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Thursday, June 26, 2025

GRICE ITALO A-Z P PR

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Pra: la ragione conversazionale d’Antonino e la conversazione degl’hegeliani – la scuola di Montecchio Magiore -- filosofia veneta -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Montecchio Maggiore). Filosofo italiano. Montecchio Maggiore, Vicenza, Veneto. Studia a Padova sotto TROILO. Insegna a Rovigo, Vicenza, e Milano. Partecipa attivamente alla Resistenza, nelle file di "Giustizia e Libertà", guadagnandosi II croci di guerra al merito partigiano. Collabora alla ricostruzione politica e culturale del paese, con una filosofia sempre sorretta da un'alta ispirazione morale. Medaglia d'oro quale benemerito della scuola, della cultura e dell'arte, dei Lincei, dell'Istituto lombardo di scienze e eettere, dell'accademia olimpica di Vicenza, nonché membro autorevole della società filosofica, della quale è stato anche presidente. Studia la scessi, la logica e la dialettica medioevale, Hume, Condillac, la logica hegeliana, Marx, il pragmatismo, e la storia della storiografia. Connetta la sua attività storiografica con l'esplicitarsi di interessi teorici che lo portamp ad elaborare,un'originale filosofia che denomina trascendentalismo pratico, poi evoluta in una forma di razionalismo storicista e critico. Il suo interesse si rivolge al chiarimento del rapporto tra teoria e prassi in una prospettiva anti-metafisica che lo pone in contrasto con le posizioni dell’idealismo, e più in generale con ogni forma di dogmatismo teoricistico per favorire la libera esplicazione dell'iniziativa pratico-razionale dell'uomo. Fonda la “Rivista di storia della filosofia”, un riferimento costante e prestigioso. Autore di un fortunato “Sommario di storia della filosofia” (Nuova Italia, Firenze) e poi direttore di una monumentale “Storia della filosofia” (Vallardi, Milano). Elabora una posizione indicata come trascendentalismo della prassi. Successivamente, avvicinandosi a PRETI, propone uno storicismo critico, più attento alle strutture della ragione con cui l'esperienza storica si struttura. Altre sagi: “Il realismo e il trascendente” (Padova, Milani); “Amore di sapienza”; “Aviamento allo studio della storia della filosofia” (Vicenza, Commerciale); “La didache”; “Insegnamento del Signore alle genti per mezzo dei dodici apostoli. Documento del I secolo” (Vicenza, Commerciale); Educare, Verona, Scaligera, Pensiero e realtà, Verona, Scaligera, “Scoto Eriugena e l’accademia nel medio-evo” (Milano, Bocca); Condillac, Milano, Bocca, Il pensiero di MATURI, Milano, Bocca, Necessità dell'universalismo” (Vicenza, Collezioni del Palladio); “Valori e cultura immanentistica” (Padova, Milani); “Hume” (Milano, Bocca); “La storiografia filosofica antica” (Milano, Bocca); “La scessi” (Milano, Bocca); Giovanni di Salisbury, Milano, Bocca), “AMALRICO DI BENE” (Milano, Bocca); Autrecourt (Milano, Bocca); “Dewey” (Milano, Bocca); “Il problema del linguaggio nella filosofia del medio-evo” (Milano, Bocca); “Prassi. Appunti delle lezioni di Storia della filosofia a cura di Reina. Milano, La Goliardica; Il pensiero filosofico di Marx, Borso, Shake ed., Milano); “La filosofia occidentale”; “Compendio di storia della filosofia con larga scelta di passi”; “La filosofia antica” “La filosofia nel medio-evo” (Firenze, Nuova Italia); “Storia della filosofia” (Firenze, Nuova Italia); “La dialettica in Marx: Introduzione alla critica dell'economia politica (Bari, Laterza); Profilo di storia della filosofia” (Firenze, Nuova Italia); “Antologia filosofica” (Firenze, Nuova Italia); “La dialettica hegeliana e l'epistemologia” (Milano, CUEM); “Hume e la scienza della natura umana” (Roma, Laterza); “Logica e realtà: momenti della filosofia nel medio-evo” (Roma-Bari, Laterza); “Storia della Filosofia”, Scalabrino Borsani, La filosofia indiana, Milano, Vallardi, Beonio-Brocchieri, La filosofia cinese e dell'Asia orientale, Milano, Vallardi, Giannantoni, Plebe, Donini, La filosofia greca (Milano, Vallardi); La filosofia ellenistica e la patristica Cristiana (Milano, Vallardi); “La filosofia nel medio-evo” (Milano, Vallardi); La filosofia moderna” (Milano, Vallardi); Casini, Merker, “La filosofia moderna” (Milano, Vallardi); “La filosofia contemporanea” (Milano, Vallardi); La filosofia contemporanea (Milano, Vallardi); “La filosofia della seconda metà del Novecento”, Padova, Piccin Nuova libraria-Vallardi); “Logica, esperienza e prassi: momenti della filosofia” (Napoli, Morano); “Il realismo nella storia della filosofia” (Milano, Unicopli); “La storiografia filosofica”; I. A. A. con. Santinello, Garin, Geldsetzer e Braun, Padova, Antenore, Hume. La vita e l'opera (Roma, Laterza); Banfi, Relazioni dall'incontro; Banfi: le vie della ragione, Milano, con Formaggio e Rossi (Milano, Unicopli); “Il pragmatismo” (Napoli, Bibliopolis); “L’empirismo critico di Preti” (Napoli, Bibliopolis); “Filosofi” (Milano, Angeli); “Metodi di storiografia filosofica”, in Panorami filosofici. Itinerari del pensiero (Padova, Muzzio); “Ragione e storia” (Milano, Rusconi); “Storia della storiografia” (Milano, Angeli); “La guerra partigiana”, Borso (Firenze, Giunti-INSMLI); “Dialettica hegeliana ed epistemologia analitica” Colombo (Brescia, Morcelliana); “Il trascendentalismo della prassi, la filosofia della resistenza” (Milano-Udine, Mimesis); Cambi, Razionalismo e prassi a Milano (Milano); Badaloni, Studi offerti a P. (Milano, Angeli); Bianchi, degli saggi di P., in La storia della filosofia come sapere critico. Studi offerti, Milano, Montesperelli, Introduzione, in Mirri, Conti, Filosofi nel dissenso, Foligno, Mirri, Fra Vicenza e Pisa. Esperienze morali, intellettuali e politiche in Il contributo di Pisa e della Scuola Normale Superiore alla lotta anti-fascista ed alla guerra di Liberazione, Pisa, Pacchi, Il filosofo e l’educatore, in In onore, Montecchio Maggiore, Cassinari, Filosofia e storia della filosofia, Conversazione con Papi, «Itinerari filosofici», Rambaldi, Ricordo «Rivista di storia della filosofia», Garin, P., «Rivista di storia della filosofia», Santucci, Filosofo e storico della filosofia, «Rivista di storia della filosofia», Rambaldi, L’esistenzialismo positivo «Rivista di storia della filosofia», Torre, La "Rivista di storia della filosofia", Milano, Paganini, Dall’empirismo classico all’empirismo critico, Le ricerche tra storia e teoria, Giordanetti, Manoscritti di P., «Rivista di storia della filosofia», Rambaldi, Et vos estote parati. P., la vigilia, «Rivista di storia della filosofia», Barreca, L’archivio P., «Rivista di storia della filosofia», Rambaldi, P. in Enciclopedia filosofica, Milano, Id., P., insegnante a Vicenza, «Rivista di storia della filosofia», Rigamonti, Gli Hume, «Rivista di storia della filosofia», Parodi, Selogna, Per una filosofia minore. Il pensiero debole, «Rivista di storia della filosofia», Vona, Ricordo, Rivista di storia della filosofia», Rambaldi, Filologia e filosofia nella storiografia, in «ACME», Franzina, Partigiano. Dal fascismo alla Resistenza e alla sua storia, in «Belfagor», Descrizione, in "Rivista di storia della filosofia", Ricordo di P., Informazione filosofica, "studi filosofici". Barreca, Giordanetti, Fondo P., Milano, Cisalpino. P., in Dizionario di filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia, Presentiamo P.: l'uomo, il filosofo. Una mostra biografico-documentaria dall'archivio inedito Università degli Studi di Milano, Biblioteca di Filosofia, Borso, Una via religiosa alla Resistenza, "Humanitas", Fascicolo speciale in memoria anniversario della fondazione della Rivista, in Rivista di storia della filosofia, Milano, Angeli,. Borso, 'fucino', "Rivista di storia della filosofia", Bisogno, Anselmo in Italia: tra P. e Rovighi, in «Dianoia. Rivista di filosofia del Dipartimento di Filosofia e Comunicazione dell'Bologna», Riconoscimenti l'Accademia dei Lincei gli ha conferito il Premio Feltrinelli per le Scienze Filosofiche. Scuola di Milano, Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia. Opere Vincitori del Premio Feltrinelli Filosofia Università Università Premi Feltrinelli, lincei. L'ultima opera di Dal Pra, la lunga intervista rilasciata a Fabio Minaz- zi (il quale ha, con ampiezza di riferimenti, sollecitato la memoria storica e l’interpretazione teorica del filosofo ‘milanese’ intorno al proprio pen- siero ricollocato nel suo tempo storico) che porta significativamente il ti- tolo di Ragione e storia, è un'occasione preziosa per rileggere e ripensare la vicenda filosofica di P. e il significato che essa ha assunto nella filosofia italiana contemporanea. Si è trattato di una presenza filosofica ampia e variegata, gestita da una cattedra universitaria illustre e operati- vamente immersa nella organizzazione della ricerca filosofia (con riviste, collane, raccolte di documenti, ecc.), ma soprattutto aperta al dialogo — e al dialogo critico - con tutta la filosofia attuale e con la stessa tradizione filosofica che alimenta (e deve alimentare) la ricerca contemporanea!. Con P. siamo davanti a un maestro, come è stato sottolineato anche in occasione della morte?, non solo perché ha accompagnato da protagoni- sta il travaglio della filosofia, - travaglio complesso, giocato su fronti teorici, ma anche ideologici e politici, intessuto di opposizioni, di contrasti, di rifiuti e di fughe in avanti come pure di resistenza e di rilanci da parte della tradizione -,, bensì anche per il ruolo di inter- locutore critico, di coscienza vigile e inquieta, ma salda nei principi che la guidano (la laicità, la ragione, la criticità, tanto per anticipare), che ha assunto in questo lungo e conflittuale itinerario. Il suo doppio ruolo di organizzatore della ricerca filosofica e di vigile coscienza filosofica si è venuto delineando già nei primi anni del secondo dopoguerra, per perma- nere poi nei decenni successivi, sia pure in forme mutate, come centrale [P., F. Minazzi, Ragione e storia, Rusconi, Milano; per la bibliografia degli scritti di Dal Pra: La storia della filosofia come sapere critico. Studi offerti a P., Angeli, Milano; Cfr. E. Rambaldi, Ricordo di P., «Rivista di storia della filosofia, I e Id., In ricordo di P,, «Bollettino SFI»; ma anche rico- struzioni composte prima della morte: Pacchi, Il filosofo l’educatore, in In onore di P., Quaderni della Biblioteca Civica, Montecchio Maggiore; Garin, Per P., in La storia della filosofia come sapere critico, cit. Cambi, Pensiero e tempo: ricerche sullo storicismo critico: figure, modelli, attualità, Firenze nel dibattito filosofico italiano; doppio ruolo —- va aggiunto - che P. ha vissuto con straordinario equilibrio e senza oscurare né l’uno né l’altro dei suoi ambiti di lavoro, come è riuscito a pochi filosofi della sua ge- nerazione (forse a Preti o a Garin o a Pareyson, molto meno a Geymonat o a Paci, che hanno avuto un'evoluzione più tormentata e un campo di lavoro meno organico). Di questo ruolo di maestro della filosofia nazionale, di questa immersione in un complesso travaglio storico, di questo felice equilibrio tra i due ambiti della sua ricerca (storico e teorico) è puntuale testimone il libro-intervista già ricordato. In esso P. ripercorre, sinteticamente e in prospettiva, più di cinquant’anni di filosofia italiana, dandoci non le cronache ma la ‘storia’ (l’interpretazione) di quel mezzo secolo, assumendosi come protagonista, ma in quanto immerso in una temperie collettiva e con essa e in essa interagente. L'immagine che ci consegna di quel cinquanten- nio è sostanzialmente positiva e assai fedele nel processo tortuoso, anche ambiguo, sempre inquieto che viene descrivendo come proprio della filosofia italiana. In esso viene indicato anche un filo rosso che ne rileva la ricchezza e lo sviluppo: la ragione, che è stata la grande protagonista del dibattito e che si è evoluta verso forme sempre più ricche e radicali di criticità. Certamente in questo richiamo alla centralità della ragione ci sono — e assai diretti — gli echi di quel neoilluminismo che era stato una voce autorevole e innovatrice (ma anche di sintesi) sul fronte laico della filosofia italiana. Ma sono echi che non offuscano affatto la portata del suo disegno storico e teorico, poiché si tratta di un neoilluminismo che fa, via via, i conti con le critiche alla ragione avanza- te da marxisti, da empiristi e da dialettici (assai meno dagli ermeneutici), arricchendosi e sofisticandosi. Il volume risulta avere - così - un doppio obiettivo: di interpretazione storica e di messaggio teorico. Sul primo piano P. sottolinea almeno tre aspetti: il ruolo di svolta filosofica (anche filosofica) giocato dalla Liberazione e dalla Resistenza; il caratterizzarsi della filosofia - dopo questa svolta - in direzione critica, ma secondo una criticità aperta; il neoilluminismo come tappa cruciale (e plurale) del rinnovamento della filosofia ita- liana ed europea. In tal modo P. pone in luce il senso del pensiero contemporaneo riconoscendolo nell’apertura e nel pluralismo, ma anche nella vocazione antidogmatica e postmetafisica. Qui interviene, poi, la le- zione teorica del volume: nel disegnare l’orizzonte di quella criticità a cui P. si mostra consapevolmente e radicalmente fedele, posta al punto d’incontro di diversi modello filosofici, ma visti come intersecantisi e reci- procamente integrativi (quali prassismo, empirismo e storicismo). P., Minazzi, Ragione e storia, cit. passim. Sui filosofi italiani: VERRA (si veda), Parlano i filosofi italiani, in La filosofia, ERI, Torino; P., Filosofi, Angeli, Milano e Id., Studi sull’empirismo critico di Preti, Bibliopolis, Napoli. Quanto al ruolo della Resistenza, P. è assai esplicito: per lui stesso è l'approdo di un lungo travaglio che lo conduce dal realismo cristiano a un immanentismo critico, che sposta il baricentro etico del suo lavoro dall’impegno religioso a quello civile-politico, che viene a evidenziare la centralità della categoria della prassi, intesa però come prassi storica; di un travaglio che attraverso molteplici contatti con gli ambienti padovani e vicentini lo indirizza verso un cristianesimo eretico, poi lo immerge negli studi filosofici. Dal Pra aveva compiuto tali studi a Padova, con TROILO (si veda), ma era stato influenzato anche da STEFANINI (si veda) e da ZAMBONI (si veda), maturando una netta posizione antidealistica, ma studiando con passione le opere di CROCE (si veda) (soprattutto La storia come pensiero e come azione). Poi aveva affidato lo sviluppo di un pensiero autonomo ad alcuni studi teorici (che mostrano il suo passaggio dal realismo cristiano all’immanentismo critico: Il realismo e il trascendente; Pensiero e realtà; Necessità attuale dell’universalismo cristiano; Valori cristiani e cultura immanentistica) e ad altri storici (su Scoto Eriugena e il neoplatonismo medievale; Condillac; su Il pensiero di Maturi; che svolgono alcuni sondaggi/bilanci sul pensiero cri- stiano e su quello idealistico, su Maturi erede fedele di SPAVENTA (si veda) e su un filosofo appiattito dall’idealismo storiografico come Condillac), che avevano tra loro una significativa continuità e simmetria, una problematica unità: erano tutti testimonianze di una viva e sofferta ricerca in corso, che liberamente si veniva confrontando con i nodi della filosofia e della storia italiana di quegli anni*. «Un momento rilevante della mia maturazione filosofica si colloca, e sia in senso storico che teorico. Teoreticamente «l’essere passato attraverso la rivendicazione della primarietà della coscienza e dell’autocoscienza mi ha infatti introdotto al problema della storia in senso vero e proprio», come riconoscimento del- la storicità del pensiero e quindi della necessità di sviluppare la riflessione anche attraverso le indagini di storia della filosofia. Ma fu un momento che coincise con il rinnovamento della vita nazionale (prima nell’attività clandestina antifascista poi nella guerra di liberazione e nella Resistenza) in senso democratico, secondo un modello di democrazia dal basso, capace di fare i conti con la tradizione nazionale, che conduce al FASCISMO, e di avviarne una nuova, attivata su principi di partecipazione e di solidarietà, di giustizia e libertà. Il dopoguerra filosofico in Italia assunse, infatti, il volto di una ri-fondazione del pensiero nazionale, aprendo la filosofia italiana a modelli eu- ropei e americani (l’esistenzialismo, il neopositivismo, il materialismo storico, il pragmatismo) che permettessero di innovarne le prospettive [Cfr. P. Minazzi, Ragione e storia, cit.; Rambaldi, Ricordo di P., cit.; Cambi, Razionalismo e prassi a Milano, Cisalpino-Goliardica, Milano; P., Minazzi, Ragione e storia] e attuando in essa un intenso dialogo tra correnti e posizioni diverse. A questo lavoro critico e pluralistico di sondaggio internazionale partecipò attivamente anche la Rivista di storia della filosofia, fondata da P. e al rinnovamento teorico del lavoro filosofico P. (con Vasa) dette il suo contributo col trascendentalismo della prassi, una filosofia antiteoreticistica e problematicistica, connotata dal primato della prassi, intesa, appunto, come prassi storica. La vocazione della filosofia postbellica si delineava come legata al criticismo, al valore della criticità, ma assun- ta senza ipoteche univoche, senza attenersi ad alcuno indirizzo di scuola, anzi incrociando problematicamente i diversi indirizzi del pensiero con- temporaneo, per decantarne il radicalismo e la capacità di affinamento teoretico. Bene, questo compito era indicato anche dal lavoro svolto dalla «Rivista» di P., in ambito storico e teorico. Questo lavoro critico/aperto venne consolidandosi nelle posizioni del neoilluminismo: un movimento as- sai articolato e variegato, in verità, ma che manteneva un intento comune nella fedeltà alla ragione e nel riconoscimento della sua priorità nel lavoro filosofico, vista come strumento critico capace di illuminare anche i domi- ni della prassi (etica e politica). Il neoilluminismo, in Abbagnano come in Preti, in Paci come in Geymonat, in P., anche in Banfi razionalista critico e in Garin storicista critico”, viene indicato come l’approdo del tra- vaglio postbellico in filosofia e come la ‘via aurea’ anche per la riflessione attuale, in quanto capace di saldare criticamente insieme ragione e vita, ragione e storia. Se pure oggi esso deve essere svolto in forma più matura, più articolata e sottile, come la stessa evoluzione della ricerca teorica di P. ci viene ad indicare con precisione. Anche tutto quello che è avve- nuto nel pensiero filosofico (italiano e non) tra gli anni Sessanta e gli anni Novanta, tra strutturalismo e fenomenologia, tra marxismo critico e filosofia postanalitica, tra neostoricismo e ermeneutica, non cancella affatto l’attualità di quell’indirizzo, anzi lo conferma e lo impone ancora come un filo rosso della teoresi*. Ed è proprio questo l’altro obbiettivo e/o risultato del volume Ragione e storia: obiettivo pienamente raggiunto, poiché [Per il clima filosofico postbellico in Italia cfr. Garin, Anni dopo, in Id., Cronache della filosofia italiana, Laterza, Bari; P., Il razionalismo critico, in E. Garin (a cura di), La filosofia italiana dal dopoguerra a oggi, Laterza, Bari; Bobbio, Empirismo e scienze sociali in Italia, in Atti del Congresso Nazionale di filosofia (L'Aquila), Relazioni introduttive, Società Filosofica Italiana, Roma. Sul neoilluminismo cfr. Dal Pra, Il razionalismo critico, cit.; Pasini, Rolando (cur.), Il neoilluminismo italiano, Il Saggiatore, Milano. Ma anche: Ferrari, Origini e motivi del neoilluminismo italiano, Rivista di storia della filosofia, LECALDANO, L'analisi filosofica tra impegno e mestiere, Rivista di Filosofia. Sull’attualità del neoilluminismo cfr. P., Minazzi, Ragione e storia, cit.; Pasini, Rolando (cur), Il neoilluminismo italiano] specialmente negli ultimi due capitoli - viene indicato sia il processo di maturazione di questo modello neoilluministico, così come è stato rivissuto da P., ma in fedeltà ai suoi principi, sia il modello massimo (per così dire) raggiunto da questo stile di pensiero, da questa prospettiva teoretica. Ripercorrere analiticamente - restando dentro il testo e andando oltre di esso, ripensando cioè å part entière la filosofia elaborata da P. - questo cammino è ciò che ci ripromettiamo di fare nei paragrafi seguenti, allo scopo di sottolineare la profonda fedeltà attuata da P. a un modello critico di filosofia, ispirato a una criticità che proprio nel criterio di apertura, di reciproco innesto tra prospettive teoriche diverse e risolte in senso anti-teoricistico, viene a riconoscere il proprio principio animatore e il proprio senso. La densa intervista di P. a Minazzi si offre, abbiamo detto, come un'occasione preziosa per ripensare l’avventura filosofica di P.; inoltre — e soprattutto — per cogliere con nitidezza il posto che essa occupa nella filosofia nazionale contemporanea, nel percorso del neoilluminismo e nella radicalizzazione del criterio della criticità vista come fulcro del pensiero filosofico attuale. Di questa criticità P. ci consegna - ancora oggi - un'immagine assai acuta: non formalistica, plurale e aperta, capace anche di rovesciare se stessa cogliendo i propri limiti interni e le integrazioni ab extra che le sono necessarie. Sul neoilluminismo P. si è soffermato abbastanza di recente par- lando del razionalismo critico, nel volume laterziano dedicato alla filosofia italiana contemporanea Partendo da Banfi, Banfi di «Studi filosofici» e teorico di una razionalità critica come momento integratore dell’esperienza rispettata e potenziata nel suo pluralismo e nella sua sto- ricità, procede dal nuovo razionalismo di GEYMONAT al neopositivismo critico di Preti, all’esistenzialismo positivo di Abbagnano, toccando anche la propria opera - in particolare la Rivista di storia della filosofia, che muove da alcune premesse che in parte si richiamo al pensiero di Banfi e «in parte sottolineano un'accentuazione polemica antidealistica nella con- cezione della storia del pensiero? — e quella di Vasa, quella di Bobbio e di altri studiosi più giovani (da TAGLIABUE (si veda) a Santucci (si veda). P. viene così delineando i confini geo-storici del neoilluminismo che proprio in una prospettiva teorica legata al razionalismo critico raggiunge la propria più forte identità. Tale movimento aveva congiunto «temi filosofici e posizioni politiche, ma assegnando ai primi la priorità e il ruolo di guida. Sia pure secondo diverse angolazioni, con uscite più o meno convincenti e coerenti, il neoilluminismo si caratterizzava come una filosofia engagée [P., Il razionalismo critico] ma razionale, tesa a costruire il proprio modello di razionalità criticamen- te, aprendosi alle varie tecniche di razionalità e mantenendo aperta anche l’idea stessa della ragione; senza ontologizzarla, senza assolutizzarla, bensì ponendola sempre al servizio dell'esperienza e della storia, dei loro intricati processi; che essa può illuminare e contribuire a risolvere attraverso un controllo esercitato dagli uomini in carne ed ossa. Attraverso una serie di convegni - su cui si sono soffermati di recente PASSINI (si veda) e ROLANDO (si veda) - il modello neoilluministico di filosofia venne messo ulteriormente a fuoco e decantato nella sua ampiezza, ma anche nella sua problematicità; fino al convegno fiorentino che mostra già in atto una rottura all’interno del movimento. Poi, secondo P., si va verso la dissoluzione: diversi filosofi si separano per ragioni filosofiche e politiche, dando vita a modelli difformi di razionalismo, in cui sussiste ben poco di comune e si poten- ziano invece le differenze (si pensi agli esiti di Preti o di Geymonat, di PACI (si veda) o di Garin, come sottolinea lo stesso P.). Soprattutto è la doppia istanza di razionalismo e di storicità che viene a rompersi, dando luogo a