consumistica in un'epoca di globalizzazione e di
fine del servizio militare obbligatorio e sostituito dalla leva volontaria e da
contractors privati, sono i tre stadi successivi cui inevitabilmente porta la
Richiesta di Riconoscimento Relativa (RRR) della classi operaie, salariate e
proletarie. Per questo tipo di richiesta il pensiero di Marx e lo stesso
marxismo non solo sono inu- 297 CarrroLo XXXII tili, ma sono addirittura
dannosi. Sul piano economico diventa del tutto inutile la critica marxiana
complessiva dell'economia politica, ma sono del tutto sufficienti teorie
regionali di economia politica critica blandamente di sinistra (sociali- smo
ricardiano, cooperativismo di consumo, keynesismo sociale in deficit di bilan-
cio, banche dei poveri e prestito gratuito o semigratuito, ecc.). La richiesta
di riconoscimento relativo allinterno dell'orizzonte del modo di produzione
capitalistico dato per non superabile esiste da quasi due secoli, e tutti
possono liberamente dare un giudizio sui suoi esiti, spesso considerati realistici
e non utopistici. Duecento anni di realismo, come noto, hanno portato oggi alla generazione del
lavoro salariato flessibile e precario, alla quasi cancellazione politica e
culturale del ruolo del lavoro operaio e salariato, alle iniziative unilate-
rali impazzite di un impero armato di armi atomiche e del tutto messianicamente
svincolato dal diritto internazionale fra stati, alla saturazione
mediatico-manipola- tiva dell'universo della comunicazione, ecc. Dal momento
che i riformisti amano ricordare ai rivoluzionari i successi del loro cauto e
graduale realismo, sarebbe bene che i fautori del Riconoscimento Relativo
facessero finalmente un bilancio reali- stico di duecento anni circa di
richiesta di riconoscimento relativo. La Richiesta di Riconoscimento
Assoluto invece quella che il pensiero
di Marx desume da una interpretazione appunto assoluta della figura
servo-signore del- la Fenomenologia dello Spirito di Hegel. Quando intorno al
1930 furono pubblicati i primi inediti Manoscritti economico-filosofici del
1844 lo studioso italiano Giuseppe Capograssi scrisse: Marx ha tentato di far
diventare principio di vita la profonda volont razionale che per Hegel sorregge
il reale, ed in questo modo ne ha raccolto la sua esigenza pi profonda. Nel suo
sforzo di pensiero che insieme azione
sto- rica, il reale diventa, attraverso lazione, razionale, e la razionalit
coincide con la storia stessa della vita. In questo modo Marx, sarcastico e
scettico critico di Hegel, il solo
scolaro che Hegel abbia avuto. In sede di marxologia, o meglio di hegelo-
marxologia, interessante che il
Capograssi del 1930 dica sostanzialmente le stesse cose che dir undici anni
dopo nel 1941 Marcuse in Ragione e Rivoluzione. Ma qui inutile perderci nella critica marxologica,
interminabile perch avviene fra te- stardi inconvincibili divisi in cordate
accademiche rivali. Qui invece
essenziale giungere al cuore teorico della questione. d il cuore teorico della
questione sta in ci, che la richiesta di riconoscimento assoluta implica di
fatto il recupero del concetto hegeliano di assoluto, perch senza il concetto
hegeliano di assoluto non ci pu neppure essere la richiesta di riconoscimento
assoluta. questa richiesta di
riconoscimento assoluta implica una scienza filosofica, perch tutte le forme di
scienza non filosofiche non possono essere per loro natura portatrici di una
richie- sta di riconoscimento assoluta. Cerchiamo allora di non saltare nessun
passaggio concettuale. Ho rilevato nei capitoli precedenti dedicati a Hegel
(accettando parzialmente la tesi interpretativa di Pggeler), che il concetto
hegeliano di Assoluto, che con Schelling aveva assunto il pomposo ed inutile
ruolo di espressione dellintuizio- ne del genio della profonda unit ontologica
fra Natura e Spirito, viene invece 298 La scienza filosofica di Karl Marx ad
assumere la metafora di presa di coscienza comunitaria integrale del diritto
della nazione tedesca a farsi Stato nazionale integrale. L'Assoluto,
quindi, una metafora concettuale di una
richiesta di sovranit assoluta. Una sovranit relativa e condizionata pu
accontentarsi di fare compromessi con una potenza militare occupante, con i
vecchi ceti signorili e tardo-feudali, con le loro banche di specula- zione
inglesi, con i preti ed i loro libri sacri, ecc. Ma una sovranit assoluta si
basa sulla piena autocoscienza del fatto che essa basta integralmente a se
stessa, e non condizionata che da se
stessa, o meglio dalla sue forme di coscienza razionali. Coloro che negano la
(a mio avviso ovvia) derivazione di Marx da Hegel devono ignorare due cose. In
primo luogo, devono ignorare che Marx non
il portatore di una richiesta di riconoscimento relativa vincolata alla
permanenza del modo di produzione capitalistico, ma il portatore di una richiesta di
riconoscimento asso- luta, in cui il proletario
pensato come il portatore sociologico-politico empirico dell'Io di
Fichte, e cio del soggetto storico complessivo capace di portarci fuori
dall'epoca della compiuta peccaminosit. In secondo luogo, devono ignorare che
Marx non ha recepito il concetto di assoluto (perch l'assoluto ovviamente la so- stanza ontologica del
concetto di pretesa di riconoscimento assoluto) dal cielo da cui cadono i
concetti come la pioggia o meglio gli escrementi degli uccelli, ma da un
ambiente culturale hegeliano in cui il concetto di Assoluto era diventato
concet- tualmente egemone. La filosofia di Marx
quindi stata una filosofia dell Assoluto, nel significato pri- ma
chiarito (lo ripeto a scanso di equivoci: l'assoluto come oggetto di riconosci-
mento assoluto, e non solo relativo, di una classe salariata e proletaria che
pensa se stessa come la portatrice degli interessi storici dell'intera umanit,
a sua volta pensata in forma attiva e dinamico-trasformatrice con la mediazione
di un solo concetto unitario trascendentale-riflessivo). Ma il riconoscimento
assoluto del pro- letariato implica la sparizione di entrambi i lati del
processo di riconoscimento, in quanto sia il lato borghese sia il lato
proletario spariscono entrambi in una nuova entit socio-storica, e cio l'intera
umanit emancipata e divenuta piena- mente autocosciente. Quella di Karl
Marx quindi una scienza filosofica, nel
senso preciso dato a questo termine nelle due opere di Hegel Fenomenologia
dello Spirito e Scienza della Logica. Nel senso della Fenomenologia dello
Spirito, una scienza filosofica del per-
corso dialettico dal sapere immediato della propria collocazione empirica nel
flus- so spazio-temporale determinato dalla casualit della nostra venuta al
mondo fino al sapere assoluto della propria autocoscienza assolutamente padrona
di se stessa. Nel senso della Scienza della Logica, una scienza filosofica dell'identit del- le
categorie del pensiero e delle categorie dell'essere, per cui il pensiero si
appro- pria concettualmente dell'intera realt, e non solo di una sua parte
fenomenica separata metodologicamente da un inconoscibile noumenico stabilito
dogmati- camente a priori come tale. Ricordo qui che esiste un'amplissima
bibliografia critica sui rapporti metodologici fra la Scienza della Logica (ed
in particolare la dottrina dell'essenza) ed il Capitale di Marx, e che si
tratta di qualcosa di estremamente con- 299 CarrroLo XXXII vincente, a meno che
ovviamente non si decida a priori di non prenderla neppure in considerazione
per antipatia verso Hegel. Ma contra negantes principia non est disputandum, se
non per far passare il tempo in alternativa alle parole incrociate o al gossip
sportivo-sessuale. Che cosa significa scienza filosofica? Significa sapere
assoluto che lega insieme l'elemento della conoscenza con l'elemento della
valutazione, e quindi l'elemento della concettualizzazione di un oggetto di
conoscenza (nel caso di Marx, il modo di produzione capitalistico inteso nella
sua articolazione interna, nella sua genesi sto- rica e nella sua concreta
processualit riproduttiva complessiva) e l'elemento della sua valutazione
etico-morale (nel caso di Marx, l'alienazione, lo sfruttamento, la
polarizzazione geografica mondiale fra ricchi e poveri, ecc.). Questa la scien- za filosofica. Per capire meglio
che cosa sia una scienza filosofica (ad esempio, le scienze filosofiche di
Spinoza, Fichte, Hegel e Marx, i miei quattro moschettieri), bene aprire una parentesi su quattro forme di
conoscenza che non sono scienze filosofiche, lempirismo di Hume, il criticismo
di Kant, il modello di scienza della natura di Galileo Galilei, ed infine il
modello di scienza sociale avalutativa di Max Weber. Da questo esame
contrastivo (il metodo contrastivo
sempre un ottimo metodo per chiarirsi le idee) si potr ricavare meglio
la natura della scienza filoso- fica di Marx. In primo luogo, quella proposta
da Hume non una scienza filosofica. non lo , perch Hume propose la cosiddetta
legge di Hume, altrimenti detta fallacia naturalistica, per cui bisogna separare
per principio i giudizi di fatto dai giudizi morali che vengono dati a partire
da questo fatto stesso. La scienza filosofica, in- vece, costituisce
unitariamente l'oggetto di conoscenza e l'oggetto di valutazione. In questo
senso, essa riprende il tema platonico del fatto che la conoscenza vera
(episteme) conoscenza del Bene, per cui
il Bene ed il Vero coincidono sempre in ultima istanza, una volta che si sia
risalita lintera scala delle divisioni dialettiche. Questa derivazione da
Platone spesso vissuta con imbarazzo dai
filosofi, come se si trattasse di qualcosa di metafisico di cui vergognarsi e
non di qualcosa di sano da rivendicare. Sta qui il complesso di colpa
introiettato dal positivismo di essere solo una penna che scrive e non di
essere diventato un trattore. Ma Platone aveva ragione nella sua equazione,
perch era ancora interno alla problematizza- zione critica delle scissioni
della comunit, e sapeva bene ci che
ancora noto fino ad Aristotele (al di l delle soluzioni diverse date a
questa soluzione), e cio che il bene esiste,
il metron, il male esiste, la
hybris dellapeiron delle ricchezze non controllate e non mediate dal logos,
ecc. Del resto, la filosofia questa, e
chi non la vuole ha sempre un ampio spettro di scelte alternative, dal trekking
hymalaiano alla speculazione borsistica. Naturalmente, la fallacia
naturalistica e la legge di Hume non esistono, e non possono esistere, a meno
che non si intenda la bana- lit per cui la presa in considerazione gnoseologica
di un oggetto di conoscenza pu essere metodologicamente separata dall'atto
della sua valutazione. Se\accerto che presso un certo gruppo induista
fondamentalista esiste ancora il rogo delle vedove, certo che la semplice presa d'atto di questa
constatazione metodolo- 300 La scienza
filosofica di Karl Marx gicamente separata dal giudizio di valore secondo cui
sarebbe bene che venissero mandati dei poliziotti in turbante per salvare la
poveretta ed imprigionare que- sti mascalzoni, indipendentemente dal loro
riferimento eventuale a Brahma, Siva, Visn e la dea Kal dalle molte braccia dei
romanzi di Emilio Salgari. Qui non c' ovviamente nessuna legge di Hume e
nessuna fallacia naturalistica, a meno che si neghi appunto l'intuizione
immediata del bene che sgorga da una filosofia del- la storia
dell'emancipazione umana. Per usare il termine di Kant, il fatto che sia male
bruciare le vedove sul rogo un fatto
della ragione (Faktum der Vernunft), ma non perch nella nostra comunit
occidentale relativisticamente concepita noi non lo facciamo (opinione
relativistico-comunitaristica di Richard Rorty), ma perch l'abolizione del rogo
delle vedove deriva direttamente da una concezione univer- salistica e
razionalistica del processo di autocoscienza universale. Certo, bisogna credere
nell'esistenza di una ragione universalistica. Chi non ci crede, adotti pure la
folle teoria della fallacia naturalistica e della legge di Hume, la legge pi
inesistente dell'intero orbe terracqueo. Legge inesistente, comunque, che deve
es- sere geneticamente studiata insieme con la negazione humeana della
categoria di causalit (negazione rivolta a delegittimare il contratto politico
russoviano ed a sostenere lautoistituzione economica mercantile e robinsoniana
della societ), e con la sua contestuale negazione della permanenza di un
soggetto, sostituito da un me variopinto (Kant) di flussi di coscienza,
concezione poi entusiasticamente recepita da Nietzsche con la sua teoria dei
flussi di coscienza retti dalla volont di potenza (Wille zur Macht). In ogni
caso, deve essere ben chiaro che senza respinge re consapevolmente linesistente
fallacia naturalistica della legge di Hume non si potr neppure attingere il
concetto di scienza filosofica nel senso congiuntamente dato a questo termine
da Hegel e da Marx. In secondo luogo, quella proposta da Kant non una scienza filosofica, e del resto questo
era perfettamente chiaro allo stesso Kant. Pu esistere infatti un mar- xismo
kantiano ( esistito in passato e potr esistere anche in futuro Kant
in- fatti una sorgente inesauribile di suggestioni teoriche), ma non pu
esistere a mio avviso una interpretazione kantiana del pensiero propriamente
marxiano, data la sua natura di scienza filosofica integrale, filologicamente
documentabile. Quella di Kant infatti
una critica alla metafisica (o pi esattamente, una critica politica tra-
vestita in modo gnoseologico delle pretese normativo-sociali dell'individuo me-
tafisico della religione e dei suoi apparati sacerdotali), unita ad un
ribadimento del fatto che lunica vera scienza
quella galileiano-newtoniana, basata sulla spazio-temporalizzazione dei
fenomeni. Nella sua solenne presa di distanza da Fichte, su cui ho gi insistito
in un capitolo precedente, Kant ritiene che chi abban- dona il suo sicuro
terreno critico non potr fare a meno di ricadere nellelemento scolastico. in realt esattamente il contrario, ma Kant
ovviamente non poteva capirlo. Kant rimase prigioniero del suo avversario, e
cio appunto dellelemen- to scolastico, in quanto fu ipnotizzato per tutta la
sua onesta vita di illumini- sta dalla coazione a ripetere le dimostrazioni
logiche della sua indimostrabilit. Indimostrabilit divenuta peraltro
storicamente superflua, perch l'elemento sco- 301 CarrroLo XXXII lastico aveva
smesso di essere socialmente normativo con il tramonto del modo di produzione
feudale-signorile in Europa, e con il passaggio della normativit sociale dal
cielo verticale della religione alla terra orizzontale della circolazione
capitalistica delle merci, lunico elemento normativo della strutturazione in
classi sociali ed in parametri differenziati di ricchezza e di povert. Ho gi
sostenuto nei capitoli precedenti, e qui mi limito a ricordarlo, che la
separazione ontologica kantiana fra le categorie del pensiero e le categorie
dell'essere, lungi dall'essere un fondamento scientifico della modernit, soltanto un espediente per delegittimare la
categoria di causalit come prova cosmologica dellesistenza di Dio, strappan- do
ai poveri apparati ideologici dei pretoni l'argomento della famosa Causa Prima,
e strappando loro anche l'ormai penoso argomento tomistico-cartesiano per cui
la funzione pensante si identificava con la sostanza pensante dell'anima
immortale, argomento che di per s non pu resistere ad alcuna risonanza
magnetica e ad alcuna tomografia assiale computerizzata. Tuttavia questo
espediente kantiano fu utilizzato (e credo sar ancora utilizzato a lungo) dai
vari neokantismi posteriori giornalistico-universitari per delegittimare la
posteriore pretesa hegelo-marxiana di giudicare la totalit dinamica non pi di Dio,
ma della societ capitalistica nel suo complesso. Ma su questo punto, almeno lo
spero, credo di essere riuscito ad esprimere il mio punto di vista. In terzo
luogo, la scienza filosofica di Marx non
certamente la scienza del mo- dello scientifico delle scienze della
natura di Galileo e Newton, pi o meno inte- grato dal modello positivistico
delle cosiddette leggi scientifiche. In proposito, sar sempre utile seguire il
percorso dissolutorio e suicida della scuola di Galvano Della Volpe, dal suo
fondatore fino al suicidio rituale ed al harakiri di Lucio Colletti, perch
questa scuola caratterizzata dall'aver
preso veramente sul serio lidea del marxismo come galileismo morale. Pur di
poter allontanare ogni sospetto di hegelismo, inteso come metafisica romantica
e mistica di origine neoplato- nica imperfettamente secolarizzata, la scuola di
Della Volpe e di Colletti volle ri- pristinare il modello di Hilferding e di
una corrente del marxismo della Seconda Internazionale (1889 1914), per cui il sapere di Marx era un
sapere scientifico nel senso delle scienze naturali. Per Hilferding il sapere
marxista era assimilabile al sapere astronomico, che si basa sullinfallibile
previsione delle eclissi, anche se con meno precisione, perch le eclissi
possono essere previste matematicamente addirittura al minuto secondo, mentre
il trapasso scientifico dal capitalismo al socialismo pu essere previsto con
sicurezza, ma non per all'anno, mese, gior- no, ora e minuto secondo. Vedremo
pi avanti che Hilferding in un certo senso non fraintende completamente Marx,
ma si innesta sulla sua sciagurata (e nel- lo stesso tempo ideologicamente
inevitabile) centralit della categoria ontologica modale di necessit opposta
alla categoria ontologica modale di possibilit, con la conseguenza di trasformare
il passaggio al socialismo in un giudizio assertivo di tipo apodittico anzich
in un giudizio assertivo di tipo problematico. Ma su questo pi avanti. In ogni
caso, non necessaria una laurea in
filosofia alla Sorbona unita ad un dottorato ad Oxford per capire che se il
socialismo assimilabile ad una 302 La
scienza filosofica di Karl Marx eclissi, diventava allora del tutto superfluo
darsi da fare per accelerarlo, e tutta la teoria materialistica della cosiddetta
prassi rivoluzionaria avrebbe dovuto essere messa in soffitta. Del modello di
scienza galileiana sappiamo oggi pratica- mente tutto. Si tratta di un sapere
che presuppone che il gran libro della natura sia scritto in caratteri
matematici (presupposto peraltro niente affatto nuovo, perch era gi il
presupposto di Pitagora e di Platone). Galileo non interessato alle ragio- ni ontologico-sociali
che avevano spinto Pitagora e Platone a presupporre questa omogeneit ontologica
fra macrocosmo naturale e microcosmo sociale
su cui mi sono soffermato a lungo nei primi capitoli di questo
scritto e probabilmente non ne
sospettava pure lesistenza. Ma sta di fatto che egli rifiutava la sottovalutazione
aristotelica della conoscenza matematica, ed attua un ritorno a Platone gi am-
piamente esistente in Occidente da almeno duecento anni (accademia platonica
fiorentina di Marsilio Ficino, ecc.). E tuttavia le necessarie dimostrazioni e
le sensate esperienze di Galileo presuppongono ovviamente un'operazione artifi-
cialistica di riduzione del mondo esterno alle sue quantit calcolabili (come fu
poi ovviamente notato da Husserl e da infiniti altri dopo di lui), che non pu
che accet- tare come presupposto implicito la fallacia naturalistica di Hume.
Ma il modo di produzione capitalistico di Marx non un insieme di fenomeni costituito dallap-
percezione trascendentale destoricizzata e desocializzata dell'intelletto
kantiano (Verstand), e neppure un insieme numerico calcolabile e poi
sperimentabile (le ga- lileiane sensate esperienze), ma una totalit assoluta che viene conosciuta e
giudicata con un solo inscindibile atto del pensiero. Il tentativo di
rinchiudere la scienza filosofica di Marx nelle strutture della scienza
matematica della natura di Galilei in
realt un atto molto pi teologico che puramente epistemologico, come sembra a
prima vista. L'idea della Scienza come garanzia assoluta (non a caso, con la S
maiuscola), cui aggiogare il carro di Marx,
infatti unidea teologica, in quanto lilluminismo ha effettuato
l'operazione (correttamente giudicata da Hegel del tutto astratta) di
spostamento dellassolutezza della teologia di Tommaso d'Aquino alla scienza di
Newton. Ma di assoluto c' soltanto il sapere assoluto dellautocoscienza umana
capace di ricostruire razionalmente e dialetticamente la propria storia, non
certo la prevedibilit del futuro ricavata dallestensione del me- todo delle
cosiddette leggi scientifiche. N la legge della gravitazione di Newton n la
legge dell'evoluzione di Darwin possono infatti nobilitare luso errato della
categoria modale della necessit assolutizzata, trasformando il giudizio asser-
tivo problematico della conoscenza storica in giudizio assertivo apodittico
della filosofia della storia. Ma su questo, appunto, mi soffermer tra poco. In
quarto luogo, infine, la scienza filosofica di Marx non in alcun modo il pre- annuncio della scienza
sociale unificata di Max Weber. Max Weber, lungi dalles- sere soltanto un
sociologo, stato a tutti gli effetti uno
dei pi grandi filosofi della modernit, a pari grado con Lukcs, Heidegger e
Nietzsche, ed io cos lo considero. Weber unisce una concezione idealtipica e
categoriale della conoscenza scientifica ricavata sostanzialmente dal
neokantismo del tempo (ed il neokantismo
infatti il minimo comune denominatore che condivide con il suo gemello
nemi- 303 CarriroLo XXXIII co, il marxismo neokantiano di Engels e della
seconda internazionale) con una metafisica generale della storia ricavata
invece da Nietzsche e dal suo politeismo dei valori. Questa funzione esplosiva
di neokantismo razionalistico e di niccia- nesimo irrazionalistico lo vedremo nel quarantesimo ed ultimo
capitolo - il presupposto da cui partir
Lukcs per potersene poi demarcare ed allontanarsene, ed quindi l'origine dellontologia dell'essere
sociale. cos come la teoria aristo-
telica della sostanza presuppone Platone come luogo ideale della demarcazione
contrastiva, e la teoria hegeliana della scienza filosofica presuppone Kant
come luogo ideale della stessa demarcazione contrastiva, nello stesso modo la
teoria dellontologia dell'essere sociale di Lukcs (e sulla sua scia, del
modesto scrivente) presuppone Weber come luogo ideale della demarcazione
contrastiva. Ma questo, appunto, pi avanti. La scienza sociale di Max Weber
riprende in forma pi sofisticata la teoria hu- meana della fallacia naturalistica,
riformulata come teoria della separazione as- soluta fra i giudizi di fatto ed
i giudizi di valore, con la conseguente ridefinizione della scientificit come
avalutativit (Wertfreiheit) e come sapere libero da valori (wertfrei). Si
tratta della religione per universitari pi diffusa, lunica religione che questa
categoria di sofisticati relativisti senza Dio pu effettivamente adottare. Se
infatti essi giudicassero come ontologicamente esistente l'alienazione
capitalisti- ca e lo sfruttamento sfacciato delle oligarchie finanziarie
padrone del pianeta, non potrebbero semplicemente vincere i concorsi
universitari con giuramento poli- ticamente corretto incorporato. Weber d loro
una religione ideale, in quanto la realt viene prima cancellata nella sua datit
empirica, e poi ricostruita in modo ideal-tipico. Si riconferma cos che la
gnoseologia lunica e sola metafisica del
modo di produzione capitalistico e dei suoi apparati religiosi (oratores). Una
volta separati da Max Weber i due campi dei giudizi di fatto e dei giudizi di
valore, ed una volta stabilit lavalutativit come dogma religioso fondamentale
del sapere moderno, resta comunque la necessit di valutare comunque il mondo,
perch luomo, a differenza delle galline e dei brokers, un animale valutativo per eccellenza, e non
pu fare a meno di valutare il mondo, appunto perch un ente simbolico consapevole anticipatamente
della propria morte, e del connesso bisogno di valutare il senso del limitato
segmento temporale in cui conduce la sua fragile esistenza terrena. Weber offre
a questo ente instabile la sua metafisica tragica, sostenendo che lepoca
moderna l'epoca del disincanto del mondo
(Weltentzauberung) e del politeismo dei valori, con connessa fine di ogni illusio-
ne in grandi narrazioni salvifiche di riscatto (in questo caso Karl Lwith e
Jean- Francois Lyotard non aggiungono assolutamente nulla a quanto gi
mirabilmente detto da Max Weber).
peraltro curioso, ed a mio avviso di umorismo demenziale assoluto, che
nella prospettiva weberiana la virilit non consista pi in un nume- ro esagerato
di coiti notturni, ma nella virile accettazione della gabbia d'acciaio
capitalistica e dellimpossibilit di superarla e scavalcarla. Si tratta del
passaggio del concetto di virilit dai soldati di ventura e dal loro maschilismo
di stupratori autorizzati al concetto di virilit dei professori universitari di
mezza et e del loro 304 La scienza filosofica di Karl Marx incedere mercuriale
e frettoloso, in cui non si trafigge pi con lo spadone, ma si irride con il
sorrisetto scettico di chi la sa lunga sul corso del mondo. Una volta stabilito
(ma non certo difficile farlo) che la
scienza filosofica di Marx non quella di
Hume, di Kant, di Galileo ed infine di Max Weber, ma che sostanzialmente quella di Hegel, il discorso
non solo non finito, ma appena cominciato. Si sono infatti sgombrate
le macerie, ma la costruzione deve ancora essere intrapresa. C' purtroppo una
difficolt logica, che impossibile
aggirare, e che allora meglio segnalare
senza pretendere di saperla risolvere frettolo- samente. In Marx, come noto, la critica dell'economia politica ed il
materialismo storico (intesa come teoria della dinamica costituiva e
dissolutiva dei vari modi di produzione sociali) sono una sola ed unica teoria,
e cos Marx li ha concepiti nel cor- so della sua laboriosa vita terrena. tuttavia a mio avviso la critica
dell'economia politica una scienza
filosofica, mentre il materialismo storico non
propriamente parlando una scienza filosofica. Che Marx ne fosse
cosciente o meno, non per me di alcuna
importanza. A me interessa soltanto proporne una ricostruzione differen- ziata
logicamente credibile, e per non far confusione riserver a questo capitolo la
sola ricostruzione della scienza filosofica della critica dell'economia
politica, men- tre dedicher invece il prossimo capitolo alla ricostruzione del
materialismo sto- rico come scienza con presupposti sicuramente filosofici, ma
costruita attraverso l'intreccio dialettico fra la cosiddetta struttura e la
cosiddetta sovrastruttura, categorie entrambe non filosofiche, perch non
fondate sull'unit di conoscenza e di valutazione. Si tratta ovviamente di
un'operazione scolastica di esposizione, erch nel cantiere creativo di Marx
queste due dimensione non erano separabili.
tuttavia la chiarezza deve pagare alcuni prezzi. : Nella concezione di
Adam Smith, brillantemente sistematizzata nella sua Ricchezza delle Nazioni del
1776, l'economia politica non voleva soltanto essere una disciplina particolare
a fianco di altre, ma ambiva ad essere una teoria generale complessiva della
societ in quanto tale, e non solo di una particolare societ ca- pitalistica. Il
suo presupposto filosofico era infatti la teoria della natura umana di David
Hume e delle sue costanti di comportamento eterne, passate, presenti e future,
ed infatti Smith pensava che lautoistituzione della societ fondata su co-
stanti naturali utilitaristiche di comportamento rendesse superflue tutte le
altre teorie fondatrici del legame sociale, dalla volont di Dio al diritto
naturale fino al contratto sociale. bene
che la natura di questa teoria di Smith, peraltro da me gi molte volte
segnalata in precedenza, venga intesa molto bene, per non commettere l'errore
di pensare che Marx sia stato un'economista, sia pure di sinistra, ed abbia
voluto sostituire ad una teoria economica la sua. Marx non era un economi- sta,
non voleva sostituire la sua ad una teoria economica precedente, ma voleva
criticare il complesso indivisibile dei rapporti sociali che l'economia
politica di Smith e dei suoi successori voleva eternizzare attraverso unopera
di destoricizza- zione (il robinsonismo) e di desocializzazione
(lindividualismo possessivo). Se si accetta lo squartamento disciplinare
universitario (il Marx economista, storico, sociologo, politico, giurista,
filosofo, ecc.) la discussione finisce immediatamente, 305 CarrroLo XXXIII
perch Marx voler immediatamente in cielo come una palloncino bucato di un
bambino piangente. La critica dell'economia politica di Marx dunque un sapere della ragione (Vernunft), e
quindi una scienza filosofica come unit di conoscenza e di valuta- zione, che
si oppone consapevolmente ad un sapere dell'intelletto (Verstand), come
indubbiamente Marx (su questo punto d'accordo con Hegel, vedi il paragrafo 189
con nota della sua Filosofia del Diritto citato nel paragrafo precedente)
intendeva fare. Trascuro qui le pur necessarie informazioni metodologiche sul
modo di con cui Marx venne a contatto con l'economia politica inglese grazie
alla conoscenza di Engels ad a un soggiorno di sei settimane a Manchester,
informazioni riccamente fornite da monografie come quelle di Ernest Mandel e
Roman Rosdolsky. Marx compie un'operazione teorica che prima di lui mai nessuno
aveva compiuto, e cio l'innesto della dialettica di Hegel sull'impianto della
teoria del valore-lavoro di Smith e di Ricardo, che stabiliva come criterio
quantitativo (e cio scientifico, data la natura della scienza moderna come
scienza della misurazione oggetti- va della quantit) dello scambio fra le merci
e il tempo di lavoro sociale medio contenuto in esse. Ma l'innesto della
dialettica hegeliana sulla teoria del valore implica l'innesto di una categoria
della qualit su di una categoria della quantit, laddove nell'economia politica
inglese la qualit (il valore d'uso) veniva invece se- parata dalla quantit (il
valore di scambio calcolabile come tempo di lavoro sociale medio incorporato).
Nella Scienza della Logica di Hegel (e pi esattamente nella logica
dell'essenza) la quantit deriva dalla qualit, nel senso che ne costituisce una
negazione, come dimostra il fatto che un essere dotato di determinate qualit
non cambia per il fatto che si presenti in quantit maggiore o minore (per
esempio un tessuto di tela rimane tale e quale nonostante la sua lunghezza).
Per questo il pensiero ricorre alla misura, cio ad una qualit quantificata a ad
una quantit qualificata. Ho gi fatto notare che la misura (metron) intesa come
unit di qualit quantificata e di quantit qualificata, stata il concetto filosofico pi importante
della filosofia greca antica, ed anche il criterio di regolazione della
riproduzione della comunit sociale, lunico che potesse portare alla concordia
(omonia) e che potesse contrastare (katekhon) la dissoluzione politica. Il
primato della qualit sulla quantit permette a Marx di innestare la catego- ria
(qualitativa) di alienazione (Entfremdung) sulla categoria quantitativa di
valore (value, valuer, Wert). Si tratta di un punto di importanza teorica
inestimabile, inac- cessibile a coloro che ignorano la scienza della logica
hegeliana. L'innesto della teo- ria filosofica dellalienazione sulla teoria
economica del valore, infatti, comporta il primato della categoria qualitativa
dellalienazione sulla categoria quantitativa del valore, ma nello stesso tempo
la fusione dialettico-ontologica di entrambe. La teoria del valore di Marx,
quindi, ha un aspetto qualitativo dominante sull'aspetto quantitativo dominato.
Ci stato stabilito per la prima volta da
Franz Petry, gio- vane economista tedesco caduto nel 1915 nei campi di
battaglia della prima guerra mondiale, e poi ripreso dalleconomista sovietico
Rubin e dal marxista americano Sweezy. In Italia la consapevolezza dell'unit
logica fra la teoria dellalienazione 306 La scienza filosofica di Karl Marx e
la teoria del valore giunta nei primi
anni settanta grazie a Lucio Colletti ed a Claudio Napoleoni, ed il modo in cui
questi due insigni personaggi hanno uti- lizzato questa consapevolezza non rilevante in questa sede. Ci che conta
non il modo in cui essi hanno ritenuto
opportuno utilizzare questa scoperta, ma
la scoperta in s, che potremo riformulare ancora una volta cos: quella
di Marx una scienza filosofica, la
scienza filosofica si basa sull'unit di conoscenza e di valutazione (e quindi
non una scienza nel senso di Hume, Kant,
Galileo e Max Weber), la critica dell'economia politica di Marx una scienza filosofica unitaria ed integrale
dellassoluto, l'assoluto la metafora
dellautocoscienza del rapporto fra coscienza umana e produzione capitalistica,
ed infine l'oggetto di questa cono- scenza filosofica l'unit fra teoria filosofica dellalienazione
e teoria economica del valore, in cui l'elemento quantitativo (la teoria del
valore-lavoro), per le ragioni esposte nella logica dell'essere della Scienza
della Logica di Hegel. La formula stata
forse un po macchinosa, ma nellessenziale ritengo che non abbia saltato nessun
passaggio essenziale. questo permette
appunto di tornare meglio al concetto di scienza filosofica di Marx nel suo
rapporto con la stessa stesu- ra del Capitale. Vi sono infatti dati filologici,
ricavati con il metodo citazionistico, da cui in genere rifuggo per la sua
natura teologica, ma che in un caso come questo vale la pena utilizzare, sia
pure con parsimonia. Chiunque si sia occupato di marxologia sa bene che la
questione della forma di esposizione (Darstellungsweise) assolutamente centrale per capire Marx. Si pu
infatti avere un'intuizione generale in cinque minuti, e poi impiegare
trent'anni di sforzi ripetuti per darne un'esposizione sistematica e coerente.
Darwin aveva gi ampiamente avuto l'intuizione dell'evoluzione mentre si
aggirava fra le tartarughe e gli uccelli delle isole Galapagos, ma poi pass
anni sui libri di logica indutti- va di Stuart Mill prima di scrivere e di
pubblicare lOrigine delle Specie. Qualcosa di simile caratterizz anche Marx.
Che il rapporto di produzione capitalistico si basasse sullestorsione di
plusvalore, e che questa estorsione si presentasse nella forma illusoria dello
scambio fra equivalenti, era per lui una ovviet nota fin dalla sua giovinezza.
Altro era per trovare la Darstellungsweise giusta. Se Marx avesse voluto dare
una forma d'esposizione storica al suo concetto di capitale avrebbe rovesciato
come un cubo il libro primo del Capitale, ed avrebbe cominciato dai due ultimi
capitoli, e cio dal capitolo 24 (la pretesa accumulazione primitiva del
capitale) e dal capitolo 25 (la teoria moderna della colonizzazione). Sarebbe
stata a tutti gli effetti una scelta didattica giusta, perch avrebbe cominciato
dal facile e non dal difficile, visto che l'esposizione storica accessibile a tutti, mentre la dialettica
hegeliana non lo , con la conseguenza che la stragrande maggioranza dei
comunisti (e Fidel Castro lo ha confessato candidamente), ha abbandonato la lettura
del Capitale dopo trenta pagine circa.
tuttavia Marx non faceva scelte didattiche da pedagogista, ma scelte
teoriche da cultore della scienza filosofica, per cui comincia dal concetto di
merce, lo dialettizza, e ne diagnostica un aspetto sensibile (il valore) ed un
aspetto sovrasensibile (l'alienazione), per cui la definisce come qualcosa di
sensibilmente sovrasensibile (prego verificare). A questo pun- 307 CarrroLo
XXXII to, la stragrande maggioranza dei lettori poco volenterosi abbandona la
lettura, accontentandosi di tabelle quantitative in cui si indica graficamente
come su otto ore di lavoro il padrone te ne sgraffigna quattro, due per i suoi
investimenti e due per la sua barca d'altura, lo Stato te ne sgraffigna una per
mantenere la sua casta parassitaria di mangioni, te ne rimarrebbero allora tre,
ma due vanno in servizi inefficienti, liste d'attesa, code per iscrivere i
bambini all'asilo, ecc. Tutto ci ha la funzione di coltivare l'invidia ed il
rancore sociale, e nello stesso tempo questo pit- toresco socialismo ricardiano
per sindacalisti riesce nel suo intento, che
quello di rendere del tutto impossibile la comprensione della natura
della scienza filosofica di Marx. Allora bisogna muovere dal fatto che se Marx
non partito dai facili capitoli 24 e 25,
ma dal sensibilmente sovrasensibile, ci
dovuto a ragioni profonde. La Darstellungsweise, infatti, non come una camicia che si pu prendere o
cambiare come si vuole. Del resto, vi sono confessioni epistolari di Marx che
lasciano pochi dubbi in proposito. Il 12 novembre 1858 Marx scrive a Lassalle:
L'economia come scienza nel senso tedesco del termine (in deutschen Sinn) resta
ancora da fare. Il 20 febbraio 1866 scrive ad Engels: Il mio lavoro un trionfo della scienza tedesca (ein Triumph
der deutesche Wissenschaft). Il 27 luglio 1867 scrive ad Engels: Nelleconomia
volgare si rispecchia soltanto la forma fenomenica di rapporti e non la loro
coerenza inter- na. D'altra parte, se le cose stessero soltanto cos, che
bisogno ci sarebbe ancora di una scienza?. Mi sembra chiaro che per scienza nel
senso tedesco del termine e per trionfo della scienza tedesca Marx intende il
metodo della Scienza della Logica di Hegel.
d'altronde lo dice anche. Il 16 gennaio 1858 scrive ad Engels che deve
tutto il suo metodo alla Scienza della Logica che ha appena riletto, ed il 31
maggio 1858 scrive a Lassalle che la dialettica hegeliana lultima parola di ogni filosofia. Certo,
nella Ideologia Tedesca Marx aveva dichiarato che bisognava abbando- nare il
terreno della filosofia (den Boden der Philosophie verlassen), ma questa frase
non deve essere intesa nel senso del positivismo di Comte (e cio abbandonare il
terreno della metafisica per quello della scienza cosiddetta positiva), ma nel
sen- so di Hegel, che nella prefazione alla Fenomenologia dello Spirito aveva
scritto che si doveva contribuire a che la filosofia si avvicini alla forma
della scienza, in modo da poter rinunciare al suo nome di amore per il sapere
per diventare sapere ef- fettivo.
d'altra parte ci che io mi propongo. Mi sembra filologicamente
indiscutibile che Marx mirasse ad un sapere effetti- vo sulla storia, e sul
modo di produzione capitalistico in particolare. tuttavia, an- cora nel 1870 Marx (che a
questo punto non pi un giovane Marx, ma
un Marx maturo) scrive queste righe: I miei rapporti con Hegel sono molto
semplici. Io sono un allievo di Hegel, e le presuntuose chiacchiere degli
epigoni che credono di aver seppellito questo eminente pensatore mi sembrano
francamente ridicole. tuttavia, mi sono
preso la libert di adottare con il mio maestro un atteggiamento critico. 308 La
scienza filosofica di Karl Marx Personalmente, non riesco a leggere questa
frase del Marx 1870 senza commuo- vermi ed ispirarmi, perch essa riflette al
cento per cento il mio atteggiamento, ad un tempo deferente e critico, verso
Marx e Lukcs, e le chiacchiere di chi pensa di avere seppellito questi eminenti
pensatori mi sembrano francamente ridicole.
tuttavia, mi prendo la libert di adottare verso questi due miei maestri
un atteg- giamento critico, e non ho paura di eventuali giudizi sprezzanti,
perch qui non si tratta di vanit personale o di riconoscimenti pubblici o
privati, ma di discutere cose pi grandi di noi e che ci sopravvivranno
sicuramente in futuro. La Scienza della Logica di Hegel discute nella dottrina
dell'essenza la natura della contraddizione dialettica, e culmina infine nella
dottrina del concetto (Begriff). Il capitale per Marx quindi prima di tutto il concetto di
capitale. Ma il concetto per Hegel, e quindi per Marx, prima di tutto autocoscienza dispiegata, e
quindi non sar strano dire (anche se so bene che suoner a prima vista assurdo)
che il comu- nismo per Marx prima di
tutto autocoscienza concettuale dispiegata allo stesso modo che il
capitale inteso come concetto (Begriff),
in quanto il concetto afferra (begrei- fen) tutte le determinazioni dialettiche
del suo percorso logico. Del resto Hegel lo scrive: Quando si ha di mira non la
verit, ma soltanto la storia [...] ci si pu di certo fermare alla narrazione.
Ma la filosofia non ha da essere una narrazione di ci che accade, sebbene una
conoscenza di ci che in quello vi di
vero, ed in base al vero essa deve poi comprendere ci che nella narrazione
appare un semplice accadere. Questa una
citazione tratta dalla dottrina del concetto della Scienza della Logica di
Hegel, che lo stesso Marx ha dichiarato essere stata la sua lettura
fondamentale per la forma d'esposizione (Darstellungsweise) della sua scienza
filosofica in senso tedesco (im deutschen Sinn). Mi permetto di interpretarla
liberamente: il pensiero di Marx non ha di mira soltanto la storia, e tantomeno
la narrazione storica in quanto tale; il pensiero di Marx ha di mira la verit
contenuta nel concetto (Begriff) di capi- tale; e la verit contenuta nel
concetto di capitale che esso una non-verit, anche se certamente una fattualit processuale in corso; ed una non-verit perch determinato dalla compresenza di valore e di
alienazione; e tuttavia, pur essendo una non-verit, sviluppa dialetticamente
nel suo processo di sviluppo alcune de- terminazioni speculative che rendono
possibile il suo superamento comunista, che bisogna per cercare allinterno di
esso, perch se lo si ricerca fuori di esso non lo s trover mai. Questa,
ovviamente, un'interpretazione. Non sono
mica il Padreterno, per dire che si tratta della vera interpretazione di Marx
finalmente scoperta dopo un secolo d'attesa! Prima di tutto, senso dei limiti e
della misura! E nello stesso tem- po, pazienza, testardaggine e perseveranza se
si crede di aver imboccato la strada giusta. In questo caso, la strada giusta
consiste nellaccertare che Marx riteneva il comunismo come una sorta di
sillogismo del modo di produzione capitalistico dialetticamente sviluppato (uso
il termine sillogismo nel senso del giudizio com- piuto dalla logica del concetto
della Scienza della Logica di Hegel), e allora comin- ciano qui i veri
problemi, e cominciano soprattutto investigando il primato delle 309 CarrroLo
XXXII categorie ontologiche modali di Marx. La sua scienza filosofica, infatti, dominata dal primato della categoria modale
di necessit, ed a me sembra che si tratti, con tutto il rispetto verso il
gigante Marx, di un errore. Ma per questo sar necessario ricostruire tutto il
problema delle categorie modali. Nella Critica della Ragion Pura Kant elabora
mirabilmente una tavola delle cate- gorie del pensiero, che possibile a mio avviso adottare
integralmente, con lag- giunta peraltro di due rilievi non-kantiani (il fatto
che esse sono anche categorie dell'essere, e non solo del pensiero, ed il fatto
che necessario dedurle storicamen- te e
socialmente, e non solo in modo trascendentale). Le categorie sono dodici, ed a
ogni categoria legato un tipo di
giudizio, per cui alla fine anche i giudizi sono dodici. I giudizi e le
categorie sono raggruppati in quattro classi (quantit, qualit, relazione e
modalit). Delle categorie di qualit e di quantit non ci oc- cuperemo qui, ed in
quanto alla categoria di relazione noter soltanto che in essa si colloca il
problema della contraddizione dialettica in quanto essa distinta dal concetto di opposizione reale,
per cui la contraddizione dialettica, lungi dall'essere fondata su un
ristabilimento teologico di un Intero decaduto, connota semplice- mente il
rapporto organico di due opposti in correlazione essenziale (ad esempio borghesia
e proletariato, che nella scienza filosofica di Marx non possono essere pensati
se non in reciproca correlazione essenziale, nel senso che non ci pu essere
luna senza laltra, e viceversa, e quindi sia la proletarizzazione della
borghesia che il correlato imborghesimento del proletariato sono sempre e solo
relativi e mai assoluti). Ma su questo ordine di problemi dialettici torneremo
pi avanti nei prossimi capitoli. Concentriamoci ora sulle categorie modali.
Kant distingue tre tipi di giudizi modali, che a loro volta hanno come oggetto
tre distinte coppie categoriali: i giudizi assertori, che concernono la coppia
modale esistenza /inesistenza; i giu- dizi problematici, che concernono la
coppia modale possibilit /impossibilit; ed infine i giudizi apodittici, che
concernono la coppia modale necessit / contingen- za. Partir da questa
classificazione kantiana, che ritengo ottima ed esaustiva, del tutto
indipendentemente dal fatto che Kant abbia voluto distinguere l'essere ed il
pensiero (ma abbiamo visto che la ratio storica della sua scelta era la
delegittimazio- ne delle pretese ontologico-normative della metafisica
signorile-feudale), ed anche indipendentemente dal fatto che nor ci potesse
essere in lui una deduzione sociale delle categorie (Adorno, Sohn-Rethel,
ecc.), dal momento che la costituzione for- malistica del soggetto funzionale al modo destoricizzato e
desocializzato con cui necessariamente la borghesia capitalistica interpreta la
propria funzione storica e soprattutto la propria pretesa di eternit (fine
della storia, ecc.). Applichiamo allora le categorie modali al concetto di
scienza filosofica di Marx. Per quanto riguarda lesistenza, e cio il giudizio
assertorio di esistenza, chiaro che per
Marx il capitale esisteva realmente come rapporto sociale, e nei termini della
dottrina dell'essenza della logica hegeliana era una sintesi determinata di
essenza e di esistenza. Ed esisteva, appunto, come grande ammasso di merci
sensibilmente sovrasensibile, non per come cosa (Ding), ma rapporto sociale di
produzione fra 310 La scienza filosofica di Karl Marx le polarit borghese e
proletaria. Per quanto riguarda invece la necessit, o meglio il giudizio
apodittico di necessit, egli riteneva che fosse necessario che il capita- le,
sviluppando dialetticamente le sue determinazioni, si rovesciasse ad un certo
punto in comunismo, che diventava a questo punto un vero e proprio sillogismo
del capitale. La categoria di possibilit, o meglio il giudizio problematico di
pos- sibilit, diventava cos del tutto secondario, e finiva con lidentificarsi
di fatto con la contingenza, non a caso definita da Kant come il contrario
della necessit. In questo modo, di tutte queste categorie modali, che in Marx a
differenza che in Kant sono categorie dell'essere sociale e non solo del
pensiero, trionfa una sola, la cate- goria della necessit, o meglio lasserzione
apodittica dellesistenza della necessit storica. La questione a questo punto
non pi filologica, ma filosofica al suo pi alto grado. Certo, c'
anche un problema filologico, interessante ma secondario. Secondo Michel Vade,
che intende difendere Marx dall'accusa di necessitarismo teleologico e
deterministico prefissato, in Marx non ci sarebbe mai il dominio della
categoria di necessit, ma sempre e soltanto il dominio della categoria di
possibili- t intesa come potenzialit ontologica oggettiva (laristotelico
dynamei on opposto alla possibilit come contingenza casuale assoluta,
laristotelico kat to dynatn). Secondo Bernard Chavance, invece, Marx avrebbe
postulato uninesistente modo di produzione mercantile semplice (inesistente
storicamente come lo stato di natu- ra russoviano, ma indispensabile come grado
zero della postulazione dialettica), e da questa postulazione astorica avrebbe
ricavato la triade dialettica, e cio la tesi astratto-intellettuale
(linesistente societ mercantile semplice), lantitesi ne- gativo-razionale (le
societ classiste ed il capitalismo), ed infine la sintesi positivo- razionale
(il comunismo come ristabilimento della propriet individuale contro l'alienazione
della propriet privata). Pi avanti torneremo sulle due tesi opposte ed
incompatibili di Michel Vade e di Bernard Chavance. Ma qui il problema non quello di sapere se Marx sia colpevole o
innocente (pi esattamente, colpevole di necessitarismo deterministico e
teleologico, oppure innocente di tutto questo). Si tratta di un affascinante
tema di marxologia, anzi del tema marxologico indi- scutibilmente pi importante
e decisivo, quello su cui si gioca l'avvenire teorico di tutta l'impresa di
Marx. A me interessa qui stabilire non se abbia ragione la let- tura
aristotelica di Vade oppure la critica utopistica di Chavance, quanto di
accertare dove stia la verit della questione. E mi esprimer in modo volutamente
chiaro e deciso. A mio avviso, una concezione apodittica della centralit modale
della categoria di necessit nel passaggio dal capitalismo al comunismo (o se
vogliamo, del co- munismo come sillogismo del capitalismo) non tiene
assolutamente, ma mi rendo conto che la storia non riesce in realt a smentire
niente, perch la teoria poppe- riana della falsificabilit empirico-storica
degli enunciati di previsione pu forse funzionare per la fisica e la biologia
(ma secondo Lakatos, Kuhn e Feyerabend neppure per queste ultime), ma non pu
funzionare per il flusso storico futuro (non esistono infatti date
falsificatrici, ed il 1991 non falsifica Marx, ma semmai 311 CaprroLo XXXII
soltanto il modello staliniano di socialismo). No, il giudizio apodittico
fondato dal primato della categoria modale di necessit non funziona, ma invece il concetto di possibilit inteso in
senso aristotelico come essente-in-possibilit (dynamei on), e non certo come
contingente-casuale in possibilit (kat to dynatn). Questo il punto essenziale della questione. Hegel
poteva giustamente trascu- rarlo, perch il pensiero di Hegel era il pensiero
della nottola di Minerva, che si alzava al crepuscolo e non pretendeva affatto
di prevedere il futuro. D'altra parte la previsione del futuro ha
necessariamente bisogno del concetto di legge storica da estrapolare, e ricordo
che lo studioso svedese Liedman ha accertato scrupolo- samente che non esiste
nella Scienza della Logica di Hegel nessuna traccia dellinesi- stente concetto
di legge storica. Il concetto di legge storica arriva con il positi- vismo, e
solo con il positivismo. Bisogna quindi retrocedere in modo dichiarato e palese
dal primato della cate- goria modale di necessit (con il giudizio apodittico
che la determina) al primato della categoria modale di possibilit intesa come
potenzialit sociale ontologica (con il giudizio problematico che la determina).
Bisogna quindi problematizzare la scienza filosofica di Marx, senza per questo
distruggerla dalle fondamenta, buttan- do via il bambino con lacqua sporca del
necessitarismo. Il quale necessitarismo, probabilmente, un'eredit indiretta delle escatologie
(ebraiche o ebraico-cristiane che dir si voglia), ed quindi un effetto della secolarizzazione di
un precedente piano occulto della storia contenuto nella mente imperscrutabile
di Dio. Siamo quindi di fronte all'ennesimo caso di scelta fra Gerusalemme ed
Atene. Se scegliamo Gerusalemme, o meglio la versione secolarizzata di
Gerusalemme fil- trata dalle teorie borghesi dellinevitabilit del progresso
storico, allora la scien- za filosofica di Marx viene di fatto incorporata
simbolicamente in un piano di sal- vezza dell'intera umanit in cui la Storia
viene idolatricamente posta al posto di Dio e funziona appunto come il Dio
della Lettera ai Corinzi di Paolo, che promette la liberazione attraverso il
generale asservimento all'unico liberatore. Ma se Dio c', necessario che sia appunto necessario, perch
un Dio solo possibile non pu essere veramente Dio, soprattutto nella versione
monoteistica del termine. Se scegliamo Atene, o pi esattamente la tradizione
del grande razionalismo filosofico greco, le cose cambiano completamente. Non
esiste un Dio che ha sta- bilito dalla notte dei tempi un piano occulto della
storia, che si svolge necessa- riamente alla spalle degli uomini, e non esiste
di conseguenza un ceto sacerdotale che ne conosca i voleri segreti. Gli uomini
sono esseri razionali (logon echontes) e soprattutto comunitari, e dispongono
della capacit razionale (/0gos) di frenare il regno dellillimitato delle
ricchezze (katechon). Non esiste piano del mondo. Non esiste salvezza
prefissata. Non esiste messia. Il messia non verr mai. Produttori, salvatevi da
soli! Il comunismo solo una possibilit
ontologica dell'umanit (dynamei on). E chi vuole la salvezza, deve solo scegliersi
la religione migliore. In proposito, con- siglio le pi comunitarie, lortodossia
e lIslam. Chi invece vuole Marx, non pu assolutamente prenderlo cos com'. Cos
com' non va bene. 312 La scienza filosofica di Karl Marx tuttavia, possiamo trovare dentro Marx gli
elementi per una correzione po- sitiva di Marx? Ad esempio Michel Vade lo
pensa, e sicuramente anche Lukcs lo ha pensato. Anch'io lo penso, ma penso
anche che sia ancora teologico que- sto modo di ragionare, come se Marx fosse
una sorta di equivalente laicizzato di Ges di Nazareth, che non si pu confutare
mai, ma soltanto interpretare. Marx poteva sbagliarsi, e su questo punto della
deduzione dialettica della necessit del comunismo si sbagliato, e si sbagliato per un insieme di ragioni. Da un
lato, ha trasformato un suo legittimo desiderio di emancipazione in un
convincimento sul funzionamento legale del processo capitalistico (wishful
thinking), e questo capita a tutti, per cui chi
senza peccato scagli la prima pietra. Dall'altro, ha inne- stato un
concetto di scienza filosofica hegeliana su di un tronco positivistico, in cui
l'evoluzione verso il comunismo diventava una legge storica. Ci ha prodotto il
cosiddetto materialismo storico, che cercher di analizzare brevemente nel pros-
simo capitolo, nella sua grandezza e nei suoi pittoreschi fraintendimenti. La
saggezza non teleologica dei Greci deve restare al centro della nostra rotta
storica, perch la sola bussola di cui
disponiamo. Le categorie di necessit fatale e di potenzialit possibile sono come
due gemelline siamesi, che sono per at- taccate soltanto superficialmente, non
hanno organi vitali in comune, e possono cos essere staccate con una facile
operazione chirurgica. Il modo di produzione capitalistico per Marx possiede
alcune caratteristiche di universalizzazione, che per lui sono la base
materiale del comunismo stesso. Il fatto che il capitalismo sia la base
materiale del comunismo, ma debba per essere anche idealmente negato come
non-verit, uno dei pi difficili enigmi
del pensiero marxiano, ma anche il luogo
ideale in cui la dialettica funziona a pieno regime. Marx ha creduto opportuno
affiancare alla sua scienza filosofica del concetto di capitale una scienza
dichiaratamente non-filosofica, e cio il cosiddetto materialismo storico. Ed in
che senso la scienza non-filosofica del materialismo storico si innesti nel
tronco della scienza filosofica precedente sar l'oggetto spe- cifico del
prossimo capitolo. Il mistero Marx resta comunque il mistero della compresenza
di una scienza filosofica e di una scienza non-filosofica. necessario sopportare la contraddizione. 313
XXXIV. IL MATERIALISMO STORICO DI MARX. UNA SCIENZA NON-FILOSOFICA INNESTATA SU
DI UNA SCIENZA FILOSORIcA DELLEMANCIPAZIONE UMANA. STORIA, MODO DI PRODUZIONE,
FORZE PRODUTTIVE SOCIALI, RAPPORTI SOCIALI DI PRODUZIONE, IDEOLOGIA E
RIVOLUZIONE Il 2 settembre 1933 Karl Lwith scrisse a Gadamer: Per me Marx importante solo come esponente del crollo
della filosofia hegeliana lultima che
credeva an- cora in se stessa, alla filosofia come filosofia. Si tratta di una
dichiarazione molto significativa. Circa trent'anni dopo, intorno al 1963,
Louis Althusser avrebbe potu- to sottoscrivere una dichiarazione molto simile.
Anche per Althusser, che pure ha intenzioni teoriche e politiche assolutamente
opposte a quelle di Lwith, Marx
importante come esponente del crollo della filosofia hegeliana, vista
come lultima scuola che crede ancora in se stessa, e cio alla filosofia come
filosofia. Simili sono anche gli esiti di entrambi. Per Lwith la delusione ed
il disincanto assu- mono la forma della connotazione della filosofia di Marx
come secolarizzazione della vecchia escatologia giudaico-cristiana nel
linguaggio dell'economia politica inglese. Per Althusser la caduta della
credenza nella epistemologia scientifica della teoria dei modi di produzione
senza origine, soggetto e fine assume la forma del cosiddetto materialismo
aleatorio, e cio del passaggio dalla necessit alla con- tingenza, in un
oscillare non dialettico allinterno del giudizio assertivo apodittico di
kantiana memoria. Questa antipatia verso Hegel del Lwith 1933 e dell Althusser
del 1963 non deve stupire, perch dai tempi dei pittoreschi insulti di
Schopenhauer e di Kierkegaard soprariportati
una costante della vergogna regressiva dei filosofi a riconoscersi come
tali. Questa vergogna ha colpito anche Marx, ed
stata alla base della co- azione a lasciare il campo della filosofia
(den Boden der Philosophie verlassen) per cercare qualcosa di pi serio su cui
poggiare i piedi. In greco scienza si dice episteme, e deriva da un verbo che
significa poggiare saldamente i piedi per ter- ra. L'illusione per cui
abbandonando le nuvole della filosofia (come direbbe Aristofane, il primo
nuvolista della polemica contro la filosofia, cui tutti i suoi successivi
odiatori non hanno potuto aggiungere nulla se non positivistiche e di-
sinformate bestemmie) si possa finalmente posare saldamente i piedi sulla
scien- za evidentemente fortissima.
Dipende per, ovviamente, che cosa intendiamo esattamente per scienza (episteme,
science, Wissenschaft). Il problema del perch tanti filosofi giungano a
disprezzare il terreno della filo- sofia propriamente detta ed a auspicare un
suo superamento che coincida con la 315 CarrroLo XXXIV sua abolizione di
fatto stato posto per la prima (ed
ultima volta) in modo insupe- rabile nel 1830 da Auguste Comte. Comte considerato un filosofo poco sofistica- to,
ed ecco perch tutti i tromboni ed i palloni gonfiati lo citano poco. Eppure il
suo codice semplicissimo: la
religione per bambini o rimasti tali, la
filosofia per adolescenti o rimasti
tali, solo la scienza positiva per
adulti veramente consape- voli di essere tali. Come ho detto, tutti i pomposi
sofisticatoni non amano riferirsi a Comte, ma poi tutti fanno come se Comte
fosse il loro guru indiretto. In Italia vi sono alcune scuole pittoresche di
distruttori della filosofia come disciplina verita- tiva autonoma, anche se io
mi limito a citarne solo due, quella di Galvano Della Volpe e dei suoi allievi
(Colletti, Bedeschi, ecc.), e quella di Nicola Abbagnano e dei suoi allievi
(Rossi, Viano, ecc.). In entrambi i casi tesori di conoscenza storiografica e
filologica nella storia della filosofia occidentale portano ad un suicidio
teoretico del valore di conoscenza veritativa dell'attivit filosofica
propriamente detta. La stessa cosa avviene peraltro anche per altre scuole,
come quella althusseriana, che per non riesco a disprezzare come le precedenti.
E non riesco a disprezzarla, pur disapprovandola radicalmente, perch almeno
questultima intenzionata sogget-
tivamente a valorizzare il materialismo storico di Marx, intenzione soggettiva
che coltivo anch'io da quasi mezzo secolo. Prima di passare al materialismo
storico di Marx, oggetto di questo capitolo,
per necessario tentare di dare uninterpretazione storico-genetica ed
ontologico- sociale a questo curioso fenomeno dell'odio filosofico verso la
filosofia, esempio di masochismo culturale apparentemente inesplicabile. Non
esistono infatti esempi similari di odio dei calciatori verso il calcio, dei
filatelici verso i francobolli, dei fisici verso la fisica, dei biologi verso
la biologia e dei pittori verso la pittura. Il pit- toresco odio di Lwith,
filosofo che ha dedicato la vita alla filosofia, nei confronti della filosofia
come filosofia, odio condiviso da pi del cinquanta per cento delle trib
accademiche dei professori di filosofia,
infatti un caso assolutamente unico. I giuristi non odiano il diritto, i
sociologi non odiano la sociologia, gli economisti non odiano l'economia. Solo
la stupida e masochistica trib dei filosofi non per- de mai occasione per dire
che in realt irride la filosofia per la filosofia, modo pleonastico ed enfatico
per indicare la filosofia tout court. Una volta risolto questo problema
generale (quello del superamento della filosofia attraverso la scienza, su
tale), possiamo poi affrontare in modo corretto il perch Marx riten- ne
necessario a partire dal 1845 (e cio dallIdeologia Tedesca circa) affiancare
una scienza non-filosofica, di tipo inevitabilmente positivistico prima e
maxweberiano dopo, alla scienza implicita precedente, chiamandola poi
materialismo storico. Il surreale fenomeno di filosofi che si vergognano di
praticare la filosofia come attivit specifica caratterizzata da pretese
conoscitive di tipo veritativo (unico esem- pio in tutta la storia delle
professioni, con la sola parziale eccezione dei prosseneti e dei killer della
mafia) non pu essere spiegato attraverso Kafka, Borges o il principe De Curtis
(in arte Tot), ma pu essere agevolmente compreso attraverso il codice genetico
della pressione sociale. A partire dalla met del Settecento e dellunifica-
zione simbolica dello spazio e del tempo (materia e progresso), della
costituzione 316 Il materialismo storico di Marx formalistica del soggetto e
della delegittimazione delle pretese normative della metafisica, il mondo cessa
di essere problematico, e diventa cos socialmente vergognoso continuare
infantilmente a problematizzarlo, proprio quando il tempo diventa denaro, lo
spazio area edificabile, il lavoro produttivo oggetto di com- pravendita
vantaggiosa. L'ultima trincea della problematizzazione il concetto di finito in Fichte come metafora
del dispotismo signorile e feudale e di assoluto in Hegel come metafora della
consapevolezza della comunit nazionale tedesca (richiamo qua le due
interpretazioni di Merker e di Pggeler). Dopo il 1830 il filo- sofo diventa una
sorta di pittoresco e marginale rompiballe che intende continuare a
problematizzare un mondo che ambisce invece ad essere considerato normale,
evidente, naturale ed ovvio. allinterno
di questo mutamento culturale della borghesia capitalistica che Comte pu
proporre di considerare il filosofo come un eterno adolescente. La sua proposta
suscita un immediato entusiasmo soprat- tutto da parte di chi non ha mai
neppure sentito nominare il suo nome. Lo spirito del capitalismo pu tollerare
la religione purch stia al suo posto, si occupi di negretti, disgraziati,
poveracci, emarginati e moribondi, venendo cos incontro ai tagli neoliberali
delle spese di welfare, e non pretenda di essere normativa nella vita sociale,
il cui unico Dio deve essere la legge economica della domanda solvi- bile. In
quanto ai filosofi, anche ad essi pu essere lasciato un piccolo spazio per
lintrattenimento di adolescenti nevrotici, signore con velleit mondane e gente
di una certa Kual Kultura (per dirla con Stefano Benni). E tuttavia Hegel
significa pur sempre la pretesa di sovranit conoscitiva, e soprattutto
veritativa, della filosofia intesa come scienza filosofica. La pressione
sociale si alza allora immediatamente contro questa sconcia pretesa
inaccettabile. Ma come, ci siamo appena liberati dei preti, ed arrivano i
filosofi hegeliani a dirci come devono andare le cose! Rinchiusi negli armadi i
turiboli, sono ora i portafogli pieni, e solo i portafogli pieni, ad esser
sovrani del bene e del male! questa la
radice materiale del confinamento della pratica filosofica alle facolt di
filosofia, in cui proibita e diffamata
qualunque attivit interpretativa del mon- do, accusata di dilettantismo, oppure
della sua derubricazione a cura psicologica per semicolti problematici. Dal
1850 circa una gigantesca pressione sociale agisce in questa direzione, ed questa pressione sociale, diretta ma pi
spesso indiretta, a spiegare il fenomeno altrimenti inesplicabile di una
categoria (i filosofi) che si vergogna e diffama la propria stessa attivit
professionale. In proposito, i harakiri degli allievi di Galvano Della Volpe e
di Nicola Abbagnano sono particolarmente grotteschi per il loro ingenuo
scientismo laico-positivistico ed il loro infantile odio verso Hegel, di cui
non sono degni neppure di allacciare le scarpe. Altro il discor- so da fare per personaggi come
Karl Lwith o Louis Althusser, ed altro ancora
il discorso da fare per Karl Marx, un discorso che ora bisogna
cominciare a fare. Nessuno sfugge alla pressione sociale del proprio tempo. Per
parafrasare Aristotele, solo una bestia o un dio pu farlo. Ma Karl Marx non era
n una bestia n un dio, ed a partire dal 1845 non poteva in alcun modo sfuggire
alla pressione sociale, pressione sociale integralmente borghese, e per nulla
proletaria, di giusti- 317 CarrroLo XXXIV ficare scientificamente le sue
pretese dottrinali. Marx si vide quindi costretto dalla pressione sociale
dell'ambiente borghese ad abbandonare il campo della filoso- fia (e cio della
valutazione del mondo), per passare al campo della dimostrazione scientifica, e
cio al materialismo storico. La genesi sociale della scienza marxista della
storia non sta quindi in un passaggio epistemologico interno (e tantomeno in una
rottura epistemologica, per dirla con Althusser ed i suoi seguaci), ma deriva
da una pressione sociale esterna, quella dell'ordine sociale indiretto di
giustificare scientificamente quanto si intende sostenere. La genesi logica del
materialismo sto- rico inteso come scienza autonoma senza presupposti
filosofici di alcun tipo, ma fondata unicamente sui propri presupposti
epistemologici liberi da ogni metafi- sica e da ogni filosofia della storia,
sta quindi quasi completamente in una coazione sociale esterna. Ho prima
chiarito che la gnoseologia, e la sua figlia pazza chia- mata
epistemologia, la vera ed unica
metafisica della borghesia. Sii scientifico!,
l'ordine che sostituisce il precedente ordine feudale-signorile: Credi
in Dio!. questa e non altra
e la genesi sociale materiale del materialismo storico: se vuoi
sostenere una tesi filosofica (ad esempio: il capitalismo una non-verit, ecc.), non puoi farlo
direttamente, ma devi travestirla da tesi scientifica (ad esempio: il modo di
produzione capitalistico caratterizzato
da leggi scientifiche interne che porte- ranno infallibilmente alla sua fine
matematicamente prevedibile). Questa, e non altra, la genesi sociale materiale della teoria del
materialismo storico. Una volta che la si sia ben capita, e non si cada pi
nella pittoresca assurdit della rottura epistemologica, possibile finalmente passare alla sua
esposizione problematica. La categoria scientifica di modo di produzione gi accertata nel 1845, e con- traddistingue
il materialismo storico di Marx fino al 1883, anno della sua morte, per poi
subire uneclisse al tempo del marxismo della seconda (1889-1914) e della terza
internazionale (1919-1943), fino ad essere rivalutata e ripulita a partire da-
gli anni Sessanta del Novecento dalla scuola di Louis Althusser e dei suoi
epigoni. possibile anche chiamare il
modo di produzione concetto (Begriff), ma sarebbe improprio, perch il concetto
propriamente filosofico (pi esattamente, della scien- za filosofica) un'unit indivisa di conoscenza e di valutazione
etica, mente la categoria scientifica di modo di produzione pensata come categoria fondativa di una
scienza non-filosofica. vero che dire
modo di produzione capitalistico evoca immediatamente lunit di alienazione e di
valore, lo sfruttamento, lestorsione del plusvalore assoluto e relativo, la
diseguaglianza fra individui, classi e nazioni, lor- gia smisurata
dellaccumulazione di ricchezze, in una parola ci che Marx usava chiamare merda
(Scheisse). E tuttavia la categoria di modo di produzione non un concetto di una scienza filosofica
propriamente detta, ma una
determinazione storica che in quanto tale prescinde dalla valutazione di tipo
intuitivo cui per non pu ovviamente sottrarsi, se non crediamo (come personalmente
non credo) n alla avalutativit maxweberiana n alla fallacia naturalistica
humeana. In unottica kantiana di deduzione trascendentale delle categorie, il
modo di produzione deriva logicamente dal fatto che la categoria di produzione
in gene- rale viene fatta passare per le forme a priori della sensibilit dello
spazio e del 318 Il materialismo storico di Marx tempo. In altri termini, il
modo di produzione marxiano deriva da una spazio- temporalizzazione storica
della categoria di produzione in generale, su cui si era basata (e tuttora si
basa) l'economia politica intesa come sapere immediato della produzione
capitalistica. E tuttavia in un'ottica di deduzione sociale delle catego-
rie come quella che cerco di sviluppare
in questo scritto la categoria di modo
di produzione si oppone in modo antagonistico alla categoria borghese di pro-
duzione in generale, e ne rappresenta appunto un'opposizione determinata che ne
delegittima la pretese di validit normativa. Il pensiero
borghese-capitalistico infatti un
pensiero naturalistico, fondato sulla destoricizzazione e sulla desocia-
lizzazione del soggetto (Kant), della propriet privata (Locke), della natura
umana (Hume), ed appunto anche della produzione e dello scambio (Adam Smith).
Pi esattamente, la falsa coscienza necessaria del suo modo di nascondere a se
stesso ed agli altri (e cio ai suoi sfruttati) la sua storicit appunto la sua naturalizza- zione. La
produzione capitalistica specifica viene ipostatizzata in produzione in
generale, e tutto ci che non vi rientra logicamente viene diffamato come ano-
malia, ritardo, inefficienza, ecc. (schiavismo, feudalesimo, comunit dette
impropriamente primitive e selvagge, pi tardi socialismo novecentesco ribat-
tezzato economia amministrativa di comando, ecc.). Karl Polanyi ha dimostrato
con una ricchissima documentazione storico-comparativa che questo processo di
naturalizzazione del tutto falso e
mistificato, in quanto in generale il processo economico incorporato (embedded) nella riproduzione
complessiva della societ, e la sua autonomizzazione, storicamente presentatasi
nel Settecento inglese, una anomalia
artificiale che non pu decentemente pretendere ad alcuna naturalit. La categoria
marxiana di modo di produzione quindi
una categoria scienti- fica ottima, a tutt'oggi insuperata. Essa permette almeno
due cose insieme, e cio una storicizzazione determinata sul piano conoscitivo,
ed una polemica ideologica sul piano storico-politico. I teorici della
naturalit della produzione in generale, in- fatti, da un lato rendono
impossibile la conoscenza della storia passata, e dall'altro fanno passare il
loro processo di sfruttamento classista come il modo giusto e razionale di
guidare la riproduzione sociale in generale. Marx riprende qui lo spirito (non
certo la lettera, essendo un universalista di tipo hegeliano) del nominalismo
di Occam, che ai suoi tempi si era gi opposto al potere mistificatorio dei
falsi universali (in questo caso, il falso universale dellinesistente
produzione in generale). E questo non deve stupire, perch lo spi- rito della
grande filosofia passa attraverso i diversi modi di produzione. La cate- goria
di modo di produzione uno strumento
inestimabile, perch permette di pensare fino in fondo la storicit del
capitalismo, e quindi l'illegittimit della sua arrogante pretesa di durare per
sempre e di essere cos la fine della storia. In proposito, vi sono almeno due
rilievi da fare subito. In primo luogo, la cosiddetta teoria marxista della
fine della storia, per cui il comunismo viene collocato in modo
deterministico-teleologico-necessitato alla fine del corso storico, che viene
cos idealmente interrotto, deve essere non solo respinta come insostenibile, ma
anche interpretata come una ricaduta ideologica 319 CaprroLo XXXIV della
precedente teoria borghese della fine capitalistica della storia intesa come
scoperta della produzione in generale. Si
qui di fronte a due vere e proprie de- storicizzazioni, entrambe
deterministico-teleologico-necessitate, di tipo naturali- stico, in quanto non
vi sono differenza logiche di principio fra la destoricizzazio- ne della
produzione in generale borghese e la destoricizzazione della produzione
comunista perfetta finale. Si tratta infatti di due varianti complementari,
gemellari ad antitetico-polari di fine della storia. molto importante impadronirsi concet- tualmente
di questo punto, perch generalmente la teoria marxista della fine co- munista
della storia fatta risalire ad una
secolarizzazione indebita dellescatolo- gia giudaico-cristiana nel linguaggio
dell'economia politica (Karl Lwith ed i suoi numerosissimi seguaci). Non nego
che anche questo fattore possa aver giocato un certo ruolo nella diffusione e
nella popolarizzazione ideologica di questa con- cezione della fine (comunista)
della storia. Ma insisto sul fatto che la derivazione principale dell'ideologia
della fine (comunista) della storia non proviene dal mes- sianesimo
imperfettamente secolarizzato, ma proviene dalla precedente ideologia della
fine (capitalistica) della storia sancita dalla scoperta (scientifica) delle
eterne leggi naturali della produzione razionale. In secondo luogo, occorre
tenere ben distinta la categoria scientifica di modo di produzione (lo ripeto:
categoria conoscitiva ottima, ed a tutt'oggi insuperata: domani chiss!) della
cosiddetta teoria dei cinque stadi successivi obbligati della storia universale
dal passato al futuro attraverso il presente, teoria di origine chia- ramente
eurocentrica ed occidentalistica che poi divent una protesi ideologica del
comunismo storico novecentesco realmente esistito (1917-1991). I cinque stadi
sa- rebbero nell'ordine il comunismo detto primitivo, il modo di produzione
schiavi- stico, il modo di produzione feudale, il modo di produzione
capitalistico, ed infine a coronamento e fine della storia il modo di
produzione comunistico (intendendo in questo modo il cosiddetto socialismo una
formazione economico-sociale di transizione fra il capitalismo ed il comunismo
propriamente detti). La questione a mio
avviso teoricamente chiara, e pu essere sinteticamente formulata cos: bene accogliere, sia pure criticamente, la
categoria marxiana di modo di produzione come risposta determinata alla
categoria borghese-capitalistica di produzione in generale, cuore della
metafisica destoricizzata e desocializzata del sistema globale dello
sfruttamento e della diseguaglianza, ed
bene anche respingere senza se e senza ma la cosiddetta teoria della
successione dei cinque stadi. Che Marx abbia sostanzialmente condiviso per una
certa parte della sua vita una qualche versione della teoria dei cinque
stadi possibile, ma in sede scientifi-
ca non molto rilevante. invece plausibile ci che hanno sostenuto
molti autori (Hosea Jaffe, Samir Amin, Umberto Melotti, Perry Anderson, e sulla
loro scia il modesto scrivente), e cio che gli interessi di Marx verso il modo
di produzione asiatico (testimoniato da un ricco capitolo dei Grundrisse) e
verso le societ impro- priamente dette primitive (testimoniate dai quaderni
antropologici ed etnologici raccolti da Lawrence Krader), e cio che in Marx c'
gi una visione multilineare e non-necessitata della storia universale, e
lunilinearismo stato un successivo 320
Il materialismo storico di Marx fraintendimento compiuto delle due formazioni
ideologiche marxiste posteriori della seconda e della terza internazionale, su
cui ritorner in modo pi analitico nel prossimo capitolo dedicato ad una storia
materialistica del marxismo inteso come successione di formazioni ideologiche
determinate da vincoli di legittima- zione esterna. possibile svincolare la categoria scientifica
di modo di produzione da qual- siasi filosofia della storia? Molti lo hanno
pensato, ad esempio la scuola di Louis Althusser. La scuola di Louis Althusser,
infatti, si basa proprio sul fatto che la ca- tegoria di modo di produzione, ritenuta
una categoria interamente scientifica e completamente priva di presupposti
filosofici, pu e deve essere pensata senza il peso metafisico dellOrigine, del
Soggetto e del Fine. Da un punto di vista puramen- te epistemologico, si tratta
a mio avviso di un'operazione astrattamente possibile. La storia viene pensata
come un campo di strutture, in cui le strutture sono come le bamboline russe di
legno, l'una dentro laltra. Ma il modello epistemologica- mente puro non solo
non una scienza filosofica, ma non neppure una scienza propriamente detta.
Strappata dall'origine, dal soggetto e dal fine, la storia diventa totalmente
astorica, ed il modo di produzione diventa un puro oggetto di stu- dio
universitario, una sorta di idea platonica per chi non crede nel mondo delle
idee (ritenendolo ovviamente troppo idealistico). Allinterno di questa desto-
ricizzazione integrale e di questo misticismo della struttura resta soltanto un
culto della cosiddetta aleatoriet, in cui il concetto di potenzialit ontologica
(dyna- mei on) sparisce completamente, e viene restaurato integralmente il
principio dei giudizi assertivo-apodittici kantiani, e cio il principio della
contingenza (kat to dynatn). Non mi stancher mai di ripeterlo: il principio
della contingenza aleatoria, oggi molto di moda fra gli universitari confusionari, soltanto l'opposizione reale dialetticamente
non mediata del principio della necessit. Entrambi i principi sono le polarit
non mediate del giudizio apodittico modale di kantiana memoria. L'isolamento
della categoria di modo di produzione da qualsiasi filosofia del- la
storia quindi possibile, ma possibile soltanto come operazione
dellintellet- to astratto (Verstand). In realt, il pensiero di Marx anche necessariamente una filosofia della
storia, e non potrebbe non esserlo, per una ragione di facilissima
comprensione. Dopo il 1760 circa tutte indistintamente le oggettivazioni
teoriche sistematizzate sono necessariamente forme di filosofia della storia,
ed il fatto che qualcuno possa dire: Tutte le altre lo sono, salvo la mia, che
unica fra tutte sol- tanto scientifica e
disincantata, e quindi non lo non pu che
suscitare il riso, come se qualcuno che si trova al sole con gli altri dicesse:
Tutti voi fate ombra, all'infuori di me che non la faccio!. Prima del 1760
circa in Europa regnava la storia biblica, che dava luogo a forme differenziate
di teodicea. La storia biblica era anch'essa a suo modo una filoso- fia della
storia (ed infatti Lwith la tratta come tale), ma si tratta a mi avviso di
un'estensione indebita che crea confusione. La vera e propria filosofia della
storia moderna (Turgot, Condorcet, Herder, poi Fichte, Hegel, Marx ecc.) nasce
proprio svincolandosi dalla storia biblica e per cos autocertificandosi, ed a
questo punto 321 CaprroLo XXXIV di importanza
solo secondaria l'accettazione della teoria dellintegrale secolariz- zazione di
categorie precedentemente teologiche (Carl Schmitt), oppure laccet- tazione
della teoria della nuova fondazione razionale non secolarizzata (Werner
Blumenberg). Marx ha una filosofia della storia per il semplice fatto che tutti
dopo il 1760 hanno in Europa una filosofia della storia, anche e soprattutto
coloro che dichiarano di non averla e di esserne per cos dire immuni. Come universalmente noto, la categoria scientifica
di modo di produzione si specifica e si determina attraverso il gioco di tre
determinazioni ulteriori, il progresso delle forze produttive sociali, la
natura classista dicotomica dei rapporti sociali di produzione, ed infine
l'ideologia e le forme di coscienza ideologica degli agenti sociali. In seconda
istanza, la correlazione dialettica essenziale dei primi due termini (forze
produttive e rapporti di produzione)
stata chiamata dallo stes- so Marx struttura (Struktur), mentre il
complesso delle forme ideologiche stato
chiamato sovrastruttura (Uberbau). Si tratta del notissimo modello epistemolo-
gico marxista, che esiste senza radicali modificazioni da pi di cento e
cinquanta anni. Il fatto che sia notissimo non ci esime per da un insieme di
brevi considera- zioni di chiarimento ulteriore. La correlazione essenziale fra
forze produttive e rapporti di produzione (0 pi esattamente, fra sviluppo
classista delle forze produttive come fattore essenziale di dominio sociale e
natura antagonistica polare dei rapporti sociali classistici di produzione) a tutti gli effetti una contraddizione
dialettica, che trova il pi vicino ri- ferimento concettuale nella dottrina
dell'essenza della Scienza della Logica di Hegel. In questo senso Lenin pot
scrivere nei suoi Quaderni Filosofici che chi non ha letto e capito la Scienza
della Logica di Hegel non pu capire niente del Capitale di Marx. Vorrei
sottolineare questa paroletta niente, perch appunto senza la scienza del- la
logica hegeliana il Capitale di Marx diventa un normale trattato di economia
politica di sinistra (nel linguaggio di Claudio Napoleoni, un trattato di
economia politica critica e non un testo fondativo di critica dell'economia
politica). Perch importante considerare
come una contraddizione dialettica i due poli in correlazione essenziale delle
forze produttive e dei rapporti di produzione?
importante farlo, perch se non lo si fa e li si considera separatamente
dal punto di vista dell'isolamento dell'intelletto astratto (Verstand), si
hanno due processi pa- ralleli, quello del progresso della scienza e della
teconologia, da un lato, e quel- lo della ingiustizia sociale da correggere
riformisticamente in qualche modo, dall'altro. Progresso della scienza e
questione sociale, infatti, sono i due lati concettuali della destoricizzazione
e della desocializzazione della categoria. Da un lato, lo sviluppo delle forze
produttive visto come un processo di
tipo non sociale ma puramente tecnologico-applicativo, e la storia degli ultimi
due secoli diventa storia dei progressi della tecnologia, dalla macchina a
vapore al computer. Dall'altro, ai rapporti di produzione viene tolto ogni
carattere classista-antagoni- stico, e viene invece di tanto in tanto
benevolmente riconosciuto che esiste una questione sociale di sacche di povert
cui porre rimedio con un accurato uso bilanciato di poliziotti, prigioni,
assistenti sociali, spesa pubblica, preti caritatevoli, 322 Il materialismo
storico di Marx ecc. chiaro dove vanno
sempre praticamente a parare i processi ideologici di destoricizzazione e di
desocializzazione. La trinit di produzione in generale, storia del progredire
della tecnologia e questione sociale intesa in senso
poliziesco-assistenziale appunto la
trinit ide- ologica del modo di produzione capitalistico, che del tutto ostile ed incompati- bile con le
due concezioni intrecciate di Marx, la scienza filosofica della negativit della
produzione capitalistica e la scienza non-filosofica del modo di produzione
capitalistico. Una volta attuata logicamente la destoricizzazione, essa pu
assume- re poi una forma apologetica (la teoria neoliberale alla Popper,
Berlin, ecc.), o una forma critica (la teoria del Dispositivo Intrascendibile,
Gestell, di Martin Heidegger). La prima
rivolta alla global middle class ed allinfinita plebe clonata dei
sudditi felici del capitalismo ormai del tutto privi di coscienza infelice,
mentre la se- conda rivolta ai tipi
inquieti, colti e problematici, che sanno che il denaro non tutto, ed esiste anche (sia pure non pagata)
la riflessione pensosa sui destini ultimi del mondo degradato ed inquinato. In
entrambi i casi, per, la storicit del modo di produzione capitalistico negata. Marx ha invece completamente ragione:
forze produttive e rapporti di produ- zione formano una unit logica in
correlazione essenziale, e danno luogo ad una contraddizione dialettica del
tipo di quella esposta per la prima volta in forma sistematica nella dottrina
dell'essenza della Scienza della Logica di Hegel. Ora cer- cher di discuterle
separatamente, ma si tratta solo di un accorgimento scolastico dell'esposizione.
Nella realt, queste due dimensioni sono inseparabili. Iniziamo dal lato dello
sviluppo delle forze produttive, o meglio dellassolu- tizzazione della
centralit storica del loro sviluppo. Questo primato dello sviluppo delle forze
produttive, che ha indiscutibilmente caratterizzato il codice marxista
originario di Engels e di Kautsky del ventennio 1875-1895, stato variamente criti- cato in termini di
economicismo (scuola di Louis Althusser), di marxismo smi- thiano (Robert
Brenner), e di teoria reazionaria delle forze produttive (sinistra maoista in
Cina del decennio 1966-1976). In effetti in questa concezione non esiste pi una
vera contraddizione dialettica fra i due termini, che implicherebbe una loro relazione
essenziale (nella termino- logia di Kant, un giudizio disgiuntivo della
reciprocit di azione e reazione), ma semplicemente un rapporto estrinseco di
adeguamento, per cui di volta in volta i rapporti di produzione si adeguano
alla sviluppo delle forze produttive stesse. Le forze produttive crescono,
dalla scoperta del fuoco allingegneria genetica, e mano a mano che crescono i
rapporti di produzione si adeguano, dallo schia- vismo al feudalismo al
capitalismo fino al comunismo inteso come trionfo finale dello sviluppo delle
forze produttive. Esiste una sterminata letteratura marxologica sivolia ad
assolvere Marx da questa concezione, ed in generale fanno da parafulmine,
prendendosi tutta la colpa, Engels, Kautsky, Lenin, Stalin, ecc. Si tratta di
un'ottica di tipo teologico- pretesca, come se il problema fosse quello di
assolvere Marx discolpandolo dalleconomicismo o dal marxismo smithiano, in base
al solito ipocrita principio 323 CarrtoLo XXXIV della perfezione del fondatore
e del fraintendimento degli epigoni. A me sem- bra - con le mie modeste
competenze di marxologo che il buon Marx
non possa essere completamente assolto dall'accusa di economicismo, in quanto
innumere- voli passi delle sue opere consentono appunto una lettura
economicistica (per non dire di peggio!). Ma il problema non sta nel
palleggiamento delle responsabilit, robaccia da teologi fanatici, ma in un
dilemma ben diverso: dato e non concesso che la teoria delladeguamento
semiautomatico dei rapporti di produzione allo sviluppo neutrale delle forze
produttive inteso come variabile indipendente non una concezione dialettica, ma esclusivamente
meccanicistica, possibile abbando- narla
senza con questo buttare via tutta la concezione della centralit del modo di
produzione? Prudentemente risponderei di no: probabilmente s. Mi sembra
evidente che la teoria dell'adeguamento dei rapporti sociali di produzione allo
sviluppo delle forze produttive una
semplice variante di sinistra (e nemmeno troppo!) della concezione borghese del
progresso, non lascia spazio a nessuna teoria della prassi rivoluzionaria
(perch infatti darsi da fare se intanto le forze produttive ci risol- veranno
il problema?), ed incompatibile con
qualunque teoria della contraddi- zione dialettica. Occorre quindi respingere
in toto e senza compromessi teorici la teoria meccanicistica dell'adeguamento,
senza peraltro cadere nella sua polarit opposta, la concezione per cui il
comunismo si fonderebbe su di un atto comuni- tario di volont morale
egualitaria anche in presenza di una terribile penuria che ci costringe ad eliminare
i bambini malformati ed a abbandonare i vecchi sdentati nella steppa o sulla
banchisa polare. La teoria meccanicistica dell'adeguamento una tentazione permanente del cattivo
marxismo, non soltanto perch purtroppo
spesso avallata dalla lettera di Marx, ma perch risolve il problema della ri-
voluzione. Essa percorre lintera storia del marxismo, dal suo fondatore
Kautsky, che vedeva cos assicurato laccesso al potere dei suoi operai
protestanti lettori di compendi di volgarizzazione di Darwin, fino a Toni Negri
ed alle sue moltitudini desideranti, che possono finalmente servirsi al
supermercato senza pagare sulla base dell'incredibile sviluppo delle forze
produttive. Come il ballo in maschera e la commedia dellarte, anche
leconomicismo pu travestirsi in molti modi, ma solo gli sciocchi non capiscono
che sempre lo stesso, si presenti in
doppiopetto da manager oppure nellabito casual-straccione del frequentatore dei
centri sociali di vario tipo. Il tema dello sviluppo delle forze produttive ha
anche un altro aspetto, forse ancora pi importante. Si tratta della possibilit
di uno sviluppo distruttivo delle forze produttive, il che farebbe diventare
immediatamente legittima un'eventuale teoria della cosiddetta decrescita. Il
tema delicato, ma non pu essere
ignorato. Ai tempi di Marx e di Engels, il tema di uno sviluppo pericoloso e
distruttivo delle forze produttive non era ancora socialmente visibile, e
sarebbe ingiusto ed antistorico rimproverarli 4 posteriori di non averlo preso
adeguatamente in consi- derazione. Certo, ci sono nelle loro opere molte
citazioni, che mettono in guardia dallinquinamento urbano e soprattutto
dalleccessivo sfruttamento industriale 324 Il materialismo storico di Marx
dell'agricoltura, e questo consente a molti benevoli commentatori di farli
diventare dei pionieri e dei padri dell'ecologia. E tuttavia, ancora una volta,
il tema non n teologico n filologico. La
domanda questa: nel contesto del
bilancio teorico complessivo del pensiero di Marx (e di Engels), si trova gi la
consapevolezza del- la possibile deriva catastrofica e distruttiva dello
sviluppo delle forze produttive (capitalistiche, ovviamente, non della
produzione in generale), oppure questa consapevolezza non esiste ancora, ed
allora dobbiamo aggiungerla noi, nel caso che volessimo definirci allievi di
Marx? A mio avviso, non c' ancora, e dobbiamo aggiungerla noi. E questo per un
in- sieme di ragioni, che possiamo sunteggiare in due grandi classi. L'attuale
sviluppo delle forze produttive infatti
distruttivo su almeno due punti, la convivenza an- tropologica degli uomini e
la tenuta ecologica dell'ambiente in generale. Marx non poteva esserne
consapevole, perch nellanno della sua morte, il 1883, entrambi gli aspetti non
erano ancora visibili. In primo luogo, la stessa tenuta dell'etica borghe- se e
della vita comunitaria operaia e proletaria funzionavano da katekhon
all'attuale disfrenarsi di un totale individualismo anomico corrosivo di tutti
i rapporti sociali, e non solo dei rapporti sociali solo borghesi o solo proletari.
In secondo luogo, gli equilibri ecologici del pianeta non erano ancora
realmente intaccati nel loro complesso, ma soltanto in alcune aree geografiche
limitate. Oggi per le cose non stanno pi in questo modo. Oggi la degradazione
antro- pologica ed ambientale sono fatti visibili socialmente, anche se evidente che ci siano i negazionisti che
affermano che le cose non vanno affatto cos male, che le prognosi catastrofiche
sono eccessive ed infondate, che tutto questo complesso di problemi un'invenzione di snob ecologisti occidentali
che vogliono impedire ai cinesi ed agli indiani di comprarsi lutilitaria, ecc.
Non intendo entrare nel merito dello scontro fra negazionisti e catastrofisti.
So bene che entrambi agitano come trofei totemici diagnosi opposte di
cosiddetti scienziati. In quanto agli scien- ziati, essi sono corrompibili
ancora pi dei politici (che pure lo sono in modo pittorescamente svergognato),
tanto vero che se ne sono anche trovati
alcuni che hanno sostenuto che le sigarette non fanno male anche se uno ne
fumasse quaran- ta al giorno. Da come mi sembra di capire, la crisi ecologica
generale del pianeta gi in atto, e
questa indubbiamente una ragione
sufficiente di critica globale della produzione capitalistica (laltra ovviamente
lapprofondimento delle diseguaglianze fra individui, popoli e nazioni,
con il connesso sistema ideologico di manipolazione rivolto a sostenere in modo
capillare che questo sistema della diseguaglianza buono, benefico, libero e provvidenziale per
tutti). Cos com', la teoria marxiana dello sviluppo delle forze produttive
non buo- na, e non pu essere
semplicemente ereditata e difesa contro i soliti fraintendi- tori. Non funziona
la teoria meccanicistica del cosiddetto adeguamento, e non funziona la
sottovalutazione del carattere distruttivo di questo sviluppo. Non pu esistere
unontologia dell'essere sociale che non lo dica chiaramente, e che si limiti al
ristabilimento del cosiddetto vero pensiero di Marx. Lukcs poteva ancora pensarlo
nel periodo 1964-1971, quando scrisse la sua mirabile Ontologia ed i suoi 325
CarrroLo XXXIV ottimi Prolegomeni. Ma oggi abbiamo un grado di consapevolezza
complessiva mi- gliore. Passiamo ai rapporti sociali di produzione. La presa in
considerazione della assoluta centralit di questi rapporti caratterizza molte
forme di marxismo, dal pensiero di Gramsci a quello di Mao Tse Tung. Si tratta
della versione del mar- xismo chiamata generalmente filosofia della prassi, o
del primato dellattivit rivoluzionaria. Chiediamoci: Marx stesso, al di l di
certe sue inequivocabili affer- mazioni economicistiche, che solo la pietas
teologica pu mettere sotto silenzio, era convinto della centralit dei rapporti
sociali di produzione? A me sembra di s. Ed il fatto che questa centralit della
lotta di classe (indi- scutibile in particolare in molte sue opere storiche, da
quelle che descrivevano il biennio 1848-49 a quelle che commentavano la Comune
di Parigi del 1871) coesi- stesse contraddittoriamente con la teoria del
cosiddetto adeguamento dei rap- porti sociali di produzione alla crescita delle
forze produttive ci mostra ancora una volta che un semplice ritorno a Marx impossibile, perch Marx come il Torso del Belvedere di Michelangelo,
ed un fascio di contraddizioni in buona
parte non elaborate e non sistematizzate. In primo luogo, la polarizzazione
dicotomica nei modi di produzione preca- pitalistici fra proprietari di schiavi
e schiavi (nel modo di produzione schiavisti- co europeo) e fra feudatari e
servi della gleba (nel modo di produzione feudale europeo) non quasi mai un criterio storiografico adatto a
spiegare la dinami- ca di funzionamento del rispettivo rapporto sociale di
produzione. Nel modo di produzione schiavistico mediterraneo sono bens esistite
grandi rivolte di schiavi (la Sicilia descritta da Diodoro, la rivolta dei
gladiatori di Spartaco, ecc.), ma esse hanno caratterizzato soltanto un periodo
storico molto limitato. Anche se l'idea che il mondo antico fosse
caratterizzato dalla dicotomia liberi /schiavi caratterizza vari tipi di
dilettanti (Stalin, manuali di materialismo storico della teoria dei cinque
stadi, Hannah Arendt, Nietzsche e nicciani vari, film in costume chiamati
peplo, ecc.), noi oggi sappiamo che il conflitto di classe fondamentale nel
mondo greco non avveniva fra liberi e schiavi, ma fra liberi poveri e liberi
ricchi, e che proprio la natura di questo conflitto stata la matrice storico-genetica ed
ontologico-sociale della teoria filosofica del metron e del logos come katekhon
contro la dissoluzione sociale della guerra di tutti contro tutti. In quanto al
mondo romano, Marx era un appassionato della sua storia (come chi scrive, del
resto, che scambierebbe un solo manuale di storia romana per cinquanta di
irrilevante e manipolata storia contemporanea), e sapeva bene che il conflitto
di classe fra optimates e populares, senatori e cavalieri, ecc., stato la chiave della dinamica sociale romana
fino agli esiti imperiali augustei e post-augustei. E per finire, il crollo del
mondo antico non stato dovuto al
conflitto fra liberi e schiavi (al di l degli argomenti del Kovaliov, la cui
storia romana di tipo staliniano stata
la prima lettura di giovent che mi ha acceso l'interesse per Marx), ma stato dovuto ad un crollo generale della
produ- zione classista antica, che ha posto le condizioni per le cosiddette
invasioni barba- riche (episodio, peraltro, solo occidentale, perch Bisanzio,
che non era certamen- 326 Il materialismo storico di Marx te meno romana di
Roma, ha tenuto ancora per mille anni e pi). In definitiva, non intendo certo
negare il conflitto fra padroni di schiavi e schiavi. Intendo per negare che
questo conflitto sia stato decisivo per il passaggio modale europeo dallo
schiavismo al feudalismo, ed intendo anche negare che sia stato decisivo in
questo passaggio lo sviluppo delle cosiddette forze produttive, pur tenendo
conto delle cosiddette innovazioni tecnologiche medioevali (staffa per i
cavalieri in armatura, mulini a vento, gioco dei buoi, rotazione triennale,
ecc.). Lo stesso discorso pu essere fatto per la natura della lotta di classe
nel medio- evo europeo. Qui certamente assistiamo a momenti di acutissimo
conflitto diretto fra i servi della gleba ed i loro padroni (jacqueries
francesi del 1358, rivolte inglesi del 1381, ecc.), che sarebbe sciocco
ignorare. La stessa rivolta dei contadini tedeschi del 1525, con massacro dei
suoi capi religiosi come Thomas Munzer,
stata oggetto di studio particolare da parte di marxisti, da Engels a
Ernst Bloch. E tuttavia non sarebbe serio sostenere che la ragione storica
fondamentale del passaggio mo- dale del feudalesimo al capitalismo si trovi in
questo conflitto classista polare. noto
a tutti, infatti, che allinterno della societ feudale si poco a poco costituita a partire addirittura
dal Duecento una classe manifatturiera e commerciale borghe- se, o meglio
protoborghese, che ha poi dovuto subire per alcuni secoli un proces- so di
rifeudalizzazione signorile, e che solo dopo altri secoli ed in grazia di
fattori esterni (commercio triangolare, ecc.) ha potuto realmente innescare il
processo di transizione al capitalismo. Anche qui, come nel caso precedente
degli schiavi gre- co-romani, i servi della gleba si distinguono per la loro
sostanziale marginalit ed irrilevanza. Ci si pu chiedere, allora, perch nel
caso della polarit capitalistica, Marx abbia assegnato ai proletari un ruolo
rivoluzionario modale che non aveva in alcun modo contraddistinto le classi
sfruttate degli schiavi e dei servi della gleba nei precedenti modi di
produzione precapitalistici. In secondo luogo, infatti, la polarit sociale
borghesi-proletari, da cui Marx si aspetta direttamente il passaggio modale al
comunismo, deve essere fatta oggetto di una analisi particolare, al di l della
stessa lettera di Marx. C' qui un classico punto cieco della discussione marxista,
punto cieco dovuto alle pie rimozioni di chi preferisce lasciare le cose in
ombra piuttosto che smentire i suoi venerati ma- estri. Ma l'atteggiamento pio
e politicamente corretto della venerazione filologica e teologica non mai servito a nulla, se non a rinviare ed a
rimandare il momento della verit.
infatti possibile che lerrore di Marx, perch certamente di un errore
dia- gnostico si tratta, sia scattato sulla base di un incantesimo di una
analogia storica impropria. Nella transizione fra il feudalesimo e il
capitalismo, infatti, ci siamo tro- vati in Europa di fronte ad una classe che
ha funzionato da fronte avanzato per lo sviluppo delle forze produttive, e cio
la borghesia capitalistica inglese settecen- tesca, ed una classe stagnante, o
che ha incarnato storicamente la stagnazione delle forze produttive, e cio la
nobilt signorile tardofeudale. A questo punto, sembra evidente che Marx si sia
irretito in una analogia ingannatrice, facendo di- ventare il proletariato
fronte avanzato per lo sviluppo delle forze produttive, e 327 CaprroLo XXXIV la
borghesia l'equivalente dei nobili di un secolo prima, e cio il portatore
storico della stagnazione. Non riesco a spiegarmi altrimenti un errore
diagnostico del genere. La smentita
stata in proposito clamorosa. Il proletariato non si dimostra- to per nulla il portatore storico
dello sviluppo delle forze produttive, e del resto nessuno vede perch avrebbe
dovuto esserlo. Le classi subalterne non sono inte- ressate ad uno sviluppo
imprenditoriale delle forze produttive, ma ad un sacrosan- to miglioramento
individuale e collettivo delle condizioni di erogazione del loro lavoro e
soprattutto ad un riconoscimento comunitario sul piano dei costumi (Sitten). In
quanto alla cosiddetta borghesia, si sono storicamente notati segni di
stagnazione culturale e sociale (la famosa decadenza, peraltro ampiamente
sopravvalutata da un insieme di autori, da Tocqueville a Nietzsche, da Pareto a
Spengler fino allo stesso Lukcs), ma questi segni sono sempre stati dominati
dal rinnovo degli animal spirits dellinvestitore capitalistico. In un'ottica di
modo di produzione marxiano, la borghesia non
mai Voltaire, Hegel, Beethoven, Stendhal e Balzac, ma sempre e soltanto l'insieme statistico degli
agenti anonimi ed im- personali della riproduzione capitalistica. Del resto, lo
stesso Marx lo ha capito, quando ha parlato degli individui nel capitalismo in
termini di maschere di ca- rattere (Charaktermasken). In ogni caso, il succo
del discorso questo: nel modo di
produzione capitalistico, al di l dell'errore (comprensibile) di Marx basato su
di un incantesimo dellanalogia con la transizione modale precedente, il
proletariato non affatto il portatore
storico dello sviluppo delle forze produttive, e la borghe- sia capitalistica
non di conseguenza il soggetto titolare
della stagnazione, e tantomeno della decadenza, che soltanto la trasposizione culturale della
sta- gnazione stessa trasfigurata in caduta culturale e di gusto. Questo errore
di Marx comprensibile, ma non scusabile il fatto che il dogmatismo
conformistico lo ab- bia protratto inutilmente per pi di un secolo. Ma qui ha
funzionato un'ingiunzione esterna di carattere ideologico: cos come la
pressione sociale esterna nel ventennio 1875-1895 ha provocato l'ingiunzione ad
una (inutile) dimostrazione scientifica di tipo previsionale positivistico del
passaggio necessario dal capitalismo al sociali- smo (il famoso passaggio del
socialismo dallutopia alla scienza, che si
rivelato meno scientifico del ritorno paolino del salvatore, la cui
maggiore lunga du- rata sotto gli occhi
di tutti), nello stesso modo la pressione sociale esterna del mandato simbolico
della classe operaia e proletaria ha provocato negli intellettuali marxisti
l'ingiunzione ad una (totalmente inesistente) connotazione della borghe- sia
come classe decadente, parassitaria e stagnante, e del proletariato operaio
come fronte avanzato dello sviluppo delle forze produttive. Si qui di fronte ad un inse- gnamento
inesorabile: quando la riflessione sociale e storica, giusta o sbagliata che
sia, si sottomette per conformismo politicamente corretto ad ingiunzioni
esterne, magari filtrate ideologicamente in perfetta buona fede (e questo era
sicuramente il caso di Marx, che non era alcun modo un intellettuale organico
di ciniche bu- rocrazie corrotte il
termine organico usato nel senso di
rifiuti organici), la rovina sicura, e
prima o poi arriver infallibilmente. 328 Il materialismo storico di Marx Marx
non ha mai avuto dubbi sul fatto che non esiste soltanto una condizione
operaia, ma esiste invece una vera e propria classe operaia intesa come sog-
getto storico rivoluzionario. Se ci fosse soltanto la condizione operaia (e non
c' alcun dubbio che esista, e - come dice Marx
che l'essere un lavoratore produttivo di plusvalore sia una disgrazia),
sarebbe impossibile dedurre dialetticamente da essa un progetto rivoluzionario.
La condizione operaia al massimo pretende riconoscimento dentro il modo di
produzione capitalistico, e quasi sempre non lottiene, perch agli intellettuali
non piace il grigiore del lavoro manuale, ed ecco perch sono sempre pronti a
correre dietro a qualunque straccio colorato che gli venga agitato davanti
nella corrida della simulazione situazionistica (Debord). In Marx, piuttosto,
esiste un innesto allinterno di una classe filosofica (il proletariato, che ha
da perdere soltanto le proprie catene, ed emancipando se stesso emancipa
l'intera umanit, perch la sola classe
potenzialmente universalistica, laddove la borghesia non lo , perch agita
formalmente valori universalistici, ma poi vive di estorsione di plusvalore, e
quindi di sfruttamento) di una classe definita in modo sociologico (l'operaio
manuale di fabbrica) ed in modo economico (il salariato che scambia forza-lavoro
con salario, e quindi fornisce un valore d'uso maggiore del valore di scambio
che riceve). Le classi proletarie, salariate e operaie non si sovrap- pongono,
n logicamente n storicamente. Mano a mano che procede lo sviluppo
capitalistico, esse vengono integrate attraverso il sistema del consumo e
attra- verso la frammentazione individualistica delle vecchie comunit di
resistenza pre- capitalistiche, tanto
vero che in generale le vere capacit ed i veri comportamenti collettivi
eversivi della classe operaia avvengono dopo un'uscita recente dalle condizioni
bracciantili, contadine ed artigiane precapitalistiche (le lotte operaie
italiane del biennio 1968-69 ne sono addirittura un esempio da manuale),
laddove ad un grado maggiore di integrazione la classe operaia diventa sempre
pi ano- nima condizione operaia, in cui la coscienza di separatezza e di essere
oggetto di sfruttamento e di vergognosa invisibilit sociale permane ed anzi a volte addirittura aumenta ma non esiste pi la soggettivit di essere in
quanto tale un soggetto eversivo anticapitalistico rivoluzionario, nonostante
il patetico ronzare di gruppetti fondamentalisti marxisti che continuano a
suonare questo organetto. Vi sono almeno due sintomi problematici interessanti
nel pensiero di Marx, presenti nel cosiddetto Capitolo VI inedito del Capitale
e nei cosiddetti Grundrisse. Il fatto per che questi due sintomi problematici
non siano stati mantenuti nelle pubblicazioni a stampa fa pensare che lo stesso
Marx non era sicuro fino in fondo della loro pertinenza scientifica. solo un sintomo, certamente, ma la scelta di
non pubblicazione in condizioni di possibilit di pubblicare vorr pur sempre
dire qualcosa. In primo luogo, Marx sostiene in una citazione che il soggetto
rivoluzio- nario capace di superare (aufheben) il modo di produzione capitalistico
non deve essere limitato alla classe proletaria, operaia e salariata (come poi
tutta la vulgata marxista ripeter bovinamente per un secolo), ma deve essere
individuato nel la- voratore cooperativo collettivo associato, dal direttore di
fabbrica all'ultimo mano- vale generico non specializzato, lavoratore
collettivo alleato con le potenze mentali 329 CarrroLo XXXIV sprigionate dalla
stessa produzione industriale capitalistica, potenze mentali che in genere Marx
indicava con il termine inglese di general intellect. Nella storia del marxismo
pi recente l'insistenza su questa citazione fondamentale stata soprat- tutto opera del marxista
italiano Gianfranco La Grassa, completamente ignorato dal chiacchiericcio fatuo
di sinistra, e tuttavia lo stesso La Grassa ne ha anche fornito una critica,
sostenendo (con buone ragioni) che questo soggetto si pu forse formare a
livello di fabbrica, e cio di unit produttiva integrata, ma non di rete
concorrenziale di imprese, in cui il lavoro si spezzetta e si antagonizza, ma
non si ricompone certamente. Il che spiegherebbe, se fosse vero (come io
credo), il fatto che la condizione operaia non abbia mai dato luogo ad una vera
e propria sogget- tivit rivoluzionaria dentro il rapporto di produzione
industriale diretto (lultima illusione in proposito non a caso tramontata e caduta nel discredito
generale stata coltivata dalla corrente
teorico-politica del cosiddetto operaismo italiano posteriore al 1956, e
tuttora sopravvissuto attraverso tragicomiche metamorfosi). In secondo luogo,
Marx sostiene in unaltra citazione che il capitalismo tende, nel suo sviluppo
tecnologicamente sempre pi produttivo, a superare la cosid- detta legge del
valore-lavoro (e cio lo scambio di equivalenti in base al tempo di lavoro
sociale medio contenuto in essi) gi allinterno della stessa produzione
capitalistica, per cui ormai le macchine, e solo le macchine, diventerebbero il
cuo- re erogatore del cosiddetto lavoro produttivo. Si avrebbero cos le
condizioni per laccesso al comunismo (senza neppure la necessit di passare
attraverso un purgatorio socialista, nel frattempo divenuto completamente
obsoleto e supe- rato storicamente) a partire dai punti alti della produzione
capitalistica. Il fatto che Marx abbia sollevato questa possibilit in un quaderno
di appunti per uso personale e non l'abbia ritenuta degna di pubblicazione a
stampa deve far pen- sare, ma questo di per s non sarebbe un argomento contro
la sua plausibilit, che la rende degna di essere presa in considerazione. Si
tratta come noto agli addetti ai lavori della tesi di fondo della coppia postmoderna
Negri-Hardt (cfr. i due testi Impero e Moltitudini). Ci si ritorner sopra pi
avanti. Per ora basti dire che qui si fondono uninterpretazione
ulta-economicistica del pensiero di Marx (la rivoluzione derivata esclusivamente dallo sviluppo delle
forze produttive), unita ad una riproposizione integrale dellanarchismo, a
volte chiamato surrealmente autonomia (oppure ancora pi surrealmente
spontaneismo), in quanto tutte le forme politico-partitiche (ed il partito
leninista in particolare) vengono viste come forme omologhe al cosiddetto
socialismo, considerato una forma particolarmen- te odiosa di oppressione
statalistica sul lavoro. Queste due incertezze di Marx naturalmente gli fanno
onore, in quanto si tratta del fisiologico tastare di un pensatore. Ma in esse
c' anche il punto cieco di un'incertezza di fondo sulla vera e propria
decisivit di un soggetto rivoluziona- rio collettivo, gi proclamato
entusiasticamente fin dal 1844, e poi mano a mano problematizzato fino alla
tragicit. Ed infatti il pensiero di Marx presenta una com- ponente tragica, che
del resto contraddistingue tutti i veri grandi pensatori. E la tragicit sta in
ci, che da un lato vero che il
capitalismo unit di alienazio- 330 Il materialismo
storico di Marx ne e di valore, ed in pi
sorgente inesauribile di smisuratezza delle ricchezze, sfruttamento del
lavoro vivo, degradazione antropologico-sociale della comunit umana e
distruzione degli equilibri ecologici del pianeta, e dall'altro non affatto sicuro che esistano forze
soggettivamente capaci di superarlo (aufheben), perch potrebbero anche non
esserci, al di l di una potenzialit ontologica (dynamei on), che per potrebbe
restare sempre una potenzialit possibile ontologica senza mai approdare
all'atto (energheia). Il marxismo si svilupper (e non poteva essere
diversamente!) sulle due basi dellingiunzione ineseguibile alla cosiddetta
scientificit e della rimozione del- la possibile tragicit. L'esame di queste
due penose caratteristiche verr fatto nel prossimo capitolo. Per ora vale la
pena di osservare che la scienza non-filosofica di Marx, e cio la sua teoria
del modo di produzione capitalistico inteso come spazio topologico di un
rapporto fra struttura e sovrastruttura, sfocia in un modello posi-
tivistico-previsionale che non per in
grado di prevedere realmente il passaggio necessario del capitalismo al
socialismo. Ne era consapevole lempirico barbuto esule tedesco a Londra Karl
Marx? difficile saperlo. Non disponendo
del metodo dellevocazione delle anime dei de- funti e dei tavolini che ballano
si pu rispondere sia s che no. Personalmente ten- do a rispondere di s, per
quello che Kant definirebbe un giudizio analitico, in cui il predicato contenuto nel soggetto. Dal momento che la
consapevolezza della tragicit tipica
delle persone sensibili ed intelligenti, e Marx era sicuramente una persona
sensibile ed intelligente, ne consegue che Marx non poteva che essere con-
sapevole della tragicit della storia, e non me lo vedo firmare ad occhi chiusi
uno sciocco documento marxista sull'inevitabilit necessaria assoluta del
passaggio inderogabile al comunismo. So bene che altre numerose citazioni
consentono in- terpretazioni diverse. E tuttavia io interpreto cos la
frase-presentimento di Marx alla fine della sua vita: La sola cosa di cui sono
sicuro, che io non sono marxista
(dichiarazione di Marx a Lafargue, riportata in francese nel testo, contenuto
in una lettera di Engels a Bernstein del 3 novembre 1882). Resta da trattare il
decisivo tema dell'ideologia, che porta con s il modello topologico struttura
/sovrastruttura. Mi sembra evidente che il termine materiali- smo storico in
Marx non ha nulla a che fare con un concetto scientifico di mate- ria, comunque
definita, ma al contrario indice di
strutturalismo storico, in cui la struttura occupa il posto della materia (o
causa materiale) e la sovrastruttura occupa il posto della forma (o causa
formale). In questo modello spariscono sia la causa efficiente (a meno che si
intenda la prassi soggettiva del proletariato ri- voluzionario come causa
efficiente), sia soprattutto la causa finale (che il modello meccanicistico
galileiano-positivistico non prevede, considerandola metafisica e quindi
scientificamente impresentabile). In questo modo, il modello aristotelico delle
quattro cause diventa il modello marxista delle due sole cause rimaste, e la
materia diventa metafora della struttura, mentre la forma diventa metafora
della sovrastruttura. 331 CarrtoLo XXXIV
possibile riscrivere un modello scientifico marxista rinunciando alla
topolo- gia simbolico-materialistica struttura /sovrastruttura? Sono state date
in proposito molte risposte, per cui mi limiter a dare la mia, sia pure in
forma necessariamen- te apodittica. In una scienza filosofica della totalit
espressiva, che esprime il concetto (Begriff) di negativit del capitalismo, c'
soltanto lo spazio logico per le determinazioni dialettiche della totalit
stessa nel suo svolgimento logico, e quindi non ci pu essere posto per una
topologia spaziale struttura (sotto) e sovrastruttu- ra (sopra), topologia
evidentemente derivata dalla costruzione di una casa, in cui i piani abitativi
si reggono sulle fondamenta (ed infatti nei sistemi della scienza filosofica di
Aristotele, Spinoza e Hegel non ci pu essere alcuno spazio per una topologia
spaziale struttura/sovrastruttura). E tuttavia, in un modello di scienza
non-filosofica, invece, non si pu fare a mio avviso a meno di questa metafora
topologica spazializzata. Per cui in definitiva s, ci vuole la struttura
(Struktur), e ci vuole anche sopra la sovrastruttura (Uberbau). Dipende per da
che cosa si intende esattamente per sovrastruttura, ed proprio quello che ora discuter brevemente.
Esiste nel marxismo una patologia infausta, ad un tempo mortale e ripugnante,
che potremo definire brevemente riduzionismo. La parola per purtroppo in- sufficiente, perch indica solo
una sorta di innocua insufficienza gnoseologica, per cui nella mia
considerazione della totalit posso cadere nell'errore di ridurre ec-
cessivamente limportanza di alcuni fattori, di cui si tratter di ristabilire
lim- portanza con un adeguato raddrizzamento. Tutto questo fuorviante. Per ri- durre la complessit (uso
qui un termine di moda nella sociologia di Luhmann) a volte necessario effettuare un'operazione
consapevole di riduzione e di isola- mento metodologico di fattori, ed in
questo non trovo niente di male. Ci vorrebbe un altro termine, tipo peste, o
tumore mortale, ma in mancanza di un termine adeguato sar necessario segnalare
la patologia con la necessaria severit.
anche poco importante accertare se per caso Marx e Engels fossero stati
colpiti da questa ripugnante patologia, e baster segnalare al lettore che
essa come l' AIDS, per cui se ci fai
attenzione non te la prendi, e quindi puoi fare all'amore (e cio praticare la
scienza filosofica di Marx) senza pagarlo con la vita (e cio con il contagio
del riduzionismo). La sovrastruttura esiste, ma essa soltanto l'ideologia, o meglio l'insieme
delle ideologie, forme di coscienza che
comunque impossibile socialmente
non ave- re, per cui un soggetto conoscente-agente privo di ideologia una pura astrazione dell'intelletto, e non
esiste storicamente nella realt politico-sociale storicamente data. Chi solleva
l'accusa di ideologia ritenendo di essere lui stesso privo di qualunque
ideologia uno sciocco illuso di essere
titolare o di un punto di vista galileiano sul mondo sociale o di un sapere
assoluto para-hegeliano sul mondo. In parole semplici, un tronfio imbecille, si
dichiari liberale o marxista poco importa. Ed
bene capire questo, perch larte, la religione e la filosofia non sono
ideologie, e quindi non fanno parte della sovrastruttura. La sovrastruttura,
quindi, soltanto l'insieme sociale delle
ideologie. 332 Il materialismo storico di Marx Come ho detto, non ritengo
fondamentale sapere se Marx e Engels redivi- vi avrebbero o no sottoscritto
questa mia affermazione o l'avrebbero tacciata di idealismo. Come dicono
popolarmente a Roma, non me ne potrebbe fregare di meno. La questione sta altrove,
e sta nel fatto che si tratta di una questione di merito. La struttura di un
modo di produzione quindi costituita dal
rapporto dialet- tico della contraddizione fra lo sviluppo delle forze
produttive sociali e la natura classista dei rapporti sociali di produzione,
anche se abbiamo visto nella nostra precedente problematizzazione che questo
modello strutturale non garantisce la deduzione scientifica della transizione e
del passaggio necessario, che resta solo una potenzialit ontologica possibile
(dynamei on). La sovrastruttura di un modo di produzione costituita esclusivamente dallideologia, che
a sua volta un campo antagonistico di
forme di coscienza sociale strutturato al suo interno fra un lato di
giustificazione e di legittimazione simbolico-razionale dei rapporti sociali di
produzione vigenti (schiavistici, asiatici, feudali, capitalistici, ecc.), ed
un lato di opposizione e di contestazione ad essi. Ad esempio il marxismo, di
cui mi occuper nel prossimo capitolo,
stato unideologia, o pi esattamente una for- mazione ideologica
(aggiungo io: interamente legittima!) di opposizione e di con- testazione al
sistema capitalistico, ed il fatto che Marx sia stato o meno marxista interessante per i suoi biografi, ma del tutto irrilevante per la storia strutturale,
materialistico-genetica ed ontologico-sociale del marxismo stesso. L'arte, la
religione, la filosofia non sono di per s ideologie, e quindi non sono
sovrastrutture. Certo, esiste, esistito
ed esister ampiamente in futuro un uso ideologico dellarte, della religione e
della filosofia. E non potrebbe essere diversa- mente, perch da dove potrebbe
l'ideologia parassitare i propri contenuti ideali di riproduzione se non
dall'arte, dalla religione e dalla filosofia stessa? Ma allora, se larte, la
religione e la filosofia non sono ideologie, e non fanno parte n della
struttura n della sovrastruttura di un modo di produzione, allora che cosa sono
e di cosa fanno parte? A questa domanda non si potr mai rispon- dere finch si
rester prigionieri dellincantesimo dello strutturalismo. L'arte, la religione e
la filosofia sono infatti forme permanenti e trans-storiche dell'attivit uma-
na eterna di riproduzione ed interpretazione individuali e collettive del
mondo, e quindi la loro migliore definizione possibile stata data da Hegel in termini di spirito
assoluto. Esse infatti hanno certamente una storia (ed infatti Hegel forn tre
modelli di storia dellarte, della religione e della filosofia), ma non possono
ridursi integralmente a storia, laddove invece per sua propria natura
l'ideologia integralmente storia.
L'ideologia il luogo necessario del
relativismo e del nichili- smo, cui nessuno di noi (e tantomeno che scrive)
potr mai sfuggire, mentre larte, la religione e la filosofia sono invece le
sole forme culturali e sociali che possono invece sfuggire al relativismo ed al
nichilismo stessi. La riduzione dellarte, della religione e della filosofia a
forme di ideologia quindi la patologia
massima e principalissima delle consuete forme di materiali- smo storico,
indipendentemente dal fatto (a mio avviso pochissimo rilevante) che 333
CarrtoLo XXXIV si sia trattato di un fraintendimento posteriore del
meraviglioso e puro pensiero di Marx e di Engels oppure che si sia trattato di
patologie di cui Marx e Engels sono stati i primi portatori. Dal momento che
qui non mi occupo di epidemiologia ma di filosofia, o meglio di scienza
filosofica in senso hegeliano, possiamo lasciare questo problema del tutto
marginale alla marxologia filologica specialistica. A proposito dellarte, ci
ritorner sopra pi avanti a proposito della concezio- ne estetica di Lukcs, che
condivido nellessenziale nel senso della missione de- feticizzante dellarte,
anche se non condivido l'opinione lucacciana per cui essa dovrebbe essere
rivolta contro l'alienazione religiosa, che per me non sempre alienazione, ma lo soltanto quando incorporata in formazioni ideologiche di
giustificazione e di legittimazione di rapporti sociali di produzione basati
sulla diseguaglianza e lo sfruttamento (come peraltro avviene lo ammetto francamen- te nella stragrande maggioranza dei casi). In
quanto alla religione, appunto, non condivido la tesi tradizionale di origine
feuerbacchiano-marxista (derivata infatti indiscutibilmente da Feuerbach e da
Marx), secondo cui essa, per sua natura,
sempre e comunque alienazione di un umanesimo terreno (Entfremdung).
Quanto alla filosofia, ovviamente, non
possibile diventare eredi della filosofia classica tedesca (come
sosteneva verbalmente Engels, salvo poi a fare il contrario - come vedremo) se
non si conserva il cuore di questa filosofia, e cio il suo carattere cono-
scitivo e veritativo integrale, al di l del disprezzo di mille Lwith per la
cosiddetta filosofia per la filosofia. Non si potr infatti salvare il cuore
dell'eredit marxiana senza tornare apertamente proprio alla filosofia per la
filosofia. 334 XXXV. STORIA DEL MARXISMO 1870-2000 IN UNA PROSPETTIVA
STORICO-GENETICA ED ONTOLOGICO-SOCIALE Esistono molte storie dossografiche
delle idee marxiste (anch'io ne ho scritta una
e non certo delle peggiori!). Tuttavia queste storie dossografiche del
marxi- smo sono tutto, meno che marxiste, in quanto ricalcano e riproducono il
metodo opinionistico delle storie generali borghesi della filosofia, per cui le
opinioni cadono dal cielo, anche se ad un certo punto hanno una sorta di
epicurea devia- zione (clinamen, parekklesis), e si incrociano cos luna con
laltra, dando luogo in questo modo ad un educato e pluralistico dialogo
filosofico. Ci sono cos opinioni sulla possibilit di una dialettica
materialistica della natura, e opinioni che ritengo- no che la dialettica
riguardi solo la coscienza umana, e quindi la societ e non solo la natura. Chi
opina che vi sia una irresistibile tendenza al crollo del capitalismo
attraverso le crisi di sovrapproduzione e di sottoconsumo e/o attraverso
laumen- to della composizione organica del capitale e la caduta tendenziale del
saggio di profitto, e chi opina che no, non
possibile che il capitalismo cada in questo modo, e ci vuole invece il
partito rivoluzionario che organizza le masse proletarie per las- salto finale.
C' chi opina che solo la struttura conta, mentre le sovrastrutture non contano
niente se non per gli intellettuali chiacchieroni, mentre c' chi opina che
invece proprio sul piano sovrastrutturale
della coscienza (di classe, di specie, ecc.) che si avr la possibilit del salto
rivoluzionario anticapitalistico. In questo carnevale permanente dellopinare si
ottiene quel senso generalizzato di incertez- za, dubbio e paralisi che ci ha
con le tavole rotonde pluralistiche televisive, in cui lo spettatore istupidito
sulla sua poltrona acquisisce un senso di impotenza, deri- vata dal fatto che
cinque cervelloni autorizzati dicono luno il contrario dell'altro, e quindi
bisogna tirare la conclusione inevitabile che non c' nessuna soluzione, e
sarebbe stato meglio guardare un bel western. In questo pittoresco carnevale
dossografico dellopinare ci sta la subordinazio- ne canina del cosiddetto
marxismo al peggiore pensiero delle classi dominanti. Personalmente, sono un
esperto europeo della classificazione delle varie opinio- ni marxiste, e nello
stesso tempo so bene che questa sagra dellopinare non serve assolutamente a far
capire le dinamiche strutturali di fondo di quel fenomeno uni- tario chiamato
marxismo. In questo capitolo, dunque, lopinare sar ridotto al minimo, mentre si
cercher di evidenziare alcuni caratteri strutturali di questa storia. Ma
essendo il marxismo un'ideologia, o meglio una formazione ideologica, e quindi
una sovrastruttura, si tratta di diagnosticare alcune permanenze strutturale di
questa sovrastruttura. La storia del marxismo, sottoposta liberamente al metodo
CarrroLo XXXV di Marx, la storia di una
formazione ideologica, e quindi di una sovrastruttura, di cui non bisogna
dimenticare mai la struttura sottostante. Questa storia non quindi in nessun caso la storia di una
caduta, e cio di un graduale allontanamento da Marx. Non quindi in nessun caso la storia di un
fraintendimento, e quindi non ha senso
ed anzi un po vergognoso - far
di- ventare il povero Engels il parafulmine di questo fraintendimento. Il
povero Marx avrebbe gi capito tutto, ma essendo morto nel 1883 non ha potuto
controllare, ed eventualmente fermare, il grande fraintenditore Engels, che
gli sopravvissuto dodici anni
(1883-1895), ed in questo modo ha potuto fregarlo, e fregando lui ha fregato
tutti noi, imponendoci lindigesto zibaldone del cosiddetto materialismo
dialettico (Diamat). Non cos. Marx aveva
lasciato la sua dottrina in uno stato deplorevole di prov- visoriet e di
mancanza di sistematicit e di coerenza (e bisognava quindi coeren- tizzarla,
make consistent). Esisteva una committenza sociale esterna che ne esigeva la
coerentizzazione, e questa committenza sociale esterna era costituita dalla
classe operaia della seconda rivoluzione industriale, che si stava organizzando
sul pia- no sia politico che sindacale, e che si trovava allinterno della
cosiddetta Grande Depressione (1873-1896), per cui pi che normale che ritenesse che ci potesse
essere un crollo della produzione capitalistica (e del resto dopo il 1883
Engels lo ha affermato - erroneamente - innumerevoli volte). stata questa committenza s0- ciale la matrice
storica materiale della formazione ideologica sistematica chiama- ta marxismo,
e da questa committenza bisogna partire. Se non ci fossero stati due empirici
signori di lingua tedesca chiamati Engels e Kautsky ce ne sarebbero stati
altri, probabilmente peggiori. Ed chiaro
che se ci si mette in questa ottica metodologica, che il contrario di ogni dossografia e di ogni
ossessiva attenzione esclusiva all'opinare degli opinanti, possibile accostarsi alla formazione ideolo-
gica marxista come fatto sociale totale, o pi esattamente come ad una struttura
sovrastrutturale integrale. Questa formazione ideologica ha a sua volta molti
presupposti sistemici, ed bene
cominciare ad evidenziarne tre: la rimozione delle aporie teoriche di Marx
(ricordate nel precedente capitolo), con conseguente rimozione dei suoi aspetti
tra- gici; l'ingiunzione ineseguibile ad essere in tutti i modi scientifici (e
vedremo perch essa era ineseguibile); la distruzione infine (nascosta dalla
rivendicazione di eredit) del grande lascito della filosofia classica tedesca,
e di Hegel in parti- colare, per cui la verit di una societ si trova soltanto
proprio nella filosofia per la filosofia (per usare il termine di Lwith, da lui
per usato in modo spregiativo). Tutti e tre questi elementi ideologici sono
strutturali, e devono essere dedotti gene- ticamente dalla situazione storica e
sociale del periodo. La maggioranza delle sto- rie dossografiche del marxismo
non lo fa, ed ecco perch esse sono del tutto inutili per una ontologia
dell'essere sociale. Eppure questi tre elementi (e non solo que- sti,
ovviamente) sono strutturalmente sovrastrutturali, nellesatto senso che Marx ha
dato al termine da lui usato sensibilmente sovrasensibile, e come tali devono
essere studiati. 336 Storia del marxismo 1870-2000 in una prospettiva
storico-genetica ed ontologico-sociale Il primo elemento strutturalmente
sovrastrutturale della costituzione della for- mazione ideologica marxista si
basava in modo rigorosamente freudiano (siamo del resto poco prima
dellelaborazione del codice psicoanalitico freudiano, e quin- di non c nulla di
cui stupirci) sulla rimozione degli elementi tragico-aporetici del pensiero di
Marx, da me segnalati sia pur brevemente nel precedente capitolo. Come abbiamo
visto, sicuro che esiste una condizione
operaia, fondata sullo sfruttamento e sulla collocazione simbolica in fondo
alla scala sociale, ma non affatto
sicuro che questa condizione operaia comporti necessariamente una classe
operaia intesa come soggettivit storica rivoluzionaria anticapitalistica. Tutte
le aggiunte ad hoc ed eccezioni (uso qua il linguaggio dello storico della scienza
Thomas Kuhn), per cui il partito politico marxista fa passare la coscienza di
classe ZII (Klassenbewusstsein) dal puro in s sociologico, economico,
rivendicativo e sin- dacale al per s politico rivoluzionario, non possono
essere sufficienti a levare di mezzo il dubbio iperbolico: e se per caso la
condizione operaia non fosse il presup- posto per la costituzione di una vera
soggettivit storica chiamata proletariato, o classe operaia rivoluzionaria?
Questo dubbio iperbolico ineludibile, e
questa tempesta del dubbio ovviamente
l'equivalente marxista della tempesta del dubbio religiosa. Vedremo in un
capitolo successivo che questa tempesta del dubbio stata la matrice diretta nel 1965 della
successiva elaborazione del pen- siero postmoderno da parte di Jean-Frangois
Lyotard. La formazione ideologica marxista non poteva assolutamente, per
ragioni strut- turalmente sovrastrutturali, accettare questo dubbio iperbolico
nel suo apparato simbolico e culturale. Essa si
quindi formata sulla base necessaria della sua ri- mozione. La
rimozione, psicoanaliticamente intesa,
fonte inevitabile di nevrosi e psicosi successive, come la storia
dossografica del marxismo successivo dimostra a iosa. Nello stesso tempo, il
lieto fine (happy end) un ingrediente
indispensabile- per almeno tre strutture narrative di edificazione pubblica: il
drammone sentimen- tale hollywoodiano per platee metropolitane subalterne, il
racconto escatologico di salvezza per religioni messianiche, ed infine la
grande-narrazione marxista in cui l'emancipazione proletaria finale garantita dalle leggi inesorabili della
teodicea storica. difficile vivere
nellincertezza, nellinsicurezza e nel dolore. La grande- narrazione marxista
che rimuove la tragicit aporetica della storia, e con questa rimozione prepara
tempeste di dubbio e di delusione incredibili, assomiglia per molti versi
all'attuale incoscienza ecologica distruttiva, per cui per ora possiamo
sguazzare felici nel consumo, in quanto solo i nostri nipoti se ne
accorgeranno, ma a noi non importer pi, perch da tempo saremo tutti in un mondo
migliore. Nello stesso modo i primi marxisti, con la loro rimozione
dell'elemento tragico della storia, scaricarono sui loro nipoti (e cio noi) la
consapevolezza della tragi- cit della nostra condizione temporale aporetica. Il
secondo elemento consiste in quella che definir l'ingiunzione ineseguibile ad
essere scientifici in tutti i modi. L'ingiunzione era chiaramente un vincolo
so- ciale, e veniva dal fatto che la societ borghese aveva sostituito Dio con
la Scienza divinizzata, ed era quindi necessario, lo si volesse o no, ballare
al ritmo di questi 337 CaprroLo XXXV nuovi cantici. La giustizia non era pi
rivendicata in nome di Dio, ma in nome della nuova divinit, la Scienza della
Storia. Ma questa ingiunzione era inesegui- bile, per il semplice fatto,
divenuto oggi chiaro come il cristallo, che dalla scienza della storia non possibile ricavare logicamente nessuna
necessit del comunismo, ed oggi infatti non lo tenta decentemente pi nessuno.
Esiste una scuola psicolo- gica americana che studia le nevrosi infantili sulla
base proprio delle ingiunzioni ineseguibili che genitori ed educatori stupidi
hanno imposto ai bambini stessi. I bambini, di fronte ad ingiunzioni
ineseguibili, ma che non sanno essere tali, si colpevolizzano credendo di
essere degli inetti e degli incapaci, laddove
la stessa ingiunzione in s ad essere del tutto ineseguibile. Lo
stesso avvenuto per lin- giunzione
ineseguibile di far dimostrare alla cosiddetta scienza la necessit inde-
rogabile della transizione al comunismo attraverso le contraddizioni oggettive
del capitalismo. Ho scritto cosiddetta scienza non perch la scienza
correttamen- te intesa non esista, o sia sempre cosiddetta, ma per marcare in
modo pi visibile la differenza essenziale fra il modello borghese-positivistico
di scienza ed i modelli precedenti, quello della filosofia greca, del concetto
religioso di giustizia cristiano, ed infine del concetto di scienza filosofica
di Spinoza e di Hegel. Tutti e tre questi modelli precedenti sono migliori, non
peggiori, dellingiunzione ineseguibile della deduzione scientifica del
comunismo. Mi rendo conto di stare dicendo qualcosa di paradossale, ma seguendo
ancora una volta Rousseau meglio
sostenere un paradosso che ripetere un pregiudizio. Un greco antico redivivus
giunto a noi con una macchina del tempo, messo di fronte al ricatto
dellingiunzione ineseguibile di tipo positivistico di dimostra- re
scientificamente il passaggio necessario dal capitalismo al socialismo indipen-
dentemente dal giudizio filosofico negativo sulla societ dellalienazione e del-
lo sfruttamento, direbbe probabilmente cos: la societ in cui vivete certamente preda dell'indeterminatezza e
della smisuratezza (apeiron); in essa non
possibile alcun equilibrio (isorropia), e alcuna concordia fra i
cittadini (omonoia); lisonomia soltanto
formale, perch lisegoria permessa
soltanto al circo mediatico diretta- mente dipendente da una casta minoritaria
di potenti (oligarchia); il padrone del mondo, l'imperatore USA in grado di distruggere
nuclearmente il mondo intero non che un
despota (tyrannos); normale che abbiate
cercato e continuate a cer- care un qualcosa che possa frenare questa infamia
(katechon); e tuttavia non esiste alcuna necessit (ananke), nessuna casualit
(tyche) e nessuna contingenza aleatoria (kat to dynatn) che possa salvarvi; la
sola salvezza una scienza del bene e del
male (episteme); questa scienza si fonda solo sull'uomo (anthropos), come
misura (metron) del bene e del male stessi; e luomo, misura del bene e del
male, animale dotato di capacit di ragionamento dialogo e calcolo delle buone
proporzioni natu- rali e sociali (zoon logon echon), potenzialmente in grado (dynamei on) di
giungere a vivere bene in comunit (eu zen). Come si vede, non c' nessun bisogno
di ricorre- re alla prevedibilit meccanicistico-deterministica di tipo
galileiano-positivistico. Eraclito non ne ha avuto bisogno quando ha parlato di
fioco semprevivo per indicare la costituzione democratica ed isonomica.
Parmenide non ne ha avuto bi- 338 Storia del marxismo 1870-2000 in una
prospettiva storico-genetica ed ontologico-sociale sogno quando ha parlato di
essere per indicare la permanenza eterna nel tempo di una buona e stabile
legislazione. Pitagora non ne ha avuto bisogno quando ha parlato di armonie
geometriche nella natura, nella musica e nel corpo per indicare la necessit di
una armonia sociale razionale. E potremmo continuare, ma sarebbe inutile per i
sordi che ritengono, con un atto di fede assolutamente e provocato- riamente
irrazionalistico, che ci sia una cosa chiamata progresso, distinta dagli
indiscutibili progressi tecnologici, farmacologici, chirurgici e dell'industria
dei trasporti veloci. Un medioevale redivivus su sarebbe anche lui stupito
dellingiunzione inesegui- bile di dimostrare la possibilit della iustitia
attraverso la dimostrazione positivi- stica di essa con l'adozione del metodo
delle scienze naturali. Tommaso d'Aquino avrebbe detto che chi muore di fame ha
un diritto naturale assoluto a rubare ai ricchi ci che necessario alla sua sopravvivenza. Occam
avrebbe detto che ogni individuo che pratica i grandi valori di Francesco
d'Assisi (paupertas e simplicitas in primo luogo) fa parte della chiesa
invisibile dei giusti, e non necessario
ag- giungervi (sta qui il lato sociali del cosiddetto rasoio di Occam,
incomprensibile per tutti coloro che interpretano questo francescano inglese
come precursore di Locke, Hume, Stuart Mill, Bertrand Russell e Wittgenstein)
assolutamente niental- tro, che sarebbe solo inutile, pleonastico e
sovrabbondante. Per finire, neppure Spinoza e Hegel, i pi grandi esponenti
occidentali della scienza filosofica della conoscenza della verit, capirebbero
l'ossessione della co- azione sociale positivistica allingiunzione ineseguibile
della dimostrazione d una necessit sociale che porti alla societ giusta della
produzione comunitaria e della ripartizione egualitaria del comunismo
(marxianamente inteso come la societ in cui ciascuno dar secondo le sue capacit
e ricever secondo i suoi bi- sogni
aggiungo io, individualmente differenziati secondo la nozione marxiana
di propriet individuale intesa come superamento dialettico della propriet
privata capitalistica). Per Spinoza come per Hegel esiste una scienza
filosofica della verit comune, che non coincide con il metodo matematico in
quanto tale. Chi sostiene che in Spinoza la verit filosofica coincide
integralmente con il metodo della fisica mec- canicistica seicentesca deve
necessariamente abolire il quinto libro dellEtica, e fare come se non ci fosse,
come se bastasse la ripetizione del mantra laico per il quale, Dio essendo
identico con la natura, ed essendo la natura oggetto esclusivo e mo-
nopolistico delle scienza della natura, la verit delle cose monopolio delle fa- colt di fisica, chimica e
biologia. Ma purtroppo per costoro il quinto libro dellEtica esiste, stato tradotto, leggibile e non lascia spazio ad equivoci. infatti necessa- rio un pensiero filosofico
sub specie aeternitatis per interpretare il mondo, in quanto la libert
presuppone lo studio disantropomorfizzato della necessit universale. In quanto
a Hegel, non un caso che sia diventato
il bersaglio dellantipatia non solo di coloro che non sopportano che la
filosofia possa rivendicare una sovranit ideale sull'economia, ma anche e
soprattutto di coloro che non sopportano che la cosiddetta scienza moderna (in
realt un'ideazione come le altre, rispettabile 339 CarrroLo XXXV certamente
perch assolutamente utile, ma non divinizzabile se non per tutti gli idolatri
di nuovo tipo) possa essere sottoposta ad un giudizio critico. Possiamo certo
dissentire dall'individuo empirico Hegel a proposito delle sue contingenti
opinioni sulla famiglia, la societ civile, lo Stato, ecc., ma difficile trovare qualco- sa da eccepire sul
fatto che la natura della convivenza sociale moderna non pu es- sere ricavata
da una astrazione quantitativa estrapolata dalle scienze della natura. In
definitiva, l'ingiunzione irricevibile ed ineseguibile che ha costretto i primi
marxisti (Engels, Kautsky, Plechanov, ecc.) a formulare in modo scientifico il
passaggio dal capitalismo al socialismo deve essere storicizzata, e non
assolutiz- zata come frutto del progresso. Se lo si fa, essa appare essere
soltanto un prodot- to storico integrale del clima positivistico che regnava
nel trentennio 1870-1900, ed ancora pi esattamente nel ventennio 1875-1895. Il
fatto che sia stata mantenuta per pi di un secolo ha solo una spiegazione
storico-genetica ed ontologico-sociale possibile: la subalternit complessiva
strutturale, e quindi modale, delle classi proletarie, salariate ed operaie
alla visione borghese-capitalistica del mondo, per cui la sovrastruttura
ideologica non poteva che conformarsi all'immagine capi- talistica del mondo
(Weltbild). Un discorso analogo, anche
se pi articolato e dettagliato, deve essere fatto an- che e soprattutto per il
terzo elemento ideologico sopraricordato della confezio- ne della formazione
ideologica marxista. Si tratta del rifiuto della filosofia come base di legittimazione
universalistica del socialismo, della sua grottesca e riduzio- nistica
derubricazione ad ideologia, e della connessa sua identificazione con la
gnoseologia. Ho gi molto insistito nei capitoli precedenti che l'ossessione
verso la gnoseologia nel pensiero borghese non
n un caso n frutto di un progresso an- timetafisico, ma deriva da due
fattori storico-genetici strutturali. In primo luogo, dal fatto che nel
pensiero borghese-capitalistico necessario
costituire il soggetto in modo formalistico-naturalistico (cogito di Cartesio,
io penso di Kant, ecc.), per- ch questa sua costituzione
formalistico-naturalistica funzionale ad
un concet- to destoricizzato e desocializzato di produzione in generale. In
secondo luogo, dal fatto che il pensiero borghese-capitalistico aveva bisogno
di delegittimare la metafisica teologica, nella misura in cui quest'ultima
funzionava come ideologia di legittimazione politico-sociale degli ordinamenti
tardofeudali e signorili ancora robusti in pieno Settecento. La distruzione illuministica
di questa legittimit inau- gur l'epoca che Fichte chiam della compiuta
peccaminosit, cui Hegel cerc di ovviare con la riproposizione di una verit
filosofica sui rapporti sociali, e Marx cerc di ovviare con la sua teoria
storica ed ontologico-sociale del comunismo. Il rifiuto della sovranit
veritativa della filosofia non poteva che comportare linnesco di una confusione
borgesiano-kafkiana, evidente ad esempio in Engels. Engels resta comunque un
genio (e non solo un talento, come si definiva con ammirevole modestia), e non
bisogna trasformarlo in parafulmine per gli errori dello stesso Marx. Engels
proclamava, da un lato, che il proletariato era l'erede della filosofia
classica tedesca, e poi dall'altro respingeva il cuore immortale della
filosofia classica tedesca stessa, il fatto cio che la filosofia in s (pi
esattamente, 340 Storia del marxismo 1870-2000 in una prospettiva
storico-genetica ed ontologico-sociale la scienza filosofica dell'intero)
avesse un carattere conoscitivo e veritativo auto- nomo, laddove il sapere
delle scienze propriamente dette (dalla fisica allecono- mia politica), era
soltanto un sapere dell'intelletto (Verstand). Ma se il modello di sapere era
il modello del sapere dell'intelletto, il ritorno a Kant era inevitabile, ed
era parimenti inevitabile la derubricazione della filosofia a gnoseologia, con
tut- te le tragicomiche conseguenze. La filosofia marxista nasce cos come una
vera e propria commedia degli equivoci, la cui metodologia non pu essere che
quel sen- so dell'umorismo a proposito dello studio di Hegel raccontato da
Bertolt Brecht nei suoi Dialoghi di Profughi, necessaria introduzione
divulgativa alla Scienza della Logica di Hegel. In estrema sintesi, la
riduzione marxista dello spazio veritativo della filosofia allo spazio servile
della gnoseologia pu essere ridotto a due elementi principali, la teoria del
riflesso o rispecchiamento come teoria della conoscenza (Widerspiegelung), e la
ricostruzione dicotomica della storia della filosofia precedente come conflitto
bipolare fra il materialismo (buono) e lidealismo (cattivo), ove entrambi i
termi- ni (materialismo e idealismo, appunto) vengono a loro volta definiti in
termini non ontologico (come sono in realt), ma puramente gnoseologici, di
cosiddetto primato dell'essere sul pensiero (materialismo) oppure del pensiero
sull'essere (idealismo). Questo enigma
in realt un vero e proprio segreto di Pulcinella, se appena lo si indaga
alla luce del metodo storico-genetico ed ontologico-sociale. Per quanto
riguarda la teoria del riflesso o rispecchiamento (Widerspiegelung), si trat-
tava della metafora sociale di un presunto rispecchiamento
scientifico-oggettivo di una cosa in s (Ding an Sich) storico-sociale,
identificata con la previsione scientifica necessaria del passaggio oggettivo
dal capitalismo al socialismo (questa tesi
particolarmente evidente nelle polemiche furiose contro i benemeriti
empiriocriticisti del Lenin di Materialismo ed Empiriocriticismo). Per quanto
riguar- da invece la ricostruzione dicotomica dell'intera storia della
filosofia occidentale precedente come lotta a morte retrospettiva fra idealisti
e materialisti (definiti en- trambi in modo gnoseologico e non ontologico), si
trattava invece della metafora sociale della retrodatazione simbolica della
lotta di classe bipolare fra borghesia e proletariato, in cui la borghesia
diventava simbolicamente e metaforicamente l'erede dei (cattivi) idealisti,
mentre il proletariato diventava simbolicamente e me- taforicamente l'erede dei
(buoni) materialisti. Per chi dotato di
senso dell'umorismo, si tratta di una commedia degli equivoci assolutamente
esilarante. Si era di fronte ad un ritorno a Kant, e si chiamava que- sto
ritorno a Kant eredit della filosofia classica tedesca. Si era di fronte ad un
episodio filosofico proletario del neokantismo, e si chiamava questo episodio
recupero del metodo rivoluzionario della dialettica di Hegel respingendone il
si- stema conservatore e reazionario.
dunque bene non perdersi nei singoli alberi (per questo consiglio una
buona storia dossografico-compilativa del marxismo, il Fetscher, il Kolakowski,
il Vranicki, ed ovviamente la mia, la pi critica di tutte), ed impadronirsi di
uno sguardo complessivo sullintera foresta. 31 CaprroLo XXXV Iniziamo dalla
teoria del rispecchiamento o riflesso (Widerspiegelungstheorie). Essa sempre stata il pilastro del marxismo
sovietico, lunico mai giunto al potere nel mondo (e quindi - non fosse altro
che per questo degno di essere studiato
e non liquidato con la supponenza con cui il professore universitario medio di
economia e di filosofia corregge distrattamente le tesi di laurea degli
studenti). Quando esso croll in modo dissolutivo (1989-1991), i suoi manuali di
insegna- mento obbligatorio si basavano ancora su questa gnoseologia, definita
materiali- stica, ed irridevano come borghese, religiosa ed oscurantistica la
teoria filosofica dell'unit di soggetto-oggetto del benemerito Hegel, il
maestro di Marx. Questa teoria di
origine integralmente neokantiana, ed
possibile anche dimostrarlo con una certa facilit. L'origine storica
della teoria del rispecchiamento sta nel libro di F. A. Lange Storia del
Materialismo, pubblicato nel 1866 ed arricchito ed esteso nella seconda
edizione del 1873 (Lange nacque nel 1828 e mor nel 1875 in giovane et, e la sua
data di nascita non casuale, perch chiaro che visse in un'epoca integralmen- te
post-romantica e post-hegeliana, in cui si poteva pensare che Hegel fosse un
cane morto). Lange ritiene che il vero Kant sia quello della Critica della
Ragion Pura, ed in particolare della prima edizione di essa, in cui il noumeno
o cosa in s (Ding an Sich) il vero
limite materiale della conoscenza. Detto questo, Lange criticava anche il
materialismo positivistico abituale come riduzionistico, e faceva addirittura
l'elogio della religione come mezzo di elevazione, rifiutandone (a mio avviso
correttamente) la sua connotazione in termini di alienazione (Entfremdung).
Tuttavia, lorganizzazione della conoscenza fenomenica, la sola scientifica
possibi- le, risultava dal presupposto limitativo dellesistenza della cosa in
s. Il marxista italiano Ludovico Geymonat, seguace di Lange un secolo dopo,
ridefin la cosa in s sulla base della teoria funzionalistica della seconda
edizione della Critica della Ragion Pura, in cui essa concepita come concetto limite
(Grenzbegriff), inseren- dosi cos nella corrente principale del neokantismo
novecentesco (Cassirer, ecc.). Ma le cose non cambiano. Verniciato dellazzurro
borghese o riverniciato con il rosso proletario, il neokantismo resta neokantismo,
la cosa in s resta la cosa in s, il rispecchiamento resta il rispecchiamento, e
non se ne esce. La teoria del rispecchiamento resta un'ipotesi gnoseologica
plausibile per il progresso conoscitivo delle scienze della natura, ammesso
evidentemente (come io tendo ad ammettere) che i vari paradigmi scientifici
siano lun laltro compa- rabili in base a parametri di esattezza, certezza,
verificabilit e falsificabilit (si noter l'assenza della paroletta verit, che
io riservo alla sola scienza filosofica della valutazione dell'intero sociale
in cui viviamo), e non siano invece l'un laltro incomparabili per mancanza di
criterio comune (Kuhn, Feyerabend, ecc.). Si pu infatti pensare (come Geymonat
pensava, e come abbiamo spesso discusso insie- me nel corso della nostra
consuetudine amicale e della nostra comune difesa del marxismo negli anni
1976-1991) che la conoscenza del mondo della natura sia un interminabile
avvicinamento asintotico ad una verit assoluta inesauribile., che per noi
possiamo solo conoscere come processo progressivo di verit relative suc- 342
Storia del marxismo 1870-2000 in una prospettiva storico-genetica ed
ontologico-sociale SI cessive. Era questa la concezione di verit dei filosofi
maoisti cinesi come Chang En Tse, di cui Geymonat fece curare una memorabile
traduzione. Tuttavia, a mio avviso, questa concezione applicabile alle scienze
della natura, non si applica per nulla alla totalit sociale, ivi compresa la
totalit sociale della storia universale e delle tendenze del modo di produzione
capitalistico. Ammesso che la natura stia ferma, per cos dire, e si lasci
rispecchiare, sia pure con la sollecitazione di metodologie artificiali di
ricerca tecnologica (acceleratori di particelle, ecc.), la totalit sociale non
sta affatto ferma, e quindi non si lascia per nulla rispecchiare, sia pure
passando dalla metafora della fotografia statica alla metafora della mac- china
a ripresa cinematografica dinamica. Dal momento che la dinamica sociale non
esiste senza una prassi umana concreta (a meno che si sia degli strutturali-
sti fanatici, la prassi non conti nulla, ma ci sia soltanto un'anonima
struttura di strutture!), appare evidente che il polo soggettivo del processo
dialettico non pu in alcun modo rispecchiare il polo oggettivo, dal momento che
interagisce con esso in modo essenziale.
dunque chiaro che l'adozione della teoria neokantia- na del
rispecchiamento, scambiata per ricezione dell'eredit della filosofia classica
tedesca (e cio del metodo dialettico di Hegel), si basa solo su di un pittoresco
ed umoristico equivoco, peraltro scusabile data la pressione sociale dellepoca
ad ab- bandonare la filosofia ad e passare alla cosiddetta scienza (in realt
sapere dellin- telletto, Verstand). Alla base, ci sta sempre e soltanto una
funzione sociale illusoria di rassicurazione teologica data ai proletari: state
tranquilli, non preoccupatevi, la scienza ci garantisce con il suo
rispecchiamento oggettivo della realt cos com' che il passaggio dal capitalismo
al socialismo non si basa pi su speranze utopiche (risatine moderate del buon
militante), ma su dati oggettivi di tipo scientifico (ap- plausi liberatori, ed
i militanti passano ad un modesto rinfresco di analcolici e di polpette
vegetariane). La ricostruzione dicotomica della storia della filosofia sulla
base della polarit fra materialisti ed idealisti ancora pi esilarante del caso precedente,
perch qui si ha a che fare con una retroazione simbolica, allegorica e
metaforica della polari- t Borghesia/Proletariato all'intera storia occidentale
di duemila e cinquecento anni precedenti. Il positivismo dominato da una pulsione irresistibile alla
riscrittura del passato, paragonabile soltanto alla pulsione temporale in cui
la Scienza proce- de contro lIgnoranza e la Superstizione. Ernst Laas scrisse
in proposito un'opera in tre volumi, intitolata Idealismo e Positivismo, e
pubblicati rispettivamente nel 1879, nel 1882 e nel 1884. Il lettore pregato di fare attenzione agli anni delle
pubblica- zioni. Sono esattamente gli anni in cui fu elaborato il codice
espressivo della for- mazione ideologica marxista. Secondo Laas, lintera storia
della filosofia deve essere considerata un campo di battaglia (Kampfplatz) fra
due soli tipi di dottrina, che egli contrassegna come platonismo e positivismo.
Sotto la rubrica del platonismo Laas colloca i filo- sofi pi diversi:
Aristotele, Spinoza e Kant per il carattere matematizzante delle loro dottrine;
Fichte, Schelling e Rousseau per le loro tendenze verso l'assoluto; Leibniz e
Herbart perch pongono una norma morale che non deriva dalla sen- 343 CaprroLo
XXXV sibilit; Descartes e Hegel perch affermano un'attivit spirituale spontanea
che non condizionata dal meccanismo
naturale; ed infine tutti quelli che in un modo o nell'altro riconoscono
un'attivit o principio trascendente, irriducibile alla vita terrestre delluomo.
Il platonismo ha cos un primato indiscusso nella storia, giac- ch di contro ad
esso il positivismo non pu che allineare i nomi di Protagora, che secondo Laas
ne il fondatore, di David Hume e di
Stuart Mill. Lo stesso Comte, per la sua pretesa metafisica di fondare una
religione dell'umanit, non conside- rato
da Laas un vero positivista. La classificazione di Laas, oggi dimenticata, ma
presa molto sul serio ai suoi tempi, presenta un'irresistibile comicit
demenziale, che ricorda la classificazione riportata da Borges sui criteri
ordinativi della biblioteca di un imperatore cinese, in cui i libri erano
divisi a seconda se erano o meno scritti con finissimo pelo di cammello.
Eppure, questa classificazione non era poi qualitativamente diversa da quella
proposta da Engels, per cui tutti i filosofi precedenti erano classificati in
ma- terialisti, che presupponevano il primato e la precedenze dell'essere sul
pensiero che lo rispecchiava, ed in idealisti, che invece pensavano che il loro
pensiero po- tesse porre addirittura lessere. Questa dicotomia a mio
avviso talmente stupida ed improbabile
che bisogna assolutamente cercare di trovare la derivazione socia- le, che non
pu che consistere nella retroazione simbolica, allegorica e metaforica del
conflitto bipolare fra borghesia e proletariato fino ai tempi di Mileto, Efeso,
Crotone ed Atene. necessario capire fino
in fondo che la demenzialit un fatto
materiale, e la stupidit un fatto
sociale. Se uno stilita bizantino, che decideva di passare la sua vita su di
una colonna, ci avesse lasciato un trattato filosofico scritto con gli escre-
menti degli uccelli, in cui si affermava che Dio ci osserva dall'alto dei cieli
e ci sal- ver o ci condanner a seconda della quantit di sole o pioggia che ci
siamo beccati nella nostra vita terrena, solo un razionalista astratto
trascurerebbe di collocarlo nel tempo storico in cui vissuto, per cercare le determinanti sociali
e politiche che hanno (sia pure indirettamente) provocato la scrittura di
queste sublimi idiozie. E allora non possiamo stupirci che sia Engels che Laas
(come del resto la teoria della natura umana di Hume e della produzione in
generale di Smith, che non sono affat- to pi razionali di Laas o di Simeone lo
Stilita), debbono essere esentati da una considerazione genetico-storica ed
ontologico-sociale delle loro produzioni teori- che (come del resto quella
dello scrivente, che non posso per fare da solo, ma che richiede lo sguardo
critico di altri). I concetti filosofici, e con questo intendo tutti i concetti
filosofici, nessuno esclu- so, sono fatti sociali che hanno bisogno di una
deduzione storica e sociale, e questo del tutto indipendentemente dal fatto che
coloro che provano a farla (da Alfred Sohn-Rethel alla signora Antonopoulou al
modesto scrivente), riescano a farla bene in modo convincente, oppure non vi
riescano e cadano in un detestabile ri- duzionismo. In questo senso, non c'
nessuna differenza fra il concetto di caduta degli atomi in Democrito
(considerato materialistico) ed il concetto di dialettica discendente in
Platone (considerato idealistico). La deduzione sociale delle cate- 344 Storia
del marxismo 1870-2000 in una prospettiva storico-genetica ed
ontologico-sociale gorie filosofiche ha un campo omogeneo di applicazione,
delimitato da parametri storici e geografici, e non sa che farsene della
(inesistente) dicotomia oppositiva fra materialismo e idealismo. La filosofia,
infatti, non una sovrastruttura, ma una
permanente attivit umana di tipo transtorico. L'ideologia, invece, a tutti gli ef- fetti una sovrastruttura,
ed normale che utilizzi strumentalmente
le categorie filosofiche per i suoi scopi. Anche la ruota, peraltro, non una sovrastruttura, ma pu essere usata sia
dai carri da guerra di invasori schiavisti sia da benefici vasai in modo
strutturalmente alternativo. del tutto
chiaro che le categorie filosofiche sono fatti sociali, che possono es- sere
socialmente dedotti con una certa precisione (ed anche ovviamente con una
fisiologica imprecisione), ma questo non significa che i loro empirici
portatori possono anch'essi essere dedotti dialetticamente. L'empirica
esistenza di Platone, Aristotele, Spinoza, Kant, Hegel e Marx dipende dal fatto
aleatorio per cui i loro genitori hanno fatto all'amore nove mesi prima della
loro nascita, e questi grandi filosofi non sarebbero mai nati se i loro
genitori avessero litigato e si fossero separati dieci mesi prima. In
proposito, sarebbe errato sostenere che avremmo egualmente i loro sistemi,
perch qualcun altro li avrebbe sostituiti scrivendoli, ed adempiendo cos alla
loro stessa funzione sociale. ovvio che
non pu essere cos. Cos come sono, questi sistemi filosofici derivano
direttamente dallempirica contingenza della concreta personalit dei loro
autori. Come direbbe Hegel, bisogna che anche il casuale ed il contingente
siano necessari. Chi scrive fa parte di una generazione la cui parte
maggioritaria ha compiuto una pittoresca riconversione ideologica da un
apparente marxismo estremistico ad un reale neoliberalismo dei diritti umani
stessi, ma evidentemente il potere del contingente ha voluto che lo scrivente,
in questo simile allatomo epicureo ed alla sua deviazione (clinamen,
parekklisis), sia caduto in una diversa traiettoria, per nulla predestinata dal
corso della storia universale, che lo ha portato ad opporsi in modo radicale ed
implacabile a questa ripugnante deriva generazionale, che quasi sicuramente i
nostri discendenti con- danneranno (non subito, per, il purgatorio sar ancora
presumibilmente lungo). La sinergia di rimozione della tragicit della storia,
di accettazione bovina dellingiunzione ineseguibile alla scientificit
predittiva della giustificazione lo- gica della superiorit morale del
socialismo sul capitalismo, ed infine dellaccetta- zione della teoria
neokantiana del rispecchiamento e della retroazione identitaria
dell'inesistente opposizione polare fra materialismo ed idealismo, con
conseguente negazione del carattere sociale e storico di tutti i concetti
filosofici, ha prodotto un vero e proprio mostro ideologico, che potremmo
definire come la formazione ide- ologica marxista classica, oppure il codice
marxista primario, usando qui un termi- ne di origine freudiana (la scena
primaria, ecc.). Detto questo, senza alcuna pietas retrospettiva, bisogna
applicare anche a questo codice la deduzione sociale delle categorie, da cui
risulta che questo codice teorico penoso era comunque socialmente necessario, e
quindi interamente legittimo sul piano storico e culturale. La classe operaia
europea della Grande Depressione (1873-1896), della seconda rivoluzione
industriale (l'epoca dell'applicazione pianificata della ricerca scienti- 345
CaprroLo XXXV fica ai processi produttivi), della formazione di partiti e di
sindacati strutturati, ecc., stata la
committenza diretta della formazione ideologica marxista, con tutte le penose
caratteristiche che abbiamo appena descritto. Essa era socialmente giu-
stificata ad esserne la committente, visto che l'alternativa borghese era molto
pi bestiale, perch implicava il razzismo, il colonialismo e l'imperialismo. Con
tutta la sua pittoresca inadeguatezza e con tutte le sue contraddizioni alla
Borges- Kafka-Brecht, questa sintesi restava moralmente superiore allo
zibaldone borghese del tempo, gonfio di giustificazione socialdarwiniana del
razzismo, del coloniali- smo e dellimperialismo. Il rimprovero che si pu fare a
questa formazione ideologica marxista, infatti, pu soltanto essere quello di
essere stata troppo simile alla matrice positivistica e scientistica della
cultura borghese-capitalistica. Tutti i tentativi interni a questa tradizione
(esemplare quello di Georges Sorel) di modificare radicalmente que- sto codice
(con Bergson al posto dellevoluzionismo deterministico di Kautsky, ad esempio)
non potevano che fallire, perch ogni innovazione teorica irricevibile, se il destinatario sociale intrasformabile. Ed era impossibile
trasformare le classi proletarie, operai e salariate di quell'epoca in classi
rivoluzionarie capaci di transi- zione modale (e cio da un modo di produzione
ad un altro). Esse erano desola- tamente interne al modo di produzione
capitalistico, e desolatamente incapaci nel loro complesso sociologico
maggioritario (non parlo qui ovviamente di minoranze agenti di avanguardia) di
uscire dallimpasto di economicizzazione distributiva del conflitto e soprattutto
di nazionalizzazione razzista, colonialista ed imperiali- sta delle masse. Il
1914 fece saltare in pochi giorni losceno baraccone evoluzionista e
determinista di Kautsky. Alla luce del 1914, la rivoluzione teorica di Lenin
appare necessaria, buona e provvidenziale. Bisogna ignorare come si fa spegnendo con il telecomando un
televisore che emette trasmissioni manipolate
lattuale concerto ideologico di de- monizzazione del 1917. Il 1917 fu
benefico, perch non si tratt di un fenomeno deducibile dalla (miserabile)
teoria evoluzionistico-deterministica di Kautsky, ma fu un fenomeno di
legittima reazione al bagno di sangue imposto nel 1914 dalle borghesie
imperialiste. Tutto il chiacchiericcio universitario sul cosiddetto totali-
tarismo non che un patetico rumore di
fondo, se lo si paragona alla grandezza dell'iniziativa rivoluzionaria di
Lenin. Con questo, non intendo nascondere affatto la mia convinzione filosofica
profonda, per cui gli empiriocriticisti avevano sostan- zialmente ragione, ed
il materialismo dialettico di Lenin era soltanto una forma dilettantistica di
neokantismo alla Lange. Tuttavia, sarebbe sciocco sottoporre ad un esame di
filosofia teoretica un grande rivoluzionario che ha fatto la storia, e la cui
opera resta in un certo senso immortale! Lenin fu lo Einstein del marxismo.
Einstein relativizz il tempo assoluto e lo spazio di Newton (ma anche di Kant).
Nello stesso modo, Lenin relativizz la co- scienza di classe proletaria,
salariata ed operaia alla funzione rivoluzionaria del partito. I tempi di Lenin
erano anche i tempi filosofici di Nietzsche e di Bergson, ed il fatto che Lenin
non ne fosse direttamente influenzato non significa che non 346 Storia del
marxismo 1870-2000 in una prospettiva storico-genetica ed ontologico-sociale ne
abbia assorbito indirettamente i contenuti attivistici ed energetici. Il
partito rivoluzionario leninista non
affatto riducibile ad un puro espediente organizza- tivo, come fanno in
genere i praticoni del gruppettarismo fondamentalista, esempi di totale
incurabilit storica e razionale, ma deve essere inteso come un grande epi-
sodio della storia filosofica della soggettivit occidentale, e cos lo tratter e
lo intender. un fatto storicamente
documentato, anche se generalmente passato sotto si- lenzio, che Lenin ha
cercato di pensare radicalmente il proprio tempo storico leg- gendo la Scienza
della Logica di Hegel. I suoi commenti a margine della Scienza della Logica
sono stati in proposito un contributo geniale alla storia della filosofia
occidentale. Lenin capisce perfettamente che il cuore della Scienza della
Logica di Hegel il ristabilimento
dell'unit delle categorie del pensiero e delle categorie dell'essere, o se si
vuole del parallelismo di queste stesse categorie (ordo rerum ed idearum)
dellEtica di Spinoza. Egli non si ripromette infatti di delegittimare gno-
seologicamente la metafisica, ma di comprendere come la civilt borghese abbia
potuto rovesciarsi dialetticamente nella pi immonda barbarie, e la categoria di
contraddizione dialettica in senso hegelo-marxiano resta la sola a spiegare
questo apparentemente inspiegabile rovesciamento. Il soggetto deve allora
tirarsi fuori dalla riproduzione meccanica della barbarie imperialistica, ed in
questo modo la terza parte della Scienza della Logica di Hegel, la dottrina del
concetto, diventa la base teorica dell'iniziativa soggettiva leniniana. Certo,
Lenin ancora profondamente interno al
modello della formazione ideolo- gica kautskiana, e quindi deve giustificare di
fronte a se stesso ed ai suoi com- pagni dottrinari la propria iniziativa
rivoluzionaria, per cui ricorre allespediente epistemologico (a mio avviso del
tutto strumentale) per cui nell'epoca dell'impe- rialismo, definito fase ultima
e suprema del capitalismo, la transizione al sociali- smo non ha pi bisogno di
aspettare la cosiddetta maturazione dello sviluppo delle forze produttive nei
punti alti della produzione capitalistica (leggi: USA, Inghilterra, Germania,
ecc.), ma pu iniziare a partire dagli anelli deboli della ca- tena mondiale
imperialistica (leggi: Russia zarista, ma anche India e Cina coloniali e
semicoloniali). Tuttavia, questo non che
un poco rilevante aggiustamento ideo- logico a posteriori. Ci che conta la mossa soggettiva leninista, che
relativizza in modo einsteiniano lo spazio ed il tempo assoluti della
produzione capitalistica. La rivoluzione leninista del 1917 per fortuna riusc.
Ed in questo modo mostr con i fatti che una rivoluzione socialista era possibile,
e non solo idealmente pensa- bile. Vedremo nel prossimo capitolo che l'atteggiamento
verso il 1917 fu il fattore determinante per la comprensione della storia del
marxismo indipendente, che in quanto tale deve essere distinto dalle due
formazioni ideologiche marxiste pro- priamente dette. Le formazioni ideologiche
propriamente dette, infatti, furono due e soltanto due. La prima, gi discussa,
fu quella elaborata nel ventennio 1875-1895. La secon- da, che ora discuteremo
brevemente, fu quella elaborata nel ventennio 1917-1937. Dopo, non ce ne sono
state altre. Varianti provinciali particolari possono certo inte- ressare i
maniaci della dossografia (fra cui ovviamente chi scrive), ma bene sape- 347 CarprroLo XXXV re che esistono
anche i singoli alberi, ma ci che conta
solo la foresta. E di foreste, per quanto riguarda il marxismo, ce ne
sono due, e soltanto due. Non importante
in questa sede fare dettagliatamente la storia della seconda formazione
ideologica marxista, che quella di
Stalin. Le sue date pi importanti sono la pubblicazione nel 1925 della
Dialettica della Natura, opera manoscritta ine- dita di Engels scritta per
appunti di uso personale fra il 1873 ed il 1883, il decreto del 25 gennaio del
1931 del comitato centrale del PCUS, che per la prima volta risolveva in modo
politico un dibattito filosofico (quello svoltosi negli anni prece- denti nella
rivista in lingua russa Sotto le bandiere del marxismo), ed infine loperetta
riassuntiva Materialismo Dialettico e Materialismo Storico, pubblicata da
Stalin nel 1938. Possiamo qui tralasciare il contesto del dibattito del tempo,
ed anche le di- stinte posizioni prima di Bucharin e poi di Deborin. invece opportuno cogliere i punti teorici
decisivi, dal cosiddetto ateismo scientifico alla naturalizzazione della storia
e del processo storico, dalle cosiddette leggi della dialettica al feno- meno
pi importante di tutti, il pensiero magico che discende dalla sacralizzazio- ne
della fonte da cui sgorgano le posizioni politiche consentite e politicamente
corrette. Nellessenziale, nonostante correzioni e liberalizzazioni di
dettaglio, la seconda formazione marxista dur anche dopo la morte di Stalin
(1953), e si pu dire che si estinse veramente solo con la dissoluzione del
comunismo storico no- vecentesco. Si
preferisce generalmente demonizzare semplicemente il marxismo di Stalin,
ma una grave errore, perch la doppia
demonizzazione di Stalin e Hitler fa sem- plicemente parte di un'altra
ideologia, quella della superiorit della libert sul co- siddetto totalitarismo.
In realt la formazione ideologica staliniana, come del resto quella kautskiana
precedente, possiede una profonda razionalit sistemica, che deve essere
individuata fino in fondo. Non pu infatti avvenire in alcun modo un
superamento-conservazione (Auf-hebung), se non si comprende fino in fondo la
natura di una costellazione ideologica sorta in una determinata congiuntura
storico-sociale. Il decreto politico del 25 gennaio 1931 del comitato centrale
del PCUS a proposi- to del dibattito interno alla rivista Sotto le bandiere del
marxismo di enorme impor- tanza, perch
svela apertamente che cosa succede quando i filosofi e gli scienziati cedono la
sovranit assoluta di cui sono titolari nella loro disciplina (sempre che
ovviamente la prendano sul serio e non ne facciano invece esempio per ragioni
di ambizione e/o di odio reciproco). In questo caso si trattava di una rivista
fon- data su impulso dello stesso Lenin, che proco prima di morire scrisse un
articolo intitolato Sul significato del materialismo militante, in cui
auspicava che la rivista di- ventasse una specie di societ degli amici
materialisti della dialettica hegeliana (sic!). Qui si manifesta a cielo aperto
l'equivoco in cui si trovava il Lenin filosofo (grande politico rivoluzionario
ed incurabile confusionario in filosofia), per cui da un lato faceva grandi
elogi a Hegel, e dall'altro gli negava il cuore massimo e prin- cipalissmo del
suo pensiero, il carattere conoscitivo e veritativo della conoscenza
propriamente filosofica (quella che Lwith chiamava sprezzantemente la filosofia
348 Storia del marxismo 1870-2000 in una prospettiva storico-genetica ed
ontologico-sociale per la filosofia). In ogni caso, dopo la morte di Lenin, la
direzione della rivista fu assunta da un gruppo di amici materialisti della
dialettica hegeliana (Deborin, Sten, ecc.), contro i quali si sollevarono prima
un gruppo di fanatici della scienza pura poi definiti materialisti volgari (per
cui tutta la filosofia, e non solo qual- che sua scuola, era un insieme di
sciocchezze), e poi un gruppo di anti-hegeliani (Mitin, Judin, ecc.). Era
chiaro che lo hegelismo, sia pure mascherato grottesca- mente da materialismo
militante, poteva diventare potenzialmente pericoloso, in quanto porta nel suo
stesso codice il diritto della filosofia di giudicare la politica. La stessa
antipatia verso Hegel nutrita per questa ragione dal liberalismo capitali-
stico ed individualistico nutrita (in
modo complementare ed antitetico-polare) dal collettivismo comunista di
partito. Interverranno i dirigenti politici, Stalin in testa (che pure aveva
seguito privatamente lezioni di filosofia del deboriniano Sten sulla
Fenomenologia dello Spirito di Hegel - Sten fin successivamente in un lager e l
mor), ed assicurarono la vittoria degli anti-hegeliani. Deborin fece una penosa
autocritica, dichiarandosi colpevole di idealismo menscevizzante (sic!). Si ha
qui un esempio da manuale della riduzione integrale della filosofia allide-
ologia, il che comporta ovviamente la morte della filosofia in quanto tale. La
filo- sofia, infatti, pu vivere solamente allinterno di un spazio plurale (un
Kampfplatz) di teorie filosofiche confliggenti. Chi scrive non kantiano (a questo punto anche il lettore pi
tardo lo avr capito!), ma si impegnerebbe politicamente per garantire la
massima libert di parola ai kantiani, e si vergognerebbe come un ladro di acce-
dere ad una cattedra universitaria in cui poco prima il potere politico avesse
cac- ciato un kantiano convinto (il che non fece il miserabile Schelling nel
1798 quando Fichte fu cacciato per ateismo). Eppure Lenin, grande
rivoluzionario e penoso filosofo, aveva gi dichiarato che il materialismo
militante era la filosofia del partito comunista. Questo d luogo al rapporto
cinquantennale fra filosofia mar- xista e direzioni politiche comuniste, che fu
poi definita la quinta operazione. Come
noto, esistono quattro normali operazioni aritmetiche (addizione,
sottrazione, moltiplicazione e divisione). In tutte e quattro queste operazioni
si fanno prima i calcoli necessari, e solo dopo viene ovviamente scritto il
risultato. Nei dibattiti marxisti successivi, sempre pervasi da odio teologico
ed autofagia (gli intellet- tuali comunisti
che io ho avuto modo di conoscere molto bene in quasi mezzo secolo sono autofagi, nel senso che sono come quegli
animali che si divorano gli uni con gli altri), i dirigenti politici prima
scrivono il risultato finale, e poi lascia- no al parco animale degli
intellettuali organici (nel senso di rifiuti organici) di partito di
calcolarlo. In questo senso, il decreto del 25 gennaio 1931 il modello del rapporto fra dirigenti e
filosofi di partito. Si tratta di un modello teologico, perch ovviamente nessun
apparato sacerdotale lascerebbe alla libera ricerca teologica la sovranit di
interpretare la verginit di Maria, la resurrezione dei corpi o lesisten- za
fisica dell'inferno e del paradiso, con il pericolo che poi questi ultimi
dicano che sono soltanto simboli, allegorie e metafore. Di fronte a questo
modello, che ha torto persino quando poi abbia empiricamente ragione nel merito
della disputa in questione, un marxista ha solo il compito di fare come Ercole
al bivio, e cio 349 CarrtoLo XXXV scegliere fra la sottomissione volontaria e
la libert di coscienza. Ma su questo mi soffermer maggiormente nel prossimo
capitolo. L'intervento politico di Stalin sul contenuto filosofico della
rivista, e sulla sua linea di ricerca, aveva una sua leibniziana ragion
sufficiente, che occorre compren- dere fino in fondo. Dal 1929, infatti, si era
messo in moto il meccanismo dispotico dei piani quinquennali e
dellindustrializzazione socialista, per cui non c'erano pi aree garantite di
dibattito, ma soltanto fronti di guerra. Non a caso uno dei vincitori di
Deborin, il filosofo Judin (autore poi del pi noto e diffuso Dizionario
Filosofico dei tempi di Stalin che io
posseggo nella traduzione francese), parl di combattenti del fronte filosofico.
Ovviamente, lespressione demenziale,
per- ch non pu esistere un fronte filosofico, ma soltanto un (a volte
necessario) fronte ideologico. Ma allora tutto era fronte. C'era il fronte
filosofico, dei militanti del materialismo dialettico contro i nemici del
popolo idealisti e spiritualisti (in cui i marxisti eretici ed apostati erano
ovviamente ancora pi degni del rogo dei nor- mali pensatori borghesi), con
sovranit in ultima istanza dei dirigenti politici. C'era il fronte letterario,
in cui il realismo socialista si imponeva contro i lacrimo- si intimisti
decadenti. C'era il fronte degli storici, che riscriveva linterpretazione
ufficiale del passato secondo l'indirizzo del compagno Stalin e dei suoi fedeli
collaboratori (poi massacratisi fra di loro). C'era il fronte degli scienziati,
in cui ad una biologia borghese si contrapponeva una biologia proletaria (caso
Lyssenko). C'era persino un fronte dei fisici, impegnati a dare
uninterpretazione materialisti- ca contro le deviazioni idealistiche della
teoria della relativit e della meccanica quantistica. Tutto questo oggi pu
sembrare assurdo ed incomprensibile. A mio avviso certamente deplorevole, ma non assolutamente assurdo ed incomprensibile, e
per quanto mi riguarda le mie competenze specialistiche di bizantinistica mi
han- no abituato a considerare le dispute trinitarie (spesso definite dispute
sul sesso degli angeli) come qualcosa di serissimo, veri e propri riflessi
simbolici di scontri politici e sociali. Lo stalinismo stato un progetto di militarizzazione
integrale del- la societ, sgradevole per chiunque si richiami allilluminismo
borghese europeo ed allo stesso marxismo democratico plurale, ma che io insisto
a considerare un katekhon sia contro il nazionalsocialismo di Hitler, sia
contro il colonialismo impe- rialistico del tempo. Si tratta, ovviamente, di
una valutazione di cui porto lintera responsabilit, e che frutto assai pi di una intuizione olistica
sull'intera sto- ria del Novecento che di una argomentazione convincente erga
omnes. Chi infatti non considera uno scandalo intollerabile il colonialismo
imperialistico dei normali borghesi liberali, e si concentra soltanto sui
pittoreschi tratti totalitari di Stalin e dei suoi paranoici compagni, non pu
essere affatto di convincimento razionale. Semplicemente, ha una diversa
intuizione olistica sul Novecento.
questa la ragione per cui non considero convincibili su questo punto i
seguaci di Hannah Arendt, Norberto Bobbio, John Rawls o Jtirgen Habermas. Essi
hanno infatti un orientamento gestaltico diverso dal mio. Essi vedono soltanto
Auschwitz, men- tre io vedo insieme Auschwitz e Hiroshima. Essi vedono le
crapule di Hitler e di 350 Storia del marxismo 1870-2000 in una prospettiva
storico-genetica ed ontologico-sociale Stalin, mentre io vedo soprattutto le
infamie normali del colonialismo imperia- listico. Mi scuso con il lettore per
questa deviazione, ma volevo sottolineare la mia sfiducia verso chi pensa che
la filosofia si basi su di un dialogo in via di principio sempre convincente.
Il dialogo filosofico non sempre
convincente. impossibile convincere
qualcuno a voltare la testa ed a guardare qualcosa che non vuole guar- dare. inutile dire che il 1917 non stato un colpo di Stato totalitario se questo
qualcuno non prova unindignazione bruciante per i criminali responsabili della
mattanza sanguinosa di milioni di persone nel 1914. Imperterrito, continuer a +
blaterare sul colpo di Stato dell'ottobre 1917, come se niente fosse. Ed allora
se ne vada in buona pace con il suo Dio. Per quanto mi concerne, il suo Dio non
esiste. Il fronte filosofico staliniano aveva bisogno di una religione di
riferimento, che fu lateismo scientifico. L'ateismo, infatti, anch'esso una religione, sia pure rove-
sciata, perch mette la Materia al posto dello Spirito, assegnandole per la
stessa funzione ideologica di legittimazione. Quello di Marx, influenzato da
Feuerbach, era stato un ateismo filosofico di tipo umanistico, che intendeva
riprendere a Dio le capacit sociali che secondo Feuerbach e Marx luomo aveva
alienato alla divi- nit. Ma Lenin impostava diversamente la questione. Nei suoi
Quaderni Filosofici (peraltro anch'essi rivolti ad esclusivo uso personale,
come i Manoscritti del 1844 di Marx e la Dialettica della Natura di Engels) Lenin
d ragione a Hegel contro Kant, ma poi conclude in questo modo
dilettantistico-demenziale, che cito volutamente come esempio di pittoresca
confusione: Kant svilisce il sapere per far posto alla fede. Hegel innalza il
sapere, assicurando che esso conoscenza
di Dio. Il mate- rialista innalza la conoscenza della materia, gettando nel
letamaio Dio e tutta la canaglia filosofica che lo difende. Questo vero e
proprio odio teologico rovesciato di
estremo interesse. Dio deve essere gettato nel letamaio con tutta la canaglia
filosofica che lo difende. Si tratta di un gesto tipicamente teologico, perch
tutti i fondatori di religioni hanno sempre gettato nel letamaio gli idoli
precedenti (si pensi a Mos con il vitello doro o Maometto con gli idoli della
Mecca). La divinizzazione della Materia mi sembra una semplice metafora
teologica della divinizzazione della prassi collettiva comu- nista concentrata
nei piani quinquennali. Per questa ragione ai tempi di Stalin la chiesa
ortodossa fu umiliata (bisogna dire peraltro che essa aveva sempre appog- giato
lo zarismo e benedetto le sue guerre imperialiste cosa che lapologeta reli- gioso Solzenitsyn
sembra sistematicamente dimenticare), i suoi monasteri furono distrutti, furono
istituite nelle universit cattedre di ateismo scientifico, ecc. Io ho letto
alcuni manuali di ateismo scientifico diffusi in milioni di copie al tempo del
comunismo sovietico, e si tratta di testi molto interessanti sul piano
ideologi- co. Essi retrocedono al 1760 circa ed al Buon Senso del barone D'Holbach,
come se Kant, Fichte, Hegel e Marx non fossero mai esistiti. Al centro ci
stanno le cosiddette imposture dei preti. Queste imposture vengono smascherate
dalla divul- gazione scientifica. E allora tonnellate di evoluzionismo
darwiniano, derive dei continenti, astrofisica elementare, luomo che deriva
dalla scimmia, spiegazione scientifica dei miracoli, ecc. Si tratta dello
stesso tipo di ragionamenti che s tro- CarrroLo XXXV vano oggi nelle riviste
Micromega e L'Ateo, il che fa di Maria Turchetto e Paolo Flores D'Arcais
tecnicamente dei successori diretti di Stalin (anche qui, solo il surreali- smo
e il paradosso possono veramente spiegare il mondo). Attraverso lonnipoten- za
creatrice ed autopoietica della materia viene metaforizzata ideologicamente l'onnipotenza
creatrice ed autopoietica del partito comunista auto-divinizzato. In proposito
- con coloro che vogliono ancora ragionare
ricordo linterpretazione di Maria Antonopoulou, da me accettata, per cui
il concetto moderno astratto di ma- teria non sorge nel Settecento come simbolo
operaio, proletario e rivoluzionario degli sfruttati, ma nasce geneticamente
come astrazione spaziale della circolazio- ne orizzontale illimitata delle
merci capitalistiche. Mi rendo perfettamente conto, per, che la comprensione di
questo fatto elementare porterebbe ad esiti ideologici dirompenti, e per questa
ragione impossibile socialmente che
venga per ora ac- cettata. Sarebbero infatti smascherati le pretese
dell'odierno pensiero laico, che ha assunto Darwin e la divulgazione
scientifica come nuovo fronte ideologico di combattimento contro la religione
oscurantista, e di essere la linea avanzata del Progresso contro la Reazione,
in un contesto storico di occupazione militare dell'Europa da parte di basi
atomiche americane e di fine del diritto internazionale fra stati. La
naturalizzazione della storia e del processo storico stata un'esigenza ideo- logica sistemica del
marxismo di Stalin, e questa esigenza ideologica sta alla base del cosiddetto
Materialismo Dialettico (Diamat), elaborato e sistematizzato dai combattenti
del fronte filosofico dopo il 1931. Per questa ragione vengono sa- cralizzati
gli appunti privati della Dialettica della Natura di Engels. Collocati nel
tempo in cui furono scritti, questi appunti senza pretese non devono eppure
essere giudicati troppo male, perch sono caratterizzati da un recupero della
dialettica hegeliana, anche se Engels sembra non capire mai che questa
dialettica implica un soggetto autocosciente, e non mai una dialettica di processi del tutto
cosali, anonimi ed impersonali (per cui la Natura di Schelling diventa di fatto
il Dispositivo di Heidegger). Ed questa
la ragione per cui Engels applica la nozione interamente positivistica di legge
al metodo dialettico hegeliano, scoprendo cos tre (del tutto inesistenti) leggi
della dialettica. Ho gi fatto notare ripetutamente (ma conviene sempre
ripeterlo) che nella Scienza della Logica di Hegel non esiste il concetto di
legge, e non esiste neppure la parola (Liedman). Il concetto di legge puramente positivistico, e positivistiche
sono le cosiddette tre leggi dialettiche di Engels. Di esse si pu dire
brevemente che non stanno n in cielo n in terra. La prima legge parla di
conversione reci- proca della quantit e della qualit (per cui impossibile mutare la qualit di un
determinato corpo senza aggiungere o togliere materia e movimento, cio senza un
mutamento quantitativo). Ma questo non c'entra nulla con la dottrina dellesse-
re della Scienza della Logica di Hegel. Essa infatti afferma esattamente il
contrario, e cio che soltanto la misura pu determinare la fusione di qualit e
di quantit, ma siccome la misura implica un misuratore che la misuri, e dunque
una sogget- tivit agente, impossibile
parlare di una legge automatica, a meno che si voglia 352 Storia del marxismo
1870-2000 in una prospettiva storico-genetica ed ontologico-sociale affermare
la banalit per cui due borghesi su cento persone non possono fare una
rivoluzione borghese, ma trenta su cento s, e nello stesso modo dieci proletari
su cento persone non possono fare una rivoluzione proletaria, ma cinquanta
proletari su cento s, la possono fare. La seconda legge dialettica parla della
compenetrazione degli opposti, secon- do cui a ogni realt naturale se ne oppone
un'altra, che la implica ed alla quale a
sua volta implicata. Si riformula qui il concetto hegeliano di contraddizione
dialettica, che':non per una legge
scientifica, ma una determinazione logico- ontologica dell'essere. Su questo
punto lessere naturale e l'essere sociale sono on- tologicamente diversi, perch
l'essere naturale non comprende la coscienza, cio la consapevolezza, mentre
l'essere sociale un agire teleologico,
che invece implica costitutivamente la coscienza stessa. La terza legge
dialettica parla della negazione della negazione, secondo la quale ogni realt
viene necessariamente negata per poi essere recuperata ad un livello superiore.
Ma qui siamo veramente di fronte a qualcosa di completamente inesi- stente.
Bernard Chavance ha fatto notare che l'applicazione al modo di produzio- ne
capitalistico di questa presunta (ed in realt inesistente) legge dialettica
della negazione della negazione porta ad un insieme di posizioni insostenibili.
Viene postulato infatti un inesistente grado zero della societ, che linesistente e mai esistita produzione
mercantile semplice, fatta di piccoli produttori indipendenti che lavorano
ognuno per s senza lavoro sottoposto, schiavistico, feudale o sala- riato che
sia; poi avviene la negazione di questa di situazione, e cio la societ
classista basata sullo sfruttamento; ed infine abbiamo la negazione della
negazio- ne, e cio il ristabilimento della situazione di origine, con per in pi
la ricchezza dovuto allo sviluppo delle forze produttive (la negazione della
negazione). Questa specie di catechismo tridentino colorato di rosso non
avrebbe mai po- tuto essere imposto senza una inquisizione poliziesca ed una
polizia del pensiero. La polizie del pensiero imponeva ovviamente la pulizia
del pensiero da ogni tentazione eretica. Ma mi sembra chiaro che questa
indebita naturalizzazione della storia non debba essere valutata sul piano
scientifico (in questo caso, il suo voto sarebbe due su dieci), o sul piano
filosofico (in questo caso, il suo voto sarebbe quattro su dieci), ma deve
essere valutata sul piano esclusivamente ideologico (in questo caso, il suo
voto buono, diciamo otto su dieci).
Naturalizzando la storia, e facendolo in un contesto positivistico di negazione
del valore conoscitivo e ve- ritativo della filosofia in quanto tale (la
lwithiana filosofia per la filosofia), ed in un contesto sociale in cui tutti
sanno, anche solo per sentito dire, che soltanto le scienze naturali hanno uno
statuto epistemologico serio e sicuro (laddove le scienze sociali sono
correttamente percepite come un insieme di opinioni pi che opinabili), si
forniva cos all'apparato dei militanti una facile religione prte- d-porter. Il
comunismo, nato con Marx come previsione scientifica di un'evolu- zione
strutturale del capitalismo, diventava cos unideologia infinita. Un Marx
redivivus, oltre ad essere sicuramente condannato a morte dagli apparati
ideologici staliniani (ricordo qui la parabola di Cristo portato di fronte al
Grande Inquisitore 353 CarrroLo XXXV di Dostojevski), avrebbe avuto
un'occasione in pi per esclamare come nel 1882: Ci di cui sono sicuro, che io non sono marxista. i Eppure il
marxismo c' stato, ed ha caratterizzato un intero secolo. Bisogna quindi
cercare di comprenderlo, ed quello che
stiamo facendo. In quanto religio- ne di militanti, esso ha prodotto prima di
tutto un tipo umano, che Ernst Fischer ha brillantemente definito sosia
socializzato, in cui ogni individuo era sdoppia- to (come nel romanzo di
Stevenson i famosi Dottor Jekill e mister Hyde) in una persona privata, che
coltivava vari dubbi, ed in una persona pubblica, che si sottoponeva a riti di
socializzazione forzata (applaudire insieme il capo benevolo, gridare slogans
demenziali, urlare il proprio odio rituale verso eretici e dissidenti). La
definizione di Fischer di sosia socializzato
buona, ma ancora migliore quella
di pensiero magico di Leszek Kolakowski. Kolakowski ha fatto parte di apparati
ideologici comunisti (come chi scrive, del resto), e soltanto che ne ha visto
il funzionamento dall'interno pu sapere fino a che punto di abiezione, ipo-
crisia e rinuncia alla libert di giudizio personale era possibile arrivare. Ha
scritto il poeta futurista Majakovsky: Il partito una mano a milioni di dita/ stretta in unico
pugno/ il partito la spina dorsale della
classe operaia/ il partito lim- mortalit
della nostra causa. Mi immagino Marx, basito e costernato, che ascolta questa
follia. Eppure la follia razionale, come
direbbe Shakespeare. Il pensiero magico
il pensiero teologico-identitario, fase suprema dellirrazionalismo, per
cui la verit di un enunciato non risiede nella verit e/o nella falsit
dellenunciato stesso (base dia del criticismo di Kant che della logica di
Hegel, e di tutta indistintamente della tradizione filosofica di tutti i
paesi), ma deriva esclusivamente della purezza o dell'impurit della fonte che
lo emette. Questo visibile in tutta la
storia del comu- nismo, ma raggiunge il suo apice ed il suo orgasmo nella
cosiddetta destaliniz- zazione, seguita al XX congresso del PCUS del 1956. Se a
denunciare i crimini di Stalin fossero stati i comunicati della CIA oppure i
comunicati eretici della Quarta Internazionale di Trotzky tutti i militanti si
sarebbero alzati con la bava alla boc- ca urlando contro questa intollerabile
provocazione degli imperialisti e del Giuda Trotzky. Ma se la denuncia, con gli
stessi identici termini, veniva dal papa-babbio- ne della congrega, il
semianalfabeta ucraino Krusciov, gi grande massacratore di dissidenti nel
periodo dei grandi processi 1936-39, allora tutti si stracciavano le ve- sti,
gridando: Ma come stato possibile! Ma
come abbiamo potuto non saperlo? Ma come abbiamo potuto permetterlo?.
Mascalzoni. Ma questo succede inevitabilmente quando la liberazione umana pensata nella forma dellasservimento comune
ad un unico Liberatore (cfr. Lettera ai Corinzi, 7, 20-4). Il tipo umano che ha
sorretto questa caricatura nel pensiero di Marx si in massima parte riciclato dopo il triennio
1989-91 in apparato di priva- tizzazione selvaggia della precedente produzione
socialista. Ne parler nel capito- lo dedicato a Nietzsche ed al suo cruciale e
centrale concetto di ultimo uomo. Per ora basti sapere che il pensiero magico
regna tuttora, ed il mondo intellettuale in gene- rale non si chiede mai se una
certa affermazione sia giusta o sbagliata, intelligente 354 Storia del marxismo
1870-2000 in una prospettiva storico-genetica ed ontologico-sociale o stupida,
ecc., ma soltanto se sia stata scritta in una rivista di destra oppure di
sinistra. Se la fonte cartacea impura, allora
anche il contenuto impuro. La cosa
farebbe indignare, se non fosse ad un tempo ridicola e sintomatica. Che sia
ridicola evidente. per pi importante capire che sintomatica, ed sinto- matica di due sintomi: il sintomo
della corruzione identitaria del gruppo sociale degli intellettuali, ed il
sintomo della subalternit incurabile della corte plebea dei plauditores. Ma il
grande ed immortale pensiero di Marx non si esaurisce certamente in que- ste
miserie, figlie della storia, e che con la storia vanno e vengono. XXXVI. IL
GRANDE MARXISMO INDIPENDENTE DEL NOVECENTO, TESTIMONIANZA DI LIBERT, CRITICA
DELLO SFRUTTAMENTO CAPITALISTICO ED IMPERIALISTICO ED AUTOCRITICA DELLE
FORMAZIONI IDEOLOGICHE MARXISTE DI PARTITO E DI STATO Questo capitolo un po particolare, ed pertanto un po diverso dagli altri. Bench sia
in parte d'accordo con Gadda, per cui lio
il pi odioso dei pronomi, io mi sento parte attiva ed integrante del
marxismo indipendente, che resta la mia scuola filosofica di appartenenza.
Appartenenza critica e problematica, ere- tica e marginale, certo, ma pur
sempre appartenenza pienamente rivendicata. Certo, le dichiarazioni di
appartenenza sono pur sempre soggettive e contestabili, e so bene di dover
sopportare dissenso, disapprovazione ed in alcuni casi ostilit e disprezzo da
parte di personaggi che si autocertificano come marxisti anche loro. Ma ritengo
questo fatto, un po sgradevole e talvolta imbarazzante, del tutto normale. Ci
che viene chiamato marxismo, infatti,
costituito da formazioni ideologiche differenziate di tipo
militante-identitario (i togliattiani, gli stalinisti, i trotzkisti, i maoisti,
gli anarco-comunisti, gli operaisti, i nemici di Hegel, gli amici di Hegel,
ecc.), ed ognuno di questi gruppi, lungi dal solidarizzare con gli altri, ne
desidera lannientamento, e non potendolo ottenere in mancanza di polizie del
pensiero cui demandare la pulizia del pensiero stesso, ne pratica la
diffamazione ed il silenziamento. Questo ricorda limmortale scena dei capponi
di Renzo nei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni, in cui i capponi destinati
ad essere portati in pentola, anzich solidarizzare tra loro, si beccavano
furiosamente. Quasi mezzo secolo di frequentazione degli ambienti culturali
comunisti (in senso empirico- sociologico, non certo nel nobile senso di Marx)
mi ha chiarito le idee sul fatto che, come le strutture di partito comuniste si
riproducono mediante feroci lotte di cordate organizzate informalmente, nello
stesso modo gli apparati ideologici si riproducono mediante cordate informali
di amici impegnati a sostenersi l'un lal- tro ed a diffamare, espellere e
silenziare gli avversari. Se poi sei solo, perch non ti sei mai occupato di
formare una cordata, la tua emarginazione
inevitabile, sia che tu ti chiami Marx o Engels sia che tu ti chiami
Bertoldo o Calandrino. Ancora una volta, per, la colpa non di Marx. Si tratta sempre, se vogliamo
applicare a questa penosa situazione il metodo dello stesso Marx, di una
insufficienza sociale oggettiva, che si tratta di diagnosticare. Dichiaro
quindi di sentirmi parte integrante ed attiva di una specifica corrente
filosofica, definibile come marxismo indipendente. Ma, appunto, qui nasce su-
bito un doppio dubbio metodico ed iperbolico: pu esistere un marxismo indipen-
dente, oppure per sua propria natura il marxismo indipendente una contraddi- zione in termini, in quanto la
cosiddetta indipendenza una illusione
idealistica 357 CarrroLo XXXVI ed individualistica (una sorta di robinsonismmo
marxista), dal momento che noi dipendiamo dalla lotta di classe e dalla nostra
collocazione sociale di classe dentro il rapporto di produzione capitalistico?
Si tratta con tutta evidenza della versione marxista del vecchio problema del
libero arbitrio e della autodeterminazione del volere. Fino a Kant il problema
si poneva cos: io posso anche soggettivamente ritenere in buona fede di essere
libe- ro, ma in realt il mio arbitrio
determinato da altre forze che mi sfuggono, come Dio (Agostino, Lutero,
ecc.), o come la riproduzione della natura (Spinoza, ecc.); la dimostrazione
del libero arbitrio del volere
impossibile, perch d luogo ad una delle quattro antinomie
dellinconoscibile idea metafisica di mondo; tuttavia posso e debbo postulare la
libert del volere come presupposto indispensabile del mio agire morale. Il
successo della risposta kantiana dovuto
alla sua sostanziale ragionevolezza. Siamo infatti costretti ad agire, e non
possiamo aspettare per far- lo l'aver risolto logicamente il problema
dellesistenza o meno della libert del volere. Nello stesso tempo, del tutto legittimo non accontentarsi di
questa impo- stazione antinomica. Il marxista indipendente messo di fronte a questo dilemma: certo che io mi penso indipendente, ma lo
sono poi veramente? Non dipendo forse dalla lotta di classe e dalla mia
collocazione di classe? Non forse vero -
come avrebbe detto Spinoza, o almeno Spinoza secondo Plechanov che la libert
semplicemente co- scienza della necessit? E allora questo il primo dilemma che discuter in questo
capitolo. A questo come ai
successivi risponder in prima persona,
trascurando la pur interessante elencazione dossografica di come hanno risposto
gli altri. Chi vuole sapere questo, vada a sfogliarsi una buona storia
dossografica del marxismo. In questa sede, per, discuter filosoficamente tutte
le questioni, dando sempre la mia personale versione. Karl Marx ha gi risposto
da par suo a questo dubbio iperbolico nella sua tesi di laurea del 1841 sui
sistemi atomistici di Democrito e di Epicuro. E lo ha fatto attraverso la
metafora della libera caduta in deviazione degli atomi (clinamen, pa-
rekklisis), atomi in cui sono chiaramente metaforizzati i comportamenti umani
in- dividuali. E cos come gli atomi deviano da una ipotetica linea di caduta
necessi- tata, nello stesso modo gli individui deviano da una ipotetica linea
retta di caduta necessitata. Il pensiero di Marx nasce dunque da un atto libero
di fondazione. Ed veramente difficile
negare ci che risulta filologicamente dalla lettura di questa opera del
1841. ancora pi difficile sostenere che
il Marx giovane, ancora idea- lista, pensava erroneamente di essere libero,
mentre il Marx maturo saprebbe di essere necessitato. Ma non diciamo idiozie!
Forse che Marx avrebbe scritto il primo libro del Capitale nel 1867 pensando di
non essere libero mentre lo scriveva, ma di essere necessitato da inesorabili
leggi storiche? Credo che il comune senso del pu- dore dovrebbe scoraggiare
l'eventuale idiota che sostenesse una cosa del genere. Eppure lidiozia regna
sovrana. In proposito, ho sentito con le mie orecchie so- stenere che Marx
poteva permettersi questo atto divino di autodeterminazione fondatrice, ma noi
non possiamo permettercela, in quanto sarebbe un atto di orgo- 358 Il grande
marxismo indipendente del Novecento glio idealistico piccolo-borghese (e ti
pareva!). infatti la piccola-borghesia,
classe idealistica ed anarchica per eccellenza, che rivendica a se stessa la
piena libert del volere, mentre il proletariato che sa bene che si vince
soltanto mediante la discipli- na e lorganizzazione, sa bene spontaneamente che
la cosiddetta libert solo un'illusione
inesistente. Si ha qui una mossa teorica tipica di tutte le religioni: il
fondatore divino pu cose che i successori invece non possono pi permettersi. In
realt, l'atto della deviazione metaforizzata degli atomi (clinamen,
parekklesis) viene simbolicamente ripetuto in ogni processo individuale di
adesione alla scienza filosofica di Marx (ed anche alla sua connessa scienza
non-filosofica dei modo di produzione, che ognuno pu sovranamente
interpretare). Che poi nella pratica si vinca soltanto con la disciplina
organizzata verissimo, ed unovviet nota a tutti coloro che si muovono
in modo organizzato, dalle squadre di calcio alle squadre di pompieri. Si
tratta direbbe Kant di regole dellabilit e di consigli della pru-
denza. Ma tutto questo non c'entra nulla con la questione della libert del
volere e della sovranit assoluta del diritto alla interpretazione. E tuttavia,
mentre il pensiero propriamente marxiano si
costituito sulla base epicurea della libera deviazione degli atomi
(clinamen, parekklesis), la formazione ideologica marxista successiva del
ventennio 1875-95 si costituita sulla
base stoica della secolarizzazione storica della necessit (ananke) della provvidenza
del mon- do (pronoia). La socialdemocrazia tedesca stata un fenomeno prevalentemente
protestante, e non stato pertanto
difficile secolarizzare il vecchio provvidenzia- lismo religioso luterano in un
nuovo provvidenzialismo della necessit storica. Rendersene conto un gioco da bambini, ed il fatto che pochi se
ne siano resi conto fino in fondo (ma ad esempio Walter Benjamin lo ha
fatto) dovuto soltanto alla volont di
credere introiettata servilmente dai cosiddetti intellettuali marxisti. Questa
volont di credere un atto intellettuale
di umiliazione rituale auto-im- posta, simile ai riti di umilt della chiesa
cattolica, in cui si rinuncia alla propria libert di giudizio, considerata una
forma diabolica di orgoglio. Credere alla vergi- nit di Maria (o se vogliamo
alla sua immacolata concezione povero
Giuseppe! Cornuto e mazziato!) diventa un atto di sottomissione, mentre sarebbe
un atto di orgoglio ritenere che tutte le donne, prima di partorire, devono
preventivamente perdere la verginit. Tutti i comunisti che hanno per pi di un
secolo irriso a questi comportamenti religiosi non si sono mai resi conto di
fare esattamente la stessa cosa, quando condannavano i loro compagni (divenuti
improvvisamente individualisti piccolo-borghesi o addirittura nemici del
popolo) che rivendica- vano la libert dellinterpretazione. Il problema quindi risolto: la libert di interpretazione del
mondo, premessa assoluta della sua eventuale trasformazione, fondamentale, irrinunciabile e pre- liminare,
e titolare di essa la singola coscienza
individuale, e non certamente un corpo sociale. Karl Marx lo ha
inequivocabilmente formulato nel 1841, e non si pu essere marxisti, dipendenti
o indipendenti che si voglia essere, senza accet- tare pienamente questo
principio. Detto questo, si pone per un secondo proble- ma, collegato al primo
prima evocato: deve o no un intellettuale marxista essere in CarrroLo XXXVI
qualche modo organico alla sua classe sociale di riferimento (in questo caso,
il proletariato), oppure pu continuare ad essere marxista senza esserne
diventato organico, restando membro di quella che Karl Mannheim chiamava
intellet- tualit libera da legami (freischwebende Intelligenz), e che Husserl
ha definito il funzionariato dell'umanit? Il tema dellintellettuale
organico stato sollevato da Antonio
Gramsci nei suoi Quaderni del Carcere, ed
impossibile discutere di marxismo indipendente senza prenderlo in
considerazione. Inoltre, si ha qui a che fare non con un misera- bile burocrate
pronto a riciclarsi, ma con una figura di altissima statura morale ed
intellettuale. Detto questo, penso che la teoria gramsciana dellintellettuale
orga- nico sia sbagliata, e debba essere cortesemente ma ferreamente respinta.
Non lo si pu fare, per, senza proporre preventivamente un insieme di
argomentazioni razionali. In primo luogo, quando Gramsci la propose, era in una
prigione di Mussolini, e non era in alcun modo un dirigente di partito. Gramsci
lha quindi proposta gra- tuitamente, ed il fatto che il PCI dal 1943 al 1991
labbia trasformata in codice di sottomissione volontaria per la sua
intellettualit di partito non pu essere usato come argomento contro Gramsci.
Gramsci era un uomo libero, e non un pagliaccio da apparato. Egli viveva in un
mondo libero di idee, non nel mondo manipolato di babbioni urlanti istigati da
dirigenti cinici che alzavano le solite grida rauche rivolte ai dissidenti: Chi
vi paga? Chi vi paga?, come se l'enunciazione di libere opinioni dovesse sempre
essere il prodotto di un pagamento preliminare (alla base di questo
atteggiamento ci sta una sorta di spontaneo materialismo volgare, del tipo i negri
hanno la musica nel sangue, i siciliani sono tutti mafiosi, e soprat- tutto
tutte le donne sono puttane). Dunque, se Gramsci ha commesso un errore, lo ha
commesso liberamente, e non certo su commissione. Questo significa che Gramsci,
sostenitore della teoria dellintellettuale organico, non era lui stesso un
intellettuale organico. In secondo luogo, Gramsci ha proposto la sua teoria
dellorganicit degli intel- lettuali nel contesto di una specifica polemica
contro Giovanni Gentile e soprattut- to contro Benedetto Croce. Secondo
Gramsci, Croce si sente al di sopra delle parti e crede di essere una sorta di
sacerdote della libert, ma questo non
vero, perch egli non certo organico
alla libert in generale, ma agli interessi economici e so- ciali della classe
dirigente italiana, che una borghesia
agraria (Gramsci scrive pri- ma del boom economico italiano del 1958, in cui la
borghesia agraria cede il bastone del comando alla borghesia industriale,
peraltro ampiamente foraggiata e protetta dallo Stato) particolarmente
parassitaria. Bisogna dire che a proposito di Croce Gramsci ha completamente
ragione. Ed ovvio che avesse ragione,
perch lABC del metodo di Marx consiste nel sapere che esistono le classi
sociali e lo sfruttamento delluomo sull'uomo. In questa situazione,
oggettivamente dicotomica, del tutto
ovvio che gli intellettuali (ma pi avanti ritorneremo su questa ambigua catego-
ria) non possono che schierarsi, lo vogliano o no, ne siano consapevoli o meno,
e quindi di fatto finiscano con l'essere in un certo senso organici alla
borghesia 360 Hl grande marxismo indipendente del Novecento yppure al
proletariato. Tutto questo funziona, per, soltanto nella misura in cui il nodo
di produzione capitalistico continua ad essere caratterizzato dalla dicotomia storico-sociologica
Borghesia/Proletariato, mentre potrebbe non cominciare a fun- zionare pi in una
terza et del capitalismo (uso qui il termine proposto dagli studiosi francesi
Luc Boltanski e Eva Chiapello), in cui ci si avviasse in un'epoca post-borghese
e post-proletaria. Ma questo Gramsci, morto nel 1937, non poteva rertamente
immaginarselo. Di questo, per, parler pi avanti. In terzo luogo, tuttavia,
Gramsci era a tutti gli effetti un uomo della Terza In- ernazionale Comunista
(1919-1943), e quindi un uomo che aveva recepito fino in ondo la lezione
leninista (le attuali letture edificanti e manipolate di un Gramsci
on-comunista sono un esempio dellopportunismo da fogna delle attuali cupo- e di
intellettuali al potere politicamente corrotto). In questa ottica, essere orga-
ici alla Classe proletaria, operaia e salariata si identificava al cento per
cento con lorganicit al Partito che la rappresentava, che Gramsci con una
metafora tratta dal Machiavelli chiamava il Moderno Principe. Ma questa
identificazione, che il le- ninista Gramsci considerava del tutto logica,
razionale e storica, non lo era per nulla, perch presupponeva ci che non poteva
affatto essere presupposto, e cio che per sua natura il Partito continuasse a
rappresentare gli interessi storici della classe. Ma si trattava di un
presupposto insostenibile. Mano a mano infatti che procedeva l'integrazione
sistemica delle classi subalterne nel capitalismo (attra- verso i tre processi
interconnessi di economicizzazione distributiva del conflitto, di nazionalizzazione
razzista ed imperialista delle masse attraverso gli apparati re- ligiosi,
mediatici e culturali, ed infine di integrazione consumistica differenziata),
il partito, lungi dal continuare ad essere un Moderno Principe, diventava
piuttosto quello che nel 1960 Jean-Paul Sartre (cfr. Critica della Ragione
Dialettica) definiva il pratico-inerte. Non sono un ammiratore particolare di
Sartre, ma la sua teoria sullintegrazione degli apparati socialisti e comunisti
mi sembra nellessenziale esatta. Sartre parte dal fatto che a un certo punto
della storia si costituiscono collettivit combattenti cementate da un'identit
rivoluzionaria comune, che egli chiama in modo bergso- niano gruppi in fusione.
Questi gruppi n fusione hanno in comune una finalit progetto (in questo caso
ovviamente il comunismo). E tuttavia, sia che riescano a prendere il potere (ad
esempio URSS 1917 e Cina 1949), sia che restino allopposi- zione (partiti
comunisti francese e italiano dopo il 1945), ad un certo punto line- vitabile
processo di integrazione sociale li porta ad uno stato che Sartre chiama
seriale, in cui la loro stessa riproduzione diventa una forma di
pratico-inerte. A me sembra chiaro che Sartre non faccia altro che trascrivere
in un pomposo lin- guaggio para-bergsoniano la critica trotzkista alla
burocrazia staliniana, permet- tendo ai gruppetti estremistici di pensarsi come
nuovi gruppi in fusione dotati di finalit progetto, che lottano contro i
bestioni burocratizzati comunisti ribat- tezzati pratico-inerte seriale. Si
tratta di un errore storico e metodologico, e lo segnaler pi tardi a proposito
dellontologia dell'essere sociale, che a
mio avviso del tutto alternativa a questa affabulazione trotzkista. Ma per ora
basti segnialase CaprroLo XXXVI che in una certa misura Sartre smentisce
effettivamente Gramsci. infatti del
tutto illusorio pensare di poter diventare organico ad una classe che nel
frattempo si integra progressivamente allinterno della produzione
capitalistica, o di un partito che nel frattempo viene diretto da una cupola
burocratica di mascalzoni pronti a riciclarsi come gruppo specializzato di
direzione ultracapitalistica. Il dilemma potrebbe essere riformulato cos:
Gramsci voleva un soggetto sociale potenzialmente rivoluzionario ed
universalistico; in pieno accordo con il Lukcs di Storia e Coscienza di Classe
del 1923 egli pensava che questa classe non potesse essere la borghesia, ma
potesse esserlo soltanto il proletariato; d'altra parte, secon- do
l'insegnamento di Lenin, senza un partito il proletariato sarebbe rimasto per
sempre un aggregato economicistico e sindacalistico, condizione operaia e non
classe operaia; per questa ragione ci voleva un gruppo sociale specifico e
specia- lizzato in conoscenza ed in valutazione, chiamato intellettuali.
Bisogna allora discutere la questione degli intellettuali, cuore del problema
del marxismo indipendente novecentesco. In proposito, trascurer le consuete
formu- lazioni dossografiche, e sceglier la via di una impostazione del tutto
personale ed originale. Gli intellettuali non sono certo l'insieme statistico
delle persone che usano cri- ticamente l'intelletto di cui ogni essere
umano dotato biologicamente e storica-
mente (zoon logon echon). Se cos fosse, ci troveremmo ancora una volta davanti
ad un paradosso assai comico, perch i cosiddetti intellettuali sono quasi
sempre le persone meno dotate di capacit di giudizio critico indipendente e pi
ricattabili dal politicamente corretto dellepoca in cui vivono, dal momento che
ne sono loro stessi i costruttori ed i sistematizzatori. Gli intellettuali sono
un gruppo sociale specifico il quale, allinterno della ferrea divisione del
lavoro sociale che struttura necessariamente qualsiasi societ articolata e
complessa (nelle societ tribali pri- mitive, infatti, non ci sono intellettuali,
a meno che si decida di chiamare cos gli sciamani e gli stregoni), producono
ideazione ideologica, e sono quindi i produttori specializzati di
sovrastruttura. Capire questo punto
essenziale, perch in caso contrario la categoria degli intellettuali
diventa un grande magazzino in cui ci stanno tutti. Non esiste una lau- rea
universitaria in intellettualit. Gli artisti, i religiosi, i filosofi e gli
scienziati non sono automaticamente intellettuali, per il semplice ed ovvio
fatto che larte, la religione, la filosofia e la scienza sono attivit umane
permanenti che per loro stessa natura non possono essere inserite nello schema
struttura/sovrastruttura. I medici, gli ingegneri, i ricercatori, i tecnici
specializzati, gli insegnanti, ecc., non sono di per s intellettuali, se
vogliamo ovviamente usare questo termine con di- scernimento, e non come un
grande recipiente in cui bolle un minestrone.
ovvio che la stessa persona pu esercitare una funzione intellettuale in
senso proprio ed una non-intellettuale. Il poeta Orazio, ad esempio, non era un
intellettuale quan- do scriveva le sue immortali Satire, ma lo era quando
propagandava e magnifi- cava la pax augustea. E potremmo ovviamente
moltiplicare gli esempi, ma non
necessario, perch sufficiente
impadronirsi concettualmente della questione. 362 Il grande marxismo
indipendente del Novecento Incidentalmente, io non mi considero un
intellettuale, non ritengo di esserlo, sono imbarazzato ed anche lievemente
offeso quando mi si inserisce a forza senza il mio permesso in questa
categoria. Lo sono stato a lungo in giovent, ed ero anche fiero di esserlo. Ma
ora ritengo di avere idee pi chiare di un tempo, e di aver capito meglio i
meccanismi della riproduzione sociale, dellideazione ideologica ed in generale
della produzione collettiva organizzata delle sovrastrutture, all'interno
sempre di una specifica divisione del lavoro sociale, che oggi quella ultracapita- listica
globalizzata, tendenzialmente postborghese e postproletaria, in cui la fun-
zione signorile-feudale degli oratores
stata compiutamente assunta dagli apparati mediatici (clero secolare) e
da quelli universitari (clero regolare). Chi scrive aborre la categoria degli
intellettuali, e si considera alla Occam un membro della chiesa invisibile di
chi respinge globalmente lidea che questa societ si fondi su di una
legittimazione morale universalistica, ed alla Marx un singolo che cerca di
attin- gere autonomamente e senza mediazioni (ancora una volta l'atomo di Epicuro
del giovane Marx nella sua imprevedibile parekklisis) la scienza filosofica
espressiva della totalit sociale. Per farlo, oggi, bisogna andare contro il
gruppo sociale degli intellettuali intesi come produttori di sovrastruttura e
di ideazione ideologica, e sarebbe quindi ben strano che chi si pensa come
ostile al gruppo degli intellettuali in quanto tale voglia poi rivendicare di
volerne fare parte. In quanto gruppo sociale specializzato nella produzione di
sovrastrutture e di ideazione ideologica gli intellettuali sono gi presenti
nella tarda antichit. Furono indubbiamente degli intellettuali coloro che
nell'antico Egitto idearono il pas- saggio (poi fallito) dalla vecchia
religione politeistica di Iside e di Osiride alla nuo- va religione
monoteistica del culto del disco solare Aton, e nello stesso tempo non lo
furono, se si riconosce alla religione in quanto tale una natura non
strettamente ideologica (anche se ovviamente funzionalizzata praticamente
allobbedienza del- le masse ed all'accettazione delle gerarchie sociali
disegualitarie). E tuttavia un uso troppo generico della categoria rischia di
non farci capire nulla della specificit della funzione sociale degli
intellettuali oggi. In accordo con lo studioso francese Louis Bodin, tendo a
pensare che la categoria sociale degli intellettuali europei in senso moderno
nasca soltanto intorno alla fine dell'Ottocento, e che il famoso caso Dreyfus
ne sia stato un catalizzatore sociale. Bodin potrebbe anche sbagliarsi. I
populisti russi, ad esempio, mi sembrano a tutti gli effetti degli intellettuali,
eppure precedono di alcuni decenni il caso Dreyfus. E tuttavia il suggerimento
di Bodin resta valido nellessenziale. Nella lotta contro il pregiudizio
antisemita, i dreyfusardi si riconobbero come gruppo sociale specifico, e si
pensarono come i portatori delluniversalismo critico contro il pregiudizio,
replicando cos i vecchi illuministi. Gli intellettuali si pensano quindi come
gli illuministi della societ contemporanea. E tuttavia, questa pretesa di
universalismo laico quasi sempre
illusoria. Per capire le radici di questa illuso- riet, necessario distinguere fra tre categorie di
intellettuali (uso qui il termine in modo improprio): gli studiosi ed i
ricercatori di scienze naturali, i riproduttori tecnici della societ (medici,
ingegneri, ecc.), ed infine gli studiosi di filosofia CarrtoLo XXXVI e scienze
storiche e sociali (impropriamente dette umanistiche, dal momento che in questa
categoria prevalgono e sono ampiamente maggioritari degli anti- umanisti dichiarati).
Gli studiosi di scienze naturali (fisica, chimica, biologia, genetica, ecc.)
non sono ovviamente degli intellettuali, in quanto i loro codici scientifici
vengono stabiliti allinterno delle loro corporazioni professionali, e non sono
di per s codici ide- ologici. In laboratorio l'ideologia non entra, e non
sarebbe neppure bene che en- trasse. Ovviamente, molti scienziati si lanciano
in modo dilettantesco nel dibattito intellettuale, ed in generale difendono la
tesi grottesca ed indifendibile per cui la scienza (si intende: la loro scienza) lunica forma valida di conoscenza, mentre
larte serve solo a ristorarci quando siamo stanchi e stressati, ed in quanto
alla religione ed alla filosofia si tratta in definitiva di chiacchiere
edificanti per adulti rimasti bambini ed adolescenti (il codice sempre lo stesso, ed quello stabilito da Auguste Comte nel 1830).
Si tratta di una tesi grottesca ed indifendibile, perch persino un commesso di
macelleria educato alla riflessione indipendente capirebbe che le procedure
uti- lizzate in chimica, fisica e biologia non sono in grado di emettere
giudizi politici e morali sul bene e sul male della convivenza sociale. Nello
stesso tempo le loro conoscenze sono indubbiamente buone, valide ed utili, ma
toccano la certezza e l'esattezza, non certo la verit intesa come sapere sul
bene e sul male. Dai labora- tori esce indubbiamente un grande incremento di
conoscenza sociale, ma non pu uscire una scienza del bene e del male. Siccome
questo ovvio, allora si risponde che per
vivere in societ non abbiamo bisogno di una scienza del bene e del male, che
essa sarebbe comunque inconoscibile, e, se conoscibile, normativo-autoritaria
(pensiero debole, relativismo, ecc.), e non ce n' alcun bisogno. In questo modo
vengono respinti insieme Spinoza, Hegel, Marx e soprattutto i Greci. L'unica
nor- mazione (perch lo si voglia o meno una normazione inevitabile) diventa quindi la riproduzione
capitalistica pura e semplice. Il fatto che questo esito catastrofico della
storia del pensiero occidentale venga chiamato scienza, e si facciano osceni
balli tribali sulla fine della filosofia, ecc., sar, probabilmente giudicato
molto severamente dai nostri lontani successori. Il sapere pratico dei medici e
degli ingegneri non ovviamente un sapere
intellettuale propriamente detto. Dal momento che le operazioni chirurgiche, le
terapie farmacologiche e la costruzione di case, impianti, ponti e strade,
ecc., de- vono funzionare per rendere possibile la riproduzione sociale,
ed evidente a tutti che non si tratta di
opinioni soggettive, queste discipline sono state salvate dal relativismo e
soprattutto dalla oscena distruzione della scuola del cosiddetto Ses- santotto
(voto unico, sei politico, contestazione permanente, apologia della dro- ga,
ecc.). I codici di queste discipline conoscono ovviamente il fallibilismo, ma
non certo il cosiddetto relativismo. Il cosiddetto relativismo non infatti un'opinione filosofica tra le altre
(laltra sarebbe il dogmatismo, con connessa convinzione di possedere la verit e
di volerla utilizzare socialmente in modo normativo), ma un fatto sociale della modernit
tardocapitalistica, per cui diventando socialmente 364 Il grande marxismo
indipendente del Novecento assoluto il solo valore di scambio di merci e
servizi in una societ individualiz- zata, tutto il variopinto mondo delle
opinioni pu essere liberalizzato, e quindi relativizzato, e la verit pu
finalmente essere abolita diffamandola come resi- duo religioso e metafisico
(da qui - non mi stancher di ripeterlo
nasce il fatto sociale della antipatia verso Hegel). Passando agli
intellettuali propriamente detti,
evidente che la stragran- de maggioranza di loro viene reclutata nelle
universit dette impropriamente umanistiche, e cio di storia, filosofia e
scienze sociali. Ma, appunto, si qui di
fronte a ci che Marx chiamava opportunamente falsa coscienza necessaria degli
agenti storici. Gli agenti storici si pensano infatti quasi sempre come
universali- stici, ma il loro universalismo
un dato ideologico fasullo, perch viene ricavato dalla ipostatizzazione
del loro specialismo, il quale specialismo
sempre social- mente determinato dagli interessi dei gruppi che stanno
allinterno della ripro- duzione classista della societ. Sarebbe per necessario
articolare un discorso dif- ferenziato per diagnosticare le varie forme di
elaborazione della falsa coscienza necessaria dei gruppi intellettuali intesi
come produttori di ideazione ideologica e di adeguamento sovrastrutturale. Non
potendolo fare adeguatamente per ragioni di spazio e di opportunit espositiva,
mi limiter ad alcune note orientative, neces- sariamente superficiali. Per
quanto riguarda gli storici, la stragrande maggioranza ha sostituito la vec-
chia religione monoteistica cristiana, ormai irrisa e considerata cibo
spirituale per vecchiette ed altri deficienti, con una nuova religione, la
religione dellUnicit dell'Olocausto, e quindi dellunicit di Auschwitz, con
conseguente banalizzazio- ne e derubricazione non solo di Hiroshima, ma di
tutti i crimini del colonialismo e dellimperialismo (prima guerra mondiale),
ecc. Chiunque contesti questa nuova religione espiatoria ed il suo clero
rituale (il sionismo, da non confondere ovvia- mente con l'ebraismo e con la
religione ebraica), viene portato al rogo mediatico con la doppia accusa
(direbbe Socrate) di revisionismo e di negazionismo. del tutto inutile dire e ripetere che questo
rilievo, del tutto ovvio e fattuale, non c'entra nulla con il cosiddetto
antisemitismo, e non comporta ovviamente nessuna giu- stificazione dei crimini
di Hitler e dei suoi collaboratori. E tuttavia gli storici (pi esattamente: la
corporazione tribale-sacerdotale degli storici europei omologati) sono oggi i
portatori autorizzati di questa nuova religione per senzadio, che ha sostituito
a sinistra la vecchia religione staliniana della materia, cui ho accennato nel
capitolo precedente. La funzione ideologica di questa religione espiatoria
dell'Olocausto non ha sol- tanto la funzione evidente di legittimare
indirettamente i crimini del sionismo e dell'occupazione militare USA del
vicino oriente. La sua funzione ideologica prin- cipale resta quella di
eternizzare il senso di colpa dell'Europa per aver permesso Hitler, ed in
questo modo eternizzare l'occupazione militare permanente da parte degli USA
del suolo europeo. Questi rilievi, comunque, pur essendo del tutto pa- cati e
razionali (ed a mio avviso anche del tutto evidenti), vengono per percepiti
socialmente come bestemmie antisemite intollerabili, cui non bisogna dare
nessun 365 CaprroLo XXXVI diritto di parola (casi Irving, Moffa, ecc.). Il
fatto poi che la supponente casta degli storici lo capisca oppure no rilevante solo per i loro parenti, amici e
commissio- ni esaminatrici, ma del tutto
irrilevante per la storia universale. La corporazione degli economisti chiama
economia la riproduzione comples- siva del sistema capitalistico.
L'economia infatti a tutti gli effetti
una econo-mia, nel senso che ha come oggetto il mio della propriet
capitalistica. Si tratta di una sfacciata crematistica che chiama se stessa
ipocritamente economia, e rimando in proposito alle osservazioni fatte nei
capitoli precedenti su Aristotele, Adam Smith, Hegel, Marx, Polanyi, ecc.
Claudio Napoleoni, anche lui gi ampiamente citato, ha distinto a suo tempo fra
critica dell'economia politica (che non pu essere per sua natura una disciplina
universitaria, perch traversa diagonalmente la divisione universitaria delle
discipline concorsuali consentite), ed economia politica critica, le cui scuole
(Ricardo, Keynes, Schumpeter, ecc.) sono invece inseribili nella divi- sione
universitaria del lavoro, ma in cui Marx ed Hegel non possono chiaramente
trovare posto (in quanto filosofia che non c'entra nulla con l'economia). Tutti
i presunti marxisti che accettano il terreno della cosiddetta economia politica
critica sono indubbiamente di sinistra (ed a volte addirittura di estrema si-
nistra), ma una cosa sicura, che non
sono marxisti nel senso di Marx. Marx
incompatibile con l'accettazione della divisione universitaria delle
discipline, e questa una delle ragioni
(non la sola, per) per cui generalmente
disprezzato ed irriso come metafisico dal sapere universitario. In quanto ai
filosofi, ho gi avuto modo di osservare che essi sono di fronte ad un paradosso
sociale particolare, in quanto fanno parte della sola categoria sociale al
mondo che in maggioranza disprezza la propria stessa disciplina, ed utilizza la
cattedra di filosofia per irridere alla filosofia stessa, diffamata come
chiacchiera inconclu- dente premoderna e prescientifica. Si tratta peraltro di
un paradosso inevitabil- mente irritante e disgustoso, ma anche facilmente
spiegabile. Esso infatti deriva- to da
una gigantesca pressione sociale, che deve delegittimare il principio per cui
la filosofia una legittima forma di
conoscenza veritativa del bene e del male, in quanto lunico indice del bene e
del male, oltre che del vero e del falso, deve essere avocato alla riproduzione
capitalistica ed imperialistica assolutizzata. Una volta che questultima venga
assolutizzata, tutto il resto
necessariamente derubricato a relativismo. Ma su questo punto mi sono gi
soffermato abbastanza. Sono stato costretto a questa lunga parentesi sulla
categoria dei cosiddetti in- tellettuali (che aborro e di cui non faccio parte)
per uno scopo ben preciso che at- tiene alla comprensione di questo capitolo.
Il grande marxismo critico indipenden- te del Novecento, infatti, non in alcun modo un episodio della storia dei
gruppi intellettuali, ma un fenomeno
largamente distino da esso. Tutti i grandi marxisti critici, lungi dall'essere
servilmente incorporati allinterno dei gruppi intellettuali maggioritari, hanno
invece dovuto prima di tutto demarcarsi da loro, e soltanto dopo aver
realizzato quello che molto propriamente Antonio Gramsci ha chiamato spirito di
scissione hanno potuto dire qualcosa di utile e di originale, giusto o
sbagliato che sia. 366 Il grande marxismo indipendente del Novecento Il
marxismo critico indipendente, lungi dall'essere stato un fenomeno di intel-
lettuali (Come opina erroneamente Perry Anderson in unoperetta dedicata alla storia
del cosiddetto marxismo occidentale),
invece stato all'opposto un feno- meno minoritario il cui
presupposto stato lo spirito di
scissione dai gruppi intellet- tuali stessi, regno del conformismo
politicamente corretto dellepoca. Tutto quanto di buono, stimolante ed
interessante esso ha prodotto deriva infatti dalla capacit di resistenza alla
pressione sociale, ai sensi di colpa artificialmente suscitati (per cui
l'obbedienza ai burocrati era vista come un segno di espiazione del proprio
peccato di nascita piccolo-borghese), alle imposizioni di essere organici
(tradu- zione: di accettare lietamente di essere i rifiuti organici del grande
movimento di emancipazione sociale), ecc.
bene che questo punto venga capito nel modo migliore possibile, perch il
95 per cento (e mi tengo ancora molto basso) delle ricostruzioni del marxismo
critico indipendente lo connota come marxismo degli intellettuali. esattamente il con- trario. Si tratta del
prodotto di una separazione volontaria, di un esodo, di una secessione e di uno
spirito di scissione dal mondo degli intellettuali stessi. A que- sto punto, le
riflessioni che seguiranno non potranno che essere esplicitamente un insieme di
opinioni personali. Pochissimi marxisti critici indipendenti hanno saputo
respingere il ricatto posi- tivistico, per cui, per essere appunto marxisti,
bisognava prima respingere la cosid- detta filosofia per la filosofia (Lwith).
Il mio principale motivo di orgoglio, che ha ispirato tutte queste pagine dalla
prima all'ultima, proprio l'essere
riuscito a respingerlo senza per questo respingere il metodo genetico della
deduzione socia- le delle categorie. Ne sono consapevole, e non vedo perch non
dovrei rivendicarlo apertamente. invece
costernante rilevare quanti pensatori dotati ed originali ab- biano
scioccamente introiettato questo dogma positivista, ritenendo cos di essere pi
scientifici, e di rifiutare cos la metafisica idealistica. Chi sono i
responsabili? Nessuno, naturalmente. La ricostruzione della storia della
filosofia non un processo che si svolge
in un'aula giudiziaria, con pubblici ministeri, avvocati difensori e
codice-prontuario per l'erogazione delle pene. Io sono uno studioso di storia
della filosofia, non certamente un magistrato giudican- te, ed anzi aborro le
ricostruzioni giudiziarie della storia della filosofia (Platone reazionario,
Lukcs stalinista, Heidegger nazista, Gentile fascista, ecc.). Si tratta di cibo
per mascalzoni, che non potendo competere con i grandi sul loro terreno,
ritengono di risolvere la questione diffamandoli. Oggi gli intellettuali sono
par- ticolarmente impegnati in questo gioco mediatico al massacro, e
questa un'enne- sima buona ragione per
separarsi da loro. Responsabili, quindi, no certamente. Ma nello stesso tempo
non possibile evi- tare di esercitare
una legittima critica. Marx ha sovrapposto una scienza filosofica della
valutazione critica negativa della totalit sociale capitalistica ad una
scienza- non-filosofica della considerazione avalutativa della dinamica
strutturale dei modi di produzione. Engels ha commesso veri e propri errori
(scusabili, tutti gli errori sono per principio scusabili, e chi senza peccato scagli la prima pietra),
scambian- 367 CarritoLo XXXVI do lo statuto teorico di un neo-kantismo
positivistico (Lange, Laas, ecc.) per una ripresa critica della filosofia
classica tedesca. Lenin ha commesso vere e proprie ca- stronerie filosofiche,
sostenendo che i filosofi idealisti sono soltanto preti travestiti, e
lidealismo non altro che una copertura
ideologica colta della religione. Come abbia poi potuto valorizzare Hegel ed
auspicare la formazione di gruppi di amici materialisti della dialettica
hegeliana (che ovviamente inseparabile
dallideali- smo, e non riducibile a
metodo come pensava Engels), fa parte dei misteri glo- riosi della storia sacra
del marxismo rivolta ai confusionari impenitenti. A me sembra ovvio che il
grande idealismo di Fichte e di Hegel non fa parte di una copertura colta della
religione, e gli apparati sacerdotali lo hanno sempre capi- to molto bene, espellendo
Fichte per ateismo dall'universit nel 1798, e conside- rando sempre Hegel un
pericolosissimo ateo in pectore (vedi scomuniche cattoliche di Croce e Gentile,
ecc.). Lidealismo ha semmai sempre rifiutato di dichiararsi ateo e
materialista, ma questo dovuto a ben
precise ragioni filosofiche, e non deve essere considerato frettolosamente come
frutto di opportunismo furbesco. L'ateismo, infatti, resta sempre un sapere
dell'intelletto astratto (Verstand), perch si limita a negare lesistenza dello
stesso oggetto esterno (il Dio personale e creatore, lIngegnere
cosmico-stellare del creazionismo, il Giudice Spaziale che manda in Paradiso,
in Purgatorio ed all'Inferno, e via antropomorfizzando pi o meno grotte-
scamente), di cui invece il teista-credente afferma lesistenza. Ma non si pu
chiedere decentemente allidealismo di diventare un ateismo materialistico, e
non tanto per la questione di Dio, ma proprio per la questione della critica
della ragione (Vernunft) alle pretese dell'intelletto astratto (Verstand).
Negare e/o affermare Dio fa infatti sempre parte del pensiero dell'intelletto
(Ver- stand), che lo stesso pensiero che
sorregge le scienze della natura prodotte dalla matematizzazione del mondo. Ci
che conta, la sola cosa che conta, come
lessere sociale concepisce e si rappresenta l'assoluto. Il fatto che ne neghi o
ne affermi la datit esterna certo
interessante, ma non sfiora neppure il problema. Hegel lo aveva capito, ed questa un'altra ennesima ragione
dellantipatia verso Hegel. Tutti i cretini necessariamente antipatizzano per
chi meno cretino di loro. La tentazione
di respingere la filosofia per la filosofia (Lwith) stata gran- de nel marxismo critico del
Novecento, e qui ricordo soltanto ancora le scuole di Galvano Della Volpe e di
Louis Althusser. Galvano Della Volpe si
inventato un impossibile marxismo galileiano, ma appare evidente che il
pensiero di Marx, essendo una scienza filosofica basata sull'unit di conoscenza
e valutazione, non pu dar luogo ad una conoscenza di tipo galileiano, basata su
di una ideazione che attua una quantificazione del mondo della natura (e solo
di essa, poich un galilei- smo sociale
una vera impossibilit categoriale). L'allievo di Galvano Della Volpe,
Lucio Colletti, ha effettuato un vero e proprio harakiri rituale e
positivistico del marxismo di estremo interesse, ed consigliabile in proposito un suo saggio
esemplare, ad un tempo grottesco e protervo, pubbli- cato nel 1996 sulla rivista
Micromega, ed intitolato Fine della filosofia? (il punto interrogativo ingannatorio, perch in realt il testo
annuncia un punto finale e 368 Il grande marxismo indipendente del Novecento
basta), in cui l'odio verso Hegel diventa un vero e proprio odio verso la
filosofia in quanto tale, accusata di voler mettere al centro luomo in un
universo che in realt non ha alcun senso.
chiaro che Marx intendeva cercare un senso al mondo, in buona compagnia
con Socrate, Spinoza, ecc. Ma larrogante proclamazione che il mondo non ha
alcun senso, e la scienza ce lo dice, in
realt un fenomeno di pentimento sociale di un intero gruppo intellettuale (gli
intellettuali storicisti ita- liani di sinistra), che ha scambiato il proprio
empirico approdo allinsensatezza tout court (e questo particolarmente ridicolo provenendo da un
gruppo di critici della cosiddetta ipostatizzazione - ma non poteva certo
venirgli in mente di stare ipostatizzando la propria personale insensatezza con
linsensatezza in generale). E comunque la lettura di questo testo di Colletti,
ad un tempo grottesco e protervo, di
grande interesse, perch mostra a cielo aperto che lodio verso Hegel sfocia
facilmente in odio verso la filosofia tout court. Il rifiuto radicale della
filosofia nella scuola di Louis Althusser ha esiti ben di- versi, perch il
cuore del pensiero di Althusser (per usare la concettualizzazione che ho
proposto nei due capitoli che ho dedicato a Marx) si basa sul rifiuto che vi
sia in Marx una scienza filosofica, ed invece su di una piena accettazione che
vi sia invece una scienza non-filosofica dei modi di produzione. E tuttavia,
siccome in realt non cos, perch in Marx
non pu non esserci un'unit dialettica di cono- scenza e di valutazione (in caso
contrario, dove fondare il comunismo? Forse in un movimento anonimo ed
impersonale di strutture che muovono altre strutture?), il mantenimento
testardo di questa indifendibile posizione porta ad oscillazioni penose, dalla
riduzione della filosofia a lotta di classe nella teoria ad un poco cre- dibile
materialismo aleatorio, che in realt una
religione irrazionalistica del culto della casualit e della contingenza, che
ognuno riempie poi come vuole nella pi totale arbitrariet (arbitrariet ed
aleatoriet sono infatti unite come i denti e le labbra). In ogni caso, se
Colletti ha avuto un esito grottesco e protervo, Althusser ha avuto soltanto un
esito testardo. Le due posizioni non devono essere messe sullo stesso piano. Il
grottesco odio verso Hegel formalmente
lo stesso, ma gli esiti non sono gli stessi, perch Althusser resta
soggettivamente nello spazio del marxismo critico indipendente. Persino in
Lukcs, che considero personalmente il punto pi alto del marxi- smo indipendente
novecentesco, la paura di cadere nella filosofia per la filoso- fia (Lwith)
assume forme francamente un po ridicole. Lukcs adotta la teoria
engelsiano-leniniana del rispecchiamento (Wiederspiegelung), in piena
contraddi- zione logica con la sua teoria dell'ontologia dell'essere sociale, e
deve quindi limitare i rispecchiamenti a tre (quotidiano, scientifico ed
estetico). In questa concezione la religione resta a tutti gli effetti
alienazione, mentre la filosofia viene di fatto ridotta ad ideologia, e cio a
sovrastruttura. Si tratta di un errore molto grave, ma riservo la sua
discussione e la sua correzione al capitolo che dedicher esplicitamente al suo
pensiero. Io sono infatti un sostenitore integrale dellontologia dell'essere
so- ciale, ed in questo Lukcs un mio
maestro riconosciuto cui devo ammirazione 369 CarrroLo XXXVI e gratitudine, ma
nello stesso tempo non posso accettare la versione che lui ne ha dato. Ci sono
ovviamente state eccezioni in questo rifiuto della filosofia per la filoso-
fia, che non altro che la filosofia tout
court. E c' voluto anche un certo coraggio, per andare contro lassordante
concerto positivista e scientista, uno scientismo che a sua volta una patologia filosofica, e non
ha nulla a che fare con la benemerita scienza propriamente detta. Il momento
forse pi significativo di questo corag- gio di rivendicare la natura
conoscitiva e veritativa della filosofia sta forse nellope- ra di Herbert
Marcuse del 1941 Ragione e Rivoluzione, in cui il legame teorico fra Hegel e
Marx esposto in modo a un tempo
sistematico e convincente. Si distingue in questa corrente il grande libro di
Karel Kosk Dialettica del Concreto, immortale lavoro della fenomenologia
critica della pseudo-concretezza. E si sia d'accordo oppure no (ed io non lo
sono) in questa nobile corrente ci sta anche la Dialettica Negativa di Adorno,
insieme con le opere utopiche di Ernst Bloch. Non si tratta infatti di firmare
in blocco questo insieme di opere. Sarebbe sciocco ed anche impossibile. Si
tratta invece di riconoscere in questo gruppo eterogeneo di opere il punto
essenziale da valorizzare, e cio il riconoscimento del pieno carattere cono-
scitivo e veritativo dell'attivit filosofica in quanto tale, proprio di quella
che viene sprezzantemente liquidata come filosofia per la filosofia. E da
questo punto di vista non bisogna dimenticare neppure Antonio Gramsci. La sua
filosofia della prassi, infatti, appartiene integralmente a questa nobile
tradizione. Nonostante non avesse alle spalle studi filosofici, ma studi
universitari di tipo linguistico e letterario, Antonio Gramsci era un filosofo
di razza, e dei filosofi di razza aveva la capacit intuitiva di cogliere sempre
il punto essenziale della questione, capacit quasi sempre scoraggiata e
soffocata nelle facolt specialisti- che di filosofia. In questo caso il cuore
della questione stava in ci, che il termine materia in Marx non ha alcun
rapporto con una qualsivoglia dialettica della natura e delle sue (inesistenti)
leggi scientifiche, ma una semplice
metafora della prassi rivoluzionaria. Per questa ragione la sua filosofia una filosofia della prassi. Gramsci nellessenziale un allievo italiano di Sorel,
perch al tempo del marxismo della Seconda Internazionale (1889-1914) soltanto
Sorel stato realmen- te un'alternativa
potenziale del marxismo deterministico di Kautsky, ed il fatto che sia sempre
rimasto un marginale (Lenin lo defin un noto confusionario), mentre Kautsky sia
stato un riverito ed onorato papa rosso
dovuto ad un fatto sociale, messo brillantemente in luce nelloperetta di
Eric Matthyas Kautsky ed il kautskismo. Il kautskismo, infatti, era la
cerimonia rituale della messa della domenica, che san- tificava lattivit
feriale della socialdemocrazia tedesca. Il pensiero filosofico di Gramsci si
form nella polemica contro il meccanicismo marxista, da un lato (Nicolai
Bucharin ed Amedeo Bordiga in particolare), ed con- tro il neoidealismo
italiano, dall'altro (e cio Benedetto Croce e Giovanni Gentile). Demarcandosi
da costoro, Gramsci individu brillantemente il comune positivi- smo che ci
stava sotto, e la comune santificazione del fatto in quanto fatto (su questo
punto anche Marcuse, nella sua opera del 1941, defin il neoidealismo di 27 Il
grande marxismo indipendente del Novecento Gentile una forma mascherata di
positivismo e di culto del fatto). A mio avviso, solo l'inerzia scolastica del
politicamente corretto impedisce di connotare il pensie- ro di Gramsci come
idealista, laddove mi pare evidente che lo sia. E d'altronde il suo grande
rivale Amedeo Bordiga, che lo rispett sempre pur non condividendo una sola
parola di quanto sosteneva, connot sempre corretta- mente il pensiero di
Gramsci come idealismo filosofico. E questa
anche la mia valutazione, che per
rovesciata rispetto a quella di Bordiga, nel senso che ci che per
Bordiga era male, per me invece bene,
anzi benissimo. D'altra parte Bordiga, su questo punto coerente con se stesso,
rest fedele alla teoria della prevedibilit matematica di un crollo del
capitalismo, ed in una lettera del 4 marzo 1969 allami- co di giovent Umberto
Terracini, scritta un anno prima della morte, se la prese con la peggiore muffa
interclassista, la giovent cosiddetta studente ed afferm di stare aspettando
entro il 1975 larrivo della nostra rivoluzione comunista plu- rinazionale,
monopartitica e monoclassista. Bordiga era ingegnere di professione, e solo un
ingegnere pazzo pu veramente pensare di poter calcolare larrivo della
rivoluzione comunista come si calcola la resistenza dei materiali di un ponte.
E tuttavia io rispetto molto di pi (pur ovviamente non condividendola) questa
lucida follia deterministica di quanto ri- spetti i deliri desideranti
dellarbitrio aleatorio. Almeno Bordiga si
impegnato in una data precisa (1975), ricavata sulla base di folli
calcoli matematici sulla caduta tendenziale del saggio di profitto, ed in
questo modo si scoperto davanti al
principio popperiano di falsificabilit. Un qualsiasi osservatore onesto, a
questo punto, dovrebbe concludere che lidealismo della prassi alla Gramsci
si rivelato sulla distanza pi realistico
del materialismo alla Bordiga. Senza una prassi con- sapevole e cosciente,
infatti, prassi che azione teleologica
progettuale orientata, la potenzialit sociale del comunismo (dynamei on) non
potr mai e poi mai giungere all'atto (energheia). E tuttavia, il punto massimo
dell'orgoglio che pu rivendicare il marxismo cri- tico indipendente stata la sua capacit di distanziamento
critico che ha saputo tenere per pi di settant'anni rispetto al socialismo
realizzato ed alle sue aporie, e cio rispetto al comunismo storico realmente
esistito (1917-1991). Quasi sempre questo distanziamento critico, che sarebbe
stato pagato con la morte o con la pri- gione negli stessi paesi socialisti, si
univa al consenso nei confronti della funzio- ne storica positiva di quegli
stessi regimi che avrebbero ucciso o incarcerato il dis- sidente socialista. In
questo non c' stato nessuna stupidit e nessun masochismo. C'era, invece, la
registrazione di una tragedia storica, del tutto incomprensibile per chi non ha
preventivamente capito (anche sulla base dellinsegnamento dei Greci) che la
storia di per s tragica, e la tragicit la sua fisiologia, non la sua patologia. Nel
clima di riscrittura della storia e di annientamento pianificato della memo-
ria, sembra oggi che in settant'anni si sia levata soltanto la voce della
signora Han- nah Arendt, che avrebbe detto che il socialismo era una forma di
totalitarismo, e che qualunque vita activa deve rifiutarlo con ribrezzo. In
altre parole, contestare il capitalismo non pu che portare al totalitarismo, in
quanto l'utopia, essendo ine- 371 CapitoLo XXXVI seguibile, non pu che portare
al terrore. E con questo la faccenda
chiusa, e pos- siamo tracciare un rigo sull'intero ventesimo secolo,
secolo della follia totalitaria. questa
la visione del mondo cialtrona della fallimentare generazione sessan- tottina,
che appunto ipostatizza il proprio grottesco fallimento in una sorta di di-
sincanto verso la storia universale. In altra parole, si giunge a Karl Popper,
Max Weber, Karl Lwith e Lucio Colletti attraverso la propria iniziazione alle
droghe nelle facolt occupate. E tuttavia, la natura miserabile di questi
buffoni non deve esimere dal discutere seriamente la categoria di
totalitarismo. Si tratta di una categoria tautologica, che non spiega nulla.
Kant avrebbe detto che si tratta di uno sterile giudizio analitico, in cui il
predicato gi contenuto nel soggetto. infatti evidente che una societ che impedisce
la libera organizzazione politica, punisce la libera espressione di opinioni
filosofiche, politiche e religiose, e si autolegittima attraverso una
pseudo-scienza deterministica e teleologico-neces- sitata della storia
universale (che per non si pu discutere liberamente pena im- prigionamento o
condanna a morte) totalitaria. E lo come lacqua
bagnata ed il sole asciutto. dunque necessario riprendere il metodo di
Marx e cercare di spiegare razionalmente il perch queste societ funzionavano cos
(e dove perman- gono - vedi Corea del Nord - funzionano ancora cos). Non si
tratta dell'equazione hegeliana Reale=Razionale, perch ho gi chiarito che il
reale (wirklich) in Hegel non
leffettuale, ma ci che per sua natura po- trebbe (dynamei on) essere
potenzialmente portato al suo concetto (ed
questa in poche parole linterpretazione che del marxismo ha dato Ernst
Bloch). Si tratta del buon vecchio principio leibniziano di Ragion Sufficiente,
per cui se per pi di set- tant'anni il comunismo reale (e non quello
utopistico-scientifico di Marx - los- simoro
chiaramente del tutto voluto ed intenzionale) stato cos, bisogner pur sempre spiegarlo in
modo materialistico (e cio strutturalistico), e non limitarsi alla spiegazione
ridicola, grottesca e demonologica per cui la teoria di Marx era perfetta, e
sarebbe bastato applicarla, ma purtroppo i malvagi burocrati mangioni l'hanno
tradita, mentre i vari teorici al loro servizio l'hanno fraintesa. Anche qui
siamo di fronte ad un paradosso che richiede brechtianamente una buona dose di
senso dell'umorismo e dello straniamento surreale: la spiegazione sociale meno
marxista del mondo viene proposta da gente che si dichiara soggettivamente mar-
xista, e punisce con la morte, la prigione, il licenziamento e la diffamazione
tutti coloro che, in nome di Marx, ne contestano le affermazioni. E tuttavia,
la lunga sto- ria delle religioni e del modo in cui le ortodossie puniscono le
eresie (roghi, torture, ecc.) ci offre pur sempre la chiave interpretativa
migliore. E tuttavia, c' un problema. Un kantiano potrebbe pur sempre
utilizzare il me- todo della contrapposizione del socialismo cos com' (sein) e
di come il socialismo dovrebbe essere (sollen). Ma i marxisti non possono
utilizzare l'appello ed il riman- do al sollen senza smentire il proprio metodo
hegelo-marxiano, che si costituito
proprio rinunciando al facile ricorso al sollen. Se il marxismo fosse una
religione, potrebbe sempre dire: La Santa Inquisizione brucia la gente, ma si
tratta di un tradimento dei Vangeli, perch Ges non lo vorrebbe. E se poi ci si
chiede perch 372 Il grande marxismo indipendente del Novecento Ges, essendo
Dio, lo consente, si pu sempre fare riferimento ai misteri della teo- dicea ed
alla scemologia leibniziana. Se il marxismo fosse un kantismo, potreb- be
sempre dire: Stalin fa cos e cos, ma non dovrebbe fare cos e cos (sollen), ed
invece dovrebbe applicare l'imperativo categorico del proletariato, che suona
cos: non fare al borghese ed al contadino quello che non vorresti che fosse
fatto a te. E soprattutto, Stalin dovrebbe applicare Marx, e cos tutto andrebbe
per il meglio. del tutto evidente che
per chi ha abolito Dio e lidealismo, e fa solo riferimento al cosiddetto (ed in
realt del tutto inesistente) tribunale della storia, non c' la possibilit di
ricorrere in extremis alle soluzioni religiose e kantiane, e cio alla teo-
dicea ed al formalismo. Bisogna cercare di spiegare storicamente e socialmente
per- ch Stalin stato cos e cos, senza
rifugiarsi nel bel marxismo originale e perfetto di Marx (che, come noto, non era marxista e non perdeva
occasione per dirlo). Questo impossibile
per una mentalit nevrotico-religiosa, che generalmente provoca la clonazione
psicologico-sociale di infinite mentalit paranoico-autorita- rie. Bisognerebbe,
infatti, giungere al dubbio iperbolico-diabolico per cui la classe operaia e
proletaria, non essendo in alcun modo una classe modale (e cio capa- ce di
gestire socialmente il passaggio da un modo di produzione ad un altro), co- stretta a garantire la sua egemonia
sociale complessiva (e cio piena occupazione, servizi sociali gratuiti e bassa
intensit di lavoro) attraverso forme di dispotismo sociale autoritario. Chi non
sarebbe infatti liberale, democratico, libertario ed anti- autoritario, se
appena potesse permetterselo? E tuttavia, dal momento che la religione marxista
si basa sulla premessa teologi- ca della modalit strutturale della classe
operaia sulla modalit della necessit storica del socialismo, ci si trova nella
situazione teologica classica, per cui tutto si pu chiedere a papa Ratzinger,
ma una sola cosa non gliela si pu chiedere, e cio di affermare pubblicamente
che Dio non esiste. In altri termini, il rifiuto di esaminare le due modalit
sopraricordate, impedisce ai marxisti ci che pure la loro prassi storica ha
costituito. In primo luogo, infatti, la classe operaia, salariata e proletaria
non affatto modale, nel senso che non ha
la capacit storica globale complessiva di effettuare il passaggio modale dal
modo di produzione capitali- stico al comunismo, ma nonostante sia sicuramente
oggetto di estorsione del plu- svalore assoluto e relativo e di sfruttamento
quasi sempre feroce (e che impedisce comunque il suo riconoscimento in senso
hegeliano), ha una collocazione allin- terno del modo di produzione pi o meno
simile alle collocazioni, anch'esse per nulla modali, delle classi degli
schiavi antichi e dei servi della gleba medioevali. In secondo luogo, la
categoria modale della necessit, che d luogo a giudizi apo- dittici, funziona
certamente per un grande insieme di fenomeni (dalla caduta dei gravi alla
previsione del decorso di una malattia incurabile), ma non funziona se
applicata alla storia universale dell'umanit intesa come un unico concetto di
tipo trascendentale-riflessivo, in cui semmai funziona il giudizio modale
problemati- co della possibilit potenziale (dynamei on), a sua volta distinto
dalla categoria di contingenza, casualit ed aleatoriet (kata to dynatn), che a
sua volta non che l'opposto categoriale
non dialetticamente mediato della categoria di necessit. 373 CarrtoLo XXXVI
L'impossibilit di effettuare questa radicale riforma religiosa ha di fatto
bloc- cato ogni vera riflessione sul socialismo detto veramente esistente.
Tutti coloro che vi si sono identificati hanno potuto farlo soltanto mettendo
fra parentesi il pensiero autentico ed originale di Marx, derubricato di fatto
ad una forma tardo- romantica di volenteroso utopismo inapplicabile nel duro
mondo machiavellico dei rapporti di forza. I rapporti di produzione sono
diventati integralmente rap- porti di forza, e nel migliore dei casi Marx diventato un predecessore utopista di von
Clausewitz. L'equazione hegeliana di reale e razionale stata cos interpretata attraverso una
teodicea materialista del migliore dei mondi possibili, per cui il reale
(identificato con i gulag di Stalin), diventa la forma pi razionale possi- bile
del corso necessitato della storia universale. Io ho conosciuto ancora molti
tipi umani sorti dal codice politico staliniano, che sono per ormai morti quasi
tutti per ragioni biologiche, essendo nati fra il 1900 e il 1920. Marx totalmente inutile per capirli. Si tratta di
profili antropologici caratterizzati da una compresenza schi- zofrenica di
ottimismo storico (il comunismo non solo
possibile, ma a tutti gli effetti
necessario, e verr certamente) e di pessimismo politico (siamo circondati da
traditori, revisionisti, agenti segreti, provocatori, e ci vuole vigilanza,
vigilanza ed ancora vigilanza!). Il fatto
che questa giustificata congiuntura emergenziale (non furono certo
costoro ad inventarsi Hitler e la CIA americana!) divent un abito politico
perma- | nente, e con questo abito essi vennero poi sepolti nel triennio
1989-91. La teoria trotzkista della burocrazia
in proposito esemplare per studiare questo rifiuto reli- gioso di
investire criticamente le proprie premesse teologiche. del tutto evidente, infatti, che la
burocrazia non esiste, esattamente come non esistono i diavoli della demonologia
cristiana, che hanno la sola funzione ideologica di spiegare il male nel mondo.
Intendiamoci: evidente che la burocrazia
esiste come aggregato so- ciologico di funzionari, che lucrano privilegi
personali e di gruppo approfittando del fatto di essere collocati in strutture
di direzione, amministrazione e comando (si tratta di un'ovviet comprensibile
anche ad un bambino delle scuole elementa- ri); ma se per burocrazia si intende
la forza maligna che impedisce la bellissima autogestione economica dei
produttori ed il meraviglioso autogoverno politico in- tegrale dei lavoratori,
essa non esiste, in quanto il presupposto della sua maligna esistenza, e cio
appunto questa unione armonica di autogestione economica e di autogoverno
politico integrali, deve essere a sua volta dimostrato. Ma siccome non pu
essere dimostrato, deve essere postulato. Ma ci che postulato, fa parte del modo kantiano di
pensare, e non di quello hegelo-marxiano. Il pensiero hegelo- marxiano,
infatti, non pu postulare nulla, ma deve dedurre logicamente tutte le determinazioni
logico-storiche. Cosa che il trotzkismo, ovviamente, non pu fare. Il
trotzkismo, quindi, rappresenta in un certo senso lanima bella (Hegel) e la
coscienza infelice (sempre Hegel) del comunismo storico novecentesco realmente
esistito. Staliniani e trotzkisti sono infatti i due poli di una unit storica,
ed esistono soltanto in correlazione reciproca essenziale. Essi non possono
essere pensati luno senza laltro, e per questo finch esister il loro odio
reciproco pregresso (che alme- 374 Il grande marxismo indipendente del
Novecento no a partire dal 1940 non ha pi alcun significato, se non di
protrarre una identit rigida e fantasmatica) non si uscir da questa impasse
tragicomica. in proposito superfluo
analizzare in questa sede le pur interessanti varianti sociologiche del
trotzkismo, dal cosiddetto collettivismo burocratico (Bruno Rizzi) alla formu-
lazione classica dello Stato operaio con degenerazione burocratica (Ernst
Mandel, Livio Maitan, ecc.), dalla teoria del capitalismo di Stato (Tony Cliff)
alla variante maoista-occidentale della borghesia di partito che restaura il
capitalismo (Charles Bettelheim). Nella loro differenza, si tratta sempre d
un'unica variante, quella della rivoluzione tradita (e tradita sempre dai
cosiddetti burocrati, mangioni, corrotti e revisionisti). Nonostante il tono di
estrema sinistra, questa critica al socialismo reale inteso come degenerazione
burocratica risale integralmente al marxismo della seconda in- ternazionale
(1889-1914), ed alla teoria kautskiana del primato delle forze produt- tive. La
burocrazia, infatti, mangia e ruba perch c' ancora la penuria, ed in condi-
zioni di penuria bisogna fare la fila, per controllare la fila ci vuole il
poliziotto, ed il poliziotto si serve per primo. Questo comporta
necessariamente l'esigenza di una accumulazione primitiva per ridurre la
penuria, e questa accumulazione primitiva pu anche chiamarsi socialista, ma di
fatto non potr che ripetere il modello di tutte le accumulazioni primitive
capitalistiche che si rispettino (sfruttamento dei contadini, abbassamento dei
prezzi agricoli, disciplina ferrea in fabbrica, mer- cantilismo di Stato,
ecc.). La categoria naturalistica di penuria sostituisce cos la categoria
marxiana di rapporto di produzione. Il pensiero di Mao Tse Tung costituisce per
un progresso rispetto a quello di Trotzky, perch lunico che in un certo senso spiega cosa successo nel triennio della restaurazione
capitalistica 1989-91. Secondo l'impostazione di Mao e dei suoi seguaci occidentali
(Charles Bettelheim, Gianfranco La Grassa, ecc.), dopo la rivo- luzione socialista
la borghesia si riforma incessantemente, ma non si riforma tanto attraverso la
piccola produzione mercantile (come pensava ancora Lenin), ma si riforma a
partire dalle strutture direzionali oligarchiche dello stesso partito comu-
nista. esattamente quello che si verificato in Cina dopo il 1976 ed in URSS
dopo il 1985 (le date sono peraltro poco indicative, perch ovvio che la scoperta di un tumore o di una
cardiopatia non coincide con l'avvio dei processi biologici che li hanno
determinati). Ma a questo punto bisogna ancora rispondere alla domanda: perch?
Non credo che la risposta vada cercata in una generica teoria della cosiddetta
natura umana nel senso di David Hume, per cui luomo sarebbe antropolo-
gicamente caratterizzato dallappropriazione privata, dallegoismo e
dallirresisti- bile tendenza alla propriet privata. La propriet privata
non l'equivalente eco- nomico della
fame, della sete e dell'impulso sessuale. Su questo punto la scienza
non-filosofica di Marx, e cio il materialismo storico, coglie a mio avviso
sempre il punto essenziale. L'appropriazione privata, con il connesso
sfruttamento capita- listico delluomo sull'uomo, sorge sul terreno della
divisione sociale e tecnica del lavoro, e si riproduce allinterno di questo
terreno, dando luogo incessantemente 375 CaprroLo XXXVI a formazioni
ideologiche di servizio che la giustificano. E cos continuer ad essere, finch
non si produrranno le condizioni materiali (qui, e soltanto qui, sta il
materialismo, che sempre e solo metafora
ideologica per indicare scientifi- camente lo strutturalismo e filosoficamente
luniversalismo dellemancipazione) dellemersione di un insieme di soggetti
storici capaci di gestire questo processo. In questo insieme di soggetti
storici, possibili ma non necessari, ci saranno proba- bilmente anche gruppi di
lavoratori manuali, ed anzi assai
probabile che ci siano. Ma da
abbandonare lidea, dimostratasi storicamente sbagliata, della titolarit modale
esclusiva della classe operaia e proletaria. Prima ci libereremo di questo
mito, e meglio sar. Per quanto mi dato
di vedere, i residui della comunit intel- lettuale e marxista non sono in grado
di effettuare quella che lepistemologo Kuhn ha correttamente chiamato una
rivoluzione scientifica. E non ne sono in grado anche perch continuano
stupidamente a non avere il coraggio di rispettare la fi- losofia per la
filosofia (Lwith), unica premessa per giungere poi ad una scienza il pi
possibile alleggerita da presupposti ideologici. E tuttavia io, parte
integrante a tutti gli effetti (e fiero di esserlo) del marxismo critico
indipendente, continuo a dare un giudizio storico positivo nellessenziale del
comunismo storico novecentesco realmente esistito, pur avendo conosciuto al suo
interno veri e propri mostri psicologici ed antropologici (ma anche persone
eccezionali per moralit ed intelligenza). Esso ha giocato un ruolo positivo sul
pia- no militare per rendere possibile molte guerre di liberazione contro il
colonialismo. Ed esso stato a suo modo
un vero e proprio katekon contro il pieno dispiegamento del capitalismo
assoluto. Ed proprio la mancanza di
questo katekon che caratte- rizza i nostri tempi. Sar questo il criterio
metodologico principale dei prossimi tre capitoli. 376 XXXVII LA FILOSOFIA DI
NIETZSCHE E LE RAGIONI STORICO-SOCIALI DEL SUO GRANDE SUCCESSO FRA GLI
INTELLETTUALI ED IL GRANDE PUBBLICO. LA CRITICA UNITARIA ALLE METAFISICHE
BORGHESI E ALLE METAFISICHE PROLETARIE La filosofia di Nietzsche, questo vero e
proprio scriba del caos (Ferruccio Ma- sini),
stata sempre fatalmente incorporata dentro quel vero e proprio isolatore
di stupidit che l'applicazione
generalizzata al dibattito filosofico della dicotomia politica Destra/Sinistra.
Con questo non intendo affatto dire, ovviamente, che que- sta dicotomia
politica non sia mai esistita, o sia stata sempre illusoria. Non lo penso
affatto. Al contrario, questa categoria storiografica in Europa esistita, eccome, ed esistita per almeno duecento anni
(1789-1989). Il chiarimento di questo problema
cruciale per la stessa comprensione della funzione sociale della
filosofia di Niet- zsche, e per questa ragione dovr essere discusso prima di
prendere in esame la filosofia di Nietzsche propriamente detta. bene infatti chiarire subito che Nietz- sche
non stato n di destra n di sinistra
(filosoficamente parlando, ovviamente, perch le sue opinioni politiche, quasi
sempre superficiali ed idiote, erano invece indiscutibilmente non solo di
destra, ma di estrema destra). Egli
stato semmai lindiscutibile precursore della fine della dicotomia
Destra/Sinistra, ed in questa ot- tica (indiscutibilmente inedita o quantomeno
poco praticata) bisogner studiarla. La dicotomia Destra/Sinistra completamente assente nel mondo antico ed in
quello cristiano-medioevale, e questo dimostra che non affatto necessaria per rappresentarsi
concettualmente il conflitto sociale in cui siamo necessariamente inseriti
allinterno di una divisione del lavoro classista della societ. E cos come in
passato non c' stata, in futuro potr non esserci pi (come il capitalismo, del
resto). Ed interessante come gli
storicisti, che affermano il carattere storico, e quindi provvisorio, di tutto
quanto esiste al mondo, affermino invece il carattere eterno, quasi parmenideo,
della dicotomia Destra/Sinistra, che in
effetti la loro religione laico-identitaria di riferimento, e per questo deve
essere eternizzata simbo- licamente. Ma leternizzazione, appunto, pu essere
imposta in via esclusivamente ideologica, e non resiste ad una critica
scientifica e filosofica di tipo dialettico. La dicotomia Destra/Sinistra sorge
per la prima volta nel 1791, a seconda di come gli eletti dell'Assemblea
Legislativa francese si siedono rispetto alla presidenza dell'assemblea. Chi si
siede alla sua sinistra di sinistra, chi
si siede alla sua destra di destra. I
giacobini sono di sinistra, i girondini di centro, i monarchici ed i foglianti
di destra, pi un centro amorfo chiamato palude, pronto a mettersi con chi pi forte (si tratta degli antenati del
moderno trasformismo). 377 CaprroLo XXXVII Questa collocazione simbolica assolutamente giustificata, e rappresenta un
trionfo dell'illuminismo, o pi esattamente dell'intelletto astratto appliacto
alla politica (Verstand). Mentre infatti la vecchia legittimazione del potere
era di tipo verticale, perch Dio stava sopra e gli uomini stavano sotto, la
societ borghese non pu tollerare alcuna normativit metafisica dei suoi
comportamenti e deve quindi delegittimare la divisione simbolica fra l'Alto ed
il Basso (richiamo qui lin- terpretazione che ho dato del criticismo di Kant e
della genesi del materialismo moderno di Maria Antonopoulou). Alla divisione
verticale fra Dio (l'alto) e gli uo- mini (il basso), si sostituisce una
divisione orizzontale, i cui poli sono costituiti da due posizioni alternative
fra chi interpreta il diritto naturale ed il contratto sociale in modo
egualitario (alla Rousseau, per semplificare) e chi invece li interpreta in
modo maggiormente disegualitario (alla Constant ed alla Locke, per
semplificare). Naturalmente, non si tratta di educate opinioni alternative da
seminario filosofico, ma di corposi interessi sociali contrapposti, che trovano
nello spazio simbolico della dicotomia il luogo della loro stabile coagulazione
identitaria. Non mi sogno affatto di negare questa corposa e materiale
evidenza, su cui si costruita la storia
degli ultimi duecento anni in Europa. Nego per che questa dico- tomia ricopra
una stabile dicotomia valoriale, come ha affermato Norberto Bobbio e la sua
scuola (Marco Revelli, ecc.). Essa resta lespressione di una rappresentazione
intellettuale (Verstand) di contrari, ma i contrari in storia non esistono,
perch esi- stono soltanto gli opposti in correlazione essenziale, e non esiste
un solo concetto (dal progresso alla conservazione, dalla religione allateismo,
ecc.) che non sia del tutto trasversale e diagonale alla dicotomia
Sinistra/Destra. Il fatto che un classi- ficatore politico venga immediatamente
trasformato in classificatore filosofico
un sottoprodotto particolarmente sgradevole dellidentificazione dello spazio
fi- losofico con lo spazio ideologico, e pi in generale della filosofia per la
filosofia (Lwith). Hegel aveva opinioni politiche che secondo Peperzak
potrebbero essere definite oggi di centro-sinistra, e Marx aveva indubbiamente
opinioni politiche di sinistra, o pi esattamente di estrema sinistra. E
tuttavia il sistema filosofico di Hegel non
ovviamente n di destra n di sinistra, ed il fatto che sia stato utiliz-
zato a destra (Gentile), al centro (Croce), ed a sinistra (Bloch, Lukcs, ecc.)
fa parte della storia delle sue interpretazioni, e non certo della sua natura
teorica. In quanto a Marx, la critica dell'economia politica, il materialismo
storico e la scienza filoso- fica della valutazione della totalit espressiva
della societ delle merci, non sono ovviamente n di destra n di sinistra, e si
sono anzi costituiti geneticamente contro l'insieme delle ideologie politiche
della sinistra del suo tempo (Owen, socialismo utopistico, Proudhon, socialismo
ricardiano, sindacalismo laburista inglese, lassal- lismo tedesco, ecc.). A suo
tempo, il filosofo francese Alain rilev che chi nega la dicotomia Destra/
Sinistra in realt di destra, perch
afferma una sorta di naturalismo ideologi- camente neutrale, sostenendo che la societ
deve essere diretta in modo non ide- ologico, ma secondo criteri scientifici,
che in quanto tali non sono n di destra n di sinistra, cos come non lo sono i
criteri per dirigere unacciaieria o per guidare 378 La filosofia di Nietzsche e
le ragioni storico-sociali del suo grande successo una nave. Le regole
dellabilit ed i consigli della prudenza - per dirla con Kant non sono effettivamente n di destra n di
sinistra. Alain aveva ragione, in quanto ai suoi tempi la teoria della
neutralit della direzione sociale complessiva della societ derivava dalla
teoria positivistica di Comte degli ingegneri sociali e della teoria delle
cosiddette lites, per cui impossibile
evitare comunque una deriva oligarchica della societ complessa moderna (Mosca,
Pareto, Michels, e soprattutto appunto Nietzsche e Max Weber). Oggi, per, le
cose sono cambiate dai tempi di Alain, e ripetere il mantra di Alain come se
fosse indiscutibile diventato ideologi-
co ed insensato. Capire bene perch lo
diventato anche la migliore
introduzione ontologico-sociale al significato complessivo del pensiero di
Nietzsche. Nella misura in cui ha rispecchiato per quasi due secoli in Europa
(ed ancora lo fa in molte parti del mondo oggi, dal Nepal al Venezuela, che non
vedo perch de- vono essere considerati meno importanti della Spagna o della
Francia oggi, ove oggi significa ai tempi dell'impero americano e
dell'occupazione militare dell'Eu- ropa da basi atomiche straniere) reali
interessi economici e politici in conflitto, la dicotomia Destra/Sinistra pu
essere definita come un complesso ideologico-simbolico, che riflette la
sovrastruttura di una certa fase della storia del capitalismo stesso, dopo che
lorizzontalizzazione spaziale del conflitto ha sostituito la sua precedente
verticalizzazione. In quanto complesso ideologico, la dicotomia ha permesso
agli attori sociali in conflitto di rappresentarsi la propria prassi di lotta.
In quanto com- plesso simbolico, la dicotomia ha permesso agli stessi attori
sociali di consolidare e solidificare la costituzione politica di stabili
identit collettive (il patriottismo di partito e del cosiddetto popolo di
sinistra, ecc.). In quanto complesso ideologico- simbolico unificato, la
dicotomia ha permesso di strutturare la principale sovra- struttura degli
ultimi duecento anni. Mentre infatti larte, la religione, la filosofia e la
scienza non sono n sovrastrutture n ideologie, ma forme permanenti della ri-
flessione umana sul mondo, e quindi per loro stessa intima natura non sono e
non possono essere n di destra n di sinistra, le loro pittoresche ricadute
ideologiche (ideologica! fall-out) invece ovviamente lo sono. Lo sono,
certamente, ma non sempre. Lo sono, infatti, fino a che la sovranit economica,
politica e militare dello Stato-nazione continua ad esistere, e finch il
conflitto sociale ancora parzialmente
sovrano, e non si ridotto a protesi
politologica artificiale per la mobilitazione orgasmatica pre-elettorale, ed a
un in- sieme di contrapposizioni simboliche su questioni del tutto irrilevanti
(matrimoni gay s o no, crocifissi nelle aule s o no, pittoresche grida rauche
identitarie degli sportivi delle due squadre, caroselli rumorosi di automobili
dei rispettivi fan il giorno della irrilevante vittoria elettorale, ecc.). In
altre parole, la dicotomia Destra] Sinistra continua ad avere un minimo di
significato storico-politico in presenza di un orizzonte di sovranit, ma lo
perde quando entrambi i poli concordano su due punti essenziali liberandosi per
di pi (con opportune leggi elettorali maggiori- tarie) dei due estremi
rompiballe di ntrambi gli schieramenti. In primo luogo, la dicotomia perde ogni
validit se si afferma la sovranit di organismi economici sistemici (Banca
Mondiale, Fondo Monetario Internazionale, Banca Europea, ecc.) 379 CaprroLo
XXXVII che svuotano interamente la decisione politica, che non pu che
ratificare quanto hanno deciso bande di economisti mascalzoni che parlano tra
loro in inglese come gli aruspici parlano fra loro in etrusco ed agitano
pipe-totem blaterando in un in- comprensibile gergo
scettico-empiristico-utilitaristico. In secondo luogo, la dicoto- mia perde
ogni validit se nessuno mette pi in discussione il dominio dell'impero militare
USA, che si mette sotto le scarpe il diritto internazionale fra stati ed arroga
a se stesso il diritto messianico di giudicare unilateralmente il corso del
mondo e di bombardare a suo piacimento i cosiddetti stati-canaglia (rogue
states). La caduta ingloriosa del comunismo storico novecentesco (1917-1991),
da me criticato radicalmente, ma anche ritenuto un provvidenziale katekhon
storico, ha indubbiamente accelerato lobsolescenza della categoria, che
oggi difesa in gene- re con patetici
ideal-tipi alla Weber, completamente destoricizzati e desocializzati (in Italia
si distingue in questo penoso compito bobbiano-operaista Marco Revel- li, che
cumula cos due delle tradizioni culturali pi astratte ed intellettualistiche
dell'intera Via Lattea). Oggi la dicotomia
uno zombie, ma come tutti i vampiri che vengono tirati fuori dopo
mezzanotte dai castelli della Transilvania, essa continua a spaventare tutti
coloro che volessero gettare uno sguardo nuovo sul mondo, che in genere si
ritraggono atterriti quando la pressione del Vampiro-Capo, il politica- mente
corretto imposto dagli apparati ideologici normalizzati, li terrorizza accu-
sandoli di neo-nazismo, di fascismo mascherato, di alleanza segreta con il
Grande Berlusca, ecc. + Ma tutto questo cosa ha a che fare con la valutazione
filosofica di Nietzsche? Gi, proprio qui sta il problema. Problema, per altro,
di facile soluzione, non appe- na sia stato impostato nel modo giusto, come
cercher di fare. Il problema-Nietz- sche, infatti, molto pi facile del problema-Kant, del
problema-Hegel, e soprattutto del problema-Marx. Basta solo affrontarlo con il
metodo giusto. Nietzsche, questo scriba del caos, la porta girevole per entrare nella critica
della fondazione del profi- lo ideologico unificato europeo (e cio il mito del
progresso), profilo che comune e che
precede il suo sdoppiamento posteriore, avvenuto circa a met Ottocento, fra il
profilo ideologico borghese di destra ed il profilo ideologico proletario di
si- nistra, sdoppiamento che ha caratterizzato pi di un secolo (sorto intorno
al 1870, si esaurisce in Europa nel ventennio 1970-1990). In quanto porta
girevole, ed indi- pendentemente dalle sue penose opinioni reazionarie da
frustrato piccolo-borghe- se tedesco gonfio di pregiudizi ripugnanti (ma -
ripeto non su questo terreno da birreria bavarese che lo
si deve giudicare), il nostro Nietzsche resta uno dei pi grandi filosofi
dell'intera tradizione occidentale, e non
neppure difficile spiegare il perch, se appena si esce dalla tragicomica
simulazione ideologica Destra/Sinistra. Uno degli aspetti pi paradossali del
caso-Nietzsche, che richiede per essere compreso una sana dose di senso dell'umorismo,
dote completamente assente nel- la stragrande maggioranza dei filosofi
universitari, sta in ci, che il filosofo noto per essere un cantore
dellaforisma, del frammento e del rifiuto del sistema, invece uno dei pensatori pi rigorosi e
sistematici dell'intera storia della filosofia occidentale. La sua infatti unantropologia politica,
rigorosamente dedotta da una 380 interpretazione fortissima (altro che pensiero
debole) della storia dell'Occidente. Personalmente, non conosco filosofia della
storia tanto rigorosa e lineare come quella di Nietzsche, in un pensatore cio
che la vulgata storiografica presenta in generale come un distruttore ed un
dissolvitore di qualunque possibile filosofia della storia. In confronto a
quella di Nietzsche, persino le filosofie della storia di Hegel e di Marx
appaiono aporetiche e problematiche. Il fatto che gli sciocchi non lo
capiscano, e prendano sul serio i luoghi comuni storiografici, un argomento in pi per invitare le persone
intelligenti ad un riorientamento gestaltico. L'antropologia politica di
Nietzsche presuppone la conoscenza di due presup- posti. In primo luogo, la sua
interpretazione dilettantesca e quasi totalmente in- fondata della storia
dell'Occidente, storia riassunta sotto lunica categoria di de- cadenza. In
secondo luogo, la sostituzione della precedente costituzione forma- listica del
soggetto (Cartesio, Kant, ecc.) con una nuova costituzione vitalistica ed
energetista di esso, che riprende peraltro, radicalizzandoli, molti aspetti
della costituzione del soggetto di David Hume (il che fa del pensiero di
Nietzsche una sorta di utilitarismo eroico mascherato). Questa radicale
modificazione della te- oria del soggetto d luogo ad un sistema filosofico
dellarbitrio sistematico, e larbi- trio viene posto a fondamento del mondo.
Dalla costituzione formalistica del sog- getto si passa cos ad una costituzione
interamente arbitraria del soggetto stesso. Le ragioni di questo passaggio non
possono essere trovate allinterno del dibattito filosofico propriamente detto (e
tanto meno allinterno di quella sua caricatura che il dibattito interno alla cosiddetta comunit
universitaria). Esse devono essere cercate allesterno, nella storia reale.
Nietzsche deve essere sottoposto al suo stesso metodo, quello della genealogia
della morale (in questo caso, dell'analisi genealogi- ca della sua stessa
morale perch evidente che limmoralista Nietzsche stato forse lultimo dei grandi moralisti
della tradizione filosofica occidentale che co- nosciamo). Non sar difficile
mostrare questo. Prima per per liberarci di interpre- tazioni poco
convincenti, bene prenderne
sommariamente in esame alcune, per poi rifiutarle cortesemente. In primo luogo,
vale la pena di esaminare linterpretazione di Karl Lwith espo- sta nel suo
notevole libro Da Hegel a Nietzsche. Lwith
mosso sempre dal suo progetto di delegittimazione integrale dello spazio
conoscitivo e veritativo della cosiddetta filosofia per la filosofia, suo obiettivo
polemico principale. Con una sorta di gioia maligna, fondata peraltro su di una
conoscenza filologicamente ec- cellente della storia della filosofia stessa,
Lwith constata il progressivo dissolvi- mento del sistema hegeliano dopo il
1830, e lo interpreta come la fine definitiva di una perniciosa illusione. La
fine di questa perniciosa illusione travolge ovvia- mente anche Marx, il vero
obiettivo polemico di Lwith, ed a questo punto nulla pi si oppone alla
liquidazione di Marx come punto estremo della secolarizza- zione del
messianismo ebraioco-cristiano nel linguaggio dell'economia politica.
Nonostante il professore universitario Lwith non si riconosca integralmente nel
martellare scomposto ed urlante di Nietzsche (un po di educazione, per
favore!), egli ne condivide i propositi distruttivi, e lo assume becchino delle
illusioni fi- 381 CarrroLo XXXVII losifche. Vale la pena notare un fatto
marginale e microscopico, ma significativo. Allinterno della scuola filosofica
torinese di Nicola Abbagnano (il pendant laico dello stesso odio verso la
filosofia e verso Hegel il cui pendant marxista
stato la scuola marxista di Della Volpe e di Colletti) era possibile
laurearsi in filosofia senza avere mai letto la Fenomenologia dello spirito e
la Scienza della logica di Hegel (laddove la Critica della ragion pura di Kant
era eretta a bibbia filosofica definitiva), ma in compenso era consigliata la
lettura di Da Hegel a Nietzsche di Lwith. Solo un incurabile ingenuo pu a
questo punto non avere ancora capito che la distruzione del sistema di Hegel solo un pretesto per fare passare quello che
si ritiene invece essenziale, e cio la delegittimazione integrale dello spazio
conoscitivo e veritativo della filosofia per la filosofia. La filosofia del
martello di Nietzsche infatti assunta
non tanto perch mar- tella il cristianesimo, il platonismo ed il socialismo
(anche se si tratta pur sem- pre di graditissimi danni collaterali), ma proprio
perch consente di martellare lodiata filosofia per la filosofia. In quest'opera
di demolizione della cosiddetta metafisica la strategia Lwith, mentre la tattica distribuita fra Hume e Kant. In secondo
luogo, esiste una lettura di Nietzsche che non mira affatto a demolire la
filosofia in quanto tale, che viene anzi riabilitata e rispettata, ma tende a
sostituire la filosofia di Hegel e di Marx (considerata metafisica), con
lesistenzialismo ed il potenziamento del soggetto. Esempi di questa lettura
sono i libri di Gilles Deleu- ze Nietzsche e la filosofia e di Karl Jaspers
Nietzsche. Introduzione alla sua filosofia. In proposito Jaspers, che non perde
quasi mai l'occasione per dire pompose banalit, fa di Nietzsche il precursore,
insieme con Kierkegaard, della filosofia esistenzia- listica, che rompe con la
pretesa di razionalizzare tutto (ovviamente Hegel; e ti pareva!), rottura di
cui lesistenzialismo (e Jaspers in particolare) sarebbe lerede. Questo
arruolamento di Nietzsche, lanticristo armato di martello, di Kierkegaard, il
cupo protestante maniaco ossessionato dalla predestinazione del suo Dio lute-
rano, sicuramente un'operazione di
altissimo umorismo, di cui bisogna essere grati a Jaspers. In quanto a Deleuze,
a differenza di Jaspers, si ha a che fare con un pensatore che non mai banale. Deleuze riconosce il carattere
integralmente sistematico della filosofia di Nietzsche, contro coloro che ci
vedono soltanto un in- sieme caotico di aforismi sparsi (e che in questo modo
nobilitano la loro personale mancanza di rigore attribuendola anche a
Nietzsche, che diventa cos il nobile alibi della loro mediocrit) ed individua
nella Genealogia della Morale il punto pi alto di questa sistematicit.
Naturalmente, anche per Deleuze il valore delloriginalit filosofica di
Nietzsche sta nella distruzione del sistema di Hegel. Una osservazione. Lwith,
Jaspers e Deleuze sono filosofi diversi, che voglio- no cose diverse e
sostengono cose diverse. E tuttavia il fatto che il loro insistito minimo comun
denominatore sia la pulsione alla distruzione di Hegel non pu essere
considerato casuale. C' evidentemente qualcosa di storico-genetico e di
ontologico-sociale che porta a questa vera e propria ossessione della
distruzione di Hegel, che va da pensatori sostanzialmente marginali e mediocri
come Nicola Ab- bagnano e Galvano Della Volpe a pensatori indubbiamente pi
solidi, importanti 382 La filosofia di Nietzsche e le ragioni storico-sociali del
suo grande successo ed epocali come Jaspers, Deleuze e soprattutto Lwith, il pi
importante di tutti. Cerchiamo di scoprire dove sta l'enigma, ed il
problema-Nietzsche sar in parte risolto. In terzo luogo, infatti, bisogna
esaminare il grande autore che ha capito il pro- blema del rapporto
Hegel-Nietzsche, e cio il Lukcs del grande libro La Distru- zione della
Ragione. Opera oggi ignorata e diffamata, su cui qualunque analfabeta
politicamente corretto ritiene di avere il diritto di sputare, e che rester invece
sulla lunga distanza quando i ridicoli conformisti del coro alla moda oggi
saranno gi da tempo dimenticati. curioso
che Lukcs venga sommariamente connota- to dagli analfabeti come stalinista,
laddove il suo libro stato scritto
contro gli stalinisti del tempo, che sostenevano che la filosofia di Hegel
fosse una reazione aristocratica alla rivoluzione francese. Lukcs sostiene
esattamente il contrario di ci che era sostenuto dalla filosofia stalinista
(Judin, Rosenthal, Mitin, Zdanov, ecc.). E tuttavia, la sua valutazione di
Nietzsche non a mio avviso del tutto
con- vincente, e vale la pena dire sia pure sommariamente il perch. La
Distruzione della Ragione non una
lavagna dei cattivi, anche se i cattivi ci sono (dall'ultimo Schelling a
Schopenhauer, da Kierkegaard a Nietzsche, che
il pi cattivo di tutti, in quanto
definito il pensatore-guida dellepoca imperiali- stica della decadenza
borghese). E non una lavagna dei cattivi
perch in realt una legittima
interpretazione generale del recente passato e del presente storico rielaborata
attraverso la mediazione di una lettura della storia della filosofia. interessante in proposito rilevare che la
caccia ad Hegel sempre permessa, e se
qualcuno la fa un geniale smascheratore
della metafisica da ringraziare (Abba- gnano, Della Volpe, Jaspers, Deleuze,
Lwith, ecc.), mentre se qualcuno si azzarda a fare il contrario (LukAcs, ma
anche Bloch, ecc.), subito si alzano rauche grida di dogmatismo, stalinismo,
metafisica, pensiero premoderno, ecc. Anche per questo, ci vogliono ampie dosi
di senso dell'umorismo (e delle proporzioni). Solo chi capi- sce che lantipatia
verso Hegel un fatto sociale ( infatti
un fatto sociale la pretesa che la filosofia possa giudicare il primato dell'economia
e della politica che lo aval- la) pu capire questo (semplicissimo) segreto. Per
usare il linguaggio delle staffette di atletica, Lukcs ritiene che Hegel ab-
bia passato a Marx il testimone del filo rosso della storia della filosofia
moder- na, e cio il filo rosso del razionalismo dialettico del progresso. In
questa ottica, evidente che la
valutazione negativa di Nietzsche quasi
automatica, ed anche facile, perch basta
ricordare e citare le dichiarazioni numerosissime fatte da Niet- zsche sulla
necessit di trattare i negri e gli operai come schiavi, in modo che non rompano
le scatole e permettano agli spiriti liberi e colti di fare una vita activa
senza lavorare. E tuttavia, queste opinioni da ubriacone e da frequentatore
abituale di birrerie tedesche, unite alle simpatiche opinioni antifemministe di
un signore che era sistematicamente scavalcato dagli amici nella realizzazione
delle sue normali concupiscenze, non sono a mio avviso significative per
comprendere il problema- Nietzsche, in quanto la lettura di Lukcs presenta
alcuni difetti di fondo. CaprroLo XXXVII Nellessenziale, io condivido la tesi
di fondo di Lukdcs. Anche per me, infatti, Hegel passa in un certo senso il
testimone a Marx, e dopo Hegel c' sostanzial- mente solo Marx. Certo, una
simile affermazione pu essere fatta soltanto in base ad una ricostruzione
sensata della storia del pensiero occidentale, ricostruzione che del tutto arbitraria e deve riconoscersi
apertamente come tale, laddove invece Lukcs ci vedeva una sorta di corso
progressista e provvidenziale della storia. A mio avviso, proprio per difendere
il nucleo razionale della tesi della continuit virtuosa Hegel-Marx, bisogna
rinunciare al presupposto necessitaristico marxi- sta, per cui esisterebbe un
corso oggettivo della storia universale che porterebbe al comunismo in modo
deterministico-teleologico. Lukcs ancora
dentro questa tradizione, mentre io ritengo di non esserlo pi (e questo fra
laltro giustifica la composizione di unontologia dell'essere sociale che
riprende il progetto lucaccia- no modificandolo radicalmente). Possiamo dire
che Marx riceve idealmente il testimone da Hegel? Nellessen- ziale s, possiamo
dirlo, e questo lo hanno capito perfettamente tutti i nemici co- muni di Hegel
e di Marx (da Karl Lwith all'ultimo Lucio Colletti), i quali ne trag- gono
ovviamente conclusioni filosofico-politiche opposte a quelle che ne traggo io.
E tuttavia non si pu passare sotto silenzio il fatto che quella di Marx certamente anche una scienza filosofica, ma
lo in modo implicito e contradditorio,
perch filologicamente vero (e Lwith lo
documenta ampliamente nel suo studio Da Hegel a Nietzsche) che Marx era
approdato alla stupida e suicida convinzione del fatto che la filosofia non era
che una forma di ideologia sovrastrutturale, e che bisognava or- mai passare ad
una scienza integralmente non-filosofica. Venivano cos, di fatto, aperte le
porte alla prima formazione ideologica marxista del ventennio 1875-1895, e
venivano cos anche, sia pure indirettamente, avvallate le posizioni della
seconda formazione ideologica marxista del ventennio 1918-1938. difficile sostenere, in- fatti, che il
marxismo deriva da Hegel, quando entrambe le formazioni ideologiche marxiste
1875-1895 e 1918-1938 si contrappongono frontalmente ad Hegel sul punto
principale ed essenziale del suo pensiero, e cio la riaffermazione del
carattere veritativo e conoscitivo dell'attivit filosofica in quanto tale (la
l6withiana filosofia per la filosofia), che nel corso di tutto questo mio
lavoro ho interpretato in chiave di ristabilimento del punto di vista
ontologico dei Greci. Lukcs sembra pensare che vi possa essere una continuit
Hegel-Marx-Marxi- smo. Era perfettamente possibile che lo si pensasse ai suoi
tempi e si interpretassero le patologie evidenti del socialismo come malattie
infantili di un organismo in cre- scita. Si tratta anche per Lukcs di quello
che potremmo marxianamente chiamare la falsa coscienza necessaria degli agenti
storici (nel caso di Lukcs, degli agenti ideologici). Oggi ritengo che non
possiamo pensarlo pi, e questo non pu che in- fluenzare anche il nostro modo di
valutare Nietzsche nel suo complesso. Nietzsche non ha infatti semplicemente
interrotto una continuit virtuosa nel passaggio ideale del testimone della
staffetta Hegel-Marx-marxismo-Lenin. Nietzsche ha testimoniato, seppur in modo
provocatorio e spesso sgradevole, che questa con- tinuit non cera, ed era stata
semmai interrotta dal positivismo. 384 La filosofia di Nietzsche e le ragioni
storico-sociali del suo grande successo In quarto luogo, deve certamente essere
preso in considerazione il monumen- tale studio di Martin Heidegger intitolato
Nietzsche. un errore per interpretarlo
come se si trattasse di uno studio monografico su Nietzsche, perch non nulla di tutto questo. Nietzsche unicamente un pretesto per esporre la
filosofia della storia dello stesso Heidegger, e non ha dunque nessuna
importanza che la sua figura storica corrisponda oppure no al profilo che
Heidegger disegna. Heidegger presenta Nietzsche come il filosofo il quale,
concependo lessere come volont di potenza (e cio come volont della volont, come
volont di non essere null'altro che se stessa), conclude la storia della
metafisica e nello stesso tempo rivela che cosa la metafisica sempre stata: un pensiero che dimentica la
questione dell'essere che apparentemente essa stessa pone e si limita alla
considerazione dell'ente, un approccio nichilistico che Nietzsche non fa che
completare e svelare, proprio per- ch Nietzsche
deliberatamente e dichiaratamente nichilista, e non crede che ci sia
nulla dietro la volont di potenza degli enti stessi. Dichiarando che lEssere
non esiste, Nietzsche non avrebbe cos distrutto con il suo martello la
filosofia prece- dente, ma avrebbe semplicemente portato a conclusione una
tendenza immanente fin dalla critica di Platone e Parmenide. La correttezza del
percepire un oggetto con gli occhi della mente, ritenendo che questo stesso
oggetto ideale sia l'essere (idea come eidos, oggetto visibile, e verit come
correttezza dello sguardo ideale, ortho- tes), avrebbe cos spodestato il vecchio
modo della sapienza premetafisica (sophia), spodestando cos anche la
comprensione della verit come non-nascondimento - (aletheia). Ho riassunto qui
brevemente per comodit del lettore le note tesi di Hei- degger su Nietzsche, ma
ci che conta ora commentarle
criticamente. La pittoresca ignoranza di Heidegger del metodo genetico di Marx,
considerato dagli ambienti universitari tedeschi dellepoca un pensatore
non-rispettabile ed un economista ricardiano, fa s che Heidegger non sospetti
neppure che chi ricostru- isce ipoteticamente la storia della filosofia greca
debba tentare anche di fornirne un'analisi genetica. E quindi Heidegger non
sospetta neppure che il fuoco sem- previvo di Eraclito sia una metafora
naturalistica della costituzione democratica isonomica (Diodoto), che il
riferimento di Anassimandro allapeiron segnali la ne- cessit di intervenire
socialmente sull'illimitatezza e lindeterminatezza private, e che infine
lessere di Parmenide, lungi dall'essere una cosa oppure lo sfondo di una cosa,
sia la metafora della stabilit e della permanenza eterna della buo- na
legislazione pitagorica, ecc. Il suo metodo provocatoriamente destoricizzato e
desocializzato ovviamente impedisce questa analisi e questa consapevolezza ge-
netica, e non si pu arrivare in questo modo che a genericit sapienziali del
tutto astratte, che nel suo allievo italiano Severino giungono a vertici di
inconsapevole comicit. Chiediamoci spregiudicatamente: vero oppure no che nel pensiero antico si verificato uno slittamento da una considerazione
veritativa dell'ascolto delles- sere (aletheia) ad una considerazione puramente
accertativa della sua riduzione ad ente (orthotes)? Da come risponderemo a
questa domanda dipende il nostro giudi- zio di plausibilit sul modo
heideggeriano di fare storia della filosofia. 385 CarrroLo XXXVII Assumiamo
pure come esatta l'ipotesi storiografica di Heidegger, per cui la metafisica
occidentale nasce da uno slittamento dalloriginario atteggiamento di ascolto
del disvelamento dell'essere (aletheia) al nuovo atteggiamento della corret-
tezza della visione mentale dell'ente scambiato per essere (orthotes). Ebbene,
anche se cos fosse, quali ne sono state le cause storico-genetiche ed
ontologico-sociali? Heidegger sembra non sospettare neppure che vi sia il problema.
Ma noi invece sospettiamo che esista, e dobbiamo quindi cercarne la soluzione.
A me sembra che la soluzione stia nel fatto che fino a quando permaneva la
societ spontanea pri- mitiva basata sull'unit intuitiva del macrocosmo naturale
e del microcosmo so- ciale non era per nulla socialmente necessario determinare
l'esattezza della collo- cazione degli enti nel mondo politico artificialmente
costruito (orthotes), e non era necessario neppure stabilire la misura (metron)
del rapporto armonico (isorropia) fra gli enti scambiabili (chremata), ma era
sufficiente ascoltare la tradizione pre- razionale (aletheia). Heidegger non
sospetta neppure che vi sia una genesi sociale delle categorie del pensiero, e
per questa ragione parla di erramento, sviamento, ed altre consimili categorie
teoriche dilettantesche, completamente destoricizzate e desocializzate. In
quanto ad allievi minori come Severino, ritengo che non siano neppure in grado
di sospettare che vi sia qui un problema genetico, e che credano veramente in
buona fede che ci sia gente che non si sbaglia pensando che lEssere ci sia, e
non possa non essere, mentre ci sia altra gente che si sbaglia ritenendo in-
vece (gli sciocchi!) che lEssere potrebbe anche non esserci da sempre, ma sia
stato creato (sciocchi credenti), oppure si modifichi storicisticamente nel
corso storico (sciocchi marxisti e sciocchi capitalisti, che per almeno pagano
bene la collabora- zione a Il Corriere della Sera oppure al Il Sole 24 Ore).
L'incapacit di Heidegger di dedurre la storia della metafisica a partire dalla
genesi sociale delle sue categorie (ci che fa paradossalmente di Heidegger un
ne- okantiano inconsapevole), fa s che da un lato egli colga il punto
essenziale ( vero infatti che esiste una storia terrena della metafisica), e
dall'altro che non ne sia assolutamente in grado di farne veramente la storia.
Ma su questo punto cruciale torner nel prossimo capitolo. Per ora mi limiter a
discuterne l'incapacit a dare conto realmente di Nietzsche. Nietzsche, infatti, il primo pensatore che ha avuto finalmente il
mandato sociale indiretto per l'abbandono della costituzione for- malistica del
soggetto in favore di una costituzione di esso, che definir della sua
costituzione arbitraria integrale. In Cartesio la costituzione formalistica del
soggetto (il Cogito) aveva il compito sociale (si trattava - ovviamente di un mandato indiretto e non certo di un
ordi- ne da eseguire emanato da un gruppo di borghesi) di azzerare tutto il
vecchio mondo simbolico, allegorico e metaforico della cultura signorile e
feudale. ci che si chiama oggi, in
linguaggio informatico, reset. In unepoca storica in cui si stava
progressivamente affacciando il lavoro astratto, era necessario che il pensiero
astratto che inevitabilmente doveva
accompagnarlo si dotasse di un soggetto
astratto che ponesse di fronte a s un mondo liscio, totalmente materiale, in
cui potesse liberamente scorrere la merce capitalistica. Nello stesso tempo, ai
tempi 386 La filosofia di Nietzsche e ie ragioni storico-sociali del suo grande
successo di Cartesio era ancora impensabile che una societ potesse esistere
senza il riferi- mento ad un mondo religioso sottostante (sub-stantia), ed ecco
perch in Cartesio ci sono non solo le idee innate, ma anche la riaffermazione
sia dellesistenza di Dio sia della sua dimostrabilit razionale. In Kant Ia
costituzione formalistica del soggetto ha gi fatto passi avanti qua- litativi,
dovuti alla maggiore maturit borghese-capitalistica dellepoca storica
tardo-settecentesca. Cartesio non poteva ancora essere socialmente illuminista,
ma Kant pu gi esserlo. Il soggetto formalmente costituito (appercezione
trascen- dentale, Io Penso) riconosce come veramente conoscibile ci che si
trova nello spa- zio e nel tempo, e quindi non pu in alcun modo dimostrare Dio,
che per definizio- ne si trova al di fuori dello spazio e del tempo che sono
sotto il nostro controllo. Da un lato, vengono politicamente e socialmente
delegittimate le pretese normative della metafisica, che era ancora la
copertura ufficiale della legittimazione delle societ tardosignorili.
Dall'altro, questa delegittimazione giungeva tardi (Hegel avrebbe detto che -
come la nottola di Minerva giungeva al
crepuscolo), perch la legittimazione della nuova societ capitalistica non si
basava pi sulla religione (come afferm opportunamente pi di un secolo dopo
Anton Pannekoek in una sua polemica con la filosofia di Lenin), ma sulla
performativit del nuovo mercato capitalistico di assicurare un flusso costante
di consumi. Nello stesso tempo, anche al tempo di Kant era ancora socialmente
impensabile azzerare integralmente la religione, e farla diventare una sorta di
optional privato, come l'ascolto della musica sinfonica o la raccolta di
francobolli. E per questo Kant propose una nuo- va metafisica universalistica di
tipo morale basata sul dovere e sull'imperativo categorico, metafisica che
piacque subito alla borghesia, per il semplice motivo che la sua normativit
astratta era di fatto socialmente inapplicabile, esattamente come le prediche
domenicali dei preti e come le (future, ma gi vicine) prediche marxiste del
kautskismo della seconda internazionale (non a caso robustamente neokantiano).
In David Hume, invece, la costituzione formalistica del soggetto giunge al suo
culmine con la distruzione dello stesso concetto di soggetto come sede di
uniden- tit stabile e permanente. Hume non ha alcun bisogno di identit stabili
e perma- nenti, perch il suo concetto ipostatizzato di natura umana ricopre
integralmen- te lo scambio capitalistico delle merci, e si riassume in un sistema
psicologico di anticipazioni e di aspettative. E cos come la critica alla
categoria di causalit non ha ovviamente nulla a che fare con le palline del
biliardo (come credono gli scioc- chi lettori delle dossografie scolastiche),
ma uno strumento metaforico contro la
teoria della causazione politica della societ tramite il contratto sociale
basato sul diritto naturale (Hume consiglia di gettare via tutti i libri che
parlano di inesistenti diritti naturali), nello stesso modo la sparizione
humeana del soggetto ha la fun- zione di fare diventare la produzione
capitalistica unit di soggetto e di oggetto. Se c' infatti un pensatore
ultrametafisico il cui pensiero si basa sull'unit integrale di soggetto e di
oggetto, questo proprio Hume. La
cosiddetta fallacia naturalisti ca, poi adeguatamente ripresa sotto altro nome
da Max Weber, che praticamente wr CarrroLo XXXVII impedisce di emettere giudizi
di valore direttamente sui giudizi di fatto (in questo caso, il fatto della
produzione capitalistica naturalizzata, e quindi ipostatizzata), ha la funzione
di creare una cortina fumogena su questo insieme di mistificazioni e di
ipostatizzazioni. Il mondo di Hume non ha gi pi bisogno di legittimazione
religiosa, e cio gi visibile nelloperetta Storia Naturale della Religione,
che un manuale di ateismo integrale,
ricoperto di ipocrita scetticismo (nel mondo capitalistico, che si basa su di
una generalizzata ipocrisia integrale, lateismo manifesto malvisto, perch po- trebbe offendere una
parte dei consumatori, mentre lo scetticismo
ben visto, per- ch corrisponde meglio alla natura snobistica, beffarda,
relativistica e nichilistica del legame sociale). E tuttavia loperetta di Hume
esce postuma. Il politicamente corretto dellepoca non sopporta ancora che si
dica apertamente che Dio non esi- ste, oppure lo si dica con ipocriti e
furbeschi ragionamenti indiretti. Certo, c' chi dice che Dio non esiste, e c'
soltanto la materia (barone D'Holbach, ecc.). Ma si tratta di marginali tenuti
ai margini della vera societ. Voltaire, lespressione pi pura di questa tendenza
borghese, ironizza su preti e miracoli, ma nello stesso tempo esibisce un
deismo razionalistico ispirato a Locke. Per quale ragione, allora, la
dichiarazione della morte di Dio da parte di Nietz- sche fa tanto scalpore, e
viene accolta come una novit sconvolgente? La cosa pu sembrare strana, visto
che la dichiarazione che Dio non esiste, e lo hanno inventato | i preti per
lucrare sulla paura della morte (paura umana, troppo umana, direbbe Nietzsche),
e per sedersi per primi a tavola divorando i bocconi migliori (il cosid- detto
boccone del prete, nel linguaggio popolare italiano), era gi vecchia come il
cucco ai tempi della scandalosa dichiarazione nicciana. Ma, appunto, chi si
stu- pisce mostra di non capire come la dichiarazione nicciana della morte di
Dio una dichiarazione sociale, perch
proclama che per la prima volta nella storia europea la societ non ha pi
bisogno di fondarsi su di una legittimazione religiosa. Per questo possibile proclamare apertamente la morte di
Dio, prima soltanto sussur- rata da gruppi di filosofi materialisti epicurei e
libertini. Ed per questo, per, che
persino coloro che lo sanno benissimo (i borghesi scettici ed i dirigenti
socialde- mocratici) riluttano a dirlo apertamente, e preferiscono invece
continuare a vivere come se Dio ci fosse. Se infatti fosse manifesto che Dio
non c', sarebbe necessario attuare una trasmutazione di tutti i valori, andare
al di l del bene e del male, fare una spregiudicata genealogia della morale,
dichiarare apertamente che la volont di potenza
il solo fondamento del mondo, rovesciare il nichilismo dal passivo ad
attivo, insomma, tutto ci che un mondo decaduto non pu fare. L'originalit di
Nietzsche, che lo pone al di l della dicotomia Destra/Sinistra, sta nel fatto
che il suo concetto di decadenza investe simultaneamente sia l'ideologia
borghese sia l'ideologia proletaria dellepoca, unificate dalla comune menzogna
della credenza nell'esistenza della verit e del progresso. Nietzsche il primo che investe dura- mente la comune
matrice di tre versioni ideologiche della verit, la verit di Dio dei preti, la
verit del Progresso dei borghesi ipocriti, ed infine la verit della Storia dei
socialdemocratici. Questi ultimi sono quelli che Nietzsche disprezza di pi, e
388 La filosofia di Nietzsche e le ragioni storico-sociali del suo grande
successo li vorrebbe ridotti ad iloti ed a schiavi. questa la ragione del successo delle idee
nicciane negli ambienti di destra, ma sarebbe egualmente errato ridurre la sua
filosofia a questa ideologia da crumiri e da spezzatori di scioperi. In realt
la teoria nicciana della morte di Dio non si sogna neppure di dire che Dio non
esiste, cosa gi talmente nota da essere ormai ridotta ad una banalit umanistico-positivistica
(Feuerbach, Comte, ecc.), ma sostiene invece che ormai la societ non ha pi
biso- gno di una legittimazione religiosa, e per questo Dio morto. Dio
morto perch ha esaurito il suo compito di legittimazione sociale, anche
se l'ipocrisia politica- mente corretta non lo vuole ancora ammettere. Con
questa sua dichiarazione Nietzsche rivela di essere quello che tutti i ma-
nuali dossografici non capiscono, e cio un perfetto positivista. E tuttavia
possiamo chiederci spregiudicatamente:
vero che Dio morto, oppure
lesagitato baffuto si sbaglia? Il fatto che le chiese siano sempre pi vuote pu
effettivamente far pensare che la diagnosi di Nietzsche sia giusta. L'angoscia
di papa Ratzinger si fonda infatti sul legittimo sospetto che Nietzsche possa
avere ragione nella sua diagnosi in- fausta. E tuttavia io penso che questa
diagnosi sia sbagliata, e questo del tutto indipendentemente dall'opinione (a
mio avviso quasi sempre filosoficamente irri- levante) se Dio poi esista
veramente oppure no. Il fatto che in Brasile, il paese pi corrotto, socialmente
ingiusto e privatizzato del mondo, le chiese organizzate abbiano perso negli
ultimi anni milioni di fedeli passati a miserabili sette fonda- mentaliste
ultra-protestanti che promettono ricchezza e successo ignorando com- pletamente
il precedente elemento pauperistico e solidale del cristianesimo, testi- monia
che nell'epoca dell'isolamento informatico dell'individuo isolato davanti alla luce fioca del proprio
computer anche la fede si
individualizza. Le miserabili sette fondamentaliste rispondono evidentemente
anch'esse ad un bisogno religio- so insopprimibile nell'uomo, ma vi rispondono
nella forma dellindividualismo pi estremo e della chiamata individuale al
successo ed alla ricchezza. Si dir che questo
il contrario del messaggio evangelico originario. Ma chiaro che
l'esatto contrario! Non vi sono dubbi che lo sia! Ed tuttavia questo il nemico principale delle
religioni organizzate, non certo il cosiddetto ateismo di tipo scien-
tistico-positivistico o umanistico-feuerbacchiano (oppure, orrore fra gli
orrori, di tipo scientifico-staliniano). I fedeli, gi minoritari, si disperdono
e si frammentano, dividendosi fra laici senzadio di tipo relativistico e
nichilistico classico ed inva- sati settari che ballano e gridano che Cristo il loro signore, mentre lo supplicano di
farli diventare ricchi e famosi come i calciatori e le attrici di Hollywood.
Nietzsche ha correttamente diagnosticato che l'avvento di un mondo del genere,
il pi schifoso e corrotto nella storia dell'intera umanit, un mondo in cui la
fichtia- na epoca della compiuta peccaminosit sarebbe in paragone una societ di
carit e di beneficienza, pu soltanto essere pensato in una forma antropologica.
La filosofia di Nietzsche infatti, in estrema sintesi, uno scenario antropologico. Ed i profili fon-
damentali di questo scenario antropologico sono cinque, e cio nell'ordine:
luomo comune, o uomo umano e troppo umano; l'uomo superiore; leremita; lo Uber-
389 CaprroLo XXXVII mensch, non importa se questo termine venga tradotto come
Superuomo (destra) o come Oltreuomo (sinistra); ed infine, pi importante di
tutti, lUltimo Uomo. Come si noter, ho deciso di invertire la successione delle
ultime due figure. Mentre in- fatti le esposizioni correnti del pensiero di
Nietzsche collocano come culmine della sua antropologia lo Ubermensch
(superuomo-oltreuomo), io credo invece che Niet- zsche si sia sbagliato, ed al
culmine del mondo che ha descritto non ci possa che essere lultimo uomo. Ma,
per comprendere questo, bene descrivere
brevemente il profilo di queste cinque figure, come risultano almeno da Cos
parl Zarathustra. L'uomo, o meglio luomo semplice, luomo senza determinazioni
specifiche, luomo-gregge, luomo umano troppo umano, la prima figura antropologica del teatro
nicciano. Questo uomo sottomesso agli
antichi valori della cultura tra- dizionale, ed
un nichilista passivo di cui il cammello
il simbolo (egli infatti gravato
dai vecchi valori come il cammello
gravato dai pesi), e leremita lide- ale. Quest'uomo un nichilista perch svalorizza il mondo
terreno rispetto ad un altro mondo, ed
cos condannato a fare parte di una plebe irriscattabile di iloti.
Chiediamoci: veramente cos? Non ho idea
di come fosse esattamente ai tempi della Germania di Nietzsche, ma a me pare
che le cose non stiano esattamente cos. Oggi luomo comune completamente inserito nella liberalizzazione
dei costumi provocata dalla necessit di indirizzare il consumo (solvibile) in
tutte le direzioni, cui lIdeologia del 1968 ha fornito una sorta di copertura
culturale. Pensare che di- penda ancora dal mondo dellaldil, contrapposto al
mondo dellaldiqu, significa veramente essere rimasti ad un secolo fa. Oggi
luomo umano, troppo umano, con- sidera pienamente legittima la scopata
generalizzata, non crede pi nell'aldil, e si rivolge alla religione soltanto in
caso di malattia grave o di riti sociali di conformi- smo comunitario. E cos
come Kant aveva delegittimato una metafisica che proprio allora stava perdendo
qualunque funzione sociale, nello stesso modo il kantiano (inconsapevole)
Nietzsche invoca una legittimazione dei piaceri terreni che la produzione
capitalistica era da parte sua ben contenta non solo di consentire, ma
addirittura di promuovere. Per quanto Nietzsche si sforzi di legittimare
filosofica- mente il diritto al corpo, rester sempre un dilettante rispetto ai
pubblicitari. La seconda figura antropologica del teatro nicciano luomo superiore. Mentre luomo comune
svalorizza il mondo terreno in nome di un inesistente sopramon- do celeste
divino, luomo superiore non ci crede gi pi, ma finisce con il disprez- zare sia
il mondo celeste che il mondo terrestre, e quindi la sua superiorit totalmente fasulla. Egli infatti informato della morte di Dio, ma non
giunge a convincersene realmente nel suo intimo e continua a comportarsi come
se Dio esi- stesse ancora. Sostituisce il fondamento divino dei valori con un
fondamento uma- no, ma la trasmutazione dei valori non avviene, e ci si trova
immersi negli stessi valori precedenti. Quest'uomo superiore come lacrobata (il primo compagno di
Zarathustra). Lacrobata vorrebbe muoversi in direzione dellUbermensch ma nello
stesso tempo vuole ignorare la morte di Dio ed in questo modo cade dalla corda
su cui stava camminando, e la sua caduta
mortale. 390 La filosofia di Nietzsche e le ragioni storico-sociali del
suo grande successo La figura delluomo-superiore-acrobata connota nella
prospettiva nicciana tutto l'insieme dellumanesimo filosofico occidentale, da
Spinoza a Kant fino ad He- gel (e di conseguenza a Marx, che
filosoficamente un umanista
feuerbacchiano). Non chiaro fino a che
punto possibile estendere questa figura
antropologica nicciana, ma credo che essa simboleggi lo scacco inevitabile di
tutte le filosofie umanistiche ed universalistiche della storia. Su questo
punto Nietzsche precede in un certo senso Max Weber e Karl Lwith nella teoria
per cui lumanesimo raziona- listico resta allinterno dei valori biblici e
religiosi. Le due teorie di Max Weber (di- sincanto del mondo e politeismo dei
valori nel mondo moderno come esito della riorganizzazione dell'illuminismo
scientifico) e di Karl Lwith (le filosofie marxia- ne e marxiste
dellemancipazione come secolarizzazioni della vecchia escatologia
ebraico-cristiana nel linguaggio dell'economia politica) possono essere
interpreta- te come sottoprodotti razionalizzati della figura antropologica
nicciana dell'uomo superiore (ed infatti cos io le interpreto). La figura
delleremita la terza figura
antropologica del teatro nicciano, e pre- senta un particolar interesse
sociale. Dal momento che vive isolato fra le monta- gne, leremita non informato della morte di Dio. E non essendone
informato, particolarmente schiacciato
dal peso della metafisica e della morale tradizionale. Qui credo proprio che
Nietzsche abbia veramente centrato il cuore della questione. Quando incontro
vecchi militanti comunisti che non hanno ancora capito che lan- ticapitalismo
resta interamente legittimo, ma il vecchio modello stalinista morto, perch corrispondeva ad una fase
storica sorpassata, mi sembra di essere vera- mente davanti ad una
reincarnazione degli eremiti nicciani. Quando vedo giovani fuorviati che si
bastonano ed a volte addirittura si uccidono in nome della dicoto- mia di
Fascismo ed Antifascismo, dicotomia finita in Europa per sempre nel 1945, e
riattizzata artificialmente per esclusive ragioni di manipolazione e di
creazione artificiale di scenari devianti, mi sembra veramente di assistere a
scontri fra eremi- ti. Ma evidentemente leremitaggio non soltanto frutto di pigrizia o di semplice
idiozia, anche se non bisogna dimenticare mai che lidiozia la flora pi diffusa e numerosa nel
meraviglioso mondo della botanica sociale. L'eremitaggio un de- posito ideologico preziosissimo, in
quanto lo sfruttamento politico dei depositi di eremitaggio ideologico permette
sistematicamente di occultare i conflitti presenti in nome di conflitti
pregressi. E mentre l'impero militare USA occupa il mondo intero con basi
atomiche, la stupida giovent di eremiti europei
chiamata ad am- mazzarsi in nome di scenari tramontati a partire almeno
dal 1945. In proposito, la categoria nicciana di eremitaggio resta la migliore
in senso assoluto. La figura antropologica dello Ubermensch
(superuomo-oltreuomo) la quarta figura
del teatro nicciano, ed per pensata da
Nietzsche come lultima e la culmi- nante, vera e propria variante nicciana
della fine della storia del comunismo e del capitalismo globalizzato. Il fatto
che Nietzsche sia del tutto interno alla prospettiva del culmine finale della
storia (l'avvento dello Ubermensch, appunto) indica la sua dipendenza totale,
ed a questo punto quasi ridicola, dalle metafisiche finalistiche ed
escatologiche della storia. D'altronde, lo fa profetizzare da Zarathustra, del
tut- 391 CarrroLo XXXVII to indifferente al fatto che lo Zarathustra reale
predicava il contrario di quanto so- steneva Nietzsche, e cio la
contrapposizione polare fra Bene e Male. Ma lesagitato baffuto, del tutto
giustamente (su questo la sua superiorit sui pedanti sempre stata assoluta), ignorava questi
dettagli storici secondari. Personalmente, non sono affatto d'accordo con la
tesi per cui l' Ubermensch il culmine di
un processo storico. Capisco perfettamente perch Nietzsche lo abbia fatto
diventare il culmine, in quanto l'Ubermensch
il soggetto di una nuova me- tafisica, quella dell'eterno ritorno (che
egli attribuisce sbrigativamente ai Greci, laddove non esattamente cos) ed il soggetto che pu attuare la trasvalutazione
dei valori (il termine deriva dagli alchimisti, che speravano di poter estrarre
loro dai metalli pi vili). Dal momento per che il tema importante,
necessario di- scuterlo in modo maggiormente analitico. In primo luogo,
ho gi fatto notare in precedenza la pittoresca ignoranza di Hei- degger del
metodo marxiano della deduzione sociale delle categorie, da cui risulta che la
metafisica ad un certo punto arriva come uno schellinghiano improvviso colpo di
pistola, per cui Platone improvvisamente compie la scelta fatale di trattare
l'essere come se fosse un ente, e di sostituire il disvelamento (aletheia) con lesat-
tezza (orthotes). Ho fatto notare altres come questa ineffabile sostituzione,
origine dellerramento e dello sviamento dell'Occidente, ha avuto in realt una
genesi sociale e storica molto chiara, basata sul passaggio da una societ
tribale fondata sulla indistinzione di macrocosmo naturale e di microcosmo
sociale, che non ri- chiedeva pertanto operazioni di misura (metron), non
essendosi ancora affacciato socialmente linfinito-indeterminato delle ricchezze
(apeiron), ad una societ che invece lo richiedeva urgentemente come suo
katekon. Dato che la pittoresca igno- ranza di Heidegger dei rapporti economici
e sociali dell'antica Grecia gli impedi- sce di comprendere la natura storica e
sociale di questo katekon, evidente che
egli debba ripiegare su spiegazioni ineffabili sapienzialmente demenziali di
questa origine della metafisica. E tuttavia, Heidegger un vero seguace di Marx e di Sohn-Rethel in
rapporto al pittoresco baffuto Nietzsche, che pure era professionalmente un
filologo classico, ma la cui ignoranza della Grecia reale sfiorava il sublime
ed il surreale. Nietzsche, in compagnia peraltro con un gruppo di dilettanti
sociali fra cui spiccano partico- larmente Hannah Arendt e Giuseppe Stalin,
credeva veramente che gli antichi Greci fossero una massa di colti discutitori
rivolti all'arte, alla filosofia ed al puro pen- siero in quanto mantenuti da
masse gigantesche di iloti, schiavi, animali parlanti e strumenti semivocali.
Paradossalmente, il nemico del classicismo monumenta- listico di Nietzsche aveva
mutuato questa immagine idiota proprio dal classici- smo stesso, e dal suo
culto di Atene come luogo eterno dell'armonia estetica pura. Non stupisce
allora neppure il pittoresco fraintendimento nicciano della metafisica
dell'eterno ritorno. Come pretesto per criticare lideologia borghese-proletaria
del progresso, persino questa metafisica pu prestare un onorato servizio, ed io
in- fatti la considero incondizionatamente migliore dell'ideologia del
progresso, che nellessenziale soltanto
il tappeto su cui posa laccumulazione capitalistica il- 392 La filosofia di
Nietzsche e le ragioni storico-sociali del suo grande successo limitata nel suo
progredire indefinito ed indeterminato (apeiron). E tuttavia lidea del Grande
Anno, in cui tutte le cose ritornano e ricominciano dopo un periodo di migliaia
di anni, riscontrabile in molte civilt
antiche (indiani antichi, maya dello Yucatan, aztechi, ecc.), dunque, ad
eccezione dei Greci, a meno che per Gre- ci si intendano alcune correnti
stoiche del tutto marginali. Ed il fatto che Eraclito abbia potuto essere
interpretato come un sostenitore di questa teoria pu essere assimilato
allequivoco del principiante nello studio della lingua inglese, che tra- duce
of course come di corsa. Nietzsche non
affatto a conoscenza dellesistenza di Diodoto e del fatto che il fuoco
semprevivo di Eraclito non una metafora
dell'eterno ritorno del sempre eguale e del Grande Anno, ma della costituzione
democratica isonomica di Efeso. Si qui
ancora una volta di fronte al fatto che una corretta e sobria interpretazio- ne
storico-sociale degli antichi Greci il
presupposto indispensabile per capire tutto il pensiero occidentale successivo.
Se infatti qualche critico mi dicesse che ho inter- pretato male Spinoza, Kant,
Hegel e Marx ne sarei certamente rattristato, ma non lo considererei poi troppo
importante, laddove se lo stesso critico mi dicesse che ho gravemente frainteso
i Greci, allora s che mi preoccuperei seriamente. In secondo luogo, il fatto che
Nietzsche usi una metafora alchemica per indi- care il processo di
trasvalutazione dei valori (o trasmutazione, se cos si vuole), indica il
carattere appunto alchemico di questo concetto. Gli alchimisti usavano la
famosa pietra filosofale, che per ovviamente era una pura illusione da ciar- latani,
perch la pietra filosofale non esisteva, e per questa ragione non poteva
trasmutare assolutamente nulla. E la volont di potenza a mio avviso lequiva- lente filosofico della
pietra filosofale, in quanto ognuno pu sentirsi arbitrariamente sovrano di connotare
come vuole la volont di potenza, concetto che non un vero concetto (Begriff) perch non pu
essere in alcun modo determinato e sottoposto ad analisi fenomenologica (nel
senso di Hegel). Mentre infatti in Hegel tutti i compor- tamenti sociali ed
individuali devono essere dedotti dialetticamente, nellesagitato baffuto
tedesco questo non avviene, e qualunque confusionario pu sostenere di avere
avuto una trasvalutazione dei valori, di aver superato il nichilismo passivo,
di essere approdato al nichilismo attivo, ecc., trasformando il proprio
illimitato arbitrio in nobile volont di potenza. In terzo luogo, per concludere
su questo punto, il fatto che Ubermensch debba essere tradotto, a destra, come
Superuomo, e debba invece essere tradotto, a sini- stra, come Oltreuomo, e che
questo sia un problema teorico e filologico,
un pezzo di demenzialit pura, possibile soltanto in Italia, paese in cui
la simulazione della lotta a morte Destra/Sinistra stata protratta per pi di mezzo secolo in una
inter- minabile danza degli equivoci. Ma come sar il vero Nietzsche, il vero
Ubermensch nicciano? Quello della belva bionda nazista che ammazza ebrei,
slavi, bolscevichi e negretti, oppure quello dell'uomo libero e consapevole,
liberatosi dal peso cam- mellare delle grandi-narrazioni? Il dilemma di sconcertante demenzialit, per il fatto che
dovrebbe essere noto che il vero Nietzsche non esiste, e di conseguenza non
esiste neppure il vero signi- 393 CaprroLo XXXVII ficato di bermensch. Lo
bermensch una porta girevole del teatro
antropologico della morte di Dio e del nichilismo, ed semplicemente una maschera di volta in volta
assunta da almeno altre due figure antropologiche, luomo superiore e lulti- mo
uomo (l'umano, troppo umano e leremita in genere non la indossano mai). In
questo senso, il termine Ubermensch corrisponde esattamente al termine di Marx
maschera di carattere (Charaktermaske), che indica non una precisa individualit
concreta, ma un profilo teatrale determinato dai ruoli occupati allinterno di
un rapporto sociale classista. Bisogna quindi contestare Nietzsche proprio per
la sua pretesa principale, quel- la di indicare il profilo dello Ubermensch
come esito dell'annuncio profetico di un culmine messianico della storia
dell'occidente. Il baffuto filosofo del martello era quindi assai meno
martellatore di come si autorappresentava. In realt, la sua ana- lisi resta
interessante e pertinente, ma solo in rapporto alla sua analisi genetica (la
sola che sia in realt riuscito a fare) dell'avvento dell'ultimo uomo. Ed infatti
que- sto, e solo questo, Nietzsche: il
filosofo dialettico che spiega l'avvento dell'ultimo uomo. Ma questo
Nietzsche solo un allievo, inconsapevole
e riluttante, di Hegel e di Marx, e non c nessuna possibilit che i tifosi del
niccianesimo, essi stessi in gran parte ultimi uomini (che si autointerpretano
quasi sempre per narcisistici Superuomini e/o Oltreuomini), riescano anche solo
lontanamente a capirlo. La quinta figura antropologica del teatro sociale
nicciano, quella dellUltimo Uomo, la
sola veramente interessante. L'uomo umano, troppo umano, luomo su- periore e
acrobata, ed infine leremita sono tutti e tre profili interessanti, ma anche
relativamente banali. In quanto allUbermensch, erroneamente considerato il pro-
filo storico-antropologico pi interessante della filosofia nicciana
complessiva, in realt il meno
interessante, per il fatto che lunico
che proprio non esiste, e non esiste perch non pu esistere, in quanto la volont
di potenza (Wille zur Macht) una
funzione energetica che non esiste, perch non esiste il generatore di cor-
rente che dovrebbe farla funzionare. Dal momento che viene chiamato volont di
potenza larbitrio assoluto dell'illusione soggettiva di determinare il corso
del mondo, che in realt larbitrio soggettivo non determina mai e non pu
determi- nare, si qui di fronte ad una
sublimazione illusoria dellimpotenza che grida nel buio come un bambino
spaventato e chiama se stessa Potenza (con la P maiuscola). Che cos' invece
lUltimo Uomo? L'ultimo uomo colui che
sa, ed bene informa- to, della morte di
Dio, e su questa base sa ormai che tutto
possibile. significativo che
Nietzsche lo connoti come il pi disprezzabile degli uomini, in quanto non
dispone neppure pi dei criteri per esserne consapevole e per potersi
disprezzare da solo. Uomo del nichilismo, ha riconosciuto per tempo l'assenza
di fondamento dei vecchi valori e sa bene, a differenza delleremita, che
Dio morto. Contento di veder sparire
ogni costrizione ed ogni compito (in questo senso, non pi um cammello), non un creatore, perch non tenta di creare nuovi
valori, e disprezza anche tutti gli umanesimi morali residui degli uomini
superiori. Nietzsche riesoe veramente a descrivere molto bene questo profilo, e
solo per questo si sarebbe gi meritato un posto immortale nella storia della
filosofia occidentale (altri lo hanno 394 La filosofia di Nietzsche e le
ragioni storico-sociali del suo grande successo conquistato per molto meno, e
per pompose banalit moralistiche e gnoseologi- che). E tuttavia, naturalmente,
Nietzsche non riesce assolutamente a produrre una genealogia di questa figura
ad un tempo oscena ed imbecille, ed in questo modo, giunto alle soglie della
sua stessa geniale teoria, non in grado
di descrivere in modo adeguato il mondo dell'ultimo uomo stesso. Per farlo, ci
vorrebbero i meto- di di Hegel e di Marx, ma il baffuto esagitato disprezza
Hegel, scambiandolo per un funzionario prussiano laureato in filosofia, ed
ovviamente non conosce Marx (ma questo non
una colpa, visto che la visibilit di Marx posteriore al suo im- pazzimento a Torino,
citt per sua stessa natura favorevole ad impazzimenti di ogni tipo). allora necessario tentare autonomamente di
disegnare un profilo del Regno dellUltimo Uomo. La societ nicciana degli Ultimi
Uomini, che sanno che Dio morto (intendo
Dio in tutte le sue versioni, che hanno come minimo comune denominatore il
rico- noscimento razionale della sensatezza del mondo), ed appunto per questo
tutto (il termine tutto indica le infinite forme di arbitrio soggettivo
travestito da volont di potenza del Superuomo-Oltreuomo) possibile,
esattamente quello che il consu- lente del pentagono Francis Fukuyama ha
definito la fine capitalistica della storia. Il tutto possibile
stato correttamente interpretato da G. Anders, uno dei pi grandi
filosofi del Novecento (ed appunto per questo ignorato dallaccademismo fi-
losofico del politicamente corretto), nel senso che tutto quanto viene scoperto
dalla scienza ed applicato dalla tecnologia viene poi necessariamente messo in
opera (a meno che, ovviamente, si temano rappresaglie). Si tratta,
curiosamente, dell'unico significato di necessit storica ancora plausibile, in
un'epoca storica in cui tutti gli altri significati della filosofia della
storia (il regno di Dio cristiano, il comunismo marxista, ecc.) hanno visto
crollare la credibilit sociale della loro presunta neces- sit. Ma di questo
parler pi diffusamente nei prossimi due capitoli, in cui fornir la mia propria
interpretazione filosofica della situazione storica attuale, sia pure passando
attraverso il filtro di alcuni autori molto conosciuti (Max Weber e Martin
Heidegger prima di tutti). La societ nicciana degli Ultimi Uomini quindi la geniale anticipazione di al- meno
un secolo dell'avvento di una societ capitalistica assoluta globalizzata. In
questo senso la genialit previsionale di Nietzsche stupefacente, e fa effettiva- mente di
Nietzsche un profeta nel senso etimologico ebraico del termine, cio qual- cuno
che dice prima degli altri quanto dovr accadere. Nella previsione nicciana
dell'avvento della societ degli ultimi uomini si riannodano una serie di fili
spezzati della storia della filosofia precedente, e possiamo quindi
generosamente perdonar- gli di avere annunciato l'avvento di un profilo
antropologico che non esiste, non pu esistere e non esister mai, lbermensch
superuomo-oltreuomo, pura proie- zione ipostatizzata del suo personale delirio
di volont di potenza, e pura sintesi di onnipotenza astratta e di concreta
impotenza (uso qui la formula di Lukcs, che mi sembra assolutamente geniale).
Nietzsche riannoda il filo della concezione greca che ha anticipato con altri
con- cetti il tema della morte di Dio e dell'avvento di una societ di ultimi
uomini. I 395 CaprroLo XXXVII Greci avevano perfettamente capito che lo
scatenamento della soggettivit ha un nome (hybris), che la hybris del tiranno, il pi spregevole fra gli uomini
(Plato- ne), che il perseguimento dell'infinito e dellindeterminato
(apeiron) semplice- mente distruttivo
per qualunque comunit (koinonia), ed
necessario socialmente che la ragione umana (logos) possa frenare questa
deriva dissolutiva e distruttiva (katekon). In mancanza di tutto questo,
l'avvento della societ degli ultimi uomini (che i Greci non chiamavano in
questo modo, ma di cui avevano gi interamente il concetto) era inevitabile, ed
avrebbe comportato addirittura la fine del mondo (apokalypsis). Nietzsche
riannoda il filo della concezione cristiana medioevale dell Anticristo,
condivisa non solo da mistici come Gioacchino da Fiore, ma anche da poeti e
filo- sofi come Dante Alighieri. La cosa curiosa sta in ci, che mentre
oggettivamente lo stava facendo, il maniaco baffuto pensava di essere lui
stesso lanticristo e di stare martellando il crocefisso. Ma come dice ancora Lukdcs essi lo fanno, ma non lo sanno. E questo stato proprio il caso di Nietzsche. Il
pensiero cristiano medio- evale era pienamente consapevole della possibilit
dell'avvento di una societ di ultimi uomini, anche se non li chiamava cos.
Contro questa possibilit Francesco d'Assisi propose una nuova societ basata
sulla paupertas e sulla simplicitas, e Gu- glielmo di Occam una chiesa
invisibile formata da individualit portatrici del modello antropologico e
sociale francescano. | Nietzsche riannoda il filo della concezione fichtiana
dellepoca della compiuta peccaminosit, epoca caratterizzata non tanto dalla
distruzione delle precedenti certezze, quanto dellassoluta mancanza di volont
di ristabilire un concetto socia- le e comunitario di verit condivisa, questa
volta fondata razionalmente, storica- mente e dialetticamente (il progetto di
Hegel, come noto). L'epoca della
compiuta peccaminosit coincide infatti, quasi al cento per cento, con la societ
nicciana degli ultimi uomini, ed questo
uno dei punti cruciali che devono essere socialmente occultati dal circo
mediatico ed accademico internazionale. Se non fosse occulta- to, infatti,
cadrebbe il teatrino dossografico della stragrande maggioranza delle
ricostruzioni della filosofia contemporanea, basate o sul criterio politico
(Marx di sinistra, Heidegger di destra, Max Weber di centro, Nietzsche
alternativamente superuomo di destra o oltreuomo di sinistra, e via
sproloquiando in modo da arri- vare sui paginoni culturali dei giornali), o su
criteri formali del tutto irrilevanti (Marx per la dialettica e Nietzsche
invece contro la dialettica, Hegel per la ragione ed invece Nietzsche ed
Heidegger irrazionalisti, e via sproloquiando in modo da poter scrivere
dossografie del tutto fuorvianti, concepite espressamente per non fare capire
nulla dei reali problemi epocali di oggi). Nietzsche riannoda infine il senso
intimo dello strato filosofico profondo del pensiero di Marx. A me sembra
chiaro, infatti (anche se so bene che non lo
affatto per la stragrande maggioranza dei marxologi e dei marxisti
politici), che per Marx la classe operaia, salariata e proletaria l'equivalente moderno e contemporaneo del
katekon dei Greci. Senza il suo provvidenziale ruolo modale, infatti, lo scate-
namento infinito ed indeterminato (apeiron) sarebbe infatti del tutto
incontrollabile 396 La filosofia di Nietzsche e le ragioni storico-sociali del
suo grande successo ed inarrestabile. Il fatto
filologicamente innegabile che
Marx non si sarebbe mai espresso in questo modo metafisico, ma avrebbe
sobriamente parlato del prole- tariato come fronte avanzato dello sviluppo
delle forze produttive contro la bor- ghesia tentata dalla stagnazione
parassitaria, non cambia nulla del senso profondo della concezione della storia.
Nietzsche, quindi, come segnalatore di incendio (uso qui un termine impiegato
da Michel Loewy per indicare il pensiero di Walter Benjamin). Ed il fatto che
sostan- zialmente, al di l delle ridicole appartenenze identitarie di tipo
partitico, Nietz- sche segnali lo stesso incendio segnalato da Marx, non pu
ovviamente essere preso in considerazione n dal partito marxista n dal partito
nicciano. E questo, ovviamente, per implacabili ragioni sociali dovuti alla
falsa coscienza organizzata degli agenti ideologici in cui viene
artificialmente divisa e dicotomizzata la societ contemporanea. Il partito
marxista ed il partito nicciano, infatti, devono contrapporsi sia nella societ
dello spettacolo (Debord), sia nel teatrino universitario delle scuole dellin-
telletto astratto (Verstand). Da un lato la dialettica, dall'altro la differenza.
Da un lato il proletariato salvifico ed emancipatore, guidato da nicciani
uomini superio- ri di sinistra. Dall'altro gli scettici di destra, che sanno
bene come le lites siano inevitabili in una societ complessa (la complessit lultimo rifugio teorico del- le canaglie),
dall'altro gli utopisti che sognano l'impossibile autogoverno politico e
l'impossibile autogestione economica dei lavoratori riuniti in consigli.
Eccetera, ecc. ... Lo sblocco di questa contrapposizione fasulla e fittizia non
pu venire da argo- mentazioni convincenti, e tantomeno da ricostruzioni
genetiche alternative della filosofia occidentale, come quella che il lettore
benevolo e paziente ha sotto gli occhi. Lo sblocco sar (ammesso che possa
esserci, tema su cui nutro un moderato scetticismo) un fatto sociale totale,
dal momento che i riorientamenti gestaltici (ci che gli antichi chiamavano
correttamente metanoia, o conversio) sono sempre fatti sociali. Ma questo
significa che un numero crescente di persone guardi altrove (con- versio),
oppure muti integralmente il suo modo di ragionare (metanoia). L'improba- bilit
che questo avvenga, come noto, ha
portato Heidegger a pronunciare la fra- se sapienziale solo un Dio pu salvarci.
A questa frase sar dedicato il prossimo capitolo, sia pure con argomentazioni
ben diverse da quelle che sarebbero piaciute allo stesso Heidegger. 397 XXXVII.
SoLo un Dro PU ANCORA SALVARCI. L'ESITO DEPRESSIVO NELLA FILOSOFIA
CONTEMPORANEA NELLE DIAGNOSI DEPRESSIVE EPOCALI DELLA GABBIA D'ACCIAIO DI MAx
WEBER E DELL'ESITO CONCLUSIVO DELLA LUNGA STORIA DELLA METAFISICA OCCIDENTALE
IN TECNICA PLANETARIA DI MARTIN HEIDEGGER Vista con uno sguardo d'insieme, gran
parte della filosofia contemporanea si ri- duce ad una fenomenologia della
depressione. Non c' pi niente da fare. Solo un Dio potrebbe ancora salvarci. Ma
siccome Dio non c', tanto vale affrontare virilmen- te ( proprio vero che
viviamo in tempi di Viagra!) la nostra condizione umana disperata, in compagnia
di amici colti, viaggi a basso costo in paradisi esotici di ragazze
disponibili, ristoranti etnici, musica e letteratura alla moda di buona qua-
lit, prevenzione delle malattie pi diffuse, conversazioni colte da caff
letterari, politicamente corretto da sinistra moderata (quella estremista composta da in- curabili eremiti che non
sanno ancora che l'utopia si rovescerebbe inevitabilmente in terrore, penuria
ed inefficienza), prevenzione poliziesca del terrorismo fonda- mentalista
islamico, liberazione delle donne dal velo, e soprattutto diritti umani,
diritti umani ed ancora diritti umani.
questo il nicciano profilo dell'ultimo uomo, quello che non crede a
nulla, e tuttavia inquieto del fatto
che, se la gente non crede pi a nulla, tutto pu diven- tare possibile. Questa
inquietudine occidentale, tuttavia, deve essere indagata con il metodo marxiano
del materialismo storico, che consiglia di ricavare la sovra- struttura
ideologica dai movimenti della struttura. E la struttura vede da circa due
decenni un impoverimento della classe media nei paesi che hanno iniziato lo
sviluppo capitalistico. Questa classe media
sempre stata negli ultimi duecento anni la prin- cipale produttrice di
ideologia, ed dunque dalla sua
situazione sociale che dob- biamo partire. Dobbiamo partire, quindi, da quella
sintesi instabile di onnipotenza astratta e di concreta impotenza (Lukcs) che
lha caratterizzata ideologicamente. Soltanto dopo potremmo affrontare la
decifrazione storico-genetica ed ontologico- sociale di due delle principali
diagnosi filosofiche del novecento, quella di Max Weber (la gabbia d'acciaio
delle societ complesse moderne), e quella di Martin Heidegger (la risoluzione
finale della storia della metafisica in tecnica planetaria). Torniamo a Hegel.
Per Hegel la filosofia unisce insieme il proprio tempo ap- preso nel pensiero e
ci che , ed eternamente. A me interessa
sostanzialmente ci che , ed eternamente,
non l'ho mai nascosto al lettore, ed ho sempre consi- derato le teorie
relativistiche, storicistiche e nichilistiche che negano questo modo di
pensare, considerato metafisico e premoderno, non come lultima parola del- 399
CarrroLo XXXVII la saggezza mediatico-universitaria, ma come un insieme
specifico di formazioni ideologiche del capitalismo, alcune dirette ed alcune
indirette (le migliori e le pi sofisticate, appunto perch difficilmente
diagnosticabili, e quindi cibo preferito dai gonzi e dai semicolti). E
tuttavia impossibile arrivarci
direttamente. Ci vuole una deviazione (dtour) attraverso il proprio tempo
appreso nel pensiero. E cerchiamo allora, sia pure in modo inevitabilmente
incerto e dilettantesco, di apprendere il nostro tempo nel nostro pensiero.
Hegel morto nel 1831, Marx morto nel 1883, e quindi non ci possono
aiutare se non indirettamente, e cio metodologicamente. Mi rendo perfettamente
conto che partire dal proprio tempo appreso nel pen- siero pi facile a dirsi che a farsi. Che cosa
caratterizza infatti il nostro tempo?
evidente che il cosiddetto nostro tempo
un concetto talmente generico e sfug- gente da permettere le pi
arbitrarie manipolazioni ideologiche. Ciascuno, infatti, ipostatizza le proprie
personali opinioni in interpretazioni epocali dello spirito del tempo (Zeitgeist).
Sarebbe incauto da parte di chi scrive affermare di aver capito l'essenziale
dello spirito del tempo. Ad esempio, partire dalle aspettative decre- scenti
della classe media USA ed europeo-occidentale potrebbe sembrare scorretto ed
incauto, dal momento che la cosiddetta globalizzazione (che in realt sol- tanto una forma sfacciata di
neoliberalismo) comporta invece aspettative crescenti di consumo e di benessere
da parte delle classi medie cinesi, indiane e malesi. E tuttavia l'innovazione
di Marx, che non deve essere gettata via insieme con il crollo dissolutivo dei
sistemi socialisti, consiste proprio nel partire dalla struttura socia- le, e
nel non credere che si possa soltanto fare una deduzione delle categorie del
pensiero di tipo autoreferenziale e partenogenetico, come se le categorie
semplice- mente si originassero una dall'altra. Sarebbe strano che per Eraclito
e Parmenide si invocasse una deduzione sociale delle categorie, e poi
improvvisamente questo non fosse pi valido per interpretare il mondo in cui
viviamo ed il presente come storia (utilizzo qui un'espressione di Paul
Sweezy). L'impoverimento delle classi medie europee, accompagnato dalla
percezione diffusa di dover coltivare aspettative decrescenti per i propri
figli e nipoti, un fenomeno che segue ai
cosiddetti trenta anni gloriosi 1945-1975 di cui ha par- lato lo storico Eric
Hobsbawm, lo stesso storico che ha fatto passare persino nella manualistica
scolastica la fortunata definizione di secolo breve per il novecen- to,
accorciato in questo modo in un secolo definito dal 1914 (inizio della prima
guerra mondiale) al 1991 (fine autodissolutiva del comunismo storico novecente-
sco, gi fortemente indebolito nel 1989 dalla caduta del muro di Berlino, con
conse- guente reincorporazione nella societ occidentale di mercato dei paesi
socialisti dell'Europa centro-orientale). Il secolo breve 1914-1991 sarebbe
quindi un secolo durato settantasette anni, e cio una vita umana media. Se
Hobsbawm ha ragione a proporre questa periodizzazione, non possiamo pensare che
essa non abbia nessun rapporto con la produzione filosofica. Se lo pensassimo,
dovremmo abbandonare ogni pretesa di deduzione sociale delle categorie. Certo,
la proposta di Hobsbawm indubbiamente
eurocentrica, ma nello stesso tempo bisogna dire apertamente se la si accetta
oppure no. 400 Solo un Dio pu ancora salvarci. L'esito depressivo nella
filosofia contemporanea Io laccetto come ipotesi metodologica di lavoro. La
dossografia filosofica uni- versitaria ovviamente non pu farlo, ma io lo
faccio. Partendo da questa ipotesi metodologica di lavoro (il secolo breve
1914-1991), cerchiamo di elaborarne le ca- tegorie, sulla base del progetto di
poter apprendere il nostro tempo nel pensiero. In primo luogo, il 1914 appare
come lanno criminale per eccellenza, lanno da cui tutto ci che segue deriva,
come deriva un filo che viene sgomitolato da un gomitolo. E tuttavia la natura
criminale del 1914 deve essere in qualche modo ideologicamente silenziata, dal
momento che una qualunque indagine storico- sociologica ci direbbe che le
classi dirigenti e dominanti di oggi sono ancora pi o meno le stesse che
dirigevano e dominavano nel 1914. E ci si potrebbe infatti legit- timamente
domandare: com' possibile fidarsi di gruppi sociali che ci promettono un felice
futuro, e che sono gli stessi (con pochi spostamenti fra borghesia e nobilt,
ecc.) che hanno innescato loscena mattanza di milioni di morti nelle trincee
del 1914-18 (che diventa poi il 1911-22 per paesi come la Turchia e pi in
generale il vicino oriente)? evidente
che la prima operazione ia delle classi dominanti deve es- sere un'operazione
di oblio e di diversione rispetto al 1914. Tutto ci che viene dopo deve essere
colpa di uomini con nome e cognome (in particolare il comu- nismo, e cio
Stalin, ed il nazionalsocialismo, e cio Hitler), mentre il 1914 deve svanire in
un nebbia lattiginosa come fatalit, ecc. Certo, pochi oggi rivendica- no
apertamente il 1914, in quanto non esiste pi la congiuntura storica che aveva
spinto Mussolini nel 1922 e Hitler nel 1933 a rivendicare un tradimento
(rispet- tivamente, una vittoria tradita per Mussolini ed una sconfitta dovuta
a traditori per Hitler). Ma ci che conta
cancellare le tracce ed avvelenare i pozzi non tanto della cosiddetta
memoria (che il gruppo sociale dei professori universitari di storia
contemporanea ha trasformato in memoria selettiva politicamente corretta, e cio
in non-memoria ed in ideologia di legittimazione), quanto della possibilit di
ri- costruzione razionale del passato prossimo, e cio ancora relativamente
vicino. Ma com' possibile far dimenticare il 1914, e cio la mattanza sanguinosa
originaria, di cui le classi operaie, salariate e proletarie, pur subalterne e
stupide, e sia pur intrise di nazionalismo e di razzismo imperialistico, sono
sostanzialmente innocenti, laddove integralmente colpevoli sono soltanto le
borghesie imperialistiche, alleate bens con i residui di classi nobiliari
diplomatico-militari, ma sostanzial- mente dominanti e sovrane? possibile, ovviamente, con una strategia di
diversio- ne ideologica. E come avviene questa diversione ideologica? Ma facile. Avviene ricostruendo lintera storia
del novecento, in questo caso la storia del secolo breve posteriore al 1914,
come storia della follia del totalitarismo, e cio come una sorta di peccato
mortale laicizzato, il peccato di aver pensato di poter imporre il delirio
ideologico al mondo. E sotto la categoria unificata di delirio ideologico si
mettono insieme il de- lirio ideologico del nazionalsocialismo di Hitler, in
primo luogo, ed il delirio ide- ologico del comunismo di Stalin, in secondo
luogo. Questi sono i deliri ideologici massimi, quelli che Dante avrebbe messo
nelle fauci di Lucifero. Poi ci sono varie 401 CarrroLo XXXVII forme
satellitari di deliretti e delirucci, da Mussolini a Mao Tse Tung, da Pol Pot a
Ho Chi Minh. Se si accetta questa impostazione, il gioco finito, ed il neoliberalismo
ultracapitalistico ha gi vinto, ed il resto
soltanto un insieme di innocui detta- gli storiografici minori, cibo per
chiacchieroni videodipendenti dei programmi di cosiddetta divulgazione storica,
vere e proprie macchine da guerra per non far capire nulla delle dinamiche
della storia contemporanea. Intendiamoci.
quasi umiliante doverlo dire - ma la pressione sociale del poli-
ticamente corretto lo impone -, questo non significa affatto legittimare a
posteriori Hitler oppure Stalin, o uno solo dei due, oppure tutti e due. Per
chi si ispira alle filosofie umanistiche dei Greci, di Spinoza, di Hegel e di
Marx qualunque pelo- sa giustificazione di questi due personaggi sarebbe
semplicemente impossibile. Alla luce di questa tradizione umanistica, come si
potrebbe approvare, o anche solo giustificare in modo contorto
(contestualizzazione storica, emergenza di guer- ra, ecc.) la giudeofobia
sterministica di Hitler e lorganizzazione ingegneristica razionale del
genocidio di Auschwitz? chiaro che
sarebbe del tutto impossibi- le. E alla luce del metodo di Marx, per di pi
fondato sulla scienza filosofica della totalit di Hegel, come si potrebbero
approvare i metodi di Stalin, dal capillare sistema del lavoro schiavistico dei
gulag fino alle migliaia di ufficiali prigionieri massacrati a freddo nelle
cosiddette fosse di Katyn in Polonia?
chiaro che sa- rebbe del tutto impossibile, e non solo per ragioni
ispirate al moralismo kantiano, ma proprio per ragioni ispirate alle filosofia
della storia di Hegel e di Marx, di cui ho gi dato un'ampia interpretazione
personale nei capitoli precedenti, ispirata proprio al rifiuto del
giustificazionismo storicistico del relativismo machiavellico. Dunque, nessun
recupero ipocrita del cosiddetto totalitarismo (categoria te- orica di cui ho
gi criticato l'incapacit euristica, ma che so bene essere ormai una categoria
sacralizzata del politicamente corretto attuale). E tuttavia non posso non
rilevare che il primo effetto collaterale di questo modo di pensare consiste
nel delegittimare la rivoluzione russa del 1917 e la figure di Lenin. Ho
criticato ampia- mente nei capitoli precedenti la sciagurata tendenza di Lenin
a ridurre il campo della filosofia a campo manipolabile delle ideologie, a
valutare la filosofia idea- listica come una forma di pretismo travestito ed a
scendere in stupide volgarit contro lidea di Dio (letame, spazzatura, ecc.), ma
devo qui ribadire che la sua rivo- luzione del 1917 stata sacrosanta, ed stata sacrosanta perch rispondeva, sul suo
terreno, alla precedente grande mattanza. I vari Ernst Nolte e Francois Furet
non colgono intenzionalmente questo aspetto, con le loro teorie della guerra
civile eu- ropea innescata dai comunisti e dalla loro illusione del comunismo
in quanto tale. Non parliamo poi delle banalit universitarie del comunismo come
totalitarismo di Hannah Arendt e delle operazioni di colpevolizzazione
pregressa di Rousseau, di Hegel e dello Marx per i crimini di Stalin. Tanto
varrebbe prendersela con il cro- cifisso per i cristiani di Torquemada e della
Santa Inquisizione, tenendo conto che il crocifisso stato oscenamente agitato davanti a Giordano
Bruno mentre stava bruciando vivo. Bisogna solo vergognarsi per il fatto di
aver permesso che il di- battito storico e filosofico possa scendere a tali
tragicomiche bassezze! Per criticare 402 Solo un Dio pu ancora salvarci.
L'esito depressivo nella filosofia contemporanea duramente e senza sconti i
dittatori del novecento non c nessun bisogno di demonizzarli, come se
provenissero da una sorta di buco nero sovrastorico da cui improvvisamente
irrompe il male. Un male metafisico, eccezionale, interamente destoricizzato e
desocializzato. Un Male Assoluto, da cui ricavare con una opera- zione di
teologia negativa, questa s imperfettamente laicizzata, un Bene Assoluto ricavato
per contrasto. E se allora il Male Assoluto
il totalitarismo, il Bene Assoluto ricavato per contrasto non
dialettico il liberalismo capitalistico
della globalizza- zione attuale. Si tratta di un vero segreto di Pulcinella,
che assomiglia a quei giochi delle tre carte con cui astuti trafficoni
turlupinano ingenui provinciali appena scesi dai loro treni. Eppure, perch
questo trucco non viene respinto? Come si fa a non capire che vi sono
fortissime ragioni razionali per respingere le ragioni dei dittatori novecen-
teschi, senza per questo aver bisogno di una demonizzazione metafisica del
tutto destoricizzata e desocializzata? E come non capire che la
demonizzazione a sua volta uno strumento
di manipolazione che deve servire a legittimare gli assetti sociali e politici
ingiusti del presente? Si tratta di qualcosa che dura da almeno quattromila
anni. Come fare a non capirlo? Come si pu essere tanto stupidi da non capirlo?
La stupidit, tuttavia, non una categoria
biologica, ma prima di tutto una
categoria sociale. In quanto categoria sociale,
una categoria ideologica. Opporsi, significa affrontare una pressione
sociale terribile, che oggi non giunge pi ai roghi ed alle condanne a morte, ma
che comporta isolamento sociale, disapprovazione diffusa, maldicenza
generalizzata, esclusione dai canali mediatici, silenziamento sistematico,
insomma, tutto quel complesso di provvedimenti soft che un soggetto indebolito
come quello odierno pu non riuscire a sopportare. Ho scritto che l'individuo
del capitalismo avanzato caratterizzato
da una sin- tesi vacillante di onnipotenza astratta e di concreta impotenza.
Onnipotenza astratta perch in teoria viviamo in una societ di individui sovrani
le cui scelte libere determinano la sintesi sociale ed il legame politico.
Concreta impotenza perch in realt soltanto gli imperativi sistemici della
riproduzione capitalistica complessiva contano qualcosa, e di fronte ad essi
tutti devono adeguarsi. In proposito il grande saggista americano Chirstopher
Lasch ha rilevato che in questa situazione lio del soggetto tende a diventare
un io minimo, e che la principale caratteristica di questo io minimo il narcisismo. Viviamo infatti, secondo
Lasch, in una societ del narcisismo, continuamente innaffiato e coltivato dal
circo mediatico, in particolare televisivo, che potremmo infatti definire in
termini di Narcisismo Organizzato. In queste condizioni si restringono anche i
margini per il coraggio di pagare le spese sociali per il proprio
anti-conformismo. Il fatto che l'infrazione del politica- mente corretto,
questa nuova teologia per senzadio, comporti automaticamente una generalizzata
assenza di riconoscimento, che gi Hegel aveva ritenuto essen- ziale per
lautocoscienza umana media, porta l'io minimo narcisista del tardo capi-
talismo a ripiegare in una zona maggiormente protetta di conformismo sociale.
Ed questa a mio avviso la ragione
principale per cui la Demonizzazione del Male, 403 CarrroLo XXXVIII che ne
impedisce una ricostruzione storico-genetica credibile e razionale, viene
accettata dalla tremebonda e narcisistica categoria degli intellettuali, sulla
quale ho gi espresso la mia severa opinione in un capitolo precedente. La
demonizzazione sempre per sua natura una
demonizzazione selettiva. Si demonizzano sempre e soltanto coloro che il
conformismo del politicamente cor- retto ha gi selezionato. Ad esempio, il
politicamente corretto di oggi, contro le opinioni esplicite del grande G.
Anders, deve demonizzare soltanto Auschwitz, mentre deve salvare Hiroshima, per
il semplice fatto che chi ha commesso Hiro- shima anche il grande impero buono cui tutti oggi
sono chiamati a sottomettersi. Il giullare conformista Roberto Benigni,
attentissimo a cogliere i rapporti di forza sociali, ha fatto un film su Auschwitz,
ed ha fatto liberare nel suo film Auschwitz da un carro armato americano,
laddove nella storia reale (che per, appunto, non conta pi nulla)
Auschwitz stata liberata dallarmata
sovietica di Stalin. Ma un totalitario non pu per definizione fare il bene, ed
allora la storia viene can- cellata. Buffoni e giullari sono su questo terreno
molto pi avanti dei filosofi e degli storici contemporaneisti. Ma le cose non
cambiano passando dai giullari di professione ai politici di professione.
Scrive Fausto Bertinotti: stato
affermato che con Auschwitz Dio morto.
Poi c' stata Hiroshima, la violenza di chi ha vinto contro il nazismo. Era
legittima Hiroshima? Potremmo rispondere di s, perch meno distruttiva di
Auschwitz e del nazismo. Perch il nazismo
intrinsecamente distruzione, oppressione sistematica e violenza
generalizzata. Auschwitz la sua
cattedrale e la sua verit. Hiroshima non aveva come fine lannientamento. Era un
modo terribile e violento di opporsi ad esso. Ho voluto citare questo pezzo
intriso di stupidit e di ignoranza, nonostante sia un nemico della citatologia,
perch qui si ha una manifestazione, sia pure un po sgangherata
storiograficamente (il nazismo era infatti gi stato vinto da quattro mesi
quando furono gettate le due bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki, che non
furono gettate per ragioni umanistiche o antifasciste, ma per una strategia
bellica di vecchio tipo), della fondazione ideologica del mondo in cui viviamo.
E questa fondazione ideologica pu essere riassunta cos demonizzare soltanto
Auschwitz, di cui si afferma leccezionalit e l'incomparabilit, e innocentizzare
Hiroshima, di cui si afferma la dolorosa necessit per poter vincere contro il
Male Assoluto del fascismo (peraltro gi vinto quattro mesi prima). Il filosofo
irlandese Desmond Fennell, in unopera magistrale (cfr. The Postwe- stern
Condition), ha definito cos la condizione post-occidentale contemporanea:
abbiamo fatto Auschwitz, e ce ne siamo pentiti, e l'abbiamo deplorata come
ingiu- stificabile, ed bene che si sia
fatto cos; abbiamo fatto Hiroshima, non ce ne siamo pentiti e l'abbiamo
variamente giustificata (risparmiare la vita dei nostri ragazzi, our boys,
ecc.); in questo modo, con questo sistema di doppio peso e doppia misu- ra,
abbiamo implicitamente affermato che potremmo anche rifarla in futuro; ed in
questo modo abbiamo anche rotto con la tradizione filosofica occidentale, che
si basava sul fatto che gli inermi, donne, vecchi e bambini, devono essere il
pi pos- sibile risparmiati dalla guerra. 404 Solo un Dio pu ancora salvarci.
L'esito depressivo nella filosofia contemporanea Desmond Fennell ha ragione. La
doppia contabilit su Auschwitz ed Hiro- shima
a tutti gli effetti il fondamento ideologico dell'et contemporanea, e
prima di filosofeggiare con Weber ed Heidegger
necessario sottolineare fortemente questo punto simbolico essenziale.
L'apeiron ideologico, e cio Auschwitz,
giustamente condannato; ma lapeiron tecnologico, e cio Hiroshima, viene
assolto. Questo il primo aspetto del
nostro tempo appreso nel pensiero. So bene che quasi tutti i pii, virtuosi e
timorosi sostenitori della eccezionalit imparagonabile di Auschwitz lo fanno in
perfetta buonafede, determinati a sotto- lineare in questo modo che per i
responsabili di Auschwitz non si possono trovare scuse di alcun tipo o
attenuanti di tipo patriottico. E tuttavia nel linguaggio di Marx il
termine buonafede si traduce come falsa
coscienza necessaria, ed a sua volta la falsa coscienza necessaria una sovrastruttura di tipo ideologico. La
funzione di questa sovrastruttura ideologica, infatti, appunto quella di fondare una religione. La
fondazione religiosa, infatti sempre
unica ed eccezionale. I ro- mani hanno crocefisso centinaia di migliaia di
ribelli, ma la crocefissione di Ges
unica. Milioni di arabi hanno avuto in millenni di storia rivelazioni divine
nel deserto, ma la rivelazione di Maometto
unica. L'unicit sempre la
fondazione di una religione. Hitler ha fatto veramente lolocausto, ed i
negazionisti hanno torto a negarlo (anche se hanno torto anche coloro che gli
negano il diritto di negarlo pubblicamente). Ma la religione dellolocausto una religione, particolarmente adatta ad un
periodo storico che non sopporta religioni normative della morale sessuale, e
bisogna analizzarla come tale, senza paura che il farlo sollevi rabbiose (ed
assurde) accuse di antisemitismo (per fortuna evitate ad ebrei come Spinoza,
Marx, Lukcs, ecc.). E tuttavia con queste osservazioni non abbiamo ancora
sfiorato il centro della questione. Ed il centro sta in ci, che la condanna
delle ideologie totalitarie del novecento, sia del grande diavolo Hitler che
del piccolo diavolo Stalin, oltre a pro- durre leffetto religioso di
destoricizzazione e di desocializzazione, ha la funzione di rilegittimare
integralmente la naturalit, a questo punto non pi ideologica, del- la produzione
capitalistica. allora come se Fichte,
Hegel, Marx, Nietzsche, ecc., non fossero mai esistiti. Si ritorna al vecchio
paradigma di David Hume, per cui la natura umana la semplice duplicazione psicologica
dellaltrettanto naturale produzione capitalistica. E tuttavia, non possiamo
rinunciare all'idea per cui sia il capitalismo che il co- munismo sono prodotti
storici, e non affatto vero che il primo
sia pi naturale del secondo. Il fatto di criticare radicalmente le forme
storiche novecentesche del comunismo (e chi scrive un noto specialista di queste critiche) non
significa asso- lutamente, e non deve significare, l'accettazione tacita o
implicita della naturalit della produzione capitalistica. Invece proprio questa naturalit che perseguita dai sostenitori della
demonizzazione del novecento come secolo dei mostri ide- ologici. I pi
intelligenti di questi demonizzatori sanno perfettamente qual lo scopo di questa demonizzazione, mentre i
pi stupidi di essi non lo capiscono, ma demonizzano egualmente. 405 CarrroLo
XXXVII Considero gli sutpidi peggiori degli altri, perch dopo i dodici anni di
et la stupidit non pi solo un ritardo
scolastico, ma un vero e proprio
crimine. Ma stato veramente il secolo
breve (1914-1991) il secolo delle ideologie assassine, mostruosa parentesi di
un flusso storico normale e naturale di pro- gresso economico e scientifico? A
me non risulta, e pensare che ho insegnato storia per trentacinque anni! A me
risulta altro. Risulta, prima di tutto, che sia stato un secolo di grandi movimenti
di liberazione nazionale in Asia, Africa ed America Latina, che si sono diretti
in modo assolutamente legittimo contro potenze colo- niali, razziste ed
imperialiste. Risulta che, proprio a causa del grande massacro del 1914
derivato da una concorrenza economica degenerata poi in scontro militare
diretto (il famoso imperialismo di Lenin, di cui c' persino stato qualcuno che
ne ha sfacciatamente voluto negare lesistenza), ci sono stati tentativi di
restaurare l'egemonia della politica sull'economia, o pi esattamente della
decisione politica sugli automatismi dell'economia. Ed proprio questo fenomeno della restaurazio- ne
del primato della politica sull'economia che vuole esorcizzare ideologicamente
il grande concerto mediatico-universitario del novecento come secolo delle
ideo- logie assassine. Per poter produrre la naturalit non ideologica della
produzio- ne capitalistica, in modo che questa naturalit possa assumere la
doppia forma del pensiero unico e del politicamente corretto, bisogna prima
scatenare la muta urlante degli intellettuali, che riduca il novecento a secolo
delle ideologie assassine, ed azzeri totalmente il mondo dei significati
storici e sociali riducen- do questo mondo ad una sola dimensione, quella dei
diritti umani a geometria variabile e soprattutto a bombardamento etico
differenziato. Con questo, ovviamente, non intendo affatto dire che tutte le
forme con cui nel secolo breve 1914-1991 si
manifestato questo tentativo di riaffermare il primato della decisione
politica sugli automatismi economici (il giudizio dei mercati, per usare
lespressione favorita di Romano Prodi) siano state buone ed apprezzabili. Non
lo sono state affatto. In estrema sintesi ce ne sono state almeno cinque: il
co- munismo storico novecentesco realmente esistito, che anche stata la forma storica pi importante; i
vari fascismi e nazionalsocialismi, di cui non si pu negare lin- tenzione
soggettiva di restaurare il primato della decisione politica sull'economia pura
e semplice (e questo non un caso, perch
la loro base di classe era la piccola borghesia, che gli automatismi economici
schiaccia come e pi dello stesso prole- tariato); le socialdemocrazie
(scandinave, ma non solo) di redistribuzione sociale del reddito attraverso la
fiscalit e la promozione del cooperativismo e del muni- cipalismo; i populismi
di vario tipo (peronismo argentino, nasserismo egiziano, ecc.), certamente
interclassisti, ma anche spostati verso gli interessi dei meno privilegiati; ed
infine, i modelli di sviluppo protetto dei paesi giunti tardi al li- vello
dellindustrializzazione matura (quello che Samir Amin, economista marxi- sta
egiziano, chiama sviluppo autocentrato). Tutti e cinque questi modelli devono
essere sottoposti ad esame storico, sto- riografico, politico, economico ed
anche morale e filosofico. Non vedo perch la filosofia non dovrebbe avere il
diritto di giudicarli, visto che nella modernit
406 Solo un Dio pu ancora salvarci. L'esito depressivo nella filosofia
contemporanea impossibile non avere una filosofia della storia universale, e
coloro che affermano grottescamente di non averla sono in genere quelli che ne
professano una variante particolarmente misera, destoricizzata e
desocializzata. Per il momento, io constato che nel momento in cui ho scritto
queste righe, e prescindo da tutti i giudizi sto- rici e morali che si possono
(e si debbono) dare su questi fenomeni storici, tutti e cinque questi tentativi
di restaurare il primato della decisione politica sovrana sui movimenti anonimi
dell'economia sono falliti, ed il primato dell'economia stato restaurato ovunque. Vogliamo
interrogare filosoficamente questa Grande Restaura- zione, ben maggiore di
quella dilettantesca e provvisoria del 1815, oppure voglia- mo lasciarne la
discussione alle facolt di economia, che se ne prenderanno l80 per cento
almeno, lasciando il restante 20 per cento alle facolt di storia, sociologia,
psicologia (il disagio, la societ liquida, ecc.), e via citando? A questo
punto, ma solo a questo punto, dopo aver messo le carte in tavola, pos- siamo
cominciare ad interrogare i grandi interpreti del novecento, senza rischiare di
limitarci ad una educata simulazione accademica. Preliminare ad ogni sguardo
filosofico sul mondo (lo sguardo filosofico sul mondo quello che mira a diagnosticarne la totalit
espressiva, prima semplice- mente intuita e poi razionalmente costruita con il
metodo dialettico della scienza filosofica propriamente detta) l'accertamento se via sia una foresta, oppure
sol- tanto degli alberi sparsi. In questo caso la domanda questa: c' qualcosa in co- mune fra Hegel,
Marx, Weber e Heidegger, per cui tutti e quattro fanno parte della stessa
foresta, oppure per quanto si osservi non si trover mai un vero minimo
denominatore comune? La mia risposta
decisamente di s, e di qui bisogna parti- re: l'elemento comune di
questi quattro pensatori il
privilegiamento esplicito della storia dell'occidente, e solo dell'occidente,
per comprendere e prevedere i processi storici e geografici di
universalizzazione di un unico modello di vita nel mondo in- tero. Tutti e
quattro, infatti, sono filosofi della storia, e non potrebbero non esserlo,
perch dopo la met del settecento europeo, con la caduta generalizzata della vi-
sione biblica del tempo, tutti sono filosofi della storia, lo ammettano o no.
Ma tutti e quattro sono paradossalmente anche e soprattutto filosofi della
geografia, e prima lo si capisce e meglio , visto che il nucleo del pensiero
post-moderno proprio il fatto di essere
basato su di uno spostamento dal tempo allo spazio, e quindi dalla storia alla
geografia. In proposito, bisogna cercare in questi quattro eminenti pen- satori
le origini dialettiche di questo spostamento. Nel caso di Hegel, del tutto evidente che egli concede
alloccidente uno spazio unico e privilegiato. L'occidente il luogo universale in cui si realizza il
con- cetto di libert come autocoscienza reale, e cio non solo come arbitrio del
volere di uno, di pochi o di tutti, ma come processo di progressiva
consapevolezza del significato del mondo, consapevolezza che diventa autoconsapevolezza
sulla base dell'identit di soggetto ed oggetto. Il resto del mondo,
dallebraismo (che per He- gel non appartiene integralmente alloccidente, ed
infatti Hegel non si sarebbe mai sognato
come ad esempio Lwith di
connotare la civilt ebraico-cristiana come qualcosa di unitario) all'India,
dalla Cina al vicino oriente islamico, non si trova 407 CarrroLo XXXVIII per
Hegel sullo stesso piano dell'esperienza occidentale, perch non vi si trova la
libert come processo dialettico di autocoscienza. Gli ebrei hanno una divinit
tribale che non si incarna nell'uomo, e che per di pi programmaticamente non universalistica, perch
ha stretto un patto di alleanza con il suo popolo esclusivo. L'India non
distingue fra animali e uomini, ed il suo ilozoismo materialistico del- la
metempsicosi non permette l'emersione dellautocoscienza libera. La Cina il paese del formalismo e dell'imposizione
estrinseca della legge, ecc. In sostanza, per Hegel la storia universale c',
ma concettualmente riservata
alloccidente, e solo alloccidente. In questo senso, la critica di Hegel
allempirismo inglese ed alla visione del mondo di Locke, Hume e Smith resta
monca ed interrotta. Il robinso- nimso del primo lavoratore-proprietario di
Locke, il concetto di natura umana di Hume ricalcata sulla rete di aspettative
individuali reciproche prodotta da un mer- cato di venditori e di compratori,
la provvidenziale mano invisibile di Smith, ecc., sono tutte forme di
ipostatizzazione occidentalistica, in cui comportamenti soltan- to occidentali
vengono fatti passare per dati antropologici della natura umana in generale.
Hegel chiaramente migliore di costoro,
perch introduce correttamente il concetto di progressiva acquisizione
dialettica dellautocoscienza (cfr. Fenome- nologia dello Spirito) e di scienza
filosofica del sapere (cfr. Scienza della Logica), oltre che ovviamente il
rifiuto di considerare la societ civile degli individui economici come il
fondamento morale del mondo (cfr. Filosofia del Diritto). E tuttavia il
privile- giamento universalistico delloccidentalismo resta alla base del suo
pensiero. Non poteva essere diversamente, dati i tempi storici in cui ha
vissuto. Ma siccome noi oggi viviamo in altri tempi storici, e l'epoca di
gestazione e trapasso non pi la stessa,
abbiamo il diritto di modificare alcune delle sue tesi. Karl Marx, come noto,
stato un allievo di Hegel, e come tutti gli allievi si portato dietro vantaggi e svantaggi, perch
uno dei fondamenti della filosofia coincide con lultima battuta del film A
qualcuno piace caldo, e cio nessuno per-
fetto. Come ha acutamente rilevato Iring Fetscher, Marx ha ereditato da Hegel
il privilegiamento del profilo storico-antropologico occidentale: l'occidente,
e solo l'occidente, ha prodotto il modo di produzione capitalistico, ma questo
modo di produzione capitalistico, diffondendosi nel mondo intero, produrr nel
mondo in- tero le premesse oggettive per il rovesciamento dialettico nel
comunismo. Se que- sto non
occidentalismo, sia pure rivoluzionario, mi chiedo che cosa vuol dire occidentalismo.
Ed in proposito Lenin, considerato spesso un fraintenditore ed un peggioratore
rispetto a Marx, non lo invece a mio
avviso per nulla, perch Le- nin rompe parzialmente con loccidentalismo
legittimando integralmente il diritto assoluto alle rivoluzioni anticoloniali
(ed proprio per questo rifiuto
dellocciden- talismo che Lenin in genere
tanto odiato dalle anime belle, ed anche ovviamen- te dalle anime brutte). Le
indegne stupidaggini che Lenin ha detto su questioni filosofiche, da me gi
ampiamente rilevate, non toccano questa questione di fondo decisiva. Lenin
resta colui che ha smosso il terreno, contribuendo a diminuire loccidentalismo
marxiano (anch'esso peraltro figlio della sua epoca ottocente- sca). 408
Solo un Dio pu ancora salvarci. L'esito depressivo nella filosofia
contemporanea Ho ritenuto necessario questo rimando a Hegel ed a Marx, perch
sussiste il pregiudizio storiografico per cui Max Weber e Martin Heidegger sono
tutt'altra cosa. Weber e Heidegger conoscono indubbiamente Nietzsche, che Hegel
e Marx non potevano conoscere, e partono quindi dalla sua azione corrosiva. Ma
per quanto riguarda il privilegiamento occidentalistico essi sono
paradossalmente eredi eretici e critici di Hegel e di Marx. Per Weber il
razionalismo occidentale, sia pure nato in un punto geografico e storico
particolare del mondo, il destino del
mondo intero, nel senso che il mondo intero diventa mano a mano terra di
conquista per la razionalizzazione progressiva di una societ della divisione
del lavoro, dellinevitabilit della gestione sociale da parte di lites
specializzate, del disincantamento del mondo e del connesso politeismo dei
valori. Per Heidegger la risoluzione progressiva della metafisica in tecnica
planetaria, sorta in una specifica congiuntura occidentale nell'antica Grecia,
diventa inevitabilmente tecnica plane- taria. Possiamo allora concluderne che
la teoria weberiana della razionalizzazione come destino, e la teoria
heideggeriana parimenti della tecnica come destino, rappresentano pur sempre una
continuazione della teoria hegeliana della libert e della teoria marxiana
dellemancipazione. In questo senso la categoria weberia- na-heideggeriana di
Destino (Geschick) rappresenta una secolarizzazione dialettica della categoria
hegelo-marxiana di storia propriamente detta (Geschichte). Si tratta ora di
capire il perch, e soltanto dopo scendere in dettagli secondari su Max We- ber
e su Martin Heidegger. Per quale ragione la categoria ottocentesca di storia
(Geschichte) diventa la ca- tegoria novecentesca di Destino (Geschick)? possibile fare soltanto alcune ipotesi
plausibili, che restano ovviamente soltanto ipotesi. Ma queste ipotesi, se ci
riferia- mo al metodo del materialismo storico di Marx, devono partire dalla
struttura per risalire poi alla sovrastruttura. Dal punto di vista filosofico,
le categorie di Storia e di Destino non fanno parte direttamente della
sovrastruttura ideologica, ma sono espressioni dell'eterna ragione umana
transmodale. E tuttavia l'ideologia storici- stica e l'ideologia fatalistico-destinalistica
sono invece sovrastrutture ideologiche, che non possono nascere dal nulla, ma
devono anch'esse essere socialmente de- dotte. Nel cinquantennio 1870-1920
cambiano molte cose. Non c' soltanto la gran- de e sanguinosa mattanza del 1914-1918,
che tutta l'ideologia contemporanea del novecento come secolo delle ideologie
assassine deve cercare ad ogni costo di di- menticare e di legittimare
indirettamente, scaricando tutto il Male esclusivamente su Hitler e Stalin, che
furono invece a tutti gli effetti prodotti integrali del 1914. C' soprattutto
la formazione di una societ di massa che prima non cera, e che a sua il prodotto di una produzione di massa
di tipo taylorista-fordista (o pi esattamente prima taylorista e poi fordista).
In questa societ di massa creata dalla produzio- ne di massa la stessa storia
impallidisce fino a diventare evanescente, perch la storia era pur sempre il
luogo delle scelte alternative di tipo politico, sociale ed economico. Storia,
in altre parole, significa, solo e sempre luogo di scelte alterna- tive
radicali. Ma se questa alternativit di
fatto svuotata da imperativi sistemici 409 CariroLo XXXVIII di riproduzione
obbligata, pensata come neutrale, abbiamo di fatto il processo inverso a quello
compiuto da Fichte, Hegel e Marx. Fichte, Hegel e Marx, infatti (coloro che
provocatoriamente e contro tutta la tradizione dossografica consolida- ta mi
ostino a considerare i tre grandi idealisti), avevano cercato di promuovere un
generalizzato passaggio dall'epoca dell'intelletto (Verstand) allepoca della
ragione (Vernunft). L'epoca dell'intelletto, pur giustificata storicamente
dall'esigenza illumi- nistica di sbaraccare il dispotismo signorile-feudale,
non era fatta per stabilizzar- si virtuosamente, in quanto la sua eventuale
stabilizzazione non poteva che dare luogo ad un'epoca di compiuta peccaminosit
(Fichte), ad una mescolanza di tradizio- nalismo dei vecchi ceti, dellarbitrio
individuale dell'economia politica e della furia del dileguare
russoviano-giacobina (Hegel), ed infine ad una generalizzata alienazio- ne
capitalistica (Marx). Per questo, e solo per questo, era necessario promuovere
un processo dialettico dellautocoscienza umana che facesse da portatore storico
e filosofico del passaggio dallintelletto (Versand) alla ragione
(Vernunft). questo il significato
storico-genetico ed ontologico-sociale del cosiddetto dualismo fra in- telletto
e ragione. Chi si limita ad indagini gnoseologiche sulle rispettive ragioni di
Kant e/o di Hegel (Herbart, Trendelenburg, tradizione universitaria
neo-kantiana, marxismo anti-hegeliano alla Colletti-Althusser, ecc.) attua
un'operazione di de- storicizzazione e di desocializzazoine integrale, ed in
questo modo si interdice la comprensione di tutto il processo storico del
Novecento. La formazione di una societ di massa fondata sulla produzione di
massa il principale fattore storico che,
per cos dire, espelle Fichte, Hegel e Marx, e nello stesso tempo promuove il
marxismo, Max Weber e Martin Heidegger. Il marxismo viene ovviamente promosso
in quanto positivismo di sinistra ed in quanto secolarizzazione messianica
semplificata, e viene promosso perch
impossibile impedirne la diffusione come ideologia della
sindacalizzazione ope- raia e della formazione di stabili partiti politici di
sinistra. Diventato dal 1917 al 1991 ideologia ufficiale di legittimazione del
comunismo storico novecentesco realmente esistito (da non confondersi
ovviamente con l'utopia scientifica di Marx - l'ossimoro ovviamente del tutto volontario), il marxismo
entra in una dinamica storica, geografica e sociale gi da me parzialmente
discussa nei capitoli preceden- ti, ma non per questo pu evitare
filosoficamente la sua retrocessione a pensiero dell'intelletto (Verstand), in
questo caso a pensiero degli interessi ipostatizzati delle sole classi operaie,
salariate e proletarie, cui viene attribuita intellettualisticamen- te
ununiversalit inesistente. Max Weber, erroneamente considerato un geniale
sociologo o addirittura un metodologo delle scienze sociali (metodologia=scienza
dei nullatenenti), stato in realt non
solo un filosofo, ma uno dei pi grandi filosofi della tradizione occidenta- le,
certo inferiore a Spinoza, Hegel e Marx, ma comunque del livello di Cartesio,
Hume e Lukdcs (come si vede, come storico della filosofia sono assolutamente
bi- partisan). Insieme con Simmel, che considero peraltro suo parigrado,
Weber stato il primo filosofo che ha
considerato oggetto legittimo della filosofia linterpre- tazione metafisica
della vita sociale quotidiana nel capitalismo, oggetto assolu- 410 Solo un Dio
pu ancora salvarci. L'esito depressivo nella filosofia contemporanea tamente
invisibile per la filosofia universitaria. Non a caso, Bloch e Lukacs, miei
venerati maestri, sono stati allievi sia di Simmel che di Weber. Da dove parte
Max Weber? Weber parte dal principio di Hume di eterogeneit radicale fra
enunciati descrittivi ed enunciati prescrittivi, e cio da ci che stata chiamata fallacia naturalistica o legge
di Hume. Ma ci che conta che We- ber
trasfigura questa posizione humeana in principio di deontologia scientifica, in
vera e propria religione per intellettuali, e soprattutto in religione per
professori universitari, che in questo modo possono pensarsi come sacerdoti
delloggettivit scientifica, distinti dai giornalisti, dai ciarlatani, dai
letterati, dagli artisti e dai capi politici. La cultura universitaria sar
sempre grata a Weber per questa sua inve- stitura, e per questo lo ha fatto
santo subito, per usare il termine dei pellegrini polacchi durante i funerali di
papa Giovanni Paolo II. E tuttavia, la distinzione fra giudizi di fatto e
giudizi di valore, che dovrebbe far parte in teoria di tutte le deon- tologie,
compresa quella del circo mediatico (che invece la viola sfacciatamente),
finisce con il riservare la qualit di scienza (Wissenschaft) ai soli saperi
empirici, riservando alla filosofia soltanto lo statuto, banalissimo e del
tutto inutile e mar- ginale, di riflessione sui valori. Ma qui Weber non fa che
esplicitare i pregiudizi positivistici tipici della sua epoca. Allinizio del
secolo precedente, ed in particolare in Hegel, la filosofia rivendi- cava per s
il carattere della scientificit: filosofia e Wissenschaft erano sinonimi. Lo
slittamento semantico del termine di Wissenschaft lindice storico del trionfo delle scienze
positive, correlato alla decadenza del ruolo sociale e politico della
filosofia. Weber non fa che esplicitare il passaggio della filosofia da uno
statuto serio, quello di scienza filosofica (che abbiamo visto essere
caratteristico non solo di Fichte e di Hegel, ma anche e soprattutto di Marx),
ad uno statuto semiserio, e spesso verbo- samente buffonesco ed irrilevante,
quello di riflessione sui valori. I lettori sono dunque avvertiti: passino da
Marx a Weber, se lo vogliono e lo trovano pi scien- tifico e disincantato (oggi
la moda tira in questa direzione!), ma non credano di poterlo compatibilizzare
con Marx. Per Marx esiste una scienza filosofica della totalit, unit dialettica
di conoscenza e valutazione, e cio di conoscenza della totalit capitalistica e
di valutazione negativa di essa come totalit alienata basata sullo sfruttamento
delluomo sull'uomo. Per Weber, al contrario, c' la fallacia na- turalistica, la
legge di Hume, la distinzione fra giudizi di fatto e giudizi di valore, l'etica
della cosiddetta avalutativit (Wertfreiheit), ecc. La degradazione dello
statuto della filosofia da scienza filosofica possibile (dy- namei on) a
riflessione interminabile ed irrisolvibile sui valori di indiscutibile provenienza nicciana. stato infatti Nietzsche che ha disegnato uno
scenario te- atrale in cui i suoi cinque personaggi (l'uomo troppo umano,
leremita, l'uomo superiore, il superuomo-oltreuomo ed infine lultimo uomo) si
palleggiano linter- minabile disputa sul significato del mondo. Weber attua una
mossa filosofica per Nietzsche e contro Hegel, e questo talmente evidente da non richiedere verbose
argomentazioni ulteriori. Ma ci che conta, in un'ottica di deduzione sociale
delle categorie, che la mossa di Weber
rispecchia effettivamente il passaggio da una 411 CaprroLo XXXVII societ
concettualmente aperta ad una societ concettualmente chiusa, quella della
cosiddetta gabbia d'acciaio. Il concetto di gabbia d'acciaio ovviamente una metafora dellintrascendibilit
e dellinsuperabilit storica della produzione capitalistica, vista come sostanza
della produzione di massa e come forma della societ di massa. Weber il primo grande filosofo che la teorizza, in
quanto prima di lui la produzione capitalistica era sempre e soltanto vista
stupidamente come la forma naturale della produ- zione in generale. Ma ai tempi
di Weber questa stupidaggine lockiano-humeano- smithiana era gi stata investita
dalla critica dell'economia politica di Marx, ed appariva indifendibile in una
prospettiva storica e sociale. La destoricizzazione e la desocializzazione sono
sempre possibili, ed attirano in particolare gli sciocchi, gli ignoranti, i
vanesi ed i superficiali, ma non possono resistere alla corrosione
critico-epistemologica. Weber ne prende atto, e prepara la seconda trincea
filosofi- ca di difesa dell'eternit e della inesorabilit del capitalismo: dalla
prima trincea, la sua naturalit, alla seconda trincea, la sua strutturale e
sistemica insuperabilit. Ma questo avviene sulla base di una ipostatizzazione
astorica, lipostatizzazione del cosiddetto razionalismo occidentale. Questo
punto di grande importanza. Mentre
infatti Nietzsche si distingueva per la pittoresca e provinciale ignoran- za
sul mondo del piccolo borghese tedesco, Max Weber intraprende invece una
stupefacente analisi comparativa di tutte le religioni mondiali, ed in questo
modo mostra di capire che nell'epoca della globalizzazione (dal 1870 in poi il
mondo conosce gi una globalizzazione economica diffusa, per cui la presunta
novit di quella odierna solo una
ciarlataneria del circo mediatico) la storia deve diventare geografia. Il fine
di questo incredibile sforzo comparativo
per quello di deter- minare lirripetibile specificit del solo
razionalismo occidentale, che diventa cos un vero e proprio ideal-tipo, ma
nello stesso tempo anche una diagnosi di filosofia della storia: il
razionalismo occidentale qualcosa di
estremamente specifico, ma nello stesso tempo
destinato (Geschick) a diventare di fatto il coronamento della storia
universale (Geschichte). Max Weber sembra cos accettare la critica rivolta da
Ranke contro Hegel, che riassumer brevemente. Per Ranke lidea che ci sia una,
ed una sola, forma di vita realmente privilegiata, sarebbe una ingiustizia di
Dio. Con la curiosa espressio- ne ingiustizia di Dio Ranke intende l'opinione
hegeliana per cui lultima epoca dovrebbe essere la pi privilegiata, mentre le
epoche anteriori sarebbero soltanto le portatrici subalterne di questa logica
di tipo teleologico. In questo modo - af- ferma acutamente Ranke non esisterebbe un rapporto immediato con Dio
da parte di tutte le generazioni, ma soltanto dell'ultima, o comunque di una
sola. E sarebbe questa dunque per Ranke lingiustizia di Dio. Ma siccome Ranke
non crede che Dio possa essere ingiusto, ne consegue che lo storico deve
rinunciare a fare ipotesi sul senso generale della storia universale, ed
addirittura interdirsi come imperativo ad un tempo etico e metodologico di
fissare il significato di storia universale (Weltgeschichte), attenendosi
soltanto al dato storico in s. 412 Solo un Dio pu ancora salvarci. L'esito
depressivo nella filosofia contemporanea Il fatto stupefacente di questa
argomentazione di Ranke sta in ci, che leman- cipazione dalla tutela della
filosofia viene fatta in nome dell'ortodossia religiosa. infatti leguale vicinanza a Dio di tutte le
generazioni della storia, con il correlato rifiuto della cosiddetta ingiustizia
della divinit, che delegittima le filosofie della storia alla Fichte, Hegel e
Marx (ma di Marx Ranke non si occupa, sia per ragioni storiche, sia per la
boria accademica tedesca che faceva di Marx una non-persona). bene che il lettore si impadronisca di questa
argomentazione, per cui sia il rela- tivismo dei valori del niccianesimo
moderato di sinistra (Richard Rorty, Gianni Vattimo, ecc.), sia la critica di
principio all'esistenza di qualsivoglia filosofia della storia (Karl Lwith,
ecc.) hanno una matrice religiosa alla Ranke, anche se quasi sempre sono
lontanissimi dallimmaginarselo. Costruito sulle rovine di tutte le possibili escatologie
messianiche, il concetto di storia di Max Weber
in realt un concetto mascherato di fine della storia. Sebbe- ne spesso
Weber lo esponga in modo prudente e problematico, la fine weberiana della
storia lincedere inesorabile della
razionalizzazione, con il suo necessario correlato corrosivo del disincanto del
mondo (Weltentzauberung) e con la necessa- ria ricaduta sociale, politica,
sociologica e culturale del politeismo dei valori. La teoria del politeismo dei
valori e del correlato ritorno del paganesimo energetistico ed
anti-socratico di evidente origine
nicciana, ma Weber la ingentilisce, perch sa bene che nell'epoca della
razionalizzazione anche la volont di potenza non pu esplicarsi nella forma
dell'esagitato con il martello che distrugge i crocefissi, ma deve incanalarsi
nelle forme civili del pluralismo. Per Weber c' un solo moni- smo
intrascendibile, quello della razionalizzazione prodotta dalla societ di massa
e della produzione di massa, mentre tutto il resto pu essere pluralisticamente
li- beralizzato. Gli stili di vita sono liberi, perch sono del tutto
irrilevanti. i socialisti potranno anche arrivare al potere come amministratori
razionali, ma il socialismo non arriver mai al potere, in quanto fondato su di
una impossibile sintesi di auto- governo politico e di autogestione economica
integrali, del tutto incompatibili con la complessit articolata della societ
moderna. Il disincanto del mondo produce inevitabilmente depressione ed anomia
sociali, che devono essere per affrontate virilmente. Insomma, la virilit
intellettuale consisterebbe nel proclamare che non c' pi niente da fare, stato bello sognare, ma ormai gli dei sono
caduti. A sua volta, il weberiano disincanto del mondo presenta due aspetti
distinti, a seconda del destinatario sociale: da un lato, una visione del mondo, ma Weber non ama le
visioni del mondo (chi ne ha bisogno
dice argutamente vada al cinema);
dallal- tro, un profilo di ascesi
epistemologica, proposta agli scienziati e ai politici di professione. La
secolarizzazione del vecchio Beruf calvinista (lunit di vocazione religiosa e
di professione mondana) sbocca in un nuova Beruf, lo scienziato ed il politico
del tutto privi di illusioni, filosofie della storia, ecc. La concezione della
religione di Max Weber coincide quasi al cento per cento con la concezione di
Heidegger della cosiddetta sdivinizzazione. Entrambe ri- salgono al cento per
cento alla concezione nicciana della morte di Dio. Com' noto, essa non si ferma
a discutere se Dio esista oppure no, dando per scontato che non 413 CaprroLo
XXXVIII esista (lo scrittore S. Rushdie dice in proposito che non c' differenza
fra Dio e la Mamma Oca delle favole), ma parte dallapparente constatazione del
fatto che, a parte gli eremiti in diminuzione, nessuno sembra pi crederci,
anche se tutti fanno finta di farlo, per evitarsi il problema di come
dovrebbero comportarsi se veramen- te Dio non ci fosse, e cio da uomini
superiori, superuomini-oltreuomini oppure ultimi uomini. Weber interpreta la
situazione nicciana come lultimo esito del bibli- co albero della conoscenza.
La completa individualizzazione e desocializzazione comunitaria dei vecchi
valori religiosi, un tempo oggetto di spontaneo consenso globale, mette
l'individuo di fronte alla situazione di dover decidere per luno o per
laltro. esattamente quello che Heidegger
chiama sdivinizzazione (Entgt- terung), cio la situazione di incertezza
rispetto alla divinit, che tutto il chiac- chiericcio teologico oppure la
ridicola tenzone mediatico-spettacolare fra laici e credenti (ultima
secolarizzazione italiana della seicentesca commedia dellarte e della
novecentesca commedia all'italiana) non possono certamente guarire. Nel suo
complesso, la notevole filosofia di Max Weber
una teologia del capitali- smo, 0 pi esattamente una teologia razionale
dellinevitabilit e dellinsuperabil- t del capitalismo. Il politeismo dei
valori, una volta che ne sia stato disinnescato ed incivilito l'originario
carattere nicciano, semplicemente la
raffigurazione colta e sofisticata del mercato capitalistico e dei suoi
innumerevoli (e tutti legittimi) stili di vita, in cui la volont di
potenza ridotta a volont di acquisto, o
pi esat- tamente a funzione energetico-criminale per impadronirsi del denaro e
del potere necessari per dotarsi cannibalisticamente di tutti i beni di
prestigio acquistabili. Non chiaro se
lUbermensch debba essere tradotto come superuomo o come ol- treuomo, ma evidente che se non si dota di Rolex o di capi
griffati nessuno potr riconoscerlo (in senso rigorosamente non-hegeliano). In
sintesi: il comparatista relativista, che analizza genialmente tutte le diverse
religioni mondiali (fra cui chi scrive mette ovviamente anche il marxismo) con
rigore relativistico, diventa un epistemologo assolutista, perch c' almeno una
religione assoluta, quella della ra- zionalizzazione capitalistica. Martin
Heidegger parte dalle stesse premesse metodologiche e metafisiche di Max Weber,
quelle della specificit del destino dell'occidente, e di come questa specificit
inevitabilmente (e cio destinalmente) si universalizzi geograficamente. Certo,
sia Weber che Heidegger sono allievi filosofici di Nietzsche, ma la loro gran-
dezza sta in ci, che come Marx sviluppa criticamente Hegel, nello stesso modo
essi sviluppano criticamente Nietzsche, giungendo per ad esiti simili. Il fatto
che il circo dossografico consideri Weber un razionalista, ed invece Heidegger
un irrazionalista, uno dei tanti esempi
di umorismo involontario del teatrino della storia della filosofia, che richiedono
il riferimento ai soliti Dialoghi di Profughi di Brecht, o meglio allumorismo
surreale di Buster Keaton. Come potrebbero infatti l'uno essere razionalista, e
laltro irrazionalista, se la sostanza metafisica del loro pensiero identica? Identico nei due pensatori infatti il presupposto fondamentale, quello
per cui la storia dell'occidente
determinata ferreamente da una pulsione teleologica de- 414 Solo un Dio
pu ancora salvarci. L'esito depressivo nella filosofia contemporanea stinale,
quella che lo porta verso l'affermarsi fatale della razionalit e del disin-
canto (Weber), e quella che lo porta verso l'affermarsi fatale della
risoluzione della lunga storia della metafisica in tecnica planetaria
(Heidegger). Si tratta di due rigo- rose teologie necessitaristiche. A mio
avviso quella di Heidegger pi
interessante di quella di Weber, e cercher di dire brevemente il perch.