filosofie o analitiche o storiche (come rivelano gli esiti di Bobbio e di Garin), che non colgono più l’elemento di criticità nel reciproco innesto di ragione e storia. Gradatamente si entra poi in una fase - come già Bobbio aveva rilevato parlando del neoempirismo in Italia e della sua parabola" - in cui si sondano piuttosto «i limiti della ragione», oppure si operano riduzioni (acritiche) della ragione, avviluppandola in una lunga crisi da cui non è più uscita. In tale fase si ha ancora un'eclisse della storia o la sua riduzione in chiave politico-prassica, come pure declina la politica culturale del neoilluminismo, assediata da nuovi massimalismi e da nuove divisioni nella Sinistra. E P. così - significativamente - chiudeva quel saggio: la crisi della ragione mette in evidenza come all’unidireziona- le movimento della razionalità possa sottentrare una pluralisti- ca politica di potenza e un'articolata elaborazione del consenso, cioè una razionalità tecnica e operativa, strumentale ed efficiente. Così emerge in forma più svagata e dissacratoria come sia la traduzione storica sia la funzione della riflessione filosofica si trovino attraverso vari legami in relazione col movimento sto- rico presente; e in esso possano collaborare e ripristinare, continuamente rinnovandolo, quel senso della ragione che ha una sua, anche se breve, primavera. E sono parole che riaffermano l’attualità di quella lezione teoretica, come P. stesso la verrà fissando nel suo ultimo testo: caratterizzata [Cfr. PASINI (si veda), Il neoilluminismo italiano. Cfr. BOBBIO, Empirismo e scienze sociali in Italia. P., Il razionalismo critico] dall’unità critica di ragione e storia, da una criticità che nella loro reci- proca intersezione riconosce il proprio campo d’azione e il proprio fon- damento. P. alla fine del suo ‘viaggio filosofico’, ci consegna, quindi, un monito e un legato: ritornare a quel neoilluminismo (come formula di politica culturale), animarlo - ancora - attraverso il razionalismo critico e fissare l'identità di tale modello di pensiero nella reciproca interferenza di ragione e storia, attuata secondo procedure sempre più sottili e sempre più plastiche. Intorno al futuro di questo neorazionalismo critico (per co- sì definirlo, in modo - forse - inadeguato) P. non ci dice poi molto di più - come vedremo -, anzi lo rimodella partendo dalla riflessione di Preti, che pur non aveva decantato a pieno (anche nel proprio itinerario teoretico, approdato a un empirismo critico e poi ricondotto verso Kant e verso Husserl, verso il trascendentalismo) l’istanza neoilluministica e che aveva messo la sordina (anche se niente affatto soffocata) all’istanza della storicità, alterando il profilo del suo razionalismo in senso empiristico e teoreticistico, e al- lontanandosi da quell’intersezione tra ragione e storia che P. stesso indicava come la ‘sezione aurea’ della teoresi razionalistico-critica. Va sottolineato, infatti che il costante richiamo a Preti che anima il volume-intervista di P., il suo presentarlo non solo come una delle grandi voci (e europee) della filosofia italiana del dopoguerra (quale Preti, di fatto, fu), bensì anche come un modello di teoresi, rischia di mettere in ombra proprio l’asimmetria che corre tra Preti e P.. Pur riconoscen- do a Preti, forse, maggiore genialità filosofica, acume e rigore esemplari, finezza nell’elaborazione del tessuto teoretico (e non solo rispetto a P., che pur lo eguaglia per conoscenze storiche, per pulizia filosofica, per viva sensibilità teoretica: siamo davanti a due filosofi di razza, in cui agi- sce å part entière la teoreticità filosofica), va anche riconosciuto che il suo modello di ragione (trascendentalistico-analitico) è assai diverso da quello che guida la ricerca di P. (criticistico-storico-prassico). Ma non solo: il modello dalpraiano si rivela — sia pure nella sua esecuzione un po’ pro grammatica, carente di sviluppi analitici - più pregnante e più resistente (nel tempo storico e nella teoria) rispetto a quello pretiano; tanto che P. può riproporlo come via centrale anche nella crisi filosofica (e non) degli anni Ottanta. E ciò accade perché in P. quel modello di ragione si è interrogato più radicalmente su se stesso, recuperando nell’orizzonte della propria teoreticità anche l’elemento extrateorico, storico e prassico, ponendolo come un fattore, centrale e determinate, del fare teoria. Sulla parabola del pensiero di Preti cfr. F. CAMBI (si veda), Metodo e storia. Biografia filosofica di PRETTI, Grafistampa, Firenze, e Razionalismo e prassi a Milano, cit.; ma anche F. Minazzi (a cura di), Il pensiero di PRETTI nella cultura filosofica del Novecento, Franco Angeli, Milano. Cfr. P., Studi sull’empirismo critico di Preti, cit., e P., Minazzi, Ragione e storia. Anzi, a ben riflettere, l’incontro con Preti corrisponde a una fase della evoluzione del razionalismo di P., alla quale però P. stesso assegna un'enorme importanza, indicandocelo un po’ come la chiave di volta del suo pensiero; il che è vero e no. In tal modo, infatti, viene a met- tere in ombra qual razionalismo critico a cui - in conclusione — assegna il ruolo di guida, storica e teorica. Va, infatti, sottolineato che la riflessione teorica di P., dopo il suo passaggio giovanile dal realismo cristiano all’immanentismo, si è contrassegnata attraverso tre tappe o fasi, che però non sono mai del tutto separate e che si differenziano soprattutto per la diversa accentuazione di comuni elementi teoretici: la fase del trascendentalismo della prassi, che - come abbiamo indica- to altrove! - può essere considerata chiusa intorno che pone l’accento sull’antiteoricismo della nuova filosofia e sul primato della prassi storica, sulle motivazioni extrateoretiche che accendono e guidano i processi di teoreticità; la fase dell’empirismo critico, che sviluppa la teoricità in senso analitico e che corregge e integra il primato della prassi col ruo- lo-chiave riconosciuto all’intelligenza; non a caso le guide di que- sta fase sono Dewey da un lato e PRETI di Praxis ed empirismo dall’altro; la fase del razionalismo critico che riafferma la centralità della storia nella teoresi, sia come molla genetica, sia come struttura, e che richia- ma a un uso critico della ragione che non è più inteso in senso solo strumentalistico o empirico-analitico; è una fase che si apre con la ri- lettura di Marx e continua a crescere fino ai richiami a Banfi e alle tesi di Ragione e storia. Certamente, come abbiamo già accennato, questa terza fase attendeva di essere ulteriormente sviluppata e meglio definita nei suoi confini e nelle sue strutture; stranamente - nella coscienza di P. - essa si allacciava troppo intensamente ancora (e l’abbiamo detto) al lavoro di Preti, mentre da esso in realtà veniva a differenziarsi profondamente; pur tuttavia è una fase nettamente riconoscibile è abbastanza ben definita, anche se non cancella affatto le altre due precedenti, bensì le integra e le rinnova, radicalizzandole. Infatti il telos che guida il processo di P. nella ricerca filosofica è una precisa e convinta fedeltà alla criticità, alla ragione critica, di cui la fase di approdo del suo pensiero e anche la testimonian- za più radicale. Cfr. Cambi, Razionalismo e prassi a Milano, cit. Sulle fasi del pensiero di P., scandite dal trascendentalismo della prassi e da uno storicismo critico/razionalismo critico, cfr. Rambaldi, Ricordo di P. Quando P. a liberazione avvenuta, riprende il lavoro filosofico in modo organico, la sua fisionomia filosofica presenta ormai caratteri in parte nuovi: siamo davanti a un filosofo decisamente laico, che fa i conti con l’idealismo e che si apre alle filosofie internazionali, ma che fa tutto ciò ancorando il suo pensiero al metacriterio della criticità. Il rinnovamento è avvenuto attraverso la scoperta della storicità e del lai- cismo, «al quale Dal Pra giunse in un modo che mostra tutta la serietà del suo procedere: non lo abbracciò di colpo, bensì tentò, con profondo dramma interiore e sotto la tragica spinta degli eventi politici, di assi- milare la componente pratica» dell’immanentismo laico alla concezione cristiana, come ci ricorda RAMBALDI (si veda). Di qui (da questa esperienza culturale e politica insieme) nascono anche l’antiteoricismo e la coscien- za del primato della prassi che verranno a caratterizzare la sua posizione filosofica postbellica, contrassegnata come «trascendentalismo possibile della prassi». Si è trattato di una presa di posizione assai netta, rivolta a ricollocare nell’esperienza il senso e il ruolo della teoresi, sottraendola a ogni ipoteca metafisica e ponendola, invece, al servizio di un uomo finito, problematico, faber, che con fatica (e attraverso molti errori) cerca di dare un ordine razionale alla realtà, ispirandosi ad un Logos sempre ipoteti- co e strumentale, ma che, proprio per questo, deve essere costantemente sviluppato e controllato. Tutto il lavoro che P. conduce a ritmi intensissimi e su fronti assai variegati si coagula intorno a questo progetto di razionalità prassica e aperta e, in quel momento, attenta soprattutto a garantire la propria apertura. Nella ricchissima produzione di quegli anni!’ ci sono alcuni testi che hanno un po’ la funzione di boa: di indicatori del tragitto. Tali la Premessa al primo numero della RIVISTA DI STORIA DELLA FILOSOFIA e ancora i Cinque anni di vita, sempre sulla Rivista nel primo numero; l’articolo Sul concetto di criticità, sempre sulla Rivista e quello su Critica metafisica e immanentismo, sulla Rivista di filosofia, preceduti da Problematicismo e teoreticismo, e da A proposito di trascendentalismo della prassi, usciti sulla Rivista, seguiti poi da Sul trascendentalismo della prassi, relazione presentata al Congresso di filosofia a Bologna. A questo nucleo centrale fanno corona anche gli interventi su Dewey, su ABBAGNANO (si veda), su GENTILE (si veda), sull’esistenzialismo, sul positivismo logico, sul socialismo, ma anche le discussioni - che furono copiose e articolate — sul trascendentalismo della prassi con le diverse risposte di P. (e di Vasa)”. È però attraver- [Cfr. la bibliografia degli scritti di P. in La storia della filosofia come sapere critico, e P., Minazzi, Ragione e storia, cit. Cfr. di P., L'identità di teoria e prassi nell’attualismo gentiliano, «Riso quel corpus di interventi principali che P. viene delineando la sua posizione filosofica, che è nettamente anti-teoricistica, ispirata alla criticità, regolata dal «trascendentalismo della prassi. Nel volume-intervista così P. rievoca quelle posizioni: il tema del «trascendentalismo della prassi ha le sue radici più profondi lontane in questo terreno culturale (più che filosofico), di un movimento che era, per un lato, cattolico e, per un altro lato, aperto a vari indirizzi di pensiero moderno e che si valeva, in modo precipuo, delle riflessioni svolte da Vasa. La sua genesi fu complessa (politica, culturale e filosofica), ma diventa progressivamente, l’anima dell’atteggiamento critico assunto dalla Rivista nei confronti dei vari indirizzi di pensiero contemporanei. Esso si caratterizzava come anti-teoricismo in nome - ha sottolineato Minazzi - dell’esigenza libera e mobile della ricerca, che non può approdare ad alcun assoluto, e fa leva su una istanza di natura eminentemente pratica sottolineando la parzialità e la limitatezza storicamente condizionata nonché la piena responsabilità (morale e teorica) del punto di vista filosofico che de- cide di assumere. Esso prospetta un quadro problematico più ampio e aperto al cui interno nessuno può illudersi di vedere in modo privilegiato l’assoluto né può quindi trasformarsi in messaggero privilegiato dell’‘absoluto’», ap- proda a un senso non garantito del reale, un senso solo possibile, che proprio nella libertà della sua apertura ritrova il criterio fondante», per lasciare aperta ogni via di esplicazione all’iniziativa pratico-razionale dell’uomo, come rileva PACCHI (si veda), citato anche da Minazzi nella sua intervista. Da parte sua P. sottolinea il carattere di possibilità che è costitutivo del trascendentalismo della prassi (t.d.p.): l’aggettivo più importante, in questa prospettiva critica, era proprio possibile, che vista critica di storia della filosofia; Sul trascendentalismo dell’esistenzialismo trascendentale; Il pragmatismo axiologico d’ABBAGNANO (si veda); Positivismo logico e metafisica, Socialismo e metafisica; sulle discussioni intorno al trascendentalismo della prassi rinviamo a Cambi, Razionalismo e prassi a Milano, P. Minazzi, Ragione e storia, Pacchi, Il filosofo l’educatore] soggettivamente - significa libertà e quindi esclusione di ogni chiusura metafisica o ancora teoreticistica del t.d.p., come pure soltanto praticistica — e irrazionalistica: in quanto il suo anti-intellettualismo si applicava all’esercizio della ragione, era un criterio di organizzazione interna e non solo di superamento/negazione, (che sono «le insidie nel trascendentali- smo della prassi»)?5. Anche nella ricostruzione di P. e Minazzi emerge con forza il carattere critico del t.d.p., l'aspetto di criticità aperta, capace di radicaliz- zarsi e trascendersi nelle sue chiusure, attraverso il varco del possibile e il costante rinnovamento (e revisione) delle strutture teoretiche, in modo da non farle retrocedere né nel teoreticismo né nel prassismo irrazionali- stico; rinnovamento attuato con uno scandaglio sempre più consapevole della propria libertà e del suo effettivo esercizio secondo molteplici mo- delli e/o paradigmi e attraverso il loro intreccio. A ben guardare il t.d.p. manifesta - per noi oggi - proprio questo carattere di criticità aperta in- nestata però nell’esercizio effettivo, operativo della ragione, quindi un ca- rattere di razionalismo critico orientato in senso storico-critico, in quanto la storicità viene recuperata all'orizzonte della criticità, secondo il dettato anche del pensiero banfiano, che P. indica come una delle matrici teoriche del suo t.d.p.?°. Se nella discussione, che fu ampia e articolata, e che ho altrove ricostruita, intorno al t.d.p. prevalsero i richiami all’«ancora teoreticismo» o al prassismo (legato a una prassi non-marxiana, di sapore quasi pragma- tista — e la critica non era del tutto peregrina, come si cercat di mostrare in Razionalismo e prassi a Milano - oppure al metafisicismo che venivano a caratterizzarlo, più in ombra resto il suo carattere razionalisti- co e il suo tipico criticismo, che sono invece gli aspetti che la ricostruzione più recente ha posto maggiormente — e giustamente - in luce. Tutta l’ope- razione del t.d.p., sia in P. che in VASA (si veda), si sviluppa invece in un’ottica di razionalismo critico, di liberazione, di ampliamento delle tecniche di razionalità, di revisione aperta dei propri statuti e di elaborazione di una idea di ragione che faccia centro - appunto - sulla criticità. Criticità che P. (l’anno della presentazione ‘ufficiale’ al Congresso di Bologna del t.d.p., va ricordato), indica come problema del fondamento e del fondare, da sottrarre a ogni ipoteca metafisica, anche minimale, e ad ogni ipoteca teoreticistica — «il fondamento sarebbe rilevabile come dato della conoscenza»? —, senza cadere in alcun prassismo come atto di fondazione, riconfermando così un teoreticismo fondazionistico (sia pu- [P., Minazzi, Ragione e storia, Cfr. Cambi, Razionalismo e prassi a Milano, P. Sul concetto di criticità, «Rivista critica di storia della filosofia re risolto in forma prassica). Va invece posto al centro del processo critico «l’inattualismo della prassi», ovvero la «possibilità di fare dell’inattuale e quindi del non-saputo la funzione universalizzante della trasformazione dell’esperienza e dell’attuale»?°: la criticità è un «ideale-limite d'un impegno pratico-puro»*; il che significa un processo di pensiero fondati- vo che rimuove il fondamento ed accoglie l’extrateoretico come matrice e momento-chiave della teoreticità, che su tale esteriorità e su tale apertura si misura nel suo senso e nella sua efficacia. La criticità, per affermarsi nella sua identità verace, deve innestarsi con e nella storicità, deve interagire con e assumere la storia, intesa come prassi sociale, di uomini reali collocati in un tempo reale e in una situazione altrettanto reale e determinata. Questo innesto di t.d.p. e criticità viene a connotare in senso fortemente razionalistico il prassismo di P. (pur lasciando in ombra i suoi rap- porti col marxismo, con la dialettica e la filosofia della praxis, che verranno affrontati più tardi)” e a dare un carattere non-kantiano al suo criticismo, che si nutre piuttosto della lezione hegeliana e di quella deweyana, come dei richiami alla soggettività-in-situazione dell’esistenzialismo. Tra CROCE (si veda), Dewey ed ABBAGNANO (si veda) si viene a descrivere l’orizzonte problematicistico di questa criticità, assai vicina - ma con anche forti caratteri differenziali - a Banfi. Siamo davanti a un criticismo storico-prassi- co e pluralistico-aperto, che gioca audacemente come suo «fondamento» proprio la critica del fondare e il pluralismo del fondamento, fino ad ac- cogliere l’extrateoretico come momento - e cruciale — della fondazione possibile. Siamo davanti anche a una posizione teoretica di largo fascino e di rigore - se pure spesso imbozzolata in lessici post-attualistici e esi- stenzialistico-trascendentali —, di indubbio valore e di notevole forza, che restò - invece — poco operante nella cultura filosofica nazionale, per vari motivi: tecnico-filosofici, culturali, politici (per il ritorno degl’ismi filosofici; per la fine del pluralismo culturale del dopo-Resistenza; per le chiusure neodogmatiche della guerra fredda); ma anche perché lo stesso P. e VASA (si veda) non vollero imprimerle un'accelerazione e un potenziamento e perché assunsero - in modi diversi - l’empirismo a interlocutore fonda- mentale, lasciando in ombra quel faccia-a-faccia della teoresi tra ragione e storia, che era, invece, il lievito e il legato del trascendentalismo della prassi, recuperandolo poi in anni molto lontani da quelli della maturità e per vie aperte anche dal postempirismo, maturando attraverso ragioni e suggestioni da questo sollecitate. Cfr. Cambi, Razionalismo e prassi a Milano, Sul Banfi teorico del razionalismo critico Cfr. PAPI (si veda), Il pensiero di BANFI (si veda), Parenti, Firenze; BANFI (si veda) e il pensiero contemporaneo, Atti del Convegno di studi banfiani (Reggio Emilia), La Nuova Italia, Firenze; Cambi, Razionalismo e prassi a Milano. P. ha diretto la propria indagine storiografica su Hume, visto come maestro dello scetticismo moderno e corretto interprete della sua portata antimetafisica e problematizzante, del suo ruolo di ‘de- costruttore’ della ragione e di appello ai diritti dell’empiria (soprattutto importanti in Hume). In questa scelta agivano ragioni storiografiche (di revisione della storiografia positivistica e di quella idealistica, dimostra- tesi per il filosofo scozzese assai povere; per porre al centro del pensiero humiano quella «scienza della natura umana», di tipo naturalistico, che era in votis nella sua ricerca), ma soprattutto impulsi teorici, sollecitati da quel neoilluminismo rivolto - specialmente con PRETI — a risolvere la ra- gione in organizzazione dei saperi scientifici e in costruzione elaborata a partire dall'esperienza umana e ad essa orientata a ritornare. Proprio in quegli anni P. subiva - come ha ricordato - un avvicinamento con PRETI, visto come interprete critico del razionalismo critico banfiano, che lo sviluppava poi in senso empiristico e strumenta- listico e che assegnava un ruolo cruciale allo scetticismo nella vita dialettica della ragione. Hume, quindi, costituisce una via per affrontare lo scetticismo - indagato poi anche nell’antichità, con Lo scetticismo greco” -, ma anche per rileggere in senso empiristico lo statuto della razionalità, facen- do assumere al criterio-guida della criticità un aspetto più operativo, più tecnico, ma anche più ristretto. Siamo nella fase dell’empirismo critico di P., che manifesta sensibili vicinanze a quello di PRETIi teorizzato, ma con esso non coincidente, e sul quale hanno insistito — giustamente - tanto Rambaldi quanto Minazzi?. Infatti per Rambaldi, e l'amicizia con PRETI ad attuare «una evoluzione di P. che lo conduce a dare uno spazio nuovo alla teoria rispetto alla prassi»? ed a convergere con le posizioni a assunte poi da Preti in Praxis ed empirismo, con un pensiero tendente a risolvere ogni aseità logico-teorica in termini di costruzione empirica, storicamente ma razionaliticamente connotata. Questo empirismo critico, ha scritto Minazzi, è un empirismo consapevole del ruolo e delle funzioni che le strutture (razionali e istintive) svolgono nel pro- cesso costitutivo dell’esperienza stessa. Lo stesso empirismo di Hume si presenta come un modello di questa «filosofia critica, capace di opera- [P, Hume e la scienza della natura umana, Bocca, Milano (la seconda edizione, interamente rielaborata, esce a Bari, da Laterza); P., Minazzi, Ragione e storia, P. Lo scetticismo greco, Bocca, Milano (Laterza, Bari. Cfr. Rambaldi, Ricordo di P., cit.; P., Minazzi, Ragione e storia Rambaldi, Ricordo di P.] re una fondazione aperta dei problemi e delle strutture della esperienza e della cultura che la illumina e l’organizza, quale Hume ha intrapreso nel trattato della natura umana, imprimendo un impianto sistematico alla sua ricerca empiristica. Lo studio delle diverse componenti dello scetticismo storico (Hume, lo scetticismo antico, Autrecourt) esprime sia l’esigenza di una ricomprensione critica della storia del pensiero, capace di ricollocare le diverse forme e fasi dello scetticismo, sia l’obiettivo di cogliere il valore teorico del pensiero scettico: critico in quanto empirico”, in quanto connotato dal realismo, come sottolinea PRETI. Intorno all’empirismo critico P. è tornato più volte negli ultimi venti anni ripercorrendo con cura e sagacia il complesso itinerario e il significato del pensiero di PRETI, mettendo in evidenza il complesso perimetro che lo individua, in cui istanze trascendentalistiche e neopositivistiche si saldano a forti elementi di marxismo e di pragmatismo, come pure la den- sa tensione critica, di continuo approfondimento e di continua revisione che lo ha contrassegnato. Si tratta di un empirismo appunto critico, cioè attraversato da un'istanza criticista e quindi attento a sondare le proprie condizioni di possibilità, ma anche a leggere i propri limiti e ad integrarli con altre tradizioni di pensiero, capaci di salvaguardare ora l'autonomia del teoretico ora la sua funzionalità pratico-sociale e storica‘. P. sottolinea anche, di questo modello di criticità, la sensibile attualità, di cui la pubblicazione degli inediti e delle lezioni di PRETI aveva voluto e vuole essere testimonianza, «prova concreta» di vitalità di una tradizione empiristico-critica a cui noi, per parte nostra, ci sforziamo, sia pure con la nostra modestia e con il nostro volenteroso impegno, di essere, in qualche modo, presenti. La fedeltà a PRETIcorre come una costante in P. e testimonia di una tappa essenziale della sua evoluzione teoretica, quella appunto che è stata definita dell’empirismo critico, contrassegnata da una risoluzione in senso empirico-tecnico della razionalità, piuttosto che in chiave storica. Certamente l’aspetto storico non scompare mai dalla teoresi di Dal Pra, ma si indebolisce, si sfuma nel contorno, per lasciare al centro l’indagine logico-empirica del razionale. Se dovessimo citare alcuni testi che indichino con chiarezza questa presa di posizione in P., non potremmo, forse, individuare alcun testo esplicitamente programmatico di questo mutamento di accento, bensì potrebbe essere indicato tutto il lavoro condotto sulla «Rivista» con i numeri unici dedicati alla tradizione dell’empirismo logico e dello strumentalismo, a