Individuare dove stia esattamente la grandezza filosofica di Heidegger nello stesso tempo una chiacchiera da bar ed
uno dei pi importanti dilemmi interpreta- tivi di una storiografia filosofica
seria. In proposito, possibile soltanto
sollevare ipotesi approssimative. stato
di moda, e ora per fortuna lo un po
meno, alzare una cortina fumo- gena contro Heidegger per la sua manifesta
adesione al nazismo nel 1933. Questa adesione non stata di certo dovuta ad equivoco, ma nello
stesso tempo la filo- sofia complessiva di Heidegger non ha nulla a che fare
con la visione ideologica del mondo nazista. Nella filosofia di Heidegger non presente il razzismo biolo- gico, e neppure
la giudeofobia paranoica ed ossessiva della visione del mondo di Hitler. Non
esiste inoltre quel darwinismo sociale che teorizza la naturalit della vittoria
dei forti sui deboli. E non c' neppure quella esaltazione modernistica del- la
scienza e della tecnica che costituisce il substrato ideologico positivistico
del nazismo. Heidegger ha creduto nel rinnovamento promesso da Hitler nel 1933,
ma gi nel 1935 era emarginato, disincantato, e completamente messo da parte dal
regime. Certo, non s' mai dissociato, ma la dissociazione pubblica non mica obbligatoria. Norberto Bobbio non
si mai dissociato dal fascismo, fino a
quan- do quest'ultimo non crollato per
una sconfitta militare. Tutti i tromboni della fi- losofia universitaria di
oggi non si sono mica dissociati dalle guerre americane del 1999 in Jugoslavia
e del 2003 in Irak, e su questo punto Perry Anderson ha svolto una terrificante
analisi comparativa di questa connivenza nei tre filosofi alla moda Norberto
Bobbio, John Rawls e Jirgen Habermas. E allora, da che pulpito viene la
predica? Il nazismo cominci a commettere atti del tutto ingiustificabili ed im-
perdonabili a partire soprattutto dal 1941 (Auschwitz, progetti di genocidio
verso ebrei, zingari e slavi, ecc.), mentre tutto questo nel 1933 non era
certamente ancora prevedibile, e quindi condannabile. Questo ovviamente non
scusa la vigliaccheria di Heidegger rispetto al suo maestro Husserl (che era
appunto ebreo), ma questo fa il paio con il miserabile Schelling, che piomba
come un falco sulla cattedra da cui era appena stato espulso per ateismo
Fichte. Si tratta di miserie personali, certamente censurabili, ma che devono
essere te- nute ben distinte dalla valutazione filosofica di una teoria. In
fondo, se la penicilli- na fosse stata scoperta da un pedofilo, funzionerebbe
lo stesso. Una teoria filosofi- ca ha certamente un grado molto minore di
indipendenza dalla soggettivit di una scoperta farmacologica, ma deve comunque
essere tenuta distinta da questultima. In fondo, se la teoria di Kant fosse
originata da una mania ossessiva e quella di He- gel da un complesso di Edipo
non risolto, ed una commissione di psicoanalisti lo accertasse senza ombre di
dubbio, queste teorie continuerebbero ad essere valide. L'attuale mania
ossessiva per la psicologizzazione a tutti i costi, derivata da una 415
CaprroLo XXXVIII societ malata di io minimi, unit di onnipotenza astratta e
concreta impotenza, inversamente
proporzionale alla necessit di fare una deduzione sociale delle categorie,
deduzione che invece prescinde largamente dalle fobie di Eraclito, dalla mania
di persecuzione di Parmenide, dalla rimozione sadico-anale di Anassiman- dro, o
dal fatto che in giovane et Schopenhauer
stato traumatizzato perch ha visto dal buco della serratura la madre
fare lamore con il giardiniere. Heidegger
noto per la sua teoria del cosiddetto vivere-per-la-morte, esposta nel
1927 in Essere e tempo, e su cui la scomposta chiacchiera degli esegeti ha
inven- tato una sorta di diabolica ideologia tedesca, a met fra il Kaiser del
1914 e Hitler del 1933. Se per la si legge pazientemente, si scopre che
coincide quasi interamen- te con ci che viene correttamente espresso in
linguaggio dantesco non ti curar di lor / ma guarda e passa, o in linguaggio
volgare fare quello che si pensa sia giusto fregandosene completamente di
quello che pensa la gente (in linguaggio heideg- geriano, man sagt). un gioco di societ dire che cosa uno vorrebbe
fare se morisse domani e non dovesse preoccuparsi della rispettabilit, delle
aspettative confor- mistiche, dei vincoli della carriera, del politicamente
corretto, ecc. Con questo, non voglio certo ridurre il nobile concetto
heideggeriano della autenticit soltanto a questo. Voglio invece invitare a
collocare storicamente questa teoria heideggeriana, e non solo collocarla nella
Germania di Weimar, ma collocarla allinterno della socie- t massificata che
cominciava ad essere percepibile dalla filosofia (ma gi prima l'avevano
percepita Simmel e Weber). Heidegger fa una fenomenologia di questa societ, e
la fa in modo veramente geniale. Cento e pi anni prima Hegel aveva gi fatto una
fenomenologia della societ borghese del suo tempo, incentrandola nei due
concetti di riconoscimento e di coscienza infelice. In altre parole, il
soggetto tende al riconoscimento, lo esige, ed appunto perch lo esige sviluppa
una coscienza infelice dal fatto che lui stesso non riconosce gli altri come
dovrebbe razionalmente fare. In precedenza, ho gi sostenuto la tesi scandalosa
per cui lo stesso pensiero di Marx si origina dallela- borazione dell'incontro
fra la teoria del riconoscimento e la teoria della coscienza infelice. Ma ora
Heidegger vive in una societ dellindifferenza, dove Dio morto, ma nello stesso tempo non gliene frega
niente a nessuno, in quanto ogni soggetto
intercambiabile con un altro, e quindi lanonimit un dato ormai strutturale. Certo, la sua
pittoresca ignoranza integrale del metodo di Marx gli impedisce di trovare le
radici sociali di questo fenomeno (in poche parole, la generalizzazio- ne
capillare del lavoro astratto, con svuotamento contestuale della stessa vecchia
soggettivit propriamente borghese), ma di fatto la sua genialit di osservatore
gli permette ugualmente di diagnosticarla, aiutato anche dal fatto
provvidenziale di vivere in campagna e di essere figlio di un
bottaio-sagrestano, e pertanto di essere immune dal nervoso chiacchiericcio
metropolitano, in cui era stato impigliato an- che il pur geniale Simmel.
Heidegger nota il crescere dellanonimit impersonale della vita associata (Das
man), che da' luogo a cascata al generalizzarsi incontrollato della chiacchiera
(Ge- rede), della curiosit (Neugier), e infine dellequivoco sistematico
(Zweideutigkeit). 416 Solo un Dio pu ancora salvarci. L'esito depressivo nella
filosofia contemporanea Dal momento che di tutto bisogna fare un'esperienza
personale, finch non ne sono stato vittima negli ultimi cinque anni io stesso
non me ne ero mai veramente accorto. Non si tratta appunto della vecchia
maldicenza e della vecchia calunnia, che sorgevano da un sentimento umano, troppo
umano come linvidia e lavver- sione. Invidia, avversione, maldicenza, calunnia
erano ancora patologie del com- portamento sociale nelle epoche antiche e
proto-borghesi. Ma con l'avvento della societ di massa basata sulla produzione
di massa, chiacchiera, curiosit ed equi- voco sistematico diventano elementi
della fisiologia riproduttiva di queste societ. La cosiddetta inautenticit,
infatti, non pi una dolorosa patologia,
ma la forma normale di riproduzione
sociale di una forma di vita dellalienazione genera- lizzata. La novit non sta
allora nel fatto che si creino degli equivoci, ma nel fatto che non esiste pi
un interesse sociale nel chiarirli, anche se per il loro chiarimento sarebbero
necessari solo pochi minuti o poche ore. La stessa curiosit, infatti, del tutto superficiale, e fluttua sulla
superficie della chiacchiera senza mai giungere al livello del chiarimento. In
questa societ, quindi, vengono meno i presupposti so- ciali del dialogo
socratico e dello stesso sokratiks logos. Il dialogo socratico, infatti, si
basava su di un presupposto tacito, e cio che i partecipanti ad esso avessero
la concentrazione e soprattutto la pazienza di aspettare fino a quando avessero
chiarito gli equivoci, e potessero finalmente rendersi conto se fossero in
accordo o in disaccordo. Tutto questo finisce nell'epoca dell'io minimo,
dell'attenzione su- perficiale, della curiosit epidermica, della chiacchiera
mondana di facciata, e del disinteresse per i chiarimenti degli equivoci. Devo
dire che fino a quando io stesso non sono divenuto oggetto di questa analisi
fenomenologica heideggeriana non lo avevo capito, come un sano non capisce fino
in fondo la condizione di un malato. Heidegger mi ha infatti aiutato a
penetrare in un mondo in cui Marx non mi aveva invece introdotto. Marx mi aveva
spiegato che cos'erano le ideologie, ma nello stesso tempo pensavo che la gente
fosse interessata a chiarirle, laddove nella so- ciet del capitale il trucco
c', si vede, e nello stesso tempo non gliene frega niente a nessuno. Ed allora inutile svelare i trucchi, se intanto
non gliene frega niente a nessuno. Questa scoperta heideggeriana esplosiva. Tutta la tradizione filosofica
occi- dentale, da Socrate a Kant, si fondava infatti sul presupposto
illuministico per cui la gente fosse interessata a chiarire le cose, e quindi
ci fossero in competizione amichevole sistemi dialettici tendenti appunto a
chiarire meglio le cose stesse. Ma ora la possibile fine della filosofia non
viene perch sarebbe stata sostituita dalla cosiddetta scienza, come sostengono
i sostenitori positivisti di Comte, Lwith e Colletti, ma perch non gliene frega
pi niente a nessuno di ascoltare chiarimenti sugli equivoci, in quanto la
curiosit sociale ormai sempre
superficiale e del tutto aleatoria. La scoperta che la societ
contemporanea la societ
dell'indifferenza la premes- sa logica e
metodologica della comprensione del fatto che
una societ della tecnica. Bisogna capire bene questo fatto, perch in
caso contrario non si capisce nulla della cosiddetta svolta (Kehre), e si
continuer a parlare di un primo Heidegger, feno- 417 CaprroLo XXXVIII menologo
ed esistenzialista, e di un secondo Heidegger, ontologo e critico della
tradizione metafisica occidentale. In realt, a mio avviso, c' sempre un solo
Hei- degger. Dopo aver scoperto la societ dellindifferenza assoluta (1927),
Heidegger scopre la societ dell'imposizione tecnica assoluta (Gestell). Il
dispositivo tecnico sul mondo (Gestell)
soltanto il coronamento di un processo storico che passa at- traverso la
riduzione della religione comunitaria a sdivinizzazione problematica ed a stato
di incertezza verso la divinit, la fruizione dellarte ridotta a chiacchie-
riccio dei critici darte, la cultura ridotta a politica culturale organizzata
da partiti, enti locali o bande di sapientoni politicamente lottizzati, il
dibattito filosofico a comparsata superficiale di distratti mercuriali e
frettolosi, ecc. Qui Heidegger for- nisce gli elementi minimi per una teoria
marxista dellarte, che i marxisti ufficiali non possono certo produrre, essendo
invischiati in apparati ideologici di intellet- tuali organici a cordate
politiche di supponenti analfabeti di ritorno. Ancora una volta, vige il
principio aureo: essi non lo sanno, ma lo fanno. Heidegger sa bene che per il
chiacchiericcio filosofico medio la metafisica
la difesa del mondo dellaldil contro il mondo materialistico dellaldiqu,
mentre la tecnica generalmente definita
(uso le stesse parole di Heidegger) come mezzo in vista di un fine, oppure come
un'attivit delluomo. Egli sa bene che fino a quando non sar riuscito ad
ottenere un vero riorientamento gestaltico nel modo di guardare il mondo la sua
predicazione rester vana. Ed infatti, nonostante il suo indubbio successo
mondiale, ritengo che Heidegger non sia riuscito ad ottenere il minimo
riorientamento gestaltico sui due punti essenziali della metafisica e della
tecnica. E tuttavia, il perch di questo
fallimento nellottenere un riorientamento gestaltico che deve interessarci.
Iniziamo dal venerando termine di metafisica, e sottoponiamolo ad un som- mario
esame statistico-sociologico. In questa Italia degli otto anni di
scolarizzazio- ne obbligatoria possiamo essere sicuri del fatto che per il
novante per cento delle persone il termine metafisica pu essere scambiato per
la mamma del calciatore Del Piero o per una marca di scarpe da ginnastica. Ne
resta un dieci per cento di scolarizzati superiori. Ebbene, possiamo essere
sicuri che per il novantacinque per cento di questo dieci per cento il termine
metafisica continuer ad essere si- nonimo di teologia per preti che parla
dellaldil, mentre soltanto invece
aldiqu, che studiato empiricamente dalle
scienze empiriche, quelle per cui la matematica non un'opinione.
questo com' noto il bel risultato del disincantamento ra-
zionalistico weberiano del mondo che ha ridotto la filosofia a interminabile
discus- sione a ruota libera sui valori di sinistra e sui valori di destra.
Resta un cinque per cento di questo dieci per cento (ma la mia una valutazione incredibilmente ottimistica)
che venuta forse a conoscenza del fatto
che per un nazista tedesco con la piccozza il termine metafisica significa
invece il modo in cui funziona il mon- do reale, il mondo in cui viviamo,
proprio il mondo che si vede, si tocca, si gusta, si odora e si sente. Se siamo
a questo punto, ed noto che siamo
proprio.a questo punto, lepo- ca della compiut peccaminosit di Fichte diventa
un parco giochi per bambini. 418 Solo un Dio pu ancora salvarci. L'esito
depressivo nella filosofia contemporanea Eppure, Hegel aveva gi chiarito che
era impossibile che ci fosse un popolo civi- le senza metafisica, e Marx aveva
gi definito metafisico, e cio sensibilmente sovrasensibile, il mondo della
generalizzazione della produzione capitalistica di merci. evidente che Heidegger non si inventato niente, e si inserisce comple-
tamente nella tradizione filosofica di Hegel e di Marx. I tifosi
dellheideggerismo e del marxismo identitario potranno stupirsi ed offendersi,
ma cos . E bisogna allora dare un giudizio, sia pure sommario, sulla qualit e
sulla natura della sua ricostruzione della storia della metafisica. Questa
ricostruzione caratterizzata dalla pi
pittoresca e provocatoria assenza di una deduzione sociale delle categorie.
Fino al 1947 (cfr. Lettera sullumanesimo), Heidegger ha probabilmente pensato
che Marx fosse una sorta di sindacalista ri- cardiano esagitato che pensava che
tutto fosse economia, in buona compagnia con gli agenti di borsa, i negozianti
ed i contrabbandieri. A partire dal 1947, sia pure in modo incidentale e distratto,
Heidegger riesce ad individuare due punti importanti nel pensiero di Marx. In
primo luogo, che la concezione marxista della storia si pone al di sopra di
ogni altro storiografismo (Histoire), perch Marx, partendo da Hegel, ha
riconosciuto in un senso essenziale la mancanza di patria (Heimatlosigkeit)
come alienazione delluomo. In secondo luogo, che necessa- rio che ci si liberi dalle ingenue
rappresentazioni relative al materialismo e dalle critiche superficiali che
dovrebbero colpirlo. L'essenza del materialismo non sta nellaffermazione che
tutto pura materia, ma piuttosto in una
determinazione metafisica, secondo cui tutto lessente appare come materiale del
lavoro. E tutta- via, dopo aver rilevato questi due aspetti del pensiero di
Marx, Heidegger ne con- duce una critica molto forte, perch afferma che
lontologia pensa sempre e solo lessente (on) del suo essere. Ma finch tuttavia
non sar pensata la verit delles- sere, ogni ontologia resta senza il suo
fondamento. Da cui deduco personalmente che Heidegger riteneva il marxismo una
rispettabile ontologia, migliore anche di tutte le altre (esperiva infatti
l'alienazione come mancanza di patria delluomo mo- derno), ma pur sempre senza
fondamento veritativo, perch anch'essa riteneva di poter pensare lessente senza
l'essere da cui necessariamente lessente dipende. Se pensiamo al sostanziale
analfabetismo accademico di Heidegger rispetto a Marx, considerato
non-rispettabile nelle universit tedesche dellepoca, si rimane stupi- ti per
l'intelligenza e la profondit, dei suoi rilievi. Heidegger non perde tempo a
ripetere le consuete sciocchezze sulla secolarizzazione dell'escatologia
ebraico- cristiana nel linguaggio dell'economia politica, ma (a differenza
delle scuole mar- xiste di Colletti e di Althusser) capisce immediatamente che
una filosofia in grado di esperire l'alienazione si colloca immediatamente al
di sopra di ogni altro sto- riografismo. E con questo, Heidegger si congeda da
tutte le spiegazioni scettico- demitizzanti ispirate ai vari razionalismi alla
Max Weber. Si respira gi meglio. Heidegger capisce inoltre che il concetto
marxiano di materia non c'entra nulla con la materia delle scienze naturali,
ma una semplice metafora del concetto di
lavoro come sostanza dinamica della trasformazione delle cose. Inoltre,
Heidegger fa la sola critica sensata a Marx che si possa decentemente fare,
quello di dire cose 419 CaprrroLo XXXVII geniali a livello di essenti, ma di
trascurare l'interrogazione veritativa del rapporto fra gli essenti e l'essere.
Chiediamoci con la radicalit filosofica necessaria: in que- sta ultima critica
Heidegger ha ragione o ha torto? Avrebbe ragione, se il pensiero di Marx fosse
un integrale storicismo relativisti- co, che fa soltanto una storia
metodologica della successione delle varie tecniche di produzione. Ad esempio,
il cosiddetto operaismo, che infatti fa soltanto questo, e per di pi se ne
vanta, cade completamente sotto la critica di Heidegger. Ha inve- ce torto, se
il pensiero di Marx potesse essere reinterpretato come sintesi dialettica del
proprio tempo, appreso nel pensiero, e di ci che , ed eternamente, come suggerisce Hegel, e che
purtroppo il Marx empirico e filologico ha trascurato di sviluppare,
congedandosi troppo presto dalla filosofia come filosofia, che invece lunica filosofia degna di questo nome.
Ma quello che Marx non ha fatto, non
detto che non possiamo farlo noi. La ricostruzione heideggeriana della
storia della filosofia occidentale in termini di storia della metafisica (e cio
di oblio dell'essere) uno dei punti alti
di tutto il pensiero novecentesco. E resta uno dei punti alti nonostante la
pittoresca e pro- vocatoria mancanza di qualunque deduzione sociale delle
categorie. Ma ormai lo sappiamo: la deduzione sociale delle categorie c'
soltanto quando legata ad una filosofia
umanistica dellemancipazione, e non c' quando questultima assente. Nello stesso tempo, Heidegger un filosofo talmente acuto e geniale da
riuscire a . cogliere ugualmente quasi sempre il punto della questione.
L'antipatia e la simpa- tia verso Heidegger
sia pure in misura minore di quanto avvenga in Hegel ed in Marx - anch'essa un fatto sociale, e non certamente
soltanto un dato secondario dellirrilevante dibattito accademico. Da un lato,
unantipatia fortissima verso Hei- degger
nutrita quasi sempre da positivisti, neopositivisti, kantiani,
neokantiani, razionalisti generici, marxisti tradizionalisti, ecc., per il
semplice fatto che Heideg- ger sostiene che la metafisica qualcosa di storico e di terreno, mentre
tutti costoro non possono cedere (senza scomparire) sul fatto che la
metafisica solo religiosa, celeste,
divina, ecc. Come potrebbe infatti essere imposta la dittatura della cosid-
detta scienza se si coltivasse il dubbio sul fatto che la metafisica qualcosa che riguarda il mondo in cui
viviamo? Questa bestemmia e questo sospetto devono essere allontanati, ed un
modo artigianale ma efficace per farlo
confondere le acque gridando con voce stridula che Heidegger stato un nazista, un nazista, un nazista, un
nazistaaaa! Dall'altro lato, gli amici filosofici di Hegel e di Marx, e cio di
coloro che a modo loro e con il loro linguaggio hanno sempre sostenuto che la
metafisica non sta in cielo, ma sulla terra, non possono che essere incuriositi
ed intrigati dallelabora- zione di Heidegger. E questo per l'appunto il mio caso. Io sono
interessato alla ricostruzione heideggeriana della metafisica occidentale in
quanto amico di Hegel e di Marx, non certo in quanto cercatore di
un'alternativa filosofica a Hegel ed a Marx. Su questa base, e con questa
metodologia, diventa sensato occuparsene, trascurando il fastidio del totale
rifiuto heideggeriano del metodo della deduzione sociale delle categorie. 420
Solo un Dio pu ancora salvarci. L'esito depressivo nella filosofia
contemporanea Il fraintendimento heideggeriano dei Greci (nonostante le
numerose pagine su Anassimandro, Platone, Aristotele, ecc.) mi sembra totale.
Heidegger non sembra disposto a riconoscere alla logica dialettica unoriginalit
rispetto a quella formale, ed in Essere e tempo si legge che ogni dialettica si
rifugia nella negazione, senza essere in grado di fondarla proprio
dialetticamente, per cui non mai stato
posto il problema dell'origine ontologica del nulla. noto che questo problema stato posto nella Scienza della logica di
Hegel, ma qui Heidegger sembra accettare a sca- tola chiusa la critica a Hegel
di Trendelenburg (e nel novecento italiano di Colletti). Egli sembra invece
capire che la concezione di Protagora delluomo come misura di tutte le cose
(metron ton chrematon) non ha nulla di relativistico e di soggettivisti- co,
perch luomo di Protagora inserito in una
comunit dotata di senso politico e razionale, e non quindi luomodel relativismo. Heidegger si
muove ancora allinterno di un fraintendimento totale della gre- cit, derivata
dal dilettante esagitato Nietzsche. Certo, non giunge alla comicit di
interpretare la grecit come il carnevale opposizionale di Dionisiaco/Apollineo,
spezzato ed infranto dalla pedante interrogazione socratica del che cos' la ve-
rit (fi estin), e questo deve essergli riconosciuto ad onore. Ma la sua totale
pit- toresca mancanza di deduzione sociale delle categorie lo porta a non
capire che i Greci, lungi dall'aver dimenticato l'essere scambiandolo per
l'insieme degli enti, avevano capito benissimo invece che esisteva, ed esisteva
proprio come infinito- indeterminato (apeiron), da cui deriva la necessit
assoluta di frenarne il potenziale distruttivo (katekon), ed il solo modo di
frenarlo era limporgli socialmente e poli- ticamente una misura (metron), che a
sua volta presupponeva luso sociale (politi- kn) della ragione, del linguaggio
e della capacit di calcolo (/ogos). Ma, appunto, chi prende sul serio Nietzsche
sui Greci non ci potr mai arrivare, cos come non ci potranno mai arrivare
coloro che ritengono seriamente che i Greci vivessero in un villaggio turistico
serviti da iloti, sottouomini ed altri indigeni (dal marxismo staliniano ad
Hannah Arendt). Heidegger ha invece ragione quando parla di onto-teologia per
distaccarsi dalla concezione cristiana, che come noto identifica completamente il concetto
religio- so di Dio con il concetto filosofico di Essere. Rifacendosi
soprattutto a Duns Sco- to, il francescano medioevale che ha messo maggiormente
in discussione questa indebita equazione (senza poterne ovviamente tirare tutte
le conclusioni radicali del caso, incompatibili con i dati sociali dellepoca),
Heidegger ha cos di fatto suggerito una critica radicale alla religione a mio
avviso ancora pi profonda di quella dellateismo classico, sia nella variante di
Feuerbach (Dio non esiste, e non altro
che l'alienazione dell'essenza umana trasferita in cielo, con conseguen- te
inversione fra soggetto e predicato), sia in quella di Nietzsche (Dio morto, e si pone allora il problema del
teatro antropologico a cinque personaggi che recitano diversamente il copione
della sua assenza). L'onto-teologia
infatti semplicemente una forma sociale diffusa di soggettiva- zione
dell'essere (visto che il thes pensato
soggettivamente ed antropomorfica- mente), e criticandola Heidegger non fa
altro (consapevolmente o meno) che ritor- 421 CarrtoLo XXXVIII nare sulle orme
di Spinoza, che nella sua Etica aveva gi ampiamente sviluppato una acuta
critica alle rappresentazioni progettuali ed antropomorfizzanti della divinit
stessa. Ma sono questi, appunto, i lati comici della storia della filosofia. La
totale estraneit di Heidegger alla concezione della filosofia come indagine sui
valori (egli non manca mai di rilevare linconsistenza di questo approccio, an-
che se non nego che talvolta il suo anti-umanesimo provocatorio ed anche fuori bersaglio) gli
permette per di cogliere quasi sempre l'essenziale. Heidegger pre- cede Kuhn e
Feyerabend nel capire che la scienza
qualcosa di storico, in quanto la fisica aristotelica e la fisica
galileiana implicano due diverse concezioni generali dell'ente (finalismo e
meccanicismo, concezione qualitativa e concezione quanti- tativa della natura,
finit ed infinit dello spazio, ecc.). Nello stesso tempo, egli capisce
perfettamente che quella di Galileo una
ideazione particolare basata sul presupposto della quantificazione del mondo
della natura, e non lo Spirito Santo dei
premi Nobel in processione, magari preceduti da Ludovico Geymonat e Lucio
Colletti con i loro turiboli di incenso. Verissimo, ma nello stesso tempo la
scienza moderna pi esatta di quella
antica, e quindi la comparabilit esiste, anche se solo sul piano dellesattezza
e non su quello della verit. Ma la distinzione fra il campo dellesattezza nella
misurazione razionale dei fenomeni (Verstand) ed il campo del giudizio
filosofico sulla totalit sociale intesa come unit di conoscenza e di
valutazione razionali (Vernunft) era gi stata stabi- lita in modo soddisfacente
da Fichte e da Hegel (ed a mio avviso anche da Marx), per cui Heidegger non ci
aggiunge nulla, se non appunto quel relativismo dellin- commensurabilit dei
paradigmi gi affermato da epistemologi come Kuhn e Fe- yerabend, appunto. A mio
avviso Husserl ha detto queste cose molto meglio, ed il fatto che Husserl lo
abbia fatto in una prospettiva soggettivistico-umanistica, e non nella
prospettiva anonimo-categoriale di Heidegger,
un bene e non un male, un vantaggio e non uno svantaggio. E questo per
una ragione semplicissima: lantropomorfismo reli- gioso un male, perch si costruisce un Dio a
immagine umana, troppo umana, ma l'umanesimo filosofico un bene, in quanto il mondo della natura in s
deve esse- re studiato necessariamente in modo disantropomorfizzato (il Lukcs
dellEsteti- ca e dellOntologia dell'Essere Sociale), ma per quanto riguarda
l'essere sociale una riantropomorfizzazione umanistica necessaria, in quanto si tratta soltanto del
processo progressivo dellautocoscienza che porta alla convergenza di realt e di
razionalit, forma moderna di ci che i Greci chiamavano invece equilibrio
(isorro- pia) di misura (metron) e di capacit di frenare lincontrollabilit
distruttiva dellin- determinato del potere e delle ricchezze (apeiron,
katekon). Heidegger interpreta Cartesio come il fondatore della metafisica
moderna, in quanto per primo Cartesio ha determinato lente come oggettivit del
rappresen- tante ed ha concepito la verit come certezza del rappresentare, cio
come rappre- sentazione chiara e distinta, di cui impossibile dubitare . Dal momento per che
egli ignora pittorescamente il metodo della deduzione sociale delle categorie,
non pu comprendere non solo la genesi materiale di questa concezione (la
costituzio- 422 Solo un Dio pu ancora salvarci. L'esito depressivo nella
filosofia contemporanea ne formalistica di un soggetto astratto, provocata da
una progressiva formazione di un lavoro astratto, che implica un pensiero
astratto che lo determini socialmen- te, e cio capitalisticamente), ma non pu
neppure capire il diverso ruolo del con- cetto di misura. Per i Greci, infatti,
la misura (metron) era prima di tutto una misura sociale, la misura che
impediva la formazione di ricchezze e di poteri smisurati, e quindi distruttivi
e bisognosi di uno strumento razionale (logos), che potesse im- pedire la
dissoluzione politica e sociale, equivalente per i Greci alla fine della vita
stessa (katekon). Per Cartesio, invece, la misura misura tutto, all'infuori
proprio di questo, che invece per
definizione sottratto ad ogni misurazione (morale provvi- soria, conformismo
sociale, esclusione della politica dal mondo della misurazione, ecc.). Secondo
Heidegger, in Hegel per la prima volta l'essenza della metafisica vie- ne
pensata assolutamente, perch Hegel nella sua Scienza della Logica avrebbe per
primo concepito l'assoluto come il sistema di tutte le determinazioni
dell'ente. L'essere coinciderebbe cos in Hegel con la somma di tutte le
determinazioni dia- lettiche dell'ente. Mi sembra evidente che questo implichi
un rifiuto radicale di Hegel, almeno altrettanto grande del tradizionale rifiuto
neokantiano. E tuttavia il pittoresco rifiuto heideggeriano di fare la storia
degli uomini a fianco della storia anonima ed impersonale dell'essere gli
impedisce di capire che in Hegel la scelta di interpretare l'essere come
l'insieme delle determinazioni dialettiche degli enti non uno sviamento, ma la premessa di un programma politico e
sociale di uma- nizzazione dell'essere, e cio di trasferimento di queste
categorie nellautocoscienza umana. Il giudizio filosofico di fondo di Heidegger
su Marx ancora peggiore di quello su
Hegel, perch Marx avrebbe ridotto integralmente luomo ad essere sociale, in-
teso come essere sociologico. L'essenza delluomo verrebbe cos vanificata,
ricon- ducendo integralmente il naturale al sociale. Un simile pensiero, perdendo
ogni dimensione ontologica, si ridurrebbe allora integralmente a tecnica (e si
veda in proposito linterpretazione del filosofo greco Kostas Axelos). E si
potrebbe allora formulare cos il problema: la metafisica ci che dissolve lontologia riducendola a tecnica,
e cio dissolve l'essere delluomo riducendolo a manipolazione. Se Marx fosse
questo, bisognerebbe abbandonarlo. Non esiste infatti nulla di pi abbietto
della riduzione dell'essenza umana e pura socialit, perch la so- cialit in s,
lungi dall'essere un valore, non che
l'insieme delle manipolazioni classistiche ed ideologiche del potere e
soprattutto della legittimazione delle ric- chezze. Del resto, poco prima di
sprofondare nella follia, lo cap perfettamente anche Louis Althusser (cfr.
conferenza di Terni, aprile 1980), che infatti afferm: Il comunismo non
significa affatto socializzazione, perch socializzare una cosa terribile, un portato del
capitalismo, e bisogna semmai desocializzare. La socializzazione capitalistica,
infatti, si basa sulla naturalizzazione dei com- portamenti capitalistici
stessi, i quali a sua volta devono destoricizzare e desocia- lizzare le stesse
tendenze della natura umana verso la comunit, l'emancipazione e la libert. A
modo loro, Martin Heidegger e Louis Althusser lo hanno capito, ma 153 CaprroLo
XXXVIII non hanno potuto trasmetterlo ai loro seguaci. In ogni caso, se il
marxismo fosse uno storicismo sociologistico, Heidegger avrebbe ragione. Il
pensiero di Marx, nel- la interpretazione che ne ho dato, non lo . L'interpretazione
heideggeriana di Nietzsche invece a mio
avviso esattissima, e distrugge alle fondamenta ogni uso alternativo del
superuomo-oltre-uomo per la legittimazione relativistica del postmoderno (su
cui per mi soffermer mag- giormente nel prossimo capitolo). vero che il postmoderno si presenta come una
sostituzione della coppia Nietzsche-Heidegger alla coppia Hegel-Marx, ma in
questo c' una mistificazione. Non esiste infatti una coppia
Nietzsche-Heidegger, perch Heidegger resta del tutto incompatibile con
Nietzsche, essendone un critico radicale ed inesorabile. La totale
nullificazione dell'essere compiuta da Nietzsche, cui corrisponde l'esaltazione
di una volont di potenza assolutamente vuota, puro volere senza 0g- getto e
nello stesso tempo disperato tentativo di esaltare un soggetto ormai sradi-
cato, infatti il peggio del peggio che
si possa concepire, peggio di Hegel e peggio di Marx (che almeno esperisce
l'alienazione, ed in questo modo si pone al di sopra di ogni altro
storiografismo). In questo modo, curiosamente, ed al di l dei linguaggi usati,
il Nietzsche di Heidegger e la Distruzione della Ragione di Lukcs convergono
nello stesso severissimo giudizio di Nietzsche. E cos Heidegger e Lukcs,
filosofi tanto diversi (il primo tentato da Hitler, ed il secondo da Stalin),
si contrappongono a pensatori come Karl Lwith, che sono magari troppo moderati
per diventare nicciani, ma non smettono di ringraziare Nietzsche per avere
delegittimato quella maledetta filosofia per la filosofia che Hegel ha
proposto, e che Marx avrebbe rifiutato solo verbalmente, per poi ricader- ci
dentro nella forma della secolarizzazione della escatologia ebraico-cristiana
nel linguaggio dell'economia politica. Heidegger, quindi, resta un difensore
della filosofia per la filosofia, e tanto mi basta per stimarlo. Certo, nella
sua ottica antiumanistica, che definirei una for- ma di strutturalismo
esasperato (in cui paradossalmente raggiunge i pi esagitati strutturalisti
marxisti anti-umanisti), egli deve concludere (ed infatti cos ha con- cluso in
una famosa intervista postuma a Der Spiegel) che solo un dio pu ancora
salvarci. Tuttavia, il fatto che abbia usato la parola salvare (retten)
significa che quest'uomo ha capito che siamo in una situazione (classista,
ambientale, ecologi- ca, sociale, antropologica, esistenziale, geopolitica,
militare, ecc.) in cui dovremmo essere salvati.
possibile essere ancora salvati? A questa domanda non possibile dare risposte affrettate. Paolo di
Tarso ha proposto la via della salvezza di tutti attraverso lasservimento ad un
unico liberatore (cfr. Lettera ai Corinzi, 7, 20-4). Il marxismo classico, o pi
esattamente la formazione ideologica marxista nata nel ventennio 1875-1895 e
poi bolscevizzata nel ventennio 1918-1938, ha sostenuto che la salvezza verr dallunica
classe intermodale, la classe operaia, salariata e proletaria. La salvezza
paolina e la salvezza marxista possono certamente in via di principio ancora
venire nel futuro, ma deve essere permesso in proposito non solo un dubbio
metodico, ma anche un dubbio iperbolico. 424 Solo un Dio pu ancora salvarci.
L'esito depressivo nella filosofia contemporanea Mentre Weber ha parlato di
gabbia d'acciaio, Heidegger ha parlato di tecni- ca. La tecnica, naturalmente,
non uno strumento (Werkzeug), ma un dispositi- vo anonimo e impersonale
(Gestell), che metaforicamente significa che non pi in nostro potere, e che ci sfuggito ogni controllo sulla sua direzione
storica e socia- le. Paradossalmente, qui Heidegger dice la stessa cosa che
dice Giinther Anders, pensatore che pure soggettivamente non lo amava (anche
perch era un ebreo di sinistra fuggito nel 1933 dalla Germania e rientrato a
Vienna solo nel 1950). Anche per Anders luomo
antiquato, in quanto non riesce antropologicamente e psi- cologicamente
a stare dietro agli imperativi sistemici dellaggiornamento tecni- co del mondo.
In un certo senso, Anders ha fornito un'integrazione antropologica alla
filosofia della storia di Heidegger (almeno, questo ci che io penso), anche se duro da riconoscere per i rispettivi fans.
Anders parla di discrepanza (Geffille), per indicare lo squilibrio che si
manife- sta fra lazione che un singolo compie allinterno di un apparato e
l'impossibilit per lui di comprenderne e di percepirne anche emozionalmente le
conseguenze ultime delle sue azioni. Si tratta esattamente del caso
dellaguzzino di Auschwitz e del pilota di Hiroshima. Per questa ragione Anders
ebbe una corrispondenza con il pilota di Hiroschima Eatherly e cerc un contatto
con il figlio di Eichmann, che per non gli rispose. Mentre la sua banale moglie
Hannah Arendt interpret questi comportamenti unicamente in termini di banalit
del male (il male soltanto di Auschwitz, perch per la signora Arendt Hiroshima
non un male paragonabile, e per questa
ragione il politicamente corretto di oggi la esalta ed invece ha dimenticato
suo marito), Anders li ha invece interpretati, in modo infinitamente pi
profondo, come frutti di uno scarto antropologico, appunto di un Gefaelle. Il
male, purtroppo, non mai banale, anche
se sono quasi sempre banali coloro che lo fanno, capaci di amare bambini,
gattini ed uccellini e poi di spingere gli iner- mi nelle camere a gas oppure
premere i bottoni dello sganciamento delle bombe di atomiche. Dire kantianamente
che essi avrebbero potuto e dovuto usare la loro libert del volere per non
farlo giusto, ma resta alla superficie
delle cose. La teoria heideggeriana del dispositivo (Gestell) connota pur
sempre un dato reale, e cio la percezione sociale diffusa di massa che non ci
sia pi niente da fare, e che coloro che esperiscono l'alienazione (gli ultimi
uomini si trovano invece dentro lalie- nazione come i topi nel formaggio)
finiscono di fatto per pensare che solo un Dio pu ancora salvarci, anche se
intorno a loro gli eremiti continuano a ripetere le vecchie litanie. questo lo scenario del cosiddetto
postmoderno. E tuttavia il post- moderno richiede un'analisi particolare, in
quanto si tratta proprio dello scenario in cui viviamo. Questa analisi verr
condotta nel prossimo capitolo. 425 XXXIX. IL POSTMODERNO FILOSOFICO SPIEGATO
AI BAMBINI E AGLI ADULTI Jean-Frangois Lyotard, il filosofo francese che ha
lanciato il concetto filosofico di postmoderno inteso come fine della credenza
sociale diffusa nelle Grandi Nar- razioni (grands rcits), ha scritto un agile
libretto intitolato Il postmoderno spiegato ai bambini. Si tratta di un
paradosso e di una contraddizione in termini. I bambini, per loro stessa
definizione, sono fantastici, mitici, favolistici, e quindi escatologi- ci e
messianici per loro stessa natura. Un bambini disincantato nel senso di Max Weber - unimpossibilit logica, storica e psicologica.
Il disincanto comincia dopo i diciotto anni, e chi ne dubita dovrebbe andare a
leggersi il grande romanzo di Balzac Le Illusioni Perdute. Pu darsi che una generazione
parcheggiata davanti ai giochi elettronici e che socialmente indotta a non leggere pi libri
possa disin- cantarsi prima, ma anche in questo caso saremmo di fronte ad una
coazione sociale che si trasforma in manipolazione antropologica. In ogni caso,
il postmoderno non pu essere a mio avviso spiegato ai bambini, perch il prodotto sociale di una elaborazione
filosofica del disincanto, ed come il
servizio militare, che non si pu fare prima dei diciotto anni di et. Nella
teoria lyotardiana del disincanto postmoderno verso le grandi narrazioni si
annodano tutte le percezioni sociali di un tempo di gestazione e di trapasso,
la ge- stazione ed il trapasso da un mondo ancora per molti aspetti
capitalistico-borghese (con il suo polo in solidariet complementare, il
comunismo storico novecentesco realmente esistito), ad un mondo ancora
capitalistico, anzi ipercapitalistico, ma ormai in gran parte postborghese e
postproletario. Le ideologie complementari della cosiddetta proletarizzazione
della (piccola) borghesia e della cosiddetta in- tegrazione consumistica del
proletariato sono infatti il modo in cui gli eremiti delle due parti (eremiti
borghesi liberali ed eremiti proletari staliniani) manifesta- no la loro
eremitica incomprensione di quello che sta avvenendo, nella fattispecie appunto
l'epoca di gestazione e di trapasso che stiamo vivendo in questo delicato
passaggio storico. Poco prima di morire Jean-Frangois Lyotard ha elencato ben
cinque grandi nar- razioni: il racconto cristiano della progressiva redenzione
dal peccato originale, attraverso la decifrazione umana della teodicea divina;
la narrazione illuministica dell'emancipazione umana dallignoranza, dalle
imposture e dai pregiudizi attra- verso la diffusione sociale dei lumi della
ragione scientifica; la narrazione specu- lativa di origine romantica della
realizzazione dell'idea universale attraverso la dialettica storica; il
racconto marxista dellemancipazione dallalienazione e dallo sfruttamento; ed
infine, la narrazione capitalistica del benessere per tutti attraver- so lo
sviluppo economico, tecnico ed industriale. 427 CarrroLo XXXIX Com' possibile
spiegare ai bambini che queste cinque grandi narrazioni sono tutte illusorie, e
l'educazione filosofica di oggi consiste propriamente nel convin- cere
razionalmente bambini, adolescenti ed adulti (per i vecchi non c' problema,
perch tanto moriranno presto) ad abbandonarle? Ho gi fatto notare che im- possibile convincere i bambini, la cui
credenza nel lieto fine e nella punizione dei malvagi incrollabile (Biancaneve, Cenerentola, ecc.),
ma forse possibile con- vincere due
altri gruppi generazionali: gli adolescenti, affidati al lavoro flessibile e
precario, per cui il postmoderno
veramente l'epoca della produzione flessibile (Jameson), e del passaggio
dal primato borghese del tempo del progresso al prima- to postborghese dello
spazio della globalizzazione economica (Harvey); gli adulti di mezza et appena
usciti dall'epoca precocemente sfiorita delle illusioni tardo- marxiste (il
mitico Sessantotto, assai pi ormai mito di fondazione che insieme storico di
fatti eterogenei), e riciclati in generazione di cinici disincantati (ultimi
uomini nicciani, ma anche e soprattutto io minimi alla Lasch). evidente che per il postmoderno la deduzione
sociale delle categorie un vero gioco da
ragazzi, e ci si vergogna quasi tanto
semplice e banale, se lo si paragona alla difficolt di capire Parmenide,
Platone, Cartesio, Kant, Hegel, Marx e Heideg- ger. Eppure nel postmoderno la
facilit del ricavarlo con una deduzione sociale delle categorie deve diventare
una sfida per complessificare il quadro storico, e testarlo per la
ricostruzione dell'intero metodo usato fino a qui. Personalmente sono infatti
pi d'accordo con Hegel di quanto lo sia con Marx. Marx riteneva di prevedere il
futuro, sia pure in modo tendenziale e non fisico-matematico. Hegel riteneva
invece che la filosofia fosse come la nottola di Minerva, arrivasse solo al
crepuscolo, e quindi non permettesse previsioni futurologiche. Proponendo di
sostituire il giudizio problematico della categoria modale di possibilit
(intesa pe- raltro aristotelicamente come possibilit ontologicamente
potenziale, dynamei on) al giudizio assertivo-apodittico della categoria modale
di necessit, in rapporto al noto passaggio del capitalismo ad una societ pi
comunitaria e solidale (che potremo chiamare comunismo in senso marxiano, ma
non certo in senso stali- niano), ho gi di fatto proposto non solo una
interpretazione hegeliana di Marx, ma anche una rilegittimazione integrale
della cosiddetta filosofia per la filosofia, che anzich essere ritenuta
unanticaglia degna di sorrisini di disprezzo scientista e positivista torna ad
essere il luogo del rinvenimento della conoscenza della ve- rit attraverso una
scienza filosofica adeguatamente riveduta e corretta. Questa mia impostazione,
ovviamente, va in direzione opposta allo spirito del cosiddetto postmoderno.
Una ragione in pi, questa, per discuterlo con seriet e disponibilit
all'ascolto. Bisogna ringraziare Jean-Francois Lyotard per la sua onest
intellettuale, perch non ha cercato in nessun modo di nascondere, ma lo ha anzi
rivelato apertamente, che la sintesi teorica postmoderna raffigurabile come una vera e propria
elabora- zione filosofica di un disincanto politico. E tuttavia, lelencazione
dei cinque modelli di grandi narrazioni fatta da Lyotard fuorviante ed ingannevole, ed assomiglia alla
lettera rubata di Edgar Allan Poe, che viene nascosta in mezzo ad un mazzo di
428 altre lettere poste in evidenza per poterla nascondere meglio, oppure al
gioco delle tre carte, in cui una sola carta deve essere nascosta, mentre le
altre devono invece essere facilmente trovate. A Lyotard, infatti, interessa
sottolineare il disincanto di una sola grande-narrazione, la quarta sopra
elencata, quella marxista. Si tratta di un disincanto personale,
autobiografico, filosoficamente elaborato. Le altre quattro grandi-narrazioni,
infatti, non sono affatto tali, e sono messe l soltanto per confon- dere le
acque. Una breve riflessione analitica baster a dimostrarlo ampiamente. Il
racconto cristiano della progressiva redenzione dal peccato originale,
come noto, non esiste pi socialmente
almeno da mille ed ottocento anni, e non
quindi in alcun modo una novit. Non si pu essere infatti weberiani a
corrente alternata, come Lyotard, che da
un lato accetta integralmente la diagnosi weberiana del disincanto
razionalistico del mondo, e poi ne rifiuta la spiegazione storico-meto-
dologica, per cui tutte le religioni nascono messianiche ed escatologiche (o
almeno, tutte le religioni monoteistiche e teistiche occidentali del Libro), ma
si estingue- rebbero ben presto se restassero per sempre legate a questa
origine, e non hanno altro modo per stabilizzarsi normalmente che ripiegare
sulle trincee socialmente sostenibili della razionalizzazione simbolica della
vita quotidiana, abbandonando completamente ogni promessa messianica di
rifondazione integrale della comuni- t sociale. Ges di Nazareth predic lanno di
misericordia del signore (cfr. Luca, 4, 14- 30), il cui contenuto sociale ai
suoi tempi era integrale, e cio socio-politico com- plessivo, in quanto
implicava una purificazione del tempio la quale, essendo il tempio non una
chiesa in cui si salmodiava in modo innocuo ma il centro politico- economico
della distribuzione dei beni e degli obblighi, finiva con il disegnare una
rifondazione comunista della societ. Egli era certamente convinto di propiziare
questo evento messianico con il suo sacrificio di servo sofferente (cfr. Isaia,
cap. 53, e Saggezza di Salomone, 2, 13-20), ma dal momento che l'essere un
servo soffe- rente non era un reato per gli occupanti romani, dovette essere
crocefisso come in- sorgente zelota armato, fatto inconfutabilmente registrato
dal cartiglio inchiodato sulla sua croce (re dei Giudei, in un contesto
politico caratterizzato dalla diar- chia fra occupanti romani e sinedrio
ebraico mafioso collaborazionista, significava letteralmente capo
politico-militare armato degli insorgenti zeloti). Paolo di Tarso certamente
universalizz il suo messaggio, e fu pertanto il Lenin del cristianesimo di cui
Ges era stato il Marx, ma in mancanza di tempio da purificare indic una
prossima presenza messianica di ritorno del Cristo (la parousia). La parousia
ovvia- mente non si verific, come non si verific lapokalypsis della caduta
della grande meretrice Babilonia la Grande, metafora palese di Roma e del suo
terrificante do- minio schiavistico. A questo punto, gi nel secondo secolo, e
pi ancora nel terzo, il cristianesimo non era gi pi una grande narrazione di
salvezza, ma una normale religione po- polare di massa non escatologica e non
messianica che offriva strutture di sostegno per i poveri in un sistema sociale
completamente privo di assistenza pubblica e di forme di welfare (anche se non
di evergetismo, e cio di beneficienza di miliarda- 429 CaprroLo XXXIX ri, tipo
oggi Bill Gates e consorti). E quindi Lyotard non pu prenderci in giro: la
grande-narrazione cristiana, estinta fra il 150 ed il 250, e mai pi realmente
ripro- posta (al di fuori di gruppi in fusione effimeri di eretici di vario
tipo, sempre sistematicamente uccisi ed emarginati, anche se ovviamente
stimabili e degni di memoria storica), non deve essere decentemente elencata
fra le grandi narrazioni della modernit. Nella misura in cui la religione
organizzata (che personalmente vedo con favore, non perch creda ai suoi dei
teistico-personalistici, ma in quanto katekon, sia pure debole, dello
scatenamento individualistico del capitalismo as- soluto) non una grande narrazione escatologica (se non in
innocue chiacchere pretesche cui i preti generalmente sono i primi a non
credere), ma un'agenzia psicologico-
assistenziale di tipo comunitario in unepoca di sdivinizzazione (hei-
deggerianamente concepita come stato di incertezza rispetto all'esistenza di
Dio, colmato con chiacchiericci teologici e morali sui valori di vario tipo),
bisogna respingere il suo inserimento nella lista lyotardiana. A proposito
della grande narrazione illuministica dellemancipazione universa- le attraverso
il superamento dell'ignoranza e della superstizione, bisogna dire che il suo
papa laico Voltaire, cui si rifanno oggi tutti i cosiddetti neoilluministi, che
si vergognano invece degli estremisti sociali alla Rousseau, e soprattutto del
radicalismo rivoluzionario dei giacobini (Robespierre eguale Stalin con il
codino, Stalin eguale Robespierre con gli stivali, ecc.), era un nemico di
tutte le grandi nar- razioni del tempo, ed un fautore furbesco del dispotismo
illuminato di Federico Il di Prussia. Certo,
esistita nellilluminismo francese una corrente minoritaria di filosofia
della storia (Turgot, Condorcet, ecc.), che effettivamente consente di
connotare questa grande corrente come una sorta di grande narrazione delleman-
cipazione attraverso l'istruzione. Ma non pu essere un caso che dei quasi-con-
temporanei come Fichte ed Hegel, che erano ancora in grado di farne un bilancio
storico-culturale ravvicinato (come il
nostro caso per il novecento), e quindi non erano fuorviati dalla lontananza
temporale, matrice infallibile dellidealizzazione, ne rivelassero il carattere
soprattutto distruttivo, l'epoca della compiuta peccami- nosit (Fichte) e dello
scatenamento dell'intelletto astratto (Hegel). In ogni caso, facciamo pure
l'ipotesi che lilluminismo settecentesco fosse nel suo complesso una grande
narrazione (anche se, ovviamente, non lo credo affatto). Ebbene, ci che oggi
rumorosamente si autodefinisce neo-illuminismo in Italia (rivista Micromega,
ecc.) una macchina da guerra
scettico-relativistica contro qualunque filosofia dellemancipazione, ha alzato
il cartello di Darwin e della te- oria dell'evoluzione per nascondere meglio il
fatto di avere abbassato il cartello di Marx e della critica al capitalismo, se
la prende con il comunitarismo in nome delle forme pi estreme di
individualismo, ed anzi si vanta di aver distrutto la credenza grande-narrativa
nelle utopie emancipatrici in nome di una virile accettazione del presente
socialmente intrascendibile. Fine capitalistica della storia, stato di di-
ritto, mercato capitalistico concorrenziale contro i mercantilismi dello
Stato-nazio- ne, diritti umani con bombardamenti incorporati contro gli stati
canaglia, adesione all'impero americano come nuovo nomos della terra, nuova
religione laica dellolo- 430) causto di Auschwitz contro le vecchie religioni
monoteistiche tradizionali troppo normative verso gli stili di vita
individuali, diffamazione e silenziamento verso tutte le voci che in qualche
modo tendono a riabilitare Marx dopo la caduta del comunismo storico
novecentesco (1917-1991), ecc. Questo il
neo-illuminismo che osa mettere in copertina Marianna, il simbolo
rivoluzionario francese, che porta la scritta illuministi di tutti i paesi,
unitevi (cfr. Micromega, novembre 2007). Mi sembra difficile sostenere che
esista ancora una grande narrazione illuministica e razionalistica
dell'emancipazione. Oggi il cosiddetto neo-illuminismo una mac- china da guerra contro tutte le
filosofie dellemancipazione, ed un
pensiero pi conservatore di quanto lo fosse ai suoi tempi la teologia dei
gesuiti rispetto alla legittimazione del sistema sociale signorile e
tardo-feudale. Non c dubbio che le filosofie dellidealismo tedesco presentino
maggiormente il codice teorico di grandi narrazioni emancipative. Anche qui,
per, bisogna pro- cedere con attenzione. Nella misura in cui ha stabilito una
filosofia della storia in cinque tappe, quella di Fichte certamente almeno in parte una grande
narrazio- ne nel senso di Lyotard. Ma a mio avviso Hegel non ci rientra gi pi,
e per certi aspetti il suo pensiero pu essere interpretato come una critica
dialettica a qualun- que grande narrazione. Il percorso fenomenologico della
coscienza in direzione dellautocoscienza, disegnato nella sua Fenomenologia
dello Spirito, non affatto a mio avviso
una grande narrazione nel senso di Lyotard. Esso non promette alcuna salvezza,
ma descrive un possibile itinerario di liberazione. O forse la descrizione
realistica della nascita del dominio delluomo sull'uomo, originatasi dal
coraggio e dalla paura e non certo da un pacifico contratto sociale, una grande narrazione? O forse la lotta del
servo contro il signore per il riconoscimento sociale egualitario una grande narrazione? O forse la critica
delle filosofie ellenistiche come esodo protetto in piccoli gruppi all'ombra
del potere una grande narrazione? O
forse lindicare il rovesciamento dialettico dellascetismo kantiano della morale
in regno animale dello scatenamento degli appetiti egoistici del regno animale
dello spirito una grande narrazione? No,
tutte queste figure dialettiche non sono grandi narrazioni. possibile retro- attivamente considerarle
tali, e portare legna postmoderna al fuoco dellantipatia organizzata verso
Hegel, soltanto quando la societ dellindifferenza, basata sulla chiacchiera, la
curiosit superficiale e distratta e l'equivoco sistematico coltivato, riuscita ad imporre socialmente questa
indifferenza stessa come stato normale della societ e come saggezza del
disincanto degli intellettuali. Si tratta di una congiuntura storica
particolare, frutto di un'epoca di gestazione e di trapasso ad un universo
ultracapitalistico, congiuntura che viene ipostatizzata in smasche- ramento
delle grandi narrazioni. Mi sembra altrettanto evidente che non esiste nessuna
grande narrazione capi- talistica del benessere e del consumo attraverso lo
sviluppo economico, tecnico ed industriale. Il capitalismo non unideologia, non poggia su basi ideologiche,
e non deve essere creduto o legittimato in base ad unideologia di riferimento,
e quindi non pu essere una grande narrazione. E del resto lo stesso Lyotard, in
431 CaritoLO XXXIX modo sinceramente contradditorio, ammette altrove che il
capitalismo si legittima esclusivamente in modo performativo, e cio con la sua
capacit effettiva e fattuale di garantire un flusso permanente di merci e
servizi accessibili almeno ai due terzi delle societ metropolitane, laddove il
terzo rimanente consegnato alla polizia,
alle agenzia di assistenza e beneficienza, all'emarginazione e alle reti di
solidariet prevalentemente mafiose. Se a New York c' un black-out, e cio
un'interruzione generalizzata della corrente elettrica, i supermercati vengono
immediatamente saccheggiati ed ognuno corre via con il suo bottino. Non esiste
un'adesione ideologica e grande-narrativa alla produzione ed al consumo
capitalistici. Se il capitalismo si fondasse su di una adesione ideologica,
grande-narrativa o anche semplicemente valoriale, il problema della rivoluzio-
ne sarebbe immediatamente risolto, ed il capitalismo non esisterebbe gi pi da
molto tempo. La sua gigantesca forza sta appunto nel non essere oggetto di
scelta ideologico-valoriale, e quindi in qualche modo grande-narrativa, ma
nell'essere | una riproduzione performativa, che viene poi metaforizzata in
gabbia d'acciaio dai seguaci di Max Weber e di dispositivo tecnico (Gestell)
dai seguaci poco radi- cali e molto integrati nella societ mediatica dello
spettacolo di Martin Heidegger (Umberto Galimberti, ecc.). Non pertanto possibile consentire in alcun modo
con Lyotard quando definisce l'insieme di promesse capitalistiche e di consumo
una grande narrazione. Il sistema dei consumi
un puro meccanismo performativo. Forse che il motore, che non pu
funzionare senza un costante flusso di benzina,
una grande narrazione? Certamente non lo . Si pu parzialmente consentire
con Simmel, il primo filosofo che ha scelto di occuparsi del denaro allinterno
del capitalismo come oggetto specifico e come fondamento del legame sociale, il
quale ha connotato come errore metafisico l'inversione fra mezzi e fini (con
privile- giamento dei primi sui secondi, e quindi rovesciamento dell'essere in
avere per dirla con Eric Fromm), per cui
il privilegiamento dei mezzi (i prodotti della tecni- ca immessi sul mercato in
vista di un'offerta solvibile) da un lato ci fa diventare schiavi delle mode e
dei prodotti, dall'altro per moltiplica i possibili stili di vita, rompendo la
monotonia dei vecchi modi di vivere precapitalistici uniformemente comunitari.
Ma di Simmel, autore decisivo e sempre stupidamente sottovalutato, parler nel
prossimo ultimo capitolo dedicato a Lukcs, che fu allievo di Simmel (e di
Weber), ed il sui marxismo si origina proprio per reazione dal suo congedo
filosoficamente elaborato da Simmel (e naturalmente da Weber). Qui baster solo
insistere ancora una volta sul fatto che il capitalismo non si fon- da su di
una grande narrazione ideologica, in quanto, se si fondasse su di essa, sa-
rebbe fragilissimo. Sostenendo che anche il capitalismo si fonda su di una
grande narrazione, Lyotard mostra di non capire la ragione della clamorosa
vittoria tenni- stica del capitalismo sul comunismo storico novecentesco del
decennio 1985-1995. Si tratta proprio del decennio pi filosofico del novecento,
ed appunto per questa ragione il meno filosoficamente studiato dalla filosofia
universitaria politicamente corretta. Un sistema sociale del tutto privo di
legittimazione ideologica, e basato solo sulla pi totale performativit
consumistica, ha sbaragliato sul campo un si- 432 Il postmoderno filosofico
spiegato ai bambini e agli adulti stema sociale che si nutriva quasi
esclusivamente di legittimazione ideologica, ed appunto per questa ragione crollato tanto miseramente. E questo appunto
fa sospet- tare (lo dico per pura cortesia
in realt ne sono sicuro, e non lo sospetto affatto) che Lyotard non
disponga n di una teoria del capitalismo n di una teoria del comunismo, ma solo
di uno schema elementare del cosiddetto passaggio dalla Modernit alla
Postmodernit, modello la cui funzione esiste, ed quella di non per- mettere mai di capire che
cosa stia realmente succedendo nel presente come storia. necessario a questo punto congedarsi
provvisoriamente da Lyotard, per cer- care di fare una deduzione sociale delle
categorie del pensiero a proposito del triangolo concettuale Premodernit, Modernit
e Postmodernit, trinit in cui il ruolo di Dio
svolto dal capitalismo, variamente metaforizzato, ma sempre divinizzato.
La discussione teologica di questa trinit corrisponde esattamente alla
discussione teologica bizantina sulla trinit cristiana di Padre, Figlio e
Spirito Santo, e lunica differenza di
carattere storico, perch ai tempi di Bisanzio la legittimazione po- litica e
sociale si basava sulla religione, mentre dopo il settecento illuministico la
legittimazione politica e sociale si basa sulla definizione del concetto di
ragione. questa la ragione per cui la
differente funzione dell'intelletto scientifico (Verstand) e della ragione
filosofica (Vernunft) non una questione
accademica per specialisti di storia della filosofia, ma una questione politica e sociale. La
definizione di Mo- derno come epoca storica che delegittima la filosofia, o se
vogliamo la filosofia per la filosofia (Lwith), ha infatti un valore
direttamente politico e sociale, come del resto l'avevano gi categorie come
fuoco semprevivo (Eraclito), essere (Par- menide), numero (Pitagora), idea
(Platone), individuo singolo (Occam), io penso (Cartesio e Kant), ecc. i Il
moderno ovviamente soltanto una metafora
per indicare lintrascendibi- lit storica del capitalismo, la naturalizzazione
di esso come forma di produzione insuperabile, la fissazione virtuale della
fine della filosofia seria e razionale a Kant ed allilluminismo, ecc. Del
resto, tutta la filosofia dopo Kant
intollerabile peri teorici della modernit. Scrive Karl Lwith: Lo
storicismo metafisico di Hegel, il materialismo storico di Marx ed il discorso
heideggeriano sul destino dell'Essere si rivelano egualmente insufficienti per
una comprensione del mondo, in quanto muovono tutti dall'uomo e dal suo mondo
storico. Essi rimangono tutti entro la tradizione biblica, secondo la quale il
cielo e la terra sono stati creati in funzione delluomo. Qui non ha veramente
pi senso rilevare ancora una volta che la matrice storica e filosofica delle
elaborazione di Hegel, Marx e Heidegger (lasciando qui da parte le differenze
enormi fra i tre pensatori) invece
storicamente proprio il contrario di quello che Lwith dice, e cio il passaggio
dalla fede biblica all'accertamento razionalistico del tempo storico presente.
Ma il disincantato non accessibile a
ragionamenti pacati come questo. Dal momento che il disincanto un fatto sociale, e non solamente un insieme
contingente di pensieri di Max Weber, Karl Lowith, Jean-Frangois Lyotard e
Lucio Colletti, del tutto inutile
illudersi sul fatto che . funzionino ancora le buone vecchie argomentazione
socratiche. I disincanta@l, j CarrroLo XXXIX infatti, non stanno pi nellagor
ateniese, ma fanno parte di robustissimi apparati ideologici, tenuti insieme
particolarmente dal clero mediatico e dal clero univer- sitario. Cos come i
preti sono stati a lungo i sacerdoti dellincanto, essi sono oggi semplicemente
i sacerdoti del disincanto. Preti erano prima, e preti sono adesso. I primi,
peraltro, erano migliori, perch sotto le favole teologiche ci stavano metafo-
re di rapporti sociali che richiedevano ancora il significato del vivere
comunitario, mentre nei secondi c' soltanto la richiesta arrogante di non
chiedersi pi il signi- ficato di nulla. Sta qui, infatti, il segreto
dellavversione verso la filosofia per la filosofia. Il potere simbolico deve
essere spartito esclusivamente fra capitalisti, scienziati e sociologi. Si
tratta di una nuova versione della tripartizione indoeu- ropea di Georges
Dumzil: non pi il trifunzionalismo di sovranit religiosa, for- za fisica e
fecondit (trifunzionalismo di cui la teoria politica di Platone potrebbe essere
interpretata come una versione pitagoricamente addomesticata), ma il tri-
funzionalismo di potere economico capitalistico, riproduzione
tecnico-scientifica e sacerdozio di legittimazione ideologica. Spodestata la
filosofia dalla sua funzione di interpretazione del mondo, la so- ciologia ne
distrugge i concetti per mettere al loro posto la categoria di moderniz-
zazione. Si tratta della categoria pi vuota ed assurda del mondo, che
corrispon- de funzionalmente alla categoria di Nulla di Parmenide. E come per
Parmenide il nulla era la metafora della rinuncia ad una buona legislazione
pitagorica stabile e permanente (e perci eterna) cos la categoria di
modernizzazione simboleg- gia la tautologica rinuncia a giudicare il presente
storico, limitandosi a sdraiarsi su di esso, oppure a galleggiare su di esso
come su di una tavola da surf. Ed infatti, che cosa significa propriamente
modernizzazione, la categoria pi tautologica e vuoto dell'intera storia del
pensiero? Significa semplicemente registrazione della combinazione fra
innovazioni di processo (taylorismo, fordismo, toyotismo, just in time, ecc.),
innovazioni di prodotto, ed infine stili di vita e di consumo continua- mente
indotti dalla saturazione pubblicitaria e dal suo eraclitismo permanente (il
vecchio panta rei peraltro del tutto
assente nei frammenti di Eraclito
diventa tutto il consumo scorre, e non si ferma mai). Il concetto di
modernizzazione il concetto pi vuoto e
tautologico del mondo, ed infatti non
neppure un concetto, perch rifiuta l'unione di conoscenza e valutazione.
Il suo antecedente diretto la buona
vecchia scemologia di Leibniz, per cui la modernizzazione il migliore dei mondi possibili. La teodicea
si cos completamente secolarizzata nella
coazio- ne al consumo. Il concetto di Moderno
quasi sempre una metafora di una rappresentazione idealtipica del
capitalismo, cui vengono attribuiti in generale le valutazioni di Max Weber
(razionalizzazione universalistica, impossibilit del socialismo in una so- ciet
complessa ed articolata, disincanto illuministico del mondo, politeismo dei
valori, relegamento di Hegel, Marx e Heidegger in una fantomatica e metafisica
pre-modernit, ecc.). Si tratta di una visione del mondo per professori
universitari, il clero regolare del capitalismo (i giornalisti ne sono invece
il clero secolare, che vive a contatto con la plebaglia, i laboratores ed il
Terzo Stato da manipolare ca- 434 pillarmente). In questo senso, la teologia
del disincanto del clero regolare univer- sitario corrisponde esattamente alla
onto-teo-logia di Tommaso d'Aquino e dellor- dine domenicano, anche se
questultima doveva servire ad una legittimazione ver- ticale e trascendente,
mentre la prima deve servire ad una legittimazione indiretta orizzontale e
storicamente immanente. Ma chi sa guardare oltre la superficie delle cose non
potr sbagliarsi, se ovviamente non trasforma in vocazione-professione (Beruf)
la destoricizzazione e la desocializzazione. Come Jean-Frangois Lyotard il papa filosofico del postmoderno, Juergen
Ha- bermas il papa filosofico del
moderno. Cos come Lyotard spiega il postmoderno ai bambini, Habermas spiega il
moderno agli adulti (cfr. Il Discorso Filosofico della Modernit). Ma come
direbbe la Vispa Teresa: sorpresa, sorpresa! I due discorsi sono identici! Il
moderno tedesco ed il postmoderno francese concordano nel ritenere insuperabile
il capitalismo e nel considerare grandi-narrazioni ideologiche tutte le
concezioni aperte della storia che ne ipotizzano il possibile superamento. Il
fatto che l'uno chiami quello che pensa postmoderno e laltro lo chiami
moderno certo rilevante per le storie
dossografiche della filosofia contemporanea, ma non per la deduzione sociale
delle categorie e la loro collocazione ontologico-sociale. Habermas stato allievo di Horkheimer e Adorno (ma la
corrispondenza dei due mostra che Horkheimer sospettava di lui da moltissimo
tempo e fu buon profeta!). Quando i due
santoni erano ancora vivi, moder opportunisticamente le sue irresistibili
pulsioni verso il rifiuto moderno della filosofia e verso l'integrale
accettazione della scienza come unica ideazione legittima per la conoscenza del
mondo. L'aver ritenuto Habermas un francofortese forse uno degli episodi pi comici ed
esilaranti dell'intera filosofia del novecento, e rivela una doppia stupi- dit:
la stupidit dei professori universitari di filosofia (ed Horkheimer e Adorno lo
erano diventati, laddove il presupposto sociale della loro teoria critica stava
proprio nel fatto che all'origine non lo erano), nel loro investire i
successori sul- la base della loro semplice autocertificazione ipocrita; e la
stupidit dei commen- tatori, incapaci di scavare in profondit ed abituati a
galleggiare sulla superficie delle opinioni. E comunque Habermas, per tradire i
grandi francofortesi, dovette aspettare che fossero prima seppelliti (Adorno
1969, Horkheimer 1973). Una volta seppelliti, la pulsione conformistica di
Habermas non ebbe pi freni. Certo, im-
possibile dedurre lempirica e casuale personalit di Habermas, ma il seppelli-
mento della scuola di Francoforte ancora
un fatto sociale totale, e non neppure
difficile capirlo. I francofortesi sono stati lultima incarnazione
intellettuale europea della figura hegeliana della coscienza infelice. La
dialettica negativa di Adorno non deve essere investigata come un semplice
complesso di opinioni sulla dialettica, ma come il segnale di un dilemma
tragico. Da un lato, Adorno aveva perfettamente capito che la dinamica del
capitalismo lo stava portando verso uno smantellamento degli stessi residui
problematici del pensiero borghese classico (questa consapevolezza particolarmente viva in quel capolavoro
che i Minima Moralia), e quindi verso un
capitalismo assoluto interamente postborghese e postproletario (non c' forse 435
CarrroLo XXXIX la parola, ma a mio avviso il concetto e lo spirito si potrebbe
dimostrare con una ca- pillare lettura interpretativa). Dall'altro, la
disapprovazione verso le forme sociali e politiche assunte dal comunismo
storico novecentesco realmente esistito (stali- nismo, dittatura burocratica,
materialismo dialettico, ecc.) impediva ad Adorno l'adesione politica al
comunismo. Il comunismo sarebbe stato quindi astrattamente necessario per
impedire la deriva verso un capitalismo amministrato postborghe- se e
postproletario, ma dall'altro canto era concretamente inaccettabile. Da questo
dilemma alla Buridano, per cui l'asino non pu scegliere n di qua n di l la
balla di fieno, essendo perfettamente nel mezzo (ma si trattava gi del dilemma
delle antinomie della Critica della Ragion Pura di Kant), si origina
concettualmente la dialettica negativa di Adorno. La dialettica non pu
determinarsi mai, e quindi non pu mai diventare speculativa (Hegel), perch
nella congiuntura storica no- vecentesca concreta il comunismo reale non in alcun modo speculativo, perch non permette
all'umanit di guardarsi nello specchio, in quanto lo specchio di Stalin quello di Dorian Gray nel romanzo di Oscar
Wilde. Uno specchio in cui chi si guarda muore. E cos Adorno finisce con il
nobilitare la passivit sistematizzata. La dialettica negativa infatti anche un alibi per il rifiuto
sistematico dell'impegno politico, impegno le cui forme storicamente date non
possono mai aspirare a rag- giungere il concetto (Begriff). Il pensiero di Adorno
resta per pur sempre un pensiero tragico, e quindi no- bile. Il pensiero di
Habermas invece un pensiero tragicomico,
perch esorcizza sistematicamente tutti gli aspetti tragici del presente, ed
appunto per questo si leggo- no spesso negli organi del circo mediatico
stampato il giudizio per cui Habermas sarebbe il pi grande filosofo vivente
(gennaio 2008). Habermas, morti i suoi due benefattori, inizia con una
stroncatura del loro noto capolavoro Dialettica dell'Illuminismo. Egli ha buon
gioco nel mostrare i limiti dia- lettici di questo libro, in cui effettivamente
di un fenomeno ambivalente come lilluminismo veniva data un'immagine puramente
negativa, e per di pi attraver- so metafore letterarie come Ulisse e le Sirene
o il marchese De Sade. In sostanza, i francofortesi avrebbero esagerato, e non
ci si pu pi fidare di chi esagera, estre- mizza, finisce nel paradossale, ecc.
Pi sobriamente, lilluminismo ha certamen- te prodotto dei pericoli di
scientismo e di progressismo ottimistico, ma ha anche prodotto - ed ci che pi conta un profilo razionalistico ed universalistico
di intelletto scientifico. In sostanza, Adorno viene spodestato, ed al suo
posto viene posto sul trono Max Weber. Leggendo Dialettica dell'Illuminismo,
appare chiaro che effettivamente i franco- fortesi hanno esagerato. Ma quello
che i vari Habermas non potranno mai capire
che per sua propria natura la filosofia pu e deve anzi esagerare.
Nietzsche avrebbe forse dovuto dire che non esiste la morte di Dio, non ci sono
gli Ultimi Uomini e non bisogna martellare il crocifisso perch non politicamente corretto in un sano ed educato
pluralismo laico delle opinioni? Sciocchezze, fastidiose sciocchezze! La
filosofia deve mirare principalmente a provocare riorientamenti gestaltici
radicali, e per questo a volte bisogna gridare e parlare sopra le righe. Poi,
in un secondo 436 Il postmoderno filosofico spiegato ai bambini e agli adulti
momento, i consigli della prudenza e lo stesso buon senso penseranno a produrre
correzioni moderate. Ma il whisky non pu essere prodotto direttamente con lac-
qua dentro. E la filosofia esattamente
come il whisky scozzese. Chi la vuole al- lungare, lallunghi pure, ma solo dopo
che stata prodotta pura. I francofortesi
ci hanno dato uninterpretazione radicale dell'illuminismo, certamente
unilaterale ed esagerata, ma la cui eventuale moderazione deve avvenire
soltanto dopo. Qui Habermas compie una vera operazione universitaria.
L'apparato ideologi- co universitario, in quanto composto da sacerdoti del
politicamente corretto e della nuova individuazione sociale delle bestemmie
indicibili e sanzionabili anche pe- nalmente (senza pi roghi e torture, per, ed
in questo propriamente consiste la mo- dernit, che allora soltanto una premodernit civilizzata e
soft), deve smussare tutte le esagerazioni non filtrabili dal chiacchiericcio
accademico. Ma in questa operazione di filtraggio la filosofia necessariamente
muore, perch essa vive di esagerazioni politicamente scorrette, in quanto queste
esagerazioni distruggono ci che opportunamente il grande filosofo ceco Karel
Kosk chiama il mondo della pseudo-concretezza (cfr. Dialettica del Concreto).
Naturalmente il vero ed unico bersaglio strategico di Habermas restano solo
Hegel e Marx (altri bersagli, come i postmoderni e Foucault, restano
semplicemen- te bersagli tattici di congiuntura). Ed perci necessario diagnosticare con chiarez-
za dove stiano i punti delicati della stroncatura habermasiana di Hegel e di
Marx, individuati come pensatori da espellere da un sano concetto di modernit.
Per quanto riguarda Hegel, Habermas lo conosce benissimo, e non pu quindi
semplicemente dichiarare che un
pensatore premoderno. Anzi, ne riconosce lar- gamente il ruolo di annunciatore
della modernit. E tuttavia, qui il diavolo si na- sconde nel dettaglio.
Habermas non pu ovviamente accettare, e deve respingere con forza, lidea che ci
possa essere una conoscenza filosofica della realt. Come Lwith, Colletti,
Lyotard, ecc., Habermas diagnostica il cuore della modernit nel- la fine della
filosofia, cui disposto a riconoscere
soltanto un ruolo subalterno di chiarificazione epistemologica degli enunciati
scientifici (i soli realmente conosci- tivi) e di interminabile chiacchiericcio
mediatico sui valori. E Hegel? Qui linterpretazione di Habermas realmente acuta, e devo am- metterlo francamente assolutamente geniale. Habermas parte dalla
distinzione kantiana fra il concetto scolastico (Schulbegriff) di filosofia,
inteso come sistema del- le conoscenze razionali, che implica anche ovviamente
la conoscenza della storia della filosofia precedente, ed il concetto mondano
di essa (Weltbegriff), che si riferi- sce a ci che interessa necessariamente
ogni uomo. Kant qui rende veramente un servizio non solo alla chiarezza
terminologica, ma alla corretta collocazione storica della questione. Ebbene,
secondo Habermas Hegel stato veramente
il primo che ha fuso in- sieme un concetto mondano di filosofia con il concetto
scolastico di essa. Il fatto per che questa fusione non sopravvissuta alla morte di Hegel (1831), e
le due concezioni si sono inevitabilmente disarticolate. Habermas capisce
perfetta- mente - e lo dice che Hegel
aveva in vista la ricomposizione di una scissione 437 CaprroLo XXXIX sociale
(Trennung), ma appunto questo ci a cui
la filosofia deve rinunciare (que- sta
anche la tesi dell'heideggeriano Pggeler prima ricordata). La
modernit cos definita come
l'accettazione del fatto che la scissione fa parte costitutivamente della realt
sociale (come sempre, modernit = capitalismo, in un eufemismo lin- guistico
ipocrita che dice tutto sullautoconsapevolezza, o pi precisamente sulla
non-consapevolezza, degli apparati ideologici). Mi permetto un commento. Sono
pienamente d'accordo con Habermas sul fat- to che la dirompente novit di Hegel
(ed ovviamente ancor di pi del suo allievo comunista Marx) sta proprio
nell'avere fuso insieme il concetto scolastico (Schulbe- griff) ed il concetto
mondano (Weltbegriff). proprio questa la
radice sociale dellan- tipatia verso Hegel. Per impedire un giudizio
complessivo sulla totalit sociale, e cio una scienza filosofica dell'intero,
lapologetica capitalistica deve ricacciare la filosofia (a suo tempo uscita con
Fichte, Hegel e Marx dalla gabbia disciplinare, il cui chiacchiericcio
interminabile del tutto innocuo per le
oligarchie economiche e militari al potere) nel suo concetto scolastico
(Schulbegriff), per riservare il suo significato mondano (Weltbegriff) alle
organizzazioni ideologiche del sistema. Lu- kcs, Adorno, Gramsci, Bloch,
Benjamin, ecc., lo avevano capito benissimo. Ed
proprio per il fatto che lo avevano capito benissimo che Habermas deve
ricacciarli nell'ombra del mondo confuso di una generica ed inconsistente
teoria della reifi- cazione. Habermas sa bene che per colpire al cuore Marx
bisogna colpire il concetto di alienazione.
interessante la formulazione che utilizza nella sua opera pi siste-
matica, la Teoria dellAgire Comunicativo. Ascoltiamolo: Questo concetto di
aliena- zione resta indeterminato, in quanto al conetto, oscillante fra
Aristotele ed Hegel, di una vita che
limitata nelle sue potenzialit in seguito alla violazione dell'idea di
giustizia inerente allo scambio di equivalenti, manca l'indice storico (sic!).
Impagabile! Proprio a Marx, che ha fatto diventare la storia contemporanea 0g-
getto diretto della critica filosofica, unificando cos sulle tracce di Hegel lo
Schulbe- griff ed il Weltbegriff del concetto di filosofia, viene rimproverato
di non avere un indice storico! In proposito, Habermas sembra capire
perfettamente il cuore della questione, anche se attribuisce incongruamente a
Marx lidea che il capitalismo violi lidea di giustizia, mentre Marx ha
esplicitamente prodotto una teoria (il materialismo storico, appunto) che
prescinde completamente dall'idea di giustizia che Habermas attribuisce a Marx,
contro ogni filologia possibile. Ma non voglio certamente scendere sul terreno
della correzione con matita rossa e blu di enormit che non si farebbero passare
ad uno studente del primo anno di filosofia, in quanto so bene che il
fraintendimento prima di tutto un fatto
sociale, e non pu ridursi mai ad un errore filologico. invece interessante che Habermas colga
perfettamente il cuore della questione, rilevando genialmente il presupposto
metafisico di Marx, e cio il concetto di potenzialit di una vita che un sistema
sociale alienato limita nelle sue potenzialit.
impressionante: Habermas capisce il cuore del problema, e subito dopo lo
rifiuta. 438 Il lettore sa gi che la mia interpretazione del pensiero di Marx,
esposta in alcuni capitoli precedenti,
incentrata sulla valorizzazione della categoria moda- le di potenzialit
ontologica (il dynamei on di Aristotele) e sulla interpretazione marcusiana del
pensiero di Hegel come pensiero della razionalizzazione dialettica di una realt
che a sua volta potenzialit disponibile
a farsi razionalizzare, in quanto le condizioni storiche lo possono
permettere. quindi impressionante per me
rilevare che Habermas, nello stesso momento in cui dice in modo ipocrita ed
anguillesco che l'alienazione non ha un indice storico (traduzione: non esiste
se non come opinione e fantasticheria premoderna, indegna dellepoca presente
della razionalizzazione scientifica e del disincanto del mondo), capisce
perfettamente che questo concetto si situa nello spazio aperto dell'arco che va
da Aristotele a He- gel. Devo quindi concluderne che l'esito habermasiano certo un esito personale, ma anche e soprattutto un esito sociale di
gruppo, il gruppo degli universitari cui viene assegnato il compito sacerdotale
di definire teologicamente la modernit, e di emettere quindi scomuniche
socialmente legittimate contro tutti i metafisici, i premoderni, ecc. Torniamo
ora al nostro amico Jean-Frangois Lyotard. Ho gi fatto notare in pre- cedenza
che lunica grande-narrazione che interessa a Lyotard la quinta, il gran- de racconto marxista
dellemancipazione, e parlo per conoscenza diretta di causa, perch vivevo a
Parigi nellanno 1965, lanno in cui si
realizzata in diretta la morte di Dio ed il connesso disincanto. Non ho
potuto assistervi in diretta (acciden- ti!) ma per testimonianza di amici e
compagni del tempo so perfettamente che cosa
successo. Lyotard faceva parte di un gruppo gauchiste (poi si vedr perch
ho mantenuto il termine francese, che
intraducibile in italiano) chiamato Socialismo 0 Barbarie, animato dal
greco Cornelios Castoriadis, in cui si univano l'eresia marxista e lortodossia
marxiana. Questo gruppo esplose nel 1965, ben tre anni prima del mitico 1968,
per cui quando arriv il grande carnevale del 1968 i suoi membri non erano gi pi
eremiti, perch erano gi informati della morte di Dio. Fra di loro, il
fenomenologo universitario Lyotard, nato a Parigi nel 1924 (e morto poi a
settan- tatr anni nell'aprile del 1998), era il pi filosoficamente dotato. E fu
lui infatti ad elaborare filosoficamente il disincanto della morte di Dio, ed a
chiamarlo postmo- derno, che deriva da una crisi interna al gauchisme francese.
Quale morte di Dio? Ma con tutta evidenza la morte nella credenza delle capaci-
t rivoluzionarie modali della classe operaia, salariata e proletaria, nazionale
ed internazionale. Voglio insistere ancora sul concetto che in questa posizione
si con- centrava il massimo di eresia marxista e di ortodossia marxiana, e chi
non capisce questo si interdice la comprensione della dinamica di questo
disincanto. Il gauchisme in senso proprio non deve essere confuso con il
fenomeno che in italiano viene connotato come estremismo. In parole semplici,
lestremismo quella posizione (o insieme
di posizioni) che riconosce legittimo nellessenziale il comunismo storico
novecentesco ed il suo paradigma politico leninista (in sinte- si, la necessit
del partito politico organizzato, e di fatto militarizzato, per fare la
rivoluzione e per permettere alla classe operaia di passare dallIn S, puramente
439 CaprroLo XXXIX economicistico e sindacalistico, al Per S politico
comunista), ma che per lo estre- mizza, e cio lo radicalizza a sinistra,
ritenendo troppo moderate, riformiste, inte- grate ed opportuniste le sue
grandi organizzazioni politiche e sindacali. In questo estremismo di sinistra
ci sono posizioni ideologicamente molto diverse, di cui ne ricorder solo tre,
il neostalinismo dopo il 1956, il trotzkismo a partire dagli anni trenta (la
fondazione della Quarta Internazionale avviene nel 1938, e l'uccisione di
Trotzky in Messico da parte di un sicario di Stalin nel 1940), ed infine il
maoismo fi- locinese a partire dai primi anni sessanta del Novecento. Queste
posizioni possono essere considerate estremiste, anche se ovviamente esse non
si autocertificano in questo modo, linguisticamente spregiativo. Il
gauchisme un'altra cosa. Il gauchisme
respinge frontalmente e senza com- promessi lintero sistema di legittimazione
storica del comunismo dopo il 1917, sia nella variante ortodossa che nelle
varianti eretiche. E lo fa in nome di una or- todossia marxiana, che si unisce
ovviamente con il massimo delleresia marxista. E l'ortodossia marxiana consiste
nel prendere alla lettera lidea di emancipazione diretta dei lavoratori,
considerati capaci di attuare una integrale autogestione eco- nomica delle unit
produttive ed un integrale autogoverno politico dei cittadini- compagni. Il
gruppo Socialismo o Barbarie (il termine risale a Rosa Luxemburg, e
storicamente il gruppo nasce alla fine degli anni quaranta come eresia
trotzkista) per l'appunto la
quintessenza del gauchisme, perch non frappone alcuna me- diazione fra il
soggetto emancipatore (e cio la classe operaia, salariata e proleta- ria) e la
pratica del comunismo, inteso marxianamente non come un partito, o un partito-Stato,
ma come il movimento reale che abolisce lo stato di cose presenti. Tutto
questo, per, frana nel 1965. Diamo la parola direttamente a Lyotard, un testo
notevole anche letterariamente: Appartengo ad una generazione per la qua- le la
politica era tragica, perch significava giocarsi sul terreno politico
unalterna- tiva in un certo senso metafisica e non soltanto politica. Si
trattava di rovesciare quel simulacro di soggetto della storia, che si chiama
capitale, e di sostituirlo con lautentico soggetto, che secondo il nostro modo
di vedere era il proletariato. Questa alternativa in fondo viene da un'antica
tradizione, quella della Citt di Dio di Agostino. Si tratta appunto di vincere
il Male e di realizzare il regno dei cieli sulla terra. Sotto questo
riguardo chiaro che Marx appartiene ad
una perdurante rappresentazione della storia umana. E poi, dieci o quindici
anni fa, venuto visi- bile che il
soggetto alternativo, cio il proletariato, era unidea della ragione, non aveva
realt [...] tutto ci che avvenuto dopo
il 1945 ha mostrato che la solidarie- t tra le classi operaie non esisteva. Il
movimento di solidariet, di cui Marx aveva sempre fatto il criterio
dellesistenza del proletariato, non
riuscito a svilupparsi [...] mi sono ritirato nel 1965, ed stati ben pi di un semplice cambiamento di
vita. stato un disastro, ed stata per me una crisi enorme, una crisi
direi esi- stenziale [...] quel grande racconto di emancipazione che la
politica moderna ha prodotto finito,
non pi credibile, ed abbiamo a che fare
con un enorme sistema, che s chiamava una volta capitalismo, e che non ha pi
sfidanti. Il terzo mondo, infatti, non
uno sfidante. 440 il postmoderno jilosofico spiega 0 ai bambini e agii
adul 1 Queste affermazioni di Lyotard sono talmente chiare da non rendere
neppure necessaria una particolare esegesi. Nel suo distacco dal marxismo
(l'unica grande narrazione che gli interessa veramente superare, pi per nel
senso della ber- windung, l'abbandono, che nel senso della Auftebung, il
superamento-conserva- zione) Lyotard fonde insieme la morte di Dio nicciana, il
disincanto weberiano e l'avvento del dispositivo intrascendibile della tecnica
heideggeriana. Ci che francamente
ammirevole in Lyotard la sincerit e
l'onest intellettuale di quanto dice. Egli non lascia alcuna ombra sul suo
percorso. Si dir che non bisogna trasformare in fatto epocale la crisi politica
di un ristrettissimo gruppo di gauchistes parigini alla met degli anni sessanta
del no- vecento. Ma allora, non vedo perch si dovrebbe trasformare in fatto
epocale laf- fermazione di un piccolo-borghese tedesco baffuto e pieno di
penosi pregiudizi classisti, secondo cui Dio sarebbe morto, gli eremiti non se
ne sarebbero accorti, gli umani, troppo umani continuerebbero ad adorarlo per
il loro incurabile nichili- smo passivo, gli uomini superiori si limiterebbero
a chiamare Dio luomo, senza tentare alcuna alchemica trasvalutazione dei
valori, ed infine gli ultimi uomini ne trarrebbero le conseguenze che, dal
momento che Dio morto, tutto diventa pos-
sibile (in quanto al presunto Ubermensch, insisto nella mia tesi che esso non
esiste, non pu esistere, non mai
esistito, non esister mai, ed solo una
sublimazione fantasmatica di un delirio di onnipotenza-impotenza, e cio di una
onnipotenza astratta e di una concreta impotenza, che esattamente il profilo della condizione umana
media nel capitalismo). Eppure, se la filosofia prende sul serio Nietzsche (e
fa molto bene a farlo), deve prendere anche sul serio Lyotard. Personalmente,
lo prendo tanto sul serio che ritengo che bisogna proprio partire dalla sua
diagnosi- prognosi. Lyotard effettua un harakiri del gauchisme assolutamente
corretto. infatti veris- simo che
lortodossia gachiste non tiene. Non
vero, infatti, che la classe operaia, salariata e proletaria il soggetto emancipatore dell'intera umanit.
In proposito, non ha nemmeno senso insistere troppo su sciocchezze filologiche,
per cui per Marx il soggetto era in realt il lavoratore collettivo cooperativo
associato, dal di- rettore di fabbrica all'ultimo manovale, alleato con le
potenze mentali sprigionate dalla stessa produzione capitalistica, definite da
Marx con il termine inglese di ge- neral intellect. Tutto vero, ma anche tutto
oggetto di sapienti chiacchiere seminaria- li. Lyotard non ci invita ad una
serie di dubbi metodologici sul come interpretare correttamente Marx (roba da
nullatenenti!), ma ci pone un dubbio iperbolico: la salvezza ancora possibile? Sarebbe sciocco che
cercassi di rispondere sommariamente a questa domanda in qualche pagina
frettolosa. Risponderei cos: la salvezza, definita in modo reli- gioso (non a
caso Lyotard cita Agostino) probabilmente non esiste, ed aveva ragio- ne
Spinoza a consigliare di abbandonare il modo di pensare teologico-utopico-
messianico; la classe operaia e proletaria, che Marx riteneva con ottime e
serissime ragioni una classe generale universalistica, probabilmente non
lo per nulla, il che non significa per
che debba continuare ad essere un insieme di schiavi salariati 441 CaprtoLo
XXXIX (Marx), cui si estorce il plusvalore assoluto e relativo, questo s del
tutto esistente; e tuttavia questi due rilievi disincantati non colpiscono e
non falsificano il valore conoscitivo e veritativo di una filosofia dell'essere
umano che aspira a cercare nella storia, ed in particolare nel presente come
storia, il luogo in cui cercare il significato della storia stessa. Conosciamo
ormai a memoria tutte le sofistiche argomentazioni di chi a sostenuto in
passato e sostiene oggi che la storia non ha nessun significato, e che la
virilit consiste nel proclamarlo. Questa Viagra-Philosophy ha smesso da tempo
di intimidirmi, anche se il suo potere di intimidazione forte in coloro che sono sensibili
all'approvazione ed alla disapprovazione del sacerdozio mediatico-
universitario. E comunque la lezione di Lyotard ormai lho capita: il
postmoderno filosofico, dal punto di vista soggettivo, il frutto di una sofisticata elaborazione del
lutto per la morte di Dio (o meglio, del Dio marxista), morte di Dio sublimata
in un disincanto weberiano ed in una riduzione dei rapporti sociali di
produzione in dispositivo (Gestell). E cos, lesperienza illusoria-delusoria di
unintera genera- zione (e delusoria perch prima illusoria, essendo la delusione
sempre nutrita da precedenti illusioni) viene ipostatizzata in disincanto e
fine capitalistica della sto- ria. Non conosco il futuro, ma scommetterei che i
nostri discendenti saranno molto severi su questo episodio. Tutto ci che stato detto fin qui su Lyotard e Habermas
tocca soltanto la giu- stificazione ideologica del postmoderno, e la
giustificazione ideologica non fa parte della struttura, ma solo della
sovrastruttura. E tuttavia in un'opera ispirata alla deduzione sociale delle
categorie la critica sovrastrutturale non basta. Il post- moderno la sovrastruttura di una struttura, e questa
struttura la produzione postmoderna. In
proposito Fredric Jameson coglie il punto essenziale parlando del postmoderno
come dell'ideologia dellepoca della produzione flessibile, e David Harvey
coglie nel segno quando parla di spostamento dal tempo allo spazio ed alla sua
centralit simbolica come caratteristica essenziale del paradigma postmo- derno.
Vi sarebbero anche altre importanti determinazioni, ma i parametri indicati da
Jameson e da Harvey (la flessibilit e la spazialit) sono secondo me sufficienti
per impostare la discussione. Ovviamente, bisogna prima respingere cortesemente
alcune determinazioni del tutto illusorie della postmodernit. Ad esempio,
non vero quello che sostiene il noto e
celebrato sociologo Bauman, per cui vivremo da tempo in una societ liquida.
Bauman utilizza la metafora della liquidit per alludere al caleidoscopio di
mobilit, viaggi facili, diversificazione e legittimazione degli stili di vita,
capric- ci del consumo, fine delle appartenenze ideologiche rigide, ecc.
Sarebbe questa la liquidit, che si contrappone metaforicamente alla solidit del
tempo della produzione fordista, dello Stato sociale dalla culla alla tomba,
delle appartenen- ze politiche rigide, ecc. A questo livello superficialissimo
la metafora di Bauman della liquidit contrapposta alla solidit rigida potrebbe
anche sembrare vera, ma appena si approfondiscono un po le cose vediamo subito
che non vera. La so- ciet apparentemente
liquida di oggi si basa su di una piattaforma rocciosa e solidissima,
costituita da una sorveglianza capillare, da un crescente controllo, da 442 AL
prUDLIFIUUCI LU JLLUDUJLLU Dpiugioru ur Umisiuzize 1 gr: nveeree una
militarizzazione mercenaria (i cosiddetti contractors), da un'atmosfera di
guer- ra al terrorismo che in realt una
forma di legittimazione del diritto dellimpe- ro ideocratico USA di dominare il
mondo, ecc. Non conosco infatti nulla di pi pesante della precarizzazione
diffusa del lavoro, della svalorizzazione crescente della forza-lavoro operaia,
impiegatizia e salariata, degli orari sempre pi lunghi e sempre pi intensi,
ecc. Non discuto la buona fede di Bauman nella sua sciocca proposta sociologica
di una inesistente societ liquida. Ma chiamare liquida la societ pi pesante mai
esistita nella storia significa confondere il superficialissi- mo fenomeno
dellindebolimento delle identit collettive fordiste con il ben pi profondo
fenomeno dellappesantimento oligarchico, finanziario e globalizzato del moderno
capitalismo. Nello stesso modo, cos come non esiste la societ liquida di
Zygmunt Bauman, non esiste nemmeno il pensiero debole di Gianni Vattimo. Ci
che stato chiamato per un ventennio in
Italia ed in Francia pensiero debo- le
semplicemente il processo di indebolimento e di sparizione, allinterno
della comunit degli intellettuali universitari, della credibilit del pensiero
di Marx e di tutte le forme di organizzazione informale identitaria della
religione sociologica degli intellettuali di sinistra (sartrismo ed
althusserismo in Francia, francoforti- smo in Germania, operaismo multicolore
in Italia, ecc.). In realt, la tesi di fondo di questo presunto pensiero debole
era la pi forte che potesse mai essere con- cepita, e cio l'affermazione della
gabbia d'acciaio di Max Weber, della fine delle grandi narrazioni di Lyotard,
della compiuta secolarizzazione religiosa di Lwith e della risoluzione della
metafisica in tecnica planetaria di Heidegger. Chiamare debole questo pensiero
significa chiamare deboli le corna di un toro andaluso. Si tratta pur sempre,
infatti, di dotarsi di una periodizzazione strutturale del- la storia del
capitalismo. Senza una periodizzazione strutturale, oscilleremo sem- pre fra
teorie suggestive, ma del tutto sovrastrutturali (l'epoca dell'io minimo e del
narcisismo di Lasch, la societ liquida di Bauman, pensiero debole di Vattimo,
ecc.). Non esiste ovviamente una periodizzazione perfetta, e non pu esistere.
Ma esisto- no periodizzazioni pi credibili di altre. Secondo la periodizzazione
proposta da Ernest Mandel e da Fredric Jameson, si possono distinguere tre
stadi dello sviluppo capitalistico. In un primo stadio, siamo di fronte ad un
capitalismo del libero mercato, la cui base tecnica preponderante la macchina a vapore, e la norma culturale
egemonica il realismo. In un secondo stadio, siamo di fronte ad un capitalismo
monopolistico a base ancora prevalen- temente nazionale (Stato-nazione), la cui
base tecnica preponderante l'industria
meccanica ed elettrica, e la cui norma culturale egemonica il modernismo. In un terzo stadio, infine,
siamo di fronte ad un capitalismo transnazionale globalizzato dei consumi, la
cui base tecnica preponderante
costituita dalle nuove tecnologie, e la cui norma culturale
preponderante costituita dal
postmodernismo (che pi avanti analizzer pi in dettaglio seguendo alcuni
suggerimenti di David Harvey). A me sembra che questa periodizzazione, pur non
priva di plausibilit, sia molto rigida ed economicistica, e non sia pertanto
soddisfacente per i nostri scopi. 443 CarrroLo XXXIX Perry Anderson propone
invece di collocare storicamente l'esaurimento del modernismo nei trent'anni
che seguono il 1945 e la fine della seconda guerra mon- diale, i trent'anni
appunto 1945-1975 definiti da Hobsbawm i trenta anni gloriosi del secolo breve
1914-1991. Questo esaurimento dovuto
alla dislocazione storica di tre coordinate strutturali che avrebbero invece
caratterizzato il periodo prece- dente, e che enumero: 1) La persistenza (fino
alla fine dell'Ottocento) di pezzi interi di ancien rgime, accompagnati dai
loro canoni consacrati di produzione artistica. La codificazione di questi
ultimi stabilisce una scala di valori culturali contro i quali il modernismo
insorge. In questo modo, lesistenza di una avversario comune unifica le
pratiche estetiche del modernismo nascente. 2) Il momento storico del
modernismo nascente quello della seconda
rivolu- zione industriale (telefono, radio, automobile, aereo, ecc.).
L'immaginario sociale del modernismo
quindi segnato in modo congenito dalle forme tecnologiche del- le
invenzioni di questa rivoluzione. 3) La congiuntura storica del modernismo
corrisponde ad un diffuso sentimen- to di attesa di una rivoluzione sociale. La
prossimit immaginata della rivoluzione
intrattenuta da una tensione sociale permanente, che si manifesta
attraverso con- flitti di classe aspri e duri. Secondo Anderson la crisi di
queste tre coordinate la premessa
dellapparizio- ne del post-moderno: sparizione dell'ordine agrario e
semi-aristocratico, affermar- si massiccio del fordismo, esaurimento delle
ondate di innovazione tecnologica della. seconda rivoluzione industriale,
sparizione del senso di prossimit tempo- rale della rivoluzione socialista. Mi
sembra che questo modello di Anderson sia migliore di quello di Jameson-Mandel,
perch meno economicistico. E tuttavia, in esso non sono rinvenibili alcuni dati
storici che ci interessano. Questi dati sono parzialmente presenti in una
recente periodizzazione proposta dagli studiosi francesi Luc Boltanski e Eve
Chiapello. Secondo questo modello, in una prima fase il capitalismo si
costituisce nella emersione della borghesia im- prenditoriale vera e propria
dalla precedente incorporazione del magma dei ceti del terzo Stato, e questo d
luogo a quella particolare etica capitalistica rilevata da Max Weber, unita ovviamente
all'insieme unitario di costituzione di valori capitalistici, che sono peraltro
il semplice riflesso delle istituzioni capitalistiche vere e proprie, di tipo
politico, economico, militare, scolastico, familiare, ecc. In una seconda fase,
invece, trovano un momento di alleanza politico-culturale due distinte critiche
del capitalismo, la critica economica delle classi lavoratrici a bassi redditi
ed a consumo incerto, e la critica artistica della piccola borghesia scolariz-
zata insoddisfatta dellipocrisia e del conservatorismo tradizionalistico della
bor- ghesia arrivata e soddisfatta di s.
questo il periodo in cui stabilisce quella alleanza fra critica
economica e criti- ca culturale che costituisce la cosiddetta cultura di
sinistra, e che viene pensata 444 ii postmoderno ji10s0fico spiegato n DambDIni
e agli AGuiti come permanente, laddove si tratta invece soltanto di una
finestra storica tem- poranea, anche se destinata a durare per circa un secolo.
La critica sociale e la critica artistica del capitalismo vedono spezzarsi la
loro al- leanza con lentrata in crisi della terza fase del capitalismo. In
questa terza fase, in- fatti, il capitalismo riesce a liberalizzare
integralmente i costumi di vita familiari e sessuali (pensiamo al mitico
Sessantotto, mito di fondazione di un ipercapitalismo postborghese pienamente
liberalizzato). Si rompe cos la precedente alleanza fra critica
economico-sociale e critica artistico-culturale al capitalismo, ed errato in- terpretare questa rottura come un
tradimento degli intellettuali piccolo-borghesi artistici nei confronti dei
lavoratori economici. Si tratta semplicemente della fine di un'alleanza
temporanea che la falsa coscienza necessaria degli agenti storici aveva pensato
in termini di alleanza organica per il socialismo, laddove invece si trattava
soltanto della temporanea contiguit di progetti del tutto divergenti. Di tutte
queste periodizzazioni, quella di Boltanski e Chiapello mi pare la pi acuta, ed
anche quella pi utile per capirci qualcosa. Partendo da essa, ed incro-
ciandola con alcune acute dicotomie culturali proposte da David Harvey, possia-
mo avviarci a stringere il nodo storico della questione che ci interessa. La
base economica da cui occorre dedurre socialmente quasi tutte le categorie del
cosiddetto postmoderno, che seguendo Boltanski e Chiapello definir sem-
plicemente la terza et del capitalismo, quella in cui si dissolve la precedente
al- leanza fra critica economica e critica artistico-culturale del capitalismo,
e vengono meno le bisecolari identit complessive borghese e proletaria, l'allargamento della forbice fra ricchi e
poveri nelle metropoli capitalistiche, e negli USA in primo luogo. Dal momento
che il presidente USA stato incoronato
imperatore del mondo capi- talistico globalizzato dal circo
mediatico-universitario, evidente che
tutta lattua- le cultura (tra virgolette, ovviamente, trattandosi
paradossalmente di un riflesso di un'epoca della compiuta incultura) si
diffonde a cascata partendo dagli USA e poi ricadendo nelle province, protettorati,
proconsolati, ecc. Si parla, ovviamente, di ricchi e poveri in senso relativo,
bench anche la povert assoluta aumenti (pensiamo ad un fenomeno oggi
considerato negli USA normale come gli homeless, i senzacasa, fenomeno che
avrebbe attirato la massima indigna- zione sociale quando la piccola borghesia
aveva ancora una cultura improntata he- gelianamente alla coscienza infelice).
Nellepoca della massima estrazione mar- xiana del plusvalore relativo, grazie
al macchinismo industriale, anche la forbice fra ricchezza e povert diventa
relativa. Da un lato, aumenta l'enorme massa di lavoro flessibile e precario,
con conseguente precarizzazione progettuale della vita, il che fa venire meno i
presupposti sociali della visione hegeliana del mondo. La vi- sione hegeliana
del mondo, infatti, non solo si basava sullacquisizione di una au- tocoscienza
sociale di un mondo dotato di senso (laddove il mondo di oggi pro- grammaticamente insensato), ma si
riferiva anche al conseguimento di un'identit etica stabile, fondata sui tre
presupposti della famiglia eterosessuale riproduttiva, della professionalit
acquisita e poi praticata per tutta la vita, ed infine dello Stato- nazionale
sovrano sull'economia e non occupato da basi militari straniere. Tutto 445
CarrroLo XXXIX questo, evidentemente, non connota pi il mondo di oggi
strutturalmente, ed ecco perch sovrastrutturalmente il circo intellettuale
asservito deve alzare un polverone per colpire la famiglia eterosessuale
stabile, il sistema scolastico serio tendente a formare professionalit stabili
e sicure, ed infine la sovranit economica e militare dello Stato nazionale,
considerata un ferrovecchio nell'epoca del cosiddetto av- vento della
globalizzazione. La dicotomizzazione della societ peraltro evidente a tutti gli osservatori at-
tenti. Non conosco New York, Los Angeles e Tokyo, ma conosco bene Londra e
Parigi. Ebbene chi ha conosciuto Londra e Parigi negli anni sessanta del
novecento, sa bene che oggi la forbice fra ricchi e poveri talmente aumentata da caratteriz- zare ormai
la formazione di quartieri-citt diversi ed antagonistici, letteralmen- te
impensabili allora. E questo avvenuto in
un cinquantennio in cui sono stati al governo (al governo, non certo al potere,
il potere nel capitalismo di oggi
esclusivamente nelle mani delle oligarchie finanziarie, dette con
fervore religioso giudizio dei mercati) personaggi socialisti come Mitterand o
laburisti come Blair. Se si vuole cercare una prova della totale irrilevanza
della politica nel de- terminare lo sviluppo sociale, ebbene questa una prova grande come la monta- gna
dell'Everest. Come ho detto, la vecchia piccola borghesia era il luogo sociale
dellirrequietez- za e della coscienza infelice, che trovava pensatori sovrastrutturali
che in qual- che modo cercavano di interpretarla (Nietzsche, Heidegger, Adorno,
ecc.). Ma i sociologi notano che oggi nel mondo sta formandosi un aggregato che
definiscono new global middle class, e che non ha pi nulla a che fare con i
vecchi ceti medi. Ci vorrebbe un Simmel per descriverne i modi di vita, ma
Simmel morto e come direbbe Woody Allen, massima espressione
della depressione sociale contempora- nea ancora capace di autoironia anche noi non ci sentiamo troppo bene. Questa
new global middle class, unificata da viaggi facili, dallumanitarismo distratto
e su- perficiale, da un inglese turistico-operazionale della comunicazione
semplificata e standardizzata, da un multiculturalismo indotto in funzione
della distruzione della propria cultura nazionale, dallaccettazione conformistica
del politicamen-. te corretto circostante (femminismo di genere, pacifismo
rituale e puramente narcisistico-ostensivo, ecologismo da pubblicit di fette
biscottate, falso interesse caritativo verso i migranti, ecc.), non pi ovviamente la vecchia piccola bor- ghesia.
Sta qui il famoso passaggio dal paradigma Hegel-Marx al paradigma Niet-
zsche-Heidegger, che la cultura mediatico universitaria d per ovvio e scontato
(aggiornarsi, please), laddove invece non
per nulla in grado di darne un'analisi storico-genetica ed
ontologico-sociale. L'inizio del processo di dicotomizzazione sociale (da un
lato, grande massa di lavoro flessibile e precario, dall'altro, formazione
della nuova classe media globale priva di coscienza infelice, e quindi amica
della differenza e nemica della dia- lettica) pu essere grossomodo posto nel
1973. Da quellanno data la caduta pro- gressiva del potere d'acquisto dei
salari operai americani. Negli anni Cinquanta del Novecento un solo salario
operaio medio era in grado di sopperire ai bisogni, 446 bet statali dt pine dt
deal rbt Sta det i ci Pea Sano e quindi
di riprodurre, una famiglia di quattro persone. Un sondaggio dell'agosto 1991
(lanno del crollo del comunismo storico novecentesco, accolto da tutti gli
sciocchi come linizio augusteo di una pax americana e di un'epoca di libert e
be- nessere per tutti) rilevava che il reddito accumulato da una coppia tipo
della classe operaia bianca, entrambi destinati ad impieghi precari, era
equivalente al 44 per cento di un operaio qualificato di trent'anni prima. questa la base materiale del postmoderno,
anche se coloro che rifiutano il me- todo strutturale di Marx potranno pensare
che ad un certo punto, per illumina- zione, le persone colte si rendono
improvvisamente conto che lutopia degenerare sistematicamente in terrore, che
Dio morto, che siamo soli nell'universo
insensa- to, che non c' la dialettica ma solo la differenza, che la cosa
migliore il politeismo dei valori che
non ti impone obblighi etici comunitari ma solo il formalismo del- la norma
giuridica astratta, che il genere non pi
il genere umano oppure lente naturale generico (Gattungswesen), ma il genere inteso come coscienza sessuale
separata nei tre sessi consentiti (maschi, femmine, ed infine gay e lesbiche),
ecc. Finanziarizzazione del capitale e globalizzazione dell'economia sono
quindi i pilastri strutturali della terza et del capitalismo, con conseguente
riclassifica- zione integrale della struttura sociale (nuovo proletariato
flessibile e precario, e classe media globale priva di coscienza infelice se
non nella forma depotenziata e manipolata dellumanitarismo genericamente
buonista e dei diritti umani a geometria variabile e soprattutto a
bombardamento unilaterale incorporato). La scienza si adeguata, mentre la filosofia e l'ideologia
no. Per questo, bisogna pri- ma ritornare ancora una volta sia sulluna che
sull'altra, per capire le dinamiche di mistificazione e di manipolazione che le
hanno colpite, e che le stanno ancora colpendo furiosamente. Per quanto
riguarda la filosofia, non pi necessario
ripetere ancora in detta- glio ci che ho gi detto almeno una decina di volte
(ma repetita juvant), e cio che i poteri oligarchici di oggi devono in tutti i
modi delegittimare la sua sovranit conoscitiva e veritativa e ridurla o a
passatempo filologico universitario, oppure a consulenza psicologica per
disadattati colti (al normale disadattato poco cul- turalizzato basta il
prozac). Hegel ovviamente resta sempre il bersaglio principale, appunto perch
Hegel riuscito in massimo grado a legare
insieme il concetto della filosofia come sistema delle conoscenze razionali
(Schulbegriff) ed il concetto mondano della filosofia come insieme di ci che
interessa necessariamente ad ogni uomo (Weltbegriff). Marx resta parimenti
intollerabile ed insopportabile per le sue idee politiche comuniste, anche se
si sta sviluppando un tentativo di neutraliz- zarlo come profeta barbuto della
globalizzazione capitalistica. Certo, piccoli grup- pi universitari
ultraspecializzati di hegelologi e di marxologi continuano ad esiste- re e
vengono anzi mantenuti ed incoraggiati allinterno della divisione del lavoro
sociale universitario, ma deve essere ben chiaro che nessuna ricaduta
espressiva di tipo politico-sociale pu essere tollerata, pena diffamazione immediata
ed esclu- sione dai riti di accettazione della comunit universitaria, non
importa se religiosa o laica, di centro, di sinistra o di destra. 447 CarrroLo
XXXIX E tuttavia l'enigma sociale non sta in questa ovvia constatazione, ma sta
altro- ve, e cio su quali siano le determinanti sociali sottostanti che fanno s
che non si sviluppi una reazione culturale ed una indignazione sociale. Ancora
una volta, l'enigma culturale del medioevo non sta nel fatto che venivano
bruciati gli ereti- ci sul rogo, gi ampiamente torturati con tenaglie roventi,
ma sta esclusivamente nel fatto che vi fosse un ampio consenso sociale per
simili comportamenti isti- tuzionalizzati.
questo, e solo questo, l'enigma. Per questa ragione, il fatto che la
cultura della finanziarizzazione del capitale, della globalizzazione economica
e dellapprofondimento della forbice sociale fra le (nuove) classi respinga
Hegel e Marx non un problema difficile
da risolvere, ma un vero e proprio
segreto di Pulcinella. La mancanza di reazione, invece, un problema. Lo ritengo un dato storico
provvisorio, anche se si tratta di qualcosa che va ben oltre la prospettiva
della mia restante vita terrena. Lo scrittore portoghese premio Nobel Jos
Saramago ha scritto: Dire che lidea socialista
morta nel 1989 signi- fica cadere in una tentazione molto comune
nell'uomo, che avendo una vita breve tende sempre a pensare che qualche altra
cosa muoia prima di lui. Non si poteva dire meglio. Marx ha scritto che per le
epoche storiche, cos come per le epoche geologiche, non esistono linee di
demarcazione rigide. Molto ben detto. L'epoca detta premoderna, quella detta
moderna e quella detta postmoderna si intrecciano l'una con laltra. Per questa
ragione non possiamo andare oltre ad una approssima- zione necessariamente incerta
ed imprecisa. David Harvey, geografo di professione, ha scritto un testo
fondamentale sulla postmodernit che considero la migliore approssimazione
esistente. Si pu fare di meglio, ma per il momento possiamo servirci dei suoi
schemi di interpretazione. Da buon allievo di Hegel, io penso che le dicotomie
dovrebbero essere dialettizza- te. Ma mentre le dicotomie formalistiche di tipo
neokantiano di Norberto Bobbio e dei suoi allievi operaisti non permettono di
capire nulla della realt di oggi, le dicotomie di Harvey colgono almeno
qualcosa di ci che si muove. Io mi limiter qui a discuterne ed a enumerarne
soltanto alcune, tralasciandone molte altre: 1) Dicotomia Tempo (modernit) e
Spazio (postmodernit). Il progetto moderno borghese si costituito nel settecento intorno alla
riformulazione del tempo storico come tempo del progresso, smantellando e
destrutturando il vecchio tempo reli- gioso, che a sua volta non era gi pi da
tempo messianico (come hanno opinato erroneamente Lwith e Lyotard), ma era il
tempo ciclico dell'eterno ritorno degli stessi ceti e delle stesse classi,
oltre che degli stessi metodi produttivi e della stes- sa estorsione della
rendita agraria feudale e signorile. Il tempo degli investimenti produttivi e
dell'attesa dei profitti e degli interessi
un tempo lineare orientato in avanti, e non pu pi essere il tempo dei
ritorni sicuri delle stagioni e della ri- scossione delle rendite agrarie. Ma
oggi, con la mondializzazione planetaria della produzione capitalistica (la
cosiddetta globalizzazione), il tempo si
integral- mente realizzato in spazio. Harvey forse non lo sa, ma ci che
dice corrisponde quasi integralmente alla diagnosi heideggeriana della
risoluzione della metafisica 448 occidentale in tecnica planetaria. La
metafisica, infatti, si organizza intorno ad una interpretazione del tempo,
mentre la tecnica si organizza intorno al dominio sullo spazio. 2) Potere dello
Stato-nazione (modernit) e Potere Finanziario Multinazionale (post- moderno). Tutti
sanno che la grancassa mediatica ci ripete ogni giorno in modo asfissiante che
lo Stato-nazione morto. In realt, alcuni
stati-nazione sono ancora legittimati (fondamentalmente USA, Israele, e stati
di lingua inglese, pi vassalli tipo Olanda e Danimarca), mentre sono tutti gli
altri che sono sbrigativamente in- vitati a togliersi dai piedi (la
Francia in particolare oggetto di
pressanti ultimatum a far finire la cosiddetta eccezione francese e cio l'indipendenza nazionale e su questo obiettivo stato mediaticamente costruito il cosiddetto
fenomeno- Sarkozy, sperando che questo signore faccia finire la scandalosa
eccezione gollista, che Dio preservi la memoria del generale De Gaulle). Il
potere finanziario multi- nazionale, infatti,
veramente multinazionale, ma non potrebbe esistere senza la suprema
garanzia politico-militare dell'impero americano. E questo spiega il fatto,
altrimenti inspiegabile, che a sessantotto anni (1945-2013) dalla fine della
seconda guerra mondiale gli USA continuino ad occupare militarmente paesi che
hanno liberato fra il 1943 e il 1945. Chi ha unaltra spiegazione di questo
enigma servile e scandaloso me la comunichi, e gliene sar grato. Ma non penso
proprio che ve ne sia unaltra. 3) Profondit (moderna) e Superficie
(postmoderna). Il pensiero moderno (Hegel e Marx in particolare) riteneva che
sotto la superficie delle cose ci fosse una sostan- za che le sorreggeva.
Pensiamo al concetto di sostanza in Aristotele, che riteneva correttamente che
vi fosse una sostanza (hypokeimenon) a sorreggere gli accidenti naturali e sociali.
La filosofia era quindi pensata come uno scandaglio capace di andare in
profondit per spiegare la superficie. Ma ora la superficie sostiene arro-
gantemente di non avere nessun bisogno di essere spiegata, perch la sua ripro-
duzione spaziale (e cio la globalizzazione capitalistica) basta a s stessa. E
infatti, se il disincanto del mondo porta al politeismo dei valori, e il
politeismo dei valori si realizza concretamente in pluralismo di infiniti stili
di vita dipendenti non pi da un riferimento metafisico, ma da un differenziato
potere d'acquisto, non c' pi posto per una profondit, ma solo per una
superficie di libero scorrimento del denaro. 4) Produzione ed originalit
(moderno) e riproduzione e pastiche (postmoderno). In pi Avanguardismo
Artistico (moderno) e Commercializzazione Artistica (postmo- derno). Il tempo
delle avanguardie, artistiche e letterarie,
ancora il tempo che Boltanski e Chiapello chiamano della critica
artistica del capitalismo e della ipo- crisia borghese. Ma venuto meno questo
periodo storico, con la liberalizzazione integrale postborghese dei costumi
sessuali e comportamentali, lavanguardismo artistico diventa bene di rifugio
per capitalisti, che acquistano a carissimo prezzo 449 CaprroLo XXXIX le
scatolette di merda d'artista, adeguatamente quotata nel mercato dellarte. Il
fatto che lo sciagurato che ha inscatolato la propria merda chiamandola merda
d'artista non venga cacciato a calci gi per le scale, ma venga ricompensato con
quotazioni da capogiro, spiega meglio di ogni altra analisi estetica la
degradazione che la commercializzazione integrale comporta nella stessa attivit
artistica. 5) Etica protestante del lavoro (moderno) e Liberalizzazione del
costume (postmoder- no). Qui Harvey dicotomizza opportunamente quanto ho gi avuto
modo di rile- vare. Il capitalismo non ha infatti un profilo morale permanente,
ma funzionalizza i sistemi morali al suo sviluppo ed alle sue fasi
riproduttive. I rilievi di Max Weber sul ruolo del concetto protestante di
Beruf (vocazione-professione) riguardano in- fatti soltanto la sua fase di
decollo (take off), in cui era necessario demarcarsi dai comportamenti di
spreco, lusso, consumo ed esibizione delle classi signorili. In Inghilterra
l'ipocrisia anglicano-puritana ci aggiunge il cosiddetto moralismo vit-
toriano, per cui nella citt con il maggior numero di puttane al mondo era
conside- rato politicamente scorretto parlare delle gambe dei tavoli. E
tuttavia questa fase borghese del capitalismo
solo provvisoria, perch la stessa necessit di allargare la base sociale
e politica di consenso e di sottoporre al consumo capitalistici anche aree
comportamentali prima sottratte al potere assolutistico dell'economia porta ad
una crescente liberalizzazione del costume. Si giunge infine alla tragicomica
generazione detta del Sessantotto, mito transnazionale di fondazione del nuovo
capitalismo liberalizzato e del vietato vietare, in cui la scopata
generalizzata e luso delle droghe per liberare la coscienza vengono
trasfigurate per comporta- menti anticapitalistici, laddove invece, appunto
perch erano in parte antiborghesi, erano perci stesso ipercapitalistici (nel
senso della terza fase del capitalismo di Boltanski e Chiapello). 6) Fallico
(moderno) e Androgino (postmoderno). La critica femminista alla pre- cedente
fallocrazia maschilista un prodotto
sociale ed ideologico, rivolto alla de- legittimazione del precedente modello
autoritario di famiglia borghese patriarcale. La famiglia borghese patriarcale,
infatti, incompatibile con la nuova
struttura del mercato giovanile, in cui i giovani devono diventare sovrani
nell'acquisto dei modelli, preferibilmente griffati e dotati di logo. I
genitori devono essere sposses- sati di qualunque residua sovranit etica, che
deve passare agli apparati pub- blicitari, fortemente sponsorizzati dal circo
mediatico-televisivo. Il padre, in altre parole, diventa un semplice ufficiale
pagatore delle ossessive richieste di con- sumo dei figli. Anche la scuola,
ovviamente, deve perdere ogni residua aura di cultura, e la vecchia figura del
professore scienziato ed umanista viene sostituita da figure grottesche di
animatori psicologici e da prof socialmente disprezzati. anche interessante, sia pur socialmente poco
osservato, che il titolo di professore venga riservato esclusivamente ai membri
della casta universitaria, laddove sotto di essa c' solo una penosa e frustrata
plebaglia di prof, in cui il dimezzamento del titolo corrisponde al
dimezzamento del prestigio sociale. I professori universitari 450 Il
postmoderno filosofico spiegato ai bambini e agli adulti vengono cos cooptati
nella nuova classe media globale, mentre i prof ricadono nella nuova plebe
flessibile. Come comprende molto bene Harvey, questo presuppone uno spostamento
dal vecchio modello fallico borghese al nuovo modello androgino postborghese.
Cer- to, su questo terreno nascono anche esagerazioni da correggere, come
l'esaltazione di modelle anoressiche e scheletriche che cadono morte al suolo,
laddove limma- ginario maschilista frustrato deve rifugiarsi in tette gigantesche
(su questo inte- ressante studiare i
modelli matrimoniali tipici del capitalista di vecchio tipo, come ad esempio in
Italia Silvio Berlusconi). Il modello androgino esalta ovviamente la centralit
simbolica del gay maschile e femminile, che viene imposta mediati- camente come
la figura sessuale centrale e pi significativa della societ contem- poranea. In
un mondo in cui non esiste pi naturalit, sostituita dallartificialit integrale
della produzione capitalistica, del
tutto ovvio che anche il genere (gender) si scelga, ed uno non nasce pi maschio
o femmina, ma sceglie di diven- tare maschio o femmina. Interrompo qui lanalisi
delle dicotomie di Harvey (ma ce ne sono ancora deci- ne, tutte geniali), per
raccogliere le fila di tutto questo discorso in una formulazio- ne il pi
possibile sintetica. Non esiste ancora un'immagine filosofica soddisfacente
della societ contem- poranea. Georg Simmel e Max Weber sono morti, ed anche noi
non ci sentiamo troppo bene. Personalmente, non ritengo di disporne, ma penso di
stare soltanto aggirarmi fra frammenti. E tuttavia, da allievo di Hegel e di
Marx, penso che i cosiddetti frammenti siano sempre razionalmente ricomponibili
e ritengo lesal- tazione estatica del frammento soltanto un effetto ideologico
per ingenui (nel caso migliore) e per corrotti e deficienti (nel caso
peggiore). Dire che la conoscenza co- nosce soltanto frammenti non
ricomponibili significa soltanto consegnare la sovra- nit sull'intero alla
riproduzione capitalistica assolutizzata e dichiarata eterna (la teoria della
fine della storia del consulente del Pentagono Francis Fukuyama). Oggi
praticamente tutte le concezioni filosofiche legittimate dallapparato univer-
sitario sono teorie della fine capitalistica della storia (Lyotard, Habermas,
ecc.). Concezioni filosofiche migliori (dialettica negativa di Adorno, critica
della metafi- sica di Heidegger), che almeno conservano l'orizzonte del
concetto di alienazione (sostanzialmente accettato sia da Adorno che da
Heidegger), sono ancora legittimo oggetto di sapere universitario, ma non
escono di fatto dalle aule e dai seminari delle facolt di filosofia, perch non
esistono pi forze politiche che, sia pure in modo mediato, semplificato ed
ideologizzato, possano recepire i loro contenuti critici. Adorno ridotto a critico intelligente della
cosiddetta industria culturale, cosa che ovviamente , ma che non coglie il
punto essenziale del suo pensiero, che
invece la registrazione filosofica acutissima di due fatti intrecciati,
l'impossibilit di aderire realmente al modello staliniano di socialismo, da un
lato, e la progres- siva degenerazione del vecchio sapitalizmo borghese in
ipercapitalismo postbor- ghese, dall'altro. 451 In quanto ad Heidegger,
pensatore indiscutibilmente anticapitalistico, e per que- sto temuto, si alzano
mediatici polveroni sul suo (in gran parte presunto) nazi- smo del discorso del
rettorato del 1933 e si enfatizzano esclusivamente i suoi con- tributi
sullarte. Ma essendo ormai oggi larte caduta completamente in mano ai pescecani
del mercato dellarte e dei suoi committenti oligarchici, il parlare di
arte quasi sempre chiacchiericcio
universitario irrilevante, oppure simulazione per l'approntamento di mostre e
di eventi finanziato da fondazioni bancarie ed altri evergeti postmoderni del
jet-set semicolto locale ed internazionale. La base strutturale del
postmoderno la finanziarizzazione del
capitale e la globalizzazione geografica del capitale mondializzato (Harvey). A
livello di pe- riodizzazione capitalistica, il postmoderno la proiezione ideologica della pro- duzione
flessibile (Jameson), ed
lautorappresentazione ideologica della terza et del capitalismo, quella
della fine dell'alleanza di critica economica e critica artistico-culturale del
capitalismo (Boltanski-Chiapello). Dal punto di vista delle figura
fenomenologica delle avventure dialettiche della coscienza, secondo linsu-
perabile modello della Fenomenologia dello Spirito di Hegel, il postmoderno
inteso come disincanto rispetto alle grandi narrazioni trova la sua genesi in
una partico- lare ideologia gauchiste francese, sintesi di eresia marxista di
origine trotzkista e di ortodossia marxiana fondamentalista, che razionalizza
la propria delusione verso la pittoresca incapacit storico-modale del
proletariato in una sublimazione disin- cantata della mancanza di senso delle
grandi narrazioni (Lyotard). possibile
restaurare storicamente il punto di vista di Hegel e di Marx? questo il grande enigma della storia presente.
Ce ne sarebbe socialmente bisogno, vista la degradazione ecologica ed antropologica
del pianeta, ma il fatto che ce ne sarebbe astrattamente bisogno non significa
che sia anche concretamente possibile. Questo
l'enigma di oggi. Questo il
nostro tempo appreso nel pensiero. Per questo non basta interpretare il nostro
mondo, ma necessario trasformarlo. Per
questo, per, necessario restaurare la
legittimit della filosofia, proprio quella che alcuni hanno chiamato
sprezzantemente la filosofia per la filosofia. E bisogna allora testare la
natura di una prospettiva filosofica che potremmo provvisoriamente chiamare
ontologia dell'essere sociale. Essa non ha un copy- right, non appartiene n a
Lukcs n tantomeno a chi scrive. Appartiene alla libera discussione socratica.
452 XL. LA PASSIONE DUREVOLE PER UNA FILOSOFIA DELL'EMANCIPAZIONE. NOTE DI
ANALISI SULLONTOLOGIA DELL'ESSERE SOCIALE DI LUKACS, E PROPOSTA ARTICOLATA DI
SUA RIFONDAZIONE CATEGORIALE CRITICA Nell'ultima parte della sua vita
(1956-1971) il filosofo ungherese di lingua tede- sca G. Lukcs (1885-1971) si
accinse ad un'impresa filosofica che per la sua serie- t ed il suo livello
qualitativo pu essere paragonata senza esagerazione a quelle compiute da
autentici geni del pensiero come Spinoza, Kant, Hegel e Marx. Prima scrisse una
monumentale Estetica, che non deve essere confusa con unopera spe- cialistica
sul giudizio estetico puro e semplice, ma che ha come oggetto la cosid- detta
missione defeticizzante dellarte, rivolta a combattere quello che chiamava
lateismo permanente alla manipolazione ideologica (su questo punto Lukcs ha incontrato
felicemente l Antonio Gramsci della rivalutazione del cosiddetto sen- so comune
come matrice della filosofia). Terminata lEstetica, Lukcs si ripropose di
scrivere un'Etica. E, tuttavia, egli si rese immediatamente conto del fatto che
un'Etica scritta senza prima accertare le categorie dell'essere sociale non pu
che sboccare inesorabilmente in un'etica dell'intenzione di tipo kantiano, o in
un'etica della responsabilit di tipo weberiano, o in una interminabile,
sfiancante ed inutile disputa sui valori, oppure in uninterminabile casistica
di tipo gesuitico su cosa si dovrebbe fare in situazioni-limite, scelte
appositamente per evitare di prendere in considerazione le normali situazioni
della vita quotidiana (del tipo:
possibile cavare gli occhi al torturato se in questo modo gli si pu far
confessare dove ha messo una bomba che ucciderebbe centomila persone? lecito tagliare la gola alla propria madre se
questo comporta la salvezza di dieci persone?). Lukdcs si rese presto conto
che del tutto inutile scrivere unEtica,
o se si vuole una Morale, se pri- ma non ci si
chiariti bene la natura prima dell'essere sociale in generale (in
quanto appunto categorialmente distinto
dall'essere naturale oggetto delle scienze moder- ne di tipo galileiano,
newtoniano ed einsteiniano), e poi dell'essere sociale specifico (in quanto
appunto capitalistico, e non primitivo,
antico-orientale, asiatico, schia- vistico 0 feudale-signorile). Fra il 1964 ed
il 1971, infatti, Lukcs si accinse a scrivere un'ontologia dell'essere sociale.
Non mi riferisco affatto all'opera in due volumi e tre tomi conosciuta con
questo nome. Mi riferisco all'insieme delle sue opere del periodo 1964-1971,
dal- la vera e propria Ontologia dell'Essere Sociale, ai Prolegomeni
allontologia dell'essere sociale, dall'Uomo e la Democrazia allautobiografia in
forma di dialogo intitolata Pensiero Vissuto, dalle conversazioni tenute con
Kofler, Holz e Abendroth, dalla corrispondenza con Hoffmann alle numerosissime
interviste rilasciate a singoli, riviste e giornali. Si tratta infatti di un
complesso unitario di posizioni contenute in volumi diversi e diseguali per
esposizione e livello di astrazione. 453 Devo una spiegazione al lettore. Lukcs
ha scritto questo complesso monu- mentale fra i settantanove e gli ottantasette
anni di et, quando ormai la fine
imminente e si tratta di stilare un bilancio complessivo dell'attivit
filosofica di un'intera vita. In quel periodo io invece andavo dai ventuno ai
ventotto anni, e mi trovavo in una congiuntura politica ed ideale ben diversa.
Fra me e Lukcs si instaurava di fatto una vera e propria non-contemporaneit
(Urgleichzeitigkeit), per usare il termine proposto da Ernst Bloch. Io sono
vissuto allora nel contesto delle rifondazioni filosofiche e superscientifiche
del marxismo alla Della Volpe ed alla Althusser, mentre Lukcs era stato allievo
di giganti come Georg Simmel e Max Weber, e contemporaneo di pensatori epocali
come Herbert Marcuse, Adorno, Sartre, Heidegger, Bloch, ecc. Inoltre, aveva
dovuto fare i conti con Stalin e lo stali- nismo, e con il connesso dilemma
tragico se accettarlo, sia pure interiormente non condividendolo, oppure
rompere con esso, ed in questo modo uscire anche dal movimento operaio
organizzato (come fece ad esempio un altro grande pensatore esemplare dellepoca
come il tedesco Karl Korsch). Dilemmi tragici, mentre i dilemmi del mio tempo
erano soltanto comici, se cio strisciare davanti ad un barone universitario per
riuscire a sostituirlo dopo avergli portato la borsa per vent'anni, inserirsi
in cordate partitiche introiettando servil- mente i parametri ideologici della
cultura di schieramento, oppure scegliere una sorta di solitudine metodologica
che per non implicava affatto pericoli di morte, incarcerazione o licenziamento
ma soltanto ridicole difficolt di pubblicazione e di recensione. Ritengo di
aver capito abbastanza presto la differenza fra un'epoca tra- gica di dilemmi
esistenziali assoluti ed un'epoca comica di simulazione situazioni- stica alla
Debord, e per questa ragione non mi sono mai ridicolmente identificato con
Lukacs. E tuttavia in una cosa mi sono effettivamente identificato psicologica-
mente, e la potrei formulare grosso modo cos: come si fa a sopportare il peso
del conflitto schizofrenico fra una causa storica che si ritiene legittima (la
causa di Marx, e cio della legittimit della critica radicale al capitalismo) ed
un profilo politico che si ritiene pessimo e da sostituire il pi presto
possibile (lo stalinismo e le sue prati- che massacratorie e dispotiche)? Non
esiste ovviamente nessuna formula di salvezza che possa fornire un formulario
di questo tipo. Eppure Lukcs, nella sua vita concreta, ha mostrato di possedere
almeno concettualmente questo dilemma. In questo suo aspetto mi sono certo
soggettivamente identificato, e non vedo perch debba rimuoverlo o silen-
ziarlo. E tuttavia, sia ben chiaro, non sono un fan di Lukcs, e Lukcs non solo
non il mio guru, ma non neppure il mio principale pensatore di
riferimento. Conosco abbastanza bene il piccolissimo gruppo dei lucacciani, ne
stimo alcuni e ne di- sprezzo altri. Non ho quindi alcuna preoccupazione di
ortodossia lucacciana. Da tempo sono disceso dalla sella dei nobili cavalli di
pensatori di riferimento gran- dissimi (Spinoza, Hegel, Marx), o semplicemente
grandi (Adorno, Bloch, Sartre, Gramsci, lo stesso Lukacs, ecc.). Mi sono
comprato un asinello, che per mio, che
nutro, mantengo e di cui sono responsabile. Meglio essere proprietario di un
454 asinello, che essere costretto da altri a scendere da cavallo, o meglio dal
cammello, perch l'appartenenza ideologica
un fenomeno da cammelli nel senso preciso dato a questa parola da
Nietzsche. Dunque io non sono un fan di Lukcs, ma un pensatore radicalmente
indipendente. Mi merito quindi integralmente le lodi che mi possono essere
fatte, e nello stesso tempo non ho scusanti per le sciocchezze che
inevitabilmente mi sar capitato di dire. Ritengo semplicemente che lontologia
dell'essere sociale, intesa non come un tito- lo di libro, ma come una
prospettiva filosofica praticabile, sia quanto di meno peg- giore (e cio di
migliore) il mercato filosofico di oggi ci offre. Non sento quindi il bisogno
di criticare Lukcs, e quindi nemmeno ovviamente di approvarlo o giu-
stificarlo. Seguendo il motto metodologico di Ernst Bloch del camminare eretti,
io cammino eretto anche nei confronti di Lukcs, e penso a lui idealmente come
ad un amico anziano nel frattempo defunto. Defunto nel frattempo anche Cesare Cases, il germanista che fu
amico personale di Lukcs, e con cui invece ho potuto scambiare valutazioni e
rilievi su Lukcs, cos come ho potuto farlo con filosofi di livello come Kofler
e, naturalmente, con Nicolae Tertulian, esempio ineguagliabile di competenza
filosofica e di onest intellettuale. Considerando Lukcs come un amico anziano
nel frattempo scomparso, so bene di ricollegarmi idealmente a quella catena di
conflitti filosofici che ho fatto iniziare con Eraclito. Il lettore quindi avvertito: non legger qui un commento
esegetico-critico all'ultimo Lukcs, ma legger soltanto un insieme di considera-
zioni personali sulla prospettiva filosofica dellontologia dell'essere sociale.
In questo insieme di considerazioni, si avr un compendio critico riassuntivo
dei trentanove capitoli precedenti, che trovano qui un loro (provvisorio)
coronamento. Una regola basilare del discorso filosofico, forse la regola pi
importante di tutte, quella di
confrontarsi con i punti pi alti possibile del discorso filosofico stesso, in
particolare quando i punti alti sono quelli della propria tradizione di scuola.
Solo i mediocri si confrontano con i punti bassi, e lo fanno per la meschina
soddisfazione di uscirne facilmente vincitori. Confrontandosi con i punti alti,
invece, si rischia facilmente la sconfitta, perch probabile che questi punti alti stessi si
trovino ad un'altezza concettuale che noi non potremmo mai raggiungere. E
tuttavia il di- scorso filosofico si distingue da tutti gli alti tipi di agone
sportivo, di concorrenza economica e di prestigio sociale per il fatto che non
ci sono mai n vinti n vincito- ri, ma solo la Filosofia vince (la scrivo
volutamente con la maiuscola per enfatizzare il concetto). Questa tradizione
viene direttamente da Socrate, che non era interessato a vin- cere sul campo la
tenzone retorica, ma ad avviare un processo problematico-mai- eutico che
coinvolgesse entrambi gli interlocutori per giungere ad una accettabile
definizione concettuale comune. Certo, Socrate non aveva ancora letto Marx, ed
aveva tutto il diritto di non sapere la cosa fondamentale, e cio che esiste uno
sbar- ramento invalicabile ad ogni argomentazione razionale, e questo
sbarramento l'interesse di classe, che
rende ad un certo punto impossibile la prosecuzione del flusso argomentativo
bipolare, inserendovi in mezzo l'elemento ideologico. 455 Ma mentre Socrate
aveva tutto il diritto di non saperlo, il seppellitore dei franco- fortesi
Habermas non ha il diritto di non saperlo. E cos come lo studioso di scienze
naturali non ha il diritto di non sapere che Darwin esistito, e quindi bisogna fare i conti con
la sua teoria dell'evoluzione, nello stesso modo oggi non si ha il diritto di
non sapere che esiste un sistema filosofico
piaccia oppure no che spiega come
il flusso argomentativo dialogico bipolare non passa, in presenza di interessi
di classe divergenti. Non possibile
convincere un membro della oligarchia finanziaria globalizzata, che consuma in
lussi quanto sarebbe necessario per la sopravvivenza fisica di diecimila
persone, che la sua ricchezza si basa sul lavoro sfruttato di al- tri. Il
flusso argomentativo necessariamente si interrompe. Ripeto, Socrate poteva non
saperlo, ma quando Habermas propone una teoria generale dellargomenta- zione
che prescinde totalmente dai rapporti di diseguaglianza sociale, ed afferma
egualmente che essa mira ad un convincimento possibile, ci si chiede se egli
menta sapendo di mentire, sia istupidito, oppure marxianamente sia in mezzo
alla falsa coscienza ideologica necessaria degli agenti storici. Siccome si
chiama dialettica l'insieme dei metodi dialogici per rendersene parzialmente conto
da soli, non ci si stupisce pi quando Habermas sublima la propria falsa
coscienza ideologica con il rifiuto metodologico della dialettica. Ci detto, la
filosofia non ha nulla del dialogo buonista e del chiacchiericcio
esibizionistico da caff letterario. Essa
un campo di battaglia, come ha giusta- mente detto Kant (Kampfplatz). Ma
questo Kampfplatz, a differenza di Canne e di Waterloo, non vede mai vincitore
uno dei due schieramenti, ma solo la Filosofia in quanto tale. Il concetto
(Begriff) pu essere definito in molti modi, ma forse il modo migliore per
definirlo ci che non pu diventare per
sua natura propriet priva- ta di nessuno. Anche Heidegger afferm che la
filosofia non si pu amministrare (verwalten), e qui sta infatti la differenza
fra filosofia ed ideologia: l'ideologia per sua propria natura amministrata da capillari apparati
ideologici, mentre la filoso- fia si muove liberamente, e si fa beffe di chi la
vuole amministrare e regolamentare. Bisogna quindi sempre confrontarsi con i
punti pi alti possibili del pensie- ro filosofico, rischiando di uscire battuti
dallinevitabile campo di battaglia (Kam- pfplatz). Ed allora ho deciso nel mio
ultimo capitolo conclusivo di confrontarmi con il punto pi alto possibile del
pensiero della scuola marxista novecentesca, che per me appunto Lukcs. Il motivo per cui lo considero il pi
alto, naturalmente, ver- r progressivamente analizzato in questo capitolo. Se
alla fine del capitolo Lukes risulter vincitore, ed io perdente, mi riterr
soddisfatto egualmente. Lukacs ha incarnato nella sua lunga vita (1885-1971)
l'intreccio fra filosofia e politica, e nello stesso tempo il rifiuto
sistematico di sciogliere la filosofia nella po- litica. E poich i politici di
professione se ne fregano della filosofia, e sono soltanto interessati al suo
uso ideologico di manipolazione,
evidente che per tutto il cor- so della sua vita Lukacs sia stato assai
pi tollerato e sospettato che riconosciuto nella sua grandezza oggettiva. A
volte ha dovuto piegarsi - e vedremo perch - ma nellessenziale ha sempre
camminato eretto come direbbe Bloch e la sua biografia lo mostra ampiamente. E
tuttavia, prima di affrontarne il pensiero
e di 456 criticarlo quando lo ritengo opportuno ci sono quattro determinazioni generali che
intendo subito segnalare. In primo luogo, Lukcs
stato un modello di comportamento intellettuale per quanto riguarda il
fare i conti con Marx. C' un testo del 1933 (con un post-scriptum del 1957) che
si intitola La mia via al marxismo (Mein Weg zu Marx) che assolu- tamente esemplare in proposito.
Scrive Lukdcs: Il rapporto con Marx la
vera pietra di paragone per ogni intellettuale che prenda sul serio il
chiarimento della propria concezione del mondo, lo sviluppo sociale, in particolare
la situazione pre- sente, la propria posizione stessa ed il proprio
atteggiamento rispetto ad essa. La seriet, lo scrupolo e lapprofondimento con
cui egli si dedica a questo problema ci indica se ed in quale misura egli
voglia, consciamente o inconsciamente, sottrarsi ad una chiara presa di
posizione nelle lotte della storia attuale. Parole d'oro. E parole doro perch
esse non scendono correttamente nei det- tagli della particolare
interpretazione che possiamo dare al pensiero generale di Marx, al materialismo
storico, alla dialettica, ai suoi rapporti o meno con Hegel, ai veri e propri
macroscopici errori di previsione che fece sul decorso storico del capitalismo,
ai residui positivistici o messianici pi o meno secolarizzati, ecc. Tutto
questo ovviamente importante, e fa parte
della necessaria esegesi marxiana e della ancora pi importante ricostruzione
sociale materialistica della storia del marxismo. Ma tutto questo non essenziale, e viene soltanto dopo. Prima necessa- ria una presa d'atto, che non tocca
certamente sciocche classificazioni di inferiori- t o di superiorit rispetto a
Platone, Aristotele, Spinoza, Kant, Hegel, ecc. Non si tratta di stilare
classifiche dossografiche per giochi di societ o di chi verr but- tato prima
dalla torre. Si tratta di qualcosa che in effetti presuppone una decisione
esistenziale totale, che consiste nel rifiuto dell'adattamento (Anpassung) alla
societ capitalistica, intesa come totalit alienata, e quindi non-vera, e quindi
falsa. Que- sto atto esistenziale totale
la mossa primaria, quella a cui tutto il resto verr poi di fatto
ricondotto come conseguenza necessaria. Il fatto di considerare la totalit
sociale capitalistica (e poi imperialistica, ecc.) come alienata, e quindi
non-vera, e quindi falsa, pone necessariamente il problema filosofico (e non
solo giuridico, eco- nomico, sociologico, politico, ecc.) della verit. In
questo senso il problema della verit un
problema pratico prima ancora di essere teorico. E qui bisogna riflettere sui
due termini di seriet e di sottrazione (cio del sottrarsi) ehe presenti nella
citazione di Lukcs. assolutamente
normale che ci si voglia sottrarre alle lotte della storia in cui si vive.
Queste lotte, infatti, non sono soltanto stressanti e pericolose, ma sono an-
che incerte, opache ed ambigue, per cui si pu scoprire (ed anzi necessariamente
si scopre) che coloro che tu credevi i tuoi disinteressati e generosi compagni
di lotta sono in realt una banda di ultimi uomini nicciani, soggettivamente
quasi sempre pi spregevoli dei borghesi stessi. La scoperta traumatica di questa
realt, caratteristica del movimento comunista del Novecento, ha causato una
serie lun- ghissima di scoperte pittoresche e tragicomiche del cosiddetto Dio
che ha fallito. Tipico degli intellettuali
prima credere che il comunismo sia storicamente il sosti- 457 tuto
immanente di Dio nella storia, e poi scoprire che in esso pullulano numerosi
tipi umani pi ripugnanti dei vermi in un cadavere, con successiva inevitabile
ria- desione al capitalismo pi sfrenato, che diventa in pochi anni prima il
male mi- nore, poi il bene maggiore. Questo
un modo classico di sottrarsi, caratteristica della tipologia umana del
comunista deluso (quello, appunto, del Dio che ha fallito). Ma ci sono anche
modi molto pi nobili di sottrarsi, e nulla
pi stupido e fastidioso del moralismo del cosiddetto impegno che li
colpevolizza. Ci si pu tranquillamente rifugiare nella scienza, nella famiglia,
nella professione, nell'arte, negli studi eruditi, nei viaggi, nella carriera,
ecc. In proposito, Lukcs sostiene che in casi del genere il soggetto in quanto
tale avvizzisce per lo pi nell'ampio arco che va dallo specialismo alla
stravaganza. possibile che Lukcs sia
stato troppo severo nel mettere nello stesso mazzo il chirurgo, l'ingegnere
progettista, il traduttore letterario (lo specialismo) con il produttore di
merda d'artista ed il pagliaccio mediatico-televisivo (la stravagan- za). A mio
parere lo stato. Ma io vivo ormai in
un'epoca ellenistica in cui il ripiegamento protetto nel privato spesso rimasto il solo modo per
razionalizzare la sconfitta storica attuale provvisoria di tutti i tentativi
storici di emancipazio- ne, e quindi non si pu condannare troppo in fretta
lavvizzimento pendolare fra specialismo e stravaganza. Lukcs vissuto in un'epoca classico-ellenica, e non
ellenistica come la nostra; quindi
naturale che sia severo con coloro che in vario modo si sottraggono alle sfide
del tempo. invece pi importante riflettere sul termine seriet, applicato al
rapporto che instauriamo con Marx. Questo rapporto non pu essere lo stesso di
quello che instauriamo con Dante, Cervantes, Goethe o Shakespeare, e non pu
essere neppure lo stesso di quello che instauriamo con Platone, Aristotele,
Epicuro, Spi- noza, Kant, Hegel, Weber o Heidegger. Marx ci provoca (nello
senso che ci pro-voca, ci chiama fuori, ci grida di venir fuori) a dire
apertamente che cosa pensiamo del nostro presente e come lo valutiamo. In
proposito, i filosofi di professione sono maestri nella mancanza di seriet,
perch credono sinceramente di cavarsela con ricostruzioni sofistiche del
pedigree teorico marxiano. Ma anche se fosse vero (e non lo ) che il pensiero
di Marx una tarda secolarizzazione della
escatologia ebraico-cristiana (Lwith), oppure una forma rinnovata di
neoplatonismo laico basato sulla confusione fra contraddizione dialettica ed
opposizione reale senza contraddizione (Colletti), e via elencando almeno altre
venti interpretazioni con- simili, quasi tutte liberamente derivate dalla
teoria del disincanto di Max Weber, ebbene, anche se tutto questo fosse vero (e
non lo ), resta poco serio il pensare di sbrigarsela in questo modo con il
problema reale oggettivo della totalit capitali- stica. Una volta che si sia
smontato tutto Marx con l'abilit con cui un meccanico smonta un motore (ed il
filosofo accademico, con tutta la sua prosopopea, non altro che un normale meccanico che anzich
avere a che fare con dei pistoni e con delle valvole ha a che fare con apparati
concettuali, di cui per, a differenza del meccanico, che gli molto superiore, non conosce assolutamente la
provenienza, ma che crede che gli siano caduti dal tetto dellofficina), resta
il problema del 458 une rie nz ppt sci dei soir trici ria cit detriti nostro
rapporto esistenziale soggettivo con la totalit sociale. Qui sta il concetto
lucacciano di seriet. Credere che siano sufficienti stroncature gnoseologiche
del pensiero di Marx veramente poco
serio, ed in proposito i pi esilaranti sono gli economisti di sinistra, che
pensano veramente che l'impresa filosofica di Marx cada perch risulta
impossibile o incerta la cosiddetta (totalmente e ridicolmen- te irrilevante)
trasformazione dei valori in prezzi di produzione. La critica alle prove
ontologiche, cosmologiche e fisico-teleologiche all'esistenza di Dio non sono
mai riuscite ad abolire la religione. Si tratta di una pittoresca deformazione
dellin- tellettuale universitario, che crede di avere risolto definitivamente
una questione storica quando riesce a trovare degli errori, e li cancella con
la sua comica matita rossa e blu. In secondo luogo, Lukacs ha chiarito in modo
veramente esemplare il concetto di passione durevole. Questo punto ancora pi importante e decisivo del preceden-
te. Cito Lukacs: Nei giovani la frequente dedizione entusiastica ad una causa
pu terminare al medesimo modo o nella fedelt (lucida o ottusa) ad essa, o nel
passag- gio ad un diverso campo, oppure ancora nella perdita di capacit di
dedizione in genere [...]. I movimenti giovanili cos frequenti nell'ultimo
mezzo secolo lo mo- strano con la massima evidenza, e tanto pi quanto pi danno
valore centrale alla giovinezza stessa [...]. Occorre esaminare se e fino a
quale punto una dedizione in grado di
indurre l'individuo ad innalzarsi sopra la propria particolarit, oltre che a
dar luogo ad una passione durevole. Credo che si tratti di una citazione
stupenda, che una volta analizzata e scom- posta in elementi concettuali ci pu
permettere di cogliere l'essenziale della que- stione. Qui Lukcs ci propone una
vera e propria antropologia sociale della ela- borazione della dedizione
giovanile (la fedelt alla causa abbracciata in giovent, lucida o ottusa, il
passaggio ad un diverso campo, e la perdita della capacit di de- dizione in
genere). Se ad esempio, quarantacinque dopo (1968-2013), esaminiamo i
cosiddetti reduci dellanno domini 1968, troviamo tutte e tre le tipologie
descritte da Lukacs, la fedelt lucida o ottusa, il passaggio ad un diverso
campo, ed infine la perdita di dedizione in genere. Certo, Lukcs aveva avuto
vent'anni nel 1905, in un contesto storico ben diverso sia da quello del 1968
sia da quello del 2013, ma si nota immediatamente la capacit, tutta hegeliana,
e tutta derivata dal metodo dialettico della Fenomenologia dello Spirito, di
cogliere la natura della figura sociale della giovent. Il primo filosofo
moderno che mette la giovent in quanto tale al centro del suo sistema
filosofico Fichte, che usa la metafora
del ringiovimento (Verjungen) per indicare il rinnovamento emancipativo della
societ, ed individua nella giovent come categoria sociale il suo soggetto
storico capace di portarci fuori dall'epoca della compiuta peccaminosit. Oggi
tutto questo pu sembrare illusorio e romantico, ma non bisogna dimenticare che
la giovent di cui parla Fichte non aveva vissuta un'infanzia all'ombra della play-station
e dei modelli di consumo televisivi, un'adolescenza in una scuola degradata, ed
unincipiente maturit in un contesto di lavoro salariato flessibile e precario.
In altre parole, ed usando una terminologia marxiana, Fichte non poteva neppure
immaginare che cosa sarebbe 459 potuto avvenire in un'epoca di sottomissione
crescente del lavoro al capitale e di approfondimento orizzontale (la
globalizzazione) e verticale (la manipolazione ca- pillare) del modo di
produzione capitalistico. La fedelt, lucida o ottusa (generalmente ottusa) alla
causa sposata in giovent molto rara, e
spesso caratterizza il tipo umano che Nietzsche aveva definito degli eremiti.
Personalmente, conosco (ed apprezzo umanamente) alcuni eremiti che cercano
incessantemente di ricostruire gruppi eretici del marxismo rivoluziona- rio,
trotzkisti, stalinisti, operaisti, anarco-comunisti, ecc. Nellepoca attuale,
essi vivono come se la signora Rosa Luxemburg fosse ancora fra noi, come se
Stalin inseguisse ancora Trotzky armato di piccozza, e come se si potesse
ancora credere sinceramente al crollo del capitalismo a causa della caduta
tendenziale del saggio di profitto. Eppure
lo dico chiaramente pur essendomi
demarcato da tempo da ogni forma di eremitaggio ideologico, umanamente stimo
molto di pi questi eremiti di quanto stimi e consideri le due tipologie
antropologiche del passaggio allaltro campo e della perdita di capacit di
dedizione in genere. Meglio infatti leremita dellultimo uomo. Eppure lo stesso
Lukcs, morto nel 1971 e quindi ben prima del triennio di dis- soluzione del comunismo
storico novecentesco 1989-1991, ci mette giustamente in guardia dallo spirito
eremitico e dalle tentazioni delleremitaggio. Scrive Lukcs: Dobbiamo
convincerci che oggi, quanto al risveglio del fattore soggettivo, non possiamo
rinnovare e continuare gli anni Venti, ma dobbiamo cominciare da un nuovo punto
di partenza, sia pure utilizzando tutte le esperienze che sono patri- monio del
movimento operaio e del marxismo. Dobbiamo renderci conto infatti chiaramente
che abbiamo a che fare con un nuovo inizio, o per usare unanalogia, che noi ora
non siamo negli anni Venti del Novecento, ma in un certo senso allini- zio
dell'Ottocento, quando dopo la rivoluzione francese si cominciava a formare
lentamente il movimento operaio. Credo che questa idea sia molto importante per
il teorico, perch ci si dispera assai presto quando l'enunciazione di certe
verit produce solo un'eco molto limitata. Considero questa citazione di Lukcs
ancora pi decisiva ed importante delle precedenti, perch essa stringe insieme i
tre elementi psicologico-concettuali della passione durevole, del nuovo inizio,
e della disperazione nel rendersi conto che quanto si dice produce un'eco
talmente limitata da provocare necessariamente non tanto il passaggio ad un
diverso campo, quanto proprio la perdit della capacit di dedizione in genere.
La tematizzazione di questo intreccio suggerito genialmente da Lukcs infatti assolutamente decisiva. Iniziamo
dall'analisi di quella particolare disperazione, che potremo chiamare
disperazione del filosofo. L'atleta non si dispera, ma perde oppure vince.
L'imprendi- tore non si dispera, ma ha successo e si arricchisce oppure va in
fallimento e perde tutto, Il ricercatore scientifico non si dispera, ma
verifica le sue ipotesi, oppure vi rinuncia e sceglie un'altra strada. Il
filosofo, invece, quella peculiare
figura che da un lato spesso convinta di
aver colto la verit della totalit sociale in cui vive, ma non potendo
dimostrarla n con metodi scientifici (Galileo), n con me- 460 todi
argomentativi (Habermas), e restandone tuttavia convinto, si dispera neces-
sariamente per la sua penosa impotenza. Il problema sta allora nel modo in cui
si elabora questa impotenza, dal momento che - come dice giustamente
Lukdcs ci si dispera assai presto quando
l'enunciazione di certe verit produce solo un'eco molto limitata. In generale,
l'elaborazione di questa disperazione porta a due strade entrambe bloccate. Da
un lato, si comincia a pensare che quelle che noi riteniamo verit, producendo
un'eco molto limitata, non siano poi quelle verit che crediamo, ma siano solo
pure illusioni ideologiche falsificate dal mondo esterno. Questo atteg-
giamento suicida, perch le verit
filosofiche non sono come le certezze fisiche o le esattezze matematiche, e
quindi il consenso ed il dissenso esterni non possono certo verificarle o
falsificarle. Tutte le teorie e tutti i criteri della falsificabilit pop-
periana, postpopperiana o anti-popperiana, valgono solo per le scienze
naturali, e non valgono per la filosofia. La filosofia non ha date di scadenza
temporali, dal mo- mento che parte sempre dal proprio tempo appreso nel
pensiero, ma arriva anche e sempre a ci che
, ed eternamente. La filosofia se
la ride di Popper, Lakatos o Feyerabend. Si commette quindi un errore, quando
si comincia a dubitare della propria visione filosofica, necessariamente
indimostrabile con i metodi della fisica, perch raccoglie solo un'eco molto
limitata. Dall'altro, si pu cominciare a pensare che ci che noi diciamo sia
giusto, ma che il mondo esterno sia troppo coglione e corrotto per capirlo. In
sostanza, al mondo ci sarebbero soltanto pochi saggi, cio noi stessi ed i
nostri pi stretti sodali. Questa via, che definirei paranoico-nicciana, pu
soltanto portare alla distruzione fisica di chi la pratica. Dal momento che il
buon senso relativamente diffuso nel
mondo, pur consentendo che il buon senso
quasi sempre lultimo dei metafisici, perch baluardo della
pseudo-concretez- za (Kosk),
storicamente poco probabile che nel mondo gli unici saggi siamo noi ed i
nostri sodali. Bisogna quindi percorrere unaltra via. Questa via non pu essere
che quella del carattere storico-disvelativo della verit. Questo non significa
accettare il relativismo ed il convenzionalismo, per cui la ve- rit non esiste,
ma viene chiamata cos e cos a seconda della relativit del tempo storico e della
convenzionalit delle sue definizioni. La passione durevole per il comunismo, o
se si vuole per la critica al capita- lismo, presuppone dunque per esistere e per essere coltivata e
sviluppata che ci si renda per conto che
essa da un lato coincide con il percorso della nostra vita umana concreta,
necessariamente e fatalmente breve, ma che dall'altro essa idea- le, nel senso che va al di l della
nostra stessa vita umana. Del resto, si tratta dello stesso concetto di
immortalit presente in una lettera di Antonio Gramsci a sua madre, che era
cattolica e non certo marxista, e il marxismo lo aveva probabil- mente solo
sentito nominare. Il marxismo quindi
idealismo non solo nel senso della scienza filosofica tedesca delle lettere di
Marx ad Engels ed a Lassalle, ma in questo senso ben preciso. Mi rendo conto
che questo provocher una smorfietta epistemologico-positivistica nel marxista
medio, ma non so proprio che cosa farci. 461 Oltre a segnare profondamente il
rapporto fra marxismo ed idealismo (per cui potremmo dire con un certo grado di approssimazione che senza un certo gra- do di idealismo
non neppure possibile coltivare una
scienza non-filosofica e quindi
non-idealistica - come lo stesso materialismo storico inteso come teoria pura e
scientifica dei modi di produzione), il concetto di passione durevole una vera e propria porta girevole per
tematizzare un insieme di problemi es- senziali del nostro tempo. In primo luogo,
il concetto di passione durevole riprende il concetto greco di bilancio
filosofico di una vita intera, senza alcun privilegiamento del momento ma- gico
della giovinezza. I Greci sapevano bene che il bilancio di una vita si fa solo
alla fine. Fichte aveva le sue ragioni per sostenere che la giovent era il solo
sog- getto che sfuggiva alla corruzione generalizzata dellepoca storica della
compiuta peccaminosit. Dal momento che egli, del tutto correttamente, definiva
metafo- ricamente il finito come l'accettazione conformistica del dispotismo
signorile- feudale, ed infinito la tensione al suo superamento nella prassi
concreta (ho gi ripetutamente affermato - e qui lo ripeto che Fichte, e non Marx, il fondatore della filosofia della prassi, e
Marx lha solo applicata al comunismo),
normale che egli si rivolgesse alla giovent, intesa come il soggetto
complessivo del rion- giovanimento del mondo (Verjungen). del tutto possibile sostenere che la classe
proletaria di Marx, intesa come soggetto risolutore e non corrotto, non sia che
il sostituto-successore della giovent fichtiana. E tuttavia Fichte ha torto, e
Lukacs ha ragione. La giovent deve essere onorata, ma non privilegiata come
soggetto sto- rico. Ci che conta la passione
durevole, non la passione giovanile. La passione il minimo comun denominatore di tre
generazioni, giovani, persone di mezza et ed anziani. E del resto, il
giovanilismo ha smesso da tempo di essere pensato come lo aveva pensato il
grande Fichte (il Verjungen come metafora del supera- mento della corruzione
dellepoca della compiuta peccaminosit), per diventare feticcio pubblicitario,
in quanto la merce si vende meglio se
associata a carni pie- ne e non a carni rugose e cascanti. La vecchiaia,
ancora veneranda nei tempi an- tichi, medioevali e protomoderni, oggi una vergogna da nascondere con il
lifting della chirurgia estetica oppure con la segregazione degli anziani in
citt protette per pensionati (qui gli USA e lo Stato caldo della Florida sono
all'avanguardia, anche se si pu sempre sperare che il resto del mondo non li segua).
E non nep- pure vero che la giovent sia
meno corruttibile della mezza et e della vecchiaia. In un'epoca postmoderna
della produzione flessibile (Jameson), dello sposta- mento del parametro
simbolico dal tempo del progresso allo spazio dell'economia liberale
globalizzata (Harvey), del disincanto socialmente indotto verso le gran-
di-narrazioni (Lyotard), della fine della vecchia alleanza fra critica
economica e critica artistico-culturale al capitalismo (Boltanski e Chiapello),
ecc., la giovent diventa insieme un feticcio pubblicitario dellesaltazione dei
corpi come supporto degli oggetti di consumo e un soggetto facilmente
ricattabile da quel politicamen- te corretto, che funziona oramai come codice
di accesso ideologico alle funzioni di potere sociale in un mondo senza Dio e
composto da ultimi uomini. Il politica- 462 mente corretto dice (enumero
brevemente e senza alcuna pretesa di classificazione completa) che magari
Marx un barbone interessante, ma che non
c' pi limpe- rialismo, e che solo dei militanti attardati e fanatici ancora lo
sostengono; che Dio soltanto pi un
oggetto di credenza per ignoranti del tutto ignari della risolutiva teoria di
Darwin, ma che una religione civile
ancora necessaria, il culto della memoria del genocidio ebraico (e solo
di quello, gli altri assai numerosi sono tutti derubricati a generiche atrocit
contestualizzabili), il quale
imparagonabile, ed essendo imparagonabile di fatto religiosizzato (solo l'unicit
veritativa delle reli- gioni infatti
imparagonabile), e funzioner per sempre come complesso di colpa per l'Europa,
che rester sempre militarmente occupata per espiare; che vietato vietare, dal momento che tutto ci
che acquistabile potr essere acquistato
e tutto ci che tecnicamente fattibile
potr essere fatto (Gunther Anders), ecc. Dal momento che il giovane non ancora entrato nel mondo delle istituzioni
econo- miche e politiche che fanno accedere al mondo del privilegio (global
middle class, e cio nuovo ceto medio borghese senza la coscienza infelice della
vecchia piccola- borghesia illuministico-romantica), egli ha necessit del
politicamente corretto come indispensabile codice d'accesso. Gi da tempo la
cosiddetta democrazia non pi l'insieme
di interessi sociali da rappresentare in nome di un voto popolare libero,
ma diventata un codice d'accesso
obbligatorio fissato da bande non elette di politici di professione (circo
mediatico), cosiddetti grandi intellettuali che rappresenterebbero la
cosiddetta (ed inesistente) opinione pubblica, con in pi la copertura
ideologica della casta universitaria. Oggi il giovane un soggetto indebolito e ricattato, anche per
le difficolt enormi che si frappongono ad una sua autonomizzazione economica, professionale,
e quindi anche sessuale e matri- moniale (nella storia dell'intera umanit
non mai avvenuto che una generazione
potesse arrivare ad un'autonomia reale soltanto intorno ai trent'anni, a causa
dei salari flessibili e precari, per poi dover sopportare cinici mascalzoni che
dopo aver creato questa situazione insultano i giovani come bamboccioni). Ho
volutamente aperto questa parentesi sulla condizione giovanile oggi per po- ter
far rilevare le ragioni storiche e sociali del tramonto dell'illusione
fichtiana sul soggetto giovanile, ritenuto lunico in grado di abbattere la corruzione
dellepoca della compiuta peccaminosit, e per evidenziare la pertinenza del
concetto lucacia- no di passione durevole, che rilegittima attraverso
lastrazione filosofica il concetto greco dell'alleanza fra le tre generazioni
(giovani, persone di mezza et ed anzia- ni). E tuttavia, non soltanto questo il nodo del concetto di
passione durevole. La passione durevole lucacciana si nutre della
consapevolezza della necessit di un nuovo inizio, sia pur mediato dalle esperienze
di un secolo di movimento operaio e di marxismo. Morto nel 1971, Lukcs era
impregnato dell'idea di ri- formabilit in extremis del baraccone socialista,
poi crollato definitivamente circa vent'anni dopo la sua morte. In realt Lukcs
si sbagliava: il baraccone era cor- rotto al punto di essere arrivato allultimo
stadio della produzione di massa della figura antropologica dellultimo uomo
(con un necessario correlato minoritario di eremiti), era giunto allo stadio
dellepoca della compiuta peccaminosit, e se 463 Lukcs fosse arrivato allet di cento
e dieci anni avrebbe assistito alla scena, ad un tempo ridicola, grottesca e
tragica, della formazione di un'alleanza fra speculatori, pescecani della
finanza internazionale, bande mafiose assassine interne ed esterne, burocrati
riciclati ed altri mostri sociali, che privatizzano tutto ci che tre gene-
razioni socialiste avevano costruito. Pur essendo un ammiratore della capacit
previsionale di Lukcs, ritengo che il nostro autore non disponesse delle
categorie teoretiche necessarie per comprendere questo maestoso fenomeno. E
ritengo che non le avesse per il suo sostanziale rifiuto delle correnti
letterarie alla Kafka, e per la sua adesione all'estetica realistica alla
Thomas Mann. Thomas Mann non pu spiegare gli oligarchi russi, i loro consumi e
soprattutto i loro stili di vita. Ci vo- gliono Aristofane, Teofilo Folengo,
Kafka, Borges, ecc. Non nego che anche Balzac abbia descritto qualcosa di
simile, accaduto nell'epoca 1815-1848. Ma nella dissolu- zione del socialismo
reale c' stato qualcosa di pi, un'eccedenza grottesca e tragica che va al di l
dei canoni del cosiddetto realismo socialista. La centralit del concetto
lucacciano di passione durevole non
stata a mio avviso ancora pienamente colta dalla critica. Il fatto che
Lukcs la leghi stretta- mente al concetto di resistenza alla disperazione
soggettiva nel vedere che ci che si pensa ottiene un'eco soltanto molto
limitata mi sembra molto importante. Significativa l'analogia storica proposta da Lukdcs: non
siamo negli anni Venti del Novecento, ma se proprio si vuole cercare unanalogia
(e non dovrebbe essere necessario, dato il carattere strutturalmente
ingannatorio di tutte le analogie stori- che) siamo piuttosto negli anni Venti
e Trenta dell'Ottocento. Naturalmente Lukdcs sapeva benissimo che stava usando
unanalogia un po impropria. E tuttavia in questo modo egli si differenzia da
tutte le letture messianiche del marxismo, colti- vate da suoi grandi coetanei
come Bloch e Benjamin (e non a caso poi privilegiate come facile oggetto di
critica e di stroncatura da pensatori come Lwith, Colletti, ecc.), per proporre
una lettura integralmente razionalistica di esso. Vorrei insistere molto su
questo cruciale concetto. Chi intende criticare il pensiero di Marx nel suo
complesso deve necessariamente interpretarlo in senso messianico-prometeico,
per il semplice e banale fatto, ac- cessibile anche ad un normale studente
liceale intelligente, che il messianesimo prometeico non tiene, non difendibile,
fatalmente condannato ad essere presto o tardi distrutto dal disincanto
(le avventure della dialettica di Maurice Merleau- Ponty, la fine delle grandi
narrazioni di Jean-Frangois Lyotard, ecc.). La riflessione di Lukcs, essendo
essa stessa fondata su di un radicale rifiuto del messianesimo escatologico e
delle attese teologico-teleologiche, non pu diventare oggetto di una
stroncatura alla Lwith, ed per questo
necessario che venga socialmente silenzia- ta il pi possibile. Passiamo ora ad
un terzo punto essenziale, dopo il fare i conti con Marx e dopo la passione
durevole non solo giovanistico-generazionale. Si tratta del modo con cui Lukcs
affronta il venerando concetto marxiano di alienazione. Qui, a mio avviso, la
sua interpretazione veramente buona, o
almeno la migliore che cono- sca. 464 Il dibattito sul concetto di alienazione
e sul giovane Marx non mai stato un puro
dibattito filosofico-filologico per addetti ai lavori, ma sempre stato (nel senso che lo da circa ottanta anni, da quando sono stati
pubblicati i Manoscritti econo- mico-filosofici del 1844) uno schermo per un
dibattito politico. Mai come in questo caso la filosofia - come sistema
razionale delle conoscenze categoriali (Schulber- griff) diventata l'insieme dei pensieri che
interessano necessariamente ogni uomo (Weltbegriff). In un certo senso, il
problema dellinterpretazione dellaliena- zione
l'equivalente marxista dell'interpretazione del dogma dialettico della
trini- t nella teologia cristiana. Dimmi come interpreti l'alienazione e la
trinit e ti dir che razza di marxista o di cristiano sei. Ritengo necessario
fare alcune considera- zioni preliminari sullalienazione per poi giungere in
modo contrastivo a Lukcs, premettendo per che Lukcs ha sempre tenuto fermo
(dagli anni Trenta alla sua morte avvenuta nel 1971) il principio
dellessenzialit del concetto di alienazione nel pensiero marxiano. Togli a Marx
il concetto di alienazione, e Marx muore. Ho inteso formulare in modo
volutamente estremistico la mia opinione in proposito per non lasciare dubbi al
lettore su questo punto. Ripeto qui per comodit del lettore le mie due
concezioni fondamentali sul con- cetto di alienazione (Entfremdung) in Marx. In
primo luogo, evidente che Marx non si
inventa questo concetto, ma lo eredita da pensatori come Rousseau, He- gel e
Feuerbach. E tuttavia, egli modifica qualitativamente questo concetto, appli-
candolo al lavoro salariato, qualificato come lavoro alienato. In sostanza, il
lavoro salariato anche sempre lavoro
alienato, in quanto anche e sempre
lavoro sfrut- tato. Il concetto di sfruttamento (Ausbeutung) e quello di
alienazione (Entfremdung) coincidono. Ma non sarebbe giusto dire che il
primo un concetto economico, ed il
secondo un concetto filosofico, che fanno quindi parte di due aree disciplinari
distinte (il primo cibo per economisti, il secondo cibo per filosofi), in
quanto per Marx esiste solo ununica critica dell'economia politica
borghese-capitalistica, che non permette separazioni disciplinari fra economia
e filosofia. Inoltre, il fatto che ci sia sfruttamento (Ausbeutung) nel
rapporto fra lavoro sa- lariato e capitale, e che ci sia sotto l'apparenza
dello scambio fra equivalenti (il che comporta che il fenomeno non coincida con
l'essenza, e sia quindi del tutto illusorio l'approccio alla Locke ed alla
Hume, ma ci voglia invece un approccio dialettico alla Hegel), comporta una
conseguenza decisiva, e cio che tutta la societ
alie- nata, e quindi falsa nel senso concettuale hegeliano per cui
vero soltanto il tutto, mentre la
parte volta a volta certa, esatta,
sbagliata, ecc., ma comunque mai vera o falsa (al massimo, pu essere veridica o
ipocrita). Ha quindi avuto sostanzialmente ragione leconomista-filosofo
italiano Claudio Napoleoni (1924-1988) a sostenere, primo, che la teoria
filosofica dellalienazione coincide con la teoria economica del valore-lavoro
e, secondo, che nella societ ca- pitalistica solo alcuni (sia pure generalmente
la maggioranza statistica della popo- lazione) sono sfruttati, mentre tutti
sono alienati. Queste due tesi di Napoleoni mi sembrano esattissime. Si possono
certo rifiutare, ma a mio avviso in questo modo si rifiuta anche Marx. 465 In
secondo luogo, il fatto che Marx non riprenda esplicitamente questo con- cetto
nelle sue opere dette mature non significa affatto che lo abbia per cos dire - respinto. Ritengo invece che
lo abbia metabolizzato ed incorporato pie- namente nel suo processo di pensiero
(Denkweg), per cui non era pi necessario che lo ripetesse ossessivamente. E del
resto, studi filologici recenti (come quello di Roberto Fineschi sui rapporti
fra Hegel e Marx) hanno accertato il continuo e documentabile ritorno di questo
concetto anche nelle sue opere mature. Ho qui riassunto per comodit del lettore
il mio punto di vista sul problema dellalienazione. Ed per importante soprattutto rilevare che nei
discorsi rivolti a stroncare Marx si ha
in un certo senso una
duplicazione della strategia argo- mentativa prima indicata, per cui ci si fa
prima un idolo polemico manifestamente indifendibile, e poi lo si distrugge
gioiosamente. E cos come si riduce il pensiero di Marx ad (insostenibile)
messianesimo prometeico, ed in questo modo lo si distrug- ge gioiosamente con
infantile facilit, nello stesso modo si interpreta il concetto di alienazione
come rottura di una felice e non alienata unit comunitario-sociale originaria,
che costituisce un mondo a testa in gi, che poi viene progressivamente
raddrizzato dalla storia universale necessitata, fino al comunismo concepito
come il ristabilimento naturalistico autentico di un mondo finalmente con i
piedi per terra. Il lettore informato sa ormai che il primo modello di
stroncatura (Karl Lwith), ed anche il secondo modello di stroncatura (Lucio
Colletti) stroncano in entrambi i casi una caricatura precedente. quello che si chiama in linguaggio ordinario
il vincere facile. La pulsione ad eliminare dal profilo teorico marxiano il
concetto di alienazione un fenomeno
talmente diffuso e pittoresco da meritare un'indagine sociale, e non solo
culturalistico-concettuale. Personalmente, ho vissuto il clima ideologico degli
anni Sessanta del Novecento, e so bene che allora vi fu un tentativo di
togliere al marxismo i suoi lati sgradevoli di lotta di classe per affermare
una sorta di inno- cua teoria sociale del generico disagio
psicologico-esistenziale tipico della societ industriale connotata come
avanzata. evidente che il concetto di
alienazione in quel contesto storico preciso (e questo capitava anche ai
correlati concetti di uomo e di umanesimo) mirava ad una sorta di
neutralizzazione universitario- psicologica del marxismo, che passava cos da
Lenin e Rosa Luxemburg a Eric Fromm ed a Umberto Galimberti. La reazione
althusseriana, che negava radical- mente il mantenimento nel Marx maturo e
scientifico del concetto di aliena- zione, era quindi socialmente del tutto
giustificata, ma lo era soltanto dal punto di vista della lotta di classe
ideologica nella congiuntura politica (1956-1968, e per di pi solo a Parigi),
mentre era catastroficamente errata nel contesto storico generale Novecentesco.
Detto questo, insisto nel non identificare le due correnti scientiste di Lucio
Colletti e di Louis Althusser. Il programma dellavolpiano di ritraduzione
dell'intero pensiero di Marx in un modello galileiano di scienze della natura
del tutto affrancato da Hegel e dalla dialettica non pu che portare ad un suicidio
programmato a tempo, e dobbiamo essere grati (parlo sul serio, ed alla lettera)
a Lucio Colletti per aver mostrato in piena luce l'esito autodistruttivo 466 e
suicida di questo programma. Il programma althusseriano infinitamente pi serio, perch spinge
giustamente a fissare gli sguardi sulla scienza non-filosofica dei modi di
produzione sociali, e non certo sulla gnoseologia, scienza della de-
legittimazione di ogni pretesa di conoscenza della totalit (si chiami Dio
oppure Capitale), o tantomeno sulla metodologia, pittoresca ed irrilevante
scienza per nul- latenenti. Dunque, nessun segno di eguaglianza fra Colletti ed
Althusser. Nel lin- guaggio pittoresco dei maestri di scuola, daremo a Colletti
un bel quattro, ed a Al- thusser addirittura un generoso sette (mi perdonino i
rispettivi fans, ed accettino il fatto che non sempre si pu utilizzare il
lessico serioso della conferenza filologica). E tuttavia non si pu e non si
deve evitare di riflettere sulle conseguenze provo- cate dal rifiuto del
concetto di alienazione e dalla teoria della cosiddetta rottura epistemologica.
Si va infatti da una concezione di episteme che oscilla dal concetto
positivistico di Auguste Comte al concetto sociologico di Max Weber (in
entrambi i casi nessuno capisce perch si debba lottare contro il capitalismo se
non lo si giu- dica negativo, e non si vede come sia possibile giudicarlo
negativo con una sem- plice visione strutturalistica della dinamica dei modi di
produzione), che scivola poi nella (fastidiosa e riduzionistica) definizione di
filosofia come lotta di classe nella teoria, ed infine sfocia nellapologia
della aleatoriet come sublimazione del- la propria (peraltro giustificata)
critica alla precedente (ed insostenibile) filosofia
necessitaristico-teleologica della storia, insaporita ed aromatizzata con il
peperon- cino rosso del messianesimo e del prometeismo. Ma questo comporterebbe
una critica all'intero Denkweg di Althusser, che non mi interessa affatto fare
in questa sede, se non per contrapporlo idealmente alla molto maggiore sobriet
di Lukdcs. Vi sono ovviamente molte altre varianti, tutte cattive, del rifiuto
della centralit del concetto di alienazione. Un'ultima variante italiana
(Roberto Finelli), storica- mente poco importante, ma comunque socialmente
significativa, propugna una sorta di marxismo ridotto al concetto di astrazione
reale che rifiuti esplicitamen- te, e quindi espunga del tutto dal quadro
teorico, i due concetti di alienazione e di contraddizione. Tralascio qui le
argomentazioni, del tutto sofistiche, con cui questi due concetti vengono
licenziati. Senza alienazione e senza contraddizione avremmo egualmente un
corpo, ma senza gambe e senza braccia. Se il marxismo uno sgabello a tre gambe, e metaforicamente
lo , queste tre gambe sono effet- tivamente i concetti di astrazione reale (il
mondo sensibilmente sovrasensibile), di contraddizione dialettica (che include
peraltro come suo momento particolare l'opposizione reale economica fra
sfruttati e sfruttatori, che restano comunque i due poli di una correlazione
essenziale), ed infine di alienazione sociale. Devo am- mettere che la proposta
di trasformare uno sgabello a tre gambe in uno sgabello ad una gamba sola esilarante, ma socialmente parlando si tratta
soltanto dell'enne- sima pensata sofistica universitaria per togliere al
marxismo qualunque residuo potenziale eversivo. Ed effettivamente un marxismo
senza esplicita eversione per me come
una pastasciutta senza sugo. A qualcuno potr piacere, ma a me no. L'esemplarit,
ed a mio avviso linsuperabilit, del modo in cui Lukcs tema- tizza la categoria
di alienazione sta in una specifica fusione di Marx e di Hegel. Da 467 Marx
Lukcs ricava l'assoluta oggettivit esistente della categoria di alienazione, ed
il fatto che essa non possa essere posta e poi tolta con un semplice atto del
pensiero autocosciente (vi qui
chiaramente una critica ad Hegel, cui viene attri- buita una concezione
puramente logica e coscienziale di alienazione). Da Hegel, ed in particolare
dalla dottrina del concetto della Scienza della Logica, Lukcs ricava il
rapporto fra l'universalit, la particolarit e lindividualit come momenti logici
del concetto stesso, che resta unitario. Una breve spiegazione ulteriore
permetter di cogliere la grande correttezza del pensiero di Lukcs. In una
lettera a Lucien Goldmann, Lukcs sostiene che il pensatore sostanziale preoccupato da un unico pensiero per tutta la
vita. E Lukcs veramente stato un
pensatore sostanziale, la cui sostanza pu essere individuata in una sua sin-
golare affermazione, per cui egli afferm di se stesso: Non parteciper pi alla
mia stessa alienazione (ich mache meine eigene Entfremdung nicht mehr mit). Si
tratta peraltro della stessa formula che era servita come parola d'ordine dei
membri della scuola di Francoforte, il che significa che molte distinzioni di
scuola vengono meno quando si tratta di stringere la cosa stessa. Ma cerchiamo
di commentare, sia pure brevemente, questa ottima formulazione. In primo luogo,
vi il riconoscimento del fatto che l'alienazione
esiste ogget- tivamente, ed una
categoria logico-ontologica della produzione capitalistica in quanto tale, e
non certo una sofisticata opinione sul disagio esistenziale in un mon- do
mercificato. Questo disagio esistenziale ovviamente c, anche se le tendenze
esistenziali postmoderne (tipica ancora una volta la posizione del filosofo delle riviste
femminili italiane, Umberto Galimberti) tendono a staccarlo dalla coscienza
infelice, ed a negargli cos ogni carattere di sintomo superficiale di un
universali- smo impossibile. In secondo luogo, c' lovvio riconoscimento del
fatto che l'alienazione riguarda in primo luogo noi stessi, e non certamente
soltanto gli altri. Tipico del moralismo dell'intelletto astratto (Verstand) il separare noi stessi dagli altri, e pensare
che gli altri siano alienati, tranne noi che non lo siamo, perch abbiamo capito
tutto quel che c'era da capire, come se fossimo un laicizzato Dio
hegelo-marxiano. La cosa suona subito ad un tempo grottesca ed esilarante,
eppure proprio il modo in cui la falsa
coscienza del marxista medio ha a lungo impostato le cose. Tutti sono alie-
nati, perch non capiscono che il capitalismo
cattivo, tranne me ed i miei sodali e correligionari, che invece lo
abbiamo capito. Nel paranoico mondo marxista la cosiddetta autocritica sempre stata un rituale di confessione
religiosa, di pen- timento servile e di adeguamento al potere (classiche in
proposito le cosiddette autocritiche di tipo staliniano, peraltro mantenute in
vita fino al triennio disso- lutivo 1989-1991). In realt appare chiaro che la
critica non pu essere fatta da un soggetto destoricizzato e desocializzato, e
quindi incapace di tematizzare anche se stesso (come il caso di tutte le costituzioni
formalistiche del soggetto, da Cartesio a Kant, e di tutte le sparizioni del
soggetto sostituito da flussi di abitudini e/o di volont di potenza, da Hume a
Nietzsche). La critica deve essere fatta da un soggetto che, almeno in via di
principio, disposto non solo a farsi
criticare da altri 468 (cosa che peraltro neppure il pi grande dei paranoici
potr mai di fatto socialmen- te impedire), ma
disposto a criticare se stesso. Ed il suo modo di poter criticare se
stesso quello di accettare l'inserimento
della propria particolarit individuale allinterno di una dialettica oggettiva
delle figure delle forme di coscienza, il che fa diventare la Fenomenologia
dello Spirito di Hegel il modello insuperato di questa possibilit di
inserimento autocritico. In quanto universale concreto, il concetto l'universalit riferita allindividua- lit.
L'individualit non altro che me stesso,
in quanto mi penso in rapporto alla particolarit concreta che forma la mia
personalit. Ma la particolarit (per Hegel come per Lukcs) non altro che la semplice negazione diretta
delluniversalit, in un certo senso la semplice sottrazione delluniversalit.
Peraltro luniversa- lit stessa, come ogni realt, pu soltanto concretamente
esistere nella forma di una sua determinazione (Bestimmung), che poi sempre e solo una concretizza- zione storico-sociale.
E tuttavia lindividualit reale e concreta delluomo non pu identificarsi con la
particolarit, in quanto tutte le determinazioni particolari de- vono essere
prese in considerazione, e non una sola. In questo caso l'alienazione certamente una determinazione delluniversalit
del concetto di capitale, ma una
determinazione anche la volont libera soggettiva di non partecipare ad essa.
Questo il significato della scelta
libera soggettiva di non voler pi partecipare (mitmachen) alla propria stessa
alienazione (Entfremdung). Lukdcs identifica cos correttamente il concetto
marxiano di libert con la scelta di non partecipare pi alla propria stessa
alienazione, oppure, utilizzando il lin- guaggio hegeliano, di spostare la
propria particolarit di adesione alluniversali- t della produzione capitalistica,
ad un tempo sfruttata ed alienata in quanto unio- ne di alienazione e di
valore, alla propria individualit di adesione alluniversalit di una realt
emancipata. Questa concezione di libert si differenzia radicalmente da tutte le
altre concezioni di libert di tipo aprioristico (la libert del volere come
postulato dalla possibilit della morale categorica in Kant), di tipo religioso
(la li- bert come dono di Dio, che vuole cos renderci liberi e simili a Lui, in
modo che possiamo scegliere se essere salvati o essere dannati), o infine di
tipo neoliberale (la libert del soggetto proprietario di intraprendere nel
mondo delle merci e del denaro). L'alienazione non cos la presunta rottura di una (inesistente)
unit organica originaria, ma una
condizione oggettiva che riguarda tutti. Tutti siamo infatti alienati, ma c'
chi decide di parteciparvi e chi decide invece di non parte- ciparvi pi. Il
concetto di alienazione, inteso come scelta di interrogare la propria
particolarit (alienata) in nome della propria individualit (libera), viene in
questo modo ad ereditare la grande tradizione di Spinoza e di Hegel. Di
Spinoza, perch la sua filosofia non
affatto una filosofia della necessit (come ripete pigramente la
manualistica), ma una filosofia della
libert dellindividualit che per tiene conto dellesistenza oggettiva della
necessit (in questo caso, dellesistenza oggetti- va della alienazione
capitalistica). Di Hegel, perch accetta la problematizzazione dialettica del
soggetto, e del fatto che universalit, particolarit ed individualit non possono
essere ontologicamente separate. Hegel infatti ha scritto che la se- 469
parazione delle realt dalla verit
specialmente cara allintelletto, che tiene le sue astrazioni ed i suoi
sogni per alcunch di vero. E per finire Hegel ha scritto: Ma quando io parlo di
realt, si deve pur tenere presente il senso in cui adopero questa espressione,
dal momento che nella mia Scienza della Logica ho trattato ampiamente la
nozione di realt e l'ho accuratamente distinta dallaccidentale che ha esistenza
e da altri consimili concetti. Il quarto ed ultimo aspetto generale del
pensiero di Lukcs parimenti di gran- de
importanza. Fino ad ora abbiamo insistito sui tre punti del prendere sul serio
il proprio rapporto con Marx, della passione durevole come alternativa
esistenziale alle concezioni mitico-sociologiche del privilegiamento fichtiano
della giovinezza come soggetto privilegiato, della lotta alla corruzione
dellepoca della compiuta peccaminosit, ed infine della decisione di non
partecipare pi alla propria stessa alienazione. Tocchiamo ora il cuore della
natura filosofica del pensiero di Lukcs, che molti commentatori lucacciani non
hanno colto sufficientemente, e che io inve- ce sottolineer con particolare
enfasi. Ho gi ampiamente fatto riferimento in precedenza alla distinzione
kantiana fra il concetto scolastico della filosofia intesa come sistema
organizzato delle cono- scenze razionali (Schulbegriff), ed il concetto mondano
di essa, intesa come ci che interessa necessariamente ogni uomo (Weltbegriff).
In proposito, ho ricordato che Habermas ha scritto che Hegel stato il primo che li ha fusi insieme,
ma anche in un certo senso lultimo,
perch la modernit consiste appunto nella rinuncia alla normativit della verit
filosofica cui Hegel credeva fermamente. In proposito, quella fusione dei due
elementi che Habermas attribuisce a Hegel come al primo (ed anche per lultimo,
per cui di fatto Hegel diventerebbe lunico
attributo che neppure i pi entusiasti ammiratori di Hegel come chi scrive - sarebbero disposti ad
attribuirgli) caratterizza invece tutta la storia della filosofia occidentale
(ma anche indiana e cinese), almeno fino alla sua istituzionalizzazione
universitaria neokan- tiana e post-neokantiana. Solo questa
istituzionalizzazione, che caratterizza quasi tutta l'istituzione universitaria
odierna (le brillanti eccezioni purtroppo conferma- no la regola), ha rotto il
precedente rapporto organico fra il concetto scolastico ed il concetto mondano
di filosofia, e vedremo pi avanti che il punto di partenza del giovane Lukcs
sar appunto quello di rompere con il giuramento gnoseologico ne- okantiano e di
decidere (grazie anche all'incontro con Ernst Bloch) di filosofare nel modo in
cui lo avevano fatto Aristotele ed Hegel. In breve, ritengo che Lukacs sia
stato nel Novecento il punto pi alto della fusione fra Schulbegriff e
Weltbegriff, che sia possibile pacatamente dimostrarlo, e che qui stia la sua
inarrivabile specificit, al di l dellaccettazione o meno della prospettiva
dellontologia dell'essere sociale. Questo, per, presuppone una ennesima breve
ricognizione della precedente sto- ria della filosofia occidentale. Essa necessaria, perch se non si inserisce Lukcs
in questa nobile tradizione si corre il rischio di perdere la specificit del
suo contribu- to. Se infatti si legge Lukcs, ci accorgiamo subito che i
riferimenti allo stalinismo si uniscono a considerazioni su Epicuro e Spinoza,
e che note sulla vita quotidiana si mescolano ad interpretazioni originali di
Marx e di Hegel. Questo non pu che ir- 470 La passione durevole per una
filosofia dell'emancipazione ritare i sacerdoti della filologia universitaria,
e non pu al contrario che confermare a studiosi indipendenti come chi scrive di
essere sulla via giusta. Chi volta le spalle all'unione fra Schulbegriff e
Weltbegriff, infatti, non pu interessare a nessuno, che non sia un irrilevante
animale accademico preso dai suoi grotteschi riti di identit. La costituzione
del sapere filosofico in disciplina erudita autoreferenziale e fine a se stessa relativamente recente, e risale grosso modo a
met Ottocento. In quel momento storico, in particolare dopo la svolta del 1848
ed il clima controrivolu- zionario di normalizzazione reazionaria che si
diffuse in Europa (testimoniato da autori diversi come il De Sanctis di
Schopenhauer e Leopardi ed il Lukcs della Di- struzione della Ragione) i poteri
dominanti non ritennero sufficiente legittimarsi con la pura scienza
evoluzionistica (esemplare il caso di
Spencer come ideologo del darwinismo sociale), ma considerarono opportuno
togliere alla riflessione filoso- fica qualunque potere contestativo rispetto
allesistente attraverso la sua istituzio- nalizzazione universitaria integrale.
Questa istituzionalizzazione avviene storica- mente con modalit diverse nei
vari paesi europei, ed in Germania, il paese guida della seconda rivoluzione
industriale, avviene con lorganizzazione di un sistema di filtraggio basato
sullerudizione positivistica, da un lato, e sulla riduzione neokantiana della
filosofia a gnoseologia, dall'altro.
questa la ragione per cui Lukcs non sbaglia dicendo che dopo il 1848
Hegel passa in un certo senso il te- stimone a Marx. Si pu contestare e
ritenere schematico questo giudizio, ma
un fatto che il concetto mondano di filosofia (Weltbegriff) inteso come
l'insieme di ci che interessa necessariamente ad ogni individuo, passa
veramente da Hegel a Marx. Nel mondo degli antichi Greci lidea di una facolt
universitaria di filosofia era letteralmente impensabile. Fino ad Epicuro ed
agli stoici compresi (e quindi senza alcuna differenza fra periodo
presocratico, socratico, platonico, aristotelico e stoico delle origini) si
dava assolutamente per scontato che la filosofia esistesse soltanto nel suo
significato mondano (Weltbegriff). In periodo ellenistico nasce peraltro la
filologia fine a s stessa (il Museo e la Biblioteca di Alessandria d'Egitto),
ed i ro- mani ricchi cominciano a seguire corsi di filosofia in greco come
forma di cultura di status (Cicerone, ecc.). Il distacco del sapere filosofico
dal suo concetto mondano, essenziale nei trecento anni che vanno da Fraclito
allo stoico Zenone, dunque storicamente
e socialmente legato ad un periodo storico di crematistica scatenata,
dispotismo del denaro, fine del metron, indebolimento del katechon,
ripiegamento nellindividualit politicamente del tutto impotente, ecc. E
nonostante tutto que- sto, la filosofia continua ad essere praticata come forma
di vita comunitaria dei saggi, ed il fatto che potesse essere fatta diventare
un oggetto di specialismo social- mente neutralizzato non avrebbe neppure
potuto essere immaginato dagli antichi in modo fantascientifico. Il
cristianesimo medioevale non avrebbe potuto avere facolt separate di filoso-
fia, a meno che queste ultime potessero essere identificate con la facolt di
arti nel periodo averroista parigino. Le facolt canoniche erano tre (diritto,
medicina e teologia), e questo non un
caso, perch era socialmente impensabile che si po- tessero costituire facolt
separate di filosofia, che sarebbero inevitabilmente potute 471 CarrroLo XL
diventare centri di contestazione globale alla legittimazione religiosa
dell'ordine sociale feudale e signorile. Ma questo non bast. L'esperienza di
Occam (ed in par- te dellaverroismo latino) dimostra come si fosse sviluppato
un uso rivoluzionario e contestativo della teologia (nominalismo, chiesa
invisibile, ecc.). Molti filosofi del tempo, anche in area cristiana, erano in
realt medici prestati alla filosofia (come laristotelico Pietro Pomponazzi,
laureatosi in medicina a Pa- dova nel 1487). Spinoza era del tutto estraneo
all'universit, e rifiut un'offerta ad Heidelberg per timore di non poter
esprimersi liberamente. Chi conosce la cor- ruzione della disciplina
universitaria odierna pu trovare addirittura comico che qualcuno si sia posto il
problema di esprimersi liberamente, dal momento che il codice d'accesso alla
filosofia universitaria di oggi si basa sulla adesione mimetica (e priva ormai
di coscienza infelice) alle opinioni dei cattedratici che dispongono delle
chiavi degli accessi per concorso, in una totale assenza di qualsivoglia me-
ritocrazia. La grande maggioranza degli illuministi francesi del Settecento, su
cui sono sta- te costruite centinaia di carriere universitarie, era composta da
persone totalmente estranee agli apparati universitari dellepoca. Kant e Hegel,
invece, erano certa- mente prodotti universitari integrali (come poi, pi di un
secolo dopo, Husserl e Heidegger), ma erano ancora personaggi in cui si univano
gli aspetti scolastici e gli aspetti mondani della filosofia. Kant utilizzava
la sua cattedra per delegittimare il potere politico-normativo della metafisica
(e per questo fu anche richiamato) ed Hegel intendeva rappresentare nel
pensiero l'epoca nuova di gestazione e di trapasso che riteneva di interpretare
adeguatamente. Persino i pensatori che inau- gurano il pittoresco periodo di
odio verso il sapere universitario (Schopenhauer e Nietzsche sopra ogni altro)
sono prodotti integrali del curriculum universitario del tempo. Tutto ci si
interrompe a met Ottocento dopo il 1848, per ragioni di tipo storico e sociale
prima ricordate. Il potere pubblico e mondano della filosofia come insie- me di
pensieri che interessano necessariamente ad ogni uomo (Weltbegriff) era in-
fatti inversamente proporzionale al sapere positivistico erudito ed al
neokantismo gnoseologico. Lukcs quindi
ad un tempo un rivoluzionario ed un restauratore. Un rivoluzionario, perch
cerca di innestare nel concetto scolastico della filoso- fia, intesa come sapere
sistemico, i contenuti della critica dell'economia politica di Marx, che
essendo una disciplina globale non integrabile nella divisione univer- sitaria
delle discipline, spezza e distrugge il falso sapere compartimentalizzato, ed
in questo modo neutralizzato e disinnescato. Un restauratore, perch restaura il
bimillenario carattere mondano (Weltbegriff) della filosofia. La filosofia
torna ad essere ci che interessa necessariamente ad ogni uomo, senza per questo
cessare di essere anche l'esposizione categoriale e razionale del sapere. Per
finire con la segnalazione di questi punti generali, ve n' forse ancora un
quinto che fa da cifra interpretativa per la personalit di Lukcs. Questo
allievo novecentesco di Hegel e di Marx, che accett Stalin per puro realismo
storico e non certo perch ne condividesse i comportamenti e l'ideologia, mise
sempre 472 Sa DS La passione durevole per una filosofia dell'emancipazione al
primo posto le sue convinzioni soggettive, e non si adegu mai al cosiddetto
giudizio dei fatti. Per lui (come per altro per Marcuse) il realismo hegeliano
non era mai leffettuale o il vincente (e cio ci che i giornalisti
filosoficamente analfa- beti chiamano hegelismo), ma sempre ci che storicamente
avrebbe potuto essere portato al suo concetto (Begriff). Ripetutamente ricord
un verso della Pharsalia di Lucano che diceva: La causa vincente piacque agli
dei, ma quella vinta piacque invece a Catone (causa victix diis placuit, sed
victa Catoni). Ancora nella autobio- grafia in forma di dialogo rilasciata poco
prima della morte (cfr. Pensiero vissuto) Lukcs ricord il motto Ugocsa non
coronat per indicare la cifra del suo pensiero. Nel 1723 l'assemblea nazionale
ungherese, formata dai rappresentanti di ciascuna regione o comitato, vot la
Prammatica Sanzione, che prevedeva la successione di Maria Teresa al trono di
suo padre, Carlo d'Asburgo. Gli unici che rifiutarono la propria approvazione
furono i rappresentanti di Ugocsa, la pi piccola regione dell'Ungheria di
allora. Lukacs intende dire con questo esempio storico che si pu e si deve
dire: Mi oppongo, pur non contando nulla, oppure Mantengo il mio disaccordo,
pur sapendo che le cose andranno diversamente. E Lukcs dice: Per me Ugocsa noti
coronat, e cio io non mi lascio comandare, ha sempre fatto da mu- sica di
accompagnamento per la Fenomenologia dello Spirito e per la Scienza della
Logica di Hegel. Ora che conosciamo la musica di accompagnamento alla filosofia
di Lukcs possiamo passare alla decifrazione filosofica della sua vita. Figlio
dell'alta borghe- sia ebraica bilingue (tedesco e ungherese) di Budapest,
Lukcs stato caratteriz- zato per tutta
la vita da queste tre determinazioni. In quanto bilingue (ungherese e tedesco)
ha subito avuto un rapporto universalistico con la lingua, scegliendo quella
che gli sembrava pi adatta alla comunicazione delle sue idee in quanto pi
conosciuta (e per questa ragione passato
abbastanza precocemente dall'un- gherese al tedesco). Teniamo presente che per
tutti gli anni Venti il tedesco era la prima lingua dellInternazionale
Comunista (solo dopo il 1929 fu sostituita dal russo conseguenza inevitabile della costruzione del
socialismo in un solo paese), era la lingua di comunicazione di tutta l'Europa
centrale, settentrionale ed orientale, ed esercitava la funzione del greco nel
mondo antico, del latino nel mondo medioeva- le e dell'inglese nella societ
odierna. Ma le lingue non sono mai strumenti neutrali di comunicazione. Esse si
portano dietro un mondo di simboli, in questo caso il mondo della gran- de
letteratura (Goethe in primo luogo), e soprattutto il mondo della grande
filoso- fia classica tedesca, che non comprende affatto soltanto il cosiddetto
idealismo, ma anche Lessing, Herder, Kant, il dibattito postkantiano, fino a
Schopenhauer ed allo stesso Feuerbach (e per quanto mi riguarda anche Marx, a
tutti gli effetti, ma non credo che Lukcs redivivus sarebbe d'accordo). Lukdcs
appartiene alla lingua tedesca come Aristotele appartiene alla lingua greca.
Non riesco a pensarlo allin- terno dello spirito un po' frivolo e
razionalistico della lingua francese o allinterno dello spirito pragmatico,
scettico-empirico ed operazionalistico della lingua ingle- se. 473 CarrroLo XL
L'essere stato figlio dell'alta borghesia ebraica di Budapest stato certo un caso, ma a mio avviso ne ha anche
determinato lo spirito. Quando nacque, nel 1885, Hitler era ancora al di l da
venire (anche se in realt Hitler, come Lukcs, nacque come cittadino dell'impero
degli Asburgo nel 1889 lo stesso anno di
Heideg- ger e di Wittgenstein). Siamo lontanissimi dal clima politico-culturale
che poi sfociato in Auschwitz oppure nel
sionismo nazionalistico-identitario come nuovo profilo di appartenenza del
popolo ebraico. Allora gran parte della cultura ebraica dell'Europa Centrale
era il luogo della problematizzazione universalistica (e quin- di nient'affatto
ebraica) della condizione umana. Ci
difficilissimo comprendere oggi questa situazione storico-epocale del
gran- de pensiero ebraico, particolarmente in un'epoca in cui gli ebrei sono
stati consacra- ti ad una sorta di sacerdozio levitico europeo ed americano
della nuova religione laica della cosiddetta eccezionalit dellolocausto, con
pellegrinaggi, scolaresche e giornate esclusive della memoria (laddove tutte le
altre numerose memorie dellingiustizia e della oppressione non sono
evidentemente ritenute degne di sa- cralizzazione postuma penso soltanto alle centinaia di migliaia di
vittime del co- lonialismo italiano in Libia ed in Etiopia, addirittura
ignorate nei nostri indecenti manuali scolastici di storia). Si tratta purtroppo
dell'ultima vittoria postuma di Hitler. Ma Lukcs (che pure ebbe un
fratello ucciso in un battaglione del lavoro riservato agli ebrei nel tempo del
dominio dei fascisti ungheresi delle cosiddette Croci Frecciate) fa parte
ancora dell'ultima leva del grande universalismo ebraico europeo, che ha
nutrito fra laltro il miglior pensiero comunista novecentesco (su questo punto
l'odierna operazione di silenziamento mediatico-universitario in pieno svolgimento, e sembra quasi che il
grande pensiero filosofico ebraico del No- vecento abbia soltanto prodotto la
modesta professoressa Hannah Arendt), pensie- ro che mi ostino a pensare si
trovi soltanto silenziato in una eclissi temporanea. Di questo grande pensiero
ebraico novecentesco Bloch ha interpretato il lato utopico-messianico (quello
contro il quale i vari Lwith hanno pensato di vincere facile), mentre Lukcs ne
ha interpretato il lato razionalistico-realistico, quello appunto pi difficile
da stroncare, e che appunto per questa ragione viene preferibil- mente
silenziato e diffamato (stalinista, ecc.).
bene comprendere fino in fondo la genesi del pensiero di Lukcs, e su
questo punto purtroppo la maggior parte delle monografie critiche non aiuta.
Lukcs, cos come Marx, pass da studi giuridici alla filosofia, anche se si laure
egualmente in legge nell'universit di Koloszvr (oggi Cluj in Romania). Il
passaggio dagli studi di diritto agli studi di filosofia un vero e proprio topos della situazione
esisten- ziale ottocentesca e novecentesca. In termini filosofici, potremmo
dire che si tratta della pulsione esistenziale che spinge a passare
dallintelletto (Verstand) alla ragio- ne dialettica (Vernunft). Il diritto il regno dell'intelletto astratto, della
formalizzazione delle norme, dellapplicazione della fattispecie concreta
allastrazione universalizzante della norma, del superamento della vecchia
giustizia del caso per caso (quella che Max Weber chiamava la giustizia del
cad, cio del giureconsulto arabo che giu- | 474 } La passione durevole s filosofia
dellemancipazione dicava in base alla propria saggezza ed esperienza).
Esso una scuola per lintel- letto, in
quanto abitua alla precisione terminologica ed alle distinzioni (esemplare in
proposito stato per me il magistero
epistemologico di Norberto Bobbio, ed esemplare anche il mio correlato rifiuto
di accettare che si possa filosofare per di- cotomie oppositive e non
invece ca va sans dire per contraddizioni logico-dialet- tiche), ma
nello stesso tempo invita a riconoscere nella concretezza del mondo cos com' il
solo mondo possibile. Ma il mondo apparentemente concreto in realt il mondo completamente astratto di
quella che Karel Kosk ha chiamato pseudo-concretezza, ed il passaggio dalla
facolt di legge alla facolt di filoso- fia rappresenta proprio il passaggio
dallaccettazione metodologica della pseudo- concretezza dell'intelletto
(Verstand) alla problematizzazione dialettica del signifi- cato espressivo
della totalit (Vernunft). Questo ha riguardato molte persone, dal giovane Marx
al giovane Lukcs. Ma qui appunto si situa esistenzialmente il disincanto
(Entzauberung) di Lukcs, di- sincanto peraltro ammesso apertamente da Lukcs
nella sua ultima autobiografia in forma di dialogo. bene soffermarci un poco, perch non si tratta
solo di un episodio della biografia lucacciana, ma di una vera e propria figura
dialettica uni- versale nel senso della Fenomenologia dello Spirito. Sembra
oggi che il termine disincanto (Entzauberung) debba essere inteso
esclusivamente nel senso di Nietzsche (morte di Dio), di Weber (approdo della
lunga storia del razionalismo occidentale al politeismo infondato dei valori),
di Lyotard (disincanto verso la precedente credenza nelle grandi-narrazioni
emanci- pative), di Lwith (scoperta che la presunta scienza marxista non altro che seco- larizzazione della vecchia
escatologia ebraico-cristiana nel linguaggio dellecono- mia politica), di
Colletti (scoperta che il pensiero di Marx non
altro che neopla- tonismo riverniciato), ed infine di Heidegger letto
secondo la coppia postmoderna Vattimo-Galimberti (presa d'atto che il mondo
si rinchiuso sopra di noi in una tecnica
planetaria intrascendibile da accettare fatalmente). A pochi viene ormai in
mente che questa sorta di fine della storia (attribuita sempre erroneamente ad
He- gel, magari letto alla Kojve ed alla Fukuyama) non che una formazione ideologico universitaria
frutto di una congiuntura storica del tutto temporanea, che fra mezzo secolo
verr probabilmente storicizzata e riferita ad un clima culturale che non fa che
registrare nel rarefatto e pittoresco mondo ideologico la vittoria tennistica
del capitalismo neoliberale sul comunismo storico novecentesco realmente
esistito nel ventennio 1985-2005. Per Lukacs il disincanto fu una cosa
totalmente diversa. Fu il disincanto nei confronti dell'inserimento nel mondo delle
istituzioni e dello spirito borghese, di- sincanto che si consum nel decennio
1905-1915, e che si origin dalla scoperta semitraumatica della totale
insensatezza dello specialismo universitario. E si noti bene che non si tratt
di una delusione nei confronti di pittoreschi baroni e trom- boni mediocri ed
analfabeti, ma di un disincanto che sorse dalla frequentazione di maestri
assoluti come Simmel e Weber. Vorrei insistere molto su questo punto: Lukcs non
fu disincantato dalla mediocrit di anonimi analfabeti saliti in cattedra 475
CAPITOLO XL per cooptazione tribale-mafiosa, ma fu disincantato dopo essere
stato allievo di Simmel e di Weber. Si tratta ovviamente di un disincanto che
non sorgeva da una delusione psico- logica contingente e aleatoria, ma di un
disincanto verso la totalit della cultu- ra borghese nel suo complesso, che
trovava nellinsensatezza specialistica della cultura universitaria tedesca
semplicemente il suo punto di deviazione (clina- men, parekklisis) per dirla
con Epicuro. E Lukcs ricorda un aneddoto che fu quasi decisivo per la sua vita.
Aveva letto un ponderoso saggio accademico che discu- teva del colore degli
occhi di Lotte nel Werther, che Goethe afferma che erano blu, mentre in realt
erano neri. E Lukcs scrive: Io vidi in questo l'incarnazione di ci che Hatvany
chiam la scienza di ci che non vale la pena di sapere [Die Wissen- schaft des
Nichtwissenswerten]. L'insensatezza dello specialismo universitario non era
evidentemente che il riflesso superficiale di una ben pi profonda e pericolosa
insensatezza generale. E qui Lukacs ebbe la fortuna di incontrare Ernst Bloch
(suo coetaneo, un ebreo tedesco nato nel 1885). La decisivit di questo
incontro testimoniata sempre in Pensiero
Vissuto. Dice Lukdcs: Su di me ebbe enorme influenza Bloch. Egli infatti mi
convinse con il suo esempio che era possibile filosofare alla maniera tradizio-
nale. Fino a quel momento io mio ero immerso nel neokantismo del mio tempo, ed
adesso incontravo in Bloch il fenomeno di qualcuno che filosofava come se lintera
filosofia odierna non esistesse, e che era possibile filosofare al modo di
Aristotele e di Hegel. Considero questa citazione decisiva per linterpretazione
complessiva non solo di Lukcs, ma dell'intero progetto di ontologia dell'essere
sociale, e pi modestamen- te del contenuto di tutti e quaranta i capitoli di
questo mio saggio. possibile, ed anzi necessario, riprendere a filosofare nel
modo di Aristotele e di Hegel. Questo non significa (sembra quasi sciocco
doverlo dire!) che si debba coltivare l'illusione di riuscire a filosofare al
loro livello. La storia della filosofia dispensa limmorta- lit a pochissimi
grandi del pensiero, e sono molti i chiamati, ma pochi gli eletti. Qualunque
filosofo di medie capacit, che si metta a leggere Platone, Aristotele, Spinoza,
Kant o Hegel, si rende conto immediatamente di non essere in grado di
raggiungere la loro profondit e la loro capacit di analisi e di sintesi.
Avviene un po come nel film di Forman Amadeus, in cui sia Giuseppe II che
Salieri, dopo aver composto un motivetto ed aver ascoltato quello proposto da
Mozart, si rendono immediatamente conto di trovarsi di fronte a qualcuno di
superiore a loro. Non si tratta quindi di voler competere con Aristotele o con
Hegel. Chi si met- tesse su questo piano ne uscirebbe sconfitto, e la delusione
porterebbe a sicuri mo- menti di depressione. Si tratta di filosofare al modo
di Aristotele e di Hegel, con la pretesa cio di unire al proprio tempo appreso
nel pensiero ci che , ed eternamente, 0,
se si vuole, di unire il concetto scolastico con il concetto mondano di
filosofia, in cui l'esposizione sistematica delle categorie del pensiero, che
passa anche necessariamente per la ricostruzione di tutta la storia della
filosofia prece- dente, deve sempre essere rivolta a ciche interessa
necessariamente ad ogni uomo. 476 La passione durevole per una filosofia
dell'emancipazione Nella sua vita, Lukcs ha filosofato come Aristotele ed
Hegel. Per questo stato un esempio ed un
maestro (quantomeno u o un mio maestro, insieme ad Hyppolite e po- chissimi
altri), e questo del tutto indipendentemente dall'accordo o dal disaccordo con
singole tesi interpretative. Senza Bloch, Lukcs sarebbe forse rimasto
invischiato nel neokantismo e nella gnoseologia, tipica disciplina per
nullatenenti. E tuttavia, vale la pena esaminare tre dei suoi maestri, e cio
Simmel, Weber e Lenin. In proposito, al di l di preci- sazioni monografiche, mi
limiter ad esprimere il mio pensiero sul contributo di questi tre illustri
personaggi. Lukacs considera nell'essenziale Simmel un po' frivolo, mentre
riconosce sempre la seriet di Weber. Dal momento che Lukcs ha conosciuto
personal- mente Simmel, ed io l'ho soltanto letto sui libri, non ho nulla da
eccepire. E tut- tavia considero la Filosofia del Denaro di Simmel un capolavoro
assoluto, ed un libro paradossalmente hegeliano. Si tratta di un'opera che
considero intrisa di marxismo involontario, in un senso che ora spiegher. I
marxisti volontari del tempo, e cio coloro che si autocertificavano
soggettivamente come tali (ma anche i pazzi si autocertificano soggettivamente
in modo sincero e veridico come Na- poleoni), affrontavano il problema del
denaro in modo trogloditico, come se esso fosse soltanto il vecchio sterco del
diavolo di medioevale memoria, oppure fosse per definizione qualcosa di
non-filosofico, ma semplicemente di economico, da lasciare cortesemente ai
colleghi di economia. Simmel affronta la questione del de- naro in modo
dialettico, dal momento che da un lato il denaro la sostanza astratta e generica del valore di
scambio puro (ma questo lo aveva gi detto bene Marx), ma dall'altro concretizza
invece la fioritura di diverse forme sociali di vita. E sono appunto queste
forme sociali di vita diverse la vera forza del capitalismo, che da un lato non
si fonda su nessuna ideologia e neppure su nessuna grande narrazione (come
opina erroneamente Lyotard), ma dall'altro trova un robustissimo consenso
passivo proprio nella moltiplicazione di diverse forme di vita, che potremmo
chia- mare la concretizzazione sociale dell'astrazione economica. Nel noioso
cimitero della filosofia marxista della Seconda internazionale (1989-1914) il
non-marxista e marxi- sta involontario Simmel
lunico che di fatto porta avanti le intuizioni marxiane sul denaro. impressionante altres che in un'epoca in cui
non esisteva ancora per nulla una vera societ dei consumi, che sul continente
europeo non arriva prima degli anni Sessanta del Novecento e che soltanto negli
ultimi anni comincia ad ar- ticolarsi come dittatura leggera della pubblicit e
della coazione alluniformazione pluralistica delle varie forme di vita
consentite, Simmel abbia individuato lerrore metafisico basato sul
privilegiamento dei mezzi sui fini nel consumo e nelluso dei prodotti della
tecnica. Ritengo poco probabile che Lukcs non sia stato influenzato dalla
teoria di Sim- mel sul carattere dialettico del denaro (che socialmente
parlando rappresenta la concretizzazione plurale di una precedente astrazione
singolare), e sullerrore me- tafisico che ne discende. Ripeto, si tratta di una
stupenda teoria marxista-inconsa- pevole, del tutto degna di Hegel e di Marx.
Certo, avendo letto Simmel, la frivo- 477 CapriroLo XL lezza accademica della
sua scrittura risulta ad occhio nudo. Quando Simmel mor nel 1918 Lukcs ne
scrisse un necrologio filosofico che ancora oggi si legge con interesse. E
tuttavia, il confronto con Max Weber il
cuore della risposta di Lu- kcs. Ancora una volta, vale la pena di confrontarsi
con i punti pi alti, e non certo con scagnozzi lottizzati di nessuna
importanza. E proprio la grandezza di Weber ci permette di inquadrare il
problema-Lukcs al punto pi alto possibile. Da un lato, infatti, oggi generalmente accettata la tesi per cui
Weber discende direttamente da Nietzsche nel nucleo metafisico delle sue
opinioni, ed il neokan- tismo funziona solo come metodologia scientifica delle
sue categorizzazioni. La teoria weberiana del nesso fra teoria del razionalismo
occidentale, disincanto del mondo, politeismo dei valori ed insuperabilit della
gabbia d'acciaio deriva diret- tamente dallannuncio nicciano della morte di
Dio, che per viene smussato nei suoi angoli acuti togliendone gli aspetti
profetico-esagitati, eliminando ogni su- peramento da parte del
superuomo-oltreuomo della fatale gabbia dacciaio del capitalismo, e soprattutto
chiamando ipocritamente etica della responsabilit la semplice presa in carico
delle compatibilit riproduttive della societ borghese- capitalistica. Lukcs,
essendo stato allievo diretto di Weber, capisce benissimo che tutto il pensiero
di Weber gira intorno al nesso fra fine della filosofia e accettazione
destinale dell'insuperabilit della societ borghese-capitalistica, ieraticamente
travestita con il pomposo e supponente nome di modernit (Weber, morto nel 1920,
non poteva ovviamente immaginare la ridicola semplificazione del suo pen- siero
da parte dellingrato seppellitore dei francofortesi Juergen Habermas). E la
filosofia, ovviamente, cui si intima di smettere di esistere come giudizio
sulla tota- lit del mondo, viene seppellita proprio perch bisogna togliere
progressivamente qualsiasi istanza esterna alla riproduzione destinale del
mondo. Lukcs capi- sce bene tutto questo, ed appunto per questo tutto il suo
pensiero deve essere inter- pretato in termini di restaurazione della grande
tradizione che va da Aristotele ad Hegel. Non si capisce altrimenti il
significato della frase fare come se la filosofia moderna non esistesse, e
riprendere a filosofare come Aristotele ed Hegel. L'on- tologia dell'essere
sociale (non alludo ai titoli dei saggi, ma alla prospettiva filosofica
espressa con questo termine) non altro
che questo: filosofare nel Novecento come se fossimo Aristotele ed Hegel,
consapevoli certamente di non poter arrivare al loro livello, ma nello stesso
tempo seguire il loro esempio. Dall'altro lato, il fatto che Lukcs dopo il 1918
abbia aderito ad un marxismo basato sulla (erronea ed incorreggibile) teoria
del rispecchiamento non poteva permettere di portare fino in fondo questo
progetto di restaurazione del modo di filosofare come Aristotele e come
Hegel. noto che il capolavoro del
giovane Lukcs (cfr. Storia e coscienza di classe, scritta peraltro da un
trentottenne, neppure poi molto giovane) non si basa sulla teoria del
rispecchiamento, ma sulla teoria idea-listica dell'unit fra soggetto ed oggetto
(e cio sul proletariato come lato soggettivo e sulla storia universale
dell'umanit come lato oggettivo), ma
altres noto che a partire dal 1926-1931 Lukacs aderis Imente al canone
filosofico marxista staliniano. Questo canone non prevede (ed anzi condanna
esplicitamen- 478 La passione durevole per una filosofia dell'emancipazione te
come idealismo) il carattere veritativo della pratica filosofica, che viene
anzi degradata a pratica ideologica-bukcs accetta formalmente questa
degradazione, con quella che potremmo chiamare una guerra di guerriglia e di
sopravvivenza, e continua a fare dell'alta filosofia chiamandola nello stesso
tempo ideologia. Ma alla fine l'accettazione della teoria del rispecchiamento
si vendica, perch nella sua stessa formulazione dellontologia dell'essere
sociale egli deve necessariamente limitarsi ad elencare tre e solo tre forme di
rispecchiamento conoscitivo (quotidia- no, artistico e scientifico), ed in
questo modo la filosofia sparisce. Dal momento che la filosofia non pu avere
per sua natura un carattere rispecchiante di un oggetto esistente al di fuori
di noi, ne consegue che essa non pu avere alcun ca- rattere conoscitivo, e
quindi ovviamente nessun carattere veritativo. Ecco, questo in poche parole la contraddizione-Lukcs, che
per rivela non solo un suo limite, ma esprime la contraddizione fondamentale
del marxismo dell'intero Novecento. Contraddizione che riformuler brevemente
cos: da un lato, soltanto la ripresa esplicita della tradizione conoscitiva e
veritativa della filosofia, da Aristotele ad He- gel, avrebbe potuto salvare
lautocoscienza dei marxisti stessi rispetto ai proces- si storico-sociali in
atto; dall'altro, questa ripresa esplicita era impossibile, perch
lideologizzazione del marxismo operata dagli apparati politico-burocratici, con
la connessa imposizione del materialismo dialettico inteso come mistificata
natura- lizzazione della storia e con la connessa diffamazione dellidealismo
inteso come difesa della religione, costringeva ad imprigionare la filosofia stessa
nella prigione dell'ideologia, forma di conoscenza che per sua stessa
natura oggetto di manipo- lazione e di
amministrazione gestita da apparati appositi. Lukcs evit la guerra 1914-1918,
non so se perch era raccomandato o perch fu riformato per ragioni di salute. In
Ungheria ho ascoltato entrambe le ragioni. Nel 1918, alla fine della guerra,
and ad iscriversi al partito comunista ungherese di Bela Kun, personaggio che
non stim mai (e che spar poi nelle purghe di Sta- lin del 1936-38), e disse:
Prima o poi bisogner comunque farlo. Rest comuni- sta in interiore homine, ma
anche pubblicamente (mor nel 1971 con la tessera del Partito ungherese del
lavoro). Nel 1919 fu commissario nelleffimera Repubblica comunista ungherese
dei consigli, e sarebbe sicuramente stato fucilato dai con- trorivoluzionari
vincitori, se non fosse scappato a Vienna. E tuttavia ritengo che l'avvenimento
decisivo della sua vita si determin quando fu costretto ad ordinare la
fucilazione di alcuni disertori al fronte, in occasione dell'invasione
dell'esercito romeno. Essere costretti a sporcarsi le mani di sangue un'esperienza che stata risparmiata alla mia generazione (sono
nato nel 1943). Da un lato, ne sono ov- viamente ben contento, dall'altro sono
consapevole che non giusto condannare
troppo in fretta persone che si sono trovate in questo tragico dilemma. Lukdcs
conosceva ovviamente la figura hegeliana della cosiddetta anima bella, che vive
allinterno di dilemmi morali astratti, e crede di essere morale perch la storia
non la costringe mai a sporcarsi le mani.
facile avere le mani pulite quando la storia non ci costringe lo vogliamo o no a sporcarcele. Lukcs pare se le sia sporcate.
Anche Bobbio se le sporcate scrivendo
una lettera servile a Mussolini 479 CarrroLo XL in occasione del suo brevissimo
arresto. Personalmente, seguo il principio di non salire in cattedra per condannare
persone che hanno vissuto un periodo storico pi tragico di quello che mi toccato in sorte. Ma questi dilemmi sono per
loro stessa natura irrisolvibili. Risolvibile
invece il dilemma etico (etico, non morale) dell'eventuale adesione al
comunismo nel 1918, e cio non in una congiuntura astratta, ma in una
congiuntura storica ben concreta, che si tratta appunto di com- prendere fino
in fondo. L'adesione di Lukcs al comunismo leninista (perch il suo comunismo fu
sem- pre incrollabilmente leninista fino alla fine) fu da subito un dilemma
etico. La comprensione di questo fatto non
affatto difficile, se ci si riporta a quegli anni, e si pensa alla
spaventosa e sanguinosa mattanza cui furono sottoposti i popoli euro- pei a
causa delle scelte imperialiste della borghesia europea nel 1914. Il fatto che la tendenza egemone oggi quella di dimenticare questa sanguinosa
mattanza e retrodatare la condanna dello stalinismo al 1917. Esemplare in proposito la bib- bia di questa
retrodatazione, il Passato di una Illusione di Francois Furet. Il comuni- smo
diventa una figura filosofica della propria personale illusione giovanile
(Furet fu ovviamente un comunista in giovent, poi ovviamente deluso, che
trasforma l'elaborazione della propria precedente illusione in visione
disincantata della sto- ria universale secondo il vecchio consolidato modello
del passaggio dallutopia al terrore), ed in questo modo si dimenticano le
scelte oligarchiche del 1914, fatte alle spalle dei popoli ridotti a carne da
cannone, che sono lunica legittimazione storica reale del successivo comunismo
storico novecentesco. chiaro che questa
legitti- mazione non pu essere trovata in un barbuto signore tedesco chiamato
Marx, e neppure nel marxismo deterministico-evoluzionistico di Kautsky, che a
posteriori possiamo considerare una delle pi infondate ed illusorie teorie
dell'intero sistema solare (Plutone incluso). Si pu essere marxisti senza
essere leninisti? Ovviamente s, si pu esserlo. Ad esempio Rosa Luxemburg,
Kautsky, Bernstein, il govane Lyotard, Korsch, Mat- tick, Pannekoek, lo sono
stati. Anche Adorno e Bloch non sono certo stati lenini- sti. Ma Lukacs lo stato (e sulla sua scia, il modesto scrivente).
Ora, ognuno pu definire il leninismo come vuole, e per esempio Stalin lo ha
fatto in due importanti scritti del 1924 e del 1926. Ho gi espresso un giudizio
molto severo sulla filosofia di Lenin, che personalmente rifiuto radicalmente.
Ma, a parte la (per me) sacro- santa iniziativa rivoluzionaria del 1917 esiste
una rivoluzione copernicana fatta da Lenin rispetto allo stesso Marx, che la teoria dellimperialismo. Dal momento che
lo stesso Lukcs la condivideva, mi sembra opportuno parlarne, dopo aver per
segnalato il punto nodale dellinterpretazione lucacciana di Lenin, che pressoch identica a quella di Antonio
Gramsci. Lenin, in altre parole, come portatore dellat- tualit della
rivoluzione. Antonio Gramsci defin la rivoluzione russa del 1917 in termini di
rivoluzione contro il Capitale, intendendo non certo il primo volume del
Capitale di Marx, ma l'interpretazione evoluzionistica e deterministica dl
marxismo prevalente nella Seconda Internazionale socialista. Il libretto di
Luk(s intitolato Lenin, e pubblicato 480 gg La passione durevole per una
filosofia dell'emancipazione Z nel 1924, sostiene esattamente la stessa tesi di
Gramsci. Un esame comparativo dei lavori filosofici rispettivi di Lukcs e di
Gramsci porterebbe a riscontrare somi- glianze molto forti. Ad esempio le
critiche di Gramsci e di Lukcs al meccanicismo del Manuale di Bucharin sono
praticamente identiche. Lukcs era nato nel 1885 e Gramsci nel 1891, in posti
che pi diversi non avrebbero potuto essere, Budapest e la provincia sarda. Ma entrambi
facevano parte di quella vera e propria gene- razione magica per cui la
filosofia raggiunse il massimo del Weltbegriff, cio della concezione per cui
essa tratta di ci che interessa necessariamente ad ogni uomo. Le differenze di
dettaglio, pur esistenti, vengono dopo. Non pu esistere in Marx una compiuta
teoria dellimperialismo, per il sempli- ce fatto che l'imperialismo vero e
proprio un prodotto della grande
depressione economica 1873-1896, che tra laltro produsse anche la formazione
ideologica mar- xista engelsiano-kautskiana del ventennio 1875-1895 e la
correlata teoria del co- siddetto (e completamente inesistente) crollo del
capitalismo. Esiste per (eccome se esiste!) una teoria del colonialismo, e del
fatto che il commercio colonialistico
stato uno dei presupposti per lo sviluppo capitalistico (secondo Paul
Sweezy il principale, secondo Maurice Dobb invece soltanto un fattore
coadiuvante, il prin- cipale essendo invece la trasformazione capitalistica
settecentesca dell'agricoltura inglese). Se
cos (e mi sembra che sia filologicamente ineccepibile!), cadono allora
tutte le interpretazioni sul carattere progressivo del capitalismo e sulla
giustifi- cazione indiretta che pu essere data alla colonizzazione capitalistica. vero che Marx (ma solo nei primi anni
cinquanta, dopo sempre meno, e negli ultimi anni per nulla) si lasciato andare a (stupide) affermazioni sul
carattere progressivo del colonialismo (in particolare riguardo all'India, ma
anche l solo fino all'indegno massacro che segu l'insurrezione dei cepoys del
1857), ma in un contesto pi largo queste (stupide) affermazioni devono essere
contestualizzate, e se le si contestualizza queste (stupide) affermazioni
rivelano che Marx ancora di- pende dalla filosofia occidentalistica ed eurocentrica
di Hegel. Per ammirare Marx, e ritenersi suoi allievi critici ed indipendenti,
non c' mica bisogno di sottoscrivere bovinamente tutte le frasi che pu aver
scritto nella sua vita! Gli antichi dicevano: quandoque dormitat atque Homerus,
e chi non lo capisce se lo vada a cercare nel di- zionario! Lo spirito di Marx
era totalmente anticoloniale, e possiamo quindi ipotizzare che sarebbe stato
anti-imperialista, come possiamo ipotizzare che non si sarebbe riconosciuto nel
modello socialista di Stalin, ed avrebbe avuto solo disprezzo e di-
sapprovazione integrale per il modello nazionalsocialistico di Hitler. Non si
tratta allora di evocare Marx in una seduta spiritica per fargli dire con i
tavolini che bal- lano che cosa ha pensato di Bush e di Bin Laden, ma semplicemente
di interpretare il suo spirito generale. E allora la mia conclusione questa: chi nega il carattere marxiano della
categoria di imperialismo uccide Marx per la seconda volta. L'ac- cettazione
della categoria di imperialismo la
cartina di tornasole per sapere se
possibile essere marxisti oggi. 481 CarrtoLo XL Il geografo marxista
David Harvey ha scritto recentemente unopera (cfr. The new Imperialism) che
aggiorna creativamente le opere precedenti, tenendo conto dei nuovi dati
storico-politici. Harvey distingue tre fasi successive del dibattito
sull'imperialismo. La prima quella
classica (Hobson, Lenin, Rosa Luxemburg), che si basava soprattutto sui tre
elementi della sovraccumulazione del capitale, del sottoconsumo che ne derivava
e della spartizione del mercato mondiale e dellac- cesso alle materia da parte
delle principali potenze del periodo (Germania, Inghil- terra, Francia, Russia,
Giappone, ecc.). Questa prima forma classica
stata com' noto la principale causa del sanguinoso macello della grande
guerra 1914-1918, ed anche della benemerita e mai abbastanza lodata rivoluzione
russa del 1917. La seconda fase ha avuto il suo coronamento negli anni Sessanta
del Novecento, e si soprattutto fondata
sulle nuove relazioni neocoloniali che si sono sviluppate dopo le grandi lotte
anticoloniali dei due decenni precedenti (Samir Amin, Paul Sweezy, Gunder
Frank, ecc.). La terza fase, quella attuale, si basa sulla globalizzazione, sul
dominio dell'impero americano e sulle nuove contraddizioni che questo odioso
dominio comporta (resistenze nazionali e religiose, emergenza di nuovi poli im-
perialistici ancora dominati, tipo India, Cina, Brasile, ecc.). In una seria
ontologia dell'essere sociale questi temi dovrebbero coprire uno spazio pi
grande ancora di quello che stato
dedicato a Cartesio, Spinoza, Kant e Nietzsche. Non potendolo fare per ragioni
di spazio me ne scuso, ma neppure voglio dimenticare di sottoli- neare la mia
opinione cos: la questione dellimperialismo
ancora pi importante della questione del rapporto fra Hegel e Marx, e
solo Dio sa quanto importanza io dia al rapporto fra Hegel e Marx! Tutto questo
lo dovevo a Lukcs. Detto questo, prima di affrontare il nostro problema
centrale, quello della natura dellontologia dell'essere sociale di Lukcs, vo-
glio ancora soffermarmi liberamente su due temi importanti e generalmente poco
trattati dai commentatori lucacciani, quelli del rapporto rispettivo di Lukcs
con Hitler e con Stalin. A proposito di Hitler, Lukcs si muove in direzione
opposta al modo in cui i due circhi complementari mediatico ed universitario
affrontano il problema di Hitler. Il politicamente corretto di oggi, la cui
dittatura corrisponde a tutte le forme pre- cedenti di costrizione ideologica
(ma che per la natura fluida del capitalismo pu limitarsi a demonizzazioni e
silenziamenti, diffamazioni e ridicolizzazioni, senza bisogno di ricorrere ad
artigianali e pittoreschi roghi e tenaglie roventi), non rie- sce a discutere
realmente di Hitler, ed oscilla fra la demonizzazione inesplicabile,
l'irruzione metafisica del diabolico nella storia, la banalit del male,
leccezionali- t espiatorio-religiosa di Auschwitz, la necessit di negare
addirittura il legittimo fatto nazionale tedesco per limitarsi ad un
impossibile e demenziale patriottismo della costituzione, ecc. Si ha in questo
modo una classica rimozione psicoanalitica di Hitler, che viene cos interamente
destoricizzato, desocializzato e deculturaliz- zato. Chi pensa in questo modo
di poter tenere lontane le giovani generazioni da un nuovo Hitler sappia che
con questo insieme di demonizzazione, desocializza- zione, destoricizzazione,
deculturalizzazione (insieme ideologicamente necessario 482 La passione
durevole per una filosofia dell'emancipazione per costituire la nuova religione
atea dellolocausto, la cui funzione
lapologetica indiretta il
termine lucacciano, e quindi
utilizziamolo del sionismo e del suo
garante strategico, l'impero USA e le sue basi militari che costellano il
mondo) ot- terr leffetto contrario. Il solo modo di condannare Hitler, che
merita ovviamente una condanna senza appello e senza giustificazione ( infatti
vero che Auschwitz, pur non essendo affatto stato unico, non consente nessuna
giustificazione), con- siste nella sua collocazione storica. In questa ottica
deve essere letto il capolavoro di Lukcs La Distruzione della Ragione, che
non affatto una lavagna dei cattivi, e
neppure la cucitura storica di una grande narrazione demoniaca, ma una ri- flessione sulle vicende del
razionalismo occidentale. L'ebreo Lukcs non si sogna neppure di scrivere una
storia sacra giudeocentrica del Novecento (lespressione giudeocentrica di Domenico Losurdo). Egli ne scrive una
storia culturale, e su questo deve essere giudicato. A proposito della visione
del mondo complessiva (Weltanschauung) nazionalso- cialista Lukcs sostiene che
essa si basa sul trasferimento alla strada di quanto era stato a lungo soltanto
attivit di salotti, caff e studi degli eruditi. E mi sembra proprio che sia cos.
Altro che irruzione del demoniaco nella storia, banalit del male ed altre
pittoresche sciocchezze! Non forse vero
che oggi salotti, caff, studi degli eruditi teorizzano la necessit storica di
un impero americano? E possiamo allora stupirci che negli USA i tifosi
mascalzoni dei politici repubblicani inalberi- no cartelli con su scritto Bomb
Iran? I Sudeti, che Hitler occup nel 1938, ed in cui c'era uninequivocabile
stragrande maggioranza tedesca, sono forse diversi dal Kosovo del 1999, in cui
c'era una stragrande maggioranza albanese? Perch porta- re via una provincia
alla Cecoslovacchia nel 1938 demoniaco,
e portare via una provincia alla Jugoslavia nel 1999 una meritoria difesa dei diritti umani? Il
lettore capisce perfettamente che non intendo affatto giustificare Hitler. Tut-
to al contrario! Io penso che Hitler debba essere condannato senza appello, ma
questa condanna deve essere storica, sociale, filosofica, razionale, e non deve
dar luogo a nuove religioni con i rituali ed i pellegrinaggi del caso. Chi
vuole condan- nare Hitler legga invece la Distruzione della Ragione, e capir il
rapporto fra lelabo- razione di concezioni sofisticate ed il loro trasferimento
nella strada. A parte questo, lopera lucacciana
un vero tesoro di stimoli, ed
appunto per questo che oggi
diffamata ed ignorata. Lukcs ha elaborato per il comportamento diffuso
degli intellettuali il termine Grand Hotel dellAbisso (Hotel Abgrund), per indicare
quegli alberghi di lusso costruiti sulle cascate, in modo che sorseggiando il t
ed ascoltando buona musica classica l'ospite potesse dare di tanto in tanto uno
sguardo dorrore sul burrone che si apriva sotto il suo sicuro balcone. Si
tratta (e non intendo affatto nasconderlo) di uno dei maggiori contributi alla
sociologia de- gli intellettuali che sia mai stato scritto. Un'altra categoria
lucacciana assai utile quella di
apologia indiretta. Se infatti un sistema sociale appare troppo ingiusto per
essere direttamente difendibile, un buon modo per farne lapologia sostenere che
il meno peggiore possibile. Vediamo oggi, a quarant'anni dalla morte di
Lukcs, che il capitalismo imperialistico globalizzato si legittima con la
continua 483 CarrroLo XL ed insistita retroazione della condanna del
socialismo. E poi c' chi dice che Lukcs sarebbe sorpassato! Allievo di Max
Weber, Lukcs non si stanca di ripetere che la tesi fondamenta- le di Weber quella dellimpossibilit del socialismo, per
cui (cito) l'apparente storicit delle considerazioni sociologiche tende sia pure mai in modo esplicito a giustificare il capitalismo come sistema
necessario e sostanzialmente non pi modificabile, ed a scoprire le pretese
contraddizioni economiche e sociali del socia- lismo che ne devono rendere
impossibile la realizzazione sia nel campo teorico che nel campo pratico. Non
si poteva dire meglio, ed inquadrare meglio il problema. Le osservazioni
intelligenti nel campo della storia della filosofia sono innume- revoli. Mi
limito a segnalare che Lukcs afferma che lattribuire una mentalit an- tistorica
allilluminismo uninfondata leggenda
borghese, perch anzi lillumi- nismo ha a tutti gli effetti scoperto la storia
in senso moderno (e richiamo qui le autorevoli opinioni di Cassirer e di
Koselleck). Egli afferma anche che Fichte, vo- lendo dedurre lintero mondo
della conoscenza dalla dialettica dell'Io e del Non-Io (quella che Kant defin
uno scandalo della filosofia) riprende la stessa rigorosa immanenza con cui
Spinoza deduceva il suo mondo dallestensione e dal pensiero, e questo rilievo,
a mio avviso, consente una rilettura alternativa dell'intera storia della filosofia
(come quella che il lettore ha sotto gli occhi). Per finire, Lukcs so- stiene
che la lotta di Hegel contro Schelling non deve essere ritenuta un semplice
battibecco accademico fra specialisti, ma deve essere ritenuta una lotta fra la
co- struzione della dialettica e la fuga da essa nellirrazionalismo. La difesa
del razionalismo dialettico in Lukcs deve quindi essere letta come lunico
vaccino possibile non solo contro Hitler, ma contro qualsiasi ritorno di
Hitler. Com' chiaro, si tratta di una strategia filosofica e culturale opposta
a quella dominante oggi, che si fonda sulla tesi irrazionalistica ed
antidialettica della de- monicit incomparabile di Hitler, per cui i cosiddetti
negazionisti, assimilati ai bestemmiatori medioevali, sono lunica corrente
culturale del mondo (occidentale) cui viene negato il diritto di parola, che
viene invece consentito a tutti gli altri be- stemmiatori. Naturalmente, so
bene che nel chiacchiericcio diffamatorio del Gerede odierno, simili
affermazioni vengono subito intese in termini di cripto-nazismo, antisemitismo
ed approvazione del negazionismo. del
tutto inutile negare che sia cos. So bene che le kantiane regole della prudenza
consigliano di non svegliare il cane che dorme. E tuttavia non si pu fare a
meno di ritornare sempre al punto essenziale, che riformuler ancora una volta
cos: volete condannare Hitler? Vole- te che in futuro un nuovo Hitler non possa
affacciarsi pi nel teatro della storia? Bene, avete ragione, perch quello che
ha fatto Hitler completamente inaccettabi-
le e non pu essere in alcun modo giustificato. Auschwitz, ad esempio, del tutto inaccettabile. Ma sappiate che la
strategia irrazionalistica della demonizzazione, della destoricizzazione e
della mescolanza fra banalit del male ed irruzione del diabolico nella storia
non serve agli scopi che vi proponete. Anzi, il modo ieratico-
rituale-religioso che avete scelto il
modo migliore per fare s che quando un nuo- vo Hitler si riaffaccer non potr
essere riconosciuto. Solo uno sciocco, infatti, pu 484 La passione durevole per
una filosofia dell'emancipazione pensare che si ripresenter eguale a quello
precedente, con i baffetti e la stridula pronuncia tedesca. Si ripresenter
totalmente diverso, ovviamente, e solo unedu- cazione filosofica razionale e dialettica
potr forse permettere di riconoscerlo, e quindi di combatterlo. Persino il
medioevale pi scemo sapeva che il diavolo non si presenta mai con il forcone e
la coda arricciata. Vogliamo forse essere al di sotto del medioevale pi scemo?
Ho riassunto qui non tanto le opinioni specifiche di Lukcs su Hitler (che erano
ovviamente pessime), quanto l'approccio razionalistico al problema-Hitler.
Esporr ora le mie considerazioni sullapproccio di Lukcs al problema-Stalin.
Queste con- siderazioni sono infatti molto pi importanti di quelle svolte in
precedenza. L'osti- lit di Lukcs verso Hitler
infatti del tutto evidente, ed
sufficiente sottolinearne l'elemento critico di tipo dialettico-razionalistico.
L'approccio di Lukcs verso il problema-Stalin
invece immensamente pi significativo, perch esemplare di molti approcci, sia di
contemporanei sia di pensatori posteriori. Ammetto aperta- mente che il mio
personale approccio al problema-Stalin
sostanzialmente simile a quello di Lukcs, e perci prender due piccioni
con un fava, perch parler di Lukcs, ma dir anche come io vedo la questione nei
suoi tratti essenziali. stato Lukcs uno
stalinista? Bisogna ovviamente intendersi bene sul termi- ne. Se mettiamo nel
grande cesto degli stalinisti tutti i comunisti novecenteschi che non hanno
rotto politicamente in modo esplicito con il comunismo maggiori- tario
ufficiale di Stalin allora s, lo stato.
Ma, appunto, nego che il criterio della rottura esplicita con Stalin sia un
parametro storiografico utile. E cos come a pro- posito della collocazione
politica di Hegel ho utilizzato in un precedente capitolo un modello spaziale a
tre lati (i vecchi ceti di Metternich, la furia del dileguare del
contrattualismo rivoluzionario di Rousseau e di Robespierre, ed infine la
societ civile che fonda lo Stato dell'economia politica liberale inglese),
nello stesso modo utilizzer per Lukcs un modello simile, basato sulle
possibilit politiche concrete che aveva Lukcs nel corso della sua vita terrena,
e non sulla retrodatazione re- ligiosa che
oggi corrente, retrodatazione basata sulla demonizzazione di Stalin come
incarnazione del male assoluto (sia pure un pochino meno di Hitler, perch ha
fatto le fosse di Katyn ed il sistema schiavistico dei gulag, ma non ha fatto
lim- paragonabile ed eccezionale Auschwitz). Si tratta di un'analisi molto
importante, che non riguarda solo Lukcs, ma lintero Novecento
politico-filosofico. Lukcs si riconosceva in una filosofia della storia
universale basata sull'idea per cui il capitalismo, lungi dall'essere il coronamento
razionale della storia univer- sale (Weber), era un momento di passaggio
necessario (e cio lhegeliano potere del negativo) verso una societ emancipata,
che chiamava comunismo perch cos l'avevano chiamata i suoi due maestri Marx e
Lenin ( importante la paroletta due, perch non si pensi che Lukcs sia stato un
allievo diretto di Marx). Bene, si tratta esattamente della stessa filosofia
della storia che io coltivo, ed ecco perch trovo ridicolo che si possa dire che
il pensiero di Marx non una filosofia
della sto- ria, e non la contiene neppure implicitamente. Il fatto che una
simile tesi, analoga a quella della terra piatta, venga sostenuta seriamente,
pu per me essere spiegato 485 CarrroLo XL soltanto in termini di pressione
sociale sugli intellettuali, cui viene ordinato di esse- re moderni,
postmoderni, post-metafisici, scientifici e via ordinando. Non quindi possibile capire Lukcs se non lo si
colloca in questo quadro di storia universale. La storia universale, per, pu
essere pensata con le categorie astratto-dicoto- miche dell'intelletto
(Verstand), oppure con le categorie dialettico-ontologiche della ragione
(Vernunft). Se penso la storia universale (e non posso fare a meno di pen-
sarla persino i suoi negatori pi feroci,
come i neopositivisti e gli althusseriani, in realt la pensano, ma poich non la
tematizzano, finiscono per cadere in forme grottesche come la fine
capitalistica della storia, laleatoriet oppure le moltitudini desideranti in
lotta con un impero deterritorializzato e privo di Stato-nazione -, e la penso
sulla base dell'intelletto (Verstand), non posso fare a meno di pensarla con le
categorie aporetiche, dicotomiche ed astratte dell'intelletto, ed allora si
scatena un carnevale di contraddizioni logiche e di opposizioni reali. Ma la
contraddizione ontologica, e non mai solamente logica (ed ecco perch la
preferenza di Hegel nei confronti di Kant non
un affare di seminario universitario, ma
una questio- ne che riguarda direttamente ogni uomo, Weltbegriff). Se
affronto il problema- Stalin in chiave intellettiva (Verstand) ne risultano un
mucchio di conseguenze, fra le quali il fatto che egli non applica Marx e
Lenin, e quindi non si comporta come avrebbe dovuto comportarsi se avesse
veramente applicato Marx e Lenin. Ma Lukcs cercava di affrontare il
problema-Stalin con la ragione dialettica (Vernunft), ed cos giunto a questa conclusione: in termini
di filosofia della storia, il passag- gio dal capitalismo al socialismo ad un tempo necessario e buono (l'unione di
questi due attributi costituisce un concetto, Begriff); e tuttavia questo
passaggio non riesce a compiersi secondo le ipotesi di Marx prima e Lenin dopo;
bisogna hegelianamente cercare di capire perch non si compie in quel modo, ma
in un modo nuovo ed inedito; una volta che lo si sia capito (0 creduto
soggettivamente di capire), si pu pensare che si tratti di una deformazione
grave, ma correggibile una volta che si sia superata la fase tattica
dell'emergenza, per raggiungere una fase strategica in cui il passaggio al
socialismo possa essere ripreso su nuove basi. Questo forse stalinismo? Non lo credo proprio. forse un errore sulla natura dello
stalinismo, ma non assolutamente
stalinismo. Forse che riconoscersi in una filosofia della storia del
superamento del capitalismo stalinismo?
Forse che il pensare (magari sbagliandosi
ma facile dirlo nel 2013 con il
noto senno del poi) che lo stalinismo sia solo una malaugurata fase storica
immatura desti- nata ad essere superata
stalinismo? Non lo credo proprio. Agnes Heller, che senza essere mai
stata una allieva di Lukcs (non condi- videva nulla del progetto dellontologia
dell'essere sociale, unico vero testamento di Lukcs, odiava il socialismo
reale, ed ha accolto con rauche grida di gioia la restau- razione del
capitalismo) ne ha per studiato seriamente la personalit, ed ha a mio avviso
risolto brillantemente l'enigma teorico del cosiddetto mistero-Lukcs. La Heller
distingue due tipi di marxismo, riferiti al sistema socialista di tipo
sovietico- staliniano, il marxismo dottrinario ed il marxismo ideologico. Per
dottrinario intende lunica dottrina ufficiale obbligatoria di Stato, per
ideologico intende la 486 \ Pali La passione durevole per una filosofia
dell'emancipazione libera coltivazione pluralistica delle interpretazioni di Marx.
La terminologia cat- tiva, perch in
realt c'era da un lato una dottrina ideologica, e dall'altra una libera
coltivazione filosofica, e questa confusione terminologica dice tutto sul
livello pe- noso del pensiero della Heller. E tuttavia prendiamo
provvisoriamente per buona questa terminologia. Secondo la Heller nel sistema
di dominio sovietico tutti i tipi di marxismo ideologico (compreso
paradossalmente quello che ritiene che Stalin abbia avuto ragione) sono fuori
legge per la semplice ragione che essi implicano il pluralismo per la loro
stessa natura ideologica. Ma la stessa esistenza di una ideologia marxista una sfida al diritto assoluto del sovrano a
porsi come il solo interprete autentico della dottrina. Scrive la Hel- ler, e
devo ammettere che scrive qualcosa di geniale: Quando accus Lukcs di
stalinismo, neppure Deutscher afferr il nocciolo del problema. Lukcs poteva
accettare tutte le teorie di Stalin che voleva, ma non poteva egualmente
diventare stalinista, per la semplice ragione che praticava un marxismo di tipo
ideologico. Il suo marxismo restava comunque illegale, rappresentava una forma
di pluralismo, nonostante il contenuto dei suoi scritti. Egli non rinunciava al
suo diritto di inter- pretare in modo indipendente la teoria, un diritto che
non era affatto garantito. [...] la logica del sistema non poteva tollerare una
teoria sociale originale ed indipen- dente, almeno non senza le tendenze
eufemisticamente definite amministrative del regime. Per chi conosce la logica
riproduttiva di queste fogne a cielo aperto, che mettevano in prigione
particolarmente gli oppositori marxisti indipendenti, amministrativo
significava nell'ordine richiamo, minaccia, ricatto, licenziamen- to, prigione
e morte. Devo ammettere che nonostante la mia irrefrenabile antipatia per la
cosiddetta (ed inesistente) scuola di Budapest, che ha usato Lukcs per
autosponsorizzarsi nellaccademia occidentale per poi pugnalarlo dopo morto (in
pittoresco e sinto- matico parallelismo con ci che Habermas ha fatto con i suoi
maestri francofortesi si tratta
evidentemente di un fatto sociale, cio di un rinnegamento funzionale ad un
codice d'accesso alla nuova rispettabilit post-comunista), la Heller coglie
vera- mente in modo eccellente il nocciolo della questione. Lukcs poteva anche
condi- videre quasi tutte le idee di Stalin, ma non poteva per questo diventare
stalinista, perch lo stalinismo non consiste in un insieme di libere opinioni,
ma in una rinun- cia ad avere opinioni indipendenti. La teoria politica dello
stalinismo non pu essere spiegata attraverso Rousseau, Hegel o Marx, ma
soltanto attraverso Hobbes, che teorizza il monopolio assoluto del Leviatano
statale sullunica religione consentita, non certo perch questa religione fosse
quella giusta (Hobbes era totalmente ateo e materialista), ma unicamente perch
il solo modo di garantire l'ordine sociale dalle rivolte era la garanzia
statale-poliziesca-militare sullunicit della dottrina. E questo Lukcs non
poteva garantirlo, perch la sua educazione filosofica hegelo- marxiana non poteva
permettergli di rinunciare a pensare. C' qui lo spazio per una ulteriore
osservazione. A partire da Thomas Mann, esiste una pittoresca (ed infondata)
tradizione che connota Lukcs come il gesuita della rivoluzione. In questo caso,
ovviamente, il gesuitismo usato come
metafora 487 CarrroLo XL per indicare i sofistici allineamenti alle
giustificazioni del potere, in questo caso quello papale. Ma qui si dimentica
che il fondatore dell'ordine dei gesuiti, il basco spagnolo Ignazio di Loyola,
aveva teorizzato che bisognava obbedire al papa come un corpo morto (perinde ac
cadaver). Ma Lukcs, proprio per le ragioni esposte dalla Heller, non poteva
certamente essere un gesuita, in quanto non rinunciava e non poteva non
rinunciare a quello che la Heller impropriamente chiama il mar- xismo di tipo
ideologico, e cio la libera riflessione indipendente. Quale fosse la natura
dello stalinismo, Lukcs l'aveva capito benissimo. In una stupefacente pagina di
Pensiero Vissuto, richiesto di dire in che modo era soprav- vissuto agli anni
terribili dei processi sovietici 1936-1939, rispose che ci era pro- babilmente
dovuto al fatto di vivere a Mosca in una specie di sottoscala, e cio in un
alloggio che nessun delatore poteva volere. Se fosse vissuto in una bella
villetta con giardino, sarebbe stato arrestato in piena notte, deportato e non
sarebbe pro- babilmente sopravvissuto. Una persona che ammette candidamente
qualcosa del genere pu restare comunista soltanto se distingue accuratamente la
materialit storico-sociale empirica chiamata comunismo (e cio i delatori ed i
poliziotti) e lidealit storico-processuale della sua filosofia
universalistico-emancipativa della storia.
questa un'ennesima ragione che spinge a ridefinire il rapporto teorico
fra materialismo ed idealismo, o per meglio dire fra materialit effettuale e
con- giunturale ed il trascendimento di questa materialit in una filosofia
idealistica del processo storico. E a questo punto uno si pu definire ed
autocertificarsi in termini di materialista a diciotto carati (magari perch non
crede in Dio e chiama questo suo privato ateismo materialismo - come faceva
Lukcs) ma nessuno pu im- pedirmi di connotare come idealismo (nel senso di
Fichte e di Hegel, ma anche addirittura di Platone) la capacit di
trascendimento del dato empirico fattuale. Evidentemente per Lukcs il reale non
si riduceva al sistema di spionaggio e di assassinio di quegli anni. La storia
raccontata da Lukcs sul suo alloggetto-sottoscala che non attirava i delatori
apre comunque uno squarcio di interpretazione sulla natura dei gran- di
processi degli anni 1936-39. Come nel caso di Hitler, anche in questo caso comodo spiegare tutto con la follia assassina
di Stalin. E tuttavia, secondo la corrente storiografica di Arch Getty e di
Ludo Martens (certo minoritaria, ma in casi come questi solo il
minoritario credibile e rilevante,
mentre il maggioritario solo la ricaduta
conformistica del politicamente corretto universitario), il periodo dei grandi
processi interpretabile come una
gigantesca rivolta plebea contro i privilegi dei burocrati, rivolta plebea che
Stalin cavalc per ragioni politiche (pi o meno come fece Mao trent'anni dopo,
fra il 1966 ed il 1969, con la mia generazione di maoisti religiosi e sciocchi
che pensava si trattasse di un ritorno a Marx
ma Lukacs, che era ancora vivo, vi riconobbe un gi visto e non vi casc),
salvo poi a fucilare sia Yagoda che Yezov, i due capi-assassini. Tutto questo
viene censurato, perch il politicamente corretto di sinistra non pu ammettere a
s stesso che il popolo non sempre buono,
ma talvolta invidioso, spietato e
cattivo. Meglio cullarsi nellillusione per cui il male sempre fatto da singoli demoniaci e crude- \
488 / La passione durevole per una
filosofia dellemancipazione li (Mussolini, Franco, Hitler, Stalin, Pol Pot,
ecc.), esentandone sempre e dovunque i normali capitalisti non-politici. Ma
torniamo al quadro storico in cui dovette muoversi Lukcs nella sua vita,
applicando il metodo della contestualizzazione gi usato a proposito di Hegel.
Solo in questo modo, infatti, potremo pretendere di capire qualcosa su Lukcs ed
i suoi tempi. E se vogliamo esaminare alcune possibilit concrete, trascurandone
ovviamente altre astrattamente possibili (farsi prete cattolico, convertirsi al
sio- nismo ed andare in Palestina e cacciare via gli abitanti dalla loro terra
in nome di lontani diritti biblici, diventare bonzo buddista, ecc.), io vedo
per Lukcs solo quattro possibilit: ritornare al capitalismo liberale dopo un
adeguato pentimen- to, farsi tentare dalla demagogia nazionalsocialista e
fascista, scegliere la strada testimoniale del marxismo puro dei consigli, ed
infine aderire alla grande eresia trotzkista del tempo. bene esaminare una per una queste quattro
possibilit, in modo sfacciatamente spregiudicato e realistico, per capire come
la scelta di con- tinuare ad essere fedele alla sua scelta esistenziale del
1918 non implica affatto nessuno stalinismo. La scelta di tornare a succhiare i
capezzoli della grande madre borghese-libe- rale, e quindi
capitalistica-imperialistica, dopo il normale sbandamento giovanile
comunista, sempre stata la pi ovvia e
convenzionale di tutti, ed infatti sta-
ta la scelta prevalente della grottesca e sciagurata generazione europea detta
del Sessantotto (1968). Secondo un vecchio detto (che non si pu pi applicare
alle giovani generazioni post-borghesi e new middle-class di oggi, ma implica
la persi- stenza della hegeliana coscienza infelice della piccola borghesia
classica), chi non comunista a
vent'anni uno stupido, ma chi lo resta
ancora a quarant'anni ancora pi
stupido. per questo che Lukcs
contrapponeva la passione durevole al passaggio ad un diverso campo oppure alla
perdita di dedizione in genere. La giovent
pensa- ta come il luogo biologico dell'ideale, e la maturit come il
ritorno disincantato al materiale. Max Weber spiegato ai deficienti. Si crede
che il comunismo sia la nuova religione di salvezza dell'umanit, poi si
incontrano i comunisti veri in carne ed ossa, con inclusa la figura del cinico
burocrate, dello straccione invidioso e dellin- tellettuale mediocre per cui
tutto diventa ideologia, non perch lo sia, ma per- ch lidiota incapace di capire larte, la religione, la
filosofia e la scienza, e allora sopravviene prima il Dubbio Iperbolico (ma
questo comunismo sar mai possibile?) e poi il Disincanto Definitivo (ma certo
che impossibile, e se possibile
detestabile, e quindi meglio il capitalismo, prima come male minore, e dopo
qualche anno di intrallazzo come bene maggiore). A questo punto il ritorno al
capitalismo neoliberale garantito: il
Dio ha fallito, si ritorna al Mondo (e cio ai soldi, oppure alle querimonie
contro il totalitarismo in favore della libert). L'idea che un grande filosofo
critico come Lukcs potesse seguire questa penosa e ridicola trafila a met fra
Aristofane e Alberto Sordi e che l'allievo di Simmel e di Weber potesse
comportarsi come Cohn-Bendit o Adriano Sofri
un vero insulto per l'intelligenza. 489 CaprroLo XL La scelta
nazionalsocialista e fascista non era solo preclusa a causa della origine
ebraica di Lukcs, ma era resa impossibile proprio dai suoi presupposti
filosofici. Ho volutamente previsto questa fattispecie a prima vista assurda,
perch si tende a rimuovere il fatto che molti convinti comunisti della prima
ora (il norvegese Quisling, il francese Doriot, l'italiano Bombacci, e molti
comunisti tedeschi) passa- rono al fascismo. E vi passarono per una ragione
semplicissima, che la storiografia politicamente corretta di oggi tende a
rimuovere, e questa ragione semplicissima sta in ci, che il fascismo era
realmente molto pi sociale del normale capitalismo liberale, ed era quindi in
grado di lottare contro la disoccupazione ed il parassiti- smo del capitale
finanziario molto pi di quanto lo fosse il capitalismo liberale, che dopo il
1929 era invece a tutti gli effetti disoccupazione e parassitismo del capitale
finanziario. Lungi infatti dall'essere una dittatura degli elementi pi
reazionari del capitale finanziario (come recitava la dilettantesca formula di
Dimitrov al VII congresso dell'Internazionale Comunista), il fascismo tedesco
era una dittatura del capitale industriale e produttivo, che aveva come base di
massa la piccola borghe- sia e come apparato politico di comando il partito
nazionalsocialista. del tutto normale e quindi niente affatto demoniaco che quando si riduce in un anno la
disoccupazione da sette milioni ad un milione, e quando si mettono in opera le
solite strutture sociali del consenso di massa (assistenza pubblica, ostelli
della giovent per giovani, ecc.), con correlate forme ideologiche di scarico
del normale odio plebeo verso i capri espiatori (ebrei, zingari, malati
mentali, improduttivi vari) si possa avere un buon consenso sociale. questa la ragione per cui gli in- tellettuali
di stupidit media (e cio la stragrande maggioranza della categoria) furono
tentati dalla demagogia fascista. E persone come Quisling, Doriot, Bom- bacci,
Cline, Pound, ecc., ne furono tentati non certo perch fossero peggiori dei
neoliberali che scappavano a servire gli interessi imperiali di Londra e di New
York, ma perch la loro socialit non si radicava
come nel caso di Lukcs in una
filosofia universalistica della storia.
questo il cuore della questione, che n i neoliberali n i comunisti
ortodossi potranno mai capire (e neppure i fascisti in buona fede). Vedere fra
il 1933 ed il 1945 il fascismo come la terza via fra il capitalismo liberale
imperialistico (pen- siamo allorrido colonialismo inglese in India, ed
allaltrettanto orrido colonialismo francese in Indocina) ed il dispotismo
staliniano non era per nulla l'irruzione del demoniaco nella storia o la
banalit del male, ma era una tentazione del tutto com- prensibile. Il fascismo
era infatti non solo pi sociale del capitalismo liberale, ma anche meno
soffocante e dispotico dello stalinismo (non parlo ovviamente dei crimini di
guerra 1939-1945, ma del fascismo 1933-1939). Solo in Spagna (guerra civile
spagnola 1936-1939) il fascismo era a tutti gli effetti tradizionalismo reazio-
nario puro. In Germania non lo era, e neppure nella trasformistica Italietta lo
era. Ci che era propriamente insopportabile nel fascismo era la sua ostentata e
pro- vocatoria non-universalit. Coltivava il razzismo biologico, e si trattava
di un deli- rio positivistico che attirava medici ed igienisti vari, ma non
poteva che ripugnare a persone educate nella concezione universalistica di
Spinoza, Hegel e Marx (non 490 La passione durevole per una filosofia
dell'emancipazione parlo qui del cosiddetto neo-hegelismo fascista, che un semplice culto veteroli- berale dello
Stato colonialista ed imperialista, che chiamava etico il colonialismo ed il
razzismo mussoliniano). Parlava della nazione, e schiacciava le nazioni de- gli
altri, mandando la plebe in divisa a massacrare gli arabi della Cirenaica e gli
eroici combattenti etiopici del 1935-1941. Forse che la Libia e l'Etiopia non
avrebbe- ro avuto il diritto di essere anche loro nazioni come lItalia?
Chi stato realmente educato allumanesimo
di Kant, di Hegel e di Marx (non parlo ovviamente dei neokantismi e dei
neohegelismi universitari) non poteva accettare questa doppia morale e questo
doppio registro. Ed questa la ragione
per cui possiamo ipotizza- re che gli ex-socialisti aderenti al fascismo e poi
al nazionalsocialismo (Mussolini sopra tutti) fossero persone il cui legittimo
odio sociale verso il capitalismo libe- rale e verso il dispotismo staliniano
non era nutrito dallumanesimo universalista. Conclusione: il solo reale
antidoto alla tentazione fascista, comunque si ripresenti ed in qualunque modo
si travesta (certo, improbabile che si
ripresenti con saluti romani e camicie nere o brune), il razionalismo universalistico. L'essere
sociali, di per s, non solo non una
vaccinazione, ma pu addirittura essere un fattore di adesione. Soltanto
lumanesimo universalistico realmente un
fattore strategico di dissuasione. e Vi era una terza possibilit per tutti
coloro che, delusi della realizzazione sta- linista e della soffocante
organizzazione di partito leninista, che chiedeva pur sem- pre un sacrificio
dell'autonomia assoluta del giudizio filosofico compatibilizzato coni vincoli
della formazione ideologica di appartenenza politico-identitaria, con-
tinuavano ad identificarsi con il pensiero di Marx e con il marxismo. Si
trattava del cosiddetto minoritarismo testimoniale del cosiddetto comunismo dei
consigli (Ritekommunismus), la corrente che fino al 1918 aveva rifiutato la
concezione lenini- sta del partito (Gorter), ed aveva quindi rifiutato di
aderire alla Terza Internazionale Comunista. Non si pu negare che costoro,
ritenuti eretici marxisti, fossero para- dossalmente dei fondamentalisti
ortodossi marxiani. Essi rifiutarono il modello leninista, ritenendo che la
struttura inevitabilmente burocratica dellorganizzazio- ne comunista, una volta
preso il potere ed avviato un processo di accumulazione primitiva socialista
non avrebbero potuto fare altro che costruire un capitalismo di Stato, in cui
le categorie del rapporto sociale di capitale sarebbero state con- servate, in
una forma semplicemente statalizzata. In questo modo essi da un lato riprendevano
le vecchie critiche di Marx a Lassalle (ma anche in parte le vecchie critiche
di Bakunin a Marx), e dall'altro anticipavano di quarant'anni le critiche del
gruppo Socialisme ou Barbarie (Castoriadis, Lyotard, ecc.). Si tratta appunto
di un gauchisme ante litteram. Questa corrente, inevitabilmente testimoniale
nella sua ortodossia marxiana in- tegrale (dove hanno vinto, infatti, sia pure
provvisoriamente come ora sappiamo, gli operai hanno vinto con il partito e con
lo Stato, e non certo con gli inattuabili, confusionari ed inefficienti
consigli di base i consigli infatti,
soviet, sono serviti per rompere in modo rivoluzionario lo Stato capitalista,
ma non hanno mai potuto gestire nulla, replicando la frammentazione produttiva
tipica dello Stato capi- 491 CarrroLo XL talistico stesso) non poteva che fare
del minoritarismo la propria bandiera. Eppu- re questa corrente espresse almeno
due marxisti novecenteschi di primo livello, l'olandese Anton Pannekoek ed il
tedesco Karl Korsch. I contributi teorici da loro apportati al pensiero critico
non sono stati a mio avviso inferiori a quelli portati da Adorno o da Gramsci,
ed il fatto che siano meno conosciuti
dovuto soltanto alla pigrizia della casta intellettuale, che segue le
mode e seppellisce non solo chi morto,
ma chi sarebbe ancora vivo ma non pi di moda. In Marxismo e Filosofia, opera
del 1923, in mezzo ad osservazioni molto intelligenti (ma anche in mezzo ad
estremistiche sciocchezze, come quella per cui per ora la filosofia ancora utile
a differenza di come pensa Bucharin
ma quando sar realizzato il comunismo esprimer solo il punto di vista
superato di un passato ancora immerso nelligno- ranza, sic!), Korsch rileva
lovviet, che era per allora una vera e propria bestem- mia, per cui si deve
considerare tendenza fondamentale della filosofia borghese non quella che si
ispira ad una concezione idealistica, ma quella che si ispira ad una concezione
materialistica influenzata dalle scienze naturali. Questa assoluta ovviet fu
scritta, stampata, diffusa e discussa nel 1923, ed al- lora evidente che laverla respinta pu
soltanto essere spiegato come un fatto socia- le, e non solo come un'idiozia
estremistica di recensori e di burocrati dell'ideologia. Fin dal 1923 Korsch
insiste sul fatto che quella di Marx una
critica, e non una scienza positiva, e nello stesso tempo il bel libro di
Emmanuel Renault, stampato in Francia nel 1995, e che sostiene la stessa
identica tesi di Korsch, non porta neppu- re il nome di Korsch nei riferimenti
bibliografici. Il fatto che la storia del marxismo, pur perfettamente
ricostruibile, sia costellata da queste incredibili dimenticanze, fa pensare
che i giochi di oblii e riscoperte siano spiegabili unicamente con moti-
vazioni esternistiche di clima politico. Per quanto riguarda Pannekoek, il suo
libro sulla filosofia di Lenin a mio
avviso un classico assoluto, perch spiega in modo chiaro che il materialismo di
Lenin un materialismo di tipo francese
sette- centesco, completamente premarxiano, e corrisponde a bisogni di lotta ideologica
tipici non dei momenti avanzati della storia del capitalismo, ma di una
situazione arretrata di necessaria lotta contro la simbiosi di dispotismo
zarista semifeudale e di sacralizzazione di questo dispotismo da parte della
chiesa ortodossa russa. Lukacs non volle scegliere la via dellautoemarginazione
testimoniale, che considerava una forma di manifestazione della figura morale
(morale, non etica) dellanima bella. Pur stimando Korsch, che abbandon il
movimento comunista organizzato nel 1926 (e mor poi negli USA nel 1961), egli
scrisse ripetutamente che non aveva voluto finire emarginato come Korsch, ma
aveva voluto poter parte- cipare in forma organizzata alla lotta contro il
fascismo tedesco. Personalmente, rispetto pienamente questa scelta, e non ha
alcun senso dire che la si condivide o meno, perch viviamo in un diverso
periodo storico in cui questi dilemmi non si pongono pi. Oggi essere
considerati come rinnegati dalle bande di ridicoli pa- gliacci dei residui
partitini politicamente corretti della cosiddetta sinistra radica- le
(sic!) ad un tempo onorevole e del tutto
irrilevante, mentre allora le cose stava- no diversamente, dal momento che si
era ancora vicini al grande evento esplosivo 492 DI La passione durevole per
una filosofia dell'emancipazione della rivoluzione russa del 1917. Detto
questo, poich fra non molto sar passato un secolo da questi eventi, possiamo
ora rispettare sia la scelta di Lukcs di restare interno al movimento comunista
sia la scelta di Korsch di restarne esterno, con la conseguenza inevitabile di
essere connotato come traditore, rinnegato e nemico del popolo. Nellessenziale,
la filosofia di Korsch pu essere connotata come una forma di marxismo
dellempirico. Erroneamente indicato da alcuni frettolosi commentatori come hegeliano,
il marxismo di Korsch in realt una forma
di positivismo empi- ristico quasi popperiano. Korsch parte dal fatto che il
marxismo pu essere ve- rificato soltanto dalla constatazione della capacit
attuale della classe operaia, salariata e proletaria di agire in modo
rivoluzionario senza mediazioni partitiche, e considera falsificata questa
ipotesi marxiana dalla constatazione che nei fatti in URSS c' Stalin, in
Germania c' Hitler, e negli USA c' Roosevelt. Gli operai non ci sono da nessuna
parte. Questo gioco di verificazioni e di falsificazioni, a mio av- viso, figlio delle correnti neopositivistiche di
Vienna e di Berlino, e non esprime in alcun modo un rinnovamento hegeliano del
marxismo. Pi di trent'anni dopo, ma con una volgarit teorica imparagonabile con
la nobilt classica di Korsch, la scuola marxista italiana impropriamente
autodefinitasi come operaismo riprese in modo pressoch integrale l'apparato
concettuale di Korsch, identificando la ca- pacit rivoluzionaria con l'attualit
dei movimenti autonomi della classe operaia di fabbrica. E tuttavia, come ho
detto, vi un abisso fra Korsch e gli
operaisti, perch Korsch teneva fermo il carattere totale ed integrale della
capacit rivoluzio- naria del proletariato, mentre gli operaisti effettuano una
tragicomica riduzione del concetto marxiano (e koschano) di rapporti sociali di
produzione complessivi a semplici rapporti di fabbrica (e di fabbrica fordista
per di pi) fra innovazione tecnologica capitalistica e resistenza operaia
allestorsione di pluavalore relativo attraverso il casino sindacale ed il
sabotaggio. proprio il caso di dire che
certe volte un fenomeno si presenta prima come tragedia, e la seconda volta
come farsa. L'operaismo, a mio avviso, pu essere interpretato come una
riproposizione farse- sca del nobile (e completamente errato) pensiero di
Korsch. Se il pensiero di Korsch pu essere interpretato in termini di marxismo
dellem- pirico di origine neopositivistica, la grande eresia di Trotzky pu
essere interpretata come il punto massimo del marxismo dell'intelletto astratto
(Verstand). Da un punto di vista formalistico astratto, infatti, non c' dubbio
che il trotzkismo sia molto pi ortodosso dello stalinismo, e questo spiega
perch il trotzkismo sia politicamen- te una minoranza organizzata che si
riproduce incessantemente, e tuttora
presen- te in Europa, in America Latina e nel mondo intero. Il pensiero
marxiano propria- mente detto, pur essendo sempre rimasto incompiuto come il
Torso del Belvedere di Michelangelo, non poteva certamente prevedere quello che
poi successo nel Novecento. Non poteva
prevedere che le classi operaie dei paesi capitalistici avan- zati sarebbero
state integrate in modo subalterno e pittoresco attraverso i due pro- cessi di
economicizzazione sindacalistico-politica del conflitto (Bauman) e della
nazionalizzazione imperialistica delle masse (Mosse). Non poteva prevedere che,
493 CaprroLo XL a causa di questa integrazione, i proletari di tutto il mondo
non si sarebbero affatto uniti (almeno per ora), ma si sarebbero vicendevolmente
massacrati al servizio dei profitti imperialistici. Non poteva prevedere che la
rivoluzione non avrebbe avuto luogo nei punti alti della produzione
capitalistica, ma nel principale anello debo- le della catena mondiale
imperialistica. Non poteva prevedere che, in mancanza di questa rivoluzione,
sarebbe stato necessario intraprendere la costruzione di un modello socialista
in un solo paese. Non poteva prevedere che questa costruzione avrebbe
necessariamente implicato la formazione di strutture politico-burocrati- che di
tipo dispotico, e che ogni progetto di esportazione della rivoluzione in altri
paesi sarebbe stata resa impossibile da ragioni di tipo diplomatico (alleanze
fra Stati capitalisti), militare (bomba atomica), sociale (formazione di ceti
medi non interessati al socialismo ma anzi ostili ad esso), ecc. Dal momento
che il canone trotzkista un canone
ortodosso (in quanto deriva da un'interpretazione estremistica di sinistra del
marxismo della Seconda inter- nazionale 1889-1914), un canone testimoniale (in
quanto testimonia la permanenza infinita nel tempo di un modello del tutto
inapplicabile, ma anche morale, in quanto non si sporcato le mani con la bassa realt fangosa
della storia), e so- prattutto un canone dell'intelletto astratto (Verstand) e
non della ragione concreta (Vernunft),
inevitabile che esso si scinda continuamente in scissioni ripetute ed
ossessive, che hanno caratterizzato, caratterizzano, e certamente
caratterizzeranno in futuro, il movimento trotzkista. La scissione caratterizza
infatti il mondo dellin- telletto astratto (Verstand), perch per sua propria
natura l'intelletto astratto si nu- tre di astrazioni isolate e non
dialetticamente correlate. Non un caso,
infatti, che il movimento trotzkista abbia prodotto buoni storici, ma quasi
nessun filosofo, in quanto per sua natura il trotzkismo rifiuta di stabilire un
rapporto teorico forte fra il proprio modello astratto di storia e la storia
reale. Astrattamente, infatti, la classe operaia non dovrebbe produrre una
burocrazia, dovrebbe sempre agire in modo rivoluzionario (e se non lo fa - come
ovviamente non si sogna affatto di fare
la colpa delle sue direzioni
politiche burocratizzate), dovrebbe rifiutare di fare il socialismo in un solo
paese, dovrebbe perseguire una rivoluzione permanente, ecc., tutte
determinazioni dell'intelletto astratto (Verstand), e non certamente di un
corretto uso della ragione dialettica (Vernunft). Lukcs respinse quindi sia la
versione empiristico-neopositivista di Korsch sia la versione astratto-intellettualistica
di Trotzky non certo perch era stalinista, dal momento che come ha correttamente rilevato Agnes Heller -
non poteva essere stalinista in quanto praticava un libero marxismo di tipo
ideologico e non dot- trinario (la terminologia
scorretta, ma il concetto
chiaro), ma perch seguiva una sua autonoma linea di pensiero. Nel 1956
si prest a far parte delleffimero governo Nagy, ma il suo realismo lo port a
votare contro lirresponsabile rottura del patto di Varsavia, mostrando ancora
una volta che un pensiero filosofico vera- mente profondo non affatto incompatibile (tutto al contrario!)
con la capacit di realismo politico. Gi nel 1929 (cfr. Tesi di Blum) Lukcs aveva
preceduto di alcuni anni la linea politica antifascista dei fronti popolari,
accettata solo nel 1934, e per 494 gl La passione durevole per una filosofia
dell'emancipazione questa sua preveggenza fu espulso dall'attivit politica e
dovette (ma fu una fortuna per l'umanit) limitarsi a studiare le questioni
teoriche (che sono per definizio- ne inutili ed irrilevanti per i bestioni
burocratici che si vantano sempre di essere pratici, e la cui praticit conduce
sistematicamente la causa del comunismo alla rovina!). Nel 1949 Lukcs cerc di
opporsi alla deriva estremistica del governo del comunista ungherese Rakosi, e
per questo fu emarginato, cacciato e punito. Nel 1957 gli fu proposto di
testimoniare contro Nagy, di cui pure aveva disapprovato i comportamenti, e lui
rispose che lo avrebbe fatto solo se Nagy avesse passeggiato libero per le
strade di Budapest (Nagy fu invece fucilato lanno dopo ed il suo ca- davere fu
gettato in una fossa comune). A mio avviso, il rifiuto di collaborare al ri-
tuale dei processi comunisti dellepoca equivale alla scrittura di quellEtica
che non scrisse mai. Che cos' infatti l'etica? L'etica il rifiuto di collaborare alliniquit, o se si
vuole il rifiuto di collaborare alla propria stessa alienazione (ich mache
meine eigene Entrfremdung nicht mehr mit). Il lettore avr notato che giriamo,
giriamo, ma torniamo sempre allo stesso punto. Possiamo ora stringere
finalmente la discussione, e concludere sia tutti questi quaranta capitoli sia
questo quarantesimo ed ultimo. Si tratta, infatti, non certo di analizzare
ulteriormente li progetto ontologico lucacciano, in quanto entrambe le versioni
date in piena e totale solitudine dall'ultimo Lukcs (lOntologia propria- mente
detta in due volumi ed i Prolegomeni in un unico volume) non sono esposte in
modo rigoroso. Si tratta invece di congedarsi dal lettore dandone un'interpreta-
zione generale convincente, e per questo torneremo ad alcune considerazioni gi
proposte nel Prologo e nellIntroduzione. Mi sembra giusto che un testo
filosofico torni alla fine al punto di partenza, arricchite per dalle
considerazioni svolte nel corso dellopera. Era questo il metodo di Hegel, un
metodo insuperabile cui esser- gli per sempre grati. In estrema sintesi, il
progetto di ontologia dell'essere sociale dell'ultimo ina (progetto aperto ed
ancora incompiuto, e quindi da non identificarsi con i due libri editi
intitolati Ontologia e Prolegomeni)
caratterizzato da una rifondazione della filosofia che si ispira alla
filosofia comunista della storia derivata da Marx (il termi- ne che si ispira a
Marx deve essere preferito al termine marxismo, che segnala soltanto una
successione di formazioni ideologiche, quasi tutte irrecuperabili e da
archiviare nella storia del pensiero del passato). Questa rifondazione si
caratterizza per un consapevole reinserimento di questo progetto nella
tradizione classica del pen- siero occidentale (e per tradizione classica
intendo la tradizione che va da Aristo- tele a Hegel passando per Spinoza), e
questo reinserimento avviene passando per una autocritica radicale dei
precedenti modelli marxisti di tipo deterministico- positivistico, da Kautsky a
Stalin, e soprattutto di tipo estremistico-messianico- utopistico. In altre
parole, il reinserimento nella tradizione classica passa necessariamen- te
attraverso lautocritica consapevole della propria (storicamente inevitabile, in
quanto sorta come effetto ideologico necessaria della rottura rivoluzionaria
del 1917) autocoscienza precedente di tipo messianico, utopistico, prometeico e
teleo- 495 CaprroLo XL logico. Ad un marxismo soteriologico di tipo paolino necessario contrapporre un marxismo sobrio,
ispirato a Spinoza ed a Hegel. Questa operazione non pu essere condotta a
termine con semplici mezzi filolo- gico-universitari, per il semplice fatto che
dentro Marx, e non solo dentro la lettera, ma anche dentro lo spirito, coesistono
contraddittoriamente statuti teorici diversi, si intrecciano insieme una
scienza filosofica della totalit espressiva ed una scienza non-filosofica delle
strutture dei modi di produzione sociali, si accavallano cate- gorie ispirate
alla possibilit ontologica senza necessit (dynamei on) a categorie ispirate
alla categoria apodittico-previsionale di necessit storica, ed in definitiva
non possiamo trovare una esposizione sistematica delle categorie caratterizzate
dall'unit ontologica di pensiero e di essere che secondo lo Hegel della
prefazione alla Fenomenologia dello Spirito era la precondizione per il
passaggio dalla filosofia alla vera e propria scienza filosofica. Non possiamo
quindi ritornare semplicemen- te a Marx, e quindi possiamo escludere che il progetto
di ontologia dell'essere sociale sia un progetto definibile come ritorno a
Marx, e tantomeno come un ritorno al vero Marx. Il vero Marx una postulazione religiosa, del tipo del
ritorno al vero Ges, al vero Maometto, al vero Budda. Non esiste il vero Marx,
perch la verit non mai un accertamento
filologico, ma sempre un processo
storico. Essa connota certamente ci che , ed
eternamente, ma per coglierlo siamo costretti a passare necessariamente
per il nostro tempo appreso nel pensiero. Il nostro tempo non pi quello di Hegel (1790-1830), non pi quello di Marx (1840-1880), non pi quello di Lukcs (1910-1970), e fra qualche
anno e decennio non sar pi il mio tempo, in cui sto pensando e scrivendo.
Questo non comporta affatto il cosiddetto relativismo, e neppure la cosiddetta
incommensurabilit delle filosofie (secondo il modello esposto da Thomas Khun in
epistemologia e da Richard Rorty nella filosofia vera e propria). Questo
comporta unicamente la determinazione storica della verit nel tempo, in cui il
termine verit indica l'infinito e l'assoluto, ed il termine determinazione
storica indica il finito. L'infinito ed il finito non sono quindi contrari
antinomici, ma opposti in correlazione essenziale. Analizziamo ora
separatamente (ma una pura astrazione
scolastica, dal momento che si tratta di un processo unitario) il momento del
reinserimento consapevole nella tradizione classica del pensiero occidentale ed
il momento del superamento autocritico delle versioni estremistiche,
messianiche e prometeiche del marxismo. La ragione per cui Lukcs ha saputo fare
questo molto semplice: negli anni venti
egli era stato colui che aveva portato al massimo grado sistemico questa
tentazione messianico- estremistica, ed
appunto perch la conosceva perfettamente, avendola elaborata lui stesso,
era in grado di superarla nel senso hegeliano del termine. A costo di ripetere
per l'ennesima volta cose gi ripetutamente dette if prece- denza (ma meglio ripetere dieci volte la stessa cosa
piuttosto che rischiare che non venga capita perch troppo straniante rispetto
ad abitudini che rifiutano anche solo la possibilit di un radicale
riorientamento gestaltico), bisogna risotto- lineare che il progetto ontologico
di Lukcs non ha nulla, ma proprio nulla a che vedere con tutte le impostazioni
classiche che ci consegna la storia del marxismo. 496 La passione durevole per
una filosofia dell'emancipazione I soli pensatori importanti che considero
parzialmente compatibili con Lukcs sono Antonio Gramsci e Karel Kosk. E
ripetiamo ancora una volta queste incom- patibilit. Qualcuno ha scritto: Mi
ripeter fino a che non sar capito. Ebbene, mi ispiro a questo aureo detto. Il
progetto di ontologia dell'essere sociale
incompatibile con la filosofia che ha ispiratola prima formazione
ideologica marxista del ventennio 1875-1895. Questa filosofia, di impronta
positivistica, basata su una concezione neokantiana di rispec- chiamento di un
oggetto esterno della conoscenza (Lange) e su di una concezio- ne classificatoria
della storia della filosofia occidentale basata su di una contrap- posizione
fra idealisti antiscientifici e positivisti scientifici (Laas), si ispirava
alla concezione della necessit previsionale delle leggi scientifiche
dell'evoluzione sociale (Engels, e poi Kautsky). La categoria di necessit era
quindi fusa con una filosofia necessitaristica della storia, al punto da
ispirare una definizione di libert come coscienza integrale della necessit
(Plechanov). I tentativi di opporsi a questa concezione, prevalentemente
ispirati all'insegnamento di Henri Bergson (Georges Sorel ed altri) non
riuscirono a coagularsi in un sistema coerente, e questo fatto pu essere
spiegato soltanto attraverso una deduzione sociale delle categorie: la classe
operaia sublimava la propria palese impotenza storica complessiva in una teoria
religiosa dell'evoluzione necessaria dal capitalismo al socialismo, ed il
marxismo di Kautsky funzionava cos da messa della domenica che santificava le
attivit feriali di tipo riformistico (Matthyas). Il progetto di ontologia dell'essere
sociale incompatibile con qualunque
forma di materialismo dialettico, non importa se engelsiana, leniniana o
staliniana. Nono- stante l'accettazione (che ritengo errata) da parte di Lukdcs
della teoria engelsia- no-leniniana del rispecchiamento (Widerspiegelung), che
a mio avviso funziona (ammesso che funzioni) soltanto per quanto riguarda la
ricerca nel campo delle scienze naturali (Geymonat), ma certamente non funziona
nel mondo sociale ca- ratterizzato dalla prassi attiva di trasformazione dei
soggetti individuali e sociali, egli respinge la naturalizzazione teleologica
della dialettica, le tre cosiddette (ed inesistenti) leggi della dialettica, ed
in questo modo respinge in toto il materia- lismo dialettico (Diamat). Possiamo
notare che forse sempre stato troppo
timido ed incerto nel respingerlo con il disprezzo e la radicalit che questa
buffonata filo- sofica meritava, ma bene
notare che egli visse in tempi oscuri (il termine di Bertolt Brecht), in cui i dissidenti
potevano essere arrestati ed uccisi. Appare inoltre chiaro che il Diamat come
filosofia era pessimo, ma come ideologia era stupendo e performativo, perch
avallava con la sua teoria naturalistico-positivistica la prete- sa della
direzione politica staliniana di essere coerente con le leggi della storia. Il
progetto di ontologia dell'essere sociale
incompatibile con qualunque forma di realizzazione integrale della
filosofia nella storia, per cui la filosofia sarebbe una forma di coscienza
temporanea, e temporanea perch alienata, della coscienza sociale degli agenti
storici. Questa concezione messianico-religiosa della realizza- zione integrale
della filosofia nel comunismo, e quindi nel comunismo inteso come fine della
storia, stata sostenuta da pensatori
onesti e rivoluzionari (ad 497 CarrroLo XL esempio dal francese Henri Lefebvre,
che ho avuto l'onore di conoscere personal- mente), ma resta inaccettabile e
radicalmente sbagliata. La filosofia, come del resto larte, la religione e la
scienza, tutte radicate nella vita quotidiana degli uomini in societ ed in
comunit, una forma di coscienza e di
attivit permanente. Fa parte della condizione umana in quanto tale, e
caratterizza luomo come animale contraddistinto dal lavoro, dal linguaggio, ed
infine dalla consapevolezza antici- pata della propria sicura morte
individuale, che per ci stesso lo spinge a dare un significato (o anche solo a
cercarlo, e addirittura paradossalmente a negarlo) al segmento temporalmente
limitato della propria esistenza. Non esiste quindi, e non pu esistere, una
fine della filosofia attraverso la sua presunta realizzazione. La sua
realizzazione, infatti, infinita, mentre
il massimo di comunismo cui possiamo aspirare
un comunismo della finitudine, come si esprime opportunamente il grande
marxista francese Andr Tosel. Il progetto di ontologia dell'essere sociale incompatibile con qualunque forma di
verificazione e/o falsificazione storico-empirica, per cui viene data alla
classe ope- raia di fabbrica una sorta di data ultimativa di scadenza per la
sua attesa rivo- luzione sociale totale, pena l'annuncio disincantato di morte
del marxismo per incapacit manifesta del soggetto che dovrebbe esserne il
portatore. Tralasciando tutta la pittoresca banda neoliberale, il
rappresentante marxista maggiore di que- sta concezione stato Karl Korsch (considero gli operaisti
italiani soltanto unap- pendice sociologica filosoficamente irrilevante). Ma la
verit del marxismo (o se si vuole per i suoi oppositori la sua falsit) non pu
essere oggetto di verificazione e/o falsificazione storica. Soltanto il certo,
l'esatto ed il veridico sono oggetto di falsificazione, perch dispongono di
parametri e di protocolli appositi. La verit del marxismo (ammesso ovviamente
che sia vero come io ritengo) non ha date empiriche di scadenza. Le avrebbe se
il suo fondamento ontologico fosse la capa- cit misurabile della classe operaia
e di fabbrica. In questo caso, il marxismo si potrebbe falsificare per
manifesta incapacit rivoluzionaria intermodale. Ma la classe operaia, salariata
e proletaria solo una parte di un
possibile (dynamei on) insieme plurale di soggetti collettivi e comunitari, a
pari grado con i contadini, i popoli oppressi, le nazioni minacciate dal furore
imperiale, i lavoratori flessibili e precari dell'odierna globalizzazione
neoliberale, ed in pi i soggetti sociologico- politici nuovi che per il momento
non possiamo neppure immaginare, ma che sa- ranno certamente visibili nel 2050,
2100 o 2150. Korsch stato un grande
pensatore, ma stato anche influenzato
dalla corrente antifilosofica del neopositivismo logico di Vienna e di Berlino
(poi ampiamente emigrata in USA e in Gran Bretagna). Questa scuola si basa
sullassprbimento della categoria ontologica hegelo-marxiana di verit nelle
strutture di crtificazione e/o falsificazione delle scienze naturali. In
proposito Karl Popper, che si vantava di es- sere il seppellitore del
neopositivismo, per aver compiuto lirrilevante passaggio dallirrilevante
verificazionismo allirrilevante falsificazionismo (li chiamo irrile- vanti
perch sono certamente rilevanti per lepistemologia delle scienze naturali, ma
sono del tutto irrilevanti per la conoscenza filosofica propriamente
detta), 498 La passione durevole per una
filosofia dell'emancipazione stato in realt il culmine del (l'irrilevante)
neopositivismo. Ma qui Korsch caduto
vittima della pressione sociale del tempo, per cui tutti si affrettavano a
giurare di non voler aver nulla a che fare con la filosofia per la filosofia
(Lwith), con la metafisica (orrore! orrore!) e con il punto di vista superato
di un passato ancora immerso nellign ranza (Korsch, ecc.). La filosofia di
Marx, ammesso che abbia un soggetto portatore (e ce lha), ha come soggetto di
riferimento l'ente naturale ge- nerico umano (Gattungswesen) che non fa n
l'operaio, n il contadino, n il medico, n l'ingegnere, che non n uomo, n donna, n gay, che non caratterizzato dal colore della pelle o da un
riferimento etnico o religioso privilegiato, che non n occidentale, n orientale, n nordista n
sudista, ma che pu essere o fare tutte que- ste cose. Si possono falsificare i
contadini in India, gli operai in Francia, i tecnici in Svezia, ecc., ma non si
falsifica lunit di teoria economica del valore e della filo- sofia
dellalienazione. L'accettazione neopositivistica (erroneamente scambiata per
hegeliana persino dall'amico di Korsch, Bertolt Brecht) della data di scadenza
della falsificazione di Marx da parte di Korsch ci mostra le conseguenze di
queste sociologismo rivoluzionario. Il marxismo si identifica con un certo
ciclo storico di lotte operaie, poi queste lotte operaie sono sconfitte, o
semplicemente rifluiscono, e si trovano subito degli ingenui a proclamare
solennemente che il marxismo morto,
lunico mondo possibile il liberalismo
imperialistico, sono finite le gran- di narrazioni, e la sola cosa che c'
rimasta il bombardamento degli
Stati-canaglia (rouge states) per affermare i diritti umani a geometria
variabile con missili USA a puntamento rapido. Il progetto di ontologia
dell'essere sociale incompatibile con
qualunque ripropo- sizione di un modello utopico-messianico di marxismo, non
importa come argo- mentato o variamente secolarizzato. Le ragioni di queste
riproposizioni possono essere le migliori di questo mondo, come ad esempio la
distinzione di Ernst Bloch fra corrente fredda e corrente calda del marxismo.
Alla corrente fredda, evoluzionisti- ca, positivistica, scientista,
deterministica, meccanicistica, ecc., Bloch contrappone la corrente calda, che
recupera sia la tradizione del giusnaturalismo rivoluziona- ria settecentesca,
sia la tradizione biblico-messianica. Il pensiero di Marx, tuttavia, non una vasca da bagno con due rubinetti, uno
dacqua fredda ed uno dacqua calda. L'acqua calda scotta, e lacqua fredda gela. noto che si apre un po' l'uno e un po'
laltro, alla fine lacqua tiepida non pi
n fredda n calda, e per questo
gradevole. del tutto normale che
Bloch abbia voluto contrapporsi al cosiddetto marxi- smo ufficiale dottrinario,
qualificandolo come freddo. Ma il suo rimedio
peg- giore del male. Il marxismo non pu sopportare dosi da cavallo di
messianismo religioso imperfettamente secolarizzato. Naturalmente, Bloch non ha
tutti i torti. vero che esiste una
sinistra aristotelica di tipo averroista, e che Avicenna e Maimonide sono fonti
del pensiero comunista non inferiori a nessun'altra. vero che esiste un Experimentum Mundi, e che
la stessa ontologia non ancora del tutto
compiuta, terminata e realizzata. vero
che Lenin, parlando delle tre fonti e tre parti integranti del marxismo
(economia politica inglese, filosofia classica tedesca 499 CariroLo XL e
socialismo politico francese) ha dimenticato altre due fonti del tutto
legittime, il diritto naturale rivoluzionario e l'impulso messianico-religioso
a ribellarsi con- tro l'ingiustizia. Tutto questo vero, purch non si dimentichi che il
messianismo escatologico pu essere certamente un fattore ideologico positivo in
una concreta situazione sociale (Miinzer nel 1525, rivoluzione iraniana nel
1979, ecc.), e questo molto buono, ma
resta profondamente sbagliata la scelta di dare al pensiero di Marx un
fondamento religioso e messianico. Non si tratta certamente soltanto di non
cadere nelle critiche alla Weber o alla Lwith. Qualsiasi cosa facesse il
marxismo, Weber e Lwith lo criticherebbero lo stesso, perch dietro alla loro
critica teorica alla secolarizzazione messianica ci sarebbe sempre e soltanto
il rifiuto politico del comunismo e l'accettazione stra- tegica del
capitalismo. Si tratta di una necessit interna allo statuto dellontologia
dell'essere sociale, che prescinde del tutto dalle cosiddette critiche esterne.
L'on- tologia dell'essere sociale
incompatibile con uno statuto messianico del marxismo. Se si crede di
curare la corrente fredda con la corrente calda, ebbene pu soltanto trattarsi
di una cura temporanea e sintomatica, come il mettere in un bel bagno caldo un
naufrago rimasto a lungo in acque fredde. Ma il pensiero di Marx non pu essere
un messianesimo. Sul messianesimo credo che abbia sostanzialmente ragione Max
Weber: l'annuncio messianico caratterizza tutte indistintamente le re- ligioni
occidentali (e quindi anche la religione comunista di Marx, nel momento in cui
essa incontra le speranze sociali di emancipazione di massa), ma nello stesso
tempo esso non pu essere che temporaneo, per il semplice fatto che socialmente ed ontologicamente del tutto
impossibile, e deve quindi razionalizzarsi in una forma di vita quotidiana e
comunitaria consolidata e diffusa.
questa mancata ra- zionalizzazione che ha ucciso il comunismo dopo pi di
settant'anni, non certo la mancata realizzazione messianica (Bloch), e neppure
quella versione pallida e moderata della mancata realizzazione messianica
che il rifluire dei gruppi-in-fu- sione
dotati di finalit-progetto nella serialit cosiddetta pratico-inerte (Sartre).
Il progetto di ontologia dell'essere sociale
incompatibile con qualunque ripropo- sizione di un marxismo puramente
scientifico, di-un scientificit indifferente- mente galileiana (il modello
previsionale della scienza della natura) oppure webe- riana (la scienza priva
di giudizi di valore etico-politici). Lukcs era troppo vecchio e impegnato nel
suo lavoro per perdere tempo con le nuove versioni di questa testardaggine
scientista (Galvano Della Volpe, Lucio Colletti, e soprattutto Louis Althusser
e la sua scuola). Ma non ne aveva neppure bisogno, perch queste scuole
post-1945 non facevano che riproporre con una nuova riverniciatura gnoseologi-
ca (Della Volpe) ed epistemologico-ideologica (Althusser), concezioni che si
erano presentate con frequenza asfissiante nei settant'anni precedenti. Il
sogno positivi- stico di un marxismo senza fondazione filosofica percorre
infatti tutta la sua sto- ria, a partire dal ventennio di costituzione
1875-1895, e si tratta di un dato sociale prodotto dallingiunzione a
scientificizzarsi per poter essere presi sul serio dagli apparati ideologici
universitari. Ma un marxismo senza fondazione filosofica di- venta un puro
pragmatismo, ed il pragmatismo sempre
puro utilitarismo. Oggi si 500 La passione durevole per una filosofia
dell'emancipazione esalta molto il filosofo americano recentemente scomparso
Richard Rorty, nemico di ogni fondazionalismo filosofico, relativista
dichiarato (ha infatti affermato di non aver fatto altro che applicare alla
filosofia il relativismo epistemologico dellin- commensurabilit dei paradigmi
scientifici di Thomas Khun), sostenitore della de- rubricazione della filosofia
a conversazione fra le altre (nemmeno i sofisti greci erano giunti a tanto!),
ecc. Mi sono gi espresso in proposito, ma data limportanza del tema mi ripeter:
togliere alla filosofia ogni pretesa fondazionalit non si- gnifica affatto (se
non per gli sciocchi!) togliere ogni fondazionalit in generale in direzione di
un presunto (ed inesistente) sapere senza fondamenti, ma significa lasciare un
solo fondamento implicito, il fondamento dellassolutezza indiscutibile della
riproduzione capitalistica ed imperialistica. Oggi togliere ogni pretesa fon-
dazionale alla filosofia equivale all'affermazione medioevale della possibilit
di dimostrare Dio. Cos come la legittimazione ideologica di quei tempi si
basava sul fondamento trascendente di Dio (e quindi sulle concesse prove
teologiche), nello stesso modo la legittimazione ideologica di oggi si basa
sulla performativit pura del flusso di produzione e di consumo, e quindi si
basa sul fondamento immanen- te della riproduzione capitalistica, che non ha
bisogno di nessun altra fondazione. Ogni altra fondazione, infatti, potrebbe in
qualche modo metterla in discussione, e quindi
bene che si dica (e gli sciocchi ovviamente lo ripetono come
ripeterebbero un mantra buddista alla moda) che non ci pu essere nessuna
fondazione filosofica di nulla (e particolarmente della societ). Lukcs
ovviamente capiva benissimo tutto questo, e capiva che esisteva quella che
chiamava solidariet antitetico-polare fra esistenzialismo e neopositivismo. Con
questo, il codice ideologico del tardo capitalismo era messo allo scoperto.
Cer- to, ci si pu lamentare che Lukcs, anzich usare il bel termine di
filosofia, abbia usato il cattivo ed ambiguo termine di ideologia. Luk&cs
sapeva perfettamente che Marx aveva usato il termine di ideologia in senso
negativo, come falsa co- scienza, organizzata o no, e come riflesso deformato
degli interessi sociali classisti contrapposti. Ma sapeva anche che Lenin aveva
modificato radicalmente il signi- ficato del termine, dandone una valenza
positiva, per cui l'ideologia diventava il punto di vista complessivo della
coscienza di classe e della visione del mondo del proletariato rivoluzionario e
delle forze progressiste. questa la
ragione per cui sia nellOntologia sia nei Prolegomeni il termine ideologia utilizzato in modo positivo, nel senso dello
smascheramento comunista delle ideologie capitalistiche (fra cui prima di ogni altra l'ideologia della deideologizzazione, che gli
appara- ti ideologici del capitalismo ripetono sempre in modo asfissiante e
protervo). Vi ovviamente unaltra ragione
di fondo per la preferenza lucacciana del termine ideologia rispetto al termine
filosofia, che porta il paradosso per cui il pi grande filosofo marxista del
Novecento si vergogna costantemente del termine fi- losofia. Si tratta
dellaccettazione lucacciana della teoria gnoseologica del rispec- chiamento,
che in effetti una volta accettata toglie alla filosofia qualunque pretesa conoscitiva
e veritativa di tipo fondazionale, e che non consente nessuna scienza
filosofica di tipo hegeliano e marxiano. Una volta accettata la (a mio avviso
profon- 501 CaprroLo XL damente errata) teoria del rispecchiamento, utile forse
per le scienze della natura, ma non certamente per la trasformazione
fichtiano-marxiana della societ alienata, si ricade inevitabilmente nella
dicotomia Materialismo/Idealismo, Lai la correlata necessit di combattere
l'idealismo in nome del materialismo, che.non pu che portare ad un vicolo
cieco. Ma non possiamo pretendere che Lukcs, uomo del suo tempo, rinunciasse
alla teoria del rispecchiamento ed alla correlata dicotomia
Materialismo/Idealismo. impossibile
camminare oltre l'ombra che il sole ci proietta sulla sabbia. Chi scrive - ma
ormai lo hanno capito tutti, a causa delle continue volute ripetizioni favorevole allontologia dell'essere sociale,
ma contrario sia alla teoria del
rispecchiamento sia allinutile, positivistica e gnoseologica dicotomia
Materialismo/Idealismo. Il progetto di ontologia dell'essere sociale incompatibile, infine, con la stessa ri-
proposizione del marxismo messianico- estremista del giovane Lukcs di Storia e
Coscienza di Classe e pi in generale dei suoi scritti marxisti del settennato
1919- 1926. Lukcs non avrebbe infatti mai potuto mettere tanto bene a fuoco il
problema dellontologia dell'essere sociale se non fosse stato lui stesso
quaranta anni prima a produrre il profilo migliore possibile del marxismo
messianico-estremistico. E parlo del profilo migliore possibile con conoscenza
di causa, avendo a suo tempo studiato con cura tutte le opere in cui questo
modello esposto. Dopo la rivoluzio- ne
del 1917 il comunismo si trov privo di una vera legittimazione ideologico-filo-
sofica, al di l delle risposte polemiche di Lenin a Kautsky ed a Rosa
Luxemburg. Il primo tentativo di fornire una legittimazione filosofica al nuovo
comunismo fu dato da Nicolai Bucharin nel 1921 con un Manuale di materialismo
storico, capola- voro negativo di riduzionismo, economicismo e determinismo. Il
fatto che que- sto libro orribile e dilettantesco abbia potuto essere preso sul
serio dimostra che un grande evento rivoluzionario non pu certamente dotarsi in
tempo reale di una sufficiente autoconsapevolezza. Lukcs propose un paradigma
filosofico diverso ed anzi opposto, basato sull'identit idealistica di soggetto
e di oggetto, in cui il soggetto era lidealtipo di proletariato rivoluzionario
universale (e qui l'influenza idealtipicizzante di Max Weber palese), e l'oggetto era il corso della
storia uni- versale (e qui l'influenza della filosofia hegeliana della
storia parimenti palese). Si trattava di
un buon modello filosofico, certamente superiore a quello di Bu- charin ed
anche a quello imposto nel 1931 da Stalin. E nello stesso tempo si trattava di
un modello messianico-estremistico, perch investiva il proletariato di una sor-
ta di missione metastorica complessiva che ben presto il proletariato reale (e
non quello idealtipico maxweberiano) avrebbe mostrato di non poter realizzare.
Vorrei insistere molto su queste sette distinte incompatibilit (le ripeto
nell'ordine dandone un nome per indicarle: Engels, Stalin, Lefebvre, Korsch,
Bloch, Althus- ser, lo stesso giovane Lukcs) perch se non le si capite fino in fondo come pars destruens non
si potr mai capire che il progetto di ontologia dell'essere sociale la pars construens che risulta dal
superamento dialettico di queste distinte sette unila- teralit. Ed appunto questa comprensione che mancata, ed evidentemente non poteva che
mancare, al modo con cui la proposta di Lukcs fu valutata. 502 La passione
durevole per una filosofia dell'emancipazione Eppure la questione chiarissima, e pu anche essere espressa in
modo concet- tualmente chiaro: abbiamo bisogno socialmente di un anticapitalismo
radicale moder- no, ma questa radicalit non pu essere raggiunta attraverso il
messianesimo estre- mistico in filosofia ed attraverso lavanguardismo
provocatorio nell'arte; questa radicalit, paradossalmente (ma tutta la
filosofia paradosso, unico avversario
del pregiudizio!), pu essere conseguita soltanto attraverso un reinserimento
consa- pevole del pensiero comunista di Marx nel grande alveo della tradizione
filosofica occidentale pi tradizionale possibile, quella che passa da
Aristotele ad Hegel. Questo paradosso non poteva evidentemente essere
socialmente compreso ai tem- pi di Lukcs, per cui egli non poteva che morire
senza eredi (non parlo qui di lumi- nose eccezioni come Nicolae Tertulian, e
Werner Hofmann). Lukcs ha lasciato un messaggio in una bottiglia, e questa
bottiglia galleggia ancora sul mare. Il rifiuto di accettare il messaggio
lucacciano stato cos diffuso da far s
che anche questo rifiuto deve essere socialmente dedotto. I pi vergognosi
furono i quattro filosofi ungheresi membri della cosiddetta (ed inesistente)
scuola di Budapest (Heller, Fher, Markus, Vajda). Costoro si dichiara- no
allievi di Lukcs fino al 1971, anno della sua morte, in quanto attaccarsi al
suo nome era pure sempre una sponsorizzazione nel mondo accademico occidenta-
le. Poi, appena morto il maestro (ma la cosa assomiglia molto al seppellimento
di Adorno fatto da Habermas per questo
ritengo sia un fatto sociale, e non solo accidentale), pubblicarono documenti
in cui non solo prendevano le distanze dal progetto dellontologia, ma lo
demolivano totalmente punto per punto con ipocri- ta acredine, in favore di una
mescolanza eclettica di filosofia dei valori alla Scheler, di disincanto alla
Max Weber e di neokantismo alla Habermas (e cio tutto ci che Lukcs aveva
consapevolmente respinto). Una volta crollato il socialismo reale ed
affermatosi pienamente il monopolio militare dell'impero americano, la Heller
si lasciata andare ad oscene grida di
gioia, che varrebbe la pena rileggere (sono state pubblicate anche in italiano).
Non critico i quattro di Budapest per il loro profilo filosofico. Li critico
per aver lasciato passare per anni il mito di essere allievi di Lukcs.
L'allievo non certamente chi ti
frequenta. L'allievo chi, almeno in par-
te, solidale con te e condivide il tuo
progetto filosofico. Per quanto mi riguarda, ho frequentato a lungo Ludovico
Geymonat e Norberto Bobbio, ed ho anche go- duto della loro stima ed amicizia
(peraltro ricambiata), ma non mi sognerei mai di definirmi loro allievo, perch
non condivido praticamente nulla del loro proget- to teorico e filosofico. Si
pu essere amici personali, ed avversari filosofici, per cui i quattro
budapestini sono stati tra i pi accaniti ed ingenerosi avversari di Lukcs. Se i
liberali anticomunisti di Budapest furono avversari di Lukcs, ci si potrebbe
aspettare che almeno i marxisti lo vedessero con favore. Ma neppure per sogno!
Nella principale rivista filosofica della Germania Orientale un certo Beyer
pubblico nel 1969 un articolo intitolato: Ontologia marxista. Una moda
idealistica. Non c' bisogno di ulteriori commenti. Cesare Cases, il germanista
italiano che fu amico di Lukdcs, non perse mai occasione di dire che lOntologia
era un ritorno alla vecchia filosofia universitario-accademica, inutile per
qualunque progetto rivoluzionario. 503 CarrroLo XL I commentatori sessantottini
ignorarono sempre lOntologia, ed invece facevano lapologia di Storia e
Coscienza di Classe del 1923, senza tenere alcun conto nella loro stolidit
motoria che lo stesso Lukcs aveva detto che, per usare unanalogia, non si era
pi negli anni Venti del Novecento, ma allinizio dell'Ottocento, quando in-
cominciava soltanto a formarsi il movimento operaio. Il polacco Leszek
Kolakowski, che scrisse unacutissima storia critica del marxismo, che era anche
l'elaborazione della sua personale totale rottura con esso, dedic a Lukcs un
capitolo sprezzante che ignorava completamente lesistenza del progetto
ontologico, parlava di mito- logia marxista, ed era intitolato La ragione al
servizio del dogmatismo. Non poteva mancare in questa galleria Juergen
Habermas. Come riferisce la Heller, non appena gli fu esposta la trama
concettuale del progetto ontologico, Habermas ebbe una reazione di rifiuto per
principio. Un tentativo di questo gene- re gli sembrava contrastare con una
visione storica del marxismo, e dirigersi verso il ripristino dei grandi
sistemi razionalistici, il che fa parte del passato filosofico. Habermas coglie
veramente qui il centro della questione.
infatti esattamente cos. Lukcs intendeva veramente ripristinare i grandi
sistemi razionalistici, ed in questo modo ricollegarsi al passato filosofico. E
tuttavia io rovescio di 180 gradi la sua valutazione. Appunto per la ragione
che dice Habermas ci che Lukcs voleva era bene, ed anzi fin troppo timido in questa
restaurazione. Questa restaurazione deve essere non solo perseguita, ma anzi
deve essere ancora ulteriormente radi- calizzata, senza curarsi di usignoli,
corvi e cornacchie, e del loro coro di sapere senza fondamenti, ecc. Siamo
giunti finalmente al cuore della questione. Ci sono volute centinaia di pa-
gine per arrivarci, ma in questo modo ci siamo arrivati meglio, senza lasciarci
alle spalle penosi equivoci storiografici ed interpretativi. Possiamo quindi,
in chiusura, tentare un ennesimo bilancio di chiarificazione. La deduzione
sociale delle categorie del pensiero
indispensabile, perch in caso contrario tutta la storia sociale del
pensiero umano si riduce necessariamente a quella che Hegel ha definito una
disordinata filastrocca di opinioni.
anche possibile chiamare materialistico in senso marxiano il metodo
della deduzione sociale delle categorie, ma non
obbligatorio farlo, perch ad esempio Hegel, che era indubbiamente
idealista, utilizza di fatto questo metodo nel disegnare lo sviluppo dialettico
delle figure sociali nella sua mirabile Fenomenologia dello Spirito. E
allora meglio chiamare questo metodo
genetico per sfuggire alla falsa dico- tomia materialismo/idealismo. Il metodo
genetico per anche un metodo storico,
lunico metodo storico possibile, da non confondere con il cosiddetto
storicismo, che invece una negazione
della storia, perch sovrappone alla storia reale un in- sieme ideologico
variamente improntato al relativismo, oppure alla teleologia predeterminata. Il
metodo genetico per anche un metodo
ontologico-sociale, perch l'essere sociale nelle sue diverse configurazioni
storico-classiste la matrice ed il
fondamento della struttura portante su cui si sviluppano le categorie. In
questo senso Marx ha ragione, e continua ad averla anche dopo il crollo sociale
dei siste- mi economici del comunismo storico novecentesco 1917-1991, crollo
sociale che 504 La passione durevole per una filosofia dell'emancipazione
invece porta con s nella sua dissoluzione gran parte delle formazioni
ideologiche marxiste posteriori al ventennio di costituzione 1875-1895.
L'apparato ideologico universitario delle facolt di filosofia, al di l delle
sue pretese maxweberiane di oggettivit,
appunto un apparato ideologico, e come tutti gli apparati ideologici non
pu avere gli strumenti concettuali per potersi ve- dere come tale. Esso (salvo
luminose eccezioni, che come tutte le eccezioni confer- mano la regola) deve
quindi obbedire ai vincoli ideologici che gli impongono in- direttamente (ed in
alcuni casi anche direttamente) le classi dominanti dellattuale societ
capitalistica globalizzata largamente postborghese e postproletaria. Questa
assunzione di vincoli sistemici viene generalmente fatta con quella che Marx
chia- ma falsa coscienza necessaria degli agenti storici. I vincoli sono molti,
ma qui po- tremo per brevit riassumerli in due. In primo luogo, bisogna appunto
che la sto- ria della filosofia venga concepita come disordinata filastrocca di
opinioni, il che permette da un lato l'esercizio della filologia riferita
appunto esclusivamente alle opinioni stesse, e dall'altro contribuisce a dare
socialmente un'immagine di inuti- lit della filosofia stessa, perch nessuno
potrebbe ritenere socialmente utile una successione erudita di una filastrocca
destoricizzata e desocializzata di opinioni. In secondo luogo, bisogna
diffamare in tutti i modi come tradizionale, metafisica, arretrata e premoderna
qualsiasi fondazionalit della filosofia, in modo che la normativit dei
comportamenti individuali e sociali venga riservata esclusivamente ai vincoli
sistemici della riproduzione capitalistica, per cui chi si sottrae a questi
vincoli viene subito accusato di sottrarsi alla cosiddetta etica della
responsabilit alla Max Weber (Max Weber
il Tommaso d'Aquino della razionalit capitalisti- ca). Insisto su questo
punto: l'apparato ideologico universitario nel suo complesso deve
strutturalmente e funzionalmente depotenziare il carattere di razionalismo cri-
tico del pensiero filosofico, e le due forme convergenti di depotenziamento
sono la sua riduzione a filastrocca di opinioni premoderne e la negazione di
qualunque suo carattere fondazionale. Non
sempre stato cos. Ad esempio, al tempo di Kant e di Hegel non era cos.
Ma oggi cos, e chi non lo capisce, per
stupidit e/o op- portunismo, paga con il prezzo del codice d'accesso
politicamente corretto al si- stema ideologico universitario la rinuncia a
qualsiasi critica radicale indipendente ai rapporti di produzione dominanti.
Nicchie di professori universitari marxisti vengono ovviamente tollerate, sia
pure marginalizzate e tenute sotto controllo, ma si fa in modo che
costituiscano ghetti autoreferenziali sostanzialmente innocui, oltre che di
volta in volta ignorati, ridicolizzati e travisati dal cannibalismo del sistema
mediatico. Individuare la necessit di una deduzione sociale delle categorie non
significa per avere risolto il problema. Se questo infatti adoperato senza un'accurata di- stinzione fra
valore filosofico e valore ideologico delle categorie, ed i due valori ven-
gono identificati, allora il metodo appena scoperto subito da gettare via, perch non pu che dar
luogo ad un/carnevale relativistico e sociologistico che nega ogni valore conoscitivo
e veritativo alla filosofia. Per usare il lessico di Hegel, la filosofia tratterebbe
certo del proprio tempo appreso nel pensiero, ma ignorerebbe il suo 505
CaprroLo XL vero oggetto, che ci che ,
ed eternamente. Il benemerito scopritore
nove- centesco di questo metodo, Alfred Sohn-Rethel, spesso caduto in questo errore, ma lo si deve
scusare, perch una scienza non deve mai rimanere al livello del suo scopritore,
ma deve continuamente correggersi ed autocorreggersi. Tutto il mio lavoro pu
essere interpretato come una cortese correzione a Sohn-Rethel (per quanto
riguarda il metodo genetico delle categorie) ed a Lukcs (per quanto riguarda le
categoria dellontologia dell'essere sociale). E tuttavia, pur rivendicando la
mia ori- ginalit in proposito, non ho nessun problema ad ammettere di volermi
collocare nel solco di Sohn-Rethel e Lukcs. Fin qui, per, abbiamo soltanto
girato intorno al punto essenziale della que- stione. Ed il punto essenziale
sta in ci, che la filosofia per sua propria natura l'unione di due elementi inscindibili, il sistema
delle conoscenze razionali e l'insieme di ci che interessa necessariamente ad
ogni uomo, elementi inscindibili che Kant connot con i nomi rispettivi di
Schulbegriffe di Weltbegriff. L'avverbio inscindibil- mente qui la parola concettualmente pi importante.
Da un lato, infatti, l'apparato ideologico universitario, a partire dalla
svolta positivistica e neo-kantiana di met Ottocento, ha separato questi due
elementi inscindibili, ed ha limitato la filosofia al suo solo Schulbegriff,
diffamando, isolan- do ed intimidendo tutti coloro che volevano servirsi degli
apparati universitari per praticare un Weltbegriff, che si affermava ormai
impossibile, premoderno, me- tafisico, ecc. (e da Habermas a Rorty abbiamo qui
solo l'imbarazzo della scelta). Dall'altro lato, ed in segreta solidariet
antitetico-polare (o se vogliamo in manife- sta divisione funzionale del lavoro
ideologico), gli apparati politico-ideologici, che si servono della filosofia
esclusivamente per la sua ricaduta ideologica, ma non hanno alcuna intenzione
di rispettarne l'autonomia e soprattutto la veritativit in- dipendente da ogni
manipolazione, hanno ritenuto di poterne utilizzare l'aspetto mondano
(Weltbegriff) disprezzandone nello stesso tempo il rigore sistematico, che
richiede necessariamente un apprendimento lento e faticoso, per nulla inferiore
ai tempi di apprendimento della medicina, dalla chimica e della farmacologia,
in una parola del suo Schulbegriff. Concetto scolastico senza concetto mondano,
e vi- ceversa concetto mondano senza concetto scolastico, ecco le membra dilacerate
e scomposte dellunico corpo concettuale della filosofia. Con questo, non
intendo dire affatto che gli unici abilitati a dare giudizi sulla totalit del
mondo sociale in cui viviamo sono i filosofi muniti di dottorato a Parigi ed a
Oxford, ed in possesso non solo della conoscenza della lingua inglese come
strumento di comunicazione dei sudditi dell'unico impero legittimo dello spazio
globalizzato imperialistico mondiale (Harvey), ma anche del greco antico di
Plato- ne e di Aristotele e del tedesco di Kant e di Hegel. Una simile
concezione elitistico- demenziale non farebbe che riproporre in modo farsesco
la tragica illusione di Platone di poter garantire ed assicurare la scienza
filosofica intesa come riferimen- to normativo dellorganizzazione sociale attraverso
listituzionalizzazione di una casta non elettiva di governanti muniti della
scienza filosofica (episteme) del Vero, del Giusto, del Bene e del Bello. 506
La passione durevole per una filosofia dell'emancipazione La tentazione di
simili riproposizioni si affacciato
molto spesso nella storia, anche se quasi mai in modo direttamente
filosofico-platonico, e quasi sempre pri- ma in modo teologico-religioso (dalla
controriforma cattolica ai puritani protestan- ti inglesi) e poi in modo
direttamente economico-dispotico (e si pensi alle canaglie oligarchiche che
governano il mondo tramite apparati come la Banca Centrale, il Fondo Monetario
Internazionale, ecc.). chiaro che
l'esaltazione della filosofia come luogo di fusione fra il suo concetto
scolastico ed il suo concetto mondano, fusione per loro propria natura esclusa
da- gli apparati ideologico accademico-universitari e politico-militanti, incompatibile con il suo sequestro elitario
in apparati snobistico-elitari di supercolti (o presunti tali) con la puzza al
naso e con la convinzione di essere migliori degli altri. Al contrario, ho
enfatizzato in precedenza linterpretazione data da Andr Tosel alla filosofia di
Spinoza in termini di coesistenza egualitaria sociale fra i dotti ed i non-
ancora-dotti, ma potenzialmente in grado di diventarlo (dynamei on). E fra
tutti i pensatori marxisti novecenteschi ho soprattutto lodato Antonio Gramsci
e Gyrgy Lukcs, come coloro che hanno messo alla base di tutto il senso comune
(Gram- sci) ed il rispecchiamento quotidiano (Lukcs). infatti del tutto secondario, anche se
meritevole di analisi, il fatto che la teoria del rispecchiamento sia o no
esatta, o il fatto che il nuovo senso comune possa essere portatore di fattori
di im- pedimento ad una visione dialettica della realt. Ci che invece
conta il comune carattere democratico, e
quindi non elitario, della concezione di pratica della filosofia in Spinoza,
Gramsci, e Lukcs. Il lettore avr notato che ho parlato di pratica della filosofia,
e non solo di filosofia in generale. La filosofia, infatti, un sapere pratico, nello stesso modo in cui
peraltro anche un sapere teorico (uso
qui i significati aristotelici dei due termini). Lateniese Socrate non stato infatti linventore della filosofia,
ma stato il primo che ha inaugurato la
pratica comunitaria della filosofia stessa. Nei primi capitoli di questo saggio
non ho nascosto la mia fermissima opinione, per cui la filosofia ha un'origine
sociale, e quindi in un certo senso anonima e struttu- rale, e sorge da una
problematizzazione politica delle leggi (nomoi), viste come il principale
fattore frenante (katechon) nei confronti della dismisura infinita ed in-
determinata (apeiron), cui opporre in modo consapevole (logos) una misura
sociale (metron) delle ricchezze (chremata), e questo non solo per impedire la
dissoluzione della citt (polis), ma anche per perseguire lo scopo del vivere
bene (eu zen), vivere bene che corrisponde alla natura (physis) delluomo, che
per sua natura appunto un animale
politico, sociale e comunitario (politikn zoon), ed un animale dotato di
capacit di linguaggio, ragione e calcolo (zoon logon echon). Ed appunto que- sto che consente, al di l delle
differenze di scuola, di parlare di un complessivo umanesimo greco, come
risulta da una illuminante trilogia del filosofo italiano Luca Grecchi.
Questa per soltanto la genesi della
filosofia, non ancora la genesi della prati- ca filosofica come pratica sociale
comunitaria. Di questultima invece
inventore lateniese Socrate, tenendo conto per che il socratismo non in alcun modo una 507 CaprroLo XL scuola
particolare fra molte altre (in proposito il Socrate di Platone non affatto socratismo, ma platonismo al cento
per cento), ma semplicemente il nome che
si d ad una pratica comunitaria della filosofia prima inesistente. Come ha
corretta- mente rilevato Olaf Gigon, pi che di socratismo bisognerebbe parlare
di sokratiks logos, e cio di una forma di ragione comunitaria ispirata da
Socrate. Il sokratiks logos un altro dei
molti doni inestimabili offerti dalla polis degli ateniesi all'intera umanit,
insieme alla tragedia di Eschilo, Sofocle ed Euripide, alla commedia di
Aristofane, alla storiografia di Tucidide ed alla scultura di Fidia. Tutti
questi doni sono stati resi possibili da una concezione profondamente religioso-comunitaria
della vita associata, concezione del tutto incomprensibile per chi ragiona
sulla base di un individualismo ispirato a Hume o a Kant, di una fallacia
naturalistica o di un presunto politeismo dei valori. La religione dei Greci
non disponeva ovviamente di libri sacri di riferimento e di apparati
sacerdotali di tipo inquisitorio, e per questa ragione era a tutti gli effetti
pi religiosa del successivo cristianesimo, come del resto a loro tempo sia
Hegel che Marx capirono molto bene, e come invece N ietzsche non riusc mai a
capire, ipnotizzato nelle sue ossessive dicotomie e soprattutto nella sua
errata concezione del mondo sociale greco classico, fondato su di un modo di
produzione di piccoli produttori indipendenti e di piccoli proprietari misurati
(metron), e non certo su di un modo di produzione schiavistico incontrollato in
cui schiavi ed iloti mante- nevano nellozio creativo individui pigri ma
dialoganti. La vita dei Greci, oltre ad essere religiosa, era anche
comunitaria, e per questa ragione incomprensibile, inattingibile ed
irrapresentabile per chiunque si ostina ad interpretarla secondo schemi
posteriori che non le corrispondono in alcun modo, come lindividualismo
borghese, il moralismo kantiano, la concezione formalistica del soggetto di
tipo cartesiano, il cosiddetto laicismo, lestetismo neoclassico, la cosiddetta
scienza disinteressata, e via via sempre pi fraintendendo. Socrate fu
l'inventore non certo della filosofia, ma della pratica filosofica co-
munitaria, perch ad Atene era politicamente impossibile continuare a far
passare contenuti politici attraverso lo schermo di filosofie naturalistiche
(lacqua di Talete, laria di Anassimene, il fuoco semprevivo di Eraclito, la
permanenza nel tempo della buona legislazione di Parmenide definita in modo
metaforico con il termine to on, l'essere sferico). L'accesso di tutti allagor,
ed il diritto di tutti i cittadi- ni alluguaglianza dei diritti (isonomia) ed
all'accesso eguale della parola pubblica (isegoria), non potevano non
riflettersi sulleguale accesso di tutti alla parola filo- sofica (sokratiks
logos). Socrate quindi per definizione,
ed anzi 4a priori, lunico filosofo che non poteva aver scritto nulla, perch il
fondatore di uno spazio pubblico della pratica filosofica aperta a tutti coloro
che la vogliono appunto mettere in pratica non pu aver sostenuto qualcosa di
particolare, ma pu soltanto sostenere di sapere di non sapere, e con questo
limitarsi ad un metodo di ironia e di maieutica. Ho ripetuto qui cose gi
ampiamente sostenute nei primi capitoli per una ra- gione ben precisa. Si
tratta infatti di sapere se l'esempio del grande sokratiks logos possa essere
ancora riproposto oggi, oppure se faccia parte di un passato tramon- 508 La
passione durevole per una filosofia dell'emancipazione tato per sempre. Ebbene,
a mio avviso il mondo spirituale dei Greci non potr mai tornare, perch i suoi
presupposti storici e sociali non sono pi in alcun modo riproponibili e
restaurabili, in quanto il cristianesimo lo ha ucciso per sempre (e questo sia che
questa uccisione sia valutata positivamente, alla Hegel, oppure in- vece
negativamente, alla Nietzsche). E per, se il mondo complessivo dei Greci non
potr pi tornare, purtroppo (il purtroppo
una mia esclusiva valutazione, di cui porto tutta la responsabilit), il
sokratiks logos invece non morto, perch
il so- kratiks logos semplicemente
l'equivalente antico di quello che Kant ha chiamato l'aspetto mondano della
filosofia (Weltbegriff), quello per cui la filosofia ci che interessa necessariamente ad ogni
uomo. questa langolatura con cui ho
scelto di considerare il progetto di ontologia dell'essere sociale, il meno
peggiore dei profili filosofici oggi presenti sul mercato ideale dei sistemi
filosofici (Schulbegriff), e nello stesso tempo il meno peggiore dei sistemi
filosofici il cui risvolto pratico pu interessare ad ogni uomo (Weltbegriff).
Per poterlo valutare con tutti gli elementi di conoscenza possibili, non si
poteva fare a meno di ripercorrere tutta lintera storia della filosofia
occidentale, intesa nel senso datole a suo tempo da Hegel. La storia della
filosofia non in alcun modo un
succedersi casuale di opinioni, ma il
riflesso sistematico della storia dellautoco- scienza umana. Con questo,
non affatto necessario dare ragione ad
Hegel in tut- te le sua valutazioni specifiche (personalmente, io non ne
condivido moltissime), ma sufficiente accettare
come legittima la sua impostazione generale. Il progetto di ontologia
dell'essere sociale unisce insieme inscindibilmente lele- mento scolastico e
l'elemento mondano della filosofia, e proprio per questa ra- gione non pu fare
a meno di assumere la forma di un sistema razionalistico alla Spinoza, Kant e
Hegel. E proprio per questa ragione non poteva piacere a Cesare Cases, figlio
di una generazione critica, che per questa stessa ragione era piuttosto
attratta da filosofie puramente critico-negative, come linnocuo messianismo
testi- moniale di Benjamin e come la dialettica negativa di Adorno. Ed proprio per que- sta ragione che piace molto
a me. Con tutto il rispetto per Benjamin ed Adorno, che rispetto molto, la loro
critica negativa allesistente, unita ad un innocuo discorso di principio sulla
bont astratta del messianismo, qualcosa
di totalmente compa- tibile con lapologia dell'esistente, che anzi compiaciuto narcisisticamente della sua
capacit di tollerare l'enunciazione testimoniale di una negazione radicale
dell'esistente, tanto radicale da non permettere alcuna mediazione
(Vermittlung) a cui attaccare la leva di un possibile cambiamento. Il sistema
della odierna tolleranza repressiva (il termine
di Marcuse, e non si poteva sceglierne uno migliore) non ha nulla in
contrario a che si formulino ne- gazioni apocalittiche, messianiche e totali,
mentre non sopporta assolutamente punti di vista, esposti in forma pacata e
tradizionale, che mettano realmente in discussione la sovranit assoluta della
riproduzione capitalistica riproponendo il carattere fondazionale della
filosofia. Ma non scherziamo, signori! Il solo fon- damento di oggi la sovranit della merce capitalistica (quella
che l'economista emiliano Romano Prodi chiama insistentemente il giudizio dei
mercati)! Non 509 CarrroLo XL esistono altri fondamenti! Mica sarete per caso
tanto metafisici, conservatori ed arretrati dal riproporre la natura
fondazionale della filosofia? Ah! Ah! Oh! Oh! Il progetto di ontologia
dell'essere sociale restaura la posizione classica di tutta la grande filosofia
da Aristotele ad Hegel, e cio lunit ontologica delle categorie del pensiero e
delle categorie dell'essere. Abbiamo visto in alcuni precedenti capitoli che
Kant lunico grande filosofo tradizionale
che la contrasta e la nega, ma per comprenderne la ragione ci soccorre la
deduzione sociale delle categorie. Kant doveva infatti delegittimare le pretese
normative della metafisica religiosa, e lunico modo per farlo era appunto la
separazione fra categorie del pensiero e categorie delles- sere, in quanto solo
le prime erano dimostrabili (i fenomeni), mentre le seconde erano indimostrabili
(il noumeno come cosa-in-s o concetto-limite). Ma fu poi il successivo
neokantismo che trasform la gnoseologia in teologia, o pi esattamen- te in
equivalente borghese della teologia. Il meccanismo della riproduzione
capitalistica, infatti, la sola ed unica
cosa- in-s rimasta, perch non pi
cosa-per-noi pretendere di poterla trascendere e sostituire (gabbia d'acciaio
di Weber, fine delle grandi narrazioni di Lyotard, fine della storia di Kojve,
Gehlen e Fukuyama, fine delle illusioni di Furet, e cos via sempre finendo
qualcosa). questa la ragione
dellirritata reazione di Habermas. Ma come, tanta fatica per seppellire
Horkheimer ed Adorno, e adesso arriva un signo- re che vuole ripristinare i
grandi sistemi razionalistici, il che fa parte del passato filosofico! Ma chi
decide che qualcosa faccia parte del passato filosofico, e non piuttosto del
presente e del futuro? evidente che
questo, e solo questo, il problema. E
non un problema di abilit argomentativa,
perch le classi dominanti sono sorde a qualunque argomento razionale, se appena
questo argomento mette in discussione una struttura di potere e di dominio.
Ed questo il maggiore contributo portato
da Marx rispetto a Socrate. Socrate partiva ancora dal principio dialogico per
cui in via di principio tutti possono essere convinti (anche se gi nei suoi
dialoghi alcuni si sottraggono andandosene prima di essere sconfitti nel
confronto). Marx sa gi che questo non pu avvenire, a causa della natura
classista dei rapporti sociali di produzione. Ma non questo il sintomo di una ammissione indiretta
dellimpotenza della filosofia? La questione merita una riflessione particolare
di tipo ontologico-sociale. Che il metodo dialogico in Socrate non fosse fine a
se stesso, e non avesse come unica finalit il conoscere se stessi in senso
psicologico-individualistico (gnothi se- auton) a me sembra non possa essere
realmente messo in dubbio. Il dialogo di Socrate aveva come sua finalit il
convincimento razionale dellinterlocutore (e qui sta infatti il carattere
normativo della filosofia convincere
razionalmente linter- locutore), e questo pu essere dimostrato in molti modi,
di cui mi limiter qui a segnalarne due. In primo luogo, il dialogo socratico
non era per nulla una cortese e pluralistica discussione, ma era una
faticosissima macchina argomentativa che im- plicava una attenzione spasmodica.
.Il sokratiks logos aveva regole altrettanto fer- ree delle rappresentazioni
tragiche e comiche. Iniziava con l'ironia (che non signifi- 510 La passione
durevole per una filosofia dell'emancipazione cava affatto fare dello spirito
in senso moderno, ma ammettere preliminarmente di sapere di non sapere, e perci
di essere potenzialmente aperto a qualunque esito del confronto), procedeva con
la maieutica (larte di far partorire le idee attraverso lo scambio dialogico e
le domande ben poste) e mirava al consenso attraverso la definizione concordata
(la cosiddetta omologhia). In molti dialoghi socratici il con- senso non viene
raggiunto, mentre in altri s, ma
difficile dubitare che la struttura del dialogo socratico non mirasse ad
un consenso sopra una definizione comune. In secondo luogo (e questo secondo
punto molto pi importante del primo),
Socrate non viveva in una societ individualistica liberale, per cui non ha
senso re- trodatargli il nostro atteggiamento (che risulta non certo dalla
natura umana, ma da una svolta individualistica ed antimetafisica posteriore
alla seconda met del Settecento europeo), ma viveva in una societ politica.
Vivere in una societ (Ge- sellschaft) e vivere in una comunit (Gemeinschaft)
non certamente la stessa cosa. Questo
non significa affatto che non ci fosse ancora la libera individualit. Essa
c'era gi da tempo, perch gi da tempo era stato rotto il legame tribale che
pensava se stesso attraverso lindistinzione fra macrocosmo naturale e microcosmo
sociale. Ma non si trattava assolutamente dell'individuo (in-dividuum, non
ulteriormente divisibile), nel senso che questo termine ha assunto dopo Hobbes
e dopo Locke, oltre che dopo Cartesio e Kant. Il sokratiks logos non era ancora
per nulla filosofare moderno, e questo non solo per lovvia ragione che venuto prima di Galilei e di Newton, ma anche
e so- prattutto perch presupponeva una comunit che si trattava di convincere al
bene e di distogliere al male. Chi individualizza Socrate, magari in perfetta
buona fede, ed in questo modo lo tratta a tutti gli effetti come un nostro
contemporaneo, non lo capir mai, e creder che il sokratiks logos sia
equivalente al dibattito fra gli illuministi, con lunica differenza di essere
in lingua greca anzich in lingua fran- cese. In conclusione: bene partire dal fatto che la filosofia,
nella forma socratica del logos portato nellagor, intendeva essere conoscitiva
e veritativa (il che non significa affatto normativa in senso autoritario,
dispotico, amministrativo, polizie- sco ed ideologico). Essa era quindi rivolta
non tanto al convincimento in generale di individui, ma al convincimento
comunitario. E perch mai convincimento comunitario, e non solo convincimento in
genera- le? Ma per il semplice fatto che non si trattava di convincere qualcuno
di questioni irrilevanti, se siano pi belle e seducenti le ragazze di Atene o
quelle di Sparta (tema interessante certamente, ma privo di qualunque
universalit), ma di che cosa sia il Bene, ossia il bene politico. Questo fu capito
molto bene da Hegel, che non consider mai la Repubblica di Platone una utopia
irrealizzabile, ma lespres- sione pi alta del vero spirito dei Greci. Negare
alla filosofia greca classica la finali- t (telos) del convincimento
comunitario significa precludersi la comprensione del mondo antico. Nello
stesso tempo, evidente che il pensiero
epicureo non mira pi al convincimento comunitario, ma al ripiegamento in un
gruppo protetto di amici. E dopo il primissimo periodo di provocazione e di
ostentazione di compor- tamenti asociali (anaideia), anche gli stoici si
ricongiunsero alla tradizione del con- 511 CaprroLo XL vincimento comunitario,
sia pure nella forma della comunit cosmopolitica di tipo universalistico. bene avere chiaro questo punto, perch oggi ci
ritroviamo in una situazione analoga a quella stoica, e cio in un terreno
globalizzato di comunit di tipo universalistico. C' per un paradosso, che
caratterizza la filosofia in quanto tale. Da un lato, la filosofia ha una
vocazione irresistibile al convincimento comunitario, e perci uni-
versalistico, veritativo e normativo. Non solo i sistemi filosofici antichi
(Platone, Aristotele, ecc.), ma anche quelli moderni (Spinoza, Kant, Hegel, ma
anche Marx), si muovono a mio avviso in base a presupposti ispirati al
convincimento razionale come loro scopo intimo e naturale (telos). Il telos del
dialogo del convincimento razionale, anche se il dialogo pu dar piacere di per
se stesso. La specie umana si riproduce infatti necessariamente attraverso il
coito fra luomo e la donna, anche se
largamente noto che il coito pu essere (e generalmente oggi) un fine a se stesso. Questo vale anche
per la filosofia. Il dialogo pu essere un piacere per se stesso, ma la sua
funzione resta sempre quella di essere il mezzo per un convincimento
comunitario. Dall'altro, per, vi sono oggettivamente due questioni, che non
possono essere passate sotto silenzio, e cio, nell'ordine, il fatto acclarato
che largomentazione filosofica nei fatti non riesce a convincere quasi nessuno,
per cui il convincimento assai pi
l'eccezione della regola, e infine che oggi le comunit sembrano quasi del tutto
scomparse, e quando ancora esistono, si muovono assai pi sulla base di
pregiudizi tesi ad escludere laltro piuttosto che sulla base di un
universalismo razionale. Affrontiamo queste due difficolt, e solo dopo potremo
veramente col- locare il progetto di ontologia dell'essere sociale nel nostro
tempo storico. Iniziamo dal primo problema, che
anche un paradosso. Da un lato, la filosofia si pone come un sistema di
conoscenze razionali strutturate in modo logico, che possono certo divertire e
compiacere chi le elabora, ma che in ogni caso sono orga- nizzate in modo da
avere come telos il libero convincimento, e cio inevitabilmente la vittoria di
una tesi sull'altra. I Greci stessi la intendevano anche come lotta di tipo
olimpico (agn), e lo stesso Kant afferma che si tratta di un campo di batta-
glia (Kampfplatz). Dall'altro, lesperienza di pi di duemila e cinquecento anni
ci conferma che di regola questo convincimento
impossibile, ed il fatto che qualcuno cambi idea (metanoia), gi di per
se rarissimo, piuttosto prodotto da
esperienze-limite (pen- siamo a Paolo di Tarso che diventa cristiano dopo un
incidente ed una insola- zione). In altre parole per usare il lessico di Wittgenstein - la
filosofia pretende di dimostrare, ma il massimo che riesce a fare mostrare. Si mostra infatti qualcosa con il
dito, ma non capita quasi mai che l'interlocutore fissi lo sguardo verso ci che
gli indichiamo. Ed questo in definitiva
il paradosso della filosofia: nata per dimostrare e per perseguire il
convincimento razionale comunitario, deve ripiegare e deve accontentarsi di
mostrare con il dito. Ed il passaggio dalla mente che dimostra al dito che
mostra comporta quasi sempre leffetto di un detto cinese: il saggio mostra da
un lato con il dito, lo sciocco guarda soltanto il dito. 512 La passione
durevole per una filosofia dell'emancipazione La potenza della filosofia si
mostra dunque troppo spesso socialmente impo- tente. Di fronte a questa
deprimente impotenza, normale che si
seguano scor- ciatoie che vorrebbero soggettivamente superare questa palese
impotenza. Si pu ripiegare appunto in gruppi protetti di parenti e di amici,
rinunciando al telos del convincimento comunitario razionale (limitato alla
polis nei classici, esteso alloi- koumene negli stoici). Si pu credere che la
violenza ideologica obbligatoria possa servire allo scopo (pensiamo alla Santa
Inquisizione di Torquemada oppure al ma- terialismo dialettico di Stalin). Si
pu credere che l'impotenza della filosofia possa essere curata con la fede
religiosa e con il sentimento di appagamento che essa non pu che comportare. Si
pu pensare, infine, che la soluzione definitiva sia la scien- za ed il metodo
scientifico, che dispongono di un sistema di protocolli osservativi e di metodi
di verificazione e/o falsificazione, per cui finalmente non si mostra soltanto,
ma si dimostra. Come si vede, le fughe dalla frustrazione dellimpotenza della
filosofia a dimostrare qualcosa, e ad avere successo nel convincimento co-
munitario sono molte, anche se mi sono limitato a segnalarne solo quattro
(ripiega- mento in un gruppo protetto di amici co-senzienti, fuga in avanti
nella costrizione ideologica considerata
erroneamente come pi performativa,
approdo alla fede religiosa come medicina contro il tormentoso e frustrante
dubbio permanente, scelta per la scienza e per i suoi metodi considerati
finalmente sicuri, vincolanti ed universalistici). Queste quattro operazioni
possono riuscire perfettamente, e nello stesso tempo alla fine il malato morto. Con il ripiegamento in una piccola
comunit protetta certo riduciamo lo stress sociale, ma alla fine non ci
salveremo lo stesso, se la comu- nit in cui viviamo sceglie la via della guerra
e del massacro dell'ambiente naturale e sociale. Il pensare di poter
costringere alla verit per via ideologico-inquisitoria non riesce mai (se non
apparentemente per qualche secolo o decennio), in quanto la verit per sua natura qualcosa cui nessuno pu essere
costretto, in quanto essa comprende costitutivamente non solo un dato fattuale
(questo il caso di altre dimensioni,
come la certezza e l'esattezza), ma anche un libero convincimen- to razionale
(anche se la filosofia costellata di
personaggi che non lo hanno ca- pito, da Agostino a Stalin). La religione
scalda il cuore con i suoi riti comunitari, cos come la scienza rassicura con
le sue procedure da laboratorio. Alla fine, per, il problema della razionalit
del convincimento comunitario, libero ed universa- listico, resta. Si pu
cercare in tutti i modi di espellere la filosofia, ed il modo oggi generalmente
usato spaventare la gente dicendo
che sorpassata e pre-moderna (la gente,
infatti, socialmente spinta a
considerare buono il nuovo e cattivo il vecchio, ed a questo contribuisce in
modo decisivo la dittatura della pubblicit e la coazione ad adeguarsi alla
moda), ma alla fine essa salta sempre fuori come una molla goffamente
compressa. La speranza che essa non si limiti a mostrare, ma riesca prima o poi
anche a dimostrare quello che sostiene, non pu essere elimi- nata dalla storia.
Una congiuntura storica (come quella che stiamo vivendo) pu affermarlo
arrogantemente, ma bastano in genere pochi decenni per rovesciare i verdetti
troppo affrettati ed arroganti. 513 CaprroLo XL L'oscillazione fra la vocazione
irresistibile della filosofia al convincimento co- munitario (che nell'antica
filosofia classica ruotava intorno ai tre concetti intercon- nessi di logos,
metron e katechon) e la palese impossibilit di ottenerlo, con conse- guente
ripiegamento dalla dimostrazione al mostrare con un dito, fa parte della sua
essenza, e non pu essere guarita con nessuna terapia. Tutte le illusioni di
risolvere il problema, dall'imposizione ideologica allillusione scientifica, re-
stano infatti sempre illusioni. L'imposizione ideologica non mai performativa, perch luomo un essere autonomo e problematico, e non si
pu costringere qualcuno ad ammettere come verit qualcosa di cui non intimamente convin- to. La fuga nella scienza
moderna non mai una soluzione, perch la
scienza pu dirci che cosa il certo,
l'esatto, lo sperimentabile ed il verificabile, ma non potr mai dirci che
cosa bene e che cosa male, perch il suo metodo per principio non
si pone queste domande. Bisogna quindi che il filosofo non si faccia intimidire
dalle ingiunzioni ad essere moderno, ad essere postmoderno, ad essere
scientifico, a non essere metafisico, ecc. Oggi la filosofia parte da un atto
di coraggio. Senza questo atto di coraggio non solo non pu svilupparsi, ma non
pu neppure cominciare. Passiamo ora al secondo problema, che ancora pi decisivo ed importante del primo
appena discusso. La filosofia nata come
portatrice di un convincimento co- munitario potenziale (dynamei on),
convincimento comunitario potenziale rivolto ad impedire la rovina portata
necessariamente dallinfinitezza e dallindetermina- tezza (apeiron) delle
ricchezze (chremata), ed i suoi tre concetti portanti non poteva- no che essere
il freno di questo scatenamento crematistico (katechon), lo strumento razionale
volto ad impedirlo (logos), ed infine il prodotto del logos stesso, la misura
volta a dare ordine (nomos, taxis) alla realt sociale (metron). Ma cosa pu
succedere oggi, in cui la comunit non esiste pi, e lunica comunit virtuale la comunit del capitale, il che ovviamente
equivale a nessuna comunit? Questo
allora il problema di fondo: come riattivare il carattere razionale ed
universalistico della filosofia, nata come pratica sociale del convincimento
comunita- rio, e rimasta ancora fondamentalmente tale allepoca dei cosiddetti
grandi sistemi (Spinoza, Hegel e Marx), in un'epoca storica di frammentazione
sociale di tipo individualistico? Senza affrontare questo problema, infatti, impossibile pensare ad una collocazione
sociale di una prospettiva di tipo ontologico-sociale. Cosa pu infatti fare
lontologia dell'essere sociale in un contesto storico e geografico in cui la
sola comunit la non-comunit del
capitale, che come non-comunit si vanta di non avere alcun fondamento (se non
appunto, il nulla), e dichiara che il solo assoluto possibile oggi il relativo, non solo, ma che il
relativo buono, perch non ha alcuna imposizione
ed alcuna normativit? Il generale discredito che ha invstito.il metodo di Marx
ed il marxismo, che le strutture ideologiche legate al potere
ultracapitalistico hanno collegato in modo falso e protervo alla dissoluzione
sociale e politica del comunismo storico real- mente esistito (1917-1991), ha
comportato negli ultimi due decenni (ma per quanto ancora? nessuno lo sa!) una situazione spirituale
malata e del tutto anormale, per cui il tipo di societ che avrebbe meritato il
massimo di critica praticamente 514 La
passione durevole per una filosofia dell'emancipazione rimasta senza critica.
Si tratta del paradosso maggiore dei nostri tempi. Potremmo formularlo cos, in
un modo espressivo che utilizza modalit hegeliane liberamen- te reinterpretate:
l'epoca attuale sembra essere un'epoca di gestazione e di trapasso verso una
forma di ipercapitalismo assoluto geograficamente globalizzato, sostan-
zialmente postborghese e postproletario; si tratta di un'epoca che potremo
definire dellalienazione compiutamente realizzata proprio sulla base della
compiuta realizza- zione della sovranit del valore di scambio su ogni altra forma
di sintesi sociale umana comunitaria, il che verifica nei fatti l'ipotesi
teorica dell'unit della teoria economica del valore e della teoria filosofica
dellalienazione; e proprio quando sarebbe socialmente necessario rilanciare il
carattere veritativo della pratica filoso- fica essa delegittimata come premoderna; e infine,
proprio il tipo di societ che meriterebbe il massimo di critica rimasta di fatto senza critica; il nichilismo
espri- me l'assenza di ogni fondamento comunitario, che diventato appunto nulla, e s afferma che
questa mancanza di fondamento bene, anzi
benissimo, perch il sapere moderno sarebbe caratterizzato dalla mancanza di
fondamenti; il relati- vismo esprime il fatto sociale per cui tutto diventato relativo al valore di scambio ed
alla sua solvibilit, e questa determinazione ontologico-sociale, che esprime il
massimo di barbarie alienata, viene lodata come fine delle costrizioni, delle
norma- tivit metafisiche, dello Stato etico hegeliano e dell'utopia comunista.
Stando cos le cose, l'epoca della compiuta peccaminosit di Fichte finalmente realizzata. Viviamo infatti
nell'epoca della realizzazione della compiuta peccaminosit. Sarebbe ingenuo
pensare che tutto questo a lungo andare (ed anche in alcuni casi a corto andare
o a medio andare) non provochi reazioni o resistenze. E tuttavia per ora queste
resistenze sono di tipo non-universalistico, di tipo preva- lentemente
religioso. Dal momento che queste resistenze sono pienamente giusti- ficate (il
che non implica evidentemente che se ne debbano approvare moralmente tutte le
manifestazioni), non ha pi senso a mio avviso continuare a dire che la
religione per sua natura alienazione.
Forse un tempo lo stata, ma ora non
lo pi. Nel momento in cui la religione
investe direttamente la legittimit morale del capitalismo, sia pure in forme
che ci possono non piacere o addirittura respin- gere, essa automaticamente non pi alienazione. Ai loro tempi Feuerbach, Marx
e Lenin potevano dirlo con qualche ragione, ma ora non pi. Oggi il solo
pensiero alienato quello che sostiene,
direttamente o indirettamente, la legittimit e lin- trascendibilit del
capitalismo nella forma attuale, e della necessit di un unico impero militare
mondiale. Questo, e solo questo, il solo
pensiero alienato. Non ci sono altri pensieri alienati. Non sono sicuro che
Spinoza, Hegel, Marx e Lukcs lo direbbero. Ma la filosofia pensare con la propria testa, ed io mi sento
di dirlo. Nessuno ovviamente sa come si svilupperanno le nuove contraddizioni
di classe. Nella loro vecchia forma delle prime due et del capitalismo, la
borghesia e il pro- letariato fanno parte del passato, anche se in altre parti
del mondo esistono ancora. In Cina ed in India, ad esempio, soltanto adesso
possiamo parlare veramente di scontro di classe borghesi-proletari cos come noi
lo abbiamo conosciuto nellOtto- cento e nel Novecento. Si formeranno certamente
nuove contraddizioni dialettiche 515 CarrroLo XL per ora ancora invisibili. Per
cominciare, improbabile che le classi
medie svilup- patesi nel Novecento, ed ora in caduta verticale non solo di
status e di aspettative, ma anche e soprattutto di condizioni di vita, potranno
sopportare a lungo questo processo come fatale, laddove ovviamente non per nulla fatale, ma provocato dal modello di
sviluppo economico del potere delle oligarchie pi abbiette, crudeli e schifose
dell'intera storia mondiale dai Sumeri ad oggi. Non tocca per alla pratica
filosofica fare dilettantesche previsioni di tipo eco- nomico o sociologico. In
questo senso, il futuro resta ampiamente imprevedibile, ed questa imprevedibilit che fa cadere tutte le
forme di pensiero teleologico, deterministico e messianico. La pratica
filosofica deve invece strutturarsi non sulla (impossibile) prevedibilit,
oppure sulla (ancora pi impossibile) scientificit, ma su tre solidi fondamenti:
il carattere dialogico-comunitario, la deduzione sociale della categorie, e
lontologia dell'essere sociale. Chiariamo ancora una volta di che si tratta, e
soprattutto il perch di questa insistenza. Il carattere dialogico-comunitario
deriva direttamente dalla pratica dellateniese Socrate. Nato sulla base
dell'esigenza di conoscere se stesso (gnothi seautn), si sviluppato sulla base del telos del
convincimento comunitario possibile. Il con- vincimento comunitario presuppone
per il rischio (probabile) che non si riesca a perseguirlo, per il permanere
degli interessi egoistici dei singoli (pleonektein). E tuttavia, bene evitare la fuga in avanti nella
tentazione della costituzione di una lite ideologico-politica, per il semplice
fatto che la verit non pu essere semplice- mente dedotta, affermata e
conosciuta ma deve anche essere condivisa. Nel mondo moderno, Spinoza stato il primo che ha affermato
esplicitamente che la democra- zia, filosoficamente parlando, la coesistenza dei saggi e dei non-saggi. Ma
cosa pu essere la saggezza se non la conoscenza della verit? AI di fuori di
questa definizio- ne, l'unica possibile, ci sono soltanto le regole dellabilit,
i consigli della prudenza, i riti sociali consentiti, il conformismo di ci che
di volta in volta considerato il
politicamente corretto che d luogo all'accesso a posti di comando, i vari
utilita- rismi di gruppo, ecc. Ma il dialogo per sua stessa definizione, interminabile solo idealmente ed
astrattamente. Socialmente parlando, il dialogo deve di tanto in tan- to
determinarsi. La determinazione sociale del dialogo si chiama etica, mentre si
chiama morale la problematizzazione interminabile programmaticamente im-
potente, e proprio per questo lodata da chi vuole che le cose rimangano come
sono. La deduzione sociale delle categorie
il metodo usato in tutto questo trattato stori- co della filosofia. Ogni
generazione di filosofi deve riaggiornarla e rifarla, per cui non esiste, e non
pu esistere, una scoperta definitiva del quadro storico-strut- turale in cui
viene socialmente dedotta la produzione delle categorie. Ad esempio, tutte
queste mie proposte potrebbero essere errate, e tutte meritevoli di correzione
radicale (anche se non lo penso affatto - la mia autocritica ed il mio masochismo
non arrivano a tanto!). Ma questa eventualit non cambierebbe nulla sullutilit
di questo metodo della deduzione sociale delle categorie. Si tratta infatti di
una tera- pia vera e propria, attraverso la quale ci poniamo una serie di
dubbi, sia metodici che iperbolici, sul nostro stesso apparato categoriale. Se
infatti accettiamo il principio 516 La passione durevole per una filosofia
dell'emancipazione che certo pensiamo individualmente e con la convinzione di
essere mossi dal no- stro libero volere, ma non postuliamo questo libero volere
(Cartesio, Kant, ecc.), ed invece lo inseriamo in una totalit sociale
storicamente determinata, allora la tradizione boria dei dotti
(lespressione di Vico) si indebolir.
Solo una vera deduzione sociale delle categorie, infatti, pu permettere di
dimostrare a dito che tutte le tronfie dichiarazioni di fine moderna della
storia dell'ideologia contem- poranea sono false, ed quindi necessario dotarsi del coraggio di
contrastarle, indif- ferenti alle calunnie ed alle incomprensioni. L'ontologia
dell'essere sociale (non parlo qui ovviamente dei libri di Lukcs che hanno
questo titolo) significa che l'essere sociale esiste (come del resto esiste la
natura umana, e su questo punto Chomsky ha completamente ragione e Foucault
comple- tamente torto). Il fatto che l'essere sociale esista, e sia
caratterizzato da categorie ontologiche specifiche, e non solo storico-relative
(il sociologismo relativistico la porta
girevole verso il nichilismo), resta il solo baluardo credibile contro
lillimitata manipolazione che sorregge lattuale epoca della compiuta
peccaminosit. quin- di del tutto normale
che questa ontologia dell'essere sociale si esprima preferibilmen- te nella
forma dei vecchi sistemi filosofici. Il suo carattere mondano, che riguarda ci
che necessariamente interessa ad ogni uomo (Weltbegriff), non pu fare a meno di
prendere l'aspetto del sistema delle categorie e della loro connessione
razionale (Schulbegriff). Quando dunque sentiamo dire che finita l'epoca dei sistemi pos- siamo essere
sicuri al cento per cento di una cosa: chi lo afferma con tanta sicumera vuole
in realt che un solo sistema esista e sia legittimato, il sistema della
produzio- ne ipercapitalistica postborghese e postproletaria della terza et del
capitalismo. A questo punto, possiamo mettere tranquillamente la parola fine a
questo studio. Siamo tornati esattamente dove avevamo cominciato: il potere
comunitario della filosofia, l'irriducibilit della sua funzione sociale
all'ideologia e/o alla scienza, la de- duzione sociale delle categorie,
lontologia dell'essere sociale. L'andare oltre toccher ad ogni singolo lettore.
517 Indice dei nomi A Abbagnano N. 15, 16, 123, 223, 245, 249, 316, 317, 382,
383 Abelardo P. 69, 175 Abendroth W. 453 Achille 66, 78 Adorno T. L. W. 12, 18,
70, 99, 122, 161, 190, 206, 208, 310, 370, 435, 436, 438, 446, 451, 480, 492,
503, 509, 510 Aezio 75 Agamennone 82, 83 Agnelli G. 170 Agostino d'Ippona 109,
158, 159, 160, 168, 183, 184, 185, 186, 290, 358, 440, 441, 513 Akhenaton, il
faraone 50 Albanese A. 160 Alessandro di Afrodisia 105 Alessandro di Hales 168
Alessandro il Macedone 124, 125, 135 Alfri P. 175 Alighieri D. 9,110, 165, 166,
169, 171, 172, 174, 180, 246, 275, 280, 396, 401, 458 Allen W. 59, 187, 446
Althusser L. 8, 18, 96, 107, 121, 147, 172, 207, 208, 209, 244, 252, 261, 264,
269, 272, 315, 317, 318, 321, 323, 368, 369, 410, 419, 423, 454, 466, 467, 500,
502 Ambrogio Aurelio (Sant'Ambrogio) 160 Amin S. 161, 320, 406, 482 Anassagora
56 Anassimandro 56, 57, 59, 66, 73, 74, 75, 77, 78, 95, 100, 103, 115, 120,
416, 421 Anassimene 56, 75, 508 Anders G. 18, 395, 404, 425, 463 Anderson P.
177, 261, 285, 320, 367, 415, 444 Anito di Atene 135 Antistene 132 Antonopoulou
M. 11, 122, 200, 215, 344, 352, 378 Apuleio 96, 160 Archimede 35 Arendt H. 81,
85, 117, 133, 170, 326, 350, 371, 392, 402, 421, 425, 474 Argeri D. 160 Ario
151, 152 Aristofane 89, 129, 315, 464, 489, 508 Aristonico 133 Aristotele 9,
10, 12, 17, 21, 43, 55, 56, 57, 61, 65, 70, 75, 77, 89, 93, 96, 100, 101, 103,
104, 105, 107, 109, 111, 112, 113, 115, 116, 117, 118, 119, 120, 123, 124, 125,
129, 130, 150, 153, 161, 168, 171, 172, 173, 174, 187, 190, 205, 216, 223, 228,
239, 258, 268, 269, 288, 300, 317, 332, 343, 345, 366, 421, 438, 439, 449, 457,
458, 470, 473, 476, 477, 478, 479, 495, 503, 506, 510, 512 Aron R. 287 Assmann
]. 50, 51, 52 Atanasio 152, 153 Auerbach E. 166, 280 Averro 171 Avicenna 499
Axelos K. 423 B Babeuf F.-N. 216 Bacone F. 66, 207, 227 Badiou A. 285 Bahro R.
274 Bakunin M. 252, 491 Baldacci M. 182 Balzac H. de 328, 427, 464 Barthes R.
207 519 Indice dei nomi Bateson G. 263 Baudelaire C. 32 Bauman Z. 297, 442,
443, 493 Bax B. 195 Bayle P. 16, 199, 203 Bebel A. 18 Beda il Venerabile 168
Bedeschi G. 160, 316 Beethoven L. van 7, 149, 328 Bela Kun 479 Benigni R. 110,
165, 404 Benjamin W. 53, 243, 359, 397, 438, 464, 509 Benni S. 317 Bentham J.
228, 264 Berengario di Tours 167, 168 Bergson H. 346, 497 Berkeley G. 225, 226,
227, 228 Berlin I. 287, 323 Berlusconi S. 101, 119, 129, 226, 451 Bernstein E.
331, 480 Bertelli L. 133 Berti E. 105, 110 Bertinotti F. 404 Bettelheim C. 375
Biral A. 100, 112, 135, 158 Blair T. 446 Bloch E. 8, 18, 53, 174, 186, 206,
223, 327, 370, 372, 378, 383, 411, 438, 454, 455, 464, 470, 474, 476, 477, 480,
499, 500, 502 Blossio di Cuma- 96, 133, 134 Blumenberg W. 322 Bobbio N. 18, 89,
116, 223, 245, 287, 350, 378, 415, 448, 475, 479, 503 Bodin L. 363 Boezio di
Dacia 172 Boltanski L. 361, 444, 445, 449, 450, 452, 462 Bombacci N. 490
Bonaventura da Bagnoregio 163, 172 Bonino E. 108 Bordiga A. 370, 371 Borges J.
L. 225, 316, 344, 346, 464 Borkenau F. 192 Bramante 178 Brancusi C. 129 520
Brecht B. 245, 246, 341, 346, 497, 499 Brenner R. 208, 209, 323 Brown P. 148,
150, 217 Bruno G. 65, 69, 188, 218, 231, 402 Bucharin N. 288, 348, 370, 481,
492, 502 Budda 35, 496 Bulgarelli A. 5 Buonarroti M. 109, 178, 326, 493 Burke
E. 213 Bush G. 53 C Caifa 138 Calogero G. 97, 98, 99, 106 Canfora L. 85 Cantore
P. 168 Capizzi A. 61 Capograssi G. 298 Carnap R. 96, 261, 264 Cases C. 455,
503, 509 Cassandra 82 Cassirer E. 190, 213, 223, 290, 342, 484 Castoriadis C.
439, 491 Castro F. 307 Catone M. P. 21, 473 Cline L.-F. 490 Cervantes M. de 458
Cesa C. 284 Cesare G. 184 Chang En Tse 343 Chartier .-A., detto Alain 378, 379
Chavance B. 219, 311, 353 Chiapello E. 361, 444, 445, 449, 450, 452, 462
Chomsky N. 517 Christie A. 219 Chryssis A. 126 Chuang Tse 35, 43 Cicerone M. T.
157, 471 Ciro il Grande 51, 52, 182 Clausewitz K. von 374 Cleomene 84, 133
Cliff T. 375 Indice dei nomi Clinton B. 53, 186 Clistene 46, 61, 81, 83, 84, 85,
98, 104, 132 Clitennestra 82, 83 Cohn-Bendit D. 489 Colletti L. 8, 107, 159,
160, 189, 252, 261, 264, 272, 274, 302, 307, 316, 368, 369, 372, 382, 384, 410,
417, 419, 421, 422, 433, 437, 458, 464, 466, 467, 475, 500 Colli G. 97 Comte A.
22, 96, 272, 273, 308, 316, 317, 344, 364, 379, 389, 417, 467 Condorcet J.-A.
Cariat de 214, 215, 227, 321, 430 Confucio 35, 43 Constant B. 88, 378 Cordero
di Montezemolo L. 119 Corneille J. F. 85 Costantino detto il Grande 147, 148,
151, 153, 156, 159 Cournot A. A. 261 Cratilo 61, 104 Crisippo 130 Crizia 89
Croce B. 108, 137, 181, 213, 230, 232, 253, 360, 368, 370, 378 Cromwell O. 185
Cubeddu I. 190 Cusano N. 93, 94, 173 D Dahrendorf 287 Darwin C. 35, 201, 303,
307, 324, 352, 430, 456, 463 De Benoist A. 51, 137 Debord G. 102, 329, 397, 454
Deborin A. M. 348, 349, 350 De Curtis A. 316 Defoe D. 191 De Gaulle C. 449
Deleuze G. 382, 383 Della Volpe G. 107, 159, 261, 302, 316, 317, 368, 382, 383,
454, 500 Del Noce A. 108 Democrito 9, 56, 121, 125, 130, 201, 202, 216, 344, 358
Denis H. 116, 118, 172, 288 De Sade D. A. F. 436 De Sanctis F. 471 Descartes R.
(Cartesio) 11, 69, 76, 159, 187, 188, 189, 190, 191, 192, 193, 195, 197, 198,
204, 206, 208, 211, 224, 226, 227, 228, 229, 231, 240, 242, 268, 271, 272, 276,
340, 344, 381, 386, 387, 410, 422, 423, 428, 433, 468, 482, 511, 517 De S.
Croix G. 116, 117, 118 Deutscher I. 487 D'Holbach P. H. T. 351, 388 D'Hondt J.
283, 284, 290 Diano C. 75, 76 Dimitrov G. M. 288, 490 Diocleziano 147 Diodoro
326 Diodoto 59, 61, 62, 67, 104, 126, 127, 136, 385, 393 Diogene di Sinope il
Cinico 131, 132 Diogene Laerzio 58, 61, 122, 131 Dobb M. 481 Dodds E. 147
Domenico tdi Guzmn 171, 172 Donini A. 139 DoriotJ. 490 Dostoevskij F. M. 181,
354 Doyle C. 219 Dreyfus A. 96, 363 Dumzil G. 434 Dumont L. 45, 289 Duns Scoto
G. 206, 421 Durkheim . 255, 271, 295 E Eagleton T. 28 Eco U. 175 Edipo 131,
178, 222 Efesto 116 521 Indice dei nomi Egisto 82, 83 Einaudi L. 129, 286
Einstein A. 346 Elettra 83 Elia 35 Eloisa 175 Eltsin B. N. 145 Engels F. 10,
17, 19, 21, 103, 111, 153, 186, 195, 198, 200, 201, 203, 214, 222, 243, 244,
250, 275, 293, 295, 304, 306, 308, 323, 324, 325, 327, 331, 332, 333, 334, 336,
340, 344, 348, 351, 352, 357, 368, 461, 497, 502 Enzenberger H. M. 195 Epicuro
7, 9, 17, 57, 119, 121, 122, 123, 124, 125, 126, 130, 161, 199, 201, 216, 240,
251, 253, 276, 280, 358, 458, 470, 471, 476 Epitteto 134 Eraclito 35, 57, 59,
61, 62, 63, 66, 67, 68, 69, 72, 76, 95, 98, 103, 106, 115, 120, 126, 129, 152,
161, 168, 278, 338, 385, 393, 416, 433, 434, 455, 471, 508 Erasmo da Rotterdam 179 Erennio Filone 157
Ermodoro di Efeso 61 Erodoto 52 Eschilo 76, 78, 82, 97, 508 Esiodo 78, 169
Euripide 76, 508 Eusebio di Cesarea 153 Evemero da Messina 133, 134 F Fallot J.
121 Farrington B. 126, 134 Federico II di Prussia 251, 430 Fher M. 503 Fennell
D. 404, 405 Fetscher I. 284, 341, 408 Feuerbach L. 50, 108, 125, 171, 198, 199,
245, 256, 296, 297, 334, 351, 389, 421, 465, 515 522 Feyerabend P. 311, 342,
422, 461 Fichte J. G. 10, 17, 18, 93, 96, 105, 136, 160, 191, 202, 213, 214, 223,
224, 238, 243, 244, 245, 246, 247, 248, 249, 250, 251, 252, 253, 254, 256, 267,
268, 286, 291, 296, 300, 317, 321, 340, 343, 351, 368, 405, 410, 411, 413, 422,
430, 431, 438, 459, 462, 484, 488, 515 Fidia 76, 129, 508 Findlay J. N. 275
Finelli R. 467 Fineschi R. 466 Finley M. 116 Fiorillo C. 5 Fischer E. 354
Flores D'Arcais P. 110, 352 Folengo G. (Teofilo Folengo) 464 Forman M. 476
Foucault M. 237, 517 Francesco d'Assisi 171, 172, 174, 175, 292, 339 Franco F.
175, 489 Frank G. 482 Freud S. 49, 50, 52, 101, 178, 186, 237, 238 Fromm E. 466
Fukuyama F. 395, 451, 475, 510 Fung Yu Lan 42 Furet F. 292, 402, 480, 510
Fusaro D. 5, 169 G Gadamer H.-G. 315 Gadda C. E. 357 Galilei G. 27, 32, 36, 66,
167, 168, 187, 189, 190, 257, 263, 300, 302, 303, 305, 307, 422, 460, 511
Galimberti U. 221, 238, 263, 432, 466, 468, 475 Gallo Lassere D. 5 Garaudy R.
173, 229 Gates B. 430 Gehlen A. 510 Gentile G. 213, 360, 367, 368, 370, 371,
378 Indice dei nomi Geremia 35 Ges di Nazareth 87, 136, 138, 139, 140, 141,
149, 151, 152, 162, 163, 167, 169, 175, 178, 182, 205, 217, 221, 222, 225, 274,
292, 313, 372, 373, 405, 429, 496 Getty A. 488 Geymonat L. 173, 201, 250, 342,
343, 422, 497, 503 Giambulo 133, 134 Giancotti E. 196, 200, 201, 202, 203, 204,
227,284 Giannantoni G. 97, 98, 99, 106 Gibbon E. 146 Gigon O. 78, 87, 508
Gioacchino da Fiore 178, 396 Giocasta 131 Giovanni Crisostomo 150 Giovanni
Paolo II 411 Giuliano detto lApostata 130, 134, 151, 157, 159, 160, 161
Glaucone 101 Goethe J. W. von 263, 458, 473, 476 Goldmann L. 195, 196, 225, 468
Gorbaciov M. 145 Gordiano III 157 Gorgia 87, 262, 272 Gorter H. 491 Graham A.
C. 42, 43, 77 Gramsci A. 9, 18, 21, 221, 246, 326, 360, 361, 362, 366, 370,
371, 438, 453, 461, 480, 481, 492, 497, 507 Grecchi L. 5, 116, 118 Gregorio VII
167 Grillo B. 110, 278 Grozio U. 218 Guevara E. 21 Guglielmo di Occam 69, 110,
155, 167, 168, 174, 175, 180, 227, 253, 278, 319, 363, 396, 433, 472 Guglielmo
II 283 H Habermas]. 18, 98, 116, 170, 207, 208, 229, 250, 350, 415, 435, 436,
437, 438, 439, 442, 451, 456, 461, 470, 478, 487, 503, 504, 506, 510 Hardt M.
330 Harvey W. 428, 442, 443, 445, 448, 450, 451, 452, 462, 482, 506 Hatvany E.
476 Havelock E. 75 Hegel G. W. F. 8,9, 10, 11, 12, 15, 17, 18, 20, 21, 23, 27,
45, 46, 57, 58, 63, 65, 67, 69, 70, 71, 72, 76, 77, 87, 93, 94, 95, 97, 98, 99,
105, 106, 107, 108, 109, 110, 111, 119, 121, 122, 123, 124, 125, 127, 132, 133,
135, 136, 141, 142, 143, 149, 150, 152, 159, 160, 161, 163, 165, 170, 171, 177,
179, 181, 189, 190, 191, 195, 196, 197, 198, 200, 201, 202, 203, 204, 211, 212,
214, 218, 221, 222, 223, 224, 225, 227, 232, 238, 240, 243, 244, 245, 246, 247,
248, 250, 255, 256, 257, 258, 259, 260, 261, 262, 263, 264, 265, 266, 267, 268,
269, 271, 272, 273, 274, 275, 276, 277, 278, 279, 280, 281, 283, 284, 285, 286,
287, 288, 289, 290, 291, 292, 293, 294, 295, 296, 297, 298, 299, 300, 301, 303,
305, 306, 307, 308, 309, 312, 315, 317, 321, 322, 323, 328, 332, 333, 338, 339,
340, 341, 342, 343, 344, 345, 347, 348, 349, 351, 352, 357, 364, 365, 366, 368,
369, 370, 372, 374, 378, 380, 381, 382, 383, 384, 387, 391, 393, 394, 395, 399,
400, 402, 403, 405, 407, 408, 409, 410, 411, 412, 413, 415, 416, 419, 420, 421,
422, 424, 428, 430, 433, 434, 436, 437, 438, 439, 446, 447, 448, 449, 451, 452,
453, 454, 457, 458, 459, 465, 466, 467, 468, 469, 470, 471, 472, 475, 476,
477,478, 479, 481, 482, 484, 485, 486, 487, 488, 490, 491, 495, 496, 503, 504,
505, 506, 509, 510, 511, 512, 514, 515 Heidegger M. 8, 15, 27, 69, 74, 143,
161, 190, 192, 204, 206, 208, 209, 221, 223, 229, 233, 238, 242, 253, 262, 303,
323, 523 Indice dei nomi 352, 367, 385, 386, 392, 395, 396, 399, 405, 407, 409,
410, 413, 414, 415, 416, 417, 418, 419, 420, 421, 422, 423, 424, 425, 428, 432,
433, 434, 443, 446, 451, 452, 454, 456, 458, 474, 475 Heller A. 486, 487, 488,
494, 503, 504 Herbart J. F. 250, 343, 410 Herder J. G. 321, 473 Hessen B. 188
Hilferding R. 13, 302 Hitler A. 260, 283, 284, 348, 350, 365, 374, 401, 402,
405, 409, 415, 416, 424, 474, 481, 482, 483, 484, 485, 488, 489, 493 Hobbes T.
23, 175, 191, 216, 218, 290, 487, 511 Hobsbawm E. 400, 444 Hobson J. A. 482 Ho
Chi Minh 402 Hofmann W. 453, 503 Holz H. H. 453 Horkheimer M. 122, 435 Hume D.
11, 13, 20, 23, 50, 74, 77, 90, 117, 184, 185, 191, 197, 204, 206, 212, 218,
219, 225, 226, 227, 228, 239, 240, 242, 251, 264, 266, 279, 300, 301, 303, 305,
307, 339,344, 375, 382, 387, 388, 405, 408, 410, 411, 465, 468, 508 Husserl E.
188, 189, 263, 303, 360, 415, 422 Hutcheson F. 240 Hyppolite J. 173, 277, 284,
477 I Ignazio di Loyola 488 Iuminati A. 201 Innocenti P. 121, 123 Innocenzo IV
168 Irving L. C. 366 Isagora 84 Isaia 35, 138 524 J Jaffe H. 320 Jameson F.
428, 442, 443, 452, 462 Jaspers K. 27, 35, 36, 382, 383 Judin P. 349, 350, 383
K Kafka F. 316, 346, 464 Kalomalos T. 82 Kant I. 10, 11, 13, 15, 16, 17, 18,
23, 32, 42, 65, 69, 76, 93, 98, 104, 105, 112, 123, 134, 137, 149, 159, 190,
191, 192, 193, 197, 203, 204, 211, 219, 221, 222, 223, 224, 225, 226, 228, 229,
230, 232, 233, 235, 236, 237, 238, 239, 240, 241, 242, 243, 244, 246, 247, 249,
250, 251, 254, 257, 260, 262, 266, 268, 272, 274, 276, 278, 279, 283, 295, 296,
300, 301, 304, 305, 307, 310, 311, 319, 323, 331, 340, 341, 342, 343, 345, 346,
351, 354, 358, 359, 372, 378, 379, 380, 381, 382, 387, 390, 391, 393, 410, 417,
428, 433, 436, 453, 456, 457, 458, 468, 469, 472, 473, 476, 482, 484, 486, 491,
505, 506, 508, 509, 510, 511, 512, 517 Kautsky K. 21, 111, 214, 222, 244, 295,
323, 324, 336, 340, 346, 370, 480, 495, 497, 502 Keaton B. 187, 414 Kelsen H.
89 Keynes]. M. 366 Khun T. 496, 501 Kierkegaard S. A. 65, 195, 258, 259, 315,
382, 383 Kipling R. 147 Kojve A. 261, 475, 510 Kolakowski L. 341, 504 Korais A.
153 Korsch K. 454, 480, 492, 493, 494, 498, 499, 502 Koselleck R. 57, 160, 201,
277, 293, 484 Kosk K. 202, 267, 370, 437, 461, 475, 497 Indice dei nomi
Kouloubaritsis S. 158, 159 Kovaliov S. I. 326 Krader L. 320 Kropotkin P. A. 252
Krusciov N. 18, 354 Kuhn T. 187, 188, 189, 311, 337, 342, 422 L Laas E. 343,
344, 368, 497 Labriola A. 97 Lafargue P. 331 La Grassa G. 330, 375 Lakatos I.
311, 461 Lange F. A. 17, 111, 222, 250, 342, 346, 368, 497 Lao Tse 35, 43 Las
Casas B., di 186 Lasch C. 403, 443 Lassalle F. 308, 461, 491 Lefebvre H. 498,
502 Le Goff J. 168 Leibniz G. W. von 16, 135, 193, 225, 226, 227, 265, 273,
277, 343, 434 Lenin V. I. 10, 19, 20, 21, 103, 171, 174, 185, 199, 200, 238,
250, 288, 292, 323, 346, 347, 348, 349, 351, 362, 384, 402, 406, 408, 466, 477,
482, 485, 486, 492, 499, 502, 515 Leopardi G. 166, 193 Lessing G. E. 203, 473
Levi Montalcini R. 263, 264 Licurgo 84, 133 Liedman E. 244, 312, 352 Lie Tsu 35
Liverani M. 51, 52, 182 Locke J. 23, 117, 186, 191, 197, 204, 206, 216, 218,
225, 226, 227, 228, 242, 254, 266, 288, 319, 339, 378, 388, 408, 465, 511 Loewy
M. 397 Loisy A. 163 Lonzi C. 274 Losurdo D. 284, 483 Lwith K. 136, 230, 304,
315, 316, 317, 320, 321, 334, 336, 348, 367, 368, 369, 372, 376, 378, 381, 382,
383, 384, 391, 407, 413, 417, 424, 433, 437, 443, 458, 464, 466, 474, 475, 500
Lucano M. A. 21 Luciano di Samosata 96, 132, 160 Lucrezio 130, 161 Luhmann N.
209, 332 Luigi XVI 237 Lukcs G. 7, 8, 9, 10, 11, 12, 15, 16, 18, 19, 21, 50,
69, 70, 72, 73, 90, 93, 101, 103, 105, 108, 109, 119, 123, 137, 142, 160, 163,
173, 179, 182, 190, 198, 199, 201, 203, 206, 209, 215, 223, 225, 239, 249, 250,
257, 266, 268, 269, 271, 286, 303, 304, 309, 313, 325, 328, 334, 362, 367, 369,
378, 383, 384, 396, 399, 405, 411, 422, 424, 438, 453, 454, 455, 456, 457, 458,
459, 460, 462, 463, 464, 465, 467, 468, 469, 470, 471, 472,473, 474, 475, 476,
477, 478, 479, 480, 481, 482, 483, 484, 485, 486, 487, 488, 489, 490, 492, 494,
495, 496, 497, 500, 501, 502, 503, 504, 506, 507, 515, 517 Lutero M. 174, 177,
178, 179, 180, 182, 183, 184, 217, 283, 358 Luxemburg R. 288, 440, 460, 466,
480, 482,. 502 Lyotard J.-F. 199, 304, 337, 427, 428, 429, 430, 431, 433, 435,
437, 439, 440, 441, 442, 443, 451, 452, 462, 464, 475, 480, 491, 510 Lyssenko
T. D. 350 M Machiavelli N. 121, 277, 361 Mac Luhan M. 179 Maimonide (Moshe ben
Maimon, detto anche Rambam) 499 Maitan L. 375 Majakovsky V. V. 354 525 Indice
dei nomi Malebranche N. 197, 206, 208, 227, 228 Mandel E. 306, 375, 443, 444
Mandeville B. de 240 Mani, fondatore del manicheismo 157 Mannheim K. 360 Mann
T. 464, 487 Manzoni A. 357 Maometto 151, 223, 284, 351, 405, 496 Mao Tse Tung
10, 19, 21, 106, 107, 200, 288, 326, 375, 402, 488 Marchionne S. 129 Marcione
231 Marco Aurelio 134, 135 Marcuse H. 70, 189, 228, 261, 264, 265, 275, 284,
298, 370, 473, 509 Marsilio Ficino 173, 178, 188, 303 Martens L. 488 Marx K.
8,9, 10, 11, 12, 13, 17, 18, 19, 20, 21, 23, 36, 47, 50, 52, 53, 57, 58, 61,
63, 67, 69, 70, 71, 72, 75, 79, 84, 93, 94, 95, 96, 97, 101, 105, 106, 107,
108, 110, 111, 112, 113, 116, 117, 118, 119, 121, 123, 124, 125, 126, 127, 130,
133, 136, 145, 146, 149, 153, 157, 159, 160, 161, 163, 165, 168, 169, 171, 173,
174, 181, 182, 183, 189, 190, 191, 192, 195, 197, 198, 199, 201, 202, 204, 207,
208, 209, 210, 212, 213, 214, 215, 218, 219, 221, 222, 223, 224, 229, 233, 238,
243, 244, 245, 246, 247, 248, 249, 251, 252, 254, 256, 261, 262, 266, 268, 269,
271, 272, 273, 275, 276, 279, 280, 281, 284, 286, 288, 290, 293, 295, 296, 297,
298, 299, 300, 301, 302, 303, 305, 306, 307, 308, 309, 310, 311, 312, 313, 315,
316, 318, 320, 321, 322, 323, 324, 325, 326, 327, 328, 329, 330, 331, 332, 333,
334, 336, 337, 340, 342, 345, 351, 353, 354, 355, 357, 358, 359, 360, 363, 364,
365, 366, 367, 368, 369, 370, 372, 373, 374, 375, 378, 380, 381, 383, 384, 385,
391, 392, 393, 394, 395, 396, 397, 400, 402, 405, 407, 408, 409, 410, 411, 412,
413, 414, 416, 417, 419, 420, 422, 423, 424, 428, 429, 430, 431, 433, 434, 437,
438, 439, 440, 441, 442, 446, 447, 448, 449, 451, 526 452, 453, 454, 455, 457,
458, 459, 461, 462, 463, 464, 465, 466, 467, 468, 470, 471, 472, 473, 474, 475,
477, 480, 481, 482, 485, 486, 487, 488, 490, 491, 492, 495, 496, 499, 500, 501,
503, 504, 505, 508, 510, 512, 514, 515 Masini F. 195, 377 Matthyas E. 370, 497
Mattick P. 480 Mecenate G. C. 96 Meiskins Wood E. 82 Meleto 135 Melotti U. 320
Mencio (Meng Tzu) 42 Merker N. 230, 247, 317 Merleau-Ponty M. 292, 464
Metternich K. von 264, 285, 485 Michelet J. 280 Michels R. 379 Mill S. 70, 228,
307, 339, 344 Mills W. 216 Mitterand F. 446 Molire (J.-B. Poquelin) 85, 129
Monchietto A. 5 Mondolfo R. 75 Montaigne M. E. de 240 Moritz R. 41 Mos 52 Mosse
493 Mo Ti 35 Mozart W. A. 7, 476 Miintzer T. 186, 327, 500 Mussolini B. 274,
360, 401, 402, 479, 489, 491 Myrdal G. 137 N Nabucodonosor 51, 94 Nagy I. 494,
495 Napoleone Bonaparte 184, 226 Napoleoni C. 307, 322, 366, 465 Negri A. 96,
126, 191, 196, 197, 198, 201, 324, 330 = Indice dei nomi Newton J. 227, 228,
229, 257, 263, 302, 303, 346, 511 Nietzsche F. 11, 47, 50, 65, 81, 85, 102,
117, 133, 137, 142, 155, 161, 195, 211, 239, 256, 274, 283, 301, 303, 304, 326,
328, 346, 354, 377, 379, 380, 381, 382, 383, 384, 385, 386, 388, 389, 390, 391,
392, 394, 395, 396, 397, 405, 409, 411, 412, 414, 421, 424, 436, 441, 446, 455,
460, 468, 472, 475, 478, 482, 508, 509 Nolte E. 402 O Odifreddi P. 280 Omero
24, 35, 65 Onfray M. 51, 121, 137 Orazio (Quinto Orazio Flacco) 126, 362 Oreste
83 Origene Adamanzio 157 Osio, vescovo di Cordova 153 Otto W. 121 Ovidio
(Publio Ovidio nasone) 45 Owen R. 211, 378 P Paciello G. 5 Panikkar R. 36
Pannekoek A. 387, 480, 492 Pannella M. 108 Paolo di Tarso 136, 138, 141, 149,
156, 162, 199, 217, 236, 237, 253, 312, 424, 429, 512 Papadopoulos G. 147
Pareto V. 328, 379 Parmenide 35, 57, 69, 70, 71, 72, 95, 98, 104, 106, 115,
120, 123, 124, 156, 163, 196, 246, 247, 278, 338, 385, 416, 428, 433, 434, 508
Pascal B. 157, 195, 196 Pelagio Britannico 158, 183 Penelope 82 Peperzak A. T.
378 Perelli L. 161 Pericle 76, 85, 117, 182 Petronio (Tito Petronio Nigro) 158
Petry F. 306 Pezzano G. 5 Piganiol A. F. G. 145 Pinochet A. 147 Pirrone di
Elide 280 Pisistrato 84, 85 Pitagora 27, 46, 56, 57, 61, 62, 65, 66, 67, 77,
95, 98, 104, 106, 115, 120, 129, 130, 303, 339, 433 Platone 7, 12, 17, 23, 35,
56, 57, 62, 67, 73, 83, 87, 88, 93, 94, 95, 96, 97, 98, 99, 100, 101, 102, 103,
105, 106, 107, 113, 115, 120, 124, 126, 129, 130, 132, 135, 153, 158, 159, 161,
173, 178, 201, 204, 216, 255, 258, 260, 276, 278, 296, 300, 303, 304, 344, 345,
367, 385, 392, 396, 421, 428, 433, 434, 457, 458, 476, 488, 512 Plekhanov G. V.
201, 203, 340, 358, 497 Plotino 57, 69, 157, 158, 159, 160, 161 Plutarco 84 Poe
E. A. 428 Pggeler O. 277, 278, 285, 298, 317, 438 Polanyi K. 116, 117, 118,
173, 209, 288, 319, 366 Pol Pot 402, 489 Pomponazzi P. 472 Ponzio Pilato 138,
162 Popper K. 93, 94, 95, 98, 183, 188, 238, 258, 264, 274, 323, 372, 461, 498
Pound E. 490 Preve C. 5,8 Proclo 157, 160, 231 Prodi R. 119, 406, 509 Protagora
46, 87, 89, 262, 344 Proudhon P.-J. 211, 378 Proust M. 149 Pufendorf S. von 218
527 Indice dei nomi O Quisling V. 490 R Raffaello Sanzio 96, 178, 180 Rakosi M.
495 Ranke M. 412, 413 Ratzinger]. 20, 88, 89, 105, 110, 138, 149, 173, 233,
271, 283, 373 Ravelli F. 5 Rawls]J. 350, 415 Reale G. 105, 110 Redondi P. 167
Renan . 138 Renault E. 492 Revelli M. 378, 380 Ricardo D. 116, 174, 264, 306,
366 Ricoeur P. 112, 115 Rizzi B. 375 Robespierre M. de 264, 292, 293, 430, 485
Robin R. 210 Rockmore T. 275 Roosevelt 493 Rorty R. 160, 272, 301, 413, 496,
501, 506 Rosanvallon P. 219 Rosdolsky R. 306 Rosenkranz K. 277 Rousseau J.-J.
107, 126, 216, 218, 243, 252, 254, 264, 290, 293, 343, 378, 402, 430, 465, 485,
487 Rubin E. J. 306 Rushdie S. 414 Russell B. 228, 246, 247, 248, 254, 260,
264, 274, 339 S Salgari E. 301 Salieri A. 476 Sapore, re sasanide di Persia 157
528 Saramago J. 448 Sarkozy N. 147, 449 Sartre J.-P. 18, 361, 454, 500 Scarponi
A. 7 Schelling F.W.]J. 249, 256, 258, 261, 263, 267, 268, 298, 343, 349, 352,
383, 415, 484 Schmitt C. 165, 322 Schopenhauer A. 27, 65, 211, 239, 246, 258,
259, 315, 383, 416, 472, 473 Schumacher M. 283 Schumpeter J. A. 366 Seferis Y.
65 Sellers P. 246 Seneca 130, 134, 135, 157 Senofonte 87 Seplveda L. 186
Serveto M. 180 Severino E. 60, 386 Sfero di Sparta 133, 134 Shakespeare W. 85,
129, 354, 458 Sichirollo L. 284 Simeone lo Stilita 344 Simmel G. 411, 416, 432,
446, 451, 454, 475, 476, 477, 478, 489 Simone di Tournai 168 Simopoulos K. 125
Simplicio 74, 189 Singer P. 275 Sismondi J. C. L. de 211 Smith A. 23, 66, 90,
116, 117, 173, 174, 184, 191, 192, 212, 218, 219, 240, 264, 287, 305, 306, 319,
344, 366, 408 Soboul A. 293 Socrate 35, 43, 46, 73, 78, 83, 87, 88, 89, 90, 91,
95, 97, 98, 99, 101, 104, 105, 106, 113, 124, 129, 133, 135, 138, 262, 271,
292, 365, 369, 417, 455, 456, 507, 508, 510, 516 Sofocle 129, 508 Sofri A. 489
Sohn-Rethel A. 11, 58, 71, 167, 196, 225, 310, 344, 392, 506 Solone 79, 84, 98,
104, 140 Solzenitsyn A. I 286, 351 Sombart W. 186 Indice dei nomi Sordi A. 489
Sorel G. 18, 165, 243, 346, 370, 497 Spencer H. 471 Spengler O. 274, 328
Spinoza B. 49, 50, 53, 93, 105, 109, 110, 121, 137, 186, 190, 193, 196, 197,
198, 199, 200, 201, 202, 203, 204, 212, 224, 225, 226, 227, 231, 239, 246, 249,
258, 266, 267, 272, 276, 278, 279, 294, 295, 300, 332, 338, 339, 343, 345, 347,
358, 364, 369, 391, 393, 402, 405, 410, 422, 441, 453, 454, 457, 458, 469, 470,
476, 482, 484, 490, 496, 507, 509, 512, 514, 515, 516 Stalin G. 10, 19, 61, 81,
85, 95, 96, 107, 117, 133, 153, 173, 182, 183, 200, 232, 250, 284, 288, 323,
348, 349, 350, 351, 352, 373, 374, 392, 401, 402, 404, 405, 409, 424, 430, 440,
472, 479, 480, 481, 482, 485, 486, 487, 488, 489, 493, 495, 502, 513 Stendhal,
M.-H. Beyle, detto 328 Stevenson R. L. 354 Stone E. 89, 90 Swedenborg E. 10
Sweezy P. 189, 276, 306, 400, 481, 482 T Talete 56, 57, 75, 179, 206, 231, 251,
508 Taylor C. 284 Teofrasto 75 Terracini U. 371 Tertulian N. 9, 455, 503
Theodoris C. 124 Thomasius G. 15 Thomson G. 43, 65, 75, 76, 78, 121 Tiberio
Gracco 133 Tieste 82 Tocqueville A. de 328 Togliatti P. 96 Tommaso d'Aquino 12,
55, 69, 105, 110, 168, 171, 172, 173, 174, 175, 190, 250, 288, 303, 339, 435,
505 Torquemada T. de 222, 402, 513 Torri M. 45 Toscani O. 110 Tosel A. 196,
200, 203, 204, 227, 272, 498, 507 Trendelenburg F. A. 250, 410, 421 Trotzky L.
19, 200, 354, 440, 460, 493, 494 Tucidide 35, 508 Turchetto M. 352 Turgot A. R.
J. 213, 214, 227, 321, 430 Tutankhamen 94 V Vade M. 108, 311, 313 Vajda M. 503
Varesio E. 5 Vattimo G. 108, 132, 160, 413, 443, 475 Vegetti M. 156 Veltroni V.