Dewey e a Russell, a Car- [P. Minazzi, Ricordo di P. P. Studi sull’empirismo critico di PRETI. P. Minazzi, Ragione e storia] nap e su su fino a VAILATI (si veda). Si tratta di un lavoro imponente non tanto per quantità quanto per qualità, per capacità di approfondimento e per impe- gno teoretico, poiché si tratta sempre di contributi che tendono a sondare gli aspetti di teoreticità di quegli empirismi (critici). Anche RAMBALDI (si veda) sottolinea questo spostamento di accento e di orizzonti nel pensiero dalpraiano in vicinanza col neorazionalismo (o neoilluminismo) e attraverso «una più specifica sensibilità per i problemi di storia della scienza» e una ricollocazione della istanza razionale in ambito empirico-analitico*. Il suo «storicismo critico» storiografico si carica ora di aspetti più nettamente razionalistici e si colloca in più stretta simbiosi con l’empirismo critico di PRETI, per non lasciarlo più come interlocutore-principe della propria ricerca teoretica, anche attraverso gli ulteriori sviluppi di un «ritorno a Hegel» e a Marx e una ripresa (critica) della dialettica, nonché di un richiamo al raziona- lismo critico come reciproca intersezione di ragione e storia che viene a chiudere la traiettoria teoretica di P.. La fase empiristica di P. va considerata più che come una fase in senso proprio (una tappa) come un'istanza che anima da un momento particolare in poi il complesso profilo della teoresi, offuscandone sì altri aspetti, precedentemente più sviluppati e necessari di ulteriori artico- lazioni, ma decantandone altri ancora e evidenziandoli come momenti centrali e fondanti. In tal senso, però, questa fase si manifesta come una crescita irreversibile della teoresi critica di P., come funzionale al suo radicalismo e alla sua capacità costruttiva nell’esperienza, come un nucleo costitutivo, anche se niente affatto finale. Infatti, dopo questo approdo dal trascendentalismo della prassi a un empirismo critico, la ri- flessione teoretica di P. si rimette in marcia, muove verso ulteriori orizzonti, incontra Hegel e Marx, esige un confronto con la dialettica e della dialettica con l’epistemologia per attuare non solo il recupero di un versante della teoreticità sacrificato dall’empirismo (anche critico) nella sua sordità storicistica (se pure non alla storia vista come processualità), ma anche una rifondazione più critica, più radicale della teoresi. Nei secondi anni Cinquanta non si assiste in P. a una riduzione empiristica della criticità - come in parte invece si assiste nel suo referente principe: in Preti, però all’istanza critica viene fatta assumere una curvatura empiristica che la emancipa da ipoteche postidealistiche e an- cora teoreticistiche e la immerge sul terreno delle tecniche di razionalità, come pure - tuttavia - la riduce nella sua portata più radicale, nella sua capacità metacritica, in quanto capace di collegare la teoresi all’extrateoretico, al tempo sociale o storia che l’empirismo lascia, necessariamente, ai margini nei suoi aspetti genealogici e decostruttivi, nelle sue capacità [Sul lavoro della «Rivista di storia della filosofia» cfr. P., Minazzi, Ragione e storia, e Cambi, Razionalismo e prassi a Milano. Cfr. Rambaldi, Ricordo di P.] di dissolvere aseità e di mostrare le ‘impurità’ delle genesi. Quello di P. è un empirismo ‘senza miti’, siano essi l’Analisi o la lingua o la verificazione (presenti, invece, ancora in Preti), che lavora con una nozione plastica d’esperienza, storicizzata, esistentiva, aperto alla propria autocritica, assunto come canone e non come fondazione, che sottolinea le ragioni critiche e costruttive dell’empirismo e le impone come essenziali per la crescita della teoresi, tali lo strumentalismo e l’anti-metafisica, la costruttività della conoscenza e il dinamismo dell’esperienza: un empirismo strumentale che è un momento della teoresi critica, e come tale necessario, ma che non rappresenta affatto né la sua interezza né il suo traguardo. P. stesso ci ha detto come e perché è arrivato a un recupero della dialettica e cosa abbia significato questa ripresa dello storicismo attraver- so Hegel e Marx. Alla base sta «la questione decisiva e aperta del rapporto tra teoria e prassi, ragione e storia, che sottrae la conoscenza a ogni sussistenza autonoma e la sottopone a un'indagine critica che ne dissolve l'assolutezza di sostanziale carattere metafisico, facendola incontrare con la prassi, attraverso l’incontro con Marx e con Dewey, visti come correttori ma anche continuatori di Hegel. Anzi, nota P., sentivo l’esigenza di collegare in qualche maniera lo strumento conoscitivo ad una dimensione della razionalità concreta», quella illuminata da Marx e da Dewey, relativa al rapporto che si viene ad instaurare tra la dimensione logica del pensiero e il tessuto concreto dell’esperienza, tra la configurazione astratta delle interpretazioni teorico-ideali del mondo e la dimensione della prassi. Di qui l’esigenza di ripensare la transazione e la dialettica come stru- menti concettuali capaci di leggere in modo interattivo la teoria e la prassi, la ragione e la storia. Ma è soprattutto «lo studio della dialettica» che «si presentava come più interessante proprio perché era ricco di una complessa tradizione di pensiero» e perché ricomprendeva anche la transa- zione deweyana. Preti, Praxis ed empirismo, Einaudi, Torino e Id., Il mio empirismo critico, in Saggi filosofici, I, La Nuova Italia, Firenze. P. Minazzi, Ragione e storia, P., Presentazione, in Dewey, Bentley, Conoscenza e transa- [Lo studio delle mediazioni tra ragione e storia — che ritorna così, come abbiamo detto, al centro del pensiero di P. - si compie in una direzione più operativa, più legata a tecniche di razionalità, più segnata dalle esigenza di un empirismo critico, rispetto alla fase del «trascendentalismo della prassi, ma ne rinnova e ne sviluppa l’istanza fondamentale. E la dialettica si pone esplicitamente su questo terreno di mediazione tra cono- scenza e prassi, e prassi storica in particolare. È lo strumento più maturo per pensare questa mediazione, anche perché dotato di una ricca tradizione storica che ne ha approfondito le strutture e il significato. Anche Rambaldi riconosce l’importanza del rapporto Hegel-Marx per comprendere P. che svolge una indagine, sorretta dallo storicismo critico e condotta sull’ismo della ‘dialettica’ come struttura formale» in Marx, ma non solo in Marx (anche in Hegel, attraverso Marx, e in Dewey, attraverso Hegel)”. La scelta di Marx non è causale: nasce dalla volontà di adire una dialettica non-speculativa, antiteologica (non-metafisica), nutrita di referenti empirici e attivi nella comprensione dell’esperienza, quindi risolta in senso strumentale e niente affatto ontologico. Il Marx di P. - come molto Marx, da quello di CORNU (si veda) a quello ‘galileiano’ di VOLPE e - è un Marx che opera la rivoluzione cognitiva più radicale della modernità, innestandola nella prassi, rivolta a sussumere la prassi nel tessuto logico-organistico della dialettica, come scrive Rambaldi. Il Dewey ‘dialettico’ di P. trova poi una precisa definizione nel saggio su Dewey e il pensiero di Marx come poi - molti anni dopo - nella introduzione a Conoscenza e transa- zione di Dewey e Bentley”. In ambedue i casi è la vicinanza/distanza da Hegel che viene a sottolineare l'aspetto empirico e cognitivo della dialet- tica e il suo sostanziarsi di caratteri prassici, in quanto capace di cogliere i nessi tra teoria e storia, tra conoscenza e tempo storico. Esce da Laterza il volume su La dialettica in Marx, fino all’opera che studia il configurarsi di una dialettica empirico-epistemica nella riflessione svolta fino a Per la critica da Marx e che è erede e correttrice a un tempo della dialettica hegeliana, sia pure con oscillazioni e pentimenti. L'incontro con Marx si faceva centrale poiché - pur mantenendo un ruolo autonomo alla teoria, una «relativa autono- zione, La Nuova Italia, Firenze; ma anche Id., Dewey e il pensiero del giovane Marx, «Rivista di filosofia. Rambaldi, Ragione e storia. Su Marx cfr. Il marxismo italiano degli anni Sessanta e la formazione teorico-politica delle giovani generazioni, Editori Riu- niti, Roma, VOLPE, Logica come scienza storica, Editori Riuniti, Roma; A. Cornu, Marx e Engels dal liberalismo al comunismo, Feltrinelli, Milano; Rossi, Marx e la dialettica hegeliana, I e II, Editori Riuniti, Roma. Sull’importanza di Dewey nel pensiero di P. cfr. Rambaldi, Ricordo di P.] mia della teoria nei confronti della prassi» (ha detto Rambaldi)” - attiva anche una ripresa dello studio del nesso che deve correre tra ragione e storia e che nella dialettica trova il proprio dispositivo fondamentale. L’opera su Marx ha quindi un preciso connotato cognitivo e una funzione in qualche modo programmatica, aspetti che superano de- cisamente il suo pur importante e significativo impegno di ricostruzione e interpretazione storica. Il primo elemento sottolineato da P., intorno alla dialettica marxia- na, è il suo forte legame con la dialettica di Hegel e che, «se la dialettica è sempre presente nelle pagine (di Marx), dalla Tesi di dottorato al Capitale, non è ovunque presente allo stesso modo e con una formulazione rigoro- samente identica, ma viene scandita secondo diverse fasi: «il metodo dia- lettico è largamente presente nei primi scritti di Marx, assunse poi una posizione nettamente diversa e fortemente critica nei riguardi della dialettica, nella Sacra famiglia, nell’ideologia tedesca e nella Miseria della filosofia, per poi tornare esplicitamente a una rivalutazione della Logica hegeliana e del metodo dialettico nell’Introduzione, fino a Perla critica”. Si tratta però di una dialettica antidealistica, ripensata in termini realistici, ma non ontologistici o scientifici (alla Engels). Marx guarda, in particolare, a una fondazione empiristica dalla dialettica e a un suo uso empirico-critico e storico; essa è uno strumento pratico per una descrizione concreta delle condizioni in cui si svolge l’attività umana» e tale «processo fondato in modo pragmatico-fattuale diverrebbe strumento utile perla elaborazione di un discorso scientifico nell’ambito del sapere storico», che ne indichi la processualità e il senso. La dialettica è in Marx uno strumento limitato di analisi applicabile con frutto ad un complesso determinato di fatti, ma che anche mantiene oscillazioni e qualche regressione (verso Hegel). In Marx è all’opera quella nuova logica che riguarda la fondazione empiristica della dialettica e che collega divenire storico e concetto, ma sempre per via ipotetica ed euristica, senza necessità a-priori. Dietro queste affermazioni sta il marxismo empiristico di PRETI espresso nell’opera, ma ci sta anche la ripresa di quel razionali- smo critico anni Quaranta-Cinquanta che viene ricondotto - anche nel suo nucleo più problematico: il nesso teoria/prassi o ragione/storia — verso terreni analitici, assumendo la dialettica a strumento cognitivo-principe di queste mediazioni. Ma una dialettica risolta in puro strumento cognitivo, sottratta a ipoteche ontologiche e speculative, ancora presenti nella stessa tradizione marxista, nella «dialettica della natura» e nelle formula- zioni del Diamat. Così «la nuova filosofia» di Marx assumeva «caratteri di grande interesse proprio per chi fosse interessato a considerare in modo [P. La dialettica in Marx, Laterza, Bari] particolare il rapporto che può instaurarsi tre le strutture della razionalità e il mondo della prassi. E Marx su questo terreno è una buona guida, perché fa un uso «euristico» della dialettica, attraverso anche i numerosi richiami all’esigenza di mettere sempre capo a riscontri empirici sicuri, alla rivendicazione della base sensibile dell’esperienza e alla necessità di sottoporre sempre il piano teorico al riscontro puntuale dell’esperienza. Assunta la dialettica in questi termini cognitivi, si tratta poi di innestarla nel circuito tecnico del pensiero epistemologico contemporaneo, mostrando la funzione di interazione (critica) che essa esercita e di correzione alle ipostasi analitiche (attuando una critica dell’epistemologia), ma anche quella di estensione critico-analistica su terreni come la storia - che sfuggono alla sola logica analitica, richiamandosi in questa operazione al lavoro del marxismo critico per tradurre il movimento della dialettica in ‘schema empirico’. Non si tratta, certo di superare il metodo scientifico bensì di integrarlo e di assumerlo in forma critica, rivivendone le istanze in ambiti differenti con metodologie differenti. La dialettica si fa una di quelle tecniche dell’intelletto che devono rendersi operative per attuare un approfondimento» della «istanza della criticità». Così P. ritorna - ma in forma più ricca e matura - verso il razionalismo critico degli inizi del suo pensiero (laico), riconfermando al centro la nozione di criticità, innestando questa nella relazione tra ragione e storia, ma dispiegando questo nesso - attraverso la dialettica - in modo empirico, analitico-critico, mostrando la puntuale, concreta interferenza tra conoscenza e prassi, tra l'autonomia teoretica e il terreno della storia e della prassi. Nell’intervista P. riconosce con precisione questa sua unitaria vocazione teoretica. Più che ad una corrente del pensiero contemporaneo nel corso del- la mia ricerca e delle lezioni universitarie ho cercato di dare rilievo ad un problema concernente il nesso tra lo sviluppo storico e la struttu- ra teorica che mi è sembrato farsi strada verso correnti diverse confi- gurandosi in molteplici modi. Il suo chiarimento mi ha poi indotto a prestare attenzione particolare alle differenti fasi del pensiero critico, riconoscendo in esso il volano stesso del pensiero e del pensiero occidentale in particolare. Ed è intorno al nesso ‘attivo’ di teoria e prassi che si gioca — oggi - il destino della criticità, torna a ricordarci P. P., Minazzi, Ragione e storia. La ricca e complessa parabola che il razionalismo critico vive nella rifles- sione di P. si caratterizza come una sua crescita concentrica, intorno ad un nucleo forte e stabile (il nesso teoria/prassi o ragione/storia) che, però, viene articolandosi secondo accenti diversi (ora sottolineando il ruolo della prassi ora quello della teoria ora il loro equilibrio e/o reversibilità). In questo processo si dispiega un modello critico (autocritico/metacritico) di teoresi che si salda a una prospettiva stabile, ma al tempo stesso la dispiega in tutta la sua variegata problematicità, in tutto il suo iter di sviluppo e di approfondimento. La lezione teoretica di P. si innesta così al centro del problema teoretico contemporaneo, legandosi alla volontà di pensare una ragione che coglie le sue stesse radici/implicazioni extrateoretiche, che esce dalla sua purezza/aseità per definirsi come strumento e come strumento pratico e che intorno alla sua valenza pratica deve costantemente interrogarsi e definirsi. Aspetti tutti che travagliano e strutturano la riflessione contemporanea. Siamo davanti quindi a una ripresa dello storicismo, risolto nella forma critica e nel suo nucleo più radicale alla luce di una criticità aperta e consapevolmente aperta, che si gioca intorno all’interrogazione fondativa e la risolve in senso storico-empirico come costruzione di processi razionali a partire da una particolare condizione storica, tramata di problemi concreti e determinati. Lo storicismo critico di P. è, in realtà, un razionalismo critico che viene sviluppandosi attraverso un empirismo critico, per approdare a un potenziamento analitico della stessa criticità, conducendola oltre il suo carattere esigenziale o programmatico e connettendola invece a precise tecniche di razionalità (come la dialettica). Tutto questo colloca P. in una significativa zona di confine tra neoilluminismo e neostoricismo - tra PRETI e GARIN potremmo dire? -, annodando insieme le due anime del neorazionalismo postbellico, nel quale la sua posizione filosofica nettamente si colloca e nel quale viene a ricoprire un ruolo di punta e una funzione di continuità. Ruolo di pun- ta poiché pone faccia a faccia Analisi e Storia, le media reciprocamente, riprendendo le più deboli e parziali mediazioni di PRETI (si veda) e di GARIN (si veda) (negli opposti fronti) e conducendole verso esiti di connessione più intima e più tecnica (attraverso la dialettica, che non a caso resta marginale tanto in Preti quanto in Garin, dal punto di vista strettamente logico-cognitivo). Funzione di continuità, poiché Dal Pra ha continuato a riflettere intorno al nucleo del neoilluminismo, trasportando le sue istanze teoretiche in una nuova stagione filosofica e, quindi, aggiornandone la voce ma ricon- fermandone la prospettiva, sia pure allargata e sofisticata. Si è trattato, in breve, di una crescita del razionalismo critico che lo ha contrassegnato sia dal punto di vista tecnico e cognitivo, arricchendone [Cfr. PRETI, Praxis ed empirismo, cit., e GARIN, La filosofia come sapere storico, Laterza, Bari] LA FEDELTÀ ALLA RAGIONE STORICA E CRITICA] e determinandone le procedure razionali, sia dal punto di vista teoretico generale (o filosofico), fissandone il connotato di criticità e la dimensione aperta del suo lavoro critico, che si contrassegna, anche, come controllo costante dell’itinerario di criticità (quindi come metacritico). Ora - però - è proprio su questo fronte della criticità e della sua aper- tura che possono essere colte anche le timidezza o le eventuali chiusure del razionalismo critico di P. E prima di tutto le sue chiusure rispetto alle ultime voci della filosofia critica e della stessa ricerca di mediazione tra ragione e storia, tra pensiero e tempo, rappresentate dalla filosofia at- tuale, specialmente dalla ermeneutica critica e dalla sua doppia identità della decostruzione e dalla interpretazione, in quanto capace di riafferrare il faccia a faccia tra teoria e storia e di sondarne gli intrecci, le filiazioni, i nessi cognitivi, immaginativi e pratici. Accanto all’ermeneutica anche la teoria critica dei francofortesi appare assai sullo sfondo®, nel lavoro filosofico di P., non recepita nella sua base metacritica e nella sua volontà di liberalizzare la dialettica e di ricondurla al suo puro (e vero) iter cognitivo. Eppure tanto l’ermeneutica quanto la teoria critica hanno procedu- to avanti nell’ambito di una storicizzazione del pensiero, di una revisione storico-critica della ragione e di un suo potenziamento non-formalistico. Entrambe poi hanno sondato le matrici extrateoretiche della ragione e il suo stretto e problematico legame con la prassi (sia etica sia politica). Purtuttavia l’attenzione di Dal Pra per queste frontiere della teoresi con- temporanea è stata - nel complesso - esile. Tutto questo ha un'origine e un senso, ma anche un costo. L'origine del silenzio/disinteresse nasce da quel collocarsi di Dal Pra nell’ambito del neoilluminismo, cioè in un modo di fare filosofia cha muove dalla ragione e che l’assume come prospettiva fondamentale, sen- za pensare come utile e come possibile una sua destrutturazione radicale e una decostruzione in senso nietzschiano o heideggeriano (Nietzsche e Heidegger sono, infatti, i ‘grandi assenti’ nel pensiero filosofico di P.: nell’intervista Nietzsche non viene mai citato né lo è Heidegger), una sua ricomprensione ermeneutica. Così, tutto ciò produce anche un silenzio intorno ad altre procedure critico-razionali - come il Verstehen, il comprendere- capaci di pensare la non-aseità del teoretico, di ricollo- carlo nelle sue origini storiche e di ripensarlo intorno al proprio senso. I costi sono evidenti: la criticità - pur assunta come aperta — viene fermata nel suo processo metacritico e nella sua radicalizzazione, ancorandola ad un ambito storicistico inteso in senso un po’ pragmatista, come dialogo tra teoria e prassi e non come lavoro decostruttivo/ricostruttivo del senso storico del loro rapporto e quindi dell’uso teoretico della tradizione (ei- detica e linguistica) che facciamo in questo campo quando assumiamo come guida l’intersezione (reciproca) di ragione e storia. Certo sono co- sti storici che non limitano affatto l’itinerario teorico dalpraiano e il suo et Cfr. P. Minazzi, Ragione e storia] significato attuale, ma indicano anche un compito oltre di esso: di fare i conti - in quella interazione (reciproca) - anche con gli appositi dell’er- meneutica critica, in particolare, che proprio su quella medesima ‘lun- ghezza d’onda'’ si è esercitata, se pure con procedure assai diverse rispetto al razionalismo critico”. Con tutto questo niente viene tolto al significato teorico e storico del lavoro di Dal Pra: alla sua fedeltà alla ragione, anzi ragione critica, anzi ad una criticità aperta, ma che conferma al centro un suo nucleo storico- teorico essenziale (ripetiamo ancora: il nesso problematico e tensionale tra ragione e storia) e lo impone come asse del pensiero contemporaneo, come un po’ il suo ‘osso di seppia’ e la sua sfida ancora incompiuta. E pro- prio in questo richiamo prende corpo l’attualità di P., connessa alla funzione che il suo razionalismo critico non ha ancora finito di esercitare: funzione di memento teoretico e di exemplum critico e analitico-critico. La lezione filosofica di P. - pur nei suoi confini, pur con gli inevita- bili limiti storici - viene oggi a sfidare proprio quei neodogmatismi che in molti territori della filosofia vengono a prendere corpo, e partendo del- le scienze assunte come modello ne varieteur di razionalità o dal rilancio della metafisica, come ‘sapere dell’inizio’ e del fondamento, o dalla set- torializzazione tecnica e tecnologica della filosofia che la depriva proprio della sua generalità e quindi della sua radicalità. Dal Pra con la sua densa ed esemplare lezione teorica, consegnataci anche nella rivisitazione fattane con Minazzi in limine vitae, ci aiuta a resistere alle sirene di una teoreticità che vuole - per molte vie — ricostruire approdi sicuri, certezze confortanti e quel «mondo della sicurezza» che le filosofie del Novecento - come ben vedeva Dal Pra - hanno dissolto per sempre e al cui posto hanno collo- cato una teoresi inquieta che vuole interrogare se stessa e il proprio costi- tuirsi, che intende pensarsi in modo autentico e radicale, e criticamente radicale, partendo proprio dal traguardo storicamente raggiunto nel suo processo - tipicamente occidentale — di progressiva problematizzazione e spostando oltre di esso la frontiera dell’indagine critico-radicale. Per la teoreticità ermeneutica cfr. Gadamer, Verità e metodo, Fabbri, Mi- lano 1972 e L. Pareyson, Verità e interpretazione, Mursia, Milano; Vattimo (cur.), Filosofia, Laterza, Roma-Bari. Cfr. P., Filosofi del Novecento, cit. e Id. (cur.), Storia della filosofia, Milano, Vallardi. Mario Dal Pra. Pra. Keywords: hegeliani, storiografia della filosofia antica, la filosofia antica, la filosofia italica antica, la filosofia romana, la filosofia romana antica, Antonino, Crotone, Velia, Filolao, Vico, Croce, la storia della filosofia, filosofia della storia della filosofia, storiografia filosofica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pra” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Prepone: la ragione conversazionale e il principio conversazionale – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. According to Ippolito di Roma, a pupil of Marzione. He argues that, in addition to there being a principle of good and a principle of evil, there is a third intermediate principle of justice. Grice: “Only I don’t multiply principles beyond necessity, since ‘principle’ means ‘1’!”

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Prepostino: la ragione conversazionale del divino di Romolo – Roma – filosofia lombarda -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Cremona). Filosofo italiano. Cremona, Lombardia. Summa theologica, Manichean, caraterismo. Prepostino.