116, 147 Vergs]. 89 Viano A. 123, 280, 316 Vico G. B. 203, 254, 276, 277, 517
Vittorio Emanuele III 226 Vogt C. 108 l Voltaire (F.-M. Arouet), detto 36, 193,
227, 328, 430 Vranicki P. 341 W Wagner R. 283 Waltari M. 50 Weber M. 13, 50,
74, 77, 163, 180, 186, 209, 210, 215, 217, 229, 230, 300, 303, 304, 305, 307,
372, 379, 380, 387, 391, 395, 396, 399, 405, 407, 409, 410, 411, 412, 413, 414,
415, 416, 419, 425, 427, 432, 433, 434, 436, 443, 444, 450, 451, 454, 458, 467,
474, 475, 476, 477, 478, 484, 489, 500, 502, 503, 505, 510 529 Indice dei nomi
Whitehead A. N. 255 Z Wilde O. 436 Windelband W. 223 Zapata E. 289 Wittgenstein
L. 339, 474, 512 Zapatero J. L. R. 289 Wolff C. 15, 16, 240, 250 Zarathustra
Spitama 35 Zdanov A. A. 383 Zenone 130, 131, 135, 136, 280, 471 Zinoviev A. 286
Zosimo 148 530 Sommario Nota editoriale Prologo Introduzione Il significato
filosofico del termine Ontologia dell'Essere Sociale I La natura ad un tempo
necessariamente filosofica ed ideologica delle categorie del pensiero umano II
L'unit ontologica di macrocosmo naturale e di microcosmo sociale e la sua
progressiva differenziazione storica II. La teoria del Periodo Assiale di Karl
Jaspers e l'insieme dei problemi interpretativi che essa pone IV. La genesi
ontologico-sociale del pensiero filosofico nell'antica Cina V. La genesi
ontologico-sociale del pensiero filosofico nell'antica India VI. La genesi
ontologico-sociale del messianesimo religioso esclusivista nell'antico Israele
VII. Il passo falso iniziale. La ricostruzione di Aristotele della storia della
filosofia precedente e la sciagurata successiva filastrocca di opinioni 15 27
31 35 41 45 49 55 533 Sommario VII. Il poema della natura di Eraclito secondo
linterpretazione del grammatico alessandrino Diodoto IX. Il numero di Pitagora
ed il logos come calcolo sociale delle buone proporzioni geometriche nella
comunit x. L'Essere di Parmenide come metafora e proiezione ideale eterna della
stabilit e della permanenza nel tempo della buona legislazione XI. L'Apeiron di
Anassimandro come prioiezione ideale astratta del pericolo dellinfinitezza e
dell'indeterminatezza delle ricchezze individuali per la convivenza comunitaria
XII. La riforma democratica del pitagorico ateniese Clistene come applicazione
politica diretta della centralit del metron e dellisorropia, fondamenti
ontologico-sociali del sapere filosofico antico XII. Socrate, il moscone
fastidioso del nobile cavallo della democrazia degli ateniesi. La critica
razionale al fallimento politico degli automatismi del modello democratico di
Clistene XIV. Platone, un pitagorico socratico. Le basi ontologico-sociali del
modello idealistico bimondano e lindividualizzazione dell'ideale della
isorropia allinterno dell'anima del singolo XV. La prima formulazione
sistematica dellontologia dell'essere sociale in Aristotele. La normativit
ontologica della natura umana individuale XVI. La prima critica sociale
sistematica priva della mediazione simbolica della natura al pericolo della
crematistica in Aristotele 534 59 65 69 73 81 87 93 103 115 Sommario XVII. Il
necessario ripiegamento individualistico in una comunit protetta di amici in
Epicuro e la sua spiegazione ontologico-sociale XVIII. La fuga in avanti
cosmopolitica della comunit dei saggi e la compensazione utopica alla miseria
del mondo reale degli Stoici XIX. La miseria del mondo romano e la formazione
sociale dei presupposti del cristianesimo. Il rovesciamento dialettico
dellImperium in Basileia e l'inversione ontologico-sociale della Terra in Cielo
XX. Il regno celeste del Povero ed il regno terrestre del Ricco. Sulla genesi
ontologico-sociale della fondazione ideologica del cristianesimo costantiniano
e post-costantiniano XXI. Il mutamento di funzione sociale e politica della
sintesi filosofica neoplatonica dall'estrema difesa del mondo antico alla
legittimazione del mondo gerarchico feudale XXIL La sacralizzazione religiosa
degli Ordines sociali medioevali, le grandi cattedrali teologiche domenicane ed
il significato ontologico-sociale della contestazione nominalistica francescana
XXIII. La natura ontologico-sociale della rivoluzione protestante europea e
dellaffermazione del rapporto diretto fra l'individuo e la divinit mediato dal
testo vetero-testamentario XXIV. Il significato ontologico-sociale della
Costituzione Formalistica del Soggetto nel Cogito ergo Sum di Cartesio 121 129
135 145 155 165 177 187 535 Sommario XXV. La centralit del pensiero di Spinoza
nel ristabilimento moderno dellontologia dell'essere sociale195 XXVI. La Grande
Instaurazione illuministica del fondamento metafisico del pensiero borghese
moderno: il tempo del progresso, lo spazio della materia ed il lavoro astratto.
La critica utilitaristica al diritto naturale ed al contratto sociale XXVII. Il
Kant della critica alla metafisica. Il significato ontologico-sociale della
separazione fra le categorie dell'essere e le categorie del pensiero XXVIII. Il
Kant della fondazione individualistica della morale ed il rifiuto dell'etica
comunitaria come eteronomia XXIX. Il ristabilimento dellontologia dell'essere
sociale in Fichte e la connotazione del presente come epoca della compiuta
peccaminosit XXX. Hegel e la scoperta progressiva della filosofia prima e della
scienza filosofica poi come terreno del ristabilimento dellontologia
dell'essere sociale XXXI. Hegel ed il ristabilimento ontologico-sociale della
storicit. La fenomenologia dello spirito, la filosofia della storia e la storia
della filosofia, tre aspetti di un unico complesso ideale XXXII. La filosofia
politica di Hegel e la sua opposizione determinata al conservatorismo dei
vecchi ceti, alla dispersione individualistica dell'economia politica inglese e
alla furia del dileguare russoviano-giacobina 536 195 205 221 235 245 255 271
283 Sommario XXXIII. La scienza filosofica di Karl Marx. La centralit della
categoria modale di possibilit ontologica senza alcuna garanzia necessaria di
filosofia della storia secolarizzata di superamento comunista globale del modo
di produzione capitalistico XXXIV. Il materialismo storico di Marx. Una scienza
non-filosofica innestata su di una scienza filosofica dellemancipazione umana.
Storia, modo di produzione, forze produttive sociali, rapporti sociali di
produzione, ideologia e rivoluzione XXXV. Storia del marxismo 1870-2000 in una
prospettiva storico-genetica ed ontologico-sociale XXXVI. Il grande marxismo
indipendente del Novecento, testimonianza di libert, critica dello sfruttamento
capitalistico ed imperialistico ed autocritica delle formazioni ideologiche
marxiste di partito e di Stato XXXVII. La filosofia di Nietzsche e le ragioni
storico-sociali del suo grande successo fra gli intellettuali ed il grande
pubblico. La critica unitaria alle metafisiche borghesi e alle metafisiche
proletarie XXXVIII Solo un Dio pu ancora salvarci. L'esito depressivo nella
filosofia contemporanea nelle diagnosi depressive epocali della gabbia
d'acciaio di Max Weber e dell'esito conclusivo della lunga storia della
metafisica occidentale in tecnica planetaria di Martin Heidegger XXXIX. Il
postmoderno filosofico spiegato ai bambini e agli adulti 295 315 335 357 377
399 Sommario XL. La passione durevole per una filosofia dellemancipazione. Note
di analisi sullontologia dell'essere sociale di Lukcs, e proposta articolata di
sua rifondazione categoriale critica 453 Indice dei nomi 519 538 Costanzo
Preve LA FILOSOFIA IMPERFETTA Una proposta di ricostruzione del marxismo
contemporaneo Centro Studi di Materialismo Storico Franco Angeli Editore CENTRO
STUDI DI MATERIALISMO STORICO Il Centro Studi sul Materialismo Storico (Csms) unassociazione scien- tifica e culturale che
si costituita per promuovere ed attuare
lo studio, io sviluppo e la divulgazione del materialismo storico stesso,
inteso come scien- za della societ e della storia e, in particolare, della
societ e della storia mo- derna e contemporanea. Gli studiosi che ne hanno
promosso la fondazione constatano che, per complesse ragioni di ordine storico
e teorico, lo sviluppo del materialismo storico interessa ben poco, nellattuale
congiuntura culturale e politica ita- liana, sia ai tradizionali partiti e
sindacati di sinistra sia allambiente acca- demico e specialistico. Si tratta
di un fatto da registrare senza compiacimen- to, che non deve assolutamente
portare verso forme di isolamento settario, ma pu al contrario dar luogo ad
iniziative autonome di studio, comunica- zione, dibattito di tesi differenziate
ed anche contrapposte. Non si sente, certo, il bisogno di una restaurazione del
materialismo sto- rico, che significherebbe il ritorno a uno stato di partenza
che nel frattem- po si corrotto, e
neppure di una rinascita del materialismo storico, che significherebbe il
rinnovamento di una tradizione che stata
nel frattempo sepolta (Habermas). E, tuttavia, a differenza di Habermas, gli
studiosi che hanno promosso la fondazione del Csms non ritengono che il
progetto di ricostruzione. del materialismo storico possa pagare il prezzo
della sepa- razione sistematica fra lavoro e interazione e fra la teoria dello
sviluppo sociale e la teoria dellagire comunicativo. Anche il progetto di un
puro ritorno a Marx estraneo ai
fondatori del Csms. Dentro Marx, infatti, esistono ambiguit e problemi che
devono essere discussi e sviluppati alla luce della passione teorica e
dellesperienza storica. Ambigua e sterile sarebbe poi ogni parola dordine di
difesa del marxismo che non facesse i conti con le storie differenziate dei
marxismi reali, e con i loro opposti destini di filosofie della rivoluzione, da
un lato, e di ideologie di legittimazione, dallaltro. 1 fondatori del Csms si
sforzeranno anche di evitare le frettolose etichettature spregiative verso le
molte tenden- ze delleconomia, della filosofia e della storiografia
contemporanea cui pure sono spesso fortemente avversi. Il materialismo storico
non infatti una de- nominazione di
origine controllata che abiliti a lanciare scomuniche ed a ri- lasciare patenti
di ortodossia. Due cose, tuttavia, stanno particolarmente a cuore ai fondatori
del Csms: la unitariet disciplinare del materialismo storico, da un lato,
loriz- zonte problematico del rapporto fra teoria e prassi, dallaltro. Il
materialismo storico, infatti, non pu rinunciare a svilupparsi sulla base
teorica, pratica ed epistemologica, della sua unitariet disciplinare. Linnesto,
eclettico e frettoloso, di discipline sorte sul terreno della divi- sione accademica
del lavoro intellettuale, da un lato, e la disarticolazione in aspetti,
filosofico, sociologico, economico, politologico, eccetera, dal- laltro, non
sono compatibili con lo sviluppo del materialismo storico. Dal- tra parte
linvocazione astratta allunitariet della disciplina resta del tutto priva di
contenuto, se non si tenta di entrare nel merito dei singoli contri- buti reali
di conoscenza sorti sul terreno di questa divisione del lavoro intel- lettuale,
che oggi molto spesso un orizzonte non facilmente
superabile con generici discorsi sulla totalit e sul metodo dialettico. In
secondo luogo, il materialismo storico non pu svilupparsi a lungo sulla base
del sistematico divorzio fra teoria e pratica, fra riflessione ed e-
mancipazione. I fondatori del Csms sono consapevoli del pericolo di una ri-
flessione teorica svincolata da pratiche sociali e politiche concrete, e non
ritengono certo sufficiente il riferimento ad una fantomatica ed ambigua
autonomia della pratica teorica, E, tuttavia, fra teoria e pratica non vi coincidenza immediata, se non si vuole
ridurre il materialismo storico ad una giustificazione storicistica di tutte le
svolte politiche o ad una fenome- nologia degli stati di coscienza delle varie
composizioni di classe e dei soggetti sociali che vengono di volta in volta
inseguiti. Questa collana di studi uno
degli strumenti di cui il Csms intende do- tarsi. Con molta modestia, pazienza
e determinazione, cercheremo di offri- re materiale utile, alternando
contributi specialistici a contributi divulgativi, opere di bilancio e di
sintesi ad opere del tutto aperte, problematiche e provvisorie. Gli studiosi
italiani che hanno fondato il Csms sono ragio- nevolmente ottimisti sulle
prospettive del loro lavoro, perch si ritengono parte di un movimento, italiano
ed internazionale, di ripresa e di sviluppo del materialismo storico, che, al
di l delle superficiali mode del presente, dar forse frutti pratici in un
futuro non troppo lontano. CENTRO STUDI DI MATERIALISMO STORICO Presidente:
Giuseppe Bazzi Comitato di Direzione: Giuseppe Bazzi, Michele Cangiani,
Giovanni Iorio Giannoli, Augusto Hluminati, Gianfranco La Grassa, Costanzo
Preve, Maria Turchetto Redazione: c/o Franco Angeli Editore Viale Monza, 106 -
20127 Milano I lettori che desiderano essere regolarmente informati sulle novit
pubbli cate dalla nostra Casa Editrice possono scrivere, mandando il loro
indiriz zo, alla "Franco Angeli Editore, Casella Postale 17130, 20100
Milano", or dinando poi i volumi direttamente alla loro libreria. E COSTANZO
PREVE LA FILOSOFIA IMPERFETTA UNA PROPOSTA DI RICOSTRUZIONE DEL MARXISMO
CONTEMPORANEO FRANCO ANGELI Copyright
1984 by Franco Angeli Editore, Milano, Italy. INDICE Introduzione Parte
d PA SF 4, (941 6. Parte ein .* i id: 4. di 6. 7. 8. prima: Il Laboratorio
filosofico di Marx Un vicolo cieco: il problema delle tre fonti e delle tre
parti integranti Per una critica genealogica del materialismo storico Il
discorso filosofico grande-narrativo in Marx Il discorso filosofico
deterministico-naturalistico in Marx. | Il discorso filosofico
ontologico-sociale in Marx Il problema dei fraintendimenti filosofici di Marx
seconda: Le avventure filosofiche del marxismo Il concetto di formazione
ideologica N ortodosso n rinnegato: Karl Kautsky e il marxismo Friedrich
Engels: fondatore del marxismo orientale o ispiratore del marxismo occidentale?
La filosofia di Lenin: il matrimonio fra dialettica e materialismo Il
provvidenziale esaurimento progressivo del marxismo orientale Il vicolo cieco
del paradigma teorico del marxismo occidentale La parabola teorica e l'esito
storico dell'operaismo italiano Il significato storico e teorico della storia
del marxismo pag. Li MILLI 25 28 30 32 38 41 47 65 67 70 73 76 79 84 86 93
Parte 1. Zi 3. 4. de 6. Parte 1. 2, di 4, di 6. di Parte N DD terza: Solo un Dio pu ancora salvarci.
Alienazione ed intrascendibilit del mondo contemporaneo nel pensiero di Martin
Heidegger Il destino della storicit contemporanea: pensare filosoficamente il
XX Secolo Weber e Heidegger: un confronto necessario fra due radicalit
filosofiche Marx e Heidegger in Italia: storia di un mancato incontro L'analisi
heideggeriana del presente: un dispositivo di inversione L'analisi
heideggeriana del passato: un dispositivo teleologico Weber, Heidegger, Marx:
un confronto produttivo ancora tutto da compiere quarta: L'Utopia si occupa
solo del presente. Il pensiero di Ernst Bloch - Il multiversum blochiano: unit
di temporalit e di storicit La critica blochiana alla religione ed il
materialismo storico Il recupero blochiano della tradizione giusnaturalistica
Il significato profondo della teoria blochiana dell'Utopia Concreta L'invito
blochiano a studiare la storia del materialismo Experimentum mundi: l'ontologia
della possibilit del Nuovo nella storia Sulla feconda ambiguit dell'ontologia
blochiana quinta: Un discorso filosofico attuale. L'Ontologia dell'Essere
Sociale di Gyorgy Lukcs Una proposta filosofica sistematica ma aperta Pu il
marxismo imparare dall'esperienza? L'esempio lucacciano Un'introduzione al
bilancio dell'eredit filosofica del passato pag. 107 110 114 118 123 128 130
143 145 149 154 157 159 161 165 177 179 181 185 11. 12. L3, 14.
Un'interpretazione del pensiero borghese del Novecento Il lavoro come forma
originaria e modello della prassi Un felice paradosso filosofico Alcuni
problemi della riproduzione sociale La realt materiale del "momento
ideale" Problemi filosofici della nozione negativa di ideologia Problemi
filosofici della nozione positiva di ideologia Il significato
ontologico-sociale della estraneazione La dialettica di particolarit e di
generalit nel marxismo La dialettica di etica e di politica nel marxismo
L'autonomia relativa della forma filosofica del discorso ti . 187 192 196 200
208 211 214 216 220 228 233 INTRODUZIONE Un apparente paradosso storico sta al
.centro del nostro presente filosofico. "Il grande problema dell'epoca
(come scrive Lukcs e correttamente rileva il traduttore italiano della sua
autobiografia "Pensiero Vissuto", Alberto Scarponi) l'individualit". Il problema
dell'individualit, cio della particolarizzazione delle singole DI personalit
umano-sociali, non un problema
genericamente metafisico o trascendentalistico, ma un problema. integralmente. storico, ed anzi
storicamente del tutto determinato, in quanto
strettamente connesso con la creazione per l'individuo di condizioni di
vita astrattamente casuali, insorte con il declino delle societ organiche,
castali e divise in ceti e con l'emergere dei rapporti sociali capitalistici
nel loro progressivo e contraddittorio tentativo di manipolare e colonizzare
sempre pi la vita quotidiana. Il paradosso di una individualit umano-sociale
che non pu pi determinarsi sulla base "sostantiva" dell'appartenenza
a ceti (o a "classi" concepite come Soggetti Universali Sostantivi,
del tipo di una Classe Operaia sostantivizzata e resa gigantesca ed eterna), ma
deve vivere fino in fondo la propria casualit senza per questo scivolare nel
disperato sradicamento dell'intellettuale cosmopolita (per i pi colti o
acculturati) o nel nichilismo autodistruttivo del conformismo non-conformistico
di massa (per i pi fragili ed indifesi),
a tutti gli effetti un paradosso dell'oggi. Come dice molto bene Lukcs,
"il divenire dell'uomo in quanto uomo , come processo complessivo, la
medesima cosa del costituirsi dell'essere sociale in quanto specie d'essere
peculiare. Nell'iniziale stato gregario l'uomo singolo quasi non si distingue
dalla mera singolarit, che presente ed
operante in ogni punto della natura inorganica ed organica. Ma il salto che
-sebbene in un lungo periodo di tempo- lo trasforma da ente naturale ad ente
sociale, fino dall'inizio si impone con intensit ed estensione sempre
maggiori" (cfr. "Ontologia dell'Essere Sociale",
Roma,1981,II,2,pag.570). Il passaggio della singolarit alla particolarit
individuale dunque un passaggio
ontologicamente connesso (per l'essere umano 10 sociale) con la
generalizzazione di rapporti sociali in cui l'astrazione del lavoro e la
casualit della collocazione sociale sono ormai elementi strutturali. La forma
della particolarit individuale dunque
filosoficamente "tipica" della generalizzazione e
dell'approfondimento del modo di produzione capitalistico almeno quanto lo la forma del "lavoro"
(capitalistico diviso). Certo, la presenza dell'individuo (l'individuo,
ricordiamolo ancora una volta, nella sua astrattezza determinata dalla sua
strutturale casualit, non l'individuo posto in modo trascendentale come Origine
delle Scelte Sociali Alternative, cui non crediamo per nulla) coessenziale alla struttura fondamentale dei
processi sociali. Questi ultimi, come afferma Lukcs (cfr.
"Ontologia",I,pag.337) muovono immediatamente da posizioni
teleologiche, determinate in senso alternativo, di singoli uomini, tuttavia,
dato il decorso causale delle posizioni teleologiche, queste sfociano in un
processo causale contraddittoriamente unitario dei complessi sociali e della
loro totalit e producono connessioni legali generali", che di nuovo
pongono problemi su cui si esercitano ancora una volta le decisioni alternative
dei singoli. In generale, tuttavia, l'individuo tardo-capitalistico che cerca
di autocomprendere la propria tipicit, singolarit, e particolarit, rilutta
apertamente di fronte alla prospettiva teorico-pratica di una considerazione
ontologico-sociale di questa particolarit stessa. L'autocomprensione
esistenzialistica della particolarit individuale evita in generale di
considerare l'esserci (cio, l'essere esistenziale nel mondo) sotto l'aspetto
della strutturalit e della determinatezza dell'esserci-cos capitalistico. La
soggettivit sempre pi personalizzata,
quanto pi l'individualizzazione legata
alla casualit della collocazione sociale ed all'impersonalit necessaria delle
strutture riproduttive sociali. Il "capitale" non n una sorta di antropomorfico soggetto
onnipotente e tuttopianificante n un insieme di imprenditori innovatori e/o di
tagliatori di cedole, cos la "classe operaia" non n un megasoggetto dai muscoli ipertrofici e
dalla memoria di elefante n un insieme di operai dai colletti bianchi e bl che
votano in una assemblea sindacale. E' inevitabile, tuttavia, che la
determinatezza ontologica dell'individualit venga spesso pensata, falsamente ma
comprensibilmente, sotto il dominio della categoria di soggetto. Si tratta, in
alcuni casi, di un puro e semplice errore di prospettiva, un "errore
disinteressato", ampiamente correggibile. In altri casi, invece, si tratta
di una "deformazione interessata" per scopi di manipolazione
ideologica, assolutamente incorreggibile. In questo caso, la reazione, ontologicamente
inevitabile, dell' individualit 11 particolare offesa, assume l'aspetto
necessario dell'individualismo globalmente anti-marxista ed anticomunista,
antitetico-polare al soggettivismo olistico-sociale. L'individualit conosce
infatti soltanto "posizioni teleologiche", mentre la categoria di
soggetto, quando pensata come terminale,
iniziale e finale, di una totalit espressiva,
titolare di un'essenza che pretende contenere in s, in modo immanente,
una teleologia necessaria. Questa presunta teleologia ovviamente il supporto teorico di una
concezione del comunismo come utopia sintetica, in cui pubblico e privato,
individuale e collettivo si fonderanno insieme, "soluzione definitiva
dell'enigma della storia". | Un'analisi disincantata della storia del
marxismo ci permette di comprendere come il materialismo storico e la critica
dell'economia politica siano stati entrambi incorporati in una forma filosofica
del discorso del tipo che sopra s
brevemente descritto. Ambizione di questo scritto portare un piccolo contributo all'eliminazione
di questa sciagurata camicia di forza. Il materialismo storico, come il
prigioniero rinserrato in una tremenda camicia di forza dai suoi carcerieri, di
cui parla Jack London nel romanzo "Il Vagabondo delle Stelle", non ha
smesso e non smetter comunque di sognare nuovi mondi, vie di uscita, evasioni
impossibili. E' tuttavia profonda convinzione dello scrivente che il
materialismo storico finir con l'essere sfiancato e soffocato da questa camicia
di forza, finch l'odiosit di quest'ultima provocher una reazione di rigetto
tale da far preferire apertamente anche le visioni del mondo pi assurde,
irrazionalistiche e regressive, purch apparentemente non compromesse con la
metafisica immanentistica di un Soggetto che marcia cantando verso l'Utopia
Sintetica di una Societ integralmente Trasparente. Crediamo che una proposta
sostitutiva di questa camicia di forza filosofica gi esista, anche se non
ancora ben sviluppata ed articolata, e sia appunto un discorso teorico di tipo
ontologico-sociale, in grado di accompagnare la crescita di conoscenza e la
correttezza dell'azione pratica che possono avvenire sulla base del
materialismo storico. Vi sono per in proposito delle difficolt, e ci limiteremo
qui a menzionarne alcune. In primo luogo, come
del resto del tutto evidente, non basta che una determinata forma
filosofica del discorso (in questo caso di tipo ontologico-sociale) venga
"proposta", e variamente argomentata. Bisogna anche che essa venga
realmente presa in considerazione, ed accettata entro un lasso di tempo non
troppo lungo. Ora, le possibilit concrete che la forma filosofica del discorso
di tipo ontologico-sociale "passi" in gruppi consistenti di
"marxisti" italiani 12 sono per ora molto poche. Da un lato, la
frammentazione produttiva e sociale che risulta dall'attuale fase di
sottomissione reale del lavoro al capitale produce "spontaneamente"
una speculare "frammentazione filosofica", nei discorsi post-moderni
della perdita del centro, della caduta della dialettica, dell'ineffabile
mistica del frammento, esattamente il contrario, cio, del punto di vista
ontologico-sociale. Dall'altro lato, infine, il discorso filosofico di tipo
ontologico-sociale strettamente
connesso, nel suo aspetto di "filosofia pratica", con la conseguente
"democratizzazione della vita quotidiana", la fine di ogni mistica
dei capi e degli apparati e di ogni esistenza "trascendente" di
partiti ed organizzazioni totalizzanti. Le tradizionali organizzazioni "storiche"
del movimento operaio per, sia nei paesi a "socialismo reale" (dove
si sono metamorfosate in apparato portante di un tipo inedito di capitalismo
burocxatico di stato), sia nei paesi occidentali (dove si sono ormai imposte
come aministratori delegati della forza-lavoro organizzata dentro il modo di
produzione capitalistico), non possono avere alcun interesse ad un reale
abbandono delle ideologie manipolatorie del Soggetto, del Fine e della Utopia
Sintetica, in nome delle quali legittimano il proprio monopolio politico. Se,
d'altro canto, abbandonano le forme teoriche legate alla triade
soggetto-fine-utopia sintetica, ormai ampiamente sbeffeggiata dagli
intellettuali universitari e della cosiddetta "cultura
d'avanguardia", lo fanno per abbracciare forme di razionalismo critico, di
ideologia sistemica, di scambio politico, eccetera, che rappresentano soltanto
l'altra faccia della manipolazione strutturale della realt sociale. In ogni
caso, il discorso di tipo ontologico-sociale interessa loro ancor meno di
quanto alla Chiesa interessi il messaggio evangelico delle origini. Per fortuna,
per, la crescita della determinatezza ontologica delle individualit storiche
nel tempo presente un fenomeno di massa,
e questa peculiare forma di "soggettivit" alla lunga incompatibile (a differenza, ed
anzi in opposizione, di quanto dicono. pessimisticamente i francofortesi) con
le arroganti ideologizzazioni manipolatorie dei ceti politici cresciuti
parassitariamente intorno al monopolio della "rappresentanza
politico-sindacale" del movimento operaio. Non c' ovviamente in questo
nulla di necessario, di fatale e di predeterminato. L'intensit e l'estensione
delle individualit storiche nel tempo presente
un fatto ontologico-sociale (nel suo nesso dialettico fra il massimo
della casualit nella collocazione sociale ed il massimo di particolarit che si
d l'individualizzazione cosciente di questa casualit), ma la possibilit che
questo processo di individuazione porti al comunismo appunto soltanto una "possibilit
concreta", e nulla di pi. 13 In secondo luogo, non crediamo certamente che
la forma filosofica del discorso che proponiamo, di tipo ontologico-sociale, e
che traiamo esplicitamente dalla prospettiva teorica dell'ultimo Lukcs, sia la
"filosofia" definitiva, ultima, e "finalmente scoperta",
del materialismo storico e della critica dell'economia politica. Da un lato,
cos come non crediamo, sul piano della riflessione epistemologica, ad un
"metodo scientifico definitivo", analogamente non crediamo ad
"una forma filosofica del discorso definitiva". L'ontologia dell'essere
sociale ' per lo scrivente quindi in prima istanza una risposta determinata
all'incorporazione del materialismo storico in una "grande
narrazione" manipolatoria ed ideologica, in quella che abbiamo definito
una "camicia di forza", e come tale deve essere giudicata e
considerata, non certo come una philosophia perennis cui fare appello contro il
periodico ed eterno ritorno del sempre eguale "idealismo soggettivo".
Dall'altro lato, non crediamo certo che Lukcs sia andato molto pi in l di
un'impostazione provvisoria e largamente generica del problema di cui ci
occupiamo. Certo, questo basta (ed avanza!) perch lo scrivente lo giudichi in
perfetta coscienza come il maggiore filosofo marxista del secolo (essendo,
appunto, compito del filosofo quello di impostare teoreticamente i problemi,
non certo quello di "risolvere" le contraddizioni prodotte
inevitabilmente dalla prassi dei soggetti storici concreti). Con questo
riconoscimento, per, si pu forse scrivere un capitolo della storia della
filosofia del Novecento, ma si fa poca strada. In questo saggio lo scrivente
non ritiene purtroppo di essere gi in grado di fare dei passi avanti sulla via
filosofica aperta dalla ""Ontologia" lucacciana (la cui lettura
ed il cui studio dovr in larga misura dare per presupposti, cosa relativamente
agevole, dato l'alto livello della traduzione italiana di Alberto Scarponi), e
ripiegher su di un compito pi modesto, ed. indubbiamente pi facile:
l'individuazione e la traccia di un percorso teorico che, partendo da
contraddizioni filosofiche presenti nel pensiero di Marx, ed attraversando
alcuni problemi teorici del marxismo tradizionale e dei punti alti del pensiero
del Novecento (in particolare Heidegger e Bloch), sfoci infine
nell'accettazione consapevole della prospettiva teorica lucacciana individuata
come la migliore (o, se si vuole, la meno peggiore, e ci si scusi la cattiva
espressione in lingua italiana) di cui possiamo disporre oggi. Questo percorso
teorico viene sviluppato in cinque parti, interconnesse, ma anche parzialmente
autonome. Dall'impossibilit di un mero " ritorno a Marx" (prima
parte), attraverso l'impossibilit di una mera "difesa del marxismo"
(seconda parte), fino alla possibilit di una radicale riforma della forma
filosofica del discorso 14 con cui pensare il materialismo storico, in vista di
un suo necessario sviluppo (terza, quarta e quinta parte). Nella prima parte si
affronter, senza ipocrisie e senza voler difendere inutili "rendite di
posizione", la forma filosofica del discorso di Marx. Allo scrivente
sembra si possano individuare in Marx tre differenti "discorsi
filosofici", che coesistono talvolta contraddittoriamente: un primo
discorso, di tipo grande-narrativo (si tratta di una forma di teleologia
sociale in cui un soggetto pieno garantisce con la permanenza della sua identit
iniziale, in una temporalit cumulativa, omogenea e lineare, l'inevitabile
realizzazione finale del suo progetto originario, dando luogo cos ad un
quadruplice mito, del soggetto, dell'origine, del fine e della. trasparenza);
un secondo discorso, di tipo deterministico-naturalistico (si tratta del fatto
che Marx, profondamente influenzato dal concetto illuministico di "storia
naturale", pensa talvolta il suo progetto teorico sotto la dominanza
dell'analogia con la struttura teorica delle scienze ottocentesche della
natura, e dello stesso darwinismo); un terzo discorso, di tipo
ontologico-sociale (in cui non c' nessuna teleologia automatica della
storia-solo il lavoro come "forma originaria" e
"modello" unit di causalit e
teleologia-, nessun "paradigma della produzione", nessuna grande
narrazione, nessun determinismo naturalistico). E' evidentemente questo terzo
"discorso filosofico" che deve essere valorizzato, sviluppato,
arricchito ed aggiornato. In questo senso, il "ritorno a Marx" del tutto possibile ed auspicabile. Tuttavia,
essendo questa terza forma del discorso filosofico marxiano spesso mescolata
con la prima e con la seconda, meglio
scoraggiare ogni facile illusione di un "ritorno" ad un Marx univoco,
compatto, cristallino come acqua di fonte. Nella seconda parte si effettuer una
lettura "orientata" delle avventure filosofiche del
"marxismo". Lo scrivente d per scontato il fatto che fra pensiero
marxiano e "marxismo" vi una
specifica discontinuit, quasi fisiologica, dovuta al ruolo teorico di Kautsky
ed ancor pi alle necessit di identit teorica della socialdemocrazia tedesca.
Tutto questo ormai ampiamente noto, e
spesso taciuto soltanto per malafede.
Altre cose non sono per del tutto scontate, e vale forse la pena ripeterle. In
primo luogo, vi sar una moderata, ma convinta, "difesa di Engels",
letto come pensatore originale e fecondo di contraddizioni assai utili, anche
se datato. Engels infatti molto spesso
sottoposto ad operazioni di "squartamento teorico" molto strumentali.
Isolando infatti lo Engels della"dialettica della natura" infatti
chiaro che lo si pu far facilmente diventare il fondatore del''marxismo
orientale" 15 (il cosiddetto Diamat, fondato su di una gnoseologia del riflesso
dell'essere nel pensiero e su una pseudo-ontologia della storia naturalizzata
in nome di una -peraltro giusta- natura storicizzata). D'altra parte, isolando
lo Engels sostenitore della tesi sul "proletariato come soggetto storico
erede della filosofia classica tedesca" lo si pu far facilmente diventare
il fondatore del "marxismo occidentale" (fondato sulla unit di
soggetto ed oggetto, proletariato e storia, esattamente come la filosofia
classica tedesca si basava sulla unit di soggetto e di oggetto, borghesia
idealtipicizzata e storia razionalizzata dialetticamente). Lo scrivente ritiene
che Engels non debba essere sottoposto ad incresciosi squartamenti filosofici
isolando parti strumentalizzabili e che questo grande "classico" non
abbia "fondato" proprio nulla. In secondo luogo, vi sar una cauta,
forse meno convinta, ma sostanziale, "difesa del Lenin filosofo".
Lenin ha cercato una sua particolare via al matrimonio fra materialismo e
dialettica, anche se poi, all'atto pratico, il "materialismo" pensato sotto il primato della tesi
gnoseologica del rispecchiamento, e la dialettica pensata talvolta sotto il primato della
contraddizione semplice. E' possibile tuttavia spiegare questo fatto
collegandolo alla congiuntura storico-politica di quegli anni, non certo per
giustificazionismo storicistico, quanto per la necessit di "situare"
correttamente il pensiero filosofico di Lenin. Vi sono per (almeno) due aspetti
irrinunciabili nell'approccio filosofico di Lenin: il discorso di tipo
ontologico-sociale determinato prevale in lui quasi sempre su quelli (pur
presenti) di tipo grande-narrativo o. deterministico-naturalistico; il
programma di connessione elastica fra materialismo e dialettica strutturalmente superiore alle posizioni
differenzialistiche e sistemiche. In terzo luogo, non vi sar invece alcuna
concessione, neppure periferica e di dettaglio, ai programmi di
"salvataggio" di quanto ancora resta del "marxismo
orientale" e del "marxismo occidentale". Le differenze fra i due
sono certo importanti sul piano della corretta ricostruzione degli eventi
storici, ed chiaro che, ad esempio, il
"livello teorico" di un Karl Korsch non pu essere seriamente
paragonato a quello di uno Zdanov o di un Mitin. In sede per di bilancio
teorico, l'aspetto principale la
sottolineatura della loro profonda e segreta solidariet antitetico-polare,
mentre secondario diviene l'aspetto del pur alto "livello di qualit"
dei marxisti occidentali rispetto agli ideologi di partito confezionatori delle
indigeste pillole del. "materialismo dialettico" sovietico. Si
insistert anche sulla sostanziale sterilit dei tentativi di
"liberalizzazione parziale", di 'integrazione" e di riforma
delle 16 strutture teoriche portanti dei due marxismi: il materialismo
dialettico sovietico non pu essere cambiato qualitativamente innestandovi sopra
spezzoni esistenzialistici, positivistici, sistemici, cos come il modello
economico sovietico non pu essere cambiato qualitativamente con riforme
'efficientistiche"; il marxismo occidentale non pu essere qualitativamente
cambiato enfatizzando in modo ipertrofico, all'interno dell'unit soggetto-oggetto
che lo caratterizza, il ruolo del "soggetto", come l'esperienza del
cosiddetto "operaismo italiano", tanto ricca di insegnamenti, mostra
bene a chiunque ne voglia veramente trarre un bilancio teorico. In quarto
luogo, infine, alla luce delle precedenti considerazioni, si insister ancora
sul fatto che senza l'abbandono esplicito e convinto di moltissime
"rendite di posizione" marxiste non ci pu essere n un confronto
produttivo fra materialismo storico ed i cosiddetti "punti alti del
pensiero borghese" n una ricostruzione filosofica della
"dicibilit" della critica marxiana dell'economia politica
nell'attuale situazione storica. Nella terza parte si prender in esame
l'insieme del pensiero di Martin Heidegger come punto alto del pensiero
borghese novecentesco, degno di essere "confrontato" con il
materialismo storico. La filosofia di Heidegger
considerata, in primo approccio, come una grande metafora teorica di una
tragica situazione pratica del nostro secolo, l'unit fra alienazione ed
intrascendibilit del modo di produzione capitalistico, che per Heidegger non
nomina mai, preferendo espressioni come "epoca dell'immagine del
mondo" e come "coronamento" della storia della metafisica
occidentale. L'interrogazione heideggeriana del marxismo non esplicita come in Max Weber, ma quasi sempre pi radicale. E' facile
accorgersi di questo, non appena vengano evitate le facili etichettature di
Heidegger come "vecchio
conservatore" (Habermas), le interpretazioni esistenzialistiche,
neorazionalistiche ed estetico-nichilistiche, molto diffuse in Italia, oppure i
frettolosi confronti e conciliazioni con Marx o con il marxismo, anch'essi
presenti nella letteratura filosofica secondaria. In Heidegger l'interrogazione
radicale della societ capitalistico-borghese
caratterizzata da una significativa evoluzione da un primo momento, in
cui la critica condotta
soggettivisticamente,sotto il segno della categoria di "'anonimit"
(si veda l'analisi della trasformazione del Wer in Man in "Essere e
Tempo", della chiacchiera, della curiosit e dell'equivoco), ad un secondo
momento, in cui la critica condotta
ontologicamente, sotto il segno della categoria di "tecnica" come
vera e propria "im-posizione anonima" (Ge-stell). Il passaggio dalla
soggettivistica critica alla chiacchiera anonima (Gerede) alla 17 critica
ontologica della im-posizione anonima (Gestell), attraverso il link intermedio
del concetto di "immagine del mondo" (Welt-bild), come superamento
dell'incantesimo epistemologico dell'opposizione polare fra soggetto ed oggetto, una metafora filosofica che interroga in modo
radicale il capitalismo come unit (in Heidegger non dialettica) di alienazione
e di intrascendibilit. Tuttavia, questa grande unit teorica non dialettica di
alienazione e di intrascendibilit, pur essendo in grado di trasformare
l'alienazione in un concetto ontologico (alle soglie dunque della giusta
equazione fra forma di valore ed alienazione, tipica della critica
dell'economia politica) e soprattutto di legare insieme sia il
"capitalismo occidentale" sia il cosiddetto "socialismo
reale", non contiene, ma anzi evita con pervicace e voluta cecit l'esame
dialettico della reinterpretazione delle possibilit contenute nel passato.
Sostituendo infatti allo storicismo (cui vuole opporsi) una sorta di fatalistico
destinalismo (che altro non se non
un'inversione di 180% dello storicismo, e dunque uno storicismo rovesciato e
cambiato di segno), il pensiero di Heidegger decade in una storia,
storicisticamente predeterminata ed unilineare, della caduta destinale da Platone
a Taylor, da Aristotele a Stalin, ed in questo modo l'"intrascendibilit
della alienazione" viene legittimata in modo del tutto metafisico, fino a
cadere sotto il livello dell'analisi weberiana della razionalizzazione
crescente, che anch'essa una forma di
destinalismo, linguisticamente pi sorvegliato e mille volte pi articolato nei
dettagli, anche se meno rigoroso nell'impianto teorico e nell'interrogazione
filosofica del presente. Nella quarta parte verr interrogato il pensiero di
Ernst Bloch, visto sotto l'angolatura dell'opposizione determinata al
destinalismo heideggeriano. Bloch un
pensatore che mette al centro proprio quella "reinterpretazione delle
possibilit contenute nel passato" che
appunto estranea sia ai paradigmi filosofici "marxisti" sia
alla critica differenzialistica di questi ultimi. La blochiana distinzione
strategica fra "non-contemporaneit" ed arretratezza" (con la
scelta esplicita della prima contro la seconda) permette una vera resa dei
conti con la temporalit storicistica e con il suo "supporto
sostanziale", l'umanesimo astratto. E' molto importante, infatti, che il
multiversum blochiano sia un concetto filosofico che rompe realmente sia con le
strutture teoriche grande-narrative che con quelle di tipo deterministico-naturalistiche,
cui si fatto sopra cenno. L'importanza
teorica del pensiero blochiano non si ferma certo qui. In primo luogo,
Bloch un pensatore che attua una
"centralizzazione teorica" della critica della religione come
premessa 18 immanente, logico-storica, della critica dell'economia politica. La
critica della religione (e si leggano "Religione in eredit" ed
"Ateismo nel Cristianesimo") non deve essere scambiata per la
negazione astratta dell'esistenza nel cielo" di una "entit cosale
chiamata Dio", in quanto la critica positivistico-ingenua della religione
sta al materialismo storico come l'economia "razionale" ricardiana
sta alla critica dell'economia politica. In secondo luogo, Bloch il pensatore che inserisce apertamente il
giusnaturalismo come fonte e parte integrante del materialismo storico (e
questo non "innocente" poich,
per esempio, nell'elencazione delle "tre fonti", Lenin si era
scordato del giusnaturalismo, che non ha certo uno "statuto epistemologico"
inferiore a quello della progettualit del socialismo utopistico). In Bloch (si
veda "Diritto naturale e dignit umana") il giusnaturalismo certo una "filosofia pratica" che
deve servire per quella scienza della liberazione che egli chiama l''ortopedia
del camminare eretti", ma finisce con il diventare anche (e soprattutto)
la negazione teoretica determinata delle letture destinali, pessimistiche e
disperate della societ borghese alla Heidegger ed anche alla Horkheimer e
Adorno. In terzo luogo,. Bloch il
pensatore che riesamina radicalmente e ridefinisce integralmente la nozione di
utopia e di "agire utopico", modificando la nozione classica di
progettualit astratta da tavolino" contrapposta al cosiddetto
"movimento reale che abolisce lo stato di cose presenti", ed anche la
nozione di "sogni impotenti ed irrealizzabili" contrapposta alla
"conoscenza scientifica delle leggi oggettive del movimento della
storia". Non bisogna dimenticare mai che "l'utopia blochiana si
occupa solo del presente", mentre la nozione regressiva ed infausta di
utopia come progettualit astratta da
trovare semmai nel tentativo, sempre frustrato, di proiettare nel futuro un
modello statico di "economia razionale". In quarto luogo (ed questa una rilevante novit, che non permette
frettolose etichettature e "stroncature" di Bloch come "Schelling
marxista") Bloch , soprattutto, il pensatore che infrange l'unilaterale
polarit astratta fra il marxismo orientale (che sostiene la dialettica della
natura, e respinge la considerazione unitaria del nesso soggetto-oggetto) ed il
marxismo occidentale (che sostiene l'unit soggetto-oggetto, e respinge la
dialettica della natura). In Bloch (e si vedano opere come
"Soggetto-Oggetto", e soprattutto "Das
Materialismusproblem") la specifica, originale compresenza dei temi della dialettica
della natura e dell'unit soggetto-oggetto non deve essere interpretata come
eclettico pasticcio e concordismo ad ogni costo, ma come un'originale via
filosofica che sblocca le polarit irrigidite. 19 In quinto luogo, infine,
Bloch seriamente orientato verso una
fondazione ontologica della prassi, come risulta evidente esaminando
"Experimentum mundi", la "summa" sistematica blochiana.
Bloch vede bene come senza ontologia la prassi non pu essere sensata ed
orientata, e diventa arbitraria, manipolatoria, soggettivistico-astratta. Egli
connota la prassi come "ruotar fuori al di l dell'immediato", e come
momento immanente alla temporalit che scioglie ogni trascendentalistica fissit
del soggetto, che non pu pi essere concepito come originario (come avviene, ad
esempio, nelle concezioni neo-utilitaristiche e neo-contrattualistiche). E,
tuttavia, lo scrivente ritiene che in Bloch il non concepire la prassi come
"lavoro" porta necessariamente ad una grande indeterminatezza del
concetto di prassi stessa, fino a rovesciarla inevitabilmente nel suo
contrario, la prassi come contemplazione. Questo pu certo avvenire contro le
esplicite intenzioni di Bloch, in quanto in lui l'oscillazione fra "sogno
di una cosa" e "lotta per realizzare il sogno" cade quasi sempre
sul secondo termine, ma aperto il varco
teorico ai blochiano-contemplativi che possono legittimamente enfatizzare
unilateralmente il primo termine. Nella quinta, ed ultima parte il pensiero
ontologico di Lukcs viene interrogato proprio a partire dalla
"mancanza" che lo scrivente crede di individuare nello sforzo
ontologico blochiano: la centralizzazione di un concetto di prassi storicamente
pi determinato, che sappia correlare ontologicamente la specificit delle
individualit concrete particolari con le legalit "oggettive" del
movimento del modo di produzione capitalistico. Parlando di Lukcs, evidente che non ci si riferisce affatto al
"primo Lukcs" (che in "Storia e Coscienza di Classe" ha
scritto il capolavoro teorico del marxismo occidentale", la cui tradizione
riteniamo debba essere invece integralmente abbandonata), e neppure al
"secondo Lukcs" (che nella "Distruzione della Ragione" ha
tentato un impossibile compromesso con gli aspetti '"razionalistici"
del "marxismo orientale", mentre riteniamo che quest'ultimo debba
essere visto come il correlato antitetico-polare dell'irrazionalismo borghese,
e per nulla affatto un "principio superiore" ad esso), ma a quello
che potremo per brevit definire il "terzo ed ultimo Lukcs", portatore
di una proposta aperta di ricostruzione della forma filosofica del discorso del
materialismo storico sulla base esplicita di una ontologia dell'essere sociale,
individuato nella sua determinatezza e nella sua storicit. E' il carattere
"aperto" della proposta che soprattutto interessa allo scrivente, cui
non interessa certo fare una monografia apologetica sull'ultimo Lukcs n
tantomeno sottoscrivere tutto quanto Lukcs ha detto o scritto (a partire dal
problema della 22 esistenziale" (diventando una sorta di chiave lessicale
per le corporazioni professionali dei filosofi e soprattutto degli psicologi),
provocando la reazione, antitetico-polare, di coloro che vollero addirittura
cancellare la parola dal linguaggio marxista (e si pensi soltanto a Louis
Althusser). Alla fine, il gioco era diventato "a somma zero". In
Lukcs la dialettica fra individuo, genere e specie (che contiene ovviamente
anche il momento della '"estraneazione") non porta mai a
dichiarazioni, apparentemente estremistiche e gratificanti, ma generiche, sulla
"incompatibilit ontologica" del capitalismo con l'uomo o con la
natura "in generale" (come avviene in posizioni che vanno dai
coccodrilli borghesi del Club di Roma ai pi sinceri e stimabili ecologisti
antiborghesi apocalittici), ma sfocia in. una concezione storico-ontologica
dello statuto della estraneazione. Soprattutto due punti sono messi in
evidenza. Da un lato, l'individualit generica e concreta dei singoli cresce,
nel capitalismo, sulla base astratta della casualit della collocazione sociale
non pi sostantivizzata dai ceti e dalle corporazioni, ed . appunto questo
carattere ontologico-specifico della individualit che entra in conflitto con le
esigenze strutturali di manipolazione della - riproduzione del sistema
capitalistico, la cui logica appunto quella
di reprimere, deviare, soffocare ogni reale tendenza dell'individualit concreta
all'universalit reale del genere umano (e vi
qui un vero progresso qualitativo in rapporto alle concezioni sulla
"disumanit astratta" del capitalismo che "mercifica tutto"
o che semplicemente "manipola" attraverso i mass-media). Dall'altro
lato, la differenza ontologica fra individualit (sviluppata fin che si vuole)
ed universalit del genere mantenuta,
contro ogni organicismo, trasparenzialismo, mito della "ricomposizione
integrale" fra pubblico e privato, in modo da fondare una sorta di
"individualismo comunista" che leghi insieme il rifiuto di ogni
atomismo borghese con il rifiuto di ogni olismo sociale organicistico. La lotta
delle classi sar sempre pi una lotta di individui coscienti, sempre meno
disposti ad inneggiare a duci e ducetti "operai", capi carismatici ed
individui cosmico-storici, grandi timonieri e leaders saggi e preveggenti. Si
gioca qui una "partita filosofica" (soprattutto in Italia) non meno
importante della partita vinta dalla nazionale italiana ai mondiali di calcio.
Il percorso filosofico che qui si
riassunto, per comodit del lettore,
ovviamente un tipico caso di "posizione teleologica" in.
filosofia, ed soggetto a tutte le
determinazioni ontologiche della forma-modello di "lavoro". Se esso
presenta errori ontologici di fondo, sia nell'interpretazione storiografica di
Marx e del marxismo successivo, sia soprattutto nella praticabilit concreta
della 23 prospettiva che vuole aprire, esso fallir, e non potr avere sviluppo.
Lo scrivente non affatto preoccupato
dalle inevitabili superficialit che non possono non. risultare da una
trattazione "enciclopedica", che mette in campo pensatori del calibro
di Marx, Engels, Heidegger, Bloch, Lukcs, eccetera. Questo dato per scontato, ma non molto grave, data la disponibilit in lingua
italiana di ottime monografie specialistiche su questi pensatori (che verranno
spesso peraltro richiamate in nota o nel testo, in modo che il lettore
interessato possa approfondire per suo conto). Il vero problema, ovviamente, soltanto quello della effettiva e concreta
praticabilit . filosofica della prospettiva teorica che qui viene indicata.
Sulla pars destruens vi sar probabilmente un accordo quasi generale. Sono pochi
coloro che sostengono apertamente oggi
concezioni grande-narrative, deterministico-naturalistiche, o che
difendono il materialismo dialettico staliniano, oppure forme ingenue e "
cumulative" di storicismo. L'opposizione netta dello scrivente
all'"operaismo" potr sembrare a qualche lettore maniacale ed
eccessiva, ma bisogna mettere in conto la specificit della situazione italiana,
in cui la matrice teorica "'operaista" ha dato luogo a forme di
ultra-soggettivismo di tipo neo-gentiliano. Heidegger interessa per ora in
Italia quasi soltanto alle varie forme di nichilismo di tipo post-moderno, e
Bloch letto molto spesso soltanto dai
teologi, in forma generalmente depotenziata e concordistica. Inoltre, molte
opere che interesserebbero il nostro argomento non sono state ancora tradotte,
e costringono cos a sapienziali e faticose letture specialistiche in lingua
tedesca. E' sulla pars costruens che invece vi saranno maggiori difficolt.
L'"Ontologia dell'Essere Sociale" resta (nonostante l'ottima traduzione) un libro poco letto e
poco studiato. Lo scrivente ritiene tuttavia che il lungo festival del
nichilismo soggettivistico stia per finire, le luci si stiano spegnendo, e
professa in proposito un sobrio e moderato ottimismo. Parte Prima IL
LABORATORIO FILOSOFICO DI MARX Entrando nel laboratorio filosofico di Marx, si
ha l'impressione che non manchi nulla di essenziale per fare ricerca, condurre
analisi, esaminare reperti, classificare secondo le necessit concrete che
possono via via emergere. Non vi neppure
un particolare disordine, anche se molto va perduto per capire la logica che
presiedeva al modo concreto con cui Marx collocava tutta l'attrezzatura.
Tuttavia, ogni ricercatore ha le sue abitudini (e spesso le sue manie, le sue
idiosincrasie) particolari, e soltanto il pigro e l'indifferente lascierebbero
tutto come stava prima, senza toccare niente. Un periodo di disordine e di
confusione dunque da mettere in conto,
prima che i "coltelli e gli stili" trovino posto nei loro rispettivi
cassetti ed i reagenti chimici vengano separati dalle aranciate (1). Inoltre,
non esiste turismo organizzato verso il laboratorio filosofico di Marx. Ogni
viaggiatore deve organizzarsi il viaggio per conto suo, pur sapendo che forse
trover le stanze d'albergo gi occupate e che potr perdere alcune coincidenze.
Esistono, certo, anche dei "tutto compreso" che vantano prezzi
particolarmente bassi, ma il viaggiatore finirebbe con il non vedere nulla,
all'infuori delle faccie dell'autista e della guida-interprete. Conviene dunque
mettere in conto un po' di fatica in pi, ma rispettare i propri tempi
soggettivi di studio e di comprensione. In ogni caso, cento anni di
interpretazioni (ed alcune centinaia, almeno, di libri di ottimo livello)
sbarrano la strada del viaggiatore verso il "contatto originale ed
autentico" con Marx. Certo, sempre
possibile allontanare con un gesto sovrano tutta la "letteratura
secondaria", e lasciare che i testi di Marx parlino da soli. Questo
atteggiamento, semireligioso, e pieno di "pathos dell'autenticit", quanto di pi antimarxista si possa
immaginare. E' comprensibile che il "credente" pretenda di leggere la
"Bibbia" fingendo che la critica delle forme e trecento anni di
esegesi biblica non esistano, e che si possa "ascoltare direttamente la
parola di Dio" senza neppure. 26 sapere chi erano i semiti, gli antichi
egizi, la redazione sacerdotale, tutta la "Lebensjesuforschung"
(ricerca scientifica sulle fonti della vita di Ges), eccetera. Il credente ha
forse il diritto di fare cos, ma il materialista storico certamente no. Del
resto, basta fare pochi esempi concreti per capire che questo
"atteggiamento ingenuo" non
neppure praticabile. Si prenda un testo di Marx considerato generalmente
facile ed "immediato", come . il "Manifesto del Partito Comunista".
Indubbiamente, questo testo appare facile, se paragonato ai primi testi
filosofici del giovane Marx oppure alla densit stenografica dei
"Grundrisse". Eppure, questa facilit
pi apparente che reale. Il valore: semantico delle parole cambiato negli ultimi centocinquant'anni, ed
il lettore inevitabilmente portato al
gioco delle analogie storiche superficiali con il presente: chi sono oggi i
"socialisti aristocratici" ?; chi sono oggi i "socialisti
piccolo-borghesi"? Certo, a seconda delle sue simpatie o antipatie
politiche il lettore del "Manifesto" trover facilmente le analogie
che gli servono. Ma questa facilit analogica
del tutto illusoria. E' chiaro
che bisogna scavare pi profondamente nella specificit storica, ed il
lettore italiano (per quanto desideroso di "contatto autentico" sia)
si accorger di non poter "saltare" le utilissime note introduttive di
Emma Cantimori Mezzomonti (2). Prendiamo ancora il primo libro del
"Capitale" di Marx. Ecco una lettura "classica" dei
marxisti (che generalmente "saltano" il secondo ed il terzo volume, e
solo molto raramente si avventurano nella prosa letteraria delle "Teorie
sul Plusvalore"), che generalmente viene consigliata come
"indispensabile" ai principianti. Abbiamo in proposito
"raccomandazioni imperative" molto autorevoli, e del tutto opposte,
da parte di chi consiglia di "saltare" la prima sezione (ad esempio
Louis Althusser) e da parte di chi consiglia invece di leggere soprattutto la
prima sezione (ad esempio Paul D. Dognin). Facciamo anche l'ipotesi che il
principiante ignori queste autorevoli raccomandazioni imperative, insieme con
tutta la (sterminata) letteratura secondaria sulla "forma di valore"
e sul tormentato rapporto fra Hegel e Marx. Resta il fatto che la prima
sezione effettivamente difficile, e
nello stesso tempo indispensabile: se il principiante si impunta a leggerla, ne
rimarr forse impantanato e non riuscir a continuare la lettura (esistono esempi
autorevoli di uomini politici, ed anche di teorici famosi che non sono riusciti
ad andare oltre la ventesima pagina del "Capitale", a causa della
terribile prima sezione); se il principiante, invece, corre subito alla
scorrevole e facile seconda sezione, potr 27 tranquillamente per tutto il resto
della sua vita pensare che Marx sia stato un dotato allievo di Ricardo, di
tendenze socialiste, e con una forte cultura filosofica tedesca. Anche qui,
dunque, il "contatto autentico" pu giocare brutti tiri. Orientarsi
sulla migliore "letteratura secondaria" diventa allora assolutamente
necessario (3). Prendiamo, infine, i famosi "Lineamenti" (i
Grundrisse) di Marx. Qui, il lettore italiano pu scegliere addirittura fra due
diverse traduzioni e due diverse edizioni. Inoltre, vi sono anche ottimi lavori
di "letteratura secondaria che aiutano ad affrontare i
"Lineamenti", in tutto o in parte. Il lettore si render conto di essere
egualmente in alto mare, in quanto sui "Lineamenti", lo si voglia o
no, si svolta negli ultimi anni una vera
e propria "battaglia teorica" (in particolare in Italia) fra chi ha
voluto contrapporli al "Capitale" (come testo "segreto" e
gnostico del Comunismo, mentre il "Capitale" sarebbe compromesso con
la nefasta ideologia del "socialismo del lavoro") e chi invece li ha
letti su di una linea di continuit tematica con il "Capitale" stesso.
Si pu, certo, ignorare questo dibattito, denso di implicazioni teoriche, e
soprattutto politiche, cos come una persona, in pieno sole, pu ignorare la
propria ombra chiudendo gli occhi, ma si sar comunque "dentro" questo
dibattito, non appena si vorr organizzare una propria personale opinione sui
rapporti fra "Lineamenti" e "Capitale" (4). I tre esempi
che sono stati qui fatti (e che mettono in guardia dall'opinione, volonterosa
ma ingenua, che si sia all'anno zero nella lettura del "Manifesto",
dei "Lineamenti" e del "Capitale") sono per ancora poca
cosa, se si riflette al problema della collocazione storica dell'opera di Marx
nel suo tempo. In proposito anche i "principianti" dello studio del
materialismo storico ricorderanno il breve scritto di Lenin del marzo 1913
(dedicato al trentesimo anniversario della morte di Marx), intitolato "Tre
fonti e tre parti integranti del marxismo" (in cui, come certo si
ricorder, Lenin parla della filosofia tedesca, dell'economia politica inglese e
del socialismo francese). Quando lo scrisse, Lenin aveva certamente le sue
buone ragioni (soprattutto, l'intenzione di "universalizzare" il
significato storico del marxismo, mostrando che la cultura tedesca non era che
una delle fonti, e non l'unica, come dicevano alcuni "patrioti" della
socialdemocrazia tedesca). In questo senso, criticare questo testo di Lenin
(che , inoltre, un testo d'occasione), gi ampiamente discusso e criticato (in
particolare dalla scuola althusseriana) non avrebbe molto senso, al di fuori di
una sua storicizzazione integrale. Lo scrivente ne far tuttavia egualmente un
obiettivo polemico (in parte "di comodo"), per cercare di mostrare 28
come non si deve impostare il problema teorico delle "origini del
marxismo", e per converso, come si pu impostare una critica genealogica
del materialismo storico. Tracceremo allora prima un breve schizzo della
situazione aporetica e dei vicoli ciechi cui porta lo sviluppo coerente delia
problematica delle tre fonti e delle tre parti integranti, per poi passare ad
un'impostazione diversa, a nostro parere meno eclettica ed aporetica, dell'intera
questione,. la quale impostazione, infine, non "risolve" nulla,
consegnandoci invece del tutto irrisolto il problema della compresenza di tre
diverse forme filosofiche del discorso dentro Marx. Definire tuttavia "del
tutto irrisolto" il problema della compresenza un eccesso di cautela metodologica e di
modestia teoretica, in quanto, come il lettore pu agevolmente capire da solo,
la compresenza di tre discorsi filosofici
in realt caratterizzata dalla dominanza del "migliore" di gran
lunga dei tre. C' dunque, gi dentro Marx, un inizio di soluzione, che si tratta
di non lasciar cadere, ma di sviluppare con coerenza e con precisione. 1. Un
vicolo cieco: il problema delle tre fonti e delle tre parti integranti Il
grande marxista italiano Antonio Labriola (sempre molto citato, a causa del
nuovo patriottismo del made in Italy, e tuttavia evidentemente non letto e
tantomeno studiato) disse gi a suo tempo cose acute, e parzialmente definitive,
sul come non impostare il problema dei rapporti fra filosofia, economia e
politica in Marx. Egli polemizz contro la storiografia dei "fattori"
(cio contro la separazione metodologica sistematica .dei "fattori"
economico, culturale, eccetera), che egli genialmente vedeva come l'altra
faccia della tendenza a costruire filosofie della storia. E' curioso, in
proposito (ma non c' purtroppo qui lo spazio per soffermarvisi) che il suo
grande allievo Benedetto Croce respinse, a parole, le filosofie edificanti e
teleologiche della storia, ma recuper integralmente nella sua controriforma
della dialettica (la dialettica dei distinti) lo spezzettamento feticistico in
"fattori" differenziati tipico delle | filosofie borghesi del
Novecento. Il tentativo teorico labrioliano di far passare il principio della
unitariet disciplinare del materialismo storico e della non separabilit in via
di principio dei differenti "fattori" si rivel necessariamente
donchisciottesco, per due ordini essenziali di ragioni. In primo luogo, non
interessava al partito politico socialista del 29 tempo (quello di Turati, ma
il discorso pu essere tranquillamente prolungato), il cui economicismo
strutturale non poteva che pensare l'economia come "fattore
dominante". In secondo luogo, non poteva essere recepito dal mondo
accademico ed universitario, che si stava proprio allora consolidando sulla
base della separazione metodologica e della "non belligeranza" fra le
discipline. La "grandezza" di Labriola allora proprio quella di uno Spinoza, ed quella di un grande "isolato",
assolutamente non integrabile e per nulla "intellettuale organico"
(5). Lenin fu (e questo pu anche essere storiograficamente dimostrato) un
"labrioliano" filosofico, nel senso che non credette mai alla
scomposizione teorica del marxismo in "fattore filosofico" (da risolvere
secondo l'impostazione della grande filosofia dialettica hegeliana), in
"fattore economico" (da impostare secondo la teoria della continuit
tematica con la teoria del valore smithiano-ricardiana), ed in "fattore
politico" (in cui occorreva proseguire le tradizioni giacobine sostanziandole
con la promozione degli esperti e dei tecnocrati, come suggerivano Comte e
Saint-Simon). Sta di fatto, per, che cos fu spesso intesa la teoria delle tre
fonti: tre fonti, che davano luogo a tre distinti fattori, uno dei quali a sua
volta dominante. Le premesse per la "giungla aporetica" erano cos
poste. Il "fattore economico", pensato isolatamente come centrale,
produce una problematica della pianificazione staliniana (se il potere
politico" monopolio del cosiddetto
partito del proletariato) oppure una problematica di tipo sraffiano (se il
"potere politico" deve essere diviso
contrattato con altre forze). In entrambi i casi, ovviamente, Marx a tutti gli. effetti un continuatore degli
economisti classici, mentre la problematica della "forma" del valore
e del lavoro consegnata alle innocue
chiacchiere dei filosofi (considerati, chiss perch, degli esperti in "forme",
come i giudici dei concorsi di bellezza). I filosofi non possono. ovviamente
"risolvere" questo problema, e riescono al massimo ad "avvertire"
(del tutto inascoltati) che vi un'unit
fra teoria del valore e dell'alienazione. A loro volta i "politici"
non riescono a tradurre a livello politologico questa problematica, e ripiegano
sulle forme di rappresentanza dei meriti (individuali e sociali) e di
soddisfacimento dei bisogni (individuali e sociali). | La babele dei linguaggi
(oppure la loro cortese indifferenza reciproca, tipica di un'epoca in cui la
spartizione concordata ha sostituito integralmente lo scontro fra le idee) a questo punto inevitabile, in quanto legittimata dalla falsa problematica della
"dominanza" di un "fattore". Occorre dunque coraggiosamente
30 abbandonare ogni tendenza all'"aggancio" del materialismo storico
alla "trinit delle fonti", comunque concepite. In primo luogo, le
"tre fonti" non possono essere cucite insieme per concordismo teorico
ad ogni costo. Esse hanno retroterra filosofici diversi: la filosofia morale
della "simpatia" di Adam Smith
incompatibile con la lotta a morte per il riconoscimento e la conseguente
dialettica servo-signore di Hegel (per non fare che un esempio elementare).
L'impianto teorico di Smith
rigorosamente "robinsoniano", mentre Hegel ha semmai tendenze
opposte (anche se in Smith l'"individuo" funziona di fatto come
"totalit espressiva" autonoma, esattamente come l'Assoluto
hegeliano). In secondo luogo, l'incorporazione teorica del materialismo storico
in una delle "fonti e parti integranti" produce effetti devastanti.
Dentro la forma filosofica della filosofia classica tedesca, la critica
dell'economia politica diventa inevitabilmente lo svolgimento temporalizzato
dialetticamente dell'autocoscienza comunista di un'unit soggetto-oggetto (la
civilt umana). Dentro la forma filosofica del discorso dell'economia politica
inglese, la critica dell'economia politica diventa inevitabilmente la soluzione
accettabile delle insufficienze della teoria classica del valore-lavoro (e
dunque la base teorica dell'economia politica del socialismo, quando non deve
accontentarsi di essere un "pezzo" di economia keynesiana o
sraffiana). Dentro la forma filosofica del socialismo utopistico francese, la
critica dell'economia politica diventa inevitabilmente una scienza
dell'amministrazione razionale delle "cose" (e dunque dei rapporti
sociali cosalizzati, e ridotti a stadi di. sviluppo della tecnologia e dei
sistemi sociali complessi) (6). Si tratta allora di tre teorie assolutamente
diverse, il cui tratto comune quello di
non essere affatto la continuazione, logica e storica, del progetto marxiano.
Esse, possono anche ostentare l'etichetta di "marxismo", ma questo
non fa che portare confusione. E' forse meglio, dunque, cercare di impostare
l'intero problema in modo diverso. 2. Per una critica genealogica del
materialismo storico In prima approssimazione, potremo definire la genesi
teorica del materialismo storico come la produzione di una "nuova
scienza" facilitata da una "metafisica influente". Gli
epistemologi sanno benissimo come questa sia una situazione comune a tutte le
scienze, ma talvolta lo dimenticano, quando si tratta di sputare sugli
"elementi metafisici" del pensiero di Marx (7). Si tratta di una
"metafisica influente" unitaria nella sua problematica, e perci 31
assolutamente non "spezzabile" nelle tre parti integranti di cui
sopra. Come sanno bene gli storici della scienza, "gli scopritori fisici
si sono differenziati dagli sterili speculatori non perch non avessero nessuna
metafisica nelle loro teste, ma per il fatto che avevano una buona metafisica,
mentre i loro avversari ne avevano una cattiva; e perch legarono la loro
metafisica alla loro fisica, piuttosto di tenere separata. l'una
dall'altra" (W. Whewell). Questo vale per Cartesio come per Newton, per
Darwin come per Einstein, per Freud come per Marx. La "metafisica
influente" anticipa in forma confusa cose che poi potranno essere provate,
indica programmi di ricerca, suggerisce metafore, stimola
l'""immaginario scientifico". Il giovane Marx si trovo' di
fronte una scienza sociale borghese che incorporava una cattiva metafisica:
l'individualismo possessivo, il pre-giudizio della naturalit assoluta dei
rapporti sociali, la consacrazione dell'eternit dell'esistente in nome della
sintesi suprema delle scissioni. Egli fu fortemente influenzato da una buona
metafisica, la teoria dell'"ente naturale generico", capace in quanto
tale di trasformazione, l'utopia libertaria del superamento integrale della
divisione del lavoro in una comunit di cacciatori, pescatori e critico-critici,
l'ideale di una trasparenza integrale fra individuo e societ una volta superato
il mondo delle merci, che intorbidano tutto ed impediscono di
"vedere" i veri rapporti umani che stanno oltre il mondo reificato
del denaro (8). Si trattava di una "buona metafisica", che presentava
un carattere aperto ed espansivo. In quanto tale, essa era del tutto al di qua
del materialismo storico (che fu concepito prima), ed ovviamente molto lontana
ancora dalla critica dell'economia politica (che fu concepita dopo). Il
"materialismo storico" (come teoria della genesi, struttura e
trasformazione dei modi di produzione in generale) potr essere concepito prima,
in quanto non era poi cos lontano dalle teorie settecentesche dell'evoluzione e
del progresso degli "stadi sociali" (caccia, pastorizia, agricoltura,
commercio). La "critica dell'economia politica" (come teoria della
specifica genesi, struttura e trasformazione del modo di produzione
capitalistico) venne logicamente dopo, possedendo un grado di complessit molto
superiore. Insistiamo ancora una volta sul fatto che non vi sono molte
metafisiche influenti, che confluirebbero in modo disordinato nella genesi di
una teoria scientifica. Vi sono, certo, molte componenti culturali, e gli
storici delle idee fanno benissimo a classificarle ed a rintracciarme la
genesi. Tuttavia, rintracciare la genesi storico-culturale delle varie
componenti ideali non la stessa cosa del
ricostruire la genealogia di un prodotto come il materialismo 32 storico.
Quest'ultima unitaria, perch unitario il campo problematico instaurato dalla
metafisica influente. Si tratta del perseguimento dell'uomo integrale, del
superamento della scissione, della riconquista della totalit perduta nel
destino della civilt. La metafisica influente cade, si stacca come il primo
stadio di un razzo vettore, non appena l'autonomia disciplinare della teoria
dei . modi di produzione "decolla" e conquista la sua autonomia. Da
quel momento in poi, il materialismo storico pu essere coltivato anche dai
"non credenti" nella praticabilit dell'utopia sintetica, che diventa
una "filosofia privata", esattamente come lo scetticismo sulla
conseguibilit dei "fini ultimi'. Diciamo questo in modo volutamente rigido
ed estremistico, perch in realt la "filosofia privata" continua a
determinare il modo concreto con cui si sviluppa l'autonomia disciplinare della
scienza della societ. A differenza del primo althusserismo (che pure ha avuto i
suoi meriti storici), lo scrivente non crede nella separabilit
"visibile" fra ideologia e scienza. Metafisica influente e sviluppo
della ricerca scientifica (che prima sono stati paragonati a due stadi di un
razzo vettore) devono ora essere pensati come intreccio fittissimo, come un
vero e proprio nodo gordiano. Concretamente, per Karl Marx fu cos. Marx fu
precocemente consapevole della autonomia disciplinare di quanto era riuscito a
creare (e, in questo senso, lo ripetiamo ad nauseam, era "marxista"
al 100%), e persegu per tutta la vita il suo programma di ricerca. Ma egli
accompagn questo programma con discorsi filosofici eterogenei, dentro i quali
era linguisticamente costretto a "dire" le cose che stava mano a mano
scoprendo. Lo scrivente ha isolato per comodit (in forma forzatamente
ideal-tipica) tre di questi discorsi filosofici: il grande-narrativo, il
deterministico-naturalistico, e l'ontologico-sociale. A dire il vero, questa
tricotomia potrebbe facilmente diventare una dicotomia: il discorso
deterministico-naturalistico infatti una
variante "scientistica". della grande narrazione, e non ne differisce
qualitativamente (se non per una non essenziale mimesi linguistica delle scienze
della natura dell'Ottocento). La vera differenza filosofica fra i primi due, ed il terzo. Tuttavia, la
tricotomia forse pi chiara, e comunque
la sua discussione lascier meno equivoci. 3. Il discorso filosofico
grande-narrativo in Marx Negli ultimi anni (in particolare dopo alcune recenti
scoperte della marxologia pi avvertita e pi filologicamente attenta) la
questione del rapporto fra il cosiddetto "giovane Marx" ed il Marx SS
maturo ha assunto aspetti del tutto nuovi. Da un lato, la marxologia ufficiale
sovietica (o tedesco orientale) aveva preso atto a malincuore dell'esistenza di
un "giovane Marx" (sapendo perfettamente che tutta
l'"operazione" di politica culturale poggiante sul giovane-marxismo
non era "gestibile" dal Diamat ma soltanto dall'umanesimo
socialdemocratico attento ai "valori"), e lo aveva rubricato nel
ruolo di apprendista al mestiere di "marxista maturo". Questo Marx
maturo, naturalmente, era ridotto a ideologo della legittimazione del marxismo
terzinternazionalistico (attraverso una serie di" "tagli
tematici" cui faremo cenno nella seconda parte di questo scritto).
Dall'altro lato, il cosiddetto giovane-marxismo (che non bisogna mai confondere
con lo "studio" del giovane Marx, cosa, questa, del tutto positiva)
si era costituito come vera e propria corrente di pensiero sul presupposto di
una "autonomia", anzi di una vera e propria completezza ed armonia
teorica delle opere giovanili di Marx. La tesi di fondo del giovane-marxismo
potrebbe riassumersi in questo modo, forse semplificando un poco: se Marx non
avesse mai pi scritto una riga dopo l'"Ideologia Tedesca" sarebbe
egualmente da annoverare fra i massimi pensatori mai esistiti. La lotta fra
giovan-marxismo e vecchio-marxismo (che potrebbero entrambi essere studiati
prescindendo paradossalmente da Marx, essendo composti con materiali
rispettivamente prometeico-idealistici e positivistico-evoluzionistici) stato un episodio molto importante della
cultura europea, in quanto dietro il suo (esile) schermo si giocavano poste
politico-sociali rilevanti. Tuttavia essa funziona da ostacolo per la
comprensione di un fatto teorico di grande interesse: nel giovane Marx presente, fin dall'inizio, una tendenza ad
una rappresentazione ontologico-sociale dei fenomeni sociali (con la
distinzione fra alienazione ed oggettivazione), ed una tendenza enfaticamente
grande-narrativa (con la ricerca di un soggetto radicale su cui
"poggiarsi" in modo privilegiato per l'emancipazione totale
dell'umanit). Nel giovane Marx la rappresentazione ontologica dei fenomeni
sociali tuttavia presente soltanto come
tendenza, in quanto manca ovviamente ancora una fondazione adeguata alla
critica dell'economia politica. Questa tendenza
per agevolmente visibile, non appena ci si riesca a liberare dello
schermo prodotto da tutta la "letteratura secondaria" di tipo
giovane-marxista (9). Faremo in proposito soltanto pochi cenni. In primo luogo,
occorre comprendere che fin dal'inizio, sul piano pi strettamente metodologico
Marx si riallaccia direttamente ad Hegel, e non invece a quella corrente
sostanzialmente neofichtiana (e dunque 0 idealistico-soggettiva), rappresentata
da Hess e dagli hegeliani di sinistra, ed in cui rientra 34 anche un certo
Feuerbach. La dura critica del giovane Marx alle ipostatizzazioni hegeliane
(messa in luce particolarmente dalla scuola di Della Volpe) ha fatto troppo
spesso dimenticare la "solidariet profonda" di Marx con Hegel, basata
sulla consapevolezza realistica dell'esistente di contro a mere volont.
utopiche fondate sull'intenzione (e si legga in proposito il fondamentale
saggio di Lukcs del 1926 intitolato "Moses Hess ed i problemi della
dialettica idealistica", in cui il "collegamento diretto" di
Marx con Hegel adeguatamente argomentato)
(10). In secondo o luogo, occorre rivendicare al giovane Marx la critica
radicale al principio dell'individualit irriducibilmente egoistica sostenuto da
Max Stirner, senza cadere nell'errore di far diventare l'anarchico Stirner
l'antesignano dei diritti dell'individuo empirico di contro alle astrazioni
dell'''essenza umana" ed alla divinizzazione della societ. L'individuo
empirico si oggettiva infatti in forma "alienata" nella quotidianit
della vita capitalistica, ed ogni anarchismo metodologico che assolutizzi
l'individualit empirica e le sue manifestazioni dentro quest'ultima finisce con
l'avallare la. vita alienata, accampando il pretesto della lotta
all'organicismo ed al principio olistico-autoritario (11). In terzo luogo (e si
tratta, in senso assoluto, del punto teorico pi importante) occorre valorizzare
fino in fondo tutte le recenti scoperte filologiche sul giovane Marx, che vanno
tutte nella direzione di un declassamento delle pretese della completezza e
della autonomia del pensiero del "giovane Marx" rispetto ad un
fantomatico "Marx maturo" e di una valorizzazione del carattere di
ricerca e di studio, di work in progress, delle opere giovanili di Marx, sia di
quelle edite che di quelle inedite (12). La valorizzazione, metodologicamente
fondamentale, della tendenza ontologica del pensiero del giovane Marx come work
in progress in direzione della critica dell'economia politica resterebbe
tuttavia ambigua ed insufficiente se non si ammettesse francamente che questa
tendenza ontologica coesiste con una sorta di antropomorfizzazione della
storia, cio con la fondazione del senso e della direzione della storia in un
soggetto collettivo titolare di ci che
stato definito "grande narrazione". La "grande
narrazione" , in prima approssimazione, l'incorporazione del materialismo
e della dialettica dentro una filosofia del soggetto. Il soggetto
grande-narrativo ha a sua volta perduto le caratteristiche formali e
trascendentalistiche di derivazione cartesiana e kantiana in direzione di una
integrale storicizzazione e sociologizzazione. Esso garantisce, con la
permanenza della sua identit originaria fondamentale, la realizzazione finale
di un programma iniziale che a sua volta
pensato come basato sulla 35 propria "essenza vera". E' appunto a
partire da questa " essenza propria" che il Soggetto diviene
portatore di un progetto di filosofia della storia (13). Nel laboratorio del
pensiero del giovane Karl Marx l'ebreo
il primo titolare, idealtipicamente astratto, del processo di
disalienazione radicale pensato con il supporto di un Soggetto. Si tratta,
ovviamente, di un "soggetto" assai particolare, il solo capace di
"saltare" il mondo reificato della identit nazionalistica e borghese
(e dunque limitata e particolare) nel suo possibile passaggio diretto dai ceti
e dalle corporazioni feudali, in cui era discriminato e ghettizzato, alla nuova
comunit sociale comunista in cui l'emancipazione sarebbe stata ad un tempo
giuridica e filosofica, individuale e collettiva. Nell'ebreo il massimo di
astrazione negativa, il denaro come equivalente generale spogliato da ogni
determinazione particolare, che ne aveva fino ad allora connotato la natura
sociale, poteva dialetticamente rovesciarsi nel massimo di astrazione positiva,
l'emancipazione totale e compiuta, nel diritto e nei fatti (14). La figura
dell'ebreo fu ben presto sostituita, come ben si sa, dalla figura del
proletario, titolare di catene radicali, e pertanto unico soggetto in grado di
emancipare, insieme a se stesso, l'intera umanit. Come facile notare, il passaggio dalla figura
idealtipicamente astratta dell'ebreo alla figura, altrettanto idealtipicamente
astratta, del proletario, rappresenta, dentro l'ancora incerta tendenza
ontologico-sociale del pensiero del giovane Marx, la metafora filosofica del
passaggio dal punto di vista della eircolazione al punto di vista della produzione,
senza peraltro che questo passaggio comporti ancora una teoria compiuta della
determinatezza strutturale della produzione capitalistica. Questa teoria verr
dopo, in seguito al fecondo incontro di Marx con l'economia politica classica,
e pi ancora con lo studio storico-sociale del capitalismo inglese.
L'edificazione di una teoria di tipo sostanzialmente impersonale (quale il
materialismo storico, e pi ancora quella sua specificazione determinata che si
chiama critica dell'economia politica) su di un presupposto filosofico
incardinato su di un Soggetto astratto-collettivo, quale il Proletariato, non
deve affatto stupire. Si tratta di un paradosso relativamente facile a
comprendersi, se appena si riflette con onest al modo di costituirsi delle
teorie scientifiche: da un lato esse si emancipano abbastanza presto dalle
determinanti influenze animistico-artificialistiche, e perci fortemente
magico-antropomorfiche, che ne facilitano la nascita e lo sviluppo, dall'altro
lato esse non diventano mai "pure" e perfettamente indenni dalle
problematiche filosofiche di tipo soggettivistico ed idealistico. Questa
compresenza di idealismo e di materialismo sfugge quasi 36 sempre ai punti di
vista filosoficamente unilaterali, che non riescono letteralmente mai a
sopportare, sul piano teoretico, questa compresenza stessa. Da un lato,
infatti, 1 sostenitori esistenzialistico-soggettivistici del giovane-marxismo
(e pi in generale dell'intero
"marxismo" ridotto a punto di vista della prassi di un soggetto
assolutizzato) scrivono migliaia di pagine, acute e - virtuose quanto
perfettamente inutili, per tradurre il materialismo storico nel Punto di Vista
di un Soggetto (radicalmente) Trasformatore, salvo poi abbandonare
completamente il materialismo. storico stesso quando questo Soggetto
Trasformatore sembra sociologicamente sparito, o quanto meno latitante (si
pensi a Jean-Paul Sartre, o meglio ancora ad Andr Gorz). Dall'altro lato,
invece, i sostenitori strutturalistici del materialismo storico come Processo
senza Soggetto sono costretti ad arrampicarsi sui vetri per negare l'evidenza
del fatto che in Marx una concezione grande-narrativa del Proletariato come
Soggetto Privilegiato della Storia universale permane anche dopo la cosiddetta
"rottura epistemologica" (e si pensi ad Althusser, e pi ancora agli
althusseriani pi schematici e semplificatori). Se sottoponiamo l'intera
questione ad una pur sommaria analisi storica ci accorgiamo che le tendenze
filosoficamente antropomorfizzanti (inevitabile supporto di una filosofia
idealistica che pensa la Storia come un continuum temporalmente omogeneo in cui
un Soggetto realizza il suo Destino) coesistono strettamente con tendenze
opposte, di tipo impersonale e disantropomorfizzante, che utilizzano
massicciamente la distinzione fra soggetto ed oggetto. Questa stretta
coesistenza e compresenza mostra, tra l'altro, tutta la superficialit
antidialettica della tesi che propugna l'esistenza di un Pensiero Originario,
presocratico ed in generale preplatonico, che non conosceva per nulla la scissione
fra soggetto ed oggetto, e che promette nel prossimo futuro possibile
l'emersione di un Nuovo Pensiero, che sar del tutto al di l di questa scissione
in cui si consumato il destino della
metafisica e della Tecnica del mondo occidentale (15). Nel pensiero
presocratico, infatti, figlio di una cultura orale e di una civilt della
memoria estranea in gran parte alla scrittura, non si era ancora data
compiutamente la separazione fra un "soggetto", cio la personalit
pensante autonoma, ed un "oggetto", cio una zona della conoscenza che
deve essere del tutto astratta (separazione che , appunto, il nucleo del
piatonismo pi antico); ma questa mancata separazione coesisteva con il massimo
di personificazione soggettiva delle forze impersonali della natura e della storia,
in quanto la psicologia dell'apprendimento mnemonico e della 37 registrazione
orale esigeva che il contenuto da mandare a memoria fosse una serie di azioni,
e ci presuppone a sua volta degli attori o agenti. La controparte del rifiuto
della cultura orale (basata, appunto, su di una integrale antropomorfizzazione
mitica delle forze naturali e sociali)
stata, inoltre, la dottrina della "psiche autonoma" (cio
dell'anima, separata dal corpo, e potenzialmente immortale), in cui un soggetto
si separa dal proprio oggetto di riflessione; processo, questo, che
riantropomorfizza in modo nuovo e qualitativamente diverso le forze naturali e
sociali, questa volta sulla base della distinzione fra soggetto ed oggetto
(16). La lunga storia del pensiero occidentale (dalla filosofia greca al
marxismo di Marx) si compie dunque sotto il segno di una intima compresenza fra
tendenze disantropomorfizzanti (negazione determinata del dominio assoluto del
mito tipico delle culture orali) e tendenze riantropomorfizzanti (che si
riformano continuamente sulla base della distinzione fra soggetto ed oggetto,
modalit gnoseologica strutturale con cui si
storicamente compiuta in Occidente la disantropomorfizzazione al tempo
degli antichi Greci). In Marx (in particolare nel giovane Marx) la teoria del
soggetto privilegiato, il cui punto di vista permette di "sciogliere
l'enigma della storia" (l'ebreo, prima, per un brevissimo periodo, il
proletario poi) non si pone dunque come un residuo mitico-antropomorfico di
filosofie della storia e di religioni di salvezza (per usare un linguaggio alla
Lowith, una laicizzazione imperfetta della escatologia giudaico-cristiana nel
linguaggio dell'economia politica), ma si colloca come una vera e propria
premessa (potenzialmente, ma solo potenzialmente, antropomorfizzante) di una
teoria che nella sua pi intima essenza
integralmente disantropomorfizzata, la critica dell'economia politica, appunto,
basata sulla critica radicale del robinsonismo e della assolutizzazione (questa
s, del tutto antropomorfica) dello homo oeconomicus capitalistico-borghese.
Certo, la critica dell'economia politica non pu mai essere integralmente
disantropomorfizzata (come volle a suo tempo la scuola althusseriana, per
cadere nel "soggettivismo delle strutture", la cui personificazione pi pericolosa in quanto talvolta difficilmente riconoscibile), ma di
questo non bisogna preoccuparsi fuori misura. La sola riantropomorfizzazione "pericolosa" della critica
dell'economia politica , appunto, la trasformazione integrale del marxismo in
grande narrazione edificante, in cui il "comunismo" funziona come
"utopia sintetica" e si vuole come soluzione "integrale"
della storia. Marx usa certo queste espressioni, di tipo integralmente
grande-narrativo, la cui tendenza innegabile
quella di antropomorfizzare la storia. Queste espressioni sono per quasi
38 sempre usate in determinati "contesti rilevanti", caratterizzati
dallo sforzo di derobinsonizzare l'economia politica e pi ancora di scoprire i
vizi ipostatici della filosofia hegeliana, basati tutti in ultima istanza sulla
trasformazione di punti di vista soggettivi della borghesia tedesca del tempo
in manifestazioni impersonali dello Spirito (oggettivo ed assoluto). Il
contesto rilevante, integralmente disantropomorfizzante, coesiste dunque, in
compresenza necessaria, con una forma linguistica riantropomorfizzata, la
"grande narrazione". Solo la comprensione piena ed onesta di questa
compresenza permette, dunque, di evitare realmente l'incantesimo
grande-narrativo, pur presente in Marx (17). 4. Il discorso filosofico
deterministico-naturalistico in Marx Come si
visto nel paragrafo precedente, la critica marxiana dell'economia
politica, il cui aspetto dominante
l'antirobinsonismo e la polemica contro la personificazione
metafisico-idealistica delle forze storiche e sociali, nasce e si sviluppa
dentro un discorso spesso antropomorfizzante, in cui il Proletariato, soggetto
privilegiato del processo storico, ne risolver l'enigma fino all'utopia
sintetica chiamata "comunismo". E' questo l'aspetto
filosofico-idealistico del pensiero marxiano. Vi per anche, in ambigua compresenza, un secondo
aspetto, che potremo sommariamente definire scientistico-idealistico, in cui
viene soggettivizzata una entit cosalmente impersonale definita Produzione
Moderna, che sostituisce in parte (mai del tutto) la nozione di Comunismo come
progetto intrinseco-immanente alla "natura essenziale" del
Proletariato. La struttura teorica dell'idealismo "scientistico"
non diversa, negli aspetti essenziali,
dalla struttura teorica dell'idealismo "filosofico". In entrambi i
casi, infatti, una dottrina diventa integralmente ideologia di legittimazione
sociale di comportamenti politici determinati, e questo pu avvenire sia in nome
di una filosofia dello Spirito (come nel caso di Benedetto Croce e pi in
generale del crocianesimo borghese italiano), sia in nome del possesso
privilegiato del metodo e della conoscenza "scientifica" della natura
e della societ (come nel caso del positivismo borghese, in Italia ed altrove).
Dire che il "comunismo" lo
sbocco inevitabile, scientificamente prevedibile, della natura dinamica della
produzione capitalistica moderna, che socializza le forze produttive e
polarizza i rapporti di produzione, non
diverso dal dire che il "comunismo" il passaggio dalla preistoria alla storia
attuato dal proletariato rivoluzionario. La prima proposizione suona anzi pi
"scientifica", e- dunque pi "convincente", in un'epoca
storica in cui la scienza 39 diventa la principale, se non l'unica, ideologia
di legittimazione sociale (18). | In Marx (ed ha poco senso attribuire al solo
Engels dichiarazioni scientistiche, nell'ingenua ed infondata intenzione di
"salvare" Marx da ogni caduta deterministico-naturalistica) si
possono agevolmente trovare decine di citazioni che possono legittimare una
lettura del materialismo storico come teoria delle "legalit
necessarie" di tipo naturalistico applicate a quella particolare
"sezione" della natura chiamata "societ" (19). Questa
lettura, come noto, fu storicamente
fatta, e divent storicamente dominante, nel "marxismo" della Seconda
e della Terza Internazionale. E' possibile, ed anzi necessario chiedersi: si
tratt di un fraintendimento della lettera e dello spirito di Marx, o di un
coerente sviluppo della sua impostazione teorica fondamentale? Alcune
riflessioni ci aiuteranno forse a rispondere a questa domanda. A ben
riflettere, una ricognizione attenta al laboratorio teorico di Marx ci permette
di affermare tranquillamente che la sua preoccupazione principale non fu mai
quella di formulare la critica dell'economia politica in modo da farle
"superare" i controlli di tipo "epistemologico" cui erano
sottoposte le ipotesi scientifiche del tempo (in pratica, l'induttivismo di
Stuart Mill, cui si sottopose volentieri lo stesso. Darwin), quanto quella di
trovarne una "forma d'esposizione" dialettica soddisfacente. Tutto
questo ormai assai noto, e non vogliano
qui ripeterlo (20). E' forse meno noto, ed appunto per questo ancora pi degno
di riflessione, che Marx ebbe sempre un interesse vivo, costante, mai episodico
e saltuario, per i progressi che si stavano facendo nelle scienze naturali ed
applicate. Questo interesse non era fondato sul progetto di
"incorporazione" della propria scoperta (il materialismo storico come
teoria della genesi, sviluppo e declino di determinati modi di produzione, in
particolare quello capitalistico) in un'enciclopedia generale delle scienze di
tipo positivistico, ma si basava su di una acuta consapevolezza di tipo
interdisciplinare, ostile a quella esasperata divisione
accademico-universitaria delle discipline che fu un prodotto (spesso non
voluto, ed anzi avversato a parole) del grande positivismo europeo
dell'Ottocento. Il materialismo storico restava in Marx qualcosa di ben
distinto dalla chimica, fisica, biologia, mineralogia, geografia, eccetera.
Esso aveva il suo oggetto ed il suo metodo peculiare, ma il suo sviluppo
sarebbe risultato asfittico e monco, senza una ricca e consapevole informazione
nel campo delle scienze della natura e dell'industria (21). Marx stesso si
impegn a fondo in questo campo, e questo impegno comport necessariamente l'uso
e l'abuso di metafore di tipo naturalistico, deterministico e scientistico 40
tipiche del linguaggio delle scienze della natura del tempo, basate sul
paradigma della necessit, categoria assolutamente portante di tutto il
linguaggio scientifico dell'Ottocento (22). L'ideale laplaciano, rigorosamente
deterministico e necessitaristico,
infatti centrale, nell'Ottocento, non tanto nelle singole scienze
particolari (le quali, come ben spiega Gaston Bachelard, avevano tempi di
sviluppo ben differenziati e problemi specifici di "assestamento
epistemologico" non suscettibili di essere semplificati e ridotti ad un
unico modello), quanto nella "ricaduta filosofica" con la quale le
scienze "si presentavano" alla sintesi culturale dominante. Questo
non significa, ovviamente, che la storia delle scienze dall'Ottocento al
Novecento sia stata un semplice trapasso dalle "sicurezze" predittive
e deterministiche ad una sorta di generale indeterminismo (sarebbe, questa, una
vera caricatura della storia del pensiero scientifico). E' invece possibile
dire, con tutta tranquillit, che la categoria di necessit aveva un ruolo
assolutamente centrale nell'immagine della scienza ottocentesca, finendo inoltre
con l'indicare due significati del tutto eterogenei l'un l'altro, il nesso di
causalit rigorosa, da un lato, la ferrea prevedibilit ed anticipazione degli
esiti, dall'altro. Qui sta, fra l'altro, la radice di quell'equivoco
(filosoficamente assai poco spiegabile), tanto diffuso soprattutto a fine
Ottocento, che faceva dell'ideale scientifico qualcosa di simultaneamente
meccanicistico (basato cio su di una causalit rigorosamente necessitante) e
teleologico (in grado di prevedere, cio, un esito in modo talmente infallibile
da far pensare che questo esito fosse stato iscritto fin da principio nella
"natura stessa" del fenomeno) (23). La paradossale compresenza di
meccanicismo e di teleologismo, tipica dell'immagine scientifica ottocentesca
(che era poi l'immagine che giungeva allo stesso Marx), permette di comprendere
la . sostanziale inutilit di tutti quegli schemi di lettura (alla Lucio
Colletti, per intenderci) che retrodatano all'Ottocento la. contrapposizione polare fra intelletto
scientifico-analitico, buono, e ragione dialettico-contraddittoria, cattiva. Il
necessitarismo teleologico era infatti presente (ed anzi, fortemente presente)
sia nelle teorie scientifiche di tipo rigorosamente empirico-induttivo sia
nelle generalizzazioni enciclopediche di tipo dialettico, senza che fosse
possibile una netta separazione fra le due (24). Anche Marx, ovviamente, spesso irresistibilmente attratto da questa
compresenza di meccanicismo e di releologismo, e talvolta. mette egli stesso il
materialismo storico e la critica dell'economia politica sotto il dominio della
categoria della necessit (mettendo fra parentesi tutte le altre categorie
ontologiche, in primo luogo la 41 categoria della possibilit) (25). Ci non deve
stupire, e nemmeno scandalizzare: ci che invece stupisce, e sinceramente
scandalizza, il ritardo del materialismo
storico a cent'anni dalla morte di Marx a 'sganciarsi" da un paradigma
scientifico ottocentesco, superato ormai da molto tempo. Il ritardo caratteristico anche della storiografia e
della cosiddetta marxologia. Ingenera stupore e sdegno, ad esempio, il
permanere della leggenda che vuole Marx mendicare, alla porta della casa di
Darwin, il permesso di dedicare "Il Capitale" al grande naturalista
(26). Marx ammirava infatti moltissimo Darwin, ma non ne feticizz mai il
metodo, in primo luogo, e non attribu mai al darwinismo teorico una natura
teleologico-metafisica, in secondo luogo (quasi volesse "legittimare"
una lettura teleologico-deterministica della propria opera assimilandola a
quella darwiniana). Marx non permise mai alla propria autoconsapevolezza
scientifica l'irruzione di una immagine teleologico-necessitante della propria
concezione dell'accumulazione del capitale (cos come non permise mai
un'antropomorfizzazione filosofico-idealistica del ruolo storico del
Proletariato), nonostante alcune evidenti concessioni all'immagine ottocentesca
della scienza. Imped questo la sua consapevolezza filosofica di tipo
ontologico-sociale, cui ora brevemente accenneremo. 5. Il discorso filosofico ontologico-sociale
in Marx La comprensione della dominanza specifica, in Marx, di un discorso
filosofico di tipo ontologico-sociale sugli altri due tipi di discorso (pur
presenti) grande-narrativo e deterministico-naturalistico produce due effetti
fondamentali. In primo luogo, in negativo, interdice tutta una serie di
fraintendimenti radicali della filosofia del materialismo storico, che lo
trasformerebbero in una (mediocre) filosofia della storia (27). In secondo
luogo, in positivo, promuove attivamente una concezione filosofica del mondo la
quale, di per s, non ancora
"materialismo storico" n tantomeno "critica dell'economia
politica", ma che funziona da cornice e da quadro per il loro sviluppo
creativo e non dogmatico. In conclusione della prima parte di questo scritto
accenneremo brevemente ad alcuni fraintendimenti radicali della filosofia del
materialismo storico. Non esiste ancora, purtroppo, una vera e propria teoria
materialistica del "fraintendimento sistematico" del marxismo come
parte di una pi generale ed ampia teoria dell'ideologia come falsa coscienza e
come coscienza necessariamente falsa. Il "fraintendimento" non pu
essere in genere ricondotto 42 soltanto a questioni di conoscenza (teoria
razionalistica dell'errore)\ o a questioni di "interesse" (teoria
economicistica dell'egoismo, individuale o di gruppo), e neppure ad una mera
interazione fra i due' elementi fatta in nome del "buon senso". Il
fraintendimento forse una vera e propria
forma d'esistenza necessaria della lotta fra ideologie in una congiuntura
storica determinata, che deve essere data per scontata. Vi per una tendenza molto forte oggi, di tipo
astratto-razionalistico, che intende lottare contro i fraintendimenti pi
fastidiosi e strumentali del materialismo storico finendo con l'accettare il
terreno in cui sono sorti questi ultimi: si tratta di quell'incantesimo
epistemologico e di quell'insistenza di tipo gnoseologico che ha integralmente
dimenticato Marx (in cui logica, dialettica e teoria della conoscenza si
identificavano in ultima istanza) per perdersi nei mille meandri di Popper,
Lakatos, Feyerabend, Kuhn, eccetera. Si tratta di una tendenza sterile, che non
fa che ripetere, in forma impoverita e linguisticamente involuta, posizioni
teoriche notissime nella storia della filosofia occidentale dai tempi almeno di
Kant e di Hegel. L'istanza criticista, che interdice (con la dolce forza della
ragione, non certo con il "braccio armato" dei poliziotti) i
fraintendimenti di tipo metafisico del materialismo storico (dallo scrivente
distinti nei due gruppi grande-narrativo e deterministico-naturalistico) non pu
essere garantita da una gnoseologia che si sovrapponga ad una ontologia,
duplicandola, ma pu essere soddisfatta solamente da una corretta concezione
ontologica delle categorie specifiche dell'essere. sociale, oppure, altrimenti
detto, da una critica immanente all'uso scorretto di queste categorie. Si qui distinto, per chiarezza, fra
"interdizione" di cattive concezioni del marxismo e "promozione"
di una corretta concezione. di esso. Si tratta in realt di un unico movimento
del pensiero, che. si sviluppa dialetticamente su di una base
ontologico-sociale, cui ora accenneremo brevemente in positivo. La proposizione
ontologico-sociale fondamentale del pensiero marxiano fondata sull'esistenza di una sola scienza,
la scienza della storia, caratterizzata "filosoficamente" dalla
processualit, e "scientificamente" dalla specificit. Nel momento in
cui Marx fa della produzione e riproduzione della vita umana il problema
centrale, compare la doppia determinazione di una insopprimibile base naturale
e di una ininterrotta trasformazione sociale di questa (l'essere sociale nel
suo insieme ed in ogni suo singolo processo presuppone l'essere della natura
inorganica ed organica). Tuttavia, questa apparente, cristallina
semplicit" monistica nasconde grandi difficolt di corretto orientamento
filosofico. Elenchiamone alcune, 43 senza alcuna pretesa di completezza (28).
In primo luogo, la "natura", inorganica ed organica, non pu essere
filosoficamente intesa come il "fondo" sul quale viene edificata la
"storia". E' noto che questa concezione, gi criticata a suo tempo da
Benjamin, fu propria del pensiero socialdemocratico e
secondinternazionalistico, che vedeva il "lavoro umano" creatore di
ogni ricchezza come attivit che si "fondava" sulla inesauribile
saccheggiabilit delle risorse naturali e sociali, cui era possibile "dar
fondo" in modo pressoch illimitato. Oggi questa concezione si presenta in
modo specularmente rovesciato (pensiamo al "pessimismo ecologico" del
Club di Roma e pi ancora di posizioni "verdi" tedesche), insistendo
sui "limiti" invalicabili del "fondo naturale" cui possiamo
attingere, e proponendo cambiamenti nel "modo di distribuzione" (che
dovrebbe basarsi sul rifiuto del "consumismo"). Sebbene lavisione del
mondo ecologico-igienistica sia indubbiamente pi simpatica del delirio
industrialistico-prometeico occorre notare che esse si fondano sulla stessa
adialettica concezione destoricizzata della "natura come fondo".'in
Marx, invece, la trasformazione sociale della base naturale pensata inscindibilmente con il
"movimento" di questa base naturale stessa, che nella sua
processualit (i cui tempi, ovviamente, non coincidono con i progetti soggettivi
degli ingegneri) non si lascia mai dare come "fondo" statico delle
azioni umane (29). s In secondo luogo, l'esistenza ontologico-sociale di una
sola scienza, la scienza della storia, non significa affatto che vi sia
automaticamente anche un solo "paradigma scientifico" unificato,
valido per le cosiddette scienze della natura come per le cosiddette scienze
storico-sociali. La prima questione verte sulla forma filosofica del discorso
marxiana, che incardinata sul rifiuto
metodologico e sistematico di considerare in modo astorico lo sviluppo del
nesso natura-societ; la seconda questione concerne invece il concreto dibattito
epistemologico nelle scienze della natura e nelle scienze storico-sociali, che
va dalla "vecchia alleanza" ottocentesca fino alle proposte attuali
di "nuova alleanza" (attraverso il divorzio tra "natura" e
"cultura" alla svolta del Novecento, prima, e l'imitazione dei
modelli formali e l'espulsione della storia fatta dal neopositivismo applicato
alle scienze sociali, dopo). Vi , indubbiamente, una "difficile alleanza"
fra i paradigmi prevalenti nelle scienze naturali e quelli dominanti nelle
scienze storico-sociali, che nasce, appunto, dalla estrema difficolt di
conciliare il principio generale della processualit storica (naturale e
sociale, ovviamente) con la. determinazione particolare della . specificit
strutturale (che attiene alla pluralit bachelardiana delle singole scienze
naturali ed alla pluralit marxiana dei singoli modi di produzione sociali). E'
44 questa, tuttavia, una "sfida teorica" che pu nascere soltanto
sulla base ontologico-sociale dell'esistenza dell'unica scienza della storia
(30). In terzo luogo, l'attribuzione alla processualit dialettica (della natura
e della storia impersonalmente e/o antropomorficamente naturalizzata) di una
natura teleologica immanente (dovuta a ci che sommariamente definiremo
l'irresistibile fascino della logicizzazione hegeliana della storia) porta alla
esiziale conseguenza che Lukcs definisce in modo geniale come "storia
spogliata dalla forma storica". Questa "storia spogliata dalla forma
storica" dimentica che la conoscenza "tipicizzata" del passato
avviene soltanto post. festum ( l'anatomia dell'uomo la chiave per capire
l'anatomia della scimmia, cos come l'economia borghese fornisce la chiave per
l'economia antica), e che dal fatto che l'antichit classica nasca con necessit
ontologica, venga sostituita in modo altrettanto necessario ontologicamente dal
feudalesimo, eccetera, non si pu affatto dedurre che dall'economia schiavistica
la servit della gleba "derivi" in termini logico-razionali. La
necessit, filosoficamente fondamentale, di enfatizzare tanto la presenza nella
sola categoria del "lavoro" del doppio aspetto della causalit e della
teleologia (fino a sembrare maniacalmente noiosi) dovuta proprio al fatto che non vi concretamente altro modo di mettere in
guardia dalla "storia spogliata dalla forma storica" (31). Le tre
difficolt sopra indicate non sono certo le sole che sorgono sul terreno della
proposizione ontologico-sociale che afferma l'esistenza di una sola scienza, la
scienza della storia. Delle tre, certo
l'ultima la pi indicativa e la pi delicata: ci che infatti inevitabilmente
dimentica o trascura la "storia spogliata dalla forma storica" non
deve essere dimenticato o trascurato all'interno di una forma filosofica del
discorso che voglia appunto sfuggirle. Vi sono in proposito almeno due ordini
di problemi di rilevanza strategica. | In primo luogo, la generale processualit
dialettica che muove i complessi sociali non avviene in una temporalit lineare
omogenea, ma procede solo all'interno di specifiche discontinuit storiche, che
sono appunto la forma temporale d'esistenza dei modi di produzione. . Il
cosiddetto comunismo primitivo, ad esempio (ma il termine dovrebbe essere
abbandonato in favore del termine, pi neutro, ma anche pi corretto, di
"societ primitive"), presenta specifiche legalit ontologiche-sociali
che gli sono del tutto peculiari, e che sono dunque caratterizzate dalla
categoria ontologica della necessit; per contro, l'evoluzione del comunismo
primitivo in direzione di una forma di stato di tipo antico-orientale o
asiatico una pura e semplice possibilit
(mentre l'evoluzione diretta al capitalismo
una vera e propria impossibilit ontologico-sociale, a meno che si creda
45 all'esistenza "reale" e concreta della societ mercantile semplice)
(32). Il modo di produzione schiavistico (il cui studio ha fatto recentemente
enormi progressi, mostrando ancora una volta la totale erroneit del punto di
vista alla Karl Korsch o alla Polanyi che limita strettamente la vigenza del
metodo storico-materialistico al solo modo di produzione capitalistico) anch'esso caratterizzato da modalit di
riproduzione dominate da una legalit sociale necessaria, mentre una mera possibilit la sua evoluzione verso
forme di tipo feudale. In quanto al modo di produzione feudale, ormai divenuto un luogo comune sancito da
tutta la migliore storiografia il fatto che esso non contenesse dentro di s
l'immanente .e necessaria transizione al capitalismo, ma che quest'ultima stata solo una possibilit storica,
sviluppatasi peraltro sulla base di azioni teleologiche di agenti
protocapitalistici e poi capitalistici (33). Indubbiamente il modo di
produzione feudale non mai stato in
grado di procedere ad una reale "unificazione economica" del mondo
(vista da. Marx come l'elemento specificatamente "progressivo" del
capitalismo), ed in questo sta una delle sue qualitative differenze dal modo di
produzione capitalistico. @In comune - per vi
una determinazione ontologico-sociale: di fondo: anche nel modo di
produzione capitalistico vi sono determinazioni costitutive rette dalla
categoria della necessit (ad esempio, le crisi economiche), mentre vi sono
altre determinazioni costitutive rette solamente dalla categoria della possibilit
(ad esempio, la transizione al socialismo ed al comunismo) (34). E' questa,
ovviamente, una distinzione basilare. Si tratta, peraltro, di una condizione
necessaria, ma non ancora sufficiente, per acquisire urna vera e propria
fondazione ontologico-sociale della filosofia del materialismo storico; la semplice
affermazione del nesso dialettico necessit della crisi/possibilit della
transizione infatti tipica di un
"marxismo" come quello di Rosa Luxemburg o dei neo-kantiani di inizio
secolo, e non basta, se non vi si aggiunge la caratterizzazione del "lavoro"
come forma originaria e modello della prassi sociale e si tralascia di dire che
la realizzazione dell'uomo integrale una
petizione prometeico-olistica, estranea alle determinazioni ontologiche.
dell'individuo, il quale si pu invece legittimamente porre il programma
realistico dello sviluppo della particolarit, che diventa una possibilit reale
sulla base del comunismo, e solo su questa base (35). Queste due determinazioni
essenziali si riconducono entrambe al fatto che la storia descrizione e comprensione di processi
irreversibili (se la storia dovesse tornare sempre al punto di partenza,
cesserebbe di essere storia, =d appunto
questo fatto che permette 46 al materialismo storico di parlare di sviluppo e
di progresso in chiave non ideologica). Il lavoro (nel suo doppio carattere di
posizione teleologica, inesistente della natura inorganica ed in quella
organica, e di modello della prassi sociale) produce situazioni e livelli
storici irreversibili, che fanno diventare sempre nuove situazioni che ad una
prima analogia potrebbero sembrare apparentemente le stesse (il ritorno alla
sessualit o alla tecnologia degli antichi Egizi
impossibile, e la stessa ipotesi fantascientifica del cosiddetto
dopo-bomba non ci farebbe comunque recuperare l'infanzia perduta dell'umanit;
una ragione in pi, questa, per lottare contro le ipotesi
"sterministiche" della guerra atomica) (36). Il modo di produzione
capitalistico, ad esempio, produce una situazione assolutamente irreversibile
per quanto concerne la divisione (sociale e tecnica) del lavoro, l'integrazione
del mercato mondiale e la riduzione del tempo di lavoro necessario per la
riproduzione della vita umana associata, eccetera: ogni "regresso" al
feudalesimo, all'asiatismo, ecc.,
impossibile dal punto di vista ontologico-sociale, anche se il fascino
delle facili analogie mette su questo punto fuori strada molti. teorici e
commentatori. Producendo una sempre maggiore astrattizzazione del lavoro ed una
sempre maggiore casualit nella collocazione individuale e sociale dentro
l'organizzazione (sociale e tecnica) del lavoro,il singolo individuo si trova
confrontato con una situazione storica irreversibile, che non ha pi nulla in
comune con quella degli antichi egizi, dei greci classici, dei servi della
gleba medioevali o dei borghesi del Settecento Egli ora costretto a "giocare tutte le sue
carte" sull'irreversibile terreno dell'astrattizzazione del lavoro (il
termine non esclude - ma anzi contiene - il "nuovo" problema del
neo-artigianato specializzato nella cosiddetta individualizzazione del
prodotto) e della casualit del suo inserimento dentro di questa. E' questo il
problema della particolarit, che non pu essere risolto n. dalle utopie
anti-individualistiche, di tipo olistico ed organicistico (che pensano sempre s
stesse come una sorta di Superindividuo unificato ed antropomorfizzato, in cui
i singoli "atomi sociali" verrebbero "sciolti"),
sciaguratamente sostenute anche e soprattutto all'interno del movimento operaio
storico, n tantomeno dalle forme - di neo-individualismo borghese (di tipo
utilitaristico e/o contrattualistico), che ritengono di poter ancora giocare la
salvaguardia della particolarit umana individuale all'interno dei "meriti
e dei bisogni" che si riproducono sulla base della divisione capitalistica
del lavoro sociale (37). Nessuno pu certo dire oggi come si realizzer (n se si
realizzer) la possibilit storica, ontologicamente resa possibile
dall'irreversibilit del capitalismo stesso, della particolarit comunista 47
dell'individuo (in questo senso, marxianamente, non si possono scrivere ricette
per le osterie dell'avvenire) (38). E' certo per che su questo punto si regge
la forma filosofica del discorso marxiana, di tipo ontologico-sociale:
l'irreversibile processualit del discontinuo divenire storico ha prodotto una
costellazione specifica (il modo di produzione capitalistico, nel suo pi ampio
senso di unit di determinazioni , economiche, giuridico-politiche,
etico-morali, artistiche, filosofiche, eccetera), in cui sono possibili
ontologicamente modalit di vita associata che prima non lo erano. E' questa, a
nostro parere, la formula filosofica principale del materialismo storico. Essa
non dunque n di tipo grande-narrativo
(non vi infatti un Superindividuo
antropomorfizzato che fa da "portatore" alle utopie sintetiche), n di
tipo deterministico-naturalistico (eesendo la modalit teleologico-causale del
lavoro propria soltanto dell'ontologia dell'essere sociale, ed estranea all'essere
inorganico ed organico). Sembra sicuro che Marx abbia sostanzialmente.
condiviso questa. impostazione fondamentale (sia pure con secondarie
ambivalenze ed ambiguit). Essere "marxisti" dunque tuttora possibile e necessario, anche
sul terreno della filosofia. 6. Il problema dei fraintendimenti filosofici di
Marx Nella seconda parte di questo scritto si chiarir come non esista a: rigore
una storia lineare-cumulativa di fraintendimenti della purezza originaria"
marxiana, ma vi sia soltanto una storia discontinua di "formazioni ideologiche"
in cui per forza di cose il "nucleo marxiano" non che una componente. Il problema del
"fraintendimento" non pu dunque essere impostato sulla base
razionalistico-didattico-scolastica degli "errori" fatti da
superficiali ignoranti (sebbene a proposito del "marxismo" chiunque
si senta in grado di dire le prime banalit che gli passano per la testa), ma fa
parte integrante del problema storico delle "ideologie di
legittimazione" del potere (oppure, se si preferisce il linguaggio heideggeriano,
delle "immagini del mondo" che si impongono con inesorabile ed irreversibile
necessit temporale). Premesso doverosamente questo, chiaro che si pone anche un problema
teoretico specifico concernente il fraintendimento filosofico del discorso
marxiano. In linea generale esso si riconduce sempre alla dimenticanza della
prevalenza del discorso ontologico-sociale sugli altri due sopraindicati, che
vengono in varie misure ipertrofizzati e resi unilateralmente prevalenti (39).
In via subordinata. il fraintendimento prende
forme diverse, a prima vista molto eterogenee. Non discuteremo qui il
"fraintendimento economicistico", El 48 che di tutti il pi noto e diffuso; esso non attiene
infatti la forma filosofica del discorso marxiana, ma un vero e proprio stravolgimento radicale di
tutto l'apparato categoriale del materialismo storico, di cui non rimane, in un
certo senso, pietra su pietra. La "letteratura secondaria" in proposito assai vasta, e ben poco rimane
da aggiungere (40). Altri fraintendimenti sono invece meno noti, e meritano un
breve cenno di segnalazione, necessariamente frettolosa. Ci limiteremo qui a
tre "cattive filosofie" del materialismo storico, meritevoli di un
sommario esame. | In primo luogo, occorre insistere sul fatto che la filosofia
del materialismo storico non , e non pu essere, la riflessione epistemologica
sul "paradigma delle scienze sociali". A prima vista, sembrerebbe una
vera e propria ovviet. E' facile infatti per l'osservatore non prevenuto capire
che il materialismo storico (per la sua genesi, il suo sviluppo, il suo oggetto,
il suo metodo, eccetera) cosa ben
distinta dalla "sociologia", ed anche dalle cosiddette "scienze
storiche" (41). Inoltre, dovrebbe essere ancora pi facile capire che il
materialismo storico non , e non pu essere, la descrizione della fenomenologia
degli "stati di coscienza" e delle "modalit d'azione
collettiva" dei cosiddetti soggetti sociali. Questa descrizione ovviamente necessaria, ed utilissima (la
conoscenza I sociologica non infatti
"ideologia", ma a tutti gli
effetti uno pezzo importante della rappresentazione materialistica del mondo
sociale), ma non certo la
"filosofia" del materialismo storico. Storicamente per la si spesso scambiata per quest'ultima, in una .
variet di forme differenti, che vanno da un certo sartrismo francese (in
particolare Gorz), fino al nefasto paradigma filosofico del cosiddetto
"'operaismo italiano". La riduzione dell'oggetto e del metodo del
materialismo storico alla "descrizione partecipante" delle forme di
attivit e di coscienza di "soggetti storico-sociologici" via via
rumoreggianti sul proscenio del tempo presente ha portato (e, d'altronde, non
poteva che portare) alla paradossale e sgangherata coincidenza della
"falsificazione epistemologica" delle pretese.
"scientifiche" del materialismo 0 storico, da un lato, e.
dell'""accertamento sociologico" dell'incapacit pratica dei
soggetti sociali a fare. subito, presto e bene la "rivoluzione
comunista", dall'altro. In questo modo il "paradigma della
disillusione" (che studia la ciclica alternanza fra le stagioni
dell'impegno ed i giorni del distacco)
l'inevitabile conclusione filosofica di tutte le "descrizioni
partecipanti" che si vogliono fondative del significato teorico del
materialismo storico (42). - In secondo luogo, occorre ribadire in ogni
occasione che la 49 filosofia del materialismo storico non pu
"staccarsi" mai dai concetti fondamentali del materialismo storico
stesso e dalla "specificazione determinata" che questi concetti
stessi trovano in quella particolare "forma" storico-materialistica
chiamata critica dell'economia politica. Anche in questo caso ci troviamo
davanti ad una assoluta ovviet, che a prima vista sembra addirittura una vuota
e pretenziosa tautologia. Non purtroppo
cos. Gome sappiamo, vi sono storicamente state molte filosofie che si sono
volute "apologetiche" del marxismo (dal "Diamat" allo
storicismo), e che si sono sviluppate in modo totalmente autonomo dal
materialismo storico, che non una
religione di salvezza, ma una teoria dei modi di produzione sociale. Non
possiamo dunque stupirci che anche gli "avversari" del marxismo siano
caduti nell'errore di "dimenticare" che la teoria dei modi di
produzione e delle formazioni economico-sociali non soltanto il nucleo portante del materialismo
storico, ma anche parte integrante della
sua forma filosofica del discorso. Benedetto Croce, ad esempio, ha decretato il
"tramonto" del marxismo con argomentazioni di vario tipo, variamente.
valutabili, che non toccano comunque mai la valenza pratico-trasformativa che
scaturisce da un corretto uso dei concetti storico-materialistici come quello
di modo di produzione (altra cosa, infatti,
la valutazione crociana del materialismo storico come "canone
metodologico", discendente da una interpretazione del marxismo come
storicismo, e non come teoria della discontinuit temporale dei modi di
produzione) (43). Benedetto Croce un
critico "laico" del marxismo. Vi sono, per, critici
"religiosi" che dimenticano spesso e volentieri che. il materialismo
storico pur sempre una teoria dei modi
di produzione, ed una valutazione filosofica di esso non pu tralasciare questo
aspetto. Un esempio ci dato dal filosofo
Augusto Del Noce, che resta pur sempre un acuto interprete filosofico delle
tendenze suicide immanenti allo sgangherato "storicismo marxista"
italiano. L'analisi di Del Noce sul karakiri culturale ed ideologico
dell'italo-marxismo tuttora secondo lo
scrivente insuperata (empiricamente "visibile" nei verbosi
"dibattiti" pluralistici dei festival dell'"Unit" e nella
consunzione progressiva delle giunte "rosse" e di ogni residuo di
identit "differenziale" di sinistra), e costituisce un
"rimosso" inevitabile per i sempre meno numerosi "credenti"
nella cosiddetta "'eccezionalit in positivo" del caso Italia
nell'Europa contemporanea. Quando, tuttavia, Augusto Del Noce passa ad
esaminare "filosoficamente" il materialismo storico, dimentica
semplicemente che si tratta pur sempre di una teoria ontologico-sociale
determinata n dei modi di produzione sociali (ed perci in base a questa sua 50 pretesa che
deve essere giudicato), per trasfigurarlo in una sorta di immanentismo radicale
o in un ateismo prometeico, inevitabilmente nichilistico. Certo, questa
interpretazione "serve" ideologicamente a rafforzare l'identit
teorica del "nuovo" integralismo cattolico, ma pu soltanto fondarsi
sopra una sostanziale ignoranza della specifica valenza ontologico-sociale
della filosofia marxiana (44). Croce e Del Noce non sono ovviamente i soli
esempi possibili di questa "dimenticanza" della teoria dei modi di
produzione. Ve ne sono molti altri. In proposito, il pi "grande" dei
teorici contemporanei di questa tendenza
forse il polacco Leszek Kolakowski. La sua "grandezza" (nel
senso di exemplum negativum, da cui peraltro c' molto da imparare) risiede
proprio nel fatto di "incarnare" (nel senso di una moderna figura di
una sorta di Fenomenologia dello Spirito di "gallerie" marxiste
esemplari) una carriera filosofica in cui si passa da una prima fase di
settarismo soggettivistico staliniano (travestito da "materialismo
dialettico"), ad una seconda fase di umanesimo riformista di marxismo
dialogico (a met fra la morale dell'"intenzione" e l'autonomia del
"fattore economico"), per finire in una terza fase di consapevole
ripudio dell'intera tradizione marxista e dello stesso nucleo marxiano
originario, popperianamente ridotto ad un progetto utopistico-autoritario
basato sulla dialettica. In tutte e tre queste "fasi" il materialismo
storico non mai una sobria e modesta
teoria dei modi di produzione, ma sempre
altro: teoria generale della natura e della storia, umanesimo radicale,
prometeismo utopistico, eccetera. Questo "altro" sempre giustamente criticato (a posteriori),
ma finisce ovviamente con l'assorbire integralmente tutto il materialismo
storico. D'altra parte, la critica di Kolakowski "irresistibile", se non si prima fatta chiarezza sulla specifica
prevalenza dell'ontologia sociale sui discorsi grande-narrativo. e
deterministico-naturalistico. Ove la chiarezza sia invece fatta,questa critica
diventa debole e sovente pretestuosa, finendo con il mancare integralmente il
suo bersaglio teorico (45). In terzo luogo, infine, occorre respingere
decisamente tutte quelle varianti teorico-filosofiche del pensiero materialista
che legittimano una sorta di "doppio livello" della teoria marxista:
un primo livello, iconoclasta, capace di lasciarsi alle spalle tutte le
ideologie consolatorio-edificanti e tutte le idolatrie di capi, capetti e
"duci", mummificati o viventi, del movimento operaio; un secondo
livello, iconomane, destinato a restare sempre invischiato nel fascino carismatico
dell'autorit a-razionale del leader politico "sacrale", ed incapace
di attingere integralmente la portata della critica genealogica delle ideologie
del potere (46). i S1 Esistono, ovviamente, molte varianti di questa teoria del
"doppio livello", che potremo definire come una sorta di
'"aristocraticismo gnoseologico" (che rimanda all'idea romantica di
"genio") applicato alla filosofia marxista, e che presuppone
indiscutibilmente l'influenza del pensiero di Nietzsche, grande teorico del
fatto che le "personalit" capaci di superare i pregiudizi del volgo
furono, sono e sempre saranno delle ecczioni. Non pu essere questa la sede di
una enumerazione, che pure presenterebbe qualche motivo di interesse (ci si
imbatterebbe infatti in pensatori che passano per ultra-egalitari e
super-democratici, e che hanno invece sistematicamente sostenuto la perennit
della scissione fra dirigenti e diretti, fra coscienti ed inconsapevoli, fra
illuminati ed "oscuri", eccetera). Il lavoro di Rgis Debray sopracitato
(e curiosamente sconosciuto in Italia) ci sembra da questo punto di vista
assolutamente esemplare (rappresentando, fra l'altro, uno dei possibili esiti
teorici della scuola althusseriana, che
sempre stata ossessionata dalla scissione fra scienza ed ideologia nel
marxismo-moderna versione dell'averroismo medioevale e della sua teoria della
"doppia verit"): esemplarit che risiede nel fatto di avere
effettivamente individuato un evento storico reale, l'incapacit della critica
marxiana dell'economia politica di farsi politica concreta, e la sua apparente
oscillazione destinale fra carisma: e consenso, teoria astratta per pochi
palati raffinati, del tutto ineffettuale ed impotente,. e volgarizzazione
emotiva ed economicistica che invece "smuove le montagne e modifica la
storia, in una direzione per ben diversa da quella ipotizzata a suo tempo da
Karl Marx. In questo senso Debray "segnala" un vero problema, storico
e filosofico, in modo assai pi convincente della ricostruzione alla Kolakowski
ed alla Del Noce del supposto "senso" del marxismo (47). E, tuttavia,
si qui in presenza di una questione
filosofica centrale, sulla quale non si possono fare concessioni di nessun
tipo: la consapevolezza marxiana della natura | genealogico-dialettica del modo
di produzione capitalistico, del suo sviluppo e delle sue contraddizioni, non ,
e non pu essere, qualcosa che
accessibile solo ad alcuni, alla portata di pochi privilegiati, di pochi
nicciani oltre-uomini. Al contrario, l'irreversibilit specifica della
generalizzazione del modo -di produzione capitalistico sta in ci, che per la
prima volta lo sviluppo filosofico della particolarit individuale pu ontologicamente indirizzarsi nella
tendenza alla formazione di una individualit personale consapevole e cosciente
di tutti i nessi sociali fondamentali. E' questo, infatti, il messaggio
filosofico fondamentale di Marx, il solo, in un certo senso, del tutto
irrinunciabile. Ogni ambiguit in proposito deve essere sciolta (48). Con
questo, ovviamente, non si che
all'inizio di un lungo lavoro 52 filosofico. La storia, per ora, non conosce
che dirigenti e diretti, sempre pi arroganti, i primi, sempre pi ripiegati nel
privato, i secondi (e, del resto, perch mai i privati ripiegati - dovrebbero
"ridispiegarsi" nel pubblico, se quest'ultimo sempre pi il luogo plebiscitario-consensuale
cui si chiamati ad avallare scelte
economiche e politico-militari fatte da pochi "esperti" in base a
giochi di simulazione, war games ed altre proiezioni manipolatorie di
"dati"?). Esempi storici recenti (e meno recenti) ci fanno per
cautamente pensare a possibili inversioni di tendenza: di contro all'eterno
ritorno dell'arroganza dei sempre eguali duci e ducetti politico-sociali la
forma filosofica del discorso marziano, robustamente ontologico-sociale,
fondata sullo sviluppo del materialismo storico correttamente inteso e della
critica dell'economia politica correttamente praticata, apre ad una concezione
del mondo rivolta a tutti e soprattutto accessibile a tutti. Estranea ad ogni
aristocraticismo gnoseologico e ad ogni "pathos dell'autenticit" essa
si sviluppa a partire dalla vita quotidiana, dialetticamente elaborata
(essendo, appunto, la quotidianit capitalistica qualcosa di specificatamente
astratto), e non conosce primogeniture di sesso, razza, nazionalit, e tantomeno
titoli di studio universitario. si 53 NOTE DI 1. Il riferimento al bellissimo libro di Mario Vegetti (cfr.
"Il coltello e lo stilo", Il Saggiatore, 1979). Vegetti cerca di
tracciare una storia genealogica della ragione scientifica, partendo dalla
polarit fra homo sapiens ed homo necans nell'antichit greca, fra l'esperienza
pratica del coltello dell'anatomo e del macellaio e la sistematizzazione
teorica cumulativa dello stilo per scrittura del dotto "teorico". La
considerazione genealogica della pratica scientifica (e del suo rapporto con la
sistematizzazione teorica) la sola
alternativa valida e praticabile alle storie teleologiche. Non vi allora nulla da stupirsi del fatto che la
"professionalit filosofica" acquisita da Mario Vegetti nello studio
dell'antichit (Vegetti infatti un
antichista di professione) abbia una ricaduta concreta nel modo di affrontare i
problemi del marxismo nel presente (cfr. Mario Vegetti, "Potenza
dell'astrazione e sapere dei soggetti", in Aut-aut, 175-176), in cui la
considerazione genealogica delle ideologie contemporanee non fa concessioni
allo stucchevole chiacchiericcio antidialettico, differenzialistico,
decentrato, e cos via frammentando. 2. Si veda Marx-Engels, "Manifesto del
partito comunista", Einaudi, 1962 (ma ora anche l'edizione negli Oscar
Mondadori corredata con le introduzioni
di Emma Cantimori Mezzomonti). Un'intelligente introduzione divulgativa al
"Manifesto" pu essere letta in "Marx, Engels e il socialismo
premarxiano' di Eric J. Hobsbawn (cfr. "Storia del marxismo", I,
Einaudi, 1978). A proposito delle
"raccomandazioni imperative" si veda Louis Althusser, "Come
leggere Il Capitale", in "Freud e Lacan", Editori Riuniti, 1977.
Althusser si rivolge ai proletari, che hanno l'esperienza diretta dello
sfruttamento e del braccio di ferro con il padrone a proposito del tempo di
lavoro, ma non potrebbero essere in grado di leggere le fumisterie hegeliane
contenute nella prima sezione del "Capitale" di Marx. Althusser
consiglia di lasciare sistematicamente da parte la prima e la quinta sezione, e
di concentrarsi invece sulla teoria del plusvalore assoluto e relativo.
Sottolinea invece l'importanza della prima sezione Paul-Dominique Dognin,
"Les sentiers escarps de Karl Marx", Cerf, 1977 (due tomi, uno di
testi di Marx, uno di note di commento e critica). In quest'opera utilissima
Dognin riporta le varie redazioni successive che Marx fece della prima sezione,
il continuo tornare sulle espressioni usate, l'evidente insoddisfazione per la
difficolt di legare la prima sezione con quelle successive. Althusser e Dognin
sono indubbiamente due "marxologi laureati". Eppure, dicono e
scrivono cose assolutamente opposte. Il lettore principiante non deve dunque
spaventarsi, e cercare di usare la sua testa. 4. Non vi qui purtroppo spazio per una sufficiente
analisi della duestione: Lo scrivente condivide in linea di massima le
posizioni (vedi per tutte Gianfranco La Grassa, "Il valore come astrazione
del lavoro", Dedalo, 1980) tendenti a collegare dialetticamente i "Lineamenti"
ed il "Capitale", mentre non condivide le posizioni (vedi per tutte
Antonio Negri, "Marx oltre Marx", Feltrinelli, 1979) che
contrappongono i "Lineamenti", testo segreto del comunismo, al
"Capitale", impregnato di ideologia socialista del 54 lavoro.
Torneremo su questo problema nella seconda parte di questo scritto, in rapporto
alle posizioni teoriche derivate dal cosiddetto "operaismo italiano".
, 5. Si veda Antonio Labriola, "Scritti filosofici e politici" (due
voll.), Einaudi, 1973. Il saggio introduttivo, di Franco. Sbarberi, ricco di utilissime indicazioni
metodologiche. Su Labriola si vedano anche gli studi di Valentino Gerratana,
usciti a suo tempo nella "Storia del marxismo contemporaneo",
Feltrinelli, 1974, e nella "Storia del marxismo", II, Einaudi, 1979.
6. Lo scrivente ha gi ampiamente sviluppato questo punto nel suo contributo
apparso nel volume collettivo "Il marxismo in mare aperto", Franco
Angeli, 1983. Pu quindi permettersi qui un'esposizione abbreviata. 7. Questo particolarmente vero per molti epistemologi popperiani, capacissimi di tener
conto delle "metafisiche influenti" nell'elaborazione delle teorie
scientifiche, ma che non sono disposti a perdonare assolutamente nulla al
materialismo storico, da loro sistematicamente confuso con gli elementi di
filosofia della storia che lo hanno aiutato a nascere (penso a Domenico
Settembrini, Marcello Pera, Dario Antiseri, eccetera). E' questo un esempio
classico di fattore "extrateorico" nella valutazione delle teorie. .
8. Sulla metafisica delli'"individualismo possessivo" si veda il
classico testo di Crawford B. Macpherson, Libert e propriet alle origini del
pensiero borghese, Mondadori, 1982, ma anche Albert O. Hirschman, Le passioni e
gli interessi, Feltrinelli, 1979. Lo scrivente ha anticipato le tesi di fondo
di cui sopra in Costanzo Preve, La contraddizione e la differenza del pubblico
e del privato, in Fenomenologia e societ, 19-20, 1982. 9. Consigliabile in proposito la messa a punto di G. Lukcs, Il
giovane Marx, Editori Riuniti, 1978. In una direzione molto positiva, sul piano
metodologico, va anche il recente prezioso contributo di F. S. Trincia e R.
Finelli, Critica del soggetto e aporie della alienazione, Franco Angeli, 1982.
10. L'enfasi antihegeliana della scuola dellavolpiana giunta infine, con pensatori come Colletti e
Bedeschi, al totale rifiuto della dialettica e della critica dell'economia
politica. Il fatto che Marx si ricolleghi direttamente ad Hegel (sul piano
teorico profondo, ovviamente, in quanto dal punt di vista generazionale e
biografico il suo rapporto "diretto" era ovviamente con i Giovani
Hegeliani) non deve essere inteso come una dichiarazione di hegelo-marxismo:
quest'ultimo infatti una sciagurata
filosofia, idealistico-soggettiva e totalmente grande-narrativa, della unit
soggetto-oggetto e della confusione sistematica fra alienazione ed
oggettivazione, mentre la tesi del "collegamento diretto" fra Marx ed
Hegel, bene argomentata nel saggio lucacciano del 1926 sopracitato, una polemica determinata contro le
interpretazioni neofichtiane ed ultraidealistiche del giovane Marx. il. A
questo proposito il recente libro di Ferruccio Andolfi, L'egoistmo e
l'abnegazione, Franco Angeli, 1983 (uno studio monograficamente accurato e
ricchissimo di utili informazioni di dettaglio sui rapporti fra il giovane Marx
e Max Stirner, vero antesignano del bisognismo individualistico post-moderno),
va in direzione del tutto opposta alle note dello scrivente. 12. 55 Andolfi
critica il Marx dell'Ideologia Tedesca per non aver saputo integrare il
principio dell'individualit, proposto da Stirner, nella sua prospettiva del
socialismo. Si tratta di una critica del tutto astratta ed astorica, analoga,
in un certo senso, al rimprovero fatto a Marx di non aver saputo integrare le
ragioni del robinsonismo dentro la critica dell'economia politica. Le ragioni
dell'individuo contro la societ, cos come Stirner le tematizza, non sono
integrabili n allora n adesso, essendo l'individuo stirneriano pensato come
differenza non dialettica, scarto irriducibile, masso erratico ed atomo
vagante. Facciamo in proposito soltanto due esempi. Olivier-Ren Bloch (cfr.
Marx, Renouvier, et l'histoire du matrialisme, in La Pense, 191, 1977) dimostra
agevolmente che le conosciutissime pagine marxiane della Sacra Famiglia sulla storia
del materialismo non sono in gran parte che note di lettura copiate ed
elaborate sulla base di un Manuale di filosofia moderna apparso a Parigi nel
1842, e dovuto al futuro spiritualista francese Renouvier. Jurgen Rojahn (cfr.
Il caso dei cosiddetti "manoscritti economico-filosofici dell'anno
1844", in Passato e Presente, 3, 1983) dimostra analiticamente che la
"bibbia del giovane-marxismo", fastidiosamente contrapposta per
cinquanta anni al Capitale, pur non potendosi ridurre a semplici note di
lettura, ben lontana dall'essere
quell'opera nuova e compiuta propagandata dalla leggenda giovane-marxista. Si
tratta di estesi appunti di lavoro, in cui i quaderni di estratti ed i quaderni
di commenti non possono essere concettualmente separati, un vero e proprio work
in progress. . Le scoperte filologiche di O. R. Bloch e di J. Rojahn non
danneggiano 13. 14. affatto l'immagine del giovane Marx, come del resto assolutamente evidente. Danneggiano
invece (ma si tratta di un vero sollievo, di una vera liberazione!) la pretesa
dell'ideologia giovane-marxista di contrapporre le note di lettura di un
giovane studioso alla critica dell'economia politica. Lo scrivente non ripete
qui le analisi di dettaglio sul concetto di "grande narrazione"
contenute nel suo contributo al libro collettivo Il marxismo in mare aperto,
Franco Angeli, 1983. Per una ricca introduzione alla figura dell'ebreo in Marx
si veda il fondamentale saggio di Bruno Bongiovanni, Figure marxiane della
mediazione: l'ebreo e il denaro, in Rivista di Storia Contemporanea, I, 1983.
Nota giustamente Bongiovanni che "la scuola umanistica tedesca da cui
scaturir la corrente socialista pi agguerrita e meglio dotata sul piano teorico
parte dunque dal denaro inteso come mediazione oltre (e prima) che come forma
fenomenica del valore. All'inizio il cuore della riflessione lo scambio e non la produzione. Il lavoro,
come presunto segreto che | svela l'essenza e la dinamica del valore, verr
dopo, grazie alla lezione, del Lia resto largamente riconosciuta, dell'economia
politica. L'ebreo senza patria e il suo doppio-l'uomo che nel suo tragitto diventato orgogliosamente individuo smarrendo
per i propri legami con l'essenza umana-precedono, sul piano teorico come su
quello etico, l'operaio". Lo scrivente si rif qui esplicitamente alla
magistrale analisi del nesso fra tendenze disantropomorfizzanti ed inevitabili
riantropomorfizzazioni con la quale Lukcs inizia la sua magistrale Estetica. Il
valore filosofico di queste pagine fino
ad ora rimasto in Italia pressoch ignorato (come 56 16. 17. 18. giustamente
rileva Guido Oldrini sul Giornale critico della Filosofia italiana, III, 1982).
Lo scrivente riprender questo tema essenziale nella quinta parte di questo
scritto, dedicata alla valorizzazione critica della Ontologia dell'Essere
Sociale di Lukcs. Una adeguata comprensione di questo processo comporta una
conoscenza accurata (o, quanto meno, una sufficiente dimestichezza) della
storia della filosofia greca. Il migliore strumento critico resta forse il
testo di Eric A. Havelock, Cultura orale e civilt della scrittura. Da Omero a
Platone, Laterza, 1973. Le attuali mode irrazionalistiche diffuse in Italia
(sovente sulla base di suggestioni heideggeriane e travalicando le stesse
intenzioni di studiosi seri come Giorgio Colli) impediscono di fatto un
contatto razionale e dialettico con l'antichit greca, e fanno di tutto per
imporre lo scarno e grottesco paradigma: dalla sapienza originaria, numinosa ed
inaccessibile, ma autentica, alla caduta destinale nella scissione fra soggetto
ed oggetto. Lo scrivente molto
pessimista sulla possibilit di invertire, a breve termine, questa sciagurata
tendenza. Si vuole quindi, con queste osservazioni, insistere sul fatto,
filologicamente dimostrabile, che in Marx il "contesto rilevante"
teorico-pratico non mai quello della
filosofia della storia di tipo edificante, grande-narrativo. Gli. elementi
antropomorfizzanti sono quindi quasi sempre subordinati alla. struttura
disantropomorfizzata della critica dell'economia politica come teoria
scientifica dei modi di produzione sociali determinati. Jurgen Habermas il teorico contemporaneo che ha maggiormente
(e giustamente) insistito sul fatto che oggi la "scienza" funziona
direttamente . come ideologia, senza passare pi attraverso la mediazione di
ideologie 19. 20. Zi. scientistiche. Ha ragione, nell'essenziale, Sebastiano
Timpanaro (cfr. Sul materialismo, Nistri-Lischi, 1975) a respingere le troppo
affrettate separazioni fra un Marx, dichiarato immune da ogni
"caduta" scientistica, ed uno Engels, reso responsabile di tutte le
"infamie" teoriche possibili. Le tentazioni" scientistiche sono
infatti presenti anche in Marx. Si vedano gli studi della migliore marxologia
(Reichelt, Rosdolsky, eccetera), unanime nel focalizzare l'attenzione sulla
"forma d'esposizione" che Marx si sforz di dare alla sua opera
fondamentale Il Capitale. Si vedano anche le tesi dello scrivente, esposte in
Il Marxismo in mare aperto, cit., pagg. 32-46. Un'opera preziosa in proposito quella di A. Guerraggio e F.
Vidoni, Nel Laboratorio di Marx: scienze naturali e matematica, Franco Angeli,
1982. Questa puntuale analisi dell'articolazione complessiva degli interessi .
ed interventi scientifici di Marx giunge a conclusioni assolutamente
antiscientistiche, e che tendono a superare l'assurda contrapposizione fra una
Marx "umanistico" ed un Marx "scientifico". Guerraggio e
Vidoni (op. cit., pag. 55-61) chiariscono come Marx, che ha pure postulato la
possibile edificazione futura di una sorta di unica scienza (capace di
unificare natura e societ) non andato di
fatto oltre un uso metaforico di questa espressione. La nozione di "storia
naturale" (che Marx usa talvolta anche per la storia umano-sociale) deriva
invece da un uso illuministico e settecentesco, sorto in polemica con le
concezioni provvidenzialistiche e metafisiche (sia della natura che della
storia), e non connota affatto 22. 236 24. 57 meccanicamente una (indebita)
naturalizzazione scientistica del mondo storico e sociale. Si tratta di una
precisazione "semantica" di grandissimo significato anche teorico. Il
fondamentale libro di S. S. Prawer (cfr. La biblioteca di Marx, Garzanti, 1978)
ci aiuta a comprendere il "processo di produzione" della prosa
marxiana (edita ed inedita) a partire dalla sua conoscenza della letteratura
mondiale, classica e moderna, ma non parla delle metafore scientifiche, e deve
perci essere integrato con il libro di Guerraggio e Vidoni (di cui alla nota
21). E' utile, in proposito, una conoscenza della "crisi dei
fondamenti" della scienza ottocentesca, cos come si manifest a cavallo dei
due secoli. Del tutto fuorvianti sono invece le letture che enfatizzano la
rottura fino al punto di evocare un "cominciamento assoluto delle
scienze" nel Novecento, come se gli uomini dell'Ottocento fossero stati
del tutto privi della consapevolezza della problematicit di un paradigma troppo
rigidamente necessitaristico. Si evocano cos "crisi della ragione"
che sono quasi sempre pretesti per liquidare il "materialismo
storico" in nome della liquidazione dei paradigmi necessitaristici
ottocenteschi. La teoria darwiniana dell'evoluzione (nient'affatto
"dialettica", ed aliena da ogni utilizzo della
"contraddizione") era notoriamente recepita in chiave
teleologico-necessitaristica (e viene ancora oggi raffigurata nei posters
didattici come una "catena evolutiva ascendente" dal magma vulcanico
all'uomo bianco dalla fronte spaziosa). D'altra parte, nonostante la .
fastidiosa "leggenda" coliettiana, la dialettica non incorpora
affatto un 25. 26. teleologismo necessitaristico e non affatto in "contraddizione" con la
logica aristotelica (si veda, per cominciare, la voce Dialettica di Enrico
Rambaldi per la Enciclopedia Einaudi, ed ancor meglio quel piccolo capolavoro
di chiarezza, competenza intellettuale ed informazione di Enrico Berti, Logica
aristotelica e dialettica, Cappelli, 1983). E' peraltro vero (cfr. Berti, op.
cit., pag. 48) che in Marx, accanto ad una sostanziale accettazione del
principio aristotelico di non contraddizione, sono presenti tendenze a ritenere
la "realt contraddittoria" fatalmente destinata a "morire"
con la esplosione di questa stessa contraddizione. Si veda Helmut Fleischer,
Marxismo e storia, Il Mulino, 1970. Con grande chiarezza e sobriet Fleischer
analizza dettagliatamente la nozione di "necessit storica", con
osservazioni penetranti anche sul cosiddetto "determinismo
economico". In piena sintonia con l'ultimo Bloch e con l'ultimo Lukcs egli
rifiuta l'interpretazione deterministica del marxismo contenuta nella frase
"la libert non che coscienza della
necessit". Questa leggenda stata
definitivamente sfatata da Margaret Fay (cfr. Marx e Darwin, un romanzo
poliziesco, in Monthly Review, ed. ital., 7, 1980). Questa leggenda fu
coltivata ed intrattenuta per suggerire un'analogia fra il progetto teorico
marxiano e quello darwiniano, ma i fatti sono altri; la lettera di cortese
rifiuto della dedica scritta da Darwin non era indirizzata a Marx, che non
c'entrava per nulla, ma al genero di Marx Hyndman e si riferiva ad un libretto
di divulgazione anticlericale di quest'ultimo. Lo scrivente ha ascoltato
ripetere questa leggenda in almeno due occasioni (1982 e 1983) durante paludati
e dottissimi convegni % accademici su. Marx. A proposito di Marx,
l'ignoranza non solo 58 consentita, ma doverosa. o 27. In questo senso, e solo in
questo senso, il punto di vista ontologico-sociale (pur scoraggiando tendenze
gnoseologiche) adempie una funzione di tipo criticista, e dunque antimetafisico
in senso kantiano. 28. Si veda Lukcs, Ontologia, I, pag. 264-67. La
comprensione adeguata di questo principio "monistico" marxiano
presuppone ovviamente una corretta impostazione dei problemi gi presenti nella
filosofia classica greca e tedesca. L'istanza criticistico-kantiana (come
si detto nella nota precedente) deve
essere integralmente tenuta presente, ma non pu essere recuperata che
all'interno del rifiuto hegeliano di distinguere gnoseologia ed ontologia,
logica, dialettica e teoria della conoscenza (in questo modo l'istanza
criticista diventa teoria materialistico-genealogica dell'ideologia e delle
ragioni della permanenza della falsa coscienza). Lukcs sta dunque
sistematicamente con Hegel contro Kant. D'altra parte Hegel logicizza la storia
sotto il dominio di una nozione non semplicemente processuale, ma pienamente
teleologico-predittiva, di dialettica. E' questa la radice della "storia
spogliata dalla forma storica" (cfr. Ontologia, pag. 354). I 29. Una
concezione della "natura come fondo"
presente (se non vado 30 errato) anche in lavori italiani di sicura
impostazione storico-materialistica (si veda il peraltro ottimo libro di Laura
Conti, Questo Pianeta, Editori Riuniti, 1983). Lo stesso Heidegger, grande
critico della manipolazione. tecnico-metafisica della natura concepita come
"fondo", tende poi a definirla per differenza come "sfondo"
di una sapienza umana pre-socratica che ambisca solo disvelare e non anche
manipolare nichilisticamente. A questo punto, non vi filosoficamente una "differenza"
qualitativa fra il lasciare lo sfondo come stava prima oppure il trattarlo come
un pozzo senza fondo. A questo proposito si veda particolarmente Marco Revelli,
Storia e scienze sociali: lo sviluppo storico, in Gli strumenti della ricerca,
tomo 3, La nuova Italia, 1983, ed anche Maria Turchetto, La fondazione
weberiana dell'economia neoclassica, in Metamorfosi, 8, Franco Angeli, 1983. La
cultura dell'Ottocento appare caratterizzata da una conciliazione tra le
dimensioni dell'indagine della natura, l'interpretazione della societ e la
concezione della storia, conciliazione retta dalla categoria di "evoluzione"
e dall'idea che il tempo (lineare) costituisca la dimensione fondamentale della
"legalit". I concetti di "legge naturale dello sviluppo
sociale" (economisti classici) e di "storia naturale della societ"
(sociologia di . Spencer) rendono l'idea di tale paradigma evoluzionistico, che
regge la "vecchia alleanza" fra natura e cultura. Questa
alleanza messa in crisi - alla svolta
del Novecento, e nello stesso tempo le discipline sociali cercano di garantirsi
lo statuto di "scienze" da un lato espungendo la dimensione storica
(per cui: scientifico = storicamente invariante), dall'altro. considerando
essenziale il requisito della coerenza logica (per cui: scientifico =
assiomatizzabile). Vi sono oggi interessanti tendenze che reagiscono a questa
vera e propria "espulsione neopositivistica della storia" dettate,
almeno in parte, dalla esigenza di pensare "scientificamente" il
mutamento storico (si pensi a Prigogine e Thom). La nuova alleanza per una "difficile alleanza" (come
lo era del resto gi per Marx, mentre la "facile alleanza" era semmai
propria di Smith, e pi ancora di Spencer e 31. 32: 33. 34.. 35. 59 LI dei
darwinisti sociali). Su questo nodo di problemi
in preparazione un numero monografico della rivista Metamorfosi. Il tema
del "lavoro" nell'ontologia marxiana sar trattato pi diffusamente
nella quinta parte di questo scritto, dedicato alla Ontologia lucacciana, nella
quale del resto lo scrivente si riconosce pienamente. Si veda il saggio di
Michele Cangiani, Il tempo del lavoro (in Aa. Vv. H marxismo in mare aperto,
cit.). Cangiani esamina la ricca letteratura sulle comunit primitive, marxista
e non (Clastres, Sahlins, Terray, Godelier), in un'ottica tendente ad
evidenziare (contro ogni riduzionismo alla Marvin Harris) le differenze
qualitative che caratterizzano le comunit primitive nei confronti degli altri
modi di produzione precapitalistici ed in particolare del modo di produzione
capitalistico. La letteratura in
proposito sterminata. In Italia presente
una vivace scuola (Vegetti, Lanza, Carandini, Schiavone, Mazza, eccetera)
che ormai in grado di studiare il modo
di produzione schiavistico con sufficiente determinatezza e specificit, senza
l'ausilio di schemini unilineari e necessitaristici dello sviluppo storico.
Ancora pi copiosi sono ovviamente gli studi sul modo di produzione feudale e la
transizione dal feudalesimo al capitalismo (dalla ormai classica discussione
fra Dobb e Sweezy, fino alla grande medievistica francese ed alla scuola
polacca di Kula e Topolski). E' dunque chiaro che coloro che conservano una
visione della storia "spogliata dalla forma storica" non hanno alcuna
attenuante culturale, ma sono del tutto incorreggibili. I teorici del
"capitalismo organizzato" hanno ad esempio negato la natura ontologicamente
necessaria della crisi capitalistica, provocando veri e propri disastri teorici
(a volte in nome della "dialettica", come nel caso di Horkheimer e di
Marcuse). Per contro, una visione ontologico-necessitaristica della "crisi
capitalistica" sembra pienamente fondata e del tutto convincente (vedi,
per cominciare, Giuseppe Bazzi, Alla ricerca di una nuova teoria marxista della
crisi, in Il marxismo in mare aperto, cit., ed ancora Gianfranco Pala, L'ultima
crisi, Franco Angeli, 1982). Il lettore attento non ha difficolt a capire che
la tesi ontologico-necessitaristica dell'inevitabile esistenza della crisi
capitalistica non ha assolutamente nulla a che vedere con la tesi del
cosiddetto inevitabile crollo del capitalismo (la cosiddetta
Zusammenbruchstheorie). La pigra ripetizione dello slogan ultimativo di Rosa
Luxemburg (Socialismo o barbarie!) non ci aiuta infatti molto. Nella tradizione
del marxismo occidentale, infatti, lo slogan luxemburghiano era ripetuto in
mille forme come un invito ad agire subito e comunque, pena l'arrivo
inevitabile della barbarie. Il concetto di "barbarie" in genere poco utile per orientarsi nel .
presente storico: la maggior parte dei componenti del gruppo francese
Socialisme ou Barbarie (a cominciare dal suo leader, il greco-francese
Castoriadis) tranquillamente passata da
un concetto di barbarie = consumismo neo-capitalistico ad un concetto di
barbarie = totalitarismo sovietico. Il fatto
che la "barbarie" non
mai un modo di produzione, ma
talvolta un'opinione personale di tipo esistenzialistico. Quando invece
la "barbarie" non un'opinione,
ma un fatto reale, oggettivato in lager nazisti, bombardamenti atomici, torture
sistematiche, eccetera, il modo migliore per combatterla resta sempre lo studio
materialistico del perch 60 36. 37. 38. la riproduzione di un determinato modo
di produzione richiede la messa in atto su larga scala di certi comportamenti.
Detto questo, per vero che un nocciolo
importante di verit contenuto
nell'alternativa fra socialismo e barbarie: il superamento del capitalismo oggi possibile, ontologicamente possibile,
ed per questo che la sua riproduzione
allargata approfondisce l'estraneazione. Si veda G. Lukcs, Cultura e potere,
Editori Riuniti, 1970, pag. 164-67. Si tratta di un'intervista a Lukcs di un
giornalista tedesco di formazione filosofica. Vi sono qui equivoci molto
curiosi e significativi. Lukcs parla del "lavoro" come forma
ontologica dell'unit fra causalit e teleologia, insiste sulla categoria della
irreversibilit storica, eccetera. E' chiaro che qui si parla della categoria di
"lavoro", e non del concreto processo di produzione capitalistico, in
cui il "lavoro astratto"
incorporato e sottomesso, fino al massimo di "degradazione"
descritta da Braverman e da altri studiosi. e testimoni. !l giornalista
naturalmente equivoca subito, sostenendo che solo l'artigiano "si
riconosce psicologicamente" nel proprio "lavoro ben fatto",
mentre l'operaio-massa della catena di montaggio non pu certo riconoscersi nel
proprio "lavoro" (ma semmai nel tempo libero, nel consumo, eccetera).
Sbaglierebbe dunque Lukcs nel parlare tanto di "lavoro". Questo
equivoco assolutamente significativo.
Entrambi gli interlocutori hanno ovviamente ragione, ma parlano di cose
assolutamente diverse. Ha ragione il giornalista francofortese (che poco dopo,
del tutto a sproposito, citer entusiasticamente Horkheimer e Adorno) nel
sostenere che l'astrattezza del lavoro diviso non qualcosa in cui l'uomo concreto possa
"riconoscersi". Ha ancora pi ragione Lukcs, il quale, seguendo Marx,
sostiene (ovviamente del tutto inascoltato) che la sola alternativa teorica al
riconoscimento della specificit ontologico-sociale della categoria di.
lavoro la ricaduta in forme metafisiche
e deterministiche della storia. Riprenderemo questi temi nella quinta parte di
questo scritto, nella quale sosterremo, fra l'altro, che un'etica filosofica
comunista non pu svilupparsi che sulla base della ferrea esclusione di ogni
tipo di olismo organicistico, da un lato, e di individualismo robinsonistico,
dall'altro. Riteniamo che i fondamenti di questa concezione siano gi
rintracciabili in, Marx. Nella terminologia lucacciana l'uomo
"particolare" orientato
soltanto verso la cerchia immediata dei propri bisogni ed interessi, mentre l'uomo "individuale" che, nel suo
modo di essere, di pensare e di agire, si colloca all'altezza storica del
"genere umano". Quindi l'"individualit" (a volte:
"personalit") caratteristica
dell'uomo "generico". A sua volta la "genericit per s"
implica la coscienza del rapporto con il "genere umano", mentre la
"genericit in s" vede questo rapporto come mero fatto oggettivo non
problematizzato. Nel contesto del nostro discorso (che non ha di mira un'ortodossia
neo-lucacciana, ma un'elaborazione ontologico-sociale) il termine
"particolarit" connota per meglio il fatto che lo sviluppo della
personalit non pu avvenire attraverso una rottura unilaterale ed astratta con i
propri bisogni ed interessi "immediati" cui contrapporre altrettanto
astrattamente una "genericit umana". Per questa ragione si volutamente mantenuto il termine
"particolarit". 39. 40. 41. 42. 61 E' ovviamente questa la tesi
fondamentale di tutta la prima parte di questo lavoro. Si rimanda ancora il
lettore al fondamentale capitolo dell'Ontologia lucacciana intitolato I
principi ontologici fondamentali di Marx. Lo scrivente non segue tuttavia Lukcs
su di un punto di non secondaria importanza: nella Ontologia Marx presentato come un autore che non cade
praticamente mai in forme grandi-narrative e deterministico-naturalistiche,
ma pressoch sempre ben saldo su di un
discorso ontologico-sociale. Lo scrivente ritiene questa tesi indifendibile,
nella forma "ortodossa" datale da Lukcs. L'imponente bibliografia che
demistifica il "fraintendimento economicistico del materialismo
storico" va da Labriola ad Althusser, da Gramsci a Bettelheim, eccetera.
Tuttavia, non basta certo mettere in guardia dal fraintendimento
economicistico, se il contesto rilevante della polemica
anti-economicistica l'esaltazione
demenziale dei flussi desideranti della "vitalit della bestia
proletaria... un animale vivo, feroce coi suoi nemici, selvaggio nella
considerazione di s, delle sue passioni" (cfr. Antonio Negri, IY dominio e
il sabotaggio, Feltrinelli, 1978, pag. 65). E' questo solo l'alter ego dello
homo oeconomicus, passato dal furore della produzione all'orgasmo del consumo.
Per una critica sobria e convincente del fraintendimento economicistico del
materialismo storico si vedano in generale gli scritti di Gianfranco La Grassa
e Maria Turchetto; si veda anche il libro di Valerio Romitelli, Critica
dell'economia politica e teoria delle forze produttive, Franco Angeli, 1982.
Vi in linea di principio una grande
prossimit fra discipline storiche e sociologiche, ed in particolare fra sociologia
storica e storia sociale (cfr. Peter Burke, Sociologia e storia, Il Mulino,
1982). Entrambe sono ovviamente una componente fondamentale dell'accrescimento
della conoscenza sulla base del materialismo storico. Il testo di G. Therborn,
Scienza, classi, societ, Einaudi, 1982,
utilissimo per comprendere come sia "assolutamente non sostenibile
e semplicemnte fuorviante parlare di una sociologia marxista o del marxismo
come di una sociologia...ovvero di una convergenza fra marxismo da una parte e
sociologia ed economia dall'altra" (op. cit. pag. 474). Purtroppo
l'edizione italiana del lavoro del Therborn
compromessa da una presentazione del sociologo non marxista Luciano
Gallino, che mette in guardia proprio contro questa tesi, intorno alla quale
l'intero libro costruito. Si veda in
proposito il bel libro di Albert O. Hirschman, Felicit privata e felicit
pubblica, il Mulino, 1983. Pi in generale la situazione filosofica del marxismo
italiano sempre stata sciaguratamente
caratterizzata (e qui purtroppo Giovanni Gentile c'entra per qualcosa) dall'ossessivo
primato della soggettivit e della prassi (con i bei risultati finali che stanno
sotto gli occhi di tutti). Il primato "ontologico" dell'attivit dei
soggetti non infatti stato esaltato
solamente nelle forme estreme politologico-dirigistiche di Mario Tronti oppure
decadentistico-demenziali di Antonio Negri, ma
stato anche purtroppo "messo al centro" dell'universo sociale
dal populismo comunista (Ingrao e Trentin) e dall'operaismo psiuppino (Foa e
Basso). Questo "fuoco di sbarramento soggettivistico" ha sempre
cercato la verit nella prassi come attivit, lasciandosi filosoficamente alle
spalle un deserto. 62 43. 44, 45. Si veda Carmelo Vigna, Le origini del
marxismo teorico in Italia, Citt Nuova, 1977. L'estesa raccolta di documenti
curata da Vigna documenta bene i veri e propri fraintendimenti sullo
"statuto teorico" del materialismo storico fatti da Croce e Gentile
(ed addirittura impressionante
l'analogia con i fraintendimenti odierni di tipo soggettivistico-operaistico).
Chi vuole dilettarsi con una ennesima stucchevole e giornalistica
"liquidazione" del materialismo storico pu leggere il libro del
collettiano minore Giuseppe Bedeschi, La parabola del marxismo in Italia,
1945-1983, Laterza, 1983. Ci che tramonta parabolicamente non comunque mai la teoria dei modi di
produzione, a questi signori sempre simpaticamente del tutto ignota o
indifferente. Si veda Augusto Del Noce, Il suicidio della rivoluzione, Rusconi,
1978. L'acuto esame di Del Noce sulle tendenze storico-filosofiche immanenti
all'italo-marxismo gramsciano (che cosa
comunque del tutto diversa dalla ricostruzione autentica del pensiero di
Antonio Gramsci) documenta la subalternit dello storicismo (questo ingenuo
eraclitismo che santifica il movimento temporale in '"avanti") alle
ben pi solide rappresentazioni "radicali", laicistiche e post-moderne
del presente storico. li rigoroso sviluppo dello storicismo "uccide"
il marxismo meglio di ogni altro nemico "esterno"(ed per questo che, secondo lo scrivente, la
forma filosofica del discorso marxiana non pu e non deve essere uno storicismo,
ma un'ontologia dell'essere sociale, che non santifica mai in modo ingenuamente
eracliteo il semplice divenire storico assolutizzato). La critica di Del
Noce assai scomoda per la sinistra
populista-storicista (sia italiana che italiota), che ha preferito ignorarlo
(con alcune parziali eccezioni, si veda Francesco Ciafaloni, Quaderni
Piacentini, 69, 1978). Quando Del Noce passa invece ad esaminare Marx, lo
fraintende radicalmente, essendo ossessionato dal suo problema (il problema
dell'ateismo "radicale" delle moderne societ secolarizzate e
consumistiche), che ovviamente non
quello di Marx. E' possibile allora utilizzare Del Noce per contrapporre
il pensiero di Karol Woitila al moderno "marxismo suicidato", come
fanno i delnociani integralisti italiani (Buttiglione, Formigoni, eccetera). Si veda Leszek Kolakowski, Main Currents of marxism.
Its Origins, Growth, and Dissolution, 3 voll., Clarendon Press, Oxford, 1978. Si
tratta di un lavoro di grande impegno, ed
forse il pi intelligente manifesto anti-marxista disponibile oggi sul
mercato librario. Esso si propone di illuminare lo "strano destino di
un'idea che cominciata come umanesimo
prometeico ed culminata nella mostruosa
tirannia di Stalin". Il pensiero di Marx
collegato strettamente al "mito dell'identit", di tipo
mitico-escatologico, di cui ovviamente
responsabile la "dialettica" (anche se in Marx il raggiungimento
dell'unit ed il superamento dell'alienazione non significano il riassorbimento
della storia umana nell'Assoluto "preesistente", ma la realizzazione
di s dell'umanit che
"assoluta" nella sua stessa finitudine). Ovviamente, Kolakowki
condivide l'interpretazione di Marx data in Storia e Coscienza di Classe di
Lukcs (che la famosa identit di soggetto
ed oggetto, di proletariato e senso della storia, esplicitamente respinta da
Lukcs stesso - ma questo non interessa a Kolakowski). Questo Marx
idealisticamente interpretato pu dar 46. 47. 63 luogo al leninismo ed allo
stalinismo come sviluppi non necessari ma in un certo senso
"legittimi", ed l'anticamera
di una propensione irrazionalistica e di un possibile tradimento della ragione.
Il lettore attento noter che tutto lo sforzo teorico dello scrivente rivolto contro l'interpretazione di Marx come
"filosofo della identit" fra soggetto ed oggetto (la tesi, appunto,
sposata da Kolakowski). Si veda Rgis Debray,
Critique de la raison politique, Gallimard, 1981. Secondo
Debray il politico ed il religioso sono originariamente sovrapposti, la storia
della nascita delle ideologie la storia
della loro apparente dissociazione, ed infine le ideologie si riducono in
ultima istanza a delle credenze, necessarie alla sopravvivenza di qualsiasi
gruppo sociale organizzato. La tesi fondamentale di Debray si basa
sull'impossibilit "ontologica" di eliminare l'aspetto
"religioso-ideologico" dall'agire umano collettivo, compreso quello
che si richiama al "marxismo"., Il notevole lavoro di Debray combina
insieme, con geniale eclettismo, elementi culturali tipici della tradizione
conservatrice (Schmitt, Julien Freund, Dumzil) e caratteristici della
tradizione "di sinistra" (in particolare Althusser e Sartre). Secondo
Debray, le "idee" non riescono a mobilitare nessuno, e soltanto il
sacro mobilita, essendo gli imperativi della credenza ad un mito e
dell'appartenenza ad un gruppo delle vere e proprie "forme a priori"
dell'esistenza sociale organizzata. Vi
una "permanenza nel tempo di tutti gli aspetti essenziali del
comportamento politico", che in
ultima istanza di tipo sacrale-religioso e non razionale. Lo stesso pensiero di
Marx secondo Debray pieno di lapsus
religiosi, come quello secondo cui il comunismo scriver sulle sue bandiere
alcuni. motti. sociali (laddove l'esistenza stessa delle "bandiere"
rimanda ad un imperativo di appartenenza di un gruppo che si demarca da un
altro, che ha, appunto, "bandiere" di colore diverso). Il
"politico" prodotto
psicologicamente dall'angoscia, individuale e sociale, ed qualcosa di originario, che non pu essere per
nulla concettualizzato dalla critica dell'economia politica, che crede
ingenuamente nell'eliminabilit storica dell'alienazione religiosa e politica.
L'iconoclastia delle intenzioni teoriche marxiane crolla come un castello di
carta di fronte alle tendenze iconolatriche delle masse (e degli stessi
intellettuali), bisognose di capi carismatici e di simboli. Le analisi di
Debray non sarebbero interessanti, se non fossero accompagnate da due
interessanti posizioni: in primo luogo, Debray decide di rimanere egualmente
socialista e marxista, in modo del tutto in-fondato, a met fra la scommessa
pascaliana e l'istanza etica personale; in secondo luogo, Debray porta una
serie di raccappriccianti esempi sulla permanenza del "religioso" nel
"socialismo reale", dalle processioni davanti alla mummia. di Lenin
alla difesa del "sacro suolo della patria" e dei "sacri
confini", eccetera. Qui sta, a parete dello scrivente, l'elemento di
maggiore debolezza del pensiero di Debray. Egli descrive i riti grottescamente
iconolatrici del socialismo reale e le masse mobilitate di fronte a tombe
egiziane di leaders defunti e ne deduce ia mitica originariet della sacralit
religiosa del politico. Come sempre, affermazioni esistenzialistiche sul pathos
carismatico vengono giustificate con fotografie "empiriche" di
sterminate schiene di guardie rosse osannanti Mao Tsetung, che
"dimostrerebbero", 64 48. appunto, l'originaria sacralit del
politico. Nella quarta parte di questo scritto, dedicata ad Ernst Bloch,
torneremo sulla necessaria distinzione fra mito ed utopia, senza la quale non
vi modo di separare l'identit culturale
di destra da quella di sinistra. Non sono dunque accettabili interpretazioni
"nicciane" del comunismo marxiano. In primo luogo, la critica
genealogica delle ideologie non pu "fondarsi" (come avviene in
Nietzsche ed anche in Debray) su qualcosa di originario in senso etologico,
sociobiologistico e metafisico. In secondo luogo, il superamento della particolarit
alienata dell'uomo borghese {e proletario, che ne ovviamente il necessario correlato
storico-teorico) non pu essere connotata mai in termini di Uber-mensch, sia che
si voglia tradurre questo termine con la parola super-uomo (alludendo ad una
gerarchia verticale di valori e di collocazione sociale), sia che lo si voglia
tradurre con la parola oltre-uomo (alludendo ad una "differenza" nei
confronti dell'uomo dialettico, schiavo delle ideologie e della falsa
coscienza). Il termine lucacciano "sviluppo dell'individualit" (nel
suo rapporto con il genere) resta a tutt'oggi l'unico il quale, nonostante
alcuni equivoci secondari,
sostanzialmente fedele all'intenzione filosofica del comunismo marxiano,
estraneo ad ogni "mito dell'identit" (Kolakowski) e ad ogni
"ineluttabilit del politico" (Debray). Parte Seconda LE AVVENTURE
FILOSOFICHE DEL MARXISMO L'indagine condotta nel laboratorio filosofico di Marx
non stata, crediamo, un fallimento, ed i
risultati non devono essere accolti con nichilistico disincanto. Da un
lato, apparsa impossibile la
"restaurazione del discorso filosofico originale marxiano", ove
quest'ultimo venga ingenuamente visto come "puro e cristallino come acqua
di sorgente"; impossibile e
regressivo, infatti, il "ritorno ad uno stato di partenza che nel
frattempo si corrotto" (Habermas).
Dall'altro lato, occorre rivendicare con forza, in modo pacato ma convinto, la
dominanza del discorso filosofico di tipo ontologico-sociale sugli altri due
discorsi "metafisici" (di tipo grande-narrativo e di tipo
deterministico-naturalistico) gi nello stesso Marx. Il materialismo storico e
la critica dell'economia politica non hanno dunque bisogno di cercare una
filosofia adeguata fuori di Marx, ma hanno tutto l'interesse ad esigere dalla
filologia marxiana seria e pi in generale dall'indagine marxologica la piena
valorizzazione degli elementi ontologico-sociali presenti nel discorso
marxiano. Questa premessa necessaria, e
si potrebbe ripetere cento volte, fino alla nausea. Senza comprenderne il
significato, infatti, si imposta male fin dall'inizio il delicato problema
della discontinuit fra pensiero marxiano e marxismo successivo. Vi sono molti
modi, a nostro parere, di impostare male questo problema, anche solo sul piano
terminologico. | Un primo modo, a nostro parere fuorviante, consiste . nel
chiedersi se Marx sia o non sia mai stato "marxista". In proposito lo
scrivente portato a dare pochissima
importanza alla famosa frase detta da Marx stesso: "Io non sono
marxista!" Certo, Marx, da buon padre fondatore, non era un
semplificatore, un banalizzatore, un ricercatore di semplici schemini tuttofare
di filosofia della storia, ed in questo senso non era "marxista". Ma
questa un'assoluta ovviet. In realt, Marx stato a tutti gli 66 effetti un marxista, un
consapevole sostenitore del carattere sistematico del materialismo storico ed
un propugnatore della superiorit teorica della critica dell'economia politica
sui punti di vista borghesi" di spiegazione storico-sociale
(caratteristica, questa, al 100% marxista). Marx non invece stato il traguardo del "primo
chilometro" di una fantomatica tappa ciclistica a cronometro denominata
"marxismo", alla fine della quale ci sia il traguardo finale, il
Sapere Assoluto del Materialismo Storico. In questa forma, il problema del
"marxismo di Marx" in larga
parte nominalistico ed ideologico, e degrada facilmente a chiacchiera da caff.
Dal momento, per, che i negatori sistematici di ogni relativa continuit fra
Marx ed il marxismo successivo non ci aiutano a tematizzare la corrispondente
discontinuit relativa (che pure esiste), ma creano visioni metafisiche di un
Marx purissimo alla fonte, dopo il quale giungono i grandi criminali
mistificatori (Engels e Kautsky per primi),
forse bene storcere il bastone dall'altra parte, e sostenere invece che
Marx stato il "primo dei
marxisti" (essendo, appunto, costitutivo del marxismo un certo grado di
"impurit", che distingue appunto le teorie sociali dall'acqua
distillata). . Un secondo modo, a nostro parere ancora pi fuorviante, consiste
nel chiedersi se tutti i libri "marxisti" non firmati direttamente da
Marx siano una "affermazione" oppure una "deformazione" del
marxismo. Il caso dell'"Antiduhring" (firmato da Engels) in proposito assolutamente esemplare.
L'"Antiduhring" non stato n
un'affermazione n una deformazione del marxismo, ma pi semplicemente una sua
"manifestazione", una sua "forma di esistenza" storicamente
determinata. Il lettore deve qui avere pazienza, e non pensare subito a dispute
di lana caprina. E' infatti costitutiva della storia del marxismo la
successione di avventure filosofiche e teoriche, di aggiunte o di omissioni.
Certo, l'"Urtext" di Marx esiste, a differenza della prima stesura
dei poemi omerici e delle saghe germaniche. Ma questo "Urtext"
non un feticcio, non appartiene alla
sfera del magico, del mitico, del numinoso, in una parola, dell'Originario. La
storia dei "marxismi" non
affatto un rotolare nell'Inautentico, come se Il Primo Fraintendiment
Originario del malvagio Engels avesse avuto la funzione della tentazione di Eva
nel Paradiso Terrestre oppure della Conversione della aletheia in orthotes da
parte di Platone, che secondo Heidegger contiene gi in nuce tutta la storia
maledetta del tramonto dell'Occidente. ' curioso, infatti, che questo
atteggiamento, del tutto "metafisico", sia tipico di coloro che
trovano Engels "troppo metafisico". 67 Lo scrivente cercher di
seguire un'altra strada: la storicizzazione integrale delle "formazioni
ideologiche" in cui costitutivamente
stata incorporata (e non poteva non esserlo) la critica dell'economia
politica marxiana. 1. Il concetto di formazione ideologica A parere dello
scrivente, impossibile attingere una
nozione corretta del rapporto fra pensiero marxiano ed incorporazione di questo
pensiero nei marxismi successivi (con la relativa dialettica fra continuit e
discontinuit) senza il concetto di "formazione ideologica". Ci che
conta, ovviamente, non la
"parola" (se infatti il termine di "formazione ideologica"
non piace, appare troppo scolastico, strutturalistico, eccetera, se ne pu
tranquillamente coniare un altro) ma il concetto di cui questa parola veicolo. Tutti coloro che si avvicinano al
materialismo storico, ed ai suoi concetti fondamentali, sanno bene che la distinzione
fra "modo di produzione", da un lato, e "formazione
economico-sociale"", dall'altro, rappresenta qualcosa di equivalente
alla distinzione fra massa e peso, velocit ed accelerazione, a proposito dei
concetti della fisica. Si tratta di una distinzione basilare, senza la quale si
instaura una babelica confusione di linguaggi, ed ogni discussione sulie forme
di economia, di propriet, di potere politico, eccetera, appare del tutto priva
di senso concreto (1). E' curioso, allora, che ci che viene generalmente
ammesso senza contestazione a proposito dei concetti "fondativi" del
materialismo storico, non venga invece riconosciuto ed applicato quando si
passa ai tentativi di storicizzazione materialistica "nel mondo delle
idee". In proposito generalmente dominano due atteggiamenti, entrambi
sbagliati, che definiremo brevemente del . "tutto o niente", da un
lato, e della "quantificazione dei pezzi", dall'altro. | Il primo
atteggiamento (quello del "tutto o niente") consiste nel chiedersi se
l'autore Tizio o l'autore Caio siano "marxisti! oppure non lo siano. In
proposito ci si ritaglia un personale pezzo di "marxismo originario"
(autentico ed ortodosso), scelto nel grande corpus marxiano, e si sottopone al
controllo di qualit l'autore "marxista" in questione. Questo
atteggiamento merceologico pu anche avere motivazioni comprensibili ma, a
parere dello scrivente, DS porta a ben poco. Ci si chiede: Engels marxista? Rosa Luxemburg marxista? Lenin marxista? Gramsci marxista?. Rispondere con un s o con un
no del tutto sterile. Ci che conta,
infatti, accertare in quale modo, concreto,
specifico ed irripetibile, gli 68 f elementi originali marxiani vengano fusi
insieme con altri elementi teorici, e soprattutto sotto quale dominanza
teorico-pratica concreta avvenga questo processo inevitabile di fusione. Il
secondo atteggiamento (quello della quantificazione dei pezzi") viene
generalmente adottato per correggere quello che viene considerato l'unilaterale
estremismo del primo. Cos come, nella vita pratica, non. realistico chiedere tutto o niente, cos,
analogamente, nella "vita teorica" occorrono dei
"compromessi". Si quantificano allora, a seconda dei propri gusti e
delle proprie necessit, i "pezzi" di marxismo autentico nei singoli
autori. Gramsci, allora, diventa per il 50% marxista, e per il residuo 50% bergsoniano,
crociano, soreliano, e via etichettando. Secondo l'esiziale opinione di Mao
Tsetung il "compagno" Stalin era per il 70% buono e solo per il 30%
cattivo. E cos via pesando, e magari rubando qualcosa sul peso, secondo le
inveterate abitudini di molti cosiddetti "esercenti" (2). Entrambi
gli atteggiamenti sono inadatti a cogliere il nesso fra continuit e
discontinuit fra il pensiero marxiano ed i successivi marxismi. La nozione di
"formazione ideologica" appare invece molto pi utile e concreta (3).
L'incorporazione del materialismo storico e del pensiero marxiano
"autentico" (che a sua volta
una mera astrazione, ceme si ripetuto
fino alla nausea nella prima parte di questo scritto).in una "formazione
ideologica" allora a tutti gli
effetti una "forma di esistenza necessaria" del marxismo, cos come
ogni modo di produzione esiste soltanto nella forma concreta di incorporazione
in una formazione economico-sociale (4). Nella "formazione
ideologica" confluiscono, e si gerarchizzano sotto la dominanza di una
determinata forma filosofica del discorso (che poi orienta la prassi concreta
dei vari agenti sociali, che non hanno altro mezzo di autorappresentarsi la
propria prassi se non i"linguaggi" scaturenti dalla forma filosofica
del discorso stesso), i materiali culturali pi diversi ed eterogenei: il
fascino delle analogie storiche, i prodotti dell'immaginario individuale e
sociale, la laicizzazione imperfetta delle ideologie religiose dominanti, il
fascino discreto dell'economia politica borghese, i linguaggi professionali e
variamente influenzati dalla tecnologia, l'indebita estrapolazione di nozioni
tipiche delle scienze della natura, l'illusione dei ceti intellettuali di
essere un gruppo sociale "disinteressato", eccetera. L'elencazione di
questi "materiali" (qui fatta in modo empirico e disordinato) ovviamente del tutto insufficiente per
comprendere in che modo funziona concretamente una "formazione
ideologica". Occorre l'analisi concreta della 69 situazione concreta
(principio valido anche nella "storia delle idee") per comprendere
sotto quale specifica dominanza tutto ci avviene (5). La cosiddetta
"storia del marxismo" pu dunque esistere soltanto nella forma della
storicizzazione materialistica delle formazioni ideologiche dentro le quali il
"materialismo storico"
incorporato. Tutto questo, ovviamente, pone molti problemi
"epistemologici", che qui potremo solo elencare. # In primo luogo,
vi uno specifico problema delle
"permanenze". Esiste un qualcosa che possiamo chiamare "nucleo
rivoluzionario del marxismo", e che permane in tutte le "formazioni
ideologiche" in cui presente il
"materialismo storico"? Si tratta di una questione molto importante.
Fuorviante, a parere dello scrivente, sarebbe porre il problema in termini di
"dominanza di un concetto fondamentale irrinunciabile" (ad esempio,
l'unit teoria-prassi, l'identit soggetto-oggetto, la teoria del valore-lavoro,
la stessa nozione di sottomissione reale del lavoro al capitale). Ogni
concetto, infatti, sfigurato, se non se
ne indica il valore di posizione. E' forse meglio dire che il materialismo
storico vive soltanto come sistema armonico e flessibile di concetti, i quali
cambiano tutti il valore di posizione a seconda della formazione ideologica in
cui sono incorporati (6). In secondo luogo, cade ogni pretesa di scrivere una
storia "continua", cumulativa, teleologica del marxismo. Una simile
storia una semplice "storia
sacra", a fine predeterminato, un racconto edificante, e nulla pi. Di
simili storie ne esistono molte, ma esse non ci dicono nulla sul
"marxismo", ma rivelano soltanto l'ideologia specifica di chi le ha
scritte. | In terzo luogo, trovano spazio le storie multidisciplinari ed
enciclopediche del marxismo (come la recente "Storia del Marxismo
Einaudi"), ma unicamente sotto il punto di vista dell'utilit del materiale
specialistico di consultazione per studiosi. Contributi illuminanti (ed
illuminanti proprio perch profondamente specifici ed inseriti nella congiuntura
storica determinata) possono trovare posto accanto a testi del tutto inutili.
Anche qui, per non esiste un criterio per definire "oggettivamente"
se un determinato testo utile o inutile,
in quanto il giudizio di "utilit"
funzione del progetto teorico di apprendimento del lettore (7). Le note
che seguiranno non ambiscono, ovviamente, ad essere l'abbozzo di una
"storicizzazione materialistica delle formazioni ideologiche dentro le
quali il materialismo storico fu via via incorporato". A questo scopo,
sarebbe invece utile un saggio bibliografico, che utilizzi i ricchissimi
materiali esistenti (anche in 70 lingua italiana). Si tratta di una semplice e
telegrafica elencazione di "nodi problematici" della storia del
marxismo, ad uso del lettore. Lo scrivente deve infatti esplicitare pienamente
al lettore la sua personale lettura della storia del marxismo, in quanto solo
in questo modo possibile collegare il
"bilancio teorico" di questa storia con le "risposte
determinate" che si sono avute in alcuni pensatori eminenti del XX Secolo
(Heidegger, Bloch, Lukcs, eccetera). 2. N ortodosso n rinnegato: Karl Kautsky e
il marxismo A suo tempo, nell'irripetibile momento della diffusione del
marxismo della II Internazionale, Karl Kautsky fu definito il "papa
rosso" del socialismo. E, in effetti, Kautsky fu veramente un p "papa",
anche se non ebbe mai a disposizione un collegio di cardinali ed una santa
inquisizione. La sua cultura enciclopedica, la tendenza un p pedantescamente
tedesca alla sistematicit, la sua collocazione strategica nella rivista Neue
Zeit, il prestigio .di "continuatore diretto" dei classici del
marxismo fecero di lui una figura centrale, che viene giustamente studiata ed
analizzata dalla moderna storiografia delle idee marxiste (8). In questa sede,
ci interessa soltanto esaminare due aspetti di Kautsky teorico del marxismo: il
Kautsky "fondatore" del marxismo secondinternazionalistico (la cui
formazione ideologica caratterizzata
dall'idea di crollo del capitalismo e di correlata ascesa politica del
proletariato organizzato); il Kautsky "divulgatore" dei classici, in
cui la semplificazione gioca un ruolo qualitativo nello stravolgimento
dell'intera problematica marxiana di critica dell'economia politica. Come
rileva giustamente il grande studioso Georges Haupt, Kautsky (assai pi di
Engels) pu essere considerato il vero fondatore del "marxismo" (9).
Il movimento politico della classe operaia organizzata, che tendeva ad
emarginare insieme con l'anarchismo teorico anche le figure sociali
"marginali" ed i lavoratori non qualificati o comunque non
"organizzabili", e si basava sempre pi su una concreta figura operaia
la cui "composizione di classe" derivava dalle caratteristiche della
seconda rivoluzione industriale, espresse nell'Europa di fine Ottocento una
specifica domanda di "visione del mondo". Kautsky ebbe il grande
merito di "rispondere" a questa domanda, a questo vero e proprio
mandato sociale. La teoria marxiana del plusvalore fu dunque depurata dalle
cosiddette "fumisterie hegeliane" (considerate una perdita di tempo
per professori di filosofia) ed incorporata in una vera e propria visione
complessiva della storia, gradualistica ed 71 evoluzionistica (e qui, come ovvio, il darwinismo divulgativo ebbe la sua
funzione), caratterizzata da due "soggetti" in rapporto inversamente
proporzionale: il sistema capitalistico, avviato ad un inevitabile crollo
economico-sociale, ed il proletariato organizzato, aviato all'egemonia numerica
e culturale. Proponiamo di chiamare questo marxismo "formazione ideologica
kautskiana". Esso non fu certo un semplice "errore" di Kautsky
(non scherziamo!), ma fu il riflesso necessario di un mandato sociale e di una
congiuntura storica determinata. Essendo a sua volta la "formazione
ideologica kautskiana" esposta in dottissimi volumi il cui peso avrebbe
schiacciato qualunque marxista che si fosse trovato sotto lo scaffale al
momento del crollo del capitalismo, essa dovette subire un ulteriore processo
di semplificazione e di divulgazione, Come dice acutamente Czeslaw Milosz in
"La mente prigioniera" (".. I capi del Novecento -Hitler ad
esempio - hanno attinto il loro sapere unicamente da opuscoli di divulgazione,
il che spiega tra l'altro l'incredibile confusione esistente nelle loro teste.
Ci che contraddistingue infatti il sapere volgarizzato la sensazione che tutto sia comprensibile e
chiaro.."), la divulgazione non mai
innocente, ma d luogo a frammenti di verit mescolati con rappresentazioni
ideologiche che divengono quasi sempre dominanti. Grande fondatore e
divulgatore del suo "marxismo" (che certo riteneva con falsa
coscienza necessaria - cio in perfetta buonafede - conforme all'originale
marxiano, cos come a suo tempo S. Paolo fece con Ges Cristo) Karl Kautsky ebbe
in sorte una lunga vita caratterizzata da una fondamentale coerenza (come
giustamente rileva Massimo Salvadori nel suo utilissimo libro italiano su
Kautsky) (10).? Non fu, certo, "ortodosso" (e come poteva esserlo,
visto che l'ortodossia non esiste se non come concetto dell'ideologia religiosa
e non ha spazio alcuno nel mondo materialistico della storicizzazione delle
formazioni ideologiche), ma non fu neppure "rinnegato". Lenin ebbe
certo le sue ragioni pratiche per definirlo cos (e lo scrivente, ammiratore
della figura storica di Lenin, condivide queste ragioni), ma oggi, in sede di
ricostruzione storica e di storiografia critica, questa "etichetta"
deve essere staccata. Kautsky non rinneg affatto la sua "ortodossia
kautskiana", e si comport anzi, di fronte al "fatto nuovo" della
rivoluzione russa del 1917 e di fronte soprattutto allo scioglimento della
Costituente del 1918, in modo pienamente "ortodosso". Il concetto di
"formazione economico-sociale", che serviva a Lenin per dedurre una
tattica politica concreta, gli era estraneo, avendo egli sempre ragionato sulla
sola base della nozione di tendenze generali del modo di 72 n produzione
capitalistico (anzi, peggio, del sistema sociale basato sulla propriet privata,
che tutt'altra cosa). Il concetto di
"anello debole del sistema mondiale imperialistico", familiare a
Lenin, gli era estraneo, avendo egli sempre ragionato sulla base della transizione
al socialismo a partire dai "punti alti" della produzione
capitalistica. Kautsky non fu dunque un traditore ed un rinnegato.
Coerentemente kautskiano fino in fondo, egli mostr che ci si pu continuare a
definire "marxisti" pur senza imparare nulla dall'esperienza. Il
"marxismo kautskiano" oggi una
sorta di "reperto archeologico", qualcosa di appartenente al passato,
come l'antica e la media Sto, lo gnosticismo orientale, la cristologia
bizantina, l'averroismo latino, il libertinismo erudito del Seicento, eccetera.
Tuttavia, a differenza di queste rispettabili forme culturali, non c' nel
kautskismo nessun passato da "riscattare" (per civettare con il
linguaggio di Ernst Bloch), ma soltanto un "esempio negativo" da
tenere presente, per almeno due ordini di ragioni. In primo luogo, il
kautskismo ha vissuto molto a lungo su una mistificazione qualitativamente
carica di equivoco, quella di una "ortodossia marxista" che aveva
alla sua "destra" qualcosa chiamata "revisionismo" (nella
fattispecie, le coerenti posizioni di Eduard Bernstein, per nulla affatto pi
"a destra" di quelle di Kautsky, come a suo tempo fu genialmente
rilevato da Lukcs). Ci che, effettivamente, i revisionisti
"rivedevano" (e si veda in proposito l'esauriente raccolta di
documenti di Iring Fetscher) era infatti il materialismo storico marxiano
nell'insieme, e questo fu ben compreso da molti pensatori, fra i quali Lenin e
Rosa Luxemburg. Tuttavia, la "difesa kautskiana dell'ortodossia" fu
ancora peggiore dell'attacco revisionista, perch non permise di evidenziare
quello che era il fondamentale "momento di verit" dell'offensiva
teorica revisionista, la segnalazione del divorzio totale fra teoria e prassi
nel marxismo secondinternazionalistico (11). | In secondo luogo, la formazione ideologica
kautskiana riusc nella difficile impresa di cucire insieme a filo doppio i due
"discorsi filosofici" pi metafisici gi presenti in Marx, tralasciando
sistematicamente invece il migliore, quello ontologico-sociale. La nozione
kautskiana di capitalismo . infatti
pienamente incorporata in un discorso deterministico-naturalistico. Si tratta
dell'evoluzione "automatica" di un organismo complesso, analogo agli
"organismi complessi" di cui si parla nelle scienze della natura, e
che pu essere studiato con leggi di tipo naturale (certo, forse pi tendenziali
e pi statistiche, come del resto la rivoluzione della fisica contemporanea
imponeva anche alle scienze della natura). La 73 nozione kautskiana di
proletariato. invece incorporata in un
discorso di tipo grande-narrativo. Si tratta di una crescita cumulativa della
coscienza politico-sociale di un soggetto, che cresce insieme alla crescita
della grande industria moderna, fino alla piena "comprensione" delle
cose, unit di gnoseologia e di ontologia, di maggioranza elettorale alle urne e
di egemonia morale sul resto della societ (12). E' comprensibile, certo, che
Kautsky abbia costruito in questo modo il suo "marxismo", che ebbe,
insieme alla sua corposa "realt", una sua corposa "razionalit".
Esso provoca in noi una sorta di effetto di lontananza, senza per alcuna
nostalgia. Non c' infatti in Kautsky alcuna ambiguit, non c' nessuna
ambivalenza. Tutto in Kautsky
assolutamente chiaro, e tutto assolutamente
falso. Questo non potrebbe essere detto di Engels, in cui c' invece qualcosa di
ambiguamente fecondo di contraddizioni. 3. Friedrich Engels: fondatore del
marxismo orientale o ispiratore del marxismo occidentale? A proposito del
pensiero di Friedrich Engels cresciuta
negli ultimi ottant'anni una vera e propria "leggenda nera", che
rende difficile un rapporto sereno e storicizzato con questo classico del
marxismo. Il "marxismo antiengelsiano" oggi un fenomeno teorico di grande importanza
culturale, che si frappone come un filtro deformante fra lo studioso
contemporaneo ed i testi engelsiani. Occorrer dunque parlarne subito, prima di
dare una valutazione di fondo della natura del "marxismo di Engels".
Il marxismo antiengelsiano pu essere definito, in prima approssimazione, un
vero e proprio errore teorico, filologico e storiografico, che viene per
compiuto "con qualche ragione", cio in base a motivazioni quasi
sempre giuste. Questo "errore teorico" si fonda su due colonne
portanti, entrambe degne di esame accurato. In primo luogo, il marxismo
antiengelsiano una metafora teorica per
indicare l'avversione al discorso filosofico di tipo
deterministico-naturalistico, in base alla convinzione (errata) che Marx sia
stato del tutto immune da questa. deformazione, e che occorra dunque
"salvarlo" dal suo troppo invadente ed enciclopedico amico. Ma cos
non , come abbiamo cercato di mostrare nella prima parte di questo scritto. In
secondo luogo, il marxismo antiengelsiano
una metafora teorica per indicare l'avversione (pienamente giustificata)
per il materialismo dialettico sovietico-staliniano,, che sembra avere avuto
nell'Anti-Duhring e nella Dialettica. della Natura di Engels le sue fonti
teoriche 74 principali. Ma cos non , in quanto, come indicheremo fra poco, il
Diamat sovietico una specifica
formazione ideologica che occorre storicizzare ferreamente, e non risale a
prima del 1931. Si vuole, insomma, salvare Marx e condannare Stalin, obbiettivi
entrambi altamente commendevoli, che usano per Engels come vero e proprio capro
espiatorio. Tuttavia, a differenza di Kautsky, Engels non stato il "fondatore" organico di
una formazione ideologica. Certo, l'idea di crollo e la correlata nozione di
ascesa irresistibile del proletariato sono presenti anche in Engels, ma non
sono, come in Kautsky, assolutamente "portanti" del suo discorso. In
Engels, anzi, vi sono apparentemente posizioni eclettiche, che sembrerebbero
indicare uno scarso rigore: l'ottimismo sull'irresistibile ascesa del
proletariato organizzato si mescola al pessimismo cosmico della fine entropica
del mondo; l'evoluzionismo della vittoria "tranquilla" ed automatica
dei proletari, che imparano dagli stessi borghesi l'addestramento militare che
verr poi loro buono al momento giusto si mescola allo studio di uno stratega
come von Clausewitz, teorico della congiuntura bellica specifica, della cosa
giusta da fare al momento giusto. Non si tratta per di eclettismo superficiale,
quanto di compresenza necessaria di opposti non mediabili nel pensiero, ma
"scioglibili" soltanto nella realt concreta. Il pensiero di Engels il "luogo teorico" della
irresolubilit logica della contraddizione, oltre che il "luogo
polemico" della battaglia di idee contro le interpretazioni
ultrametafisiche delle scienze naturali e sociali del suo tempo. Se, invece, il
pensiero di Engels viene disarticolato ed unilateralizzato, lo si pu far
diventare addirittura l'iniziatore di due tradizioni assolutamente opposte.
Nulla di pi facile, ma anche nulla di pi fuorviante e di sostanzialmente
inutile. Secondo alcuni, infatti, Engels
il vero "fondatore" del materialismo dialettico staliniano,
cio del "marxismo orientale". Engels persegu in effetti un progetto
teorico di dialettizzazione filosofica delle scienze della natura del suo
tempo, che non ra ai suoi occhi incompatibile (come in realt , almeno nella
forma generalizzante che Engels era portato a dargli) con la specifica
determinatezza delle categorie del materialismo storico. Questo progetto fu da
Engels consegnato a quaderni per uso personale (poi pubblicati per la prima
volta in URSS nel 1925 sotto il titolo di "Dialettica della natura"),
che non furono certo scritti per soddisfare committenze esterne o per costruire
un "sistema autoritario". Oggi siamo portati ad associare gli sforzi
filosofici sistematici ed onnicomprensivi con l'autoritarismo politico (e non
del tutto a torto, se pensiamo che la scienza funziona anche da ideologia della
legittimazione ed "interdice" certi comportamenti, 75 come
rispettivamente Habermas e Foucault hanno bene spiegato), ma questo non sempre del tutto esatto. Nel Settecento, ad
esempio, uomini non sospettabili di autoritarismo, come Denis Diderot,
perseguirono autonomi progetti di dialettica della natura. Le note
"dialettiche" di Engels risalgono agli anni fra il 1873 ed il 1883, e
sono del tutto coeve all'allargamento enciclopedico di interessi che spingeva
Marx a studiare le societ primitive. Chi legge Engels si accorge che non c' in
lui nessuna tendenza a "chiudere il cerchio" ed a costruire quelli
che a suo tempo Voltaire ridicolizzava come i trattati di meta - fisico -
teologo - cosmo - scemologia. E' dunque del tutto errato istituire una
continuit lineare fra le esercitazioni materialistico-dialettiche di Engels ed
il "materialismo dialettico" sovietico, e si finisce cos con il
perdere di vista la specificit di entrambi (13). Sarebbe perfettamente
plausibile, inoltre, far diventare Engels il vero "ispiratore" del
cosiddetto "marxismo occidentale". E' stato Engels a lanciare la
parola d'ordine del proletariato come soggetto storico erede della filosofia
classica tedesca. Ora, se non vogliamo usare il concetto di "filosofia
classica tedesca come "concetto-ripostiglio" buono a tutti gli usi, e
perci generico sinonimo di cultura ad alto livello di cui il proletariato
dovrebbe appropriarsi (acquistando presumibilmente i dischi di Beethoven a rate
e leggendo riassunti sinottici di Goethe, Schiller ed Hegel), il termine
"filosofia classica. tedesca" non pu che significare tecnicamente
"filosofia della attivit fondativa del soggetto" (Fichte), in primo
luogo, e "filosofia dell'identit soggetto-oggetto" (Hegel); in
secondo luogo. Se le parole hanno ancora un senso, allora, il proletariato
(ovviamente ideal-tipicizzato) sostituisce la borghesia come soggetto storico
portante sia dell'attivit che dell'identit (nel doppio aspetto di teoria e di
prassi). Si tratta del paradigma filosofico del marxismo occidentale in forma
pressoch pura (14). Naturalmente, Engels non
n il fondatore del marxismo orientale n l'ispiratore segreto del
marxismo occidentale. Il fatto che si possano facilmente ed in modo non
sofistico dimostrare ambedue le tesi ci mostra ancora una volta che in
filosofia si pu dimostrare quasi tutto (e cio quasi niente), se non ci si
attiene ferreamente al metodo della storicizzazione integrale delle formazioni
ideologiche ed al valore di posizione dei concetti nelle situazioni storiche
determinate. Il ensiero di Engels, dunque, deve essere correlato al suo. tempo.
Il suo concreto aspetto di attualit consiste nell'apertura "filosofica
alle scienze della natura e nell'istanza enciclopedica, che 76 non mai regressiva, se pensa s stessa come
totalit provvisoria sempre destrutturabile. Lo stesso "Antiduhring"
non pi letto, dai critici avvertiti ed intelligenti,
come manuale del socialismo e testo canonico di legittimazione, ma come sintesi
provvisoria che fu "trasformata" in manuale dal "socialismo a
vapore" della II internazionale (15). , 4, La filosofia di Lenin: il
matrimonio fra dialettica e materialismo Cos come Marx non fu il fondatore del
"marxismo" (ma lo fu nell'essenziale Kautsky, fra il 1882 ed il
1891), cos Lenin non fu il fondatore del "leninismo" (ma lo fu
nell'essenziale Stalin, fra il 1924 ed il 1931). La tesi che qui esponiamo pu
essere facilmente verificata, soprattutto se si leggono i documenti teorici sui
"punti essenziali del leninismo" (con le divergenze fra Trotsky,
Stalin e Zinoviev) e, soprattutto, le significative differenze fra le due
successive opere di Stalin, Principii del leninismo (aprile 1924) e Questioni
del leninismo (gennaio 1926). In meno di due anni si era gi costituita una
scolastica definitoria, pronta a funzionare da ideologia della legittimazione e
da "marxismo monopolistico di stato". Tuttavia, il pensiero di Lenin
pu egualmente essere studiato nella sua determinatezza storica, una volta che
si sia messo in guardia dal confonderlo con la scolastica
"marxista-leninista". Esso |
solo secondariamente un pensiero "filosofico", essendo invece
ricchissimo di contributi originali sulle classi, la teoria del partito
politico "marxista", l'imperialismo, lo stato di transizione,
eccetera. E' difficile gerarchizzare i temi del suo pensiero intorno ad un asse
centrale. Ad esempio, la centralit della "teoria del partito
politico" (e correlativamente del marxismo come teoria di partito, in cui
il partito diventa. custode della purezza e della creativit della
dottrina) certo caratteristica del
"leninismo", ma non lo del
pensiero di Lenin, in cui la teoria del partito coesiste, a "pari grado di
importanza", con la teoria dello stato, dell'imperialismo, delle classi.
Non questa la sede per discutere
analiticamente il pefisiero di Lenin (essendo questo un trattato filosofico, e
non un testo di "materialismo storico" strettamente inteso), Da un
lato, facile criticare le sue
inadeguatezze, purch si sappia riconoscere che a tutt'oggi non possediamo una
teoria dello stato e del partito politico che abbia veramente
"superato" Lenin. Tutti sanno che Lenin ha "sottovalutato"
l'importanza dei "diritti borghesi" di libert presenti nello stato
capitalistico, eppure, quando si passa 77 all'analisi concreta dello stato
capitalistico oggi, si scopre che esso non
affatto "democratico", ma integralmente
"corporativo". L'esperienza storica della fusione perversa fra
partito, sindacato e stato nei paesi a "socialismo reale" (con
conseguente creazione di una "borghesia rossa" unificata intorno alla
nomenklatura di partito) ha spinto molti marxisti (orientali ed occidentali) ad
ipotizzare una separazione strutturale, nella transizione, fra sindacato,
partito e stato "marxisti") ma questa non che una parola d'ordine ancora del tutto
astratta, e non certo ancora
post-leninista. Il solo punto del pensiero di Lenin che pu essere considerato
popperianamente "falsificato"
forse la sua tesi forte della "putrefazione delle forze
produttive" nel capitalismo imperialistico, per cui la "classe
operaia" dovrebbe funzionare da "volano" del progresso
tecnologico. Nel cosiddetto "terzo mondo" ancora vero, mentre nel cuore del sistema mondiale
imperialistico (dalla California al Giappone alla Germania) i borghesi si sono
dimostrati capacissimi di sviluppare le "forze produttive". Qui Lenin
paga il prezzo dell'uso acritico del concetto kautskiano -
secondinternazionalistico di "forze produttive", come qualcosa di
sostanzialmente "esterno" ai rapporti di produzione, e pertanto di
sostanzialmente "neutrale" per quanto concerne la organizzazione
della divisione tecnica del lavoro sociale. | Passando alla forma filosofica
del discorso di Lenin, lo scrivente portato
a darne una valutazione molto positiva. Cerchiamo di spiegarci (anche perch
andremo su questo punto cntro corrente, essendo molto diffusa l'opinione che
Lenin sia in filosofia un "cane morto"). Abbiamo ripetuto ad nauseam
che la "questione fondamentale" in filosofia non il presunto "primato dell'essere sul
pensiero", eccetera, ma risiede nell'evitare l'incorporazione delle
proprie conoscenze naturali e sociali in una forma filosofica del discorso
grande-narrativa e deterministico-naturalistica. Ebbene, Lenin mostra quasi
sempre nei suoi scritti filosofici di possedere questa capacit (16). In Lenin
(cos come il concetto di modo di produzione si presenta quasi sempre soltanto
nella forma della formazione economicd-sociale) il discorso filosofico generale
si presenta quasi sempre soltanto nella forma della congiuntura teorica
specifica. E' questo, lo ripetiamo, il punto essenziale. Senza intenderlo bene
non si capir mai come in Materialismo ed Empiriocriticismo (scritto nel
febbraio - ottobre 1908) ci sia molto "materialismo", - nella forma
della teoria realistico-gnoseologica del rispecchiamento nel pensiero di una
realt esistente indipendentemente da quest'ultimo, e ci sia invece poca
"dialettica", mentre invece nei Quaderni 78 Filosofici (scritti fra
il 1914 ed il 1917) ci sia apparentemente pochissimo "materialismo" e
sia invece presente un altissimo grado di "dialettica". In Lenin c'
infatti una topologia filosofica flessibile, costruita su quattro parametri
mobili: il materialismo (punto di vista dell'interazione pratica fra soggetto
ed oggetto); l'idealismo (punto di vista della soggettivit che pensa s stessa
in modo ipertrofico); la metafisica (punto di vista statico dell'immobilit e
della ipostatizzazione); la dialettica (punto di vista dinamico del cambiamento
e del rovesciamento). Ci sono dunque sempre in Lenin quattro combinazioni
filosofiche possibili: idealismo e metafisica (- e -); idealismo e dialettica
(- e +); materialismo e metafisica (+ e -); materialismo e dialettica (+ e +).
Queste quattro combinazioni sono per dei veri e propri "regni
combattenti" che esistono soltanto nella loro relazione conflittuale e nel
loro concreto valore storico di posizione, e non sono mai pensabili come
sistemi filosofici riassumibili ed insegnabili. Nel momento in cui, ad esempio,
la specifica combinazione fra materialismo e dialettica si irrigidisce e si
solidifica in un sistema chiuso, chiamato ad esempio "materialismo
dialettico" (manualizzato e manualizzabile all'infinito), aperto il varco per la trasformazione
immanente del materialismo in idealismo e della dialettica in metafisica. Si
potrebbero fare qui molti esempi, ma lo spazio lo impedisce. Se quanto detto
sopra vero, non esiste il "sistema
filosofico" di Lenin, ma solo una "pratica filosofica" di Lenin.
Questo non significa, ovviamente, che Lenin abbia avuto sempre ragione, ed i
suoi congiunturali avversari sempre torto. Su questo, la discussione deve
essere del tutto libera, e non pu essere dogmaticamente accettata nessuna
auctoritas statuale (17). Materialismo ed empiriocriticismo tuttavia, a parere dello scrivente, un libro
giusto nell'essenziale. In proposito lo scrivente condivide la tesi argomentata
a suo tempo da Dominique Lecourt. Lenin se la prende con l'indeterminismo
filosofico, che un. fall out idealistico
della rivoluzione scientifica dei primi anni del Novecento, e non si oppone
invece affatto ai concreti risultati scientifici della fisica contemporanea. Le
polemiche, -di tipo paleopositivistico, contro i filosofi idealisti, dietr .i
quali occhieggiano i pope ortodossi, dietro i quali si leva l'ombra dello zar,
sono del tutto datate (ma congiunturalmente comprensibili, siamo nel pieno
della reazione politica dopo il 1905), ma non
affatto datata la tesi di fondo, che si erge contro la manipolazione
filosofico-idealistica dei risultati delle scienze della natura (18). Anche i
Quaderni Filosofici sono, a parere dello scrivente, una 79 grande scuola di
filosofia. Essi sono (se pensiamo a quando furono scritti) la prima guerra
mondiale riflessa nel linguaggio filosofico. La prima guerra mondiale fu
infatti un vero sconvolgimento pratico, integralmente dialettico, dell'universo
sociale che si presupponeva "noto". La civilt europea si convert in
pochi giorni in barbarie legalizzata, migliaia di operai diventarono
guerrafondai (contro la loro presunta "essenza" pacifista), migliaia
di borghesi si .scoprirono pacifisti (contro la loro presunta
"'essenza" guerrafondaia), il capitalismo della libera impresa si
pianific immediatamente in vista dello sforzo bellico, e cos via. Poich tutto
era in movimento, Lenin cerc di pensare filosoficamente il
"movimento". A questo proposito, la teoria gnoseologica del
rispecchiamento appare astrattamente giusta, ma poco utile, mentre le
intuizioni dialettiche di Hegel appaiono fecondissime (19). A. parere dello
scrivente, i due parametri filosofici dell'idealismo e della metafisica
,trovano un momento di fusione in una teoria unificata della cosiddetta
differenza, mentre gli altri due parametri, il materialismo e la dialettica,
trovano il loro specifico momento di fusione nella teoria unificata della
contraddizione. Le filosofie della contraddizione e le filosofie della
differenza sono dunque assolutamente incompatibili, ma non pu esistere una
"riga divisoria" fissa, manualizzabile ed insegnabile astrattamente.
E' questo, a parere dello scrivente, l'essenziale dell'insegnamento filosofico
di Lenin (20). 5. Il provvidenziale esaurimento progressivo del marxismo
orientale Il complesso processo storico che prende il nome di "costruzione
del socialismo in Urss" (e di cui E. H. Carr resta secondo noi a tutt'oggi
lo storico insuperato) provoc necessariamente un mutamento qualitativo di
funzione della teoria marxista: da "ideologia di legittimazione di
partito", priva di poteri coercitivi e di un braccio secolare (come era al
tempo di Kautsky e della Il Internazionale) divenne una "ideologia di
legittimazione di stato", dotata di monopolio della forza e del tutto
legibus. soluta. E' sintomatico (e si veda in proposito fil III volume delle
Luttes de classe en Urss di Charles. Bettelheim, in due tomi) che chi cerca di
periodizzare adeguatamente questo mutamento di funzione si avvolge da solo in
una tela di ragno terminologica: non mai
chiaro se una tale teoria fa parte del "nucleo rivoluzionario del pensiero
marxista", del "marxismo storicamente costituito", della
"formazione ideologica bolscevica", dello "stalinismo vero e
proprio", eccetera. Alla fine (e Bettelheim scrive la prefazione del 80
libro dopo aver scritto il libro intero) salta tutto, c' un black out generale, corto circuito, l'accumulo di
tensione eccessivo, e Bettelheim
conclude che la rivoluzione del 1917
stata la grande illusione del XX Secolo (21). Eppure, i bolscevichi non si illusero
soltanto di rompere con la Il Internazionale. Ruppero veramente, e causarono
una "discontinuit forte" nella storia del cosiddetto "movimento
operaio". Questa discontinuit, evidente e visibile nel "cielo della
politica", non fu forse cos grande per quanto riguarda il nucleo duro
della "teoria". Alcuni studiosi (primo fra tutti Louis Althusser)
argomentarono a suo tempo come vi sia stata una "continuit segreta"
fra il marxismo della II e quello della II Internazionale, definibile
telegraficamente come il nesso economicismo/umanesimo: la retorica sul
progresso inarrestabile delle forze produttive, delle quali il socialismo
pianifica la crescita, fondata con una
parallela retorica umanistica del produttore e
dell'uomo nuovo prometeicamente fabbro del futuro. Althusser traduce qui
in linguaggio "marxista" un'intuizione espressa in modo molto pi
profondo dallo Heidegger della Lettera sull'Umanesimo (come noteremo nella
terza parte di questo scritto), e che coglie effettivamente un aspetto reale:
il carattere integralmente "umanistico" della scienza, e dunque
l'assurdit di contrapparre le "due culture", la metafisica alla
tecnica (22). Altri studiosi, capaci di gettare lo sguardo oltre il "punto
cieca del marxismo althusseriano, l'incapacit di prendere teoricamente in
considerazione la nozione di sottomissione reale del lavoro al capitale come
"scheletro" della riproduzione dei rapporti capitalistici di
produzione, riuscirono ad andare un po' pi avanti sul terreno della
"continuit" fra i marxismi della II e della II Internazionale: l'idea
che il capitalismo sia gi in grado di socializzare nell'essenziale le forze
produttive, lasciando il socialismo erede di questa socializzazione, che si
tratterebbe soltanto di "completare" (La Grassa-Turchetto). l o In
questa posizione lo scrivente si riconosce, e non vale dunque la pena ripetere
in dettaglio l'argomentazione. Pu essere invece utile sviluppare un'altra
questione, a questa peraltro parallela: la logica dell'esaurimento interno del
"marxismo" che si. . ' pensato come "interno" a questo
processo di socializzazione (capitalistica) delle forze produttive, il marxismo
del "socialismo reale", qui chiamato per comodit "marxismo
orientale". | La genesi del "materialismo dialettico"
staliniano complessa. Prima della sua
affermazione, ci fu una darwiniana "lotta per la vita" con altre
varianti di "marxismo" (almeno tre), alla fine della 81 quale il
Diamat emerse vincitore. Si trattava, in effetti, della "specie teorica pi
adatta". Una prima forma, assolutamente inadatta, fu quella variante colta
e filosofica di "marxismo occidentale" (Lukcs e Korsch), elaborata
negli ambienti degli intellettuali comunisti fuori dall' Urss. Teorizzando
l'unit fra soggetto ed oggetto (cio, fuor di metafora, fra proletariato e processo storico), correlava strettamente le
forme di coscienza del partito con quelle del proletariato empiricamente dato.
Unit di idealismo e di empirismo, non era adatta a "legittimare" la
realt sovietica, caratterizzata dal fatto che era ormai il "partito"
a creare, con atto politico d'imperio, il "proletariato di fabbrica"
(vedi i Piani Quinquennali), e non viceversa (23). Una seconda forma,
-anch'essa inadatta, fu il cosiddetto "materialismo meccanicista"
(Bucharin). A differenza del primo, questo era un prodotto autoctono sovietico.
Sia trattava di una metafora filosofica del rifiuto di imprimere una
accelerazione artificiale allo sviluppo delle forze produttive mediante scelte
economiche che "violentavano" il sano rapporto "materiale"
fra struttura economica (kulaki + NEP) e sovrastruttura politica. Una terza forma,
anch'essa inadatta, fu il cosiddetto "idealismo menscevizzante"
(Deborin). Anch'essa prodotto autoctono sovietico, il suo sincero e reale
rapporto con la dialettica (ed il gruppo deboriniano pu essere considerato il
"gruppo di amici materialisti della dialettica hegeliana" gi a suo
tempo auspicato da Lenin in un famoso articolo) lo abilitava a capire fino in
fondo il carattere manipolatorio e strumentale dell'uso staliniano della
dialettica. Il Diamat vince dunque in questa battaglia filosofica secondo il
migliore stile burocratico: una risoluzione ufficiale del C. . del Pcus (b) del
25-1-1931. Si tratta, a nostro parere, della data di nascita del Diamat. .Il
Diamat non infatti una filosofia fra le
_ altre, un punto di vista che si confronta liberamente con altri, ma solo una sacra theologia, una scolastica di
partito, una vera e propria onto-teo-logia dello stalinismo. Ripercorrere le
posizioni del Diamat sui pi svariati problemi (dalla controversia lysenkoiana
sulla genetica al rifiuto della meccanica quantistica, dall'origine della vita
sulla terra alla negazione dell'esistenza del modo di produzione asiatico,
eccetera) certo utile per
l'informazione, ma occorre farlo senza cadere in una "leggenda
fuorviante": l'incompetenza ed il dilettantismo dei burocrati di partito,
incapaci di rispettare l'autonomia disciplinare dei veri scienziati e degli
specialisti (in questo modo, fra l'altro, il processo a Galilei diventerebbe un
frutto dell'incompetenza della 82 Curia romana) (24). Lo sviluppo del
Diamat ovviamente del tutto incompatibile
con l'esistenza di altre scuole (legalizzate), di altri punti di vista, di un
"pubblico dei lettori" (per riprendere l'espressione kantiana). Cos
come gli scrittori dovettero diventare "ingegneri di anime", i
filosofi dovettero metaforizzare in una cosmologia generale la (falsa)
naturalit del meccanismo unico fra politica, economia ed ideologia del sistema
staliniano. Ogni opinione diversa, non appena aspirasse a sistematizzarsi ed a
organizzarsi", era subito illegalizzata, cos come del resto succedeva alle
"linee alternative" in politica economica o nell'arte militare (25).
La funzione principale del Diamat quella
di far apparire naturale ed obbligata la scelta staliniana sulla base dell'unit
metodologica fra natura e storia. Si
fatto cos perch non s poteva, anche volendo, fare . diversamente. Qui
non ci sono opinioni confliggenti (cio chiacchiere, oppure complotti della
quinta colonna), ma solo inesorabili necessit, e la libert non dunque altro che coscienza della necessit
storica. Il Diamat vede dunque, in un certo senso, esaurire la sua funzione non
appena sia stato instaurato un solido senso comune sulla . necessit-cos della
riproduzione del sistema sociale sovietico. Come la scala di cui parla
Wittgenstein, esso pu essere anche gettato, una volta che ci si sia saliti.
Dopo il 1953 ed il 1956 (morte di Stalin'e XX Congresso del PCUS) il Diamat
esiste ancora come "etichetta" della filosofia sovietica di stato, ma
comincia a morire, a svuotarsi, in direzione di un'altra, diversa, forma filosofica
del discorso, la cosiddetta "direzione scientifica della societ",
l'ideologia della "rivoluzione tecnico-scientifica", portata avanti
da specialisti "neutrali" espressione per di un popolo sovietico non
pi diviso in classi. Nella forma staliniana, infatti, il Diamat era strutturato
in modo da essere troppo ostile all'articolazione funzionale degli specialismi
che si instaura necessariamente in un sistema sociale complesso. Si trattava
del punto di vista "filosofico". del ceto politico bolscevico di
origine operaia, di una ideologia della "identit forte" che non
poteva che essere liberalizzata. La liberalizzazione del Diamat (dopo il
1956) comunque strettamente
"controllata", e non permette certo la nascita di un'"opinione
pubblica di pensatori marxisti". Il potere continua ad avere un carattere
"monolitico" (anche se la natura fondamentalmente capitalistica della
societ di tipo sovietico da luogo continuamente a tensioni fra istanze politiche
ed interessi economici in concorrenza), ed ha sempre meno bisogno del "marxismo"
come fondamento della propria legittimazione. Gli ideologi ufficiali di stato
sono sempre meno creduti, ed essi stessi credono sempre di meno a quanto devono
teorizzare. E' esattamente questo l'inarrestabile processo che qui viene
definito l'esaurirsi progressivo ed immanente del marxismo orientale. In
Occidente, in ambito "marxista", le societ di tipo sovietico vengono
analizzate secondo parametri diversi. La vecchia tesi "trotskysta",
enunciata prima del 1940 (societ a struttura fondamentalmente socialista ed a
sovrastruttura politica "degenerata"), appare oggi difficilmente
difendibile. i Altre letture sono oggi pi diffuse, e ne citeremo qui soltanto
tre: la societ sovietica come "modello di funzionamento" di un
peculiare sistema politico; la societ sovietica come dispotismo orientale,
variante moderna del modo di produzione asiatico; la societ sovietica come tipo
particolare di rapporto sociale di produzione integralmente capitalistico. La
prima lettura (di cui in Italia la sovietologa Rita Di Leo si fa chiassosa
banditrice) propone di lasciare cadere del tutto ogni riferimento alle
categorie marxiane di critica dell'economia politica. Esse
"appesantirebbero" inutilmente il problema "tecnico" di
sapere come funziona concretamente il modello sovietico di societ,
caratterizzato dalla dominanza del fattore politico su quello economico.
Bisogna studiare invece mille problemi pratici (come vengono scelti i deputati,
come si viene ammessi all'Universit o ricoverati in ospedale, come vengono
scelte le lettere dei lettori ai giornali, eccetera), e non perdersi nel
cercare di calare la realt sovietica negli "sterili" schemi del
materialismo storico. Si tratta di una variante della scuola italiana
dell'"autonomia del politico", che ha il merito di rendere esplicito
il suo disprezzo per il valore . conoscitivo specifico delle categorie della
critica dell'economia politica (26). La seconda lettura raccoglie stimoli di
studiosi noti, come Wittfogel e Bahro, e sistematizza (in modo per unilaterale)
la compresenza di dominio di classe e di assenza di propriet (giuridica)
privata dei mezzi di produzione in un "incantesimo analogico" con il
marxiano modo di produzione asiatico. In questo modo la divisione capitalistica
del lavoro e le specifiche modalit del suo approfondimento sono semplicemente
"ignorate", mentre giganteggiano in primo piano le abitudini
grottesche e prepotenti dei nuovi despoti neroniani tipici del socialismo reale
(con il loro codazzo di parenti, adulatori, flabellatori ed opportunisti) (27).
La terza lettura, che resta strategicamente la pi giusta e convincente (sul
"lungo periodo", quando la riattivazione categoriale delle categorie
marxiste potr aver dato i suoi frutti),
al 84 momento attuale indebolita da alcuni seri fattori storici
congiunturali. In primo luogo (si pensi al caso di Charles Bettelheim) questa
lettura si costituita storicamente in
Occidente come "rovescio teorico" di un'adesione pratica al programma
politico della sinistra maoista della rivoluzione culturale cinese. Venuto meno
questo referente storico concreto (che aveva attivato reali pratiche sociali
anticapitalistiche all'interno di un sistema sociale presunto
"socialista") si
correlativamente indebolita anche la connessa elaborazione teorica. In
secondo luogo, la teoria sulla natura sociale "capitalistica" dei
paesi a socialismo reale pu rafforzarsi soltanto se viene condivisa e praticata
da settori, intellettuali e sociali, dell'opposizione nei paesi dell'Est. Questa
opposizione per (anche quando si vuole anticapitalistica e quando afferma di
far riferimento al materialismo storico)
generalmente schierata, sul piano teorico, sulla posizione della
negazione netta del carattere "capitalistico" delle societ in cui
vive. La questione non affatto puramente
definitoria e nominalistica (di "lana caprina"), ma il segnale ed il sintomo del fatto che si
usano ancora categorie concettuali molto diverse, e che si ancora molto lontani dall'univocit dell'uso
del materialismo storico presso i settori critici e di opposizione ad Est ed a Ovest
(28). i Questo dialogo, la cui necessit ed urgenza indubitabile, non verr per accelerato o
facilitato dall'eclettismo teorico o dal pluralismo pasticcione delle opinioni.
Il fatto che nei paesi a "socialismo reale" sia venuta meno la
credenza nella riformabilit del "marxismo monopolistico di
stato" una condizione necessaria
(in negativo), ma non ancora sufficiente, per un uso critico del materialismo storico
in quelle situazioni. In proposito il futuro
del tutto aperto, e nessuna previsione seria pu essere qui fatta. 6. Il
vicolo cieco del paradigma teorico del marxismo occidentale Mentre la
cosiddetta "costruzione del socialismo .in un solo paese"
(pianificazione economica + propriet giuridica statale dei mezzi di produzione
+ monopolio del potere politico da parte del partito-stato + trasformazione del
marxismo in -ideologia di legittimazione) dettava ferreamente le regole
"teoriche" dello sviluppo del marxismo orientale, in Occidente gli
intellettuali critici e gli operai rivoluzionari godevano, nel campo della
teoria, di una maggiore libert di movimento. Findagli anni '20 si costituirono
(per opera soprattutto di Lukcs e di Korsch) le due varianti teoriche possibili
all'interno del paradigma filosofico del marxismo occidentale. In una prima
posizione (giovane Lukcs) il proletariato 85 diventa l'unico soggetto in grado
di fare la storia e di comprenderla come sua creazione senza falsa coscienza,
mentre la borghesia non pu intendere teoricamente il suo carattere provvisorio
e transeunte, legata com' alle categorie pseudonaturalistiche della sua
economia politica e della sua sociologia. Il proletariato empirico per (come
insieme anagrafico di operai concreti) potrebbe anche risultare
provvisoriamente incapace di assumere il suo destino storico, e subentra allora
il "partito comunista" come rappresentante degli interessi storici e
della tattica politica del proletariato ideal-tipicamente concepito. In una
seconda posizione (Karl Korsch) ci si rifiuta per di separare metodologicamente
il proletariato sociologico, storicamente dato, ed il proletariato filosofico,
ricostruito in via ideal-tipica, e si preferisce imboccare in modo coerente la
strada della 'deduzione"' delle categorie teoriche dal comportamento
concreto dei soggetti sociali collettivi e dai livelli di coscienza che essi
via via esprimono. Si tratta di uno sviluppo consequenziale (nelle nuove
congiunture storiche del XX secolo) della definizione classico-marxiana di
comunismo come "movimento reale che abolisce lo stato di cose presenti",
in contrapposizione all'utopismo degli "ideali da realizzare".
Sebbene il capolavoro teorico del "marxismo occidentale" sia stato
costruito in base allo svolgimento coerente della prima posizione (si tratta di
Storia e coscienza di classe di Lukcs, in cui il proletariato fu trattato, per
la prima e l'ultima volta, come vero "erede" della filosofia classica
tedesca), la seconda posizione era indubbiamente pi fedele alle istanze
"materialistiche" della teoria marxiana. Non vi era solo la
"deduzione" delle categorie teoriche dal movimento storico reale; ci
si trovava di fronte anche ad una negazione determinata" del marxismo
ufficiale terzinternazionalistico, divenuto integralmente copertura teorica
(manipolata dagli ideologi di partito) dei piani quinquennali staliniani. La
storia concreta di Karl Korsch in
proposito assolutamente paradigmatica, e la vita di questo comunista tedesco
presenta aspetti "tipici" del dramma del comunismo novecentesco, che
ricordano le ideali "figure" di una Fenomenologia dello Spirito marxista
del XX secolo: la collaborazione con Kautsky nei tentativi di socializzazione
giuridica del capitalismo tedesco dopo il 1919; il passaggio alla militanza nel
comunismo tedesco degli anni 20; la fronda critica all'interno di questo
comunismo, fino al destino di espulsione ed emarginazione politica; l'adesione
all'anarchismo politico ed alla fiducia nell'autoattivit delle masse e dei
consigli operai e contadini; l'emigrazione negli USA e la fiducia nel crollo 86
del capitalismo, sottoposto alle terribili tensioni degli anni 30; l'abbandono
del marxismo, una volta verificata la totale incapacit delle masse e della
classe operaia di riacquistare una pur minima capacit di azione politica
indipendente dal sindacalismo neocorporativo o dai partiti comunisti
stalinizzati (se, infatti, non c' nessun movimento reale che abolisce lo stato
di cose presenti, non si vede bene la ragione di mantenere in piedi la finzione
dell'esistenza di un comunismo marxista "privilegiato" nei confronti
delle teorie utopistiche o delle pratiche riformiste quotidiane). Karl Korsch,
amico di Bertolt Brecht e considerato il suo ''maestro di marxismo", fu
anche autore negli anni '30 di una delle poche monografie su Karl Marx in grado
di resistere all'usura del tempo (il suo libro Karl Marx infatti ancor oggi leggibile con profitto).
Pochi per intesero fino in fondo il significato storico del suo assoluto
radicalismo teorico, una sorta di "spinozismo sociologico" che non
faceva concessioni sulla unit di principio, rigorosamente monistica, fra storia
e teoria (o meglio, fra processo storico concreto ed elaborazione teorica
risultante da una autoriflessione rigorosa dei contenuti del processo storico
stesso). Al materialismo storico viene negato ogni potere di
"trascendimento" del processo storico, in una immanenza storicistica
mai pi raggiunta nei pensatori successivi. Dal punto di vista puramente
teorico, il marxismo cegidentale dopo Korsch non pu pi avere storia, perch la
formulazione korsciana assolutamente
insuperabile. Varianti annacquate ed incoerenti del korscismo possono invece
sopravvivere molto pi a lungo, gonfiandosi come palloni nei periodi in cui
"le masse si muovono" (in ondate massicciamente massificate), ed
afflosciandosi lamentosamente quando le masse non si muovono pi e si
riscompongono in atomi sociali frammentati dalle controffensive capitalistiche
(29). Non vi qui lo spazio per studiare
queste varianti minori ed incoerenti del rigoroso pensiero korsciano. Esse non
presentano comunque alcun interesse teorico. Pu invece essere di qualche utilit
ripercorrere la parabola autodistruttiva e l'esito nichilistico della sola
"formazione ideologica" marxista culturalmente rilevante nella storia
dell'Italia degli ultimi decenni: il cosiddetto "operaismo italiano".
7. La parabola teorica e l'esito storico dell'operaismo italiano Vi un modo, probabilmente inevitabile, ma
assolutamente sterile, di affrontare la storia del marxismo italiano: quello di
87 elencare cronologicamente tutti i cittadini con passaporto italiano (o
naturalizzati) che si sono occupati di marxismo negli ultimi anni, fino a
cucinare una salsiccia lunga ovviamente alcune centinaia di metri. Un altro
modo, che attiene assai pi alla "storia del Paese" chiamato Italia
che alla storia del materialismo storico,
quello di fare la storia dei "vincenti" (per cui di Togliatti
si fa la storia, ma di Bordiga si ritiene che non valga la pena di parlarne)
oppure la storia di "perdenti" canonizzati dai vincenti stessi che
ritengono di poterli utilizzare per loro scopi (tipico il caso dell'uso che di
Gramsci, morto nel 1937, fece Palmiro Togliatti dopo il 1943). E' questo un
modo sicuro per far diventare la "storia" qualcosa di inutile e di
noioso, una legittimazione del presente per mezzo del passato: contro questa "storia"
l'invettiva di Nietzsche sar sempre giustificata, e sar sempre inevitabile la
tentazione di "azzerare tutto da capo". Sono infatti molti i
"miti", assolutamente ingiustificati, ma resistenti, che girano
intorno al cosiddetto "marxismo italiano". Ad esempio, di Antonio
Labriola giusto dire tutto il bene
possibile (si tratta infatti, in senso assoluto, di uno dei pi profondi e
ricchi pensatori marxisti mai esistiti, meritevole di essere tuttora letto e
studiato), ma un mito intollerabile
quello della sua presunta "influenza" sul concreto movimento operaio
italiano (sia nella variante Turati che in quella Togliatti). Antonio Labriola
deve essere (assai pi proficuamente) studiato come un pensatore assolutamente
isolato, senza che questo pregiudichi assolutamente la sua
"grandezza". A differenza di Labriola, Gramsci fu un marxista che un
realmente la teoria e la prassi (come si suol dire), in particolare nel
decisivo biennio 1919-20. Tuttavia, l'estrapolazione ideologica successiva di
elementi del pensiero gramsciano isolati dal loro contesto rilevante (come
l'apologia dell'operaio "produttore" fatta in particolare da Giorgio
Amendola, ove in Gramsci siano inscindibili gli aspetti "produttore"
e "rivoluzionario" della figura operaia degli anni '20) ha portato ad
equivoci ed a mistificazioni francamente intollerabili. Dopo il 1945, sembra
allo scrivente che il solo tentativo italiano di considerare il materialismo
storico come possibile unit fra teoria e pratica sia stata quella costellazione
di posizioni definibile come "operaismo italiano". Questa tesi pu
sembrare di primo acchito una scandalosa enormit, e ci affrettiamo ad
argomentarla sommariamente, esplicitandola: che ne allora (potrebbe fondatamente obiettare qualcuno)
di Togliatti e di Ingrao, di Della Volpe e di Colletti, di Badaloni e di
Luporini, di Pesenti e di Basso? Occorre su questo fare una precisazione. Il
cosiddetto 88 "marxismo ufficiale" italiano, dopo il 1945 e la guerra
partigiana, si sviluppato istituzionalizzando
e riproducendo in modo allargato una dicotomia strutturale: da un lato
Togliatti, il suo partito nuovo ed il suo primato della politica, che possono
essere studiati cos come si studia Cavour e Depretis, Crispi e Giolitti,
prescindendo integralmente dalla critica dell'economia politica; dall'altro,
un'attivit marxologica di alto livello, quasi esclusivamente universitaria, che
ha vissuto "all'ombra protettiva del grande partito", senza
praticamente nessun punto effettivo di tangenza con esso. Si possono dunque
studiare (lo si fatto, e lo si far certo
ancora) le posizioni gnoseologico-epistemologiche di Della Volpe, l'involuzione
significativa di Colletti, la rigorosa filologia marxiana di Luporini,
eccetera, in modo assolutamente indipendente - e separato dalle linee politiche
concrete del PCI e del sindacato, dal rapporto con il centro sinistra al
compromesso storico, dalla tregua produttiva alla cosiddetta alternativa. E'
questa la storia dell'attivit culturale e pubblicistica dei marxisti italiani,
non certo del marxismo italiano che ha ambito costituirsi come unit dialettica
fra teoria e pratiche sociali che si sono volute come anti-capitalistiche (30).
Certo, anche il "marxismo togliattiano'" (che stato in grado di costituirsi e di riprodursi
in una vera e propria "formazione ideologica" flessibile e coerente)
si ideologicamente riferito a certi
aspetti del pensiero di Gramsci (l'egemonia, il rapporto fra intellettuali e
masse, il partito come moderno Principe macchiavellico, la "terza via filosofica"
fra il meccanicista Bucharin e l'idealista Croce, la necessit di
"completare" il Risorgimento, eccetera) in nome di una unit fra la
teoria e la prassi. La nozione soggettivistica di "primato della
politica", inserita dentro una temporalit storicistico-cumulativa, portava
per inevitabilmente ad un primato della tattica sulla prospettiva storica
(rilevata a proposito di Togliatti dal sempre inascoltato Lukcs), fino a quel
vero e proprio "suicidio dolce" di ogni identit comunista e marxista
avvenuta sotto la segreteria di Enrico Berlinguer, ad un tempo erede legittimo
del togliattismo e suo affossatore inevitabilmente coerente (31). 2 Uno dei
pochissimi (forse l'unico) intellettuali marxisti italiani seriamente
paragonabili a Gramsci fu invece Panzieri, animatore della rivista Quaderni
Rossi e portatore di una serie di idee-forza destinate a "fare
storia" nell'Italia contemporanea. Raniero Panzieri (come Antonio Gramsci)
interpreta la critica dell'economia politica secondo un approccio duplice:dal
punto di vista del "soggetto" enfatizza il primato del soggetto
stesso interpretandolo come 89 attivit in atto (il "capitale"
pianifica dunque l'estorsione del plusvalore e dunque programma coscientemente
la stessa riproduzione del rapporto di produzione, mentre la "classe
operaia" con le sue lotte determina in ultima istanza il capitale stesso
come suo "residuo oggettivato" in macchine ed in tecnologia); dal
punto di vista dell'"oggetto" adotta integralmente le scienze sociali
(in particolare l'inchiesta sociologica e la modellistica del compatibilismo
economico della distribuzione dei redditi) sviluppatesi nella societ
capitalistica novecentesca. Si tratta dunque di un innesto originalissimo di
elementi filosofici relativamente "arcaici" tratti dalla tradizione
italiana (l'idealismo soggettivo di Giovanni Gentile, a sua volta erede della
riforma ultrasoggettivistica della dialettica hegeliana fatta da Spaventa,
eccetera) su di un "corpo" ultramoderno, quello, appunto,
dell'economia politica, della sociologia, della psicologia sociale (32). In Panzieri
c' unit fra la proposta teorica, nuova ed originale, e le pratiche politiche e
sociali che ne derivavano. La ''Isoggettivizzazione" del concetto di
capitale, pensato "kantianamente" come unit della coscienza della
pianificazione globale (dimenticando perci che non c' mai un capitale, ma solo
molti diversi capitali in conflitto reciproco, in un processo che deve perci
essere pensato come rigorosamente impersonale), implica necessariamente la
speculare "soggettivizzazione" anche del suo antagonista, la classe
operaia (ed questo, l'aspetto arcaico,
gentiliano) (33). D'altra parte, l'uso massiccio dell'inchiesta sociologica e
dei dati economici porta a superare ogni concezione filosoficamente idealtipica
della classe operaia (come in Storia e Coscienza di Classe, in cui il
proletariato trasfigurato in una sorta
di archetipo puro, ed depurato da ogni
inquinamento bassamente sociologico ed economico), in vista di un concetto di
"composizione di classe" come unica forma di manifestazione
concretamente empirica della classe operaia stessa (ed , questo, l'aspetto
modernizzante, anglosassone). La novit teorica della "breccia" di
Raniero Panzieri pu essere verificata nella stessa storia degli ultimi
vent'anni in Italia: il partito teorico "panzieriano" si realizzato come partito vittorioso proprio.
dividendosi e potendo farsi carico della divisione. Ancora una volta, la
brillante intuizione di Hegel nella Fenomenologia dello Spirito pu essere
storicamente verificata in un caso particolare (34). Un primo partito teorico-pratico,
nato dalla breccia panzieriana e poi integralmente autonomizzatosi, ha assunto
la forma filosofica che potremo in primo approccio definire una variante di
"idealismo 90 soggettivo". Si tratta della scuola della cosiddetta
autonomia del politico: il suo nucleo teorico
l'esaltazione della soggettivit (come struttura fondante del reale)
nella forma pi "pura" possibile, senza neppure il problema
dell'ancoramento della identit ad un progetto "oggettivo" di
transizione (il cui stesso concetto anzi
respinto). Una simile struttura teorica di esaltazione incondizionata della
soggettivit "deve necessariamente portare ad un crollo verticale,
fatalmente immanente, della stessa nozione di "identit" (sprovvista
appunto di ogni contenuto "oggettivo"): la conseguenza non pu che
essere quella di una soggettivit che si svuota mano a mano perdendo la sua
identit (e, in effetti, questa forma di idealismo soggettivo oscilla
pendolarmente fra un'esaltazione vuota della forma-soggetto e la liquidazione
sapienziale di ogni identit qualsivoglia di "soggetto concreto")
(35). Le conseguenze di questa forma filosofica del discorso
idealistico-soggettiva sono molto gravi, su piani assai diversi. In primo
luogo, sul piano della ricostruzione storiografica del passato la concezione ipertrofizzante
e soggettivistica dell'autonomia del politico porta a mistificare profondamente
sia la rivoluzione borghese sia la rivoluzione socialista, che vengono ridotte
brutalmente alla sola dimensione politica e cos svuotate di ogni significato per
quanto attiene alla natura dei rapporti sociali di produzione (36). In secondo
luogo, sul piano della considerazione teorica della politica, l'enfatizzazione
ossessiva della sua centralit tolemaica porta curiosamente ad un suo
svuotamento. in considerazioni di disincanto esistenzialistico o in
modellistiche politologiche e sociologistiche (37). In terzo luogo, sul piano,
decisivo per lo scrivente, della identit filosofica di fondo, si in presenza di una fatale, immanente tendenza
alla autodistruzione nichilistica di ogni identit fino alla enfatizzazione di
una sorta di "crinale" e di filo teso sull'abisso (38). Un secondo
partito teorico-pratico, anch'esso nato dalla breccia panzieriana e poi
integralmente autonomizzatosi, ha invece assunto la forma filosofica che
potremo in primo approccio definire una variante di "idealismo
oggettivo" (39). Si tratta della scuola della cosiddetta composizione di
classe::il suo nucleo teorico il
tentativo di mantenere differenziati i due elementi dell'accentuazione del
primato del soggetto (nella forma dell'attivit eversiva promanante dalla
composizione di classe astrattizzata dell'operaio-massa) e della autonoma
materialit dell'esistenza dell'oggetto (la teoria del valore-lavoro, la classe
operaia concreta nella sua determinata composizione tecnica e politica,
eccetera). L'equilibrio per
necessariamente instabile (40). Infatti, mentre nel primo "partito 91
teorico" (in modo coerentemente suicida) c'era una centralit dell'attivit
pura sganciata da ogni riferimento oggettivo (che finiva perci inevitabilmente
o nella politologia sistemica O nell'ineffabilit esistenzialistica del crinale
cacciariano), qui l'attivit stessa, come categoria filosofica, entra in crisi
quando entra in crisi la concreta ctomposizione di classe cui si fa riferimento
(41).Si attiva quindi la contraddizione strutturale tipica di questo secondo
partito, che lo porta necessariamente o ad esiti integralmente
"memorialistici" oppure ad esiti integralmente
"utopistici", a seconda se l'interesse maggiore venga portato sulla
storiografia delle classi subalterne oppure sulla pensabilit filosofica della
transizione al comunismo, visto come qualcosa di integralmente
"altro" dal capitalismo borghese (42). Un terzo partito teorico-pratico,
anch'esso nato dalla breccia panzieriana e poi integralmente autonomizzatosi,
ha invece assunto la forma filosofica che potremo in primo approccio definire
una variante di "idealismo assoluto" (43). Si tratta di una scuola
che potremo connotare come propugnatrice di un capitalismo comunista (oppure,
ma lo stesso, di un comunismo
capitalistico): portando alle estreme conseguenze la tesi filosofica di fondo
del marxismo "occidentale", l'identit soggetto-oggetto (ma espungendone
per la dialettica e quindi il trascendimento del reale immediato), si giunge
alla identit integrale fra esistenza della realt capitalistica (nei suoi
aspetti di produzione, circolazione consumo) e possibilit ontologica della
forma di esistenza comunista dentro di essa. Il comunismo l'orizzonte del consumo di beni e servizi
privi ormai di valore" (- lavoro), fruito da un unico soggetto collettivo
privo di memoria storica; questi beni e questi servizi sono prodotti da
macchine integralmente automatizzate, mentre il soggetto fruitore affidato alla automaticit macchinica,
integralmente post-moderna, di flussi desideranti. Vi cos una totale compresenza (che assume il
carattere di identit, in senso filosofico) fra soggetto (autovalorizzazione di
contenuti vitali "comunisti" da parte di soggetti sociali
post-dialettici e post-moderni) ed oggetto (maturit del comunismo fondata
sull'estinzione integrale della legge del valore-lavoro). L'unico elemento
"materiale" (chiamiamolo cos) della differenza fra capitalismo e
comunismo lo scontro soggettivo fra
opposte volont soggettive: da un lato, il potere, cio il comando capitalistico,
forma attuale di tutte le precedenti mostruose forme di potere della storia,
che cerca di re-imporre l'infamia del lavoro produttivo e della legge del
valore in una confezione "socialista", quando ormai non rimarrebbe
che "consumare". gratis i prodotti "senza valore" . delle
macchine 92 post-moderne; dall'altro lato, la potenza, cio la forza vitale
metafisicamente promanante dai "nuovi" soggetti sociali (giovani,
donne, eccetera). Nonostante le apparenze rizomatiche, aforismatiche, disperse,
| acentrate e derealizzanti, questa scuola presenta un sistema ferreo di
pensiero in cui tutto "si tiene" con estrema coerenza. Vi , in primo
luogo, un'interpretazione di Marx in cui i Grundrisse sono letti contro il
Capitale, con il pretesto di leggerli "oltre". In secondo luogo,
vi un'interpretazione dell'intera
filosofia occidentale in cui una presunta linea Macchiavelli-Spinoza-Marx opposta a quella Hobbes-Rousseau-Hegel: la
potenza contro il potere, la differenza contro la dialettica, il vivo contro il
morto. In terzo luogo, vi
un'interpretazione della storia del capitalismo come manipolazione
continua da parte di una soggettivit borghese dispotica e malvagia: dallo
stato-concorrenza allo stato-piano allo stato-crisi fino allo
stato-nucleare-del terrore-e-del-ricatto. In quarto luogo, vi un'interpretazione della storia del
socialismo come progressione fatale dell'imposizione coatta della legge del
valore-lavoro fino al disciplinamento autoritario dell'intera societ ed allo
stato "azteco". In quinto luogo, infine, vi un'interpretazione del comunismo come
"attivit attuale" di una sorta di grande "multiforme
farfalla", soggettivit piena, autoespressiva, utopia sintetica, sintesi di
desiderio ricco e di suo soddisfacimento tecnologico, in uno scenario (per lo
scrivente orribile e mostruoso) da fantascienza post-moderna (44). Come per
Heidegger la "ripetizione" della metafisica (e non la sua pura
"messa agli atti") il luogo
della possibilit storico-temporale del suo oltrepassamento", analogamente
il marxista italiano costretto a
"ripetere" mille volte le tre possibili varianti di svolgimento
dell'operaismo panzieriano, ed in particolare la terza, in quanto quest'ultima
incorpora in forma esemplarmente mostruosa l'esito integrale della riduzione
sistematica del materialismo storico a soggettivismo vitalistico-esistenziale
(45). La scuola del "comunismo capitalistico" si vuole ad un tempo
critica . radicale del socialismo reale (l'impero azteco) e del movimento operaio
storico (l'organizzazione contrattuale del walore di scambio eternizzato e
gestito dalle corrotte burocrazie sindacali) ed apologia radicale della quarta
rivoluzione industriale (come viene presentata dai capitalisti stessi: fine del
lavoro, tempo libero illimitato per tutti, totale informatizzazione della
societ, pienezza del consumo, nuove soggettivit, eccetera). Essendo unit di
critica radicale e di apologia radicale essa finisce con il
"consumare" ogni spazio intermedio con la vera e propria cultura
"radicale", che cresce 4 93 autonomamente all'interno della realt
capitalistica. La crisi di identit del marxismo italiano dunque legata con mille fili alle ragioni
storiche che hanno portato al "dispiegamento" di questa visione del
mondo. 8. Il significato storico e teorico della storia del marxismo Si molto insistito, nella prima parte di questo
scritto, sul fatto che possibile (e
necessario) tornare a Marx, in quanto in Marx non c' solo una fondazione
sostanzialmente corretta del materialismo storico e della critica dell'economia
politica, ma c' anche una forma filosofica del discorso di tipo
ontologico-sociale che "domina" altri discorsi, pur innegabilmente
presenti, di tipo grande-narrativo e deterministico-naturalistico. Ritorno a Marx,
dunque, possibile, nel duplice senso disciplinare e filosofico. Tuttavia,
questo ritorno a Marx non potr avvenire mai in forma diretta, ma soltanto
attraverso il necessario passaggio della de-costruzione (0, se si vuole, della
de-strutturazione) dei marxismi storicamente costituitisi negli ultimi cento
anni. Non pu essere infatti casuale che cent'anni di marxismo abbiano prodotto
una situazione storica in cui appare chiaro che il programma marxiano di
critica dell'economia politica non ha potuto realizzarsi affatto. E non neppure un caso che pensatori epocali del
Novecento (come Weber ed Heidegger, di cui ci occuperemo nella terza parte di
questo scritto) siano giunti alla conclusione che questo programma non realizzabile perch ontologicamente impossibile, in quanto
"metafisico" (anche se Weber e Heidegger danno al termine
"metafisica" due significati assolutamente opposti). Dimostrare la possibilit
"astratta" ed atemporale della realizzazione del comunismo,
prescindendo dall'esperienza storica,
per un marxista serio una strategia teorica assolutamente suicida. La
"ripetizione" (usiamo coscientemente questa espressione
heideggeriana) della storia (metafisica) dei marxismi novecenteschi porta
purtroppo a prendere atto dell'esemplarit non casuale di due esiti opposti ma
convergenti: per il marxismo orientale, l'assunzione del socialismo reale come
orizzonte intrascendibile, non suscettibile di transizione al comunismo (anche
se l'ideologia ufficiale "finge" che questa transizione sia ancora un
orizzonte possibile), da gestire con metodi sistemici di riduzione della
complessit sociale; per il marxismo occidentale, l'assunzione del capitalismo
reale come orizzonte intrascendibile, da consumare per in modo comunista
attivando l'immaginario sociale, i flussi desideranti, ed cosiddetti nuovi soggetti. 94 Questo esito
non un "destino", ma indubbiamente un "evento epocale".
Sul piano teorico, nulla pi inutile
dell'ottimismo messianico-sociologico, che continua a proclamare che le masse
ed il loro movimento "caveranno le castagne dal fuoco"ai teorici,che
la teoria e la riflessione filosofica non sono affatto necessarie, in quanto le
"masse" sono di per se lo scrigno del passato, del presente e del
futuro. La storia del marxismo
indispensabile, perch solo attraverso la "ripetizione" di
esiti storico-teorici, in parte contingenti, in parte predeterminati, si
potranno aprire spazi per un reale trascendimento storico-teorico di questi
esiti stessi. In questo senso,
istruttivo sia lo studio di "formazioni ideologiche" che hanno
coinvolto milioni di persone (come l'evoluzionismo kautskiano, il materialismo
dialettico staliniano e lo storicismo politicistico togliattiano) sia lo studio
di pensatori isolati e privi di influsso pratico, ma radicali ed esemplari
nella loro posizione teorica (come Karl Korsch, Amadeo Bordiga o Anton
Pannekoek). Sono inoltre spesso le estremizzazioni pi coerentemente ripugnanti
(e lo scrivente considera tali, ad esempio, la giustificazione cosmologica dei
processi di Mosca fatta dal Diamat oppure la coniugazione del comunismo con la
distruzione post-moderna della storia, della memoria e della dialettica) quelle
che ci insegnano di pi, in quanto non si nascondono opportunisticamente in una
pappa di parole, di distinguo, di felpate allusioni, ma mostrano allo scoperto
"che cosa avviene" al materialismo storico quando lo si sottopone a
demenziali terapie ortopediche. La ripetizione teorica della storia dei
marxismi novecenteschi per anch'essa
insufficiente. Occorre integrarla con lo studio di quelle filosofie
"borghesi" (che non hanno mai dichiarato di voler essere
"marxiste" o "comuniste") che hanno finito con l'affrontare
anch'esse il nodo teorico di cui ci stiamo occupando: l'apparente
intrascendibilit dell'universo sociale capitalistico, la sua resistenza ai
cambiamenti, il fallimento delle strategie soggettivistico-attivistiche di
uscirne fuori, la spiegazione del perch l'unica cosa che sembra
"fatale" nel XX secolo la
"ripetizione" di una temporalit storica che sembra impersonalmente
impermeabile a qualsivoglia strategia di trasformazione cosciente. Ci
occuperemo in questa ottica di Martin Heidegger, in quanto ci sembra essere
stato il teorico novecentesco che, sia pure in forma metaforica e non
riconoscibile a prima vista, ha pi radicalmente tematizzato il capitalismo come
unit di alienazione integrale e di intrascendibilit strutturale. 95 NOTE 1. In
Italia, in cui in questa fase storica prevale il disprezzo pi totale per la
determinatezza dei concetti marxiani, la scuola pavese di Fulvio Papi continua
a mettere al centro del suo interesse il concetto di "modo di
produzione" (cfr. Silvana Borutti, Il modo di produzione capitalistico in
Marx, Zanichelli, 1976). Per semplificare, potremmo distinguere due grandi
approcci definitori alle nozioni di modo di produzione e di formazione
economico-sociale: la prima, che enfatizza il ruolo strategico dei rapporti di
produzione nei confronti di quello di forze produttive (cfr. Gianfranco La
Grassa, Struttura economica e societ, Editori Riuniti, 1973); la seconda, che
enfatizza maggiormente il ruolo strategico della "crescita delle forze
produttive" (cfr. Maurice Godelier, Modo di produzione e formazione
economico-sociale, in Enciclopedia Einaudi). 2. La soluzione della
"questione di Stalin " in base alla quantificazione dei pezzi (70%
buono, 30% cattivo) stata una vera e
propria sciagura per coloro che la hanno presa sul serio. La considerazione
genealogica e dialettica dello stalinismo
stata cos integralmente sostituita dall'attribuzione dei voti e delle
percentuali, che ricorda molto i "voti" che i giornali sportivi danno
ai giocatori di calcio dopo le partite, e che sono quanto di pi arbitrario e
soggettivo ci si possa immaginare. Si veda in proposito la bella messa a punto
di Patrick Tissier, Chine: l'impossible rupture avec le stalinisme in Les Temps
Modernes, 394, 1979. 3. Il concetto di "formazione ideologica" ampiamente usato da Charles Bettelheim nella
sua fondamentale opera in pi volumi Le lotte di classe in Urss (Etas Libri,
1975 e 1978). Lo sforzo di Bettelheim di
mostrare come l'originale pensiero marxiano, filtrato prima da Kautsky e
Piechanov e poi da Lenin, si articola infine in una "formazione ideologica
bolscevica" (che si vuole "marxista" e fonda anzi una sua
ortodossia) che infine .si autonomizza completamente dalla critica
dell'economia politica, divenendo "economia politica" della
costruzione di un capitalismo burocratico di stato fatto passare con falsa
coscienza necessaria per socialismo, societ + di transizione al comunismo
marxiano. A sua volta, questa "economia politica del socialismo" si
duplica in una filosofia metafisico-cosmologica della natura, chiamata
"materialismo dialettico", ed in un normativismo | giuridico
autoritario, che si lascia alle spalle lo stesso garantismo giuridico borghese.
Nel terzo volume (in due tomi) dell'opera (per il momento-1983- non ancora
disponibile in lingua italiana) Bettelheim lascia praticamente ' cadere
l'impostazione precedente, incentrata sull'uso sistematico del concetto di
"rapporto di produzione capitalistico" per connotare l'Urss (sulla
base dell'articolazione della divisione sociale del lavoro dorninata da un
approfondimento specifico della divisione tecnica capitalistica del lavoro),
per aderire di fatto ad una visione dell'Urss come dispotismo di tipo asiatico.
Non si pu, in proposito, dimenticare l'esito negativo e la sconfitta storica
della linea di Mao Tsetung in Cina, cui Bettelheim era legato nel momento in
cui scrisse i primi due volumi dell'opera, e che ai suoi occhi rappresentava la
"critica pratica" dello stalinismo, . Un'appassionante discussione
sull'uso pratico del concetto di "formazione 96 5. 6. 7. 8. 9. 10.
ideologica" si ha in Bettelheim-Linhart. Dbat sur le marxisme et le
lninisme, rivista Communisme, 27-28, 1977. Linhart si mostra qui capace di
migliorare, articolare e concretizzare in positivo il concetto di
"formazione ideologica". Lo stesso scrivente, ovviamente, non si
considera affatto un "marxista . ortodosso". Una simile
auto-attribuzione vanificherebbe l significato teorico di questo scritto. Non
esistono, infatti, i "marxisti ortodossi". Lo scrivente cerca
faticosamente una sua strada (e dispera di trovarla se il suo cammino fosse
destinato a non incrociare mai altri sentieri percorsi da altri) verso un
"marxismo autentico", che si caratterizzer inevitabilmente
all'interno di una "formazione ideologica" determinata. Vi qui una situazione analoga al dibattito fra
"internisti" ed "esternisti" nella storia della scienza.
Gli "esternisti" hanno metodologicamente ragione, anche se spesso
sono forzatamente imprecisi nel dettagliare gli aspetti pi propriamente
formalizzati delle teorie scientifiche (e qui gli internisti" sono
talvolta pi convincenti). Anche le formazioni ideologiche hanno aspetti
.teorici che non sono affatto deducibili dal "mandato sociale"
esterno (Kautsky non pensa certo su "comando" della direzione della
Spd, ma chiaro che quest'ultimo l'aspetto dominante della questione).
Per capire questo fatto particolarmente
utile il gi citato Dizionario Marx Engels, Zanichelli, 1983. Aproposito della
citata Storia del Marxismo Finaudi sono infatti possibili almeno quattro o
cinque diversi "percorsi di lettura", tutti legittimi. Estremamente
dettagliata e ricca di informazioni in
proposito la fondamentale monografia di Marek Waldenberg, Il papa. rosso. Karl
Kautsky, Editori Riuniti, 1981. Pressoch definitivo in proposito il saggio di Georges Haupt, Marx
e il. marxismo, in Storia del marxismo, Einaudi, I. Molto utili sono anche i
saggi di Andrea Panaccione e di Richard J. Geary in Storia del marxismo
contemporaneo, Feltrinelli, 1974. Si veda Massimo L. Salvadori, Kautsky e la
rivoluzione socialista, Feltrinelli, 1976. Salvadori era interessato (e l'anno
di edizione del libro significativo) a
dimostrare che Kautsky, e non certo Gramsci (cui Salvadori dedic studi
accurati), fu uno dei precursori del cosiddetto "'eurocomunismo",
come sintesi di socialismo economico e di democrazia politica. Salvadori ha
ragione, nel senso che Gramsci rappresenta una variante del marxismo
terzinternazionalistico (in cui l'egemonia del moderno principe non pensata dentro le forme della democrazia
politica parlamentare pluripartitica), mentre Kautsky fece sempre
esplicitamente coincidere la dittatura del proletariato con la maggioranza
parlamentare "proletaria". Ha, se
possibile dirlo, doppiamente ragione, nei confronti del concordismo
furbesco e del trasformismo teorico, di chi allora volle vedere in Gramsci un
"precursore del compromesso storico". A distanza per di pochi anni la
vera e propria estinzione precoce del "compromesso storico" ci fa
capire meglio che la miseria del progetto non meritava in fondo la
mobilitazione teorica di personaggi pur sempre degni come Gramsci e Kautsky.
11. Si veda Iring Fetscher, Il marxismo (tre volumi), Feltrinelli, 1970. Il LZ.
13. 14. 13, 16. 17. 97 DI saggio di Lukcs cui si fatto cenno
Il Trionfo di Bernstein, pubblicato nel 1924 (ora in Lukcs, Scritti
politici giovanili, Laterza, 1972). Per comprendere il carattere strutturale
della teoria kautskiana nel determinare la funzione dell'ideologia nella
Socialdemocrazia tedesca fino alla prima guerra mondiale consigliamo il
tutt'ora insuperato testo di Erich Matthias, Kautsky e il kautskismo, De
Donato, 1971. Nel fondamentale libro di Ferruccio Maggiora, Il dibattito
sull'economia nell'ambito del marxismo, Loescher, 1978, vi forse qualcosa di ancora pi importante: il
chiarimento di come la generica "idea" di crollo del capitalismo,
sistematicamente divulgata dalla formazione ideologica kautskiana, abbia
prodotto effetti molto pi devastanti della esplicita "teoria" del
crollo del capitalismo (ad esempio, Rosa Luxemburg). Quest'ultima pu infatti
essere almeno individuata, discussa, fatta oggetto di polemiche e di obiezioni,
mentre la prima ingenera un "senso comune" crollistico, che l'altra faccia del "senso comune"
ottimistico sulla crescita continua della coscienza proletaria. E' questa una
caratteristica che possiamo trovare nelle tendenze teoriche pi disparate. Nello
scientismo arrogante di Lucio Colletti, ad esempio (cfr. Tra marxismo e no,
Laterza, 1979 e Tramonto dell'ideologia, Laterza, 1980), costante la tendenza ad istituire una linea
continua, viziata di metafisica antiscientifica e totalitaria, da Schelling ad
Hegel ad Engels a Lenin fino a Stalin, per finire nei sessantottini critici
romantici della societ industriale (Cini, Baracca, Tonietti, eccetera). Nessuna
storicizzazione ces possibile, poich
Colletti mostra di ignorare (fra le altre cose) anche il "valore di
posizione" dei concetti filosofici nelle congiunture storiche determinate.
E' curioso, tuttavia, che molti marxisti italiani ostili allo scientismo
collettiano (appunto Cini, Baracca, Sbardella, eccetera) cadono nella stessa
tentazione, spinti dal duplice intento di salvare Marx e di condannare Stalin.
I marxisti occidentali odierni (nelle varianti sartriane, marcusiane, eccetera)
saranno indubbiamente orripilati dall'idea di avere Engels come progenitore,
cos come a suo tempo il vescovo anglicano Wilberforce fu orripilato dall'idea
di avere una scimmia come progenitrice. Ma giunge sempre il momento del
disincanto, come disse bene Max Weber. Un esempio di lettura intelligente
dell'Antiduhring (che lo scrivente raccomanda caldamente al lettore) contenuto nel saggio di Michael Vester,
Quando i professori litigano, in Aa.Vv. L'Antiduhring: affermazione o
deformazione del marxismo?, Angeli, 1981. A proposito degli scritti filosofici
di Lenin, lo scrivente consiglia di utilizzare il volume III delle Opere Scelte
(in sei volumi) delle edizioni Progress+Editori Riuniti, 1973. Come gi nel caso
di Engels, non si tratta di dare patenti di ortodossia filosofica. Lenin stato mummificato come un faraone egizio, e
composto per l'adorazione rituale sulla piazza rossa di Mosca. I filosofi
sovietici dissidenti, che vogliono aprire uno spazio per il pensiero
indipendente nella camicia di forza dell'"ortodossia" leninista
sovietica, sono ovviamente costretti a chiosare singole frasi e singole
"parolette" di Lenin in funzione antidogmatica. Tuttavia, Lenin stato trasformato in mummia da Stalin, e
non direttamente responsabile. Anche
nell'antico Egitto la casta dei 98 sacerdoti aveva bisogno
(materialisticamente) della mummia del faraone, ed anche nel medioevo la
corporeit delle reliquie era preferita ai vaporosi discorsi filosofici sul
logos. 18. Si veda in proposito Dominique Lecourt, Lenin e la crisi delle
scienze, Editori Riuniti, 1974, 19. Si veda in proposito Raya Dunayevskaya,
Filosofia e rivoluzione, Feltrinelli, 1977 (in particolare pagg. 106-131). 20.
Si veda Giovanni Bottiroli, La contraddizione e la differenza, Giappichelli,
Torino, 1980. Bottiroli anche autore di
"letture" orientate del pensiero filosofico di Mao Tsetung e del
pensiero psicoanalitico di Lacan. 21. Si cade in questo modo vittima di una illusione
eguale e contraria, che definiremo "illusione definitoria":
appiccicando un'etichetta su di un fenomeno storico si pensa cos di
"possederlo", e di aver fatto i conti teorici con esso una volta per
tutte. 22. Come sosterremo con forza nella terza parte di questo scritto, appunto nella radicalit del "monismo
teoretico" (capace di legare insieme la solidariet segreta, che si
presenta come dualismo insanabile, delle cosiddette culture umanistica e
scientifica) che Martin Heidegger ha una specifica e determinata
"superiorit" su pensatori neokantianamente dualisti (ad esempio Max
Weber, ma anche Jurgen Habermas). 23. La letteratura secondaria sul
"marxismo occidentale"
vastissima. Si segnala in questa sede soltanto il saggio, documentato e
preciso, di Lubomir Sochor, Lukcs e Korsch: la discussione filosofica degli
anni '20, in Storia del Marxismo, III, I (cit.). 24. In modo acuto ed
intelligente Alexandre Adler interpreta un'intera tendenza della cultura
sovietica come un grande tentativo (sconfitto sul piano storico, ma ricco di
insegnamenti per noi oggi) di opporre al soggettivismo manipolatorio del Diamat
una ricerca, per nulla astorica ma anzi assai determinata, delle
"regolarit e dei ritmi oggettivi dell'esistenza, soprattutto l dove questa
sembra quasi del tutto priva di razionalit evidente". Adler cita in
proposito i romanzi di Bulgakov, la ricerca di Vigodskij per una psicologia
razionale di ispirazione fenomenologica, fondata su elementi semantici
prelinguistici, i lavori della scuola di Bachtin nel campo della sociologia
della letteratura, eccetera. Secondo Adler, gli oggetti noetici di questa
ricerca di razionalit sovietica sono precisamente quelli che il potere politico
trascura o respinge: il folklore contadino (Vladimir Propp), il mercato agricolo
e il suo sistema di prezzi oggettivamente determinati (Kondratiev e Feldman),
la storia degli intellettuali russi e del loro posto nea vita nazionale
(Tinjanov e Sklovskij), l'ottimizzazione della produzione in una societ ad alto
ritmo di sviluppo tecnologico (Kantorovic), la teoria critica delle utopie
letterarie, del linguaggio corrente e del freudismo (Bachtin e la sua scuola).
E si potrebbero qui aggiungere, secondo lo scrivente, anche gli studi
marxologici di Rubin sulla teoria del valore. Si veda Alexandre Adler, Politica
e ideologia nell'esperienza sovietica, in Storia del marxismo, Einaudi, IV. 25.
Cos come i pensatori ufficiali erano costretti a metaforizzare il contenuto
politico-dispotico dello stalinismo in "caso particolare" di una
cosmologia generale dialettico-materialistica, analogamente i pensatori di 26.
Zi, 28. 29: 99 opposizione dovevano metaforizzare il loro dissenso (la storia
bizantina come critica del dispotismo statuale, la logica matematica come
critica del Diamat, la semiologia come protesta contro la degradazione della
lingua attraverso la strumentalizzazione propagandistica, la sociologia come
accusa verso l'irrazionalit dei processi decisionali, eccetera). Su questo tema
ha pagine convincenti A. Adier (citato nella nota precedente). Si veda R. Di
Leo, H modello di Stalin, Feltrinelli, 1977. Nella quarta parte di questo
scritto, parlando dello specifico approccio di Ernst Bloch al giusnaturalismo,
argomenteremo come il rilancio di quest'ultimo sia una reazione determinata ai
comportamenti, di tipo sovente feudale-asiatico, della nuova borghesia
burocratica di stato e del suo modo dispotico e straccione di gestire la
"cosa pubblica". Si tratta per, a parere dello scrivente, di
un'apparenza necessaria a livello del consumo e della circolazione (in cui
effettivamente la borghesia burocratica del socialismo reale appare meno
efficiente e pi arrogante della vecchia borghesia idealtipicizzata del
capitalismo ottocentesco - che peraltro non esiste neppure pi in Occidente, - e
si vedano le spiccate tendenze criminali di gran parte della borghesia italiana
contemporanea), dovuta al fatto che la "produzione" invece pensata come neutrale e naturale. Lo
scrivente considera in proposito necessaria la lettura dell'ottimo saggio di
Johann P. Arnason, Prospettive e problemi del marxismo critico nell'Est
europeo, in Storia del Marxismo, Einaudi, IV. Arnason espone in modo
particolarmente preciso le diverse "letture" delle societ a
socialismo reale fatte dai marxisti critici ungheresi (Konrad-Szelenyi,
Bence-Kis, la scuola della "dittatura sui bisogni", cui va la sua
approvazione). Comune a tutte queste scuole.
il rifiuto della teoria "occidentale" che connota le societ
del "socialismo reale" come societ integralmente capitalistiche.
Vi qui in problema di comunicazione
intellettuale e sociale (nell'uso delle categorie marxiste) che non pu essere
affrontato seriamente qui. Lo scrivente d qui una nozione specifica e precisa
di "marxismo occidentale", per forza di cose idealtipicizzata: Karl
Korsch rappresenta il punto pi alto e pi coerente di un integrale vicolo cieco;
proseguendo per la sua strada c' solo l'abbandono coerente del materialismo
storico, oppure l'ipocrisia e la doppia verit permanente dell'operaismo
populistico-sociologico. Ci sembra invece meno feconda la nozione di ''marxismo
occidentale" inteso come marxismo degli intellettuali universitari che
teorizzano su di un materialismo storico scollegato strutturalmente ad una
prassi adeguata di massa (cfr. Perry Anderson, H dibattito nel marxismo
occidentale, Laterza, 1977); questo tipo di marxismo caratteristico. anche (e soprattutto) di quei
marxisti "orientali" che riflettono criticamente sul socialismo reale
senza essere per in grado di innescare alcuna prassi rivoluzionaria (e riguarda
perci la Cina e l'Ungheria, la Cecoslovacchia ed il Vietnam). Il marxismo
occidentale non allora una categoria
geografica (pensiero ad Ovest della Vistola e della Moldava) oppure di
sociologia degli intellettuali (pensiero adattato agli standards di
riconoscimento della comunit universitaria degli scienziati sociali); ma
rappresenta una possibilit storica di sviluppo Cd 100 del materialismo storico
(che a nostro parere da abbandonare e da
sostituire integralmente con l'ontologia sociale). 30. Lucio Colletti (cfr.
Intervista politico-filosofica, Laterza, pp. 15-16) chiarisce molto bene tutto
questo: "Della Volpe stesso era un intellettuale di vecchio tipo, che ebbe
sempre come base che dovesse esserci una divisione del lavoro tra teoria e
politica. La politica doveva essere lasciata ai politici di professione".
Ogni paragone fra un fenomeno esclusivamente teorico (come il dellavolpismo) ed
un fenomeno pratico-politico (come l'operaismo panzieriano) privo di qualsiasi significato. 31. Mentre
abbondano, in Italia, le analisi politiche, storiche e politologiche sul Pci
degli anni '70 e dei primi anni '80 e sul significato della segreteria di
Enrico Berlinguer in rapporto alle concrete "linee politiche" (dal
compromesso storico all'alternativa democratica), manca una. riflessione
approfondita sulla dissoluzione culturale dell'universo culturale togliattiano
che si avuta in questi anni. Togliatti
cerc sempre di "governare" e di "amministrare" il
pluralismo culturale del Pci, riportando le varie culture (da Geymonat a
Sereni, da Alicata a Della Volpe, eccetera) ad una "identit culturale di
fondo" riconoscibile ed anche "spendibile" nella battaglia delle
idee. Luigi Longo credette di poter amministrare il togliattismo in modo
continuistico (anche se fu capace di atti coraggiosi, come la condanna
dell'intervento sovietico in Cecoslovacchia nel 1968 e la sostanziale adesione
ai contenuti radicali del movimento studentesco dell'epoca), e ne preparava in
questo modo la fine. Berlinguer invece
un esempio di "politico puro", che porta alle estreme conseguenze il
togliattiano primato della politica (tatticamente concepito) come separazione
integrale dall'identit teorica e culturale: il togliattismo esplode dunque
anche culturalmente in mille pezzi, dal democraticismo metodologico e
predicatorio di Ingrao all'organicismo integralistico di Rodano, dal
neocontrattualismo di Veca al nichilismo integrale di Cacciari, dall'isterismo
politologico di Tronti all'eclettismo privo di principi di Tortorella. Cento
fiori possono fiorire, in aiuole accuratamente recintate. 32. Lo scrivente ha
anticipato questa lettura di Panzieri in Metamorfosi, 2, Angeli, 1980.
L'operaismo stato metodologicamente
affrontato come "formazione ideologica operaista", sulla base della
quale avvengono poi le divisioni e le scissioni. Nel saggio di Metamorfosi si
parlava di due operaismi risultanti dallo sdoppiamento dell'originaria unit
instabile panzieriana: l'operaismo di destra, evoluto nella cosiddetta autonomia
del politico, ideologia esoterica del ceto politico straccione che cerc di fare
lo sgambetto alla Dc sul terreno del compromesso storico (finendo con le ossa
rotte, data la maggiore capacit della Dc di governare le contraddizioni della
societ civile capitalistica), e l'operaismo di sinistra, evoluto nella
cosiddetta autonomia del sociale, ideologia del cosiddetto "movimento del
1977", confusa reazione al progetto del compromesso storico stesso.In
questo modo erano sacrificati quegli "operaisti" che avevano
continuato a collocarsi al fianco degli "operai concreti" (Bologna,
Revelli, la rivista Primo Maggio, eccetera), di cui invece si fa qui cenno. 33,
Lo scrivente condivide qui la critica a Panzieri fatta da Gianfranco La Grassa
(cfr. Dalia fabbrica alla societ. L'ideologia della pianificazione globale del
capitale, in Aa.Vv. Circolazione e forme del politico, Angeli, 34. 35. 101
1980). Il pensiero di Panzieri troppo
coerente e radicale per essere ridotto a semplice istanza
autogestionale-democratica (come fanno alcuni interpreti, come Mancini,
Mangano, Rieser). La comprensione panzieriana del fatto che il
"capitale". non una
"cosa", ma un "rapporto sociale di produzione" viene
declinata (gi nello stesso Panzieri, ed ancor pi negli operaisti successivi)
come rapporto fra due soggetti in "opposizione reale": il comando
capitalistico contro il comportamento collettivo proletario in fabbrica. In
questo modo, fra l'altro, il concetto di "crisi capitalistica" ridotto a quello di "opposte volont
confliggenti" (chiave per capire fenomeni come la cosiddetta "scuola
di Modena", che negli anni '70 ha ambito a funzionare come
"consigliere economico del sindacato" sulla base di un marxismo
ridotto al pensiero di Sraffa e di Ricardo). E' un fatto curioso, anche se del
tutto secondario, che Lucio Colletti, nemico furioso dell'operaismo teorico e
pratico, abbia dedicato gran parte delle proprie energie teoriche a combattere
la nozione di "contraddizione dialettica" in nome della nozione di
opposizione reale", esattamente, cio, in nome della nozione chiave usata
dagli operaisti stessi. Si veda, su questo, la predica nel deserto di C. Preve,
Le sventure della dialettica, in "Unit Proletaria", 1-2, 1981. Hegel
si esprime in questo modo: "Un partito prova a se stesso di essere il
partito vincitore solo in quanto si scinde a sua volta in due partiti. In
effetti, mostra cos che possiede in se stesso il principio che fino a poco
prima combatteva e che ha soppresso la unilateralit con la quale era entrato in
scena all'inizio. L'interesse che si era spezzettato all'inizio fra lui e
l'altro s'indirizza adesso interamente a se stesso, e dimentica l'altro, dal
momento che questo interesse trova in lui solo l'opposizione che lo assorbiva.
Nello stesso tempo tuttavia l'opposizione
stata elevata nell'elemento superiore vittorioso e ci si presenta dentro
sotto una forma chiarificata. In questo modo, lo scisma nascente in un partito,
che assomiglia ad un infortunio, manifesta piuttosto la sua fortuna" (cfr.
Hegel, La phnomnologie de l'esprit, Aubier, t. II, p. 123). Principali
esponenti di questa tendenza sono stati in Italia Mario Tronti, Alberto Asor
Rosa, Massimo Cacciari. Occorre dare atto a questi teorici di aver
realisticamente diagnosticato la totale incapacit del sociale, visto nella sua
apolitica autonomia, a resistere e soprattutto a vincere contro l'iniziativa
capitalistica quando quest'ultima decida di scegliere il terreno del
"politico". Vi indubbiamente
qui un aspetto molto "leninista" (assai superiore al chiacchericcio
luxemburghiano sul "sociale che si socializza" automaticamente e
spontaneamente in direzione cominista, mentre il "politico" sarebbe
pura superfetazione parassitaria ed inautentica). Tuttavia, la stessa
effettualit del politico non pu essere pensata (e tantomeno agita) se il
politico stesso sradicato dalla sua base
sociale e dalla sua identit storica, e ridotto ad un insieme di tecniche
neutre. Ad esempio, l'esaltazione fatta da Tronti della dicotomia (sviluppata
in particolare da Schmitt) amico/nemico coincideva storicamente con la politica
di compromesso storico, che di fatto scioglieva l'identit opposizionale
destra/sinistra in una mistificazione unitaria (il popolo italiano
democraticamente rappresentato dai partiti e dai sindacati, da un lato, contro
la crisi economica ed il terrorismo demenziale, dall'altro). 102 36. 37. 38.
L'irrigidirsi della dicotomia schmittiana senza neppure la fondazione
ontologica del senso che dovrebbe legittimare questa dicotomia porta alla crisi
irreversibile di questa forma di idealismo soggettivo. Si veda, ad esempio,
Mario Tronti, Stato e Rivoluzione in Inghilterra, Il Saggiatore, 1977, e Rita
Di Leo, Il modello di Stalin, Feltrinelli, 1977. Il Cromwell di Tronti e lo
Stalin della Di Leo non sono certa figure storiche concrete, ma semplici
metafore filosofiche (integralmente idealistico-soggettive) della politica come
"arte del governare". In entrambi i casi il contenuto materiale dei
rapporti di produzione considerato
irrilevante, mentre giganteggia in primo piano il "personaggio". E'
chiaro che n per Tronti n per la Di Leo il problema dei rapporti di produzione
ha il minimo significato. Si tratta per loro di pura scolastica marxista,
null'altro. Si veda M. Tronti, Il tempo della politica, Editori Riuniti, 1980,
ed A. Asor Rosa, La felicit e la politica, in Laboratorio Politico, 2, 1981. La
nevrotica insistenza sulla centralit assoluta dell'agire politico sulle altre
dimensioni della vita umana si rovescia inevitabilmente nelle considerazioni
disincantate sulla "politica che non d nessuna felicit". Nella
rivista Laboratorio politico, che esce da due anni sulle macerie del
compromesso storico, la politica
peraltro integralmente dissolta in politologia ed in sociologismi di
varia natura. Il massimo di idealismo soggettivo, in filosofia, si unisce con
il massimo di scientismo e di positivismo nell'approccio con le scienze
sociali. Non c' tuttavia, in questo, niente di strano (e si rimanda qui ancora
una volta alla nozione lucacciana di solidariet antitetico-polare fra
esistenzialismo e neopositivismo). Su questo punto istruttivo l'itinerario filosofico di Massimo
Cacciari. Partito da una interpretazione della filosofia della Krisis (e della
figura di Nietzsche) come enfatizzazione dello sfondamento integrale di - ogni
"centro", e passato attraverso un'interpretazione neorazionalistica tecnocratica di Heidegger (di cui si parler
nella terza parte di questo scritto) fino ad un coerente rifiuto dell'agire
teleologico lucacciano come filosofia del pro-getto, Cacciari approdato alla integrale messa in discussione
di ogni differenza fra sinistra e destra (cfr. Diorama Letterario, 56-57,
febbraio-marzo 1983, che contiene gli atti di un dibattito fra Cacciari e gli
esponenti della "nuova destra" tenuto a Firenze il 27-11-1982).
Cacciari stato accusato di neo-nazismo,
in modo sciocco ed ingiusto, ed i mess media italiani hanno perduto un'altra
buona occasione per parlare dei veri problemi teorici in gioco. Cacciari invece un pensatore esemplare, un vero exemplum
negativum, per percorrere un ideale tracciato di suicidio rituale di un'identit
filosofica di sinistra. Mentre la "destra" in grado di pensare radicalmente la
differenza fra gli individui sotto il dominio della categoria di
diseguaglianza, la sinistra si rivelata
incapace di pensare radicalmente la differenza insieme con l'eguaglianza.
Questo comporterebbe l'accettazione dell'impostazione lucacciana (che verr
analizzata nella quinta parte di questo scritto), secondo la quale gli
individui diventano tanto pi differenti quanto pi il capitalismo li
astrattizza, ed appunto questa astrattizzazione
individualizzante il presupposto ontologico per il perseguimento
dell'eguaglianza comunista contro l'eguagliamento omogeneizzatore 39. 40. 41.
42. 103 capitalistico. Per leggere le argomentazioni di rifiuto totale di
Cacciari verso la prospettiva lucacciana si veda la rivista. Metaphorein 8,
Napoli, Pironti, 1982. Si vedano i lavori della rivista Primo Maggio, ed in
particolare teorici come Sergio Bologna e Marco Revelli. La storia
dell'organizzazione Lotta Continua non pu certo essere meccanicamente fatta
seguendo uno schema semplificato ed unidimensionale (e si veda Luigi Bobbio,
Lotta Continua. Storia di una organizzazione rivoluzionaria, Savelli, 1979).
Tuttavia, leggendo le cosiddette Tesi sul Materialismo pubblicate in occasione
del I Congresso dell'Organizzazione (che non fu mai esplicitamente
"operaista", ed anzi spessissimo prese le distanze in modo esplicito
dall'operaismo stesso) emerge la polarit sopraindicata. Da un lato, il
materialismo viene identificato con il movimento delle masse nei suoi contenuti
comunisti, con un esplicito primato dell'attivit e della prassi come fattore di
conoscenza del reale; dall'altro, viene esplicitamente accettata la teoria del
valore-lavoro, come fondamento "ontologico" oggettivo cui ancorare la
pratica politica e sociale. La contraddizione strutturale della scuola della
composizione di classe espressa in modo
insuperabile da Guido De Masi in Primo Maggio, 13, pp. 5-6. A differenza
dell'enfasi gramsciana ed amendoliana sul lavoro produttivo e sull'etica del
"lavoro sotto padrone" (la scuola della composizione di classe sa
perfettamente che secondo Marx essere un lavoratore produttivo una "disgrazia"), si connota il
comunismo sostanzialmente come liberazione dal lavoro piuttosto che come
liberazione del lavoro in senso cogestionale od autogestionale. Quando lo stesso capitalismo che ristruttura la
fabbrica distruggendo il lavoro produttivo e colpendo la composizione di classe
basata sull'operaio-massa, la scuola della composizione di classe non pu certo
opporsi a questo in nome dell'etica del lavoro. In un certo senso, questa
scuola trasforma "la scala che si butta via, una volta che la si usata per salirci" (l'espressione di
sapore wittgensteiniano connota la teoria del valore-lavoro e del lavoro
produttivo) in una sorta di "ramo in cui si sta seduti e che viene segato
proprio da chi ci sta sopra". Il capitalismo moltiplica le figure sociali
legate alla circolazione ed a quello che un tempo era chiamato "lavoro
improduttivo", base di una ideologia e di un comportamento politico di
tipo "radicale", e Sergio Bologna (si veda la La trib delle talpe,
Feltrinelli, 1978, p. 149), esponente della scuola della composizione di
classe, proclama: "Amo il rosso e il nero, colori del comunismo e dell'anarchia,
odio il rosa ed il viola, colori del. movimento radicale e del
neofemminismo". Tuttavia l'affermazione di comportamenti di tipo
"rosa e viola" in questa
congiuntura un fatto socialmente inevitabile, e la scuola della composizione di
classe costretta alla pi totale
impotenza politica (almeno provvisoriamente). .L'impotenza del presente,
caratterizzato dall'agire politico senza principi del "ceto politico"
legato ai partiti ed ai sindacati neocorporativi, porta necessariamente al
culto della memoria della classe come rifugio e risarcimento psicologico in un
passato che deve essere salvato come premessa per un futuro che assume sempre
pi l'aspetto della n 104 43. 44, testimonianza etica o dell'utopia. Tuttavia,
la scuola della composizione di classe, a differenza di quella dell'autonomia
del politico, salva i contenuti etici e storici fondamentali dell'emancipazione
comunista. Come si chiarir meglio nella quarta parte di questo scritto
(dedicata a Bloch) il pensare il passato sotto la categoria di memoria storica
ed il pensare il futuro sotto la categoria di utopia sono i presupposti per un
atteggiamento filosofico non schiacciato su di un presente assolutizzato e
feticizzato. Ci riferiamo qui principalmente al pensatore padovano Antonio
Negri (e solo in seconda istanza a teorici secondari del comunismo
post-moderno, come Oreste Scalzone, Piperno, Virno, Castellano, eccetera).
Costoro sono divenuti le vittime sacrificali ed i capri espiatori della
tragedia storica avvenuta nel nostro paese negli anni '70. E' evidente che la
critica dello scrivente non ha nulla a che vedere con i "teoremi
giuridici" che hanno ridotto vent'anni di storia ad un unico, grande
complotto (lo scrivente condivide anzi l'impostazione garantistica diffusa in
Italia da intellettuali onesti e non imbarbariti come Rossana Rossanda e Luigi
Ferrajoli). Da un punto di vista storico-teorico, invece, lo scrivente ritiene
che con la (coerente) teorizzazione di Antonio Negri nessun compromesso
culturale sia possibile, e che soltanto con la sua decostruzione filosofica
integrale sia possibile fare progressi. Lo scrivente ritiene che il pensiero di
Negri sia il peggio che si possa avere partendo dal materialismo storico oggi
in Italia (lo stalinismo, che era ancora peggiore, appare
"superato"). E' per questo che occorre studiarlo con seriet e
precisione. Per comprendere questo
necessario documentarsi su una serie di riviste (da Potere Operaio a
Rosso, da Linea di Condotta a Metropoli, da Pre-print a Magazzino). In esse la
grafica almeno altrettanto importante
del contenuto culturale, ed anzi spesso "detta" la chiave di lettura
del contenuto stesso (e si pensi alla rivista Frigidaire). Antonio Negri ha
scritto una decina di libri, che qui per ragioni di spazio non possono essere
riassunti e presentati, ma che documentano (in uno stile espositivo che non pu
essere separato dal contenuto, si veda la recente biografia Pipe-line, Einaudi,
1983) una linea di pensiero coerente. Si tratta di una interpretazione epocale
del concetto di "prassi", cio di attivit, senza passare attraverso il
modello del lavoro (come Urform e Vorbild, ovviamente, non come apologia del
sudore della fronte e delle mani callose), arrivando cos ad un concetto
contemplativo della prassi stessa, cio ad un comunismo immaginato e fantasticato
come pienezza "attuale" del consumo collettivo capitalistico (in un
mondo in cui lavorano soltanto le macchine). Vi sono in questa scuola i filoni
tematici pi diversi: il rifiuto del lavoro, l'apologia della devastazione dei
supermercati, l'americanismo e la cultura radicale nella sua forma pi kitsch,
il rifiuto pratico del terrorismo progettuale ma la giustificazione teorica di
quello diffuso-desiderante, una concezione della politica alla Pannella e della
filosofia come elogio dell'assenza di memoria, differenzialismo ferocemente
antidialettico, lacanismo alla Deleuze, eccetera. La critica di questa scuola
pu essere impostata in molti modi. In primo luogo, tutto il concetto negriano
di capitale come "comando senza valore" cade di fronte ad una
corretta interpretazione della critica marxiana 45. 105 dell'economia politica.
In secondo luogo, un'analisi ontologico-sociale (non esiste pensatore pi
distante da Negri dell'ultimo Lukcs) mostra come l'odio verso la dialettica, il
differenzialismo, eccetera, siano proteste a priori impotenti contro
l'alienazione capitalistica. In terzo luogo, un'analisi di "antropologia
filosofica" (pensiamo agli scritti di Lasch sulla. cultura
tardocapitalistica del narcisismo) mostra come il modello negrista di
soggettivit eversiva sia solo la "scimmia oscena" dell'individuo
borghese. Lo scrivente non si aspetta nulla, ovviamente, dalla scuola del
comunismo capitalistico e da quella dell'autonomia del politico.
Quest'ultima anzi la vera prosecuzione,
logica e storica, del soggettivismo monocentrico staliniano, nell'epoca per
della catastrofe dei soggetti storici e dei valori sostantivi, ed ecco perch pu
buttare via come ferrivecchi il Diamat, l'etica del lavoro, eccetera,
conservando soltanto il vuoto formalismo astratto dell'azione, riempibile di
volta in volta in modo in-fondato. La stessa scoperta dell'autonomia del
politico (intesa come abbandono integrale dell'idea utopistico-marxiana della
administration des choses e della derivabilit meccanica dell'azione politica
dai movimenti sociali) di fatto vuota e
priva di utilit pratica reale. Un discorso diverso occorre fare per la scuola
della composizione di classe, Il suo "soggettivismo" ha avuto una
forte carica "oggettivistica", perch contestava la riduzione della
storia del movimento operaio a storia degli operai qualificati ed
organizzabili. Il suo autore non
Schmitt, ma E. P. Thompson. La carica umanistica e rivoluzionaria degli
aderenti a questa scuola dovrebbe preservarli dalla sbandate ciniche,
superomistiche o decadentistiche tipiche dei seguaci delle altre due scuole.
Parte Terza SOLO UN DIO PUO' ANCORA SALVARCI. ALIENAZIONE ED INTRASCENDIBILITA!
DEL MONDO CONTEMPORANEO NEL PENSIERO DI MARTIN HEIDEGGER La manifesta
incapacit, storica e teorica, dei "marxismi" novecenteschi di portare
avanti il programma di critica dell'economia politica e di farsi
"movimento reale che abolisce lo stato di cose presenti" alla base di quella sorta di nevrosi
depressiva che sembra aver colto il pensiero contemporaneo (e la stessa
tendenza alla psicologizzazione, quando non addirittura alla
psicosomatizzazione, del linguaggio filosofico attuale una manifestazione superficiale di questo
fatto). In campo "marxista", si
visto come questa "incapacit" sia stata ideologicamente
mascherata con la separazione ormai esplicita fra programma marxiano della
transizione e gestione sistemica del socialismo reale assunto come orizzonte
intrascendibile, da un lato, e con la fuga in avanti del comunismo del consumo
sulla base del macchinismo capitalistico, dall'altro lato. La "crisi del
marxismo" ,viene cos "risolta" con una sorta di
"adesione" alla superficie dei fenomeni sociali, che si legittima
teoreticamente con il rifiuto della dialettica e l'apologia delle differenze. A
suo tempo, Voltaire aveva rappresentato, nel suo racconto fantastico
Micromegas, un gigante extraterrestre in grado non solo di ridicolizzare le
pretese prometeiche degli esseri umani, ma anche di "giudicare" la
filosofia di Locke come una forma di pensiero sensato il quale, una volta
razionalmente condiviso da tutte le | creature pensanti, avrebbe potuto
risolvere gran parte dei problemi degli esseri umani stessi. Ai
"marxisti" dell'ultima parte del XX Secolo non data certo la possibilit di seguire l'esempio
razionalistico dell'illuminista Voltaire. Sebbene molti sognino incontri
ravvicinati del terzo tipo e siano pronti a. commuoversi per la storia del
piccolo extraterrestre E Ti, non verr mai nessun extraterrestre .a dirci che la
"filosofia di Marx" la pi
sensata 108 esistente sul mercato delle idee. Il fatto stesso, anzi, che la
filosofia di Marx si sia mostrata poco "praticabile" (per usare un
cortese eufemismo), e che i "marxismi" successivi si siano dibattuti
fra prometeismo fallimentare e conciliazione forzata con l'esistente, ha
scatenato nel "pensiero borghese" alcune reazioni ideal-tipiche,
degne di essere discusse filosoficemente. Individueremo qui tre di queste
"reazioni filosofiche", ma non faremo mistero del fatto che
consideriamo tragicamente seria soltanto la terza forma di reazione, che sar
perci l'unica che cercheremo di discutere analiticamente in questa terza parte
di questo scritto. Una prima forma di reazione di fronte all'incapacit
strutturale dei "marxismi" del Novecento di "realizzare" il
programma marxiano consiste nel tentare di "dedurre" i campi di
lavoro forzato aperti nei paesi a "socialismo reale" dallo stesso
progetto filosofico di Marx. Questa forma di reazione ha certo varianti
religiose fondamentalistiche (ad esempio Solzenitsyn) e varianti laiche pi
"digeribili" ai mass-media (ad esempio i nouveaux philosophes
francesi). Sebbene alcuni esponenti di questa corrente di pensiero abbiano
sofferto duramente sulla propria pelle il dispotismo burocratico del lavoro
forzato che scrive il nome di Marx sulle proprie bandiere (ma non questo il caso dei nouveaux philosophes,
episodio di protagonismo narcisistico di sessantottini delusi amplificato dai
mass-media), e meritino perci rispetto, o almeno silenzio, bene dire che un martire non fa giusta una
causa, e che questa "teoria" non pu essere seriamente presa in
considerazione. Non si tratta tanto del fatto che in questo modo vi una rilegittimazione apologetica del
capitalismo occidentale, che riacquista un aspetto presentabile di fronte ad un
"mondo orientale" assimilato al despotismo asiatico ed a Genghiz
Khan. Questa rilegittimazione apologetica pu benissimo essere fatta (o non
fatta), in quanto attiene al legittimo campo delle "opinioni", ed il
materialismo storico non pu comunque consistere nel "preferire"
l'Ovest (disoccupazione + opinione pubblica, sia pure manipolata) oppure l'Est
(piena occupazione + manipolazione diretta, senza finzione di opinione
pubblica). Come dice brillantemente Bloch, il problema non pu consistere nella
scelta della "noia pluralistica" contro la "noia
monolitica", o viceversa. Il cuore del problema sta nell'impossibilit di
prendere sul serio, sul piano filosofico, una teoria che prima riduce Marx in
modo semplificatorio ad un unidimensionale fautore dell'omologazione universale
e del livellamento forzato, in nome della sadica volont di potenza del pensiero
dialettico (tutta la prima parte del nostro scritto va contro questa
concezione), poi riduce il marxismo e la sua storia 109 complessa,
differenziata e pluralistica ad avanzamento di un fantoccio meccanico impazzito
(tutta la seconda parte del nostro scritto va contro questa concezione), ed
infine estrae il coniglio dal cappello, la grande scoperta del fatto che le
stragi del rivoluzionario cambogiano Pol Pot, sostenitore di una pianificazione
forzata di un sistema economico ermeticamente chiuso e di un livellamento
sociale autoritario, derivano in linea retta dalla dialettica hegeliana, dallo
stato commerciale chiuso di Fichte, e soprattutto dalla teoria marxista del
pluslavoro e del plusvalore. Comprendiamo che un simile filosofia da drive in
venga propagandata (ci sono anche i "bambini di Dio", i credenti nel
"grande cocomero" e gli adoratori di Satana), ma riteniamo poco serio
fermarsi ad analizzarla (1). Una seconda forma di reazione di fronte all'impotenza
dei marxismi novecenteschi (in parte collegata alla prima, pensiamo ad autori
come Popper) si basa sulla strategia epistemologica della
"falsificazione" del marxismo. Si
detto del collegamento fra queste due forme di reazione al marxismo.
Questo collegamento si basa sul rifiuto sistematico della dialettica. La
dialettica infatti ritenuta qualcosa di
"cattivo" per due ragioni: la prima, di carattere teorico, consiste
nel fatto che la dialettica si sottrae epistemologicamente ai procedimenti di
falsificabilit, ed pertanto
incompatibile con il metodo scientifico, comunque definito; la seconda, di
carattere pratico, vede nella dialettica l'inevitabile ideologia della
legittimazione di un potere assoluto, strutturalmente in-correggibile, che
pretende governare in nome di una "scienza non falsificabile".
L'incredibile successo mondiale di un pensatore come Sir Karl Popper consiste
appunto nel fatto che la sua filosofia lega ' insieme i due aspetti, teorico e
pratico, di critica alla dialettica, e si presta inoltre ad essere
"facilmente predicabile" per il suo carattere sistematico, dogmatico
e semplificato. Indubbiamente, questa seconda forma di reazione pi seria della prima, in quanto contiene un
momento empiristico di verit, che pu essere valorizzato, mentre la prima
degrada inevitabilmente a romanzaccio di appendice. Il momento empiristico di
verit che inevitabilmente contenuto.
nelle teorie epistemologiche del nesso . verificabilit/falsificabilit (che
obbligano, appunto, lo si voglia o . no, a parlare dei "fatti", e che
sono anche disposte, come avviene nel caso di Popper, ad ammettere che i
"fatti" non parlano da soli, ma dentro determinate "metafisiche
influenti" e teorie generali) per
automaticamente indebolito dall'istanza antistorica di scoperta del Metodo
Definitivo, del Tribunale Epistemologico di ultima istanza, che boccia promuove senza appello le teorie 110.
"scientifiche". Sappiamo che la stessa "trib degli
epistemologi" orientata allo
scioglimento di questo Tribunale, e che la Falsificazione del Marxismo ormai divenuta soltanto pi un prodotto per
rotocalchi, mentre gran parte degli espistemologi "veri" su posizioni ben pi critiche. Tuttavia, il mito
del marxismo come Teoria del Gulag Universale
generalmente spacciato insieme con il mito del marxismo come
Pseudoscienza ormai Definitivamente Falsificata, secondo il sistema delle
vendite noto come "offerte speciali". E' questa la ragione per cui
non possibile prendere sul serio queste
due forme di reazione alla (innegabile) miseria del marxismo contemporaneo (2).
Vi per una terza reazione all'impotenza
trasformativa dei marxismi novecenteschi, l'unica, a parere dello scrivente,
realmente degna di analisi e di studio. Si tratta di un approccio al mondo
storico e sociale di tipo ontologico, che oppone al progetto trasformativo del
marxismo una posizione teorica esplicita, secondo la quale, al punto in cui
siamo giunti, il mondo non pu pi essere trasformato, per ragioni sia
antropologiche sia, soprattutto, ontologiche. Il progetto marxista sarebbe
quindi ontologicamente impossibile, momento di un "destino" che si
tratta ormai soltanto pi di comprendere, essendo la "trasformazione"
un'illusione interna alla sua staticit, e la "temporalit" una
dimensione della sua fissit. Il significato del pensiero di Martin Heidegger,
che verr esaminato pi avanti, trova in questa prospettiva, storicamente
determinata, il suo valore di posizione ed il suo punto di tangenza con la
critica dell'economia politica. x 1. Il destino della storicit contemporanea: pensare
filosoficamente il XX Secolo La negazione filosofica, ad un tempo antropologica
ed ontologica, della praticabilit del progetto marxista di transizione al
comunismo, assume nel grande pensiero borghese del Novecento un carattere
nuovo, storicamente determinato. A prima vista, sembrerebbe che non vi sia
altro che un aggiornamento della vecchia tesi classica del pessimismo
antropologico (gi analizzata genialmente da Horkheimer ne Gli inizi della
filosofia borghese della storia, opera tuttora utilissima). Essendo la
"natura umana" ontologicamente cattiva, orientata alla lotta,
all'acquisizione ed al dominio, non sarebbe realistico porsi obbiettivi di
emancipazione sociale comunitaria (3). Non
questa la sede per discutere adeguatamente se il 111 radicamento
ontologico-sociale del pessimismo antropologico (la "natura umana
cattiva"), che caratterizza il pensiero borghese classico e
l'"individualismo possessivo" trovi la sua origine in una
secolarizzazione del peccato originale cristiano oppure derivi laicamente dal
meccanicismo seicentesco. La teoria pessimistica della "natura umana"
ha comunque due padri e due padroni, l'uno "religioso" e l'altro
"laico", quanto basta per rendere inutili ed un po' ridicole le
diatribe fra spiritualisti e clericali, da un lato, atei, mangiapreti e laici,
dall'altro, tese a ributtare sui rivali tutte le responsabilit delle brutalit
politiche e sociali avvenute dopo la pubblicazione del cartesiano Discorso sul
Metodo. (4). La polemica filosofica contro le concezioni astoriche e
pessimistico-antropologiche della "natura umana" certo ancora. di attualit, in particolare nel
mondo anglosassone, in cui robuste tradizioni di "individualismo
possessivo" (solo superficialmente laico) si intrecciano perversamente con
ideologie tratte dalla cosiddetta "sociobiologia". Vi qui un campo teorico e filosofico, oltre che
decisamente "scientifico", tutto da conoscere e da arare. E,
tuttavia, la negazione filosofica novecentesca della praticabilit del progetto
comunista marxiano non affatto la
semplice prosecuzione "lineare" del vecchio discorso
"pessimistico" sulla "natura umana", ma presenta un
significativo aspetto di novit, che deve essere evidenziato e bene individuato.
In caso contrario, si pu disegnare un "continuum lineare" fra il
pessimismo di S. Agostino, di Thomas Hobbes e Max Weber (passando per
Machiavelli). Operazione perfettamente plausibile, ma del tutto scolastica, ed
assolutamente inutile per chi ricerca nozioni determinate, Il pessimismo
novecentesco viene infatti dopo la grande indagine hegeliana delle categorie
del pensiero moderno, viene dopo la critica marxiana dell'economia politica,
viene dopo l'edificazione di una "visione del mondo" che ha preso il
nome di "marxismo", ed in
grado di tener conto di tutti questi fattori, cosa del tutto impossibile per il
vecchio pessimismo calvinistico sulla "natura umana". Per dirla in
modo forzatamente telegrafico, esso non sostiene che il mondo non pu essere
trasformato, perch la natura umana
quella che , ma che, a questo punto dell'evoluzione storica, il mondo
non pu pi essere trasformato, data la complessificazione irreversibile che
si creata con la societ industriale, che
sarebbe diventata ormai addirittura post-industriale. . Il pessimismo borghese
novecentesco cerca dunque una sua via per la quadratura filosofica del cerchio:
la trasformazione di un concetto astorico per sua natura come quello di
"destino ineluttabile" in un concetto storicamente determinato 112
(l'intrasformabilit di un modo di produzione, integralmente assunto ad
orizzonte intrascendibile della vita umana). Da un lato, si afferma in mille
modi che l'"intero" non pu pi essere detto, in quanto l'inevitabile
proliferare degli specialismi legati alla complessificazione strutturale e
sistemica della societ rende possibile "dire" soltanto logiche
regionali, frammenti di esperienza, operazionismi particolari. Dall'altro lato,
una cosa almeno si continua a dire sull'"intero" (preventivamente
spezzettato negli specialismi regionali): che esso , appunto, intrascendibile.
Il motto diventa allora: inevitabilit degli specialismi, intrascendibilit
dell'intero. Il cerchio viene chiuso, il deserto cresce, scende la calotta
d'acciaio. Il marxismo novecentesco
stato anch'esso quasi sempre prigioniero di questa logica, che ha
cercato soltanto di rovesciare. Da un lato, l'inevitabilit dell'orizzonte degli
specialismi stato assunto nella forma
teleologica della "politicizzazione degli specialismi", assunti cos
come erano "dati" (in una apparente, ma ingannevole
"neutralit") nella divisione sociale del lavoro. Dall'altro lato, una
cosa almeno si .continuava a dire sull'"intero" (che il
"partito" ricomponeva mettendo insieme i cocci degli specialismi);
che ci voleva un "impegno a cambiarlo". Il motto diventa allora:
filosofia dell'engagement, politicizzazione degli specialismi. Come si visto nella seconda parte di questo scritto,
il marxismo novecentesco non poteva nascondere a lungo la debolezza di questo
programma, e la sua sostanziale subalternit al ben pi coerente e rigoroso
disincanto. borghese. Da un lato, l'atteggiamento soggettivo di
"impegno" (la filosofia dell'engagement) intessuto di visioni mistificate del rapporto
fra passato, presente e futuro, in cui la grande narrazione teleologica fa
tutt'uno con le utopie sintetiche regressive della conciliazione definitiva
delle contraddizioni. In queste condizioni, l'"impegno" non pu essere
mantenuto a lungo, ed il "disincanto" (l'abbandono delle credenze
ingenue nelle utopie sintetiche) fa praticamente tutt'uno con il
"disimpegno". Un impegno che si basa sull'illusione non pu che essere
seguito da un disimpegno che si basa sul disincanto. Dall'altro lato, il
programma di politicizzazione degli specialismi incontra inevitabili difficolt.
La segmentazione e la regionalizzazione del sapere che gli specialismi attuano
integralmente (e su cui si basano) non pu essere infatti tinta di rosso,
inquanto questa compartimentazione
pienamente incorporata in una divisione sociale e tecnica del lavoro
funzionale alla riproduzione dei rapporti sociali capitalistici di produzione.
Portare fino in fondo il proprio "specialismo", fare bene il proprio
113 "mestiere", essere stimati dalla comunit accademica degli
specialisti (in modo da essere riconosciuti come "uno dei loro",
eccetera) fa entrare inevitabilmente in crisi il programma di politicizzazione
degli specialismi a partire dallo specifico degli specialismi stessi. La
divisione sociale del lavoro che si realizza nel capitalismo permette infatti a
gruppi ristretti di filosofi e scienziati di polemizzare contro la presunta
"neutralit della scienza", ma non permette certo di intaccare il
meccanismo riproduttivo dei rapporti sociali borghesi in cui questa
scienza incorporata. Le trattazioni
filosofiche del "pensiero del Novecento" registrano generalmente
questa impasse, si accorgono dell'intreccio fra
specialismi tecnocratici e disincanto pessimistico che connota. il
pensiero borghese, ambiscono superare il "punto morto" delle
concezioni ingenue dell'impegno. E, tuttavia, sgomente di fronte alla -situazione
bloccata, ripiegano su un presunto "pensiero debole", capace di
"salvare" l'individualit fino ad ora troppo schiacciata dagli
"insiemi mistificati" dello Stato, del Partito, della Chiesa, e via
via maiuscoleggiando. Alla "crisi" viene tolto ogni carattere
sociale, determinato, ontologico, per enfatizzarne, e trasformarla in Krisis,
gli aspetti estetici ed esistenzialistici. Vi
qui un punto di grande importanza filosofica. Polemizzare contro la
"crisi" in nome del "progresso" (0, peggio ancora, opporre
l'ottimismo della volont al pessimismo della ragione) non ha veramente alcun
senso. In questo momento, se si affrontano le cose con prospettiva ontologica,
vi crisi, e non certo progresso. Altra
cosa invece trasformare il dato
ontologico della crisi in "filosofia esistenzialistico-positivistica della
crisi", come sfondo teorico che maschera la propria totale subalternit ai
punti alti del pensiero borghese stesso. Pensare filosoficamente il XX Secolo
non pu dunque significare la rimozione (o la banalizzazione) di quello che stato sopra definito il terzo tipo di
reazione alle difficolt del marxismo nel Novecento: la connotazione del
ventesimo secolo come vicolo cieco e dell'orizzonte capitalistico come unit
ontologica di alienazione e di intrascendibilit. Tutti i pensatori di valore
del Novecento hanno ovviamente toccato questo punto (lo scrivente non ritiene
certo di aver scoperto nulla). Tuttavia, per non perderci nella selva dei nomi,
fino a smarrire il problema, occorrer individuare il pensiero che stato pi coerente e radicale nel tematizzare
questa unit ontologica di alienazione ed intrascendibilit, questo nesso che
nella sua apparente indeterminatezza in
realt la sola negazione determinata (e fin ora assolutamente vincente) agli
sforzi del . marxismo del Novecento. Crediamo di individuare questo pensiero
114 in Martin Heidegger, e non in Max Weber (come ci si potrebbe aspettare) per
ragioni che verranno qui telegraficamente esposte. 2. Weber e Heidegger: un confronto
necessario fra due radicalit filosofiche Max Weber stato uno dei pi grandi pensatori della
storia contemporanea, ed i panni di "confutatore del marxismo" gli
vanno certamente stretti. Studiare Weber per avere alcuni argomenti per
"confutare" Marx forse una
delle cose pi stupide che si possano fare nel Novecento (secolo in cui peraltro
non mancano possibilit di fare cose molto stupide). Tuttavia, molti libri
dedicati al rapporto Weber-Marx sono costruiti proprio su questo impianto, e
seguono un copione prevedibile. All'inizio, vi
un "attacco" teorico, che si pone il problema della
compatibilit o meno dei modelli ideal-tipici maxweberiani con i concetti
marxiani afferenti i modi di produzione. A questo. livello del discorso, una
certa "compatibilit" sembra essere possibile, e si tratta solo di
vedere fino a che punto la separazione maxweberiana fra produzione e
distribuzione possa 'accompagnarsi" alla centralit marxiana dei rapporti
sociali di produzione (5). Ben presto, tuttavia, si arriva al dunque, alla
"filosofia pratica": Marx avrebbe pensato il modo di produzione
capitalistico sotto il segno della trasformabilit, attuando con il concetto di
proletariato e soprattutto di comunismo una secolarizzazione della escatologia
giudaico-cristiana nel linguaggio dell'economia politica, mentre Max Weber,
sobrio erede del disincantamento illuministico del mondo, avrebbe comunicato ai
contemporanei l'amara verit della chiusura definitiva, sulle nostre teste,
della "calotta d'acciaio" della societ industriale moderna. Con la
precisione e la radicalit tipica dei grandi pensatori, Max Weber classifica in
effetti due ideal-tipi di "socialista": l'intellettuale, spesso
socialmente sradicato e prigioniero di irrealistici sogni palingenetici, quasi
sempre ignaro del funzionamento concreto dei meccanismi di riproduzione di una
societ complessa e funzionalmente differenziata, che "crede" alla
praticabilit concreta degli utopistici sogni marxiani; l'operaio, che invece ben radicato nella concretezza della
produzione, ed , almeno in Europa (ma non in America) naturaliter socialista (e
non perci convincibile con conferenze di
sociologia e di economia politica in favore del sistema capitalistico), ma che
pu essere tenuto a bada ed addomesticato con una forma di "socialismo di
stato" assistenziale compatibile con la societ borghese moderna. In questo
modo, in effetti, Max Weber cancella la specificit della 115 critica marxiana
dell'economia politica: l'intellettuale vuole la catarsi universale, la
realizzazione dell'assoluto e l'utopia sintetica, tutte cose che non si possono
ontologicamente avere; l'operaio vuole alti salari, servizi sociali, garanzie
sull'occupazione, tutte cose che si possono avere in un capitalismo
"socialmente corretto". L'operaio crede di essere marxista, ma al massimo un ricardian socialist spontaneo;
l'intellettuale crede di essere marxista, ma non che un sognatore romantico in ritardo. E'
difficile sottovalutare la forza di questa teoria "disincantata".
Essa funziona come forza sociale, ed ha impregnato anche il senso comune non
filosofico. A questo proposito, si possono fare alcune interessanti
osservazioni sull'atteggiamento che tengono verso Max Weber molti
intellettuali. Alcuni, spesso i pi grandi (da Lukcs, fino a Marcuse, Adorno e
Habermas), si rendono perfettamente conto del fatto che Weber alternativo a Marx, e che non si tratta certo
di insolentirlo (e tanto meno di ignorarlo) quanto di mettere alio scoperto le
radici metafisiche ed irrazionalistiche del suo "disincanto" (che
viene spacciato per totalmente razionalistico e realistico"). Essi
capiscono bene, per dirla in breve, che si pu certo essere weberiani, ma
che perfettamente possibile essere
antiweberiani senza con questo cadere nel ridicolo. Altri, quasi sempre meno
grandi, ritengono invece che il weberismo (ed esiste, checch se ne dica, un
vero e proprio weberismo ortodosso) sia la conditio sine qua non per pensare la
modernit. Come a suo tempo Voltaire pensava che solo un metafisico inguaribile
poteva non aderire all'evidenza del pensiero di Locke, cos oggi il volterriano
in ritardo pensa che chi non segue Max Weber deve avere qualche tabe metafisica
nella testa. : Si pone, allora, un problema che definiremo in breve come quello
della apparente "ovviet" del weberismo, del suo presentarsi come
"evidenza sistematizzata", che non pu essere seriamente messa in
dubbio (e qui il paragone con Locke acquista una particolare pregnanza). Senza
affrontare di petto questa apparente evidenza, e questo effetto di
"ovviet", ci si perde necessariamente in analisi particolari, spesso
utili, ma fuorvianti (6). Gli elementi dell'apparente ovviet del senso comune
che. il weberismo ha trasmesso alla visione filosofica del XX secolo sono
soprattutto due. In primo luogo, Weber (facendo proprie nell'essenziale alcune
tesi di Rickert, ed invece respingendo il "dualismo forte" di
Dilthey) rifiuta l'ipotesi che vi sia una differenza qualitativa sostanziale ne
modi di intendere le scienze dello spirito rispetto a quello della natura.
Varia lo scopo (l'interesse per l'individuale delle une, per il generale delle
altre), 116 ma non il metodo. In secondo luogo, Weber restaura su di un altro
piano il dualismo metodologico (negato in via di principio) fra le scienze
storico-sociali caratterizzate in senso "convenzionalistico"
(convenzionalismo dei punti di vista a partire dai quali si effettua la
dotazione di senso) e "probabilistico" (si vedano i concetti di
"possibilit oggettiva" e di '"causazione adeguata") e le
scienze naturali (in cui invece i rapporti causali sono espressi in termini
legali-ogni volta che X allora Y) (7). E' aperta cos la porta per una
separazione strutturale fra filosofia, scienze sociali e scienze della natura,
con due conseguenze teoriche di fondo. In primo luogo, in Weber l'unica
categoria filosofica "forte" rimane quella della "scelta di
valore" (che si attua all'interno di un Olimpo ppoliteistico di valori
irrelati, metafora nichilistica per indicare la pi radicale negazione di ogni
ontologia), ed essa si rivela poi tanto "debole" da non poter
resistere alla post-weberiana critica alla "metafisica" di tipo
neopositivistico. La filosofia dunque
delegittimata, e pu soltanto pi condurre un'esistenza larvale come metodologia
critica delle scienze sociali (8). In secondo luogo, in Weber si ha una specifica
(e curiosa) cecit del fatto che il probabilismo ed il convenzionalismo nascono
proprio nell'ambito delle scienze della natura (si pensi alla cosiddetta
"crisi dei fondamenti"), e solo dopo vengono "travasati"
nel campo delle scienze sociali. Quando si
in presenza di un fatto di tale importanza non si pu pensare ad una
"svista" da parte di un uomo acuto, colto ed informato come Max
Weber, ma pi realistico congetturare che
si tratti di una dimenticanza filosoficamente voluta: la dimensione ontologica,
negata ai processi sociali, viene invece attribuita ai processi naturali
negando addirittura il probabilismo ed il convenzionalismo come elementi di
indebolimento di questa stessa "ontologia ingenua". Un pezzo di
mondo, dunque, quello delle scienze naturali, si basa su una ontologia ingenua
e rassicurante, che sar l'anticamera del postweberiano uso della scienza come
ideologia di legittimazione del potere politico. Un altro pezzo di mondo,
quello delle scienze sociali, deve rinunciare all'inutile fondazione
ontologica, ma conserva un impianto "scientifico" flessibile,
caratterizzato dal corvenzionalismo e dal probabilismo. Un terzo pezzo di
mondo, infine, quello della filosofia, vede impallidire la sua consistenza
(integralmente de-ontologizzata e pienamente in-fondata) nel destino inesorabile
di avere come unico oggetto il "disincanto". La "radicalit
filosofica" di Max Weber ci sembra dunque pi apparente che reale: il mondo
della natura intrascendibile, 117 perch
in esso si danno legalit ontologicamente ferree; il mondo della societ invece trascendibile nella sfera della
coscienza, ma diviene ontologicamente intrascendibile una volta che si sia
compiuta la complessificazione capitalistica della razionalizzazione di tutti
gli ambiti di vita; il sentimento di disagio e di alienazione un destino esistenziale inevitabile in questa
situazione sociale, ma esso non ha alcuna rilevanza ontologica; la filosofia,
infine, non pu che ripetere all'infinito questa constatazione, ed questo l'ultimo "universale" che le
sia rimasto, a razionalizzazione compiuta. Ne consegue uno 'spezzettamento
teorico del mondo", che la premessa
logico-storica per la manipolazione "artificialistica"
(concettualmente neopositivistica, filosoficamente esistenzialistica, e
strutturalmente anti-ontologica) del mondo sociale, necessaria ad un
capitalismo che aveva perduto ogni fiducia nella riproduzione
"automatica" della sua pseudonaturalit (9). La "radicalit
filosofica" di Martin Heidegger ci sembra invece (nel paragone con Max
Weber) del tutto reale e conseguente. Come cercheremo sommariamente di
argomentare, essa presenta alcune caratteristiche "monistiche" che ne
fanno il vero oppositore radicale al materialismo storico in questo secolo. In
primo luogo, Heidegger riesce a pensare insieme, in ferrea unit metodologica,
le tre componenti che Weber aveva "spezzettato": filosofia, scienze
della natura, e scienze sociali. In secondo luogo (sulla base di questa ferrea
unit metodologica) Heidegger riesce a pensare in modo "forte" la sua
tesi "metafisica" fondamentale, l'unit di alienazione e di
intrascendibilit del mondo contemporaneo (in Weber, invece, solo
l'intrascendibilit pensata, in senso
debole, come ontologica, mentre l'alienazione
resecata da ogni fondamento strutturale e consegnata al mondo
psicologico della claustrofobia per chiusura di "calotta d'acciaio").
In terzo luogo, Heidegger riesce a svolgere questa sua tesi forte prima in una
formulazione "semplice" (sotto il dominio della categoria di
"soggetto") e poi in una formulazione pi complessa ed impersonale (in
cui la categoria di "soggetto" non
pi presupposta ma subordinata
integralmente alla sua genesi ontologica). Se Heidegger avesse ragione, il
progetto marxiano di critica "pratica" dell'economia politica
diventerebbe realmente "ontologicamente impossibile". Una critica marxista
ad Heidegger (come quella che qui tentiamo, sia pure in modo ancora
incerto) dunque necessaria, ed
improcrastinabile. Essa deve per avere almeno due caratteristiche: il primo
luogo, deve riconoscere senza vergogna la superiorit teoretica del rigoroso
monismo metodologico di Heidegger sulla maggior parte dei pensatori del
Novecento; in secondo luogo, deve concentrare i suoi attacchi ed 118 DI il suo
rifiuto soltanto dove il suo rifiuto
materialisticamente giustificato (nel caso del nostro discorso, la
nozione segretamente storicistica. del concetto heideggeriano di temporalit,
cui Bloch oppone un multiversum assai pi "materialistico"). Tuttavia,
prima di iniziare questo discorso, vi
ancora un ultimo problema, attinente al "fuoco di sbarramento"
che le interpretazioni italiane di Heidegger hanno aperto, da almeno vent'anni,
contro questa prospettiva. Svolgeremo allora una breve indagine sulla
"letteratura filosofica" secondaria su Heidegger, senza la pretesa di
. farne una rassegna critica esauriente, ma con lo scopo limitato di mostrare
chiaramente al lettore come il modo di considerare filosoficamente il rapporto
fra Heidegger e Marx che viene qui proposto si contrapponga (su quasi tutti i
punti teoricamente rilevanti) alla maggior parte delle "coniugazioni"
Marx-Heidegger consuete in Italia oggi. 3. Marx e Heidegger in Italia: storia
di un mancato incontro Il panorama filosofico italiano a proposito di Heidegger
presenta due interessanti caratteristiche: da un lato, diffusione relativamente
precoce della problematica heideggeriana, traduzioni di ottimo livello,
letteratura secondaria ampia e ricca di analisi e di informazioni; dall'altro
lato, assenza pressoch totale di un vero confronto Marx-Heidegger, che avvenga
sul terreno radicale dell'interpretazione ontologico-sociale del destino del
modo di produzione capitalistico (comunque metaforizzato). Un' (apparente)
contraddizione di questo tipo non pu ovviamente essere del tutto casuale.
Essendosi il marxismo italiano sviluppato sotto il segno dello storicismo, non
vi sono neppure le condizioni minime (di comunicabilit linguistica) per far
interagire proficuamente e produttivamente due problematiche che sembrano a
prima vista assolutamente eterogenee: Marx, visto storicisticamente come
l'assertore della positivit dell'accumulazione lineare del tempo storico che
prepara via via le condizioni per le "magnifiche sorti e progressive"
del superamento dell'arretratezza, non pu effettivamente avere nulla in comune
con Heidegger, visto esistenzialisticamente come negatore del "senso"
oggettivo della storia al di l della determinatezza del vivere-per-la-morte del
singolo individuo. Un simile " dialogo filosofico" si degrada
inevitabilmente in una (poco divertente) commedia degli equivoci. Elencheremo
sommariamente qui alcuni di questi equivoci. In primo luogo, appare francamente
poco utile (ed poco pi di una semplice
esorcizzazione verbale) mettere in guardia dallo 119 studiare la problematica
filosofica heideggeriana accampando il pretesto di un presunto "Heidegger
nazista". Non possiamo qui (per ragioni di spazio) discutere tutti i
problemi storiografici sulla collocazione di Heidegger durante la crisi della
repubblica di Weimar (1929-1933), sulla adesione di Heidegger alla "presa
del potere" da parte di Hitler (1933-1934), e soprattutto sull'evidente ed
ormai pienamente dimostrato allontanamento e presa di distanza di Heidegger
rispetto al regime nazista (1934-1945). Il fatto che Heidegger non fu mai un
pensatore "organico" del nazionalsocialismo, e che non pu neppure
essere seriamente considerato un suo "apologeta indiretto", pu essere
ormai dato come dimostrato dalla storiografia filosofica; ancora aperto invece il problema della appartenenza (o
meno) di Heidegger a quella corrente di pensiero, tipicamente tedesca, che
viene generalmente definita della "rivoluzione conservatrice", e che
trova in Ernst Junger e soprattutto in Moeller van den Bruck due esponenti di
rilievo. La sostanziale mancanza, in Heidegger, di elementi teoretici
organicistici" (massicciamente presenti nel pensiero tedesco
rivoluzionario-conservatore) ci porterebbe per ad escludere anche questa
seconda (effettivamente pi plausibile) appartenenza (10). In secondo luogo,
appare fuorviante anche l'indicazione filosofica (autorevolmente sostenuta da
Jurgen Habermas) che vede in Heidegger una sorta di "vecchio
conservatore", nostalgicamente attaccato all'unit premoderna degli ambiti
(modernamente differenziati) della scienza, dell'arte e della morale. Habermas,
impegnato in una battaglia (che lo scrivente condivide integralmente, e
vorrebbe anzi ulteriormente radicalizzare) contro il cosiddetto
"post-moderno", finisce con l'assimilare Heidegger a posizioni che
non hanno nulla a che fare con il suo pensiero, incasellandolo in una tipologia
di varianti del pensiero anti-moderno come "pensiero conservatore": i
giovani-conservatori, i vecchi-conservatori, ed infine i neo-conservatori. Qui
Habermas, oltre a scambiare Heidegger per un "organicista" nostalgico
della totalit misticament vissuta, ripropone conseguentemente una forma di
weberismo aggiornato agli anni 80 (e questo , ovviamente, un suo diritto) (11).
In terzo luogo, e soprattutto, appare ancora pi fuorviante la lettura di
Heidegger come pensatore esistenzialista. Si tratta di un equivoco estremamente
interessante, se si pensa che questa lettura fu tipica di uno dei massimi
conoscitori di Heidegger in Italia, il filosofo piemontese Pietro Chiodi, il
quale sapeva perfettamente che Heidegger respingeva decisamente
l'interpretazione del suo pensiero come "esistenzialistico" (e
considerava questa 120 interpretazione come il fraintendimento massimo, il pi
imperdonabile e fuorviante), e pure non teneva coscientemente nessun conto di
questo esplicito atteggiamento heideggeriano. Evidentemente, la lettura di
Essere e Tempo come di una sorta di manuale esistenzialistico per l'impegno ed
il rischio, contro l'anonimit ed i compromessi della vita quotidiana, banale e
troppo spesso inautentica, era un fatto storicamente quasi obbligato per una
generazione di intellettuali provenienti dall'antifascismo e dalla resistenza e
portati a metaforizzare questi ultimi come. "autenticit" contrapposta
alla "inautenticit" del fascismo e del collaborazionismo. Non ha
dunque molto senso polemizzare contro la lettura "esistenzialistica"
di Heidegger, cos come non avrebbe senso polemizzare contro l'operazione di
Tommaso volta a fare di Aristotele un pensatore naturaliter cristiano. Si
tratta di un episodio storico, che bisogna prima comprendere, per poi potersene
congedare, in modo rispettoso, ma anche irreversibile (12). In quarto luogo,
appaiono improduttivi gli inviti a leggere Heidegger in chiave soprattutto
ermeneutica". Il pensiero heideggeriano
infatti, in senso forte una ontologia (ed anzi un'ontologia decisamente
storica e sociale, sia pure metaforizzata linguisticamente in forma
differenzialistica e destinale), e non certo un'ermeneutica; esso da luogo ad
una "pratica filosofica" di tipo ermeneutico, ma questa peculiare
"pratica teorica" non deve essere scambiata per una "filosofia
dell'interpretazione" (che, appunto, esiste, ma altra cosa). Se fuorviante appare la tendenza
a schiacciare Heidegger su Gadamer (che
invece veramente un ermeneuta, nel senso pi pieno ed autentico del
termine), ancora pi fuorviante, e del tutto infondato, il far diventare Heidegger un pensatore
compatibile con una sorta di "ermeneutica del nichilismo" che ha
avuto recentemente un certo successo nel panorama filosofico italiano
contemporaneo. Si istituisce infatti un rapporto di continuit tematica (del
tutto inesistente) fra la radicale critica nietzschiana dei "valori"
platonico-cristiani, inverati nella societ borghese contemporanea, ed il
congedo heideggeriano dal pensiero metafisico (quando in realt Heidegger stato un pensatore radicalmente
anti-nietzschiano, ancora pi
anti-nietzschiano di quanto lo stato il
Lukcs della Distruzione della Ragione); la critica nicciana dei valori morali,
sommata alla critica heideggeriana della metafisica, finisce con il legittimare
una sorta di "sfondamento ontologico permanente", che diventa
paradossalmente una ermeneutica del nulla. Tuttavia, (cos come non ci si deve
stupire delle letture esistenzialistiche del pensatore meno esistenzialista che
ci sia) non bisogna stupirsi troppo di una 121 lettura nichilistica applicata
al pensatore meno nichilista che vi sia; il doppio crollo della credibilit (in
senso forte) del pensiero laico-borghese, da un lato, e del pensiero
storicista-marxista, dall'altro, ha creato una congiunturale, storica
situazione di "delegittimazione teoretica dell'esistente", che si
metaforizza filosoficamente in un innocuo, conformistico nichilismo
metodologico, perfettamente compatibile con l'accettazione della riproduzione
dei rapporti sociali borghesi (13). In quinto luogo, appare del tutto infondata
la tendenza a leggere il pensiero di Heidegger come una sorta di
"legittimazione teorica del primato fondativo della prassi politica".
La trasformazione dell'ontologia differenzialistica heideggeriana in una teoria
dell'azione costruita sul modello dell'attualismo gentiliano
(travestito-goffamente-da "autonomia del politico") poteva avvenire
soltanto in Italia, cio in una situazione geograficamente e storicamente
caratterizzata dalla continuit sotterranea del dominio del pensiero gentiliano,
idealistico-soggettivo, da un lato, e dalla decadenza irreversibile dello
storicismo marxista, dall'altro. La "sinergia" di questi due processi
(largamente inconsapevoli l'uno dell'altro) ha caratterizzato gli anni '70 in
Italia, e non pu essere compresa senza fare riferimento alla dissoluzione
dell'operaismo teorico in una forma di machiavellismo di seconda categoria.
Avendo Heidegger (secondo questa tendenza) dimostrato che dell'Essere come tale
non pi Nulla, l'azione politica diventa
il centro archimedico, svincolato da qualsivoglia limite ontologico-sociale,
dell'agire umano nel Cosmo (un cosmo, ovviamente, senza pi "centro")
(14). In sesto luogo, infine, occorre evitare la via, invitante ma scivolosa, delle
troppo facili conciliazioni fra Heidegger e Marx. Le apparenti somiglianze fra
la critica heideggeriana del mondo "mederno" ed altre, analoghe
critiche, possono infatti trarre in inganno e legittimare letture
"concordistiche, pi attente a classificare facili analogie che a
riconoscere differenze radicali di metodo e di oggetto (15). Non basta,
infatti, individuare Heidegger e Marx come i pensatori che pi radicalmente
hanno cercato di pensare il carattere "planetario" della tecnica
moderna facendone l'oggetto privilegiato del loro pensiero: questa una condizione necessaria, ma non
sufficiente per pensare radicalmente il rapporto fra Heidegger e Marx. Se si
vede questo rapporto "dalla parte dell'oggetto" (ipostatizzando, cio,
l'oggetto) si portati a pensare che Marx
e Heidegger abbiano una nozione di tecnica come fatalit destinale che si impone
con l'inesorabilit di un processo naturale, e si tratti perci di imparare ad
"ascoltarla", a "fruirne", a 122 "cogliere
l'occasione" che essa ci d per uscire dal circolo vizioso della
"ripetizione" dell'agire metafisico. Se si vede questo rapporto
"dalla parte del soggetto" (ipostatizzando, cio, il soggetto),
si portati a pensare che la produzione,
storicamente specificata come capitalistica, operi la crisi del soggetto; la
perdita dell'Essere viene cos interpretata come perdita del
"soggetto", distrutto dalla sottomissione reale del lavoro al
capitale e violentato dalla Tecnica. In entrambi i casi ogni rapporto
produttivo fra Heidegger e Marx reso
impossibile da questo doppio mito dell'Origine, di un Essere Pieno, mano a mano
perduto nell'inesorabile precipitare della civilt occidentale verso il
Tramonto, da un lato, oppure di un Soggetto Pieno,distrutto progressivamente
dal dispiegarsi del "Capitale" come astrazione reale, produttrice di
effetti '"oggettivanti", dall'altro (16). Non aggiungeremo qui altre
"letture heideggeriane che riteniamo fortemente fuorvianti. Lo stesso
aggettivo "fuorviante" del
resto poco heideggeriano (Heidegger pensa infatti la pratica filosofica come un
sentiero che penetra nel bosco, permettendo di trarne legna per scaldarsi, e
non come un itinerario da percorrere in modo turistico o commerciale). Volevamo
qui percorrere un nostro sentiero filosofico, e si dovevano togliere gli
ostacoli dalla strada. Un ultimo ostacolo deve forse essere ancora tolto:
l'interminabile discussione sulla cosiddetta Kehre del pensiero heideggeriano,e
sul quando e dove situarla (Kehre significa "svolta", e ci si chiede
se Heidegger abbia realmente "svoltato" da una prima posizione,
etichettabile come esistenzialistica, o comunque soggettivistica, ad una
seconda posizione, di tipo antisoggettivistico dichiarato, definibile come
"ontologica"). Si tratta di un problema interpretativo serio, degno
di analisi filologica e di riflessione: tuttavia essendo la nostra ottica molto
"orientata" sul rapporto diagnosi heideggeriana/crisi del
materialismo storico (un punto di vista assai preciso e determinato),
interpreteremo la Kehre non come "svolta", ma come radicalizzazione
ed approfondimento di un unico itinerario filosofico: la tematizzazione della
inscindibile unit di alienazione e di intrascendibilit del mondo
storico-sociale contemporaneo, visto sotto l'aspetto rigorosamente ontologico.
Gi in Essere e tempo Heidegger pensa infatti l'impersonalit strutturale della
esistenza dei singoli nel capitalismo come una categoria ontologica (e pertanto
non come un "esistenziale"), lasciando per spazio linguisticamente a
possibili fraintendimenti esistenzialistici; sviluppando il suo pensiero
l'impersonalit strutturale del mondo contemporaneo pertiene sempre di pi alla
societ come tale, e sempre meno al soggetto. Qui, e solo qui, 123 il luogo filosofico dell'incontro con la
marxiana critica dell'economia politica, che non ha anch'essa nulla a che
vedere con le grandi narrazioni edificanti del soggetto olisticamente
collettivo (17). 4, L'analisi heideggeriana del presente: un dispositivo di
inversione L'analisi heideggeriana stata
correttamente definita da uno studioso tedesco come unit sistematica fra
critica della conoscenza e critica della societ. La critica heideggeriana della
conoscenza non d per luogo ad una variante del neocriticismo n tanto meno della
epistemologia, ma assume la forma strutturale della "scepsi", cio
della messa fra parentesi dell'apparenza "positiva" del mondo
(l'atteggiamento ontologico, mentre il
linguaggio con cui la "scepsi" viene articolata presenta tracce
fenomenologiche ed ermeneutiche) per rintracciare le condizioni ontologiche che
determinano questa apparenza "positiva" stessa. La critica
heideggeriana della societ non d luogo ad una "teoria critica" basata
su di un uso sistematico della "dialettica negativa", ma si fonda
monisticamente sopra un principio semplicissimo ed apparentemente molto povero
(a prima vista) (18). Questo principio inverte e soprattutto mina alle
fondamenta il presupposto (quasi sempre implicito, e considerato troppo ovvio
per necessitare una dimostrazione) dell'umanesimo occidentale, cio il rapporto
soggetto-oggetto. Questo rapporto, come
noto, viene generalmente concepito in due varianti: quella idealistica,
per la quale il soggetto produce l'oggetto, in condizioni particolari; quella
realistico-materialistica, per la quale il soggetto riflette l'oggetto, in
condizioni particolari. Le due varianti sono certo basate su differenze molto
importanti, e la discussione di queste differenze ha prodotto una letteratura
filosofica vastissima e spesso di grande valore: il razionalismo (che si basa
sulla riflessione dialogica di secondo grado fondata sulla distinzione fra
soggetto ed oggetto) ed il misticismo (che si basa sulla intuizione muta di
primo grado fondata sulla indistinzione fra soggetto ed oggetto) fanno entrambi
parte di questa costellazione, in quanto varianti antitetico-polari
dell'isolamento metodologico delle categorie autonomizzate di soggetto e di
oggetto (19). Invertire questo approccio
molto difficile, in quanto quest'ultimo ha alle spalle la forza
d'inerzia del linguaggio (ed infatti Heidegger ha giustamente sottoposto il
linguaggio a torsioni inaudite, erroneamente scambiate per "gergo della
autenticit" e tentativo di stupire il lettore, o meglio
l'ascoltatore): difficile 124 "far
parlare l'impersonale", in quanto
pur sempre un soggetto particolare che tenta di usare il linguaggio
consueto per piegarlo in una direzione contraria, la "voce
dell'Essere" (20). Per pi di quarant'anni Martin Heidegger ha cercato di
pensare una cosa sola, un apparente paradosso che va contro le collaudate
certezze apparenti del senso comune: quanto pi si pensa la realt sociale sotto
il dominio della categoria di soggetto (o peggio, di attivit di un soggetto),
tanto pi allora l'oggetto che necessariamente gli si contrappone appare
dominato da una sempre maggiore immodificabilit. Vi sono, certo, evidenti
similitudini con il pensiero orientale, indiano e soprattutto cinese: anche nel
taocismo cinese classico l'attivit
pensata sotto il segno della totale incapacit a modificare. Queste
similitudini portano per fuori strada. Il pensiero heideggeriano un pensiero radicalmente occidentale, e non
ha nulla a che vedere con le "acclimatazioni" affrettate di filosofie
"orientali", nate in contesti storici molto differenti. Heidegger ha
cominciato molto presto a cercare di dar voce alla impersonalit ontologicamente
promanante dal mondo moderno, e non vi
in proposito che da leggere Essere e Tempo (21). L'impostazione
heideggeriana del problema dell'Essere esclude pregiudizialmente la
"descrizione" di questo Essere come qualcosa che "ci stia
davanti".Occorre passare attraverso una sorta di analitica esistenziale,
che parta dall'essere-nel-mondo come unico spazio (teorico e pratico) in cui pu
avvenire la dialettica fra impersonalit strutturale e personalizzazione
esistenziale dell'esperienza di questa impersonalit. Occorre notare subito che
non si davanti ad un "manuale di
esistenzialismo autentico", ma ad una semplice "mossa
filosofica" per entrare in rapporto con l'Essere (il quale non si d
comunque se non nella forma specifica dell'Esserci, cos come - per fare
un'analogia geymonattiana - la verit assoluta non si d se non nella forma della
verit relativa). E' interessante osservare che le tre determinazioni essenziali
dell'impersonalit necessariamente inautentica del mondo analizzate da Heidegger
(la chiacchiera - Gerede -, la curiosit - Neugier -, l'equivoco- Zweideutigkeit
-) non sono affatto meri "esistenziali" astorici e fuori dallo
spazio-tempo, e non sono neppure caratteristiche psicologiche della frenetica
vita berlinese e pi in generale metropolitana viste da un campagnolo radicato
nel suo villaggio, ma rappresentano caratteristiche ontologico-sociali del
decadimento della "sfera pubblica borghese" nel XX secolo (22). In
Essere e Tempo la critica all'inautenticit impersonale del mondo moderno ancora fatta sotto una forma linguistica che
L25 "promette" illusoriamente l'apertura di spazi di autenticit"
(l'assumere su di s il proprio destino, il vivere-per-la-morte, il superamento
della coscienza volgare" con la decisione anticipatrice). Non dunque casuale che si sia potuto costruire,
proprio sulla base di Essere e Tempo, un'incredibile filosofia della
"possibilit" esistenziale del superamento, almeno parziale, della
vita inautentica del mondo moderno. Heidegger prende invece un'altra strada.
Dopo Essere e Tempo radicalizza ulteriormente l'analisi ontologico-sociale
dell'impersonalit strutturale del mondo moderno. In questo periodo si colloca
il suo interessante dissidio con Ernst Junger, che tuttora di straordinario significato
filosofico: entrambi assumono la Tecnica moderna come "destino"
dell'uomo contemporaneo, ma soltanto Junger ritiene che si possa andare
"oltre la linea" stabilita da essa per mezzo di una decisione
esistenzialmente rischiosa e di una serie di esperienze fisico-psichiche
personali. Si pu dire che Junger abbia veramente esistenzializzato Essere e
Tempo nel modo pi coerente ed anche pi suggestivo: la solidariet
antitetico-polare fra un massimo di personalizzazione esistenzialistica
dell'esperienza ed un massimo di accettazione fatalistico-destinale
dell'involucro "tecnico" del mondo moderno in Junger massima (ed questo, forse, il motivo pi profondo
dell'attuale revival jungeriano, che coincide con il massimo di rifiuto per una
prospettiva di tipo ontologico-sociale) (23). Heidegger sa invece che
"oltre la linea" non si pu andare, enfatizzando il primato della
volont-della-volont come sostituto delle vecchie metafisiche onto-teo-logiche
ormai tramontate. E' questo, non a caso, il periodo del suo studio di
Nietzsche, considerato idealtipicamente e paradigmaticamente come l'esito
inevitabile ed il coronamento del tentativo di andare "oltre la
linea" con la mera decisione anticipatrice dell'impegno personale (24).
Nella Lettera sull'umanesimo il rifiuto del trascendimento soggettivistico del
destino storico _in nome della decisione anticipatrice (nutrita quasi sempre di
uno sciagurato pathos dell'autenticit) assume finalmente una forma espressiva
di cristallina chiarezza. Vi sono, certo, delle "esperienze" alle
spalie della Lettera sull'umanesimo: la guerra mondiale, che aveva travolto la
Germania insieme con il regime hitleriano, ed i prodromi della guerra fredda
fra Usa ed Urss, viste sempre da Heidegger come portatrici di una cultura
storico-politica intimamente solidale (l'americanismo ed il comunismo come
varianti dell'inveramento tecnico della metafisica) (25). 126 Heidegger si
avvicina al marxismo con un movimento di pensiero che sembra avere due tempi.
In primo luogo, secondo Heidegger "Marx, in quanto esperisce
l'alienazione, raggiunge una dimensione essenziale della storia: perci che la concezione marxista della storia
si pone al di sopra di ogni altro "storiografismo" (Historie)".
Si tratta di un "riconoscimento" fatto da Heidegger a Marx che non ha
nulla a che vedere con il pallido giovane-marxismo (che contrappone
un'interpretazione umanistico-esistenzialistica della alienazione, attribuita
al giovane Marx, al Marx del Capitale), in quanto concede al pensiero di Marx
di essere stato un pensiero ontologico, che verte sull'Essere nella sua
dimensione storica. In secondo luogo, Heidegger sostiene che " necessario
che ci si liberi dalle ingenue rappresentazioni relative al materialismo e
dalle critiche superficiali che dovrebbero colpirlo. L'essenza del materialismo
non sta nell'affermazione che tutto pura
materi, ma piuttosto in una determinazione metafisica, secondo cui tutto
l'essente appare come materiale del lavoro. L'essenza moderna e metafisica del
lavoro anticipata nella Fenomenologia
dello Spirito di Hegel come il processo auto-organizzantesi della produzione
incondizionata, cio come l'oggettivazione del reale da parte dell'uomo inteso
come soggettivit". Il materialismo del lavoro, secondo Heidegger, tipico sia del nazionalismo che
dell'internazionalismo: "Ogni nazionalismo
metafisicamente antropologismo e come tale soggettivismo. Esso non superato mediante il semplice
internazionalismo; anzi mediante questo si estende e si eleva a sistema. Il nazionalismo
non viene in tale modo innalzato e superato nell'humanitas, cos come
l'individualismo non superato mediante
un collettivismo privo di storia. Il collettivismo la soggettivit dell'uomo posta a livello
della totalit. Esso porta a compimento la sua incondizionata autoaffermazione.
Questa non si lascia eliminare; non solo: un pensiero che ne media solo un
aspetto non neanche in grado di
esperirla in modo sufficiente. Dappertutto l'uomo, esiliato dalla verit
dell'Essere, gira su se stesso come animal rationale". Qui Heidegger (il
quale, del tutto en passant, coglie due aspetti essenziali dello stalinismo
storico, il suo nazionalismo grande-russo travestito da internazionalismo e la
sua enfasi sul lavoro stachanovizzato e di potenza "illimitata")
coglie acutamente, meglio di centinaia di inutili tomi sul marxismo teorico
apologeticamente ricostruito, come "il processo auto-organizzantesi della
produzione incondizionata, cio l'oggettivazione del reale da parte dell'uomo
inteso come soggettivit" sia la struttura portante del materialismo
storico (concepito in senso grande-narrativo) e del materialismo 127 dialettico
(concepito in senso deterministico-naturalistico, ove la natura sia
antropomorfizzata e pertanto dotata di un teleologismo dialetticamente
espressivo). Inoltre, Heidegger non pensa neppure che. tutto questo sia stato
un "errore d'interpretazione", correggibile mediante l'affinamento
della critica testuale e della marxologia filologica, ma colloca l'intera
nozione soggettivistica di materialismo in una serie storica geneticamente
indagata (in linguaggio marxista, la falsa coscienza innanzitutto coscienza necessariamente falsa).
L'acuta valutazione heideggeriana del marxismo novecentesco contenuta nella
Lettera sull'Umanesimo integrata dalla
analisi metaforizzata del capitalismo occidentale contemporaneo contenuta nel
testo L'Epoca dell'immagine del mondo. Le cinque manifestazioni essenziali del
mondo moderno (il mondo della metafisica) indicate da Heidegger sono tutte
determinazioni ontologiche dell'Esserci capitalistico contemporaneo: la scienza
matematica della natura, che si pensa soggettivisticamente come
"precedente" e come fondativa del mondo moderno, e che in realt seconda; la tecnica meccanica, che
viene pensata come "derivata" dalla scienza matematica della natura,
e che in realt la precede sul piano logico e storico; la riconduzione dell'arte
nell'orizzonte dell'estetica, riflessione dell'arte su se stessa e quindi sua
estinzione; la trasformazione della cultura in politica culturale; la
sdivinizzazione che, in quanto stato di indecisione rispetto a Dio ed agli Dei,
ha riempito ci che aveva prima svuotato con la ricerca storiografica e
psicologica sul mito. Anche qui, solo uno sciocco pu parlare di "critica
romantica della scienza": la specificit, storicamente determinata, del
capitalismo contemporaneo fotografata con
una tale vivezza di colori da far risultare "sfuocate" le tanto
apprezzate fotografie weberiane (26). Apparentemente, Heidegger non parla di ci
di cui i marxisti vorrebbero parlare. Tuttavia, proprio dove, Heidegger sembra
a prima vista pi lontano dall'approccio ontologico-sociale di Lukcs (l'uno, che
mette in guardia dalle illusioni di padroneggiare gli esiti dei progetti
finalisticamente orientati al "dominio" su qualcosa; l'altro, che
limita .ferreamente alla "forma" dell'agire lavorativo,
teleologicamente orientato, la propriet di raggiungere uno scopo) mette in
guardia in realt contro la stessa cosa: l'illusione soggettivistica,
ontologicamente s-fondata, e perci pretestuosamente autofondativa, di uscire
dalla durezza della costituzione. materiale del modo di produzione capitalistico,
segretamente impersonale e perci del tutto impermeabile ad una serie di
"decisioni soggettive". Oggi sappiamo che la problematica 128 della
sostituzione della propriet giuridica pubblica alla propriet giuridica privata
dei mezzi di produzione, e la problematica della sostituzione del piano al
mercato (per vincere la cosiddetta "anarchia della produzione
capitalistica") ha continuato a far girare su se stesso l'uomo come animal
rationale. (27). Resta il fatto che, se la diagnosi antisoggettivistica comune ad Heidegger ed ai marxisti orientati
in senso ontologico-sociale (come lo scrivente), diverse sono le prospettive di
prognosi: in Heidegger (che lo disse anche esplicitamente), solo un Dio pu
ancora salvarci (in altre parole, un intervento, per ora imprevedibile, esterno
al continuum storico che rappresenta se stesso con una immagine del mondo
umanistico-scientifica); in Lukcs, il ritorno ad una concezione
ontologico-sociale del processo storico
dichiarata possibile e praticabile senza alcun intervento divino, ma per
opera degli individui associati, ove per questi individui sappiano costituirsi
in particolarit" di tipo nuovo, recidendo il cordone ombelicale con la
pura singolarit seriale. Il problema, qui, non
certo quello di fare scommesse ottimistiche o dichiarazioni
sapienzialmente pessimistiche (si tratterebbe comunque di "opinioni"
ontologicamente poco fondate). E' invece utile chiederci in che modo Heidegger
giunge al disincanto della frase terribile: "solo un Dio pu ancora
salvarci". Egli vi giunge dopo aver attivato un dispositivo ferreamente
teleologico di lettura dell'esperienza occidentale, che pu essere interessante
ripercorrere brevemente (28). 5. L'analisi heideggeriana del passato: un
dispositivo teleologico _ In Heidegger, la storia precipita destinalmente nel
tempo presente, dopo aver percorso una serie di tappe, tutte ricostruibili alla
luce del presente tramonto dell'Occidente. E' gi stato rilevato (e non certo difficile accorgersene) che Heidegger,
in un certo senso, rovescia il percorso della Fenomenologia dello spirito di
Hegel. 1In Hegel lo Spirito, anch'esso superpersonale e sempre ontologicamente
organizzato, percorreva una serie di tappe concepite come un fondamentale
"accrescimento dell'esperienza storica": il processo era ferreamente
imputato alla sostanza concepita come soggetto, ed in questo modo la titolarit
dell'esperienza era garantita. Heidegger rovescia l'imputazione soggettiva
dell'accrescimento dell'esperienza in perdita progressiva dell'Essere causata
dall'ipertrofia del soggetto stesso. A parere dello scrivente dopo tante
chiacchiere sul "rovesciamento" di Hegel da parte di Marx, il primo,
autentico, "rovesciatore" di Hegel
stato 129 Heidegger, e soltanto Heidegger. Si tratta, inoltre, di un
rovesciamento integralmente materialistico di Hegel, in quanto si prende
materialisticamente atto di centocinquant'anni di storia post-hegeliana. In
Heidegger la "differenza ontologica" gioca lo stesso ruolo
conoscitivo che in Hegel giocava la "determinazione riflessiva", ed
il fatto che la prima si pensi come determinazione non dialettica non riveste
una grande importanza. In generale,
possibile dire che l'insistenza sulla contrapposizione polare fra
dialettica e differenza un artificio
gnoseologico stupidamente post-moderno, in quanto da Hegel a Heidegger lo
"scivolamento" progressivo della determinazione dialettica in
determinazione differenziale rivela piuttosto, nel rarefatto mondo della
terminologia filosofica, l'aumento della "durezza" impersonale (ed
imperforabile all'attivit) della riproduzione dei rapporti sociali
capitalistici (29). Heidegger, come
noto, un acuto commentatore dei
presocratici. Egli si tiene lontano sia dal marxismo razionalistico applicato
all'antichit (si pensi a Farrington), sia dal sapienzialismo di derivazione
nicciana (evidente anche in acutissimi interpreti come Colli), sia, infine, dal
materialismo genetico-dialettico (si pensi a Thomson ed a Sohn-Rethel). E'
sufficiente, per Heidegger, che risulti chiara, nei presocratici, l'assenza di
una vera dicotomia articolata sulla distinzione fra soggetto ed oggetto, radice
del destino metafisico dell'Essere (30). Anche l'analisi heideggeriana di
Platone e di Aristotele estremamente
radicale, nella sua semplicit. Non vi in
lui quasi traccia di analisi di sociologia storica (o di antropologia storica,
luogo in cui il multiversum del possibile decorso temporale potrebbe meglio
apparire). Platone compie l'atto originario, geneticamente fondativo (e
sappiamo che l dove c' l'origine, l c' anche la fine, l dove c' Platone, c' gi,
fin da subito anche Nietzsche): la conversione della aletheia in orthotes,
della verit come modalit di apparizione e di disvelamento dell'Essere in verit
come modalit di rappresentazione "giusta" di un soggetto. Da questo
punto, il destino inesorabile dell'Occidente
gi integralmente predeterminato: da Aristotele a Cartesio, da Kant a
Nietzsche, il tempo del destino, originario quanto fatale, segna
l'approfondimento del. dominio impersonalmente metafisico sul mondo. Non
possiamo qui. soffermarci sulla (spesso acutissima) interpretazione
heideggeriana dei vari autori (anche qui, un esame comparativo con le hegeliane
Lezioni sulla Storia della Filosofia sarebbe utilissimo; ogni autore,
apparentemente ultrapersonalizzato, in
realt inserito in un continuum temporalmente omogeneizzato funzionale alla tesi
predeterminata in anticipo dall'autore) (31). 130 Si tratta, dunque, di un
dispositivo integralmente teleologico: il passato ricostruito come visibilit filmica della
precipitazione di un grave in un punto, in un tempo integralmente
spazializzato. La trattazione heideggeriana del presente, come unit di
alienazione compiuta e di impossibile trascendimento (solo un Dio pu ancora
salvarci), legittimata (secondo i pi
vieti canoni storicistici) da una lettura unilineare del tempo storico, che
trascura ogni possibile "uscita laterale" e, pi in generale, ogni
possibile "padroneggiamento della prassi". Meglio questo, certo,
della pappa umanistica e storicistica delle "magnifiche sorti e
progressive". Tuttavia, non si in
presenza di un'alternativa teorica di nessun genere. 6. Weber, Heidegger, Marx:
un confronto produttivo ancora tutto da compiere Se non esiste una vera
alternativa teorica convincente alla (pur grandemente difettosa) filosofia del
materialismo storico, non esiste tuttavia neppure una possibilit immediata, da
parte di quest'ultima, di giungere ad una praticabile sintesi di conoscenza del
mondo e di trasformabilit di quest'ultimo. Un confronto produttivo fra Weber,
Heidegger e Marx sarebbe certo utilissimo, ma esso stenta a decollare. Non si
tratta solo del fatto, gi ampiamente documentato nelle pagine precedenti e certo rilevante,
che i tre autori vengono analizzati e discussi sempre separatamente, da
weberologi, heideggerologi e marxologi. Si tratta di una ambiguit strutturale
del mondo "moderno" (cui, tra l'altro, il cosiddetto post-moderno
filosofico tenta di dare una soluzione) (32). Il "moderno" non infatti un "archetipo",
staticamente fisso, dotato di caratteristiche univocamente descrivibili,
ma un "processo" dinamico, che
incorpora una serie di slittamenti (non solo teorici, ma integralmente
teorico-pratici), che potremo definire, in primo approccio e con molta
approssimazione, uno slittamento problematico e complesso dalla ragione alla
razionalit alla razionalizzazione. Non vi
qui nulla di fatalistico, e non si tratta dell'esito inevitabile della
scelta di Ulisse di ascoltare il canto delle Sirene o di Platone di trattare
l'essere come se fosse un ente. Si tratta di qualcosa di specifico e di determinato,
che attiene integralmente al movimento profondo dello sviluppo del modo di
produzione capitalistico. I grandi pensatori che furono attivi durante quello
che potremo definire il "periodo classico del moderno" (da Kant a
Hegel a Smith) cercarono tutti di rintracciare la ragione nella storia: vi fu
131 chi identific semplicemente la ragione con il progresso dei commerci e
dell'industria inteso come supporto sostanziale dell'incivilimento dei costumi
sociali (Smith); chi rifiut di identificare la ragione direttamente con il
corso storico, ma la correl con esso come idea regolativa dei comportamenti
umani (Kant); chi infine non si accontent di questa correlazione
"debole" (che separava ancora in modo troppo illuministico il reale
concreto e l'ideale astratto), ma volle in modo pi "forte" pensare
insieme la ragione ed il decorso storico stesso (Hegel). In. tutti tre i casi,
per, il "moderno" era il luogo della ragione, anche se per alcuni,
refrattari alla dialettica, esso nasceva dal medicevo per sottrazione di
superstizioni ed addizione di conoscenze, mentre per altri, dialettici, esso
sviluppava, negando e conservando, elementi gi presenti nel decorso storico
passato. Gli stessi negatori della ragione dovettero (come Schopenhauer)
collocarsi su questo terreno "moderno", se non altro per rifiutarlo
integralmente come "illusione". Con l'avvento del positivismo e la
generalizzazione dell'industrializzazione, durante l'"et della
borghesia", la ragione assunse sempre pi il carattere limitativo della
razionalit. Si tratt di un'apparente ritorno alla razionalit illuministica, che
si poneva per sul terreno della integrale autonomizzazione disciplinare delle
scienze naturali e sociali. Queste scienze assumevano da un lato specifici
"stili di razionalit", mentre dall'altro erano costrette a rinunciare
ad un'unificazione filosofica basata su di un concetto sostantivo di ragione.
La "visione del mondo" positivistica (con il connesso
"romanticismo della scienza") non pu essere scambiata in alcun modo
per qualcosa di analogo alla precedente costellazione classico-moderna (tipica
di Kant, Smith e Hegel), in quanto essa si limitava ad enfatizzare
apologeticamente la somma dei "risultati" raggiunti dalle varie
scienze particolari (le enciclopedie positivistiche non sono dunque qualcosa di
omogeneo. alla Enciclopedia hegeliana). La razionalit positivistica non neppure la "conseguenza" applicata
della ratio calcolistico-quantitativa che si fa risalire a Cartesio, in quanto
essa vive esclusivamente nelle pratiche pluralistiche degli "stili di
razionalit" delle singole scienze, che non sono per (come opinano i
gnoseologi) mere condizioni epistemologiche di auto-riflessione delle scienze
stesse, ma incorporano direttamente (come giustamente nota Heidegger) una
particolare messa-a-disposizione del mondo stesso (33). Lo scivolamento degli
stili di razionalit in pratiche di razionalizzazione dunque (per usare ancora un termine
heideggeriano) "fatale". Il capitalismo, autolegittimatosi all'inizio
132 come ragione, costituitosi in modo articolato attraverso stili di
razionalit, si riproduce attraverso procedimenti di razionalizzazione. Si
tratta, ancora una volta, di un processo unitario, che deve essere pensato in
modo rigorosamente monistico. In Marx esistono tutti i presupposti per pensare
il "moderno" come un processo unitario incorporante ragione,
razionalit e razionalizzazione. Max Weber, invece, disarticola la
"ragione" in una pluralit neo-kantianamente irrelata di politeismo
dei valori, la "razionalit" in un rapporto mezzi-fini ed infine la
"razionalizzazione" in un destino storico ineluttabile. Martin
Heidegger, pi monisticamente, ontologizza la ragione "metafisica"
come compimento storico-destinale della temporalit occidentale, ed unifica cos
anche la razionalit e la razionalizzazione come le due faccie inseparabili,
teorica e pratica, dell'integrale 'messa-a-disposizione impersonale del mondo
ridotto ad im-posizione anonima (Ge-stell). Nello stato catastrofico,
grande-narrativo e deterministico-naturalistico, in cu i marxismi storicamente
costituiti hanno ridotto il materialismo storicc e la critica dell'economia
politica, il pensiero di Marx appare francamente, a prima vista, inferiore a
quello di Weber o di Heidegger. Ovvia mente, il termine "inferiore"
deve essere inteso come "pensiero assai meno in grado di comprendere e di
trasformare il mondo". Il mondo, infatti, non si comprende per nulla
applicandogli un dispositivo teleologico (in avanti o in indietro), e non si
trasforma affatto imputando il processo di trasformazione ad un soggetto
sradicato e svincolato da ogni presupposto ontologico-sociale. Come si detto nella seconda parte di questo scritto,
il ritorno a Marx possibile per noi
soltanto attraversando a ritroso (ripetendo, per civettare con il linguaggio
heideggeriano) i marxismi storicamente costituiti. Nel caso concreto dei
"marxisti italiani" di questi anni, ripetendo senza stancarsi la
formazione ideologica storicistico-togliattiana e quella operaistica. Non
torneremo su questo punto, gi ampiamente argomentato. Apriremo invece il
problema dei "grandi pensatori" contemporanei, i quali hanno cercato
di affrontare sul terreno del materialismo storico (almeno come volont
soggettiva di adesione e di appartenenza, che
anche il caso dello scrivente) il compito della riforma radicale della
forma filosofica del discorso marxista. Ve ne sono molti, anche e soprattutto
poco noti. Le mode filosofiche di oggi non si interessano a loro, oppure, se lo
fanno, li piegano in direzioni che nulla hanno a che fare con le loro
intenzioni teoriche di fondo, oppure ne enfatizzano aspetti del tutto secondari
mutando del 133 tutto il contesto rilevante delle loro affermazioni.
Discuteremo brevemente alcune soluzioni teoriche date da Ernst Bloch e Gyorgy
Lukcs ai problemi che abbiamo aperto. Esse non sono certo definitive, e non
possono quasi mai essere divelte dal contesto storico congiunturale in cui
vennero pensate. La valorizzazione del multiversum temporale blochiano e del
carattere ontologico-sociale della lucacciana categoria di lavoro deve essere
intesa come un primo passo, necessariamente ancora insufficiente, in una
direzione che si lasci alle spalle gli esiti bloccati dei marxismi
contemporanei ed il loro disincantato rovescio antitetico-polare, il crudo
destinalismo di Martin Heidegger (34). 134 NOTE 1. Per una introduzione ai
testi dei nouveaux philosophes si veda Mura-Pieretti-Galeazzi, I Nuovi
Filosofi, Citt Nuova, 1978. E' difficile, comunque, prendere filosoficamente
sul serio chi mette insieme Fichte, Marx e Nietzsche in un gruppo di
"maestri pensatori" del dominio dispotico sulle plebi in nome di un
"popolo" sublimato in statualit senza legge. Per comprendere il
fenomeno (effimero ma significativo) dei nouveaux philosophes occorre tenere
soprattutto in conto due fattori: in | primo luogo, si tratt di un fenomeno
vezzeggiato, accompagnato, sponsorizzato dai mass-media, come mai era accaduto
prima (furono infatti i media capitalistici, fra il 1976 ed il 1978, a
determinare la forma in cui si discusse pubblicamente della cosiddetta "crisi
del marxismo", predeterminandone in parte gli esiti teorico-pratici): in
secondo luogo, come not a suo tempo Goran Therborn (cfr. Problemi del
socialismo, 21, 1981), la "crisi del marxismo" di cui si parl a
cavallo fra gli anni 70 e gli anni '80 fu un fenomeno geograficamente e
storicamente sud-europeo, particolarmente francese ed italiano (dovuto dunque
al modo specifico in cui avvenne il "riflusso" di una precedente
politicizzazione "marxista" di consistenti strati di intellettuali e
giovani). Altra cosa, ovviamente, il
fenomeno storico-mondiale della crisi oggettiva della forma
terzinternazionalistica del marxismo nell'attuale periodo storico. 2. Lo
scrivente rimanda qui al suo saggio pubblicato in Aa.Vv. Il marxismo in 3. mare
aperto, Angeli, 1983. Non si vuole certo qui disprezzare come irrilevante il
complesso di problemi che ruota intorno al tema della
"falsificabilit" (per un'introduzione a questa problematica si veda
la convincente voce di S. Amsterdamski, Verificabilit/Falsificabilit, in Enciclopedia,
Einaudi, 1981). Si vogliono invece riaffermare con forza due punti chiave. In
primo luogo, se si concepisce il materialismo storico come una grande
narrazione edificante, umanistico-sintetica e/o naturalistico-teleologica, esso effettivamente inverificabile ed
infalsificabile: i popperiani avrebbero su questo punto ragione, se non si
costruissero sistematicamente un fantoccio polemico inesistente contro il quale
duellare e vincere facilmente. In secondo luogo, il materialismo storico ha
effettivamente bisogno di una propria epistemologia (che non , dunque, un
"lusso"), ma quest'ultima deve essere omogenea e coerente con
l'oggetto stesso di cui si occupa, e non pu essere dunque che un'epistemologia
integralmente storica: in proposito riteniamo che la via tracciata da Bachelard
sia quella corretta, mentre quella tracciata da Popper non lo sia. ; Si veda
Max Horkheimer, Gli inizi della filosofia borghese della storia, Einaudi, 1978.
Vi per una differenza radicale fra
l'antropologia filosofica "pessimistica" dei pensatori classici
(Machiavelli, Hobbes, eccetera) e l'odierno pessimismo
antropologico-filosofico. Il primo era un pessimismo centrato sui comportamenti
attivi di un essere umano lasciato alle sue pulsioni in una sorta di
"stato di natura" (e si rispondeva a questa malvagit umana con la
doppia strategia, parzialmente contraddittoria, di rafforzamento del Leviatano
statuale titolare del monopolio della forza militare, da un lato, e della
trasformazione delle 135 pericolose ed imprevedibili passioni in innocui e
prevedibili interessi economici, dall'altro), mentre il secondo un pessimismo passivo (il mondo non si
ritiene pi qualitativamente trasformabile, ma appare al soggetto contemplante
sotto la forma della immodificabilit strutturale e permanente). Non chi non veda la differenza fra i due diversi
"stadi storici" di questo pessimismo filosofico borghese. 4. In linea
generale, occorre tenersi lontani dalla facile tendenza a scaricare sul
meccanicismo cartesiano tutti i mali naturali e sociali degli ultimi tre secoli
(come ad esempio fa il fisico americano Fritjof Capra, autore di libri,
interessanti ma sbagliati, come Il Tao delia Fisica, Adelphi, 1982, ed il
recentissimo The turning point). Pi precisamente, occorre congedarsi dalla
visione filosofica del mondo, segretamente storicistica, che vede il Moderno,
dal diciassettesimo secolo in poi, affermarsi nella forma unilineare della
secolarizzazione (cio nella derivazione analitica, per sottrazione, di aspetti
della sua preistoria teologica e religiosa). In questo modo si finisce con il
presupporre una fantomatica Origine Medioevale Semplice, gonfia di illusioni -
religiose e di aspettative escatologiche, da cui il moderno sarebbe nato per
sottrazione, togliendo mano a mano da questa torta originaria tutte le fette
che l'analisi chimica aveva dichiarato immangiabili. Il filosofo tedesco Hans
Blumenberg (polemico soprattutto con K. Lowith e C. Schmitt, ma si potrebbero
anche aggiungere Weber e lo stesso Heidegger)
forse oggi il maggiore critico delle interpretazioni storicistiche del
moderno come sottrazione secolarizzante (che , non dobbiamo dimenticarcelo, la
stessa cosa, apparentemente rovesciata, e dunque a somma zero, della addizione
progressistica - il tempo viene concepito in entrambi i casi come entit
omogenea e sostanzialistica che toglie illusioni, da un lato, ed aggiunge
conoscenze, dall'altro). 5. L'autore pi. interessante, se si vuole studiare
"sul campo" il problema della conciliabilit o meno fra materialismo
storico e procedure idealtipicizzanti maxweberiane, certamente Kari Polanyi. 6. Il paragone che
si vuole qui suggerire non dunque
quello, assolutamente consunto, fra Weber e Marx (Weber sarebbe il "Marx
della Borghesia" - e, allora, perch non Pareto? Keynes? Popper?), ma
quello fra Locke e Weber. Pensatore epocale, ed organico ad una classe, colui che riesce a "sistematizzare"
ad alto livello filosofico delle "apparenze necessarie" prodotte
dalla realt sociale in cui vive. Locke sistematizza la metodologia empiristica,
il rifiuto del concetto di sostanza e delle idee innate, la mente come tabula.
rasa (da riempire integralmente, dunque, in modo "borghese"), il
nesso fra stato di natura, contratto sociale e legittimit della propriet
privata, eccetera (e si vedano gli studi di Crawford B. Macpherson sul
possessive individualism). Weber sistematizza la distinzione fra opzione di
valore filosofica, politeisticamente infondata, scienze sociali e scienze della
natura, la concezione della modernit come sottrazione (di illusioni) ed addizione
(di conoscenze) dal medioevo, il disincanto e lo scetticismo sulle pretese
"pratiche" del marxismo, eccetera. 7. Si vedano gli studi weberiani
di Maria Turchetto in Metamorfosi, 6, Angeli, 1982, ed in Metamorfosi, 8, 1983.
Lo studio parallelo di Marx, Heidegger e Weber (assolutamente insolito in
Italia) permette alla Turchetto alcune 136 "scoperte", apparentemente
ovvie, ma ricche di significato teorico (ed anche politico). Queste
"scoperte" non possono strutturalmente essere fatte dagli studiosi
(storicisti) del solo Marx, dagli studiosi (neorazionalisti e positivisti) del
solo Weber, e dagli studiosi (nichilisti) del solo Heidegger. E' evidente che
un simile "programma di ricerca" pu considerarsi appena iniziato. 8.
Non casuale, infatti, che gli ammiratori
italiani di Weber siano i pi acerrimi nemici dell'insegnamento della filosofia
nelle scuole secondarie superiori italiane, ed ambiscano sostituirla
integralmente con un pool di "scienze sociali" tenute insieme,
appunto, dalla metodologia weberiana. Questo atteggiamento, ad un tempo
piattamente positivistico e profondamente nichilistico, assolutamente conseguente con il dogmatismo
"weberista". x 9. Se la sommaria ricostruzione di Weber fatte in
queste righe anche solo 10. 11.
parzialmente plausibile, ogni tentativo di "piegare" in senso
socialista l'apparato categoriale di Max Weber appare poco convincente. Nella
sua ultima opera (cfr. Theorie des Kommunikativen Hendelns, Suhrkamp, 1981, in
particolare vol.I, cap. II) Jurgen Habermas, che non aveva .mai condiviso la
stroncatura marcusiana e lucacciana di Weber, si ricollega esplicitamente alla
distinzione weberiana di "razionalit formale" e di "razionalit
materiale", e prende le mosse dall'irreversibilit di questa differenza di
sistemi di agire nelle societ moderne. Habermas (il quale, ricollegandosi alla
hegeliana Filosofia dello Spirito di Jena, che concepisce lavoro ed interazione
come differenti modalit nel processo di formazione dello Spirito Oggettivo,
aveva gi precedentemente weberizzato Hegel) intende certo soggettivamente
vedere garantita una prospettiva di razionalizzazione evoluzionistica e non
contingente delle norme dell'agire umano (di modo che la prospettiva di una
societ socialista, eticamente "conciliata" non riposi sui fondamenti
decisionistici di irrazionali decisioni di valore, ovvero soffochi nel carcere
di un modello tecnocratico di socialismo). Non si vede per come questo nobile
obbiettivo possa essere raggiunto mantenendo intatto l'apparato categoriale con
il quale la societ borghese pensa se stessa (la sistematizzazione maxweberiana
del senso comune, appunto). Si tratta; a parere dello scrivente, di un
"equivalente filosofico" dei tentativi economici di fondare il
socialismo. su basi sraffiane e neo-ricardiane. Lo scrivente rimanda qui alla
sua comunicazione dal titolo Una tragedia: moderna: Martin Heidegger nel 1933,
tenuta in un convegno internazionale di studi su Fascismo oggi. Nuova destra e
cultura reazionaria negli anni 80 ( Cuneo, novembre 1982 ). Per . . i . " un'interpretazione che schiaccia
eccessivamente Heidegger sul nazionalsocialismo si veda, ovviamente, la
Distruzione della Ragione di Lukcs. Materiali (di notevole livello) per
un'interpretazione di Heidegger all'interno della cosiddetta "rivoluzione
conservatrice" si hanno in Lectures de Heidegger, numro 37, printemps
1982, della rivista francese della "nuova destra" Nouvelle Ecole
(saggi di Guillaume Faye e Patrick Rizzi, Patrick Simon e Robert Steuckers). Si
veda J. Habermas, Moderno, Post-moderno, Neo-conservatorismo, in Alfabeta, 22,
1981. Secondo la diagnosi di Habermas, la fuga dall'impegno 12. 13. 137 a
capire alla radice le contraddizioni che emergono nel mondo moderno si
manifesta nella autocoscienza di cui si vuole postumo rispetto alla propria
epoca, al di l del tempo attuale, post-moderno. Questo darebbe luogo, inoltre,
a tre esiti sostanziali, differenziati ma convergenti: la posizione dei giovani
conservatori, teorici di una soggettivit decentrata, utopisticamente libera
dagli imperativi del lavoro e delia utilit, che d luogo ad una evasione
puramente estetica dal moderno; la posizione dei vecchi conservatori, portatori
di un romantico rimpianto verso la totalit espressiva originaria perduta e la
prerazionalit armonico-organicistica, non differenziata nei tre moderni ambiti
della scienza, dell'arte e della morale, che d luogo ad una istanza di
impossibile restaurazione delle posizioni pre-moderne; la posizione dei
neo-conservatori, teorici della neutralit delle scienze, sia naturali che
sociali, dell'autonomia del politico e del confinamento dell'arte in una
dimensione strettamente privata (non importa se fruita individualmente oppure
in spettacoli di massa), che da luogo ad una istanza di razionalizzazione pi
spinta, attuata arrogantemente senza pi alcuna coscienza infelice ed
autoriflessione filosofica. La classificazione proposta da Habermas sembra allo
scrivente geniale ed assolutamente condivisibile. Tuttavia (come gi detto nella
nota 9 del presente capitolo) appare poco realistico opporre una variante di sinistra
dell'apparato categoriale maxweberiano alle mistificazioni del cosiddetto
pensiero post-moderno: i cosiddetti "moderni ambiti differenziati",
cos come Habermas li cataloga, rappresentano un'interpretazione del moderno, e
non possono affatto darsi come "ovvi", come Habermas fa. Si veda in
proposito P. Chiodi, L'esistenzialismo di Heidegger, Taylor,1955, ed anche
L'ultimo Heidegger, Taylor, 1960. Lo scrivente ha conosciuto Pietro Chiodi
all'universit di Torino, e non pu che ricordarlo come maestro di filosofia, in
senso morale come teoretico. Il "secondo Heidegger" ovviamente
ripugnava a Chiodi, in quanto gli sembrava abbandonare la sicura via
"esistenzialistica" per l'"assunto romantico della messa in
questione dell'essere in quanto essere". Al razionalismo piemontese di
Chiodi il mettere insieme mondo della metafisica (e delle interrogazioni sul
"senso") e mondo della tecnica (e delle applicazioni pratiche della
razionalit formale differenziatasi in discipline scientificamente
controllabili) appariva veramente una follia ed un "decadimento del
pensiero". Vi sta qui forse (a parere delio scrivente assolutamente
nefasto) l'influsso su Chiodi di Nicola Abbagnano, un importantissimo pensatore
degli anni '50 e '60, che per lo
scrivente un vero e proprio exemplum negativum. Chi non conosce (starei per
dire, "a memoria") il Dizionario Filosofico di Nicola Abbagnano non
pu sapere concretamente che cosa voglia dire la solidariet antitetico-polare
fra esistenzialismo e neo-positivismo, la metafisica della possibilit
esistenziale di scelte alternative sulla base del rifiuto pi totale del
materialismo storico, indebitamente schiacciato sul peggiore hegelismo. Si veda
Gianni Vattimo, Al di l del soggetto: Nietzsche, Heidegger e l'ermeneutica,
Feltrinelli, 1981, e pi in generale gli studi che Vattimo ha dedicato al
"pensiero negativo". Come Abbagnano (negli anni '50) separava
meccanicamente e contrapponeva le categorie di possibilit e di necessit 138 14.
15. 16. 17. 18. 19. (scegliendo la prima contro la seconda, tipica dei
"marxisti" credenti nel necessitarismo storico), cos Vattimo (negli
anni 80) separa meccanicamente e contrappone la differenza e la dialettica
(scegliendo la prima contro la seconda, tipica dei soliti "marxisti"
che si ritiene continuino a credere nel necessitarismo storico). La
caratteristica principale di Vattimo (che ne fa un pensatore interessante) quella di "esistenzializzare" il
cosiddetto "secondo Heidegger" (mentre Chiodi riteneva che si potesse
soltanto esistenzializzare il primo), togliendo ogni carica ontologica reale
alla concezione heideggeriana di Essere, che resta come "sfondo" di
un mondo ormai privo di "fondamenti". Si tratta per di un
esistenzialismo integralmente contemplativo (mentre quello di Chiodi era attivo
e laicamente trasformatore), tipico della "caduta dei valori" dopo la
sbornia degli anni '70. Si veda l'interpretazione heideggeriana di Massimo
Cacciari, Pensiero negativo e razionalizzazione, Marsilio, 1977. In Italia vi
sono purtroppo quasi solo gli scritti di Francesco Ciafaloni e di Raffaele
Sbardella (usciti sulla quasi introvabile rivista Unit Proletaria) che
documentano la continuit teorica fra il gentilianesimo ed il cosiddetto
pensiero negativo (che in realt una
forma di ultrapositivismo e di accettazione del cosiddetto "dato").
Un serio conoscitore di Heidegger come Franco Volpi (cfr. Adorno e Heidegger:
soggettivit e catarsi, in Nuova Corrente, 81, 1980) mostra, ad esempio, un
atteggiamento "concordistico" nei confronti della problematica
adorniana e di quella heideggeriana. Allo scrivente le differenze sembrano
molto pi significative delle apparenti analogie. Ci riferiamo a tentativi
filosofici, interessanti, ma ancora insufficienti, d tentare un confronto
produttivo fra Heidegger e Marx. Dalla parte dell'"oggetto" si
individua in un confuso concetto di planetariet l'elemento comune dei due
pensatori (cfr. Kostas Axelos, Marx e Heidegger, Guida, Napoli, 1977). Dalla
parte del "soggetto" si cerca di correlare la perdita di quest'ultimo
(che evidentemente preesisteva in, forma "piena" in una temporalit
originaria) al crescere della astrazione reale della produzione capitalistica
(cfr. Daniele Goldoni, Il mito della trasparenza, Unicopli, Milano, 1982). Fra
i (molti) interpreti che non vedono la Kehre come una svolta tematica, ma come
una radicalizzazione (oltre allo stesso Heidegger, che sar pur sempre un
testimone attendibile), si veda Vincenzo Vitiello, Heidegger: il nulla e la
fondazione della storicit, Argalia, Urbino, 1976 (che vede l'esperienza del
Nulla come fatto storico-determinato, e non come "esistenziale"
sovratemporale, e d perci una lettura radicalmente antiesistenzialistica dello
stesso Essere e Tempo). Si veda Hans Kochler, Skepsis und Geselischaftskritik
im Denken Martin Heideggers, Verlag Anton Hain, 1978. In questo studio,
assolutamente fondamentale, si segnala come solo attraverso un salutare
"bagno" nel pensiero heideggeriano il marxismo contemporaneo potr
liberarsi da quei presupposti metafisici che ispirano una condotta volontaristica
dell'esperienza individuale e collettiva. Si tratta esattamente della posizione
dello scrivente. Ci si scusi la semplificazione, che non rende ovviamente
ragione alle 139 radici profonde del razionalismo e del misticismo. 20. Peruna
bibliografia utilissima allo studio dei problemi linguistici della filosofia
heideggeriana si veda Franco Volpi, Interpretare Heidegger. Rassegna di studi
sulla vita, l'opera e l'incidenza, in Fenomenologia e Societ, 15, 1981. 21.
Si qui utilizzata la traduzione di
Pietro Chiodi per Essere e Tempo e Sentieri Interrotti, di Andrea Bixio per la
Lettera sull'umanesimo e di Gianni Vattimo per La questione della Tecnica. Per
un'introduzione generale al pensiero di Heidegger si veda, per cominciare, la
monografia di Gianni Vattimo, Introduzione a Heidegger, Laterza, molto ricca
anche di bibliografia ragionata. 22. Si tratta di qualcosa di noto soprattutto
dopo la diffusione dll'opera di Jurgen Habermas, Storia e critica dell'opinione
pubblica, Laterza, 1974. Il decadimento comunicativo della sfera pubblica
borghese qualcosa di strutturale, che
appartiene costitutivamente alla sempre maggiore opacit dei meccarismi di
riproduzicne sociale capitalistica. Tutto questo anticipato da Heidegger. Quando egli parla di
"chiacchiera" (Gerede) come modalit normale della comunicazione
contemporanea non intende contrapporre i discorsi essenziali, seri e gravi,
delle contadine ai superficiali scambi di opinione degli impiegati
metropolitani (come opina Adorno, Terminologia filosofica, Einaudi, 1975, p.
147), ma intende connotare il carattere tirannico della comprensicne illusoria
veicolata dall'inesistente mediet" dell'atmosfera pubblica contemporanea.
Quando egli parla di "curiosit" (Neugier) allude alla fine della
"meraviglia" di fronte a vere novit, ed alla necessit di riempirsi
continuamente di qualcosa di "nuovo": ma la dispersione e
l'irrequietezza rendono appunto impossibile l'esperienza della reale
"novit". Quando egli parla di "equivoco" (Zweideutigkeit)
allude all'azione congiunta della chiacchiera e della curiosit, per cui tutto
si sa, di tutto si parla e si finisce in tal modo per non sapere precisamente
che cosa si sappia e che cosa no. Si tratta di caratteristiche strutturali del
moderno capitalismo, che vive sull'obsolescenza programmata, sulla dittatura
della pubblicit e sulla fluidit dell'opinione pubblica. 23. L'atteggiamento di
Junger ben diverso da quello di
Heidegger. Si veda, per fare un solo esempio, il romanzo Ludi Africani,
Longanesi, 1974, pp. 5-6: "...la noia penetrava in me come un veleno
mortale ogni giorno di pi. Mi sembrava assolutamente impossibile poter
"diventare" qualcosa: gi la parola mi ripugnava, e dei mille impieghi
che la civilt pu offrire, nemmeno uno mi sembrava adatto a me. Piuttosto mi
attiravano le attivit molto semplici, come quella del pescatore, del cacciatore
o del boscaiolo; per, de quando avevo sentito dire che i guardaboschi oggi sono
diventati quasi degli impiegati contabili, che lavorano pi cor la penna che cor
il fucile, e che i pesci si pescano con la barca a motore, anche questo mi era
venuto a noia... Di giorno in giorno si rafforzava la ripugnanza verso ogni
cosa utile...le regioni in cui era possibile agire sembravano irraggiungibili.
L m'immaginavo un'audace societ di uomini, il cui simbo!o era il fuoco, il cui
elemento era la fiamma...supponevo, con ragione, che fosse possibile incontrare
i figli naturali della vita soltanto voltando le spalle all'ordine
costituito...avevo in fondo ragione, in quanto 140 24, 25. 26. ZI. 28. 29.
ponevo l'insolito al di l della sfera sociale e morale che mi circondava... ero
attirato da una zona, nella quale si esprimeva, pura e senza scopo, la lotta
delie potenze naturali". Heidegger stesso (nella sua nota Intervista
politico-filosofica del 1966 allo Spiegel, si veda Metaphorein, 4, 1978)
dichiara esplicitamente che i suoi seminari su Nietzsche tenuti sotto il
nazismo furono da lui concepiti come una forma metaforizzata, cripticamente
esopica, di polemica contro l'interpretazione di Nietzsche come "filosofo
nazionale tedesco" favorita in tutti i modi dal regime. Su questo si pu
certo discutere a lungo. E' chiaro, tuttavia, che l'interpretazione
heideggeriana di Nietzsche non
utilizzabile per la "cultura di destra", non neppure -politicamente spendibile in funzione
"anticomunista", ed infine non
neanche una vera e propria forma di apologetica indiretta del
capitalismo (come afferma-ma su questo punto lo scrivente non lo segue-il Lukcs
della Distruzione della Ragione). Dice Heidegger nella Lettera sull'umanesimo:
"Chi prende il comunismo solo come "partito" o come
"concezione del mondo", pensa in modo altrettanto angusto di quelli
che reputano che con. il termine "americanismo" si indichi solo, e
per di pi in modo spregiativo, un particolare stile di vita". Una lettura
marxista dell'Epoca dell'immagine del mondo deve in realt ancora cominciare. Lo
scrivente ne ha dato un inquadramento anccera insufficiente in Metamorfosi, 6,
1982. Per dirla nel modo pi esplicito possibile, il pensiero heideggeriano
sarebbe stato per i marxisti uno scrigno chiuso da sette chiavistelli senza
l'elaborazione teoretica dell'esperienza storica della sconfitta del progetto
prometeico-soggettivistico del Sessantotto, della fine della rivoluzione
culturale cinese (1966-1976), e soprattutto del fallimento della propriet
giuridica pubblica e della pianificazione economica centralizzata del
socialismo reale. Non c', ovviamente, un rapporto meccanico di causa ed
effetto. Semplicemente, diventa concretamente visibile la frase sibillina e
sapienziale che parla deli'"uomo che gira su se stesso come animal
rationale". In un interessante saggio di Mimmo Porcaro (cfr. Charles
Bettelheim: un lungo addio, in Lineamenti, 2, Angeli, 1983) la categoria di
"dispositivo teleologico"
applicata alle tesi di fondo del terzo volume (in due tomi) di Charles
Bettelheim dedicato allo stalinismo. Bettelheim, che sostiene l'esistenza in
URSS di un inedito "capitalismo di partito", in cui uno strato
dominante costituitosi in meccanismo unico di partito-stato esercita il suo
potere assoluto su di una massa di dominati dispersi ed atomizzati, applica un
analogo "dispositivo teleologico" alla rivoluzione russa del 1917,
che viene derubricata a rivoluzione popolare-borghese (non socialista) proprio
alla luce di quello che sappiamo essere venuto dopo. Il problema allora quello di conciliare una grande
spregiudicatezza analitica con il rifiuto dei dispositivi teleologici.
Un'interpretazione della dialettica hegeliana non contrapposta astrattamente al
metodo ermeneutico-differenziale heideggeriano
contenuta in Gadamer, La dialettica di Hegel, Marietti, 1973. Secondo
Heidegger, in Hegel l'essenza della metafisica viene per la prima volta 30. 31.
32. 33, 34. 141 LI "pensata assolutamente": l'essenza della
metafisica l'oblio dell'essere,
l'onticizzazione dell'essere, e Hegel
proprio colui che ha concepito l'Assoluto come il sistema concettuale di
tutte le determinazioni ontiche, come la ragione che si incarna in ogni aspetto
della realt. Hegel sarebbe dunque l'anticamera del marxismo, che renderebbe
integralmente sociali tutte le determinazioni gi preventivamente onticizzate da
Hegel. Un'interessante analisi filosofica dell'origine della metafisica a
partire dal pensiero presocratico (che tiene conto anche della riflessione di
Heidegger) contenuta in Aldo Masullo,
Metafisica, Mondadori, 1980. In Heidegger non vi mai un tentativo di analisi sociologica ed
antropologica dell'antichit greca (come si pu trovare, ad esempio, in Gernet o
in Vernant), ma il suo pensiero sempre
talmente stimolante e profondo da riuscire comunque a metaforizzare
filosoficamente la realt sociale dell'epoca. Gran parte della letteratura
secondaria su Heidegger illustra in dettaglio la storia heideggeriana della
metafisica occidentale. Si segnala qui solo Valerio Cavallucci, Heidegger:
metafisica e tecnica, Ace, 1981; e Pietro De Vitiis, Heidegger e la fine della
filosofia, La Nuova Italia, 1974. Il post-moderno filosofico ha certo rapporti
con quello artistico, letterario, architettonico, ma deve essere rigorosamente
distinto da questi ultimi. Si tratta di una "interpretazione nichilistica
del moderno" che rappresenta se stessa come emancipazione definitiva e
finale dalle illusioni dialettiche del moderno stesso. Non a caso uno dei suoi
teorici (cfr. Jean-Frangois Lyotard, La condizione post-moderna, Feltrinelli,
1981) proviene dall'esperienza del gruppo francese di estrema sinistra
Socialismo o barbarie. Il precedente teleologismo escatologico, atteso con uno
spirito messianicamente teso al compimento in uno stato d'animo da speranza
pascaliana, si rovescia (in modo adialettico e pertanto piattamente
differenzialistico) in assolutizzazione del presente, che viene
"caricato" di tutta la precedente tensione escatologica dispersasi
nel frattempo. Si veda in proposito l'utilissimo studio di Bianca Maria
d'Ippolito, All'ombra della tecnica, Esi, 1981. Lo studioso di epistemologia e
di storia della scienza che meglio ci aiuta a comprendere il nesso fra
teoreticit ed operativit nello sviluppo delle scienze , a parere dello
scrivente, Gaston Bachelard (e se ne veda l'ottima antologia a cura di Giuseppe
Sertoli, La ragione Scientifica, Bertani, Verona, 1974). Cos come questa terza
parte non stata una monografia su
Heidegger, ma esclusivamente una valorizzazione della capacit heideggeriana di
riflettere teoreticamente l'impersonalit della riproduzione dei rapporti
sociali (in quanto essa pu aiutare il materialismo storico a disfarsi di un
concetto di soggetto grande-narrativo, di tecnica neutrale-operativa e di
storia teleclogica), analogamente la quarta e la quinta parte di questo saggio,
che verranno dedicate a Bloch ed all'Ontologia di Lukcs, non sono monografie su
questi autori, ma semplicemente l'introduzione alla discussione di alcune
soluzioni teoriche da loro date. Il lettore di queste note non pu pertanto
realisticamente aspettarsi moltc di pi di quanto viene annunciato. 4 LT Parte
Quarta L'UTOPIA SI OCCUPA SOLO DEL PRESENTE: IL PENSIERO DI ERNST BLOCH Nella
sua Autobiografia Gyorgy Lukcs, giunto ad ottantacinque anni di et, in grado
ormai di trarre un bilancio filosofico del Novecento, ricorda la sua conoscenza
con Bloch in questi termini: "Su di me ebbe enorme influenza Bloch, lui
infatti mi convinse con il suo esempio che era possibile filosofare alla
maniera tradizionale. Fino a quel momento io mi ero immerso nel neokantismo del
mio tempo, ed adesso incontravo in Bloch il fenomeno che qualcuno filosofava
come se l'intera filosofia odierna non esistesse, che era possibile filosofare
al modo di Aristotele o di Hegel" (1). Si tratta di un'osservazione molto
acuta, che. ci porta direttamente al cuore del problema che ci interessa. Se
infatti vero (come non riteniamo di
essere riusciti a dimostrare, ma come abbiamo almeno suggerito) che dentro il
laboratorio filosofico marxiano passano tre forme filosofiche del discorso
intrecciate insieme, sotto la dominanza peraltro della migliore fra le tre
(quella ontologico-sociale), che il marxismo novecentesco ha integralmente
percorso alcune possibilit storiche concrete (non certo destinalmente
predeterminate, ma contenute almeno come possibilit oggettive), e che infine il
vertice filosofico del pensiero borghese del Novecento ha "preso di
petto" questa situazione di scollamento fra teoria e prassi, legittimando
il "verdetto definitivo" dell'unit fra alienazione ed
intrascendibilit del mondo moderno con una teoria della temporalit storica che
precipita destinalmente in un "punto zero" del presente ed in un
"buco nero" da cui ormai solo un Dio pu ancora tirarci fuori,
possiamo dire allora che solo un pensiero che osi prendere altrettanto "di
petto" questo verdetto degno di
essere studiato, considerato, e preso sul serio (2). | A noi sembra che Ernst
Bloch sia un pensatore del genere. Egli 144 "cerca" di filosofare, in
effetti, al modo di Aristotele e di Hegel, in un momento storico in cui i
gerghi specialistici non sono certo il frutto di un complotto di corporazioni
universitarie cui basterebbe opporre la buona volont dell'intenzione
divulgativa, ma solo il portato "ontologico" dell'approfondimento
della divisione del lavoro intellettuale. Egli "cerca" di farlo,
perch si rende perfettamente conto dell'unit dialettica che lega l'estrema
pluralit irripetibile e non omologabile delle esperienze umane (e pochi
pensatori del Novecento sono in grado come Bloch di rispettare veramente questa
pluralit) all'unit concettuale con la quale la ragione e l'intelletto cercano
di stringere insieme questa pluralit dispersa. In Bloch il massimo di monismo
ed il massimo di pluralismo concettuali coesistono armonicamente, mostrando
nella pratica come non abbia senso la contrapposizione polare fra pensiero che
ambisce alla totalit e pensiero che mira alla conoscenza del particolare. In
Bloch, al contrario, la tematica filosofica ha certo un forte momento
"monistico", in quanto il suo pensiero, complesso ed articolato, si
gerarchizza intorno al multiversum (cio, appunto, all'intreccio complesso fra
storicit e temporalit), ma appunto
guesto forte momento "monistico" che gli permette di rispettare la
pluralit incomponibile e differenziata del reale concreto, che non viene
collocato nel continuum storicistico ed omogeneizzato, destinato a cadere
teleologicamente in un "buco nero" (3). Quando, come avviene nel caso
di Bloch, si cerca di pensare in senso forte la reinterpretazione, alla luce
della modernit, delle possibilit storiche contenute nel passato e non attuate,
si sottrae la modernit stessa ad ogni destinalismo fatalistico, e si disinnesca
lo sciagurato meccanismo grande narrativo e deterministico-naturalistico. Non
ha dunque molto senso accusare Bloch (come ha fatto, in modo molto ingeneroso,
Leszek Kolakowski in Main Currents of Marxism) di essere un tardo hegeliano
pasticcione, incapace di analisi concreta e di precisione , e di appartenere al
grande gruppo degli utopisti totalitari, la cui confusa escatologia prometeica
si rovescia necessariamente in dominio buroratico sopra una societ atomizzata e
privata della possibilit di avere un'opinione pubblica. Il multiversum
blochiano, lungi dall'essere un coacervo pasticcione di nozioni poco
precise, al contrario una risposta
determinata all'universum unidimensionale della temporalit capitalistica e
della riproduzione dei suoi rapporti sociali. Questo universum viene dato come
"ovvio" e non problematico dagli apologeti "diretti" del
capitalismo, ma viene anche accettato, nell'essenziale, da pensatori come
Heidegger (e lo si visto nella 145 terza
parte di questo scritto), che vedono il presente alla luce di un destino
inesorabile che si compiuto alla luce di
una filosofia della storia teleologicamente immanente allo svolgimento di ci
che era gi contenuto in una Origine mitizzata e numinosa. 1. Il multiversum
blochiano: unit di temporalit e di storicit Come si visto (nella terza. parte di questo scritto)
Martin Heidegger ha saputo rifiutare il punto di vista esplicito del Soggetto
che, pretendendo di fare la storia a partire dalla manipolazione della natura,
ripete inesorabilmente il destino della metafisica, ma ha finito con il trasformare
la temporalit storica in un nuovo, grande Soggetto personale (anche se
"impersonale" rispetto ai singoli esseri umani concreti). Sarebbe un
grave errore (di cui meglio subito
sbarazzarsi) pensare che Bloch si opponga ad Heidegger ristabilendo il primato
dell'attivit soggettiva "generica" dell'uomo di contro al pessimismo
(altrettanto "generico") di chi pensa che ogni attivit comunque inutile e "ripetitiva" e
che solo un Dio pu ancora salvarci. i E' questo purtroppo il -modo con cui
Bloch presentato da gran parte della
manualistica filosofica ed anche da molta letteratura secondaria specializzata:
di contro alla "corrente fredda" del marxismo, che confida solo sulla
crescita delle forze produttive, del PNL e delle tonnellate di acciaio, si
ergerebbe una "corrente calda", di cui Bloch sarebbe magna pars, che
mette invece al centro la prassi del soggetto, i sogni, l'immaginario sociale,
insomma, tutto ci che qualitativo e non
cartesianamente "quantitativo" (4). Se tuttavia Bloch fosse solo uno
dei tanti pensatori "che hanno messo l'accento sulla. prassi", sul
soggetto, sull'attivit, eccetera, esso sarebbe poco significativo (ed avrebbe
ragione Kolakowski). Se qualcuno cerca il primato della prassi e la corrente
calda, si rivolga pure a Stalin, maestro insuperabile nell'attivare l'"immaginario
sociale" e nel pensare il materialismo storico sotto il punto di vista
della prassi e dell'attivit. Il significato teorico epocale di Bloch sta invece
proprio nel fatto che in lui non c' alcun primato della prassi
(soggettivisticamente astratta, cos come in ogni filosofi del soggetto), ma c' soltanto
un primato ontologico della temporalit differenziata della storia umana, che -
impedisce appunto di omogeneizzare storicisticamente i tempi concreti dei
comportamenti individuali e collettivi. La sola cosa "calda" questa. Chi cerca invece il
"calore" protettivo della comunit 146 operaia e proletaria, si cali
pure il passamontagna sul volto oppure partecipi ai raduni di massa di milioni
di giovani, donne, soggetti sociali, eccetera. Il primato ontologico della
temporalit differenziata nella storia umana, che ci sembra centrale nel
pensiero di Bloch (e che vediamo come
"opposizione determinata" al destinalismo heideggeriano), pu dar
luogo, a parere dello scrivente, a due possibili esiti differenti: il primo,
positivo, che sbocca in una teoria ontologica delle possibilit concrete della
prassi umana di modificare il "dato" storico, cui viene tolta ogni
fatalit ed ogni presunta intrascendibilit destinale; il secondo (che lo
scrivente non condivide), che pu sboccare in una Metafisica contemplativa del
Multiversum temporale. Vediamo i due aspetti separatamente. Parlare di teoria
ontologica delle possibilit concrete da parte della prassi umana di modificare
il "dato" storico (cui viene tolta ogni presunta intrascendibilit
destinale, certo, ma anche ogni contingenza casuale, che la premessa della scelta esistenzialistica
disancorata da ogni ontologia sociale fondativa) significa parlare del
carattere integralmente storico del multiversum temporale. E' questo un punto
di grande importanza, sul quale non si possono fare concessioni a mistiche
della multitemporalit irrelata ed ineffabile (che pretendono contrapporre
l'ineffabilit del tempo filosofico soggettivo . all'inautenticit cosale"
del tempo della scienza cartesiana, presunta fonte di tutti i mali) (5). Una
concezione storica (e materialistica) del multiversum deve infatti avere almeno
tre caratteristiche strutturali: in primo luogo, il multiversum deve essere
pensato senza alcun monismo originario, come se. ci fosse un Tempo Originario,
Denso e Compatto, da cui derivano come mille ruscelli tante temporalit storiche
differenti, figlie di un unico, grande Padre Chronos; in secondo luogo, il
multiversum deve essere pensato in modo integralmente storico, senza sostituire
perci al concetto di arretratezza" inteso come restare indietro"
(Zuruckgebliebenheit) un concetto altrettanto astratto di "non
contemporaneit" (Ungleichzeitigkeit) come adorazione contemplativa della
presunta autenticit popolar-contadina; in terzo luogo, il multiversum non pu
essere pensato come qualcosa che fluisce verso un Grande Tempo Finale destinato
ad inverarlo ed ad autenticarlo (la fine dei tempi, appunto), in cui finalmente
la storia possa riposare su se stessa, pacificata e realizzata. Poich. molti
parlano di multiversum senza tenere rigorosamente presente che esso deve avere
queste tre caratteristiche essenziali (senza le quali esso solo un universum che dispone di un
guardaroba a mille travestimenti) vale forse la pena fermarsi un poco su 147 quest'importante
nodo di problemi. La prima caratteristica essenziale del multiversum, a nostro
parere, la sua originariet nella fluidit
eraclitea (sulla quale si innesta, emergendo da essa, l'azione umana datrice di
forme e di simboli), ed il rifiuto del presupposto metafisico di una
"densit temporale originaria", matrice ed origine dialettica
dell'eterno ritorno del sempre eguale oppure (ma si tratta della stessa
soluzione, apparentemente opposta) della possibile ricostituzione di questa
"situazione temporale autentica", di fronte alla quale l'intera
storia umana deiezione, inautenticit,
apparenza del divenire, caduta. Esistono, certo, molte varianti possibili di
questa concezione. Secondo una variante "debole", il destino
nichilistico della necessit storica gi
iscritto nella stessa accettazione del principio secondo il quale l'Essere, in
una certa misura "divenga" qualcosa che non sia il. proprio rigoroso
autorispecchiamento (questa variante "debole" lascia per del tutto
impregiudicato il se ed il come sia possibile il riattingimento della
autenticit originaria, e si limita a mettere in guardia contro le illusioni nei
confronti della temporalit che si vuole progressiva) (6). Secondo una variante
"forte" il solo ed autentico superamento del nichilismo temporale in
cui vive il mondo moderno sta nella duplice accettazione dei principi
(apparentemente contraddittori) della originariet del tempo (ci fu un
"tempo originario" pi autentico di questo) e della fatalit del tempo
(il distacco dal "tempo originario" fu un destino ineluttabile, e
solo l'accettazione eroica di questo distacco permette di differenziarsi dal
gregge umano che vive nel tempo cartesiano degli orologi dimenticando le
proprie origini). I principi metafisici di originariet e di fatalit del tempo,
discendenti entrambi dal presupposto della densit primigenia da cui si
"sprigiona" la storicit, ci sembrano incompatibili con il multiversum
(nella stessa versione che Bloch ne ha dato) (7). La seconda caratteristica del
multiversum ci sembra essere il rapporto fra l''"oscurit dell'attimo
vissuto" (che rende impossibile una "scienza", filosoficamente
autoespressiva, del presente storico ove quest'ultimo venga metodologicamente
reciso dal passato e dal futuro), da un lato, e la dialettica fra arretratezza
e non-contemporaneit in cui questo attimo oscuramente vive, dall'altro. Non
possiamo tuttavia qui (come sarebbe forse necessario) dare tutti i significati
possibili dei tre concetti blochiani di oscurit dell'attimo vissuto, di arretratezza
e di non contemporaneit (8). Il punto essenziale che ci sembra invece
concernere direttamente il materialismo storico ci pare essere questo:
l'esperienza della 148 temporalit storica, non potendo essere mai integrale (a
causa della sua ontologica oscurit), non permette la costituzione scientifica
di un "saperesul progresso dei tempi" (nel senso di un sapere
"positivo"), ma soltanto la costituzione filosofica di un sapere
"critico" sulla non contemporaneit dei processi storici
umano-sociali. Si tratta di un apparente "depotenziamento
epistemologico" da cui peraltro il materialismo storico ha molto da
guadagnare e ben poco da perdere. Nell'attraversamento del guado che porta
dalla dialettica errata ed unilineare dell'arretratezza (basata sulla spazialit
semplice dell'indietro-avanti) alla dialettica complessa della non
contemporaneit (basata sulla rottura di questa spazialit semplice), il pensiero
critico corre il rischio (inevitabile) di rimanere esteticamente affascinato
dalla ricchezza vitale e tsostantiva"" dei mondi sociali "non
contemporanei", fino all'idolatria feticistica della "semplicit
contadina originaria" e pi in generale di tutto quanto comunque pre-industriale. Si tratterebbe di
una sottile vendetta che il pensiero lineare-cumulativo compie contro il
pensiero critico che cerca di detronizzarlo (fino a far idolatrare la stessa
"arretratezza" come esempio genuino ed autentico di non
contemporaneit da salvare). Anche se non vi
teleologia storica immanente al tempo impersonalizzato, vi per ontologicamente una tendenza al rapporto
fra l'individuo ed il genere, resa possibile nell'unificazione capitalistica
del mondo tome presupposto logico-storico, e la cui realizzazione tendenziale
(mai integralmente attuabile, per la ontologica non-coestensivit fra individuo
e genere) verrebbe ulteriormente ostacolata dalla permanenza dell'individuo in
comunit precapitalistiche saldate insieme in modo strutturalmente mitico ed
organicistico. Ci sembra che molti "blochiani" dimentichino questo,
feticizzando la non contemporaneit in contemplazione estetizzante di una
presunta "autenticit"popolar-contadina (9). La terza caratteristica
del multiversum . infine la rottura integrale con il tema della "fine dei
tempi". Si gi molto insistito sul
fatto (filosoficamente evidente, ma spesso trascurato) che problematica. del
Fine e problematica dell'Origine sono la stessa cosa, e non ci ritorneremo. Vi
sar sempre un passato da riscattare, un'eredit da fare propria, un. attimo
vissuto che viene esperito oscuramente per l'opacit della latenza temporale. In
Bloch c' (forse) un'ambivalenza su questo punto. Da un lato, l'unilaterale
insistenza sul tema aristotelico della entelechia del processo
storico-temporale pu lasciare varchi metafisici aperti nella direzione di
un'attribuzione di un fine pre-scritto nella temporalizzazione (pur
multilaterale) dell'esperienza. Dall'altro, 149 l'iscrizione dell'utopia nel
solo presente come orizzonte ad un tempo oscuro ed illuminato dall'arco fra
passato e futuro documenta (come dettaglieremo meglio pi avanti) un'istanza
decisamente antiteleologica del pensiero blochiano (10). Tenendo presenti i
rilievi sul tre punti sopra discussi, ci sembra che il multiversum blochiano
rappresenti una negazione determinata (cio, collocata storicamente in una
congiuntura particolare) di due specifiche filosofie della storia: il marxismo
cosiddetto storicistico, che temporalizza in modo unilateralmente coercitivo il
divenire storico nella camicia di forza dei. cosiddetti "cinque
stadi" (variante staliniana), o che temporalizza in modo informe il
passato in un continuum cumulativo ed omogeneizzato (variante
storicistico-italiana); il destinalismo heideggeriano, capace di
"fotografare" correttamente il presente come dominio di un meccanismo
impersonale che si pensa come soggettivit ricca di storia e di umanesimo, ma
incapace di vedere il passato altro che come dispositivo teleologicamente
orientato alla trasformazione mondializzata della metafisica occidentale in
tecnica planetaria. Sbagliano, dunque, coloro che considerano Bloch un autore
che cerca nel passato pre-moderno una soluzione filosofica per sfuggire al
mondo moderno, in quanto Bloch non intende "sfuggire", quanto
rispondere alla "situazione bloccata" .derivata dalla solidariet
antitetico-polare fra storicismo (teleologico) e destinalismo (altrettanto
teleologico). Sbagliano, tuttavia, anche coloro che, interpretando Bloch in
modo eccessivamente concordistico, attenuano la carica distruttiva del pensiero
blochiano verso ogni forma di storicismo, e vedono Bloch (insieme con Benjamin
ad esempio) come una sorta di "correttore" degli eccessi unilineari
dello storicismo stesso (11). La creazione di un grande minestrone filosofico
in cui aggiungere (in qualit di "gusti" e di "sapori")
Bloch e Benjamin non di alcuna utilit
per chi si prefigge finalit teoriche anti-grandinarrative. Meglio indagare gli
aspetti specifici di Bloch (sulla religione, sul giusnaturalismo, sul
materialismo, eccetera), come cercheremo ora brevemente di fare. 2. La critica
blochiana alla religione ed il materialismo storico Il pensiero di Ernst Bloch
rappresenta, nel suo insieme, un approfondimento ed una radicalizzazione della
marxiana critica alla religione. In questo senso, egli non un "teologo", in quanto il suo discorso
filosofico non si indirizza n verso una sorta di sapere "teologico"
positivo sulle tracce (o sulle assenze) del "divino" nella storia, n
tantomeno verso una sorta di nuova "teologia negativa", 150. in cui
il "divino" riempie lo spazio della Differenza Ontologica fra
l'incondizionato e gli enti mondani. Bloch pu certo essere "usato" da
teologi di vario tipo (in particolare dalla cosiddetta "teologia della
speranza"), ma questa operazione teorica comporta necessariamente uno
svilimento ed un'attenuazione delia radicalit - della posizione blochiana di
critica della religione (12). . Bloch non
neppure un "esegeta biblico", anche se la .sua lettura della
Bibbia presuppone una conoscenza non superficiale dei problemi interpretativi sorti
sul terreno della critica "scientifica" delle fonti e delle redazioni
dei testi biblici, ed in generale
compatibile con i "punti alti" di questa tradizione interpretativa,
brillantemente iniziata dal capolavoro di Spinoza intitolato Trattato
teologicopolitico. L'esegesi biblica una
disciplina storico-filologica del tutto autonoma dal materialismo storico, il
quale, ove debba essere applicato ai contesti storico-geografici cui la Bibbia
fa riferimento, non pu che essere una teoria dei modi di produzione
pre-capitalistici, in cui le istanze economiche, politiche. ed ideologiche si
combinano in modo del tutto diverso da quanto. avviene nel modo di produzione
capitalistico, indagato dalla critica dell'economia politica opportunamente
sviluppata (13). - Infine, Bloch non un
"filosofo della religione", in quanto l'oggetto della sua indagine
filosofica non si inserisce nel continuum storico-probiematico istituito da
questa particolare "sezione" del sapere filosofico, che da un lato
cataloga, sul piano storico, le differenti mediazioni razionali (o irrazionali)
della fede religiosa, e dall'altro lato prende posizione, sul piano teoretico,
sulle differenti soluzioni date volta a volta al rapporto fra uomo e Dio (14).