 

Luigi Speranza -- Grice e Prestipino: all’isola -- la ragione conversazionale -- conversazione e ragione in Vico -- per una antropologia filosofica – filosofia siciliana -- filosofia italiana – filosofia siciliana -- Luigi Speranza (Gioiosa Marea). Filosofo italiano. Giosiosa Marea, Messina, Sicilia. Insegna a Siena. Studia il socialismo, marxismo ed estetica. Saggi: “La teoria del mito e la modernità di VICO (si veda)” (Palermo, Montaina); “L'arte e la dialettica in VOLPE (si veda)” (Messina, D'Anna); “Che cos'e la filosofia: strutture e livelli del conoscere” (Gaeta, Bibliotheca); “Per una antropologia filosofica: proposte di metodo e di lessico” (Napoli, Guida); “Marxismo (e tradizione gramsciana – GRAMSCI (si veda) -- negli studi antropologici,  Natura e società” (Roma, Riuniti); “Da GRAMSCI (si veda) a Marx” (Roma, Riuniti); “Modelli di strutture storiche” (Bibliotheca, Narciso e l’automobile, La Città del Sole, Realismo e Utopia” (Roma, Riuniti); “Tre voci nel deserto: Vico, Leopardi, Gramsci” (Roma, Carocci); Scheda su Aracne, Da una sponda all’altra del mediterraneo: memorie di militanza comunista. Intervista a P.. Art. in: Historia Magistra. Rivista di storia critica, Risorgimento e dialettica storica in Gramsci, dal Calendario del Popolo Autori Aracne. Giuseppe Prestipino. Prestipino. Keywords: antropologia filosofica, Vico, Volpe, Gramsci,  Narciso e l’automobile, Leopardi. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Prestipino” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Pretestato: la ragione conversazionale del Giove del Campidoglio – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. He achieves high office under Giuliano. He writes a commentary of Temistio – Accademia. Vettio Agorio Pretestato.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Preti: la ragne conversazionale, la retorica conversazionale, e la logica conversazionale – la scuola di Pavia -- filosofia lombarda -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Pavia). Filosofo italiano. Pavia, Lombarida. Grice: “I like Preti. He wrote “Retorica e logica,” which I enjoyed since this is what I do: I find the rhetoric (the implicature) to the logic (the explicature).” Grice: “Preti was a bit of a Stevensonian, with his ‘Praxis ed empirismo, and I mean C. L. Stevenson, not the Scots master of narrative!”. Studia a Pavia sotto LEVI, VILLA e SUALI. Studia Husserl. Insegna a Pavia e Firenze. I suoi saggi nella rivista banfiana "Studi Filosofici", lo vedeno coinvolto in una polemica sull'immanenza e la trascendenza. In “Fenomenologia del valore” (Principato, Milano) e “Idealismo e positivismo” (Bompiani, Milano) emerge con evidenza quell'impostazione tesa a conciliare istanze razionalistiche ed empiristiche. In “Praxis ed empirismo” (Einaudi, Torino) presenta in maniera relativamente organica, per quanto rapidamente, alcuni temi al confine tra pensiero teoretico, filosofia morale e filosofia politica. “Retorica e logica: le due culture” (Einaudi, Torino) è un saggio a cavallo tra la ricostruzione storico-filosofica e il saggio teoretico, con il quale si intende dimostrare, prendendo le mosse dalla polemica aperta da C. P. Snow, l'inconciliabilità tra le due forme di cultura che si intrecciano nel dibattito occidentale, quella logico-scientifica e quella umanistico-letteraria, e la necessità di far prevalere la prima sulla seconda al fine di non cedere a nuove forme di oscurantismo elitario e fanatico. Inoltre, affianca costantemente alla propria attività di autore quella di curatore di classici del pensiero filosofico.  Il suo stile, volutamente trascurato, è rapido, nervoso e semplice, in implicita polemica con il bello scrivere e l'ermetismo tipico delle scuole idealistiche italiane. Tenta trovare una via alternativa al rapporto fra un pensiero unitario e inglobante -- di tradizione hegeliano-crociana -- e uno invece dualistico, nel distinguo fra saperi umanistici e scientifici. Il rifiuto di una strenua dicotomia non deve annullare bensì esaltare le differenze. Altri saggi: “Linguaggio comune e linguaggi scientifici” (Bocca, Milano); “L’universalismo” (Bocca, Milano); “Alle origini dell'etica contemporanea:  Smith, Laterza, Bari); “Storia del pensiero scientifico, Mondadori, Milano); “Che será, será” (Firenze, Fiorino); “Umanismo e strutturalismo: saggi di estetica” (Liviana, Padova); “La scessi e il problema della conoscenza, “Rivista critica di Storia della Filosofia”, “Saggi filosofici” (Nuova Italia, Firenze); “In principio è la carne” (Angeli, Milano); “Il problema dei valori: l'etica di Moore” (Angeli, Milano); “Flosofia della scienza” (Angeli, Milano); “Morale e meta-morale. (Grice: “moralia e transmoralia”); “Saggi filosofici inediti” (Angeli, Milano);  L'esperienza insegna: saggi civili d sulla Resistenza” (Manni, San Cesario, Lecce); In principio è la carne, Scarantino, "Rivista di Storia della Filosofia", Notizie sull'operosità scientifica e sulla carriera didattica, Minazzi, "Il Protagora"; Filosofare onestamente, andando là dove il pensiero ci porta. Lettere a GENTILE; Minazzi, "Il Protagora", Ci terrei tanto a venire a Firenze. Lettere a GARIN, Minazzi, "Il Protagora", Qui a Firenze si muore nel silenzio e nella solitudine. Lettere a PRA, Minazzi, "Il Protagora". Franzini, Il mito delle due culture e la filosofia dei giornali, in "La Tigre di Carta", Zanardo,  Enciclopedia Italiana, Appendice, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Minazzi, P. (Angeli, Milano), Pra, Studi sull'empirismo critico”, Bibliopolis, Napoli, Lecis, Filosofia, scienza, valori: il trascendentalismo” (Morano, Napoli); Minazzi, Filosofia (Angeli, Milano); Minazzi, “L'onesto mestiere del filosofare” (Angeli, Milano); Minazzi, “Il caco-demone neo-illuminista. L'inquietudine pascaliana di reti” (Angeli, Milano); Peruzzi, Filosofo europeo (Olschki, Firenze); Parrini e Scarantino, “P.” (Guerini, Milano); Tavernese,  P.: la teoria della conoscenza: in principio è la carne, Firenze Atheneum, Scandicci, Scarantino,  La costruzione della filosofia come scienza sociale (Mondadori, Milano); Minazzi, Suppositio pro significato non ultimato. G neo-realista logico studiato nei suoi saggi inediti (Mimesis, Milano) Minazzi,  Le opere e i giorni. Una vita più che vita per la filosofia quale onesto mestiere, Mimesis, Milano  Cambi, Mari, Intellettuale critico e filosofo attuale (Firenze); Il contributo italiano alla storia della filosofia, Filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia,  Minazzi e Sandrini, Il razionalismo critico europeo, Mimesis, Milano. Minazzi, Sul bios theretikòs (Mimesis, Milano); Maria, Un punto di vista cattolico (Stamen, Roma); Franzini, Il mito delle due culture e la filosofia dei giornali. Nuovo Politecnico 17 Einaudi 1968, 3? ed., 1974 GIULIO PRETI RETORICA E LOGICA Le due culture C. L. 350-9 In questo, che  il suo pi recente libro, Giulio Preti, prendendo occasionalmente le mosse dalla celebre polemica delle due cul- ture, supera l'aspetto polemico e pragmatico della questione stessa e tenta di mettere in rilievo una struttura antinomica della nostra civilt occidentale: antinomia che si rispecchia profonda- mente nei modi di persuadere, dimostrare e provare, i quali volta per volta si richiamano o al concreto dei rapporti umani o ad un puro ideale di verit, a quello che giudichiamo sarebbe meglio credere, oppure invece a quello che pensiamo di dover oggettiva- mente pensare, al rispetto per la tradizione e per i nostri maggiori oppure al rispetto di ci che  vero... Variando le coppie antino- miche, lautore ravvisa la medesima forma di antinomia nella po- lemica tra umanesimo e scienza moderna, tra retorica e logica, tra cultura valutativa-normativa e pensiero scientifico avalutativo. Fedele alla sua ispirazione fondamentalmente scientifica, lautore prospetta le antinomie, ma non sceglie: la scelta  implicita nel- limpianto stesso della ricerca. Giulio Preti (1911-1972), laureato in filosofia nel 1933,  stato molti anni vicino ad A. Banfi, collaborando attivamente a Studi Filosofici. Altre espe- rienze lo hanno poi definitivamente allontanato dal pensiero banfiano, del quale ha per conservato una certa impronta kantiana e latteggiamento anti- dogmatico. Per circa vent'anni ha insegnato Storia della Filosofia e Filosofia allUniversit di Firenze. Tra le sue opere: Idealismo e Positivismo (Bom- piani, Milano 1943); Alle origini delletica contemporanea (Laterza, Bari 1957); Praxis ed empirismo (Einaudi 1957; 2 ed. 1967). Nuovo Politecnico 17 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino P. RETORICA E LOGICA Vecchia, forse quanto la civilt europea stessa, la polemica delle due culture  letteraria e scientifica. Ma attualissima oggi, in questo momento di crisi di tutti i valori e di perplessit morale, in cui tutti coloro che esercitano una qualunque attivit intellettuale  filosofi, scrittori, artisti  sembrano arrestarsi a chiedersi che cos' quello che essi professano di fare, e perch, e chi sono loro, loro che si dicono filosofi o scrittori o artisti... Attualissima oggi, che una gloriosa ma vetusta civilt, premuta dalle giovani barbarie dellEst e dell'Ovest, si vede costretta a ripiegarsi su se stessa, a fare i conti di cassa. Questa nostra vecchia civilt, il cui unico patrimonio si teme non sia altro che una eredit fatiscente e ipotecata, una tradizione che sembra oramai non aver altro presti- gio che quello della canizie, deve ora fare, appunto, lin- ventario di quella tradizione; deve fare i conti con la sua storia e con ci che in essa  vivo o morto in questo pre- ciso momento. Di questa tradizione fanno parte una ricca eredit let- teraria, una gloriosa storia della scienza: luna e laltra, nei millenni, hanno dato, a volte in cooperazione, pi spesso in discordia, il carattere e il volto a quella che an- cora si chiama civilt europea, e non si sa per quanto ancora continuer a chiamarsi cos. Letteratura e scienza: due forme, due atteggiamenti, che a lungo si sono conte- si il primato nella nostra cultura, e che entrambe hanno preteso di caratterizzarla; e che ora si trovano ancora di fronte, forse per lultima volta, nel grave momento storico in cui sembra decidersi se la civilt europea debba continuare a vivere, oppure debba voler morire. Per questo il noto saggio di Snow ha avuto tanta fortuna, e l’onore di tanti commenti, tante discussioni, tante traduzioni, fra cui una italiana. In realt  un brutto libro, arbitrario, superficiale, in cui un tema cos importante  stato impostato e trattato con una disinvoltura giornalistica che non meritava. Nonstar ad esporre il libro, anche troppo noto. La tesi di partenza  molto semplice:  Sono convinto che la vita intellettuale, nella societ occidentale, si va sempre pi spaccando in due gruppi contrapposti ... Due grup- pi antitetici: a un polo abbiamo i letterati, che come per caso, senza che nessuno se ne accorgesse, cominciarono ad autodefinirsi intellettuali, quasi che non ce ne fossero altri... Letterati a un polo e scienziati allaltro, i pi rap- presentativi dei quali sono i fisici  . Due gruppi che  e questa , secondo Snow e tutti coloro che sono poi inter- venuti nel dibattito, la calamit pi grossa  non comuni- cano, si ignorano, a volte si disprezzano. Gli scienziati hanno un ottimismo, che ai letterati sembra superficiale e ignorante  ignorante della immanente tragicit della si- tuazione umana. Ma lo Snow osserva:  vero, la situa- zione umana  tragica, e questo lo sappiamo tutti; ma non  detto che in ogni caso non ci si possa far niente:  Per la maggior parte delle persone di profondo senti- re, per quanto coraggiose e felici, e qualche volta soprat- tutto per quelle pi felici e pi coraggiose, quel senso del- la condizione tragica sembra costituzionale, parte del pe- so della vita. Questo vale per gli scienziati che ho meglio conosciuto, come per chiunque altro.  Ma quasi tutti  ed  qui che veramente si manifesta il colore della speranza  non vedrebbero alcuna ragione perch, proprio per il fatto che la condizione individuale ! Mi riferisco all'ultimo: The Two Cultures and a Second Look, 1963; trad. it., Le due culture, Milano 1964. Le citazioni saranno tutte dalla sud- detta traduzione italiana. 2 pp. 5e6.  II  tragica, lo debba essere anche la condizione sociale. Cia- scuno di noi  solo; ciascuno di noi muore solo: bene,  un destino contro il quale non possiamo lottare  ma nel- la nostra condizione ci sono molte cose che non dipendo- no dal destino, e se non lottassimo contro di esse sarem- mo men che uomini  . Ed ecco la tesi principale dello Snow: latteggiamento dei letterati  conservatore, o peggio. Essi non sentono, spesso avversano, le speranze sociali. La miseria, la fame, il bisogno di ci che si suol chiamare, filisteicamente, progresso materiale, di molte classi, di molti popoli po- veri e poverissimi, li trovano indifferenti, quando non ad- dirittura ostili. Gli scienziati invece inventano e affina- no gli strumenti per la lotta contro i mali rimediabili del- l'umanit, contro la fame, la miseria, le malattie: sono ot- timisti e, in generale, progressisti. Non si possono sottovalutare i bisogni elementari quando i propri sono stati soddisfatti ma quelli degli al- tri non lo sono stati ancora. Agire in tal modo non signi- fica fare sfoggio della propria superiorit spirituale. Si- gnifica semplicemente essere disumani, o pi esattamente antiumani.  Era questo, di fatto, secondo le mie intenzioni, il cen- tro dellintera argomentazione. Prima di mettermi a scri- vere la conferenza, avevo intenzione di intitolarla I ric- chi ed i poveri, e sarebbe stato meglio non cambiare opi- nione.  La rivoluzione scientifica  il solo metodo in virti del quale la maggior parte degli uomini pu raggiungere le cose di primaria importanza (anni di vita, libert dalla fa- me, sopravvivenza dei fanciulli), quelle cose di primaria importanza che noi consideriamo ovvie e naturali, ma che in realt abbiamo conquistato attraverso la nostra rivolu- zione scientifica da tempo non poi cosi immemorabile  . E finalmente, ma le due cose sono strettamente connes- se, mentre i letterati sono individualisti, pieni di pregiu- dizi sociali e razziali (a cui spesso hanno dato appoggio nei loro scritti), gli scienziati, abituati al lavoro in grup- po, sono assai scevri da tali pregiudizi, si sentono di col- laborare con ogni uomo (o con ogni collega? ), qualunque ne sia lorigine sociale o il colore della pelle. 2. Questa dunque la tesi-base della conferenza-libro dello Snow. Dove, in primo luogo,  evidente, almeno per noi non-inglesi, lesagerazione della spaccatura. Molte co- se che dice Snow valgono per l'Inghilterra  o forse solo per lUniversit di Cambridge? Da noi (e non solo in Ita- lia, ma anche in Francia, negli Stati Uniti, e forse anche altrove) le cose sono un po diverse. Certo, tutti conosciamo la stupida ignoranza scientifica di molti letterati  e dico stupida, perch quasi quasi se ne gloriano, ne fanno una civetteria, come se lasinaggine potesse mai essere un pregio. Ma qui  ancora pi deplo- revole lignoranza scientifica... degli scienziati. La scien- za moderna richiede, e quindi alleva, molti proletari della ricerca o savants btes (come li chiama A. Huxley sulla scia di V. Hugo): piccoli ricercatori senza cultura e senza luce, Bavavoor della ricerca scientifica in laborato- rio, le cui micro-ricerche si compongono poi nei grandi quadri scientifici che trascendono la loro intelligenza e la loro cultura. Molti di loro riescono poi a salire in cattedra  ahim: e, se pure possono educare qualcuno, educano soltanto degli altri Bavavoor, che quando verr il loro turno saliranno in cattedra. Fuori del loro Istituto, smettono di pensare, e ricadono immediatamente al livel- lo di mentalit pre-logica delle loro mogli, madri e nonne. Per questo, proprio per mancanza di intelligenza, cultura e fantasia, sono spesso degli ottusi conservatori. Mentre per i letterati succede (sempre da noi, in Italia, in Fran- cia e altrove) proprio il contrario: per quanto modesti, non scadono mai al livello di bruti, di Bavavoor della penna: conservano un senso di critica, di autonomia, di libert dal costume e dalla 86a ro)).&v.  ben giusto, con buona pace di Snow, che si siano arrogato il titolo di intellettuali.  poi vero che molti di questi proletari della ricer- ca, mentre poco si curano, fuori del campo ristretto delle loro ricerche, di approfondire la loro cultura scientifica, coltivano invece, come nobile hobby, discipline letterarie, oppure (ora  assai di moda) la storia dellarte. Di conse- guenza nei nostri climi non c un vero e proprio antago- nismo tra i rappresentanti delle due culture: quelli della cultura letteraria godono di un primato che nessuno con- testa loro, tanto meno gli scienziati per bene. E qui for- se sta il vero guaio. Comunque,  inutile lamentare il fatto che materialiter non si intendano tra loro  letterati e scienziati  e non comunichino. Allalto livello di specializzazione in cui og- gi  giunto tutto,  difficile che qualcuno intenda molto nel suo stesso mestiere;  assurdo pretendere che si in- tenda di quello altrui. Ed  notevole che una simile pos- sibilit sia stata in genere sostenuta, e auspicata come at- tualit, proprio da letterati, i quali veramente non si ren- dono conto di che cosa significhi una conoscenza impe- gnata in materie terribilmente ardue per i loro stessi cul- tori. Ritornando alla dicotomia di Snow, di fatto reazionari ci sono da una parte e dallaltra, progressisti da tutte e due. E, se  vero che labitudine al lavoro in gruppo por- ta molti lavoratori alla ricerca scientifica a superare mol- to pi facilmente pregiudizi sociali e razziali,  anche vero che sarebbe ingiusto dimenticare la massa di scritti che letterati di ogni rango e valore hanno prodotto per com- battere tali pregiudizi, per sostenere la causa delle classi inferiori e dei popoli oppressi. % L'opposizione, evidentemente, ron  tra lettera- ti e scienziati: l'opposizione   tra Binando litterae e scienza. Ogni uomo  quelluomo che : buono o catti- vo, generoso o chiuso, nobile o volgare, progressista o reazionario, libero e sano oppure codino... Nessuno  solo un letterato o solo uno scienziato: e la sua forma- zione, i suoi abiti, il suo condizionamento derivano solo in piccola parte dall'attivit intellettuale che esercita; as- sai pi massiccio  invece linsieme di preformazioni che porta in essa. Il torto dello Snow  stato di parlare, come egli stes- 14 RETORICA E LOGICA so dichiara, di due culture in senso antropologico: nel senso di gruppi di uomini, entro cui ci sono atteggia- menti comuni, regole e schemi di comportamento, pre- supposti comuni e un comune modo di accostarsi alle co- se. Sono caratteristiche sorprendentemente estese e pro- fonde: e contrastano con altri schemi mentali, siano reli- giosi, politici o di classe  !. Qui sta lerrore.  assai improbabile che scienziati e letterati costituiscano due culture in questa accezione: soprattutto se si confrontano con le molte altre e ben pi eterogenee culture che convivono in una qualunque so- ciet civile della nostra epoca: quella dei commessi del commercio, per esempio, o degli operai delle grandi cit- t industriali, o dei maestri elementari; oppure, per stare nellambito di professioni intellettuali, quella degli atto- ri di teatro o dei pittori... Le culture, in senso antropo- logico, sono assai pi di due (cosa che anche Snow intui- sce )  e, a paragone,  probabile che letterati e scien- ziati ne formino una sola. Lopposizione  piuttosto tra due forme  forme mentali, se si vuol parlare con linguaggio mentalistico; forme della cultura o dello spirito oggettivo: due diverse scale di valori, due diverse nozioni di verit, due diver- se strutture del discorso. Prima che letterati e scien- ziati esistono le lettere e le scienze. La faciloneria nomi- nalistica di alcuni neosocratici contemporanei a questo punto protester. O Platone, io vedo i cavalli, non vedo la cavallinit. Ora, il nominalismo  certo una grande filosofia, un atteggiamento carico di poteri critici: ma va sostenuto con una raffinata tecnica filosofica, con sottili distinzioni in una logica molto elaborata, altrimenti cade in banalit pi vuote e pi assurde di quelle dello stes- so realismo platonico. Certamente, al livello cosale esi- stono letterati e scienziati, non le lettere e le scienze  ! p. 11. Cfr. p. 54: La parola cultura ha un secondo significato, che io ho esplicitamente sottolineato nella conferenza originaria. Essa viene usata dagli antropologi per indicare un gruppo di persone che vivono nel- lo stesso ambiente e sono unite da abitudini, opinioni e modi di vita comune . . . Gli scienziati da una parte, i letterati dallaltra, di fatto esistono come culture nellaccezione antropologica. p. 10. tanto meno qualcosa come una cultura letteraria o una cultura scientifica. Ma come non si capisce bene in che modo facesse Antistene ad identificare, a vedere i ca- valli, distinguendoli per esempio dagli asini, dai pipistrel- li e dai numeri della lotteria, senza l'applicazione di uno schema eidetico della cavallinit, cos non si capisce co- me si distinguano letterati, scienziati, spazzini da bische- ri qualunque, se non per il fatto che essi fanno qualco- sa che si chiama letteratura o scienza o nettezza urba- na, o altro. Queste forme hanno un loto tipo di esistenza  se si vuol dire cos, unesistenza storica. Nel corso dei seco- li hanno sviluppato le loro forme specifiche  forme, na- turalmente, indefinitamente aperte a contenuti svariati, eppure determinanti al loro interno certi rapporti, certe direzioni intenzionali, certi schemi di discorso. Cosi il letterato porta dentro alla sua attivit la sua esperienza di uomo, ma si trova di fronte a, ed entro, la forma della letteratura; cos lo scienziato. In un breve, ma luminoso ed equilibrato contributo in un fascicolo dedicato allunit della scienza, John Dewey ha messo bene in evidenza, naturalmente nel suo linguag- gio e nei limiti di esso, una distinzione tra scienza come atteggiamento e scienza come corpo di dottrina [ subject- matter]'. Lunit della scienza, comunque si risolva la cosa dal secondo punto di vista, esiste certamente dal pri- mo: come atteggiamento e metodo la scienza non solo  unitaria, ma trascende persino le scienze, n  confinata agli scienziati. In che cosa consiste latteggiamento scien- tifico?  Nel suo lato negativo,  libert dal dominio del- l'abitudine, del pregiudizio, del dogma, della tradizione acriticamente accettata, dal mero egoismo. Positivamen- te,  volont di ricercare, esaminare, decidere, trarre con- clusioni solo sulla base delle prove e solo dopo essersi da- ta la pena di procurarsi tutte le prove disponibili.  in- tenzione di raggiungere credenze, e di mettere alla prova quelle che si ritengono, sulla base del fatto osservato, ri- : Unity of Science as a Social Problem, in International Encyclopedia of Unified Science, vol. I, n. 1, p. 29. conoscendo per che i fatti sono privi di significato se non rimandano a idee. E viceversa  atteggiamento spe- rimentale che riconosce che, anche se le idee sono neces- sarie per operare con i fatti, tuttavia sono ipotesi di lavo- ro che devono essere saggiate mediante le conseguenze che producono  . Ora non  il caso di entrare a discutere la caratterizza- zione deweyana dellatteggiamento scientifico  se tale caratterizzazione sia corretta, se sia sufficiente, eccetera. Qui e ora possiamo prenderla per buona: essa basta a mostrare come esista un atteggiamento genericamente scientifico, ossia una forma che definisce leidos scienti- ficit e informa, appunto, la cultura scientifica nel suo complesso.  il modo con cui ragionano e procedono gli scienziati gua scienziati, anche se non solo essi; anche se essi, forse troppo spesso, qua uomini se non dimenticano e ragionano come dei primitivi.  ugualmente caratterizzabile la cultura delle pumzazae litterae? Tentativi per caratterizzarla ce ne sono stati moltissimi (e lo si  visto anche negli interventi nellat- tuale controversia): ma disgraziatamente sono stati fatti non con mentalit scientifica (come invece  stata fatta, dagli scienziati stessi, la caratterizzazione della scienza), bensi da letterati con mentalit letteraria. Donde lineli- minabile caos. (E forse questo fatto potrebbe essere un avvio, peraltro alquanto negativo, a caratterizzare latteg- giamento e la formza mentis letterari). Tenteremo nel se- guito di farlo. Qui ci preme di osservare una cosa: che anchesso  un atteggiamento, una forma mentis, aperto, come quello scientifico, ad ogni subject-matter. Luna e laltra sono due culture  due forme uni- versali, due atteggiamenti universali, con cui luomo prende posizione di fronte al mondo, ai suoi simili e a se stesso. Non si pu fare una spartizione irenica di in- teressi: i moti degli astri come il destino (pi o meno tragico) delluomo  e tutti gli argomenti che stanno in mezzo  interessano tanto la letteratura quanto la scienza. Se la letteratura oggi suole stare, in genere, prudentemente alla larga da certi argomenti scientifici che una volta invece arditamente trattava; se molti argomen- ti intorno all'uomo, alle sue angosce, i suoi problemi, la sua situazione nel cosmo sono oggi dominio quasi esclu- sivo delle lettere  bene, queste sono situazioni contin- genti, transitorie. Torner ad esserci una poesia del co- smo ed una scienza delluomo. 