Teologia, esegesi biblica e filosofia della religione sono dunque tre
dimensioni verso cui "apre" il pensiero blochiano, ma nono.
rappresentano l'oggetto e l'intenzione della blochiana critica della religione.
| i Indagando le opere blochiane specificatamente dedicate alla critica della
religione (in particolare Religione in eredit e soprattuto Ateismo nel
Cristianesimo) ci si accorge infatti della compresenza di due dimensioni
teoriche integralmente storico-materialistiche: in primo luogo, infatti, Bloch
si ricollega direttamente a Marx (trascurando la tradizione feuerbacchiana e
soprattutto "marxistica", sia secondo - che terzinternazionalistica)
nella radicalit della critica alla forma della alienazione religiosa; in
secondo luogo (e questo a parere dello scrivente ancora pi importante) Bloch rappresenta una
risposta concretamente determinata (e dunque storicamente specifica) ad una
situazione 151 storica presente, caratterizzata ad Est da nuove fiammate di
integralismo religioso (e si pensi alla Polonia di papa Woitila) e ad Ovest da
un debole "dialogo" fra cosiddetti marxisti e cristiani, fondato su
di un comune riferimento ai "valori". Questa situazione non poteva
ovviamente essere "prevista" da Marx, ed essendo del tutto nuova deve
essere indagata in tutta la sua peculiare specificit, integralmente
novecentesca (15). Non sar tuttavia inutile un breve richiamo alla natura
teorica della critica marxiana alla religione. Vi sono in proposito infatti
molti luoghi comuni e molti fraintendimenti, che possono prendere le forme pi
svariate. Vi chi ritiene, infatti, che
l'ateismo di Marx sia, in un certo senso, fondativo del materialismo storico,
che sarebbe appunto un'elaborazione sistematica, rigorosamente immanentistica,
della "scelta filosofica ateistica" di Marx, cui tutte le categorie
specifiche della critica dell'economia politica sarebbero subordinate
ferreamente (16). Vi chi ritiene,
invece, che l'ateismo di Marx sia poco pi di un'"opinione personale"
di Marx stesso intorno alla non-esistenza di un'entit cosale
astronomico-galattica convenzionalmente definita "dio" da coloro che
sono tanto ingenui da crederci, del tutto separabile, in via di principio,
dalla nozione di sfruttamento capitalistico e di estorsione del plusvalore, le
quali, permettendo di capire il meccanismo di riproduzione delle "ingiustizie
sociali", servono da base teorica per la lotta diretta al perseguimento
pratico della "vera giustizia sociale" (17). Entrambe le
"opinioni" sono infondate, e non possono reggere ad un confronto
filologico onesto con i testi originali marxiani. In Marx la critica alla
religione una premessa logico-storica
alla critica dell'economia politica, da cui non pu essere assolutamente scissa
e separata. Non vi in Marx una negazione
parallela, ma. irrelat (e pertanto separabile) della "naturalit
sovrastorica" dei raporti di produzione capitalistici, da un lato, e della
esistenza di un'entit cosale astronomico-galattica chiamata "dio",
dall'altra, e neppure vi una critica
politico-morale al capitalismo sfociante in un radicale immanentismo storico a
partire dalla "negazione astratta" della presenza del
"divino" nella storia. Vi
invece un'unica critica al dominio impersonale esercitato sugli uomini
concretamente inseriti in rapporti storico-sociali dal reificarsi delle ipostatizzazioni
astratte (ad un tempo sociali, economiche, religiose, eccetera); all'interno
della tradizionale inseparabilit marxiana fra cattiva. gnoseologia e falsa
ontologia, il vizio ipostatico nel mondo della conoscenza e della teoria fa
tutt'uno, inscindibilmente, con il dominio pratico-politico dell'uomo sull'uomo
(18). 152 Ernst. Bloch non fa che radicalizzare l'impostazione
classico-marxiana. La sua critica della religione non infatti una variante dell'ateismo,
configurandosi invece come una critica, ideal-tipicamente radicale, al dominio
dell'uomo sull'uomo mediato dall'ipostasi divina. Cristiani ed atei non vengono
pi isolati in "opposizione reale" e contrapposti staticamente (gli
uni, che dicono si ad un Dio padrone ad un tempo personalizzato e cosificato,
gli altri, che dicono che "dio" non
che un'illusione per i deboli di spirito e di carne), come fa tutto il
pensiero idealistico, sia nella variante "cristiana" che nella
variante cosiddetta "laica". Nell'ottica blochiana, integralmente
dialettica, solo l'ateo pu essere un buon cristiano, e solo il cristiano pu
realmente essere ateo. Non vi qui infatti
soltanto la ripresa della consapevolezza (che gi fu classicamente engelsiana)
del doppio carattere ambivalente dell'ideologia religiosa, ad un tempo
accettazione fatalistica dello sfruttamento e protesta contro lo sfruttamento
in nome di una societ migliore, ma vi in
pi la comprensione piena del fatto che non vi
nessuna opposizione reale" fra atei e cristiani, credenti e
non-credenti, ma vi solo una
"contraddizione dialettica" fra sostenitori del dominio ed oppositori
del dominio, attraversati entrambi verticalmente dalla presenza o dall'assenza
della cosiddetta "credenza" (19). La pregnanza della critica
blochiana della religione non pu comunque essere intesa prescindendo da
un'analisi della congiuntura teorica presente, dentro la quale ben collocata. Vi sono infatti due novit
storiche, che attendono di essere "spiegate" alla luce del
materialismo storico, e che non tollerano di essere frettolosamente rimosse: in
primo luogo, il socialismo reale ha dimostrato ampiamente di non essere affatto
in grado di "superare" la cosiddetta "alienazione.
religiosa", nonostante esorcizzi guesto fatto con rimandi improbabili ai
"ritardi nella coscienza delle masse", ignoranza, superstizione,
complotti dell'imperialismo e via tergiversandoj in secondo luogo, il dialogo
fra "marxisti e cristiani", iniziato con molte belle speranze, non
procede, e si anzi impantanato in
generiche chiacchiere sui "valori" ed in inconcludenti polemiche
contro il consumismo, l'americanismo, la mentalit "radicale", la
prevalenza dell'avere sull'essere, ed altri bla-bla-bla superficiali. La
radicalit blochiana in proposito una
vera boccata di aria fresca. Bloch comprende bene come il "socialismo
reale", nella sua critica economicistica del capitalismo, finisca con
l'assolutizzare ed ipostatizzare l'istanza economica in modo ancora pi
astrattamente rigido di quanto faccia lo stesso capitalismo monopolistico 153
occidentale (che infatti "laicizza" e secolarizza l'istanza economica
in modo post-moderno, sciogliendo apparentemente le determinazioni produttive
materiali nel flusso della comunicazione e dello scambio simbolico); il noioso
insegnamento statale di tipo ateistico, con la pedante elencazione delle
ragioni "scientifiche" che proverebbero la "non esistenza"
di una "cosa" chiamata "dio" finisce con il ribaltarsi nel
suo contrario. In primo luogo, infatti, la coscienza individuale singola,
disgustata dall'inattendibilit del marxismo monopolistico di stato ridotto ad
ideologia burocratica della manipolazione ripiega sul libero esame filosofico
ancorato a temi "trascendenti" (in cui la
"trascendenza" peraltro
solamente una risposta "immanente" e determinata alla pretesa di
monopolio della permanente manipolazione burocratico-partitica). In secondo
luogo, inoltre, la coscienza collettiva di opposizione "costretta" ad usare le chiese e le
confessioni religiose come specifico mezzo di lotta contro la pretesa di
controllo totale dello stato "socialista reale" sulla "societ
civile" (usiamo qui questo termine nonostante la sua imprecisione), come
l'esperienza polacca mostra in modo abbastanza chiaro ed articolato (20). La
comprensione blochiana di questa realt
piena e profonda. Da questa "situazione bloccata" non si esce
tuttavia abbandonando la marxiana critica della religione per stipulare
compromessi "ragionevoli" fra atei e credenti (questo deve certo
essere fatto sul piano giuridico e legislativo, per far cessare ogni
"discriminazione", ma non certo sul piano della radicalit teorica,
che giustamente non conosce compromessi), ma solo approfondendo l'analisi delle
ragioni che hanno portato alla compresenza fra divulgazione
ateistico-positivistica e riduzionismo economicistico del marxismo, da un lato,
e reazione idealistica contro questa compresenza, dall'altro. | La radicalit
blochiana d'altronde assolutamente
inutilizzabile per il cosiddetto "dialogo" fra marxisti e credenti.
Questo dialogo ha, come noto, conosciuto
alti e bassi significativi. Al tempo della guerra fredda, nel pieno dello
scontro simbolico fra. il comunismo di Stalin e la chiesa di Pio XII, la
contrapposizione polare fra neo-scolastica e materialismo dialettico sovietico
nascondeva una segreta solidariet di fondo fra i due sistemi dogmatici
contrapposti (21). Al tempo del disgelo, nel pieno delle grandi speranze sulla
distensione e la "convergenza" fra i due sistemi sociali, il dialogo
si stabil sulle fragili basi del minimo comun denominatore
"umanistico" (i "valori"), in cui i credenti avrebero
rinunciato alla dottrina della propriet privata come "diritto
naturale" ed i marxisti, per contraccambiare, avrebbero 154 rinunciato
unilateralmente al "materialismo dialettico" (individuato come
spiegazione immanentistica ed ateistica della natura) per concentrarsi sul solo
"materialismo storico" (ridotto ad una sorta di sociologia
scientifica integrale e ad un ricettario per la giustizia sociale) (22). Al
tempo della nuova guerra fredda, in cui ora ci troviamo, la ripresa
fondamentalistica ed integralistica delle religioni (in particolare dell'Islam,
ma anche del cattolicesimo woitiliano e del protestantesimo dell'America
ieaganiana) sembra stravincere di fronte ad un "marxismo" incerto
sulla sua identit e privo di prospettive. La critica blochiana della religione
passa attraverso queste tre fasi storico-politiche restando estranea alla
miseria teorica del materialismo dialettico, dell'umanesimo generico ed
interclassista dei "valori comuni edificanti" ed infine della
"crisi del marxismo". Essa sopravvive a tutte e tre, in vista di una
fase nuova (per il momento certo non ancora all'orizzonte) in cui la radicalit
marxiana dell'unica ed identica critica della religione e dell'economia
politica possa trovare momenti pratico-storici di applicazione e di attuazione
(23). 4 3. Il recupero blochiano della tradizione giusnaturalistica L'importantissimo
libro di Ernst Bloch Diritto Naturale e Dignit Umana non pu essere considerato
soltanto un contributo storiografico all'interpretazione storico-filosofica del
diritto naturale moderno, ma deve essere visto come una vera e propria
"opera d'indirizzo", che va ben al di l delle singole soluzioni date
ai vari problemi discussi (che sono, ovviamente, opinabili e soggette a
possibile critica e correzione), per raggiungere il livello della vera e
propria integrazione filosofica" del materialismo storico contemporaneo
(24). Tre ci sembrano le dimensioni teoriche particolarmente degne di
discussione: in primo luogo, la giusta valutazione dialettica dell'eredit
filosofica borghese, in opposizione determinata al bilancio negativo
unilateralmente dato da pensatori come Horkheimerj in secondo luogo, il rifiuto
di considerare il pensiero politico marxiano sotto l'aspetto della negazione
frontale dello "spirito" del giusnaturalismo, con la conseguenza
pericolosa di interpretare Marx in chiave decisionistica e
positivistico-giuridica; in terzo luogo, il carattere "determinato"
della valorizzazione biochiana del giusnaturalismo, volta a polemizzare contro
il disprezzo per i "diritti umani" tipico delle legislazioni del
cosiddetto "socialismo reale". Esaminiamole dunque brevemente. Sulla
prima questione, Bloch rappresenta un vero e proprio 155 superamento della
"situazione bloccata" creatasi a partire da due posizioni non
dialettiche, sciaguratamente antitetico-polari: da un lato, il marxismo
sovietico, sulla scia di un breve articolo di Lenin, continua stancamente a
ripetere la formuletta delle "tre fonti e tre parti integranti del
marxismo" (che dimentica, fra l'altro, tutta una serie di fonti
"possibili", dal materialismo edonistico francese del Settecento fino
al giusnaturalismo, appunto, "fonti" del tutto inutilizzabili per
legittimare interpretazioni autoritarie, organicistiche ed economicistiche del
materialismo storico); dall'altro, il marxismo occidentale (e si veda il
fondamentale saggio di Horkheimer del 1936, intitolato Egoismo e movimento di
libert, in cui tutti i temi della posteriore Dialettica dell'Illuminismo
vengono gi anticipati), incline ad applicare in modo non dialettico un
dispositivo teleologico a tutto il passato borghese (ed addirittura pre-borghese),
che conterrebbe fin dal principio le premesse totalitarie destinate ad
inverarsi inevitabilmente nel capitalismo monopolistico e soprattutto nel
socialismo reale. Nel primo caso, come
evidente, l'eredit x progressista borghese di fatto impoverita, con la conseguenza di
incentivare l'unilaterale ripudio dei suoi aspetti libertari e rivoluzionari ed
il disprezzo per la "democrazia borghese"; nel secondo caso (che, ripetiamo,
vede in Egoismo e movimento di libert di Horkheimer la sua insuperata bibbia
teorica) si cerca di dimostrare che nel movimento rivoluzionario borghese erano
presenti fin dall'inizio, o addirittura predominanti, quegli aspetti di
inumanit che si sarebbero poi manifestati in modo aperto e brutale nel fascismo
(l'avversione nei confronti del piacere, l'ideologia della comunit popolare,
l'impiego strumentale della ragione al servizio di interessi puramente
materialistici, l'idolatria della produttivit econamica ed in breve la
riduzione dell'esistenza umana alle categorie del calcolo e dell'utilit) (25).
La lettura blochiana del giusnaturalismo contenuta in Diritto Naturale e Dignit
Umana giustamente diretta contro questo
dispositivo teleologico horkheimeriano, che si pretende dialettico, ma che
ricorda invece certi tratti fatalistici e destinalistici tipici del pensiero di
Heidegger. Per Bloch "la rivoluzione borghese stata certamente, nella maggior parte dei
problemi, pi borghese che rivoluzione, ma essa non si limitata a compiere - con la liquidazione dei
privilegi di classe. - un lavoro colossale di preparazione e di sgombero, ma
contiene in s anche la promessa, ed il nocciolo utopistico e concreto di quella
promessa, a cui la vera rivoluzione pu restare fedele. Il contenuto dei diritti
umani, libert, eguaglianza, fratellanza, la tentata ortopedia dell'andamento
eretto, dell'orgoglio virile, della dignit umana, trascendono di 156 gran lunga
l'orizzonte borghese". In questo modo Bloch collega dialetticamente il
giusnaturalismo rivoluzionario borghese ed il materialismo storico dal punto di
vista della finalit emancipatoria reale, senza che questo collegamento comporti
affatto la negazione della "rottura", teorica ed espistemologica, che
separa invece gli apparati concettuali giusnaturalistico e marxiano, che sono
in effetti qualitativamente diversi (26). Questa riflessione ci porta
direttamante alla seconda questione. Marx, indubbiamente, non un giusnaturalista, e la produzione
concettuale della nuova teoria storico-materialistica si basa su di una
discontinuit nei confronti della vecchia teoria (per usare il linguaggio di
Kuhn, un nuovo paradigma, una
rivoluzione scientifica). Tuttavia, questo non comporta affatto un
atteggiamento filosofico di disprezzo e di irrisione nei confronti delle
finalit emancipatorie del giusnaturalismo classico (presi di mira sono, semmai,
i "nuovi" utilitaristi, come Bentham). Non neppure possibile parlare di una
contrapposizione polare fra l'astrattismo giusnaturalistico ed il cosiddetto
"realismo" di Hegel, e neppure di una contrapposizione fra un modello
politico-giuridico giusnaturalistico ed un' modello hegelo-marxiano (27). Pi in
generale, non c' affatto in Marx la base teorica per giustificare una
"preferenza" storico-materialistica per il "virile
disincanto" delle varie forme di decisionismo e comunque di positivismo
giuridico (i quali, invece, sono realmente mossi da disprezzo ed irrisione nei
confronti delle problematiche giusnaturalistiche, scambiate talvolta per
"filosofie del garantismo" ed in generale dell'individualismo
astratto). In sintesi, invece, si pu fondatamente sostenere che il pensiero
politico marxiano estraneo, sul piano
teoretico, all'apparato categoriale giusnaturalistico, mentre del tutto affine e solidale con le intenzioni
emancipatorie di alcune componenti della scuola del diritto naturale, ed infine ostile alle ciniche spacconate che
stanno alle spalle del cosiddetto "decisionismo". Passando alla terza
questione, infatti, non si pu non riconoscere che il soggettivismo settario che
ha dominato la cosiddetta "costruzione del socialismo" ha molto pi a
che fare con il decisionismo politico (che si dota in generale di
un'autocoscienza giuridica di tipo positivistico, e dunque irridente ai
"valori", anche se a questi ultimi ipocritamente ci si inchina negli
innocui "preamboli") che con la problematica classica del
giusnaturalismo, sempre attenta a non idolatrare unilateralmente lo Stato. Il
normativismo giuridico sovietico (questo equivalente orientale del feticismo e
dell'astrattismo giuridico occidentale), in generale ostile 157 alle problematiche
giusnaturalistiche ed alle tematiche "utopiche" della cosiddetta
"estinzione della norma giuridica",
del tutto incapace di assicurare la cosiddetta "certezza del
diritto"; ma questo non avviene per carenze "tecniche" nella
legislazione o nella procedura, procedendo invece dalla necessit di riprodurre
in un certo modo i rapporti sociali complessivi vigenti nel socialismo reale
(28). Ernst Bloch stesso fu vittima di questa situazione, e la pag sulla
propria pelle e su quella di alcuni fra i suoi migliori allievi. E' difficile
non vedere in Diritto Naturale e Dignit Umana un libro integralmente storico,
un'opposizione determinata ad una situazione in cui siamo tutti ancora immersi
(29). 4. Il significato profondo della teoria blochiana dell'Utopia Concreta
Come noto, Bloch il grande pensatore novecentesco dell'Utopia.
Alcune sue opere classiche (dal Geist der Utopie, disponibile in lingua
italiana, al monumentale Prinzip Hoffnung, sciaguratamente non ancora
disponibile) rappresentano un patrimonio teorico gi consolidato nella migliore
critica filosofica internazionale (30). La teoria blochiana dell'Utopia non pu
essere assimilata ad altre teorizzazioni novecentesche, pur interessanti (che
vanno da Buber ad Huxley, da Orwell a Mannheim, da Marcuse a Baczko), essendo
caratterizzata da modalit peculiari irripetibili (31). Molti sono gli aspetti
che suggeriscono di prendere molto sul serio la riflessione blochiana
sull'agire utopico. Tuttavia, nel contesto del discorso che qui viene fatto
(limitato alla valorizzazione degli aspetti ontologico-sociali), ci limiteremo
a segnalare due dimensioni teoriche fondamentali: in primo luogo; il rapporto
diretto Bloch-Marx, cio la legittimit. storico-materialistica di un discorso
sull'Utopia che assuma fino in fondo il carattere "marxiano" di
questa categoria; in secondo luogo, la funzione odierna, contemporanea,
novecentesca, della categoria di Utopia, dal punto di vista della filosofia
politica e del materialismo storico. Sulla prima questione, necessario non partire con il piede sbagliato
(32). In primo luogo, infatti, l'interpretazione del materialismo storico come
"passaggio del socialismo dall'utopia alla scienza" deve sobriamente
scartare tutte le varianti incentrate sull'opposizione fra i sogni ed i
progetti cervellotici (utopici, appunto) e la ferrea prevedibilit
necessitaristica, scientificamente dimostrabile: (e si polemizzato contro questa concezione della
"scienza" nella prima parte di questo scritto); se si vuole 158
conservare ad ogni costo questa espressione (che riteniamo comunque infelice, e
dunque sacrificabile), occorre drasticamente limitarla ad una nozione di
"causalit strutturale". afferente la transizione fra diversi modi di
produzione, in cui l'interazione dialettica fra ie istanze economiche,
politiche ed ideologiche non pu essere mai frutto di mere "volont
utopiche", ma sempre ferreamente
"limitata" dalle possibilit concrete iscritte nei modi di produzione
stessi (33). In secondo luogo, occorre blochianamente insistere sul fatto che
in Marx non vi mai una polemica
anti-utopica condotta in nome del "sano realismo": l'orizzonte del
possibile politico-sociale in Marx
questione di fondazione ontologica, compatibile dunque con le categorie
utopiche della "coscienza anticipante" e della "possibilit
concreta" (34). I marxismi posteriori a Marx hanno invece sviluppato
l'opposizione astratta utopia/realismo in anti-utopismo programmatico, finendo
con il perdere di vista che ad un certo punto l'anti-utopismo pregiudiziale
diventa anti-realismo ed incapacit a "vedere" le possibilit reali
nuove offerte dal divenire storico (come ben vide Marcuse nella Fine
dell'Utopia). In Bloch la teoria filosofica dell'Utopia Concreta sempre anche (ed inscindibilmente) una teoria
ontologico-materialistica della Possibilit Reale (che comprende, ovviamente,
anche il sogno ad occhi aperti, l'immaginario letterario ed artistico, la
coscienza anticipante, eccetera). In questo senso (ma si tratta di un
significato fondamentale) Bloch
pienamente fedele, nel metodo, alle intenzioni teoriche di Marx (che
abbiamo interpretato, nella prima parte di questo scritto, come il fondatore
"scientifico" della dottrina della Possibilit Reale della transizione
dal capitalismo al socialismo, respingendo la dottrina della Necessit Immanente
di questa transizione), che sviluppa ovviamente con il suo inimitabile. stile
espressionistico e con le sue specifiche componenti culturali. Passando alla
seconda questione (che , in fondo, l'unica che veramente ci preme, essendo il
problema della "ortodossia marxologica" di Bloch di secondaria
importanza), ci si accorge. agevolmente che la teoria blochiana dell'Utopia ha
un valore storico di posizione attualissimo nella situazione culturale odierna,
caratterizzata dallo sbandamento dell'identit filosofica della
"sinistra" e dall'aggressivo avanzare di una cultura di "nuova
destra", che ambisce all'egemonia negli anni '80 di questo secolo. Non si
vuole qui "strumentalizzare" la teoria blochiana dell'Utopia,
riducendola alla bassa cucina delle polemiche spicciole contro la nuova Destra
(35). Al contrario, si intende qui segnalare la teoria blochiana dell'Utopia
Concreta come componente fondamentale di 159 un'identit culturale
storico-materialistica della sinistra marxista. Nella teoria blochiana il mito correttamente inserito nell'identit
anticipante di una comunit storica, vive come componente strutturale del
presente storico, allude all'impossibilit di raggiungere una (del resto
indesiderabile) "razionalit perfetta" integralmente demitizzata, e
non perci mai messo in opposizione
frontale all'agire utopico-anticipante, che anzi feconda in continuazione (36).
Il modello utopico non pu coniugarsi in alcun modo, invece, con la
"cultura di destra", in cui il "mito" rinvia all'originario
come fondamento anti-storico e del tutto meta-storico, rifiuta il tempo come
"futuro", come novum, come non-ancora (per usare un'espressione
ontologica blochiana), ed dunque una
perfetta anti-utopia, facilmente trasformabile in un'utopia regressiva. Il
riferimento all'originario come sede di un'autenticit numinosa metatemporale,
degradata dal fluire decadente del tempo,
infatti ad un tempo una perfetta utopia regressiva e dunque una radicale
anti-utopia. In Bloch l'utopia come "esercizio mentale sui laterali
possibili" del tempo possibile
esclusivamente come "presente storico", e si distingue in modo
qualitativo dalle prefigurazioni geometrico-totalitarie di un futuro irrigidito
e programmato (come temono invece Kolakowski e Popper) (37). L'utopia vive
infatti, in Bloch, come principio-speranza, non come progetto maniacalmente
onni-prefigurante. La sua realizzazione integrale implicherebbe la sua morte,
la chiusura dell'orizzonte storico del futuro, il nevrotico rifiuto di fermare
ia freccia del tempo. L'Utopia Concreta
dunque, ad un tempo, una teoria ontologica della Possibilit Reale ed una
teoria storico-dialettica della Temporalit: il materialista storico pu
tranquillamente rivendicare questa fondamentale dimensione teorica, senza farsi
spaventare dalle messe-in-guardia degli assolutizzatori del presente
feticizzato nella sua immutabilit (38). 5. L'invito blochiano a studiare la
storia del materialismo Il materialismo storico marxiano, come noto, non
un materialismo filosofico "speculativo", n richiede
"fondazioni" materialistico-speculative di alcun tipo. E' noto (e lo
si ricordato nella seconda parte di
questo scritto) che l'incasellamento del , materialismo storico dentro una
teoria generale di tipo "speculativo" (quale stata di fatto il materialismo dialettico
sovietico) non mai un'operazione
innocente. I prezzi da pagare sono molto alti, e vanno dall'edificazione di una
"visione del 160 mondo" ateo-materialistica di tipo quasi sempre
scientistico-positivistico (nemica della "cultura umanistica" ed
ingenuamente subalterna alle manipolazioni tecnocratiche) fino all'elaborazione
di una ideologia di legittimazione statuale. Resta il fatto che un'attivit
filosofica materialistico-speculativa non
mai eliminabile, risultando dal doppio fenomeno convergente degli
scienziati che riflettono sulla globalit delle proprie conoscenze, da un lato,
e dei filosofi che vogliono far interagire la propria "speculazione"
con i dati offerti loro dalle scienze della natura. Questa convergenza un fatto progressivo, e non bisogna certo
spaventarsi dalle inevitabili genericit e dai veri e propri errori che il
non-specialista fa quando abbandona il suo campo. Si tratta di un prezzo molto
basso da pagare, pi basso, in ogni caso, dell'isolamento reciproco cui
sarebbero altrimenti condannate le discipline scientifiche e la riflessione
filosofica (39). Il "materialismo speculativo" non ci dice nulla,
dunque, sui modi di produzione, ma ci segnala atteggiamenti filosofici
destinati ad influenzare indirettamente anche l'approccio alla teoria specifica
dei modi di produzione, stessi. Si gi
segnalata positivamente (nella terza parte di questo scritto) la messa in
guardia heideggeriana contro il "materialismo" inteso come teoria
della produzione incondizionata a partire dal "lavoro" creatore e
signore di tutte le cose. Si pensi ai disastri filosofici causati in Italia
dalle conseguenze del dellavolpismo (escludendo parzialmente da queste pesanti
responsabilit Galvano Della Volpe stesso), che aveva integralmente ridotto il
"materialismo" a metodologia scientifica antidialettica, fino a
sfociare nella "distruzione" collettiana del materialismo storico. E
si pensi infine all'atmosfera di opportunistico agnosticismo verso i problemi
di "visione del mondo" creata dallo "storicismo integrale"
del cosiddetto italo-marxismo togliattiano (sulla quale ha scritto
indimenticabili pagine Sebastiano Timpanaro). Poich speculare sulla
materia" largamente inevitabile,
tanto vale almeno che lo si faccia nel modo pi proficuo e fecondo possibile 0,
se se vuole, creando meno danni possibili (40). E' nel quadro di queste
considerazioni che possiamo apprezzare la storia blochiana del materialismo.
Si parlato, in proposito, di Bloch come
di uno "Schelling marxista". L'analogia stimolante, ma pu condurre anche fuori
strada, se si "schiaccia" eccessivamente la problematica blochiana
sulla "filosofia della natura" dei romantici. Ernst Bloch viene
infatti dopo la grande "crisi delle scienze" di inizio secolo,
ed a partire da essa che deve essere
giudicato, nel suo doppio aspetto di storico e di filosofo 161 del
"problema del materialismo" (41). Ernst Bloch non , ovviamente, un
filosofo della scienza. Egli non indaga sui meccanismi e sulla logica della
scoperta scientifica, ma 'specula" sulla nozione filosofica di materia.
Seguendo l'indicazione di Lenin, non pretende insegnare agli scienziati
specialisti la nozione corretta" dell'oggetto" che essi stanno
studiando, ma attua una "riflessione di secondo grado" su questo
stesso oggetto, attraverso l'esame storico delle idee di materia e di
materialismo. Un grande genetista contemporaneo ha scritto: "Alcuni
specialisti hanno consigliato di limitare il termine "evoluzione"
alla sola evoluzione biologica. Io non condivido il loro punto di vista, poich
mi sembra importante trasmettere l'idea che mutamento e sviluppo sono
caratteristiche del mondo inorganico come della materia vivente e delle
faccende umane". Pi in l, questo genetista chiarisce con molti esempi come
la scienza moderna, intesa in modo filosoficamente dinamico, non solo non scoraggi,
ma anzi attivamente incoraggi una visione dinamico-speculativa della materia
come capacit di creare ininterrottamente novit evolutive (42). i E' questa,
indubbiamente, "speculazione", e non certo riflessione determinata
sui marxiani modi di produzione. Tuttavia, dopo i disastri provocati da tutti
gli storicismi integrali che hanno preteso espellere la natura ed il
materialismo da una coerente visione del "moderno", e pi ancora
ridurre il materialismo storico a "sociologia", il tentativo blochiano
di riscrivere la storia del materialismo appare un ritorno alle intenzioni del
pensiero settecentesco, il quale sapeva molto bene come dietro la metafora
della "natura" e della "materia" si stavano giocando
questioni sociali 'di fondo (43). E' interessante (e certo non casuale) che
Bloch riesca ad apprezzare contemporaneamente il teologo rivoluzionario Thomas
Munzer e l'ateo materialista barone d'Holbachj soltanto una situazione
filosoficamente e provincialmente arretrata, che distingue gli uomini in
clericali e mangiapreti, pu stupirsi che sia lo stesso autore ad affrontare con
approccio analogo il nocciolo rivoluzionario della teologia ed il nucleo
emancipatore del materialismo, aspetti, entrambi, della stessa dinamica realt
(44). 6. Experimentum mundi: l'ontologia della possibilit del Nuovo nella
storia La valutazione positiva che stata
qui data del pensiero blochiano nel suo complesso non sarebbe tale se tutte le
162 componenti fin qui enumerate (concezione multilineare e differenziata della
temporalit storica, radicalit della critica religiosa, valorizzazione
dell'eredit giusnaturalistica borghese, centralit dell'anticipazione utopica,
profondit e genialit del suo materialismo speculativo) non confluissero tutte
in una salda e coerente visione ontologica della storia. Allo scrivente
un'immagine di Bloch "maniaco della soggettivit" e cultore di
Prometeo e dei Titani non interessa per nulla. Il ventesimo secolo pieno di cantori del titanismo e di apologeti
della "prassi che ha successo", sempre pronti a sputare sui perdenti
e ad incensare i vincitori (ma Ernst Bloch, che parla del "riscatto"
dei vinti, e che vede in Thomas Munzer il simbolo della
"provvisoriet" della sconfitta, non rientra certo nel gruppo di
costoro). Tutte le componenti filosofiche che abbiamo sopra sommariamente
elencate non varrebbero anzi un soldo bucato (su questo lo scrivente preferisce
esprimersi con triviale franchezza) se dovessero essere "cambiate di
segno" ed acquistare una valenza anti-ontologica ed
idealistico-soggettiva. La filosofia contemporanea infatti piena di chiacchiere sul tempo come
categoria percettiva in cui migliaia di "soggetti sociali" irrelati
si sprofondano a met fra lavori a part time, esercito industriale di riserva, e
rifiuti del lavoro di vario tipo; di riscoperte del "religioso" in
stile falso-indiano e vetero-contadino; di contrapposizione dei "diritti
umani innati" alla rivoluzione sociale ed alla critica delle
diseguaglianze e della propriet privata; di chiacchericcio sull'utopia come
fuga in avanti ed alibi per evitare i discorsi concreti sul possibile storico
hic et nunc; di riscoperte di un "nuovo materialismo" sulla base dei
tarocchi, dell'astrologia, del "sapere delle donne" e dei manuali di
Jane Fonda; eccetera, eccetera. Tutti i "temi" blochiani sono infatti
apparentemente molto di moda oggi, nella misura in cui possono essere declinati
in forma irrazionalistica e soprattutto violentemente anti-ontologica. Si
tratta, tuttavia, di temi blochiani senza Ernst Bloch, il quale non c'entra per
nulla con tutto questo, e ci ha lasciato con Experimentum mundi un testamento
filosofico di enorme importanza teorica e soprattutto di forte impronta
ontologica, sul quale ben pochi equivoci sono possibili. Experimentum mundi
un'opera profondamente calata nell'atmosfera dei primi anni '70 di
questo secolo, che risentivano ancora della scossa storica, confusa ma
generosa, del Sessantotto europeo. Essa
ad un tempo un'esposizione sistematica di categorie filosofiche
(logico-ontologiche, secondo la tradizione di Hegel), un repertorio di problemi
aperti e non risolti della filosofia marxista, un insieme di piccoli saggi in
un certo senso compiuti in se stessi come i migliori aforismi adorniani. Tutta
la ricca problematica blochiana vi trova una sorta di "assestamento",
che non ha nulla a che fare con la manualizzazione ed il compendio facilmente
riassumibile e ripetibile (Bloch non pu essere soggetto a riassunti e
schematizzazioni, data la fusione fra forma e contenuto tipica delle sue
opere), ma che illumina retrospettivamente il significato filosofico di tutta
la sua precedente attivit teorica (45). L'ontologia di Bloch non una "descrizione" delle
caratteristiche modali dell'Essere, ma
una teoria descrittivo-processuale del non-essere-ancora (46). La
modalit fondamentale del non-essere-ancora
ovviamente la categoria della "possibilit". Quando Bloch parla
di possibilit" in senso ontologico, ne sviluppa due significati
fondamentali: in primo luogo, la possibilit
una espressione modale della materia in quanto 2 essere processuale; in secondo luogo, la
possibilit il luogo delle concrete
condizioni parziali della realizzazione di quanto "volta per volta" possibile
(che a sua volta unit di un fattore
soggettivo, la maggiore o minore capacit di trasformare il dato, e di un
fattore oggettivo, la maggiore o minore trasformabilit del dato). In entrambi i
casi, la "necessit" non rappresenta mai la modalit fondamentale del
non-essere-ancora (e questo preclude ogni possibilit di lettura di Experimentum
mundi in chiave grande-narrativa o deterministico-naturalistica), ma sempre ontologicamente subordinata alla
possibilit, cos come lo spazio
subordinato al tempo, ed il presente al futuro (47). La possibilit anche una "forma d'esserci" della
prassi, che la categoria fondamentale
della ontologia blochiana, che pu essere dunque definita come una fondazione
ontologica del primato della prassi'umana sulla base di una concezione della
"materia" come di un essente-in-possibilit (definizione che, non
permettendo l'inserimento di Bloch n nel marxismo orientale n in quello
occidentale, costringe a rivedere tutti gli schemi consueti) (48). La centralit
ontologica della prassi. in Bloch deve essere ovviamente ben compresa; in primo
luogo, non si tratta di una "filosofia della prassi", nella misura in
cui questa espressione allude al rifiuto di una considerazione dialettica della
natura, mentre in Bloch la concezione
della materia come essente-in-possibilit che fonda la prassi stessa; in secondo
luogo, non si tratta di una concezione della prassi come
"immediatezza" (e si pensi alla critica hegeliana del "darsi
della conoscenza" concepito come un improvviso "colpo di
pistola"), in quanto in Bloch il ruotare ci che ci sta davanti ed il portare
il vissuto fuori dall'immediatezza ancora oscura e confusa significa anche
collocarlo su un piano superiore a 164 quello dell'emotivit indeterminata,
ossia inserirlo nel processo dell'oggettivazione e dell'astrazione concettuale
(49). La nozione blochiana di prassi si presta certo a molte considerazioni. In
primo luogo, essa certo anche
"lavoro", ma il lavoro non
mai, come nella Ontologia lucacciana, la forma LI originaria ed il
modello della prassi stessa; questa
certo una scelta degna di riflessione (50). In secondo luogo, essa il | principale fattore storico-filosofico
che potremo definire anti-nichilistico (e questo interessante e nuovo per il dibattito
filosofico italiano, nel quale, per infiuenza anche di pensatori come Severino,
la prassi divenuta sinonimo di
nichilismo), in quanto momento
costitutivo della processualit dell'essere-in-tensione (51). In terzo luogo
(ed forse il punto pi importante), la prassi il fattore che realizza nella storia ci che
Bloch chiama la tendenza, e che egli oppone alla "legge", intesa come
"ci che tiene ferma la ripetizione" (52). Il fatto che la prassi sia
inserita in una sorta di tendenza latente nella processualit. storica, da un
lato, e nello stesso tempo sia considerata come il fattore decisivo della
storia, dall'altro, certo un elemento
d'ambiguit dell'ontologia blochiana. Non c' in proposito soltanto una mancanza
di rigore terminologico (come ha osservato Adorno) e neppure una confusione
filosofica sistematicamente intrattenuta (come ha opinato Kolakowski). Bloch ha
inteso invece rispecchiare (qui lo scrivente esprime la propria personale
opinione) un elemento di ambiguit e di ambivalenza realmente esistente nella
ontologia del materialismo storico, che effettivamente oscilla fra una
incorporazione dell'agire trasformatore in una sorta di causalit strutturale
radicata nelle leggi di movimento immanenti ai modi di produzione ed una
enfatizzazione dell'elemento di novit portato nella storia dall'iniziativa
umana concreta (53). Experimentum mundi
d'altronde programmaticamente una ontologia di un sistema aperto, un
eccezionale sforzo linguistico di tenere aperte insieme le vie dell'aforisma e
dell'osservazione micrologica e le strade della categorizzazione sistematica
delle nozioni filosofiche. Si tratta di un libro che abbiamo appena
incominciato a leggere, e che dar i suoi primi frutti storici quando
incominceremo a prenderlo sul serio come un vero e proprio libro-spartiacque,
che si colleca nello spazio intermedio fra la chiusura della storia dei vecchi
marxismi e LAPGItuta di una storia di marxismi LISCA PERO rinnovati. 165 7.
Sulla feconda ambiguit dell'ontologia blochiana La mancanza di
"precisione" del linguaggio filosofico blochiano dunque un motivo di forza, e non di
debolezza. Bloch considera il passato come un'unit dialettica di tendenze
all'asservimento e di tendenze all'emancipazione (in sintonia con un pensatore
che gli apparentemente tanto lontano,
nello stile e nei contenuti, come Jurgen Habermas, ed in opposizione a pensatori
pi affini a lui nel linguaggio, come i "vecchi signori" di
Francoforte e lo stesso Heidegger), analizza il presente come ci che rimarrebbe
sempre oscuro se non fosse fatto "ruotare" in direzioni progettuali,
e concepisce il futuro come luogo in cui l'utopia (che, in quanto tale, trova
nel presente il suo luogo di formazione) si dispiega e si manifesta, aiutata
dalle tendenze dinamiche contenute nella stessa realt "materiale". |
Ernst Bloch dunque la prima risposta,
del cuore e dell'intelletto, della fantasia e della ragione, alla spietatezza
delle diagnosi di Weber e soprattutto di Heidegger sull'intrascendibilit del
meccanismo riproduttivo della societ capitalistica. Questa risposta non pu e
non deve essere linguisticamente "sorvegliata" e concettualmente
" formalizzata"; in comune con le avanguardie artistiche e letterarie
Bloch ha la consapevolezza della necessit di attuare una rivoluzione nel
linguaggio (analoga, del resto, alla consapevolezza che porta Heidegger a
distinguere fra "filosofia" e pensiero"). | La questione teorica
essenziale si trova tuttavia altrove, al di l delle mille questioni di
dettaglio che non possono non nascere dall'arialisi della sterminata
enciclopedia filosofica blochiana (che non
mai, in nessun momento, un "pensiero edificante", che ambisca
"consolare" i vinti e farli sperare contro ogni "evidenza dei
fatti"). Il punto di reale ambiguit
l'atteggiamento generale di Bloch verso la possibilit di edificazione di
un futuro emancipato (e comunista). Mentre nella Ontologia lucacciana non si va
oltre ad una cauta e sobria esplorazione della "possibilit
ontologica" di un futuro emancipato e comunista e della negazione di
fattori metastorici (di tipo sociobiologistico o sistemico-sociale) in grado di
renderla impossibile, in Bloch (nonostante i suoi riferimenti metaforici. alla
realt del diavolo come sopravvivere dell'''avversante" contenuti in
Experimentum mundi) vi certo qualcosa di
pi di una mera teoria "fredda" della possibilit ontologica del
comunismo.E' presente in Bloch una vera e propria scommessa emotiva sulla
tendenza generale, che non ' mai (come si 166 x
detto sopra) edificazione ed ottimismo . irrazionalmente programmatico,
ma che pur sempre una esaltazione della
prassi umana in tutte le sue forme. Non si tratta qui di rimproverare Bloch per
non aver definito in forma pi precisa le forme fondamentali della prassi umana
(e del resto Bloch non sarebbe pi tale senza la sua voluta torrenzialit
multiforme). Si tratta, invece, di vedere in Bloch la. compresenza di due
tendenze filosofiche fondamentali, delle quali l'una integralmente prometeica, titanica, e romanticamente
tesa all'infinito, mentre l'altra ontologizza le possibilit. del finito,
naturale e sociale, di trasformarsi, di cambiare forma e qualit, di non
rimanere sempre eguale, di trovare dimensioni sempre diverse in una temporalit
ricca e multiforme, mai schiacciata sul tempo capitalistico dell'orologio e
sullo spazio della propriet privata (54). Lo scrivente non nasconde la sua
preferenza verso un'ontologia del finito e delle sue forme, e qui Bloch non ci
soccorre pi. Senza un bagno nel torrente blochiano, tuttavia, neppure
un'ontologia del finito diviene possibile. Occorre imparare, prima, da chi ha
filosofato sempre "come Aristotele e Hegel", come se l'intera
filosofia contemporanea, irrigidita nella gabbia dei linguaggi accademici, non
esistesse neppure. 167 NOTE 1. Si veda Lukcs, Pensiero Vissuto, Ed. Riuniti,
1983, p. 44. Quando Lukcs * parla di Bloch, si
generalmente in presenza di una valutazione di fondo altamente positiva
del pensatore tedesco, di cui
continuamente sottolineata la classicit" mentre si criticano altri
elementi teorico-politici di fondo (valutazione delle avanguardie storiche,
problema del tempo, eccetera). Quando Bloch parla di Lukcs (cfr. Bloch,
Tagtraume vom aufrechten Gang, Suhrkamp, 1977, passim) la valutazione ancora pi positiva, in quanto mancano in
generale persino critiche specifiche (al di fuori dell'accusa di "cecit
critica" verso le avanguardie storiche). I) libro di Bloch sulla storia
del materialismo d'altronde dedicato da
Bloch all'"amico di giovent" Lukcs. Lo studio che il lettore ha sotto
gli occhi non una monografia critica su
Lukcs e Bloch, e neppure un esame sistematico delle convergenze e delle
divergenze dei due autori. Lo scrivente intende solo sottolineare sistematicamente
la comune battaglia teorica, filo-ontologica ed anti-soggettivistica, dei due
autori, che li contrappone in modo netto alla solidariet antitetico-polare fra
esistenzialismo e neopositivismo, tipica del pensiero e della prassi del nostro
tempo. Non c', fra l'altro, nessun "concordismo opportunistico", ma
una esplicita scelta (filo-lucacciana) da parte dello scrivente. Tuttavia (e
qui si arriva al dunque), lo scrivente
molto contento del fatto che i due vecchi autori si sentissero solidali
nel loro sforzo teorico, perch anch'egli li legge come sostanzialmente
solidali. 2. Il Dio di Heidegger infatti
molto spesso un "padrone" del mondo, mentre in Bloch, come vedremo,
lo eritis sicut deus rende impossibile una teologia del padre-padrone. 3. Lo
scrivente deve molto, ed pienamente
d'accordo, con la fondamentale monografia di Remo Bodei, Multiversum. Tempo e
storia in Ernst Bloch, Bibliopolis, 1979. Bodei ha il merito di centralizzare
la valutazione di Bloch: del concetto di multiversum temporale, di cui vede
bene l'incompatibilit assoluta con le filosofie storicistiche della storia. E'
questa anche la tesi di fondo dello scrivente nella quarta parte di questo
scritto. 4. E' questo forse il modo privilegiato con cui leggono Bloch i
simpatizzanti per il cosiddetto "marxismo occidentale": primato della
attivit, esaltazione della prassi comunque e dovunque, unit soggetto-oggetto.
Vi qui la radice della grottesca koin
filosofica che rappresenta la sistematizzazione (non dialettica) del senso
comune elaborato dai "soggetti" (definiti "nuovi", e quasi
sempre vecchi come il cucco) liberati, e cio resi disoccupati, dalla
razionalizzazione capitalistica della produzione. Gli operai che bollano la
cartolina sarebbero schiavi del tempo cartesiano quantitativo, mentre la qualit
del vero rapporto con il reale sarebbe attinta (o attingibile) con trainings di
induismo semplificato gestito industrialmente da managers capitalistici del
"bisogno di misticismo" che esprimerebbero gli emarginati. Scrittori
positivisti (come Lucio Colletti) tendono a collocare questo rifiuto del
"tempo delle scienze" all'interno di un unico blocco irrazionalistico
e "bergsoniano" di 168 rifiuto del mondo moderno. Si tratta invece di
un'esasperazione grottescamente esistenzialistica di un atteggiamento integralmente
positivistico di accettazione della "superficie" visibile del mondo
post-moderno (che anti-dialettico
esattamente come quello di Colletti). 6. Si veda E. Severino, Destino della
necessit, Milano, 1980. 7. ! principi filosofici della originariet e della
fatalit del tempo rappresentano, a parere dello scrivente, il connotato
filosofico principale della "nuova destra" degli anni '80 (insieme
con il principio di differenza interpretato come radicale diseguaglianza fra gli
uomini). Si rimanda qui alla ricchissima pubblicistica della "nuova
destra" (Elementi, Nouvelle Ecole, eccetera). 8. Indispensabile strumento
di lavoro la monografia di Remo Bodei
citata nelia nota 3. A p.15-16 Bodei fa la distinzione fra non-contemporaneit
ed arretratezza. Pi avanti (p. 37)
citata una critica argomentata (dallo scrivente non condivisa) di uno
scritto lucacciano degli anni '30, rimasto lungamente inedito, a proposito del
concetto. blochiano di non-contemporaneit. Pi avanti ancora, in pagine
fondamentali, Bodei elenca quattro nozioni di attimo-(l'attimo nei suoi
caratteri di repentinit e di discontinuit granulare; l'attimo come nunc stans,
nunc aeternum come congelarsi e
rallentare del tempo, quale "attimo immenso"; l'attimo come '
Jetzt-Zeit, tempo-ora con cui si spezza il continuum della storia; l'attimo
come momento solenne della decisione anticipatrice, come segno della
autenticit). Bodei riconduce la prima nozione a Hegel, ed illustra poi
posizioni di Bachelard; connette la seconda con i mistici, parla del Faust e
del giovane Lukcs; esamina la terza in rapporto a Benjamin (di cui occorrerebbe
esaminare con attenzione le fondamentali Tesi sulla filosofia della storia,
quasi sempre mal interpretate dall'attuale moda benjaminiana in Italia, che ha
assunto ormai aspetti francamente demenziali); si riferisce nella quarta allo
Heidegger di Essere e Tempo. 9. Sembra allo scrivente che queste posizioni
siano diffuse soprattutto fra i verdi tedeschi. Pi in generale vi qui una singolare compresenza fra ammirazione
delle avanguardie storiche (e pi in particolare dell'espressionismo e del
montage) ed ammirazione dell'autenticit contadina. In questo senso queste
posizioni sono "fedeli" a Bloch (che era incantato sia dal cabaret
espressionista che dai villaggi contadini della Turingia). Lo scrivente (che
concorda invece con le posizioni teoriche della Ontologia lucacciana) ritiene
che la non-contemporaneit che viene confusa con il rispetto feticistico di ogni
tipo di arretratezza sia una nozione che non tiene conto della novit storica
portata dal capitalismo, che permette la "transizione antropologica"
dalla singolarit alla particolarit. 10. E' questo, in senso assoluto, il
problema pi importante che dovr essere risolto in futuro dalla filologia
blochiana. Gi ora la migliore letteratura secondaria s impegnata su questo. Il notevole testo di H.
H. Holz, Logos Spermatikos. Ernst Bloch Philosophie der unfertigen Welt,
Luchterhand, 1975, documenta chiaramente come Bloch attribuisca una finalit
immanente sia alla storia che alla natura. Per usare il linguaggio della
Estetica di Lukcs, indubbio che vi sono
in Bloch fortissime tendenze all'antropomorfizzazione filosofica della natura.
Lo scrivente 169 (che non condivide per nulla questa tendenza) ha deciso per di
enfatizzare altri aspetti del pensiero blochiano, che lo collocano in
un'opposizione determinata allo storicismo ed al destinalismo. Ogni pensatore
si muove in una congiuntura storica determinata, occupa spazi e ne lascia
liberi altri. Questo avviene per Bloch, come per chiunque altro. 11. Questa
versione edulcorata, moderata, ed educata" di Bloch sostanzialmente presente nel testo di Bodei,
sopracitato, ed anche nelle divulgazioni scolastiche (cfr. Sergio Moravia,
Pensiero e civilt, III, Le Monnier, 1982). Ancora pi dannose sono le confusioni
fra Bloch e Benjamin, fatte a partire da superficiali analogie nella tematica
teorica. 12. Per essere pi precisi, Ernst Bloch pu essere legittimamente usato
sia dalla cosiddetta "teologia della speranza" sia dalla cosiddetta
"teologia della rivoluzione". Nel primo caso, si enfatizza un
principio squisitamente ontologico riferito alla natura ed alla storia (il
"principio speranza", appunto), nel secondo caso, si tende verso
un'interpretazione "zelotica" di Ges ed in ogni caso verso una
lettura "politica" dei vangeli. Entrambe le letture sono estranee al
materialismo storico ed anche alla ontologia dell'essere sociale, ma non
possono neppure essere definite ostili. 13. Si
veda Hindness-Hirst, Pre-capitalist modes of production, Routledge & Kegan,
London, 1975. E' certo impossibile "dedurre" il profetismo ebraico a
partire dall'istanza ideologica del modo di produzione antico-orientale (e non
deveessere questo l'obbiettivo di un materialismo storico bene inteso), ma certo che senza un'approfondita conoscenza
dei meccanismi sociali di riproduzione pre-capitalistici in Giudea non si pu
neppure intendere adeguatamente Isaia e Geremia. In Bloch c' molto spesso la
tendenza a "forzare" il testo biblico (all'interno di pi generali
tendenze ermeneutiche tipiche del pensiero contemporaneo), ma non si mai in presenza di manipolazioni o di
falsificazioni. 14. La filosofia della religione caratterizzata oggi da uno slittamento da
posizioni "fenomenologiche" (assai forti negli ultimi trent'anni) a
posizioni apertamente "antropologiche" (si veda, ad esempio, la voce
Religione, scritta da Marc Aug, Enciclopedia Einaudi, 1980). Bloch sostanzialmente estraneo ad entrambe le
tendenze, consapevole della limitatezza e della parzialit delle spiegazioni
fenomenologiche e delle riduzioni sociologistiche o antropologico-sociali. 15.
Le opere blochiane cui si fa riferimento sono Religione in eredit, Queriniana,
1979, ed Ateismo nel Cristianesimo, Feltrinelli, 1971. Dato il carattere di
questo saggio, lo scrivente non pu neppure sunteggiare sommariamente queste
opere fondamentali, limitandosi a darne un giudizio teoretico di fondo.
Studiosi accreditati di Bloch (come il padre gesuita Giuseppe Pirola ed il
traduttore italiano delle due opere sovracitate, Francesco Coppellotti) si sono
molto sforzati, nel generale disinteresse della cultura italiana (in tutte le
sue varianti, laica, cattolica, e "marxista"), di chiarire il reale
significato dell'espressione "ateismo nel cristianesimo". 16. E'
questa la posizione del noto filosofo italiano Augusto Del Noce,
sostanzialmente condivisa dai teorici del movimento cattolico-integralista
Comunione e Liberazione (Buttiglione, Formigoni, eccetera). Questo non 170 17.
18. 19. 20. 21: deve stupire, e neppure provocare indignazione. Trattandosi di
metafisici, per i quali ogni "pensiero" deriva linearmente da un
"fondamento" unico ed originario, non
un caso che riducano il "marxismo" ad una sorta di
"filosofia del fondamento originario" (identificato con la negazione
radicale di Dio). Ad essi estranea non
solo la determinatezza delie categorie della critica dell'economia politica, ma
anche la critica blochiana al culto religioso di un Dio visto come Padrone e
despota teologico-politico. Questa posizione
diffusissima, anche se raramente esplicitata. Nell'ambito filosofico, si
tratta di un equivalente teorico della posizione ricardian-marxista. Come i
neo-ricardiani ritengono che Marx abbia semplicemente "corretto" gli
economisti classici inglesi, inserendosi per nello stesso ambito problematico (per
i neo-ricardiani, come noto, Hegel
non mai esistito), analogamente alcuni
ritengono che Marx, inserendosi nello stesso ambito problematico del dibattito
positivistico sull'esistenza o meno di "dio" (Moleschott, Du
Bois-Reymond, Haeckel, eccetera), abbia concluso, sulla base della divulgazione
astronomica, chimico-fisica, biologica, eccetera, di "non aver bisogno di
questa ipotesi per spiegare il mondo". Il marxismo sovietico, ad esempio,
sviluppa in modo parallelo ,la divulgazione ateistica degli argomenti sulla
"non esistenza di dio" e l'insegnamento dogmatico delle "leggi
economiche del socialismo". Su questo punto Marx successore contemporaneamente di Hegel e di
Feuerbach. Marx sa bene come una cattiva gnoseologia produce una falsa
ontologia, ed assai lontano dalla
critica gnoseologica kantiana a qualsivoglia posizione ontologica. Secondo
l'impostazione dello scrivente, la critica blochiana dell'alienazione religiosa
deve essere intesa, in prima approssimazione, come una prosecuzione di Marx e
come un miglioramento rispetto ad Engels. Questo non significa affatto,
ovviamente, che Bloch "la pensi esattamente come Marx e come Engels su
tutta una serie di questioni". Su molti punti Bloch la pensa infatti
diversamente. La questione "strategica" un'altra: in Bloch, come in Marx, senza
critica della religione niente critica dell'economia politica. L'esperienza
polacca certo specifica e del tutto
peculiare (ed infatti non appare estendibile a paesi come l'Ungheria, la
Germania orientale, la stessa Urss),ma presenta pur sempre aspetti
paradigmatici (come del resto la rivoluzione culturale cinese di Mao Tsetung,
ad un tempo cinese ed universale). Il filosofo Kolakowski (gi criticato nella
prima parte di. questo scritto) rappresenta un esempio di reazione idealistica
all'ideologia del socialismo di stato, che non a caso assume sempre di pi
aspetti "religiosi" (esattamente nel senso criticato da Bloch).
Autori come Michnik e Geremek hanno invece compiutamente teorizzato la funzione
della Chiesa cattolica in Polonia come specifica forma di resistenza della
"societ civile" nella sua lotta per l'autonomia rispetto allo Stato
(abbandonando cos ogni residuo di critica marxiana alla religione). Il pensiero
di Bloch ovviamente del tutto estraneo
alle teorizzazioni di Kolakowski e di Michnik. | Non a caso, l'esposizione pi
"partecipante", chiara e comprensiva del materialismo dialettico
sovietico dovuta ad un sacerdote
cattolico che 2: 23: 24. 171 si pene dal punto di vista del tomismo
neo-scolastico (cfr. Gustav A. Wetter, Dialectical Materialism, Praeger, 1958).
I due sistemi, dogmatici e chiusi, si contrappongono staticamente e
pretescamente come castelli: di carta di verit rivelate ed invariabili. Marx e
Tommaso d'Aquine non c'entrano ovviamente per nulla, e restano meri pretesti
per giustificare il conflitto fra "visioni del mondo" segretamente
solidali. Non si intende qui polemizzare con pensatori valorosi e meritevoli
{come Giulio Girardi) che effettivamente perseguirono la separazione fra
materialismo dialettico e materialismo storico in vista di una "unit
d'azione" fra marxisti e "credenti" per la comune attuazione di
trasformazioni rivoluzionarie. Una simile piattaforma comune (che lo scrivente
condivide integralmente) ad esempio
operante in paesi come il Nicaragua. La polemica invece diretta contro le sgangherate
riduzioni del materialismo storico a sociologia (caratteristiche degli anni
'60). La critica blochiana della religione
dunque un aspetto parziale e particolare della sua complessiva
"ontologia della speranza", fondata sulia negazione della possibilit
di definire "impossibile" ci che non si ancora verificato nella storia (o che si gi verificato in modo embrionale ed
incompiuto), ma che non per questo deve essere anticipatamente negato e
connotato come "assolutamente impossibile". Lo scrivente non ci vede
dunque alcun prometeismo (che gli sarebbe odioso), ma solo un coerente sviluppo
di tematiche gi rintracciabili in Marx. Ci riferiamo a Naturrecht und
Menschliche Wurde, Frankfurt am Main, 1961. Il libro di Bloch non stato ancora tradotto in italiano (ma esiste
una traduzione francese). Si tratta di un testo ad un tempo storico e teorico,
scritto in una prosa ad un tempo profonda e divulgativa, di affascinante
lettura. Non resta che sperare che una buona traduzione venga fatta il pi
presto possibile, e che giunga in un clima filosofico e culturale meno
avvelenato dell'attuale dalle tendenze decisionistiche, 25: irrazionalistiche e
pi in generale post-moderne (di derivazione francese). Il fondamentale testo
cui si fatto riferimento, Egoismo e
movimento di libert contenuto nella
raccolta di saggi di Max Horkheimer, Teoria critica, JI, Einaudi, 1974. E'
interessante (e certo non del tutto casuale) che Horkheimer sia passato da
questa diagnosi radicale e disperata del "passato borghese", presente
nelle sue posizioni degli anni '30 e '40, alle posizioni di ripiegamento
intimistico ultraborghese e francamente anticomunista degli anni '60. In ogni
caso il testo horkheimeriano resta un capolavoro, di fronte all'antigiacobinismo
dozzinale e straccione dei nouveaux philosophes francesi, per i quali
"x sempre gi contenuto in y"
(in questo caso, i Gulag in Robespierre, Beria in Hegel e Pol Pot in Fichte).
E' anche interessante il fatto che Jurgen Habermas (spesso erroneamente considerato
un "seppellitore" dell'inimitabile radicalit dei vecchi signori
francofortesi ed un annacquatore del loro "terribile disincanto")
abbia sviluppato posizioni molto pi sobrie, ragionevoli e materialistiche,
capaci di tener conto (esattamente come Bloch) del doppio carattere dell'eredit
filosofica borghese. Si veda Jurgen Habermas, L'intrico' di mito e di
illuminismo: osservazione sulla "Dialettica dell'Illuminismo" dopo
una rilettura, in Fenomenologia e Societ, 21, marzo 1983. Habermas dunque un "miglioratore" dei
francofortesi, e 172 26. 27. 28. 29, 30. 31. 32. non il contrario, almeno dal
punto di vista del bilancio critico-dialettico del rapporto fra passato e
presente storico. Si veda Reinhard Kuhnl, Due forme di dominio borghese: liberalismo
e fascismo, Feltrinelli, 1973. Il libro del Kuhnl uno dei pochissimi disponibili in lingua
italiana che utilizzi esplicitamente il Bloch del Naturrecht contro ij
dispositivo fatalistico-teleologico alla Horkheimer-Heidegger. Si veda N.
Bobbio, Studi hegeliani, Einaudi, 1981, e soprattutto N. Bobbio e M. Bovero,
Societ e Stato nella filosofia politica moderna, Il Saggiatore, 1979. Lo
scrivente sostanzialmente d'accordo con
Bobbio ed invece in forte disaccordo con
Bovero. Bobbio ricostruisce dialetticamente il rapporto fra la tradizione del
diritto naturale e la filosofia di Hegel, mostrando come questa ne costituisca
insieme il compimento e la dissoluzione: se essa "proseguiva, sia pure con
una ricchezza di strumenti concettuali senza precedenti, la stessa strada"
che portava ad individuare nello stato" il punto culminante del processo
storico", il coronamento di questa visione generale "la considerazione della supremazia
della legge, intesa come la pi alta manifestazione della volont razionale dello
stato". Bobbio accentua certo gli elementi statalistici del
giusnaturalismo (ed in questo senso Bloch ne rappresenta l'opposto, in quanto
accentua sistematicamente tutti gli elementi antistatalistici, che pure sono
presenti), ma lo fa, in fondo, a buon diritto. Inaccettabile invece l'invenzione di Bovero di un
fantomatico "modello hegelo-marxiano" (in Marx non c', infatti,
nessuna "supremazia della legge", come in Hegel, e non c' neppure uno
"spazio specifico" per la teoria politica, come del resto Bobbio ha a
suo tempo brillantemente dimostrato), che
possibile cucire insieme solo con molte forzature. Chi veramente
apprezza Marx e Hegel, li separa sempre accuratamente (come fanno sia Bloch che
Lukcs), e sa bene che lo hegelo-marxismo non esiste. Si veda Marxismo e teorie
del diritto (a cura di Riccardo Guastini), Il Mulino, 1980. Si veda Karola
Bloch, Memorie della mia vita, Marietti, 1982. Si veda E. Bloch, Spirito
dell'Utopia, La Nuova Italia, 1980. Ai fini del nostro discorso per assai pi importante la summa filosofica
intitolata Das Prinzip Hoffnung (di cui si veda l'edizione economica in tre
volumi, per complessive millesettecento pagine circa, pubblicata dalla Suhrkamp
nel 1982). Fondamentali soprattutto le pp. 50-387 (dedicate alla categoria di
"coscienza anticipante") ed in particolare le pp. 258-288 (dedicate
alla categoria di "possibilit"). Si veda l'ottimo saggio di B.
Baczko, Utopia, in Enciclopedia Einaudi, 1981. Ad esso allegata anche una preziosissima
bibliografia. : Un diffuso errore, ad esempio, consiste nell'attribuire a Marx
la titolarit di una "corrente calda" del marxismo, che recepisce le
componenti utopiche, mentre Engels sarebbe l'iniziatore della corrente
"fredda", deterministica, scientistica, positivistica (anche Bloch
cade talvolta in questo equivoco). In realt l'ipotesi (ultra-utopistica)
dell'estinzione dello stato e della sua integrale sostituzione con una
"comunit sociale" trasparente
e del tutto post-statuale di Engels
(come ha brillantemente CRE 34. 173 argomentato in Italia lo studioso Danilo
Zolo in molti precisi saggi), il quale peraltro non fa che sviluppare
coerentemente la concezione marxiana del comunismo come robinsonismo sociale
perfettamente compiuto. Nel secondo volume del suo Prinzip Hoffnung E. Bloch
esemplifica analiticamente le varie progettazioni utopiche (Gioacchino da
Fiore, Moro, Bacone, eccetera). L'agire utopico di Ges Cristo non pu certo
essere anti-capitalistico (essendo radicato in una formazione sociale
antico-orientale, a sua volta dipendente dal modo di produzione schiavistico
romano; non v'era a quei tempi nessun modo di produzione capitalistico), ma
comprende una "latenza" anticipante dell'agire sociale utopico di
modi di produzione non ancora esistenti. Una adeguata dimostrazione di questa
tesi non pu essere qui fatta per ragioni di spazio. Si rimanda ai due volumetti
di scritti marx-engelsiani curati da Roger Dangeville Utopisme et communaut de
l'avenir e Les | utopistes, Petite collection Maspro, Paris, 1976 (che si
vorrebbe veder 35, 36. 37. 38. 39. tradotti in lingua italiana). In Italia
molti commentatori si sono recentemente accorti della "nuova destra"
e della sua offensiva culturale. Franco Fortini ha scritto alcuni saggi brevi
(in forma d'articolo di giornale) assolutamente indimenticabili. Italo Mancini
ci ha dato un saggio di grande respiro, impegnato ed informato, che utilizza
massicciamente gli scritti di Bloch (cfr. Italo Mancini, Il Pensiero Negativo e
la Nuova Destra, Mondadori, 1983). Marco Revelli, infine, ha ampiamente
utilizzato l'opposizione mito/utopia in una direzione teorica totalmente
condivisa dallo scrivente (al di l di divergenze di dettaglio). Si veda Jon
Elster, Ulisse e le Sirene.Indagini sulla razionalit e l'irrazionalit, Il
Mulino, 1983, ed anche, se pure meno efficace, Johan Goudsblom, Nichilismo e
cultura, Il Mulino, 1982. In entrambi questi autori la polemica contro il
razionalismo astratto non porta a rivalutare forme di irrazionalismo (come in
parecchi saggisti italiani), ma conduce alla sottolineatura dell'inevitabile e
positiva complementariet fra razionalit imperfetta ed immaginario sociale:
complementariet, questa, che trova in Ernst Bloch un teorico acuto ed
articolato. Si veda Leszek Kolakowski, Marxismo, utopia e antiutopia,
Feltrinelli, 1981. Nella prima parte di questo scritto si gi polemizzato ampiamente contro la
concezione di Popper e di Kolakowski. Il pensiero post-moderno in proposito quanto di pi lontano e di pi
ostile ci possa essere alla riflessione filosofica di Bloch. Nel pensiero
post-moderno coesiste il massimo di polemica anti-utopistica (l'utopia sarebbe
una traccia di pensiero dialettico, incompatibile con un "pensiero
debole" che vuole fruire integralmente dell'assolutizzazione del presente)
con il massimo di pretesa che l'utopia sia ormai "realizzata" (con la
morte del valore-lavoro e l'integralit dell'orizzonte del consumo fruito da un
corpo senza organi e da grandi macchine desideranti). La tradizione filosofica
anglosassone, in generale molto attenta ai rapporti fra filosofia e scienze della
natura, in proposito esemplare (e si
pensi ad autori come Needham e Whitehead). Un esempio di "materialismo
speculativo" il famoso testo di
Prigogine-Stengers, Einaudi, 1981 (e si veda l'uso di questo testo nel saggio
di Giannoli-Iliuminati in Aa.Vv. Il 174 marxismo in mare aperto, Angeli, 1983).
Vi in Italia il malvezzo, diffuso dalla
scuola collettiana, a considerare il "materialismo speculativo" una
sorta di vergogna romantico-tedesca, tipica di dilettanti come Hegel e
Schelling, cui si opporrebbe la sobria considerazione razionale della scienza I
tipica degli anglosassoni. La realt per
assai diversa. Il "materialismo speculativo" fiorente ovunque, dalla Cina all'Inghilterra,
dalla Francia alla Germania, e si tratta invece di giudicare i contenuti concreti
che di volta in volta si possono rintracciare nelle sintesi
filosofico-scientifiche dei vari autori via via considerati. 40. Per una sobria
sintesi in proposito si pu vedere l'agile libro di A. Pacchi, Materia,
Enciclopedia Filosofica Isedi, 1976. Come
possibile agevolmente constatare, il materialismo storico non c'entra
per nulla, e nello stesso tempo
impossibile sottrarsi alla sensazione che un corretto approccio alla nozione
filosofica di "materia" finisca per influenzare anche il nostro modo
di declinare la teoria dei modi di produzione. 41. Alludiamo a Ernst Bloch, Das
Materialismusprobiem, seine Geschichte und Substanz, Suhrkamp, 1972. Anche
questo fondamentale lavoro, concepito da Bloch e parzialmente realizzato fin
dagli anni '30 (e questo costringe ad un lavoro critico di collocazione di
questo lavoro nella stessa congiuntura storica che vede il Nietzsche di
Heidegger ed il testo di Sohn-Rethel su Lavoro Intellettuale e Lavoro Manuale),
non esiste affatto in lingua italiana. Chi non conosce la lingua tedesca pu
farsi un'idea dell'approccio blochiano alla filosofia della natura leggendo il
libretto di Bloch sulla Filosofia del Rinascimento, Il Mulino, 1981
(ottimamente introdotto da Remo Bodei). Un ottimo strumento bibliografico per
orientarsi nei problemi della concezione blochiana della "materia" si
ha nel numero monografico di Aut Aut, 173-174, 1979. Lo scrivente tende in
generale ad. accettare le riserve espresse da Hans Heinz Holz (ed anche da
Lukcs in : molti passi della Ontologia dell'Essere Sociale) sulla concezione
blochiana di "materia", ma ritiene anche che il problema principale,
nella situazione filosofica italiana contemporanea, sia quello di far leggere
Bloch. Le riserve specifiche possono venire dopo. Si veda Theodosius
Dobzhansky, Diversit genetica e uguaglianza umana, Einaudi, 1975, p. 108.
Dobzhansky separa accuratamente quelli che chiama i "tre tipi conosciuti
di evoluzione", cosmica, biologica ed umana, e nello stesso tempo insiste
sul carattere ontologico della novit che l'evoluzione porta con s. Egli insiste
anche sul fatto che "la cosmologia moderna
cosmologia evolutiva". 43. Si veda Post-Schmidt, Che cos' il
materialismo?, Laterza, 1976. La finalit emancipatoria del materialismo
borghese stata ampiamente studiata da
Alfred Schmidt anche in rapporto al pensiero di Feuerbach. Il fatto che il
marxismo secondinternazionalistico abbia ridotto il "materialismo" a
pura divulgazione scientifica popolare e quello terzinternazionalistico lo
abbia compendiato in manuali di propaganda ateistica rappresenta un tradimento
dello stesso pensiero borghese settecentesco, che legava insieme edonismo ed
incivilimento dei costumi, divulgazione scientifica ed emancipazione politica.
44. E' questo l'aspetto dominante, ed emancipativo, del pensiero blochiano. In
Bloch non vi alcuna contraddizione
logica nella valorizzazione di elementi 42 . 45. 46. 47. 48. 175 culturali, a
prima vista tanto diversi, quali il materialismo ateistico e la teologia
biblica. Sotto questo aspetto Bloch non
un successore di Schelling (come ritiene Jurgen Habermas, cui si deve
l'appellativo di "Schelling marxista" cui prima si fatto cenno), ma lo semmai di Spinoza. E' il pensatore olandese,
infatti, che supera integralmente la disputa terminologica sugli attributi di
Dio e/o della materia (anche se, ovviamente, l'analisi spinoziana del
profetismo priva di carica escatologica
e rivoluzionaria), nella sua tensione verso un monismo reale (in Bloch,
ovviamente, dialettico, mentre in Spinoza prevalgono gli aspetti meccanicisti).
Disponiamo fortunatamente di un'ottima edizione italiana di Experimentum mundi
(cfr. Ernst Bloch, Experimentum mundi, Queriniana, 1980). La nota introduttiva
del traduttore italiano, Gerardo Cunico,
molto utile sul piano informativo ed
anche penetrante sul piano teoretico, sottolineando giustamente le
intenzioni ontologiche di Bloch, messe talvolta fra parentesi da alcuni
commentatori. Cunico invece poco
interessato ai problemi teorici del "marxismo" di Bloch, ed questo un orizzonte che trascura del tutto.
Experimentum mund dedicato alla
"memoria di Rosa Luxemburg", ed
stato scritto fra il 1972 ed il 1974 con l'essenziale collaborazione di
Burghardt Schmidt. Lo scrivente non condivide tutte le "soluzioni
ontologiche" date da Bloch in questa grande opera (trovandosi pi vicino
alle soluzioni lucacciane), ma ritiene fermamente che un esame comparativo
serio delle soluzioni blochiane e lucacciane, fatto con confronto e rigore di
scuola, potrebbe portare a passi in avanti qualitativi nell'edificazione di una
forma filosofica del discorso del materialismo storico all'altezza dei tempi.
L'essere dunque inteso come
"latenza", e ci differenzia l'ontologia blochiana da tutte le
ontologie, classiche e moderne (ivi compresa quella di Hartmann, che Bloch
mostra di non apprezzare). Sulla categoria di possibilit, si veda soprattutto
p. 174 ssg. La centralit della "prassi" in Bloch non per simmetrica alla centralit ontologica del
"lavoro" in Lukcs. In Lukcs il "lavoro" non una categoria fondativa da cui dedurre le
categorie gerarchicamente inferiori. che vengono dopo, n tantomeno richiede di
essere ontologicamente "fondato" su qualcosa che lo precede (ma invece, come chiarirenio nella quinta parte
di questo scritto, una mera forma originaria e modello della specificit storica
del comportamento umano orientato ai 49. 50. fini). In Bloch, invece, la
"prassi" si fonda effettivamente sopra un precedente concetto di
materia come tendenza e come latenza, ed infatti compare in forma esplicita
soltanto alla fine del libro (p.269 ssg.). Lo scrivente portato a ritenere pi sobriamente efficace
una concezione ontologica dell'agire umano che non richiede una preventiva
"fondazione" (ed pertanto
maggiormente orientato verso Lukcs), ma nello stesso tempo riconosce la
legittimit dell'approccio blochiano. Questo secondo punto giustamente rilevato dal traduttore Cunico,
che rifiuta pertanto ogni lettura irrazionalistica di Bloch. Il lavoro paragonato in Bloch al "remare seguendo
la corrente", coadiuvando cos la forza della tendenza: "il lavoro
anzitutto ruota in avanti il corso delle cose e non aspetta che corra per conto
suo, quel 176 dd 52. Sdi 54. che
visibilmente muove e al tempo stesso si muove nella storia umana" (p.
179). Siamo dunque ben lontani dalla centralit lucacciana della categoria di
"lavoro". Assai simile all'approccio lucacciano invece la trattazione che Bloch fa del nesso
inscindibile che lega insieme le categorie di causalit e di teleologia (p. 151
ssg.). La differenza sorge inevitabilmente nel fatto che in Bloch la
teleologia connessa con la latenza
immanente nelle "cose", mentre in Lukcs la teleologia non ha nulla a
che fare con le "cause finali" di un mondo animisticamente concepito
come antropomorfizzato. E si veda a p. 278 e seguenti. Il fatto che in Italia
si sia potuta recentemente diffondere in modo cos ampio una tendenza come
quella di Emanuele Severino, che ripete in mille guise l'equazione fra prassi e
nichilismo, ed in conseguenza fra verit ed immobilit, autenticit e staticit, pu
essere compreso soltanto come reazione determinata all'eraclitismo ingenuo
dello storicismo diffuso nella 'sinistra" italiana, per il quale ogni
movimento era positivo, ogni movimento era progresso. Con la eliminazione delle
due opposte confliggenti idiozie sorgeranno anche le premesse per una sobria
considerazione del . rapporto fra prassi e nichilismo. i Si veda a p. 181. Il
concetto blochiano di "tendenza"
peraltro molto diverso da quello lucacciano di "prospettiva".
La prospettiva una possibilit concreta,
che lega insieme presente e futuro, la tendenza
un vero e proprio modo d'essere della materia come
essente-in-possibilit. Adorno (cfr. Terminologia Filosofica, Einaudi, 1975, pp.
57-59) perfettamente in grado di vedere
nel linguaggio "giornalistico" di Bloch una protesta determinata
contro la "coscienza reificata" e la filosofia burocratica del
Diamat, "mescolanza di termini fissi
di indifferenziazione linguistica". A differenza di Adorno,
Kolakowski (in Main Currents of marxism) accusa Bloch di essere del tutto privo
di rigore e di precisione. Strana accusa, da parte di chi non pu ignorare il
fatto che nel Diamat dei filosofi tedesco-orientali il rigore terminologico c',
ma appunto una forma linguistica della
reificazione concettuale. Su questo punto, e soltanto su questo punto, lo
scrivente ritiene che Kolakowski abbia ragione, o quanto meno colga un
essenziale elemento di debolezza di un "marxismo" che crede invece di
trovare nel "prometeismo" un punto di forza. L'elemento prometeico
non aiuta il pensiero rivoluzionario. Si tratta di una cattiva filosofia, che
ritiene che l'Uomo possa fare tutto e diventare tutto. Quanto di meno
ontologico vi sia. Parte Quinta UN DISCORSO FILOSOFICO ATTUALE. L'ONTOLOGIA
DELL'ESSERE SOCIALE DI GYORGY LUKACS x Come si
visto nelle parti precedenti, non c' ragione di trarre un bilancio
nichilisticamente sconsolato dell'esperienza storica del Novecento. In primo
luogo, non tutti i "marxismi" devono essere posti sullo stesso piano,
in un gran calderone di inautenticit e prometeica follia, come se si dovesse
sempre ripartire da zero e l'esperienza storica delle generazioni precedenti
alla nostra valesse meno di niente (si ricorda qui la valorizzazione che della
"memoria storica" dei proletari ha giustamente fatto la scuola
italiana della "composizione di classe", cui si fatto cenno nella seconda parte di questo
scritto). Alcuni 'marxismi" hanno infatti voltato decisamente le spalle
alla tensione trasformatrice, ontologico-sociale, contenuta nel pensiero
marxiano originario, scegliendo invece di valorizzare strumentalmente gli
aspetti grande-narrativi e deterministico-naturalistici, suscettibili di essere
usati .per l'edificazione di "scienze del potere" e della
manipolazione sociale. In proposito occorre ovviamente capire (ed in questo
talvolta molti rispettabili storici delle idee rivelano strane incomprensioni)
che non si tratta mai di "errori" correggibili con | ampie
spiegazioni razionalmente ben congegnate, ma di "marxismi" degradati
in specifiche ideologie della legittimazione sociale. Altri
"marxismi", invece, meno compromessi con il "potere" (che
non comunque mai un'entit
metafisicamente negativa, demonizzabile in quanto tale), hanno scelto la strada
"non ideologica", e sono allora caduti in errori veri e propri. Il pi
comune stato quello di pensare che il
materialismo storico e la critica dell'economia politica potessero funzionare
da "filosofie di s stessi" (di "autofilosofie", se ci si
permette un'espressione un po' balorda), come se si potesse "saltare"
come inesistente o irrilevante il problema della forma filosofica del discorso
dentro la quale sono invece inevitabilmente declinati (1). 178 n E' questa
allora la ragione per cui si scelto
coscientemente di condurre avanti una "valorizzazione" del pensiero
di Ernst Bloch nei confronti del pensiero di Martin Heidegger (e si veda la
parte terza e quarta del presente scritto). La forma filosofica del discorso
heideggeriana inserisce intuizioni geniali ed acute osservazioni sul tempo presente
all'interno di una forma filosofica del discorso di tipo
destinalistico-differenzialistico, una vera e propria filosofia teleologica
della storia che vorrebbe opporsi alla temporalit storicistica in nome di una
considerazione pi "alta" del tempo, e finisce poi con il ricadervi
dentro per il suo rifiuto (peraltro consapevole) della dialettica
materialistica. Il pensiero di Ernst Bloch
stato allora valorizzato non certo per concordismo eclettico o per
opportunismo teorico, ma perch si
ritenuto che Bloch (il quale, come tutti i pensatori veramente grandi,
ha pensato in fondo una cosa sola, il carattere di multiversum del tempo
storico) stato nei fatti un'opposizione determinata (storicamente determinata)
a questo "pessimismo ontologico" che ha alle spalle
un'interpretazione globale della storia dell'Occidente. Abbiamo tuttavia, nella
parte finale della parte quarta del presente scritto, sollevato alcuni dubbi
sull& determinatezza delle categorie filosofiche blochiane. Il multiversum
temporale certo molto importante, ma si
tratta di una condizione necessaria, e tuttavia di per s non ancora
sufficiente, per il perseguimento di una forma filosofica del discorso non
grande-narrativa e non deterministico-naturalistica. Occorre che, dentro il
multiversum temporale, si riesca anche a pensare la determinatezza storica
della prassi umana concreta, che
funzione del tempo storico in cui
inserita e quasi incastrata, ma che presenta aspetti irrinunciabili (per
l'appunto, una "forma", se ci si passa l'abusata, ma irrinunciabile
parola) di carattere ontologico-sociale, che occorre pazientemente esaminare.
Detto altrimenti (ed in modo necessariamente un po' scolastico e banale) la
pars -destruens che Bloch attua versus Heidegger perfetta, ma la pars costruens appare viziata
da tendenze globalistiche e totalizzanti, che lo scrivente non si sente di
"sposare" (ma su cui lascia permanere un dubbio ed un beneficio
d'inventario). Un discorso diverso si vorrebbe qui fare per l'Ontologia
dell'Essere Sociale di Gyorgy Lukcs (2). Qui il terreno sembra sicuro, ed una
prospettiva sobria sembra aprirsi. La quinta parte di questo scritto dedicata dunque ad una valorizzazione di
alcuni aspetti filosofici cruciali di quest'opera. Non trattandosi di una
''monografia" su quest'opera molti aspetti verranno tralasciati, altri
trattati superficialmente, mentre lo sforzo principale sar 179 concentrato
nella sottolineatura della proposta filosofica presente in quest'opera. Vi sono
per da fare ancora due premesse di carattere generale, per ridurre al massimo
gli equivoci: il carattere di "opera aperta" della Ontologia, in
primo luogo; la natura di "bilancio filosofico di un'esperienza
storica", in secondo luogo. 1. Una proposta filosofica sistematica ma
aperta La rovinosa caduta dei "sistemi centrati" (quelli che promettevano
di risolvere tutti i problemi e di dar risposta ad ogni tipo di domanda) ha
provocato nell'ultimo decennio gli effetti della caduta di una meteorite. Fuga
generale, un enorme buco nel suolo, panico fra i sopravvissuti. Passato un po'
di tempo, la ricerca delle "colpe" e, soprattutto, dei
"colpevoli". Filosoficamente parlando, il colpevole principale stato individuato nello "spirito di
sistema", nelle pretese "totalizzanti" del materialismo storico,
nel suo presunto o razionalismo astratto, eccetera. La forma dell'aforisma e
del frammento stata individuata come pi
genuina, autentica, vera, del presunto "spirito chiuso" del
materialismo storico. Certo, ben presto ci si
accorti che non facile imitare
Nietzsche oppure Adorno, cos come i poeti della domenica si accorgono ben presto
che non facile imitare Rilke oppure
Rimbaud. Era inevitabile, e certo anche utile. Alcuni cominciano anche a capire
(ed ci che interessa in questa sede) che
si pu essere molto pi dogmatici, rigidi, settari e chiusi scegliendo la forma
espressiva dell'aforisma mentre si pu essere aperti al nuovo, fecondi e
creativi tenendo fermo il principio della gerarchizzazione delle opinioni
filosofiche intorno ad un nucleo portante che non viene mai dimenticato e
tantomeno abbandonato. Per fare un solo esempio storico, "illustre",
si pensi a Spinoza (ma, volendo, si pensi pure ad Hegel, in cui il
"sistema" non pu certo esere staccato dal "metodo" come una
pelle secca). La vaporosa ambiguit dell'aforisma molto spesso il veicolo privilegiato
all'intuizione di verit che non troverebbero posto nella pedante elencazione di
categorie del pensiero, ma nei pi superficiali . fautori delle mode diventa un
alibi permanente per la superficialit e la mancanza di rigore. Leggere
l'Ontologia dell'Essere Sociale in
proposito un'esperienza intellettuale interessante. Lukcs tende continuamente,
e spesso pedantescamente, ad una sistematicit ed a una "architettura"
in cui tutte le parti si fondono armonicamente intorno al concetto di
"lavoro" come forma originaria e come modello della prassi umana
determinata (nel modo di produzione 180 capitalistico, non certo in una sorta
di "azione sociale in generale", dalle caverne del paleolitico alla
fabbrica californiana perfettamente automatizzata). Tutto viene ricondotto al
"lavoro" e tutto vi converge, dalle osservazioni filosofiche critiche
su Wittgenstein, Bloch e Sartre all'elencazione hartmanniana delle categorie
"ontologiche" dell'agire umano determinato. E, tuttavia, sbagliano
molto, a nostro parere, coloro che individuano in questa pedantesca
sistematicit una variante senile, "marxista", dei lavori ontologici
del filosofo accademico tedesco Nicolai Hartmann. Certo, l'influenza di
Hartmann importante, in particolare
nella ripresa del concetto aristotelico di agire teleologico", ma non deve
neppure essere sopravvalutata. Hartmann piace a Lukcs, cos come gli piace
Thomas Mann in letteratura. Soprattutto, evitare l'avanguardia, il suo
atteggiamento estremistico e dissacrante, la sua pretesa di "rifondare
tutto da zero", la sua apologia dei "nervi spezzati di uno
zingaro", per poi finire troppo spesso nell'accademia, nella consacrazione
postuma, nel conformismo non-conformistico (vi sta qui, nel rifiuto totale
dell'avanguardia, filosofica ed artistica, il maggiore elemento di lontananza
fra Lukcs e Bloch, amico invece di quasi ogni avanguardia). Lo scrivente, che
condivide in pieno la ripugnanza lucacciana per lo "spirito di
avanguardia", non vorrebbe qui soffermarsi troppo (e, del resto, l'analisi
delle avanguardie storiche ormai un
problema storiografico che non ha pi nulla a che fare con l'atteggiamento da
prendere verso lo "spirito di avanguardia"). La questione di
fondo un'altra: l'Ontologia
lucacciana del tutto indipendente dalle
intenzioni teoriche di Hartmann, ed in essa i concetti di lavoro, causalit,
teleologia, possibilit, necessit, casualit, eccetera, hanno un "valore di
posizione" del tutto diverso (3). Tutte queste nozioni e questi concetti,
spesso allineati molto "sistematicamente" nell'Ontologia lucacciana,
valgono spesso come metafore filosofiche di un'"altra" cosa, di
un'altra realt storico-sociale: l'a difficile transizione dal capitalismo al
socialismo, il fatto che per cento anni questa "transizione" non stata adeguatamente pensata e
concettualizzata come "lavoro", come agire teleologico, ma stata invece sciaguratamente attuata come
violenza sistematica sui "dati" ontologico-sociali che risultano da
un'indagine non manipolata sulla societ umana sviluppata capitalisticamente. Se
quest'interpretazione, che qui anticipiamo,
almeno in parte giusta, ne discendono subito alcune conseguenze. In
primo luogo, se la nozione di "lavoro" in Lukcs ha come valore di
posizione il riferimento determinato all'agire umano nella prospettiva della
181 "transizione al socialismo" (e tutti sanno, d'altra parte, che il
concetto di "prospettiva"
centrale in Lukcs anche per quanto concerne la critica letteraria), ogni
analogia con Hartmann diviene povera e fuorviante, non avendo Hartmann mai avuto
alcuna intenzione di concettualizzare un agire orientato anticapitalistico che
si fondasse per su di una conoscenza "ontologica" del capitalismo in
ci che questo modo di produzione ha di specifico e di storicamente determinato.
| In secondo luogo, le stesse "opinioni di occasione" che Lukcs
esprime di volta in volta (ad esempio, sulla rifojmabilit del socialismo reale,
che lo scrivente assolutamente non condivide, come ha gi avuto modo di
esplicitare nella seconda parte di questo scritto), e che occorre certo
ricostruire e registrare con acribia filologica (data l'importanza storica del
pensatore), diventano sotto certi aspetti periferiche e marginali rispetto al
discorso centrale, che allora quello del
"lavoro" come metafora (di tipo metafisico-influente, in analogia a
quanto detto su Marx nella prima parte di questo scritto) di un agire umano
orientato, nella transizione al socialismo, a non violentare i dati
ontologico-sociali della realt (4). In terzo luogo (ed ci che pi conta, in senso assoluto)
l'Ontologia diventa un'opera assolutamente aperta, aperta cio a correzione ed a
integrazioni. Non si tratta, cio, di "prendere o lasciare", come se
un filosofo pi che ottantenne x potesse essere in grado di fare un'"opera
compiuta", in cui tutto detto,
tutto discusso, tutto completo. Il carattere "aperto"
della Ontologia sta nel fatto che, se ci si consente un'espressione impropria,
il riferimento ad essa soprattutto di
prospettiva, ed in nessun caso di tratta di "tavole della legge".
Quasi ogni punto specifico pu essere discusso, migliorato, approfondito.
L'opera un lavoro in progressione"
(un work in progress) e la stessa cornice sistematica appare in larga misura
provvisoria, come una prima stesura, e nulla di pi. Per comprendere meglio
questo fatto, forse utile fare un breve
excursus storiografico su Lukcs, in cui l'Ontologia non venga fuori come un
fungo dopo la pioggia, ma venga ben compresa nella sua genesi storica, e non
solo teorica. 2. Pu il marxismo imparare dall'esperienza? L'esempio lucacciano
L'Ontologia di Lukcs (i cui concetti, come si
detto sopra, hanno un valore di posizione, e non possono essere certo
analogicamente accostati ad opere come quelle di Hartmann) non soltanto un'opera che possiede un carattere
intrinsecamente aperto, 182 nonostante l'involucro sistematico. E' anche
un'opera che possiede una dote assai rara nei lavori filosofici, quella di
"tener conto dell'esperienza storica", in modo non liquidatorio e
distruttivo, ma concretamente e dialetticamente storico. Ci si permetta qui un
brevissimo excursus personale, indegno di un'opera di tipo filosofico, ma forse
utile al lettore per non cadere in equivoci. Lo scrivente appartiene ad una
generazione che non ha fatto l'esperienza concreta del fascismo e dello
stalinismo, ma che ha ricevuto una "socializzazione politica" (e
pertanto anche teorica) fortemente determinata da una cultura politica di tipo
anti-fascista, da un lato, e da un insieme di miti politico-filosofici che
provenivano direttamente da una radicalizzazione di "sinistra" (o
presunta tale) del modello terzinternazionalistico, d'altro lato. A questo
punto, essendo il Sessantotto un pezzo di storia passata, e non pi di
attualit, possibile capire meglio le
ragioni che rendevano inevitabile la compresenza di tematiche ultra-occidentali,
come l'antiautoritarismo e l'assemblearismo consigliare (motivato con
argomentazioni in cui si mescolava la tradizione consiliaristica del movimento
operaio e la critica psicoanalitica alla personalit. autoritaria ed
all'eterodirezione) e di tematiche ultra-orientali e terzomondiste, come il
leninismo del partito, il guerrigliero eroico, e la solidariet
internazionalistica. Una elencazione pedante degli "spezzoni
culturali" del sessantottismo teorico troverebbe certo gravi
contraddizioni ed ingenuit (pensiamo alle "ricostruzioni" astiose di
un Lucio Colletti), ma sarebbe del tutto incapace di "spiegare" la
determinatezza concreta della fusione di questi eterogenei spezzoni culturali
nella congiuntura storica specifica. Molti sessantottini, rifluiti e pentiti,
proiettano astrattamente nel passato alcune consapevolezze tipiche del
presente, e si mostrano cos assolutamente incapaci di imparare qualcosa
dall'esperienza. Recriminano, respingono il tempo presente, oppure, al
contrario, contrappongono al passato "ideologico-astratto" un
fantomatico presente "realistico-concreto". Due ottimi modi per
"non imparare dall'esperienza" (5). In totale contrasto con questo
atteggiamento (tipico non certo soltanto della generazione dello scrivente, ma
sicuramente presente in essa in modo rilevante) l'Ontologia di Lukcs un esempio concreto di come il marxismo
teorico pu imparare qualcosa dall'esperienza, e di come non vi pu mai essere
una pura autocorrezione di errori logici o gnoseologici che non giunga a
"trasferire" nell'elaborazione teorica il peso storico concreto di
esperienze sociali, individuali e di massa. 83 L'Ontologia infatti, a tutti gli effetti, un concentrato
183 filosofico di esperienza storica, in cui il bilancio del passato viene
"filtrato" nelle categorie concettuali per servire ai compiti del
presente in direzione del futuro. Per capire quello che diciamo occorre sapere
che l'Ontologia un'opera del "terzo
ed ultimo" Lukcs, che viene dopo una stagione teorica ricca di opere il
cui significato teoretico spesso molto
diverso, ed anzi apparentemente confliggente con le tesi fondamentali
dell'Ontologia. Il Lukcs che qui indichiamo come "primo" Lukcs il Lukcs definito dall'opera Storia e
Coscienza di Classe. Abbiamo fatto riferimento a quest'opera nella seconda
parte di questo scritto (dedicata anche al "marxismo occidentale") e
non ripeteremo i rilievi fatti a questo capolavoro teorico. Basti qui dire che
Storia e Coscienza di Classe trova il suo irripetibile valore di posizione
nella congiuntura storica degli anni 20, ed il suo rapporto con l'Ontologia un rapporto di discontinuit, e non certo di
continuit lineare. Lukcs non "ruppe" con Storia e Coscienza di Classe
perch "obbligato" dal Kominterm (o perch non voleva
psicanaliticamente rompere con il partito-mamma, che lo aveva sgridato per il
suo idealismo"), ma perch ritenne autonomamente che ci fosse un
"errore" nel concepire il rapporto fra proletariato e processo
storico come un'unit dialettica soggetto-oggetto e nel confondere alienazione
con oggettivazione storica, Certo, oggi sappiamo che il "rendersi conto di
questo errore" non era un processo
di autocorrezione illuministica, ma era il riflesso nel pensiero della
sconfitta storica del proletariato, che "non si lasciava pi pensare"
sotto la dominanza della categoria teorica di "attivit" e di
"attualit della rivoluzione". Tuttavia, resta il fatto che (a torto o
a ragione un'altra questione - ma noi
crediamo comunque "a ragione") Lukcs comp una tipica azione
esemplare: trarre le conseguenze filosofiche di un'esperienza pratica (6). Il
Lukcs che qui indichiamo come "secondo Lukcs" il Lukcs definito dall'opera La distruzione
della ragione. Lo scrivente non ritiene che ci si trovi qui di fronte ad un
capolavoro teorico paragonabile a Storia e Coscienza dij Classe, in quanto non
si qui di fronte alla stringente
coerenza teoretica di quell'opera. A differenza di come molti pensano, non
crediamo che la "debolezza" di quest'opera consista nell'ingiusto
trattamento riservato al cosiddetto "pensiero negativo", a
Schopenhauer, a Kierkegaard, soprattutto a Nietzsche. Questo cosiddetto
"ingiusto trattamento" (che consisterebbe nell'istituire una
"linea continua" fra questi pensatori e lo sbocco nazionalsocialista
della crisi tedesca, come se quest'ultimo fosse gi contenuto nella teologia
dell'ultimo Schelling, nelle obiezioni antidialettiche di Trendelenburg a
Hegel, nella 184 critica genealogica nicciana alla morale, eccetera) deve
essere collocato nella tesi di fondo del libro, che , in fondo, un libro su
Hegel e sulla dialettica hegeliana . (nel senso che ci si chiede il perch della
"mancata eredit" e soprattutto del "mancato sviluppo" della
dialettica hegeliana nel suo aspetto progressivo). E' allora comprensibile che
Lukcs usi la "mano pesante" verso Schopenhauer, Nietzsche, eccetera.
Non si pu negare che costoro si contrapposero frontalmente ai contenuti
teorico-pratici potenzialmente contenuti nella dialettica hegeliana, ed anzi si
opposero in tutti i modi al suo sviluppo. La "debolezza" di
quest'opera non consiste neppure, secondo lo scrivente, nella cosiddetta
rigidit e schematicit della coppia opposizionale razionalismo/irrazionalismo.
Lukcs ritiene infatti che il razionalismo astratto, antidialettico,
laicistico-positivistico, abbia una carica irrazionalistica potenzialmente
maggiore, nei suoi effetti sociali, dell'irrazionalismo ingenuo e dichiarato (e
non vi dunque nessuna rigidit nella
coppia opposizionale). La "debolezza" di quest'opera consiste invece
proprio nel suo giudizio sul "materialismo dialettico" (anche e
soprattutto staliniano), che appare talvolta come un alleato oggettivo, o
almeno come un compagno di strada accettabile, laddove si tratta di qualcosa
con cui nessun x compromesso teorico
possibile (7). Essendo Lukcs assolutamente "interno" alla
costruzione del "socialismo reale"
chiaro che un simile atteggiamento gli era del tutto estraneo. Resta il
fatto che, come cercheremo di dimostrare, l'Ontologia rappresenta una
"discontinuit forte" con la base filosofica della Distruzione della
Ragione. Quest'opera si presentava infatti come una "variante colta e
civilizzata", e dunque "presentabile", del marxismo orientale
(che era comunque troppo stupido per essergliene grato). L'Ontologia parte
invece da un giudizio, reciso ed esplicito, di totale rifiuto del "marxismo
orientale" comunque definito, che viene messo. sullo stesso piano
storico-epocale del pensiero borghese capitalistico. E' questa discontinuit
forte che permette di connotare l'Ontologia come opera del "terzo ed
ultimo Lukcs". In questa sede, ci interessa sottolineare ancora una volta
che filtrata qui, filosoficamente,
un'esperienza storica. Non un
"peccato mortale" e neppure una "vergogna incancellabile"
aver ritenuto possibile un accomodamento con lo stalinismo nella situazione
storica di scontro frontale con il fascismo. Un'intera generazione di
rivoluzionari, quasi sempre soggettivamente sinceri, ha fatto questa
esperienza. Ci che conta, invece,
congedarsi da questa esperienza. Il "congedo filosofico" non
consiste affatto nel far dichiarazioni teatrali di pentimento e di abiura, ma
si fonda su di un 185 "superamento teorico" reale della posizione
precedente. Il carattere antistalinista dell'Ontologia non pu infatti
consistere nel numero di ingiurie dedicate a Stalin, ma si radica
nell'elaborazione teoretica dell'esperienza storica dello stalinismo, e, nello
stesso tempo, delle ragioni profonde della debolezza strategica di tutto
l'antistalinismo del pensiero del cosiddetto "marxismo occidentale".
Cerchiamo difesaminare meglio questo punto. 3. Un'introduzione al bilancio dell'eredit
filosofica del passato L'Ontologia lucacciana presenta un profilo
teoreticamente unitario, caratterizzato dal sistematico antisoggettivismo.
Questo antisoggettivismo, tuttavia, si specifica concretamente in tre
dimensioni sistematiche, che qui tratteremo brevemente: la sistematica
valorizzazione degli aspetti materialistici della logica dialettica di Hegel,
contro ogni centralit (pur talvolta presente in Hegel) dell'unit
soggetto-oggetto e della totalit olistico-organicistica; la sistematica valorizzazione
del discorso ontologico-sociale gi ampiamente presente in Marx, contro ogni
estremistica unilateralizzazione degli aspetti (pur talora presenti)
grande-narrativi e deterministico-naturalistici; il sistematico, parallelo e
convergente rifiuto di ogni ipotesi di rivitalizzazione, comunque mascherata e
comunque motivata, degli opposti marxismi archeologici, antitetico-polari, che
abbiamo definito "marxismo orientale" e "marxismo
occidentale". La prima dimensione sistematica che Lukcs compie, si detto,
la valorizzazione degli aspetti materialistici del pensiero hegeliano.
E' impossibile esporre qui, per ragioni di spazio, il ricco contenuto teorico
del capitolo dell'Ontologia intitolato Falsa e vera ontologia di Hegel (8).
Toccheremo pertanto solamente due punti che ci sembrano rilevanti. In primo
luogo, Lukcs sa perfettamente che in Hegel il concepire la sostanza come
soggetto, l'idea come unit soggetto-oggetto e la processualit storica come
teleologia immanente allo Spirito non sono caratteristiche periferiche e
casuali, ma sono momenti costitutivi della ewncezione hegeliana. E, tuttavia,
in Lukcs c' la consapevolezza acuta del fatto che la dialettica hegeliana non
si riduce integralmente all'esposizione sistematica dell'unit fra soggetto ed
oggetto, e non , pertanto, sempre e dovunque una dialettica semplice (ed interessante che studiosi tedeschi
contemporanei della dialettica, sia hegeliana che marxiana, distinguano una
sorta di "dialettica enfatica di esposizione" da un tipo diverso di
dialettica, che definiscono "dialettica ridotta di esposizione"), ma
pu essere utilizzata per un 186 trattamento "finito" della
contraddizione (e del resto Hegel ha messo in guardia contro un pensiero di
tipo ingenuamente eracliteo, ipnotizzato dal fascino della cosiddetta
"furia del dileguare"). Ci sarebbero, dunque, gi in Hegel, i
presupposti teorici per il superamento delle forme grandi-narrative di pensiero
(9). In secondo luogo, Lukcs non si limita a sostenere astrattamente la:tesi
della possibilit di un trattamento finito della contraddizione gi in Hegel, ma
individua nel concetto di "determinazione riflessiva" e nel suo
coerente sviluppo il luogo teorico per una presa esplicita di distanza dal
continuum dialettico grande-narrativo, caratterizzato strutturalmente (come
si detto nella prima parte di questo
scritto; dedicata a Marx) dal presupposto di una soggettivit titolare di una
identit storicisticamente continua (10). Lukcs d dunque gli elementi
fondamentali per una lettura di Hegel che non solo non grande-narrativa, ma anche prelude ad una
separazione del "problema Hegel", da un lato, e del problema
"hegelo-marxismo", dall'altro. La confusione fra i due sempre stata esiziale: o s sputava su Hegel",
oppure si , era hegelo-marxisti. Lukcs ci dimostra invece, in modo pacato e
convincente, che tertium datur, e che questo tertium deve essere valorizzato
fino in fondo. Una seconda dimensione sistematica del pensiero lucacciano si
realizza nella lettura ontologico-sociale del pensiero originale di Karl Marx.
Su questo punto con ci soffermeremo, in quanto tutta la prima parte di questo
scritto stata ispirata direttamente dal.
fondamentale capitolo della Ontologia intitolato I principi ontologici
fondamentali di Marx. Ricordiamo in questa sede soltanto i due punti cardinali
dell'interpretazione ontologica di Marx: in primo luogo, la possibilit del
rapporto non estraniato fra individualit. particolare e genere umano ontologicamente consentita dallo stesso
processo di astrattizzazione causato dal rapporto capitalistico di produzione,
ma questo non comporta affatto un'utopia organico-olistica in cui un Soggetto
recupera integralmente la propria essenza umana alienata; in secondo luogo la
particolarit individuale non mai
coestensiva al genere, e la dialettica fra particolare ed universale non pu mai
pacificarsi in una densit temporale che chiude la storia". Come dice bene.
Lukcs (Ontologia, p. 324), "noi qui neghiamo ogni forma generalizzata di
teleologia non soltanto nella natura inorganica ed organica, ma anche nella
societ e ne limitiamo la validit ai singoli atti di quell'agire umano-sociale
la cui forma pi esplicita ed il cui modello
il lavoro". E con questo ogni. interpretazione grande-narrativa e
deterministico-naturalistica della forma filosofica, 187 del discorso marxiana respinta esplicitamente (11). Una terza
dimensione del pensiero lucacciano (dallo scrivente autonomamente elaborata
nella seconda parte di questo scritto, dedicata al marxismo ed alla necessit di
studiarne la storia per non doverne sempre "ripetere" alcuni esiti
negativi) radicata nel congedo da
entrambi i marxismi, orientale ed occidentale. Nei confronti del pensiero
staliniano Lukcs effettua una vera e propria rottura qualitativa, anche se
nella propria ricostruzione autobiografica si notano maggiori elementi di
continuit: ma questo non affatto
contraddittorio, in quanto in Lukcs c' sempre la compresenza fra la
rivendicazione dell'unit biografica della vita concreta dell'individuo e della
continuit della sua esperienza, da un lato, e della discontinuit fra le
formazioni ideologiche e culturali "universali", dall'altro (12). Nei
confronti degli aspetti idealistici del marxismo occidentale c' in Lukcs sempre
la massima estraneit, e la tranquilla consapevolezza della complementariet (e non
alternativit) di quest'ultimo con lo stalinismo (13). 4., Un'interpretazione
del pensiero borghese del Novecento . L'eterno rimando delle posizioni dei
marxismi orientale ed occidentale, il loro palleggiare senza scopo in un campo
da tennis ormai senza spettatori, mostrano bene come vi siano costellazioni
ideologiche che sembrano in opposizione reale", ma che costituiscono in
realt una segreta unit teorico-pratica in solidariet antitetico-polare.
Nell'Ontologia Lukcs tenta un'interpretazione complessiva della situazione
filosofica del Novecento, dentro la quale
per necessit collocato il suo tentativo di rilancio del materialismo
storico in una prospettiva teorica ontologico-sociale. Non c' in Lukcs nessuna
concessione alla tendenza (molto diffusa oggi soprattutto in Italia) di
interpretare il Novecento some secolo della "esplosione del centro" e
fine dei sistemi centrati ottocenteschi, luogo storico della frammentazione e
della dispersione, in cui si consumano le presunte "certezze classiche" ancora condivise nel
Settecento e nell'Ottocento. Cos, in effetti, il Novecento "appare" a
prima vista, nel suo apparente pluralismo frammentato senza spazio e senza
tempo (14). i In Lukcs il Novecento appare in primo approccio come il luogo
storico contraddittorio in cui sono confliggenti due tendenze opposte; da un
lato, l'istanza storica di emancipazione comunista, resa ontologicamente
possibile dalla stessa unificazione capitalistica del mondo (come pensava del
resto gi Marx), e che si oggettivizza 188 sul piano collettivo nelle classi
progressive e sul piano individuale nelle individualit particolari che vogliono
uscire da un rapporto estraniato con il genere; dall'altro, la reazione contro
questa istanza storica di emancipazione, che sceglie sempre pi il terreno della
manipolazione permanente della politica e della societ (15). Questa
reazione sostanzialmente unica nella:
sua struttura teorico-pratica di fondo ad Est ad Ovest, anche se si presenta
filosoficamente come unit contraddittoria di tendenze teoriche apparentemente
opposte. Ad Est, domina un marxismo monopolistico di stato in cui il
soggettivismo settario del primato della direzione politica in solidariet antitetico-polare con il romanzo
cosmologico falsamente "scientifico" chiamato materialismo
dialettico. Ad Ovest, domina una forma di pensiero generalizzatasi in senso
comune in cui la formulazione soggettivistica ed esistenzialistica dei problemi
sociali e dei "valori etici" cui far riferimento in solidariet antitetico-polare con una
concezione integralmente neopositivistica delle scienze naturali e sociali,
premessa per un uso massiccio della "scienza" (dall'economia politica
all'arte militare dell'equilibrio del terrore garantito da missili scientificamente
bilanciati") come ideologia di legittimazione politico-sociale. In
proposito l'esatta formulazione lucacciana (che lo scrivente fa integralmente
propria) quella della "solidariet
antitetico-polare nella storia contemporanea fra neopositivismo ed
esistenzialismo" (16). Questa formulazione presenta due aspetti, entrambi
importanti: da un lato (e si pu qui fare un'analogia con Heidegger) si in presenza di un'interpretazione
metodologicamente monistica del Novecento, che riflette l'unit complessa del
reale concreto nella forma dell'unit contraddittoria fra opposti
antitetico-polari nel campo dell'"ideale", autonomamente esistente e
pertanto non ridotto a riflesso, meccanicamente sovrastrutturale, di un
fantomatico "fattore economico"; dall'altro (e qui la differenza con
Heidegger palese) quest'unit
contraddittoria non pensata come la
precipitazione fatale e destinale della storia dell'Occidente in un punto
temporale chiamato "presente", ma viene visto come il coronamento di
"tendenze" confliggenti nel passato, prive comunque di qualsivoglia
automaticit unidirezionale, cos come
nelle filosofie teleologiche della storia. Analizziamo sommariamente il
primo aspetto. Abbiamo a suo tempo privilegiato Heidegger su Weber come
interprete filosofico "radicale" del Novecento, in quanto ci sembrato di individuare in Heidegger un
approccio monistico al reale. Se, infatti, il reale concreto nella sua unit, anche il pensiero
che lo "'riflette" deve 189 assumere una sua concreta unit teoretica.
Heidegger si rifiuta (a differenza di Weber) di scorporare metodologicamente i
valori filosofici e le scienze, da un lato, e di enfatizzare le differenze fra
le metodologie delle scienze della natura e le scienze sociali, dall'altro.
Questo corretto approccio filosofico gli permette di "pensare" la
societ capitalistica (da lui mai definita esplicitamente come tale) come datit
rigorosamente impersonale in s, che produce per l'apparenza necessaria del
massimo di personalizzazione esistenzialistica nella scelta umanistica"
dei valori economici, politici e filosofici, e del massimo di pseudo-oggettivit
del mondo delle scienze, sia "pure" che "applicate"
(ed questa, appunto, la radicalizzazione
dell'apparente scissione fra soggetto ed oggetto come portato destinale
dell'inveramento tecnico del pensiero metafisico). Su questo punto Lukcs
non lontano dall'approccio metodologico
heideggeriano (che , appunto, rigorosamente "monistico"). Vi in lui, per, un'articolazione: concreta molto
maggiore, dovuta all'uso del metodo dialettico ed al rifiuto del
sapienzialismo. differenzialistico. Trattando del neopositivismo, Lukcs vede
benissimo i risvolti necessariamente mistico-esistenzialistici insiti in questa
interpretazione filosofica delle scienze, ma distingue acutamente fra una
variante teorica (di cui individuato
come massimo esponente Carnap) che accetta ed interiorizza integralmente la
manipolazione capitalistica ed una variante teorica (che trova in Wittgenstein
l'esempio pi interessante) che esistenzializza la reazione psicologica alla
manipolazione capitalistica vivendola in modo conflittuale, senza per
abbandonare l'approccio neopositivistico all'universo sociale e naturale (17).
La trattazione lucacciana dell'esistenzialismo
.(a parere dello scrivente) indebolita dal fatto che Lukcs connota come
massimo esistenzialista proprio Heidegger (dando di Essere e Tempo quella
lettura "'esistenzialistica" che fu tipica in Italia di Pietro
Chiodi, dallo scrivente non condivisa e respinta nella terza parte di questo
saggio). Lukcs distingue due forme di esistenzialismo, una chiusa e sorda verso
il materialismo storico (quella di Heidegger), destinata a ripetere
all'infinito la disperazione di fronte al vicolo cieco cui .il capitalismo ha
portato la singola esistenza umana, ed un'altra che ambisce essere la filosofia
esistenziale del materialismo storico (quella di Sartre), senza per riuscire ad
esserlo, a causa della accettazione del neopositivismo come metodologia
scientifica e | conseguente rifiuto della visione dialettica della natura (18).
Lukcs vede la fusione antitetico-polare dell'esistenzialismo e * 190 del neo-positivismo come . tipica anche della
teologia contemporanea. Nella quarta parte di questo saggio, dedicata a Bloch,
abbiamo gi rilevato la superiorit relativa di Bloch rispetto a Lukcs
nell'analizzare la filosofia della religione (ove superiorit significa soltanto
maggiore "radicalit"). In proposito non affatto rilevante l'osservazione secondo cui
Lukcs "non sentiva il fatto religioso" (19). La filosofia della
religione di Lukcs si struttura in due temi fondamentali. In primo luogo,
vi un'interpretazione del cristianesimo
e della sua permanenza nella storia: contro Nietzsche e contro tutte le
riduzioni del Cristianesimo a platonismo per le masse risentite ed individiose,
Lukcs parla del fascino storico della figura, peraltro integralmente umana, di
Ges Cristo, come forma originaria e modello di rapporto fra il particolare e
l'universale, capace di sopravvivere al fatto (cui Lukcs da molta importanza).
che la parusia, cio il secondo avvento di Ges e la conseguente instaurazione
del regno di Dio, non si verificata
(20). In secondo luogo, vi
un'interpretazione delle correnti principali della teologia
contemporanea (qui Lukcs mette insieme sia i cattolici che i protestanti) come
seconda tappa del cosiddetto "compromesso bellarminiano", che secondo
Lukcs inaugur il gentlemans agreement fra religione, scienze e societ
nell'epoca capitalistica (21). La teologia contemporanea abbandona ogni pretesa
di dimostrare l'esistenza "cosale" di Dio (come entit dotata di
coscienza antropomorfica in qualche punto del tempo o dello spazio), ed in
questo modo abbandona di fatto anche la funzione feudale e medioevale di essere
direttamente unideologia di legittimazione dei rapporti sociali, per diventare
una forma di esistenzialismo popolare, integralmente psicologizzato, in cui si
"risponde" a quei bisogni esistenziali fondamentali cui la scienza
non potrebbe dare risposta (22). Passiamo ora al secondo aspetto. Il passato
storico non mai visto in Lukcs come una
premessa al destino teleologico ed unilineare in cui viviamo. Non vi mai (come troppo spesso in Heidegger) una
"catena filosofica continua" che va da Parmenide a Spengler:
Parmenide e Platone non sono gli iniziatori di nulla, cos come Nietzsche non il "coronamento" di nessuna
tendenza fatale. Vi , certo, una tendenza filosofica generalissima che Lukcs
individua come fondamentale, e che definisce come "tendenza al carattere
disantropomorfizzante del rispecchiamento scientifico" della realt, che
trova comunque le sue radici nella stessa vita quotidiana dell'individuo
associato; ma questa tendenza
accompagnata robustamente da una tendenza contraria, antropomorfizzante
e spesso ri-antropomorfizzante, che parte 191 anch'essa dalla vita quotidiana.
Non c', dunque, come. in Heidegger, una tendenza fatalisticamente destinale,
predeterminata e teleologica, della storia della filosofia occidentale, ma lo
sviluppo di una unit dialettica contraddittoria fra tendenza @ al
rispecchiamento disantropomorfizzante della realt processuale e tendenza alla
riantropomorfizzazione di questo processo, che viene effettuata anche, e
soprattutto, dai grandi filosofi (23). Vi
qui un punto di importanza fondamentale. Molti pensano che ci sia, da un
lato, una tendenza, tipica dei "semplici" e degli ignoranti, al
pensiero antropomorfico e
teleologizzante, frutto di un rispecchiamento "rozzo" dei fatti
materiali della vita quotidiana, mentre i dotti, i filosofi, gli intellettuali,
incarnerebbero la tendenza al disincanto, alla razionalizzazione, alla rinuncia
ad ogni antropomorfizzazione ed ad ogni teleologia astratta (tracce di questa
concezione sono riconoscibili negli autori pi diversi, da Croce a Gramsci ad
Althusser, ed assumono una forma caricaturale nei pi stupidi dei loro
ripetitori) (24). Lukcs respinge questa dicotomia, rassicurante quanto
falsa. L'unit contraddittoria, che lega
insieme la tendenza disantropomorfizzante e quella riantropomorfizzante, costitutiva di tutti i grandi pensatori, da
Aristotele a Leibniz, da Hegel a Marx, e passa dentro il loro pensiero. Il
lettore sa che tutta la prima parte di questo saggio una lettura di Marx in questa chiave
determinata (mentre Lukcs sembra invece "salvare" Marx da questa
dicotomia contraddittoria, ponendolo al di l di essa) (25). Lukcs dedica, ad
esempio, analisi profondissime al pensiero di Aristotele: da un lato,
Aristotele il pensatore che anticipa
genialmente le caratteristiche strutturali dell'agire teleologico, limitandolo
ferreamente alla sola prassi umana; dall'altro,
il pensatore che estende alla natura una considerazione teleotbgica |
finendo con il pensarla in modo integralmente antropomorfico (26). Si prima fatto l'esempio di Hegel: da un lato,
Hegel il pensatore delle determinazioni
riflessive e della costitutivit della loro interazione dialettica, in modo che
non si pu mai dare una visione antropomorfizzante del processo storico in
quanto tale; dall'altro, il pensatore
che, concependo la sostanza come soggetto, finisce con il perdere alcune delle
conquiste fatte a suo tempo da Spinoza, e con il ricostituire in modo antropomorfico
una storia dello Spirito come risultato "enfatico" ed autoespressivo
di uno svolgimento dialettico semplice e pienamente teleologico (27). Crediamo
che gli esempi fatti (da Aristotele a Hegel) siano indicativi. Lukcs riesce a
connotare (in modo radicalmente unitario) la situazione presente come
"solidariet antitetico-polare 192 fia esistenzialismo e
neo-positivismo" proprio perch non ricostruisce in modo unilineare duemila
anni di storia della filosofia (come fa Heidegger), ma cerca di pensare fino in
fondo la contraddittoriet multilineare (che passa dentro tutti i pi grandi
pensatori) fra tendenze disantropomorfizzanti e tendenze riantropomorfizzanti.
E' questa una tendenza che egli ovviamente estende in modo particolare alla
teoria estetica, ma che purtroppo non possiamo documentare in questa sede, in
cui i siamo posti un obiettivo teorico del tutto differente: mostrare come la
parte "sistematica" della riflessione ontologica lucacciana, che ora
affronteremo, non salta fuori come un fungo dopo la pioggia, ma emerge
dialetticamente da un esame genealogico di tendenze teorico-pratiche non
unilineari e predeterminate, e viene dopo un'interpretazione della filosofia
occidentale come unit.
processuale-contraddittoria di tendenze antropomorfizzanti e
disantropomorfizzanti e dopo una doppia diagnosi di rifiuto teorico (della
solidariet antitetico-polare fra esistenzialismo e neopositivismo, da un lato;
della rivitalizzazione degli antitetico-polari marxismi orientale ed
occidentale, dall'altro). A questo punto, possiamo finalmente discutere
brevemente la proposta ontologica lucacciana, seguendo lo stesso tracciato
della parte sistematica della Ontologia (28). 5. Il lavoro come forma
originaria e modello della prassi Come si
gi rilevato poco sopra, Lukcs nega ogni forma generalizzata di
teleologia non soltanto nella natura inorganica ed organica, ma anche nella
societ (intesa come un'unica processualit, olisticamente predeterminata), e ne
limita la validit ai singoli atti di quell'agire umano-sociale la cui forma pi
esplicita ed il cui modello il lavoro.
Occorre fare qui subito una distinzione preliminare. La nozione di
"lavoro" pu essere inserita in due contesti rilevanti assolutamente
differenti, che ne dettano le regole di declinazione (ed ovviamente di polemica
su diverse concezioni). In un primo contesto rilevante, il concetto di
"lavoro" centrale per il
materialismo storico e la critica dell'economia politica, e la sua corretta
interpretazione (che porta a respingere tutte le nozioni di lavoro schiacciate
su Hegel, Smith o Ricardo, eccetera)
compito del materialismo storico stesso, in una "lotta senza
fine" contro le nozioni astoriche, aspecifiche e quindi metafisiche di
lavoro. In un secondo contesto rilevante, il concetto di
"lavoro" centrale per la forma
filosofica del discorso in cui viene pensato il materialismo 193 storico
stesso, ed qui (e solo qui) che si pone
il problema del lavoro come forma esplicita e come modello. Senza una ferrea
distinzione fra i due contesti rilevanti, il regno della confusione inaugurato, e l'analisi teorica si blocca
immediatamente (29). Inserita nel contesto rilevante del materialismo storico e
della critica dell'economia politica, la nozione di "lavoro in generale"
semplicemente non esiste (se non, ovviamente, come "astrazione
ideale", di fatto mai concretamente applicabile in una analisi
determinata). Per quanto concerne il materialismo storico, infatti, l'unit
teorica minima" da cui partire
sempre il lavoro diviso (e dunque mai il "lavoro"): dalla
dissoluzione delle comunit primitive alla formazione degli stati nobiliari e
sacerdotali, dal modo di produzione schiavistico a quello feudale, eccetera, il
"lavoro diviso" si manifesta in una ricca gamma di forme tecniche,
simboliche, etico-religiose, che uniscono ovviamente il piano strutturale e
quello funzionale. Per quanto concerne la critica dell'economia politica,
inoltre, l'"unit teorica minima" da cui partire sempre il lavoro capitalistico diviso (e
dunque mai il "lavoro"): dalla sottomissione formale a quella reale
del lavoro al capitale fino all'approfondimento "impersonale" del
rapporto . di produzione capitalistico nella forma apparentemente
"neutra" del processo "tecnico" del lavoro, eccetera, il
"lavoro capitalistico diviso" s manifesta in una ricca gamma di forme
che solo l'indagine empirica e lo studio continuamente aggiornato pu
adeguatamente documentare. Ogni tentativo di parlare del "lavoro"
saltando le determinazioni essenziali del "lavoro diviso" ed ancor pi
del "lavoro' capitalistico diviso" significa uscire
consapevolmente dal | materialismo
storico in direzione di "metafisiche del lavoro" di vario tipo e
colore, oggi presenti in gran numero sul "mercato politico" (30).
Diverso invece il contesto rilevante
dello scontro strategico fra forme filosofiche del discorso alternative e
confliggenti, che si pongono il problema di interpretare filosoficamente"
il materialismo storico stesso. In questo contesto il problema principale
non quello della determinazione delle
modalit differenziate con cui la "divisione del lavoro" si presenta
nei vari modi di produzione, ma quello
dell'individuazione delle modalit differenziate con cui la filosofia pensa la
"specificit" dell'essere sociale rispetto a quello naturale. E' qui,
allora, che si pone il problema della categoria del "lavoro" come
unit specifica di causalit e teleologia, di forma originaria e di modello per
la prassi umana (31). Le filosofie grandi-narrative (con cui si gi polemizzato) 194 mettono alla storia
(preventivamente spogliata della forma storica) una sorta di "diavolo in
corpo". Il massimo di "animismo" si unisce qui paradossalmente
con il massimo di "artificialismo" (se ci si consente il linguaggio
alla Piaget): il flusso temporale dotato
di un "supplemento di senso" e di anima e di una impersonale
teleologia sovrastorica, che da un lato
priva di una "forma umana", e dall'altro enfatizza gli aspetti
antropomorfici del modello di homo faber in vario modo "costruttore del
comunismo" e lavoratore nei cantieri del socialismo (32). Le filosofie
deterministico-naturalistiche, d'altra parte, partendo dalla giusta
considerazione ontologica che "l'essere della sfera della vita basato ineliminabilmente sulla natura
inorganica cos come l'essere sociale sull'intero essere naturale"
(considerazione, questa, sistematicamente dimenticata dai vari storicismi ed
umanesimi integrali), dimenticano che la diversit qualitativa fra le due sfere
riposa sulle tre determinazioni essenziali del lavoro, della posizione
teleologica che lo produce, e soprattutto infine della decisione alternativa
che necessariamente precede quest'ultima (33). Le decisioni alternative,
infatti, producono sequenze causali in vario modo necessarie, che a loro volta
danno luogo a specifiche "soglie di irreversibilit" storica. L'analogia
fra comportamento animale e comportamento umano (tipica non solo di correnti
"reazionarie" legate alla sociobiologia ma anche di correnti
"democratiche" legate a varie forme di etologia comparata)
rappresenta una giusta e sana reazione alle formulazioni retoriche
sull'inimitabile. unicit dell'Uomo (che al tempo di Marsilio Ficino e di Pico
della Mirandola ebbero certo una funzione progressiva, perduta peraltro da
tempo), ma finisce in ultima istanza con il far dimenticare che il mondo
animale non d luogo a sequenze di "modi di produzione" socialmente
alternativi nell'ambito della stessa specie. E', questo, un punto teorico
ovvio, ma estremamente rilevante, forse ancor pi della questione della
differenza fra l'ape e l'architetto (Marx), o della questione della competenza
comunicativa differenziata come connotato specificatamente "umano"
(Habermas) (34). La filosofia ontologico-sociale indaga invece "la realt
oggettiva per scoprire lo spazio reale per la prassi reale". La
"realt essente in s" non
affatto un dato cosale esterno al soggetto che deve. essere fotografato
o in vario modo "rispecchiato", ma
un processo che si costituisce con determinati livelli di
irreversibilit: il "ricambio organico" con la natura modifica
irreversibilmente la natura come "immediatezza"; il lavoro
capitalistico diviso ed il mercato mondiale fanno diventare il neo-primitivismo
(cos come il neo-schiavismo o il neo-feudalesimo industriale) qualcosa di i 195
qualitativamente diverso dal vero primitivismo, che qualcosa di irreversibilmente perduto, cos
come gli antichi Greci. La realt sociale, essente in s, non una mera "finalit senza scopo"
(secondo l'efficace definizione data da Kant del mondo organico), ma un concreto insieme di possibilit
ontologiche, che non passeranno per mai dalla potenzialit alla attualit (per
usare l'insuperata terminologia di Aristotele) senza il determinante intervento
della posizione teleologica umano-sociale. Per ripetere qui un esempio gi fatto
altrove, il modo di produzione capitalistico contiene in s ontologicamente la
"crisi" come risultato necessario di migliaia di posizioni
teleologiche di imprenditori ognuno dei quali, preso separatamente, intraprende
nell'ottica illusoria dell'armonia economica, dell'equilibrio economico
generale, eccetera; d'altra parte, contiene in s la potenzialit ontologica
della transizione al socialismo, che non si attuer peraltro mai senza un
insieme processuale di posizioni teleologiche coscienti degli individui e delle
classi. | Il "lavoro" non che
la "forma originaria" ed il "modello" di questa posizione
specificatamente teleologica. In quanto "forma originaria" rimanda ad
un insieme di atti che rendono il "ricambio organico con la natura"
qualcosa di coscientemente posto, che sviluppa in seguito in processuale
irreversibilit livelli specifici di produzione sociale organizzata e complessa.
In quanto "modello" il lavoro si differenzia da altre forme di
attivit umana 'originaria", quali ad esempio il gioco, che incorporano
modalit qualitativamente differenti dell'intreccio ontologico fra posizioni
teleologiche. Il rapporto fra lavoro e gioco
ovviamente di grande complessit e di enorme interesse filosofico, e
possiamo qui solo accennare all'esistenza di questo problema. Non mi sembra
tuttavia che il "gioco assolva una funzione servile nell'ambito del
paradigma marxiano del lavoro", e vi sia perci una gerarchia di valori e
di dignit: il lavoro rimanda per ontologicamente oltre s stesso, mentre il
gioco caratterizzato dall'immanente autosoddisfacimento.
La dimensione ludica non produce livelli di irreversibilit ontologico-sociale,
ma vive ontologicamente nell'eterno ritorno del sempre eguale, solo
apparentemente compromesso dalla pluralit polimorfa dell'agire ludico stesso
(35). La differenza qualitativa fra gioco e lavoro qui illustrata sotto il segno di una modalit
ontologico-sociale, e non comporta quindi "gerarchie" di valori,
apologie del sudore sulla fronte, condanna dell'homo ludens come peccatore, ed
altre sciocchezze. Il lavoro dunque
"modello" (Vorbild) della prassi non certo perch riassume ed
incorpora in s tutte le dimensioni della prassi stessa (che 196 sfaccettata, inesauribile, ricca di
significati e di dimensioni irriducibili a forme ideal-tipiche di qualsiasi
sorta), ma solo in quanto esprime appieno quella che la caratteristica pi tipica della prassi, la
trasformazione. Senza una base nella prassi reale, nel lavoro, come sua forma
originaria e suo modello, la stessa esaltazione del concetto di prassi generica
si converte necessariamente in una sorta di contemplazione idealistica (e non
deve allora stupire che il massimo di attivismo soggettivistico unilaterale
nell'agire politico - pensiamo al "terrorismo sociale diffuso",
sciaguratamente propagandato e attuato negli anni '70 in Italia - coesista tranquillamente
con una immagine del comunismo come desiderio di consumo da parte di soggetti
sociali "ricchi di bisogni" esaudibili da un universo di macchine
cibernetiche incorporanti ormai l'intero general intellect umano). La stessa
trasformazione non pu pi essere letteralmente pensata come un insieme complesso
di posizioni teleologiche, ma semplicemente "accade" con la
sapienziale solennit dell'evento" e con l'indicibilit del
"mistico" (36). E' questa, ovviamente, una concezione filosoficamente
degenerativa del prassismo generico e dell'attivismo sganciato da qualsiasi
visione ontologica dei processi sociali. Ben maggiore rispetto meritano le
preoccupazioni di chi teme conseguenze "riduzionistiche" della
nozione di lavoro come modello della prassi (ed
questo quasi sempre il caso degli apologeti filosofici della ontologia
della speranza di Ernst Bloch) (37). Sfugge peraltro spesso a costoro quello
che definiremo un felice paradosso filosofico contenuto nell'enfasi lucacciana
sul lavoro come forma originaria e come modello, e che ora discuteremo
brevemente: il fatto che proprio la
forma filosofica del discorso di tipo ontologico-sociale, incentrata sul lavoro
come forma originaria e modello della prassi, a dare tutte le garanzie di poter
funzionare come antidoto e vaccino (ci si passi l'immagine biologica) alle
interpretazioni del materialismo storico come "paradigma della
produzione", economicismo riduttivo ed apologia del lavoro come fonte di
ogni ricchezza. 6. Un felice paradosso filosofico Il marxismo della II Internazionale,
come noto, si costitu sostanzialmente
come teoria della rivendicazione "integrale" dei frutti del
"lavoro" inteso come fonte di ogni ricchezza. La "colpa" in
proposito non tanto di Kautsky (il quale
non poteva ignorare a tal punto la differenza teorica fra Adam Smith e Karl
Marx), 197 quanto delle volgarizzazioni di tipo lassalliano diffuse dalla
socialdemocrazia tedesca. Era del resto la stessa "composizione di
classe" che faceva da supporto storico e sociologico alla socialdemocrazia
a fare da "committente"ad una simile concezione lavoristica (che
definiremo d'or in poi "paradigma della produzione"). | Meno
noto forse il fatto che dentro lo stesso
processo intellettuale di Karl Marx
riscontrabile una tendenza a prendere sempre pi esplicitamente le
distanze da qualsiasi possibile equivoco di tipo "produttivistico":
si va infatti da alcune formulazioni dell'Ideologia tedesca e soprattutto della
Prefazione del '59 o della Lettera a Kugelmann (che in effetti possono
consentire filosofie della storia intrise di metafisica produttivistica
talvolta "ingenua') alle decise ed esplicite note
'"antilavoristiche" contenute nella Critica al rogramma di Gotha
(1875) ed ancor pi nelle Glosse al Manuale di economia politica di A. Wagner
(1879-80). L'evoluzione marxiana in proposito era, da un lato,
un'autodepurazione critica interna al suo pensiero (che non cessava mai di
"correggersi" e di riformularsi), e si confrontava, dall'altro lato,
con gli equivoci dei primi "marxisti" che calavano il suo pensiero
negli stampi consueti del pensiero borghese dominante, intriso di economicismo
e di positivismo (38). L'enfasi antiproduttivistica resta certo in Marx
qualcosa di ambivalente: da un lato (come ha fra l'altro rilevato Stanley
Moore) Marx respinge sempre i "valori" utilitaristici e
produttivistici del capitalismo borghese, fino a "riempire" la sua
idea di comunismo futuro con un "immaginario" ricavato da
estrapolazioni di tipo "classico", gli antichi otium ed humanitas, in
sostanza gli antichi Greci coniugati allo sviluppo delle forze produttive;
dall'altro, le continue apologie del concetto di "produzione che si
sviluppa senza limiti" (accompagnate dalle critiche feroci a tutti gli
economisti che anche solo ipotizzano "limiti alla produzione") non
sono certo casuali in Marx, ma documentano tendenze a considerare talvolta la
"natura" come un "fondo inesauribile" cui si pu sempre far
ricorso (39). Si apre qui ovviamente uno spazio per
l'"interpretazione". Non sbaglia, dunque, chi (come Agnes Heller)
prende atto del fatto che, sulla base della mera filologia marxiana, possibile sostenere con buoni argomenti sia
un "paradigma del lavoro" (come fa infatti il Lukcs dell'Ontologia)
sia un "paradigma della produzione". Non possibile qui discutere in dettaglio le
ragioni teoriche (non tutte chiaramente esplicitate) per mezzo delle quali la
Heller respinge entrambi i paradigmi filosofici (definendo, fra l'altro, il 198
"paradigma" lucacciano del lavoro un cartesianesimo materialistico,
ed un "tentativo incoerente ed autocontraddittorio di riplasmare il
marxismo sulla base del paradigma del lavoro"). Le argomentazioni della
Heller si sviluppano "a cascata", in tre momenti successivi: in primo
luogo, vi una critica del paradigma
della produzione, il quale, facendo della "produzione" destoricizzata
e desimbolizzata il ''momento soverchiante" e la "variabile
indipendente" dello sviluppo storico (la cui catena progressiva la "crescita delle forze
produttive"), diventa una rozza filosofia della storia; in secondo luogo,
vi una critica del paradigma del lavoro,
la cui autocontraddittoriet consisterebbe nell'inserimento della
"posizione teleologica" dei singoli individui (che in effetti
non una "filosofia della
storia", ma un semplice modello della prassi specificatamente umana) in
una filosofia della storia scaglionata in tre momenti costitutivi (la
produzione, intesa come arretramento della barriera della natura esterna, la
de-naturalizzazione dei singoli attori, intesa come arretramento della barriera
della natura interna, ed infine la universalizzazione delle integrazioni) in
cui la "produzione" la forza
motrice; in terzo luogo, vi una vaga e
confusa "proposta alternativa", basata su una "struttura di
oggettivazioni che ogni essere umano deve appropriarsi per sopravvivere in un
dato ambiente culturale" (le cui componenti sarebbero tre: l'uso degli
oggetti fatti dall'uomo, l'osservanza dell'insieme culturalmente definito dei
costumi, l'uso del linguaggio comune). La Heller vuole, . evidentemente,
criticare soprattutto il paradigma della produzione (con il quale si intende il
marxismo monopolistico di stato dei paesi a socialismo reale, dei quali
l'Ungheria fa parte, pur essendo certo il pi "liberale" in senso
assoluto). E' questo il suo obbiettivo principale, al punto da, vedere
nell'Ontologia un paradigma della produzione "mascherato" e
riformulato, una filosofia della storia che "si vergogna" (40).
L'equivoco in cui cade la Heller a
nostro parere sintomatico, e carico di possibili insegnamenti filosofici. Il
"progresso storico" nella Ontologia (di cui la Heller individua
correttamente i tre momenti costitutivi, anche se li riformula
nell'insopportabile e stopposo linguaggio della sociologia funzionalistica e
della "teoria dell'azione sociale") non affatto una "filosofia della
storia" la cui direzione segnata
dalla "produzione come forza motrice", ma solo un "insieme di possibilit
ontologiche concrete", specificamente ed inscindibilmente collegate ai
vari modi di produzione marxianamente concepiti. Per fare un esempio, la
"universalizzazione delle integrazioni" non la sincronizzazione finale armonica delle
posizioni teleologiche di tutte le personalit "comuniste" sviluppate
199 e riconciliate con il genere sulla base della ricchezza produttiva pi alta
possibile, ma solo una possibilit
storica che ontologicamente sorge esclusivamente sulla base del capitalismo e
della astrattizzazione casuale degli individui, tutti ormai giuridicamente "eguagliati";
nel modo di produzione schiavistico ed in quello feudale
l'"universalizzazione" non
ontologicamente possibile, cos come il passaggio dalla singolarit alla
individualit non possibile sulla base
delle societ di caccia e di raccolta (41). Il modo di produzione capitalistico infatti filosoficamente un campo di
possibilit ontologiche qualitativamente nuove. In senso
"positivo", qualitativamente
nuova la possibilit di sviluppo generico-universale della personalit umana; in
senso "negativo", anche
qualitativamente nuova la possibilit di un pericoloso squilibrio fra sistema
umano ed ambiente naturale (e si vedano in proposito le fondamentali posizioni,
dallo scrivente largamente condivise, di G. Bateson e di A. Wilden) (42). Il
punto filosoficamente centrale non
allora soltanto la ripetizione ad nauseam che il lavoro la "fonte" di ogni ricchezza
soltanto per i pensatori borghesi e non certo per Marx (per il quale essere un
lavoratore "produttivo" era una disgrazia!), e neppure la
sottolineatura necessaria che in Marx la vera ricchezza sempre in ultima istanza l'aumento del tempo
liberato ed arricchito (ove i due attributi usati riassumano tutti e tre i
"momenti costitutivi" della Heller). Questo gi largamente noto (43). Si tratta invece di
capire come la posizione teleologico-sociale del lavoro ha prodotto soglie
ontologiche di irreversibilit in cui le posizioni alternative degli
"attori sociali" (per usare l'orribile linguaggio in uso nelle social
sciences contemporanee) sono divenute per la prima volta nella storia cariche
di "possibilit oggettive" in direzione del superamento della estraneazione
oppure, al contrario, in direzione di un approfondimento degli squilibri
catastrofici fra sistema umano ed ambiente naturale. E! questo, a parere dello
scrivente, un felice paradosso filosofico. , Soltanto l'enfasi
ontologico-sociale sulla categoria di "lavoro" pu in realt combattere
efficacemente contro i prometeismi produttivistici del "lavoro" i
quali (come gi a suo tempo acutamente osservato da Walter Benjamin nelle sue
Tesi di filosofia della storia) identificano lo "sviluppo tecnico"
con il "filo della corrente" in cui la classe operaia nuota. La
categoria ontologico-sociale di lavoro
dunque incompatibile sia con il pessimismo catastrofistico di chi oggi
ha gi aprioristicamente decretato che la specie umana fatalmente destinata a non poter
"controllare" il mostruoso Ge-stell che ha prodotto, sia con 200
l'ottimismo idiota di chi aspetta la felicit e la pace sociale dalla
computerizzazione e dallo sviluppo dell'ingegneria genetica. Essa non infatti il supporto "nascosto" di
una filosofia della storia (come pensa Agnes Heller), ma: la premessa
ontologica che permette di intendere un arco di possibilit storiche del tutto
determinate. Se questo vero, il contesto
rilevante in cui Lukcs parla di "lavoro" nella Ontologia non lo stesso in cui si muovono Aristotele ed
Hartmann. E' invece un contesto specifico, inscindibile da una analisi
materialistica delle tendenze storiche del modo di produzione capitalistico in
questo scorcio del XX secolo (44). 7. Alcuni problemi della riproduzione
sociale La riproduzione sociale un complesso di complessi",
caratterizzato da una gerarchizzazione flessibile e sempre mutevoli di questi
"complessi", che hanno tempi e modalit di sviluppo non omogenei. Vi qui un elemento comune a pensatori molto
diversi (da Lukcs a Bloch allo stesso Althusser), uniti dal comune rifiuto di
concepire il tempo storico come una "totalit espressiva . semplice"
(caratteristica, quest'ultima, comune a tutte le varie forme di hegelo-marxismo
e di storicismo, compreso lo storicismo positivistico, che feticizza la
"crescita delle scienze" e delle forze produttive) (45). E' infatti
errato, come rileva Lukcs, "separare la storicit dalla socialit e, come
avviene spesso, accettare l'una e negare l'altra. Dalla circostanza che storia
e sociologia vengono insegnate in cattedre distinte non consegue per nulla che
nel processo di sviluppo dell'umanit storia e societ siano fattori
reciprocamente autonomi" (46). L'unit dello sviluppo fra storia e societ
consiste specificatamente in ci, che non soltanto i vari "complessi"
relativamente autonomi della riproduzione umano-sociale (dal linguaggio
all'economia, dal diritto alla sessualit, dalla guerra alla produzione
artistica) hanno un carattere storico e perci mutano nel tempo (in modo non
genericamente eracliteo-tutto muta-ma con soglie determinate di
irreversibilit), ma muta anche la collocazione di ogni singolo
"complesso" nella gerarchizzazione riproduttiva dell'insieme sociale
(il "politico" nell'antichit, il "religioso" nel
feudalesimo cristiano europeo, l'"economico" nel capitalismo di
concorrenza, eccetera). Si' tratta di una "doppia determinazione
temporale", che rappresenta la croce e la delizia degli
"storici" marxisti, la maggioranza dei quali ha gi peraltro attuato
con successo il "salto epistemologico"' da una storiografia ancora
economicistica e riduttivistica ad una storiografia pi avvertita e 201
multidimensionale, in grado di recepire i pi diversi stimoli (dalle Annales
alla oral history) (47). Il nesso di
storicit e di socialit riscontrabile nell'evoluzione
temporale (mai teleologicamente predeterminata) dei vari n
"complessi". Questo ben
visibile, ad esempio, nella storia sociale dell'alimentazione, in cui non vi certo solamente il "passaggio" dal
crudo al cotto (con tutte le sue ovvie conseguenze di carattere
simbolico-rituale, studiate in particolare dagli strutturalisti francesi), ma riscontrabile e documentabile una
"unificazione alimentare" dell'umanit, come portato del mercato
mondiale (inesistente, ad esempio, al tempo degli antichi, in cui il disgusto e
la ripugnanza per i cibi non consueti erano fenomeni assai diffusi). Questa
"unificazione alimentare" non
altro che un "campo di possibilit alternative",
ontologicamente parlando: solo le scelte consapevoli degli "attori
sociali" possono infatti decidere se la vasta e ricca variet culinaria ed
alimentare verr conservata in un mondo unificato (come sperabile), oppure se l'unificazione
alimentare avverr sotto il segno di un impoverimento standardizzato a base di
hamburger e di chips e di una eliminazione progressiva di tutte le peculiarit
alimentari {con l'esclusione del consumo di prestigio o dell'eccentricit
socialmente prevista) (48). Nella storia sociale della sessualit ci ovviamente ancora pi visibile e ricco di
insegnamenti. E' chiaro, infatti, che il coito di Enea e di Didone non eguale a quello di Romeo e Giulietta o a
quello di Vronskij e di Anna Karenina. Non ci sta qui soltanto una generica
evoluzione che presenta soglie di irreversibilit di carattere nient'affatto
ciclico (ad esempio, baster ricordare come oggi - considerando l'enorme
maggioranza degli uomini - l'attrazione sessuale fra fratelli e sorelle possa
giudicarsi estinta; oppure come sempre pi il rapporto sessuale avvenga fra
soggetti giuridicamente liberi ed affettivamente consenzienti, da cui deriva la
non accettazione sociale - probabilmente irreversibile - dello stupro o del
matrimonio combinato). E neppure vi
soltanto il fenomeno ontologico della autonomizzazione di livelli
simbolici via via raggiunti dalla sessualit umana, in piena eterogenesi
dialettica dei fini che erano stati originariamente proposti (ad esempio, la
legittimazione spiritualizzata dell'amore omosessuale contenuta nel Convito di
Platone servita per "nobilitare"
il rapporto eterosessuale successivo; oppure, la spiritualizzazione
stilnovistica della "donna angelicata", che era in origine
esplicitamente separata dalla sessualit, si
evoluta via via nell''amore romantico", esplicitamente
risessualizzato). Indubbiamente, dall'ascesi spiritualistica cristiana sorta la moderna interiorit erotica 202
borghese, che in definitiva fu da essa preparata storicamente. Questa
"interiorit erotica borghese"
una soglia ontologico-sociale irreversibile, ed sul suo terreno che si apre una vasta gamma
di atteggiamenti possibili, che vanno dalle moderne ideologie della
"superiorit maschile" alle teorizzazioni femministiche, di tipo
anch'esse differenzialistico ed astorico (la "differenza
originaria".del "maschile" e del "femminile",
proclamata in modo consapevolmente adialettico,
l'elemento .filosoficamente comune che unisce in solidariet
antitetico-polare il conservatorismo sessuale maschilista ed il femminismo .
naturalistico-metafisico). L'unilaterale conservatorismo di questi
atteggiamenti, riprodotto oggi dalla manipolazione industriale dell'erotismo e
dell'immaginario sessuale quotidiano (che
oggi un fenomeno di massa - ogni condanna esclusivamente moralistica
della pornografia rischia di non coglierne i caratteri "strutturali"
che essa ha nella moderna societ), insieme con l'ultima trincea ideologica
della difesa della diseguaglianza fra uomo e donna (la teoria della
"complementariet"), non potranno nascondere a lungo il fatto che
vi oggi uno spazio ontologico nuovo per
una reale, bilaterale "eguaglianza" nel rapporto fra i sessi, che
potr forse in futuro lasciarsi alle spalle le "opposizioni" fra
emancipazione e liberazione ed i contrasti fra il perseguimento della
"differenza specifica" fra i sessi e la tensione verso l'umano -
comune che li unisce (49). Anche il linguaggio ha ovviamente una storia sociale
che non presenta immanenti teleologie, ma
connotata da, discontinuit e da soglie ontologiche di irreversibilit. Vi
, in primo luogo, una discontinuit "forte" fra comunicazione animale
e comunicazione umana, che spesso messa
in ombra dallo "specialismo" degli etologi e dei semiologi, i quali
quasi sempre conoscono migliaia di importantissimi particolari tecnici : delle
loro due discipline, ma trascurano la questione del corretto orientamento
filosofico da dare al problema. Aspetti essenziali della comunicazione animale
trapassano indubbiamente quasi immutati nella comunicazione umana, mentre
aspetti qualitativamente nuovi sorgono in relazione con il "lavoro"
specificatamente umano-sociale; in primo luogo, il linguaggio diventa l'organo
ed il medium della continuit dell'essere sociale, luogo non tanto della
cumulativit illimitata dell'esperienza trasmissibile fra le generazioni quanto
della stessa possibilit del mutamento qualitativo di essa; in secondo luogo,
(poich, come dice Hegel, solo per gli uomini "il noto in genere, appunto,
perch noto, non conosciuto") la
specificit irreversibilmente differenziale sta nel fatto che per l'uomo sociale
la "conoscenza comporta una dilatazione estensiva ed intensiva
dell'ignoto" (con i connessi 203 momenti dell'informazione, della
generalizzazione e del senso). L'oscillazione necessariamente ontologica del
linguaggio fra il polo del noto (da comunicare) ed il polo dell'ignoto (da
svelare), costitutiva della specificit dell'essere sociale, ha prodotto il
terreno obbligato della considerazione filosofica del linguaggio. Come noto, vi
stata una sistematica trascuratezza dell'importanza del medium simbolico
da parte dei numerosi riduzionismi economicistici della realt (come ad esempio
lo stalinismo, che creava per contemporaneamente una orwelliana neo-lingua per
rendere pi difficile ogni comunicazione tendente al trascendimento consapevole
della realt politico-sociale data). Vi
oggi, invece, una tendenza del tutto opposta, che mette il linguaggio al
centro della considerazione filosofica. Questa tendenza, che enfatizza le
dimensioni linguistiche dell'uomo, si scinde grosso modo in due parti: da un
lato, vi chi ritiene che il linguaggio il medium privilegiato per
"svelare" la realt (pensiamo all'ermeneutica, ma soprattutto a
Heidegger, che non pu essere assolutamente ridotto a quest'ultima); dall'altro,
vi chi ritiene che il linguaggio il medium privilegiato per
"costruire" la realt (pensiamo al secondo Wittgenstein, al movimento
analitico di Cambridge e di Oxford, che ha influenzato le teorie sociologiche
dell'interazionismo simbolico e della "costruzione della realt
sociale", ed ancor pi all'odierno progetto di ricostruzione del
materialismo storico sulla base di una teoria generale dell'agire comunicativo
di Jurgen Habermas). Non possiamo in questa sede discutere le debolezze dei
disvelatori e dei costruttori dell'Essere attraverso il linguaggio. A proposito
di Heidegger, si gi detto come la
corretta istanza heideggeriana di una conoscenza ontologico-sociale del tempo
presente, monisticamente rappresentato in una "immagine del mondo"
che iega insieme filosofia, scienza della natura e scienze sociali, sia
necessariamente vanificata dalla sua concezione unilineare e destinale della
temporalit storica, che rende letteralmente "impensabile" la prassi
trasformatrice e, connotando il "lavoro" come attivit nichilistica ed
"umanistica", deve necessariamente scivolare in una nozione sapienziale
ed evocativa del linguaggio. A proposito di Habermas, si visto come. l'iniziale separazione fra lavoro
ed interazione (tenacemente mantenuta ed anzi sempre pi approfondita negli
ultimi anni) abbia rappresentato un "punto di fuga" dai quale ormai
la "teoria dell'agire comunicativo" si sta allontanando in velocit
uniformemente accelerata dal sistema solare e planetario del materialismo
storico. Questa teoria ha ormai una sua .peculiare logica di crescita e di 204
"complessificazione" che diventa sempre pi un oggetto monografico per
habermasologi professionali (50). E' interessante, invece, notare come il
problema ontologico del linguaggio si presenta regolarmente in certi
"snodi" fondamentali del processo storico (pensiamo al movimento dei
sofisti ed al Cratilo di Platone, da un lato, ad Herder ed alla linguistica
romantica, dall'altro). La tendenza linguistica contemporanea anch'essa legata al superamento irreversibile
di alcune soglie ontologico-sociali, dovuto alla mondializzazione del modo di
produzione capitalistico (e non un caso
che soltanto dopo che il sistema-mondo si
veramente attuato, gli storici possano retrodatare variamente la sua
comparsa, come fanno Braudel e soprattutto Wallerstein). L'unificazione
linguistica del mondo non si manifesta soltanto nella difficolt e nell'affanno
con cui,le varie lingue nazionali cercano di resistere alla koin semplificata e
banalizzata dell'inglese giovanile, commerciale e tecnico (anche qui, vi la compresenza dialettica della nuova e
positiva possibilit ontologica della comunicazione universale - non raggiunta
al tempo di altre precedenti "lingue veicolari", come il greco, il
latino, l'arabo, il francese - e del negativo impoverimento operazionale della
comunicazione linguistica nell'inglese as a foreign language, incorporante
modalit esistenzialistico-positivistiche di rapporto con il mondo nella sua
apparente asettica "neutralit espressiva") (51). L'unificazione
linguistica del mondo un fatto
ontologico, caratterizato filosoficamente dalla compresenza di una nuova
modalit astratto-universale della comunicazione linguistica, da un lato (ormai
tutta l'umanit astrattizzata dalla
generalizzazione mondializzata del mercato e della produzione capitalistica,
che rende omogeneo il medium linguistico-espressivo), e dal simultaneo
moltiplicarsi di linguaggi specialistici e settoriali, dovuti alla
frammentazione ed alla complessificazione della produzione. Oggi, dunque, la
compresenza del massimo di comunicabilit "astratta" dell'esperienza
umana e del massimo di incomunicabilit fra linguaggio comune e linguaggi
specialistici un "fatto"
ontologicamente dialettico. Non possiamo dunque stupirci dell'attenzione che il
pensiero contemporaneo dedica al problema del linguaggio, anche se possiamo
dolerci delle tendenze idealistiche ed irrazionalistiche che sono generalmente
veicolate attraverso la filosofia del linguaggio contemporaneo (52).
Considerazioni analoghe possono essere fatte anche per il diritto. Lukcs
riprende nell'Ontologia considerazioni gi fatte su Storia e Coscienza di Classe
a proposito della tendenza idealistica a feticizzare i rapporti giuridici ed a
staccarli dai rapporti 205 LI economico-sociali che il "diritto"
esprime in forma falsamente asettica e "formalizzata" (la polemica
contro la feticizzazione idealistica del "diritto" forse il maggiore elemento di continuit. fra
le due opere, per il resto tanto diverse) (53). L'illusione
"giuridica" si manifesta, come
noto, in forme diverse nel capitalismo occidentale e nel socialismo
reale, ma in un'ultima istanza
"unica" (il che fa diventare Kelsen e Visinskij assai pi vicini di
quanto sembrerebbero a prima vista): l'autonomizzazione illusoria del sistema
di norme giuridiche (sia di diritto pubblico che di diritto privato) produce, a
livello sia di ideologia che di falsa coscienza, l'errata convinzione che siano
i rapporti "legali" a determinare i rapporti sociali, e non
viceversa. Ad Ovest, certamente, prevale l'illusione giuridica dell'eguaglianza
formale dei "punti di partenza" degli individui, titolari
astrattamente degli stessi diritti e doveri e portatori di "libert in
generale"; ad Est, invece, l'abolizione della propriet giuridica privata
dei mezzi di produzione e la conseguente propriet giuridica pubblica di essi
viene fatta passare per appropriazione reale dei produttori sulle condizioni
della produzione; in entrambi i casi, comunque, l'illusione giuridica
rappresenta una forma di falsa coscienza necessaria che deve essere
"superata" da una analisi storico-materialistica ispirata ad un'ontologia determinata dell'essere-cos
sociale e politico (54). Questa non
comunque che la necessaria critica "in negativo"
dell'illusione giuridica. In positivo occorre per rilevare che vi anche qui una soglia di irreversibilit
ontologica, determinata dal potenziale emancipativo contenuto nella formalit e
nell'astrattezza del diritto borghese, superiore sia alla "saggezza
tradizionale" della giustizia del cad musulmano (per usare l'espressione
di Max Weber), sia alla casualit informale dei "processi popolari"
(da quello fatto a Socrate a quelli svolti durante la rivoluzione culturale
cinese). Altra cosa , ovviamente, la "giuridicizzazione ossessiva di tutti
gli ambiti di vita", scioccamente voluta da tutti i feticisti del diritto
e giustamente temuta da chi, come Jurgen Habermas, vede in essa una forma di
"colonizzazione" di tipo nuovo del quotidiano. E' comunque certo che
il "superamento" dell'astrattezza della "forma giuridica"
non potr ritornare alla perduta informalit primitiva (che comunque non mai esistita in forma "laica", ma
sempre e soltanto intrisa di riti e di miti), e che il comunismo al di l, e non al di qua, della soglia
ontologica irreversibile prodotta dal diritto borghese formale ed astratto (che
per, come la stessa "interiorit erotica borghese", non che un punto di partenza) (55). 206 La stessa
"economia" , infine, un complesso autonomo della riproduzione sociale
complessiva. Come si sa, uno dei problemi principali del materialismo storico
consiste nella determinazione precisa dell'autonomia specifica
dell'"'economico" nei differenti modi di produzione, ed in che misura
esso sia (per usare un linguaggio . althusseriano) "determinante in ultima
istanza". Leggermente diversi sono i problemi che sorgono da. una giusta
valutazione filosofica dell'"economia" all'interno di una prospettiva
di tipo ontologico<sociale. Si ha qui, infatti, una lotta
"filosofica" su, due fronti opposti (ed antitetico-polari): da un
lato, la sopravvalutazione sistematica del ruolo "autonomo"
dell'economia nella riproduzione sociale, legata alla valutazione dell'economia
come "regina" delle scienze sociali ed al feticistico ed illusorio
"isolamento dell'economico" dagli altri complessi; dall'altro, la
sottovalutazione idealistica della nozione marxiana di sfruttamento (connessa
con le note distinzioni fra lavoro e forza-lavoro, valore d'uso e valore di
scambio, eccetera), come se la riproduzione capitalistica potesse
"fondarsi" sopra un rapporto di "dominio" sostanzialmente
sganciato dalla estorsione del plusvalore. In questa "lotta
filosofica" occorre sempre ribadire vere e proprie ovviet. Ad esempio,
non mai esistita una vera e propria
"economia pura" che abbia funzionato senza violenza (56).
Naturalmente, "al livello del pensiero astratto si pu delineare senza
contraddizione il concetto di puramente economico", ed anzi decisiva per la teoria l'elaborazione di
questo concetto (le "leggi dell'economia", eccetera). La stessa
"violenza" non poi un fattore
astorico, metafisicamente cosale, e presenta anch'essa soglie di irreversibilit
ontologica in rapporto alla sua "necessit funzionale" per la
riproduzione dell'economico (la stessa crudelt di Hitler non ha nulla a che
fare, neppure a livello di superficiale analogia, con quella, poniano, di
Assurbanipal, Nerone o Genghiz Khan, a meno che si creda nell'"eterno
ritorno del sempre eguale", al marchio di Caino ed al kantiano "male
radicale"). Non si qui di fronte ad
un mero fatto "genealogicamente ricostruibile" (si pensi agli studi
di Foucault sui corpi ribelli ed i corpi "docili", ed alle differenze
fra le strategie di controlio attraverso le esecuzioni capitali
"crudeli" che annientavano il corpo e le tecniche panoptiche di
incarcerazione); il rapporto fra economia e violenza sempre un rapporto ontologico-determinato,
che gli "economisti" devono sempre "dimenticare" per
alimentare la falsa coscienza necessaria con cui esercitano la loro
"triste scienza". Questa "dimenticanza" non ovviamente eguale per tutti, ed occorre
francamente distinguere fra la pleiade di spocchiosi roteatori di pipa che 207
incitano ai "sacrifici" affiancati ai mezzibusti televisivi e
studiosi come Gunnar Myrdal o Joan Robinson (57). Avendo l'intero essere
sociale una costruzione ontologica unitaria (il lavoro, in quanto elemento
ultimo, non ulteriormente scindibile, della sfera economica, fondato su di una posizione teleologica e
pertanto tutti i momenti che producono la struttura e la dinamica della sfera
economica sono anch'essi atti teleologici direttamente o indirettamente
orientati verso il processo lavorativo o messi in moto da esso) la sfera
economica non si differenzia in nulla dai restanti campi della prassi sociale.
In questo senso la sfera dell'economia non ha affatto nella "tecnica"
il suo presunto "momento fondamentale" (come riteneva Bucharin) e non
costituisce neppure una sorta di "seconda natura" che si
distinguerebbe qualitativamente per struttura e dinamica dalle altre parti
dell'essere sociale (come ritenevano Plechanov e Stalin). Il fatto per che non
si possa affatto contrapporre in termini metafisico-assoluti, senza gradini, la
sfera economica alla sovrastruttura non iegittima affatto la riduzione del
complesso delle posizioni teleologiche entro l'essere sociale ad un
"minestrone uniforme ed indifferenziato" (58). La soglia ontologica
irreversibile, qualitativamente nuova, con ia quale il capitalismo spezza il
precedente continuum temporale (a sua volta gi differenziato in un ricco
multiversum), infatti caratterizzata
dalla doppia compresenza di una modalit storicamente specifica: da un lato, il
rapporto di produzione capitalistico rivoluziona incessantemente le forze
produttive, distruggendo sempre pi le modalit "naturali" del ricambio
organico con la natura stessa; dall'altro, il furto di tempo di lavoro - come
dice Marx - diventa progressivamente (anche se non teleologicamente) una
"ben misera base" per la produzione e la distribuzione della
ricchezza. Il carattere ontologicamente determinante del "momento
economico" (che sconsiglia l'adozione affrettata di formulazioni
"interazionistiche" e pluralistiche che dichiarano
"abolita" ogni distinzione fra struttura e sovrastruttura) non sta
dunque in ingenue rappresentazioni grafiche e topologiche (per le quali
l'economia "sta sotto", fa da "zoccolo" alla politica ed
alla ideologia), e neppure nella sua presunta esenzione dalla struttura
teleologica dell'agire umano-sociale, ma risiede 0 esclusivamente nella
centralit riproduttiva dell'estorsione del plusvalore e del suo realizzo come
profitto nella societ mondializzata del capitalismo. Ovviamente, come tutti i
complessi riproduttivi, anche l'economia ha un "momento ideale",
che tipico e caratterizzante
dell'ontologia dell'essere sociale, cui ora brevemente faremo cenno. 208 8. La
realt materiale del "momento ideale" A prima - vista, l'affermazione
lucacciana secondo cui "il momento essenzialmente separatorio dell'essere
sociale costituito non dalla
fabbricazione di prodotti, ma dal ruolo della coscienza" pu sembrare la
prima proposizione di un manifesto filosofico idealistico. Si tratterebbe per
di un'impressione errata. Infatti la delimitazione materialistica dell'essere
della natura rispetto all'essere sociale deve attribuire alla coscienza un
ruolo decisivo ed attivo perch l'ontologia specifica del complesso problematico
dell'individuo socializzato contraddittoriamente nel modo di produzione
capitalistico (la libert, la possibilit, la necessit) si lascia analizzare
soltanto attraverso l'analisi del ruolo attivo della coscienza (59). Nel lavoro
la posizione teleologica prodotta nella coscienza (cio un momento ideale) deve
precedere la realizzazione materiale, e la stessa apparente "legalit
oggettiva" (inesorabilmente indipendente dalla consapevolezza cosciente
che se ne ha) delle cosiddette "leggi economiche" in definitiva la sommatoria impersonalizzata
ed automatizzatasi di originari "elementi primi teleologici", le
posizioni alternative degli individui. Nell'ontologia del lavoro infatti gi
Marx ha mostrato che la tradizionale contrapposizione fra teleologia e causalit
non sostenibile; mentre infatti la
dinamica dell'essere naturale determinata
dalla causalit senza la teleologia, l'intrecciarsi di causalit e
teleologia una. caratteristica
ontologica primaria dell'essere sociale. La decisione alternativa degli uomini
non resta per al livello del lavoro semplice, al mero ricambio organico con la
natura, ma diretta alla coscienza di
altri uomini, in modo che essi compiano da s, "spontaneamente", gli
atti lavorativi desiderati dal soggetto della posizione (60). La realt
materiale del momento ideale dunque
intrecciata inestricabilmente alla realt materiale delle ideologie. Il
"momento ideale" non pu dunque essere accostato ed identificato con
le strutture materiali neurofisiologiche del cervello e con le loro funzioni
(si pensi a Cabanis ed a La Mettrie, ma anche a Vogt e Moleschott), ma la speciale funzione dell'uomo come soggetto
dell'attivit lavorativa sociale (un soggetto, ovviamente, complesso, non
suscettibile di divenire il fantoccio grande-narrativo di una filosofia della
storia pre-iscritta nella processualit concreta) (61). La diversa (e spesso
alternativa) trattazione della realt materiale del momento ideale occupa
l'intera storia della filosofia occidentale (ma anche cinese ed indiana).
Spinoza, ad esempio, aveva gi collegato le idee adeguate, espresse con le
parole del # 209 linguaggio, proprio con
la capacit di riprodurre nello spazio reale una forma data in parole. Anche
Hegel aveva gi espresso con assoluta esattezza la peculiarit fondamentale
dell'attivit vitale umana: la capacit dell'uomo (come essere pensante) di
guardare in se stesso come standosene "a parte", come in qualcosa
d'"altro", come in un oggetto speciale o, in altre parole, di
trasformare gli schemi della sua propria attivit nell'oggetto di essa medesima
(62). | Marx, con la sua metafora dell'ape e dell'architetto, erede sia di Spinoza che di Hegel: l'uomo ha
la necessit di un momento di "estraneazione" e di
"alienazione" delle cose da se stesso come premessa ontologica della
sua stessa presa di coscienza ideale (e qui ha ragione Hegel), ma insieme (e
qui ha torto Hegel e ragione Spinoza) la sua apparente alienazione non altro che la necessaria oggettivazione nel
mondo esterno del suo essere sociale, caratterizzato dal lavoro come modello di
unit fra causalit necessaria posta da una teleologia e forma originaria della
prassi umana rivolta alla trasformazione. I "marxismi" successivi a
Marx hanno in generale perduto la capacit di trattare in modo adeguato la
peculiarit materiale del "momento ideale", dando luogo ad una gamma
di posizioni che vanno da una "spiritualizzazione" estrema del
momento. ideale stesso, spogliato di ogni determinazione materiale (ad esempio
in Max Adler), fino ad una cancellazione arrogantemente economicista e
naturalistica di ogni "idealit" (in Plechanov, ma soprattutto nella
teoria e nella prassi dello stalinismo, che occultava cos maldestramente il
fatto che la presunta "oggettivit sociale" era quasi sempre il
"risultato volontaristico delle risoluzioni del partito") (63). Di
tanto in tanto, ovviamente, pensatori in vario modo "marxisti" hanno
cercato una via personale di approdo al "momento ideale",
ingegnandosi di evitare la soluzione neo-kantiana, formalistico-astratta, della
separazione fra realt fenomenica ed idealit astratta, per la quale in
definitiva si lotta contro il capitalismo mossi da un imperativo categorico di
tipo morale e si concepisce il comunismo come un "ideale regolativo"
e come un concetto-limite scisso dall'esperienza quotidiana. Antonio Gramsci,
come noto, deve essere considerato ancor
oggi un teorico notevole della autonomia specifica" del momento ideale
(teoria dell'egemonia e della guerra di posizione, teoria degli intellettuali
organici, eccetera), superiore di gran lunga in freschezza e profondit a buona
parte dello stucchevole "gramscismo" successivo, la cui mancanza di
sviluppo deve essere imputata alla sua precoce 210 incorporazione in una
ideologia di legittimazione di un ceto politico-partitico. In Gramsci,
tuttavia, la forma filosofica del discorso che fa da "supporto" alle
sue numerose e geniali osservazioni sull'autonomia specifica dell'ideale
non affatto un'ontologia sociale basata
sul "lavoro", ma un
"paradigma della produzione" di tipo storicistico, che sincronizza la
"coscienza del produttore" comunista con la socializzazione
capitalistica della produzione sociale. Muta dunque lo stesso "valore di
posizione" del ruolo del "momento ideale", muta anche il nesso fra causalit e
teleologia. La "democrazia dei produttori" ed il moderno Principe
voluti da Antonio Gramsci non sono dunque affatto qualcosa di "inseribile"
in modo indolore nella prospettiva dell'Ontologia, ma fanno parte di un
"complesso teorico" radicalmente diverso (anche se di grande qualit e
di tutto rispetto, storico e culturale) (64). Un discorso parzialmente diverso
deve essere fatto a proposito del cosiddetto "marxismo di Mao
Tsetung", del quale non discuteremo certamente qui gli aspetti legati
specificatamente alla rivoluzione cinese (come rivoluzione di tipo nazionale e
contadino), limitandoci ad una brevissima riflessione sul ruolo materiale del
"momento ideale" nel suo pensiero. In Mao Tsetung il "momento
ideale" non appare sotto l'aspetto dell'addestramento educativo, di tipo
spesso confuciano (pensiamo a Liu Sciao Chi ed ai suoi scritti su come
diventare un "buon comunista"), ma assume talvolta una vera
dimensione ontologico-sociale, co-fondativa della realt sociale intesa nella
sua dimensione pi ampia. Ci non avviene per mai in modo sistematico ed univoco,
ma sempre pi o meno "annegato"
in considerazioni frammentarie ed estemporanee, legate a congiunture politiche
ed a lotte di fazione quasi sempre oscure ed ingarbugliate, che solo la pietas
e la fides dei maoisti occidentali potevano elevare a corpus dialettico e
materialistico di dottrine coerenti. La stessa storia della Rivoluzione Culturale in proposito istruttiva, per quel poco almeno
che possiamo ricostruire: costante la
polemica contro la "neutralit" della scienza e della tecnica
applicate alla produzione industriale ed agricola, fino a parlare
esplicitamente di una vera e propria "teoria reazionaria delle forze
produttive" come nemico ideologico principale nella "fase storica del
socialismo". La rottura con il "paradigma della produzione"
(che, come si visto, non strutturalmente in grado di tener conto del
"momento ideale" se non nella forma sfigurata e - mistificata della
-'coscientizzazione" pedagogica)
indubbiamente visibile, ma non vi
neppure un approdo al "paradigma del lavoro" in senso
ontologico (approdo che non aveva probabilmente i presupposti minimi necessari,
sul piano storico e sociale, per essere 211 coscientemente perseguito) (65). La
transizione al socialismo infatti una
processualit coscientemente perseguita, ed
inconcepibile senza un'adeguata considerazione: delia realt materiale
del momento . ideale. Quest'ultimo non
per qualcosa di "aggiunto", di contorno al piatto principale,
ma un elemento costitutivo della
transizione stessa, concepita come azione teleologica. 9. Problemi filosofici
della nozione negativa di ideologia Il momento. ideale comprende sempre anche,
in modo ontologicamente costitutivo, un momento ideologico. Nel corso della
lunga storia del pensiero filosofico si sono periodicamente ripresentate
posizioni che, in vario modo ed usando differenti linguaggie terminologie,
hanno annunciato di voler "far piazza pulita di ogni traccia di
ideologia", fino al raggiungimento di una perfetta "trasparenza"
(o autotrasparenza, la cosa non cambia affatto nell'essenziale). Come noto,
in circolazione un'interpretazione di Marx che, appoggiandosi su
citazioni realmente ricavabili dalle sue opere (ma non dal loro spirito
complessivo, come noi crediamo), vede in Marx il radicale eliminatore di ogni
traccia di ideologia e di falsa coscienza. Secondo una versione ingenua di
questa interpretazione, il geniale Marx sarebbe del tutto immune dal momento
ideologico, mentre tutto il marxismo successivo non sarebbe che una mostruosa
galleria ideologica degli orrori; secondo una versione pi sofisticata, anche in
Marx vi sarebbero momenti ideologici rilevanti, destinati per ad essere via via
eliminati dal "tprocesso storico" e dai suoi pi geniali continuatori,
fino al raggiungimento di una situazione ottimale di pieno scientifico e di
vuoto ideologico. Questa interpretazione "trasparenzialistica" deve
per essere respinta. Al contrario, esiste ontologicamente una specifica
"inamovibilit della mediazione ideologica". Secondo la determinazione
generale che Marx fornisce dell'ideologia, essa
lo strumento sociale con il cui ausilio gli uomini combattono in
conformit ai propri interessi i conflitti che nascono dal contraddittori
sviluppo economico. Se questi "interessi" fossero per qualcosa di
chiaro, trasparente, cosalmente "dato" dall'esterno, non esisterebbe
ovviamente neppure lo spazio ontologico per la possibilit manipolatrice di
soggetti che (come si detto poco sopra)
si dirigono alla coscienza di altri uomini, in modo che essi compiano da s gli
atti lavorativi desiderati dai soggetti della posizione. Occorre dungue una
determinazione pi ristretta della 212 precedente, ma anche pi precisa, di
ideologia: essa consiste nel fatto che con l'ausilio delle ideologie gli uomini
portano alla coscienza e combattono i loro conflitti sociali (66). Lo
"spazio ideologico" dunque un
sistema complesso di "regni combattenti". Non prevedibile che esso possa scomparire in una
"totalit pacificata" (cos come non
prevedibile che possa scomparire in una "scienza perfetta
dell'amministrazione delle cose" lo spazio specifico
dell'"economico"). In questo "spazio" si inseriscono
dialetticamente le posizioni teleologiche dei soggetti, che non sono ovviamente
mai mere richieste economiche di tipo cosale-operazionistico (del tipo:
costruite le Piramidi!; lavorate nelle miniere di argento!; partite per la
guerra! accettate il regolamento di disciplina della fabbrica!), ma che
incorporano sempre elementi mitici, linguistico-simbolici, e pi in generale
"ideologici". n proposito
necessario non cadere in errori di tipo classificatorio-valutativo (gi
commessi, ad esempio, da Engels, influenzato qui dal positivismo dell'epoca),
tendenti a dividere le ideologie in due grandi classi: le ideologie
"stupide e primitive", prive di qualsiasi base sperimentale e
sprovviste di argomentazioni razionali, e le ideologie "accettabili",
anche se prive di vera e propria dignit scientifica (ed a questo proposito la
critica lucacciana ad Engels, svolta nell'Ontologia, di grande acutezza) (67). L'ideologia
utilizza massicciamente, ad esempio, l'analogia": Ges pensa se stesso come
il profeta Isaia, Lutero pensa se stesso nelle vesti di Paolo, Robespierre si
rappresenta la propria pratica politica attraverso le toghe dei Gracchi, Lenin
cerca di non cadere negli errori fatti dai giacobini francesi, e cos via.
Si qui in presenza di una modalit costitutiva
della produzione ideologica. Essa ha infatti una duplice, contraddittoria,
inscindibile natura ontologica: in negativo, fornisce ai soggetti delle
posizioni teleologiche inseriti nel conflitto sociale una falsa
rappresentazione della natura e della societ, e pertanto anche della loro interrelazione
strutturale con essa; in positivo, fornisce a questi stessi soggetti uno spazio
di possibilit, linguistica e concettuale, per la conduzione strategica
vittoriosa di questi conflitti stessi. Essa
comunque ineliminabile, e vive appunto soltanto nella modalit delia
relazione conflittuale (senza che per questo, come vedremo, elimini del tutto
il problema ontologico della "verit" delle opposte rappresentazioni
conflittuali) (68). In negativo, ovviamente, l'ideologia sempre stata un'arma per le classi dominanti
(cui ha sempre anche fornito, in generale con un forte "sconto", la
falsa coscienza necessaria per rappresentare 213 se stesse come emanazione del
volere: degli dei, prima, di un unico Dio, poi, dell'umanit unificata dalla
razionalit e dalla libert, infine). Dal punto di vista della critica
dell'economia politica, il problema
ovviamente quello della soglia ontologica temporalmente irreversibile in
cui ci troviamo storicamente oggi, il modo specifico e determinato in cui si
pone per le classi dominanti oggi la produzione funzionale della mistificazione
ideologica. Lo scrivente condivide in proposito (con qualche divergenza di
dettaglio) l'impostazione che da in proposito l'Ontologia: la questione
"strategica" fondamentale per la forma filosofica del discorso
borghese-capitalistica l'abolizione
"concettuale" dello spazio teorico fra fenomeno ed essenza dei fatti
sociali, la cancellazione della stessa possibilit linguistica di disoccultare
le forme di falsa coscienza necessaria per la riproduzione dei rapporti di
produzione dominanti. Di qui vengono, ad. esempio, l'attacco alla dialettica,
giustamente individuata dal pensatore borghese pi "epocale" del tempo
presente, sir Karl Popper, come "nemico irriducibile" della manipolazione
capitalistica permanente dell'economia e della politica (che viene ribattezzata
da Popper "ingegneria sociale a spizzico"), e la riproposizione in
diverse salse della teoria della deideologizzazione, cio della "fine delle
ideologie", che sarebbero ora integralmente sostituite da "imperativi
sistemici" di tipo integralmente tecnico e neutrali rispetto alla
produzione filosofica ed ideologica (69). Il fatto che la produzione
capitalistica venga presentata dagli ideologi borghesi sotto il segno
ideologico della "naturalit" e della "neutralit" non
sembrerebbe a prima vista una novit ontologica. Da sempre, le classi dominanti
hanno presentato il loro dominio come "naturale". Tuttavia, una novit
ontologica esiste, e presenta aspetti promettenti ed aspetti problematici: in
primo luogo, infatti, la stessa generalizzazione e mondializzazione del modo di
produzione capitalistico ha "unificato", per la prima volta nella
storia, lo "spazio ideologico" in cui si svolge il conflitto fra le
classi, mettendo le basi per una "sintassi comune" della presa di
coscienza; in secondo luogo, invece, l'inevitabile e di per se assai positivo
crollo della "vecchia sintesi" ideologica marxista-leninista non ha
per ora prodotto gli elementi minimi necessari ad una "nuova
sintesi", lasciando spazio soltanto a ciniche apologie del decisionismo
politico, da un lato, ed alla disseminazione differenzialistica dell'irresponsabilit socialmente organizzata,
dall'altro (70). La questione del ruolo "positivo" dell'ideologia
resta per aperta, ed. a questo ora accenneremo brevemente. 214 10. Problemi
filosofici della nozione positiva di ideologia Come rileva acutamente Lukcs, se
qualcuno - anche dopo un periodo molto lungo di oblo - volesse rendere
metodologicamente attuale Platone o Cartesio, gli basterebbe ritornare al
metodo in s e per s. Essendo invece la dottrina marxiana una sintesi di nuovo
genere fra filosofia e scienza, il suo rinnovamento deve legarsi organicamente
a una conoscenza teorica della situazione attuale, e ad una autocritica
rigorosa degli esiti e dei fallimenti delle rivoluzioni proletarie. E' questo
ovviamente un compito per. il materialismo storico e per la critica
dell'economia politica di oggi, cui non possiamo neppure accennare. E' invece
utile ripetere ancora una volta che, dal punto di vista filosofico, questo
programma scientifico non pu essere neppure correttamente posto se si parte con
il "piede sbagliato" della separazione assoluta fra scienza ed
ideologia (71). # Il marxismo infatti inserisce se stesso nel complesso problematico
delle ideologie in modo assolutamente consapevole, senza alcuna illusione di
'avalutativit pura" e senza alcuna propensione a stabilire un dilemma
rigido fra scienza e ideologia per quanto concerne il proprio "statuto
epistemologico". Questo dilemma rigido
definito da Lukcs "pura metafisica a base gnoseologica", e si
manifesta in forme assai diverse, unificate tutte dalla feticizzazione
ultrarazionalistica di una presunta separabilit pura fra ideologia e scienza.
Ovviamente, vi una separazione specifica
fra i due complessi, fondata sulla loro funzione nell'essere sociale: la
scientificit si fonda sull'intento di riconoscere la realt oggettiva cos com'
in-s, mentre l'ideologicit si fonda sulla base della rappresentazione
conflittuale degli interessi con la quale i soggetti costruiscono le loro
posizioni teleologiche. I due complessi sono per coestensivi e consustanziali,
ed ogni separazione assoluta sfocia filosoficamente in una vera e propria
"metafisica a base gnoseologica". In primo luogo, infatti, vano decidere (come ritiene invece necessario
Max Weber) se l'oggettivazione cui si intende pervenire sia scienza o
ideologia: il pensiero di Marx, ad esempio, non ha mai cercato di nascondere la
propria genesi storico-sociale con una "atemporalit" costruita in
forma gnoseologica, e si anzi sempre
collocato dentro la lotta di classe del tempo. La scientificit e/o
l'ideologicit dei risultati cui si perviene sono intessute insieme nella stessa
posizione teleologica (la quale, non bisogna dimenticarlo, ha sempre nel lavoro
la sua forma originaria ed il suo modello). In secondo luogo, infine, la
gnoseologia non mai 215 l'organo adatto
per distinguere l'ideologia da ci che l'ideologia non ; la funzione sociale infatti che decide se
qualcosa diventa o no ideologia, e su questo fatto la gnoseologia per sua
natura non ha nulla da dire (72). La chiarezza teorica su questo punto essenziale (e tanto pi lo , se pensiamo che
scuole ricche di meriti storici come quella di Louis Althusser sono entrate in
crisi irreversibile anche e soprattutto per l'incapacit di padroneggiare la
delicatissima dialettica di elemento scientifico ed elemento ideologico
all'interno dell'unica posizione teleologica che li produce entrambi).
L'elemento ideologico, che non pu ontologicamente essere eliminato, deve essere
invece padroneggiato e "tenuto sotto controllo". Questo non pu per
essere fatto sulla base delle metafisiche a base gnoseologica, e neppure sulla
base delle trascurate superficialit, di tipo generalmente storicistico, che
proclamano l'irrilevanza del fattore ideologico o filosofico per quanto
riguarda l'adesione ad un programma politico-partitico concreto. E' questa,
come noto, la posizione
"filosofica" ufficiale del PCI (forse l'unica), secondo cui il
partito comunista una organizzazione
politica che chiede a chi ne fa parte soltanto di riconoscersi nel programma
politico che propone e per ia definizione del quale stabilisce determinate
regole (il centralismo democratico, obbligatorio ovviamente solo per gli
iscritti, la cui adesione del tutto
volontaria, potendo sempre i dissenzienti "andarsene" nell'ampia
societ civile esterna, di cui si sancisce l'irreversibile gestione pluralistica
e democratica), mentre non gli chiede invece di condividere una determinata
filosofia e tanto meno una sua particolare interpretazione (73). Si tratta, a
parere dello scrivente, di una posizione filosofica molto problematica, e
sinceramente insoddisfacente. Nessuno pu ovviamente rimpiangere il
"partito ideologico", che stabilisce con riunioni della direzione
(composta di politici professionali, e non certo di specialisti) il verdetto di
scientificit su questioni di fisica o di biologia ed il verdetto di correttezza
filosofica sull'esistenza o meno di Dio o sull'interpretazione di Lenin,
Gramsci o Marx. E' questo un "superamento" dello stalinismo che tutti
si augurano irreversibile, con il quale per il problema della
"ideologicit" di un programma politico dato (che formalmente altra cosa, ma che si identifica
poi di fatto con la "linea politica") non affatto "chiuso", ma risulta appena
"aperto". | Il programma politico e la linea politica non vengono
infatti elaborati nel vuoto pneumatico di una presunta "neutralit"
ideologico-filosofica, ma sono anch'essi posizioni teleologiche 216
concretamente intessute di scientificit e di ideologicit (cio, di una
rappresentazione della realt. in s, che si chiede di accettare, e di una
interpretazione della realt per s, che si chiede di condividere). Non si tratta
allora di "chiedere" l'accordo sulla valutazione della dialettica
trascendentale di Kant o della scienza della logica di Hegel, e neppure sulla
trasformazione dei valori in prezzi (una simile concezione del "pluralismo
delle opinioni" pu venire in mente ovviamente soltanto ad un filosofo professionista).
Si tratta invece di capire che non vi pu essere nessuna fondazione seria di un
programma politico (e dunque neppure di una "linea politica") al di
fuori di un'esplicito accordo su di una "posizione teleologica
fondamentale", che rimanda ovviamente ad una serie di opzioni filosofiche
limitate (74). A questo proposito la sola garanzia contro la
strumentalizzazione tattico-politica della teoria non Pu certo consistere
nell'eliminazione di quest'ultima, sostituita da affermazioni generiche e dalia
quotidianit parlamentare, ma pu risiedere solo nella corretta valenza della
teoria stessa. In caso contrario, la manipolazione soggettivistica della linea
politica pu diventare ancora maggiore in mancanza assoluta di una filosofia
politica e di un'ideologia di orientamento. Una politica rivoluzionaria (e
talvolta anche solo seriamente riformistica) non pu certo basarsi sul
pluralismo delle "opinioni filosofiche" fondamentali, come se
l'esistenza della '"estraneazione" fosse una option casualmente
sostenuta a seconda dei gusti, e come se l'orientamento ideologico fosse un
extra facoltativo poco rilevante per l'azione pratica. A questo proposito,
invece, la realt materiale ed ontologica della estraneazione non si lascia
ricondurre al relativismo scettico-pluralistico delle opinioni cortesemente
confliggenti in cortesi dibattiti; essa non
un articolo di fede da imporre ai "credenti" nel comunismo
marxiano, ma rappresenta un punto di partenza sia per una teoria dell'individuo
che per una teoria della societ (ed
questo, appunto, il problema storico della democrazia e delle sue forme
di esistenza concreta, che possibile
affrontare in senso ontologico-sociale soltanto dopo aver acquisito idee chiare
sulla guestione della estraneazione) (75). 11. Il significato
ontologico-sociale della estraneazione Un'adeguata trattazione
ontologico-sociale dell'estraneazione
resa difficile dagli equivoci semantici che si sono accumulati su questo
termine. Per evitare le deformazioni principali, occorre subito
"considerare l'estraneazione un fenomeno esclusivamente db; 217
storico-sociale, che si presenta a determinate altezze dello sviluppo e da quel
momento assume nella storia forme sempre differenti, sempre pi chiare. La sua
costituzione, dunque, non ha nulla a che vedere con una generale condition
humaine e tanto meno possiede una universalit cosmica". E' questo,
ovviamente, un punto di partenza teorico necessario (dimenticato non solo dalle
filosofie esistenzialistiche pi banalmente astoriche, ma anche da filosofie pi
nobili come quella di Hegel, che generalizzava l'estraneazione in forme
logico-speculative per fondare meglio il pensiero assoluto, la cui incarnazione
adeguata era il soggetto-oggetto identico), ma non ancora sufficiente: il fatto
che non esista una estraneazione come categoria generale o, tanto meno,
sovra-storica, antropologica, ma che l'estraneazione abbia sempre un carattere
storico-sociale, ed in ogni formazione ed ogni periodo venga sempre messa in
moto ex novo dalle forze sociali realmente operanti, non ci dice ancora qualcosa
di essenziale sulla natura dell'estraneazione specificatamente umana (76). l
Per impostare correttamente il problema occorre tener conto del fatto che la
posizione teleologica del lavoro, pur essendo nell'essenziale monisticamente
unitaria e non ulteriormente riducibile, si sviluppa dialetticamente in due
direzioni potenzialmente divergenti: lo sviluppo delle capacit umane e lo
sviluppo della personalit umana. Per formulare ci in modo pi preciso: lo
sviluppo delle forze produttive
necessariamente anche sviluppo delle capacit umane, ma - e qui emerge
plasticamente il problema dell'estraneazione - lo sviluppo delle. capacit umane
non produce obbligatoriamente quello della personalit umana (77). Il problema
dell'estraneazione non si fonda dunque, in modo metafisico, sulla
"scissione originaria dell'unit", sulla cosiddetta
"deiezione", eccetera, ma risiede esclusivamente nello spazio
dialettico concreto che sorge dalla contraddizione fra sviluppo delle capacit e
sviluppo della personalit. Insistiamo qui sul termine di "contraddizione
dialettica", in guanto fra capacit e personalit non esiste affatto una
"opposizione reale": lo sviluppo della personalit dipende anche, per
molti aspetti, da un pi elevato ed approfondito livello delle singole capacit,
e solo sulla necessaria base di queste ultime pu fondarsi. Una personalit ricca
e multilaterale priva di capacit concrete, da un lato, ed uno sviluppo
multiforme di capacit trasformative concrete sulla base di un impoverimento
della personalit, dall'altro, sono entrambe astrazioni prive di contenuto
storico reale. La continuit specifica del processo storico (senza la cui 218
presupposizione materialistica il "tempo" si frantumerebbe in
spezzoni spenglerianamente irrelati) consiste. proprio nella determinazione concreta
delle discontinuit dentro le quali si svolge, in modo sempre diverso e
peculiare, la dialettica fra sviluppo delle capacit e sviluppo (o
sottosviluppo) della personalit. Il "progresso" non dunque affatto "estraniante" per
sua natura (se ci si permette un'affermazione di sapore kantiano, la
proposizione "il progresso
estraniante" non n un
giudizio analitico, n un giudizio sintetico a priori o a posteriori ci si invischierebbe qui in una metafisica a
base gnoseologica), ma piuttosto progresso (delle capacit) ed estraneazione
(della personalit) sono lati di un complesso concreto che possiede in ultima
istanza un'unica processualit di tipo ontologico-sociale (78). Questa
dialettica resta in generale per il pensiero "borghese" (ed anche per
quello che si etichetta come "socialista" e "comunista") un
segreto nascosto da sette sigilli La contraddittoriet del progresso, infatti,
"non viene intesa nella ideologia borghese per quel che , un carattere
intrinseco di ogni movimento in avanti della societ, ma viene invece ossificata
in. un'unica semplicistica antinomia, nella quale si ha, da un lato, una
adesione pi o meno assoluta e, dall'altro, un rifiuto in sostanza Totale. La
prima linea muove dall'epoca delle illusioni circa il libero commercio e giunge
alla venerazione per l'odierno capitalismo, l'altra comincia, diciamo, con
Schopenhauer, passa per Spengler e arriva all'attuale nichilismo". Una
simile antinomia irrigidita
riscontrabile anche nel pensiero della cosiddetta "sinistra"
(sit venia verbo!); da un lato, il pensiero riformista e socialdemocratico
resta in generale fermo all'uomo spontaneamente creato dall'economia
capitalistica, di cui vengono "realisticamente accettate" le tendenze
estranianti a considerare il nesso pubblico-privato sotto il segno del decisionismo
manipolatorio e del consumo di prestigio; dall'altro, l'ala estremistica tende
a considerare il mutare dell'uomo nel flusso della storia come conseguenza
della sua propria prassi, compiuta in maniera consapevole (come risposta
consapevole) ed auto-organizzata (79). La solidariet antitetico-polare fra
queste posizioni pu essere ovviamente dettagliata, ma non sarebbe questo il
problema principale. Come si detto
sopra, l'estraneazione non esiste se non nella forma specifica di un complesso
determinato di estraneazioni che hanno una scansione storica discontinua
(dunque, la dialettica fra capacit e personalit non la stessa, se non in un senso generico e
formale-astratto, in Caio Giulio Cesare ed in Dante Alighieri, in Newton ed in
Einstein). In proposito bene dire che, -
Pai 219 cos come il complesso di estraneazioni deriva da un risultato "non
coscientemente voluto" di una serie di posizioni teleologiche originarie
la cui "risultante" un
complesso di legalit ontologiche nuove, analogamente, nel processo sociale ed
individuale di lotta contro l'estraneazione la prassi concreta ha ila priorit
sul cosiddetto "rispecchiamento cosciente" degli interessi (ed del resto filosoficamente insuperata
l'impostazione teorica di Lenin, che vedeva nella prassi spontanea "di
risposta" dell'uomo la "forma embrionale della coscienza") (80).
Occorre dunque rifiutare un atteggiamento puramente
"coscienzialistico" verso. le posizioni teleologiche rivolte contro
il contemporaneo complesso di estraneazioni. ' questa la ragione per la quale,
in Lukcs, la "vita quotidiana" rappresenta l'elemento primario, non
ulteriormente riducibile (vi qui
un'evidente analogia con la forma del "lavoro"), a partire dal quale
si originano le | posizioni teleologiche, in vario grado "coscienti",
tendenti ad approfondire l'estraneazione oppure, alternativamente, a combattere
contro di essa. E' stata, probabilmente, la lunga consuetudine di Lukcs con il
romanzo e pi in generale con la letteratura a produrre, come "ricaduta
filosofica", la valorizzazione ontologico-sociale della forma della
quotidianit come modello, non ulteriormente riducibile, della dialettica fra le
tendenze estranianti e disestranianti dentro l'essere sociale (81). Vi
sarebbero da fare in proposito decine di osservazioni filosofiche ma, non
potendolo fare, ci limiteremo a sottolineare i due punti forse pi rilevanti. In
primo luogo (come si gi anticipato
nell'introduzione di questo lavoro) lo sviluppo economico sembra aver
acquisito, nel capitalismo, il carattere della totale illimitatezza, mentre in
tutte le societ precapitalistiche esistevano limiti strutturali allo sviluppo
illimitato. Questa caratteristica ontologica, specifica del capitalismo, fa
diventare l'estraneazione un fenomeno sociale universale (nel suo nesso di illimitato
sviluppo delle capacit e di illimitata manipolazione della personalit), che
predomina tra gli oppressori cos come tra gli oppressi, tra gli sfruttatori cos
come tra gli sfruttati. Nelle societ a sviluppo limitato (pensiamo alla Grecia
classica ed anche, sia pure in forma qualitativamente assai pi limitata, al
Rinascimento europeo) per una parte degli individui sembrava esserci almeno
negli stati iniziali un modo per sfuggire all'estraneazione generale, ora
ci del tutto escluso: l'estraneazione
degli sfruttati ha il suo esatto corrispettivo in quella degli sfruttatori.
Questa: generalizzazione "necessaria" della realt ontologica della.
estraneazione per simultaneamente una
220 generalizzazione della "possibilit ontologica generalizzata"
della lotta contro di essa (82). In secondo luogo, Lukcs d del presente una
valutazione assai realistica, lontana sia dal pessimismo aprioristico sia
dall'ottimismo storico (ed in proposito sono da respingere le interpretazioni
errate di Lukcs come "ultimo ottimista storico" del XX secolo).
Secondo Lukcs, "da un lato il problema dell'estraneazione non mai stato cos diffuso - e proprio nella sua
forma diretta, aperta, espressa, - dall'altro non si mai dato un periodo di alta socialit in cui
la ribellione autentica, pratica, contro il sistema economico dominante e
contro la sua ideologia fosse cos debole e inefficace come nel recente
passato" (83). Questa valutazione lucacciana tanto pi fondata quanto pi pensiamo
all'incapacit dei movimenti giovanili anticapitalistici del Sessantotto a
trasformare l'anticapitalisme in una vera e propria "passione
durevole", capace di resistere all'assolutizzazione giovanilistica del
valore centrale da dare alla giovinezza stessa. Sta qui la base ontologica di
ci che Lukcs definisce l'"avvizzimento del soggetto nell'arco che va dallo
specialismo alla stravaganza", i due poli estremi dell'estraneazione che
il capitalismo sviluppa in base alla sua peculiare dialettica di accrescimento
delle capacit (attraverso lo specialismo) e di particolarizzazione delle
individualit (attraverso il conformismo non-conformistico del pullulare di
singolarit stravaganti) (84). Lo specifico modo con cui si presenta la
processualit capitalistica contemporanea, nel suo contraddittorio movimento fra
necessit ontologicamente estranianti e possibilit ontologicamente
disestranianti, dunque la base
filosofica salda e sicura con cui si possono porre sia i problemi
dell'individuo che quelli della societ, che non sono ovviamente due polarit
indipendenti ed irrelate, ma due "aspetti" dello stesso complesso
problematico. Lo scrivente separer ora i due aspetti per mere ragioni
scolastico-espositive: la dialettica "individuale" fra singolarit e
particolarit, da un lato; la dialettica "sociale" fra etica e
politica, dall'altro. La ricomposizione toccher soprattutto all'intelligenza
del lettore. 12. La dialettica di particolarit e di generalit nel marxismo Il
punto di partenza ontologicamente essenziale per intendere la storicit
essenziale dell'uomo consiste nel concepirlo come processualit in divenire. Gi
Marx a suo tempo afferm che la storia tutta
una trasformazione continua della natura umana, ed questo, appunto, il fondamento marxiano della
antropologia e della psicologia storica. Non bisogna per concepire questa
processualit 221 in modo ingenuamente eracliteo, come una semplice tautologica
affermazione sul divenire come "base sostanziale" dell'essere
sociale: si pu in questo modo approdare al semplice storicismo o adirittura al
nietzschiano "eterno ritorno del sempre eguale". Anche la
processualit della personalit umana possiede le caratteristiche essenziali,
ontologico-sociali, del lavoro: la produzione di soglie ontologiche
irreversibili, l'unit specifica di causalit e teleologia, l'insieme determinato
di posizioni teleologiche alternative, eccetera. Nell'Ontologia Lukcs pone il
problema della processualit ontologica della personalit umana muovendo dalle
"classiche" posizioni di Goethe e di Spinoza. In sintesi, infatti:
"La personalit umana, solo quando intenda anche se stessa come un'entit
processuale e non statica, non data una volta per tutte, pu nel processo della
sua autorealizzazione conservarsi, riprodursi a un livello superiore, come
permanentemente nuova rispetto a se stessa. Una tale personalit processuale-essente
deve per... concepire... anche il proprio ambiente come un processo. Un tale
modo di concepire il mondo soggettivo e oggettivo dunque il presupposto teorico per
l'autoconservazione pratica della personalit in un mondo anch'esso processuale,
ma che si muove in maniera indipendente; tuttavia l'elevarsi a questo
automovimento pu essere solo il risultato di una capacit di decisione
interna" (85). Questa concezione gi
presente in Goethe intessuta di elementi romantici e titanici. Nell'essenziale,
tuttavia, Goethe coglie gi in modo completo il nesso inscindibile che unisce il
divenire processuale di ogni personalit con la necessit per l'uomo di agire
senza conoscere tutte le circostanze che determinano la sua prassi, e quindi
senza poter evitare l'estraneazione delle proprie pratiche concrete. La
processualit non pu dunque evitare l'estraneazione, ma quest'ultima non affatto un "destino" esterno,
quanto un momento della processualit stessa, che contiene dunque al suo interno
anche la possibilit di "dichiarare la guerra contro la propria
auto-reificazione psichica" e la statica cristallizzazione di momenti gi
trascorsi. La storia della grande filosofia ci consegna, se sappiamo leggerla
-con attenzione, esempi concreti di "progresso teorico" nel modo di
superare impostazioni limitate del rapporto fra prassi ed estraneazione. Ad
esempio, Spinoza compie una correzione profonda "rispetto all'antropologia
filosofica greca, per cui il dominio dell'uomo sui propri affetti non pi quello della ragione sugli istinti (il che
pu ancora essere treificato in un fatto trascendente, come appunto avvenne nel
cristianesimo), ma quello degli affetti pi forti su quelli pi deboli", e
questa correzione segna sul piano teorico il compimento dell'autocostituzione
222 processuale, terreno-immanente, dell'uomo (86). Il riportare la dinamica
processuale all'immanenza (di contro alle vecchie forme trascendenti) permette
di capire il nocciolo razionale ed il momento di verit delle filosofie della
storia (pensiamo a Vico o a Fichte) ed anche delle svariate divisioni degli
uomini in "caste spirituali". Si tratta di tentativi, necessariamente
scolastici e rigidi, di concettualizzare il divenire processuale e la
differenza qualitativa fra le personalit (87). Un forte momento di verit anche contenuto o nelle enfatizzazioni
metafisiche ed unilaterali della libert. La struttura ontologica primaria della
libert non affatto la cosiddetta
"coscienza della necessit", che non ne del resto neppure lo stadio conclusivo. In
prima istanza,la libert si pone come rifiuto assoluto di lasciarsi comandare e
di avallare con un assenso servile ci che si sa comunque aver avuto
provvisoriamente successo. Questo momento "metafisico-assoluto" della
libert, che ha ovviamente anche aspetti esteriori ridicoli e donchisciotteschi,
nel suo totale rifiuto di qualsivoglia "mediazione", si fonda per su
un presupposto ontologico del tutto esatto, che comprende a sua volta due
aspetti correlati: da un punto di vista soggettivo, ci che determina
l'individuo come personalit particolare
proprio la possibilit di assenso o di rifiuto alla "datit"
storica immediata, in quanto quest'ultima richieda di essere approvata me
valutata positivamente; da un punto di vista oggettivo, ci che determina la
processualit storica certo un
determinato insieme di soglie di irreversibilit sociale (ed il donchisciottismo
consiste propriamente nel rifiuto della coscienza di accettare la soglia di
irreversibilit storica), ma anche la
totale assenza di predeterminazioni e di presunta razionalit del reale intesa
come inesorabilit di quest'ultimo. Il dire no ai provvisori vincitori non dunque solo un atto di coraggio morale
astratto, ma anche un riconoscimento del
fatto ontologico che la processualit storica non si arresta mai, e recupera
continuamente possibilit storiche che sembra essersi lasciata definitivamente
indietro. Ci non affatto in contrasto
con il principio della soglia di irreversibilit, come pu sembrare a prima
vista: irreversibile ontologicamente
infatti la costellazione determinata dalla discontinuit storica
(appunto: non reversibile) dei modi di produzione sociali (in questo senso, la
"bella conciliazione" fra pubblico e privato tipica della polis greca
non torner mai pi); ontologicamente reversibile
invece una situazione storica caratterizzata dalla possibilit sociale di
decisioni alternative. In questo caso, colui che perde ha il diritto di non
accettare nella coscienza la propria sconfitta (88). 223 Con questo non
facciamo per che aggirarci intorno. alla periferia teorica del problema. Secondo
Lukcs, "l'usuale generalizzazione filosofica di un'unica
e-metafisicamente-indivisibile libert
una vuota costruzione intellettuale". Lo sviluppo della societ
produce infatti sempre nuovi campi della prassi umana in cui ci che di solito
viene chiamato libert in generale appare riempito di contenuti diversi,
plasmato da strutture diverse ed operante con diversa dinamica. Questa
"molteplicit" delle sfere impedisce loro di fondersi del tutto in completa
unit (per esempio la libert giuridica e quella morale), anche se la struttura
dell'azione teleologica ontologicamente
unitaria. Da un lato, infatti, la crescita storica in direzione della
complessit sociale richiede che tale pluralismo delle libert possa ricevere una
fondazione ontologica, di contro al mero concetto astratto, metafisicamente
unitario, della libert come viene assunto in molti sistemi filosofici;
dall'altro, contemporaneamente, la vita quotidiana produce in continuazione una
sensazione, unitaria anche se indistinta, di fare la propria vita da s mediante
decisioni alternative, e per questo non pu mai scomparire del tutto dalla vita
emotiva degli uomini quel complesso di esperienza interiore su cui poggia
l'idea filosofica unitaria della libert (89). La compresenza dialettica di
molteplicit e di unitariet nella categoria della libert ha rilevanti
conseguenze per lo sviluppo processuale della personalit. La personalit
processuale dell'uomo non cresce infatti in modo linearmente cumulativo, ma
diviene solo .attraverso una dialettica fra particolarit, orientata in linea di
massima verso la cerchia immediata dei propri bisogni ed interessi, ed
individualit, che nel suo modo di essere, di pensare e di agire, si colloca
all'altezza storica del genere umano. Il "genere umano" non ha per
neppure esso una crescita lineare cumulativa, ma ha una storia discontinua,
spezzata da soglie ontologiche di solito irreversibili, che fanno diventare la
lotta della personalit individuale per la conquista della genericit-per-s
(coscientemente voluta e consapevolmente vissuta) qualcosa di specificatamente
storico (90). Ora, la "persona che vuole per mezzo di decisioni
individuali rompere con la propria estraneazione, per poter compiere
soggettivamente tale rottura deve possedere una prospettiva, in ultima analisi
- ma solo in ultima analisi - di natura sociale, orientata, anche se in termini
tragici, verso una qualche manifestazione della Qgenericit-per-s, e questo per
poter effettivamente sollevarsi nel proprio interno al di sopra della sua
particolarit intrisa di estraneazioni ed aggrovigliata in esse". Questo
vale ovviamente per una molteplicit di figure, tragiche e 224 storiche, da
Antigone al carabiniere Salvo d'Acquisto, ma non caratterizza affatto soltanto
i "casi limite" dell'eroismo, investendo anche il problema della vita
quotidiana e della concezione del mondo di ogni singolo individuo. In prima
approssimazione, la concezione del mondo
il medium necessario per dialettizzare e far divenire coscientemente una
determinazione riflessiva la "differenza" fra le genericit-in-s volta
a volta imperanti e storicamente vincenti e la tensione verso la
genericit-per-s dell'uomo. La cosa pu essere formulata diversamente, per coloro
che possono provare ripugnanza per questo linguaggio hegelianeggiante: la
concezione del mondo un campo di forze
psichico fra la riproduzione della realt e la reazione ad essa (91). Questo
"campo di forza" non sempre
stato lo stesso dalle caverne ad oggi. Con l'irreversibile fine degli antichi
Greci, il crollo della vita regolata dall'essere-della-polis distrugge la
tutela sociale che l'io non-particolare trovava in quella condotta di vita. La
crisi che ne deriva rende possibile il cristianesimo ed il suo lungo dominio
ideologico, giacch l'io non-particolare, divenuto senza patria nell'antichit,
sembra trovare un terreno di sviluppo con l'ausilio di una estraneazione
religiosa; ma soltanto l'epoca di crisi che vede la nascita della moderna
societ borghese provoca la soglia, ontologicamente irreversibile, in cui la
dialettica fra personalit-particolare e non-particolare pu avvenire sotto il
dominio dell'astrattezza "universale" e dell'estraneazione
generalizzata (come si gi detto
nell'Introduzione di questo scritto) (92). . A questo punto, la "singolarit"
dell'individuo particolare assume la forma del "privato" in modo
radicalmente nuovo: davanti a s ha infatti uno stato di estraneazione generale,
ed in essa il crescere della vita privata ad unico modo di esistenza dell'uomo
singolo apre il problema della sensatezza o dell'assurdit della vita puramente
individuale. Il problema, ripetiamo,
nuovo, non analogicamente assimulabile alle specifiche estraneazioni
della polis dei greci o del medioevo cristiano (93). Di fronte
all'estraneazione, la struttura dei comportamenti dell'individuo socializzato
nel capitalismo di tipo fondamentalmente
"diadico": da un lato, vi sono diverse strategie comportamentali di
accettazione e di approfondimento dell'estraneazione; dall'altro, vi sono
tendenze, rese ontologicamente possibili dalle "novit" sociali e
storiche che il capitalismo porta con se, di lotta dell'individuo in direzione
della genericit-per-s. In pratica, la "diade" non esiste mai in forma
pura, e non in quanto tale che una vuota
astrazione priva di contenuto concreto, dato 225 l'insopprimibile pluralismo e
la radicale molteplicit delle libert. L'accettazione della estraneazione da Lukcs definita brillantemente una forma di
volgarit. L'essenza storico-ontologica della "volgarit" (prescindendo
qui dalla ricca fenomenologia dei comportamenti concreti) sta in ci che a suo
tempo Marx nei Grundrisse defin come autocompiacimento soddisfatto" delle
realizzazioni limitate che di volta in volta un'epoca storica consegue (e Marx
mostr anche che persino l'esaltazione basata su un fraintendimento dell'uomo
della polis fu ideologicamente necessaria per dare slancio storico-universale
alla trasformazione dell'assolutismo feudale in societ borghese).
L'autocompiacimento soddisfatto e volgare del presente (da non confondersi
certo con la consapevolezza delle soglie storiche di irreversibilit che
differenziano ontologicamente il presente capitalistico del passato
precapitalistico) particolarmente
visibile nei "sistemi ideali e sentimentali dell'estraneazione moderna, i
quali, pur essendo al massimo grado conformistici, sembrano nell'immediato
ipermoderni, ripudiano ogni cosa del passato ed ogni tradizione". E'
questo un atteggiamento tipico del cosiddetto "conformismo non
conformistico" (i cui esponenti Lukcs definisce "apprezzati
collaboratori della. manipolazione universale"), la cui struttura
teoretica, che si basa in genere (anche se non sempre) su filosofie di tipo
esistenzialistico-neopositivistico, riposa su un vero e proprio odio verso la
storia e l'eredit" della tradizione. Questo conformismo non-conformistico
nutre in genere una particolare antipatia verso il XIX secolo, in quanto questo
secolo cerc almeno (sia pur fra mille incoerenze ideologiche) di affrontare i
conflitti fra particolarit e genericit puntando apertamente alla catarsi ed
alla conciliazione (e questa cosa che
non pu che disturbare chi vuole l'adattamento aperto, celato o rimosso alla
manipolazione imperante). Secondo Lukcs, "un essere sociale che sia
orientato in prevalenza e anzi, come accade spesso, potenzialmente in maniera
esclusiva verso i bisogni della particolarit, produce per necessit ontologica
la noia a livello di massa proprio quando sembra aver soddisfatto i suoi
bisogni" (e qui si fa riferimento alla moda degli happenings, alle varie
forme di voyerismo sessuale, fino al culto della droga ed all'ammirazione ed
addirittura alla pratica degli omicidi "immotivati"). Si ha qui a che
fare con qualcosa di nuovo (in quanto tale non assimilabile per analogia alla
ricca massa di comportamenti autodistruttivi caratteristici del crollo del
mondo antico - lo spillone dei punks non
la stessa cosa del cilicio degli anacoreti, l'eroinomane non eguale allo stilita, i capelli lunghi 226 non
sono l'acconciatura "alla moda degli Unni" della Costantinopoli di
Procopio di Cesarea, eccetera): l'enfatizzazione unilaterale ed astratta,
ipermoderna e falsamente non-conformistica, della "libert assoluta"
della particolarit di espandersi in tutte (!) le direzioni, porta alla
contraddittoria coesistenza di una "onnipotenza astratta e di una concreta
impotenza". Tutto si pu astrattamente fare, e nulla in realt ha il bench
minimo senso; alla lunga, come gi rilevato a suo tempo da Thomas Mann,
"l'anima non pu vivere di non-volont, e non voler fare una cosa non un contenuto di vita". Nello stesso
tempo, tuttavia, ci che sembra antitetico al conformismo non-conformistico dei
contestatori "di sua Maest" e dei vari buffoni di corte del
capitalismo, il serio e serioso specialismo professionale, non riesce ad essere
un'alternativa durevole. Dalla mera dedizione ad un lavoro non deriva nessun.
innalzamento dell'individuo al di sopra della sua particolarit (come si detto sopra, lo sviluppo estremo delle
capacit la premessa ontologica per lo
sviluppo della personalit, ma non la
medesima cosa), al massimo si ha un "appassionato avvizzire della
personalit nella dedizione specifica" al lavoro, scisso dalla tensione
significante verso la generalit-per-s. In questo caso, dunque, il soggetto in
quanto tale avvizzisce per lo pi nell'ampio arco che va dallo specialismo alla
stravaganza (94). Ancora una volta, e con insistenza, precisiamo che lo
"scacco" cui va incontro il tentativo di "realizzare" la
particolarit dell'individuo nel capitalismo non
qualcosa di connaturato alla finitezza della condition humaine.
Quest'ultima, ovviamente, la base
ontologica naturale imprescindibile, e la tragicit-in-s della vita umana
prematuramente interrotta si staglia come fondo ineliminabile dell'essere
sociale (anche qui, per, la vita umana "dotata di senso" con consiste
in un insieme quantitativo di anni, ma in un insieme complesso di relazioni e
di oggettivazioni umano-sociali, come del resto gi detto a suo tempo dagli
antichi Greci). Lo scacco qualcosa di
ontologicamente determinato, ed il fatto che spesso si psicosomatizzi in
disagio esistenziale ed in turbe psicologiche
certo assai importante sul piano empirico, ma resta filosoficamente
derivato. La via dell'assunzione dialettica del conflitto fra sviluppo della
particolarit ed acquisizione della personalit
dunque un terreno obbligato per l'individuo astrattizzato dal
capitalismo. Apertamente, questa realt viene negata da pochi: dai francofortesi
ai seguaci di Fromm, dai personalisti cristiani all'ampia gamma di freudiani
variamente esercitanti, a prima vista un
solo coro, un solo grande concerto di voci che ripetono a gran voce lo stesso
ritornello 227 (sviluppando unilateralmente il proprio io l'esito
obbligato la . nevrosi narcisistica -
occorre aprirsi alla molteplicit del reale!!!) (95). Sono pochissime, invece,
le voci che dicono apertamente ed in modo diretto ci che invece appare pi
essenziale: la quotidianit che cerca una conciliazione stabile con la vita
manipolata nel capitalismo condannata
all'avvizzimento nella propria particolarit, e non vi in definitiva alcuna alternativa
all'anticapitalismo come "passione durevole" e strutturazione di
senso da dare alla propria vita. In questa forma, la definizione di
"passione durevole" data alla quotidianit processualmente
anticapitalistica ovviamente una frase
vuota. E' ovvio, infatti, che la mera istanza anticapitalistica, separata dalle
sue forme concrete di esistenza,
un'astrazione introvabile (eppure, anche l'idealismo unilateralmente
astratto del citoyen contrapposto al materialismo sociale dell'homme ed
all'egoismo del bourgeois qualcosa di sostanzialmente
nuovo nella storia, e non ha nulla a che vedere con l'antitesi fra
"corpo" ed "anima" delle religioni). Nella realt accade
spesso, inoltre, che una persona combatta con passione contro un'estraneazione
che l'opprime fortemente ed in pari tempo trascuri del tutto altri campi, altre
estraneazioni (e Lukcs nota correttamente come nel noto romanzo E adesso,
pover'uomo? di Fallada un padre e un figlio, che sono sinceri e convinti
attivisti nella lotta per la liberazione degli operai, cio lottano contro
questa estraneazione, nei confronti della madre e della figlia rimangono invece
oppressori e sfruttatori del peggior tipo piccolo-borghese, cio forze
estranianti per gli altri e per se stessi) (96). Idealismo astratto e
contraddittoriet reale nel comportamento quotidiano accompagnano
necessariamente il tentativo di indirizzare in modo anticapitalistico la
personalit processuale dell'individuo verso la genericit-in-s (e del resto, gi
nella grande filosofia classica tedesca le figure dell'anima bella e del
filisteo erano gi state previste ed analiticamente discusse). Tuttavia, solo
l'autocompiacimento volgare fissa realmente questi momenti attribuendo loro
valore in s ed impedendo la loro considerazione come forme di estraneazione. In
proposito, il socialismo neo-kantiano, che gi vide l'impossibilit del
capitalismo di trattare l'uomo come fine e non come mezzo per l'accumulazione,
possedeva un forte momento di verit, indebolito per dall'enfatizzazione della
morale dell'intenzione (contrapposta a quella del risultato) e dal rifiuto di
considerare l'estraneazione come un insieme di categorie ontologiche (97). % e
. 228 L'enorme difficolt (di cui siamo tutti attoniti spettatori) di
trasformare l'anticapitalismo in una passione veramente "durevole" per
un numero rilevante, o almeno significativo, di individui non evidentemente soltanto un problema di
conoscenza o di "chiarezza concettuale" (del tipo: diteci esattamente
ed in modo univoco che cosa voglia dire essere anticapitalisti ed allora lo
saremo, ma non prima!). Come i gi
rilevato, la posizione teleologica non presuppone affatto la perfetta e lucida
coscienza delle sue modalit specifiche di realizzazione. Si qui piuttosto di fronte, ancora una volta, ad
un fatto ontologico: la forza della manipolazione particolaristica della
personalit umana oggi assai rilevante;
l'anticapitalismo come "passione durevole" non pu confinarsi nel privato
senza subire danni molto gravi, e richiede un agire organizzato, di tipo
etico-politico. E' questo un problema filosofico cui non si pu sfuggire. 13.
La. dialettica di etica e di politica nel marxismo L'impossibilit di confinare
la passione durevole" anticapitalistica alla sfera della dialettica
privata fra particolarit ed individualit
fondata sull'elevatissimo grado di socializzazione storica - della
personalit umana contemporanea: cos come la particolarit "trascresce"
in individualit senza che si possa stabilire un limite fra ie due sfere
ontologicamente riconoscibile, analogamente l'etica trascresce" in
politica sulla base perentoriamente unitaria dell'ontologia dell'essere sociale
(98). Il rapporto fra etica e politica
certamente un problema complesso. Nella storia, si data sia l'opzione per la fondazione della
decisione umana su di un unico sistema normativo, sia l'opzione per una
fondazione dualistica. Nel primo caso, si pu rifiutare l'esistenza di regole
specifiche del comportamento politico", ed affermare l'esistenza di un
unico sistema normativo, quello morale ( la posizione, ad esempio, di un Erasmo
da Rotterdam); oppure si pu rifiutare l'esistenza di regole specifiche del
"comportamento morale" ed affermare l'esistenza di un unico sistema
normativo, quello politico ( la posizione, ad esempio, di un Thomas Hebbes).
Nel secondo caso, accettata e data per scontata l'esistenza di pi sistemi
normativi (in generale, nella forma dualistica del rapporto fra etica e
politica) si pu optare per la prevalenza del sistema normativo dell'etica su
quello della politica ( la posizione, ad esempio, di un Kant); oppure si pu
optare per la . prevalenza del sistema normativo della politica su quello
dell'etica ( la posizione, ad esempio, di Hegel) (99). 229 x La realt concreta,
ovviamente, molto pi ricca di questa
classificazione sommaria in quattro "tipi ideali" (assai pi
maxweberiani, tra l'altro, che veramente marxiani). Tuttavia, possibile avvertire subito la profonda
insufficienza di una fondazione unilateralmente aprioristica del comportamento
etico o politico (la cultura di destra, del resto, fonda entrambi su di una
fantomatica "sacralit" originaria), cos come di un dualismo irrelato,
che sfocia necessariamente nell'insolubile dicotomia fra decisionismo politico
cinicamente amoralistico e falsamente "concreto", da un lato, e
moralit astratta della purezza formale dell'intenzione, dall'altro. Il rifiuto
di una considerazione unitariamente ontologica dell'essere sociale, del resto,
ha come conseguenza necessaria questa dicotomizzazione, pi o meno consapevole
ed in vario modo articolata. In. colui che
forse il pi grande filosofo. italiano contemporaneo, Norberto Bobbio, la
dicotomia fra etica e politica risolta
in una sorta di "proceduralismo tragico": di fronte al caotico
disordine della vita economica e sociale del capitalismo (ed alla evidente
incapacit del "movimento comunista" di affermare una civilt libera dall'estraneazione) il
pensiero mette ordine, un ordine ovviamente sempre fragile e continuamente
revocabile, attraverso continue distinzioni e precisazioni di significati, di
ambiti, di sfere. La riconosciuta autorit morale di Bobbio si fonda anche e
soprattutto sull'indiscutibile spessore della sua riflessione filosofica, la
quale, sul problema della democrazia, si riallaccia direttamente ad Immanuel
Kant: come garantire proceduralmente delle comuni regole del gioco, prescindendo
del tutto dal fatto che gli uomini siano angeli o diavoli, ma presupponendo per
che siano almeno intelligenti (100). La tragicit del proceduralismo bobbiano
sta nel fatto che non riscontrabile in
Bobbio alcuna fondazione ontologico-sociale dei comportamenti al di l di
richiami ad una sorta di neo-giusnaturalismo (esistono diritti umani non
negoziabili al di l del mero principio di maggioranza) (101). La funzione
ordinatrice del pensiero, la dolce forza della ragione, il solo argine al caos irrelato del
politeismo dei valori e della polimorficit priva di direzione dell'agire umano
nel mondo. In Bobbio la lotta accanita della particolarit contro le sue
degenerazioni narcisistiche e variamente estetizzanti sempre sostenuta ed approvata, senza per che vi
sia, come in Lukcs, il riconoscimento ontologico-sociale di una dialettica fra
il "dato" (le premesse economico-sociali costituite dalla
mondializzazione capitalistica dell'umanit, unico presupposto per un socialismo
230 possibile) e la "possibilit" (la scelta anticapitalistica come
unica reale passione durevole dotata di senso storico effettivo). Chi vuole
andare oltre Kant, non pu comunque fingere che Kant non sia mai esistito.
Analogamente, l'essenziale del pensiero di Norberto Bobbio deve essere considerato
una soglia filosoficamente irreversibile: occorre respingere sia la
dicotomizzazione irrelata fra etica e politica (in cui decisionismo cinico e
moralismo dell'intenzione si sostengono in solidariet antitetico-polare), sia
la loro fusione affrettata, ed occorre invece studiare pazientemente lo spazio
storico-teorico che si apre fra i due termini (102). Con questo, per, il
problema stato appena impostato in
termini gererali ed astratti. Per procedere, occorrer porre almeno tre domande
teoricamente decisive: in primo luogo, esiste una teoria marxista della
politica?; in secondo luogo, esiste nel marxismo uno spazio autonomo per
l'etica?; in terzo luogo, in grado la
forma filosofica del discorso di tipo ontologico-sociale di mettere le basi per
una reale (e non solo verbale) unificazione dello . spazio dell'etica e della
politica? (103). L'esistenza nel materialismo storico di una autonoma teoria
della politica ovviamente dubbia. Ad
esempio, ha ragione Bobbio . nel rilevare l'assenza di un insieme di apriori
che permettano di definire un ordinamento democratico inteso come "forma
politica" di una particolare struttura economica. Potremo riassumere in
tre principi il nucleo di regole ideali di questo ordinamento: il suffragio
universale e libero; la competizione tra gruppi politici organizzati, con
conseguente possibilit per i cittadini di scegliere fra soluzioni diverse e di
associarsi per determinarle; il principio della maggioranza numerica per le
elezioni e le deliberazioni, a patto che non siano limitati e diritti delle
minoranze. Tuttavia, il proceduralismo pluralistico (in positivo) ed il rifiuto
del sistema a partito unico che "organizza" egemonicamente l'intera
societ "civile" (in negativo) non possono certo diventare la teoria
marxista della politica. Si tratta, certo, di una condizione necessaria, ma non
ancora sufficiente. Una teoria della politica ispirata ad una visione
ontologico-sociale riconosce, ovviamente, l'insopprimibile molteplicit
pluralistica delle libert, ma non pu rinunciare all'incorporazione del
"politico" nella processualit dinamica delle trasformazioni. di un
modo di produzione. Da un ato, infatti, non si pu continuare a porre il
problema di una "politica comunista" nei termini di una
interpretazione corretta del concetto "autentico" di "dittatura
del proletariato" in senso marxiano e leniniano, ed in ogni caso impossibile (se si vuole restare
fedeli ad una impostazione realmente ontologico-sociale dei problemi della
transizione) cadere 231 in forme di giustificazionismo filosofico, variamente
argomentato, della mancanza di "diritti civili" nei paesi a
"socialismo reale", quasi si trattasse di diritti di libert borghesi,
superflui o facoltativi (104). Dall'altra parte, per, non si pu neppure
accettare l'invalicabilit dell'orizzonte estraniante del capitalismo come
"luogo" dello scambio politico e dell'infinita, conflittuale,
contrattazione di interessi (nobilitati talvolta terminologicamente come
bisogni di soggetti sociali "ricchi'"). Un simile proceduralismo
"conflittuale" non mai, in
genere, "tragico", perch accetta l'autocompiacimento volgare dei
"meriti" e dei "bisogni" cos come questi ultimi si
determinano nel soppraffattorio caos delle estraneazioni in reciproco
conflitto. E' vero che (incolpevole Bobbio!) questa sciagurata tendenza sembra
oggi filosoficamente vincente "a sinistra": nel disincanto generale
del politeismo irrelato dei valori, privi di "fondamento ontologico"
ma non-di prezzo corrente di mercato, scomparso l'Essere (ma non le curve di
preferenza del consumatore), i meriti ed i bisogni si organizzano
"democraticamente" per accedere al mercato politico". E'
possibile che il materialismo storico non abbia ancor oggi un'adeguata teoria
del politico e che occorra costruirla;
sicuro, comunque, che dovr farlo in una lotta senza compromessi e
senz'alcuna conciliazione possibile contro quest'autocompiaciuto pluralismo
irrelato della volgarit capitalisticamente estraniata. Anche l'esistenza di uno
spazio autonomo nel materialismo storico per l'etica qualcosa di teoreticamente dubbio.
Neli'Ontologia non vi sono che le premesse generali per una discussione di
questo importante problema, le cui dimensioni teoriche sono soprattutto due: in
primo luogo, se si dia o meno in Marx uno spazio autonomo per l'etica, intesa
come teoria della giustizia, oppure se il marxismo, correttamente inteso, sia
"al di l" della giustizia; in secondo luogo, prescindendo del tutto
da come si poneva il problema Marx, se sia opportuno o meno nell'ottica della
ricostruzione del materialismo storico un rilancio della problematica
specificatamente ed esplicitamente di tipo etico (105). A prima vista pu
sembrare che nel materialismo storico marxiano non ci sia alcuno spazio per
l'etica. Marx tende talvolta a vedere nei discorsi di tipo "etico"
una variante di una "concezione giuridica" della societ, in cui
appunto la "giustizia" un
concetto giuridico o legale, collegato alla legge ed ai diritti che gli uomini
hanno sotto di essa: il superamento dello sfruttamento di tipo capitalistico
non d luogo, dunque, ad una "giustizia socialista" in luogo delia
precedente "ingiustizia capitalistica", ma pone il 232 problema della
produzione, della circolazione e del consumo "al di l" delle
concezioni etico-giuridiche di equit e di giustizia (106). Una simile
interpretazione "amoralistica" di Marx non del tutto scorretta, ma incompleta, e finisce dunque con il diventare
sbagliata. In primo luogo, infatti, la critica marxiana al capitalismo ispirata ad una considerazione processuale
della "dimensione ontologica posseduta dalla libert" (George
Brenkert), in cui il termine "libert"
ontologico nella misura in cui esiste come molteplicit attivamente
critica delle estraneazioni del capitalismo, ed ha perci uno "statuto"
superiore a quello della "giustizia" inteso come perfetta equit
retributiva; in secondo luogo, la stessa problematica della giustizia non pu
essere ridotta ad un apriori giuridico-formale dell'equit, in quanto fondativa della stessa teoria marxiana
dell'estorsione del plusvalore e della critica all'apparenza dello
"scambio eguo" che avverrebbe fra capitale e forza-lavoro in base al
valore (107). In Marx c' dunque uno spazio autonomo per l'etica in base alle
nozioni ontologiche di libert (in prima istanza) e di giustizia (in seconda
istanza).In proposito il fraintendimento
per pressoch "assicurato", in quanto non ci vuole
letteralmente nulla a "dimenticare" la paroletta
"ontologico" (che significa che le nozioni di libert e di giustizia
hanno valore unicamente nella processualit dialettica del superamento dell'estraneazione:
particolare-individuale e collettivo-sociale, mentre fuori da questa
processualit sono solo scatole vuote), considerando cos la libert un apriori
astratto della possibilit formale di scelte alternative e la giustizia una
norma ideale dell'equa retribuzione (e questo avviene, in genere, nei
"marxisti pentiti", in cui l'anticapitalismo non una passione durevole, ed generalmente sostituito dal filocapitalismo
straccione). Un rilancio della problematica etica del materialismo storico dunque una "porta stretta" da cui
bisogna comunque passare, pur sapendo che il carrozzone dei
"valori" oggi occupato da
posizioni del tutto ostili ad una impostazione ontologica dell'essere sociale.
Se questo, poi, dar luogo ad una "etica sistematica" (ma lo scrivente
non lo crede possibile), o soltanto ad una critica etica sistematicamente
immanente alle estraneazioni (e questo appare invece possibile,ed in questa ottica che si colloca l'Ontologia),
non ovviamente possibile ora stabilirlo.
L'unificazione fra etica e politica appare invece ontologicamente problematica,
in guanto quest'"unificazione"
altra cosa. dalla "fondazione unitaria" dell'etico e del
politico. Si tratta infatti di problemi diversi. Da un lato, infatti, la
considerazione ontologico-processuale dell'essere soviale (che trova nel lavoro
la sua forma originaria ed il suo modello)
indubbiamente fondativa del sapere etico e politico, e precede sul piano
logico questi ultimi, che senza di esse sono un "tsapere senza
fondamenti" strutturalmente aperto alla manipolazione estraniante.
Dall'altro lato, per, il "sogno" della conciliazione finale nel
comunismo dell'etico e del politico rimanda ad una concezione
olistico-organicistica dell'individualit con la storicit sociale, che tratta come
coestensive unit ontologicamente complesse che invece non lo sono affatto. In
questo senso, l'identit "assoluta" dell'etico e del politico deve
metterci in sospetto (cos come, del resto, la loro separazione assoluta,
dicotomico-irrelata) (108). Vi qui
qualcosa di analogo alla vexata quaestio del rapporto fra filosofia e
"scienza" nel materialismo storico, su cui varr la pena spendere
qualche parola, ispirandoci ad un punto di vista ontologico-sociale. 14.
L'autonomia relativa della forma filosofica del discorso Il rapporto fra
filosofia e scienza nel materialismo storico , in prima .approssimazione,
un'unit contraddittoria. La definizione conclusiva" di questo
rapporto resa impossibile non solo dagli
"spostamenti semantici" dei due termini nella storia, ma dalla stessa
"crescita della conoscenza" che il materialismo storico permette. Di
tanto in tanto, certo, si fanno avanti pretese teoriche di vario tipo alla
"soluzione definitiva" della questione, di cui occorre per diffidare.
In proposito ci sembra che si diano due vie principali: la prima, che
definiremo gnoseologico-epistemologica; la seconda, che definiremo
ontologico-sociale. Entrambe hanno dalla loro buonissime ragioni, che meritano
di essere esaminate; la seconda, tuttavia, sembra averne qualcuna di pi,
ed per questo che concluderemo questo
studio indicando alcune soluzioni e soprattutto alcune linee di sviluppo
filosofico del problema (109). La via gnoseologico-epistemologica alla
discussione del rapporto fra filosofia e scienza nel materialismo storico ha
alle spalle una rispettabile tradizione (oltre che una monumentale
bibliografia), ed ha anche conseguito alcuni risultati teorici irreversibili.
La riflessione sullo "statuto epistemologico" del materialismo
storico (scienza, quasi-scienza, scienza sociale probabilistico-tendenziale,
disciplina, metodologia di ricerca storico-sociale, filosofia, religione di
salvezza imperfettamente laicizzata, e via elencando) ha prodotto intere
biblioteche, i cui scaffali potrebbero essere ordinati a partire da due punti
opposti "ideali": ad un estremo, la tesi che nega ogni carattere
scientifico al materialismo storico, che sarebbe una (9 3] 234 religione
filosofica di salvezza mascherata da "scienza", in cui la pretesa
"scienza" avrebbe la doppia funzione di auto-illudere i propri
seguaci e di legittimare le loro pretese al monopolio del potere politico;
all'altro estremo, la tesi che afferma il carattere integralmente scientifico
del materialismo storico, in cui la "scientificit" sarebbe, per cos
dire, auto-espressiva, non avendo pi bisogno alcuno di una forma filosofica del
discorso dentro cui. essere enunciata (ove l'espressione '"autoespressivit
della scienza" sia sinonimo di "superfluit della filosofia").
Sono pochi, ovviamente, i sostenitori "estremisti", unilaterali ed
integrali, di una di queste due tesi opposte; l'immensa maggioranza si colloca
in una vasta gamma di posizioni "intermedie", che rimandano per
tutte, in ultima inappellabile istanza, ad una dominanza (o. talvolta, pi
cautamente, ad una preferenza) di uno dei due poli sull'altro opposto: o la
filosofia domina sulla scienza, o la scienza domina sulla filosofia. La via
ontologico-sociale alla discussione di questo rapporto rifiuta fin dall'inizio
di entrare nella trappola di questa dicotomia polarizzata. Non si tratta qui
soltanto di ripetere che ogni disciplina scientifica costituisce il proprio
metodo ed ii proprio oggetto dentro un'indispensabile metafisica influente, la
cui "influenza", appunto, perdura a lungo; e neppure soltanto di
ripetere che la dialettica fra tendenze disantropomorfizzanti del
rispecchiamento scientifico della natura e della societ (caratterizzate
entrambe unitariamente dalla storicit) e tendenze riantropomorfizzanti
dell'immagine filosofica di questo rispecchiamento costitutiva della processualit complessa
della conoscenza; e neppure infine di ripetere che il "momento
ideale" non mai costituito da una
piena, trasparente coscienza del progetto teleologico, ma invece, a partire
dalla "quotidianit" in cui si forma, comprende al suo interno
elementi coscienti ed elementi inconsci. Tutto questo lo si gi detto, e possiamo qui darlo per scontato.
Si tratta di comprendere fino in fondo che nel. materialismo storico sia la
filosofia che la scienza hanno una fondazione ontologica unitaria, insieme con.
uno statuto epistemologico diverso (non si vuole infatti qui negare che un
problema di "statuto epistemologico" comunque esista) (110).
Nell'Ontologia Lukcs chiarisce, in primo luogo, "che a priori non c'
nessun confine determinabile. con esattezza fra generalizzazioni scientifiche e
filosofiche (e perfino oggi, in un periodo in cui la divisione del lavoro porta
ad erigere barriere artificiose, feticistiche, fra i vari rami del sapere, di
fronte a date generalizzazioni difficile
stabilire se hanno carattere filosofico o scientifico)". Tuttavia, mentre
nelle scienze il metodo 235 deila generalizzazione si fa sempre pi
spiccatamente disantropomorfizzante, al suo culmine esso contemporaneamente
provoca . nella filosofia l'antropocentrismo. Il termine contemporaneamente
deve essere sottolineato, perch, in contrapposto alla fondamentale tendenza
antropomorfizzante delle arti, il metodo della filosofia non comporta mai una
rottura con quello delle scienze. L'antropomorfizzazione, in una filosofia
"scientifica", infatti sempre
strutturalmente "tenuta sotto controllo" dal metodo delle scienze, in
quanto "antropocentrismo" significa solo che "per la filosofia
l'essenza e il destino del genere umano, il suo donde e verso-dove,
costituiscono un problema centrale permanente, pur se di continuo mutato in
rapporto all'epoca storica". Di continuo, nella storia, siamo di fronte a
"paradossi" che sono solo apparentemente tali: la prova ontologica
dell'esistenza di dio, che dal punto di vista della sua logica immanente costruita in maniera corretta, fa nascere da
elementi disantropomorfizzanti un complesso concettuale antropomorfizzante;
l'intero apparato matematico dell'astrologia rinascimentale, apparentemente del
tutto disantropomorfizzato, era messo al servizio spirituale di un
antropomorfismo estremo; infine, e soprattutto, la processualit
irreversibilmente disantropomorfizzante del pensiero umano la premessa per lo sviluppo del soggetto a
personalit individuale (111). Sono, questi, paradossi solo apparenti. Proprio a
partire da Marx, secondo Lukcs, stato
superato quel dualismo fra filosofia e scienza che era ancora predominante in
Hegel, e che conduceva ad una "inaccettabile arroganza delia filosofia
verso la scienza". Per la filosofia il punto d'appoggio d'Archimede l'essere-specifico; la filosofia pu e deve
richiedere soltanto che ogni scienza non entri il contrasto con la specificit
dell'essere le cui leggi essa tenta di mettere in luce. D'altra parte, per, la
scienza esercita un controllo vicendevole sulle generalizzazioni filosofiche,
spontaneamente antropomorfizzanti, impedendo che ambiti specifici e particolari
vengano scorrettamente estesi all'Essere in generale. Apparentemente, si tratta
di considerazioni del tutto ovvie. Sappiamo per che non cos: la vicendevole arroganza, variamente
mascherata, prevale in generale sul controllo vicendevole. Vi sarebbe in
proposito una lunga storia da ricostruire, cui non possiamo neppure accennare.
Limitatamente al materialismo storico, ci rimane solo da .respingere la
concezione, scientisticamente ingenua, secondo la quale si tratterebbe soltanto
di attingere uno statuto epistemologico. sicuramente "scientifico"
per poter lasciarsi alle spalle ogni possibile forma filosofica del discorso e
diventare 236 totalmente auto-espressivo. E' questa un'ennesima variante del
mito della trasparenza. Il materialismo storico e la critica dell'economia
politica non crescono di fatto che all'interno di una forma filosofica del
discorso determinata. Esserne consapevoli
comunque meglio che illudersi di essere "immuni" da ogni
possibile ideologia (112). Con questa considerazione possiamo veramente
chiudere. Non ci illudiamo, ovviamente, di aver "provato" la
superiorit specifica della proposta ontologica di Lukcs sulle proposte,
poniamo, di Ernst Bloch o di Martin Heidegger. Abbiamo, anzi, riservato ampio
spazio a queste ultime, che restano punti alti, ed ineludibili, del pensiero
del Novecento. Siamo stati, tuttavia, espliciti nell'indicare una via d'uscita
all'attuale crisi filosofica. E' giusto, a questo proposito, confidare nella
dolce forza della ragione. 237 NOTE 1. Come si ricorder, si gi polemizzato alla fine della prima parte
del presente scritto contro la tendenza a pensare che le categorie del
materialismo storico, una volta che siano correttamente comprese nella loro
determinatezza storica peculiare, siano gi di per s filosoficamente
autoespressive. Si tratta di una reazione del tutto comprensibile, contro
l'invadenza delle filosofie della storia edificanti e teleologiche, ma in cui
ci sembra non si debba cadere. Si veda Lukcs, Ontologia dell'Essere Sociale
(due voll. in tre tomi), Editori Riuniti, 1976 e 1981. Il traduttore e
curatore, Alberto Scarponi, anche autore
di pregevoli saggi sull'Ontologia (usciti su Critica Marxista) che in generale
lo scrivente condivide pienamente. Lukcs dedica ad Hartmann la seconda parte
del primo volume dell'Ontologia. Se il lettore vuole iniziare con un testo
semplice e chiaro di introduzione al pensiero di Hartmann pu vedere Nuove vie
della ontologia, La Scuola, Brescia, 1975. Si tratta di un'opera uscita nel
1942, che pu servire come primo passo verso l'analisi del pensiero teleologico
(cfr. Teleologisches Denken, Berlin, De Gruyter, 1951). Nel peraltro ottimo
libro di Guido Neri, Aporie della realizzazione. Filosofia e ideologia nel
socialismo reale, Feltrinelli, Milano, 1980, sono invece messe al centro le
opinioni "conciliatorie" di Lukcs sulla riformabilit del socialismo
reale, contrapposte a quelle, ben pi "severe", di Bloch. Questo giusto, e certo queste informazioni devono
essere date. Tuttavia, gui si segue un'altra strada, quella dell'analisi
filosofica delle | posizioni ontologiche, a nostro parere inconciliabili con il
"socialismo reale". Per la generazione politica cui appartiene lo
scrivente, kautskismo e stalinismo sono qualcosa di lontano nel tempo e nello
spazio, e sono poco pi reali deli'illuminismo francese o della riforma
protestante. In quanto ai miti del marxismo terzomondista (da Mao a (Guevara)
essi hanno certo avuto un ruoio determinante, ma soltanto come
"miti". Lo storicismo togliattiano, involucro del cosiddetto
"partito nuovo", e l'operaismo italiano di derivazione panzieriana,
sono invece stati i due elementi reali, sul piano politico e culturale, da cui
demarcarsi e cen cui fare i conti. Lo scrivente
stato perci costretto, dall'incantesimo ineliminabile della analogia
storica, a leggere l'Ontologia senza poter capire fino in fondo quello che un
contemporaneo di Lukcs avrebbe potuto probabilmente capire. Lo scrivente non
condivide quindi per nulla le letture "attualizzanti" di Storia e
Coscienza di Classe, sconsigliate esplicitamente dallo stesso Lukcs, e
testardamente riproposte da mille lucacciani minori. Questo fatto ricorda molto
la testarda abitudine di molti heideggeriani a considerare Heidegger un
'"esistenzialista", nonostante Heidegger stesso abbia insistito per
quarant'anni a dichiarare del tutto infondato questo atteggiamento.
Naturalmente, Storia e Coscienza di Classe
un classico, che deve essere studiato in modo analitico come uno dei
massimi capolavori del pensiero del Novecento, oltre che come un. idealtipo
teoricamente insuperabile del marxismo occidentale (come argomentato nella
seconda parte di questo scritto). 238 7. 8. Si dimentica spesso che nella
Distruzione della Ragione Lukcs ritiene Weber un pensatore altrettanto
irrazionalista di Nietzsche e di Heidegger. Chi ha letto la terza parte di
questo saggio sa che lo scrivente non accetta la riduzione lucacciana di
Heidegger a pensatore irrazionalista e nazisteggiante, portatore di un
nichilismo esistenzialistico ed estetizzante chiamato
"vivere-per-la-morte". Heidegger
invece analizzato come un punto alto del pensiero del Novecento, che
parla del modo di produzione capitalistico in modo assai pi profondo (sia pure
metaforizzato) di quanto faccia lo stesso Max Weber. Se per l'interpretazione
che lo scrivente d. di Heidegger si dimostrasse del tutto infondata, ed
insostenibile (ma lo scrivente ovviamente non lo crede), allora la stroncatura
lucacciana di Heidegger apparirebbe (sempre allo scrivente) del tutto
giustificata. Secondo Lukcs (cfr. Ontologia, I, p. 255) "Hegel stesso non
ha mai concretizzato la serie dialettica. che va dall'identit alla diversit e
differenza fino alla opposizione e alla contraddizione. Solo nei classici del
marxismo essa stata operante, ma poi
anche su questa caduto l'oblo.
L'importanza di tale differenziazione
enorme, giacch la svalutazione 10. della dialettica da parte dei suoi
avversari poggia per lo pi, e talvolta con relativa legittimit, sul fatto che i
suoi fautori operano esclusivamente con le forme pi sviluppate, pi estreme,
della contradditoriet, dimenticando le forme intermedie". Lukcs riassume
l'ontologia hegeliana come segue (op. cit. p. 223): "Hegel concepisce la
realt come una totalit di complessi in s, cio relativamente, totali; la
dialettica oggettiva consiste nella genesi reale e nell'autodispiegamento,
interazione e sintesi reale di questi complessi; perci anche l'assoluto in
quanto quintessenza di questi movimenti totali non potr mai sollevarsi alla
immobilit di una indifferenza trascendente rispetto ai movimenti concreti; al
contrario, in quanto sintesi concreta di movimenti reali, - ferma restando la sua assolutezza, esso
stesso movimento, processo". Il movimento hegeliano, secondo Lukcs,
non mai passibile di un riposo finale,
ma non si manifesta neppure mai nella forma del continuum ingenuamente
eracliteo, in quanto consustanziale alle
determinazioni riflessive, di cui parliamo nelle note successive. Nelle circa
cento pagine a stampa che Lukcs dedica ad Hegel questo fatto ripetuto almeno dieci volte, con
argomentazioni filologicamente e teoreticamente di altissimo interesse. Solo
ragioni di spazio impediscono di riportare le necessarie citazioni. Per una
accurata informazione bibliografica sulla ricchissima discussione tedesca sui
rapporti fra la dialettica marxiana e quella hegeliana (in cui appunto si
distingue fra dialettica enfatica e dialettica ridotta di esposizione) si veda
Otto Kallscheuer, Marxismo e teorie della conoscenza, pp. 472-82, in Storia del
Marxismo, Einaudi, 1982. Lukcs non distingue, sulla scorta di Engels, fra
metodo aperto e sistema chiuso in Hegel, come molti, senza averlo neppure
letto, pensano. Lukcs separa (Ontologia, I, pp. 225-26) la scoperta hegeliana
delle "determinazioni riflessive" (ad esempio, soggetto, ed oggetto)
dalla specifica soluzione hegeliana dei problemi aperti da questa scoperta, la
trasformazione della sostanza in soggetto. Secondo Hegel, "la prossima
verit del singolo immediato dunque il
suo venir riferito ad altro. Le 11. 239 determinazioni di questa riflessione
sono quel che chiamiamo determinazioni riflessive". Poco dopo (op. cit.
pp. 234-35) Lukcs collega alla riflessivit delle determinazioni concrete in cui
il soggetto e l'oggetto sono incorporati (senza mai darsi in forma pura e
separata) il problema che pi ci interessa in questa sede. La conservazione e la
perdita dell'identit sono un processo reale, una possibilit ontologica. E'
questione scientifica di primo piano - dice Lukcs in modo esplicito - stabilire
se una nazione, una classe, eccetera, gi gi fino all'individuo, conserva o
perde la propria identit. Quest'ultima
infatti anch'essa una determinazione riflessiva, e non pu certo darsi in
modo grande-narrativo come. pienezza del soggetto o in modo
deterministico-naturalistico come legalit automatica dell'oggetto. Si tratta
appunto (come il lettore attento avr certamente colto) di una. negazione
esplicita di una visione del marxismo di tipo dialettico-teleologico. Nelle
circa centocinquanta pagine a stampa dedicate a discutere il carattere
ontologico-sociale della filosofia di Karl Marx Lukcs si preoccupa, con
puntigliosa coerenza, di respingere tutti i fraintendimenti accumulati in cento
anni di storia del marxismo. Vi dunque
qui anche una sorta di breve storia del marxismo. Lukcs sostiene (Ontologia, I,
p. 354) che i "residui della filosofia della storia hegeliana dentro il
marxismo possono condurre fino ad affermare in termini logici la necessit
teleologica del socialismo", e che "anche Engels in qualche occasione
ha subto il fascino della logicizzazione
hegeliana della storia". Il ritorno di 12. 13. Engels a Hegel sta nella
"storia spogliata della forma storica", cio nel primato inconsapevole
del modo logico su quello storico di considerare gli eventi. Forma filosofica
del discorso .di tipo ontologico-sociale significa, per lo scrivente, rifiuto
consapevole della logicizzazione della storia. Un elemento particolarmente
tragico della vita umana individuale sta infatti anche nel presupposto di
continuit dell'esperienza morale e politica: ad esempio, l'ergastolano continua
a scontare, dopo anni ed anni, le conseguenze di un "fatto"
atomicamente concluso, indipendentemente da qualsivoglia rottura coscienziale,
pentimento o congedo. In Italia questo fatto
reso particolarmente tragico dall'esistenza di centinaia di
"terroristi" che hanno rotto idealmente con le loro azioni di lotta
armata, ma non possono rompere con le conseguenze penali dei loro atti, e dal fatto
che la sciagurata categoria del "pentitismo" ha ulteriormente reso
priva di senso la categoria morale di "espiazione della pena": il
pentito diventato, per autonomasia,
colui che non espia la pena. I "corpi rinchiusi" di Curcio e di
Franceschini si autonomizzano sempre pi dalla formazione ideologica
cristallizzata nel libro L'Ape e il Comunista. Ancora una volta, la tragedia
umana non si riduce mai all'errore politico-ideologico. Lo scrivente condivide
in proposito il duro giudizio lucacciano sulla filosofia di Sartre (cfr.
Ontologia, passim, in particolare p. 171, Il), mentre trova talvolta eccessiva
la tendenza a stroncare sistematicamente Ernst Bloch riducendolo a sostenitore
del tempo soggettivizzato nella coscienza dell'individuo e contrapposto all'oggettivit
del fluire temporale. Secondo l'interpretazione di Bloch data dallo scrivente
nella quarta parte di questo saggio, Bloch non pu essere semplicisticamente
assimilato ai sostenitori soggettivistici del "primato del tempo
coscienziale su quello 240 14. 15. 16. degli orologi", in quanto si tratta
di un pensatore che ha una concezione ontologica del tempo. E' vero, per, che
Lukcs si scaglia in due occasioni proprio contro quelle che ritiene siano le
insufficienze della concezione ontologica blochiana del tempo (Ontologia, I,
pp. 94-95, e II, p. 437). Si veda, ad esempio, il libro collettivo Crisi della
ragione, Einaudi, Torino, 1979. Nonostante la pluralit dei contributi, di
diseguale valore ed assai differenziati, guesto libro stato in grado, grazie anche ad un sapiente
battage pubblicitario, di presentarsi con un identikit facilmente riconoscibile
e "spendibile" nel mercato delle idee filosofiche: la fine
irreversibile dei sistemi centrati (e si alludeva in forma metaforica al
marxismo), la proclamazione del destino epocale della frammentazione (e si
alludeva ad un insieme complesso, da Benjamin al "sommerso
capitalistico"). Il tentativo di opporsi a questa tendenza (si veda La
ragione fra crisi e progetto, numero 2 di Metamorfosi, Angeli, 1980) in questa fase storico-politica
necessariamente fragile, perch cerca di opporsi ad un'"apparenza
necessaria", esistenzialistico-positivistica, della quotidianit
capitalistica cos come si presenta alle determinazioni irrelate dell'intelletto
scientifico ed ancor pi alla sensibilit epidermica dell'oggi. Per un altro
esempio di ricostruzione "frammentata" della filosofia del Novecento
si veda Romeo Bodei, Filosofia (in La cultura del 900, I, Mondadori, 1981), ed
ancor pi la parte filosofica, curata da Cesare Pianciola, dell'ottavo volume
del Materiale e l'Immaginario, Loescher, 1983. La manipolazione sempre pensata come "ontologica"
anche da Karel Kosk (cfr. Dialettica del concreto, Bompiani, 1965). E' un
punto, questo, niente affatto ovvio, dal momento che siamo abituati a pensare
la manipolazione in modo francofortese, come consumismo indotto dalla pubblicit
di prodotti che esaudiscono bisogni non necessari oppure come propaganda
politica che attiva componenti dell'inconscio di tipo sado-masochistico
malamente represse dalla sottile crosta della civilt. La manipolazione invece ontologica perch costitutiva dell'unit contraddittoria,
specifica del modo di produzione capitalistico e quindi niente affatto
'"astorica", fra la necessit di riprodurre rapporti capitalistici di tipo astrattizzante
(ed estraniante), introiettata impersonalmente dal capitale come valore che si
valorizza, e l'emergere di personalit concrete astrattamente in grado di
rovesciare questa estraniazione. Questo fu compreso a suo tempo anche da Louis
Althusser, il quale, seguendo (e semplificando) Heidegger, si accorse che
l'umanesimo c' perch c' l'economicismo, e non certo nonostante quest'ultimo.
Qualcosa del genere comprese anche a suo tempo Etienne Balibar (cfr.
Irrazionalismo e marxismo, in Monthly Review, 6, 1978), che vede bene come
l'irrazionalismo s sviluppa non certo nonostante il razionalismo, ma proprio a
causa del razionalismo stesso, che rimane il "vero" antagonista,
oggi, del materialismo storico (posizione, questa, probabilmente non condivisa
da Ludovico Geymonat). Il pensiero post-moderno (sia nelle sue varianti soft,
alla Vattimo, che nelle sue varianti hard, alla comunismo del desiderio di
Negri) non a caso affascinato dalla
California come "figura dello spirito", per la compresenza fra
microprocessori e macrobiotica, 17. 241 fabbriche robotizzate ed artigianato
hippie, razzi spaziali e sette religiose. La formulazione lucacciana una semplice elaborazione filosofica del
senso comune quotidiano, ove quest'ultimo venga dialettizzato e sottoposto ad
una serie di determinazioni riflessive. Si pensi ai "politici" di
oggi, che si presentano come un "pieno" di valori etici ed
esistenziali (alcuni dei quali ambiscono rappresentare un analogo "pieno
sociale", ricco di virt, mentre altri, non meno ipocriti, vorrebbero
"riempire un vuoto" di valori con il loro impegno), quali la libert,
l'eguaglianza, la giustizia, eccetera, per poi legittimare il loro concreto
agire politico con gli imperativi tecnici risultanti dalle scienze
"positive": per vincere l'inflazione, come dice scientificamente
l'economia politica, bisogna licenziare la gente e tagliare i servizi sociali;
per evitare la guerra, come dice scientificamente la scienza politica, bisogna
equilibrare gli armamenti ed accrescerli fino alla "soglia
dissuasiva". Oggi, per "vedere" concretamente la
psicosomatizzazione della solidariet antitetico-polare fra esistenzialismo e
neo-positivismo, basta aprire il televisore; cambiando velocemente canale, s
potr anche avere un effetto filosofico di derealizzazione e smaterializzazione
dei rapporti sociali di produzione, sostituiti da rapporti simbolici. | |
Quando Lukcs, in tutta seriet, propone un'analogia fra Carnap e Tommaso
d'Aquino (pensatore esemplare, il primo, del capitalismo, il secondo invece del
mondo feudale) coglie un punto storicamente essenziale. Tommaso d'Aquino
propone una soluzione moderata e realistica alla sostanzializzazione delle
essenze ideali eterne (indifendibile ormai nella forma estremistico-platonica
dei "realisti" del secolo precedente, come Guillaume di Champeaux)
che estremamente funzionale alla
ideologia della legittimazione del mondo sociale dell'epoca (e che viene
infatti respinta dai francescani spirituali di allora, critici del feudalesimo
in nome del pauperismo evangelico, che scelgono una forma di nominalismo
filosofico radicale; c' solo il singolo cristiano praticante il modello di
Cristo, non c' nessuna Chiesa reale, tanto meno se essa corrotta; c' solo il singolo francescano
spirituale praticante il modello di S. Francesco, non c' nessun Ordo
Franciscanus, tanto meno se esso accumula ricchezze), anche se viene
provvisoriamente respinta dall'arretratezza teologica dei papi dell'epoca. La
"staticit" e la "permanenza" delle comunit sociali medioevali
vengono filosoficamente metaforizzate in una forma di realismo aristotelico
delle essenze immutabili. A differenza del feudalesimo, il capitalismo vive
integralmente la "furia del dileguare", rivoluziona permanentemente
la societ e la natura, rispetta la memoria storica ed il passato soltanto nella
forma irrigidita e commercializzata dei musei e delle esposizioni a pagamento,
*e rappresenta perci il proprio integrale disancoramento ontologico e la
propria necessit impellente di manipolare i propri "oggetti" in una
forma filosofica anti-essenzialistica ed operazionalistica (di cui Carnap fu
certo insuperabile teorizzatore). In Wittgenstein, invece, il disagio
esistenziale riesce a trovare una forma filosofica che si accompagna alla
riduzione integralmente neo-positivistica del mondo (che lo porta
paradossalmente, ma non troppo, ad ammirare Stalinz e si veda l'affascinante
saggio di Terry Eagleton, Wittgenstein's Friends, in New Left Review, 135,
1982, p. 86 ssg). In frontale opposizione 242 18. con la lettura lucacciana di
Wittgenstein (incarnante "una protesta a priori impotente contro la
manipolazione universale della vita nell'ambito del capitalismo
contemporaneo", vedi Ontologia, I, p. 60) il filosofo francese Dominigue
Lecourt (cfr. L'ordre et les jeux, Grasset, 1981) valorizza Wittgenstein non
soltanto contro Popper ed il suo autoritario tribunale epistemologico davanti
al quale sir Karl convoca tutte le scienze e le pratiche politiche
contemporanee, ma anche contro l'"ontologia", che Lecourt vede
foucaultianamente come filosofia del rispecchiamento di un mondo chiuso ed
imprigionato. Lo scrivente d'accordo con
la prima battaglia, ma non certo con la seconda, concependo lucaccianamente
l'ontologia come filosofia della libert. Lo scrivente ha gi ampiamente motivato
(nella quarta parte di questo . scritto, dedicata a Bloch, ed in riferimento
soprattutto a Sebastiano Timpanaro) le ragioni teoriche che portano a
respingere la soluzione 19. 20. storicistica della separazione fra dialettica
della natura e dialettica della storia (cos come essa praticata da Sartre, ed in generale dagli
anti-engelsiani sistematici). Non bisogna assolutamente confondere l'isolamento
metodologico della categoria di lavoro come forma ontologica e modello dell'azione
umana (categoria specifica dell'ontologia sociale, e pertanto non afferente i
complessi inorganici ed organici), con la separazione metodologica fra universo
naturale ed universo storico-sociale. Si tratta di due scelte filosofiche
assolutamente diverse (ed alternative): la prima porta verso l'ontologia
dell'essere sociale, la seconda verso il cosiddetto storicismo marxista. i Si
veda l'Autobiografia di Lukcs (op. cit. p. 27). Secondo Lukcs, c'era nella sua
famiglia una totale indifferenza verso la religione, che costituiva solo una parte
del protocollo domestico, in quanto entrava nella conclusione di matrimoni e
nello svolgimento di altre cerimonie. Tuttavia,
impossibile analizzare le opere del giovane Lukcs senza tener conto del
suo tentativo di esprimere in una forma linguisticamente ultralaicizzata
contenuti religiosi tratti dal romanticismo e dalla filosofia di Kierkegaard.
Ad una analisi pi ravvicinata, si possono notare due atteggiamenti lievemente
diversi nella considerazione filosofica lucacciana sulla "tenuta temporale
della fede cristiana". Secondo una prima ottica (cfr. Ontologia, I, pp.
14-15) la parusia promessa da Ges Cristo non si
verificata, ma questo "fallimento della rivelazione massima e
centralissima non fu in grado di annullare la fede cristiana", perch mise
in moto un meccanismo ricorrente di "ripetersi di parusie
sostitutive" di tipo estremistico (Gioacchino da Fiore, eccetera), da un
lato, e di riproduzione di una religione guotidiana, cauta ed amministrativa,
dall'altro. La forza tranquilla di questa religione quotidiana si basa su una
ontologia religiosa che altro non se non
l'elaborazione "colta" della tendenza del pensiero quotidiano alla
antropomorfizzazione: carattere teleologico del cosmo e dello sviluppo storico,
edificio antropocentrico del cosmo che, governato dall'onnipotenza di dio - il
quale la esercita teleologicamente -, fa della vita umana il centro
dell'universo. Secondo un'altra ottica (cfr. Ontologia, Il, p. 681),
l'"'intatto fascino che da quasi due millenni irradia dall'immagine della
personalit del Ges neotestamentario", e che ne fa appunto un caso unico
non ripetibile da "parusie sostitutive" (e ciclicamente ritornanti,
fino alla 21. 243 normalizzazione), sta nel fatto che "l'inconciliabilit
pratica fra la predicazione etico-umana e la vigente societ "diventa un
modello ed una forma originaria nella "lotta dell'umanit per la propria
genericit". Le due ottiche, a parere dello scrivente, presentano
differenze non irrilevanti: nel primo caso, si attiva, in modo tale da
richiamare pensatori ciclico-ripetitivi (da Alberoni a Kuhn), una serie di
meccanismi illusori di paruse ricorrenti destinate a fracassarsi contro gli
elementi "fissi e statici" della vita quotidiana, l'eterno ritorno
dell'illusione teleologica definitiva; nel secondo caso si valorizza in Cristo
un modello, esemplare ed irripetibile, di rapporto fra la singolarit e la
genericit dell'uomo. Con il termine "compromesso bellarminiano" Lukcs
allude alla posizione del cardinale cattolico Roberto Bellarmino, che era disposto
ad eccettare l'ipotesi copernicana come artificio gnoseologico, ma non come
realt 22: 23. 24. ontologico-naturale (posizione condivisa dal pastore
protestante Osiander, ma non da Galileo Galilei, che sub per questo il noto
processo). Lukcs enfatizza al massimo la portata di questo compromesso
bellarminiano, individuando in esso la radice genealogica dell'intera
gnoseologia contemporanea, fino a Kant e soprattutto al neo-kantismo, da Lukcs
particolarmente avversato. Lukcs non si fa per questo incantare da gran parte
della teologia contemporanea, ivi compreso quel settore (che Lukcs definirebbe
dotato di "conformismo non conformistico", cio di apparente
scandalosit che nasconde un'immanente tendenza di conciliazione segreta con il
sistema economico-sociale dominante) che parla di "morte di Dio",
oppure di "integrale demitizzazione". Lo scrivente d'accordo con Lukcs nel considerare come poco
seria tutta la produzione teologica incentrata su variazioni psicologistiche
alla Erich Fromm, e che cerca per la religione un confortevole cantuccio nei
centri di igiene mentale e di risarcimento risacralizzante artificioso,
previsto istituzionalmente per controbilanciare le nevrosi depressive per
eccesso di desacralizzazione e di secolarizzazione; non invece d'accordo con Lukcs quando
quest'ultimo mette anche Bloch nell'innocua compagnia dei terapisti
esistenziali travestiti da preti e da pastori. Le prime cento pagine della
monumentale Estetica lucacciana (trad. di Anna Marietti Solmi, Einaudi, 1970)
sono dedicate alla magistrale analisi (che serve di base all'interpretazione
dello scrivente) della genesi e dello sviluppo del processo di
disantropomorfizzazione scientifica e di riantropomorfizzazione filosofica. Ci
che Lukcs definisce "falsa disantropomorfizzazione" in sostanza ci che nel linguaggio dello
scrivente stato pi volte definito come
tendenza a costruire una "grande narrazione". Non c' qui traccia
dell'affascinante (e per integralmente antropomorfica) storia destinale della
filosofia occidentale fatta da Heidegger, e gi criticata nella terza parte di
questo saggio. Benedetto Croce (e si veda Francesco Valentini, La controriforma
della dialettica, Editori Riuniti, 1966) riattua temi filosofici tipici della
destra hegeliana, concependo la religione come filosofia degli incolti e la
filosofia come religione dei colti. Gramsci ed Althusser non sono, ovviamente,
"crociani", ma c' in loro la tendenza a separare nettamente senso
comune e consapevolezza colta, ideologia e scienza, fino a teorizzare 244 25
26. 24 necessariamente la scissione fra dirigenti e diretti sublimata in
scissione fra due forme di conoscenza aventi statuto qualitativamente
diseguale. In Lukcs invece sempre
esplicito che la teleologia e l'antropomorfizzazione passando dentro classici
del calibro di Aristotele ed Hegel, passano soprattutto anche nei cosiddetti
"moderni detentori del sapere marxista". Vi qui una non coincidenza fra il saggio dello
scrivente e l'Ontologia. Si. detto non
coincidenza, in quanto non vi alcuna
divergenza sulia questione teorica centrale: in Marx la forma filosofica del
discorso ontologico-sociale, nella
misura in cui Marx cerca di impostare in modo sistematicamente non teleologico
nodi concettuali teleologizzati da Aristotele e da Hegel, i suoi due pi grandi
predecessori. Per Lukcs Marx va "esattamente nel senso di Aristotele"
(cfr. Ontologia, II, p. 47) a proposito della trattazione del fondamento
ontologico del problema del lavoro, ovvero della "struttura ontologica
della posizione teleologica". In Lukcs l'apprezzamento di Aristotele molto diverso dall'atteggiamento di Heidegger
verso Aristotele. A causa del suo "dispositivo teleologico" (cui
si fatto cenno) Heidegger tende ad
enfatizzare la nozione di actualitas come esistenza, attuazione di una
potenzialit, realizzazione di un'essenza, momento di ulteriore approfondimento
della scelta platonica di far esistere l'Essere. Aristotele diventa cos una
tappa della metafisica occidentale, inserita nel dispositivo teleologico
heideggeriano. L'Aristotele di Lukcs
invece quello che nella Metafisica precisa che "ogni potenza nello stesso tempo potenza di due cose
contrarie, giacch, se da una parte ci che non ha la potenza di. esistere non pu
essere propriet di alcuna cosa, dall'altra parte tutto ci che ha la potenza di
esistere pu anche non passare all'atto. Quindi, ci che ha la potenza di essere
pu essere ed anche non essere; epper la medesima cosa potenza di essere e di non essere" (cfr.
Ontologia, Il, p. 41). A differenza della cosiddetta bouleusis (il "puro
volere", la decisione che si vuole fondativa), la proairesis aristotelica
pone-in-essere una cosa (che potrebbe anche non essere) "il cui principio
risiede in colui che la produce e non nell'oggetto prodotto", mentre il
puro volere nichilisticamente sradicato da ogni dimensione ontologica destinato a veder volatilizzarsi il proprio
scopo ed a veder diventare integralmente "estraneo" il proprio stesso
prodotto. Non si pu non pensare a tutti gli sgangherati "primati della prassi"
di quei marxismi novecenteschi in cui la prassi (di cui ci si riempie la
bocca) sistematicamente pensata come
assoluta, autofondativa, priva di dimensione ontologica. Un importante settore
del marxismo francese, di derivazione althusseriana, ha respinto Hegel in nome
di Spinoza proprio per sottolineare la presenzialit strutturale,
ontologicamente costitutiva, dei rapporti sociali, e per respingere la
dialettica "enfatica", teleologica, grande-narrativa. Si veda, per
tutti, Pierre Macherey, Hegel ou Spinoza, Maspero, 1979. A varere dello
scrivente, la "mobilitazione" di Spinoza contro Hegel giusta se essa limitata ad una "mossa teorica"
contro lo storicismo (che quasi sempre
una forma un po' sgangherata di hegelo-marxismo), mentre diventa sbagliata
quando, ignorando l'aspetto "non enfatico" delle determinazioni
riflessive hegeliane, respinge l'intera dialettica in nome del differenzialismo
(e si vedano gli scritti su Spinoza di Antonio Negri). 28. 29. 30. 31. 32: 245
Riassumiamo brevemente le ragioni che ci portano a valorizzare la ricostruzione
lucacciana di contro a quelle di Heidegger e di Bloch. Analogamente ad
Heidegger, Lukcs cerca di pensare sincronicamente il presente secondo un
dispositivo dialettico di inversione: guanto pi si pensa la realt sociale sotto
il dominio della categoria di attivit di un soggetto, tanto pi l'oggetto che
necessariamente gli si contrappone appare dominato da una (falsamente
ontologica) immodificabilit. A differenza di Heidegger, Lukcs non applica alla
storia del passato un dispositivo teleologico, ma radica la dialettica fra tendenze
disantropomorfizzanti e tendenze riantropomorfizzanti in una storia "a
molte uscite possibili", e quindi non storicisticamente unilinearizzata.
Qui vi , anche, la maggiore coincidenza fra Lukcs ed Ernst Bloch. A differenza
di Bloch, Lukcs non cerca unradicamento ontologico: della prassi nella
dialettica della natura, ma esclusivamente in uno sviluppo della nozione di
"lavoro" come modello e forma originaria. La commedia degli equivoci
ed il regno della confusione teorica di
solito intrattenuto dai "filosofi del lavoro" professionali. In
genere ignari della determinatezza delle categorie marxiane (che essi
pigramente ritengono oggetto specialistico per marxologi fanatici ed altri
talmudisti) essi confondono il piano metafisico della "essenza del lavoro
umano" con le forme fenomeniche di esistenza concreta di questo lavoro
stesso. In proposito l'umanesimo cristiano del lavoro si fonda spesso su di una
analogia antropomorfico-artificialistica con Dio, "fabbricante del mondo e
dell'uomo". In perfetto accordo con la concezione di Robinson Cruso, Dio
avrebbe dato il primo stock gratuitamente, il capitale iniziale da investire
(la natura, ovviamente), che si tratterebbe di "far fruttare" a sua
maggior gloria. Si rimanda ai numerosi studi di Gianfranco La Grassa. Gi in
Raniero Panzieri ovviamente presente
l'idea-forza che il processo di lavoro capitalistico non incorpora soltanto
modalit "tecniche" di produzione, ma contiene modalit socio-politiche
di dominio di classe. Questa idea-forza
giusta, ma purtroppo compromessa
da una concezione non-ontologica del rapporto di capitale, che appare come
qualcosa di "posto" dall'attivit operaia. Ci che in Panzieri ancora "tenuto sotto controllo" dal
suo sobrio istinto materialistico diventer puro idealismo soggettivo e
gentilianesimo operaio nelle versioni di Tronti e di Negri, pilastri della
catastrofica "ideologia italiana". Il "capitale" non infatti una posizione teleologica (nel senso
che pianificabile dai capitalisti),
ma una risultante impersonale, non
teleologica, di milioni di atti teleologici (in cui ovviamente anche la
casualit gioca un grande ruolo). Si consiglia il bel saggio di Vittoria Franco,
il lavoro come "forma originaria" nell'Ontologia di Lukcs, in Critica
Marxista, 3, 1977. La Franco mostra di saper cogliere l'essenziale della
questione. Afferma Lukcs (cfr. Ontologia, I, p. 10): "L'ontologia
religiosa sorge dunque per la via opposta a quella dell'ontologia
scientifico-filosofica: questa indaga la realt oggettiva per scoprire lo spazio
reale per la prassi reale (dal lavoro all'etica); quella muove dai bisogni di
un comportamento verso la vita, dai tentativi di dare un senso alla propria
vita da parte dei singoli uomini nella quotidianit e costruisce un immagine del
mondo che, 246 33. 34. 35 semmai, potrebbe costituire una garanzia di
appagamento per quei desideri che si fanno sentire nel bisogno religioso".
Cfr. Lukcs, Ontologia, II, p. 147. Non
un caso che Lukcs possa connotare le caratteristiche essenziali del
"lavoro" soltanto nella seconda parte sistematica dell'Ontologia,
dedicata alla "riproduzione". La "riproduzione"
(attenzione, non la "produzione", che
un'astrazione potenzialmente economicistica!) infatti il primo momento
ontologico-processuale concretamente esistente. Anche Marx (si veda
l'Ontologia, Il, p. 140) inizia la sua analisi della riproduzione sociale
capitalistica dalla merce (nella sua unit dialettica di valore d'uso e di
valore di scambio), anche se quest'ultima non pu essere assolutamente studiata
al di fuori del suo nesso essenziale con il processo di lavoro capitalistico.
Analogamente per Lukcs "il lavoro costituisce il punto di partenza
ontologicamente pi adatto per l'esposizione del discorso sull'essere sociale in
genere", mentre la riproduzione la
prima realt processuale ontologicamente concreta. Ci sta qui un complesso nodo
di problemi. Lo scrivente convinto che
senza una specifica armonia fra mondo animale e mondo umano non vi sar
comunismo alcuno, e che ogni tipo di manipolazione sistematica delle specie
animali (brutale e crudele, oppure sofisticata ed indolore") rimanda ad
una concezione filosofica storicistica ed anti-naturalistica che gli estranea. Tuttavia filosoficamente sempre l'uomo "sociale"
che decide come trattare gli animali, in modo sempre storicamente specifico.
L'amicizia fra uomini ed animali, sognata (giustamente) da ecologi, etologi - e
naturalisti, non potr mai essere un "ritorno alla natura", ma solo il
raggiungimento di uno scopo cosciente posto dall'uomo sociale sulla base della
irreversibile "modernit". Diversi sono ovviamente i problemi
filosofici dei paradigmi etologici e sociobiologistici. Per una buona
bibliografia si veda Continenza-Somenzi, L'Etologia, Loescher, 1979; ed anche
l'interessante saggio di Sergio Manghi, La sociobiologia e la critica
"marxista", in Quaderni Piacentini, 7, 1982. Si rimanda qui
all'utilissimo saggio di Amedeo Vigorelli, Il lavoro, il gioco e la festa,
contenuto in Metamorfosi, 7, Angeli, 1983. Vigorelli esamina prima la
collocazione filosofica del gioco all'interno del paradigma del lavoro in Marx,
e si sofferma poi sulla liberazione festiva del gioco in Michail Bachtin.
Vigorelli non cade nell'errore banal-sociologico di contrapporre polarmente
lavoro e gioco (contrapposizione polare che non esiste comunque nella realt storica
- il pioniere americano, stereotipo dell'homo faber capitalistico, lavora e
gioca hard), e neppure propone un "paradigma del gioco" come base
giocosa di una via divertente al socialismo. Ma finisce tuttavia con il
sostenere la tesi della funzione vicaria e servile del "gioco" in
Marx, e soprattutto in Lukcs (cui sembra contrapporre Bachtin, come colui che
seppe capire la funzione ontologica strategica del gioco per la ricomposizione
del corpo sociale diviso in classi). Vigorelli sembra mosso in prima istanza da
una carica polemica contro i paradigmi laburistico-autoritari del
"lavoro", che lo scrivente condivide entusiasticamente. La questione
mi sembra per un'altra: il lavoro produce livelli di irreversibilit ontologica,
sulla cui base si sviluppano in modo processualmente dialettico posizioni
teleologiche 36. 37. 38. 39. 247 coscienti; il gioco non sembra avere questa
caratteristica. Detto questo, nel comunismo lavoreremo indubbiamente di meno e
giocheremo indubbiamente di pi. Un argomento, questo, in favore del comunismo.
Vi qui la chiave teorica per comprendere
parte dello sbandamento filosofico avvenuto recentemente in Italia. Si pensi
alla "riscoperta del mistico" in Baget Bozzo e Cacciari, alle metafore
scientistiche ricavate da Thom e Prigogine di Marramao, fino al pendolarismo
teorico di Antonio Negri dai Grundrisse a Pannella. Tutto questo
irrazionalistico brancolare gira anche intorno al rifiuto di considerare la
prassi come qualcosa di ontologico-sociale, come una "determinazione riflessiva".
Penso a studiosi come Francesco Coppellotti, Gerardo Cunico, Laura Boella. , II
"lavoro" sembra a molti insufficiente per "fondare"
adeguatamente la prassi della trasformazione. Le stesse posizioni di Amedeo
Vigorelli (citate nella nota 35) fanno parte di questa costellazione teorica. I
"mutamenti di opinione" di Marx sono generalmente registrati nelle
biografie di Marx (da quella classica di Mehring a quella recente di Mac
Lellan), ma vengono raramente tematizzati in modo adeguato. Si veda S. Moore, Marx on the Choice between Socialism
and Communism, Harvard University Press, 1980. Effettivamente
in Marx vi la specifica , compresenza
fra due teorie qualitativamente diverse: secondo la prima, 40. socialismo e
comunismo sono da collocare in successione temporale sulla base del
"livello delle forze produttive" (se il livello basso, il comunismo ontologicamente impossibile e rimane
un'istanza utopica, vista l'incapacit antropologica dell'individuo borghese a produrre
secondo le capacit ed a limitare i bisogni facendo a meno del calcolo in
"tempo di lavoro reale"); seguendo la seconda, il comunismo un principio "superiore" (e non
solo temporalmente "successivo") al socialismo, perch si basa
sull'uomo nuovo, rinnovato, disinteressato, unito al genere, eccetera. Nel
libro di Guerraggio-Vidoni gi citato in precedenza sono invece documentate
dichiarazioni d'allarme di Marx sul "saccheggio" della natura da
parte della produzione borghese capitalistica, che stanno per in ambigua
compresenza con le lodi fatte a Ricardo come sostenitore della positivit della
produzione illimitata. Si veda A. Heller, Paradigma della produzione e
paradigma del lavoro, in Critica marxista, 4, 1981, ed anche il fascicolo
speciale di Aut-aut, 157-58, 1977, dedicato a L'ultimo Lukcs e la scuola di
Budapest. Sulla scuola di Budapest si veda anche l'ottimo saggio di Johann P.
Arnason, Prospettive e problemi del marxismo critico nell'Est europeo, in
Storia del Marxismo, IV, Einaudi, 1982. Le posizioni della Heller sono
sostanzialmente respinte da commentatori italiani come Vittoria Franco, Alberto
Scarponi e Guido Oldrini, mentre sono viste con maggior simpatia da altri
commentatori come Amedeo Vigorelli e Laura Boella. Lo scrivente condivide le
"finalit etico-politiche" della scuola di Budapest, tendenti ad una
democratizzazione radicale delle societ dell'Est europeo, mentre decisamente avverso sul piano filosofico a
tutte le fondazioni "bisognistiche" del socialismo ed in particolare
alla consapevole stroncatura della Heller della Ontologia dell'Essere Sociale.
La Heller ovviamente in lotta contro
ogni filosofia della manipolazione ed ogni "dittatura 248 41. 42. 43. 44,
45. burocratica sui bisogni" (e si veda anche Mihly Vajida, Sistemi
sociali oltre Marx, Feltrinelli, 1980); il modo migliore di legittimare
filosoficamente questa giusta istanza politica non pu per fondarsi
sull'abbandono delle valenze ontologico-sociali della filosofia marxiana in
direzione di modellistiche ideal-tipiche di antropologia filosofica.
L'antropologia filosofica pu qui utilizzare i risultati degli etnologi e degli
antropologi (si veda Maria Arioti, Produzione e riproduzione nelle societ di
caccia-raccolta, Loescher, 1980). I miti ed i riti, femminili e maschili, fanno
ontologicamente parte di queste societ come la crisi economica fa parte del
capitalismo. L'ipotesi del "selvaggio illuminista" non corrisponde
affatto, come noto, alle realt storiche
osservate dagli antropologi. La successione (ovviamente non unilineare e non
predeterminata) dei modi di produzione non
una filosofia della storia "mascherata", ma solo il quadro
ontologico che stabilisce livelli di irreversibilit specifici a partire dai
quali si aprono costellazioni di possibilit nuove. Ed appunto il lavoro (e non il gioco) che
determina questi livelli di irreversibilit storica. Si veda G. Bateson, Verso
un'ecologia della mente, Adelphi, Milano, 1976, e le voci Comunicazione ed
Informazione di A. Wilden sulla Enciclopedia, Einaudi. Come stato osservato da molti commentatori (fra
gli altri Michele Cangiani ed Augusto Illuminati) in Bateson la riconduzione
del dominio progettante alla separazione cartesiana fra res extensa e res
cogitans assai notevole, la critica
dell'umanesimo ben pi circostanziata e
persuasiva di quelle parallele di Heidegger e Foucault, e vi in pi la messa in guardia contro ogni
ideologia dell'umanit associata in una sorta di guerra di conquista verso
l'ambiente naturale. I risultati teorico-politici raggiunti da Bateson (forse
il punto pi alto del pensiero ecologico contemporaneo) devono essere, secondo
lo scrivente, collocati interamente in una forma filosofica del discorso di
tipo ontologico-sociale: la stessa concreta possibilit di inversione di
tendenza di un rapporto squilibrato uomo-natura non pu che basarsi sul gi
raggiunto livello di "arretramento della barriera naturale". ll
termine "barriera" certo
odiosamente meccanicistico (evoca l'immagine di qualcosa che si
"sposta"). E' chiaro tuttavia che la stessa mondializzazione del
problema ecologico ed il fatto che l'umanit abbia almeno la possibilit astratta
di porsi il problema del rapporto con la natura a livello "mondiale"
sono fatti resi possibili dal nuovo terreno ontologico-sociale contemporaneo,
qualitativamente diverso dal paleolitico e dal neolitico, da cui ci separano le
soglie di irreversibilit temporale che il lavoro ha via via prodotto. Si vedano
comunque, nell'Ontologia, le osservazioni di Lukcs sulla giornata lavorativa e
sul "tempo libero", a p. 509 ssg., ed a p. 777 ssg. Ancora una volta,
lo scrivente richiama l'attenzione sul fatto che il "contesto
rilevante" in cui Lukcs parla di "lavoro" nell'Ontologia
non lo stesso di Aristotele e di
Hartmann. In un periodo come questo, in cui tutti parlano di Wittgenstein e di
"giochi linguistici", questo vorr pur dire qualcosa. E' su questa
base almeno che lo scrivente ha ritenuto di poter imparare un po' di filosofia
materialistica sia da Lukcs che da Althusser (indipendentemente dalle
stucchevoli ed inutilizzabili distinzioni fra chi 249 per e chi
contro Hegel). In entrambi, infatti, la totalit processuale e non n "presupposta" n
"espressiva". 46. Si veda L'Ontologia, II, p. 451. 47. Fra questi
storici marxisti citiamo, alla rinfusa, Vilar, Topolski, Perry Anderson (cfr.
Dall'antichit al feudalesimo, Mondadori, 1978). Il problema sempre quello di acquisire la capacit di
"conoscere la storia e non di riconoscerla", come scrisse Maurice
Godelier. Una volta concepito il presente come storia in perenne fase di
strutturazione - scrisse Alfred Schmidt nel 1975 - non l'arbitrio dello storico, ma la situazione
storica a decidere di ci che viene alla ribalta e di ci che rimane pi sullo
sfondo. 48. Si veda l'Ontologia, p. 148. La storia deli'alimentazione non d'altronde una mra ,"moda"
snobistico-annalistica, ma una componente
storico-sociale dell'evoluzione dell'uomo. Essa ha superato anche la difficile
soglia della manualistica scolastica (cfr. Scipione Guarracino, Storia dell'Et
medioevale e moderna, Bruno Mondadori). 49. Si veda l'Ontologia, II, p. 149.
Contro le falsificazioni (di tipo sia maschilistico che femministico) sulla
"differenza ontologica" (di tipo cio astorico-originario) fra uomo e
donna si veda Ida Magli, Matriarcato e potere delle donne, Feltrinelli, 1978,
ed anche Eva Cantarella, L'ambiguo malanno, Editori Riuniti, 1981.
Considerazioni acutissime sulla "sociopsicologia dell'attuale guerra fra i
sessi" sono fatte da Christopher Lasch, La cultura del narcisismo,
Bompiani, 1981, pp. 209-229. Inutile aggiungere che non esiste affatto un
conflitto metafisico fra "uomo" (spontaneamente orientato alla
dialettica ed al dominio sado-masochistico) e "donna" (spontaneamente
orientata al differenzialismo antidialettico ed alla tenerezza polimorfa), ma
esistono, da un lato, tensioni fra i sessi che solo una indesiderabile
"utopia androgina" (Lasch, p. 229) potrebbe "annullare", e,
dall'altro, un insanabile conflitto teorico-filosofico fra uomini e donne
dialettici e uomini e donne differenzialistici. 50. Una sintesi della posizione
lucacciana sul linguaggio si ha nell'Ontologia, II, pp. 187-205 e p. 388 ssg. A
proposito di Habermas si vedano le note 9 e 11 della terza parte e la nota 25
della quarta parte. Habermas parte da due istanze teoriche del tutto
condividibili: in primo luogo, afferma che "il progresso delle forze
produttive ha portato ad una scomposizione altamente differenziata dei processi
lavorativi... ma il potenziale cognitivo che
penetrato in questa socializzazione della produzione non ha alcuna
affinit strutturale con quella coscienza pratico-morale che pu sorreggere i
movimenti sociali che premono per un rivoluzionamento della societ borghese.
Perci il progresso dell'industria non pone affatto al posto dell'isolamento
degli operai, come afferma il movimento comunista, la loro associazione
rivoluzionaria, ma solo una nuova organizzazione del lavoro al posto delia
vecchia" (cfr. Per la ricostruzione del materialismo storico, p. 120); in
secondo luogo, Habermas non crede affatto che il semplice sviluppo del
linguaggio senza barriere sia gi di per s realizzazione del regno della libert
(in presenza della produzione capitalistica), ma ritiene che, nella relazione
tra l'elemento "materiale" del bisogno e l'elemento
"ideale" del linguaggio, si costituiscono i presupposti della
competenza comunicativa universale avente come possibile oggetto la critica
materiale 250 del dominio. Habermas ha certo una grande considerazione per ii
"momento ideale" nell'economia. Il "lavoro" non per, come ritiene Habermas, una modalit
ideal-tipica della produzione in generale, dispendio di attivit umana ed agire
strumentale conforme a regole tecniche di previsione (per una critica a questa
"riduzione positivistica della nozione di lavoro" si veda tutta
un'ampia letteratura secondaria, da Krahl alla Heller, da Gozzi a Ferraro a
Marzocchi, eccetera), ma una forma
originaria dell'agire che produce soglie ontologiche irreversibili, e dunque
anche diversi livelli specifici di "interazione sociale". Il
"momento ideale" dell'interazione sociale non pu essere dunque
isolato dal processo di produzione, il cui mutamento rivoluzionario non si
lascia "ridurre" alle modalit linguistiche dell'allargamento della
competenza comunicativa. Habermas segue per un'altra via, e ci si permetta in
proposito una piccola testimonianza personale. Avendo lo scrivente chiesto ad
Habermas alcune precisazioni di dettaglio sulla differenza fra il suo progetto
ricostruttivo del marxismo ed il progetto ontologico lucacciano (in occasione
di un seminario filosofico tenuto in Italia nel settembre 1983), Habermas ha
cortesemente risposto di non poterle dare, non avendo letto per nulla
l'Ontologia. Si tratta di un'affermazione assolutamente sintomatica, data
l'indiscutibile statura intellettuale e morale della persona. 51. Ci si intenda
bene. Non si vuole certo sostenere che l'"'essenza" della lingua
inglese di tipo empiristico ed
operazionistico, mentre, poniamo, il francese ha in s la finesse mentre il
tedesco sarebbe "filosoficamente profondo". Come tutti sanno,
l'inglese la lingua di Blake e di
Virginia Wolf, di Poe e di Shakespeare. Si allude qui a quella sorta di basic
english, che sta diventando una lingua "universale" senza portare con
s alcun fall out culturale di tipo realmente universalistico (come era il caso
del greco nell'antichit classica, che si portava dietro la tragedia, l'epica,
la filosofia, insieme con alcune altre bagattelle), e dell'inglese come medium
dell'universalismo capitalistico americano, che si presenta come il
"destino fatale" dell'umanit nel Duemila. In proposito lo scrivente
preferisce di gran lunga lo sciovinismo europeistico del mitterandismo francese
(che cerca giustamente di "difendere" la lingua e la cultura
francofona) al ruere in servitium di gran parte dell'intellighentia italiana
affascinata dall'altezza dei grattacieli di Manhattan. 52. Con questo, si
intende soprattutto dire due cose. In primo luogo, pensatori come Wittgenstein
e Habermas restano "epocali" (si condividano o meno le loro tesi)
proprio in quanto individuano nel "linguaggio" un complesso
strategico per la definizione dell'agire sociale contemporaneo (che "linguistico" in un senso
ontologicamente specifico e differenziato dall'agire sociale schiavistico o
feudale). In secondo luogo, la riflessione ontologica sul linguaggio resa oggi pressoch impossibile dalle nefaste
influenze del riduzionismo sociobiologistico, da un lato, e della
derealizzazione post-moderna del mondo, che tende a ridurre i rapporti sociali
a "scambio simbolico" (si veda Baudrillard e Lyotard, ma anche le
riviste italiane Aut-aut ed Alfabeta, fortemente colonizzate da questa tendenza
derealizzante ed antimaterialistica). 53. Per le considerazioni lucacciane sul
diritto si veda Storia e Coscienza di 54. DOS 251 Classe, Sugar, 1968, pp.
135-43, e si veda l'Ontologia, II, pp. 205-24 e pp. 478-82. L'illusione
giuridica particolarmente presente negli
scritti "teorici" della scuola italiana cosiddetta dei neo-garantisti
(Ferrajoli, in particolar modo). In generale i "garantisti"
individuano nel diritto pubblico ed in quello penale i "punti-chiave"
della riproduzione sociale borghese complessiva. E' in realt il diritto privato
il luogo fondamentale della "formalizzazione astratta" del dominio
capitalistico (cfr. Ettore Gliozzi, Dalla propriet all'impresa, Angeli, 1981).
E' per questo che non si pu in genere avere alcuna "comprensione" di
tipo populistico o terzomondistico per i "ritorni" al diritto
islamico di un Khomeiny o di uno Zia Ul Haq. Tagli delle mani, lapidazioni,
trasfusioni forzate per i condannati a morte, eccetera, non sono solo
"atrocit" imperdonabili, ma veri e propri "ritorni indietro"
nei confronti della soglia di irreversibilit borghese del diritto. Un discorso
filosofico del genere deve essere fatto anche contro la tortura, ed in generale
anche contro la pena di morte. Nella stessa ottica deve essere difeso
l'irreversibile diritto della donna a decidere se abortire oppure no. Poich
anche la depenalizzazione dei "reati" non qualcosa di puramente casuale o
convenzionalistico, ma presenta soglie ontologiche di irreversibilit, la
"difesa della vita" oppure la "politica demografica di
natalit" non pu comunque essere fatta in alcun caso ri-penalizzando il
"reato" di aborto. Dis 57. Si veda Ontologia, II, p. 728. Ovviamente,
la violenza non presente soltanto in
periodi particolari (come l'accumulazione originaria), e non neppure sufficiente rilevare che la violenza
(sotto forma di guerre e di spese per gli armamenti) un fattore strutturale di
"soluzione" delle crisi capitalistiche. La violenza in realt una forma d'esistenza necessaria
delle categorie economiche, finch almeno queste ultime abbiano come
"base" una divisione antagonistica del lavoro ed una distribuzione
inegualitaria del consumo. L'economista che agita la pipa-totem per legittimare
"scientificamente" l'eternit della produzione capitalistica e la
"giustezza" della distribuzione inegualitaria del prodotto ovviamente quasi sempre una fastidiosa
macchietta inconsapevole dello "statuto epistemologico" della propria
disciplina (in compagnia con gli sciamani esquimesi e gli aruspici etruschi,
anche se spesso molto meno attendibile). Le eccezioni sono per numerosissime.
Citiamo qui Gunnar Myrdal (cfr. L'obiettivit nelle scienze sociali, Einaudi,
1973) e Joan Robinson. Della Robinson si vedano i numerosi scritti sulla teoria
dello sviluppo e sulla filosofia economica. In Omaggio a Joan Robinson (cfr.
Politica ed economia, 9, settembre 1983) Domenico Mario Nuti ricorda le lezioni
della Robinson "agli studenti del primo anno, che ascoltavano un po'
sgomenti le critiche serrate ad un corpo di dottrine che non avevano ancora
imparate" e l'atteggiamento sempre pi scettico e pessimistico su di una
"scienza" che contribuisce attivamente alla creazione di
disoccupazione e racconta le favole delle "aspettative razionali". Un
interessante sintomo teorico della fine dell'illusione nell'unicit
"scientifica" della teoria economica sta nel fatto che il miglior
manuale per l'insegnamento dell'economia nella scuola secondaria (cfr.
Bianchi-Campanella, Economia politica, Hoepli, 1983) sia 252 giunto al totale
abbandono della finzione di una teoria economica, ed alla esplicita trattazione
sistematica delle grandezze macro- e micro-economiche secondo quattro teorie
alternative: classica e sraffiana, neo-classica e marginalistica, keynesiana e
marxista. 58. Si veda l'Ontologia, II, p. 341 e pp. 362-64. 59. Si veda G.
Lukcs, L'uomo e la rivoluzione, Ed. Riuniti,. 1973, pp. 35-36 ed ancora p. 24
ssg. 60. Si veda Lukcs, Ontologia, II, p. 337 ed ancora pp. 335-51. 61. Si veda
l'ottimo lavoro di E. lilienkov, Logica dialettica, Mosca, Progress, 1978, in
cui la trattazione del "momento ideale" forse ancor pi completa ed esauriente che
nell'Ontologia. Lo scrivente non un
esperto di filosofia sovietica, e non in
grado di giudicare adeguatamente Ilienkov. Tuttavia, Logica dialettica sembra
un piccolo capolavoro teorico, ricco di informazione e di equilibrio, che non
sembra avere nulla in comune con le enciclopedie ideologiche del Diamat. La
sottolineatura che Ilienkov fa dell'ideal'noe (momento ideale) appare anzi
l'embrione di una implicita polemica con il "materialismo dialettico"
come scolastica statuale. 62. In Spinoza, per esempio, un circolo pu essere
definito come una "figura .in cui le linee tracciate dal centro alla
circonferenza sono eguali". Tuttavia guesta definizione "non esprime
affatto l'essenza del circolo, ma soltanto una certa sua propriet", e per
giunta una propriet derivata, secondaria. Altro
quando la definizione racchiuder in s "la causa pi prossima della
cosa". Allora il circolo deve essere definito nel modo seguente:" ...
la figura descritta da una certa linea, un capo della quale fisso e l'altro mobile". Quest'ultima definizione offre
il modo di costruire una cosa nello spazio reale. Qui la definizione nominale
nasce insieme con l'azione reale del corpo pensante nel contorno spaziale
dell'oggetto dell'idea. In tal caso l'uomo possiede anche l'idea adeguata, e
non soltanto segni, espressi in parole. E questa la concezione materialistica della natura
dell'ideale. L'ideale esiste laddove si ha la facolt di ricostituire l'oggetto
nello spazio, servendosi della parola, del linguaggio, in combinazione con il
bisogno dell'oggetto, pi la sicurezza materiale dell'atto della creazione (cfr.
Ilienkov, op. cit., pp. 268-69). 63. Si veda Lukcs, Ontologia, II, p. 337. .64.
Si veda Gian Carlo Jocteau, Leggere Gramsci, Feltrinelli, 1975. 65. Si veda Mao
Tsetung, Discorsi inediti, Mondadori, 1975, e soprattutto Su Stalin e
sull'URSS, Einaudi, 1975. Tuttavia, neppure i sinologi specializzati sono per
ora in grado di spiegare fino a che punto Mao condividesse i contenuti
politico-culturali delle "campagne" che la sinistra cinese faceva a
suo nome (contro Confucio e Lin Piao, contro il diritto borghese nel
socialismo, sulla dittatura del proletariato, eccetera). In gueste
"campagne" (per quanto dato
giudicare studiando le centinaia di articoli teorici pubblicati in francese ed
in inglese in quegli anni) si faceva uso di "elementi" del pensiero
marxista (come la Critica al Programma di Gotha) effettivamente incompatibili
con la sistematizzazione scolastica del marxismo-leninismo staliniano.
Importanti sono anche gli scritti dell'unica vera "mente teorica"
della cosiddetta "banda dei quattro", Chang Chunchiao (cfr. Vento
dell'Est, 38, 1975). 66. 67. 68. 69. 70. dl 12: : 253 Si veda Lukcs, Ontologia,
II, pp. 452 e 727 ssg. Per la critica di Lukcs ad Engels si veda l'Ontologia,
!I,. pp. 460-64. Engels distingue fra le stupidit antropomorfiche primitive, di
tipo animistico, che servono da base alla produzione ideologica delle societ
precapitalistiche, ed ideologie di tipo pi moderno (e fa l'esempio del
socialismo ricardiano inglese) le quali, pur essendo scientificamente inesatte,
permettono la presa di coscienza antagonistica della classe subalterna dei
salariati nel capitalismo. Lukcs non ama giustamente il termine
"stupidit", che ci farebbe assumere di fronte al passato un
atteggiamento razionalistico-astratto. Non si vede infatti perch l'annuncio di
Ges del prossimo avvento dell'anno di misericordia del Signore, il movimento
donatista del tardo Impero Romano, l'annuncio di Gioacchino da Fiore delle tre
Et, eccetera, debbano essere pi "stupidi" della teoria della
distribuzione secondo il "lavoro" tipica del socialismo ricardiano o
della teoria keynesiana delle aspettative razionali dei produttori e dei
consumatori. Storicamente, sono semmai molto pi "stupidi" questi
ultimi, dal momento che vi la possibilit
ontologica di una spiegazione assai pi dialettica e complessiva della
processualit sociale e delle sue tendenze contraddittorie (si sta qui ovviamente
scherzando). Per un approfondimento bibliografico e teorico di queste questioni
si veda Ferruccio Rossi-Landi, Ideologia, Isedi, 1978. Lo scrivente non
condivide comunque la tendenza alla riduzione massiccia del problema filosofico
dell'ideologia alla semiotica ed alla ossessiva sottolineatura del
"carattere intensamente linguistico dell'ideologia", presente nella
pur notevole sintesi di Rossi-Landi. Vi
qui un nodo di problemi che non possono essere affrontati adeguatamente
in questa sede (in sintesi: il complesso rapporto fra linguistica ed ontologia
sociale). Lo scrivente condivide pertanto nell'essenziale il giudizio
filosofico di Ludovico Geymonat (cfr. Riflessioni critiche su Kuhn e Popper,
Dedalo, 1983). In comune vi ovviamente
il culto filosofico della "superficie" e la contrapposizione alla
dialettica del vecchio detto simplex sigillum veri.La sostanziale solidariet
antitetico-polare fra Popper e Colletti, da un lato, e gli irresponsabili
differenzialisti post-moderni, dall'altro,
occultata da fattori secondari di stile, scrittura, e "destinatari
sociali". Si veda Lukcs, Ontologia, II, p. 554. Lo scrivente ritiene la
posizione lucacciana, filosoficamente ferma sulla inseparabilit ontologica di
fondo fra scienza ed ideologia, superiore non soltanto al folklore italiano di
cui esponente oggi Lucio Colletti (in
cui la metafisica a base gnoseologica assume aspetti allegramente romaneschi),
ma anche alle ben pi nobili, ma altrettanto sterili, posizioni
"separatorie" di Galvano Della Volpe e di Louis Althusser. Si veda
Lukcs, Ontologia, II, pp. 541-50. Si tratta di dieci pagine circa, che
meriterebbero di essere analizzate in dettaglio, cosa impossibile qui per
ragioni di spazio. Lukcs rileva che mentre nella realt "le cose giuste
possono essere dette con estrema veemenza e quelle sbagliate con
l'atteggiamento della pi sovrana imparzialit", con l'esigenza della
avalutativit si vuole in generale tranquillizzare una coscienza
professionale", quella dello studioso in quanto studioso. Tuttavia, con la
254 #3 74, 75, 76. sincera intenzione soggettiva di non dare giudizi di valore
si pu soltanto stabilire se il soggetto intende o no oggettivare una ideologia,
il che a sua volta non ha nulla da vedere con il fatto che quanto viene
oggettivato funzioni oggettivamente - volutamente o no - da ideologia. Del
resto, in Max Weber l'intenzione avalutativa, soggettivamente perseguita con
estrema onest intellettuale, sfocia nella costruzione della teoria
ultraideologica della gabbia d'acciaio, metafisica dell'intrascendibilit
assoluta del capitalismo costruita con materiali gnoseologici raffinatissimi.
La pi recente formulazione di questa nota distinzione pu essere letta in un
saggio di Gabriele Giannantoni in Rinascita, 39, ottobre 1983. Giannantoni
aggiunge anche la propria "convinzione filosofica personale",
l'essere cio Gramsci il punto pi alto della tradizione marxista in Occidente.
La questione non tuttavia quella del
cortese pluralismo delle opinioni filosofiche presenti nel "ceto dei
colti", ma potrebbe essere formulata prowisoriamente cos: quale concezione
ideologica esplicita sta alla base di quelle particolari posizioni teleologiche
che si chiamano compromesso storico, alternativa democratica, alternativa di
sinistra, e via pluralisticamente cambiando (di linea politica)? Con questo non
si vuole certo intendere che la forma filosofica del discorso di tipo
ontologico-sociale deve diventare il "presupposto teorico" per il
raddrizzamento culturale ed ideologico del PCI. E' anzi vero in un certo senso
il contrario. Lo scrivente ritiene che soltanto nell'eventualit (al presente
del tutto improbabile) che gli agenti sociali presenti ed organizzati nel PCI
comincino a porre posizioni teleologiche coerenti in grado di dar luogo a
legalit sociali sensate un discorso di tipo ontologico-sociale pu iniziare in
Italia ad aver quella che si chiama nel brutto linguaggio delle scienze sociali
una 'committenza". Le rovine provocate nello scorso decennio dal
decisionismo degli "operaisti" e dal disastro ideologico-sociale
delle cosiddette "regioni rosse" sono infatti di tale portata da
rendere improbabile un rinnovamento interno di questo partito. Lo scrivente
condivide infatti la posizione teorica (ben presente anche nel PCI) secondo la
quale senza democrazia rappresentativa non c' democrazia alcuna. Questo resta
per una sorta di postulato astratto-formale, valido solamente in negativo come
rifiuto esplicito della cosiddetta "democrazia popolare" dei paesi
dell'Est europeo. In positivo occorre uno studio sul meccanismo concreto di
funzionamento delle forme della rappresentanza, che oggi riproducono la societ
capitalistica in modo generalmente pi mafioso e criminale di un tempo. Anche la
democrazia, come il lavoro, in fondo un
atto teleologico, non certo nel senso che essa debba estinguersi alla fine del
processo sostituita dall'olismo organicistico del genere-per-s, ma nel senso
che essa vive concretamente solo come insieme di posizioni teleologiche degli
agenti sociali a partire dalia situazione ontologica di estraneazione. La
filosofia di tipo neo-garantista ed anti-dialettico, diffusa in Italia, ritiene
invece che la "rappresentanza" sia una sorta di forma pura, irrelata,
di individui atomicamente isolati che si incontrano nella "societ
civile". Si veda Lukcs, Ontologia, Il, pp. 559-60 e pp. 585-86. Ogni
interpretazione psicologistica,. o filosoficamente esistenzialistica, della 295
"estraneazione", rende letteralmente impossibile l'uso di questa
categoria. 77. Si veda Lukcs, Ontologia, Il, pp. 562-70. 78. Per l'ennesima
volta insistiamo sul fatto che questa concreta processualit non pu avere un
carattere grande-narrativo (non esiste infatti un unico soggetto titolare del
"senso ultimo" della totalit processuale) e neppure
deterministico-naturalistico (il "progresso" non contiene in s alcuna
finalizzazione tendente alla "conciliazione" fra capacit e
personalit, n tantomeno l'aumento delle capacit "determina" lo
sviluppo della personalit - si veda la citazione di Wright Mills a p. 563). 79.
Sulla dialettica del pensiero borghese si veda l'Ontologia, II, pp. 741-42; sui
due estremi polari del pensiero "socialista" si veda invece a p. 757
ssg. I riformisti accettano realisticamente la struttura ontologica della
qubtidianit capitalistica, finch le tendenze estranianti li pervadono fino al
midollo (si veda la nota 74); gli estremisti sono quasi sempre incapaci di
trasformare l'anticapitalismo in una "passione durevole" a causa del
loro atteggiamento ultrasoggettivistico e radicalmente anti-ontologico verso
l'essere sociale. 80. Sulla priorit della prassi (che, ovviamente, non ha nulla
a che fare con il soggettivismo anti-ontologico delle cosiddette
"filosofie della prassi") e sulla spontaneit come embrione della
coscienza (che, ovviamente, non ha nulla a che fare con la feticizzazione
estremistica della spontaneit della rude razza pagana) si veda Lukcs,
Ontoliogia, II, pp. 732-38. 81. Si veda in proposito la magistrale analisi del
capolavoro di Tolstoj La morte di Ivan Ilic, in Ontologia, IH, pp. 751-52. Gli
esempi tratti dalia storia della letteratura sono per troppo numerosi per
essere citati tutti. Basti dire che vi
qui la "prova provata" della continuit profonda fra l'Estetica
e l'Ontologia, che appartengono entrambe alio stesso complesso
teorico-problematico. 82. Si veda Lukcs, Ontologia, II, pp. 731-32. La citazione
tratta da Engels nel suo Antiduhring un
capolavoro di acutezza e di preveggenza. 83. Si veda Lukcs, Ontologia, II, p.
754 ssg. Si tratta di una constatazione assai lucida, che non permette
l'attribuzione a Lukcs di una sorta di "ottimismo storico". E' questa
invece l'opinione di Cesare Cases (cfr. L'uomo buono, nei volume a pi voci a
cura di Guido Oldrini "Il marxismo della maturit" di Lukcs, Napoli,
Prismi, 1983). Lo scrivente, che ha imparato moltissimo dalla superiore
pazienza, amabilit ed amicizia di Cesare Cases, non pu assolutamente seguirlo
su questo punto. 84. Si veda Lukcs, Ontologia, II, p. 760. In questa densissima
pagina sono contenuti gli elementi filosofici minimi per sviluppare
ontologicamente una adeguata metafisica della giovent". Gi Hegel aveva a
suo tempo filosoficamente letto il passaggio ontologicamente irreversibile
dalla giovinezza alla maturit come rinuncia alla realizzazione totale di s
dell'individuo nel mondo in favore della determinatezza della attivit
lavorativa inevitabilmente specializzata, da accompagnarsi al riconoscimento
nella coscienza morale della razionalit del reale. Lukcs accetta
nell'essenziale la soglia hegeliana dell'irreversibilit fra giovinezza e
maturit, ma non ne assolutizza esteticamente il carattere "tragico"
(come vorrebbero gli interpreti benjaminiano-irrazionalistici. che si sono
letteralmente "gettati" sul giovane Lukcs del tempo del suo amore per
256 86. Irma Seidler). Al contrario, il solo modo "razionale" di
accettare la tragicit immanente a questa soglia di irreversibilit la dialettizzazione fra capacit
(specializzata) e personalit (generale-per-s). In direzione contraria va la
feticizzazione atemporalistica ed aprocessuale della giovent come nunc aeternum
(mentre la filosofia classica tedesca parlava pi correttamente di Verjungen, di
"ringiovanimento" dell'umanit), che non pu strutturalmente dar Juogo
ac alcuna "passione durevole". Si veda Lukcs, Ontologia, HI, p. 715.
La scelta di Goethe particolarnierte
felice, in guanto quest'ultimo unisce elementi illuministici (pensiamo al Kant
che definisce l'illuminismo l'uscita dell'uomo da uno stato di minorit che
l'uomo deve imputare a se stesso) ed elementi romantici ed
idealistico-oggettivi, che gli permettono di dialettizzare uomo, natura e societ.
La teorizzazione goethiana degli elementi "inconsci" dell'agire umano
permette di evitare l'atteggiamento razionalisticamente unilaterale, che
concepisce le posizioni teleologiche come "poste" in perfetta
coscienza. Si veda Lukcs, Ontologia, II, p. 718. La valorizzazione lucacciana
di Spinoza (e si vedano le note di Scarponi in Pensiero Vissuto, cit., p.
230) dovuta al fatto che per Lukcs il
superamento "pratico" della particolarit
(nell''"individuo") implica l'immanenza terrena e quindi rifiuta la
religione, la. quale, rimandando all'aldil tale superamento pratico, tende a
mantenere gli uomini nella condizione di "persone particolari".
Spinoza . d'altronde sempre interpretato
in Lukcs come un filosofo dell'assoluta 87. 88. immanenza e di fatto come un "dialettico
spontaneo". Ad esempio Fichte, nei Lineamenti dell'epoca presente aveva
diviso la storia del mondo in cinque epoche: la prima, quella dell'innocenza
del genere umano, era guidata dall'istinto; la seconda, quella della
"incipiente peccaminosit", era dominata dall'autorit coercitiva e
dalla fede assoluta; la terza, quella della "compiuta peccaminosit",
caratterizzata dall'assenza di ogni autorit e dall'indifferenza verso la verit;
vi erano poi ancora la quarta e la quinta, le epoche della scienza e dell'arte,
in cui l'umanit avrebbe progressivamente superato l'estraneazione. Il giovane
Lukcs, nel dialogo giovanile Sulla povert dello spirito aveva diviso gli uomini
in tre "caste spirituali", quella della vita ordinaria e quotidiana
(che si perde nella molteplicit inessenziale della vile infinit della vita),
quella dell'opera (che si concentra in modo omogeneo alla realizzazione, e
che appunto caratterizzata dalla
"povert dello spirito"), ed infine quella della vita vera ed
autentica (dotata di bont selvaggia e spietata, cieca ed avventuriera). In
proposito da notare che tutta la
svariata casistica filosofica delle epoche e delle caste deve essere intesa
come una fase "preparatoria" alla comprensione dialettico-processuale
della personalit in divenire. Quest'ultima, per, non conosce n caste (superiori
o inferiori), n epoche di "coronamento". La processualit conosce
infatti posizioni teleologiche, ma non contempla "stadi finali" e
conclusivi del movimento storico. Si tratta di un nodo di problemi di grande
importanza filosofica. La specifica dialettica storica fra reversibilit ed
irreversibilit non pu essere ovviamente irrigidita in un formulario meccanico.
Tuttavia, la "situazione" del singolo nella congiuntura storica
determinata non mai una 89. 90. SL 92:
93. 94. 257 manifestazione della condition humaine, ma sempre in rapporto con il modo concreto con
cui la particolarit dell'individuo lotta per la generalit-per-s dell'uomo.
Nelle societ precapitalistiche questa lotta si svolgeva ovviamente al di qua di
soglie ontologico-sociali realmente generali-astratte. Pensiamo ai Gracchi o
alla resistenza dei repubblicani romani contro il cesarismo: nel linguaggio
dell'antico poeta latino Lucano il dilemma fra valori soggettivi e necessit
storica si espresse nel verso Victrix causa diis placuit, sed victa Catoni (cfr.
Ontologia, I, p. 93). Pu succedere anche (cfr. Ontologia, II, p. 759) che
"la dedizione a una causa di progresso pu assumere negli individui che la
difendono forme umanamente estraniate e, all'inverso, nelia difesa di ci che socialmente nocivo pu aversi in s, anche se
in via eccezionale, una condotta soggettiva umanamente pura". Il fatto che
il "momento sociale" sia soverchiante, ma non esclusivo, dovuto ontologicamente ad una modalit assai
precisa: l'individuo non mai coestensivo
al genere, la processualit individuale non
mai coestensiva alla processualit storica. Si veda Lukcs, Ontologia, II,
pp. 352-54. Si veda gi la nota 38 della prima parte di questo scritto. Parlando
di Marx, lo scrivente ha volutamente evitato di approfondire il tema della
dialettica fra particolarit e generalit, ritenendo filologicamente opportuno di
"dare a Lukcs quello che di
Lukcs". Ripetiamo tuttavia che l'impostazione lucacciana ci sembra del
tutto affine a quella di Marx, la cui filosofia abbiamo gi definito come solidamente
ontologico-sociale. Si veda Lukcs, Ontologia, II, p. 744 e p. 584. Per la
seconda definizione si veda G. Lukcs, Marxismo e politica culturale, Il
Saggiatore, 1972, p. 211. In proposito, Lukcs ricorda argutamente come William
James iniziasse le sue lezioni sul pragmatismo con una citazione di Chesterton,
il cui contenuto approvava senza riserve. Diceva Chesterton: "Vi sono
individui - ed io tra questi - che ritengono che per un uomo la cosa
praticamente pi importante sia la sua concezione del mondo. Per un
affittacamere che esamina il suo inquilino
certo molto importante conoscere le entrate di costui, ma ancora pi
importante conoscere la sua
filosofia". Secondo Lukcs, "se si sviluppa fino in fondo questo
pensiero, si giunge a scoprire nelle azioni di ciascun uomo un particolare
nesso sistematico che, da un lato,
determinato dal suo essere sociale, e dall'altro, conferisce a tutte le
sue azioni immediate una unit di cui spesso egli stesso non consapevole, o ne ha una consapevolezza
fallace". Detto questo, se allo scrivente
possibile aggiungere qualcosa di ontologico a ci che hanno gi
brillantemente detto Chesterton, James e Lukcs, finch esisteranno affittacamere
ed inquilini ogni discorso sulla generalit-per-s dell'uomo rimarr una mera
petizione di principio e regner soltanto l'estraneazione dell'equo canone. Si
veda Lukcs, Ontologia, II, p. 587. Si veda Lukcs, Ontologia, II, p. 654. Lo
scrivente ha qui autonomamente rielaborato (senza alcuna pretesa di originalit
- d'altra parte il suo accordo con Lukcs
qui totale) temi cui l'Ontologia dedica almeno duecento pagine. Per una
prima indicazione: sulla volgarit, pp. 603-4; sul conformismo
non-conformistico, p. 782; sulla noia, pp. 779-81; sull'antipatia verso l'Ottocento,
p. 527; sulla compresenza 258 95: 96. 97. 98. 99. di onnipotenza astratta e
concreta impotenza, p. 434; sull'avvizzimento del soggetto fra specialismo e
stravaganza, p. 760. Sullo homo psychologicus come forma d'esistenza
contemporanea di quello che era un tempo l'homo oeconomicus si veda lo studio
magistrale di Christopher Lasch sul narcisismo (che lo scrivente considera un
capitolo "psicologico" dell'Ontologia). Tutta la ricchissima
pubblicistica di tipo psicoanalitico e variamente psicologico, da cui siamo
alluvionati, di pochissima utilit,
quando ignora la determinante ontologico-sociale della estraneazione nel
moderno capitalismo. Oltre al Lasch, indichiamo qui soltanto due studi
tedeschi: Klaus Ottomeyer, Comportamento sociale ed economia, Musolini, 1977,
ed ancora Michael Schneider, Nevrosi e lotta di classe, Il Formichiere, 1976.
Si tratta di due testi non a caso spariti dalle librerie, e pressoch
introvabili, i cui difetti non possiamo analizzare adeguatamente in questa
sede. | Tutta questa problematica svolta
in modo analitico nell'Ontologia, II, pp. 608-16. Per una critica al formalismo
etico kantiano si veda l'Ontologia, Il, p. 599. Tuttavia (cfr. Ontologia, Il,
p. 414) Lukcs aggiunge acutamente che "proprio un rappresentante fanatico
della rilevanza esclusiva dell'intenzione, Kant, non appena si mette a parlare
di fenomeni etici in qualche misura concreti,
costretto a reintrodurre dalla porta di servizio nella dialettica etica
le conseguenze". L'atteggiamento antiontologico contraddistingue peraltro
i neo-kantiani assai pi dello stesso Kant (cfr. Ontologia, IH, p. 652). Il
lettore attento avr certo notato che mentre nell'Ontologia il significato di
particolarit univocamente negativo e
quello di individualit univocamente positivo, lo scrivente usa con maggiore
disinvoltura il termine di "particolarit" in senso ora positivo ora
negativo. E' questa una scelta del tutto consapevole. Lo scrivente ritiene
infatti che una concezione sobriamente ontologica della particolarit non
permetta di andare oltre, nel presente momento storico, ad -una dialettica
immanente alle sue tensioni interne (in direzione della generalit):
l'individualit allora non una
"identit filosofico-antropologica" distinta dalla particolarit, ma
una mera dimensione teleologica della particolarit stessa. Si veda Norberto
Bobbio, Da Machiavelli in poi, un problema insolubile, in Rinascita, 24, giugno
1982. 100. Nel Progetto filosofico per la pace perpetua Kant afferma che, se
anche la costituzione repubblicana la pi
adatta al diritto degli uomini, essa non potrebbe conservarsi che in uno Stato
di angeli, mentre "il problema della costituzione di uno Stato risolvibile, per quanto l'espressione possa
sembrare dura, anche da un popolo di diavoli, purch siano dotati di
intelligenza". In Kant (come in Adam Smith) c' ovviamente la tesi,
tipicamente borghese, dell'armonia come sommatoria di egoismi confliggenti
disposti a proceduralizzare il proprio conflitto, mentre Bobbio, pensatore del
XX secolo, non crede pi alla "mano invisibile". 101. In Bobbio la
tensione fra positivismo giuridico (pensiamo ai suoi studi su Kelsen) e
giusnaturalismo (pensiamo a certe sue prese di posizione pubbliche solo
apparentemente "strane", come quella sul diritto di aborto) continua. 259 102. Negli ultimi trent'anni,
Bobbio sempre stato in grado di dire
alcune ovviet teorico-politiche assolutamente note (ma non conosciute, come
direbbe Hegel), come il fatto che il PCI non ha e non ha mai avuto una vera
teoria politica, oppure che il PSI si sta storicamente trasformando in una
banda Bassotti di assaltatori organizzati alla diligenza pubblica. E' questo un
fatto storico apparentemente inesplicabile, che diventa per comprensibile se si
pone mente alla funzione della ragione nel pensiero di Norberto Bobbio.
Quest'ultima pone ordine (un ordine trascendentale in senso kantiano e centrato
sulla produzione ordinatrice del soggetto che organizza l'esperienza e le da
forma) in un caos mostruoso e senza forma, dove il sonno della ragione produce
mostri. Non appena per questa funzione ordinatrice si adagia nell'autoappagamento
cessa di essere tragica e diventa volgare, cosa che pu avvenire nei bobbiani
minori, e che non avviene invece mai in Norberto Bobbio. 103. Queste tre domande non sono mai esplicitamente
affrontate nell'Ontologia. Lo scrivente elabora qui autonomamente delle
possibili risposte in un'ottica ontologica personale, e non intende certo
nascondersi dietro l'auctoritas lucacciana. 104. La questione merita di essere
maggiormente chiarita, dal momento che l'atteggiamento soggettivo verso il cosiddetto
"socialismo reale" una
questione di rilevante interesse filosofico, cui impossibile sottrarsi in modo opportunistico.
In prima, generale approssimazione, la questione della definizione esatta della
natura del modo di produzione vigente in URSS non una questione nominalistica, di lana caprina,
priva di effetti conoscitivi, ma
fondativa ed orientante gli approcci successivi; in proposito, lo
scrivente accetta nell'essenziale le tesi di Gianfranco La Grassa sulla natura
sociale capitalistica dei paesi a socialismo reale. In seconda istanza, questa
connotazione non ci dice ancora nulla di specifico, se non conosciamo il
funzionamento reale delle societ socialiste; in proposito, la "mancanza di
libert" che sarebbe ivi vigente una
determinazione assolutamente "vuota" in un'ottica ontologico-sociale,
che non tollera la riduzione della molteplicit complessa degli: atti
teleologici alternativi ad un solo modello ( un texano pi libero di un
ucraino? un newyorkese pi libero di un
moscovita? - domande filosoficamente prive di senso). In terzo luogo, tuttavia,
ogni giustificazionismo di tipo filosovietico (che lo scrivente ritiene
perfettamente legittimo parlando del Nicaragua o dell'Angola - lo scrivente qui in linea di massima d'accordo con Gbriel
Garcia Marquez e con chi riconosce che - ahim - senza l'URSS i nicaraguensi
verrebbero letteralmente sbranati) appare appunto ingiustificato non appena si
assuma un'ottica ontologico-sociale:
infatti impossibile tollerare l'indifferenza e la mancanza di
"diritti civili" in un sistema sociale come se fosse un'inezia
teoreticamente irrilevante, Si tratta invece di un'estraneazione specifica,
nuova, di cui occorre severamente rintracciare la genealogia, le cause, le tendenze,
senza cadere in forme di storicistico giustificazionismo, Il
"cossuttismo" non certo una
filosofia, e non merita che ripugnanza e disprezzo. 105. In proposito
l'Ontologia ci soccorre poco. Un utilissimo strumento di lavoro invece la raccolta di saggi contenuta in
Marxismo e giustizia, Il Saggiatore, 1983, ed in generale tutto il dibattito
(in buona parte in lingua 260 inglese) accesosi intorno al saggio di Rawls, Una
teoria della giustizia, Feltrinelli, 1982. Lo scrivente non pu qui neppure
accennare alle ragioni che lo portano al rifiuto della proposta teorica di
sostituire Rawls a Marx, sostenuta in Italia particolarmente dal "marxista
pentito" Salvatore Veca. Nella raccolta di saggi sopracitata lo scrivente
si riconosce soprattutto nel bel contributo di Zyiad I. Husami, Marx sulla giustizia
distributiva, che ha utilizzato largamente nell'argomentazione. 106. E' questa
la posizione sostenuta nei saggi (contenuti nella raccolta Marxismo e giustizia
citata nella nota precedente) di Allen W. Wood, La critica marxiana della
giustizia e di Robert C. Tucker, Marx e la giustizia distributiva. E' questa
anche la posizione di Rawls, che servita
in buona parte da "pretesto" ai rawlsiani italiani per sostenere che
il marxismo, con il suo rifiuto dell'etica,
inservibile per una filosofia pratica, di tipo neo-contrattualista, che
voglia "misurarsi" con i soliti "veri problemi" del
presente. 107. Si veda l'utilissimo saggio di Maurizio Viroli, Etica e
marxismo. A proposito di una recente discussione, in "Problemi della
transizione", 9, 1982. Il saggio di Viroli particolarmente importante in quanto prende in
esame testi ignorati o non raccolti nel volume sopracitato Marxismo e
giustizia. Fondamentale in proposito il saggio di George G. Brenkert, Freedom and
Private Property in Marx, in "Philosophy and Public Affairs", 1978,
2. E' qui che Brenkert parla della ontological dimension that freedom
possesses, sulla quale lo scrivente
totalmente d'accordo, come tutto questo' libro documenta ampiamente. La
posizione dello scrivente tuttavia
leggermente diversa da quella di Brenkert, in guanto si accettano anche le
considerazioni di Husami sul significato critico-immanente della idea di
"giustizia" in Marx. Uno sviluppo filosoficamente coerente di tutto
questo complesso affascinante di problemi resta ancora comunque largamente da
fare. 108. Ci pare questa anche la posizione di Lukcs nell'Ontologia. Ad ogni
buon conto, sta qui la ragione della cautela dello scrivente nell'usare il
termine di individualit con il significato di "superamento integrale della
particolarit dell'uomo". 109. Riprendiamo qui nell'essenziale le tesi gi
esposte in modo pi analitico nel saggio .Cosa possiamo chiedere al marxismo
(nel testo collettivo Marxismo in mare aperto, Angeli, 1983, cit.). Alcune di
queste tesi erano per esposte in modo ancora implicito e di conseguenza poco
chiaro: l'impostazione ontologico-sociale restava sullo sfondo. Qui, invece, si
intende esplicitarla nel modo pi aperto. 110. E' questo un punto teoretico di
importanza strategica. La via ontologico-sociale non affatto, giova dirlo in modo esplicito, una
dichiarazione di guerra all'autonomia specifica della gnoseologia e
dell'epistemologia. Entrambe le discipline esprimono fino in fondo problemi
reali legati al rispecchiamento scientifico del mondo non appena quest'ultimo,
resosi cosciente della necessit di una disantropomorfizzazione consapevole,
attua una "riflessione di secondo grado" su se stesso. A questo
proposito, la gnoseologia intessuta di
una vasta gamma di posizioni alternative, che vanno dalla intentio obliqua di
Kant alla intentio recta del realismo gnoseologico nelle sue forme pi
disparate, dalla 261 separazione di tipo criticista fra piano dell'essere e
piano del conoscere alle riunificazioni di tipo dialettico fra logica formale,
logica dialettica e teoria della conoscenza. L'epistemologia, d'altra parte,
conosce anch'essa varie posizioni alternative, le quali per, secondo lo
scrivente (si veda nota precedente) possono essere tutte ricondotte a due
correnti principali: la corrente il cui principale esponente Karl Popper, che tende a sottoporre la
legittimit delle pretese conoscitive delle scienze ad un tribunale filosofico
falsificazionista, pi o meno flessibile; e la corrente il cui principale
esponente Gaston Bachelard, che tende ad
una storicizzazione immanente alla struttura processuale differenziata delle
varie scienze (al plurale), rinunciando esplicitamente ad un tribunale
filosofico falsificazionista. La discussione gnoseologica ed epistemologica
non dunque affatto impedita, irrisa, o
sottovalutata da un'ottica sobriamente ontologico-sociale, che le riconosce
invece un ambito specifico di studio e di dibattito. 111. Si veda Lukcs,
Ontologia, II, pp. 520-21; pp. 423-26; pp. 440-43; pp. 550-51; pp. 436-37. Si
consiglia ovviamente al lettore di studiare autonomamente le pagine qui
indicate, ma si segnala anche che il rifiuto di una considerazione ontologica
separata di filosofia e di scienza percorre tutta l'Ontologia lucacciana. 112.
Vi sono, in proposito, indimenticabili pagine di Engels sull'illusione degli
scienziati e degli economisti di essere "liberi" da ogni influenza
ideologica e filosofica. Come osserva correttamente Lukcs (cfr. Marxismo e
politica culturale, cit., p. 221), "la gran maggioranza delle lotte fra
concezioni del . mondo nel nostro tempo avviene ancora in modo tale che - nel
migliore dei casi - viene "persuaso" soltanto chi gi persuaso. E perfino un obbiettivo tanto
modesto come quello di rafforzare in una certa misura i seguaci della propria
concezione del mondo, viene raggiunto in modo assai problematico. Quando si
verifica una perturbazione sociale, queste difese artificiali si dimostrano
quanto mai incapaci di opporre una resistenza". Senza una salda filosofia,
infatti, non c' passione durevole di alcun tipo; e le filosofie non possono -
fortunatamente - essere imposte per decreto. Centro Studi di Materialismo
Storico 1. G. Bazzi, M. Cangiani, G.I, Giannoli, A. Illuminati, G. La Grassa,
C. Preve, M. Turchetto, Marxismo in mare aperto, rilevazioni, ipotesi,
prospettive 2. Costanzo Preve, La filosofia imperfetta. Una proposta di
ricostruzione del marxismo contemporaneo Stampa Tipomonza V.le Monza, 129 -
Milano Costanzo
Preve Elogio della filosofia. Fondamento, verit e sistema nella conoscenza e
nella pratica filosofica dai greci alla situazione contemporanea edilcice pelle
plaisance Pubblicato su Koin, Periodico culturale Anno X N 1- Gennaio 2003 Reg. Tribunale di
Pistoia n 2/93 del 16/2/93 Direttore responsabile: Carmine Fiorillo Elogio
della filosofia. Fondamento, verit e sistema nella conoscenza e nella pratica
filosofica dai greci alla situazione contemporanea di Costanzo Preve $ 1. La
filosofia, o pi esattamente la pratica filosofica, una forma di cono- scenza della realt.
Considero uno pseudoproblema, e non voglio intenzional- mente occuparmene in
modo teoretico, se essa sia superiore o inferiore alla conoscenza scientifica,
religiosa o artistica. Chi si mette in questo orizzonte di tipo
gerarchico-topologico a mio avviso parte gi con il piede sbagliato. Il modo
tradizionale positivistico di inquadrare la questione la nota gerarchizzazione stadiale successiva
religione-filosofia-scienza, e questo modo non cambiato da Auguste Comte a Jurgen Habermas.
Per alcuni la modernit si caratterizza pro- prio dall'abbandono dell'illusione
che esista una specifica conoscenza filosofica. Non certamente per me. Per
altri, che hanno il dono della fede religiosa (e non il mio caso) la filosofia di fatto propedeutica ed integrativa della
fede stessa. La mia posizione diversa
sia da Jurgen Habermas sia da quella degli estensori dellenciclica Fides et
ratio. Essa riprende invece intenzionalmente la concezione della filosofia che
ereditiamo dagli antichi greci, miei venerati maestri, per cui la conoscenza
filosofica ha come oggetto la verit e come metodo il dialogo. La mia posizione
sar ispirata a questo principio. $ 2. Prima di iniziare l'esposizione, che sar
strutturata in quattro punti suc- cessivi (antichi greci, dinamica della
modernit, statuto filosofico del marxismo, situazione contemporanea) voglio
subito fare due importanti precisazioni di ca- rattere semantico e filologico,
chiarendo le radici greche dei due termini verit e fondamento. Il termine verit
in greco antico si rende con aletheia. Aletheia significa di- svelamento,
non-nascondimento, passaggio da una situazione di oscurit e di ignoranza ad una
situazione di conoscenza e di visibilit. Questo concetto non allora identico a quelli di certezza
(empirica) o di esattezza (scientifica in senso moderno), perch la certezza e
l'esattezza non si nascondono, e richiedono solo procedure consensuali per
essere definite. Ma laletheia non pu essere per de- finizione oggetto di
procedure consensuali, perch rimanda ad un fondamento che le precede sia sul
piano logico che su quello ontologico. L'identit di logica e di ontologia
non allora una invenzione stravagante ed
arbitraria di Platone e di Hegel, ma la semplice presa datto del fatto che il
fondamento veritativo non pu essere definito in termini di procedure
linguistiche consensuali, ma queste "i \ pelle plasance 3 ultime, pur
necessarie, devono in qualche modo aderire al processo di progressivo
disvelamento del fondamento stesso. Come
noto, a suo tempo Martin Heidegger propose una terza concezione di
verit, che si pone in alternativa sia alla concezione della verit come
corrispon- denza (e cio la concezione di tutte le filosofie religiose, dal
cristianesimo tomistico al marxismo sovietico), sia alla concezione della verit
come accordo linguistico e consensuale di tipo procedurale (e cio la concezione
di tutte le filosofie di tipo relativistico e convenzionalistico, di centro, di
sinistra e di destra). Ma qui non si vuole aderire o criticare la concezione
heideggeriana. Non questo l'oggetto di
questo mio testo. Si vuole solo ribadire che il cammino verso la verit filoso-
fica non qualcosa di immediatamente
evidente e neppure di proceduralmente costruito. La verit aletheia, laletheia si nasconde, e ci che si
nasconde deve essere ricercato. Il termine fondamento in greco antico si rende
come aitia o logos. Il termine aitia rimanda ad una concezione allargata del
moderno concetto di causa, non coincide con il concetto di causa emerso dopo la
rivoluzione scientifica del Sei- cento e perci sfugge a tutte le critiche alla
causalit come quelle inaugurate da Davide Hume. Aristotele non si inventa
arbitrariamente i quattro significati di causa (materiale, formale, efficiente
e finale), ma li prende dalla semantica quo- tidiana della lingua greca antica.
Il termine logos, invece, significa fondamento, ma significa anche ragione e
linguaggio, senza consentire per la separazione di principio fra fondamento,
ragione e linguaggio che caratterizza invece la pratica moderna e postmoderna
della filosofia, per cui quasi sempre il fondamento non esiste ed un residuo metafisico da eliminare, la
ragione un'opinione soggettiva del tutto
equivalente all'opinione per cui non esiste nessuna ragione ma solo un triste
irrazionalismo caotico ed infondato, ed infine il linguaggio lunica realt che mette ordine razionalmente
in un ammasso caotico di fatti e di valori. Ho fatto questa doppia precisazione
perch in italiano il termine fondamento rimanda semanticamente ad una sorta di
base sottostante, di pavimento sopra cui vengono collocati i vari arredamenti
della casa. Questo inganno semantico deve per essere subito segnalato. Il
fondamento come sostanza sottostante si dice in greco antico hypokeimenon, che anche il termine per indicare il soggetto
inteso come substrato di conoscenze, passioni, desideri. Il fondamento come
essenza si dice in greco antico ousia, e rimanda a ci che caratterizza in modo
essenziale una sostanza (ad esempio, luomo
un animale essenzialmente razio- nale e sociale). Ma le vere ed uniche
parole per indicare il fondamento restiamo solo aitia e logos, che non sono il
pavimento di nulla. necessario che il
lettore tenga bene presenti questi chiarimenti semantici, perch se il termine
fondamento viene concepito come pavimento ed il termine verit come certezza
garantita dallesattezza non possibile
intendere la lettera e lo spirito della mia esposizione. $ 3. La mia
esposizione sar strutturata sulla base di quattro momenti suc- cessivi. Ho
scelto l'ordine storico-cronologico anzich l'ordine logico e tematico 4 1( |
pelle plaisance perch sono stato abituato all'esposizione storica dei problemi
filosofici preva- lente in Italia. Non escludo per che anche laltra opzione
possa essere utile e illuminante. In primo luogo, comincer ovviamente dagli
antichi greci. Prester attenzione ad alcune teorie (in parte alternative, in
parte complementari) sull'origine storica, geografica e sociale della filosofia
greca per metterle in rapporto con il problema della validit di questa
filosofia stessa. Il problema della validit (Geltung) non coincide infatti con
quello della genesi (Genesis). La genesi
sempre particolare, la validit, se c',
invece universale. Io ritengo la filosofia greca ed il suo modo di
impostare il rapporto fra fondamento e verit valido ancora oggi. Scelgo dun-
que decisamente Atene, non Gerusalemme. Non ho niente contro Gerusalemme, in
particolare se viene concepita come luogo di incontro e di coesistenza pacifica
(il che oggi scandalosamente non avviene) fra le religioni monoteistiche, ma il
lettore deve sapere che ad Atene sono a casa mia, mentre a Gerusalemme sono
sempre al massimo un viaggiatore curioso. In secondo luogo, esporr la mia
personale concezione filosofica della mo- dernit, cio del periodo storico
apertosi nel Seicento e nel Settecento, sulla base soprattutto dei tre
parametri definiti dai concetti di Scienza, di Materia e di Storia. Non
pretendo di dire nulla di veramente originale, perch in questi tre casi adotter
le impostazioni a suo tempo sviluppate da Margaret Jacob, Maria Antonopoulou e
Reinhardt Kosseleck. Riprender invece nellessenziale la so- luzione data da
Hegel (in una interpretazione che devo soprattutto a Geraets). Per me
Hegel grande perch il pi greco dei moderni, e cercher di
chiarire perch penso questo. In terzo luogo, far alcune considerazioni sullo
statuto filosofico del pensiero di Marx e del marxismo. A questo tema ho dedicato
molti sforzi e molte pagine in passato, e potr dunque essere il pi possibile sintetico.
Si tende in genere a pensare che Marx
stato un buon filosofo umanista ed utopico, ma stato un cattivo scienziato sociale perch non
ha azzeccato le sue previsioni (ruolo rivolu- zionario della classe operaia,
stagnazione e crollo del capitalismo, eccetera). La mia valutazione in proposito invertita. A mio avviso come
scienziato sociale Marx stato ottimo, ed
i suoi errori di previsione devono essere considerati fisiologici e secondari
(tipici comunque di ogni impresa scientifica, fallibile per sua natura),
mentre proprio lo statuto filosofico
della sua dottrina che deve essere radical- mente modificato, in direzione di
un ritorno esplicito ai greci ed in subordine allidealismo filosofico di Hegel.
In quarto luogo, infine, far alcune considerazioni conclusive sulla situazione
del dibattito filosofico contemporaneo, pi esattamente sulla congiuntura
storica in cui ci troviamo. necessario
avere il coraggio di andare contro corrente. Non bisogna farsi spaventare dalle
mode o dall'autorit dei principali filosofi legitti- mati dalla comunit
universitaria mondiale, che ha oggi ancora meno sovranit degli stati nazionali
europei. Non sicuro che dalla resistenza
possa sorgere la rinascita, ma almeno
possibile che questo possa avvenire. Fd | pelle plasance 5 $ 4. Per cominciare
a capire i greci, bisogna prima di tutto comprendere bene leccezionalit della
loro cultura. Uso il termine eccezionalit non nel senso di superiorit, ma nel
senso di particolarit, di specificit e di unicit. Hegel a suo tempo lo afferm,
ma io non oserei mai sostenere che la sapienza filosofica greca stata superiore a quella indiana o cinese, se
non altro perch non conosco a sufficienza le filosofie indiana e cinese per
poter dare un giudizio teoretico serio. Il politicamente corretto che diventato oggi il dogma di tutti gli
intellettuali sradicati e superficialmente globalizzati attua un livellamento
relativistico fra Socrate e lo sciamano siberiano e fra le tragedie di Sofocle
e le danze dellisola di Bali. Il relativismo
la forma di assolutismo oggi prevalente, in quanto fa da supporto
all'industria turistica dei villaggi facili e delle transumanze aeree della
classe media globale nel mondo dei pittoreschi poveracci che mendicano in un
inglese elementare. Ma riconfermando che eccezionalit non significa superiorit
nel senso topologico di sopra e di sotto
necessario riaffermare che la cultura filosofica greca stata qualcosa di assolutamente specifico.
Questo non capito da chi incorpora
sbrigativamente i greci in una comune matrice simbolica indoeuropea (il
trifunzionalismo di sovranit religiosa, forza fisica e fecondit alla Dumzil), e
da chi ne fa deviare la cultura da matrici egizia- ne ed africane (Bernal) o
mesopotamiche (Francfort). Queste derivazioni ci sono certamente state, nessuno
le pu negare, ed a suo tempo neppure Hegel le neg. Ma Hegel comprese bene il
punto essenziale, e cio che i greci assunsero certa- mente la loro mitologia da
uno strato indoeuropeo precedente ed assimilarono forti influenze egizie e
mesopotamiche, ma rielaborarono tutto questo in modo assolutamente originale ed
eccezionale. Chi non comprende leccezionalit greca del tutto disarmato di fronte al relativismo
multiculturale postmoderno, ed gi pronto
per esserne assorbito ed annullato. $ 5. Un approccio pi serio al problema
delle origini della sapienza filosofica greca
quello che ne sottolinea il carattere prefilosofico (Giorgio Colli) o
religioso (Mario Attilio Levi). Distinguendo fra let dei sapienti e la
posteriore et dei filosofi, Colli riprende certamente il grande suggerimento di
Nietzsche, e segnala una problematica legittima e carica di suggestione. In
quanto a Levi, egli afferma apertamente che la societ greca fu prima di tutto
una comunit di credenti di- retta da una oligarchia o da una autocrazia
monarchica, anche quando si present sotto le mentite spoglie di una
pseudodemocrazia assembleare. Gli approcci di Colli e di Levi sono certo
interessanti, ma finiscono con il cancellare ogni specificit dello spazio
pubblico greco in cui la razionalit dialogica assumeva una carattere permanente
e non solo casuale o congiuntura- le. La distinzione fra una prima et dei
sapienti ed una seconda et dei filosofi
comune anche alle filosofie indiane e cinesi (ed in particolare a quelle
cinesi). Il ruolo fondamentale dell'elemento religioso nel legame sociale era
comune a tutte le societ antiche, dall'Egitto all'antico Israele, dagli
etruschi ai romani delle origini. Nessuno contesta il ruolo dei sapienti e dei
sacerdoti. Ma dovr pure essere sottolineato il fatto essenziale che gli antichi
greci non disponevano 6 C | pelle plaisance di libri sacri e non dipendevano da
una religione rivelata, per cui erano costretti per ragionare non tanto a
negare i miti, ma a decostruire i loro miti per ricavarne significati razionali.
Molto prima di Derrida e del decostruzionismo moderno i greci antichi
praticarono il decostruzionismo, partendo dal patrimonio mito- logico non per
negarlo ma per tradurlo in linguaggio tradizionale. $ 6. Un'altra corrente
interpretativa ha invece insistito sul fatto che i primi fi- losofi, e gli
ionici innanzitutto, non tirarono fuori i principi primi ed il problema
dell'origine materiale del mondo (la cosiddetta arch) dalla loro testa o da una
allo- ra inesistente approccio laico o scientifico inesistente prima dellet
moderna, ma dalla trasposizione simbolica di interessi sociali parzialmente
ricostruibili. probabile che Talete
fosse un esponente della classe dei sempre naviganti di Mileto, e che lacqua
fosse anche un simbolo di legittimazione politica per la classe dei mercanti e
dei marinai. Con questo non voglio dire che Anassimene, per cui larch era
laria, fosse un esponente simbolico della classe dei costruttori di dirigibili
o Eraclito, per cui invece era il fuoco, fosse un esponente simbolico della
classe dei fabbri. Ma certamente questo ci fa riflettere sul rapporto organico
fra filosofia ed ideologia, cio fra riflessione filosofica e produzione
ideologica. Basta non ridurre luna all'altra, e distinguerle bene. Questa
impostazione (e penso soprattutto ad Antonio Capizzi) ha per il merito di
ricordarci che la filosofia greca nasce come una cosmoteoria, cio come una
riflessione globale sulla realt che non separa il mondo naturale ed il mondo
politico e sociale, ma li vede entrambi come un insieme ontologicamente non di-
stinguibile. Oggi noi siamo talmente abituati a separare societ e natura,
scienze sociali e scienze naturali, eccetera, da pensare che lattuale divisione
universitaria delle discipline corrisponda veramente ad una separazione esistente
nella realt. Il conflitto e la quiete (e gli stessi generi sommi di Platone)
percorrono il mondo naturale e sociale come un cosmo unitario. Non si tratta
certo dellanticipazione delle cosiddette leggi della dialettica unitarie del
positivismo e del materialismo dialettico di Engels e Stalin. La su- periorit
dei greci antichi sul marxismo volgare sta in ci, che nei greci antichi il
cosmo era percepito intuitivamente come unitario (ci che in effetti ), mentre
nei marxismi volgari si sovrappone alla storia reale delle presunte leggi della
dialettica che non permettono mai di coglierla nella sua specificit. $7.
Un'altra interessante impostazione (sostenuta dallinglese George Thomson e dal
tedesco Alfred Sohr Rethel) afferma che i greci poterono unificare concet-
tualmente il mondo naturale e sociale sotto lastrazione omogenea del termine
Essere perch il suo presupposto era stato la generalizzazione della
circolazione mercantile e del conio della moneta (avvenuto prima nellisola di
Chio e successi- vamente ad Egina ed altrove). I valori d'uso scambiati come
oggetti distinti infatti non sono mai astratti, ma sempre concreti. Solo il
valore di scambio monetario d luogo ad un mondo veramente astratto, o
meglio, la cosiddetta astrazione reale
di qualcosa di concretamente esistente nei fatti. Se i greci poterono definire
fd | pelle plasance vi concettualmente lEssere come to on, lessere in generale
senza determinazioni concrete, ci stato secondo
Thomson e Sohn Rethel perch essi hanno simboli- camente duplicato nel mondo
concettuale un to on gi esistente, e cio il valore di scambio astratto
dell'economia monetaria, estranea a tutte le altre civilt del- lantico Oriente
(che infatti sembra che non abbiano mai prodotto un equivalente concettuale
dell'Essere dei greci). Questa ipotesi, oggi quasi dimenticata, pu sembrare a
molti un po folle. Io per non la trovo tale, anche perch credo che il concetto
di astrazione reale in Marx sia sostanzialmente pertinente. Nello stesso tempo
essa non mi convince. Solo i greci moderni (che lo hanno mutuato dalla
filosofia moderna europea) esprimono il concetto di Essere come to einai, che
non a caso non esiste in greco antico. Ma se peri greci antichi l'essere non
era un infinito ma un participio, un to on e non un to einai, questo non solo dovuto a spiegabili ragioni grammaticali
e sintattiche, ma dovuto ad un loro
approccio di tipo concreto e materiale alla stessa astrazione dell'essere in
generale, che non era mai separata dalla sua con- cretizzazione. Io ritengo che
la stessa separazione fra concreto ed astratto, almeno nei termini oggi
abituali, fosse estranea al pensiero filosofico greco originale, non ultima
ragione questa per la sua presente attualit. S 8. Un approccio forse pi
plausibile ci viene offerto a questo proposito dai filosofi italiani Fabio
Bentivoglio e Massimo Bontempelli. I filosofi fondatori del pensiero greco
vengono individuati in Parmenide ed Eraclito, e non nei naturali- sti ionici
presocratici. La filosofia non nasce dalla ricerca dellarch materiale del mondo,
ma dalla domanda di senso e dalla minaccia di insensatezza che deriva dalla
dissoluzione dell'antica comunit religiosa (impropriamente definita come
aristocratica). Lo stesso Essere di Parmenide
visto come unastrazione reale, non del valore di scambio come pensano
Thomson e Sohn Rethel, ma dellinsie- me dei valori tradizionali etico-politici
della polis di Elea, di cui Parmenide fu legislatore e in cui ambientato il suo stesso poema. Aristotele,
che scrisse la prima storia della filosofia greca, non era pi in grado di
comprendere il trauma di questa minaccia di insensatezza, vecchia ormai di pi
di due secoli, ed allora fin con il retrodatare ai primi filosofi ionici la
propria personale ricerca delle quattro cause. Questa spiegazione indubbiamente affascinante ed anche
storiograficamente legittima. Essa
addirittura migliore a mio avviso di quella di Emanuele Severi- no, che
come noto enfatizza moltissimo la
concezione dell'Essere di Parmenide come chiave per la comprensione del
nichilismo occidentale, ma non d mai la genesi concettuale di questa
concezione. Qui invece la genesi viene data. Resta comunque unobiezione, che
cercher di formulare in modo sintetico ma com- prensibile. L'operazione di
sottrazione dei valori etico-politici all'opera corrosiva del tempo, per cui
viene fissata una Origine ontologicamente immodificabile precedente allo
scorrimento nichilistico del Tempo, che tutto corrompe e tutto divora, un'operazione tipica della Religione, non
della Filosofia. In questo modo si risponde certamente alla minaccia
dellinsensatezza ed al pericolo della I PA \ pelle plois ance perdita del senso
prodotta sia dallo scorrimento del tempo che dallinfinit dello spazio, ma si
risponde appunto in modo religioso e non filosofico. La filosofia mette la
stessa insensatezza in mezzo (in greco es meson) allo spazio pubblico della
comunit, assumendo il rischio dellinsensatezza come suo rischio organico e
consustanziale. Sottrarre il pericolo dellinsensatezza a questo meson significa
riportarlo alla rivelazione religiosa, che il pitagorico (o il probabile
pitagorico) Parmenide riformula in linguaggio ad un tempo sapienziale e
razionale, ma sem- pre religioso. Si tratta di un punto a mio avviso di
importanza decisiva. $ 9. Sulla base dei ragionamenti sinteticamente ricordati
nei cinque paragrafi precedenti, chiarir in questo nono paragrafo la mia
personale concezione della natura e della specificit della filosofia greca.
Ricordando che il logos insieme
fondamento, ragione e linguaggio, e che ogni isolamento di questi tre termini
pu portare fuori strada, sono d'accordo nellessenziale, con il modo in cui
Jean-Pierre Vernant imposta la questione. Cos come lo spazio cosmico non infinito ed inde- terminato, nello stesso
modo lo spazio politico si dispone intorno ad un centro (es meson). Gli uomini
diventano oi mesoi, quelli che stanno in mezzo, perch solo in mezzo si pu
mantenere l'equilibrio politico e cosmico (isorropia), sulla base inscindibile
della isonomia (l'eguaglianza davanti alla legge) ed alla isegoria (il diritto
eguale a parlare). Prego di prestare attenzione alla convergenza delle tre
nozioni di isonomia, isegoria ed isorropia. Il presupposto del dibattito
filosofico appunto lisegoria, in cui gli
uomini (oi isoi, ci mesoi) mettono in mezzo (es meson) il fondamento della
verit comune (il logos), che non si manifesta per direttamente alla superficie,
perch la verit si nasconde (aletheia), e deve essere sottratta alloccultamento
mediante appunto lo stesso logos (il fondamento che ispira la ragione e si
manifesta fenomenicamente come linguaggio). Come ha sempre sostenuto Mario
Vegetti, l'opposizione fra lacropoli, luogo del sacro e degli hier (gli
interessi sacri che concernono gli dei) e lagor, luogo degli hosia (cio degli
affari profani che concernono la citt umana),
strutturale e fondamentale. Non bisogna per cadere nel fraintendimento
moderno per cui lagor diventa la matrice del cosiddetto laicismo e lacropoli
resta il luogo della pura religione. Non bisogna dimenticare mai che i greci
non avevano testi sacri di una religione rivelata, e non potevano pertanto
neppure per analogia ragionare come i cristiani, gli ebrei ed imusulmani.
L'acropoli mette es meson il rapporto con gli dei, lagor mette es meson il
rapporto fra gli uomini. Su questa base, d'accordo con Gabriele Giannantoni,
ritengo che il vero fon- datore della filosofia greca sia lateniese Socrate.
Egli si autopercepisce come un tafano, un moscone che non smette di dare
fastidio al nobile cavallo della polis degli ateniesi. Ma questo il suo contributo alla comunit, pi
esattamente al Bene della comunit. Solo la comunit infatti, pu mettere il Bene
es meson, cio in mezzo. Fuori della comunit, il Bene non che una astrazione vuota, sostan- zialmente
non filosofica. gd | pelle plasance 9 $ 10. Se si comprende quanto ho cercato
di dire nel precedente paragrafo, che sintetizza telegraficamente la mia
personale opinione sulla questione, si capir anche l'errore di chi contrappone
il logos come linguaggio fabbricatore di signi- ficati arbitrari e concordati
ed il logos come fondamento veritativo e ragione uni- versale. Questa
contrapposizione tipica del relativismo
del tempo presente, che si basa su di un dialogo programmaticamente non
veritativo in cui i significati pi credibili vengono costruiti con le
argomentazioni pi plausibili ed apprezzate. Ma questo approccio non era neppure
chiamato filosofia dai greci antichi, ma era correttamente definito come
retorica, in un senso molto pi vicino a quello di Isocrate che a quello degli
stessi sofisti. La polemica di Isocrate contro Platone si sviluppa infatti non
tanto come proposta di una filosofia alternativa a quella platonica, quanto
come negazione frontale della filosofia in quanto tale in favore della retorica
elogiata in quanto tale. Isocrate era in proposito molto pi onesto dei
pensatori postmoderni alla Richard Rotary, che propongono la retorica ed anzich
chiamarla con il suo nome la chiamano scorrettamente filosofia. Questa la ragione per cui sbagliano coloro che, come
la studiosa francese Barbara Cassin, contrappongono il linguaggio al fondamento
veritativo, e si inventano una tradizione logologica, che costruirebbe la
ragione attraverso lo scambio linguistico, ad una tradizione ontologica, che
pretenderebbe invece di conoscere lessere in s e le sue determinazioni. Questa
mi sembra l'ennesima grande narrazione, che isola artificialmente due
tradizioni, quella ontologica che va da Pitagora a Hegel, e quella logologica
che va dai sofisti a Freud al po- stmoderno. In realt il termine stesso di
ontologia non esiste neppure in grado antico, e nasce solo in Germania nel
Seicento. I vari equivalenti dellinesistente termine di ontologia (la teoria
delle idee di Platone, la filosofia prima di Ari- stotele, ecc.) non
significano in realt assolutamente ontologia in senso moder- no, perch la
filosofia prima come filosofia del fondamento veritativo filosofia del logos della comunit, e non
descrizione di una sorta di cielo o di pavimento da cui il linguaggio proviene
o su cui il linguaggio cammina. meglio
dunque lasciar cadere queste inutili grandi narrazioni. Esse danno
l'impressione ai dilettanti di disporre di un filo conduttore dell'intera
storia del pensiero, ma un'impressione
del tutto illusoria. $ 11. Insistendo sul fatto che il logos insieme ontologico
e dialogico il solo vero fondamento
autosufficiente del pensiero filosofico, e non ve ne sono altri sovraimposti o
integrativi, la saggezza greca rifiuta l'ipotesi che vi sia anche una
apokalypsis, cio una rivelazione segreta dei progetti della divinit monoteisti-
ca. Le apocalissi si presentano regolarmente nel corso della storia, spesso in
forma imperfettamente secolarizzata e laicizzata, come ad esempio la previsione
marxista del crollo inevitabile del capitalismo o la profezia di Fukuyama sulla
fine imperiale della storia. Ma il logos
nemico delle apokalypseis. Accomunate dal logos, che nellautentica forma
originaria della filosofia messo in
mezzo, es meson, tutte le varie scuole filosofiche greche (platonismo,
aristotelismo, epicu- reismo, stoicismo ecc.), che ci sembrano oggi cos
diverse, si rivelano invece come 10 C | pelle plaisance ricche varianti plurali
di un unico stile di pensiero, che ci permette di parlare di filosofia greca in
generale. Bisogna che la differenza fra gli alberi non ci faccia perdere di
vista che si tratta sempre di una sola foresta. Certo, quando ci accostiamo ad
esempio a Platone, vediamo che la contraddi- zione passa allinterno della sua
stessa opera fra un aspetto socratico, razionale e dialogico, ed un aspetto
pitagorico, sapienziale e rivelativo. Ma a mio avviso l'elemento socratico
prevale sempre su quello pitagorico, nella forma se non nel contenuto. Secondo
me coglie il centro del problema Mario Vegetti, quando dice che in Platone si
crea di fatto una tensione teoretica fra un elemento aperto, il Bene, ed un
elemento chiuso, lUno. normale che
Platone finisca con lidenti- ficare i due elementi sotto il dominio pitagorico
e geometrico dellUno, aprendo cos la via al neo-platonismo ed all'uso teologico
del suo pensiero. Ma lidea del Bene per sua irresistibile natura continua ad
essere un fondamento aperto, perch sempre sottoposto sia alla ragione che al
linguaggio (logos). E questo, si badi bene, del tutto indipendentemente dalle
intenzioni soggettive pitagorico- sapienziali dello stesso Platone. Un altro
punto fondamentale colto da Jacques
Derrida, quando segnala il doppio carattere del termine pharmakon, ad un tempo
medicina e veleno. Il so- spetto di Platone per la parola scritta e la sua
aperta preferenza per quella orale, sempre presente all'ascoltatore, non fatto risalire in modo sociologico alla cul-
tura orale sapienziale precedente, ma
correttamente individuato nel fatto che la parola scritta si disperde in
una molteplicit di interpretazioni frammentate, inevitabili nel rapporto
solitario ed individuale del lettore con la parola scritta che non pu mai
parlare, pronunciando la sola vera interpretazione autentica. Il fatto poi che
Derrida ne tragga spunto per contrapporre il decostruzionismo al
logocentrismo interessante, ma non il cuore del problema. vero infatti che la parola filosofica scritta
e sottratta alla presenza del dialogo parlato finisce con lassomigliare
pericolosamente alla parola rivelata della Bibbia, dei Vangeli o del Corano, e
diventa un semplice segnale da interpretare. La filosofia porta dunque dentro
di s, nel momento in cui passa dalloralit alla scrittura e perde il centro
comunitario, il meson, la possibilit della sua trasformazione in una ermeneu-
tica interminabile. E lermeneutica interminabile, lungi dall'essere il segnale
di una festosa seduta decostruzionistica, laicizzata, , a mio avviso, sempre la
porta della teologia. $ 12. Sono cos giunto alla conclusione sul primo punto
annunciato nel para- grafo 3. Mi resta solo da manifestare la mia personale
opinione sulla dinamica storica di dissoluzione della filosofia antica nel
periodo dei regni ellenistici e poi dell'impero romano. In proposito, credo che
sia necessario respingere subito la teoria tautologica della decadenza, che
Nietzsche fa addirittura risalire al ri- sentimento ed al rancore plebeo dei
deboli e dei malriusciti. In realt, si tratta del fatto che il logos ontologico
e dialogico presuppone un meson, un centro comuni- tario, mentre il Regno, e
cio la basileia (pronuncia consigliata: vassila) instaura invece una dimensione
verticale di dominio, che si manifesta prima come potere n Ad \ pelle plasance
11 militare dispotico e viene poi introiettato come potere provvidenziale,
imposto cio dalla pronoia (provvidenza). La filosofia pu soltanto sopravvivere come
conferenza colta alla Apuleio, allinterno di un inferno metropolitano descritto
da Marziale e da Giovenale. I filosofi diventano ridicole macchiette dalla
barba sporca irrise da Luciano di Samosata, oppure imperatori alla Marco
Aurelio che non mettono in mezzo nessun logos dialogico, ma riflettono sulla
totale insen- satezza del mondo. Questo fu compreso molto bene da Hegel, quando
parl della basileia roma- na come di un luogo in cui gli individui sono posti
come atomi in cui il solo elemento concreto il prosaico dominio pratico, ed in cui regna
ovunque il disorientamento ed il dolore per l'abbandono da parte di Dio. Non si
poteva a mio avviso cogliere meglio il centro del problema. In proposito, nulla pi signi- ficativo del modo di impostare il
problema. In proposito, nulla pi
significativo del modo di impostare il problema di Paolo di Tarso (cfr. Lettera
ai Corinzi, 7, 20- 4). Paolo propone una triplice via di liberazione ai liberi,
agli schiavi ed ai liberti sulla base di un comune asservimento al potere
divino. In mezzo, es meson, non c' pi la libert ed il logos, ma lasservimento
consapevole vissuto con gioia. Qui si ha solo leffetto della distruzione della
comunit umana che si disperde in atomi e pu soltanto pensare la propria
ricostruzione in termini celesti. Ma a questo punto la filosofia greca se
ne andata, e Roma e Gerusalemme hanno
scacciato Atene. $ 13. L'essenza della modernit
colta da Jurgen Habermas nella rinuncia ad ogni pretesa di valore
conoscitivo del logos filosofico, prima ridimensionato e poi espulso dalla
scienza. La mia opinione esattamente
contraria. Quella che Habermas chiama modernit
in realt la post-modenit, pi esattamente la deformazione postmoderna
della modernit stessa. La modernit, che a mio avviso si costituisce in un
processo sostanzialmente unitario da Spinoza a Marx (passando per Kant e per
Hegel), invece caratterizzata da una
consapevole ripresa del logos razionale e dialogico autosufficiente (non
asservito cio alla razionalizzazione della teologia monoteistica cristiana,
ebraica e musulmana). Questo logos culminer con la filosofia della storia di
Hegel e con la scienza della storia di Marx (entrambe ovviamente aperte,
imperfette ed ampiamente correg- gibili). Questo logos ancora attuale, e non stato affatto sorpassato. Come ci insegna un
bellissimo film italiano degli anni Sessanta un sorpasso azzardato pu portare
alla morte dellincauto sorpassatore. Io respingo ogni tentativo di separare
Spinoza da Hegel, e Hegel da Marx (come da trent'anni ormai propone Antonio Negri).
Approvo invece ogni tentativo di mettere in rapporto di continuit dialettica
Kant, Hegel e Marx (come ha recen- temente fatto Alberto Burgio). Non si tratta
di certo di espungere artificialmente tutti i pensatori scomodi ed anomali
(primo di tutti Rousseau), e neppure di costruire l'ennesima grande narrazione.
Si tratta di comprendere che la moder- nit non intende espellere il logos
filosofico, ma ridefinirne i limiti e la potenza sulla base non solo di alcune
novit categoriali (e qui ricorder brevemente solo la Scienza, la Materia e la
Storia), ma della radicale diversit sociale e politica 12 C | pelle plaisance
rispetto al mondo greco, sulla base della fine della schiavit e della
discrimina- zione femminile. $ 14. Come disse a suo tempo correttamente Hegel,
Spinoza linizio essen- ziale di ogni
filosofare moderno. Io mi permetto di interpretare questo giudizio lusinghiero
come un riconoscimento del fatto che Spinoza torna veramente alla concezione
greca antica del logos come fondamento razionale autosufficiente estraneo ad
ogni rivelazione divina. Da un punto di vista storico certo importante ricordare la filosofia
cartesiana, il meccanicismo e le stesse influenze libertine. Ma sul piano
teorico ci deve essere dato per acquisito. Il filosofare moderno inizia con un
consapevole ritorno allo stile razionale dei greci, con una critica religiosa a
tutte le letture irrazionalistiche della Bibbia e con una critica politica a
tutte le forme di dispotismo. Sono questi i tre elementi portanti del pensiero
di Spinoza. Egli compie anche una critica ad ogni concezione antropomorfica
della divinit, ed in questo modo mette le basi di ogni possibile futura critica
dell'ideologia, perch ogni ideologia
sempre intessuta di due elementi fittizi, lipostasi (e cio la
trasformazione inconsapevole di un particolare in un universale) e lantropomor-
fizzazione (e cio la costruzione di tipo grande-narrativo di una storia
continua e circolare, dotata di unOrigine, di un Soggetto e di un Fine). Egli
distingue infine correttamente fra un secondo grado di conoscenza (scientifico)
ed un terzo grado di conoscenza (filosofico), ed in questo modo non cade nella
trappola positivistica di assorbire il terzo nel secondo. Si noti che con
Spinoza abbiamo a che fare con un pensiero che
simulta- neamente forte, cio radicato in un fondamento, ed apertamente
libertario e democratico. Egli dunque
una smentita vivente alla tesi di fondo del cosiddetto pensiero debole
italiano, per cui un pensiero filosoficamente forte, cio fondato, politicamente pericoloso perch pu prescrivere
comportamenti obbligatori legittimati dalla sua pretesa di conoscenza della
verit. esattamente il contra- rio. Solo
un pensiero debole, che rinuncia ad ogni fondamento dialogico e razio- nale (e
vuole cio un dialogo non veritativo, e dunque retorico e non filosofico), pu
legittimare comportamenti prescrittivi autoritari, e lo fa continuamente in
nome di argomenti non filosofici, ma utilitaristici e geopolitici, e si veda la
siste- matica approvazione del pensiero debole verso tutte le guerre imperiali
a partire dallIrak 1991 fino alla Jugoslavia 1999. Spinoza l'esempio di un pensiero forte e non
prescrittivo. Solo la mancanza di logos mi costringe a supplire a questa
mancanza con un bastone chiodato. $ 15. Esiste una leggenda filosofica
infondata, pigramente ripetuta da secoli, per cui la scienza moderna, o meglio
la rivoluzione scientifica moderna, sarebbe nata da una rivoluzione laica ed
antireligiosa, che avrebbe imposto una concezione sperimentale e quantitativa,
e cio matematica, del mondo ad una societ rilut- tante invischiata nei due
sterili poli opposti dellaristotelismo o del naturalismo panteistico (chiamato
a quel tempo ilozoismo), irrazionali barriere poste dal- n Al \ pelle plasance
is l'ignoranza e dalla superstizione al progresso irreversibile e trionfale
delluomo (e cio del borghese prima mercante, poi industriale ed infine
finanziere). Le cose non sono andate in questo modo. Recenti studi di Margaret
Jacob e di Robert K. Merton hanno accertato il nesso strettissimo fra il
protestantesimo biblico, soprattutto nella sua versione puritana, e
l'affermarsi sociale della scienza moderna. Il pensiero di Bacone, lungi
dall'essere una anticipazione seicentesca del positivismo, era un pensiero
millenaristico, che accoglieva le profezie bibli- che per cui la nuova scienza
svolgeva una funzione liberatrice di utilit sociale. Si tratta di quella grande
instaurazione di cui ha poi parlato Charles Webster. Boyle e Newton hanno
legato strettamente la scienza matematica e sperimentale della natura con la
presenza costante del divino nel mondo e nellarmonia della natura,
pitagoricamente garantita dalla struttura matematica del creato. Richiamo qui
una tesi ben nota agli studiosi e agli specialisti perch essa non affatto nota alle persone di media cultura,
legata allo stereotipo della lotta laica del progresso scientifico contro la
superstizione religiosa. Certo, ammetto che anche se la genesi della scienza
moderna legata al messianesimo bibli-
co, la sua affermazione universale finisce con leroderne le basi (morte di Dio,
ecc.). Ma questa genesi non affatto
filosoficamente innocente. Essa si porta infatti dietro come suo rimosso
proprio lidea dellonnipotenza della scienza, ed insieme del suo carattere
provvidenzialistico. Con il positivismo e poi con il marxismo volgare questa
idea si imposta ai borghesi ed ai
proletari come unovviet non pi bisognosa di esame critico razionale. stato grande merito della filosofia moderna,
in particolare di Kant e di Hegel, l'aver criticato questa concezione religiosa
della scienza. Kant, spesso erroneamente considerato un apologeta assoluto
della scienza moderna, in realt il
sostenitore di un primato della ragion pratica sulla ragion pura, e cio di un
primato di una metafisica della libert sulla scienza dei fenomeni determinati
necessariamente. Hegel, spesso erroneamente considerato un nemico delle scienze
della natura, era invece un aperto difensore della grandezza dellintelletto
scientifico (Verstand) e della sua funzione indispensabile. Semplicemente, essi
rifiutavano il consenso ad una concezione religiosa e prescrittiva di una
scienza biblicamente secolarizzata come provvidenziale ed onnipotente. $ 16. Il
concetto scientifico moderno di Materia nasce per la prima volta fra il
Seicento ed il Settecento, e non ha dunque una relazione di continuit e di omo-
geneit con Democrito, Epicuro e Lucrezio. Non esiste dunque, e non pu esistere,
nessuna grande narrazione continua ed omogenea che metta in scena la con-
trapposizione politica ed ideologica fra materialisti (buoni) ed idealisti
(cattivi). Il fatto che persone intelligenti come Engels e Lenin abbiano
sinceramente creduto a questa contrapposizione millenaria non significa che
essa sia veramente esistita. La stessa teoria dei modi di produzione di Marx,
cui si fa talvolta riferimento per avallare questa grande narrazione filosofica
inesistente, non pu in nessun modo legittimarla, perch non si tratta di una
teoria degli stadi successivi (schiavismo, feudalesimo, capitalismo, ecc.) che
si svolgono dentro una sorta di conduttura 14 C | pelle plaisance temporale
omogenea, ma di una teoria della discontinuit qualitativa degli interi sistemi
sociali, e dunque anche dell'eventuale ruolo ideologico della filosofia dentro
di essi. Il cosiddetto materialismo, allora, o
una visione del mondo individuale disincantata della realt (come in
Giacomo Leopardi), o una forma di
ateismo, in cui si ribadisce che se tutto
materia allora Dio, che ovviamente non pu essere materiale, non esiste.
La fonte moderna di questa concezione
Cartesio e soprattutto i cartesiani. Essi erano chiamati in latino
nullibisti (e cio in nessun luogo), perch negando che Dio potesse occupare una
porzione limitata di estensione spaziale, e nello stesso tempo che potesse
occuparla integralmente (tesi ovviamente panteistica), affermavano che egli
esisteva, ma non stava in nessun luogo (nullibi). Una studiosa greca, Maria
Antonopoulou, ha recentemente sostenuto la tesi per cui il concetto unitario,
astratto ed omogeneo di materia nasce soltanto nel Settecento, in omologia e
concomitanza con la diffusione della forma di merce capitalistica, che amava
pensare ad un medium omogeneo altrettanto unitario ed astratto in cui circolare
senza impedimenti. Si tratterebbe dunque di una vera e propria astrazione reale
nel senso di Marx. Nel $ 7, a proposito di Thomson e di Sohn Rethel, ho gi
fatto riferimento ad una teoria analoga sul rapporto fra nascita della forma di
merce e di denaro-moneta e nascita delle astrazioni filoso- fiche pi generali
come quella di Essere. Se per questa teoria retrodatata al VII secolo a.C. pu
non sembrare convincente, essa mi sembra molto pi plausibile se aggiornata al
vero e proprio inizio del capitalismo moderno. In ogni caso, non si tratta qui
di adottare l'ipotesi della Antonopoulou. Si tratta di far riflettere tutti i
cosiddetti materialisti che credono di difendere fieramente una tesi ope- raia,
proletaria e rivoluzionaria, e non si rendono neppure conto dellinnegabile
rapporto di omogeneit fra merce astratta e materia astratta. $ 17. Nulla sembra
pi semplice del concetto di Storia. Essa sembra una pratica antichissima,
legata ad Erodoto ed a Tucidide, a Polibio e a Tacito. Ma le cose non stanno
esattamente in questo modo. Secondo lo studioso tedesco Reinardt Kosel- leck, la
storia come concetto trascendentale riflessivo, cio come unificazione
concettuale dell'intera temporalit universale pensata in modo potenzialmente
omogeneo ed unitario, nasce solo nel Settecento. Prima c'erano state soltanto
delle storie universali bibliche a sfondo religioso o messianico, oppure delle
storie particolari (storia di Roma, storia di Napoli, ecc.). La storia comincia
a ri- flettere non solo sui suoi personaggi, ma addirittura su se stessa (ed
ecco perch trascendentale e riflessiva)
in un periodo di tempo che secondo Koselleck va dal 1750 al 1790. Se
questo vero (ed io penso che lo sia
nellessenziale), c' allora materiale sufficiente per una nostra riflessione. $
18. Riassumo qui brevemente il contenuto teorico dei tre paragrafi precedenti.
La Scienza, la Materia e la Storia sono le tre principali novit (anche se non
certo le sole) che la modernit non eredita dal patrimonio della filosofia
greca, ma che trova costituite nel suo stesso orizzonte temporale, storico e
sociale. Se n Ad \ pelle plasance 15 vogliamo applicare in modo brutalmente
dogmatico la teoria di Marx della cosid- detta astrazione reale evidente che il nuovo modo di produzione
capitalistico, inesistente al tempo degli antichi greci, doveva dotarsi di una
forza produttiva (la Scienza), omogeneizzare spazialmente il luogo di
circolazione delle merci (la Materia) ed infine omogeneizzare temporalmente il
luogo di sviluppo della riproduzione del rapporto di capitale (la Storia).
Questo per non sufficiente. La
filosofia, infatti, non pu soltanto registrare lesistenza di astrazioni reali
desunte dai rapporti sociali di produzione come una pura proiezione concettuale
di forze materiali sottostanti. Molti marxisti hanno pensato e pensano questo,
ed anch'io lho pensato a lungo, insieme con Sohn Rethel e con la Antonopoulou.
Certo, anch'io credo che sia necessario prendere atto di questa registrazione,
e mi oppongo ai non-marxisti che non lo fanno, e che non sospettano neppure che
ci sia questo problema. Ma oltre alla registrazione ci vuole anche una sistema-
zione concettuale. E questo mi permette finalmente di introdurre la nozione di
sistema a fianco di quelle di fondamento e di verit. Ho atteso volutamente per
farlo il $ 18, perch voglio chiarire la mia personale concezione di questa cate-
goria. Con la parola sistema (in greco systema, pronuncia consigliata sistima)
si intende in filosofia una totalit deduttiva del discorso. La parola,
totalmente sconosciuta nel periodo classico, fu adoperata per la prima volta
dal medico scet- tico Sesto Empirico per indicare l'insieme delle premesse e
della conclusione o il semplice insieme delle premesse. Le filosofie classiche
erano sistematiche, e quelle ellenistiche erano addirittura organizzate in un
sistema triplice (logica, fisica ed etica). Hegel sostenne che la verit
filosofica coincide con l'esposizione scientifica, e dunque sistematica.
Personalmente, non ho mai creduto alla possi- bilit di separare il metodo ed il
sistema di una filosofia, secondo l'approccio che Engels consigli a proposito
della filosofia di Hegel. Ma non ancora
questo il punto che intendo veramente sottolineare. La filosofia moderna, e
solo questultima, ed in particolare Hegel, deve in ogni modo sistemare
l'irruzione delle nuove categorie di scienza, di materia, di storia, ma anche
di individuo libero, eccetera, dentro un logos moderno che presenta novit
rispetto a quello antico. In poche parole, un vero e proprio ritorno con-
sapevole ai greci presuppone che si sistemino alcune novit prodotte dal tempo
storico. E cos il pensiero scientifico, la materia fisica ed il progresso
storico ven- gono sistemati in una nuova concezione che per tiene ferma
l'eredit greca del carattere conoscitivo della filosofia. Non vi qui lo spazio per mostrare come tutte e tre
queste dimensioni vengono tenute in considerazione nel pensiero di Hegel, che
appunto per questa ragione sistematica pu essere considerato il punto
culminante, e purtroppo oggi ancora insuperato, del logos veritativo moderno. $
19. Nel precedente $ 2 ho gi fatto notare che il logos antico, cio il fonda-
mento veritativo della filosofia classica, che Platone chiam Bene (in
sostanziale accordo anche con le altre scuole filosofiche non platoniche), era
aperto e non chiuso. Non era dunque un fondamento di tipo pavimento, ma un fondamen-
to di tipo finestra. Ed era un fondamento aperto sia che si presentasse come 16
CA | pelle plaisance discorso orale, tenuto aperto dalla conversazione e dal
dialogo, sia che si presen- tasse come discorso scritto, in cui per la
dispersione nella illimitata catena delle interpretazioni poteva trasformarlo
in un pharmakon velenoso. In ogni caso, il sistema moderno di Hegel di
esposizione della conoscenza filosofica
altrettanto ed ancor pi aperto, e non
per nulla chiuso. Il filosofo Geraets afferma che l'apertura del sistema
hegeliano si ha nello Spirito Assoluto, ma io sono ancora pi estremista di
Geraets, perch penso che l'apertura sia presente anche nello Spirito oggettivo
(famiglia, societ civile, Sta- to), generalmente considerata un luogo chiuso
del sistema hegeliano. Vediamo meglio.
possibile pensare che Hegel ritenesse le sue concezioni della famiglia
(so- stanzialmente patriarcale), della societ civile (strutturata in
corporazioni pro- fessionali) e dello Stato (che non era un baraccone burocratico
autoritario, ma una sorta di partito progressista prussiano di centro-sinistra,
secondo larguta definizione dello studioso olandese Adrian Peperzak) come il
prodotto definitivo ed insuperabile del tempo storico. Bisognerebbe allora
trarne la conclusione che egli era ancora pi stupido di Fukuyama. Ma io rilutto
a trarre una simile sciocca conclusione, che attribuirebbe ad Hegel
unautoconsapevolezza filosofica minore di quella di un giornalista medio delle
pagine culturali dei quotidiani. Hegel non poteva essere cos sciocco da pensare
di scendere a pianterreno in veste da camera e pantofole per decretare la fine
della storia universale. pi probabile
che egli pensasse che nel suo tempo storico, pi esattamente nel suo tempo ap-
preso con il pensiero, il massimo di realt razionale conseguibile fosse quello
di una famiglia s patriarcale, ma anche fondata sulla libera scelta
matrimoniale, sull'amore coniugale e sull'educazione comune dei figli, quello
di una societ civile e professionale non ridotta alla civil society del dominio
di una opinione pubblica asservita agli interessi economici dei potenti del
denaro, ed infine quello di uno stato in grado di andare oltre i vecchi ceti
signorili allora difesi da Metternich. In questo modo Hegel diventa meno
sciocco, ed infatti cos io preferisco pensarlo. Geraets porta molti buoni
argomenti per sostenere la natura aperta del sistema hegeliano. In particolare
egli fa capire che non esiste in realt fine dellarte, fine della religione e
fine della filosofia, ma che in tutti e tre i casi si tratta di fini
provvisorie legate al tempo storico determinato di Hegel, che dava giudizi de-
terminati sull'arte romantica, sul cristianesimo protestante luterano e sul
proprio stesso sistema filosofico. Si tratta sempre di conclusioni non
conclusive. Il logos moderno non sbatte mai davanti a porte chiuse, ma possiede
sempre delle chiavi per aprirle. $ 20. E possiamo ora passare a Marx ed al
marxismo. In proposito, io ho gi scritto molto su questi due argomenti, e potr
perci essere in questa sede rela- tivamente veloce. In estrema sintesi, io
penso che Marx abbia realizzato un vero progresso conoscitivo rispetto ad Hegel
sul piano della storia come scienza, cio sul piano della concettualizzazione
dei modi di produzione sociali, discontinui n Ad \ pelle plasance 17 e non
seriali e successivi, ma abbia purtroppo invece accompagnato questo pro- gresso
scientifico con un penoso regresso filosofico, che consiste invece nella ne-
gazione di uno specifico valore conoscitivo della filosofia stessa. In questo
modo il sistema va in cento pezzi e la Scienza, la Materia e la Storia, che la
filosofia classica tedesca si era ben guardata dal far diventare i fondamenti
del pensiero, lo diventano con risultati catastrofici. Ma i concetti e le
pratiche moderne della scienza, della materia e della storia non sono mai veri
fondamenti, e tantomeno fondamenti veritativi, ma solo astrazioni reali la cui
genesi materiale non porta mai ad una validit universale. Ho riassunto in breve
la mia tesi negativa sulla (non)-filosofia di Marx. Ma prima di procedere devo
ancora segnalare un equivoco oggi diffusissimo, e cio il fatto che dopo la
grande crisi del marxismo degli ultimi tre decenni non asso- lutamente pi chiaro che cosa voglia
dire essere marxisti e chi possa dichiararsi tale. Ci ha portato ad una
tragicomica gabbia di matti, per cui alla fine marxista soltanto chi si dichiara tale, situazione
appunto da manicomio. In nessun altro campo umano questo avviene, ed infatti
per essere medico, ingegnere, autista e seduttore non basta dichiararsi tale
per esserlo. anche possibile negare con
lazzi ed insulti il titolo di marxista a chi ritiene di esserlo, e questo in
nome di interpretazioni catacombali e fondamentalistiche del marxismo stesso,
che avreb- bero certamente portato al rogo lo stesso Marx. Personalmente,
considero Marx il coronamento (contraddittorio)del paradigma teorico moderno,
non il fondatore del marxismo. I fondatori del marxismo furono storicamente
Engels e Kautsky, in assenza forzata (perch causata da un precedente decesso)
dello stesso Marx, che non fu mai marxista e lo disse anche in modo
filologicamente accertabile. Io non voglio assolutamente caricare tutto sulle
spalle del povero Engels, che mi anzi
personalmente ancora pi simpatico di Marx, ma purtroppo cos . Del resto anche
Paolo di Tarso, e non Ges di Nazareth, fu il fondatore del cristianesimo che
conosciamo. Per fare un esempio di quanto dico, voglio riportare le parole
dello studioso italiano Danilo Zolo: Personalmente ho fatto i conti con il
marxismo teorico quasi trent'anni fa, e presumo di averli fatti con seriet. Ho
preso congedo dal marxismo per la mia impossibilit di condividerne i suoi tre
pilastri teorici: la filosofia dialettica della storia con le sue presunte
leggi scientifiche dello svi- luppo; la teoria del valore-lavoro come base
della critica del modo di produzione capitalistico e come premessa della
rivoluzione comunista; la teoria dellestin- zione dello Stato ed il connesso
rifiuto dello stato di diritto e della dottrina dei diritti soggettivi. Non si
pu negare che Zolo si sia espresso in modo mirabilmente conciso e chiaro per
motivare il suo congedo dal marxismo. Vi
per un paradosso. Personalmente io mi dichiaro tuttora marxista, e nello
stesso tempo sono pienamente d'accordo con Zolo nel congedo da tutti e tre
questi (presunti) pilastri teorici del marxismo. Se il marxismo fosse questo,
io sarei dieci volte meno marxista di Zolo. Allora, o Zolo si inganna, o io mi
inganno, e si tratta di due possibilit da prendere entrambe in considerazione,
18 (C | pelle plaisance oppure come pi
probabile oggi il marxismo giunto di
fatto ad un tale punto di disgregazione teorica e sistematica da richiedere una
discussione complessiva radicale. Essa tarda, perch la comunit residua di
marxisti rimasti una comu- nit
conservatrice, ideologica ed identitaria, che non potr mai portare a termine
nessuna discussione, perch ogni discussione non
tale se non investe appunto i fondamenti, e le comunit identitarie ed
ideologiche non possono investire i loro fondamenti. Nessuna societ di
astronomi geocentrici potr mai avallare un paradigma copernicano, come
qualunque bambino sveglio pu capire. $ 21. In questo paragrafo cercher di
esporre in estrema sintesi la mia personale spiegazione della genesi storica e
psicologica delle ragioni per cui il giovane Karl Marx scelse di fondare la sua
concezione del mondo non su di un fondamento filosofico, ma su di una
programmatica non-filosofia. Il cosiddetto umanesimo rivoluzionario non infatti un fondamento filosofico in senso
proprio, e la co- siddetta rottura epistemologica (ammesso che sia mai
esistita, il che io consento solo in parte)
comunque un episodio interno alla storia della concettualizzazione
scientifica dei modi di produzione e dei loro concetti satellitari (forze
produttive, rapporti sociali di produzione, ideologia), e non certamente un fondamento filosofico. Se
esaminiamo lopera giovanile di Marx Critica della filosofia del diritto di
Hegel, che il punto di partenza politico
e psicologico della rottura di Marx con la societ borghese tedesca da cui
proveniva, vediamo che essa contesta soprat- tutto la pretesa della classe
burocratico-borghese prussiana, che si dichiarava ideologicamente hegeliana, di
rappresentare ed interpretare veramente gli interessi generali della societ
tedesca del tempo (fine anni Trenta/inizio anni Quaranta dell'Ottocento). Si
trattava dunque di una critica molto concreta, in cui il destinatario politico
era indicato a chiare lettere. Incidentalmente, questa critica teoricamente del tutto affine a quella che
verr fatta un secolo dopo ai critici della burocrazia politica degli stati
comunisti, il che fa di Marx (e non di Trotzky o di Bordiga) il vero interprete
ed anticipatore di ogni critica alle pretese universalistiche alle burocrazie
politiche. Proseguiamo. In questa critica politica alle burocrazie prussiane
che si autoper- cepivano come hegeliane Marx deve ovviamente passare alla
critica teoretica, e la basa sulla nozione di ipostasi (poi sviluppata pi di un
secolo dopo in Italia da Galvano Della Volpe e dalla sua scuola). Si tratta del
fatto che queste burocrazie, appoggiandosi alla lettera (ma a mio avviso non
allo spirito) della filosofia del diritto di Hegel, trasformavano
surrettiziamente il particolare in universale, senza neppure rendersi conto di
stare commettendo un errore logico e storico. Cos la famiglia diventava la
Famiglia, la societ civile diventava la Societ civile e lo stato diventava lo
Stato. Questa lipostasi. Fino a questo
punto, non si pu negare che Marx avesse ragione, e colpisse al cuore quel
procedimento ipostatico tipico anche di tutte le mistificazioni precedenti,
schiavistiche, ecclesiastiche, feudali e signorili, ecc. n Ad \ pelle plosance
19 Ma qui appunto si situa il problema che ci interessa. Fino a quando Marx
cri- tica la trasformazione ipostatica della famiglia (tedesca e borghese e
particolare) in Famiglia in generale come espressione dello Spirito Oggettivo
(dimenticando peraltro il contesto con cui Hegel vent'anni prima aveva fatto
questa operazione, che era di determinazione storico-ontologica e non di
ipostatizzazione logica), non si pu certo dire che abbia torto. A mio avviso ha
completamente ragione. Ma qui, appunto, questa negazione del cattivo universale
ipostatico diventa ne- gazione di ogni universale filosoficamente fondato, e
questo scivolamento la tragedia del
pensiero di Marx. Non a caso questa negazione integrale di ogni universale
piace a Della Volpe, che era stato ed era ancora un ammiratore della filosofia
empiristica di David Hume, grande negatore di ogni concetto universale fondato
veritativamente. Non a caso il rifiuto integrale del marxismo da parte di
Colletti, ammiratore di una scienza matematica della natura assolutizzata come
nuovo Sapere Assoluto contro ogni filosofia ridotta a patetica metafisica,
trover la sua lontana radice proprio in questo rifiuto giovane-marxiano di ogni
univer- salismo. E potrei continuare a lungo, ma non questa la sede. Concludiamo su questo punto.