4. Contro una cosa devo qui, subito, chiaramente e de- cisamente protestare: contro lidentificazione della scien- za con la tecnica  contro questa colpevole, ignobile, ca- strazione della scienza e del suo altissimo significato teo- retico. La scienza  conoscenza: forse nellunico senso possibile di questa parola. La scienza  visione, o costru- zione, del mondo  certo nellunico senso possibile di questa frase, visione (o costruzione) del mondo. Che es- sa sia suscettibile di molte e importanti applicazioni tec- niche, che sia un importantissimo, e lunico sicuro, stru- mento di instaurazione del regnum hbominis,  un fatto indiscutibile; ma ci non autorizza a ridurne il significa- to a quello banausico della tecnica. La riflessione scienti- fica  nata dalla riflessione tecnica come il discorso teolo- gico  nato dalla prassi magica: ma non c niente di pi stupido che lidentificare lessenza con lorigine. Dal pun- to di vista del realismo del senso comune basterebbe os- servare che se la scienza serve, e serve in maniera cosi sistematica e sicura,  perch  vera: il suo successo prati- co , in fondo, la verificazione fattuale, sperimentale, del- le sue ipotesi. Da un punto di vista pi elaborato, possia- mo dire che in essa  fondamentale la nozione di verit, di cui un momento  costituito dalla verificazione speri- mentale: una tale verificazione (che, del resto, non  di per se stessa e necessariamente un fatto tecnico  mentre un successo tecnico  sempre una verificazione sperimen- tale)  tale solo entro un complesso apparato teorico, di simboli e concetti astratti. E questo reticolato di simboli e concetti costituisce una struttura per una interpretazio- ne sistematica dei contenuti fattuali, ossia per la costru- zione di un quadro del mondo, di una natura. Lo Snow pure non accetta lidentificazione semplice e pacifica di scienza e tecnica. Anzi, come dice lui stesso ', egli in opere precedenti ha tentato di tracciare tra le due una linea di separazione : ora la crede meno netta, e parla di una complessa dialettica tra la scienza pura e quella applicata , che , secondo lui,  uno dei problemi pi gravi della storia della scienza , problema del quale  attualmente vi sono molti aspetti . . . che ancora sfuggo- no alla nostra comprensione  . Perch, secondo lui,  il processo scientifico ha due motivazioni: una  la com- prensione del mondo naturale, laltra  il controllo su di esso. Entrambe queste motivazioni possono essere domi- nanti in ogni singolo scienziato; i diversi campi della scienza possono trarre dalluna o dallaltra i loro stimoli originari  . Ma, a prescindere dagli stimoli eterono- mi (psicologici e/o storici), la motivazione strettamente, autonomamente scientifica  la prima  la comprensio- ne del mondo naturale. Ma lo Snow parla a lungo di un altro fatto, apparente- mente simile, per, come egli fa giustamente notare, pro- fondamente diverso dalla applicazione tecnica della scien- za (del tipo della medicina o dellingegneria tradizionali): la rivoluzione scientifica nell'industria. Un fatto nuovo nella storia, caratteristico degli anni in cui viviamo, e.che forse un giorno sar considerato come uno dei tratti pro- pri del neocapitalismo del secolo xx. Cibernetica, teoria della comunicazione, teoria delle macchine logiche, costi- tuiscono gli esempi pi salienti di questo fatto, di una scienza che non si applica, ma diviene industria. Lo Snow la considera una gran bella cosa, un punto decisa- mente a favore della cultura scientifica, in cui sono ripo- ste le supreme speranze dellumanit. Personalmente, io non ne sono altrettanto entusiasta: si tratta, in realt, di unappropriazione capitalistica della scienza.  indubbio che tale situazione d alla scienza mezzi materiali di ricer- ca altrimenti insperabili, le apre nuovi grandi orizzonti. Ma ci sono enormi pericoli: luno  quello di abbassare ! Le due culture cit., p. 67. 2 p.68. . p. 67. pp. 22 SER.  la scienza ad attivit banausica, servile, soggetta a fini che non le sono propri  in altri termini, riabbassarla a tecni- ca, confinata ad elaborare strumenti di potenza e succes- so per fini che le sono estranei. Anche psicologicamente e sociologicamente la cosa non  soddisfacente: con la ri- voluzione francese lo scienziato  divenuto un professo- re  e forse non  stato del tutto un bene per la libert del- la scienza. Ma segner veramente la fine della civilt scien- tifica il momento in cui lo scienziato sar divenuto un im- piegato dellindustria! Andr perduta la sovrarit della scienza: la sua libert, il suo spirito critico, il suo isola- mento da valori e da fini, la sua costituzionale irresponsa- bilit (nel senso che il re  irresponsabile, cio non pu venir giudicato). Non solo: ma come risultato si rischier di avere una scienza magari sviluppatissima nel lato tecni- co-sperimentale, per svuotata di... mentalit scientifica. Un certo magismo che comincia a circolare tra giovani en- tusiasti della cibernetica o della teoria delle comunicazio- ni  veramente preoccupante. Ma, Snow insiste in tutto il suo libro, c in gioco una situazione etica e storica di estrema importanza. Abbiamo gi accennato, nelle pagine precedenti, a questo aspetto del suo pensiero. La vittoria contro la miseria nel mondo  nelle mani della rivoluzione scientifica: e soprattutto i popoli delle aree sottosviluppate o dei paesi coloniali ed ex coloniali chiedono al mondo civile scienziati di buo- na volont che vi rechino e vi organizzino la rivoluzione scientifica. La cosa mi sembra indiscutibilmente vera  nel presup- posto, per, che rimanga nel mondo il regime capitalisti- co: un presupposto che certamente Snow giudica intoc- cabile, io no. Ma, a parte questo, la cosa ha i suoi pericoli. Certamente, la cultura occidentale (europea)  divenuta la cultura, in tutto il mondo, in virti della scienza  ma anche in virtii del monopolio che l'Europa conservava del- la scienza, monopolio che sosteneva con le armi. Regala- re la rivoluzione scientifica a popoli di civilt troppo di- versa, e senza il correttivo del controllo su di essi,  ri- schioso come regalare armi (insegnandogli ad usarle) ad un bambino o a un pazzo. Quella scienza decadr a strumento  a strumento del prete, o dello stregone, o di vari Ciombe che lo rivolgeranno prima contro i loro stessi po- poli, poi contro di noi... Gi quello che  successo nella Germania, e quello che tuttora sta succedendo negli Sta- ti Uniti, dovrebbe renderci esitanti a regalare simili cose a barbari. Ma non voglio imbarcarmi in profezie. Comunque, per noi, non sta in ci il valore preminente della scienza, ben- si nello scacco in cui pone costumi, tradizioni, religioni, sostituendo ad essi, in tutti i campi che riesce a conqui- stare, la luce della ragione e la forza della libera universa- lit umana. II. Poche parole merita la conferenza di F. R. Leavis', il cui tono sprezzante e acre, la volgare polemica ad homi- nem, sono spiaciuti anche a persone che per altri versi po- tevano essere daccordo con lui nella difesa della cultura letteraria. Due punti soltanto (che del resto sono i fondamentali nellintervento di Leavis) meritano qualche commento. 1. Secondo il Leavis, lerrore fondamentale di Snow  stato quello di proporre come rimedio al sentimento della tragicit della condizione umana la speranza sociale, cio la speranza in un futuro benessere universale frutto del progresso scientifico e tecnologico. Conosciamo gi la risposta di Snow. Va bene  ognuno muore, ognuno muore solo, ecc.; la tragicit della condi- zione umana  quella che . Per ci sono condizioni uma- ne, che, anche se non sono la condizione umana, sono purtuttavia causa di dolore, malessere, ecc.  per esem- pio, la situazione di miseria cronica in cui versano intere popolazioni nel mondo: e a queste il progresso scientifi- co e tecnologico pu arrecare rimedi, e non si capisce per- 1 The Two Cultures? The Significance of C. P. Snow, in The Specta- tor, 9 marzo 1962, Pp. 297 SEE. LA POLEMICA DELLE DUE CULTURE 2I ch lumanit dovrebbe rinunciarvi. Io aggiungerei: ogni discorso generico intorno alla condizione umana  un discorso da letterati marci  quello che importa  di de- terminare quello che pu significare questa espressione.  ridicolo che la condizione umana debba riguardare il destino metafisico delluomo, mentre non ne facciano par- te la fame, il freddo, le malattie, il lavoro eccessivo, ecc.: tutte cose a cui, ovviamente, il progresso scientifico e tecnologico pu arrecare sollievo. Ma Leavis in un certo senso questo  anche disposto ad ammetterlo. Egli non vuol dire che dovremmo disprez- zare o cercare di impedire il processo di quella che egli chiama civilizzazione esterna, e che si  determinata col progresso tecnologico. (Come tutti i reazionari, riduce la scienza a tecnica, e questa, cosi castrata come mera attivi- t banausica,  disposto, bont sua, ad ammetterla). So- lo considera la proposta tecnologica di Snow come insuf- ficiente, disastrosamente insufficiente. Benessere, pro- sperit, ore libere non significano salvezza o felicit: Ho letto di recente, nellEconomist, una preoccu- pata recensione di un libro di un sociologo francese, il cui tema ...  l'incapacit delloperaio dellindustria che  ine- vitabilmente  considera vita solo quella riservata alle sue vacanze, di usare il suo tempo libero in modi che non sia- no essenzialmente passivi. E per questo per me richiama alla mente quella visione globale che rende per la maggior parte di noi priva di fascino la speranza sociale, di Snow  la visione del nostro imminente domani di quel- lo che  l'America di oggi: lenergia, la tecnologia trion- fante, la produttivit, lalto livello di vita, e limpoveri- mento della vita; il vuoto umano; vuoto e noia che chie- dono alcool  di una specie o di unaltra. Chi vorr affer- mare che luomo medio di una societ moderna  pi pie- namente umano, o pi vivo, di un Boscimano, di un con- tadino indiano, o di un membro di uno di quei popoli primitivi che sopravvivono intensamente, con le loro me- ravigliose arti e abilit e intelligenza vitale? !. I partigiani di Snow si sono ampiamente divertiti a 1 P. 303, col. 1. questultima boutade. Selvaggi, contadini indiani, et si- milia, sono come gli americani di cui parla Pascarella, che erano americani e manco lo sapevano  sono felici, non- ch salvi (beati pauperes spiritu quoniam eorum est re- gnum coelorum) e manco lo sanno  e, stupidi, han- no fatto di tutto (in passato) e continuano a fare (nel pre- sente) quello che possono per uscire dal loro stato di fe- lice e santa miseria, fame, sporcizia, malattie. A parte gli scherzi, per considerare tutta la storia dellumano incivi- limento come un colossale errore del genere umano non ci vuole meno di un reazionario letterato cristiano. Ma comunque la questione non  qui. Indubbiamente, lo stato di alienazione umana in cui vivono gli americani di oggi e in cui si avviano a vivere gli uomini di tutto il mondo civile non  cosa da minimizzare. A questo propo- sito, certamente, Leavis ha ragione. Resta da dimostrare che la colpa di tutto ci stia proprio nel progresso tecno- logico (e quindi [? ] nella scienza) e non nellappropria- zione capitalistica e neocapitalistica del lavoro e della stes- sa tecnica. Che davvero si debba scegliere tra fame e pi- docchi da una parte, disumanizzazione dallaltra  e sem- pre perch ci sono uomini che vogliono sfruttare altri uo- mini. Leavis (e purtroppo non solo lui)  ovviamente con- vinto che ogni capitale  da Dio, e chi al capitale resiste a Dio resiste; ma, con buona pace sua e di tutti i libe- rali del mondo, questo non  affatto ovvio. 2. Ma veniamo alla tesi centrale del Leavis  una tesi che molti, anche non reazionari come lui, e anche fuori del Regno Unito, credo sarebbero disposti a condividere. Mentre la scienza  legata (e limitata) alla tecnica e alla civilizzazione esterna, compito della grande arte  di mettere luomo di fronte a se stesso, alla sua condizio- ne umana, alle sue credenze  nonch di portarlo alla su- perstizione e maledizione religiosa, a credere di non ap- partenere a se stesso.  A che scopo, a che scopo alla fin fine? Per che cosa, alla fin fine, vivono gli uomini?   Naturalmente, a tali domande non ci possono essere, in alcun senso corren- te della parola, risposte: e il mondo della risposta LA POLEMICA DELLE DUE CULTURE 23 complessiva differisce quanto differiscono Conrad e Law- rence, 0 due qualunque grandi scrittori. Ma la vita nella civilt di unepoca in cui non si pongono tali domande creative, o esse non hanno influenza sulla sensibilit ge- nerale, tende in modo caratteristico a mancare di una di- mensione: tende a non avere profondit  alcuna profon- dit dalla quale non ci si protegge tacitamente con labi- tudine al non farci caso (cosi Snow ci ingiunge di vivere nella speranza sociale). Venendo alle prese con la gran- de letteratura scopriamo quello che in fondo crediamo realmente. A che scopo  a che scopo alla fin fine? Per che cosa vivono gli uomini? Tali questioni operano e ad- ditano a ci che soltanto potrei chiamare una profondit religiosa di pensiero e di sentimento. Forse, fissandomi sullaggettivo, potrei ricordarvi Tom Brangwen in The Rainbow, che presso lovile nel tempo in cui nascono gli agnelli contempla il cielo notturno: Conobbe di non ap- partenere a se stesso  '. Il che richiama alla mente un intervento di Davy  e di altri, i quali rimproverano alla corrente scientistica la ten- denza a subordinare i valori umani a fini tecnologici e a perdere di vista una pretesa totalit dell'essere umana: e, come terza cultura' invocano, sudicioni, la strada della credenza nella caduta e redenzione delluomo - il 1 p. 302, coll. 1e 2. 2 Cfr. c. pavy, Toward a Third Culture, London 1961. * A qualcosa come una terza cultura sembra accennare anche il Lea- vis. Ma verr a quella esplicita nota positiva che  stata per tutto quanto lo scritto il mio scopo (perch io non sono un luddista)  in questo modo: il progresso della scienza e della tecnica implica un futuro umano di mu- tamento cosi rapido e di tal natura, di prove e stimoli cos senza preceden- ti, di decisioni e possibili non-decisioni cos gravi e pericolose nelle loro conseguenze, che il genere umano - ci  sicuramente chiaro  avr biso- gno di essere nel pieno intelligente possesso della sua piena umanit (e pos- sesso significa qui non confidente padronanza di ci che ci appartiene  la nostra propriet, ma una vitale deferenza fondamentale verso ci a cui, in quanto si apre sullignoto e su ci che in s  impartecipabile, sappiamo di appartenere). Non ho voluto dire che lumanit avr bisogno di tutta la sua sapienza tradizionale  il che potrebbe suggerire lidea di un conserva- torismo che, per quanto mi riguarda,  nemico. Ci che ci occorre, e con- tinuer ad occorrerci non meno di ora,  qualcosa che ha la vivacit del pi profondo istinto vitale; in quanto intelligenza, una facolt  radicata, for- te di esperienza, e supremamente umana  di risposta creativa alle sfide del tempo; cosa che  estranea ad entrambe le culture di Snow (p. 303, col. 1. I corsivi sono miei). 24 RETORICA E LOGICA che ovviamente richiama il vagheggiamento del selvag- gio e del contadino indiano. Evidentemente, oltre la fa- me, la sporcizia e le malattie, fanno parte degli eterni va- lori umani anche lignoranza e la superstizione... Ma, lasciando le aberrazioni, vediamo laspetto pi se- rio della questione. Compito della letteratura, e solo di questa, sarebbe, a differenza della scienza, mettere luo- mo di fronte a se stesso, alla sua condizione e al suo desti- no. Ora,  vero che molta parte della letteratura di ogni tempo, e in particolare della letteratura contemporanea, si occupa assai di queste domande, domande a cui la tec- nologia non pu certo in alcun modo rispondere, non po- tendo neppure porsele. Per, ripetiamolo ancora una vol- ta, la tecnologia non  la scienza. E la scienza queste do- mande non solo pu porsele, ma di fatto se le pone e vi risponde. O meglio, ci sono scienze che se le vanno po- nendo e stanno rispondendovi, anche se male, per ora, es- sendo di fatto le scienze pi giovani. Naturalmente, se le pongono e vi rispondono in maniera scientifica, cio cir- costanziata, sensata, areligiosa, senza nebulosit, vaghez- ze e squarci lirici. La psicologia e la sociologia, la psico- patologia, l'antropologia queste domande se le pongono. Da esse sappiamo molte cose sulluomo e sulla condizio- ne umana, molte pi cose di quanto un letterato per quan- to geniale potrebbe insegnarci: molte cose sulla nascita e sulla morte, sulleredit biologica, i complessi e le ne- vrosi, gli equilibri e squilibri interni da cui dipende la nostra felicit privata  se questa parola deve conser- vare un senso. E tutto questo  finalmente!  senza miti di caduta e redenzione. Ma forse c qualcosa di pi. Forse quella che si chiama condizione umana, forse quel destino delluomo, so- no proprio dovuti al fatto che la scienza  ancora molto giovane  molto pi giovane di quella scimmia che ha chiamato se stessa homo sapiens. Paure avite, pregiudi- zi etici residui di epoche primitive, unorganizzazione so- ciale che ancora sa di barbarie e di rapina, costituiscono tutta la tragedia della condizione umana, dnno il suo sapore drammatico al destino delluomo, rendono as- surdo il mondo in cui si vive. Perch, in fin dei conti, si muore. E questo  lultimo baluardo della religione: co- me a Clochemerle, sar possibile costruire orinatoi, ma  ancora molto difficile cacciare via il prete dal cimitero. Tuttavia la mentalit scientifica dissipa il mistero dal- l'universo, e con esso le nostre paure; fa conoscere luo- mo alluomo, e con ci dissipa il mito di un suo desti- no tragico; e alla fine fa apparire la morte per quello che   un fatto naturale, intrinseco alla stessa struttura della vita, e quindi caccia via e la paura della morte, e il prete dal cimitero. III. Di contro alle tante cose sciocche che si sono scritte nel dibattito delle due culture, un posto a parte merita il bellissimo intervento del Trilling': un letterato, certo, che in ultima istanza difende la civilt delle lettere, ma con una difesa che, forse inavvertitamente, lo fa passare dallaltra parte. Purtroppo  quasi impossibile riassume- re il suo scritto, ricchissimo di brevi annotazioni di vario genere, e per niente sistematico. Ci limiteremo, anche in questo caso, al rilievo di alcuni punti che ci sembrano particolarmente interessanti. 1. Il Trilling fa unosservazione, in s molto ovvia, ma che in questa polemica in cui troppi sembrano aver smarrito il buon senso, finisce con lessere unosservazio- ne intelligente. Si discute come se le riforme che il genere umano at- tende, i soccorsi che i popoli delle aree depresse attendo- no, insomma come se lavvenire pratico dellumanit di- pendesse dai letterati o dagli scienziati. Certo, la salvezza del mondo, dice Trilling, non dipende dallinsegnamento dellinglese nelle universit. Ma lo Snow sembra che ac- cusi la cattiva cultura dei letterati del fatto che nel mon- do non si godono ancora pienamente ed ovunque i bene- ! L. TRILLING, Science, Literature and Culture. A Comment on the Lea- vis-Snow Controversy, in Commentary, giugno 1962, pp. 461 sgg. 26 RETORICA E LOGICA fici effetti delle capacit e delle buone intenzioni degli scienziati. Ma si dimentica una cosa: la politica e i politi- ci, l'inerzia e la cattiva volont di questi ultimi. Cos ci si muove nel regno dellutopia: al posto dei re-filosofi del- l'utopia platonica sono subentrati, non meno mitici, i re- filosofi scienziati degli uni contro i re-filosofi letterati de- gli altri. Quindi  mentre si discutono, ad istanza di Sir Charles [Snow], i meriti relativi dei re-filosofi scientifici a paragone e in contrasto con i re-filosofi letterari, la po- litica continua nella sua vita autonoma, uno degli aspet- ti della quale  la massiccia resistenza alla ragione  . L'osservazione, ripetiamolo,  ovvia: il mondo non  nelle mani di nessuna cultura, ma, se mai, della massic- cia incoltura dei politici e degli interessi di chi li paga. Ma forse proprio per questo, pur avendo molta ragione, il Trilling non ha del tutto ragione. Il mondo non  neppure nelle mani dei politici: questi non sono altro che dei mercenari, di solito abbastanza stupidi, venduti a co- loro che li pagano, e di cui fanno, pi o meno bene, pi o meno in buona fede, gli interessi. Paris vaut bien une messe  il loro motto di sempre. E sono disposti a qua- lunque cosa, a uccidere la loro madre, ad andare a messa, a ingannare i loro elettori (questo poi  normalissimo). Per, questo accade perch c quatcuno che vuole che va- dano a messa, che uccidano la madre o che ingannino gli elettori. Le contraddizioni, le atrocit, le immoralit dei politici sono le contraddizioni, atrocit ecc. delle forze che li controllano  e che non sono forze politiche. Sono forze e interessi economici, forse: ma anchessi agiscono in un concreto ambiente storico, sociale, in un costume, alla luce e al cospetto di determinati valori (o pseudo-va- lori) etici.  in questa sostanza del costume che gli stessi interessi economici si configurano concretamente e che quelle forze sono, appunto, forze. Il momento economi- co, preso per s, , come tutto ci che viene preso per s, un momento astratto. Il concreto  il costume, lethos.  in questo e su di questo che agisce, in qualunque modo poi agisca, la cultura. Certo, non ci sono re-filosofi; apparentemente i so- li re sono i politici, i quali per fanno solo finta di co- mandare. Ed  assurdo parlare, come si fa anche troppo e troppo a vanvera un po dappertutto oggi nel mondo, di una responsabilit diretta degli uomini di cultura. Ma re- sta pur sempre loro una responsabilit indiretta, la re- sponsabilit etica. 2. A questo punto il Trilling sarebbe, credo, molto soddisfatto. Ch la sua risposta  gi data nel suo artico- lo. Il grande valore della letteratura sta proprio in ci, che la letteratura, egli dice, , o meglio  deve sempre, per noi oggi, essere critica della vita  '.  Se unopera let- teraria ha una qualsiasi vera esistenza artistica, ha valore come critica della vita; in qualunque complicato modo abbia scelto di parlare, essa fa una dichiarazione circa le qualit che la vita dovrebbe avere, circa le qualit che la vita non ha ma dovrebbe avere  .  vero, ci sono molti e grandi scrittori che hanno so- stenuto tesi reazionarie, antisociali, che portavano per di- rettissima ad Auschwitz. Ma, osserva molto profonda- mente il Trilling,  si deve credere la storia e non il nar- ratore della storia  . E a questo proposito fa unosser- vazione che veramente meriterebbe di essere meditata: nei sentimenti antisociali di molti di questi letterati non c' qualcosa di molto profondo, una critica della vita che diviene anche critica della societ, e non semplicemen- te di questa -societ, ma della socialit stessa come ele- mento da cui in qualche modo dipende la condizione u- mana? C' un solo modo possibile di prendere in considera- zione le affermazioni antisociali di molti scrittori moder- ni, ed  di dubitare che le loro espressioni di sentimento antisociale siano tuttaltro che stupide. Piaccia o non piac- cia,  un fatto che unimpresa culturale caratteristica del nostro tempo  stata la messa in problema della societ stessa  non le sue forme ed aspetti particolari, ma la sua 1 p. 458, col. 2. ? p. 472, col. 2. 2 stessa essenza. La critica della vita si  estesa fino a que- sto punto estremo. Fra i modi per intendere questo fe- nomeno, quello dell'orrore e della costernazione, come fa Sir Charles,  forse il meno utile. Molto meglio, mi sem- bra,  cercare di intendere ci che implica questa appas- sionata ostilit alla societ, chiedersi se sia un simbolo, ben notevole, del declino dell'Occidente, oppure non sia forse un atto di energia critica da parte dell'Occidente, un atto di energia critica da parte della societ stessa  lo sforzo della societ per identificare in se stessa ci che  solo apparentemente buono, lo sforzo di tornare a capi- re la natura della vita che essa  destinata a promuovere. Non vorrei anticipare la risposta, ma questi problemi co- stituiscono, ne sono sicuro, il modo giusto per affronta- re il fenomeno  . Ripeto, queste osservazioni sono di una tale seriet ed importanza che andrebbero meditate a lungo.  un orri- bile effetto del risentimento plebeo che invade la bassa e media cultura del nostro tempo, il fatto che opinioni e passioni dei pi siano prese a criterio per giudicare di fat- ti culturali. Chiedere alla cultura  qualsiasi cultura  di essere eco di sentimenti e risentimenti, passioni e religio- ni, di massa,  chiedere alla cultura di essere non cultu- ra, ma propaganda e giornalismo. Si sono fatti della demo- crazia, della democrazia sociale, del socialismo dei fetic- ci, cui si deve sacrificare senza chiedere che cosa siano e se valgano davvero tanto. La vecchia idea del contrat- to sociale significava proprio questo: che ogni uomo ac- cetta di rispettare certe regole, di fare certi sacrifici per la societ, se questa gli d il modo di vivere quella vita che vorrebbe vivere. Che veramente democrazia e/o so- cialismo mettano gli uomini nella condizione umana pit desiderabile,  cosa per lo meno da discutersi; n  certo che la risposta sia per essere affermativa. Ma quello su cui non sono daccordo con Trilling  che il porre, e il porre correttamente, questi problemi, circa la critica della vita e della societ, sia compito, e compi- to esclusivo, della letteratura. Anchegli fa qui quello che, ' p. 473, col. 1. in altri rispetti, tanto giustamente rimprovera a Snow: scivola dal piano dellessere a quello del dover-essere, da quello della realt a quello dellutopia. Di fatto,  ben lun- gi dallessere provato e provabile che la letteratura, e tan- to meno poi la cultura letteraria, sia sempre critica della vita e della societ; e tanto meno poi che questo, della let- teratura, sia lunico modo, o il pi corretto, di assolvere a questo compito. Ad esso si pu assolvere, molto pi correttamente sebbene pi lentamente, con la cultura e la mentalit scientifica: e, come abbiamo gi detto, ci sono scienze le quali, sebbene per ora alquanto incerte e pro- blematiche, portano su ci. 3. Per, qualcosa del genere lo dice anche Trilling. Anche lui ha il sospetto che Snow e gli altri non parlino realmente di scienziati, bensi di ingegneri e tecnici, e che ben altra cosa siano la scienza e la mentalit scientifica; e che questultima implichi anche la considerazione critica dei problemi dianzi accennati. [Lo Snow] non propone niente per leducazione del- lo scienziato oltre, naturalmente, la scienza. Dice che gli scienziati devono essere istruiti non solo in termini scientifici, ma anche in termini umani, ma non dice co- me. Gli scienziati  ma comincia a sorgere il dubbio se es- si siano realmente scienziati e non tecnici superiori o in- gegneri  devono avere una parte decisiva nelle faccende dellumanit, ma Sir Charles non suggerisce mai che, se  cosf, dovranno affrontare difficolt e perplessit e che la loro istruzione dovrebbe includere lo studio di libri  non  necessario che siano letterari, non  necessario che siano tradizionali: potrebbero essere opere contempo- ranee di storia, sociologia, antropologia, psicologia, filo- sofia  che potrebbero proporre i difficili problemi e met- tere innanzi la tragica complessit della condizione uma- na, che insinuerebbero lidea che non sempre  facile ve- dere loggetto com realmente in se stesso  !. 4. Trilling  ufficialmente un rappresentante della cul- tura letteraria, ed  notevole critico letterario di profes- ! pp. 468, col. 2-469, col. 1. 3sione. E questo suo scritto mira certamente a criticare lo Snow in difesa della cultura letteraria. Tuttavia c nel suo articolo unosservazione finale con la quale siamo profondamente daccordo (a meno di alcuni particolari), ma che, proprio per questo, ci ha sorpreso. Trilling rimprovera sia a Snow sia a Leavis di avere discusso il problema in termini culturali . Cultura, nel senso di Snow,  equivoco (consapevolmente equivoco): designa una forma di civilt e una classe di uomini. Trilling genialmente vede qualcosa di comune alla radice dell’ambiguit stessa: l'adozione di quello che (noi, non Trilling) potremmo chiamare un punto di vista valutativo o moralistico, per il quale necessariamente ci si deve riferire a persone umane (singole o gruppi) e ai loro valori personali. E la colpa, per Trilling e per noi, sia di Snow sia di Leavis  stata di porre la questione, appunto, in ter- mini culturali.  