Il legittimo rifiuto del falso universalismo ipostatico degli hegeliani
tedeschi scivola nellerrato rifiuto di ogni universale logico-ontologico. Al
posto di esso, avremo in Marx un impasto di Scienza, di Materia e di Storia,
cio di quelle astrazioni reali non filosoficamente mediate dal pensiero che
invece la grande filosofia classica tedesca era riuscita a controllare
sistemandole in un insieme teorico organico e coerente. La scienza marxista
della storia nasce dunque nel suo stesso fondatore con un pauroso regresso
filosofico, di cui a mio avviso paghiamo ancora oggi le conse- guenze. Qui sta
a mio avviso il cuore della questione. $ 22. Ovviamente, il fatto che Marx
abbia scelto di costruire la sua scienza del modo di produzione capitalistico,
nelle tre dimensioni della sua genesi, del suo contraddittorio sviluppo ed
infine del suo necessario esisto comunista, facendo a meno di qualunque
fondazione filosofica veritativa (nel senso greco e poi spino- ziano ed
hegeliano del termine), non vuol dire che non abbia anche di fatto pro- posto
una filosofia. Si pu infatti dichiarare esplicitamente di non avere e di non
voler nessun fondamento filosofico, ma
impossibile fare a meno di averne uno implicitamente. E questo ovviamente anche il caso di Marx. Questo
fondamento implicito allora una forma di
umanesimo rivoluzionario, in cui luomo
mosso al centro dell'agire storico in senso prometeico (e, del resto,
Prometeo era l'eroe preferito di Marx, anche perch si era coraggiosamente
opposto agli dei, che nel frattempo erano morti ed erano stati sostituiti dal modo
di produzione capitalisti- co. Ma luomo nella storia finisce con il diventare
necessariamente l'Uomo nella Storia, ed allora paradossalmente con queste due
ipostasi Marx restaura proprio quella logica ipostatica che aveva poco
generosamente rimproverato ad Hegel. Se l'uomo si realizza nella storia
attraverso l'economia, concepita come il luogo dello sviluppo delle forze
produttive e del conflitto distributivo che ne deriva, allora questo Uomo nella
Storia finisce con il dar luogo ad una triade filosofica di 20 C | pelle
plaisance umanesimo, economicismo e storicismo, triade unificata dalla comune
formula di materialismo scientifico Ma quella sommatoria (umanesimo+
economicismo+storicismo) resa uguale a scienza materialistica, non un vero fondamento filosofico veritativo, e
non dunque garantita da esiti
nichilistici. Quanto qui dico in modo telegrafico non fu affatto capito da
Louis Althusser e dalla sua scuola. Althusser fa unindebita equazione fra
epistemologia e filosofia, dimenticando che lepistemologia ha a che fare con
l'esattezza e con la certezza, e la filosofia con la verit, e sulla base di
questa indebita equazione sostiene lan- tiumanesimo di Marx. Ma Marx certamente un antiumanista epistemologico,
perch luomo non uno dei quattro concetti
di cui si serve per la sua scienza sociale (modo di produzione, forze
produttive, rapporti di produzione, ideolo- gia), ma per implicitamente un umanista filosofico,
perch l'Uomo nella Storia diventa il suo vero ed unico fondamento filosofico
implicito. In ogni caso la scienza sociale unitaria che Marx cerc di sviluppare
e di cui mise le fondamenta epistemologiche (da non confondere ovviamente con
il fon- damento filosofico) fu quella nuova scienza preconizzata a suo tempo pi
di un secolo prima da Giambattista Vico. Molte scienze serie, sia sociali che
della natura, sono sorte senza fondamento filosofico veritativo, ma si sono
creativamente sviluppate lo stesso, e non possiamo negare al marxismo il
diritto che diamo alla fisica o alla biologia. L'orizzonte scientifico di Marx
resta a mio avviso non solo serio, ma anche di fatto per ora insuperato. Per
questo non ho paura a dichiararmi ancora marxista, e ritengo molti eso- di e
molti congedi una mossa affrettata, perch
inutile congedarsi se non si riesce a proporre una sintesi
epistemologica generale migliore di quella di Marx (prescindendo ovviamente
dalle formulazioni che si dicono marxiste ma sono in realt impasti di
economicismo volgare, di umanesimo astratto e di storicismo deterministico e/o
profetico). Il dichiararsi ancora marxista
per me un doppio atto di resistenza e di modestia. Di resistenza contro
i proclamatori della fine capitalistica della storia universale, e di modestia
contro coloro che dichiarano sempre di essere oltre Marx laddove sono quasi
sempre dietro Marx. In quanto scienza della storia, quella di Marx ovviamente
fa errori e previsioni sbagliate senza smettere di essere tale, perch tipico di
ogni progetto scientifico l'errore e
lautocorrezione. Non concedendo questo diritto a Marx il teorico della
falsificabilit Karl Popper si rivela ingiusto e settario verso Marx stesso. In
primo luogo il marxismo non ha scadenze temporali vincolanti per sanzionare la
fal- sificazione o meno (1917?1945?1991?2086?2122?, ecc.). In secondo luogo,
cos come la fisica ha abbandonato la teoria dello spazio e del tempo assoluto e
la chimica la teoria del flogisto senza smettere di essere tali, nello stesso
modo il marxismo pu abbandonare le teorie della centralit rivoluzionaria della
classe operaia e proletaria e della stagnazione produttiva insita nella
riproduzione capitalistica senza smettere di essere tale. n fi \ pelle plasance
21 \ $ 23. La storia del marxismo dal 1880 ad oggi in realt solo una storia di dif- ferenti,
confliggenti e successive formazioni ideologiche marxiste, per usare il termine
proposto a suo tempo da Charles Bettelheim. Una storia unitaria del
marxismo semplicemente inesistente, una grande narrazione a suo tempo giustamente
stroncata da Lyotard, ed solo una
risorsa ideologica fantasmatica (immaginativa, avrebbe detto Spinoza) che lega
insieme in modo identitario dirigenti e militanti politici. Il marxismo degli
intellettuali a sua volta an- chesso una
formazione ideologica specifica, legata alle procedure di legittima- zioni
universitarie ed ai limiti di compatibilit con le linee politiche decise dai
dirigenti dei partiti di sinistra. Si tratta di storie che hanno pi a che fare
con la sociologia dei gruppi che con la filosofia vera e propria, e che sono
perci estranee ad un discorso sul fondamento veritativo. Il marxismo stato incorporato nel Novecento in cinque
pratiche politiche principali (sindacalismo rivoluzionario e riformistico,
socialismo, comunismo storico novecentesco nella sua linea do- minante,
formazioni minoritarie di contestazione fondamentalista, movimenti di
liberazione nazionale anticolonialista ed anti-imperialista). In tutte e cinque
queste pratiche politiche e sociali non c' mai un inesistente marxismo in ge-
nerale, ma solo delle diverse formazioni ideologiche marxiste. Esse non sono
l'oggetto di questa mia trattazione. Per concludere provvisoriamente sulla
questione del comunismo marxista no- vecentesco, penso naturalmente che la
formazione ideologica dominante, il mate- riale dialettico di tipo sovietico,
debba essere fortemente separata dal pensiero di Marx, con il quale intrattiene
un rapporto simile a quello che Dostojewsky disegn a proposito della relazione
fra Ges di Nazareth e del Grande Inquisitore. Nello stesso tempo sono contrario
a tutte le spiegazioni per cos dire monologiche del comunismo stesso, per cui
esso viene sbrigativamente interpretato sulla base di una sola idea-forza (come
l'illusione utopica che si rovescia necessariamente in totalitarismo di
Frangois Furet o la proiezione lavorativa sociale della produzione fordista di
fabbrica di Marco Revelli). Ogni formulazione monologica di questo tipo non ci
dice praticamente nulla di Marx e del marxismo, e ci dice solo molto del
profilo teorico personale di chi le propone. $ 24. Passiamo ora al quarto ed
ultimo punto della mia esposizione proposta nel $ 3. Non facile cogliere l'aspetto principale della
situazione contemporanea. Dieci anni fa, nel 1992, avrei detto che essa era
caratterizzata dalla caduta rovino- sa del comunismo storico novecentesco come
sistema di Stati, e dunque da una generale restaurazione capitalistica globale
(da cui lodierna globalizzazione, ecc.). Ma oggi, nel 2002, questa caduta
rovinosa stata ormai parzialmente san-
cita, stabilizzata e metabolizzata, nel bene o nel male (a mio avviso nel male,
per ragioni geopolitiche pi ancora che sociali), e l'aspetto principale sembra
ormai la presenza di un vero e proprio impero mondiale. Con il termine di
impero mondiale non mi riferisco assolutamente alla formulazione che ne stata recentemente data in un libro di
Antonio Negri e Michael Hardt. Non penso che esista, o sia in progressiva
costituzione, una sorta 22 CA | pelle plaisance di impero mondiale
deterritorializzato e soprattutto desovranizzato statualmente, costituito dalle
polarit opposte e confliggenti di un dominio astratto del capitale da un lato e
da moltitudini biopolitiche di disobbedienti dall'altro. Considero questo
modello errato per molte ragioni, di cui qui ne ricorder solo due. In primo
luogo, si tratta della somma di due paradigmi teorici entrambi erronei, il
paradigma politico del cosiddetto operaismo italiano ed il paradigma antropolo-
gico desiderante della scuola francese di Deleuze e Guattari. In secondo luogo,
non si tratta di un vero testo innovatore rispetto alla tradizione marxista, ma
di un testo che piuttosto porta a perfezionare il vecchio paradigma
soggettivistico, ovviamente nelle sue successive metamorfosi (dalloperaio-massa
fordista alle moltitudini post-fordiste). Questo modello oggi egemone presso molti gene- rosi
confusionari, e lo ritengo non linizio della soluzione di una crisi, ma una
manifestazione empirica della crisi in corso. Detto questo, ritengo anch'io per
che vi oggi una situazione imperiale. Ma
si tratta dell'impero americano degli USA, che non hanno affatto abolito il
vecchio imperialismo antagonistico plurale, ma ne hanno modificato
qualitativamente la natura con il nuovo elemento della soverchiante potenza
militare asimmetrica, unita ad una egemonia culturale, linguistica e mediatica
mai esistita prima nella storia. Questo impero si legittima religiosamente come
investito di una messianica missione speciale, e questo spiega perch i suoi
capi hanno sempre in bocca Dio, ridotto per ad idolo protestante e sionista.
Esso costituito da due classi, una
classe di patrizi ispirati ad un fondamentalismo religioso anglosassone che
si secolarizzato in una forma di
integralismo scientifico (e rimando qui il lettore al precedente $ 15, ed una
classe di plebei provenienti dallemigrazione e dallo sradicamento di tutti i
paesi del mondo, che trovano le loro nuove radici nelladesione ideologica e
pratica della missione imperiale. Dal momento che questo testo di carattere filosofico, e non economico-po-
litico, non aggiunger altre considerazioni su questo punto. Esaminer solo tre
aspetti direttamente filosofici del nuovo scenario imperiale, e dopo questo
potr concludere. I prossimi tre paragrafi saranno cos dedicati ad una ipotesi
generale sulla situazione filosofica oggi, alla questione della cosiddetta
Tecnica ed infine al problema dell'identit del marxismo in questa nuova inedita
situazione sto- rica. $ 25. Per capire la natura profonda dello scenario
storico presente voglio ricor- dare la diagnosi filosofica di Hegel sul mondo
romano che ho ricordato nel $ 12. Esso era caratterizzato da tre principali
elementi, il prosaico dominio pratico, il fatto che gli individui erano posti
solo come atomi, ed infine il disorientamento ed il dolore del mondo per
l'abbandono da parte di Dio. Ritengo che tutti e tre questi elementi, con le
modificazioni temporali tenute in conto, siano oggi non solo presenti ma
addirittura caratterizzanti. Iniziamo dal prosaico dominio pratico. Esso prosaico, perch anche se George Bush tiene sempre
ipocritamente la mano sul cuore per ricordare Dio, tutti sentono odore di
petrolio e non di incenso, e pertanto sanno che Dio solo n Ad \ pelle plasance d3 un pretesto
ideologico fittizio. Questo prosaico dominio pratico porta moltissimi ad una
sorta di rassegnato cinismo, perch tutti sanno che chi ha gi fatto una volta
Hiroshima la potr sempre ripetere, e chi lo ha dimenticato subir regolar- mente
dei bombardamenti che solo gli sciocchi possono credere che si possano
giustificare con motivi etici. Il dominio pratico spaventa la maggioranza, ma
esalta alcuni, ed ecco perch Bin Laden cerca di opporsi praticamente
scagliandosi contro i grattacieli. Con questo non intendo assolutamente
giustificare chi ha voluto l11 settembre 2001 (il giustificazionismo mi filosoficamente estraneo come lo la moralit per gli speculatori finanziari),
ma solo registrare in modo notarile che se uno vuole giustificarsi sulla base
del proprio prosaico dominio pratico verr inevitabilmente ripagato con la
stessa moneta. Solo un ristretto circo mediatico di giornalisti strapagati pu
inventarsi motivazioni altamente morali dove si vuole solo terra, petrolio,
materie prime, ecc., e lo si dice anche nellarti- colo stampato a fianco di
quello dedicato alle alte motivazioni etiche della difesa dei diritti umani. Il
secondo elemento il fatto che gli
individui vengono posti solo come atomi, e dunque la sola possibile comunit
umana quella del consumo, per cui in
mezzo, es meson, non c' pi il fondamento, il logos, ma solo la merce (to
emporeuma). Ed infatti la merce il solo
fondamento, non veritativo per eccellenza, del sistema capitalistico, ed il
vecchio Marx lo aveva capito, scegliendo metodologicamente di cominciare cos il
suo primo libro del Capitale. Da un punto di vista storico, l'affermarsi
universale della merce pu essere ripercorso attraverso tre momenti
fondamentali. In un primo momento la merce non
ancora astratta, ma ancora
socialmente e qualitativamente determinata, ed esistono allora leggi dello
Stato contro il consumo opulento di plebei occasionalmente pi ricchi dei
patrizi o dei nobili. In un secondo momento, che ha caratterizzato ad esempio
il Novecento, con l'avanzamento della produzione di massa standardizzata la
merce tende anch'essa ad essere serializzata ed in un certo senso
democratizzata, e questo avviene gi prima dellaffermarsi del fordismo. In un
terzo momento, che a mio avviso iniziato
solo da poco, la merce tende a personalizzarsi ad adattarsi ad ogni cliente
pagante, fino allutopia capitalistica perfetta di una merce indivi- dualizzata
per ogni abitante del pianeta. Questo processo non tende certamente al profilo
antropologico che Marx ha definito della libera individualit (con- trapposta
all'indipendenza personale borghese), ma ha bisogno di un libero consumatore
per potersi affermare. In questo contesto atomistico, in cui la vecchia
deviazione (clinamen, pa- rekklisis) epicurea avverr soltanto deviando verso
differenti negozi e supermer- cati, lo spazio filosofico, rimasto per
definizione senza verit e senza fondamento (perch la merce un fondamento che ontologicamente e
logicamente non pu programmaticamente essere vero, ma solo effettuale), diventa
uno spazio di civile conversazione fra individui atomizzati e
normalizzati. questa esattamente la
definizione imperiale americana prevalente di filosofia, sintetizzata mirabil-
mente da Richard Rorty. La pratica anglosassone della filosofia analitica, che
definisce sprezzantemente continentale tutta la tradizione filosofica ereditata
24 C | pelle plaisance da due millenni, riducendo gli antichi greci a progenitori
di unetnia minore di operatori turistici e di affittacamere estivi, appunto del tutto omogenea a questo spazio
conversativo ad un tempo interminabile e completamente irrilevante. Il terzo ed
ultimo elemento l'abbandono doloroso del
mondo da parte di Dio. Come gi in Hegel, qui il termine Dio sta per indicare un
orizzonte di sensatezza, sostituito da uninsensatezza presentata come virile
accettazione del disincanto del mondo provocato dal pensiero scientifico
moderno. Il mondo ridotto a mercato (il monoteismo del mercato, secondo la
corretta formulazione di Roger Garaudy)
appunto un mondo insensato, del tutto abbandonato da Dio, al di l del
fatto che stuoli di dignitari religiosi siano spesso presenti alle cerimonie
pubbliche in cui troneggiano i capi economici, politici e soprattutto militari
del pianeta. Le persone di fede sincera e sofferta, per cui io nutro la massima
conside- razione, tardano per a comprendere che lateismo realizzato non era
quello delle artigianali scuole sovietiche in cui si diceva che non esisteva un
demiurgo stellare creatore della materia ma che la materia stessa era lunico
fondamento scientifico e filosofico possibile, ma quello del dominio totalitario della merce
capitalistica (non parlo della merce semplice, perch personalmente non credo
nella teoria dell'estinzione integrale della merce, e neppure la auspico).
Questo viene spesso ammesso a mezza bocca, ma non certo cos che si pu lenire il dolore per
l'abbandono di Dio, cio dellindispensabile orizzonte di sensatezza, senza il
quale, come a suo tempo trascrisse Lukcs, la vita umana avvizzisce fra i due
poli dello specialismo e della stravaganza. $ 26. La situazione attuale da molti caratterizzata come lepoca
dell'avvento della Tecnica. Con questa maiuscola, inevitabilmente
ipostatizzata, si intende dire con Martin Heidegger con non si allude soltanto
ai progressi della tecnologia, o all'applicazione della scienza alla
produzione, ma si ha in mente una nuova configurazione globale dellintero
spazio della vita umana sia individuale che associata, in cui la precedente
tradizione metafisica occidentale si
realizzata appunto in tecnica planetaria. Non ho qui lo spazio per
valutare analiticamente questa potente diagnosi di Heidegger. In estrema
sintesi, dir che sul piano sto- riografico essa
solo una ennesima grande narrazione continua onnicomprensi- va, un
affascinante racconto per studenti del primo anno di filosofia, ma che sul
piano descrittivo della situazione attuale essa registra nel rarefatto
linguaggio della filosofia una sensazione tragica di perdita globale di
controllo da parte degli esseri umani dei loro stessi prodotti, che ormai si
autonomizzano e sembrano non essere pi padroneggiabili. Questa sensazione reale, e non se la certamente inventata Heidegger. Non la si
esorcizza con irrilevanti discorsi sulla pi o meno congiunturale adesione di
Heidegger al nazismo nel 1933. A questa diagnosi heideggeriana si possono
opporre due tipi di obiezioni fondamentali. La prima che la nozione heideggeriana di Tecnica una ipostasi generica ed astorica di qualcosa
che sempre determinato, e che in questo
caso luso capitalistico della tecnica
propiziato da una concezione ristretta di scienza. Come si vede, questa
critica simile a quella che a suo tempo
fece il giovane A Ad \ pelle plasance 25 Marx a Hegel, e che ho ricordato nel $
21. La considero una obiezione debole e non conclusiva. vero che la nozione filosofica heideggeriana
di Tecnica deriva da una precedente grande narrazione omogenea e continua che
va da Platone a Nietzsche, che di fatto nasconde discontinuit profondissime, e
questo do- vuto al fatto che Heidegger
ignora e disprezza la nozione marxiana di modo di produzione, finendo con il
fare della storia universale un oggetto di narrazione continua assolutamente
simile a quella del marxismo staliniano, e semplicemente invertita (ma
invertendo un cubo si ha sempre lo stesso cubo). Ma anche vero che Heidegger registra pur sempre
un fatto reale, e cio che ogni presunto possibile uso sociale alternativo della
scienza e della tecnica fino ad ora
rimasto unipo- tesi teorica del tutto ineffettuale, perch priva di portatori
storici reali. Prima di irridere alla frase sapienziale di Heidegger, per cui
solo un dio pu ancora sal- varci, sarebbe bene non ricorrere alle scorciatoie
infantili per cui salveranno la classe operaia dotata di nuovi capi politici, i
tecnici informatici collegati in rete o le nuove moltitudini biopolitiche
desideranti. Ma per favore, come dicono i due comici di Striscia la notizia! La
seconda obiezione consiste nel dire che la nozione heideggeriana di Tec- nica,
nel suo pessimismo, smobilitante e di
fatto fortemente apologetica del presente dominio capitalistico, il quale considerato invincibile perch ormai corazzato
dalla Tecnica stessa, eretta cos a divinit idolatrica invincibile. Si tratta di
una nuova interiorit all'ombra del potere che di fatto ripropone in vesti
heideggeriane la vecchia accusa che a suo tempo Lukacs rivolse agli
intellettuali del cosiddetto Grand Hotel dellAbisso. Se non c pi niente da
fare, questa la conclusione, almeno
coltiviamo la nostra individualit personale. Ma una simile psyche non pu essere
un fondamento filosofico veritativo, ma soltanto una sorta di rifugio
anti-atomico fornito delle maggiori comodit possibili. Se la techne onnipresente, la psyche impotente, e nessuna operazione cosmetica
potr mai nasconderlo a lungo. Tuttavia, anche questa obiezione non risolutiva. A mio avviso la nozione
heideggeriana di Tecnica, che io peraltro non adotto, al di l della dicotomia classica
Ottimismo/Pessimismo. Essa una sorta di
ambiente, (Umwelt) e di imposizione anonima (Gestell), che in quanto tale non
pregiudica ontologica- mente e logicamente la prassi umana libera. certo possibile leggerla come la
secolarizzazione novecentesca della ananke degli antichi greci, il destino
fatale ineluttabile cui non si pu sfuggire. Ma la questione a mio avviso resta
aperta, ed bene non chiuderla
frettolosamente. Io non intendo mettere Hegel e Marx in soffitta, ma nemmeno
Heidegger, anche se so bene che molti heideggeriani esaltano Heidegger proprio
per legittimare la messa in soffitta di Hegel e di Marx. Affari loro. $ 27. Il
destino storico del marxismo oggi nella situazione imperiale descritta nel $ 25
resta incerta. Bisogna distinguere la sua crisi congiunturale dalla sua crisi
strutturale. In Italia viviamo unapparente crisi del dibattito marxista
universitario per il semplice fatto che non esiste pi la spartizione delle
spoglie accademiche 26 C | pelle plaisance della Prima Repubblica fra cattolici,
laici e marxisti (traduzione: DC, par- titi laici e PCI). Questa non una crisi, ma il teatrino delle marionette. I
gruppi marxisti fondamentalisti non sono mai in crisi, perch si riproducono
sulla base di un commovente autismo manicomiale. La comunit marxista di lingua
inglese un simpatico party tollerante e
pluralista in cui alcuni economisti si incontrano con una variopinta umanit
no-global di pacifisti, ecologisti, femministe, difen- sori di foche e balene,
ecc. Sia chiaro, considero questo un progresso rispetto ai congressi ideologici
di intellettuali organici che portavano ognuno il loro con- tributo in attesa
delle conclusioni politiche di un capo-burocrate scortato da baffute guardie
del corpo. Non comunque dall'attuale
pluralismo accademi- co di mille workshops, in cui lunica sintesi sociale
comune il ristorante, che potremo uscire
dalla crisi. Sul piano dell'analisi del moderno capitalismo abbiamo per ora
solo membra staccate di spiegazioni economiche, politiche, culturali, ecc. Io
stesso mi considero un dilettante in economia e in politologia, oltre che nella
sempre pi attuale scien- za militare e strategica, ed ho alcune opinioni pi o
meno sensate solo sull'aspetto culturale della moderna crisi, opinioni che
esporr brevemente in un prossimo contributo per questa stessa rivista. Ritengo
comunque che questo sia normale. La nottola hegeliana viene solo al crepuscolo,
e siamo solo all'alba di questo nuovo capitalismo imperiale. Il primo libro del
Capitale di Marx non avrebbe mai potuto essere scritto nel 1824 (prendendo
ovviamente una data a caso). Sulla questione filosofica del fondamento, della
verit e del sistema, oggetto di questo mio contributo, ho invece maturato
finalmente con grande fatica e molte contraddizioni personali passate una
posizione chiara. Io non posso sapere quali vie prender la futura analisi
economica del capitalismo globalizzato contempo- raneo, ma so bene che lattuale
deficit di fondazione filosofica veritativa di tutto il discorso
anticapitalistico dellemancipazione umana ha gi fatto troppo male per
continuare a mantenerlo in nome della lotta allidealismo, di una scien- za
senza fondazione filosofica, di una lotta alla metafisica, di un laicismo
disincantato, di una contrapposizione fra materialismo ed idealismo, di una
civile conversazione senza presupposti veritativi eccetera eccetera. Non sar
facile. Gli sbarramenti teorici e soprattutto psicologici saranno enormi. Ma se
una prospettiva aperta, allora possiamo
sperare, sia pure in modo cauto e senza eccessive illusioni a breve termine. $
28. Con questo ultimo paragrafo sono giunto alle conclusioni. Le conclu- sioni,
naturalmente, sono che non ci possono essere conclusioni. Tanto meno ci possono
essere conclusioni in questo momento, in cui, come ho appena detto sopra, una
prospettiva si appena aperta, una
prospettiva che non stata ancora
assolutamente legittimata da una vera comunit anche piccola di pensatori criti-
ci dellattuale societ capitalistica. Oggi tutti coloro che si oppongono vengono
sbrigativamente etichettati con disprezzo come pacifisti ideologici o come an-
tiamericani. inutile andare a scuola da
Isocrate per imparare argomenti retorici per difendersi da queste etichettature
spregiative. Questi argomenti ognuno se n Al \ pelle plasance DI li fabbricher
facilmente da s. Bisogna invece andare alla scuola di Socrate, di Platone, di
Aristotele, di Spinoza, di Hegel, e soprattutto non avere paura della
filosofia. Non avere paura della filosofia significa non avere paura della
legittimit della conoscenza filosofica, della sua fondazione veritativa, e
soprattutto di una concezione del fondamento come apertura logica, ontologica e
dialogica. Il resto ci verr dato in sovrappi. Post-scriptum Sono stati
recentemente pubblicati due libri di Luca Grecchi (cfr. L'anima umana come
fondamento della verit, C.R.T., 2002; Karl Marx nel sentiero della verit,
C.R.T., 2003) che meritano una attenta recensione critica. Essa non pu essere
fatta in questa sede, ma mi riprometto di farla in futuro, nell'insieme e nei
dettagli. Non c' a mio avviso fretta, perch non si tratta di tesi
giornalistiche a rapida obsolescenza ed a veloce invecchiamento, ma di tesi
incredibilmente controcorrente anche sul piano tematico. la prima volta a mia conoscenza che un libro
con un radicale contenuto di critica sociale al moderno capitalismo viene
intitolato lanima umana come fondamento della verit. Io saluto con piacere
questa coraggiosa innovazione, anche se non mi nascondo le difficolt di una
inversione di tendenza nella attuale situazione spirituale e sociale. Ma
non questo l'oggetto di questo mio
post-scriptum. Nei sue due libri Grecchi fa ripetutamente riferimento a miei
lavori recenti, in modo quasi sempre molto critico. Dalmomento che mi sono
lamentato a lungo che il mio lavoro fosse insegretito dalla comunit
intellettuale italiana, in particolare di sinistra, sarei sciocco se ora fossi
infastidito dal fatto che del mio pensiero ci si occupa, sia pure in modo
fortemente critico. Non vi per lo
spazio, che sarebbe lungo, per rispondere a tutte le critiche analitiche fatte.
Per questa ragione rimando questa discussione ad altra sede, e mi limito a
toccare tre punti sollevati da Grecchi, il tema del marxismo, del relativismo,
e del nichilismo. A proposito del marxismo, non ripeto qui le considerazioni
fatte nei $$ 20,23 e 27 del testo che precede. Tutto questo mio testo pu essere
del resto letto come una prima risposta alle obiezioni di Grecchi. Se mi si
rimproverano errori, con- traddizioni o cambiamenti di posizione nelle mie
opere, bisogna esaminare sepa- ratamente queste tre diverse cose. A proposito
degli errori, li ammetto volentieri, in nome dell'ultima battuta del film con
Marilin Monroe A qualcuno piace caldo, per cui nessuno perfetto. Sulle contraddizioni, esse sono
dovute anche al fatto che ci voluto per
me un lungo sforzo interiore per giungere alla legittimit della problematica
della necessit di una conoscenza filosofica distinta nettamente da quella scientifica
e dalla pratica ideologica. La filosofia come ancella della scien- za (che ha
semplicemente sostituito, e non migliorato, la concezione cristiana medioevale
della filosofia come ancella della teologia), oppure la filosofia come
strumento dell'ideologia (comunista e proletaria) sono state due cose che mi
sono 28 C | pelle plaisance state insegnate negli anni Settanta in modo
talmente radicale che liberarmene (senza perdere le cose che avevo imparato pur
sotto il dominio di queste con- cezioni errate)
stato uno sforzo di una intera vita. Le contraddizioni sono un ben
piccolo prezzo da pagare. In questa ottica devono essere considerati anche i
cambiamenti di posizione (in meglio o in peggio tocca sempre agli altri dirlo).
Ho insegnato filosofia nei licei italiani per trentacinque anni, ed ho sempre
cercato di interessare gli studenti non presentando un pensiero come
staticamente perfetto e compiuto in una fotografia che compendia quarant'anni
in un solo flash, ma mostrando come Platone ed Aristotele, Kant ed Hegel, Marx
e Nietzsche nella loro vita cambiano d'opinione. Gli studenti hanno sempre
apprezzato questo, perch ne hanno tratto la conclusione che se cambiano
opinione loro che sono sui libri di storia della filosofia possiamo allora
cambiarla anche noi. Questo vale non solo per i grandi, ma anche per Costanzo
Preve. A proposito del relativismo, Grecchi ritiene che io non ne sia affatto
uscito, e ci sia anzi dentro. Relativismo significa sostenere che non esiste un
fonda- mento veritativo assoluto, e cio che la verit relativa. Personalmente ritengo con Socrate
che solo l'opinione relativa, la verit
no. Ma la dicotomia Relativo /Assoluto
semanticamente ambigua, perch il termine assoluto spesso in- teso come sinonimo di compiuto,
perfetto, portato a termine, e va dunque contro quella concezione di apertura
dellassoluto che ho segnalato nel mio testo come sostenuta da Vegetti per
Platone e da Geraets per Hegel. Inoltre il termine relativo, nel senso di
particolare, entra a far parte in forma linguistica diversa della dicotomia
Particolare/Universale. Contro l'ideologia della differenza io sono un
sostenitore di principio delluniversalismo.
questo un punto che mi divide per esempio da Alain de Benoist, che pure
stimo molto come pensatore. In questo sono un marxista classico alla Lukcs. Ma
alluniversalismo si arriva solo gradatamente senza saltare le comunit reali
esistenti, ed ecco perch sono con i comunitaristi alla Mac Intyre contro i
sostenitori di un universalismo dialogico presupposto, sradicato da ogni
comunit reale, difeso ad esempio da Habermas. Il loro preteso universalismo per me solo la proiezione universitaria colta
della falsa comunit globalizzata mondiale dell'impero americano. Io mi ritengo
dun- que universalista e comunitarista, e per questo difendo anche lo Stato
nazionale, la sua indipendenza culturale ed il diritto delle nazionalit senza
Stato a costituirsi in Stato (ad esempio, i baschi). L'universalismo filosofico
in me si sposa, a mio avviso senza contraddizione, con il comunitarismo ed il
nazionalitarismo. Le mie stesse collaborazioni a riviste che difendono questi
principi lo dimostrano. Passando all'ultimo problema del nichilismo, qui mi
rendo conto che si tocca un dente che duole. Tutti coloro che lottano contro il
nichilismo non sono d'accordo nel definirlo con precisione in modo chiaro ed
univoco, e per questo ritengo che gli altri non siano abbastanza
anti-nichilisti, e che siano anzi nichilisti. Grecchi mi consentir di non voler
partecipare a questo gioco al massacro. Il nichilismo un problema, non un bottone che si schiaccia
per attivarlo o disattivarlo. Se per essere considerato un vero anti-nichilista
io devo far violenza alle mie attuali convinzioni, per cui impossibile sottrarre la verit al tempo (in
una concezione n Al \ pelle plasance 29 a mio avviso difesa non solo da
Heidegger ma anche da Hegel), e non bisogna dunque postulare una sottrazione
originaria del fondamento veritativo allo scor- rimento temporale, allora mi
spiace ma non posso far parte della confraternita dei veri anti-nichilisti
garantiti. Allo stato attuale della mia riflessione, non posso e non voglio
aderire a quella che considero una interpretazione neoplatonica della logica di
Hegel. Pongo un problema, non mi interessa nominare nessuno e polemizzare con
qualcuno. Le concezioni filosofiche non hanno indirizzi postali. L'antinichilismo
fondato sulla sottrazione del fondamento ontologico veritativo al tempo esiste
peraltro gi, ed vecchio come il mondo.
Si chiama religione, o pensiero religioso. Del resto, Severino ne d una
(apparente) secolarizzazione laica, e non vedo proprio perch si debba andargli
dietro, con tutto il rispetto. Con questo chiudo. Non pretendo di aver risposto
in modo esauriente a Grec- chi, ma qui non pensavo tanto a lui, quanto ai
lettori della rivista, che desiderano certamente iniziare dai problemi generali
prima di scendere in dettagli polemici secondari. Nota bibliografica Questa
breve nota bibliografica non affatto
completa ed esaustiva, ma riguar- da solo i pi importanti riferimenti
nominativi o le problematiche collaterali che si dipartono dai vari paragrafi.
Peril $2iriferimenti semantici ai termini greci di fondamenti e di verit sono
tratti da N. Abbagnano, Dizionario di filosofia, Torino, UTET, 1964. Il $4 fa
riferimento a M. Bernal, Atena nera. Le radici afroasiatiche della civilt
classica, Parma, Pratiche editrice, 1991. Il $ 5 fa riferimento a due
interessanti libri di G. Colli, La nascita della filo- sofia, Milano, Adelphi,
1975, e di M. A. Levi, Il senso della storia greca, Milano, Rusconi, 1979. Il
riferimento del $ 6 ad Antonio Capizzi,
curatore della bella antologia I presocratici, Firenze, La Nuova Italia, 1984.
Per il $ 7 si vedano G. Thomson, I primi filosofi, Firenze, Vallecchi, 1973, e
di A. Sohn Rethel, Lavoro intellettuale e lavoro manuale, Milano, Feltrinelli,
1977 e La scienza come coscienza alienata, in Sapere, n. 832, ottobre 1980.
Peril $8 si veda il primo volume del manuale di M. Bontempelli-F. Bentivoglio,
Il senso dell'essere nelle culture occidentali, Milano, Trevisini. Per il $9 si
veda la mia fonte principale J. P. Vernant, Le origini del pensiero greco,
Roma, Editori riuniti, 1976. La centralit della dicotomia simbolica fra
Acropoli ed Agor sta alla base del manuale di M. Vegetti, Filosofie e societ,
Bo- logna, Zanichelli, da me usato a lungo nel mio insegnamento liceale. La
centralit di Socrate magistralmente
esposta in un breve testo di da G. Giannantoni, Il sapiente e la citt, in
Rinascita, n. 36, settembre 1984. 30 C | pelle plaisance Il riferimento critico
del $ 10 al libro di B. Cassin,
L'effetto sofistico, Milano, Jaca Book, 2002. Il libro comunque interessante per la sua opposizione
fra lo- gologia ed ontologia, che per considero personalmente estranea allo
spirito degli antichi greci. Il $ 11 fa riferimento alla tesi esposta da J. Derrida
in La farmacia di Platone, Milano, Jaca Book, 1985. La tesi di Mario Vegetti
sulla differenza fra il bene come fondamento aperto e lUno come fondamento
chiuso esposta con grande chiarezza in
Lettera internazionale, n. 1., estate 1984. Per il $ 12, che riguarda lo sfondo
storico della dissoluzione della filosofia greca, mi permetto di rimandare ai
miei tre lavori. Sul ruolo della basileia el- lenistico-romana (pronuncia
consigliata: vassila) cfr. L'educazione filosofica, Pistoia, C.R.T., 2000, pp.
45-66. Sul giudizio di Hegel sul mondo imperiale ro- mano (giudizio ripreso nel
$ 25) cfr. L'assalto al cielo, Milano, Vangelista, 1992 pp. 74-78.
Sullinterpretazione della Lettera ai Corinzi di Paolo di Tarso, ripresa da uno
studio del filosofo greco Dimitris Kyrtatas, cfr. L'eguale libert, Milano,
Vangelista, 1994 pp. 104-114 e passim. Il $ 13 sostiene una teoria della
modernit filosofica che vede una continuit importante fra Kant, Hegel e Marx.
Si veda in proposito il libro di A. Burgio, Strutture e catastrofi. Kant, Hegel
e Marx, Roma, Editori riuniti, 2001. Il $ 15, dedicato alla genesi religiosa,
protestante e puritana del paradigma scientifico moderno, ispirato ai lavori di R. K. Merton, Scienza
tecnologia e societ nellInghilterra del Seicento, Milano, Angeli, 1983 e
soprattutto M. Jacob, Il significato culturale della Rivoluzione scientifica,
Torino, Einaudi, 1992. A mio avviso questo binomio religione-scienza sta anche
alla base dell'ideologia ame- ricana contemporanea della Special mission
(missione speciale). Il $ 16 ispirato ad
un libro che esiste solo in greco moderno, ma che mi stato utilissimo per la comprensione della
genesi del concetto filosofico di materialismo. Cfr. M. Antonopoulou, Prassi
sociale e materialismo, Atene, Alexandreia, 2000. Per il $ 17 e l'assunzione
del concetto di storia come concetto moderno tra- scendentale riflessivo mi
permetto di rimandare al mio lavoro I secoli difficili, Pistoia, C.R.T., 1999.
Per i $$ 18 e 19, ed il carattere aperto del fondamento filosofico in Hegel,
illu- minante a mio avviso il libro di
T.F. Geraets, Lo spirito assoluto come apertura del sistema hegeliano, Napoli,
Bibliopolis, 1985. I $$ 20-23 e 27 sono dedicati a Marx ed al marxismo. Poich
ho scritto molto su questo tema, di cui sono in un certo senso un modesto
specialista, riman- do ai miei due ultimi lavori, Marxismo e filosofia,
Pistoia, C.R.T., 2002 e Nuovi saggi di marxismo e filosofia, Pistoia, C.R.T.,
2003. I due libri sono largamente complementari, e nascono dalla collaborazione
con la rivista Praxis del Campo Antimperialista di Assisi. Le dichiarazioni di
D. Zolo sono tratte da una intervista a La Repubblica, 28- 9-2002. Le tesi di
fondo della scuola dellavolpiana (che io rovescio integralmente nel $ 21) sono
esposte in L. Colletti, Il marxismo ed Hegel, Bari, Laterza, 1969. Due delle
spiegazioni monologiche del comunismo storico novecentesco, da me n Al \ pelle
plasance ai fortemente criticate, sono quelle di F. Furet, Il passato di una
illusione, Milano, Mondadori, 1995, e di M. Revelli, Oltre il Novecento,
Torino, Einaudi, 2001. Per il $ 24 le tesi su di un impero globalizzato e
deterritorializzato sono in A. Negri-M. Hardt, Impero, Milano, Rizzoli, 2002.
Per la comprensione del $ 25 essenziale
il nesso fra violenza soverchiante e copertura moralistica. Il modello di
annientamento non mai quello di Au-
schwitz, ma sempre quello insuperabile
di Hiroschima. Per questo si veda il piccolo capolavoro di D. Fennell, The
postwestern condition, London, Minerva press, 1999, che stata una delle fonti del mio lavoro Il
bombardamento etico, Pistoia, C.R.T., 2000. Per il $ 26, dedicato al concetto
di Tecnica in Heidegger, si veda la ricca biblio- grafia segnalata in U. Galimberti,
Psiche e techne, Milano, Feltrinelli, 1999. Una critica a Galimberti contenuta nel libro di M. Bontempelli,
Filosofia e realt, Pistoia, C.R.T., 2000, pp. 255-283. Non aggiungo qui altri
testi, sebbene ne abbia ovviamente utilizzati molti altri. Essendo il mio testo
aperto, correggibile e migliorabile, anche la bibliografia correggibile e migliorabile. 32 ed | pelle
plaisance Costanzo
Preve IDEOLOGIA IIIALIANA saggio sulla storia delle idee marxiste in Italia
Vangelista Costanzo Preve IDEOLOGIA IIALIANA saggio sulla storia delle idee
marxiste in Italia Vangelista 1993 by
Vangelista Editori Snc 20145 Milano, via Alberto da Giussano 15 Tutti i diritti
riservati Quandero giovane erano i vecchi i miei maestri. Lasciai fuoco per
forma fino a spegnermi. Soffrivo come un metallo che fosse forgiato. Andavo a
scuola dai vecchi per imparare il passato. Ora che sono vecchio ho per maestri
i giovani. Quel che non pu modellarsi deve essere infranto o piegato. Lezioni
mi torturano che riaprono antiche suture. Vado a scuola dai giovani per
imparare il futuro. Robert Frost, Quel che dissero i cinquant'anni Amo il mio
lavoro e gli dedico cure continue. Ma mi scoraggia oggi questa grande lentezza
nei risultati. E colpa del tempo. Il giorno diventa sempre pi scuro. Il vento
soffia e la pioggia sconvolge ogni cosa. Preferirei guardare, piuttosto che
scrivere. Costantino Kavafis, Dipinti In verit io non voglio separare e
distinguere. Resterei solo troppo a lungo
pi della mia durata e amo invece
la compagnia. Da intruso che vuol farsi perdonare il mio sorriso abituale. La verit divide una mia bella frase. Giovanni Giudici, La
coscienza sporca Introduzione Questo saggio sulla storia delle idee marxiste in
Italia ispira- to ad una ipotesi
interpretativa relativamente semplice, che ren- deremo immediatamente
esplicita. In breve: la tradizione mar- xista italiana che si maggiormente sviluppata, fino a diventare
egemone storicamente e largamente conosciuta allesterno, e fi- no a diventare
sinonimo di marxismo italiano tot court,
sta- ta linterpretazione del marxismo in chiave di filosofia della
prassi. Si trattato di uninterpretazione
del marxismo che non ne sottolineava volutamente gli aspetti di filosofia
(secondo uninterpretazione comune a Sartre come a Bloch, a Lukcs co- me a
Kosfk), oppure quelli di scienza (secondo uninterpreta- zione tipica delle
correnti maggioritarie del marxismo della II e della III Internazionale, da
Engels fino al materialismo dialetti- co sovietico), ma che ne enfatizzava
invece gli aspetti di orienta- mento pratico, attivistico, politico. La
filosofia della prassi come ancella della politica, in poche parole. Certo, non
sono mancati in Italia marxisti autorevoli che hanno coltivato sia la filosofia
che la scienza marxiste, innestandole quasi sempre su preesistenti correnti
autoctone o internazionali. Ma essi sono spesso stati in un certo senso al
margine della filosofia della prassi stessa, come se fosse in fondo un peccato
da espiare ed una vergogna da nascondere il fatto di non fornire indicazioni
concrete che potessero servire immediatamente da suggerimenti utilizzabili per
la lotta politica, anzi per lelaborazione della linea politica, vista come
lalfa e lomega di ogni riflessione teorica. Ebbene, la nostra
interpretazione invece che in Italia di
vera e propria filosofia della prassi ce n' sempre stata molto poca, anzi
pochissima, perch sempre prevalso un
perverso mecca- nismo manipolatorio, che ha sistematicamente selezionato della
riflessione teorica soltanto quello che poteva essere utiliz- 7 zato
empiricamente qui e subito per avallare, legittimare e giu- stificare una
determinata linea politica, scelta quasi sempre per ragioni magari nobilissime
e concretissime, ma del tutto estra- nee alla riflessione teorica
strategica. questa, allora, l'ideologia
italiana. Non la filosofia della prassi, dunque, ma il primato empirico della
pratica politica. La pratica politica, per, non
in alcun modo la prassi. Mentre infatti la nozione di prassi allude alla
totalit dinamica e processuale della vita, e include lintera riproduzione del
modo di produzione, integrandone le dimen- sioni culturali, politiche ed
economiche, la pratica politica si muove esclusivamente al livello della
riproduzione degli appa- rati di rappresentanza politica della societ
capitalistica. I politi- ci di professione, onesti o disonesti, colti o
ignoranti, devoti o opportunisti che siano, si muovono esclusivamente a questo
li- vello della riproduzione dellessere sociale complessivo. Se la loro
pratica, che pure riflette un piano reale e concreto del- l'essere, finisce con
il dirigere la prassi complessiva, questul- tima impallidisce e svanisce
progressivamente, fino a svuotarsi e ad annullarsi nichilisticamente. Questo
svuotamento, almeno in Italia, si
esibito sotto gli oc- chi di tutti fra il 1989 e il 1991, in cui il
Partito Comunista Italia- no si sciolto
dando vita a due formazioni diverse e rivali, il Par- tito Democratico della
Sinistra, da un lato, programmaticamen- te e quasi provocatoriamente
disinteressato alla teoria marxista frettolosamente sostituita con un cocktail
di Habermas, Dahrendorf, Rawls, Bobbio, eccetera, e il Partito della Rifonda- zione
Comunista, dallaltro, che non affatto
nato su di una ipo- tesi strategica di comunismo fondata su di una teoria
discussa e presa sul serio, ma su di un'identit resistenziale di militanza e di
fedelt ad una tradizione. Prima di queste date, daltra parte, si era gi
consumato il rapporto con il marxismo sia della genera- zione del Sessantotto e
del Settantasette, approdata in massima parte a forme postmarxiste di coscienza
culturale e politica (in generale ad un solo obbiettivo, come il femminismo, il
pacifi- smo e lecologismo), sia della comunit accademica ed universi- taria,
distaccatasi dalle superficiali mode marxiste degli anni Settanta per rifluire
nellostentato culto dello specialismo e del 8 settotialismo non pi vissuti con
disagio e coscienza infelice, ma rivendicati con provocatoria volutt. questa dunque lipotesi interpretativa di
questo saggio: lau- toannientamento, lautodissoluzione, ora dolorosa ora
grotte- sca, di una filosofia della prassi che era in realt quasi sempre stata
(salvo eccezioni) una forma di primato e di direzione della pratica politica
sulla prassi stessa, con il risultato di produrre un impersonale meccanismo di
selezione e di manipolazione pra- ticistica della teoria, che non veniva presa
in considerazione per il suo valore di (eventuale) verit o falsit, ma soltanto
per la sua diretta utilizzabilit tattica in chiave di primato della politi- ca
(nel senso che i francesi danno allespressione, intraducibile in italiano, ma
efficacissima, di politique politicienne). Alla fine, questa politica di
politicanti non ha ucciso la teoria (Occhet- to non pu certo uccidere
Gramsci!), ma lha resa nichilistica- mente irrilevante, ridicola, quasi oscena.
In altra sede, abbiamo definito tutto questo nichilismo. Al- tri hanno usato
differenti espressioni. Ad esempio Lukfcs ha definito l'essenza dello
stalinismo in termini di sistematico pri- mato della tattica sulla strategia.
Se questo lo stalinismo (ma la
definizione certo insufficiente)
lItalia stato sempre il paese- guida
dello stalinismo. Certo, centrer qualcosa anche la longue dure della
controriforma, del protestantesimo mancato, dello spagnolismo, del soffocante
conformismo cattolico, del nicode- mismo, della dissimulazione onesta,
eccetera. In proposito, stata scritta
unintera biblioteca, da De Sanctis a Gobetti. Volu- tamente, non intendiamo
entrare in questi strati geologici della coscienza nazionale. Chi scrive
non un geologo, ed del tutto ignorante sulla deriva dei
continenti. La longue dure opportu- nistica e trasformistica della storia
nazionale degli intellettuali
innegabile. Siamo il paese in cui il fascismo stato al potere, mentre il co- munismo ha
conosciuto solo l'opposizione, e dove
giunto al potere, stato ben
presto riassorbito nella tradizione nazionale del trasformismo. Questo saggio,
per, non intende in nessun modo spingersi oltre, dal momento che su questa
strada inevi- tabile ripropotre
considerazioni generiche sulleccezionalit 9 positiva o negativa degli italiani,
e la letteratura su questa eccezio- nalit positiva (da Gioberti in poi) o
negativa (da Gobetti in poi) sterminata,
avendo nutrito per decenni le polemiche fra laici (so- stenitori della riforma
protestante mancata, e dunque dellecce- zionalit negativa) e cattolici
(sostenitori del primato morale e ci- vile degli italiani, popolo papale e
cattolico, dunque delleccezio- nalit positiva).
invece pi produttivo tornare all'ipotesi di par- tenza, e chiederci
ancora una volta se sia plausibile ripercorrere laccidentato cammino della
storia delle idee marxiste in Italia sotto langolo visuale del primato della
pratica politica sul com- plesso di produzione della teoria. Riteniamo di s, e
pensiamo che questo approccio si differenzi (ed anzi si contrapponga) ad almeno
altri due approcci possibili, che legheremo rispettivamente ai no- mi di
Norberto Bobbio e di Ludovico Geymonat. Vorremmo chiarire subito dove si situa
esattamente la diversit dell'approccio di questo saggio da queste insigni
tradizioni teorico-interpretati- ve, perch in questo modo il lettore pu apprezzare
meglio la na- tura complessiva dell'approccio metodologico proposto. Norberto
Bobbio si occupato per decenni del
marxismo ita- liano, in generale con monografie acute e precise (come quelle su
Gramsci), in cui non ha mai mancato di proporre una propria personale
interpretazione. Filosofo della politica, ha sempre te- nuto metodologicamente
ben distinti i due campi dell'agire poli- tico e dellagire economico (il che fa
a nostro avviso di Bobbio come
argomenteremo pi avanti un pensatore
molto pi crociano di quanto si immagini o si creda), con il risultato di
diventare il pensatore italiano par excellence della democrazia intesa come
sistema di procedure formali di legittimazione e di governo. In questo modo (e
ci pu essere detto anche per pen- satori a lui affini, come lo storico delle
idee comuniste Massimo Salvadori) la storia del marxismo e del comunismo
diventa so- prattutto la storia dei rapporti di queste due entit con il proble-
ma della democrazia, a sua volta sostanzialmente identificato con la questione
del pluralismo elettorale, della conformit allo stato di diritto
borghese-capitalistico, alla classica divisione dei poteri della tradizione
costituzionalistica liberale, ai limiti 10. del potere delle maggioranze
elettorali che si esprimono in un governo, alle garanzie individuali e
collettive che si offrono ai dissenzienti che accettano a loro volta le regole
del gioco. La democrazia come regole del gioco, per difla in breve. Non
vogliamo certo irridere a questo approccio, tutt'altro. per giusto rilevare subito che se si decide
di ricostruire la logica teo- rica complessiva del dibattito marxista sulla
base della questio- ne delle forme costituzionali del sistema politico,
relegando le- storsione del plusvalore ai lavoratori produttivi in un limbo
nebuloso per economisti di professione, si giunge ad un impo- verimento assai
marcato dellanalisi, e i marxisti vengono allo- ra bobbiamente classificati
sulla base della dicotomia fra de- mocratici (sostenitori cio della democrazia
rappresentativa pluripartitica ad economia di mercato) e non democratici (so-
stenitori di uneconomia pianificata autoritariamente a partito unico e a
sindacato di stato). Questa questione
certo fonda- mentale, ma su questa base metodologica il novanta per
cento del dibattito sul capitalismo ed il suo destino storico viene azze- rato,
o meglio viene ridotto alla questione della vittoria dei co- munisti in una
elezione pluralistica reversibile, come se il co- munismo fosse unopinione
politica pura da proporre in un mercato delle idee. Pu anche darsi che sia cos
(ma non lo cre- diamo, senza essere per questo sostenitori dellilliberalit e
del totalitarismo), ma se cos, allora il
capitalismo non un modo di produzione,
ma la ricaduta economica accidentale di un siste- ma politico
liberaldemocratico che ne rappresenta il prirzu7 metodologico ed il fondamento
ontologico. Non ci si deve allora stupire che, se si decide di accettare il
terreno di Bobbio come lunico perseguibile, gli si dia ragione in tutto, come
avvenne nel 1976 nel noto dibattito su stato e democrazia pubblicato sulla ri-
vista Mondoperaio. Su questo terreno Bobbio ha effettiva- mente ragione, non ci
sono santi: come negare che la democra- zia, se
tale, non soltanto sostanziale,
ma anche formale? Per chi coltiva con
seriet il pensiero dialettico, come
possibile ne- gare seriamente che forma e contenuto fanno parte
integrante di un unico complesso ontologicamente unitario, e che non si pu
avere democrazia sostanziale senza la contestuale organizza- 11 zione giuridica
di un sistema funzionante di garanzie formali? In questo modo, per, la storia
complessiva del marxismo perde di significato, e Gramsci diventa un pensatore
inferiore a Craxi (perch indubbio che
Gramsci zor era tout court per la demo- crazia pluripartitica capitalistica,
mentre Craxi un indiscusso difensore non
solo delle elezioni pluripartitiche, ma addirittura del metodo proporzionale,
che indiscutibilmente pi demo- cratico e
rappresentativo di quello uninominale e maggiorita- rio). Un bobbiano dir
certamente che le cose sono pi com- plesse. Non dubitiamo affatto che esse
siano pi complesse. In questa sede, per, vogliamo ribadire che la riduzione del
marxismo a teoria della politica, da un lato, e l'ulteriore riduzio- ne della
teoria della politica a teoria delle procedure di rappre- sentazione dei
soggetti (come se i soggetti da rappresentare fossero gi costituiti dalla mano
invisibile della societ, data per presupposta), dallaltro, non permettono
metodologica- mente di cogliere il nesso fra marxismo, economia, politica e fi-
losofia. Cos avviene a nostro avviso in Bobbio. Leconomia abbandonata agli economisti (cio ai
capitalisti), la filosofia ri- formulata
alla Abbagnano come una forma di empirismo esi- stenzialistico, ed il marxismo
diventa una cattiva teoria della po- litica (che per diventare buona deve
diventare semplicemente liberaldemocratica). Ludovico Geymonat ha sostenuto per
decenni, sia nella sua fase neopositivistica sia nella sua ulteriore fase
materialistico- dialettica, che il problema essenziale, primario, strutturale,
della tradizione italiana del marxismo consisteva nel suo cattivo rapporto con
la scienza moderna e con i suoi procedimenti. Ri- prendendo temi gi presenti in
Cattaneo (ma anche in Vailati), Geymonat ha sempre insistito sul fatto che un
marxismo di sag- gisti, letterati, storici e filosofi non e non pu essere un buon marxismo, dal momento
che la questione cruciale del Novecen- to
quella del metodo e dellimpresa scientifica. A differenza di Galvano
Della Volpe (come chiariremo pi avanti), Geymonat ha sempre detto di voler
conciliare il metodo scientifico con la dialettica, ed perci sempre stato un filosofo a tutti gli
effetti 12 (oltre che, ovviamente, uno dei maggiori storici della filosofia del
Novecento italiano). Il problema teoretico (si noti bene, teoretico, non
storico) che vorremo qui porci per
questo: vero che la grande questione del
marxismo italiano del Novecen- to stata
quella del suo cattivo e reticente rapporto con limpre- sa scientifica
moderna? vero che c sempre stato troppo
He- gel e poco Galileo? . Chi scrive non crede n luna n laltra cosa. E infatti
vero (e ci soffermeremo su questo pi avanti) che il primo grande dibatti- to
sullo statuto teorico del marxismo italiano, quello triangolare fra Labriola,
Croce e Gentile, avvenuto fra filosofi e
non fra scienziati. Ma forse che la concezione della scienza di Croce non era
quella di altri insigni scienziati di professione dellepoca, come Poincar e
Mach? Certo, questa filosofia della scienza pu non piacerci (e chi scrive non
la condivide), ma non possia- mo dire che essa sia stata una filosofia di
persone che ignoravano limpresa scientifica (forse che Mach e Poincar la
ignoravano?). Pi in generale, questa impostazione geymonattiana pu far pensare
che Gramsci e Togliatti, se avessero avuto una maggiore - cultura scientifica,
e non soltanto una formazione letteraria e fi- losofica, avrebbero potuto
impostare su basi pi solide la tradi- zione marxista italiana. Chi scrive non
lo crede affatto. Gramsci era un ex-studente di lettere con una preparazione
prevalente- mente filologica e linguistica, ma nel suo contrasto di fondo con
Bordiga (che era un ingegnere, e per di pi un ingegnere coi fiocchi, dotato di
una saldissima conoscenza dellimpresa scientifica) era a nostto avviso Gramsci
ad aver ragione, non Bor- diga, anche se Gramsci connot il marxismo in termini
di filo- sofia della prassi, e Bordiga lo connot sempre in termini di
materialismo dialettico. Per ci che concerne Togliatti, giu- sto dire che egli si circond di
letterati crociani (e gentiliani) e di retori di salotti romani, mentre non
lasci spazio a proposte co- me quelle di Geymonat di maggiore
scientificizzazione del marxismo. Se questo avvenne, per (come cercheremo di
mo- strare nel terzo capitolo della prima parte di questo saggio, de- dicato a
Togliatti), non fu certo per insensibilit letteraria alla cultura scientifica
(Togliatti anzi pensava che la borghesia capi- 13 talistica non sarebbe stata
capace di sviluppare le forze produt- tive, e che il socialismo avrebbe vinto
proprio per la sua maggio- re capacit economica in questo campo: e non esiste
notoria- mente capacit economica vincente senza scienza, innovazione,
tecnologia). Questo avvenne perch lo storicismo di Togliatti non era il frutto
di una trascuratezza verso la scienza, ma era invece l'involucro necessario,
ideologicamente necessario, di tutta la sua linea politica di via italiana al
socialismo. Con questo, non vogliamo dire che Geymonat non abbia avuto grandi
intui- zioni e non abbia avuto spesso ragione su cose essenziali (come nella
sua critica al luddismo intellettuale presente anche nel Sessantotto degli
studenti). In questa sede, ci limitiamo a dire che, cos come non crediamo
allipotesi bobbiana della decisivi- t della questione della forma politica
della democrazia rappre- sentativa, analogalmente non pensiamo che la questione
decisiva del marxismo italiano sia stata quella del suo rapporto con la
scienza. La questione decisiva, a nostro avviso, resta a tutti gli effetti
quella del rapporto malsano fra processo di produzione della teoria, o meglio
degli elementi strategici della teoria, e processo di selezione e manipolazione
da parte di ceti politici professionali spesso deideologizzati e
filosoficamente nichilisti, con la subordinazione del processo di produzione al
processo di valorizzazione politica di essa. Per usare un termine a suo tempo
impiegato da Karl Marx, il tema fondamentale
quello della sottomissione reale (si badi bene, reale, non solo forma-
le) della teoria alla pratica politica, della strategia per il comuni- smo alla
tattica elettorale della sinistra. Stabilito questo principio metodologico, non
abbiamo cerca- to di forgiare a martellate lintera vicenda marxista italiana in
questo stretto letto di Procuste. Il lettore interessato al dibattito
ideologico marxista in Italia pu anzi leggere questo saggio an- che se non ne
condivide per nulla l'impostazione metodologica. Per ragioni di chiarezza,
abbiamo ritenuto opportuno dividere l'esposizione in due parti, proponendo
anche di considerare co- me data-spartiacque nella storia del marxismo italiano
non il 1945, cio la fine della seconda guerra mondiale e la vittoria del- 14 la
Resistenza, ma il 1956, cio la riapertura della catena dei per- ch, come
scrisse a suo tempo Franco Fortini, con unespres- sione che troviamo quasi
perfetta nel suo suggerimento stori- co-filosofico. Confessiamo di aver esitato
a lungo prima di deci- dere per questa scelta di periodizzazione. Non sarebbe
stato giusto forse valorizzare maggiormente il 1921, data della fonda- zione
del Partito Comunista dItalia, sezione italiana della Terza Internazionale? Non
sarebbe stato opportuno sottolineare di pi il triennio 1943-45, che fu a tutti
gli effetti un triennio perio- dizzante, e che lattuale ondata storiografica
revisionista, che sullonda degli scritti di De Felice tende a rivalutare e a
rilegitti- mare il fascismo di Mussolini (cui si rimprovera al massimo co- me
una colpa lieve l'alleanza con Hitler!), vuole invece mette- re quasi in
soffitta? Da un punto di vista storico,
giusto insistere sugli anni 1921 e 1945. Questo, per, un saggio di storia delle idee, e la storia
delle idee non ha sempre automaticamente la stessa periodizza- zione della
storia storica. Palmiro Togliatti visse fino al 1964, ma il togliattismo, a
nostro avviso, fu soprattutto un fenome- no ideologico degli anni Trenta,
Quaranta e -Cinquanta, ed a partire dal 1956 esso fu contestato apertamente da
correnti (co- me loperaismo di Raniero Panzieri) che sono invece difficil-
mente concepibili prima di quella data. Pi in generale, la que- stione della
non sincronizzazione fra momento di produzione di un pensiero e momento della
sua conoscenza complicata in Italia dal
caso di Gramsci, che scrisse i suoi Quaderni a cavallo fra gli anni Venti e
Trenta, e che cominci veramente a contare come pensatore originale a partire
dagli anni Cinquanta. Come si vede, la periodizzazione una brutta gatta da pelare. Abbiamo diviso la
prima parte in tre distinti capitoli, dedicati rispettivamente alle origini del
dibattito marxista italiano (La- briola, Croce, Gentile, Mondolfo, gli
economisti eccetera), a Gramsci ed infine a Togliatti. Il lettore esperto non
vi trover forse rilevanti novit metodologiche, ma pensiamo che alcune
questioni, peraltro ben note agli esperti, vi siano sottolineate in modo
originale, per permettere al principiante eventualmente desideroso di
informarsi in modo maggiormente obiettivo di 15 cogliere alcuni punti teorici
rilevanti. Alcuni giudizi sono for- se eccessivamente recisi, ma crediamo che
sia meglio lunilate- ralit che la pappa concordistica. A proposito di Labriola,
sul quale esiste unampia bibliografia critica, abbiamo voluto sotto- lineare
che questo insigne filosofo della prassi non sfugge neppure lui alla scissione
fra teoria e prassi. L'importanza di due filosofi assolutamente ron comunisti
come Gentile e Mon- dolfo (luno prima liberale e poi fascista, laltro
socialdemocra- tico riformista) nella fondazione della filosofia della prassi
viene segnalata. Segnalate vengono anche le interessantissime anticipazioni (di
Croce come di Loria, di Pareto come di Gra- ziadei) del dibattito economico di
inizio secolo in rapporto a posizioni che negli anni Sessanta sembrarono
nuovissime (da Sraffa a Napoleoni), e che invece spesso ricalcavano in modo
quasi letterale formulazioni gi perfettamente compiute. Si in- fine deciso (ma questo non che comune senso del pudore) di segnalare
espressamente come teorico di prima grandezza an- che il Bordiga del
prefascismo. L'uomo non scrisse forse testi di standard universitario, ma mostr
di capire abbastanza bene la natura imperialistica della prima guerra mondiale,
e di rappre- sentare la variante italiana di una corrente internazionale,
quella del determinismo e del crollismo capitalistico, che fu- rono poi
incarnate rispettivamente da Bucharin e da Grossman. Vi per una ragione pi importante che ci ha
convinto a termi- nare con Bordiga il primo capitolo della prima parte. Siamo
convinti che il pensiero di Gramsci non sia adeguatamente com- prensibile se
non lo si intende come una risposta teorica a Bordiga. Studiare Gramsci senza
Bordiga come studiare Marx senza Hegel.
Gramsci non solo lalternativa
tattico-politica a Bordiga (il fronte unico contro la pratica delloffensiva).
Egli ne anche e soprattutto lalternativa
teorico-filosofica di fondo. Abbiamo deciso di parlare bene di Gramsci, ma
questa in Italia non certo una novit.
Parlare bene di Gramsci come parlare bene
di Garibaldi. Bisogna vedere per in che modo si parla bene di Gramsci. Per
quasi cinquantanni parlare bene di Gramsci
stata in Italia e allestero una moda conformistica, dal momento che
Gramsci serviva da doppio ideologo della le- 16 gittimazione, per la via
italiana al socialismo, in primo luogo, per un marxismo antidogmatico, creativo
e non-sovietico, in secon- do luogo. Come il patriottismo, anche il povero
Gramsci, senza sua colpa, divenuto
lultimo rifugio delle canaglie. La gran- dezza di Gramsci indubbiamente stata quella di aver cercato di
pensare fino in fondo lautonomia strategica della rivoluzione in Occidente. La
sua ambiguit (per riprendere qui linsupe- rabile espressione di Perry
Anderson) stata quella di pensa- re la
rivoluzione in Occidente sulla base di una situazione mol- to arretrata come
quella italiana (anche se possibile
sostenere che questa ambiguit stata
proprio l'aspetto pi leninista di Gramsci: anche Lenin pens la rivoluzione
anticapitalista a par- tire da una situazione arretrata come quella della
Russia zarista). In ogni caso, crediamo che Anderson colga nel segno quando in-
dividua la maggiore ambiguit di Gramsci nellinsanabile contraddizione fra la
strategia (inevitabilmente) autoritaria della guerra di posizione e le esigenze
della democratizzazione sociale e della sovranit politica individuale dei
militanti. La nostra accettazione della tesi di Anderson su Gramsci il presupposto esplicito che fa da ponte
allinterpretazione qui proposta di Togliatti come personaggio-chiave del
marxismo italiano del Novecento. Oggi parlare male di Togliatti di moda, fino alle farneticazioni che lo
hanno voluto corresponsa- bile della morte dei nostri soldati in Russia nel
1943. Questa non per che bassa cucina
polemica, su cui non vale la pena di spendere sforzi di comprensione
filosofica. Togliatti stato in un certo
senso lo Stalin di Gramsci (nel senso per cui Stalin stato lo Stalin di Lenin), cio colui che ha
realizzato la strate- gia della guerra gramsciana di posizione nellunico modo
possi- bile dopo Yalta e la seconda guerra mondiale: la guerra di posi- zione
fra capitalismo (in regresso) e socialismo (in progresso) concretizzata come
costruzione di casematte e trincee legali del socialismo in una societ come
quella italiana. In questo sen- so, riteniamo che Togliatti non abbia tradito
Gramsci, ma lo abbia in fondo applicato nell'unico modo realistico possibile.
Nello stesso tempo, vi sono a nostro avviso due punti cruciali in cui Togliatti
ron a nostro avviso il prosecutore e
legittimo ere- 17 de di Gramsci: da un lato, il suo storicismo ci sembra non
una fi- losofia della radicale laicizzazione dei contenuti metafisici delle
religioni, ma una vera e propria religione della politica (e cos interpreteremo
la definizione data da Luporini allo storicismo, e da noi condivisa fino in
fondo); dallaltro, la direzione politica sulla cultura, che Togliatti sempre
rivendic, e attu quotidiana- mente (a differenza di molti suoi successori
troppo ignoranti per poterlo fare), ci sembra proprio la realizzazione e la
quintes- senza dell'ideologia italiana nellaccezione da noi proposta. E poich
tutto questo saggio ispirato alla
convinzione della nega- tivit di questa eccezione, la prima patte si conclude
con un giu- dizio critico sulleredit che Togliatti lasci ai suoi successori.
Con questo non si intende affatto suggerire che Togliatti avreb- be dovuto fare
diversamente. Questa una sciocchezza
grande come una casa. In proposito siamo fino in fondo crociani orto- dossi. Il
passato stato come stato, e la storia non si pu fare con i se e
con i ma. Quello che invece si pu sempre fare,
imparare dal passato per non doverlo ripetere. La seconda parte, non lo
nascondiamo, quella che ci interes- sa
di pi, e di gran lunga. Questo avviene certo per motivi gene- razionali, dal
momento che chi scrive era nel 1956 uno studenti- no della quarta ginnasiale, e
tutta la sua educazione teorica e filo- sofica
avvenuta fra il 1956, lanno della riapertura della catena dei perch di
fortiniana memoria, e il 1989, lanno del crollo po- litico e sociale del comunismo
storico novecentesco. Non ha senso anticipare in questa introduzione le
soluzioni teoriche che volta a volta daremo alla questione del giudizio
filosofico sulle varie correnti del marxismo italiano. invece opportuno anticipare alcune questioni
metodologiche, che pur senza la pre- tesa di anticipare i giudizi e le analisi
di merito che il lettore valuter in base alla propria personale opinione, hanno
ispirato la forma complessiva dellanalisi ideologica qui condotta. Da- ta
limportanza che attribuiamo allintera questione, preferiamo ripeterci piuttosto
che sorvolare distrattamente su questioni in- terpretative centrali. In primo
luogo, si pone la questione della natura del paradig- 18 ma culturale di
riferimento del partito togliattiano di massa, do- po che il 1956 fece riaprire
la catena dei perch. Esistono nume- rosi studi storici, politologici e
sociologici sul PCI, che ci danno importanti informazioni sui suoi #rerds
elettorali, sul suo inse- diamento sociale, sui festival dellUnit, e
soprattutto sulla sua collocazione dentro il sistema politico italiano, nei
suoi rap- porti con gli altri partiti (il PSI, la DC, eccetera) e con le
piatta- forme politiche di fase (centrismo, centro-sinistra, compromes- so
storico, neocentrismo craxiano, alternative pi o meno reali- stiche, eccetera).
Ebbene, tutto questo ron in alcun modo
log- getto di questo saggio, e non certo perch il cielo della politi- ca sia
illusorio (come ritiene loperaismo pi conseguente e coerente), ma perch questo
gigantesco complesso di problemi non ha nulla a che fare con il marxismo,
comunque concepito, ma con la sociologia delle organizzazioni, la scienza dei
sistemi, eccetera. Abbiamo invece ritenuto (anche se, lo confessiamo, non ne
siamo pienamente soddisfatti) di individuare nella cultu- ra di riferimento del
PCI due principali componenti: il catto- comunismo, cio una forma di populismo
interclassista e di corporativismo keynesiano, e leurocomunismo, cio una for-
ma di socialdemocrazia liberaldemocratica e laica. Non diciamo evidentemente
niente di nuovo. invece interessante
forse nota- re che cattocomunismo ed eurocomunismo non sono per nulla ideologie
alternative, e neppure conflittuali (ad esempio sono entrambe pienamente
caratterizzanti in Enrico Berlinguer), ma formano un fitto tessuto unitario, al
punto che ideologie come quelle dellausterit e dellunit nazionale sono a tutti
gli ef- fetti una sintesi di cattocomunismo e di eurocomunismo. Pet dirla in
modo telegrafico: le cause esterne si manifestano nella forma di cause interne:
il cattocomunismo e leurocomunismo sono le forme di manifestazione
dellillusorio triangolo creato dalla tesi per cui la societ italiana ha tre
componenti culturali, i socialisti (e comunisti), i laici ed i cattolici;
questo triangolo, a sua volta, frutto
del mantenimento strumentale in vita delluni- t del CLN, che non permette di
ricostruire storicamente in mo- do spregiudicato la natura di guerra civile
della stessa Resi- stenza, come se si dovesse avere paura del fatto che la
Resistenza 19 stata anche una guerra
civile, e che nello stesso tempo i parti- giani ed i fascisti non devono essere
messi sullo stesso piano, ed i primi sono migliori dei secondi. Vi qui un nodo di problemi storiografici
assolutamente soffocante, che questo saggio non pu sciogliere, ma pu soltanto
contribuire (come nella psicoa- nalisi) a portare allo scoperto, rendendolo
linguisticamente di- cibile. In secondo luogo, dal momento che il partito
togliattiano di massa stato storicamente
la sede dellideologia italiana della direzione sulla teoria della pratica
politica, necessario distin- guere
correttamente, fra gli oppositori (perch di oppositori ce ne sono stati
tantissimi), gli oppositori di Sua Maest, cio gli oppositori illusori, ed i veri
oppositori (indipendentemente dal fatto, che lasciamo alla libera opinione del
lettore, se questi ulti- mi avessero ragione o no). La questione delicatissima, perch nessuno ammette di
essere un oppositore di Sua Maest, e tutti rivendicano a gran voce di essere
stati, e di essere, degli opposi- tori terribili, anzi terribilissimi, anche
se, ovviamente, unitari. Ma loppositore unitario quasi sempre un non-oppositore, in
particolare in un paese caratterizzato da una longue dure di tra- sformismo.
Non pensiamo certo di essere riusciti in questo sag- gio a distinguere fra veri
e presunti oppositori. Ma non ab- biamo neppure voluto evitare
trasformisticamente la questione. In proposito, abbiamo individuato come veri
oppositori i prin- cipali esponenti di ci che abbiamo definito il socialismo
criti- co operaista (Raniero Panzieri), il comunismo critico operai- sta
(Antonio Negri), e anche la tradizione bolscevica eretica (Amadeo Bordiga).
Indubbiamente, Bordiga, Panzieri e Negri non esauriscono il panorama degli
oppositori strategici. Ma abbiamo voluto limitarci a loro per non mettere troppa
carne al fuoco, ed anche perch le loro tre posizioni sono a tutti gli effetti
tipiche. Abbiamo trattato a parte alcuni casi di oppositori di Sua Maest, che a
nostro avviso non sono mai usciti dalla logi- ca del paradigma togliattiano, e
questo del tutto indipendente- mente dalla terribilit di quanto dicevano (ad
esempio, Tronti e Cacciari sono sempre stati mille volte pi terribili di
Panzie- ri, ma Panzieri era un vero oppositore, mentre i primi due han- 20 no
sempre ferreamente rispettato le gesuitiche regole del gioco; se Luk4cs parl di
interiorit all'ombra del potere, noi propo- niamo di parlare di demoniaco
all'ombra del cattocomuni- smo). Abbiamo trattato nello stesso modo a parte le
organizza- zioni politiche di estrema sinistra, extraparlamentari o meglio
microparlamentari, degli anni Settanta ed Ottanta, senza paura di citare anche
coloro che scelsero la lotta armata anticapitali- stica. In terzo luogo,
abbiamo cercato di interrogare quelli che un tempo si chiamavano i critici
borghesi del marxismo, e che in- vece a nostro avviso sono riusciti quasi
sempre a capire del mar- xismo molto di pi della maggioranza dei marxisti
stessi. Avremmo voluto originariamente distinguerli fra nobili e volgari, ma
abbiamo deciso di abbandonare questa distinzio- ne un po insultante. Nessuno
infatti vuole essere volgare, mentre tutti vogliono essere nobili. Nonostante
tutta la nostra buona volont, il craxismo ed i suoi intellettuali organici ci
sono sembrati veramente un po volgari, e cercheremo anche sommariamente di dire
perch. In ogni caso, ci siamo limitati per ragioni di spazio a tre critici
nobili del marxismo, Nor- berto Bobbio, Augusto Del Noce ed Emanuele Severino,
cer- cando di motivare i nostri giudizi. In quarto luogo, abbiamo separato per
chiarezza espositiva le quattro questioni distinte della filosofia, della
scienza, della dia- lettica e dell'economia. Non possibile qui scendere in dettaglio nelle
soluzioni critiche date a questi quattro complessi di pro- blemi. A proposito
della filosofia, abbiamo voluto sottolineare che la povert filosofica dello
storicismo ha avuto come conse- guenza, paradossale ma anche logica, che il
comunismo non pi stato fondato da parte
dei pensatori pi dotati (come Lupo- rini e Timpanaro) sul marxismo, ma su forme
di materialismo non marxista (come ad esempio quella di Leopardi). A proposi-
to della scienza, attraverso lanalisi dei due filosofi a nostro avvi- so pi
rappresentativi (Della Volpe e Geymonat), abbiano volu- to esprimere fino in
fondo la nostra personale posizione critica, per la quale non possibile n separare la scienza dalla
dialettica (come propose Della Volpe), e neppure fondare metodologica- 21 mente
la scienza marxista sulla stessa base delle scienze della na- tura (come propose
Geymonat). A proposito della dialettica, abbiamo voluto segnalare (e non
riteniamo questa una ovviet) che le due forme di rifiuto della dialettica
stessa, quella raziona- listica, kantiana e positivistica (Colletti), e quella
irrazionalisti- ca, differenzialista, post-moderna, nietzschiana e
heideggeriana (Vattimo), hanno in ultima istanza la stessa base filosofica, e
so- no del tutto e cordialmente antitetico-polari. A proposito delle- conomia,
infine, abbiamo voluto soffermarci sulla doppia #- passe sia della scuola
ispirata da Sraffa sia di quella, diversissi- ma, di Claudio Napoleoni,
mostrando come la prima finisca nel- la riduzione integrale del marxismo ad
economia politica, men- tre la seconda sbocca invece nella dissoluzione
filosofica inte- grale delleconomia stessa, sostituita da una critica puramente
antropologica al capitalismo (pi evidente, a dire il vero, in un pensatore come
Barcellona che nello stesso Napoleoni). Infine abbiamo ritenuto opportuno
ricordare che si posto in Italia il problema
della traduzione del grande marxismo mondiale, e che la traduzione non un fatto soltanto linguistico, ma concet-
tuale, sociale e politico. In quinto luogo, per finire, abbiamo scelto di
segnalare alcuni marxisti, a nostro avviso esemplari, e che riteniamo ingiusta-
mente sottovalutati. Si dir che non
legittimo dedicare a Gian- franco La Grassa o a Massimo Bontempelli pi
spazio che a Be- nedetto Croce o a Labriola. Se questo fosse un manuale scola-
stico non sarebbe forse legittimo. Ma questo
un saggio teori- co, assai pi teoretico che storico, in cui ci che conta
non la fama collaudata (se cos fosse,
Sgarbi e Pippo Baudo dovreb- bero avere pi spazio di Gramsci), ma la qualit (o
meglio, ci che chi scrive ritiene essere la qualit) della riflessione, la novit
delle proposte, il valore di posizione delle innovazioni suggeri- te, anche se
queste innovazioni non vengono accettate. Il saggio termina con un breve
capitolo di conclusioni, che vorrebbero essere tenute metodologicamente ben
distinte dalle due parti che le precedono. Il lettore giudicher ovviamente in
base alle proprie autonome opinioni. Qui ci limitiamo ad antici- 22 parne
soltanto i temi fondamentali, con i quali #/ saggio si chiude, e la discussione
invece si apre, se riteniamo che i saggi, buoni o cattivi che siano, non sono
che strumenti, tracce, canovacci, promemoria per permettere un dibattito
aperto. In primo luogo, bene ricordare
che, nonostante il gran par- lare che si fa di chiusura di un ciclo storico, di
rifondazione, di nuovo inizio, eccetera, non c ancora nessuna vera consa-
pevolezza del fatto che un ciclo
veramente finito. La situazione ricorda piuttosto quello che gli
americani chiamano il polish good-bye, cio il congedo alla polacca. Si sta
sulla porta per due ore, scambiandosi saluti, pacche sulle spalle, promesse di
rivedersi presto, ma nessuno si decide ad andarsene. Analoga- mente oggi molti
dicono che bisogna andare oltre un certo Marx, un certo Gramsci, un certo
Togliatti, una certa tradizione marxista, ma poi non se ne vanno, restano sulla
porta, non pos- sono congedarsi dal loro stesso congedo. Chi scrive ha invece
concepito questa storia delle idee marxiste in Italia in unottica di bilancio
di unepoca ideologica ormai irreversibilmente trascorsa, nella piena coscienza
che sar necessaria ledificazio- ne di un nuovo paradigma concettuale
radicalmente diverso da quello della tradizione (e a questo nuovo paradigma, o
meglio alle sue premesse, stiamo lavorando da tempo, sapendo bene che non sar
quello giusto, ma soltanto il frammento di un mosaico non ancora visibile). In
secondo luogo, esauritosi finalmente il polisb good-bye, non si pu pensare di
ritornare nellabitazione precedente. In altre parole (e lo sottolineeremo con
forza nelle conclusioni) non ha pi nessun senso pensare di ricostruire un
marxismo italiano. Il marxismo italiano
finito, insieme con la fine del- la sovranit economica degli stati
nazionali capitalistici. Insieme con il marxismo italiano, finir anche la lunga
e defatigante alta- lena fra eccezionalismo positivo ed eccezionalismo
negativo, e si porranno le basi per una convergenza fra internazionalismo e
cosmopolitismo, due termini che la tradizione marxista ha spesso contrapposto
(ritenendo positivo il primo, e negativo il secondo), laddove si tratta invece
di due dimensioni strutturali della stessa realt processuale. 23 In terzo
luogo, infine, insieme con il marxismo italiano si dovr superare anche
lideologia italiana, questo dominio del- la manipolazione degli apparati
politici sulla strategia culturale e sociale. Questo superamento, appunto, sar
internazionalistico e cosmopolitico insieme, dal momento che un nuovo comuni-
smo, capace di andare oltre lorizzonte del comunismo storico novecentesco, dovr
per forza assumere fin dallinizio una di- mensione non provincialistica. Per
concludere, questo saggio comprender anche una bi- bliografia generale. Essa
non avr ovviamente nessun carattere di completezza, ma sar mirata
esclusivamente alla segnala- zione delle fonti direttamente utilizzate in
questo saggio. Insie- me con i libri, verranno ovviamente segnalate anche e
soprattut- to le riviste, senza le quali nessuna storia del marxismo
italiano possibile. 24 Parte prima I Le
origini del marxismo teorico e dellideologia italiana fra Ottocento e Novecento
Nella sua storia della filosofia greca Emanuele Severino dice ripetutamente che
la filosofia nacque grande, dal momento che fin dallinizio pose la questione
metafisica fondamentale, quella dellEssere e della sua permanenza. Dal momento,
per, che Se- verino coglie bens lEssere, ma non coglie che lEssere di Par-
menide non che lunit astratta del lavoro
sociale complessivo, che non bisogna dividere (e far diventare cos Nulla, dal
mo- mento che lEssere unitario diviso non
pi Nulla) rendendolo cos inesistente, si crea una situazione teorica
zoppicante e in- cresciosa. Il problema viene posto correttamente, ma dal mo-
mento che il modo in cui viene posto non
corretto, lo stesso problema diventa insolubile. La soluzione della
scissione dellu- nit astratta del lavoro sociale complessivo il comunismo per- ch il comunismo la concretizzazione moderna dell'unit del
lavoro sociale complessivo che il capitalismo ha ad un tempo sviluppato e diviso.
Severino, invece (ma su questo punto cru- ciale ritorneremo, in particolare nei
capitoli cinque ed undici della seconda parte di questo saggio), si trova
continuamente fra le mani un Essere di cui non sa per esattamente che cosa sia,
e questo Essere diventa per forza di cose un insieme di valori im- 25 mutabili
che il destino nichilistico della modernit vorrebbe sempre sciogliere, senza
per mai riuscirci. Il marxismo teorico nasce in Italia pi o meno come lEssere
di Severino. Esso nasce grande, perch fin da principio, ancora pi che in altri
paesi come la Germania e la Francia, abbiamo una discussione sui fondamenti ultimi
del marxismo (la discus- sione fra Labriola, Croce e Gentile), e nello stesso
tempo questa discussione resta teorica, perch il movimento reale politico del
tempo (dai socialisti agli anarco-sindacalisti) non sa che farsene, non capisce
neppure che senso abbia, ritenendo che la questione pratica della politica sia
sempre di natura tattico-organizzati- va, e che lalta teoria sia un lusso per
intellettuali che (come dice un vecchio adagio) non hanno proprio niente di
meglio da fa- re. questo allora, in poche
parole, il vizio di origine del no- stro marxismo, che questultimo si porter
dietro per un secolo, fino ed oltre la crisi odierna. In una trattazione
sommaria come questa, bene partire da
Antonio Labriola, e cos faremo. A differenza per di come mol- ti pensano, non
riterremo affatto Benedetto Croce linterlocuto- re filosofico fondamentale di
Labriola, ma piuttosto Gentile (e Mondolfo). Croce invece fin dall'inizio un semplice critico
integrale del marxismo, alla Weber e alla Popper. Parallela- mente alla
discussione filosofica sul marxismo, si sviluppa in Italia anche una
discussione sul suo statuto economico (Loria, Pareto, Graziadei), fino alla
robusta sintesi deterministica e meccanicistica di Amadeo Bordiga, il massimo
animatore poli- tico (termine forse curioso, ma che preferiamo a quello paluda-
to di fondatore) del comunismo italiano nel 1921. Il marxismo di Antonio
Labriola Protagonista di una discussione internazionale sul marxismo,
corrispondente di Engels e di Sorel, anello di congiunzione fra l'alta cultura
filosofica universitaria europea ed il marxismo, Antonio Labriola generalmente considerato il fondatore italia-
no del marxismo inteso come filosofia della prassi. Esistono 26 per questo
ragioni filologiche serie, che per ci permetteremo di non citare in questo
contesto. Chiediamoci invece: veramente
cos? Labriola veramente il fondatore del
marxismo inteso co- me filosofia della prassi? Non lo crediamo. Labriola visse
sempre drammaticamente una schizofrenia, che caratterizz la sua intera attivit
intellet- tuale. Da un lato, formul un sistema teorico rigoroso in chia- ve di
comunismo critico e non di socialismo scientifico, in cui la tendenza al
comunismo era ricavata dialetticamente dalle leggi generali di movimento della
societ capitalistica, in sinto- nia e non certo in contrapposizione con Engels
e con quasi tut- to il marxismo della II Internazionale (che si muovevano sulla
stessa lunghezza donda). Dallaltro, drammaticamente consa- pevole dellimmaturit
del capitalismo italiano, della corruzio- ne trasformistica della sinistra
storica e della classe politica romana, e dellarretratezza culturale della
borghesia della peni- sola, auspic sempre che la borghesia facesse almeno il
pro- prio mestiere, e che i socialisti italiani mettessero da parte le loro
rivendicazioni irrealizzabili per aiutare una sorta di bor- ghesia progressista
ideale a modernizzare lItalia. noto che
Labriola auspic persino una politica coloniale italiana, pur di vedere il suo
provinciale paese adeguarsi agli standard europei. Labriola non era certo
colpevole di questa schizofrenia. Egli viveva anzi drammaticamente la sindrome
dimpotenza politica tipica dellintellettuale, che vede spesso le questioni di
fondo, strategiche, ma non riesce a trovare un momento tattico di con- vergenza
con i politici empirici. Nel 1892 egli ron va a Genova per la fondazione del
Partito Socialista, pur essendo stato invita- to da Turati, che lo sollecitava
ad andare a Genova a difendere le sue idee (sic!). Pi esattamente egli scrisse:
...io mi rifiutai di andare a Genova perch Turati e gli altri di Milano mi
scrive- vano: essere cosa impossibile un programma netto; convenire di
barcamenarsi fra anarchici, socialisti ed operai puri; non essere gli operai
italiani maturi per la politica; doversi attendere; an- dassi io a Genova a
difendere le zie idee. In proposito, la pre- sunta intolleranza di Turati
appare oggi un sogno, dal mo- 27 mento che Turati lo incitava almeno ad andare
a difendere le sue idee, mentre oggi il ceto politico professionale, nei
confronti di un tompiscatole come il Labriola, non lo inviterebbe affatto, ma
gli scatenerebbe contro i cani ed il servizio dordine. Labriola non va a
Genova, e si rinchiude progressivamente in un rancoroso silenzio. Egli vuole in
realt collaborare ad una piattaforma teorica marxista seria, ma non trova
interlocutori politici, e deve dunque limitarsi a discutere con Croce e con
Gentile, perch i politici pratici, Turati in testa, ritengono che ci siano cose
molto pi importanti da fare che discutere con La- briola (e queste cose sono
poi sempre le stesse: fondazione di sezioni, tesseramento, campagne elettorali,
lotte di frazione nei congressi). Lasciato a se stesso, Labriola elabora un
marxismo filosoficamente bellissimo, teoricamente coerente, e politica- mente
inapplicabile. Un marxismo, comunque, che presenta a nostro avviso un limite
necessitaristico evidente. Alla fine del suo secondo saggio sul materialismo
storico (la cosiddetta Dily- cidazione Preliminare), Labriola scrive alcune
pagine singolari sulla natura del progresso umano, che sono a nostro avviso
rive- latrici per comprendere la sua concezione generale della storia. Da un
lato, si sviluppano considerazioni per provare che il pro- gresso non necessario: progresso e regresso sono
inerenti alle condizioni ed al ritmo dello sviluppo sociale in genere. Dallal-
tro si conclude ribadendo la necessit dellinevitabile avvento della societ
comunista in cui tutte le contraddizioni del mondo borghese saranno risolte. La
contraddizione, ai nostri occhi evi- dente, non appare tale a Labriola, perch
egli per progresso intende il concetto di uno sviluppo teleologico, che gli
puzza di metafisica e che quindi un
concetto... borghese, laddove il fa- tale andare della storia (sic!), che il
marxismo ha scoperto, non sarebbe un andare teleologico (cio a disegno
aprioristico), ma uno sviluppo per vis 4 tergo, cio un risultato delle
contraddi- zioni in cui volta a volta la storia si trova inserita. Questo il capitolo dodicesimo della Dilucidazione
Prelimi- nare, in cui non c nessuna filosofia della prassi, ma soltanto una
riformulazione vittuosa del tema engelsiano della inesorabile necessit
dellavvento del socialismo. Nel terzo discorso (intito- 28 lato Discorrendo di
socialismo e di filosofia) Labriola invece pat- la esplicitamente di filosofia
della praxis, che per definisce subito (e lo citiamo letteralmente, perch importante!) come la semovenza delle cose,
delle quali il pensiero da ultimo un
prodotto, contrapposta alla hegeliana semovenza ritmica di un pensiero per s
stante. Lo stesso Labriola ha la civetteria di dire di star usando, con il
termine semovenza delle cose, la prosa corrente. La filosofia della praxis dunque la semovenza delle cose, e le cose
sono ovviamente i rapporti sociali ed i rapporti di produ- zione, e non certo
il fantomatico fattore economico degli eco- nomisti (contro cui ripetutamente
Labriola polemizza). A no- stro avviso, per, la serzovenza delle cose non una filosofia del- la prassi (o praxis che
sia). una formulazione deterministica
dellavvento ineluttabile della societ comunistica. dunque un paradosso, peraltro perfettamente
spiegabile, che pensatori me- no dotati di Labriola, come Gentile e Mondolfo,
debbano rifor- mulare in modo diverso lidea del marxismo come filosofia della
prassi intesa come attivit soggettiva cosciente e non come ri- flesso derivato
della semovenza delle cose. Il marxismo di Giovanni Gentile La sorte ha voluto
che il filosofo del fascismo, luomo ucciso dai partigiani dei GAP a Firenze nel
1944 per aver aderito alla Repubblica di Sal, sia stato a tutti gli effetti il
primo formulato- re teorico del marxismo come filosofia della prassi in Italia.
Questa formulazione risale al 1899, e fu per esempio apprezzata (cosa che molti
non sanno) da Lenin, che la defin il miglior sag- gio sul marxismo scritto da
un autore non marxista. Le ragioni di questo apprezzamento sono molto semplici.
Lenin, pur non avendo ancora condotto al tempo del suo giudizio sul lavoro di
Gentile uno studio personale accurato sulla dialettica hegeliana, gi profondamente convinto della natura
filosofica del marxi- smo, e Gentile gli conferma che lopera di Marx non affatto un canone di semplice interpretazione
della storia (come sostenne 29 Croce), ma una vera filosofia della storia (come
aveva del resto detto Labriola nel primo dei suoi discorsi). Secondo Gentile,
questa filosofia della storia di Marx si basava per su due ambi- guit
filosofiche evidenti: in primo luogo, attribuiva a Hegel una concezione
platonica, cio idealistica, di Idea, laddove in He- gel lIdea non era
platonicamente qualcosa di staccato dalla real- t, ma la semplice totalit
dinamica della realt stessa; in secon- do luogo, non avendo compreso che la
dialettica hegeliana non era applicata ad una realt trascendente, riteneva di
doverla ro- vesciare per applicarla al contenuto empirico della prassi, che
non per secondo Gentile dialettizzabile
in nessun modo, se non riferita alla
totalit ideale (che , appunto, quella di He- gel, e non pu essere in alcun modo
la materia, principio non dialettizzabile per eccellenza). A nostro avviso,
entrambe le obiezioni sono fondate. Da un lato,
vero che lidealismo di Hegel non
affatto platonico, cio staccato dalla processualit della realt, ma
coincide con es- sa, per cui corretto
dire che Marx non rovescia lidealismo hegeliano, ma semplicemente lo applica
alla totalit ideale della successione dei modi di produzione. Dallaltro, vero che la materia empirica non dialettizzabile. Ci che invece non c' a
nostro avviso per nulla in Gentile, e che sfugge completa- mente al suo pur
acuto sguardo filosofico, la concretezza
de- terminata dei modi di produzione, e di quello capitalistico in particolare.
Quando Gentile parla di Hegel e di Marx, di dialet- tica e di empiricit, di
idee e di materia, dice cose molto acute ed illuminanti. Nello stesso tempo,
per, egli il modello, quasi ca-
ricaturale, di un approccio esclusivamente filosofico a Marx, in cui ci si
occupa dottamente dello statuto teorico del materiali- smo storico (che
Gentile uno dei primi a riconoscere
essere pressoch integralmente hegeliano, perch la dialettica quella di Hegel, e non quella di una
fantomatica materia filosofica), ma in cui non si parla mai di lotta di classe,
di comunismo, di alienazioni capitalistiche, eccetera. Per Gentile, in realt,
lo stes- so tema delle estraneazioni capitalistiche inesistente, e in que- sto modo la sua stessa
grande scoperta, la stretta unione fra Marx e Hegel, finisce con il lasciare il
tempo che trova. 30 Il marxismo di Rodolfo Mondolfo Se Giovanni Gentile ha il
merito di sostenere fin dal 1899 la profonda affinit filosofica fra Marx ed
Hegel, Rodolfo Mon- dolfo ha il merito di sostenere, in un libro pubblicato nel
1912, la differenza qualitativa fra Marx ed Engels sul terreno filosofi- co, in
un momento storico in cui la pressoch perfetta identit fra i due era un dato
scontato sia presso i militanti socialisti sia presso gli studiosi di
filosofia. In questa meritoria operazione, per, Mondolfo introduce alcune
confusioni che finiscono con il guastare linsieme della sua proposta. Mondolfo
vede in Marx il pensatore che ha unito una concezione critico-pratica della
sto- ria (basata sullumanesimo riformatore e sul volontarismo poli- tico) con
una filosofia della praxis (concepita in senso sostan- zialmente labrioliano e
gentiliano), mentre scarica su Engels sia il materialismo dialettico, cattiva
filosofia che pretende di far sparire l'opposizione tra filosofia e scienza, ma
cade poi in una filosofia della natura, sia il materialismo storico, che tende a
sua volta verso un insostenibile determinismo economico. Loperazione chirurgica
di Mondolfo perfettamente riusci- ta,
peccato che il paziente sia motto. La distinzione fra Marx ed Engels pertinente, ma lo scarico su Engels sia del
materialismo dialettico sia del materialismo storico finisce con il far
diventare Marx, privato di entrambi, un volontarista politico, un riforma- tore
morale, un umanista liberale. questa una
filosofia genero- sa, a nostro avviso completamente sbagliata, che sembra fatta
apposta per piacere ai politici pratici, da Turati a Nenni, che non vogliono
farsi legare le mani da una teoria dei modi di produzione e della loro legalit
sociale. Secondo la lettura di Gentile del rapporto fra Hegel e Marx, Hegel
prende tutto, e a Marx non resta niente, per cui si pu legittimamente diventare
prima liberali e poi fascisti con incorrotta coscienza filosofica. Secondo la
lettura di Mondolfo del rapporto fra Engels e Marx, Engels prende tutto, a Marx
non resta che letica, la morale, la- gire politico empirico, e si pu diventare
prima riformisti e poi socialdemocratici con piena coerenza e senza
trasformismi. Chi scrive, tuttavia, nonostante questa valutazione duramente
critica 31 del nucleo teorico del pensiero di Gentile e di Mondolfo, ritiene
che questi due autori siano stati a loro modo geniali, e che molti odierni
critici popperiani del marxismo siano largamente al di sotto del loro livello e
anche della loro onest filosofica. Benedetto Croce e il marxismo. Una morte
simulata? In una sua operetta assai famosa, Croce fa nascere e morire il
marxismo in Italia nell'arco di tempo del suo dibattito triangolare con
Labriola e con Gentile. L'affermazione
di una tale grottesca e paranoica presunzione da meritare un commento.
Come possi- bile, si dir, avere un tale
orgoglio luciferino da pensare veramen- te di esaurire un dibattito epocale con
le proprie argomentazioni, per intelligenti che siano? In fondo, Croce si
limita ad una opera- zione di demolizione teorica della legge del valore-lavoro
di Marx, ridotta a conseguenza di un paragone ellittico fra unastratta so- ciet
tutta lavoratrice ed assunta come tipo e una societ con capi- tale privato, e
di salvataggio del materialismo storico assunto co- me semplice canone
storiografico. Marx diventa un apostolo del- le genti e dei proletari, ed il
comunismo una religione originata dalla dissoluzione dell'idea teistica da
parte della sinistra hegelia- na e della sostituzione dell'elemento religioso
con lUmanit. Si tratta di una critica filosofica discutibile, ma indubbiamente
acu- ta. Nello stesso tempo, solo un paranoico che scambia se stesso con
Platone e con Hegel pu pensare veramente di seppellire Marx con queste
osservazioni critiche. Vorremmo spezzare qui una lancia a favore di Croce.
Croce aveva a suo modo ragione nel considerare chiusa la discussione sul
marxismo teorico in Italia, per il semplice fatto che i socialisti italiani,
con Turati in testa (ma non solo), mostravano di non avere nessuna voglia di
coltivare e prendere sul serio le obiezioni fatte al marxismo, e di concepire
il socialismo come propaganda anticle- ricale, edificazione dei semplici,
tatticismo politico. Croce ritiene di avere stroncato filosoficamente il
marxismo, con la sua dop- pia critica alla teoria del valore e del plusvalore
(il paragone ellit- tico) e alla teoria della alienazione (la dissoluzione
dell'idea tei- stica in religione dellumanit), constata che nessuno lo prende
sul 32 serio, e allora come direbbe
Stalin passa allordine del giorno.
Bisogner aspettare un Gramsci per vedere qualcuno che prende sul serio la
teoria nel nostro amato paese. Ci che Croce contrappone al marxismo peraltro a nostro av- viso assai povero. La
sua riforma della dialettica hegeliana
in realt una controriforma, che spezza lunitariet dialettica dellEs-
sere sociale e della contraddizione che lo determina in ambiti di fatto
irrelati (nonostante tutti i tentativi di Croce di collegare in qualche modo i
suoi distinti). in particolare la
distinzione cro- ciana fra etica ed economia a fornire inesauribili argomenti a
tutti i difensori del capitalismo (compresi coloro che lo fanno oggi, al-
l'epoca di Amato e di Maastricht). Con la distinzione fra economia ed
etica possibile infatti ristabilire il
dualismo irrisolvibile fra un mondo dellutile economico, sottoposto alle leggi
inesorabili e im- modificabili del marginalismo e del monetarismo, e un mondo
del bene morale, in cui potranno agire gli onesti, i buoni, il volontaria- to,
eccetera. Il grande Hegel non era stato cos sciocco da separare etica ed economia,
e infatti le aveva trattate insieme nel suo Spirito Oggettivo, ben consapevole
del loro intreccio ontologico. Croce inaugura invece quella controriforma della
dialettica che consen- tir di delegare l'economia al Fondo Monetario
Internazionale e letica ai moralisti laici, ai vescovi e al papa. Come stupirsi
allora che Croce non poteva non dirsi cristiano! Certo che non poteva che dirsi
cristiano, ma non certo per il riconoscimento storicistico dei valori morali
cristiani nel mondo occidentale (che per Cro- ce, come per tutti i
liberali, lunico mondo dotato di vera
sostan- za etica), quanto per il fatto che la distinzione fra economia ed eti-
ca, con il primo mondo economico lasciato volta a volta allo schiavismo, al
feudalesimo ed al capitalismo, e il secondo mon- do etico consegnato al bene,
alla carit ed al peccato, proprio il
tessuto filosofico portante non certo di Cristo, quanto del cristia- nesimo
storico. Croce non avrebbe mai potuto sedersi, a nostro av- viso, fra Hegel e
Marx, che avrebbero sorriso alle sue distinzioni ontologiche fra economia ed
etica, ma si sarebbe certamente se- duto oggi, e sarebbe stato benvenuto, fra
Norberto Bobbio ed il cardinal Martini. 33 Marx in Italia fra economisti e
sociologi A fianco della discussione filosofica fra Labriola, Gentile, Croce e
Mondolfo, c stata nell'Italia giolittiana e pregiolittiana una discussione
altrettanto ricca ed interessante, che ha visto impegnati economisti come Loria
e Graziadei e sociologi come Pareto e Michels (un tedesco che fu per ben presto
italiano di elezione). Questa discussione
oggi nota soltanto a pochi specialisti di storia delle idee, ed un peccato, perch essa anti- cipa molti temi
che discuteremo nel nono capitolo della seconda parte di questo saggio. In quel
tempo Smith era gi molto noto, ma Ricardo era stato dimenticato, e Keynes e
Sraffa appartene- vano ancora al futuro. Eppure, quasi tutti i temi attuali del
rap- porto fra marxismo ed economia sono gi presenti, talvolta con nettezza e
soprattutto con un maggior grado di comprensibilit, che non si pu che ammirare.
I sociologi Pareto e Michels elaborarono allora tutti i temi fondamentali della
toria delle lites, cio, in buona sostanza, dellimpossibilit sociale e sistemica
del socialismo sotto qual- siasi forma. Per dirla in modo weberiano, i
socialisti possono anche vincere, ma il socialismo mai (e Craxi ed Occhetto
sareb- bero certamente daccordo con questa disincantata diagnosi!). Se ci si
accosta alle loro elaborazioni, appare chiaro che la genesi scientifica e psicologica
delle loto teorie sulle lites in entram-
bi i casi il socialismo: in Pareto la /ott4 teorica contro di esso, svolta con
una ripresa del marginalismo che viene opposto alla teoria del valore marxiana
con unincredibile acrimonia, che pe- raltro non sospetta mai che a fianco della
teoria della sostanza del valore c' in Marx anche una teoria della forma e
della astra- zione del lavoro stesso; in Michels la delusione verso la
socialde- mocrazia, di cui si vede con acutezza la degenerazione partito-
cratica ed elettoralistica, fino a diagnosticare negli apparati pro- fessionali
dei partiti operai e nella loro autoriproduzione bu- rocratica la ragione di
fondo dellinevitabile corruzione del so- cialismo. Lo ripetiamo: la lotta
contro il marxismo e la delusione nei suoi confronti sono a nostro avviso la
matrice psicologica fondamentale del disincanto e della conclusione
pessimistica 34 sullinevitabilit di nuove classi sfruttatrici (e da Burnham a
Gi- las, da Silone a Castoriadis non c' proprio che l'imbarazzo del- la
scelta). Gli economisti Loria e Graziadei furono tra i primi, anche e
soprattutto a livello internazionale, a fare le pulci allo statuto
epistemologico delle teorie marxiane della trasformazione dei valori in prezzi
e del plusvalore. interessante che Loria
sia sta- to uno degli interlocutori riconosciuti di Engels e di Kautzky sulle
questioni economiche, e soprattutto che Graziadei (che fu sempre politicamente
socialista e poi comunista) abbia anticipa- to con dovizia di argomentazioni la
corrente neoricardiana del marxismo, fiorita a partire dalla rivoluzione
sraffiana negli anni Sessanta, per la quale la lotta contro lo sfruttamento
capitalistico non ha nessun bisogno di una teoria scientificamente insosteni-
bile come quella sul plusvalore, bastandole ed avanzandole una teoria del
sopralavoro erogato dalla classe operaia. Il marxismo teorico italiano che
precede la rivoluzione dot- tobre del 1917 presenta gi dunque alcune
caratteristiche teori- che di fondo, che riassumeremo qui ancora una volta. In
primo luogo, esso avviene in totale mancanza di una committenza politica: i
politici lottano ferocemente su questioni tattiche e mi- nisteriali, e non
sanno cosa farsene della teoria. In secondo luo- go, i filosofi e gli
economisti si ignorano con lottusa e provoca- toria supponenza che hanno gli
specialisti di rami distinti del sapere che il mondo universitario vuole
ontologicamente e logi- camente (e soprattutto concorsualmente) separati: ai
filosofi interessano Hegel ed Engels, la logica e la dialettica, agli econo-
misti interessa far venite la trasformazione dei valori in prez- zi. Se per
caso le due problematiche si toccano (e non possono che toccarsi, dal momento
che la teoria del valore di Marx pre- senta una doppia natura, qualitativa e
quantitativa) essi arretrano come scottati da un metallo rovente. In terzo
luogo, anche i pi dotati finiscono con lo scivolare in ipasses assai gravi:
Labriola vuole sinceramente fondare la filosofia della praxis in modo non
positivistico, e riattingere il significato globale, alla Vico, della- gire
umano e della storia, ma nello stesso tempo ripropone la ne- cessit destinale
del comunismo come semovenza delle cose, 35 angosciosamente coesistente con il
desiderio che la borghesia nel frattempo faccia il suo mestiere, compreso
quello coloniale; Croce lunico che si
occupa contemporaneamente di filosofia e di economia, ma proietta la sua
personale paranoia di studioso disinteressato, che non vuole mescolare la verit
con gli inte- ressi spiccioli dei proletari, nella distinzione fra un mondo
logi- co, in cui coltivare il vero, un mondo economico, in cui fare i propri
legittimi affari (ed interessante che
anche la scienza di- venti in Croce una economia del pensiero), ed un mondo eti-
co, in cui coltivare le proprie esigenze morali. un bel marxi- smo quello che nasce in Italia,
ma siccome la sua bellezza non in- teressa a nessuno, essa sfiorisce ed
appassisce come una stupen- da fanciulla che non esce mai dalla propria stanza
e guarda il mondo dalle persiane socchiuse. Amadeo Bordiga e la conclusione
delle origini del marxismo italiano La storiografia delle idee marxiste in
Italia colloca general- mente Gramsci come momento periodizzante e spartiacque
fra il vecchio e il nuovo. A nostro avviso questo non del tutto esat- to, perch lascia sotto
silenzio il fatto che fu Amadeo Bordiga, e non Gramsci, luomo della fondazione
epocale del comunismo italiano nel 1921. Finch esisteva il PCI di Togliatti, e
la sua esi- genza di distinguere i Padri della Chiesa e gli Eretici, questa fin-
zione clericale era comprensibile. Oggi non pi. Bordiga in fondo il primo marxista italiano che
capisce al volo che cosa sia l'imperialismo, che la prima guerra mondiale una guerra impe- rialistica per la
spartizione del mondo, che il cosiddetto inter- ventismo democratico una sanguinosa idiozia subalterna agli
interessi dei mercanti di cannoni, che il PSI
una baracca para- lizzata dal correntismo parlamentaristico, e che
dunque, per dirla in breve, giunto il
momento di sostituire il socialismo con il comunismo. Bordiga capisce queste
cose, e si mette a praticarle politica- mente, prima che comincino a capirle
Gramsci e Togliatti, Ser- 36 rati e Terracini. In una sua polemica con Angelo
Tasca e con il culturalismo dei giovani socialisti, Bordiga ha modo (gi pri- ma
del 1914) di formulare la sua teoria sul crollo del capitalismo e sul
determinismo economico, una teoria che conserver in- crollabilmente fino alla
morte (avvenuta nel 1970), e che ripren- deremo nel terzo capitolo della
seconda parte di questo saggio. Questa teoria, che sar il punto di riferimento
polemico di Anto- nio Gramsci, non per
il frutto di un provincialismo napoleta- no lontano dai grandi centri del
dibattito (come Vico e Croce, Bordiga un
napoletano cosmopolita), ma al contrario
la ver- sione rigorosa, italiana, del marxismo tedesco della II Interna-
zionale, che aveva sempre discusso seriamente la teoria della cri- si e del
crollo del capitalismo. Bordiga luomo di
Zimmerwald e di Kienthal in Italia. Ed
Bordiga a farsi animatore instancabi- le della fondazione organizzativa
del comunismo in Italia. Que- sta fondazione organizzativa, per, non era ancora
una fonda- zione teorica. Per questo bisognava aspettare Antonio Gram- sci, che
non fu mai un santo laico da issare in manifestazioni e cortei, ma che fu
sempre un uomo acuto, intelligente, appassio- nato, che prendeva il pensiero
sul serio. Un tipo duomo di cui oggi si
perso lo stampo. 37 II La rivoluzione in Occidente di Antonio Gramsci e
la sua ambiguit di fondo Il pensiero di Gramsci
stato sottoposto in Italia ad una tale operazione di santificazione e di
imbalsamazione che risulta realmente difficile ritornarvi in modo fresco. Per
ragioni di edificazione burocratica, tesi di laurea, parteci- pazione a
concorsi lottizzati, imitazione, eccetera, la bibliografia su Gramsci letteralmente sterminata. Ogni sua
paroletta stata scomposta, interpretata,
contestualizzata, filologicamente rico- struita, strumentalizzata, citata.
Tutto ci stato inevitabile. Il comunismo
storico novecentesco ha avuto aspetti culturali di ti- po assai pi feudale che
capitalistico, e la sacralizzazione della citazione di auctoritates ha sempre
avuto lo scopo profano di duplicare simbolicamente la legittimit della
direzione dei ca- pi politici proiettandola in un cielo incorrotto di exemzpla
defun- ti. Il feudalesimo funziona esattamente cos, e dunque non biso- gna
stupirsi. Il comunismo ha avuto una fase schiavistica, una fa- se feudale,
speriamo che imbocchi ora una fase capitalistica (quella della libera
individualit), in modo che prima o poi attin- ga anche una fase comunistica.
Vorremmo dire subito spregiu- dicatamente che la maggior parte delle pagine
scritte in lingua italiana su Gramsci merita di servire a ci cui spesso servono
i li- bri vecchi: sostenere un tavolo traballante, riempire spazi vuoti sulle
pareti, essere tirati dietro visitatori importuni, come avvie- ne nei romanzi
umoristici di Wodehouse, in cui per la verit si ti- rano sempre i grossi tomi
rilegati del Gibbon sulla caduta del- limpero romano. Chi scrive non . n un
gramsciologo n un gramsciano, e si potr in questo capitolo una domanda voluta-
39 mente e quasi provocatoriamente banale: se Gramsci stato cos in gamba, come tutti dicono, perch
esattamente lo stato? Per quali ragioni
possiamo tranquillamente ripetere che egli
stato veramente in gamba? Il primo Gramsci: operaismo e Ordine Nuovo Il
giovane studente sardo che si aggira infreddolito per le vie di Torino
discutendo animatamente sotto i portici di via Po, il provinciale diviso fra
linteresse per la letteratura e la filosofia e l'attrazione per la classe
operaia organizzata, non e non pu es-
sere una Minerva uscita gi armata dalla testa di Giove. Nel capitolo precedente
abbiamo molto insistito sul fatto che il mar- xismo italiano stato fino ad allora un marxismo di
intellettuali, mentre il socialismo italiano
stato un circo Barnum di ten- denze, tenute insieme da una sottile
crosta politica e parlamenta- re. Non ci si pu proprio stupite che Gramsci
cerchi brancolan- do la sua strada, sia addirittura tentato dallinterventismo
de- mocratico, oscilli fra Bergson e Croce, si disperda fra cose im- portanti e
vere e proprie sciocchezze. E quale giovane non fa questo? Forse che oggi
Beethoven non si mescola con Dylan Dog, e Hegel con Benigni? Gramsci avrebbe
forse dovuto esse- re un perfetto Labriola a vent'anni? Sarebbe assurdo
pretenderlo. invece interessante che,
fin dal 1919, Gramsci ed i suoi amici, iniziando l'avventura edito- riale dell'Ordine
Nuovo, individuino da subito il problema principale della rivoluzione comunista
nella capacit da parte della classe opetaia di passare da una mera fase
protestataria ad una fase costruttiva. Alla luce di polemiche recenti, si voluto vedere nellordinovismo di Gramsci una
forma di produttivi- smo, di utopia gestionale, di organicismo sociale. questo a no- stro avviso un ettore critico di
prospettiva storica. Gramsci non ha altro modo per sfuggire alla falsa alternativa
fra riformisti e massimalisti al di fuori di una autonoma scelta operaista. Lo-
peraismo in Gramsci non ha nulla a che vedere con ci che verr chiamato a
partire dagli anni Cinquanta operaismo italiano, 40 perch non implica nessuna
teoria sulla pianificazione del capi- tale o delluso capitalistico delle
macchine (come in Panzieri), ma una
semplice teoria della base sociale della rivoluzione co- munista, gi analizzata
da Gramsci in termini di rivoluzione con- tro il Capitale (di Marx). Il
marxismo in Italia era sinonimo di evoluzionismo, attendismo, determinismo
sociale. Gramsci pienamente legittimato
a cambiare terreno. Il suo presunto soggettivismo, che non si manc di
rimproverargli, non era che la legittima e sacrosanta ricerca di un soggetto di
massa della rivoluzione socialista. La classe operaia torinese della grande
fabbrica gli sembr essere lunico soggetto sociale di massa ca- pace di fare da
fondamento storico ad un progetto rivoluziona- rio in Italia. Il comunismo per
Gramsci non certamente ope- raismo, ma
loperaismo la premessa soggettiva del
comuni- smo, il suo motorino davviamento e nello stesso tempo la sua
locomotiva. Tutto questo non poteva che dar luogo a due possibili equivo- ci.
In primo luogo, gli fu a lungo rimproverato da Bordiga e dal- la tradizione
bordighista di aver trascurato il problema del par- tito, dell'avanguardia
soggettiva generale e non solo fabbri- chista, di essere anarcosindacalista,
eccetera. Alla luce dei comportamenti posteriori di Gramsci dirigente di
partito, queste accuse non sembrano avere molto fondamento. Vi per una seconda possibile accusa, pi
interessante nella sua motiva- zione di fondo. Loperaismo di Gramsci pu infatti
essere visto come una mascherata forma di fascinazione capitalistica, di sog-
gezione e di subalternit al produttivismo della grande fabbrica
automobilistica, come se la razionalit comunista non potesse essere altro che
la gestione operaia della stessa logica generale di fabbricazione di beni di un
certo tipo e fatti in un certo modo. Questa seconda accusa a nostro avviso pienamente fondata fi-
losoficamente, ma non ci sembra storica, nel senso che rilievi di questo tipo
possono essere fatti soltanto oggi, alla luce di nuo- ve consapevolezze
ecologiche, antropologiche, culturali. Anche nelle note dal carcere
sullamericanismo e il fordismo Gramsci ritorn sulla relativa razionalit della
produzione capitalistica di massa, e sulla preferibilit di una civilizzazione
capitalistica 41 sviluppata ad una disgregazione contadina o ad un anarchismo
piccolo-borghese. Questo significa che la fascinazione gram- sciana per il capitalismo
(si noti bene: pi per il capitalismo che per la borghesia, che Gramsci
disprezza, come quasi tutti i co- munisti della sua generazione, eccettuato
forse soltanto Luk4cs) era radicata e profonda. Ma questo a nostro avviso un vizio di tutto il
comunismo storico novecentesco, e non certo soltanto di Gramsci. Il secondo
Gramsci: fronte unico e Tesi di Lione La storia sacra del PCI, scritta fra il
1943 ed il 1989, present spesso Gramsci come luomo che condusse una lotta
vittoriosa contro lestremismo di Bordiga e come il fondatore della via ita-
liana al socialismo (disegnata per la prima volta al congresso di Lione del
1926), destinata ad essere concretizzata e sviluppata da Palmiro Togliatti, suo
amico ed allievo. Le cose non andaro- no esattamente in questo modo, come sanno
tutti gli storici del comunismo (e come invece non sapeva quasi nessun
militante di base del vecchio PCI, come chi scrive ha avuto spesso modo di
riscontrare). Gramsci non sarebbe probabilmente riuscito a vincere una
battaglia di linea politica contro Bordiga con le sue sole forze italiane, e fu
letteralmente posto alla direzione del Partito Comunista dItalia dal vertice
dellInternazionale Co- munista, che voleva generalizzare a tutti i giovani
partiti rivolu- zionari la tattica del fronte unico, o dellalleanza dal basso
tra le forze di sinistra, una tattica in cui Gramsci si riconosceva, e che
invece Bordiga rifiutava. A quel tempo era ancora relativa- mente facile
distinguere in modo razionale una tattica di destra, di centro e di sinistra:
la destra era per una alleanza organica con le forze tradizionali di sinistra,
sulla base di una ipotesi di stabi- lizzazione economica del capitalismo; il
centro era per una poli- tica di fronte unito dal basso con i lavoratori di
tutte le tendenze, sulla base dellindividuazione di obiettivi economici e
politici comuni; la sinistra era per una teoria delloffensiva, che com- portava
un inevitabile isolamento (dal momento che nessunal- 42 tra forza era disposta
ad accettare una piattaforma di offensi- va). Gramsci era di centro,
robustamente di centro. un fatto noto,
ma non a nostro avviso il fatto
determinante. Per Gram- sci la tattica era sempre soltanto un momento di applicazione
della strategia, e questo lessenziale. :
A prima vista, questa pu sembrare unovviet.
chiaro, in- fatti, che la tattica
correlata alla strategia. Ma chiediamoci: chiaro veramente? Non lo crediamo. Gramsci
faceva ancora parte di quel tipo umano di comunista idealista per cui lagire
tattico doveva essere fondato su di una prospettiva storica sen- sata. Dopo la
sua morte, prevalse il tipo umano del carrierista, del politicante di
professione, del galleggiatore a tutti i costi, per cui la tattica di
sopravvivenza politica fine a se stessa.
Questo tipo umano non si pone #7 il problema della natura storica del- la
propria prospettiva politica, e considera anzi questo proble- ma una perdita di
tempo. Per galleggiare sullacqua, infatti, non serve sapere se la costa a destra o a sinistra. Solo chi nuota in- teressato a saperlo, perch solo chi nuota
vuole dirigersi da qual- che parte. Gramsci era un nuotatore, non un
galleggiatore. La tattica politica di fronte unico richiedeva infatti una
fonda- zione teorica strategica. Non un
caso, per fare un esempio, che Lukacs, autore di un libro filosofico ispirato
alla contrapposi- zione frontale fra borghesia e proletariato, Storia e
Coscienza di Classe, effettua a partire dal 1926 una svolta filosofica che sot- terraneamente legata a una sua sempre
maggiore adesione poli- tica a una linea di fronte unico (si pensi alle sue
Tesi di Blum). Gramsci non ha tempo per la teorizzazione strategica nei suoi
febbrili anni di militanza politica. Sar Mussolini, che lo fece ar- restare e
rinchiudere in prigione, a permettergli paradossalmen- te di raggiungere
limmortalit con i suoi Quaderni del Carcere. Unimmortalit pagata a carissimo
prezzo, quella di un uomo in- namorato di una moglie che non pu vedere e
toccare e di due fi- gli amatissimi con cui non pu giocare e che non pu veder
cre- scere. Riteniamo che se non ci si china pensosi sui costi del pro- cesso
di produzione dei Quaderni del Carcere non si pu nep- Dr apprezzarne la
straordinaria densit intellettuale e filoso- ca. 43 Il terzo Gramsci: la
rivoluzione in Occidente e i Quaderni del Carcere Si detto che Gramsci luomo della politica del fronte unico che si
contrappone a Bordiga teorico e tattico della contrapposi- zione frontale. Il
fronte unico dal basso stato lultimo
consiglio politico dato da Lenin al movimento operaio occidentale prima di
morire (abbiamo sempre trovato bellissima questa formula- zione, che di Perry Anderson). Chiuso in prigione,
Gramsci organizza il suo tempo e la sua energia nella prospettiva di un
progetto teorico complessivo, in cui a nostro avviso Bordiga il principale interlocutore silenzioso, un
assente di cui non si di- mentica mai la silenziosa presenza interlocutoria.
Nella conclu- sione del primo capitolo abbiamo sostenuto che a nostro avviso
Bordiga non un rozzo estremista, ma forse il punto pi alto della ricezione
italiana del rzigliore marxismo della II Interna- zionale: teoria
dell'imperialismo, centralit e primato del prole- tariato visto come unica
classe rivoluzionaria, accettazione della teoria del crollo del capitalismo
sulla base della vecchia e glorio- sa teoria dell'aumento della composizione
organica del capitale e della caduta tendenziale del saggio di profitto. Questo
marxi- smo, economistico, deterministico e meccanicistico, peraltro lunico marxismo teorico disponibile
a quei tempi, e il fatto che Bordiga ne sia un praticante ed un officiante non
deve essere vi- sto come una sua colpa, ma come un suo merito. In URSS, Bu-
charin scriver un manuale di materialismo storico (inteso come sociologia
marxista) che si baser pi o meno su questi pre- supposti. Lo stesso
materialismo dialettico staliniano, che aspet- ter il 1931 per essere formulato
nella versione scolastica che re- ster sostanzialmente intatta fino al 1991,
non paradossalmen- te poi cos lontano dal
bordighismo nella sua pi profonda ispi- razione filosofica, anche se ovviamente
esso si basa sul ricono- scimento della piena natura socialista dell'URSS, che
invece Bordiga negher appassionatamente dopo il 1945 (come ricor- deremo nel
terzo capitolo della seconda parte). Il marxismo di Gramsci si costruisce in
base ad un progetto qualitativamente diverso. Gramsci si rende perfettamente
conto 44 che la rottura politica del 1917 in Russia ha dato luogo ad un pe-
riodo storico nuovo, e ha posto il problema epocale del comuni- . smo in
termini di possibilit concreta, e non solo pi di evoca- zione utopica e di
protesta morale. Il 1917 russo, e il 1921 italia- no, non hanno per ancora dato
vita ad una rottura teorica con il socialismo precedente. Paradossalmente, si
pu dire che il co- munismo una realt
politica che continua a basarsi su di una le- gittimazione teorica socialista.
La Terza Internazionale continua a pensarsi come lala sinistra del socialismo.
Lala sinistra del socialismo per non il
comunismo, ma il massimalismo, ed il massimalismo non che la protesta verbosa ed impotente con- tro
il riformismo. Perch il comunismo, dunque, smetta di esse- re lala sinistra,
massimalistica ed estremistica, del vecchio uni- verso spirituale socialista, necessario che esso si basi su nuove
fondamenta teoriche. Su nuove fondamenta teoriche. Riteniamo che il problema di
Gramsci sia sostanzialmente quello che ci assilla oggi, negli anni Novanta del
Novecento, dopo il crollo catastrofico della forza organizzata del comunismo
storico novecentesco. Anche per noi la rifondazione comunista, forse possibile
ma da non dare assolutamente per scontata, non pu essere soltanto la ripeti-
zione e la riformulazione della vecchia ala sinistra (massima- listica) del
movimento comunista storico test crollato, ma deve dar luogo a qualcosa di
veramente nuovo. Gramsci, tenendo conto della sua condizione di ristretto in
carcere, con una di- sponibilit limitata di libri e di giornali, sceglie
correttamente la forma espositiva dei quaderni tematici. Egli gi ristretto dal- la porta chiusa della
cella, e non pu farsi ulteriormente re- stringere da una forma espositiva
chiusa e dogmatica. Nella- pertura delle sue note e dei suoi commenti, chi
scrive vede una palese metafora del suo bisogno di libert, politica,
intellettuale e fisica. Il progetto teorico gramsciano allora la proiezione filosofica complessiva
della tattica leniniana del fronte unico. Il fronte uni- co vuole allargare la
base politica attiva e militante della rivolu- zione. La questione teorica
principale quella della/largamzento
della base culturale del marxismo, di cui Gramsci accetta la for- 45 mulazione
labrioliana in chiave di filosofia della prassi, espun- gendo per quei residui
necessitaristici che come abbiamo visto restavano nella pur geniale sintesi di
Labriola. Preghiamo il let- tore di notare bene che abbiamo parlato di
allargamento cultu- rale, non certo di allargamento ideologico. Lallargamento
ideologico infatti una forma di
opportunismo dei principi, e coincide esattamente con la deideologizzazione,
dal momento che la natura segreta dell'ideologia sta nel fatto che se essa
non presa sul serio ed piegata strumentalmente ad esigenze tatti-
co-politiche congiunturali, si consuma e si disintegra proprio quando sembra
che venga messa sugli altari (e l'esempio delli- deologo sovietico Suslov non
dovrebbe smettere di illuminarci). Lallargamento culturale invece la vera forma della nozione di egemonia,
per cui la stessa questione del nesso fra coercizione e consenso, forza e
convinzione, momento democratico e mo- mento dittatoriale, diventa a nostro
avviso soltanto una specifi- cazione politica secondaria. Gramsci si rende
conto che il comu- nismo ha una base culturale ristretta ed asfittica, che necessa- rio allargare. Una rivoluzione in
Occidente non soltanto una rivoluzione
che deve investire una societ civile ricca e artico- lata, e che deve
mobilitare un moderno Principe (con tutte le virt machiavelliane che ne
conseguono: religione civile, orga- nizzazione militare, legittimazione
integrale dalla conflittualit politica ordinata, eccetera). La rivoluzione in
Occidente ' un ordine nuovo integrale (ed
un ordine, proprio nel senso che Machiavelli d alla parola ordine: una
serie di istituzioni poli- tiche stabili e funzionanti). Il comunismo un ordine nuovo. Gli ordini non sono altro
che le leggi liberamente accettate nella coscienza degli uomini. Crediamo di
essere cos riusciti a spiegare perch a nostro av- viso Gramsci stato cos in gamba. Egli ha individuato in
mo- do geniale il problema dellallargamento culturale del comuni- smo, ed ha
anche compreso che il diritto alla filosofia riguarda tutti gli uomini, e non
soltanto una lite di governanti. Resta il fatto, e non possiamo qui tacerlo,
che questa scopetta geniale viene fatta nel quadro di due ambiguit fondamentali,
di cui una almeno stata fatale. 46 La
tesi di Perry Anderson sullambiguit di Gramsci Una prima ambiguit generale
dellelaborazione gramsciana appare agevolmente visibile se appena si pensa che
quasi sem- pre Gramsci pensa la rivoluzione in Occidente 4 partire dalla ri-
cognizione della societ e della storia italiana. Ma lItalia non un paese tipico dell'Occidente. L'Italia un paese per molti ver- si arretrato, in cui
una rivoluzione borghese non ha mai avuto luogo (tale non stata
e Gramsci lo sa benissimo quella
di Cavour, Mazzini e Garibaldi), e in cui si pongono problemi di
modernizzazione capitalistica ben maggiori che nella maggior parte degli altri
paesi europei. dunque inevitabile che il
co- munista Gramsci scivoli spesso nel modernizzatore borghese- capitalistico
Gramsci. In Gramsci questa appunto
ancora sol- tanto unambivalenza, che diventer invece in Togliatti un vero e
proprio fondamento strategico. Vi per una
seconda ambiguit, ancora maggiore, che il marxista inglese Perry Anderson ha
avuto il merito di evidenzia- re con grande intelligenza critica. Secondo
Anderson, la strate- gia della guerra di posizione, contrapposta a quella di
movimen- to, che Gramsci consiglia esplicitamente al movimento comuni- sta
occidentale, porta inevitabilmente con s una forma organiz- zativa autoritaria
ed eterodiretta. La guerra di posizione
una guerra di generali, di ufficiali, di sergenti e di soldati che si
abi- tuano ad ubbidire agli ordini. La virt principale della guerra di
posizione la disciplina, unita ad altre
virt secondarie come la tenacia, lo spirito di sacrificio, la resistenza. Fra
queste virt non c', o comunque non certo
al primo posto, quella dello spirito di iniziativa. Perry Anderson osserva
acutamente che in questo modo viene scoraggiata quella sorta di diritto
assoluto alla de- mocrazia diretta e alla partecipazione in prima persona
che invece la sintesi di forma e di
contenuto del comunismo. Leg- gendo le sue acute pagine sembra di avere davanti
agli occhi le centinaia di migliaia di militanti devoti del PCI che per quasi
cinquanta anni hanno creduto nel partito in modo religioso, vendendone il
giornale e sacrificando tutto il tempo libero per permettere la riuscita delle
sue feste e delle sue manifestazioni, e 47 che hanno nello stesso tempo messo
al primo posto delle loro virt politiche la fedelt e il sacrificio, lasciando
poco a poco ca- dere allultimo posto lindipendenza personale di pensiero e di
iniziativa. Certo, Gramsci non voleva tutto questo, e aveva nei confronti degli
atteggiamenti fideistici e religiosi soltanto impa- zienza e rifiuto. Gramsci
non fu mai cattocomunista (e vedre- mo nel primo capitolo della seconda parte
che fu invece il cat- tocomunismo la matrice principale dellatteggiamento
dogma- tico e religioso), e apparteneva ad una generazione di grandi idealisti.
Resta il fatto, per, che lorganizzazione religioso- militare del comunismo,
inevitabile conseguenza della strategia della guerra di posizione che deve
completare una rivoluzione borghese mancata,
stata uno dei fattori anticomunisti pi gran- di del Novecento italiano.
Gramsci mor nel 1937, prima che tutto questo fosse anche soltanto pensabile. A
partire dagli anni Sessanta, Gramsci di- vent il pi grande pensatore
internazionale di riferimento del marxismo critico, e nello stesso tempo il
santo protettore della linea politica della via italiana al socialismo. Questi
due aspetti non ci interessano sul piano teoretico, anche se ovviamente essi
non possono essere storiograficamente ignorati o sottovalutati. Si tratta di un
fenomeno filosoficamente penoso, che Gramsci stesso non avrebbe certamente
amato ed apprezzato. In prima istanza,
Gramsci divent un guru internazionale del marxismo critico. Tutti coloro che
volevano opporsi al materialismo dia- lettico sovietico, o che non si
riconoscevano politicamente nel dogmatismo dei loro partiti comunisti,
invocavano il nome di Gramsci come quello di un salvatore. Nello stesso tempo,
tutti coloro che volevano condurre una lotta contro il riduzionismo
economicistico marxista, e dare maggiore importanza alle co- siddette
sovrastrutture culturali, letterarie ed artistiche, si ri- fecero alla
auctoritas di Gramsci. Si trattava di unoperazione ideologica non solo
legittima, ma anche pienamente giustificata, incondizionatamente positiva. In
questo modo, per, si caricava sulle povere spalle di Gramsci la responsabilit
di una dissolu- zione del marxismo in una innocua critica culturalistica della
so- ciet capitalistica, che fu appunto la forma ideologica dominante 48
delleurocomunismo alla fine degli anni Settanta (come ricorde- remo pi avanti).
Questo uso eurocomunista di Gramsci ha avuto una sua storia, in particolare in
Francia, ma soprattutto in Spagna e in America Latina, e non stata tutto sommato una sto- ria gloriosa. In
seconda istanza, Gramsci divent un gurz della prima si- nistra italiana e venne
santificato nel Pantheon italiano dei pa- dri della patria. Al suo nome vennero
dedicati istituti di ricerca carichi di finanziamenti erogati dal sistema
lottizzato dei partiti . (ed
interessante notare che lIstituto Gramsci, prima sotto Schiavone e poi
sotto Vacca, divent uno dei principali fattori culturali attivi
dellantimzarxiszzo in Italia). Migliaia di formichi- ne scrissero chilometriche
ed alluvionali tesi di laurea sezionan- do il pensiero vivente di un uomo che
aveva scritto le sue note in una cella, pieno dellangoscia di chi viene privato
della sua liber- t. Questo paese cattocomunista, pieno di chiese e di monu-
menti, non pu evidentemente fare a meno di icone religiose, e non poteva che
trasformare in unicona il piccolo sardo gobbo che si aggirava senza soldi per
le vie di Torino e che cercava di vincere la sua angoscia nella cella di Turi.
Chi scrive preferisce pensare a Gramsci come a un grande iconoclasta, che commette
l'inevitabile errore di pensare la razionalit produttiva socialista in termini
di produttivismo e di fordismo, e la razionalit politi- ca comunista in termini
di guerra di posizione e di organizzazio- ne religioso-militare, ma che pienamente riscattato dallavere capito che
senza un deciso allargamento culturale il comunismo destinato al fallimento inesorabile. 49 III
La via italiana al socialismo di Palmiro Togliatti e l'ambiguit gramsciana
realizzata x La valutazione storica di Palmiro Togliatti unoperazione difficile, dal momento che essa
finisce con lidentificarsi con il pi complessivo giudizio sulla storia italiana
degli ultimi decen- ni e sulla vicenda del comunismo storico novecentesco.
Togliatti un personaggio ingombrante,
perch da un lato un politico che ha
avuto una funzione di direzione complessiva di processi che hanno coinvolto
milioni di persone per quasi un cinquanten- nio, e dallaltro pur sempre anche un intellettuale, un uomo
che leggeva libri, li commentava e li scriveva, diversissimo anche
antropologicamente dal tipo umano di politicante lettore di mazzette di
giornali che peraltro egli stesso allev, e che alla fine sciolse fra il 1989 e
il 1991 il suo capolavoro politico, il Partito Comunista Italiano. In questo
breve capitolo non pretenderemo certamente di riuscire a dare un giudizio
storico o politico su Togliatti. Ne da- remo soltanto uninterpretazione teorica
di fondo, che nellin- sieme assai
semplice: a nostro avviso Togliatti ha realizzato in- tegralmente quella che in
Gramsci era presente allo stadio em- brionale come ambivalenza, la costruzione
dellorganizzazione comunista come struttura politico-militare atta a condurre
una lunga guerra di trincea contro il capitalismo, con la conse- guenza
inevitabile di far diventare la disciplina, la coesione, lu- nit di comando, la
fluidit nellesecuzione degli ordini, eccete- ra, le virt politiche fondamentali
del militante comunista. La ri- voluzione in Occidente, che in Togliatti
diventer via italiana al socialismo, assume cos la forma strategica del
conflitto di posi- 51 zione, contrapposto allestremismo che verr sempre
assimilato nel buon senso popolare del militante ad un ingestibile e sangui-
nosissimo conflitto di movimento. Nellinconscio popolare ita- liano il
conflitto di movimento associato al
general Cadorna e alle sue irresponsabili e sanguinarie spallate, ed del tutto evidente che se per movimento
comunista si intende attacco alla baionetta contro le mitragliatrici del
capitalismo allora il movimento comunista
un delirio di guerriglieri incoscienti, ad un tempo omicidi e suicidi.
Nella tradizione autentica di Marx, il movimento comuni- sta non un assalto all'arma bianca condotto contro
munitissi- me trincee, cui occorre contrapporre una kautskiana strategia di
logoramento assai pi razionale e meno sanguinosa (questa non che lalternativa fra le dottrine militari di
Cadorna e di Diaz applicata al conflitto novecentesco fra capitalismo e comu-
nismo). Il movimento comunista il
movimento reale che abo- lisce lo stato di cose presenti, ma il termine
movimento indi- ca l'insieme antropologico della abolizione del capitalismo,
e non soltanto le tattiche di lotta
economico-sindacale o politico- partitica. Ora, se il movimento il movimento temporale di un insieme
antropologico, evidente che non vi nessun movimen- to comunista se il suo
presupposto antropologico, luomo stes- so, viene socializzato politicamente in
modo eterodiretto, sulla base di un modello militare costituito da generali,
ufficiali, ser- genti e soldati semplici. Questa linterpretazione di Togliatti che diamo in
questo saggio. Come si noter, essa
certamente antitogliattiana, se proprio lo si vuole, ma non certo nel
senso tradizionale del ter- mine. Tradizionalmente, infatti, Togliatti viene
accusato per aver fatto, o per non aver fatto, cose che sono concepibili e
visi- bili adesso, ma che a/lora non lo erano e non potevano esserlo. Vogliamo
accusare Togliatti di non essere stato bordighista? E come avrebbe potuto
esserlo, se il bordighismo si basava sulla mescolanza della teoria
secondinternazionalista del crollo del capitalismo e della teoria delloffensiva
frontale che la Terza In- ternazionale abbandon gi nel 1921? Lo vogliamo
accusare di non essere stato trotzkista? Certo che non lo stato, e come 52 avrebbe potuto esserlo, se
la teoria della rivoluzione permanen- te non fu di fatto che uno schema
scolastico, teoricamente affa- scinante e convincente, ma politicamente
inapplicabile? Lo vo- gliamo accusare di essere stato stalinista? Certo che
Togliatti stato stalinista. Egli anzi stato il primo degli stalinisti, per il
semplice fatto che tutto il movimento comunista ufficiale stato stalinista negli anni Trenta, Quaranta
e Cinquanta, e non dimenticando di aggiungere che lo stesso stalinismo permet-
teva la messa a punto di tattiche parzialmente diverse (come av- venne ad
esempio nei dissensi fra Togliatti e Pietro Secchia a ca- vallo fra gli anni
Quaranta e gli anni Cinquanta). Togliatti: lo stalinismo liberale Si usata a lungo, a proposito di Togliatti, la
categoria di dop- piezza. Togliatti avrebbe praticato la doppiezza, cio il
doppio binario, perch si sarebbe presentato come un convinto sosteni- tore
della costituzione e della democrazia rappresentativa, da un lato, mentre
avrebbe preparato sotto banco la dittatura del pro- letariato a partito unico
ed il totalitarismo dei gulag, dallaltro. Pacatamente, riteniamo che questa sia
una vera e propria follia storiografica. Per sostenerla (e molti oggi la
sostengono, nel cli- ma velenoso della resa dei conti e del revisionismo
storiografi- co) bisogna credere seriamente che l'URSS, a partire dal 1945, si
prefiggesse un attacco militare contro l'Occidente capitalistico e . pertanto
coltivasse delle quinte colonne comuniste pronte a fare da quislings all'Armata
Rossa e ai marescialli sovietici. Esiste una monumentale storiografia sulla
guerra fredda, che purtroppo oggi viene dimenticata sugli scaffali delle
bibliote- che, che dimostra che tutto questo
un mito infondato. Yalta fu sempre presa sul serio ad Est, mentre ad
Ovest la politica di Fo- ster Dulles fu sempre quella del r0// back, cio del
respingere in- dietro i russi riconquistando lEst europeo. Per riconoscere
questo fatto storico non c nessun bisogno di essere politica- mente comunisti o
filosoficamente marxisti, e non neppure
ne- cessario simpatizzare per il togliattismo. Chi scrive non simpa- 53 tizza
affatto per esso, e si invece sempre
biograficamente ispirato ai suoi oppositori (e rinviamo qui il lettore in
particolare ai capitoli tre e dieci della seconda parte di questo saggio). La
verit storica, per, deve passare davanti alle opzioni filosofiche soggettive.
La doppiezza, semmai, stata piuttosto
una dimensione psicologi- ca ed esistenziale di molti militanti comunisti, che
compensavano in questo modo la loro soggettiva impotenza politica con il
risarci- mento immaginario di una situazione rivoluzionaria comunista in cui
poter fare finalmente la vera rivoluzione. Questa, per, non doppiezza.
piuttosto qualcosa di simile a ci che veniva chiamato, nell'immaginario
politico del comunismo tedesco degli anni Venti e Trenta, la grande sera, il
solenne momento utopico della resa dei conti finale con il capitalismo. La
linea politica di Togliatti non si basava in realt affatto sulla doppiezza.
Essa si basava sulla scommessa strategica, di lungo pe- riodo, di poter portare
a buon fine la lunghissima guerra di posi- zione con il capitalismo, e di poter
dunque accettare in modo pie- no e convinto la democrazia dei partiti e dei
sindacati. Questa non doppiezza e non
deve essere battezzata in questo modo. Nello stesso tempo, la linea di
Togliatti ha dato luogo a nostro avviso ad una sorta di stalinismo liberale.
Pienamente consapevoli della stra- nezza di questa espressione, vorremmo
indicare qui subito le due ragioni fondamentali per cui l'abbiamo usata. In
primo luogo, lo stalinismo non deve essere definito SN to in termini di
burocratismo, dispotismo degli apparati politici, culto della personalit di
Stalin e dei suoi pi stretti collaborato- ri, generalizzazione del sistema dei
campi di lavoro forzato, pro- cessi e terrore di massa. Certo, tutto questo ci
fu, e non deve es- sere dimenticato, anche perch lincapacit di uscirne
strategi- camente resta a nostro avviso la causa storica fondamentale del
collasso finale del comunismo storico novecentesco. Lo stalini- smo stato anche e soprattutto convinzione
profonda della s- periorit produttiva generale del sistema economico socialista
ri- spetto a quello capitalistico. Il capitalismo, nella concezione di
Stalin, soprattutto putrefazione dello
sviluppo delle forze pro- duttive, anarchia del mercato, spreco, parassitismo
delle rendite fondiarie e degli interessi bancari, mancato utilizzo delle
risorse 54 del lavoro produttivo. Togliatti non era un economista (ma lo erano
molti suoi stretti collaboratori, da Pesenti a Sereni), ma condivideva
pienamente questa concezione stagnazionistica del capitalismo, che si era
profondamente radicata fra i quadri comunisti al tempo della III
Internazionale, anche e soprattutto a causa della grande crisi del 1929. Qui
sta, a nostro avviso, il ve- ro strato profondo, geologico, dello stalinismo di
Togliatti, e il legame con la teoria gramsciana della guerra di posizione. In
breve: i comunisti hanno tutto linteresse ad accettare la demo- crazia, e anzi
a difenderla contro il fascismo, perch in ogni caso il tempo loro amico, il tempo lavora per loro, dal
momento che il capitalismo non in grado
di sviluppare veramente le forze produttive, mentre il socialismo lo . In
secondo luogo, indiscutibile che lo
stalinismo ha storica- mente trasformato il principio del centralismo
democratico nel- la proibizione pratica della lotta politica trasparente in
base a documenti e piattaforme contrapposte. Questa proibizione non ha nulla di
bolscevico, dal momento che anzi il partito bolsce- vico di Lenin, pur essendo
una organizzazione politica da batta- glia, pratic sempre pienamente il metodo
del confronto politi- co sulla base di documenti e di piattaforme congressuali
con- trapposte. Questa trasparenza del dibattito, che escludeva come qualcosa
di orribile la falsa unanimit monolitica, fu poi abban- donata a causa della
guerra civile del 1918-21 e soprattutto a causa dei conflitti fra Stalin,
Bucharin e Trotzkij. Togliatti assun- se sempre come un fatto normale la
procedura del mzorolitismo esterno, con la relativa proibizione (o meglio,
inconcepibilit quasi antropologica) del conflitto politico e ideologico sulla
ba- se di documenti, mozioni e piattaforme congressuali contrappo- ste
trasparenti. La lotta politica naturalmente avveniva, ed era durissima, ma non
era trasparente. Questa modalit, a nostro avviso avvelenata e perversa,
deformata e incurabile, dellagire politico era addirittura vissuta nella
coscienza del militante co- munista come un tratto dorgoglio (contrapposto alla
litigiosit del correntismo socialista, visto come casino e disordine pic-
colo-borghese). Sono queste, a nostro avviso, le due modalit del codice gene-
55 tico togliattiano di partito che ci fanno parlare di stalinismo libe- rale,
e non di doppiezza. Laccettazione dello stato liberale di diritto, della
costituzione antifascista, del pluralismo dei partiti era strategica, e dunque
non ha senso parlare di doppiezza. Nel- lo stesso tempo, la concezione del
partito era quella di Stalin, non quella di Lenin. Togliatti: la religione
storicista Il filosofo marxista italiano Cesare Luporini (su cui tornere- mo
nel sesto capitolo della seconda parte di questo saggio), che pure fu sempre
per decenni un convinto militante del partito di Togliatti, ma che non fu mai
convinto dallo storicismo come filosofia, seppe connotare a nostro avviso in
modo teoretica- mente insuperabile le contraddizioni dello storicismo stesso.
Da un lato, lo storicismo lunica interpretazione
del marxismo perfettamente adeguata e corrispondente alla politica del parti-
to, alla sua linea strategica. Dall'altra, essendo lo storicismo niente altro
che il punto di vista del semplice scorrimento cumu- lativo in avanti del tempo
storico, egli si chiede: se la totalit
quella di tutta la storia in svolgimento, non diventa essa stessa una
totalit vuota in cui trionfa lempiricit, cio la politica come empiricit?.
Crediamo che in queste due affermazioni vi sia tutto il necessario per
sviscerare lessenziale della questione. Per poterlo fare, per, bisogna tradurre
il difficile linguaggio filoso- fico di Luporini in un linguaggio pi semplice.
Che significa totalit vuota in cui trionfa lempiricit? Signi- fica che se si
toglie ogni fondamento al comunismo al di fuori di quello del richiamo allo
scorrimento progressivo in avanti del tempo storico, unito con la
giustificazione di tutto quanto si fatto
in passato in nome del pur sacrosanto richiamo allo stato deccezione, al posto
del fondamento si installa di fatto la tatti- ca politica del caso per caso, e
soltanto essa. La storia diventa una totalit vuota, e lempiricit pu insediarsi
in essa proprio sul presupposto del suo preventivo svuotamento. Muoiono gli
strateghi, sopravvivono i tattici. Declinano inesorabilmente i ti- 56 pi umani
alla Gramsci, spinti dalla passione della conoscenza delle tendenze di lungo
periodo dello sviluppo storico, entrano in scena i tipi umani che
caratterizzano gli odierni politici di professione, cattivi attori stipendiati
nel teatrino della politica spettacolo. Lo storicismo dunque (e qui Luporini ha messo a nostro av-
viso il dito sulla piaga) l'ideologia organica, o meglio la falsa co- scienza
necessaria, dei politici di professione. Il richiamo alla storia ed al suo scorrimento lintegrazione religiosa necessaria del
piccolo cabotaggio sindacale e parlamentare. Vorremmo in- sistere su questo
aspetto religioso della questione, perch molti commentatori pensano
ingenuamente che la religione ci sia soltanto quando qualcuno va ostentatamente
a messa e di- chiara di non avere dubbi sullesistenza di Dio. Se si pensa inve-
ce al funzionamento normale, quotidiano, dellitalianissima reli- gione
cattolica, si vedr che il richiamo innocuo e ineffettuale al- le grandi verit
religiose copre una prassi ordinaria che non ha assolutamente nulla a che fare
con esse, ma che ha egualmente bisogno di salvarsi lanima con la loro saltuaria
e rassicurante evocazione (generalmente domenicale). Analogamente, la reli-
gione storicista del comunismo rassicura il militante sul senso ultimo del suo
agire riformistico quotidiano, e nello stesso tem- po non incide praticamente
su di esso. Seguendo Max Weber, per, non ci chiederemo qui se Dio veramente
esista o no, ma soltanto in che misura la fede si secolarizzi trasformandosi in
ra- zionalizzazione della vita quotidiana (diamo infatti anche noi per scontato
che non si possa sempre vivere con lardore dei martiri primitivi, e che una
normalizzazione quotidiana sia ine- vitabile!). Ebbene, su questo punto il
cattolicesimo si rivelato pi abile e
capace del togliattismo. Quest'ultimo si
progressi- vamente secolarizzato nel PCI degli anni Sessanta e poi nel
PDS degli anni Novanta, formazioni ormai integralmente riassorbite nella
normale riproduzione capitalistica (e qui Del Noce ha ra- gione, ed per questa ragione che gli faremo tanto onore
nel quinto capitolo della seconda parte di questo saggio). La ragio- ne sta nel
fatto che lo storicismo unideologia
ingenuamente progressistica della storia che ripropone in modo populistica- 57
mente subalterno le illusioni positivistiche della concezione del mondo
borghese dell'Ottocento, che non pu resistere in alcun modo alla critica
corrosiva del nichilismo filosofico e della crisi dei fondamenti. Nello stesso
tempo, lo storicismo era una for- ma di coscienza obbligata, assolutamente
obbligata, se si voleva costruire il partito di massa cos come Togliatti lo ha
costruito. Togliatti: la direzione politica sulla cultura Palmiro Togliatti,
pur non essendo stato a nostro avviso un Gramsci, apparteneva put sempre ad una
generazione colta, di lettori disinteressati di libri, una generazione che
comprendeva fino in fondo il nesso fra politica e cultura (e che non pu essere
paragonata in nessun modo a quella degli attuali politici di pro- fessione, che
considerano tempo perduto tutto ci che
al di fuori della superficie della congiuntura politica). Egli era un
convinto sostenitore della direzione politica sulla cultura, e su questo punto
non si distingueva da uno Zdanov, anche se era molto pi aperto, colto e
flessibile. Ci rendiamo perfettamen- te conto del fatto che il paragone con
Zdanov pu sembrare of- fensivo, esagerato e provocatorio, dal momento che
Zdanov chiuse sistematicamente la cultura sovietica a campi e settori della
filosofia, della letteratura e dellarte sui quali invece To- gliatti apr in
modo convinto. Il paragone viene per propo- sto non certo in base a criteri
contenutistici, ma in base alla co- mune pretesa della possibilit e della
necessit di una giurisdi- zione suprema della politica sulla cultura, e
sull'opportunit di dotarsi di una politica culturale. Chi scrive non crede al
fatto che il comunismo debba dotarsi di una politica culturale, e neppure che
sia avvantaggiato dalla- verne una. Questo non certo sulla base della
cosiddetta apoliti- cit della cultura (ci sembra ovvio che la cultura sia
sempre politica, dal momento che avviene nelluniverso simbolico della polis
umana e dei suoi rapporti sociali!), e neppure sulla base del primato degli
intellettuali di professione sui politici (ci sembra anzi che nel contesto
specifico del dibattito fra To- 58 gliatti e Vittorini, o fra Togliatti e
Bobbio, sia stato il primo ad avere ragione nellessenziale in entrambi i casi).
Chi scrive non crede n allapoliticit della cultura n alla possibilit di creare
un partito degli intellettuali. Il fatto
che la direzione politica sulla cultura, anche quando giura e spergiura
sul rispetto dello specifico artistico, musicale, letterario e filosofico, non
coin- cide affatto con il riconoscimento del carattere politico in sen- so lato
di ogni forma di cultura, ma si manifesta di fatto come una pretesa di
classificazione e di valutazione del prodotto cul- turale in base a criteri che
non sono mai quelli della verit (filo- sofica) e del valore estetico, ma che
sono sempre quelli della fun- zionalizzabilit del prodotto culturale nel solco
della propria li- nea politica. Il comunismo, in poche parole, deve avere una
cul- tura, ma non una politica culturale. Chi crede alla politica cultu- rale
crede anche, in ultima istanza, agli ingegneri delle anime di staliniana
memoria, anche se poi non ha il coraggio di esplici- tare le conseguenze ultime
della sua posizione. Ci non significa certamente che lagire politico deve
essere indifferente al fatto culturale, o che non si ponga il problema della
promozione o della divulgazione del prodotto culturale. Chi scrive crede ad una
sinergia indiretta fra politica e cultura, ma la sinergia indi- retta z0n una politica culturale. Togliatti credeva
fortemente nella direzione politica sulla cul- tura, e riteniamo
paradossalmente significativo il fatto che nella sua polemica con Vittorini,
questultimo ne fosse in un certo modo speculare, dal momento che Vittorini non
rivendicava tanto lautonomia della cultura stessa, quanto la direzione cultu-
rale sulla politica (confondendo poi la cultura con leclettismo). L'aspetto
principale della questione resta tuttavia a nostro avvi- so quello
dellinesorabile meccanismo di selezione dei temi e dei problemi leciti e di
quelli proibiti che viene inesorabilmen- te messo in piedi quando si accetta il
principio della supervisio- ne politica sullo specifico culturale. Nessuna
scoperta medica verrebbe mai fatta se i laboratori fossero messi sotto la
supervi- sione amministrativa dei sindacati e dei partiti politici. I rappre-
sentanti di questi ultimi si chiederebbero subito se i loro interes- si
riproduttivi verrebbero o no intaccati da un mutamento stati- 59 stico
significativo dellospedalizzazione, della durata delle tera- pie, della
mortalit. Anche se pu sembrare provocatorio il dir- lo, riteniamo che il
principio della direzione politica sulla cultu- ra segua la stessa inesorabile
logica di fondo. Togliatti: impossibile eredit Togliatti sopravvisse otto anni
al 1956 e alla proclamazione ufficiale della destalinizzazione. In quegli otto
anni, hanno detto molti storici e commentatori, egli pot sciogliere ogni
residua doppiezza (ma abbiamo gi detto che non crediamo a questa categoria!) e
si incammin esplicitamente nella direzione di quella via italiana al socialismo
basata sullintegrale accetta- zione dellorizzonte politico della democrazia e
dello stato di di- ritto. Noi pensiamo invece che Togliatti abbia lasciato ai
suoi successori una eredit impossibile, e che questi ultimi, dopo aver cercato
di fare quello che fanno tutti gli eredi di questa terra, ve- nire in possesso
dell'asse ereditario, ci abbiano infine rinuncia- to, non soltanto cambiando il
nome della ditta (dal PCI al PDS), ma cambiandone anche le ragioni sociali. Che
significa eredit impossibile? Lo abbiamo detto: leredit impossibile una eredit di cui impossibile venire in possesso. Ma, appunto,
perch impossibile? Riteniamo sia molto
impor- tante capire esattamente dove stia questa impossibilit, perch altrimenti
il discorso generale che stiamo conducendo diventa ambiguo ed equivoco. In
breve, il presupposto fondamentale della strategia togliattiana stava nel fatto
che i comunisti non era- no coloro che sostenevano gli interessi particolari di
un gruppo sociale (sia pure nobile, come la classe operaia), ma erano co- loro
che rappresentavano gli interessi storici generali della na- zione italiana nel
suo complesso. Questa funzione generale (e non particolare), nazionale (e non
corporativa) si basava a sua volta sul fatto che la borghesia, o i capitalisti,
o tutti e due, non erano capaci e non sarebbero mai stati capaci di fare uscire
l'I- talia dalla crisi, e per questo nobile compito sarebbe stato ne- cessario
il moderno Principe, il partito comunista gestito sulla 60 base di un peculiare
stalinismo liberale. Il PCI si basava proprio sulla pretesa della titolarit
degli interessi generali. Esso non si pens mai come parte di un processo
sociale complessivo, ma sempre come il punto di vista totale (ed in alcuni casi
totali- tario) dellinsieme sociale. Una simile creatura non poteva
riconvertirsi in modo indolore, una volta avvenuta nel 1989 la caduta del
comunismo storico novecentesco, ad una rappresen- tanza particolare dei
lavoratori salariati e dipendenti italiani. Sa- rebbe stata una fine troppo
poco nobile per chi si era abituato per cinquantanni ad autorappresentarsi come
il punto di vista degli interessi generali della nazione. questo a nostro avviso il triste e meschino
segreto dellattua- le PDS, il partito del trasformismo istituzionale dei Segni
e dei La Malfa, il partito della riforma elettorale uninominale e mag-
gioritaria, il partito della accettazione strategica dello smantella- mento del
welfare state in Italia. Si tratta di un partito che non pu pensarsi come
partito particolare, e che per pensarsi come partito generale, non potendo
neppure pi credere alla propria funzione storica socialista, deve cercare una
generalit fitti- zia nel cielo della morale o della riforma dei meccanismi
istitu- zionali. questa la ragione per
cui abbiamo parlato dellirricevi- bilit della eredit di Togliatti, e nello
stesso tempo della fatalit storica della dissoluzione del suo progetto. Questa,
per, unaltra storia, che ci costringe a
chiudere questa prima parte del saggio per affrontare analiticamente un
complesso di pro- blemi completamente diverso.
opportuno comunque, credia- mo, proseguire il discorso sulla natura
storica del partito di Togliatti. 61 Parte seconda I La dinamica evolutiva del
partito togliattiano di massa dal 1956 al 1991 La prima sinistra La storia politica
delle idee marxiste in Italia dal 1956 al 1991
stata spesso descritta in termini di vecchia sinistra (il PSI, il PCI,
il movimento operaio tradizionale dei sindacati e in parti- colare della CGIL,
il sindacato di classe, eccetera) e di nuova sinistra (le eresie marxiste
rimaste sempre minoritarie come il trotzkismo ed il bordighismo, le nuove
eresie sorte negli anni Sessanta a cavallo fra movimento studentesco e
minoranze ope- raie fortemente militanti, come loperaismo e il maoismo, ecce-
tera). Chi scrive ritiene linguisticamente fuorviante questa di- stinzione, dal
momento che il discrimine fra vecchio e nuo- vo non passa affatto tra queste
forze: vi sono forze maggiorita- rie della vecchia sinistra (come il PCI) che
in realt assorbono nel bene e nel male il nuovo sociologico ed economico della
societ italiana, mentre alcune forze della nuova sinistra si de- finiscono
proprio sulla base della ripresa integrale del marxi- smo degli anni Venti e
Trenta. Se la distinzione fra vecchia e nuova sinistra metodo- logicamente fuorviante, fuorviante anche la distinzione, spes-
sissimo usata, tra forze minoritarie e maggioritarie, o tra 63 forze
parlamentari ed extraparlamentari. Da un lato,
as- solutamente evidente che il PCI e la CGIL sono state forze mag-
gioritarie e parlamentari, mentre i gruppi del movimento stu- dentesco, i
partitini della nuova sinistra degli anni Settanta e i gruppi operai militanti
sorti ai margini dei sindacati sono stati forze minoritarie. Dallaltro,
tuttavia, dal 1976 alcuni gruppi non sono pi stati extraparlamentari, ma al
massimo micropar- lamentari (e questo non pu essere storicamente messo
sotto silenzio), mentre in molti
ambienti, da quello studentesco a quello operaio attivistico e militante, i
presunti minoritari sono stati fattualmente maggioritari (e anche questo
storicamente vorr ben dire qualche cosa). Sulla base di queste sommarie
considerazioni storiografiche, abbiamo ritenuto opportuno non usare se non
incidentalmente e distrattamente le fuorvianti dizioni di vecchia e nuova
sinistra, di forze maggioritarie e minoritarie, di gruppi parlamentari ed
extraparlamentari, e di usare invece la dicotomia pi sobria e neutrale di prima
e di seconda sinistra, intendendo per pri- ma levoluzione storica del
capolavoro politico di Palmiro To- gliatti, il partito di massa, e per seconda
sinistra quella che (a nostro avviso, ovviamente) a questo ha cercato di
contrapporre unaltra strategia, radicalmente e qualitativamente diversa. Cer-
to, questa seconda sinistra avrebbe anche potuto essere bat- tezzata laltra
sinistra (come hanno fatto altri storici e com- mentatori). In ogni caso,
l'essenziale che la distinzione risulti
chiara al lettore, al di l dei giudizi di valore inevitabilmente vei- colati
dai due aggettivi vecchio e nuovo. Oggi un giovane che si accosti alle idee
comuniste non ha pi alcuna ragione per schierarsi a posteriori in favore della
prima o della seconda sini- stra, ed per
questo che occorrerebbe sempre privilegiare il mo- mento della comprensione
storica su quello della (a volte sacro- santa) polemica. Chi scrive, per, fa
parte di una generazione perduta che fra il 1956 e il 1989 ha dovuto schierarsi
appassio- natamente in favore o contro la prima o la seconda sinistra, e il
let- tore non pu quindi aspettarsi nessuna oggettivit, in particola- re nei
capitoli uno, due e quattro di questa seconda parte. 64 Il partito togliattiano
di massa stato una comunit culturale
globale. Esso ha coinvolto in varia misura milioni di persone, ricevendo
militanza e dando appartenenza. Si
trattato di uno scambio equo, nel senso per in cui equo anche lo scambio tra forza-lavoro e
capitale: il valore duso della forza-lavoro
maggiore del suo valore di scambio, ed
per questo che pu na- scere un plusvalore, che pu essere poi
ulteriormente diviso in profitto, interesse, eccetera. Nello stesso modo, il
gigantesco va- lore duso della militanza gratuita di milioni di oscuri aderenti
al PCI, che veniva in generale retribuito soltanto (ma era gi mol- to!) con la
gratificazione e la fierezza del senso di appartenenza, creava anche
uneccedenza di valore, la rappresentanza, con cui decine di migliaia di
burocrati, deputati, senatori, giornalisti, cooperatori, eccetera, poterono
acquisire stipendi e pensioni doro, diventando a tutti gli effetti membri
individuali della clas- se dominante in Italia (e il lettore ha soltanto da
fare i conti sulla differenza fra la pensione di un operaio e di un impiegato
nor- mali e quella di un deputato nazionale o regionale con due legi- slature).
Chi scrive crede veramente che vi sia un parallelismo quasi perfetto fra valore
duso, valore di scambio e plusvalore, da un lato, e militanza, appartenenza e
rappresentanza, dallal- tro. Ci non deve per scandalizzare nessuno, tanto meno
un marxista, perch si ha qui a che fare con delle relazioni sociali as-
solutamente oggettive, fatali, impersonali e strutturali, del tutto
indipendenti degli investimenti emotivi ed esistenziali con cui i soggetti
vivono psicologicamente il loro coinvolgimento. La mi- litanza simbolicamente retribuita con appartenenza,
ed in pi crea gratuitamente rappresentanza: questo uno scambio sim- bolico, e lo scambio
simbolico segue nellessenziale le stesse fer- ree regole di quello economico.
Quando il senso di appartenen- za
grandissimo, la militanza erogata
con crescente entusia- smo, e in generale non mancano anche i risultati in
termini di rappresentanza: se vengono progressivamente meno militanza ed
appartenenza, cio identit (identit=militanza+apparte- nenza), la rappresentanza
pu soltanto mantenersi sulla base degli interessi, ma a questo punto il PCI
non pi che un partito di cooperatori,
architetti, artigiani, eccetera. 65 La questione dellanalisi del PCI in termini
di comunit cultu- rale globale ancora
tutta da scrivere. Un saggio sulla storia del- le idee marziste, come quello
che il lettore ha sotto gli occhi, non serve praticamente a nulla per capire le
dinamiche di militanza, appartenenza, identit e rappresentanza di una comunit
politi- co-culturale globale. Fenomeni come il lutto psicologico per le-
sclusione dal popolo di sinistra, unesclusione che ha per de- cenni minacciato
il dissenziente o leretico, sono pi importanti della comprensione delle
differenze teoriche fra Geymonat e Della Volpe, Colletti o Napoleoni. Chi
scrive ne perfettamente consapevole.
Nello stesso tempo, riteniamo che abbia egual- mente senso capire certe
caratteristiche ideologiche di lunga durata. Il nazional-popolare Sulla scorta
di preziose intuizioni di Gramsci, il PCI si volle prima di tutto come partito
nazional-popolare. Un partito na- zional-popolare un partito che vuole introdurre un Victor Hu-
go l dove sempre soltanto esistito un
Alessandro Manzoni, cio una fruizione culturale di massa di prodotti semplici,
leggi- bili ed avvincenti che sono sempre mancati al popolo italiano. Chi
si emozionato vedendo linterpretazione
di Philippe Noi- ret in Nuovo Cinema Paradiso, che rappresenta assai bene lim-
patto culturale del nuovo mezzo cinematografico nei paesi della provincia
italiana degli anni Cinquanta, capir benissimo quan- to intendiamo dire. Il
nazional-popolare non mai stato becero
populismo, ed il rispetto verso di esso che ebbero sempre critici letterari
come Salinari o Sapegno e critici darte come De Grada e De Micheli deve
ammonirci a non interpretarlo alla luce della cultura di massa degli anni
Novanta, ma di valutarlo nel contesto della lotta per l'egemonia simbolica
degli anni Cinquanta. in questo senso
assolutamente legittimo che la lotta per una cultura nazional-popolare si sia
svolta pi che in campo letterario (an- che se Pratolini resta per noi un
romanziere assolutamente note- vole), in campo cinematografico e nelle arti
figurative. Sono stati 66 il neorealismo cinematografico e il realismo
pittorico la vera espressione italiana del nazional-popolare. In questo senso,
ha ragione chi insiste sul fatto che lItalia fu sempre un paese di se- condo
piano per la letteratura e la filosofia, mentre
stato un paese di primo piano nellOttocento per la lirica e nel Novecen-
to per il cinema e la pittura realista. Verdi, Rossellini, Guttuso e altri
dunque, non certo Manzoni o Gentile (che spariscono di fronte a Balzac e ad
Heidegger). Il nazional-popolare non pu resistere di lione alla sottomis- sione
reale della cultura di massa al capitalismo, rappresentata appunto dal faticoso
e doloroso traghetto dalla cultura popolare alla cultura di massa (che assume a
nostro avviso la forma ege- monica del passaggio dal cinema alla televisione).
Come tutti sanno, Pier Paolo Pasolini
stato in Italia lautore che ha espresso con il massimo di pathos e di
drammaticit, anche filo- sofica, lidea della sostanziale irriformabilit della
cultura di massa capitalistica (chiamata allora, un po ingenuamente, neo-
capitalistica, laddove era forse pi esatto connotarla come in- tegralmente
capitalistica, e non pi come prima borghese-ca- pitalistica: ma la nozione di
capitalismo senza borghesia sempre stata
incomprensibile per i nostri intellettuali). Pasolini, sia come scrittore, sia
come regista cinematografico, stato il
punto pi alto del tentativo di rappresentare luniverso popola- re unito con la
coscienza dellavvento inesorabile di un mondo nuovo, assolutamente non pi
gestibile. Alla luce della attuale consapevolezza culturale, appaiono ingenui
certi dibattiti degli anni Sessanta fra gli apocalittici, pessimisti, e gli
integrati, ottimisti. In realt il moderno capitalismo ha integrato lapoca-
lisse, quotidianizzandola e normalizzandola, rappresentando ormai la normalit
anormale del singolo nel capitalismo in modo insuperabile. Vi sarebbe qui
ovviamente molto da dire, ma non vi
certo lo spazio per farlo: lattrazione dei giovani fans della musica
verso figure ambigue e transessuali di cantanti cos diversi dai vecchi virili
basettoni e dalle vecchie femminili ric- ciolone di alcuni decenni fa; il
successo letterario di uno Stephen King e di film come il Silenzio degli
Innocenti, che ci dicono ossessivamente che il mostro appare in realt come
normale, ed 67 addirittura simpatico; il passaggio di massa dal fumetto we-
stern-avventuroso alla Tex Willer al fumetto magico-irrazionali- stico alla
Dylan Dog; eccetera, eccetera. Vi qui
molto da riflet- tere sullincapacit, la strutturale, incurabile incapacit della
cul- tura di sinistra nel valutare sobriamente il prodotto culturale. Qualunque
osservatore spassionato che esamini le pagine cultu- rali di giornali come
l'Unit o il Manifesto (soprattutto il Manifesto) vedr facilmente che il luogo
che fu un tempo del nazional-popolare
ora il luogo della pi sfrenata americanizza- zione espressiva ed estetica.
Vi qui un intero continente ine-
splorato, quella della dialettica e della conversione degli opposti che potremo
soltanto sfiorare nellottavo capitolo. Il catto-comunismo Il codice ideologico
del PCI rimarrebbe incomprensibile, se non si presta attenzione a personaggi
come Franco Rodano e gli ex-cattolici-comunisti degli anni Quaranta confluiti
nel PCI. Se- guendo una consolidata tradizione definitemo questo fenomeno
cattocomunismo, facendo per subito unavvertenza che con- sideriamo fondamentale
per non cadere in equivoci ad un tempo penosi ed esilaranti. Il
cattocomunismo lincontro fra lo
storicismo togliattiano ed il modernismo cattolico italiano, e pertanto
ron assoluta- mente lincontro fra il
marxismo ed il cristianesimo, cio fra il marxismo di Marx ed il cristianesimo
di Ges di Nazareth. Marx e Ges non centrano assolutamente niente, e il lettore
do- vrebbe addirittura fingere che non siano mai esistiti, se vuole ca- pire
qualcosa del cattocomunismo. Marx non era storicista, e tutto ci che c di buono
nel suo pensiero comunista esiste pro- prio prescindendo dalla zavorra
storicista. Ges di Nazareth era un profeta ebraico comunista attivo allinterno
del modo di produzione antico-orientale, che volle coscientemente essere un
servo sofferente per propiziare l'avvento dellanno di misericor- dia del
Signore, e che considerava l'immortalit un dato univer- sale posseduto da tutti
e non soltanto dagli aderenti ai culti di 68 salvezza ebraici o pagani. Il
cattocomunismo stato un mondo di
burocrati e di preti, di senatori e di vescovi, di salotti roma- ni e di
confessionali, di consiglieri del principe e di trasformi- smi, Lo
storicismo un marxismo senza
rivoluzione, sostituita dallevoluzione, e il cattolicesimo un cristianesimo senza mes- sianesimo,
sostituito dall'organismo gerarchico e dalle piramidi di pretoni vestiti con
diverse uniformi, dalla base al vertice. Con un comunismo gerarchico, formato
da popolo plaudente e sa- cerdoti ben organizzati, il cattolicesimo pu
dialogare. Il lettore si accorger agevolmente che chi scrive non ha alcu- na
simpatia per il cattocomunismo. Qualche secolo fa i papi po- tevano impunemente
bruciare la gente per eresie molto mino- ri di quelle presenti in questo
saggio, ora non possono pi farlo, e dicono sfrontatamente che fra Galileo e la
Chiesa ci fu soltanto uno spiacevole equivoco. Non vi sono limiti alla faccia
tosta. Dal momento per che la corporazione degli scienziati forte, men- tre quella dei filosofi non conta
niente, essi si scusano con Gali- leo, non con Giordano Bruno, laddove sarebbe
il caso di farlo anche con questultimo. In ogni caso, il cattocomunismo porta
dentro la tradizione dello storicismo italiano anche istanze cer- tamente non
spregevoli (pensiamo ad alcune ricadute del dialo- go conciliare degli anni
Sessanta propiziato da Giovanni XXIIT), e anche alcune proposte filosofiche,
che sono quelle che ci interessano in questa sede. Queste proposte girano tutte
in- torno ad una, massima e centralissima: la distinzione fra mate- rialismo
dialettico, filosofia atea del comunismo che non si pu accettare se si resta
credenti, e materialismo storico, politica dalla parte dei poveri ed
interpretazione scientifica della storia in evoluzione. Nel capitolo terzo
vedremo come filosofi come Del Noce avranno buon gioco a rifiutare questa
distinzio- ne, che pure appare ragionevole (essa sar accettata anche da eretici
cattolici non cattocomunisti, come Giulio Girardi, che la adatter non al
compromesso storico, ma alla teologia della libe- razione). In realt il materialismo
storico viene identificato dal cattocomunismo con lo storicismo, e lo
storicismo con la politi- ca del PCI. Il compromesso storico del periodo
1973-79 sar un puro prodotto del cattocomunismo, e ne assumer tutti gli 69
aspetti preteschi, consociativi, organicistici, intrallazzatori, che la
storiografia non ha ancora adeguatamente studiato con la ne- cessaria
spregiudicatezza. Leuro-comunismo Mentre il cattocomunismo rappresenta un
fenomeno integral- mente giobertiano, trasformistico e italiano, leurocomunismo invece un prodotto del laicismo
cosmopolitico. Apparentemen- te, leurocomunismo, che visse come certe farfalle
una breve ed effimera stagione fra il 1976 e il 1981, fu il coronamento
dellipo- tesi gramsciana della rivoluzione in Occidente, che univa tradi- zione
democratica a strategia della guerra di posizione e delloc- cupazione
progressiva di casematte. Si trattava per di unidea che non poteva essere
lasciata ad animali integralmente tattici e politici come Berlinguer, Carrillo
e Marchais, sostanzialmente disinteressati ad una vera fondazione teorica di
una politica che era effettivamente diversa da quella dei partiti legati
allURSS e al suo modello globale di societ e di cultura. Anche Gramsci e Lenin
erano certo stati animali politici. Ma essi erano stati animali politici
provvisti di dimensione culturale strategica, che mancava totalmente ai loro
epigoni, che volevano fare un eurocomunismo con forme-partito basate su modalit
di or- ganizzazione, militanza, appartenenza, identit, rappresentan- za, eccetera,
assolutamente eguali a quelle che erano servite a politiche qualitativamente
opposte. Fra i grandi intellettuali marxisti europei, soltanto il francese
Althusser e lo spagnolo Sa- cristin capirono immediatamente che leurocomunismo
era un bluff, che semplicemente trasportava lo stalinismo nella social-
democrazia senza modificarlo. Pi esattamente, leurocomuni- smo predicava la
compresenza in un partito di una forma stali- niana e di una sostanza
socialdemocratica. Quando Althusser ri- lev che non ci poteva essere comunismo
senza dittatura del proletariato e Sacristin rilev che leurocomunismo promette-
va un impossibile comunismo senza rottura rivoluzionaria si qui di fronte ad un tipico caso non certo di
intellettuali estremi- 70 sti, ma di intellettuali onesti che semplicemente
dicono una veri- t scomoda che i politici cinici e deideologizzati non vogliono
neppure sentire, e che neppure la mitica base pu sopportare, perch incrinerebbe
il suo fideismo e il suo dogmatismo populi- sta. Leurocomunismo, cos, non fu
che unideologia di transi- zione alla socialdemocrazia normale. La coniugazione
di comu- nismo e democrazia, che resta un'istanza assolutamente legitti- ma e
da perseguire in futuro, qualcosa di
troppo serio per es- sere solo predicato verbalmente e pretescamente. Enrico
Berlinguer: compromesso storico e diversit morale Berlinguer fu un leader
politico molto popolare sia presso la base del PCI sia presso unopinione
pubblica pi larga. Amato da moltissimi, odiato da pochi (in particolare da un arco
che va dai socialisti craxiani dassalto ai seguaci della lotta armata),
Berlinguer mor simbolicamente in modo da attrarre la commo- zione e la simpatia
di milioni di persone (e le elezioni della sua morte dopo un collasso sulla tribuna di un
comizio furono anche le uriche in cui il
PCI fece lunico, effimero, agognato sorpasso della DC). Sandro Pertini lo and a
prendere come un figlio, e dopo la sua morte il PCI non ebbe pi un vero leader
ad un tempo carismatico e razionale. Berlinguer fu dunque lu/- timo leader del
PCI, e come suo ultimo leader lo giudicheremo. Berlinguer fu infatti il
successore di Gramsci e di Togliatti, e non pu essere giudicato usando criteri
filosofici, come quelli impie- gati per valutare Geymonat o Napoleoni. Egli
deve essere giudi- cato sulla base di criteri pi generali e strategici, tipici
di chi non si limita a scrivere libri ma ha responsabilit di direzione politica
strategica di milioni di persone. Gramsci volle la tattica di fronte unico e la
strategia del blocco storico che conquistava l'egemonia sulla base di una
guerra so- ciale di posizione diretta da un moderno Principe. Togliatti vol- le
la via italiana al socialismo e costru il partito storicista di mas- sa.
Berlinguer volle la tattica del compromesso storico e lidenti- 71 t della
diversit morale dei comunisti, titolo del loro diritto a governare il paese.
Egli deve essere dunque valutato storica- mente su questi due elementi: il
compromesso storico e la diver- sit morale. Il resto cattocomunismo ed eurocomunismo, ideologia ed
organizzazione, giornalismo e polemica spicciola. Chi scrive ritiene che si sia
trattato non certo di due sbagli ir- reparabili, ma di due manifestazioni di
vera e propria dis-ege- monia storica, che hanno necessariamente accompagnato,
con inesorabile falsa coscienza necessaria, la fase di dissoluzione della
variante italiana del comunismo storico novecentesco. Esaminiamole dunque
separatamente. Come noto, il compromesso
storico fu proposto in occasio- ne dei dolorosi fatti del Cile e della morte di
Allende nel 1973. La sostanza semplice,
e di buon senso comune: se i comunisti vogliono andare al governo, non ci
possono andare con il 51%; ci vuole una maggioranza pi larga e solida. Si
potrebbe obietta- re che i comunisti non sono affatto obbligati ad andare al
gover- no, se non ce ne sono le condizioni storiche. In questo caso, pe- r, al
posto della severa categoria oggettiva di condizioni stori- che si installa la
mutevole categoria soggettiva di spinta o volont dellelettorato. Era indubbio
che ci fosse veramente una spinta dell'elettorato perch il PCI assumesse
responsabili- t di governo. Questa spinta era anche sociologicamente diffe-
renziata e complessa, perch veniva sia dal grosso della classe operaia, ansiosa
di veder consolidare le conquiste salariali e nor- mative del ciclo di lotte
1969-73, sia dalla piccola borghesia ur- bana ansiosa di protagonismo culturale
ed amministrativo. In realt, il compromesso storico non era, e non poteva
essere, unapplicazione parlamentare e governativa del gramsciano blocco
storico. Esso ne era anzi lesatto contrario. Il gram- sciano blocco storico era
la proiezione strategica della tattica le- niniana del fronte unico dal basso,
mentre il compromesso sto- rico era la consociazione politica di vertice delle
lites professio- nali di rappresentanza dei gruppi sociali nel sistema
capitalisti co. Il compromesso storico non poteva dunque che essere una grande
operazione trasformistica (nel senso del 1876 e di De- pretis), ideologicamente
mascherata da alleanza per il progres- 72 so. In questa sede, non vorremmo
neppure sopravvalutare (co- me molti fanno) luccisione di Aldo Moro e
l'emergenza terrori- stica, che secondo alcuni avrebbero impedito o deformato
la realizzazione del compromesso storico. Non lo crediamo affat- to. Il
compromesso storico, in realt, si
perfettamente realizza- to, perch la sua essenza consisteva proprio
nella consociazione contrattata del PCI nel sistema politico italiano. Era
questa inte- grazione lalfa e lomega del compromesso storico, ed il fatto che
questa integrazione sia rimasta imperfetta e subalterna dovuto soltanto a fattori internazionali
(esistenza dell'URSS, eccetera). Il compromesso storico dunque, a rigore, il trionfo e la morte del
progetto di Togliatti. Il partito storicista di massa viene fi- nalmente
legittimato a governare, e subito dopo muore come tale. Il fatto che Berlinguer
abbia cercato di ideologizzare il compromesso storico con la doppia teoria
dellausterit e della diversit morale deve essere compreso con lapplicazione rigo-
rosa della teoria marxiana delle ideologie, pi esattamente del- l'ideologia
come falsa coscienza necessaria. Lideologia, come si sa, presenta il mondo come
invertito, anzi lo percepisce struttu- ralmente come tale. In altre parole, nel
rispecchiamento ideolo- gico il mondo appare esattamente rovesciato da
come vera- mente. Nel rispecchiamento
ideologico del compromesso stori- co giungevano finalmente al potere gli
onesti, o meglio i comuni- sti come rappresentanti delle mani pulite,
dellausterit, del- lonest. Nella realt, perfettamente invertita, si stava
edificando in quegli anni il sistema di Tangentopoli, la spartizione delle
spoglie dellonnipervasivo e famelico sistema dei partiti. Sulla scena della
politica si esibivano, applauditissimi ed amatissi- mi, il democristiano onesto
Zaccagnini, il socialista onesto Perti- ni, il comunista onesto Berlinguer.
Questi tre personaggi, per quanto ne sappiamo, erano veramente onesti,
soggettivamente onesti. Ma in questo caso lintenzione soggettiva non vale niente,
e Kant deve cedere a Marx. Ritenere che i comunisti possano ac- cedere alla
direzione politica delle strutture rappresentative ca- pitalistiche restando e
anzi diventando ancora pi onesti una
menzogna, che pu certamente essere creduta dal variopinto 73 popolo dei
citrulli di professione, la cui rete si estende fino a Sa- marcanda, ma che non
resiste al minimo esame strutturale dei rapporti sociali. Limplosione della
Cosa fra il 1989 e il 1991 Dopo la morte di Berlinguer, avvenuta nel 1984, il
PCI entr in ibernazione. Il gigantesco apparato amministrativo era senza
identit, senza linea politica, senza teoria di riferimento. Ci che era ancora
pi grave, non le cercava neppure. Il coperchio del pentolone copriva ormai a
malapena un minestrone sempre pi immangiabile. Gli intellettuali universitari
si ridefinivano cultu- ralmente a partite dal proprio specialismo linguistico,
secondo la modalit della frammentazione che La Grassa illustra cos be- ne (e
che riprenderemo nellundicesimo capitolo), e che invece lingenuit postmoderna
gabella come espressione dellitriduci- bile pluralismo di soggetti differenti
ontologicamente. Il popolo riscopriva identit regionali (la Lega) o sportive (i
gruppi di ti- fosi ultras) non certo perch stava ritornando alla barbarie, ma
perch lesplosione del progetto universalistico comporta ne- cessariamente una
Bosnia quotidiana. I capitalisti, di fronte al crollo del comunismo storico
novecentesco, aprivano le danze della fine della storia e dell'avvento della
vera ed unica libert (la loro, ovviamente), e nello stesso tempo si accingevano
alla pri- vatizzazione di tutto quello che Keynes e Beveridge, cio linter-
vento dello stato nell'economia e lo stato del benessere, avevano dovuto
concedere alle masse popolari nei decenni precedenti. A sinistra la
frammentazione dei soggetti si manifestava nella torre di Babele dei nuovi
soggetti che non riuscivano neppure pi a parlarsi l'uno con laltro, con
politici, sindacalisti, ecologisti, femministe, pacifisti, eccetera, che
elaboravano loro codici or- mai provocatoriamente incomunicabili (politologia
sistemica, compatibilismo sindacalistico, fondamentalismo ecologistico,
differenzialismo e separatismo femministico, umanesimo non violento pacifista,
e via incomunicabilizzando). Tutto era pronto perch la Grande Afasia
cominciasse. Rite- 74 niamo che il fil: di Nanni Moretti intitolato La Cosa
rappresenti ci che avvenuto in una sorta
di neorealismo della dissoluzio- ne. La cosa
proprio il PCI che deve cambiare nome (perch l'azienda comunismo fallita e occorre cambiare la ragione sociale
della ditta senza far perdere il capitale ai soci, o meglio a quella parte di
loro che si era piazzata professionalmente). Il periodo 1989-91 dovrebbe essere
proiettato al rallentatore (co- me la moviola delle partite di calcio) per far
capire ai giovani come funziona la politica quando affidata ad un vertice di burocrati
manipolatori e a una base educata alla fede (chi scrive non ha per la mitica
base nessuna comprensione: ogni base ha il vertice che si merita, anche
perch sempre lei che lo elegge). AI
vertice del PCI, comincia la Grande Sceneggiata. Occhet- to, ufficialmente
successore di Gramsci e di Togliatti, si relazio- na direttamente con i media
nel fondamentale e tucidideo di- scorso della Bolognina, in cui annuncia il
cambiamento di no- me del PCI. DAlema, suo degno collaboratore, si distingue
per due articoli di giornale (l'Unit), in cui scrive, il 12 otto- bre 1989, che
il PCI non deve cambiare il nome comunista perch la tradizione del comunismo
italiano non deve essere rin- negata, salvo poi a scrivere, il 23 novembre
1989, che bisogna cambiare il nome di comunista perch questo nome interna- zionale e non solo italiano (ci
rendiamo conto che sembra incre- dibile, ma rimandiamo il lettore scettico alle
emeroteche). Piero Fassino, a nostro avviso la faccia tosta pi impagabile,
scrive: ... in segreteria avevamo piena consapevolezza che il volto dEuropa
stava mutando fra lestate e lautunno del 1989. Ma in quel momento eravamo
impegnati in una campagna elettorale difficile (le elezioni comunali di Roma,
dove si votava il 29 otto- bre 1989). Decidemmo cos di rinviare ogni decisione
a dopo le elezioni. Laffermazione di Fassino
a nostro avviso degna di essere tramandata agli archivi (quelli della
commedia dellarte, prima ancora di quelli del comunismo): in una crisi epocale
del comu- nismo si aggiornano il dibattito e le decisioni a dopo unelezione
comunale. Ci che colpisce (come gi a suo tempo rilev Han- nah Arendt) la banalit del male, in questo caso la
normalit 75 dellaffermazione di Fassino. In effetti per il professionista della
politica lepocalit della crisi viene dopo le percentuali nelle ele- zioni
amministrative. Tutte le tesi di Max Weber sul disincanta- mento del mondo sono
ancora sortilegi di sciamani in confronto alla sublimit secolarizzata di
Fassino. Mentre il vertice apriva linterminabile sceneggiata sulla fine del
comunismo ed il nuovo inizio progressista e liberaldemocra- tico, la base
implodeva in proteste e lamenti. Pi propriamente, lo zoccolo duro si scioglieva
in lacrime. Abbiamo gi rilevato che il gigantesco caso storico del PCI un fenomeno culturale e antropologico prima
che politico. Alla base toglievano il no- me, e il nome pur sempre segnale di identit. Come conserva-
re l'identit senza il nome? Come proseguire la diversit? Co- me andare al
governo senza perdere la propria rivoluzionariet? Il film di Moretti La Cosa
mostra una base talvolta lucida talvolta farneticante, senza che emerga mai un
bilancio razionale e dia- lettico del rapporto fra passato, presente e futuro
del comuni- smo. Questo bilancio, per, era impossibile per una base cre- sciuta
in quella specifica subalternit, e in quella mescolanza di militanza e di
appartenenza che identificava il comunismo con il PCI e il suo destino. Chi
scrive ritiene che questa implosione fosse inevitabile, e che per non avvenire
sarebbero state necessarie due condizioni, che per non c'erano. In primo luogo,
bisognava che ci si fosse gi abituati da tempo a separare la causa storica del
comunismo con le vicende empiriche del comunismo storico novecentesco, in
particolare con il PCUS e con il PCI. Per coloro che identifi- cavano le due
cose, il 2/zck out era inevitabile. Coloro che invece avevano da tempo
stabilito un rappotto autonomo critico con Marx, il marxismo e il comunismo,
erano vaccinati e immuniz- zati. Ma il partito storicista di massa non poteva
essere il luogo di simili campagne di vaccinazione, perch la vaccinazione era
incompatibile con le modalit fideistiche del patriottismo della militanza. In
secondo luogo, era forse possibile mantenersi comunisti anche in mancanza di
una prospettiva e di una pratica nuove del comunismo (cos come ora in fondo il caso del Partito della Ri- 76
fondazione Comunista, che non ha ancora fatto quasi nulla per una vera
rifondazione di esso). Era necessario, per, abban- donare limpossibile eredit
togliattiana della rappresentanza degli interessi nazionali italiani nel loro
insieme, per ripiegare sulla trincea della difesa degli interessi del solo
lavoro subordi- nato, salariato, dipendente o autonomo, con esclusione degli
in- teressi di tutte le classi capitalistiche, quelle cio che vivono di lavoro
salariato. Una simile sobria riconversione, di cui si mo- strarono capaci
partiti comunisti come quello francese, spagno- lo, greco, portoghese,
giapponese, eccetera, era per sbarrata per la tradizione comunista italiana.
Essa voleva essere tutto, e scelse di essere riente proprio perch non poteva
accettare di essere soltanto una parte, la parte che difende gli interessi eco-
nomici dei salariati. Questo libro non pu e non vuole affrontare lattuale
storia dei due partiti usciti dal PCI, il PDS e il PRC (partito democra- tico
della sinistra e partito della rifondazione comunista). Ci oggetto legittimo di polemica politica, e non
di storia delle idee. In questa sede,
interessante per rilevare che di fronte ai prov- vedimenti del governo
Amato della seconda met del 1992, ten- denti allo smantellamento coerente dello
stato sociale in Italia con il ricatto dellunificazione europea di Maastricht,
il PDS ab- bia preferito la torbida alleanza con i nemici della democrazia
rappresentativa proporzionale (Segni, La Malfa, Scalfari, ecce- tera) alla
lotta onesta ed aperta contro i provvedimenti economi- ci del governo. Ci non purtroppo casuale. Finito il comuni- smo, nel
PDS resta il cosiddetto interesse nazionale, che in questo caso linteresse capitalistico delle compatibilit
econo- miche. E necessario opporsi a questo esito, ma non lo si pu fare sulla
base di unopposizione di Sua Maest, di unopposizione cio che accetti la logica
dellunit con il suo contrario. L'unit degli opposti si manifesta cos come
consociativismo dei contra- ri. Una brutta tradizione trasformistica italiana,
che affrontere- mo nel tristissimo secondo capitolo. 77 II Lopposizione di Sua
Maest alla prima sinistra dal 1956 al 1991 Un problema storiografico e
metodologico Dopo aver ricostruito, sia pure per sommi capi e in modo in-
completo, le tendenze generali di sviluppo strategico della pri- ma sinistra dal
1956 al 1991, si pone il problema di individuare le forze, intellettuali ed
organizzative, che ad essa si sono oppo- ste. In proposito, evidente che, a seconda delle proprie perso-
nali opinioni, si tender a distinguere queste forze in vera op- posizione ed in
falsa opposizione. La vera opposizione sar poi sempre di fatto quella che piace
al commentatore, mentre la falsa sar quella che non gli piace, o non gli piaciuta, spesso per ragioni personali e
biografiche. questa la ragione per cui
preferiamo la dizione opposizio- ne di Sua Maest per indicare quella che a
nostro avviso sem- pre rimasta
strategicamente interna, anche se spesso dissen- ziente e protestante (quando
non soltanto mugugnante), alla logica complessiva di funzionamento della prima
sinistra stessa. Le cose sono certo complicate dal fatto che questa oppo-
sizione di Sua Maest si manifestata
sulla base di due dimen- sioni, luna prevalentemente politica (e qui sta
lattenzione pre- stata a Pietro Ingrao) e laltra prevalentemente intellettuale (e
qui si giustifica il riferimento a Rossana Rossanda). Per poter per comprendere
in modo globale la questione dellopposizio- ne di Sua Maest, bisogna risalire
al significato originario, ingle- se, del termine. In breve, nel
costituzionalismo britannico lop- posizione di Sua Maest non soltanto quella che deve essere garantita
bobbianamente dagli abusi e dalla violazione delle regole del gioco di una
maggioranza prevaricatrice, ma unop- 79
posizione pienamente leale a Sua Maest, e non intende mai con- testarne i
fondamenti ultimi di legittimit. Ed
allora questa lopposizione di Sua Maest.
quella che contesta, contesta, rumorosamente contesta, ma non investe
mai nella sua contestazione i fondamenti ultimi di legittimit della prima
sinistra. Questa opposizione sempre e
comunque, a no- stro avviso, lala sinistra della prima sinistra, e non pu
uscire mai dalle logiche complessive del suo funzionamento e del suo destino
storico generale. Nomenklatura politica e risarcimento ideologico. I giorni
feriali e le prediche della domenica Per comprendere la dinamica del dibattito
ideologico dentro la forma-partito comunista novecentesca necessario partire dal fatto che esso era
possibile nella sua prima variante, quella del Che Fare? di Lenin del 1903. Fu
soltanto dopo il 1924 e la morte di Lenin che si cre il modello monolitico, che
pretendeva luna- nimit nei momenti pubblici e nei documenti collettivi unitari
e confinava il dibattito nei corridoi e nelle riunioni segrete. Si trat- ta di
un fenomeno di importanza cruciale, che d luogo ad alcu- ne conseguenze
decisive. In primo luogo, il partito si struttura, organizzativamente e
psicologicamente, come un esercito che deve occupare uno stato, e appunto per
questo deve preservare lunit e la rapidit del comando. Il noto principio del
centrali smo democratico, che significa in sostanza che la minoranza deve
portare avanti la linea politica decisa dalla maggioranza una volta che essa
sia stata avallata dalle istanze legittime (con- gressi, direzioni, eccetera),
non altro che il principio normale con
cui funzionano le aziende capitalistiche e lo stato borghese (anche alla FIAT
si discute su quale modello puntare, e, una vol- ta deciso, anche gli ingegneri
ed i managers poco convinti devo- no darsi da fare per sostenerlo). Il
centralismo democratico dunque un
principio elementare per il funzionamento di qua- lunque associazione, da una
bocciofila ad una societ di filateli- ci, da un'azienda meccanica ad un
ministero. Chi trova per 80 ovvio e normale che esso debba anche funzionare in
un par- tito comunista, sottovaluta il fatto che il partito non uno stato o unazienda, e appunto rischia di
diventarlo se lo si struttura se- condo questi principi. inutile per lamentarsi e recriminare: il
comunismo storico novecentesco si
modellato nella doppia forma della fabbrica capitalistica e dello stato,
leconomicismo e lo statalismo sono stati le sue due modalit ideologiche
essenzia- li, e questa una delle ragioni
epocali di fondo della sua sconfitta e del suo mancato decollo mondiale, in
perfetta analogia con il mancato decollo del capitalismo medioevale del
Trecento e del- la sua successiva rifeudalizzazione. In secondo luogo, risulta
chiaro che lalternativa al centrali- smo democratico, il partito a correnti
stabili ed organizzate, si- gnifica quasi sempre cadere dalla padella nella
brace. Le opinioni possono esprimersi meglio, ma la loro cristallizzazione, non
appe- na si organizza stabilmente allinterno di un sistema elettorale rap-
presentativo, d luogo a piccole lites che si autoriproducono con- trattando il
loro potere dinterdizione o di coalizione (e si veda le- sempio italiano del
PSI di Nenni e di De Martino). Posto sul piano strettamente politico, il
dilemma fra partito monolitico a centrali- smo democratico e partito correntizio
ad oligarchia di vertici in- solubile:
la prima forma favorisce il momento della produzione, la seconda il momento
della distribuzione. In terzo luogo, ci che
veramente rilevante nella forma-par- tito a centralismo democratico la polarit che si stabilisce fa una
antropologia della furberia al vertice (per cui occorre di- ventare astuti e
manovrieri per emergere allinterno di lites for- temente conflittuali) e una
antropologia della fedelt alla base (in cui lidentit e l'appartenenza non si
costituiscono sulla base di unautonomia critica, ma sulla base dei sacrifici
che si fanno per lorganizzazione, che diventa da mezzo un fine in s). La
compresenza dolorosa delle due antropologie, della furberia e della fedelt,
comporta necessariamente un nichilismo culturale totale, che alla fine
disintegra lorganizzazione. In quarto luogo, infine, cos come le chiese non
potrebbero amministrare la dimensione quotidiana e spicciola della vita reli-
giosa (pentimenti, peccati, malattie, morti, nascite, solidariet, 81 eccetera)
senza un indispensabile completamento simbolico globale di riferimento (Dio,
lAldil, eccetera), analogamente la forma-partito del comunismo storico
novecentesco non potreb- be gestire la quotidianit amministrativa, elettorale,
organizzati va, militante, senza lindispensabile completamento simbolico della
religione ideologica di riferimento, il marxismo ed il co- munismo. Abbiamo
ovviamente distinto marxismo e comuni- smo, perch il marxismo (come la teologia
e la storia della chiesa per i credenti)
riservato a studenti ed intellettuali, men- tre il comunismo come
orizzonte ideale pu essere predicato a tutti, in particolare ai semplici. In
questo modo, per, le predi- che della domenica si separano inesorabilmente dai
giorni feria- li: per i credenti e le chiese si ha una fede senza messianesimo;
per i comunisti si ha un marxismo senza rivoluzione. La coopta- zione della
zomenklatura politica avviene sulla base di virt si- stemiche di
organizzazione; il risarcimento ideologico si mani- festa nella forma delle
omelie rivoluzionarie e nel regno della frase di sinistra. In sintesi: la frase
di sinistra sostituisce inte- gralmente la ricerca e l'innovazione teorica e
politica. Il demoniaco allombra del conformismo: Asor Rosa, Tronti e Cacciari
Abbiamo insistito molto sul fatto che il partito storicista di massa non pu
permettere un vero dibattito sui suoi fonda- menti ultimi, perch questo
dibattito metterebbe in pericolo la sua stessa esistenza. Negli anni Sessanta,
per, in particolare do- po la morte di Togliatti, comincia a sorgere in Italia
una tenden- za critica che investe i presupposti teorici dello storicismo, an-
che se questa tendenza riconosce la sovranit politica del PCI e non intende mai
discuterne la legittimit storica ed elettorale. La messa in dubbio della sua
sovranit politica sarebbe stata dia- bolica, e avrebbe comportato la scomunica.
Anche un santo, per, permette ogni tanto ad un simpatico demonietto di ten-
tarlo, dal momento che sa che alla fine comunque la virt sar vincitrice;
analogamente, anche i cattocomunisti pi consociati- 82 vi e gli eurocomunisti
pi socialdemocratici sopportano ogni tanto qualche ardita eresia culturale,
tanto sanno perfettamente che non ne terranno nessun conto nellelaborazione
della loro politica. Il demoniaco pu cos installarsi all'ombra del confor-
mismo, cos come (nel linguaggio di Luk4cs) linteriorit pu coltivarsi all'ombra
del potere. Alberto Asor Rosa, Mario Tronti e Massimo Cacciari sono tre
intellettuali estremamente dotati ed originali, che hanno criticato fino in
fondo i fondamenti teorici dello storicismo senza che da questa critica
sorgesse la minima contestazione alla legittimazione monopolistica del PCI come
unico portatore del progetto comu- nista in Italia. Asor Rosa, critico
letterario e saggista, ha eroso i fondamenti della lettura nazional-popolare
della nostra storia con una critica molto acuta del populismo. Tronti,
politologo e studio- so di movimenti sociali, ha enfatizzato lo scontro diretto
di classe fra operai e capitale come motore del movimento storico. Caccia- ri,
filosofo geniale e contro corrente, ha criticato i fondamenti teo- rici dello
storicismo con una valorizzazione sistematica di tutti i possibili pensatori
antistoricisti, noti ed ignoti, dell'Ottocento e del Novecento. In una storia
delle idee marxiste in Italia, questi autori meriterebbero certamente
un'analisi accurata e precisa: in un saggio critico come questo invece consentito andare subito al nocciolo
dei loro contributi, e spiegare perch riteniamo il loro un sostanziale
fallimento filosofico globale. Sulla parola fallimen- to occorre certo
intendersi con chiarezza e pacatezza, anche per- ch molti autori considerano
semplicemente falliti tutti coloro con cui non sono in sintonia. Chi scrive non
condivide per nulla linterpretazione non genealogica del nichilismo che d
Severino, la formalizzazione procedurale della democrazia che fa Bobbio, la
fondazione epistemologica del marxismo nel modello delle scien- ze della natura
che fa Geymonat, ma non si sognerebbe mai di considerare falliti Severino,
Bobbio e Geymonat perch non la pensano come lui. Nel caso di Asor Rosa, Tronti
e Cacciari, per, si ha a che fare con autori che si sono posti coscientemente
il com- pito di distruggere lo storicismo per mettere qualcosa daltro al suo posto:
e il fallimento consiste allora in ci, che essi hanno abbattuto la statua, e il
basamento rimasto vuoto. 83 Asor Rosa ha
criticato il nazional-popolare ed il populismo letterario in nome della
criticit della grande letteratura borghe- se, e ha soprattutto insistito sulla
necessit di svecchiamento e di modernizzazione della cultura di sinistra
italiana. La categoria della modernizzazione, per, una categoria ambigua e a doppio taglio. La
sinistra si bens modernizzata, ma questa
modernizzazione non andata nella
direzione delle speranze di Asor Rosa, ma nella direzione dellomologazione
capitalistica pi sfrenata. Il fatto , per dirla in breve, che sinistra e mo-
dernizzazione non sono categorie che ci aiutino a capire qual- cosa del mondo,
ma pseudoconcetti fuorvianti che agiscono da scatole vuote e da idola
baconiani. Tronti ha scritto libri e saggi molto importanti sulla lotta di
classe. Egli non stato fondatore
delloperaismo (che a nostro avviso stato
Panzieri, e prima ancora di lui il gruppo francese di Socialisme et Barbarie e
i tedeschi Korsch e Mattick), ma cer- tamente ha contribuito a dare al
paradigma operaistico una for- ma rigorosa, filosoficamente
fichtiano-gentiliana, ultrasoggetti- vistica ed azionistica. Cos come Asor
Rosa, per, parte dalle giuste critiche al nazional-popolare ed al populismo, e
giunge al fuorviante esito della sinistra modernizzante (che non esiste),
analogamente Tronti parte dalla purezza dei rapporti sociali di produzione e
giunge allesito fallimentare della autonomia del politico, cio
allenfatizzazione dellagire politico puro. Dalla catena di montaggio a
Cromwell, da Mirafiori al compromesso storico, dai picchettaggi operai al
Parlamento, Tronti esprime fino in fondo una sorta di ingenuo trasformismo
molto italiano, che unisce innocue e corrusche frasi gratificanti sul comunismo
con il pi bieco opportunismo quotidiano. Cacciari ha scritto libri e saggi
francamente geniali sulla criti- ca dei falsi fondamenti dello storicismo e del
progressismo. Per- fetto. Alla fine di questa pars destruens, visto che da
qualcosa bi- sogner pur partire una volta che si siano spazzati via i blocchi
di partenza fasulli, Cacciari parte da fondamenti ancora pi fa- sulli di quelli
che egli stesso aveva rimosso, come la Legge vete- rotestamentaria o la
Decisione alla Karl Schmitt. Sia la Legge che la Decisione, per, sono
fondamenti del tutto illusori, che non 84 consentono vere rifondazioni. Chi
scrive ritiene Asor Rosa, Tronti e Cacciari autori di prima grandezza. Il loro
fallimen- to, pertanto, non deve essere loro appiccicato con astio o sup-
ponenza, ma deve farci riflettere su almeno due dimensioni teo- rico-pratiche
decisive: in primo luogo, sul fatto che se ci si vuole veramente opporre ad una
cultura politica che si intende sosti- tuire, non si pu poi trasformisticamente
intrallazzare con essa; in secondo luogo, sul fatto che la semplice critica dei
cattivi fon- damenti deve essere condotta con il triplice aiuto della genealo-
gia, dellontologia e della dialettica, perch in caso contrario la distruzione
pura si accompagner paradossalmente con la peg- giore continuit (e questo ci che noi pensiamo). Pietro Ingrao e il
consociativismo libertario Pietro Ingrao
per chi scrive il modello inarrivabile, massimo e principalissimo,
delloppositore di Sua Maest. Il nostro ama- to paese pieno di ingraiani entusiasti, che tuttora
pendono dalle labbra del grande vecchio applaudendo ogni sua innocua frase di
sinistra (e Ingrao dice spesso frasi di sinistra estrema- mente gratificanti) e
di anti-ingraiani convinti, per cui Ingrao
la quintessenza dellopportunismo e della non affidabilit. Chi scrive si
situa in posizione intermedia, anche se certamente pi vicino ai secondi che ai
primi. Nello stesso tempo, siamo con- vinti da molti anni che lingraismo sia un
fenomeno sociale e cul- turale dotato di una sua autonomia specifica, che deve
essere studiato come se un individuo empirico chiamato Pietro Ingrao non sia
mai esistito. Noi sappiamo che esiste, labbiamo visto, gli abbiamo parlato,
abbiamo conversato affabilmente e abbia- mo cenato insieme in modo amichevole e
conviviale. Possiamo dunque confermare: Ingrao esiste. possibile leggere anche i suoi libri, i suoi
saggi, i suoi discorsi parlamentari, in cui parla sempre di masse, di operai,
di lavoro liberato, di comunismo. Noi pensiamo che egli sia assolutamente
sincero, e non sia per- tanto affatto ipocrita. Nello stesso tempo, riteniamo
che egli sia portatore di due caratteristiche teorico-politiche negative: in 85
primo luogo, una sorta di comunitarismo di partito, per cui la comunit di
partito viene vissuta come un assoluto che non biso- gna scindere o dividere a
nessun costo, come se essa fosse un va- lore in s (e leggiamo in questo modo il
suo No al cambiamento del nome del PCI unito alla sua scelta maggioritaria per
il PDS), laddove per chi scrive questo
il massimo dei disvalori (comunismo come identit, militanza ed
appartenenza anzich comunismo come libera individualit autonoma); in secondo
luogo, la letterariet e lesistenzialismo dellesposizione al posto del rigore e
della ricerca di nuovi paradigmi, che fanno di Ingrao un politico che non ha
mai dato in cinquant'anni il minimo con- tributo teorico innovativo. Ma il
fenomeno veramente interes- sante
lingraismo, ossia la manifestazione collettiva esistenziale del popolo
di sinistra, la sua anima lacerata dalla quotidianit dei giorni feriali e
dalledificazione delle prediche della domeni- ca. Lingraismo il desiderio di un mondo fatto solo di
domeni- che, il risarcimento delle mille
miserie quotidiane sublimate in un discorso umanistico innocuo ma gratificante.
Lingraismo il ritorno del rimosso, la
manifestazione verbale della voglia di co- munit che chiama s stessa comunismo.
Lingraismo il mo- do in cui il comunismo
storico novecentesco (almeno in Italia) battezza la propria strutturale
incapacit a riformare struttural- mente la propria forma-partito, e nello
stesso tempo sogna ad alta voce di riuscire a farlo. Lingraismo dunque un fenomeno collettivo, anonimo ed
impersonale. Come tutte le religioni, esso ha anche un clero professionale, che
vive di ingraismo conci- liando i peggiori intrallazzi partitici e
giornalistici con fuochi dartificio serali di frasi di sinistra bellissime
(come stato bello, e come stato innocuo, contrapporre alle frasi di
destra di Amendola le frasi di sinistra di Ingrao!). In questo senso, lin-
graismo stato unindustria (anche
Occhetto, politico nichilista quanto altri mai,
stato in un certo periodo ingraiano), senza cessare di essere anche uno
stato danimo. impossibile per seguire
lingraismo ideale eterno nelle sue migliaia di seguaci, dal momento che
lingraismo ideale eterno una figura
dello spirito, ed pi produttivo
esaminarlo nella sua incarnazione in una sola persona. In breve: cos come il
socialismo in un solo 86 paese stato
Stalin, lingraismo in una sola persona
stata in Ita- lia Rossana Rossanda. Rossana Rossanda e la sinistra
esistenzialista Insieme con il gruppo della rivista Il Manifesto (da non
confondere con il quotidiano con lo stesso nome che esce ormai da ventitr anni)
Rossana Rossanda fu radiata dal PCI nel 1969. Questa radiazione fu la fortuna
della sua vita. Svincolata dalle necessit tattiche del piccolo cabotaggio di
partito e dalle mise- rie del galleggiamento burocratico, essa pot diventare
una sag- gista a 360 gradi, incarnando cos quella figura di intellettuale
comunista indipendente che in Francia aveva impersonato Jean- Paul Sartre, e
che invece in Italia mancava. Quando Sartre mor nel 1980, la Rossanda scrisse
un necrologio significativamente intitolato Una vita splendida, e questo
non certo un caso. Essa fu anche amica
di Althusser, ma a nostro avviso in
Sartre che la Rossanda trova il suo vero modello intellettuale. Un Sartre don-
na, e pertanto non solo una Simone De Beauvoir, piegata sulla specificit
femminista del secondo sesso. Una Sartre italiana, che interviene su tutto, e
su tutto scrive, cercando di conciliare il comunismo con la pi assoluta libert
di espressione. Insistiamo molto su questo aspetto francese della Rossan- da,
perch si tratta di una figura che ha dovuto mediare in Italia alcune
caratteristiche tipiche dellintellettuale francese, in primo luogo l'impegno,
quellengagerzent che fu sempre la parola dor- dine del marxismo
esistenzialistico parigino. Un marxismo che si pensava dunque principalmente
come stato danimo di sini- stra e come storicit integrale dellesistenza colta e
pensante, un marxismo minacciato forzatamente dal solipsismo e dal narcisi-
smo, e reso sempre instabile dalla sua autoreferenzialit intimisti- ca. questo, a nostro avviso, il marxismo di
Rossana Rossanda. Il lettore critico potrebbe obiettare al fatto di aver
collocato in questo saggio la Rossanda nellopposizione culturale di Sua Maest,
e non insieme agli oppositori della seconda sinistra come Bordiga, Panzieri o
Negri. Non stata forse la Rossanda il 87
portavoce delle istanze della nuova sinistra? Non ha forse avuto il coraggio
politico e morale di farsi radiare dal PCI, vio- lando le regole del gioco con
la pubblicazione di una rivista? Certamente cos
stato. Se per abbiamo fatto egualmente que- sta scelta, ci per una ragione metodologica essenziale, che
consideriamo cruciale, al di l della singola questione della valu- tazione
storiografica del pensiero della Rossanda, e che cerche- remo di motivare con
due argomentazioni fondamentali. In primo luogo, la Rossanda ha sempre cercato
di valorizzare tutto quanto sembrava innovatore a sinistra: Dubcek, Mao Tse-
tung, Gorbaciov, ad esempio. Ora, questo era possibile soltanto mettendo fra
parentesi la storia reale (che gridava, letteralmente gridava, la loro assoluta
incompatibilit politica, culturale e idea- le), e ponendo in primo piano invece
una sorta di luxemburghi- smo ideale, una Luxemburg senza spazio e senza tempo,
una Lu- xemburg senza teoria del crollo e ridotta a libertarismo puro. In
fondo, non parlavano tutti e tre di consigli dei lavoratori, non erano tutti e
tre, Dubcek, Mao Tsetung e Gorbaciov per i consigli contro il dogmatismo del
partito, per il sociale contro lo statuale, per la sinistra contro la destra? A
nostro avviso, solo la fede luxem- burghiana e sartriana pu consentire simili
impostazioni astori- che: masse e gruppi in fusione contro la serialit inerte
dello sta- tuale, societ civile in rivolta contro i mastodonti ed i culi di
pietra della burocrazia. Questa fede luxemburghiana e sartriana rimuo- ve,
perch non li vuole vedere, gli aspetti socialdemocratici di Dubcek, i lati
stalinisti di Mao, la natura globalmente nichilista e anticomunista di
Gorbaciov. Tutto ci avviene perch non si vuo- le veramente lavorare per un
#%0vo paradigma, radicalmente di- scontinuo rispetto allintera vicenda del
comunismo storico nove- centesco, ma si vuole continuare con la valorizzazione
dei punti alti della tradizione. Il continuismo sotterraneo si sposa con lin-
novazione esistenziale, con il p4/bos letterario (questo s, veramen- te
ingraiano), con la scrittura sorvegliata e di alto livello. In secondo luogo,
la Rossanda ha sempre cercato di conciliare togliattismo e comunismo, in modo
che si potesse simpatizzare contemporaneamente per Ingrao e per Toni Negri, per
i CO- BAS e per Bruno Trentin, per il keynesismo di Caff e per il co- 88
munismo anarchico di Scalzone, per Adriano Sofri e per Vittorio Foa, in una
parola, per tutto quello che si muoveva a sinistra. Tutto ci non casuale, perch a nostro avviso in nessuno
come nella Rossanda il marxismo ed il comunismo si identificano tanto nella
sinistra, categoria pienamente metastorica e profonda- mente esistenziale.
Essere comunisti dunque, a tutti gli
effetti, sentirsi comunisti. Essere comunisti
essere verazzente di sinistra (chi scrive ha in proposito una posizione
assolutamente opposta: Craxi, Trentin e Occhetto sono a nostro avviso veramente
di sini- stra, ed proprio questa la
ragione per cui non hanno nulla a che fare con il comunismo, comunque
definito). Quello della Rossanda allora
un comunismo esistenzialistico, il comunismo in una sola persona che si
manifesta come saggistica interminabile e come evocazione di una sinistra
finalmente saggia ed unitaria. Questo marxismo esistenzialistico non porter mai
nessun contributo alla soluzione del nostro attuale problema, la faticosa
costruzione di un paradigma qualitativamente diverso da quello di tutto il
comunismo storico novecentesco e di tutta la tra- dizione del movimento
operaio. Quando la Rossanda si avventura timidamente nella teoria, si di fronte ad un marxismo assoluta- mente
ortodosso: classe-in-s che deve diventare classe-per-s (ma la classe-in-s non
esiste!), masse creativamente luxemburghiane che si trovano sempre contro
ottuse ed opache buroctazie stalinia- ne (ma ogni massa produce
fisiologicamente la propria burocra- zia!), estremisti riottosi che non
impareranno mai il buon senso, eccetera. Questo marxismo esistenzialistico non in grado di comprendere la dinamica oggettiva
della frammentazione capita- listica dei linguaggi (su cui ritorneremo
nellundicesimo capitolo a proposito di Gianfranco La Grassa), e se la trova cos
in casa, assi- stendo con impotenza alla disintegrazione del proprio universo
ideologico proprio da parte di coloro che dovrebbero essere ami- ci. Ed il caso del quotidiano Il Manifesto, il
capolavoro della Rossanda, che esplode nella babele dei post-moderni purk, dei
sindacalisti operaisti, dei politici occhettiani, dei corrispondenti
dall'estero anticomunisti puri, dei keynesiani borbottoni, dei be- nettoniani
demenziali. Esplosione che segna il tramonto di tutti i marxismi esclusivamente
esistenzialistici. 89 III Lopposizione strategica alla prima sinistra: Bordiga,
Panzieri, Negri La stesura del capitolo precedente stata imbarazzante per chi scrive. infatti sempre fastidioso (in particolare per
chi non ha vendette cartacee da portate a termine, e scrive non pet col- pire
ma per capire) giudicare se e fino a che punto un oppositore veramente tale, oppure se la sua
opposizione soltanto quella di Sua
Maest. Riteniamo per di non essere stati scorretti, e di avere almeno fornito
due criteri metodologici espliciti per giustificare razionalmente la nostra
tesi. Come si ricorder, i cri- teri sono stati i seguenti: in primo luogo, vi
sono stati oppositori apparentemente terribili, degli antitogliattiani totali
(Asor Rosa, Tronti, Cacciari, eccetera), che hanno per accettato le regole del
gioco della casa madre, fino a configurare ci che abbiamo voluto definire il
demoniaco all'ombra del cattocomunismo; in secondo luogo, vi sono stati coloro
(e abbiamo scelto di evi- denziare Ingrao e la Rossanda) che hanno voluto
conciliare to- gliattismo e comunismo, con la inevitabile conseguenza di tra-
sformare il comunismo in stato danimo di tipo esistenzialistico inevitabilmente
natcisistico. In questo capitolo, invece, segnaleremo i pensatori che hanno a
nostro avviso dato forma ad una vera e propria opposizione strategica alla
prima sinistra, prescindendo ovviamente dal fatto che avessero ragione o meno.
Essi sono stati molti, ma ci sia- mo limitati qui a soltanto tre casi per
permettere al lettore di co- gliere le ragioni teoriche di fondo di questa
opposizione: nel- l'ordine, discuteremo i casi di Amadeo Bordiga, di Raniero
Pan- zieri e di Antonio Negri. Prima, per,
necessario evidenziare la genesi storica ed ideologica della seconda
sinistra, mostran- done il radicamento in una tradizione antica e mai interrotta.
91 Laltra linea e le sue radici: la dissidenza socialista e comunista Uno
storico delle idee italiano, Attilio Mangano, ha definito altra linea la genesi
storica della nuova sinistra, indivi- duando nelle quattro figure di Fortini,
Bosio, Montaldi e Pan- zieri i personaggi esemplari di questa storia ideale
alternativa al grande partito storicista di massa e alla sua logica
statalistica di integrazione del movimento operaio. In un altro contesto,
Cesare Cases ha parlato di tessitori di ragnatele, contrappo- nendo questi
personaggi a figure di oppositori apparenti (co- me Giolitti nel PCI e Basso
nel PSI) pienamente integrati nella classe politica e nelle sue logiche di
governo (nel senso di go- verno delle strutture esistenti dellopposizione
organizzata). Con la scelta di questi quattro personaggi, Mangano compie in
realt un'opzione metodologica ben precisa: Fortini, Bosio e Panzieri vengono da
una sorta di dissidenza basista e liberta- ria allinterno del socialismo di
sinistra, ed il solo Danilo Mon- taldi mescola l'interesse per i marginali e
gli esclusi con una sor- ta di bordighismo storico-filosofico (simili
mescolanze impu- re sono peraltro assolutamente tipiche di ogni forma di
pensie- ro eretico); la matrice archeologica della nuova sinistra vie- ne vista
dunque non nel minoritarismo storico comunista, ma nel tradizionale
libertarismo basista socialista. Chi scrive ha in proposito unopinione diversa
da quella di Mangano. La matrice della nuova sinistra, che poi a tutti gli effetti soltanto una seconda
sinistra (perch non affatto pi nuova
delle linee maggioritarie del PCI e dello PSI
che con Berlinguer e Craxi riusciranno anzi ad avere un grande successo
politico negli anni Settanta ed Ottanta
ma semplicemente diversa,
altra), una mescolanza indistinguibile
di elementi so- cialisti e comunisti rimasti minoritari. Libertarismo e
radicali- smo, basismo ed estremismo, spunti trotzkisti e maoisti, rilettu- re
di Gramsci e della Luxemburg, eccetera, tutto confluisce in un magma ideologico
ribollente nella edificazione della secon- da sinistra. Ogni operazione di
distinzione fra tradizione so- cialista e tradizione comunista risulta a nostro
avviso del tutto li- 92 bresca, come se socialismo e comunismo fossero due
razze di- verse da mantenere ben separate. In questo saggio, che non un saggio di storia delle idee, ma un saggio
teorico su//4 storia delle idee marxiste in Italia (e la differenza essenziale, dal momento che un saggio teorico
ha il diritto di sfrondare i particolari storiografici per arrivare subito al
nucleo teorico delle questio- ni), cercheremo di andare subito al dunque: ed il
dunque li- potesi teorica di fondo in
base alla quale si ritiene di potersi op- porre strategicamente alla linea del
partito storicista di massa di Togliatti scontando tranquillamente anche il proprio
minorita- rismo e la propria marginalit senza farsi impaurire. Riteniamo allora
che i dunque siano fondamentalmente tre: una teoria del crollo del capitalismo
opposta ad una teoria della lenta via evolutiva al socialismo (Bordiga); una
teoria della rivoluziona- riet sociologica essenziale della classe operaia
della grande fabbrica capitalistica opposta ad una teoria della crescita
eletto- rale della rappresentanza politica del blocco storico formato da tutte
le classi subalterne progressive (Panzieri); una teoria della maturit del
comunismo da perseguire come obiettivo po- litico immediato opposta ad una
teoria della modernizzazione capitalistica come stadio necessario per una
ulteriore via al socialismo (Negri). In questo capitolo tratteremo questi tre
dunque, e solo questi tre. Il bolscevismo atemporale di Amadeo Bordiga Abbiamo
gi ricordato Bordiga nel primo e nel secondo capi- tolo della prima parte,
rilevando che lo stesso pensiero di Gramsci non viene elaborato in un vuoto
pneumatico, ma al- l'interno di unarticolata polemica complessiva contro il
mecca- nicismo e il determinismo di Bordiga, al punto da poter dire (e chi
scrive ritiene di poterlo sostenere senza difficolt in modo molto pi articolato
di quanto venga fatto in queste telegrafiche note!) che Gramsci non ha mai
scritto un anti-Croce, ma un anti- Bordiga s. Se infatti le note dal carcere di
Gramsci vengono giu- dicate in base al progetto di un anti-Croce, esse
falliscono il loro 93 obiettivo, perch il comunismo gramsciano non ancora supe- riore alla logica complessiva
della liberaldemoctrazia capitali- stica (come possiamo capire meglio 4
posteriori dopo il duro ri- sveglio del triennio 1989-91); se invece esse
vengono giudicate in base al criterio del superamento del meccanicismo e del
de- terminismo della tradizione marxista, pienamente travasatasi nella
scolastica della Terza Internazionale, allora lopera di Gramsci un pieno successo scientifico e filosofico.
Se per Gramsci muore nel 1937, Bordiga, che pure gli di due anni pi anziano, vive fino al 1970, e
nel secondo dopoguerra protago- nista di
una solitaria battaglia ideale che non possiamo fare a me- no di considerare
con ammirazione (e con un briciolo di inquie- tudine, perch non vorremmo che il
comunismo del futuro si ri- ducesse ad una forma di testimonianza
ultraminoritaria, che fa- rebbe diventare i comunisti personaggi simili agli
anarchici e ai bordighisti: moralmente degni di rispetto, umanamente apprez-
zabili, ma anche inesorabilmente messi ai margini della storia). In particolare, degno di ammirazione il fatto che Bordiga sia
riuscito, senza essere un sovietologo e senza avere nessuna par- ticolare
competenza specifica in questioni economiche, a conno- tare la natura
capitalistica dell'URSS in modo tanto attuale da essere quasi postmoderno. A
differenza dei seguaci di Trotzkij e della teoria del collettivismo
burocratico, per cui l'URSS non poteva essere connotata come societ
capitalistica, perch man- cavano del tutto la borghesia imprenditrice, il
mercato e la pro- priet privata dei mezzi di produzione, e vi erano al massimo
gruppi burocratici di usurpatori della propriet pubblica, Bordiga, che vede nel
capitalismo un grande meccanismo eco- nomico anonimo ed impersonale e non una
societ guidata da un soggetto, scrive centinaia di pagine (divenute dopo il
1991 a tutti gli effetti profetiche) per spiegare che l'URSS una societ che non mai uscita dal capitalismo, e che al massimo
ne co- struisce le basi destinate ad essere smantellate in un secondo tempo,
portata a termine la grande accumulazione primitiva da parte dello
stato-partito. Questa concezione impersonalistica del capitalismo di sta-
to notevole. Per usare i termini di
Liliana Grilli, studiosa di 94 Bordiga e bordighista entusiasta: Dall'analisi
che Bordiga fa della societ sovietica, sia dal punto di vista statico delle
forme di produzione, che da quello dinamico delle leggi di funziona- mento.
economico, la struttura economico-sociale dellURSS si configura come
capitalismo mercantile ad industria statizzata. Tale definizione assume in
Bordiga la portata di una vera e pro- pria riconsiderazione globale della
stessa concezione del capita- lismo come modo storico di produzione ed insieme anche ri- proposizione al
proletariato occidentale degli obiettivi storici del comunismo rivoluzionario.
Caratterizzato il capitalismo co- me sistema di appropriazione sociale del
prodotto (anche se ancora di classe) ai fini non del consumo personale dei
capita- listi ma dellaccumulazione del capitale, la portata alternativa del
socialismo rispetto al capitalismo non si pone al livello delle forme di
propriet (statali invece che private) n al livello delle forme di gestione (di
partecipazione democratica anzich di ge- stione accentrata). Essa sta nel
mutamento delle forme di pro- duzione, e nella scomparsa dellimpresa quale
forma tipica del capitalismo in quanto produzione di valore. Non si pu dunque
abolire il plusvalore senza abolire la for- ma di valore, e non si pu andare
oltre la produzione capitali- stica mantenendone le categorie economiche.
Questa verit bordighiana, tuttavia, pur
sempre una vecchia verit. Essa coincide esattamente con la precoce diagnosi
infausta delle- sperienza sovietica fatta fino dagli anni Venti dai menscevichi
e dai socialdemoctratici alla Hilferding: i russi non possono fare il
socialismo, essi non possono al massimo che realizzare un capi- talismo di
stato in cui il pattito comunista si fa carico sanguino- samente dei costi
umani dellaccumulazione primitiva del capi- tale collettivo, e allora, perso
per perso, non vale neppure la pena di aver fatto la rivoluzione del 1917 e di
intestardirsi a con- tinuarla. E noto che Stalin rispose a queste critiche gi
alla fine degli anni Venti, e che la vera tragedia consistette proprio nel
fatto che non si riusc a trovare il modo di passare da un capitali- smo di
stato collettivizzato al comunismo, dal momento che il plusprodotto sovietico
fin con il passare dalla determinazione burocratica alla privatizzazione
capitalistica diretta. Ma allora, 95 se dallURSS non ci si poteva aspettare
nulla, se non il peggio, da cosa ci si poteva aspettare per Bordiga il
superamento rivoluzio- nario del capitalismo? Dalla coppia tradizionale delle
correnti di sinistra della Seconda Internazionale: la crisi catastrofica del
capitalismo e linsorgenza rivoluzionaria del proletariato. Da cosa, se no? questa la risposta di un bolscevismo
atemporale, o se si vuo- le di un luxemburghismo eterno. Lingegner Bordiga,
luomo della scienza e della tecnica, il marxista del tutto privo di lettera-
riet e di metafisica (in apparenza) mostra di continuare a crede- re in un
dogma religioso di fronte al quale l'avvento del Regno di Dio di S. Paolo
appare una sobria previsione economica: lav- vento del grande crollo
catastrofico del sistema con tutti gli indi- ci bancari e produttivi in caduta
libera, che si unir in armonia prestabilita con il risveglio monoclassista
della classe operaia internazionale. Il materialismo dialettico di Bordiga in propo- sito assai discutibile: la materia
indubbiamente c (crollo del capitalismo ed insorgenza della classe operaia), ma
la dialetti- ca assente, visto che nel
frattempo il capitalismo mostra di avere imparato ad affrontare le crisi e la
classe operaia cambia strutturalmente nella sua composizione oggettiva e nella
sua co- scienza soggettiva. Il bordighismo
dunque una sorta di mes- sianesimo economicistico, anche se Bordiga
resta a nostro av- viso uno dei grandi teorici della seconda sinistra. Il
socialismo operaista di Raniero Panzieri Abbiamo visto che il partito storicista
di massa, in cui Togliat- ti esercitava una vera e propria direzione politica
della cultura (flessibile nella forma e ferrea nei contenuti), era organizzato
sulla base del centralismo democratico in modo che non po- tessero sorgere al
suo interno linee politiche strategicamente al- ternative, e che la cooptazione
fosse lunica forma di selezione dei dirigenti permessa. La cooptazione, a sua
volta, una pale- stra di conformismo e
una scuola di abilit manovriera, dal mo- mento che coloro che si espongono
troppo in una linea politi- 96 ca diversa non possono fare a meno di suscitare
forti avversioni, e hanno cos poche possibilit di essere maggioritariamente
cooptati. Senza il meccanismo della cooptazione e la merito- crazia alla
rovescia che esso necessariamente instaura, non po- tremmo mai spiegare come i
partiti di Lenin e di Gramsci abbia- no rispettivamente prodotto Gorbaciov ed
Occhetto. Essi sono prodotti purissimi della cooptazione, e chi non comprende
che il difetto sta nel manico non rifonder mai nessun comunismo. Un uomo come
Raniero Panzieri invece un puro prodotto
del rifiuto soggettivo della cooptazione e dellaccettazione dei meccanismi
politici che la reggono. Egli non accett neppure le regole dapparato dentro un
partito molto pi flessibile del PCI, come era il PSI degli anni Cinquanta (che,
ricordiamolo, non era quello di Craxi degli anni Ottanta), e pag il prezzo
della solitu- dine, dei licenziamenti e dellemarginazione per poter libera-
mente sviluppare le sue ipotesi teoriche e politiche. Certo, unimpresa come
quella della rivista Quaderni Rossi
anche qualcosa di collettivo, ma non bisogna neppure dimenticare il
ruolo essenziale di una personalit decisa e coraggiosa. Panzieri il vero fondatore delloperaismo italiano, una
tendenza teo- rica di rilievo internazionale (che appunto
italiana cos come italiano il
togliattismo, e se esse sono entrambe italiane ci avviene perch si tratta di
realt opposte ma anche polari, contrarie ma anche solidali). importante capire esattamente che cosa sia
stato loperaismo, dal momento che non
affatto co- s semplice come sembra. Operaismo significa operai. Ma gli
operai delloperaismo non sono le vittime sacrificali del Moloch capitalistico,
con cui si de- ve condividere la condizione (come fece Simone Weil), e nep-
pure gli operai del sindacalismo, che contrattano con le loro for- ze
collettive gli aumenti di salario, la diminuzione della giornata lavorativa,
l'aumento del controllo sulle condizioni dirette della produzione in fabbrica.
Gli operai delloperaismo sono il sog- getto storico centrale del moderno
capitalismo, la forza-lavoro associata che prefigura nella massificazione dei
propri compor- tamenti la natura egualitaria e collettiva del comunismo. Lo-
peraismo rappresenta il massimo possibile della sublimazione 97 sociologica
della filosofia, anzi, il riassorbimento integrale della filosofia comunista
nella sociologia marxista. Loperaismo , anzi, lidealismo soggettivo del
marxismo, l'integrale sostituzione di Hegel con Fichte. LIo fichtiano di- venta
la classe operaia, anzi la composizione di classe operaia, mentre il non-Io
diventa la tecnologia, il macchinismo, le condi- zioni della produzione. Gli
stessi due caposaldi teorici principa- li del pensiero di Panzieri (la
non-neutralit delluso capitalisti- co delle macchine e la capacit del
capitalismo di pianificare le- storsione del plusvalore) sono in realt funzioni
subalterne di questo fichtianesimo operaio. Il solo limite del capitale la forza della classe operaia, ed solo da questa forza che ci si pu aspettare
la lotta per il comunismo. Loperaismo
una forma di monoteismo rigoroso; cos come tutti i monoteismi accolsero
le divinit politeistiche come enti subalterni (eoni, angeli, diavoli,
eccetera), analogamente loperaismo accetta gli altri soggetti so- ciali
soltanto se si proletarizzano, cio se accettano la propria subordinazione. Il
Sessantotto stato caratterizzato
dallideolo- gia della proletarizzazione, una sorta di mistica sociologica di
annientamento sovradeterminata ai processi congiunturali di af- fermazione
delloperaio fordista italiano. In questo senso, lope- raismo stato una vera eresia del marxismo, in un
senso mol- to pi letterale di quanto non lo si creda. noto che le eresie pauperistiche medioevali
individuano nei servi della gleba e in generale nei poveri il soggetto per
contestare e rovesciare il feu- dalismo, ed
altres noto che il feudalismo non fu rovesciato dai servi della gleba,
ma da una classe sociale cui gli eretici neppure pensavano e di cui anzi si
vergognavano, la borghesia commer- ciale e manifatturiera. Analogamente,
loperaismo stato lere- sia per
eccellenza del marxismo, nel senso che ha creduto fino in fondo a ci che pure
tutti i marxisti hanno sempre affermato, la centralit rivoluzionaria della
classe operaia (ma anche la chiesa medioevale pi sfacciatamente feudale aveva
sempre affermato a parole la povert di Cristo, senza peraltro mai tirarne le
conclu- sioni politiche). Chi scrive non crede assolutamente che la classe operaia
della grande fabbrica capitalistica sia il soggetto destinato a fare da 98
becchino del capitalismo. In quanto incarnazione sociologica della
sottomissione reale del lavoro al capitale, la classe ope- raia non pu a nostro
avviso che riprodurre indefinitamente lal- talena fra ribellismo produttivo e
integrazione disciplinare che sorge dal rapporto di produzione diretto. Questa
affermazione, che facciamo nel modo pi netto (per dirla meglio: possibile che la classe operaia sia una
classe rivoluzionaria, ma certamente non
una classe capace di superare il capitalismo con la sua rap- presentanza
politica o sindacale; le sue migliori performances storiche del Novecento,
peraltro di tutto rispetto, ci sembrano essere state lo stalinismo e la
socialdemocrazia), non significa per noi che ci sono d/tr soggetti migliori dei
rozzi operai (don- ne, contadini, emarginati, poveri, giovani, tecnici,
intellettuali, artisti, mutanti, robot, cyborg, eccetera). Nox esistozo (ecco
la terribile, insopportabile verit) soggetti gi dati in grado di su- perare il capitalismo,
che debbano solo prendere coscienza, e passare cos dallo stato dellin-s allo
stato del per-s. Il passag- gio della classe operaia dal proprio in-s al
proprio per-s a nostro avviso lo
stalinismo, se essa vuol dirigere tutto e proleta- rizzare tutti quanti, o la
socialdemocrazia, se si accontenta di un sano welfare state, peraltro sempre
minacciato dalla crisi fiscale dello stato.
questa la ragione per cui consideriamo quella di Panzieri lultima,
lestrema eresia di una ortodossia cui non cre- diamo ormai da tempo. Il
comunismo autonomo di Antonio Negri Antonio Negri, detto Toni, a nostro avviso il pensatore pi originale (e,
perch no?, il pi grande) della seconda sinistra. Ci si chieder quali siano le
ragioni di un simile apprezzamento tanto impegnativo. Chi scrive non dedicher
forse lundicesimo capitolo per segnalare i contenuti di pensiero pi convincen-
ti? Certamente. Questi contenuti di pensiero, per, sono gi a nostro avviso
oltre l'orizzonte della sinistra, prima o seconda che sia. Nel caso di Negri,
invece, siamo di fronte ad un teorico veramente notevole, imparagonabile per
statura teorica e filoso- 99 fica alla maggior parte dei suoi contemporanei,
che per anco- ra dentro l'orizzonte
marxista classico. Come tutti i pensatori veramente dotati, Toni Negri pensa
an- che lui una cosa, ed una cosa sola. Egli vuole semplicemente so- stituire i
Grundrisse al Capitale come fondamento teorico del comunismo, e in questo modo
pone in modo radicale la questio- ne del passaggio diretto dal capitalismo al comunismo,
saltando ogni fase di presunto completamento progressivo del capi- talismo
stesso e soprattutto ogni regressiva costruzione del so- cialismo. Questa
operazione radicale fatta da Negri con
coe- renza e rigore, ed per questo che
non ha senso paragonarla con tutti gli innocenti discorsi sul comunismo (da
quelli di Tronti a quelli di Barcellona, da quelli di Ingrao a quelli della
Rossanda) che accettano la compatibilizzazione con le strategie tradizio- nali
togliattiane o sindacali. Abbiamo scritto il secondo capitolo della seconda
parte per chiarire che tutti i discorsi sul comuni- smo che fanno da ornamento
alla logica politica della tradizio- ne comunista storica novecentesca (e qui
purtroppo lequivo- co nasce dal fatto che vi sono due termini eguali,
comunismo! e comunismo*, per indicare realt diverse) sono acqua fresca, aria
fritta e retorica per gente che ha tempo da perdere. Da un punto di vista
politico, Negri stato ondivago ed insta-
bile. Ha parlato di operaio-massa, e poi di operaio-sociale (neo- logismo per
indicare un soggetto sociologicamente non pi ope- raio senza con questo rompere
traumaticamente con la tradizio- ne ecclesiastica del comunismo storico
novecentesco). stato anarchico,
sostenitore di comitati di base e gruppi auto-organiz- zati, ed stato ultrabolscevico, scrivendo un libro di
lezioni su Lenin in cui cercava di adattare la tattica bolscevica allobietti-
vo storico del perseguimento immediato del comunismo. sta- to vittima di un processo politico, in
cui sostanzialmente cerca- rono di caricargli sulle spalle l'assassinio di Aldo
Moro. Incar- cerato, fu coinvolto in una rivolta carceraria, e brutalmente pic-
chiato. Manipolato da Pannella come una sorta di Cicciolina di sesso
maschile, fuggito in Francia dove vive
da intellettuale universitario internazionale e da vate del postcomunismo
ecolo- gico-libertario. Poligrafo instancabile, spazia da Sraffa a Ke- 100
ynes, e da Leopardi alla fabbrica giapponese. Se per si cerca un filo
conduttore in tutto questo vagare, lo si trova, e sta dove lo abbiamo
segnalato: la sostituzione dei Grundrisse al Capitale, del comunismo al
socialismo, dellappropriazione alla produ- zione, del godimento al sacrificio,
di Spinoza a Hegel, dellim- mediatezza alla dialettica. Tutto questo fa un sistema
coerente, anzi fa il sistema teorico pi coerente prodotto dalla seconda si-
nistra dopo il 1956. . Questo sistema a
nostro avviso illusorio. stato notato da
un commentatore molto acuto, Augusto Illuminati, che i Grundrisse sono stati in
una certa misura realizzati dal capitalismo, in un senso certo molto
particolare e perverso: la produttivit globale del macchinismo
capitalistico salita a livelli
incredibili, il tempo di lavoro umano diretto ha cessato di essere il
fondamento del va- lore, ed il cosiddetto superamento della produzione di
valore sembra parzialmente compiersi dentro lo stesso sistema di produ- zione
capitalistico. Tutto questo, per, non porta nessun comuni- smo, non sviluppa
nessuna coscienza comunista, ed anzi
compa- tibile addirittura con lo smantellamento del buon vecchio welfare state
dellepoca fordista, con il ritorno sanguinoso del nazionali- smo e del
razzismo, con la fioritura di ideologie neoliberaliste ed ultraprivatistiche.
Il crollo del muro di Berlino, che Negri ha salu- tato con gioia come la fine
dellequivoco autoritario del movimen- to comunista storico, non ha affatto
liberato energie nascoste e sotterranee, ma ha brutalmente legittimato lunicit
del dominio unipolare imperialistico. La metropoli negriana non la meta- fora del comunismo
dellappropriazione, ma il luogo dellemargi- nazione e della solitudine
metropolitana. Chi scrive non intende minimizzare, sulla base di queste os-
servazioni, la dimensione originale dellopera di Negri. sicu- ro, per, che le riforme teoriche
proposte dalla seconda sinistra non sono ancora minimamente in grado di
risolvere i problemi strategici lasciati irrisolti dal togliattismo e dal
partito storici- sta di massa. Nel prossimo capitolo sosterremmo in proposito
che il fallimento storico globale dei tentativi organizzativi della seconda
sinistra non stato casuale, ma ha
seguito una logica in un certo senso ferrea. 101 IV Limpossibile costruzione I
tentativi di dare alla seconda sinistra una dimensione politica di massa Dopo
aver discusso le questioni teoriche di fondo che stanno alla base di posizioni
politiche come quelle di Bordiga, Panzieri e Negri, bene ricordare, anche se solo sommariamente,
i tenta- tivi pratici di costruzione organizzativa di una seconda sini- stra.
Quasi un quarto di secolo ormai ci separa da quei tentati- vi, che impegnarono
con entusiasmo e dedizione decine di mi- gliaia di persone. In questo capitolo
non vi certo lo spazio per ripercorrere
la storia di quei tentativi, e ci limiteremo a darne una valutazione
strettamente teorica. bene per
esplicitare fin da subito linterpretazione generale che diamo del fallimento
storico di questi tentativi, indipendentemente dalla sincerit. e dalla buona
fede soggettiva di chi li condusse. Le ragioni storiche di un fallimento politico
Lo storico del Duemila che ripercorrer le ragioni non con- tingenti del
fallimento della costruzione politica delle organizza- zioni di estrema
sinistra sorte in Italia fra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta (fallimento,
si intende, dellobiettivo di creare or- ganizzazioni con vera e propria base di
massa) avr inevitabil- mente a che fare con la scelta di interpretazioni
storiografiche al- ternative. Noi gli vorremmo suggerire qui di scartarne due,
che a nostro parere non aiuterebbero a capire ci che veramente successo. La prima interpretazione
da scartare, quella pi storicisti- 103 ca,
questa: le organizzazioni della seconda sinistra non riu- scirono a
creare una dimensione di massa alla loro azione politi- ca perch tentarono di
fare concorrenza al PCI, e dal momento che il PCI aveva ragione, esse non
potevano che avere inevitabil- mente torto; la gente, che non stupida, e che sa ragionare sulle questioni
essenziali assai pi di quanto molti non credano, lo cap, e si comport di
conseguenza. Questa interpretazione a nostro avviso non regge. Il PCI non aveva
affatto ragione, e lo si cap nel corso del tempo. La sua ipotesi storicistica
era in real- t la copertura ideologica di una integrazione progressiva nella
riproduzione generale del capitalismo che veniva ipocritamente coperta con
innocue fumisterie verbali cattocomuniste, senza neppure avere il coraggio
protestante di dire le cose apertamen- te e di fare una Bad Godesberg
allitaliana. Solo i protestanti, pe- r, che prendono sul serio i testi e sono
abituati al libero esame, possono fare una Bad Godesberg; i cattolici non
possono farla, perch hanno sempre delegato al clero la discussione teologica.
Non ha dunque senso dire che i successi elettorali della prima si- nistra negli
anni Settanta abbiano dimostrato che essa aveva ra- gione, mentre i suoi
oppositori avevano torto. n questo mo- do tautologico e falsamente storico si
potrebbe dire che i porto- ghesi hanno avuto ragione a rimanere cattolici nel
Cinquecento mentre gli svedesi hanno avuto ragione a diventare protestanti.
Anche la tautologia (anzi, come direbbe Silone, la pantautolo- gia) deve avere
dei limiti. La seconda interpretazione da scartare, quella pi sociologi-
stica, questa: la seconda sinistra fall
nel suo tentativo di co- struire una dimensione di massa perch la sua base
sociale non era proletaria, ma piccolo-borghese; i proletari capirono che i
dirigenti ed i quadri di queste organizzazioni erano dei piccolo- borghesi, e
non si fidarono di loro. Non lo crediamo. Negli anni Venti, i vari Bordiga,
Gramsci, Terracini e Togliatti erano anco- ra pi piccolo-borghesi dei vari
Negri, Sofri, Capanna, Brandi- rali, Vinci, senza che questo abbia giocato un
ruolo significativo nella legittimazione dellorientamento comunista. In realt
la se- conda sinistra fu la vera incarnazione dell'utopia proletaria, o meglio
dell'utopia della proletarizzazione integrale della socie- 104 t.
Questutopia parte integrante del codice
genetico del movi- mento comunista storico novecentesco, dal 1917 ad oggi. Se
questo vero, vorremmo suggerire una
terza interpretazione, di tipo storico (si legga bene, storico, non
storicistico). La seconda sinistra fiorita fra il 1956 e il 1989, e con pi
forza fra il 1969 e il 1982, non fu a nostro avviso una manifestazione
dellestremismo, malattia infantile del comunismo. Magari fosse stato cos! Le
malattie infantili passano, e si diventa adulti abba- stanza in fretta. In
realt, si trattava a nostro avviso di una tera- pia geriatrica, ormai tardiva e
pertanto del tutto ineffettuale, di ringiovanire un vecchio, le cui funzioni
vitali stavano inesorabil- mente declinando. Questo vecchio, perch di un
vecchio ormai si trattava, era il movimento operaio novecentesco rel suo com-
plesso, che non sopportava pi iniezioni di Gerovital. La propo- sta di tornare
agli anni Venti e al comunismo militante di quel periodo, e di cercare in un
altro spazio (Cuba, la Cina, l'America Latina, eccetera) e in un altro tewzpo
(gli anni della III Interna- zionale e della Resistenza italiana) il ringiovanimento
del pro- prio progetto non poteva che restare sulla carta, nella fantasia e
nella memoria, cos come restano nella fantasia e nella memoria di un
cinquantenne le vie, le piazze e le case in cui si mosse nei suoi vent'anni. Il
comunismo storico novecentesco rel suo com- plesso era entrato a partire dagli
anni Cinquanta in una tragica fase di senilit, nascosta dal fatto che
apparentemente stava in- vece mietendo successi nuovi e inaspettati (fred
elettorale posi- tivo della sinistra occidentale negli anni Sessanta e
Settanta, instaurazione di nuovi regimi comunisti in Asia, America Latina e
Africa, parit strategica militare fra Est ed Ovest, mode rivolu- zionarie nella
giovent universitaria mondiale, compresa quella americana, eccetera). Questi
successi erano per simili alla car- riera di un r74nager sessantenne. arrivato al vertice, ha succes- so, non mai stato tanto ricco e riverito, ma anche ormai vec- chio, sempre pi vecchio.
Fuor di metafora, non si riuscivano a innescare le ragioni di ringiovanimento della
ditta Comunismo & Co., e per questo ogni tentativo di galvanizzazione
attivistica finirono con lassomigliare alle sedute di ginnastica per la terza
et. Il segreto, il terribile segreto, che non si poteva per dire e 105 neppure
pensare, era questo: il comunismo poteva essere rin- giovanito, le ragioni del
comunismo potevano essere riscoperte e rinnovate, ma guel comunismo era
vecchio, irrevocabilmente vecchio. Bisognava dunque cercare un a/tro comunismo,
dal momento che la prognosi di un comunismo basato sulla triade di
statalizzazione-partitizzazione-sindacalizzazione non poteva che essere
infausta. La seconda sinistra non pot, non riusc, o non volle andare verso un
4/tro comunismo. Se questo avvenne, per, dal momento che tutto ci che reale
anche razionale, e ci che avvenne non poteva in fondo che avvenire cos
come avvenuto, perch non c'erano le condizioni storiche
generali per rendere socialmente possibile un altro comunismo. Il comu- nismo
che cera, quello reale, era quello, e non ce nerano altri. La seconda sinistra
visse cos la sua effimera esperienza storica, agitandosi, scindendosi,
modificandosi, rimescolandosi, ri- strutturandosi, pentendosi, rinsavendo. Il
processo di rimo- zione tanto comune fra gli ex-sessantottini delusi e
riluttanti a ripercorrere razionalmente le ragioni del proprio impegno
estremistico deve a nostro avviso essere spiegato in questo modo: si ha paura
di pensare in termini brutali alla propria gio- vinezza perch si ha paura di
dover ammettere che essa non mai stata
pura, e invece la si vorrebbe in tutti i modi preserva- re pura e
incontaminata; in questo modo, per, non si potr mai diventare adulti, e si potr
soltanto passare direttamente dall'infanzia alla vecchiaia. questo, crediamo, il tragico desti- no della
generazione del Sessantotto. Un destino, come si suol dire, che non si
augurerebbe neppure al proprio peggior ne- mico. La doppia natura del
Sessantotto Un quarto di secolo ci separa dal Sessantotto, e si continua a
fingere di non poter ancora dare un giudizio storiografico ade- guato sul
fenomeno nel suo insieme. Questo un
alibi infondato. Il Sessantotto ormai
uno dei fenomeni storici pi conoscibili e conosciuti del secolo. Pur tenendo conto
della differenziazio- 106 ne estrema dei suoi contenuti (dagli USA alla
Francia, dall'Italia alla Germania), il Sessantotto presenta un indiscutibile
carattere unitario, che si basa appunto sulla sua doppia natura. Esso pre-
senta infatti un aspetto rivoluzionario, basato su forme culturali
incompatibili non con il capitalismo in generale ma con quello specifico
capitalismo creatosi dopo il 1945, e un aspetto di mo- dernizzazione sistemica
del costume e dei rapporti sociali ge- nerali, in direzione di una nuova forma
di capitalismo meno ca- ratterizzata da forme borghesi di etica e quindi pi
ampia e democratica. Il Sessantotto, dunque, come rivoluzione demo- cratica.
Come tutte le rivoluzioni democratiche, il Sessantotto presenta unapparente
contraddizione fra aspetti liberali ed aspetti socialisti (0 comunisti), dal
momento che la libert libe- rale sempre
pensata come garantismo e individualismo, men- tre la libert socialista praticata come assemblearismo ed
egualitarismo. In realt, le rivoluzioni democratiche elidono sempre, nel loro
svolgersi, le due ali estreme liberali e socialiste, senza per distruggerle, ma
anzi incorporandole. Il Sessantotto italiano
un lungo sessantotto, che dura fino al 1974-75, non certo perch gli
italiani siano stati meno seri e pi farfalloni dei francesi o dei tedeschi (che
sciocchezza!), ma perch la necessit di democratizzazione della societ italiana
e di allargamento del- le sue basi sociali era maggiore. Si ha cos, in pochi
anni, un acca- vallarsi apparentemente disordinato di fatti democratici, dalla
liberalizzazione degli accessi universitari all'aumento degli spazi autogestiti
in fabbrica, dai privilegi apparentemente cotporati- vi del pubblico impiego
alla legislazione di famiglia meno pa- triarcale, dalla legittimazione
culturale integrale dellantifasci- smo e della resistenza fino alla legittimit
universale dello scen- dere in piazza e del fare cortei. Agli occhi della
scolastica libera- le e conservatrice, tutto questo appare solo un casino
generaliz- zato, un carnevale della ragione, una felliniana prova dor- chestra
anarchica e rumorosa. Agli occhi della scolastica marxi- sta dogmatica, tutto
questo appare una rivoluzione comunista mancata per immaturit delle condizioni
soggettive ed oggetti- ve. Chi scrive ritiene da tempo che la teoria del casino
generale e la teoria della rivoluzione mancata siano le due facce della stessa
107 incomprensione profonda della fase storica. Alle soglie della transizione
capitalistica odierna, che vede linformatica e la co- municazione sociale fare
da padrone, e nel contesto di un raffor- zamento strategico e militare
dell'URSS, che costringeva ad al- largare le basi sociali del capitalismo per
aumentarne il consen- so, il Sessantotto
stato per il Novecento quello che il Quaran- totto stato per lOttocento: un movimento destinato
a perdere nella sua forma pura, e a contare molto nella sua forma pi in-
diretta e diluita. In questo capitolo, per, non discuteremo le di- namiche
sociali generali della modernizzazione sessantottina, ma soltanto le forme
ideologiche di coscienza delle forze politi- che italiane che lo vissero
soggettivamente come annuncio di una possibile rivoluzione comunista da tempo
sognata. Lotta Continua e il populismo generazionale-comunitatio Luigi Bobbio,
figlio di Norberto, fu a suo tempo militante e di- rigente politico del gruppo
Lotta Continua dal 1969 al 1976, e ten- t di scrivere una storia razionale
dellorganizzazione, studian- dola come avrebbe fatto con il PCdI di Gramsci,
Togliatti, Bordi- ga e Terracini dal 1919 al 1926. Sette anni non sono poi poca
cosa. Bobbio studia Lotta Continua come una sorta di piccolo e com- battivo
partito comunista, che passa dalla linea delloffensiva e del siamo tutti
delegati alla linea dellappoggio critico al PCI e al sindacato. Questa storia
di Lotta Continua scritta da Bobbio non incontr mai i favori dei suoi
ex-militanti, per una ragione molto semplice. Il lottacontinuista, vent'anni
dopo, preferisce pensare alla propria storia in termini esistenziali,
generazionali, aperta- mente irrazionalistici Questo atteggiamento
(riscontrabile ad esempio in occasione del processo Calabresi, in cui un
ex-ade- rente operaio, Leonardo Marino, accus lex-segretario Adriano Sofri di
aver commissionato un delitto politico)
talmente diffuso presso i lottacontinuisti invecchiati (e chi scrive ne
conosce molti) da far pensare che non possa essere un dato casuale o mar-
ginale, ma assolutamente tipico di un'intera esperienza storica. Lotta Continua
fu il gruppo a nostro avviso maggiormente 108 esemplare nella assolutizzazione
unilaterale del lato rivolu- zionario del Sessantotto. Chi conosce la storia
russa dellOtto- cento sa che i populisti dellepoca si innamorarono della clas-
se contadina idealizzata fino ad avere con essa un breve idillio infelice, dal
quale uscirono scindendosi in due gruppi, uno mag- gioritario, che riflu
integralmente nel conformismo zarista, bor- ghese e feudale (e oggi la classe
dirigente, dai giornali alla televi- sione,
piena di ex-Lotta Continua pienamente e provocatoria- mente integrati),
e uno minoritario, che diede luogo a forme di terrorismo oppure alla faticosa
costruzione del marxismo russo degli anni Ottanta e Novanta dellOttocento.
Ebbene, lanalogia con Lotta Continua
sconcertante, se appena si sostituisce la paroletta classe contadina
russa con la paroletta classe ope- raia italiana. Ci rimanda, evidentemente,
allo spaesamento culturale di gruppi intellettuali relativamente numerosi, che
per opporsi al vecchio establishment dei padri (e il romanzo di Tur- gheniev
Padri e Figli in proposito mille volte
pi utile dei fa- mosi Derzoni di Dostojewsky per capire questo fenomeno) han-
no bisogno di far riferimento ad un soggetto sociale idealizzato. Lotta
Continua rappresent in modo quasi perfetto lincontro, fragile e provvisorio, di
gruppi sociali che non avevano sostan- zialmente nulla in comune (la borghesia
studentesca e la classe operaia della catena di montaggio della grande fabbrica
fordi- sta), e che credettero di trovare unalleanza per portare a termi- ne i
loro rispettivi progetti (sostituirsi ai padri come classe diri- gente qui Pasolini si dimostr facile profeta e creare una fabbrica pi vivibile in cui
poter respirare). Il biennio 1975-76 rivel storicamente la fine di questo
idillio, e Lotta Continua col- lass in poche settimane, permettendo soltanto ad
un pugno di dirigenti opportunisti e di deputati astuti di saltare faticosamen-
te sull'autobus della classe dirigente. Servire il Popolo e il maoismo
cattolico-stalinista Il maoismo italiano presenta aspetti generali molto simili
al pi vasto maoismo europeo, che si defin (anzi, si autodefin) 109
marxismo-leninismo, termine che risale allo Stalin degli anni 1924-26,
come bene non dimenticare. In termini
stotici, questo maoismo fior in un quindicennio, che va dai primi anni Sessanta
(rottura della Cina con lURSS) al 1976 (morte di Mao e incarce- razione della
moglie e dei dirigenti dell'ala sinistra della rivolu- zione culturale cinese
degli anni 1966-69). Il maoismo italiano presenta aspetti culturali (Natoli,
Masi, eccetera) e aspetti politi- ci (partitini m-l di ogni tipo, forma e dimensione).
Da un punto di vista teorico, il punto pi elevato del maoismo italiano stato a nostro avviso la ricezione del
pensiero del maoista francese Charles Bettelheim, che ha trovato in Gianfranco
La Grassa (su cui torneremo nellundicesimo capitolo) il suo interprete pi
dotato e creativo: natura sociale dell'URSS, continuazione della lotta di
classe nello stato socialista (che non
dunque mai e non pu essere di tutto il popolo), critica alla presunta
neutralit di classe della tecnologia e dello sviluppo economico, indivi-
duazione nel partito comunista dellunico luogo politico in cui pu concentrarsi
la funzione sociale della borghesia capitalisti- ca, eccetera; queste le novit
teoriche e i temi esemplarmente svolti dal maoismo italiano, che fece dunque
bene la sua parte nel ventennio cruciale 1960-1980. In questa sede, per,
ricorderemo soltanto un particolare tipo di maoismo folkloristico, una sorta di
catto-maoismo: il grup- po di Servire Il
Popolo, che organizz alcune migliaia di perso- ne nel giro di meno di un
decennio sulla base di una militanza populistico-sacrificale, che attir
soprattutto intellettuali desi- derosi di fondersi nelle masse e di espiare i
loro peccati di orgo- glio culturale condividendo i pregiudizi pi assurdi e
regressivi, purch venissero dal popolo stesso. Questo maoismo cattolico-
stalinista ci sempre sembrato
interessantissimo, appunto per il suo carattere cattomaoista schiettamente
italiano, anzi italiota. Abbiamo letto recentemente con vero divertimento
unintervi- sta del suo leader carismatico, Aldo Brandirali, che dopo essersi
fatto adorare dai suoi seguaci come capo illuminato del popolo italiano,
si convertito al cattolicesimo
fondamentalista (ma guarda!), ha riscoperto Dio (ma davvero?) e tutta la
vecchia sto- tia. un vero peccato che lo
spazio sia tiranno, e che sia necessa- 110 rio congedarsi dal tema di questo
cattomaoismo populistico, perch personaggi come Fantozzi non sono veramente
nulla al confronto. Un solo assaggio: i cattomaoisti organizzavano ma- trimoni
comunisti con cerimonie politiche matxiste-leniniste e scrivevano sui loro
giornali saggi sulla sessualit m-l, in cui con- sigliavano il numero degli
amplessi, che non dovevano essere troppo numerosi per non stancare i proletari
e distoglierli dalla lotta di classe. Sappiamo che il lettore serio penser che
lo stia- mo prendendo in giro, e lo lasceremo con questo dubbio esi- stenziale
lacerante. Potere Operaio e il futurismo metropolitano Se Lotta Continua stato il gruppo pi esemplare del Ses-
santotto, e Servire il Popolo il pi divertente e pittoresco, Pote- re
Operaio stato a nostro avviso il pi
rigoroso e coerente. noto che, dopo la
morte di Aldo Moro, si processarono i suoi di- rigenti accusandoli di essere i
capi occulti del terrorismo, anche se Potere Operaio si era sciolto come tale
nel 1973. In questa se- de, non
possibile ripercorrere la sua interessante storia (fino allo stesso caso
Feltrinelli, che Potere Operaio fu lunico a ti- vendicare scrivendo sul suo
giornale che un rivoluzionario era caduto), ma
necessario dire brevemente dove stia propria- mente linteresse di questo
gruppo. Esso fu diretto e ispirato da quel Toni Negri, che nel capitolo
precedente abbiamo indicato come uno dei (pochissimi) marxisti italiani di
rilievo del secon- do dopoguerra. Se Lotta Continua, dal nome stesso, esprime
psicanaliticamente linterminabilit inesauribile della lotta del figlio contro
il padre, che finisce soltanto con il congedo biologi- co dalla giovinezza
destinata a uneterna nostalgia struggente, e Servire il Popolo maoizza e
stalinizza il complesso regressivo di colpa della piccola borghesia cattolica
imperfettamente comuni- stizzata, Potere Operaio oggettivizza direttamente
lansia di do- minio sulla distribuzione delle merci e dei servizi del moderno
capitalismo attraverso il dtour di una classe operaia ridotta ad un grande
scardinatore delle porte del consumo. Potere 111 Operaio qualcosa che con gli operai empirici non ha
assoluta- mente nessun rapporto, e nello stesso tempo fonde insieme in modo
assolutamente insuperabile Lenin e Marcuse, la volont politica di rivoluzione
della forma-partito con la fine dell'utopia e il sogno del comunismo immediato.
Abbiamo gi rilevato nel capitolo precedente che Negri legge il Che Fare? di
Lenin come un grimaldello organizzativo per il proseguimento diretto del
comunismo, e i Grundrisse di Marx come la legittimazione scientifica e
filosofica di una lettura del capitalismo contempo- raneo come dispotismo dello
stato-piano e come anticamera del comunismo-godimento. curioso pensare che questo lucido delirio
avveniristico abbia trovato per qualche mese un punto di tangenza con i buoni
togliattiani del gruppo del Manifesto, luogo di luremburghismo onirico e di
nostalgia per la comunit di partito, e ci dimostra che il Sessantotto stato un provviso- rio incrocio di percorsi
assolutamente diversi. Chi scrive ritiene il delirio avveniristico dei seguaci
di Negri il punto pi alto della seconda sinistra, l'esposizione estatica di
singolarit ormai rilut- tanti alla forma-partito del comunismo storico
novecentesco. Questo delirio avveniristico non poteva ovviamente durare. Negri
razionalizz il suo percorso con la metafora del passaggio dalloperaio-massa
alloperaio sociale, per nascondere a se stes- so ed ai suoi lettori che si
congedava da qualunque residuo so- cialista per passare allevocazione di
comunit ormai del tutto svincolate da appartenenze lavorative fisse. La
promessa non realizzata dell'avvento della maturit dei tempi del comunismo si
rovesci nella frammentazione spaziale dei soggetti. Passando dal tempo allo
spazio, il comunismo si suicid come storicismo e si ricostitu come nomadismo
metropolitano, esodo dei sog- getti, autostop collettivo, concerti rock sempre
pi estatici e de- menziali, microcomunit di amici sempre pi sballati e sfigati,
singolarit inoperose contrapposte a individualit attive (per usare il
linguaggio del filosofo heideggeriano-comunista france- se Nancy). Le teste
pensanti di Potere Operaio (da Negri a Scalzone a Piperno) furono additate come
cattivi maestri quando le- splosione del terrorismo politico delle Brigate
Rosse e di Prima 112 Linea fece nascere la caccia frenetica agli ispiratori e
ai mandan- ti. In realt si trattava di una contiguit, in quanto tale a nostro
avviso senza alcuna rilevanza penale, che fu scambiata per conti nuit di
direzione e di esecuzione. Potere Operaio non fu la ma- trice del tertorismo,
per il semplice fatto che il terrorismo impli- cava morte e sacrificio, laddove
lunione di Lacan, Deleuze e dei Grundrisse proposta da Potere Operaio evocava
un comunismo del godimento immediato.
questo un punto essenziale che i sostenitori del teorema della continuit
potereoperaismo-ter- rorismo non capirono mai. La lotta armata e la sua
dinamica distruttiva il Sessantotto
responsabile per il tettorismo? Ecco una do- manda veramente insensata. Il
fatto che essa venga continua- mente riproposta da cattolici e laici seriosi e
sciocchi, cui non passa mai per la mente che con simili criteri anche Ges re- sponsabile dellinquisizione e Montesquieu
del colonialismo im- perialistico, la racconta lunga sulla cialtroneria della
cultura giornalistica corrente. L'approccio demonologico alla questione del
terrorismo e della lotta armata in Italia
fuorviante, perch d luogo alla triade del Delitto, del Castigo e del
Pentimento, oppure alla ricerca del Complotto, dei Mandanti e del Grande
Vecchio. Un affare per preti, nel primo caso, e per poliziotti, nel secondo
caso. In questo saggio, dedicato alla storia delle idee marxiste, po- tremo
tranquillamente ignorare il tema della ricostruzione stori- ca della lotta
armata. Esistono in proposito molti libri, alcuni ac- curati e densi di
informazioni. Esistono anche libri ideologici, che riferiscono sulle fonti
della lotta armata. Chi scrive ritiene che la lotta armata sia stata,
nellessenziale, un tragico errore. Preferiamo il sobrio e minimalistico termine
di errore al po- sto di termini pi forti, come crimine o follia, per il sempli-
ce fatto che il termine errore connota meglio la totale incom- prensione della
fase storica, delle forze in gioco, della composi- zione sociale del paese.
Colpisce, nei documenti delle formazio- 113 ni armate italiane (dalle Brigate
Rosse a Prima Linea), lincredi- bile falsa coscienza ed automistificazione
nella percezione di se stesse: lIRA irlandese e lETA basca si autointerpretano
come avanguardie nazionaliste combattenti; la RAF tedesca sapeva bene di non
rappresentare la maggioranza dei lavoratori tede- schi, e allora si
autogiustificava come distaccamento armato del terzo mondo oppresso nelle
metropoli imperialistiche; il peru- viano Sendero Luminoso intende ripetere
lesperienza maoista cinese della lotta armata popolare di lunga durata; le
formazioni italiane sembrano invece sempre in preda ad una vera e propria
afasia ideologica, passando dallevocazione di centrali capitali- stiche occulte
e mafiose ad esaltazioni retoriche di una classe operaia inesistente. La
ragione di questa afasia, a nostro avviso, sta nel fatto che non si pu
seriamente risolvere il complesso problema della de- mocrazia capitalistica,
nel suo intreccio di formalismo astratto e di riconoscimento della legittimit
dellagire politico legale dei singoli, in termini di pura mistificazione. Pi in
dettaglio, le for- mazioni armate non escono dal girone della rappresentanza
dei soggetti, anche se questa rappresentanza non discende da una legittimazione
elettorale. I brigatisti rossi ritengono di rappre- sentare la classe operaia,
cos come i militanti di Prima Linea ri- tengono di rappresentare l'operaio
sociale, perch entrambi pensano che il capitalismo abbia gi unificato il
soggetto sociale rivoluzionario, e non rimanga altro da fare che metterlo in
movi- mento attraverso unavanguardia. Chi scrive insister partico- larmente
nellundicesimo capitolo sul pensiero di Gianfranco La Grassa perch non si esce
dal labirinto della confusione se non si capisce che il capitalismo non unifica
affatto i soggetti, ma anzi li frammenta, e che non si risveglia nessun
soggetto rivolu- zionario con azioni di avanguardia armata di questo tipo. La lot-
ta armata ottima per combattere il
fascismo e conquistare la democrazia, ma
semplicemente poco opportuna per consegui- re il comunismo. questo un segreto chiuso da mille sigilli sia
per i terroristi che per i pacifisti, anche se ovviamente per ragio- ni
opposte. I terroristi vogliono sostituirsi allattivit che costi- tuisce
ontologicamente i soggetti sociali, come se questi ultimi 114 dovessero essere
semplicemente rappresentati dalla lotta ar- mata. Non un caso, dunque, che i seguaci della lotta
armata si siano autorappresentati come nuovi partigiani, come se si po- tesse
seriamente paragonare la democrazia cristiana o lazienda capitalistica ai
fascisti e ai tedeschi. I pacifisti, invece, trasforma- no religiosamente la
non-violenza in principio metafisico e sovrastorico, e perdono di vista cos che
la lotta contro le estra- neazioni classiste assume necessariamente la forma
della mesco- lanza tra forza e diritto, rottura violenta e trasformazione
evolu- tiva. Leggendo i numerosi documenti dei gruppi armati, si rimane
talvolta colpiti quasi fisicamente dalle semplificazioni allucina- torie delle
loro analisi, e viene da pensare che abbiano veramen- te avuto dei cattivi
maestri non certo nel senso che costoro li abbiano spinti al male metafisico ma
in un significato pi ba- nale dinsegnamenti sbagliati. L'analisi del cosiddetto
SIM (stato imperialista delle multinazionali)
unassurdit economi- ca, che proviene da una concezione per cui il
capitale un centro che ha un'unica
direzione, laddove il capitale esiste soltanto nel- la forma di una molteplicit
di differenti capitali in conflitto. Lanalisi della DC in termini di struttura
di comando ultracapi- talistica fa sorridere, se si pensa al parassitismo
assistenziale, al- la rete di clientele nel Sud dItalia, ai sostegni
allagricoltura, al- l'intreccio fra volontariato giovanile e colonizzazione
politica da parte della mafia e della camorra. Lanalisi del PCI in termini di
tappo che comprime la rivoluzionariet delle masse popolari (probabilmente
derivata dalla lettura incredibilmente semplifi- cata che Renzo Del Carria ha
fatto della storia italiana) vera- mente
allucinatoria, se si conosce appena un poco la profonda affinit antropologica
fra la base, i quadri intermedi e il vertice di questo partito. E potremmo
continuare, ma non lo facciamo, perch non
questa la sede adatta. La lotta armata non stata il fattore che ha impedito il bel
compromesso storico, ma stata un
elemento che ha certa- mente contribuito a rafforzare indirettamente il sistema
dei par- titi, la consociazione tangentizia, il craxismo, la dissoluzione della
seconda sinistra. Coloro che la condussero non avevano 115 nessun mandato
sociale per farlo, ed bene ripeterlo
pacata- mente, ma anche fermamente. Da Avanguardia Operaia a Democrazia Proletaria.
Dalloperaismo militante ai nuovi soggetti. Ricordando Lotta Continua, Servire
il Popolo, Potere Ope- raio, la lotta armata, abbiamo inteso enumerare quattro
manife- stazioni organizzative del tentativo della seconda sinistra di
contestare l'egemonia politica della prima. In questa enumera- zione non ci
vuol essere nessun particolare giudizio di valore, ma una semplice costatazione
storica; monografie accurate e ben scritte su ognuna di queste esperienze
potrebbe indubbia- mente servire a tutti coloro che non volessero ripetere in
futuro gli errori del passato, dal momento che
noto che chi non cono- sce la storia
destinato a ripeterla. Vi per
unesperienza politica della seconda sinistra che ha mostrato la capacit
organizzativa di durare senza soluzione di continuit dal 1969 al 1991, ed allora opportuno ricordarla: si trattato di un gruppo politico nato nel 1969
come organizza- zione classista ed operaistica, che copriva con una mescolanza
ideologica fra trotzkismo e maoismo antistalinista una ben pi corposa cultura
classista ed operaista, ed evoluto progressiva- mente nel corso degli anni
Settanta ed Ottanta in formazione mi- croparlamentare divenuta progressivamente
ladunata di tutti i refrattari delle culture minoritarie di opposizione. Si
tratta del gruppo di Avanguardia Operaia, trasformatosi (con confluenze minori)
nel partito di Democrazia Proletaria. Ricordiamo qui il nome di Luigi Vinci,
non certo perch si tratti di un teorico mar- xista innovatore, quanto perch
questo dirigente ha incarnato la continuit organizzativa e la gestione tattica
di questa esperienza per ventidue anni buoni. In un'ottica di ricostruzione
filosofica delle idee marxiste, questa esperienza meno interessante di quella di Lotta Continua
e di quella di Potere Operaio, perch non si ha qui a che fare con un paradigma
innovatore come quel- lo delloperaismo di Panzieri o del comunismo dei
Grundrisse di 116 Negri. Avanguardia Operaia nasce come la proiezione politica
di unesperienza consiliare di base (i cosiddetti CUB), che anzi- ch darsi una
autocoscienza politica ispirata allanarchismo, a Mattick o Pannekoek incontra
una sorta di leninismo organizza- tivo fortemente mescolato con spunti derivati
da Rosa Luxem- burg, da Trotzkij e da Mao Tsetung. Questa forma di esasperato eclettismo peraltro assolutamento tipica dellideologia
dei gruppi dei primi anni Settanta, e in particolare della situazione milanese,
se pensiamo che Milano era da tempo la capitale ideologica dItalia, la citt in
cui il dibattito era stato pi ricco e pi fervido. La contraddizione principale
del classismo opetaista, a no- stro avviso, sta nel fatto che esso si vive
soggettivamente (con falsa coscienza necessaria) come globalmente alternativo
al capi- talismo e dunque come schiettamente rivoluzionario, laddove (non
essendo a nostro avviso la classe operaia un soggetto socia- le complessivo
capace di andare oltre il modo di produzione ca- pitalistico) esso non pu nei
fatti che trasformarsi in sindacali smo e in tatticismo politico non appena
vuol passare dalla ba- se alla grande politica. Si tratta di unevoluzione
assoluta- mente obbligata, di carattere sistemico, e non dovuto a tradi- mento
o ad arbitrariet. Avanguardia Operaia si trasform quindi dopo il 1976 in
Democrazia Proletaria, e questultimo gruppo, per sopravvivere in piccoli spazi
sindacali, culturali e microparlamentari, non pot che adattarsi ai vincoli
ferrei del si- stema politico: la creazione di una piccola e rissosa classe
politi- ca di professione, spesso maggioritariamente pronta a passare alle formazioni
che sembravano maggiormente tirare sul mer- cato elettorale (cio a promettere
posti di deputato, portaborse, impiegato di cooperative, giornalista,
eccetera); la creazione drogata di un capo carismatico da spendere nel sistema
dei media attraverso gesti esemplari, quasi sempre pagliacceschi, gli unici che
il sistema dei media registra (secondo il principio ine- sorabile per cui un
cane che morde un uomo non fa notizia, ma un uomo che morde un cane s, riuscire
ad addentare ai polpacci Andreotti avrebbe nel sistema dei media un impatto
mille volte maggiore di quello della pubblicazione del Capitale di Marx); la
117 corsa affannosa e senza principi a tutte le novit pacifiste, fem- ministe
ed ecologiste che gli anni Ottanta offrivano a iosa, senza ovviamente tener
conto del fatto che queste ultime, nella loro forma unilaterale, non
esprimevano affatto la richiesta di un ar- ricchimento non economicistico del
marxismo e del comuni- smo, ma semplicemente lesplosione e la frammentazione
dei soggetti sociali sempre pi subalterni; ed ancora tante altre cose, che qui
per brevit tacciamo. Nel 1991 questa organizzazione, dopo lunghe vicissitudini
tattiche, giunse all'appuntamento con la scissione del PCI e con la nascita del
partito della rifondazione comunista. Essa ci giun- se per estenuata dalle
scissioni e dagli abbandoni, al punto da non essere pi in grado di portare
dentro la nuova formazione l'eredit storica e ideologica della seconda
sinistra. Il partito della rifondazione comunista non nacque cos come una
sintesi creativa delle eredit di entrambe le tradizioni (prima e seconda
sinistra), ma come una continuazione ideale e organizzativa del- le ragioni del
vecchio PCI nella nuova fase storica. Chi scrive ritiene questo un vero e
proprio svantaggio culturale, e non in- tende in nessun modo nasconderlo. Dalla
lacuna contingente, per, pu nascere anche dialetticamente qualcosa di buono. A
un esame culturale pi ravvicinato, infatti, entramzbe le tradizioni erano
inesorabilmente giunte al capolinea. Si pone dunque il problema di un vero e
proprio nuovo inizio, ed un peccato che
questa espressione sia inflazionata, essendo stata mistificata- mente usata dai
peggiori continuisti e trasformisti. Nei prossimi capitoli condurremo unanalisi
volutamente non pi tattico-po- litica ( questo un mondo da cui non ci
aspettiamo sinceramente nessuna innovazione), ma esclusivamente culturale, con
la spe- ranza che da questa analisi emergano i primi suggerimenti per la
costituzione di un nuovo paradigma teorico comunista (che francamente la sola cosa che ci interessa in
questa congiuntura storico-politica presente). 118 V I grandi confronti teorici
con il marxismo: Bobbio, Del Noce e Severino Dopo aver analizzato, sia pur
sommariamente, la dinamica cul- turale e politica della prima e della seconda
sinistra, possibile passare a unanalisi
teorica pi ravvicinata dei rapporti fra il mar- xismo e le grandi
oggettivazioni teoriche della filosofia, della scienza, della dialettica e
dell'economia. Prima, per, necessario
ricordare alcuni pensatori di prima grandezza, che hanno saputo intetrogare il
marxismo ad un livello fondamentale, cos co- me a suo tempo cercarono di fare
Croce e Gentile. Interrogarsi sui fondamenti teorici del marxismo significa non
perdersi nel labi- rinto, fastidioso e insignificante, delle polemiche
spicciole di tipo giornalistico, ma riuscire a individuare gli strati pi
profondi su cui la deriva del continente teorico comunista ha luogo. Questi
pensatori sono come dei buoni geologi. Non si limitano a fotogra- fare la
superficie, ma ci dicono che cosa ci sta a mille metri di pro- fondit.
Riteniamo che pensatori di questo tipo ce ne siano stati molti, e se ci
limitiamo a tre soltanto (Bobbio, Del Noce e Severi- no), ci avviene perch ci
interessa discutere il nucleo teoretico da loro espresso, senza perderci nei
pur significativi dettagli. Ritenia- mo inutile classificare questi pensatori
in modo tipologico (laici o credenti, atei o cattolici, eccetera). Pensiamo,
anzi, che non si debba neppure cominciare lanalisi senza avere prima rinunciato
esplicitamente a quattro dicotomie assolutamente fuorvianti. Quattro dicotomie
fuorvianti: destra e sinistra, progressisti e conservatori, laici e credenti,
borghesi e proletari Abbiamo gi rilevato in precedenza come limbalsamazione e
lingessamento delle correnti culturali italiane nella fuorviante 119
distinzione di comunisti, socialisti, laici e cattolici non abbia mai avuto
alcun fondamento culturale autonomo, ma abbia soltanto indicato la duplicazione
spirituale, quasi sempre sfrontata- mente strumentale, degli aderenti colti al
PCI, PSI, PRI- PSDI-PLI e infine DC. Questa classificazione, del tutto inservi-
bile per la cultura, serviva per alla spartizione di finanziamenti pubblici
agli enti culturali, prima che la crisi fiscale dello sta- to, Maastricht, e il
neoconservatorismo portassero alla fine dei facili finanziamenti a pioggia alle
cordate colte in qualche mo- do protette dal potente ceto politico. Bisogna ora
mettere in discussione distinzioni e tipologie che si situano ad un livello
geologico ancora pi profondo, e che appunto per questa ragio- ne sono ancora pi
fuorvianti e pericolose, cos come lo sono certe fissazioni di tipo orale o
anale rimaste nellinconscio della psiche. i Una prima distinzione a nostro
avviso da rifiutare quella fra destra e
sinistra. Destra e sinistra sono venerabili categorie sto- rico-politiche, non
teoriche. Con esse si ricostruisce la storia po- litica degli ultimi duecento
anni in Europa, ma non ci si pu per nulla orientare filosoficamente (ad esempio
Heidegger, che stato fieramente di
destra, spiega il capitalismo nel suo intreccio fra scienza, tecnologia e
immagine del mondo molto meglio di Engels, che
stato a suo tempo fieramente di sinistra). Il tentati- vo di trasformare
le categorie di sinistra e destra da categorie fattuali, storico-politiche, in
categorie filosofiche, idealtipiche, sulla base di parametri rigidi
inevitabilmente astratti, non pu a nostro avviso riuscire. In questo modo, ad
esempio, si finisce con il ricavare la nozione di comunismo con un procedimento
di estremizzazione e di radicalizzazione del concetto di si- nistra. Il
comunismo diventa cos lestrema sinistra. Questa metafora spaziale, che pretende
di ricavare dei contenuti ideolo- gici da un segmento disegnato sulla sabbia,
porta fuori strada. Se il comunismo
lestrema sinistra, la socialdemocrazia
la si- nistra, la liberaldemocrazia
il centro, il conservatorismo la
destra, il fascismo l'estrema destra. Ogni tentativo di complicare questa
dicotomia, introducendo sempre nuovi parametri, da cui risulta che destra e
sinistra possono cambiare posto come nel 120 gioco dei quattro cantoni, non
risolve il problema ma lo ripro- duce in forma pi sofisticata, cos come in
epistemologia il falsi- ficazionismo non cambia, se al posto della versione
rigida di Popper se ne d una versione pi sofisticata alla Lakatos. In realt la
dicotomia sinistra/destra, quando si vuole passare dagli schieramenti
parlamentari alle analisi culturali, ci porta fuori strada, ed proprio una manifestazione di quella
ideologia ita- liana contro cui intendiamo polemizzare, la politicizzazione af-
frettata e strumentale di tutte le possibili oggettivazioni del pen- siero.
Questo un errore che lo stesso Marx non
faceva, per quanto a nostra conoscenza.
Una seconda distinzione da rifiutare
quella fra progressisti e conservatori, che pure estremamente dura a morire. Tutti san- no che
Rousseau e Leopardi, pet fare un esempio banale e noto a tutti, non furono
affatto progressisti, mentre insigni sciocconi lo furono. vero che la nozione di progresso fu difesa
con argo- menti profondi e meditati da grandi pensatori, come ad esempio
Luk4cs, che vede nellidea di progresso un'eredit legittima del Settecento e
dell'Ottocento da rivendicare, e che si tratta soltan- to di dialettizzare per
toglierne gli aspetti meccanicistici e po- sitivistici, effettivamente
insostenibili dopo Auschwitz e Hiro- shima. Anche chi scrive ritiene che la
nozione di progresso non possa essere gettata via ou? court. Senza una nozione
di progresso non infatti neppure
pensabile il comunismo inteso come progressivo superamento delle estraneazioni
in direzio- ne di una universalizzazione reale del genere umano. Nellacce-
zione corrente, per, il progresso non ha affatto questo signi- ficato che
comprende organicamente lunit fra incivilimento dei costumi sociali e aumento
della conoscenza scientifica del- le leggi naturali, ma ha assunto un
significato assai pi schemati- co e ingenuo. Il progresso semplicemente il macchinismo, e questo tutto. Per contro, la crescente
consapevolezza del problema dell'ambiente, dei limiti dello sviluppo e della
mi- naccia non soltanto dellinquinamento, ma dello stesso venit meno dello
habitat naturale (buco nellozono, eccetera), induce a trattare con meno
alterigia il vecchio termine di conserva- zione. 121 Una terza distinzione da
lasciare alle spalle quella fra laici e
credenti. Certo, i credenti credono spesso in un Demiurgo Stellare chiamato Dio
che avrebbe creato luniverso, magari at- traverso il big bang e prendendosi
tutto il tempo astronomico, geologico e biologico necessario (dal momento che
pate non si neghi a nessuno una croce di cavaliere, non si vede perch si debba
negare a Dio il tempo darwiniano per l'evoluzione delle specie). Altri
credenti, incerti sullesistenza matetiale, spazio- temporale, di un Demiurgo
Stellare, e propensi a tacere sulla sua collocazione (come i cartesiani del
Seicento, che non sapevano dove fosse Dio, ed erano chiamati nullibisti dal
termine latino che indica come Dio non sia in nessun posto preciso), affermano
invece lesistenza certa di un Principio Morale Superiore. ap- punto quello che fanno tutti i laici, che
sono quasi sempre dei credenti nullibisti, soprattutto in Italia, paese cattolico
e non protestante, in cui il laicismo la
forma socialmente permessa di protestantesimo (il termine stesso di laico e di
laicismo quasi intraducibile nelle
lingue protestanti, ortodosse e musul- mane, come linglese, il greco moderno e
larabo, mentre di ca- sa nelle lingue
cattoliche, come il francese e litaliano). Il laici- smo a nostro avviso una secolarizzazione pi
rigorosa e meno fondamentalistica della tradizionale morale religiosa, che
trasfe- risce in modo rigoroso le caratteristiche della religione al modo di
produzione capitalistico spiritualizzato. I laici sono quasi sempre i pi
accaniti sostenitori della modernizzazione capitali- stica, e sono anzi dei
veri e propri fondamentalisti del capitali- smo. Andando risolutamente contro
corrente, riteniamo da tempo che il modo di produzione capitalistico,
atomizzando il singolo e rendendolo perci disponibile alla chiamata di un Es-
sere di cui si persa la capacit di
decifrazione della genesi (che lunit
astratta del lavoro sociale, come chiariremo meglio pi avanti nel paragrafo
dedicato a Massimo Bontempelli), molto
pi religioso del modo di produzione feudale. La sua religio- sit, per, si
manifesta in modo meno organicistico-comunita- rio, perch si interiorizza nella
singola individualit estraniata come credenza nella insuperabilit destinale del
modo di produ- zione capitalistico e nella fatalit delle leggi della sua
riproduzio- 122 ne. Questa credenza si manifesta a sua volta nel duplice
aspetto del monetarismo e del moralismo, che ne secolarizzano rispetti vamente
le due vecchie modalit classico-religiose della Neces- sit e della Libert. Il
laico crede infatti generalmente nella ne- cessit dell'economia, i cui vincoli
ci obbligano, lo vogliamo o no, ai sacrifici pi dolorosi e inevitabili, mentre
la libert confi- nata nelle due sfere
derivate della riforma morale e di quella po- litica (in Italia: no a
Tangentopoli, s alla riforma elettorale uni- nominale). Questa religione del capitalismo, credenza nelle sue
leggi, anzi nei suoi Voleri. Che cosa importa a questo punto che il Laico non
creda nel Demiurgo Stellare o nel Grande Co- comero, come il cane Snoopy dei
disegni a fumetti? Meglio cre- dere nel Demiurgo Stellare, nella Verginit di
Maria e nella Im- macolata Concezione, piuttosto che credere nella religione
del- l'economia capitalistica! Una quarta ed ultima distinzione, forse la pi
radicata e data per scontata, quella fra
Borghesia e Proletariato, intese come categorie teoriche, filosofiche. Esse
sono certamente categorie storiche e sociologiche, accertabili con la denuncia
dei redditi, con il catasto dei beni immobili e con laiuto di fiscalisti, com-
mercialisti e notai. Il prezzo delle case, degli alloggi e dei suoli
urbani un ottimo parametro, se lo si vuole,
per distinguere so- ciologicamente borghesi e proletari, insieme con i luoghi
di vil- leggiatura, le cliniche private, i mezzi di trasporto, la cilindrata
dellautomobile, la scelta del ristorante e il rifacimento dei glutei e del
seno. Se si ha un poco di tempo da perdere, i parametri per distinguere
borghesi e proletari sono ancora pi numerosi. Se invece si vogliono usare
queste due categorie per orientarsi filo- soficamente, il fallimento assicurato. La Borghesia viene infatti spesso
deplorevolmente confusa con il Capitalismo, ma questo un obbrobrio concettuale, perch il capitaliimo un sistema anonimo ed impersonale,
integralmente disantropomorfizzato, mentre la borghesia una classe-soggetto titolare di una co-
scienza in continua e metamorfica mutazione. Il Proletariato anchesso deplorevolmente confuso con la
Classe Operaia, ma questultima la classe
sociologica che comprende linsieme dei lavoratori che Marx chiama produttivi,
con esclusione dei 123 manager, mentre il proletariato una classe filosofica, empirica- mente
invisibile, che dovrebbe spezzare, insieme alle proprie catene radicali, le
catene radicali dellintera umanit. In buona sostanza, ritenere che Borghesia e
Proletariato continuino ad af- frontarsi e a combattere una Grande Narrazione, che ipotizza
lesistenza di due soggetti pieni, che garantiscono con la perma- nenza della
loro identit storica originaria la realizzazione finale del loro progetto
iniziale, rimasto sostanzialmente intatto. Tutto ci a nostro avviso non esiste,
e non che una forma popolare di una
religione gnostica e dualistica delleterna lotta del Bene con- tro il Male. Il
capitalismo invece esiste, e funziona non certo in base a due classi-soggetto
originarie ed identiche, ma in base alla continua costituzione di agenti della
produzione capitalistica. Fonte di tutto questo? Marx, una volta che lo si
voglia leggere in modo critico e non mitico-religioso. Vi sarebbero molte altre
cose da dire sulle quattro dicotomie che proponiamo di abbandonare con rito
abbreviato, ma lo fa- remo in altra sede. In questo capitolo, ci siamo
soffermati su di esse esclusivamente per far notare che quando ci si trova di
fron- te a dei veri pensatori (come i tre che ora segnaleremo) non ha
assolutamente nessun senso chiederci se essi siano cattolici o lai- ci, di
destra o di sinistra, se non per ovvie ragioni di ricostruzio- ne biografica e
d'ambiente. La vera domanda invece
questa: hanno costoro qualcosa di intelligente da dire o no? Se s, come
pensiamo, dove stanno le cose intelligenti che possono insegnar- ci, anche se
(come il nostro caso) non le
condividiamo quasi per nulla? Tutto il resto
veramente superfluo e poco rilevante. Norberto Bobbio e le idee marxiste
Il filosofo torinese Norberto Bobbio
stato da molti conside- rato il vincitore teorico del 1989. Il crollo
epocale del comuni- smo storico novecentesco non ha forse dimostrato con i
fatti la superiorit della democrazia sulla dittatura? Non si forse trattato di una verifica empirica della
preferenza degli esseri umani per la libert, unita al loro ripudio per il
totalitarismo? In 124 realt, Bobbio si
sempre qualificato non tanto come un apolo- geta puro della democrazia
capitalistica, quanto come un teorico dellosservanza rigorosa delle regole del
gioco. Egli ha tenuto fermo, per un cinquantennio (e quale cinquantennio!) il
princi- pio della definizione formale della democrazia e dell'agire poli- tico,
insieme con il rifiuto di ogni demonizzazione politica del comunismo. Da un
punto di vista storico, egli stato il
grande temporeggiatore, il Quinto Fabio Massimo dellanticomunismo (o
dellacomunismo) italiano del Novecento: i comunisti non dovevano essere
emarginati, schiacciati, perseguitati; era meglio attendere il loro possibile e
probabile riassorbimento nella teo- ria e nella pratica della democrazia
liberale tradizionale; alla fi- ne, questo riassorbimento avvenuto, in contemporanea con il crollo
sociale dell'Est europeo. Ad un primo esame, il pensiero di Bobbio pu sembrare
po- vero e poco originale. Da un lato, il suo pacifismo poco pi di una forma di appoggio ad un
arbitrato pacifico internazionale (gi perfettamente presente nel Kant della
Pace Perpetua) e di una condanna allequilibrio del terrore e alle guerre
atomiche impossibili (ma quando le guerre presentano il doppio carat- tere di
essere non atomiche, e quindi possibili, e di essere per- messe da un legittimo
organo internazionale, come quella degli USA contro Saddam Hussein nel 1991,
egli si schier a favore). Dallaltro, il suo rifiuto filosofico della dialettica
non si distingue in nulla da quello di Nicola Abbagnano e della scuola
filosofica torinese degli anni Cinquanta e Sessanta. Eppure, riteniamo che la
filosofia di Bobbio, che molti considerano essere poco pi di un prolungamento
di un'attivit didattica universitaria partico- larmente feconda e fortunata,
presenti in realt aspetti di pecu- liare profondit. A prima vista, lo
ripetiamo, la filosofia politica di Bobbio
semplicissima e poverissima, e si compendia in due soli principi
cardinali. In primo luogo, la classica separazione (crociana) fra economia e
politica, per cui i sistemi politici e le loro regole di legittimazione sono
indagati in modo completamente distinto dai rapporti sociali di produzione,
marxianamente concepiti. In questo senso, quella di Bobbio non tanto una critica della teo- 125 ria politica
marxista, come molti opinano superficialmente, ma un vero e proprio rifiuto
preliminare di prenderne in esame le premesse storico-ontologiche fondamentali.
In secondo luogo, la limitazione rigorosa alla forma delle regole del gioco,
per cui resta sullo sfondo non solo il contenuto economico e sociale che queste
ultime devono esprimere, regolamentare e legittima- re, ma risulta ignorato
anche il profilo antropologico che fa da supporto alle varie forme di governo
(come avviene invece in Platone, Montesquieu e molti altri pensatori politici
classici che Bobbio conosce benissimo). Non
questo, dunque, sempli- ce, banale formalismo? Il fatto che la forza del formalismo sta nel suo
essere il segre- to contenuto del capitalismo. Cos come in Kant il compito
della filosofia della conoscenza sta nel dare soltanto la forma della co-
noscenza, perch il contenuto di essa ci viene dallesterno, ana- logamente nel
capitalismo i rapporti economici danno la sostan- za delle cose, e le regole
politiche del gioco devono limitarsi a le- gittimarne le forme. Il capitalismo
non una economia sostan- tiva (per dirla
con Polanyi), e il segreto della sua teoria politica sta in ci, che le regole
del gioco, lungi dallessere soltanto un in- volucro esterno della politica, sono
esattamente la forma sostan- ziale della politica stessa (cio ci che la
determina come specifi- catamente capitalistica). In questo senso, il
capitalismo liberal- democratico nella
sua pi profonda essenza, e tollera il fascismo . e il nazismo soltanto come
eccezioni apparenti. In Bobbio, peraltro, vi
bens un concetto di fascismo, ma non c alcun concetto di imperialismo,
proprio perch il fascismo passibile di
una condanna politica distinta da quella economica, mentre per criticare
l'imperialismo bisogna per forza coniugare la poli- tica con l'economia. . Per
capire meglio quanto andiamo dicendo occorre riflettere bene sulla cruciale
nozione di unit del lavoro sociale complessi- vo (ove con il termine lavoro si
intenda lintera riproduzione sociale dei rapporti di produzione, e non solo il
lavoro inteso come produzione di oggetti materiali o di servizi immateriali).
Nel feudalesimo lunit del lavoro sociale complessivo si realiz- za proprio
concretizzandosi in separazioni castali sostantive 126 (diseguaglianza fra gli
uomini, castalizzazione formale, distin- zione fra nobili e plebei, eccetera).
Nel capitalismo, invece, lu- nit del lavoro sociale complessivo si realizza
astrattizzandosi, dal momento che i singoli in-dividui, tutti formalmente
eguali, che compongono la societ capitalistica, trovano il loro legame sociale,
la loro connessione essenziale, attraverso la divisione del lavoro e
lunificazione della forma di merce in via di princi- pio accessibile a #46#
coloro che hanno i soldi per comprarla (e nel capitalismo tutti, formalmente,
possono astrattamente com- prare le merci che vogliono). Questa
astrattizzazione della for- ma di esistenza storica dellunit del lavoro sociale
capitalistico complessivo si esprime, politicamente, in regole del gioco
altret- tanto astrattizzate e formalizzate, esattamente quelle regole che
Bobbio formula e riformula instancabilmente. In una parola: la concretizzazione
politica del capitalismo
lastrattizzazione. La regola politica del gioco d la forma, e il
contenuto dato dal movimento
dell'economia e della sua riproduzione apparente- mente non politica (crisi,
sviluppo, tecnologia, eccetera). Se Kant
tanto importante nella storia della filosofia borghese mo- derna, ci sar
pure per qualche ragione, no? questa
dunque, a nostro avviso, la grandezza di Bobbio. La sua analisi del
marxismo estremamente povera, e incorre
an- che in equivoci clamorosi. Ad esempio, egli gli vuole applicare ad ogni
costo la dicotomia collettivismo/individualismo, collo- cando il comunismo
dalla parte del collettivismo e la liberalde- mocrazia dalla parte
dellindividualismo, laddove per Marx il comunismo non affatto collettivismo, ma trionfo della
libera individualit. Nello stesso tempo, il suo disinteresse per tutti i
pensatori maxisti che non si sono occupati di forme della poli- tica (da Lukcs
a Althusser, da Bloch a Adorno) totale e
quasi ostentato. Eppure, lo ribadiamo, la sua grandezza sta nella- vere tenuto
fermo il principio della formalit astratta delle rego- le del gioco, che
abbiamo visto essere la concretizzazione del le- game sociale capitalistico.
Dal momento che tutti i filosofi, dai pi piccoli ai pi grandi, pensano sempre e
soltanto una cosa, e una cosa sola, la religione della formalit basta ed avanza
per fare di Bobbio uno dei pi grandi filosofi italiani del Novecento. 127
Augusto Del Noce e le idee marxiste Abbiamo visto che la grandezza di Bobbio
non deve essere individuata nel suo essere un critico del marxismo (egli pre-
tende, per discutere, che i marxisti accettino tre presupposti che essi non
possono accettare: che si possano separare economia e politica, che il
comunismo sia una teoria delleguaglianza e non della libert, che il marxismo si
basi sul collettivismo e non sul- lindividualit) o nel suo essere un pacifista
(egli in realt un sostenitore kantiano
dellarbitrato internazionale, e per il resto trova giuste certe guerre e
ingiuste certe altre, fino al clamo- roso esempio del 1991). La grandezza di
Bobbio sta nel suo essere un teorico in positivo del capitalismo democratico.
Per il capitalismo democratico il formalismo
sostanza, lastrattiz- zazione della norma la sua specifica concretizzazione estrania-
ta, dal momento che la concretizzazione sostanziale sempre data dall'esterno dalla doppia forma
della divisione sociale e tec- nica del lavoro, da un lato, e della merce
capitalistica, dallaltro. La grandezza di Augusto Del Noce, il filosofo
cattolico cri- tico del marxismo, deve essere vista altrove. Egli sostanzial- mente un critico non del
marxismo, quanto del cattocomunismo italiano, cui legato da un ossessivo rapporto di
odio-amore. Nel primo capitolo della seconda parte di questo saggio si det- to che il cattocomunismo si basa sulla
distinzione teorica fra il materialismo dialettico, identificato con lAteismo
(e quindi inaccettabile), e il materialismo storico, identificato con la Storia
(e quindi accettabile), e abbiamo rilevato che con questa opera- zione
filosoficamente fragilissima ci si cacciava soltanto in una strada senza uscita
(dal momento che sia il principio della Scien- za, posto dal materialismo
dialettico, sia quello della Storia, po- sto dallo storicismo, sono in realt
altrettanto e pi religiosi di quello di Dio). Del Noce, che appare a prima
vista soltanto co- me un critico cattolico-tradizionalista del cattocomunismo
ita- liano (Rodano, Balbo, eccetera), in
realt molto di pi. Egli fa notare correttamente che lAteismo non soltanto una negazio- ne
cosmologico-astronomica di Dio, ma ne
anche una nega- zione sociale e storica. Il comunismo una sfida ai limiti antro- 128 pologici
delluomo, segnati irrevocabilmente da Dio con il pec- cato originale, e il suo
storicismo allora assolutamente identico
allateismo stesso, dal momento che il principio immanentistico del comunismo,
gi stabilito dal pensiero borghese moderno, da Cartesio allilluminismo,
non che la versione proletaria e ope-
raia dellUmanesimo ateo (l'Uomo al posto di Dio, anzich Dio che si fa Uomo in
Cristo). Tutta la lunga polemica di Del Noce contro il marxismo mo- stra che
per questo filosofo cattolico la teoria dei modi di produ- zione e delle
estraneazioni capitalistiche letteralmente non esi- ste, che lEssere di
conseguenza non mai lunit astratta del
la- voro sociale complessivo, che non lo sfiora mai il minimo dub- bio sulla
natura integralmente comunista della testimonianza del Ges storico, e che il
suo obiettivo polemico non mai Marx, ma
sempre il cattocomunismo italiano. In realt il marxi- smo, correttamente inteso
e filosoficamente approfondito, non un
ateismo. Lateismo un Umanesimo,
lumanesimo a sua volta un Naturalismo (non
nel senso degli ecologisti estremisti, che sono in effetti antiumanisti, ma nel
senso per cui l'Uomo ha una Natura umana immutabile), e il comunismo
moderno invece una pacata critica
dialettica alle illusioni metafisiche ed apriori- stiche dellUmanesimo e del
Naturalismo. Certo, la pretesa sta- liniana (e parzialmente togliattiana) che
il partito comunista ab- bia il monopolio del senso della storia e della sua
direzione una pretesa atea, ma non certo
perch si tratta di una pretesa marxista e comunista: essa una pretesa atea perch, essendo lateismo una
religione speculare, eguale e contraria al deismo, ritiene di poter togliere
alla libera individualit la titolarit del senso della storia per avocarla ad un
universale astratto come il Partito (definito o meno come Moderno Principe,
eccetera). Nella sua polemica accanita contro il cattocomunismo, Del Noce
scopre per due cose, che fanno di lui a nostro avviso un grande filosofo. In
primo luogo, scopre che lateismo in
realt un nichilismo, dal momento che sostituire Dio con la Storia vuol dire in
realt sostituirlo con Niente (anche il poeta Montale dir cose analoghe sulla
inesistenza della Storia che chi scrive
ad un tempo montaliano e comunista
condivide pienamente). 129 Certo, Del Noce vorrebbe opporsi al Niente
dellateismo nichi- listico con la dogmatica tradizionalistica cattolica, senza
vedere che anch'essa un prodotto
dellarbitrio storico come quellillu- minismo che non gli piace. Come tutti i
cattolici italiani, Del No- ce identifica a tal punto il cattolicesimo con il
cristianesimo nella sua interezza, da non prendere neppure in esame le due
obiezio- ni fondamentali che fanno ad esso rispettivamente lortodossia e il
protestantesimo. Da un lato, non hanno certo torto gli orto- dossi a rilevare
che, se si vuole aggiungere al magistero della Scrittura anche quello della
Tradizione, allora del tutto arbi-
trario soggettivizzare questa tradizione monopolizzandola nelle mani
monarchiche del solo papato cattolico. Dallaltro la- to, non hanno certo torto
i protestanti nel rilevare che, se c unistanza abilitata ad interpretare la
tradizione, non si vede perch non debba essere allora il singolo credente
nellinteriori- t della sua coscienza sovrana (e chi scrive ha infatti sempre
tro- vato molto pi coerenti, nel loro legittimo e sacrosanto antipapi- smo, gli
ortodossi e i protestanti). Dal momento che il cattolice- simo non un universalismo, ma solo la proiezione
storica del medioevo carolingio nella sua doppia opposizione a Bisanzio e
all'Islam, lassolutizzazione che di esso compie Del Noce, iden- tificandolo con
il cristianesimo, a nostro avviso del
tutto inso- stenibile. Risultano, in breve, insostenibili due equazioni: catto-
licesimo=cristianesimo; comunismo=ateismo. Vi
per un secondo punto, in cui Del Noce ha la mano felice. Egli
diagnostica in modo correttissimo la patologia nichilistica del marxismo
italiano, individuando nel suo storicismo la de- bolezza genetica che ne pu
causare l'integrale riassorbimento nella normale modernizzazione laico-capitalistica.
Se pensiamo che Del Noce effettua questa diagnosi infausta a partire dagli an-
ni Sessanta (a nostro avviso, solo lui e Bordiga accostamento che pu sembrare folle, ma che
crediamo invece legittimo rie- scono a
stilare tanto precocemente una simile diagnosi azzecca- ta), e che questa
diagnosi descrive in anticipo la trasformazione ideale e materiale del PCI in
PDS quando ancora nessuno osava lontanamente immaginarla, dovremo riconoscere
che la preveg- genza esiste. Nel caso di Del Noce, per, questa estrema acutez-
130 za nella previsione non viene dallequazione comunismo=atei- smo, che
abbiamo visto essere infondata, ma nella corretta equa- zione
storicismo=nichilismo. Dal momento che questa
lequa- zione giusta, e non la prima,
bene passare allesame del filosofo italiano che meglio lha capita.
Emanuele Severino e le idee marxiste Se la questione del nichilismo centrale, come crediamo, bi- sogna ammettere
che Severino un grande filosofo, per il
sem- plice fatto che la capisce. Da un lato, Bobbio ritiene che il marxi- smo
sia una sorta di nichilismo politico, perch non crede nella formalizzazione
astratta delle regole del gioco, laddove invece il laicismo non lo sarebbe cos
tanto, data la sua accettazione di esse (lo sfruttamento capitalistico lo si ricordi bene won
per Bobbio una regola del gioco, ma un presupposto esterno, esattamente
come lo il noumeno per Kant).
Dall'altro, Del No- ce crede che il cattolicesimo possa sfuggire al nichilismo,
dato il suo ancoraggio in credenze metafisiche certe perch rivelate da
unistanza sovrastorica, eterna, immutabile. Emanuele Severino pi grande di Bobbio e di Del Noce perch
almeno capisce che, nichilismo per nichilismo, il laici- smo bobbiano e il
cattolicesimo delnociano lo sono altrettanto del marxismo storicista (che
peraltro anche lui e qui sta la sua non
grandezza identifica con il comunismo
moderno tout court). Severino ha una nozione pi vasta e articolata di nichili-
smo, e include in esso correttamente il laicismo progressista, il marxismo
storicista, e infine il cattolicesimo, sia nella variante di sinistra,
cattocomunista, che nella variante di destra, tradi- zionalista e
democristiana. La nozione del nichilismo
ricavata da Severino da una inda- gine radicale sulle origini della
filosofia greca. In modo del tutto corretto Severino individua in Parmenide di
Elea il pensa- tore pi grande e quello pi originario, dal momento che Parmenide
avrebbe saputo porre correttamente il problema dellEssere nella sua forma pi
pura ed insuperabile. Parmenide 131 non avrebbe dialettizzato lEssere con il
Nulla ricavandone il Divenire (come avrebbero fatto in modo sostanzialmente
analo- go Eraclito ed Hegel), ma lo avrebbe tenuto fermo alla sua stabi- lit e
permanenza, dal momento che non cera altro modo per salvare il senso della vita
umana dallannichilimento che la temporalit porta necessariamente con s. La
dialettizzazione dellEssere con il Nulla su cui si fonda il marxismo, nella sua
fol- le speranza di trovare nel divenire storico il fondamento ontolo- gico del
comunismo, non si distingue qualitativamente per Seve- rino da due analoghe
operazioni nichilistiche, quella della re- ligione cristiana che fa creare il
Mondo da Dio a partire dal Nul- la, e quella del progressismo laico borghese,
che vede nella Sto- ria il Luogo del Divenire dell'Uomo. Cos come Heidegger,
Se- verino vede nella tecnica e nella scienza moderna assai pi una minaccia che
una garanzia di salvezza, e in questa posizione non vediamo proprio niente di
irrazionalistico e di premoder- no, dal momento che essa ci sembra piuttosto un
onesto tico- noscimento di quanto ci avviene intorno ogni giorno. Sono piut-
tosto due i rilievi critici che a nostro avviso Severino merita, e li faremo
qui sommariamente, senza perderci in particolari anche utili, ma non
essenziali. In primo luogo, Severino non d mai la genesi storica e filoso- fica
del concetto di Essere in Parmenide. Vi
una corrente inter- pretativa, in cui ci riconosciamo, che sostiene, con
ricca docu- mentazione geografica, storica ed archeologica, che lEssere di
Parmenide deve essere inteso come la proiezione simbolica del- l'unit della
polis di Elea nella sua inscindibilit fra 4cropoli ed agor, alto e basso, zona
in ombra e zona illuminata dal sole, ec- cetera. Conosciamo le obiezioni
filologiche a questa interpreta- zione, cos come conosciamo la parallela
interpretazione di Sohn-Rethel (cui non crediamo) secondo cui lEssere astratto
di Parmenide non che la proiezione del
valore di scambio delle- conomia monetaria greca, contrapposto al valore duso gerar-
chizzato del modo di produzione antico-egizio ed orientale (da tempo vediamo in
questa interpretazione di Sohn-Rethel la proiezione nel passato remoto del
fraintendimento di Adorno 132 del pensiero di Marx, per cui al centro non c la
divisione del la- voro, ma la forma di merce). Al di l di questi problemi, ci
sta il fatto che lEssere di Parme- nide, che
Uno e Indivisibile, non pu essere a nostro avviso una semplice
proiezione cosmologica e teologica, per cui lEsse- re sarebbe o lunit
newtoniana o einsteiniana delluniverso (i greci non avevano a nostro avviso
questa capacit tutta moderna di astrarre la natura dalla societ), oppure un Dio
monoteisti- co filosoficizzato. LEssere di Parmenide, se vera linterpreta- zione data in
precedenza, in realt lunit astratta del
lavoro sociale complessivo nella forma specifica di quei tempi, che era- no
appunto i tempi dellacropoli, del dominio del valore duso su quello di scambio,
del primato dei sacerdoti e dei guerrieri sui mercanti, questo lUno che deve essere tenuto
unito, que- sto lUno che non si deve
nullificare dividendolo in gruppi anta- gonistici. In una parola: lEssere lastrazione dellunit sociale, espressa nella
forma religiosa della rivelazione sapienziale, la so- la possibile a quei
tempi. Severino assomiglia allora a nostro avviso a Cristoforo Co- lombo.
Quest'ultimo scopre l'America, ma non sa di esserci ar- rivato, ed convinto allora di essere soltanto arrivato
nelle Indie per la via pi breve. Analogamente, Severino scopre lunit del-
lEssere come problema fondamentale della filosofia (altro che il cosiddetto
primato dellEssere sul Pensiero, fraintendimento positivistico che il marxismo
si porta dietro da cento anni!), ma non sospettando mai che lunit dellEssere
non altro che la connessione unitaria,
dialetticamente essenziale, del lavoro so- ciale complessivo nullificato dallo
sfruttamento, non pu esplorare la sua stessa geniale scoperta, e deve
necessaria- mente tornare allEssere come Valore, o insieme di Valori, che esattamente il significato che danno al
termine essere i laici e i cattolici. Severino
allora un Colombo che aspetta ancora il suo Amerigo Vespucci. In secondo
luogo, e di conseguenza, Severino finisce con la- vere del marxismo una nozione
errata, assai simile a quelle so- stenute da Bobbio e da Del Noce: il marxismo
come primato del valore delleguaglianza sul valore della libert, il marxismo
133 come negazione dellesistenza di Dio sostituito con la Scienza (materialismo
dialettico) o con la Storia (storicismo), il marxi- smo come primato del
collettivismo sullindividualismo, eccete- ra. Il marxismo, in realt (come
ribadiremo nellundicesimo ed ultimo capitolo di questo saggio), lunit di ontologia ed assio- logia, cio di
conoscenza e valutazione, che sorge sul fondamen- to del rispecchiamento
dellunit contraddittoria del lavoro so- ciale complessivo, scandito
storicamente in diversi modi di pio- duzione. L'oggetto di Marx pertanto lo stesso di quello di Par- menide e
di Eraclito, di Platone e di Hegel, con l'essenziale dif- ferenza che Eraclito
ed Hegel dialettizzano le Unit rispetti- vamente postulate da Parmenide e da
Platone in modo atempo- rale (pi esattamente, in un modo che vede il tempo
unicamente come fattore di dissoluzione). Nei prossimi capitoli, attraverso la
deviazione di altri pensatori, cercheremo di chiarite come le vecchie dicotomie
teoriche (materialismo/idealismo, scien- za/filosofia, dialettica/differenza)
siano quasi sempre altrettanto inutili delle quattro dicotomie con cui abbiamo
aperto questo capitolo (che consideriamo il capitolo filosoficamente centrale
di questo saggio). 134 VI Le idee marxiste e la filosofia Una convivenza
difficile Abbiamo molto insistito nei capitoli precedenti, e in partico- lare
in quello su Togliatti, che nel paese per eccellenza degli sto- rici e dei
filosofi, storia e filosofia sono state unificate nel com- plesso storicista,
cio in una ideologia del primato della dire- zione politica. La storia corre
cos il rischio della manipolazione e dell'uso strumentale: quando utile ravvivare la memoria e il ricordo di
combattenti, partigiani, eccetera, si fanno ponti doro alla memotialistica;
quando questo non interessa pi al ceto po- litico e a quello giornalistico che
se ne fa chiassoso amplificatore, loblo scende su un passato che non serve pi.
Anche la filosofia corre rischi molto grandi. A differenza della storia, essa
non ha neppure a che fare con i fatti, ma soltanto con opinioni spesso oscure,
contestabili, evanescenti. Mentre lo storico ha a disposizione collaudatissime
tecniche di ricerca, va- glio delle fonti, verifica, il filosofo non dispone di
nulla di tutto questo, anche se si fa un gran parlare di ermeneutica e di
teoria dellargomentazione. Lermeneutica
infatti un modo sofistica- to per indicare ci che nel linguaggio comune
si chiama brutal- mente il mondo delle opinioni soggettive, inevitabilmente
arbi- trarie, mentre tutte le riformulazioni moderne della teoria del- lagire
comunicativa e delle sue regole (da Apel a Habermas) non riescono a nascondere
di essere soltanto la riformulazione sofisticata e pedante di ci che al tempo
degli antichi greci era chiamato retorica e dialettica. La filosofia non dunque qualco- sa di scientifico. Una
filosofia scientifica un sole bagnato,
unacqua asciutta, un logaritmo giallo, una pietra vivente. Certo, esiste una
esposizione scientifica della filosofia, nel senso di Spinoza e di Hegel, ma
non questo il significato corrente di
135 scienza, e su questo punto preferiamo ispirarci al secondo Wit- tgenstein,
e dare ai termini, ove possibile, sempre il loro signifi- cato comune. La
filosofia resta per chi scrive il mondo della ri- cerca del senso e della
minaccia della sua perdita, un discorso li- bero su di una totalit
irrapresentabile, un tentativo di connota- re con parole spesso pedanti e oscure
un rapporto ambiguo fra lindividualit concreta del singolo e l'orizzonte
storico e sociale che lo trascende irrevocabilmente. Abbiamo sostenuto nel
precedente capitolo che la nozione di Essere dev'essere ricondotta alla
trasfigurazione simbolica del- lunit astratta del lavoro sociale complessivo, e
quella di Nulla alla possibilit della sua scissione. La filosofia finch resta
sul suo terreno e non accede alla scienza dei modi di produzione (anche se come vedremo nel prossimo capitolo la scienza dei modi di produzione non scientifica come le altre, per- ch include la
percezione della scissione sociale come estranea- zione: e lestraneazione non
diventer mf un concetto scienti- fico in senso galileiano), non pu giungere a
considerare lEs- sere come unit astratta del lavoro sociale complessivo. Essa
pu per giungere a considerarlo come lunit astratta dellinte- ro genere umano,
ed per questo che riteniamo (a,
differenza di come sostenne a suo tempo Althusser) che la filosofia marxista
possa essere legittimamente un umanesimo, dal momento che lUmanesimo pur sempre un modo ambiguo di connotare
astrattamente lunit dell'intero genere umano (ad esempio, pet opporsi al
razzismo e al sessismo, giusto sostenere
che lunica razza quella umana e non ve
ne sono altre). Il passaggio dalla considerazione dellunit astratta dellinte-
ro genere umano alla considerazione della concretizzazione del- lunit del
lavoro sociale complessivo contro le estraneazioni che lo scindono #0 pu essere
fatto sul solo terreno della fi- losofia. Questo passaggio implica lo studio
obbligatorio della storia, dell'economia, dellantropologia sociale, della
psicolo- gia, della sociologia, eccetera. Le facolt universitarie di filosofia
e pi in generale la comunit filosofica ufficiale non possono consentire un
simile passaggio, perch sono istituzionalmente organizzate per impedirlo. cos che deve essere concepito a 136 nostro
avviso ci che viene generalmente battezzato dai marxisti (ambiguamente ed
erroneamente) il passaggio dalla filosofia alla scienza: non un impossibile
accesso del marxismo allo statuto scientifico della fisica e della chimica, ma
una trascrescenza dalla considerazione astratta dellunit dell'intero genere
umano alla considerazione concreta dell'unit del lavoro sociale com- plessivo.
Senza impostare cos le cose, a nostro avviso, si entra in un labirinto senza
uscite e senza filo di Arianna, e la filosofia diventa una cosa introvabile,
vaga, soggettiva, a met tra la chiacchiera ispirata e oracolare ed il lusso
culturale per gli ad- detti ai lavori. Lo statuto marxista della filosofia. Un
problema aperto. Ci fu chi sostenne seriamente che il filosofo non altro che un musicista senza talento. Con
questa espressione severa e sprez- zante, amatissima da tutti i neopositivisti
e condivisa sotto ban- co (ne siano assolutamente convinti!) dal 95% dei
praticanti delle scienze dure, che pensano che l dove non ci sono calco- li,
numeri ed esperimenti non ci sono in fondo che chiacchiere inutili, si intende
dire che il filosofo, cos come lartista, vuole in fondo esprimere soltanto
sentimenti soggettivi, ma non nep- pure
capace di farlo procurando piacere, come fanno almeno i pianisti e i
violinisti. In realt, lattivit filosofica, cos come quella artistica, assolutamente originaria e primaria, perch nasce
dal tispecchiamento quotidiano degli eventi.
la quoti- dianit, cui nessuno di noi pu sottrarsi, che porta gioia e
dolo- re, scacco e successo, salute e malattia, esaltazione e depressio- ne. La
filosofia nasce dallelaborazione di secondo grado del senso di questa
quotidianit, e il fatto che essa nasca grande (come dice Severino, che per come
abbiamo visto non pu spiegare perch) con la nozione di Essere non altro a nostro avviso che il riflesso
estremamente astrattizzato della percezione quotidiana degli uomini del fatto
che tutto il genere umano Uno ed
inscindibile, e che la scissione antagonistica porta dolo- re e morte, e che la
morte il Nulla. 137 Gran parte della
filosofia marxista storica (cio quella del- lultimo secolo) al di qua della percezione minima del proble-
ma. Provenendo spesso da filosofi accademici di professione, prigionieri della
ferrea divisione universitaria del lavoro che
anche la precondizione ontologico-sociale del loro status e della loro
legittimazione mondana, essa spesso
stata soltanto la co- niugazione del marxismo con le varie correnti filosofiche
via via presenti sul mercato delle idee (neokantismo, positivismo,
esistenzialismo, fenomenologia, eccetera). In Italia non stato diverso. In questo capitolo, per
ragioni di brevit espositiva, non ci soffermeremo sui dettagli delle
coniugazioni del marxi- smo. Ha invece senso porsi due problemi generali. In
primo luogo, perch in Italia non ha mai avuto successo la forma sovie- tica dominante
del marxismo, il materialismo dialettico. In se- condo luogo, perch la forma
che invece stata dominante, lo
storicismo, ha fatto fallimento al punto tale che oggi la sola legit- timazione
filosofica del comunismo sembra essere ormai il ma- terialismo solidaristico di
Leopardi e di Epicuro. Il materialismo dialettico di tipo sovietico non ha mai
avuto successo, in Italia, per ragioni di tipo storico non congiunturale. Non
si tratta di tradizione (per cui la Russia avrebbe avuto Plechanov e Lenin, mentre
lItalia avrebbe avuto Croce e Genti- le), oppure di propensione antropologica
degli italiani per le belle lettere anzich per le scienze moderne. La ragione
di fondo della mancata acclimatazione del digrzat (cio del materialismo
dialettico sovietico) sta nel fatto che il diarzat la religione atea, monopolistica, dellunicit
del partito-stato, e che questa reli- gione (che definiremo un positivismo
monoteistico, perch istalla la Materia al posto di Dio, e poi svolge le
determinazioni dialettiche della Materia stessa secondo lenciclopedia positivi-
stica delle scienze) non compatibile con
una strategia di fron- te unito e di egemonia culturale sullintera societ. Il
diamzat esclusivamente una filosofia di
partito, e Togliatti non voleva espressamente una filosofia di partito. Il
diarz4t sostiene espres- samente la non-esistenza di Dio, e questo non avviene
certamen- te per rozzezza anticlericale, quanto per il fatto che il partito e
la sua assolutezza divinizzata non possono consentire neppure 138
simbolicamente lesistenza di un principio che sfugga alla loro pianificazione
globale del futuro. La Materia, invece,
un prin- cipio semplice, infinitamente manipolabile, e per farla muove-
re basta introdurre la Dialettica, cio il Movimento. A nostro avviso, la natura
filosofica del diarzat staliniano stata
non tanto ottocentesca (come ritenne Pannekoek in un geniale libro su Le- nin),
quanto seicentesca, cio hobbesiana, e questo perch il partito si sempre pensato come Leviatano e come
monopolio della violenza legittima su di una societ frantumata in atomi
egualizzati. Ad Hobbes, cos come a Stalin, bastano Materia e Movimento. In
questo modo lEssere, che in realt lunit
astratta del lavoro sociale complessivo, cio l'insieme dinamico delle sue
relazioni, pu essere desoggettivizzato e ridefinito co- me oggettualit
manipolabile da un progetto pianificatore (nella storia della filosofia
sovietica fra gli anni Venti e gli anni Trenta, questo spiega perch furono
sconfitti sia Deborin, e la sua con- cezione hegeliana della dialettica, sia
Rubin, e la sua concezione dell'economia come scienza dellinsieme dei rapporti
sociali). Il materialismo dialettico non pu evolvere, ma soltanto collas- sare
come un edificio in demolizione che crolla su se stesso (e si pensi al fatto
che Raissa Gorbaciova era professoressa di mate- rialismo dialettico e
Shevarnadze, oggi convertito alla religione ortodossa Tbilisi val bene una messa! era laureato in que- sta disciplina). Lo
storicismo, invece, una buona forma
filosofica del di- scorso marxista quando il partito comunista non persegue una
linea di dittatura del partito unico, ma conduce una lotta stori- co-evolutiva
per la costruzione di un blocco storico che si esprime con una pluralit di
partiti. Il difetto dello storicismo, per (come abbiamo rilevato nel terzo
capitolo della prima par- te), sta nel fatto che esso scommette sul progresso
storico, di cui rappresenta una feodicea laica. Teodicea, si sa, vuol dire
giustifi- cazione di Dio, e del fatto che nonostante la sua esistenza c' un
mucchio di male nel mondo (si pensi a Leibniz, Voltaire, eccete- ra). La
teodicea laica giustifica invece tutto il male storico av- venuto nel passato
in base alla positivit del fine da raggiungere, ed dunque simultaneamente una grande narrazione
teleologica 139 del futuro e un giustificazionismo storico del passato. A
diffe- renza di come sostiene Popper, lo storicismo non consiste tanto nella
pretesa di conoscibilit scientifica esatta degli eventi non ancora accaduti
(questa una tipica ossessione viennese,
neopo- sitivistica, caratteristica di chi vuole nevroticamente legittimare i
propri comportamenti in base ad una scienza), quanto nella concezione
dellomogeneit del tempo storico e del suo scortri- mento, che garantisce il
progetto progressista e la sua realizza- zione. - Questa una cattiva filosofia. Essa , alla lunga,
insostenibile, per il semplice fatto che il tempo stotico #ox presenta quegli
aspetti cumulativi, omogenei e teleologici che lo storicismo gli attribuisce.
In Gramsci, certamente, la riduzione della realt alla storicit era solo una
polemica antimetafisica e anticattolica (che negava lesistenza di un Essere
divino staccato dalla storia e so- vrapposto ad essa). Nello storicismo
posteriore, per, cera a tutti gli effetti una religione. Non allota un caso, ed questa la tesi di fondo che sosteniamo in
questo capitolo, che i filosofi co- munisti italiani pi dotati siano stati
antistoricisti, ed abbiano fi- nito con il pensare filosoficamente il comunismo
in modo del tutto separato dallo storicismo stesso. Faremo qui lesempio, fra i
molti possibili, di due soli pensatori, Cesare Luporini e Seba- stiano
Timpanaro. Cesare Luporini e il materialismo Vorremmo limitarci a Luporini, in
questo paragrafo, per se- gnalare un pensatore estremamente dotato, che vive il
suo anti- storicismo radicale allinterno di una militanza nel partito stori-
cista di massa. Si tratta, per usare una espressione alla Luk4cs, di una
interiorit antistoricista all'ombra dello storicismo politi- co. Il partito
storicista di massa nutre la militanza della sua base con la fiducia nel
progresso storico, mentre permette ad alcuni suoi intellettuali organici una
professione di fede filo- sofica antistoricistica. Nel caso di Luporini,
abbiamo a che fare con un filosofo che fa con i conti con due forme di
antistoricismo 140 radicale venute dallestero, quella di Althusser e quella di
Lu- kacs (che riprenderemo brevemente nel decimo capitolo). In entrambi i casi,
Luporini non sposa integralmente le proposte di Lukacs e di Althusser, perch
non convinto, nel primo caso, dalla radicale
critica althusseriana ad Hegel, e non pensa, nel se- condo caso, che si possa
adottare fino in fondo il suggerimento lucacciano di considerare il lavoro
forma originaria e modello di ogni prassi. L'interesse di Luporini per
Althusser e Luk4cs di- mostra comunque che il nostro filosofo non si riconosce
nella tradizione storicista italiana, e che per chi non si riconosce in es-
sa pi facile diventare un compagno di
strada del PCI che un intellettuale veramente organico ad esso. In Luporini il
materia- lismo e la dialettica diventano le due componenti metodologiche
dellanalisi delle forme storiche dellessere sociale, allinterno di un pensiero
che esclude recisamente ogni teleologia, e dunque ogni lieto fine prefissato
del processo storico. L'aspetto pi in- teressante per, sta a nostro avviso
nella valorizzazione esplicita del materialismo di Leopardi, o meglio nel suo
nichilismo atti- vo, che Luporini vede come l'atteggiamento pi consigliabile
oggi per lintellettuale marxista in preda alla crisi di valori politi- ci
causata dal collasso del comunismo politico novecentesco. La filosofia del
comunismo, in definitiva, non per
Luporini il ma- terialismo dialettico, e cio il mito della Scienza, e neppure
lo storicismo, e cio il mito della Storia, ma il nichilismo attivo del- la
solidariet di Leopardi, basato sul comune riconoscimento della fragilit
materiale delluomo e nello stesso tempo sulla sua capacit di unirsi per
difendersi dalla natura matrigna. Si tratta di una filosofia pienamente
materialistica, che assomiglia tutta- via pochissimo al modo tradizionale di
difendere il marxismo e il comunismo. Sebastiano Timpanaro e il materialismo Se
Luporini stato un esempio storico
insigne di intellettuale organico politicamente al PCI che ne era anche
filosoficamen- te disorganico, Timpanaro
stato invece a nostro avviso il ti- 141 pico rappresentante del marxismo
filosofico indipendente, che ha sempre scelto la sua strada in modo completamente
auto- nomo dal partitone storicista di massa e dai suoi problemi di tat- tica e
di linea politica. Un tempo si sarebbe battezzato questo at- teggiamento
individualismo piccolo-borghese, cui si contrap- poneva il caldo abbraccio
proletario del partito che chiedeva ai suoi intellettuali la sottomissione alla
direzione dei politici di professione come prova provata della loro vocazione
popolare e proletaria. Questa novit, che poi novit non era perch era gi
qualcosa di conosciutissimo nelle chiese, e in particolare in quella cattolica
(il peccato di orgoglio che veniva rimesso con la confessione e la
reintegrazione nella comunit dei fedeli), non tocc mai un materialista
incallito come Timpanaro, che fu inve- ce sempre il prototipo del comunista
indipendente, cio in definitiva il prototipo dellunica figura antropologica che
pu resistere ai tracolli degli ippopotami e dei rinoceronti burocra- tici.
Timpanaro un filologo, non un filosofo,
o meglio un filoso- fo dilettante, nel
senso che le sue considerazioni filosofiche sul materialismo sono sempre state
estremamente semplici, pia- ne e comprensibili, sprovviste di qualunque
virtuosismo tecni- co. Da un punto di vista strettamente teoretico, non mancano
a nostro avviso in Timpanaro alcune ingenuit. Ad esempio, nella sua sacrosanta
polemica contro lo storicismo, e la riduzione del- luomo sociale a storicit
integrale, con esclusione della dimen- sione naturale e biologica di esso,
Timpanaro si lasciato andare a difese
dello stesso Engels e del materialismo dialettico, visti come qualcosa che almeno
non evacuava completamente il fon- damento corporale e materiale delluomo
sociale. vero che in Engels si trovano
molte citazioni che mostrano una estrema at- tenzione alle dimensioni naturali,
ecologiche, biologiche del- luomo (e infatti non un caso che tutti gli studiosi che intendo-
no dimostrare la piena compatibilit fra marxismo ed ecologia trovano in Engels
spunti estremamente fecondi). Nellessenzia- le, per, per Engels il materialismo semplicemente il metodo scientifico, visto da
lui compatibile con la dialettica (e questa
la ragione per cui il vero marxista engelsiano italiano non Tim- 142 panaro, ma Geymonat), mentre il
materialismo dialettico qual- cosa che
non include mai il corpo umano e soprattutto la solida- riet leopardiana,
essendo stato costruito appositamente per le- gittimare con una cosmologia
generale ateo-materialistica il mo- nopolio del potere del partito-stato. Ci
che invece distingue il materialismo di Timpanaro da quello di Luporini (dal
momento che entrambi tendono a mette- re Leopardi come il filosofo pi adatto al
comunismo) inve- ce la rivalutazione di
Epicuro, che Timpanaro ha in comune con il francese Jean Fallot. La concezione
della scienza di Epicuro, in realt, non ha nulla in comune con quella di
Engels, e neppure con quella emersa con Galileo e la rivoluzione scientifica
moder- na del Seicento. Questa concezione, che definisce la scienza co- me
qualcosa che non pu essere distinto dalle altre due dimen- sioni fondamentali
delluomo sociale (il piacere e l'amicizia),
compatibile con ci che viene chiamato ricerca scientifica fi- nalizzata
al benessere, alla salute e al tempo libero degli uomini (e non pertanto assolutamente irrazionalistica,
conservatrice, e via insultando), ma incompatibile
con la feticizzazione religio- sa della Scienza in s, questo idolo antropofago
il cui culto ri- chiede sacrifici umani, senza neppure servire alla scoperta e
alla realizzazione di ci che viene giustamente considerato utile (dalla cura
dei tumori alle alte velocit dei treni, dagli impianti anti-inquinamento alla
riduzione del tempo impiegato nei lavori domestici). I giganteschi stanziamenti
economici necessari per la ricerca scientifica utile, infatti, che non ci
sognamo neppure di negare, non hanno nessun bisogno del culto positivistico
del- la Scienza, cos come laffermazione di una morale altruistica non ha nessun
bisogno del paradiso e dellinferno per essere di- fesa e sostenuta. Timpanaro
sembra uno dei pochi filosofi mate- rialisti italiani che comprendono questa
elementare ovviet, ed per questo che i
suoi libri meritano di essere letti e studiati. Nello stesso tempo, per, ci
sembra che il materialismo cor- porale di Luporini e di Timpanaro non possa
ancora essere la soluzione trovata alla questione dello statuto della
filosofia. Ab- biamo gi rilevato che la questione fondamentale della
filosofia quella dellarticolazione fra
lunit del lavoro sociale complessi- 143 vo (lEssere, cio lEssere Sociale, dal
momento che lEssere Naturale il presupposto
muto di questultimo, e diventa parlante soltanto filtrandosi nella socialit
stessa) e la doman- da di senso che lindividualit umana le pone. Nella
tradizione marxista italiana vi sono state a nostro avviso due risposte esem-
plari alla questione dello statuto del materialismo: materiali smo=scienza
(Della Volpe, Colletti, Geymonat); materialismo =corporeit solidale (Luporini,
Timpanaro). Abbiamo visto come consideriamo la seconda migliore della prima.
Resta il fat- to, per, che in questo modo le due dicotomie materiali
smo/idealismo e filosofia/scienza restano, e con esse restano tutti i possibili
equivoci che esse portano con s. Ci sembra allo- ra opportuno dedicare i tre
prossimi capitoli a tre questioni cru- ciali. In primo luogo, alla questione
della scienza, in cui soster- remo, contro corrente, che il comunismo non pu
essere ogget- to di scienza, ma di una forma di sapere che non coincide con i
significati che vengono dati ordinariamente a questa parola. In secondo luogo,
alla questione della dialettica, in cui ricordere- mo che questultima non il sapere della scissione di un Intero
Originario, e neppure quello della Ricomposizione Forzata del Diverso. In terzo
luogo, alla questione dell'economia, e al pro- blema dei rapporti conflittuali
del marxismo con questultima. Di questi tre problemi, quello della scienza forse il pi delica- to. Una barzelletta
racconta che, dopo ventanni di studi, un eru- dito tedesco era giunto alla
conclusione che lIliade e l'Odissea non erano state scritte da Omero, come si
era creduto fino ad al- lora, ma da un greco che portava il suo stesso nome.
Non vor- remmo giungere alla comica conclusione per cui il marxismo non una scienza, ma un sapere che potrebbe anche
chiamarsi con questo stesso nome. dunque
necessario chinarsi un poco sul problema, che presenta risvolti pratici non
indifferenti. 144 VII Le idee marxiste e la scienza Un matrimonio fallito Il
rapporto fra marxismo italiano e scienza
indubbiamente un nervo particolarmente scoperto. Abbiamo visto nel
capitolo precedente come non sia affatto un caso che un aperto sostenito- re
della natura del marxismo come scienza delle forme (nella fattispecie, Cesare
Luporini) sia infine approdato consapevol- mente ad un comunismo legittimato in
termini leopardiani di materialismo della solidariet umana. Tutti i programmi
di rigo- rizzazione, assiomatizzazione, formalizzazione del matxismo sono
infatti destinati a nostro avviso a fallire, per una ragione molto semplice. In
breve: il marxismo ron una scienza, e
non lo pu diventare, non tanto e non solo per le sue premesse filo- sofiche o
per la sua metafisica influente non scientificizzabile, quanto perch esso la sintesi organica di un sapere scientifico
sui modi di produzione sociali e di una pratica non scientifica di lotta
cosciente contro lestraneazione, o pi esattamente contro le diverse
estraneazioni prodotte dal modo di produzione capi- talistico. Dal momento che
il comunismo 07 pu a nostro avvi- so essere scientificamente ricavato dalle
semplici contraddizioni oggettive del capitalismo, ma deve anche essere voluto
da soggettivit individuali e collettive appositamente costituitesi, risulta
impossibile applicargli il metodo galileano delle necessa- rie dimostrazioni e
delle sensate esperienze (cio del sapere ma- tematico assiomatizzato e degli
esperimenti variamente verifica- bili o falsificabili). Ancora pi in breve: il
capitalismo esiste, lo si voglia o no, ma il comunismo bisogna volerlo, e la
volont uma- na non oggetto di scienza,
se a questo nome almeno connesso il significato
storico, seicentesco del termine, sorto sul terreno 145 delle scienze della
natura e poi progressivamente esteso anche alle scienze della societ. Il
matrimonio non poteva dunque che fallire (e fall gi ai tem- pi di Hilferding e
di Plechanov, che dedicarono ai rapporti fra marxismo e scienza pagine
indimenticabili). Ci avviene, si badi bene, non perch il comunismo sia una
utopia impossibile (co- me sostenne Max Weber), oppure una utopia possibile ma
non desiderabile (come afferm Karl Popper). Ci che stiamo cer- cando di
sostenere non ha nulla a che vedere con le tesi di Weber e di Popper. Il
fatto che se si limitano loggetto ed il
metodo del marxismo allanalisi delle contraddizioni economiche e so- ciali
prodotte dalla contraddittoriet intrinseca, immanente, og- gettiva, della
produzione capitalistica, il marxismo
allora effet- tivamente scientifico (nel senso di non soggettivo o
arbitra- rio), ma se si vuole aggiungere (e senza questa aggiunta, questa
piccola aggiunta, il marxismo non vive) anche il comunismo, al- lora non esiste
proprio scienza che tenga. Comunque la si giri, il comunismo bisogna anche
desiderarlo, volerlo, essere capaci di farlo. La capacit di farlo per noi un dato dellantropologia filosofica e
sociale, non della scienza. Abbiamo ritenuto opportuno esplicitare su questo
terreno delicatissimo le nostre personali opinioni prima di affrontare lesame
critico delle posizioni di due insigni marxisti italiani che si occuparono dei
rapporti fra il marxismo e la scienza, per per- mettere al lettore di farsi pi
agevolmente una sua opinione per- sonale, e ci siamo volutamente limitati a due
soli pensatori, Gal- vano Della Volpe e Ludovico Geymonat, in modo che non si
corresse il rischio di perdere di vista la foresta guardando sol- tanto gli
alberi. Nellesame critico di Della Volpe e di Geymo- nat, infatti, vi sono a
nostro avviso praticamente tutti gli elemen- ti necessari per comprendere
filosoficamente il cuore della que- stione. Essi vollero garantire al marxismo
uno statuto scientifi- co, il primo espungendone la dialettica come residuo
metafisico, il secondo accettandola come metodo di storicizzazione del rap-
porto fra verit assoluta e verit relative, ma si accinsero a no- stro avviso a
un'impresa non solo impossibile, ma anche sconsi- gliabile, perch
fuorviante. importante capire
esattamente 146 perch, e dove esattamente falliscano tutti i tentativi di
questo tipo. Lo statuto marxista della scienza. Un problema aperto. Abbiamo
visto nel capitolo precedente che la questione del- lunit del lavoro sociale
complessivo si metaforizza filosofica- mente nella questione dellunit
dell'intero genere umano. Karl Marx propose di risolvere scientificamente la
questione della storicizzazione delle forme differenziate di unit del lavoro
so- ciale complessivo con la sua teoria dei modi di produzione, da indagare a
loro volta con un ricco apparato di concetti ulteriori (forze produttive,
rapporti sociali di produzione, forme di pro- priet, classi fondamentali,
ideologia, falsa coscienza, eccetera). A nostro avviso questa stata una grande conquista scientifi- ca, nel
senso per di Platone (la scienza
episteme scien- za ad un tempo
del Vero e del Bene) e di Hegel (la scienza
Wissenschaft conoscenza
dellAssoluto nella sua Interezza), non certo per nel senso di Galileo e di
Newton. Sarebbe possi- bile sostenere che il materialismo storico di Marx stato a tutti gli effetti una scienza nel
senso di Galileo e di Newton se ci si li- mitasse alla questione della
conoscenza delle leggi sociali ten- denziali, della prevedibilit statistica
delle regolarit empiriche dei comportamenti associati e collettivi, eccetera,
perch in que- sto caso si direbbe che, cos come la fisica non pu prevedere il
comportamento della singola particella ma soltanto quello del- linsieme di
esse, analogamente il marxismo non deve prevedere il singolo individuo, ma
soltanto il comportamento tendenziale di insiemi pi vasti. Ad esempio, si pu
prevedere scientifica- mente che le classi schiavistiche non sappiano risolvere
allinfi- nito la questione della produttivit agricola, che le classi feudali
siano poco portate allindustrializzazione, o che le classi capita- listiche
siano minacciate dallinsubordinazione operaia (anche se vi sono esempi storici
che smentiscono tutte e tre queste affer- mazioni). E invece impossibile
prevedere scientificamente la co- stituzione di una soggettivit capace di fare
il comunismo. Nello 147 stesso tempo, se la scienza sociale fosse soltinto il
sapere delle legalit sociali tendenziali, Machiavelli, Montesquieu, Max Weber,
Pareto, eccetera, sarebbero gi ottimi scienziati sociali: il Principe di
Machiavelli una miniera di possibile
prevedibilit sociale. Il lettore certo conosce tutto il ricchissimo dibattito
episte- mologico (da Popper a Lakatos, da Kuhn a Feyerabend, da Ba- chelard a
Hanson), che oggi arrivato persino ai
manuali liceali della filosofia. Ebbene, sulla base di questo dibattito
epistemo- logico assolutamente
impossibile concettualizzare il comuni- smo. Il comunismo scientificamente impensabile. Se lo si vuole
ad ogni costo pensare, come superamento delle estraneazioni che sorgono sulla
base dellunit astratta ed antagonistica del la- voro sociale capitalistico
complessivo diviso, necessario intro-
durre variabili antropologiche e psicologiche, individuali e so- ciali, che non
possono essere fatte oggetto di scienza. Parados- salmente, unindagine sulle
contraddizioni sociali oggettive del modo di produzione capitalistico che
prescinda completa- mente dal comunismo potrebbe essere rigorosamente
scientifi- ca, ma non sarebbe anche pi storico-materialistica nel senso di
Marx. A noi queste sembrano banali ovviet, che gi a suo tempo Hilferding seppe
anticipare in modo insuperabile con la metafo- ra della prevedibilit delle
eclissi, che non richiedono sforzi sog- gettivi coscienti per essere
realizzate. vero che dopo Hilfer- ding
quasi tutti i marxisti cercarono di riconfermare la scienti- ficit dello
statuto epistemologico marxista, o con metodi filo- logici (sostenendo che per
Marx ed Engels il comunismo era scientifico, e bisognava dunque che cos fosse),
o con argomen- tazioni sulla inevitabilit del crollo economico del capitalismo,
e sulla conseguente prevedibilit scientifica di questo crollo. Chi scrive pensa
che si sia qui di fronte ad un tipico caso di religione inconsapevole. Tutti i
lettori avranno fatto lesperienza di preto- ni ispirati che sostengono ad ogni
pi sospinto che Dio neces- sario per
fondare una morale, e che se Dio non esistesse tutto di- venterebbe possibile,
non ci sarebbero pi freni, e ognuno fa- rebbe ci che pi gli piace, eccetera.
Balle. Una morale universa- 148 listica
praticabile sia in presenza di Dio che in sua assenza, co- me
lesperienza di milioni di credenti mascalzoni e di atei virtuo- si (e
viceversa) mostra ampiamente. Analogamente, alcuni cre- dono che se il
comunismo non fosse una scienza allora cadreb- bero tutte le ragioni serie per
sostenerlo, propugnarlo, preve- derlo e difenderlo. Balle. Il sapere sui modi
di produzione re- sta un sapere della totalit dialettica, e in quanto tale una
ep:- steme alla Platone e una Wissenschaft alla Hegel, senza per che vi sia,
come in Platone, la garanzia bimondana dellesistenza del- lUno, e come in
Hegel, la sicurezza del ritmo triadico che dal- lin-s porta al per-s. Questo
sapere non per una scienza, e chi vuole
ad ogni costo che lo sia mostra di essere pienamente dentro l'ideologia
positivistica-borghese ottocentesca, che ave- va semplicemente messo la Scienza
al posto di Dio. Per dirla pe- t in modo tipografico, esattamente eguale mettere Dio al po- sto
della scienza, la Scienza al posto di Dio, ed anche lUomo al posto di tutti e
due, se luomo cos divinizzato visto come
crea- tore della tecnica e padrone dellintero lavoro sociale complessi-
vo. questa la ragione per cui chi scrive
tratter in questo capi- tolo dei due grandi marxisti italiani che si occuparono
di scien- za, facendo loro tutto lonore possibile, ma anche mostrando di non
condividere per nulla la loro preoccupazione di legare il pi possibile il
comunismo al progetto scientifico della modernit. Galvano Della Volpe e il
marxismo Come Cesare Luporini e Antonio Banfi, Galvano Della Volpe proviene da
quel piccolo gruppo di professori universitari di fi- losofia gi attivi negli
anni Trenta al tempo del fascismo, che in- contrarono il PCI di Togliatti fra
il 1943 ed il 1945, e trovarono nel marxismo liberamente interpretato una base
filosofica per la loro ulteriore attivit teorica. Non bisogna vedere a nostro
avvi- so nessun particolare opportunismo (rileggendo, ad esempio, saggi
ultrafascisti che Della Volpe scrisse negli anni Trenta); co- s come oggi
ex-professori di marxismo-leninismo si scoprono mistici ortodossi o popperiani
convinti (e questo non avviene 149 per una banale trabison des clercs, ma in
conseguenza di sposta- menti tellurici, di massa, di interi gruppi
intellettuali), analoga- mente era inevitabile che il coperchio messo dal
regime fasci- sta sulluniversit italiana saltasse dando luogo agli esiti pi
dif- ferenziati. Lattivit universitaria, ricordiamolo, non una scuola filosofica, che comporti unit di
spirito e di intenti; es- sa un mestiere,
come quello di infermiere, idraulico e spazzino, e non bisogna dunque stupirsi
che le divergenze politiche la attraversino. Cos come Luporini, Della
Volpe spinto dallesigenza di de-
terminare lo statuto scientifico del marxismo, del materiali- smo storico, del
comunismo, e cos come Luporini, non
soddi- sfatto dalle risposte fornite dal materialismo dialettico
sovietico e dallo storicismo italiano. Egli ritiene, che il presupposto di ogni
scienza sociale sia lisolamento dal magma informe della to- talit storica che
scorre nel tempo di un oggetto teorico che consenta lanalisi concreta della
situazione concreta. Il meto- do per isolare, determinare, ritagliare questo
oggetto lastra- zione determinata, ma
questa astrazione non pu determinar- si finch viene pensata in una totalit
dialettica alla Platone e al- la Hegel. Secondo Della Volpe, le astrazioni alla
Platone e alla Hegel sono caratterizzate dal massimo della genericit da un la-
to (perch vengono ricavate dallautomovimento di una totalit inconoscibile), e
dal massimo della cattiva empiricit dallaltro (perch sono costrette a
interpolare surrettiziamente i contenuti concreti ipostatizzandoli in una
universalit fittizia). Da un pun- to di vista filosofico, ci che fa Della Volpe
non che una ripeti- zione dotta ed
articolata delle critiche rispettivamente condotte da Aristotele contro Platone
e da Trendelenburg contro Hegel. Da un punto di vista politico, invece, il
marxismo antidialettico di Della Volpe
rappresenta una critica implicita alle conseguen- ze pratiche dell'ideologia
storicista: se il marxismo infatti pri-
ma di ogni altra cosa una scienza sociale basata su astrazioni de- terminate e
sullisolamento di realt non-contraddittorie in cui diagnosticare opposizioni
reali fra insiemi storici (le classi, eccetera), lo storicismo non marxismo perch ambisce rispec- chiare un
oggetto impossibile (lo scorrimento dellinzero tempo 150 storico, inconoscibile
in via di principio, per le ragioni gi esau- rientemente elencate da Kant nella
Ragion Pura a proposito de- gli oggetti metafisici come anima, mondo e Dio), e
la politica ispirata allo storicismo sar una cattiva politica, idealista nella
teoria ed empirista nella pratica. Quella di Della Volpe allora a tutti gli effetti una sublimazione
metodologica di una critica politica, cos come nel Medioevo il nominalismo
teologico era una sublimazione filosofica di una critica sociale alle gerarchie
sostantive feudali. Il rifiuto della dialettica pu infatti oggetti- varsi in
almeno due modi contrastanti: da un lato, nellafferma- zione di una differenza
ontologica originaria che sarebbe vano e totalitario voler conciliare (Vattimo,
ottavo capitolo); dallal- tro, nellaffermazione di un antagonismo, cio di una
opposizio- ne reale fra due soggetti inconciliabili (Panzieri e Negri, terzo
capitolo). In questa sede, per, ci limiteremo a due soli ordini di rilievi. In
primo luogo, Della Volpe sostiene che il giovane Marx gi del tutto al di fuori della cattiva
dialettica di Hegel, e che per- ci nel giovane Marx vi sono gi tutti gli
elementi filosofici per una vera scienza sociale delle opposizioni reali (senza
contrad- dizione). Questo ci sembra filologicamente e filosoficamente in-
sostenibile. Da un lato, infatti, Althusser ha avuto buon gioco nel dimostrare
che il giovane Marx un umanista
feuerbacchia- no, e che la critica ad Hegel condotta in nome di queste posizio-
ni finisce con lattribuire all'umanit una sorta di racconto an- tropomorfico
che narra l'avventura di un Grande Soggetto, l'Uomo, con il risultato che questo
grande racconto sta al di sot- to dello stesso Hegel, per cui la storia
almeno un Processo sen- za Soggetto (per
Althusser il soggetto di Hegel, lIdea, non
un soggetto antropomorfizzabile, e quindi non a rigore un vero soggetto). Dallaltro,
l'allievo di Della Volpe Lucio Colletti ha avuto buon gioco nel portare alle
estreme conseguenze dissolu- tive il paradigma del suo maestro, rilevando che
Marx fonda il suo sistema su contraddizioni dialettiche e non su opposizioni
reali, e che dunque la pretesa di scientificit del marxismo si ba- sa sul
presupposto di una economia naturale non contradditto- ria alienatasi in un
mondo rovesciato; questo presupposto 151
scientificamente insostenibile, e cade cos lintero nesso fra scienza dei modi
di produzione e comunismo. Chi scrive ritiene che, sul terreno che si scelto, Della Volpe non pu obiettare nulla n
ad Althusser n a Colletti, e che dunque questo terreno sterile e infecondo. In secondo luogo, Della
Volpe un ammiratore esplicito della
societ sovietica, in cui vede realizzato nellessenziale il princi- pio
russoviano del riconoscimento dei meriti dellindividuo, anticamera del marxiano
riconoscimento comunista dei bisogni.
chiaro che Della Volpe identifica nellessenziale la tematica del
riconoscimento sociale dei meriti con quella della retribuzione socialista
secondo il lavoro, sostenuta da Marx nella famosa Cri- tica al programma di
Gotha. Sulla scia delle critiche di Krusciov al culto della personalit di
Stalin, Della Volpe fa certamente molti rilievi ai difetti delle societ dellEst
europeo e del- PURSS, ma sembra sempre convinto che nellessenziale il so-
cialismo non possa essere che quello: la pianificazione centra- lizzata
dell'economia, che garantisce la piena occupazione, la sa- larializzazione universale
e la conseguente differenziazione mo- derata dei redditi in base al solo
principio del lavoro-merito. A nostro avviso, questo non comunismo marxiano, ma sociali- smo
ricardiano. Se infatti, Marx non fosse proprio mai esistito (ripetiamo: mai
esistito), e la sola teoria di riferimento del co- munismo fosse Fichte (uno
stato commerciale chiuso garante della piena occupazione e della disuguaglianza
moderata e non scandalosa) ed il socialismo ricardiano (la rendita viene
abolita come reddito parassitario e residuo del privilegio feudale, men- tre il
profitto viene distinto in salario dellimprenditore e in ren- dita del
capitalista), si avrebbe un perfetto socialismo dellavol- piano. Il fatto che la libera individualit marxiana una no- zione filosofica, non scientifica, e
ha bisogno di una dialettica dellintegralit del suo sviluppo. Della Volpe
interpola lem- piricit dell'URSS cos come Hegel interpolava lempiricit del- la
Prussia nel suo spirito oggettivo. Nello stesso tempo, Hegel salvava lapertura
del suo stesso sistema con lo Spirito Assoluto, solo garante del progresso
dellautocoscienza storica. Della Volpe, invece, risucchia lassolutezza dello
Spirito (assoluto 152 =storicamente non esaurito) nella sua oggettivit
(oggettivo =storicamente realizzato), e la sua scienza diventa allora quello
che la scienza diventa sempre in questi casi: empirismo e positi- vismo.
Ludovico Geymonat e il marxismo Se Della Volpe rappresenta la via maestra per
ledificazione di una scienza non dialettica della societ, Geymonat invece stato a tutti gli effetti la via
maestra della conciliazione razionale della scienza con la dialettica,
dellepistemologia con la filosofia. In questa sede non possiamo soffermarci
sulla sua stupefacente at- tivit di storico della filosofia e di divulgatore
della cultura, che lo colloca a tutti gli effetti fra le grandi figure della
cultura italia- . na del Novecento.
invece importante tentare di dare una valu- tazione teoretica del
Geymonat filosofo, prescindendo da un bi- lancio storiografico e politico della
sua attivit complessiva. An- che per Geymonat, per, si impone una
considerazione ester- nistica della sua vicenda complessiva: egli passa dal
neopositi- vismo al materialismo dialettico sulla base di un vincolo ester- no
alla teoresi pura, e questo vincolo esterno
la propria pro- fonda concezione comunista della vita e della storia. La
filosofia di Geymonat pu essere definita in termini diver- si: realismo
gnoseologico, materialismo dialettico, razionalismo critico, storicismo
scientifico. invece pi difficile
definire con precisione la natura esatta della sua concezione del materialismo
storico, che pu essere ricavata esclusivamente dalla pi genera- le concezione geymonattiana
dello sviluppo dialettico delle scienze. Per Geymonat il materialismo storico
marxista era una scienza sociale della totalit capitalistica, e il progresso
della co- noscenza e dellazione che essa consentiva non era qualitativa- mente
dissimile da quanto avveniva sul terreno delle altre scien- ze, e delle scienze
della natura in particolare. Il marxismo , in buona sostanza, un frutto maturo
del progetto scientifico mo- derno, delineatosi nellarco di tempo che va da
Copernico a Ne- wton. Geymonat non sente il bisogno (come Della Volpe) di 153
espungere la dialettica dalla scienza, perch per dialettica egli intende due
cose che possono tranquillamente convivere insie- me: da un lato, il
riconoscimento dellantagonismo sociale ne- cessariamente provocato dalle forme
di propriet che polarizza- no linsieme sociale in parti reciprocamente
confliggenti; dallal- tro, il processo contraddittorio della conoscenza
scientifica, che vede in lotta delle verit relative le une contro le altre in
un progresso allinfinito verso un impossibile attingimento definiti- vo della
verit assoluta, che esiste soltanto appunto nella dia- lettica infinita delle
verit relative stesse. La dialettica
dunque ad un tempo antagonismo sociale e me- todo scientifico, e
lantagonismo sociale esso stesso oggetto
le- gittimo di scienza. Allinterno di questo schema Geymonat con- duce
battaglie filosofiche a nostro avviso estremamente centra- te. In primo luogo,
contro i tentativi (Colletti, Viano, Paolo Rossi) di limitare il concetto di
ragione al razionalismo non dialettico (escludendo cos dalla ragione Hegel e
soprattutto Marx), Geymonat ribadisce una nozione allargata di ragione, che
per, finisce a nostro avviso con il salvare correttamente Hegel, Marx e gran
parte del marxismo (salvo quello occiden- tale), ma con lescludere la
sacrosanta critica al nichilismo svol- ta da Nietzsche e da Heidegger, che invece a nostro avviso del tutto razionale
(se razionale vuol dire come pensiamo
vo- glia dire semplicemente fondata). In
secondo luogo, nel ri- badire il carattere di rispecchiamento della conoscenza
uma- na, per cui lattivit conoscitiva si basa pur sempre sullinelimi- nabile
presupposto dellesistenza della realt esterna indipen- dentemente dalla
percezione soggettiva che si ha di essa. Ci che caratterizza Geymonat (che qui
per non fa che ripetere letteral- mente le posizioni del Lenin filosofo) la compresenza e la coesistenza pacifica
della teoria gnoseologica del rispecchia- mento e della teoria hegeliana della
dialettica. Chi scrive non del tutto
sicuro che le due teorie possano filosoficamente coesi- stere, dal momento che
la logica dialettica hegeliana si basa su una costruzione della realt da parte
di unattivit costituente, mentre la teoria classica del rispecchiamento, cio il
realismo gnoseologico, si basa invece sul presupposto ontologico di una 154
realt che fa da condizione al pensiero. Riteniamo che in pro- posito sia
necessario un lavoro di scavo, che prenda ad esempio in considerazione tutte le
obiezioni fatte al Lenin filosofo (da Pannekoek a Korsch, da Sacristin ad
Ilienkov), e che si spinga- no per fino al nucleo profondo del progetto
leniniano di comu- nismo. Chi scrive
infatti convinto che la contraddittoriet della filosofia di Lenin (in
breve: lidea che possano coesistere in mo- do non conflittuale una teoria materialistica
del rispecchiamento gnoseologico di una realt esterna primaria data e una
teoria dialettica della costruzione costituente della realt in base a de-
terminazioni contraddittorie) sia semplicemente lo specchio e il riflesso
astrattizzato della contraddittoriet della sua teoria poli- tica (in breve,
lidea che possano coesistere in modo non conflit- tuale una teoria della
sovranit dei consigli dei produttori e una teoria del monopolio politico del
partito e delle sue organizza- zioni). Riteniamo per che questo vizio genetico
del comuni- smo storico novecentesco debba essere studiato a parte, e la- verlo
evocato in questo contesto ci serve soltanto per segnalare al lettore che a
nostro avviso Geymonat rappresenta la variante italiana di questa insolubile
contraddittoriet. Il pensiero di Geymonat si presta per a due critiche
ulteriori. In primo luogo, il suo storicismo scientifico pu far pensare che il
marxismo come scienza sociale sia anchesso inserito in una dialettica storica
di progresso della conoscenza, con verit re- lative che diventano via via
sempre migliori nel loro processo di rispecchiamento sempre pi adeguato
delloggetto. Non lo cre- diamo, e questo per una semplice ragione. Il progresso
delle scienze della natura (e Geymonat accetta che esso avvenga alla Kuhn per
rivoluzioni scientifiche, e non certo in modo pacifico e cumulativo) ha come
presupposto lo scorrimento stabile di una temporalit dentro la quale si passi
appunto da Tolomeo a Co- pernico, da Newton a Einstein, da Lamarck a Darwin,
eccetera. La natura, per cos dire, aspetta con pazienza illimitata che la
conoscenza umana la esplori, in una dialettica di prove ed erro- ri, sbagli e
successi, avanzamenti ed arresti. Il tempo storico, pe- r, non a nostro avviso fatto in questo modo. Esso
non aspet- ta e non dispone di una illimitata pazienza, per il semplice fatto
155 che esso non che la forma
sostanziale delle manifestazioni di esistenza della contraddittoriet ontologica
dellunit del lavoro sociale complessivo. Se questo vero, abbiamo allora la risposta del perch
Geymonat ha fatto cose egregie a proposito della sto- ria dellastronomia e
della fisica, ma non ha mai potuto applicare il suo storicismo scientifico alla
concreta storia del marxismo. Il marxismo, infatti, non procede in un tempo
omogeneo in cui avanza superando i suoi errori. In buona sostanza: lo storici-
smo non pu essere diviso in letterario (cattivo) e in scientifico (buono); lo
storicismo sempre cattivo, a meno che
per storici- smo si intenda soltanto la dialettica della conoscenza scientifica
della natura (magari comprendendo in essa anche la conoscenza della psiche
umana e dei suoi meccanismi metastorici). Essendo la storicit della storia
discontinua (il che significa soltanto che, vichianamente, gli uomini non fanno
la natura, ma la storia s), non pu esistere il presupposto continuativo della
omoge- neizzazione engelsiana (e geymonattiana) della natura natura- le e della
natura storica. In secondo luogo, il problema del comunismo (ed questo
il lettore lo avr gi capito il
nostro chiodo fisso) non pu es- sere affrontato e risolto scientificamente.
Geymonat si distin- gue positivamente da altri commentatori per il fatto di
vedere nella libert, e non nella sola eguaglianza, il principio filosofico
fondatore di esso. Si tratta di qualcosa che non affatto sconta- to, se pensiamo che
lideologia della libert sempre stata
stori- camente nel Novecento la bandiera del neoliberismo capitalisti- co.
Anche in questo caso, Geymonat mostr di essere partico- larmente acuto. Egli fu
tra i primi intellettuali italiani a compren- dere che il PCI, a partire dagli
anni Ottanta, era una forza politi- ca e organizzativa perduta per il
socialismo, non importa co- me definito, e che era necessario lavorare per una
nuova forza comunista indipendente. In questo senso, egli fu a tutti gli
effetti un vero e proprio anti-Ingrao e anti-Rossanda (in un significato non
meschinamente polemico, ma culturalmente strategico), e fu forse il vero primo
intellettuale organico del nuovo Partito della Rifondazione Comunista, anche se
la morte gli imped di portare in esso il gusto per la lotta politica aperta e
generosa. Ri- 156 fondatore del comunismo, Geymonat lo fu certamente. Rifonda-
tore del marxismo teorico invece, a nostro avviso, no. Ma questo un problema che riempir probabilmente i prossimi
decenni, senza che vi sia nessuna garanzia di una possibile riuscita. 157 VIII
Le idee matxiste e la dialettica Un amore impossibile La tradizione filosofica
italiana si sempre confrontata a fon- do
con il problema della dialettica. Benedetto Croce propose a suo tempo di
riformare la dialettica hegeliana opponendo a una dialettica degli opposti una
dialettica dei distinti (anche se, come abbiamo cercato di sostenere nella
prima parte di questo saggio, si atriva cos non a una riforma, ma ad una
controriforma della dialettica). Antonio Gramsci osserv acutamente che la
formulazione data da Bucharin al materialismo storico era poco dialettica, e
aveva perfettamente ragione. Questa formulazio- ne non era dialettica per
nulla, e faceva diventare il materialismo storico una teoria positivistica
della successione degli stati di sviluppo della tecnologia, imperfettamente
integrati con dosi esogene di lotta di classe. Con alle spalle antecedenti come
Croce e Gramsci, si poteva pensare che vi fossero le basi per una discussione
feconda e proficua sulla dialettica. Non
stato cos. Non potevano certamente bastare lavori di altissimo livello
di storia della filosofia con particolare riguardo alla dialettica (come quelli
di Mario Dal Pra sulla dialettica in Marx e di Sergio Landucci sulla dialettica
in Hegel). Abbiamo visto, infatti, che la dialettica veniva da un lato
rifiutata (e non poteva essere diversamente) dalluniversalismo razionalistico e
formalistico di Bobbio (influenzato da Nicola Abbagnano, forse il pi conseguente
e convinto nemico della dialettica nella storia della filosofia italiana del
Novecento), e veniva dallaltro conci- liata con lo storicismo da Palmiro
Togliatti. Fra Bobbio e To- gliatti, questi Scilla e Cariddi del pensiero e
dellazione filosofica in Italia, la dialettica non poteva che risultare
stritolata, e infatti lo fu. 159 In questa sede, non possiamo purtroppo
scendere nei parti-- colari, put interessanti. Ci limiteremo per chiarezza e
semplicit ad esaminare due negazioni della dialettica, la prima condotta (da
Lucio Colletti) in nome della scienza, cio della non-scienti- ficit della
confusione fra contraddizione dialettica ed opposi- zione reale, la seconda
portata avanti (da Gianni Vattimo) in no- me del diritto alla differenza, cio
della non componibilit e sin- tetizzabilit di elementi originari non
conciliabili. I libri di Colletti e di Vattimo sono molto diffusi, ed esiste in
proposito anche unampia letteratura critica. Qui si vorrebbe suggerire soltanto
un approccio interpretativo che consideria- mo in parte nuovo. Nella loro
enorme diversit filosofica, infat- ti, Colletti e Vattimo ci sembrano le due
met dello stesso insie- me. Il razionalismo di Colletti, ispirato a Kant e a
Popper, e lirrazionalismo di Vattimo, ispirato a Nietzsche e ad Heideg- ger,
sono infatti a nostro avviso in fortissima solidariet antiteti- co-polare. In
entrambi gli approcci la dialettica
rifiutata, dopo essere stata preventivamente definita in modo
restrittivo e inac- cettabile. Riteniamo sia molto importante capire in che
modo fi- losoficamente ci avvenga, in modo che risulti chiaro che la na- tura
segreta del postmoderno appaia allo scoperto nel suo esse- re una sintesi
organica di razionalismo dellintelletto astratto e di irrazionalismo
dellintuizione originaria. Lucio Colletti e le avventure della dialettica Per
amare la dialettica bisogna conoscerla, e per conoscerla bisogna promettere
prima di rispettarla. Quando il grande filo- sofo francese Maurice
Merleau-Ponty scrisse il suo capolavoro Le avventure della dialettica,
indignato da quello che riteneva essere lultrabolscevismo di Sartre, egli se la
prese con il per- vertimento della dialettica, la sua strumentalizzazione a
fini giu- stificazionistici. La dialettica , in breve, una tecnica sofisticata
per giustificare lingiustificabile. Se
questo, chiaro che si deve
rifiutarla. Ma veramente questo? Non lo
crediamo. L'approccio di Colletti
allinizio ben diverso da quello di 160 Merleau-Ponty. Colletti, che
diventer negli anni Settanta e Ot- tanta il grande fustigatore del comunismo
sui grandi quotidia- ni capitalistici (non borghesi, appunto, capitalistici; e
tenia- mo molto a questa distinzione essenziale, da noi esposta nel quinto
capitolo), ha un suo primo periodo comunista, e anzi comunista di sinistra. Egli a tutti gli effetti un dellavolpiano
dassalto, e pertanto un fiero critico del crocianesimo e della sua logica. C'
in tutto questo a nostro avviso un lato involontaria- mente umoristico.
Colletti un anti-crociano filosofico
fervente (antihegeliano, eccetera), ma nello stesso tempo straordinaria- mente affine a Croce su di un
punto essenziale e rivelatore: en- trambi abbandonano il marxismo perch si
rendono tutti e due conto che non una
scienza, che il suo impianto epistemologico non regge, e che logicamente fa
acqua. Allievo di Labriola, Croce si rende conto che il suo maestro sbaglia, e
abbandona il marxismo. Allievo di Della Volpe, Colletti si rende anch'egli
conto che il suo maestro sbaglia, ed abbandona anche lui il mar- xismo.
Bisognerebbe raccontarlo al Che Guevara ed a tutti quel- li che sono diventati
marxisti camminando fra i rifiuti delle me- tropoli del Terzo Mondo. C' chi
aderisce e poi si stacca dal comunismo perch le prove teologiche di esso danno
luogo a paralogismi, antinomie, fallacie naturalistiche. Tutti gli homzeless ed
i disoccupati ringraziano, dopo aver imparato che la teoria di Marx presenta
difficolt logiche che ne invalidano la pretesa di essere epistemologicamente
pura. Non per su questo terreno che si
pu criticare Colletti. Colletti un
filosofo, e deve essere criticato filosoficamente. Egli propone tesi teoriche
ben precise, a nostro avviso false. Quali? Fondamentalmente tre, che ci
sembrano tutte errate. In primo luogo, l'identit fra scienza e materialismo. In
secondo luogo, l'identit fra valore e alienazione. In terzo luogo, la con-
traddizione dialettica come scissione di un Intero da ricostruire e non come
opposizione reale da conoscere. Vediamo. Abbiamo sostenuto nel capitolo sesto
che non corretto iden- tificare scienza
e materialismo, e abbiamo segnalato nel capitolo settimo che coloro che lo
fanno tentano unimpossibile fonda- zione integralmente scientifica del
marxismo. Sulla scorta del- 161 le tesi di Della Volpe, Colletti identifica la
scienza con il materia- lismo, e dal momento che la scienza sarebbe
incompatibile con la dialettica (poich Aristotele avrebbe avuto ragione contto
Platone, e Kant contro Hegel), il materialismo lo sarebbe esso pure. Chi scrive
non pensa che sia cos, e lo ha gi scritto in pre- cedenza. La scienza
moderna un'attivit astrattiva,
assiomatiz- zante, sperimentale, mentre il materialismo una pratica globale della propria corporeit e
del suo nesso con la relazionalit umana e sociale. Il materialismo storico di
Marx ha certo unam- bizione epistemologica integralmente scientifica, ma esso
di- venta una pratica del comunismo soltanto quando il discorso sui modi di
produzione trascresce in antropologia sociale anticapi- talistica.
Lidentificazione fra materialismo e scienza che fa Col- letti indebita, e ha come prima conseguenza una
totale cecit storiografica. Colletti
costretto a mettere alla rinfusa dentro la casella materialismo
dialettico Engels, Lenin, Stalin, Luk4cs, Korsch, eccetera, per il semplice
fatto che tutti costoro sono schierati in favore della dialettica. Un simile
criterio classifica- torio fa venire in mente Borges e le enciclopedie cinesi
che clas- sificavano gli animali in alti, disegnati con finissimo pelo di cam-
mello, e che da lontano sembravano mosche. Engels usa la dia- lettica per una
enciclopedia delle scienze, Lenin per capire la contraddittoriet politica della
realt, Stalin per edificare una scolastica del partito-stato, Luk4cs per
criticare la reificazione capitalistica che considera eterni i rapporti
borghesi di produ- zione, Korsch per identificare proletariato e classe operaia
della grande fabbrica e vedere in questa unione il motore operaistico del
comunismo moderno. Colletti mette borgesianamente tutti i dialettici da una
parte, scrivendoli diligentemente nella gran- . de lavagna dei cattivi
irrazionalisti. questo un insigne esem-
pio, a nostro avviso, di paranoia epistemologica, che assomi- glia assai pi
allaristotelismo di Don Ferrante che al pensiero scientifico di Galileo. In
secondo luogo, Colletti identifica nel marxismo la teoria del valore con la
teoria dellalienazione. Nel prossimo capitolo torneremo su questo punto
cruciale, e vedremo come questa teoria sia stata la base della nota scuola
filosofico-economica 162 Colletti-Napoleoni. Questa identificazione a nostro avviso er- rata. La teoria del
valore non si identifica con una teoria della- lienazione, ma con una teoria
delle estraneazioni. Non la stessa cosa,
e lo si pu anche agevolmente spiegare. Secondo Colletti la teoria del valore in
Marx non soltanto una teoria della
sostanza del valore, cio del fatto che i beni-merci si scambiano secondo il
criterio del tempo di lavoro sociale medio incorporato in essi, e che il
plusvalore unerogazione gratuita del
valore duso della forza-lavoro scambiata con capitale da cui pu nascere il
profit- to, ma anche una teoria della
forzza del valore, per cui i beni si presentano in una sorta di mondo
rovesciato, o di mondo in- cantato, o di mondo a testa in gi, in cui appunto tutto
ci pu avvenire. La teoria dellalienazione, che Marx mutua da Feuerbach, appunto la teoria della forma del valore e si
identi- fica con essa, perch se il mondo non fosse alienato, cio a testa in gi,
i beni non potrebbero neppure assumere la forma del va- lore, e dunque del
plusvalore. Il mondo capitalistico
dunque un mondo rovesciato rispetto ad un mondo naturale diritto, che il
comunismo in sostanza restaurerebbe nella sua naturalit di dominio del valore
duso su quello di scambio. La rivoluzione comunista sarebbe allora la pi grande
delle restaurazioni. Chiediamoci: per Marx le cose stanno veramente cos? Ma
neppure per sogno. Cos sarebbe, se Marx pensasse in modo rozzamente triadico
che c stato un primzo mondo diritto (la co- munit comunista primitiva, in cui
l'economia era povera, ma naturale), un secondo mondo rovesciato e alienato (lo
schiavi- smo, il feudalismo, il capitalismo), e infine un terzo mondo rad-
drizzato (il comunismo, in cui riavremo la naturalit, con in pi l'abbondanza).
Ma questo non che un breve corso sui
Gruz- drisse tenuto al Club Mediterrane: l'abbondanza comunista in un mondo
naturale all'ombra dei palmizi. Il comunismo di Marx non raddrizza proptio
niente, se non alcune teste matte fi- losofiche. Il capitalismo non provoca
alienazione, cio caduta da un precedente mondo diritto, ma estraneazioni, cio
modali- t concrete della vita associata in cui il funzionamento anonimo
delleconomia e il dominio di questultima sugli uomini compor- ta il diventare
estranei degli uomini gli uni verso gli altri ap- 163 profondendo la scissione
dellunit complessiva della loro ri- produzione sociale. La differenza molto grande. Nel primo ca- so, si ha una
teoria dellalienazione, cio della presunta scissione di ununit sociale
originaria da ricostituire. Nel secondo caso, si ha una teoria delle
estraneazioni, cio della formazione di sempre nuove configurazioni di
sfruttamento e di separazione gerarchica fra gli uomini, che ci rendono
estranei ed ostili mentre potremmo essere solidali. Colletti abbandona dunque
un marxismo che egli ha preven- tivamente ridotto a caticatura, identificando
materialismo e scienza, da un lato, valore e alienazione, dall'altro. Su questa
ba- se, egli fa notare che la contraddizione dialettica (A-non A) non scientifica, perch ipotizza la scissione
idealistica di un Intero presupposto, mentre l'opposizione reale (A-B) lo
sarebbe. La sociologia del conflitto alla Dahrendorf dunque scientifica, perch in questo modo,
come direbbe Sofri, la lotta conti- nua
fra capitale e lavoro, mentre il comunismo del povero Marx non lo , visto che
vuole rticonciliare gli opposti contrad- dittori in unUnit pacificata. Qui
finiscono, ovviamente, le av- venture collettiane della dialettica. Esse, lo
ripetiamo ancora una volta, sono in tutto e per tutto degne di Benedetto Croce
e del suo paragone ellittico. L'abbandono di Colletti del marxismo ci sembra
simile a quello di certe coppie che non si sopportano pi, e anzich prenderne
atto e lasciatsi civilmente, vogliono a tutti i costi dimostrare che
laltro iniquo e cialtrone. Perch, mio
Dio, perch? Gianni Vattimo e le avventure della differenza La critica di Lucio
Colletti alla dialettica un
differenzialismo nascosto che si maschera sotto un cerone razionalistico e
positi- vistico. Ad una prima occhiata, si hanno soltanto le classiche cri- tiche
di Kant alla metafisica che Popper ha applicato nel Nove- cento al marxismo, e
che Colletti rielabora con verve e vivacit. Ad uno sguardo pi attento, si vede
che questa stroncatura del 164 marxismo presuppone lidea neoplatonica di una
Unit Origi- naria, la comunit naturale del lavoro e dei bisogni, che si scin-
derebbe dialetticamente per poi ricomporsi necessariamente. La dialettica,
insomma, sarebbe la previsione della fatalit ne- cessaria della ricomposizione
di un Intero spezzato, metafisica- mente fondata sulla presupposizione di un
Uno originario. Ab- biamo gi rilevato che tutto questo ricorda maggiormente le
dottrine non scritte dellultimo Platone piuttosto che Hegel e Marx, e che se si
ha voglia di abbandonare il marxismo (perch non ce lo ha mica ordinato il
medico di essere marxisti!) non c' bisogno di ridurlo ad una caricatura
neoplatonica. Il modo di produzione capitalistico non una totalit dinamica che si possa ricavare
per differenza da una societ naturale originaria; la stes- sa unit astratta del
lavoro sociale complessivo (come abbiamo rilevato nel quinto capitolo e
riprenderemo nellundicesimo) non in
alcun modo una societ naturale originaria, ma soltanto lidea generale ed
astratta di Essere (nel senso di Parmenide e di Hegel). Il professore torinese
Gianni Vattimo, forse il pi brillante esponente del cosiddetto pensiero debole
e della lettura post- moderna e differenzialistica di Nietzsche e di
Heidegger, a no- stro avviso un Colletti
rovesciato. Per Vattimo, Nietzsche e Hei- degger si contrappongono
positivamente a Hegel e a Marx pro- prio perch non hanno una concezione
dialettica della conci- liazione forzata delle differenze originarie. Il
pensiero debo- le, differenzialistico, si contrapporrebbe appunto al marxi-
smo, pensiero forte per eccellenza, perch non ambisce ad una conciliazione
forzata delle differenze etiche e politiche fra gli uomini, riconoscendole
invece integralmente nella loro piena legittimit ontologica. Si ha qui, in modo
molto pi bobbiano di quanto sembri, una metafisica della permanenza del
pluralismo. Mentre per Bobbio, kantianamente, non pretende di fonda- re
filosoficamente questo pluralismo, ma lo presuppone, Vatti- mo ne d anche una
vera legittimazione teoretica ampia ed arti- colata. Essa merita di essere brevemente
ricordata, perch Vat- timo resta un pensatore dotato, e non un semplice
mestierante della storia delle idee. 165 In primo luogo, Vattimo deve compiere
una delicata opera- zione storiografica tendente a rilegittimare Nietzsche e
Heideg- ger, considerati dalla cultura di sinistra dei pensatori di de- stra.
Nietzsche ha inneggiato alla sanguinosa repressione della Comune di Parigi,
mentre Heidegger ha addirittura aderito po- liticamente per un certo periodo
della sua vita al nazionalsociali- smo di Hitler. Questa operazione non
presenta per, a nostro avviso, particolari difficolt. Certo, filologicamente
essa fati- cosa, perch i testi
ferocemente reazionari dei nostri due pen- satori sono numerosi ed
inequivocabili, ma filosoficamente essa
fattibile. Da un lato, infatti,
perfettamente legittimo (e da Ba- taille a Deleuze vi in proposito uninsigne tradizione) interpre-
tare lo Ubermensch di Nietzsche come un Oltreuomo che va al di l delle
illusioni edificanti delle promesse religiose e ideologi- che, e non come un
Superuomo che deve schiacciare e sottomet- tere gli altri per realizzare
militarmente la propria volont di po- tenza. Certo, Nietzsche ha scritto decine
di passi in cui lo ber- mensch pensato
come un Superuomo, ma siccome ve ne sono decine di altri in cui invece appare
come un Oltreuomo, non esi- stono effettivamente ostacoli teoretici
insormontabili per prefe- rire la lettura anarchica, antiautoritaria, di
sinistra di Niet- zsche. Dall'altro,
vero che Heidegger ha scritto discorsi di ret- torato e articoli
schiettamente nazisti, ma anche vero che
la sua nozione di metafisica come realizzazione storica di un modo di entrare
in rapporto con lEssere da parte delluomo non ha as- solutamente niente di
nazista, e che lidea per cui lo scorrere del tempo storico consuma le illusioni
ideologiche degli uomini assai meglio delle confutazioni razionalistiche e
delle obiezioni scientifiche
assolutamente razionale e pertinente. Vattimo rie- sce cos a fare a
proposito della differenza ontologica una du- plice, virtuosa operazione:
rivaluta Nietzsche, il pensatore pa- gano critico di ogni monoteismo idolatrico
e forzato, e assimila cos il comunismo ad una religione idolatrica; rivaluta
Heideg- ger, il pensatore della differenza ontologica tra lEssere e gli enti
(cio fra la verit temporale e le oggettivazioni storiche delluo- mo sociale),
anche se deve interpretarlo in modo filologicamen- te aberrante come il
filosofo dellEssere che si consuma e si ab- 166 bandona nella temporalit (e su
questo Severino ha a nostro av- viso mille ragioni contro Vattimo). In secondo
luogo, Vattimo riesce egregiamente a descrivere filosoficamente due innegabili
modalit sociali della contempo- raneit. Da un lato, il fatto che il moderno
capitalismo presenta un determinato carattere dionisiaco, incita al consumo,
pro- muove la frammentazione e il pluralismo incomponibile delle forme di vita
(purch, ovviamente, uno se le possa pagare), non richiede pi ascetismi
calvinisti e vittuose rinunce al godi- mento, cos che effettivamente il politeismo
paganeggiante di Nietzsche appare pi vicino al funzionamento complessivo del-
l'economia del moralismo della rinuncia e della frugalit. Dal- laltro lato, il
fatto che il riflusso politico e il fallimento epocale della generazione
marxista degli ultimi due decenni assume esistenzialisticamente laspetto di un
vero e proprio lasciar perdere le proprie illusioni di giovinezza assai pi che
di un ve- ro e proprio superamento di queste ultime (e Vattimo ha co- struito
su questo una vera interpretazione filosofica, contrappo- nendo la Verwindung,
il lasciar perdere, alla berwindung, il su- peramento). Abbiamo rilevato nel
quatto capitolo che il sessan- tottino deluso, nella sua sindrome narcisistica
incontenibile cos bene analizzata da Christopher Lasch, non soppotta psicologi-
camente la consapevolezza della doppia natura rivoluziona- ria-modernizzatrice
della propria coscienza politica giovanile, e deve dunque lasciar perdere la
prima componente senza ela- borarla, come se non fosse mai esistita. A nostro avviso,
Vattimo riesce a trasfigurare filosoficamente il modo geniale questo feno- meno
sociale con la sua interpretazione della Verwindung, assai meglio di tutte le
lagnose e cattolicheggianti lamentazioni dei pentiti. In terzo luogo, il
cosiddetto pensiero debole di Vattimo in
realt fottissimo, per almeno due ragioni convergenti. Da un lato, esso
rappresenta oggi una legittimazione filosofica fortissi- ma del capitalismo, il
cui pluralismo agonistico incomponibile
pienamente legittimato, e a cui si chiede soltanto un incivili- mento
ermeneutico, un rispetto e una tolleranza per il diver- so, visto come titolare
di unirriducibile originariet ontologi- 167 ca. Su questo versante, il pensiero
di Vattimo incontra altre ro- bustissime tendenze della filosofia neocapitalistica
contempora- nea, dal dialogo democratico dell'americano Rorty alla teoria
dell'agire comunicativo del tedesco Habermas (tendenze niente affatto cattive e
per nulla disprezzabili, ma a nostro avviso pie- namente apologetiche del
capitalismo). Dall'altro il pensiero debole, che si presenta educatamente come
lalfiere del plurali- smo contro ogni fondamentalismo politico o
religioso, invece sostenuto,
amplificato, appoggiato, propagandato da tutti i me- dia, fino a diventare
addirittura senso comune nella chiacchiera televisiva. Chi scrive ha avuto
recentemente modo di assistere alla pubblicit dellultimo libro del divulgatore
filosofico De Crescenzo, incredibile deformatore della filosofia greca antica,
che si basava sulla contrapposizione, tipicamente debole, del positivo (il
punto interrogativo) e del negativo (il punto escla- mativo). Il punto
interrogativo sarebbe positivo perch spinge al dubbio, allindagine, alla
discussione dialogica illimitata, mentre il punto esclamativo sarebbe negativo
perch fanatizzan- te, passionale, assertorio. Questa distinzione tipicamente de- bolista. Chi scrive propone
qui un punto interrogativo cattivo e un punto esclamativo buono. Da un lato: Il
Fondo Monetario Internazionale poi
veramente responsabile come dicono della fame del Terzo Mondo?. Dall'altro: La
miseria dellAfrica ormai intollerabile.
Ecco un punto interrogativo superfluo e un punto esclamativo sacrosanto. Il
debolismo, invece, tende proprio a scindere ontologia ed assiologia,
rilevamento scienti- fico delle cose e loro valutazione, in modo da spezzare la
que- stione della genesi dialettica dei valori etici dai rapporti sociali
filtrati nella coscienza umana. Ed
appunto questa, per noi, la dialettica. Essa non , come opina Colletti,
una teologia neoplatonica della scissione di un Intero originario, e neppure,
come ritiene Vattimo, una terapia di riconciliazione forzata delle differenze
incomponibili. Essa un sapere genetico
della produzione sociale delle contraddizio- ni, che non si limita a fotografare
e a immortalare il momento originario del sorgere di esse (se cos fosse, il
mito biblico del peccato originale sarebbe il culmine della dialettica), ma ne
ac- 168 compagna lo sviluppo, la diversificazione, l'intreccio, la trasfor- ,
mazione, lapparente irriconoscibilit delle forme storiche di apparizione e di
scomparsa. La dialettica marziana non
bi- mondana, come quella platonica, e non deve perci mettersi nel- la
prospettiva della riconduzione dei Molti allUno, appunto perch non si fonda
sulla scissione dellUno nei Molti. La dialet- tica marxiana monomondana, come quella di Hegel, e non si
distingue certamente da quella di Hegel perch il suo fondamen- to la materia anzich lidea (su questo punto
Gentile ha ragio- ne), ma perch si basa sulla piena assunzione del rz0do di
produ- zione, e dello sfruttamento capitalistico che ne consegue, come reale
presupposto. Anche per Hegel lIdea era linsieme dei rap- porti sociali fra gli
uomini (e non certo soltanto la partenogenesi delle opinioni luna dalle altre!),
ma questi rapporti sociali non comprendevano ancora, nella loro
concettualizzazione, la cono- scenza di alcune fondamentali modalit della
riproduzione com- plessiva delle societ storiche. La dialettica marxiana dunque identica filosoficamente a quella
hegeliana, e si differenzia soltanto per una proposta di ca- tegorie
concettuali che includono la desiderabilit e la fattibilit del comunismo come
spirito oggettivo nei rapporti fra gli uo- mini. In modo non scorretto il
filosofo italiano Enrico Berti la definisce in termini di polarit di opposti in
correlazione es- senziale. La dialettica, infatti, non pretende e non impone
che gli opposti si uniscano in una sintesi definitiva e pacificata (che non pu
essere altro che Dio, oppure ma la stessa cosa la Fine della Storia!), ma chiede soltanto
che essi vengano sempre considerati nella loro correlazione essenziale. Ci che
per Berti non dice, e che a questo punto aggiungiuamo noi, che lessenzialit della correlazione fra
opposti polari in un mo- do di produzione caratterizzato dallantagonismo dei
rapporti sociali la contraddizione. La
contraddizione, a sua volta, non ha bisogno di essere pensata come un Uno che
si scinde in Molti (Colletti), o come i Molti che si ricompongono in Uno
(Vatti- mo), ma le basta l'essere considerata come la modalit di esi- stenza
storica di antagonismi risolvibili. Risolvibili, certo, non una volta per tutte
e per sempre, ma semplicemente in una di- 169 mensione storica, culturale e
politica del presente (il presente come storia, per dirla alla Sweezy).
Colletti e Vattimo non ci aiu- tano, e nello stesso tempo non ci stanchiamo di
riproporne la lettura a tutti coloro cui il marxismo interessa, perch si tratta
di pensatori veramente eserzplari per capire come #on bisogna in- tendere la
dialettica. Come vedremo nel prossimo capitolo, lat- teggiamento verso la
dialettica influenza anche il modo di conce- pire l'economia, che molti
superficialmente considerano una di- sciplina non filosofica per eccellenza.
170 IX Le idee marxiste e l'economia Un divorzio inevitabile Nel primo capitolo
della prima parte di questo saggio abbia- mo gi rilevato che gli economisti di
professione tendono ad avere un cattivo rapporto con la teoria marxiana del
valore, per- ch o ne ignorano la dimensione qualitativa e si arrestano alla
sostanza del valore ignorandone la forma, oppure ne colgo- no anche laspetto
formale a fianco di quello sostanziale ma lo li- mitano poi soltanto alla
circolazione, alla forma di merce e quin- di al mero feticismo della merce. La
ripresa dopo il 1945 della discussione sul rapporto fra marxismo ed economia,
sia sul ver- sante della storia economica (pensiamo ad Emilio Sereni), sia su
quello della teoria economica (pensiamo a Giulio Pietranera), presenta aspetti
di innegabile interesse, su cui per non ci sof- fermeremo in questa sede. Qui
vorremmo segnalare, invece, a fianco della tipica figura di Antonio Pesenti (e
chiariremo do- ve stia, a nostro avviso, la sua tipicit), le due tendenze
fonda- mentali della discussione teorica italiana a proposito del rap- porto
fra marxismo ed economia, quella risalente a Piero Sraffa e quella che fa capo
a Claudio Napoleoni. La letteratura critica secondaria a proposito di
Sraffa gi- gantesca, e chi scrive, che
non economista di formazione e per- ci
non pretende di dominare un continente teorico tanto vasto, non ne ha che
sfiorato lo spessore. In questa sede, abbiamo pre- ferito insistere sul fatto
che la lettura neoricardiana di Marx fatta da Sraffa non ha come conseguenza
soltanto l'inserimento (o il reinserimento) di Marx nella catena degli
economisti classici, con esclusione rigorosa e totale di tutte le (presunte)
fumisterie hegeliane, ma finisce con il produrre una conseguenza pratica ancora
pi importante, la doppia legittimazione del marxismo 171 cos interpretato
presso il sapere universitario sull'economia, in primo luogo, e presso il
sindacalismo salarialistico e conflittuali- stico, in secondo luogo. Il
marxismo, riconciliato con lecono- mia, diventa cos utilizzabile sia per
diventare rispettabile nei convegni e nei concorsi universitari di economia
(dal momento che laspirapolvere neoricardiano toglie ogni pi piccolo granel- lo
di logica dialettica hegeliana), sia per compilare dispense sin- dacali di
sinistra, in cui con lausilio delle quattro operazioni di aritmetica risulta
chiaro che il profitto e il salario, sommati in- sieme, sono inversamente
proporzionali alla rendita, oppure che il profitto e il salario sono
inversamente proporzionali. Tut- to ci d luogo a nostro avviso ad un vero e proprio
neoricardi- smo, espressione teorica della pi totale economicizzazione del
conflitto di classe, che a sua volta si divide in una variante di destra alla
Sylos Labini (che abbiamo definito come la lotta di classe della grande
borghesia contro la piccola borghesia), e una variante di sinistra
sindacalistico-conflittualistica alla scuola di Modena (che abbiamo definito
come la lotta di classe parallela della classe operaia contro la piccola
borghesia stessa). La dis- soluzione di questa corrente comporta a nostro
avviso anche la fine di qualunque residua comunit di economisti di sinistra. Pi
interessante invece il caso, per molti
versi opposto, di Claudio Napoleoni. Mentre gli sraffiani cercano di curare il
marxismo con dosi massicce di economia (il malato soffre di anemia filosofica?
Diamogli allora una cura da cavallo di econo- mia, per via rettale, endovenosa
e intramuscolare!), Napoleoni si rende conto progressivamente che lo
schiacciamento eccessi- vo del marxismo (e di conseguenza del comunismo di cui
il mar- xismo vuole essere la teoria) sulloggetto ed il metodo delleco- nomia
politica ne pu significare la fine. Questo porta a un inevi- tabile divorzio,
in cui per i due coniugi sembrano non avere imparato nulla dalla loro cattiva
esperienza, perch l'economia, ritornata single, persevera nel suo neoricardismo
pi sfrenato, mentre il marxismo, ridivenuto anche lui single, si riqualifica
il- lusoriamente come innocua filosofia del disagio e dellalienazio- ne. 172 La
conciliazione classica di Antonio Pesenti Chi scrive un filosofo di formazione, che non intende
certo spacciarsi per esperto di economia marxista; la sua formazione
economica a suo tempo avvenuta sul
Marzale di Antonio Pesen- ti, che resta a tutt'oggi un insuperato capolavoro di
sistematicit e di equilibrio nellinsegnamento dell'economia politica. Se per
ri- cordiamo qui Pesenti, non certo per
ragioni biografiche, che il lettore ha diritto di ignorare. Chi leggesse oggi
il Manuale di Eco- nomia Politica di Pesenti (e riteniamo ne valga ancora la
pena) sa- rebbe introdotto in un mondo concettuale che ha di fatto creduto di
poter conciliare la nozione di lavoro produttivo in Marx con la nozione di
lavoro produttivo in Smith e Ricardo, oltre che natural- mente la teoria del
valore-lavoro con la teoria dei prezzi di produ- zione. questa che noi chiamiamo conciliazione
classica. Come ovvio Pesenti conosce
perfettamente le differenze specifiche fra Marx, Smith, Ricardo, Malthus,
Keynes, eccetera, e nello stesso tempo la sua concezione di lavoro produttivo quella della pro- duzione di beni materiali,
in un'ottica che vede nel capitalismo una tendenza alla stagnazione e nel
socialismo un irresistibile im- pulso verso lo sviluppo. Pesenti in questo senso un economista pienamente
togliattiano e storicista: la classe operaia
il fulcro di un'alleanza antimonopolistica che pu unificare tutti i ceti
medi produttivi e lintellettualit tecnico-scientifica; il keynesismo e lo stato
del benessere sono certamente qualcosa di interno al sistema economico capitalistico,
e nello stesso tempo contengono elemen- ti di socialit e di socializzazione
delle forze produttive che il co- munismo potr ereditare. Si tratta di una
concezione del rapporto fra marxismo ed economia che trova nel polacco Lange il
rappre- sentante forse pi noto, e che Pesenti ha il merito di rappresentare
degnamente in Italia, prima dell'arrivo della generazione di eco- nomisti che
vorremmo situare sotto letichetta dal conflittuali smo al compatibilismo. La
conciliazione ricardiana di Piero Sraffa La concezione dell'economia politica
di Pesenti era a nostro avviso incompatibile con le regole logiche della
corporazione 173 universitaria degli economisti. Essa prevedeva esplicitamente
la teoria della forma e della sostanza del valore (anche se poi la pri- ma non
era trattata: ma questo verr fatto dallallievo pi dotato di Pesenti, Gianfranco
La Grassa), ed in pi cercava anche di
amministrare dignitosamente caposaldi della teoria economi- ca marxiana,
come la trasformazione dei valori in prezzi, lau- mento della composizione
organica del capitale e la caduta ten- denziale del saggio di profitto. Con il
libro famoso di Piero Sraffa, invece, la trasformazione del plusvalore in
sovrappi compiuta, e lo sfruttamento pu
fi- nalmente diventare una nozione fisica, o meglio fisicamente esprimibile,
che presenta il vantaggio di diventare rappresen- tabile, finalmente
rappresentabile, sia per la comunit accade- mica degli economisti che per la
corporazione dei sindacalisti. In questa sede non intendiamo affrontare lo
spinoso problema del ruolo di Sraffa, gi amico di Antonio Gramsci e figlio
spiri- tuale degli anni Venti, allinterno del dibattito economico italia- no.
Nel nostro paese c una vasta gamma di posizioni, che van- no da continuatori
espliciti di Sraffa (come Pierangelo Garegna- ni) a suoi nemici teorici palesi
(come Gianfranco Pala). Chi scri- ve non
in grado di scendere sul terreno tecnico degli argomenti strettamente
economici pro o contro Sraffa. Sul piano filosofico invece utile ricordare che le problematiche
di Marx e di Ricar- do sono assolutamente non confrontabili, perch hanno un di-
verso oggetto, e di conseguenza un diverso metodo. Per Ricardo il lavoro
astratto semplicemente lavoro in
generale, lavoro omogeneo, che pu dare luogo a redditi differenziati come il
sa- lario, il profitto, linteresse e la rendita, redditi che vengono tutti
prodotti dal lavoro astratto stesso. Per Marx il lavoro astratto non esiste a
priori, e vi soltanto un processo di
astrattizzazione crescente del lavoro, che comporta il passaggio dalla
sottomis- sione formale alla sottomissione reale del lavoro al capitale. Marx
non dunque a rigore un vero successore
degli economisti classici, perch non tratta il loro stesso oggetto, che invece lo stesso che tratter John Stuart
Mill, cio la neutralit della pro- duzione dei beni e l'eventuale non-neutralit
della distribuzione delle merci. In Marx non
possibile distinguere economia e tec- 174 nologia, cos come non del resto possibile distinguere econo- mia e
politica (a differenza di come fa Norberto Bobbio). In Sraffa il capitale
non un rapporto sociale, ma un rapporto economico. Detto pi precisamente,
la socialit ricavata dalle- conomia
stessa, esattamente come avviene nel rispecchiamento ideologico della realt da
parte della corporazione degli economi- sti di professione. Si pongono perci
simultaneamente le condi- zioni per pensare la realt economica in termini di
unit di conflit- tualit e di compatibilit: da un lato, infatti, si pu
finalmente rico- noscere apertamente che non esiste mano invisibile o armonia
nella retribuzione equa dei tre fattori produttivi originari (terra, lavoro e
capitale), e che la retribuzione effettiva
invece determi- nata dai rapporti di forza generali fra agenti economici
collettivi; dall'altro non si pu contestualmente non riconoscere che la cre-
scita del sistema economico nel suo complesso, laddove si pongo- no problemi di
crisi e non solo di equa distribuzione,
determina- ta da ferree compatibilit, che assumono allora il carattere
delli- nesorabile necessit, la stessa che nel medioevo veniva riservata a Dio,
e soltanto a lui (ed per questo che chi
scrive ha ripetuta- mente sostenuto che l'economia politica ha una struttura
teorica teologica, che secolarizza in un linguaggio produttivo-distributivo il
vecchio lessico religioso della teodicea). Chiedersi, dunque, se Sraffa sia
marxista o no, di destra o di sinistra, eccetera, assolutamente insensato. Con la sua ripro-
posizione del neoricardismo Sraffa pone lunit di conflittuali- smo e di compatibilismo,
al punto che tutti coloro che si chiedo- no ansiosamente dove siano finiti gli
economisti di sinistra so- no a nostro avviso fuori strada. Sul terreno della
scienza econo- mica non esistono economisti di sinistra, cos come non esistono
anestesisti, fattucchiere, professori di greco e di latino, autisti e piloti di
destra o di sinistra. Sylos Labini e la lotta di classe della grande borghesia
contro la piccola borghesia Abbiamo rilevato che lincompatibilit fra Marx e
Ricardo assoluta. Nel primo caso, si ha
una teoria della totalit delle rela- 175 zioni sociali sulla base dei rapporti
di produzione. Nel secondo caso, si ha una teoria delle risorse produttive e
della spartizione della torta che residua dalla razionale combinazione di
queste stesse risorse produttive. Sulla base dellottica ricardiana, o
neoricardiana, o socialista-ricardiana, si ha soltanto una confi- gurazione di
lotta fra salario e profitto, alleanza di salario e pro- fitto contro la
rendita, oppure alleanza di profitto e rendita con- tro salario. il regno delladdizione e della sottrazione.
In ter- mini hegeliani, la sovranit
dellintelletto astratto. In termini collettiani, la rivincita delle opposizioni reali contro
le con- traddizioni dialettiche. Le lotte operaie degli anni 1969-73 si
rappresentarono in que- sti sciagurati termini. Abbasso la rendita! Viva i
salari! Abbasso il profitto! Viva il reddito come variabile indipendente! Tutti
i sindacalisti impararono il dialetto ricardiano, infinitamente pi . semplice
della lingua marxiana. Si trattava, ovviamente, del ri- flesso culturalmente
subalterno di qualcosa di molto serio, il sa- crosanto riequilibrio salariale
che colmava almeno in parte la penalizzazione della condizione operaia tipica
del primo door della fine degli anni Cinquanta. Lideologia dominante non era
ovviamente quella del comunismo, ma quella della proletarizza- zione universale
come valore cosmico-storico: eskizzo al posto di loden, cortei al posto di
tavolini da caff, scontri con i fascisti e la polizia il sabato pomeriggio al
posto degli scontri fra tifosi ultras la domenica pomeriggio, Ricardo al posto
di Heidegger. In questo pittoresco scenario, in cui sembrava ci fossero sol-
tanto capitalisti e operai, e dunque ricardianamente e sraffiana- mente
soltanto profitti e salari, l'economista universitario Sylos Labini ebbe la
pensata geniale di pubblicare un piccolo ed esplosivo saggio sulle classi
sociali in Italia, continuamente riag- giornato negli anni successivi, in cui
era invece registrata lin- quietante presenza di una galassia variopinta di
ceti medi, com- mercianti, impiegati, statali, parastatali, eccetera. Si
trattava, na- turalmente, della scoperta dellacqua calda, che per spesso effettivamente celata da coloro che ce
l'hanno a quelli che devo- no lavarsi la mattina spezzando i lastroni di
ghiaccio. Sulla spin- ta operaia, effettivamente, si innestarono gloriosamente
studenti 176 che non volevano pi fare esami di maturit difficili, statali desi-
derosi di andare in pensione dopo pochi minuti di servizio, ec- cetera. Questo
fenomeno non deve essere spiegato con categorie moralistiche, dal momento che
si tratta di qualcosa di assoluta- mente fisiologico e strutturale: la grande
borghesia volle co- scientemente la neutralizzazione politica della piccola borghesia
accontentandola sul piano notmativo e salariale, in modo che la saldatura con
la classe operaia non potesse avere conseguenze socialiste o comuniste. Tutto
qui. Questa situazione ebbe in Sylos Labini il suo primo critico ap-
passionato. A nostro avviso Sylos Labini
un esempio luminoso della lotta di classe ideologica della grande
borghesia contro la piccola borghesia, di coloro che guadagnano venti milioni
al mese contro quelli che ne guadagnano due o tre, dei veri ric- chi contro gli
impiegati, dei baroni universitari contro i maestri elementari. Questa lotta di
classe contro la microborghesia melmosa in nome delle virt imprenditoriali del
grande capita- le e soprattutto delle grandi banche a nostro avviso una delle cose pi merdose che
esistano (e vorremmo che il lettore notas- se che per la prima ed ultima volta
in questo libro usiamo voluta- mente unespressione tanto volgare), in quanto si
manifesta ge- neralmente con lamenti in nome dei veri poveri, degli ultimi, dei
disoccupati, degli operai onesti e frugali, eccetera. Gente abitua- ta a
possedere yachts privati se la prende con gli impiegati che vogliono andare in
vacanza ad ogni costo, in una dinamica de- menziale che vede, purtroppo, quella
che chi scrive definisce la sindrome dei capponi di Renzo in cui, come nei
Prozzessi Spo- si, i vari comparti del lavoro salariato e dipendente si
azzuffano tra loro sotto gli occhi divertiti dei veri ricchi: abbasso i metal-
meccanici, che fanno il secondo lavoro il pomeriggio, gridano i commercianti!
Abbasso i commercianti, che non pagano le tas- se, gridano gli insegnanti!
Abbasso gli insegnanti, che hanno troppe vacanze e non soffrono abbastanza,
gridano gli operai! Bisogna dare atto a Sylos Labini di aver saputo genialmente
so- stituire la marxiana lotta di classe con il conflitto fra il produtti-
vismo virtuoso della grande borghesia e il corporativismo vi- zioso della
piccola borghesa. Si tratta di qualcosa che ci ricorda 177 irresistibilmente le
risse nei sa/oons del Far West, in cui ubtiaco- ni inveterati si picchiano fino
a rotolare esausti sotto i tavoli, mentre restano in piedi i grandi allevatori
pronti ad andare la mattina presto a farsi assegnare le terre gratuitamente. Il
sindacalismo neoricardiano e la lotta di classe della classe operaia contro la
piccola borghesia Il discorso fatto a proposito di Sylos Labini si applica a
nostro avviso molto bene a sindacalisti neoricardiani come Bruno Trentin,
erroneamente considerato per anni da tutti gli ingenui come persona veramente
di sinistra. Il sindacalismo italiano un
iceberg gigantesco, in cui migliaia di distaccati dal lavoro fanno carriera
alla faccia dei loro colleghi rimasti in fabbrica e in ufficio. Le
contestazioni riservate ai sindacalisti dalle piazze ita- liane nel settembre e
nellottobre del 1992, in occasione di quei: provvedimenti del governo Amato che
hanno aperto la via a uno smantellamento del welfare state in Italia sono state
purtroppo a nostro avviso qualcosa di rumoroso, ma anche di storicamente del
tutto inefficace, perch non si mai
veramente vista la forza e la capacit collettiva di delegittimare i sindacati
statalizzati e go- vernativi e di costruire sindacati alternativi. Gettare
bulloni un atto di estrema subalternit,
infinitamente meno efficace di quanto lo sia voltare le spalle e
andarsene. invece utile cercare di
capire le ragioni teoriche di fondo sia del cosiddetto tradi- mento sindacale
sia della estrema subalternit sociale delle classi salariate. I sindacalisti
neoricardiani sognano un mondo di salariati da rappresentare per leternit, e
sanno molto bene che i loro desti- ni sono strettamente intrecciati a quelli
dei capitalisti: capitale e lavoro salariato sono infatti termini polari della
stessa realt, op- posti della stessa unit. AI tempo di Ricardo e dei socialisti
ri- cardiani inglesi del 1830 si parlava molto di lotta contro la ren- dita
fondiaria, ma oggi lepoca delle Corn Laws
finita. Oggi la rendita
finanziaria, ma anche talmente
intrecciata al profitto dimpresa da far apparire ingenuo e irrealistico il
modello di una 178 societ basata su due soli redditi: profitti e salari. Di
fronte a fol- le di operai di fabbrica inferociti per l'attacco al potere
dacqui- sto dei loro salari, per la prospettiva di altri anni di lavoro prima
di potere andare in pensione, per la paura di ammalatsi in una situazione di
privatizzazione e di assicurazione privata della sa- nit, la corporazione dei
sindacalisti neoricardiani ha una sola possibilit: deviare questa ira
sacrosanta verso obiettivi di co- modo, limpiegato, l'insegnante, il piccolo
commerciante, latti- giano che tira avanti con i denti un lavoro indipendente.
. Si realizza qui lunit dialettica della lotta di classe della gran- de
borghesia e della classe operaia contro la piccola borghesia, ma si realizza
nella forma della manipolazione e dellinganno della classe operaia stessa. In
questo scenario in cui donna Su- sanna Agnelli parla a nome dei giovani
disoccupati contro il ra- gionier Fantozzi, si realizza a nostro avviso
lapoteosi della scienza economica come scienza integralmente e pienamente ca-
pitalistica: le leggi di riproduzione del capitale (come rapporto sociale di
produzione e non certo come semplice somma di de- naro da risparmiare) si
manifestano come apparente naturali- t di forze cui vano e impossibile opporsi. La sinistra trema
al pensiero di essere rozza e arretrata e di non conoscere a sufficienza
l'economia, e corre verso la sua distruzione come fanno i buoi che
trotterellano verso il macello. Nel rarefatto mondo dell'economia, in cui
vent'anni fa il profitto appariva co- me residuo e limite del salario, oggi il
salario appare come resi- duo e limite del profitto, mentre si ricostituisce un
gigantesco esercito industriale di riserva di giovani disoccupati e di im-
migrati extra-comunitari che non chiede di meglio che di diven- tare
forza-lavoro salariata. La conflittualit cede alla compatibi- lit, e quelli che
un tempo erano i giovani economisti rampanti di sinistra del neoricardismo
(scuola di Modena, Michele Salvati, eccetera) sono oggi i consiglieri della
moderazione salariale e normativa e dellaccettazione dei tristi vincoli
dellaccumulazio- ne e del suo rilancio. Dal punto di vista teorico tutto ci si
pu compendiare in un solo modo: la colpa di tutto questo sta nel- lingenuit,
nellignoranza o nella malafede di chi insegn e cre- dette che Smith, Ricardo,
Keynes e Marx abbiano parlato delle 179 stesse cose con le stesse categorie
concettuali e allinterno dello stesso oggetto scientifico. Claudio Napoleoni e
la dissoluzione delleconomia politica Abbiamo rilevato che la visione
neoricardiana del mondo, trasformando il rapporto di produzione in relazione
produtti- vo-distributiva, e unendo strettamente conflittualismo e compa-
tibilismo, giunge ad una forma di platonismo industriale: al posto del
platonico Bene, la sinergia fra Profitto d'Impresa e Mediazione Sindacale; al
posto dei filosofi-re e della loro legitti- mazione a governare in base alla
conoscenza della dialettica, commissioni di burocrati, industriali e
sindacalisti legittimati a governare in base alla conoscenza delleconomia.
Questa conce- zione del mondo orribile,
e si manifesta infatti in personalit intolleranti e nevrotiche. In alcuni suoi
rappresentanti (pensia- mo ancora a Bruno Trentin) vi anche una particolare insistenza nella
critica al finalismo, cio nella critica a qualunque tentati- vo di
trascendimento della societ capitalistica. In breve: un ri- torno a Bernstein,
in cui il Fine nulla, ma anche il
Movimento non pi gran cosa. Con Claudio
Napoleoni si entra in un altro mondo, ideale e morale. Napoleoni un raro esempio di economista-filosofo, cio
di economista che riflette sui fondamenti ultimi della sua triste scienza, e
che non si limita a recepirla dogmaticamente ripetendone i rituali. Mentre la
maggioranza degli economisti si interessa al marxismo esclusivamente nella
prospettiva di una teoria dei prezzi di produzione o di una teoria delle crisi,
Napo- leoni, che pure conosce benissimo entrambi questi argomenti, particolarmente attratto dalla teoria
marxiana dellalienazione, che interpreta alla Colletti come teoria di un mondo
rovesciato in cui tutto ci che
natura ormai decaduto, e valuta
alla Se- verino come teoria che ha preso atto del fondamentale nichili- smo
della follia dell'Occidente. Da un punto di vista economi- co, Napoleoni
ritiene che le due teorie marxiane della crisi e dei 180 prezzi di produzione
non siano in grado di dimostrare scientifi- camente n il crollo necessario del
capitalismo n lo sfruttamen- to delluomo sulluomo. Da un punto di vista
filosofico, invece, il marxismo
impareggiabile nel descrivere lo spaesamento del- luomo contemporaneo in
un mondo che egli stesso ha costruito ma che
diventato itriconoscibile, al punto tale da poter ripete- re con
Heidegger che solo un Dio pu salvarci. Questa frase heideggeriana pu essere
tradotta marxisticamente in questo modo: ci aspettavamo la salvezza (comunista)
da un soggetto collettivo salvatore; ma il soggetto collettivo salvatore non
esi- ste; non lo la classe operaia (come
pensavano Korsch, Panzieri e gli operaisti); non lo possono essere i poveri e
gli emarginati (terzomondismo, teologia della liberazione); non lo pu essere il
partito, perch si burocratizza e si corrompe irresistibilmente; non lo pu
essere neppure il gerera/ intellect e lintellettualit tecnico-scientifica
(Antonio Negri); siamo dunque finiti: se non c' un Soggetto, solo un Dio pu
salvarci. Il fatto che il comunismo non
pu essere fatto da Soggetti, ma solo da soggettivit. Napoleoni capisce assai
bene la diffe- renza fra critica dell'economia politica (Marx) ed economia po-
litica critica (Ricardo, Keynes, Sraffa), e non cade dunque nel pacchiano
errore del 95% dei suoi colleghi economisti, per cui questa elementare
distinzione un segreto chiuso da sette
sigilli. Dopo aver capito questo, per, interpreta la critica dellecono- mia
politica marxiana come teoria dellalienazione generalizzata e del soggetto che
deve liberarci da questa alienazione stessa. Vediamo in questo un residuo
filosofico di cattocomunismo. Non certo
il cattocomunismo consociativo di Rodano, ma
pur sempre cattocomunismo nel senso che il marxismo tradot- to in un linguaggio religioso: caduta
e redenzione, soggetto in- carnato che salva dallo stato di generale peccato.
In una simile visione, che Napoleoni radicalizz fino al mo- mento della sua
morte, non c posto n per l'economia politica n per la critica ad essa. Come
abbiamo visto, questultima ri- definita
in termini di soggetto e di alienazione; la prima, invece, costretta a tornare sempre sulle orme mille
volte calpestate del neoricardismo, che
economia politica critica soltanto nel 181 senso che prende atto
dellinesistenza delle armonie economi- che e della impossibilit di determinare
la giusta retribuzione dei fattori produttivi per il solo intermediario del
mercato. Si riapre cos quel vizioso eterno ritorno del sempre eguale passag-
gio dal conflittualismo al compatibilismo, e poi ancora al conflit- tualismo e
poi ancora al compatibilismo. questo il
circolo vi- zioso della ciclicit capitalistica dell'economia, che vede eterna-
mente una sinistra conflittualistica sostituire provvisotiamen- te una destra
compatibilistica, e viceversa. Se le cose stessero veramente cos, allora non
basterebbe sospirare heideggeriana- mente: solo un Dio pu salvarci!.
Bisognerebbe dire aperta- mente: Che Dio ci aiuti!. 182 X Il dibattito marxista
internazionale e lItalia Un rapporto faticoso Esistono ragioni strutturali, di
lunga durata, che hanno're- so per decenni assolutamente irricevibili stimoli
culturali (0, co- me si dice oggi con linguaggio telematico, inputs culturali)
pro- venienti dal grande dibattito marxista internazionale. A prima vista,
questa sembra un'affermazione esagerata e paradossale. In fondo, non sono state
numerose le traduzioni e gli studi critici su di esse? Certo, sono state numerose
le prime e numerosi i se- condi. Ma qui non si parla del fatto banale che la
gente sia entra- ta in libreria per comprare e per leggere Sweezy e Bettelheim,
Adorno e Bloch, Althusser e Lukacs, o abbia affollato dibattiti in cui si
parlava di loro. Qui si allude al fatto che il funzionamen- to storicista della
prima sinistra e lideologizzazione operai- sta della seconda rendevano
itricevibile qualsiasi discorso che scuotesse i fondamenti rispettivi dello
storicismo e delloperai- smo. Il principio fondamentale del rapporto fra
cultura e politi- ca (vero e proprio equivalente ideologico delleinsteiniano
E=MC?) questo: una innovazione
teorica irricevibile se il suo
destinatario politico e sociale
irriformabile. Chi scrive con-
vinto da tempo che la dialettica di irricevibilit e irriformabilit debba essere
messa al centro dellanalisi delle idee, che in caso contrario resta
dolorosamente sovrastrutturale. Abbiamo dunque scritto questo capitolo sulla
base metodolo- gica di cinque
fondamentali irricevibilit: il dibattito sulla natu- ra sociale dell'URSS irricevibile perch incompatibile con il mantenimento del mito
del socialismo come rottura irreversibi- le con il sistema capitalistico, mito
necessario per la coesione mi- 183 litante dei membri dei partiti comunisti
storici novecenteschi; l'accoglimento della scuola di Francoforte e di
Adorno impos- sibile, perch
laccettazione sincera della psicoanalisi e della cri- tica alla personalit
autoritaria incompatibile con le modalit
sado-masochistiche della militanza e dellappartenenza ad un partito
patriarcale; l'accoglimento di Bloch
impossibile, per- ch il doppio esame blochiano del giusnaturalismo
borghese ri- voluzionatio e del messianesimo religioso apocalittico incom- patibile con la strategia delle
alleanze con laici e cattolici, che non devono essere inquietati e provocati
ricordando loro le ra- dici eversive della loro stessa tradizione;
l'accoglimento di Al- thusser
impossibile, perch la distruzione althusseriana di sei colonne
ideologiche portanti del marxismo comune (lumanesi- mo, lo storicismo,
leconomicismo, il triplice mito dellOrigine, del Soggetto e del Fine) assolutamente incompatibile con la re-
ligione di partito, base ineliminabile di quella triplice risorsa sistemica
costituita dalla identit, dalla appartenenza e dalla militanza; infine, e
soprattutto, l'accoglimento di Lukcs im-
possibile, perch la proposta della ontologia dellessere sociale al posto dello
storicismo o del materialismo dialettico non
un semplice suggerimento filosofico, ma
qualcosa di incompatibi- le con una filosofia di partito, dal momento
che il destinatario di questa proposta
direttamente il genere umano, cio la somma delle differenze delle libere
individualit integrali senza partito. Abbiamo voluto insistere molto su questa
quintupla irricevi- bilit, perch lirricevibilit politica e sociale la premessa onto- logica fondamentale
dellaccoglimento accademico e universita- rio. I due destinatari sono infatti
inversamente proporzionali. La cultura universitaria, saggistica e
specialistica segue infatti il principio capitalistico della frammentazione, e
la sua manifesta- zione normale, e non patologica, composta di temi come que- sti: la
passeggiata pomeridiana di Kant a K6nigsberg come pre- messa dellimpetativo
categorico; lo schizzo di fango in Van Gogh; gli incubi notturni di Cavour in
rapporto al mazzinianesi- mo; lamore platonico fra visione e palpeggiamento; la
pulitura delle lenti in Spinoza come etica della professionalit, eccetera.
Assicuriamo il lettore di non stare affatto scherzando, ma di 184 conservare,
come Buster Keaton, la faccia serissima. Linnova- zione teorica irricevibile, quando il suo destinatario
politico e sociale irriformabile, e
nello stesso tempo la sua neutralizza- zione culturalistica fortemente probabile quando esiste un mercato
solvibile per essa. La grande questione: la natura sociale dell'URSS Che cosa stata l'URSS nei settantaquattro anni che
vanno dal 1917 al 1991? Capitalismo o socialismo? Dittatura del proleta- riato
o stato operaio degenerato? Modo di produzione asiatico modernizzato o
collettivismo burocratico? Rivoluzione tradita o primo tentativo
comprensibilmente imperfetto di fuoriuscita dal capitalismo? Si tratta di
questioni appassionanti, che tocca- no il cuore del marxismo, e che dovrebbero
essere discusse con la passione del comunista, ma anche con la spregiudicatezza
ga- lileiana di chi disposto anche ad
ammettere che la realt pu andare contro i nostri desideri soggettivi, e che
bisogna preferi- re come nelle analisi mediche la crudele verit alle diagnosi
cari- tatevoli ma fuorvianti. Il dibattito internazionale sulla natura sociale
dell'URSS sta- to a nostro avviso un
modello inarrivabile di controversia teori- ca seria, superiore a tutti gli
effetti a dibattiti precedenti molto famosi, come quello fra Bernstein e
Kautsky su revisionismo e ortodossia. In questo caso, infatti, si ha a che fare
con un discor- so che mira direttamente alla centrale nozione matxiana di mo-
do di produzione, una nozione che non tollera manipolazioni tattiche di
politica spicciola, e che deve essere tematizzata senza nessun pietoso riguardo
per i pregiudizi edificanti del militante devoto alla linea. Nel corso di
alcuni decenni, questo dibattito internazionale ha espresso alcune posizioni esemplari,
tutte ar- gomentate in modo ricco e articolato: il belga Mandel ha ripro- posto
la vecchia tesi trotzkista della rivoluzione tradita e dello stato operaio
burocraticamente degenerato; il tedesco Bahro ha riformulato in modo nuovo
lipotesi del suo connazionale Witt- fogel sulla persistenza del modo di
produzione asiatico in con- 185 dizioni inedite di sviluppo industriale
accelerato; il francese Bettelheim, definendo la rivoluzione del 1917 come la
grande illusione del Novecento, ha analizzato URSS come un partico- lare tipo
di capitalismo burocratico di partito, in cui la propriet statale dei mezzi di
produzione e la pianificazione economica dello sviluppo delle risorse non hanno
fatto venir meno le leggi generali di riproduzione del modo di produzione
capitalistico nel suo complesso, che non si manifestano al livello delle forme
giuridiche o economiche della propriet e del mercato, ma al li- vello della
riproduzione della divisione sociale e tecnica del la- voro complessivo;
l'americano Sweezy ha sostenuto la posizione per cui l'URSS non stata una societ socialista nel senso di
Marx, ma nello stesso tempo non stata
neppure mai una socie- t definibile come capitalistica, perch la mancanza del
nesso mercato-propriet privata impedisce di assimilarla ai normali capitalismi
imperialistici novecenteschi, che hanno infine ripor- tato la vittoria su di
essa nel 1991. Chi scrive sostiene una teoria intermedia fra quella di Sweezy e
quella di Bettelheim. Riteniamo infatti che l'URSS sia stata una societ politicamente
non capitalistica, in cui stato fatto
uno sforzo reale e non fittizio per il superamento del capitalismo (e pertanto
la rivoluzione del 1917 ron pu essere definita come una grande illusione), ma
in cui nello stesso tempo non si mai
riusciti a superare le leggi profonde di riproduzione del modo di produzione
capitalistico (effettivamente incardinate nel processo di divisione del lavoro
sociale), a causa del domi- nio globale mondiale del capitalismo stesso. Una
societ sociali- sta cresciuta sotto l'egemonia esterna del capitalismo,
insomma; qualcosa di simile al capitalismo medioevale nel Trecento che dovette
infine cedere, con la rifeudalizzazione del Quattrocento, al dominio globale
europeo del feudalesimo. In questa sede, co- munque, le opinioni di chi scrive
non presentano alcun interes- se, mentre
giusto ricordare che ci furono molti saggisti e stu- diosi italiani che
hanno portato i loro contributi a questa discus- sione (da Maitan a Rizzi, da
Bongiovanni a Catone, da Bordiga a La Grassa). Ci che invece vale la pena
rilevare che questa di- scussione non
pot 47 superare lo sbarramento inesorabile che 186 ha diviso per decenni
piccoli gruppi di appassionati dal pi va- sto popolo militante di sinistra.
Questo popolo voleva certezze, non dubbi, bandiere, non punti interrogativi.
Oggi tutto questo in un certo senso
ormai sorpassato, salvo che in un punto es- senziale. infatti aperta una discussione, italiana ed
internazio- nale, sulle ragioni profonde del crollo dell'URSS nel triennio
1989-91 e sulla corretta interpretazione da dare alla figura di Gorbaciov, non
tanto perch sia veramente interessante la figu- ra umana di questo burocrate
senza principi, quanto perch re- sta parzialmente incomprensibile la natura
delle forze sociali (0, se si vuole, della base di massa e della base di classe
di queste forze sociali) che hanno promosso, o subito, questo smantella- mento
politico-sociale. C' da sperare che la discussione sulle ragioni storiche di
fondo sul crollo dell'URSS sia pi produttiva della discussione sulla sua
natura, anche se ovviamente le due questioni sono strettamente connesse. Adorno
in Italia fra apocalissi e integrazione Le ricostruzioni storiche sulla scuola
di Francoforte, da quel- la di Jay a quella di Wiggershaus, insistono sulla estrema
diso- mogeneit dei suoi componenti; solo una radicale, scorretta
semplificazione pu tenere insieme il messianesimo di Benjamin e il pessimismo
schopenhaueriano di Horkheimer, il freudismo libertario di Marcuse e la
saggistica hegeliana di Adorno, la teo- ria della pianificazione del capitale
di Pollock e la riformulazio- ne della liberaldemocrazia di Habermas. Da un
punto di vista rigorosamente storiografico, chi scrive daccordo con chi so- stiene che la scuola di
Francoforte non esiste come insieme dotato di caratteristiche veramente
unitarie, e che molto me- glio studiare
separatamente tutti coloro che con essa hanno avu- to a che fare. Il discorso
cambia se dallaccurata valutazione storiografica dei singoli autori si passa al
francofortismo come atteggiamento mentale e come tessuto culturale di
riferimento. Cesare Cases ha ragione di rilevare, a distanza di pi di
trent'anni, che la tradu- 187 zione dei Minima Moralia da parte di Renato Solmi
nel 1954 stata un avvenimento culturale
rilevante, dal momento che si trattava di qualcosa di incompatibile con lo
storicismo domi- nante. Pi esattamente Cases scrive: Uno dei motivi della for-
tuna dei francofortesi fu che la Scuola, e in particolare il pensie- ro e
lopera di Adorno, rappresentava unalternativa di sinistra allegemonia del
PCI... chi aveva a disposizione solo il marxi- smo appoggiato dal PCI, una
volta che la fiducia verso questo partito veniva a mancare si ritrovava
spiazzato... significativo che gente come
Lucio Colletti, fin da principio molto mal dispo- sto verso Adorno, sia poi
passato senza remore nel campo av- versario, sia diventato cio anticomunista,
mentre quelli come me e Fortini, che hanno avuto un punto di riferimento nella
Scuola di Francoforte, hanno resistito meglio alla crisi del co- munismo di
tanti marxisti pentiti. Riteniamo che Cases colga qui un punto essenziale.
Abbiamo gi rilevato nel sesto capitolo, a proposito di Luporini e Timpa- naro,
che si pu benissimo essere comunisti rifacendosi pi a Leopardi che a Marx, e
dunque non c nulla di strano nel fatto che Cases o Fortini si dicano pi
francofortesi che marxisti. Le etichette hanno veramente poca importanza. invece interes- sante rilevare che
lirricevibilit profonda, strutturale, del fran- cofortismo in Italia, non stava
tanto in dettagli anche interessanti quali latteggiamento verso Hegel o
Nietzsche (pochi hanno rile- vato che molti francofortesi hanno cercato di
conciliare. questi due pensatori, considerati in generale come assolutamente
in- compatibili), quanto nel fatto che la proposta di conciliare mar- xismo e
psicoanalisi (perch questa , in soldoni, la sua proposta di fondo) era qualcosa
che non poteva neppure essere preso in considerazione da parte di chi fondava
la propria legittimit po- litica ed elettorale su modalit fideistiche di
partecipazione su- balterna e di appartenenza comunitaria. Si sarebbe trattato
di una vera e propria rivoluzione antropologica, e le rivoluzioni
antropologiche sono ben pi profonde e decisive dei mutamenti di linea politica.
Vi qui a nostro avviso il problema della
cru- cialit di Herbert Marcuse, un autore che crediamo sar in futu- ro molto
rivalutato, per il fatto di aver posto con nettezza alme- 188 no quattro
problemi filosofici essenziali: la natura rivoluziona- ria della dialettica
hegeliana, e la radicale inopportunit di stac- care troppo Hegel da Marx; la
specificit del marxismo sovieti- co come formazione ideologica assolutamente
distinta dal pen- siero di Marx; la necessit di criticare il neopositivismo
come forma filosofica tipica del capitalismo moderno; lindispensabi- lit,
infine, di fare una lettura libertaria ed antiautoritaria della psicoanalisi, e
di legarla ad un marxismo rinnovato radicalmen- te. Di fronte a queste quattro
questioni, il tema degli errori teori- ci di Marcuse (che furono a nostro
avviso numerosi) passa in se- condo piano. AI posto di questo (impossibile)
incontro, ci fu spesso soltan- to linterminabile chiacchiera fra apocalittici e
integrati. Era Adorno lannunciatore dellintegrazione irreversibile dellindi-
viduo borghese nel tritatutto capitalistico, livellatore delle diffe- renze?
Era Adorno lultimo profeta ebraico, che annunciava l'avvento delle apocalissi
prossime venture compitamente vesti- to da pianista tedesco colto? Domande
oziose, che venivano po- ste in assenza dei veri problemi che restavano
invisibili. Bloch in Italia fra profetismo e accademia Le traduzioni di Ernst
Bloch (ma a tutt'oggi mancano scanda- losamente in lingua italiana i suoi
lavori sulla storia dellutopia, sul giusnaturalismo rivoluzionario, sulla
storia del materiali smo) hanno costituito in Italia piccoli cenacoli di
blochiani entu- siasti, che si comportano spesso come gli gnostici del tardo
im- pero romano, fieri di possedere una conoscenza dalla quale la maggioranza irrevocabilmente esclusa. La lingua di
Bloch difficile e oscura, perch si fonde
in essa la tecnica espressiva dellespressionismo tedesco con la tradizione
ermetica e neopla- tonica. In filosofia Bloch rappresenta il perfetto
equivalente di chi in politica definito
spregiativamente un cane sciolto. Egli
provocatoriamente al di fuori di qualunque appartenenza teo- rica di
cordata, e resta il modello ineguagliabile di un rappor- to individuale fra
lintellettuale-filosofico del Novecento e il co- 189 munismo. Abbiamo gi
rilevato nel secondo capitolo di questa seconda parte che Sartre, che generalmente considerato come il massimo
esempio novecentesco del rapporto tra filosofo indi- pendente e comunismo
politico, stabilisca in realt questo rap- porto su di una modalit esterna al
lavoro filosofico, quale len- gagement,
o impegno, e abbiamo anche affermato che le mo- . dalit esterne,
esistenzialistiche, danno luogo a una cultura di sinistra assai pi che a una
cultura marxista. Il rapporto con il marxismo, in filosofia, non pu fondarsi su
principi esterni alla questione della fondazione teoretica del comunismo, a
meno che appunto si decida (ma allora bisogna dirlo apertamente) che si
preferisce privilegiare Leopardi o Epicuro piuttosto che Marx. Bloch ha vissuto
novantadue anni (dal 1885 al 1977) mostran- dosi capace di una attivit
filosofica che resta a nostro avviso prodigiosa. In questa sede non intendiamo
soffermarci analiti- camente su quelli che sono i punti preferiti dai blochiani
di stret- ta osservanza, come la scelta per una dialettica unitaria della na-
tura e della storia (e dunque per Schelling contro Hegel) oppure per una
fondazione utopica del comunismo, contro ogni cor- rente fredda di tipo
positivistico. Chi scrive non condivide n la prima n la seconda, ritenendo
Schelling un ispirato confusio- nario rispetto alla sobriet dialettica di
Hegel, e soprattutto con- siderando lutopia qualcosa da cui tenersi lontani per
il suo ca- tattere organicistico, comunitario-costrittivo e regolativo. In
questa sede, per, opportuno chiedersi
perch una valanga rossa come Bloch sia rimasto in Italia un masso etratico noto
a pochi raffinati, laddove i contenuti del suo pensiero avrebbero potuto
scardinare pregiudizi consolidati e mefitici della tradi- zione italiana.
Abbiamo ovviamente risposto da soli alla nostra stessa do- manda. Bloch rimasto irricevibile appunto perch avrebbe
scardinato queste pigre rendite di posizione. La spartizione fi- losofica
italiana, duplicazione teorica della spartizione tangen- tizia fra comunisti,
socialisti, laici e cattolici, prevede che venga- no ferreamente stabiliti i
confini in filo spinato fra il comunismo (Gramsci e Togliatti), il socialismo
(Nenni e Turati), i laici (Mazzini e Croce), e i cattolici (Sturzo e De
Gasperi). Bloch en- 190 tra in questa spartizione tangentizia come un elefante
in un nego- zio di cristallerie. Nella sua concezione marxismo, illuminismo e
religione si incrociano in mille accoppiamenti peccaminosi. Se ci fosse
Norberto Bobbio, direbbe certamente: Non si capisce pi niente! Chiamate i
pompieri, che rimettano a posto le dico- tomie giuste, prima che sia troppo
tardi!. Nella concezione blochiana, che
appunto lesatta antitesi della concezione della filosofia di Abbagnano e
di Bobbio, lintero universo filosofico
riclassificato. Da un lato, solo lateo diventa un vero credente, perch
solo il ribelle al Dio dei sacerdoti pu accogliere il mes- saggio profetico e
apocalittico di una religione identificata con l'escatologia. Dall'altro, il
marxismo viene invitato a incorpora- re organicamente il giusnaturalismo
rivoluzionario borghese e giacobino, come fonte ben pi importante e decisiva
delle- conomia politica inglese (e chi scrive ha fatto notare nel capitolo
precedente che effettivamente il socialismo ricardiano, vertice massimo della
scuola inglese di economica classica,
del tutto incompatibile con il tema marziano del comunismo come supe-
ramento della forma di valore del lavoro). Cadono nella propo- sta blochiana le
distinzioni stucchevoli e fittizie fra atei e creden- ti (cio fra signori che
credono in un demiurgo stellare che sfug- ge ai migliori telescopi, e signori
che invece pensano con Monod che il caso
sufficiente per spiegare Bush e le oloturie, Gorba- ciov e i canguri, De
Michelis e gli spinaci). Non resta pietra su pietra, nella proposta blochiana,
delledificio mirabilmente co- struito delle distinzioni fra democrazia formale
e sostanziale, borghese e proletaria, capitalistica e operaia (dal momento che
il grande giusnaturalismo moderno ha fondato una volta per tutte il nesso
inscindibile fra formalit garantistica e contenuto eman- cipatorio
delleguaglianza). Come tutti i grandi innovatori, Bloch un grande riclassificatore, ed appunto per questa ragione che il suo
profetismo resta fuori nella pioggia a gridare inascoltato, mentre possono
fiorire indisturbati i commenti eruditi sui suoi fecondi rapporti con figure
minori, ma significative, della co- munit eschimese in Mozambico o
dell'emigrazione politica bir- mana in Guatemala. 191 Althusser in Italia fra
teoria e politica Nella sua recente e sconvolgente autobiografia, pubblicata
postuma, Louis Althusser si mostra a nudo, e rivela al mondo in- tero di essere
stato matto come un cavallo. Per chi ha avuto mo- do di conoscerlo
personalmente, come lo scrivente, questa lettu- ra un dolore quasi fisico. Il suo allievo forse
pi noto nel mon- do, che anche amico di
chi scrive, ci ha detto che gran parte di ci che si legge sono menzogne, ma
questo non cambierebbe a nostro avviso lessenziale della questione, perch la
menzogna sempre anche la segreta verit
di chi la dice, dal momento che vi sono evidentemente ragioni profonde
nellitresistibile im- pulso che spinge a comunicare agli altri fatti non veri.
La gran- dezza filosofica di Althusser non cessa di stupirci, in particolare
alla luce del crollo epocale dellesperienza del comunismo stori- co
novecentesco. Egli seppe diagnosticare i difetti strutturali della sua
ideologia portante con una tale acutezza e profondit, che a volte ci viene da
pensare che la pazzia forse un prezzo
che i veggenti devono pagare per il successo delle loro prestazioni. Althusser
diagnostic almeno sei difetti strutturali allo scafo della teoria comunista,
ognuno dei quali avrebbe potuto bastare da solo al naufragio. In primo luogo,
il suo Umanesimo, cio li- dea che sia sufficiente sostituire alla credenza in
Dio la credenza nellUomo per rendere questultimo capace di vincere le aliena-
zioni da lui stesso poste; un simile ateismo non che apparen- te, perch ripropone sotto
mentite spoglie una religione positi- vistica dell'umanit dietro la quale si
nasconde il mito borghese e interclassista di unessenza naturalistica
immutabile che costi- tuirebbe l'umanit stessa. In secondo luogo, il suo
Storicismo, cio lidea che esista uno scorrimento omogeneo e cumulativo del
tempo in cui si pu realizzare il progetto umanistico stesso con la sua fede nel
progresso accrescitivo della coscienza morale e della conoscenza scientifica.
In terzo luogo, il suo Economici- smo, cio lidea che lo sviluppo delle forze
produttive, ossia del- la scienza e della tecnologia, farebbe esplodere
semiautomatica- mente il vecchio involucro dei rapporti sociali di produzione:
questi ultimi sarebbero classisti, mentre la tecnica sarebbe 192 neutrale. In
quarto luogo, il mito dellOrigine, per cui la so- ciet deriverebbe da una sorta
di unit primitiva la cui scissione semplice dovrebbe essere ricomposta, alla
luce di una dialettica che si pensa come divisione dellUno in Molti e riunione
dei Molti nellUno. In quinto luogo, il mito del Soggetto, che ipotiz- za un
inesistente soggetto pieno che garantisce con il manteni- mento della propria
identit iniziale la realizzazione finale del proprio progetto originario. In
sesto luogo, il mito del Fine, che vede la storia precipitare in un punto, culmine
e realizzazione perfetta di tutte le virtualit contenute in potenza nella
propria essenza. Consideriamo questa critica althusseriana alla metafisica del
movimento operaio la cosa pi geniale che si possa leggere dopo Spinoza ed
Hegel. Nello stesso tempo, Althusser rilutta e recal- citra nellammettere a se
stesso di pensare una cosa del genere, perch vorrebbe conciliare questa
sconvolgente innovazione con il mantenimento della militanza e dellappartenenza
abituale al partito comunista. Si tratta di una situazione veramente schi-
zofrenica (che pu diventare paranoica se si ritiene che queste proposte non
vengono accettate per disistima nei nostri con- fronti, laddove non possono
chiaramente essere accettate da qualunque organizzazione che voglia mantenersi
nella vecchia forma collaudata). In pi, Althusser propone queste sei scon-
volgenti innovazioni allinterno di due involucri che ci sem- brano francamente
inaccettabili. In primo luogo, Althusser propone di definire lo statuto filo-
sofico del marxismo in termini di materialismo dialettico, cio di epistemologia
e di teoria delle pratiche teoriche, e di mate- rialismo storico, cio di
scienza marxista dei modi di produ- zione. Questa distinzione ci sembra
blandamente schizofrenica: il comunismo dovrebbe infatti essere ricavato
scientificamente dalla causalit strutturale dei modi di produzione, mentre la
filosofia dovrebbe asceticamente ridursi ad epistemologia. In questo modo il
massimo di scientismo positivistico si unisce al massimo di misticismo
classistico, perch le masse divente- rebbero portatrici immanenti di comunismo,
mentre il pensiero avrebbe come unico compito quello di portare la lotta di
classe 193 nel dibattito ideologico. Ma il comunismo una filosofia, non una scienza o una
ideologia. Lideologia falsa coscienza
neces- sariamente legata ad una appartenenza, mentre la scienza pu ri-
specchiare dialetticamente la natura con teorie sempre migliori, ma non pu in
nessun modo ricavare il comunismo, che
una modalit antropologica dellagire umano allinterno di una con- cezione
cosmologica nuova del mondo (nel senso greco di co- smo-teorica, non certo nel
senso puramente astrofisico del ter- mine). In secondo luogo, Althusser
suggerisce continuamente che le sei modalit ideologiche sopra elencate
risultano da una intru- sione borghese nel marxismo proletario, veri cavalli di
Troia del capitalismo nel movimento operaio. Tutto ci ci sembra pa- ranoico.
Queste sei modalit religiose di interpretazione del mondo e della storia, lungi
dallessere borghesi (la borghesia
filosoficamente molto pi disincantata, basta leggere Heideg- ger e Max
Weber), sono schiettamente e genuinamente proleta- rie. Si tratta dei dogmi
della religione di identit, militanza ed appartenenza di partito. Il militante
deve potersi pensare come rappresentante dell'Umanit, alleato della Scienza e
della Storia, membro di unorganizzazione che non cambia di natura nel pas-
saggio dal Passato al Futuro, realizzatore del Sol dellAvvenire che render
finalmente gli uomini liberi ed eguali; perch do- vrebbe, se no, fare i
sacrifici pazzeschi che il comunismo storico novecentesco ha sempre
gratuitamente richiesto ai suoi aderen- ti, a meno che si pensi che li facciano
per permettere ai loro rap- presentanti di viaggiare in aereo, di mangiare in
ottimi ristoranti e di andare in pensione con trattamenti eguali a quelli di un
diri- gente dindustria capitalistica? Althusser mostra qui che anche Omero
talvolta dormicchia, come dicevano gli antichi, e che sempre difficile essere all'altezza delle
proprie stesse scoperte. La ricezione italiana di Althusser fu comunque
migliore di quella di Bloch cui si
sempre accennato. Da un lato, si aprirono certamente inconcludenti
dibattiti sullo strutturalismo, sulla differenza fra Marx e Hegel, e
sullinfluenza di Bachelard o di Lacan. Dallaltro lato, per, lalthusserismo si
rivel essere lo strumento filosofico privilegiato per smontare definitivamente
il 194 palco tarlato dello storicismo marxista italiano, anche se, ovvia-
mente, era ormai troppo tardi negli anni Settanta e Ottanta per poter
seriamente pensare di riformare un destinatario politico e sociale
assolutamente e pervicacemente irriformabile. Lukdacs in Italia fra continuit e
rifondazione Chi scrive ritiene, pacatamente ma fermamente, che Lukcs sia stato
il pi grande filosofo marxista del periodo storico du- rato settantaquattro
anni, cio dal 1917 al 1991. Non faremmo una tale impegnativa affermazione se
non ci sentissimo in grado di motivarla con ragioni squisitamente teoretiche, e
non solo storiografiche. Le motivazioni storiografiche, quando si parla
veramente di filosofia, contano come il due di picche a briscola, cio poco. Le
motivazioni teoretiche, invece, illuminano il deli- catissimo rapporto fra le
astrazioni ideali che il filosofo produce senza poterle mai verificare o
falsificare con le procedure che la scienza mette a disposizione degli
scienziati (e che dal tempo di Galileo in poi sono sempre e solo due:
matematica ed esperi- mento) e le astrazioni reali prodotte dalle forze che
agiscono in un modo di produzione. Lukcs
grande perch tent, negli anni Venti, di fondare la filosofia del
comunismo nellunit astratta fra soggetto e ogget- to, cio fra proletariato e
svolgimento della storia universale; e fu ancora pi grande perch si accorse
autonomamente di esser- si sbagliato, si corresse con unautocritica
gradevolmente equili- brata, e propose infine negli anni Sessanta una nuova
versione filosofica del comunismo in termini di ontologia dellessere so- ciale.
Non sappiamo sinceramente se ammirare di pi questo piccolo ungherese attivo a
Vienna, Berlino, Mosca e Budapest per la sua intelligenza filosofica oppure per
la sua capacit di au- tocorrezione in un mondo di presuntuosi che non ammettono
mai di essersi sbagliati. Chi scrive, in breve, ritiene che effettiva- mente la
migliore forma filosofica possibile del discorso comu- nista sia proprio
lontologia dell'essere sociale, e che la grandez- za di Lukacs stia proprio
nellaverla ricavata dalla critica filoso- 195 fica delle forme teoriche
precedenti (cos come avviene del resto in tutta la storia della filosofia:
Platone nei confronti dei sofisti; Aristotele nei confronti di Platone; Spinoza
nei confronti di Cartesio; Kant nei confronti di Hume e di Leibniz; Hegel nei
confronti di Kant, Fichte e Schelling; Marx nei confronti di He- gel, Feuerbach
e Smith). Luk4cs ritiene infatti di poter criticare lo storicismo alla fonte,
cio in Hegel (attribuendogli intenzioni teleologiche che logicizzano
indebitamente la storia), e il mate- rialismo dialettico alla fonte, cio in Engels
(attribuendogli la scorretta identificazione della libert con la coscienza
della ne- cessit). Si compie in questo modo una mossa filosofica strategica,
che si contrappone alle due principali forme fallaci di filosofia mar- xista
novecentesca senza con questo sposare il punto di vista an- timarxista del
Novecento, che Luk4cs connota genialmente co- me solidariet antitetico-polare
fra neopositivismo ed esisten- zialismo (cio fra rappresentazione
tecnico-neutrale dei rappor- ti sociali capitalistici, pensati come naturali e
immodificabili, in- tegrati da una compensazione morale ed esistenziale come
pro- testa, a priori impotente, contro la loro dolorosa immodificabi- lit). La
proposta era assolutamente geniale, anche se era del tutto irricevibile,
essendo fatta ad un destinatario irriformabile. La fi- losofia di Lukacs si
rivolgeva al genere umano ed al suo unico possibile correlato, la libera
individualit moderna, saltando insiemi ontologicamente fittizi e provvisori
come lo Stato, il Par- tito e la Classe. Questa era ovviamente la ragione
fondamentale per lirricevibilit di Lukcs. Credere che un Partito-Stato po-
tesse non dico adottare, ma anche soltanto prendere in benevola considerazione
una proposta che dava al Genere e allIndividuo la titolarit del comunismo
equivale a pensare che la chiesa cat- tolica possa fare un catechismo fondato
sul libero esame e sulle- quiparazione del papa all'ultimo fedele della terra.
Nello stesso tempo, la proposta di Lukcs presentava a nostro avviso alcuni
difetti di struttura che la indebolivano, e che nello stesso tempo riflettevano
la sua contraddittoriet sociale (cos come Althusser voleva riformare
dallinterno il comunismo occidentale di op- 196 posizione, cos Luk4cs voleva
riformare dall'interno il comuni- smo orientale di governo). In primo luogo,
Lukcs parla esplicitamente di perseguimen- to della genericit per-s come fine
del comunismo storico. Ma il per-s, a nostro avviso, non esiste. Perch il per-s
possa esiste- re, infatti, bisogna presupporre un in-s che diventa appunto un
per-s dopo essere dialetticamente uscito fuori-di-s. Chi scrive ritiene che
questa sia pura mitologia. Hegel aveva certo il diritto di presupporre lin-s,
perch appunto la rappresentazione borghese del mondo, da Marx correttamente
connotata come ideologia, riteneva di realizzare la Ragione nella Storia. Marx
eredita questo linguaggio hegeliano, perch appunto ritiene che la Classe
Operaia, o Proletariato, sia appunto lin-s il quale, at- traverso la dolorosa
odissea del fuori-di-s, cio della lotta di classe, raggiunger alla fine il
per-s, cio il comunismo. Ma questa a
nostro avviso pura mitologia, basata sul paralogisma della confusione tra
classe filosofica dei proletari e classe socio- logica dei salariati. Lukcs non
esce a nostro avviso da questo in- cantesimo triadico, perch non esiste a
nostro avviso una generi- cit in-s da realizzare con il comunismo. Per dirla
con Althus- ser, che su questo punto ci azzecca, questo mito dellOrigine. Il fatto che n Luk4cs n Althusser vogliono ammettere
lipotesi del mantenimento della possibilit del comunismo anche in as- senza
della titolarit rivoluzionaria della classe operaia-proleta- riato, ritenendo
evidentemente traumatica l'ammissione che, co- s come in tutti i modi di
produzione che hanno preceduto il ca- pitalismo (antico-otientale, asiatico,
schiavistico, feudale) le classi oppresse ron sono state quelle che li hanno
rovesciati, ep- pure essi sono stati rovesciati lo stesso, analogamente nel
capita- lismo pu benissimo avvenire un fenomeno analogo: il capitali- smo vetr
superato, ma non verr superato da nessuna classe in- s che diventa per-s, cos
come non esiste nessuna genericit in- s che debba diventare per-s. In secondo
luogo, Lukfcs ritiene di poter proporre lontolo- gia dell'essere sociale come
forma filosofica del discorso marxi- sta mantenendo bobbianamente le due
dicotomie di razionali- smo e irrazionalismo e di materialismo e idealismo.
Questo a no- 197 stro avviso
assolutamente impossibile. Da un lato,
vero che il razionalismo vero
qualcosa che incorpora la dialettica come sua forma essenziale, ma anche vero che lo spettro dellirrazio-
nalismo che questa polarit dicotomica fuorviante necessaria- mente evoca
finisce con il non far capire che il razionalismo non dialettico (positivismo,
eccetera) mille volte pi irrazionali
stico di Nietzsche o di Heidegger, non solo, ma addirittura del- la stessa
astrologia. Dall'altro, se si comprende bene che il pro- blema dellEssere Ideale
non altro che lastrazione dell'Essere
Materiale, che non per nulla la materia,
ma lunit del lavoro sociale complessivo a sua volta diviso contraddittoriamente
a seconda dei vari modi di produzione, cade qualunque necessit di separare i
materialisti come Epicuro o Feuerbach dagli ideali- sti come Platone e Hegel, e
questa separazione appare proprio come priva di senso, perch il vero problema
diventa quello di comprendere le modalit empiriche concrete del nesso fra unit
e separazione del lavoro sociale complessivo del genere umano presente sul
pianeta terra. Negli anni Ottanta si form in Italia una piccola comunit di
filosofi marxisti di orientamento lucacciano (chi scrive ne fece pure parte).
Da essa non venne fuori assolutamente nulla di in- novativo, perch mancavano
del tutto i presupposti politici per passare dalla teoria alla prassi, cio
dallautocoscienza astratta allazione sociale. Si tratt, alla luce del senno del
poi che oggi facile avere, dellultimo
sussulto di un dibattito filosofico che non aveva ormai pi n committenti
materiali n destinatari ideali, e che chiudeva in modo non del tutto inglorioso
una sta- gione di confronti teorici appassionati, che abbiamo cercato in queste
pagine di rievocare con simpatia, anche e soprattutto quando lo abbiamo fatto
con intenzione fieramente critica. Pri- ma di finire per questa rievocazione
del passato, ci permettere- mo di aggiungere un undicesimo capitolo in cui
delineeremo ti- midamente alcune linee di pensiero ricostruttivo, che affidiamo
ai giovani come destinatario essenziale di quanto siamo andati fino ad ora
dicendo. 198 XI Linnovazione nella tradizione Un discorso delicato Giunti quasi
al termine della seconda parte di questo saggio, il lettore critico potrebbe
pensare che siamo stati troppo severi. A questo saggista, dir, non gli va
proprio bene niente! Per ogni pensatore individualmente esaminato, osserver, c'
una critica specifica che ne investe il nucleo teorico pi intimo e profondo.
Dopo una simile girandola di critiche, si potrebbe avere quello che un tempo
abbiamo sentito battezzare come leffetto val- zer, cio lo stordimento e il
giramento di testa dopo aver molto roteato danzando. Si tratta dello stesso
effetto causato dai vecchi manuali di storia della filosofia, gi presi di mira
da Hegel, per cui si legge una disordinata filastrocca di opinioni casuali,
alla fi- ne delle quali si approda a un robusto scetticismo e relativismo. In
breve: dal momento che tanti cervelloni e cos insigni sapien- toni non hanno
saputo mettersi daccordo fra di loro, ogni opi- nione in fondo eguale a qualunque altra, lultimo
che arriva ha sempre ragione per il semplice fatto che arriva alla fine, e anzi
per favore lultimo spenga la luce e chiuda la porta! Chi scrive spera di non
aver comunicato questo messaggio. A suo tempo Marx parl, nella sua
prefigurazione scherzosa di un mondo basato sulla rotazione delle attivit
umane, di un mondo di cacciatori, pescatori e critici critici. Questa
ripetizione del termine, critico-critico, ci ha sempre fatto pensare. Anche
nella teoria pura, infatti, il momento critico si giustifica sulla base di un
ulteriore momento propositivo. In questo caso, il momento critico tale perch
motivato, basato su ragionamenti comprensibili, che aprono verso un
possibile orizzonte di riforma dei paradigmi concettuali. infatti proprio questo il nostro
intendimento. In questa seconda parte, nei capi- 199 toli uno e due, abbiamo
criticato la prima sinistra, e nei capitoli tre e quattro, la seconda sinistra,
in cui ci siamo formati sul pia- no generazionale e politico. Nel quinto
capitolo, che continuia- mo a considerare centrale, pur non accogliendo per
nulla la logi- ca complessiva del pensiero di Bobbio, Del Noce e Severino,
abbiamo ritenuto pienamente legittimo il loro sacrosanto ap- proccio critico. A
proposito della filosofia, abbiamo detto che la povert della proposta storicista tale, da fare preferire inevita- bilmente una
fondazione in termini di antropologia solidaristica leopardiana. A proposito
della scienza, abbiamo sostenuto che il comunismo moderno di Marx, che non
vuole fondarsi sulla previsione regolativa, non
e non pu essere in alcun modo una scienza. A proposito della dialettica,
abbiamo visto come i due approcci critici di tipo razionalista e irrazionalista
non siano in realt che uno solo, tendente a sacralizzare filosoficamente il
pluralismo capitalistico delle differenze. A proposito delleco- nomia, abbiamo
osservato che il marxismo non pu essere pen- sato n come capitolo di storia
dell'economia politica classica n come momento di contrapposizione
antropologica globale al- lintero mondo dell'economia stessa. A proposito della
tradizio- ne cosmopolitica del marxismo, infine, abbiamo rilevato che nessuna
tradizione straniera si mai robustamente
acclimata- ta nel nostro panorama teorico nazionale. Tutta questa lunga storia,
per, non certo stata un luogo di rovine,
di ignoranza, di fraintendimento. Sarebbe questa, lo vogliamo qui ripetere an-
cora e ancora, una visione paranoica della storia del marxismo. La vicenda
storica complessa e drammatica del comunismo sto- rico novecentesco ha
prodotto, contestualmente agli eventi poli- tici, un ampio complesso di
soluzioni teoriche alternative, che devono essere tutte storicizzate e
collocate nel loro contesto, per poter essere poi capite e spiegate. A questo
punto, per, non sarebbe corretto congedarsi dal lettore senza proporgli la
segnalazione di alcune posizioni teori- che italiane che ci sembrano migliori
di altre, e da cui almeno partire. Chi scrive naturalmente ha le sue posizioni,
ma sarebbe grottesco e di cattivo gusto andare oltre la critica immanente fino
ad ora condotta pet entrare nel merito di proposte alterna- 200 tive.
Questo stato gi fatto e sar ancora fatto
in altro luogo. In questa sede, invece, ci limiteremo a ricordare alcuni
autori, mol- to meno noti di molti fino ad ora citati, ma a nostro avviso supe-
riori per la qualit teorica della loro impostazione. Essere in- giusti inevitabile. Nello stesso tempo, per, si
giustifica qui pienamente il termine di cattivi maestri. I cattivi maestri non
sono quelli che insegnano a fabbricare le bottiglie Molotov, o quelli che hanno
la parola violenza sempre in bocca. I cattivi maestri possono anche essere
persone mitissime, portatrici per di concezioni veramente alternative e
realmente eversive di radi- cate e consolidate visioni del mondo. Chi scrive ha
conosciuto, per fare un semplice esempio, persone che distribuivano volan- tini
terribilmente rivoluzionari e antiborghesi davanti alle fab- briche, e nello
stesso tempo, in quanto professori universitari di filosofia e di scienze
sociali, ritenevano del tutto normale inter- rogare i propri studenti sui
manuali di Abbagnano o di Bobbio, quintessenza estremamente distillata di una
concezione capitali- stica del mondo. Costoro, per esempio, non sono certamente
cattivi maestri. I veri cattivi maestri sono quelli che cercano di infrangere
le regole culturali del gioco al livello pi profondo, non quelli che dicono di
essere di sinistra anzich di destra. Essi sono per fortuna numerosi. Per non
frastornare per il let- tore con troppi nomi ci siamo limitati a segnalare due
casi a no- stro avviso esemplari, il primo in rapporto alla concezione gene-
rale della filosofia e della storia, il secondo in rapporto pi spe-
cificatamente al marxismo. Un rinnovatore filosofico: Massimo Bontempelli
Massimo Bontempelli un professore pisano
che ha scritto otto volumi di storia generale e di storia della filosofia, in
cui so- no contenute novit teoriche qualitative che non si trovano presso
autori ben pi noti e affermati. Ne ricorderemo qui sol- tanto quattro, che
riteniamo basilari per una ricostruzione di un paradigma culturale comunista
coerente. In primo luogo, Bontempelli ha scritto una storia generale ba- 201
sata esclusivamente sulla nozione marziana di modo di produ- zione, e in
particolare sul processo non teleologico di genesi, sviluppo, fioritura,
contraddizioni specifiche e tramonto dei modi di produzione sociali. Una simile
impostazione assoluta- mente eversiva,
in un paese che vuol essere la patria degli stori- ci, e in cui gli storici vengono
distinti in progressisti e conserva- tori esclusivamente in base ai giudizi di
valore che danno sui personaggi e sulle classi. Certo, riteniamo pi corretto
parlare male di Mussolini piuttosto che parlarne bene, cos come rite- niamo
sacrosanto dare un giudizio etico e politico inesorabile su Hitler e il
nazismo. Tutto questo ovvio, e nello
stesso tempo non che il 10% del
problema. Il rimanente 90%, quello pi im- portante e quello di cui nessuno
parla mai, consiste invece nel far comprendere bene, storicamente e
dialetticamente, il funzio- namento oggettivo, inesorabile dei modi di
produzione, e del perch da essi nascono personaggi come Alessandro il Grande e
Gorbaciov, Savonarola e Garibaldi, Lenin e Caio Gracco, Spar- taco e
Robespierre. Chi si impadronisce di questo sapere vac- cinato dalle sciocchezze alla Fukuyama
sulla fine della storia, e non resta schiacciato psicologicamente dal collasso
del comuni- smo storico novecentesco. Per coloro che sono allenati a consi-
derare il processo storico in termini di successione di modi di produzione, il
comunismo non mai unopinione di estrema
sinistra contrapposta ad altre opinioni, ma
un possibile modo di produzione edificabile mondialmente in un futuro
non trop- po lontano a partire da un certo modo di gestire le contraddizio- ni
oggettive del modo di produzione capitalistico. In breve: il pensare in termini
di storicit dei modi di produzione il
solo modo di essere alternativi al pensare in termini di opinioni di si- nistra
contro opinioni di destra, opinioni progressiste contro opinioni conservatrici,
e cos via continuando in questo scioc- chezzaio alla Bouvard e Pcuchet. In
secondo luogo, Bontempelli ha il merito di aver raccolto e riproposto (anche se
non ne stato linventore) lipotesi genea-
logica sulla nozione di Essere, chiave di tutto il pensiero filosofi- co
occidentale che il capitalismo ha mondializzato, in termini di astrazione
categoriale della unit della produzione sociale, da 202 cui risulta anche che
il Non-Essere non che lastrazione
catego- riale della arbitrariet della distribuzione di beni e ruoli deri- vante
dallo scambio delle merci e del denaro. Questa imposta- zione si contrappone
sia a quella di un Severino o di uno Hei- degger, che colgono correttamente la
crucialit ontologica della nozione di Essere in autori come Parmenide, ma non
ne danno poi una spiegazione genealogica materialistica e dialettica, sia a
quella di un Sohn-Rethel, che ne d invece una spiegazione ge- nealogica e
dialettica, ma ritiene poi poco materialisticamente che lEssere rifletta
lastrazione della merce e del denaro anzich riflettere lunit del lavoro sociale
complessivo delle comunit politiche antiche (e infatti n Severino, n Heidegger,
n Sohn- Rethel sono in grado di pensare veramente il Non-Essere se non come
ettore, sbaglio, illusione, incantamento). La concezione dell'Essere in termini
di unit del lavoro sociale complessivo, e del Non-Essere in termini di
estraneazione e dissoluzione con- traddittoria di questa unit ha almeno due
conseguenze incondi- zionatamente positive: in primo luogo, permette di
comprende- re che loggetto specifico della filosofia del comunismo pro- prio lEssere (o meglio, lessere sociale
nella sua contradditto- riet immanente), cio lunit astratta del lavoro sociale
com- plessivo, cui la teoria marxiana dei modi di produzione aggiun- ge tutta
la ricca serie delle determinazioni specifiche differenzia- te; in secondo
luogo, permette di superare la fuorviante e illuso- ria dicotomia di idealismo
e materialismo, stabilita da Engels, recepita da Lenin e ufficializzata da
Stalin, che a nostro avviso riflette soltanto l'illusione positivistica di una
omogeneit di oggetto e di metodo fra la societ e la natura, come se lunit del
lavoro sociale complessivo, le sue contraddizioni e le sue estra- neazioni
fossero appunto omogenee alla natura-materia cos co- me essa indagata dalle scienze empiriche e
matematiche sorte a partire dal Seicento. In terzo luogo, Bontempelli ha
popolarizzato unaccurata e storiograficamente convincente ricostruzione del Ges
stori- co, cio di Ges di Nazareth (non dunque del Cristo, ma del- luomo Ges),
in termini di purificazione comunista del tempio, e cio di riconquista
materiale dell'unit egualitaria della produ- 203 zione sociale attraverso la
mediazione profetica e messianica di un servo sofferente. Salta agli occhi il
parallelismo fra questa lettura di Ges e la lettura di Parmenide sopra
ricordata: lunit profonda fra religione e filosofia non viene argomentata, alla
Hegel, in termini di rappresentazione e di concettualizzazione di un unico
oggetto, lAssoluto, ma in termini di unit del lavoro sociale complessivo che la
filosofia riflette in forma astrattizzata e la religione messianica invece
persegue attivamente con il sa- crificio della morte. Limmortalit cos il legittimo premio di chi vuole ricucire
la scissione lacerante dellunit del lavoro so- ciale complessivo dilacerato in
ricchi e poveri, sfruttatori e sfruttati. L'impostazione di Bontempelli dinamite per tutti i cattocomunisti
consociativi e cardinalizi, perch sostiene diret- tamente la natura comunista della
predicazione di Ges, al di l della natura farisaica delle sinagoghe
cattocomuniste. Siamo a conoscenza del fatto che in Italia la cultura marxista
che si oc- cupata del Ges storico (da
Ambrogio Donini ad Umberto Ric- ca fino a Marcello Craveri) ha sempre preferito
partire dalla so- stanziale non-storicit della sua vita, dal fatto cio che le
fonti storiche sono ambigue e non risolutive, e che pertanto la natu- ra di
Ges assai pi un dato mitico e simbolico
di quanto sia una fattualit reale scientificamente accertabile. La discussione
ci ha sempre appassionato, ed un peccato
che non vi sia qui lo spazio di addentrarvisi. In breve, la nostra
posizione la se- guente: in primo luogo,
ammettiamo che la storicit del Ges neotestamentario non scientificamente accertabile al 100%, e che
pertanto le argomentazioni scettiche di un Donini, di un Ricca o di un Craveri
sono fondate ( fondato cio il dubbio, an- che radicale); in secondo luogo
riteniamo fermamente che, ove si assuma lipotesi della storicit neotestamentaria,
la sola lettura filologicamente plausibile
quella che legge in chiave comunista (ovviamente, comunista
antico-orientale, non certo comunista moderna o comunista-marxiana!) la
rivendicazione di un anno di misericordia del Signore da ottenere con una
purificazione del tempio propiziata dalla testimonianza messianica e dal sacri-
ficio di un servo sofferente. In quarto luogo, Bontempelli uno degli studiosi che pi si 204 esposto nel sostenere non solo la
somiglianza o lanalogia, ma la sostanziale identit del metodo dialettico in
Hegel e in Marx (del metodo, non delloggetto, visto che in Marx l'oggetto la stori- cit determinata dei modi di
produzione, e in particolare il co- munismo come unit inscindibile di possibilit
ontologica e di desiderabilit assiologica). A differenza di come molti pensano,
lo stesso hegelo-marxismo tradizionale si
sempre tenuto ben lontano da una simile posizione, avendo sempre al
massimo so- stenuto linnocua tesi dell'identit fra classe operaia e storia uni-
versale. Chi invece accede (e molti vi hanno gi acceduto, come Lenin, che
peraltro ha creduto di poter conciliare la dialettica di Hegel con il concetto
engelsiano di scienza) alla comprensione della sostanziale identit fra Hegel e
Marx, non pu pi cadere nellequivoco di confondere lepisterze dei greci, la
Wissenschaft dei tedeschi e la science dei positivisti. Il comunismo scienza del Bene, unit di matematica e di
dialettica, non certo scienza in senso galileiano, newtoniano e darwiniano.
Certo, il comunismo sapere monomondano,
e non certo platonico-bimondano, cos come
comunit egualitaria e non gerarchica. In forma estrema- mente
abbreviata, possibile dire questo:
Galilei ed Hegel non sono conciliabili; il primo separa ontologia e assiologia
(e ci effettivamente possibile se si
matematizza la natura e la si assio- matizza sulla base di procedure
sperimentali riuscite), il secon- do le unisce; Marx segue necessariamente il
secondo, perch la- zione associata degli uomini non trattabile con le metodologie
dellassiomatizzazione galileiana, e chi lo sostiene ricade in una forma di
religione razionalistica dellintelletto astratto. Vi sareb- be, certamente,
altro da dire su Bontempelli. Ma questi quattro punti bastano ed avanzano, a
nostro avviso, per sostenere che egli
certamente un cattivo maestro, cattivo come ce ne sono pochi. Un
rinnovato scientifico: Gianfranco La Grassa Se Bontempelli un cattivo maestro, La Grassa cattivissimo, diabolico, mefistofelico,
infernale. In questo professore veneto 205 abbiamo infatti il massimo di
innovazione che si presenta for- malmente come accurata, precisa, spesso
pedante filologia mar- xiana e marxista. Dagli scritti di La Grassa non balzano
fuori (come in quelli di Negri) allegri e polimorfi devastatori di super-
mercati capitalistici che si servono senza pagare non pi di pane ma di caviale,
oppure (come in quelli di Bordiga) schiere di pro- letari armati naturaliter
bolscevichi. In essi troneggiano entit anonime e un po noiose, come la
divisione del lavoro, lastra- zione delle categorie sociali, le transizioni
capitalistiche, il capi- talismo lavorativo. Come allora possibile, in mezzo a tanta
astrattezza, essere veramente dei cattivi maestri degni di que- sto nome?
Vediamo. Abbiamo gi rilevato che il paradigma marxista classico rischia di non
poter sopravvivere al collasso epocale del fallimento dellassalto al cielo del
comunismo storico novecen- tesco se non si mette nellottica di una coraggiosa
riformulazione radicale, che non potr in nessun modo lasciare le cose come
prima. Vi sono, in breve, almeno due punti in cui necessario riformulare questo paradigma. In
primo luogo, bene confessa- re
apertamente che il capitalismo non produce le soggettivit so- ciali che
dovrebbero superarlo, dal momento che in nessun mo- do di produzione precedente
le classi realmente sottomesse al suo funzionamento sono riuscite ad
abbatterlo, e che in partico- lare la dinamica capitalistica proprio quella della frammenta- zione dei
soggetti e dei ruoli, e non certo quella della riunifica- zione o della omogeneizzazione.
In secondo luogo, bene rile- vare che la
concezione marxiana del comunismo
ingenua, per- ch si basa su di una nozione naturalistica dei bisogni,
come se gli stessi bisogni umani non fossero qualcosa di storicamente forgiato
dal capitalismo stesso, e il comunismo potesse fornire a tutti beni posizionali
eguali, ed esaudire per tutti gli inevitabili desideri differenziati delle
libere individualit integrali (di qui nasce lidea utopistica secondo cui nel
comunismo non vi saran- no pi n stato n mercato, e tutti potranno egualmente
viaggia- re non solo fino a Vienna o a Parigi, ma anche fino a Giava e in Per,
se lo vorranno). In breve: Marx un
comunista geniale e tuttora insuperato, ma le sue due teorie del capitalismo e
del co- 206 munismo richiedono una sana revisione, peraltro fisiologica, se
pensiamo che sono passati pi di cento anni. In un paese di reto- ri del
marxismo, abituati a difenderlo avvocatescamente contro i suoi denigratori, La
Grassa un meccanico del marxismo, che ne
smonta i pezzi e li sostituisce quando
necessario. Non c bisogno di essere un grande ingegnere per sapere
che meglio uno scassato macinino che
funziona piuttosto di una fiammante fuoriserie immobilizzata con il suo motore
inesorabilmente fuso. In primo luogo, La Grassa dimostra con unargomentazione
analitica che la dinamica del capitalismo non
quella della omo- geneizzazione sociale e della produzione di soggetti
eversivi bel- li e pronti (classe operaia, poveri del Terzo Mondo,
intellettuali- t tecnico-scientifica, e via enumerando), che devono soltanto
passare dallin-s al per-s, ma una
dinamica di frammentazio- ne. questa la
ragione, in breve, per cui tanto
difficile supe- rarlo; se il capitalismo semplicemente proletarizzasse sareb-
be facile averne ragione, e basterebbe allora convincere i ceti medi
recalcitanti che la proletarizzazione un
bene da accoglie- re con gioia, e non un male da evitare come la peste (come ha
fat- to per quindici anni lestremismo sessantottino). La piena com- prensione
della dinamica della frammentazione (che La Grassa studia soltanto in rapporto
alla divisione del lavoro nella produ- zione industriale, laddove a nostro
avviso la sua teoria funziona altrettanto bene nel mondo della produzione
culturale) per chi scrive la sola
alternativa al ripudio del marxismo in direzione di teorie sistemiche che
sacralizzano il capitalismo in nome della mitica complessit, che il
sindacalismo neoricardiano rifor- mula a sua volta in chiave di compatibilit.
Se il mondo, infat- ti, infinitamente
complesso, necessario sforzarsi di
compati- bilizzare le sue infinite parti; i sacrifici economici dei subalterni
sono allora il prezzo inevitabile da pagare alla riproduzione compatibilizzata
della complessit sistemica. Certo, La Grassa chiede un sacrificio
dolorisissimo: il sacrificio della fede nel Soggetto, o meglio del soggetto
bell'e pronto, regalatoci dal ca- pitalismo. Solo un maestro molto cattivo pu
chiedere a dei poveri marxisti un sacrificio come questo, difficile da
accettare anche perch i comunisti che sacrosantemente ancora resistono 207 non
possono fare a meno di rappresentare i ceti economica- mente pi deboli e
sfavoriti. Chi scrive pienamente
consape- vole di questa contraddizione, che per non ci sembra affatto
devastante: possibile, infatti,
conciliare la piena assunzione politica della rappresentanza integrale dei
gruppi sociali sfavo- riti (anche se non
dimentichiamolo mai la rappresentan- za
riproduce soltanto il capitalismo, e non fuoriusce mai da es- so) con la
convinzione teorica dellinesistenza di soggettivit an- ticapitalistiche gi
magicamente costituite. In secondo luogo, La Grassa connota il capitalismo con
i due termini fondamentali di transizionale e di lavorativo. Il ca- pitalismo,
da un lato, un modo di produzione che
presenta transizioni interne fortissime: ad esempio noi ci troviamo in una di
esse, e il comunismo storico novecentesco
proprio stato sconfitto nel corso di questo delicato passaggio.
Dallaltro, il ca- pitalismo non solo
sfruttamento, anzi non neppure prevalen-
temente sfruttamento: esso in primo
luogo lavoro, cio un modo di modellare globalmente la riproduzione sociale com-
plessiva e di determinare lunit sostanziale di essa. Il comuni- smo, dunque, pu
soltanto essere definito in termini di legame sociale alternativo, cio di
ricostruzione globale non solo del mondo della distribuzione (da far diventare
pi equa e meno ingiusta), ma soprattutto della riproduzione sociale comples-
siva. Non si tratta dunque soltanto di lavorare meno, e di con- quistare cos
tempo libero come tempo di vita (come propongo- no molti meritevoli teorici, di
cui citiamo qui soltanto colui che a nostro avviso il migliore, Andr Gorz); e non si tratta
neppure soltanto di lavorare in modo diverso in fabbrica o in ufficio, ri-
conquistando la ricchezza della professionalit artigiana perdu- ta (come hanno
proposto altri ottimi teorici, di cui ricorderemo soltanto il pi dotato, Harry
Braverman). Si tratta, pur tenendo conto delle legittime istanze di un Gorz e
di uno Braverman, di andare oltre la dicotomia illusoria fra tempo di lavoro e
tempo libero, per comprendere che la sfida comunista al capitalismo ancora pi grande e difficile: il
comunismo un legame sociale complessivo
radicalmente diverso dal legame sociale che unisce ferreamente insieme gli
agenti della produzione capitalistica, sia 208 direttivi che esecutivi. Sarebbe
facile e bello se il comunismo non fosse altro che un modo equo di distribuire
i beni forniti dalla produzione sociale; basterebbe in proposito vincere le-
goismo (e ce lavremmo gi fatta, visto che siamo gi riusciti ad andare sulla
luna); le cose sono pi difficili, e La Grassa ha il me- rito di proporre un
modello scientifico di modo di produzio- ne capitalistico che include
espressamente questa difficolt anzi- ch occultarla (ed questa la ragione per cui gli sono sempre
sta- ti preferiti innocui chiacchieroni esistenzialisti, di sesso indiffe-
rentemente maschile o femminile). Verso un nuovo paradigma comunista inedito ed
inaspettato Le delicate innovazioni teoriche proposte da marxisti come
Bontempelli e La Grassa sono a nostro avviso soltanto lantipa- sto di un
banchetto che deve ancora essere nellessenziale im- bandito, se vogliamo che la
crisi del marxismo sia produttiva di un salto di paradigma. Contro gli
apologeti delleternit del ca- pitalismo, che ripetono che il marxismo finito, irrevocabil- mente finito, e che
appartiene ormai all'archeologia ideologica dell'Ottocento e del Novecento,
molti marxisti e comunisti ri- masti tali si autoassicurano sostenendo che il comunismo
ha cer- tamente avuto una crisi storica e un collasso politico, ma tutto questo
non implica che vi sia stata una parallela crisi teorica: la teoria era giusta,
ma stata male applicata, e soprattutto
gli uo- mini hanno tradito. Riteniamo questa posizione gravemente fuorviante, e
abbia- mo scritto libri come questo con lesclusiva intenzione di con-
trobatterla. In questo momento prevale certo unatmosfera cul- turale generale
che non si aspetta una rinascita del marxismo. Se essa avverr, sar in buona
patte inaspettata. Il problema fondamentale sta a nostro avviso nel fatto che
tre grandi catego- rie di persone agiscono potentemente per rendere impossibile
questa rinascita. In primo luogo, il ceto dei politici e dei sindaca- listi,
che tendono irresistibilmente alla riduzione della com- 209 plessit sociale, e
che non a caso stanno pilotando un passaggio dalla politica intesa come
rappresentanza (che trova nel metodo elettorale proporzionale la sua forma
naturale) alla politica in- tesa come spettacolo, manipolazione e decisione
oligarchica contrattata fra lobbies finanziarie e mediologiche (che trova nel
metodo elettorale maggioritario uninominale la sua forma natu- rale). In
secondo luogo, il ceto dei professori universitari, questi sacerdoti della trinit
formata dal Settorialismo, dalla Specializ- zazione e dalla Segmentazione del
sapere, i quali si vantano tal- volta di non essere superstiziosi perch non
credono in Allah o nella Trimurti ind, e poi credono che la totalit sociale si
divida veramente nei campi separati dell'economia, del diritto, della
sociologia, della filosofia, eccetera (superstizione, questa, di fronte a cui
persino la dea fenicia Tanit era razionalismo puro). In terzo luogo, il ceto
dei giornalisti, questi sacerdoti della trini- t formata dalla Chiacchiera,
della Curiosit e dallEquivoco (per usare i termini impiegati da Heidegger nel
1927 in una sua insuperata formulazione), i quali sono ormai i portatori
empirici dell'avvenuta sottomissione reale dellopinione pubblica al ca- pitale;
opinione pubblica che (come intu il giovane Habermas non ancora del tutto
riconciliatosi con il capitalismo) oggi
qualcosa di pienamente incorporato nei meccanismi generali della riproduzione
capitalistica, e ha pertanto superato da tem- po quel livello di sottomissione
formale indagato da un Balzac o da un Maupassant. Non ci illudiamo: politici,
sindacalisti, professori e giornalisti faranno il possibile per impedire
qualun- que rinascita del marxismo, e questo non perch siano cattivi o ben
pagati (anche se, ovviamente, questo non guasta), ma perch il loro compito
strutturale, organico, proprio questo.
Se la rinascita del marxismo sar inaspettata, la modalit della sua
riformulazione radicale sar probabilmente inedita. Ripetia- mo qui per comodit
del lettore cose che abbiamo gi detto nel corso di questo libro, dal momento
che non vogliamo lasciarci * scappare nessuna occasione per insistere sui due
termini di in- novazione e di paradigma. Per quanto riguarda il modello
marxiano, probabilmente fuorviante la
sua riproposta nei vec- chi termini dellopposizione fra struttura e
sovrastruttura. Il 210 primato della struttura non stato infatti in passato corretta- mente
inteso come primato del modo di produzione e delle sue leggi di riproduzione
sulle formazioni economico-sociali (se infatti fosse questa la struttura, chi
scrive sarebbe certamente per il pieno mantenimento del suo primato ontologico
sulla so- vrastruttura), ma come primato dello sviluppo delle forze pro- duttive
(intese come scienza, tecnologia, produttivit industria- le, da cui la
sciagurata teoria antimarxista della cosiddetta rivo- luzione
tecnico-scientifica), oppure come primato dei rapporti di produzione ridotti a
puro scontro di classe (da cui tutti gli operaismi o i populismi che si occupano
soltanto di come pren- dere il potere, e mai di come gestirlo veramente).
Questa distin- zione era comprensibile in unepoca in cui il plusvalore relativo
era meno importante del plusvalore assoluto, e in cui le forme culturali non
erano ancora state realmente sottomesse al capita- le; ma con lavvenuta
sottomissione reale delle sovrastrutture al- la struttura si verifica
unintegrazione organica che sconsiglia la riproposizione dellopposizione nella
sua vecchia forma. Per quanto riguarda la storia del marxismo, riteniamo fuor-
viante la sua ricostruzione in termini di opposizione fra orto- dossia (Engels,
Kautsky, Lenin, Stalin, Togliatti) ed eresia (Rosa Luxemburg, Pannekoek,
Trotsky, Mao Tsetung, Panzieri, Ne- gri). Questa opposizione spesso meramente politica, o storico-
politica, e si limita a descrivere lo svolgimento delle scissioni e delle
contrapposizioni fra maggioranze e minoranze, ma non en- tra quasi mai nel
merito dei paradigmi teorici di riferimento, che quasi sempre erano comuni a
ortodossi e ad eretici (Togliatti e Bordiga erano concordi nel negare al
capitalismo la capacit di sviluppare le forze produttive, e Stalin e Trotsky
concordavano pienamente sulla necessit di garantire al partito comunista un
rigoroso monopolio politico nella transizione). Per quanto concerne, infine, il
quadro filosofico fondamenta- le dove collocare la riformulazione del
comunismo, abbiamo vi- sto in precedenza (e qui lo ripetiamo) che gran parte
delle oppo- sizioni tradizionali deve essere radicalmente rivista. fuorvian- te l'opposizione fra socialismo e
comunismo, se essa viene intesa come separazione temporale fra i due momenti,
con la conse- 211 guenza inevitabile di pensare il socialismo come regno dello
sta- to e del mercato, ed il comunismo come regno dellesaudimento armonico di
bisogni naturali in condizioni improbabili e utopi- che di comunit non statuali
e di comunanze non mercantili.
fuorviante l'opposizione fra destra e sinistra, che mantiene una sua
robusta legittimit quando la sinistra
ancora parzial- mente esterna all'omologazione nel sistema
politico-culturale capitalistico, ma che la perde quando questultima ne diventa
unappendice organica. fuorviante
l'opposizione fra progres- so e conservazione, che mantiene una sua robusta
legittimit in presenza di residui precapitalistici, ma che la perde quando la
generalizzazione capillare del legame sociale capitalistico fa di- ventare
spesso la conservazione di comunit solidali e di valo- ri etico-politici non
omologati migliore del progresso nellin- tegrazione subalterna. fuorviante lopposizione fra laicismo e
religione, che mantiene una sua robusta legittimit in presenza della pretesa
feudale delle chiese di intervenire giuridicamente su comportamenti individuali
in nome di dogmi rivelati, ma che la perde quando la forma prevalente di
religione non pi la fe- de nellesistenza
di un demiurgo astronomico interstellare (che farebbe diventare il big bang un
vero e proprio peto di Dio), ma la
credenza nellinesorabile destino dell'Economia capitali- stica e delle sue
Leggi divinizzate. fuorviante
l'opposizione fra Borghesia e Proletariato, che mantiene la sua robusta
legittimit in presenza dellalterit ottocentesca fra cappelli e berretti, tube e
coppole, ma che la perde nella fusione novecentesca delle due soggettivit:
fusione, questa, che fa a nostro avviso venir meno definitivamente la grande
narrazione incentrata su soggetti pieni, che garantiscono con il mantenimento
della loro identit iniziale la realizzazione finale del loro progetto
originario, e an- che la grande rappresentazione basata sulla lotta
interminabi- le fra due personaggi, luno ricco e antipatico, laltro povero e
simpatico, con la populistica e illusoria vittoria finale del secon- do sul
primo. fuorviante lopposizione fra
Classe Operaia e Burocrazia, se essa nasconde demagogicamente il fatto che la
burocrazia non altro che il nome che
viene dato allincapaci- t sociale della classe operaia di esercitare la sua
rappresentanza 212 direttamente, trattandosi appunto di una classe non di
impren- ditori individualisti, ma di salariati dipendenti, che non possono fare
a meno strutturalmente di farsi rappresentare da un ceto politico-sindacale non
appena si passa dal livello della fabbrica a quello dello stato e dell'economia. fuorviante lopposizione fra razionalismo e
irrazionalismo, che mantiene una sua robusta legittimit quando si pretende che
lastrologia sia eguale alla chi- mica e la lettura dei tarocchi alla radiologia
(ma questo non lo pensano neppure i cartomanti!), ma che la perde quando si di-
menticano Freud e Foucault, cio la determinazione psichica in- consapevole del
nostro comportamento pubblico e privato e la funzione di legittimazione del
potere da parte del sapere, e so- prattutto quando si dimentica che il
comunismo non potr mai essere una scienza nel senso del razionalismo, dato il
suo ca- rattere prevalentemente antropologico.
fuorviante lopposi- zione fra idealismo e materialismo, che dimentica
loggetto uni- tario del sapere filosofico, lEssere come astrazione dellunit
contraddittoria del lavoro sociale complessivo, e si inventa un dualismo rigido
e presupposto fra soggetto e oggetto, che fini- sce con il classificare dalla
parte giusta pensatori che non ci dicono nulla su questa astrazione e dalla
parte sbagliata altri pensatori (da Platone a Hegel) che invece ce ne danno
informa- zioni preziose. fuorviante,
infine, l'opposizione fra dialettica e differenza, che dimentica che la
dialettica bens lo svolgimento
contraddittorio di due opposti in correlazione essenziale, e non solo lo
scontro contingente fra due contrari in casuale conflitto, ma che la formazione
irreversibile delle differenze ontologiche fra libere individualit integrali proprio il contenuto essenziale del comunismo
moderno, al di l e contro ogni sogno organici. stico della ricomposizione
collettivistica del singolo nel Tutto. Ci siamo qui limitati ad una
riesposizione sintetica e abbrevia- ta di temi gi sollevati nei precedenti
capitoli per ricordare an- cora una volta al lettore che la riformulazione
filosofica del para- digma teorico del comunismo un compito gigantesco. Questa riformulazione,
inoltre, non che una parte,
relativamente pic- cola, di un problema ancora maggiore. Siamo infatti in
attesa di ricostruzioni storiche convincenti che ci dicano che cosa vera- 213 mente successo al tempo di Stalin e
perch dopo il 1956, da Kru- sciov a Breznev a Gorbaciov, il comunismo storico
di stato si rivelato irriformabile.
Siamo in attesa di analisi sociologiche ac- curate, che non si limitino a
ripeterci ci che gi sappiamo (che cio c' ancora la classe operaia di fabbrica,
la piccola borghesia impiegatizia e il capitale finanziario), ma che ci
illuminino sulle vere tendenze di fondo del tramonto delle vecchie classi e
della formazione di classi nuove. Siamo in attesa di diagnosi economi- che
aggiornate, che non si limitino a dirci che la privatizzazione del capitale
pubblico formatosi nei tempi del contenimento ke- ynesiano del comunismo
burocratico di partito una necessit
sistemica per integrare l'economia italiana nellazienda-Europa, questo stupendo
sogno federalistico il quale, da Carlo Magno ad Altiero Spinelli, deve
finalmente renderci concorrenziali con la- zienda-Giappone e lazienda-USA. Chi
scrive, tuttavia, in attesa di una
particolare analisi, di ti- po psicologico e antropologico, che ci dia
finalmente lidentikit di un nuovo tipo di comunista, che sappia elaborare
compiuta- mente il lutto della morte del precedente tipo storico di comuni- smo
per affrontare le nuove contraddizioni del capitalismo nella loro irripetibile
specificit. Questa analisi, per, lunica
che non verr mai, per la semplice ragione che un profilo antropolo- gico nuovo
non pu essere descritto o dedotto; esso
il prodot- to inedito, e spesso inaspettato, di configurazioni sociali
ancora imprevedibili, che potremo soltanto pallidamente evocare nelle poche
pagine della conclusione. 214 Conclusione Sulla porta della vecchia casa, in
cui per quasi un secolo hanno vissuto i loro genitori e i loro nonni, i
comunisti di questa fine se- colo si congedano dalle loro vecchie visioni del
mondo. Questo congedo interminabile, che come abbiamo scritto nellintrodu-
zione ricorda gli arrivederci alla polacca di cui parlano gli americani, e in
cui non si riesce proprio ad andarsene, durer ancora molto tempo, e ci accompagner
fin dentro il Terzo Mil- lennio. Se per questo avviene, necessario che non ci si limiti a sollecitare
con impazienza i ritardatari, ma bisogna capire fino in fondo le ragioni di
questo ritardo. I paradigmi teorici non si cambiano come i cappotti, o come i
calzini. Essi crescono ad- dosso agli uomini, ne modellano i sogni e le
speranze, ne deter- minano i comportamenti politici, si introducono fin dentro
il lo- ro immaginario, e provocano infine i due massimi sentimenti militanti,
la soddisfazione e lirritazione. Chi scrive, ad esem- pio, consapevole che le pagine precedenti
provocheranno nei diversi lettori una gamma di reazioni. Leventuale
irritazione meglio dellindifferenza,
perch spinge a contrapporsi e a defi- nirsi, e chi si contrappone e si
definisce in opposizione a qualco- sa
costretto a dare le ragioni a se stesso di quanto fa. Non bi- sogna mai
disprezzare lirritazione; in natura essa
una forma normale di contatto fra organismi viventi. Ma soprattutto necessario capire il perch dellinevitabile
lentezza dellarrivederci alla polacca. Leggiamo ad esempio qualche libro tratto
dallabbondante memorialistica, quasi sem- pre autobiografica, dei militanti
comunisti formatisi negli anni Venti, Trenta e Quaranta (Vidali, Roasio,
Clocchiatti, Vaia). A differenza della leva deideologizzata di politicanti
opportunisti degli anni Sessanta, che ha sistematicamente scavalcato e annul-
lato quella parte di coetanei devota e disinteressata (ma, lo ripe- tiamo, ci
avviene per ferree ragioni sistemiche dalle leggi di 215 cooptazione delle ltes
politiche in contesto parlamentare-rap- presentativo) che si ispirava
allesempio della generazione pre- cedente, questa leva classica ha sempre
mostrato un genuino interesse per la cultura e lideologia. Si trattava, per, di
una cul- tura e di una ideologia fortemente finalizzate alla militanza e al-
l'appartenenza di partito, allinterno di un profilo complessivo che entr in
crisi proprio quando il nesso militanza-appartenen- za non fu pi in grado di
confrontarsi con la nuova situazione storica, largamente imprevista. Il nesso
militanza-appartenenza, lungi dall'essere un equivoco o uno sbaglio, era la
forma storica ideale per il doppio compito della costruzione del socialismo e
della lotta contro il fascismo e il nazismo. Un fortissimo senso di identit,
inevitabilmente separata dal pi vasto mondo dei non compagni, stata la modalit fisiologica di esistenza
sto- tica del comunismo storico novecentesco. Tutto ci, lo ripetia- mo, appartiene
alla grande storia, e non pu diventare ogget- to di rimozione. Si tratta,
inoltre, di qualcosa che accomuna il militante ortodosso stalinista e il
militante eterodosso trot- skista (e sono impressionanti le analogie
psicologiche e intellet- tuali che hanno legato questi acerrimi nemici: spirito
di sacrifi- cio, subordinazione degli interessi personali e familiari a quelli
dellorganizzazione, fiducia nella vittoria finale pur in mezzo alle peggiori
traversie, senso di inutilit, angoscia e solitudine in ca- so di espulsione
dallorganizzazione). E legittimo chiedersi: non
pericoloso congedarsi da questi elevati sentimenti? Non so- no forse
questi sentimenti elevati di militanza e di appartenenza, di disponibilit alla
disciplina e al sacrificio, eccetera, limpre- scindibile base antropologica per
una rifondazione del comuni- smo? i Si tratta di domande che ci poniamo da
anni. Alla base di que- ste domande, infatti, c' linterminabilit del polisb
good-bye. Si sa, infatti, ci che si perderebbe andandosene, mentre non si sa
che cosa si pu guadagnare in un luogo ancora sconosciuto. In un saggio come
questo, evidentemente, non si pu affrontare se- riamente questo problema, se
non nei suoi termini pi generali ed astratti. Una cosa, per, possibile dirla: un mutamento di paradigma
teorico, come quello che abbiamo ossessivamente 216 proposto in questo libro
attraverso loccasione del riferimen- to storiografico al pensiero di altri, non
pu lasciare immutata la modalit antropologica di concepire l'identit, la
militanza, lap- partenenza, la rappresentanza di un partito comunista. La con-
trapposizione fra rottura e continuit
dunque del tutto astrat- ta. In breve: il solo modo di essere allaltezza
della continuit ideale con la grande militanza comunista del Novecento, orto-
dossa o eretica che sia, consiste proprio nel prendere coscienza della necessit
di una forte discontinuit storica. Si tratta di un fenomeno che si gi presentato molte volte nella storia, e che
non deve pertanto spaventarci. Dal momento che a questo pun- to del libro il
lettore dovrebbe gi aver riflettuto sulle nostre considerazioni a proposito di
Gramsci, potremo riformulare il problema cos: non siamo pi in una fase di
guerra di posizio- ne, ma siamo entrati in un periodo di guerra di movimento;
in un simile periodo si richiedono al soldato doti diverse. E due sono allora i
problemi che si pongono subito: vi
ancora una di- mensione nazionale, italiana, della teoria, oppure siamo
entrati ormai in una irreversibile dimensione cosmopolitica, o interna- zionale
che sia?; ed ancora: quali saranno le forme politiche che potranno in un futuro
ragionevole farsi carico di una teoria co- munista rinnovata? Due grandi,
cruciali domande, con le quali intendiamo chiudere questo saggio sui cattivi
maestri del mar- xismo italiano. Sulla prima questione, chi scrive ritiene che
il marxismo ita- liano sia finito, irrevocabilmente finito, e che lespressione
non abbia pi alcun senso storiografico determinato, al di l dellin- dicare un
insieme di scritti vergati in lingua italiana da gente che ha il passaporto italiano
in tasca. Il termine marxismo italia- no, quando esso aveva ancora un senso, ha
volta a volta indica- to la ricezione in Italia del nascente marxismo tedesco
(Labrio- la), lelaborazione di una rivoluzione in Occidente a partire dai dati
storici e sociologici della realt italiana unitaria (Gramsci), il supporto
culturale di riferimento della via italiana al sociali- smo (Togliatti). A
nostro avviso i recenti giganteschi processi di internazionalizzazione del
capitale, che hanno provocato la crisi epocale della regolazione statuale di
tipo keynesiano, hanno fini- 217 to con il far scomparire il presupposto
territoriale del marxi- smo italiano stesso, l'autonomia economica e sociale
dello stato nazionale nato nel 1861. Ci non significa affatto, beninteso, n un
accoglimento delle tesi separatiste di un Bossi (cui chi scrive fieramente avverso), n unaccettazione delle
compatibilit dellintegrazione europea di Maastricht (che chi scrive ritiene
quanto di pi simile al fascismo possa esistere oggi, per le deva- stanti
conseguenze che produrranno sui ceti economicamente pi deboli). Intendiamo
soltanto dire che il marxismo italiano
finito, ed una vera fortuna
culturale e filosofica che sia finito: confrontarsi direttamente con i punti
alti di ci che un tempo era chiamato pensiero borghese, come la severa teoria
weberiana del disincantamento del mondo, e non pi con teorie provincia- lotte e
arretrate, come il cattolicesimo di Gioberti o il metodolo- gismo di Croce, non
potr che farci del bene. Da almeno due de- cenni, ormai, luso internazionale
del pensatore marxista italia- no pi noto, Antonio Gramsci, prescindeva
completamente dal- lItalia: il gramscismo internazionale oscilla in un arco di
si- gnificati che vanno dalla valorizzazione delle forme di cultura popolare
allenfatizzazione della societ civile e del suo pri- mato rispetto alla
regolazione statuale. La fine del marxismo ita- liano anche, paradossalmente, un portato derivato
della fine del sistema dei partiti cos come li abbiamo conosciuti dal 1945 al
1992, nella loro lottizzazione sfrenata delle tradizioni italiane (da Mazzini a
Croce, da Garibaldi a Gramsci, da Gioberti a Sturzo). Entriamo in una nuova
dimensione, apertamente co- smopolitica, ed
veramente un bene. Sappiamo che la tradizio- ne terzinternazionalista ha
distinto fra internazionalismo, buo- no, e cosmopolitismo, cattivo, legando il
secondo termine alla borghesia e alla piccola-borghesia: il proletariato
sarebbe stato ad un tempo nazionale (non nazionalista) e internazionalista,
mentre la borghesia sarebbe stata cosmopolita, cio sradicata ed antinazionale.
Questa distinzione potr forse ancora funzionare per il capitale finanziario
transnazionale ( evidente che Gianni Agnelli, con i suoi alloggi di lusso a
Parigi e New York, cosmo- polita, mentre
il pensionato di Teramo fortemente
nazionale), ma non funziona per il dibattito culturale e ideologico. Il marxi-
218 smo del futuro dovr essere cosmopolitico, apertamente co- smopolitico, e un
buon corso di inglese e di francese sar sem- pre preferibile allagitare
bandierine tricolori piantate su pen- sieri, come se questi ultimi fossero
cavoli. In breve: il cosmo- politismo teorico
solidale con linternazionalismo politico, ne anzi la forma filosofica adeguata, in piena e
consapevole analo- gia con lilluminismo settecentesco, che era infatti
pienamente cosmopolitico (e dove non lo era, non era che il supporto stru-
mentale del dispotismo illuminato nobiliare). La seconda questione pi delicata e complessa. In pi di cento anni
di storia, il movimento operaio ha prodotto a nostro avviso tre fondamentali
forme organizzative: il partito socialde- mocratico-laburista, che si legittima
con una teoria di tipo evo- luzionistico-fabiano (chi scrive considera
sostanzialmente omo- genee le forme tedesche, socialdemocratico-evoluzionistiche,
e le forme britanniche, fabiano-laburistiche); il partito bolscevi-
co-comunista, che si legittima con una ideologizzazione artificia- le della
teoria di Marx, adattata a compatibilit di partito e di stato; i consigli anarcosindacalisti
di democrazia diretta, che si legittimano con il riferimento all'unit di
autogoverno politico e di autogestione economica (Bakunin, Sorel, Pannekoek,
eccete- ra). Queste sono naturalmente soltanto tre forme pure e perfet- te, dal
momento che nella realt si incontrano generalmente forme miste (cos come i modi
di produzione esistono soltanto nella forma concreta di formazioni
economico-sociali): ad esem- pio il partito comunista italiano, dal 1944 al
1989, stato lunio- ne di una forma
organizzativa bolscevico-comunista con un con- tenuto economico e
amministrativo socialdemocratico-laburi- sta, in presenza di unideologia
anarcosindacalista tollerata co- me sfogatoio marginale (Ingrao). Nel contesto
del nostro di- scorso, necessario
rilevare che nessuna di queste tre forme po- litico-organizzative ci sembra in
grado di accettare veramente l'innovazione teorica, e di andare perci al di l
di quellideolo- gia (da noi battezzata nellintroduzione ideologia italiana) che
vede la subordinazione strutturale della produzione teorica ai tempi ed ai modi
della pratica politica tattica. Ci si intenda bene: il discorso che stiamo
facendo non un discorso che concerna le
219 nostre tesi, cio quelle che abbiamo proposto in questo saggio; esse
potrebbero essere tutte sbagliate, mediocri e fuorvianti, e potrebbero essere
giuste e feconde delle tesi assolutamente op- poste alle nostre; il
problema generale, e verte sulla capacit
di una forma politica di farsi permeare o meno da una innovazione teorica,
qualunque essa sia. Vi allora una
dimensione generale del problema, e tre dimensioni specifiche particolari. La
questione generale stata a suo tempo
posta in modo insu- perabile da Platone nel VI libro della Repubblica, a
proposito della nave di cui parla Socrate: se la guida del timone comporta per
marinai potere, ricchezza ed onore
inevitabile che al timo- ne vadano non i pi competenti, ma i pi astuti,
manovrieri, ro- busti e spregiudicati.
questa una verit magari banale e generi- ca (indubbiamente, non storicamente determinata, per dirla con
Galvano Della Volpe), ma anche sacrosanta. Chi non la comprende, non comprender
mai in che modo Craxi ha potuto distruggere il partito di Turati, e Occhetto
sciogliere il partito di Gramsci. I meccanismi di cooptazione e di rappresentanza
della politica capitalistica, al di l delle ingenue concezioni di Norber- to
Bobbio, sono ferreamente congegnati per riprodurre conti- nuamente lindecorosa
rissa che si svolge sulla nave di Socrate: la vittoria di Giusy La Ganga su
Antonio Gramsci sicura come la vittoria
del Milan sulla squadretta dell'oratorio di Lambrate. La dimensione particolare
del problema stata gi ripetuta- mente
evocata in questo saggio, e la ripetiamo qui per pura co- modit del lettore: le
tre forme organizzative sopra ricordate producono una inesorabile sottomissione
reale della teoria alla loro riproduzione sistemica, e scattano dunque
automaticamen- te ci che incompatibile
con questa riproduzione. In questo senso, chi crede che esista veramente un
dibattito teorico den- tro una forma organizzativa altrettanto ingenuo di chi pensa che vi sia
equit nel capitalismo. La forma organizzativa social- democratico-laburista,
essendo ministerialista, riformista, com- patibilista in economia, governativa
ad oltranza, scarta tutte le analisi di tipo rivoluzionario ed
anti-imperialista, o. meglio le mantiene in un ghetto tollerato e ininfluente.
La forma organiz- zativa comunistico-bolscevica, basandosi sulla doppia risorsa
220 della militanza e dellappartenenza (al servizio della rappresen- tanza),
scarta tutte le versioni del comunismo che non servano alla sua riproduzione
sistemica. Le cose non vanno meglio, per (anzi a nostro avviso vanno peggio),
pet tutte le teorie consiliati- stiche, anarchiche, anarcosindacaliste e movimentiste,
perch queste ultime sono particolarmente mistificatorie, basandosi su di una
inesistente autoattivit permanente di una base energe- ticamente iperattiva
(che ovviamente non pu esistere). Chiun- que abbia un minimo di esperienza
politica sa perfettamente che i pi grandi movimentisti sono quasi sempre i
peggiori buro- crati, perch la rappresentanza di un movimento fluido e sen- za
regole necessariamente pi arbitraria e
verticistica della rappresentanza di un partito strutturato con regole certe
(in Italia vi sono esempi particolarmente comici di burocratismo movimentista
che si possono trarre dal movimento verde, dai radicali tirannico-carismatici
di Pannella, eccetera). E allora, che fare? Gi, che fare. In breve: il che fare
consiste nel trovare una forma organizzativa in grado di accettare linno-
vazione teorica, di valorizzarla, e di produrre ununit fra teoria e pratica non
basata sulla falsa coscienza. Chi scrive ritiene che si tratter probabilmente
di una quarta forma organizzativa, di- stinta dalle tre sopra ricordate. Allo
stato attuale, questa affer- mazione
poco pi di una scommessa alla Pascal, perch non sappiamo assolutamente
disegnare una ingegneria organizzati- va che ne delinei le strutture essenziali.
Ci che vorremmo per sottolineare che un
simile modo di porre il problema
sbaglia- to alla radice. Non esistono geni che arrivino dagli spazi
galattici pet dirci quale sar la forma organizzativa migliore del comu- nismo:
a suo tempo Lenin non si invent il Che fare?, ma si limi- t a sistematizzare e
a generalizzare qualcosa di gi esistente, una disponibilit militante di un
certo tipo che si basava a sua volta su una determinata antropologia sociale
diffusa nella Russia dei primi anni del Novecento. Le difficolt della
rifondazione co- munista oggi stanno proprio nel fatto che non sappiamo ancora
esattamente quale sar il tipo antropologico diffuso del comuni- sta del
Duemila, e su quali basi esso definir la sua identit, la sua individualit, le
nuove modalit della sua appartenenza e an- 221 che della sua militanza (perch
non crediamo che queste ultime spariranno: certo, si modificheranno
radicalmente). necessario imparare da
alcuni altri grandi organizzatori, co- me Paolo di Tarso e Giovanni Calvino.
Paolo si occupa certa- menti di minuti particolari organizzativi delle prime
comunit cristiane, ma imposta soprattutto la teoria generale antropo- logica
del regno di Dio. Calvino sar a Ginevra un grande diri- gente politico, ma
prima si occupa di questioni molto pi astrat- te e fondanti, dalla fede alla
predestinazione alle opere. I comu- nisti oggi sono molto al di sotto di questi
due grandi esempi. In breve: ritengono che lingegneria organizzativa sia pi
impor- tante dellantropologia filosofica, laddove solo la seconda pu nutrire
veramente la prima. Certo, ci vogliono entrambe, e chi scrive non lo nega per
nulla, anche se, come Lenin, deve storce- re il bastone da una parte per
raddrizzarlo, avendolo gli altri piegato per decenni dallaltra parte. Quando il
bastone sar diritto, avremo una rifondazione co- munista. Prima di quel
momento, che forse non tarder, non male
studiare Bobbio e Severino, Geymonat e La Grassa. un buon modo per scaldare i muscoli, e per
non dimenticare che i muscoli si scaldano per gareggiare in prima persona, e
non per li- mitarsi a tifare sulle gradinate facendo la ola e mangiando pop-
corn. 222 Nota bibliografica generale Tutti sanno ehe conoscendo la lunghezza
del raggio possibi- le determinare la
circonferenza. Come il raggio di un cerchio, le teorie hanno una certa
lunghezza. Il marxismo teorico novecen- tesco, nella sua ortodossia cos come
nella maggior parte delle sue eresie, aveva un raggio sufficiente per
combattere con suc- cesso gli effetti negativi dell'economia capitalistica pur
allinter- no della riproduzione globale complessiva del modo di produ- zione
capitalistico nelle sue transizioni lavorative interne. Il suo raggio era
invece insufficiente per fuoriuscire dal capitali smo, e si tratta allora di
disegnare un raggio filosofico pi lungo. A nostro avviso il marxismo teorico
novecentesco non era sba- gliato, ma troppo corto. Tutto questo saggio si
ispira a que- sta idea fondamentale, e tutte le ripetizioni di cui costellato (il lettore noter che alcuni temi
che riteniamo cruciali sono propo- sti quattro o cinque volte in contesti
simili) sono giustificate da questa intenzione: mettere le basi per una teoria
di raggio pi lungo. La ricostruzione di alcune vicende del marxismo italia- no,
politiche (PCI, gruppi minoritari del Sessantotto, eccetera) e teoriche (Geymonat,
Luporini, Colletti, eccetera), ci
servita esclusivamente per discutere del futuro (e invitiamo il lettore
a rileggere i versi di Frost con cui abbiamo aperto questo saggio). Questa
ricostruzione non quasi mai divertente
(si leggano i versi di Kavafis), e soprattutto divider i lettori a seconda
delle loro opinioni preesistenti (si leggano i versi di Giudici). Tutto
questo inevitabile. La presente
bibliografia pertanto orienta- ta al
solo suggerimento teorico, e non bisogna chiederle nulla sul piano della
esaustivit e della completezza. Ci siamo serviti di due ricostruzioni della
storia del marxismo italiano inedite nella nostra lingua: A. Tosel, Marx ex
italigues, TER, Mauvezin 1991, e J.P. Potier, Lectures Italiennes de Marx,
1883-1983, Presses Universitaires de Lyon, 1986. Tosel si occu- 223 pa
soprattutto dellelaborazione gramsciana della filosofia della praxis, nel suo
doppio aspetto di critica a Gentile e a Croce (an- che se sopravvaluta, a
nostro avviso, lo spessore filosofico di en- trambi gli antagonisti di
Gramsci). Potier, oltre a ricordare op- portunamente figure come Loria, Pareto,
Graziadei e Mondol- fo, ha il merito di dedicare a personaggi come Panzieri e
Napo- .leoni lo stesso impegno riservato a teorici pi noti, come La- briola e
Gramsci. Una ricostruzione veramente accurata del grande dibattito di fine
Ottocento fra Labriola, Croce, Gentile e Sorel ci data dal libro di C. Vigna, Le origini del
marxismo teo- rico in Italia, Citt Nuova, Roma 1977. Chi vuole studiare Gramsci
pu farlo in due distinte edizioni: la prima, tematica e non critica, pubblicata
in sei volumi a parti- re dal 1948-51 da Einaudi ed Editori Riuniti, e pi volte
ristam- pata; la seconda, critica e cronologica, pubblicata a partire dal 1975
da Valentino Gerratana, in quattro volumi (sempre Einau- di). Ci riferiamo,
ovviamente, ai Quaderni del Carcere. Chi scri- ve, per ragioni di et si formato sulla prima. La nostra inter-
pretazione si ispira al libro di P. Anderson, Ambiguit di Gram- sci, Laterza,
Bari 1978. Il giovane che si vuole accostare al pen- siero di Togliatti pu
iniziare dal volume di Opere scelte curato da G. Santomassimo, Editori Riuniti,
Roma 1974. Gli innumere- voli scritti agiografici di togliattologia (inni
sacri, epinici, laudi, eccetera) sono a nostro avviso inutilizzabili. Sempre
utile la bio- grafia di G. Bocca, Palmiro Togliatti, Laterza, Bari 1973. Ancora
pi utile, perch ricostruisce l'atmosfera dellepoca di ferro in cui Togliatti
visse, il libro di G. Cerreti, Con
Togliatti e Thorez, Feltrinelli, Milano 1973. Quelli di Togliatti erano proprio
altri tempi, e la contestualizzazione della sua elaborazione teorica allepoca
storica particolarmente importante. La
comica ammissione del dirigente del PDS Piero Fassino (non potevamo occuparci
della crisi del movimento comunista internazionale, perch eravamo impegnati
nelle elezioni ammi- nistrative di Roma!), che
a nostro parere il vero epitaffio che racconta il segreto della
metamorfosi mostruosa di un partito rivoluzionario in azienda parlamentare, sta
in A.A.V.V., Cera- vamo tanto amati, Napoleone, Roma 1991. Non abbiamo invece
224 potuto consultare le opere scelte di Occhetto, e ce ne scusiamo, perch,
data la loro importanza epocale, aspettiamo ledizione critica in brossura
curata dallo stesso Fassino. Speriamo che non tardi. Non conosciamo purtroppo
libri metodologicamente ispirati alla nostra interpretazione della lunga durata
del PCI (in breve: bisogna studiare non tanto lideologia e la politica, quanto
la cultura e lantropologia dello zoccolo duro militante del partito): quello
che pi si avvicina il saggio di P.
Ignazi, Da/. PCI al PDS, Il Mulino, Bologna 1992. Il PCI, stato a nostro av- viso un fenomeno sociale
globale, e bisogna partire dai suoi riti di iniziazione, identit ed
appartenenza. Nello stesso tempo, bisogna studiarne sociologicamente la
rappresentanza eletto- rale, indubbiamente popolare. Alla luce degli eventi
della cri- si generale dei partiti del sistema politico italiano, che il 1992
ha incominciato ad evidenziare, la DC e il PCI appaiono molto pi simili di
quanto si sempre pensato: grandi partiti
popolari di integrazione di unepoca di keynesismo e di fordismo, pilastri dello
stato sociale, fratelli nemici di un mondo bipolare ora scomparso in direzione
di un unipolarismo imperialistico per molti aspetti assai peggiore della
configurazione geopolitica precedente (in particolare per i popoli del Terzo
Mondo). Rite- niamo che il PCI sia stato migliore della DC per una ragione di
fondo che anche il non-marxista dovrebbe apprezzare: il PCI ha almeno sognato
una societ di eguali, senza ricchi e senza po- veri, senza padroni e senza
subalterni, anche se gli si pu ovvia- mente imputare che il suo modello
verticistico e burocratico la- vrebbe comunque resa impossibile e illusoria; la
DC, invece, si strutturata per
cinquantanni sullassunzione presupposta di una societ gerarchica diretta da un
pool di vescovi, finanzieri, capitalisti, che dirigevano in nome del bene
comune un insie- me di gruppi protetti (in particolare contadini e piccola
borghe- sia), in presenza di un clientelismo e di un voto di scambio
apertamente proclamati. giusto allora
dare, come direbbe Sciascia, a ciascuno il suo. Di Asor Rosa, Tronti e Cacciari,
nella loro ricca produzione, segnaliamo qui unopera sola: A. Asor Rosa, Scrittori
e popolo, Savelli, Roma 1965; M. Tronti, Opera: e capitale, Einaudi, Tori- 225
no 1966; M. Cacciari, Krisis, Feltrinelli, Milano 1976. Le date di
pubblicazione sono sintomatiche: alla met degli anni Sessanta ormai matura la doppia delegittimazione
culturale del togliatti- smo, sul versante della critica al populismo, al
neorealismo e al nazionalpopolare, da un lato, e del rilancio delloperaismo e
del classismo antagonistico, dallaltro; alla met degli anni Settanta invece maturo linizio di una strategia
filosofica di delegittima- zione globale del marxismo, in nome del grande
pensiero bor- ghese disincantato (Nietzsche, Heidegger, Weber, Kelsen, Schmitt,
eccetera). In questo senso, riteniamo sinceramente che Asor Rosa, Tronti e
Cacciari non abbiano affatto usurpato la loro fama, ma se la siano
fondamentalmente meritata. Le tre figure di Berlinguer, Ingrao e Rossanda sono
state da noi affrontate in modo radicalmente diverso da quelle di Asor Rosa,
Tronti e Cacciari. Si tratta di tre personaggi storici tipi- ci, che esprimono
qualcosa di severo che li sovrasta: limpoten- za della sovrastruttura, ispirata
alla moralit e allausterit, di fronte ad una struttura che porta
irreversibilmente verso lin- tegrazione subalterna al capitalismo (Berlinguer);
la protesta in- terminabile come ornamento del conformismo ed il verbalismo
libertario come innocuo involucro del primato del partito sem- pre e comunque
(Ingrao); lelzevirismo di sinistra e laccuratez- za letteraria della scrittura
come sostituto permanente alla sca- bra severit di un paradigma culturale
nuovo, secondo una mo- dalit retorica che il Seicento barocco italiano ha ben
conosciuto (Rossanda). Grande importanza
stata invece data alle tre figure di Bordi- ga, Panzieri e Negri, da un
lato, e alle tre figure di Bobbio, Del Noce e Severino, dallaltro. Si tratta di
sei pensatori che i giovani dovrebbero veramente conoscere, se vogliono capire
qualcosa della cultura italiana degli ultimi decenni. Su Bordiga si veda: A.
Bordiga, Scritti scelti, Feltrinelli, Milano 1975; F. Livorsi, Ama- deo
Bordiga, Editori Riuniti, Roma 1976; L. Grilli, Amadeo Bor- diga. Capitalismo
sovietico e comunismo, La Pietra, Milano 1982. Lignoranza su Bordiga ormai a nostro avviso intollera- bile.
Panzieri forse pi conosciuto, grazie
alla rivista Quader- ni Rossi, ma gravi equivoci continuano a permanere sulla
collo- 226 cazione storica della sua azione. Si veda lampia bibliografia cri-
tica contenuta nella buona monografia complessiva di S. Manci- ni, Socialismo e
democrazia diretta, Dedalo, Bari 1977. In man- canza di una ricostruzione
complessiva dellesperienza ideolo- gica della nuova sinistra italiana, sono
assai utili due libri che ne ricostruiscono la genesi, in uninterpretazione per
(da noi non accolta) che ne privilegia il dissenso nel PSI rispetto al dissenso
nel PCI. Si veda S. Merli, Laltra storia. Bosio Mon- taldi e le origini della
nuova sinistra, Feltrinelli, Milano 1977, e A. Mangano, L'altra linea. Fortini
Bosio Montaldi Panzieri e la nuova sinistra, Pullano, Catanzaro 1992. In quanto
a Negri, non nascondiamo affatto che la sua figura ci sembra cruciale, per ca-
pire almeno due punti fondamentali: la logica complessiva del minoritarismo
comunistico-estremistico degli anni Sessanta e Settanta, che fu veramente
unaltra cosa rispetto al PCI e alle sue appendici politiche e culturali; la
logica complessiva della fuo- riuscita globale dalla tradizione del movimento
operaio storico, visibile soprattutto negli scritti degli anni Ottanta. Da
Padova a Parigi, dunque, il percorso di Negri ci sembra esemplare. Negri
non per per noi un vero cattivo maestro,
nonostante lag- ghiacciante risata mefistofelica ed il calore della comunit
prole- taria percepito calandosi il passamontagna. I cattivi maestri sono solo
quelli che contribuiscono veramente a riformare il pa- radigma comunista, e
Negri non lo fa. Si veda lutile intervista di A. Negri, Dalloperaio massa
alloperaio sociale. Intervista sul- loperaismo, Multhipla, Milano 1979. Chi
scrive ritiene per che il libro pi significativo e bello di Negri sia La
fabbrica della stra- tegia. Trentatre lezioni su Lenin, CLEUP, Padova 1976. Il
mar- xismo identificato, sulla scorta
dei Grurdrisse, con lattualit del comunismo, mentre il nucleo del leninismo visto nel senso tattico della congiuntura,
fino all'arte dellinsurrezione. Credia- mo che questo libro sia forse il pi
significativo per capire la metafisica del minoritarismo comunista italiano
degli anni Settanta: la rivoluzione deve essere fatta perch matura, ed
matura perch non c' nessun bisogno di costruire il sociali- smo, dal
momento che lestinzione della legge del valore-lavo- ro permette di praticare
il comunismo da subito. In realt, ci 221 che si stava estinguendo era soltanto
una fase del capitalismo (nel linguaggio di La Grassa, una transizione
capitalistica), e la fase successiva avrebbe estinto sia l'ipotesi gradualista
e storicista di Berlinguer sia l'ipotesi rivoluzionaria di Negri. Fondamentali
restano le decine di riviste politico-culturali degli scorsi decenni: dai
Quaderni Rossi a Classe Operaia, da Nuovo Impegno a Contropiano, da Quaderni
Piacenti- ni a Lotta Continua, da Servire il Popolo a Potere Ope- raio, da
Democrazia Proletaria a Marxismo Oggi, da Me- tamorfosi a Marx 101, da Politica
e Classe a Primo Mag- gio (e potremmo continuare citando dettagliatamente
decine di testate) c' stata una fioritura ideologico-culturale gigantesca, che
attende ancora un bilancio meditato. Non possiamo certo farlo qui, e ci
limitiamo a dire solo questo: le decine di riviste marxiste italiane uscite fra
il 1956 e il 1989 hanno cercato di trovare una pietra filosofale, che per non
esisteva, per la tra- sformazione nelloro rivoluzionario del piombo della
stagnazio- ne irreversibile del movimento operaio storico novecentesco; esse
sono state dunque riviste di alchimia assai pi che di chimi- ca, di sogno assai
pi che di realt. Chi scrive ha pubblicato in esse per anni decine di articoli e
saggi, e ne fiero. Nello stesso tempo, bene riconoscere che limpresa di mettere a
punto un nuovo paradigma comunista complessivo non fu mai neppure tentata (per
lovvia ragione che mancavano ancora le condizioni storiche minime per questo).
Abbiamo accennato alla crucialit delle figure di Bobbio, Del Noce e Severino.
Essi sono per chi scrive i tre maggiori filosofi borghesi italiani della
seconda met del Novecento. Con il termine borghese (che per chi scrive una lode e non un in- sulto) intendiamo:
colui che interroga il marxismo dal punto di vista dello scetticismo radicale
sulla possibilit ontologica del comunismo. Consideriamo mille volte pi nobile e
produttivo lo scetticismo radicale che la fede populistica del popolo di si-
nistra; il primo pu, forse, portare a un rinnovato convincimen- to comunista
dopo la tempesta del dubbio e la perdita della fe- de; la seconda porta
inevitabilmente alla disintegrazione dolo- rosa della coscienza storica.
Citiamo solo tre libri: N. Bobbio, I/ 228 futuro della democrazia, Einaudi,
Torino 1984; A. Del Noce, I/ problema dellateismo, Il Mulino, Bologna 1964; E.
Severino, Gli abitatori del tempo, Armando, Roma 1978. Come tutti i veri
pensatori, essi utilizzano pochissimi materiali essenziali, e con essi fanno
miracoli: a Bobbio bastano due sole nozioni, separa- zione di principio fra
politica ed economia, e invarianza delle re- gole del gioco formali; a Del Noce
una sola, quella di male radi- cale che il cristianesimo accetta e che il
laicismo-marxismo ri- muove; a Severino una sola, quella di identit fra
nichilismo di- struttivo e fede nel divenire storico. Il minimo comun denomi-
natore di tutti e tre, ovviamente, sta nel loro rifiuto testardo, sor- do,
pervicace, inattaccabile da qualunque argomentazione, di distinguere fra
svolgimento storico del comunismo novecente- sco e possibilit reale di un altro
possibile comunismo del futu- ro. Rifiuto che connota, appunto, il loro essere
borghesi. Ab- biamo detto borghesi, non capitalisti, perch in questo li- bro la
nozione di pensatori capitalisti
riservata a coloro i quali, a nostro avviso, sono apologeti diretti
della produzione capitalistica e della cultura che essa secerne, e non si
limitano pertanto ad essere tragicamente scettici sul comunismo (atteg-
giamento che chi scrive ritiene perfettamente legittimo e plausi- bile), ma si
ritrovano pienamente nelluniverso capitalistico stesso (e citiamo qui
Abbagnano, Colletti, Vattimo, Sylos Labi- ni, per limitarci a personaggi
evocati nel testo). Il complesso tema del rapporto fra marxismo e
filosofia sta- to sottoposto ad una
voluta, drastica semplificazione. In breve: la forma filosofica del discorso di
tipo storicistico e progressisti- co
talmente debole da farle preferire in ogni caso un materiali- smo della
corporeit e della solidariet. Questo non significa, per, che questo
materialismo sia la migliore filosofia per il ma- terialismo storico. Per chi
scrive essa resta una ontologia delles- sere sociale, anche se formulata in
modo diverso da come fece Lukacs nei suoi ultimi anni di vita. Citiamo qui: S.
Timpanaro, Sul materialismo, Nistri-Lischi, Pisa 1975, e C. Luporini, Dialet-
tica e materialismo, Editori Riuniti, Roma 1974 (a p. XXX di questo libro c
l'ottima definizione dello storicismo in termini 229 di totalit vuota che
permette linterpolazione tattico-politica dellempiricit). La discussione del
rapporto fra marxismo e scienza non pia- cer probabilmente ai numerosi
dellavolpiani e geymonattiani italiani. Ammettiamo apertamente che essa
richiederebbe ben maggiore analisi. Ci interessava, per, evidenziare un solo
con- cetto: il marxismo, ed il comunismo che ne fa parte integrante, una filosofia, non una scienza, perch la sua
natura antropologi- ca non consente un suo trattamento sulla base dei modelli
epi- stemologici delle moderne scienze della natura. Filosofia delle scienze e
marxismo non hanno dunque lo stesso oggetto, e dun- que neppure lo stesso
metodo (assiomatizzazione, falsificabilit, dialettica di verit relative ed
assolute, eccetera). Citiamo qui: G. Della Volpe, Logica come scienza storica,
Editori Riuniti, Ro- ma 1969, e L. Geymonat, Del marxismo, Bertani, Verona 1987.
La discussione sul rapporto fra marxismo e dialettica aveva un solo scopo:
chiarire che la dialettica non tratta della scissione di un intero semplice e
di conseguenza non pu avere come og- getto pratico la ricomposizione forzata
del molteplice. Mito del- lOrigine (scissione del semplice) e mito del Fine
(ricomposizio- ne del molteplice) sono due ingenuit teoriche fuorvianti. La
dialettica ha come oggetto esclusivo la contraddizione degli op- posti, che
non a sua volta altro che la
correlazione essenziale fra contrari. Fra gli inguaribili confusionari citiamo
qui senza al- cuna speranza che serva a qualcosa: L. Colletti, Il marxismo e
Hegel, Laterza, Bari 1968, e G. Vattimo, Le avventure della dif- ferenza,
Garzanti, Milano 1979. Sappiamo che il tema del rapporto fra marxismo ed
economia delicatissimo, e non pensiamo
certo di averlo analizzato in mo- do sufficiente. Qui bisognava per dire che il
marxismo non una teoria economica di
sinistra, ma una critica ad ogni econo- mia politica. noto che esso ha come oggetto i modi di
produ- zione. Etimologicamente, pro-dutre viene da pro-ducere, che vuole anche
dire condurre innanzi. La pro-duzione non
per- tanto semplice fabbricazione di oggetti materiali in base a tecni-
che, ma organizzazione e
gerarchizzazione di uomini e di rap- porti umani: alcuni sono schierati avanti,
e altri indietro. Il co- 230 munismo non
pertanto a rigore un modo di produzione, ma un modo di cooperazione, in quanto si baser
(sempre che sia ontologicamente ed antropologicamente possibile: non ne siamo
certo scientificamente sicuri) su di un co-operare egua- litario di
individualit libere che non verranno pi pro-dotte, cio condotte avanti e
indietro. Tutto questo del tutto al di
fuo- ri della scienza sociale capitalistica chiamata economia politica. Citiamo
qui: A. Pesenti, Manuale di economia politica, Editori Riuniti, Roma 1972; P.
Sraffa, Produzione di merci a mezzo di merci, Einaudi, Torino 1960; P. Sylos
Labini, Saggio sulle classi sociali, Laterza, Bari 1974; C. Napoleoni, Discorso
sullecono- mia politica, Boringhieri, Torino 1985. Non citiamo commenti su
libri di Bruno Trentin, ritenendo che la fonte principale della critica
economica a questo autore restino i fischi dei lavoratori italiani nei mesi di
settembre e di ottobre del 1992. Sulla discussione a proposito della natura
sociale dell'URSS citiamo: R. di Leo, I{ modello di Stalin, Feltrinelli, Milano
1977 (messa a punto spregiudicata, e a nostro avviso sostanzialmente corretta,
del rapporto fra socialismo sovietico e classe operaia); A. Natoli, Sulle
origini dello stalinismo, Vallecchi, Firenze 1979; B. Bongiovanni,
Lantistalinismo di sinistra e la natura sociale dell'URSS, Feltrinelli, Milano
1975; P. Sweezy-C. Bettelheim, I/ socialismo irrealizzato, Editori Riuniti,
Roma 1992. Lopinione di chi scrive la
seguente: rivoluzione dottobre sacrosanta; as- salto al cielo legittimo;
comunismo come onore imperituro del XX secolo; immaturit storica generale del
superamento siste- mico del capitalismo; socialismo politico come raggio troppo
corto per andare oltre il modo di produzione capitalistico; vale la pena di
provarci unaltra volta, e siamo ragionevolmente convinti che questo avverr,
anche se non sappiamo come e quando. | A proposito della scuola di Francoforte
si vedano: M. Jay, L'immaginazione dialettica, Einaudi, Torino 1979; R.
Wiggers- haus, La scuola di Francoforte, Bollati Boringhieri, Torino 1992. Chi
scrive si occupato a lungo di Bloch,
Althusser e Luk4cs, e si permette qui la faccia tosta di rimandare il lettore
ai suoi scritti monografici. Come dice un proverbio piemontese: i asu 231
dCavour, gnn ai lauda, as laudu da sul (gli asini di Cavour, nessuno gli fa i
complimenti, se li fanno da soli). Bontempelli e La Grassa sono autori che sono
stati valorizzati per il loro carattere innovativo. Bontempelli ha scritto (in
colla- borazione con Ettore Bruni e Fabio Bentivoglio) tre libri: M.
Bontempelli-E. Bruni, I/ senso della storia antica, Trevisini, Mi- lano 1979;
idem, Storia e coscienza storica, Trevisini, Milano 1983; M. Bontempelli-F.
Bentivoglio, I/ senso dell'essere nelle culture occidentali, Trevisini, Milano
1992. I tomi di questi volu- mi sono rispettivamente due, tre e tre. Da un
lato, Bontempelli ha a nostro avviso il merito di esplicitare una tesi
storiografica che in Italia storici come Antonio Capizzi avevano gi avanzato:
la categoria filosofica di Essere non pu sorgere da una pensa- ta geniale di
Parmenide, ma si origina genealogicamente dalla proiezione dell'unit astratta
del lavoro sociale complessivo, cui si vuol negare recisamente la
contraddittoriet; lidealismo, allo- ra,
lastrazione non-contraddittoria dellunit sociale, mentre il materialismo
diventerebbe l'accettazione della contradditto- riet che essa comporta; la
dicotomia materialismo/idealismo, per, appare fuorviante, perch su questa base
Eraclito ed He- gel, che accettano la contraddizione, diventerebbero materiali-
sti, cosa assurda; ed dunque meglio
abbandonare questa di- cotomia tout court. Chi scrive si aspetta risultati
positivi dallab- bandono di questa dicotomia, che non ha peraltro accompagna-
to a caso lo sviluppo del comunismo storico novecentesco. Es- so, infatti, da
Engels a Gorbaciov, ha perseguito lobiettivo di rispecchiare le leggi dello
sviluppo sociale; queste leggi, pe- r, sono soltanto le leggi della
riproduzione del modo di produ- zione capitalistico; la materia e la natura,
una volta che sia- no astratte dalle scienze della natura e trasportate
metaforica- mente nei rapporti sociali di produzione, sono solo la duplica-
zione di questi ultimi; e questi ultimi sono quelli capitalistici. Dall'altro,
Bontempelli ha svolto egregiamente il tema del messianesimo comunista di Ges,
presupponendone lesistenza storica. Contro questa ipotesi si vedi, fra gli
altri: A. Donini, Sto- ria del Cristianesimo, Teti, Milano 1977; U. Ricca,
Processo alle religioni, Vangelista, Milano 1976; M. Craveri, Ges di Nazareth
232 dal mito alla storia, Giordano, Cosenza 1982. Chi scrive ritiene: che su
basi puramente documentarie, testuali, lesistenza storica di Ges non possa
essere in alcun modo provata; che su basi abduttive, indiziarie (alla Peirce,
non alla Galileo o alla Popper),
improbabile che non ci sia stato storicamente un fatto che viene
descritto in modo tanto conforme alla dinamica messiani- ca del contesto
dellepoca; che pertanto ragionevolmente
pro- babile che un messia come Ges abbia veramente agito sotto Ponzio Pilato;
che non solo probabile, ma a questo
punto qua- si certo, che un simile messia non potesse che perseguire la puri-
ficazione comunista del tempio, sede della distribuzione dei be- ni nel modo di
produzione antico-orientale (se no, che cosa mai avrebbe potuto significare la
frase: seguitemi, e non preoccupa- tevi di nulla, perch sarete saziati? Si
pensa forse che i poveri vi- vano daria, e siano economicamente
disinteressati?). Gianfranco La Grassa ha lavorato con valenti collaboratori,
come Maria Turchetto, Marco Bonzio, Franco Soldani, Michele Cangiani, Edoardo
De Marchi, Giuseppe Bazzi. Qui citiamo soltanto: Le transizioni capitalistiche,
Ediesse, Roma 1986; Il ca- pitalismo lavorativo, Angeli, Milano 1990. Abbiamo
gi rilevato come il concetto di pro-duzione non possa essere ridotto a ci che
Aristotele chiama lagire poietico, che produce cio oggetti materiali, ma debba
anche includere ci che il filosofo greco chiama agire pratico, cio la
produzione di comportamenti umani; in La Grassa entrambi gli aspetti della
produzione sono tenuti presenti. Ci che gli economisti (compresi quelli di
sini- stra) intendono per economia non
altro che la continuazio- ne di ci che i greci chiamavano crematistica:
come acquisire ricchezze. Anche qui La Grassa si distingue per la sua corretta
nozione di economia come scienza dei rapporti sociali (cfr. I. Rubin, Saggi
sulla teoria del valore di Marx, Feltrinelli, Milano 1976). 233 Indice dei nomi
Abbagnano Nicola, 12, 125, 159, 191, 201, 229 Adorno Theodor W., 127, 132, 183,
184, 187, 188, 189 Agnelli Gianni, 218 Agnelli Susanna, 179 Alessandro il Grande, 202 Allende Salvador,
72 Althusser Louis, 70, 127, 136, 141, 151, 152, 183, 184, 192, 193, 194, 196,
197, 231 Amato Giuliano, 33, 77, 178 Amendola Giorgio, 86 Anderson Perry, 17,
44, 47, 224 Apel Karl-Otto, 135 Arendt Hannah, 75 Aristotele, 150, 196, 233
Asor Rosa Alberto, 82, 83, 84, 85, 91, 225, 226 Bachelard Gaston, 148, 194
Bahro Rudolf, 185 Bakunin Michail, 219 Balbo Felice, 128 Balzac Honor de, 67,
210 Banti Antonio, 149 Barcellona Pietro, 22, 100 Basso Lelio, 92 Bataille
Georges, 166 Baudo Pippo, 22 Bazzi Giuseppe, 233 Beethoven Ludwig van, 40
Benigni Roberto, 40 Benjamin Walter, 187 Bentivoglio Fabio, 232 Betgson Henti,
40 Berlinguer Enrico, 19, 70, 71, 73, 74, 92, 226, 228 Bernstein Eduard, 180,
185 Berti Enrico, 169 Bettelheim Charles, 110, 183, 186, 231 Beveridge William,
74 Bloch Ernst, 7, 127, 183, 184, 189, 190, 191, 194, 231 Bobbio Luigi, 108
Bobbio Norberto, 8, 10, 11, 12, 21, 33, 59, 83, 119, 124, 125, 126, 127, 128,
131, 133, 159, 165, 175, 191, 200, 201, 220, 222, 226, 228, 229 Bocca Giorgio,
224 Bongiovanni Bruno, 186, 231 Bontempelli Massimo, 22, 122, 201, 202, 203,
204, 205, 209, 232 Bonzio Marco, 233 Bordiga Amadeo, 13, 16, 20, 26, 36, 37,
41, 42, 44, 87, 91, 93, 94, 95, 96, 103, 104, 108, 130, 186, 206, 211, 226
Borges Jorge, 162 Bosio Gianni, 92 Bossi Umberto, 218 Brandirali Aldo, 104, 110
Braverman Harry, 208 Breznev Leonid, 214 Bruni Ettore, 232 Bucharin Nikolaj,
16, 44, 55, 159 235 Burnham James, 35 Bush George, 191 Cacciari Massimo, 20,
82, 83, 84, 85, 91, 225, 226 Cadorna Luigi, 152 Caff Federico, 88 Caio Gracco,
202 Calabresi Luigi, 108 Calvino Giovanni, 222 Cangiani Michele, 233 Capanna
Mario, 104 Capizzi Antonio, 232 Carlo Magno, 214 Carrillo Santiago, 70
Cartesio, v. Descartes Cases Cesare, 92, 187, 188 Castoriadis Cornelius, 35
Catone Andrea, 186 Cattaneo Carlo, 12 Cavour Camillo Benso, 47, 184 Cerreti
Giulio, 224 Che Guevara, v. Guevara Ernesto Clocchiatti Amerigo, 215 Colletti
Lucio, 22, 66, 144, 151, 152, 154, 160, 161, 162, 163, 164, 165, 168, 169, 170,
180, 188, 223, 229, 230 Colombo Cristoforo, 133 Copernico Niccol, 153, 155 Craveri
Marcello, 204, 232 Craxi Bettino, 12, 34, 89, 92, 97, 220 Croce Benedetto, 13,
15, 16, 22, 26, 28, 30, 32, 33, 34, 36, 37, 40, 93, 119, 138, 159, 161, 164,
196, 218, 224 Cromwell Oliver, 84 Dahrendorf Ralf, 8, 164 D'Alema Massimo, 75
Dal Pra Mario, 159 Darwin Charles, 155 236 De Beauvoir Simone, 87 Deborin A.M.,
139 De Crescenzo Luciano, 168 De Felice Renzo, 15 De Gasperi Alcide, 190 De
Grada Raffaele, 66 Del Carria Renzo, 115 Deleuze Gilles, 113, 166 Della Volpe
Galvano, 12, 21, 66, 144, 146, 149, 150, 151, 152, 153, 161, 162, 220, 230 Del
Noce Augusto, 21, 57, 69, 119, 128, 129, 130, 131, 133, 200, 226, 228, 229 De
Marchi Edoardo, 233 De Martino Francesco, 81 De Micheli Mario, 66 De Michelis
Gianni, 191 Depretis Agostino, 72 De Sanctis Francesco, 9 Descartes Ren, 129,
196 Diaz Armando, 52 Di Leo Rita, 231 Donini Ambrogio, 204, 232 Dostojevskij
Fedor, 109 Dubcek Aleksander, 88 Dulles Foster, 53 Dylan Dog, 40, 68 Einstein
Albert, 155 Engels Friedrich, 7, 26, 27, 31, 35, 120, 142, 143, 148, 162, 196, 203,
211, 232 Epicuro, 138, 143, 190, 198 Fraclito, 132, 134, 232 Fallot Jean, 143
Fassino Piero, 75, 76, 224, 225 Feltrinelli Giangiacomo, 111 Feuerbach Ludwig,
163, 196, 198 Feyerabend Paul, 148 Fichte Johann Gottlieb, 98, 196 Foa
Vittorio, 89 Fortini Franco, 15, 92, 188 Foucault Michel, 213 Freud Sigmund,
213 Frost Robert, 5, 223 Fukuyama Francis, 202 Galilei Galileo, 13, 69, 143,
147, 162, 195, 205, 233 Garegnani Pierangelo, 174 Garibaldi Giuseppe, 16, 47,
202, 218 Gentile Giovanni, 13, 15, 16, 26, 28, 29, 30, 31, 32, 34, 67, 119,
138, 169, 224 Gerratana Valentino, 224 Ges di Nazareth, 33, 68, 98, 113, 129,
203, 204, 232, 233 Geymonat Ludovico, 10, 12, 13:14 211226671. 83; 143, 144,
146, 153, 154, 155, 156, 157, 222, 223, 230 Gibbon Edward, 39 Gilas Milovan, 35
Gioberti Vincenzo, 10, 218 Giolitti Antonio, 92 Giordano Bruno, 69 Giovanni
XXIII, 69 Girardi Giulio, 69 Giudici Giovanni, 5, 223 Gobetti Piero, 9, 10
Gorbaciov Michail, 88, 97, 187, 191, 202, 214, 232 Gorbaciova Raissa, 139 Gorz
Andr, 208 Gramsci Antonio, 9, 10, 12, 13, 15, 16, 17, 18, 22, 23, 33, 36, 37,
39, 40, 41, 42, 43, 44, 45, 46, 47, 48,49, 51,57, 58, 66, 70, 71, 75, 92, 93,
94, 97, 104, 108, 140, 159, 174, 190, 217, 218, 220, 224 Graziadei Antonio, 16,
26, 34, 35, 224 Grilli Liltana, 94, 226 Grossman Heryk, 16 Guevara Ernesto, 161
Guttuso Renato, 67 Habermas Jiirgen, 8, 135, 168, 187,210 Hanson N.R., 148
Hegel Georg Wilhelm, 13, 16, 30, 31, 32, 33, 35, 40, 98, 101, 132, 134, 135,
141, 147, 149, 150, 151, 152, 154, 159, 162, 165, 169, 188, 189, 190, 193, 194,
196, 197, 1987 199, 204, 205, 232 Heidegger Martin, 67, 120, 132, 154, 160,
165, 166, 176, 181, 194, 198, 203, 210, 226 Hilferding Rudolf, 95, 146, 148
Hitler Adolf, 15, 166, 202 Hobbes Thomas, 139 Horkheimer Max, 187 Hugo Victor,
66 Hume David, 196 Ignazi Pietro, 225 Ilienkov Evald, 155 Illuminati Augusto,
101 Ingrao Pietro, 79, 85, 86, 88, 91, 100, 156, 219, 226 Jay Martin, 187, 231
Kant Immanuel, 73, 125, 127, 131, 151, 160, 162, 164, 184, 196 Kautsky Karl,
35, 185, 211 Kavafis Costantino, 5, 223 Keaton Buster, 185 Kelsen Hans, 226
Keynes John Maynard, 34, 74, 100-101, 173, 179, 181 King Stephen, 67 Korsch
Karl, 84, 155, 162, 181 237 Kosk Karel, 7 Krusciov Nikita, 152, 214 Kuhn
Thomas, 148, 155 Labriola Antonio, 13, 15, 16, 22, 26, 27, 28, 29, 30, 32, 34,
35, 40, 46, 161, 224 Lacan Jacques, 113, 194 La Ganga Giusy, 220 La Grassa
Gianfranco, 22, 74, 89, 110, 114, 174, 186, 205, 206, 207, 208, 209, 222, 228,
232, 233 Lakatos Imre, 121, 148 La Malfa Giorgio, 61, 77 Lamarck Pierre, 155
Landucci Sergio, 159 Lange Oskar, 173 Lash Christopher, 167 Leibniz Gottfried,
139, 196 Lenin, 17, 29, 44, 55, 56, 70, 80, 97, 112, 138, 139, 154, 155, 162,
202, 203, 205, 211, 221, 222 Leopardi Giacomo, 21, 101, 121, 138, 141, 143,
188, 190 Livorsi Franco, 226 Loria Achille, 16, 26, 34, 35, 224 Luk4cs Gyrgy,
7,9, 21, 42, 43, 121, 127, 140, 141, 162, 183, 184, 195, 196, 197, 229, 231
Luporini Cesare, 18, 21, 56, 57, 140, 141, 143, 144, 145, 149, 150, 188, 223,
229 Luxemburg Rosa, 88, 92, 117, 211 Mach Ernst, 13 Machiavelli Niccol, 46, 148
Maitan Livio, 186 Malthus Thomas, 173 Mancini Stefano, 227 238 Mandel Ernest,
185 Mangano Attilio, 92, 227 Manzoni Alessandro, 66, 67 Mao Tsetung, 88, 110,
117, 211 Marchais Georges, 70 Marcuse Herbert, 112, 187, 188, 189 Marino Leonardo,
108 Martini Carlo Maria, 33 Marx Karl, 14, 16, 23, 29, 30, 31, 32, 33, 34, 35,
41, 92, 68, 73, 76, 112, 117, 121, 123, 124, 127, 129, 133, 134, 147, 148, 151,
152, 154, 159, 161, 162, 163, 164, 165, 171, 173, 174, 175, 179, 181, 186, 188,
189, 190, 194, 196, 197, 199, 200, 205, 206, 219, 224 Masi Edoarda, 110 Mattick
Paul, 84, 117 Maupassant Guy, 210 Mazzini Giuseppe, 47, 190, 218 Merleau-Ponty
Maurice, 160, 161 Merli Stefano, 227 Michels Roberto, 34 Mill John Stuart, 171
Mondolfo Rodolfo, 15, 16, 26, 29, 31, 32, 34 Monod Jacques, 191 Montaldi
Danilo, 92 Montale Eugenio, 129 Montesquieu Charles-Louis, 113, 126, 148
Moretti Nanni, 75, 76 Moro Aldo, 73, 100, 111 Mussolini Benito, 15, 43, 202
Napoleoni Claudio, 16, 22, 66, 71, 163, 171, 172, 180, 181, 224, 231 Natoli
Aldo, 110, 231 Negri Antonio, 20, 87, 88,91, 93, 99, 100, 101, 103, 104, 111,
112, 117, 151, 181, 206, 211, 226, 227, 228 Nenni Pietro, 31, 81, 190 Newton
Isaac, 147, 153, 155 Nietzsche Friedrich, 1594, 160, 165, 166, 167, 188, 198,
226 Noiret Philippe, 66 Occhetto Achille, 9, 34, 75, 86, 89, 97, 220, 225
Omero, 144, 194 Pala Gianfranco, 174 Pannekoek Horner Anton, 117, 139, 155,
211, 219 Pannella Marco, 100, 221 Panzieri Raniero, 15, 20, 41, 84, 87, 91, 92,
93, 96, 97, 98, 99, 103, 116, 1591, 181, 211, 224, 226 Paolo di Tarso, 96, 222
Pareto Vilfredo, 16, 26, 34, 148, 224 Parmenide, 25, 131, 132, 133, 134, 165,
203, 204, 232 Pascal Blaise, 221 Pasolini Pier Paolo, 67, 109 Peirce Charles
Sanders, 233 Pertini Sandro, 71, 73 Pesenti Antonio, 55, 171, 173, 174, 231
Pietranera Giulio, 171 Piperno Franco, 112 Platone, 32, 126, 134, 147, 149,
150, 162, 165, 196, 198, 220 Plechanov Georgij, 138, 146 Poincar Jules-Henri,
13 Polanyj Karl, 126 Pollock Friedrich, 187 Ponzio Pilato, 233 Popper Karl, 26,
121, 140, 146, 148, 160, 164, 233 Potier Jean-Pierre, 223, 224 Pratolini Vasco,
66 Quinto Fabio Massimo, 125 Rawls John, 8 Ricardo David, 34, 173, 174, 175,
176, 178, 179, 181 Ricca Umberto, 204, 232 Rizzi Umberto, 186 Roasio Antonio,
215 Robespierre Maximilien, 202 Rodano Franco, 68, 128, 181 Rorty Richard, 168
Rossanda Rossana, 79, 87, 88, 89, 91, 100, 156, 226 Rossellini Renzo, 67 Rossi
Paolo, 154 Rousseau Jean-Jacques, 121 Rubin LI., 139, 233 Sacristn Manuel, 70,
155 Saddam Hussein, 125 Salinari Carlo, 66 Salvadori Massimo, 10 Salvati
Michele, 179 Santomassimo G., 224 Sapegno Natalino, 66 Sartre Jean-Paul, 7, 87,
160, 190 Savonarola Girolamo, 202 Scalfari Eugenio, 77 Scalzone Oreste, 89,
112, 196 Schelling Friedrich, 190 Schevarnadze Eduard, 139 Schiavone Aldo, 49
Schmitt Karl, 84, 226 Secchia Pietro, 53 Segni Mario, 61, 77 Sereni Emilio, 55,
171 Serrati Giacinto Menotti, 36-37 Severino Emanuele, 21, 25, 26, 83, 119,
131, 132, 133, 137, 167, 200, 203, 222, 226, 228, 229 Sgarbi Vittorio, 22
Silone Ignazio, 35, 104 Smith Adam, 34, 173, 179, 196 239 Socrate, 220 Sofri
Adriano, 89, 104, 108, 164 Sohn-Rethel Alfred, 132, 203 Soldani Franco, 233
Solmi Renato, 188 Sorel Georges, 219, 224 Spartaco, 202 Spinelli Altiero, 214
Spinoza Baruch, 101, 135, 184, 193, 196 Sraffa Piero, 16, 22, 34, 100, 171,
173, 174, 175, 181, 231 Stalin, 17, 33, 54, 55, 56, 87, 95, 110, 139, 152, 162,
203, 211,214 Sturzo Luigi, 190, 218 Suslov Michail, 46 Sylos Labini Paolo, 172,
175, 176, 177, 178, 229, 230 Sweezy Paul, 170, 183, 186, 231 Tasca Angelo, 37
Terracini Umberto, 37, 104, 108 Tex Willer, 68 Timpanaro Sebastiano, 21, 140,
141, 142, 143, 144, 188, 229 Togliatti Palmiro, 13, 14, 15, 17, 18, 23, 36, 42,
47, 51, 52, 53, 54, 55, 56, 58, 59, 60, 61, 64, 71, 73, 75,82, 93, 96, 104,
108, 135, 138, 149, 159, 190, 211, 217, 224 Tolomeo, 155 Tosel Andr, 223
Trendelenburg Friedrich Adolf, 150 Trentin Bruno, 88, 89, 178, 240 180, 231
Tronti Mario, 20, 82, 83, 84, 85, 91, 100, 225, 226 Trotzkij Lev, 55, 94,
117,211 Turati Filippo, 27, 28, 31, 32, 190, 220 Turchetto Maria, 233 Turgeniev
Ivan, 109 Vacca Giuseppe, 49 Vaia Alessandro, 215 Vailati Giovanni, 12 Van Gogh
Vincent, 184 Vattimo Gianni, 22, 151, 160, 165, 166, 167, 168, 169, 170, 229,
230 Verdi Giuseppe, 67 Vespucci Amerigo, 133 Viano Carlo Augusto, 154 Vico
Giovanbattista, 35, 37 Vidali Vittorio, 215 Vigna Carmelo, 224 Vinci Luigi,
104, 116 Vittorini Elio, 59 Voltaire Frangois-Marie Arouet, 139 Weber Max, 26,
57, 76, 146, 148, 194, 226 Weil Simone, 97 Wiggershaus Rolf, 187, 231 Wittfogel
Karl August, 185 Wittgenstein Ludwig, 136 Wodehouse Pelham, 39 Zaccagnini
Benigno, 73 Zdanov Andrej, 58 Indice Introduzione, 7 Parte prima . I Le origini
del marxismo teorico e dellideologia italiana fra Ottocento e Novecento, 25 Il
marxismo di Antonio Labriola, 26; Il marxismo di Giovanni Gentile, 29; Il
marxismo di Rodolfo Mondolfo, 31; Benedetto Croce e il marxismo. Una morte
simulata?, 32; Marx in Italia fra economisti e sociologi, 34; Amadeo Bordiga e
la conclusione delle origini del marxismo italiano, 36. II La rivoluzione in
Occidente di Antonio Gramsci e la sua ambiguit di fondo, 39 Il primo Gramsci:
operaismo e Ordine Nuovo, 40; Il secondo Gramsci: fronte unico e Tesi di Lione,
42; Il terzo Gramsci: la rivo- luzione in Occidente e i Quaderni del Carcere,
44; La tesi di Perry Anderson sullambiguit di Gramsci, 47. III La via italiana
al socialismo di Palmiro Togliatti e lambi- guit gramsciana realizzata, 51
Togliatti: lo stalinismo liberale, 53; Togliatti: la religione storici- sta,
56; Togliatti: la direzione politica sulla cultura, 58; Togliatti:
l'impossibile eredit, 60. 241 Parte seconda I La dinamica evolutiva del partito
togliattiano di massa dal 1956 al 1991. La prima sinistra, 63 Il
nazional-popolare, 66; Il catto-comunismo, 68; Leuro-comuni- smo, 70; Enrico
Berlinguer: compromesso storico e diversit mo- rale, 71; Limplosione della Cosa
fra il 1989 e il 1991, 74. II Lopposizione di Sua Maest alla prima sinistra dal
1956 al 1991. Un problema storiografico e metodologico, 79 Nomenklatura
politica e risarcimento ideologico. I giorni feriali e le prediche della
domenica, 80; Il demoniaco allombra del confor- mismo: Asor Rosa, Tronti e
Cacciari, 82; Pietro Ingrao e il conso- CARLO libertario, 85; Rossana Rossanda
e la sinistra esistenzia- ista, 87. INI Lopposizione strategica alla prima
sinistra: Bordiga, Pan- zieri, Negri, 91 Laltra linea e le sue radici: la
dissidenza socialista e comunista, 92; Il bolscevismo atemporale di Amadeo
Bordiga, 93; Il socialismo operaista di Raniero Panzieri, 96; Il comunismo autonomo
di Antonio Negri, 99. IV Limpossibile costruzione. I tentativi di dare alla
seconda sinistra una dimensione politica di massa, 103 Le ragioni storiche di
un fallimento politico, 103; La doppia natu- ra del Sessantotto, 106; Lotta
Continua e il populismo generazio- nale-comunitario, 108; Servire il Popolo e
il maoismo cattolico- stalinista, 109; Potere Operaio e il futurismo
metropolitano, 111; La lotta armata e la sua dinamica distruttiva, 113; Da
Avanguardia Operaia a Democrazia Proletaria. Dalloperaismo militante ai nuo- vi
soggetti, 116. 242 V I grandi confronti teorici con il marxismo: Bobbio, Del
Noce e Severino, 119 Quattro dicotomie fuorvianti: destra e sinistra,
progressisti e con- servatori, laici e credenti, borghesi e proletari, 119; Norberto
Bob- bio e le idee marxiste, 124; Augusto Del Noce e le idee marzxiste, 128;
Emanuele Severino e le idee marxiste, 131. VI Le idee marxiste e la filosofia.
Una convivenza difficile, 135 Lo statuto marxista della filosofia. Un problema
aperto, 137; Cesa- re Luporini e il materialismo, 140; Sebastiano Timpanaro e
il mate- rialismo, 141. VII Le idee marxiste e la scienza. Un matrimonio
fallito, 145 Lo statuto marxista della scienza. Un problema aperto, 147; Gal-
vano Della Volpe e il marxismo, 149; Ludovico Geymonat e il mar- xismo, 153.
VII Le idee marxiste e la dialettica. Un amore impossibile, 159 Lucio Colletti
e le avventure della dialettica, 160; Gianni Vattimo e le avventure della
differenza, 164. IX Le idee marxiste e l'economia. Un divorzio inevitabile, 171
La conciliazione classica di Antonio Pesenti, 173; La conciliazione ricardiana
di Piero Sraffa, 173; Sylos Labini e la lotta di classe della grande borghesia
contro la piccola borghesia, 175; Il sindacalismo neoricardiano e la lotta di
classe della classe operaia contro la pic- cola borghesia, 178; Claudio
Napoleoni e la dissoluzione delleco- nomia politica, 180. 243 X Il dibattito
marxista internazionale e lItalia. Un rapporto faticoso, 183 La grande
questione: la natura sociale dell'URSS, 185; Adorno in Italia fra apocalissi e
integrazione, 187; Bloch in Italia fra profeti- smo e accademia, 189; Althusser
in Italia fra teoria e politica, 192; Lukcs in Italia fra continuit e
rifondazione, 195. XI Linnovazione nella tradizione. Un discorso delicato, 199
Un rinnovatore filosofico: Massimo Bontempelli, 201; Un rinnova- tore
scientifico: Gianfranco La Grassa, 205; Verso un nuovo para- digma comunista
inedito ed inaspettato, 209. Conclusione, 215 Nota bibliografica generale, 223
Indice dei nomi, 235 Finito di stampare nel mese di marzo 1993 dalla GECA Srl
di Milano per conto di Vangelista Editori Snc 244 Costanzo
Preve Storia. del | Materialismo I 2) GA editrice pelle plaisance Questa Storia
del materialismo il terzo ed ultimo
volume di una trilogia tematica unitaria, di cui sono stati gi pubblicati due
volumi dedicati rispettivamente ad una Storia della dialettica e ad una Storia
dell'etica. Il presupposto di questa trilogia sta in ci, che impossibile elaborare un metodo ed un
contenuto filosoficamente adeguati ai tempi storici inediti in cui stiamo
vivendo senza effettuare preliminarmente un ripensamento ed una ricostruzione
radicalmente innovativi sul passato remoto e su quello prossimo della nostra
tradizione occidentale. La consapevolezza di un tale programma non deve
paralizzare ed indurre a rinunciare per quieto vivere. Dopo un'introduzione
dedicata ai vari significati storici e teorici del materialismo,
l'esposizione strutturata in tre ampi
capitoli. Nel primo si analizza storicamente e teoricamente il significato di
materialismo come ateismo, e cio come critica alla religione. Nel secondo si
indaga invece il significato vero e proprio del materialismo filosofico, che
non in alcun modo, come molti pensano,
una semplice metafisica monistica dellunicit della . materia o una semplice
sistematizzazione coerente dei risultati di volta in volta raggiunti dalle
scienze naturali moderne post- galileiane, ma
invece la problematizzazione critica della deduzione storica delle
categorie filosofiche ed ideologiche a partire dal loro contesto storico,
sociale e genetico. Nel terzo si ha un ennesimo ritorno sulla storia del
marxismo da Marx ad oggi, alla luce appunto del metodo esposto nel secondo
capitolo, e cio della deduzione genetica delle stesse categorie marxiste dal
contesto storico e sociale. In altre parole, un abbozzo di una storia marxista
del marxismo. Il giudizio critico sui risultati teorici raggiunti in questa
trilogia spetta ovviamente ai lettori critici, e solo a loro. Costanzo PrEvE
(1943) ha studiato scienze politiche, filosofia e neoellenistica a Torino,
Parigi ed Atene (1961-1967). Per trentacinque anni (1967-2002) ha insegnato
filosofia e storia nei licei italiani. Ha pubblicato saggi ed articoli in
italiano ed in altre lingue straniere. Per lEditrice Petite Plaisance ha gi
pubblicato i . due precedenti volumi della trilogia, Storia della dialettica e
Storia dell'etica. ISBN 88-7588-015-8 i
15 Collana diretta da Luca Grecchi . 6Ttov yp toys ovtuyovor cai dikm,
Tola Euvmpis TOVE KAprepwrpa; Eschilo, Frammento 267. Tv mbeL uddoc dvta
Kkupiws Exe Eschilo, Agamennone, 177. Evugper OMPpovetv VITt OTEVEL Eschilo,
Eumenidi, 520. OUNOW CWPPpovElv ETLOTA0AL> Eschilo, Prometeo, 982. Costanzo
PREVE, Storia del Materialismo ISBN 88-7588-015-8 Copyright 4 E Z007 editrice ; pelle plaisane Via di
Valdibrana 311 51100 Pistoia Tel.:
0573-480013 Fax: 0573-480914 C. c.
postale 44510527 www.petiteplaisance.it e-mail: info@petiteplaisance.it In
copertina: Constantin Brancusi, Prometeo, 1911. Marmo bianco, lung. cm. 17,8;
Philadelphia Museum of Art. Chi non spera quello che non sembra sperabile non
potr scoprirne la realt, poich lo avr fatto diventare, con il suo non sperarlo,
qualcosa che non pu essere trovato e a cui non porta nessuna strada. ERACLITO
Agli amici Riccardo Di Vito e Silvia Irti Costanzo Preve STORIA DEL
MATERIALISMO pelle plaisance ProLoGo IL COMPLETAMENTO ED IL PERFEZIONAMENTO DEL
PROGETTO TEORICO COMPLESSIVO DI UNA TRILOGIA Questa Storia del materialismo
costituisce il terzo ed ultimo volume di una trilogia filosofica iniziata con
una Storia della dialettica ed una Storia dell'etica. Si tratta di tre
successivi ritorni su di un unico tema, che assomiglia in un certo senso
all'attivit di un decoratore che deve dare il bianco ad una parete. Qualche
lettore avr certamente fatto lesperienza di comprarsi da solo vernice e
pennelli per dare il bianco alle pareti della propria casa. In casi come
questi, e particolarmente quando le pareti non sono state pi imbiancate da
molto tempo, ed hanno via via assunto un colore diverso da quello originario,
non certo sufficiente una sola passata,
ma ce ne vogliono almeno due, o preferibilmente tre. Ebbene, questa
trilogia stata confezionata esattamente
con il criterio del buon decoratore che sa bene come le tre passate di vernice
sono necessarie. La vernice acquistata resta di un solo ed unico colore, ma
bisogna passarla tre volte. Il colore della mia vernice filosofica quello che vorrebbe ad un tempo riprendere le
tinte della tradizione rivoluzionaria, ed illuminare il nuovo ed inedito cielo
delle contraddizioni storiche e sociali di oggi. Non poteva dunque essere n semplicemente
il rosso, n semplicemente l'azzurro, ma bisognava cercare una tonalit nuova. Se
poi l'abbia trovata o meno, tocca al lettore giudicare. . Tdealmente, questa
trilogia inizia con la proposta di spostamento radicale del concetto di arch
della filosofia greca. Un vero e proprio riorientamento gestaltico dell'intera
tradizione occidentale pu avvenire soltanto se ci abitueremo gradualmente a
passare da una nozione materiale (larch come acqua di Talete, come aria di
Anassimene, eccetera) ad una nozione formale (larch come misura, metron, di
Solone e Clistene). Questo spostamento ci porta a cogliere il punto
fondamentale dei problemi del nostro tempo, e cio la dismisura e la
illimitatezza delle ricchezze. questo il
punto fondamentale, e non certamente l'opposizione astratta fra pace e guerra e
dunque fra pacifismo e guerrismo, che
certo fondamentale, ma derivata
dalla prima contraddizione, quella fra misura e dismisura. Non sono 7 ProLoco
affatto fondamentali, ma sono del tutto derivate e del tutto secondarie,
opposizioni come quelle fra destra e sinistra, che sono oggi solo delle protesi
artificiali di manipolazione simbolica di un campo politico fittizio e privato
di sovranit, fra ateismo e religione, che instaura una logomachia interminabile
fra sostenitori e negatori astratti di un principio unitario di coerenza della
totalit naturale e sociale, ed infine fra progresso e conservazione, i cui
sostenitori reciproci hanno ormai perso da molto tempo la capacit di mettere
razionalmente a fuoco che cosa realmente vogliono e che cosa non vogliono
modificare e/o conservare. Stabilito il principio del metron come criterio per
orientarsi in etica ed in politica, ne deriva necessariamente che un'etica non
pu dar luogo ad interminabili dilemmi morali, ma deve partire da un giudizio
complessivo di eticit o meno della societ in cui siamo temporalmente e
spazialmente inseriti. Ora, qui ed ora, la societ in cui siamo inseriti, in
quanto societ della dismisura e della illimitatezza del potere militare e
finanziario, non permette alcuna eticit, ma soltanto una morale provvisoria
limitata ai nostri rapporti con chi ci
pi vicino. Al di l di questa contiguit, c' soltanto una etica di
resistenza alla dismisura ed alla illimitatezza. L'etica oggi si identifica
allora con la resistenza. Ma la resistenza allillimitatezza ed alla dismisura
implica automaticamente che noi dobbiamo porci il problema della natura e della
dinamica del modo di produzione capitalistico, e quindi di Marx, del marxismo e
delle contraddizioni che esso porta con s. Questa la ragione per cui in tutti e tre i volumi
della trilogia si torna sempre a Marx ed al marxismo, e si torna sempre con
pennellate nuove. Il lettore giudicher sulla mia interpretazione complessiva
del pensiero di Marx e del marxismo esposta nei tre volumi di questa
trilogia. probabile che la tesi che gli
sembrer pi discutibile ed azzardata sia l'inserimento completo e senza riserve
di Marx nella tradizione filosofica dellidealismo e non in quella del
materialismo, sia pur variamente interpretato con dosi maggiori o minori di
dialettica. Tuttavia, la tesi che personalmente considero pi innovativa ed alla
quale tengo di pi non questa, ma quella esposta nei capitoli centrali della
mia Storia dell'etica, in cui applico alla dinamica storica di sviluppo del
capitalismo il modello della triade dialettica hegeliana, ed in cui sostengo
che ci troviamo ormai interni al terzo momento di sviluppo del capitalismo
stesso, quello di tipo speculativo, in cui il sistema sociale ormai si specchia
direttamente (speculum) in s stesso, e cio nella merce pura nelle sue
molteplici forme di apparenza fenomenica, ed ha in buona parte superato il
momento della contrapposizione dialettica fra il polo borghese ed il polo
proletario. Questo significa forse che ci troviamo ormai in una fase storica
post-dialettica, in cui appunto la dialettica non 8 Il completamento ed il
perfezionamento del progetto teorico complessivo di una trilogia funziona pi, e
regna soltanto una dittatura onnipotente della tecnica e della . economia
incorporata nella tecnica stessa, come affermano gli heideggeriani all'ombra
del potere del capitale finanziario? Assolutamente no. Io, almeno, non penso
questo, e per questa ragione ho iniziato con una Storia della dialettica. Senza
una ridefinizione dei termini ontologici, infatti, ogni etica impossibile, e restano soltanto forme di
morale provvisoria di tipo ellenistico, quelle infatti che vengono proposte
oggi dai consulenti filosofici, dagli psicologi e da gran parte degli apparati
ideologici giornalistici, politici e/o universitari. Una riabilitazione
filosofica della dialettica, almeno in Italia, va oggi decisamente
controcorrente. Una buona ragione, questa, per promuoverla, in quanto ci che
non va oggi controcorrente non vale neppure la carta su cui stampato. Negli scorsi decenni, e
particolarmente nel quarantennio 1966-2006 (per cui chi allora era ventenne
oggi sessantenne), l'attacco alla
dialettica ha avuto due diverse genesi teoriche ed ideali, che potremmo
ricondurre rispettivamente a Lucio Colletti ed a Gianni Vattimo, ma che alla
fine sono confluite politicamente in una sola direzione. Per quanto riguarda
Lucio Colletti, la sua liquidazione della dialettica con l'approdo finale allo
scientismo pi positivistico mai esistito in Italia dai tempi di Ardig (ma senza
il suo afflato di contestazione progressista e di modernizzazone culturale),
non pu essere inquadrata soltanto nella dinamica di sviluppo interno della
scuola di Galvano Della Volpe, ma deve essere vista in modo pi esternistico come
la sanzione della autoliquidazione colta della comunit intellettuale marxista
italiana. Il harakiri filosofico marxista di un'intera generazione era
effettuato impugnando la spada della tradizionale critica alla dialettica, da
Trendelenburg a Popper, utilizzando ovviamente anche le grandi ombre della
critica di Aristotele alla dialettica di Platone, oltre alla critica anticipata
di Kant alla posteriore dialettica di Hegel, il grande maestro di Marx. Ma non
ci si deve far ingannare dallelemento puramente tecnico di queste critiche.
Sotto queste raffinate argomentazioni ci stava un abbandono sociale di massa
alla critica al capitalismo, e questo abbandono veniva ricoperto maldestramente
dalla teologia kantiana di Colletti. Per quanto riguarda Gianni Vattimo, la sua
sostituzione della logica della cosiddetta differenza alla logica della
dialettica (a sua volta semplificata per poter prestarsi pi facilmente alla
stroncatura) non aveva la stessa genesi della critica alla dialettica di
Colletti, perch Colletti era stato per due decenni interno alla comunit
marxista italiana, mentre Vattimo non lo era mai stato, ma si era affermato
come interprete originale di Nietzsche ed Heidegger. Da un punto di vista
ideologico, Vattimo accompagna l'evoluzione a sinistra di nuovi ceti medi
libertari, e cio interessati ad 9 PROLOGO una liberalizzazione post-borghese e
post-proletaria del costume, e del tutto indifferenti ed anzi recalcitranti
verso tutte le utopie reazionarie di integrale proletarizzazione organicistica
della societ. Nonostante i necessari riferimenti a Colletti ed a Vattimo, le
ragioni del declino della dialettica sono state recentemente riformulate da un
pensatore oggi molto alla moda, e cio Umberto Galimberti. Interpretando la
diagnosi tecnica di Heidegger secondo la modalit che ho deciso di chiamare,
scusandomi per lespressione faticosa ed anzi mostruosa, noncenientedaffarismo,
il tramonto della dialettica
identificato con il tramonto delle soggettivit collettive di opposizione
al moderno capitalismo finanziario, che secondo Galimberti sarebbe ormai del
tutto identificato con l'apparato impersonale tecnico (in linguaggio
heideggeriano Gestell) che oggi e presumibilmente anche domani e dopodomani
domina e dominer il mondo. Pienamente consapevole di queste critiche alla
Colletti, Vattimo, Galimberti, eccetera, e non facendomi nessuna illusione sul
fatto che esse rappresentano realmente lo spirito del tempo (Zeitgeist) e
quindi che tutto quanto gli si oppone verr ferocemente silenziato dallapparato
mediatico del chiacchiericcio semicolto delle pagine culturali e dell'industria
editoriale dominante, ho egualmente deciso di nuotare controcorrente, senza
peraltro farmi nessuna illusione sulla possibilit di successo a breve o a medio
termine. Le possibilit storiche e sociali di una vera riabilitazione della
dialettica dipendono infatti da due fattori esterni. Il primo non in mio potere, e posso solo segnalarlo. Il
secondo invece alla mia portata, e
rappresenta infatti il contenuto di questa mia trilogia. Ci che non assolutamente in mio potere, e che
probabilmente non vedr mai data la mia et gi relativamente avanzata, lo sviluppo di movimenti politici e sociali
realmente sistemici, e non solo virtuali 0, ancor peggio, falsamente
contestativi ed in realt pienamente integrati nello spettacolo falsamente
pluralistico del politicamente corretto di oggi. Solo questi movimenti
sistemici potrebbero in un tempo ragionevole imporre una svolta anche alla
filosofia, questa nottola di Minerva che si alza solo al crepuscolo. In loro
assenza il successo della cosiddetta filosofia analitica anglosassone assicurato, visto che questa filosofia avanza
insieme ai furgoni militari Usa e Nato, in quanto si tratta del solo metodo
filosofico che ripudia integralmente la dialettica, perch non dispone neppure
di parole e di concetti per indicare la totalit, e noi sappiamo, sulla scorta
di Hegel e di Adorno, che solo il Tutto pu essere vero e/o falso, mentre la
Parte pu essere solo certa o incerta, esatta o inesatta, veridica o bugiarda,
eccetera. Per movimenti sistemici intendo allora veri movimenti in grado di
creare difficolt all'impero ideocratico americano ed ai suoi mercenari e
vassalli. L'odierno movimento detto pacifista, con il suo accompagnamento di
ONG integrate 10 Il completamento ed il perfezionamento del progetto teorico
complessivo di una trilogia nei meccanismi imperialistici ed il suo ceto
politico professionale subalterno, non
ovviamente un movimento sistemico, e per questa ragione la sua filosofia
non quella della contraddizione
dialettica, ma quella della lagnosa
esaltazione di tutte le possibili differenze esistenti nel teatrino del mondo.
Avendo posto un segno di eguaglianza etica (e cio in questo caso immorale) fra
dominio e resistenza al dominio, ribattezzati malignamente guerra e terrorismo,
questo movimento si degradato in un
triste spettacolo di pecoroni salmodianti e belanti, irrilevanti sul piano
interno e fiancheggiatori dell'impero sul piano esterno. Ma gi negli anni
ottanta Giinther Anders, uno dei pi grandi filosofi realmente pacifisti del
Novecento, aveva diagnosticato con sicurezza la degradazione del movimento
pacifista in ritualizzazione teatrale mediatica di pecoroni salmodianti e
belanti, in presenza di una sempre maggiore militarizzazione imperialista accompagnata
dalla distruzione del diritto internazionale moderno fra popoli e stati
(distruzione cui i cortei di pecoroni salmodianti e belanti si accodano, con il
loro auspicio di sempre maggiori interventi umanitari, che loro vorrebbero per
accompagnati da greggi di pecore anzich da stormi di cacciabombardieri e da
divisioni corazzate seguite da contractors assassini). L'ideale sarebbe,
ovviamente, che questi movimenti sistemici fossero basati su rivendicazioni
sociali democratiche ed egualitarie. Io almeno sarei per queste ultime con
tutto il cuore. In loro assenza, tuttavia, mi accontenterei a malincuore di
semplici movimenti sistemici di tipo geopolitico, nazionale e statuale. Tutto
questo, comunque, non in mio potere, e
posso solo assistervi come uno spettatore partecipante ma anche impotente, cos
come erano gli spettatori romani del circo (lespressione di Ernesto Che Guevara). Ci che invece alla mia portata, e rappresenta il tema di
questa Storia del materialismo, invece
la problematizzazione del vecchio e glorioso rapporto fra dialettica e
materialismo. In proposito non ritengo sufficiente la vecchia e ormai scontata
critica del Diamat, cio del materialismo dialettico codificato a partire dal
1931 da Stalin. Sarebbe come sparare contro la Croce Rossa. Bisogna andare
molto oltre, marcare una discontinuit molto maggiore, e riscrivere appunto
lintera storia del marxismo cos come l'abbiamo conosciuta fino ad ora. E
tuttavia questo non basta ancora. Bisogna anche criticare a fondo la vecchia
equazione fra ateismo e materialismo (e lo faccio nel primo capitolo), e
soprattutto chiarire che lunico uso razionale possibile del termine
materialismo pu essere trovata nella deduzione storico-strutturale delle
categorie a partire dai rapporti sociali di produzione, e non certo nel
rilancio di un'inutile e stucchevole metafisica della materia (e lo faccio nel
secondo decisivo capitolo). 11 PROLOGO Il secondo punto ovviamente connesso al primo. Gi molti prima
di me si sono accinti a questo programma (primo fra tutti il grande Alfred
Sohn-Rethel ed i suoi continuatori). Ma ci che
parzialmente mancato in costoro, ed io cerco di correggere, la distinzione fra momento ideologico e
momento propriamente filosofico nella genesi delle categorie. Senza questa
distinzione, che la tradizione marxista generalmente ignora (e non solo in
Sohn-Rethel, ma addirittura nel pi grande marxista del novecento, e cio Gyorgy
Lukacs), non possibile distinguere fra
il valore veritativo metatemporale proprio della grande filosofia, ed il valore
sociale ed identitario proprio della sola ideologia. La coazione economicistica
e riduzionistica allequazione fra momento ideologico e momento filosofico una malattia incurabile del marxismo cos come
lo abbiamo conosciuto fino adoggi, esattamente come incurabile la tendenza della filosofia
accademica di pensare che fra ideologia e filosofia non ci sia nessun punto di
tangenza sociale e dunque neppure nessuna genesi materiale (e quindi in realt
fuor di metafora strutturale) in comune. Ho parlato di quello che era alla mia
portata, e che ho cercato di realizzare non solo in questa Storia del
materialismo, ma anche nell'intera trilogia. Mi aspetto ovviamente il massimo
di silenziamento, e questo non certo per paranoia, autocommiserazione o
tendenza alla lamentazione subalterna. No di certo. Mi aspetto il silenziamento
perch sia la fama che il silenziamento sono strutturali, in quanto passano
entrambi attraverso la mediazione dei gruppi intellettuali consolidati in una
congiuntura storica particolare, e che si consolidano appunto tramite una
divisione del lavoro e del potere con i gruppi dominanti. Ma chi scrive deve
fare una scommessa con un futuro che non vedr mai, scommessa che ha sostituito
oggi (ed stato un bene) la precedente
illusione su di un infallibile previsione deterministica e/o teleologica della
storia. Il lettore non trover in questa Storia del materialismo qualcosa che
pure avrebbe avuto il diritto di trovare. Non alludo solo ai significati di
materialismo, che sono alcune decine, e non soltanto i due che ho analizzato in
appositi capitoli (materialismo come ateismo e materialismo come deduzione
sociale delle categorie ideali). Alcuni di questi significati sono stati
ricordati nella Introduzione, il cui scopo
stato proprio quello di colmare vuoti e dimenticanze. Alludo invece ad
un capitolo apposito che avrebbe dovuto esserci, dedicato alla storia ed alla
filosofia delle scienze naturali, ed al concetto di materia da esse veicolato
(ad esempio, nel passaggio generalizzato del concetto di materia come
estensione e come massa al concetto di materia come energia e come campo). Ho
preferito per non scrivere questo capitolo, che pure avrei potuto confezionare
tagliando ed incollando da opere di divulgazione scientifica che pure posseggo
ed ho 12 Il completamento ed il perfezionamento del progetto teorico
complessivo di una trilogia anche parzialmente letto, per non cadere in quel
particolare malcostume dei tuttologi che consiste nel parlare di un argomento
che non si padroneggia per mancanza di preparazione specifica. Ritengo che il
lettore non possa che essermi grato di questo piccolo passo all'indietro. 13
INTRODUZIONE IL MATERIALISMO COME CONCEZIONE GLOBALE DEL MONDO SIGNIFICATI
STORICI E FILOSOFICI, METAFORE IDEOLOGICHE E POLITICHE, CONTRADDIZIONI E CHIARIMENTI
1. Apriamo il classico Dizionario filosofico di Nicola Abbagnano e cerchiamo
per um primo orientamento le voci materia e materialismo. Per quanto riguarda
la materia Abbagnano si esprime cos: Uno dei principi costitutivi della realt
naturale, cio dei corpi. Le definizioni principali che ne sono state date sono
le seguenti: 2) la m. come soggetto; b) la m. come potenza; c) la m. come
estensione; d) la m. come forza; e) la m. come legge; f) la m. come massa; g)
la m. come densit di campo. Le prime quattro sono definizioni filosofiche, le
ultime due scientifiche. Per quanto riguarda invece il materialismo, Abbagnano
fa notare che il termine fu usato per la prima volta nel 1674 da Robert Boyle,
che era uno scienziato e non un filosofo professionale. Esso designa in
generale ogni dottrina che attribuisce la causalit soltanto alla materia. In
seguito Abbagnano distingue quattro significati di materialismo: 1) il
materialismo metafisico o cosmologico, che si identifica con latomismo
filosofico; 2) il materialismo metodologico, secondo il quale lunica
spiegazione valida dei fenomeni quella
che fa ricorso ai corpi ed ai loro movimenti; 3) il materialismo pratico,
che quello che riconosce nel piacere
lunica guida della vita; 4) il materialismo psicofisico, che quello che ammette la stretta dipendenza
causale dei fenomeni psichici da quelli fisiologici. In quanto al materialismo
dialettico e storico, Abbagnano ritiene che debbano essere trattati a parte.
Abbiamo cos un primo orientamento definitorio per trattare il nostro tema.
Come ovvio, sorgono immediatamente
alcune difficolt, ed inizier ad elencarle subito. 2. In primo luogo, ci si pu
chiedere se il cosiddetto materialismo cominci soltanto nel momento in cui stato definito in quanto ismo autonomo, e cio
da Boyle nel 1674, oppure se invece esisteva gi da prima anche se non era
ancora stato sistematizzato in un ismo particolare (atomismo di Democrito ed
Epicuro, eccetera). In generale si afferma che, ovviamente, il punto di vista
filosofico che vede la materia come principio 15 INTRODUZIONE pienamente
autosufficiente e capace di auto-organizzazione (0 autopoiesi) precede
l'etichetta che gli stata data da Boyle
nel 1674, in quanto fin dall'antichit greca classica, per non parlare di tutte
le altre tradizioni filosofiche indipendenti (India, Cina, eccetera), esisteva
una spaccatura visibile fra coloro che si pronunciavano in qualche modo per un
disegno intelligente esterno alla natura stessa e coloro che invece affermavano
l'autosufficienza organizzativa del principio materiale della natura. Andando
consapevolmente controcorrente, mi permetter pi avanti di discutere
criticamente questo punto di vista tanto consolidato da sembrare addirittura
ovvio. In secondo luogo, il fatto che
Abbagnano distingua quattro definizioni filosofiche e due scientifiche di
materia pu essere contestato. Ad esempio i concetti di materia come potenza
(Aristotele), come estensione (Cartesio) e come forza (Leibniz), che Abbagnano
considera solo filosofici e quindi prescientifici, erano considerati pienamente
scientifici nel tempo in cui vennero proposti, e con uno sforzo di fantasia
possiamo tranquillamente immaginare che fra 500 anni anche le due ultime
definizioni (materia come massa e come densit - di campo) saranno messe
nell'archivio storico delle definizioni puramente filosofiche. In terzo luogo,
infine, Abbagnano dimentica a mio avviso il significato di materia pi
importante di tutti, e cio la materia come metafora, e cio come metafora di
qualcosa d'altro che sta al suo posto nascondendosi, in modo che quando
parliamo di materia e di materialismo in realt stiamo parlando d'altro. Sono
quindi costretto a proporre le mie personali definizioni di materialismo,
concepito come quel particolare ismo che si fonda sullintegrale autosufficienza del principio
materiale sia in ambito naturale che in ambito sociale. 3. Diamo allora quattro
significati di materialismo, di cui solo il primo letteralmente ed etimologicamente corretto,
mentre gli altri tre sono pienamente metaforici, e cio dicono una cosa per
indicarne in realt unaltra, che si tratta allora di mettere a fuoco secondo la
sua dialettica interna. La dialettica infatti non solo o principalmente un metodo, ma una filosofia vera e propria. 1) Materialismo
come pensiero scientifico. l'unico
significato di materialismo che possa essere considerato proprio. Ma appunto
qui nascono le difficolt. Definirlo in questo modo significa di fatto sottrarlo
integralmente al dialogo filosofico, perch il dialogo filosofico non ha
assolutamente nulla da dire sui significati di materia, e cio di oggetto di .
ricerca e di scoperta, in quanto questi significati sono di esclusiva propriet
delle scienze particolari, dallastronomia alla fisica, dalla chimica alla 16 Il
materialismo come concezione globale del mondo biologia, eccetera. La stessa
epistemologia, o riflessione di secondo grado sulla natura, i limiti e gli
esiti dell'attivit scientifica, non a
mio avviso un ramo della filosofia (come potrebbero infatti i filosofi
giudicare sulla vera scientificit di ci di cui non posseggono i termini minimi
di controllo e di giudizio?), ma un
momento interno della autoriflessione metodologica delle scienze stesse, delle
loro procedure e dei loro protocolli. Come a suo tempo ha sostenuto in modo
definitivo ( un'opinione personale, ovviamente, ma non vedo perch la devo
tenere per me come se me ne vergognassi!) lateniese Socrate, la filosofia si
occupa unicamente delluomo, secondo il detto delfico conosci te stesso, e si
occupa della natura solo nella misura in cui entra in simbiosi diretta con
luomo stesso. In questo, e vorrei essere chiaro in proposito, non c' nessun
irrazionalismo e nessun disprezzo 0 sottovalutazione delle scienze naturali.
Tutto al contrario. proprio perch ho un
grande rispetto per le scienze naturali e per le loro applicazioni tecnologiche
utili (ce ne sono infatti anche di utili, oltre a moltissime dannose) che non
vedo di buon occhio il chiacchiericcio pseudo-epistemologico incontrollato da
parte di chi non potrebbe neppure superare un facile esame di matematica e
scienze dell'ultimo anno del liceo scientifico (e questo ad esempio il mio
caso, ma il caso anche del 95% dei
filosofi che mettono lepistemologia al vertice della filosofia contemporanea e
dimenticano luomo inseguendo inutilmente Popper, Kuhn, Lakatos, Feyerabend e
compagnia cantante). 2) Materialismo come consapevolezza del primato assoluto
del corpo, sia del corpo dolorante sia del corpo gaudente (ma la stessa cosa, perch il dolore ed il piacere
hanno la stessa radice corporea). Questo secondo significato verr discusso in
questa introduzione. E chiaro che, a differenza del primo significato, qui la
materia gi metafora, ed esattamente
metafora della consapevolezza del piacere e soprattutto del dolore. 3)
Materialismo come ateismo, e cio come metafora dellaffermazione della totale
inesistenza di Dio. Questo significato verr discusso nel primo capitolo di
questo saggio. 4) Materialismo come primato del substrato naturale e/o sociale,
e cio come metafora del fatto che per comprendere l'evoluzione degli ideali
umani bisogna partire da ci che sta al di sotto di loro, e cio i vincoli
naturali della riproduzione in quanto tale oppure la struttura delle societ
umane. In questo caso il materialismo la
metafora del primato dell'elemento materiale su quello ideale, e cio della
riproduzione fisica della vita. Il materialismo di Marx in proposito il frutto di una
problematizzazione critica, quella del modello del semplice primato delle
condizioni dette naturali (ed esaminer pi avanti il modello di Marvin Harris).
Tutto ci verr discusso nel secondo capitolo di questo saggio. 17 INTRODUZIONE
Prima, per, bisogna spingere fino in fondo il dubbio iperbolico, e
problematizzare prima la questione della contraddizione interna all'attivit
filosofica in quanto tale, e poi la questione della definizione, o meglio della
capacit della definizione ad inquadrare veramente le cose. 4. Apriamo la
Terminologia Filosofica di Adorno. Si tratta di un ciclo di lezioni tenute a
Francoforte fra il 1962 ed il 1963, registrate su nastro magnetico, trascritte
e poi pubblicate nel 1973 in Germania quattro anni dopo la morte di Adorno,
avvenuta nel 1969. A mio avviso fra i pi
bei libri dell'intera filosofia del Novecento, un capolavoro oggi impensabile,
ed impensabile perch viviamo nell'epoca del seppellimento (provvisorio) del
pensiero dialettico, della generalizzata antipatia verso Hegel, della
neutralizzazione di Marx ridotto ad innocuo profeta barbuto della
globalizzazione, eccetera. Ma il fatto stesso che la Terminologia filosofica
abbia potuto esistere quasi mezzo secolo fa, significa che forse anche in
futuro potr esistere qualcosa di simile, In ogni caso io sacchegger questo
libro geniale, in cui vi sono decine di pagine proprio sul materialismo, ed
incomincio a farlo prima sulla natura della filosofia e poi sulla natura delle
definizioni in filosofia. 5. Adorno individua correttamente la contraddizione
massima e principalissima della filosofia nel fatto che essa e insieme non
una specializzazione. Da un lato, infatti, la filosofia vorrebbe prima
di tutto essere una saggezza universale, una saggezza interna al mondo preso
nel . suo complesso (Weltweisheit), e questo per sua stessa natura esclude la |
specializzazione come qualcosa di incompatibile con il suo oggetto e con il suo
metodo. Ma nello stesso tempo la filosofia
coinvolta nel maestoso ed irreversibile processo di specializzazione del
sapere insito nel progresso delle scienze particolari. In proposito Adorno cita
argutamente Walter Benjamin, che aveva definito il linguaggio filosofico come
una sorta di linguaggio di ruffiani, di gergo segreto di bricconi matricolati.
La terminologia filosofica, in quanto lingua Segre per pochissimi, aveva per
Benjamin un carattere sciamanico, tipico del sorriso dellaugure secondo
Cicerone. Io penso che sia opportuno
prendere molto sul serio quanto dicono Adorno e Benjamin, ed utilizzarlo come
punto di partenza ideale proprio per capire che cosa propriamente significa
materialismo. un fatto che la filosofia,
nata come attivit non specialistica per sua propria natura individuale e
sociale, in quanto la saggezza sul mondo naturale e sociale non pu essere per
sua intima natura una scienza specialistica, non ha potuto fare a meno nel
corso del suo sviluppo di elaborare una terminologia ultraspecialistica che
sembra fatta apposta per 13 Il materialismo come concezione globale del mondo
spaventare e tenere lontani tutti i profani, riservare il suo sapere ad alcuni
sacerdoti esperti nei suoi rituali. Il fatto poi che tutte le scienze particolari
abbiano un loro lessico ultraspecialistico che richiede anni ed anni per la sua
acquisizione, e quindi anche la filosofia non pu fare a meno di questa ascesi
specialistica, non un buon argomento
come sembrerebbe, perch-a differenza delle altre scienze particolari la
filosofia dovrebbe ambire per sua natura ad una universalit linguistica
immediata. Si crea cos un ossimoro ad un tempo grottesco ed inquietante, che fa
della filosofia una sorta di specializzazione dell'universale, e cio di attivit
destinata alla conoscenza terminologicamente e concettualmente specialistica di
un oggetto universale come la conoscenza complessiva del mondo. A questa
contraddizione ossimorica non si pu certo sfuggire con la cosiddetta
volgarizzazione dei problemi, che sempre
e solo una banalizzazione di essi. Gi Brecht nei suoi famosi Dialoghi di
profughi si prese gioco di quei corsi volgarizzati di marxismo, un marxismo
senza Hegel e senza Ricardo (sic!), che finivano per ridurre Karl Marx, il
fondatore della ditta, ad un ridicolo precursore di Stalin. Bisogna dunque che
chi si occupa di filosofia, e quindi anche di etica, di dialettica e di
materialismo, si faccia integralmente carico di questa curiosa contraddizione
insita nellattivit filosofica in quanto tale. Alcune considerazioni ulteriori
in proposito saranno forse di qualche utilit. 6. Se effettuiamo un rapido esame
della storia della filosofia occidentale, vediamo che il lessico filosofico
non nato affatto specialistico, ma nato semmai metaforico e sapienziale. In questo
senso i cosiddetti primi filosofi non sono stati affatto i rappresentanti della
nuova razionalit in opposizione al precedente pensiero mitico, come favoleggia
la retrodatazione al mondo antico del modello settecentesco di razionalit
illuministico-borghese, ma sono stati i precursori della vecchia sapienzialit
orfico-sacerdotale (in questo senso ma
solo in questo senso la scuola di
Giorgio Colli ha pienamente ragione). Non era specialistico il lessico di
Eraclito, ma metaforico, in quanto Eraclito parlava della societ della sua citt
di Efeso attraverso la metafora della natura e delle sue contraddizioni
dialettiche, E non era neppure specialistico il lessico di Parmenide e della
sua categoria massima e principalissima, e cio quella di Essere, indipendentemente
dal fatto che noi la interpretiamo alla Alfred Sohn-Rethel (lEssere come
proiezione metafisica astratta che duplica lastrazione reale della moneta
coniata), sia che la interpretiamo invece alla Massimo Bontempelli (lEssere
come assolutizzazione permanente ed immutabile della buona legislazione di tipo
pitagorico), eccetera. Comunque vogliamo interpretare i presocratici, ne 19
INTRODUZIONE risulta un lessico sapienziale e metaforico, esemplificato sul
lessico oracolare, per cui non saremmo lontani dal vero se facessimo l'ipotesi
che l'origine prima della filosofia greca non sta a Mileto, a Efeso, a Abdera 0
a Crotone, ma sta semmai a Delfo. In ogni caso, la filosofia come saggezza del
mondo (Weltweisheit) non nasce con un lessico specialistico. Lo stesso Socrate,
il fastidioso moscone della polis democratica di Atene, non avrebbe potuto
fondare il logos sokratiks (riprendo qui lespressione di Olaf Gigon) se non
avesse usato il lessico quotidiano del popolo di Atene, ivi compreso il lessico
dei contadini e dei marinai analfabeti. In un certo senso, il primo lessico
specialistico della filosofia occidentale nasce allinterno dellAccademia di
Platone. Non pi il logos sokratiks
dellagor, ma un lessico specializzato
nella Scienza del Bene. Ed allora la scienza del bene, come la scienza della
navigazione o quella della apicoltura, ha bisogno di un suo proprio lessico
specialistico, che nella fattispecie
quello della dialettica ascendente (synagogh) e di quella discendente
(diairesis). Ma la contraddizione individuata da Adorno resta, perch questo
lessico specialistico messo al servizio
di un sapere universale, quello della conoscenza di s (secondo linterpretazione
- da me condivisa che di Platone ha dato
Alessandro Biral). Il lessico di Aristotele
anch'esso specialistico, ma in senso diverso da . quello di Platone,
perch il lessico della sua filosofia prima (il termine posteriore di metafisica particolarmente fuorviante, perch trasforma
una metodologia dellimmanenza in una teologia della trascendenza) non al servizio di una scienza del bene (negando
la teoria delle idee, Aristotele nega anche di conseguenza lidea massima e
principalissima, quella appunto del Bene), ma di una comprensione razionale
della totalit. Questa comprensione della totalit poi messa al servizio della buona vita (eu
zen) e del principio della misura (metron) e non ha quindi molto senso far
diventare Aristotele il precursore del moderno scienziato di laboratorio
interessato prima di tutto alla natura in s. Aristotele era interno al
principio della Weltweisheit, la saggezza del mondo, non della Wissenschaft
intesa come scienza galileiana. Il lessico epicureo e stoico, essendo rivolto
alla saggezza del metron contro il mondo della ricchezza smisurata e dei
desideri illimitati, era anch'esso in una certa misura specialistico, ma era
anche stato elaborato di proposito per essere appreso da tutti in pochi mesi.
Questa relativa semplicit non era affatto casuale, perch le scuole epicurea e
stoica si pensavano come scuole ad un tempo fondate sul piccolo gruppo
egualitario di amici (liberi, schiavi, maschi e femmine) e su di una pretesa
cosmopolitica di saggezza estendibile a tutti i popoli. i 20 Il materialismo
come concezione globale del mondo Il lessico specialistico della filosofia, che
era diventato relativamente facile e di agevole apprendimento con le scuole
ellenistiche, ridiventa difficile ed estremamente tecnico con la scuola
neoplatonica di Plotino e dei suoi successori. Anzi, con una certa forzatura,
potremmo dire che il primo lessico filosofico programmaticamente specialistico
ed incomprensibile per chi dotato
soltanto .di competenze linguistiche quotidiane
proprio quello neoplatonico. Mi sembra evidente che questa
incomprensibilit specialistica esasperata sarebbe a sua volta storicamente
incomprensibile se appunto non la interpretassimo anch'essa storicamente, e cio
come raddoppiamento nel mondo dei concetti e dei termini della separazione
sociale non tanto fra liberi e schiavi, separazione che durava gi da pi di
mezzo millennio e che aveva mantenuto nellessenziale un lessico comune per
entrambi questi due gruppi sociali (e pensiamo alla Lettere di Paolo di Tarso,
rivolte ecumenicamente a liberi, liberti e schiavi con un linguaggio
assolutamente identico), quanto fra honestiores e humiliores, le due grandi
classi che preludono all'imminente spaccatura dicotomica feudale. Il lessico
specialistico del tardo neoplatonismo pagano si trasmise al lessico
teologico-filosofico della scolastica cristiana medievale, lessico che in un certo senso il capolavoro assoluto ed
il coronamento insuperabile dello specialismo terminologico programmaticamente
e quasi provocatoriamente incomprensibile ai comuni mortali. Nello stesso tempo
la natura intenzionalmente criptica ed ultraspecialistica del lessico
filosofico-teologico medievale di
facilissima decifrazione, per almeno una ragione di fondo. In sintesi, il
lessico ultraspecialistico di gruppo (in questo caso il gruppo degli oratores)
raddoppiava nel mondo della separatezza semantica la separatezza dei tre
ordines della societ (bellatores, oratores, laboratores), ognuno dei quali
aveva la propria cultura e quindi il proprio lessico (l'amor cortese per i
bellatores, la teologia platonica e/o aristotelica per gli oratores ed infine
la cultura popolare oralmente tramandata per i laboratores, proprio quella che,
dopo aver resistito per millenni, stata
recentemente incorporata e poi distrutta dalla cultura di massa del
capitalismo). Il lessico specialistico continua in et moderna prima con il
particolare linguaggio rinascimentale, ilozoistico e pampsichistico (e cio una
sorta di naturalismo panteistico che era anche e soprattutto una macchina da
guerra contro le teologie dellepoca ed
infatti Giordano Bruno lha pagata cara, e non poteva essere diversamente), e
poi con il lessico incentrato sulla categoria seicentesca di sostanza, il cui
abbandono da parte dellempirismo di Locke rappresenta a mio avviso anche e
soprattutto l'abbandono simbolico di ogni fondazione filosofica
sostanzialistica (e quindi non capitalistica) della societ, restando la
sostanza una metafora comunitaria sia pure sotto un travestimento metafisico.
21 INTRODUZIONE Kant resta per nell'essenziale il vero fondatore del lessico
filosofico specialistico di oggi. Da circa due secoli questo lessico filosofico
specialistico rimasto sostanzialmente
immutato, e questo non un caso, perch
si trattato dei duecento anni del
capitalismo propriamente borghese (ed in quanto borghese, ovviamente anche
proletario), in cui il lessico specialistico di Kant raddoppiava nel mondo
delle idee delle esigenze sociali e strutturali. I limiti che Kant poneva alla
metafisica erano i limiti che il mondo liberale poneva alle prescrizioni morali
e politiche esterne alla pura logica della riproduzione capitalistica (che non
a caso Kant esenta di fatto dalla teoria dei limiti), e l'Io penso posto e non
socialmente dedotto ma semplicemente postulato rifletteva lautoposizione
assoluta della razionalit capitalistica, che rifiuta di problematizzare la
propria genesi sociale esattamente come Kant rifiuta di problematizzare i suoi
postulati, ma semplicemente li pone. Lo stesso capitalismo infatti (almeno nel suo raddoppiamento
filosofico astrattizzato) una autoposizione assoluta, per cui la sua
problematizzazione non potr mai avvenire attraverso Kant, ma soltanto
attraverso la categoria di alienazione (Entfremdung), categoria addirittura
impensabile in un'ottica kantiana (e non a caso), Ma qui si passa gi ai lessici
specialistici post-kantiani di Hegel e di Marx. Oggi, in un'epoca storica
inedita, che almeno per ora sembra andare (ma domani chiss) verso un
ipercapitalismo globalizzato (da me definito con linguaggio volutamente
hegeliano la fase sintetica e speculativa del capitalismo stesso, quella in cui
la stessa dialettica sembra assumere forme nuove non necessariamente diadiche),
il lessico specialistico kantiano e post- kantiano, definito continentale
dall'arroganza imperialistica anglosassone (sarebbe infatti strano se
unarroganza economica e militare non si raddoppiasse simbolicamente anche con
una arroganza filosofica parallela), sta scivolando verso un nuovo lessico
specialistico, quello della cosiddetta filosofia analitica. Questo passaggio
non assolutamente un enigma, ma anzi facilmente comprensibile. Il lessico
specialistico kantiano, infatti, aveva ancora dei termini per definire la
totalit, anche se poi la giudicava immediatamente inconoscibile. Il fatto che
per personalmente Kant la definisse inconoscibile diventava in un certo senso
secondario, perch dal semplice fatto che nel suo lessico la totalit fosse
oggetto di una connotazione linguistica e concettuale ne poteva risultare come
possibilit che la stessa totalit diventasse conoscibile attraverso la sua
trasformazione (Fichte e poi Marx), oppure conoscibile attraverso la
ricostruzione dialettica del passaggio dal dato esterno all'autocoscienza
interna (Hegel). Bisogna allora distruggere anche la semplice possibilit
astratta che la filosofia possa parlare della totalit in quanto tale. 22 Il
materialismo come concezione globale del mondo Nel suo Uomo ad una dimensione
Marcuse comprese in tempo reale che il neopositivismo aveva proprio questo
compito. Ma la vera e propria filosofia analitica anglosassone in proposito molto pi performativa del
semplice neopositivismo, perch nel suo apparato linguistico c' un solo concetto
che non si pu neppure enunciare, ed
appunto la totalit, o pi esattamente la totalit sociale come oggetto di
autoriflessione critica e dialettica. Si pu infatti analizzare tutto, al di
fuori di un concetto di totalit che la critica e all'idea di metafisica che ha
il compito di illegittimare. Mentre il lavoro sporco affidato ai giornalisti di regime, la
rifinitura sofisticata della critica alla metafisica affidata ai cosiddetti grandi filosofi del jet
set mediatico mondiale, come Jirgen Habermas e Richard Rorty, che il circo
mediatico definisce grandi, appunto perch gettano via il bambino della
metafisica buona insieme all'acqua sporca della metafisica cattiva. Residui
della vecchia metafisica (come, in Italia, Emanuele Severino ed Umberto
Galimberti) vengono tollerati solo e nella misura in cui tutta la loro
metafisica serve a concludere che il cerchio del Nichilismo (Severino) e della
Tecnica (Galimberti) si chiuso su di
noi, e che dunque il solo ismo che ci aspetta
il nientedafarismo. 7.Mi sono intenzionalmente soffermato a lungo sul
precedente paragrafo di questa introduzione, anche se gran parte delle
osservazioni anticipate verranno riprese e perfezionate nei prossimi capitoli,
perch volevo in un certo senso prendere sul serio l'osservazione di Adorno
sulla filosofia come compresenza di oggetto universalistico e di metodo
specialistico. Questa compresenza non
aggirabile con buoni propositi di divulgazione o di traduzione (a mio
avviso di fatto impossibile) nel linguaggio comune quotidiano dei contenuti
della filosofia. Perch questa compresenza non
aggirabile? Non aggirabile per
una ragione concettualmente molto semplice. Il linguaggio comune quotidiano (e
Adorno fu uno di coloro che cap meglio questo punto) non il grado zero della semplicit, dellautenticit
e della purezza, ma anche e soprattutto
il lessico del dominio, dellaccettazione introiettata del dominio stesso e
delle sue alienazioni. Per questa ragione la filosofia, come ha detto molto
bene Karel Kosik nella sua immortale Dialettica del concreto, non il raddoppiamento sofisticato della
concretezza, ma la distruzione della
pseudo-concretezza. La pseudo-concretezza si distrugge, anche e soprattutto,
lasciandoci alle spalle dicotomie opposizionali improprie (come quella fra
religione ed ateismo, o pi esattamente, materialismo inteso come
razionalizzazione dellateismo) ed ancor pi separando sistematicamente i processi
di genesi ideologica contingente e di universalizzazione veritativa di tipo
filosofico. 23 INTRODUZIONE Ed essendo la distruzione di questa
pseudo-concretezza l'oggetto di questo saggio, mi sembrato opportuno soffermarmi a lungo sopra
gi in questa introduzione. 8. Passiamo ora al modo in cui Adorno affronta il
problema della definizione. La sua acuta consapevolezza del carattere specifico
della conoscenza filosofica, per cui essa non doveva cercare in nessun modo un
impossibile, inutile e suicida adeguamento all'oggetto ed al metodo delle
scienze naturali moderne, lo teneva lontano da tutti quegli sciagurati
benintenzionati in buona fede (cito alla rinfusa: Carnap, Popper, Geymonat,
Colletti, Althusser) che invece nel Novecento hanno fatto di tutto per
schiacciare la filosofia sul metodo delle scienze naturali. Qui Adorno tuttora il modello di una grande saggezza,
una saggezza profetica se riflettiamo sulla natura dei nostri tempi
antifilosofici. Le scienze naturali moderne, infatti, non avrebbero mai potuto
costituirsi senza una rigorosa unificazione concettuale dei termini, che
dovevano diventare assolutamente univoci per poter permettere la formazione di
una comunit universale cosmopolitica di
studiosi specialisti. Per le scienze naturali, infatti, lo specialismo non affatto un tradimento verso quello che
Husserl chiamava mondo della vita (Lebenswelt), ma una precondizione essenziale
per poter studiare il mondo in s, come se appunto la soggettivit non esistesse.
Quando Heidegger disse che la scienza non pensa, e questa affermazione fu
subito presa come occasione dal chiacchiericcio positivista per tuonare contro
il suo orribile irrazionalismo, si trattava soltanto di una tautologica ovvier,
se per pensiero non si intende semplicemente lo studio della natura a partire
dai codici stabiliti dalle varie scienze particolari, ma si intende la
problematizzazione del mondo umano propriamente detto. Benedetto Croce disse
qualcosa di simile quando parl di pseudo-concetti, anche se avrebbe potuto
scegliere un termine meno offensivo per indicare la legittima differenza
qualitativa fra concetti scientifici e concetti filosofici propriamente detti.
I concetti filosofici propriamente detti, infatti, non sopportano per loro
propria natura una unificazione terminologica definitiva. Se essa potesse
avvenire come avvenuto per la fisica o
la biologia, sarebbe evidentemente la fine per l'umanit cos come l'abbiamo
conosciuta fino ad ora. L'umanit diventerebbe integralmente robotizzata, ed
allora persino lepoca della compiuta peccaminosit di cui parlava Fichte
diventerebbe un parco dei divertimenti. Sarebbe infatti la fine della
dialettica e l'avvento integrale della differenza, intesa per come differenza
nei gusti merceologici e nel differenziato potere d'acquisto per poterli
soddisfare. Nello stesso tempo la terminologia filosofica resta degna di analisi
e di studio, perch quando 24 Il materialismo come concezione globale del mondo
parliamo di filosofia usiamo dei termini, ed insieme con i termini utilizziamo
competenze sociali sul loro uso, sul loro abuso, sul loro disuso ed infine su
tutte le ricadute ideologiche, simboliche, metaforiche ed immaginative che si
portano dietro. Adorno fa notare che lo stesso Kant, considerato come il papa
per eccellenza della terminologia univoca dei concetti, in realt metteva in
guardia dal loro utilizzo eccessivo. Nella Critica della ragion pura Kant si
espresse letteralmente in questo modo: In filosofia non si deve imitare la |
matematica e premettere la definizione, salvo che in via di semplice
esperimento. E disse ancora: Per parlare esattamente, neanche un concetto dato
a priori pu essere definito. Affermazione apparentemente stupefacente, se
pensiamo che viene dal massimo teorico della priori mai esistito. Questo fatto
per non mi opa Kant non era un neo-kantiano, o pi esattamente era tanto poco un
neo-kantiano quanto Marx era un marxista come quelli venuti dopo. La
definizione, o pi esattamente il processo del definire, nonostante sia di fatto
ineludibile nel dialogo filosofico per non ridurlo ad una Babele di
confusionari autoreferenziali in preda al bla-bla narcisistico incontrollabile,
pu far dimenticare il fatto che siamo sempre e solo noi che definiamo, e che
noi, a differenza di Dio, non possiamo dare il nome alle cose, anche se
possiamo pur sempre, come direbbe Confucio, rettificare i nomi che nel frattempo
si sono autonomizzati ed hanno perso ogni rapporto con le cose. 9.I due
paragrafi precedenti erano necessari, per cos dire, per preparare il terreno, o
pi esattamente il terreno che ho scelto per parlare del termine materialismo.
Del materialismo come metafora dellateismo e del materialismo come deduzione
strutturalistica delle categorie ideologiche e della loro eccedenza filosofica
veritativa parler nei prossimi due capitoli. In questa introduzione mi
concentrer invece su di un terzo significato di materialismo, che per il primo in senso quotidiano, e cio del
materialismo come consapevolezza del primato assoluto del corpo, sia come corpo
gaudente che come corpo dolorante, e soprattutto come corpo dolorante, perch il
dolore pi forte del piacere. Una breve considerazione
sulla matrice filosofica del buddismo non sar certo inutile. 10. Siddharta
Gautama, solo in seguito detto Buddha (e cio lIlluminato) nacque in un castello
signorile presso il villaggio di Lumbini, vicino a Kapilavastu, capitale della
repubblica oligarchica dei Sakya, situata nel territorio dellattuale Nepal. Era
figlio di un nobile della casta militare dei guerrieri ariani, gli Ksatryia. La
data di nascita stata collocata verso il
560 25 INTRODUZIONE a.C. Secondo gli storici annalisti cinesi Confucio nacque
nel 551 a.C., e la riforma politica di Solone di Atene, che nella mia
ricostruzione della filosofia occidentale introduce il principio del
metron,; del 592 a.c. Dal momento che
Solone, Confucio e Siddharta Gautama non potevano conoscersi, e neppure
influenzarsi vicendevolmente perch si muovevano in contesti geografici del
tutto indipendenti, ma nello stesso tempo rispondevano in modo alternativo agli
stessi problemi di orientamento umano nel mondo, ne segue che la tesi di Karl
Jaspers per cui ci fu nella storia dell'umanit un periodo assiale in cui furono
prodotti concetti veritativi anche per il futuro, e non soltanto contingenti ed
ideologici, ha indubbiamente un suo fondamento. Solone, Siddharta Gautama e
Confucio avevano qualcosa in comune fra loro, e cio il fatto che provenivano da
settori intermedi della societ (cos come pi tardi fu il caso di Hegel e di
Marx). vero che Solone era un
aristocratico (eupatrides) di grande prestigio, ma Buddha veniva dal gruppo
castale intermedio dei guerrieri ksathrya, mentre Confucio visse tutta la vita
come aiutante (tai fu), e cio come membro della nobilt decaduta dei chun tzu.
Le stesse Upanishad, i testi fondamentali della filosofia indiana che precedono
temporalmente (ma non di molto) Buddha, sono stati concepiti e scritti da
pensatori di origine ksathrya, in polemica con la ritualit religiosa della
casta dei bramini. La conclusione che se ne pu trarre (o almeno la conclusione
che io personalmente ne traggo) che gli
strati sociali intermedi .- sono quelli in cui
pi facile che possa sorgere l'interrogazione critica e problematica sul
significato globale dellesistenza. Secondo la tradizione, il padre di Buddha
era ossessionato dalla profezia di un bramino, per cui il figlio avrebbe
lasciato la famiglia e la sua condizione aristocratica per diventare un rishi,
e cio un saggio della foresta. Il padre lo rinchiuse dunque in un vero e
proprio giardino delle delizie, una zona protetta da cui non avrebbe mai dovuto
uscire. Poi ci fu un giorno sconvolgente, in cui Buddha usc dal giardino delle
delizie ed incontr quattro personaggi, un vecchio sofferente, un malato
incurabile devastato dal dolore fisico, un morto lasciato per strada gi in
putrefazione e mangiato dai vermi ed infine un monaco. Quella stessa notte, che
i buddisti chiamano la notte della rinuncia, guard per lultima volta senza
svegliarli la moglie ed il figlioletto di un anno, lasci il palazzo e la citt e
divent un rishi, proprio ci che il padre non aveva voluto in nessun modo che
diventasse. La storia di Buddha ha qualche analogia con quella di Francesco
d'Assisi, anche se nel prosieguo del tempo egli abbandon la via dell'ascesa dei
rishi, per approdare a una visione molto pi complessiva, chiamata la dottrina
delle quattro nobili verit (non poi cos lontana - anche se pu sembrare a prima
vista strano dal tetrafarmakon, la
teoria delle quattro medicine della scuola epicurea). Ma qui non si tratta di
discutere il buddismo, quanto di 26 Il materialismo come concezione globale del
mondo far notare come persino la dottrina apparentemente pi spiritualistica e
meno materialistica che lumanit abbia mai prodotto, abbia inizio dalla scoperta
del primato assoluto del corpo dolorante. La quarta figura che Buddha incontra
(il monaco rishi) soltanto la metafora
della presa di coscienza (provvisoria, come vedremo) dellesistenza delle tre
figure precedenti (il vecchio, il malato ed il morto). Queste tre figure sono
la quintessenza della Materia, ed evidentemente la materia dolente assume un
primato sulla materia gaudente, e cio la ricchezza, la moglie ed il
figlioletto. L'estremo spiritualismo nasce cos da una sorta di
ipermaterialismo, e questo non deve stupire chi si nutrito di pensiero dialettico. E qui viene a
proposito il richiamo di una lettera privata di Antonio Labriola a Benedetto
Croce. 11. Nel 1904 il sessantunenne Antonio Labriola muore per un cancro alla
laringe. Non riesce pi a parlare, e non riesce neppure pi ad inghiottire cibi
solidi. Un mese prima della morte scrive al suo giovane amico Benedetto Croce.
Si tratta di una lettera commovente, come spesso avviene per le lettere dei
moribondi. In questo caso, per, egli mette a confronto il suo materialismo,
risvegliato dal dolore fisico della sua grave malattia, con il cosiddetto
idealismo di Croce e di Gentile. Tutti i miei calcoli sono falliti, confessa
Labriola. Avrei voluto dedicare gli ultimi anni della mia vita a scrivere una
summa delle mie concezioni. Ma tutto
finito, e non pensiamoci pi. Poi Labriola se la prende con Gentile,
definito pazzo (sic!) perch vorrebbe una sana filosofia (ma Labriola rifugge
dalla sana filosofia come dalla peste!), e con Croce, perch gli sembra che il
suo filosofare sia composto da soli giudizi analitici. Ma tutto questo solo un dettaglio. Ad un certo punto Labriola
non ne pu pi, e sbotta: Negli ultimi trent'anni ho visto passare tante
filosofie neokantiane, neocritiche, neopositivistiche, empiriocritiche,
immanenti, contingenziali, neotomistiche, buddistiche, realidealistiche, fessistiche
[sic!], ciarlatane, da averne piene le tasche e tutte le altre borse. E poi
Labriola termina la lettera cos: Questa lettera
stata interrotta dal tentativo che ho fatto di ingoiare della crema, o
del cacao, e non ci sono riuscito. Come vedi c' da rallegrarsi. Peccato che il
tuo neoidealismo non possa nulla contro la sprucida [sprde] materia. Sprucida
significa fragile, ed in ogni caso la lettera si conclude con il termine
materia. Un breve commento. Sarebbe troppo facile limitarsi a constatare che la
confutazione dellidealismo in nome dell'inaggirabile primato della materia da
parte del morente Labriola, che constata la totale impotenza da parte dei
sistemi filosofici davanti al tumore della laringe che non gli permette neppure
di deglutire, non di natura filosofica.
I tumori possono uccidere 27 INTRODUZIONE imparzialmente sostenitori di tutte
indistintamente le concezioni filosofiche, dai materialisti atei pi
immanentisti ai neoplatonici pi spiritualisti, e questo non muta di un grammo
la struttura delle argomentazioni razionali con cui ogni scuola difende le
proprie posizioni. Ma innegabile che la
presenza della materia si avverte gi in presenza del corpo gaudente, con i
conseguenti peccati di carne condannati soprattutto dalla tradizione cattolica,
e molto di pi in presenza del corpo dolente, che il dolore riporta appunto alla
consapevolezza della centralit della materia nella riproduzione umana. Senza
arrivare a dire che lidealismo un
divertimento per corpi sani che non hanno tempo da perdere (ed io non penso
affatto questo, perch mi considero un idealista consapevole della scuola di
Hegel e di Marx), ed il materialismo il
momento della verit che giunge nella consapevolezza del dolore proprio e degli
altri (ma soprattutto proprio), sarebbe sciocco non riflettere sui due esempi
fatti di Siddharta Gautama e di Antonio Labriola. 12. Fedele al detto sopra
ricordato di Kant, per cui termini e definizioni non possono che essere
esposizioni provvisorie proposte al dibattito dialogico, direi che il nucleo
essenziale pre-teorico e pre-filosofico del materialismo proprio la consapevolezza del corpo, e del
corpo dolente prima che del corpo gaudente. A questo punto, per, inizia il tema
dellelaborazione filosofica sistematica di questo punto di vista. Nella filosofia
europea moderna il primo grande (e insuperato) esponente della scuola
materialista che ha il corpo umano concreto come suo fondamento a mio avviso Schopenhauer. Pu essere allora
interessante riflettere sul perch questa classificazione del pensiero di
Schopenhauer, apparentemente ovvia, non
presente in nessuna storia della filosofia. Schopenhauer classificato in molti modi (allievo anomalo
di Kant, esponente massimo della reazione all'idealismo ed in particolare a
Hegel, capostipite del cosiddetto irrazionalismo moderno destinato poi ad
inverarsi in Nietzsche, eccetera), ma
sempre sistematicamente assente dalla consueta galleria dei .
materialisti (Democrito, Epicuro, Lucrezio, D'Holbach, Leopardi, eccetera).
Eppure, nessuno come Schopenhauer oppose in modo cos radicale e conseguente il
corpo allo spirito nella sua furibonda lotta contro il fantasma di Hegel.
Questa strana dimenticanza del ruolo fondamentale di Schopenhauer allinterno
del materialismo inteso come filosofia della centralit del corpo (e qui sta
propriamente l'elemento indiano del pensiero di Schopenhauer) dovuta a mio avviso proprio al fatto che le
tassonomie filosofiche tradizionali rimuovono il corpo vero e proprio
(considerato chiss perch volgare, da cui deriva il fatto che partire
dal corpo e dai suoi bisogni 28 Il
materialismo come concezione globale del mondo connotato incongruamente come
materialismo volgare), e lo sublimano in due ismi che con il corpo propriamente
detto non c'entrano assolutamente niente, e cio il pessimismo oppure
lirrazionalismo. E qui allora viene in primo piano lo Schopenhauer pessimista
contrapposto a Leopardi, anche lui pessimista ma solidale e non egoista
(Francesco De Sanctis, Sebastiano Timpanaro, Cesare Luporini, eccetera), oppure
lo Schopenhauer irrazionalista e nemico del razionalismo dialettico (Gy6rgy
Lukcs nella Distruzione della ragione). Come si vede, ancora una volta la
cosiddetta materia una metafora,
un'occasione per parlare d'altro. Ha evidentemente ragione Sigmund Freud a
collocare la rimozione al centro delle strategie della psiche individuale, ma
questa rimozione agisce anche a livello subliminale nelle ricostruzioni della
storia della filosofia. Parlare di corpo
evidentemente volgare, perch il corpo sanguina, suda e defeca oltre ad
apparire nella sua giovanile bellezza nella simulazione pubblicitaria che sta
oggi sostituendo la realt reale con la realt virtuale del raddoppiamento
capitalistico contemporaneo. E allora il corpo
espulso dal cerchio magico della speculazione filosofica, affidato alle cure di Madre Teresa di
Calcutta (di cui si invoca per questo la santit, in base alla definizione
seguente: santo = qualcuno che si accolla impegni che tutti cercano di
evitare), percepito solo in quanto
sostanza che sta sotto al coito e/o alla malattia, ed quindi volgare, in quanto sia il coito che la
malattia hanno questo in comune, che entrambi sporcano il lenzuolo, Meglio
allora rimuovere tutto questo, e ricorrere ad ismi pi rassicuranti come il
pessimismo e lirrazionalismo. 13. Dal momento che lo stesso Adorno, nella Terminologia
filosofica, dopo aver messo in guardia contro le definizioni rigide,ricorre al
grande Hegel per dire che il modo migliore per definire un ismo (nel nostro
caso, il materialismo) quello di
definirlo attraverso l'opposizione al suo contrario, in quanto definirlo nella
sua illusoria separatezza equivale a definire una vuota astrazione, bisogna
trovare allora il suo contrario. Ma il contrario, secondo la dialettica, in realt il suo opposto in correlazione essenziale,
per cui il materialismo in quanto tale non pu neppure esistere (cosa che
generalmente sfugge a tutti i materialisti ignari della dialettica) senza
essere correlato al suo opposto. Ma allora lunico concetto reale lunit correlata degli opposti. E qual allora l'opposto correlato del materialismo?
Il marxista dir subito che l'opposto correlato del materialismo lidealismo, sulla scorta di una abitudine
inerziale inaugurata da Engels (non da Marx; da Engels) fra il 1875 ed il 1895.
Ci ritorner pi avanti, ma dico subito che senza scepsi originaria, e cio senza
mettere in dubbio questa tradizione inaugurata da 29 INTRODUZIONE Engels
non possibile procedere nella nostra
riflessione. Un cristiano dir che l'opposto correlato del materialismo lo spiritualismo religioso, che deduce i suoi
valori dalla rivelazione divina razionalmente elaborata e rifiuta di ridurli
alla sola materia. Come si vede, siamo gi in piena confusione terminologica.
Cerchiamo allora di fare un po' di chiarezza prima di concludere questa
introduzione e passare alla discussione sistematica dei prossimi tre capitoli.
14. Proviamo a partire dal significato comune e quotidiano dei termini, quello
spontaneamente usato da tutti coloro (e sono la stragrande maggioranza) che
sono del tutto ignari del lessico specifico della filosofia, anche se
confusamente avvertono che c' forse qualcosa che non va in una disciplina che
vorrebbe rivolgersi a tutti e poi utilizza uno dei linguaggi pi incomprensibili
e criptici dell'intero orbe terracqueo. Nel linguaggio comune il materialista quello che pensa solo ai soldi, e pensando
solo ai soldi ed ai piaceri detti volgari (sempre sulla base della dicotomia
sopra ricordata volgare/corpo e nobile/spirito) si tiene evidentemente stretto
alla materia, mentre lidealista quello
che mette i suoi ideali utopici ed irraggiungibili davanti a tutto, e
soprattutto davanti ai pochi soldi che pure servirebbero a lui ed ai suoi
familiari. Credo che questo uso lessicale dei termini abbia solo due secoli
circa, in quanto solo negli ultimi due secoli i soldi sono divenuti il criterio
metafisico fondamentale per la comprensione del mondo. In ogni caso, il
materialista volgare, mentre
lidealista utopico. Tutti e due sono
evidentemente lontani dalla messotes, il buon vecchio giusto mezzo che dovrebbe
tenersi aristotelicamente lontano dagli opposti estremismi della volgarit che
pensa solo ai soldi ed ai piaceri del corpo e dell'utopia che invece non pensa
affatto ai soldi e persegue solo i piaceri dello spirito. - A questo
punto, inutile scoprire lesistenza
dellacqua calda, e cio ribadire che il senso tecnico e filosofico dei ternini
di materialismo e di idealismo non ha nulla a che fare con luso comune
consolidato di questi termini stessi, che evidentemente improprio, e deve essere corretto. Bella
scoperta! L'uso comune dei termini non deve essere corretto, ma deve essere
spiegato, ed il solo modo di spiegarlo
cercare di dedurlo dai rapporti sociali che lo hanno generato. Abbiamo
visto nei paragrafi precedenti che il materialismo, al di l del suo significato
tecnico-scientifico di sistematizzazione coerentizzata delle nozioni che fanno
l'oggetto della conoscenza scientifica e dellapplicazione tecnologica, soprattutto lidea della consapevolezza della
centralit del corpo, gaudente e dolorante, e soprattutto della centralit del
corpo dolorante, perch nella condizione umana il dolore prevale sul piacere in
durata ed intensit (Epicuro in verit 30 Il materialismo come concezione globale
del mondo non dice questo, anzi afferma il contrario, ma su questo punto
preferisco seguire Giacomo Leopardi). Bisogna per fare ancora un passo avanti,
e si pu farlo soltanto prendendo sul serio i significati quotidiani, volgari
dei due termini. Il fatto che il sapere quotidiano ponga materialismo ed
idealismo ai due estremi di un campo non solo teorico ma anche emozionale e
passionale, non sar forse il sintomo ancora poco elaborato (ma elaborabile, se
lo vogliamo) di un dato, per cui la loro esistenza solo possibile allinterno di una unit
dialettica ontologicamente omogenea? Detto in modo pi semplice, non esiste
materialismo senza idealismo, e viceversa, per cui pensare alla vittoria di un
termine sull'altro pura illusione
ideologica identitaria priva di qualsiasi base filosofica seria. Ripetuto in
modo pi filosofico, diremo che lidealismo
semplicemente l'elaborazione dialettica delle contraddizioni del
materialismo, ed inversamente il materialismo
solo l'elaborazione dialettica delle contraddizioni dellidealismo. Da
questo personalmente ricavo due conseguenze metodologiche di grande importanza.
In primo luogo, il fatto che bisogna riscrivere integralmente la storia del
marxismo, senza fidarsi di nulla di quello che
stato scritto fino ad oggi, anche se
ovviamente bene non assumere atteggiamenti distruttori verso una
tradizione ricchissima durata un secolo e mezzo. E bisogna riscriverla
integralmente perch essa stata costruita
sul fondamento della lotta e dellauspicata vittoria finale del materialismo
sullidealismo, o se si vuole della tradizione materialistica su quella
idealistica. Da Engels (morto nel 1895) ad Althusser (morto nel 1990) la
continuit di questa teodicea materialistica
impressionante. Ma se ci mettiamo da un punto di vista diverso, in cui
materialismo e idealismo sono momenti correlati di una unica ontologia,
scopriamo non solo che Marx stato il
terzo grande idealista dopo Fichte ed Hegel, ma anche che il suo indiscutibile
materialismo stato di fatto solo una
metafora di due altre posizioni filosofiche, il suo ateismo ed il suo
strutturalismo. In secondo luogo, di conseguenza, emerge la necessit di
analizzare prima il rapporto fra materialismo ed ateismo, e poi il rapporto fra
materialismo e strutturalismo sociale, e cio esistenza di strutture storiche la
cui logica di riproduzione non coincide integralmente ( sufficiente per me
questa formulazione estremamente cauta) con i progetti umani soggettivamente
intesi. In questo modo si abbandona purtroppo il terreno su cui abbiamo
discusso fino ad ora, quello della concezione di materia tratta dallo sviluppo
delle scienze particolari e quello della centralit del corpo gaudente e dolente
(con prevalenza di quello dolente). Tuttavia, entrambi questi due aspetti
potranno forse essere parzialmente ricuperati nel proseguo della trattazione.
31 INTRODUZIONE Il saggio si svilupper cos in tre capitoli. Tutti e tre i
capitoli presuppongono le analisi che ho svolto in due testi complementari
sulla storia e sulla natura della dialettica e sulla correlazione essenziale
fra lo spazio del comportamento etico e la natura misurata e/o smisurata dei rapporti
economici. Il primo capitolo sar dedicato al rapporto fra materialismo e
ateismo, il secondo al materialismo inteso come deduzione sociale delle
categorie ideologiche e della loro eccedenza filosofica veritativa, ed il terzo
infine ad un inizio, sia pure ancora zoppicante, di una riscrittura integrale
della storia del marxismo. La chiusura di una triade dialettica ne apre
immediatamente unaltra, che per ancora
chiusa nelle casseforti di un futuro integralmente imprevedibile. 32 CaprrtoLo
Primo MATERIALISMO E RELIGIONE STORIA E FILOSOFIA DELLATEISMO NELLA SUA OSTILE
COMPLEMENTARIET CON LA PERENNIT DELL'ESPERIENZA RELIGIOSA 1. Il primo
significato di materialismo che discuter sar quello che identifica il materialismo
con lateismo, e cio con l'affermazione filosofica dellinesistenza di Dio. Dico
subito che a mio avviso questo significato di materialismo improprio, cattivo e fuorviante, ed perci meglio non utilizzarlo. Ripeto che per
me i significati utili e fecondi di materialismo sono due. Il primo significato
riguarda la centralit fisica del corpo, gaudente e/o dolente, con l'avvertenza
che il dolore del corpo primario di
fronte al piacere del corpo stesso. Questo materialismo non affatto volgare, anche se una tradizione
demenziale lha cos battezzato senza suscitare la reazione necessaria, ed stato discusso nella precedente Introduzione.
Il secondo significato riguarda la deduzione sociale delle categorie,
geneticamente ideologiche all'origine ma dotate di una eccedenza filosofica
veritativa, e verr discusso nel secondo capitolo. In questo capitolo, invece,
tratter il nesso dialettico fra ateismo e religione intesi come opposti in
correlazione essenziale, con l'avvertenza per che questo nesso dialettico non di per s n ateo n religioso, e soprattutto
non n idealista n tanto meno
materialista. 2. possibile che il
lettore abbia a casa libri e saggi di argomento religioso, e magari anche una
storia della religione cristiana oppure di tutte le religioni del mondo. Io ne
ho a casa molte, a partire da quelle di tipo ateo (quelle del marxista italiano
Ambrogio Donini e del marxista sovietico Serghej Tokarev), fino a quella
classica in otto tomi curata da Giovanni Filoramo e pubblicata dall'editore
Laterza. La storia delle religioni curata da Giovanni Filoramo si segnala per
scrupolo e completezza, anche se ovviamente come per tutte le opere collettive
affidate a specialisti si di fronte alla
compresenza di testi profondi e completi con testi verbosi, eruditi e confusi.
Ma questo inevitabile quando si ha a che
fare con un tema enciclopedico di questo
tipo. In questa sede, che non ovviamente
specialistica, ma solo divulgativa (la divulgazione non una parolaccia), mi fonder soprattutto sugli
otto tomi curati da Filoramo. Amplier poi il discorso pi avanti. 33 CAPITOLO
PRIMO 3. La prima cosa che si desume da una lettura attenta degli otto tomi
della Storia delle religioni curata da Giovanni Filoramo, opera costruita sulla
messa fra parentesi metodologica della esistenza o inesistenza di Dio stesso
(intendendo per dio la divinit nelle sue innumerevoli versioni storiche e
geografiche), che non esiste una nozione
univoca di Dio e della divinit (o delle divinit al plurale), e che non
esistendo questa nozione univoca lo stesso ateismo finisce per non avere un
oggetto preciso da negare. La critica alla concezione antropomorfizzante e
soggettivistica di Dio, tipica della tradizione filosofica occidentale da
Spinoza fino a Feuerbach e poi a Marx, non
assolutamente universalistica, ma
soltanto occidentale in senso stretto, perch non tocca concezioni della
divinit intesa come energia cosmica (religioni indiane) oppure come natura
pensata unitariamente come un tutto (pensiero cinese). L'ateismo propriamente
detto quindi un episodio, sia pure
ragguardevole, delle vicende dialettiche della antropomorfizzazione
soggettivistica della divinit ridotta ad unica entit monoteistica trascendente,
e se ci si mette da un punto di vista dialettico, che quello degli opposti in correlazione essenziale,
questo stesso ateismo un momento interno
al pi generale fenomeno dell'esperienza religiosa delluomo. Con questo non
intendo affatto dire che lateismo
impossibile, oppure che esso si fonda su di un equivoco o addirittura
sullinsipienza (come sostenne a suo tempo il teologo Anselmo di Aosta con il
suo famoso argomento ontologico, respinto da Tommaso d'Aquino ma non a caso
apprezzato da Hegel). Non lo penso affatto. Si pu essere atei, e lo si pu
essere a ragion veduta e con buoni argomenti scientifici e filosofici, anche se
ridotto al suo elemento teorico di fondo lateismo semplicemente una negazione critica della
proiezione antropomorfizzante e soggettivistica come criterio di spiegazione
dell'universo e della natura e quindi una fede (s, proprio una fede) nella
capacit autopoieica dei sistemi complessi di organizzarsi da soli senza alcun
cosiddetto disegno intelligente. Tuttavia, sia pur definito in questo modo,
lateismo continua a non essere una posizione universalistica, perch il suo
apparato critico non sfiora neppure la mistica, in primo luogo, e le concezioni
naturalistiche del cosmo, in secondo luogo. Ma vediamo meglio, perch ne vale
certamente la pena. L'ateismo infatti un
argomento che richiede un doppio approccio incrociato, un approccio di tipo
storico ed un approccio di tipo teorico e definitorio. Sebbene il primo
approccio debba essere premesso al secondo (il lettore ricordi le critiche di
Adorno allillusione della definizione dei termini da me esaminate - ed
entusiasticamente condivise nellIntroduzione),
far un'eccezione per ragioni di chiarezza, e comincer con lesaminare alcune
definizioni. 34 Miaterialismo e religione 4. Apriamo il Dizionario Filosofico
di Nicola Abbagnano alla voce Dio. Sostiene Abbagnano: Due sono le qualifiche
fondamentali che i filosofi (e non soltanto loro) hanno attribuito ed
attribuiscono a Dio: quella di Causa e quella di Bene. La prima di natura cosmologica e la seconda di natura etica. Per la prima Dio il principio che rende possibile il mondo o
l'essere in generale. Per-la seconda Dio
la fonte e il garante di tutto ci che di eccellente c' nel mondo. La
voce del dizionario prosegue con un vero e proprio denso trattatello analitico,
ma l'impostazione generale quella
contenuta nella definizione sopra riportata. Converr allora discutere questa
definizione. Apparentemente questa definizione
molto sobria ed addirittura neutra fra credenti e non credenti, perch in
effetti nelle conversazioni quotidiane usuali su Dio e sulla sua esistenza o
non-esistenza Dio appare o nelle vesti cosmologiche del creatore o
dellordinatore del mondo con un disegno intelligente, oppure nelle vesti etiche
del garante dei valori morali supremi e della loro sostanziale intangibilit da
parte delle mode storiche contingenti. Sulla scorta di Adorno possiamo tuttavia
dubitare di questa apparente oggettivit terminologica, e vedere se invece per
caso il diavolo si nasconde nel dettaglio. Ed il diavolo si nasconde proprio
nel dettaglio. Non esiste infatti in filosofia, e non pu esistere neppure in
via di principio, una definizione terminologica che non sia anche una
interpretazione di parte. Ed in questo caso la parte quella del punto di vista dellempirismo
inglese e dello scetticismo relativistico, che separa (e si tratta di una
separazione ontologica fatta passare per separazione puramente metodologica) il
lato cosmologico della Causa edil lato etico del Bene. Una volta attuata questa
apparentemente innocua separazione, i due lati possono essere trattati
separatamente, in base alla cosiddetta fallacia naturalistica, per cui l'ordine
dei fatti e lordine dei valori non hanno in comune alcun punto non solo di
interpretazione, ma neppure di contatto e di tangenza. Se tratto separatamente
il lato cosmologico, da un lato ho il creazionismo nelle sue varie forme, e
dall'altro levoluzionismo immanentistico con i suoi miliardi di anni a
disposizione per consentirgli quella autopoiesi del mondo minerale, vegetale,
animale ed infine umano che, alla luce dei dati della scienza moderna della
natura, non pu che risultare vincitore con punteggio tennistico rispetto
allimprobabile ed antropomorfica ipotesi del cosiddetto disegno intelligente.
Se invece tratto separatamente il lato etico, da una parte avr la trasmissione
per rivelazione tradizionale di valori etici sorti nella Mesopotamia sumerico-accadico-ebraica
anteriormente al benemerito impero persiano, fatti passare per valori morali
insiti nella natura razionale 35 CAPITOLO PRIMO ' dell'intera umanit, e
dall'altra la razionale ipotesi prima stoica e poi giunaturalistica per cui
luomo perfettamente in grado di
costruire consensualmente una morale universale anche (e soprattutto)
nell'ipotesi che Dio non esista (etsi Deus non daretur). Come si vede, linnocua
separazione definitoria di Abbagnano fra lato cosmologico e lato etico del
problema della religione costruita
apposta (consapevolmente o meno solo Dio lo sa!) per far vincere il punto di
vista di Voltaire contro quello di Ratzinger. In un'ottica religiosa il lato
cosmologico ed il lato etico, che Abbagnano separa, sono invece ontologicamente
uniti. Se allora se ne mantiene l'inseparabilit ontologica, ne deriva che
l'etica umana non pu staccarsi dalla generale cosmologia intesa come unit
inscindibile del Divino e dellUmano. Ed allora Dio non pu essere metodologicamente
diviso in un Ingegnere demiurgico stellare (lato cosmologico) ed in un Giudice
cosmico del bene e del male (lato etico). Una volta attuata questa divisione
apparentemente solo metodologica, e quindi terminologicamente neutrale,
Abbagnano, Voltaire e Scalfari hanno gi vinto, e Tommaso, Pascal, Kierkegaard e
Ratzinger hanno gi perso. . Eppure, tutti sanno che almeno dai tempi della teologia neoplatonica
di Plotino che l'equazione Uno=Bene=Dio
del tutto unitaria ed inscindibile. Se poi si passa alle religioni
cosmologiche e naturalistiche orientali, in cui l'etica non affatto laicizzata (e non neppure laicizzabile in via di principio), ma
deriva direttamente e senza mediazioni dalla concezione naturalistica globale
del mondo naturale e sociale, vediamo che la definizione della divinit
laicamente elaborata di Abbagnano non serve assolutamente a nulla. 5.
Rivolgiamoci allora ad unaltra definizione, tratta dal Dizionario filosofico
.in lingua francese di Rosenthal e Youdin pubblicato in URSS al tempo del
compagno Stalin. Naturalmente la voce Dio non esiste, neppure in minuscolo,
perch noto che Dio non esiste, e
soltanto la materia'esiste. E infatti la voce Materia c', anche se curiosamente
(ma non troppo!) non se ne propone neppure una definizione, dandone lesistenza
per scontata. Dicono i due filosofi di partito: Il mondo materiale per sua stessa natura. La diversit
dei fenomeni naturali una manifestazione
delle diverse forme della materia in movimento [per R. e Y. il movimento
non solo spostamento spaziale, ma anche trasformazione temporale; nota mia]. La
materia la sorgente unica e la causa
ultima di tutti i processi naturali. Si cita poi Engels: Non c' nulla di eterno
al di fuori della materia in eterno cambiamento, in eterno movimento, e delle
leggi secondo le quali essa si muove e si trasforma incessantemente. Si insiste
poi sul fatto che la materia esiste indipendentemente dalla coscienza umana, e
sul fatto che 36 , Materialismo e religione la religione e la filosofia
idealistica hanno le stesse bassi gnoseologiche, e cio filosofiche.
Incidentalmente, nella voce Materia di R. e Y. la parola Marx non mai citata. Andiamoci a guardare anche la
voce Religione, per vedere se almeno questa voce c'. Evviva! Questa voce c'.
Leggiamone la definizione: La religione
un rispecchiamento aberrante, fantastico, nella testa degli uomini,
delle forze naturali e sociali che li dominano. E ancora, citando Lenin:
Essa una delle variet delloppressione
spirituale che pesa sempre e dovunque sulle masse popolari, schiacciate da un
lavoro perpetuo per conto di altri, dalla miseria e dal loro stato di
isolamento. Anche qui non si perde l'occasione per notare che la religione e la
filosofia idealista hanno molti tratti comuni e le stesse origini
gnoseologiche. Fra i compiti del socialismo vengono messi in primo piano quelli
di affrancare i lavoratori dalle superstizioni religiose e di far acquisire ai
lavoratori stessi una concezione del mondo scientifica. Il materialismo cos definito in termini di distruzione del
punto di vista religioso e di acquisizione di una concezione scientifica del
mondo. Si dir che questo un punto di
vista rozzo e dogmatico tipico dei tempi oscuri del totalitarismo caucasico (pi
esattamente, osseto-georgiano) del compagno Stalin. Ma neppure per sogno!
Prendiamo allora un saggio del 1987 di Ludovico Geymonat, intitolato
Materialismo e marxismo, in cui si propone un'ottima e concisa definizione di
materialismo. Geymonat non certo uno
sprovveduto, ma fa parte insieme a Cesare Luporini ed a Sebastiano Timpanaro
della triade dei massimi materialisti italiani della seconda met del Novecento.
Afferma Geymonat: Il materialismo oggi
una concezione del mondo basata su due principi generali: 4) esiste una realt
che trascende il soggetto umano e pu essere da esso conosciuta; b) non esiste
un mondo al di l di quello in cui l'umanit vive ed opera, mondo ultraterreno al
quale occorrerebbe fare riferimento per comprendere la sorte degli individui
umani. Come si vede, non esistono differenze essenziali (al di l della forma pi
o meno educata o aggressiva del discorso) fra Rosenthal e Youdin, da un lato, e
Geymonat, dall'altro. In entrambi i casi il materialismo definito in base a due parametri, la scienza
e lateismo, o se si vuole la concezione scientifica del mondo unita alla tesi
filosofica della inesistenza di Dio. Credo che dopo queste definizioni di
Abbagnano, di Rosenthal e Youdin, e di Geymonat, sia giunto il momento di una
piccola discussione critica. 6.I due punti di vista di Abbagnano, da un lato, e
di Rosenthal, Youdin e Geymonat, dall'altro, son sono in grado di andare in
profondit sulla questione della religione, o se si vuole del rapporto fra la
religione e lateismo. 37 CAPITOLO PRIMO Detto altrimenti, il punto di vista
cosiddetto laico, improprio termine italiano con cui si connota la visione del
mondo del secolarismo anglosassone fondata su premesse di tipo empiristico
(Locke) e scettico (Hume), ed il punto di vista cosiddetto marxista (ed in
realt assai pi engelsiano che marxiano), non sono in grado di aiutarci ad
andare a fondo sulla questione. E questo per ragioni superficialmente diverse,
ma in realt segretamente complementari. In entrambi i casi siamo di fronte
infatti ad una carenza strutturale di dialettica, intesa come filosofia
generale e non soltanto come metodo, e di materialismo, inteso come metodo
della deduzione sociale e strutturale delle categorie. Per quanto riguarda
Abbagnano, dal momento che per la sua scuola le categorie cadono dal cielo
della razionalit umana astratta e non devono essere socialmente dedotte, deduzione
che ai suoi occhi sembrerebbe soltanto volgare determinismo ideologico
meccanicistico, la separazione fra lato cosmologico e lato etico deriva da una
radice sistematica preliminare data per scontata, o meglio per moderna, che la critica di Locke all'idea di sostanza e di
Hume alla categoria di causalit. Abbagnano non pu nemmeno sospettare che queste
critiche siano solo il raddoppiamento metaforico nel cielo delle categorie
astratte della critica che lo sviluppo capitalistico stava facendo per conto
suo alla propriet fondiaria ed alla comunit che ne rendeva possibile la
perpetuazione (categoria di sostanza), ed alla fondazione contrattualistica del
potere politico per cui la societ era pensata come causata da un precedente
contratto sociale a sua volta basato su di un eterno diritto naturale
presupposto (categoria di causalit). Non potendo neppure sospettare tutto
questo, Abbagnano portato a considerare
la | religione come insieme di idee (nel senso che a questo termine d
l'empirismo di Locke), e di conseguenza come sistema di opinioni cosmologiche
ed etiche necessariamente meno plausibile, alla luce della scienza moderna,
della autopoiesi naturalistica, da un lato, e dell'etica
convenzionalisticamente costruita, dall'altro. Pi avanti in questo capitolo parler
della decisiva censura di Voltaire rispetto a Meslier, snodo decisivo e
continuamente rimosso per comprendere la logica della legittimazione ideologica
del capitalismo, e nel prossimo capitolo proporr invece una deduzione sociale
complessiva dell'intero pensiero borghese-capitalistico. Sarebbe inutile allora
anticipare in forma necessariamente compendiata e sintetica ci che verr esposto
fra poco. Per quanto riguarda Rosenthal, Youdin e Geymonat, siamo
apparentemente su di un terreno molto diverso da quello di Abbagnano (e di
Norberto Bobbio, che in filosofia una
sorta di abbagnaniano inquieto, condividendone comunque gli aspetti principali,
la ripugnanza verso Croce e Gentile, lantipatia verso lo Hegel filosofo, lo
scetticismo rispetto al Marx 38 Materialismo e religione critico del
capitalismo, lamore per lempirismo e lo scetticismo anglosassone, la lettura
antimetafisica di Kant, eccetera). In comune per vi lavversione verso Hegel, e la tenace
convinzione per cui la religione e la filosofia idealistica hanno spiacevoli ed
erronee radici comuni di tipo metafisico, che la modernit (modernit =
concezione anglosassone del mondo + fatalit della produzione capitalistica come
destinale gabbia d'acciaio dell'intera umanit presente e soprattutto futura)
dovr prima o poi seppellire, lo vogliamo o no. | C' peraltro qualcosa di vero
nella tesi per cui la religione (almeno per quanto riguarda le religioni
monoteistiche cristiana, musulmana ed ebraica
per le altre non ci metterei affatto la mano sul fuoco) e la filosofia
idealistica hanno elementi gnoseologici ed ontologici comuni. assolutamente vero, ed infatti Hegel ha
espresso questo semplicissimo e quasi intuitivo concetto con la distinzione fra
rappresentazione religiosa (Vorstellung) e concetto filosofico (Begriff),
distinzione che ha peraltro una sostanza metafisica comune, e cio appunto lo
Spirito Assoluto. Abbagnano e Geymonat si differenziavano politicamente in modo
polare (luno voleva l'impero capitalistico americano e la sua dittatura della
libert senza eguaglianza, mentre l'altro voleva il socialismo sovietico e la
sua dittatura dell'eguaglianza forzata senza libert), ma filosoficamente
partivano da una identica posizione antireligiosa ed antiidealistica. In una
fase temporale precedente della mia vita (1956-1991 circa) mi sono
politicamente schierato con Geymonat e contro Abbagnano, ne sono fiero e
felice, lo rivendico e non me ne vergogno affatto, anche se non posso esporre
qui per ragioni di spazio, i motivi di questo mio atteggiamento (in breve, l'ostilit
per la possibile esistenza di un unico soverchiante impero mondiale svincolato
dalla legge internazionale, e non certo per ridicole ragioni atee,
operaistiche, eccetera). Tuttavia la valutazione politica non deve essere
confusa con la filosofia, ma deve essere accuratamente separata da essa. Su
Abbagnano, come si detto (ma uso questo
cognome unicamente come segnalino del punto di vista borghese-capitalistico
sublimato inideologia filosofica), torner pi avanti. Per ora mi limiter a dire
brevemente qualcosa sui marxisti. La dichiarazione di questi marxisti sul fatto
che la materia esiste indipendentemente dalla coscienza umana una delle dichirarazioni pi dogmatiche che
siano mai state fatte allinterno della nostra galassia (sulle altre galassie
non mi pronuncio, per ora). Questo realismo gnoseologico, che Rosenthal e
Youdin hanno in comune con Tommaso d'Aquino e con Joseph Ratzinger, in effetti il punto di vista di tutte le
religioni, che devono presupporre qualcosa di esterno e di precedente alla
mediazione dialettica del pensiero umano, la Materia in un caso e Dio
nell'altro. Sebastiano 39 CAPITOLO PRIMO Timpanaro, il massimo sostenitore
italiano del materialismo inteso come primato della consapevolezza del corpo
dolorante, in nome del principio fondante della cosiddetta fragilit biologica,
ha rilevato che il materialismo non pu essere ridotto a gnoseologia, e pertanto
a realismo gnoseologico, | perch comporta anche e soprattutto una visione ed
una percezione complessiva del mondo, che ha appunto la fragilit biologica
delluomo come suo fondamento ultimo di tipo metafisico. Ritengo en passant che
abbia perfettamente ragione (ricordo qui la lettura di Labriola e Croce citata
nella Introduzione), ma che non stia qui il nocciolo della questione. Ed il nocciolo
della questione sta a mio avviso in ci, che il materialismo marxista
postmarxiano e la religione cristiana filtrata dalla teologia razionale
tomistica hanno la stessa base gnoseologica dogmatica, e su questa base il
pensiero di Marx non avrebbe mai potuto nascere, indipendentemente dallincerta
autoconsapevolezza filosofica (a mio avviso estremamente mediocre) dello stesso
Marx. Se infatti pongo Dio e/o la Materia fuori e prima della conoscenza umana,
come presupposto non mediato dalla costituzione dialettica del pensiero, avr in
entrambi i casi necessariamente un sacerdozio professionalmente deputato alla
conservazione sacrale del primato metafisico di questa premessa metafisica. E
allora, sacerdozio per sacerdozio, meglio un sacerdozio di Dio che un sacerdozio
della Materia. Faccio questa impegnativa affermazione del tutto pacatamente ed
a ragion veduta, in quanto il concetto di Dio
pi comprensivo della difficolt del reale di quello di Materia. Del
resto, chi volesse saggiare questa mia affermazione paradossale sulla base
delle evidenze storiche constater che in nome di Dio si continua ancora a
contestare il presente ordine mondiale (vedi in proposito Ahmadinejad), mentre i sacerdoti della
Materia, preso atto del fatto che la materia stessa stava evolvendo verso una
storicit capitalistica e non comunista, hanno mostrato in pieno giorno la loro
natura di nichilisti sciagurati e senza Dio, da veri ultimi uomini nicciani, e
si sono velocemente riciclati in tempo reale in personale politico
specializzato al servizio dell'impero americano e della sua rete di basi
militari fornite di armi atomiche. Di
questo ateismo non sappiamo proprio cosa farcene. Anzi, di questo ateismo
apparentemente laico e razionalistico, che dissacra tutto, all'infuori della
riproduzione economica capitalistica e della liberalizzazione del costume che
ne oggi la forma culturale dominante,
posso dire che mi venuto veramente a
noia. Con queste considerazioni, sgradevoli per il lettore pio e timorato,
praticante religioso della dittatura idolatrica del politicamente | corretto,
ma spero gradite per il lettore critico che non ne pu fisicamente e
spiritualmente pi del clima mefitico che regna nella cultura dei nostri giorni,
concludo la prima parte di questo capitolo, e passo ad una rapida 40
Miaterialismo e religione ricostruzione storica del rapporto fra religione ed
ateismo nella tradizione filosofica occidentale. 7. Erano materialisti i
materialisti dell'antichit? Ecco una domanda apparentemente provocatoria ed
inutile, che per un dubbio iperbolico
che bene porsi prima di proseguire
lanalisi e la ricostruzione storica. In decenni di indefessi studi filosofici
ho letto molte opere sui materialisti dell'antichit che davano per scontata la
loro natura materialistica, da Benjamin Farrington a Paul Nizan. In effetti,
leggendo Lucrezio si hanno pochi dubbi sulla sua negazione degli dei e sulla
spiegazione rigorosamente naturalistica del mondo. E tuttavia bene chiarire se e fino a che punto il
termine materialismo e la correlata nozione di materia avessero lo stesso
valore semantico e conoscitivo che hanno per noi. La concezione
lineare-progressistica del sapere scientifico d per scontato che la risposta
sia positiva. Democrito, Epicuro, Lucrezio, eccetera, per non parlare di
Aristotele (la cui natura materialistica
affermata da molti studiosi, in polemica con coloro che lo vedono come
un intelligente precursore della teologia di Tommaso - tanto per non fare nomi,
Giovanni Reale). Tutti costoro avrebbero avuto in comune con Galilei, Newton,
Lavoisier, Darwin ed Einstein la stessa nozione filosofica di Materia come
presupposto autosufficiente di studio esterno alla coscienza umana, anche se
ovviamente, sapendone molto di meno sul piano strettamente scientifico, ne
avrebbero avuto nozioni diverse (la materia come potenza e come estensione
anzich la materia come energia e come campo, eccetera). Ed in effetti, se non
ipotizziamo un presupposto filosofico-metafisico omogeneo, pur nella differenza
evidente delle definizioni astronomiche, fisiche, biologiche, eccetera, non
diventa possibile neppure una storia filosofica omogenea e continua del
materialismo. Questa storia filosofica omogenea e continua, cara a Farrington,
Nizan e Geymonat, oltre che a Rosenthal e Youdin, accetta ovviamente lesistenza
delle discontinuit rivoluzionarie dei paradigmi alla Kuhn, ma tiene duro sul
presupposto della continuit di un unico principio filosofico di Materia.
Semplicemente, se Lucrezio avesse potuto frequentare una facolt di fisica nel
Novecento, avrebbe modificato lui stesso le sue insufficienti concezioni
scientifiche di Materia, ma non avrebbe modificato la continuit del suo
principio filosofico. Ne siamo proprio sicuri? Io non lo sono proprio per
niente, eppure sono decenni che studio attentamente i greci. In proposito, sono
particolarmente inattendibili ed esilaranti gli storici sovietici della
filosofia, oggi probabilmente sostituiti da camarille filo-occidentali ancora
pi incompetenti di loro, che sostengono che il cristianesimo, questo modello
insuperabile di superstizione e di oppressione ideologica delle masse (che
evidentemente 41 CAPITOLO PRIMO prima erano meno oppresse ma ne siamo proprio sicuri?), ha dovuto
distruggere per affermarsi la precedente coricezione spontaneamente
materialistica e naturalistica dei greci. Ma davvero? A me risulta, salvo
errore, che il cristianesimo se ne fatto
un baffo di Democrito, Epicuro e Lucrezio, che evidentemente in quel contesto
storico contavano come il due di picche a briscola, ed ha invece dovuto
distruggere lo stoicismo ma soprattutto il neoplatonismo, filosofia che quanto
a idealismo antiscientifico non proprio
stata seconda a nessuno. Si crede forse che Giuliano detto lApostata fosse
portatore di una concezione filosofica ispirata al materialismo greco (ammesso
che sia esistito)? Sappiamo bene che non fu cos. Il cristianesimo, per
affermarsi, dovette distruggere il neoplatonismo organizzato in scuole, anche
se ovviamente ne incorpor molti elementi. Ristabilita questa elementare verit
storica, torniamo allora al dubbio iperbolico ricordato allinizio di questo
paragrafo: erano veramente materialisti i materialisti greci antichi? 8. Si
afferma, e viene in generale dato per scontato, che il materialista antico per
eccellenza sia stato Epicuro, che avrebbe bens corretto in alcuni punti il
precedente atomismo materialistico di Democrito, ma ne avrebbe nellessenziale
continuato la tradizione. A mio avviso, questa connotazione errata, a meno che si presupponga l'equazione
materialismo=naturalismo, e la conseguente centralit normativa in senso
ontologico della natura venga surrettiziamente interpolata con il principio del
primato della materia. Questa interpolazione
settecentesca, e la sua retrodatazione ad Epicuro scorretta sia sul piano storiografico che sul
piano prettamente teoretico. Epicuro non fa neppure parte della storia
dellateismo. Non si tratta solo del fatto, ben noto, per cui egli ha
esplicitamente affermato lesistenza degli dei, connotandoli come immortali
felici che non si occupano delle vicende umane. Chi interpreta questa
ammissione epicurea come semplice opportunismo tattico per non farsi
perseguitare da maggioranze fanatiche ed intolleranti, attua una retrodatazione
anacronistica, e non coglie l'elemento essenziale della vera e propria
religione di Epicuro, che era una religione di tipo
immanentistico-naturalistico, e non certamente un rifiuto ateo della religione.
Ai tempi di Epicuro quello che oggi definiamo sommariamente ateismo non era
affatto la semplice negazione della presunta esistenza della divinit, ma era la
concezione espressa da Platone nel decimo libro delle Leggi, per cui lateismo
assume tre forme: a) la negazione dellesistenza della divinit; b) la credenza
che la divinit esista ma non si occupi delle cose umane; c) la credenza che la
divinit possa essere propiziata con doni e offerte. Se si segue questa
definizione platonica diventano automaticamente 42 Materialismo e religione
atei non solo i deisti volterriani (caso b), ma anche e soprattutto i preti
cattolici che organizzano preghiere pubbliche di supplica a Dio (caso c). anche interessante notare che per Platone (il
libro decimo delle Leggi in senso
assoluto la prima analisi dellateismo della storia della filosofia occidentale)
la forma pi grave di ateismo non la
prima, ma la terza. La prima per
Platone solo il frutto di un errore, per
cui si pensa essenzialmente che la materia, dura e molle, pesante e leggera,
preceda l'opinione, la previsione, l'intelletto, larte e la legge. In termini
moderni, la definiremmo semplicemente un errore epistemologico di tipo
riduzionistico. La seconda opinione pi
grave della prima, perch consisterebbe nel ritenere la divinit talmente pigra
ed indolente da essere inferiore al pi comune mortale che invece vuol rendere
perfetta la sua opera, grande o piccola che sia. Qui Platone coglie con grande
acutezza, con un anticipo di due millenni, la tradizione logica del miserabile
deismo volterriano, che vorrebbe da un lato mantenere il profilo
soggettivistico ed antropomorfico della divinit, e poi in modo incongruo vuole
togliere a questo profilo ci che invece
proprio di ogni profilo soggettivistico, e cio l'impulso al perfezionamento. Ma
qui e ci torneremo pi avanti - questo
miserabile deismo non interventistico non fa che raddoppiare nel mondo delle
idee il fatto che nessun soggetto deve intervenire nella riproduzione
dell'economia capitalistica, che si riproduce da sola senza alcun tipo di
intervento esterno. | Il terzo tipo di ateismo per per Platone il peggiore, perch significa non soltanto
raffigurarsi la divinit come un cattivo artigiano contento del suo prodotto
imperfetto, ma raffigurarsela come un cane che, ammansito dai doni, permette di
depredare le greggi. Da queste osservazioni appare chiaro che Platone non un precursore filosofico ideale della
religione cristiana cos come essa si
concretamente strutturata, e su questo punto i due baffuti gemelli,
opposti e complementari, e cio Nietzsche e Stalin, rivelano di non aver capito nulla
della delicata dialettica di continuit ma soprattutto di rottura fra la religione
platonica e quella cristiana. Altro che comune punto di vista degli schiavi
invidiosi (Nietzsche) oppure radici gnoseologiche comuni (Stalin)! Ma torniamo
al nostro Epicuro. In un'ottica platonica,
chiaro che Epicuro un ateo del
secondo tipo, e non del terzo. Ma questo ateismo non ha nulla a che fare con
quello contemporaneo, che nasce sulla base di una negazione polemica del teismo
e del deismo, ed perci una vicenda
appena bisecolare. Si tratta di un naturalismo positivo, dovuto al fatto che
per i greci la natura era sempre natura naturans, e cio principio demiurgico
attivo, e non era n poteva essere natura naturata da una divinit, come indiscutibilmente il cristianesimo successivo
(salvo novit teologiche di cui 43 CAPITOLO PRIMO confesso di non essere ancora
a conoscenza). Secondo una intelligente osservazione di Franco Voltaggio, la
verit per Epicuro esiste, e non altro
che la piena riconquista della naturalit della condizione umana. La religione
di Epicuro dunque esiste anch'essa, ed
un culto comunitario-amicale della riconquista della naturalit della
condizione umana. Questo presuppone, ovviamente, che vi sia una natura
(attenzione, non una materia, ma una natura), che essa sia razionalmente
conoscibile e che infine esista una naturalit della condizione umana. Franco
Voltaggio nota opportunamente che l'accoglimento sia degli schiavi che delle
prostitute nel Giardino Epicureo non
casuale, ma dovuta proprio al programma
di accertamento di quale sia propriamente la vera naturalit della condizione
umana. Schiavi e prostitute ne rappresentano il maggiore avvilimento (Marx dir
poi alienazione, e secondo me non esiste una grande differenza concettuale di
principio, al di l del diverso quadro storico, perch lidealismo di Marx non che un programma di compiuto naturalismo di
tipo epicureo). Nel caso dello schiavo, la forza fisica necessaria per ottenere
dalla terra e dalla stessa natura quanto basta per soddisfare i bisogni degradata a fatica, ed inoltre i suoi frutti
sono sottratti a chi la compie, per cui il lavoro finisce con il produrre
sofferenza anzich eliminarla. Nel caso della prostituta, il sesso, origine e
prosecuzione della vita, stato
mercificato e la condizione della necessit naturale della generazione viene
degradata a superfluit e non necessit di un lusso fra i tanti, la lussuria
appunto. La teoria dei bisogni di Epicuro si fonda strutturalmente (ma pensiamo
duemila anni dopo a Herbert Marcuse ed alla sua teoria dei bisogni alienati dal
capitalismo, che eguale al cento per
cento a quella di Epicuro eppure
Marcuse bollato come idealista dagli
sciocchi fautori di un materialismo puro) sullaccertamento dei bisogni naturali
e sul ripudio di quelli artificialmente creati dalla cultura. noto che per Epicuro la natura, criterio
normativo della riproduzione della vita individuale e sociale, porta a
ricercare il piacere ed a fuggire il dolore. Tuttavia ripetere questo mantra noto
a qualsiasi studente liceale distratto non
di alcun aiuto per comprendere il naturalismo epfcureo, se non si considera
il punto centrale della questione, e cio la polemica di Epicuro con Aristippo
di Cirene e con i cirenaici, anch'essi fautori del primato del piacere, ma di
un piacere attuale, presente ed in movimento. Epicuro stato forse il massimo rappresentante del
principio di selezione razionale dei piaceri e dei bisogni dell'intera storia
della filosofia, e la sua eventuale traduzione politica porterebbe ad una
perfetta equazione fra etica ed economia. Una comunit razionalmente
amministrata (economia, il nomos delloikos) coinciderebbe con una comunit in
grado di selezionare i bisogni naturali da quelli artificiali, promuovendo la
generalizzata soddisfazione 44 Materialismo e religione dei primi per tutti
(etica, intesa come ethos, costume comunitario, e non certo casistica di
dilemmi morali irrisolvibili). Apro qui subito una parentesi su Marx, anche se
poi tutto ci verr ripreso in seguito. La concezione naturalistica (ripeto
ancora e questa volta con maggiore
pedante solennit naturalistica: non
certo atea, e neppure materialistica) di Epicuro sostanzialmente la stessa di quella di Marx.
Anche Marx un filosofo della libert e
non della necessit, e quindi un epicureo
.e non uno stoico (stoici sono invece i socialdemocratici tedeschi allievi
indiretti di Agostino e di Lutero e cultori del riconoscimento introiettato
della necessit storica inesorabile). Ma Marx
soprattutto un teorico della limitazione dei bisogni al loro
generalizzato soddisfacimento democratico, sulla base di una sostanziale
normativit della natura. In questo senso Marx
veramente incompatibile con lo spirito del capitalismo, che illimitato e smisurato per sua natura,
coltiva il desiderio e non il bisogno, ed
quindi anche del tutto incompatibile con letica del metron, come ho
cercato di mostrare in uno dei volumi di questa trilogia. Epicuro respinge
l'insegnamento di origine pitagorica secondo cui i beni degli amici appartengono
a tutta la comunit (koin ta ton filon), in quanto tale forma di comunit
istituzionale implica l'assoluta mancanza di fiducia negli amici. Pu sembrare a
prima vista un argomento ipocrita contro il moderno comunismo, che non si fondato sulla benevolenza soggettiva della
comunit ma sullo statalismo organizzato istituzionalmente, ma anche in questi
casi, a parte il fatto che ai tempi di Epicuro ogni comunismo di tipo
istituzionale moderno era non solo impossibile ma anche impensabile, bene riflettere sulle cause di fondo della
dissoluzione del comunismo storico novecentesco realmente esistito (1917-1991).
I cittadini sono diventati formalmente compagni, ma poich questi compagni non
sono per nulla divenuti amici (personalmente ho conosciuto pochi fenomeni
sociali meno amicali del comunismo storico novecentesco nelle sue
organizzazioni settarie), alla fine questo compagnonnage astrattamente
affermato e concretamente negato
crollato su se stesso. Ho ricordato nell'Introduzione la lettera che
Labriola ha scritto a Croce poco prima di morire. Ed Epicuro, poco prima di
morire, informando lamico e discepolo Idomeneo delle sue condizioni, scrive: Ti
scrivo queste righe vivendo e, nel contempo, terminando il giorno felice della
mia esistenza. Le | sofferenze alla vescica ed allo stomaco sono state continue
e non hanno perso nulla della loro violenza. Ma contro questi mali si leva ci che
rende lanima lieta e che fondato sulla
memoria dei nostri passati incontri. Quanto a te, prenditi cura dei figli di
Metrodoro [un allievo ed amico precocemente deceduto] con l'entusiasmo che tu,
fin dalla giovinezza, hai manifestato nei miei confronti sia per me che per la
filosofia. 45 CAPITOLO PRIMO In punto di morte, Epicuro identifica di fatto il
segreto della filosofia con il prendersi cura dei figli dell'amico Metrodoro.
Occorre riflettere a fondo su questo fatto, e non pensare che sia solo un dettaglio
biografico magari commovente, ma teoreticamente irrilevante. Epicuro ha
affermato (sentenza 44) che rende pi felici donare che ricevere. Donare non
significa solo essere generosi, ma soprattutto essere colmi di gioia (eidon),
come e pi di quando si riceve. Infatti non c' felicit (char) pi grande della
gratuit (charis) del donare. Walter Otto fa notare che il testo greco intraducibile, in quanto noi non abbiamo pi a
disposizione nessun concetto con cui esprimere, unitamente alla gioia del s, la
gratuit del suo agire. In questo io personalmente, e mi si corregga se sbaglio,
non vedo nessun ateismo e nessun materialismo. Vedo invece una concezione
normativa della natura, in cui per (cito ancora Voltaggio) la razionalit piuttosto un punto di arrivo che un punto di
partenza, ed lesito di una vera e
propria storia naturale delluomo. Ma allora mi chiedo: allinterno della
filosofia moderna e contemporanea, quale
la scuola che ha sviluppato in modo pi conseguente, sistematico e
rigoroso il concetto per cui la ragione umana (Vernunft) non solo una facolt conoscitiva della mente umana
pensante, ma un punto darrivo
comunitario-sociale ed lesito di una
vera e propria storia naturale delluomo, nel senso ovviamente di seconda
natura, la natura storica che si innesta e si affianca a quella biologica? La
mia risposta questa: si tratta della
scuola idealistica e dei suoi tre principali esponenti successivi, e cio
Fichte, Hegel e Marx. Ma allora Marx sarebbe un allievo di Epicuro, e la
dialettica nella sua saggezza segreta non
avrebbe istituito una sorta di linea diretta fra lidealismo antico di
Platone e quello moderno dei tre tedeschi sopra nominati, ma avrebbe invece
istituito un percorso segreto che ha portato al rovesciamento del naturalismo
di Epicuro in quello di Marx? Ancora una volta,
meglio enunciare un paradosso piuttosto che ripetere continuamente un
pregiudizio. Io infatti penso esattamente quanto ho appena scritto. Ma quanto
ho appena scritto non fa parte n della storia dellateismo n della storia del
materialismo propriamente detti., Fa invece parte, se si vuole, della storia di
un ismo che potremo provvisoriamente battezzare un naturalismo dialettico. Con
l'avvertenza tuttavia, ricordando la messa in guardia di Adorno, che le
definizioni terminolgiche sono sempre in ultima istanza false, false non perch
sbagliate, ma false in quanto sempre e solo provvisorie. von 9. Se quello di
Epicuro non stato un ateismo
materialistico, ma semmai un naturalismo razionalistico e comunitario (e quindi
solidale), quello di Hobbes invece stato a tutti gli effetti un ateismo
materialistico, ose vogliamo 46 Materialismo e religione un materialismo ateo.
E, come Epicuro stato lispiratore
indiretto di Marx, Hobbes stato il
grande ispiratore sia del materialismo dialettico del compagno Stalin sia del
pessimismo borghese alla Norberto Bobbio. Questa affermazione paradossale pu
sembrare a prima vista infondata, ed appunto per questo merita una breve
discussione ad un tempo critica ed aporetica. Il materialismo di Hobbes un materialismo corpuscolare, e cio un
materialismo inteso come corpo esteso e come corpo sostanziale. Non c' qui una
differenza qualitativa con il materialismo atomistico di Epicuro, e questo un argomento ulteriore per farci capire come
lo stesso principio materiale (l'atomo di Epicuro, il corpuscolo di Hobbes) pu
portare a due esiti metafisici e politici assolutamente opposti, e cio ad una
filosofia della libert e della comunit solidale in Epicuro e ad una filosofia
della necessit, del dispotismo e dellegoismo in Hobbes. Come non mi stancher di
ripetere, pensare che di per s il materialismo sia l'anticamera di una
filosofia popolare e progressista una
ingenuit sprovvista di ogni fondamento storico e razionale. Hobbes ancora pienamente interno sia alla metafisica
della sostanza sia all'orizzonte del giusnaturalismo. Per quanto concerne la
metafisica della sostanza, rimando all'ipotesi che far nel prossimo capitolo e
che sviluppata sulla base di una
intuizione di Simmel, e cio che l'orizzonte della sostanza il raddoppiamento metafisico nel cielo dei
concetti dellesistenza sottostante di una societ comunitaria caratterizzata
dalla prevalenza della propriet fondiaria. Per quanto concerne il
giusnaturalismo, invece, quello di Hobbes
veramente un tipo di giusnaturalismo molto particolare perch, come nota
Max Horkheimer, per Hobbes il diritto naturale
essenzialmente il surrogato del comandamento divino del medioevo, il che
lo porta a considerare effettivamente il regime assolutistico come condizione
del benessere di tutti. Dopo avere sviluppato queste due acutissime
osservazioni, in modo del tutto incongruo, Horkheimer definisce questa di
Hobbes una ingenuit. Ingenuo mi sembra invece Horkheimer (lo scritto da cui
traggo la citazione del 1930, tre anni
prima della presa del potere di Hitler). Muovendosi ancora sul terreno della
sostanza, e cio della societ tradizionale, agraria e comunitario-dispotica, e
non ancora su quello dell'esperienza, e cio della societ borghese, mercantile e
finanziaria, Hobbes non pu ancora permettersi la cosiddetta tolleranza, e per
questa ragione usa il diritto naturale esattamente come i suoi predecessori
usavano il comandamento divino. Dio diventa appunto non tanto la Natura, quanto
proprio la Materia, interpretata meccanicisticamente come un insieme di spinte
e controspinte gravitazionali. La teoria della gravitazione di Newton da questo punto di vista la sistematizzazione
scientifica perfezionata del 47 CAPITOLO PRIMO clima filosofico che aveva gi
messo al posto dell'utopia platonica di Galileo il modello dei pesi e dei
contrappesi. Questo materialismo rigoroso deve paradossalmente (ma non troppo)
unirsi ad un ateismo totale raddoppiato con una costrizione religiosa imposta
dallo Stato. Tutte le banali storie della filosofia registrano semplicemente il
fatto, apparentemente un po inquietante, che lateo Hobbes era anche sostenitore
.di ununica obbligatoria Chiesa di Stato con la connessa proibizione della
libert di interpretazione della religione stessa. In questo tuttavia non c'
alcuna contraddizione, se ci si mette dal punto di vista del metodo dialettico
e non della logica formale. Chi utilizza il diritto naturale e la teoria della
sostanza come surrogati del comandamento divino medievale trasforma in divinit
il principio materiale, e questo principio materiale non deve essere lasciato
libero ad interpretazioni divergenti, che: diventerebbero inevitabilmente
strumenti ideologici per la contestazione prima e per la ribellione armata poi,
ma deve essere ferreamente monopolizzato dal potere statale. Il compagno Stalin
fece tesoro di questo insegnamento hobbesiano, e quando nel 1931 - con un
decreto del comitato centrale del PCUS - rese obbligatorio non solo il
materialismo dialettico, ma anche un'unica e sola interpretazione di esso, realizz
il programma del suo precursore inglese seicentesco, in cui la Materia diventa
Religione, ed in pi bisogna impedire ai teologi rissosi di interpretarla
diversamente. Certo, non esistevano ancora le condizioni storiche per un
ateismo esplicito di Stato, ma i dogmi cristiani erano tutti reinterpretati e
piegati alla compatibilit assoluta con il suo giusnaturalismo meccanicistico
socialmente impiegato . come surrogato del precedente comandamento divino. Per
questa ragione lateo Hobbes si occup sistematicamente di teologia, in quanto la
teologia ricopriva a quellepoca lo spazio concettuale e sociale che oggi
ricopre l'ideologia. Dal momento che tutto il sistema di Hobbes si fonda sul
timore, non dobbiamo stupirci che definisca la religione come il timore di potenze
invisibili. Questo spiega come il suo ateismo, lungi dall'essere liberatorio,
impone invece al potere statuale lorganizzazione capillare del timore per le
potenze invisibili. Adorno afferma argutamente che in questo modo la religione
di Stato deve essere ingoiata come si ingoiano le pillole medicinali, e questa
geniale affermazione adorniana mi ricorda irresistibilmente il modo con cui i
miei conoscenti di giovent ungheresi e romeni dovevano ingoiare la religione
atea dei partiti comunisti allora al potere, e cio il materialismo dialettico,
una metafisica corpuscolare del movimento universale che a mio avviso risale
appunto a Hobbes e non a Marx. Adorno aggiunge anche che paradossalmente in
questo modo Hobbes giungeva ad una integrale negazione della materia stessa,
che per Adorno anche e soprattutto un 48
Materialismo e religione principio edonistico. Il massimo materialista moderno
nega cos la materia come principio edonistico, nella sua ossessione per
l'obbedienza universale garantita dal timore di potenze invisibili. Hobbes anche generalmente connotato come un
avversario della democrazia, ma sfuggono quasi sempre le radici teoriche di
questo suo rifiuto per la democrazia stessa. Eppure esse sono esposte con
stupefacente chiarezza nel primo dialogo del suo Belemoth. In esso scrive che
gli impostori rivoluzionari che disturbano la quiete pubblica, e devono per
questo essere repressi a partire da una normalizzazione ideologica delle
universit (su questo punto del controllo ideologico delle universit Hobbes
ritorna in modo ossessivo, perch a quei tempi erano praticamente il solo
apparato ideologico funzionante, mancando ancora il circo mediatico-televisivo
di oggi), si sono familiarizzati con i principi democratici di Aristotele e
Cicerone (sic!). Questa affermazione a
prima vista stupefacente, perch in nessun manuale normalizzato di filosofia
politica Aristotele e Cicerone sono classificati come pensatori democratici.
Eppure, dal suo punto di vista, Hobbes ha perfettamente ragione. Non si tratta
solo del suo maniacale odio verso Aristotele, odio anch'esso pi che
giustificato, perch Aristotele riteneva luomo un essere razionale e sociale per
natura, mentre invece Hobbes lo ritiene per natura un essere irrazionale ed
asociale. Si tratta del fatto (cito letteralmente) che Aristotele considera che
lanima sia la causa prima del movimento del corpo, e di conseguenza dell'anima
stessa, e questo porta alla dottrina del libero arbitrio. Questa
identificazione della teoria politica della democrazia con la teoria filosofico-teologica
del libero arbitrio stupefacente, ma
occorre ringraziare Hobbes per la sua sincerit, esattamente come bisogna
ringraziare Romano Prodi per avere detto in un momento di sincerit che i
residui del comunismo parlamentare italiano del 2006 sono soltanto folklore del
tutto innocuo. In effetti Hobbes va veramente a fondo della questione, non si
perde in tassonomie inutili e verbose sulle forme di Stato e di governo, ma
comprende in modo assolutamente radicale e geniale che la democrazia presuppone
una teoria dell'anima dotata di libero arbitrio che muove il corpo, e cio di un
momento ideale formale che muove un momento materiale sostanziale. In questo
senso Aristotele e Cicerone, in genere classificati come oligarchici dalle
tassonomie universitarie, sono realmente pensatori democratici. Franco
Voltaggio fa notare opportunamente che in Hobbes vi sono per anche spunti
contraddittori. Da un lato, Hobbes
attratto dall'idea dellautoma, cio dell'uomo pensato come uomo-macchina
(immagine che piacer anche un secolo dopo al materialista La Mettrie), per cui
il cuore una pompa, i nervi delle corde,
le articolazioni ruote, il tutto al servizio di 49 CAPITOLO PRIMO quel principio
del movimento che per Hobbes la base di
tutto. Ma dall'altro lato Hobbes, discutendo (e respingendo) l'argomento
ontologico di Cartesio per dimostrare lesistenza di Dio, anticipa in un certo
senso lobiezione di Kant, per cui
illegittimo passare dalla pensabilit dell'essenza di Dio all'affermazione
fattuale della sua esistenza. Hobbes afferma argutamente che supporre che
luomo, per il fatto di pensare, sia anche una sostanza pensante, equivale a
supporre che un uomo che passeggi sia per ci stesso una passeggiata. Ma se il
passaggio da Dio all'Uomo impossibile,
ne risulta che solo un passaggio dallUomo all'Uomo possibile, e con questo la dignit umana,
negata a parole, implicitamente
riaffermata di fatto. Ho utilizzato fin qui le osservazioni su Hobbes di
commentatori originali ed intelligenti come Horkheimer, Adorno e Voltaggio, e
concluder ora con alcune osservazioni personali riassuntive. Epicuro un pensatore della libert e della solidariet
proprio perch non n un ateo n un
materialista, ma un naturalista rigoroso
e coerente. Il naturalista rigoroso e coerente sa che in natura esiste sia
l'elemento ideale che quello materiale, e che
sbagliato pensare che luno derivi dall'altro (0 viceversa). Hobbes
invece veramente un materialista, in
quanto ritiene con ammirevole coerenza che sia la materia (intesa in senso di
corporeit e di movimento) a determinare rigorosamente le idealit, e teme dunque
sopra ogni altra cosa le posizioni che affermano in modo democratico che lanima
sia la causa prima del movimento del corpo, tesi che porterebbe inevitabilmente
al libero arbitrio, che a sua volta il
presupposto ultimo della libert politica intesa come diritto assoluto alla
libert di parola in assemblea (la greca isegoria). Bisogna dunque colpire alla
radice questa concezione colpendo addirittura Aristotele e Cicerone, nonostante
il fatto contingente che il primo fosse contrario al suffragio assembleare
universale del modello Clistene-Pericle ed il secondo fosse addirittura un
esponente degli optimates ed un nemico dei populares. Ma Hobbes molto pi intelligente e lungimirante degli
sciocchi di corte vedute che giudicano un pensatore strategico riducendolo alle
sue irrilevanti scelte politiche tattiche della sua vita terrena. Hobbes stato, e sar anche in futuro, il pensatore
del Potere. "Non ho detto uno dei tanti pensatori del Potere, ho detto il
pensatore del Potere. Ho gi accennato al fatto che Stalin stato un suo allievo indiretto (e neppure
.poi tanto). Dire che il potere si fonda sul consenso una ipocrisia che non sta in piedi, perch il
consenso sempre per sua natura
contingente, temporaneo e revocabile, mentre per sua natura il potere non pu
pensarsi e soprattutto viversi quotidianamente come contingente, temporaneo e
revocabile. La gente gli darebbe il suo consenso per rinchiudere in galera gli
assassini e per finanziare opere pubbliche e sistemi di assistenza sociale, ma
glielo toglierebbe immediatamente se questo potere stesso decidesse una 50
Materialismo e religione guerra che non coinvolgesse soltanto mercenari
specializzati, ma richiedesse carne da cannone generalizzata. Il potere deve
dunque essere invisibile (arcana imperii), esattamente come la religione, che
lateo e materialista Hobbes definisce correttamente come timore di potenze
invisibili. Schmitt ha ovviamente perfettamente ragione nel constatare (uso
questo verbo, anzich quello di affermare o di sostenere) che il potere potere di decidere dello Stato di emergenza,
e cio di sospensione della libert intesa come libero arbitrio dei cittadini,
filosoficamente fondato sullanima umana come fondamento della verit. L'allievo torinese di Hobbes, Norberto
Bobbio, stato nella sua vita una
dimostrazione coerente dellimpostazione di Hobbes. Il potere - essendo in fondo
un potere di fatto , quando il potere di fatto, fino al 1943, era nelle mani
del regime fascista, era comprensibile (anche se fonte di postuma ed
irrilevante vergogna) che si scrivesse una lettera di supplica a Mussolini.
Poi, con il 1943, il potere di fatto pass alle bombe americane ed inglesi, ed i
bombardamenti ebbero il potere di muovere anche le coscienze, che trasformarono
il liberalismo crociano ed azionista da potenzialit pura ad atto. Dal 1945 al
1999 Bobbio fu il pensatore per eccellenza delle regole, e cio del fatto che il
potere non potesse essere definito in base ai suoi contenuti sostanzialistici
(come affermavano gli opposti ma convergenti sostanzialismi dei preti e dei
comunisti), ma unicamente in base alla formalit delle sue procedure di
legittimazione. Ma quando nel 1999 il Potere, e cio la decisione politica
dell'Impero Geopolitico Americano (IGA, sigla molto migliore della sigla USA),
alleato con irrilevanti baffetti post-comunisti in cerca di riciclaggio e di
legittimazione, decise di attaccare lo Stato sovrano della Jugoslavia, e questo
contro ogni regola formale (contro le Nazioni Unite, che non lo consentirono,
contro la Costituzione Italiana, che lo impediva espressamente, e persino
contro la carta della Nato, che non lo prevedeva come casus belli), Bobbio si
alline immediatamente, approvando, avallando e mostrando cos il segreto della
filosofia politica moderna. Naturalmente, non intendo affatto porre un segno di
eguaglianza fra Stalin e Bobbio. Stalin era immensamente pi giustificato, data
la situazione di emergenza reale in cui era immerso, che era dovuta in ultima
istanza (ma non avrebbe certamente potuto ammetterlo apertamente) alla
debolezza strategica e sociale del progetto comunista, minoritario per sua
propria natura. Bobbio invece non rischiava assolutamente niente. Era gi ricco,
rispettato, onorato, senatore a vita. Eppure il Potere esercita presso i
filosofi materialisti lirresistibile attrazione che esercita la vista di un
bambino per un pedofilo, il profumo di una giovane donna per un vecchio
inveterato seduttore ed il frusciare delle banconote per un industrialotto
berlusconiano medio. 51 CAPITOLO PRIMO Sar magari sgradevole da dire, ma ogni
tanto quando ci vuole ci vuole. Nel caso di Bobbio, poi, vale il principio di
Amicus Plato, sed Magis Amica Veritas. Ho scelto di non rispettare neppure le
idee politiche di mio padre, che pure era mio padre, figuriamoci se mi fermo
davanti ad auctoritates dell'odierna dittatura del politicamente corretto. Il
fatto che io, a differenza di Hobbes,
credo che avesse ragione Aristotele, e che lanima sia la causa prima del
movimento del corpo, e quindi dell'anima stessa, e quindi del libero arbitrio.
In quanto al potere, come a suo tempo disse Falstaff: Signori, la vita breve! Camminiamo almeno sulla testa dei re!.
10. C' ancora chi, per pigrizia inerziale, considera il materialismo del barone
dHolbach un materialismo volgare. Consiglio a costui la lettura attenta,
peraltro facile ed agevole, del piccolo capolavoro di dHolbach, Il buon senso,
introdotto e curato da Sebastiano Timpanaro. In realt il materialismo di
dHolbach non solo non volgare,
ovviamente, ma a mio avviso il punto pi
alto del pensiero materialistico moderno, pi alto di Feuerbach ed anche molto
pi alto di Marx, se ovviamente per materialismo si intende lo sviluppo
sistematico del fondamento della Materia, inteso come ilemonismo, e cio come
esistenza della sola materia, da cui tutto il resto deve essere rigorosamente
dedotto. Il materialismo di d'Holbach
perfetto e compiuto nel suo genere, nel senso che se si cerca di
migliorarlo e di ampliarlo si esce necessariamente dal raggio del materialismo
propriamente detto, e si entra volenti o
nolenti in qualche forma di idealismo,
come fu ovviamente il caso di Marx. La Storia, infatti, non in alcun modo una . metafora della Materia, e
viceversa, per cui se voglio concettualizzare la storia stessa come concetto
cosmopolitico e trascendentale riflessivo, devo necessariamente produrre
categorie idealistiche, cos come se voglio fare la doccia devo necessariamente
aprire il rubinetto dell'acqua. Ma torniamo a dHolbach. Quello che propongo al
lettore un riorientamento gestaltico
radicale, per cui questo pensatore di primo piano del Settecento illuministico
francese non deve essere visto come il prodromo, l'annunciatore, il precursore
di qualcuno che verr dopo di lui e sar molto migliore (Marx, per non fare
nomi), ma invece proprio come il tetto moderno insuperabile del materialismo
propriamente detto. Devo ora portare alcuni argomenti in appoggio a questa mia
impegnativa dichiarazione. In primo luogo, come riassume correttamente
Voltaggio, i principi fondamentali del materialismo di dHolbach sono
riassumibili nellidentificazione della natura umana con la natura in generale,
nella riconduzione integrale delluomo morale all'uomo fisico, e nella
conseguente deduzione da questa di un nuovo peculiare concetto di felicit
pubblica e privata. Come si vede, un sistema filosofico rigoroso e coerente,
per cui 52 . Materialismo e religione solo lincorreggibile stupidit dei
commentatori ha potuto considerare questo pensatore eclettico, secondario ed
addirittura volgare. D'Holbach non si limita a dire che luomo appartiene alla
natura, ovviet tautologica nota a tutti, e che la natura stessa (rammento la
lettera di Labriola a Croce) ci ricorda comunque se per caso lo dimenticassimo
in qualche momento di delirio di immortalit e di onnipotenza. D'Holbach parte
proprio dal principio dellidentificazione (o pi esattamente, della deduzione)
della natura umana dalla natura in generale.
questo il principio in cui il naturalismo coincide effettivamente con il
materialismo. DHolbach e Hobbes sono allora i due (mi spiace, non ne conosco
altri) pensatori fondatori della filosofia marxista di Engels, Lenin e Stalin,
filosofia che si fonda effettivamente sulla rigorosa identificazione della natura
umana con la natura in generale, e non ingannino le superficiali aggiunte
dialettiche incollate sopra che nella
sua Terminologia filosofica - Adorno, con ammirevole moderazione, ha definito
barbara superstizione. Si dir che anche Marx fa la stessa cosa, identifica la
natura umana conla natura tout court, e dunque
un superstizioso barbaro anche lui. Errore. Non cos. In primo luogo, e qui cito letteralmente
Adorno, il concetto di dialettica, che deriva da dialego, che significa
intrattenersi, parlare insieme, discutere, in se stesso non affatto concepibile senza un soggetto che
pensi, che rifletta e che si muova; attribuire semplicemente e ciecamente la
dialettica ad una materia interamente a-soggettiva sarebbe la pi barbara
superstizione. Credo di poter affermare che Marx stato lontanissimo da questa concezione. Ho
voluto citare qui Adorno non perch abbia bisogno di auctoritates per sostenere
ci che posso tranquillamente sostenere da solo, ma perch ogni tanto bene fare qualche eccezione per gli amici
della citazione autorevole. C' poi un secondo aspetto del problema. Per Marx la
natura umana appartiene certamente alla natura in generale, come per dHolbach,
ma a differenza di d'Holbach Marx utilizza il concetto dialettico-idealistico
di ente naturale generico (Gattungswesen), concetto che presuppone
organicamente lidealismo di Fichte ed Hegel, in quanto la natura presa in s non
pu ovviamente subire alienazioni (Entfremdungen), ma soltanto la genericit pu
subirle, perdendosi in particolarit storicamente determinate (ad esempio, lo
sfruttamento capitalistico), particolarit che a loro volta sono integralmente
storiche, e allora bisogna costruire un concetto unificato di storia
cosmopolitica delluomo in modo trascendentale e riflessivo, e quindi
idealistico, perch il materialismo pu soltanto proiettare in modo non
dialettico la materia sottostante nelle idee soprastanti. Questa la ragione per cui, se ci si mette dal punto
di vista di d'Holbach (cosa che io non faccio, perch mi ritengo un libero
allievo di Marx), 53 CAPITOLO PRIMO
impossibile fare meglio di lui, e allora il barone franco-tedesco, lungi
dall'essere volgare, deve essere messo alla stessa altezza di Spinoza e di
Kant, come esponente di un paradigma teorico perfetto in s. In secondo luogo,
dHolbach il massimo teorico dellateismo,
nel senso che non soltanto nega lesistenza di Dio in tutte le possibili forme
ateistiche (gesuiti) o deistiche (gli incipriati Locke e Voltaire), ma anche e
soprattutto sostiene che il potere politico, costituito da una mescolanza
odiosa di anarchia e di dispotismo, s basa sul diritto divino dei re e quindi
sulla religione, per cui la religione in quanto tale, e non solo nelle sue
forme pi superstiziose e fondamentalistiche (diremmo oggi), il fondamento filosofico di un potere
ingiusto che si frappone fra gli uomini ed il loro legittimo perseguimento
della felicit. Il lettore deve prestare una particolare attenzione a questa
tesi di dHolbach, che non per nulla
nuova ( infatti gi presente in alcuni pensatori greci e romani), ma che tuttora estremamente diffusa in un certo
senso comune anticlericale e bestemmiatore, e che stata anche recepita sostanzialmente da Lenin
e poi dalle strutture ideologiche partitiche e statuali del comunismo storico
novecentesco ingloriosamente defunto da quasi vent'anni. Ridotta all'osso, e
con le modificazioni storiche posteriori al 1789 che sarebbe superfluo
segnalare, questa tesi sostiene che la
religione il principale fondamento ideologico dello sfruttamento classista, con
il ben collaudato congegno ideologico del rimando della vera giustizia al mondo
ultraterreno dopo la morte, laddove in questo mondo, a causa del peccato
originale, bisogna accettare le gerarchie sociali volute da Dio. So bene che
nella generalizzata ignoranza che regna nel mondo non tanto degli incolti
quanto dei semicolti parziali questa tesi
riferita a Marx, ed perci
ritenuta marxista. i Ebbene, no, cari signori, questa tesi di dHolbach, e non neanche poi tanto stupida, perch la
storia piena di tristi verifiche
fattuali di questa tesi stessa. Pi avanti vedremo invece, a partire dalla
critica di Pannekoek alla filosofia atea di Lenin, che questa tesi,
parzialmente valida nelle societ precapitalistiche, invece del tutto inapplicabile alle societ
capitalistiche sviluppate, i cui meccanismi di integrazione sociale e di
legittimazione ideologica non sono pi per nulla religiosi. In terzo luogo (ma
questo non l'aspetto pi importante)
d'Holbach riprende una tesi gi presente in Spinoza e che verr ripresa pi tardi
da Engels (e dallinterpretazione che di Spinoza dar il marxista russo
Plechanov), per cui la libert umana coincide con la comprensione della necessit
della natura. Questa tesi di lontana
origine stoica, e si contrappone in modo netto all'impostazione di Epicuro, che invece stata la principale 54 Materialismo e
religione fonte di ispirazione della filosofia di Marx, che unisce laleatoriet
libera della deviazione epicurea (clinamen, parekklisis) con l'individuazione
del soggetto di questa deviazione, e cio l'ente naturale generico
(Gattungswesen). Il lettore non deve equivocare sullo spirito di questo
paragrafo su d'Holbach. Non era mia intenzione fare le pulci a dHolbach, e cio
criticarlo con fastidiosa supponenza. Tutto al contrario. D'Holbach il pi grande e coerente materialista moderno
che conosca, ed appunto per questo su queste basi materialistiche rigorose
non possibile attingere un punto di
vista realmente storico. Ma il cosiddetto materialismo storico non pu essere
soltanto l'aggiunta della consapevolezza storica alla struttura filosofica del
materialismo con la sua identificazione della natura umana con la ntura in
generale. Esso presuppone una fondazione idealistica, che infatti verr, anche
se poi sar rimossa, ma questa fondazione idealistica dovr abbandonare il
terreno del materialismo stesso. Cercher di chiarire ulteriormente questo punto
cruciale nei prossimi paragrafi. i 11. Il pensiero di Ludwig Feuerbach particolarmente interessante per il nostro
tema, perch Feuerbach unisce strettamente materialismo ed ateismo, almeno
secorido le correnti storie della filosofia. Se poi questo sia vero oppure sia
invece largamente mitologico lo vedremo in questo stesso paragrafo. Metto
soprattutto in guardia il lettore a non credere sulla parola a ci che riportano
con pigra inerzialit i manuali di storia della filosofia, per cui ci sarebbero
due Feuerbach, un materialista antropologico sofisticato che afferma che Dio
non esiste, in quanto si tratta solo della essenza umana alienata e trasferita
in una divinit che non altro che la sua
replicazione proiettata ed invertita, ed un materialista volgare che invece
dice che luomo quello che mangia (der
Mensch ist, was er isst), cui si aggiunge sempre in modo pio e virtuoso che c'
anche il Partenone, la Nona Sinfonia di Beethoven, e via mostrando che non
siamo solo stomaci ma anche laureati in lettere e storia dellarte. allora necessario anche per Feuerbach un sano
riorientamento gestaltico. Il punto da cui partire, a mio avviso, sta nell'abbandono
dell'idea per cui Hegel era credente in Dio, sia pure in modo sofisticato e
furbesco, mentre invece Feuerbach non lo era, era ateo, e diceva apertamente
che Dio non esiste, ed era solo l'alienazione dell'essenza umana con la sua
debita inversione fra soggetto e predicato. Questo punto di vista fa coincidere
lateismo filosofico, e lo stesso materialismo, con lautoproclamazione veridica
del proclamante, per cui se io in una conversazione casuale in treno dico al
primo viaggiatore che sono ateo (anzi, che non ci credo), allora basta ed
avanza. Baster ed avanzer nei rapporti personali, ma in sede di storia della
filosofia lautoproclamazione veridica non
un argomento. In 55 CAPITOLO PRIMO realt (ricorro ancora al saggio
Voltaggio) il punto di vista di Feuerbach non
per nulla una negazione o un abbandono del punto di vista di Hegel,
ma semplicemente una interpretazione ed
una rielaborazione di un passaggio della Fenomenologia dello Spirito dello
stesso Hegel. Nel costruire la figura filosofica del cristianesimo, Hegel dice
che la coscienza umana, andando alla ricerca di una forma intrasmutabile ed
eterna di s, configura un essere superiore ed eterno, e cio appunto Dio. Questa
configurazione equivale alla alienazione della coscienza in altro da s e
allora, stante lirraggiungibilit della forma intrasmutabile, produce altres
linfelicit della coscienza. Se le parole hanno ancora un senso, se ne ricava
che la sola cosa veramente intrasmutabile ed eterna lAutocoscienza della specie umana intesa come
Spirito Assoluto, e non certamente la singola empirica coscienza individuale
che non pu che morire con il corpo (tra parentesi questo il concetto di immortalit di Antonio
Gramsci). In questo senso, che il solo
senso logico possibile, Hegel era assolutamente ateo, cos come lo erano
Feuerbach e Marx, con la differenza, che ammetto essere rilevante, per cui il
recupero dellassolutezza della divinit non d luogo ad una frustrante infelicit
ed insoddisfazione, come era (saggiamente) per Hegel, ma d luogo ad un
umanesimo integrale di tipo prometeico potenzialmente ottimistico. Se
lateo il non-credente nella permanenza
intrasmutabile ed eterna dell'anima individuale propriamente detta, non sono
atei soltanto Epicuro, Hobbes, dHolbach, Feuerbach e Marx, eccetera, ma sono
egualmente ed integralmente atei anche Aristotele ed Hegel. Le storie della
filosofia sono quasi sempre in proposito stupidamente reticenti, con effetti
pittoreschi ed umoristici nella ricaduta culturale per i non specialisti.
Feuerbach non rovescia dunque Hegel, ma semplicemente d una interpretazione
umanistico-prometeico-ottimistica alla sua figura dell'illusione nella eternit
intrasmutabile della coscienza individuale, che Hegel invece molto pi
saggiamente lasciava nella sua forma tragica ed aporetica, nonostante poi (in
modo a mio avviso incongruo) dicesse che con l'Assoluto, e cio con la
definitiva riconciliazione della coscienza con se stessa, le ferite dello
spirito sono sanate senza lasciar traccia. Sebbene io provi soggettivamente la
massima antipatia per gli urli di odio e di disprezzo di Kierkegaard contro
Hegel, devo ammettere che su questo punto l'esagitato danese aveva ragione, in
quanto impossibile che le ferite dello
spirito vengano sanate senza lasciar traccia, se non appunto in
quellirrilevante mondo eterno che lo
Spirito Assoluto, della cui esistenza (in particolare quando siamo nelle
condizioni fisiche dell'ultimo Labriola) non possiamo che farcene un baffo. Ma
qui ritorna sempre la metafora pi idiota del mondo, che quella del rovesciamento, anzi del
rovesciamento dialettico. Ho usato il moderatissimo 56 Materialismo e religione
e sobrio termine di idiota perch la dialettica
per sua natura non si rovescia
mai, ma semplicemente trapassa, superando e conservando ad un tempo, dalla Tesi
alla Antitesi e poi dalla Antitesi alla Sintesi, e cos via. infatti Feuerbach non rovescia per nulla
Hegel, rovesciando la religione in ateismo e lidealismo in materialismo, ma
semplicemente interpreta la figura hegeliana dell'illusione soggettiva della
intrasmutabilit e dell'eternit della empirica coscienza individuale in termini
ottimistici, prometeici ed attivistici (e quindi pienamente idealistici). Nello
stesso modo, anche se questa metafora idiota risale a lui stesso (ma quandoque
dormitat atque Homerus), Marx non ha affatto rovesciato la dialettica hegeliana
rimettendola dalla testa sui piedi (come se la dialettica hegeliana si basasse
sulle idee intese come opinioni e contenuti di coscienza alla Locke), ma ha
semplicemente cercato di applicare, con risultati non sempre felici, il metodo
dialettico ricavato da Hegel ad un oggetto inedito, e cio il concetto di modo
di produzione capitalistico. Altro che rovesciamento! Lasciamo il monopolio dei
rovesciamenti ai commensali goffi che rovesciano i bicchieri o la saliera, con
annesse disgrazie, eccetera! Il presunto materialista Feuerbach allora una sorta di idealista antropologico
che interpreta in senso ottimistico-prometeico lidea (capito bene, cari
lettori: lidea) di essenza umana. C' per anche un sano aspetto realmente
materialistico in Feuerbach, ed lidea
che anche e soprattutto la scienza della alimentazione sia una scienza
dialettica, e cio uri sapere filosofico di grande importanza. In definitiva,
luomo quello che mangia. Ho sempre
trovato insopportabilmente idiota la connotazione di volgare a questo
ragionevole materialismo, soprattutto se pensiamo a quanta gente oggi non pu
permettersi una alimentazione sana e regolare, non ha accesso all'acqua
potabile e pi in generale non ha accesso allo spirito, perch come noto primum vivere, deinde philosophari. In
realt Feuerbach ha perfettamente ragione. Il diritto a mangiare ed a bere acqua
pulita infatti un fondamento filosofico
essenziale per comprendere la sensatezza della totalit sociale, ed.in
definitiva coincide con il diritto al metron come criterio dell'etica, come ho
gi avuto modo di affermare nel mio saggio di questa trilogia dedicato
all'etica. In un mondo dominato da una crematistica smisurata ed illimitata,
luomo o mangia troppo (fast-food imperiali con cibo spazzatura, esportati nelle
province culturalmente e militarmente sottomesse) o mangia troppo poco. E
questo non riguarda per nulla l'economia, il FMI o la Banca Mondiale. Riguarda
la filosofia come sapere della sensatezza della totalit umana e sociale. Viva
dunque il materialismo volgare di Feuerbach! 57 ) / CAPITOLO PRIMO 12. L'ultimo
ritratto dei grandi atei materialisti
quello di Jacob Moleschott. L'ho messo per ultimo non perch sia il pi
grande (il pi grande degli antichi
Epicuro, ed il pi grande dei moderni
dHolbach), ma perch in senso
assoluto il pi scandaloso, e solo ci che
scandaloso merita veramente di essere segnalato. Per capire Moleschott,
per, bisogna collocarlo nell'ambiente culturale del positivismo tedesco in cui
si formato, anche se Moleschott era
personalmente olandese. i Il positivismo tedesco un fenomeno pochissimo noto in Italia, anche
se non sono ovviamente mancate monografie specialistiche. Eppure il positivismo
tedesco la matrice storica e teorica
pressoch unica della filosofia del marxismo, che come (non troppo) noto nato come risposta sistematica ad una
committenza ideologica diretta della socialdemocrazia tedesca. Tutto ci che
non tedesco nel marxismo, da Labriola a
Plechanov, viene dopo che gi i giochi erano stati fatti, e l'impianto teorico
generale di base era gi stato messo a punto. Ora, questo impianto teorico
generale quello del positivismo tedesco,
che in quasi tutte le sue manifestazioni
una forma di naturalismo materialistico rigoroso. In questo ambiente si
formarono Lange e Laas, gli ispiratori indiretti del sistema filosofico di
Engels poi battezzato marxismo. Questo
lambiente in cui Vogt pronunci il suo famoso mantra, per cui il pensiero
sta al cervello nella stessa relazione in cui la bile sta al fegato e l'urina
alle reni. Si potrebbe pensare che una simile affermazione possa dare fastidio
ad un hegelo-marxiano estremista come chi scrive. Neppure per idea.
L'affermazione di Vogt mi sembra anzi del tutto sobria e razionale, in quanto
non vedo perch il pensiero dovrebbe essere superiore sul piano etico- valoriale
alla bile ed allurina. Senza bile e senza urina il pensiero non pensa
semplicemente pi, e non c' bisogno di essere un urologo per saperlo. Nellordine
delle precondizioni per la riproduzione della vita il medico viene prima del
professore di filosofia, e questo ovvio primato materiale anche economicamente rispecchiato dalla
differenza fra il costo di una visita medica specialistica ed il costo di una
lezione privata di filosofia (ne so qualcosa quando esercito personalmente la seconda
attivit e devo poi pagare la prima). Il punto di vista della filosofia
idealistica non consiste nel negare virtuosamente la ragionevolissima
affermazione di Vogt, ma consiste nel partire da questa per elaborarla
successivamente. E qui il cosiddetto materialismo mi accompagna fino ad un certo
punto, ma da un certo punto in poi (sostanzialmente da quando arriva la
mediazione della storicit e lautoriflessione dialettica che essa comporta) deve
necessariamente intervenire una qualche forma di idealismo, a meno che decida
(come hanno fatto Epicuro e d'Holbach) di non inserire nel mio sistema di
pensiero 58 Materialismo e religione un elemento storico, e di accontentarmi di
mettere in relazione diretta luomo e la natura. Come si vede, il buon
materialismo non mai frutto di stupidit
o di incomprensione, ma il prodotto di
una consapevole rinuncia alla storia. Non si
infatti per niente obbligati a prendere in considerazione l'elemento
storico-dialettico della riproduzione umana e sociale. Si pu anche non farlo.
Se lo si fa, per, la filosofia finisce effettivamente con il coincidere con
l'idealismo, come Hegel a suo tempo afferm esplicitamente mentre Marx lo
rimosse per poi freudianamente subire il ritorno del rimosso. Jacob Moleschott,
medico, chimico e biologo olandese, professore universitario di fisiologia ad
Heidelberg, pubblic nel 1852 una critica scientifica ad unopera del collega
Liebig pubblicata nel 1842 (su cui non mi soffermer in questa sede), e venne
subito espulso per questo dall'universit. A suo tempo Spinoza aveva fatto
benissimo a rifiutare un incarico in quella stessa universit, in cui poi
sessant'anni dopo Moleschott non riusc ad entrare per ragioni razziali (era un
ebreo) e politiche (era socialista) anche il buon Lukfcs. A suo tempo ho
percorso la passeggiata dei filosofi di Heidelberg, ma essa dovrebbe essere
ribattezzata passeggiata dei filosofi politicamente corretti. Cacciato dalle
universit tedesche per materialismo, Moleschott venne poi ad insegnare prima a
Torino e poi a Roma, dove divenne un idolo dellanticlericalismo laico italiano.
Moleschott fu un teorico della assoluta fisiologica normalit della morte, vista
come un processo in cui l'individuo, decomponendosi nel suolo, restituisce alla
natura ed all'ambiente le sostanze organiche da cui risultava composto, per cui
queste sostanze saranno poi riassunte in quel processo ascendente il cui
esito la vita. La stessa morte,
infatti, una interruzione del processo
solo apparente, non pu essere concepita come una frattura radicale e comunque
come una dimensione qualitativamente opposta alla vita. In questo modo, tutti
gli interrogativi attorno al futuro destino dell'uomo nell'aldil vengono a
cadere. Il movimento operaio e socialista non si spinse fino ad abolire il
seppellimento del cadavere in una cassa (Marx fu sepolto cos) o la cremazione
delle ceneri (Engels fu cremato e le sue ceneri disperse nel Mar del Nord), ma
se avesse dovuto essere realmente conseguente con la filosofia materialistica
di Moleschott i cadaveri proletari avrebbero dovuto essere semplicemente
inumati completamente nudi nel terriccio di orti e di frutteti, in modo da
facilitare la riproduzione della vita. Il fatto
che luomo anche e soprattutto un
animale simbolico, e questo suo carattere non
riducibile ad invenzione di preti, rabbini, bonzi ed altri orribili
filosofi idealisti. 13. Ho fino ad ora descritto una galleria di ritratti di
filosofi sicuramente materialisti ed atei, o pi esattamente di filosofi
descritti come atei e 59 CAPITOLO PRIMO . materialisti che per in alcuni casi
(vedi Epicuro) non lo erano veramente. Ci siamo per fino ad ora soltanto
scaldati i muscoli. Ora arrivano veramente le cose serie, intese come la
decifrazione dei meccanismi sociali degli utilizzi ideologici dellateismo e del
materialismo. E poich da qualche parte bisogna pur cominciare, inizier con
quella che chiamer la Censura di Voltaire. Per comodit del lettore, presentiamo
per prima la figura del Censurato. Jean Meslier era un curato di campagna
francese, che ogni domenica celebrava la sua brava messa e faceva la sua brava
predica. Nel 1729 muore a 65 anni di et, e lascia ai suoi parrocchiani uno
scritto intitolato Il mio testamento. Sorpresa! Sorpresa! Si trattava di una
veemente diatribaycontro la religione, il clero, la nobilt e lintero sistema
feudale. Il male sociale radicale
individuato da Meslier nella ripartizione iniqua delle ricchezze, e la
causa di questa iniquit la propriet
privata. La religione, in particolare il cristianesimo, soltanto una favola odiosa, concepita dai
preti esclusivamente per mantenere il popolo nella sottomissione e
nellabbrutimento. Gli uomini per loro natura nascono invece eguali. Per abolire
la diseguaglianza, i poveri devono unirsi, organizzarsi ed abbattere i tiranni.
Meslier si immagina la societ futura come una federazione di comunit autogestite,
in cui tutti lavoreranno e tutti potranno godere del frutto del loro lavoro ad
eguale titolo. Esaminando con attenzione le radici filosofiche di Meslier, si
vede che ha elaborato la sua concezione ad un tempo ateo e comunista sotto
l'influenza di Spinoza, che ai primi del Settecento era considerato come lateo
per eccellenza. Egli critica infatti il dualismo di Cartesio, ed ovviamente
sostiene la natura materiale e quindi mortale dellanima. La natura per Meslier la sola realt, esiste
autonomamente ed retta da leggi
necessarie, per cui non affatto il
prodotto dell'attivit di un Dio creatore. La materia ha in s il suo essere ed
il suo movimento, e per conseguenza
inutile cercare fuori di essa il principio del suo essere e del suo
movimento. Il Testamento di Meslier non cade nelle mani di preti o confratelli
pii e timorati, e quindi non viene subito distrutto. Dal 1730 comincia ad
essere ricopiato a mano, e vive una vita catacombale fino a quando nel 1762
degli estratti non verranno pubblicati da Voltaire. Il testo integrale deve
aspettare ancora un secolo per essere pubblicato, e lo sar soltanto nel 1864.
Quando verr integralmente pubblicato, si vedr che Voltaire ha censurato
sistematicamente tutti i brani sociali, egualitari, comunisti di Meslier, e ha
evidenziato soltanto i brani antireligiosi ed anticlericali. Ebbene, in questa
censura di Voltaire, che i manuali di filosofia ignorano (ma generalmente
ignorano anche Meslier, considerato troppo rozzo per i palati fini degli
adolescenti, almeno quelli del vecchio liceo borghese ormai scomparso da 60
Materialismo e religione tempo), io individuo invece un sintomo decisivo per la
piena comprensione del nesso fra ateismo e materialismo, da un lato, e
legittimazione ideologica della societ capitalistica, dall'altro. Ma
spieghiamoci meglio, perch ne vale veramente la pena. A quasi 300 anni dalla
morte del povero Meslier (me lo immagino quando per guadagnarsi la pagnotta
predicava dal pulpito il contrario di ci che pensava nell'intimo della sua
coscienza) la logica dei giornali laici ed anticlericali (tipo La Repubblica e
L'Espresso in Italia) segue lo stesso identico principio censorio che ha
ispirato a suo tempo Voltaire: ogni giorno stoccatine e stoccatone ai preti, a
Ratzinger, ai vescovi, alle religioni organizzate, ed ogni giorno diffamazione,
silenzio ed irrisione contro tutto quello che nel mondo resta di comunistico o
semplicemente di critico della disuguaglianza delle ricchezze. Si tratta
evidentemente di qualcosa che non solo
casuale 0 congiunturale, se questo codice volterriano, applicato per la prima
volta nell'edizione del Testamento di Meslier, gode quasi 300 anni dopo di
tanto vigore. Evidentemente il furfante incipriato, lispiratore degli Scalfari
e dei Flores dArcais, aveva colto un aspetto essenziale della questione, che
compendier cos: a differenza dei posteriori marxisti sciocchi ed anticlericali,
che hanno sempre pensato che la religione sia la colonna ideologica
fondamentale per la legittimazione della disuguaglianza sociale, il furfante incipriato
aveva capito precocemente per tempo che il vero pericolo non stava nel dire che
Dio non esiste e che se lo sono inventati i preti per mangiare i bocconi pi
prelibati e per palpeggiare le perpetue, ma stava nel diffondere opinioni
sociali di tipo egualitario. Non si sa mai! Qualcuno potrebbe infatti pensarci
su! A questo punto, bisogna riflettere sulla questione in modo pi approfondito.
14. utile a questo punto aprire una
parentesi strutturalistica sul metodo del buon vecchio Marx. Nei modi di
produzione precapitalistici, ed in particolare in quelli che abbastanza
correttamente lo studioso egiziano Samir Amin chiama modi di produzione
tributari, in cui il prelevamento prevalentemente militare del tributo esterno alla produzione comunitaria del plusprodotto
sociale da prelevare, produzione le cui tecniche produttive sono ancora in
massima parte interne alla comunit dei produttori stessi, gli elementi
ideologici della sottomissione gerarchica legittimata dalla religione e dal suo
clero sono ancora presenti, anche se a mio avviso essi sono sempre stati troppo
sopravvalutati, in quanto sempre la
spada, e non laspersorio, ad avere lultima parola. La sopravvalutazione
dell'imbonimento religioso della sottomissione voluta da Dio, senza il quale i
sistemi precapitalistici non avrebbero funzionato, mi sembra unesagerazione del
ceto degli intellettuali, che per aumentare il proprio 61 CAPITOLO PRIMO ruolo
laico contestativo si sono sempre anche immaginati un ruolo dei preti pi
importante di quello che era in realt. Un bell'impalamento di contadini ribelli
seguito da un generalizzato stupro delle loro mogli, figlie e sorelle sempre stato a mio avviso molto pi importante
per la legittimazione sociale dellavallo pretesco agli ordini sociali. Ed
infatti oggi, mentre gli alleati subalterni ed impotenti dell'impero americano
inviano le loro truppe in missione di pace fingendo che il loro compito
principale sia quello di dare caramelle ai bambini o al massimo di riparare le
tubature degli acquedotti distrutti alcuni giorni prima dai bombardamenti
umanitari, i soldati dell'impero americano in prima persona, che sanno
benissimo che solo il terrore funziona veramente (it really works), fanno
filtrare le foto delle torture di Abu Ghraib e di Guantanamo in modo che i ribelli,
battezzati terroristi, sappiano bene che cosa gli aspetta se continuano a
rompere le palle agli interessi delle multinazionali. La funzione dei
preti ridotta al minimo, praticamente
soltanto a celebrare i funerali dei soldati imperiali morti per la pace e
contro il terrorismo. Si dir che questo
tipico solo del capitalismo. Non
vero. Era gi cos anche nel buon vecchio feudalesimo, che si fondava non
tanto sulla lettura manipolata dei Vangeli, quanto sul sano terrore delle 48
ore di libero saccheggio concesse abitualmente quando le truppe irrompevano
dentro le mura. Quando il 29 maggio 1453 Costantinopoli fu presa dai turchi
ottomani il vincitore, Maometto II fatih, il conquistatore, dovette limitare il
saccheggio a sole 24 ore, perch in un solo giorno i turchi baffuti stuprarono
tutte le donne disponibili, sgozzarono tutti i vecchi e soprattutto
scalpellarono tutte le pietre ed i mosaici di valore. Eh . no, cari amici, la
violenza militare, allora ed oggi, era il vero fattore di controllo sociale,
non il monopolio della religione! Detto questo, e piegato opportunamente il
bastone dalla parte giusta, ammetto che anche l'ideologia religiosa aveva una
certa (sia pure limitata) importanza nelle formazioni sociali tributarie. Non
si spiegherebbe altrimenti il fatto che gli eretici fossero generalmente
bruciati vivi, impalati, messi su di una graticola, eccetera, e questo da parte
di cleri organizzati che qualche secolo dopo si indignano virtuosamente della
repressione dei comunisti. Se qualcuno viene impalato, un sano atteggiamento
materialista, attento cio alla materia fornita da carne, sangue, membri
tagliati (leggete il martirio delleretico Dolcino nella buona citt piemontese
di Vercelli, e vedrete che gli hanno tagliato l'uccello - con rispetto parlando prima di bruciarlo sul rogo), eccetera, ci fa
concludere che questi poveracci erano socialmente pi pericolosi del
sottoscritto, le cui osservazioni blasfeme sono ormai socialmente del tutto
innocue, perch annegate nella saturazione editoriale a rapidissima obsolescenza
e nel silenziamento cui sono condannati i piccoli editori politicamente
scorretti. 62 Miaterialismo e religione Ammetto dunque volentieri il
(limitatissimo) ruolo della religione come ideologia della legittimazione
sociale disegualitaria nelle societ precapitalistiche di tipo tributario. Ma il
fatto che Voltaire, che certo conosceva i suoi polli, potesse gi nel lontano
1762 censurare la parte sociale comunistica del Testamento di Meslier ed
evidenziare invece la parte atea ed anticlericale significa, almeno secondo la
mia chiave di lettura, che la prima parte poteva essere forse in qualche modo
pericolosa, mentre la seconda non lo era per niente, perch l'ordine costituito,
che in un altro saggio di questa trilogia ho definito tardosignorile e protoborghese,
non si reggeva affatto sulla religione, ma su ben altro. E su cosa si reggesse,
lo discuteremo brevemente nel prossimo paragrafo. 15. L'ordine tardosignorile e
protoborghese, matrice e prima forma storica della societ capitalistica, si
basava gi su strutture fortemente laicizzate, in cui precedenti contenuti
religiosi erano gi stati ampiamente trasformati. Pensiamo allilluminismo
moderato francese alla Voltaire, all'ideologia inglese dellempirismo e
dellindividualismo possessivo, ed allo stesso esangue antigesuitismo politico
nei paesi cattolici (Portogallo, Francia, eccetera). Certo, ancora negli anni
Cinquanta del Novecento per entrare alla Fiat di Torino ci voleva la
raccomandazione del parroco, ma questo di per s non voleva dire che il legame
sociale capitalistico italiano del boom economico si basasse su di un
fondamento religioso, quanto sul fatto che le forme ideologiche della classe
contadina recentemente urbanizzata erano pi adattabili alla disciplina di
fabbrica di quanto lo fossero quelle della vecchia classe operaia urbana
socialista. Il capitalismo, infatti, tende per sua natura a privatizzare la
pratica religiosa, non ad utilizzarla come ideologia comunitaria di
legittimazione politica e sociale. In condizioni normale di riproduzione, il
capitalismo neutralizza ogni tipo di contestazione strategica al suo
funzionamento con due tecniche ampiamente collaudate, leconomicizzazione del
conflitto con conseguente integrazione consumistica dei salariati, e la
nazionalizzazione delle masse con conseguente formazione di comunit aggressive,
sciovinistiche e (quando il caso) anche
razzistiche. Come si vede, la religione qui non gioca praticamente alcun ruolo,
ed in questo senso il furfante incipriato Voltaire aveva visto giusto quando
aveva scelto di censurare la parte comunista del Testamento di Meslier, e di
evidenziare soltanto la parte atea ed anticlericale. 16. Pu essere interessante
verificare se e fino a che punto il modello strutturalistico originale di Marx
nell'analisi della riproduzione capitalistica di tipo sistemico (e non solo
congiunturale) abbia tenuto in conto il fattore 63 CAPITOLO PRIMO religioso
nella costituzione delle strutture ideologiche di questa riproduzione. Se
facciamo questa verifica (che generalmente nessuno fa) ci accorgiamo
agevolmente che il fattore religioso, inteso sia in senso positivo (credenza e
fede) sia in senso negativo (scetticismo ed ateismo), non gioca praticamente
alcun ruolo. E allora, come stanno veramente le cose? Cerchiamo di vedere
brevemente come stanno. Non intendo negare che Marx fosse ateo, oppure
addirittura, come stato sostenuto dallo
studioso italiano Luciano Parinetto, che il suo ateismo fosse una leggenda.
Marx era certamente ateo, e se vogliamo porre la questione in modo scherzoso
(ma non troppo) quando era sobrio e pensante era ateo alla Feuerbach e quando
era leggermente brillo (e lo era spesso) lo era alla dHolbach, e cio
sacramentando contro i preti. Ma il punto di vista sulla religione e
sullinesistenza di Dio di un esule tedesco a Londra con la barba brizzolata che
parlava inglese con forte accento straniero non ha alcuna importanza per la
questione strutturalistica che ci interessa, e cio quella dell'eventuale legame
organico fra religione e capitalismo. A mio avviso non ce n' praticamente quasi
nessuno. Il capitalismo si riproduce ideologicamente non con l'avallo
trascendentale di una divinit che legittima la disuguaglianza dei ceti o delle
caste, ma come ho appena sostenuto con il possesso esclusivo della tecnologia
produttiva, con leconomicizzazione del conflitto salariale e distributivo, con
il consumismo e la sua relativa integrazione, con la nazionalizzazione
imperialistica delle masse (che avviene oggi con lagitare la minaccia del
terrorismo fondamentalistico islamico), eccetera. Esiste per anche una corrente
filosofica marxista che sostiene invece che c un nesso organico fra religione e
capitalismo, e dunque anche la critica alla religione preliminare e consustanziale alla critica
dell'economia politica. Il cosiddetto feticismo della merce, infatti, sarebbe
solo una duplicazione laicizzata del feticismo della divinit, per cui solo
distruggendo lidea che esistano potenze in qualche modo ipostatizzate, e cio
separate dal mondo reale ed erette in potenze soprannaturali eterne (in questo
caso l'eternit di Dio), si potrebbe poi distruggere anche lidea che ci siano
potenze terrene altrettanto indistruttibili ed eterne (in questo caso, la forma
di merce dell'economia capitalistica con conseguente eternizzazione della
propriet privata e dello sfruttamento). Ho personalmente coltivato nella mia
giovinezza questi sofisticati giochi filosofici hegelo-marxiani (che poi in
Italia assumevano paradossalmente la forma anti-hegeliana della scuola di Della
Volpe e Colletti), ma oggi penso che si tratti
per dirlo in modo sobrio e moderato
di sostanziali sofisticate sciocchezze. Il gioco della distruzione
dialettica delle ipostatizzazioni, infatti, equivale in buona traduzione in
lingua corrente a dire che il 64 . Materialismo e religione capitalismo ha un
fondamento ideologico religioso, e che quindi per smascherare questo carattere
religioso bisogna prendersela con la religiorie in generale, e siccome la
religione in generale non esiste, ma ogni paese ha i suoi pretoni e pretini
variamente vestiti con diversi colori, bisogna prendersela con questi preti, ed
il solo modo politico performativo per potersela prendere con successo con la
religione allearsi con i cosiddetti
laici. Qui la sindrome Tafazzi, e cio la sindrome del personaggio che si
martella i coglioni da solo, raggiunge punte di vera e propria inarrivabile
sublimit. Allearsi infatti con i cosiddetti laici contro i residui illiberali
delle religioni organizzate, che ovviamente non possono fare a meno senza suicidarsi di avere un loro organico punto di vista
sulletica sociale complessiva, magari legittimando filosoficamente questa
alleanza con sofisticati ragionamenti sul nesso fra critica alla religione
(ipostatizzante) e critica all'economia politica (anch'essa ipostatizzante),
significa appunto sostituire Marx con Tafazzi, in quanto la riproduzione
capitalistica non affatto religiosa,
ma laica per sua propria intima essenza.
Come si vede, il fatto che Marx fosse poi personalmente ateo (e non c' alcun
dubbio che lo fosse) non ha nulla a che vedere con il problema materialistico
(e quindi strutturalistico) del ruolo della pratica religiosa nella
riproduzione capitalistica. Esso non
certo eguale a zero (non sono cos estremista da affermarlo, in campo
sociale nulla mai uguale a zero),
ma certamente da prefisso telefonico.
Capirlo significherebbe propiziare un buon riorientamento gestaltico. Ma la
stupidit identitaria anticlericale non lo permetter presto. 17. Il marxismo di
Lenin, che poi storicamente stato alla
base del cosiddetto marxismo-leninismo (codificato e sistematizzato per la
prima volta da Stalin fra il 1924 ed il 1926, quando gi Lenin era morto e
sepolto e non poteva pi metterci il becco),
invece fortemente antireligioso, e propugna un ateismo esplicito e
militante. Il comunista, per Lenin, deve essere ateo, perch se non fosse ateo
non capirebbe che l'umanit autonoma nel
suo progetto di emancipazione e liberazione (matrice Fichte e Feuerbach) e che
inoltre i preti di ogni colore si opporranno sempre alla rivoluzione dei
proletari (matrice d'Holbach). Tutto il comunismo storico novecentesco
recentemente defunto (1917-1991) si
basato sullateismo detto scientifico, nel senso che la scienza moderna
dimostrerebbe in modo infallibile che Dio non esiste, e quindi solo vecchiette
superstiziose e piccoli borghesi spiritualisti possono ancora credere a simili
idiozie. Ora, lidea che la scienza moderna dimostrerebbe che Dio non
esiste una idea positivistica al 100%, e
solo chi confonde la struttura teorica del positivismo con il metodo di Marx (e
cio il 95% dei cosiddetti marxisti, percentuale di cui lo scrivente 65 CAPITOLO
PRIMO non fa parte) pu sostenerla. La dimostrazione della inesistenza di Dio di
tipo positivistico sempre e solo una
forma di tomismo rovesciato (ed il cubo rovesciato resta lo stesso cubo, solo
appunto rovesciato), per cui la vecchia gloriosa prova della Causa Prima senza
la quale il mondo non avrebbe potuto essere messo in movimento e la materia
cosmica non avrebbe potuto essere creata (e allora da dove viene?) viene rovesciata
in Presupposto Autopoietico, per cui non c' bisogno di una causa prima per
spiegare le cose, ma bastano tempo, spazio, materia e movimento per darci la
ragion sufficiente del mondo in cui viviamo. Ma simili discussioni, lungi
dall'essere moderne, si facevano gi al tempo di Democrito e di Platone, in modo
molto pi spiritoso e meno supponente. Il Presupposto Autopoietico della capacit
auto-organizzativa della Materia Eterna
altrettanto religioso della Causa Prima che fa il mondo. Non voglio fare
il pesce in barile. Personalmente, se la mia insignificante persona conta
qualcosa in una discussione filosofica necessariamente impersonale, mi convince
molto di pi il Presupposto Autopoietico di quanto mi convinca (ha smesso di
convincermi a 14 anni, et in cui generalmente si passa o si passava
dalla causa prima al presupposto autopoietico) la Causa Prima. In questo
senso, se proprio vi fa piacere, sono ateo. Ma il termine mi sembra del tutto
vuoto, perch la teoria della Causa Prima staccata dal mondo che lo progetta
come un ingegnere progetta un ponte, del
tutto estranea ad ogni esperienza religiosa propriamente detta (e si vedano su
questo gli stupendi studi di Marco Vannini). L'ateismo di Lenin era
storicamente spiegabile con l'innegabile ruolo svolto dalla chiesa ortodossa
russa per legittimare lassolutismo zarista. In | proposito, il fatto che lateo
militante Lenin autodefinisse il proprio personale marxismo ortodosso,
utilizzando proprio la categoria simbolica che gli era pi odiosa, ce la
racconta lunga non solo sul rimosso di cui parla Freud, ma sulla situazione
politico-culturale del tempo di Lenin, che era assolutamente specifica,
determinata e storicamente congiunturale. Ma poi Lenin prese il potere nel
1917, fond il moderno comunismo nel 1918 (cambio di nome al partito
socialdemocratico, eccetera), e la sua personale e rispettabile concezione
ateo-positivistica divent dogma indiscutibile per il baraccone comunista
recentemente defunto. Lo studioso marxista che cap meglio questo problema fu a
mio avviso lastronomo olandese Anton Pannekoek, autore negli anni trenta di una
magistrale monografia sulla filosofia di Lenin, disponibile anche in lingua
italiana. Pannekoek sostiene che Lenin, muovendosi in una realt sociale ancora
non pienamente capitalistica, adotta inconsapevolmente il modello di
materialismo tipico appunto delle societ non ancora pienamente capitalistiche,
e cio il modello del materialismo francese illuministico (dHolbach, eccetera),
in cui l'attacco ai preti era centrale, perch i preti 66 Materialismo e
religione + appunto giocavano ancora un ruolo essenziale nella legittimazione
sociale. Sebbene personalmente abbia sostenuto nei paragrafi precedenti una
posizione leggermente diversa, per cui gi allora i preti e la religione non
giocavano un ruolo decisivo, devo ammettere che Pannekoek coglie molto bene
l'aspetto pi importante della questione. E l'aspetto pi importante della
questione, che riprender pi dettagliatamente nel terzo ed ultimo capitolo, sta
nel fatto che i comunisti novecenteschi, in questo caso sulla scorta di Lenin,
hanno combattuto la battaglia culturale con la sofisticata borghesia
capitalistica novecentesca con unarmamentario ideologico settecentesco,
anteriore quindi non solo a Hegel, ma addirittura a Marx. Ora, quando si combatte
una battaglia novecentesca con un apparato ideologico settecentesco le
spiegazioni sono due, e soltanto due. La prima spiegazione, tautologica, in
linguaggio kantiano analitica, e quindi insufficiente, che un coglione si comporta necessariamente
da coglione, e che quindi la sua sconfitta
pi che meritata. Si tratta di una spiegazione che respingo. La seconda
spiegazione respinge la teoria della coglioneria, ma deve necessariamente
avanzare l'ipotesi della subalternit strutturale. Se ci si rivolge infatti a
gruppi sociali incurabilmente subalterni, come
il caso della classe operaia, salariata e proletaria (parlo di quella
effettuale, non di quella ideale alla Marx o idealtipica alla Weber), non si pu
che proporre una religione rovesciata, che della religione mantiene il
presupposto dogmatico dellesistenza di un mondo indipendente da noi e non
mediato dalla nostra coscienza. La conclusione filosofica che propongo quindi questa, che so perfettamente
insopportabile ed odiosa alle orecchie pie e politicamente corrette di ci che
resta del marxismo, sia universitario che militante, e cio
settario-identitario: il marxismo non si
affatto sviluppato sulla base di un passaggio benefico dallidealismo al
materialismo (storico, dialettico, eccetera), ma tutto al contrario da un
precedente momento idealistico (ispirazione idealistica unita ad una analisi
strutturalistica impropriamente e
metaforicamente definita materialistica
dei modi di produzione storici e sociali) ad un posteriore momento
positivistico (impropriamente chiamato anch'esso materialistico, nel senso che
solo la Materia Autopoietica esiste e la Causa Prima ed il Disegno Intelligente
sono roba per vecchiette e piccoli borghesi). Su simili basi mi spiace dirlo la Fine era gi parzialmente contenuta nel
Principio. 18. Il primo capitolo qui sarebbe concluso, ma dal momento che nei
prossimi due non vi sar pi l'occasione di tornare in modo sistematico sul
rapporto fra ateismo e religione, credo che possa essere interessante discutere
67 CAPITOLO PRIMO ancora su tre problemi considerati di attualit. Il primo quello del cosiddetto ritorno della Religione
e del Sacro nelle apparentemente laicizzate societ dette post-moderne, il
secondo quello del fenomeno religioso
dei neo-conservatori americani, detti feo-con, ed il terzo il tema del fondamentalismo islamico. Tutti e
tre i temi sembrerebbero smentire le mie precedenti tesi sul nesso dialettico
di ateismo e religione, in quanto al contrario sembrerebbe che siamo di fronte
invece a fenomeni che testimonierebbero la centralit della legittimazione
religiosa delle strutture sociali e politiche contemporanee. Il tema interessante, e non si pu mettere sotto
silenzio. Per questa ragione dedicher i tre paragrafi finali di questo primo
capitolo alla discussione di questi tre distinti problemi. 19. Il cosiddetto
Ritorno del Sacro di cui si parlato e si
parla molto nell'ultimo decennio, in
gran parte una mistificazione mediatica, per il semplice fatto che il
cosiddetto sacro non pu ritornare dopo che se ne era andato, dal momento che il
Sacro propriamente inteso stato, e sar sempre, trattandosi di una componente
antropologica strutturale e permanente della condizione umana, che nessun
presunto disincantamento del mondo potr mai abolire. Il circo mediatico nei
paesi occidentali detti avanzati
culturalmente in stretto rapporto con le lites universitarie dei
professori di scienze economiche e sociali, e pi in generale con gli
intellettuali, termine che non connota assolutamente l'insieme delle persone
che fanno uso del loro intelletto critico per cercare di capire il mondo che
gli sta intorno, ma indica invece un ceto separato, come i bramini indiani, la
cui esistenza socialmente riconosciuta passa appunto attraverso il riconoscimento
da parte delle classi al potere, che nell'attuale capitalismo postborghese e
postproletario sono le oligarchie finanziarie. Questo ceto completamente autoreferenziale. Se la
maggioranza dei suoi membri smette di credere in Dio, dice che Dio morto, o almeno che non esiste. Se la
maggioranza dei suoi membri non pi
interessata alla giustizia ed alla uguaglianza sociale, dice che l'utopia
comunista si trasformata in terrore
politico, e che la grande narrazione della modernit si conclusa nel definitivo disincanto della
postmodernit. Eccetera, eccetera. Trenta anni fa tutto era sociale, Ges era un
comunista, i western all'italiana stavano con i peones contro i proprietari
terrieri, persino la scienza era di classe, ed erano classiste non solo la
letteratura e la filosofia, ma anche l'astronomia e la geometria. Vent'anni fa
tutto era femminile e femminista, la spaccatura del mondo era fra uomini e
donne, la differenza dei sessi era ontologica e radicale, e nel frattempo
piccoli gruppi di donne in carriera imponevano le 68 Miaterialismo e religione
quote rosa ed i dipartimenti di women studies. Dieci anni fa lutto era
multiculturale, non esistevano pi nazioni, stati, classi sociali, eccetera, ma
solo un gioioso melting pot di multicolori bambini Benetton che danzavano
felici. Eppure il sociale, il femminile ed il multiculturale di per s non solo
ci sono sempre stati, ma anche continuano ad esserci come e pi di prima anche
quando, e soprattutto quando, i gruppi autoreferenziali, narcisisti c corrotti
dei cosiddetti intellettuali smettono di nominarli e di interessarsene. Lo
stesso capita ovviamente anche nel caso della Religione e del Sacro. In quanto
legittimo bisogno antropologico, che solo la barbarie positivistica pu pensare
possa sparire con un buon corso divulgativo sulla formazione dell'universo fra
big bang e steady state (grande esplosione iniziale oppure stato stazionario),
il Sacro non pu tornare, perch c' sempre stato.
invece vero, e sarebbe sciocco non cercare in qualche modo di capirlo,
che le religioni organizzate tradizionali che conosciamo sono effettivamente in
crisi (ma lo sono da almeno due secoli circa, non proprio una novit). Oggi le religioni
organizzate (ad esempio il cattolicesimo italiano) sono ridotte a comunit
elettive strutturalmente minoritarie, in quanto organizzano sempre e solo una
minoranza di appartenenti alla societ. Certo, la stragrande maggioranza
continua a passare attraverso cerimonie religiose formali nei cosiddetti riti
di passaggio (battesimo, comunione, matrimoni religiosi), ma questo avviene pi
per conformismo sociale che per vera e propria appartenenza comunitaria. E la
ragione per cui le religioni organizzate, che solo uno 0 due secoli fa
organizzavano quasi lintera societ, organizzano solo oramai minoranze elettive,
che cio scelgono la propria professione di fede esplicita, sta fondamentalmente
in ci, che proprio la forma comunitaria
della vita che venuta meno, in quanto la
logica del dominio capitalistico della merce
quella della individualizzazione estrema del consumatore. Ritenere che
le comunit elettive minoritarie dei praticanti religiosi siano pi reazionarie
della folla laica dei senzadio ordinari
una idiozia laica che solo appunto una categoria ignorante e supponente
come quella degli intellettuali pu pensare. Quanto dico, ovviamente, non
implica che chi scrive faccia poi personalmente parte di questa comunit
elettiva minoritaria. Ed infatti non ne faccio parte, ma solo perch casualmente
il mio Dio quello di Spinoza e non
quello di Ratzinger. Ma questo fatto casuale non deve portarmi a sposare l'insopportabile
supponenza degli intellettuali laici, che ogni volta che vedono la folla in
Piazza San Pietro si stupiscono e parlano allora di ritorno del Sacro. Eh no,
purtroppo oggi il senso del Sacro
provvisoriamente molto minoritario, ma non detto che sar cos per sempre. 69 CAPITOLO
PRIMO 20. un fatto largamente noto che
negli USA esiste una adesione di massa alla religione pi alta che in Europa, la
professione di ateismo malvista in quasi
tutti i gruppi sociali, il presidente Bush junior un credente rinato, e che esiste una robusta
corrente intellettuale chiamata dei feo-con, cio dei conservatori religiosi.
Questa massoneria di dubbie origini (fra cui c' anche una lontana origine
trotzkista evoluta in apologia della rivoluzione permanente capitalistica avventure della dialettica, direbbe Merleau-
Ponty), ha attualmente la direzione ideologica complessiva delle guerre
imperiali americane, che nell'ultimo decennio hanno distrutto non soltanto
l'Onu, ma l'intero diritto internazionale fra Stati. A questa massoneria
anglosassone aderisce ideologicamente anche una variopinta armata cosmopolitica
di nichilisti senzadio, come Oriana Fallaci e Giuliano Ferrara, gente che solo
pochi anni fa quando sentiva parlare di Dio portava la mano alla pistola. Questo
fenomeno non ha nulla a che fare, ma proprio nulla, con il Ritorno o la
Permanenza del Sacro. Si tratta di una idolatria vera e propria, o pi
esattamente di un culto imperiale americano, come era diventato il culto mazdeo
al tempo degli ultimi imperatori sassanidi di Persia. Il culto imperiale
americano una sorta di deismo del
dollaro, o di deismo dollarizzato, che non ha nulla a che fare con lesperienza
religiosa e con il Senso del Sacro. Anche al tempo dell'impero romano esisteva
una religione ufficiale romana cui non si chiedeva di credere, ma soltanto di
sacrificare, ed infatti i cristiani non erano perseguitati perch non ci
credevano, ma semplicemente perch non acconsentivano ad un rito formale di
sottomissione politica e militare. Il culto imperiale americano non crede in
Dio, e neppure in Ges Cristo, considerato uno smidollato pacifista
medio-orientale (cosa che in effetti parzialmente era), ma crede solo negli
UsA, o pi esattamente nella missione divina degli Usa nel mondo. In questo
senso un culto messianico, in quanto
crede in una ben precisa missione che ha un suo Messia, il popolo americano
appunto, ed un culto apocalittico, perch
minaccia continuamente la distruzione atomica del mondo se il mondo intero non
si sottometter prima 0 poi al suo dominio incontrollato. La massoneria teo-con
(peraltro congiunturale prima o poi i
Democratici liberal rivinceranno le elezioni, senza peraltro che cambi nulla
nel dominio militare americano nel mondo, che
una costante bipartisan), il culto imperiale americano, il deismo del
dollaro e l'idolatria messianica ed apocalittica non sono un fenomeno religioso
in senso proprio. Non sono neppure un fenomeno biblico, anche se per questo
libro, l'Antico Testamento, ricavato copiando miti sumerici precedenti fatti
passare per invenzione originale ebraica, non ho personalmente alcuna simpatia,
bastandomi ed avanzandomi la tradizione 70 Materialismo e religione filosofica
classica. La Bibbia, infatti, piaccia o meno,
comunque meglio di questo culto imperiale idolatrico. 21. Il
fondamentalista saudita Bin Laden ha abbattuto le Torri Gemelle di New York 111
settembre 2001, ma questo abbattimento non
un fenomeno propriamente religioso. Certo, la disponibilit al sacrificio
del suicidio da parte dei dirottatori
parzialmente anche un fenomeno religioso, e sarebbe sciocco negarlo, dal
momento che oggi le convinzioni laiche di tipo liberale o comunista non
potrebbero mai convincere nessuno a rinunciare alla propria vita fisica per una
causa politica generale. Questo per
dovuto ad una peculiare dialettica involutiva della cultura laica
occidentale, per cui la distruzione del senso ultimo di tutte le cause
universali, distruzione dovuta a cinquant'anni di corrosione scettico-dialettica,
ha portato ad una situazione in cui lultimo valore rimasto il corpo fisico in quanto tale. Il fatto che
l'Islam {ma non solo) sia meno secolarizzato comporta che in questa cultura il
corpo in s non lultimo valore intangibile
possibile, ma ancora il possibile mezzo
per un sacrificio spirituale. Questo, per, non c'entra direttamente con la
religione in s. | Oggi l'impero americano ed i suoi mercenari possono fare a
meno di sacrificare direttamente i corpi non perch siano pi civili, ma
semplicemente perch dispongono di maggiori macchinari distruttivi. Questa, ad
esempio, la situazione asimmetrica
delloppressione sionista nei confronti delloppresso palestinese. Ma l'Occidente
dovrebbe vergognarsi di questa situazione asimmetrica, e non vantarsi di una
sua (inesistente) maggiore civilt. E perch questo avviene? semplice. Perch non c pi religione. 71
CAPITOLO SECONDO MATERIALISMO E FILOSOFIA | LA RISCRITTURA DELLA STORIA DELLA
FILOSOFIA OCCIDENTRALE E LA DEDUZIONE STORICO-MATERIALISTICA DELLE CATEGORIE
FILOSOFICHE E IDEOLOGICHE NELLA LORO DISTINZIONE QUALITATIVA 1. Dopo il primo
significato, discusso nel capitolo precedente (materialismo come ateismo),
discuter ora in questo secondo capitolo un secondo significato di materialismo,
quello di materialismo come strutturalismo. Se nel primo caso la materia era
solo una metafora per indicare l'inesistenza di Dio, in questo secondo
caso una metafora per indicare la
presenza dominante di una struttura, da cui bisogna partire per dedurre in un
secondo momento tutte le produzioni ideali delluomo, o pi esattamente delluomo
in societ, ed ancora pi esattamente delluomo in societ visto in una prospettiva
storico-evolutiva. allora indispensabile
fare alcune considerazioni preliminari sul termine struttura. 2. Il termine
struttura, desunto dallarchitettura,
usato per la prima volta da Cicerone per indicare una successione
ordinata di pensieri. Questo significato
tuttora largamente in uso, perch si parla ancora oggi di pensiero ben
strutturato, nel senso di catena di argomenti posti in una successione coerente
e potenzialmente convincente. Il fatto che il pensiero venga assimilato ad una
casa, e quindi ad una costruzione, non
affatto casuale, ma indica a mio avviso il carattere costruttivistico di
ogni possibile razionalit, persino di quella che apparentemente soltanto intuitiva ed immediata, e non sembra
a prima vista costruita. Le intuizioni, infatti, sono in ogni caso i fondamenti
di una successiva costruzione, che senza questo primo momento necessariamente
olistico non potrebbe neppure essere intrapresa. Per questa ragione i nemici
della dialettica, liquidata come tentativo di pensare olisticamente la totalit,
mi sono sempre sembrati un po' sciocchi, dal momento che persino i loro
tentativi di liquidare il concetto di totalit dialettica presuppongono un
momento intuitivo precedente, anch'esso ovviamente olistico. Ma torniamo alla
struttura. Nella sua accezione di relazione fra due o pi componenti in funzione
della formazione di un tutto, il concetto di 73 CAPITOLO SECONDO struttura
appartiene gi al lessico filosofico greco. L'antichista britannico Hussey ha
proposto di tradurre la parola armonie, tratta da un frammento di Eraclito,
come struttura. Non conosco il contesto e gli argomenti con cui Hussey ha
sostenuto questa tesi, ma ad occhio e croce penso di non essere d'accordo, in
quanto nel lessico filosofico contemporaneo il termine struttura (da cui
strutturalismo, eccetera) . spesso contrapposto polemicamente al termine
dialettica (vedi i dibattiti tardonovecenteschi su questo punto, in particolare
all'interno del marxismo francese), mentre in Eraclito abbiamo invece semmai
una fusione organica fra momento strutturale e momento dialettico. In ogni
caso, gi in Eraclito abbiamo lidea della ricerca delle relazioni nascoste che
articolano lo scandirsi dei singoli eventi del cosmo naturale e sociale, eventi
che sembrano a prima vista indipendenti e scollegati, ma che si rivelano in un
secondo momento organicamente interconnessi. A questo punto, se lo svelamento
delle relazioni nascoste il punto di
vista che Eraclito intende esprimere con il termine armonie, meglio tradurre il
termine struttura semplicemente con verit (aletheia). Il termine greco verit,
che nella tradizione filosofica occidentale successiva ha assunto
prevalentemente i significati di corrispondenza (fra termini ed eventi esterni)
e di coerenza (fra proposizioni), in greco significa invece non-nascondimento,
e pi esattamente svelamento di ci che appare a prima vista nascosto. In questa
sede non mi interessa il fatto che Heidegger sia partito da questa indiscutibile
etimologia per intraprendere la sua critica demolitrice della tradizione
metafisica occidentale (sebbene ovviamente questo fatto sia interessantissimo
anche per il nostro tema), quanto il fatto che nel nesso originario fra
struttura e nascondimento ci sta etimologicamente il compito di ogni
strutturalismo, e cio il disvelamento di ci che non appare in superficie,
ed quindi nascosto. Trascurando qui i
numerosissimi significati di struttura, dalla biochimica alla scienza dei
materiali, mi limito a segnalare i due significati principali di struttura nel
dibattito filosofico contemporaneo, quello risalente a Claude Levy-Strauss e
quello risalente a Karl Marx. Entrambi i significati sono ovviamente
materialistici al cento per cento. Qui, per, mi limiter a discutere il termine
nel significato della teoria dei modi di produzione di Marx. Sebbene questa
teoria sia notissima, ne formuler ancora una volta un telegrafico compendio per
comodit del lettore non specialista in questioni marxiane e marxiste. 3. Il concetto
centrale dello strutturalismo di Marx (erroneamente connotato come
materialismo) quello di modo di
produzione. Il modo di produzione un
concetto olistico, in cui (parafrasando Hegel e Adorno) 74 Materialismo e
filosofia il Vero il Tutto, ed il
Tutto determinato dalla combinazione fra
dialettica e struttura del modo di produzione stesso. Colgo l'occasione per
dire che non si tratta affatto di un concetto perfetto (non esistono concetti
perfetti, tutti i concetti sono storici). Questo concetto presenta caratteri
economicistici, storicistici e riduzionistici innegabili, che non sono solo
fraintendimenti successivi di una originaria perfezione, ma derivano dalla
natura del concetto stesso. Nello stesso tempo, non sono a conoscenza di un
metodo migliore di quello di Marx (se qualcuno lo conosce, mi avverta e gliene
sar grato), in quanto sullattuale mercato delle idee tutti i suoi presunti
superatori usano apparati concettuali peggiori, non importa se questi apparati
siano stati escogitati e proposti storicamente prima o dopo lo stesso Marx. In
ogni caso, tornando al modo di produzione,
evidente che questo stesso concetto non
originario (e come potrebbe esserlo?), ma rimanda al precedente concetto
di Storia, e pi esattamente di storia universale cosmopolitica pensata come
unico concetto trascendentale riflessivo (Koselleck). E dal momento che la
storia universale cosmopolitica pensata come unico concetto trascendentale
riflessivo nata come prodotto ideologico
borghese, e borghese che pi borghese non si pu, ne consegue che la stessa
nozione marxiana di modo di produzione
un esempio da manuale di tutto ci che vogliamo sostenere in questo
capitolo e pi in generale nella trilogia di cui questo libro solo una parte, e cio che una nozione ha una
genesi di tipo ideologico, perch deve servire a legittimare teoricamente
interessi economici e sociali, in questo caso borghesi, ma nello stesso tempo
produce una specifica eccedenza filosofica universalistica che ha una validit
veritativa, perch vero che si pone il problema
di una unificazione etica del genere umano, una volta che abbiamo accertato che
si messa in moto una dinamica di
globalizzazione. La nozione di modo di produzione, quindi, un sottoprodotto (o se volgiamo un danno collaterale per i borghesi, come
luranio impoverito lo per i popoli dei
Balcani e per i soldati Nato che li hanno massacrati) del concetto di storia
universale cosmopolitica come concetto trascendentale riflessivo geneticamente
elaborato per servire contingenti interessi borghesi, ma poi trasfigurato nella
sua eccedenza filosofica in verit possibile per una umanit riconciliata con s
stessa. La sua origine borghese quindi
indiscutibile, e non pu farci nulla il gracchiare epistemologico dei marxisti
puri che lo vorrebbero scientifico al cento per cento. Questa nozione unitaria
di modo di produzione, tuttavia, si determina e si specifica soltanto
attraverso tre sue determinazioni dialettiche, e cio interattive, che sono le
forze produttive sociali, i rapporti sociali di produzione ed infine le
ideologie, o pi esattamente le formazioni ideologiche di consenso e/o di
contestazione. 75 CAPITOLO SECONDO Fra queste tre determinazioni dialettiche
interattive, poi, quella che dominante e
primaria a mio avviso la seconda, quella
dei rapporti sociali di produzione, laddove invece sia le forze produttive che
le ideologie sono derivate e secondarie. Ma qui entriamo gi nel dettaglio delle
scuole marxiste, di cui parler nel terzo ed ultimo capitolo, laddove per ora
non bisogna allontanarsi dal problema che ci interessa, e cio dal problema del
nesso fra produzione ideologica che deve essere in qualche modo dedotta dai
sottostanti rapporti di produzione ed eccedenza filosofica veritativa che ne
risulta. 4. questo il tema della
deduzione sociale delle categorie, che si contrappone al semplice tema della
deduzione trascendentale proposto da Kant e dalla posteriore tradizione
neokantiana. Gi implicito nel programma teorico di Marx ed Engels, e poi
sviluppato per la prima volta in modo sistematico nel 1900 da Georg Simmel
nella sua stupenda ed illuminante Filosofia del denaro (il primo grande
classico inconsapevolmente marxista del Novecento, che si mangia in insalata
tutti gli illeggibili zibaldoni economicisti alla Kautsky, Luxemburg, e via
enumerando), questo tema viene per la prima volta focalizzato negli anni Venti
e Trenta del Novecento da Alfred Sohn- Rethel. Con questo, tuttavia, non
intendo affatto avallare tutte le impropriet e le stupidaggini che possono
essere state dette (e che io stesso posso dire) in base a questo metodo. Il
metodo della genesi ideologica delle categorie e della loro successiva
eccedenza filosofica veritativa infatti
un metodo, che si pu usare bene oppure male. A mio avviso, resta lunico significato
serio e possibile del termine materialismo. Nello stesso tempo, non bisogna
ubriacarsi con questo metodo, e far qui un solo esempio per chiarire quanto
intendo dire. 5. Mi capitato di leggere
a suo tempo una spiegazione genetica complessiva della filosofia di Leibniz che
riassumer pi o meno cos. Leibniz avrebbe espresso per la prima volta in
rarefatta forma filosofica la nuova realt dellindividualismo borghese e del
funzionamento automatico del mercato capitalistico e della sua correlata mano
invisibile. In questa ottica la sua monade sarebbe stata la proiezione
metafisica del nuovo individuo isolato ed autosufficiente borghese, ad un tempo
materiale e spirituale, mentre la sua armonia prestabilita sarebbe stata
appunto la nuova armonia sociale prodotta dai meccanismi automatici del mercato
capitalistico, eccetera, eccetera. i Questa spiegazione genetica mi sembra
impropria, e per dirla tutta mi sembra una sciocchezza. In primo luogo,
Leibniz pienamente interno alla
problematica seicentesca della Sostanza, il cui abbandono da parte di Locke 76
Materialismo e filosofia semmai
funzionale al passaggio dal mondo della propriet fondiaria di tipo comunitario
al mondo della produzione industriale e della ricchezza di tipo commerciale e
finanziario. In secondo luogo, Leibniz
interessato ad una teologia conciliativa fatta apposta per unire
cattolici e protestanti, e vive circa un secolo prima del vero e proprio
sviluppo capitalistico, per cui la retrodatazione proposta da questa
interpretazione mi sembra del tutto fantasmatica ed infondata. Nello stesso
tempo preferisco correre il rischio di dire sciocchezze e di proporre deduzioni
sociali del tutto infondate piuttosto che rimuovere il problema squisitamente
materialistico della deduzione sociale delle categorie. Come ho gi ampiamente
ricordato sulla base della auctoritas di Rousseau, meglio enunciare un paradosso che ripetere un
pregiudizio. E questo vale soprattutto per il nostro tema. In proposito,
discuter brevemente nell'ordine il tema della deduzione genetica di alcune
categorie ideologiche e filosofiche, e cio nell'ordine il tema del nesso fra
Occidente e Libert, passando poi ai termini filosofici classici di Essere,
Natura, Sostanza e Scienza. 6. Non esiste e non pu esistere la Prima Ideologia,
l'Ideologia Matrice, quella da cui tutte le altre sono poi derivate come
l'umanit deriva da Adamo e da Eva. Se per prendiamo sul serio il mito
originariamente sumerico e poi copiato dagli estensori ebrei del primo libro
dell Antico Testamento, e cio quello della cacciata dal Paradiso Terrestre a causa
del peccato femminile della curiosit di Eva, dall'avere staccato cio la Mela
della Conoscenza del Bene e del Male dallalbero della Sapienza, ne possiamo
ricavare alcune libere interpretazioni. L'innocenza primitiva, infatti,
consisteva nella pratica spontanea, immediata ed irriflessa del Bene, in questo
caso del bene come semplice riproduzione della vita sulla terra (il paradiso
terrestre, cio il giardino non ancora coltivato e privo anche degli animali da
caccia e da allevamento). Questa pratica immediata ed irriflessa del Bene, e
cio in linguaggio moderno della cosa giusta da fare, peraltro presente anche nella saggezza dei
filosofi cinesi, soprattutto taoisti, che certamente non devono avere avuto
rapporti diretti o indiretti con le civilt antiche mesopotamiche, e da questa
significativa coincidenza potremo allora trarre una conclusione
strutturalistica, per cui evidentemente larchetipo (uso qui il termine dello
psicanalista Jung) della Imnocenza Primitiva deve in qualche modo aver
rispecchiato un fatto reale, e cio la raffigurazione dello stato di Innocenza
come di qualcosa che precede la divisione antagonistica delle classi sociali.
La teoria quantitativa del valore di Marx sar anche errata, almeno nella forma
calcolistica che ha assunto nella storia del marxismo, ma l'ipotesi
dell'Archetipo dell'Innocenza resta plausibile, ed un'ipotesi che solo il metodo inaugurato da
Marx rende accessibile. 77 CAPITOLO SECONDO Mordendo la mela, nasce la
consapevolezza della contraddizione dialettica fra Bene e Male. L'Origine e la
Fine di ogni grande narrazione sono necessariamente i luoghi dellinesistenza
della dialettica. Ma una volta che la scissione si compiuta, la dialettica regna sovrana. Da
essa nasce allora l'ideologia, che
semplicemente la sistematizzazione coerente delle costellazioni
simboliche del Bene e del Male, sistematizzazione messa al servizio di
interessi sociali sorti sulla base della divisione sociale del lavoro. Questi
interessi sociali confliggono fra di loro, ed il loro conflitto produce quelleccedenza
razionale universalistica che lo spazio
della filosofia. La filosofia, cos come larte, la religione e la stessa
scienza, nasce geneticamente in un contesto necessariamente classista, ma nello
stesso tempo non classista per sua
natura, come invece ha sostenuto scioccamente in modo suicida per pi di un
secolo la tradizione marxista. Ma su questo ovviamente ritorner pi avanti.
Se del tutto inutile andare alla ricerca
della Prima Ideologia, quella che ha poi dato vita a tutte le altre
successive, invece possibile stabilire
con uninevitabile grado di convenzionalit una delle prime ideologie della
nostra cultura. Si tratta del rapporto fra Occidente e Libert, o meglio dell'Occidente
come terra eletta della libert, e l'origine di questa ideologia pu essere
cercata nelle Storie di Erodoto. In proposito, alcune rapide osservazioni
possono essere di qualche utilit. Erodoto si muove in un cerchio magico segnato
da una certa inconsapevole schizofrenia. Nei primi libri delle sue storie
descrive i popoli che fanno parte dell'impero persiano, e non pu fare a meno di
riportare il fatto che il dominio persiano stesso estremamente liberale (uso impropriamente un
termine moderno impensabile a quei tempi) e rispettoso delle differenze
linguistiche, culturali e religiose. Negli ultimi libri invece, dedicati alle
guerre vittoriose dei greci contro i persiani, egli solleva la bandiera
dell'Occidente contro l'Oriente, e cio della libert greca contro il dispotismo
del Re dei Re di Ecbatana, Susa e Persepoli. La superiorit del cosiddetto
occidentalismo nasce allora in un certo senso con Erodoto. Ed curioso, se pensiamo che la civilt greca era
una civilt schiavistica (anche se al
tempo di Erodoto - si trattava di uno schiavismo ancora sottomesso alla logica
riproduttiva del modo di produzione dei piccoli proprietari indipendenti),
mentre la stragrande maggioranza dei popoli del mondo persiano non conosceva e
praticava lo schiavismo, ma varie forme non schiavistiche di dispotismo
comunitario. Lo stesso Erodoto va in Egitto, sale sulle piramidi, parla con i
sacerdoti, e poi d per scontato che le piramidi siano state costruite da
schiavi, cosa che tutti gli egittologi oggi sanno non essere assolutamente
vera. Ebbene, nella proiezione indebita della produzione schiavistica su sistemi
sociali che 78 Materialismo e filosofia schiavisti non erano per nulla,
accompagnata dalla pretesa di una complessiva superiorit culturale dello
schiavismo stesso, sta quello che chiamo occidentalismo. Esso non cambiato da allora. Semplicemente oggi si
tratta della replicazione dello stesso meccanismo, e cio della proiezione
indebita della produzione capitalistica su altri sistemi sociali, accompagnata
dalla pretesa di una complessiva superiorit culturale del capitalismo stesso.
Ci torner sopra pi avanti. Per ora basti aver capito la logica (logica
ideologica) di questa proiezione indebita, ingenua al tempo di Erodoto,
sofisticata e perci anche pi odiosa e ripugnante oggi. 7.Il concetto di
Essere un concetto fondante della
tradizione filosofica occidentale. Esso indica un'idea di Permanenza, che
non di per s incompatibile con la
concezione correlata e complementare di Mutamento dialettico, ma pone comunque
lidea di Permanenza come primaria. Ora, lidea di Permanenza in qualche modo
rispecchia lesperienza quotidiana, che constata come lacqua permanga sia che
sia calda sia che sia fredda, e + l'essere umano permanga sia che sia giovane,
adulto o vecchio. Nello stesso tempo anche lidea di Mutamento rispecchia
lesperienza quotidiana, che constata come lacqua possa trasformarsi in ghiaccio
o in vapore, il vivo si trasformi in morto, eccetera. In sintesi, il fatto
della permanenza e del mutamento deriva integralmente dall'esperienza
quotidiana, e gli empiristi alla Locke ne hanno tratto la logica conclusione
per cui le rispettive idee di permanenza e di mutamento hanno anch'esse una
base empirica fondante. L'idea generale di Permanenza e di Mutamento non per un contenuto di coscienza di tipo
empiristico-lockiano, ma una
trasposizione metafisica assolutamente ideale che sostantivizza sia la
Permanenza che il Mutamento. Dal momento che la tradizione greca da Parmenide
in poi ha fatto esattamente questo, e ha trasformato lEssere e il Divenire da
semplice trasposizione astratta di un contenuto di coscienza ricavato
dall'esperienza quotidiana in vero e proprio Principio Ideale, come ben noto per chi conosce la storia della
filosofia, se ne possono ricavare due conseguenze. La prima conseguenza, che
definir ad un tempo supponente ed idiota,
che i nostri progenitori hanno commesso un ridicolo errore, quello di
scambiare una copula (la terza persona del verbo essere connessa organicamente
ad una aggettivazione) per una sostanza, e dobbiamo arrivare allora noi, muniti
della saggezza di Carnap, Wittgenstein e dei filosofi analitici anglosassoni a
mettere a posto le cose, con la scoperta che tutta la filosofia non altro che una irrilevante attivit di
musicisti privi di talento musicale (questo
il punto di vista dell'idiota Carnap). Peccato che Parmenide, prima di
scrivere il suo folle poema, non sia passato a chiedere chiarimenti a Cambridge
o a Oxford. Se fosse passato a Oxbridge gli 79 CAPITOLO SECONDO avrebbero
certamente detto di non confondere la copula con la sostanza, e la civilt
occidentale si sarebbe evitata 2.000 anni di filosofia, che come noto
quella cosa con la quale e senza la quale si rimane tali e quali. -
Questa volgare idiozia, tuttavia, deve anchessa essere spiegata materialisticamente,
perch la nascita di un idiota puramente
contingente e non deve di per s essere dedotta (ad un certo professor Krug che
gli chiese di dedurgli la sua penna, Hegel rispose che lo Spirito aveva cose
ben pi importanti da fare e che lo stesso contingente era in un certo senso
necessario), mentre la generalizzazione ed il successo di un punto di vista
idiota richiede una deduzione sociale e materialistica. Ed essa sta allora in
ci, che il venir meno della necessit ideologica immediata della legittimazione
metafisica di una societ, dovuto al fatto che il capitalismo si legittima da
solo con la performativit economica consumistica, spinge irresistibilmente gli
idioti, che non sono certamente idioti per nulla ma lo sono per una qualche
ragione, a proclamare con supponente sicurezza che allora la metafisica in s frutto di un errore logico che potrebbe
essere immediatamente corretto con un master (a pagamento) in filosofia
analitica, propedeutico ad un master in business administration. La seconda
conseguenza, che cerca di evitare la strada siponn ed idiota del grillo
parlante neopositivista, ci porta invece all'ipotesi per cui se i nostri
progenitori come Parmenide hanno deciso di sostantivizzare l'Essere, qualche
ragione ci deve pur essere stata, e si tratta allora di cercare di capire la
ragione di fondo. La discussione di questo problema richiederebbe un voluminoso
trattato monografico, che impossibile
qui. Mi limiter allora a segnalarne prima tre soluzioni (Emanuele Severino,
Alfred Sohn-Rethel, Massimo Bontempelli), e ad avanzare poi la mia personale
ipotesi. 8. Emanuele Severino un
filosofo italiano che da decenni ripete il suo mantra fondamentale, per cui
l'intera civilt occidentale fondata sul
pi totale Nichilismo, il nichilismo stesso essendo fondato sullerrata credenza
del divenire delle cose. Sarebbe allora necessario non tanto un ritorno ai
Greci o a Platone, ma addirittura a Parmenide e solo a Parmenide, in quanto
solo Parmenide, di cui non disponiamo peraltro neppure di un testo intero (il
suo poema infatti ci giunto solo in
frammenti), avrebbe individuato una volta per tutte la questione fondamentale.
La filosofia greca posteriore, il cristianesimo (con la teoria della creazione
dal nulla, che in questo modo, ammettendo il nulla originario, rende
logicamente plausibile anche il nulla finale), il progressismo marxista (con la
teoria della storicit integrale di tutte le cose - ma qui faccio subito notare
che Severino confonde Hegel e Marx con Benedetto Croce ed il suo storicismo
assoluto) ed infine lo sviluppo 80 Materialismo e filosofia tecnico-economico
capitalistico incontrollato il cui telos largamente inconsapevole, ma non per
questo meno fatale, la distruzione
ecologica del pianeta, sono tutte e quattro manifestazioni di un'unica e sola
radice,.e cio la scelta nichilista dell'abbandono della saggezza parmenidea. In
proposito il discorso sarebbe lungo, ed in questo paragrafo mi limiter a
quattro ordini di osservazioni. In primo luogo, Severino coglie a mio avviso,
sia pure in modo insopportabilmente sapienziale (ma oggi la sapienzialit
generica ed evocativa un buon
ingrediente pubblicitario per il successo di pubblico, del tipo della
signora-bene che alla fine di una conferenza filosofica dice che stata meravigliosa, anche se non si capito niente), un dato reale della nostra
riproduzione sociale complessiva, e cio la totale Insensatezza. Essendo un
filosofo di professione, cerca un fondamento di questa Insensatezza, e ritiene
di trovarlo nel Nichilismo, che egli non definisce alla Nietzsche o alla
Heidegger, ma a modo suo, come qualunque filosofo originale deve o dovrebbe
fare. Sono dunque sciocche ed ingenerose le critiche supponenti di parte
positivista, che lo accusano di usare termini non traducibili operativamente in
fatti ed eventi. Chi vuole questa traducibilit operativa di fatti ed eventi
faccia il cronista sportivo o il fotografo di bonobo sugli alberi, ma non. il
filosofo. Di fronte a questi supponenti nanetti persino Severino fa la sua
modesta figura. In secondo luogo, Severino estende talmente tanto il raggio del
termine Nichilismo da renderlo del tutto privo di operativit, non solo in senso
neopositivistico, ma anche nel senso della determinatezza del concetto di
Hegel. Se Marx avesse usato il concetto di sfruttamento per mettere insieme gli
egizi che costruivano le piramidi e gli operai di fabbrica avrebbe appunto
fatto come Severino, ma Marx era molto pi intelligente di Severino, e non ha
fatto questo errore. Il nichilismo di Severino
infatti come la notte dell'assoluto di Schelling, quella in cui tutte le
vacche sono nere. Vedremo pi avanti che proprio questa genericit la ragione dellindiscutibile successo
giornalistico e mediatico di Severino nella provincia italiana. In terzo luogo,
Severino non prova mai a chiedersi il perch della genesi storica e sociale
della categoria di Essere in Parmenide, nonostante sia indubbiamente in
possesso di tutte le competenze storiche e filologiche per farlo:In questa scelta radicalmente
destoricizzante c' ovviamente una ferrea logica interna. Severino ha una
concezione sapienziale della filosofia, e la concezione sapienziale della
filosofia implica che il sapiente (un tempo Parmenide, oggi Severino) viene
illuminato dall'alto di una verit astorica e senza tempo, per cui il tempo
stesso viene degradato ad illusione, In Severino la scelta destoricizzante ha
un suo ammirevole estremismo, e dal momento che sono anch'io un estremista (ma
di un estremo opposto, 81 CAPITOLO SECONDO come avr gi cominciato a sospettare
il lettore) non posso che ritenerla legittima. Legittima, certamente, ma anche
vuota, astratta, e per questo incapace di illuminarci veramente sul problema.
In quarto luogo, infine, non posso fare a meno di una valutazione sociologica
finale. Emanuele Severino scrive che la colpa di tutto del Nichilismo sullorgano di stampa del
nichilismo italiano, e cio il Corriere della Sera, cos come il suo allievo
Umberto Galimberti scrive che la colpa di tutto
della Tecnica, o pi esattamente della tecno-economia, sullorgano di
stampa della tecno-economia italiana, e cio La Repubblica. Non intendo affatto
fare del moralismo, tipo pecunia non olet (olet, eccome se olet!), per
riprendere limmortale pragmatista Vespasiano, oppure suggerire al lettore che
io sottoscritto non farei mai nulla del genere. Sono questi gli argomenti delle
signore brutte ed invidiose che facevano tappezzeria nei vecchi balli borghesi
mentre le signore avvenenti venivano invece invitate. Se fossi invitato a
scrivere su questi giornaloni del capitale finanziario, principale nemico dei
popoli del mondo (ma appunto - pensando questo
sar difficile che mi invitino!), credo che lo farei anche gratis, perch
tipico dellintellettuale, sia pure anomalo,
il cercare di diffondere il proprio punto di vista (lha fatto anche
Franco Fortini, prima di essere cacciato per aver toccato l'impero americano ed
i suoi soldati assassini). Il problema non
allora cripto-moralistico o cripto-invidioso, ma appunto pienamente materialistico, e per
questo la sua trattazione deve avvenire in un saggio sul materialismo.
Come possibile allora che la critica al
nichilismo possa essere ospitata nel massimo organo di stampa del nichilismo, e
la critica del dominio della tecno-economia nel massimo organo di stampa della tecno-economia?
Il discorso sarebbe lungo, e non pu faladicie essere fatto sulla base
tautologica del liberalismo, per cui i veri liberali ospitano volentieri anche
intelligenti opinioni dissenzienti. I veri liberali ti cuocerebbero su di una
graticola a fuoco lento se si mettessero veramente in pericolo i loro profitti,
e dunque non pu essere questa la ragione. E la ragione probabilmente sta in ci,
che proprio l'approccio generico e destoricizzante al nichilismo ed alla
tecnica di Severino e Galimberti non
solo del tutto innocuo, ma addirittura
un omeopatico positivo per la legittimazione del capitalismo contemporaneo. Se
infatti il Nichilismo e la Tecnica vengono presentati in una forma di
Onnipotente Fatalit, contro cui non c' di fatto pi niente da fare (quello che
in questa stessa trilogia ho spesso definito in termini di nientedafarismo), si
ottiene il risultato solo apparentemente paradossale di giustificare lo stato
di cose che le provocano. Solo i bestioni burocratici semianalfabeti del
comunismo storico novecentesco erano tanto rozzi da censurare in modo
animalesco le opinioni pericolose. La 82 Materialismo e filosofia
legittimazione ideologica del capitalismo, immensamente pi sofisticata di
quella delle bestie sopra citate, utilizza il mezzo segnalato da Edgar Allan
Poe nella Lettera Rubata, e cio mette l'enigma davanti a tutti, in modo che
nessuno pensi a cercarlo proprio l. Ne sono consapevoli Severino e Galimberti?
Non lo so, ma non sta qui l'aspetto principale della questione. Sono i
manipulitisti maniaci, che riducono lintero mondo vitale allinsignificante
dettaglio dellarraffa-arraffa, la cosa meno interessante del mondo, possono
essere veramente interessati al problema degli onorari spediti a Severino ed a
Galimberti in cambio delle loro diagnosi infauste sulla follia
dell'Occidente. invece importante
rilevare una cosa, che mai Platone avrebbe collaborato al giornale del tiranno
Dionisio, oppure Epicuro al giornale dei diadochi ladroni Antipatro o Lisimaco.
Qui la lunga durata dellipocrisia gesuitica non c'entra nulla. Qui si pone il
problema della totale irrilevanza materiale e sociale della testimonianza filosofica,
qualunque essa sia. I giornali di Paolo Mieli e di Eugenio Scalfari, la cui
ragion dessere non solo storica ma addirittura sistemica, e quindi materiale
(ed questo - appunto il materialismo), proprio il dominio del Nichilismo e della
Tecnica, utilizzano una profilassi auto-immune per prevenire una possibile
(anche se improbabile) critica sociale al loro nichilismo ed alla loro tecnica,
profilassi auto-immune che consiste proprio nella preventiva auto- vaccinazione
in forma debole (e quindi innocua) degli stessi principi potenzialmente
critici. Lo sanno (nel senso che ne sono consapevoli) Severino e Galimberti?
Ecco una domanda che pu soltanto interessare al gossip semi-colto delle riviste
femminili. Il problema materiale, che discutiamo in questo intero secondo
capitolo, non sta nel fatto che lo sappiano ma se ne freghino (per denaro,
vanit, status sociale, visibilit, o altri difetti umani e troppo umani), ma
nella funzione strutturale di tutto questo. 9. Nell'interpretazione di Alfred
Sohn-Rethel, esempio paradigmatico del secondo significato che attribuisco al
termine materialismo, e cio deduzione sociale delle categorie non solo
ideologiche ma anche filosofiche, il termine Essere di Parmenide non cade dal
cielo e neppure primariamente dovuto ad
una intuizione sapienziale di questo (probabile) pitagorico di Elea, ma il risultato di un raddoppiamento nel cielo
delle astrazioni puramente teoriche di una precedente astrazione reale, e cio
lastrazione del valore di scambio puro incarnato nella moneta coniata (che
viene appunto coniata prima in Lidia, poi a Chio ed Egina ed infine in tutto il
mondo greco). Per usare un'espressione letterale di Sohn-Rethel, chiunque abbia
in tasca delle monete, deve avere anche in testa delle astrazioni concettuali ben
determinate, ne sia o meno cosciente. In altri termini, finch scambio
direttamente valori duso con altri valori d'uso (ad esempio un gregge con 83
(CAPITOLO SECONDO uma abitazione, un campo coltivato con una nave di legno,
eccetera) non esiste ancora lastrazione-scambio vera e propria, mentre questa
astrazione- scambio nasce quando la moneta, valore di scambio astrattamente
puro, permette il raddoppio mentale, e quindi filosofico, dellAstrazione in
quanto tale, di cui il concetto di Essere astratto la massima forma possibile e pensabile. Per
capire la genesi storica del pensiero di Sohn-Rethel, che non affatto assurda come sembra a prima vista,
bisogna prima tornare alla Germania degli anni Venti del Novecento, luogo di
tutte le possibili sperimentazioni filosofiche del tempo (dalla fenomenologia
ad Heidegger, dal neopositivismo al marxismo critico e dissidente, eccetera).
Il livello della discussione filosofica di quel decennio stato talmente alto che in effetti la miseria
dei nostri tempi ha difficolt a ricostruirlo. In ogni caso, la teoria genetico-
materialistica di Sohn-Rethel presuppone che ricordi, sia pure in modo
sommario, le posizioni principali della teoria della conoscenza prevalenti in
quegli anni. In primo luogo, esisteva la posizione filosofica tradizionale di
Kant e del successivo neo-kantismo. Nata dalla cosiddetta rivoluzione
copernicana, e cio dallinversione della centralit del problema della conoscenza
dalla conoscibilit dell'oggetto alle capacit conoscitive del soggetto (riflesso
questo - aggiungo io della correlata
emersione sociale e politica del soggetto nella fase protoborghese del
capitalismo), veniva postulato un Io Penso che a sua volta era titolare di
raggi di conoscenza diseguali, a seconda del fatto che fossero inseribili in un
contesto spazio-temporale (matematica e . fisica) oppure non fossero inseribili
in questo contesto (metafisica ed idee di anima, universo e Dio). socialmente chiaro che questa teoria kantiana
dei limiti della conoscenza raddoppiava nel mondo rarefatto della metafisica
l'esigenza borghese di limitare i poteri dispotici dellassolutismo .
tardosignorile (ho scritto chiaro, ma in
realt chiaro a me ed a tutti coloro che
usano il metodo genetico-dialettico di Marx, mentre stupido ed assurdo per gli altri). Il fatto ,
per, che questo Io Penso di Kant una
postulazione, una autoposizione arbitraria, e non si cerca in nessun modo di
dedurla. In secondo luogo, esisteva la critica fenomenologica di Husserl alla
teoria delia conoscenza di Kant, critica che poi rese possibile anche la
successiva teoria di Heidegger sul rapporto fra l'essere e il tempo. In questa
intelligentissima critica Husserl faceva notare, in breve, che astrazioni come
il Cogito di Cartesio e l'Io Penso di Kant non cadevano per nulla dal cielo, e
quindi non potevano essere postulate in modo autoassertivo e privo di criticit,
ma erano a sua volta prodotte dalla rivoluzione scientifica di Galileo, che
metteva tra parentesi il mondo della vita umana concreta 84 Miaterialismo e
filosofia (Lebenswelt) per ritagliare da questo mondo un sottomondo
particolare, quello della calcolabilit e della quantificazione matematica del
reale. La conseguenza non poteva essere che la produzione di una scienza priva
di moralit individuale e sociale, che creava un mondo parallelo di numeri al
posto delle esigenze sociali ed umane. Questa critica di Husserl (a mio avviso,
ovviamente) era intelligentissima, ma dal momento che Husserl (come peraltro pi
tardi Heidegger) ignorava completamente il metodo di Marx, pensando evidentemente
con la tipica supponenza accademica tedesca che Marx fosse un economista
sindacalista di sinistra interessato soltanto alla ripartizione del reddito (il
Marx neoricardiano di oggi, in poche sciagurate parole), non si tentava neppure
lontanamente di spiegare socialmente come era nata questa deviazione
galileiana. In altri termini, il Galileo di Husserl altrettanto inspiegabile del Parmenide di
Severino. In terzo luogo, esisteva il punto di vista marxista tradizionale,
fondato sulla separazione dicotomica fra idealismo (cattivo) e materialismo
(buono). I marxisti pi stupidi si limitavano a ripetere questa dicotomia con
lottuso dogmatismo dei pecoroni al pascolo. I marxisti pi intelligenti invece
si rendevano conto che questa dicotomia doveva essere socialmente spiegata, e
cercavano di spiegarla con il criterio del processo lavorativo e della connessa
divisione sociale del lavoro. In altre parole, le classi dominanti,
progressivamente esentate dal faticoso lavoro manuale e dal rapporto con la
materia che questo faticoso lavoro comporta, avrebbero sublimato questo
distacco dalla materia con l'elaborazione di un punto di vista idealista,
spiritualista, religioso, la cui finalit ideologica era quella di giustificare
appunto il loro dominio, in base appunto alla superiorit dello Spirito sulla
Materia. Le classi dominate, invece, costrette ad un continuo quotidiano legame
con la materia, sarebbero state spontaneamente materialiste, e per impedire che
questo materialismo spontaneo evolvesse in visione del mondo coerente, ed anzi
coerentemente rivoluzionaria, ci sarebbe stato bisogno di un apparato di
mistificazioni idealistiche gestito da gruppi specializzati di sacerdoti
vestiti in tutto il mondo di diversi colori. A mio avviso questa spiegazione
classistica spiega certamente di pi di quella kantiana (che autopostulata, e quindi programmaticamente
non spiega niente, ed appunto per questo
preferita dal sapere universitario), ed anche di pi di quella
husserliana (che almeno mette in dubbio il carattere autoevidente e
progressistico della scienza galileiana), ma cade in un punto, peraltro
decisivo, e cio cade nel presupposto non spiegato per cui il punto di vista
parziale derivante dalla divisione sociale del lavoro produrrebbe una
concezione olistica globale e totale del mondo, e cio appunto la dicotomia
materialismo (lavoro manuale faticoso e sporco) ed idealismo (lavoro
intellettuale di manipolazione ideologica di simboli). 85 CAPITOLO SECONDO In
quarto luogo, infine, cera la nascente Scuola di Francoforte, che gi negli anni
venti cercava di recuperare il punto di vista della Totalit di Hegel, totalit
che non era appunto n idealista n materialista, ma partiva dalla ricerca di un
punto di vista olistico. Sohn-Rethel accetta questo quarto punto di vista, rifiuta
i primi tre, e lo radicalizza ulteriormente, giungendo al concetto di sintesi
sociale dominante. Volendo classificare questo punto di vista si Sohn-Rethel,
potremmo connotarlo come un'eresia di estrema sinistra della scuola di
Horkheimer e Adorno, cos come il successivo tradimento di Habermas potrebbe
essere definito come una deviazione di estrema destra. In questo caso,
Sohn-Rethel riscrive lintera storia della filosofia occidentale, ed in questo
senso lo considero grande. Detto questo, mon sono daccordo con praticamente
nessuna delle soluzioni interpretative specifiche che egli d, a partire
dall'ipotesi per cui lEssere di Parmenide
una astrazione di un'altra astrazione, quella del valore di scambio puro
incarnato nella moneta coniata. Credo che lorigine di questa errata
interpretazione sia limportanza esagerata data allo scambio in quanto tale.
L'ebreo Sohn-Rethel, che vive in un clima in cui l'ebraismo era condannato .
dagli antisemiti come baluardo dellarricchimento attraverso il valore di
scambio puro, rovescia l'accusa e nello stesso tempo ne accetta fino ad un
certo punto la plausibilit, ma ne scarica la responsabilit non su Mos, ma
sullarianissimo Parmenide. In ogni caso, credo che non bisogna gettare via il
bambino con lacqua sporca. L'idea (di Adorno e di Sohn-Rethel) che sia la
Totalit che decide del primato della prevalenza di certe categorie su certe .
altre (idea che assumo personalmente come criterio metodologico in questo
saggio, e pi in generale nell'intera trilogia),
a mio avviso migliore dell'idea per cui il materialismo e lidealismo
vengono rispettivamente generati l'uno dal lavoro manuale e laltro dal lavoro
intellettuale, molto migliore della semplice critica di Husserl al carattere
programmaticamente disumano della scienza matematica della natura e
incomparabilmente migliore della autoposizione autoreferenziale alla Kant che
si inventa un lo Penso originario da cui poi organizza la separazione fra
scienza e metafisica, cio fra cosa conta per laccumulazione del capitale e
delle ricchezze, e cosa invece non conta nulla e pu tranquillamente essere
abbandonato al libero chiacchiericcio metafisico degli intellettuali. Ho
riassunto qui una posizione di principio. Nello stesso tempo mi sembrava
impossibile scrivere una breve storia del materialismo ignorando proprio
Sohn-Rethel, e cio uno dei pi grandi materialisti del Novecento. Oggi questo
geniale pensatore interamente
dimenticato, ma si tratta solo di un momento congiunturale in cui dominano
provvisoriamente gli sciocchi. Quando i tempi cambieranno, le sue ipotesi
torneranno di attualit. Per ora, 86 Materialismo e filosofia invece, passiamo
ad una ipotesi alternativa sulla genesi storica della categoria di Essere,
quella di Massimo Bontempelli. 10. Il filosofo pisano Massimo Bontempelli colui che, allinterno della produzione
filosofica italiana, ha sviluppato in modo pi rigoroso, coerente e convincente
il punto di vista del grammatico alessandrino Diodoto, che secondo Diogene
Laerzio aveva sostenuto che il libro di Eraclito non trattava della natura, ma
del governo dello Stato, e che gli accenni alla natura vi stavano dentro in
funzione di modello. Naturalmente, ci sono stati anche molti altri antichisti
che hanno sviluppato punti di vista analoghi (ricordo qui solo Antonio Capizzi
e Mario Vegetti), in una contrapposizione virtuosa con altri pur insigni
storici della filosofia che hanno fatto nascere le idee filosofiche per
intuizione, partenogenesi e magia (ricordo qui solo, per par condicio, Nicola
Abbagnano e Ludovico Geymonat). E tuttavia Bontempelli il solo che non soltanto ci ha costruito
sopra una intera storia della filosofia (che infatti proprio per questa ragione
non ha avuto alcun successo, perch nulla viene punito come laver osato scuotere
il tranquillo sonno dogmatico dei pecoroni), ma ha esteso il suggerimento di
Diodoto non solo ad Eraclito, ma anche e soprattutto a Parmenide ed alla sua
categoria di Essere. Bontempelli applica di fatto quella che ho chiamato
nellIntroduzione la lettura metaforica delle categorie filosofiche, che vengono
lette appunto come metafore di rapporti sociali. Nona caso, questo applicatore
del metodo genetico di Marx anche un
estimatore di Hegel, e particolarmente dello Hegel della Scienza della Logica.
Egli ignora per senza neppure discuterla linterpretazione di Sohn-Rethel (non
so per se perch ne ignori lesistenza oppure se la consideri troppo idiota
per'essere presa seriamente in considerazione), e propone invece un'altra
lettura, secondo la quale il concetto dell'Essere come Eternit e Permanenza
riflette semplicemente il concetto di eternit e permanenza della Buona
Legislazione, di origine probabilmente pitagorica, della polis di Elea. Ci sono
anche interessanti parallelismi fra il proemio del poema parmenideo e la
conformazione geografica della collina su cui si trova Elea e dei due piccoli
porti marittimi del Tirreno, ma questi parallelismi, pur degni di essere presi
in considerazione, non sono a mio avviso il punto essenziale della sua interpretazione. Questo punto
invece sta in ci, che il modo migliore di mettere al sicuro l'eccellenza della
Buona Legislazione pitagorica di Elea (di cui Parmenide fu molto probabilmente
il creatore, come Solone lo fu di quella ateniese basata sul metron), era
quello di raddoppiarla metaforicamente con una teoria generale ed astratta
della bont della permanenza e della negativit del cambiamento. In altri termini
lEssere di Parmenide fissa per sempre una sorta di inarrivabile perfezione
della Buona 87 CAPITOLO SECONDO Legislazione stessa. L'interpretazione
dell'allievo pisano del grammatico alessandrino Diodoto mi sembra plausibile,
certamente pi di quella di Sohn- Rethel, mentre di quella di Severino non
parlo, perch ho gi espresso il mio (severo) parere sulle evocazioni sapienziali
ripetute come un mantra contro il Nichilismo e pubblicate su organi ufficiali
del nichilismo stesso. In realt Bontempelli coglie qui (e non solo qui) il
punto essenziale della questione, per cui non c' modo di capire qualcosa della
genesi della filosofia greca antica se non si assume fino in fondo il
presupposto genetico dell'origine sociale delle categorie. A questo punto devo
per onorare l'impegno assunto con il lettore alla fine del settimo paragrafo
con la promessa di discutere il mio, personale punto di vista sulla questione
della genesi storica e sociale della categoria astratta di Essere. 11. Da un
punto di vista filosofico, la nozione greca di Essere cos come si trova in
Parmenide assomiglia moltissimo alla nozione cinese di Ta0 cos come si trova in
Lao Tse. L'esperto in dialogo filosofico interculturale dell'Unesco, Raimundo
Panikkar, ha parlato di equivalenti omeomorfi per connotare concetti nati in
culture geograficamente non comunicanti (ad esempio Grecia e Cina, ma questo
discorso vale anche in buona misura per l'India, oltre che evidentemente per le
civilt precolombiane), ma che sono per in qualche maniera traducibili. Questa
impostazione di Panikkar, che personalmente condivido, si contrappone alla
cosiddetta ipotesi linguistica Sapir-Whorf, elaborata studiando la lingua degli
indiani Hopi dell'Arizona, che sostiene invece l'assoluta intraducibilit
linguistica, e quindi culturale, dei concetti che esprimono visioni del mondo
olistiche complessive incommensurabili. Sarebbe interessante discutere qui le
tesi contrapposte di Panikkar e di Sapir-Whorf, ma non c lo spazio sufficiente,
edallora mi limiter ad esplicitare la ragione di fondo per cui personalmente
preferisco, e quindi adotto, la posizione di Panikkar. Il punto essenziale sta
infatti a mio avviso in ci, che una comune connotazione semantica non solo di
oggetti materiali ma di concetti che esprimono una visione olistica del mondo
deve avere necessariamente una comune base storico-materiale che ne faccia da
minimo comune denominatore, e questo deve valere anche per concetti come Essere
e Tuo. Naturalmente, non possibile
nessun esperimento scientifico liberatore, ed
necessario fermarsi alle ipotesi. Ma ci sono ipotesi ed ipotesi. Non
tutte le ipotesi infatti sono uguali. L'ipotesi che l'universo sia nato da un
big bang oggi sempre pi contestata da
molti astrofisici, e non affatto detto
che sia vera, ma indubbiamente pi vera
del mito per cui tutto l'universo sorto
in conseguenza dello sbadiglio di una gigantesca tartaruga che 88 Materialismo
e filosofia evidentemente gli preesisteva (in questo ma solo in questo sono seguace della teoria della verit di
Ludovico Geymonat). A questo punto l'ipotesi che faccio questa, e cio che concetti filosofici
portatori di una equivalenza omeomorfa (lEssere di Parmenide ed il Tao di Lao
Tse, ma non solo questi) devono essere necessariamente sorti da un'esperienza
collettiva comune, che definir in prima approssimazione come la sensazione
(concettualmente mediata) del fatto che si stava perdendo un precedente
equilibrio (0, quanto meno, qualcosa di percepito come tale) fra Natura e
Societ. Naturalmente n la natura in s, n la societ in s esistono, ed entrambe
devono essere mediate dal pensiero. Ma nella Cina di Lao Tse e nella diaspora
greca di Parmenide esisteva evidentemente una comune percezione di una comune
perdita di naturalit. In Cina si stavano sviluppando stati combattenti feroci e
feudali, che certo dovevano la loro natura dispotica alla funzione di
coordinamento parzialmente coattivo dei lavori idraulici necessari per una
agricoltura regolare, ma nello stesso tempo stavano spingendo fino a livelli
intollerabili l'oppressione religiosa, politica e militare, con conseguenti
differenziate reazioni filosofiche (scuola Yin-Yang, scuola di Mo Ti, legismo
autoritario, confucianesimo tradizionalistico, e appunto infine tacismo). Nella
diaspora greca si stava sviluppando l'economia mercantile e monetaria, che
inevitabilmente dissolveva i vecchi legami tribali precedenti. Questi legami
non erano naturali per nulla, in quanto anch'essi avevano avuto una origine
storica precedente (disegnata in modo abbastanza plausibile da Georges Dumzil e
dalla sua scuola), ma erano comunque percepiti socialmente come naturali.
Ed allora questa percezione sociale
della naturalit che viene prima della nuova artificialit sociale e politica che
produce quel senso olistico di perdita del nesso originario di natura e societ,
e cio di macrocosmo naturale e di microcosmo sociale, che sta alla base della
unitariet concettuale e simbolica dell'Essere in Grecia e del Tao in Cina. 12.