Pensare in termini culturali  considerare le espres- sioni umane non soltanto nella loro esistenza palese e in- tenzione dichiarata, ma per cosi dire nella loro vita segre- ta, rendendosi conto dei desideri e impulsi che stanno dietro la formulazione aperta. Nei giudizi che si fanno quando si pensa nella categoria della cultura ci si fonda in gran parte sullo stile in cui  fatta unespressione, nella convinzione che lo stile indicher, o riveler, ci che non si voleva esprimere. Parte integrante dellidea di cultura  il momento estetico, e i giudizi su gruppi sociali proba- bilmente si devono fare soprattutto su una base estetica  ci piace o non ci piace quello che si chiama il loro stile di vita, e anche quando giudichiamo le morali, il criterio secondo cui scegliamo tra due morali aventi, per esem- pio, uguale rigidit o uguale lassezza,  probabile che sia un criterio estetico  !. Questa categoria della cultura, questo modo cultu- rale di pensare, ha indubbiamente il suo fascino: opera meno con astrazioni e mere oggettivit, pi con effettivi e concreti sentimenti umani, e opera sul modo in cui essi conformano e condizionano la comunit umana, sul mo- ! p. 475, coll. 1-2.  3I do in cui costituiscono e indicano la qualit dellesistenza umana. Questo modo di pensare, nellet contempora- nea,  dovuto allazione di Marx, di Freud, dellesisten- zialismo in generale, e insomma a tutto ci che le tenden- ze moderne implicano di senso della contingenza della vi- ta, e da cui impariamo che lunica cosa su cui si pu e si deve disputare sono i gusti.  un modo di pensare passio- nale, che trasforma in peccato ogni errore. Non solo, ma esso  eminentemente soggettivo. Dice Trilling un po pa- radossalmente:  Nei momenti di maggiore depressione potremmo es- sere indotti a chiederci se ci sia una reale differenza tra l'essere La Persona Che definisce se stessa mediante il suo impegno verso questa o quella idea di morale, politi- ca, letteratura od urbanistica e lessere La Persona Che definisce se stessa mediante il portare pantaloni senza piega  |. Ora, dice Trilling, non possiamo sfuggire al modo cul- turale di pensiero pi di quanto possiamo sfuggire alla cultura stessa. Ma c tuttavia, a salvarci, la possibilit di un discorso razionale. Possiamo trovare conforto e co- raggio nellidea di Intelletto [Mind], la facolt la cui an- tica potenza  negata dal nostro affidarci allidea di cultu- ra. Per noi oggi, lIntelletto deve inevitabilmente sem- brare una povera cosa grigia, poich esso cerc sempre di staccarci dalle passioni ... e dalle condizioni di tempo e luogo. Tuttavia  salutare per noi il prenderlo in conside- razione, per quanto grigio esso sia, a causa della vivida fe- de che in altri tempi si riponeva in esso, che fosse la fa- colt che non apparteneva a professioni, o a classi sociali, o gruppi culturali, ma all'Uomo, e che fosse possibile per gli uomini, e conveniente loro, impararne luso proprio, essendo esso il mezzo per comunicare gli uni con gli altri.  Fu sulla base di questa fede che la scienza fond dap- prima la sua esistenza . ../. i Il passo ci sembra ampiamente degno di considerazio- ne. Che sono, in sostanza, queste due categorie della ci-  p. 476, col. 1. ? p. 476, coll. 1e2.  vilt, questi due modi di pensiero, il culturale e l in- tellettuale? Il secondo, ce lo dice lo stesso Trilling,  pro- prio il modo scientifico di pensare  ove non si abbassi la scienza a ingegneria o tecnica superiore. E Trilling lo ca- ratterizza molto nitidamente nei suoi tratti essenziali: la sua razionalit, la sua libert da valori e da impegni ideo- logici, la sua insieme libera e necessaria universalit uma- na.  proprio questa, la civilt fondata sullIntelletto, la civilt della scienza. E quellaltro, il modo culturale? Essenzialmente va- lutativo, storicistico, umanistico: estetico, dice Tril- ling, e nel senso generico di valutativo, e nel senso spe- cifico che alla fine ogni giudizio morale porta sulle qua- lit personali dei soggetti morali da cui emanano, e attra- verso i cui atti si realizzano, i valori  e quindi porta su valori di persone e stili di vita appresi in atti di imme- diatezza emozionale, pressa poco come i valori estetici. Ma non  appunto questo il modo retorico, letterario, u- manistico e storicistico di pensare? Dove pi che a cono- scere si mira a valutare, e a valutare secondo schemi valu- tativi precostituiti e ammessi come dati nel consensus  cosa che abbiamo gi osservato a proposito della possibi- lit di comprendere, o di non comprendere, il significato delle tendenze antisociali di alcuni grandi scrittori con- temporanei. Snow, Leavis, tutti quelli che hanno parteci- pato alla discussione (anche da noi), hanno discorso, qua- lunque partito prendessero, in questo modo retorico e umanistico, non in modo scientifico  anche gli avvocati della cultura scientifica! E, come era prevedibile, la di- scussione  risultata disgustosa e inconcludente, lascian- do amareggiato lo stesso Trilling. IV. Un notevolissimo tentativo di spostare la discussione   dal piano culturale a quello dellIntelletto  stato fat- to proprio da un letterato, A. Huxley !. . ! Literature and Science, London 1963 (trad. it., Letteratura e scienza, Milano 1963. Ma le nostre citazioni sono dall'edizione inglese). Indubbiamente in questo scritto troviamo un tono as- sai pi elevato e filosofico che non negli altri che gli han- no dato origine: e anche se Huxley non ha la profondit e lacutezza di Trilling, certamente le sue idee appaiono pi chiare, e tratta il problema con molto maggiore am- piezza. Il problema delle presunte responsabilit politiche e sociali delle due culture, e di ci che da esse pu aspettar- si l'umanit,  volutamente (e, secondo me, molto oppor- tunamente) tralasciato: invece c uno sforzo di appro- fondire le strutture delle due culture come discorsi e tipi di discorso ciascuno con una propria struttura e propri valori, ciascuno presente ed operante nella nostra civilt. Tuttavia va fatta subito unosservazione. Huxley re- stringe il campo della sua indagine e del suo confron- to da una parte alle scienze, dallaltra allarte letteraria  poesia soprattutto, e secondariamente romanzo ecc.  Manca il rilievo degli aspetti riflessi e paideutici, cio pro- priamente manca la considerazione della cultura (taude- ta) scientifica e di quella letteraria. Questo per noi  il li- mite principale della sua trattazione. Altri rilievi saranno fatti a proposito di singoli punti che verranno messi in evidenza. 1. Huxley riprende ed applica all'argomento delle due culture una celebre distinzione, che risale al Dil- they: la distinzione tra scienze norzotetiche e scienze idio- grafiche, a cui Dilthey voleva ridurre la distinzione tra scienze naturali e scienze dello spirito (morali 0, co- me oggi si direbbe, umane). Le prime hanno per og- getto principale il rilievo di leggi, cio di enunciati ge- nerali sotto cui ricomprendere unitariamente la variet degli aspetti empirici della natura, dei fatti empirici con- statati. Le seconde hanno invece per oggetto la descrizio- ne di cose (0, meglio, persone) o eventi singoli nella loro irriducibile, storica, singolarit. I modelli di questi due tipi di scienze potrebbero essere, rispettivamente, la Fisi- ca e la Storia. Huxley applica questa idea alla distinzione tra scienza e creazione artistica letteraria.  Lo scienziato esamina un 34 RETORICA E LOGICA certo numero di casi particolari, nota tutte le somiglian- ze ed uniformit, e da queste astrae una generalizzazione, alla luce della quale (dopo che  stata provata al cospetto dei fatti osservati) devono venire compresi e trattati tutti i casi analoghi. Il suo obiettivo primario non  la concre- tezza di qualche evento singolo, ma le generalizzazioni astratte, nei termini delle quali tutti gli eventi di una da- ta classe acquistano un senso. Il modo di accostarsi alle- sperienza dellartista letterario . . .  molto diverso. Il suo metodo consiste nel concentrarsi su qualche caso indivi- duale, scrutarlo cosf intensamente che alla fine egli per- viene a renderlo trasparente. Ogni particolare concreto, pubblico o privato,  una finestra aperta sulluniversa- le !.  Le scienze fisiche sono nomotetiche; esse cercano di stabilire leggi esplicative, e queste leggi sono necessa- riamente utili e illuminanti quando trattano di relazioni tra invisibili e intangibili sottostanti alle apparenze ... La letteratura non  nomotetica, ma idiografica; il suo obiettivo non  dato da regolarit e leggi esplicative, ma da descrizioni di apparenze e qualit palesi di oggetti percepiti come totalit, da giudizi, confronti e discrimi- nazioni, da intuizioni ed essenze, e finalmente dalla I- stigkeit delle cose, il non-pensiero nei pensieri, l'identit senza tempo in uninfinit di perpetue morti e perpetue rinascite  . Purtroppo si muove da unepistemologia piuttosto ar- caica (su per gi rimasta allepoca di Whewell e di J. S. Mill), e si fa... della letteratura. Si invoca quella misterio- sa intuizione che rende trasparente il particolare fino a che traluce in esso luniversale... Ma come? Ritorniamo un momento indietro, alla distinzione dil- theyana tra legge e descrizione del singolo. Assai pi che una generalizzazione, la legge  unastrazione  ri- duce gli aspetti dellesperienza a certe relazioni (per lo pi, ma non necessariamente, matematiche) tra certi ipo- tetici dati primi risultanti da una previa dissectio naturae. Ma anche la descrizione, anche quella del singolo e dell'unico,  costruita mediante predicati universali rife- riti ad atomi logici. Un descritto  un x che soddisfa alle condizioni poste da una funzione proposizionale, per lo pi molecolare, del tipo f(x) o g(x), f(x) e g(x), se f(x), g(x). Il descritto  quellunico x che soddisfa a quelle condizioni: ma la sua unicit (ove non si tratti degli enti astratti, ossia meramente sintattici, della matematica) de- ve venire o postulata mediante un postulato particolare, oppure stabilita sulla base di un postulato metafisico ge- nerale, come, per es., il principio leibniziano dellidenti- t degli indiscernibili. Il vero e proprio singolo (di fatto, una mera astrazione logico-matematica)  lindescrivibile oggetto di una conoscenza immediata, indicato da un sim- bolo che lo denota ma non lo significa n connota (ossia indicato da un nome proprio); oppure occorre considera- re ogni singolo come un singolo relativo, un zodo (se mi si permette la metafora), per cosi dire il punto (logico) di intersezione di un fascio di linee (logiche), e tale che non si intende se non a partire da queste. E solo per ci in es- so pu trasparire luniversale: solo se quellintersezio- ne si pu far dipendere dalle relazioni generali tra que- gli universali, ossia se quel singolo si pu assumere come un paradigma. Perci larte letteraria, e il metodo lettera- rio di esposizione, sono sempre armi a doppio taglio; pos- sono, attraverso la fantastica esemplificazione artistica, far trasparire leggi universali di relazioni tra universali; ma possono ugualmente, nellinvenzione, mistificare il reale e farsi strumento di propaganda delle tesi pi assurde. Per questo ci che in seguito Huxley dice circa la scien- za e la letteratura pu essere vero e non vero. La scienza tende ad un sistema monistico, ad un unico sistema di leg- gi, ad un unico ordine razionale dove lenorme variet del- l'universo  ridotta in qualche modo ad unit; la lettera- tura accetta la singolarit degli eventi, nella loro diversi- t e molteplicit e relativa incomprensibilit '. S, ma pu essere vero anche il contrario: la scienza, come succede ampiamente nelle scienze contemporanee (e in particola- ! PP. 11-12.  re nella Fisica) pu anche fermarsi ad unirriducibile plu- ralit, postulare una complementariet, oppure addirit- tura proclamare un ideale puramente descrittivistico del sapere. Mentre la letteratura, nella pretesa di passare ol- tre il singolo per intuirvi luniversale, rischia spesso di mistificare la molteplice variet di situazioni e di sistemi di valori nellunicit di qualche paradigma. Oggi come og- gi, nel complesso (e statisticamente parlando),  assai pi platonica la letteratura che non la scienza. 2. Nello scritto di Huxley la coppia nomotesi-idiogra- fia prende altri aspetti: pubblicit-privaticit, oggettivi- t-soggettivit. Per un filosofo  ovvio che queste coppie non sono affatto equivalenti, almeno nei secondi mem- bri: non  detto che il particolare sia privato e sog- gettivo, o che il soggettivo sia particolare e priva- to anzi, c' una veneranda tradizione filosofica che ha detto esattamente il contrario). Ma, tant', Huxley acco- sta queste cose, e ci pu servire a capire meglio il suo pensiero. Ch, pressa poco, quello che vuol dire  questo: che la scienza prescinde dalla vita intima, spirituale, delle persone private, dai loro bisogni e problemi intimi, dai loro stati danimo personali, per fissare rapporti obiet- tivi ma astratti; mentre la letteratura si rivolge a questa specie di intimit. Huxley fa un esempio. Ci siano persone che stanno os- servando un incendio. Simili in tutti sono alcune espe- rienze intellettuali, riguardanti il tentativo di pensare lo- gicamente le cause dellincendio stesso e della combustio- ne in generale. Ma ben diverse sono invece le esperienze emozionali: qualcuno pu derivarne eccitamento sessua- le, chi un piacere estetico, chi terrore, ecc.  Tali esperien- ze, del tipo emozionale, sono ben diverse da quelle del ti- po logico, e, in questo senso, pi private di queste. Ora, da questo punto di vista,  la scienza pu essere definita come un espediente per integrare, ordinare e comunicare le pi pubbliche tra le esperienze umane. Meno sistema- ticamente, anche la letteratura si occupa di tali esperien- ze pubbliche. Tuttavia il suo interesse principale si rivol- ge alle esperienze pi private delluomo e alle interazioni tra i mondi privati di individui senzienti e coscienti e gli universi pubblici della realt oggettiva, delle conven- zioni sociali logiche e dellinformazione accumulata che  correntemente a disposizione  . E ancora:  Lo scienziato osserva le sue pi pubbliche esperien- ze e i resoconti di quelle di altre persone; le concettualiz- za nei termini di qualche linguaggio, verbale o matema- tico, comune ai membri del suo gruppo culturale; colle- ga questi concetti in un sistema logicamente coerente; e alla fine cerca delle definizioni operative dei suoi concet- ti nel mondo della natura, e cerca di provare, mediante os- servazioni ed esperimenti, che le sue conclusioni logiche corrispondono a certi aspetti degli eventi che accadono fuori. A modo suo, anche il letterato  un osservatore, or- ganizzatore e comunicatore delle pi pubbliche esperien- ze sue e di altre persone, di eventi che accadono nel mon- do della natura, della cultura e del linguaggio. Da un cer- to punto di vista, tali esperienze costituiscono la materia prima di molti rami della scienza. Sono anche la mate- ria prima di molta poesia, molti drammi, romanzi e sag- gi. Ma mentre lo scienziato fa del suo meglio per ignora- re i mondi rivelati dalle esperienze pi private sue e di al- tre persone, il letterato non si confina mai a lungo in ci che  meramente pubblico. In lui, la realt esterna  co- stantemente riferita al mondo intimo dellesperienza pri- vata, la logica condivisa si modula nel sentimento non condivisibile, lindividualit brava erompe finalmente at- traverso la crosta del costume culturale  . Ci sarebbe preliminarmente da osservare una cosa. Che Huxley attribuisce al fazto della letteratura, al suo essere, quello che invece  un programma, un dover-essere. Hux- ley cristiano e intimista attribuisce a s come scrittore, e, per estensione, a tutta la letteratura, una tale funzione; e in ci , pi o meno, simile a Leavis e a Trilling. Ma dia- molo per buono, e accettiamo per un fatto generale que- : PP. 7-8. p. 8-9.  sto che  soltanto una proposta e un programma. Accet- tandolo, avremmo, almeno in linea di massima, sciolto il problema delle due culture, non pi antitetiche, ma complementari. E rallegriamoci con Huxley, il quale, pi ancora di Trilling, ha sollevato la questione fuori del bas- so giornalismo e delle polemiche contingenti, elevandola ad un problema di filosofia della civilt. Ma anche con tutte le possibili concessioni, la cosa non risulta del tutto persuasiva. Sorgono non piccole difficol- t dordine gnoseologico ed ontologico. In primo luogo, quali sono i limiti tra pubblico e privato? Fino a che punto si pu parlare di unesperienza privata, e con- siderarla un esperienza? Le emozioni che ognuno pro- va di fronte allincendio sono private, le nozioni in- torno alle cause della combustione in generale sono pub- bliche. E le nozioni intorno alle cause delle emozioni private, questa o quella o quellaltra, sono pubbliche o private? E poi  come si fa ad affermare che Tizio pro- va eccitamento sessuale, Caio piacere estetico, ecc., se non mediante esperienze pubbliche, prove obiettive, di qualunque genere esse siano? Resta di vero un fatto so- lo: che laccordo su enunciati logico-descrittivi (di tipo scientifico)  di gran lunga pi generale (al limite,  uni- versale) che non laccordo su enunciati emozionali. Ma se queste fossero soltanto espressioni di stati privati, a parte le difficolt logiche inerenti alla possibilit di usa- re un linguaggio umano, fatto di comun-segni, per tali espressioni, la letteratura si ridurrebbe a mera autobio- grafia intima.  a che pro? Ancora pi inammissibile  il parlare di mondi pri- vati. Mondo privato  un quadrato rotondo. Un mon- do  una costruzione intersoggettiva, un luogo di incon- tro delle sfere di appartenenza di ciascuno   unit si- stematica ed obiettiva di esperienze correlate, intercon- nesse, secondo legami universali e necessari. Altrimenti mondo  una metafora per parlare di un insieme sconnesso di emozioni, fantasie, sensazioni, opache le une alle altre, e perci ineffabili. ora qui un grande problema: il problema della lingua. La lingua, con il suo vocabolario, la sua semantica, la sua sintassi, fatto di segni pubblici, comuni, che appunto perch tali sono pluri-situazionali, e quindi costituiscono delle unit ideali di significazione. Come si pu dire, descrivere, ci che  privato, la mera emozione, o la mera sensazione, come vissuta? Si possono soltanto esprimere? Ma allora si riducono agl’ululati dei cani e ai gemiti dei sofferenti? Ma Huxley parla anche delle due culture come due lingue: ritorneremo sullargomento. Fra le coppie dialettiche in cui Huxley sviluppa l’antinomia scienza-letteratura ce n' una estremamente interessante: la coppia mondo della scienza  mondo del- la vita. Il mondo di cui tratta la letteratura  il mondo in cui vivono tutti gli uomini  anche gli scienziati, in quanto uomini. Il mondo in cui si vive, e si muore; si ama, e si odia; si spera, e dispera. Un mondo vario, fatto di passio- ne e ragione, di pressioni sociali e impulsi individuali, di regole, di rituali, di linguaggio che si comunica e senti- menti incomunicabili. Anche lo scienziato, come indivi- duo privato, abita in questo mondo,  ma come chimico di professione, oppure, per esempio, fisico o fisiologo di professione, egli  labitante di un mondo radicalmente diverso  non luniverso delle apparenze date, ma il mon- do delle strutture sottili indotte, non il mondo sperimen- tato fatto di eventi unici e qualit diverse, ma il mondo delle regolarit quantificate . .. Per la scienza nella sua to- talit, lo scopo ultimo  la creazione di un sistema moni- stico nel quale  al livello del simbolo e nei termini delle componenti induttive della struttura invisibilmente e in- tangibilmente sottile  limmensa molteplicit del mon- do  ridotta a qualcosa di simile allunit, e linfinita suc- cessione di eventi unici di specie diversissime finisce or- dinata e semplificata in un solo ordine razionale  . Il letterato invece accetta lunicit degli eventi, la fram- mentaria variet del mondo, la radicale incomprensibilit del mondo-della-vita pre-concettuale, e si dedica al compito paradossale di rendere la casualit e informalit dellesistenza individuale nelle opere darte, altamente or- ganizzate e significative  '. Questi passi meriterebbero un lungo commento, anzi il punto che essi pongono potrebbe essere il tema di un intero trattato di filosofia. Tutta la corrente della filosofia fenomenologica pit re- cente  e ricordiamo qui, tra i molti, soltanto lultimo Husserl e Merleau-Ponty  insiste su qualcosa (e certo non  sempre la stessa cosa) come l esperienza antepre- dicativa, lesperienza presignificativa, il mondo della vi- ta. Unintera scuola letteraria con notevoli riflessi nel- la cinematografia affida proprio allarte in genere, alla let- teratura in particolare, questo compito dello sguardo, della visione allucinantemente distaccata da ogni con- cetto e significazione: e in questo compito appunto larte si differenzierebbe dal pensiero logico, dalle scienze e dal- la filosofia, in cui il dato primario  invece assunto in  e sussunto a  significati, cio concetti, leggi generali, e quindi arricchito di nessi relazionali, rimandi intenzio- nali, eccetera. Ci vorrebbe un lungo discorso per critica- re questo punto di vista, sotto certi aspetti tanto sugge- stivo: descrivere unesperienza ante-predicativa, scioglie- re i contenuti dai loro significati,  un quadrato rotondo: perch i contenuti sono tali per, ed entro, quei signi- ficati; descrivere si pu soltanto con parole, e le parole sono, appunto, predicati e significati. Di qui il tormento- so, insolubile problema di trovare un linguaggio che non sia un linguaggio  un impossibile sistema preistorico di simboli denotanti ma non significanti, cio allusivi, mi- steriosi  magici. Larte si fa magia, stregoneria, allusi- vit  surrealismo o ciarlataneria. La concezione di Huxley (non per niente  scrittore cristiano) sfiora anche questa: anche lui assegna allarte (per lo meno allarte letteraria) il compito di parlare del- lineffabile; anche lui si pone il problema della peculiare natura del linguaggio poetico (e come potrebbe non por- ! pp. 11-12. selo, se  il problema fondamentale della filosofia dellar- te oggi?)  e parla a pi riprese di artifici e procedimen- ti magici del discorso poetico '. Tuttavia non  questo che egli vuol dire. Qualcosa di simile, forse  ma di into- nazione cristiana, spiritualista, tardo-ermetica: si tratta non di esperienze antepredicative e presignificative, ma di esperienze (ahim) dellanima, intimissime, priva- tissime, uniche e perci ineffabili.  Lambizione dellar- tista letterario  parlare dellineffabile, comunicare in pa- role ci che le parole non intesero mai comunicare. Per- ch tutte le parole sono astrazioni e stanno per quegli aspetti di una data classe di esperienze che sono riconosci- bilmente simili. Gli elementi dellesperienza che sono uni- ci, aberranti, diversi dal normale, restano fuori dal confi- ne del linguaggio comune. Ma sono precisamente questi elementi delle esperienze umane pi private che lartista letterario aspira a comunicare  . E nella pagina dopo il nostro si scopre abbastanza: In paradiso i santi sperimentano una beatitudine che non gustata non s'intende mai. E lo stesso  vero delle estasi e delle pene degli esseri umani sulla terra. Se non si provano, non si possono comprendere. A dispetto di tutte le penne che sempre i poeti impugnarono  s, e a dispetto di tutti i microscopi elettronici, ciclotroni e cal- colatrici elettroniche degli scienziati  il resto  silenzio, il resto  sempre silenzio  . Lasciamo stare i santi in paradiso con le loro beatitu- dini: come gli idioti e i bambini, non hanno cultura, e non ne hanno bisogno (per questo forse per entrare nel regno dei cieli bisogna farsi simili a fanciulli). E se il re- sto  silenzio, il silenzio non  cultura. Di ci di cui non si pu parlare, bisogna tacere, diceva molto opportunamente il mistico Wittgenstein. E se stessimo a quan- to dice lermetico-mistico A. Huxley, la poesia si ostine- rebbe a parlare di ci di cui si deve tacere, a comunicare lincomunicabile  una esperienza che non si pu neppu- ) Per es., a pp. 27, 31. p. 12. 1 In italiano nel testo. P. 13.  re chiamare esperienza, perch non ha dellesperienza lintersoggettivit e la significativit. Ma perch, allora? Dice un aureo aforisma dellottimo Lec: Un consiglio agli scrittori: giunge un momento in cui bisogna smette- re di scrivere. Anche prima di incominciare .  Sf, per- ch? Perch il pi privato  il pi universale, lineffabile  il pi vero. Il che  letteratura, anzi retorica  e della peggiore. 4. Ma accanto a questa troviamo nello Huxley una seconda concezione, che in qualche modo ci richiama alla mente il Lebenswelt del tardo Husserl.  Il mondo del quale tratta la letteratura  il mondo in cui gli esseri umani sono nati, vivono e alla fine muoiono; il mondo in cui amano e odiano, in cui sperimentano trionfo e umiliazione, speranza e disperazione; il mondo delle sofferenze e delle gioie, della follia e del senso co- mune, della stupidaggine, della furberia e della saggezza; il mondo delle pressioni sociali e degli impulsi individua- li, della ragione contro la passione, degli istinti e delle convenzioni, del linguaggio comunicato e del sentimento e sensazione incomunicabili; delle differenze natie e del- le regole, dei ruoli, dei rituali solenni o assurdi imposti dalla cultura dominante. Ogni essere umano si rende con- to di questo mondo vario e conosce (nella maggior parte dei casi, piuttosto confusamente) a che punto si trova nel- la relazione con esso. E inoltre, per analogia con se stes- so, pu congetturare a che punto si trovano gli altri, ci che sentono e come  probabile si comportino  !. Anche Husserl, soprattutto nella Crisi, ha insistito sul fatto che la scienza (e in genere si potrebbe aggiungere senza forzarne il pensiero, tutta la cultura) opera su un mondo-della-vita, su un mondo circostante pre-scien- tifico intuitivo, al quale attinge le sue convinzioni di ba- se, le sue datit gregge, comprese quelle relative alla si- tuazione dello scienziato operante in questo mondo. E la scienza opera poi una pi o meno accentuata idealizzazio- 1 pp. I0-I1.  ne ed obiettivazione di questo mondo, che finisce per di- staccare nettamente la Weltanschauung scientifica da quella pre-scientifica intuitiva. Secondo Huxley (non se- condo Husserl, che qui non centra pi) compito della let- teratura  parlare ir questo mondo e di questo mondo. Si noti, qui non si tratta del mito di unesperienza ante- predicativa, di contenuti ineffabili di cui bisogna parlare. L'esperienza pre-scientifica  esperienza in senso pieno, ricca (forse anche troppo) di significati, di schemi inter- pretativi e/o valutativi, di convenzioni, di pregiudizi. Non ha nulla di mistico, e in ultima analisi anche nulla di privato:  anzi lesperienza del mondo sociale, ed  co- municabile per eccellenza;  il contenuto semantico del linguaggio comune. Indubbiamente  da questa che con- cretamente muove ogzi attivit culturale, scientifica o let- teraria che sia. Ma le forme scientifiche di pensiero, la scienza e la filosofia, la trascendono, costruendo quadri del mondo liberi dal valore (wertfrei, dice Weber) e lon- tane dallintuizione. La letteratura, in questo caso, rimarrebbe al livello del- lesperienza prescientifica, del Lebenswelt: sarebbe di- scorso che non solo parte da questo mondo (il che fanno, in ultima analisi, tutti i discorsi), ma anche porta su di esso, in esso si muove. Il che sarebbe forse da accettare, o per lo meno da prendere in seria considerazione. Di fat- to il rimprovero che da ogni parte si muove alla scienza (e con essa alla filosofia di tipo scientifico)  di essere tec- nica, astratta, lontana dallintuizione comune e dal mon- do della vita; e ad essa si contrappone la cultura lettera- ria (e la filosofia di tipo umanistico) come corrente, con- creta, vicina allintuizione comune e al mondo della vita e ai problems of men. Ma in che senso larte letteraria sa- rebbe cultura, cio pur sempre unelaborazione e ma- nipolazione di questo mondo della vita?  L'artista, ri- sponde Huxley,  si indirizza al compito paradossale di rendere la frammentariet e informit dellesistenza in- dividuale in opere darte altamente organizzate e signi- ficative '. Dove per siamo scivolati dal piano del mon- 1 p. 12. 44 RETORICA E LOGICA do della vita e dell'esperienza quotidiana nella problema- tica del singolo e delle ineffabili profondit di bergsonia- na memoria: mentre in realt lesperienza del mondo del- la vita  proprio la meno privata, la meno libera, la me- no individuale, la pi banale che sia dato pensare. Quel- lego che funge in essa  un ego eminentemente sociale, situato, condizionato, comune; ch solo attraverso la ri- flessione sulla forma razionale delle scienze si raggiunge invece lidea di un ego puro, trascendentale, libero. 5. Letteratura e scienza: non due culture in senso antropologico, come pretendeva Snow e accettavano i suoi oppositori, ma due forme di riflessione, due modi di sa- pere, due diverse maniere di rapportarsi verso lesperien- za, il mondo e il senso comune, lego e gli altri. E due mo- di diversi di linguaggio. Giustamente lo Huxley insiste su questo punto, cui de- dica molte pagine ed osservazioni  mi sembra, molto in- teressanti. Sia la scienza che la letteratura devono puri- ficare il linguaggio della trib, che  inadeguato sia co- me mezzo di espressione scientifica sia come mezzo di e- spressione letteraria. Ma le due forme procedono in mo- do diverso: la scienza creando un linguaggio semplificato e tecnicizzato (jargonized)  al limite, il linguaggio ma- tematico. Invece lartista letterario purifica il linguag- gio della trib in un modo radicalmente diverso. Lo sco- po dello scienziato , come abbiamo visto, dire una cosa, e una cosa sola, per volta. Con la massima energia biso- gna sottolineare che questo non  lo scopo dellartista let- terario. La vita umana  vissuta simultaneamente a mol- teplici livelli e ha molteplici significati. La letteratura  un accorgimento per riferire i fatti molteplici ed esprime- re i vari significati. Quando lartista letterario si mette a dare un senso pi puro alle parole della sua trib, lo fa con il proposito espresso di creare un linguaggio capace di esprimere non il singolo significato di qualche scien- za particolare, ma la multipla significanza dell'esperienza umana, ai suoi livelli pi privati come ai suoi livelli pi pubblici. Purifica, non semplificando e gergalizzando, ma approfondendo ed estendendo, arricchendo con armonici  allusivi, con sovratoni di associazione e sottotoni di ma- gia sonora  . La pagina  molto bella e interessante. Il linguaggio della poesia non  quello della scienza. Le esigenze di questultimo  univocit semantica, controllabilit sin- tattica, riferimento a esperienze intersoggettive  non so- no quelle della poesia, in cui predominano la polivalen- za, lallusivit ed evocativit del discorso, attraverso i suoi valori semantici propri, ma anche i suoni, i toni, i ritmi... Evitando il gergo tecnico,  dice Huxley qualche pa- gina pi avanti,  luomo di lettere assume le parole del- la tribd e, con un processo di selezione e ridisposizione, le trasforma in un altro linguaggio pi puro: un linguag- gio in cui  possibile comunicare esperienze private non partecipabili, dare espressione allineffabile, esprimere, direttamente o per implicazione, le diverse qualit e si- gnificati dellesistenza nei molteplici universi  cosmico e culturale, intimo ed esterno, dato e simbolico  in cui gli esseri umani sono predestinati, per la loro molteplice na- tura anfibia, a vivere, muoversi ed avere il loro essere con- fuso  . Nellanalisi, molto interessante, del linguaggio poeti- co, Huxley ne mette in rilievo due artifici (devices)  in realt assai pi di due tecniche, bens due strutture proprie e costitutive. Una tecnica, antica quanto la poe- sia,  quella della metafora, per mezzo della quale  si pu parlare di una cosa nei termini di qualcosaltro, e cos, per via indiretta, esprimere un numero maggiore dei mol- teplici significati, soggettivi ed oggettivi, della vita di quanto non si possa esprimere mediante il linguaggio di- retto  . Laltra  quella del linguaggio magico o te- merit (recklessness) verbale, con il che Huxley allude ad un particolare uso simbolico del linguaggio, per cui o- gni parola cessa di essere, come  invece nel linguaggio scientifico, significante ed operativa in un contesto, ben- sl viene assunta come un idea  cio viene isolata da 1 p. 14. a P. 17. D. 26. contesti, presa in s; diviene una parola-isola, un para- digma indipendente di suoni e significati , e cosi assume una nuova significanza, problematica, misteriosamente magica  |. La temerit verbale apre insospettate finestre sulli- gnoto. Usando parole-idee liberate in modo temerario, il poeta pu esprimere, pu evocare, pu persino creare po- tenzialit di esperienza finora sconosciute o forse inesi- stenti, pu scoprire aspetti dellessenziale mistero delle- sistenza, che altrimenti non sarebbero mai emersi... . La metafisica  morta nella forma dominante del pen- siero scientifico contemporaneo. Essa sembra ora rifugiar- si ai margini di esso, nelle zone dellarte figurativa e del- la poesia. Arte, religione, metafisica sono sorte dalla co- mune matrice della magia primitiva, dove segno, rituale, parola e contenuto magico coincidevano  dove Brabman, la formula sacrificale, era il St, l'essere da cui sprigiona- va lincantesimo (724y4) dellesistenza empirica. E questa sembra ora la poesia secondo Huxley: Il linguaggio purificato della scienza  strumentale, una tecnica per rendere intelligibili esperienze pubbliche adattandole in uno schema attuale di riferimento o in un nuovo schema di riferimento che pu prendere posto ac- canto al vecchio. Il linguaggio purificato dellarte lettera- ria non  mezzo per altro:  un fine in se stesso, una co- sa di significanza e bellezza intrinseca, un oggetto magico dotato, come il Tischlein di Grimm o la lampada di Ala- dino, di poteri misteriosi  . V. Forse questo saggio richiederebbe una conclusione. Ma una vera e propria conclusione non c'. Abbiamo visto che la polemica delle due culture  cominciata come una polemica tra due gruppi di uomini dotti, due classi di intellettuali, e per di pi, ahim, 1 1 p. 32. 3  di professori, dediti a discipline diverse. Le ragioni arre- cate pro luna e contro laltra, e viceversa, non si solleva- no da una banale retorica valutativa, su piani moralistici od etico-politici. Ma negli interventi pi raffinati, fatti in nome di un modo di pensare pit solido, pit filosofico, abbiamo visto come tale polemica abbia comunque poco interesse, e mol- to probabilmente sia priva di senso. Qualunque riflessione di uomini  legata a interessi umani  e, se questa frase deve avere un significato pi che meramente retorico, interessa i destini degli uo- mini, dell'umanit come dei singoli. Lo stesso disinteres- se pratico, che si pu ritrovare nelle forme pit elevate di scienza come in quelle pi elevate di letteratura, non  forse che unastuzia della vita per penetrare pi profon- damente nel destino umano e conseguirvi un dominio pi sicuro e pi profondo. Lo schema simmeliano vita - pi che vita - pi vita vale per ogni forma di attivit spiritua- le oggettiva. N tanto meno si tratta, cos immediatamente e inge- nuamente, di conservatorismo (0 reazionarismo) e di pro- gressivismo rispettivi di letteratura e scienza come nomi di classi di uomini dediti a professioni intellettuali. Reazionari e progressisti ci sono da una parte e dallaltra. Se mai, se questa coppia pu valere, vale per letteratura e scienza, non per letterati e scienziati: perch, in fin dei conti, ci possono benissimo essere letterati con mentalit scientifica e professori di materie scientifiche con mentalit umanistica (a volte c' da chiedersi persino se abbiano, in generale, una qualsiasi mentalit  tan- to sono stupidi). Quella invece che si rivela  una dualit dialettica in seno allattuale civilt  anzi, in seno alla plurisecolare tradizione della nostra civilt. Letteratu- ra e scienza non sono semplicemente due tipi di pro- fessione intellettuale, o due classi di materie dinsegna- mento scolastico: sono due forme, due atteggiamenti, due metodi  insomma, due civilt. I piccoli politici, i gior- nalisti, i pedagogisti, in genere gli spiriti pratici e super- ficiali potranno tentarne tutte le conciliazioni possibili. Del resto, da millenni queste due forme convivono sullo stesso suolo della nostra civilt! Ma la pace non si ot- tiene se non approfondendo la guerra  le contraddizioni non si superano se non approfondendole. Bisogna ricono- scere queste due forme per quello che sono: due strut- ture culturali antitetiche, e probabilmente complementa- ri nel senso di Bohr; due diverse concezioni della verit, due diverse forme di cultura accentrate intorno a valori- base antitetici; due diverse scale di valori, e quindi due diverse forme di moralit. 1. C. Perelman ha elaborato una bellissima teoria, la teoria di quelle che egli ha chiamato coppie filosofiche ' L'operazione di partenza che porta, in una cultura, alla creazione di tali coppie  unoperazione di dissociazione di nozioni, di insiemi di argomenti. Di fronte a una no- zione unitaria formata da elementi confusi e contraddit- tori, designati da un medesimo termine, si opera una se- parazione in coppie antitetiche: subentrano due nozioni, e mediante questa dualit si tende a togliere le contraddi- zioni che si trovavano nella primitiva sostanza. Di fatto,  un modo di togliere le contraddizioni; ma le nuove nozioni, che risultano dalla dissociazione, possono acqui- stare una tale consistenza, essere cosi fortemente elabo- rate, e apparire cos tanto indissolubilmente legate allin- compatibilit che permettono di risolvere, che presentare questa in tutta la sua forza sembra un altro modo di por- re la dissociazione  . Gli esempi migliori sono forniti dalla filosofia. Il Pe- relman assume come tipica una coppia dissociativa, che prende in un certo senso come paradigma di tutte le cop- pie filosofiche: quella di apparenza e realt, che egli sim- boleggia con apparenza/realt, o, pi genericamente, con termine I/termine II. La coppia in questione nasce dalle contraddizioni che presenta lesperienza  allora si dis- socia la realt dallapparenza, in modo che al moltepli- ce delle apparenze, frammentarie, incoerenti, slegate, ! Cfr. c. PERELMAN  L. OLBRECHTS-TYTECA, Trait de lArgumentation, Paris 1958, parte III, cap. IV (trad. it., Trattato dellargomentazione, To- rino 1966. Ma le nostre citazioni sono dalledizione francese). 2 P. 553. si oppone lunit sistematica, coerente, delle realt:  Mentre le apparenze possono opporsi, il reale  coeren- te. L'elaborazione di esso avr per effetto di dissociare, tra le apparenze, quelle che sono ingannevoli da quelle che corrispondono al reale  . Il termine II viene elaborato in un sistema, e cos ge- nera una molteplicit di altre coppie derivate o subordi- nate alla coppia-base, che vengono a costituire delle soli- dariet argomentative. Non solo, ma, come nel paradig- ma apparenza/realt, il secondo termine introduce nei contenuti del primo una valutazione (0, mediante le cop- pie derivate, un sistema solidale di valutazioni), una ge- rarchizzazione, ed anche un principio di spiegazione delle contraddizioni che si rinvengono nel primo.  Il termine II fornisce un criterio, una norma che permette di distin- guere ci che  valido da ci che non lo , di tra gli aspet- ti del termine I; non  semplicemente un dato, ma una costruzione che determina, a partire dalla dissociazione del termine I, una regola che permette di gerarchizzarne i molteplici aspetti, qualificando come illusori, erronei, ap- parenti, nel senso squalificativo di questo termine, quelli che non sono conformi a quella regola che fornisce il rea- le. In rapporto al termine I, il termine II sar, insieme, normativo ed esplicativo  . Quindi la dissociazione e- sprime una visione del mondo, stabilisce delle gerarchie, di cui si sforza di fornire i criteri  ?. Notiamo che il termine II presuppone il termine I, ed  ad esso correlativo  non si tratta perci di una vera an- titesi (il reale  una scelta nellapparente): qui il pensiero di Perelman appare alquanto confuso, perch daltra parte il termine II appare antitetico (come il bene al male, il valore al disvalore) rispetto al primo.  un punto in cui la sua costruzione, daltra parte preziosissi- ma, mi sembra che vada corretta. . In secondo luogo, notiamo che la coppia pu rovesciar- si in una diversa situazione argomentativa. Ma, osserva giustamente Perelman, non pu rovesciarsi semzplicemen- ; P. 556. i P. 557. D. 561. 5te: quando il termine I diviene il termine II, si deve or- ganizzare, strutturare in maniera coerente, e allora lex ter- mine II si dirige in maniera diversa, e quindi anchesso muta di senso. Tentiamo ora di rielaborare questa dottrina, per poi applicarla al tema delle due culture: la trasformeremo in una teoria delle coppie dialettiche, la quale, forse, pu anche fornire uno schema generico per una fenome- nologia dialettica della cultura (lasciando ai lettori di buo- na volont di stabilire, se lo ritengono utile, quanto di derivazione hegeliana essa contenga). Come abbiamo osservato, il termine I (per es., appa- renza) nelle coppie perelmaniane  ambiguo: esso  al contempo la sostanza su cui opera il termine II e lanti- tesi di esso. Noi invece proponiamo lo schema (1) AS A/A, che, tra laltro, rende anche meglio lidea di dissociazio- ne. A  la sostanza su cui si compie loperazione dissocia- tiva: per esempio, lesperienza nella coppia apparenza / realt; qualcosa di confuso, cio di globale, indiffe- renziato (o comunque non sistemzaticamente differenzia- to), e in cui, naturalmente, emergono delle specifiche contraddizioni spicciole (per unesperienza il bastone immerso nell acqua  spezzato, per. altre non lo ). A  un sistema organico di argomenti, ossia di tesi, orga- nizzato secondo determinate categorie, procedimenti di- scorsivi, schemi valutativi, ecc.  Per esempio, lo schema della realt com' costruito dalla scienza. Quello che re- sta fuori, che non  vero (0, pi genericamente, vali- do) rispetto al sistema A,  A: apparenza, illusione, non-essere, male, ecc. ecc.  sono tutti termini per un A' correlativo ad un A. Naturalmente, quanto pi ricco e meglio costruito  A, tanto pi rado e sporadico  lin- sieme di fatti che costituisce il contenuto di A: una rego- la bene costruita non ha eccezioni, o ne ha pochissime. O, per lo meno, a partire da A si hanno, come ha rilevato il Perelman, criteri teorici per la spiegazione dei fatti rele- gati in 4. Tuttavia pu darsi che A resista ad A: ossia, che a  SI partire da esso sia possibile un rilievo di valori che non sono spiegati, o dileguano, in A. Allora la coppia pu rovesciarsi: A pu venire organizzato in uno schema coerente, teorico; sulla base di determinate validit (cri- teri di verit, valori, ecc.), di fronte alle quali i fatti tipi- ci e formali di A appaiono il disvalore. Non si forma pe- r, realmente, una coppia A /A', bens si opera con uno schema (2) A-B'/B" affatto analogo allo schema (1), ma dove B rappresenta lorganizzazione formale e sistematica di A, e B' rappre- senta una serie di momenti di A. Non si pu quindi sta- bilire semplicemente le equivalenze (3 ) A na B A ca B' bensf (3 bis) A'>B" A" B' Cos la coppia apparenza/realt non si rovescia nella coppia realt/apparenza, ma in altre coppie come, per esempio, dogmatismo/esperienza, deformazione intel- lettualistica/esperienza vissuta, e simili. (Ricordiamo che, di fatto, siamo pi spesso di fronte a serie congiunte di coppie, che non a singole coppie). Abbiamo cosi lo schema AA /A (4) AL B'/B" non propriamente circolare (quale sarebbe invece se vi- gesse lo schema (3), bens dialettico. La sostanza di A si  venuta articolando in due sistemi antitetici A e B, che sono, allincirca, anche complementari nel senso di Bohr. Se si vuole una sintesi, una ricostituzione di A, essa  da- ta dallanalisi filosofica che riconosce lo schema e spiega l'esistenza delle coppie dialettiche a partire da A. Per u- sare una poco simpatica terminologia, essa  data da quel- la riflessione superiore che, ponendosi sopra le coppie dialettiche, intende, attraverso esse, la struttura di A, e in un certo senso la ricostituisce  ma non pi come uni- t sostanziale, confusa, bensi come matrice di quella dia- lettica. 2. Possiamo ora tentare di cogliere il significato del- lantitesi letteratura-scienza come coppia dialettica. La civilt (e per civilt intendo sempre la mostra, quella europea occidentale) si  sviluppata storicamente, in un miscuglio di valori, di norme, di procedimenti, di idee, che  irto di contraddizioni: contraddizioni sempre presenti, sempre operanti, ma che tuttavia si fanno senti- re in modo particolare in quei momenti di pi acuta cri- si, quale  quello che attraversiamo in questo secolo. In questa civilt ci sono tante cose: poesia e teatro, reli- gione, arte figurativa, politica, retorica, scienza... In esse si rispecchiano  attorno ad esse si polarizza la coscienza de  i contrasti profondi che dividono i popoli, le societ, gli uomini stessi in quanto singoli.  ovvio che per inten- dere, e per ci stesso evitare, non i contrasti (ch essi esi- stono e sussistono ir re), ma per lo meno le contraddizio- ni in cui tali contrasti si rispecchiano nella riflessione cul- turale, il procedimento normale  quello, teorizzato da Perelman, della dissociazione: della dissociazione in cop- pie, filosofiche o meno, a livelli di generalit e/o astra- zione pi o meno elevati. Per questo i tentativi irenici sulla base del c anche, consistenti nel lasciare sizmzpli- citer sussistere i contrasti soltanto perch i termini di ta- li contrasti ci sono, mi appaiono ingenui e stupidi. La- sciano le cose come sono, nel loro caos, senza fare alme- no il tentativo di vederne le strutture antitetiche, gli op- posti valori in giuoco  non portano pace, ma lasciano sussistere la guerra, una guerra cieca di cui non si vedono neppure chiaramente le ragioni. I fautori di tali posizioni ireniche temono limpoverimento che decisioni intellet- tuali (essi dicono dogmatiche) potrebbero introdurre, senza vedere che una ricchezza non inventariata, non clas- sificata,  pi povera di ogni povert. Nella storia di questa civilt ad un certo momento sor. ge la scienza, dapprima identica in generale con la mentalit scientifica, con la razionalit. Essa ha per criterio- base il valore del vero, o meglio, forse, del vero razio- nale, ed opera entro il mondo della cultura, dei valori, delle tradizioni, delle istituzioni, delle credenze, in una direzione critica, a discriminare le esperienze e i contenu- ti validi secondo un ideale criterio di obiettivit razionale da quelli di mera opinione, soggettivit, sentimento. Con la scienza si introduce quindi una dissociazione in seno alla civilt: essa opera come un termine II della dia- lettica perelmaniana, o come un termine A del mio sche- ma (1) (dove A  la sostanza della civilt). A (il termine I della coppia perelmaniana) diventa il termine I in una serie pressoch equivalente di coppie: opinione, re- torica, apparenza  di fronte a scienza, dialettica (o logi- ca), realt. Di contro, per, la grande tradizione letteraria (che nellepoca platonica come allepoca della querelle secen- tesca  simboleggiata in Omero) tende a sua volta a rior- ganizzare la cultura secondo prospettive opposte  della soggettivit, del sentimento, dei valori, della tradizione. Essa diventa, per esempio, umanit e spiritualit di fronte alla materialit o naturalit della scienza ', co- noscenza del pi profondo di fronte alla conoscenza del superficiale, ecc.  Cos, elaborando e trascegliendo i con- tenuti stessi della civilt di base secondo un proprio siste- ma di prospettive e di valori, essa si pone come termine II (nei nostri schemi (2) e (4) come B) in una coppia antitetica alla precedente. Dobbiamo osservare che entrambe tendono ad una por- tata universale, non solo in senso critico, ma anche in sen- so costruttivo. N la scienza n la letteratura voglio- no in fatto elizzinare dalla civilt i loro opposti-presup- posti dialettici, ma solo subordinarli secondo un proprio criterio di valore. Ripetiamo: i c' anche hanno ra- gione  ci saranno sempre e una scienza e una letteratu- ! Anche recentemente W. M. Simon (The Two Cultures in Nine- teenth-Century France: Victor Cousin and Auguste Comte, in Journal of the History of Ideas, gennaio-marzo 1965, pp. 45 sgg.) interpreta la que- relle delle due culture come tensione tra un orientamento verso la na- tura e le cose materiali e un orientamento verso lumanit e le cose spiri- tuali (la scienza e le umanit) (p. 45). ra. Nessuno pensa che non sia per esserci sempre una scienza e una letteratura; scienziati e poeti e letterati ci saranno sempre. Ma proprio in questo sta la futilit del c' anche  nel mettere pace dove non occorre. Solo che in una civilt della scienza il ruolo delle attivit lette- rarie (e quindi anche i loro scopi, di conseguenza le loro forme, mezzi, ecc.) sar subordinato, complementare, con- finato a determinati momenti e aspetti della vita. E in una civilt delle lettere il ruolo della scienza sar a sua volta marginale, subordinato, strumentale: tipica a que- sto proposito  la tendenza a considerare la scienza solo come tecnologia, o comunque un momento teorico della tecnica. D'altra parte in entrambe le forme c anche un mo- mento esplicativo dei contenuti del termine antitetico. Grosso modo, in entrambe questo compito  affidato alla psicologia (o alla psico-sociologia): ma da una civilt al- laltra cambia lorientamento stesso della psicologia  nel- la cultura scientifica la psicologia  prevalentemente una scienza naturale descrittiva ed esplicativa, nella cultura letteraria  una scienza morale comprensiva e intuitiva (mentre la sociologia diviene una scienza storica), 3. In tutta la storia della nostra civilt (naturalmente, soprattutto in tutta la storia della filosofia, ch  nella fi- losofia che la civilt riflette se stessa) si pu riscontrare la dialettica delle due culture. Nellantichit classica, per esempio, le coppie dialetti- che opinione/scienza, apparenza/verit, retorica/logi- ca, e le altre simili, si possono interpretare molto gene- ricamente come sistemi, forse non ancora del tutto con- nessi, in cui si articola la nostra coppia fondamentale. In pieno Medioevo, la celebre battaglia delle sette ar- ti, la lotta tra Parigi e Orlans, oppure, pi tardi, nel Trecento e Quattrocento, la lotta tra la via modernorum e la via antiqua, e pi tardi ancora la lotta tra il tardo ter- minismo e laverroismo da una parte e il rinnovamento della via antigqua per opera dei primi umanisti dallaltra, si possono (forse) ricondurre alla coppia dialettica lette- ratura/scienza. Pi chiara l'opposizione in tempi vicini. Il Simon' ha molto felicemente considerato da questo punto di vista il conflitto tra lo scientismo positivista di Comte e lumane- simo spiritualistico-eclettico di V. Cousin. La dissociazione letteratura/scienza non si presenta- va a Cousin cos vividamente come a noi oggi  tuttavia questi ne era in qualche modo consapevole. Lamentava che i filosofi non avessero raggiunto tra loro laccordo che regna invece nelle scienze naturali: e con il suo ecletti- smo mirava, tra laltro, anche a questo  a trovare una base scientifica per la filosofia, base che doveva essere co- stituita dallestensione del metodo scientifico alla psi- cologia. Ma quale metodo scientifico! Egli ripudiava il matematismo del Seicento, linduttivismo del Settecento: la filosofia doveva operare secondo tecniche e metodi spe- ciali, suoi propri, atti a trattare dei fenomeni della co- scienza, dei principii universali e necessari della ragione umana, dei concetti di giustizia e moralit ?. Di fatto ope- rava con tutti i caratteri distintivi di una civilt delle let- tere  ed egli era un uomo del tutto legato ad una tale ci- vilt. Egli stesso aveva cominciato come studioso di lette- ratura, e nei suoi ultimi anni doveva ritornare ad argo- menti letterari. Amava le frasi poetiche, i fini esaltati, i discorsi edificanti. E la sua filosofia rispecchia tale tipo di cultura. Intanto il suo stesso psicologismo, ben diverso da quello, per esempio, degli empiristi e positivisti ingle- si dello stesso periodo. Luomo  per lui microcosmo (una tipica idea umanistica!), onde la psicologia  una specie di scienza universale concentrata. E fondamentale in essa non  lanalisi obiettiva, comportamentistica, ben- sf lintrospezione, che gi ai suoi tempi, e molto giusta- mente, Comte denunciava come a-scientifica. E poi il suo moralismo! Denunciava il sensismo come immorale e lo associava a cose come il demagogismo. Il criterio di va- lutazione culturale prevaleva nettamente nella critica e discussione teoretica. E questo carattere si accentuer nei suoi ancor pi bolsi seguaci. In un articolo sulla  Revue i The Two Cultures in Nineteenth-Century France ecc. cit. P. 50. 