Il concetto astratto di Essere a mio
avviso la sorgente prima della visione dialettica del mondo. Si tratta di una
tesi molto nota, che non ho certo inventato io, ma vorrei darne egualmente una
formulazione personale che ritengo originale. Da un lato, vero che il concetto di Essere in quanto
tale, come percezione sociale diffusa ed in un secondo momento concettualmente
elaborata, rappresenta una verit storica inoppugnabile, e cio lunit del
macrocosmo naturale e del microcosmo sociale. In tutte le societ
pre-industriali, in cui l'interazione fra organizzazione sociale e natura
esterna diretta (societ di raccolta, di
caccia e di pesca, di allevamento, orticoltura ed agricoltura di 89 (CAPITOLO
SECONDO sussistenza), la Natura coincide con lunit di macrocosmo naturale e di
microcosmo sociale, unit che non per
nulla una superstizione, ma al contrario
un presupposto scientifico di sopravvivenza superiore alle stesse prestazioni
scientifiche dei moderni premi Nobel. Dall'altro, falso che Natura e Societ si sviluppino
secondo le stesse leggi di sviluppo. Dal momento che luomo la misura di tutte le cose (Protagora), un animale razionale e sociale (Aristotele),
ed un ente naturale generico (Marx), ne
consegue che ad un certo punto, prodottasi la fessurazione di macrocosmo
naturale e di microcosmo sociale, lUno originario (nesso ontologico
inscindibile di Natura e Societ) si scinde in una Diade (il rapporto dialettico
fra l'elemento naturale impersonale e l'elemento sociale personale). Per questa
ragione la critica di Platone a Parmenide non
un errore, come opina Severino, ma al contrario lintelligentissima presa datto dellesistenza
della scissione. Quando si ha la compresenza del Vero e del Falso le
conseguenze sono due. Dal punto di vista della logica formale siamo di fronte
ad una contraddizione logica, che rende errato lintero ragionamento. Il punto
di vista della logica dialettica, quella che in varie forme fu sostenuto prima
da Platone e Plotino in forma bimondana, e poi da Fichte, Hegel e Marx in forma
variamente monomondana, si fa invece carico della contraddizione dialettica, ed
in base a questo farsi carico pu affermare tranquillamente che l'unit fra
Natura e Societ, metaforizzata da Parmenide nel concetto di Essere, ad un tempo vera e falsa. Incidentalmente,
l'ipotesi di Bontempelli resta comunque la migliore possibile, perch questa
unit immutabile stata probabilmente
metaforizzata dal pitagorico Parmenide come immutabilit della Buona
Legislazione contro lazione corrosiva del dissolvimento del denaro, a sua volta
metaforizzato nel concetto di Nulla. In sintesi: non infatti vero, e non stato ampiamente dimostrato come vero negli ultimi
3.000 anni in tutto il mondo, che il potere corrosivo del Denaro, reso
smisurato ed indeterminato, nullifica, e cio rende simile al Niente, ogni
possibile Buona Legislazione? E non sta qui la verit di Parmenide, che le
letture destoricizzanti alla Severino necessariamente occultano, ed appunto per
questo possono essere ospitate (ed ampiamente pagate, ma questa uninezia per moralisti manipulitisti a me
estranei come i coccodrilli del Nilo) negli organi di stampa del Nichilismo
Organizzato? 13. Passando al concetto di Natura, consiglio subito al lettore
una analisi comparativa dei due concetti di Natura e di Materia, analisi
comparativa resa possibile da un buon dizionario filosofico. Se essa non
comportasse alcune decine di pagine la farei in questa sede, ma ritengo di
poter invece 90 Materialismo e filosofia arrivare subito al nucleo della
questione. La prima cosa che risulta chiara
che i due concetti non sono sovrapponibili n teoricamente n
storicamente, per cui spesso il cosiddetto materialismo appare essere una sorta
di riduzionismo indebito applicato al naturalismo. La distinzione di Aristotele
fra materia e forma invece in proposito
molto saggia, perch mette precocemente in guardia contro ogni possibile
riduzionismo. La polemica seicentesca contro la cosiddetta causa finale
aristotelica, polemica necessaria per l'affermazione della nuova visione
meccanicistica della fisica, effettivamente incompatibile con il mantenimento
delle cause finali, ha finito con il gettare via il bambino con lacqua sporca,
preparando quel materialismo settecentesco che una vera analisi materialistica
della sua natura e della sua funzione sociale (penso alla magistrale analisi di
Maria Antonopoulou) non consente pi di connotare semplicemente come progresso
tout court. Nella tradizione filosofica cinese, sostanzialmente non teistica,
deistica e monoteistica, il naturalismo
sempre stato il codice descrittivo e prescrittivo fondamentale, il
terreno comune su cui poi si muovevano e si differenziavano le varie scuole di
pensiero. Anche nella tradizione filosofica indiana, panteistica nel buddismo e
politeistica nellinduismo, il naturalismo
sempre stato non solo presente ma anche dominante. Nella tradizione
occidentale, a causa della parziale vittoria ottenuta fra il 200 ed il 500 d.C.
dal creazionismo biblico sul naturalismo greco {che a mio avviso ma il lettore lo avr gi capito era molto pi saggio), la considerazione
filosofica della Natura ha sempre dovuto in qualche misura sottomettersi alla
prescrizione imperativa creazionistica della distinzione fra natura naturans e
natura naturata. Le varie forme di panteismo cristiano o di teologia negativa
(da Scoto Eriugena a Meister Eckhart) hanno opportunamente cercato di ridurre
ed anche eliminare la scissione fra Dio e il Mondo (e su questo Meister
Eckhart andato molto pi avanti anche di
Scoto Eriugena), ma l'attrazione gravitazionale dellantropomorfismo biblico ha
finito sempre per ricondurle a testimonianze marginali. Contro la razionalit
della filosofia greca, che concilia il principio soggettivo dell'anima umana
come fondamento della verit ed il principio impersonale della eternit della
natura, si sempre mobilitato il testo
biblico, in particolare nella catastrofica parte veterotestamentaria, sempre
amata dai confusionari, in quanto il testo biblico costruito proprio sulla tendenza spontanea
del linguaggio comune ad antropomorfizzare ed a soggettivizzare tutto quello
che avviene. Coloro che insistono sul fatto che il linguaggio biblico immensamente pi espressivo del linguaggio
della filosofia hanno ragione, ma nello stesso tempo non sanno che cosa dicono,
perch vero che il linguaggio biblico ricavato dal linguaggio comune, ma il
linguaggio 9 CAPITOLO SECONDO comune ha proprio questa sciagurata particolarit,
che non distingue ci che personale da ci
che per sua natura nonlo e non lo pu
essere. Quando leggo le apologie del cardinal Martini o del priore di Bose del
linguaggio biblico contrapposto al linguaggio della filosofia mi sento ancora
pi vicino ai miei maestri Greci, e soprattutto al mito di Ulisse che se non si
fosse premunito prima sarebbe stato incantato dal canto delle Sirene ed avrebbe
perduto insieme con il suo corpo anche la sua anima. Chi ama i dettagli pu
riflettere sul fatto che nellinserto culturale domenicale de Il Sole 24 Ore,
organo del capitale finanziario pi incontrollato e totale, e quindi di
quell'incrocio fra Nichilismo e Tecnica da cui mettono (apparentemente) in
guardia Severino e Galimberti, viene censurato ogni minimo accenno positivo a
Marx ed al marxismo, mentre invece trionfano contemporaneamente il
neopositivismo e la filosofia analitica, da un lato, ed il lessico biblico di
Ravasi, dallaltro. E questo non un caso,
perch lantropomorfizzazione biblica (preferibilmente veterotestamentaria, perch
il povero Ges di Nazareth
insopportabilmente buonista, con possibili ricadute cattocomuniste) solo laltra faccia compensativa ed innocua
dellimpersonalit del dominio dei mercati e del capitale finanziario, che
fornisce a questo dominio un supplemento danima del tutto innocuo. La mitologia
sumerica e babilonese, sfacciatamente copiata dai primi estensori dell'Antico
Testamento, in effetti mille volte pi
innocua di qualsiasi critica dialettica alla Dismisura ed alla Illimitatezza
delle attuali oligarchie capitalistiche. . 14. Non qui possibile ripercorrere la storia del
concetto di Natura allinterno dell'immaginario occidentale, se non per
ricordare ancora una volta che l'eterno dissidio fra creazionismo e panteismo
naturalistico oggi approdato
(provvisoriamente) al dissidio tragicomico fra la teoria del Disegno
Intelligente da parte di un Dio sicuramente anglosassone e la teoria
maggiormente universalistica della Autopoiesi dei sistemi complessi cui sono
stati concessi miliardi di anni per organizzarsi. Chi intende dilettarsi di
questa tenzone (poco) cavalleresca pu utilmente leggere da un lato le
pubblicazioni dei Testimoni di Geova, baluardo del disegno intelligente che pi
intelligente non si pu, e dall'altro le riviste degli atei razionalisti
sbeffeggiatori della divinit antropomortfica e cultori di Darwin come vate
sommo della vera verit scientifica del mondo. lo ammiro molto Darwin, e fra
Darwin ed i Testimoni di Geova scelgo Darwin. Ma nello stesso tempo preferisco
Marx a Darwin, nel senso che do per scontato che lipotesi evoluzionistica sia
la migliore disponibile, ma sono molto pi interessato al perch materialistico-sociale
della permanenza delle visioni ingenuamente antropomorfizzanti e
creazionistiche del mondo, dai Testimoni di Geova alla cerimonia pagana 92
Materialismo e filosofia del sangue di San Gennaro a Napoli con le autorit (?)
presenti, eccetera. | razionalisti spiegano tutto conil mantra tautologico per
cui i coglioni, essendo coglioni, si comportano da coglioni, ma un allievo di
Marx come me non pu accontentarsi di questa tautologica idiozia. Evidentemente
esiste una segreta complementariet dialettica, tutta da scoprire, fra la
concezione razionalistica della natura delle pagine culturali
volterriano-scalfariane di La Repubblica, da un lato, e la credenza popolare
diffusa nelle Madonne che piangono, dall'altra. Chi si accontenta di constatare
questo fatto, lo constati pure, ma questa trilogia non per lui. Chi invece vuol riflettere sul
concetto di Natura invitato a
proseguire, ed il modo migliore per farlo
quello di prendere in considerazione le acute ipotesi del filosofo
francofortese Alfred Schmidt sulle differenze nel concetto di Natura in Hegel e
in Marx. 15. Sulle differenze e le somiglianze dei sistemi teorici rispettivi
di Hegel e di Marx sono state scritte intere biblioteche, ma i libri da salvare
dal prossimo incendio della biblioteca di Alessandria sono a mio avviso
relativamente pochi. A quella che Marx ha chiamato a suo tempo la critica
roditrice dei topi potremmo lasciare tranquillamente due intere sezioni di
questa biblioteca. La prima sezione, che definir della Stupidit Semplice, o
Stupidit Primaria, quella in cui si
parla, si riparla e si straparla del rovesciamento cui Marx avrebbe sottoposta
la dialettica di Hegel, rimettendola dalla testa sui piedi. Ne ho gi parlato,
ovviamente, ma l'argomento di
tale-spontanea ed ingenua comicit da richiedere ritorni continui. Secondo
questa concezione Hegel avrebbe sviluppato una dialettica fra idee, intese
lockianamente come opinioni o contenuti di coscienza, per cui la storia intera
sarebbe stata una lunga tenzone fra apparati argomentativi miranti ad un
reciproco convincimento (ammetto che questa demenziale concezione della
storia proprio lidea di modernit che si
fa l'addomesticato Habermas, che sta al suo maestro Adorno come Christian De
Sica sta a suo padre Vittorio), mentre Marx, che non era cos stupido ed
ingenuo, ha capito fin da piccolo chela storia non era costituita da uno
scontro fra idee, ma da uno scontro fra classi sociali antagonistiche
allinterno di un conflitto dialettico fra forze produttive e rapporti di
produzione. La seconda sezione, che definir della Stupidit Complessa, o
Stupidit Secondaria, quella in cui si
parla, riparla e straparla della incompatibilit assoluta fra Marx, scientifico
che pi scientifico non si pu, ed anzi ancora
pi scientifico di Galileo, Newton, Darwin e Max Weber messi insieme, e
Hegel, il pagliaccio mistico idealista neoplatonico erede dei sacerdoti delfici
e dei guaritori filippini. Questa sezione si
riempita negli ultimi decenni di pesantissimi tomi scritti dalle scuole
di Galvano Della Volpe, Lucio Colletti e Louis Althusser. I chirurghi educati
con la lettura di questi tomi hanno 93 CAPITOLO SECONDO bens cercato di
separare chirurgicamente i corpi dei gemelli siamesi Hegel e Marx, ma hanno
avviato questa operazione senza neppure avere fatto le radiografie. Se le
avessero fatte, avrebbero scoperto che i due gemelli non erano uniti
superficialmente da strisce di pelle sulla schiena, ma avevano (ahim) organi
vitali in comune. Ed in questo modo l'operazione riuscita perfettamente, tanto vero che i due gemelli sono morti entrambi.
Il lettore apprezzer sicuramente la mia moderazione nel giudicare le correnti
anti- hegeliane del marxismo, e il fatto che mi sia astenuto dallesplicitare
che cosa ne penso veramente con nomi e cognomi, perch se lo avessi fatto sarei
stato da denuncia penale per diffamazione e turpiloquio. Ma Alfred Schmidt non
fa parte di queste due pittoresche correnti. Egli si chiede invece se vi sia
veramente qualcosa di profondo che differenzi Hegel e Marx, e lo trova nel
concetto di Natura. Secondo Schmitt la filosofia della natura di Hegel ispirata ed impregnata di una concezione
teologica e quindi irredimibile della natura stessa. Per Hegel la natura il confine del concetto logico, in quanto
rappresenta ci che non pu essere in alcun modo risolto, che oppone resistenza
allinterno di noi e di cui dobbiamo appropriarci, ma che nello stesso tempo si
fa beffe della filosofia come filosofia. Non a caso, per Hegel la natura soltanto una irredimibile alienazione
dell'idea logica, che non ammette uno sviluppo nel tempo ma soltanto una
dispersione nello spazio. Si tratta di una concezione che dal punto di vista
meramente scientifico (e quindi estraneo alla pura speculazione filosofica) stato superato dallevoluzionismo (ma lo era
gi dal trasformismo di Lamarck), ma da un punto di vista filosofico resta del
tutto valida allinterno di una concezione pessimistica dell'impossibilit di
risolvere veramente la Natura stessa in Spirito, e quindi in qualche modo di
spiritualizzarla. A proposito di Marx il nostro francofortese intelligente
pensa invece che lo stesso Marx su questo punto si allontani nettamente da
Hegel per riprendere la concezione vitalistica della natura tipica del
romanticismo tedesco ed in particolare di Goethe, la concezione di una natura che
cresce nel tempo e non solo dispersa
nello spazio. In un celebre passo dei Manoscritti economico-filosofici del 1844
Marx parla di naturalizzazione delluomo ed umanizzazione della natura,
formulazione sbalorditiva che Goethe avrebbe certamente sottoscritto ma che
Hegel avrebbe cancellato con un tratto di penna come una sciocchezza, dal
momento che Hegel in sostanza pensava che luomo non dovesse naturalizzarsi ma
semmai de- naturalizzarsi ed in quanto all'umanizzazione della natura si
trattava soltanto di un simpatico delirio di Schelling dopo una buona bevuta di
vino del Reno. Esiste invece, e Schmidt ovviamente lo ammette, il concetto di
ricambio organico fra Uomo e Natura, espressione che Marx usa peraltro in modo
ripetuto e consapevole. Dice infatti Schmidt: Il punto di partenza dell'analisi
94 Materialismo e filosofia marxiana lo
scambio organico di uomo e natura, dove si dichiara che la base pi prossima ed
immediata del pensiero e della coscienza non
costituita dalla natura in quanto tale, e neppure dalla natura delluomo,
ma dalle forme del confronto di questultimo sia con la natura sia soprattutto
con i suoi simili. Ci costituisce ancora una volta la differenza rispetto al
materialismo premarxiano, che era puramente naturalistico. giunto allora il momento di un paragrafo di
commento. 16. Ho citato lungamente Schmidt perch son d'accordo con lui nei suoi
commenti sulla differenza fra Hegel e Marx rispetto al concetto di Natura.
Hegel pensava allinterno di una concezione irredimibile di natura (che peraltro'
Schmidt definisce teologica, pensando probabilmente al pessimismo luterano), e
da questa concezione irredimibile ed esterna al potere dellidealismo filosofico
discende non solo la riduzione del movimento naturale a dispersione spaziale e
non a trasformazione temporale, ma anche un punto di vista paradossalmente
ultra-materialistico. infatti una tipica
tesi dellultramaterialismo (da Giacomo Leopardi a Sebastiano Timpanaro) che la
natura non minimamente compatibile con i
progetti umani, sia individuali che collettivi, e luomo non pu in alcun modo
coinvolgerla in essi, ma pu al massimo prenderne atto per mettere in atto
appunto strategie di solidariet reciproca puramente umana. Marx invece si
lascia andare ogni tanto a formulazioni come resurrezione della natura (sic!),
che dovrebbe accompagnare ed integrare l'emancipazione umana, formulazioni poi
riprese da quel filone schellinghiano del marxismo che vede nel
superconfusionario Ernst Bloch il suo principale esponente novecentesco. A
questo punto, aggiungo solo due osservazioni conclusive in proposito. In primo
luogo, occorre notare che quando i supermaterialisti antiidealisti alla
Timpanaro e nipotini vari invocano a gran voce pi Marx (e soprattutto pi
Engels) e meno Hegel, non sbagliano solo grottescamente bersaglio ma anzi si
picchiano sui (metaforici) coglioni da soli secondo il ben collaudato metodo
Tafazzi. infatti Hegel il vero teorico
(e si rilegga ancora lultima lettera di Labriola a Croce) dellirredimibile
estraneit della natura ai progetti umani, mentre i nipotini Marx ed Engels sono
del tutto interni al confusionismo romantico (Marx) e positivistico (Engels).
Ancora una volta, pericoloso ripetere
pecorescamente le geremiadi del pensiero laico contro Croce e Gentile, visti
come i nipotini irrazionalisti di Hegel, senza andare a verificare di persona
le fonti (come ha fatto il serio tedesco Schmidt), da cui risulta senza
possibilit di dubbio che il vero materialista in questo caso era proprio Hegel
(sorpresa! sorpresa!), mentre Marx ed Engels si muovevano nel torbido e confuso
panorama panteistico ed ilozoistico tardo-goethiano 95 CAPITOLO SECONDO della
fede in riscatti e resurrezioni della natura (e questo in un'epoca in cui il
Viagra non era stato ancora inventato!), ed in programmi confusionari ma
seducenti ed evocativi (nonch retorici ed irrilevanti) di naturalizzazione
dell'uomo e di umanizzazione della natura. Volete vedere lUomo Naturalizzato?
Bene, si vedano le sfilate massificate dei proletari plaudenti di fronte al
compagno Stalin che li saluta benevolmente con il suo sorriso caucasico, pi
esattamente osseto-georgiano. Volete vedere la Natura Umanizzata? Bene, si
faccia una bella gita al lago dAral per contemplare la desertificazione
realizzata dai piani quinquennali sovietici. In secondo luogo, non posso
sottrarmi ad una valutazione personale su questo punto. In proposito, ritengo
che abbia mille volte ragione lidealista Hegel e mille volte torto il
materialista Marx, ma che questo avvenga per una inversione dialettica (viva la
dialettica!), per cui proprio lidealismo estremo alla Hegel capisce sobriamente
che la cosiddetta natura del tutto
intrasformabile da progetti ideali, ed infatti resiste ad ogni sua affrettata
idealizzazione (ripeto, leggere la lettera di Labriola a Croce). Marx invece
vorrebbe il materialismo, ma non sa bene che cosa cavolo vuol dire, ameno che
voglia dire che Dio non esiste, luomo
quello che mangia e che vengono prima i rapporti di produzione e dopo i
sistemi di opinioni corrispondenti. Ed ecco allora, che, preso da una frenesia
tardo-goethiana, comincia a fanfalucare su resurrezioni e riscatti della
Natura, e su innocui giochi di parole come naturalizzazione delluomo ed
umanizzazione della natura. Frasi vuote ma pur sempre sacerdotali e pretesche,
che per un secolo i burocrati mangioni hanno fatto salmodiare ai loro
intellettuali organici mentre saltavano le code provocate dalla loro stessa
incompetenza. 17. Questo paragrafo
cortissimo, perch dedicato ad una
definizione di materialismo non ancora proposta al lettore. Riprendendo
Althusser, possiamo definire il materialismo come ne pas [se] raconter
d'histoires, cio come non raccontar[si] delle storie. Un'epigrafe da
scalpellare su tutti gli Istituti per lo studio della Dialettica e del
Materialismo. 18. E passiamo ora alla veneranda categoria di Sostanza. Il
termine latino substantia (come del resto subjectum) la traduzione letterale del greco
hypokeimenon, ossia ci che sta sotto. Nella tradizione filosofica, per,
substantia stato usato piuttosto come
traduzione del greco ousia, con cui non ha nessun legame glottologico. Qusia,
infatti, deriva da ousa participio
presente femminile del verbo einai, e cio essere che in greco classico significa la casa e i
poderi, gli averi e i beni. Dal momento che si tratta di una parola femminile,
potremmo dire che la Sostanza la figlia
prediletta 96 Materialismo e filosofia dell'Essere. E se lEssere una forma concettuale metaforizzata dellunit
originaria fra Natura e Societ, la Sostanza
sua figlia, in quanto questa unit originaria partorisce appunto la casa
e i poderi, gli averi e i beni. Se questo pu sembrare strano al lettore,
abituato alle insipide dossografie che da noi spesso (non sempre) usurpano il
titolo di Storia della Filosofia, non sembrava strano a Georg Simmel, che
pubblic nel 1900 unopera memorabile intitolata Filosofia del Denaro. Simmel
scrive: La propriet fondiaria, la sostanza che
relativamente impossibile perdere e che
pi protetta dalla legge, era lunica che potesse garantire al cittadino
greco la persistenza e lunit del suo senso della vita [...] in ci consiste la
persistenza del concetto di sostanza che caratterizza tutta la filosofia greca.
Difficile essere pi chiari. Certo, si tratta di una ipotesi filosofica
indimostrabile, mille volte pi interessante e materialistica per delle
insensate dossografie che a suo tempo Hegel condann come insipide filastrocche
di opinioni casuali. A mio avviso questa ipotesi di Simmel sensatissima, a meno che noi vogliamo
considerare il fatto che la categoria di sostanza sia centrale a partire da
Aristotele per finire con Leibniz, e cio esattamente per il periodo storico
della prevalenza della propriet terriera in Europa, come puramente accidentale.
Personalmente scommetto che non era affatto accidentale. per necessario fare ancora un passo avanti,
che Simmel personalmente non ha fatto, ma che far io seguendo le sue tracce.
Prima ancora di Alfred Sohn-Rethel, e in modo quasi sempre pi convincente di
lui, Simmel ha inaugurato il metodo della deduzione sociale delle categorie, ed
anche per questo fu messo ai margini nell'ambiente soffocante e supponente
dell'universit tedesca del suo tempo, come del resto nota acutamente Lukcs nel
necrologio che gli dedic nel 1918. Tuttavia io credo che se il termine ousia,
tratto da 0usa, significhi realmente propriet (del tipo: la propriet di un
farmaco, ecc.), il significato complementare di kypokeimenon alluda a ci che
sta sotto non tanto ad una propriet terriera, quanto proprio ad una comunit
(koinonia). La Sostanza, quindi, non metaforizza filosoficamente soltanto la
propriet fondiaria, ma metaforizza in modo ancora pi deciso la connessione
sociale comunitaria, ed ci che sta sotto
alla pluralit degli individui. Con l'emergere dell'economia capitalistica, la
connessione sociale non avviene pi attraverso un'astrazione che deve pur sempre
esprimere, sia pure in modo metaforico, il retroterra comunitario della vita in
societ, ma pu avvenire sulla base non pi
sostanziale, ma meramente relazionale di
un nuovo sistema di concetti del tutto affrancati dalla necessit di riferirsi,
sia pure solo simbolicamente, ad una sostanza sottostante. Con il capitalismo,
infatti, il legame sociale non pi
sostanziale, ma solo relazionale. 97
CAPITOLO SECONDO Non solo non pi
necessaria la sostanza, ma non neppure
pi necessario credere che esista qualcosa al di l della pura connessione
mercantile. Infine, non pi neppure
necessario credere al nesso di causalit fra gli eventi successivi. Tutto ci,
che le storie dossografiche della filosofia segnalano senza minimamente cercare
di spiegarlo, deve invece essere geneticamente spiegato. giunto il momento di parlare dellempirismo di
Locke e dello scetticismo di Hume. Ma
anche giunto il momento di segnalare con particolare forza che la vera
ed unica filosofia propriamente borghese non
affatto lidealismo tedesco, ma
invece il nesso fra empirismo di Locke e scetticismo di Hume, fusi
armonicamente insieme nella nuova economia politica di Smith e di Ricardo.
Vediamo come in dettaglio. 19. Locke
noto non solo per il suo moderatissimo costituzionalismo liberale a base
giusnaturalistica, su cui si bas poi Thomas Jefferson per scrivere nel 1776 la
Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti, che tuttora il circo
universitario occidentale considera la vetta pi alta del pensiero umano, ma
anche per la critica dell'idea di sostanza (cfr. Saggio sull'intelletto umano,
IL, XXI, 1-4). Per i particolari rimando il lettore al testo originale. Qui
voglio solo far notare dal momento che
il diavolo si nasconde sempre nel dettaglio - il curioso modo di argomentare di
Locke, che contrappone il punto di vista del bambino a quello dellorefice. Il
bambino colui che, se gli si chiede che
cosa qualcosa, ripete il nome di questo
qualcosa, e mostra cos di non avere la minima idea di che cosa veramente sia.
L'orefice invece, se gli si chiede che cosa
l'oro, non si perde in fumose elucubrazioni sulla sua presunta essenza,
ma ne descrive subito con competenza e chiarezza le sue caratteristiche
empiriche. In proposito, ci sono almeno due aspetti interessanti da rilevare.
In primo luogo il bambino, che qui reso
sinonimo di Getto, colui che cerca la
sostanza delle cose, e non si rende conto che non fa altro che ripetere in modo
tautologico il nome della cosa stessa, senza aggiungerci niente di
concretamente conoscibile. In questo modo Locke tratta da bambini, e cio da
cretini, tutti i precedenti filosofi della sostanza, da Aristotele a Spinoza,
mostrando cos una arroganza incredibile nascosta sotto i modi cortesi
dellincipriato gentiluomo inglese whig. Si pu allora sospettare (per ora non
dico altro) che non abbia capito niente di cosa veramente dicevano, come capita
ai nanetti anti-hegeliani che non capiscono assolutamente che cosa dice Hegel,
ma egualmente lo trattano da cretino, proiettando inconsapevolmente su di lui
la propria segreta natura. 98 Materialismo e filosofia In secondo luogo,
l'esempio dellorefice contrapposto al filosofo sostanzialista ci mostra alla
luce del sole che Locke non capisce neppure quale sia l'oggetto della filosofia.
Mentre l'oggetto della conoscenza del fabbro
il rame ed il ferro, e l'oggetto della conoscenza dellorefice l'oro (e nessuno pu contestare una simile
ragionevole ovviet) l'oggetto della filosofia
la considerazione valoriale della totalit (la Weltweisheit di cui parla
Adorno), ed il concetto di sostanza
sempre servito non tanto per affermare un ignoto X segretamente
contenuto nel rame o nelloro, ma nel cercare di pensare il fondamento unitario
delle cose. Certo, possibile dire alla
romanesca: Del fondamento unitario delle cose non me ne pu fregare di meno,
perch a me interessa solo che Totti segni alla Lazio, ed il resto pu andare
anche a farsi fottere!. Ci invece che non
consentito occuparsi di
filosofia, da un lato, e trattare da bambini cretini tutti i pi grandi filosofi
del passato, da Aristotele a Spinosa. A questo punto, un breve commento.
L'ipotesi che faccio, ripresa in parte da Simmel, ma anche estesa dalla
semplice propriet fondiaria alla vera e propria comunit, che la Sostanza sia anche (anche, non solo)
una metafora del substrato comunitario che sta sotto la semplice relazionalit
atomistica fra gli uomini e pi in generale fra i gruppi sociali. Il passaggio
da un legame sociale in qualche modo comunitario (anche se dispotico,
signorile, diseguale, eccetera) ad un legame sociale atomistico ispirato
allindividualismo possessivo viene raddoppiato dai filosofi-ideologi che
approvano, sostengono e si riconoscono in questo passaggio con una parallela
delegittimazione astratta di questo fondamento. Ed infatti ci che Locke fa. C' per un secondo
punto altrettanto rilevante. Quando Locke suggerisce un esame comparativo fra
chi difende la categoria di sostanza, che come abbiamo visto riguarda sempre il
fondamento unitario di tutto il reale, e non solo delle pere e degli oggetti
doro, ed il competente professionale che sa tutto su di un singolo argomento
specifico, effettua quel gioco delle tre carte concettuale che consiste nello
scambiare furtivamente (ma solo appunto i babbioni empiristi ci cadono) la carta
della totalit con la carta della particolarit, buttando via la carta della
dialettica, che potrebbe connettere organicamente le sue carte precedenti. E
tutti a dire: Bravo Locke! Sublime Locke! Basta con i metafisici chiacchieroni!
Viva la Borsa di Londra! Viva il giudizio dei Mercati!. E infatti il segreto di
questo gioco delle tre carte sta in ci, che tolta la Sostanza che fa da
fondamento ideale alla totalit, unico oggetto cui si pu applicare un giudizio
complessivo valoriale, e cio etico e morale, la totalit resta lo stesso,
ma fondata ormai pi soltanto
dallinvisibile (0 se vogliamo visibilissimo, ma ormai solo pi dalla economia e
non pi dalla filosofia) 99 CAPITOLO SECONDO mano del mercato e della
connessione relazionale mercantile. Come i teorici dellesistenza del
Purgatorio, che mezzo millennio prima di Locke legittimarono indirettamente il
nuovo prestito ad usura di banchieri e mercanti, nello stesso modo lincipriato
Locke toglie di mezzo la metafisica, in modo che resti soltanto l'economia. Che
poi si rendesse conto di quanto stava facendo e lo volesse consapevolmente,
oppure agisse convinto di fare soltanto le pulci a colleghi continentali come
Cartesio e Leibniz, lo lascio allonniscienza divina. .-20. Se qualcuno dei
lettori ha a casa una storia del pensiero controrivoluzionario (0 reazionario)
europeo, la vada a sfogliare, e ci trover certamente Burke, De Maistre, Donoso
Cortes, Spengler, Evola, Gentile, Schmitt e compagnia cantante. I cattivoni! 1
reazionari! I nemici della rivoluzione! Vergogna! Vergogna! Politicamente
corretto! Antifascismo! Vigilanza! Vigilanza! Vigilanza! In questa orgia di
buoni sentimenti liberali, democratici e soprattutto politicamente corretti il
buon lettore non ci trover il nome di Hume. Ma come - diranno i custodi della
banalit - Hume un classico del pensiero
liberale, non certo del pensiero controrivoluzionario! Davvero? Un buon
riorientamento gestaltico non far certamente male a nessuno. Se chi scrive
dovesse compilare una breve storia del pensiero europeo controrivoluzionario
inizierebbe da un'operetta di Hume pubblicata nel 1748 ed intitolata I/
contratto originario. Lopera ovviamente
dedicata alla dimostrazione della totale inesistenza di qualsiasi contratto
sociale, connotato come una finzione metafisica priva di reale esistenza
storica. In questo nulla di male, visto che grandi del pensiero come Hegel e
Marx hanno anch'essi considerato inesistente e fittizio il contratto sociale
che dovrebbe istituire la societ ritenendo (e nel mio piccolo devo dire che
sono pienamente d'accordo con loro) che la societ si costituisce in altro modo,
con la violenza, con la forza del convincimento religioso, con la gestione
dello sviluppo delle forze produttive, con la paura del dominato verso il
dominatore, eccetera. Ma qui
interessante il perch del fatto che Hume insista tanto nel mostrare la
totale inesistenza del contratto sociale, che era stato il fondamento teorico
del pensiero politico europeo nei 200 anni precedenti il 1748. Hume lo dice
chiaramente: il contratto sociale un
espediente che ha la sola funzione di legittimare la resistenza, e cio in
prospettiva prima la ribellione e poi la rivoluzione contro l'ordine
costituito, affermando che la decadenza del contratto fra sovrano e popolo giusta nel caso in cui il sovrano venga meno
ad impegni presi in precedenza. Non possiamo quindi mettere sullo stesso piano
ideologico la critica al contrattualismo di 100 Miaterialismo e filosofia
pensatori come Hume, Hegel e Marx. Hume vive in un momento storico in cui di
fatto il contrattualismo legittimava il diritto alla rivoluzione, e per questo,
e solo per questo, egli ne invalida le pretese di credibilit. Il
contrattualismo sosteneva in ultima istanza che il potere politico era causato
da un contratto sociale precedente, anche se poi andava da varianti che oggi
definiremmo di destra (Thomas Hobbes) a varianti che oggi definiremmo di
sinistra (Jean Jacques Rousseau). Bisognava dunque giungere al cuore della
questione, e sostenere che la causalit non esiste neppure. Ed ci che Hume fa (cfr. Estratto del Trattato
sulla Natura Umana). A parte lo stravagante esempio impiegato (le palle da
biliardo che noi crediamo causino lurto delluna contro laltra), Hume fa leva
non sulla causalit, ma sullabitudine e sul fatto che ci si aspetta automaticamente
che da una azione ne segua un'altra. E qui Hume fa quattro esempi in
successione: il sovrano impone una tassa perch prevede che i sudditi la
pagheranno; il generale guida all'attacco i soldati presupponendo in essi un
certo grado di coraggio; il mercante si regola in base alla fiducia che ha nel
suo agente; il padrone d disposizioni ai servitori nella convinzione che vi
obbediranno. Come si vede, non c nessun bisogno di presupporre n una Sostanza
originaria n una Causalit istituente. La stessa mente umana, lungi dall'essere
una res cogitans, cio una sostanza pensante alla Cartesio, paragonata da Hume ad una specie di teatro,
dove le diverse percezioni fanno la loro apparizione, passano e ripassano,
scivolano e si mescolano con un'infinita variet di atteggiamenti e situazioni.
Tutto questo richiede un ulteriore breve commento. 21. Ci stiamo avvicinando
infatti (ed era ora!) alla stanza dei segreti di tutta questa questione. E
nella stanza dei segreti, e pi esattamente nella cassaforte che soltanto la combinazione
fra dialettica e materialismo potr aprire, ci sta il nucleo della questione,
che quello delle due concezioni
alternative di natura umana. Esiste infatti una concezione di natura umana che
definir sostanzialistico-normativa, che
quella (con ovvie differenziazioni) di Protagora, Aristotele, Spinoza,
Hegel e Marx, e quella che definir invece funzionalistico-descrittiva, che quella (con ovvie differenziazioni) di Hume e
di Nietzsche. Nella prima concezione, sostanzialistico-normativa, la natura
umana vista non solo come qualcosa di
universalisticamente presente e pertanto definibile per tutti gli individui e
per tutti i popoli in tutte le epoche storiche ed in tutti i contesti
geografici, ma anche appunto come una sostanza composta di razionalit, socialit
ed idealit di buona vita individuale e collettiva che pu per perdersi (e cio
alienarsi), e quindi pu e deve essere recuperata. Come si vede, in questo caso
la sostanza certo metafora di qualcosa
d'altro, 101 CAPITOLO SECONDO ma non solo non
contrapposta alla storicit, ma ne
invece il presupposto. Il presupposto di una storicit sensata e
sottoposta al giudizio filosofico di valore olistico e complessivo,
naturalmente, e non solo dellinsensata storicit teatrale di Hume, in cui gli
attori entrano ed escono. Nella seconda concezione,
funzionalistico-descrittiva, la sola concezione realmente compatibile con
linsensato entrare ed uscire dal mercato (perch il teatro di Hume non altro che la metafora del mercato da cui si
entra e si esce ed in cui si scivola), la natura umana solo l'insieme delle reazioni prevedibili
allinterno di una societ appunto mercantile. Si tratta dellarte del venditore
ambulante, che sa bene (meglio di Hume sicuramente) che deve fondarsi su di una
scienza empirico-psicologica delle illusioni e delle aspettative del
compratore. In questa situazione, ovviamente, i concetti di ente naturale
generico (Gattungswesen) e di alienazione (Entfremdung) sono addirittura
impensabili, perch non esiste nessuna genericit da alienare e tutta l'esperienza
umana ricavata dalla rete invisibile (e
quindi non sostanziale) dei rapporti mercantili. Non possibile adottare contemporaneamente Hume e
Marx. I due pensatori sono incompatibili. Questo non impedisce che si possa
imparare da tutti e due, e di gustare le finezze di un pensatore che pure non
condividiamo. Purch, appunto, non lo incaselliamo per pigrizia inerziale nella
casella che non gli compete. 22. Quanto ho appena rilevato pu essere utile
anche per un sommario esame del concetto di Scienza. Sulla natura del concetto
di Scienza si pensa in generale di sapere gi tutto, ma anche in questo campo un
sano dubbio iperbolico non pu che fare molto bene. Esiste una implicita
narrazione della Marcia Trionfale della Scienza moderna che viene generalmente data
per scontata, e che invece solo una
volgarizzazione grottesca del punto di vista capitalistico sul mondo.
Comprendiamo brevemente questa Marcia Trionfale della Scienza moderna. C'erano
un tempo gli uomini primitivi, del tutto ignari della struttura scientifica del
mondo, che credevano in superstizioni, totemismi, magie e miti (ah,ah, che
sciocchil!). Poi assistiamo ad un certo progresso ingegneristico (piramidi
egizie, muraglia cinese, eccetera). Tuttavia prevaleva ancora un'inutile
zavorra filosofica (ed inizia il mantra abituale: quella cosa con la quale
senza la quale si rimane tale e quale, ah, ah!), che faceva s che alla fisica
venissero appiccicate illusioni filosofiche (geocentrismo perch si pensava che
la terra creata da Dio fosse al centro dell'universo, eccetera). Inoltre non
c'erano applicazioni tecnologiche perch al tempo dello schiavismo non erano
possibili, in quanto gli schiavi avrebbero spaccato tutto, mentre gli operai
salariati se ne guardano bene (un dubbio: ma sar 102 Materialismo e filosofia
veramente cos, oppure continuiamo a ripeterlo per bovino conformismo
inerziale?). Poi arriva la Chiesa e la Santa Inquisizione, che si oppongono al
Progresso, che invece i protestanti favoriscono (viva, viva i protestanti!).
Fate caso al processo a Galileo (orrore, orrore!). C' ancora un periodo di
confusionari pasticcioni tipo Giordano Bruno, e poi finalmente arriva Newton,
preceduto dal precursore italiano Galilei. Da allora comincia veramente la vera
scienza. Si parte dal cannocchiale, si passa alla macchina a vapore, al treno,
allaereo, alla bomba atomica, al computer, eccetera. Non vi sono limiti al
progresso scientifico (viva!viva!), che lotta contro gli irrazionalisti, tipo
lettrici zingare della mano, guaritori filippini, credenti nel disegno
intelligente, interpreti dei fondi di caff, madonne che piangono, eccetera.
Vergogna! Vergogna! La Marcia Trionfale della Scienza moderna ci promette
invece un futuro mirabile: potremo comunicare con tutti senza neppure vederli e
toccarli con Internet, i robot teleguidati combatteranno senza perdite umane
contro Stati-canaglia, terroristi, insorgenti ed altri fanatici straccioni, e
potremo ordinare i figli che vogliamo addirittura con il colore degli occhi
preferito. Non meravigliosooo! Eppure
questa Marcia Trionfale della Scienza moderna, che ho qui esposto in modo
volutamente grottesco, ma non poi cos lontano dalla realt, in realt diffusissima oggi, e nutre quel vero
e proprio odio verso linterrogazione filosofica critica del mondo che sarebbe
appunto necessaria. C' chi si
scandalizzato perch Heidegger ha scritto che la Scienza non pensa, ma si
tratta di una pia indignazione del tutto inutile, perch Heidegger non ce
l'aveva affatto con la dignit e con l'utilit pratica della scienza stessa
(personalmente sono ancora vivo esclusivamente grazie ai progressi della
scienza medica e della tecnica chirurgica, e non sono tanto cretino da sputare
sulla mano che mi ha guarito), ma semplicemente constatava che il metodo scientifico
non si pone per sua intrinseca natura il problema del significato complessivo
di quanto faceva, e doveva allora necessariamente intervenire in seconda
battuta l'interrogazione filosofica, proprio quella che la Marcia Trionfale
della Scienza moderna irride con i pi volgari lazzi e sghignazzi. In proposito,
dal momento che il discorso sarebbe lungo, mi limiter a due soli ordini di
osservazioni. In primo luogo, la cosiddetta scienza moderna nacque storicamente
come lultima forma di un'utopia rinascimentale. Cassirer ha fatto notare a suo
tempo che per Galilei l'accordo generale fra matematica e natura, e cio
l'armonia fra il pensiero e la realt, per cui il gran libro della natura
sarebbe scritto in caratteri matematici,
una convizione soggettiva, anteriore ad ogni riflessione filosofica. Gi,
ma dove viene questa convinzione soggettiva? Secondo una ennesima osservazione
acuta di Franco Voltaggio, si tratterebbe di una vera e propria speranza che
sorge nel contesto di due 103 CAPITOLO SECONDO secoli di platonismo
rinascimentale, e cio da Marsilio Ficino e da Pico della Mirandola. Lungi
dall'essere perci una virtuosa rottura con le chiacchiere filosofiche
rinascimentali (chiacchiere che ispirarono il dipinto di Raffaello La scuola di
Atene), il metodo scientifico galileiano ne rappresenta una derivazione, ed
anzi lultima grande derivazione. In secondo luogo, ho gi accennato molto spesso
all'ipotesi storiografica della studiosa greca Maria Antonopoulou, per cui il
cosiddetto materialismo non nasce a caso nel Settecento europeo grazie alla
semplice generalizzazione e sistematizzazione delle indiscutibili scoperte
scientifiche sulla cosiddetta materia, come afferma dogmaticamente la Marcia
Trionfale della Scienza moderna, ma sorge sulla base della esigenza indiretta,
ma non per questo meno fattuale, di una unificazione metafisica del mondo, in
cui la metafisica in questione era proprio la metafisica spaziale omogenea
dello scorrimento della merce capitalistica, che non poteva pi autoconcepirsi
allinterno del mondo duplicato del mondo bimondano precedente. Mi rendo conto
che l'ipotesi della Antonopoulou pu sembrare altrettanto poco plausibile di
quella di Sohn- Rethel sul nesso fra lastrazione filosofica dell'Essere e
lastrazione reale della moneta coniata, ma io credo che in questo caso bisogna
avere il coraggio di prendere sul serio ipotesi che appaiono assurde
semplicemente perch esiste una inerzia storiografica che ci ha abituati
diversamente. La questione pu essere compendiata pi o meno in questo modo. vero che la deduzione sociale delle
categorie, con conseguente scivolamento dalla committenza ideologica diretta o
semidiretta al posteriore consolidamento concettuale, molto meno sicura, ovvia e rassicurante della
normale deduzione teorica tradizionale, sia che essa segua la vita collaudata
del realismo gnoseologico (Tommaso d'Aquino, Engels, Lenin, eccetera), sia che
essa segua la via inaugurata da Kant (deduzione trascendentale, eccetera). Me
ne rendo perfettamente conto. Ma se il termine materialismo vuole attingere una
dimensione realmente dialettica, ed intendo dialettica in senso storico, o se
si vuole storico-materialistico, allora non possiamo semplicemente continuare a
ripetere che siamo materialisti perch siamo atei e non crediamo nel Dio
personale e teleologico della tradizione cristiana, oppure perch ci rendiamo
conto fino in fondo della fragilit biologica del nostro corpo e della menzogna
delle illusioni storiche sulle magnifiche sorti e progressive del secolo
superbo e sciocco (Giacomo Leopardi).
Bisogna fare un passo avanti, e tentare la deduzione storica e sociale
delle categorie. In questo sforzo possiamo certamente fare errori di
riduzionismo storico e di semplificazione, che possono anche irritare chi si
ispira a metodi pi tradizionali. Ma questi errori, possibili ed anzi probabili,
sono errori interni ad un approccio
questo s veramente
materialistico, 104 Materialismo e
filosofia nel senso di genetico. Chi preferisce il tran-tran della dossografia
tradizionale si accomodi pure. Non far magari sbagli dovuti ad interpretazioni
affrettate, ma si limiter a ripetere le sterili giaculatorie della
sterilizzazione accademica del potenziale esplosivo e rivoluzionario del nesso
dialettico fra genesi storica ed ideologica dei concetti e loro possibile
universalizzazione veritativa. 23. La deduzione sociale e dialettica delle
categorie (che, ripeto, lunica forma
teorica di materialismo che mi sento di professare, sostenere, favorire e
difendere, oltre a quella basata sulla fragilit biologica, che non per propriamente teorica) uno strumento delicatissimo, che si rompe
inevitabilmente se lo si usa male. Nei paragrafi che restano di questo secondo
capitolo discuter alcuni problemi che sorgono dal corretto uso di questo
delicatissimo strumento. 24, In primo luogo, non bisogna confondere questo strumento
metodologico, che si fonda sulla categoria idealistica di totalit olistica, con
la rispettabile (ma diversa) teoria del condizionamento della Sovrastruttura da
parte della Struttura, e cio con il metodo che viene attribuito (con buone basi
filologiche) a Marx ed Engels. Questo metodo oggi non va di moda, ed squalificato come deterministico,
riduzionistico, economicistico, eccetera. Sebbene io non ne sia un fautore, ci
andrei molto piano a squalificarlo frettolosamente. In realt non poi un cattivo metodo, ed comunque immensamente migliore del metodo di
chi pensa che le idee nascano le une dalle altre per partenogenesi o che siano
le elucubrazioni del ceto intellettuale a determinare la logica dello sviluppo
sociale. Nello stesso tempo, pur con tutti i suoi evidenti meriti storici, il
metodo della determinazione della Sovrastruttura da parte della Struttura che
poi in un secondo momento retroagisce sulla prima (e cio il metodo che potremmo
chiamare della determinazione primaria e della retroazione secondaria) non un vero metodo dialettico, perch la
dialettica sempre e soltanto logica
della totalit, e non pu diventare logica della determinazione di un Uno e della
retroazione di un Altro. So bene che gli economisti pensano proprio questo, ed
i marxisti che riducono il marxismo ad una correzione di sinistra di Ricardo lo
pensano ancora di pi, ma questo non un
argomento sufficiente per dovergli dar retta. A suo tempo lo stesso Engels
scrisse ad un suo corrispondente che lui e Marx, elaborando lo schema
Struttura-Sovrastruttura, avevano in un certo senso esagerato storcendo troppo
il bastone da una parte per le necessit polemiche dellepoca in cui questo
modello teorico era stato elaborato. Si tratta di una ammissione che solo un
uomo onesto e geniale come Engels poteva fare. Nello stesso tempo questa
ammissione si limit ad un generico 105 CAPITOLO SECONDO invito a considerare
con cura la cosiddetta autonomia specifica delle sovrastrutture ideologiche,
religiose, giuridiche, eccetera, invito che ad esempio Antonio Gramsci accolse
nei suoi Quaderni dal carcere, senza per che si modificasse minimamente il
dualismo insito nel modello della determinazione primaria strutturale e della
retroazione secondaria sovrastrutturale. Questo mio studio sul materialismo sarebbe
inutile se non riuscissi almeno a mettere la pulce nell'orecchio sul fatto che
per rivoluzionare il modello epistemologico marxista (la cui crisi oggi ammessa da quasi tutti, al di fuori del
piccolo mondo dei fondamentalisti settari dei gruppetti) bisogna prima di tutto
restaurare il punto di vista hegeliano della considerazione dialettica della
totalit globale. Ma chi non capisce il nesso organico fra rivoluzione e
restaurazione fuori dalla dialettica,
ed allora di fatto impossibile aprire un
canale comunicativo dialogico e razionale. 25, In secondo luogo, deve essere
chiaro che nessun metodo, sia pure il migliore, pu consentirci di prevedere il
futuro. E per prevedere il futuro non intendo certo prevederlo nei dettagli,
cosa che neppure Plechanov nei suoi momenti di delirio deterministico riteneva
possibile (del resto Hegel aveva detto lapidariamente a suo tempo che anche il
contingente necessario), ma proprio
prevederlo in generale. E qui bisogna avere il coraggio di distruggere gli
idoli, compresi gli idoli pi amati. Karl Marx pensava di poter prevedere
strategicamente il futuro, anche se ovviamente esso restava tatticamente
indeterminato. Egli pensava (e ci ritorner sopra in modo pi dettagliato nel
prossimo capitolo) che le contraddizioni interne al capitalismo portassero
necessariamente al socialismo ed al comunismo. Una interpretazione radicalmente
possibilistica di Marx sempre ovviamente
possibile (come quella che ha fatto meritoriamente in Francia Michel Vade,
nellottuso silenzio della stracotta comunit marxista), ma queste
interpretazioni non devono farci dimenticare che la tendenza principale del
pensiero di Marx necessitaristica.
Ebbene, diciamocelo chiaramente: da un punto di vista materialistico non in alcun modo necessario che il capitalismo
evolva verso forme di societ di tipo solidale, comunitario, o in qualche modo
comunista. Certo, impossibile che ci sia
un capitalismo senza contraddizioni, ed
probabile e prevedibile che nel futuro, anche abbastanza prossimo, si
sviluppino nuove contraddizioni dialettiche anche dirompenti. Certo (ed questo uno dei temi del mio lavoro sulletica
di questa trilogia) poco probabile, per
non dire da escludere, che queste contraddizioni dialettiche si sviluppino
secondo la dicotomia Borghesia/Proletariato, perch si pu dire che la logica
triadica immanente allo sviluppo del concetto di Capitale porta
irresistibilmente ad un capitalismo sintetico-speculativo di tipo post-borghese
e post-proletario. 106 Materialismo e filosofia Ma non esistono sintesi definitive,
ogni sintesi provvisoria, e da ogni
nuova sintesi nascono nuove scissioni. Nello stesso tempo, non pi decentemente possibile continuare a
sostenere la tesi necessitaristica del rovesciamento del capitalismo in
comunismo. 26. Mentre il necessitarismo appare sempre pi unonesta illusione
positivistica, il materialismo culturale dellantropologo americano Marvin
Harris appare a prima vista pi credibile. In alcuni saggi di affascinante
lettura Harris parte dal modello della effettiva disponibilit delle risorse di
sopravvivenza da parte delle societ primitive. Sebbene Harris si sia limitato
alle societ dette primitive possibile
estrapolare il suo metodo anche ai problemi odierni (ad esempio, il problema
delle declinanti riserve di petrolio). Anche questo metodo indubbiamente materialistico, come lo sono le
discussioni sulle energie alternative. Ma, appunto, questo non pu essere
l'oggetto di uno studio filosofico. Ho lasciato alcune importanti questioni in
sospeso. Ma spero di poterle non dico completare ma almeno riprendere nel
prossimo terzo ed ultimo capitolo in cui, con il pretesto di ritornare per
l'ennesima volta sullinesauribile tema del marxismo, continuer in realt a
scavare nel terreno del materialismo. In fondo, una storia materialista del
marxismo non ancora mai stata scritta.
Non sar certamente io a riuscire a fare una cosa tanto difficile, ma almeno
tenter di sollevare il problema. 107 CAPITOLO TERZO IL MATERIALISMO E LA STORIA
DEL MARXISMO DA MARXx A OGGI UN RITORNO INTERMINABILE SULLO SPAZIO TEORICO
DELLA AUTORIFLESSIONE FILOSOFICA DELLE CONTRADDIZIONI SOCIALI FRA SCIENZA,
UTOPIA, DIALETTICA E METAFISICA 1. Karl Marx, che una lunga tradizione
dogmatica ed inerziale definisce come materialista (se soltanto storico o
invece anche e soprattutto dialettico lo discuteremo pi avanti), era invece un
idealista, e mi arrischier addirittura a dire un idealista al cento per cento.
Egli fu lidealista conclusivo della triade dei grandi idealisti tedeschi, e cio
nell'ordine Fichte, Hegel e Marx. So bene che la tradizione inserisce al
secondo posto Schelling, ma in proposito io condivido l'approccio di Hegel, che
defin a suo tempo la filosofia di Schelling uno spinozismo kantiano, spinozista
nel contenuto e kantiano nel metodo. Ora, uno spinozista kantiano pu
indubbiamente essere un grande filosofo originale, e non mi sogno affatto di
contestarlo. Ma idealista no, questo non poteva esserlo. Se per il mio lettore
pio, cauto e tradizionalista vuole inserire anche il buon Schelling nella serie
lo faccia pure, ed in questo caso Marx non sar pi il terzo, ma il quarto. La
cosa anche letterariamente migliore,
perch originariamente i moschettieri erano tre (Athos, Porthos e Aramis), ma
solo con larrivo del quarto, e cio D'Artagnan, si passa dalla teoria alla
prassi, e cio alle avventure meravigliose che abbiamo letto tutti da piccoli.
2. Marx stato un grande filosofo
idealista perch ha elaborato (anche se implicitamente e senza sforzarsi di
organizzarlo e di sistematizzarlo e fece
molto male a fare cos, ed a perdere tempo in sciocchezze contingenti come la demenziale polemica con un certo signor
Vogt, il che gli port via un anno intero di lavoro) un sistema filosofico, che
ha a suo fondamento il concetto di alienazione (Entfremdung). Ora, la materia
(Materie), comunque la si voglia definire, pu soltanto per sua natura
svilupparsi, diversificarsi, collassare entropicamente, eccetera, ma non pu
assolutamente in alcun modo alienarsi. Soltanto l'ente naturale generico
(Gattungswesen) pu alienarsi, ma pu farlo soltanto allinterno di una dialettica
di tipo idealistico, e nessun sofisma giustificatorio potr farci nulla.
Assimilare 109 CAPITOLO TERZO l'ente naturale generico (Gattungswesen) alla
materia (Materie) significa passare da un grado ontologico ad un altro, e
questo passaggio indebito, per sua natura caro all'ideologia che vive infatti
di questi passaggi indebiti e se ne nutre,
invece mortale per la filosofia propriamente detta, oltre che per la
cosiddetta scienza (in senso galileiano), che avanza proprio rispettando rigorosamente
la connessione organica ed inscindibile fra il proprio oggetto ed il proprio
metodo specifico. 3. Nello stesso tempo, Marx era anche un materialista, nel
senso che la sua personale autoconsapevoleza soggettiva (che resta per il
fattore teoricamente meno importante) era di tipo materialistico, ed inoltre
era indiscutibilmente sia ateo sia strutturalista, ed abbiamo visto che i due
principali significati metaforici di materialismo nella storia della filosofia
occidentale sono stati lateismo e lo strutturalismo. Il discorso che intendo
sviluppare sinteticamente in questo terzo ed ultimo capitolo conclusivo (non
solo di questo libro ma dell'intera trilogia) riguarda sia Marx, sia il
marxismo successivo fino allattuale crisi. Facendo un passetto dopo laltro, e
cercando di spiegare tutti i passaggi senza saltarne nessuno, comincer prima
dalla natura storica dellidealismo (gi discussa nel capitolo precedente),
passer poi alla triade dei grandi idealisti Fichte, Hegel e Marx, determiner
ancora una volta la natura innovativa dello specifico idealismo di Marx,
mostrer come tutti coloro che hanno voluto negare gli elementi idealistici
presenti nel suo pensiero hanno necessariamente dovuto abbandonare il marxismo
nel suo complesso (Lucio Colletti per un razionalismo alla Popper e Louis
Althusser per un improbabile materialismo aleatorio), ed affronter infine i tre
temi della sua autoconsapevolezza materialistica, del suo ateismo ed infine del
suo strutturalismo economico e sociale. Ripeter ovviamente cose che ho gi detto
e ridetto dentro e fuori i limiti di questa trilogia. Ma chi si ripromette di
fare effettuare al lettore un riorientamento gestaltico integrale, in modo che
cominci ad intravedere un coniglietto l dove aveva sempre visto unochetta, deve
ripetere, ripetere e ripetere, e non avr mai ripetuto ancora abbastanza. La
separazione dell'elemento ideologico da quello filosofico, separazione
difficilissima proprio perch i due elementi provengono dalla stessa matrice
storico- genetica, infatti un'operazione
cui il lettore medio non abituato, ed in
particolare il lettore marxista, il pi avvelenato da un secolo di ideologismo
parossistico. 4. L'inizio storico da cui partire per collocare il pensiero di
Marx l'illuminismo europeo. Nel capitolo
precedente ho gi analizzato la dialettica 110 Il materialismo e la storia del
marxismo da Marx a oggi fra l'elemento ideologico borghese e l'elemento
filosofico universalistico, e qui lo riepilogo ancora una volta per comodit del
lettore non abituato al lessico specialistico che inevitabilmente devo usare.
Dal punto di vista della genesi ideologica delle categorie che ha prodotto,
lilluminismo europeo stato il
raddoppiamento culturale complessivo della presa del potere delle nuove classi
borghesi europee nella loro lunga lotta (alternata con compromessi di vario
tipo) con le classi feudali e signorili. Fra queste categorie si distinguono:
la categoria di Dio del deismo, un Dio svincolato da ogni suo riferimento
comunitario, e quindi necessariamente particolaristico, e riformulato
integralmente come principio di intelleggibilit generale del nuovo mondo
post-comunitario astrattamente unificato dalla generalizzazione della nuova
forma di merce; la categoria di storia dello storicismo progressista, in cui il
nuovo progresso storico rompe con le innumerevoli storie precedenti e permette
di pensare idealmente un'unica storia universale cosmopolitica, la storia della
generalizzazione nel mondo intero globalizzato dei nuovi rapporti di produzione
capitalistici; la categoria di Materia come substrato omogeneo spaziale
universale, trasposizione astratta nel cielo dell'ideologia del nuovo mercato
unico liberale e liberista in cui potesse idealmente scorrere la nuova merce
ridotta a puro valore di scambio, nuovo fondamento unico dello spazio
sacralizzato interamente orizzontale e non pi dantescamente verticale; la
categoria di Lavoro inteso come lavoro astratto portatore dellunit dialettica
di valore d'uso e di valore di scambio, il lavoro come semplice tempo di lavoro
sociale medio contenuto nel bene-merce; ed infine la categoria di Morale come
semplice autoreferenzialit soggettiva autonoma, sintesi impraticabile di Dovere
e di Libert, elevata a nuovo fondamento post-religioso delletica borghese
appunto perch inattuabile. Ho qui ripetuto le cinque fondamenta ideologiche del
nuovo pensiero borghese (il dio del deismo, il progresso del nuovo storicismo,
la materia del nuovo materialismo, il lavoro della nuova economia politica
inglese scettico-empiristica ed infine la nuova morale kantiana autonoma) per
ricordare ancora una volta al lettore che queste cinque categorie sono il
prodotto di una deduzione sociale delle categorie partendo dal contesto sociale
classistico determinato. Ma, come ho lungamente sostenuto nel capitolo
precedente, la produzione ideologica ha una eccedenza filosofica veritativa,
come era peraltro del resto gi avvenuto nei periodi storici precedenti. In
questo caso l'eccedenza filosofica veritativa risiede principalmente nellidea
di autodeterminazione del soggetto libero, individuale e collettivo, e nella
necessit di porre mano ad una legislazione pubblica in grado di garantire
questa autodeterminazione del soggetto libero. Questa autodeterminazione del
soggetto libero, sorretta da una legislazione pubblica 111 CAPITOLO TERZO in
grado di garantirla, una conquista
filosofica veritativa universale, e non
dunque riducibile ai cinque elementi ideologici descritti in precedenza. questa appunto l'eccedenza filosofica
veritativa universalistica che non si riduce alla semplice deduzione
materialistica delle categorie teoriche della struttura sociale sottostante. 5.
Come ho gi chiarito nel capitolo precedente, l'idealismo classico tedesco in prima istanza una fisiologica
problematizzazione dialettica delluniversalismo illuministico astratto. In
questo senso, lungi dal volersi opporre ad esso, ne una concretizzazione necessaria. La
successione triadica . dei tre grandi idealisti tedeschi (Fichte, Hegel e Marx)
non allora casuale, ma risponde ad una
profonda necessit dialettica che va molto al di l dei singoli pensatori. Fichte
rappresenta la Tesi, e quindi il momento intellettivo ed astratto di questa
posizione dialettica. In lui il mondo della compiuta peccaminosit, a sua volta
elaborazione della coscienza infelice dellottimismo illuministico, Viene per la
prima volta investito del rapporto fra l'Io ed il Non-Io (fuori di metafora,
del rapporto fra lattivit etica dell'intera umanit pensata come un unico
soggetto storico trascendentale riflessivo, da un lato, e la resistenza opposta
a questa attivit universalistica sia dagli istinti naturali che dai pregiudizi
sociali). In questo modo Fichte il vero
indiscusso fondatore della filosofia della prassi. Chi attribuisce questa
fondazione a Marx non sa letteralmente che cosa dice, e semplicemente ripete i
pregiudizi che la pigrizia storiografica ha accumulato in due secoli. Hegel
rappresenta lAntitesi, e quindi il momento della contraddizione dialettica e
della scissione. Le sue sintesi sono sempre e solo ideali, e non potrebbero
ovviamente non esserlo. In quanto pensatore della contraddizione dialettica e
della sintesi puramente ideale egli in
un certo modo un filosofo molto superiore a Marx sul piano veritativo, perch la
verit del mondo sociale. oggi la contraddizione dialettica, e non certo un suo
presunto superamento del tutto inesistente. Marx rappresenta la Sintesi, e
quindi il momento speculativo in cui la coscienza si specchia (speculum) nella
sua stessa autocoscienza storica. E questa autocoscienza storica si vede nello
specchio come alienata, e quindi bisognosa della propria disalienazione, che
non pu non passare attraverso una prassi di rovesciamento dell'esistente
(umwdlzende Praxis). Dalmomento che nel capitolo precedente ho gi esaminato la
deduzione sociale delle categorie generali dellidealismo classico tedesco non
lo ripeter qui ancora una volta, e passer allora direttamente a Marx. Un Marx,
ovviamente, interpretato come il terzo e conclusivo idealista, lidealista
speculativo del concetto (Begriff). 112 Il materialismo e la storia del
marxismo da Marx a oggi 6. Nei due capitoli precedenti ho gi ripetutamente
sollevato molti problemi riguardanti Marx che ora devo solo pi compendiare per
chiarezza del lettore. In estrema sintesi
possibile dire che Marx erede di
una serie di fonti storiche e filosofiche: a) Dall'illuminismo Marx eredita
lidea generale di illuminazione critica (Aufkldrung), il che comporta la
metafora generale della contrapposizione fra la Luce della conoscenza e le
Tenebre dell'ignoranza. Sono invece molto critico verso la tesi per cui Marx
avrebbe ereditato, migliorandolo, il materialismo illuministico francese, ed ho
infatti esposto questa mia critica nei capitoli precedenti. b) Dall'idealismo
in generale Marx eredita non tanto il metodo dialettico inteso come semplice
strumento neutrale applicabile a campi distinti del sapere, quanto il punto di
vista della totalit. questo il punto
assolutamente essenziale. Il punto di vista della totalit, che Marx eredita
dall'intero idealismo, e quindi non solo da uno o pi dei grandi idealisti, allora non solo il luogo del rapporto fra
Marx e gli idealisti (e che ci sia stato un rapporto non lo negano neppure i pi
feroci odiatori dello hegelo-marxismo, tipo Colletti o Althusser), ma il luogo
dell'appartenenza organica di Marx allidealismo stesso, pur nella sua ovvia
variet di correnti e di interpretazioni. c) Ne deriva, ed ho deciso di
segnalarla appositamente, l'assoluta incompatibilit fra il metodo ed il
contenuto del pensiero di Marx con il pensiero di Kant e con il neokantismo di
ogni specie. Questa mia osservazione non implica assolutamente disprezzo o
sottovalutazione verso Kant ed il neokantismo, tutto al contrario. Io infatti
stimo talmente Kant ed il neokantismo (un solo nome di pensatore che stimo:
Cassirer) da individuarvi il vero pensiero polarmente opposto a quello di Marx.
Altra cosa , invece, il fatto che molti neokantiani siano stati e siano tuttora
socialisti. Alla critica al capitalismo si pu accedere in molti modi (marxiana,
religiosa, neokantiana, neoheideggeriana, eccetera), non ce n' uno solo, e chi
scrive giunto in proposito ad una
tranquilla conclusione pluralistica. d) Da Fichte Marx deriva molte cose, e
fondamentalmente due. Primo, lidea di stare vivendo in unepoca della compiuta
peccaminosit, anche se poi ne formula diversamente il concetto. Secondo, lidea
di prassi, o di filosofia della prassi, che Marx non ha assolutamente scoperto,
come ripetono i dossografi pigri, ma ha copiato integralmente da Fichte, come peraltro facile verificare. e) Da Schelling
Marx non ha copiato niente, per sua fortuna, ma ha per ripreso il tema
goethiano-schellinghiano della concezione 113 CAPITOLO TERZO vitalistica della
natura, come ho gi ricordato in un precedente capitolo a proposito della tesi
di Alfred Schmidt. Questo filone vitalistico
poi stato ripreso nel Novecento dal geniale confusionario Ernst Bloch.
f) Da Hegel Marx non ha assolutamente preso soltanto il metodo dialettico, come
ha poco saggiamente affermato Engels con la sua contrapposizione fra metodo
dialettico rivoluzionario e sistema idealistico conservatore, ma ha preso lidea
del sistema filosofico ed olistico complessivo. In proposito Adorno, nella da
me saccheggiata Terminologia filosofica, dice apertamente che quella di Hegel una filosofia complessiva, da cui non si pu
staccare forma e contenuto, metodo e sistema. g) Dagli inglesi, ed in
particolare dall'economia politica classica inglese (Smith, Ricardo, eccetera),
Marx ha preso molto, ma forse su di un punto (peraltro decisivo) si sbagliato. Ne ha infatti (probabilmente)
sottovalutato la potenza dei suoi presupposti filosofici empiristico- scettici,
credendo che fosse relativamente facile innestarci sopra il metodo dialettico
ed il punto di vista della totalit olistica. Ma vediamo le cose le cose in modo
pi analitico, non dimenticando mai che
il materialismo l'oggetto segreto e sfuggente di queste note. 7. Marx ha
indubbiamente ereditato il razionalismo illuministico, inteso come esplicita
esclusione di ogni presupposto teorico basato su di una qualsivoglia
Rivelazione. L'ispirazione illuministica di Marx non pu essere seriamente
negata, ed in questo senso il modello di razionalit illuministica dura tuttora,
e per questo i nemici espliciti dell'illuminismo (Cornelio Fabro, Augusto Del
Noce, eccetera) continuano a prendersela anche con il pensiero
contemporaneo. Chi vuole inchiodare il
pensiero umano ad un preventivo giuramento sull'esistenza del Peccato
Originale, ed intende di fatto imporre questa premessa totalmente
irrazionalistica (a meno che si tratti di una metafora religiosa di una
legittima concezione pessimistica sulla cattiveria irredimibile delluomo - ma
allora di Dio non c' proprio nessun bisogno, e basta ed avanza un normale
pessimismo ateo basato sugli imperativi territoriali delluomo-bestia), deve
necessariamente anche odiare e disprezzare lIlluminismo. peraltro interessante che uno dei fondatori
del pensiero illuministico, l'inglese John Locke, ha posizioni incerte ed
oscillanti sullo stesso razionalismo. Nel Saggio sull'intelletto umano Locke
dice esplicitamente che l'intelletto deve accettare soltanto ci che pu essere
dimostrato razionalmente. Pochi anni dopo, contraddicendosi apertamente, scrive
La 114 Il materialismo e la storia del marxismo da Marx a oggi ragionevolezza
del cristianesimo, dove afferma papale papale che a fianco dell'esperienza e
del ragionamento luomo deve anche accettare la Rivelazione, purch sia
ragionevole. Il fatto che un filosofo dotato come Locke possa cadere in
contraddizioni che non verrebbero perdonate ad un sedicenne distratto deve a
sua volta essere spiegato. Locke si rende perfettamente conto che la religione
cristiana, sia pure nella laicizzatissima ed ipocrita forma anglicana, che
come stato detto spiritosamente, non altro che il partito conservatore dei tories
riunito in preghiera, non pu essere interamente razionalizzata. Ed allora basta
che sia ragionevole, ove il termine di ragionevolezza significa che non ha
obiezioni irragionevoli di nessun tipo contro lo sviluppo dell'economia
capitalistica. Il deismo, infatti, rappresenta un vero involucro ragionevole
dello sviluppo in un certo senso universalistico dei rapporti di produzione
capitalistici, ed infatti per questa ragione piace molto a Voltaire, lipocrita
che censura la parte comunista del Testamento di Meslier. Le varie religioni
non deistiche sono infatti rissose e superstiziose, ma sono anche comunitarie,
e per questo non possorio piacere a Locke ed a Voltaire. interessante che lipocrita Locke, dovendo scrivere
un testo politico sulla tolleranza, esclude dall'accesso alle cariche politiche
i cattolici ed i settari religiosi, anticipando in modo lungimirante di tre
secoli il Politicamente Corretto di oggi, che tollera tutti, all'infuori dei
cattolici e dei settari di oggi, e cio i comunisti di vario tipo (non parlo
ovviamente degli ex-comunisti riciclati in personale mercenario dell'impero
americano o dei simil-comunisti riciclati in cortei autoreferenziali e belanti
di massimalismo verbale estensivo, sempre pronti a fare da guardia plebea di supporto
al grande capitale finanziario), e soprattutto gli anti-imperialisti ed
antisionisti di vario tipo. Chi intende scrivere una ricostruzione storica
delle idee filosofiche dell'illuminismo censurando queste contraddizioni, come
se fossero semplici ed innocue incongruenze soggettive di brave persone, non
potr che finire in banalit dossografiche. Sono le contraddizioni logiche,
infatti, il sintomo dell'influenza dei fattori storico-sociali, e cio
classisti, della produzione filosofica. 8. La banalit ripetuta da pi di un
secolo per cui Marx avrebbe ereditato dall'intero idealismo il metodo
dialettico deve essere abbandonata, sia pure dopo una commovente cerimonia
funebre con tutti gli onori ed i pianti abituali. Torner pi avanti ancora su
questo punto decisivo. Per ora basti ripetere che Marx, anche nel caso che non
lo si voglia classificare come lultimo dei grandi idealisti ( il mio caso, ma
mi rendo anche perfettamente conto che una simile audacia tassonomica possa
fare andare-di traverso il comune pasto storiografico appena ingurgitato!), ha
comunque ereditato 115 CAPITOLO TERZO dall'intero idealismo (e dunque non
soltanto da Hegel) il punto di vista della totalit. Gi, ma quale totalit? Qual
, propriamente parlando, la totalit che Marx interpreta, sviluppa e tematizza
dialetticamente come tale? Qui, caro lettore, dovr stupirti, perch risponder in
modo molto diverso da come in generale si risponde a questa cruciale domanda.
Gli studiosi di marxologia che hanno messo la categoria di totalit al centro
della loro interpretazione di Marx (Rosdolsky, Reichelt, eccetera) hanno
generalmente risposto che l'oggetto teorico cui Marx applica questa
categoria proprio il Capitale (Das
Kapital). In altre parole, lungi dal fare una semplice analisi descrittiva di
tipo empiristico della societ capitalistica, che lo avrebbe inevitabilmente
portato a disperdersi in mille particolari storicamente contingenti, Marx
avrebbe costruito idealmente un concetto unitario (Begriff) di Capitale (Kapital),
e lo avrebbe fatto utilizzando la logica hegeliana dell'essere, dell'essenza e
del concetto, e particolarmente la logica intermedia dell'essenza, quella in
cui Hegel studia le determinazioni specifiche concrete e non soltanto le
genericit astratte (ad esempio la Produzione in Generale, che nella logica
hegeliana farebbe parte solo della categoria dell'essere non ancora specificato
e determinato). In altre parole, la Totalit che per Hegel sarebbe lo Spirito
(Geist), per Marx sarebbe il Capitale (Kapital). Stimo molto coloro che hanno
scritto ponderosi volumi per sostenere questa tesi, ma mi permetto di non
condividerla. A mio avviso Marx era certamente un idealista al cento per cento,
e quindi non ha senso accettare mezze misure del tipo era un materialista, ma
con tracce di idealismo (questa mezza misura, appunto perch tutto ci che mezzo deve essere portato a termine, apre la
strada a Lucio Colletti), ma la sua totalit non era il Capitale, ma la Storia
Universale (Weltgeschichte). In altre parole, la totalit implicita che Marx
costruisce non in nessun modo economica,
ma una totalit di filosofia della
storia, soltanto di filosofia della
storia. Spieghiamoci meglio, perch ne vale proprio la pena. Non intendo negare,
ovviamente, che Marx costruisce olisticamente il concetto di Capitale come
totalit unitaria dialetticamente strutturata.
certamente cos. Il concetto di modo di produzione capitalistico, da non
confondere con le specifiche societ capitalistiche di tipo storico-geografico
luna diversissima dall'altra (i capitalismi inglese e giapponese sono
ovviamente l'uno molto lontano dall'altro),
un concetto pienamente olistico, e tutte le sue determinazioni interne
(forze produttive, rapporti di produzione, sistemi ideologici, eccetera) non
esistono se non al suo interno, e solo il metodo intellettualistico astratto
(Verstand) pu analizzarle come se fossero del tutto autonome ed
autofondate. evidente che cos, e non mi sogno affatto di negarlo. 116
ll materialismo e la storia del marxismo da Marx a oggi Tuttavia, il problema
fondamentale non sta qui. Marx un
signore che non avrebbe mai e poi mai potuto concettualizzare in modo unitario
la totalit olistica del Capitale in s (Das Kapital an Sich), se prima non
avesse preventivamente concettualizzato la totalit temporale di Storia
Universale (Weltgeschichte). E non
neppure particolarmente difficile capirlo. Nel sistema dialettico di
Hegel, sistema in cui lo stesso metodo dialettico parte consustanziale ed inseparabile (esiste
infatti in Hegel un'unit inscindibile di metodo e di sistema, cosa che Engels
non ha capito e che da allora per pi di un secolo la stragrande maggioranza dei
marxisti non ha capito), la storia universale ovviamente c', ma fatta terminare con il presente storico del
suo tempo. Con questo Hegel non intendeva affatto, come gli attribuiscono gli
sciocchi teorici della fine della storia (dal grande Kojve al nanesco
Fukuyama), sostenere che l'umanit aveva raggiunto il top con gli sciocchi e
codini re di Prussia con i loro junker pieni di birra e di cicatrici sulle
guance a causa dei loro demenziali duelli, ma semplicemente porsi una
consapevole autolimitazione filosofica, del tipo: Mi dispiace, signori, ma se
volete conoscere il futuro rivolgetevi alle chiromanti. Io mi limito a dedurre
il presente dal passato, visto che vi offro una ricostruzione dialettica e
fenomenologica del passato stesso. Di pi, non dovete aspettarvi. In me metodo e
sistema sono inscindibili. Sappiate, se ancora non lo avete capito, che la
nottola di Minerva, e cio della autoconsapevolezza storica, si alza solo al
crepuscolo. A questo punto Marx non eredita assolutamente il metodo dialettico
di Hegel ripudiandone il sistema, ma propone un altro sistema idealistico
alternativo, in cui lintera storia universale passata, presente e futura viene
olisticamente totalizzata in un solo concetto trascendentale-riflessivo, per
cui da una Origine (il comunismo primitivo) si sviluppa una progressiva
alienazione, peraltro benefica e necessaria e quindi non riducibile per nulla
ad una caduta religiosa, che porta per ad una Fine, la societ comunista
emancipata. Non parlo qui, ovviamente, degli argomenti puramente economici che
vengono portati da Marx per sostenere questa tesi (sviluppo delle forze
produttive, acutizzazione della lotta di classe, formazione progressiva del lavoratore
collettivo cooperativo associato, organizzazione politica della classe operaia,
salariata e proletaria, caduta tendenziale del saggio di profitto, eccetera).
Io do questi argomenti assolutamente per scontati, e nello stesso tempo li
considero globalmente irrilevanti, se non si capisce che tutti questi argomenti
secondari sono inseriti ed incorporati in una superiore totalit olistica che
non ha nulla a che fare con l'economia nel senso di Smith e di Ricardo, ma dipendente esclusivamente da una precedente
filosofia della storia, che una storia
universale cosmopolitica (kosmopolitische Weltgeschichte). 117 (CAPITOLO TERZO
Trascurando per ora Fichte e Schelling, si hanno allora due sistemi idealistici
completi di connessione organica ed inseparabile di metodo e di sistema. Il
primo sistema idealistico (Hegel)
caratterizzato da un consapevole arresto della totalit della storia
universale cosmopolitica intesa come concetto trascendentale riflessivo al
presente storico, ed ha come simbolo la nottola di Minerva. Il secondo sistema
idealistico (Marx) caratterizzato da un
consapevole prolungamento della totalit della storia universale pensata
olisticamente al futuro prevedibile, che come
noto il futuro della prevedibilit
del passaggio dal capitalismo al comunismo sulla base delle contraddizioni
dialettiche interne alla stessa riproduzione capitalistica. Si tratta di due
sistemi idealistici, ed in entrambi la totalit olisticamente intesa la storia universale, e soltanto la storia
universale. Alla luce del senno di poi (2007), devo dire con rincrescimento,
ma. anche con decisione, che il sistema idealistico di Hegel si rivelato migliore di quello di Marx. vero, la nottola di Minerva si alza solo al
crepuscolo, e non all'alba. Questo, peraltro, non affatto un argomento contro il comunismo o
per il capitalismo. un argomento, per,
contro la cosiddetta prevedibilit scientifica, o presunta tale, del comunismo.
Mi rendo conto che in questo modo bisogna abbandonare l'elemento messianico, di
origine ebraica e cristiana, del pensiero di Marx. proprio cos. Questo elemento deve essere
abbandonato. Abbandonandolo, tutte le direzioni politiche e burocratiche, che
per pi di un secolo hanno sfruttato l'elemento messianico per subornare il
popolo dei credenti, e con questo sfruttamento sono passate dalle pezze sul
sedere ai letti di piume, si trovano prive del loro principale fattore di
potere, come se i faraoni egizi avessero dovuto confessare che con o senza
piramidi non cera differenza, perch tanto Osiride non esiste. Basta dunque con
la favoletta di Hegel idealista e Marx materialista, di Hegel che dispone di un
metodo rivoluzionario ma lo inserisce in un sistema conservatore, ed infine di
Marx che adotta il metodo rivoluzionario di Hegel per inserirlo finalmente in un
sistema anch'esso rivoluzionario che pu prevedere in-fal-li-bil-men-t l'esito
comunista della storia. Ce l'hanno fatta ingozzare per un secolo e mezzo.
Non-se-ne-pu-pi! Viva il grande Hegel, viva il grande Marx, rimettiamoli sui
piedi tutti e due, e sar sempre troppo tardi. 9. Il problema filosofico del
rapporto fra Marx e Kant di importanza
decisiva, perch negli ultimi 150 anni Kant
stato quasi sempre la porta girevole per uscire da Marx e pi in generale
dal modo dialettico di pensare. Fra Marx e Kant, o pi esattamente fra Marx ed
il modo di ragionare di Kant, esiste una alternativit inconciliabile ed una
incompatibilit assoluta. Questa mia affermazione potr sembrare a prima vista
eccessiva e troppo 118 Il materialismo e la storia del marxismo da Marx a oggi
estremistica, ma sono convinto che lo sembrer di meno dopo che avr svolto una
serie di ragionamenti. necessario per
comprendere fin da subito il cuore del problema. Ed il cuore del problema sta
in ci, che in genere la lettura filosofica neokantiana di Marx solidale e complementare con una lettura
economica neoricardiana dello stesso Marx. E questo non certo perch
l'economista David Ricardo fosse un kantiano, perch anzi ne conosceva
probabilmente solo il nome (e neppure questo
sicuro), e le sue fonti filosofiche erano lempirismo di Locke e lo
scetticismo utilitaristico di Hume (gi allora gli anglosassoni ignoravano con
supponente disprezzo la filosofia continentale), ma perch la lettura filosofica
neokantiana e la lettura economica neo-ricardiana di Marx sono solidali
nellespulsione non solo della dialettica ma anche dell'idea di totalit
olistica. In comune c' sempre la buona vecchia antipatia verso Hegel, e non a
caso. Quando Habermas sferr il calcio dellasino verso i gi defunti Horkheimer e
Adorno, tanto migliori e pi profondi di lui, lo pot sferrare attraverso la
mediazione del rifiuto di Hegel. Se si legge quel vero e proprio necrologio
della grande scuola francofortese che Il
discorso filosofico della modernit, testo tragicomico che sostiene che per essere
moderni bisogna prima rifiutare il pensiero metafisico di Hegel e di Marx, si
noter che la tesi per cui la metafisica
incompatibile con la modernit
sostenuta con un linguaggio fumoso e stopposo, lontano dalla profondit
di Adorno, attraverso il solito imbevibile miscuglio di kantismo e di
positivismo. Il lettore noter la mia moderata sobriet nei confronti di
Habermas, e sappia che il mio giudizio di fondo
quasi irriferibile. To non nego certamente i grandi meriti che Kant ha
avuto ai suoi tempi (ripeto: ai suoi tempi). Come ho gi sostenuto in
precedenza, Kant ha raddoppiato nel cielo della metafisica la teoria dei limiti
della normativit coattiva del potere, ed ha perci prodotto una grandissima
filosofia veramente liberale. Dal momento che il contenuto filosofico
veritativo di una grande filosofia, come
certamente stata quella di Kant, ha una eccedenza specifica rispetto al
contesto ideologico che lha vista nascere, non ho difficolt ad ammettere che
Kant continua ad avere ancora una certa validit. Ma a mio avviso la critica che
il primo idealismo ha fatto a Kant a partire gi dal 1794, e cio da quando Kant
era ancora vivo, ancora pi attuale di
Kant stesso, perch coglie gi con
insuperabile chiarezza il punto centrale della questione, e cio che i dualismi
di Kant fornivano la base essenziale per una filosofia dogmatica, che non
permetteva cio di unire la teoria e la prassi, in quanto il suo pensiero si
basava proprio sulla istituzionalizzazione della divisione di principio fra
teoria e prassi. Ed per questo, infatti,
che tutti coloro che sono usciti dal raggio di Marx (o non ne sono mai entrati)
attraverso la porta girevole di Kant (lultimo esempio noto Habermas, ma gi lasfissiante filosofia
neokantiana di Abbagnano e Bobbio pu insegnarci molto, sia pure 119 (CAPITOLO
TERZO nel piccolissimo microcosmo provinciale di Torino), hanno potuto gettar
via il bambino (il pensiero olistico della totalit da costruire
dialetticamente) con lacqua sporca (le intollerabili scemenze del marxismo
burocratico cucito con le scemenze storiciste degli straccioni organici agli
elefanti ed agli ippopotami partitici). Non nego neppure che al kantismo
abbiano aderito grandi personalit e spiriti illuminati. I professori
socialdemocratici neokantiani della Germania primonovecentesca, nauseati dalla
pappa evoluzionistica di Kautsky, hanno cercato di mostrare il nesso organico
fra kantismo e critica al capitalismo, rilevando che il capitalismo sfruttando
la gente tratta l'Uomo come mezzo e . non come fine, pi esattamente come mezzo
per lestorsione del plusvalore e non come fine per una societ di liberi e di
eguali. Sacrosanto. Giustissimo. Impeccabile. Per dirla alla romana, tuttavia,
al capitalismo non ne pu fregare di meno di stare trattando la gente come mezzo
e non come fine, e non neppure con
argomenti tanto eterei che la giusta incazzatura degli sfruttati potr essere
opportunamente aizzata. Tuttavia, la questione come ho detto non Kant, ma il modo di ragionare di Kant. Ed al
modo di ragionare di Kant bisogna prestare una particolare attenzione, perch
Marx si lega con tutto, per usare un linguaggio gastronomico e culinario, ma c'
almeno un modo di pensare con cui non pu assolutamente legarsi, ed appunto il modo di ragionare di Kant. Su questo
punto sar necessario fare alcune riflessioni nel prossimo paragrafo. 10. Il
codice genetico del modo di ragionare di Kant
luniversalismo astratto, e l'universalismo astratto ha una
caratteristica, che non per nulla una
simpatica anticamera preparatoria delluniversalismo concreto, ma una mirabile
macchina da guerra filosofica contro ogni possibilit di determinare
dialetticamente luniversalismo astratto in universalismo concreto. Si tratta di
una questione filosofica cruciale, che purtroppo sfugge a molti confusionari
benintenzionati. necessario dunque
segnalare dove esattamente stanno i meccanismi propri al modo di ragionare di
Kant ed ai suoi numerosissimi usi ideologici. Il discorso sarebbe lungo ed
articolato, e richiederebbe una amplissima discussione monografica. Non
potendola fare in questa sede per ragioni di spazio, mi limiter ad esaminare
solo due punti cruciali. In primo luogo, il modo di ragionare di Kant incompatibile con il concetto di alienazione
(Entfremdung), concetto irrinunciabile e fondante del pensiero di Marx, senza
il quale non c' pi marxismo, come non ci sarebbe pi teologia se si togliesse
Dio. Nella prospettiva di Marx luomo un
ente naturale generico (Gattungswesen), un essere per natura politico, sociale
e comunitario (politikn zoon), ed i sistemi sociali che ne impediscono il senso
sociale e 120 Il materialismo e la storia del marxismo da Marx a oggi
comunitario, e che lo imprigionano in una sola dimensione produttiva, come il capitalismo, lo alienano. Ora, nel modo di
ragionare di Kant tutto questo non solo non c', ma non neppure concettualmente articolabile. Per
Kant l'uomo da un lato un essere
originariamente libero, la cui libert come
noto postulata 4 priori perch non
potrebbe essere razionalmente dimostrata, e dallaltro un legno storto, e cio un essere che contiene
nella sua natura impulsi radicali al male. L'unione di libero arbitrio
originario e di legno storto produce uno scenario indeterminato in cui non mai previsto, e non potrebbe esserlo in alcun
modo, che luomo si perda e debba poi ritrovarsi con una prassi
rivoluzionaria. dunque del tutto ovvio
che pensatori come Habermas, dovendo sferrare il calcio dell'asino ai suoi
maestri francofortesi, comincino con il disfarsi del concetto di alienazione
(Entfremdung), considerata residuo metafisico di una improbabile
secolarizzazione religiosa. In quanto ai marxisti duri e puri alla primo
Colletti ed alla primo Althusser, che vorrebbero liquidare il concetto
idealistico di alienazione per avere finalmente il vero marxismo scientifico, e
tanto scientifico che pi scientifico non si pu,
evidente che hanno lavorato senza saperlo per la liquidazione kantiana
del marxismo stesso, seguendo ovviamente il loro eroe eponimo Tafazzi. In
secondo luogo, e questo punto ancora pi
importante del primo, il modo di ragionare di Kant isola sistematicamente
lUniversale ed il Particolare, in modo che in ogni congiuntura storica sia
sempre possibile restare ciechi e sordi rispetto al fatto che questi due poli
complementari sono astrattamente separabili ma sono poi di fatto sempre
concretamente uniti. Astrattamente il cristianesimo era buono anche nel 1480,
ma se nel 1480 Torquemada lo utilizza per bruciare vivi gli eretici bisogna
mettere fra parentesi la sua astratta bont, e bisogna concretamente opporsi ad
esso, almeno finch la congiuntura storico-temporale non passata. Astrattamente lunit europea una buona cosa, anzi buonissima, ma se nel
2007 essa si concretizza come subalternit diplomatica e militare all'impero
americano e come politica economica distruttiva verso i ceti salariati bisogna
mettere fra parentesi la sua astratta bont, e bisogna concretamente opporsi ad
essa, almeno finch la congiuntura storico-temporale non passata. Astrattamente i diritti umani
universali della carta dell'ONU del 1948 sono una buona cosa, ma se di fatto
nel 2007 essi vengono utilizzati come copertura ideologica di legittimazione
per bombardare popoli e per distruggere il diritto internazionale promuovendo
il cosiddetto interventismo umanitario (in realt una spregevole copertura per i
fini geopolitici di potenza militare dell'impero americano) allora diventano
cattivi, bisogna mettere fra parentesi la loro astratta bont ed opporsi ad
essi, almeno finch la congiuntura storico- temporale non passata. 121 CAPITOLO TERZO Ho fatto solo tre
esempi passati e presenti, ma ne avrei ovviamente potuto fare ancora molti
altri. Ma il lettore attento avr gi capito che il modo di ragionare di
Kant una struttura paralizzante per sua
natura, una macchina ideologica per impedire ogni concretizzazione determinata
del nesso fra teoria e pratica. Chi vuole sia Marx sia il modo di ragionare di
Kant sappia che solo i bambini si intestardiscono a volere contemporaneamente
cose lun laltra incompatibili. 11. Ho gi fatto notare che in un certo senso
Marx eredita da Fichte lidea della Prassi, e cio del fatto che la filosofia
deve trasformare il mondo e non solo interpretarlo (e chi pensa che Marx abbia
scoperto questo principio invitato a
sfogliare, sia pure distrattamente, una buona storia della filosofia
idealistica), e da Schelling, o meglio dalla tradizione tedesca di Goethe,
lidea del Riscatto della Natura. Mi sono soffermato su questo punto nel
capitolo precedente, e posso dunque limitarmi a qualche integrazione. Si
rimprovera in genere a Fichte di essere stato incompleto, e di aver trattato
nel suo sistema soltanto la prassi umana trascurando la Natura, che invece poi
Schelling avrebbe opportunamente inserito. Ebbene, io penso che questo
rimprovero a Fichte sia sbagliato, e che invece Fichte abbia fatto benissimo a non
inserire per principio la Natura nel suo sistema idealistico. E questo non solo
e non tanto per le ragioni che furono poi addotte da molti pensatori posteriori
(Giovanni Gentile 1899, Jean Paul Sartre 1958, eccetera), secondo cui a
dialettizzarsi pu essere soltanto un Soggetto, e non certo un aggregato
impersonale come la Natura, ma per una ragione molto pi di fondo, e cio per il
fatto che la Natura in quanto tale (non parlo di alberi piantati dall'uomo o di
animali addomesticati, eccetera) il
Limite Invalicabile della prassi umana stessa, e non pu essere in alcun modo un
elemento dialetticamente integrabile. . Nel momento in cui saggiamente Fichte
rifiuta di integrare nel suo sistema la Natura in quanto tale, egli si dimostra
paradossalmente il pi grande dei materialisti mai esistiti, perch il massimo
della consapevolezza materialistica umana (vedi Leopardi, eccetera) proprio sapere che la Natura il Limite Invalicabile dell'Uomo, e non certo
un polo dialettico. Far in proposito due esempi tratti dalla letteratura, o
meglio dalla vita quotidiana. 12. Lo scrittore portoghese Jos Saramago ha
ricordato che suo nonno, un contadino analfabeta, poco prima di essere portato
in ospedale in attesa di una prevedibile morte imminente, si conged dagli
alberi che aveva lui stesso piantato abbracciandoli e mormorandogli qualcosa
piangendo. Saramago fa notare che un atto in un certo senso sublime viene
compiuto non da un sofisticato intellettuale, ma da un contadino analfabeta. Il
nonno 122 Il materialismo e la storia del marxismo da Marx a oggi di Saramago,
se le parole hanno ancora un senso, non si dialettizza con la natura, dal
momento che dialettizzarsi significa innescare una prassi trasformatrice, ma
semplicemente la piange come limite insuperabile della propria morte
individuale. Qui c' la tristezza del congedo, non certo la dialettica della
natura. Lo scrittore italiano Tiziano Terzani, viaggiatore poliglotta colto e
curioso del mondo, viene informato di essere affetto da una malattia incurabile
e, dopo un umanissimo tentativo di guarigione attraverso modernissime tecniche
chirurgiche occidentali, cerca di vivere la sua ultima parte di vita attraverso
la pratica della saggezza filosofica universale, e quindi n greca n orientale,
ma appunto universale. Anche qui, la Natura non si presenta come polo
dialettico da superare ed integrare, ma come Limite da sopportare, o meglio da
accettare sopportandola. Le splendide pagine che Terzani ci ha lasciato devono
essere lette (o almeno, io le ho lette) come Sublimazione della Accettazione di
un Limite, non certo come una dialettizzazione con un polo integrabile della
mia prassi trasformatrice. L'espressione del giovane Marx, per cui bisogna
naturalizzare luomo ed umanizzare la natura, l'ho gi detto, non mi piace. Vedo
in essa una eco schellinghiana certamente inconsapevole, ma non per questo meno
fastidiosa. In punto di morte Labriola avrebbe definito fessistica, e cio
idiota, una simile filosofia. Questo non significa, deve essere ben chiaro, che
sia insensata lespressione vivere secondo natura, nel doppio senso del massimo
rispetto per lambiente ecologico esterno (e cio il rispetto che per sua natura
laccumulazione capitalistica smisurata non pu avere) e di uno stile di vista
sobrio e misurato. Ma l'idea prometeica di riscattare la natura mi suona
appunto di un prometeismo intollerabile, laddove la natura deve essere
considerata unicamente come il presupposto esterno non dialettizzabile della
prassi umana. Su questo punto, lo ripeto, il saggio Fichte, considerato dagli
sciocchi (si veda ad esempio la storia della filosofia di Bertrand Russell, che
scrisse che Fichte aveva spinto lidealismo fino ad un punto molto vicino alla
pazzia) come un idealista estremista,
invece stato il materialista pi rigoroso della storia della filosofia
occidentale. 13. Su Hegel mi sono gi soffermato a lungo, ed inutile ripetere cose gi dette nei capitoli
precedenti e nei due volumi complementari di questa trilogia. Dal momento per
che repetita juvant, ripeter il mio mantra preferito a proposito del rapporto
fra Hegel e Marx. Primo: questo rapporto
organico, e chi cerca di allontanare Marx da Hegel non solo dovr fare
sfracelli filologici, ma finir per applicare il metodo Tafazzi e per lavorare
per la coppia neokantismo in filosofia/neoricardismo 123 CAPITOLO TERZO in
economia. Se lo vuol fare si accomodi, nella storia della filosofia c' posto
per tutti, ma almeno sappia dove andr inevitabilmente a parare. Secondo:
Marx stato lultimo dei grandi idealisti,
il terzo se si contano solo Fichte ed Hegel, il quarto se si conta anche
Schelling, il quinto se si conta anche Feuerbach, di cui ho dato in precedenza
una interpretazione idealistica. Personalmente sono convinto che basti fermarsi
a tre, perch sono daccordo con Hegel che Schelling stato uno spinozista kantiano e sono
d'accordo con Schmidt che rileva in Feuerbach aspetti di vero materialismo
edonistico di tipo classico. Terzo: ripropongo il punto di vista di Adorno
nella sua grande Terminologia Filosofica, per cui quella di Hegel una filosofia in cui non si pu staccare
metodo e sistema, con la conclusione che non
possibile trapiantare un metodo idealistico (la dialettica) su di un
sistema materialistico, e cio ateo e strutturalistico, come quello di Marx. La
comprensione di questo punto resta, ovviamente, lo scopo principale di questo
mio saggio. Questo, per, ci costringe a passare da Marx a Engels. 14. A suo
tempo Engels scrisse che il proletariato
l'erede della filosofia classica tedesca. Una dichiarazione meditata,
che merita un commento, anche perch
molto nota e viene ripetuta sacralmente da pi di un secolo, senza
peraltro che sia diventata oggetto di riflessione critica. In proposito,
limiter il mio commento a due soli punti essenziali. In primo luogo, tenendo
conto del momento storico in cui fu fatta, e cio il cruciale ventennio
1875-1895 in cui nacque il marxismo come sistema teorico organico e soprattutto
coerentizzato, l'affermazione di Engels
pienamente giustificata, ed anche
molto felice ed indovinata. Engels capisce perfettamente che, presa nel suo
insieme, la filosofia classica tedesca, e cio soprattutto lidealismo con il suo
prolungamento a Feuerbach, stata un
movimento di emancipazione trasferito nel linguaggio specialistico della
filosofia. Siamo lontanissimi sia da Popper, che la interpreta come un
tentativo di consacrare le societ chiuse, sia da Althusser e da Colletti, che
la interpretano come una palla al piede metafisica da abbandonare appena
possibile, sia infine da Gentile e da Croce che la interpretano rispettivamente
come avallo del fascismo e/o del liberalismo conservatore. A differenza di
questi confusionari, Engels coglie perfettamente il cuore della questione, e
cio che la filosofia classica tedesca
nella sua pi intima essenza una filosofia della rivoluzione. Certo, con
il senno del poi, sappiamo oramai (o almeno alcuni sanno, ed altri si rifiutano
di prendere atto del bilancio storico dellultimo secolo) che il proletariato
inteso come classe degli operai e dei salariati non sembra essere titolare di
una capacit complessiva di superamento modale del capitalismo, e che in ogni
caso il mitico 124 Il materialismo e la storia del marxismo da Marx a oggi
lavoratore collettivo cooperativo associato non si formato, ma almeno per ora sono invece
cresciuti processi di divaricazione, frammentazione ed integrazione
consumistica e nazionalistica dei gruppi sociali subalterni. Ma questo il senno del poi, la nottola di Minerva che
si alza al crepuscolo, e siccome lidealismo di Marx era una scommessa razionale
sulla totalizzazione anticipata del corso complessivo della storia universale
(Weltgeschichte) pensata olisticamente come un unico concetto (Begriff)
trascendentale riflessivo, l'affermazione di Engels era giustificatissima, ed
era anche ammirevole per coraggio etico e politico. Quindi, lungi da me la
sciocca irrisione di questa formulazione in nome dellovvio e miserabile senno
del poi. La domenica sera sono capaci tutti di indicare l'esito di tutte le
partite di calcio segnate sulla schedina del Totocalcio. Nessuno pi sciocco del supponente grillo parlante che
conciona sulla base degli esiti finali compiuti di qualcosa. In secondo luogo,
tuttavia, se vero (o era almeno allora
verosimile) che il proletariato, prima tedesco e poi internazionale, era
l'erede della filosofia classica tedesca, di cui Hegel era indiscutibilmente
l'esponente principale, allora incongruo
che il trasferimento filosofico di questa eredit proposta da Engels avvenisse,
per iniziativa dello stesso Engels, nel penoso modo in cui avvenuto. Sia chiaro: non mi interessa
assolutamente fare il grillo parlante contro Engels, personaggio di grandissimo
livello intellettuale, anche se a volte un po dilettantesco. Ma devo constatare
che il modello filosofico che egli fin con il proporre, che era indubbiamente
una forma di materialismo dialettico, sia pure meno rozzo e dogmatico delle
posteriori varianti russe e sovietiche di esso, non solo non era una forma di
eredit del contenuto e del metodo della filosofia classica tedesca, ma ne era
per alcuni aspetti il contrario. Con questo sono consapevole di non stare
dicendo nulla di nuovo, ma di stare semplicemente riproponendo la tesi classica
del marxismo occidentale, da Rodolfo Mondolfo in poi. Nei prossimi tre
paragrafi la riproporr per in forma assolutamente nuova ed inedita, e perci non
priva di interesse. In altre parole, le fonti dirette o indirette di Engels
sono state a mio avviso soprattutto due, e cio la lettura materialistica di
Kant proposta fra il 1866 ed il 1873 da Albert Lange e la lavagna dei buoni e
dei cattivi proposta fra il 1879 ed il 1884 da Ernst Laas. Mi rendo conto di
stare proponendo una pista interpretativa e storiografica del tutto inedita sia
in Italia sia allestero, ma credo che se non si danno ipotesi azzardate tanto
vale tornare a leggere le vecchie pappe dossografiche tranquillizzanti e
soporifere. 15. Il primo libro del Capitale di Karl Marx esce in lingua tedesca
ad Amburgo nel 1867. Gli anni Sessanta dell'Ottocento sono in Germania gli 125
CAPITOLO TERZO anni del tentativo di seppellimento di Hegel come cane morto e
del cosiddetto ritorno a Kant. La monografia classica di Kuno Fischer su Kant
che inaugura ufficialmente il ritorno
del 1860. Il libro di Otto Liebmann, in cui si proponeva una storia di
tutta la filosofia tedesca dellultimo secolo e che concludeva che Kant era
sempre il migliore di tutti, del 1865.
Ma il libro fondamentale del ritorno a Kant
quello di Friedrich Albert Lange, e si intitola Storia del materialismo
(cos come, si parva licet, si chiama questo mio modestissimo contributo). In
questo libro Lange interpreta il materialismo come fenomenismo rigoroso e
conseguente, ed afferma che Kant stato
in un certo senso il pi grande e rigoroso dei veri materialisti, perch ha
ricacciato nellinconoscibile mondo del noumeno (Cosa in S [Ding an Sich], e
Concetto Limite [Grenzbegriff]) tutto ci che
fuori dell'esperienza fenomenica. In altre parole, Lange ridefinisce il
materialismo come teoria rigorosa dei limiti fenomenici della conoscenza, e dal
momento che la scienza sempre e soltanto
scienza di fenomeni, e tutto il resto
metafisica prescientifica e premoderna, il materialismo coincide con la
conoscenza scientifica. Pi di un secolo dopo, Ludovico Geymonat non dir cose
diverse. Il clima filosofico che regna negli anni in cui pubblicato il primo libro del Capitale di
Marx dunque quello del ritorno a Kant.
Non ci si lasci per ingannare. Il ritorno a Kant solo un ritorno positivistico a Kant, in
quanto la cultura tedesca dellepoca
sempre e solo robustamente positivistica, ma nello stesso tempo non soddisfatta degli involucri filosofici
stranieri con cui viene incartato il positivismo stesso, e cio il razionalismo
del francese Comte e lempirismo dell'inglese Stuart Mill. A questo punto il
vecchio ma tedeschissimo Kant pu essere riesumato e riciclato come fondatore di
un nuovo positivismo critico, che sappia dare un fondamento critico migliore
alla nuova riduzione a scienza di tutto il sapere umano. La filosofia viene cos
integralmente ridotta a gnoseologia, e cio a teoria della conoscenza. Il resto
viene marginalizzato prima ed espulso dopo come metafisico. Un breve commento.
La riduzione pressoch integrale della filosofia a teoria della conoscenza, con
le innocue aggiunte estrinseche di etica, estetica, eccetera, non pi integrate
in una totalit olistica di tipo dialettico, rappresenta insieme un
seppellimento della filosofia stessa, resa oramai del tutto innocua. Non esiste
infatti nulla di pi innocuo ed irrilevante della teoria della conoscenza, la
cosa pi inutile del mondo con la sola (parziale) eccezione della parrucca
incipriata. Agli scienziati ed ai ricercatori la teoria della conoscenza con la
sua sorella pi giovane, lepistemologia, non serve a nulla, perch la teoria
della conoscenza proprio quella cosa con
la quale senza la quale si scopre o non si scopre tale e quale. Nessuno
scopritore modemo nel campo della fisica, della chimica, della biologia, della
medicina, 126 Il materialismo e la storia del marxismo da Marx a oggi eccetera,
ha mai scoperto nulla sulla base della lettura di opuscoli di teoria della
conoscenza. Nello stesso tempo, imponendo la limitazione dell'oggetto della
filosofia alla teoria della conoscenza di un reale concepito come presupposto,
le si toglie l'oggetto della totalit olistica, che era stato quello di Fichte
(la trasformazione di cui la prassi umana
capace nell'epoca della compiuta peccaminosit), di Hegel (la totalit del
presente storico concepito come unione dialettica di realt e di razionalit), ed
infine di Marx (la totalit della storia universale dal passato comunitario al
futuro comunista attraverso il presente regno delle contraddizioni
antagonistiche). Quello che ho definito precedentemente modo di ragionare di
Kant non un particolare secondario. qualcosa - per dirlo in modo un po sommario e
settario ma sostanzialmente esatto che
rende impossibile pensare filosoficamente la proposta dialettica dellidealismo
rivoluzionario di Marx. 16. Nelle sue mirabili e tuttora metodologicamente non
superate Lezioni sulla storia della filosofia, Hegel aveva seppellito due
concezioni insostenibili della storia della filosofia stessa. In primo luogo,
aveva seppellito lidea della storia della filosofia come dossografia
cumulativa, e cio (per usare le sue stesse parole) come disordinata filastrocca
di opinioni casuali. Per Hegel la storia della filosofia ha una logica interna
di sviluppo, anche se ovviamente in essa c' larghissimo spazio per il casuale
ed il contingente. . In secondo luogo, e questo secondo punto ancora pi importante del primo, Hegel mette
in guardia da quella che ho deciso di chiamare la lavagna dei buoni e dei
cattivi, per cui partendo da un inizio convenzionale (Talete, Socrate,
eccetera) sistilano due elenchi, da una parte i filosofi buoni, che stanno cio
dalla parte giusta, e dall'altra i filosofi cattivi, che si possono impunemente
insolentire come ignoranti, irrazionalisti, antiscientifici, eccetera. La
lavagna dei buoni e dei cattivi il modo
in cui sono peraltro strutturate le storie della filosofia delle confessioni
religiose: da una parte tutti i filosofi che hanno creduto nel Dio giusto, e
cio il nostro, e dall'altra tutti i filosofi che non ci hanno creduto, o perch
atei o perch idolatri, eretici o scismatici. Per riproporre la lavagna dei
buoni e dei cattivi ci vuole la nuova mentalit positivistica tedesca del tempo,
che distrugge lintelligente impostazione dialettica di Hegel per trasferire nel
fanatismo scientifico il punto di vista della Santa Inquisizione, nel frattempo
integrata con alcuni dipartimenti di scienze naturali. E allora, fra il 1879 ed
il 1884, Ernst Laas scrive unopera monumentale, intitolata Platonismo e
positivismo, in cui la lavagna dei cattivi si chiama platonismo e la lavagna
dei buoni si chiama positivismo. L'intera storia della filosofia precedente
diventa un campo di battaglia bismarckiano (Kampfplatz). Sotto la rubrica del
platonismo Laas colloca i filosofi pi diversi: 127 CAPITOLO TERZO Aristotele,
Spinoza e Kant per il carattere matematizzante delle loro dottrine; Fichte,
Schelling e Rousseau per le loro tendenze misticheggianti verso l'assoluto;
Leibniz perch pone una norma morale che non deriva dalla sensibilit; Cartesio e
Hegel perch affermano un'attivit spirituale spontanea che non condizionata dal mondo naturale; e infine tutti
coloro che in un modo o nellatro riconoscono un principio teologico
trascendente non riconducibile alla vita terrestre delluomo. Il positivismo non
pu che allineare i nomi di Protagora, che ne
il fondatore, di David Hume e di Stuart Mill, Secondo Laas neppure
Comte un vero positivista, perch si inventato una fanfaluca come la religione
dell'umanit. Il lettore si sar gi accorto che la lavagna dei buoni e dei
cattivi proposta da Laas troppo
squilibrata da una parte. I cattivi sono troppi, ed i buoni sono troppo pochi.
Ma qui il principio che conta. E il
principio quello della lavagna dei buoni
e dei cattivi, che Engels seppe proporre in una variante migliore di quella di
Laas, integrandola con la lettura materialista di Kant fatta da Lange. Vediamo
come, perch questo tragicomico paradigma
quello che il cosiddetto movimento comunista si portato dietro per pi di un secolo. 17. Anche
in Engels, ovviamente, la Materia una
metafora di qualcosa d'altro, che si tratta appunto di scoprire, E di che
cosa metafora la Materia per Engels?
Faccio un ipotesi: per Engels la Materia
metafora della necessit ineluttabile della transizione dal capitalismo
al socialismo, necessit ineluttabile che viene chiamata Materia per condensare
tutta la variet plurale degli eventi storici ed economici in un solo concetto
(Begriff). In altre parole, anche per Engels Ja Materia unIdea, l'Idea di Materia appunto, che a sua
volta una metafora di un processo
ritenuto oggettivo ed esterno a noi che
appunto la transizione stessa. Questo comporta almeno due conseguenze
immediate. In primo luogo, la riduzione del materialismo a realismo
gnoseologico. Il materialismo consiste nel rispecchiare nel pensiero un
processo materiale che avviene fuori di noi. Anche per i preti, peraltro, la
realt non viene costruita idealmente da noi, ma
fuori di noi, solo che si chiama Dio e non solo Materia. In secondo
luogo, lintera storia della filosofia
ricostruita alla Laas (anche se non secondo i suoi esatti criteri)
secondo il modello della lavagna dei buoni e dei cattivi. L'unica modificazione
consiste nel sostituire alla coppia di Laas platonismo/positivismo la coppia
materialismo/idealismo. Siamo chiari. Tutte le conquiste della filosofia
classica tedesca vengono cos perdute. Altro che eredit! Ed ora cerchiamo di
vedere, sia pure sommariamente, in che modo vengono perdute. 128 Il
materialismo e la storia del marxismo da Marx a oggi 18. Friedrich Engels
(1820-1895) stato di fatto lunico
fondatore e sistematizzatore del materialismo filosofico marxista, e
allora assolutamente necessario prestare
una attenzione particolare alla sua figura. Tutto il secolo posteriore della
filosofia marxista, con tutte le sue avventure ideologiche di superficie, sostanzialmente interno alla sua
instaurazione, perch quella di Engels
stata una vera e propria instaurazione. Se Marx non fosse mai esistito,
la teoria dei modi di produzione non sarebbe mai esistita, ma se Engels non
fosse mai esistito, il materialismo filosofico marxista non ci sarebbe mai
stato. Engels stato una figura
pienamente ottocentesca, ed anche una figura pienamente erede
dellenciclopedismo illuminista. Il lettore non creda che alla mia critica
radicale ed inesorabile verso la sua intera filosofia si accompagni un
disprezzo o una sottovalutazione per la sua figura. esattamente il contrario. Psicologicamente ed
umanamente, mi sento pi vicino a Engels che a Marx. Engels era un borghese
enciclopedico, completamente estraneo sia allo specialismo universitario, che
la normalizzazione positivisticadi met Ottocento aveva imposto eliminando
figure ancora enciclopediche come Kant e Hegel e sostituendole con nuovi
Fachidioten (idioti specializzati), sia al settarismo politico che utilizzava
la scienza della societ come semplice ideologia di compattamento organizzativo
e di mobilitazione strumentale. Di fronte a Marx, Engels si considerava un
secondo violino. Nel suo discorso sulla tomba di Marx, utilizzando i due
termini genio e talento, Engels disse che Marx era stato un genio, e lui
soltanto un talento. Uomo dotato di interessi a 360 gradi, dallarte militare al
cristianesimo primitivo, dalla questione delle abitazioni malsane alla storia
della filosofia, Engels incarnava quella figura di intellettuale complessivo e
nello stesso tempo (non contraddittorio
come sembra) di dilettante geniale che oggi si
perduta. Engels non avrebbe mai elaborato un sistema ideologico su
commissione di alcuni politicanti cinici. Ma lo stesso Engels elabor
spontaneamente un sistema ideologico sulla base di una committenza indiretta
della socialdemocrazia tedesca nata dopo il 1875. I sistemi prodotti su
committenza diretta di gruppi di burocrati fanno schifo e durano pochi anni.
Engels invece lavor in piena indipendenza e libert, senza alcuna pressione ed
alcun controllo esterno, ed appunto per questo cre un vero capolavoro. Nel dire
che un capolavoro ribadisco anche che
personalmente non ne condivido una sola riga. Ma questo avviene, ad esempio,
anche per Kant, il che non mi impedisce di ammettere apertamente che il sistema
filosofico di Kant un capolavoro
inarrivabile. Il lettore si tenga lontano dai commentatori che identificano i
capolavori con i testi che condividono. Tutti i criteri di giudizio sono
inevitabilmente un po narcisistici, ma in questo 129 CAPITOLO TERZO caso il
narcisismo autoreferenziale ucciderebbe la storia della filosofia. Il grande
Hegel, ad esempio, non cadde mai in questo errore. A differenza di Hegel, Locke
mostr a mio avviso di non essere un grande filosofo proprio connotando i
sostenitori della sostanza, da Aristotele a Spinosa, come bambini, e come
bambini nel senso di cretini. Non nego dunque la grandezza di Engels. Ma questo
riconoscimento deve essere solo l'anticamera di un esame spregiudicato delle
sue posizioni. 19. Marx mor nel 1883. Se fosse stato vivo nel 1888, anno in cui
fu pubblicata lopera filosofica fondamentale del materialismo di Engels (cfr.
Ludwig Feuerbach e la fine della filosofia classica tedesca), l'avrebbe
condivisa 0 se ne sarebbe dissociato? Ecco una domanda per cultori della
negromanzia e del contatto medianico con i defunti, una domanda di fatto priva
di alcun interesse. Ad occhio e croce, parlando a ruota libera come se fossimo
al bar, direi che Marx non si sarebbe dissociato perch aveva smesso di
occuparsi di filosofia dopo il 1846, aveva rimosso integralmente il suo giovanile
idealismo ed il lessico della alienazione con cui aveva potuto organizzare la
sua critica al capitalismo, ed aveva interamente metabolizzato questo lessico
nella sua critica dell'economia politica. Non ritengo questo un bene, come
opina la scuola althusseriana nemica del concetto di alienazione, ma lo ritengo
un male. Lo scuso, per, perch lo considero uno spiacevole prezzo da pagare per
conseguire lascesi produttiva che lo ha portato alla maniacale fissazione verso
la riproduzione economica del capitalismo. Senza questa maniacale ascesi
produttiva non avremo avuto probabilmente il suo capolavoro, ma questa non una ragione per non capire che ci sono stati
anche dei pesanti prezzi da pagare. Ed uno di questi prezzi, probabilmente il
principale, stato la neutralizzazione di
ogni sensibilit filosofica. Solo un anestetizzato totale come Marx era
diventato rispetto alla filosofia, poteva non accorgersi neppure di stare
passando da un modello filosofico idealista ad un (implicito) modello
positivista. In proposito la colpa non
di Marx, che ha sublimato questa rimozione con una grande creazione
originale, ma dei posteriori pecoroni conformisti, che non l'hanno rilevata
nonostante fosse come la lettera rubata di Edgar Allan Poe, e cio sotto gli
occhi di tutti. 20. Ma torniamo all'opera di Engels del 1888, pubblicata cinque
anni dopo la morte di Marx. Il 1888 la
data di inizio del materialismo marxista, che prima non esisteva ancora. Invito
il lettore interessato al marxismo ad andare a rileggersi questa splendida
operetta divisa in quattro agili capitoli. L trover la matrice di tutto. Il
primo capitolo dedicato appunto ad una
critica di Hegel in cui si propone la classica contrapposizione fra metodo
dialettico rivoluzionario e 130 Il materialismo e la storia del marxismo da
Marx a oggi sistema metafisico idealistico. Ho gi fatto notare in precedenza
che questa separazione astratta di metodo e di sistema non regge, perch la
dialettica non un metodo come la logica
formale, ma una filosofia complessiva
che fa tutt'uno col sistema in cui
incorporata. I sistemi di Hegel e di Marx sono diversi non per il motivo
che dice Engels, ma perch quello di Hegel
un sistema consapevolmente limitato alla nottola di Minerva che si alza
al crepuscolo, mentre il sistema di Marx intende totalizzare olisticamente il
passato, il presente ed il futuro della Weltgeschichte (storia universale).
Entrambi i sistemi sono idealisti, e semmai quello di Marx lo ancora di pi di quello di Hegel, perch si
arrischia a prevedere addirittura il comunismo come compimento ideale
dell'umanit, sulla base ovviamente della previsione scientifico-positivistica
della necessaria transizione dal capitalismo al comunismo. Nel secondo capitolo
Engels scrive la sua lavagna dei buoni e dei cattivi, seppellendo completamente
la storia della filosofia di Hegel (che non prevedeva buoni e cattivi) e
sostituendola con quella di Laas (che invece era proprio costruita sulla
lavagna dei buoni e dei cattivi). Egli formula quella che chiama la questione
fondamentale della filosofia (ohib!), che definisce come quella del rapporto
fra Essere e Pensiero. I materialisti dicono che prima c' lEssere (si intende,
l'essere materiale) e dopo il Pensiero, ed invece gli idealisti dicono che c'
prima il Pensiero e poi, soltanto dopo, lEssere. Esistono poi i cosiddetti
agnostici (Engels nomina Hume e Kant) che negano la conoscibilit del mondo. Per
Engels, invece, la questione della conoscibilit o meno del mondo non di tipo filosofico, ma di tipo esclusivamente
pratico. Nel processo di conoscenza e di attivit pratica, sostiene Engels,
l'inconoscibile cosa in s di Kant diventa finalmente una cosa per noi. Negli
ultimi due capitoli Engels non aggiunge nulla di sostanziale, ma si limita a
criticare Feuerbach perch non era riuscito ad applicare il materialismo ai
fenomeni sociali, cosa che Marx invece avrebbe fatto. A questo punto chi
scrive, che pure sa perfettamente di essere un nano rispetto ad Engels, si
permetter un piccolo spregiudicato commento, in nome del fatto che anche i
nani, salendo sulle spalle dei giganti, possono talvolta vedere pi lontano di
loro. 21. Preso nel suo insieme, il libro di Engels del 1888 una sciocchezza. Con questo, non intendo
negare il diritto alla sciocchezza, diritto di cui ho sempre fatto
abbondantemente uso. Citer solo qui quattro esempi illustri, in modo che il
lettore si renda conto che il diritto alla sciocchezza qualcosa di eterno nella ricca storia del
genere umano. Platone, il grande Platone, il fondatore della tradizione
filosofica occidentale, scrive nel suo tardo dialogo Le Leggi che l'organo
politico che 131 CAPITOLO TERZO gestisce il potere nella nuova polis,
denominato Consiglio Notturno, deve sguinzagliare squadroni della morte segreti
per far fuori i dissidenti, ed in particolare gli atei. E questo, lo si noti
bene, Hiatone: colui che ha scritto capolavori come il Fedro e il Convito.
Aristotele, il pi grande classificatore tassonomico della storia della
filosofia, dovendo classificare gli strumenti (ergaleia), li classifica in tre
grandi gruppi: strumenti silenziosi (laratro), strumenti semiparlanti (il bue,
che infatti muggisce) ed infine strumenti parlanti (gli schiavi, che infatti
parlano come noi). Questa classificazione, degna di una buona bevuta di vino
resinato, stata fatta seriamente. Kant,
il fondatore della morale borghese moderna, richiesto se si dovesse rivelare ad
un assassino armato di coltello che il fuggiasco che stava inseguendo si era
nascosto nella soffitta della sua casa, rispose che non si poteva mentire
neppure a lui, anche se si poteva sempre sperare che il fuggiasco se la cavasse
lo stesso scappando per i tetti. Qualunque babbeo privo di studi filosofici ed
ignaro di kantismo avrebbe detto spontaneamente: No, non qui. Vada alla Malpensa, perch gi partito per le Maldive. Ma il teorico
della morale autonoma, per cui la veridicit assoluta la precondizione trascendentale di ogni
moralit, ricordandosi di essere un pedante prussiano e non un astuto siciliano,
dice che anche in questo caso non si pu violare il principio della veridicit.
Hegel, il grande Hegel, il pensatore che a mio avviso si mangia tutti gli altri
in insalata, afferma ad un certo punto che un certo pianeta (pi esattamente, un
satellite di un pianeta) non pu esistere sulla base di una corretta deduzione
dell'intero. Dopo pochi mesi il pianeta viene scoperto, e da allora tutti gli
idioti del mondo si sentono in diritto di far notare, con qualche ragione, che
non bisogna lasciarsi andare a deduzioni arrischiate, per cui la totalit non
esisterebbe, mentre la sola cosa seria che c'
l'esperimento caso per caso ex post. Ho fatto quattro esempi di grandi,
per mostrare come il diritto alla sciocchezza
un diritto naturale innato delluomo. Anche Engels, allora, pu e deve
essere messo in questa nobile compagnia. E passiamo ora ad un rapido esame di
dettaglio della natura di queste sciocchezze. 22. In primo luogo, il pensare
che il noumeno di Kant sia i sorta di elemento materiale della conoscenza (la
cosa in s e non per noi) significa ignorare che lo stesso Kant, nella seconda
edizione della Critica della ragion pura, lo ha ridefinito in termini di
concetto limite (Grenzbegriff). Il dire
come fa Engels che la pratica
sociale, la scienza e l'industria ce lo rendono sempre pi conoscibile significa
confondere il noumeno con il mondo dei fenomeni, perch Kant non avrebbe avuto
alcuna obiezione al fatto che il 132 Il materialismo e la storia del marxismo
da Marx a oggi mondo dei fenomeni diventa sempre pi conoscibile per l'uomo
sulla base di progressive scoperte scientifiche. Ma, appunto, ci che si conosce
sempre di pi sempre e solo il
fenomenismo. Si capisce allora la radice del fraintendimento di Engels. Questo
fraintendimento nasce dalla lettura di Kant fatta da Lange nella Storia del materialismo
del 1866, in cui l'elemento materiale del kantismo visto proprio nel fenomenismo, solo oggetto
della ricerca scientifica, laddove ogni metafisica era spazzata via come
residuo prescientifico. La cosa in s diventa come un terreno minerario, in cui
sempre nuove macchine e sempre nuove trivelle consentono di scavare
infinitamente. Il kantismo diventa cos positivismo, e la somma di kantismo e di
positivismo viene chiamata . materialismo. Mi pare chiaro, allora, che questa
materia di Engels una metafora
metafisica di qualcos'altro. E questo qualcosa d'altro la convinzione materiale dellesistenza,
esterna al soggetto, di una legge materiale della transizione necessaria, e per
di pi scientificamente dimostrata (il famoso passaggio del socialismo dallutopia
alla scienza), dal capitalismo al comunismo. In questo modo un Idealismo della
Storia Universale passata, presente e futura era travestito da Materialismo
della legge della transizione necessaria. 23. In secondo luogo, la
ricostruzione della storia della filosofia dai greci ad oggi in termini di
lavagna dei buoni e dei cattivi non avrebbe dovuto essere tollerata, se appena
ci si fosse ricordati della ben diversa e superiore metodologia dialettica di
Hegel. E poi, che cosa vuol dire primato dell'Essere sul Pensiero, e viceversa?
Ricordo un corso di filosofia marxista in un paese comunista europeo negli anni
Sessanta in cui ci spiegarono che Berkeley negava lesistenza della materia, ma
se per caso in un naufragio gli fosse entrata in bocca lacqua del mare se ne
sarebbe accorto che la materia esiste, e prima di morire sarebbe passato al
materialismo. E noi tutti a ridere come coglioni, convinti che tutti i filosofi
precedenti erano stati idioti al di fuori del solo Engels, con la parziale
eccezione di Epicuro, Lucrezio e d'Holbach. E poi c' chi si meraviglia ancora
della sparizione pressoch integrale del materialismo storico e dialettico dopo
il 1991! Se si prende alla lettera la teoria del materialismo come primato
dell'essere sul pensiero allora Parmenide diventerebbe il primo materialista. Ma
evidentemente per primato si intende la precedenza della materia, intesa come
atomi, molecole, eccetera, sul pensiero che la rispecchia. Se allora nella
lavagna dei buoni e dei cattivi di Laas i platonici erano tantissimi, mentre i
positivisti erano pochissimi, nella lavagna dei buoni e dei cattivi di Engels i
materialisti erano anch'essi molto pochi, mentre idealisti in vario 133
CAPITOLO TERZO modo erano tutti i filosofi migliori, da Platone ad Aristotele,
da Spinoza a Leibniz, da Kant a Hegel. E il paradosso allora stava in ci, che
il proletariato avrebbe dovuto diventare lerede della filosofia classica
tedesca, che era per idealista al cento per cento, adottando una filosofia che
aveva costruito una lavagna dei cattivi, sulla quale tutta la filosofia classica
tedesca era segnata. Avventure della dialettica? No, avventure della scemenza.
24. Dal 1873 al 1883 Engels scrisse per uso privato alcuni quaderni dedicati al
rapporto fra dialettica e natura, o pi esattamente fra metodo dialettico e
scienze della natura. Negli anni Venti del Novecento, dopo la rivoluzione
d'Ottobre del 1917, questi quaderni giunsero in Unione Sovietica, e furono
pubblicati nel 1925 sotto il nome di Dialettica della natura. E qui comincia
una vera e propria avventura della dialettica, a mio avviso la pi interessante
dell'intera storia del marxismo novecentesco. Per evitare ogni spiacevole
equivoco, dico subito che non considero affatto stupida questa opera di Engels,
in particolare tenuto conto del fatto che si tratta di appunti per uso
personale. Al contrario. Mentre a mio avviso
una vera sciocchezza, e non l'ho nascosto dietro ipocrite formulazioni
possibiliste, la classificazione dicotomica del 1888 dei buoni e dei cattivi,
non affatto una sciocchezza la ricerca
di regolarit dialettiche nella natura. Engels fa osservazioni acutissime, di
cui ricordo in particolare le critiche a Darwin e soprattutto le mirabili
pagine sul ruolo del lavoro nella formazione e nello sviluppo delluomo, pagine
che furono poi di fatto riprese da Lukcs nella sua stesura dell'Ontologia
dell'essere sociale. Vorrei sottolineare questo punto perch a suo tempo Engels
non pubblic queste note, pur se avrebbe potuto farlo quando voleva, e questo
vorr ben dire qualcosa. Il fatto poi che si sia lasciato andare ad ipotizzare
le famose leggi della dialettica, che diventarono poi la base metafisica del
marxismo di Stalin, non deve essere imputato ad Engels, in primo luogo perch
non avrebbe mai potuto sospettarlo cinquant'anni prima, ed in secondo luogo
perch ai tempi di Engels il pensiero scientifico dominante ragionava
effettivamente in termini di leggi, e la cosiddetta crisi dei modelli
scientifici dei primi anni del Novecento non c'era ancora stata, e nessuno pu
essere colpevolizzato per non aver saputo ci che lintera comunit degli
scienziati del tempo non sapeva ancora. Il problema allora non Engels. Il problema sta in ci, che il
materialismo consiste proprio non nellaffermazione metafisica per cui la
materia precede il pensiero, ma nella deduzione sociale delle categorie, e nel
modo in cui una ideologia politica di legittimazione si impadronisce
simbolicamente della storia della filosofia precedente e degli stessi dibattiti
scientifici in corso per sviluppare una visione del mondo mirata a creare un
senso di appartenenza 134 Il materialismo e la storia del marxismo da Marx a
oggi identitaria che a sua volta possa retroagire nella realt sociale. Ed qui, e solo qui, che parlare allora di
materialismo diventa sensato, come cercher di mostrare nei prossimi paragrafi.
25. Vi per un possibile equivoco che
deve essere chiarito prima ancora di iniziare una discussione critica. Vi chi infatti, sia in passato sia soprattutto
oggi, in cui di moda negli ambienti
intellettuali allineati al politicamente corretto, effettua una sorta di corto
circuito fra critica filosofica e teoria globale del marxismo storico
novecentesco (ed il mio caso) e condanna
integrale del fenomeno complessivo del comunismo storico novecentesco 1917-1991
(e non il mio caso). Dalmomento che si
tratta di un problema molto delicato, mi vedo in un certo senso costretto a
rendere esplicite alcune mie opinioni storico-politiche, in modo da non
lasciare nessun dubbio sulla natura teorica e sulle intenzioni pratiche del mio
atteggiamento di fondo. In primo luogo, ritengo che il socialismo europeo
organizzato nei partiti nazionali della Seconda Internazionale (1889-1914) sia
fallito nel 1914 con la sua vile e sporca adesione alla prima guerra mondiale
imperialistica (1914- 1918). Si tratta di una vergogna inenarrabile ed
incancellabile. Dal 1914, e non certamente dal 1917 (vedi Nolte, Furet,
eccetera), deve partire un giudizio storico equilibrato sul Novecento. Tutte le
teorie sul totalitarismo alla Arendt non lo fanno, e per questa ragione a mio
avviso valgono a malapena la carta su cui sono scritte. In secondo luogo,
l'iniziativa di Lenin in base alla quale fu portata a compimento la rivoluzione
russa dellOttobre 1917 deve essere ritenuta ottima, benefica e provvidenziale.
Viva Lenin! Occorre aggiungere, per, che la teoria di Marx c'entra molto poco
(sulla questione del livello delle forze produttive aveva di fatto ragione
Kautsky, non Lenin), mentre a legittimare integralmente la presa del potere dei
bolscevichi fu a mio avviso soltanto la sacrosanta risposta al bagno di sangue
del 1914. Lo stesso aggiustamento teorico del paradigma marxista classico alla
Kuhn (nell'epoca dellimperialismo le rivoluzioni socialiste si iniziano a
partire non dai punti alti dello sviluppo industriale capitalistico, ma dagli
anelli deboli della catena mondiale imperialistica, eccetera) non ha per me
molto significato. Gli aggiustamenti ai paradigmi epistemologicamente
zoppicanti sono cosette di poco conto. Ci che conta fu che la decisione
leninista fu sacrosanta. Per la prima volta nella storia dell'umanit il potere
delle classi dominanti fu realmente posto in discussione. Viva Lenin! In terzo
luogo, la stessa fondazione della Terza Internazionale (1919-1943) deve essere
considerata buona e benefica. Questo per non in Europa o in America Latina, in
cui sovrappose un modello avanguardistico e ben presto burocratico ad.un
movimento operaio e socialista che seguiva logiche 135 CAPITOLO TERZO
maggioritarie del tutto diverse, alla base di cui ci stava peraltro un
presupposto inconfessabile e rimosso (quello per cui la classe operaia,
salariata e proletaria metropolitana non
una classe rivoluzionaria in senso marxiano), ma in Asia ed in Africa,
in cui il comunismo si identific con lanticolonialismo e lantiimperialismo, e
fu per questo che ebbe successi reali (Cina, eccetera). In quarto luogo, la
stessa politica di Stalin (1924-1953) deve a mio avviso essere giudicata buona
nellessenziale. I suoi errori, che in alcuni casi divennero crimini, non sono
certo dovuti ad una deviazione di destra che diede il potere ad una burocrazia
sfruttatrice (come ha sostenuto per pi di mezzo secolo lerronea interpretazione
trotzkista e bordighista), ma tutto al contrario a deviazioni settarie di
estrema sinistra, che permisero vergognose mattanze plebee (1936-1938) e
consentirono che il sistema carcerario (il Gulag) diventasse una struttura
permanente di sfruttamento schiavistico. Lo stesso rimprovero (e cio la
deviazione settaria di estrema sinistra) deve essere fatto a Mao Tse Tung fra
il 1966 ed il 1976. In proposito, al di l della condanna morale (che ci vuole,
certamente, ma che non spiega nulla sul piano storico), bisogna invece prendere
in considerazione le cause storiche della doppia sconfitta (di Stalin 1956 e di
Mao 1976), e non invece dare soltanto fiato alle tautologiche trombe lamentose
della condanna del totalitarismo in nome del potere eterno del capitale
finanziario globalizzato di oggi. In quinto luogo, il fenomeno dei liquidatori
del comunismo storico novecentesco (Krusciov 1956 e Gorbaciov 1985-91) deve
essere condannato, ma nello stesso tempo interpretato in chiave non ideologica
ma strutturale, come fenomeno prima di stabilizzazione sociale della classe
burocratica di Stato (Krusciov 1956) e poi di controrivoluzione sociale
complessiva delle nuove classi medie sorte proprio sul terreno dello sviluppo
sociale socialista (Gorbaciov 1985-1991). Costoro furono peggio di Stalin, non
meglio, come farfuglia la nuova storiografia ispirata alla condanna globale del
Novecento, connotato come secolo dell'orrore fordista. In sesto luogo, per
finire, la dissoluzione del sistema geopolitico e militare socialista
compiutasi nel triennio mefitico 1989-1991, non fu linizio di una pecoresca e
belante era buonista di pace mondiale, ma linizio per il mondo dell'era spaventosa
e barbarica del dominio geopolitico unilaterale dell'impero ideocratico
americano, svincolato da qualunque residuo di diritto internazionale, con l'ONU
ridotto ad accozzaglia impotente. Il sistema socialista era pur sempre un
contrappeso, che oggi non c' pi. Queste sei osservazioni non erano neppure
necessarie in uno studio sul materialismo connesso con lo studio dell'etica e
della dialettica. Ma sempre bene che
questo mio esame critico impietoso non venga scambiato per l'atteggiamento di
Maramaldo, che mentre infieriva sul vinto Francesco 136 Il materialismo e la
storia del marxismo da Marx a oggi. Ferrucci si sent dire: Vile, tu uccidi un
uomo morto!. Sparare oggi sul comunismo storico novecentesco un atto vile assimilabile a sparare sulla
Croce Rossa, ed appunto per questo lo
sport preferito dallapparato mediatico pagatissimo, dallapparato universitario
ideologicamente incorporato (Abbasso Marx! Viva tutti gli altri!) e soprattutto
dalla parte maggioritaria della sciagurata generazione del pentitismo
sessantottino. Ed ora, torniamo alla critica filosofica. 26. Nel 1879
l'enciclica Aeterni patris consacrava ufficialmente il pensiero di Tommaso
d'Aquino come teologia di riferimento obbligatoria della Chiesa Cattolica. Nel
1931 il comitato centrale del Pcus consacra la versione di partito del
materialismo storico e dialettico uscita vincitrice negli scontri teorici con
le scuole rivali degli anni 1918-1931 come unica filosofia consentita in Unione
Sovietica. Nel 1938 il saggio di Stalin Materialismo storico e materialismo
dialettico diventa il testo filosofico di riferimento obbligatorio per tutti i
comunisti del mondo. Ancora nel 1944, in piena seconda guerra mondiale, in cui
ogni giorno morivano al fronte migliaia di soldati, il comitato centrale del
Pcus si scomoda per condannare ufficialmente un manuale di filosofia di un
certo Alexandrov, in cui Hegel veniva trattato con eccessiva benevolenza, in
quanto lidealismo tedesco avrebbe dovuto essere definito secondo le autorit di
partito in termini di reazione aristocratica contro la rivoluzione francese. E
potremmo continuare. Gli studiosi liberali, di fronte a questo fenomeno inedito
(o meglio, ecclesiastico e chiesastico) di controllo politico della filosofia,
si limitano in modo tautologico a ribadire che un regime totalitario si
comporta in modo totalitario. Ma chi non aderisce a questa virtuosa tautologia
si chiede invece: ma perch diavolo ficcare il naso anche nel dibattito
filosofico, che plurale per sua propria
essenza? Non forse una manifestazione di
debolezza anzich di forza? Gi, proprio
qui l'enigma. Si tratta di una manifestazione di debolezza. Solo un sistema
strutturalmente debole ritiene di dover ficcare il naso nel dibattito
filosofico. Vediamo ora meglio il perch. 27. Mi avvio alla conclusione di
questo capitolo e di questo saggio. Quando (ed
il mio caso personale) si
completamente al di fuori di ogni tradizione storiografica consolidata
ed organizzata e si tende, sia pure in modo ancora fragile, ad un nuovo sistema
filosofico per quanto eclettico (ma i Kant e gli Hegel non nascono ad ogni
angolo di strada!), bisogna ripetere e ripetere, riassumere e riassumere,
chiarire e chiarire, e non si sar comunque al riparo dai fraintendimenti,
persino dei fraintendimenti in perfetta buona fede. Chi infatti abituato da decenni ad una certa
percezione 137 CAPITOLO TERZO gestaltica, preferir morire piuttosto che
sottoporsi allo choc percettivo del riorientamento gestaltico. In ogni caso, e
lo dico una volta per tutte, io non nutro alcuna illusione di dialogo
produttivo di tipo socratico con le vecchie scuole marxiste rimaste. Esse
affonderanno a poco a poco come corazzate in disarmo, del tutto inadatte al
nuovo triste tipo di guerra ideologica che ci aspetta. Il lettore allora abbia
pazienza, e mi consenta di concludere con una ennesima ripetizione generale.
28. Karl Marx (1818-1883) stato lultimo
dei grandi idealisti tedeschi. Se il proletariato, prima tedesco e poi
universale, avesse potuto diventare erede della filosofia classica tedesca, e
cio con ogni evidenza dell'idealismo, che
sempre diritto e non rovesciato, e che unisce sempre strettamente metodo
e sistema, avrebbe ereditato il sistema idealistico di Marx. E questo sistema
idealistico era una filosofia della totalit, totalit che sempre per definizione un'Idea (lidea di
totalit, appunto). Questa filosofia della totalit era una interpretazione
idealistica della storia universale cosmopolitica (kosmopolitische Weltgeschichte),
esattamente come lo erano state le filosofie precedenti dei suoi maestri Fichte
ed Hegel, con la sola differenza che Marx intende (incautamente, come poi si
vedr) totalizzare passato, presente e futuro (dalla comunit primitiva al
comunismo sviluppato moderno), mentre Hegel saggiamente si era limitato a
totalizzare il passato ed il presente, senza che peraltro questo implicasse una
inesistente fine della storia. L'avere vissuto la sua giovinezza filosofica nel
contesto storico del decennio 1835-1845, caratterizzato in superficie (ma solo
in superficie) dallo scontro largamente manipolato fra Destra e Sinistra
hegeliana, port il giovane Marx ad una sorta di comprensibile e scusabile
schizofrenia teorica, per cui da un lato elaborava un sistema filosofico
implicito largamente idealistico, basato sulla nozione di ente naturale
generico (Gattungswesen) la cui potenzialit interna di tipo aristotelico
(dynamei on) quella di superare
progressivamente l'alienazione (Entfremdung), e dall'altro si dichiarava
materialista nel senso di ateo, sotto la duplice influenza della sua lettura di
Epicuro (la deviazione materiale degli atomi metaforizzata come libert umana
dell'individuo concreto) e della sua lettura di Feuerbach (lateismo umanistico
come posizione corretta da correggere ed integrare con la lotta di classe
comunista). Il connotare Marx come materialista e rovesciatore di Hegel frutto di un autofraintendimento teorico
dello stesso Marx che si poi consolidato
nel tempo come pigra ed inerziale tradizione dogmatica di scuola. La Materia
per Marx una semplice Metafora
dell'ateismo, e cio della critica alla concezione teo-antropomorfica della
divinit gi criticata da Spinoza nella sua Etica, e dello strutturalismo, e cio
della concezione per cui una vera 138 Il materialismo e la storia del marxismo
da Marx a oggi filosofia della storia dellemancipazione umana deve essere
validata da una teoria della determinazione da parte della Struttura (e cio dal
rapporto interattivo fra forze produttive e rapporti di produzione dentro un
modo di produzione storicamente determinato) sulle Sovrastrutture (ideali,
ideologiche, religiose, giuridiche, artistiche, eccetera). Una concezione
specifica e non metaforica di Materialismo ha invece senso soltanto in tre casi
particolari: a) Metodo e sistema della deduzione sociale e storica delle
categorie prima ideologiche e poi filosofico-veritative (teoria delleccedenza),
in opposizione a tutte le concezioni dossografiche della storia del pensiero
umano, ed in opposizione anche alla concezione alla Kant per cui non c' bisogno
di una deduzione sociale (e cio materiale), ma basta ed avanza una deduzione
trascendentale pura delle categorie stesse. b) Consapevolezza esistenziale
della fragilit biologica delluomo (Leopardi, ultima lettera di Labriola a
Croce, Timpanaro, eccetera). Questa consapevolezza non in opposizione, ma anzi integrativa, della concezione di Epicuro
del piacere misurato, in cui l'accento, che solitamente cade sul piacere
(edon), deve invece cadere sulla misura (metron), il che fa di Epicuro l'erede
a pieno titolo della saggezza greca di Solone e di Socrate (e pi del primo che
del secondo). Nella misura in cui il marxismo ha una etica, questa l'etica di Epicuro. Oggi, per, nell'epoca
della Dismisura e della Illimitatezza della Ricchezza del capitale finanziario
globalizzato, ogni etica sociale
impossibile, ed solo possibile
una morale provvisoria (sia individuale che comunitaria ed ecco perch occorre ripensare il
comunitarismo di resistenza e di
solidariet). c) Generalizzazione interdisciplinare dei risultati acquisiti
dalla ricerca scientifica specialistica sulle varie forme della cosiddetta
materia. Questa generalizzazione, per, non ha di per s a che fare con la
filosofia propriamente detta, che nata a
suo tempo come /ogos sokratikos, e quindi come consapevole e sobria
autolimitazione ai soli rapporti umani e sociali. Continuatori (largamente
inconsapevoli) del logos sokratikos sono stati in epoca moderna Fichte, che
saggiamente non incorpora la natura nella sua dialettica, Hegel, che invece
formalmente incorpora anche la natura ma di fatto la tratta come mera negativit
che luomo non pu assorbire nella sua evoluzione, ed infine Lukcs, che
nell'epoca della dissoluzione del tragicomico materialismo dialettico, la
religione identitaria delle burocrazie comuniste, si ripromise, pur con mille
incertezze e contraddizioni, di edificare una ontologia limitata al solo essere
sociale. 139 CAPITOLO TERZO Questi tre significati di materialismo sono stati
ampiamente segnalati in questo studio, insieme con il quarto significato
(materialismo come ateismo), che per
largamente improprio, perch si pu essere atei ed idealisti nello stesso
tempo. | Dopo il 1846 Marx ritiene di non doversi pi occupare di filosofia, e
di concentrare tutti i suoi sforzi nella sola critica dell'economia politica.
Scelta legittima, anche se discutibile, che di fatto ha permesso l'elaborazione
della sua mirabile e tuttora largamente valida concezione (di cui continuo
soggettivamente e considerarmi un allievo indipendente). per errata linterpretazione della cosiddetta
rottura epistemologica fra il primo ed il secondo Marx (Louis Althusser e
scuole althusseriane posteriori). Marx non rompe mai con la sua fondazione
pienamente idealistica (l'ente naturale generico protagonista di un progetto
emancipativo globale dentro lo scenario della storia universale cosmopolitica
pensata unitariamente come un unico concetto trascendentale riflessivo).
Semplicemente la sua premessa idealistica viene metabolizzata, e quindi
organicamente assorbita, nella sua concezione critica dell'economia politica, attraverso
la fusione della teoria hegeliana dellalienazione e della teoria
smithiano-ricardiana del valore, fusione che produce una teoria unica. Questa
interpretazione, anticipata da Franz Petry in Germania e da Isaac Rubin in
Russia, stata poi sviluppata
correttamente nel marxismo italiano degli anni Settanta del Novecento da
Claudio Napoleoni e da Lucio Colletti. Il fatto poi che Claudio Napoleoni ne
abbia tratto la conseguenza che esiste una critica dell'economia politica (che
poi lui confondeva con la critica alla Tecnica di Heidegger) ed una economia
politica critica neo-ricardiana di sinistra (sulla cui base fare poi il
consigliere del moderno principe PCI, poi dopo la sua morte PDS e DS), non mi
riguarda, ma riguarda solo la venerabile
ombra di Napoleoni. Il fatto poi che Lucio Colletti ne abbia tratto la
conclusione che tutto l'impianto teorico della teoria di Marx era platonico,
neoplatonico, hegeliano, antiscientifico ed altri mostri di varia natura,
eccetera, e bisognava allora allontanarsene e ricongiungersi alle urla di
Popper in favore dell'eternit del capitalismo, non mi riguarda, ma riguarda
solo la venerabile ombra di Lucio Colletti. Resta il fatto che vero che la teoria di Marx ha come fondamento
filosofico la fusione fra una teoria filosofica dell'alienazione ed una teoria
economica del valore. Queste due teorie, per, sono logicamente incompatibili, e
la loro incompatibilit logica d inevitabilmente luogo ad una compresenza di
elementi scientifici e di elementi utopistici. Quella di Marx allora a tutti gli effetti una utopia
scientifica, e chi non sopporta lossimoro
invitato a cambiare l'oggetto dei suoi studi. In un certo senso,
tuttavia, i teorici del marxismo come utopia (Ernst Bloch) ed i teorici del
marxismo come scienza (Louis Althusser), che si pensano lun laltro come
reciprocamente incompatibili se 140 Il materialismo e la storia del marxismo da
Marx a oggi non come sciocchi (sciocchi utopisti e/o sciocchi scientisti) sono
in realt segretamente complementari, perch ognuno di loro pensa radicalmente
solo un lato (irrelato) della questione. Si tratta - come ognuno vede di una comune mancanza di dialettica. Toccher
allora ai pensatori del futuro (ma noi dellattuale generazione non ci saremo gi
pi da tempo - si tratta di una delle poche cose di cui sono ragionevolmente
sicuro) districare questo nodo gordiano e ricomporre in una unit olisticamente
costruita l'elemento utopico e l'elemento scientifico di Marx. A puro titolo di
incerta previsione posso solo dire che bisogner quasi sicuramente rinunciare
all'elemento organicistico dell'utopia (la societ comunista intesa come comunit
della trasparenza integrale fra gli individui
incubo da evitare e non da sperare) ed all'elemento deterministico della
scienza (il futuro come luogo della previsione frutto di un prolungamento
futurologico delle tendenze sociali attuali
non cos, il futuro sempre ontologicamente il novum, o se si
vuole, un experimentum mundi). 29. Friedrich Engels (1820-1895) molto pi importante di Marx per determinare
correttamente la genesi e lo sviluppo del cosiddetto materialismo marxista,
che in realt una sua integrale
creazione. Al di fuori di alcune marginali province geografiche (come quella
italiana, cui dedicher pi avanti un sommario paragrafo) il marxismo mondiale,
il solo che abbia veramente contato, si
filosoficamente costruito sulla base di tre opere filosofiche di Engels
(Anti-Diihring, Ludwig Feuerbach e la fine della filosofia classica tedesca,
Dialettica della natura). Sono queste le tre opere (lo ammetto, poco divertenti
e filosoficamente indigeste, ma anche l'olio di fegato di merluzzo lo ) che
bisogna aver letto e studiato, se si vuole (ma non ce lo ha certamente ordinato
il medico) aprire consapevolmente il becco sulla natura del marxismo. Ed appunto ci che oggi non fa nessuno, perch
sfido lo studioso curioso a trovare una sola dj queste opere in una qualunque
libreria del mondo felice del politicamente corretto. In Engels c' una felice
schizofrenia. Da un lato, ha vissuto la sua giovinezza nell'epoca degli entusiasmi
olistici di riscatto del tardo romanticismo tedesco. Dall'altro, ha vissuto la
sua maturit produttiva nell'epoca del positivismo egemonico ed affermato. Come
il dottor Jekill e mister Hyde, Engels ha innestato un metodo ed un contenuto
integralmente positivistici su di un substrato psicologico e culturale
tardo-romantico. Su questo punto pi acuto e pi intelligente di Marx (altro che
solo talento e non genio!) - che era scioccamente convinto che la previsione
scientifica della formazione di un lavoratore collettivo cooperativo associato
alleato ad un fantomatico General Intellect potesse essere la filosofia di se
stessa (concezione simile a quella di Wittgenstein, per cui una volta usata la
scala 141 CAPITOLO TERZO per salire la si pu anche buttare via!), e dunque
della filosofia non ce ne fosse pi bisogno (io ammiro Marx, consento il diritto
alla sciocchezza, ma questa idiozia
veramente troppo grossa!) , Engels capiva invece che la filosofia una attivit permanente ed indistruttibile
delluomo in quanto tale, e quindi saggiamente cerca di organizzarne una
credibile e soprattutto sistematica, perch il sistema un bene e non un male, a differenza di come
pensano i post-moderni, i blob e compagnia cantante. Il suo sistema, per, cattivo. Ed
cattivo perch non poteva essere che cattivo, visto che era figlio di due
genitori incorreggibilmente cattivi, la penosa subalternit culturale della classe
operaia tedesca, da un lato, e la saccenteria positivista dell'universit
tedesca dall'altro. Ma ho gi accennato a Lange ed a Laas, e qui mi permetter di
compendiare ancora una volta i due punti essenziali della questione. In primo
luogo, la filosofia classica tedesca
grande soprattutto in ci, che ha superato brillantemente il punto di
vista del realismo gnoseologico religioso, dello scetticismo inglese e del
criticismo kantiano per riaffermare l'unit sacrosanta fra Soggetto ed Oggetto
della Totalit pensabile, che
l'inserimento della societ storica attuale nella storia universale. Ho
parlato della sola societ, o meglio del solo essere sociale, perch la natura
non ontologicamente incorporabile nei
progetti umani. Fichte lo cap perfettamente, ed ecco perch il pi materialista dei grandi idealisti,
quello che sa bene che la Prassi
dialettica, ma la Natura non lo . Invece Schelling non lo cap
assolutamente, e per questo resta uno spinozista kantiano (Hegel), ed a mio
avviso non neppure un idealista. In
quanto a Hegel ed a Marx, nellessenziale tornano a Fichte, anche se Hegel
ritiene opportuno inserire il tutto in una triade totalizzante
(Idea-Natura-Spirito), che per di fatto neutralizza la natura isolandola dalla
prassi umana, e Marx si lascia andare a (sia pure inedite) banalit sulla
naturalizzazione delluomo e sulla umanizzazione della natura. Chi pensa che per
salvaguardare gli equilibri ecologici del pianeta e per salvare le balene e le
foche, oltre che per non morire di inquinamento, eccetera, ci voglia una
dialettica della natura o qualcosa del genere non capisce - mi dispiace i termini filosofici elementari del problema.
La natura resta un vincolo esterno all'uomo, ed appunto per questo bisogna
rispettarla. Ora, Engels vorrebbe ereditare la filosofia classica tedesca
abolendone il cuore massimo e principalissimo, e cio lunit Soggetto-Oggetto, e
sostituendolo con la buona vecchia gnoseologia religiosa di Tommaso d'Aquino,
per cui la conoscenza rispecchia un mondo esterno dato per presupposto. Ma,
appunto, la teoria del realismo gnoseologico per cui rispecchiamo
progressivamente in modo sempre migliore un dato esterno dato per preliminare
funziona unicamente appunto per la natura naturale, 142 Il materialismo e la
storia del marxismo da Marx a oggi e non per la natura sociale. Certo, sono
d'accordo che per conoscere la materia, intesa come materia astronomica, fisica,
biologica, eccetera, la gnoseologia del realismo giusta e corretta (rimando qui ai libri di
Ludovico. Geymonat). Ma questo non funziona per il mondo storico e sociale, in
cui la filosofia della prassi dice appunto che la trasformazione anch'essa conoscenza. Certo, se si vuole dire
che per trasformare il mondo sociale bisogna prima conoscerlo (storia,
sociologia, economia, eccetera) si dice una ovviet, che nessuno pu seriamente
contestare. Ma il fatto che Natura e
Societ hanno due statuti ontologici incompatibili: la prima si pu conoscere per
rispecchiamento gnoseologico progressivo, la seconda invece unit di trasformazione soggettiva e di
conoscenza oggettiva. Mi sembra allora chiara la ragione materiale della
confusione di Engels, che possibile
capire soltanto con il metodo materialistico della deduzione sociale delle
categorie: Engels unificava natura e societ perch voleva estendere il principio
della necessit della natura anche al principio della necessit dell'evoluzione
sociale, identificata con la presunta (ed in realt inesistente!) previsione
scientifica della necessit del passaggio dal capitalismo al socialismo. C'
ancora qualcuno, oggi, che intende riaffermare veramente questo principio?
Bene, mi congratulo, e mi spiace che abbia speso malamente i soldi per
acquistare questo saggio. In secondo luogo, la filosofia classica tedesca grande soprattutto in ci, che ha superato
brillantemente il punto di vista per cui lintera storia della filosofia
occidentale pu essere scritta sulla base di una lavagna dei buoni e dei
cattivi, In proposito non conosco nulla di meglio della ricostruzione storica
di Hegel, che si fonda proprio metodologicamente sul rifiuto della lavagna dei
buoni e dei cattivi (il che non implica che io poi sia d'accordo con lui nei
dettagli - ad esempio, non credo che Hegel abbia capito a fondo Epicuro, che a
mio avviso tratta troppo male). Engels restaura penosamente la lavagna dei
buoni e dei cattivi, con la sua borgesiana classificazione surreale dei buoni
materialisti e dei cattivi idealisti, per di pi entrambi definiti in modo
gnoseologico e non ontologico, cio in termini di teoria del rispecchiamento.
Non torno pi nei penosi dettagli, che ciascuno potr esaminare in una storia
sovietica della filosofia (ce ne sono anche in traduzione francese, inglese e
tedesca, e quindi accessibili allo studioso italiano ignaro del russo). Ma chiediamoci
a cosa serve la lavagna dei buoni e dei cattivi applicata alla storia
del pensiero occidentale? Semplice, anzi semplicissimo. Serve a costituire una
storia sacra, una grande narrazione trans-storica, un teatro dello scontro fra
Buoni e Cattivi con auspicabile vittoria finale dei Buoni (alla fine saremo
tutti materialisti, e con le budella dell'ultimo prete impiccheremo lultimo
filosofo idealista piccolo- borghese). Serve, in poche parole, a ridurre la
filosofia ad ideologia. Ma solo 143 CAPITOLO TERZO dei subalterni incurabili
possono veramente pensare di ridurre lattivit filosofica, libera e veritativa
per sua propria essenza, ad attivit ideologica di partito. 30. Lenin
(1870-1924) stato il grande
rivoluzionario del 1917, il grande combattente contro il massacro della guerra
imperialistica (1914-1918), e soprattutto il grande combattente
anti-imperialista per cui lo stesso arretrato emiro dell'Afghanistan che
resisteva agli inglesi era da preferire come alleato ai socialdemocratici
civili che si alleavano organicamente con le borghesie imperialiste. Al grande
Lenin personalmente mi sono ispirato e tuttora mi ispiro nella mia solidariet
nei confronti del popolo palestinese oppresso dal sionismo e del popolo
iracheno invaso e massacrato dall'impero assassino, in mezzo al coro di
solidariet della sinistra metropolitana che alza le sue rauche grida in favore
dei bombardamenti umanitari. E dunque viva sempre Lenin! Tuttavia, come dice
lultima battuta del film americano A qualcuno piace caldo, nessuno perfetto. E neppure Lenin lo . Il grande
rivoluzionario resta un grande rivoluzionario, ma in filosofia le sue posizioni
sono non solo penose, ma francamente odiose e pericolose. E questo non tanto e
non solo per la sua difesa della teoria del rispecchiamento (un peccato
veniale!), o per la sua idea balzana per cui il noumeno di Kant sarebbe un
elemento materiale della conoscenza (qui il buon Lange ha colpito ancora!), ma
per la sua consapevole e reiterata affermazione della cosiddetta partiticit
della filosofia. Ma se la filosofia
partitica, allora lultimo coglione burocratico semianalfabeta giunto al
comitato centrale pu sentirsi autorizzato non solo a condannare a morte Socrate
e Giordano Bruno (gi fatto!), ma anche a mettere al bando le produzioni
filosofiche di uno Spinoza, di un Kant o di uno Hegel. Ho lasciato da parte
Marx, il santificato fondatore della ditta, che i burocrati non poterono
mummificare essendo gi stato seppellito a Londra nel 1883, ma che sarebbe stato
molto probabilmente inviato in un Gulag o fucilato, come peraltro genialmente
anticipato dal Grande Inquisitore de I fratelli Karamazov di Dostojevski quando
gli portano davanti l'incorreggibile rompiballe anarcoide Ges di Nazareth.
Tutto questo mi spiace non si pu spiegare materialisticamente se non
con l'ipotesi dell'irredimibile subalternit culturale e sociale della classe
storica di riferimento. So bene che si tratta di una ipotesi fastidiosa per le
orecchie pie e timorate del marxista di stretta osservanza. Io non sono
responsabile del suo pio smarrimento. Provi invece lui a fare una ipotesi
materialistica alternativa, e prometto che la prender in esame accuratamente.
144 Il materialismo e la storia del marxismo da Marx a oggi 31, Il cosiddetto
marxismo occidentale meriterebbe una analisi dettagliata, in quanto si tratta
della coscienza infelice della ortodossia politica comunista crollata nel
triennio 1989-1991. Non esiste dunque una contrapposizione geografica
Occidente/Oriente, dal momento che la libera pratica marxista in Giappone o in
Corea di fatto occidentale, mentre il
marxismo di partito del comunismo francese
sempre stato robustamente orientale. Si tratta di una storia unitaria,
al di l di apparenti scontri su questioni di dettaglio (rapporto Marx-Hegel,
trasformazione dei valori in prezzi di produzione, natura della dialettica, ed
altri punti pur interessanti ma specialistici). Si tratta di una lunga storia
di impotenza istituzionalizzata, e per di pi di una impotenza vissuta anche
soggettivamente come tale, nella generalizzata sensazione di non poter comunque
cambiare le cose, e che ogni innovazione teorica diventa irricevibile se il destinatario radicalmente intrasformabile. Il marxismo
occidentale nel suo insieme una
religione novecentesca per intellettuali, o se si vuole una gnosi novecentesca
per intellettuali, o ancora pi esattamente una religione gnostica novecentesca
per intellettuali. In quanto tale si
trattato dellorganizzazione sociale e microcomunitaria di gruppi di
testimoni completamente impotenti, in cui per la stessa impotenza stata a modo suo una forma di grandezza,
perch anche di fronte alle pi bestiali reazioni delle burocrazie comuniste
(cito qui solo l'imprigionamento del marxista tedesco Rudolph Bahro nella
defunta Repubblica Democratica Tedesca) questi gruppi di testimoni hanno
mantenuto la loro fiducia nella riformabilit globale del marxismo. Per questa
ragione non mi interessa enfatizzare le palesi differenze teoriche fra questi
gruppi (ad esempio le due incompatibili formulazioni di Althusser e di Luk4cs)
per sottolineare soltanto la loro impotente grandezza testimoniale. Il vecchio
Hegel li avrebbe probabilmente connotati in termini di protesta impotente della
coscienza infelice contro la dura realt storica intrasformabile. La maggior
parte di coloro che si sono occupati di marxismo occidentale (non parlo qui dei
dottrinari della varie scuole rissose, veri e propri capponi di Renzo
Tramaglino che si beccano lun laltro mentre vengono portati in pentola per
essere cucinati ma qui siamo nel
manicomio delle appartenenze ideologiche identitarie) sono stati troppo
ingenerosi nei suoi confronti. Ad esempio Perry Anderson, che pure in genere uno dei commentatori pi equilibrati
della cultura marxista mondiale rimasta, e si
occupato a lungo in modo sistematico del marxismo occidentale, lo rimprover
per aver effettuato una regressione dall'economia alla filosofia, compiendo cos
un percorso inverso rispetto a Marx. Questa accusa a mio avviso non sta n in
cielo n in terra. In primo luogo, se questa inversione di direzione
dall'economia alla filosofia c' stata (ed 145 CAPITOLO TERZO indubbiamente c
stata), c' stata per una ben precisa ragione materiale, e cio che mentre il
terreno dell'economia era coperto (sia pure coperto male delle teorie del
crollo economico del capitalismo, eccetera), quello della filosofia non lo era
pi, e doveva appunto essere ricostruito. In secondo luogo, rimproverare i
marxisti occidentali di non avere saputo parlare alle masse una tautologica banalit, perch le masse
occidentali realmente esistenti non hanno mai avuto nella loro grande
maggioranza interesse per il comunismo politico e tantomeno per il marxismo
teorico, avendo gi imboccato da molto tempo la via della integrazione
consumistica del conflitto, al di l di piccole nicchie fisiologiche
testimoniali di militantismo di avanguardia.
dunque del tutto ingeneroso accusare un nano di non arrivare ai ripiani
pi alti dellarmadio. Il marxismo occidentale non ha mai potuto uscire dal
cortissimo raggio della religione gnostica novecentesca per intellettuali, e
deve essere quindi giudicato non sulla base di una impossibile sua influenza
nella grande storia universale del pensiero, ma unicamente come una forma di
epicureismo minoritario di estrema sinistra, e cio di testimonianza di nicchia.
E come testimonianza di nicchia stato
una delle principali correnti filosofiche del Novecento, non certo minore del
neopositivismo, della fenomenologia, dello heideggerismo, eccetera, ma anzi a
mio avviso ancora migliore. 32. Apro qui una breve parentesi sulla storia del
marxismo in Italia. Per ragioni che riguardano la storia nazionale italiana, il
marxismo in Italia stato uno dei
pochissimi marxismi nazionali nel Novecento che non stato praticamente (o stato pochissimo) influenzato dalla corrente
materialista di Engels, Lenin e Stalin. In effetti, per studiare la storia del
marxismo in Italia, la lettura delle tre opere citate di Engels quasi inutile. Vi sono per questo alcune
ragioni di fondo, ma qui mi limiter a ricordarle brevemente. In primo luogo, le
origini della discussione marxista italiana risalgono ad un triangolo di fine
Ottocento (Antonio Labriola, Giovanni Gentile, Benedetto Croce), in cui lautore
di riferimento non Engels, e neppure la
coppia Kautsky-Bernstein, ma lo stesso
Labriola, che ha un profilo filosofico assolutamente particolare ed
irriducibile a qualunque altro. In secondo luogo, i Quaderni del carcere di
Antonio Gramsci, la cui ricca parte filosofica
stata poi la fonte autoritativa principale del dibattito filosofico
marxista in Italia dopo il 1945, sviluppano una critica diretta alle due forme
di idealismo di Croce e di Gentile, mentre ignorano quasi del tutto le fonti
filosofiche di Engels e di Lenin. Per alcuni, come Geymonat, questo stato un male, mentre per altri (come chi
scrive) stato invece un bene. 146 Il
materialismo e la storia del marxismo da Marx a oggi In terzo luogo, quando
Palmiro Togliatti, a partire dal 1945, ha costruito il PCI come partito nuovo
di massa, ha anche scelto una base filosofica aperta e flessibile ispirata allo
storicismo e non certamente al materialismo dialettico dei manuali sovietici.
Si trattato di una scelta molto
intelligente, in quanto si innestava nella continuit di quellidealismo di
sinistra che aveva portato molti intellettuali negli anni trenta ad aderire al
comunismo in modo del tutto indipendente da Stalin. In quarto luogo, infine, la
sola variante marxista italiana che si contrappose allo storicismo di
Togliatti, e cio loperaismo di Raniero Panzieri, fu anch'essa del tutto
estranea al materialismo filosofico di Engels e Lenin, ma si ispir invece
piuttosto alla sociologia del conflitto anglosassone, unita ad una lettura
neo-ricardiana dell'economia di Marx. Un'analisi della dinamica particolare del
marxismo italiano e del suo rapporto con il materialismo esula per dal
contenuto di questo saggio. 33. Posso allora chiudere finalmente il mio gi
troppo lungo discorso con un consiglio metodologico per il lettore. Il lettore
ovviamente legge poi come vuole, ma questo non toglie che anche lautore ha il
diritto ad un educato suggerimento metodologico. In primo luogo, il problema
della dialettica ed il problema del materialismo restano un solo ed unico
problema. Ci che conta, infatti, il modo
in cui viene costruita e pensata la totalit olistica con cui noi pensiamo la
realt, prima in modo semplicemente intuitivo e soltanto dopo in modo razionale
e strutturato, mentre la presa in considerazione separata della , dialettica e
del materialismo meno importante. In
questo senso, se noi prima non intuiamo il carattere distruttivo ed alienante
della riproduzione capitalistica illimitata e smisurata, distruttrice dell'ambiente
e delle stesse radici antropologiche comunitarie delluomo, nessun argomento
posteriore potr mai in qualche modo convincerci. Questo non affatto irrazionalismo, Dio ce ne scampi, ma
soltanto presa datto di una esperienza quotidiana, il fatto cio che
largomentazione viene generalmente in supporto di una preventiva intuizione
olistica della totalit alienata. Il modo di ragionare kantiano e l'abitudine
religiosa a stilare la lavagna dei buoni e dei cattivi non solo non aiutano, ma
impediscono di orientarsi liberamente nella ricostruzione del passato e nella
valutazione del presente. In secondo luogo, l'etica e la politica senza una
base filosofica sono nulla, e sono anzi quasi sempre pompose raccolte di
banalit convenzionali. Con questo, non intendo dire per discutere del bene e
del male e per partecipare all'attivit politica bisogna prima seguire un corso
triennale di filosofia. Non sono mica scemo. Intendo invece dire che senza una
preventiva concezione filosofica del mondo, generalmente implicita 0 poco
esplicitata, concezione 147 CAPITOLO TERZO che
alla portata anche e soprattutto di chi in vita sua non ha mai neppure
sentito nominare una volta Platone ed Aristotele, Kant e Hegel, eccetera,
non neppure possibile letica e la
politica. La mia trilogia, purtroppo o per fortuna, si rivolge esclusivamente a
coloro che invece in qualche modo padroneggiano la terminologia filosofica e la
storia della filosofia. So bene che non sono molti. Ma in futuro, ed una speranza razionale, potranno essere forse
di pi. Spero che questa trilogia li aiuti a crescere, e soprattutto dia loro pi
sicurezza, fiducia e speranza. 148 NOTA BIBLIOGRAFICA GENERALE La bibliografia
critica sul materialismo sterminata. Qui
mi limiter a segnalare alcuni dei testi ricordati nel mio saggio e che ho
consultato recentemente per riorganizzare meglio le idee. Non ricordo qui,
perch l'ho gi fatto altrove, la mia personale bibliografia critica riguardante
il marxismo, il comunitarismo e pi in generale la mia proposta ricostruttiva
della filosofia antica, moderna e contemporanea. La rilettura pi feconda quella del capolavoro di T. W. Adorno,
Terminologia filosofica, 2 vol., Einaudi, Torino, 1975. Qui la terminologia
filosofica veramente esposta in modo
dialettico, con continui rimandi da un concetto al suo opposto. Se ci si vuol
rendere conto di che cosa significhi decadenza in filosofia, si legga quel vero
e proprio calcio dell'asino ai suoi maestri di ]. Habermas, Il discorso
filosofico della modernit, Laterza, Bari- Roma, 1987. Un'indispensabile
introduzione storica e terminologica ai concetti usati contenuta in A. Pacchi, Materia, Isedi,
Milano, 1976 ed in P. Casini, Natura, Isedi, Milano, 1975. Estremamente ricco
di spunti il dialogo di W. Post-A.
Schmidt, Che cos' il materialismo, Laterza, Bari-Roma, 1976. Dai rilievi di
Schmidt ho tratto il concetto di natura in Marx elaborato in questo mio
scritto. La definizione di Ludovico Geymonat
tratta da Materialismo e Marxismo, in Marxismo oggi, I, novembre 1987.
Molto utile mi stata la silloge di M.
Cingoli, Marxismo Empirismo Materialismo, Marcos y Marcos, Milano, 1986. Per la
concezione di materialismo nellultimo Althusser si veda idem, Sul materialismo
aleatorio, Unicopli, Milano, 2000. Di Timpanaro si veda S. Timpanaro, Sul
materialismo, Nistri Lischi, Pisa, 1975, ma ancor meglio il breve ma ricco
Dialogo sul materialismo con Fabio Minazzi in Marx 101, 4,1991. Sul
materialismo etnologico si veda M. Harris, Cannibali e Re, Feltrinelli, Milano,
1979. Mi sono ampiamente servito di due storie della filosofia. La prima quella di M. Bontempelli-F. Bentivoglio, Il
senso dell'essere nelle culture occidentali, Trevisini, Milano, 1992. La
seconda, ampiamente citata, quella di F.
149 NOTA BIBLIOGRAFICA GENERALE Voltaggio, I filosofi e la storia, Principato,
Milano, 1981. Nel panorama dell'editoria scolastica italiana, si tratta dei due
testi che si sono maggiormente avvicinati ad una deduzione sociale delle
categorie. A proposito del mondo antico si veda P. Nizan, I materialisti
dell'antichit, Bertani, Verona, 1972, e la lettura completamente opposta di W.
Otto, Epicuro. All'insegna del Veltro, Parma, s.d. Molto importanti sono i due
testi di P. T. d'Holbach, Sistema della natura, Utet, Torino, 1978; Il buon
senso, Garzanti, Milano, 1985. La commovente lettera di Antonio Labriola che ho
parzialmente citato contenuta in A.
Labriola, Lettere a Benedetto Croce, Editrice 1.5.5, Napoli, 1975. A proposito
di Severino e Galimberti, da me ampiamente citati, si vedano i due lavori
monografici di Luca Grecchi: Nel pensiero filosofico di Emanuele Severino,
Editrice Petite Plaisance, Pistoia, 2005; Il pensiero filosofico di Umberto
Galimberti, Editrice Petite Plaisance, Pistoia, 2006. Per una concezione
filosofica della religione non ridotta ad antropocentrismo cerimoniale vedi M.
Vannini, Mistica e filosofia, Piemme, Casale Monferrato, 1996. Sulle fonti
classiche di Sohn-Rethel si veda: A. Sohn-Rethel, Lavoro intellettuale e lavoro
manuale, Feltrinelli, Milano, 1977; Il denaro. L'apriori in contanti, Editori
Riuniti, Roma, 1991. Il classico di Simmel, mai abbastanza letto e
studiato, G. Simmel, La filosofia del
denaro, Utet, Torino, 1984. Letta bene, quest'opera ci introduce dentro
l'enigma del crollo del comunismo storico novecentesco e della correlata vittoria
del capitalismo. Ma questo un enorme
continente teorico da discutere a parte. Per una ottima storia del marxismo in
Italia si veda C. Corradi, Storia dei marxismi in Italia, Manifestolibri, Roma,
2005. Non ritengo opportuno riportare
alla fine di questa nota bibliografica moltissime fonti che pure ho utilizzato.
Alcune sono in lingua greca, e quindi inutilizzabili per il lettore italiano.
Altre sarebbero utilizzabili, perch in lingua inglese, francese e tedesca, ma
di fatto sono introvabili ed indisponibili, perch si tratta di edizioni sovietiche
sparite e distrutte nel diluvio universale del 1991. Se ne occuperanno
certamente archeologi delle prossime generazioni. Per ora ritengo che il
compito di chi scrive sia anche quello di conservare la memoria di dibattiti
che a suo tempo entusiasmarono una intera generazione. 150 Indice PROLOGO Il
completamento ed il perfezionamento del progetto teorico complessivo di una
trilogia .................................vv INTRODUZIONE Il materialismo come
concezione globale del mondo. Significati storici e filosofici, metafore
ideologiche e politiche, contraddizioni e chiarimenti ............... CAPITOLO
PRIMO Materialismo e religione. Storia e filosofia dellateismo nella sua ostile
complementariet con la perennit dell'esperienza religiosa ...............MMririin
CAPITOLO SECONDO Materialismo e Filosofia. La riscrittura della storia della
filosofia occidentrale e la deduzione storico-materialistica delle categorie
filosofiche e ideologiche nella loro distinzione qualitativa
.............svvriiiiiiiirir rienza * CAPITOLO TERZO Il materialismo e la storia del marxismo da
Marx a oggi. Un ritorno interminabile sullo spazio teorico della
autoriflessione filosofica delle contraddizioni sociali fra scienza, utopia,
dialettica e Metafisica .......Mirirrirecerecnene NOTA BIBLIOGRAFICA GENERALE
...........c.c.scccceciccrcriicecizin irene rcerereneizioniceo mansecesentoreo
151 Costanzo Preve STORIA DELLA DIALETTICA Questa breve storia della dialettica stata pensata e scritta sulla base di un
criterio dialettico, quello della compresenza necessaria in una sola unit
concettuale di due opposti in correlazione essenziale. Questi due opposti in
correlazione essenziale sono lElemento Contingente e lElemento Permanente nella
produzione di verit filosofiche. Da un lato, tutte le categorie filosofiche
sono prodotte all'interno di un ben preciso contesto storico e sociale, non
cadono dal cielo, non sorgono da una generica ed improbabile ispirazione, e non
possono evitare un ... uso ideologicoed una strumentalizzazione politica e religiosa.
Questo s il Contingente. a Dall'altro,
queste stesse categorie producono verit (e falsit) filosofiche che sopravvivono
al loro tempo ad aiutano gli uomini di tutte le epoche ad interpretare la loro
condizione umana. E questo il
Permanente. L'unione di Contingente e di Permanente l'elemento dialettico della storia della
filosofia. In quindici brevi e concisi capitoli storici vengono indagati alcuni
sistemi di pensiero dialettico e non. Si tratta nellordine: dell'origine della
filosofia greca e di Eraclito, di Socrate, di Platone, di Aristotele, dei
neoplatonici antichi e Plotino, dei filosofi cristiani medioevali, di Rousseau,
di Kant, di Fichte, di Hegel, di Marx, dei problemi del rapporto fra materia-
lismo e dialettica, della dialettica nel pensiero marxista, della natura
sociale e filosofica delle critiche alla dialettica ed infine, per concludere,
si tenta una in-terpretazione dialet- tica della situazione storica attuale. Il
solo modo che ha la carta per scusarsi con gli alberi che sono stati tagliati
per confezio- narla quello di fare da
supporto materiale ad idee nuove ed originali. Il lettore ne trover certamente
molte, inedite ed a prima vista un po sconcertanti. L'ideale per aprire quella
discussione filosofica radicale e senza rete che molti spiriti sensibili oggi
auspicano. PREMESSA / INTRODUZIONE: Dialettica e filosofia nella storia
bimillenaria del pensiero occidentale CaritoLo PRIMO: La genesi storica,
sociale e ideale della filosofia greca / CarmroLo SECONDO: La dialettica di
Socrate /CAritoLO TERZO: La dialettica di Platone / CAPITOLO QUARTO: La
dialettica di Aristotele / CAPITOLO QUINTO: La dialettica dei neoplatonici
antichi /Caprroto sesto: La dialettica dei teologi e dei filosofi cristiani
/CAPrTOLO SETTIMO: La dialettica di Rousseau /CaprroLo OTTAVO: La dialettica di
Kant /CarrTOLO NONO: La dialettica della prima forma di idealismo moderno:
Fichte / CarrtoLo DECIMO: La dialettica della seconda forma di idealismo
moderno: Hegel / CarrroLo - unpicesmo: La dialettica della terza ed ultima
forma di idealismo moderno: Marx / Captroro DODICESIMO: L'impossibile
matrimonio fra dialettica e materialismo / CAPITOLO TREDICESIMO: L'illusoria
teologia dialettica unificata di natura e societ: la tragicomica storia del
materialismo dialettico / CAPITOLO QUATTORDICESIMO: Le critiche
politico-filosofiche alla dialettica da Eduard Bernstein a Lucio Colletti
/CarrroLO QUINDICESIMO: La dialettica oggi. L'incubo della fine capitalistica
della storia ed il sogno di una utopia concreta di emancipazione / CAPITOLO
sEDICESIMO: Conclusione e sintesi / NOTA BIBLIOGRAFICA GENERALE COMMENTATA 152
Costanzo Preve STORIA DELL'ETICA L'etica nasce storicamente come funzione
sociale diretta della riproduzione comunitaria, secondo una logica che la
teoria dell'evoluzione di Darwin descrive in modo sostanzialmente esatto. Ma,
dal momento che luomo un ente naturale
generico dotato di ragione e linguaggio, e che il suo sviluppo sociale si
compie dialetticamente attraverso un'articolazione classista della comunit, ad
un certo punto sorge necessariamente una problematizzazione morale dei
fondamenti dell'etica tradizionale. Questa storia dell'etica, ispirata al
metodo della logica della storia di Karl Marx, parte dalla dialettica
dicotomica fra Misura e Dismisura nel modo di produzione dei piccoli produttori
indipendenti della Grecia classica e si sviluppa sulla base di passaggi storici
successivi. Si considerano in particolare il modo di produzione schiavistico
antico ellenistico-romano, i due aspetti delletica cristiana dal momento
messianico al momento gerarchico feudale, ed infine l'etica nel capitalismo
periodizzato in tre momenti successivi (epoca di transizione tardosignorile e
protofeudale, capitalismo classico dicotomico scisso in borghesia e
proletariato, ed attuale capitalismo smisurato senza classi postborghese e
postproletario). Un capitolo poi
dedicato al dilemma etico del comunismo storico novecentesco recentemente
defunto (1917-1991). I tre capitoli finali del saggio sono dedicati alla
discussione di questioni filosofiche concernenti la fondazione teorica di
un'etica che sia all'altezza delle sfide del mondo attuale. Il mondo
attuale connotato come un mondo che non
rende possibile alcuna fondazione razionale dell'etica che non sia un'etica
della resistenza. questa ad un tempo la
premessa e la conclusione di questo saggio. Senza resistenza all'immoralit
strutturale del mondo attuale non
possibile alcuna etica, ed ogni discussione sugli ismi appare priva di
orizzonte e di consistenza. Premessa: Chiarimento al lettore del metodo
impiegato in questa storia dell'etica INTRODUZIONE: Sulle tracce incerte di una
continuit nell'oggetto del ruolo dell'etica nelle societ umane /CarrtoLO PRIMO:
Il nesso di etica e di religione nella etnogenesi delle comunit umane / CAPITOLO
SECONDO: L'etica nel modo di produzione dei piccoli produttori indipendenti
della Grecia classica dai presocratici ad Aristotele /CartroLo TERZO: L'etica
nel modo di produzione schiavistico ellenistico e romano da Epicuro al tramonto
del mondo antico /CarmoLo QUARTO: L'etica messianica di salvezza nel primo
cristianesimo fino alla normalizzazione costantiniana / CAPITOLO QUINTO:
L'etica gerarchica nel modo di produzione feudale europeo comparata con l'etica
di altri modi di produzione tributari / CaritoLo sesto: L'etica della modernit
europea nell'epoca di transizione tardosignorile e protoborghese / CAPITOLO
SETTIMO: L'etica nel modo di produzione capitalistico classico nelle sue
varianti complementari borghese e proletaria / CaritoLo OTTAVO: Il ruolo dell'etica
nel contesto del comunismo storico novecentesco recentemente ed
irreversibilmente defunto (1917-1991) / CaritoLo Nono: L'etica nel modo di
produzione capitalistico attuale integralmente ed inaspettatamente postborghese
e postproletario / CAPITOLO pecMO: Le critiche e gli smascheramenti della
morale, presupposti inconsapevoli dell'etica nichilistica postborghese e
postproletaria / CAPITOLO UNDICESIVO: Il luogo filosofico di unaporia. Il
pensiero di Karl Marx fra superamento della morale ed etica dell'emancipazione
/ CAPITOLO DODICESIMO: Fra le macerie dell'utopia scientifica di Marx.
Determinismo teleologico, messianesimo secolarizzato ed ontologia dell'essere
sociale /INOTA BIBLIOGRAFICA GENERALE 153 il giogo 1. Luca Grecchi, La verit
umana nel pensiero religioso di Sergio Quinzio. 2. AA. VV., Sumbdllein.
Riflessioni sugli scritti di Umberto Galimberti. Federico Bordonaro, L'et della
tecnica? Appunti di lettura di Psiche e Techne
Michele Marolla, Dalla crisi della ragione alla coscienza simbolica. Esposizione
e osservazioni critiche intorno al saggio di U. Galimberti, La terra senza il
male. Jung: dall'inconscio al simbolo
Franco Toscani, Sacro, tecnica, etica nel pensiero di Umberto.
Galimberti Diego Melegari, Dall'equivoco
alla possibilit Alberto Giovanni Biuso,
Corpo e Tempo - Costanzo Preve, Marx e Heidegger. Pervasivit della tecnica e
critica culturale al capitalismo nei due classici ed in alcuni loro interpreti
contemporanei Giuseppe Bailone, La
malattia genetica del marxismo. Obiezioni al Marx e Heidegger di Costanzo
Preve Giuseppe Bailone, I vizi di
Galimberti e il peccato di Aracne. 3. Umberto Galimberti - Luca Grecchi,
Filosofia e Biografia. 4. Luca Grecchi, Nel pensiero filosofico di Emanuele
Severino. 5. Luca Grecchi, Corrispondenze di metafisica umanistica. 6. Luca
Grecchi, Il necessario fondamento umanistico della metafisica. 7. Costanzo
Preve Luca Grecchi, Marx e gli antichi
Greci. 8. AA. VV., Dialettica oggi. Costanzo Preve, Elogio della filosofia.
Fondamento, verit e sisterna nella conoscenza e nella pratica filosofica dai
greci alla situazione contemporanea
Giuseppe Bailone, La verit si pu mettere ai voti? Enrico Berti, Si pu parlare di una evoluzione
della dialettica platonica? Mario
Vegetti, La dialettica nella Repubblica di Platone - Domenico Losurdo,
Contraddizione oggettiva e analisi della societ: Kant, Hegel, Marx - Giovanni
Stelli, Alcune osservazioni sulla dialettica hegeliana Nello De Bellis, Note a margine sulla
dialettica di Hegel Alberto Giovanni
Biuso, Dialettica e benedizione. Sull'antropologia greca di Friedrich
Nietzsche Michele Marolla, Riflessioni
sull'attualit della dialettica. 9. Luca Grecchi, Conoscenza della felicit.
Premessa di Mario Vegetti. 10. Luca Grecchi, Il pensiero filosofico di Umberto
Galimberti. Presentazione di Carmelo Vigna. 11. Costanzo Preve, Storia della
Dialettica. 12. Marino Gentile, La metafisica presofistica. Con una Appendice
su Il valore classico della metafisica antica. Introduzione di Enrico Berti.
13. Costanzo Preve, Storia dell'Etica. 14. Enrico Berti, Incontri con la
filosofia contemporanea. 15. Luca Grecchi, Il presente della filosofia
italiana. 16. Costanzo Preve, Storia del Materialismo. 17. Giovanni Casertano,
La nascita della filosofia vista dai Greci. 18. Mario Vegetti, Scritti con la
mano sinistra. 19. Diego Fusaro, Incursioni nella filosofia moderna. 154 altri
nostri titoli Massimo Bontempelli, Il respiro del Novecento. Percorso di storia
del XX secolo (1914- 1945). Paul Forman, Fisici a Weimar. La cultura di Weimar,
la causalit e la teoria quantistica. A cura di Tito M. Tonietti. Costanzo
Preve, Hegel Marx Heidegger. Un percorso nella filosofia contemporanea. Luca
Grecchi, L'anima umana come fondamento della verit. Daniela Belliti, Dopo il
totalitarismo. Filosofia e politica nel pensiero di Hannah Arendt. Luca
Grecchi, Karl Marx nel sentiero della verit. Gianfranco La Grassa, Il
capitalismo oggi. Dalla propriet al conflitto strategico. Per una teoria del
capitalismo. Luca Grecchi, Verit e dialettica. La dialettica di Hegel e la
teoria di Marx. Costanzo Preve, Le contraddizioni di Norberto Bobbio. Per una
critica del bobbianesimo cerimoniale. Eric Weil, Pensare il mondo. Filosofia
Dialettica Realt. Costanzo Preve, Un secolo di marxismo. Idee e ideologie.
Carlo Carrara, La domanda del senso. Per una filosofia del ri-trovamento.
Giancarlo Paciello, Quale processo di pace? Cinquant'anni di espulsioni e di
espropriazioni di terre ai palestinesi. Costanzo Preve, Verit filosofica e
critica sociale. Religione, filosofia, marxismo Massimo Bontempelli, Filosofia
e Realt. Saggio sul concetto di realt in Hegel e sul nichilismo contemporaneo.
Federico Dinucci, Marx prima di Marx. Teoria del valore e processi di
globalizzazione. Diego Melegari, I/ problema scongiurato. Note su Antonio Negri
e il partito del General Intellect. Costanzo Preve, Individui liberati, comunit
solidali. Sulla questione della societ degli individui. Marino Badiale, La
Mappa e il Paesaggio. Osservazioni critiche sull'epistemologia del Novecento.
Costanzo Preve, Il bombardamento etico. Saggio sull'Interventismo Umanitario,
sullEmbargo Terapeutico e sulla Menzogna Evidente. Marco Salvioli, Kenosi e
De-centramento. Il concetto di Dio tra J. Derrida e M. C. Taylor. Costanzo
Preve, Marxismo, Filosofia, Verit. Massimo Bontempelli-Costanzo Preve, Ges uomo
nella storia, Dio nel pensiero. Federico Dinucci, Materialismo aleatorio.
Saggio sulla filosofia dell'ultimo Althusser. Massimo Bontempelli - Costanzo
Preve, Nichilismo Verit Storia. Un manifesto filosofico della fine del XX secolo.
Costanzo Preve, I secoli difficili. Introduzione al pensiero filosofico
dell'Ottocento e del Novecento. Giancarlo Paciello, La nuova Intifada. Per il
diritto alla vita del popolo palestinese. Andrea Cavazzini, Teoria, Ideologia,
Storia. Note critiche su un inedito di Althusser. Roberto Signorini, Arte del
fotografico. I contini della fotografia e la tesine teorica degli ultimi venti
anni. 155 altri nostri titoli Gianfranco La Grassa, L'imperialismo. Teoria ed
epoca di crisi. Costanzo Preve, L'educazione filosofica. Memoria del passato -
Compito del presente - Sfida del futuro. Andrea Cavazzini, Evento e concetto.
Filosofia e Storia della Filosofia. Costanzo Preve, Le avventure dell'ateismo.
Religione e materialismo oggi. Massimo Bontempelli, La conoscenza del bene e
del male. Costanzo Preve, Destra e Sinistra. La natura inservibile di due
categorie tradizionali. Fabio Bentivoglio, Aristotele: Metafisica. Scienza,
natura e destino dell'uomo Costanzo Preve, Marxismo e Filosofia. Note,
riflessioni e alcune novit. Paolo Turi, mile Durkheim e il problema
dell'ordine. Giancarlo Paciello, La conquista della Palestina. Le origini della
tragedia palestinese. Massimo Bontempelli, Tempo e Memoria. La filosofia del
tempo tra memoria del passato, identit del presente e progetto del futuro.
Fabio Bentivoglio, Giustizia conoscenza e felicit. Idee, miti e attualit ne La
REPUBBLICA di Platone. Maria Luisa Tornesello, Il sogno di una scuola. Lotte ed
esperienze didattiche negli anni Settanta: controscuola, tempo pieno, 150 ore.
Allegato il cd-rom (per Windows) con l'audiovisivo Oltre il libro di testo,
Parole ed esperienze di opposizione nella scuola dell'obbligo degli anni
Settanta di Maria Luisa Tornesello e Roberto Signorini. Roberto Signorini, Alle
origini del fotografico. Lettura di The Pencil of Nature (1844- 46) di William
Henry Fox Talbot. 156 EGERIA Letteratura, arte, pensiero d'Europa Scrittrici
del Novecento europeo. K. Bove - G. MANZINI - E. LASKER-SCHULER - V. WooLr - S.
WEIL - M. CVETAEVA. : Interventi di: D. Marcheschi - M, Ghilardi - U. Treder -
M. Del Serra - G. Fiori - C. Graziadei. La Minima. Due atti di MaurA DEL SERRA,
con una nota di Daniela Marcheschi. Novanta. Verso un'arte di pensiero, di
AMEDEO ANELLI. E. Aspozzo - G. Bar - S. CARDINALI - A. CAVALIERI - A. CESARI -
F. DE BERNARDI - F. FEDI - G. GN - S. NIHLN - C, Rosi - F. ScaTOLI - M, TRANI -
W. XERRA. Prose e interviste di MARGHERITA Gupacci. A cura di Ilaria Rabatti.
Di poesia e d'altro - vol. I, di Maura DEL SERRA. M. MADDALENA - JACOPONE - L.
DELLA RoBBIA - W. SHAKESPEARE - G. HERBERT - J. I. DE LA CRUZ - G. B. Vico - U.
Foscoto - C. COLLODI - F. NIETZSCHE. Poeti del Novecento europeo. G. TRAKL - A.
AcHMaTOva - T. S, ELIOT - F. G. Lorca - P. PAOLO PASOLINI - E. SODERGRAN.
Interventi di: R. Carifi - M, Colucci - R. Sanesi - A. Melis - M. Del Serra -
D. Marcheschi. Il fuoco e la rosa. I Quattro Quartetti di Eliot e Studi su
Eliot, di MarcHERITA Gumacci. A cura di Ilaria Rabatti. Di storia in storia: la
biblioteca italiana di Hjalmar Bergman, di Yrja HAGLUND. Il Segugio del Cielo e
altre poesie, di Francis THoMPsoN. A cura di Maura Del Serra. Drammaturghi del
Novecento europeo. H. Issen - L. PIRANDELLO - A. CAMUS - B.
BrEcHT - S. BECKETT. . Interventi di: G. Antonucci - M.
Argenziano - U. Ronfani - L. Zagari - K. Elam. Di poesia e d'altro - vol. II,
di MAurA DEL SERRA. E THomrson - A. PANZINI - E. LASKER-SCHOLER - D. CAMPANA -
A. OnORRI - V. S. SOLOV'V. Filo di perle Ain Zara Macno, Parole d'amore. A cura
di Ilaria Rabatti. Luisa GiaconI, Dalla mia notte lontana. A cura di Haria
Rabatti. MARGHERITA Gumacci, La voce dell'acqua. Quaderno di traduzioni, a cura
di Giancarlo Battaglia e Ilaria Rabatti [autori tradotti: William Blake, Hilda
Doolitle, Thomas S. Eliot, Gabriela Mistral, Richard Eberhart, Robert Frost,
Archibald MacLeish, Ezra Pound, Tu Fu, Mao Tse-tung, Federico Garcia Lorca,
Vicente Aleixandre, Jorge Guilln, Cristopher Smart, Marie Under, Kathleen
Raine, Henrik Visnapuu, Francis Thompson, Czeslaw Milosz, Elizabeth Bishop,
John Keats]. 157 Nel vento Maura DEL SERRA, Crescita e costruzione: immagini
del giardino. Giuseppe Giusti, Il Gingillino. A cura di Giampiero Giampieri e
Luigi Angeli. Simone Wert, Le Poesie. Introduzione e traduzione di Maura Del
Serra. DanreLa MarcHeschI, Destino e sorpresa. Per Giuseppe Pontiggia, con i
suoi primo scritti sul Verri . Nicota Lisi, Voci da una parlata e altri segni.
Con uno scritto di Margherita Guidacci, Lisi o la celestiale assenza. Maura Det
SERRA, Congiunzioni. Ventiquattro poesie inedite. ALBERTO Giovanni Biuso, Inni
alla Luce. GiovannI Di Farco, La campagna del Caos. Storia della casa natale di
Luigi Pirandello. Introduzione di Andrea Bisicchia. Antigone, collana di teatro
Maura DeL SERRA, La Minima. Con una nota di Daniela Marcheschi. Maura Det
Serra, Dialogo di Natura e Anima. Auserto Severi, Aracne. Con uno scritto di
Alberto Pozzolini. CHiara GUARDUCCI, La neve in cambio. Lucifero, La Carogna,
Camera ardente. Maura Det SERRA, Eraclito. Due risvegli. Con uno scritto di
Jacopo Manna. Costanza CAGLI, L'amore con Erode. Con uno scritto di Isolina
Baldi e Postfazione di Maura Del Serra. Maura DeL SERRA, Scintilla d'Africa.
Cinque scene. Con uno scritto di Marco Beck. ANTONELLA Lumini, Caino. Dramma
del buio e della luce. Con uno scritto di Paolo Coccheri. 158 ... Se uno ha
veramente a cuore la sapienza, non la ricerchi in vani giri, come di chi
volesse raccogliere le foglie cadute da una pianta e gi disperse dal vento,
sperando di rimetterle sul ramo. La sapienza
una pianta che rinasce solo dalla radice, una e molteplice. Chi vuol
vederla frondeggiare alla luce discenda nel profondo, l dove opera il dio,
segua il germoglio nel suo cammino verticale e avr del retto desiderio il retto
adempimento: dovunque egli sia non gli occorre altro viaggio. MARGHERITA
GUIDACCI Finito di stampare dalla
Tipografia DAMI, in Pistoia, TIPOGRAFIA DAMI dal 1965 nel mese di settembre
2007 per conto della editrice peli plaiane Costanzo
Preve Gli antichi, i moderni, lumanesimo e la storia Alcuni rilievi a partire
dagli ultimi lavori di Luca Grecchi e di Diego Fusaro ediliice pelile plaisance
Koin Periodico culturale Anno XVIII NN
1-3 Gennaio-Giugno 2011 Reg. Trib. di Pistoia n 2/93 del 16/2/93. Direttore
responsabile: CARMINE FiorILLO. www.filosofico.net/koine www.petiteplaisance.it
lucagrecchi@tiscali.it fusarod@libero.it
Direttori Luca Grecchi Diego Fusaro Ci rivolgiamo a lettori che vogliano
imparare qualcosa di nuovo, che dunque vogliano pure pensare da s. KARL MARX
... Se uno ha veramente a cuore la sapienza, non la ricerchi in vani giri, come
di chi volesse raccogliere le foglie cadute da una pianta e gi disperse dal
vento, sperando di rimetterle sul ramo. La sapienza una pianta che rinasce solo dalla radice, una
e molteplice. Chi vuol vederla frondeggiare alla luce discenda nel profondo, l
dove opera il dio, segua il germoglio nel suo cammino verticale e avr del retto
desiderio il retto adempimento: dovunque egli sia non gli occorre altro
viaggio. MARGHERITA GUIDACCI Copyright
2011 editric pelle plasane Chi non spera quello Associazione culturale
senza fini di lucro che non sembra sperabile non potr scoprirne la realt, poich
lo avr fatto diventare, www.petiteplaisance.it , con il suo non sperarlo,
e-mail: info@petiteplaisance.it 7 Via di Valdibrana 311 - 51100 Pistoia
qualcosa che non pu essere trovato j S e a cui non porta nessuna strada. Tel.:
0573-480013 uv COSTANZO PREVE Gli antichi, i moderni, lumanesimo e la storia. Alcuni
rilievi a partire dagli ultimi lavori di Luca Grecchi e di Diego Fusaro PROLOGO
Luca Grecchi ha recentemente pubblicato un nuovo libro che ha gi ricevuto
alcuni autorevoli attestati di stima. Si tratta di La filosofia della storia
nella Grecia classica, Petite Plaisance, Pistoia, 2010. In proposito, il
lettore di questo volume della rivista Koin pu leggere un mio impegnato saggio
(cfr. Le avventure della coscienza storica occidentale. Note di ricostruzione
alternativa della storia della filosofia e della filosofia della storia),
scritto sulla base di una prima lettura critica del saggio di Grecchi, e cui lo
stesso Grecchi fa ripetutamente riferimento nella parte finale del suo libro.
Qui non si ripeteranno ovviamente le argo- mentazioni gi svolte in questo mio
saggio, ora a disposizione del lettore di Koin, ma si aggiungeranno alcuni
rilievi utile per la migliore comprensione dei temi in discussione.
Recentemente sono stati anche pubblicati due saggi di Diego Fusaro (Bentornato
Marx, Bompiani, Milano, 2009 ed Essere senza tempo, Bompiani, Milano, 2010). In
queste somma- rie note non intendo scriverne una recensione, e neppure una
critica. Di una segnalazione esse non hanno alcun bisogno, perch sono state
pubblicate da una casa editrice molto importante, e che gode di una ottima
distribuzione. Ne prender invece spunto per alcuni commenti rigorosamente
personali. UN OMAGGIO AD UNA GRANDE DONNA DEL NOVECENTO, JACQUELINE DE ROMILLY
Negli ultimi giorni del 2010 morta la
grande antichista francese Jacqueline De Romilly, a 97 anni di et, piena di
anni e di onori (pliris imeron kai timn). In Italia ella era nota sol- tanto in
un pubblico di specialisti, ma in Francia era nota come Sartre o Camus. Si
impegn infatti tutta la vita non solo nella traduzione e nel commento dei
classici antichi, ma so- prattutto nella difesa del carattere umanistico
dell'insieme della grande cultura greca del V secolo avanti Cristo, e della
necessit di non lasciar cadere in Europa la grande tradizione degli studi
classici. Chi conosce gli studi di Luca Grecchi avr certamente familiarit con
nomi quali quelli di Jaeger, Stenzel, Pohlenz ed Otto, ma la De Romilly (che
compare un po meno nei testi di Grecchi) era comunque degna di questi grandi
nomi. quindi bene che si sappia che nel
suo impegno culturale Grecchi non solo,
perch pu legittimamente accompagnarsi a queste grandi anime. Per quanto mi
riguarda personalmente, il personag- 3 CostTANZO PREVE gio dellanno 2010 stata Jacqueline De Romilly, e questo
giudizio potr sembrare strano, curioso ed esagerato soltanto a chi non capisce
l'attualit per noi contemporanei delluma- nesimo greco. UN DUBBIO IPERBOLICO:
ABBIAMO VERAMENTE BISOGNO DI UNA FILOSOFIA DELLA STORIA PER LA NOSTRA
EMANCIPAZIONE UMANISTICA? Esiste una significativa formulazione di Karl Lwith
(che Fusaro cita approvandola, Bentornato Marx, pag.106), che suona cos: La
filosofia materialistica, quale Marx la con- cep, si presenta non come semplice
negazione, ma insieme come la realizzazione mate- rialistica dellidealismo
hegeliano. Non si poteva essere pi chiari e pi espliciti di cos. E tuttavia, il
diavolo si nasconde nel dettaglio, e non
opportuno credere sulla parola neppure ad una autorit come Lwith. Non pu
esistere infatti una realizzazione materialistica di un sistema idealistico, e
tan- to meno di una filosofia idealistica della storia. Pu certamente esistere
un tentativo di con- cretizzazione pratico-politica di una filosofia
idealistica della storia, ma questa concretizza- zione non cessa (e non pu
cessare) di avere un fondamento idealistico. Ogni filosofia della storia,
comunque si presenti, ha sempre come unico fondamento ideale la unificazione
ideale del tempo storico passato, presente e futuro. dunque un fatto tautologico che ogni
filosofia della storia sia idealistica per definizione, ed solo un fattore di inutile confusione il
fatto di chiamare materialistica la concretizzazione pratico-politica, come se
da solo (e non accompagnato, come i cani da passeggio) il termine idealismo si
identificasse con la contemplazione inattiva, e fosse necessaria per chiarezza
una pleonastica stampel- la, dimenticando che lo stesso concetto di prassi
trasformativa integralmente idealistico
per definizione (e per questo Fichte basta ed avanza, ed del tutto superfluo lagitare la cosiddetta
speranza di Bloch, concetto non solo indeterminato ma anche escatologico, come
se lidealismo fosse compatibile con la escatologia il che non , e mille volte non ).
L'escatologia fa parte di una sequenza monoteistica di origine ebraica, e
non possi- bile innestarla
nellidealismo, che ha invece una origine integralmente greca, e questo del
tutto indipendentemente dal fatto che i greci possedessero o meno una filosofia
della storia in un significato analogo a quello moderno post-settecentesco (e
che essa inizi con Vico, Voltaire, Herder o altri non rilevante). Non insisterei tanto su questo
punto, per me ovvio e preliminare, se non fosse diffusa una lettura impropria
della filosofia della storia di Hegel da intendere come secolarizzazione
romantica di una precedente escatologia ebrai- co-cristiana, laddove essa
invece (almeno a mio parere) non altro
che un superamento- conservazione dei limiti astratti del precedente pensiero
illuministico. La filosofia della storia quindi, ogni filosofia della storia
possibile, sempre idealistica per
definizione tautologica, in quanto unifica idealmente un flusso temporale
connet- tendo insieme il passato, il presente ed il futuro in un unico concetto
trascendentale ed (auto)riflessivo. E tuttavia, se il requisito fondamentale di
ogni filosofia della storia la
connessione ideale fra passato, presente e futuro ci si pu chiedere seriamente
(ed ecco un dubbio iperbolico, se ce n' uno) se quella di Hegel sia stata
veramente una filosofia della 4 Gli antichi, i moderni, l'umanesimo e la
storia. Alcuni rilievi a partire dagli ultimi lavori di L. Grecchi e di D.
Fusaro storia. Naturalmente, non intendo spingere il senso dello spaesamento e
del paradosso fino ad affermare che il pi famoso di tutti i filosofi della
storia, il grande Hegel, non stato un
filosofo della storia. Ma se la filosofia della storia c' soltanto quando
si in presenza della unificazione ideale
tra passato, presente e futuro, allora in Marx c' sicuramente una filosofia
della storia (la previsione futurologica in Marx essenziale), ma in Hegel non c', perch Hegel
si interdice esplicitamente di vaticinare in qualunque modo su un futuro pos-
sibile (la nottola di Minerva si alza soltanto al crepuscolo), e questo al di l
di citazioni sul progresso, eccetera, che ai suoi tempi erano usate come il
prezzemolo. In Hegel il passato
ricostruito come teatro dialettico dello sviluppo della autocoscienza
della libert, e su questo non vi possono essere dubbi. Se lo sviluppo della autocoscienza
della libert basta da solo per fare una filosofia della storia, allora chiaro che in Hegel c'. Ma non c', in- vece,
se la proiezione nel futuro prevedibile ne
individuata come ingrediente essenziale. Autori come Kostas Papaioannou
(filosofo fra i pi significativi del Novecento, ma poco noto in Italia) hanno
identificato in Hegel il massimo esponente di una vera e propria deificazione
della storia, e pertanto di una idolatria secolarizzata, che Marx non avrebbe
fatto altro che recepire dandole semplicemente una coloritura comunista. Salvo
errore, mi sembra che sia questa la interpretazione di fondo di Fusaro,
sviluppata specialmente in Essere senza tempo. Se cos, colgo l'occasione per esplicitare il mio
educato dissenso, al di l dell'apparato filologico e citazionistico, che per me
non pi rilevante. Sono infat- ti passato
dalla fase di che cosa ha veramente detto Marx alla fase caratterizzata dalla
domanda se Marx avesse ragione o torto nel fondare una filosofia della storia
che non si accontentava del nesso fra passato e presente (non importa se poi il
presente era inteso come epoca della compiuta peccaminosit in Fichte, o come
epoca della riconciliazione fra reale e razionale in Hegel), ma intendeva
comprendere anche la prevedibilit del futuro. Ebbene, detto con tutta la
modestia ed il senso delle proporzioni, se Marx pensava questo, aveva torto. Ed
aveva torto perch, detto in breve, una filosofia della storia che non si ac-
contenta di tematizzare il nesso fra passato e presente, ma intende anche
parlare del futuro, deve necessariamente prendere una di queste due vie,
apparentemente opposte ed in realt complementari: la via profetica,
escatologica e messianica, che non ha nulla di idealistico (e neppure di
materialistico, del resto), ma un prodotto
derivato dell'ebraismo e del primo cristianesimo (non oltre il IV secolo,
peraltro); oppure la via positivistica, per cui il futuro viene
(illusoriamente) ricavato da una estrapolazione della uniformit delle leggi
della natura a quelle (peraltro inesistenti) della societ. Lidealismo pu essere
commentato, ac- cettato o rifiutato, ma una cosa resta sicura, e cio che
esso incompatibile sia con il mes-
sianesimo escatologico, sia con la previsionalit positivistica. Papaioannou
osserva che la differenza essenziale fra il logos ellenico classico ed il logos
illuministico moderno, sta nella rinuncia del logos ellenico a fondare sulla
storia il progetto di equilibrio sociale e politico. Una tesi diversa da quella
di Grecchi, ma soprattutto diversa da quella di Fusaro. Ammesso infatti, e non
concesso, che secondo la tesi di Lwith-Fusaro Marx abbia semplicemente
futurizzato, radicalizzandola ulteriormente, la filosofia della storia di
Hegel, questo esattamente il fardello di
cui necessario disfarsi. Ammetto io
stesso di non avere le idee del tutto chiare. Mi chiaro, infatti, che non abbiamo nessun
bisogno di una filosofia della storia necessitaristica, deterministica e tele-
5 CostTANZO PREVE ologica, che non pu che essere escatologica e/o
positivistica. Da qui la mia simpatia per Georges Sorel. Ma a volte mi chiedo
(ed appunto un dubbio iperbolico) se non
faremmo bene a rinunciare del tutto ad una filosofia della storia (intesa come
illusoria padronan- za concettuale ideale unificata dellarco temporale
passato-presente-futuro), e ritornare al punto di vista del logos greco, che
praticava la misura (metron) e l'equilibrio sociale (isorro- pia), oltre alla
prevalenza della democrazia sulla oligarchia, e della economia sulla crema-
tistica, senza nessun bisogno di una filosofia della storia. Ecco un rasoio di
Occam che potrebbe esserci utile oggi. ARISTOTELE E LA QUESTIONE DELLA NASCITA
DELLA FILOSOFIA I rilievi fatti in precedenza sul carattere contrastivo e non
omogeneo (e tanto meno so- vrapponibile in una concordistica ed inesistente
continuit occidentalistica, magari da bandire contro l'Islam) fra il logos
greco e la ragione illuministica rimarrebbero del tutto generici ed
ineffettuali se non ci sforzassimo di concretizzarli. In termini chiari e sem-
plici, il logos greco si basa sul tentativo di realizzazione della giustizia
(dike) senza neces- sariamente passare per la mediazione del tempo storico come
indispensabile fondazione ontologica, e cio per la concezione moderna di
origine illuministica che sostituisce il nesso Storia-Progresso al precedente
fondamento di legittimazione religioso. Da circa tre secoli il principio della
Giustizia si realizza (ammesso che si possa realizzare) nella storia e solo
nella storia. Per i greci non era cos, e non era cos probabilmente (il lettore
noter il mio cauto probabilmente) in assenza di un principio monoteistico e
creazionistico da elabo- rare dialetticamente o da secolarizzare. Il logos
greco, in prima istanza, una misura
sociale da realizzare democraticamente in una comunit politica (la
sottolineatura necessaria perch ogni
termine usato indispen- sabile). Dei tre
principali significati di logos (ragione, linguaggio e calcolo), il significato
de- cisivo il terzo, inteso come calcolo
sociale delle giuste proporzioni della divisione (nemein, da cui nomos) delle
ricchezze e del potere. I tre concetti di dike (giustizia), metron (misura) e
logos (calcolo sociale) sono uno ed un solo concetto, che sostituisce
integralmente quello ebraico e poi cristiano e musulmano di Divinit creatrice e
quello moderno di Storia e Progresso. A differenza di come molti dicono oggi,
il comunismo platonico era qualcosa di estremamente pratico e concreto, e non
aveva nulla a che fare con una pretesa popperiana fascinazione per i tiranni
legislatori (la cosiddetta e del tutto
inesistente sindrome di Siracusa),
tanto vero che Platone, pur invitato,
rifiut di recarsi a Megalopoli perch questultima aveva rifiutato nella sua
legislazione il principio della distribuzione eguali- taria dei beni (Diogene
Laerzio, III, 23). E lo stesso Platone non lascia dubbi, nel Filebo, di
identificare il principio del Buono-Uno con quello di ordine e di misura. Gli
esempi potreb- bero essere moltiplicati, ma questi a mio avviso sono gi pi che
sufficienti. Le origini della filosofia greca stanno quindi nellesigenza di
concretizzare una misura sociale da realizzare democraticamente (attraverso
l'eguaglianza davanti alle leggi, isono- mia, e leguale diritto all'accesso al
discorso pubblico, isegoria) in una comunit politica, in modo che questo
potesse fare da freno (katechon) alla dissoluzione (phthor). Qui pur- 6 Gli
antichi, i moderni, l'umanesimo e la storia. Alcuni rilievi a partire dagli
ultimi lavori di L. Grecchi e di D. Fusaro troppo lo stesso Aristotele
(Metafisica, 982 b 22) ci confonde le carte, quando afferma che quando cera gi
pressoch tutto ci che necessitava alla vita ed anche alla agiatezza ed al
benessere, allora si cominci a ricercare questa forma di conoscenza, e cio la
filosofia. Sembrerebbe quindi che la filosofia sia nata come un lusso superfluo,
e non a caso i lati- ni espressero questa idea nel motto primum vivere, deinde
philosophari. Nello stesso modo Aristotele fa nascere la filosofia di un
sentimento generico, destoricizzato e desocializzato come la meraviglia, e poi
classifica i suoi predecessori in base al criterio, anch'esso desto- ricizzato
e desocializzato, delle quattro cause (materiale, formale, efficiente e
finale). Su questo punto lo seguono commentatori moderni come Giovanni Cerri
(Parmenide, Poema sulla Natura, Rizzoli, Milano, 1993), che interpretano
Parmenide come un precursore degli astrofisici moderni come Hawking (vedi pp.
67-69). Non dico che questa lettura non possa e debba essere fatta, e che non
abbia riscontri filologici. Ma la chiave per comprendere i pri- mi filosofi sta
nel capire che essi non erano anche legislatori comunitari, ma che essi erano
soprattutto legislatori comunitari. Qui una lettura storica comparata e
contrastiva dei primi filosofi greci e dei profeti bibli- ci ebraici pu essere
decisiva ed illuminante. Entrambi avevano il problema di presentarsi e di
accreditarsi come credibili ed autorevoli presso le loro rispettive comunit, ed
allora il problema stava nel modo di conseguire questa credibilit e questa
autorevolezza. Nel caso dei profeti ebraici, il solo modo era quello di
denunciare la violazione del patto che istitui- va l'alleanza fra la divinit ed
il suo popolo eletto, ma questo presupponeva il riferimento ad una divinit
creazionistica. I greci si muovevano nellassenza pi totale di una divinit creazionistica,
il che faceva della natura (physis) il solo possibile criterio di
legittimazione normativa. Questo non significa che l'interesse presocratico per
la natura fosse soltanto pretestuoso e strumentale. Al contrario, esso era
profondo e reale. Ma la natura, solo ed unico luogo della crescita, della
aggregazione e della dissoluzione, era il solo modello nor- mativo per indagare
la societ, come del resto rilev il grammatico alessandrino Diodoto citato da
Diogene Laerzio. La filosofia greca nasce quindi da un bisogno pratico di
contrastare la dissoluzione so- ciale e comunitaria (schiavit per debiti
metaforizzata come misura indeterminata, apei- ron), ed Aristotele si sbaglia a
farla originare da una generica meraviglia sorta in base ad un gi raggiunto
benessere. Non ce lho con Aristotele, di cui resto un ammiratore. Chiunque pu
sbagliarsi. Aristotele si sbagliato in
astronomia, pu benissimo essersi sba- gliato anche sulla origine della
filosofia. Ma questo comporta un richiamo sulla necessit di una deduzione
sociale delle categorie del pensiero. IL PROBLEMA DELLA DEDUZIONE SOCIALE DELLE
CATEGORIE DEL PENSIERO Il tema della deduzione sociale delle categorie del
pensiero (e non solo delle categorie ideologiche, che sono ovviamente sociali
al 100%, ma proprio delle categorie filosofi- che propriamente dette) non
dovrebbe essere monopolio esclusivo di pochi autori (Alfred Sohn-Rethel, Maria
Antonopoulou, parzialmente Antonio Capizzi), ma dovrebbe essere oggetto di
valutazione pi ampia. Cos purtroppo non . La maggior parte degli studiosi 7
CosTANZO PREVE ignora addirittura che esista (sono abituato a vedere cadere
dalle nuvole presunti lu- minari della filosofia appena gli si cita
Sohn-Rethel), e quei pochi che ne hanno avuto un vago sentore lo liquidano immediatamente
come estremistico, di sinistra, relativistico, sociologico, riduzionistico,
eccetera. E tuttavia, non questo il modo
giusto di impostare il problema. In termini storici, il metodo della deduzione
sociale delle categorie del pensiero nasce come contestazione storica
novecentesca determinata del metodo neokantiano (e quindi kantiano) della
deduzione trascendentale delle categorie stesse. Quest'ultimo appunto trascendentale perch la
legittimazione dell'uso delle categorie stesse
vincolato alle forme a priori della sensibilit (spazio e tempo), e
quindi rifiuta l'equazione fra gnoseolo- gia ed ontologia, piano dell'essere e
piano del pensiero. Questo metodo rifiuta quindi non solo la metafisica
religiosa cristiana (Tommaso d'Aquino, eccetera), ma anche e soprattutto il
pensiero greco, sia platonico che aristotelico. Kant doveva delegittimare
socialmente e storicamente la normativit religiosa, e questo pu essere fatto
soltanto portando a termine una distribuzione formalistica del soggetto (gi
iniziata con il Cogito di Cartesio), attraver- so una sua integrale
destoricizzazione e desocializzazione. Questa destoricizzazione e questa
desocializzazione, che Kant portava a termine nel doppio ambito della teoria
della conoscenza e della morale,
parallela e convergente con lanaloga ed omologa destoricizzazione e
desocializzazione attuate da Hume e da Smith nellambito della autofondazione
economica della societ capitalistica, resa autonoma da qualsiasi fondazione
religiosa (esistenza di Dio), politica (contratto sociale) e filosofica (di-
ritto naturale). Il paradosso dialettico sta peraltro in ci, che si ha qui il
massimo invertito della storicit, e della socialit borghesi-capitalistiche,
fondate sullindividuo-imprenditore slegato programmaticamente da ogni vincolo
comunitario. Non c' quindi nulla di estremistico, riduzionistico,
sociologistico e relativistico nel me- todo della deduzione sociale delle
categorie, anche se alcuni dei suoi sostenitori (come Sohn-Rethel) lo
praticavano in questa prospettiva, prospettiva cui io mi oppongo radical- mente
e fieramente, dal momento che io respingo il sociologismo relativistico,
prodotto dalla assolutizzazione dello storicismo ed anticamera del nichilismo
in tutte le sue vario- pinti versioni. Questo metodo raddrizza semplicemente i
processi di destoricizzazione e di desocializzazione, a loro volta
inscindibilmente connessi con i processi di accumulazione capitalistica (di cui
sono un controcanto di accompagnamento filosofico, e non solo o prin-
cipalmente ideologico). Spero che questo ora risulti chiaro. LUCA GRECCHI E
L'EREDIT GRECA DELL'UMANESIMO ANTI-CREMATISTICO Il profilo filosofico originale
di Luca Grecchi ormai consolidato e ben
delineato, e pu essere compendiato in due punti principali. Primo, una
interpretazione del pensiero greco classico come umanesimo anti-crematistico.
Secondo, una valutazione complessiva, ad un tempo teoretica e pratica, per cui
il modello dellumanesimo anti-crematistico
oggi pi attuale, e quindi pi proponibile, del modello dello storicismo
progressistico, che ha mo- strato nel corso di due secoli alcune debolezze
strutturali (uso qui un linguaggio inge- 8 Gli antichi, i moderni, l'umanesimo
e la storia. Alcuni rilievi a partire dagli ultimi lavori di L. Grecchi e di D.
Fusaro gneristico) in senso relativistico e nichilistico. Dal momento che
condivido tutto il discorso di Grecchi (con l'eccezione rilevante ma non decisiva per cui considero normativa nel pensiero
greco la natura e non la storia nel senso narrativo moderno del termine), mi
sar facile scomporre i due elementi dellumanesimo e della anti-crematistica
antichi. Sono daccordo con Grecchi sul fatto che se di una centralit si pu
parlare nel pen- siero antico, si tratta di una centralit umanistica, e non
invece teocentrica, ontocentrica o fisiocentrica. questa una eredit della De Romilly cui prima
ho accennato. Il pensiero greco non
teocentrico, per la nota ragione per cui i greci non seguivano una religione
monoteistica e creazionistica rivelata in libri sacri di cui un qualsiasi clero
potesse (auto) dichiararsi custode e gestore, gli dei erano molti ed erano
ricavati miticamente da una te- ogonia naturalistica. Il pensiero greco non era
ontocentrico (a differenza di come hanno sostenuto pensatori peraltro rilevanti
come Heidegger o Severino) perch lEssere (pensiamo a Parmenide) era sempre e
solo una metafora naturalistica della permanenza nel tempo e della correlata
intangibilit di una legislazione sociale comunitaria di tipo pitagorico (e
richiamo qui il ca- pitolo precedente sulla necessit di una deduzione sociale
delle categorie, senza la quale il presunto essere cade dal cielo come un
meteorite). Ma il pensiero greco non era neppure fisiocentrico, nonostante
fosse dipendente da una precedente unit ontologica fra macroco- smo naturale e
microcosmo sociale (tema che ha una lunga storia, da Mondolfo a Voegelin). A
rigore, lunico pensiero veramente fisiocentrico che personalmente conosco il positivi- smo ottocentesco, che pretende
ricavare e dedurre le comunit sociopolitiche da presunte leggi estrapolate dal
mondo della natura astronomica, fisica, chimica e biologica (e que- sto in
tutte le sue varianti, di destra come la sociobiologia americana o di sinistra
come il materialismo dialettico sovietico). No, i greci non erano fisio-centrici,
ma umanistici. Ma dove stava l'elemento specifico di questo umanesimo greco
antico? Qui sta il 100% del problema, perch lumanesimo generico e senza
determinazioni pu fare da trave- stimento a qualsiasi cosa. raro infatti che nella storia sistemi
politici disumani non si siano invece presentati come umanistici e difensori
delluomo. La humanitas di Cicerone era perfettamente compatibile con un impero
schiavistico ed oligarchico di rapina. L'umanesimo rinascimentale, certo
inarrivabile artisticamente, era la copertura ideologica di un papato corrotto
fino al midollo e di una oligarchia di mercanti e banchieri rinobilitati
(Medici, eccetera). Nel Novecento Althusser (con qualche ragione) ha denunciato
nel co- siddetto umanesimo marxista la copertura della rinuncia alla lotta di
classe. E potremmo continuare, ma
inutile sprecare altra carta preziosa. L'elemento specifico
dellumanesimo greco sta infatti nel suo essere stato un umanesi- mo
comunitario, ed il fatto che fosse anche anticrematistico non ne che una logica con- seguenza, in quanto una
comunit crematistica un deserto umido ed
un logaritmo gial- lo. Questo afferma Socrate quando sostiene che l'oggetto
privilegiato della filosofia il Conosci
te stesso, in cui il fe stesso non
certamente l'individuo isolato e privo di legami sociali, ma l'individuo radicato in una comunit solidale.
E del resto questo anche il punto di
vista di Platone quando polemizza con la pleonexia ed il pleonektein, e cio con
larricchi- mento individualistico. CostTANZo PREVE Ed infine questo il punto di vista di Aristotele, quando
connota luomo come animale sociale, politico e comunitario (polititon zoon) e
come animale dotato di ragione, linguaggio e soprattutto capacit di calcolo sociale
equilibrato e misurato. In questa solida tradizione si situa bene Luca Grecchi.
La distinzione aristotelica fra economia e crematistica centrale per definire lumanesi- mo filosofico
di Luca Grecchi, ma in questo Grecchi pu rifarsi ad almeno due autorevoli
predecessori. In primo luogo, quella che Karl Marx un po impropriamente defin
critica dell'economia politica, era in realt una critica della fondazione e
della riproduzione della crematistica capitalistica, che stava alla povera
crematistica aristotelica come la grande in- dustria all'artigianato. In
secondo luogo, Karl Polanyi si serv proprio della distinzione ari- stotelica
per mostrare come la normalit nella storia umana sia stata lincorporazione
della economia nella pi ampia riproduzione comunitaria complessiva, la sua
autonomizzazio- ne stata invece una
eccezione storica occidentalistica, priva di qualunque legittimazione etica
universalistica. E si potrebbe continuare. Si dir che in questo modo Grecchi si
inserisce nella tradizione economicistica e ridu- zionistica della cultura di
sinistra. Nulla di pi inesatto dal momento che il pensiero di Grecchi, al di l
della sua esplicita natura egualitaria, solidaristica e comunitaria, del tutto estraneo ai codici ideologici della
sinistra europea tradizionale. Questa sinistra ha una matrice ad un tempo
storicistica e positivistica, e la sua evoluzione dialettica interna la porta
in direzione relativistica e nichilistica (su questo lanalisi di Augusto Del
Noce mi sembra del tutto esatta, al di l del suo fondamentalismo cattolico, che
si pu anche non condividere, ed infatti io non lo condivido). Grecchi invece sostenitore esplicito di una
concezione veritativa della attivit filosofica, concezione sbrigativamente
liquidata come reazionaria, conservatrice e tradizionalista dalla sinistra,
invischiata nella mitologia storica del Progresso. La sinistra tende anzi a
retrodatare simbolicamente la dicotomia Destra / Sinistra alla dicotomia
Acropoli / Agor (vedi il manuale di Storia della filosofia Zanichelli di Mario
Vegetti), come se la riforma ultrademocratica di Clistene di Atene non fosse
mescola- ta dal concetto di mescolanza (anamixis) dei gruppi sociali di origine
pitagorica. La sinistra tende ossessivamente a vedere nel mondo greco classico
la centralit dello schiavismo (in questo curiosamente simile a Nietzsche, sia
pure con una inversione valutativa del giudi- zio), laddove il modo di
produzione schiavistico in senso marxiano caratterizza soltanto il mondo
ellenistico-romano, mentre il mondo della Atene classica era semmai
caratterizzato da un modo di produzione di piccoli produttori indipendenti. La
natura progressistico- futuristica della sinistra la porta a sospettare del
classicismo, persino paradossalmente in studiosi ideologicamente di sinistra
che pure conoscono molto bene le lingue classiche ed il mondo antico. E si
potrebbe continuare. L'interpretazione di Grecchi del mondo antico in termini
di umanesimo anticrematistico quindi del
tutto estranea alla dicotomia Destra/ Sinistra, che applicata alla storiografia
filosofica soltanto fonte di inutili
confusioni settarie. In una cultura drogata dalla appar- tenenza ideologica
identitaria normale che Grecchi debba
scontare una certa solitudine, ma questa solitudine il prezzo giusto da pagare per la lunga
durata in cui si colloca la prospettiva del suo pensiero. 10 Gli antichi, i
moderni, l'umanesimo e la storia. Alcuni rilievi a partire dagli ultimi lavori
di L. Grecchi e di D. Fusaro I TRE ELEMENTI PRINCIPALI DEL PROFILO FILOSOFICO
DI Diego FUSARO Non avendo ancora compiuto i trent'anni di et, Diego
Fusaro un enfant prodige della filosofia
italiana, e questo non pu che provocare invidie ed avversioni in un mondo
carat- terizzato dal settarismo, dalla chiusura mentale e dalla pi totale e
provocatoria mancanza di meritocrazia. Ma poich io sono del tutto estraneo a
questo mondo, e per di pi nutro sentimenti di amicizia personale con Fusaro, mi
sia concesso di giudicarlo in questa sede in termini di puro profilo
filosofico. In estrema sintesi, tre sono gli elementi principali rilevabili nel
profilo filosofico di Fusaro: un ritorno esplicito alla sequenza filosofica
espressiva della linea Fichte-Hegel- Marx di contro alla tendenza postmoderna
che privilegia invece la sequenza espressiva Nietzsche-Heidegger, quasi sempre
coniugata con linterpretazione francese Foucault- Deleuze (vedi Gianni Vattimo,
ma anche Toni Negri); l'inserimento esplicito di Karl Marx nella scuola
dellidealismo moderno, al di l di oscillazioni materialistiche considerate
rilevanti, ma secondarie; infine, una sostanziale esclusione della centralit
del concetto di prassi rivoluzionaria trasformativa in Marx, sostituita da una
lettura incentrata su di una filosofia futuristica della storia integrata dal
concetto di Speranza di origine blochiana, che rischia (almeno a mio parere) di
ricondurre Marx a quella scuola dei critici della civilt (kulturkritiker) del
tipo di Adorno e di Heidegger, scuola di cui la manipolazione capitalisti- ca
attuale non ha alcuna paura, considerandola (giustamente) come facilmente
integrabile nellinnocuo chiacchiericcio colto odierno. Ma trattiamo questi tre
punti separatamente. Iniziamo dal primo punto. Nato nel 1983, Fusaro appartiene
alla prima generazione filosofica italiana del tutto postuma al decennio
1975-1985, decennio in cui venne consu- mato il tragicomico congedo ideologico
dalla precedente grande abbuffata pseudomar- xista del ventennio 1955-1975.
Come avviene alla fine di grandi smodati banchetti, prima si trinca come se si
fosse Humphrey Bogart e poi si va a vomitare in bagno; in questo caso, a
vomitare il pastone Marx-Lenin-Mao-Gramsci troppo frettolosamente ingurgitato.
Per dirla con Woody Allen, questo pastone non serve neppure pi per fare colpo
sulle ragazze. Il normale modo educato di effettuare questo congedo stato quello accademico caratte- rizzato
dalla triade Habermas-Bobbio-Rawls (su cui ha scritto pagine illuminanti Perry
Anderson). Un modo alternativo, in cui pomposi accademici si sono travestiti da
mem- bri di centri sociali, stato quello
del cosiddetto niccianismo di sinistra (in proposito si veda Jan Rehmann, I
Nietzscheani di sinistra, Odradek, Roma, 2009). I due modi hanno per marciato
divisi e colpito uniti, in quanto si trattava in sostanza di liberare gli
intellettuali accademici (quintuplicati negli apparati universitari dopo il
1968, secondo un illuminan- te studio di Bernd Rabehl) dai loro pregressi
complessi di colpa verso il proletariato, nel frattempo degradato a plebe
populista, oppure sublimato (ma lo
stesso) in Moltitudini Biopolitiche in lotta contro un impero
deterritorializzato, e quindi purificato della sua pre- cedente natura
imperialista. Chi va al di l della pittoresca superficie semicolta infarcita di
citazioni in tedesco (senza traduzioni, cos non siamo infastiditi da dilettanti
non invitati), capisce che questi fuochi artificiali nascondevano un fenomeno
sociale molto pi profondo e strutturale, la fine di quella che i sociologi
francesi Boltanski e Chiapello hanno definito la secolare alleanza di sinistra
fra la critica economica e sociale alle ingiustizie produttive 11 CostTANZo
PREVE e distributive del capitalismo, e la critica artistica e culturale alla
ipocrisia dei costumi della vecchia borghesia tradizionale. Da tutta questa
merda (termine molto usato da Marx) Fusaro
immune per ragioni squisitamente generazionali. Nato nel 1983, non aveva
semplicemente bisogno di uccidere freudianamente i padri Hegel e Marx per
liberarsi dallabbraccio sudato dei ceti politici e delle plebi plaudenti al
loro seguito. E quindi il ritorno alla sequenza espressiva Fichte- Hegel-Marx
in Fusaro avviene dopo il lyotardiano disincanto postmoderno verso le grandi
narrazioni, e non ha neppure bisogno di fare il solito stucchevole giuramento
di fedelt weberiano sul politeismo dei valori e sul disincanto del mondo. Ci
vorrebbero migliaia di pagine dottissime per argomentare la attualit del
ritorno alla sequenza filosofica espressiva Fichte-Hegel-Marx e la necessit di
archiviare educatamen- te e con tutti gli onori la sequenza alternativa
Nietzsche-Foucault-Deleuze (su Heidegger bisognerebbe forse fare un discorso a
parte, salvandone lintelligentissima ed illuminante interpretazione di
Nietzsche). E dal momento che - come dice un arguto proverbio ingle- se la beneficienza comincia a casa propria,
rimando alle migliaia di pagine che ho scritto in proposito nel trentennio
1980-2010, in cui ci sono certamente fisiologiche oscillazioni e correzioni di
rotta, ma in cui la centralit della sequenza Fichte-Hegel-Marx non mai messa in discussione. E quindi, per farla
breve, non posso che lodare Fusaro per quello che sta facendo, senza cadere in
quella forma di settarismo autofagico tipico degli intellettuali di sinistra,
per cui si colpisce ferocemente chi ti sta pi vicino suscitando soddisfazione
in chi invece ti sta pi lontano. Passiamo ora al secondo punto. Recentemente
Fusaro approdato alla pacata conclu-
sione della sostanziale appartenenza di Marx alla tradizione idealistica
moderna di Fichte e di Hegel, laddove in precedenza vi erano ancora oscillazioni
terminologiche ed ossimori un po opportunistici (fra cui, innegabile, quello di
idealismo materialistico). Tutto que- sto non stupisce e fa onore alla sua
intelligenza teoretica, perch mi rendo conto che non facile staccarsi dalla lettura filologica dei
testi di Marx e dalle sue virtuose professioni di materialismo, certo
soggettivamente oneste e sincere. Qui mi dispiace dirlo, perch non molto fine ed educato, ma rivendico una
assoluta primogenitura, oramai pi che decen- nale, documentata in decine di
pubblicazioni a stampa. Il fatto che tutto questo non mi sia stato riconosciuto
non fa parte della fisiologia del dibattito filosofico pubblico, ma di una
branca delletologia animale chiamata sociologia degli intellettuali di
sinistra, gruppo forse superiore a quello degli scorpioni, ma non di molto. E
tuttavia, al di l di queste miserie, l'approdo di Fusaro ad una interpretazione
di Marx come idealista (moderno, non certo antico nel senso di Pitagora e di
Platone) deve essere salutata con vera soddisfazione, come di fronte ad una
liberazione del pensiero. Il problema non
concettualmente di difficile soluzione, ma presuppone la piena com-
prensione della differenza fra il concetto di metafora (filosofica) ed il
concetto di fondamento (filosofico). del
tutto chiaro che la materia in Marx non ha nulla a che fare con il termine
usato per indicare l'oggetto (peraltro differenziato) delle varie scienze della
natura, ma usato come metafora (in greco
significa trasporto) di qualcosa d'altro. Si tratta princi- palmente di due
trasporti metaforici, la materia come ateismo (Dio non esiste, materia ed
energia sono autopoietiche, con o senza big bang originario) e la materia come
strut- 12 Gli antichi, i moderni, l'umanesimo e la storia. Alcuni rilievi a
partire dagli ultimi lavori di L. Grecchi e di D. Fusaro turalismo (in ogni
modo di produzione sociale la totalit riproduttiva unitaria, ma in essa la struttura prevale
sulle varie sovrastrutture). A questi due trasporti metaforici se ne possono
aggiungere altri due, la materia come prassi trasformatrice rivoluzionaria e
non come semplice contemplazione critica della totalit sociale, e la materia
come consegui- mento di una libert concreta, definita pertanto materiale e non
solo formale. Volendo, si possono aggiungere altri trasporti metaforici, la
materia come scienza galileiana (Galvano Della Volpe) e la materia come
centralit leopardiana della fragilit umana (Sebastiano Timpanaro e Cesare
Luporini). Non ci sono limiti ai travestimenti metaforici del termine materia e
del materialismo, che possiamo tranquillamente trasformare anche in edo- nismo
(Onfray, eccetera). Ad un certo punto, per, bisogner pure arrestare la giostra
e scendere. Il fondamento filosofico del pensiero di Marx sta invece in una
idea unificata, e per- tanto in una totalit concettuale espressiva unitaria, di
storia universale del genere umano, visto come teatro di processi strutturali
di perdita, acquisizione, alienazione, conquista ed emancipazione. Questo a tutti gli effetti idealismo in senso filosofico,
anche se non ho nulla in contrario, per far piacere agli ortodossi, a chiamare
materialismo la teoria della nascita, sviluppo, tramonto e transizione dei modi
di produzione sociali (intesi come unit di strutture produttive forze produttive e rapporti di
produzione e sovrastrutture ideo-
logiche), teoria che in realt
strutturalistica, anche se parla ovviamente di forze materia- li (violenza,
metalli, produttivit, guerra, dominio, ecc.). A questo punto, per farla breve,
se Fusaro ci arrivato, non posso che
dire con soddisfazione benvenuto a bordo. Il terzo ed ultimo punto il pi imbarazzante e delicato, e farei anche
volentieri a meno di trattarlo, se il problema filosofico non andasse al di l
del pur necessario riserbo perso- nale. Dopo tanti libri dedicati a Marx,
Fusaro non pu nascondersi dietro le (presunte, ed in realt inesistenti)
citazioni risolutive del suo autore, e deve accettare di essere giudicato come
interprete espressivo di questo autore. E l'interprete espressivo appunto colui che d una interpretazione
globale espressiva dell'autore stesso. Ma chiariamo meglio la questione. Come
tutti i docenti universitari di filosofia, Fusaro coltiva una fede ingenua
nella de- cisivit della citazione risolutiva. Da tempo ho perduto questa fede,
che pure ho coltivato per decenni (e che ad esempio lamico Bobbio lodava). In
realt ogni citazione non un fatto
atomico, di per s espressivo della totalit che si presuppone contenuta in essa
come un macrocosmo in un microcosmo, ma
il risultato di una operazione soggettiva di selezione e di filtraggio.
Se un autore ci avesse lasciato solo dieci pagine, o anche meno, si potrebbe
forse citare con una certa sicurezza (ma il caso di Parmenide dovrebbe gi met-
terci sullavviso). Ma quando lautore ci ha lasciato migliaia di pagine, le
contraddittoriet sono sempre presenti. Nel caso di Marx, a volte il lavoro
appare come costo sociale reale in senso naturalistico (Lippi), ed a volte come
astrazione unitaria di valore e di alienazio- ne (Colletti-Napoleoni). A volte
il capitalismo indicato come presupposto
indispensabile per il comunismo, e poi nella nota lettera a Vera Zasulic si
dice l'esatto contrario. A volte si parla di scienza in senso
filosofico-hegeliano, ed a volte si ripropone la concezione de- terministica
positivistica. Hegel a volte un maestro,
ed a volte un mistico romantico
secolarizzatore della teologia cristiana. Non voglio certamente infierire su
Marx, di cui 13 CostTANZo PREVE sono un ammiratore ed un allievo critico. Ma
per me ogni citazione sempre e solo una
selezione, e testimonia al massimo una fusione di orizzonti, che dice molto di
pi sul commentatore che sullautore. Il Marx di Fusaro un filosofo hegeliano della storia al 100%,
che deve ovviamente futurizzare Hegel, perch da Hegel il comunismo non pu venir
fuori come un coniglio dal cappello (a meno che, con Herbert Marcuse, si dica
che il Razionale deve diventare ne- cessariamente Reale, ma a questo punto
Hegel diventa solo un pretesto per dire le proprie legittime cose, che peraltro
io politicamente condivido). Ho gi fatto notare in precedenza, e qui lo
ribadisco, che la filosofia della storia di Hegel non pu essere futurizzata per
sua propria natura, in quanto essa concerne esclusivamente l'arco temporale
passato-presente, mentre si interdice di parlare di futuro. Ma per il momento
lasciamo cadere questo punto, pur cruciale, per indagare in che modo
concretamente Fusaro futurizza la filosofia mar- xiana. In Fusaro il ruolo
della prassi di fatto inesistente, ed sostituito da un continuo accenno ad una vaga
ed indeterminata speranza nel senso di Ernst Bloch. Ho gi fatto notare, e qui
lo ribadisco, che il concetto di speranza nel pensiero greco semplicemente una divinit di tipo mitologico,
e non ha nessuno statuto filosofico (verificare per credere), mentre nel
pensiero ebraico essa il supporto
messianico, apocalittico ed escatologico di un riscatto del mondo. Bloch un mistico ebraico rivoluzionario, che non ha
nessun rapporto con l'apparato categoriale dellidealismo. Personalmente,
preferisco un rivolu- zionario messianico allucinato ad un capitalista
scettico, weberiano e pragmatico e ad un intellettuale postmoderno e
nichilista, ma questo non ha nulla a che vedere con lo statuto veritativo della
filosofia (cui pure Fusaro formalmente aderisce). Nulla al mondo potr far- mi
preferire linesistente Speranza alla (solo provvisoriamente per ora)
inesistente Prassi. La prassi esiste ontologicamente, la speranza no. Cerchiamo
di chiarirci le idee quando parliamo di prassi, ed in proposito non consiglie-
r mai abbastanza la lettura di Karel Kosik, Dialettica del concreto. Gli
sciagurati che hanno diretto per mezzo secolo il comunismo italiano hanno
ridoto la prassi alla distribuzione di volantini (pur necessaria), alla
frittura di salamini alle Feste dell'Unit ed alla firma di appelli testimoniali
identitari (che anche io peraltro ho firmato a decine). Se uno usciva dal suo
studio e sfilava in manifestazione dietro gli amati dirigenti con ai lati masse
di pecoroni plaudenti, faceva della prassi, mentre per i pi arditi e deliranti
la prassi era il sentire il calore delle comunit operaie e proletarie
indossando il passamontagna (il lettore postmo- derno non ci creder, ma ho solo
citato letteralmente Toni Negri). Non
certamente que- sta la prassi la cui assenza rimprovero nella
interpretazione di Marx di Fusaro. Se Fusaro bruciasse le camionette della
polizia come un black bloc, impiccasse in effige la Gelmini o urlasse esagitato
il suo odio verso il capitalismo non cambierebbe assolutamente nulla nel suo
codice filosofico, per cui nella futurizzazione marxiana di Hegel la risibile
speranza (aveva ragione Monicelli a criticarne lo straripante uso retorico
attuale) sostituisce la prassi rivoluzionaria. In questo modo, diciamolo
francamente, Marx forse bentornato,
ma bentornato solo in quanto
decaffeinato (lespressione di Slavoj
Zizek), e ridotto ad un innocuo critico della civilt. Ma la questione merita un
ultimo approfondimento finale. 14 Gli antichi, i moderni, l'umanesimo e la
storia. Alcuni rilievi a partire dagli ultimi lavori di L. Grecchi e di D.
Fusaro NOTE SULLA RIPRODUZIONE DELL'INDUSTRIA FILOSOFICA E SULLO
SPETTACOLO COLTO DELLA ATTUALE
GLOBALIZZAZIONE CAPITALISTICA I precedenti rilievi possono certo essere letti
come una critica a Diego Fusaro, e sicu- ramente lo sono. Lo sono, perch qui
vige laureo principio del niente di personale, ed il cuore della critica sta in
ci, che la categoria di speranza non pu sostituire la categoria di prassi nella
filosofia idealistica della storia di Marx, che in quanto tale non futurizza
semplicemente la filosofia della storia di Hegel, ma la modifica
qualitativamente con lin- serimento del concetto inedito di prassi
rivoluzionaria. Ma conviene forse esaminare il saggio di Fusaro Essere senza
tempo, perch qui Fusaro non deve pi nascondersi dietro lo schermo universitario
di una sapiente citatologia selettiva, ma pu invece esplicitare la propria
interpretazione del tempo presente. Dal momento che mi sembra (salvo errore) di
condividerla nellessenziale, ritengo inutile parafrasarla, e pi utile invece
considerarne la tesi di fondo utilizzando il mio lessico concettuale. Prima,
per, devo fare una considera- zione preliminare sul modo in cui funziona oggi
lo spettacolo colto riservato ai palati fini dei colti e dei semicolti nelle
nostre metropoli capitalistiche. Il circo mediatico televisivo, sostanzialmente
unificato a destra, al centro e a sinistra dai vincoli ferrei del Politicamente
Corretto, al diretto servizio delle
oligarchie capitalistico- finanziarie che dominano il mondo. Esso tiene sotto
ricatto permanente il ceto politico su- balterno di servizio attraverso il
pretesto morale-giudiziario, ed utilizza saltuariamente il clero universitario
in veste di autorevoli esperti (non pi di una decina per paese a seconda delle
specializzazioni). Il circo mediatico si esprime davanti a masse di pecoroni
televisivi passivizzati (fra cui metto anche me stesso) attraverso tre forme
principali di spettacolo: sportivo, violento e pornografico. Ma qui ci
interessa soltanto un quarto tipo di spettaco- lo, rivolto a coloro che Stefano
Benni a suo tempo defin Gente di una Certa Kual Kultura. Si tratta di uno
spettacolo raffinato, che definirei in prima approssimazione una sorta di
Pluralismo Manipolato, con esclusione solamente degli estremisti di sinistra
politicamente scorretti (il che mi ricorda la teoria della tolleranza di Locke,
che tollerava tutti all'infuori di atei, cattolici e non-conformisti). Ma la
cosa deve essere approfondita. In Essere senza tempo Fusaro sviluppa la tesi di
Koselleck, per cui la modernit non tanto
caratterizzata dall'idea di progresso in quanto tale, ma assai pi dall'idea di
accelera- zione del progresso stesso. Questo d luogo ad una societ della
fretta, in cui da un lato ci si affretta, ma dall'altro non si va pi da nessuna
parte, perch non esiste pi lidea di una direzionalit temporale emancipativa
della storia stessa. A mio avviso questa tesi, che giusta nellessenziale (ma anche del tutto
priva di potenzialit rivoluzionarie, come avvie- ne per tesi come quelle di
societ liquida di Bauman), pu essere spiegata sviluppando non tanto la pur
giusta intuizione di Koselleck, quanto piuttosto la tesi di David Harvey, che
individua il passaggio dal cosiddetto Moderno al cosiddetto Postmoderno non
solo nella produzione globalizzata e flessibile (nel linguaggio marxiano, la
struttura), ma anche nel passaggio dal modello normativo del Tempo del
progresso al modello normativo dello Spazio della globalizzazione (in
linguaggio marxiano, la sovrastruttura). Non si tratta qui di scegliere fra
Koselleck e Harvey (sebbene ovviamente io scelga Harvey), quanto di ca- pire
che la dialettica della societ contemporanea pu essere compresa soltanto sulla
base 15 Costanzo PREVE della teoria marxiana dei modi di produzione, con cui
indubbiamente Koselleck civetta, ma che non mette al centro del proprio schema
interpretativo, come del resto fanno tutti i kulturkritiker, da Nietzsche a
Simmel, da Adorno a Heidegger. E tuttavia Adorno coglie il centro del problema,
quando nelle prime pagine della sua Dialettica Negativa si esprime cos: Nessuna
teoria sfugge pi al mercato: ognuna viene offerta come possibile tra le
opinioni concorrenti, tutte possono essere scelte, e tutte assor- bite. Adorno
dimentica qui di aggiungere che si tratta non del mercato in s, ma di una nicchia
di mercato molto piccola, la nicchia di mercato culturale (ad occhio e croce,
una nicchia di mercato del 2%, rispetto ad un 98% riservato alla manipolazione
mediatica, allo spettacolo sportivo, allo spettacolo violento ed allo
spettacolo porno). E tuttavia la cosa
rilevante, se pensiamo che nel medioevo cristiano chi svelava i
meccanismi della riprodu- zione ideologica della societ veniva bruciato vivo
sul rogo, laddove oggi i kulturkritiker hanno il loro spazio negli apparati
universitari e nelle consulenze per le riviste femminili (pensiamo ad Umberto
Galimberti, pagatissimo teorico della integrale consumazione della lunga storia
della metafisica occidentale in dispositivo tecnico planetario oramai immodi-
ficabile). La chiave di questo paradosso dialettico non sta tanto nella
accelerazione del progresso e nei suoi esiti nichilistici, quanto nella natura
di ci che potremo chiamare oggi l'Assoluto. Gli apologeti del mercato
capitalistico globalizzato alla Eugenio Scalfari pubblicano saggi critici in cui
festeggiano la fine dei due precedenti Assoluti, il Dio monoteistico cristiano
e la sua funzione normativa nei costumi individuali e sociali ed il suo
succedaneo marxista, il Progresso nella Storia. E tuttavia, ripetendo la nota
frase di Woody Allen, se Dio morto e
Marx morto, non per questo la societ pu
sentirsi bene. Una dittatura del mercato si
sostituita alle vecchie (presunte) dittature teocratiche e ideocratiche,
e qui sta il vero para- dosso dialettico da svelare. Il Libero Mercato in realt lunico fattore storico e sociale che
non pu essere liberalizzato, laddove tutte le opinioni, soprattutto quelle dei
kulturkritiker, possono invece essere liberalizzate, in quanto socialmente
irrilevanti. L'irrilevanza di tutte le opinioni critiche direttamente proporzionale alla irrilevanza
assoluta ed esclusiva dei vincoli del mercato globalizzato. Ipotizziamo che in
Europa, sulla base di lotte sindacali secolari, gli operai abbiano otte- nuto
mezz'ora di mensa aziendale. Ebbene, se in Mongolia stato adottato il Nuovo Metodo per
l'Ingozzamento Veloce del Metalmeccanico (in acronimo NIVM)), che riduce i
tempi a soli cinque minuti, allora le leggi implacabili del mercato
concorrenziale (un Assoluto rispetto al quale i vecchi assoluti religiosi e
progressisti erano ancora tentativi artigianali) compor- tano la fine di
duecento anni di progresso, accelerato oppure no. Si tratta di qualcosa
che sotto gli occhi di tutti, e che non
richiede raffinate interpretazioni filosofiche per capirlo. Il sistema
liberalizza tutto (con la parziale momentanea eccezione dellantisemitismo e
della pedofilia), al di fuori dell'unico Assoluto che non liberalizza, il
mercato globalizzato e le sue leggi. Il fatto che il mercato culturale assorba
tutto non significa che il compito della filoso- fia critica sia diventato
irrilevante e privo di valore. Ho fatto tutta la vita il professore di
filosofia, e non me ne lamento. Ho recentemente letto che la CGIL Scuola ha
ribattezzato gli insegnanti lavoratori della conoscenza, e lirresistibile comicit
subalterna di questa 16 Gli antichi, i moderni, l'umanesimo e la storia. Alcuni
rilievi a partire dagli ultimi lavori di L. Grecchi e di D. Fusaro concezione
mi ricorda una vecchia battuta di un film comico: Vai avanti tu, che a me viene
da ridere!. Se vuole essere fedele alla sua eredit greca (e qui, lo ripeto, la
interpretazione umanistica ed anti-crematistica di Grecchi spicca per
intelligenza e pertinenza) ed al carat- tere idealistico ed emancipativo della
sequenza Fichte-Hegel-Marx (da mettere tutti e tre sullo stesso piano, con un
occhio di riguardo per Fichte) allora essa deve incorporare nella sua stessa
struttura ontologica ed assiologica il concetto di prassi trasformativa
rivoluzionaria. Questo deve avvenire anche in assenza di soggetti sociali
collettivi credibili, e l'assenza di questi soggetti non deve diventare un
alibi per lautolimitazione autocensoria alla semplice de- nuncia culturale, che
di per s non pu superare lo stadio di prodotto culturale di nicchia.
Naturalmente, sono perfettamente consapevole che non basta proclamare
solennemen- te tutto questo perch questa proclamazione abbia effetti pratici.
Alla fine, non si pu sfug- gire al triste principio per cui le armi della
critica non possono sostituire la critica delle armi. Ma le armi non hanno
nulla a che fare con limpotente terrorismo minoritario e con il rovesciare
cassonetti nutrendo lo spettacolo televisivo violento. Le armi sono un nuovo
pensiero, che riproponga la prassi umana (e non la semplice speranza intesa
come attesa messianica) al centro della trasformazione sociale. 17 Costanzo
Preve Storia della Dialettica 6 | edili MI pelle plaisan Q Costanzo Preve
STORIA DELLA DIALETTICA Storia della Dialettica Il lettore ha sotto gli occhi,
e potr liberamente giudicare, una sintetica storia della dialettica nel
pensiero occidentale. Si tratta in realt di una storia molto "breve",
anzi "brevissima". Non ho per ritenuto opportuno di dilungarmi, non
certo perch non ne valesse la pena, ma perch
inutile portare vasi a Samo, e cio, detto fuor di metafora, aggiungere
altri inutili quintali di carta ai quintali gi esistenti dedicati alla
dialettica, alle differenti definizioni che ne sono state date, ed infine alle
monografie specialistiche sui vari pensatori pi o meno noti che se ne sono
occupati. (Dalla prefazione) x A | editrice \\\ pelle plaisance \ p. Al pl
Editrice petite plaisance 2006 Pistola MGQE Creative Commons ISBN 88-7588-083-2
STORIA DELLA DIALETTICA Premessa Il lettore ha sotto gli occhi, e potr
liberamente giudicare, una sintetica storia della dialettica nel pensiero
occidentale. Si tratta in realt di una storia molto "breve", anzi
"brevissima". Non ho per ritenuto opportuno di dilungarmi, non certo
perch non ne valesse la pena, ma perch
inutile portare vasi a Samo, e cio, detto fuor di metafora, aggiungere
altri inutili quintali di carta ai quintali gi esistenti dedicati alla
dialettica, alle differenti definizioni che ne sono state date, ed infine alle
monografie specialistiche sui vari pensatori pi o meno noti che se ne sono
occupati. Di questo far cenno nella nota bibliografica generale commentata,
che anche in un certo senso un capitolo
a parte. In questa premessa mi limiter quindi ad alcune segnalazioni utili per
la lettura. In primo luogo, chiaro che
in un lavoro del genere impossibile
evitare di cadere in errori o in fraintendimenti. Non si tratta ovviamente
delle interpretazioni che dar a molti pensatori, interpretazioni del tutto
anomale ed atipiche ma che rientrano nella mia pi completa libert ermeneutica,
quanto di errori veri e propri. Se cos,
prego tutti coloro che per caso rilevassero questi errori di scrivermi e di
segnalarmeli per una eventuale seconda edizione migliorata. Il mio indirizzo :
Costanzo Preve, via Piazzi 33, 10129 Torino. Nella generale dissoluzione
contemporanea di ogni comunit indipendente e "gratuita" di studiosi,
siamo tornati al "medioevo" degli indirizzi personali. Ma forse meglio cos. In secondo luogo, chiaro che non ho potuto n soprattutto voluto
scrivere una storia "completa" della dialettica nel pensiero
occidentale. Vi sono molti autori "saltati", che pure sarebbero stati
interessanti da analizzare. Tuttavia, non ho perseguito di proposito una pur
possibile "completezza" enumerativa, preferendole un discorso pi
lineare e sintetico. Il mio discorso, infatti, in un certo senso
"precipita" nel quindicesimo ed ultimo capitolo, in cui tento di
disegnare un profilo sommario del tempo storico in cui ci dato di vivere proprio alla luce dell'eredit
dialettica del pensiero occidentale. A questo punto, anche se sono appena
accennati Epicuro, gli stoici, eccetera, il danno non sar grave. Il lettore ha
a sua disposizione storie della filosofia ricchissime e dettagliate. In terzo
luogo, il lettore si trover di fronte non solo ad alcune novit interpretative,
come normale che sia, ma anche di fronte
ad alcune innovazioni filosofiche relativamente "scandalose". Nei
manuali di filosofia vengono in genere classificati come "idealisti"
tre pensatori tedeschi dell'epoca romantica (Fichte, Schelling e Hegel), mentre
Marx viene in genere connotato come critico dell'idealismo e quindi come
materialista, pi o meno dialettico (anche se pochi giungono fino al punto di
connotarlo erroneamente come fondatore del "materialismo dialettico",
togliendo in questo modo l'onore della scoperta al buon Engels). Nella mia
interpretazione, invece, non si parla di Schelling (non perch non lo meriti, ma
perch non fa parte a mio avviso dell'idealismo propriamente storico e sociale),
ed in compenso vengono classificati come idealisti dialettici Fichte, Hegel e
Marx. Questo pu stupire o scandalizzare a piacere, o anche solo sollevare un
sorrisino di compatimento o suscitare una frettolosa alzata di spalle. Non
intendo convincere nessuno, ma solo portare socraticamente (ed
aristotelicamente) alcuni ragionamenti "probabili" a supporto di
questa interpretazione. In quarto luogo, infine, suggerisco al lettore di
collocare questa mia breve storia della dialettica nel contesto pi ampio ed
articolato dei miei lavori pi recenti, che ricorder nella nota bibliografica
generale. Se infatti sono andato un po' "di fretta" su alcuni
decisivi argomenti, ci dovuto al fatto
che mi sono soffermato pi ampiamente su di essi in altre sedi. Cos facendo,
credo che questo mio lavoro ci abbia guadagnato in chiarezza e snellezza.
Viviamo in un'epoca storica apparentemente adialettica, o se si vuole poco
dialettica. Ci gi avvenuto altre volte
in passato, e questo deve servirci da sia pur povera consolazione. Il tempo
"generazionale" della nostra vita
breve, e non coincide praticamente mai con i tempi storici pi lunghi dei
movimenti storici e sociali decisivi. Forse, come dice un proverbio
cinese, un bene non dover vivere in un
periodo storico "interessante". Coloro che si trovarono ad avere
vent'anni nel 1914 o nel 1939, vissero indubbiamente in un'epoca storica pi
interessante della stagnazione morale ed antropologica in cui siamo
(apparentemente) immersi, ma ne pagarono anche prezzi per noi quasi
incredibili. E allora si potrebbe dire come nel film Quarto Potere a proposito
della stampa: la dialettica, bellezza!
Introduzione Dialettica e filosofia nella storia bimillenaria del pensiero
occidentale La filosofia un'attivit
sociale, e come tutte le altre attivit sociali emerge direttamente dal lavoro e
dal linguaggio umani, lavoro e linguaggio che hanno una peculiare
caratteristica "generica" rispetto al lavoro di molti animali
(castori, api, termiti, eccetera). A suo tempo Karl Marx rilev acutamente
questa differenza essenziale fra il comportamento animale ed il comportamento
umano, osservando che mentre l'architetto deve anticipare nel suo pensiero il
progetto della costruzione che si accinge a fare, l'ape invece non costruisce
l'alveare sulla base di una progettazione libera preventiva, ma sulla base di
un suo corredo genetico integralmente programmato. Da questa osservazione di
Marx passato un secolo e mezzo di studi
etologici comparativi sul comportamento animale ed umano, ma non mi sembra che
vi sia stato aggiunto nulla di rilevante. In quanto architetti del peculiare e
differenziato legame sociale che costruiscono, gli uomini filosofeggiano,
mentre le api non lo fanno. Si potrebbe per obiettare che gli uomini non hanno
sempre filosofeggiato, mentre invece hanno sempre dovuto mangiare, bere e
difendersi dal freddo e dal caldo. Le societ (impropriamente) dette
"primitive" hanno costruito indubbiamente attivit in vario modo
simboliche (miti, totemismo, magia, eccetera), ma non risulta che abbiano anche
aperto uno specifico spazio "filosofico" nelle loro comunit. L'uomo
dunque indubbiamente filosofeggia "per natura", perch questo deriva
appunto dalla sua specifica natura di architetto e non di ape, ma a questa
potenziale natura deve anche aggiungersi "in atto" uno spazio sociale
particolare, integralmente storico, in cui questa potenzialit naturale possa
esplicarsi. Il lettore si accorger a questo punto che sono stato costretto ad
impiegare una categoria filosofica che storicamente risale ad Aristotele,
quella del passaggio dalla potenza all'atto. Se la filosofia una attivit storica e sociale, anche le
categorie verbali e concettuali che utilizza saranno di conseguenza storiche e
sociali. E sarebbe infatti ben strano che, se la filosofia un'attivit storica e sociale, le categorie
verbali e concettuali che usa non lo fossero, e fossero invece per cos dire
"cadute dal cielo". Eppure,
proprio questa la finzione insostenibile con cui sono costruite pi del
novanta per cento delle storie occidentali della filosofia. A un certo punto,
in modo misterioso, qualcuno comincia a porsi lo strano problema se il mondo in
cui viviamo sia derivato dall'acqua, dal fuoco o dall'aria oppure se ci sia
qualcosa di stabilmente ed eternamente vero o se invece tutto sia relativo e
convenzionale. Come possibile una simile
assurdit? E possibile, possibile.
Ed possibile, appunto, perch anche
questa assurdit ha una specifica origine sociale, e cio quella che potremo
chiamare l'ideologia della destoricizzazione volontaria (0, pi esattamente, in
un primo tempo inconsapevole, e poi consapevole). Nella misura in cui il
soggetto pensante tende a pensare ed a concepire il mondo sociale in cui vive
come una sorta di eternit permanente i cui valori riproduttivi sono
insuperabili, e poco importa che siano schiavistici, feudali, capitali-stico-
liberali oppure infine staliniano-comunisti, eccetera, inevitabile che si accompagni a questo modo
di vedere anche una parallela destoricizzazione concettuale, in cui la genesi
storica dei concetti cancellata ed al
suo posto si afferma una sorta di "validit" astratta. Il primo grande
filosofo che caduto in questo
(comprensibile) errore stato forse
Aristotele (e vedremo nel capitolo quarto che
proprio per questa ragione che in lui la dialettica sottovalutata). Per fare un esempio pi
moderno, la grande storia della filosofia di Nicola Abbagnano, che pure ricchissima di profondit e di
erudizione, integralmente costruita su
questa rimozione della genesi storica e sociale dei concetti. E questo non un caso, perch tipico del cosiddetto
"liberalismo laico"
l'assolutizzarsi come forma matura della razionalit in s. Ma torniamo al
carattere integralmente sociale dell'attivit filosofica. Questo carattere
integralmente sociale permane anche e soprattutto quando il filosofo vive
integralmente isolato e medita in solitudine. Eraclito di Efeso, ad un certo
punto della sua vita, era talmente schifato dal comportamento dei suoi
concittadini che and a vivere isolato fra le pietre di un tempio, e la sola
attivit "sociale'che continu a svolgere fu il giocare a dadi con i
ragazzini. Eppure, se ne converr facilmente, anche questa scelta di sdegnosa
solitudine era integralmente "sociale", perch aveva come genesi della
scelta di esodo, secessione ed isolamento lo schifo che gli facevano i suoi
cittadini corrotti e maneggioni. Anche Robinson Cruso filosofeggia nella sua isola
solitaria senza poter parlare con nessuno, ma tutti i suoi pensieri derivano da
un monologo interiore che in realt un
dialogo silenzioso o con s stesso sdoppiato o con un interlocutore evocato
nella sua fantasia sulla base della sua precedente educazione, quella cio che
aveva preceduto il naufragio. La filosofia come attivit sociale si serve dunque
di parole e di concetti che hanno anch'essi un'integrale genesi sociale, di
cui utile fare sempre la "deduzione
storica". Noi esprimiamo infatti i nostri concetti astratti in parole,
esattamente come esprimiamo in parole gli oggetti materiali e gli eventi che ci
riguardano o di cui siamo venuti a conoscenza. Ho letto da qualche parte che
gli esquimesi del Canada hanno trentanove parole per indicare la neve, e non
alludo ad aggettivi legati ad un unico sostantivo (del tipo neve fresca, neve
bagnata, neve ghiacciata), ma proprio a trentanove sostantivi diversi. E questo
non deve stupire, perch nella vita materiale degli esquimesi, e quindi nella
loro riproduzione individuale e sociale, la neve ha un'importanza centrale e
bisogna sempre trattarla in modo differenziato, laddove immagino che fra i
pigmei della foresta equatoriale del Congo, dove non nevica mai, non ci sia
nessun termine per indicare la neve, ed i bambini pigmei dicano neige o snoiu
sulla base della loro precedente colonizzazione europea, francese o inglese.
Sarebbe allora strano che il linguaggio filosofico e le categorie che esso usa
non seguisse lo stesso principio della neve degli esquimesi o della foresta
equatoriale dei pigmei. Le due lingue filosofiche principali della tradizione
occidentale sono state il greco antico prima ed il tedesco poi, e sarebbe
assurdo slegare la genesi di questo lessico dalle condizioni storiche e sociali
in cui nato ed in cui stato poi adottato. Eppure ci che si fa continuamente. Il termine greco
logos, il termine indiano dharma, il termine tedesco Entfremdung (alienazione),
eccetera, non possono certamente essere tradotti nella lingua degli esquimesi e
dei pigmei perch non corrispondono a nessuna esperienza collettiva ed
individuale di questi popoli. Nello stesso tempo, tutti questi termini sono in
via di principio traducibili con lunghissime perifrasi esplicative, e nello
stesso tempo anche dopo queste lunghissime perifrasi esplicative essi non
risultano affatto sovrapponibili a termini "locali". Il lettore deve
allora prestare un'attenzione particolare a questo insieme di problemi: i
concetti derivano da parole, le parole nascono da precise situazioni naturali e
sociali (la neve, la ragione, la democrazia, eccetera), le parole ed i concetti
sono in linea di massima traducibili, ma nello stesso tempo non sono
sovrapponibili. E questa non-sovrapponibilit
appunto il sintomo della loro preventiva genesi storica e sociale. I due
poli opposti che ci interessano (e la dialettica appunto sempre fatta di poli opposti in
correlazione obbligata) sono allora un polo positivo (la traducibilit) ed un
polo negativo (la non-sovrapponibilit). Per capire meglio quanto ho sinora
detto possiamo fare un sommario esame comparativo fra la filosofia greca antica
e la filosofia cinese antica. Questo esame comparativo particolarmente utile perch, allo stato
attuale delle fonti, possibile escludere
con decisione ogni rapporto fra le due civilt, che ignoravano integralmente
l'esistenza l'una dell'altra. Mentre
possibile documentare legami generalmente indiretti fra il pensiero
greco e quello egizio, anatolico, assirobabilonese, persiano, eccetera, un
rapporto fra il pensiero greco e quello cinese pu essere tranquillamente
escluso. Se allora ci mettiamo nell'ottica di un loro sistematico esame
comparativo (ottica in cui lo scrivente si
messo, sia pure in modo necessariamente dilettantistico per quanto
riguarda il lato "cinese") risultano molte cose interessanti, che per
brevit compendier qui in due sole grandi classi. In primo luogo, emergono
concetti molto simili, ed a prima vista addirittura eguali, come ad esempio
quello di struttura permanente della riproduzione complessiva della natura e
della societ e della corrispondente collocazione umana in essa (il logos in
greco ed il tao in cinese) e quello di contraddizione dialettica immanente
nell'apparente unit degli eventi e dei concetti (il polemos di Eraclito e la
scuola dello yin- yang della dialettica cinese antica). Da questo fatto si pu
dedurre, o io almeno deduco, che gli uomini associati in comunit, posti di
fronte a situazioni comparabili di crisi dei significati etici della loro
riproduzione abituale, reagiscono elaborando sistemi concettuali largamente
simili, o almeno comparabili e traducibili. Deduco inoltre da questo fatto una
seconda conseguenza, ancora pi importante della prima, e cio quella della
sostanziale unit razionale ed antropologica del genere umano. In secondo luogo,
tuttavia, i sistemi concettuali greco e cinese non sono per nulla
sovrapponibili, e questa non- sovrapponibilit non pu essere seriamente spiegata
se non con la differente genesi storica e sociale dei concetti stessi. In altre
parole, il logos greco ed il tao cinese non ricoprono lo stesso spazio
semantico. Dal termine logos emerge con il tempo una sempre maggiore
differenziazione fra il macrocosmo naturale ed il microcosmo sociale, con la
conseguente differenziazione fra soggetto ed oggetto, o pi esattamente fra soggetto
conoscente ed oggetto conosciuto. In questo spazio concettualmente divaricato
pu sorgere da un lato l'idea monoteistica e poi teistica della differenziazione
fra un Dio creatore ed un mondo creato, e dall'altro l'idea di una storia umana
che si differenzia da quella ciclico-naturale per essere invece lineare,
orientata e "progressista". Dal termine tao emerge invece una visione
del mondo in cui natura e societ sono maggiormente fuse insieme in una logica
riproduttiva comune, ed in cui non
possibile alcuna "fessurazione" dalla quale possa emergere una
divinit monoteistica pensata in modo antropomorfo come creatrice e progettista
del mondo stesso. Secondo il sinologo di Lipsia, Moritz, che a suo tempo mi ha
iniziato alla filosofia cinese, questo
dovuto anche e soprattutto a ragioni di genesi materiale e geografica.
In Cina il peso dominante dell'agricoltura nella riproduzione sociale, unito
alla necessit periodica di lavori collettivi di tipo idraulico, ha portato ad
una minore differenziazione fra la riproduzione naturale e quella sociale,
mentre in Grecia, data la natura del territorio e l'importanza decisiva della
navigazione e del commercio marittimo, il mondo sociale (e quindi storico) ha
potuto differenziarsi maggiormente da quello naturale. Sarebbe allora
assurdo-pensare che le categorie filosofiche astratte siano "piovute dal
cielo", e non abbiano nessun rapporto genetico con le condizioni sociali
circostanti. Con questo non voglio affatto sostenere un rigido determinismo di
tipo geografico-economico nella genesi complessiva dell'attivit filosofica. La
scuola del maestro Mo era cinese, eppure sosteneva l'esistenza di una divinit
monoteistica di tipo personale, mentre Baruch Spinoza era europeo al cento per
cento, eppure la sua concezione panteistica ed immanentistica del mondo,
depurata da ogni illusione monoteistica di tipo personalistico, era per molti
aspetti simile alla sapienza filosofica orientale. In altri termini, l'uomo
come ente naturale generico prima di
tutto un ente libero, e su questo punto torner molto spesso, in particolare nel
capitolo undicesimo dedicato a Karl Marx. Torniamo invece ora al discorso
principale che intendo condurre in questa introduzione. E chiediamoci
subito: possibile proporre una solida
definizione univoca e concordata di quali siano l'oggetto ed il metodo della
filosofia, oppure si tratta di una illusione impossibile? La risposta non pu
essere che no. Si tratta di un'illusione impossibile. E certamente possibile
proporre una definizione personale di filosofia e poi - in base a questa
definizione assunta come postulato iniziale - scrivere mille pagine rigorose e
senza contraddizioni logiche (ad esempio, Spinoza lo ha fatto). E invece
impossibile raggiungere un'unanimit sociale talmente perfetta da permettere
l'enucleazione concordata volontaria di una definizione unica di filosofia, sia
per quanto riguarda l'oggetto che per quanto riguarda il metodo. A volte nella
storia si costituiscono dittature talmente pervasive e permanenti da imporre
per un certo periodo di tempo un'unificazione forzata e statualmente imposta
dell'oggetto e del metodo della filosofia (e ci
per esempio avvenuto nella teologia cristiana e musulmana medioevale,
cui era imposta la premessa dell'esistenza di Dio, o nello stalinismo
sovietico, in cui l'oggetto ed il metodo della filosofia erano forzosamente
identificati con una particolare interpretazione obbligata dell'ideologia di
partito marxista-leninista). Questo, per, non pu durare per sempre, a causa
appunto del carattere generico ed aperto dell'ente naturale umano
(Grattungswesen). E allora tipico e specifico della filosofia, o pi esattamente
della pratica filosofica, il non poter mai giungere ad una unificazione
concordata dell'oggetto e del metodo. E questo, lungi dall'essere una debolezza
della filosofia, proprio la sua forza.
Le scienze naturali moderne (astronomia, fisica, chimica, biologia, eccetera)
hanno appunto come caratteristica quella di aver saputo conseguire
un'unificazione mondiale concordata sia dell'oggetto che del metodo.
Questo avvenuto, per, sulla base della
riduzione del problema filosofico della verit ai due problemi distinti e non
coincidenti della certezza e dell'esattezza, pi esattamente della certezza
fisica e dell'esattezza matematica. Esiste ovviamente (e non potrebbe essere
diversamente) anche una scuola filosofica che identifica l'oggetto ed il metodo
della verit con l'oggetto ed il metodo della certezza e dell'esattezza, e si
chiama positivismo, cos come sono esistite ed esistono scuole filosofiche che
negano la pertinenza della stessa idea di verit e la considerano un'illusoria
proiezione religiosa, o pi esattamente un'inutile duplicazione razionalistica
della religione. Questa "pluralit"
allora del tutto normale. Tutti capiscono che un bene, e non certo un male, che la
filosofia non possa raggiungere un'unificazione "scientifica"
concordata del suo metodo e del suo oggetto. Se questo fosse possibile, ma per
fortuna non lo , l'umanit diventerebbe uno squallido e noioso gregge
robotizzato. Ci sono oggi in movimento gigantesche forze storiche che tendono
proprio a questo, a trasformare cio l'intera umanit in uno squallido e noioso
gregge robotizzato di consumatori distinti solo per livelli di reddito e quindi
di capacit di acquisto, in modo che la diversit umana diventi solo un caso
particolare della merceologia. Per sua natura, la filosofia non pu essere
"organizzata", e quindi non pu essere neppure
"normalizzata". Possono per essere organizzate e normalizzate, almeno
per un certo periodo, le sue pratiche ufficiali e "politicamente
corrette" di tipo accademico ed editoriale. E questo appunto ci che avviene oggi. Ma esiste un
fattore di lungo periodo che ostacola la realizzazione di questo progetto
normalizzatore da incubo, ed appunto la
dialettica. E questo consente appunto la trattazione congiunta della filosofia
e della dialettica, secondo il titolo di questa introduzione. A questo punto,
qualche lettore vorrebbe forse una prima buona elencazione dei diversi
significati storici e teorici dei due termini "filosofia" e "dialettica".
Nulla di pi facile, soprattutto per chi
in possesso di alcuni buoni dizionari filosofici, e non solo in lingua
italiana. Non mi sembra proprio il caso. Si tratterebbe di una erudizione
falsamente rassicurante, e gi Platone metteva giustamente in guardia dalle
definizioni scritte ed "immobili" che non possono rispondere. A mio
avviso un saggio filosofico non deve avere la struttura narrativa di un
documento burocratico, che nel titolo enuncia gi tutto quello che verr detto
dopo, ma del romanzo poliziesco, in cui il lettore all'inizio non sa ancora
come andr a finire", ed anzi si arrabbierebbe molto con coloro che glielo
dicessero rovinandogli cos il piacere della lettura. invece sensato che io dia subito le mie
personali definizioni provvisorie, e revocabili in qualsiasi momento previo
convincimento della loro erroneit e della loro insostenibilit, di filosofia e
di dialettica, sia per quanto riguarda l'oggetto che per quanto riguarda il
metodo. Non sarebbe neppure necessario farlo, perch dovrebbero risultare
indirettamente dalla lettura dei capitoli. Ma lo faccio egualmente in nome del
detto per cui la sola oggettivit" possibile in filosofia, in assenza delle
procedure di verificabilit e di falsificabilit proprie delle scienze naturali
moderne, l'esplicitazione chiara delle
proprie premesse. Per quanto riguarda la filosofia, essa ha per me come oggetto
la conoscenza veritativa dei problemi irrisolvibili della condizione umana, ed
il suo metodo quello dialogico, fondato
sullo scambio di vedute sistematico, critico e sempre pi approfondito. Il
lettore pu stupirsi di una apparente contraddizione logica, che
evidentemente voluta: come possibile che si possa avere una conoscenza
veritativa, se si ammette che si tratta di problemi in via di principio
insolubili? Ma la contraddizione a mio avviso
solo apparente, e fondata su di un equivoco linguistico e concettuale: i
problemi in via di principio solubili (dando qui per scontato che comunque
questa solubilit sempre temporanea e
soggetta a revisioni epistemologiche radicali) lo sono in base a categorie come
la certezza, l'esattezza o la convenzione costituzionale, legale, giuridica e
giudiziaria. La verit invece ha come oggetto ci che insolubile in via di principio, ma che
egualmente fa da orizzonte e da prospettiva per l'agire umano. Ed allora il
metodo non pu che essere il dialogo, inteso per come dialogo libero, effettuato
con amicizia e benevolenza ed infine interminabile (pi esattamente, il cui
termine dato solo dalla mortalit umana
individuale, che appunto interrompe" il dialogo, e non pu certamente
risolverlo). Per quanto riguarda la dialettica, la definisco come la logica di
questa irrisolvibilit. La dialettica, appunto, scioglie" sempre ogni
irrigidimento storico e sociale che si presenta come definitivo, e che
ovviamente non lo . Se questo il suo
oggetto, il suo metodo l'ontologia, ove
per metodo ontologico" si intenda la corretta individuazione delle
categorie specifiche di ogni campo del cosiddetto essere", sia naturale
che sociale. Abbiamo allora, lo ricordo ancora una volta, quattro categorie
distinte che, tenute opportunamente a mente, possono aiutare il lettore a
districarsi in questo percorso che gli propongo: la filosofia ha come oggetto
la conoscenza veritativa di problemi in via di principio irrisolvibili, ed ha
come metodo il dialogo, mentre la dialettica
la logica di questa irrisolvibilit, ed ha come metodo l'ontologia, e cio
il chiarimento delle categorie specifiche di ogni regione" dell'essere che
si ha di fronte. Il discorso sarebbe ancora lungo, ma mi sono ripromesso di
cercare di essere molto breve e sintetico in questa storia della dialettica.
Quanto ho infatti per ora enunciato in forma necessariamente apodittica dovr
essere chiarito e motivato in modo non certo conclusivo, ma almeno sufficiente
per un primo approccio analitico. Ed
quello che cercher di fare nei quindici capitoli che seguiranno.
Capitolo primo La genesi storica, sociale e ideale della filosofia greca Il
primo storico in assoluto della filosofia greca, il grande Aristotele, venuto circa duecento anni dopo la sua genesi
storica e sociale, e questa genesi - a sua volta - la sola guida possibile per capire il
contesto in cui certe parole sono state usate e certi concetti sono stati
proposti, come ho gi sostenuto nella introduzione. Posso fare infatti
concessioni su molte questioni, ma non sul carattere storico e sociale della
genesi delle categorie filosofiche. Duecento anni di distanza rappresentano un
indice quasi infallibile di fraintendimento. Del resto, a volte ce ne vogliono
molto meno di duecento per portare a fraintendimenti tragicomici. A soli
cinquant'anni circa dalla morte di Marx la sua utopia scientifica
(l'ossimoro naturalmente volontario)
dell'emancipazione universalistica dell'ente umano e naturale generico era gi
diventata un'ideologia di legittimazione per la gestione monopolistica del
potere politico da parte di un partito che si considerava titolare della
conoscenza scientifica infallibile del futuro dell'umanit. passato meno di un secolo dalla morte di Kant
e di Hegel, e Kant - che intendeva fondare una nuova metafisica e non aveva
nessunissima intenzione di demolirla o di distruggerla - veniva interpretato
come una sorta di positivista con la parrucca incipriata e come esaltatore del
dato scientifico" rispetto alle fumisterie indimostrabili, mentre Hegel,
che aveva posto il principio della libert incondizionata dell'autocoscienza
alla base della sua filosofia della storia, veniva interpretato come un
precursore teorico delle dittature (ribattezzate pudicamente societ
chiuse"), indifferentemente fasciste (Giovanni Gentile) o comuniste
(Gyorgy Lukacs). A questo pittoresco e tragicomico destino non poteva
evidentemente sfuggire neppure il problema della genesi storica e sociale della
filosofia greca. Aristotele giunge appunto circa duecento anni dopo l'inizio
della filosofia greca, e questo in un periodo storico caratterizzato dalla
trasmissione orale della memoria e dalla scarsit estrema di testi scritti, che
erano appunto scritti a mano su materiale estremamente deperibile. La tendenza
a retrodatare al passato i propri specifici e legittimi interessi teorici e
pratici allora quasi irresistibile, in
particolare in un periodo storico in cui il passato era considerato
venerabile", il che faceva diventare immancabilmente venerabili anche i
propri interessi. Ed infatti esattamente
quello che fa Aristotele. Aristotele fa nascere la filosofia dal senso di
meraviglia che si ha di fronte alla natura. Dal momento che in una
definizione importante ci che si dice,
ma a volte ancora pi importante ci che
si tace o si considera ovvio, scontato o poco interessante, la meraviglia di
Aristotele per la sola natura implica che invece la societ" in cui viveva
non gli provocasse pi nessuna meraviglia, ma soltanto la legittima curiosit per
la sua adeguata classificazione politica ed economica. Questo peraltro esattamente l'atteggiamento dei
filosofi neoliberali e filo-capitalisti di oggi, per cui la societ
capitalistica stessa, sia essa o meno imperialistica elo in via di
globalizzazione, eccetera, non produce nessuna meraviglia critica, ma solo un
ovvio e scontato senso di "positivit", e cio di esistenza
assolutamente incontrovertibile, per cui tutti i residui dubbi iperbolici sulla
sua natura non vengono neppure pi chiamati "filosofici", ma soltanto
"continentali", per connotare geograficamente un piccolo continente
invecchiato e cosparso di basi militari imperiali. Nello stesso modo, ad
Aristotele la natura suscitava "meraviglia", ma il fatto che
Alessandro il Macedone occupasse la Grecia o che la societ fosse schiavistica
non gliene suscitava alcuna, e considerava tutto questo un dato prefilosofico.
Per Aristotele il mondo era concettualmente ricostruito mediante il concetto di
causa (aitia, ation), e pi esattamente mediante la combinazione di quattro
cause (materiali, formali, efficienti e finali). Dal momento che per lui questo
era il fondamento concettuale e filosofico del mondo, non ci si pu stupire del
fatto che classificasse tutti i filosofi che lo avevano preceduto
incasellandoli in quattro categorie che rispecchiavano ognuna ovviamente le
quattro cause. Ed allora abbiamo gli esponenti della scuola delle cause
materiali (l'acqua di Talete, l'aria di Anassimene, eccetera), delle cause
formali (il numero in Pitagora, le idee in Platone, eccetera), e cos via.
Si cos di fronte a quello che Marx
chiamava "falsa coscienza necessaria", da non confondere ovviamente
con la bugia, la malafede o l'incompetenza. Aristotele, ovviamente, non era n
bugiardo n in malafede n incompetente, ma superava tutti noi di molte
grandezze. Nello stesso tempo, in quanto credeva sinceramente che i primi
filosofi greci due secoli prima si ponessero gli stessi problemi che si poneva
lui, non si pu negare che Aristotele fosse in preda ad una (legittima ma
fuorviante) falsa coscienza. E infatti molto poco probabile che duecento anni
prima di Aristotele, in un periodo storico caratterizzato dal passaggio da una
societ tradizionale per molti aspetti ancora fortemente tribale e comunitaria,
ad una societ nuova fondata sulla libera compravendita di schiavi e di merci
resa possibile dalla moneta coniata individualmente posseduta, i primi filosofi
fossero realmente interessati ad ipotesi che oggi chiameremmo
"scientifiche" sulla origine o sul principio originario (arche) delle
cose. Certo, che essi si occupassero anche di arche inoppugnabile, e non intendo certo negarlo.
Il vero problema di questi filosofi, per, un problema integralmente storico,
sociale e comunitario, e quindi politico, era la minaccia di insensatezza ed il
pericolo di dissoluzione sociale integrale che nasceva irresistibilmente in
questa transizione. Ne era consapevole Aristotele? Non lo so, ovviamente, ma mi
arrischio a dire di no: non ne era consapevole. In caso contrario lo avrebbe
detto in qualche modo, anzich parlare di "meraviglia" rispetto alla
natura e di quattro cause genetiche delle cose. Si trattava dei suoi problemi,
non di quelli dei primi filosofi. Che questi filosofi parlassero di arche inoppugnabile. per almeno probabile, secondo la ragionevole
ipotesi di Antonio Capizzi (uno storico della filosofia greca che avrebbe
meritato molta miglior fortuna, e che invece non l'ha avuta in un contesto
accademico pigramente conformistico), che l'arche non debba essere letta con gli
occhiali della problematica della scienza moderna di Galileo e di Newton, ma
debba essere vista come metafora di qualcsa d'altro". E questo qualcosa
d'altro, in un contesto ancora largamente caratterizzato dalla indistinzione
ontologica fra macrocosmo naturale e microcosmo sociale, non pu che essere la
legittimazione della convivenza sociale comunitaria. Questa peraltro anche l'opinione dello storico della
filosofia antica Massimo Bontempelli: la minaccia di insensatezza provocata dai
nuovi rapporti individualistici e mercantili, e non la semplice arche intesa
come principio generico materiale originario del cosmo naturale, deve essere
vista come la sorgente sociale pi probabile nella costituzione genetica delle categorie
teoriche dei primi filosofi greci. Questi filosofi vengono in genere definiti o
come presocratici" o come naturalisti ionici". Entrambe le categorie
classificative sono largamente insufficienti. Il termine presocratici"
significa soltanto anteriori a Socrate", ma questo non vuol dire niente,
perch nessuno definirebbe oggi Kant un pre-hegeliano o Hegel un
pre-heideggeriano. In quanto a naturalisti ionici", invece, ionici lo
erano veramente (anche se non tutti), ma che fossero naturalisti" invece tutto da accertare. Non c' dubbio che abbiano
scritto poemi che furono poi intitolati Sulla natura (peri physeos), ma la
natura di cui si occupavano non quella
che viene chiamata oggi con questo nome ed
studiata nelle facolt di fisica, chimica, biologia e scienze naturali,
ma una sorta di metafora vivente dell'unit fra cosmo naturale e cosmo sociale.
Del resto, come possibile pensare
seriamente che Pitagora volesse occuparsi dei numeri in quanto tali e non in
quanto via privilegiata per una conoscenza di tipo magico- sacerdotale del
mondo? E come possibile pensare
seriamente che Parmenide si sia inventato il termine Essere traendolo dalla sua
testa, e non abbia invece trasposto in una categoria metafisica la sua
preoccupazione e la sua avversione per i mutamenti sociali dissolutivi della
polis di Elea in cui viveva? Non voglio qui consigliare al lettore di aderire
tout court a molte ardite teorie genetiche, come quella proposta dagli
antichisti Thomson e Sohn-Rethel, per cui persino il concetto pi generico ed
astratto possibile, quello di Essere (to ori), derivava materialmente con una
astrazione proiettiva dall'astrazione materiale che gli stava alla base, quella
del valore di scambio altrettanto generico ed indeterminato prodotto dalla
moneta coniata. Mi sembra effettivamente un'ipotesi ardita, il che non toglie
ovviamente che non potrebbe essere anche vera (da quando in qua
l'arditezza un argomento contro la
verit?). Ma preferisco comunque questa arditezza genealogica, per
riduzionistica" che possa sembrare (o essere), alla banalit di chi continua
a fare cadere dal cielo le categorie filosofiche, come se un signore chiamato
Parmenide si potesse inventare" l'esistenza dell'Essere passeggiando per
gli stretti sentieri sassosi a picco sul Tirreno. Lo spazio filosofico, quindi,
nasce e si sviluppa come spazio sociale dell'inedita indagine sulle ragioni che
hanno portato la societ greca del tempo (che non ovviamente ancora quella di Pericle, di
Socrate e di Platone) alla concreta minaccia di insensatezza e di dissoluzione.
Una minaccia, sia detto subito con tutta la forza possibile, del tutto
formalmente analoga alla minaccia di insensatezza e di dissoluzione che abbiamo
oggi, la minaccia di una societ in cui il denaro ed il consumo sono ormai i
soli fondamenti del legame sociale e comunitario. E allora, perch si ritiene
Talete un filosofo in quanto si posto il
problema dell'arche come fondamento naturale primario (nel suo caso l'acqua), e
non invece Solone, che per garantire la permanenza della polis degli Ateniesi
contro la minaccia della sua dissoluzione ha posto come fondamento sociale il
metron, e cio la misura della ricchezza e del possesso? Per quale ragione
l'acqua un fondamento filosofico ed
invece la misura non lo ? E evidente che la risposta non pu essere che una, e
banalissima: l'acqua un fondamento, e la
misura non lo , perch Aristotele vedeva ormai certi problemi, e non ne vedeva
neppure pi certi altri, come del resto mutatis mutandis avviene anche oggi.
L'oggetto della filosofia dei primi pensatori greci allora la minaccia di insensatezza e di
dissoluzione sociale e comunitaria prodotta dal sempre maggiore affermarsi dei
rapporti mercantili, la cui natura immanente era quella di dissolvere la
precedente comunit e di ricomporla nella forma degli individui atomizzati
portatori di capacit di acquisto "privato" differenziale. Il metodo
che essi usavano non era per ancora il cosiddetto dialogo, cio il passaggio del
logos in un rapporto fra individui ormai costituiti come liberi (di questo
metodo parler nel prossimo capitolo dedicato all'ateniese Socrate), ma era
ancora il vecchio metodo della sophia, e cio della tradizionale sapienza di
tipo religioso. E mentre allora Antonio Capizzi e Massimo Bontempelli ci
guidano per l'orientamento genealogico materiale sull'origine della filosofia
greca, Giorgio Colli ci guida invece nella comprensione del carattere
strutturalmente sapienziale" del metodo dei primi filosofi. Fra i due
orientamenti (che potremmo sommariamente e scorrettamente definire
materialistico" e sapienziale") non vedo personalmente opposizione ed
esclusione, ma piuttosto complementariet. Un discorso analogo pu essere fatto
ovviamente anche per la dialettica vera e propria. Bisogner aspettare Socrate
per vedere la dialettica incorporata nelle tecniche del vero e proprio dialogo,
ma questo deve essere necessariamente connesso con la libera agor di Atene. Nel
parmenideo Zenone la dialettica una
specifica arte confutatoria che consiste nell'assumere inizialmente la tesi da
combattere e nello svilupparla poi al fine di portarla all'autocontraddizione,
come avviene nei mai pienamente confutati argomenti contro il moto e la
molteplicit (Achille e la tartaruga, eccetera). Ma non sta qui l'aspetto
principale della questione. L'enigma della corretta interpretazione della
dialettica nell'epoca presocratica sta infatti a mio avviso quasi integralmente
nella figura storica di Eraclito, che resta oscuro" (skoteins) solo per
chi non tenta di interpretarlo al di l della lettera. Ho gi fatto notare che il
solo modo di comprendere l'altrimenti oscuro concetto di Essere in
Parmenide quello di interpretare questo
concetto volutamente astratto e generico come una metafora della permanenza, e
pi esattamente della permanenza simbolica di una legislazione politica giusta"
di tipo comunitario che sapesse esorcizzare il divenire" della
dissoluzione individualistica portata dalla nuova ricchezza monetaria. Se poi,
come altamente probabile, Parmenide anche stato un pitagorico, questa
interpretazione molto pi confermata che
smentita, perch tipico del pitagorismo era la trasposizione dell'armonia dal
campo musicale e geometrico al campo sociale e politico. Interpretazioni del
tutto destoricizzate di Parmenide, come quella molto conosciuta di Emanuele
Severino, ci dicono indubbiamente molto dello stesso Severino e delle sue
opinioni sulla tecnica, sul cristianesimo e sulla societ contemporanea, ma non
ci dicono invece praticamente nulla su Parmenide, che diventa una semplice
auctoritas arcana cui Severino "appende" la propria giacca. La
presentazione scolastica di Parmenide come partigiano dell'Essere e di Eraclito
come partigiano del Divenire invece
semplicemente vergognosa. Essa si basa sull'etichetta incollata ad Eraclito del
famoso punta rei (tutto scorre), espressione che non si trova nei frammenti
originali attribuiti al suo poema, intitolato pi probabilmente Le Muse anzich
Della Natura, e che invece deriva dall'insegnamento ateniese dell'eracliteo
Cratilo. In realt Eraclito e Parmenide cercavano di pensare filosoficamente lo
stesso problema, che era concretamente sociale, anche se travestito
sapienzialmen-te da una mascheratura mitica. Diogene Laerzio (cfr. IX, 15)
ricorda che il grammatico Diodoto aveva gi attestato che il libro di Eraclito
non trattava della natura, ma del governo dello Stato, e che gli accenni alla
natura vi stavano dentro in funzione di modello. I grammatici non avevano le
prevenzioni filosofiche di Aristotele, e per questa ragione erano in grado di
cogliere meglio il carattere ancora mitico di questi vecchi testi, laddove
Aristotele voleva a tutti costi inserirli nel letto di Procuste delle quattro
cause. Eraclito faceva parte della generazione politica di Aristagora di Mileto
e di Ermodoro di Efeso, e cio della generazione che rifiut la sottomissione ai
persiani del re Dario e che restaur l'isonomia, cio l'eguaglianza dei cittadini
di fronte alla legge. Questa isonomia, tuttavia, si accompagnava in Ermodoro ed
in Eraclito, che era un suo seguace e compagno, alla necessit di instaurare in
citt un'austerit egualitaria che impedisse il lusso sfrenato e l'ostentazione
delle ricchezze. Gli efesini preferirono la sottomissione alla Persia piuttosto
che seguire questa via basata sul metron, e cio sulla misura, ed allora
Eraclito attu una secessione personale dalla sua stessa citt, che non poteva pi
amare ed in cui non poteva pi identificarsi. In questo senso, anche se non fu
condannato a morte come Socrate, anche Eraclito entr in insanabile conflitto
con i suoi concittadini. Nell'interpretazione di Capizzi, che considero
ragionevole, la cosa pi stupida sarebbe interpretare il polemos di Eraclito
come la constatazione che in natura esiste un casino generale bellico o
addirittura una darwiniana lotta di tutti contro tutti. Sulla base
dell'autorevole e venerabile interpretazione di Diodoto, meglio considerare lo scritto di Eraclito
come un'interpretazione cosmica" delle leggi efesine di Ermodoro,
all'interno di una concezione in cui il macrocosmo naturale ed il microcosmo
sociale sono ancora uniti (concezione che negli stessi anni in Cina era difesa
per gli stessi scopi sociali anche da Confucio e da Lao Tse, senza che
ovviamente fossero possibili influssi reciproci sia pure mediati ed indiretti).
Per questa ragione Eraclito parla di un universo retto da una comune legge
divina, capace di mettere confini persino al sole e di catturarlo se per caso
avesse voluto uscirne, di un ordine celeste immutabile che anche fuoco semprevivo", del fuoco e del
fulmine che puniscono le ingiustizie, della guerra tra i contrari che produce
armonia, della morte degli elementi da cui nasce a nuova vita una diversa
specie di elementi. In questo modo Eraclito suggeriva agli efesini (egli era
infatti un patriota efesino cos come Socrate era un patriota ateniese) un
ordine isonomico da non modificare, una legge da difendere con la vita, una
guerra da combattere senza temere la morte, una rettitudine ed una sobriet da
osservare in nome della giustizia universale. Come si vede, la dialettica di
Eraclito, cui perfino Hegel rese omaggio come ad un suo nobile precursore, non
intende affatto legittimare una sorta di casino generale "eracliteo"
in cui tutto scorre, tutto si muove, e tutti combattono contro tutti. In questo
scenario alla Dario Fo, Parmenide un
signore che sta fermo in modo ieratico proclamando in modo demenziale che
l'Essere mentre il Non-Essere non ,
mentre Eraclito, in nome del ballo di San Vito e del principio del rock contro
quello del "lento", come nel tormentone di Adriano Celentano, si
muove continuamente rovesciando tutti i mobili della stanza. La dialettica
non allora l'arte del casino generale e
del movimento ad ogni costo, come nelle interpretazioni demenziali del
movimentismo comunista novecentesco in cui la "prassi" equivale al
muoversi frenetico senza meta, ma la
conoscenza ontologicamente determinata della realt sociale comunitaria, che il
travestimento "naturalistico" deve solo permettere di essere meglio
conosciuta. Eraclito contrappone ci che
comune (koinn), ed cio tipico
della isonomia democratica, a ci che
particolare nel diritto consuetudinario nobiliare (Frammento 89). Egli
equipara anche la ricchezza privata all'infamia (Frammento 125 a), e ripete che
il popolo deve combattere in difesa della legge isonomica come combatterebbe
sulle proprie mura contro il nemico (Frammento 44). Lo stesso Frammento 49, per
cui per lui uno solo ne vale diecimila, se
il migliore, non deve essere interpretato alla Nietzsche in modo
aristocratico e superuomistico, ma al contrario come l'orgogliosa
rivendicazione di non-conformit all'opinione maggioritaria dei suoi concittadini.
Chiama Pitagora caposcuola dei ciarlatani (Frammento 81), ma lo fa soltanto nel
contesto di una difesa delle leggi scritte rispetto alla semplice oralit
consigliata da Pitagora, oralit che poi come
noto pass anche a Platone. Questo presunto sostenitore del tutto scorre
e del casino generalizzato" (vedi Frammento 30) dice letteralmente che
questo ordine [isonomico] identico per tutti non lo fece n un uomo n un dio.
Esso da sempre, e sar fuoco sempre vivo, che regolarmente si
accende e regolarmente si spegne". E potrei continuare a lungo, ma penso
che il concetto sia stato gi chiaramente espresso: la dialettica non casino generale in movimento, ma accertamento
ontologico della natura della societ. Su questa base, possiamo passare ora al
grande Socrate. Capitolo secondo La dialettica di Socrate Chi era il vero
Socrate? Da circa due secoli, e cio da quando
sorta la lettura filologica e critica moderna dei testi antichi (in
coincidenza niente affatto casuale con le proposte di ricostruzione del vero
Ges storico"), ci si chiede quale sia veramente stato il Socrate
storico". Anzich riassumere qui le posizioni distinte di questa nobile
diatriba che certamente proseguir anche in futuro (e sar bene che prosegua, per
le ragioni che ora esporr brevemente), chiarir subito al lettore la mia
personale posizione in tre punti distinti. In primo luogo, il fatto che Socrate
non abbia scritto nulla non soltanto un
interessante dato storico, che poi Platone trasformer filosoficamente nella
tesi della superiorit del discorso orale su quello scritto, ma la precondizione di un mito di fondazione, ed
esattamente del mito di fondazione della filosofia occidentale. Se infatti il
fondatore della filosofia occidentale avesse scritto qualcosa o sarebbe
diventato uno dei tanti scribacchini come il sottoscritto, destinati ad
annullarsi nella saturazione della folla dei concorrenti, oppure sarebbe
diventato una sorta di guru religioso i cui scritti appunto avrebbero dato
origine a scuole rivali di interpretazione interminabile, come avvenuto per i rabbini ebraici, i preti
cattolici ed i monaci buddisti. La filosofia doveva nascere come spazio
dialogico non scritto, in quanto solo in questo modo poteva sottrarsi al
destino degli scritti religiosi (o parareligiosi, si pensi al marxismo
novecentesco come ideologia di legittimazione ex-post di linee politiche decise
da professionisti della decisione politica provocatoriamente ignari degli
aspetti filosofici dello stesso pensiero di Marx) destino ineluttabilmente
scritto" nel loro carattere rigido anzich fluido. Il socratismo" allora il mito di fondazione originario della
religione dei filosofi, e cio di quella peculiare religione che si fonda sul
dialogo razionale. La stessa razionalit", ed questo un punto sistematicamente incompreso
da tutti i positivisti, anch'essa una
fede", la fede nella razionalit, appunto, e nella sua capacit pratica di
risolvere, se non tutti, almeno molti problemi. Il big bang del socratismo allora necessariamente una X, una posta in
gioco di strategie discorsive che non possono, programmaticamente, fare
riferimento ad un testo, ma che possono invece costituire progressivamente
testi diversi in conflitto (o in solidariet) reciproco. In secondo luogo, tendo
personalmente a dar ragione a Hegel, che nelle sue Lezioni di storia della
filosofia sostenne che Platone non in
nessun modo una fonte attendibile per ricostruire l'originale pensiero
autentico di Socrate, ma che preferibile
fidarsi dei Memorabili di Senofonte. Si obbietta in generale che Senofonte non
capiva niente di filosofia, mentre invece Platone ci capiva indubbiamente
qualcosa, ed allora ne deriva che per capire un filosofo ci voleva un suo
collega, e non un guerriero ed avventuriero di professione come Senofonte. Non
sono affatto d'accordo. Il modo pi sicuro di fraintendere un filosofo affidarsi ad un altro filosofo di eguale o
simile grandezza. Un modo sicuro per non capire Platone affidarsi ciecamente all'opinione di Aristotele,
cos come un buon modo per non capire Marx
affidarsi all'interpretazione di Engels. Diogene Laerzio, che capiva
palesemente molto poco di filosofia, ma ne era per sinceramente appassionato e
certamente comprendeva i suoi limiti, a
mio avviso un'ottima fonte, perch non cerca di duplicare" il pensiero del
filosofo di cui tratta sovrapponendogli" il suo in modo da conferirgli una
maggiore auctoritas. Questo modesto saggio in quindici capitoli non ha affatto
la presunzione di consegnarvi bene impacchettata la vera interpretazione"
dei pensatori che interpello, ma ha semplicemente l'ambizione di dirvi come la
penso io in proposito, in modo da stimolarvi (e non c' miglior stimolo
dell'eventuale irritazione, che sta alla filosofia come l'eccitazione sta al
rapporto sessuale) a riflettere su come la pensate voi. Le cosiddette interpretazioni"
sono sempre e soltanto posizioni originali mascherate da un omaggio quasi
sempre ipocrita nei confronti di una auctoritas. Se infatti dicessi: Preve
pensa cos e cos, eccetera, si alzerebbe subito un mormorio malevolo ed
invidioso, del tipo ma perch ci rompe le scatole questo pensatore di quarta
fila?", mentre invece interpretando Marx c' forse una possibilit su mille
(come vedete, sono molto ottimista) di essere preso in considerazione. Richiamo
comunque l'attenzione su di uno specifico paradosso della filosofia, per cui
proprio l'attivit che per sua natura intrinseca non dovrebbe aver bisogno di
auctoritates procede invece basandosi su di esse. Che dire? Esister forse, Dio
non voglia, una natura gregaria e conformistica della nostra civilt che ha sempre
bisogno di assicurazioni e riassicurazioni per cui quello che dico anche quello che ha detto Pinco Panco, re
dell'Universo? In terzo luogo, per concludere, ritengo corretta nell'essenziale
la tesi avanzata per la prima volta da Olaf Gigon nel 1947, per cui il
cosiddetto discorso socratico" (logos sokratiks) un genere letterario ateniese, pi esattamente
un genere letterario patriottico in cui la citt di Atene rivendicava a se
stessa la scoperta e la fondazione della pratica filosofica, strappandola in
questa modo sia alla Ionia sia alla cosiddetta Magna Grecia (megale Elias).
Come tutte le tesi un poco estreme e scandalose (che sono per anche le pi
interessanti, in quanto a mio avviso se una tesi non estrema e scandalosa non vale neppure la
carta su cui scritta), essa deve esser
presa con beneficio di inventario. Ritengo per che essa si avvicini molto alla
realt. Il logos sokratiks, imperniato sul dialogo dialettico, raddoppia nel
cielo della filosofia il logos democratico che derivava dalla isonomia ateniese
e soprattutto dalla isegoria, e cio dal diritto di parola cui tutti i cittadini
nell'assemblea (ecclesia). Il logos ionico si era invece presentato in una
forma naturalistica (anche se, come ho detto nel capitolo precedente
raccogliendo la preziosa indicazione di Diodoto, questa forma naturalistica
mascherava un contenuto politico-sociale), mentre il logos italico (Pitagora,
Empedocle, eccetera) si era invece presentato in una forma sapienziale. Ma la
forma sapienziale non era adatta ad un contesto culturale caratterizzato dalla
iso-nomia (eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge) e dalla isegoria
(eguale accesso alla parola pubblica). In questo contesto culturale la sapienza
(sophia) doveva necessariamente passare per il dialogo. In questo modo, e
vorrei insistere molto su questo punto cruciale, il filosofo ateniese Socrate,
spesso superficialmente considerato un nemico della democrazia, era invece
paradossalmente un purissimo prodotto organico alla democrazia stessa. Il logos
sokratiks, infatti, non pu semplicemente esistere senza metodi e contenuti
democratici, anche e soprattutto quando critica gli eccessi e l'infondatezza di
molte decisioni formalmente democratiche (ad esempio la messa a morte dei
generali delle Arginuse, contro cui Socrate condusse un'aperta battaglia
politica che certamente gli procur molte antipatie destinate ad accrescere la
maggioranza dei giudici popolari che lo condannarono a morte). Ho messo cos le
carte in tavola" davanti al lettore. Ora, per, dir in breve come la penso
io su Socrate. E partir da un'informazione di Diogene Laerzio poco sfruttata
(cfr. II, 19- 20): ... lo storico Duride dice che fu un lavoratore salariato,
lavor la pietra e che sono sue le Cariti vestite che si trovano sull'Acropoli,
mentre Aristosseno, figlio di Spintaro, dice che egli si arricch investendo il
capitale, ne ricav gli interessi, e poi investiva di nuovo". Questa
notizia interessante. Insomma, Socrate
era uno scalpellino o era un benestante che viveva di rendita? La domanda,
posta in questo modo moderno (Socrate borghese o Socrate proletario?), del tutto insensata se riferita all'antica
Atene. A differenza di come viene presentata da frettolose ricostruzioni,
l'antica Atene non era assolutamente una societ parassitaria in cui gli schiavi
producevano per permettere ai liberi di oziare (come i marxisti deplorano ed
invece i nietzschiani esaltano, nella loro comune pittoresca ignoranza
dell'antichit), ma era una comunit in cui il lavoro schiavistico era marginale
e concentrato in alcune attivit particolari (miniere del Lavrion, eccetera),
mentre il vero lavoro collettivo era eseguito da piccoli produttori
indipendenti agricoli ed artigianali. Questa era la base della democrazia dei
greci, ed anche la base del loro spirito di indipendenza. Da questo mondo
proviene Socrate. Ed per questo del
tutto normale che un uomo dominato dal daimon dell'interrogazione filosofica
facesse prima lo scalpellino e poi riuscisse a vivere modestamente di rendita,
in quanto lo scalpellare dall'alba al tramonto gli avrebbe impedito di andare a
discutere nell'agor. La compulsione al lavoro ed al guadagno una porcheria sociale posteriore alla nascita
dell'economia politica, del tutto ignota ai nostri antichi progenitori. Il logos
sokratiks ateniese, ad un tempo pratica sociale e genere letterario, presuppone
una societ di piccoli produttori indipendenti ed quasi impensabile senza di essi. Veniamo ora
ai cosiddetti "contenuti" dell'insegnamento socratico. In proposito,
mentre ho invitato a diffidare di Aristotele quando ricostruisce a modo suo la
genesi originaria della filosofia greca, in cui sovrappone i suoi interessi ad
un n contesto radicalmente diverso, sono invece portato a dargli
sostanzialmente ragione quando parla di Socrate. Per questo citer e commenter brevemente
alcuni passi aristotelici (cfr. Metafisica, XIII, 4,1078 b), che a mio avviso
ci permettono di cogliere l'essenza della questione. Dice Aristotele:
"Socrate si occup delle virt etiche e per primo cerc su j esse definizioni
universali [...|] con i ragionamenti cercava l'essenza, perch cercava di
sillogizzare, ma il principio dei sillogismi
l'essenza". Pu essere utile un breve commento. Dal momento che ad
Aristotele interessa il metodo logico-sillogistico, che ritiene di aver
migliorato rispetto ai tempi di Socrate, non gli passa neppure per la mente di
ricordare l'ironia, e cio l'affermazione di sapere di non sapere, e la
maieutica, e cio l'arte di far partorire la verit con il dialogo sulla base del
presupposto orfico-pitagorico dell'innatismo virtuale. Questo
"silenzio" estremamente
significativo, in quanto Aristotele ritiene di sapere, ed espone infatti il suo
sapere (in questo resta un buon allievo di Platone). E ritiene di sapere, perch
nel frattempo si era chiusa quella finestra storica di crisi dei valori
politici all'interno della quale si era costituito il logos sokratiks. Non si
tratta di maggior "dogmatismo" rispetto ad una maggiore
"problematicit", in quanto questo modo di porre i problemi psicologistico e finiremmo con il dover fare
un'impossibile anamnesi psicoanalitica sulle rispettive mamme di Socrate e di
Aristotele. Si tratta del fatto che una crisi di virt politiche si era chiusa,
e si era chiusa in direzione di una dissoluzione definitiva di un certo tipo di
comunit politica. Aristotele vive infatti in un'epoca in cui l'etica e la
politica si erano separate, ed infatti sulla base di questa separazione egli pu
scrivere separatamente un'Etica ed una Politica. Socrate non avrebbe neppure
potuto capire una simile separazione, perch per lui etica e politica facevano
ancora tutt'uno e costituivano un nesso inseparabile. La virt (aret) inscindibilmente etica e politica, nel mondo
comunitario di Socrate, al punto che egli non scappa neppure dal carcere (si
veda il dialogo Critone) perch la stessa giustizia" (dikaion) non pu
essere pensata separatamente dalla comunit (e qui il koinn, il comune, lo stesso in Eraclito ed in Socrate). Nel
silenzio sull'ironia e sulla maieutica, e nel fraintendimento sull'etica
separata dalla politica, Aristole
paradossalmente veritiero, purch questa verit venga letta in controluce
sul lato opposto della sua veridicit" soggettiva. Scrive ancora
Aristotele: Due cose, infatti, possono essere correttamente attribuite a Socrate:
i ragionamenti induttivi e la definizione dell'universale [...] ma Socrate non
poneva come separati gli universali n le definizioni. Quegli altri [sottinteso
i platonici; nota mia] invece li separarono e denominarono tali enti
idee". Contro la scuola inglese del Burnet e del Taylor, che ha sempre
sostenuto la tesi della sostanziale ortodossia socratica di Platone, io penso
invece che Aristotele abbia qui sostanzialmente ragione. E vero che egli non fu
un allievo diretto di Socrate, e nacque quindici anni dopo la sua morte. Ma vero anche che era molto "vicino"
temporalmente e spazialmente a fonti dirette, anche se non si pu escludere che
volesse anche lui ripararsi dietro l'auctoritas dell'eredit socratica,
attribuendogli la sua teoria dell'universale come "astrazione
mentale" anzich come "idea" vera e propria in senso platonico.
In ogni caso, assolutamente impossibile
sapere chi abbia ragione, ed il convincimento personale non una dimostrazione filosofica o filologica.
Nel mio caso, proprio l'adesione
sostanziale alla tesi del Gigon sul logos sokratiks come genere letterario
nazionale ateniese che mi porta ad escludere la presenza nel concreto Socrate
storico di una tesi sostanzialmente tanto rigida e "pitagorica" come
quella delle idee e delle idee-numeri. L'akropolis di Crotone non l'agor di Atene. Il logos sokratiks ateniese
non mi sembra compatibile per sua natura con una dottrina tanto sistematica
come quella delle idee. invece possibile
dire qualcosa di pi sicuro sul cruciale concetto di "virt" (aret) in
Socrate. Il concetto di virt ha subito negli ultimi secoli una vera e propria
catastrofe semantica, che lo ha ridotto a moralismo ipocrita e bacchettone, una
mescolanza improbabile di sacrificio di s e di rigore dei costumi ed una sorta
di penosa alleanza di altruismo e di castit. Quando ero giovane le ragazze
"virtuose", come la Pamela di Richardson, erano quelle che
risparmiavano la verginit per un buon matrimonio. Ora, di "virt" del
genere si pu proprio farne a meno. Per i greci l'aret era priva di qualsiasi
retrogusto moralistico, e significava soltanto la qualit propria di qualcosa.
L'aret della buona terra era la sua fertilit, quella di una spada il suo
taglio, quella dei piedi del corridore la sua velocit. La virt di qualcosa ci che le permette di compiere nel modo
migliore possibile la sua funzione (cfr. Repubblica ,1, 352-53). Se ci si mette
in questa ottica, la famosa equazione socratica di virt e di sapere perde ogni
mistero, ed inutile obbiettarle che uno
potrebbe anche sapere che cosa sia il bene e poi non farlo spinto dai vizi.
Tutto questo banale, ed era gia
perfettamente noto anche a Socrate. Socrate intende dire che, come la spada ha
come virt propria quella di tagliare bene, nello stesso modo l'uomo ha come
virt propria l'arte politica della partecipazione alla propria comunit. Platone
(e si veda l'illuminante Lettera VII) vive all'interno di una crisi ignota alla
generazione di Socrate, quella della vera e propria dissoluzione dei fondamenti
sociali che erano ancora familiari a Socrate e che avevano reso possibile il
logos sokratiks. In quanto ad Aristotele, che nasce quando Platone ha gi pi di
quarant'anni, non esiste pi per lui un orizzonte sociale e politico unitario in
cui tutte le virt umane possano unificarsi in una (la kalokagathia ateniese del
tempo di Pericle, l'essere cio riconosciuto come bello e buono" dalla
propria comunit di appartenenza), ed
allora inevitabile che le virt si moltiplichino e si distinguano l'una
dall'altra, per cui Varete diventa mesotes, giusto mezzo. A nessun
contemporaneo di Socrate sarebbe mai venuto in mente definire la virt in
termini di giusto mezzo, anche se il concetto di misura nei comportamenti umani
(metron) era gi molto rispettato, ed ispira le riforme politiche prima di
Solone e poi di Clistene. Facciamo dunque attenzione a non attualizzare"
troppo il termine virt, che in Socrate precede l'avvento del moralismo
religioso monoteista. Nello stesso modo, evitiamo la pur spontanea connotazione
di Socrate come "pensatore del dialogo". normale che filosofi democratici e liberali
come Guido Calogero, stanchi del dispotismo fascista e sospettosi del nuovo
dogmatismo comunista, proiettino sull'ateniese Socrate la loro legittima e
sacrosanta esigenza di un nuovo legame sociale complessivo basato non pi su
dogmi, ma sul dialogo. Ma oggi dialogo significa esposizione di punti di vista
diversi che vengono scambiati fra soggetti dissenzienti per
"ammorbidire" in qualche modo le distanze iniziali nella speranza che
questo ammorbidimento porti infine ad un consenso contrattato come unica
alternativa alla violenza reciproca. Tutto questo molto buono e molto utile, ma non c'entra
molto a mio avviso con il dialogo socratico. Il dialogo socratico una specifica tecnica che segue regole
severissime e spossanti, e non c'entra nulla n con l'utopia dialogica di Guido
Calogero n con la civile conversazione fra scettici liberali di Richard Rorty.
Questa tecnica implica un copione fisso, che presenta sempre due momenti
(l'ironia e la maieutica) e talvolta giunge anche ad un terzo (la definizione).
Non sempre questo terzo momento conclusivo
possibile, ed in questo caso il dialogo
aportico, perch deve limitarsi a registrare l'impossibilit di una
definizione concordata. Questo allora il
logos sokratiks, il modello patriottico nazionale ateniese di filosofia che ha
come suo mito di fondazione originario proprio il fatto di non poter essere
messo per iscritto, nella sua duplicazione simbolica del "parlato"
dell'assemblea politica dei cittadini. E per finire, attuale la figura di Socrate? Per me la vera
attualit di un pensatore coincide al cento per cento con la sua inattualit nel
mondo manipolato del circo meditico e del politicamente corretto. La virt
politica socratica con il suo logos sokratiks egualitario, reciproco, isonomico
ed ise-gorico, privo di auctoritates e rigoroso, dunque opposto alla
chiacchiera in libert che viene oggi denominata "dialogo", la cosa oggi pi inattuale che ci sia
nell'epoca dei talk show televisivi manipolati. Su questa inattualit si fonda,
naturalmente, l'estrema attualit di Socrate. E per questo Socrate una figura contemporaneamente storica, cio
incomprensibile al di fuori del contesto della virt politica comunitaria
ateniese, ed eterna, in quanto paradigmatica della condizione umana. Chi scrive
e chi legge queste righe saranno morti da tempo, e Socrate sar sempre attuale
come exemplum della perennit dell'interrogazione filosofica. Ci voleva un
dilettante irritante e smodato come Nietzsche per interpretare Socrate come
rappresentante della decadenza, e per connotare come decadenza l'interrogazione
socratica sull'essenza. Nietzsche
talmente estraneo allo spirito dei greci antichi, di cui si serve
unicamente come martello nella sua lotta paranoica contro i fantasmi
democratico-egualitari che lo ossessionano, da non capire che il logos
sokratiks greco esattamente come il
Partenone, i giochi di Olimpia, l'oracolo di Delfo, la tragedia di Eschilo, la
commedia di Aristofane e la lirica di Saffo. In questa incomprensione di
Nietzsche, che nella sua unilaterale idiozia
pur sempre pi produttiva di stimoli e di reazioni delle lodi
conformistiche salmodianti e belanti a Socrate come esponente del
"dialogo" inteso come chiacchericcio interminabile (il Gerede di
Heidegger), io leggo l'incapacit strutturale dei moderni di relazionarsi con
gli antichi greci. Ma, si dir, come fai tu a criticare gli altri, pretendendo
di saperti relazionare mentre gli altri non saprebbero farlo? Buona domanda. Ad
essi risponderei socraticamente che almeno io so di non saperlo, e che la sola
cosa che so che impossibile attualizzare" i greci
antichi, perch il cristianesimo li ha fatti volare via per sempre. Ma anche se
il contesto storico e culturale in cui visse Socrate volato via per sempre, resta il modello
ideale della sua concezione integrale di virt politica e umana. E questa l'unica affermazione integralmente
platonica" che mi sento di poter fare a cuor leggero. Capitolo terzo La
dialettica di Platone Platone traduce il progetto pitagorico della conoscenza
di ci che immutabile nella lingua, o pi
esattamente nel genere letterario del logos sokratikos. Dal momento che il
profilo inimitabile di Platone proprio
dovuto a questa mirabile fusione fra socratismo e pitagorismo, non facile stabilire quale sia il sostantivo e
quale sia invece l'aggettivo qualificativo. Possiamo lasciare per ora in
sospeso questo problema definitorio, anche perch a seconda delle citazioni e
dei contesti a volte prevale l'uno ed a volte l'altro. Nel dialogo aportico
letelo, aportico in quanto non si conclude con una definizione liberatoria,
Socrate (che da ora in avanti sar citato solo in quanto portavoce di Platone, e
dunque non di vero" Socrate) respinge la proposta definitoria di Teeteto
(Scienza = Sensazione), identificandola curiosamente con la posizione di
Protagora per cui l'uomo sarebbe la misura (metron) di tutte le cose (cfr. 51
e). Le obiezioni platoniche sono tre: primo, nessuna sensazione stabile, e quindi nessuna conoscenza basata
sulla sensazione sarebbe stabile; secondo, se l'uomo, e cio l'individuo, la misura di tutte le cose, saremo obbligati
a tener conto dell'opinione di tutti gli uomini, cosa evidentemente
impossibile; terzo ed ultimo infine, se l'uomo
la misura di tutte le cose, Protagora finisce con il darsi torto da
solo, perch la formula che propone non fa che riflettere la sua personale
misura, e non potrebbe allora essere eretta a massima universale. bene dunque notare subito due cose. In primo
luogo, Platone parte qui dal concetto di misura (metron), che era la base comune
da cui partivano tutti indistintamente i filosofi greci, in quanto da Solone in
poi il metron era un concetto politico, ed indicava la misura ideale cui
appunto commisurare i rapporti economici fra i cittadini, rapporti che se
diventavano smisurati" avrebbero portato alla dissoluzione della polis
stessa. Ci sta qui quello specifico rapporto di incorporazione (l'embeddedness
di cui parla Polanyi) dell'economia nella politica che il capitalismo liberale
ha infranto, e la cui sparizione impedisce oggi alla stragrande maggioranza
degli interpreti moderni di capire gli elementi minimi della filosofia politica
dei greci, che ruotava sempre intorno al concetto di limitazione politica della
libera disponibilit delle ricchezze individuali. In secondo luogo, dal momento
che il metron implica per definizione la misurazione aritmetica e geometrica,
il solo modo ragionevole per opporsi al mobilismo" di Protagora non poteva
che essere il ricorso al metodo di Pitagora. Le matematiche a base pitagorica
giocano dunque nella filosofia di Platone un ruolo fondamentale, che per sempre propedeutico (e si veda la teoria
dei quattro distinti gradi di conoscenza esposta in Repubblica, 510, ab). In
Platone, come del resto pi tardi in Spinoza, il metodo matematico fondamentale ed imprescindibile, ma non
conclusivo, come lo invece nei
positivismi di tutti i tipi. In sintesi, Platone utilizza il logos sokratiks
nel suo metodo dialogico per cercare di unire Solone e Pitagora, il metron
politico dell'equilibrio della comunit politica (isorropia) ed il metron
numerico che ci stacca dalla sfera protagorea del divenire incessante (cfr.
Repubblica, VII, 525-26). Le matematiche, in ogni caso, restano una
propedeutica (propaideia; Repubblica, VII, 531 d). Questa posizione di Platone
si differenzia quindi sia dallo scetticismo relativistico attribuito a
Protagora (se a ragione o a torto lo lascio qui in sospeso), sia da ogni tipo
di concezione scientifica moderna di tipo galileiano, che vede nelle
matematiche un modello di scienza [episteme) e non una propaideia. La teoria
delle idee vera e propria appare per la prima volta nel Cratilo (cfr. 386 e).
Anche qui Socrate si rivolge ad Ermogene criticando Protagora, che evidentemente non tanto la bestia nera"
quanto il vero avversario serio" di Platone (laddove Gorgia non lo , perch
gli talmente lontano ed alieno da non
essere neppure un interlocutore polemico). Dice Socrate: chiaro che le cose hanno per loro natura un
certo essere permanente, ousia, che non
relativo a noi e non dipende da noi. Esse non si lasciano trasportare
qua e l a seconda della nostra immaginazione, ma esistono per conto loro,
secondo il loro essere proprio e conformemente alla loro natura".
Ricordando il concetto di arete cui ho gi accennato nel capitolo precedente
dedicato a Socrate, diremo che la virt specifica delle idee quella di essere indipendenti dall'opinione
che noi ci facciamo di loro. E impossibile fare una dichiarazione
anti-relativistica altrettanto chiara. Il concetto di dialettica in Platone
presuppone allora la chiara comprensione di quanto ho sino ad ora segnalato. Il
lettore avr notato che nel capitolo precedente dedicato a Socrate ho
volutamente evitato di attribuirgli uno specifico concetto di dialettica, perch
il logos sokratiks coincide con lo spazio stesso della dialettica,
integralmente assorbita nella pratica linguistica dello spazio dialogico. Nel
mondo di Socrate la retorica era l'arte di fare discorsi lunghi senza essere
interrotti, mentre la dialettica era semplicemente l'arte di fare domande e
dare risposte brevi seguendo sempre il filo del discorso ed essendo in grado di
rilevare immediatamente le contraddizioni logiche in cui cadeva
l'interlocutore. Solo con Platone la dialettica diventa invece quella che
possiamo chiamare la Scienza del Bene attraverso il metodo ascendente (synagogh)
e quello discendente (diairesis). Ci torner. Per ora sufficiente rilevare che senza l'innesto del
programma pitagorico nel logos sokratiks,
impossibile capire il concetto di dialettica in Platone. Come sempre
Platone si relaziona con Protagora, come ho gi indicato nel caso del Teeteto
(151 e), e della Repubblica (510 ab). Nel dialogo Protagora (356 e), Platone
osserva che se si dovesse scegliere per la nostra salvezza fra il pari ed il
dispari, avremmo bisogno di una seconda scienza della misura diversa da quella
che ci permette semplicemente di definire il pari ed il dispari, e dunque di
una scienza della misura che ci permetta di definire il pari ed il dispari in
funzione della nostra salvezza. Nel Politico (cfr. 283 c) si arriva finalmente
a questa definizione doppia di scienza della misura (episteme metritik). Da un
lato le matematiche, che si occupano solo delle relazioni di grandezza e di
piccolezza. Dall'altro la dialettica, che si occupa di rapporti in funzione
della giusta misura (pros to metrion). Da sole le matematiche secondo Platone
(cfr. Repubblica, 533 c) ci fanno vedere dell'essere solo delle immagini da
sogno (os oneirottousi men peri to on). Il dialettico, allora, e cio il
filosofo che possiede la dialettica,
identificato da Platone con il sinottico, e cio con colui che vede le
cose alla luce di una unit, che poi
sempre quella del Bene. La definizione
in Repubblica, VII, 537 c: chi
capace di una vista d'insieme
dialettico, chi invece non ne
capace non lo " (o men gar synoptiks dialektiks, o de me ou). Mi
scuso per la traslitterazione, ma credo che anche coloro che non conoscono
l'alfabeto greco possano egualmente capire il fondo della questione. Questa
dialettica bimondana, e comprende quindi
un rapporto fra due mondi, collegati solo da rapporti di imitazione (mimesis) e
di partecipazione (metexis). Il lettore deve prestare una particolare
attenzione a questo punto, perch nei capitoli decimo ed undicesimo dedicati ad
Hegel ed a Marx sosterr invece che la loro dialettica monomondana, e quindi diversa in linea di
principio da quella di Platone. In estrema sintesi la bimondanit del modello
dialettico di Platone dovuta al fatto
che la scienza di riferimento di Platone era la matematica, mentre in Hegel ed
in Marx la monomondanit deriva invece dal fatto che la loro scienza di
riferimento la storia. Ma torniamo ora
al nostro autore. La dialettica di Platone comprende due momenti, uno
ascendente e l'altro discendente. La dialettica ascendente (synagogh) si eleva
da idea ad idea fino all'idea suprema del Bene, che secondo Platone sorpassa in
maest e potenza la stessa essenza ed
quindi al di l di essa" ( cfr. Repubblica, VI, 509 b). La
dialettica discendente, invece, quella
che Platone paragona all'arte del macellaio che sa disarticolare un corpo
secondo le sue naturali articolazioni (cfr. Fedro, 265e). E qui Platone si
esprime in maniera assolutamente inequivoca:
di questo, Fedro, che sono personalmente molto innamorato. Di queste
divisioni [diaireseon] e di queste riunificazioni [synagogon], per poter essere
capace di parlare e di pensare. Inoltre, se appena vedo in qualcun'altro una
capacita di portare lo sguardo in direzione di una unit che sia l'unit naturale
di una molteplicit, ebbene, non mi stancher di corrergli dietro". Fin qui
ho messo a disposizione del lettore alcune citazioni essenziali. Non amo
personalmente il metodo delle citazioni per dimostrare una tesi, ma nel caso
dei filosofi antichi impossibile farne a
meno, laddove in quelli contemporanei a
mio avviso pi facile parafrasarli. Ed ora passiamo alla discussione. In primo
luogo, la dialettica ascendente e discendente di Platone, che ha come oggetto
il Bene e come propedeutica la matematica, non deve essere in alcun modo
identificata con la sua teoria politica. Incidentalmente, non esiste neppure
un'unica teoria politica in Platone, perch la Repubblica e le Leggi danno luogo
a due modelli radicalmente diversi, e personalmente non sono mai stato
soddisfatto della facile spiegazione per cui Platone in vecchiaia sarebbe stato
deluso" dopo i suoi tre tragicomici viaggi a Siracusa, e quindi sarebbe
passato dal primo modello utopico al secondo modello realistico". Platone
era la stessa persona, saldissima nella difesa della sua teoria delle idee, e
non me lo vedo configurare il cosiddetto Consiglio Notturno delle Leggi
(organizzazione segreta consacrata ad uccidere gli oppositori o a renderli
desaparecidos) unicamente perch deluso". Non si diventa nazisti per
delusione. C'era evidentemente un'ambivalenza in Platone, con una conseguente
patologica oscillazione fra soluzioni opposte, e niente affatto complementari,
come avviene peraltro per la maggior parte dei filosofi politici; basti pensare
a Lenin, oscillante fra il massimo di anarchismo autogestionario e libertario
(vedi Stato e Rivoluzione) ed il massimo di autoritarismo repressivo e
dispotico (vedi i suoi scritti durante la guerra civile russa 19181921). Se ora
mettiamo da parte un testo imbarazzante come le Leggi, vediamo che nella
Repubblica la teoria politica si risolve quasi integralmente in educazione
(paideia), ed a sua volta l'educazione, a parte la ginnastica e la musica che
devono educare l'armonia del corpo, si risolve integralmente in armonia
dell'anima (psych), e quindi non c' distinzione fra filosofia e dialettica. Si
avvicina dunque molto al problema il filosofo italiano Biral, che in un
magnifico studio su Platone ha sostenuto che lo scopo suprema del filosofo l'educazione dell'anima pi ancora di quella
della polis (che al suo tempo era ancora vista come un'anima collettiva, punto
di vista che spar due generazioni dopo e spar per sempre), e cio l'equilibrio
fra la parte desiderativa, la parte nobile e coraggiosa e la parte razionale ed
intellettiva. chiara l'importanza in
Platone della centralit simbolica del numero tre (tre anime, tre classi
sociali, eccetera). In proposito l'origine diretta viene probabilmente dalla
scuola di Pitagora e dal suo simbolismo numerico, ma nessuno mi toglie dalla
testa (anche se ammetto di non poterlo dimostrare) che la vera origine del simbolismo
ternario quello che Georges Dumezil
chiama trifunzionalismo indoeuropeo (sovranit religiosa, forza fisica e
fecondit). In secondo luogo, sulla base dei rilievi precedenti, considero del
tutto assurdo accusare Platone di essere un teorico di una societ chiusa"
ed un nemico della cosiddetta societ aperta". Il fatto che una simile
dilettantesca accusa fatta da Karl Popper (serio professionista
dell'epistemologia e ridicolo dilettante nella storia della filosofia
occidentale) abbia potuto essere presa sul serio - e sia diventata attraverso
la fondazione Soros la filosofia ufficiale nel paesi dell'Est europeo, che ha
sostituito l'altrettanto ridicolo e simmetrico materialismo dialettico -, non
ci dice assolutamente nulla sui greci, nostri venerati progenitori, ma ci dice
invece molto sulla miseria morale e filosofica dei nostri tempi. L'utopia
neoliberale ed ultra-capitalistica della fine della storia in un grande mercato
geograficamente illimitato che si riproduce eternamente (o almeno fino allo spegnersi"
del nostro sistema solare), ed in questo modo sbarra la strada a qualsiasi
mutamento temporale qualitativo, un tale
incubo che non pu affatto stupirci che psicoanaliticamente i suoi sostenitori
lo rovescino attribuendolo ai loro avversari (e questo spiega anche a mio
avviso il perch del fatto che per esorcizzare e rimuovere questo sospetto
Popper non odi solo il marxismo, ma odi altrettanto ed ancora di pi la
psicoanalisi). Naturalmente Platone non intendeva affatto teorizzare una societ
chiusa", in quanto non era uno storicista" che per abitudine
sacralizza il mondo dell'immanenza ritenendo che non ne esista nessun altro.
Nella robusta teoria bimondana di Platone lo Stato era anch'esso ideale",
e l'immobilit fa solo parte del mondo ideale stesso, e non di quello reale. In
proposito, il libro della Repubblica che preferisco (non intendo impegnarmi per
altri o proporre una tesi "generalista") l'ottavo, quello in cui Platone parla delle
cosiddette "degenerazioni": timocratica, oligarchica, democratica e
tirannica; degenerazioni la cui logica dialettica di sviluppo molto simile a quella che duemila anni dopo
disegner Hegel nella Fenomenologia dello Spirito. E cos come Eraclito e
Confucio, spazialmente tanto lontani, rispondono a modo loro allo stesso
problema della minaccia dall'insensatezza in cui cade una societ quando
crollano i suoi fondamenti simbolici precedenti, nello stesso modo Platone ed
Hegel, temporalmente tanto lontani, rispondono a modo loro allo stesso problema
del rovesciamento nel suo contrario di un principio etico-politico ordinatore
che si irrigidisce e non sa o non pu "dialettizzarsi" con se stesso
se non in modo dissolutivo. In secondo luogo, la doppia dialettica ascendente e
discendente di Platone (synagogh e diairesis), pur non risolvendosi
integralmente in una teoria politica determinata, pur sempre la duplicazione astratta di
un'utopia politica. Nella dialettica ascendente l'individuo "ascende"
al bene politico rappresentato dalla comunit virtuosa dei cittadini, e questo d
luogo ad una psicosociologia, mentre nella dialettica discendente la comunit
virtuosa dei cittadini "discende" al singolo individuo, dando luogo
cos ad una vera e propria sociopsicologia. Il lettore liberale moderno ci vedr
qui una intollerabile tentazione "organicistica", e quindi
totalitaria. Ma bene ricordare che sia
l'organicismo che il totalitarismo sono incubi politici dell'ultimo secolo, e
che la loro retroazione all'Atene di Platone
demenziale sul piano storico e sgradevole su quello storiografico. I profili
liberali, comunisti e fascisti erano ovviamente del tutto estranei a Platone.
Il suo problema un altro, e lo si pu
esporre in questo modo: ci sono due modi di fondare il bene politico, quello
che lo fonda sulla paideia (e sulla propaideia costituita dalle matematiche), e
quello che lo fonda sulla casualit derivata dallo scontro di opinioni infondate
sostenute con una oratoria di tipo retorico. Se Platone "attuale", e cos come Socrate
lo nella misura in cui radicalmente "inattuale" perch
viviamo oggi in un'orgia di manipolazioni e di sondaggi che hanno integralmente
svuotato la democrazia, lo perch il
problema del bene politico e della sua fondazione resta sempre attuale. Nella
Repubblica Platone consiglia di proibire gli scritti che rappresentano gli dei
in forma caricaturale, osservazione molto saggia se riflettiamo sul fatto che
oggi la libert del caricaturista di rappresentare Ges che si masturba in croce,
Maometto con un candelotto nel turbante o Mose con il naso adunco che conta il
denaro, eccetera, considerata sacra e
fondante della nostra sacrosanta civilt liberale dell'arbitrio assoluto
scambiato per libert. In terzo luogo, non bisogna aver paura ad affrontare i
cosiddetti "lati sgradevoli" di Platone, come la sorveglianza statale
sulla produzione letteraria e filosofica, l'eugenetica ed il comunismo
(limitato peraltro ai soli soldati della repubblica). Sembra quasi che Platone
debba essere fatto oggetto di una sorta di "prendere o lasciare",
tutto buono o tutto cattivo, cos come peraltro i comunisti dogmatici e gli
anticomunisti fanatici hanno fatto con Marx, che sarebbe anche lui o tutto
buono o tutto cattivo. Chi si mette in questa ottica idolatrica rivela di non
sapere che cosa realmente significa il termine "dialettica". Pi che
essere "discendente" la dialettica
infatti ascendente, ma l'ascesa integrale pu essere fatta solo nel mondo
delle idee eterne, laddove ogni singolo uomo concreto, sia pure venerabile come
Platone, nel tempo nasce, nel tempo vive e nel tempo muore. La perfezione non di questo mondo, e quindi non esistono
filosofi "perfetti". La dialettica ci insegna questa semplice verit,
in quanto l'uomo un essere intermedio,
partecipa della divinit e della bestia, ed anche Platone partecipa della
divinit e della bestia. Gli "attualizzatori" frenetici e fanatici
diranno (e continueranno a dire, perch la stupidit scaccia la saggezza cos come
la moneta cattiva scaccia la buona) che Platone
stato un "precursore" del fascismo perch era caduto nella
tentazione eugenetica, ed un precursore del "comunismo" perch
sosteneva la comunanza dei beni dei guardiani della volitela (la cui traduzione
pi che "repubblica" dovrebbe essere "polis costituzionale"
o "comunit retta da leggi giuste"). Trascinato dalla mefitica ed
avvelenata atmosfera ideologica in cui mi
toccato di vivere, ammetto francamente di fronte al lettore che anch'io
sono caduto per anni in questa bovina tentazione ideologica attualizzante, ed
ho sostenuto davanti a studenti liceali distratti che mentre Democrito, in
quanto "materialista", era in un certo senso di "sinistra",
Socrate e Platone erano invece precursori della "destra", in quanto
nemici del principio di maggioranza e fautori di una sorta di dittatura
illuminata di oligarchie politiche "idealiste". La cosa pi grottesca
in questa faccenda sta in ci, che nei miei anni universitari avevo avuto
maestri competenti ed intelligenti che avrebbero dovuto vaccinarmi da queste
idiozie ideologiche attualizzanti. Ma il vaccino non riesce se si preferisce la
via identitaria dell'appartenenza ideologica alla via sobria ed oscura della
corretta collocazione storica di un autore. E cos, anzich esserne disgustato,
fui fulminato dalla seguente definizione letta negli anni sessanta in un
dizionario filosofico sovietico tradotto in lingua francese: Platone, filosofo
idealista della Grecia antica, nemico del materialismo e della scienza,
avversario della democrazia ateniese e difensore della aristocrazia reazionaria
di Atene... Marx ha scritto nel Capitale che la sua Repubblica solo una idealizzazione ateniese del regime
delle caste dell'antico Egitto. Oggi la sua teoria utilizzata dagli ideologi reazionari
contemporanei nella loro lotta contro la scienza ed il movimento rivoluzionario
delle masse". Non mi pento affatto di questo traviamento ideologico.
L'adattamento al capitalismo infatti una
via talmente sbagliata che anche le esagerazioni" pi demenziali appaiono
un triste prezzo da pagare per l'operazione di sganciamento" da questo
adattamento stesso. L'errore sta nell'eterniz-zare e nel sacralizzare questa
operazione di sganciamento. Per fortuna la divinit, o il caso, o tutti e due,
mi hanno dato il tempo per capire che uno dei principali insegnamenti della
dialettica sta nel non identificare la filosofia e la pratica con l'ideologia e
le sue tentazioni semplificatrici. Capitolo quarto La dialettica di Aristotele
Nella nuova Atene modernizzata e ristrutturata che cerca di uscire dal casino
caotico della metropoli balcanica-medio- orientale, c' una zona
archeologico-pedonale piena di caff culturali in cui la piccola borghesia
ateniese colta di sinistra" va a fare interminabili discussioni
politico-filosofiche cui ho spesso partecipato. Uno di questi caff si trova
esattamente nel luogo in cui pi di duemila anni fa si trovava il Portico Dipinto
(Sto Poikile), non lontano peraltro dal giardino (kepos) di Epicuro. I vecchi
epicurei ed i vecchi stoici avevano perduto ogni illusione di poter
contare" in politica nel quadro del cannibalico dominio delle oligarchie
ellenistiche gonfie dei soldi rapinati all'impero persiano, ed avevano
effettuato un esodo ed una secessione da questo mondo tenuto insieme dal
denaro. Nello stesso modo i nuovi epicurei ed i nuovi stoici si riuniscono in
gruppi amicali di discussione e di vita comune, prendendo atto del fatto che
nel mondo di Bush, di Blair e dei loro servili fantocci europei, non c' per ora
(ma nessuno sa esattamente fino a quando) niente da fare, ed un ripiegamento in
un privato protetto non vigliaccheria o
tradimento, ma una forma fisiologica di difesa. Il Giardino di Epicuro ed il
Portico Dipinto di Zenone erano accomunati dalla riduzione integrale della
dialettica alla logica e dal fatto che l'oggetto della filosofia fosse
ristrutturato in tre campi distinti (logica, fisica ed etica). A Platone non
sarebbe mai venuto in mente che la logica dialettica avrebbe potuto essere
trattata separatamente dall'etica e dalla politica, e vedeva invece
correttamente la logica dialettica come parte essenziale ed integrante
dell'etica e della politica, intese entrambe come luogo della dialettica
ascendente e discendente verso il Bene della Comunit (koinn, koinonia). Ma il
comune" per il Giardino di Epicuro si restringe nel piccolo gruppo di
amici riuniti in base all'affinit psicologica ed esistenziale, mentre lo stesso
comune" per il Portico Dipinto si allarga al mondo intero (kosmopolis,
oikoumene). Il lettore portato per la dialettica capir subito che i due
fenomeni apparentemente opposti del restringimento epicureo e dell'allargamento
stoico, sono in realt espressioni complementari e solidali di un unico evento
sottostante, la perdita integrale di sovranit economica e politica. Come
sempre, fenomeni di questo tipo si ripetono. Oggi viviamo la compresenza di un
restringimento egoistico della nuova miserabile classe media globale di
benestanti metropolitani in piccoli gruppi elettivi, e di consumatori
colti" (e su questo basti leggere con intelligenza i nuovi modelli di
consumo proposti dalle nuove riviste maschili e femminili per ricchi e
semiricchi), restringimento unito ad un allargamento falsamente cosmopolitico
di esportazione dei diritti umani universali" nel mondo tenebroso dei
baffuti e dei barbuti che ancora tardano a globalizzarsi", o pi
esattamente ad anglobalizzarsi". Vista in questa ottica sociomorfica, la
fusione di logica e di dialettica effettuata da epicurei e stoici segnala a mio
avviso, nel rarefatto mondo delle concezioni filosofiche, il divorzio
irreversibile fra le categorie della teoria ed il loro significato direttamente
sociale, come era invece il caso delle filosofie di Eraclito e di Platone. Il
Giardino ed il Portico Dipinto dovevano pur sempre confrontarsi con il problema
squisitamente ed integralmente sociale del fondamento della sensatezza elo
dell'insensatezza complessiva e globale dei mondo. Il Giardino sostenne che il
mondo era di per s integralmente insensato, in quanto mosso da atomi che si
congiungevano o si dividevano nel vuoto cosmico per caso, mentre il Portico
Dipinto sosteneva che il mondo aveva una sua sensatezza occulta e segreta che
si trattava di scoprire con metodo logico sostanzialmente induttivo (il
cosiddetto sillogismo stoico"), e che coincideva con ci che pi tardi
latini e cristiani denominarono provvidenza" (pronoia). Dato il carattere
opposto (ma complementare) di queste risposte sulla natura del mondo, naturale che i due concetti apparentemente
opposti (ed in realt complementari) di libert e di necessit venissero declinati
in modo diverso. Nella sua tesi di laurea discussa nel 1841 Marx ebbe buon
fiuto nel capire che l'epicureismo non era tanto caratterizzato dal tema della
necessit, quanto da quello della libert dell'individuo, libert pensata
metaforicamente attraverso la categoria di deviazione spontanea degli atomi
(parekklisis, clinamen). In ogni caso la libert e la necessit, lungi
dall'essere dei contrari indipendenti, sono degli opposti in correlazione
essenziale all'interno di un'unica unit dialettica. Se abbiamo compreso che
l'unificazione stoica ed epicurea di logica e di dialettica non appartiene ad
una (inesistente) storia della logica, ma riflette un processo sociale di quei
tempi, e cio la fine della dialetticit" della societ greca intesa come una
totalit espressiva, con conseguente ripiegamento nella piccolissima comunit
elettiva del giardino degli amici elo (ma
lo stesso) della fuga in avanti astratta nella cosmopoli ecumenica del
mondo intero, siamo allora pronti ad affrontare il problema della natura della
dialettica secondo Aristotele. Questa natura
ben nota, e mi limiter qui a riassumerla in modo telegrafico. Aristotele
distingue la logica vera e propria, che si muove nel campo del certo e cerca
premesse certe ed incontrovertibili, dalla dialettica deuteragonistica"
che si muove nel campo dell'incerto e del probabile, e pertanto non pu che
partire da premesse solo probabili e non certe. Come vedremo nell'ottavo
capitolo, Kant propose una concezione di dialettica molto simile a quella
aristotelica (la cosiddetta logica dell'apparenza"), e questo a mio avviso
non pu essere solo un caso, ed allora
sensato cercarne, sia pure con cautela, l'influsso indiretto di determinazioni
storiche e sociali. Nello stesso tempo, Aristotele non si sogna neppure di
squalificare la dialettica (sugli squalificatori" contemporanei di essa mi
soffermer nel capitolo quattordicesimo), la considera molto utile e la pone al
di sopra della cosiddetta eristica", cio del ragionamento che parte da
premesse inconsistenti. Si ha allora un triplice piano del pensiero: logica =
premesse certe, dialettica = premesse probabili o verosimili, eristica =
premesse incerte ed inconsistenti. Non c' dubbio che questa saggia
tripartizione aristotelica sia comunque migliore di quella dei contemporanei
che innescano risse ideologiche del tipo Dialettica Si/Dialettica No, quasi
sempre senza avere la pazienza di districare i fili della matassa. Eppure il
problema centrale resta quello di capire fino in fondo il perch Aristotele
abbia optato per questa tripartizione anzich seguire la via del suo maestro
Platone. intuitivo il fatto che chi non
crede nella teoria delle idee e nel mondo sopramondano ed iperuranico delle
idee eterne, non pu ovviamente prendere la via della dialettica discendente ed
ascendente, per il semplice fatto che non esiste un Alto simbolico da cui
discendere ed a cui ascendere. Nello stesso tempo bene non limitarsi a questa lapalissiana e
tautologica conclusione, ma cercare di comprenderne il meglio possibile le
ragioni storiche, sociali, logiche ed ontologiche che stanno alle spalle di
questa scelta aristotelica. Scelta la quale non fu solo un affare privato del
giovane geniale macedone di Stagira, ma che ebbe conseguenze gigantesche nello
sviluppo posteriore dell'intera filosofia occidentale non solo fino a Kant ed a
Hegel e Marx, ma anche e soprattutto fino ad oggi. Si pu in proposito partire
da una breve riflessione sul concetto aristotelico di scienza (episteme).
Episteme deriva etimologicamente da epistamai, che significa sto in piedi, o pi
esattamente sto in piedi su di un terreno stabile e sicuro. La logica, la
dialettica e l'eristica possono essere allora paragonate a tre personaggi che
stanno tutti e tre in piedi, ma su terreni progressivamente sempre meno sicuri
e pi instabili. La sicurezza consiste nella certezza delle premesse del
ragionamento deduttivo, ma da questo non bisogna frettolosamente trarre la
conclusione, a suo tempo tratta dall'inglese Bacone, per cui Aristotele avrebbe
tout court preferito la deduzione, sicura ma sterile, all'induzione, insicura
ma feconda. Aristotele sa perfettamente che anche i primi principi di ogni deduzione
devono essere preventivamente "indotti", e cio intuiti, e che allora
i confini fra logica e dialettica sono comunque labili ed incerti. La
dialettica di Aristotele quindi molto pi
vicina a quella dell'eleatico Zenone che a quella di Platone, in quanto di
fatto pu giocare un ruolo positivo soltanto confutando le tesi dell'eristica.
Nello stesso tempo, il piano solido e sicuro su cui poggia l'episteme resta
sempre in ultima istanza comunitario, e si basa sul consenso sociale alla
correttezza di una certa intuizione. Se ad esempio io propongo come definizione
di uomo i due termini di animale politicosociale e comunitario (politiktn zoon)
e di animale dotato di ragione, linguaggio e capacit di calcolo matematico
(zoon logon echon), e non invece di animale accidentalmente biondo o bruno,
sano o malato, alto o basso, di lingua greca o persiana, eccetera, ci avviene
per una ragione anch'essa pienamente sociale e comunitaria, in quanto ai tempi
di Aristotele era ancora diffuso un senso comune comunitario e razionale che
portava all'assenso maggioritario verso queste due definizioni. La
"definizione" in Aristotele
dunque sempre derivante da un accordo comunitario. Quando Hobbes defin
l'uomo un animale asociale e Nietzsche lo defin un animale istintuale ed
irrazionale, ed entrambi trovarono entusiasti sostenitori ed ammiratori, ci
avvenne perch nei tempi in cui vissero si era temporaneamente formato un senso
comune che favoriva l'accoglimento generalizzato di queste (improprie ed anche
francamente idiote) definizioni. L'allontanamento di Aristotele dal modello
matematico di conoscenza, allontanamento che sarebbe poi durato in occidente
molto a lungo e cio fino alla rinascita platonica cinquecentesca (Copernico) ed
alla nascita della moderna scienza matematica della natura di Galileo e Newton
(entrambi platonici), stato un
"danno collaterale" della sua eccessiva polemica contro il
platonismo, che ha finito con il coinvolgere oltre alle idee "etiche"
anche le idee matematiche. Nello stesso tempo, il fatto che nonostante questo
rifiuto sostanziale della matematica (ma non certo dell'esperimento) Aristotele
sia diventato il modello dello scienziato, al punto che Raffaello lo dipinge
mentre indica la terra da studiare anzich il cielo platonico delle idee come fa
il suo venerabile maestro, dovuto a
motivi storici oggettivi, cio all'impossibilit di matematizzare adeguatamente
il mondo della natura, all'infuori delle orbite astronomiche dei pianeti. In
questa matematizzazione, che allora era gi possibile, gli aristotelici si
dimostrarono maestri. In un certo senso, date le tentazioni magico-pitagoriche
delle matematiche antiche, il rifiuto aristotelico della spiegazione matematica
del mondo (ancora tentata nel Timeo dal suo maestro Platone) appare non solo
spiegabile ma anche razionale. Aristotele vive pur sempre ancora in un clima
culturale comunitario legato alla polis, e per questa ragione non tentato dalle due soluzioni apparentemente
opposte ed in realt convergenti del ripiegamento epicureo nel piccolo gruppo
apolitico di amici che vivono nascosti" (lathe biosas) e della fuga in
avanti stoica nella cosmopoli ecumenica. In lui vive sempre l'ideale del
metron, e cio della misura sociale che possa impedire la dissoluzione della
comunit, anche se ormai tramontata
l'utopia della isonomia, che aveva nutrito l'ammirazione di Eraclito per il
codice di Ermodoro. Considero per francamente demenziale la traduzione moderna
di classe media" per indicare l'ideale sociale di governo di Aristotele,
per il semplice fatto che le parole hanno un'evoluzione semantica, ed oggi
classe media" significa soprattutto una sorta di terziario allargato di
impiegati, piccoli imprenditori, insegnanti, commercialisti, medici
ospedalieri, eccetera, in sostanza gente che vive pi di stipendi che di salari,
ed ha sopra di s Cordero di Montezemolo e sotto di s i lavoratori flessibili e
precari. In realt la classe media di Aristotele, che non c'entra nulla con la
media e piccola borghesia di oggi, il
gruppo sociale composto dai piccoli e medi produttori indipendenti, un gruppo
sociale che continua a dipendere dall'economia (e cio dalla cura della casa,
oikos), e non dalla crematistica (e cio dal farsi i soldi con lo scambio di
merci, chremata). Fu solo nel 1776 che Adam Smith unific trionfalmente in
un'unica disciplina l'economia e la crematistica, e su questa unificazione si
costitu il Partito unico degli Economisti che regge le nostre decadenti societ,
partito unico che si nasconde dietro le irrilevanti simulazioni ideologiche
della Destra e della Sinistra omologate, la cui esistenza avrebbe suscitato sia
in Platone che in Aristotele le pi liberatorie risate, sia pure con la
necessaria mediazione di qualche commedia di Aristofane con consulenza
consigliata di Giorgio Gaber. I piccoli e medi produttori di Aristotele erano
soprattutto indipendenti, e non dipendevano quindi dall'oligarchia finanziaria
e dal circo ideologico- mediatico. Al tempo di Aristotele c'erano indubbiamente
retori intelligenti come Isocrate, ma non c'era ancora la categoria degli anarchici
all'ombra del capitale finanziario che oggi fa da supporto antropologico ed
economico alla casta politicamente corretta dei cosiddetti
"intellettuali". La situazione sociale ed intellettuale dei tempi di
Aristotele non era quindi degradata come quella di oggi. Nello stesso tempo ci
si pu chiedere ancora una volta se ci fosse, e quale fosse, la vera causa (nel
quadruplice senso di causa materiale, formale, efficiente e finale) del rifiuto
di Aristotele di adottare la concezione platonica di dialettica. Causa
"esterna", intendo, perch la causa "interna" l'abbiamo gi
segnalata, ed ovviamente il suo rifiuto
di adottare la teoria delle idee. In proposito,
possibile soltanto fare ipotesi storico-sociali di massima. Se guardiamo
ai contenuti e non alla realt biografica, Aristotele appare al cento per cento
un allievo postumo di Protagora, e non certo di Socrate e di Platone. Non ci
sono purtroppo pervenute le sue opere essoteriche, e cio scritte per il
pubblico, e pertanto non sappiamo se e fino a che punto abbia usato oppure no
il metodo del logos sokratiks, che, non dimentichiamolo mai, era anche e
soprattutto un genere letterario ateniese. Protagora era certamente per
Yisono-mia, mentre Aristotele probabilmente concordava sul fatto che i teti,
cio gli ateniesi nullatenenti, fossero esclusi dal voto, ma a questo pur
interessante fatto non darei qui troppa importanza. In comune per Protagora ed
Aristotele avevano il fatto decisivo per cui la scienza della convivenza
politica era una scienza mondana (e mondana
il contrario di iperuranico- bimondana), una episteme basata sulla
corretta interpretazione della natura umana. L'uomo la misura di tutte le cose anche e
soprattutto per Aristotele. Certo, si tratta dell'uomo in generale, l'animale
razionale e comunitario, e non di una somma di singoli uomini privi di
caratteristiche unitarie. Tuttavia, non abbiamo motivo di pensare che anche
Protagora non avesse la stessa concezione "generale" di uomo, tanto vero che Platone lo individua come suo vero
avversario, laddove Gorgia gli talmente
alieno da non interessargli neppure. In fondo, Ratzinger pu discutere con un
allievo di Marx o di Hegel, cio di personaggi che consentono sul concetto di
universalit, mentre non avrebbe nulla da dire di fronte a Marco Pannella o ad
Emma Bonino ed altri apologeti del nichilismo e del relativismo pi esasperati.
Con chi sostiene che l'essere delle cose si riduce integralmente al linguaggio
con cui queste cose vengono espresse, linguaggio che cambia ogni vent'anni in
base al suo uso sociale, un sostenitore della filosofia non ha assolutamente
nulla da dire. Le due posizioni teoriche che sostengono rispettivamente il
carattere normativo di una idea eterna del Bene elo di una interpretazione
razionale condivisa della natura umana hanno almeno un terreno di discussione.
Il carattere comunitario e razionale della natura umana, punto di partenza
condiviso da Protagora e da Aristotele, criticato da Socrate e negato
esplicitamente da Platone, per pur
sempre una premessa verosimile e probabile, in quanto la rispettiva natura del
politikn (il politico, il sociale ed il comunitario) e del logikn (il razionale
ed il linguistico) pur sempre qualcosa
cui si pu arrivare solo induttivamente ed intuitivamente. Induttivamente, perch
risulta da osservazioni ripetute, comparate e sistematizzate sui comportamenti
umani in situazioni storiche e geografiche diverse. Intuitivamente, perch in
fondo alla catena delle induzioni c' pur sempre un momento di scelta e di
decisione che giunge tutto d'un colpo. La definizione aristotelica della
dialettica come sapere del probabile e del verosimile, e non tout court del
"vero", mi sembra allora estremamente razionale ed intelligente.
Certo, essa frutto di una rinuncia, la
rinuncia ad avere una vera e propria scienza del bene sociale. Se queste
osservazioni sono giuste, o anche solo "dialetticamente" probabili e
verosimili, ne deriver che Aristotele non
stato un criticone (e tanto meno uno "stroncatore") della
dialettica, ma al contrario ne stato un
sostenitore solido e pacato nella linea di Protagora. Venendo dopo Platone e
prima di Epicuro e dello stoico Zenone di Cizio, Aristotele partecipa di
entrambi i periodi storici. Dal periodo precedente al suo conserva l'esigenza
di una teoria generale della societ giusta (dikaion) ed il rifiuto di
ripiegamento in piccoli gruppi amicali di esodo e secessione, oppure di fughe
in avanti cosmopolitiche in cui la comunit ideale (ed impotente) dei saggi sta
al posto della sovranit della decisione politica comunitaria. Del periodo
successivo al suo condivide la fine della meraviglia" che i primi filosofi
avevano ancora avuto sulla nuova natura del legame sociale mercantile e
schiavistico, che non gli piace ma che non ritiene di poter cambiare. Il
ripiegamento del metodo dialettico dal Vero al Verosimile allora la trasfigurazione teorica di un
compromesso pratico e sociale. L'unica cosa veramente sicura e certa ci che
in nostro potere, come ad esempio il condurre una vita buona (eu zen) o
trovare la felicit in una vita dedicata alla riflessione filosofica (bios
theoretiks). Questo l'aspetto
individualistico, stoico-epicureo in anticipo, del pensiero di Aristotele. Ma
resta l'esigenza di fondare la convivenza sociale su di una scienza se non vera
almeno verosimile, quella della natura umana, e questa esigenza era la stessa
di Protagora, ed anche la stessa di Platone, anche se sappiamo che Platone
aveva scelto la via della dialettica ascendente e discendente in vista della
comunione dei generi" (koinonia ton ghenon) anzich quella della conoscenza
induttiva della natura umana. Alla base c' per un principio normativo comune,
che per Platone il Bene e per
Aristotele la Natura Umana. Questo fa di
Platone e di Aristotele dei membri di un unico e comune partito filosofico, che
si contrappone al partito filosofico di Gorgia e di tutti i nichilisti ed i
relativisti antichi (pochi, anzi pochissimi) e contemporanei (molti, anzi
moltissimi). Aristotele, dunque, era un moderato amico della dialettica, e non
un suo nemico precursore del positivismo. La sua concezione della dialettica,
salvo errore, era molto pi vicina a quella di Marx di quanto lo potesse essere
quella di Platone, il che fa di Marx un aristotelico" molto pi che un
platonico. Ma per esaminare questa tesi indubbiamente controcorrente, il
lettore dovr aspettare il capitolo undicesimo, con l'avvertenza di non
saltare" quelli intermedi, perch alle tesi filosofiche ci si arriva sempre
gradatamente, e non conviene dunque mai saltare" nulla. Capitolo quinto La
dialettica dei neoplatonici antichi Per comprendere la dinamica e la natura
della dialettica neoplatonica
assolutamente necessario indagare la sua genesi storica. Certo, la
genesi storica non tutto, perch quello
che conta anche e soprattutto la validit
posteriore permanente o meno dei contenuti e dei metodi di una filosofia. Ma
se vero, come penso che sia, che la
veritas filia temporis, non detto che
questo principio debba necessariamente portare ad un relativismo per cui tutto
sarebbe inconfrontabile perch la sua determinatezza temporale impedirebbe ogni
considerazione universalistica". La filosofia contemporaneamente un prodotto inimitabile
del proprio tempo storico ed un modello sovratemporale adatto a far discutere
in ogni tempo. E questo si adatta in particolare alla filosofia neoplatonica.
Questa filosofia nacque per salvare" le verit contenute nelle vecchie
religioni politeistiche non solo dei greci, ma di tutti i popoli del vicino
oriente ellenistico, e quindi anche le religioni egizie, me- sopotamiche,
eccetera. Il suo fondatore, Plotino, era un egiziano che sicuramente oltre alla
lingua greca conosceva anche quella copta della sua regione, ed attraverso di
essa aveva avuto certamente un contatto diretto con la vecchia religione
egizia, che per molti aspetti era ancora viva sotto un sottile travestimento
ellenistico. Il suo modo di leggere Platone non poteva certamente essere quello
abituale presso gli accademici antichi, in cui il "platonismo" era
diventato una sorta di eristica distruttiva rivolta ossessivamente contro il
modello stoico di conoscenza, definito dogmatico. Plotino riprese integralmente
la dialettica discendente (diairesis) e quella ascendente (synagogh) ma
l'unificazione dell'Uno con il Bene (unificazione peraltro gi esplicitamente
presente in Platone) port ad una riformulazione in cui la dialettica
discendente diventava Emanazione dell'Uno (proodos) e la dialettica ascendente
diventava Ritorno all'Uno (epistrofe). Erano cos state messe le basi per un
nuovo codice filosofico, perfetto nella sua insuperabile semplicit: Uno = Bene
= Dio. Si dir che questo codice era monoteistico e non politeistico. certamente cos, ma chi si stupisce di questo
dimentica che tutta la filosofia antica considerava il politeismo mitico
popolare la formulazione esterna di un sostanziale monoteismo filosofico
rigoroso. Platone parla apertamente di Uno-Bene, ed il suo
demiurgo-artigiano solo un
"ingegnere delle idee e dei numeri eterni". Aristotele parla dell'unica
divinit in termini rigorosamente filosofici, definendola con cinque termini
complementari (causa prima, motore immobile, fine ultimo, atto puro e pensiero
del pensiero) . Epicuro l'unico
pensatore antico non monoteista, che per non prende saviamente la via
dell'ateismo, ma la strada pi saggia della separazione fra il mondo degli dei
ed il mondo della storia, in cui gli dei sono soltanto esempi di vita felice,
giusta e beata. In quanto agli stoici, essi sono dei monoteisti rigorosi, ed
hanno come divinit la Ragione Cosmica (logos) e la Provvidenza (pronoia).
Plotino non si inventa allora nessun monoteismo, che c'era gi ed era
robustissimo, ma semplicemente gli d una forma sistematica e rigorosa, che
trova nella filosofia dialettica di Platone. La dialettica infatti una scala ideale" che mette in
connessione l'Uno e i Molti. La sua filosofia non avrebbe avuto alcun successo
se fosse ancora esistita la polis socratica dei piccoli produttori indipendenti
e sovrani, il cui logos avrebbe assunto la forma orizzontale del confronto
dialogico fra posizioni diverse, e non invece la forma verticale dell'emanazione
e del ritorno all'Uno. Ma tutto questo non esisteva pi da tempo. Come ha
rilevato acutamente Hegel nelle sue considerazioni di filosofia della storia,
nel clima spirituale dell'impero romano in cui visse Plotino il solo elemento
concreto era il prosaico dominio pratico", ed in questo modo Roma ha
spezzato il cuore del mondo, paralizzando e spegnendo nel suo Pantheon
l'individualit di tutti gli dei e di tutti i grandi spiriti". La
formulazione precisa di Hegel, cui a mio avviso non si pu aggiungere e togliere
nulla perch in s compiuta, questa: Il mondo romano, nel suo
disorientamento e nel suo dolore per l'abbandono da parte di Dio, ha generato
il dissidio con la realt ed il comune anelito ad una soddisfazione che pu
essere raggiunta solo interiormente, nello spirito, ed ha cos preparato il
terreno per un superiore mondo spirituale". Nel quindicesimo capitolo far
notare che la situazione odierna analoga
a quella che Hegel descrive per il mondo romano. Il Pantheon multiculturale di
oggi, lungi dell'esaltare le culture che formalmente accetta ed esalta, le
paralizza e le spegne nel mondo integralmente privato del Dio della
mercificazione e della aziendalizzazione capitalistica universale. Il solo
elemento concreto dell'odioso dispotismo militare americano sul mondo appunto il suo "prosaico dominio
pratico", e questo sta spezzando il cuore del mondo perch tutti sentono
che Dio (metafora della sensatezza comunitaria) lo sta abbandonando, e allora
tutto diventa (0 ridiventa) possibile. Questo
il mondo che ha di fronte a s Plotino, un mondo in cui non pi possibile il dialogo democratico del logos
sokratiks, ma solo l'esposizione dialettica di un processo ideale di Emanazione
e di Ritorno. Lo studioso Mario Vegetti, uno dei migliori commentatori della
filosofia antica, avanza l'ipotesi che l'insistenza di Plotino nella categoria
di Uno pu essere interpretata come la metafora della figura dell'Imperatore
romano, che proprio in quel periodo cominciava ad assumere apertamente vesti
sacrali di tipo orientale. Con la fine della relativa "eguaglianza dei
liberi" tipica del clima culturale greco-romano classico e con l'avvento
di una nuova concezione apertamente gerarchica della dignitas, era inevitabile
che le filosofie del Giardino e del Portico Dipinto tramontassero insieme con
il contesto sociale che ne aveva favorito la diffusione, in particolare per
quanto riguarda lo stoicismo nell'aristocrazia senatoria paradossalmente
egualitaria" e si affermasse invece una visione filosofica del mondo
apertamente gerarchica e trascendente. Nato nel 205 in un villaggio egiziano,
Plotino a ventotto anni va ad Alessandria d'Egitto alla scuola di Ammonio
Sacca, ed interessante che si riproduca
dopo pi di cinquecento anni il rapporto simbolico fra Socrate e Platone, perch
Ammonio Sacca non ha scritto nulla ed esercitava un magistero esclusivamente
orale, mentre Plotino invece mette per iscritto tutto quello che elabora. Nel
243 Plotino si unisce ad una spedizione militare romana contro i Sassanidi di
Persia, ed anche questo non un caso,
perch in Mesopotamia che Plotino ritiene
di poter trovare gli stimoli filosofici che gli interessano. Dopo la sconfitta
romana e l'uccisione di Giordano III Plotino va a Roma, esattamente come si
andrebbe oggi a New York, e cio nel centro culturale e politico dell'impero.
Nel 263 Plotino tiene lezioni addirittura all'imperatore Gallieno ed alla
moglie Solonina, che gli finanziano la costruzione di una citt, chiamata
Platonopoli, i cui lavori di costruzione vengono effettivamente iniziati, ed
interrotti solo con la morte di Galieno. Anche in questo caso, il parallelismo
con Platone esplicito, perch la
tradizione tramanda che Platone abbia fatto appunto tre viaggi in Sicilia per
riuscire a realizzare concretamente la sua utopia politica. Platonopoli, che
doveva sorgere in Campania, non fu mai terminata. Ma anche se lo fosse stata,
sarebbe diventata al massimo una sorta di campus universitario, o per meglio
dire una mescolanza fra campus universitario e convento benedettino. La freccia
del tempo storico irreversibile.
Leggendo le Enneadi di Plotino
relativamente facile farsi un'idea di che cosa intendesse dire quando
parlava di Emanazione e di Unit. Dio non progetta il mondo, in quanto Plotino
capiva bene che trasformarlo in un progettista cosmico avrebbe voluto dire
antropomorfizzarlo in modo intollerabile (e qui mi sembra che avesse colto
correttamente il punto da cui nascono tutte le idolatrie, l'attribuzione a Dio
cio di un profilo umano, o almeno ricalcato sul modello umano). Dio emana il
mondo come la luce dal Sole o il profumo da un'essenza odorosa. Qui abbiamo gi
tutto l'oriente con il suo culto del profumo ed ancor pi l'eredit lontana della
religione egiziana antica, che con Akhenaton aveva gi identificato l'unica
divinit con il disco solare. Dio infatti non vuole, ad un certo momento del
tempo, produrre qualcosa di diverso da s, ma da sempre, senza che se lo
proponga, e senza alcun mutamento, emana la realt senza che questa emanazione
gli faccia perdere nulla della sua eterna consistenza. Si ammetter che questa
forma di monoteismo filosofico molto
migliore di tutte quelle varianti pi o meno antropomorfiche posteriori per cui
Dio diventa un raddoppiamento umano, varianti che poi furono criticate in modo
radicale da Feuerbach, da cui il giovane Marx attinse il suo ateismo. La
concezione neoplatonica della divinit, concezione che certamente influenz
fortemente Spinoza, non sarebbe diventata la preda facile" che Feuerbach
riusc tanto facilmente ad impallinare, al di l ovviamente di qualsiasi
ulteriore considerazione teologica. Ma dalle Enneadi risulta anche
inequivocabilmente una concezione pi sociale e terrestre" di Uno. Per
Plotino infatti l'unit anche alla base
del valore morale delle cose umane. L'amicizia fra due persone, infatti, un bene perch crea fra loro pi unit di quanta
non ce ne fosse prima. L'assassinio
male, perch sottrae una persona all'unit ideale dei viventi. E lo Stato,
infine, tanto pi giusto quanto pi
grande l'unit fra i suoi cittadini. Come
si vede, persino nella filosofia apparentemente pi lontana dalla realt
materiale che sia mai esistita l'Uno
sempre una metafora di rapporti sociali buoni, e cio consensuali e
comunitari. Plotino muore nel 270, e solo sette anni dopo, nel 277, viene
crocefisso a Ctesifonte, capitale dei Sassanidi, il filosofo persiano Mani. La
coincidenza di date non per nulla
casuale. A Roma come a Ctesifonte il mondo dell'epoca soffriva per l'abbandono
da parte di Dio, e le vecchie religioni -olimpica a Roma e zoroastriana a
Ctesifonte - non erano evidentemente in grado di dare una risposta a questo
abbandono traumatico e doloroso. I corpi sociali sono evidentemente come i
corpi umani, e non sopportano oltre ad un certo punto l'inutile accanimento
terapeutico, come avvenne per la societ nobiliare francese nel 1789 o per il
comunismo storico novecentesco realmente esistito fra il 1985 ed il 1991. Il
grande edificio di Plotino per gli sopravvisse. E gli sopravvisse perch Plotino
aveva magistralmente elaborato un codice filosofico perfetto fondato sulla
triplice equazione Uno = Bene = Dio, in cui la dialettica tornava ad essere la
scala sacra che gi Platone aveva intravisto e cominciato a costruire. Non allora un caso che questo codice, che per
circa trecento anni fu utilizzato soprattutto da pensatori che volevano
"salvare" la religione olimpica dei greci (e si pensi all'imperatore
Giuliano ed al suo effimero tentativo di restaurazione di un politeismo
spiritualizzato e reso filosoficamente in termini di monoteismo pluralistico
gerarchizzato), diventasse in un tempo relativamente breve il codice filosofico
preferito dalle teologie della nuova religione cristiana. Resta il problema
delle radici sociali del successo di questo codice, sia in ambiente cristiano
che in ambiente islamico. Lo studioso egiziano Samir Amin, con cui ho avuto
modo di discutere a lungo di questo problema fra il 1986 ed il 1988, ha
avanzato in proposito una ipotesi che considero abbastanza verosimile. Secondo
Samir Amin il modo di produzione tributario" quel particolare modo di produzione in cui il
plusprodotto sociale, che viene in larga parte consumato dai gruppi sociali
sfruttatori dominanti, viene prelevato attraverso l'intervento determinante di
un apparato statale che utilizza ideologicamente una copertura religiosa. Dal
momento che questo prelevamento, a differenza di quello capitalistico (che
passa attraverso la finzione dello scambio di equivalenti fra capitalisti e
salariati) e di quello schiavistico (che passa attraverso la divisione sociale
nei due gruppi distinti dei liberi e degli schiavi), un prelevamento aperto, palese e trasparente,
in cui chiaro che c' chi d e c' chi
toglie, assolutamente necessaria una
metafisica che sacralizzi il carattere divino di questo prelevamento. Per
questa ragione la metafisica monoteistica a base neoplatonica, con il suo
codice teorico virtualmente perfetto (Uno = Bene = Dio), stata entusiasticamente adottata sia dalle
classi dominanti tributarie cristiane che da quelle islamiche. E questo spiega
anche indirettamente il perch in questo contesto tributario, non importa se
posto sotto la Croce o sotto la Mezzaluna, l'opposizione filosofica a questa
metafisica neoplatonica ha dovuto prendere necessariamente la forma del ritorno
ad Aristotele, sia nella philosophia di Tommaso d'Aquino, sia nella falsa/a (in
arabo filosofia) di Averro. Considero l'ipotesi di Samir Amin verosimile, e
quindi adottabile, sia pure ovviamente con le dovute necessarie cautele. Questa
ipotesi, per, spiega solo l'uso ideologico e sociale del neoplatonismo, e non pu
n vuole spiegare il suo eventuale contenuto di verit che resta una volta fatta
la "tara" della visione del mondo prodotta dal modo di produzione
tributario. E per questo, allora, pu essere utile tornare ancora una volta al
rapporto fra i neoplatonici antichi ed il Platone originale vissuto cinquecento
anni prima. Pochi decenni dopo la sua morte, Platone sembrava morto e
seppellito per sempre (un po' come Marx oggi, mi sia consentita questa innocua
analogia), e basta un piccolo esame del periodo per capirlo. I suoi successori,
Speusippo e Senocrate, si diedero a ricerche ed a sintesi di tipo astronomico e
matematico in cui non c'era pi traccia alcuna della sua utopia politica del
Bene comunitario. Il suo migliore allievo, Aristotele, sembra farsi un punto d'onore
nel confutare una per una le sue tesi principali. L'Accademia da lui fondata
diventa il prototipo dello scetticismo antico, in modo ancora pi sistematico e
conseguente della stessa scuola di Pirrone. Il Giardino di Epicuro ed il
Portico Dipinto di Zenone fanno come se Platone non fosse mai esistito. Se
fosse esistito allora il circo mediatico di oggi, mille scribacchini
incompetenti ed arroganti avrebbero scritto sui loro papiri e sulle loro
pergamene quello che scrivono oggi su Marx e Hegel, che peraltro non hanno mai
letto ma di cui hanno "sentito dire" e "orecchiato"
qualcosa nella chiacchiera disorientante del semicolto. Avrebbero infatti
scritto: "Bisogna mettere Platone in soffitta, nessuno lo prende pi sul
serio, non viviamo pi nel classico, viviamo nel post-classico, nel
post-classico c' solo posto per una civile conversazione multietnica e
multiculturale con i Galli, gli Iberici, i Caldei, i Traci, gli Sciti, gli
Etiopi, gli Etruschi, eccetera, purch ovviamente abbiano abbastanza dracme e
sesterzi in tasca. Andiamo a sentire le conferenze di Rortius, Ecus e di
Galimbertus, quelle s che sono interessanti e parlano di problemi
concreti!". E Platone, come un grande fiume, entr sottoterra in una grotta
carsica (cos come, ci scommetterei la mia pensione, capiter anche a Marx). Ma
fin con il riemergere, ovviamente, perch il problema del Bene un problema incancellabile, e nessuna cena di
Trimalcione o nessuna magia di Apuleio potr mai farlo sparire. Cinquecento anni
dopo, Plotino lo riporta alla superficie, insieme a Plutarco ed a pochi altri,
ma pu farlo soltanto portandolo in cielo perch sulla terra regnava ormai il
mondo romano abbandonato da Dio. Considero assolutamente plausibili le
spiegazioni sociali di Mario Vegetti e di Samir Amin sulla funzione simbolica
del neoplatonismo, per la legittimazione prima del tardo-impero e poi
dell'estorsione tributaria latina, greca ed araba raddoppiata da una gerarchia
metafisica ideale ricalcata sulla gerarchia sociale reale, ma resta il fatto
che nel neoplatonismo resta un nucleo indissolubile di verit, che si tratta
allora di indicare con chiarezza prima di concludere questo capitolo. Il nucleo
di verit del neoplatonismo fu individuato da molti grandi pensatori successivi,
da Giovanni Scoto Eriu-gena a Nicola Cusano, da Marsilio Ficino fino a Hegel.
Ed il nucleo di verit sta in ci, che il Vero esiste e non semplicemente una convenzione o una
illusione, ed il Vero il Tutto, perch le
parti scollegate e divise, e cio dialetticamente non connesse, sono certamente
fattuali, certe, esatte e veridiche, ma propriamente vere" non sono, e non
potranno mai diventarlo. Nello stesso tempo il fatto che solo il Tutto pu
essere Vero resta un'affermazione vuota alla Schelling (ed per questa vuotezza", gi rilevata da
Hegel, che non inserir volutamente Schelling fra i tre grandi idealisti moderni
Fichte, Hegel e Marx) se non viene integrata da una concezione dell'uomo,
concezione che i neoplatonici antichi seppero intelligentemente indicare, perch
partivano pur sempre dal fondamento dell'anima (psyche). Senza partire dalla
singola determinatezza che fa da microcosmo dell'intero, infatti, e questo
microcosmo la psyche, difficile arrivare da qualche parte, e
limitarsi adornianamente a dire che il Vero
il Tutto resta una frase vuota. I neoplatonici furono grandi, perch
videro nell'uomo l'essere dotato di una specifica anima", un essere
intermedio fra gli dei e le bestie. A questo propriamente serve la scala
dialettica neoplatonica, tolta all'uso ideologico che ne fu fatto'e che
correttamente hanno segnalato Mario Vegetti e Samir Amin. Questo concetto di
uomo come essere intermedio fu segnalato nel Quattrocento da Nicola Cusano in
questo splendido brano: Potest igitur homo esse humanus deus ataue deus
humaniter, potest esse humanus angelus, humana bestia, humanus leo aut ursus,
aut aliud quodcumque". Si tratta di un latino rinascimentale facile, ed il
lettore mi permetter di non tradurlo. Chi scrive fa parte dell'ultima
generazione salvata" dalle riforme scolastiche distruttive alla
Berlinguer-Moratti, e dal modello delle Tre I (inglese, impresa, informatica),
ed in cui il francese illuministico era ancora la lingua franca della cultura
europea. Se dopo di me verr il diluvio o il paradiso (o qualcosa di intermedio)
solo il cielo lo sal invece importante
segnalare almeno due punti decisivi della citazione neoplatonica di Cusano. In
primo luogo, l'uomo pu essere aliud quodcumque, qualsiasi altra cosa. Non dunque programmato come gli altri animali dalla
sua costituzione genetica ad essere una cosa particolare. Come dir pi tardi il
neoplatonico moderno Marx, l'uomo un
ente naturale generico (Gattungswesen), traduzione in tedesco del quodcumque
del suo compatriota tedesco Nicol da Cusa (Kues). In quanto quodcumque e
Gattungswesen l'uomo, sia pure sulla imprescindibile base del suo corredo
genetico, pu dar luogo a configurazioni familiari, sociali e politiche
diversissime. In secondo luogo, tuttavia, il qualunque cosa" non deve
essere inteso in modo nichilistico e relativistico come qualsiasi cosa in
generale. L'uomo infatti un essere
intermedio fra due entit opposte ontologicamente definibili, e cio da un lato
l'humanus deus atque deus humaniter, e dall'altra invece l'humana bestia,
l'humanus leo aut ursus, con tutte le conseguenze sociali e comportamentali del
caso. Cusano e Plotino non usano e non possono usare il moderno concetto di
alienazione (alination, Entfremdung), perch non si collocano come l'idealismo
moderno (Fichte, Hegel e Marx) in un'ottica monomondana, ma di fatto il loro
pensiero individua egualmente il problema della possibile perdita da parte
dell'uomo della propria essenza umano-divina e della connessa possibilit sempre
umana del suo recupero. Ed in ci sta l'eredit meravigliosa e perenne del
neoplatonismo di Plotino e di Cusano, che non si riduce solo allora alla sua
funzione ideologica peraltro segnalata. Capitolo sesto La dialettica dei
teologi e dei filosofi cristiani Le religioni sono vere? Ed, in
particolare, vera la religione cristiana?
Come si fa a sapere che tra le sue differenti varianti storiche la pi
vera" quella del culto cattolico
romano? Ed in che senso sarebbero false" le altre religioni? Sarebbero
false perch non sono state rivelate nel solo autentico vero modo oppure lo
sarebbero perch i contenuti morali e sociali che propongono sarebbero peggiori
dei nostri (o di quelli che noi riteniamo essere i nostri")? Ed infine, se
le religioni sono false, allora l'ateismo sarebbe vero? Ed in che senso sarebbe
vero? Lo sarebbe perch afferma sobriamente che non esiste altro che la materia
nello spazio e nel tempo, ed il resto
tutta impostura"? Grandi domande. Cominciamo a rispondervi. Nel
precedente capitolo ho molto insistito sul fatto che il neoplatonismo, nato per
salvare" la vecchia religione olimpica e politeistica dei greci dandole
una copertura filosofica monoteistica di tipo platonico, ha infine prodotto un
codice", il codice neoplatonico appunto (Uno = Bene = Dio), che poi servito, e non poteva non servire, a
legittimare teologicamente tutte e tre le forme di monoteismo impropriamente
detto oggi abramitico" dal politicamente corretto. La dialettica
platonica, nella forma riveduta e corretta (ma non falsificata) del
neoplatonismo, si rivelata lo strumento
quasi perfetto, o comunque a mio avviso insuperabile, per questa formulazione
filosofica della religione. La mia tesi di fondo in questo capitolo la seguente: per legittimare filosoficamente
il cristianesimo non c' di meglio della dialettica platonica, nella
formulazione migliorata datale dal codice neoplatonico (Uno = Bene = Dio), ma
per saggiarne l'eventuale verit ci vuole una dialettica di tipo aristotelico,
nel senso di logica del verosimile e del probabile. Ed questa proprio la dialettica che user in
questo capitolo. Lo far per punti, in modo che il lettore possa seguire meglio
il ragionamento. Le categorie fondamentali di tipo dialettico- aristotelico che
user sono quelle derivate dalla coppia verosimile/inverosimile, una coppia che
sta in mezzo, e quindi non coincide affatto con la coppia metafisica vero/falso,
e neppure ovviamente con la coppia matematizzante esatto/inesatto. In primo
luogo, fra le molteplici teorie sulla natura delle religioni e del bisogno
religioso, ritengo particolarmente verosimile quella proposta a suo tempo da
Max Weber, per cui il compito delle religioni
quello di amministrare la quotidianit del Sacro, contrapposto
dialetticamente al Profano (dialettico = unit di opposti in correlazione
essenziale), e allora le religioni "vincenti" non sono quelle che
restano attaccate alle loro origini messianiche elo apocalittiche, per loro
natura instabili e provvisorie, ma sono quelle che in vario modo
"razionalizzano" i contenuti messianici originari trasformandoli in
regole etiche quotidiane per una riproduzione sociale comunitaria non distruttiva
e dissolutiva. La funzione stabilizzatrice di questa razionalizzazione
religiosa la stessa di quella della
democrazia proposta da Solone e Clistene, che produsse il logos sokratiks come
sua "cerimonia pubblica", l''eresia politica platonica" fondata
sulla differenziazione educativa dei cittadini ed infine l'esodo e la
secessione del Giardino e del Portico Dipinto. In modo molto saggio questa
democrazia antica non scelse la via suicida dell'ateismo, come poi fece il
comunismo storico novecentesco (l'ateismo
infatti un'ideologia, e tutte le ideologie perdono a lungo termine con
la filosofia e con la religione), ma la via della coesistenza pacifica con la
ritualit religiosa tradizionale, che
verosimile pensare sia radicata nella natura umana, ed dunque restia a tutti i tentativi di
sradicamento, a meno che questo sradicamento sia solo una trasformazione (ad
esempio, la religione azteca in religione cattolicoromana, ed il luogo sacro al
Serpente Piumato in luogo sacro della Santa Vergine di Guadalupe). Il lettore
avr notato che ho usato due volte la categoria aristotelico-dialettica di
verosimile, e non certo le categorie dialettiche ascendenti e discendenti di
Platone. In secondo luogo, ritengo del tutto inverosimile (vulgo: non ci
credo), che un signore chiamato Ges di Nazareth sia stato ucciso, e sia poi
risorto dalla morte, prefigurando cos la resurrezione finale di tutti gli
esseri umani passati, presenti e futuri. Il fatto talmente inverosimile che considero
assolutamente penoso il tentativo di darne delle presunte prove storiche"
(le pie donne davanti al sepolcro vuoto, i viandanti di Emmaus, la curiosit di
San Tommaso, eccetera). Chi si mette su questa strada a mio avviso pi ateo" di un commissario politico
bolscevico, perch degrada la divinit a fenomeni di suggestione individuale e
collettiva. In proposito il pi grande ed insuperabile teologo cristiano di
tutti i tempi (ripeto: di tutti i tempi) mi sembra essere stato ed essere
tuttora Tertulliano, che mise la parola fine al problema della palese inverosimiglianza
con la magnifica formulazione credo quia absurdum". Lo scarso successo di
Tertulliano presso gli apparati ecclesiastici contemporanei e posteriori,
insieme con il vago imbarazzo suscitato anche solo evocando la sua insuperabile
ed onesta formulazione, dovuto ad un
fenomeno di ipocrisia strutturale, che
evidentemente un fattore ineliminabile nella riproduzione del legame
sociale. Nessuna societ, infatti, potrebbe legittimarsi sulla base
dell'assurdit. Quale papa infatti potrebbe pretendere di essere obbedito se
ammettesse apertamente che la auctoritas si basa su di una premessa assurda? La
vittoria tennistica di Tommaso d'Aquino su Tertulliano quindi scritta a priori nelle cose stesse. Ma
si tratta, come vedremo, della vittoria di Aristotele e della sua teoria della
natura umana, non la vittoria della fede" nella ripresa dei battiti del
cuore molte ore dopo la morte sulla croce. In terzo luogo, ritengo verosimile
che Ges di Nazareth sia stato crocifisso sulla base di un accordo informale fra
l'autorit politico-militare romana di occupazione (Ponzio Pilato) ed il
sinedrio collaborazionista mafioso ebraico, che si sono spartiti cos le
responsabilit della condanna a morte. Se consideriamo parzialmente credibili, e
quindi verosimili, i testi evangelici, risulta poco verosimile che Ges fosse un
partigiano zelota armato, mentre era pi verosimile che avesse frequentato
precedentemente ambienti di esseni, cio di comunit in attesa messianica di un
Maestro di Giustizia. E dal momento che il maestro di giustizia appunto qualcuno che fa giustizia (terrena e
comunitaria), diventa verosimile che Ges si facesse annunciatore di un Anno di
Misericordia del Signore (cfr. Luca 4, 1430), e cio di una redistribuzione di
tipo parzialmente comunistico" della ricchezza sociale, unita alla
liberazione di coloro che erano divenuti schiavi per debiti. Dal momento che
questo annuncio messianico (cfr. Isaia 53; Saggezza di Salomone 2, 13-20) non
era un reato penalmente rilevante nella legislazione repressiva dell'occupante
romano, per poter crocifiggere il rompiscatole Ges bisognava inventarsi un
reato di insurrezione armata di tipo zelotico, che esattamente quello che fecero gli occupanti
romani ed i loro collaborazionisti sadducei e farisei. E allora Ges fu
crocefisso per il reato di essere re dei Giudei", che era l'appellativo
dato ai capi partigiani armati zeloti, che volevano per l'appunto sostituire un
nuovo regno di Giudea" alla provincia romana occupata, e che poi tentarono
di farlo con l'insurrezione generale del 67-70, finita come noto con la grande ingiustizia
dell'espulsione del popolo ebraico dalla Palestina, ingiustizia che non viene
certamente sanata dall'insediamento sionista in Palestina e dall'espulsione dei
suoi abitanti arabi, notoriamente del tutto innocenti sia dei fatti del 67-70,
sia del genocidio di Hitler 1939-'45. Quanto dico, che aristotelicamente verosimile, non c'entra
comunque nulla con la credenza inverosimile nella resurrezione, ma c'entra
invece molto, anzi moltissimo, con quella che dovrebbe essere la dottrina
sociale" delle chiese cristiane, dottrina fondata sull'anticomunismo
laddove invece il fondatore della ditta era a modo suo comunista", e ci
risulta verosimilmente dai testi. In quarto luogo, infine, la religione cristiana
non sarebbe mai nata su queste basi ebraico-messianiche, e si sarebbe esaurita
in pochi decenni come accadde per altre centinaia di rivelazioni messianiche
seguite infallibilmente dallo sterminio dei loro sostenitori se Paolo di Tarso,
cittadino romano di lingua greca, non l'avesse riformulata come dottrina di
salvezza universale non legata ad un unico presunto popolo eletto". Questa
riformulazione universalistica non avrebbe mai potuto avvenire, o almeno verosimile che non avrebbe potuto avvenire,
senza la concezione cosmopolitica e provvidenzialistica (kosmopolis, pronoia)
diffusa nei tre secoli precedenti dalla scuola del Portico Dipinto. Paolo
riformul questa concezione nella forma dell'asservimento volontario di liberi,
liberti e schiavi ad un Unico Salvatore (cfr. Lettera ai Corinzi 7, 20-24), e
fu questa la forma che assunse il cristianesimo per poi attestarsi su di essa
per venti secoli. E questa allora l'episteme cristiana, e cio il fondamento su
cui sta in piedi la fede nella resurrezione, l'absurdum tertullianeo che in
quanto tale non pu essere oggetto di dialogo filosofico nel senso del logos
sokratiks, unita all'esortazione all'asservimento simbolico volontario
interclassista (liberi, liberti e schiavi) ad un Dio liberatore. Ma questo Dio,
appunto, se vuole essere pensato filosoficamente, non pu che esserlo nella
forma della equazione Uno = Bene, che i neoplatonici antichi seppero
mirabilmente realizzare. L'adozione da parte dei cristiani della filosofia
neoplatonica, allora, non fu in nessun modo un tradimento" del messaggio
sociale messianico comunista" del cosiddetto vero" Ges di Nazareth,
ma fu una fisiologica, normale e provvidenziale operazione di adattamento ad
una realt sociale integralmente mutata, che non avrebbe permesso in alcun modo
l'applicazione del messaggio originario. Ho studiato a suo tempo in dettaglio
il trentennio decisivo della istituzionalizzazione del cristianesimo (310-340),
e non mi stupisce affatto che le chiese organizzate abbiano calato su questo
trentennio un silenzio asfissiante, forse maggiore addirittura di quello calato
sulla vita verosimilmente ricostruibile del Ges storico. Non parlo solo della
scelta di Costantino, uomo cinico e crudele, di legittimare prima (313) e di
istituzionalizzare poi (325) il cristianesimo come strumento del potere
imperiale. La cosa troppo ovvia per aver
bisogno di essere dimostrata, se pensiamo che gi nel 314 al concilio di Arles
(oggi diremmo in tempo reale", un solo anno dopo il 313) la chiesa scomunica
gi tutti coloro che rifiutavano il servizio militare, fregandosene altamente
del fatto che gran parte dei suoi santi e dei suoi martiri erano stati proprio
soldati che avevano rifiutato il servizio.
invece interessante che la chiesa insista sul fatto che la verit,
se vera, non pu essere messa ai voti,
quando in realt tutto il dogma cristiano nacque sulla base di una casuale messa
ai voti. Il concilio di Nicea, aperto il 22 maggio 325, e di cui sono poi
misteriosamente spariti tutti i verbali della discussione, vide la vittoria
della posizione di Atanasio (e cio quella trinitaria) su quella di Ario, che pi
sobriamente considerava Ges una sorta di uomo di Dio" (del tipo di
Maometto con Allah, se mi si perdona la semplificazione). Questa vittoria fu
frutto di una casuale messa ai voti sulla base di una normale prassi di
maggioranza e minoranza, e fu resa possibile dalla determinante posizione
dell'imperatore Costantino, il cui consigliere, Osio vescovo di Cordova,
riteneva saggiamente che un Cristo-Dio sarebbe stato un principio sacrale di
legittimazione imperiale molto superiore di quanto lo sarebbe stato un Cristo
tipo Platone, Mos o Maometto. Il 325 vide l'inizio (il lettore ha letto bene:
l'inizio) di un secondo ciclo di persecuzioni talvolta ben pi pericoloso e
crudele del primo di tipo neroniano e dioclezianeo, in cui vennero colpiti i
vari donatisti ed altri ribelli del tempo.
anche curioso che Costantino, che pure nel 325 aveva favorito la
vittoria di Atanasio su Ario, probabilmente per le ragioni che avevano spinto
Osio a consigliarlo in tal senso, se ne pent quasi subito, per cui dieci anni
dopo (335) convoca un concilio a Tiro, condanna Marcello ed Atanasio, i massimi
teorici del dogma trinitario niceno e riabilita l'ottantenne Ario. In quanto a
Costantino, secondo Eusebio di Cesarea viene avvelenato due anni dopo (337) dai
suoi cugini. E poi c' della gente che se la prende con Stalin. Le origini del
cristianesimo istituzionale sono integralmente tessute di votazioni casuali a
maggioranza (325), di ritorni indietro di 180 gradi (335) e di complotti
sanguinosi (337). Sono d'accordo sul fatto che la verit non pu essere messa ai
voti, ma se coloro che lo affermano rivestiti di stole dorate ripensassero al
modo in cui si storicamente costituito
il loro dogma avrebbero certamente buone ragioni per riflettere sul modo in cui
lo Spirito Santo (Agion Pneuma) si afferma (o pretende di affermarsi) nel
mondo. Ma lasciamo per un momento questa valle di lacrime per tornare alla
nostra amata dialettica. Molti studiosi sostengono che Ario rappresentava il
vero" spirito razionalistico greco, riluttante ad avallare le assurdit in
cui credeva invece Tertulliano (crocifissione, morte, resurrezione, ascesa al
cielo, promessa di immortalit per tutti, eccetera), e con Atanasio ha invece
vinto una sorta di inspiegabile irrazionalismo demenziale. Ad esempio, Engels
credeva qualcosa del genere. Mi permetto di dissentire. In primo luogo, beati
coloro che ritengono di conoscere il vero" spirito greco. Io non ho la
presunzione di annoverarmi fra costoro, eppure da una vita frequento gli
spiriti dei greci dalla colazione alla cena. In secondo luogo, e questo
punto ben pi importante del primo, il
dogma trinitario niceno dell'incarnazione divina del Padre nel Figlio mi sembra
corrispondere meglio all'intuizione neoplatonica (confermata da Cusano, come ho
rilevato nel capitolo precedente) per cui l'uomo, essere intermedio fra Dio e
le bestie, parte integrante per di
un'unica scala divino- umana in cui si d un'unica dialettica ontologicamente
unitaria discendente-ascendente, e viceversa. Fu naturalmente una iattura (qui
esprimo la mia eretica opinione, senza alcuna pretesa di diventare eresiarca)
che su questa sobria e razionale concezione neoplatonica si innestasse la
sciagurata antropomorfizzazione della divinit di origine ebraica. Una divinit
antropomorfica (si veda George Bush, lo Hitler dei nostri tempi sciagurati)
stabilisce alleanze con popoli e punti di vista privilegiati, laddove una buona
emanazione (aporroia, proodos) universalistica
per sua propria natura, e ride dei buffoni che pretendono di parlare a suo
nome. L'opinione per cui il dogma dell'incarnazione di Atanasio filosoficamente superiore alla sobria visione
di Ario, nonostante a prima vista sembri proprio il contrario, fu
autorevolmente sostenuta da Hegel, ed io personalmente la condivido. Per
condividerla, infatti, non necessario
crederci", perch la dialettica ha questa caratteristica, che non pretende
mai che si creda", ma semplicemente che ci si ragioni sopra. La societ
feudale europea istituzionalizz il cristianesimo (proclamazione del Sacro
Romano Impero nell'800, eccetera), e d per scontata nel lettore la conoscenza
dettagliata di questo fatto notissimo. Per sua natura, il cristianesimo fede, e non filosofia, e la sua stessa
weberiana razionalizzazione della vita quotidiana nasce originariamente dal
costume consolidato nei popoli non da una dialettica ascendente-discendente elo
da una teoria della natura umana. Il suo raddoppiamento" filosofico per inevitabile, per il semplice fatto che la
gente ragiona (zoon logon echon), e ragiona non da sola ma in societ (politikn
zoon), e ragionando fa filosofia lo voglia oppure no, eccetera, il serbatoio da
cui il cristianesimo assunse la sua filosofia fu per fortuna il grande
serbatoio della grecit, e questo lo protesse dai miti barbarici di tipo
biblico, pieni di stragi fra pretendenti al trono, stermini di innocenti
bambini egizi massacrati per punire il faraone, ammazzamenti in tenda da parte
di Giuditta appena giaciutasi con Oloferne, ed altre cose tribali di questo
tipo. Dallo stoicismo il cristianesimo desunse il concetto di provvidenza
(pronoia), ma i due depositi principali restarono il platonismo e
l'aristotelismo. Il loro intrecciarsi ed il loro lottare l'uno contro l'altro
sono una vera e propria radiografia che, se letta in controluce, permette di
capire un millennio di pensiero occidentale. L'uso ideologico del platonismo e
dell'aristotelismo, naturalmente, non deve mai far dimenticare i rispettivi
contenuti di verit che queste due venerabili scuole ci hanno tramandato. Il
fatto che le opere di Aristotele fossero tradotte in epoca relativamente tarda
dall'arabo al latino saltando" il greco, dai traduttori di Toledo, generalmente presentato come un deprecabile
fatto casuale, dovuto allo scarso numero di conoscitori della lingua greca
nell'occidente feudale. Sciocchezze. Se ci fosse stato un bacino sociale di
accoglimento della filosofia di Aristotele (la falsafa di Averro) si sarebbero
trovati in cinque anni traduttori persino dal mongolo e dal turcomanno. In
realt la domanda sociale" di filosofia aristotelica presuppone un ambiente
urbano socialmente articolato in cui la filosofia possa essere praticata in
modo relativamente libero, laddove lo schema gerarchico del neoplatonismo
feudale (e qui ha ragione Samir Amin) si adattava meglio allo schema trinitario
della societ europea del tempo (bellatores, oratores e laboratores), ed una
buona gita guidata a Mont Saint-Michel in Normandia permette di capirlo al
volo. La filosofia di Aristotele viene acclimatata in Europa nel duecento,
secolo delle cattedrali gotiche e della grande rinascita urbana, commerciale e
manifatturiera. Con questo il platonismo non viene affatto spazzato via, anzi,
e la stessa teologia francescana lo preferir sempre alle novit aristoteliche,
troppo razionalistiche per i suoi gusti orientati alla simplicitas ed alla
paupertas. Lo stesso Occam, a mio avviso la figura pi interessante della
teologia medioevale della chiesa invisibile (altro che anticipatore medioevale
dell'empirismo), non un aristotelico,
perch gli basta applicare alla logica i due principi della paupertas e della
simplicitas per giungere al semplicissimo concetto per cui il vero
cristiano l'individuo, non ulteriormente
divisibile e resecabile, che imita la povert e la semplicit di Cristo. Come poi
il principio dell'individualit, cui Occam diede un contenuto cristiano, sia poi
evoluto in una forma possessiva borghese dopo Hobbes, ebbene questo un oggetto privilegiato della dialettica, e lo
affronteremo nel prossimo capitolo dedicato alla critica fatta da Rousseau al
contrattualismo del suo tempo. Tornando alle traduzioni di Aristotele in
latino, noto che prima Alberto Magno e
poi Tommaso d'Aquino le utilizzarono per edificare il magnifico palazzo della
teologia domenicana medioevale. Si tratt, e non poteva essere altrimenti, di un
ritorno indiretto alla filosofia della natura umana di Protagora e di
Aristotele, in cui la convivenza umana e le sue forme giuridiche e politiche
non viene pi dedotta da una lettura fondamentalistica dell'antico testamento
(come avviene in Bush, lo Hitler dei nostri tempi), ma da un'interpretazione
razionalistica della natura umana. Da Tommaso d'Aquino a Ratzinger c' qui una
continuit che solo i superficiali non riescono a vedere, ed infatti i teologi cristiani
intessono oggi le loro logomachie con i laici proprio sulla base razionalistica
delle cosiddette verit naturali", e non pi sull 'auctoritas dei dogmi
rivelati. Su questa base, e qui concludo, lo stesso Tommaso d'Aquino giunse a
giustificare l'appropriazione comunista dei beni, sostenendo che in caso di
estrema necessit tutte le cose sono comuni" (omnia sunt communio).
Principio cui il neoliberalismo di oggi non
ancora arrivato. Ma non mai
troppo tardi. Capitolo settimo La dialettica di Rousseau ! Mentre
l'individuo una realt ontologica e
filosofica, l'individualismo una ben
precisa ideologia politica che non avrebbe neppure potuto sorgere se prima non
avesse avuto storicamente luogo una specifica individualizzazione privatistica
della societ occidentale. Tuttavia, il termine latino in-dividuum, ente non
ulteriormente divisibile, solo il calco
del greco a-tomon, e significa quindi atomo sociale", una sorta di
principio originario che ha in se stesso il proprio fondamento. Ma nessun ente
umano pu avere in se stesso il proprio fondamento assoluto. Non lo pensavano
Eraclito e Platone, e non lo pensavano neppure Aristotele ed i neoplatonici,
pagani o cristiani che fossero. In breve, questi nostri nobili progenitori
pensavano che l'individuo, che essi preferivano intelligentemente chiamare
anima" (psyche), o era parte di una comunit sociale e politica all'interno
della quale esercitava le proprie virt etiche, oppure era un essere intermedio
fra le divinit e le bestie, e come essere intermedio partecipava delle une e
delle altre, e non era pertanto titolare di un'impossibile libert assoluta,
astratta ed incondizionata. Se dovessi (so di espormi molto, ma quando ci vuole
ci vuole) dire quale sia la proposizione filosofica pi stupida e fuorviante del
Novecento, secolo che ha prodotto idiozie su scala industriale, direi che questa frase di Sartre del 1946: "La
natura umana non esiste, l'uomo semplicemente ,
ci che vuole essere. Nessuno sar mai in grado di spiegare le proprie
azioni in rapporto ad una specifica e determinata natura umana. In altre
parole, il determinismo non esiste. L'uomo
libero. L'uomo libert". Un
anno dopo, nel 1947, nella sua Lettera sull'Umanesimo (testo trenta volte pi
geniale di quello di Sartre L'esistenzialisimo
un umanesimo, ed il lettore capir presto il perch), Martin Heidegger
diagnostic subito genialmente che cos'era che non andava in questa prometeica
ed infondata sparata di Sartre, e cio l'apologia dello sradicamento originario
elevata a principio ontologico (o pi esattamente pseudo-ontologico, in quanto
ogni esistenzialismo negazione
dell'ontologia), e sostenne che in questo modo "ogni essente girava su se
stesso come animal rationale". Non si poteva capire meglio l'essenza del
problema. Mentre il pensiero greco aveva sostenuto l'esistenza della natura
umana, l'aveva definita, e per evitare che potesse essere interpretata come
pura potenzialit astratta l'aveva collegata con il concetto di "atto"
(energheia), ed aveva poi perfezionato questa scoperta con l'inserimento
neoplatonico dell'uomo inteso come essere intermedio in una scala ontologico-
dialettica che lo inseriva in un arco di possibilit esistenziali limitate ai
due estremi dagli dei e dalle bestie, l'idiozia e lo sradicamento novecenteschi
si illudono di poter fondare l'uomo su se stesso. Ma l'uomo fondato su se
stesso gira su se stesso come una trottola e non pu in questo modo andare da
nessuna parte. Se poi scendiamo su di un piano non pi filosofico ma
politico-sociologico, il fatto che questa frettolosa e stupida posizione di
Sartre abbia potuto avere tanta fortuna non pu stupire. L'allontanamento del
marxismo storico novecentesco dalla posizione potenzialmente
idealistico-aristotelica di Marx (il lettore aspetti l'undicesimo capitolo per
leggere le motivazioni che porter per giustificare teoricamente questa
connotazione) consiste infatti in ci, che da un lato si cade in un determinismo
meccanicistico che dovrebbe "dedurre" l'avvento ineluttabile del
comunismo dal movimento interno dello sviluppo obbligato della produzione
capitalistica, e dall'altro si cade invece in una posizione apparentemente
contraria, che nega la natura umana e vede la libert umana come un assoluto che
pone se stesso e non ha bisogno di nient'altro per essere posto. Il lettore che
conosce la dialettica, e sa bene che gli opposti sono sempre in correlazione
essenziale anche e soprattutto in quella particolare ontologia che L'Ontologia della Stupidit, non se ne stupir.
Gli altri invece si stupiranno, ma allora non mi resta che consigliargli un
corso elementare di dialettica. Nel concreto "intellettuale di
sinistra" europeo novecentesco, uno dei profili umani meno filosofici e pi
arroganti della lunga storia evolutiva dell'uomo sapiens, il determinismo
teleologicamente prefissato di Kautsky (imprudentemente ereditato da Lenin, che
io per tengo a scusare, perch almeno ha fatto la rivoluzione del 1917) si sempre sposato con il prometeismo della
libert assoluta di Sartre, con il bel risultato di gettare nel pozzo le
faticose conquiste del pensiero greco da Eraclito a Plotino. Chi non ha ancora
capito che a questo punto inutile
continuare a fare la guardia al bidone di benzina vuoto e ci vuole una
"svolta" refrattario a
qualunque lezione sia della filosofia che della storia, che pure a partire dal
1923 Giovanni Gentile ha voluto intelligentemente che fossero praticate
insieme. Ma torniamo al nostro "individuo" moderno. Dal momento che
questo individuo un in-dividuum, un ente
non ulteriormente divisibile, chiaro che
questo concetto non pu che avere come sua genesi storica e sociale una
divisione, e cio una resecazione. E da che cosa, di grazia, questo
in-dividuum diviso, e cio resecato? Ma
chiaro. diviso, e cio resecato e tagliato via da una comunit
precedente, in modo da poter immaginare che sia originario. A Socrate non
sarebbe mai venuto in mente di essere "originario". Sapeva di essere
un membro libero della polis degli ateniesi, e che la sua libert si esercitava
in uno spazio sociale ben preciso. Non si tratta ovviamente di fare l'apologia
neoclassica di questo spazio sociale. Si trattava di uno spazio sociale che
discriminava gli schiavi, gli stranieri e le donne, e che decideva
periodicamente a maggioranza democratica integrale massacri come quello degli
abitanti dell'isola di Milo che avevano avuto il torto di voler restare
neutrali nella demenziale guerra fra Atene e Sparta. Questa libert socratica
non era per niente "organicistica", perch implicava sempre il poter
dire s oppure no, all'interno di un orizzonte decisionale in cui questi s e no erano
per fondati e trovavano la propria sensatezza. Ora per Hobbes, il primo teorico
cosciente della nuova produzione mercantile precapitalistica, deve inventarsi
uno stato di natura di individui originari in cui ciascuno un lupo per l'altro (homo homini lupus),
stato di natura che a sua volta pensato
come una guerra permanente di tutti contro tutti (bellum omnium contra omnes).
Questo dato di natura, ovviamente, non
mai esistito. Come a suo tempo ha rilevato Horkheimer in un suo
magistrale studio sugli inizi della filosofia borghese della storia, questo
stato di natura hobbesiano caratterizzato dalla guerra sociale di tutti contro
tutti una metafora del nuovo legame
sociale capitalistico caratterizzato dall'appropriazione capitalistica
selvaggia ed incontrollata. Non allora
un caso che Hobbes individui proprio in Aristotele e nella sua razionale teoria
della natura umana il vero nemico da abbattere. La filosofia di Aristotele per Hobbes un mostro metafisico"
(Empousa), in quanto sostiene che l'uomo
un animale razionale e sociale. Eh no, signori! L'uomo invece un animale irrazionale e asociale. O
meglio, un animale che possiede pur
sempre tanta razionalit da fargli capire che, dal momento che il valore
principale per tutti la vita, conviene
delegare integralmente allo Stato i propri presunti diritti originari (pactum
subjectionis) piuttosto che vivere in uno stato di timore e di insicurezza
permanenti. Su questa base hobbesiana, tuttavia, la produzione capitalistica
non avrebbe mai potuto consolidarsi ed assestarsi. Il mercato delle merci (fra
cui la merce principale, la forza- lavoro salariata) ha bisogno di raddoppiarsi
con un mercato delle opinioni, in quanto le stesse opinioni sono pur sempre un
segnalatore" della riproduzione sociale cos come lo il prezzo per le merci normali. Il
capitalismo spontaneamente
liberale", non certo fascista (e tanto meno ovviamente comunista").
Furono allora prima Locke (inizialmente su di una base ancora ispirata al
Diritto Naturale ed al Contratto Sociale) e poi Hume (gi assestato su di una
base scettica ed utilitaristica che negava ogni fondamento sia al Diritto
Naturale che al Contratto Sociale) che misero realmente le fondamenta
filosofiche stabili e permanenti alla visione capitalistica del mondo, che si
fonda da allora su di una doppia sacralit, la sacralit della libert e la
sacralit della Propriet, sacralizzate insieme in una peculiare unit metafisica
che cercheremo fra poco di chiarire. E giunge allora Jean-Jacques Rousseau.
Rousseau ha dato in vita un meraviglioso consiglio preventivo ai suoi futuri
commentatori affermando in modo lapidario: "Preferisco indulgere nei
paradossi, piuttosto che nei pregiudizi". In effetti, non si potrebbe dire
di meglio. Chi indulge nei paradossi molto spesso sbaglia, ma almeno il
suo uno sbaglio fecondo e produttore di
effetti positivi, mentre invece il rimestatore di pregiudizi, che oggi ha
assunto la forma del "Robot Replicante Politicamente Corretto", resta
un sacerdote della banalit pietrificata. Il pensiero di Rousseau un monumento al paradosso, e nello stesso
tempo un monumento alla libera intelligenza umana, e questo lo dico in quanto,
come cercher di mostrare fra poco, non condivido affatto n il metodo n la
sostanza del suo pensiero. Ma per me l'eventuale condivisione o l'eventuale
dissenso non sono mai stati criteri per giudicare la grandezza di un filosofo.
Chi si muove in base a questo criterio fa del Narcisismo, non della Storia
della Filosofia degna di questo nome. Dal momento che bisogna pur partire da
qualcosa, per riflettere su Rousseau partir da questa sua citazione
illuminante: "Nego che la malvagit sia connaturata alla specie come
insegna il sofista Hobbes, o che sia necessario ammettere la dottrina del
peccato originale, propagandata dal retore Agostino". Dal momento che in
questa breve frasetta c' contenuto in nuce tutto Rousseau far immediatamente
tre ordini di rilievi. In primo luogo,
importante rilevare il fatto che Rousseau attacca contemporaneamente il cristianesimo
(il retore Agostino) e l'ideologia che oggi chiameremmo "borghese"
(il sofista Hobbes). Questa critica duplice diventer poi l'asse portante - pi
di un secolo dopo - della cultura cosiddetta "marxista". Certo, ci si
pu chiedere se e fino a che punto Rousseau avesse capito l'essenza del
cristianesimo e dell'ideologia borghese oppure ci stesse solo proiettando sopra
i suoi fantasmi. Un cristiano potrebbe dire che l'essenza del cristianesimo, o
pi esattamente del messaggio evangelico,
l'amore fraterno (agape), e non certo il peccato originale. Ottima
osservazione, se per trascuriamo il fatto che una delle principali critiche che
i pensatori cristiani novecenteschi hanno rivolto al marxismo (un nome fra
tutti, Augusto Del Noce) stata proprio
quella di aver negato il peccato originale e di avere cos promosso un
impossibile prometeismo umanistico assoluto. Sarebbe bene allora decidersi su
quale linea polemica assestarsi e quale argomento decisivo presentare, in nome
del sano e vecchio principio del rasoio di Occam. In quanto al difensore
liberale dell'ideologia borghese, egli potrebbe dire che il principio della
societ basata sulla propriet privata non
affatto l'egoismo hobbesiano, ma al contrario l'opposto principio della simpatia e
dell'immedesimazione simpatetica nell'altro sostenuto prima da David Hume e poi
da Adam Smith, principio effettivamente vigente nello scambio di merci, perch
se io non mi immedesimo nei desideri e nei bisogni del compratore non posso
neppure vendergli nulla. Tutti sanno infatti che un mediocre commesso
viaggiatore sa sulla natura umana concreta dei suoi contemporanei cento volte
di pi di un normale psicologo e mille volte di pi di un normale filosofo. Detto
questo, la strategia filosofica di Rousseau resta assolutamente paradigmatica,
nella sua scelta di investire contemporaneamente le due metafisiche gemelle e
complementari del cristianesimo e del laicismo borghese. In Italia, dove siamo
letteralmente soffocati dal teatrino delle logomachie (pi esattamente, delle
batracomiomachie) fra cattolici" (maglia nera) e laici" (maglia
azzurra), logomachie cui bisogna assolutamente iscriversi se si vuol comparire
nella lottizzazione delle tavole rotonde politicamente corrette e pluralistiche
(cui infatti io non posso partecipare anche e soprattutto perch non sono
iscritto a nessuno dei due partiti, e quindi logicamente non esisto" nella
simulazione culturale lottizzata), la doppia battaglia di Rousseau ancora certamente di attualit. In secondo
luogo, come ha a suo tempo genialmente rilevato Ernst Cassirer, Rousseau fonda
in questo modo la religione occidentale della Politica, che in questo modo ha
meno di tre secoli di vita. Nella fase storica precedente, quella della
societas Christiana, il male nel mondo non era mai considerato come qualcosa di
sociale", ma come qualcosa di voluto da Dio, che bisognava allora in
qualche modo giustificare" (donde la teodicea" di Leibniz e la
contro- teodicea di Voltaire, eccetera). Ora, invece, la colpa dell'ingiustizia
e del male nel mondo non pi di Dio,
ma della Societ. Si tende in genere a
credere che il punto di vista lassistico e tollerante verso il crimine o verso
l'insuccesso scolastico, per cui la colpa non
dei singoli, ma della societ", sia un principio che risale a Marx.
Errore. Si tratta della banalizzatone e della volgarizzazione successive di un
principio che risale a Rousseau, che per non era un idiota, e non avrebbe mai
detto che la colpa di qualcuno che sgozza una vecchietta per comprarsi una dose
non di questo ignobile criminale,
ma della societ, della famiglia,
dell'ambiente, del capitalismo, della scuola, delle multinazionali, di tutto,
insomma, ad eccezione di questo scellerato coglione. La Sinistra Politicamente
Corretta e filosoficamente Analfabeta, che ha sempre pensato che Marx fosse
all'origine di questo demenziale sociologismo morale, laddove si tratta invece
di un particolare fenomeno di deresponsabilizzazione sociologica degli
individui dovuta proprio all'indebolimento della soggettivit borghese classica,
vada pure al suicidio in compagnia di queste banalit, ma non pensi che la colpa
sia di Marx (e neppure di Rousseau). In terzo luogo, infine, Rousseau di fatto il fondatore simbolico della
interminabile logomachia fra la Destra, che pensa che la colpa (o il merito)
della Diseguaglianza della natura, e la
Sinistra, che pensa invece che la colpa (o il demerito) della
Diseguaglianza della Societ. Su questa
base, bene dirlo subito, ogni
dialettica impossibile. La dialettica,
infatti, interviene solo quando i due opposti, che sono poi sempre e solo due
contrari in correlazione essenziale, vengono "sciolti" nella loro
rigidit opposizionale e ridefiniti all'interno del movimento dialettico stesso
e delle sue necessarie determinazioni.
Rousseau un precursore della critica di Marx al capitalismo, oppure no?
Non facile rispondere esaurientemente a
questa legittima domanda,ma prover egualmente a farlo. Si dice spesso che
Rousseau ha in testa una societ di piccoli produttori indipendenti che vivono
in comunit a misura d'uomo" in cui
possibile la pratica della democrazia diretta assembleare, e sono
possibili di conseguenza anche l'autogoverno politico e l'autogestione
economica integrali, laddove nella societ urbana, industriale e complessa"
di Marx tutto questo non sarebbe possibile. Non sono d'accordo. L'utopia
consiliare di Marx (e di Lenin, vedi Stato e Rivoluzione) indiscutibilmente di tipo russoviano. Eppure
il marxismo l'ha ereditata, ed ha a mio avviso fatto benissimo ad ereditarla.
La discontinuit fra Rousseau e Marx deve essere allora individuata in un altro
elemento, che ad un tempo teorico e
pratico. Rousseau si muove sul terreno del Diritto Naturale e del Contratto
Sociale, e sarebbe sciocco rimproverarlo su questo punto, come sarebbe sciocco
rimproverare Aristotele perch non conosce la fisica di Galileo, Newton e Einstein.
Sulla base della sua acuta ed intelligente interpretazione del Diritto Naturale
e del Contratto Sociale, egli esercita una critica radicale al precedente Patto
Iniquo e propone di sostituire questo patto iniquo che consacra la
diseguaglianza con un nuovo Patto Equo che permetta di superarla. Cos come il
codice neoplatonico (Uno = Bene = Dio)
alla base di ogni teologia monoteistica successiva, nello stesso modo il
codice russoviano (la sostituzione di un nuovo patto sociale equo al precedente
patto sociale iniquo) alla base di ogni
progetto rivoluzionario. Il posto di Rousseau nella storia della filosofia
occidentale cos assicurato per i secoli
dei secoli, e non saranno certo dilettanti come Fukuyama o Huntington a
scalzarlo con la loro teoria sulla fine americana della storia o sullo scontro
di civilt in cui necessario schierarsi
con l'impero criminale di Bush. Nello stesso tempo, esiste una specifica
carenza dialettica in Rousseau che occorre diagnosticare con precisione per non
rischiare di caderne vittima. Il patto sociale di Rousseau infatti un patto che viene stipulato fra
solitudini originarie. E probabile (anzi a mio avviso quasi sicuro) che
Rousseau abbia proiettato sull'intera societ del suo tempo la condizione di
solitudine esistenziale in cui ha vissuto tutta la sua vita, senza madre,
praticamente senza padre, invischiato in un rapporto affettivo morboso con una
madre-amante fittizia, padre di figli sistematicamente abbandonati sulla ruota
del conventi, in litigio continuo con tutti i suoi interlocutori, a suo agio
solo nelle passeggiate solitarie e nella silenziosa erboristeria, la sua vera
sola ed unica passione. Il suo stesso modello pedagogico fondamentale, il
giovane Emilio, un solitario che viene
educato leggendo il Robinson Cruso di Defoe ed imparando a fare con le proprie
mani tutto quello di cui ha necessit. Il contratto sociale che Rousseau propone
all'umanit un contratto fra individui
solitari originari, che trovano nelle feste e nelle cerimonie pubbliche (su cui
Rousseau non a caso insiste ossessivamente) l'unico reale momento di coesione e
di socializzazione. Hegel individu genialmente il "difetto di
fabbricazione" della filosofia politica di Rousseau in quella che defin la
"furia del dileguare", e cio la fretta di correre avanti verso la
nuova fondazione della societ lasciandosi dietro ogni precedente aggregazione
comunitaria, dalla famiglia ai gruppi professionali. Engels gli riconobbe
invece la paternit dello schema dialettico che poi Marx avrebbe riempito di
contenuti determinati (e cio Tesi: comunismo primitivo egualitario; Antitesi:
alienazione nella societ dei falsi bisogni, del lusso e della diseguaglianza;
ed infine Sintesi: il comunismo come ristabilimento dell'eguaglianza originaria
alienata), ma secondo me ha ragione Hegel, non Engels. La trafelata corsa in
avanti verso un patto sociale stipulato fra solitudini originarie soltanto il rovesciamento non dialettico
dello stesso schema delle solitudini egoistiche di Hobbes, e non pu che
incorrere negli stessi fallimenti. La dissoluzione del comunismo storico
novecentesco, che come Rousseau persegu la via dello scioglimento di ogni
societ intermedia fra l'individuo, da un lato, e lo stato-partito comunista,
dall'altro, ci trasmette l'insegnamento per cui non bisogna pi in futuro
seguire la stessa strada. E se esiste un insegnamento "dialettico",
ebbene questo sicuramente il pi
"dialettico" di tutti. Lode dunque a Rousseau, ma lode a chi ha
commesso un errore pratico e concettuale in cui non ricadere pi. Capitolo
ottavo La dialettica di Kant La piena comprensione della natura della
dialettica in Kant di cruciale
importanza per intendere in modo giusto lo sviluppo dell'intera filosofia
occidentale. Apparentemente, Kant ritorna alla vecchia posizione di Aristotele
che distingueva logica e dialettica, e come per Aristotele la dialettica la logica del verosimile, nello stesso modo
per Kant la dialettica la logica
dell'apparenza. Qui per finiscono le somiglianze, e comincia invece il discorso
serio e determinato. Aristotele si trova di fronte l'edificio veritativo eretto
da Platone, un edificio veritativo che aveva nella dialettica la sua logica
della verit, anche se nei suoi tardi dialoghi detti appunto
"dialettici, lo stesso Platone che
insinua volutamente nel lettore dei dubbi non solo metodici, ma addirittura
iperbolici (uso qui la terminologia di Descartes). Ed il dubbio iperbolico
massimo e principalissimo, per non dire unico, del metodo dialettico sta nel
pensare che esso dia luogo solo ad una logica dell'illusione e quindi della
menzogna. Aristotele non si sogna neppure di "sparare" sulla
dialettica come faranno poi in un clima avvelenato ed ideologizzato, e quindi
infetto per definizione, i vari Bernstein e Colletti (qui rimando il lettore al
capitolo quattordicesimo). Semplicemente, egli la "derubrica" a
logica del probabile e del verosimile. Il punto essenziale della questione sta
per in ci, che al tempo di Aristotele non esisteva una chiesa monoteistica
strutturata in cui la religione funzionasse da ideologia politica di
legittimazione statuale (o peggio partitica). La sua "metafisica",
che in realt una filosofia
"prima" di tipo ontologico (e quindi estremamente saggia e corretta), una proposta "gratuita" di
interpretazione filosofica del mondo, e non certo un apparato teorico da
adattare alle esigenze del potere. Nella misura in cui non proponeva neppure
una visione gerarchizzata del mondo (come
in effetti parzialmente vero per il neoplatonismo) non si adattava
neppure a funzionare come raddoppiamento simbolico del potere in una societ
"tributaria" (ricord qui l'interpretazione di Samir Amin). II
contesto storico in cui vive Kant
radicalmente diverso. Kant rappresenta il liberalismo in filosofia, o pi
esattamente nel rarefatto mondo delle idee filosofiche che si illude di essere
autonomo ed indipendente dai conflitti sociali e dalla rappresentazione del
legame sociale comunitario. E come il problema fondamentale della filosofia
politica del liberalismo era quello dei limiti del potere politico, nello
stesso modo il problema fondamentale di Kant era quello di fissare dei limiti a
quel particolare raddoppiamento ideologico del potere politico signorile ed
assolutistico che era il potere metafisico". Non c' qui lo spazio per
riassumere in dettaglio la terza parte della Critica della Ragion Pura,
intitolata Dialettica Trascendentale, in cui Kant dimostra con estrema abilit
come l'uso dialettico delle tre idee metafisiche di Anima, Mondo e Dio d luogo
inevitabilmente ad un paralogisma (falso ragionamento), a quattro antinomie
irrisolvibili ed infine a tre prove inconsistenti e del tutto incapaci di
dimostrare" l'esistenza di Dio. Il lettore pu utilmente rivolgersi ad una
buona storia della filosofia. Qui invece
pi opportuno riflettere sulla natura sociale e storica della dialettica (o pi
esattamente, della critica alla dialettica) di Kant, cosa che i manuali
generalmente non fanno, o perch lo ritengono superfluo e non pertinente
all'argomento, oppure (come io sospetto) perch non riescono neppure a
sospettare il problema. Le storie della filosofia sono infatti quasi sempre
organizzate sulla base di una premessa del tutto falsa, e cio che le idee
filosofiche caschino dal cielo o nascano come funghi, anzich essere una
produzione sociale, pi esattamente un raddoppiamento dei rapporti sociali
trasferiti in un cielo di idee, opinioni e convinzioni che si credono
originarie. Un po' di psicoanalisi filosofica (Freud) o di terapia del sospetto
(Ricoeur) non farebbe male. Ma
impossibile (o almeno io ho smesso di crederci da tempo) raddrizzare le
gambe ai cani. evidente, per fugare ogni
grottesco equivoco deterministico e sociologistico, che Kant non "lavora
su commissione" della borghesia capitalistica liberale del suo tempo, cos
come gli inventori medioevali del purgatorio non lavoravano direttamente su
commissione dei mercanti lombardi che prestavano ad usura e quindi volevano
lasciarsi una via di uscita. Il filosofo, se
un vero filosofo e non un miserabile scribacchino a contratto, dice le
cose in cui crede, e si stupirebbe anzi, oltre che indignarsi, se qualcuno
sospettasse che ha una "committenza", sia pure mediata ed indiretta.
Eppure, lo dico francamente, mi si pu chiedere tutto, ma non di rinunciare alla
convinzione per cui anche (e soprattutto) le idee filosofiche nascono in un preciso
contesto sociale e rispondono a bisogni conoscitivi e di orientamento anch'essi
sociali. Il fatto che il marxismo ideologico novecentesco abbia trasformato
questa profonda idea in una sgradevole burletta manipolata da maiali
burocratici supportati da seguaci urlanti, non
un argomento per gettare via il bambino con l'acqua sporca. E l'acqua
sporca l'uso ideologico della pratica
filosofica, mentre il bambino da salvare
l'idea della produzione sociale della conoscenza. Torniamo a Kant. Kant
vive in un periodo storico (la seconda met del settecento) in cui la
legittimazione metafisica dell'ordine sociale era gi da tempo in crisi, anche
se si continuava a tentare - per salvarla - una sorta di accanimento
terapeutico (pastori luterani in Germania, gesuiti nei paesi cattolici,
eccetera). Ci voleva per un genio filosofico come lui per esporre in modo
rigoroso e sistematico le ragioni teoriche per cui era bene che il mondo dei
fenomeni, e cio degli oggetti di conoscenza costruiti da una funzione
intellettiva universalistica, si staccasse dal mondo dei noumeni", cio da
quelle entit puramente pensabili ma non conoscibili e tanto meno sperimentabili
che per molti secoli erano stati sopra (teoria della trascendenza) oppure sotto
(teoria della sostanza) alla costituzione sociale della comunit gerarchicamente
strutturata in differenziali di potere, sapere, ricchezza e forza militare.
Sarebbe per ridicolo, anche se questa ridicolaggine frequente nelle storie della filosofia,
presentare Kant come un inconsapevole (o poco consapevole) precursore della
concezione positivistica della scienza, vista come forma di sapere unica ed
autosufficiente. Kant si dichiarava (e lo era) nnamorato della
metafisica", e considerava l'esigenza di totalizzazione metafisica del
mondo naturale e sociale insita nella natura umana e pertanto assolutamente non
sradicabile. Si tratta di un fatto ben noto anche agli studenti del primo anno
di filosofia. Eppure questo fatto ben noto
sistematicamente dimenticato dai moderni kantiani", che sono quasi
sempre dei normali positivisti filosoficamente un po' acculturati. Nei
confronti delle indimostrabili idee metafisiche di Anima, Mondo e Dio, Kant
utilizza la buona vecchia dialettica confutatoria di Zenone, sia pure
ovviamente su di una base aggiornata di tipo newtoniano che utilizza la
categoria di intuizione sensibile e di costituzione esclusivamente spazio-
temporale dei fenomeni oggetto di conoscenza intellettiva. Ma questa sola tecnica. II punto essenziale della
questione sta in ci, che Kant assolutamente
convincente, e qualunque lettore si metta ad esaminare le sue immortali pagine
confutatorie non potr che approvarle. I difensori della vecchia metafisica
"dimostrativa" non possono che uscirne sconfitti, e la loro
inevitabile sconfitta dialogico-argomentativa non che il riflesso raddoppiato della parallela
sconfitta ideologico-politica delle forze che volevano continuare a legittimare
il loro potere ed il loro modello di societ con un rimando metafisico.
Tuttavia, ci si pu chiedere quali siano le ragioni storiche del fatto che Kant
continui a sembrare "attuale" anche dopo pi di duecento anni, dal
momento che non siamo a Ryadh oppure a Khartoum, in cui si potrebbe sostenere
l'attualit di Kant contro le legittimazioni del potere islamico, ma viviamo in
luoghi ormai interamente secolarizzati e laicizzati, in cui neppure pi le
chiese cristiane delle varie confessioni ritengono seriamente di potersi
assestare sulle vecchie trincee metafisiche, e combattono ormai le loro
battaglie sulla base di una ripresa e di una riattualizzazione della vecchia
teoria aristotelica della ragione naturale e della conoscenza della natura
umana in societ. Si tratta di un segreto di facilissima interpretazione. La
critica dialettico-confutatoria di Kant demolisce le pretese conoscitive, che
erano per anche nello stesso tempo pretese di legittimazione sociale e
politica, della vecchia metafisica che ambiva ad una conoscenza
"vera" della totalit religiosa del mondo. La totalit, dice Kant con
ottimi argomenti, pu soltanto essere oggetto di riflessione, non di conoscenza
vera e propria. E per il vero problema storico che si afferma all'inizio
dell'Ottocento sta ormai in ci, che il principio ontologico della Totalit passa
dal cielo alla terra, e diventa il problema della valutazione ontologica
globale della totalit storica e sociale, che appunto la scuola idealistica
ritiene (a mio avviso correttamente) di poter insieme conoscere e valutare, o
pi esattamente conoscere ontologicamente e valutare assiologicamente. A questo
punto Kant si rivela non solo utile ma addirittura necessario. Gli ottimi
argomenti dialetticoconfutatori che Kant aveva impiegato contro la metafisica
classica, e di conseguenza contro le sue pretese ideologiche di legittimazione
sociale, possono essere riciclati e riattualizzati contro la nuova pericolosa
metafisica che nasce dalla sacrosanta pretesa di voler dare una valutazione
globale della nuova societ borghese-capitalistica, E probabile che Kant non
abbia potuto rendersi conto di questo possibile mutamento di funzione sociale
della sua mirabile filosofia critica. Sorta per porre dei limiti di tipo
liberale alle pretese assolutistiche della metafisica, la sua filosofia muta di
funzione in meno di un decennio, e viene riformulata in modo da poter porre dei
limiti alle pretese di giudizio globale, e cio "totale", sulla nuova
societ borghese capitalistica. Nel prossimo capitolo, dedicato a Fichte, questo
mutamento di funzione storica verr discusso in modo pi approfondito. Quello che certo
che Kant non era uno stupido ed arrogante positivista, e viveva ancora
in un periodo felice (il periodo magico del passaggio epocale dall'illuminismo
al romanticismo) in cui sembrava ancora impossibile, per dirla con Hegel, che
ci potesse essere un popolo civile senza metafisica. E infatti egli non intende
affatto distruggere e demolire la metafisica, ma intende sostituire quella
vecchia e fallace con una nuova e migliore. La sua metafisica allora direttamente un'etica. Il problema,
per, che a mio avviso porter infine al fallimento del suo pur nobile
tentativo, che non possibile costruire un'etica sociale su base
individuale, passando cio attraverso una somma di intenzioni soggettivamente
oneste e pure degli agenti sociali pensati come originari. Cos come Rousseau
non pu riuscire a costruire un vero nuovo patto sociale equo al posto del
vecchio patto sociale e iniquo sulla base di una somma di solitudini originarie
l'Emilio-Robinson autosufficiente), nello stesso modo Kant non pu pensare che
si possa veramente costruire una nuova metafisica, identificata con una etica
sociale autosufficiente (autonoma" e non eteronoma, nel suo linguaggio
specifico), sulla base di una morale dell'intenzione formale dei suoi agenti.
La morale dell'intenzione di Kant del
resto parallela ed omologa alla teoria dell'imprenditore capitalistico di Adam
Smith. Fa quel che devi, avvenga quello che pu, sostiene Kant. Intraprendi nel
miglior modo possibile, e la mano invisibile" del mercato metter le cose a
posto, afferma Smith. Questo doppio provvidenzialismo implicito sta alla base
sia della morale kantiana sia dell'economia smithiana. E vi in proposito un sintomo interessante nelle
analisi kantiane che i commentatori preferiscono troppo spesso mettere sotto
silenzio, quasi come se ne vergognassero. Si sa che grandi patologie a volte si
annunciano con piccoli sintomi, e la stessa cosa avviene per la morale
kantiana, a partire da un fatterello apparentemente marginale ma sintomatico.
Kant si lasciava spesso trascinare in discussioni di tipo controversistico su casi
detti concreti", che sono in generale casi in cui un principio generale
considerato valido costretto a smentire
la sua presunta universalit astratta ed a consentire eccezioni. Anche il pi
grande sostenitore dell'integrale abolizione della tortura dovrebbe obtorto
collo ammettere che se torturando un attentatore che ha posto una bomba in un
luogo segreto la cui esplosione ucciderebbe sicuramente almeno un innocente
(non parliamo poi di mille innocenti) fosse possibile disinnescare in tempo
questa bomba, la tortura diventerebbe ragionevolmente praticabile. Anche il pi
deciso sostenitore dell'abolizione della pena di morte dovrebbe deflettere
dalla sua posizione se fosse possibile dimostrare con assoluta sicurezza che in
un caso specifico la deterrenza prodotta da questa pena di morte porterebbe
alla salvezza di centinaia di innocenti (ed infatti gli oppositori della pena
di morte devono ripiegare sull'argomento utilitaristico per cui essa "non
serve a niente", e basta ed avanza una bella deterrenza carceraria per
ottenere effetti positivi). In sostanza, il fatto che chi si mette sul terreno
dei principi formali assoluti ( terreno in cui indubbiamente si messo Kant) deve poi quasi sempre introdurre
"eccezioni" che finiscono con il distruggere il suo bell'edificio
teorico finalmente coerente per me un
argomento decisivo per concludere che aveva ragione Aristotele quando diceva
che il giudizio etico non ha mai nessun a priori, ma sempre frutto di una decisione concreta e di
una deliberazione sul particolare frutto di una saggezza pratica (sophrosyne,
prudentia) che non sopporta vincoli formali astratti, del tipo degli imperativi
categorici kantiani. Se qualcuno preferisce il linguaggio tennistico con il suo
relativo punteggio, allora scriverei questo risultato in tre soli set:
Aristotele-Kant 6-0, 6-0, 6-0. Espresso in modo inequivocabile e plastico il
mio giudizio sulla morale kantiana, vorrei anche introdurre un'ipotesi sulle
ragioni del suo apparentemente incredibile successo presso i preti, i moralisti,
i professori universitari di filosofia, ed altre categorie totalmente staccate
dalla vita quotidiana. Il successo dell'inapplicabile morale kantiana ha le
stesse basi teoriche e sociali del successo bimillenario dell'etica evangelica
del porgere l'altra guancia al nemico che ti schiaffeggia: la loro totale ed
integrale inapplicabilit. questo un
punto teorico ad un tempo elementare ed incomprensibile per il fariseo e per
l'ipocrita medio. Una morale parzialmente applicabile d infatti luogo ad
inevitabili controversie applicative (morale utilitaristica, morale
eudemonistica, morale religiosa rivelata, morale del sentimento, morale
consuetudinaria, eccetera). Una morale totalmente inapplicabile, invece,
come quella kantiana, a suo modo perfetta, perch instaura una tale
schizofrenica separazione fra mondo della forma e mondo del contenuto da
saldare cos tutti e due. Facciamo un esempio appunto
"controversistico". Kant sostiene che la menzogna deve essere evitata
in ogni caso, sempre e dovunque, perch in mancanza di una sicura conoscenza
noumenica della verit (Wahrheit), il contratto sociale reciproco deve almeno
basarsi sul principio della veridicit (Wahraftigkeit). Il vero noumenico, ma il veridico, cio il detto
sinceramente e senza mentire,
fenomenico. Come si vede, il kantismo vive di dualismi, dualismi che a
mio avviso riflettono la schizofrenia del mondo borghese nascente, che in
teoria onesto, illuministico e razionale
ed in pratica furfantesco, utilitarista
e magnamagna. Bene, fu obbiettato a Kant: ma se qualcuno inseguito da un
assassino si rifugia in casa tua, e l'assassino ti chiede se per caso il tizio
si rifugiato da te, non forse il caso di mentire? Bene, il buon senso
non-kantiano ed aristotelico avrebbe la risposta pronta, che non richiede una
laurea in filosofia: certo, legittimo
mentire, e salvare cos la vita dell'inseguito. Ebbene, udite udite, Kant
risponde che anche in questo caso non si pu derogare al principio assoluto ed
incontrovertibile della veridicit (Wahraftigkeit), e quindi non si pu mentire
all'assassino. Si pu comunque "sperare", aggiunge Kant, che
l'inseguito possa egualmente fuggire (immagino, per i tetti o con un dirigibile
attaccato al solaio), ed in ogni caso si sarebbe penalmente liberi da ogni
colpa. Per Kant, evidentemente, il fatto di poter essere assolti in tribunale
era pi importante del fatto di salvare la pelle all'inseguito dall'assassino.
Prego il lettore di credermi, anche se gli sembrer incredibile. Eppure io non
mi stupisco affatto, perch non si ha qui solo a che fare con la nota fanatica
stupidit del luterano di provincia tedesco, cui un po' di elasticit
mediterranea non potrebbe che fare del bene, ma si di fronte alla vera e propria tragedia di
qualsiasi morale formale a priori. Detto questo, il ruolo di Kant per la
fondazione dell'idealismo moderno resta innegabile, e gli idealisti stessi lo
hanno pi volte riconosciuto. Hegel, infatti, riconosce a Kant il merito di aver
restaurato la dialettica riattribuendole un senso obiettivo e mostrando che
certe determinazioni del pensiero sono, per loro stessa natura, necessariamente
contraddittorie e portano - lasciate a s stesse - ad irreparabili errori. Kant
avrebbe per sfortunatamente tirato l'errata conclusione che la ragione incapace di superare la contraddizione,
laddove sono invece queste stesse determinazioni a presentarsi come
costituzionalmente contraddittorie, perch ha attribuito la contraddittoriet al
solo pensiero e non anche alla realt. Il principio per cui la contraddizione fa
invece parte della realt il fondamento
dell'idealismo. La terminologia in
proposito ingannatoria, perch la teoria filosofica per cui la contraddizione
dialettica fa parte della realt dovrebbe essere denominata realismo, se i
termini potessero riacquistare un senso oggettivo. A proposito dei tre capitoli
successivi, che dedicher rispettivamente a Fichte, Hegel e Marx, ho avuto la
tentazione di definirli episodi del realismo filosofico, perch considero
infatti costoro non come idealisti" (per me i soli veri idealisti"
sono Platone e Plotino, se i termini vengono usati correttamente) e neppure
come materialisti" (per me infatti Marx
un universalista, non un materialista, come cercher di chiarire pi
avanti), ma come veri e propri realisti. E tuttavia la saggezza ci consiglia di
sottometterci provvisoriamente alla dittatura della tradizione terminologica
consolidata, nella quale il realismo"
inteso in senso gnoseologico come teoria del rispecchiamento della
conoscenza umana a partire da un dato presupposto come esterno, i cui
principali esponenti nella tradizione occidentale sono stati Tommaso d'Aquino e
Lenin, e questo non a caso, perch tutte le religioni monoteistiche, non importa
se fondate su Dio elo sulla Materia, devono presupporre religiosamente" un
dato esterno della conoscenza. Tutte le filosofie veramente rivoluzionarie,
invece, si fondano necessariamente sull'unit ontologica di soggetto e di
oggetto e sul corrispettivo processo dialettico progressivo di autocoscienza
del soggetto stesso. Ma qui Kant si ferma e deve fermarsi. Grande teorico dei
limiti della conoscenza umana, e di riflesso grande ideologo della negazione
delle normative della metafisica, Kant si
fermato esattamente nel punto in cui invece comincia la filosofia
contemporanea. Egli era legittimato integralmente a farlo, come uomo del suo
tempo. I moderni kantiani alla Habermas lo sono un po' meno, e vedremo nei
prossimi capitoli il perch. Capitolo nono La dialettica della prima forma di
idealismo moderno: Fichte I due principali passaggi d'epoca della storia della
filosofia occidentale sono stati probabilmente quelli che hanno portato prima
da Platone ad Aristotele, e poi da Kant alla filosofia dell'idealismo tedesco.
In entrambi i casi la questione della dialettica ha giocato un ruolo centrale.
Si invece sempre riflettuto troppo poco
sul fatto, spesso considerato ovvio ed indegno di ulteriore interrogazione
critica, che nei due casi citati c' stato un vero capovolgimento, e cio una
vera e propria inversione, nel modo in cui
stata considerata la dialettica in questi due delicati trapassi d'epoca.
Nel primo caso (passaggio da Platone ad Aristotele) c' stato un declassamento
della dialettica, che da logica del vero in Platone diventa logica del
verosimile in Aristotele, in cui in linguaggio sportivo potremmo dire che la
dialettica passa dalla serie A alla serie B. Nel secondo caso (passaggio da
Kant a Fichte e poi pi in generale all'idealismo tedesco posteriore) c' stato
invece un innalzamento della dialettica, una sua promozione alla classe
superiore, per cui da logica dell'apparenza che finisce inevitabilmente con
l'invischiarsi in paralogismi, antinomie e dimostrazioni inadeguate, essa
diventa invece la logica propria sia alla logica vera e propria, sia
soprattutto alla logica di sviluppo dell'agire umano nel mondo, e cio
dell'agire storico. Questi sono i fatti, gli incontrovertibili fatti. I fatti
per sono l proprio per essere interpretati. E allora, possiamo ritenere un
fatto puramente casuale che la dialettica dopo Platone sia stata
"retrocessa" (uso sempre un linguaggio calcistico), mentre dopo
Kant stata invece "promossa alla
serie superiore"? Personalmente, non lo ritengo per nulla un fatto
casuale, ma un fatto che deve e pu essere spiegato. In questo caso, allora, credo
che vi sia una differenza specifica fra le due epoche storiche, che cercherei
di formulare telegraficamente in questo modo: la totalit che cercava Platone
aveva alla base la nostalgia, mentre la totalit che cercavano Fichte, Hegel e
soprattutto Marx (il terzo grande idealista della serie) aveva invece come suo
motore ideale un'utopia. Spieghiamoci meglio. Al tempo di Platone, la bella
unit dialettica della comunit politica greca stava irreversibilmente
tramontando. poco probabile che Platone
non lo capisse. A mio avviso, certamente lo aveva capito. La Repubblica, spesso
frettolosamente definita in termini di "utopia politica", nel senso
di modello che si sa bene essere praticamente irrealizzabile e che si vuole
proporre comunque come paradigma ideale di armonia e di giustizia degno in ogni
caso di imitazione (mimesis), era in realt la sublimazione filosofica di una
nostalgia, ed per questo che Platone
indulge tanto nella rievocazione dei tempi passati, fino all'Atlantide
disegnata nel Crizia che poi ha dato luogo a tante ipotesi storiche e
geografiche di pura fantasia. Platone sa bene che questo modello razionale "reale", nel senso che realmente presente nell'unico mondo che per
lui veramente "reale" in senso
proprio, e cio il cielo iperuranico delle idee, ma sa anche che questo modello
reale-razionale (anche per lui, come per Hegel, vige ontologicamente ed
assiologicamente questa equazione) non potr mai diventare
"effettuale" (pragmatiks, wirklich) in quanto non c' alcuna
possibilit che questo si realizzi. La sua dialettica ascendente e discendente
(sinagoghe, diairesis) dunque il sogno
di una cosa e la sublimazione di una nostalgia. E qui appunto sta la sua forza
che l'ha resa immortale. Cos come Scorate non avrebbe mai potuto impersonare il
mito di fondazione del logos filosofico se avesse scritto qualcosa, in quanto
solo la parola non scritta pu essere messa all'origine della pratica filosofica
laddove la parola scritta e sacralizzata sta all'origine della religione
istituzionalizzata, nello stesso modo Platone non avrebbe mai potuto
impersonare il mito di fondazione della filosofia politica se avesse proposto
qualcosa di "realizzabile". Aristotele prende sobriamente atto di
questa palese ed evidente irrealizzabilit, e trasforma questa realistica presa
d'atto in "retrocessione" della dialettica, che passa cos dalla serie
A della Verit alla serie B della Verosimiglianza. Si tratta della vittoria
postuma di Protagora su Socrate, ma non si tratta affatto di una sconfitta
della filosofia intesa come logos sokratiks, il cui valore logico ed ontologico
di discorso veritativo (o pi esattamente, potenzialmente veritativo) una volta
generato diventa immortale. Nel delicato ventennio di passaggio dal criticismo
all'idealismo (1790-1810) siamo di fronte ad un orizzonte storico e sociale ben
diverso. In quanto teorico consapevole del liberalismo nel campo della
filosofia, e cio della fissazione di limiti alle pretese assolutistiche di
fondazione della metafisica, Kant fa ancora uso della dialettica nel senso
confutatorio di Zenone e di Aristotele, ed in questo semplicemente inarrivabile, perch ancora oggi
ci si domanda stupefatti come sarebbe possibile fare pi e meglio di come ha
fatto (la stessa domanda, sia detto incidentalmente ma non casualmente, che ci
si pone spontaneamente di fronte alla musica di Mozart o di Beethoven). Ma
l'epoca di gestazione e di trapasso (uso qui l'espressione di Hegel) che
l'Europa vive nel ventennio 1790- 1810
un'epoca che produce necessariamente un'utopia politica, l'utopia della
realizzazione sociale concreta e pacifica dei contenuti "razionali"
che un secolo di illuminismo aveva pur sempre proposto e sviluppato. In questo
contesto storico la dialettica non una
bizzarra invenzione di visionari tedeschi, come suggerisce il meschino punto di
vista positivistico e post- positivistico di oggi, ma semplicemente la "ricaduta"
filosofica di un movimento autonomo della societ europea del tempo. Certo,
l'utopia borghese non si realizzer, ed al suo posto si affermer la logica
sistemica dell'accumulazione capitalistica, i cui "filosofi
spontanei" sono Locke e Hume, e non certo Fichte e Hegel. Ma questa utopia
borghese resta come utopia del ringiovanimento filosofico del mondo
(Verjungen), ed il ringiovanimento utopico del mondo ha bisogno di una
dialettica come logica del vero e non solo come logica della confutazione e / o
del verosimile. Il restauratore del significato platonico di dialettica fu
Fichte, figlio della classe contadina tedesca, che nel 1794, scrivendo e
pubblicando la sua immortale Dottrina della Scienza (Wissenschaftslehre),
stabili metodologicamente la differenza di principio fra la "logica
formale" e la "dottrina della scienza". La logica formale la scienza dell'uso corretto delle categorie
del pensiero, e si basa sulla separazione metodologica di principio fra forma e
contenuto. La dottrina della scienza, invece, che una vera e propria scienza filosofica (mentre
invece la logica formale non lo ), presuppone un rapporto organico fra un
soggetto che progetta, agisce, trasforma e modifica il mondo ed un oggetto
naturale elo sociale che ne viene di conseguenza agito, modificato e
trasformato. Fichte, che si autodefinisce "idealista" mentre invece a
mio avviso un "realista",
definisce la realt in termini di sviluppo dialettico fra i due opposti in
correlazione essenziale del principio dell'Io e del Non-Io, per cui la
dialettica stessa pu essere definita come l'unificazione sintetica
dell'opposizione creatasi attraverso la determinazione reciproca. La scienza
filosofica c' allora, secondo Fichte, soltanto dove c' un fondamento che
consiste nell'unit logica fra soggetto ed oggetto. Per quello che pu valere,
sono pienamente d'accordo. Da strumento della logica confutatoria contro le
pretese assolutistiche della metafisica, la dialettica diventa (o ridiventa) lo
scheletro che sorregge la carne ed il sangue della scienza filosofica fondata
sull'unit fra soggetto ed oggetto. Unit fra soggetto ed oggetto la quale, come
almeno a me sembra chiaro (ma al lettore chiss), solo la metafora filosofica della fiducia
nella trasformabilit radicale del mondo reale che in quel ventennio aurorale
della nuova civilt moderna (17901810) sembrava ancora possibile. Come reagisce
Kant? In modo assolutamente prevedibile, reagisce con un atteggiamento di
totale e provocatoria incomprensione. Sacerdote dei limiti, cieco, sordo e muto di fronte ad una logica
dialettica dell'utopia. Il 7 agosto 1799 fa pubblicare una solenne
dichiarazione contro la filosofia di Fichte, in modo che fosse ben chiaro a
tutti che lui non c'entra nulla con quest'ultima. Dopo aver deplorato che
Fichte non si fosse limitato a fare il ripetitore della sua propria filosofia
ed averla definita come filosofia dell'elemento scolastico", Kant
dichiara: Con la presente dichiaro di considerare la dottrina della scienza di
Fichte un sistema del tutto insostenibile. Pura dottrina della scienza infatti n pi n meno che mera logica, la
quale, con i suoi principi, non pu presumere di arrivare fino all'elemento
materiale della conoscenza. Essendo pura logica, astrae dal contenuto di
questa, e volerne tirar fuori un oggetto reale
fatica sprecata, ed un'impresa
alla quale non si era ancora messo nessuno. E se poi la si tenta si costretti, ammesso che sia valida la
filosofia trascendentale, a passar subito oltre di essa, ed a finire nella
metafisica". difficile essere pi
chiari, e nello stesso tempo mostrare un'incomprensione tanto radicale.
Presupponendo il famoso elemento materiale della conoscenza" (immagino che
Kant alluda al noumeno come cosa in s", Ding an sich, che essendo in s
non per noi"), Kant rivela che
sotto ogni criticismo sta sempre un presupposto che con rincrescimento non
posso che chiamare materalistico-volgare.
volgare non perch sorbisce rumorosamente il brodo della minestra, ma
perch presuppone che la realt esterna non possa mai per principio essere
realmente mediata" dalla prassi umana, presupposto che il materialismo
volgare ha in comune con tutte le religioni rivelate di questo mondo. generalmente ammesso che il termine fichtiano
di Io rappresenta una metafora trasparente del concetto unitario di Umanit
concepita come titolare di un'attivit autosufficiente, che pu determinarsi
soltanto in un rapporto con il Non-Io da essa stessa posto, a sua volta
concepito come una metafora della "resistenza" naturale e sociale che
viene posta a tutti i progetti di emancipazione e di
"ringiovanimento" del mondo, senza appunto dimenticare mai che il
primo idealismo fichtiano prima di tutto
una filosofia romantica della giovinezza, vista come la sola forza vitale che
pu opporsi alla cosiddetta "epoca della compiuta peccaminosit"
(questa sbalorditiva espressione
esattamente quella usata da Fichte). E questo d luogo ad almeno due
ulteriori osservazioni di tipo storico. In primo luogo, Platone non avrebbe mai
potuto pensare l'unit dialettica trasformatrice del mondo in termini di un lo
inteso come metafora dell'attivit generale umana. non avrebbe mai potuto farlo perch ai suoi
tempi l'unit metaforica del mondo non poteva certo essere una ancora
inesistente Umanit intesa come un unico soggetto agente della storia universale
cosmopolitica, concetto che comincia faticosamente ad emergere nella scuola
stoica del Portico Dipinto, sulla base della sublimazione filosofica della
unificazione politica della cosmopoli attuata con mezzi militari da Alessandro
il Macedone (oikoumene). Per Platone l'Uno
certamente il Bene, ma lo sulla
base di una astrazione comunitaria limitata, la polis ben diretta da una vera
politela e non abbandonata all'arbitrio di un t'iranno consigliato da sofisti
senza onore e senza saggezza. Il Bene platonico non e non pu essere oggetto di un movimento
storico di emancipazione universalistica, e per questa ragione la sua dialettica bimondana, ascendente e discendente, e non
storico- monomondana. L'Io storico fichtiano
quindi per Platone letteralmente impensabile, cos come lo spazio-tempo
di Einstein lo sarebbe stato per il pur grande Aristotele. In secondo luogo,
Kant non avrebbe mai potuto aderire al programma filosofico rivoluzionario di
Fichte. In modo estremamente acuto Kant si rende conto che il miglior modo di
diffamare la filosofia fichtiana quello
di presentarla come un ritorno della vecchia metafisica (il famoso elemento
scolastico"). Cos come sar poi sistematicamente per due secoli con i vari
kantiani posteriori fino e oltre Habermas, l'inconoscibilit delnoumeno diventa
la metafora dell'intrascendibilit della societ borghesecapitalistica,
un'intrascendibilit che ovviamente non esclude l'accettabilit di politiche
riformistiche di tipo prima liberale e poi socialdemocratico, ma che nega a
priori la possibilit di un trascendimento sociale globale considerato
utopicamente impossibile, e quindi necessariamente anche potenzialmente
totalitario (e si veda in proposito la storia del kantismo italiano, in
particolare nella sua paradigmatica variante torinese di Nicola Abbagnano e di
Norberto Bobbio, che vivono la situazione bloccata dell'opposizione reale senza
contraddizione fra due poli egualmente sterili, il feudalesimo industriale e
l'impotenza patetica e programmatica della classe operaia della grande fabbrica
fordista). La filosofia di Fichte, a mio avviso, semplicemente splendida. Certo, nei prossimi
due capitoli studieremo le modificazioni che verranno proposte prima da Hegel e
poi da Marx. Con questo, non intendo dire che essa non contenga errori. E quale
filosofia non li contiene? In ogni caso, la filosofia di Fichte contiene
compiutamente in s sia una filosofia dell'ateismo umanistico sia una filosofia
della prassi politica attivale chi ripete che si tratta di due integrali invenzioni
di Feuerbach e di Marx, non fa che ripetere una convenzionale e conformistica
asineria. Cerchiamo di spiegarci meglio. A proposito di ateismo, nel 1799
Fichte fu brutalmente licenziato dall'universit di Jena con l'accusa di
"ateismo". In questa vicenda c' tutto il copione abituale di queste
storie, sempre diverse in superficie e sempre eguali nel fondo. C' lo studente
incauto ed estremista (un certo Forberg) che dice apertamente quello che il
professore nascondeva sotto formulazioni astratte e sofisticate. C' il solito
cittadino anonimo indignato che scrive alle autorit contro i "cattivi
maestri". C' il clima di isterismo emergenziale della cosiddetta
"opinione pubblica" (ieri la rivoluzione francese, oggi il
terrorismo, eccetera). C' la solita sordida vigliaccheria opportunistica dei
colleghi professori, che Fichte ingenuamente ritiene che solidarizzeranno con
lui in nome della libert d'opinione, e che immancabilmente lo gettano a mare
godendo come mandrilli perch con il suo licenziamento si fa subito libero un
posto da spartire e su cui lucrare uno stipendio in pi (in questo caso ad
approfittarne Schelling). In poche
parole Fichte licenziato, e potr
riabilitarsi solo quando avr riformulato in senso apertamente neoplatonico il
suo pensiero sostenendo che con il termine Jo non bisogna intendere il Genere
Umano nella sua autosufficienza ontologica, ma proprio il buon vecchio Dio
biblico personale di Martin Lutero e di tutta la consolidata pretoneria
tedesca. Non voglio certo accusare Fichte di vilt. Nessuno di noi sa che cosa
farebbe o come si comporterebbe, non dico di fronte a degli strumenti di
tortura, ma anche solo di fronte ad un banale licenziamento senza pensione.
Forse al posto di Galileo avrei anch'io esclamato Viva Tolomeo! Viva l'astronomia
geocentrica! Abbasso Copernico!", ed al posto di Giordano Bruno avrei
esclamato Viva il papa e la sua infallibilit! Viva il miracolo di San Gennaro!
Viva l'Inquisizione!". O magari no, sarei andato alla morte triste ma non
sottomesso. Questa per psicologia
contingente, non filosofia. Oggi c' gente che striscerebbe ai piedi dei potenti
non certo per paura di essere internati e torturati a Guantanamo, ma
semplicemente per farsi pubblicare un libro o per passare davanti ad un
concorrente in un concorso universitario. Un Fichte redivivus direbbe che siamo
ancora nell'epoca della compiuta peccaminosit. A proposito della filosofia
della prassi, c' gente che crede veramente che se la sia inventata per la prima
volta il giovane barbuto Karl Marx sul suo quadernetto in cui scriveva le
cosiddette Tesi su Feuerbach. Prima di lui nessuno ci aveva mai pensato, ed ora
arriva finalmente qualcuno che scopre l'uovo di Colombo, e cio che i filosofi
avevano fino ad allora soltanto interpretato il mondo, e si trattava invece di trasformarlo.
Il povero Platone non l'aveva capito, voleva soltanto interpretare il mondo,
non trasformarlo. Per questo fece tre viaggi turistici in Sicilia, non avendo
alcuna intenzione di trasformare" secondo un modello ideale la polis di
Atene. Io so bene che nella storia della filosofia il principio di
Imbecillita sempre stato ancora pi
importante del principio di Non- contraddizione, ma certe volte sono stupito
anch'io del suo furoreggiare incontrollato ed incontinente. In realt, il
principio filosofico della identit tendenziale fra conoscenza e prassi gia perfettamente esposto da Fichte nei pi
piccoli dettagli, e questo non deve stupire, perch il suo principio dialettico
fondamentale risiede nella trasformazione continua che l'Io esercita nei
confronti del Non-Io, trasformazione che tra l'altro produce lo stesso
principio della soggettivit empirica individuale e di gruppo, che Fichte deduce
appunto dialetticamente da questa unit contraddittoria fra Jo e Non-Io. evidente che Kant non avrebbe mai potuto
seguirlo su questa strada, ma poteva almeno risparmiarsi di valutarlo come un
metafisico attardato che non lo aveva "capito" e che continuava a
correre dietro all'elemento scolastico. Lo stesso parziale
"ripiegamento" del secondo ed ultimo Fichte non pu essere compreso al
di fuori della sua contestualizzazione storica. Non sono uno specialista di
biografia fichtiana, e per questo non so proprio dire se la riformulazione
religiosa e neoplatonica del suo modello dialettico faccia parte dell'eterna
storia dell'opportunismo e della conciliazione adattativa con il reale, che
Hegel definiva "ululare con i lupi" (mii den Wolfen heulen), oppure
debba essere inserita in un processo di autentica riscoperta della religione.
In ogni caso, non cambia nulla per quanto riguarda la valutazione del suo
modello filosofico originario. L'opera politico-economica di Fichte, lo Stato
Commerciale Chiuso, potrebbe tranquillamente essere riproposta integralmente
oggi come critica della globalizzazione e del suo delirio neoliberista. Leggere
per credere. L'opera intitolata La missione del Dotto anticipa in forma nobile
quella concezione dell'impegno universalistico dell'intellettuale che molti
credono sia stata inventata dal marxismo, laddove Fichte non propugna
saggiamente nessuna fantomatica organicit" ad una classe sociologica
specifica e tantomeno ad un partito politico determinato, ma sostiene molto pi
sobriamente ed intelligentemente un impegno universalistico" che cerchi un
rapporto diretto con l'idea di Umanit, in un momento storico in cui chi diceva
umanit" non era ancora come oggi l'araldo dei bombardamenti umanitari
contro gli stati-canaglia in nome di una democrazia che puzza di petrolio. Gli
stessi Discorsi alla Nazione Tedesca, spesso frettolosamente dipinti come un'anticipazione
del nazionalismo tedesco razzista alla Hitler, eccetera, sono invece del tutto
immuni da queste potenziali derive negative. Il richiamo alla autenticit"
linguistica e culturale dei tedeschi ha in Fichte una funzione puramente
difensiva e patriottica contro il burocratismo dell'impero di Napoleone I, e
non in alcun modo un'anticipazione di
superiorit razziale" che per essere fondate" dovettero aspettare
Gobineau, Rosenberg ed il darwinismo sociale di origine positivistica. Si
tratta di una pseudocultura per dilettanti e confusionari del tipo di Adolf,
qualcosa con cui Fichte non ha mai avuto nulla a che fare. Il nostro tempo,
purtroppo, non pu pi capire la grandezza di filosofi come lui. Ma anche il
nostro tempo prima o poi passer. Capitolo decimo La dialettica della seconda
forma di idealismo moderno: Hegel Un personaggio degli stupendi Dialoghi di
profughi di Bertolt Brecht afferma ad un certo punto di non aver mai incontrato
una persona priva di senso dell'umorismo che avesse capito la filosofia di
Hegel. Ho personalmente alcuni dubbi sulla corretta comprensione di Hegel da
parte di Brecht, visto che essa era mediata da quell'incurabile positivista che
era Karl Korsch, ma concordo entusiasticamente sul suo giudizio. La
comprensione della filosofia di Hegel presuppone quella particolare versione
moderna dell'ironia di Socrate che
appunto l'attribuire la conoscenza assoluta soltanto appunto
all'Assoluto, e nel riconoscere invece nella singola coscienza umana determinata,
qualcosa che deve essere prima "dialettizzata" nello spazio e nel
tempo della specificit storica. Altre scuole filosofiche ne sono del tutto
prive, perch i loro seguaci si installano sempre con arrogante sicurezza o
nell'Essere (heideggeriani), o in Dio (teologi vari), o nell'Io Penso (kantiani
di varia osservanza). I kantiani, ad esempio, mi sono sempre parsi una scuola
priva di senso dell'umorismo, anche se mi dicono che un viaggiatore ne ha
incontrati alcuni che ne sembravano dotati nella penisola del Labrador. Il
kantiano si installa generalmente
nell'appercezione trascendentale, altrimenti detta Jo Penso, e comincia
a lanciare giudizi conoscitivi e morali a destra e a manca sulla base della pi
completa e pervicace formalizzazione e destoricizzazione, in modo che a volte
emergono dubbi sul mondo esterno, ma mai su se stesso. Ma se qualcuno non
"relativizza" se stesso
inutile che poi pretenda di relativizzare il mondo esterno sostenendo la
piena conoscibilit dei soli fenomeni. L'hegelismo invece ha come punto di
partenza il sano rapporto iniziale dello scetticismo con la filosofia,
argomento socratico cui non a caso Hegel ha dedicato un libro apposito. Parlare
di Hegel significa subito chiarire immediatamente che cosa si pensa della sua
dialettica e del suo sistema. Per farla breve, io ne penso tutto il bene
possibile. Considero l'antipatia verso Hegel, fenomeno che si accompagna di
regola alla pi completa ignoranza sulle sue autentiche posizioni, un fenomeno
appunto integralmente sociale, attraverso cui si pu capire in controluce moltissimo
sulla natura culturale e di una societ determinata. In linea di principio, pi
una cultura alienata" (e cercher pi
avanti di chiarire il termine), pi antipatizza verso Hegel. Ma per non dar
luogo subito a pittoreschi fraintendimenti,
bene chiarire preliminarmente due punti metodologici essenziali. In
primo luogo, l'idealismo di Hegel non
bimondano come quello di Platone, ma
integralmente monomondano, in quanto il suo modello epistemologico
implicito non la matematica, ma la
storia. Naturalmente, questo non sarebbe stato possibile se (come sostiene
correttamente lo studioso tedesco Koselleck) nella seconda met del Settecento
la storia universale umana non fosse diventata un concetto trascendentale
riflessivo", e cio il supporto di una unificazione temporale sensata della
vicenda complessiva del Genere Umano pensato come una totalit (presupposto che
anima ovviamente anche il concetto di Io in Fichte). Erodoto sar anche stato il
padre" della narrazione storica, ma non
certamente stato il padre della filosofia della storia universale
secolarizzata (non parlo qui ovviamente della storia biblica, che era anch'essa
universale, ma non in senso filosofico). Questo non implica per affatto il
cosiddetto storicismo assoluto", che con Hegel non c'entra proprio niente.
Lo storicismo assoluto parte dal fatto che tutto storia, e non c' nulla al di fuori della
storia. Questa posizione, il cui inevitabile sbocco il nichilismo relativistico pi totale che si
rovescia dialetticamente in positivismo, e cio in culto giustificazionistico
del vincitore chiunque egli sia, non di
Hegel, anche se l'antipatia organizzata verso Hegel gli attribuisce questa sciocchezza
da circa due secoli. Questa posizione, lo ripeto, del liberale Croce e del "marxista"
Togliatti, ma non di Hegel. Non lo , e
lo si pu dimostrare anche filologicamente. Mentre Platone d luogo ad una
filosofia della trascendenza (sia pure mediata dialetticamente dall'imitazione
e dalla partecipazione, mimesis e metexis), Hegel costruisce una filosofia
dell'immanenza. L'Assoluto il Soggetto
Universale (metafora dell'intera umanit che unificandosi idealmente giunge cos
alla piena comprensione della sua stessa natura storica e sociale), soggetto
che comprende un Tutto di cui le cose singole non sono che articolazioni
dialettiche. Faccio notare che Hegel non
mai stato cos stupido (anche se l'antipatia verso Hegel glielo ha
attribuito) da dire che esistono, sono esistiti o esisteranno in futuro singoli
individui empirici che capiscono, hanno capito o capiranno tutto. Ci pu
soltanto pensarlo, appunto, una persona priva di senso dell'umorismo. Tale
soggetto universale quello che Hegel
chiama Idea, o Concetto (Begriff). Questo secondo termine il pi espressivo sulla base proprio della sua
etimologia. Concetto, da concipere (come Begriff, da begreifen) vuol dire ci
che "comprende", cio "prende insieme". Il concetto cos la comprensione, l'universale che
"comprende" le sue determinazioni in uno sviluppo dialettico. Ed in questo senso che assolutamente concreto (cfr. Enciclopedia, p.
164). Quanto all'Idea, in senso preciso,
per Hegel la realizzazione adeguata del concetto, ed Hegel la definisce
(cfr. Enciclopedia, p. 213) "l'unit assoluta del concetto e
dell'oggettivit", e cio il vero in s e per s. Riflettiamo un attimo su
queste esatte parole di Hegel, perch esse contengono l'essenza del problema.
Platone non avrebbe mai detto che l'idea
l'unit assoluta del concetto e dell'oggettivit. Avrebbe detto che l'idea il vero concetto universale, e basta. Ma per
Hegel la logica, che pure esiste nella sua ontologica separatezza dalla storia
concreta (e quindi non uno storicista, e
tanto meno uno storicista assoluto come don Benedetto o il compagno
Palmiro), ancora una sorta di Dio prima
della creazione del mondo", come si esprime argutamente lui stesso. Ma Dio
prima della creazione del mondo un'entit
puramente astratta, che non si presta per sua natura ad una autocoscienza
concreta. Come potrebbe infatti autocomprendersi, se prima non si determinasse
in una catena dialettica di eventi interconnessi? Solo un kantiano,
notoriamente privo di senso dell'umorismo, pu pensare che l'Anima, il Mondo e
Dio non sono oggetti di conoscenza a posteriori, ma in compenso l'Io Penso cada
dal cielo come un meteorite per permetterci di conoscere il mondo, dia luogo ad
ottime deduzioni trascendentali, ma guarda un po' Lui Stesso non ha bisogno di
essere dedotto"! Un'esperienza quasi quarantennale mi ha insegnato che il
far rilevare questo fatto ad un kantiano gli provoca sconcerto ed irritazione,
segno evidente che la stessa brechtiana mancanza di senso dell'umorismo un fatto anch'esso storico e sociale. La
dialettica di Hegel, dunque, presuppone il superamento e la mediazione di due
posizioni unilaterali, e cio l'ontologismo assoluto, per cui c' una verit
filosofica in s anche prima e senza la creazione del mondo, e lo storicismo
assoluto, per cui la verit filosofica non esiste, ma si risolve integralmente
nel divenire storico. Il sentiero filosofico di Hegel strettissimo, e corre fra i due abissi
dell'ontologismo assoluto e dello storicismo assoluto. Un'adeguata nozione di
"concetto" (Begriff)
l'equivalente della cordata sicura per gli alpinisti. Ma chi non ha
ancora capito che la filosofia un
sentiero difficile che passa fra i due burroni dell'autoproclamazione dogmatica
del possesso preventivo della verit, da un lato, e del nichilismo relativistico
dell'annullamento nel flusso storico contingente, dall'altro, deve essere
fermamente sconsigliato dall'occuparsene. La filosofia inizia, non finisce, con
la comprensione del fatto che l'ontologismo assoluto e lo storicismo assoluto
sono due opposti in solidariet antitetico-polare, e sono i due opposti della
stessa identica presunzione dogmatica di sapere ci che non si sa. In secondo
luogo, infine, e questo punto importante
almeno quanto quello precedente, la filosofia di Hegel a rigore non un pensiero dialettico, ma un pensiero
speculativo. L'oggetto del pensiero di Hegel
la "fatica del concetto" (Anstrengen des Begriffes), ed un
pensiero che si affaticasse solo fino al punto di comprendere la natura
dialettica del movimento delle cose avrebbe sprecato invano la sua fatica.
Secondo Hegel il "lavoro" del pensiero logico comprende tre momenti:
1) il momento astratto, quello dell'intelletto (Verstand), la cui funzione quella di "isolare" le
determinazioni in modo da poterle esaminare con attenzione una per una; 2) il
momento propriamente dialettico, quello della ragione negativa, che anche quello da cui sorge la contraddizione,
che sorge nel concetto solo nella misura in cui il concetto
"raddoppia" la realt; 3) il momento speculativo, che quello della ragione positiva in cui ci si pu
elevare alla sintesi (cfr. Enciclopedia, 79). Questo momento dell'unit detto speculativo perch il concetto si
riconosce negli oggetti come in uno specchio (in latino speculum). Fin qui, mi
sono limitato a riassumere ci che c' in qualunque buona esposizione della
teoria hegeliana. Ora, per, bisogna trarne alcune importanti conclusioni
filosofiche nel commento, perch molti fraintendimenti di Hegel nascono proprio
qui. Il lettore deve sapere comunque che il vero problema non mai quello dei legittimi e comprensibili
fraintendimenti di Hegel, che potrebbero facilmente essere chiariti con un
pacato dialogo filologico, ma sempre e
soltanto quello dell'antipatia verso Hegel, contro la quale non c'
letteralmente nulla da fare perch si tratta sempre di un fenomeno sociale
refrattario alla ragione dialogica. In ogni caso, presupponendo che almeno
alcuni lettori di questo mio saggio ne siano immuni, proseguiamo nella
spiegazione di questo secondo punto decisivo di chiarimento. Ho gi fatto notare
che la logica del concetto" (Begriff), che
la sola parte realmente speculativa e non soltanto astratta (l'essere) e
dialettica (l'essenza) della logica di Hegel, non pu essere compresa al di
fuori della sua differenza" con l'ontologismo assoluto (un Dio prima della
creazione del mondo infatti
semplicemente un Dio che non esiste, cosa su cui avrebbero sicuramente
concordato pensatori tanto lontani come Plotino e Feuerbach), da un lato, e con
lo storicismo assoluto (che infatti solo
puro positivismo, come rilev acutamente nel 1941 Herbert Marcuse nella sua
critica fulminante a Giovanni Gentile contenuta nel suo capolavoro Ragione e
Rivoluzione), dall'altro. Nello stesso modo, non ha senso attribuire a Hegel un
concetto pseudoeracliteo di dialettica, del tipo panta rei, tutto scorre, tutto
si muove e viva il casino generale del movimento assoluto trasformato in
divinit dialettica tuttofare. La dialettica in Hegel sempre subordinata al momento speculativo,
anche se sempre preferita
all'assolutizzazione ed alla sacralizzazione dell'intelletto astratto che ha
trovato in Kant il suo massimo sacerdote moderno. Vedremo nei prossimi capitoli
come il marxismo, che sacralizza ed assolutezza magicamente la dialettica come
puro movimento di tipo pseudoeracliteo opponendola ad una fantomatica
"metafisica" definita in termini di logica della permanenza, non ha
assolutamente colto la natura profonda del pensiero di Hegel. C' un terzo
punto, per, che ancora necessario
sottolineare con forza. Hegel aveva a suo tempo connotato l'idealismo di
Schelling in termini di "spinozismo kantiano", e cio di metafisica
dell'intelletto. Egli resta fedele al principio spinoziano dell'immanenza, e
per questo connota genialmente Spinoza come il "principio essenziale di
ogni filosofare" (si intende, di filosofare moderno). Ma se vi resta
fedele, non pu ammettere che gli attributi ed i modi siano semplicemente nella
sostanza. Devono infatti essere dedotti dalla sostanza come sue
differenziazioni necessarie. In Spinoza non c' lo sviluppo dialettico che
domina la sua filosofia. Spinoza dice molto bene che ogni determinazione una negazione, ma ignora la negazione della
negazione che permette lo sviluppo dell'essere e del pensiero. Il suo
Assoluto dunque un ricettacolo infinito
che contiene semplicemente le sue determinazioni finite ed ha in questo modo le
caratteristiche di una semplice cosa. Ma l'Assoluto di Hegel, che soggetto e non sostanza, un processo, un progresso, un divenire. Esso
si manifesta come Entwicklung, termine che ho volutamente lasciato in tedesco
perch significa contemporaneamente sviluppo ed evoluzione, termini non identici
che hanno per un identico significato, quello di divenire determinato secondo
la propria essenza, e non di divenire astratto della contingenza pura. Si
tratta di una riformulazione moderna del vecchio principio di Aristotele che
vede il possibile come essente in possibilit" (dynamei on), e non
semplicemente di contingente puro e possibile astratto (kat to dynaton).
Ed ovviamente questa una delle cose che
il partito filosofico kantiano non sopporta di Hegel, in quanto per questo
partito filosofico la libert sempre e
solo pura possibilit astratta e libera, raddoppiamento filosofico (qui so di
essere irritante, ma lo sono volutamente) della pura possibilit libera ed
astratta dell'imprenditore nel mercato capitalistico libero. Ci che Spinoza
esplica con un parallelismo, Hegel lo fa diventare risultato di una evoluzione.
L'anima non solo un'idea parallela ad un
corpo, ma frutto di un'evoluzione della
natura. Fra parentesi, esattamente cos
che personalmente io interpreto la teoria dell'evoluzione di Darwin: i corpi
evolvono fino ad avere un'anima pensante, e non c' nulla di male a pensare che
questo avvenga sulla base di una pura casualit statistica, perch come ha
peraltro ben detto Hegel, anche il casuale ed il contingente sono necessari.
Per Spinoza la finalit sempre e soltanto
una illusione antropomorfica, che nasce attribuendo alla natura un inesistente
cervello di progettista. Il termine hegeliano di Bestimmung, invece, significa
sia determinazione che destinazione, ed
per questa ragione che come nel caso precedente di Entwicklung
(sviluppo-evoluzione) consigliabile
lasciarlo in tedesco. Un quarto ed ultimo problema: Hegel un filosofo che assomiglia maggiormente a
Platone o ad Aristotele? Si risponde in generale meccanicamente: ma non c'
dubbio, a Platone. Platone infatti riconosce alla dialettica la natura .di
logica della realt, esattamente come Hegel (lasciando qui da parte il problema
se poi la realt sia bimondana o monomondana), laddove Aristotele la derubrica a
semplice tecnica confutatoria o a logica del solo verosimile. Ebbene, io penso
invece che Hegel assomigli pi ad Aristotele che a Platone. In primo luogo la
logica di Hegel e quella di Aristotele sono entrambe logiche ontologiche, per
entrambi le leggi del pensiero sono anche le leggi dell'essere, ed con una lunga citazione della Metafisica di
Aristotele che Hegel conclude la sua Enciclopedia. Ma ci che avvicina di pi i
due grandi pensatori la loro concezione
dell'universale come qualcosa che si realizza esclusivamente nel particolare.
Nel linguaggio di Hegel, il particolare (das Besondere) l'essenza che si particolarizza
determinandosi (cfr. Enciclopedia, p. 24). Cos come per Aristotele,
l'esperienza il solo punto di partenza
veramente sicuro, in quanto il suo ruolo
quello di dare a questo contenuto empirico (all'origine subito solo
passivamente) la garanzia della necessit (cio della connessione logicamente
necessaria, non certo della fatalit ultraterrena idolatrica), la forma dell'a
priori che rappresenta la libert del pensiero (cfr. Enciclopedia, p. 12). Siamo
cos paradossalmente tornati al logos sokratiks, ed al fatto che la vera libert
del pensiero non consiste nello sparare arbitrariamente tutte le idiozie che ci
vengono alla mente ed alla bocca, ma consiste nella dura disciplina della
sottomissione libera e volontaria alla connessione logicamente necessaria.
Questo infatti il dialogos socratico,
non il chiacchericcio dei talk show di oggi, che l'esatto contrario del dia-logos, perch tra
un interlocutore e l'altro (dia, in greco) non passa il logos, che ragione, ma solo il narcisismo irritante
dell'assoluto arbitrio dell'opinione. Hegel si dimostra cos il grande erede
della saggezza filosofica dei greci. Egli non rompe affatto con Fichte, ma
semplicemente ne corregge certe generose unilateralit soggettivistiche. stato dimostrato da tempo che il Reale di cui
parla Hegel, e che per lui si identifica con il Razionale, non coincide affatto
con tutto ci che avviene in quanto avviene, che
semplicemente quello che con linguaggio leibniziano potremmo chiamare
principio di ragion sufficiente". Nel linguaggio di Hegel lo stupro di una
donna, il rogo di un eretico, lo sterminio dei detenuti ebrei e zingari nei
campi di lavoro nazisti, eccetera, non sono fenomeni reali" nel senso che
egli d a questa parola, ma momenti oscuri dovuti ad una carenza di razionalit
che tocca alla filosofia spiegare, e non certo giustificare, legittimare e
consacrare. Ed stato anche dimostrato
che egli non era cos disperatamente deficiente da pensare veramente che la
storia universale dell'uomo fosse finita con la monarchia prussiana degli
Hohenzollern di Berlino (attribuire al grande Hegel le idiozie di Fukuyama un vero fenomeno di pornografia filosofica),
ma pensava semplicemente (ed a mio avviso sbagliava, ma questa un'altra faccenda) che il costituzionalismo
prussiano del suo tempo fosse semplicemente una determinazione storica migliore
(Bestimmung) del concreto sviluppo storico del suo tempo (Entwicklung),
migliore comunque delle tre forme storiche da lui ritenute peggiori, e che
erano: lo stato feudale austriaco dei vecchi ceti" di Metternich; la
societ civile capitalistica e mercantile inglese in cui il mercato aveva
sostituito lo Stato come unit etica superiore; ed infine la furia del
dileguare" russoviana e robespierrista del progetto giacobino che per
Hegel era condannato a rovesciarsi dialetticamente dalla virt al terrore, e cio
dal perseguimento dell'astratta virt politica egualitaria all'applicazione di
mezzi terroristici" per poterla imporre ai recalcitranti. Potrei
continuare sui pittoreschi fraintendimenti di Hegel, ma voglio ancora insistere
con il lettore sul fatto che l'antipatia verso Hegel oggi, e lo
da molto tempo, un fatto sociale del tutto indipendente dai problemi
della sua corretta ricostruzione filologica e filosofica, che ho qui riassunto
e riepilogato in soli quattro punti (Hegel fra assolutismo ontologico ed
assolutismo storicistico, Hegel teorico speculativo e non semplicemente
dialettico, Hegel e il finalismo spinoziano, Hegel ed il particolarismo
aristotelico). L'antipatia verso Hegel
assolutamente normale in una societ il cui legame sociale non stabilito sulla base di una razionalit
sostanziale, ma sulla base invece della connessione mercantile e della sua
consustanziale idolatria del mercato, connessione mercantile che trova nel
costituzionalismo liberale di Locke, nella psicologia associazionistica di Hume
ed infine nel formalismo destoricizzante di Kant, i suoi tre fondamenti teorici
preferiti. Hegel continua ad avere ovviamente i suoi fans filosofici, come lo
scrivente. Ma questi fans, pur presenti sia pure in posizione minoritaria in
nicchie accademiche marginali (come era peraltro il caso anche di Platone ed
Aristotele in epoca ellenistica), sono tenuti lontani da qualunque posizione
politica in grado di influenzare veramente il quadro delle decisioni
strategiche, che vengono prese (o pi esattamente, non prese) in base ai ciechi
automatismi del mercato assolutizzato e divinizzato. Ed chiaro che se il Mercato l'unico Assoluto, la Ragione non pu
certamente esserlo. Qui sta la solida base dell'antipatia verso Hegel, fenomeno
sociale e non certo solo teorico, di cui per il momento non si vede ancora il
tramonto. Ma chi vivr vedr. Capitolo undicesimo La dialettica della terza ed
ultima forma di idealismo moderno: Marx Ha scritto alla fine degli anni
settanta Michel Foucault, nel contesto di ripetuti commenti positivi sui
"nuovi filosofi" Andr Glucksmann e Bernard Henry-Lvy, e sulla loro
critica al marxismo come sistema di pensiero complessivamente totalitario:
"Coloro che hanno la speranza di salvarsi con la contrapposizione
dell'autentica barba di Marx al naso finto di Stalin perdono il loro
tempo". Chi scrive fiero di stare
perdendo il suo tempo, ma appunto il discorso non fa qui che incominciare.
Bisogna infatti distinguere accuratamente tre problemi diversi, quello
dell'interpretazione di Marx, quello del fraintendimento di Marx ed infine
quello dell'antipatia verso Marx. Il primo
un problema squisitamente filosofico, il secondo un problema politico, il terzo un problema sociologico e generazionale.
Anche se il terzo il meno importante,
comincer da quello, per poi passare al secondo e poi al primo, che il vero ed unico oggetto di questo capitolo.
Il problema dell'antipatia verso Marx deve essere visto come caso particolare e
subalterno del pi generale problema dell'antipatia verso Hegel, su cui mi sono
gi soffermato nel capitolo precedente. Ho gi fatto notare che l'idealismo di
Hegel rappresenta una utopia filosofica basata sulla convinzione che la realt
storica effettuale possa infine ricongiungersi con la realt speculativa
determinata dallo sviluppo dell'autocoscienza del genere umano, metaforizzato
nel travestimento linguistico del cosiddetto Spirito Assoluto. Certo, la
mia un'interpretazione e solo
un'interpretazione, e non potrebbe essere diversamente per tutti coloro che
praticano la filosofia senza il delirio narcisistico di onnipotenza di essere
stati i soli, nella Storia, ad avere scoperto la Vera e Definitiva Verit su di
un Filosofo (verit che in quanto tale non
neppure alla portata del filosofo stesso). per un'interpretazione filologicamente pi
verosimile di chi interpreta Hegel come un neoplatonico, e cio come un
sostenitore di un'ontologia assoluta, oppure come uno storicista, cio come un
sostenitore della sovranit assoluta del fatto. In ogni caso, l'antipatia verso
Marx non ha la stessa natura dell'antipatia verso Hegel, che primaria e direi anche molto pi significativa
ed importante, in quanto Hegel l'unico
vero e proprio grande filosofo del passato recente del tutto incompatibile con
lo spirito capitalistico (cos come a suo tempo lo fu Platone per lo spirito
ellenistico di conciliazione con il mondo romano). Si badi bene, per antipatia
verso Marx" non intendo affatto alludere all'avversione politica a Marx.
Quest'ultima un fenomeno
spiegabilissimo, legittimo e del tutto fisiologico, e non suscita alcun
problema di interpretazione. No, l'antipatia verso Marx un fenomeno storico e sociale largamente
generazionale, diverso e specifico in senso spaziale e temporale, ed oggi un fenomeno di rimozione e di
riconversione della sciagurata generazione sessantottina europea (e
latino-americana) ed anche degli apparati burocratici professionali dell'ultima
fase di agonia del comunismo storico novecentesco (1917-1991). Questa
generazione senza Dio e senza onore deve sublimare nell'antipatia verso Marx
(che non aveva mai veramente studiato e di cui non si era mai veramente
occupata a fondo) la propria riconciliazione con il capitalismo globalizzato a
guida imperiale americana. In quanto tale, l'antipatia verso Marx non aggredirle con gli strumenti dialogici e
razionali del logos sokratiks, in quanto
un fenomeno psicoanalitico, pi esattamente di psicologia sociale
generazionale. Se si parla invece del fraintendimento di Marx, ci si muove su
di un altro terreno, immensamente pi trasparente e di facile interpretazione.
In alcuni casi, si tratter del fisiologico prezzo da pagare per i tentativi di
interpretazione di un pensiero che l'autore stesso (come il caso per Marx) non ha mai sistematizzato e
coerentizzato, ed allora, per cos dire, chi non risica non rosica, per cui
trovo assolutamente legittimo che un lettore critico ed informato mi accusi di
aver frainteso" Marx esponendolo in modo cos poco convenzionale. In altri
casi, il cosiddetto fraintendimento"
in realt un adattamento obbligato per trasformare un pensiero
originalmente aportico, e quindi contraddittorio (nel senso della logica
formale basata sul principio di noncontraddizione), in un pensiero dogmatico, e
quindi adatto a funzionare come ideologia di legittimazione e di riferimento
iden-titario per appartenenze sociali, politiche e sindacali. Nel caso del
marxismo, vedremo che la sua interpretazione in chiave atea e materialistica
(capitolo dodicesimo), ed ancor pi in chiave deterministica e teleologica
(capitolo tredicesimo), stata la
precondizione necessaria per il suo successo. Nessuna scienza elo nessuna
religione potrebbero mai essere fondate su di una base verosimile, incerta ed
aportica. Ve lo immaginate un cristianesimo fondato sulla seguente base: indubbio che Ges sia stato un incomparabile
maestro di giustizia e di pace, ma
incerto se sia veramente risorto, ed anzi alla luce della scienza
moderna francamente poco
verosimile!"? Ed ancora: Il grande Maometto non ha fatto altro che esporre
la visione del mondo dei beduini arabi del suo tempo". E via farneticando.
I fraintendimenti eventuali sono dunque di due tipi: fraintendimenti
ermeneutici, come quello che esporr fra poco e di cui posso essere poi accusato,
e fraintendimenti sistemici, che sono la precondizione per l'accoglimento
dogmatico, e quindi ideologicamente performativo, di un pensiero che il
destinatario sociale ideale (e reale) non sopporterebbe mai che fosse esposto
in modo aportico, e quindi dubbioso ed incerto. Passiamo ora
all'interpretazione di Marx. In pi di un secolo ce ne sono state un centinaio,
e credo che non ci sia nulla di strano se ne aggiunger qui una centounesima.
Come ha detto Rousseau, meglio un paradosso che un pregiudizio. E paradossale
la mia interpretazione davvero, ma
questo non mi impedir certamente di formularla. Come sempre avviene nel libero
dibattito filosofico, il lettore giudicher. Se sar d'accordo, tanto di
guadagnato. Se non sar d'accordo, come
pi probabile, ne sar comunque stimolato ad elaborare una sua personale
visione, e sar un bene per tutti. La pratica filosofica infatti una delle pochissime pratiche umane
(e forse addirittura l'unica) in cui pu capitare che quello che perde in realt
vince, perch volendo accertare la verit (o meglio, la sua migliore
approssimazione possibile), pu ammettere con gioia che la soluzione del suo
interlocutore ancora migliore della sua.
Un'altra delle caratteristiche, non mi stancher mai di dirlo, del logos
sokratiks. In primo luogo, la filosofia ispiratrice di Marx (parlo qui di
filosofia ispiratrice, non di epistemologia della sua teoria dei modi di
produzione, che una sorta di
strutturalismo dialettico, come vedremo nel prossimo capitolo) non certo un materialismo, ma un universalismo, e
pi esattamente un idealismo universalistico dell'emancipazione umana. Ed un universalismo, per il semplice fatto che
la categoria di "alienazione", che
appunto la categoria dialettica (e cio negativa, non ancora speculativa)
principale nella filosofia di Marx, una
categoria idealistica per sua stessa essenza, in quanto la Materia per sua
propria natura non si pu "alienare", ma soltanto evolvere da uno
stato iniziale indifferenziato a stati evolutivi ulteriori sempre pi
determinati. Ma questa evoluzione
(Entwicklung), non certo alienazione (Entfremdung). Laddove c' alienazione, l
c' necessariamente idealismo. In Fichte l'alienazione di fatto concentrata nel Non-Io, che per pur sempre produzione inconscia dell'Io,
e non dato esterno primario, come finisce di fatto con l'essere
nell'impostazione di Kant, definito in generale criticista, laddove a mio
avviso egli piuttosto un
"materialista dogmatico", in quanto presuppone dogmaticamente senza
dedurla l'esistenza a priori di un dato materiale esterno (il noumeno o cosa in
s, non importa se fluidificata in un secondo momento in Grenzbegriff concetto
limite). In Hegel l'alienazione
maggiormente dialettizzata, e diventa cos esteriorizzazione dello
spirito che, pur uscendo fuori di s, resta comunque interno ad un processo che
dalla vera e propria esteriorizzazione (Entausserung) porter poi al
superamento- conservazione (Aufhebung). In Marx, terzo ed ultimo dei grandi
idealisti (fra cui - mi spiace per i suoi fans - non annovero Schelling, che
resta a mio avviso un kantiano spinozista, secondo la geniale connotazione di
Hegel) l'alienazione diventa teoria del lavoro alienato, in un senso che
chiarir pi avanti. L'analisi del concetto di alienazione (Entfremdung) permette
di capire in modo insuperabile la genesi storica e sociale delle categorie, e
per questo utilizzer le mie competenze di ellenista. In greco moderno
alienazione" si dice allotriosi, termine artificialmente coniato dal verbo
allotriono, ma si tratta di un termine inesistente in greco antico che Platone,
Aristotele ed Epicuro non avrebbero mai capito e non avrebbero mai potuto
usare. Il suo lontano equivalente funzionale potrebbe essere aporroia, termine
con cui i neoplatonici antichi connotavano il processo di emanazione continua
dall'Uno ai Molti. Ma il termine aporroia implica, sia pure all'interno di una
sostanziale unit ontologica, e quindi panteistica, del mondo, una dialettica
discendente ed ascendente, e quindi bimondana. E questo non un caso, perch se vero che la nozione di storia come concetto
trascendentale riflessivo che esprime l'unit del genere umano nasce solo nel
settecento (Koselleck), ne deriva che Platone, Aristotele, Epicuro e Plotino
non avrebbero mai potuto usarla, e l dove non c' il concetto non c' neppure la
parola. I greci moderni, dunque, hanno dovuto reinventare un termine filosofico
passando attraverso la mediazione concettuale della lingua tedesca per il
semplice fatto, assolutamente ignoto ai kantiani ma pur sempre alla portata
dell'intelletto filosoficamente educato, che le categorie filosofiche pi
astratte hanno sempre una determinata genesi storica e sociale, e senza
comprendere questa genesi la storia della filosofia diventa allora, secondo la
definizione geniale che ne ha dato Hegel, una semplice dossografia alla Diogene
Laerzio, e cio una noiosissima filastrocca di opinioni casuali. Il fatto che il termine alienazione, o meglio il suo
uso filosofico, presuppone un precedente fatto storico, e cio che la totalit
dei rapporti sociali possa essere intuita come "alienata". Ed
alienata significa allora "allontanata". Ed allontanata da che cosa?
Ma chiaro. Allontanata non tanto da
un'origine nel frattempo decaduta e perduta e che si tratta allora di
"recuperare" con un ritorno alla primitivit (tendo ad escludere che
Marx avesse una concezione tanto religiosa dell'alienazione, dal momento che il
Ritorno all'Origine nel frattempo Corrotta
il codice di ogni religione), quanto allontanata da un'Idea di Genere
Umano realmente razionale. Vi sono molti ottimi e dettagliati studi sul
concetto di alienazione e sui differenti significati del suo uso in Hegel,
Feuerbach, Marx, eccetera. Ad essi rimando il lettore. Ma non vorrei che gli
alberi ci facessero perdere di vista l'unit della foresta. E l'unit della
foresta sta in ci, che al di l dell'elencazione dei diversi significati ed usi
del termine di alienazione (Entausserung, Entfremdung), questo termine pu
soltanto essere usato in un contesto filosofico idealistico. Non esiste
un'alienazione materiale, a meno che si intenda con questo termine indicare lo
sfruttamento classista del lavoro umano, che
per un dato "materiale" che rende necessaria una
interpretazione "ideale", e cio l'idealismo. Chi il soggetto dell'idealismo emancipativo di
Marx? Da un punto di vista filosofico non
la classe operaia, salariata
proletaria, che ne peraltro la
determinazione empirica (Bestimmung) dello sviluppo dialettico del capitalismo
(Entwicklung), ma l'ente naturale
generico umano (Gattungswesen), che pu essere definito alienato solo nella misura
in cui preventivamente si accetti la tesi per cui la trasformazione della
natura inorganica fa parte appunto della sua essenza. Scrive Marx: La
trasformazione della natura inorganica
la riprova che l'uomo un essere
appartenente ad una specie [/.... Il lavoro estraniato strappando all'uomo
l'oggetto della sua produzione, gli strappa la sua vita di essere appartenente
ad una specie [...] e muta il suo primato rispetto agli altri animali nello
svantaggio consistente nel fatto che il suo corpo organico, la natura, gli
viene sottratta" (cfr. Manoscritti economico-filosofici del 1844). La
socialit dell'uomo, che viene appunto alienata da questo processo di
espropriazione, viene cos delegata alle merci ed allo scambio sul mercato. Il
rapporto sociale fra le persone si presenta per cos dire rovesciato, come
rapporto sociale fra le cose e non pi fra esseri umani (reificazione,
Verdinglichung). La merce assume cos il ruolo del feticcio (feticcio delle
merci, Warenfetizismus), in quanto appare dotata di valore autonomo ed
originario, rimanendo cos occulti i rapporti sociali umani che tale valore
hanno prodotto (cfr. Il Capitale, I, La merce, 4), il che comporta un programma
pratico di rovesciamento dialettico di questa situazione storica. In uno schema
dialettico hegeliano, il momento astratto
quello della logica riproduttiva dell'alienazione, il momento
dialettico quello della lotta contro
l'alienazione, ed infine il momento speculativo
quello del superamento dell'alienazione, in cui c' per anche una
parziale conservazione (Aufhebung) dei valori umani e culturali prodotti
durante le epoche storiche alienate". Il comunismo come cancellazione del
passato e mondo prometeico dell'Uomo nuovo (utopia burocratica che molti
generosi confusionari hanno creduto conforme alla filosofia originale di Marx)
presuppone non certo l'inveramento della dialettica idealista" di Marx,
quanto la sua negazione in nome di una nozione puramente astratta di
soggettivit. Si tratta, filosoficamente parlando, di un russovianesimo
utopico-regressivo, o, se si vuole (il lettore kantiano mi perdoni), di un
kantismo di estrema sinistra privo di dialettica. Legioni di confusionari,
partendo da una frasetta distratta presente in Marx (ma ci ritorner sopra nel
prossimo capitolo), hanno ripetuto per pi di un secolo che Marx ha
raddrizzato" la dialettica di Hegel, che stava sulla testa, rimettendola
sui piedi. Questa immagine da circo non
a mio avviso che fonte di pittoreschi fraintendimenti. Hegel non pensava
affatto che la storia camminasse sulle idee", intese come opinioni
ideologiche, ma chiamava Idea l'insieme complessivo di tutti i rapporti umani.
Non c'era dunque assolutamente niente da rimettere sui piedi", al di fuori
ovviamente dell'imbecillit umana, che resta la sola Cosa in S realmente
esistente (Dummheit als Ding an Sich). La vera differenza fra la dialettica di
Hegel e quella di Marx non sta in questa piroetta di pagliacci, ma nel fatto
che la dialettica di Hegel, come la civetta, uccello sacro a Minerva, si alzava
solo al crepuscolo, e quindi era una semplice dialettica del bilancio storico
del passato, mentre la dialettica di Marx, che ambiva alla dimostrazione
scientifica del passaggio dell'umanit al comunismo (pensato idealisticamente al
cento per cento come societ umana fondata sul lavoro collettivo e sociale non
alienato), era una dialettica della prefigurazione utopica del futuro. Utopica
era peraltro anche la filosofia di Hegel, per il semplice fatto che tutto
l'idealismo sempre in qualche misura
utopico (non parlo dello storicismo assoluto impropriamente considerato
"idealismo" del camerata Giovanni, del compagno Palmiro e di don
Benedetto, che in realt una forma di
positivismo giustificazionistico). Ma si trattava di un utopismo che si inibiva
volutamente la prefigurazione. Anche Marx, peraltro, a volte segretamente attratto da questa
sobria forma di idealismo, quando dice, sia pure un po' distrattamente, che
"non si possono scrivere ricette per le osterie del futuro", cadendo
peraltro anche lui in quest'umano errore. Qual
allora la natura della dialettica di Marx? Non mi sembra poi cos
difficile disegnarne i tratti. Essa non poteva prima di tutto essere una
riproposizione (come dice Lucio Colletti sulla base di Trendelenburg) della
dialettica platonica e neoplatonica. Questa dialettica bimondana, in ragione
proprio della sua natura bimondana e quindi duplice, era una dialettica della
ascensione (logos synagoghiks) ed una dialettica della divisione (logos
diairetikos). Marx non pu separare ascensione e divisione, dialettica ascendente
e dialettica discendente, per il semplice fatto che il suo non un codice neoplatonico (Uno = Bene = Dio),
ma un codice storico i cui tre momenti
sono quello intellettivo, dialettico e speculativo, e sono tutti e tre momenti
della storia umana intesa universalisticamente come concetto trascendentale
riflessivo. L'aporroia dei neoplatonici (emanazione ed allontanamento
dall'Uno-Bene-Dio) diventa allotriosi dell'umanit (alienazione del lavoro umano
intesto come alienazione proprio di ci che l'uomo ha come suo elemento
ontologico differenziato dagli animali). Si tratta allora di una dialettica al
cento per cento idealistica, e quindi niente affatto materialistica, ma
distinta da quella di Platone, di Plotino, di Fichte ed infine di Hegel. La
dialettica di Marx presenta anche sani elementi aristotelici. Egli utilizza
infatti molto spesso la dialettica intesa come arte confutatoria che parte
dalle contraddizioni logiche presenti nelle tesi avversarie, per evidenziarne
l'infondatezza. La confutazione dialettica maggiormente presente in Marx quella che consiste nel mostrare come la
produzione capitalistica che i suoi sostenitori presentano come naturale"
e conforme alla vera natura dell'uomo (Locke, Hume, Smith, eccetera) in realt
naturale" non sia per nulla, ma derivi da episodi storici estremamente
casuali e contingenti presenti nella sola storia non solo dell'occidente, ma
anche di una zona estremamente limitata dell'occidente. Nello stesso tempo,
Marx riconosce il carattere parzialmente provvidenziale" (c' qui
un'evidente eredit dello stoicismo antico mediato dal messianesimo
ebraico-cristiano posteriore) di questa negativit capitalistica, la cui
negazione della negazione" appunto
il suo comunismo. Ma c' molto altro ancora di Aristotele. In primo luogo, il
fatto che in Marx il comunismo si determina sempre e solo nel particolare (das
Besondere), ed infatti definito nei
Grundrisse in termini di libera individualit", il momento speculativo
finale della dialettica della dipendenza personale (momento intellettivo) e
dell'indipendenza personale (momento dialettico). Chi crede che per Marx il
comunismo fosse pensato in termini di tribalismo collettivistico in cui
l'individuo, pensato come peccaminosa astrazione anarcoide piccoloborghese, si
annulla nel caldo abbraccio proletario, pu andare utilmente a vendere gelati o
caldarroste, ma non pensi di essere "marxista". In secondo luogo,
Marx applica continuamente la logica della verosimiglianza aristotelica, e non
certo quella ascendente-discendente neoplatonica, quando analizza la categoria
della possibilit nel senso della dynamei-on, e cio nel senso della possibilit
ontologica dell'emancipazione presente nella natura umana cos come la storia
l'ha prodotta, ed in questo modo si tiene lontano dalle due metafisiche opposte
e convergenti dell'ottimiso assoluto e del pessimismo assoluto, metafisiche le
cui squadre giocheranno sempre nella divisione calcistica per dilettanti. Detto
questo, non nascondiamoci dietro un dito (razionalistico). L'antipatia verso
Marx oggi un fatto generazionale e
sociale. Nessun pacato argomento potr scalfirla. Bisogna che "passi la
nottata", direbbe Eduardo de Filippo. Oggi parlare di Marx significa
scommettere sul futuro. Capitolo dodicesimo L'impossibile matrimonio fra
dialettica e materialismo Nel precedente capitolo ho sostenuto che la filosofia
ispiratrice di Marx non era per nulla un introvabile materialismo", ma era
al cento per cento un vero e proprio idealismo", e pi esattamente la terza
ed ultima forma dell'idealismo tedesco dopo quelle di Fichte e Hegel (Schelling
invece da me considerato uno spinozista
kantiano", per usare i termini impiegati dallo stesso Hegel). So di andare
contro corrente, ma so anche che meglio
proporre paradossi che enunciare pregiudizi (il lettore noter che la terza volta che lo ripeto). Bisogna ora
affrontare il problema iniziando da una possibile obiezione fondamentale.
L'obiettore infatti potrebbe dire cos: Caro signore, c' un argomento
inconfutabile per confermare il materialismo di Marx. E non si tratta tanto
della sua critica all'idealismo di Hegel e della sua adesione giovanile alla
filosofia materialistica di Feuerbach, quanto del fatto che Marx stesso si
proclamava e si autodefiniva materialista, e bisogna presupporre che sapesse
esattamente quello che diceva. Ora, non vorr per caso essere cos presuntuoso da
saperne di pi su Marx di quanto Marx riteneva di sapere su se stesso? Il
commento filosofico, per essere convincente, deve partire dalla filologia dei
testi, e la filologia ci dice che Marx visse tutta la sua vita sapendo
perfettamente e dichiarando pubblicamente di essere un materialista
consapevole, compiuto e rigoroso". Ottima obiezione. Partiamo allora da
essa. Non star qui a ricordare che il modo in cui un pensatore si
autointerpreta non la prova provata
infallibile ed inconfutabile della verit del suo pensiero, ma solo della
veridicit soggettiva del suo legittimo modo di autopercepirsi nella congiuntura
storica in cui vive, congiuntura che detta quasi sempre in modo imperioso la
terminologia identitaria di appartenenza del pensatore stesso. E allora risulta
chiaro che nella specifica congiuntura storica (il decennio 1835-45) e
geografica (Germania) un pensatore era costretto dalla dittatura terminologica
vigente ad autodefinirsi in termini di idealismo (hegeliano) o di materialismo
(feuerbachiano). Ma la cosa merita un'indagine pu seria. La divider allora in
due parti. In un primo momento far alcune osservazioni storiche e teoriche
generali sulla nozione di Materia e sulla storia del cosiddetto materialismo.
In un secondo momento sosterr invece una tesi mia personale, e cio che il
termine Materia nel lessico filosofico di Marx
sempre e solo una metafora per connotare due "ismi" diversi,
l'ateismo prima e lo strutturalismo poi. Iniziamo dal primo punto. Il termine
"materialismo", gi anticipato da Bayle, compare per la prima volta in
Leibniz in contrapposizione ad "idealismo", nel contesto specifico
della polemica filosofica che Leibniz conduce contro la filosofia di Spinoza,
giudicata "materialista" perch "atea", e di fatto solo per
questo. Siamo ai primi del Settecento. Le storie del materialismo in genere
retrodatano per il cosiddetto "atteggiamento materialistico" ai
presocratici, a Democrito, a Epicuro, a Lucrezio, eccetera, vedendo in costoro
i nobili precursori della "concezione scientifica del mondo" in lotta
contro la religione e la superstizione. Questa retrodatazione un episodio tragicomico della mancanza di
senso storico del positivismo prima e del marxismo ufficiale poi. Ho in casa
molti libri in molte lingue costruiti su questa apologia del materialismo
antico identificato come l'alba dell'ateismo scientifico moderno. Si tratta a
mio avviso, ovviamente, di fraintendimenti radicali dello spirito filosofico
dei greci. Ho ricordato nel primo capitolo Diodoto, che interpretava
correttamente il pensiero di Eraclito come un pensiero politico che usava
metafore naturalistiche, ma non era per nulla un "materialista" in
senso moderno. Epicuro generalmente
interpretato come un "materialista a 18 carati", ma c' per esempio
una magistrale lettura di Walter Otto che ne propone una interpretazione del
tutto alternativa. In ogni caso, per tutti gli antichi il problema della
materia si identificava con quello che oggi chiamiamo il problema dello "spazio",
ed in questo caso erano tutti materialisti, Pitagora, Democrito, Platone,
Aristotele, Epicuro, eccetera, in quanto davano risposte differenziate allo
stesso problema. Per Pitagora esisteva uno spazio geometrico, divisibile
all'infinito, ed i paradossi di Zenone sul movimento sono per l'appunto rivolti
a demolire la coerenza logica della aritmo-geometria di Pitagora, separando cos
aritmetica e geometria, separazione che diventava cos la metafora spaziale
della separazione ideale fra mondo intelleggibile e mondo sensibile. Leucippo e
Democrito definiscono lo spazio come il vuoto che circonda gli atomi, posizione
che come noto sar ripresa da Epicuro e
dagli stoici, che sono su questo punto "epicurei" al cento per cento.
Cosa che non mi stupisce per niente, perch il loro spazio infinito ed
immateriale che circonda il cosmo era anche la metafora dell'illimitatezza
ideale della cosmopoli ellenistica, contrapposta al limite (peras) della
comunit politica precedente. Platone nel Timeo intende lo spazio come materia
informe (chora), luogo primordiale in cui si uniscono, materia e forme ideali.
Lo spazio vuoto si identifica allora con la materia informe (il che farebbe di
Platone, nel lessico di oggi, un "materialista" al cento per cento).
Aristotele definisce lo spazio (che per lui
un luogo, topos) come il limite dei corpi, e per questa ragione respinge
il concetto di vuoto. Se allora esaminiamo meglio le concezioni del "mondo
materiale" dei filosofi antichi, vedremo che essi non si dividevano per
nulla in materialisti ed idealisti, ma si dividevano secondo due distinti
parametri, quello della esistenza o meno del vuoto e quello della esistenza o
meno di una mente ordinatrice delle cose. C'erano allora non i materialisti e
gli idealisti ma, se mi si permette un po' di innocuo umorismo, i
vuotisti" ed i pienisti", da un lato, ed i causalisti" ed i
casualisti" dall'altro. Leibniz in
grado di distinguere i due gruppi dei materialisti e degli idealisti perch vive
in un'epoca caratterizzata dalla fisica di Newton e dalla connessa esigenza di
interpretare lo spazio ed il tempo newtoniani o come cose materiali"
realmente esistenti, o come semplici rapporti di contemporaneit o di contiguit.
Ma il Settecento anche il primo secolo
in cui relativamente legale" (anche
se ancora un po' pericoloso) esprimere apertamente opinioni atee (Diderot,
Lamettrie, D'Holbach, eccetera), ed allora il materialismo diventa la copertura
scientifica" obbligata dell'ateismo, con tutte le conseguenze del caso.
Personalmente aderisco addirittura all'ipotesi avanzata dalla filosofa greca
Maria Antonopoulou, ipotesi certamente indimostrabile, ma che considero
verosimile, e verosimile proprio perch paradossale (in genere il
non-paradossale poco interessante).
Secondo la Antonopoulou il concetto filosofico di Materia viene unificato
teoricamente nel Settecento non a caso, ma come riflesso metaforico
astrattizzato di uno spazio che doveva diventare lo spazio unificato dello
scorrimento della merce capitalistica, un libero scorrimento in tutte le
direzioni incompatibile con i due spazi precedenti, l'alto della trascendenza
ed il basso della immanenza. Se si trattasse solo di questa operazione di
unificazione" si potrebbe anche concludere che essa stata largamente casuale. Ma il Settecento
vede anche altre due unificazioni ideali che si accompagnano all'unificazione
dello Spazio-Materia, l'unificazione simbolica del Tempo nella storia intesa
come concetto trascendentale riflessivo che possa fare da supporto ad una
filosofia universalistica della storia, che infatti nasce negli stessi decenni
tardosettecenteschi della nascita delle filosofie esplicitamente
materialistiche, e l'unificazione di tutte le attivit trasformative della
materia "naturale" nel concetto di Lavoro, che come lavoro astratto,
quantificabile e commisurabile, far da base al concetto di valore-lavoro della
nuova economia politica inglese. Del resto, l'unificazione simbolica di questi
tre parametri (Spazio-Materia, Tempo- Storia, Lavoro-Economia) era stata
preceduta da due sintomatiche critiche antimetafisiche, la critica di Locke
alla categoria di sostanza, con cui si criticava metaforicamente l'idea che ci
fosse un substrato "comunitario" ineliminabile sotto la rete dei
rapporti mercantili capitalistici, e la critica di Hume alla categoria di causalit,
con cui si criticava metaforicamente l'idea che la convivenza umana fosse
"causata" da un contratto sociale di tipo politico, laddove questa
convivenza viene ora pensata come il frutto automatico e spontaneo della
"mano invisibile" del mercato. In definitiva, solo chi ritiene che le
categorie filosofiche non debbano essere dedotte in modo storico e sociale pu
considerare un fatto "neutrale" le due critiche (alla Sostanza ed
alla Causalit) e le tre unificazioni simboliche e metaforiche (Spazio-Materia,
Tempo-Storia e Lavoro-Economia). Altro che lotta millenaria fra i due soldatini
del Materialismo e dell'idealismo che agitano le due bandierine della Scienza e
del Progresso contro la Religione e la Superstizione! Se poi passiamo a
personaggi come Spinoza, Fichte ed Hegel, vediamo che il loro
"idealismo" molto spesso
pericolosamente materialistico". Spinoza nega quello che oggi viene
definito dai nuovi creazionisti il disegno intelligente" da parte di una
divinit intesa antropomorficamente. Fichte viene sbattuto fuori dall'universit
di Jena per ateismo", e questo proprio per la natura immanentistica e
storica del suo sistema idealistico. Hegel
considerato l'estensore di un sistema filosofico fondato sull'immanenza
rigorosamente monomondana, ed in quanto al Dio prima della creazione del mondo
si ha una sua sintomatica riduzione alla pura logica astratta di essenze non
ancora determinate, e quindi a rigore del tutto inesistenti. Per chiudere su
questo primo punto, ogni onesta ricostruzione della storia del cosiddetto
materialismo" non pu che giungere alla conclusione che il concetto
unificato di Materia in senso moderno
una costruzione molto tarda, e non
affatto una sorta di astrazione perenne che ci giunge dagli antichi
greci o addirittura da prima ancora. Passando ora alla seconda questione, innegabile che Marx si dichiarato materialista. Questo certamente un argomento rilevante, ma non
conclusivo, a meno che si concordi sul fatto che la storia della filosofia
occidentale pu essere ricostruita appiccicando l'una dopo l'altra le
dichiarazioni che i filosofi fanno su se stessi. Se non accettiamo questo
principio tautologico-narcisistico, allora le cose cambiano, e possiamo fare
l'ipotesi ragionevole che il materialismo" di Marx fosse una formulazione
metaforica di due altri ismi" sistematici, l'ateismo e lo strutturalismo.
Marx infatti non era uno scienziato come lo sono gli astronomi, i fisici, i
eliimici ed i biologi, eccetera. Se lo fosse stato, allora il problema sarebbe
risolto da s, perch ogni scienziato lavora sulla materia" cos come
quest'ultima definita non certo da
filosofi incompetenti, ma dagli specialisti di ogni specifica disciplina. Il
modo per con cui ogni corporazione di specialisti definisce l'oggetto ed il
metodo specifici della propria disciplina non pu e non deve essere l'oggetto di
una trattazione come la mia, in base a quel principio filosofico fondamentale
che il principio del pudore. Il
principio del pudore, infatti, mi impedisce di concionare con supponente
incoscienza sul! oggetto e sul metodo di discipline che non ho mai studiato,
che ho finito di studiare subito dopo l'esame liceale di maturit, per cui da
quel momento mi sono sentito molto meglio. Sarei contento che un analogo
principio del pudore venisse anche praticato dagli "scienziati"
quando parlano di filosofia, ma questo
impossibile, perch l'idea che la filosofia sia un libero campo di
idiozie a ruota libera di cui tutti sono capaci una volta bevuto un bicchierino
di troppo talmente forte, da rendere
sempre possibile l'invasione di campo da parte di positivisti semianalfabeti
che si nascondono dietro le loro lauree in scienze naturali. Se allora partiamo
dal fatto che Marx non era uno "scienziato" specialista, ed allora
della "materia" non poteva che parlare in modo metaforico, il
problema diventa quello di capire quello che intendeva esattamente quando ne
parlava. A mio avviso intendeva fondamentalmente due cose: l'inesistenza di
Dio, o ateismo, e l'esistenza di una struttura sociale, o strutturalismo.
Esaminiamo i due significati separatamente. Per quanto riguarda l'ateismo, non
c' alcun dubbio che Marx fosse ateo, si pensasse come tale e si dichiarasse
tale. Ma ateismo significa a-teismo, con l'alfa privativo, e non allora un concetto originario, ma un concetto derivato e secondario, che
connota un rifiuto delle pretese ontologiche conoscitive e delle pretese morali
normative del teismo, e cio della concezione personalistica della religione. In
un quadro culturale confuciano, oppure in un quadro culturale buddista e induista,
il termine ateo" non avrebbe quasi significato, o almeno non l'avrebbe nel
senso occidentale cristiano della parola. Marx per era un tedesco
dell'Ottocento, ed il suo ateismo derivava da quello illuministico
settecentesco, particolarmente francese, mediato dall'ateismo umanistico di
Feuerbach, che a sua volta era solo a mio avviso una radicalizzazione di una
posizione teorica gi potenzialmente presente nel pensiero di Hegel. E ho detto
radicalizzazione, non rovesciamento o ribaltamento. Questo ateismo nega il
cosiddetto disegno intelligente nella creazione del mondo", ed quindi predisposto ad accettare
entusiasticamente teorie scientifiche come quella dell'evoluzionismo di Darwin
in tutte le sue varianti, che tocca poi alla scienza specialistica particolare
discutere, e non certo all'ontologia generale. Questo ateismo nega dunque con
forza che ci possa essere una sorta di Ingegnere Stellare Progettista del cosmo
naturale, unito nella stessa persona ad un Giudice Cosmico Universale che premi
i buoni e punisca i cattivi dopo la loro morte. Se questo materialismo, allora indubbiamente Marx lo
era. Ma appunto questo era solo ateismo", e l'ateismo come posizione
puramente negativa (rifiuto nella credenza in un ingegnere stellare
progettista, in un giudice cosmico universale e in una sopravvivenza
individuale delle anime incorporee, senza o con una successiva resurrezione dei
corpi, eccetera) compatibile con ogni
tipo di filosofia, dall' empirismo al positivismo, dall'idealismo al nichilismo
di vario tipo. Spinoza, Hegel, Marx, Nietzsche e Heidegger non credevano tutti
e cinque nel Dio cristiano (o in quello ebraico e musulmano), erano quindi
tecnicamente "atei", eppure questa povera connotazione puramente
negativa non ci dice ancora assolutamente nulla sulle loro specifiche
filosofie, e tanto meno sulla natura di un loro eventuale
"materialismo". Per quanto riguarda lo strutturalismo, Marx ad un
certo punto abbandona la riflessione filosofica, convinto di averci ormai
tratto tutto quello che se ne poteva trarre, e lo fa prima dei trent'anni
(1818-1848), in modo a mio avviso molto incauto, perch trent'anni sono in
generale l'et in cui si incomincia a filosofare. L'abbandono della filosofia
coincide nella vita di Marx con la scoperta dell'economia politica inglese, al
cui oggetto egli applica la critica idealistica dell'alienazione del lavoro
umano. Da questo "matrimonio" (oggetto dell'economia politica
inglese, e cio valore di scambio delle merci e sue avventure nel mercato, e
metodo idealistico tedesco, e cio critica della alienazione) nasce quel
prodotto nuovo, inedito ed inimitabile che
la critica dell'economia politica. Critica globale e radicale
dell'intera economia politica, e non certo "economia politica di sinistra",
dal punto di vista dei salari contro i profitti, come da pi di un secolo opina
il ricardismo che si crede marxismo, raddoppiamento filosofico dell'oca che si
crede un'aquila. L'oca, peraltro, un
animale rispettabilissimo, cos come lo
la difesa sindacale del potere d'acquisto dei salari, ma non pu volare
come un'aquila, e quindi non pu ritenere di poter fare una rivoluzione globale
complessiva. L'abbandono della filosofia da parte di Marx fu certo un errore
positivistico, ma fu anche il prezzo da pagare per l'elaborazione della sua
teoria del modo di produzione capitalistico. Una volta portata a termine la
modellistica" di questo concetto (il modo di produzione, appunto), quella
che era per Hegel la totalit espressiva dell'Idea divent la totalit espressiva
del modo di produzione capitalistico, che per Marx una sorta di Concetto dei Concetti. Il
concetto dei concetti allora una
struttura, e le tre determinazioni dialettiche che vengono necessariamente
dedotte" da questo concetto dei concetti sono concetti interconnessi
dipendenti, e cio forze produttive (pi esattamente, sviluppo contraddittorio
delle forze produttive sociali), rapporti di produzione (pi esattamente,
rapporti di produzione sociali caratterizzati da un bipolarismo di classi
fondamentali) ed infine ideologia (pi esattamente sistemi ideologici di
legittimazione elo di contestazione, esprimenti in varia misura forme di falsa
coscienza necessaria degli agenti storici). Questo concetto dei concetti (il
modo di produzione), che produce tre concetti dialettici subordinati (forze
produttive, rapporti di produzione, ideologia), d luogo ad una particolare
forma di strutturalismo dialettico, che viene incautamente ed impropriamente
metaforizzato con il termine assolutamente fuorviante di Materia.
L'accoglimento di questa modellistica sociale, infatti, del tutto indipendente dalla credenza o meno
in un Dio personale ebraico, cristiano o musulmano, cos come lo sono gli
accoglimenti di teorie di tipo sociologico, psicologico, giuridico, fisico,
chimico o biologico. Anche se per ipotesi il nostro mondo derivasse da un
disegno divino intelligente, o invece derivasse da una casuale aggregazione di
atomi che hanno avuto miliardi di anni di tempo per combinarsi e dare luogo
alle varie forme di mondo minerale, vegetale, animale ed umano, eccetera, non
cambierebbe assolutamente nulla per quanto riguarda lo statuto scientifico
della proposta di Marx basata su di un solo concetto dei concetti (il modo di
produzione) e sui tre concetti articolati dialetticamente in reciproca
correlazione essenziale (forze produttive, rapporti di produzione ed
ideologia). E questo, appunto,
strutturalismo, non materialismo. Un'interpretazione dell'evoluzione
sociale non in nessun modo un'interpretazione
della materia. Chi lo pensa si sbagliato
di facolt, deve essere accompagnato fuori dalla facolt di storia e di
sociologia e gli si deve indicare la fila per iscriversi alla facolt di
chimica. Nello stesso tempo, evidente
che questo che per me dal punto di vista
puramente teorico un equivoco (e cio pensare che l'ateismo e lo strutturalismo
potessero essere connotati come "materialismo") nonlo quando per pi di un secolo milioni di persone
vi aderiscono. E questa adesione di massa ad un equivoco teorico non allora un equivoco teorico, e non pu e non
deve essere spiegata con il logos sokratiks puro e semplice. Posso allora
chiudere questo capitolo con una ipotesi: nel momento in cui la teoria di Marx
diventa "marxismo", e cio una gigantesca ideologia di legittimazione
e di orientamento di movimenti sociali di massa che a poco a poco investono il
mondo intero (cosa fino ad allora non avvenuta per nessuna religione storica
precedente), questo idealismo universalistico dell'emancipazione diventa
necessariamente una nuova religione. E le religioni hanno bisogno di un unico
fondamento monoteistico non aporetico. Questo fondamento allora non pi Dio, e neppure l'idea, ma diventa la
Materia, principio spaziale che si temporalizza nella Storia e si determina nel
Lavoro. Il modo in cui questa nuova religione atea trinitaria (Materia, Storia,
Lavoro) former il suo clero sar l'oggetto del prossimo capitolo. Capitolo
tredicesimo L'illusoria teologia dialettica unificata di natura e societ: la
tragicomica storia del materialismo dialettico Karl Marx non fu in nessun modo
il fondatore del successivo "marxismo", inteso come dottrina
sistematizzata e coerentizzata, a partire dalla quale si potesse sviluppare un
canone ortodosso, i cui allontanamenti potessero formare posizioni
"eretiche" o "revisioniste". Il termine "marxismo
ortodosso" non ha dunque alcun senso, esattamente come logaritmo giallo o
geometria portoghese, a meno che si intenda, come storicamente si inteso, quella particolare formazione
ideologica filosoficamente positivistica, economicamente crollistica e
sociologicamente operaia, eccetera, che fu elaborata congiuntamente
dall'enciclopedico Engels e dal pedante Kautsky nel ventennio 1875-1895, e che
ha continuato sostanzialmente a dominare fino al crollo inglorioso del
comunismo storico novecentesco realmente esistito (1917-1991). Non sto dicendo
che Marx non avrebbe fondato il "marxismo" se avesse potuto farlo.
Non sono d'accordo con chi lo interpreta come un semplice pensatore morale,
come Maxi- milien Rubel, o come un semplice economista ricardiano innovatore,
come Piero Sraffa. No, Marx era un idealista rivoluzionario tedesco della
scuola di Hegel, che credeva nei sistemi" e non solo nei metodi, i quali
metodi senza sistemi sono puri giochi per disoccupati cronici. Semplicemente,
aveva una forte autoconsapevolezza critica di tipo scientifico, ed era
consapevole di essere riuscito a costruire un sistema" largamente
incompiuto ed aportico. Per questa ragione non fond" il marxismo, e certo
non perch non lo volesse e fosse un sostenitore della problematicit illimitata
e del dubbio metodico che non si sviluppa (Entwicklung) e non si determina
(Bestimmung) mai nel tempo e nello spazio. Ma un sistema aportico non poteva
interessare le classi operaie, salariate e proletarie del tempo, che invece
volevano, e dunque di fatto commissionavano", un sistema dogmatico,
facilmente apprendibile e facilmente spendibile nel mercato delle ideologie
sociali contrapposte. Non ha dunque senso contrapporre religiosamente il
meraviglioso ed infallibile Marx all'enciclopedico positivista Engels ed al
pedante determinista Kautsky, come fanno i cultori dell'idolatria marxiana di
tutti i tempi. No, il marxismo" realmente esistito fu un fenomeno
integralmente storico e sociale, e come tale deve essere indagato, non certo
come tradimento" del messaggio originario o come deviazione"
(clinamen, parekklisis) dalla sua spontanea traiettoria. Il cuore del problema
fu colto a suo tempo da Antonio Gramsci in una nota dei suoi Quaderni dal
carcere. Gramsci not che il marxismo, che lui chiamava in modo a mio avviso
sostanzialmente corretto filosofia della prassi" (ogni idealismo per sua natura una filosofia della prassi,
perch vuole avvicinare la realt all'idea), nacque come cultura
intermedia", che era un po' superiore alla cultura popolare media, di
livello molto basso, ma era anche assolutamente inadeguata per combattere le
ideologie delle classi colte, mentre invece la nuova filosofia di Marx era nata
proprio per superare la pi alta manifestazione culturale del tempo, la
filosofia classica tedesca. Gramsci coglie in questa geniale osservazione il
punto essenziale della questione, ma si ferma come sempre a met strada (e non
poteva fare diversamente, in quanto comunista critico "interno" al
suo movimento). Non basta infatti rilevare che il marxismo nacque come cultura
"intermedia", superiore alla cultura popolare del suo tempo (che era
addirittura al di sotto della divulgazione positivistica) ma inferiore alla
cultura borghese, e quindi incapace di superarla. Bisogna anche cercare di
darne le ragioni sociali, perch ogni superiorit o inferiorit filosofica
complessiva ha sempre ragioni sociali "materiali" (e cio strutturali)
che la spiegano. E le ragioni sociali stanno in ci, che solo la borghesia (o meglio era) una classe realmente
"dialettica", in quanto il capitalismo la formazione sociale pi mutevole e
rivoluzionaria dell'intera storia dell'umanit, laddove le classi subalterne
aspirano invece religiosamente ad uno "stato stazionario" di
soddisfacimento comunitario dei bisogni essenziali degli individui e dei
gruppi. Cercare di dotare una classe strutturalmente subalterna di una visione
dialettica del mondo era quindi un nobile progetto destinato
"dialetticamente" a fallire. Mi rendo conto di stare dicendo qualcosa
di fastidioso ed antipatico per le orecchie dei cultori pii e timorati del mito
operaio, salariato e proletario ma (ed
la quarta volta che lo scrivo) i paradossi sono pur sempre meglio dei
pregiudizi. In questo modo la filosofia marxista non venne costruita su basi
idealistiche, ma su basi positivistiche. Non poteva essere diversamente. La
classe operaia della seconda rivoluzione industriale, in particolare in Europa,
voleva prima di tutto rispettabilit sociale, e l'equivalente culturale della
rispettabilit sociale l'adesione a
quella che in quel momento le classi dominanti ritenevano la forma di cultura
pi rispettabile. E nel decennio 1875-1895 la forma di cultura filosofica pi
rispettabile era la critica positivistica e kantiana all'idealismo. Fra il 1866
ed il 1873 era stata pubblicata la Storia del Materialismo di Friedrich Albert
Lange, in cui si affermava che il solo modo di poter realmente fondare il
materialismo scientifico moderno era il ritorno al metodo di Kant, che limita
la vera conoscenza al mondo dei fenomeni e rende illegittima la metafisica del
mondo dei noumeni. La cosa in s diventava cos l'elemento materiale esterno
presupposto, il che non poteva che dare luogo ad una teoria del
rispecchiamento, esattamente come poi sostennero Engels, Lenin, Stalin e
compagnia cantante. Fra il 1879 ed il 1884 usc la monumentale storia della
filosofia occidentale di Ernst Laas, in cui i duemila anni precedenti erano
ricostruiti in base alla dicotomia oppositiva di Platonismo (cattivo) e di
Positivismo (buono). Sebbene nell'opera di Laas l'incasellamento dei vari autori
non fosse lo stesso di quello proposto poi da Engels pochi anni dopo, chi si
prendesse la briga di rileggere Laas (io l'ho fatto) vedrebbe che la dicotomia
di Engels Idealismo/Materialismo ricalca in modo sospetto (ma significativo) la
dicotomia di Laas Platonismo /Positivismo. E tutto questo non deve affatto
stupire. Lange e Laas erano i punti alti della rispettabilit filosofica
borghese del tempo, ed dunque del tutto
normale che la rispettabilit filosofica proletaria gli fosse
"ricalcata" sopra. La principale ossessione positivistica consisteva
nel tentativo di unificare concettualmente le cosiddette "leggi di
sviluppo" della natura e della storia. E questo non deve stupire, perch
essendo il positivismo una filosofia intimamente e strutturalmente borghese
(anche se in continua solidariet dialettica antitetico-polare con quel suo
apparente contrario complementare che era la filosofia del martello di
Nietzsche, un positivista in permanente crisi di identit) esso non poteva che
tendere a naturalizzare il dominio della borghesia, rendendolo simbolicamente
"eterno" con il suo radicamento metaforico nella "natura".
A questo punto, una classe non subalterna e veramente rivoluzionaria avrebbe
"sparigliato" le carte in tavola, opponendo a questo positivismo naturalistico
una sorta di ontologia rivoluzionaria del solo essere sociale, senza prendere
la strada di un monismo socialnaturale o naturalsociale. Gi, una classe non
subalterna. Proprio quello che ovviamente non c'era. Gramsci si cos fermato a met strada. Egli intendeva
discutere il dogma, ma non bestemmiarlo o criticarlo radicalmente. Ma qui chi
si ferma a mezza strada dovr inevitabilmente essere magneticamente riattirato
al punto di partenza. La filosofia del materialismo dialettico di Engels pu
essere sommariamente definita in termini di riproposizione positivistica di un
pensiero primitivo. Questa definizione pu a prima vista apparire scandalosa o
inutilmente insultante, ma non cos, se
appena ci si riflette un po' sopra. Il pensiero primitivo, come affermano tutti
i suoi studiosi professionali,
caratterizzato dalla fisiologica indistinzione fra macrocosmo e
microcosmo, o pi esattamente fra macrocosmo naturale e microcosmo sociale,
visti come le due parti organiche ed interconnesse di un'unica realt monistica
inevitabilmente divinizzata. L'idea quindi che esistano leggi uniche, anche se
non identiche, nella natura e nella societ,
dunque un'idea primitiva, ed
infatti soltanto con la fessurazione" di questa presunta identit
organica fra natura e societ che nasce la riflessione filosofica, anche se
tutti i suoi primi concetti (e si veda il capitolo primo di questo saggio) sono
inevitabilmente costituiti da un raddoppiamento" sociale di un riferimento
naturale (Eraclito, Confucio, eccetera). Il ristabilimento attuato da Engels di
questa idea primitiva di omogeneit ontologica fra natura e societ, e cio fra
macrocosmo naturale e microcosmo sociale,
quindi un'inconsapevole ritorno ad un pensiero mitico-religioso che non
avrebbe dovuto mai avvenire in nessun caso, e deve essere visto come un sintomo
non tanto e non solo di un pur evidente dilettantismo filosofico del
volonteroso enciclopedico amico di Marx, quanto invece un sintomo della
committenza indiretta di una classe penosamente subalterna e bisognosa di sostituire
la vecchia religione di Dio con la nuova religione della Materia. Si dir
che colpa di Engels. Ma neppure per
sogno. Come ha recentemente dimostrato il filosofo svedese Sven Eric Liedman, stato proprio Marx nel Capitale del 1867 a
parlare di leggi dialettiche in questi esatti termini: E qui, come nelle
scienze della natura, la legge scoperta da Hegel nella sua Logica rivendica la
sua ragion d'essere, e cio che delle semplici modificazioni quantitative si
trasformano in differenze qualitative". C' per un piccolo particolare, e
cio che nella sua Logica Hegel non ha mai parlato di leggi dialettiche. Il
concetto di leggi dialettiche estraneo
non solo alla filosofia hegeliana, ma alla sua intera epoca. Il concetto stesso
di "legge" ( Loi, Law, Gesetz)
un derivato prima della sistemazione teorica di Comte, e poi del tipo di
pensiero evoluzionistico che fiorisce nel solco di Darwin, in un momento
storico in cui numerosi uomini di scienza erano alla ricerca di leggi
dell'evoluzione unificata generale della natura e della societ e di costanti
nelle variazioni. Il materialismo dialettico
quindi un prodotto di imitazione subalterna, o pi esattamente
un'ideologia ricavata e ricalcata sul modello "rispettabile" di
filosofia del trentennio 1860-1890. Ora, il vero problema non quello di spiegarne la genesi, che palese, quanto quello di spiegare le radici
storiche e sociali della sua totale irriformabilit per un intero secolo
(1889-1989). Non affatto grave dire che
il mondo stato creato dallo sbadiglio di
un coccodrillo sacro primigenio, anzi.
invece grave che in un secolo (e che secolo!) la teoria dello sbadiglio
del coccodrillo sacro non sia stata sostituita da una teoria migliore. E c'
allora solo una spiegazione "materialistica" (e cio strutturalistica,
vedi capitolo precedente), e cio che ogni innovazione teorica migliorativa irricevibile se il suo destinatario
sociale intrasformabile. Con tutta la
migliore buona volont (e l'ho avuta per decenni, fino a quando ho capito che
sarei morto di "buona volont") difficile spiegare perch una concezione
primitiva come quella delle leggi dialettiche unificate della natura e della
storia, comprensibile in Eraclito e Confucio ma non sulla base delle scoperte
moderne, abbia potuto "reggere" tanto a lungo, emarginando,
diffamando, ingiuriando e minacciando tutti i pensatori che si dichiaravano
interni" al progetto comunista che la contestavano (Korsch, Benjamin,
Lukacs, eccetera). C' allora una sola spiegazione strutturale", e cio che
si trattava della sola teologia materialistica che potesse fare da supporto
alla Religione del Proletariato. Questa religione non poteva basarsi sul codice
idealistico di Fichte, Hegel e Marx, perch questo codice idealistico un codice dell'attivit, e cio della prassi
vittoriosa, ed in quanto tale
necessariamente un codice dell'identit soggetto-oggetto, ed una classe
che si sa subalterna non pu adottare un simile codice che evidenzierebbe la sua
subalternit. Essa deve basarsi su di un codice dogmatico (nel senso esatto
della critica di Fichte ed Hegel a Kant), in cui viene presupposta l'esistenza
di un mondo di leggi socionaturali indipendenti dalla volont umana, che
garantiscono il lieto fine storico del progetto comunista. questa la radice strutturale" (o se si
vuole, materiale) della sconfitta sistematica, umiliante, continua, ripetuta,
reiterata ed infine francamente tragicomica di ogni tentativo di sostituire il
materialismo dialettico con profili filosofici pi decenti, tipo la filosofia
della prassi (Antonio Gramsci) o l'ontologia dell'essere sociale (Gyorgy
Lukacs). Una parentesi sulla cosiddetta dialettica della natura". Non sto
dicendo che essa sia per principio impossibile, come hanno sostenuto filosofi
pur rispettabili come Giovanni Gentile o Jean-Paul Sartre. Hegel l'ha applicata
nella parte del suo sistema dedicato alla Natura, e molti scienziati di valore
come Langevin hanno sostenuto che essa ha buone capacit euristiche. Non nego
che possa avere buone capacit euristiche, e che possa essere un fattore
sussidiario (oltre veramente non mi sento di andare) della ricerca scientifica,
in particolare per la dialettizzazione" (e cio per la relativizzazione)
dei paradigmi scientifici nel senso di Thomas Kuhn. Ma anche ammesso che sia
cos, questa moderata e sussidiaria funzione euristica applicata alla storia
delle scienze naturali non c'entra assolutamente nulla con la pretesa
metafisica primitiva, o pi esattamente primitivo-positivistica, che ci sia una
ontologia unificata della natura e della storia. Questa ontologia unificata non
esiste, a meno che non mi si dica che con i numeri si possono contare le
pietre, i cammelli, i borghesi ed i proletari. Le catastrofi ecologiche, lungi
dall'essere un fenomeno interno alla dialettica della natura, sono fenomeni
integralmente sociali e solo sociali. Certo, un terremoto o un maremoto
(tsunami) non sono fenomeni sociali, ma sono del tutto sociali le strutture di
prevenzione e di assistenza. E sono comunque diverse le presunte
"leggi" geologiche della formazione dei terremoti e le presunte
"leggi sociali" dell'assistenza alla vittime e della ricostruzione
delle loro societ. L'omogeneit illusoria di natura e di societ, a meno che si
voglia solo ribadire l'ovviet tautologica per cui la societ in qualche modo
"presuppone" la natura (bravo, "provaci ancora Sam"), fa
solo parte di una mitologia religiosa. Ma qui aveva mille volte ragione Giacomo
Leopardi ad ammonire che la natura non si occupa di noi. E nella misura in cui
noi stessi ci occupiamo di noi, ce ne occupiamo progettando sistemi di vita in
comunit che non "ricalcano" in alcun modo la natura
"precedente". Sta qui, e solo qui, il nocciolo della questione. Io
resto, e lo sono anzi ora pi che mai in questo triste periodo storico di
restaurazione e di prepotenza imperiale, un ammiratore dell'opera politica di
Lenin, in particolare di quel vero e proprio capolavoro di tattica politica che
fu la rivoluzione russa del 1917. Ma il suo libro filosofico Materialismo ed
Empiriocriticismo resta a mio avviso un infortunio sgradevole ed ingiustificabile.
Per farla breve, io penso che avessero ragione nell'essenziale gli
empiriocriticisti, e che lui invece avesse torto. Tra l'altro, la rivoluzione
d'ottobre del 1917 fu un vero e proprio fenomeno storico
"empiriocriticista" in quanto, lungi dal rispecchiare inesistenti
leggi rivoluzionarie interne alla logica riproduttiva del capitalismo
imperialistico del tempo, fu il frutto di un "incontro a mezza
strada" (eminentemente empiriocriticista) fra un oggetto (la disponibilit
soggettiva rivoluzionaria di larghe masse di operai, contadini e soldati) ed un
soggetto (il progetto tattico e strategico rivoluzionario della direzione
bolscevica guidata appunto da Lenin). Altro che teoria del rispecchiamento! Ma
evidentemente Lenin teneva alla teoria del rispecchiamento perch la vedeva come
l'unica diga possibile contro lo scatenamento del surrealismo rivoluzionario
dei confusionari, ognuno dei quali in effetti era portato a definire
"oggettivit" il punto arbitrario di incontro fra le proprie velleit
ed il mondo esterno. Questo forse spiega (anche se a mio avviso non giustifica)
la vera e propria ferocia che Lenin metteva nelle dispute filosofiche, ferocia
che ben documentata nell'ottimo libro di
memorie di Valentinov. Lenin era un fanatico riduttore dello spazio filosofico
a spazio ideologico, e questo era un prezzo (forse scusabile) da pagare per
poter portare a termine la sua mirabile opera rivoluzionaria. Si dice in
generale che almeno fosse un lettore di Hegel, come si evince peraltro dai suoi
Quaderni Filosofici. Ho i miei dubbi. Il suo Hegel era molto spesso un
paravento per una sorta di confuso eraclitismo rivoluzionario. Come infatti possibile sostenere che bisogna
imparare qualcosa da Hegel quando poi si nega e si irride alla pi importante
acquisizione di Hegel, e cio al valore conoscitivo e veritativo autonomo della
filosofia in quanto tale? Qui probabilmente Lenin riprendeva la posizione
erronea di Engels, per cui bisognava distinguere in Hegel il metodo ed il
sistema, o pi esattamente il metodo dialettico rivoluzionario buono, da un
lato, ed il sistema metafisico conservatore cattivo, dall'altro. Mi si permetta
di dire che si tratta di una sciocchezza, sia pur risalente ad una venerata
auctoritas. Nell'idealismo, e non pu essere diversamente, metodo e sistema sono
fusi insieme fino ad essere indistinguibili se non con operazioni del tutto
artificiali, dal momento che ogni metodo
sempre e solo metodo di un sistema. Ho gi fatto notare nel capitolo
dedicato a Fichte che la separabilit fra metodo e sistema pu essere fatta solo
sulla base della logica formale, che separa forma e contenuto, ma non sulla
base della dottrina filosofica della scienza, che invece esiste solo sulla base
della loro organica interconnessione. In Hegel, come del resto in Marx, non
esiste una logica formale. La stessa Scienza della Logica di Hegel non una logica formale, sia pure di tipo
"dialettico", ma la logica di
un sistema complessivo, e solo di questo. Con il termine "sistema",
ovviamente, non intendo le opinioni contingenti di Hegel sulla famiglia, le
corporazioni, il cattolicesimo o l'arte rinascimentale, eccetera, ma la
connessione organica con cui Hegel interpreta la totalit come Idea, e quindi
come Concetto dei Concetti. Dopo la vittoria del comunismo, ci fu per
quattordici anni (1917-1931) un periodo di incerto pluralismo filosofico, degno
di essere studiato nel dettaglio (io comunque l'ho fatto, e ci ho imparato
molto). Si svilupp una gamma di posizioni, che andarono dal tentativo di Gyorgy
Lukacs di rifondare la filosofia marxista sull'identit di soggetto ed oggetto,
e cio di proletariato e storia universale (cfr. Storia e Coscienza di Classe,
1923), e gli attacchi volgari alla filosofia in quanto tale vista come perdita
di tempo "borghese" (non c' limite all'idiozia, se non la mancanza di
ossigeno). Il pluralismo, che fu a suo modo un raddoppiamento "colto"
del pluralismo economico della NEP, fu risolto in modo amministrativo dal
comitato centrale del PCUS, che stabil nel 1931 che da allora in poi in URSS ci
sarebbe stata una sola ed unica filosofia consentita, quella del materialismo
dialettico. In questo modo Socrate mor una seconda volta, ed il logos sokratiks
fu sostituito integralmente dal logos grafeiokratiks (termine greco per
indicare la burocrazia). Questo logos grafeiokratiks sopravvisse fino al
triennio 1989-91 in condizioni di monopolio, in una situazione in cui la
minaccia di provvedimenti amministrativi aveva integralmente sostituito le
argomentazioni, non importa se veritative (Platone) o verosimili (Aristotele),
bimondane (Plotino) o monomondane (Fichte, Hegel, Marx). Il problema non sta in
questa follia, ma nel fatto che questa follia sia stata accettata ed
introiettata da deficienti autonominatisi "intellettuali". Capitolo
quattordicesimo Le critiche politico-filosofiche alla dialettica da Eduard
Bernstein a Lucio Colletti A questo punto, la parte pi acuta dei miei lettori
sar gi certamente arrivata a sospettare che io non sia esattamente quello che
potremo definire un filosofo kantiano".
proprio cos, caro lettore, mi congratulo con te! Effettivamente, non
sono un filosofo kantiano. Ma conformemente allo spirito di un saggio sulla
storia della dialettica, devo ora fare un piccolo rovesciamento, e cominciare a
parlare bene di Kant. Parlare bene di Kant significa riconoscere che il suo uso
della dialettica come confutazione delle infondate pretese metafisiche di
conoscenza integrale del mondo
sostanzialmente buono e legittimo. Io non amo il neokantismo
contemporaneo che considera infondate le pretese di conoscenza che sorgono sulla
base delle dottrine filosofiche di Hegel e di Marx, perch appunto considero
queste pretese di conoscenza (e di valutazione etica dell'esistente)
assolutamente fondate, anzi fondatissime, anzi le sole fondate che attualmente
vedo in circolazione. Ma questa un'altra
storia, che con il Kant storico non ha molto a che fare. La critica dialettica
di ispirazione kantiana alle pretese dogmatiche resta per molti aspetti (non
per tutti) la prosecuzione del logos sokratiks nel nuovo mondo della filosofia
universitaria europea nata alla fine del Settecento in Germania e poi diffusasi
in tutto il mondo come la musica di Beethoven e la fisica di Einstein. Se
questo mondo spesso narcisistico ed
autoreferenziale, e quindi antipatico, la colpa non di Kant, e la terza parte della Critica della
Ragion Pura intitolata Dialettica Trascendentale resta un indiscusso capolavoro
del pensiero umano. Per questa ragione la critica "dialettica" di
Eduard Bernstein al codice marxista di Kautsky, esposta in un libro pubblicato
nel 1899, deve essere considerata un fatto fisiologico e positivo, e non un
malvagio atto controrivoluzionario della piccola borghesia filistea tedesca
rivolto contro l'immortale teoria di Marx. Si tratta dell'apertura della famosa
prima grande "crisi del marxismo", la prima di molte altre
successive. Si trattava di una critica dialettica di tipo kantiano contro le
pretese della metafisica crollistica di Kautsky di poter "conoscere"
il decorso passato, presente e soprattutto futuro del capitalismo, prevedendone
infallibilmente il sicuro crollo. Con il senno del poi, e pi esattamente con il
senno della conoscenza del ventesimo secolo, appare chiaro che il
"kantiano" Bernstein aveva ragione contro il "positivista
determinista e meccanicista" Kautsky. Vittoria peraltro prevedibile. Ma
c'era un verme nella mela, e non fu affatto facile individuarlo per quella
generazione di pensatori cresciuti nel clima tardopositivistico. Per noi,
oggi, invece certamente pi facile, purch
il problema venga correttamente impostato. Bernstein aveva perfettamente
ragione nel demolire la metafisica del crollo di Kautsky
(Zusammenbruchstheorie), e fece benissimo ad usare il metodo confutatorio
dialettico di Kant per farlo. Ma, appunto, butt via il bambino con l'acqua
sporca, e pi esattamente il bambino della dialettica con l'acqua sporca della
teoria del crollo. Non si era infatti reso conto che la teoria meccanicistica
del crollo di Kautsky, cui l'ultimo Engels aveva sciaguratamente dato un avallo
evoluzionistico (so che molti commentatori vogliono salvare" Engels, ma mi
sembra che i suoi ultimi testi del 1895 parlino chiaro), lungi dall'essere una
teoria dialettica, ne era anzi la pi completa negazione. Il tutto ha dunque
assunto una natura comica, dovuta al fatto che sia Bernstein che Kautsky erano
entrambi completamente digiuni di Hegel, che in quel momento era ancora un vero
cane morto", ed essendo digiuni di Hegel erano anche del tutto privi di
senso dell'umorismo. Come nelle operette satiriche diffuse in quel tempo,
Bernstein si comportava alla stregua del marito tradito che davanti alla porta
del supposto amante della moglie gli intimava: Fai uscire mia moglie,
sciagurato!", laddove la moglie non era affatto in quella casa, ma era da
tempo scappata con un altro in tutt'altra direzione. Non possiamo allora
stupirci del fatto che questa prima crisi del marxismo non abbia partorito
neppure un topolino. Sebbene non abbia partorito teoricamente neppure un
topolino (altro che il mutamento qualitativo di paradigma che sarebbe stato necessario
in un'epoca in cui il pensiero borghese serio stava gi affrontando la crisi dei
fondamenti e di conseguenza abbandonando il positivismo) la prima grande crisi
del marxismo si era ancora svolta in un momento storico di sostanziale ascesa
del movimento operaio e socialista e di conseguenza del marxismo come sua
ideologia identitaria di riferimento. Gli esiti furono, in estrema sintesi, un
indebolimento della teoria di Kautsky del crollo del capitalismo ed un rilancio
della dialettica identificata ormai con l'atteggiamento rivoluzionario in
politica. Non manc ovviamente chi volle intestardirsi sulla cosiddetta
"dimostrazione economica" dell'inevitabile crollo del capitalismo, e
fra costoro si distinse Rosa Luxemburg, sacerdotessa dell'economicismo classista
pi estremo e per questa ragione destinata a diventare nella seconda met del
Novecento il simbolo dello spontaneismo delle masse contro il principio del
cattivo e prepotente partito leninista. In Italia, paese appunto della commedia
dell'arte, ci fu chi identific la storia del marxismo con l'arco di tempo della
propria adesione personale ad esso, e cos don Benedetto Croce proclam
solennemente la morte del marxismo, morte clinicamente provata dal suo
personale allontanamento. Ho sempre trovato sublime questo narcisismo
autoreferenziale assoluto (assoluto - non a caso - come lo storicismo
assoluto), ma ho spesso avuto il sospetto che ci sia qualcosa nell'aria di
Napoli (o nella pizza, o nel caff, chi lo sa) che renda l'incontro di
Pulcinella con Marx particolarmente problematico (un secondo esempio quello di Amedeo Bordiga, un signore non
privo di una sua partenopea genialit, che persegu per tutta la vita un concetto
di comunismo ricavato dagli esami di meccanica razionale e di macchinari
industriali della facolt di ingegneria civile). In ogni caso il cuore della
questione sta in ci, che per la ben nota eterogenesi dei fini l'attacco
assolutamente motivato di Bernstein alla metafisica crollistica di Kautsky port
di fatto alla graduale identificazione della dialettica con l'atteggiamento
soggettivamente rivoluzionario. Il classico indiscutibile di questo fenomeno
furono i Quaderni Filosofici di Lenin. La vittoria dei bolscevichi nel 1917
rilanci ovviamente, e non poteva essere altrimenti, la versione dialettica"
del marxismo, fino alle opere filosofiche dei primi anni venti di Lukacs e di
Korsch. Lo stesso Antonio Gramsci, sia pure nella particolare condizione di
carcerato, del tutto interno ed organico
a questa rinascita dialettica del marxismo, mentre non ha alcun senso
interpretarlo come l'ispiratore post mortem (Gramsci mor nel 1937 in una
clinica vicino a Roma) del PCI del dopoguerra, che come tutte le organizzazioni
di tipo pretesco e cardinalizio aveva bisogno di santini da portare in
processione per l'edificazione dei fedeli. Faccio parte di una generazione che
ha spesso dovuto superare la viscerale avversione verso Gramsci a causa
dell'uso pretesco e clericale che ne veniva fatto, e che poi quando l'ha letto
senza pregiudizi ha scoperto che in realt si trattava di uno spirito superiore,
un uomo libero ed intelligente (con i pregiudizi del tempo, ovviamente, ma chi
non ne ha scagli la prima pietra). L'identificazione di fatto della dialettica
con lo spirito rivoluzionario era incompatibile con la costruzione del
socialismo in un solo paese, costruzione che pur essendo a mio avviso
inevitabile in quel contesto storico determinato (e qui sono d'accordo con il
georgiano baffuto Stalin contro l'ucraino barbuto Trotzky) era incompatibile
con il mantenimento del marxismo in una situazione di libero dibattito aperto.
Ogni dissenziente diventava cos automaticamente un nemico del popolo". Dal
momento che fare un libero uso pubblico del proprio intelletto (definizione
kantiana dell'illuminismo tuttora sacrosanta) comportava il rischio di
diventare un nemico del popolo, la conseguenza fu che tutti impararono a stare
zitti ed a nascondere nel foro interno della coscienza il loro dissenso. Mezzo
secolo di questa terapia port infine a Gorbaciov, Eltsin ed alla finale vittoria
definitiva con punteggio tennistico dei baroni ladri e degli oligarchi, in
confronto ai quali la stessa vecchia e degenerata aristocrazia zarista era
un'associazione socialdemocratica di mutuo soccorso. La dialettica dovette cos
essere "normalizzata". Non potendo normalizzarla con un buon vecchio
ritorno alla sua retrocessione alla Karl Popper, il baffuto georgiano la
normalizz con la sua neutralizzazione nella metafisica del materialismo
dialettico, come ho gi brevemente indicato nel capitolo precedente. In questo
modo, e questo un punto che non generalmente capito bene dai commentatori,
Stalin non si limit a "deformare" il marxismo, ma semplicemente lo
neutralizz completamente rendendolo addirittura del tutto inessenziale e
puramente coreografico ed ornamentale. E questo non un caso, perch anche nel medioevo il Vangelo
era il liber aerethicorum per eccellenza, e mentre per qualunque altra cosa
bastava un pater, ave, gloria la libera interpretazione delle sacre scritture
portava velocemente al rogo. Di questo non mi stupisco affatto, perch persino
il Grande Inquisitore dei Fratelli Karamazov di Dostoievski, cui viene
trascinato davanti Ges di Nazareth, decide di condannarlo a morte come
potenziale eversore pur avendolo perfettamente riconosciuto. Stalin avrebbe
fatto la stessa cosa con Marx, ed in questo riconosco (il lettore mi perdoni,
ma questo un saggio sulla dialettica!)
una sua macabra e dialettica grandezza. Dopo il 1945 il problema della
dialettica continu ad essere in qualche modo legato a quello della critica al
capitalismo. In linea generale i memici della dialettica continuarono ad essere
i fautori del capitalismo stesso, sia nella variante liberale tradizionale
(Karl Popper) sia nella variante socialdemocratica europea (Jrgen Habermas).
Non un caso che nel mondo rarefatto del
dibattito filosofico, l'attacco alla dialettica passa sempre prima per un
attacco a Hegel, considerato il portatore di una posizione metafisica
premoderna, quella per la quale la conoscenza filosofica potrebbe ambire ad una
valutazione globale, sia ontologica che valoriale, della totalit sociale,
laddove il Moderno sarebbe invece caratterizzato dal disincanto weberiano. Il
disincanto, poi, si scopre sempre che
identificato con lo spezzettamento conoscitivo del mondo da parte delle
singole scienze sociali particolari e dal confinamento della filosofia a
metodologia oppure a terapia linguistica. In altre parole, il disincanto identificato con la divisione universitaria
del lavoro intellettuale. L'attacco diretto a Marx in genere delegato ai giornalisti semicolti
della pagina culturale, oppure ai discorsi politici della domenica tipo Silvio
Berlusconi, per cui Marx
indifferentemente visto come il responsabile culturale o dei gulag di
Stalin o dell'inefficienza degli impiegati dello Stato. Nel mondo sofisticato
del dibattito filosofico, il modo migliore di attaccare Marx sempre quello di passare prima per l'attacco
a Hegel, ed in questo c' una logica molto razionale, perch effettivamente la
logica dialettica di Marx assomiglia molto a quella di Hegel, con le debite
differenze che ho segnalato in precedenza (la dialettica di Marx quella del gallo che annuncia il mattino, e
quella di Hegel quella della civetta che
annuncia la sera). Colpisci Hegel, ed il colpo a Marx ti verr dato gratis in
sovrappi. E allora curioso che molti insigni marxisti (ne indico tre: Galvano
Della Volpe in Italia, Louis Althusser in Francia, Manuel Sacristan in Spagna)
si siano ingegnati ad allontanare Marx il pi possibile da Hegel, laddove invece
sarebbe stato necessario fare tutto il contrario, e cio avvicinarlo il pi
possibile, e Marx avrebbe avuto tutto da guadagnarci, perch filosoficamente
parlando Hegel gli superiore, come
Platone lo rispetto a Plotino.
Avvicinare Marx a Hegel avrebbe voluto dire "ammorbidire" certe
posizioni utopico-messianiche, da un lato, e certe altre posizioni
deterministico-mecannicistiche, dall'altro. Ma i tre signori indicati fra
parentesi, e che ormai appartengono oggi al mondo dei pi, hanno perseguito la
via dell'allontanamento anzich la via dell'avvicinamento, e lo hanno fatto in
perfetta buona fede e con buone intenzioni (ma di buone intenzioni sono piene
le fosse!), convinti di poter finalmente separare la dialettica materialistica
e scientifica dalla dialettica idealista, borghese, mistica e neoplatonica, di
Hegel. Si trattato di un vero abbaglio.
Dal momento che, come ho cercato di mostrare nel capitolo dodicesimo, il
"materialismo" non c'entra nulla, per "materialistico" essi
intendevano probabilmente "strutturalisti co". Sul piano strutturale
la dialettica di Marx non per nulla
diversa da quella di Hegel, cos come la matematica la stessa per i fisici, i chimici ed i
biologi. Certo, Hegel non si occupa delle contraddizioni fra le forze
produttive ed i rapporti di produzione, da un lato, e fra i capitalisti ed i
lavoratori, dall'altro. Ma sempre di contraddizioni dialettiche si tratta, e
cio di opposti in correlazione essenziale. Un po' diverso il caso di Lucio Colletti. Lucio Colletti
inizia la sua carriera di marxista con una critica al materialismo dialettico
di Lenin e poi di Stalin, ed ottiene buoni risultati in
questo"smascheramento" . E infatti questo un campo in cui l'uso della
dialettica confutatoria di Zenone, Aristotele e Kant ottiene ottimi risultati,
perch il materialismo dialettico una
metafisica immensamente pi dogmatica ed infondata di quelle religiose
tradizionali. Direi di pi. Smascherare dialetticamente" quella vera e
propria imbalsamazione e neutralizzazione della dialettica che il materialismo dialettico un gioco da ragazzi. Poi Colletti, in
collaborazione con Claudio Napoleoni, giunge ad una scoperta filologica e
filosofica assolutamente geniale, e cio alla sostanziale identit fra la teoria
filosofica dell'alienazione e la teoria economica del valore in Marx. Nel
contesto infatti del modo di produzione capitalistico (e non, si badi, in
quello della storia universale come concetto trascendentale riflessivo) c'
alienazione nella misura in cui il valore di scambio ha impregnato l'intero
legame sociale umano. La cosa curiosa sta in ci, che questa scoperta, che
personalmente condivido completamente e che per me una ragione in pi per valutare positivamente
l'idealismo di Marx, invece per Colletti
il pretesto per abbandonare il marxismo (e si veda per questo il dettagliato
libro di Orlando Tambosi). Colletti scopr infatti l'acqua calda, e cio nella
fattispecie il fatto che Marx utilizzava contraddizioni dialettiche (del tipo
A/Non-A) anzich opposizioni reali senza contraddizione (del tipo A/B), le sole
secondo la logica di Kant che possano veramente dare luogo ad una conoscenza
scientifica. Non vorrei che il lettore pensasse che l'orizzonte politico e
sociale del marxismo, e cio la critica del capitalismo, si possa abbandonare
per la scoperta di paralogismi puramente logici. Neppure il professore
universitario pi pazzo lo fa. Sarebbe come dire che uno smette di credere in
Dio perch legge la confutazione kantiana delle prove ontologiche, cosmologiche
e fisico-teologiche. No, uno prima smette di credere in Dio in base ad una
intuizione olistica prerazionale, e poi
in grado di approvare la dialettica di confutazione della teologia.
Nello stesso modo uno prima schifato dal
marxismo (in generale per la ripugnanza che comincia a provare per i
marxisti" che si dichiarano tali e che si distinguono per cinismo,
prepotenza, incompetenza ed arrivismo) e poi cerca argomenti sofisticati per
giustificarlo in quel calderone che ho in precedenza definito la doppia
antipatia verso Hegel e verso Marx. A questo punto, il fatto che l'esito sia la
vita privata o Berlusconi interessante
solo per i settimanali di pettegolezzi e gossip. Prima scatta una volont
psicologica soggettiva accompagnata da un riorientamento olistico complessivo
che ti fa vedere l'intero mondo diversamente (in questo caso, l'intero mondo
capitalistico diventa improvvisamente normale" e non pi alienato), e poi,
se per caso hai competenze filosofiche, scopri provvidenzialmente che non possibile la trasformazione dei valori in
prezzi di produzione (oh! oh!) e che le opposizioni reali sono in realt
contraddizioni dialettiche di tipo neoplatonico e non scientifico (oh! oh!). A
parte queste interessanti avventure della dialettica", a mio avviso il
punto principale sta in ci, che nella seconda met del Novecento la dialettica
non stata praticata nella forma
hegeliana classica, e cio quella dei tre momenti astratto, dialettico
propriamente detto e speculativo, ma ci si
sempre fermati ai primi due momenti, e cio astratto e dialettico, senza
mai arrivare allo speculativo. Si sempre
fatta soltanto una critica interminabile dell'astratto (metafora per indicare
la razionalit capitalistica dell'intelletto strumentale), e si chiamata questa critica
"dialettica", laddove cos non era. Far l'esempio di due scuole
apparentemente diversissime come il movimento maoista occidentale (Charles
Bettelheim) e la scuola di Francoforte (Theodor W. Adorno). In entrambi i casi,
e cio la dialettica interminabile di Mao Tse Tung e la dialettica negativa di
Adorno, non si mai fatto della dialettica
nel senso speculativo di Hegel. Nel caso di Mao, si accolta con entusiasmo la dialettica cinese,
che per definizione non speculativa,
perch sempre aperta (l'uno si divide in
due anzich il due si riunisce in uno). Ma questa dialettica deriva dalla scuola
yin-yang, quella dei due principi eterni in movimento reciproco, che d luogo ad
un concetto di contraddizione che
espresso dall'ideogramma cinese mao duri, in cui c' una lancia
irresistibile (mao) ed uno scudo imperforabile (duri). E cos, come lo yin e lo
yang coesisteranno in eterno, nello stesso modo la lancia irresistibile e lo
scudo imperforabile si scontreranno in eterno. Questa sorta di eraclitismo,
bene o male che lo si giudichi, non pu per sua natura dar luogo ad un esito
"speculativo" nel senso di Hegel, ma connota soltanto un generico
divenire antagonistico delle cose. Si dir che la sofisticata dialettica
negativa di Adorno non c'entra molto con questo taoismo cinese del movimento
permanente yin-yang. All'atto pratico, per, il rifiuto dell'esito
speculativo identico. Adorno attua una
pi che quarantennale critica alle antinomie della civilt borghese, ad un tempo
colpevole degli esiti totalitari che lui rifiuta e ricettacolo ideale di
modelli di vita degni di rispetto e nostalgia. Questa dialettica cos chiamata "negativa", ma non ce
ne sarebbe neppure stato bisogno, in quanto anche per Hegel la dialettica era
"negativa" se decideva di fermarsi e sostare nel suo secondo momento
di semplice critica dell'astratto rifiutando ogni esito speculativo (peraltro
anche in Hegel sempre provvisorio, perch solo l'Assoluto in Hegel non provvisorio perch partecipa dell'infinito,
laddove l'Oggettivo, e cio lo storicamente determinato, lo invece sempre). In Mao la dialettica soltanto registrazione della conflittualit
umana pensata come eterna, in cui lo stesso "comunismo" diluito in un eraclitismo permanente. In
Adorno la dialettica invece nostalgia di
un modello di vita borghese perfetta, al punto che il suo allievo Krahl osserv
che il suo maestro "non aveva saputo congedarsi dal suo congedo".
Questo non ci deve per stupire. Per fortuna, le avventure della dialettica non
sono finite. Nel prossimo capitolo il lettore potr prenderne atto in modo pi
completo. Capitolo quindicesimo La dialettica oggi. L'incubo della fine
capitalistica della storia ed il sogno di una utopia concreta di emancipazione
La dialettica oggi. E l'oggi non un oggi
generico, ma l'oggi determinato temporalmente dell'anno 2006. Questo oggi ha
appunto ben precise coordinate spaziali e temporali che sarebbe assurdo mettere
fra parentesi e rimuovere. Si tratta dello spazio della cosiddetta
globalizzazione, nome con cui si intende l'unificazione capitalistica integrale
del pianeta, e del tempo di un dominio imperiale del tutto slegato da ogni
residuo diritto internazionale che si
messianicamente identificato con l'intera umanit, in nome della quale
minaccia, occupa e bombarda. Si dir che la filosofia non deve occuparsi di
questo. Vorrei prendere molto sul serio questa considerazione, e non
respingerla subito con una rapida alzata di spalle. Chi pensa per che la
filosofia non dovrebbe occuparsi di questo, ma lasciare queste miserie umane ai
politologi, ai politici, agli economisti, ai sindacalisti, ai militari, agli
studiosi di geopolitica e di geostrategia, eccetera, immagina che la filosofia
possa vivere, conoscere e progredire rimuovendo il mondo ostile e costruendo
isole protette di amici riunitisi in base alla loro affinit spirituale. A suo
tempo, questa fu la soluzione del Giardino di Epicuro. Pi tardi, fu la
soluzione dei monaci di San Benedetto da Norcia. Ammetto apertamente che si
tratta di una scelta praticabile, e non voglio certo irriderla o diffamarla in
nome di un generico ed astratto appello all'impegno a tutti i costi". Si
impegna chi si vuole impegnare. Non
detto che tutti debbano farlo. Si pu anche decidere che
l'insopportabilit o l'immodificabilit del mondo esterno sono ormai divenute
tali da sconsigliare ogni agitazione priva di prospettive visibili e di
consigliare un ripiegamento in una secessione organizzata e in esodo di
sopravvivenza regolata. Lo hanno fatto in passato, si pu fare anche oggi. E
tuttavia c' anche chi non sceglie questa via, magari dopo averla presa in
considerazione e dopo averla pacatamente scartata e rifiutata. Per coloro che
scelgono questa via la dialettica
inutile. L'esodo e la secessione non si riproducono dialetticamente.
Basandosi su di una astrazione, pi esattamente di una astrazione dalla societ,
i praticanti dell'esodo e della secessione possono anche immaginare di stare
seguendo la via della sapienza indiana di Siddharta o la via cinese del saggio
Lao Tse, ma seguono in realt la via del buon vecchio intelletto astratto della
separazione. Chi si separa dal tutto non pu che praticare la logica della
separazione della parte dal tutto, e questa logica esiste gi da secoli, e si
chiama appunto logica dell'intelletto astratto. L'ingegnere specialista ed il
monaco neobuddista, sia detto con tutto il rispetto che meritano, praticano
appunto questa logica di separazione dell'intelletto astratto. Chi invece
intende praticare la dialettica del concreto, la sola dialettica che esiste,
dovr occuparsi appunto del concreto, che
concreto di molte determinazioni. E il concreto di molte
determinazioni oggi il mondo reale
storico e geografico. Platone poteva occuparsi di un concreto pi piccolo, che
era il concreto della comunit politica ideale, dei modi della sua costituzione
e della sua gestione ed infine delle forme della sua corruzione e progressiva
dissoluzione. Hegel si dovette occupare gi di una comunit un po' pi grande,
quella dello Stato moderno e delle famiglie e corporazioni professionali che lo
costituivano e lo rendevano concreto". Ma oggi, a differenza che ai tempi
di Platone e di Hegel, il mondo
diventato di fatto globale, e questo del tutto indipendentemente dal
fatto che la categoria di globalizzazione" sia economicamente adeguata o
non intenda invece soltanto coprire virtuosamente un insieme conflittuale di
realt imperialistiche ih feroce lotta reciproca. Se il mondo diventato globale, ci vorr una dialettica
della globalit. E per questo non significa certamente che le dialettiche di cui
ci siamo occupati fino ad ora nei precedenti capitoli sono finite, o per cos
dire scadute". Non sono scadute per niente. Dalla contingenza storica
nasce la permanenza filosofica. Ci vorr per un'altra e nuova rete di
specificazioni, e di questo allora dovr occuparsi questo capitolo. In estrema
sintesi, ci vorr una pars destruens ed una pars costruens, metafore per indicare
una dialettica discendente ed una dialettica ascendente. La dialettica
discendente dovr oggi confutare le pretese di verit di quello che definir il
lessico dell'impero; la dialettica ascendente dovr invece contribuire a
costruire concettualmente il Dialogo delle Libere Comunit. Ho messo volutamente
le maiuscole perch i concetti meritano la maiuscola. Ora esaminiamo
separatamente il lessico dell'impero prima ed il dialogo delle libere comunit
poi. Il lessico dell'impero
l'equivalente contemporaneo di quello che nel suo romanzo fantapolitico
1984 George Orwell defin Neolingua (Newspeak). La neolingua sostituisce la
lingua normale, che mira alla connotazione consensuale dei termini concreti ed
astratti per rendere possibile la cooperazione nel lavoro (matrice originaria
storica ed ontologica del linguaggio) ed il confronto di opinioni rivolto
all'organizzazione delle societ umane. E la sostituisce per imporre un lessico
totalitario in cui il significato delle parole non pi rivolto a connotare relazioni sociali ed
umane potenzialmente paritarie, ma rapporti di dominio travestiti da vere e
proprie pseudo- oggettivit semantiche manipolate. Il sacerdozio deputato alla
gestione di questa sacralizzazione del linguaggio manipolato del dominio oggi il circo mediatico, in particolare (ma
non solo) televisivo, mentre il circo universitario delle facolt di filosofia,
storia e scienze sociali ne diventato un
supporto, cos come nel medioevo le biblioteche teologiche dei conventi
domenicani e francescani facevano da supporto ai gruppi inquisitoriali deputati
al controllo del consenso. Il progresso", se vogliamo chiamarlo cos, ha
fatto s che il controllo sia oggi flessibile e non rigido come un tempo, e
certamente la saturazione televisiva pi
performativa per ottenere il consenso delle vecchie tenaglie roventi. Ma sempre
di sacerdozio si tratta. La buona e vecchia dialettica ha fatto s che il vero
sacerdozio oggi proprio il
laicismo", che vuole ridicolizzare tutte le religioni monoteistiche
invecchiate perch ne possa restare solo una, la religione del monoteismo del
mercato capitalistico. Per questa ragione la cintura protettiva del lessico
dell'Impero affidata al cosiddetto
Politicamente Corretto, una dittatura linguistica e simbolica che decide ci che
pu essere detto e ci che non pu essere detto. La saggezza popolare un tempo
diceva: "Scherza con i fanti e lascia stare i santi". Ma oggi il
politicamente corretto decide chi si pu prendere in giro e chi no. In questo 2006 consentito disegnare Cristo che fa
l'indossatore di mutande firmate, Maometto che circola con un candelotto di
dinamite sul turbante, mentre chi rappresentasse Mose che conta le monete d'oro
verrebbe subito licenziato per antisemitismo e nazismo di ritorno. Fuori del
nostro mondo impazzito, che si ritiene emancipato perch privo ormai di ogni
senso della sacralit, c' chi mantiene ancora un minimo senso del rispetto per
tutte le religioni. Sono stato molto colpito da una fotografia di un corteo di
donne turche a Istanbul, con una ragazza che portava un cartello con su scritto
"Isa sizden utaniyor" (Ges Cristo si vergogna di voi). Non aveva
scritto Maometto (Mehmet), ma proprio Ges (Isa). Al di fuori dei fanatismi
politici artificialmente irrigati, la gente semplice quasi sempre capace di cogliere il nucleo
della questione. Oggi la dialettica confutatoria di Zenone, Aristotele e Kant
deve essere messa al servizio della critica alla nuova metafisica del Lessico
dell'impero. Cominciamo ad elencare senza alcuna pretesa di completezza alcuni
termini sacri di questo lessico dell'impero. Diritti Umani I diritti umani sono
i diritti che per natura spettano all'uomo in quanto tale. Si tratta di un
prodotto specifico del giusnaturalismo europeo moderno, ma gi gli stoici
antichi credevano in un diritto naturale cosmopolitico, ed in tutte le civilt
del mondo sono stati prodotti equivalenti (Panikkar li chiama equivalenti
omeomorfi") del diritto naturale. Credo fermamente che il senso di
giustizia, sia pure variamente articolato, derivi dalla stessa natura dell'uomo,
e non condivido allora per nulla la cosiddetta teoria della tabula rasa di
Locke. Ma qui il discorso si farebbe lungo, non si pu fare in questa sede, ed
arrivo subito al nocciolo della questione. I diritti umani infatti esistono, ma
sono propriet indivisa dell'intera umanit, e nessuno pu arrogarsi il diritto di
impossessarsene e di bombardare in loro nome. E per evidente che una societ
basata sulla propriet privata pensi anche i diritti umani come una nostra
propriet privata, la propriet privata dell'Occidente capitalistico ed
imperiale. In questo modo noi invadiamo i paesi pi deboli in nome
dell'esportazione armata dei Diritti Umani. E cos come le uova gettate dagli
aerei si rompono nella caduta, ed una volta rotte non si possono pi mangiare,
nello stesso modo i diritti umani gettati con le bombe una volta arrivati al
suolo si rivelano disumani", e non si possono pi consumare. La libert La
libert esiste veramente, ed una propriet
ontologica indivisibile dell'essere umano come ente naturale generico. La
libert come il respiro, chi ne privato vive in apnea, e pur di poter
respirare a pieni polmoni molto spesso
disposto anche a barattare la precedente modesta eguaglianza senza
libert. Chi ha sostenuto che la libert
un lusso borghese di cui i rudi proletari con le mani callose non sanno
che farsene ha mentito, ed ha infine pagato molto cara questa menzogna. Ma la
libert" che oggi viene esportata dai bombardieri imperiali e dai loro
ridicoli mercenari solo una protesi per
l'estensione del dominio delle multinazionali capitalistiche, che montano
immediatamente un circo mediatico ed accademico di simulazione
pluralistica" per legittimare la propria occupazione privatistica
integrale del territorio. L'uso ma- nipolatorio del termine libert" ha gi
migliaia di anni, ed uno studio semantico-comparativo delle ideologie del
dominio sarebbe indubbiamente molto utile. Processo di Pace Altrimenti detto
Road map, il processo di pace significa annessione brutale dell'intera citt di
Gerusalemme, nuova capitale religiosa dell'impero in cui tutti i vassalli
verranno chiamati ad una cerimonia di sottomissione e di espiazione, laddove
Washington rester solo una capitale politica (la distinzione fra capitale
politica e religiosa era gi presente presso gli Aztechi, in particolare fra
Tenochtitlan e Tezcoco). Significa reclusione dei palestinesi cacciati dalla
loro terra in alcuni bantustan senza continuit territoriale, manodopera a buon
prezzo per il popolo dei signori (Herrenvolk). Se poi qualcuno si stupir di
questo rovesciamento delle parti (ed io confesso che non cesso di stupirmi)
allora dir: la dialettica, bellezza! Democrazia La democrazia il potere del popolo, o pi esattamente il
processo dinamico che porta il popolo al potere, ve lo mantiene e controlla che
non vi sia in atto un processo di espropriazione delle decisione. Oggi in
Europa non c' democrazia, perch il popolo non pu essere al potere se le
decisioni economiche sono in mano ad alcune multinazionali finanziarie e le
decisioni militari strategiche sono in mano a basi americane armate di armi
atomiche installate in permanenza a sessant'anni (60) dalla fine della seconda
guerra mondiale che avrebbe dovuto "liberare" (sic!) l'Europa e
renderla sovrana delle sue decisioni. Potremmo ovviamente continuare. Ma il succo
della questione sta in ci, che oggi la metafisica da legittimare non pi la vecchia e bonaria trinit noumenica di
Anima-Mondo- Dio del vecchio Kant, ma il
nuovo feroce lessico dell'impero. Qui la dialettica confutatoria e
smascheratoria pu continuare ad essere molto utile. Per il momento constato
che poco usata, continuamente minacciata dal ricatto del
politicamente corretto amministrato dal circo mediatico e dalla consorteria
accademica anglofona unificata, ma oso sperare che si tratti solo di un'eclisse
temporanea, dovuta alla sinergia patogena fra riconversione pentitistica della
generazione sessantottina, crollo dissolutivo del comunismo storico
novecentesco con riciclaggio semicriminale dei suoi apparati burocratici
economicistico-nichilistici e delirio di onnipotenza neo-con dell'impero
impazzito (il termine neo-con deve essere inteso nel significato francese del
termine). La dialettica critica di confutazione del lessico dell'Impero, che ha
come cassa di risonanza, di istupidimento programmato, di manipolazione
scientificamente studiata e di saturazione psicologica integrale il circo
mediatico e televisivo in particolare (cosa di cui si accorto pensino l'ultraliberale e
filocapitalista assoluto Karl Popper),
solo per la pars destruens dell'intera faccenda, ed quindi del tutto insufficiente. Come per la
Scuola di Francoforte, essa resta soltanto una testimonianza di protesta e
consapevolezza puramente negativa, anche se necessaria. E infatti
indispensabile anche una dialettica positiva, che si pu provvisoriamente
connotare come Dialogo delle Libere Comunit. Ho scritto "comunit" e
non "individuo" non certo perch non creda alla possibilit di dialogo
filosofico costruttivo fra liberi individui indipendenti. Ci credo, eccome, e
l'ho praticato per tutta la vita e non cesser di praticarlo finch potr.
Semplicemente la somma di individui isolati, sia pur critici, disponibili ed
intelligenti, non in grado di costituire
la massa sociale critica minima per lottare contro il lessico dell'Impero.
L'impero ha anzi previsto questo tipo di critica programmaticamente impotente,
ed infatti ha messo al posto della demenziale rigidit autoritaria del penoso
comunismo storico novecentesco, che controllava persino i saggi su Platone per
verificare se per caso non fossero poco "materialisti", un sistema
flessibile di nicchie a paratie stagne in cui i "dissenzienti"
possano dividersi in gruppi e scuole diverse. Il sistema attuale tende a
dividere i lavoratori manuali salariati (perch abbiano minore potere di
contrattazione nella vendita della loro forza-lavoro) ed invece ad unire ed a
aggregare gli intellettuali in gruppi politicamente corretti in qualche modo
controllabili, lasciandone fuori soltanto alcuni eremiti inassimilabili
(negazionisti storici, ecologisti radicali, fondamentalisti comunisti,
eccetera). II punto di partenza socratico di un nuovo dialogo odierno, che
ribattezzerei in greco (moderno) pankosmiopoietiks logos, e cio logos
mondializzato e globalizzato, pu essere a mio avviso il presupposto socratico
(ma esteso al mondo intero) dell'ironia, e cio dell'ammettere preliminarmente
di sapere di non sapere quale sia la migliore forma di vita e di costume
sociale. Chi allora vuole partecipare in condizioni paritarie a questo logos
mondializzato e globalizzato, in cui idealmente l'agor di Atene l'intero pianeta, deve mettere sullo stesso
piano la costrizione al velo in Afghanistan e l'abbandono sulle strade degli
homeless negli USA, l'infibulazio-ne del clitoride in Somalia e la vendita di
armi da guerra nei supermercati negli USA, il matrimonio combinato dalle
famiglie nelle campagne della Turchia e la libera convivenza fra sessi (o
all'interno dello stesso sesso) in Olanda o in Danimarca. Un relativista
assoluto dir a questo punto che non esiste e non pu esistere un criterio filosofico
veritativo che possa prima confrontare questi modi di vita e poi
giudicarli" in termini di male minore elo di bene maggiore. Dal momento
che ogni dialettica ha sempre necessariamente un presupposto non dialettico
all'origine, ed anche in questo caso non pu essere che cos, diremo che il
presupposto non dimostrato ed indimostrabile sta nel semplice e nudo fatto che
i partecipanti potenziali al dialogo (comunit ed individui) accettino di
parteciparvi. Il secondo presupposto non
per un presupposto, e consiste nel convincimento che esista un
Universale etico e politico (per ora lasciamo aperto il problema se lo sia alla
Platone, alla Plotino, alla Hegel o alla Marx) che si possa raggiungere
attraverso il dialogo. L'utopia dialogica sarebbe allora quella che potesse
portare consensualmente a queste conclusioni:
bene che le donne possano portare sul capo quello che vogliono,
fazzoletti, foulards oppure se lo vogliono niente; bene che nessuno venga lasciato a dormire per
strada per mancanza di soldi; bene che
l'infibulazione del clitoride femminile venga proibita per legge; bene che il matrimonio sia libero ma non
combinato, e che comunque il matrimonio eterosessuale potenzialmente famigliare
non venga messo giuridicamente sullo stesso piano delle libere (e
sacrosantemente permesse e tutelate) unioni di altro genere. Eccetera,
eccetera. Il lettore dir che in questa esemplificazione io non ho affatto
raggiunto l'universalit, ma ho semplicemente manifestato le mie personali
empiriche preferenze politiche e culturali, socialmente rivoluzionarie e
culturalmente pi conservatrici. Naturalmente
cos, e lo ammetto apertamente. Ma io non pretendo di essere il logos,
come non pretendevano di esserlo Platone (il logos l'Uno-Bene), Plotino (il logos l'Uno-Bene inteso come divinit che emana la
sua pienezza), Hegel (il logos
l'Assoluto), eccetera. Ogni individuo empirico, come io sono, sempre e soltanto una parte minima del tutto,
una vera e propria casualit storica e psicologica, ma questo non significa che
questo individuo non partecipi" (metexis) di un comune elemento razionale
che ci lega tutti in una comunit ideale. La comunit ideale, appunto, viene
rispecchiata e raddoppiata da una filosofia idealista. Essa non c' ancora.
Quella di Hegel era ottima ai suoi tempi, ma era caratterizzata da elementi di
eurocentrismo e di occidentalismo a volte quasi razzistico (e si leggano le sue
considerazioni sui musulmani, sull'Africa, sulla Cina, sull'India, eccetera).
Quella di Marx era (a mio avviso, naturalmente) ancora migliore, ma era
indebolita da un mito sociologico proletario (inesistente) sul quale veniva
proiettata l'intera umanit futura, che era considerata e concepita come una
sorta di Proletariato Ideale finalmente Unificato, ed unificato
speculativamente attraverso il negativo della precedente lotta di classe (lato
dialettico), rivolta a superare il punto di vista capitalistico-borghese (lato
astratto- intellettualistico). Se quanto dico
anche solo in piccola parte vero, ne consegue che oggi abbiamo bisogno
di una nuova filosofia idealistica e dialettica mondiale, di cui quelle di
Platone, Plotino, Fichte, Hegel e Marx non saranno che delle anticipazioni. Ed
a questo auspicio devo fermarmi. Se infatti pretendessi di cominciare a
concretizzare" questo ancora inesistente logos globalizzato finirei
inevitabilmente nella situazione dell'italiano pittoresco impersonato dal
comico Alberio Sordi a Londra, e cio di farsi ridere dietro da tutti".
Come nella vita di tutti i giorni bene
non credersi Napoleone, che tutte le barzellette connotano come segno
inequivocabile di pazzia, cos in filosofia
bene non credersi Platone, Hegel e Marx. Ma un conto non credersi questi nobili personaggi en
presbeia kai dynamei (in nobilt e forza), come direbbe Platone, e un conto invece non imparare da loro il logos ad un
tempo dialettico ed ontologico. Assicuro il lettore che personalmente ho sempre
cercato di imparare da loro, e continuer a farlo. Capitolo sedicesimo
Conclusione e sintesi Una breve ricostruzione della storia della dialettica,
come quella intrapresa ed esposta nei quindici precedenti capitoli, presuppone
una preventiva lettura della storia della filosofia occidentale, che l'attuale
globalizzazione ha comunque in una certa misura mondializzato. Si pone allora
un problema, che opportuno discutere in
questa conclusione: possibile scrivere
oggi una storia sensata" della filosofia occidentale che non cada da una
parte nella semplice dossografia, e cio nella pura e semplice esposizione
neutra ed asettica, anche se onesta", delle filosofie volta a volta prese
in considerazione, o dall'altra parte in una irritante ideologia, in cui i vari
pensatori esposti sono incasellati nelle due lavagne dei buoni" e dei
cattivi" in funzione del punto di vista settario del compilatore che si
erge a (ridicolo) tribunale definitivo della storia? Non so se sia possibile,
ma so che si pu sempre provare a farlo. L'applicazione del metodo dialettico
alla storia della filosofia dovrebbe sempre tener conto della Contingenza
(nella genesi storica e sociale di una filosofia) e della Permanenza (della sua
validit che resiste all'azione corrosiva del tempo). Questo non significa
affatto che tutti i filosofi esposti debbano esserci simpatici" oppure (il
che assolutamente impossibile) che noi
dobbiamo condividerli tutti. Chi condivide tutti non condivide in realt
nessuno. In questo mio scritto, ad esempio, il lettore si certo accorto che io condivido assai poco
Kant e condivido molto di pi Hegel. Non vedo come sarebbe possibile scrivere
oggi una storia della filosofia che non fosse una mera dossografia per esami
universitari senza prendere filosoficamente posizione o per Kant o per Hegel.
Kant e Hegel, infatti, rappresentano due risposte alternative al problema
dell'atteggiamento verso la cosiddetta metafisica", termine improprio ed
ambiguo che poi vuol dire quasi sempre adesione o meno ad una concezione
veritativa della conoscenza filosofica integrata (ma non esaurita) dalle
conoscenze scientifiche specialistiche. E dunque assolutamente impossibile chiedere
ad uno storico della filosofia - che non intenda solo scrivere una monografia
specialistica - di essere neutrale" rispetto all'impostazione ed alla
soluzione dei principali problemi filosofici. Solo un venditore di tappeti pu
pensare che il filosofo possa non essere in qualche modo di parte". La
filosofia infatti un dialogo fra parti.
Solo un paranoico in crisi di delirio di onnipotenza potrebbe pensare di essere
il Tutto e di parlare in suo nome. Il Tutto peraltro esiste, ma conoscibile solo dalle sue Parti, che restano
Parti per ragioni ontologiche ineliminabili. Chiunque ha il diritto di credersi
Dio, oppure di parlare a suo nome. Se
innocuo, non fa male a nessuno. La sola cosa che non pu fare partecipare ad un dialogo filosofico. La
storia della filosofia occidentale
inevitabilmente sempre oggetto di una grande narrazione" (grand
rcit), per usare il termine del filosofo francese Jean-Francois Lyotard, grande
narrazione filosofica della storia dell'occidente che non in quanto tale n classica, n moderna, n
tantomeno postmoderna, ma solo la
ricaduta inevitabile (ed a mio avviso del tutto legittima) del tentativo insito
nella natura umana di dare un senso compiuto a ci che di per s ne sarebbe
privo, e cio la concatenazione temporale delle produzioni filosofiche. E
tuttavia la rinuncia alla grande narrazione filosoficamente sorvegliata ci fa
cadere dalla padella nella brace, e cio nella falsa antinomia
dossografia/ideologia. La dossografia, che
sempre utilissima ed a volte provvidenziale, da Diogene Laerzio a Nicola
Abbagnano (autore della migliore dossografia filosofica italiana dell'ultimo
cinquantennio), costruita sulla rinuncia
anticipata alla dialettica fra Contingente e Permanente nella storia della
filosofia, ed il lettore (o lo studioso) che vi si forma sopra sar
inevitabilmente portato a pensare che le categorie filosofiche cadano dal cielo
o nascano dalla fantasia creatrice umana pura, perch la loro genesi storica e
sociale programmaticamente esclusa.
L'ideologia, che in linea di massima
peggiore della semplice dossografia, incasella le produzioni filosofiche
nel letto di Procuste della polemica politica di breve respiro, ed ha come
caratteristica la negazione del carattere veritativo della conoscenza
filosofica stessa, sempre relativizzata agli scontri politici e sociali
dell'epoca e sempre privata della sua aspirazione all'eternit. Sapendo di
scrivere in ogni caso una grande narrazione, cio qualcosa che il mondo non
contiene ma che noi in qualche modo aggiungiamo al mondo, si tratta di sottoporre
questa grande narrazione ad un controllo filosofico. E questo controllo non pu
che essere il dialogo. Il primo e massimo esempio di dialogo filosofico, il
logos sokratikos, non pu fare a meno di utilizzare la dialettica come strumento
di confutazione, prima, e come via ascendente verso il concetto vero, poi. Qui,
e solo qui, la filosofia si stacca dalla religione, senza che questo implichi
affatto automaticamente che debba negarla (0 approvarla). La filosofia esiste
allora sempre e solo all'interno di uno spazio dialogico e critico fra almeno
due filosofi, in agone amichevole. L'agone
qualcosa in cui qualcuno vince e qualcuno perde, e l'agone
amichevole quello in cui il perdente anche lui soddisfatto se pu riconoscere che
il vincitore ha meritato di esserlo. AI di l delle utilissime dossografie, io
conosco tre vere e proprie storie della filosofia occidentale elaborate negli
ultimi secoli, quella di Hegel, quella di Heidegger ed infine quella costruita
da vari autori all'interno del comunismo storico novecentesco recentemente
defunto (1917-1991). Le riassumer brevemente e senza alcuna pretesa di
completezza, per poi tornare all'uso della dialettica come criterio per poterle
in qualche modo giudicare. Hegel stato
il primo grande filosofo che ha cercato di costruire una storia della filosofia
sensata ed appunto "filosofica", che non fosse solo un racconto
dossografico alla Diogene Laerzio. Ho gi fatto notare in un precedente capitolo
che egli era stato in un certo senso preceduto da Aristotele, che aveva idealmente
organizzato il pensiero precedente (ai suoi tempi gi vecchio di due secoli)
intorno al concetto di causa (aitia, aition), o pi esattamente intorno al
concetto ordinatore delle quattro cause. Si trattava per di un principio del
tutto estrinseco, che tagliava fuori come inesistente, o pi esattamente come
inavvertito, il problema della minaccia sociale di perdita del senso della
convivenza comunitaria, che invece io mi sono permesso di mettere all'origine
del pensiero filosofico. Non comunque un
caso che Hegel sia stato il primo fondatore moderno della storia della
filosofia come "racconto unitario sensato". Kant non poteva esserlo,
perch si muoveva all'interno delle due opposizioni assolutamente astratte"
fra conoscenza vera e fenomenica e conoscenza impossibile e metafisica, da un
lato, e fra etica autonoma e formale ed etica eteronoma e contenutistica,
dall'altro. Il lettore qui potr forse dissentire, ma a mio avviso su queste
basi dicotomiche si pu fare solo della dossografia. Hegel invece trasferisce il
suo modello dialettico di passaggio graduale e contraddittorio dall'astratto al
concreto (pi esattamente, dall'essere al concetto attraverso la mediazione
necessaria dell'essenza) dalla semplice logica, e cio da Dio prima della
creazione del mondo, al mondo realmente creato, e cio alla storia intesa come
concetto trascendentale riflessivo. In questo modo la storia della filosofia
acquista un senso, e questo senso consiste nella sempre maggiore
concretizzazione delle categorie logiche attraverso i vari filosofi successivi,
nessuno dei quali semplicemente sbaglia" oppure ha ragione",
concorrendo tutti invece al grande lavoro dello Spirito, ed essendo in questo
modo tutti eroi del pensiero". Trovo personalmente questa concezione di
Hegel sensatissima, e non la considero affatto in modo meschino (come hanno
fatto Schopenhauer e Kierkegaard nella generazione immediatamente
posthegeliana, e come fanno oggi tutti i nani e tutte le ballerine della
superficialit contemporanea) una pensata arbitraria di uno svevo che si credeva
Dio, ma la considero invece una normale e fisiologica produzione del punto arto
raggiunto dall'autocoscienza filosofica occidentale nel momento magico del
passaggio dall'illuminismo al romanticismo. La concezione di Hegel fu poi alla
base della riforma del 1923 di Giovanni Gentile, che soggettivamente avrebbe
sperato che l'insegnamento della filosofia in Italia non prendesse la via
dossografica della filastrocca di opinioni casuali (via quanto mai
diseducativa, perch comunica l'idea che la filosofia sia un insieme inutile e
casuale di pensa te" soggettive quasi sempre paradossali ed insensate, del
tipo penso dunque sono" oppure L'To pone il Non-Io"), ma riprendesse
la corretta impostazione di Hegel. Tutto questo si rivel impossibile. Quella di
Hegel era un'utopia logica e concettuale. Dopo la sua morte il positivismo
distrusse alle fondamenta il principio razionale che la reggeva, sostituendolo
con l'idea che la filosofia solo un
momento adolescenziale della storia del progresso, e che l'unico parametro
reale per poter giudicare il progresso stesso
il sempre maggiore affinamento matematico delle leggi scientifiche. Il
Vero, in questo modo, non il Concreto
delle determinazioni della convivenza umana metaforizzata attraverso la
categoria del Bene, ma diventa E=mc, e cio un'equazione. E questo con tutto il
rispetto per Einstein, che non era personalmente un positivista, ed era invece
attratto dalla sintesi filosofica di Spinoza, per cui la verit non consisteva
in una laurea in scienze naturali, ma nella conoscenza intellettuale di Dio (e
si legga per questo il quinto libro dell'Etica). La storia della filosofia di
Hegel resta cos il modello di un'utopia non realizzata. In trentacinque anni di
insegnamento della filosofia non ho mai visto un solo collega ispirarsi a
questa concezione nella pratica quotidiana del suo insegnamento. Io stesso non
l'ho fatto mai, il che ovviamente non un
argomento, perch potrebbe darsi che Hegel abbia avuto assolutamente ragione, e
che i tempi storici che l'hanno seguito hanno preso un'altra strada non perch
fosse migliore o pi scientifica", ma perch evidentemente il tempo della
casuale dossografia rispecchia il tempo dello scontro politico-sociale fra
principi astratti", e cio fra principi del tutto particolari o al massimo
dialettici", e cio incapaci di sintesi speculativa. Ma non detto che ci che stato impossibile nel recente passato lo sia
anche nel futuro. La storia della filosofia disegnata e concretizzata da
Heidegger rappresenta invece a prima vista un semplice rovesciamento di quella
di Hegel. Mentre in Hegel il pensiero era in progresso nel corso dei secoli, ed
il filo conduttore di questo progresso era la sempre maggiore concretizzazione
delle categorie filosofiche stesse, in Heidegger il pensiero occidentale invece segnato da una decadenza, dovuta al
fatto che le scelte teoriche di Platone hanno innescato un processo
metafisico" alla fine del quale si ha la risoluzione tecnica", e
quindi anonima, impersonale ed insuperabile (Gestell) della storia dell'Occidente,
divenuto nel frattempo con la globalizzazione economica mondiale il modello
dell'intero pianeta. chiaro che
Heidegger stato influenzato in questa
concezione da Nietzsche, che gi a suo tempo aveva rivolto a Socrate ed a
Platone accuse in fondo non poi cos lontane da quelle di Heidegger
(intellettualismo, fissazione per la semplice essenza e quindi oblio
dell'essere in quanto tale, eccetera). Il fatto poi che in un secondo tempo
Heidegger abbia criticato lo stesso Nietzsche, considerato in termini di coronamento
della tradizione soggettivistica occidentale e non in termini di critico e
martellatore" di quest'ultima, non cambia per l'essenziale della lettura
heideggeriana. Come nel caso di Hegel, anche nel caso di Heidegger impossibile saltare" la valutazione
complessiva in termini storici e sociali. Hegel scrive nel momento magico
dell'utopia romantica della pienezza dei tempi, in cui si poteva pensare che
l'Autocoscienza non fosse un'invenzione arbitraria di un signore di Stoccarda
con cattedra a Berlino, ma fosse invece il modo astrattizzato di indicare un
progresso reale nella storia dell'umanit, sia pure solo occidentale e non
ancora mondializzata. Heidegger scrive dopo il 1918, in cui l'empirica
sconfitta della Germania guglielmina era stata gi interpretata da Spengler in
termini di tramonto dell'Occidente" (Untergang des Abendlandes), senza
dimenticare appunto che nella lingua tedesca occidente" si traduce con
terra della sera". Heidegger, che una storiografia frettolosa, ideologizzata,
incline al gossip (la sua relazione con Hannah Arendt ha oggi una bibliografia
pi ampia di quella rivolta al suo pensiero filosofico propriamente detto) ha
ridotto a provinciale tedesco in piccozza e cappello tirolese simpatizzante per
Hitler, fu invece un grandissimo filosofo. I grandi filosofi sono l'equivalente
culturale dei sismografi, in quanto registrano" (per chi sa leggere le
loro carte sismografiche) i grandi mutamenti culturali d'epoca. Ora, il grande
mutamento culturale del Novecento stata
la prima guerra mondiale (19141918), il grande bagno di sangue civile"
consensuale scatenato dalle borghesie europee. Anche se oggi questo bagno di
sangue tende ad essere assolto" dal circo mediatico-politico, e visto anzi
come un grande evento patriottico interclassista nazionale, laddove vengono
indicati esclusivamente come cattivi" i totalitarismi politici del
Novecento, ogni individuo libero e non completamente rincoglionito dal
Politicamente Corretto e dal Lessico dell'impero capisce perfettamente che la
radice del male europeo del Novecento non sta nei cosiddetti
"dittatori" del periodo fra le due guerre mondiali, ma sta in quegli
anonimi diplomatici in marsina che hanno scagliato milioni di uomini a
scannarsi l'un l'altro. Heidegger almeno capisce e registra in modo sismogrfico
questo fatto epocale, e per questo la sua storia della filosofia segnata dalla
categoria di decadenza (parakm), almeno ci dice qualcosa sul mondo, laddove il
chiacchericcio liberale non altro che un
rumore di fondo del ben pi importante altoparlante delle quotazioni di borsa.
II metodo di Marx avrebbe forse potuto inaugurare un tempo nuovo nella storia
della filosofia. Non fu cos. Fu un'occasione mancata, mancata per troppo
positivismo e per troppo ideologismo. Secondo un'interessante testimonianza
personale di Belfort Bax, Engels era un maniaco della deduzione delle teorie
filosofiche e religiose dalle condizioni storiche e sociali. Lo scettico
empirista inglese Belfort Bax allora lo sfid a "dedurre" le scuole
gnostiche del tardo impero romano, ed Engels si sarebbe dichiarato sconfitto,
non avendo saputo farlo. Sia detto del tutto incidentalmente e senza
presunzione, se c' una cosa facile da fare
proprio spiegare con il metodo storicogenetico la nascita e lo sviluppo
delle scuole gnostiche nel tardo impero romano. Ma non sta qui il nocciolo
della questione. Ed il nocciolo sta in ci, che Engels aveva effettivamente
intuito l'esistenza di un metodo genetico nella costituzione delle categorie
filosofiche, ma non credendo nella filosofia stessa, e cio nella sua capacit di
conoscenza veritativa della realt, fin per ridurla a semplice elencazione delle
cosiddette leggi logiche del pensiero", oppure a supporto unificatore
delle scienze particolari nella cosiddetta concezione scientifica del mondo"
(e si veda in Italia il materialismo dialettico" di Ludovico Geymonat). In
questo modo tutte le conquiste di Fichte e di Hegel furono perdute, e si torn
di fatto a Kant, per cui non esisteva una dottrina della scienza" che
pensasse insieme forma e contenuto, ma soltanto una logica formale. La
filosofia marxista nacque allora (ma ne ho gi parlato nel capitolo tredicesimo)
come una forma di kantismo (Lange) e di positivismo (Laas), per cui il criterio
di demarcazione fra (cosiddetto) idealismo e (cosiddetto) materialismo non era
logico elo ontologico, ma era soltanto gnoseologico (il cosiddetto primato, in
termini di precedenza, fra essere e pensiero, intesa come teoria del riflesso
conoscitivo). Su queste basi equivoche, non ci poteva essere nessuna storia dialettica
della filosofia. La storia della filosofia non sopporta l'elencazione dei
cattivi e dei buoni in due distinte lavagne. Scrivere su due distinte lavagne,
ognuno lo capisce, il massimo di
pensiero non dialettico, perch la dialettica scrive su di una lavagna unica, e
collega nomi e categorie con freccette che indicano complementariet ed azione
reciproca. A questa fallacia preliminare si aggiunse subito l'ideologizzazione
e la politicizzazione parossistica e maniacale di tutti i pensatori e di tutte
le scuole di pensiero (Protagora progressista e Platone reazionario, Epicuro
progressista e Plotino reazionario), in un crescendo demenziale che trova nei
manuali sovietici (e cinesi, per quanto ne so) il loro punto massimo di
assurdit pura alla Kafka ed alla Borges. Come si spiega questa deriva
demenziale? Se un Belfort Bax me lo chiedesse, direi che questa deriva
demenziale raddoppia nel mondo rarefatto della storia della filosofia la
dicotomia oppositiva fra Borghesia e Proletariato, che vengono simbolicamente
retrodatati" fino ad Efeso, Atene e Mileto in modo da istituire una grande
narrazione immaginaria in cui i partiti, socialista prima, e comunista poi,
sono visti come le locomotive della storia universale. In questa immagine
antropomorfizzata del mondo si ha cos in modo assolutamente religioso prima una
divinit-vasaio, che modella il mondo partendo dall'argilla, poi una
divinit-artigiano, che gi in possesso di
modelli aritmetici per progettare le cose, poi una divinit-orologiaio, che d la
prima spinta caricando la pendola del cosmo per poi lasciar fare integralmente
alle rotelline ed ai congegni mirati di questa pendola stessa, ed infine una
divinit- locomotiva che in un mondo laicizzato e collocato sui binari" del
progresso conduce i passeggeri della Classe Unica alla Stazione Finale di un
Comunismo concepito come Fine della Storia, modello demenziale del tutto privo
di dialettica che non cambia con il gioco linguistico delle tre carte
consistente a chiamare la storia Preistoria e la fine della storia Storia vera
e propria. D'altra parte, non a mio
avviso una soluzione neppure la concezione cinese della dialettica della scuola
yin-yang e della contraddizione intesa come mao-dun (lancia-scudo), concezione che come noto fu di Mao Tse Tung, perch in questo modo
si perde il momento della sintesi storica speculativa e si approda ad una sorta
di eraclitismo senza Eraclito. Siamo dunque per ora privi di una sensata storia
della filosofia. Ma questo non deve stupirci, perch un mondo insensato non pu
produrre una storia della filosofia sensata. Ci si lamenta del cosiddetto
materialismo", e poi non si capisce che questo materialismo non consiste
nell'adesione alle teorie di Feuerbach, ma semplicemente nel consumismo, e cio
nella riduzione dell'uomo a semplice unit materiale" di consumo. Ci si
lamenta del cosiddetto nichilismo", e poi non si capisce che una societ
basata sul dominio totalitario del valore di scambio e della merce
divinizzata appunto nulla, perch il
valore di scambio non un fondamento, n
etico n ontologico. Il ricorso a Dio come garanzia suprema contro il
materialismo ed il nichilismo in
proposito destinato a fallire a priori, e fallir sicuramente anche a
posteriori, se non si colgono le radici materiali (uso finalmente questa
parola) di questi due ismi. Ma qui il mio studio finisce, e la filosofia del
presente comincia. Non sar certo io a scriverla, ma qualcuno prima o poi (e
spero prima) la scriver. Su questo nutro un moderato ma saldo ottimismo.
Capitolo diciassettesimo Nota bibliografica generale commentata Questo saggio
sulla storia della dialettica, che compendia anche molte mie sparse riflessioni
precedenti ed in una certa misura le sistematizza in vista di un auspicabile
approfondimento ulteriore, dedicato ad
un gruppo di amici (in particolare Giuseppe Bailone, Carmine Fiorillo, Luca
Grecchi, Diego Melegari e Gianfranco Padello) che contro venti e maree ed
attraverso momenti difficili ha continuato a tenere aperto uno spazio di
discussione iniziato nel 1997 con la casa editrice CRT ed ora passato alla
nuova casa editrice Petite Plaisance, sempre di Pistoia. E tipico del nostro
tempo che il mantenimento di uno spazio di riflessione filosofica, pur senza
disprezzare in alcun modo l'attivit universitaria e quella politica, ed anzi
utilizzandone spesso i risultati, si fondi principalmente su rapporti personali
al di fuori di ortodossie politiche identitarie di appartenenza megapartitica
elo micropartitica, oppure di divisioni specialistiche del lavoro di tipo
universitario. Nella stessa casa editrice sono state recentemente pubblicate
due opere consacrate alla dialettica. La prima, che costituisce un numero della
rivista Koin (Aa.Vv., Dialettica oggi, 2005), comprende interventi di studiosi
noti e meno noti, in cui il lettore pu trovare un'ampia gamma di stimoli e di
approfondimenti su autori antichi (Platone, Aristotele) e moderni (Kant, Hegel,
Marx, Nietzsche). La seconda (C. Preve- L. Grecchi, Marx e gli antichi greci,
2006) espone in forma dialogica un contenuto analogo a quello del presente saggio,
il cui punto ispiratore essenziale
quello della sostanziale continuit ideale fra antichi e moderni, e cio
fra la filosofia greca classica e la filosofia dialettica moderna, continuit
ideale che anche sempre affermata nelle
opere di Luca Grecchi, e che merita di essere rivendicata. In Italia infatti,
sotto l'influsso della critica alla dialettica di Hegel e di Marx operata da
Lucio Colletti e dalla sua scuola, che ha sempre indicato come punto debole e
metafisico" gli elementi di continuit e di contiguit fra la dialettica
antica e quella moderna, sostenendo che bisognava liberarsi di questi elementi
per accedere ad un pensiero veramente scientifico e moderno", si fatta strada in molti ambienti (ma le cose
stanno forse lentamente cambiando oggi) l'idea che la dialettica fosse un cane
morto" da abbandonare nei grandi ripostigli delle cose vecchie. L'opinione
mia e di Grecchi esattamente opposta. La
dialettica di Hegel e di Marx, che deriva dallo strappo che Fichte seppe
coraggiosamente fare nei confronti del pur ben emerito (a suo tempo) criticismo
di Kant, certamente diversa da quella di
Platone e di Plotino ( infatti bimondana e non monomondana), ma ha
indubbiamente aspetti fortemente affini. E questo, lungi dall'essere un
male, un bene. Anzi, proprio stupendo che sia cos. Non pu infatti
esserci un popolo civile senza metafisica. No alla parola d'ordine della fine
della metafisica. La metafisica invece ci vuole, purch sia buona. E si tratta
allora di vedere che cosa sia la buona metafisica" di cui siamo in cerca.
Ed ora alcuni titoli generali sulla dialettica.
consigliabile per il lettore non specialista il ricorso ad un buon
dizionario filosofico ed a una buona storia della filosofia. Per quanto
riguarda i dizionari filosofici consiglio quello classico di N. Abbagnano,
Dizionario di Filosofia, Utet, Torino, 1964 (pi volte ristampato, ed ora
arricchito e migliorato dalla benemerita opera di F. Fornero), e quello pi
agile ma molto soddisfacente curato da P. Rossi, Dizionario di filosofia, La
Nuova Italia, Firenze, 2000. La storia della filosofia di Abbagnano stata probabilmente la pi solida e meglio
riuscita dell'intera seconda met del Novecento italiano, e ne fanno fede le
continue ristampe e la sua innegabile utilizzabilit. Nello stesso tempo
essa costruita sulla base del rifiuto
integrale del metodo della deduzione storica e sociale delle categorie, che io
invece uso in questo saggio, rischiando consapevolmente l'errore di riduzionismo
che il metodo genetico comporta. Tutto questo non avviene certamente a caso. Il
metodo dell'astrazione semantica del significato del concetto destoricizzato e
della parola che lo connota a mio avviso
l'equivalente del primo momento dialettico di cui parla Hegel, quello della
astrazione intellettuale, ed dunque non
un errore, ma un momento necessario da cui bisogna assolutamente passare.
Non per il momento finale. C' infatti un
secondo momento, quello propriamente dialettico, che coincide con l'uso
ideologico del termine in un contesto storico determinato, momento in cui
sciaguratamente il marxismo si sempre
fermato, e ci vorrebbe un terzo momento, quello speculativo, in cui
appunto necessario fondere
dialetticamente insieme in un'unit contraddittoria il momento della
Contingenza, o della genesi storica e sociale delle categorie, ed il momento
della Permanenza, o della validit universale spaziale e temporale di esse. Ma
questo appunto lo scheletro metodologico"
di questo mio saggio. Un manuale di storia della filosofia da cui ho imparato
molto (e ne ho conosciuti ed impiegati molti in 35 anni di lavoro come
insegnante di filosofia, e posso quindi considerarmi senza presunzione un vero
esperto nel loro uso) quello di M.
Bontempelli e F. Bentivoglio, Il senso dell'essere nelle culture occidentali,
Trevisini, Milano, 1992. Faccio riferimento soprattutto alla ipotesi sulla
nascita della filosofia presocratica come risposta ad una minaccia di
insensatezza sociale, in primo luogo, ed alla valorizzazione di Platone ed
Hegel, in secondo luogo. Ritengo tuttavia che ci sia anche una lettura di Hegel
eccessivamente monomondana", come se Hegel fosse solo una sorta di Plotino
redivivus e di neoplatonico moderno, dimenticando che la logica hegeliana sempre e solo un Dio prima della creazione
del mondo, e diventa concreta" (e cio esistente) solo a partire dalle
determinazioni storiche, e non prima. In ogni caso, ho imparato molto anche dal
loro lavoro Percorsi di verit nella dialettica antica, Spes, Milazzo, 1996, in
cui si parla di Eraclito, Platone e Plotino. Il libro collettivo Studi sulla
dialettica, Taylor, Torino, 1958 (poi pi volte ristampato) tratta separatamente
Platone, Aristotele, gli stoici, Kant, Hegel e Marx, ed tuttora un piccolo capolavoro di chiarezza
nello spirito di Nicola Abbagnano e Norberto Bobbio. Estremamente utili sono i
tre volumi curati da E Vidoni, Le dialettiche antica, moderna e contemporanea,
Canova, Treviso, 1996. Tornando ora alla successione cronologica degli
argomenti, prima di tutto necessario
porsi il problema degli influssi orientali sulla dialettica greca antica. Per
questo si veda H. Frankfort, La filosofia prima dei greci, Einaudi, Torino,
1966. In mancanza di fonti certe, il problema non pu essere risolto per via
filologica, ma solo congetturale o attraverso indizi. Personalmente, non dubito
che la filosofia abbia anche avuto influenze indiane, egiziane e mesopotamiche,
ma credo anche fermamente che essa sia cos come la conosciamo un prodotto
originale ed irripetibile dei greci, e solo di essi. Cos come l'idea generica
di evoluzione presente anche in molti
popoli primitivi (mi scuso per questo termine improprio, ma non intendo usarlo
in modo razzistico, al contrario), ma la prima vera e propria teoria
dell'evoluzione quella di Darwin del
1859, nello stesso modo (ed ancora di pi) spunti filosofici ci sono senz'altro
anche presso i pigmei Mbuti o i nomadi del deserto del Gobi, ma la filosofia
vera e propria un originale prodotto dei
greci. Un'ottima introduzione ai primordi della filosofia greca nel capolavoro assoluto di G. Thomson, Iprimi
filosofi, Vallecchi, Firenze, 1973. Un inquadramento sobrio e preciso di molti
problemi storici in AA.VV, Marxismo e
societ antiche (a cura di M. Vegetti), Feltrinelli, Milano 1977. Sui cosiddetti
presocratici" consiglio le due ottime antologie commentate: I presocratici
(a cura di A. Capizzi), La Nuova Italia, Firenze 1984, e I presocratici (a cura
di S. Maso), Paravia, Torino, 1993. Utile
anche una lettura di ci che resta della produzione sofistica (cfr. I
sofisti, a cura di A. Capizzi, La Nuova Italia, Firenze, 1976). Sulla figura di
Socrate molto buona la sintesi francese
di F. Wolff, Socrate, PUF, Paris 1983. Fra le antologie italiane consiglio
Socrate (a cura di G. Cambiano), Principato, Milano, 1970 e Socrate (a cura di
A. Capizzi), La Nuova Italia, Firenze 1973. L'insieme di citazioni che ho usato
per la definizione precisa della dialettica di Platone ricavato dallo stupendo saggio di J. Brun,
Platon, PUF, Paris 1963. Sulla dialettica platonica ottima l'antologia critica
e commentata di Platone, La dialettica (a cura di W. Cavini), Le Monnier,
Firenze 1982, con ricca bibliografia di orientamento. Su Aristotele consiglio
lo studio introduttivo di P. Doni-ni, La filosofia di Aristotele, Loescher,
Torino 1982. Un vero piccolo capolavoro di orientamento il saggetto di E. Berti, Logica aristotelica
e dialettica, Cappelli, Bologna, 1983. Berti ha anche curato una raccolta di
saggi illuminanti sulla dialettica che consiglio incondizionatamente al lettore
(cfr. AA. VV., La contraddizione, Citt Nuova editrice, Roma, 1977). Su Epicuro
consiglio l'ottima raccolta di P. Innocenti, Epicuro e l'epicureismo, Theorema,
Milano, 1994. Ci si trovano anche le opinioni di Hegel e di Marx su Epicuro,
assolutamente fondamentali per poter inquadrare bene il loro stesso pensiero
dialettico. Si veda su Rousseau P. Casini, Introduzione a Rousseau, Laterza,
Bari, 1974 e A. Illuminati, Rousseau, La Nuova Italia, 1975. Il migliore
bilancio filosofico di Rousseau, a mio avviso, resta per pur sempre quello
fatto da Hegel, che i successivi commentatori (Merleau-Ponty, eccetera) non
hanno fatto che riprendere in vario modo. La filosofia di Kant non un oggetto specifico di questo studio. Si
veda comunque, per inquadrare il pensatore, F. Mori, La filosofia di Kant,
Loescher, Torino, 1990. Sul diritto a mentire e sulla soluzione kantiana, a mio
avviso rivelatrice della sua astrattezza", cfr. P. Boituzat, Un droit de
mentir, PUF, Paris 1993. Sul divorzio fra Kant e Fichte, vera matrice
dell'idealismo moderno, cfr. C. Cesa, Le origini dell'idealismo, Loescher,
Torino 1981. Il pianeta Hegel"
talmente vasto che mi limiter qui a ricordare soltanto le utilizzazioni
dirette che ne sono state fatte nel mio saggio. Si veda per iniziare V. Verra,
La filosofia di Hegel, Loescher, Torino, 1979. Le citazioni sulla dialettica di
Hegel sono state riprese da R. Serreau, Hegel, PUF, Paris 1972, testo per molti
aspetti insuperabile per chiarezza, concisione e precisione. Il testo base ovviamente G. F G. Hegel, Scienza della
logica, Laterza, Bari, 1978. Sconsiglio di leggere questo testo senza aiuti.
Per questo aiuto, all'inizio necessario, si pu usare E. Fleischmann, La logica
di Hegel, Einaudi, Torino, 1975, ed ancor meglio AA. VV. La logica di Hegel e
La Dialettica (a cura di M. Sacchetto), Paravia, Torino, 1993. Utile anche S. Landucci, La contraddizione in
Hegel, La Nuova Italia, Firenze, 1978. L'interpretazione che ho dato di
Marx esclusivamente farina del mio
sacco, e non ritengo allora opportuno autocitarmi, anche se, come dice un
proverbio inglese, la beneficenza dovrebbe cominciare a casa propria. Mi limito
allora a pochissimi testi che hanno avuto un'influenza decisiva nella mia
personale interpretazione della dialettica in Marx. Il primo il capolavoro immortale di K. Kosk,
Dialettica del concreto, Bompiani, Milano, la cui lettura ha contribuito molto
a confermarmi nella mia vocazione filosofica. Il secondo un testo purtroppo introvabile dopo il crollo
dell'URSS, e cio E. Ilenkov, Logica dialettica, Edizioni Progress, Mosca, 1978.
Data la soffocante censura dei bisonti burocratici sovietici del tempo, Ilenkov
deve usare un linguaggio esopico", ma il succo del suo discorso viene
fuori lo stesso. Se i gruppi dirigenti sovietici avessero saputo pensare in
quel modo dialettico", forse il baraccone avrebbe potuto salvarsi. Mi
rendo conto per che se mia nonna avesse avuto le ruote sarebbe stata una
locomotiva. Le mie tesi sul materialismo, o pi esattamente sul nonmaterialismo
di Marx saranno certo sembrate strane a prima vista. Non mi pare proprio il
caso. La dialettica serve proprio a questo, ad abituare ai paradossi. Nella
storia della filosofia, o almeno a me sembra, il materialismo non mai stato una posizione dialettica", ma
ha sempre lavorato" per altri scopi. Per accompagnare con l'idea di
materia" la ricerca scientifica (cfr. A. Pacchi, Materia, Isedi, Milano,
1976). Per avallare posizioni apertamente edonistiche (cfr. A. Schmitt, Il
materialismo antropologico di Feuerbach, De Donato, Bari, 1975). Come sinonimo
puro e semplice di ateismo, e cio di inesistenza di Dio. Come sinonimo
leopardiano di consapevolezza della fragilit umana (cfr. S. Timpanaro, Sul
materialismo, Nistri-Lischi, Pisa, 1975). In quanto al materialismo dialettico,
lo considero un equivoco increscioso. Se qualcuno vuol sentire l'altra campana,
che invece espone le argomentazioni per la sua condivisione, legga E. Fiorani,
Engels ed il materialismo dialettico, Feltrinelli, Milano, 1971. Le tesi del
filosofo svedese Liedman, che a mio avviso dimostrano che in Hegel non c' mai
stata nessuna teoria delle leggi dialettiche, che sono una superfetazione
positivistica posteriore di Marx e di Engels, sono contenute in AA. VV.,
Engels, savant et rvolutionnaire, PUF, Paris 1997. Sulla testimonianza di
Belfort Bax a proposito della tendenza di Engels a dedurre" socialmente
tutte le produzioni filosofiche religiose, si veda Colloqui con Marx ed Engels
(a cura di H. M. Enzensberger), Einaudi, Torino, 1977, p. 458. Una
testimonianza interessante sulla furia teologica di Lenin nel difendere il materialismo
dialettico si ha in N. Valentinov, I miei colloqui con Lenin, Il Saggiatore,
Milano, 1969. Il fatto che la filosofia materialistica dovesse riflettere"
una (inesistente) tendenza all'inevitabile passaggio al socialismo era
evidentemente l'equivalente teologico leniniano dell'esistenza esterna" di
Dio per un cristiano, e per questo era tanto inferocito con l'empiriocriticista
Valentinov. Sull'ostilit verso la dialettica in Colletti si legga la sintesi
collettiana di O. Tambosi, Perch il marxismo
fallito, Mondadori, Milano, 2001. Il titolo berlusconiano, perch il brasiliano Tambosi si
era limitato nel titolo originale a polemizzare contro l'eredit hegeliana. Ma
questa l'Italietta in cui viviamo.
Interamente collettiano anche
l'uttlissimo lavoro espositivo di L. Albanese, II concetto di alienazione,
Bulzoni, Roma, 1984. Un buon aggiornamento del dibattito si ha infine in F.
Vander, Contraddizione e divenire, Mimesis, Milano, 2005. E questo (per
ora) tutto. Indice Premessa Introduzione
Dialettica e filosofia nella storia bimillenaria del pensiero occidentale
Capitolo primo La genesi storica, sociale e ideale della filosofia greca
Capitolo secondo La dialettica di Socrate Capitolo terzo La dialettica di
Platone Capitolo quarto La dialettica di Aristotele Capitolo quinto La
dialettica dei neoplatonici antichi Capitolo sesto La dialettica dei teologi e
dei filosofi cristiani Capitolo settimo La dialettica di Rousseau Capitolo
ottavo La dialettica di Kant Capitolo nono La dialettica della prima forma di
idealismo moderno: Fichte Capitolo decimo La dialettica della seconda forma di
idealismo moderno: Hegel Capitolo undicesimo La dialettica della terza ed
ultima forma di idealismo moderno: Marx Capitolo dodicesimo L'impossibile
matrimonio fra dialettica e materialismo Capitolo tredicesimo L'illusoria
teologia dialettica unificata di natura e societ: la tragicomica storia del
materialismo dialettico Capitolo quattordicesimo Le critiche
politico-filosofiche alla dialettica da Eduard Bernstein a Lucio Colletti Capitolo
quindicesimo La dialettica oggi. L'incubo della fine capitalistica della storia
ed il sogno di una utopia concreta di emancipazione Capitolo sedicesimo
Conclusione e sintesi Capitolo diciassettesimo Nota bibliografica generale
commentata Questa breve storia della dialettica
stata pensata e scritta sulla base di un criterio dialettico, quello
della compresenza necessaria in una sola unit concettuale di due opposti in
correlazione essenziale. Questi due opposti in correlazione essenziale sono
lElemento Con- tingente e lElemento Permanente nella produzione di verit
filosofi- che. Da un lato, tutte le categorie filosofiche sono prodotte allin-
terno di un ben preciso contesto storico e sociale, non cadono dal cielo, non
sorgono da una generica ed improbabile ispirazione, e non possono evitare un
uso ideologico ed una strumentalizza- zione politica e religiosa. Questo il Contingente. Dall'altro, queste stesse
categorie producono verit (e falsit) filosofiche che soprav- vivono al loro
tempo ad aiutano gli uomini di tutte le epoche ad interpretare la loro
condizione umana. E questo il
Permanente. L'unione di Contingente e di Permanente l'elemento dialettico del- la storia della
filosofia. In quindici brevi e concisi capitoli storici vengono indagati alcuni
sistemi di pensiero dialettico e non. Si tratta nell'ordine: dell'origi- ne
della filosofia greca e di Eraclito, di Socrate, di Platone, di Aristotele, dei
neoplatonici antichi e Plotino, dei filosofi cristiani medioevali, di Rousseau,
di Kant, di Fichte, di Hegel, di Marx, dei problemi del rapporto fra
materialismo e dialettica, della dialetti- ca nel pensiero marxista, della
natura sociale e filosofica delle cri- tiche alla dialettica ed infine, per
concludere, si tenta una in- terpretazione dialettica della situazione storica
attuale. Il solo modo che ha la carta per scusarsi con gli alberi che sono
stati tagliati per confezionarla quello
di fare da supporto mate- riale ad idee nuove ed originali. Il lettore ne
trover certamente molte, inedite ed a prima vista un po sconcertanti. L'ideale
per aprire quella discussione filosofica radicale e senza rete che molti
spiriti sensibili oggi auspicano. Costanzo Preve (1943) ha studiato scienze
politiche, filosofia e neoellenistica a Torino, Parigi e Atene nel contesto del
clima cultu- rale e politico degli anni Sessanta del Novecento. Ha insegnato
per trentacinque anni (1967-2002) filosofia e storia nei licei italiani. Ha
pubblicato numerosi libri, saggi ed articoli non solo in italiano, ma anche in
altre lingue europee. In questo libro si ha una sintesi, bre- ve ma
relativamente completa, delle sue concezioni fondamentali sulla natura della
conoscenza filosofica. ISBN 88-75883-083-2 OSO Costanzo
Preve Le avventure della coscienza storica occidentale Note di ricostruzione
alternativa della storia della filosofia e della filosofia della storia
ediliice pelile plaisane Koin Periodico culturale Anno XVIII NN 1-3 Gennaio-Giugno 2011 Reg. Trib. di
Pistoia n 2/93 del 16/2/93. Direttore responsabile: CARMINE FiorILLO.
www.filosofico.net/koine - www.petiteplaisance.it lucagrecchi@tiscali.it fusarod@libero.it Direttori Luca Grecchi
Diego Fusaro Ci rivolgiamo a lettori che vogliano imparare qualcosa di nuovo,
che dunque vogliano pure pensare da s. KARL MARX ... Se uno ha veramente a
cuore la sapienza, non la ricerchi in vani giri, come di chi volesse
raccogliere le foglie cadute da una pianta e gi disperse dal vento, sperando di
rimetterle sul ramo. La sapienza una
pianta che rinasce solo dalla radice, una e molteplice. Chi vuol vederla
frondeggiare alla luce discenda nel profondo, l dove opera il dio, segua il
germoglio nel suo cammino verticale e avr del retto desiderio il retto
adempimento: dovunque egli sia non gli occorre altro viaggio. MARGHERITA
GUIDACCI Copyright dd (I | editrici pelle P (alsariee Chi non spera quello
Associazione culturale senza fini di lucro che non sembra sperabile non potr
scoprirne la realt, poich lo avr fatto diventare, con il suo non sperarlo,
qualcosa che non pu essere trovato e a cui non porta nessuna strada. ERACLITO
www.petiteplaisance.it e-mail: info@petiteplaisance.it Via di Valdibrana
311 51100 Pistoia Tel.: 0573-480013 COSTANZO
PREVE Le avventure della coscienza storica occidentale Note di ricostruzione
alternativa della storia della filosofia e della filosofia della storia 1.
Introduzione. Storicit e coscienza della storicit della filosofia occidentale.
2.Il pensiero greco classico. L'incorporazione della coscienza storica nel
modello normativo della natura ricostruita idealmente come canone di
riferimento della vita della comunit sociale umana. 3. La civilt cristiana
medioevale. L'assorbimento della coscienza storica nella sacralizzazione
simbolica, piramidale e gerarchica, del mondo sociale umano. 4. L'et moderna
borghese-capitalistica occidentale. Lo sviluppo della coscienza storica come
costituzione ontologica ed assiologica dello sviluppo universale e veritativo
del genere umano. 5. Il postmoderno come globalizzazione delloccidentalismo
senza coscienza infelice. L'annullamento della coscienza storica in una
metafisica del presente integralmente de storicizzata e frantumata. 1.
INTRODUZIONE. STORICIT E COSCIENZA DELLA STORICIT DELLA FILOSOFIA OCCIDENTALE Sul
fatto che luomo sia un ente storico non vi sono dubbi, almeno in superficie.
Tutto ha una storia, ovviamente, anche i sistemi solari, i minerali, i vegetali
e gli animali, ma la coscienza della storicit sembra appartenere soltanto al
genere umano, almeno su questa terra. E tuttavia, il fatto di essere
indubbiamente un ente storico, ed il fatto di avere coscien- za della propria
storicit non coincidono. Questa non-coincidenza dovrebbe essere messa al centro
dell'attenzione filosofica, eppure questo non avviene. E tuttavia, uno dei modi
(non lunico, ovviamente) di ricostruire razionalmente lintera storia
dell'umanit (pensata unitariamente, e quindi idealmente, in un solo concetto
trascendentale-riflessivo), pro- prio
quello di ricostruirla (sia pure sommariamente e con un grado inevitabile di
semplifi- cazione) sulla base della coscienza della storicit. Questa coscienza
della storicit non affatto un dato, ma un risultato che pu anche essere perso o
dimenticato. Facciamo solo due esempi sommari. I cosiddetti primitivi non
avevano probabilmente un'adeguata coscienza della storicit, che pure
caratterizzava ontologicamente le loro comunit sociali, in quanto vivevano
direttamente questa storici- t nella forma della omogeneit ontologica (e quindi
anche gnoseologica-conoscitiva) fra 3 CosTANZo PREVE macrocosmo naturale e
microcosmo sociale. La loro strettissima dipendenza della natura (caccia,
pesca, raccolta, pastorizia, eccetera) faceva s, ovviamente, che questa piena
coin- cidenza fra macrocosmo naturale e microcosmo sociale (probabile matrice
del sentimento religioso come percezione immediata, e poi elaborata in riti
sociali, della loro unit) stesse alla base della loro percezione olistica
globale del mondo. In una simile situazione, tendo ad escludere che i cosiddetti
primitivi (il termine improprio,
positivistico-evoluzioni- stico, e me ne scuso con gli specialisti che
giustamente non lo utilizzano pi, consapevoli della sua ambiguit) potessero
sviluppare un concetto di storicit, non solo della natura, ma anche e soprattutto
di loro stessi. Per fare un secondo esempio, lattuale pensiero detto
frettolosamente (ma anche corretta- mente) postmoderno rappresenta la perdita
sofisticata dell'idea di storicit. Naturalmente, i pomposi accademici
postmoderni non sono scusabili, a differenza dei pelosi primitivi, e quindi
sono gnoseologicamente, epistemologicamente e soprattutto ontologicamente mol-
to inferiori a loro. I primitivi, infatti, non potevano accedere alla categoria
di coscienza storica nello stesso modo in cui non potevano accedere ai treni,
agli aerei, alla penicillina ed allinsulina. Essi vivevano direttamente la
fusione immediata fra macrocosmo naturale e microcosmo sociale, ed intuivano
questa fusione nella forma di totem zoomorfici, di magie mimetiche, di miti di
fondazione, sia teogonici che cosmogonici, eccetera. I postmoderni, invece, si
sono trovati di fronte ad un'eredit di quasi tre secoli di coscienza storica,
ed anzich perfezionarla e migliorarla (eliminandone - il che era del tutto
possibile i resi- dui elementi di
progressismo, determinismo, lieto fine teleologico, logicizzazione dialettica
prefissata del corso storico, eccetera), hanno deciso di abolirla, formalmente
in nome della cosiddetta critica alle grandi narrazioni (Lyotard, e dopo la
breccia da lui aperta migliaia di accademici vocianti), ed in realt sulla base
dellelaborazione del lutto delle loro pre- cedenti visioni del mondo ispirate
ad un marxismo estremistico, in cui lIdiozia era stata eretta a principio
metafisico di prospettazione del futuro. Questa loro soggettiva elabora- zione
del lutto generazionale si incontr (per ragioni non certo aleatorie, ma
strutturali) con una oggettiva esigenza ideologica delle nuove oligarchie
finanziarie (purtroppo non ancora sufficientemente colpite dalla recente crisi
esplosa nel 2008), che dovevano e devo- no sacralizzare il presente
capitalistico ergendolo in fine della storia. Ripeto, la concezione della
omogeneit fra macrocosmo naturale e microcosmo sociale, tipica dei primitivi, e
la concezione della fine capitalistica della storia tramite lo smascheramento
delle grandi narrazioni utopico-rivoluzionarie, tipica dei postmoderni, sono
entrambe fondate su di un comune rifiuto della coscienza storica, ma la
prima antropologicamente e soprattutto eticamente immensamente superiore alla seconda. In
un'ottica contrastiva (ed il metodo contrastivo
il migliore per imparare una lingua straniera partendo dal contrasto con
la propria lingua madre) il genere umano appare il solo in grado di effettuare
rivoluzioni sociali. Api, formiche e termiti non ne sono capaci, perch la loro
societ determinata direttamente (ed
unicamente) dalla loro informazione genetica. Quando assister ad una
rivoluzione delle api contro la loro Ape Regina, e non prima, abbandoner
tristemente il mio presupposto ontologico sulla differenza qualitativa fra
luomo (inteso come ente naturale generico) e gli altri animali, compresi
animali supe- riori, e certamente simpatici, come il bonobo, lo scimpanz, il
cane ed il cavallo. Il genere 4 Le avventure della coscienza storica
occidentale umano fa rivoluzioni (e certamente ne far anche in futuro, alla
faccia di postmoderni e proceduralisti liberali), mentre le termiti nel
termitaio non ne faranno mai. La storicit, o pi esattamente la coscienza storica,
non un dato. Precisiamo: la storicit
muta un dato, ma la coscienza
storica un risultato. questo un possibile criterio di ricostruzione
dell'intera storia della filosofia occidentale dagli antichi greci ad oggi,
pro- babilmente migliore del vecchio criterio aristotelico (certamente grande
ai suoi tempi, ma oggi a mio avviso sorpassato, e sorpassato proprio in forza
del principio della coscienza storica), secondo cui i suoi predecessori furono
classificati in base alla loro preferenza per una delle quattro cause
(materiale, formale, efficiente e finale). E dal momento che delle quattro
cause elencate la causa materiale viene per prima, ne consegue che i filosofi
trattati per primi (Talete, Anassimene, eccetera) sono quelli che si sono
concentrati sulla causa materiale principale (acqua, aria, eccetera). A
distanza di duemila e quattrocento anni, i manuali di storia della filosofia
iniziano con Talete, ed in questo modo gli studenti si con- vincono che la
filosofia nasca con l'indagine delle cause materiali, generalmente chiamata (in
modo del tutto scorretto) passaggio dal mythos al logos. Si crea cos una vera e
propria grande narrazione positivistica, iniziata con Talete e finita
(provvisoriamente) con la signo- ra Rita Levi Montalcini. Su queste basi, diventa
inevitabile la formazione di una visione del mondo di tipo scientifico, in cui
alla filosofia viene assegnato il regno delle chiacchie- re inutili ed
opinabili, ed alla scienza il regno delle cose serie, calcolabili e
dimostrabili, ma soprattutto utili. Nel prossimo primo capitolo vedremo che le
cose non stanno esatta- mente cos, e lo vedremo proprio sviluppando il tema
della storicit delle societ umane. Rifiuteremo, ovviamente, anche il vergognoso
modello veicolato oggi dalle due principali strutture culturali egemoniche (il
circo mediatico ed il clero universitario, che
sempre clero, anche e soprattutto quando appare in superficie laicizzato
e secolarizzato), per cui l'umanit va dalle caverne alla globalizzazione
capitalistica, e cio dalla fusione di macro- cosmo naturale e di microcosmo
sociale fino al disincanto generalizzato verso le grandi narrazioni (traduzione
in linguaggio comune: le intenzioni rivoluzionarie di sostituire ad una societ
classista una societ senza classi). L'uomo, si
detto, un ente storico. Ma non mi
accontento certamente di un'antropo- logia filosofica che riduce luomo alla sua
storicit, soprattutto quando la storicit diventa una sorta di divinit
idolatrica che occupa tutto lo spazio filosofico culturale esistente. La
storicit senza fondazione ontologica si identifica di fatto (al netto di
distinzioni sofistiche per esperti) con il relativismo dei valori, ed il
relativismo dei valori non che la manife-
stazione superficiale del nichilismo. Appunto perch il Nulla Nulla, tutto di conseguen- za diventa
relativo. Sono presenti oggi in ambito postmoderno posizioni che definirei di
nichilismo tranquillizzante. La loro base sta in ci, che ormai la societ vista come un insieme di individui originari
irrelati fra loro, o meglio messi in relazione reciproca soltan- to da
procedure di convivenza. La visione del mondo ideale per una societ ricca, sia
pure inquietata da aspettative decrescenti per giovani disoccupati, flessibili
e precari. Si d il caso che questa societ sia assediata dai 9/10 di un'umanit
dolente che preme contro le mura di questa oasi di benessere (largamente
artificiale, perch fondata su rapporti econo- mici e soprattutto militari).
Questa umanit dolente si muove in base a visioni del mondo non
proceduralistiche, ma contenutistiche, il cui contenuto una richiesta di eguaglianza, 5 CosTANZO
PREVE sia pure spesso espressa in un modo che i sofisticati proceduralisti
chiamano fondamen- talistica. L'uomo, quindi,
un ente storico, senza che questa connotazione debba essere letta su-
bito in termini di storicismo relativistico. Il pur benemerito marxismo storico
novecentesco (da non confondere e da distinguere accuratamente con il pensiero
marxiano originario) morto proprio di
storicismo relativistico, e chi pensa sinceramente di poterlo rilanciare con lo
stesso codice storicistico e relativistico
a mio avviso un vero idiota (ed in questo caso non vedo perch dovrei
usare un educato termine accademico). Ci vorr una nuova base filosofica che
sostituisca il vecchio storicismo relativistico, e questa sar probabilmen- te
una versione dellontologia dell'essere sociale. In proposito, considero
storicamente be- nemerita la versione datane dal vecchio Lukcs (morto nel
1971), che nello stesso tempo valuto come corretta e volenterosa, ma anche
largamente incompleta. Ho quindi rilevato la sostanziale correttezza, ma anche
l'insufficienza, del termine di uomo come ente storico. Penso che si possa
partire dalla concezione tipica della antropo- logia marxiana, quello di uomo
come ente naturale generico (Gattungswesen). Trascuro qui i problemi
filologici, ed anche il problema della corretta traduzione in lingua italiana
del termine Gattungswesen. Rifiutando radicalmente la distinzione althusseriana
fra un Marx giovane, filosofo idealista dellalienazione (e quindi anche
dell'ente naturale generico) ed un Marx maturo, scienziato materialista dei
modi di produzione senza pi presupposti filosofici umanistici (distinzione che
mi affascin in giovent, ed il cui abbandono integra- le considero una delle mie
vittorie filosofiche personali pi feconde e proficue), credo che potremo
iniziare questo saggio proprio con l'elaborazione sistematica dei tre termini,
che scrivo ora separati da un trattino (ente-naturale-generico) proprio per
poterli analizzare meglio separatamente. Dicendo che luomo un ente, diciamo subito che non un Essere (con la maiusco- la). Purtroppo,
non sono due termini che derivino direttamente dal linguaggio comune, e sarebbe
invece meglio che lo fossero, in modo che il cuore della questione venisse
capito subito anche da chi non dispone di una specifica competenza nella
terminologia filosofica. curioso che
Adorno abbia a suo tempo svolto un corso sfociato poi - dopo la sua morte in un saggio intitolato Terminologia
Filosofica, in cui con il suo solito
spirito corrosivo (e sottilmente nichilista) - sosteneva che la terminologia
filosofica in quanto tale era una trap- pola per i gonzi, accecati da paroloni
incomprensibili. Naturalmente, non
affatto cos. La terminologia filosofica, lungi dall'essere un inganno
aristocratico per pochi, la cosa pi
democratica che esista, perch permette potenzialmente a tutti di
impadronirsene, purch si paghino ovviamente i modesti prezzi dello studio e
della concentrazione. Dicendo che luomo
un ente, e non un Essere, mostriamo subito di aver capito il punto
essenziale, e cio che luomo non pu autodefinirsi da solo, ma pu farlo soltanto
in rapporto a qual- cos'altro, e questo qualcos'altro (l'essere, appunto) pu
essere una divinit (il Dio mono- teistico delle religioni monoteistiche che
hanno sostituito in gran parte del mondo i poli- teismi naturalistici
precedenti, spesso inglobandoli e sottomettendoli e non semplicemente
cancellandoli), oppure una comunit umana veramente definita. La stessa
definizione di Heidegger, per cui luomo
un ente alla luce dell'Essere, non
affatto cattiva, sia pure declinata in modo non storico e
destinale-profetico, per il fatto che almeno presuppone 6 Le avventure della
coscienza storica occidentale lEssere, e non cade nella stupidaggine, prima
sartriana e poi postmoderna, per cui lEssere non esiste, o perch si consumato nella storia (Vattimo), o perch nel
pensiero post- metafisico diventato pura
procedura senza base ontologica (Habermas), o perch dopo Kant e lIlluminismo
settecentesco diventato un residuo
metafisico indimostrabile dalla scienza moderna, vista come unica forma di
conoscenza valida e legittima (razionalismo laico, positivismo, eccetera).
Definire luomo come ente in rapporto ad un essere pu essere declinato in tre
distinti modi. Primo, che lessere non esiste, e che quindi lente storico l'essere ontologico di se stesso, posizione
che fu elaborata per prima dai sofisti greci, entr in letargo nella societ
cristiana medioevale, rinacque con lateismo settecentesco e trov infine in
Nietzsche il suo vero sistematizzatore, in quanto luomo diventa un atomo di
volont di potenza senza alcuna base ontologica (e quindi comunitaria, non
essendo altro lontologia che la base razionale della comunit), retto unicamente
da una logica di accrescimento della volont di potenza stessa. La sostituzione
di Nietzsche a Hegel (e quindi a Marx, perch un Marx nietzschiano una impossibilit logica e storica) appunto la base filosofica di tutto il pen-
siero postmoderno. In secondo luogo, lEssere esiste, ma si identifica appunto
con Dio, o meglio con una divinit trascendente rivelatasi attraverso libri
sacri (e sacralizzati), che si tratterebbe allora di interpretare correttamente
(ermeneutica religiosa), visto che Dio non
disponibile per consulenze decisive. In questo modo lattivit filosofica
diventa unermeneutica dipenden- te da testi essi stessi sottratti all'indagine
veritativa (perch presupposti come veritativi a priori sulla base del loro
carattere sacro), lontologia diventa necessariamente teologia, ed il
risultato una onto-teo-logia. Ancora una
volta, Heidegger ha saputo trovare il termine giusto per designare questa
posizione. il caso, ovviamente, delle
tre religioni monoteisti- che ebraica, cristiana e mussulmana. In terzo luogo
(e questa ovviamente la mia posizione,
per nulla originale, ma derivata dai tre grandi idealisti tedeschi Fichte,
Hegel e Marx, al di l di come quest'ultimo venga connotato dalla manualistica
corrente e dalla maggioranza dei suoi interpreti) lEssere identificato con il processo storico, il
teatro in cui si svolge lauto-apprendimento del gene- re umano. evidente che questo approccio esclude sia il
riferimento alla rivelazione divina (Essere = Dio), sia il riferimento al
nichilismo storicistico (Essere = Nulla). Questo non significa che si debba ad
ogni costo mettere un segno di eguaglianza fra le due posizioni precedenti.
Personalmente, non mi riconosco in nessuna delle due, ma non vi metto asso-
lutamente un segno di eguaglianza. La posizione religiosa immensamente migliore della posizione
nichilistica. Almeno la posizione religiosa ammette lesistenza di una
differenza fra l'ente e l'essere stesso, mentre la posizione ateo-nichilistica
identifica l'essere e lente sotto il segno dellassolutezza dellente, con la
conseguenza inevitabile della sacralizza- zione dell'individuo svincolato da
ogni legame (la posizione modernamente sviluppata da Stirner, e non un caso che Marx vi abbia dedicato per
criticarla gran parte della sua Ideologia Tedesca, che non deve essere vista
althusserianamente come lopera della rottura epistemologica, ma come lopera
della liquidazione teorica di Stirner, e pertanto parados- salmente come
unopera di riavvicinamento oggettivo a Hegel, al di l dellirrilevante
superficie dei termini polemici). Costanzo PREVE La dipendenza dell'ente
dall'essere, comunque la si voglia declinare, comporta la collocazione
dell'essere nella sfera naturale. Se infatti l'ente umano un ente naturale (e certamente lo ), bisogner
esaminare accuratamente e spregiudicatamente in che senso propriamente lo . Dal
momento che gran parte dei fraintendimenti in proposito deriva- no proprio
dall'essere passati troppo velocemente su questo tema (luomo come essere
naturale), non sar certamente spazio sprecato dedicarci una pur sommaria
riflessione, per cui dopo potremo procedere pi speditamente. Il fatto che luomo
sia antropologicamente un essere naturale
paradossalmente lunico elemento comune sia alle teologie creazionistiche
dei tre grandi monoteismi religiosi sia agli scienziati evoluzionisti
darwiniani, in generale laicizzati e completamente atei (atei nella forma
materialistica europea o nella forma ipocrita ed educata dell'agnosticismo
anglosassone). Per il creazionismo (parlo solo di quello cristiano, sugli altri
due non mi pronuncio per incompetenza specialistica) luomo un ente naturale, in quanto inseri- to e
voluto da Dio nel gran disegno della natura, o meglio del riscatto della
natura. Qui certamente la teologia cristiana si impiglia in insanabili
contraddizioni (almeno a mio pa- rere), perch da un lato luomo stato creato a immagine e somiglianza di Dio
( questo un punto cui a mia conoscenza nessuna teologia ha mai rinunciato, pena
la caduta nello gnosticismo), e dall'altro
decaduto nel peccato originale, cosa che Dio non avrebbe mai fatto, il
che comporta la pacata conseguenza che evidentemente Dio non ha fatto luomo al
cento per cento a sua immagine e somiglianza. Si risponde in genere da parte
dei teologi a questa ragionevole obiezione che Dio ha creato luomo dotandolo di
libero arbitrio, ed proprio il dono del
libero arbitrio che ha permesso la caduta e il peccato originale. Sar magari
cos, ma dal momento che innegabile che
Dio, in base alla sua prescienza, non poteva non sapere in anticipo che cosa
Adamo ed Eva avrebbero fatto, appare evidente che questo libero arbitrio un dono fittizio, in quanto incompatibile con
la predestinazione divina. questa la
ragione per cui la teoria della grazia del retore intollerante Agostino ha
avuto tanto successo, e per cui Lutero e Calvino sono stati indubbiamente pi
rigorosi razionalmente dei cattolici, ivi compresi i gesuiti. Ho voluto
intenzionalmente lasciarmi andare ad un minimo (sorvegliato) di teologia
popolare, per mostrare come il creazionismo non deve soltanto affrontare una
lotta impari e destinata alla sconfitta con il pi credibile evoluzionismo
scientifico darwiniano, ma deve anche tener conto di alcune contraddizioni
logiche interne al suo modello esplicativo del mondo. Dio avrebbe cos creato
una natura gi potenzialmente decaduta, e non si vede bene come questa natura
decaduta, sia pure dopo l'intervento di Ges di Nazareth (che non avrebbe per
abolito il peccato originale, a meno che si gettino via le Scritture Ebraiche,
erroneamente definite Antico Testamento, per lasciar soltanto i Vangeli cosa che per altro io farei se fossi un
consulente esterno a contratto), possa farsi portatrice di un complessivo
disegno divino di salvezza. Abbandono qui la scatola dei giochi del piccolo
teologo fai-da-te, che ho aperto soltanto per mostrare provocatoriamente che
tutti hanno diritto al libero ragionamento teologico, e non solo i teologi
ufficiali sponsorizzati dalle varie chiese, come se la teologia fosse una
disciplina organizzata e organizzabile da istituzioni monopolistiche di
cosiddetti esper- ti. In ogni caso, ripeto che sull'uomo come ente naturale
concordano tutti, dai teologi creazionisti agli scienziati evoluzionisti.
Questi ultimi insistono sul carattere autopoietico 8 Le avventure della
coscienza storica occidentale della materia in movimento, che ha a disposizione
milioni di anni per fare esperimenti, dai primi protozoi (il brodo primordiale
di un famoso divulgatore televisivo italiano) allhomo sapiens, preferibilmente
bianco, anglosassone e titolare di pacchetti azionari, quin- di vertice del
processo dell'evoluzione. Oggi i gruppi intellettuali orfani di Marx e del co-
munismo storico novecentesco, che la moda universitaria riduce oggi (ma domani
chiss?) a totalitarismo utopistico, si sono buttati avidamente su Darwin, visto
come il grande Papa Ateo della Scienza. Stando cos le cose, confesso la mia
(moderatissima) preferenza verso il creazionismo, non certo perch ci creda
(considero infatti molto pi plausibile levolu- zionismo, of course), quanto
perch se devo credere nellindimostrabile Big Bang tanto vale allora credere in
Dio. Spero che il lettore non mi accusi di irrazionalismo, ma anche se lo
facesse ammetto che questo non mi farebbe n caldo n freddo. L'uomo quindi certamente un ente naturale. Ma detto
questo non abbiamo ancora det- to niente di preciso. Questo ente naturale infatti anche un ente storico, ed allora cosa
si- gnifica storico-naturale? Significa forse che esistono leggi comuni allo
sviluppo naturale ed allo sviluppo specificatamente storico-naturale? Il famoso
(e pi stupido che famigerato) materialismo dialettico sovietico lo ha
sostenuto, sulla base di innocui quaderni di appunti di Engels concepiti per
uso personale e mai pubblicati. Questa naturalizzazione del pro- cesso storico,
assimilato analogicamente ad un processo di storia naturale (Naturprozess), era
necessaria per ragioni ideologiche di compattamento del popolo dei militanti
comu- nisti, convinti cos di nuotare secondo la corrente non solo della storia,
ma anche della natura. Alla luce della storia della filosofia occidentale,
si trattato di uno strano incrocio far
la mentalit positivistica ottocentesca (abbasso la filosofia, opinabile e
soggettiva, e viva la scienza, dura come una roccia!) e l'eredit secolarizzata
della predestinazione calvinista, in cui la Storia illuminista sostituiva
semplicemente la Divinit monoteistica tradizionale. Ma lasciamoci alle spalle
questo pittoresco residuo del secolo passato, ed affrontiamo invece il cuore
del problema antropologico dell'ente naturale, che quello della famosa natura umana. Che luomo
appartenga alla natura un dato di fatto.
Il fatto che esista o meno una natura umana, invece, non un dato di fatto, ma un oggetto di polemica scientifica e
filosofica. Il pensiero filosofico greco non ha mai avuto dubbi sul fatto che
esistesse una natura umana comune a tutti gli uomini, e che fosse possibile
determinarne con sufficiente pre- cisione le caratteristiche principali. Ma di
questo mi occuper in modo pi articolato nel prossimo capitolo. A mio avviso
lumanesimo del pensiero filosofico greco, studiato da Luca Grecchi, si basa
anche e soprattutto su questa idea-forza. Certo, il pensiero greco pienamente cosciente del fatto che i diversi
popoli hanno usi diversi ed anche opposti (pensiamo ad Erodoto che nota che
alcuni popoli seppelliscono i loro morti ed altri invece addirittura li
mangiano per evitare che siano mangiati dai vermi), ma questa variet di usi e
di comportamenti non comporta l'inesistenza della natura umana. Alla base c' la
totale estraneit dei greci alle modalit del pensiero moderno kantiano e
neo-kantiano, ed al fatto che per loro le categorie ontologiche e le categorie
gnoseologiche coincidono perfettamen- te. Lungi dall'essere ingenua questa
posizione esatta e sensatissima (ed
infatti verr ripresa integralmente da Hegel e da Marx, pensatori non certamente
ingenui), laddove l'eccezione kantiana deriva dalla contingente necessit di
confutare le prove dellesistenza 9 CostTANZzo PREVE di Dio, e l'eccezione
neo-kantiana dalla necessit, determinata dal nuovo sapere universi- tario
politicamente neutrale ed innocuo, di ridurre la filosofia a pura teoria della
conoscen- za, teologia del capitalismo (Lukacs) e scienza per nullatenenti
(Colletti). La posizione del pensiero filosofico greco, per cui non solo esiste
la natura umana, ma addirittura essa al
centro dell'indagine filosofica (il delfico e socratico conosci te stes- so
gnothi s'eautn), passer nellessenziale al posteriore pensiero filosofico
cristiano, ed anzi costituir sempre unovviet fino a Kant e al neokantismo.
L'attuale papa tedesco Ratzinger lha riportata al centro dellantropologia
filosofica cristiana, e questo non pu che suscitare l'approvazione anche di chi
(come il mio caso) non si riconosce
nella sua teo- logia creazionista rivelata. In ogni caso, data la centralit
dellesistenza della natura umana (base del carattere naturale dell'ente umano),
pu essere interessante segnalare le ragioni di chi ritiene utile ed anzi
indispensabile negarla. Come ho appena rilevato (ma indispensabile ripeterlo fino alla noia) il
pensiero filoso- fico greco dava assolutamente per scontato che esistesse una
natura umana. E questo non solo per la sua origine delfica, non a caso
pienamente rivendicata da Socrate, ma anche e soprattutto perch la nozione di
natura umana era considerata come il riferimento norma- tivo fondamentale per
la direzione della stessa comunit umana, sociale e politica. Ed in effetti, in
mancanza di una normativit basata (esplicitamente o implicitamente) su di una
filosofia della storia, che come vedremo pi avanti insorge soltanto nel
contesto della mo- dernit borghese-capitalistica, il riferimento normativo
naturale restava lunico possibile, tanto pi in assenza manifesta di libri sacri
rivelati la cui interpretazione fosse monopolio di uno specifico clero
sacerdotale. In epoca cristiana la normativit in ultima istanza passa dalla
natura umana interpretata filosoficamente (e quindi liberamente) a Dio, ma
essendo Dio creatore e regolatore della stessa natura umana, di fatto il fondamento
normativo resta, sia pure sequestrato da un clero specializzato e titolare
monopolistico dell'unica corretta interpretazione. La svolta avviene con David
Hume. Come noto, egli definisce la
natura umana in ter- mini di naturalit dello scambio e di attitudine
psicologica alla anticipazione dei reciproci desideri (del venditore ma
soprattutto del compratore, di cui il venditore anticipa men- talmente i
bisogni e la stessa potenziale solvibilit monetaria). Siamo cos di fronte al
primo progetto sistematico e filosoficamente giustificato di auto-istituzione
della societ (ovvia- mente, della sola societ borghese-capitalistica).
Auto-istituzione significa soprattutto su- peramento di ogni etero-istituzione.
Nel caso di Hume le precedenti etero-istituzioni erano sostanzialmente tre:
l'istituzione religiosa, ma Hume
scettico nei confronti dellesistenza di Dio, e connota lo stesso deismo
razionalistico, la variante preferita dagli stessi illuministi
volterriano-massonici, come superstizione degli intellettuali; l'istituzione
filosofica, attra- verso la teoria dei diritti naturali delluomo, di cui Hume
nega recisamente lesistenza, e soprattutto la dimostrabilit; infine,
l'istituzione politica, e cio il contratto sociale, di cui Hume vede
genialmente la potenziale pericolosit sociale rivoluzionaria (e qui si consuma
la sua rottura con Rousseau, che i manuali di storia della filosofia
attribuiscono in generale alle nevrosi e allisterismo del ginevrino). La teoria
della natura umana, che nei greci era la base per la normativit della comunit
sociale, e non certo dell'individuo robinsoniano slegato da ogni dovere
sociale, diventa in 10 Le avventure della coscienza storica occidentale Hume la
giustificazione naturalistica dello scambio capitalistico come manifestazione
storica dell'essenza delluomo. Non possiamo allora stupirci se, con il tramonto
del vecchio giusnaturalismo, consumatosi con la decapitazione del virtuoso
Robespierre nel 1794, si faccia strada una tendenza a negare la stessa
esistenza della natura umana, riducendola ad un dato sociologico, e cio
all'insieme dei rapporti sociali di produzione di volta in volta esistenti
nella storia. La causa delle classi oppresse e dominate, difesa nel medioevo
dal messianesimo pauperistico ed allinizio dell'et moderna (e fino ovviamente a
Rousseau ed a Robespierre compresi) dal diritto naturale rivoluzionario, passa
ad una sorta di so- ciologismo storicistico senza basi filosofiche: la natura
umana non esiste, un'invenzione delle
classi dominanti, esiste solo la lotta di classe nel rapporto di produzione,
che produce differenti nature umane. Questo errore, che Fichte ed Hegel non
fecero, lo fece parzialmente Marx, che per oscil- l parzialmente fra una
negazione della natura umana (Tesi su Feuerbach) ed il suo implicito riconoscimento
nella sua filosofia della storia, che cercher di ricostruire pi avanti. Pi
tardi, gli antropologi ed etnologi, in genere non solo filosoficamente
analfabeti ma anche odiatori della filosofia in quanto tale, considerata come
chiacchiera metropolitana men- tre essi lavorano sul campo con primitivi vari,
approdano ad un relativismo integrale, cadendo in un errore in cui i greci non
sarebbero mai caduti, in quanto i greci, come ho rilevato in precedenza,
sapevano bene che gli usi dei popoli erano diversi, ma la natura umana restava
la stessa. Infine, in piena epoca postmoderna (che definir pi avanti come epoca
delloccidentalismo senza coscienza infelice), la polemica contro la natura
umana verr fatta in nome del pensiero debole, e cio del pericolo della sua
pretesa normativit nei confronti dei differenziati stili di vita minoritari ed
anticonformisti, per cui a poco a poco lanticonformismo ostentato diventer una
sorta di conformismo prescrittivo gestito simbolicamente dalla casta degli
intellettuali. L'uomo quindi un ente
storico ed un ente naturale. Egli anche
un ente generico, in quanto non specifico, e cio non programmato a priori dalla
sua informazione geneti- ca (come appunto capita alle societ gregarie delle
api, delle formiche e delle termiti). In sintesi, l'essere umano generico la sintesi indissolubile ed inestricabile di
naturalit e di storicit. Esiste allora una storicit specifica di questo
intreccio di naturalit e di storicit. In que- sta ottica, ogni ricostruzione
della storia della filosofia anche una
ricostruzione della fi- losofia della storia.
esattamente quella che tenter nei prossimi quattro capitoli, dedicati
rispettivamente ai greci, alla civilt cristiana medioevale, alla cosiddetta
modernit (ter- mine che non amo, anzi aborro per la sua ambiguit, ma che mi
trovo purtroppo davanti come un masso), ed infine alla postmodernit in cui
mi dato passare gli ultimi anni della
mia vita, e che considero con disprezzo, in termini fichtiani, come un'epoca della
compiuta peccaminosit. Anticipo qui brevemente alcuni temi che svilupper, perch
credo nelleffi- cacia dellanticipazione e della ripetizione. Il grande pensiero
filosofico classico caratterizzato dalla
incorporazione della coscien- za storica (gi allora esistente, se pure non
certo nella forma moderna) nel modello nor- mativo della natura ricostruita
idealmente come canone (nomos, logos) della buona vita della comunit. A mio
avviso, questo non comporta ancora una vera e propria filosofia 11 CostTANZo
PREVE della storia, perch lo scorrimento della temporalit non ancora visto come il teatro del- la
costruzione dialettico-veritativa delluniversalit della verit (in cui
ovviamente i greci non solo credevano, ma intendevano come premessa e nello
stesso tempo finalit della filosofia). Il grande pensiero cristiano medioevale
(coni suoi palesi difetti, immensamente supe- riore alla miseria scettica
dellattuale postmoderno) non era affatto caratterizzato in prima istanza dal
messianesimo escatologico (pur presente, ma a mio avviso marginale e non primario),
ma da un assorbimento mistico della coscienza storica nella sacralizzazione
simbolica del mondo. Questo permette a Dante di trattare Virgilio come se
questultimo fosse stato un suo contemporaneo. In genere questo atteggiamento
viene sbrigativamente bollato di destoricizzazione. E tuttavia la coscienza
storica non sparisce certamente (co- munque, molto meno che nellorrendo
postmoderno), ma viene riassorbita in una pienezza temporale del presente,
caricato di simboli e di allegorie. Il pensiero cosiddetto moderno (ma non
esiste affatto omogeneit fra il periodo che va da Cartesio a Kant, e cio il
periodo della costituzione formalistica ed astratta del sog- getto, ed il
periodo caratterizzato dai tre grandi idealisti successivi Fichte, Hegel e
Marx) invece il periodo in cui lo
sviluppo della coscienza storica appare come costituente del significato dello
sviluppo universale e veritativo del genere umano. Ed infine, il periodo
cosiddetto postmoderno, che definir come il periodo della globa- lizzazione di un
occidentalismo senza coscienza infelice, vede l'annullamento (0 meglio,
speriamo, il tentativo di annullamento) della coscienza storica, che il periodo
precedente aveva bene o male messo al centro dell'attenzione filosofica, in una
desolata metafisica del presente integralmente destoricizzato e frantumato.
Questo quadro di massima, ovvia- mente, verr indagato nel quinto ed ultimo
capitolo con maggiori dettagli. Nell'ottica da me scelta, una vera e propria
filosofia della storia si sviluppa soltanto nell'et moderna (comunque
post-cartesiana e post-kantiana), in quanto soltanto in essa la temporalit ontologicamente ed assiologicamente
costitutiva. Nel periodo greco, in quello cristiano-medioevale ed ovviamente in
quello attuale postmoderno non esiste in- vece una vera e propria filosofia
della storia. E tuttavia, soltanto lultimo periodo merita l'appellativo
fichtiano di epoca della compiuta peccaminosit. Come si vede, la filosofia
riprende il suo insindacabile diritto di giudicare il suo tempo storico, uscendo
dalle pastoie della citatologia ossessiva ad uso di concorsi universitari
(comunque ed in ogni caso truccati e lottizzati). 12 Le avventure della
coscienza storica occidentale 2. IL PENSIERO GRECO CLASSICO. L'INCORPORAZIONE
DELLA COSCIENZA STORICA NEL MODELLO NORMATIVO DELLA NATURA RICOSTRUITA
IDEALMENTE COME CANONE DI RIFERIMENTO DELLA VITA DELLA COMUNIT SOCIALE UMANA
Secondo Dumzil, la societ indoeuropea
caratterizzata da una sorta di trifunzionali- smo, ad un tempo simbolico
e sociale, in cui convivono le tre funzioni della sovranit, della forza fisica
e della fecondit. Il dominio simbolico del numero tre sugli altri numeri non
caratterizza certamente soltanto quel popolo indoeuropeo che i romani
chiamarono poi greco dal probabile nome di un fiumicello epirota, ma
indubbiamente nella cultura greca posteriore ellenica il numero tre ossessivamente presente, dalle tre anime di
Platone alla costituzione triadica della sua polis ideale fino alla benedetta e
mai abbastanza lodata ed ammirata ellenizzazione del cristianesimo che trasform
il rigido monoteismo ebraico in un trinitarismo dialettico, in cui Hegel (ma
non soltanto lui, per fortuna) vede la specificit del cristianesimo. Il
cristianesimo, infatti, non un
monoteismo puro e semplice, ma un
monoteismo trinitario, anche se il suo clero occidentalizzato e carolingio fa
tutto il possibile per non farlo capire ai suoi stessi fedeli. In quanto
indoeuropei, i greci sono originariamente venuti da fuori, e sono giunti in
Grecia come conquistatori, sovrapponendosi ai popoli originari (Pelasgi,
eccetera) ed as- sorbendoli gradualmente. Il primo problema dei conquistatori,
una volta impadronitisi delle cose, dei beni e delle persone dei vinti (in
questo senso la figura hegeliana della na- scita del dominio e della
sottomissione del servo al padrone rispecchia probabilmente un fatto realmente
avvenuto agli albori della grecit),
quello di dividersi secondo regole certe le spoglie del vinto, ed in
particolare le sue terre. Ma dividersi in greco si dice nemein, da cui nomos
(legge, regola). Prima di ogni altra cosa, il nomos nomos del nemein, cio della corretta
divisione. La civilt greca nasce certamente da una usurpazione, come peraltro tutte
le civilt militari antiche (nel Medio Oriente persiano i greci non erano visti
come popolo colto di filosofi ed artisti, ma come popolo di medici e di buoni
guerrieri), ma da una usurpazione che si pone subito il problema della
legalizzazione della divisione, e cio del nomos del nemein fra i guerrieri
maschi. I greci si posero quindi precocemente il problema di evitare le zuffe
fra guerrieri (non a caso lIliade di Omero inizia con un contrasto fra Achille
ed Agamennone per un bottino di guerra, in questo caso per una fanciulla
troiana prigioniera). L'evitare la zuffa continua, il polemos di tutti contro
tutti, quindi linizio ideale del
pensiero filosofico greco, e di come il nomos possa evitare la zuffa
disordinata per il nemein del guerriero indoeuropeo, la cui ten- denziale
omosessualit era probabilmente derivata dal periodo in cui i gruppi di giovani
guerrieri abbandonavano gli insediamenti originari (steppe russe, zone
ipererboree, Asia centrale? lo lascio
agli specialisti come Haudry) e vivevano per anni fra di loro, con pro- babili
adozioni da parte degli adulti verso i giovani, il che non implicava affatto
necessaria- mente la penetrazione (vedi in proposito l'intervento di Pausania
nel Convito di Platone). All'origine, quindi, c' il nomos del nemein. Ma il
nomos del nemein appunto il logos,
erroneamente tradotto esclusivamente come parola pubblica e ragione
comunicativa (logon didonai), laddove si trattava sopra ogni altra cosa di
calcolo in vista della corretta distribu- 13 CostTANZzo PREVE zione e
ripartizione. Certo, il termine logos assumer certamente pi avanti il significato
di parola pubblica (da cui dia-logos, che passa dall'uno allaltro), e da qui di
ragione che appunto d ragione di quanto afferma (appunto, logon didonai), ma
all'origine il logos (da cui il verbo loghizomai, calcolo) soltanto il calcolo della buona divisione del
nemein. In ul- tima istanza, il logos ed il nomos coincidono. La legge pubblica
deve prima di tutto regolare che il nemein non si trasformi in zuffa. E la
zuffa nasce soprattutto quando qualcuno vuole prendersi tutto oltre a ci che
gli spetta, e cio non vuole impadronirsi del limitato, ma dellillimitato (e
cio, in greco, dellapeiron). Non esiste in greco un termine per indicare la
societ in senso moderno, perch per i greci la societ pensabile e
praticabile una comunit (koinn,
koinonia). Una comunit sen- za nomos, quindi,
minacciata dalla dissoluzione (phthor). Il come evitare la dissoluzione,
ed il come porvi in qualche modo un freno (katechon) non allora soltanto uno dei tanti elementi
costitutivi del pensiero greco, ma ne
l'elemento fondamentale ed il principio, larch. Non a caso, il termine
principio anche il termine che indica il
potere ed il dominio, in quanto il potere ha come compito massimo e
principalissimo, e praticamente unico, quello di salvaguardare il fondamento
(arch) del mantenimento della comunit (koinonia). La comunit, per mantenersi,
deve soprattutto salvaguardare tre caratteristiche essenziali: la misura
(metron), che ad un tempo misura fra le
componenti psicologiche dell'anima e le componenti sociali della citt; l'equilibrio
(isorropia), che anch'esso equilibrio
fra le componenti dell'anima e le componenti della comunit; ed infine la
concordia fra i cittadini (omonia), che viene garantita attraverso
l'eguaglianza dei diritti (isonomia) e leguale acces- so al discorso pubblico
(isegoria). Mi sono permesso di ripetere quello che dovrebbe essere ben noto a
qualsiasi princi- piante dello studio della civilt greca classica, ma che non
lo per nulla, ricoperto prima del
neoclassicismo, poi dalle stupidaggini del dilettante Nietzsche (i greci erano
meravi- gliosi pigri contemplativi mantenuti dal lavoro di schiavi), ed infine
dal chiacchiericcio sinistrese politicamente corretto (i greci avevano schiavi
ed emarginavano le donne e gli stranieri). Sui greci sono state deposte tonnellate
di polvere, in modo che effettivamente, bench i tratti generali della loro
societ siano relativamente chiari (a chi vuol conoscerli, naturalmente, non
certo ai turisti per caso, ai crocieristi, ai manigoldi e ai maramaldi), bi-
sogna prima togliere questa polvere, e poi rifletterci su. Come si noter
agevolmente, in questo quadro c' posto soltanto per una storia come racconto
(mythos), e quindi per una storia non ancora unificabile in una filosofia della
sto- ria universalistico-veritativa come costituzione temporale della verit
stessa intesa come autocoscienza-per-s dell'umanit (il concetto hegeliano,
Begriff, che non significa catego- ria conoscitiva o contenuto di coscienza, ma
significa autocoscienza libera del soggetto), ed allora soltanto per un insieme
di differenti storie (la storia delle guerre persiane in Erodoto, la storia
della guerra del Peloponneso in Tucidide, eccetera). La vera normativit della
vita comunitaria non infatti cercata dai
greci nella storia, ma nella natura. La numerologia sacra pitagorica, lungi
dall'essere una curiosit orientale (come dicono alcuni manuali, che Dio li
perdoni!), corrisponde invece interamente allo spirito greco, ed a come portare
avan- ti il logos (calcolo), il corretto nomos del nemein, in modo da ottenere
alla fine lomonia dei cittadini attraverso lisorropia, e quindi l'applicazione
sistematica del metron. 14 Le avventure della coscienza storica occidentale In
questo quadro relativamente stabile e chiaro irrompe un principio disgregatore
rela- tivamente nuovo e prima del tutto inesistente, e cio la moneta coniata,
giunta dalla Lidia di Creso prima allantistante isola di Chio e poi ad Egina,
la pi grande delle isole del golfo Saronico, quello su cui si affaccia lAttica,
e quindi Atene. La moneta coniata porta con s inevitabilmente la propriet
privata, laccumulazione di beni monetari, la dismisura delle ricchezza
(apeiron), ed infine, ciliegina sulla torta del classismo, la schiavit per
debiti. La schiavit per debiti per sua
propria natura l'elemento determinante per la dissoluzione della polis, e di
qualunque polis, ed in questo senso (ma solo in questo) Solone di Atene il primo vero filosofo, il quale anzich porsi
lirrilevante e secondario problema se il mondo sia derivato da un principio
liquido (Talete) o gassoso (Anassimene), si
posto il ben pi importante e fondamentale problema di come imporre una
legislazione (nomoi) che im- pedisse la schiavit per debiti. Soltanto uno
sciocco privo di consapevolezza storica pu veramente pensare che la questione
dellacqua o dellaria sia pi importante di quel vero e proprio atto fondativo
della filosofia occidentale che fu l'intervento di Solone contro la schiavit
per debiti. Si dir che stato Aristotele
a porre le basi di questa follia, classificando i filosofi pri- ma di lui in
base alle quattro cause originarie (materiale, formale, efficiente, finale). Ma
si dimentica di aggiungere che Aristotele vive pi di trecento anni dopo
l'introduzione ad Atene della schiavit per debiti, non pi in grado di ricostruirne la genesi,
afferma in modo (a mio avviso incongruo) che essa nasce dalla meraviglia
(thaumazein, tralascio qui i diversi significati del verbo, campo di
esercitazione per confusionari e chiacchieroni), anzi- ch dalla necessit di
frenare (katechon) la dissoluzione della comunit (koinonia), ed in ogni caso il
suo problema non fornire una teoria
della genesi della filosofia, ma semplicemente ricordare le soluzioni
metafisiche precedenti per far emergere in modo contrastivo la sua propria
soluzione (Sostanza, Materia e Forma, Atto e Potenza, eccetera). Ma torniamo ai
nostri veri greci, non a quelli dei manuali inutili e fuorvianti. La nota
critica di Aristotele alla teoria delle idee di Platone (peraltro anticipata
dallo stesso Platone nei dialoghi cosiddetti dialettici) prima di ogni altra cosa una critica alla
numerologia pitagorica, e pertanto una critica alla geometrizzazione della
filosofia politica, che infatti Aristotele ricostruisce su basi completamente
diverse, non numerologiche, ma fondate sul nesso fra potenza ed atto applicata
alla societ. E tuttavia anche in Aristotele ad essere nor- mativa sempre la natura, e non certo la storia
intesa come accrescimento della coscienza sociale attraverso lo svolgimento
dialettico della temporalit costituente della verit. Per Aristotele (cos come
per gli aristotelici medioevali cristiani e per i successivi fautori del
materialismo dialettico sovietico) la verit
corrispondenza con un dato esterno, e per lui il dato esterno non ovviamente il Dio cristiano o la Materia di
Engels e di altri confusionari positivisti, ma
la buona vecchi Natura (physis). La quale, derivando dal verbo phyo
(cre- scere), ha in se stessa il principio evolutivo autopoietico di sviluppo,
che per non caotico e tantomeno
aleatorio, ma retto dalla regolarit
interna del passaggio dalla potenza (dynamis) all'atto (energheia). In
linguaggio aristotelico, possiamo dire che la numerologia pitagorica e
platonica era la causa formale della costituzione della polis ideale, ed chiaro (almeno a me) che la po- lemica
insistita di Aristotele verso la teoria delle idee era soprattutto una polemica
con- 15 CostTANZO PREVE tro le Idee Numeri, e cio contro la costituzione
politica della polis sulla base di rapporti geometrici fra numeri (nello stesso
modo, mutatis mutandis, per cui la polemica di Hume contro la causalit
necessaria era in realt una mascherature della sua polemica contro la
costituzione della societ in base alla causazione del contratto sociale). Ma
Aristotele ab- bandona interamente la prospettiva della decisivit della causa
formale (inscindibile dalla numerologia geometrica pitagorica e platonica) per
accedere alla decisivit della causa fi- nale. E la causa finale per
Aristotele la buona vita comunitaria (eu
zen), sulla base della potenzialit fornita dall'essere luomo un animale
politico, sociale e comunitario (politikn zoon), ed un animale fornito di
ragione, linguaggio e soprattutto capacit di calcolo politico (zoon logon
echon). possibile insistere maggiormente
su Aristotele intellettuale organico della media propriet agraria schiavistica
(Mario Vegetti), oppure su Aristotele precursore di Marx in quanto critico
della crematistica (Karl Polanyi, Luca Grecchi). Sebbene questa discussione sia
certamente molto interessante, la possiamo per il momento lasciare da parte, in
quanto non tocca che marginalmente il problema della coscienza storica e della
filosofia della sto- ria. Per il momento basti rilevare (o meglio anticipare)
che il passaggio di Aristotele da una teoria numerologica della politica (Pitagora
e Platone) ad una teoria basata sulla potenzia- lit umana di poter giungere
alla vita buona su basi non numerologiche (eu zen) fondata sulla distinzione fra possibilit come
contingenza, casualit ed aleatoriet (kat to dynatn) e la possibilit come potenzialit
gi contenuta in modo immanente in una sostanza (dy- namei on). In poche parole,
si tratta della teoria marxiana della possibilit in potenza del passaggio dal
capitalismo classista ad una societ senza classi. La tradizione storiografica
enfatizza in genere pi del dovuto le differenze fra Aristotele ed i suoi
successori epicurei e stoici. Non voglio certamente negare queste differenze,
la cui base materiale e strutturale sta tutta nella progressiva transizione da
un modo di produ- zione di piccoli proprietari e produttori indipendenti (pur
ovviamente in presenza di schia- vi) ad un vero e proprio modo di produzione
schiavistico generalizzato, propiziato dalla grande monetarizzazione
dell'economia conseguente alla conquista dell'impero persiano (strutturalmente
non schiavistico) da parte del bandito macedone ubriaco Alessandro, il vero
distruttore del modello politico dellellenismo classico. E tuttavia Aristotele,
Epicuro e gli stoici concordano sul fatto che lunica vita buona la vita secondo natura (kat physin), segno
questo della permanenza della normativit naturale ideale della grecit. La polis
aristotelica ben governata, la comunit epicurea degli amici e l'amicizia
cosmopolitica de- gli stoici sono indubbiamente tra strutture diverse, ma tutte
e tra hanno la natura, e non la storia, come normativit. Qui sta lunit
sostanziale del modello greco di vita, unit messa in ombra da chi vede gli
alberi e non la foresta, e cio le differenze teoriche fra scuole anzi- ch la
sostanziale unit di forma filosofica di vita. L'evoluzione della scuola
platonica dal dogmatismo di Platone allincredibile scet- ticismo dei suoi
successori, per cui in et ellenistica accademico diventa sinonimo di scettico
(fino almeno alla provvidenziale e mai abbastanza lodata restaurazione
platonica di Plotino), generalmente
registrata dagli storici, come se si trattasse di un semplice dato, per cui ad
un certo punto Speusippo e Senocrate cominciano ad occuparsi di irrilevanti
stupidaggini astronomiche, politicamente del tutto inespressive, anzich
proseguire nelle 16 Le avventure della coscienza storica occidentale nuove
condizioni storiche la ricerca del Bene politico del fondatore, mille volte
socialmente pi importante delle loro irrilevanti sciocchezze astronomiche (uso
volontariamente un linguaggio provocatorio esagerato, in modo che anche il
lettore torpido abbia una leggera scossetta elettrica corroborante). Ma qui
si di fronte ad una inesorabile logica
dialettica, per cui chi chiede alla numerologia alla fine non stringe che il
vuoto, perch la numero- logia di per s (sganciata dal contesto pitagorico in
cui aveva direttamente un carattere sociale e politico) non pu che rovesciarsi
nel suo contrario. Gli esempi storici posteriori sono numerosi, e sarebbero
assai educativi se la gente tenesse aperte le orecchie. Cos come la numerologia
pitagorico-platonica si trasform dialetticamente nel suo contrario, e cio in
scetticismo accademico, cos la fondazione positivistico-engelsiana del
comunismo si rovesci nel suo contrario, e cio in disincanto maxweberiano ed in
critica lyotardiana alle grandi narrazioni, e la fondazione althusseriana del
materialismo storico su basi scienti- fiche prive di espressivit filosofica si
rovesci nel suo contrario, lassurda apologia totale dellaleatoriet. Ma qui,
purtroppo, la storia della filosofia non insegna nulla, perch ben- s una maestra, ma una maestra che insegna in un'aula vuota.
Anche se dovrebbe essere addirittura inutile accennarvi, rilevo con forza che
non sto affatto proponendo uninterpretazione monocausale e riduzionistica della
genesi della fi- losofia greca. Non penso affatto che lunica genesi della
grande filosofia classica sia esclu- sivamente la reazione comunitaria alla
schiavit per debiti. Ogni teoria rigorosamente mo- nocausale rischia di non
cogliere il suo obiettivo. Da studioso ed ammiratore di Alfred Sohn-Rethel, che
a suo tempo si mise su di una strada del genere (lastrazione filosofica del
concetto parmenideo di Essere come risultato della duplicazione teorica nella
mente della duplicazione monetaria), so bene che imboccando questa via si
finisce fuori strada. Sostengo soltanto che la schiavit per debiti fu il
detonatore sociale, che mise in moto una concatenazione di concetti, tutti
indistintamente esemplificati sulla base di un concetto di natura normativa
(physis), che permisero in un secondo tempo ai greci di auto-rappresen- tarsi
la propria collocazione cosmica allinterno del mondo. Non nascondo infatti di
praticare (e di proporre, per ora del tutto inutilmente, ma in certe cose il
tempo galantuomo) una interpretazione
metaforica dei due grandi concetti di Anassimandro (apeiron come infinito ed
indeterminato) e di Parmenide (fo on come es- sere stabile ed immutabile). Non
bisogna dimenticare mai che i greci, in particolare i co- siddetti presocratici
(termine improprio, perch lateniese Socrate
stato in realt lultimo dei presocratici, cio dei filosofi pubblici che
si relazionavano direttamente con il popolo), erano ancora largamente interni
alla fusione fra macrocosmo naturale e microcosmo socia- le, come del resto ha
affermato il grammatico alessandrino Diodoto (ricordato da Diogene Laerzio) a
proposito del poema di Eraclito sulla natura, che secondo Diodoto in realt par-
lava della societ e della politica. In breve, a mio avviso lapeiron di
Anassimandro non che la metafora
cosmologica e giudiziaria (diken didonai) dellinfinitezza e
dellindeterminatezza delle ricchezze moneta- rie, laddove il to on di Parmenide
non che la metafora dell'eternit
atemporale e della per- manenza nel tempo immodificata ed immodificabile della
perfetta legislazione pitagorica, che essendo stata formulata in forma
geometrica rappresenta una verit non opinabile, e soprattutto non modificabile.
La filosofia greca ha avuto certamente molte motivazioni, e 17 CostTANZO PREVE
fra esse certamente anche la curiosit cosmologica di Talete (anche se
personalmente con- sidero nel vero Mondolfo e Capizzi, che ne hanno in vario
modo cercato una genesi nella politica e nel lavoro artigianale umano), ma la
porta da cui passata ha due pilastri,
lin- finito-indeterminato di Anassimandro e l'essere intemporale di Parmenide.
So benissimo (eccome se lo so!) che oggi prevalgono interpretazioni misteriche,
ieratiche e sapienziali, che possono prevalere soltanto in un'epoca come la nostra,
di perdita della coscienza sto- rica e dellindignazione politica. Non intendo
qui neppure nominare il pi noto diffusore italiano di questa impostazione,
perch il fastidio che mi provoca tale da
farmi subito cambiare canale, come si direbbe con la metafora del telecomando
(del resto ci troviamo in un'epoca in cui si scrivono ontologie del telefonino
e del telecomando). Ma torniamo ai greci per respirare un'aria migliore. Il
discorso sarebbe appena iniziato, ma dobbiamo qui terminarlo per ragioni di equilibrio
espositivo complessivo. Per chiarez- za, mi limito a due sole conclusioni
sintetiche riassuntive. In primo luogo, se
vero che la natura serve da modello normativo per la preservazio- ne
della comunit, che ha come suo fondamento e causa finale la buona vita dei
cittadini (non di tutti, perch gli schiavi non vengono presi in considerazione,
pur non negando loro in teoria una formale umanit), la storia non appare come
costitutiva della buona vita stessa, e se
cos (come io credo), ne deriva che non esiste nei greci una vera e
propria filo- sofia della storia nel senso moderno del termine. Non esiste
neppure a mio avviso una vera e propria ideologia del progresso (il termine
greco proodos non significa progresso, tanto
vero che Plotino lo usa nel senso di emanazione, e proodos come
progresso esiste solo in greco moderno come traduzione dal latino e dal
francese). In poche parole, non esiste una ideologia del progresso perch non
esisteva ancora il suo portatore storico e sociale, la borghesia capitalista.
La borghesia capitalista aspetta la maturazione dei profitti, non di rendite
fondiarie, ed ha quindi bisogno di un tempo lineare cumulativo ed omogeneo,
laddove chi si aspetta rendite fondiarie pensa il tempo come eterno ritorno
ciclico delle stagioni. Se il dilettante Nietzsche ci avesse seriamente
pensato, magari facendo visita a Londra al barbuto Marx, gli sarebbe forse
venuto il sospetto che l'eterno ritorno del sempre uguale dei greci non era
soltanto il prodotto della loro visione tragica del cosmo (che non mi sogno
certamente di negare, ed anzi ribadisco con forza), ma era anche il pi prosaico
eterno ritorno delle stagioni e dei raccolti (vedi Esiodo). Certo, i greci
oltre che contadini erano anche navigatori, ed il navigatore sa bene di essere
in balia del caso (tyche). In ogni caso, la natura resta il canone di
riferimento della percezione temporale dei greci. In secondo luogo, come aveva
a suo tempo ben compreso Hegel, la filosofia greca non si divide
engelsianamente in materialisti ed idealisti, per il semplice e nudo fatto che
tutti i greci erano idealisti, compresi quelli che non introducevano nella
cosmologia una divinit ordinatrice, ma si limitavano a presupporre atomi, vuoto
e caso, con o senza deviazione (clinamen parekklisis). Si tratta di un punto di
facile comprensione, ma sul quale molti confu- sionari successivi hanno
imbrogliato le carte, identificando il materialismo con latomismo e lateismo
(ma di greci atei ce n'erano veramente pochi, e certamente Epicuro non era fra
essi, secondo l'ottima interpretazione di Walter Otto). E perch tutti i greci,
nessuno escluso, erano idealisti? Ma perch essi concepivano la verit come
visibilit di un oggetto mentale ideale, ed infatti il termine greco idea
proviene 18 Le avventure della coscienza storica occidentale dal verbo orao,
che significa appunto vedere, e solo vedere. Personalmente, considero pro-
fondamente errata la dilettantesca interpretazione di Heidegger, che
contrappone la verit come disvelamento (aletheia) alla verit come corretta visione
(orthotes), e questo perch, a differenza di Heidegger (so bene che
Heidegger un mostro sacro, ma anche i
mostri sacri a volte si ingannano), la corretta visione si identifica al cento
per cento con il disvelamento. Del resto, se si legge senza forzature il mito
della caverna di Platone, si in presenza
di un processo di disvelamento attraverso una visione progressiva sempre pi
corretta. Ho cercato a lungo di capire le motivazioni dellinterpretazione di
Heidegger della dottrina platonica della verit, non le ho mai trovate, ma
sospetto che si tratti di una indebita retroa- zione di una polemica contro il
soffocante neokantismo delle universit tedesche. Ma lidea di Platone non in alcun modo la premessa del fenomeno dei
neokantiani, in quanto lidea platonica ha una base ontologica di riferimento,
mentre il fenomeno dei neokantiani risulta soltanto da una degradazione
gnoseologica dei compiti veritativi della filosofia. L'idealismo greco, con
tutte le sue derivazioni teoriche, ha avuto certamente una genesi (genesis)
particolare, sorta nel contesto di una struttura sociale che oggi non esiste
pi. E tuttavia questa genesi particolare ha prodotto una validit ontologica
universale (Geltung), che ancora oggi
attualissima. E perch attualissima? Perch non
cambiato il problema della divaricazione fra l'arricchimento
individualistico, crematistico ed infinito-indetermi- nato (apeiron) e la
tendenza contraria alla salvaguardia della comunit sociale e politica
attraverso il nomos che regolamenta il nemein attraverso il logos, che passa
certamente anche e soprattutto attraverso il dialogos politico. Un dialogo
veritativo sulla condizione umana, non un cortese e sofisticato chiacchiericcio
occidentalistico alla Richard Rorty, e quindi il dialogo di Socrate, non quello
dei talk-shows. 3. LA CIVILT CRISTIANA MEDIOEVALE. L'ASSORBIMENTO DELLA
COSCIENZA STORICA NELLA SACRALIZZAZIONE SIMBOLICA, PIRAMIDALE E GERARCHICA, DEL
MONDO SOCIALE UMANO Il problema del rapporto fra cristianesimo, storia e
filosofia estremamente delicato, ed
allora la cosa migliore impostarlo in
modo originale, trascurando lalluvionale biblio- grafia che si accumulata sopra negli ultimi secoli. Ho
detto delicato, non certo com- plesso, perch ritengo semplicemente che non
esistano problemi complessi, e che la co- siddetta complessit sia un'invenzione
dellepistemologo confusionario francese Edgar Morin (non a caso negatore
esplicito della necessit di un fondamento veritativo per le scienze sociali),
che in questo modo ha fornito al ceto universitario opportunistico una facile
ideologia per il loro fare i pesci in barile e sottrarsi alla decisione sui pi
scottan- ti problemi dellepoca in cui vivono. Esistono problemi di facile
soluzione e problemi di difficile soluzione. Esistono problemi la cui
soluzione, in via di principio possibile, non
ancora all'orizzonte. Esistono infine problemi in via di principio
insolubili. Ma i problemi complessi sono soltanto facili alibi per opportunisti
(da decenni sento dire che il proble- IS ma dei rapporti fra sionisti e
palestinesi complesso, laddove non
lo per niente, ma 19 CostTANZo PREVE
dipende semplicemente dai rapporti di forza fra un popolo espropriato della sua
terra e un'ideologia razzista che ne giustifica l'espropriazione in nome di
memorie bibliche o del senso di colpa degli europei per il genocidio
hitleriano, di cui i palestinesi restano del tutto innocenti). Quindi, nessuna
complessit, ma delicatezza del problema, perch qualsiasi cosa dicia- mo
feriremo qualcuno, e scontenteremo qualcun altro. Ritengo si possa utilmente
comin- ciare dalla discussione di un saggio di Benedetto Croce, forse il suo pi
famoso e citato, per cui non possiamo non dirci cristiani. Sar vero?
Personalmente, non lo credo per nulla. Croce, che non era cristiano per nulla
(ed infatti era stato anche scomunicato negli anni Trenta dalla chiesa
cattolica, ed i suoi libri messi all'indice), intendeva dire che qualsiasi
europeo del Novecento, non importa quale fosse la sua visione filosofica del
mondo di riferimento, non poteva non avere metabolizzato in qualche modo la
bimillenaria eredi- t cristiana, magari secolarizzandola e laicizzandola in
vario modo. Capisco bene quello che Croce intendeva dire, ma non sono
ugualmente d'accordo per nulla, a meno che per cristianesimo si intenda un
umanesimo generico della libert, cosa che, se io fossi perso- nalmente
cristiano, negherei recisamente e con forza (su questo punto, rimando ai libri
di Sergio Quinzio). I cristiani, da quello che posso saperne considerandoli
dall'esterno della loro fede, credono in un Dio monoteistico, si rifiutano
recisamente di ridurre la trascen- denza ad immanenza, ritengono la storia un
teatro della salvezza e non un semplice spazio vuoto di insensatezza (tipo
Schopenhauer o materialismo aleatorio di Althusser), ed infine testimoniano la
fede nellimmortalit individuale, alcuni nella forma pitagorico-platonica
dell'immortalit dell'anima, ed altri (pochi, a mia conoscenza) nella forma
paolina della resurrezione dei corpi. Se sbaglio, mi si corregga, ed accoglier
volentieri le correzioni. Ma non mi si dica che non possiamo non dirci
cristiani. Odifreddi e de Benoist, ad esempio, non sono cristiani. E quindi
partiamo dal fatto che si pu essere, se lo si vuole, cristiani e non cristiani,
e non possiamo sempre metaforizzare il contenuto del cristianesimo in uma-
nesimi generici o immanentismi caritatevoli e/o rivoluzionari. Passo ad un
secondo punto, anche se lo svilupper meglio nel prossimo quarto capito-
lo. di moda da circa un secolo parlare di
escatologia giudaico-cristiana, come se esistesse una comune base religiosa
ebraico-cristiana. Ma questa comune base religiosa non esiste affatto, ed un'invenzione di gruppi ristretti di
universitari tedeschi di origine ebraica, di cui il pi famoso Karl Lwith (e la cui controparte
marxista stato Ernst Bloch). Di l na-
sce la teoria comunemente accettata e pappagallescamente ripetuta da tutti i
confusionari per cui il marxismo sorto
da una secolarizzazione dellescatologia ebraico-cristiana nel linguaggio
dell'economia politica. Ma il fatto che migliaia di colorati pappagalli lo
ripeta non significa che sia vero. Nel prossimo capitolo cercheremo di chiarire
(senza peraltro grandi speranze di vedere accogliere questa tesi) che il
marxismo semmai deriva da una di- storsione positivistica dell'originale teoria
della storia di Marx, la quale a sua volta deriva dalla filosofia idealistica
della storia dello stesso Marx, basata sullelaborazione dialettica della
coscienza infelice della borghesia, a sua volta gi filosoficamente impostata
dai due grandi idealisti che precedettero Marx, il grande Fichte ed il grande
Hegel. Incidentalmente, non esiste nessuna escatologia unitaria
ebraico-cristiana. Le due reli- gioni, diverse luna dall'altra in modo
radicale, danno uninterpretazione opposta del noto 20 Le avventure della
coscienza storica occidentale brano di Isaia sul Servo Sofferente e l'Uomo dei
Dolori. Per i cristiani il Servo Sofferente
naturalmente Ges di Nazareth, mentre per gli ebrei il popolo ebraico nella sua interez- za, in
particolare dopo lOlocausto hitleriano 1941-1945. Ognuno pu ovviamente credere
a quello che vuole, ma ritengono disonesto far credere ai confusionari (che
compongo- no da sempre la stragrande maggioranza dell'umanit sofferente) che vi
sia compatibilit fra l'individuazione del servo sofferente in Ges di Nazareth o
invece nel popolo ebraico nel suo complesso. Si pu credere nella teologia che
si vuole (personalmente, non credo in nessuna), ma non affermare che sia
compatibile il ritenere che il servo sofferente sia Ges (figura che il Talmud
ebraico riempie di disprezzo) oppure il popolo ebraico vittima dell'Olocausto.
Detto in termini semplici, se un'unica religione ebraico-cristiana non esiste,
non mai esistita e non esister mai,
allora perch gli intellettuali occidentalisti, compresi quelli pi atei e
senzadio, fanno intendere che esista? Ma perch loccidentalismo odierno
riclassifica e reinterpreta tutta la variet religiosa del mondo in termini di
Occidente contro l'Islam, il nuovo nemico fondamentalista, per cui i due campi
sono cos ridefiniti: da un lato un unico blocco occidentalistico-sionista, la
religione unificata ebraico-cristiana, con a lato il Dalai Lama buddista
arruolato come consulente psicologico-spirituale e cappellano anti-cinese;
dall'altro il diabolico regno fondamentalista musulmano, con gli uomini barbuti
e kamikaze e le donne sepolte sotto il burka. A proposito di messianesimo e di
escatologia (entrambi termini assolutamente inesi- stenti nel pensiero greco)
occorre fare un rilievo fondamentale. Il fatto che vi sia messiane- simo non
comporta affatto che vi sia gi una filosofia della storia, o che si sia in
presenza di essa, o almeno dei suoi prodromi e presupposti. C' filosofia della
storia soltanto l dove c' filosofia, e la filosofia si caratterizza per fornire
argomenti razionali (logon didonai) alle sue affermazioni. L'annuncio
messianico, che sia escatologico o apocalittico, o tutti e due, non fornisce
nessun fondamento filosofico alle sue promesse, e quindi semplicemente non fa
parte della storia della filosofia. Tutte le ricostruzioni della storia della
filosofia della storia che cominciano con Agostino dovrebbero essere
cortesemente archiviate, perch la filosofia della storia comincia con Herder (o
se proprio vogliamo con Vico e Voltaire), e prima non esiste. Il messianesimo
religioso non una filosofia della
storia. Chi inoltra pensa che il messianesimo faccia parte della tradizione
cattolica dovrebbe in proposito prendere in mano il Catechismo Cattolico oggi
vigente. AI numero 1042 si chia- risce senza ombra di dubbio che solo alla fine
dei tempi, il regno di Dio giunger alla sua pienezza. Dopo il giudizio
universale i giusti regneranno per sempre con Cristo, glorificati in anima e
corpo, e lo stesso universo sar rinnovato. Non intendo gettarmi in unesegesi di
una religione in cui personalmente non credo, ma se le parole hanno ancora un
senso, sia pure allegorico e anagogico, mi pare di capire che non viene
volutamente fornita alcuna indicazione per capire se e quando arriveremo alla
fine dei tempi (a meno che si parli di terremoti, guerre atomiche o spegnimento
del sistema solare). In mancanza di qualsiasi co- ordinata, il messianesimo
cristiano eguale a quello farisaico, per
cui a parole ci si dichiara ancora messianici, ma in realt il regno di Dio
viene rinviato alle calende greche, e cio a mai. Ci mi fa capire molte cose su
Kant, il cui concetto limite costruito
ed esemplificato proprio sulleterno rimando della divinit. 2 CostTANZo PREVE
Sempre a proposito del messianesimo, rimando il lettore allattenta lettura dei
numeri 675 e 676 del Catechismo Cattolico. Essi sono stati in realt scritti
contro il comunismo, ed era difficile essere pi chiari ed espliciti: La massimo
impostura religiosa quella dell Anti-
Cristo, cio di uno pseudo-messianesimo cui luomo glorifica se stesso al posto
di Dio... questa impostura anti-cristiana si delinea nel mondo ogni qualvolta
si pretende di realizza- re nella storia la speranza messianica che non pu
essere portata a compimento se non al di l di essa, attraverso il giudizio
escatologico. Anche sotto la sua forma mitigata, la Chiesa ha rigettato questa
falsificazione del regno futuro sotto il nome di millenarismo, soprat- tutto
sotto la forma politica di un messianesimo secolarizzato intrinsecamente
perverso. Questo messianesimo secolarizzato intrinsecamente perverso ovviamente il comuni- smo storico
novecentesco realmente esistito, che in genere i teologi cattolici fanno
risalire a Marx, mostrando di essere esperti in esegesi biblica, ma non
certamente in marxologia critica. Qui si capir ancora una volta la crucialit
assoluta del far risalire l'intenzione fi- losofica di Marx (la si condivida
oppure no, questa unaltra cosa) al
pensiero filosofico anti-crematistico greco ed alla grande filosofia borghese
della storia (e cio Fichte e Hegel), e non certamente ad una inesistente e
fastidiosa escatologia giudaico-cristiana nel linguag- gio dell'economia
politica. Il marxismo stato infatti una
(storicamente inevitabile) di- storsione positivistica (e allora
deterministica, necessitaristica e quindi teleologica) di una filosofia della
storia derivata dallelaborazione della coscienza infelice borghese, non certo
una secolarizzazione messianica. In proposito,
interessante che la diagnosi del marxismo come grande narrazione
messianica sia comune alla teologia cattolica, al razionalismo laico ed al
postmoderno. Ci vorr fare un pensierino il lettore conformista, virtuoso, pio,
secola- rizzato e politicamente corretto? Perch no! Mai porre limiti alla
Divina Provvidenza! peraltro difficile
negare che il cristianesimo nacque interamente messianico, una ver- sione che
lo avrebbe certamente fatto scomunicare in base ai numeri 675 e 676 del
Catechismo Cattolico (vedi in proposito la parabola del Grande Inquisitore dei
Fratelli Karamazov di Dostojevski). Bisogna proprio destoricizzare
completamente Ges di Nazareth per affer- marlo, cosa in contraddizione
insanabile con la reiterata affermazione che Ges stato una figura storica. Ma la sua storicit evidentemente limitata alla sua resurrezione,
mentre evidentemente la storicit del significato sociale inequivocabile
dell'annuncio dellAnno di Misericordia del Signore (in proposito Luca 4, 14-30)
viene sempre pudicamente nascosta, per non inquietare Del Noce, Casini e
Buttiglione. L'annuncio di Ges era interamente messianico e rivoluzionario, e
per questo fu condannato a morte e crocifisso, anche se sotto la falsa accusa
di essere stato un capo degli zeloti armati (questo significa il cartiglio Ges
Nazareno Re dei Giudei). Sia chiaro. Non me la prendo affatto con la chiesa
cattolica per la sua negazione del messianesimo. Non intendo neppure sostenere
la tesi sociologica e riduzionistica del Ges sindacalista conflittuale e
guerrigliero sociale. Questa tesi ridicola
soltanto laltra faccia della tesi dominante, altrettanto ridicola del
Ges salmodiante in processioni pecoresche. Si tratta sempre in ultima istanza
della polarit dualistica tra Trascendenza ed Immanenza. Scusi, reverendo, Ges
era trascendente, e parlava solo del regno dei cieli dopo la morte, oppure era
immanente, e parlava invece del rivoluzionamento immediato del classismo su
questa terra? Ma Ges, non essendo un neokantiano, ed ignorando le antinomie
bobbiane, 22 Le avventure della coscienza storica occidentale non era n
trascendente n immanente, ma fondeva entrambe le cose, ed era immanente proprio
nella misura in cui era del tutto trascendente. Non essendo una pastorella del
suo gregge, non rimprovero alla chiesa di aver messo in frigorifero il
messianesimo sociale, per scongelarlo soltanto in un generico e kantiano
concetto-limite della storia. Penso anzi che abbia fatto bene a farlo. In
proposito accetto nellessenziale la diagnosi di Max Weber, per cui quasi tutte
le religioni (e comunque sicu- ramente il cristianesimo, non per il confucianesimo
e lo shintoismo giapponese) nascono messianiche, ma se restassero messianiche
per pi di tre generazione finirebbero con lo scomparire e l'essere riassorbite,
e se invece sopravvivono e si riproducono nel tempo pos- sono farlo soltanto
riformulandosi organizzativamente sulla base della gestione simbolica della
vita quotidiana e dei suoi passaggi pi delicati (nascita, crescita, famiglia,
malat- tia, morte, carit, eccetera). La promessa messianica viene invece
regolarmente disattesa, e questo per molte ragioni, di cui qui ne citer solo
due: in primo luogo, perch purtroppo Dio non esiste (mi scuso sinceramente con
i credenti, che personalmente antepongo sem- pre ai cosiddetti laici, termine
con cui si intendono in genere gli individualisti filosofi- camente relativisti
e nichilisti, e quindi utilitaristico-capitalisti), e non esistendo non pu
purtroppo garantire lesaudimento della promessa messianica; secondo, perch in
genere i poveri, i derelitti e gli oppressi riescono al massimo nei casi
migliori a gestire una coope- rativa o una bocciofila, ma sono strutturalmente
incapaci di gestire in modo non classista una societ articolata. Queste
considerazioni erano necessarie, perch il lettore comprendesse il punto di
vista filosofico dello scrivente. Non mi interessa assolutamente spiegare al
credente che si illude, in quanto la scienza moderna (Newton, Darwin, Freud,
Einstein) avrebbe definiti- vamente smentito la fede religiosa. questo il terreno anglosassone-imperiale, in
cui ti- rano assurdi libri di scienziati che spiegano che Dio non esiste in
base alle scienze naturali, ed in cui Darwin vince sempre con punteggio
tennistico contro Ratzinger. questo il
terre- no del miserabile laicismo italiano della rivista Micromega, opposto
antitetico-polare, e pertanto complementare, della rivista Civilt Cattolica.
Dal momento che io mi occupo di filosofia, e non di geologia e di astrofisica,
vorrei contribuire a spostare iltema su di un ambito filosofico. Non intendo
disprezzare la certezza delle ipotesi dell'et della terra o sullautopoiesi
degli organismi viventi, ed anzi al contrario le pongo molto in alto. Ma qui mi
occupo di verit filosofica, non di esattezza matematica, di certezza fisica
verificabile e/o falsificabile, di veridicit artistica e letteraria, eccetera.
Il cristianesimo nasce quindi messianico con Ges di Nazareth, e resta
ovviamente mes- sianico anche con Paolo di Tarso, che lo trasforma per in un
messianesimo universalistico, trasformazione non da poco. Pur essendo infatti
un fariseo, Paolo parlava il greco, e nella sua testa erano penetrate le idee
elleniche di universalismo e di unit del genere umano, probabilmente attraverso
la vulgata stoica che era dominante ai suoi tempi (che erano an- che i tempi di
Seneca). Combinando il messianesimo di Ges di Nazareth ed il concetto greco (e
non solo greco, ma integralmente ed esclusivamente greco) di universalismo e di
unit del genere umano Paolo produce il concetto di Cristo (e cio di unto del
signore), da cui poi nel vangelo giovanneo risulter il concetto di /ogos (la
cui curiosa traduzione latina di verbum mi ha sempre ricordato i tormenti dei
paradigmi dei verbi latini e greci nel 23 CostTANZO PREVE vecchio liceo
classico). La trasformazione di Ges prima in christs e poi in logos produsse il
codice genetico della fede cristiana, e da allora questo codice rimasto sostanzialmente intatto nei secoli.
Abbandonarlo per adeguarsi al mondo moderno o per secolarizzarsi sarebbe un
suicidio per il cristianesimo, che per i cristiani non faranno, a differenza
del gruppo sociale pi stupido del mondo, i comunisti, che hanno creduto di
salvare il comu- nismo dalla sua crisi trasformandosi in liberalcapitalisti.
Questo non ha comportato allora una messianizzazione escatologica del mondo, in
quanto gi nel secondo secolo questo messianesimo era gi interamente rientrato
in una economia quotidiana della solidariet e della carit (questa disillusione
port al fenomeno detto della gnosi, peraltro presto rientrato, restando la
Gnosi una sorta di Francoforte del cristianesimo), e questo fu weberianamente
un bene per il cristianesimo, che evit cos un suo riassorbimento. Comport
invece una risacralizzazione del mondo, che era invece sta- to di fatto
desacralizzato non tanto dallo scetticismo di conferenzieri postmoderni tipo
Luciano di Samosata, quanto proprio dal suo apparente contrario, e cio
dallaccoglimento pluralistico e tollerante di tutte le divinit conosciute nel
Pantheon imperiale romano. Come in molti altri casi, anche qui Hegel coglie
genialmente il centro della questione. Se tutti gli dei del territorio
imperiale romano vengono accolti in un solo Pantheon, e possono coesistere
educatamente in una generica humanitas (che peraltro copriva una societ schia-
vistica con giochi gladiatori quotidiani e con stupri padronali autorizzati di
schiavi e schia- vette bambine), significa che questi dei non esistono. Se io
infatti mi devo plasticamente raffigurare in fotografia la morte di Dio oggi,
non me la raffiguro nelle sfilate dei travestiti del Gay Pride oppure nei
banchetti della coppia sionista spiritata Pannella-Bonino, ma me la vedo
plasticamente davanti nelle riunioni ecumeniche pecoresche di preti, pastori,
pope, rabbini, ulema, bonzi, buddisti, stregoni Sioux, eccetera, da cui escono
documenti generici sull'umanesimo all'ombra delle speculazioni cannibaliche del
grande capitale finanziario. Il cristianesimo, quindi, fu prodotto anche e
soprattutto dallinsofferenza nei confronti del- la falsit dellumanesimo
schiavistico romano (con le correnti filosofiche greche ridotte a talk-shows
senza televisione) e dalla provocatoria compresenza di tutte le divinit
autoriz- zate dell'impero. Alla fine, lunica divinit non autorizzata vinse.
Speriamo che avvenga cos anche oggi, in quanto quello che diciamo sostanzialmente lunico pensiero non-au-
torizzato privo di accesso alla visibilit mediatica apparentemente
pluralistica, in cui tutti i plurali dicono la stessa cosa singolare. In
termini filosofici, la sacralizzazione cristiana del mondo si riallaccia
(certo, senza saperlo) alla vecchia fusione primitiva fra macrocosmo naturale e
microcosmo sociale. Per questa ragione la sua matrice assai pi naturale che storica. Certo, esiste
indubbiamen- te una storia della salvezza, che per sottratta a qualsiasi autoriflessione
filosofica libera (e pertanto non una
vera filosofia della storia), ma questa storia della salvezza ricondot- ta ad un quadro metafisico
naturalistico (anche se Dio diventa il creatore della natura). Sta qui la
famosa ellenizzazione del cristianesimo. Che intellettualmente Ratzinger
vorrebbe riportare nel pensiero contemporaneo attraverso il concetto normativo
di natura umana, che a suo tempo Aristotele elabor in modo gi pressoch
completo. Ellenizzazione del cristianesimo significa infatti centralit
normativa della natura umana. 24 Le avventure della coscienza storica
occidentale Tralascio qui, perch la presuppongo come largamente nota al
lettore, la vera e pro- pria medioevalizzazione feudale del cristianesimo e la
sua trasformazione in religione di legittimazione dei rapporti gerarchici fra
bellatores, oratores e laboratores, e cio della socie- t detta tripartita.
Presuppongo come noto anche il riaffiorare della tendenza messianica (Gioachino
da Fiore), e dello sviluppo di eresie di contestazione di questa realt
gerarchico- feudale. Metto molto in alto (immensamente pi in alto della
miserabile filosofia postmo- derna di oggi) la teologia medioevale, sia nella
forma domenicana di Tommaso d'Aquino sia nella forma francescana di Guglielmo
di Occam. Tendo a mettere Occam un po pi in alto di Tommaso, perch solo Occam
ha avuto il coraggio di collocare nel singolo cristiano la pratica della
paupertas e della simplicitas, togliendone la gestione al baraccone corrotto
dei pretoni di Avignone. Ma non questa
la sede per approfondire questa questione. Oggi siamo in piena
secolarizzazione. La secolarizzazione, per, non
una opinione, ma il processo
storico per cui la legittimit della societ non
pi data da una sacraliz- zazione religiosa del mondo, ma data dal semplice legame anonimo del valore di
scam- bio, e quindi dall'economia politica, che se fossi un prete definirei
come il vero anticristo, lasciando stare il povero comunismo nel frattempo
defunto. Certo, sbagliarsi di Anticristo mi sembra un po grave per una teologia
degna di questo nome. Individuarlo a Cuba e nella Corea del Nord invece che a
Wall Street e a Piazza Affari mi sembra un vero errore filosofico. Approvo
Ratzinger perch almeno non affronta la secolarizzazione attraverso la
auto-secolarizzazione dei teologi-sociologi suicidi ed attraverso la
liberalizzazione teolo- gica incontrollata e pazza alla Hans Kiing, mantenendo
non tanto lautoritarismo vaticano (come dicono i laici) quanto una teologia
unificata aristotelica, e quindi greca. Baster? Ai posteri l'ardua sentenza. Io
mi limito, da esterno totale, a fare il tifo per le persone intelligenti contro
i cretini incurabili. 4. L'ET MODERNA BORGHESE-CAPITALISTICA OCCIDENTALE. LO
SVILUPPO DELLA COSCIENZA STORICA COME COSTITUZIONE ONTOLOGICA ED ASSIOLOGICA
DELLO SVILUPPO UNIVERSALE E VERITATIVO DEL GENERE UMANO La fondazione
filosofica della societ borghese moderna presenta un'interessante con-
traddizione, assai pi rivelatrice di quanto possa sembrare ad una prima
osservazione su- perficiale. Da una lato, essa viene fondata in modo apparentemente
naturalistico e destori- cizzato, a partire dalla antropologia pessimistica ed
anti-aristotelica di Thomas Hobbes per poi passare alla teoria della naturalit
della propriet privata fondata sul lavoro individua- le robinsonianamente
inteso (daltronde Locke e Defoe sono figli dello stesso ambiente storico), ed
infine alla teoria della natura umana di David Hume, gi precedentemente
segnalata, in cui la natura umana diventa il teatro immutabile (una sorta di
versione par- menidea del capitalismo) della logica riproduttiva del valore di
scambio. Dall'altro lato, contemporaneamente e contraddittoriamente, a fianco
di questa fonda- zione naturalistica (0 per meglio dire, pseudo-naturalistica)
si sviluppa la vera e propria fondazione storica della stessa modernit,
allinizio con la critica alla teodicea di Voltaire 25 CostTANZO PREVE (cui
personalmente non attribuisco per un ruolo rilevante) e poi con la filosofia
tedesca della storia, che inizia con Herder, si sviluppa con Fichte e Hegel, e
culmina infine in Marx. Come spiegare questa compresenza di naturalit e di
storicit nello sviluppo della concezione borghese della modernit? In via di
semplice ipotesi, direi che questa strana compresenza di tendenze incompatibili
e contraddittorie si spiega solo se separiamo me- todologicamente il concetto
di Capitalismo da quello di Borghesia, e non perseveriamo bovinamente nella
fusione dei due termini, come se il capitalismo fosse semplicemente un treno di
cui la borghesia il macchinista. Certo,
i due termini si intrecciano continuamente in forme sempre diverse. Ma in
estrema sintesi il capitalismo, in quanto realt anonima, strutturale,
impersonale e cieca, trova la sua fondazione in una pseudo-naturalit, come se
la produzione capitalistica non fosse altro che l'affermazione della vita
secondo natura, una volta spazzata via la presunta artificialit delle
istituzioni feudali, mentre la borghe- sia, in quanto soggettivit collettiva
capace di autoriflessione teorica razionale (illumini- smo, idealismo,
positivismo, filosofia della crisi, adesione al rivoluzionarismo comunista,
disincanto postmoderno, eccetera), ha assolutamente bisogno della temporalit
storica per poter interpretare se stessa. L'anima economica del
capitalismo quindi del tutto astorica e
pseudo-naturalistica (ed infatti l'economia politica disgustosa per tutte le sensibilit
filosoficamente educate, proprio a causa della sua provocatoria astoricit, in
cui la storia si presente sempre spogliata di ogni sua forma storica), mentre
lanima filosofica della borghesia da circa trecento anni dialettica, e quindi storica, al di l delle
forme prese da questa storicit. Ho gi sostenuto nel capitolo precedente che il
semplice messianismo religioso non
ancora una filosofia della storia, perch non c' filosofia se non c' una
autoriflessione disposta a mettere in discussione i suoi stessi fondamenti
fornendo ragione di essi (logon didonai). E quindi iniziamo le nostre
riflessioni sulla modernit ipotizzando che soltanto in et moderna nasce una
vera e propria filosofia della storia, ed
proprio per questa ragione che lattuale pensiero postmoderno vuole
ucciderla, per poter sbarazzarsi del bambino buttando via lacqua sporca
(secolarizzazione millenaristica, distorsione positivistica, ide- ologizzazione
parossistica di tutto il pensiero umano, eccetera). Ma ogni cosa a suo tempo.
Ora limitiamoci a fare un passo per volta. Nella sua pregevole operetta sugli
inizi della filosofia borghese della storia il francofor- tese Max Horkheimer
comincia con Machiavelli, continua con lutopismo rinascimentale (Moro,
Campanella, eccetera) e con Hobbes, e termina infine con Vico, cui attribuisce
gran- de importanza e che loda per aver conservato una istanza suprema di
giudizio estranea alla storia stessa, e cio Dio. In questo campo ognuno pu ovviamente
fare quello che vuo- le, dal momento che la storia della filosofia (per
fortuna!) non una scienza esatta. A mio
avviso, per, la vera e propria filosofia moderna della storia inizia solo con
Vico, e gi cos la datazione appare discutibile. E tuttavia liniziare con Vico
appare metodologicamente razionale, e questo per una ragione che ho notato
sfugge quasi sempre ai commentatori frettolosi e superficiali. Questi
commentatori sono affascinati dalla secolarizzazione delle categorie teologiche
precedenti (che con Schmitt - non mi
sogno affatto di negare), e di conseguenza sono affascinati dalle
considerazioni di Voltaire sul terremoto di Lisbona con la connessa critica
della teodicea di Leibniz, centrale poi nel romanzo filosofico Candide. 26 Le
avventure della coscienza storica occidentale Ma, a mio avviso, non questa la pista giusta, anche se non nego che
sia un comodo sen- tiero secondario. La pista giusta, a mio avviso, sta nella
critica di Vico al razionalismo di Cartesio, ed alla sua palese insufficienza
per capire quello specifico oggetto di indagine filosofica che il processo storico. La critica al
razionalismo matematico, e non la semplice secolarizzazione del messianesimo
e/o teodicea, quindi la vera chiave per
comprendere la vera genesi della filosofia moderna della storia. Ma, data
limportanza del tema, questo merita una attenzione particolare. Come ovvio, Vico non poteva conoscere e
padroneggiare i quattro aspetti principali della teoria del materialismo
storico di Marx (nell'ordine: teoria della decisivit strutturale dei modi di
produzione; teoria della deduzione sociale delle categorie del pensiero; teoria
dell'ideologia; infine, teoria della falsa coscienza necessaria degli agenti
storici). Se avesse potuto padroneggiarli, gli sarebbe stato chiaro che il
Cogito di Cartesio non poteva cadere dal cielo, ma derivava da un processo di
costituzione formalistica del soggetto, un sog- getto astratto e destoricizzato
che fosse in grado di istituire un pensiero astratto, presup- posto materiale
indispensabile per il lavoro astratto del modo di produzione capitalistico.
Com' (non a tutti) noto, questo processo di costituzione formalistica del
soggetto astratto, ed astratto perch destoricizzato, si sarebbe concluso con
l'Io Penso (Ich denke) di Kant. Ma Vico, pur non potendo ovviamente precorrere
il suo tempo (non pu esistere Darwin nel Seicento, e Freud nel Settecento),
coglie tuttavia genialmente il punto principale del problema, e cio che un
soggetto interamente formalizzato e destoricizzato non pu per sua propria
intrinseca natura impadronirsi della storia, e tantomeno di una comprensione
sensata del corso storico stesso. Il cogito deve quindi essere sostituito dal
verum ipsum fac- tum. E tuttavia il fatto, una volta stabilito ed isolato dal
flusso continuo degli eventi, deve essere anche valutato, giudicato ed
interpretato. Qui nasce la storia, e con la storia quella sua ricaduta che si
chiama filosofia della storia. Secondo la corretta intuizione di Koselleck, la
storia universale dell'umanit, intesa come concetto idealmente unificato in
senso trascendentale ed autoriflessivo (ed autori- flessivo perch filosofico, e
quindi niente teodicea o semplice secolarizzazione automa- tica ed irriflessa
di una escatologia messianica rivelata) non nasce prima della met del
Settecento europeo. Ci si pu mettere dentro anche Vico oppure no, ma le cose
non cam- biano comunque nellessenziale. A me pare evidente (richiamo qui i
quattro aspetti del materialismo storico ricordati sopra) che la filosofia
della storia moderna nasce nel contesto di una costituzione della coscienza
borghese (e ripeto borghese, non capitalistica), e le sue categorie devono
essere socialmente dedotte, in quanto la filosofia della storia adempie ad una
palese funzione ideologica di legittimazione antifeudale, ed il suo
universalismo risulta dalla falsa coscienza necessaria della borghesia stessa,
che si autointerpreta come lintero genere umano nel suo processo progressivo di
autocoscienza razionale. Ho dovuto necessariamente esprimermi in modo un po
pesante, ma meglio la pesantezza espressiva dellincompletezza teorica. Se vero che il nucleo permanente della filosofia
moderna della storia la percezione
dellaccrescimento della coscienza unitaria del genere umano attraverso
lesperienza della temporalit, allora non c' dubbio che anche Kant ne fa parte
integrante, nonostante il suc- cessivo neokantismo abbia messo in ombra questa
dimensione del Maestro riducendolo 27 CostTANZO PREVE ad uno sciocco ed inutile
esperto in teoria specialistica della conoscenza scientifica. Da un lato, Kant
non si fa soverchie illusioni sulla natura umana, e la definisce anzi un legno
storto (in proposito, dopo aver combattuto per decenni questa visione
pessimistica in nome del progressismo marxista e della sua stolida cecit verso
l'elemento tragico del- la vita, sono oggi incline a prenderla seriamente in
considerazione ma sar certamente l'et),
laicizzando cos la propria intima adesione alla teoria del peccato originale ed
alla sua enfatizzazione protestante e pietista. Dall'altro, Kant parla di ci
che possiamo spera- re, ed in ci che possiamo sperare c' in primo luogo la
convinzione che il genere umano vada verso il meglio. E tuttavia, da buon
kantiano, Kant sa bene che il futuro non
preve- dibile, perch al di fuori
delle coordinate spazio-temporali della sensibilit, e quindi il fu- turo
storico assolutamente noumenico (nella
variante del concetto-limite, Grenzbegriff).
per interessante che Kant ricordi il suo entusiasmo per la rivoluzione
francese del 1789, e connoti questo entusiasmo come un indizio del fatto che
effettivamente le cose stia- no procedendo verso il meglio. Si tratta di una
nozione che Kant ha in comune con spiriti eletti come Gramsci, con la
differenza ovviamente che l'entusiasmo di Gramsci non deriva dal 1789, ma dal
1917 russo. Vale la pena ricordarlo, in un momento storico di estrema de-
generazione morale, in cui il 1917
considerato dal circo accademico dei contemporaneisti come un colpo di
stato di terroristi. E tuttavia Kant resta integralmente nel contesto
illuminista, di cui in un certo senso il
punto pi alto e coerente. Il contesto illuminista era caratterizzato dalla
delegittimazione del potere ideologico normativo della religione, che trovava
nella metafisica trascendente la sua base teorica di coerentizzazione. Kant
delegittima non tanto le pretese conoscitive della metafisica (si tratta di una
interpretazione neokantiana di Kant, tipica di un'epoca che intende ridurre a
tutti i costi la verit filosofica a giustificazione gnoseologica), quanto la
sua pretesa normativa della struttura signorile dei rapporti sociali
tardo-feudali. In questo modo, per, la sua filosofia critica perdeva
paradossalmente qualsiasi funzione realmente critica, perch proprio in quei
decenni (del tutto indipendentemente da Kant) la legittima- zione dell'insieme
sociale passava dalla metafisica religiosa alla nuova economia politica. Kant
stava delegittimando i preti, proprio quando questi ultimi stavano perdendo
qual- siasi funzione di legittimazione, e la funzione di legittimazione passava
a Locke, Hume e Smith. In estrema sintesi, lidealismo classico tedesco nei suoi
maggiori tre rappresentanti suc- cessivi (Fichte, Hegel e Marx bisogna che il lettore si abitui a questa
nuova collocazione di Marx, che verr comunque chiarita in seguito) pu essere
definito come una grande au- tocritica razionale dell'illuminismo.
L'illuminismo, infatti, non viene affatto respinto (come avverr per il
successivo pensiero reazionario della restaurazione), ed anzi viene dato per
presupposto. Se ne riconosce anche largamente il valore di posizione storica
necessario e progressivo. Nello stesso tempo se ne individua l'insufficienza, e
la si individua proprio sul terreno che pi ci interessa in questa sede, e cio
la filosofia della storia del genere umano. L'illuminismo, infatti (parlo qui
della foresta e non dei singoli alberi), si collocava allin- terno
dell'ideologia del progresso (con la nota eccezione di Rousseau, il cui
illuminismo limitato alla sola teoria
del contratto sociale, svincolata dall'idea di progresso, ma limitata 28 Le
avventure della coscienza storica occidentale alla sostituzione di un contratto
politico equo al precedente contratto politico iniquo), ma finiva con
lidentificare automaticamente il progresso stesso con la diffusione del
pensiero scientifico (nel senso di progresso nelle scienze della natura) e con
lo smascheramento delle religioni rivelate, ridotte in genere a imposture.
Certo, il panorama pi vario e ricco, ma
nellessenziale lilluminismo trovava il suo centro nel nesso fra smascheramento
dellimpo- stura delle religioni rivelate (comune sia alla sua variante deista
che alla sua variante atea) e progresso della conoscenza della natura. Non a
caso, lattuale laicismo si idealmente
fermato al 1790, ed ha infatti respinto sia le religioni positive (imposture di
preti prepotenti e clericali), sia la tradizione idealistica (ultima versione
dellorrenda metafisica prescienti- fica), sia infine il comunismo marxista
(secolarizzazione dellescatologia giudaico-cristiana nel linguaggio
dell'economia politica). Il fatto che la filosofia seria si sia fermata nel
1790, e dopo ci sia stato soltanto un caff filosofico per colti (alla tribuna)
e semicolti (in platea), la racconta lunga sull'attuale degradazione della
filosofia contemporanea. Il minimo comun denominatore dell'unica filosofia
della storia dei tre grandi idealisti tedeschi (Fichte, Hegel e Marx) sta in
ci, che non solo si tratta di una filosofia della libert, ma che la libert intesa risolutamente come un concetto (Begriff).
Sta qui la differenza radicale con la concezione della libert in Kant, che era
invece concepita come un postulato del libero arbitrio, che non richiedeva
alcuna genesi storica. Il concetto (Begriff) non altro che lautocoscienza libera del soggetto
diventato consapevole della sua natura attraverso lesperienza storica, e questa
caratteristica lo distingue appunto non solo dall'idea plato- nica ma anche e
soprattutto dal postulato kantiano. Vale la pena ripetere in proposito cose gi
dette, in modo da non lasciarci indietro punti delicatissimi non chiariti a
sufficienza. Esisteva gi in greco antico una parola per indicare la libert
intesa come autodetermi- nazione (autopragha). E tuttavia il contesto storico e
semantico del termine non era omo- geneo a quello moderno, data lesistenza
della schiavit, cio di una condizione struttura- le di non-libert, che neppure
l'ipocrisia filosofica poteva nascondere. Lo stesso Hegel, criticando lo
stoicismo antico, rileva correttamente come gli antichi fossero costretti a far
ripiegare la libert nella coscienza interiore (e come nel caso dellepicureismo,
in un grup- po ristretto e protetto di amici allinterno di una casa-giardino),
come compenso sublimato ed impotente di una situazione data per
intrasformabile, in cui lineluttabilit dello schia- vismo giocava lo stesso
ruolo degradante dell'odierna ineluttabilit del capitalismo. Lo sdoppiamento
dellunitariet ontologica della libert in libert politica (per pochi) ed in una
libert interiore (potenzialmente per tutti, anche per gli schiavi) rendeva
impossibile agli antichi il conseguimento di un concetto unitario di libert,
ove il concetto non sia una semplice categoria astratta, ma debba intendersi
come conseguimento della libera autoco- scienza del soggetto. Nell'antichit era
certamente possibile lidea (ed infatti il platonismo ci arriv brillantemente),
ma non era possibile il concetto, perch esso sarebbe equivalso con la
liberazione degli schiavi, cosa che il modo di produzione schiavistico (e qui
si inse- risce la teoria strutturale di Marx) rendeva impossibile in via di
principio. Questo per quanto concerne gli antichi. Per quanto concerne Kant le
cose sono ovvia- mente molto diverse. Come i suoi predecessori cartesiani ed i
suoi successori positivisti (e weberiani) Kant aveva un concetto di scienza
ricalcato profondamente nelle sole scienze della natura (ai suoi tempi
galileiano-newtoniane), e su questa base il concetto di libert 29 Costanzo
PREVE (intesa come libero arbitrio) era del tutto indimostrabile ed
indeducibile, e questo aperta- mente
ammesso da Kant nella sua Dialettica Trascendentale (le antinomie dell'idea di
mon- do). Kant quindi costretto o a
negare la libert (ed ovviamente non intende farlo, perch tutto il suo sistema
cos faticosamente costruito si disgregherebbe immediatamente), op- pure a
postularla. La filosofia della storia dellidealismo classico tedesco (lo
ripeto, perch il lettore ha bisogno di abituarsi al necessario riorientamento
gestaltico, quella di Fichte, Hegel e Marx) nasce proprio dallinsoddisfazione
verso la soluzione kantiana della libert come postulato e come libero arbitrio.
La libert, infatti, non un postulato,
ma un risultato, e non li- bero arbitrio, ma autocoscienza adeguata. Il paradigma
filosofico interamente cambiato. Il
problema che assillava Kant, e cio quello di delegittimare la metafisica
celeste, diventa assolutamente periferico, marginale e secondario, in quanto i
tre idealisti comprendono che la metafisica non
in cielo, o non lo ormai pi da
tempo, me su questa terra, e solo su
questa terra deve essere cercata. L'idealismo, infatti, pu anche essere
definito come una metafisica terrestre. Ma terrestre non significa affatto
immanente, perch la stessa terrestri- t
sintesi di immanenza e di trascendenza (e del resto Marx lo cap quando
defin la merce capitalistica una entit sensibilmente sovrasensibile). A questo
punto sarebbe necessario scendere in dettaglio nelle tre successive filosofie
delle storia di Fichte, Hegel e Marx. Essendo questo impossibile per ragioni di
spazio e di economia dell'esposizione, mi limiter a toccare rapidamente i punti
pi importanti. Prima per di affrontare dettagliatamente i tre pensatori,
sottolineo i due punti essenziali che tutti hanno in comune. In primo luogo, la
scienza che emerge da una considerazione della filosofia della storia
universale delluomo intesa come percorso dellautocoscienza sogget- tiva della
libert non in alcun modo una scienza nel
senso di Galileo, Newton, Cartesio e Kant (cio una scienza che postula la
costituzione formalistica di un soggetto conoscente destoricizzato), ma una scienza filosofica che mette in stretta
relazione il soggetto e log- getto. Il chiarimento di questo punto stato soprattutto opera di Fichte. In secondo
luogo, la scienza filosofica una scienza
del concetto, inteso come punto finale di un processo di autocoscienza libera
del soggetto. Il chiarimento di questo punto
stato soprattutto opera di Hegel, che definisce correttamente la verit
non come corrispondenza della mente con un oggetto gi dato (per Hegel una
piccolezza), ma come corrispondenza del concetto (e cio del soggetto) con la
sua oggettivit (e cio con lesteriorizzazione pratico-materiale della capacit
del soggetto stesso). Marx non ci aggiunge praticamente nulla, se non la sua
concretizzazione per cui non ci sar nessuna corrispondenza del soggetto con la
sua oggettivit fino a quando il genere umano non si sar mostrato nei fatti
capace di produrre una comunit universale non classista. Ancora una volta, una
sobria teoria della libert delluomo, che non c'entra niente con fastidiose
stupidaggini universitarie tedesche della secolarizzazione dellescatologia
giudaico-cristiana nel linguaggio dell'economia politica. Fichte produce una
filosofia della storia in cui viene affermato expressis verbis che la li-
bert la destinazione delluomo. Altro che
postulato del libero arbitrio! La libert non
un postulato, ma una destinazione. Fichte, in questo erede di Rousseau,
parte dallinnocenza del genere umano, in cui la ragione domina attraverso
l'istinto. Su questo punto sar molto pi saggio e concreto Hegel, che non
idealizza i primitivi ed i buoni selvaggi illuministi, 30 Le avventure della
coscienza storica occidentale ma sa benissimo che possono essere cannibali e
crudeli fin dall'origine, e che il dominio nasce dallo scontro fra il vincitore
ed il vinto. In un secondo momento, secondo Fichte, la ragione si afferma nella
forma dellautorit e della coercizione esterna, e questo purtrop- po reso necessario per frenare le tendenze
peccaminose degli individui. Anche su questo punto, nulla di pi diverso da
Hegel. Mentre per Hegel lo stato reso
necessario non dalla peccaminosit degli individui, ma dalla necessit di
effettuare una mediazione comunitaria (inevitabilmente istituzionalizzata) fra
le pulsioni particolaristi- che della famiglia e della societ civile moderna,
per Fichte lo stato una triste necessit
dovuta alle provvisorie tendenze peccaminose degli individui. La teoria di Marx
dellestin- zione dello stato nel comunismo, con tutte le differenze specifiche
di cui sono perfettamen- te consapevole,
a mio avviso una diretta conseguenza della teoria di Fichte sullo stato
come male necessario, che diventer inutile quando tutti gli individui saranno
divenuti pienamente autonomi e consapevoli (ed allora, secondo Marx, sulla nota
base del grande sviluppo delle forze produttive, tutti potranno dare secondo le
proprie capacit e ricevere secondo i propri bisogni). Ogni filosofo onesto deve
esplicitare il suo giudizio sul proprio presente storico. Com' noto, per Hegel
il proprio presente storico era un'epoca di gestazione e di trapasso in cui
stava emergendo l'insufficienza sia della vecchia societ semifeudale degli
ordini (legitti- mata dal cristianesimo inteso come mera religione positiva),
sia della critica distruttiva ed unilaterale dell'illuminismo individualistico
ed utilitaristico. Per Fichte il proprio tem- po era soprattutto unepoca della
compiuta peccaminosit, ed a un tempo
curioso e scandaloso che gran parte dei manuali di storia della filosofia
ignorino completamente questo cruciale concetto della filosofia fichtiana. E
perch il proprio tempo era un'epoca della compiuta peccaminosit? Personalmente
sono molto intrigato da questa definizione, perch personalmente (e lo dir nel
prossimo capitolo) ritengo che il mio tempo che sto vivendo in questo mio
ingresso nella cosiddetta terza et sia anch'esso un tempo della compiuta
peccaminosit, ed allora per me la piena comprensione del significato
dell'espressione fichtiana non un freddo
dato neutrale di carattere filologico, ma
invece una questione attuale e scottante. Per Fichte il suo tempo era
un'epoca della compiuta peccaminosit perch la critica illu- ministica delle
religioni positive, sia pure giustificata e necessaria, le aveva completamente
delegittimate, e nello stesso tempo non era riuscita a proporre una credibile
alternativa complessiva. Certo, questo a quei tempi riguardava soltanto
ristretti gruppi di intellet- tuali, e non certo la stragrande maggioranza dei
contadini e degli artigiani (gli operai veri e propri ai tempi di Fichte erano
quasi inesistenti), che essendo rimasti del tutto estranei allilluminismo, non
potevano neppure essere stati turbati dalle sue proposte. Ma Fichte proveniva
proprio dalla classe contadina povera, ne conosceva la cultura e le esigenze, e
aveva capito precocemente come la vulgata illuminista sotto certi aspetti era
addirittura peggiore delle prediche del parroco, in quanto distruggeva senza
costruire, delegittimava le verit precedenti senza sostituirle in alcun modo.
Oggi, due secoli dopo, quando ormai la distruzione illuministica delle vecchie
verit religiose, amplificata dalla televisione, ha praticamente toccato
l'insieme della popolazio- ne europea (che infatti per questa ragione non
riesce pi a capire la cultura del cosiddetto S1 CostTANZO PREVE Terzo Mondo,
rimasta ad un livello appunto fichtiano), possiamo riuscire veramente a ca-
pire (se lo vogliamo, ovviamente) che cosa significa epoca della compiuta
peccaminosit. Ma Fichte non si crogiola in questo pessimismo aristocratico per
deficienti benestanti, come accadr nei due secoli posteriori per tutti i
pagliacci che riempiono le pagine della storia della filosofia, il cui
succo che il mondo di merda, ma per fortuna questa merda non
devo spalarla io, perch c' sempre qualcun altro che lo far (servi, salariati
poveri, immigrati, badanti, eccetera). Fichte considera provvisoria e
transitoria l'epoca della com- piuta peccaminosit, e la vede superabile dallaffermazione
sociale e politica del concetto di verit dellidealismo, in cui la verit riconquistata ( proprio il termine che usa)
come principio e come valore. La riconquista idealistica della verit ( questo
il punto che avvi- cina maggiormente Fichte a Platone) dovrebbe inaugurare
lepoca delluomo redento, per cui ogni attivit si svolger alla luce della
ragione e della libert. Il linguaggio
certamente sotto molti aspetti religioso, ma metto in guardia ancora una
volta dal considerarlo in ter- mini di messianismo secolarizzato. Non cos. Si tratta invece dellelaborazione di un
pro- getto di filosofia della storia pienamente razionale, che parte da una
autocritica dei limiti dell'illuminismo e dalla necessit di una scienza
filosofica della verit del genere umano. Esiste ovviamente un pizzico di enfasi
romantica, ma non vedo come si possa criticare un pensatore romantico perch era
romantico. Passando a Hegel, noto che
egli critic Fichte per cattiva infinitezza, e cio per aver assunto il punto di
vista di Kant della asintotica interminabilit del corso storico, che in questo
modo non si determinava mai, e non determinandosi mai non si concretizzava in
modo soddisfacente. noto che il concetto
di determinazione (Bestimmung) centrale
per la comprensione di Hegel, ed
spiacevole che lo si confonda con la teoria della fine della storia.
Nonostante alcuni pensatori geniali (un solo nome: Kojve) abbiano interpretato
Hegel in questo modo, ed altri abbiano preso sul serio Kojve ed abbiano creduto
che Hegel fosse stato talmente cretino da far finire il mondo con la sua
empirica esistenza in veste da camera (un solo nome: Althusser), Hegel non
pensava di essere il coronamento messianico finale della storia universale, dal
momento che cercava di non finire nel mani- comio di Berlino, ma pensava invece
che la temporalit storica si determinasse, e cio si coagulasse, in momenti
relativamente stabili, e lo pensava in particolare sulla base di una critica a
Rousseau, che accusava (a mio avviso giustamente) di furia del dileguare. E
tuttavia, a mio avviso, Hegel mostr qui una deplorevole ingenerosit verso Fichte,
tipica di molti filosofi, che enfatizzano spesso eccessivamente i motivi di
divergenza anzi- ch valorizzare i momenti di concordanza (i successivi marxisti
hanno elevato questa arte a vette sublimi di settarismo e di cannibalismo
autofagico). vero che Fichte determina
poco quanto sostiene, ma il punto sta altrove, e cio sta nel fatto
incontestabile del suo rifiuto della libert come postulato (da cui deriva poi a
cascata tutta lastoricit di Kant, elevata a parossismo dai successivi
neokantiani), e della contestuale affermazione della libert come autocoscienza
libera che si determina nella prassi trasformatrice, secondo un successivo fi-
lone che parte dal giovane Marx (un fichtiano che si crede materialista perch
era diventato ateo) per arrivare al generoso sardo Antonio Gramsci. largamente noto che la filosofia della storia
di Hegel una filosofia del progresso
dellautocoscienza della libert stessa nella storia: nel mondo antico-orientale
uno solo era 32 Le avventure della coscienza storica occidentale libero (il
faraone, il re babilonese, limperatore persiano), nel mondo greco-romano solo
alcuni erano liberi (i cittadini non sottoposti a schiavit), ed infine nel
mondo moderno (il mondo cristiano protestante tedesco) tutti erano diventati
liberi (grazie anche alla rivo- luzione francese del 1789, che Hegel tenne
sempre in gran conto). Per Hegel, tuttavia, si accede alla libert solo mediante
lautocoscienza della libert (si pensi alla nota figura dia- lettica dei
rapporti fra servo e signore), ma questo non significa affatto che sia
sufficiente la libert interiore nella coscienza, ed Hegel infatti prevede
espressamente questa fattispecie a proposito dello stoicismo antico, e dice
apertamente che questa non vera libert,
ma una falsa libert. I posteriori marxisti, che accusarono Hegel di avere una
concezione puramen- te idealistica della libert mostrarono di non averne
neppure una minima conoscenza filologica, perch Hegel dice espressamente che in
situazione di schiavit non c' nessuna libert, e la libert inizia con la
soppressione della schiavit. Se pensiamo al confusionario Nietzsche, adorato
dai postmoderni, che ha fatto ripetutamente lapologia della schiavit come
presupposto indispensabile della libert creativa dei Migliori, mentre Hegel tuttora diffamato come nemico della libert
(Popper, eccetera), vediamo che non cera bisogno che i surrealisti si
inventassero il surrealismo, perch esso era gi presente nella storia della
filosofia. La libert dellautocoscienza, lungi dall'essere contrapposta per
Hegel alla libert reale, era il presupposto materiale della stessa libert
reale, senza la quale quest'ultima sarebbe stata impossibile. Del resto, Marx
rest sulla stessa identica posizione, quando afferm che il presupposto per la
libert delle classi oppresse era la coscienza di classe. Dal momento che
questo hegelismo puro al 100 per cento,
bisogna dire che in questo caso si verifica quello che raccontato da Molire nel Borghese Gentiluomo,
per cui costui parla in pro- sa senza neppure accorgersene, esattamente come i
marxisti usavano categorie hegeliane pure credendo di averle rovesciate a testa
in gi. Qui lo ammetto - l'equivoco talmente comico da provocare un vero e
proprio effetto di straniamento. Per comprendere il passaggio logico
dallidealista Hegel allaltrettanto (e forse pi, per- ch pi fichtiano) idealista
Marx ci pu aiutare un sintomo linguistico anomalo. Da un lato, infatti, Marx sa
bene che il modo di produzione capitalistico si differenzia radicalmente dal
modo di produzione schiavistico perch nel primo il lavoratore un salariato libero, che viene bens
sfruttato, ma nella forma dellestorsione di plusvalore mascherato da scam- bio
degli equivalenti (per cui la forza-lavoro contiene un valore duso per il
capitalista maggiore del valore di scambio con cui stata legalmente comprata). Dall'altro, Marx
usa ossessivamente il termine di schiavit salariata, termine formalmente
improprio, perch i salariati non sono affatto schiavi. Credo che cominciando a
scavare in questa palese im- propriet linguistica si possa arrivare al nocciolo
del problema, e cio alla discrepanza ne- cessaria (o meglio alla
complementariet) che c' in Marx fra la sua filosofia universalistica della
storia universale (per cui luomo finch non
completamente libero resta schiavo) e la sua teoria strutturalistica dei
modi di produzione e del modo di produzione capitalistico in particolare, in
cui del tutto chiaro che il lavoratore
salariato non uno schiavo, perch allo
schiavo non si estorce plusvalore, ma semplicemente pluslavoro mediante la coerci-
zione fisica diretta. 33 CosTANZO PREVE Insomma - ci si pu e ci si deve
chiedere - l'operaio moderno del modo di produzione capitalistico un salariato libero o uno schiavo salariato?
In base alla logica formale ed al principio logico formale di contraddizione
non pu essere contemporaneamente tutti e due, e deve perci essere o luno o
laltro. Ma qui, appunto, si tocca con mano (almeno per chi non ha ancora le
dita atrofizzate dalla scolastica e dalla citatologia) che per avvicinarsi a
Marx e per prenderlo sul serio (lo si accetti o lo si respinga unaltra faccenda da trattare a parte) la
logica formale non basta e ci vuole la logica dialettica. E la logica
dialettica non si divide in logica dialettica idealistica ed in logica
dialettica materialistica, oppure in logica a testa in gi o a testa in su
(questa la logica dei saltimbanchi da
circo), ma una ed una sola, ed al
massimo si applica ad oggetti conoscitivi diversi (nel caso di Marx, alla
teoria dei modi di produzione, totalmente assente e non prevista da Hegel).
Questa logica dialettica, per cui si
contemporaneamente un lavoratore libero ed uno schiavo salariato,
permette (se lo si vuole, ovviamente, ma per ora non lo si vuole) di risolvere
lannoso problema della compresenza in Marx di un lato materialista e di un lato
idealista. Da un lato, infatti, la teoria della storia di Marx una teoria della genesi, sviluppo, deca-
denza e transizione dei modi di produzione sociali. Si tratta di una teoria
definita da un se- colo e mezzo di materialismo storico, ma dal momento che la
materia semplicemente sinonimo di
struttura e di prevalenza delle forze materiali (e cio sviluppo delle forze
produttive nel loro intreccio con la forma classista dei rapporti di
produzione) sulle forze ideali (le sovrastrutture giuridiche, politiche e
filosofiche), sarebbe meglio per non inge- nerare equivoci definirlo
strutturalismo storico. Ma il termine materialismo ha prevalso per pure ragioni
ideologiche, perch si voleva a tutti i costi non lasciare dubbi sul fatto che
si era atei, che Dio non esisteva, che era un'invenzione delle classi
dominanti, e che tutto procedeva da un Big Bang puramente materialistico. In
questa concezione, ovviamente, l'Uomo non era il soggetto della storia, in
quanto non esistevano altro che forze anonime ed impersonali puramente
strutturali (il processo senza soggetto di Louis Althusser). Dall'altro, questa
storia incorporata strettamente (ed a
mio avviso non pu essere separata, pena la morte del complesso espressivo
unitario) in una filosofia idealistica della storia, difficilmente separabile
da quelle precedenti di Fichte e di Hegel. Come queste ulti- me, essa si
sviluppa sulla base del rifiuto della teoria kantiana della libert come
postulato non dedotto (e non dedotto perch l'impostazione individualistica ed
anticomunitaria di Kant lo rendeva del tutto indeducibile), ma si differenzia
da queste ultime ( e pi da quella di Hegel che da quella di Fichte, che ha in
comune con quella di Marx il primato della pras- si, cui per Marx aggiunge la
categoria hegeliana della determinazione storica concreta) in base ad un doppia
addizione originale. In primo luogo, Marx parte dalla figura hegelia- na della
dialettica servo-signore, la applica alla storia universale dell'umanit
(concepita idealmente come un solo concetto unitario riflessivo, e cio capace
di libera auto-riflessione valutativa ed assiologica), e constata che la servit
resta, non stata abolita, e pertanto il
libero lavoratore moderno anche uno
schiavo salariato. In secondo luogo, Marx innesta la figura del rapporto
servo-signore nellulteriore figura hegeliana della coscienza infelice, che per
non pi declinata in forma religiosa come
scissione fra Uomo e Dio, ma rifor- mulata
come coscienza infelice per il mancato esaudimento delle promesse emancipatrici
ed universalistiche dell'illuminismo. Ho fatto rilevare in precedenza che
lidealismo clas- 34 Le avventure della coscienza storica occidentale sico
tedesco deve e pu essere interpretato come una autocritica radicale
dell'illuminismo stesso, ed in Marx questa autocritica giunge finalmente alla
sua pi piena radicalit (per Marx essere radicali significa prendere le cose
alla radice). Ed infatti lilluminismo non ha neppure toccato il cuore del
problema delluniversalismo filosofico razionale, che il man- cato superamento pratico del rapporto
servo-signore, insieme con la fallimentare soluzione della coscienza infelice
che ne deriva attraverso il semplice binomio di Pensiero Scientifico e di
Economia Utilitaristica (il codice del cosiddetto laicismo contemporaneo). Chi
sostiene che in Marx, a differenze che in Fichte e Hegel, non esiste una
filosofia della storia universale dovrebbe pi utilmente dedicarsi alla pesca
con la lenza, nella quale, se ha pazienza, potrebbe forse ottenere qualche
risultato. Marx esplicita apertamente nei suoi Grundrisse la sua personale
concezione della storia universale dell'umanit in termini di progresso della
libert (sostanziale e non formale, secondo il modello esplicitato nell'opera
giovanile Sulla Questione Ebraica e mai pi abbandonato), attraverso il
passaggio dalla dipendenza personale (con cui Marx metaforizza i modi di
produzione precapitalistici, schiavistici e feudali in particolare)
all'indipendenza personale (con cui Marx metaforizza la condizione umana nel
modo di produzione capitalistico) fino alla libera individualit, con cui Marx
allude chiaramente al futuro e non ancora esistente modo di produzione
comunistico. Come ho cercato di mostrare in precedenza non ha molto senso
proseguire la diatriba se Marx sia stato materialista, o idealista, oppure un
po l'uno ed un po' laltro, a seconda del- le sue distrazioni. Tutti i
commentatori mediocri si gonfiano come rane quando credono di individuare
contraddizioni ed incongruenze nei grandi. Perbacco, se ho scovato una contraddizione
in Platone, Aristotele, Spinoza, Kant, Hegel e Marx, e loro non se ne erano
accorti, mentre invece io s, significa che sono pi Grande di loro, anche se il
mondo male- detto, invidioso, cinico e baro non me lo riconosce! Invece di
seguire questa via paranoica, molto
meglio ipotizzare che le contraddizioni dei Grandi non siano dovute a
distrazione o meglio ad ingenua stupidit; ma trovino la loro radice in
contraddizioni storiche e tempo- rali oggettivamente insuperabili, che vengono
riflesse dal pensiero come in uno specchio (senza che questo comporti da parte
mia l'accettazione della teoria realistico-gnoseologica del rispecchiamento,
buona per la scienza della natura, ma inapplicabile ai fatti storici pre- senti
caratterizzati dall'intervento della prassi umana). Quella di Marx, in
sintesi, una filosofia idealistica della
storia universale, ricostruita attraverso la mediazione teorica del
materialismo storico, o teoria dei modi di produzione. E qui innesto non la
verit finalmente scoperta, ma semplicemente la mia personale fal- libile
interpretazione. Il tempo storico che ci separa da Marx ha indebolito (anche se
non interamente falsificato) tre sue previsioni esplicite. Primo, che
l'insorgere delle crisi capi- talistiche segnalasse il tramonto e la fine del
modo di produzione capitalistico, laddove sembra invece che non sia affatto
cos, permettendo invece al capitalismo di liberarsi delle sue scorie
ristrutturandosi su nuove basi. Secondo, che la classe capitalistica, come era
gi avvenuto per le classi sfruttatrici e dominanti precedenti (proprietari di
schiavi, nobili, despoti asiatici, eccetera), ad un certo punto si sarebbe
dimostrata stagnante ed incapace di sviluppare ulteriormente le forze
produttive, laddove sembra proprio che sia il contrario, e che le classi
capitalistiche si stiano invece rivelando le pi capaci della storia a
sviluppare 35 CostTANZO PREVE le forze produttive, sia pure in un quadro di
inquinamento ambientale e di degradazione ed istupidimento di massa. Terzo, che
le classi operaie, salariate e proletarie sarebbero state il vettore sociale e
storico del superamento del modo di produzione capitalistico, laddove
lesperienza degli ultimi cento e cinquanta anni ha mostrato con la chiarezza
del cristallo la facilit del capitalismo nellintegrarle, per cui, dove hanno
seppur provvisoriamente preso il potere (si tratta del benemerito comunismo
storico novecentesco 1917-1991 recentemente defunto, purtroppo) lo hanno fatto
non certo nellutopica forma della democrazia diretta, dellautogoverno politico
consiliare e della autogestione economica delle unit produttiva (l'utopia
marxiana del comunismo senza stato, a mio avviso segretamente derivata dallar-
monia prestabilita di Leibniz), ma nella forma obbligata di un dispotismo
burocratico di partito e di stato. Meglio di niente aggiungo
ma qui Marx non c'era, o se c'era dormiva. Caduti questi tre elementi,
che hanno costituito lo scheletro del marxismo per pi di un secolo, ne resta in
piedi un quarto, fino ad oggi disprezzato da tutti gli estremisti, i confu-
sionari, i maniaci della scienza scientifica che pi scienza non potrebbe essere
(approdati oggi al suo contrario, e cio al nulla in cui si incontrano atomi aleatori
e cadono meteoriti) e gli odiatori positivisti della fondazione filosofica
veritativa della comprensione della storia universale. Il quarto che resta in
piedi dopo la caduta dei primi tre la
fondazione filosofica veritativa della comprensione della storia universale.
Disprezzata dagli sciocchi, essa resta in piedi come una casa con le fondamenta
ben costruite. E se il pensiero di Marx avr un futuro, come io sono pacatamente
convinto, sar per questa unica ragione. Non a caso, qui che il pensiero postmoderno concentra la
sua ruspa demolitrice. Ma di questo parler pi diffusamente nel prossimo
capitolo. Non c' qui lo spazio, e neppure la necessit, di sunteggiare
un'ennesima breve sto- ria del marxismo. Qui ricordo soltanto che io respingo
decisamente linterpretazione del fraintendimento del sacro ed intoccabile
pensiero di Marx, quasi che Marx fosse un Parmenide che parlava tedesco, e mi
situo invece sul terreno metodologico dello stato di necessit. Nella sua forma
dialettica, aporetica, incompiuta e soprattutto filosofico-ideali- stica il
pensiero di Marx era irricevibile per una classe intimamente dominata e
subalterna come la classe operaia, salariata e proletaria della seconda
rivoluzione industriale (1874- 1914 circa). Essa non pot recepirla che in una
forma dogmatico-religiosa (la dottrina di Marx), che a quei tempi inevitabilmente
era gestita da studiosi positivisti, in quanto il positivismo era la concezione
dominante dei rapporti fra filosofia e scienza nelle universit (tedesche, ma
non solo tedesche). Questo rapporto era costruito sulla base di una subordi-
nazione canina della filosofia alla scienza, considerata lunica ideazione
conoscitiva valida, con la conseguenza (esplicita in quella forma di
positivismo raffinato ed educato che era il neokantismo, un positivismo che
mangia il pesce con le forchette da pesce) che la filosofia diventa una specie
di donna di servizio gnoseologica ed epistemologica, anzich essere la padrona
di casa come ai tempi felici dellidealismo classico tedesco. Il comunismo
storico novecentesco non fece che degradare ulteriormente la filosofia da gnoseologia
ad ideologia identitaria di partito. Stupisce soltanto che alla fine di questo
percorso di odio per la filoso- fia, ormai sbalzati dalla carrozza della storia
e con il culo per terra, i residui marxisti in attivit non se ne siano ancora
accorti. 36 Le avventure della coscienza storica occidentale Vale la pena
indicare un punto solo. Dove sta esattamente il cuore della distorsione po-
sitivistica dell'impianto idealistico della filosofia marxiana della storia?
Dovendo limitarci ad un solo punto, direi che risiede nella confusione fra
dialettica logica e dialettica storica, con la conseguenza di identificare la
dialettica logica con la dialettica storica, il che compor- ta una indebita
logicizzazione deterministico-teleologica della storia, e quindi una storia
spogliata della sua forma storica. Ma cerchiamo di spiegarci meglio. La
dialettica logica (cos come esposta
nella tuttora insuperata Scienza della Logica di Hegel) non una dialettica che possa essere
automaticamente trasportata nel corso sto- rico concreto, perch si tratta di
una logica dellacquisizione progressiva della libert del soggetto nel concetto,
inteso come luogo dellottenimento dellautocoscienza dell'intera specie umana
(l'ente naturale generico di cui ho gi parlato nellIntroduzione di questo
scrit- to). In quanto dialettica puramente logica, essa effettivamente anche necessitaristica e
teleologica, ma si tratta di un necessitarismo e di una teleologia che valgono
unicamente a livello coscienziale, e che non bisogna in nessun modo trasportare
in ambito storico- concreto. Questa indebita logicizzazione della storia - come
ho detto sopra non che una storia fasulla e fittizia, una storia
spogliata della sua forma storica, in quanto la stessa temporalit futura succhiata nella sua previsione anteriore. La
dialettica storica, invece, del tutto
imprevedibile, per il semplice e nudo fatto che, essendo la prassi umana
generica e non specifica, non
prevedibile. Il futuro delle api e delle termiti prevedibile (e neppure questo lo in base ad un tempo molto lungo, vedi
evoluzione, eccetera), ma il futuro delluomo non prevedibile, perch la sua prassi (per
definizione imprevedibile) costitutiva
della stessa temporalit, che non scorre per nulla al di fuori di questa prassi
(argomento ulteriore, questo, per respingere la teoria gnoseo- logica del
rispecchiamento). Non esiste quindi nessun corso unilineare della storia (tipo
la teoria dei cinque stadi della storia universale imposta dagli apparati
ideologici e scolasti- ci del comunismo storico novecentesco), e non esiste
neppure la previsione scientifica dellinevitabile sbocco dell'umanit in una
societ senza classi sulla base degli automatismi della crescita delle forze
produttive. Ancora una volta, siamo di fronte ad una distorsione positivistica della
filosofia idea- listica della storia, e non certo ad una (inesistente)
secolarizzazione dellescatologia giu- daico-cristiana nel linguaggio
dell'economia politica o ad un dispotismo totalitario (vedi gli sciagurati ed
imperdonabili numeri 675 e 676 del Catechismo Cattolico). Siamo di fronte ad
una impossibile scientificizzazione della storia, cui si vuole applicare ad
ogni costo il concetto di legge di comtiana memoria (il malloppo positivista di
Auguste Comte del 1830). Ma la storia
non ha leggi. La storia ha certamente regolarit riscontrabili, che danno luogo
ad imprecise analogie storiche. La storia
certamente maestra di vita, purch non pretenda di alzarsi, prendere in mano
il gesso, e scrivere sulla lavagna formule matematiche. Chi ama il pensiero greco
sa gi che questo fu a suo tempo il modo in cui Platone applic alla politica
(non ancora alla storia universale, che non c'era) il metodo numerologico
pitagorico. Ma se la storia non
geometria, non neppure fisica. La
naturalizzazione fisicalista della storia ha avuto un colpo mortale nel 1989,
con il picconamento postmoderno del muro di Berlino. Ma questo ci introduce
allo scenario attuale, caratterizzato dall'odio verso la storia e dalla
rinaturaliz- 37 CostTANZO PREVE zazione economicistica del vivere sociale, che
comporta la provvisoria (ma fino a quando?) vittoria di David Hume contro Karl
Marx. 5. IL POSTMODERNO COME GLOBALIZZAZIONE DELL'OCCIDENTALISMO SENZA
COSCIENZA INFELICE. L'ANNULLAMENTO DELLA COSCIENZA STORICA IN UNA METAFISICA
DEL PRESENTE INTEGRALMENTE DE STORICIZZATA E FRANTUMATA Il codice filosofico
postmoderno, tuttora fiorente a distanza di quasi trent'anni dalla sua prima
formulazione a cavallo fra gli anni Settanta a gli anni Ottanta del Novecento,
viene presentato da Jean-Frangois Lyotard come disincanto nei confronti delle
grandi narrazioni. Non si tratta ancora di una teoria della fine della storia
(qui ci sar il passaggio da Lyotard a Fukuyama, che presuppone per il fatto del
crollo dissolutorio del comunismo storico novecentesco, da non confondersi per
carit con il comunismo utopico-scientifico di Marx lossimoro non
ovviamente frutto di distrazione, ma
intenzionale), e nello stesso tem- po di fatto avremo negli anni
seguenti una fusione ideologica dei due termini, per cui la storia finisce
economicamente con l'affermazione del capitalismo finanziario globalizzato,
finisce politicamente con il gioco di forze bipolare del tutto indistinguibili
ed omogenizzate su tutti i temi essenziali di politica interna ed estera, ed
infine finisce ideologicamente con la fine della storia attraverso il
disincanto nei confronti delle grandi narrazioni, che ave- vano come minimo
comune denominatore la credenza verso una filosofia della storia. Il moderno
finirebbe, e comincerebbe il postmoderno, proprio sulla base del fatto che il
moderno sarebbe stato costruito su delle illusioni, mentre il postmoderno non
le avrebbe pi. Ma quali sarebbero queste illusioni? Se si guardano le cose pi
da vicino, vedremo che lunica vera illusione smentita dalla storia sarebbe
l'illusione di poter passare da una societ classista ad una societ non
classista. Qui nella gabbia degli imputati ci sta di fatto il solo Marx, o
meglio lo spettro di Marx secondo la felice formulazione di Derrida, in quanto
(come si cercato di chiarire nel
precedente capitolo) Marx era stato colui che ave- va sistematizzato,
coerentizzato e concretizzato politicamente lintera filosofia idealistica
tedesca della storia, attraverso la concezione della libert sostanziale e non
pi solamente formale. Lyotard cerca in modo dilettantesco di confondere le
carte, perch parla anche di altre grandi narrazioni fallite, come la grande
narrazione cristiana della storia della salvezza o la grande narrazione
economico-capitalistica del benessere per tutti attraverso il mercato. Mea sono
trucchi infantili. La sola ed unica grande narrazione di cui Lyotard pre- dica
il congedo attraverso il disincanto
quella marxista. Chi ha conosciuto personalmente Lyotard (ed io l'ho
personalmente conosciuto a Parigi negli anni Sessanta del Novecento) sa
benissimo che in questa teoria generale del disincanto (TGD) Lyotard
metaforizza il pro- prio personale disincanto, nato dallo scioglimento del
piccolo gruppo marxista Socialisme ou Barbarie, che in opposizione allo
statalismo partitico staliniano (e prima ancora leni- niano) concepiva il
superamento del capitalismo sulla base della democrazia diretta dei consigli
dei lavoratori. Appare allora chiaro che la genesi storica del codice del
disincanto postmoderno verso le grandi narrazioni deve potersi individuare in
una dialettica coscien- 38 Le avventure della coscienza storica occidentale
ziale interna ad una eresia marxista. Gli apparati ideologici del capitalismo
ci si butteranno sopra a pesce in modo parassitario, quando si accorgeranno (il
che avvenne in pochi anni) che avevano scoperto per caso la gallina dalle uova
doro, e che la crisi coscienziale per la delusione di una piccolissima eresia
marxista poteva diventare il codice giornalistico ed universitario dell'intera
prossima fase storica. La scoperta di Lyotard assomiglia infatti a quelle
ricorrenti scoperte della bollitura dellacqua calda che sconvolgono ogni tanto
lo scenario del teatro dei burattini gestito da accademici distratti e da
giornalisti analfabeti. Da un lato, il fatto che il socialismo evocato da Marx
fosse una democrazia diretta e non uno statalismo partitico dittatoriale (e
cio, una dittatura del proletariato nella forma di autogoverno politico
consiliare) risaliva agli anni Venti, ed aveva per pi di mezzo secolo
costituito una vera e propria forza politica, sia pure minoritaria (Gorter,
Pannekoek, Korsch, Mattick, fino a Castoriadis). Dall'altro, lidea che la
costruzione di una societ senza classi in una moderna societ complessa (per
dirla con il confusionario Morin) fosse impossibile stava alla base della
scuola detta delle lites (Mosca, Pareto, Michels, ma soprattutto, Max Weber e
Burnham). Il problema allora non sta nella eventuale novit della scoperta di
Lyotard, ma nelle ragioni sociali e storiche del suo immediato successo. Il
fatto che Lyotard aveva effettivamente
annusato di trovarsi allinterno di un'epoca di gestazione e di trapasso, anche
se si era fermato a met strada nella sua comprensione. allora necessario ridurre al minimo le pur
pittoresche e liberatorie polemiche contingenti, per cercare di capire in
profondit la natura di questa epoca di gestazione e di trapasso, per dirla con
Hegel. Se infatti non si cerca di apprendere nel pensiero il nostro tempo con
categorie filosofiche, tanto vale dedicarsi al Gratta e Vinci. Per dirla in
modo estremamente sintetico, ma credo corretto nellessenziale, il fatto che ci
troviamo ancora interamente nel quadro del cosiddetto Moderno, e per nulla
affatto nel quadro del Postmoderno, dato
da una ragione estremamente semplice, e cio che siamo sempre nel quadro del
capitalismo e della produzione capitalistica, e la transizione den- tro cui ci
troviamo semplicemente quella da una
forma di capitalismo ancora prevalen- temente borghese (anche se tardoborghese,
e quindi diversa comunque da quella in cui visse Marx) ad una nuova forma, che
si configura come tendenzialmente postborghese e postproletaria. Ma questo non
comporta la fine del cosiddetto moderno. Restano in piedi infatti tutte le sue
categorie, dalla sensatezza della storia universale alla schiavit salariata,
fino all'elaborazione della coscienza infelice nei confronti delle
degenerazioni sociali e cul- turali che questa produzione capitalistica
comporta. Ed per questo che non siamo
affatto oltre. Non siamo oltre per nulla, o meglio siamo soltanto oltre alcune
configurazioni ideologiche ossificate, che impediscono la piena comprensione
della novit dellattuale presente storico. E di qui nasce il paradosso, peraltro
dialetticamente spiegabile, per cui alcuni tartufi dello scenario culturale
contemporaneo sono contemporaneamente postmo- derni e sostenitori di
costellazioni ideologiche sorpassate (antifascismo in assenza comple- ta di
fascismo, religione olocaustica come elaborazione del lutto per avvenimenti
cessati nel 1945, insistenza maniacale sulla dicotomia Destra /Sinistra,
eccetera). Qui deve essere cercata, e facilmente trovata, la debolezza della
visione postmoderna della storia. Ma la questione deve essere sviscerata
meglio. 39 CostTANZo PREVE Per comprendere infatti meglio la portata
distruttiva del codice postmoderno a propo- sito della coscienza storica necessario qui ricordare quanto gi rilevato
nel capitolo pre- cedente, per cui il capitalismo non si giustifica filosoficamente
con argomenti morali, ma si pone direttamente con David Hume (figura mista di
filosofo e di economista, e non certo per caso) sulla base dellintegrale
auto-istituzione della societ in base alla naturalit del valore di scambio, con
esplicita esclusione, in Hume sempre ossessivamente insistita, della fondazione
religiosa (critica del deismo e del teismo razionale in nome dello
scetticismo), della fondazione politica (critica del contratto sociale come
causazione politica della so- ciet), ed infine della fondazione filosofica
(critica radicale della plausibilit del diritto na- turale). Questa
fondazione naturalistica, e quindi per
nulla storica, sebbene Hume fosse uno storico, ed utilizzasse strutturalmente
la storia per argomentare la naturalit eterna della produzione basata sulla propriet
privata e sullo scambio. Kant non modifica affat- to questo modello
naturalistico, fornendogli soltanto un impotente supplemento morale
(l'imperativo categorico) ed aggiungendovi una fondazione astorica della libert
in termini di postulato non dedotto storicamente. Il grande idealismo classico
tedesco (Fichte, Hegel e Marx) reintrodusse invece decisamente la storicit, in
modo che la storicit diventasse il principale strumento di legittimazione
universalistica della comunit sociale. Non si tratta- va per di una storicit
storicistica, e cio relativistica, nichilistica e priva di fondazione
ontologica e veritativa, che si afferm soltanto dopo la distorsione
positivistica della filoso- fia della storia, riformulata come pseudo-scienza e
come nesso perverso di determinismo e di teleologia necessitaristica. E
tuttavia, nonostante questa distorsione positivistica, il Novecento conobbe
egualmente pensatori critici del capitalismo che mantennero fermo il valore
della fondazione filosofica di quanto dicevano (mi limito qui, fra i molti, a
ricordare soltanto l'italiano Gramsci, il ceco Kosk, lungherese Lukcs ed il
russo Ilienkov, senza voler far torto ai non citati). Ora invece il postmoderno
ha in programma di distruggere questa fondazione storica, gettando via il
bambino della fondazione storica con lacqua sporca della grandi narrazioni.
Cos, eliminata la storia, si riaffaccia prepotente la vecchia fondazione
naturalistica del capitalismo. Finalmente Locke e Hume possono seppellire Hegel
e Marx. Per queste ragioni sono del tutto insufficienti le definizioni di
postmoderno date da Lyotard (incredulit rispetto alle grandi narrazioni), di
Jameson (filosofia dellepoca della produzione flessibile e conseguentemente del
lavoro precario) e di Harvey (filosofia della globalizzazione in cui lo spazio
del mercato mondiale sostituisce il tempo del progresso). Queste tre
definizioni (e molte altre che non vale qui la pena di ricordare, perch non si
tratta qui di erudizione, ma di comprensione teorica dellessenziale) colgono ovviamente
alcuni aspetti di superficie, ma non giungono al cuore della questione. Ed il
cuore della questione sta in ci, che il postmoderno il codice ideologico di un'epoca nuova nella
storia del capitalismo, l'epoca del capitalismo post-borghese e post-
proletario. In quanto post-borghese, questo capitalismo pu trionfalmente
tornare al mo- dello naturalistico di Hume, su cui sono costruiti tuttii testi
universitari di economia (a partire dal pi famoso del mondo, quello di
Samuelson), scaricando tutto il precedente ciarpame borghese, la storicit, il
progresso, la coscienza infelice, la dialettica servo-signo- re,
l'inquietudine, la cattiva coscienza, eccetera. In quanto post-proletario pu
finalmente 40 Le avventure della coscienza storica occidentale trattare i suoi
salariati non pi come soggetti politici minacciosi dotati di una loro visione
del mondo, positivistica fine che si vuole ma comunque eversiva, ma come
semplici unit manipolabili di forza-lavoro flessibile, ideologicamente
neutralizzati dalla loro incor- porazione nelloccidentalismo imperiale. In
breve, il postmoderno configura uno scenario nuovo, anche se temporaneo, quello
di un occidentalismo senza coscienza infelice. Mano a mano che loccidentalismo
si libera della sua coscienza infelice precedente (che come noto si era cristallizzata in una filosofia
universalistica della storia), si sviluppano quei suoi osceni succedanei che
sono l'industria selettiva del pentimento cerimoniale e l'ideologia coattiva del
politicamente corretto. Sia l'industria selettiva del pentimento ce- rimoniale
sia l'ideologia coattiva del politicamente corretto non sono oggi oggetto della
riflessione filosofica comune, il che equivale a parlare di inquinamento senza
tenere in al- cun conto gli scarichi abusivi ed illegali. Il politicamente
corretto impedisce persino la ver- balizzazione di tutto ci che di inquietante
si muove nella societ, che non potendo essere verbalizzato necessariamente
marcisce ed erompe in violenza regressiva, il che equivale a fare una seduta di
psicoanalisi in cui per il paziente
obbligato a non dire una sola paro- la. A proposito della continua
lagnosa e lamentosa industria del pentimento, essa trionfa nei pentimenti
lontani ed ormai innocui (pentimento dei turchi per il 1915 e gli armeni,
pentimento dei tedeschi per il 1945 e gli ebrei, eccetera), laddove i crimini
recenti non solo non sono oggetto di pentimento, ma sono anzi fieramente
rivendicati (aggressione alla Jugoslavia del 1999, occupazione dell'Afghanistan
dal 2001, aggressione all'Iraq del 2003, eccetera). In ogni caso, anche nei
casi in cui possiamo concedere ai pentimenti la since- rit morale, tutto questo
non ha nulla a che vedere con la dialettica servo-signore e con la coscienza
infelice. Il battersi il petto, per di pi quasi sempre in modo ipocrita, solo un succedaneo dellautocritica dialettica
dei limiti dell'illuminismo e delle sue promesse non mantenute. Dal momento che
in tutto questo saggio ho fatto lapologia dellidealismo, fino ad incor- porarvi
dentro anche lo stesso materialismo storico (cosa che so perfettamente che i
residui marxisti sopravvissuti alla catastrofe non mi perdoneranno, ed un peccato, perch cos perderemo inutilmente
altro tempo prezioso), ora mi concedo un'osservazione bassamente
materialistica: secondo alcune stime recentissime gli Stati Uniti d'America,
con il 4,5% della popolazione mondiale, consumano circa il 24% delle risorse
del pianeta. Ora, che cosa c'entra tutto questo con la filosofia? Risponder
brevemente cos: con la filosofia in senso proprio niente, ma con la
strutturazione istituzionale delle cattedre di filosofia nel mondo occidentale
invece molto. Dal momento che la strutturazione istituzionale delle cattedre di
filosofia nel mondo occidentale ha pur sempre un ruolo di socializzazione
culturale delle giovani generazioni, non
del tutto indifferente che le giovani generazioni siano tenute il pi
lontano possibile dalla considerazione olistica della totalit sociale, totalit
che ha pur sempre occupato un posto importante negli ultimi due secoli. Questo,
lo ripeto, con la filosofia perenne dai greci a Marx (la sola, ovviamente,
degna di essere presa in considerazione) non c'entra assolutamente nulla. Come
scrisse a suo tempo genialmente Heidegger, la filosofia non si pu organizzare,
e sopravvive intatta a tutte le manipolazioni organizzative, di centro, di
destra, di sinistra, di sopra, di sotto o di lato. Ma se la filosofia non si pu
organizzare, in compenso pu essere organizzata, e pertanto 41 CostTANZO PREVE
manipolare, la sua dimensione accademica e pubblica (nelle forme delle
conferenze pubbli- che sponsorizzate in Italia da banche ed enti locali). Tutto
ci che socialmente inquietante deve
essere scoraggiato, tutto ci che innocuo
deve essere incoraggiato. L'avvento del postmoderno in un certo senso rovescia
la situazione del vecchio rap- porto fra Schopenhauer e Hegel. Duecento anni fa
Schopenhauer si permise di insolentire Hegel, tanto migliore e pi intelligente
di lui, perch aveva portato la filosofia ad occuparsi del pubblico, della
famiglia, della societ e dello stato. Ma oggi Schopenhauer andato al potere, perch oggi il potere non
inneggia pi allo stato ed alla sensatezza borghese della filosofia della
storia, ma inneggia anzi al suo contrario, linsensatezza del divenire storico,
il primato idolatrico ed ossessivo dell'economia, l'impresa come forma di vita
privilegiata cui tutte le altre forme devono adattarsi, la fine degli stati
nazionali, lirrilevanza delle na- zioni come comunit immaginarie, il multiculturalismo
gestito dai mezzi di comunicazio- ne di massa, i migranti multietnici al posto
dei vecchi noiosi proletari, eccetera. In questa situazione ancora possibile fare prognosi razionali sul
breve e medio pe- riodo (il lungo nelle
mani della Morte, del Caso o di Dio - il lettore barri la casella che
preferisce)? Questa odiosa egemonia del postmoderno durer ancora a lungo?
Naturalmente non lo so. Posso ipotizzare che in questa congiuntura,
caratterizzata dalla sinergia fra dominio delle grandi oligarchie finanziarie e
dal pentimento elaborato della fallimentare generazione colta del cosiddetto
Sessantotto, mito di fondazione di un capi- talismo liberalizzato dei costumi,
non si vedono assolutamente sbocchi. In termini hegelia- ni, non affatto chiaro in quale direzione avvenga la
gestazione ed il trapasso. La filosofia non ha bisogno di essere salvata
perch come una molla indistruttibile. Pi
la si comprime, e pi salta su. E tuttavia oggi la fase della compressione
forzata pu durare alcuni decenni (nella storia
gi successo in passato), e le attuali strutture postmo- derne degli
apparati universitari possono bruciare, e stanno gi bruciando, un'intera
generazione. Sono talmente bene insediate negli apparati accademici, che
sinceramente non penso ci sia per ora niente da fare. In ogni caso, sono solo
in grado di fare due ordini di ragionamenti. In primo luogo, una parte della
mia generazione (sono del 1943) ha erroneamente cre- duto che la filosofia
potesse essere salvata praticandola con una politicizzazione ed una
ideologizzazione, preferibilmente di sinistra. Una grossolana illusione.
Proprio mentre pensavamo questo, la sinistra stava terminando il suo ciclo
storico. Come ha rilevato correttamente Luc Boltanski, la sinistra si storicamente costituita con l'alleanza fra
una critica economico-sociale alle ingiustizie distributive del capitalismo ed
una critico artisti- co-culturale alle forme di vita ipocrite della borghesia.
A partire dal Sessantotto, il capi- talismo ha intrapreso il superamento della
sua fase borghese, ed ha liberalizzato in senso ultra-individualistico i suoi
precedenti costumi reazionari. Da allora la cosiddetta sinistra finita, ed ha cominciato a diffamare il
popolo accu- sandolo di populismo, ed ad esaltare tutti i marginali, come se da
essi soltanto potesse derivare l'alternativa al capitalismo. Lo scandalosamente
sopravvalutato Foucault ha so- stituito il grande Hegel. In secondo luogo, la
smania di essere all'altezza dei tempi, di aggiornarsi, di secola- rizzarsi, di
abbandonare la metafisica (il pensiero deve essere post-metafisico, dice il pi
42 Le avventure della coscienza storica occidentale famoso intellettuale di
oggi, il tedesco Habermas) ha portato ad una sorta di dittatura della
sociologia, intesa non come legittima disciplina universitaria, ma come
riflesso immediato dello scorrimento della cosiddetta modernizzazione. Nel
frattempo la cosiddetta moder- nizzazione, che sta agli intellettuali come il
culto di Padre Pio sta ai semplici, stava eroden- do la stessa modernit, al
punto che pi ci si modernizzava pi si usciva da essa. Credo che si cominci
vagamente a capire lo sviamento degli ultimi decenni, in cui le facolt di
filosofia sono diventate cloni del pifferaio di Hamelin, che porta i poveri
lemming a suicidarsi nel mare. E allora? Allora resta la grande tradizione
filosofica, lunica che esiste, quella che comincia con i greci, e prosegue fino
alla met del Novecento circa, prima che iniziasse l'epoca dei pub- blicitari.
Se il termine metafisica stato usato a
lungo con un sorrisino di compatimento, bisogna ricominciare ad usarlo con
fierezza. Non siamo ancora a questo punto, ma forse ci arriveremo. Al centro
della metafisica deve sedere con onore la grande filosofia moderna della
storia. 43Costanzo Preve. Preve. Keywords: fascismo, antifascism – antifascism
in assenza completa di fascismo, comunita, comunitarismo, la mascalzonaggine
imperdonabile dell’invasione a Grecia;colonizzazione imperialista,storia
dell’etica, storia ontologico-sociale della filosofia, vico anti-capitalista. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Preve," per
il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria,
Italia.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Prini: la
ragione conversazionale dell’implicatura conversazionale di Dedalo e il volo
d’Icaro – la scuola di Belgirate -- filosofia piemontese -- filosofia italiana
– Luigi Speranza (Belgirate).
Filosofo italiano. Belgirate, Verbano-Cusio-Ossola, Piemonte. Grice: “I like
Prini, but I won’t expect his “Discorse e situazione” to be about Firth’s
context of utterance!” Pensare è infatti la maniera più profonda del nostro
desiderare – “XXVI secoli nel mondo dei filosofi" (Caltanissetta,
Sciascia). Tra i maggiori esponenti dell'esistenzialismo. Studia ad Arona
e Pavia sotto LORENZI. Studia SORBATTI sotto LEVI e SCIACCA. Studia l’accademia
di Plotino. P. s'è legato al gruppo di gioco di filosofi che SCIACCA riune
intorno a se. Quando SCIACCA si trasfere a Genova tutto il gruppo lo segue.
Insegna a Genova, Perugia, Roma e Pavia. “Lo scisma sommerso” (Milano,
Garzanti) analizza la spaccatura sotterranea che si è creata nella chiesa
cattolica tra il magistero ufficiale e la fede e le scelte di vita dei
credenti. Un tema che diviene centrale è il tema del male. Scrive “XXVI secoli
nel mondo dei filosofi” -- «un ripensamento, una sorta di commiato personale dai
filosofi e dai problemi che gli sono stati cari per tutta la vita. Accanto al
discorso apofantico, che definisce in modo univoco il suo oggetto e che vuol
dimostrare le sue verità in modo necessario, apre lo spazio per la
‘conversazione’. In “Verso una ontologia della conversazione” (Roma, Studium),
risalire la dimenticanza della conversazione ad Aristotele, il quale ritene i
discorsi semantici non vero-funzionali e quindi estranei al campo del
linguaggio-oggetto sino del meta-linguaggio della filosofia. In “Discorso e
situazione” (Roma, Studium) definisce in modo più dettagliato gl’ambiti della
conversazione. Nella molteplicità dell’uso logico della ragione, delinea un
esame sistematico delle diverse forme della conversazione razionale “situata”,
ossia in relazione al suo proprio oggeto o topico ed al suo proprii conversatori,
e precisamente la verifica come forma della prova del discorso oggettivo o
scientifico, la categoria della testimonianza e la determinazione particolare
come ‘forma’ della ‘prova’ della conversazione. È stata un ricerca non inutile,
credo, se ha messo in luce, per un verso, contro lo scientismo, la pluralità
dell’uso della ragione, e per un altro verso, la fondamentale convergenza di
quelle forme del discorso razionale in una dottrina della verità ostensiva
dell’essere, o un’ontologia semantica. Gl’uomini di cui la filosofia deve
occuparsi sono gl’italiani concreti. In “Il corpo che siamo: introduzione
all'antropologia etica” (Torino, SEI) studia i corpi degl’italiani come elementi
costituiti della inter-soggettività in un’unità psico-fisica del resto. Già SERBATTI
fa questo movimento verso i corpi, parlando di sentimenti fondamentali corporei.
In “Il paradosso d’Icaro” (Roma, Armando) elabora la distinzione tra mero bisogni
dei corpi e desideria o volonta. I bisogni, cioè le necessità di avere, si distingueno
dalla volontà di essere autenticamente. Il domandare intorno al senso di
ciò che è e di ciò che si *è* un domandare che mette in questione anche i domandanti
stessi. In ‘L’ambiguità dell’essere’ (Genova, Marietti) caratterizza
l’essere come ’ambiguo’: necessità assoluta (al modo di Velia), bontà o
finalità assoluta, o come libertà od opposizione assoluta. Cerca queste tre
modalità, ritenendole tutte essenziali all'essere e, insieme, non deducibili
l’una dall'altra. Define questa sua concezione problematicismo ontologico. Dal
momento che l’essere è in sé ambiguo, esso non si lascia completamente
definire e dimostrare dal discorso apofantico e si presta alla conversazione. C’è
un carattere ludico nell'atteggiamento del credente, quando pretende di poter
mettere tra parentesi la propria fede e di essere anch'egli, nella ricerca
della verità, come dice Husserl, ein wirklicher Anfänger, un vero e proprio
principiante. Fa una distinzione tra il
nucleo del messaggio evangelico e le forme che esso ha via via assunto nella
storia, critica delle posizioni più tradizionaliste della chiesa, specialmente
in filosofia -- si veda in particolare “La filosofia cattolica” (Roma, Laterza)
--, invito al dialogo tra la chiesa e la modernità tutta intera, e proposta di
una nuova inculturazione, oggi, di quel messaggio evangelico. Un passagio di “ Lo
scisma sommerso” mostra in modo disambiguo ciò che ha in mente. Per questa
mentalità generata dalla civiltà della scienza esistono uno spazio e un tempo
scientifici nei quali è impossibili proporsi di trovare, per esempio, il
periodo storico di una presunta prima coppia progenitrice di tutto il genere
umano o l'ubicazione dell'Eden, di cui parlano in un senso simbolico che è da
determinare i primi racconti della Genesi. E andando soltanto un poco in
profondità nella coscienza giuridica moderna, post-illuministica, del rapporto
tra colpa e castigo, chi potrebbe oggi accettare l'idea, trasmessa dalla
teologia penale di Agostino nell'interpretazione della Lettera ai Romani di Paolo,
che l'umanità intera abbia ereditato da Adamo non solo la pena eterna del suo
peccato, ma anche la responsabilità della sua stessa colpa?» Altre saggi:
“La metodologia della testimonanza” (Roma, Studium); “Serbatti: i sentimenti
fondamentali corporei, ” (Roma, Armando); “Storia dell'esistenzialismo” (Roma,
Studium); “Plotino e l'umanesimo interiore” (Milano, Vita e Pensiero); “Il potere”
(Roma, Studium); “Terra di Belgirate”; Torino, Sosso); “Un filosofo che canta i
Salmi. “Croce e Gentile”, Il P. sommerso; Il desiderio di essere. L'itinerario
filosofico; L'ontologia del desiderio”. Flematti, “Prini”. Pietro Prini. Prini.
Keywords: il volo d’Icaro. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Prini” – The
Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza.
Grice e Prisciano. Grammatico
latino (sec. 5º-6º d. C.) di Cesarea in Mauritania; visse a Bisanzio, dove
insegnò lingua latina sotto l'imperatore Anastasio. Compose la maggiore opera
di grammatica latina a noi pervenuta, la Institutio de arte grammatica, in 18
libri: i primi 16 (Priscianus maior) la vera e propria grammatica, gli ultimi 2
(Priscianus minor) la sintassi. P. traduce e riduce da grammatici greci
(Erodiano e Apollonio Discolo), compila da latini (da Varrone a Flavio Cafro)
con abbondanti citazioni di autori. La fortuna dell'Institutio fu grande,
soprattutto nel Medioevo, e certa sua terminologia e altre particolarità
tecniche sopravvivono tuttora. Compose varî altri scritti minori: sulla
derivazione dei numeri romani da quelli greci; sui metri delle commedie di Terenzio;
l'esegesi grammaticale del primo verso di ciascuno dei dodici libri
dell'Eneide; il Panegirico dell'imperatore Anastasio; una traduzione, in 1087
esametri, della Periegesi di Dionigi di Alessandria, ecc.
Luigi
Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Prisciano: la ragione conversazionale
dell’implicatura conversazionale di Simmaco – Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Roma). Filosofo
italiano. A philosopher and friend of Simmaco.
Luigi Speranza – GRICE
ITALO! Ossia, Grice Priscilliano: la ragione conversazionale dell’implicatura
conversazionale di Nerone – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. He has the distinction of being the
first philosopher put to death for ‘heresy’ by the Roman Catholics. What Priscillian
says is that the world is an evil place whither souls are sent as a punishment.
What he implicates is that Nerone is
right! Priscilliano.
Luigi Speranza – GRICE
ITALO!; ossia, Grice e Probo: la ragione conversazionale dell’implicatura dell’in-plicatura
conversazionale -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. He studies under Eusebio at the
same time as Sidonio, and may have assisted Eusebio in his teaching. He married
the cousin of Sidonio, the daughter of Simplicio. “All very confusing, and
possibly unimportant, historically speaking from the standpoint of philosophy
if it were not for the fact that Sidonio coined the term ‘inplicatura’ [sic].”
– Grice. Probo
Luigi Speranza – GRICE
ITALO!; ossia, Grice e Procle: la ragione conversazionale o la diaspora di
Crotone – Roma – filosofia basilicatese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. Metaponto,
Basilicata -- A Pythagorean, cited by Giamblico.
Luigi Speranza – GRICE
ITALO!; ossia, Grice e Prodi: la ragione conversazionale e l’artifice della
ragione e l’implicature conversazionale dei cani di Pavlov – la scuola di
Scandiano -- filosofia emiliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Scandiano). Filosofo italiano. Scandiano, Reggio Emilia, Emilia Romagna -- Grice:
“While he likes semiotics, Prodi is the Italian C. L. Stevenson, who read
English at Yale! No philosophy
background!” Studia e insegna a Bologna. A Bologna fonda il progetto biologia
cellulare. Svilupa un approccio semiotico alla biologia. Con “Il neutrone borghese” (Bompiano,
Milano), ha pubblicato anche alcuni romanzi e racconti, tra cui Lazzaro,
biografia romanzata -- con riflessi autobiografici -- di Spallanzani. Il saggio
“Il cane di Pavlov”; “Opera narrativa” (Diabasis, Reggio Emilia). Altre opere:
“Scienza e potere” (Il Mulino, Bologna); “La scienza, il potere, la critica” (Mulino,
Bologna); “Onco-logia sperimentale” (Esculapio, Bologna); “Le basi materiali
della significazione” (Bompiani, Milano); “La biologia dei tumori” (Abrosiana,
Milano); “Soggettività e comportamento” (Angeli); Orizzonti della genetica” (L'Espresso);
Patologia Generale (CEA); “La storia naturale della logica” (Bompiani, Milano);
“L'uso estetico del linguaggio” (Mulino, Bologna); Lazzaro: il romanzo di un
naturalista” (Camunia, Brescia); “Onco-logia” (Esculapio, Bologna); “Gl’artifici
della ragione” (Sole 24 ore, Milano); -- cunning of reason – cf. Speranza,
Grice, Kantotle, Kant, Hollis, razionalismo e relativismo -- “Il cane di Pavlov”
(Camunia, Brescia); “Alla radice del comportamento morale” (Marietti, Milano);
“Teoria e metodo in biologia” (Clueb, Bologna); “L'individuo e la sua firma”; “Biologia
e cambiamento antropo-logico” (Mulino, Bologna); “Il profeta” (Camunia, Brescia);
Conferenza "P.”, Repubblica
Apprezzato anche da Dossetti, “La parola e il silenzio” (Paoline, in riferimento ad un articolo che si rifaceva
ai geni invisibili della città di Ferrero. Sul sottotitolo -- i “geni
invisibili” della città. Dizionario biografico degl’italiani, istituto dell'enciclopedia.
Giorgio Prodi. Prodi. Keywords: il cane di Pavlov. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Prodi” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza – GRICE
ITALO!; ossia, Grice e Prospero: la ragione converzionale del contro-potere del
Quirinale e l’implicatura conversazionale laica – la scuola di Pescosolido -- filosofia
lazia -- filosofia italiana – Luigi
Speranza (Pescosolido). Filosofo italiano. Pescosolido, Frosinone,
Lazio. Studia e insegna a Roma. Studia Kelsen. Collabora con “L'Unità”. I suoi
interessi sono principalmente rivolti al sistema istituzionale e la filosofia
politica della sinistra. La sua filosofia e aspramente criticate da TRAVAGLIO, che
lo ha accusa di "pagnottismo". Tra i punti di dissenso, vi è la
posizione nei confronti della democrazia diretta, e nei confronti della fiducia
riposta da Travaglio, e dal Movimento 5 stelle di GRILLO, nella intrinseca
infallibilità del giudizio espresso dagl’elettori e del popolo della rete. Sinistra Italiana. Saggi: “La politica post-classica”;
“Il nuovo inizio”; “Nostalgia della grande politica”; “La democrazia mediata”;
“Sistemi politici e storia”; “La filosofia politica della destra” (Newton
Compton); “I sistemi politici” (Newton Compton); “Politica e vita buona, Euroma
la Goliardica, Sinistra e cambiamento istituzionale”; “Storia delle istituzioni
in Italia” (Riuniti); “Il fallimento del maggioritario”; “La politica”; “Teorie
e profili istituzionali” (Carocci); “Lo stato in appalto. Berlusconi e la
privatizzazione del politico (Manni); STATO IN APPALTO – la privatizzazione del
publico -- “Politica e società globale” (Laterza); “L'equivoco EQUIVOCO GRICE ri-formista”
(Manni); “Alle origini del laico” (Angeli); “La costituzione tra populismo e leaderismo”
(Angeli); -- il duce dirigge – il duca di Mantova -- “Filosofia del diritto di
proprietà” (Angeli); “Perché la sinistra ha perso le elezioni” (Ediesse); “Il
comico della politica”; “Nichilismo e aziendalismo nella comunicazione di Berlusconi”
(Ediesse); “Il libro nero della società civile”; “Il nuovismo realizzato”
(Bordeaux); “Gramsci” (Bordeaux). Addio al mito del capo, Il Manifesto, Contro-potere
del Quirinale, Left-avvenimenti, Prodi, l'errore più grande della sinistra
europea è stato dimenticare il lavoro, il manifesto, Gravagnuolo, Grillo, il
travaglio di Marco nel duello tv con Prospero l'Unità Gl’organismi di sinistra da
"Sinistraitaliana.si" Sinistra
Italiana rispolvera il Pci: nascono le nuove Frattocchie. Ma a Testaccio. Michele
Prospero. Prospero. Keywords: implicatura laica, lo STATO IN APPALTO,
contro-potere del quirinale, sinistra, diestra – come categorie filosofiche –
il parlamento francese -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Prospero” – The
Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Prosseno: la ragione
conversazionale della setta di Sibari – Roma – filosofia calabrese -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Sibari).
Filosofo italiano. Sibaria, Cassano all’Ionio, Cosenza, Calabria. Pythagorean –
Giamblico.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Prudenzio: la ragione conversazionale
e l’implicatura conversazionale dela psisco-machia – Roma – filosofia italiana
– Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Portico. A
career in public service. His main treatise is “Psycho-Machia,” on the soul’s
fight between good vitue and evil vice. People bring suffering on themselves by
making bad choices. Aurelio Clemente Prudenzio.


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