5 des deux mondes  H. Baudrillart difende Cousin dagli attacchi dei positivisti non sulla base della maggior verit delle sue dottrine, ma su quella del loro maggior valore etico. E cosi il Caro, il Vacherot, respingeranno gli attac- chi del positivismo, che minacciava di privare lumanit di tutta quanta la sua eredit intellettuale e morale, di tutto ci che rende la vita degna di essere vissuta, e cio della fede nellesistenza di Dio, nellimmortalit dellani- ma, nella libert del volere e nella morale trascendente '. Di contro, i positivisti, per esempio il Taine, attaccano Cousin per la sua propensione alla retorica in mancanza di una filosofia coerente, ma soprattutto per la-scientifi- cit della sua psicologia. Comte, Taine, Ribot affermano nettamente che i metodi delle scienze umane, in parti. colare della psicologia e sociologia, devono venire model- lati su quelli delle scienze naturali, orientati verso la fisio- logia, cio verso la comportamentistica, e staccati dallin- trospezione. Si ponevano cos tipiche coppie filosofiche, come materialismo/spiritualismo, fisiologia/introspezione, leg- gi scientifiche/valori umani, varianti della coppia fonda- mentale scienza /letteratura . Le stesse considerazioni si possono applicare, in Italia, alla reazione idealistica contro la scienza e contro il po- sitivismo. La nostra filosofia non ha avuto il suo Comte: in compenso ha avuto una parodia di Cousin nella perso- na di B. Croce. La tipica riduzione del sapere a storia, il biografismo, la svalutazione della scienza come pseu- do-concetto e mera tecnica non hanno bisogno di molti commenti. Come non ha bisogno di commenti tutta la ! Cfr. E. caro, M. Littr et le positivisme, 1883; E. VACHEROT, La scien- ce et la conscience, 1875. Citati in simon, The Two Cultures in Nine- teentb-Century ecc. cit., p. SI. 2 Queste coppie sono citate dal simon, The Two Cultures in Nine- teentb-Century ecc. cit., pp. 57-58. Tuttavia il Simon conclude che in real- t non c'erano due culture, ma due correnti di una medesima cultura, volte alla ricostruzione filosofica della societ dopo le devastazioni illumi- nistiche. Questo non contraddice con il nostro schema: la coppia dialettica, abbiamo detto, opera entro una medesima sostanza (nella fattispecie, entro una medesima civilt); e inoltre il termine II (ma, rovesciandosi, anche il termine I in quanto diventa II) mira a una ricostruzione e sistemazione dell'intero, secondo per parametri che sono opposti a quelli dellaltro. LA POLEMICA DELLE DUE CULTURE" 57 bassa letteratura gentiliano-spiritualista con le solite ac- cuse di materialismo, annullamento della libert e dei valori creativi dello spirito, ecc., lanciate contro il po- sitivismo e lo scientificismo in genere  e con la solita ri- duzione della scienza a tecnica. Ma forse, oggi, il momento storico pi interessante per esemplificare il contrasto delle due culture  il Seicen- to.  questo infatti il secolo in cui un forte e vittorioso gruppo di pensatori afferma, contro il tradizionale classi- cismo e contro lintera e risultante mentalit umanistica, al contempo la nascita di un nuovo pensiero, moderno, e la nascita della nuova scienza  quella che ancora oggi , anche per noi, la scienza, affermando lequazione di queste due cose, la modernit e la scienza. In questo mo- mento storico in cui viviamo, momento in cui gli umani- sti, i seguaci di una civilt delle lettere, sono pi disposti a riconoscersi in un Erasmo o in un Montaigne che non in un Cousin, e gli scienziati sono pi disposti a riconoscersi in un Galilei e in un Cartesio che non in un Comte - in questo momento un esame storico di quella polemica  forse pi interessante che il riconoscere la frattura delle due culture in qualsiasi altra epoca, anche pi vicina a noi nel tempo. 4. Abbiamo notato nel Trilling una preziosa osserva- zione: che il problema delle due culture  stato impo- stato da entrambi i protagonisti  Snow e Leavis  in quello che lo stesso Trilling chiama il modo culturale di pensare. Recentemente questo modo culturale  stato introdotto dal marxismo, dalla psicanalisi, e da ultimo da varie forme, americane e/o americanizzanti, di sociolo- gismo. Si tratta di ci: che tesi, enunciati, atteggiamenti, ecc., vengono riferiti a gruppi sociologicamente (per es. classi socio-economiche, gruppi sociali), oppure psicologi- camente, definiti, e per ci stesso valutati (in quanto il modo stesso di riferimento  valutativo). Questo modo  oggi molto diffuso, e i marxisti non sono certo gli unici a praticarlo; ma la critica marxista  in qualche modo esemplare di esso. Quando si dice, per esempio, che lempiriocriticismo o il neopositivismo, o la relativit einsteiniana, sono espressioni del neo-capita- lismo, della tipica separazione dellimpresa dal lavoro e quindi dalla realt, oppure mascheramenti (mistifica- zioni) idealistiche dellalienazione del lavoro, ecc., si compiono due operazioni: 1) si traducono teorie in ideo- logie, ossia in mistificazioni pseudo-teoretiche di pro- grammi pratici; 2) si getta, per cosi dire, lombra valuta- tiva (o svalutativa) proveniente dalle classi interessate sulla teoria stessa. Ora, fino a che il materialismo storico (od ogni altra forma di sociologia del conoscere) afferma che concetti, teorie, idee, non nascono da un partus virginis per opera dello Spirito Santo, ma dalla vita, dalla carne, dalle- sperienza (e in essa, indubbiamente, hanno parte impor- tantissima  a dir poco  i rapporti umani entro la socie- t e il lavoro)  bene, fino a questo punto ha, indiscutibil- mente, perfettamente ragione. Tanta, ovvia, ragione, che di fronte alle idiozie dello storicismo spiritualista viene fatto di chiedersi se i sostenitori di questultimo non sia- no, piuttosto che dei cretini, delle persone del tutto in cattiva fede. Per la genesi storica non ha alcun significa- to teoretico-valutativo: se il testo degli Elementi di Eu- clide fosse stato battuto a caso e per giuoco da una trib di scimmie dattilografe, il loro valore matematico non ne risulterebbe scemato di un grammo. E se uno strozzino che avesse prestato un milione al tasso del 50 per cento an- nuo sostenesse che il suo debitore dopo un anno gli deve I 500 000, la sua ignobile figura non potrebbe gettare alcu- na ombra sulla verit matematica per cui K + 50/100 K =150/100 K. Questo modo culturale di pensare  tipicamente u- manistico, cio retorico e non logico, valutativo e non conoscitivo. Dal punto di vista logico-conoscitivo (cio fi- losofico-scientifico) la prima cosa da farsi  chiedersi che cosa sono le due culture  quali le loro forme, struttu- re, quali i caratteri differenziali. Non  la valutazione che deve precedere la descrizione fenomenologica, ma questa, se mai, dovr costituire la base teoretica, la piattaforma conoscitiva, della successiva valutazione e/o scelta  non scientifica (perch nessuna valutazione e/o scelta  scientifica: la scienza non valuta e non sceglie), ma per lo me- no scientificamente fondata. Il merito di Huxley  stato di fare il primo tentativo in questo senso: di liberarsi dalla superficialit giornalistica e dalla canaglieria socio-politica, e di impostare, seriamen- te e serenamente nel modo intellettuale di pensare, una- nalisi fenomenologico-strutturale della letteratura e della scienza. Ma forse lanalisi di Huxley  insufficiente: noi l'abbiamo impostata nei paragrafi precedenti, e ci propo- niamo di riprenderla. 5. La coppia dialettica cultura umanistica/cultura scientifica presenta un singolare e gravissimo problema. La scienza  wertfrei: non valuta, ed anzi  essenziale al- l'atteggiamento scientifico lroy1) di ogni valutazione. Ma la vita  intrisa di valori, e il mondo della vita  un mondo di valori. Qui sta il limite  in verit un autolimite  del- la scienza, per cui il termine I della coppia non si lascia ridurre senza residui nella scienza stessa.  proprio qui lappiglio pi forte della polemica che i partigiani della cultura letteraria muovono alla cultura scientifica: di es- sere non soltanto libera da valori, ma cieca ai valori.  qui il punto da cui pu muovere il tentativo, che da seco- li si ripete, di abbassare la scienza a mera tecnica (o me- glio tecnologia): unattivit subordinata, strumentale, che piega la materia ai fini dello spirito. In questa visione concorrono, con le forme pi stupide ed oscene di spiri- tualismo e idealismo, anche forme pi sottili, pi esperte, persino apparentemente scientistiche, come il materia- lismo storico-dialettico e certe forme di pragmatismo '. Il problema merita unindagine a s. Va ricercato se, e come, ci sia un posto della ragione nel giudizio e di- scorso valutativo; se, e come, possa riinnestarsi una sfera di valori sopra una concezione del mondo ottenuta con una serie di operazioni, tra le quali cera anche una previa purificazione teoretica dai valori. | Dopo queste ricerche non saremo certo in grado di de- cidere, cosi semplicemente come corollario di esse, se sia 1 . . n Forse non Dewey: ma il caso andrebbe analizzato e discusso a lungo. preferibile un'educazione letteraria o uneducazione scien- tifica, un giornalismo letterario o un giornalismo scienti- fico, ecc.  Questo no. Ma sapremo almeno su che cosa stiamo effettivamente discutendo, che cosa sono e voglio- no essere i due termini del conflitto, in che rapporto stan- no di fronte alla sostanza comune della civilt europea. E di l le discussioni pratiche, per chi ama farle, potranno trarre un avvio pi chiaro e le scelte potranno risultare pi adeguatamente motivate. Che  appunto il fine prati- co di ogni ricerca scientifica. II. La polemica antiumanistica del Seicento Nel presente saggio esamineremo due temi tipici del pensiero innovatore del Seicento: la polemica anticlassi- cistica (o, come vedremo, antiumanistica) in nome del- la cultura scientifica; e l'affermarsi dellidea di moderni- t, e del valore di questa, di fronte al tradizionalismo. Due temi che vanno esaminati insieme perch qui si pre- sentano indissolubilmente intrecciati. Infatti, i moderni affermano la loro modernit in nome dei valori tipici della cultura scientifica, e in difesa di questa, mentre cri- ticano nella cultura tradizionale, rappresentata dagli uma- nisti (e per quanto tra questi si trovassero anche spiriti decisamente moderni), i caratteri tipici di una cultura let- teraria. Il Seicento ci si presenta dunque come un secolo tipi- co di conflitto tra le due culture. Tipico e  per noi operanti nei nostri anni e nel nostro secolo  paradigma- tico: perch  in gran parte ai grandi temi della querelle secentesca che si riconduce la querelle attuale. 1. Se vogliamo fissare da un punto di vista il pi sto- rico possibile la nozione di filosofia moderna, il metodo pi idoneo  quello di affidarsi alla storia stessa, e chieder- ci quando sorga nei pensatori stessi, o per lo meno in al- cuni pi eminenti e pi significativi, la coscienza di esse- re, appunto, moderni. Indiscutibilmente, i leaders del pensiero di ogni epoca hanno affermato la propria novit rispetto al passato e si sono detti moderni; e spesso sono stati, in consonanza dissonante, rimproverati di essere tali dai loro avversari tradizionalisti o conservatori. Cosi nel Medioevo sono stati detti mzoderni i nominalisti e affini, in quanto appa- rivano discostarsi dallaurea tradizione boeziana. E in- dubbiamente gli scrittori umanistici e rinascimentali si sentirono moderni nei confronti di quella decadente cultura scolastica con la quale erano in conflitto. Limma- gine di un Medioevo cupo e barbarico e di una cultura scolastica deprimente anima e corpo risale proprio agli scrittori del Rinascimento  a Rabelais, per esempio e tanto per fare un nome; e la ribellione a quella cultura in nome dei nuovi ideali umanistici era salutata e giustifica- ta come rinascita dello spirito e della cultura:  Erano tempi ancora tenebrosi;  scrive Gargantua a Pantagruel,  che risentivano della miseria e delle calami- t dei goti, i quali avevano mandato in rovina ogni buona cultura. Eppure, con laiuto della divina bont, allet mia luce e dignit furono restituite alle lettere. Ora tutte le discipline sono state recuperate, e le lingue instaurate. Tutto il mondo  pieno di uomini sapienti, di precettori dottissimi, di biblioteche vastissime; e sono del parere che mai ai tempi di Platone, di Cicerone e di Papiniano, non vi fu tanta comodit di studio, quanta ne troviamo adesso  '. 2. Per, i moderni medievali erano pur sempre dei lettori e commentatori di classici, di quel tanto di classici che conoscevano: erano i depositari di una tradi- zione, esattamente come i veteres o antiqui loro rivali, e in alcuni casi pretendevano anzi (non discutiamo qui se a ragione o a torto) di rappresentarla in modo anche pi ge- nuino. E gli umanisti del Rinascimento, anche se non sempre e non tutti, prendevano troppo alla lettera il ca- none dellimitazione dei classici; anche se molti di loro volevano vedere nella tradizione classica una tradizione vivente, rispetto alla quale si poteva anche innovare e mi- gliorare nei particolari, tuttavia consideravano tutti, pi o meno, la cultura classica come /4 cultura, cultura esem- plare, perfetta nella sua forma, anche se, nani sulle spal- ! Cit. in E. GARIN, L'educazione in Europa, Bari le di giganti, i moderni potevano in qualche particolare sapere meglio e di pi.  I libri, le lettere, gli antichi, - scrive Garin' esponendo Rabelais,  non sono pagine morte, soffocate di glosse morte: sono uomini insigni, gli eroi dell'umanit, i modelli ideali a cui il giovane deve guardare per farsi degno di loro, simile a loro . 3. La novit dei moderni del Seicento  invece pro- prio in ci: che essi, capovolgendo latteggiamento rina- scimentale, considerano i classici e i loro libri come ma- gazzini dai quali, eventualmente, si possono ancora attin- gere molte particolari cognizioni utili e valide  m24 nega- no invece il carattere esemplare, la validit della forma, della cultura classica. Non si criticano soltanto singole e specifiche dottrine (in realt, quasi tutte) di questo o quel pensatore antico, ma al contempo, soprattutto, si critica il metodo di pensiero degli antichi. Da questo punto di vista particolare rilievo acquista la celebre polemica antiaristotelica cui sono associati, pi o meno, i nomi dei massimi creatori del pensiero moderno, Galileo, Bacone, Gassendi, Pascal... In realt, la polemi- ca contro Aristotele e laristotelismo non  una cosa nuo- va e peculiare del Seicento. La stessa diffusione della filo- sofia peripatetica nel Medioevo non era stata certo immu- ne da violente opposizioni; e una polemica antiaristoteli- ca caratterizza tutto un grosso filone del pensiero umani- stico e rinascimentale a partire da Petrarca e da Coluccio Salutati. Ma queste polemiche antiaristoteliche erano sta- te condotte o in difesa di un pi genuino cristianesimo, o in nome di Platone, o in nome di una tradizione ermetica, o di tutte queste cose insieme: comunque si era sempre trattato di un conflitto di autorit, di un conflitto di tra- dizioni. Per i moderni invece Aristotele  insieme il cam- pione storico, l'esemplare e il simbolo di un modo di pen- sare, di un metodo e di una logica: non  unautorit ne- gata in nome, e a favore, di altre autorit, ma  la testa di turco colpendo la quale si mira a colpire lo stesso principio di autorit. ! p.77. A proposito di questo,  bene approfondire un tan- tino questo concetto. Secondo una certa diffusa tradizio- ne storiografica il principio di autorit viene interpretato come un cieco rifiuto di pensare con la propria testa di fronte alla lettera di un testo facente, appunto, autori- t, e come feroce ed illiberale pretesa che altri facessero altrettanto. Che, soprattutto in materia di fede e di dog- ma religioso, si sia giunti, specialmente nella Spagna del- l'Inquisizione e nel periodo pi nero della Controrifor- ma, anche a questi eccessi,  innegabile: ma mai, anche nella stessa teologia, e soprattutto nella filosofia, nessun pensatore serio, n medievale n rinascimentale,  giunto a tanto. Argumentum ex auctoritate infirmissimum est, diceva gi san Tommaso. Che in materie difficili e contro- verse, in questioni dove scarse sono le evidenze razionali e/o le prove empiriche, lopinione di qualche serio e ac- creditato pensatore abbia un peso notevole, e aumenti la probabilitas di una tesi,  cosa abbastanza conforme al buon senso: ma la probabilit non  la verit. Lautorit  unaltra cosa. La parola deriva da auctor. Gi nel Medioevo una serie di scrittori, in materie profa- ne prevalentemente antichi, erano stati dichiarati aucto- res: essi formavano la tradizione  e auctoritas significa- va appunto tradizione. Essa valeva per una classe di dot- ti che dicevano di pensare e insegnare non in nome pro- prio, ma di conservare, trasmettere, recitare una tradizio- ne. E se nellUmanesimo-Rinascimento gli auctores si ac- crescono di numero, sono meglio conosciuti, la tradizio- ne si fa pi ampia e perci pi elastica, la situazione per sostanzialmente non muta: lauctoritas, nel senso di tra- dizione classica, resta  non tanto come il dominio tiran- nico degli enunciati di uno scrittore, quanto, in maniera pi sottile ma per questo anche pi pericolosa, come sen- so della tradizione  il criterio della verit. Quando i moderni si ribellano allautorit, si ribellano ai libri. L'Umanesimo-Rinascimento ha opposto ai catti- vi libri della peggiore scolastica medievale e tardomedie- vale i buoni libri degli antichi, che unamorosa filologia andava riscoprendo ed emendando, restituendoli a nuova vita; i moderni ripudiano, di principio, i libri come ta- li, buoni o cattivi che siano, cercando la verit nella ra- gione e nell'esperienza, e continuando a leggere i libri so- lo sussidiariamente, per quel tanto di ragione e di espe- rienza che possono contenere. 5. Nel complesso, il pensiero moderno si presenta per la prima volta nel Seicento come una radicale rottura con un lungo passato di civilt; ma, naturalmente, come una radicale rottura soprattutto nei confronti del Rinascimen- to umanistico. Certo, la storia non ha pietre miliari o bar- riere doganali  non si passa da unepoca ad unaltra mo- strando un passaporto e varcando una linea di frontiera. Ed ogni epoca si porta dietro dalle precedenti, e soprat- tutto da quelle immediatamente precedenti, pesanti ere- dit che solo lentamente, e quasi mai con progressione li- neare, vengono poi inventariate e rinunciate. Questo va- le anche per il Seicento rispetto al Quattro e Cinquecen- to. Ma la violenta polemica secentesca contro gli antichi, contro il passato in genere, contro i libri,  soprattutto una polemica contro la cultura di questi secoli (e contro i suoi persistenti epigoni secenteschi).  inutile vederci una polemica contro la scolastica  una scolastica che 1 fi- losofi del Seicento in gran parte ignorano, da cui raccol- gono forse inconsapevolmente molte eredit parziali, e della quale rispettano i pochi grandi autori che conosco- no. C' la polemica contro gli antichi: ma fino a che pun- to e in quali forme li conoscevano?  Combattono non tanto Aristotele, quanto laristotelismo rinascimentale; non tanto Platone, quanto il neoplatonismo  i loro ber- sagli erano piuttosto Cremonini e Paracelso che non Ari- stotele di Stagira e Platone di Atene. E soprattutto com- battono il culto per gli antichi, la mentalit che faceva della cultura classica, greca e latina, nella sua forma e nei suoi metodi, una cultura perfetta ed esemplare: cio la mentalit dellUmanesimo rinascimentale. 66 RETORICA E LOGICA II. 1.  notaa tutti la lunga polemica sostenuta contro la scienza ufficiale del suo tempo da Galileo Galilei. Scien- ziato e non filosofo, la sua polemica  ben lungi dallab- bracciare la totalit della cultura, e tanto meno poi inve- ste la filosofia in senso stretto  tuttavia, data lenorme importanza che gli sviluppi della nuova scienza ebbero nella formazione del pensiero moderno nel complesso, e della filosofia moderna in particolare, la sua polemica ri- veste un diretto interesse filosofico. I limiti di essa non stanno tanto nella limitazione dellintento, quanto, e so- prattutto, nella posizione storica dello stesso Galilei, che per molti aspetti  uomo schiettamente moderno, rappre- sentante del nuovo tipo di umanit e di civilt, ma per molti altri aspetti  ancora uomo del Rinascimento. Formatosi a Firenze, in ambiente cio quantaltri mai umanistico, ebbe in giovent interessi critico-letterari, che in qualche modo coltiv anche in seguito; tuttavia le sue tendenze letterarie furono controbilanciate da interessi tecnici: si che mentre si occupava dellAriosto e del Tas- so frequentava le lezioni che Ostilio Ricci, discepolo di N. Tartaglia, teneva all'Accademia fiorentina del Dise- gno, dedicate al disegno geometrico applicato a problemi tecnici  e fu proprio a queste lezioni che matur in lui lidea della nuova scienza, al contempo matematica e tec- nico-sperimentale. Per, anche se compensati, le sue ten- denze e i suoi gusti umanistici si faranno sentire nella sua stessa opera di scienziato come residuo di un platonismo non mai ben superato, e soprattutto in una caratteristica segregazione della scienza: nel momento stesso che ne af- ferma lautonomia, che reclama per le verit scientifiche il diritto a venir giudicate sul terreno loro proprio, che  quello delle sensate esperienze e delle dimostrazioni matematiche  nel medesimo momento egli afferma insie- me lautonomia di altre forme di cultura, come la poesia o la teologia, nelle quali la mentalit scientifica non deve penetrare. Onde la scienza resta libera e sola: non il car- dine di una civilt, come sar poi per i pensatori pi completamente moderni, ma un'attivit o accademica, o tec- nica, ma pur sempre particolare e isolata. Per questo Ga- lileo non ha completamente il senso della sua stessa mo- dernit: nel leggere le sue pagine si ha l'impressione mol. to chiara che egli non polemizzi contro una vecchia cultu- ra in nome di una nuova, ma che combatta contro deter- minati uomini, o, tutt'al pi, determinati ambienti acca- demici e universitari  uomini meschini, o ciechi, o fanati- ci, il cui errore  di credere ciecamente nei maestri, i quali invece, se tornassero al mondo, darebbero ragione a lui, Galileo Galilei. 2. Ma pur con questi limiti, ripetiamolo, la polemica galileiana gi annuncia in modo chiaro la coscienza di un nuovo modo di pensare nei confronti della tradizione an- tica, medievale e rinascimentale. Al centro di essa sta, com noto a tutti, la polemica antiaristotelica: la quale, come viene spesso ripetuto nel Dialogo sopra i due massimi sistemi,  rivolta pi contro gli aristotelici che contro Aristotele; contro seguaci ciechi e ostinati, che di Aristotele hanno fatto un idolo e un ora- colo, dellopus aristotelico un testo sacro '. Cio, soprat- tutto contro gli aristotelici rinascimentali, di Pisa, di Pa- dova  di quelli che di fronte alla scienza rinascimentale osavano sostenere lautorit di Aristotele; il che, dice Ga- lileo, Aristotele stesso non avrebbe mai fatto:  Noi avia- mo nel nostro secolo accidenti e dimostrazioni nuove e ta- li, ch'io non dubito punto che se Aristotele fusse allet nostra, muterebbe oppinione  . Giacch Galileo, facendo proprio lempirismo aristote- lico (o meglio, attribuendo ad Aristotele il suo proprio empirismo), afferma la progressivit del sapere. Idea tut- t'altro che nuova: gi in Giovanni di Salisbury si trova, messa in bocca a Bernardo di Chartres, limmagine, che ebbe tanta fortuna, dei moderni come nani sulle spalle di giganti: i classici erano giganti, i moderni sono nani  ma nani che, potendo salire sulle spalle dei giganti, vedono ! Dialogo sopra i due massimi sistemi, g. Il (Opere di GALILEO GALILEI, Torino 1964, vol. II, p. 145). P. 72.  pi lontano di loro. E idea tutt'altro che estranea alla mentalit rinascimentale: se antichi vuol dire pi vec- chi, e pi vecchi vuol dire con maggiore esperienza, i veri antichi sono i moderni  questa idea si trova gi nei Problemata marina (1546) di Cassmann e nella Cena delle Ceneri di G. Bruno. In s, e cosi concepita, questa idea del progresso non colpisce le basi del classicismo e del tradizionalismo, ma solo di quella specie di fanatico dogmatismo che vuol fare di un autore, sia pur grande, un ipse dixit, e dei suoi testi (non delle sue prove o dimostrazioni) dei testi sacri. I classici rimangono classici, il loro metodo esemplare. Lo stesso Galileo afferma una specie di identit del proprio metodo e di quello aristotelico, e persino del metodo ari- stotelico e della matematica pitagorica. A Simplicio che gli obietta che  Aristotele fece il principal suo fondamen- to sul discorso 4 priori, mostrando la necessit dellinalte- rabilit del cielo per i suoi principii naturali, manifesti e chiari; e la medesima stabil doppo a posteriori, per il sen- so e per le tradizioni degli antichi , Salviati risponde:  Cotesto, che voi dite,  il metodo col quale egli ha scritta la sua dottrina, ma non credo gi che e sia quello col quale egli la investig, perch io tengo per fermo che procurasse prima, per via de sensi, dell'esperienza e delle osservazioni, di assicurarsi quanto fusse possibile della conclusione, e che doppo andasse ricercando i mezi da po- terla dimostrare, perch cosi si fa per lo pi nelle scienze dimostrative: e questo avviene perch, quando la conclu- sione  vera, servendosi del metodo resolutivo, agevol- mente si incontra qualche proposizione gi dimostrata, o si arriva a qualche principio per s noto; ma se la conclu- sione sia falsa, si pu procedere in infinito senza incontrar mai verit alcuna conosciuta, se gi altri non incontras- se alcun impossibile o assurdo manifesto. E non abbiate dubbio che Pittagora gran tempo avanti che e ritrovasse la dimostrazione per la quale fece lecatumbe, si era assi- curato che ] quadrato del lato opposto all'angolo retto era uguale ai quadrati degli altri due lati; e la certezza della ! Cfr. GARIN, L'educazione in Europa cit., p. 59. conclusione aiuta non poco al ritrovamento della dimo- strazione, intendendo sempre nelle scienze dimostrati- ve  3 Il che, storicamente, era anche abbastanza esatto: ef- fettivamente Aristotele aveva asserito che i principii del- le scienze particolari erano stabiliti per induzione, e sol- tanto si esponevano in forma dimostrativo-deduttiva. E forse  anche storicamente vero che la geometria pitagori- ca muovesse da particolari conoscenze empiriche. Ma que- sto fare dell'empirismo una specie di philosophia peren- nis, questa preoccupazione di affermarne lantichit di fronte a deviazioni pit recenti  del tutto nello spirito del- lUmanesimo rinascimentale: sembra che manchi la con- sapevolezza della grande novit umana, del nuovo tipo di civilt, che la stessa scienza galileiana sta portando nel mondo. La progressivit sembra qui ridursi ad un mero ampliamento quantitativo e miglioramento qualitativo di una forma nella sua essenza immutabile.  vero per che in Galileo lidea della progressivit del sapere sembra connettersi con un pensiero pi profondo: con lidea dellinfinit del vero.  Extensive, cio quanto alla moltitudine degli intelligibili, che sono infiniti, lin- tender umano  come nullo, quando bene egli intendesse mille proposizioni, perch mille rispetto allinfinit  co- me uno zero  . Invece intensive, nelle proposizioni che arriva ad intendere perfettamente, cio nei teoremi delle matematiche pure, che certamente sono poche rispetto al- l'infinito numero che Dio ne conosce, Galileo crede  che la cognizione [dell'intelletto umano] agguagli la divina nella certezza obiettiva, poich arriva a comprenderne la necessit, sopra la quale non par che possa esser sicurezza maggiore  . Per, anche qui, non  tolta la dialettica fi- nito-infinito. Dio conosce tutte le proposizioni matemati- che, nella loro infinit, in un solo istante e intuitivamente, mentre il nostro intelletto deve procedere  con discorsi e con passaggi di conclusione in conclusione ; ma vi  an- che qualcosa di pi: perch mentre noi apprendiamo una ! Dialogo, g. I (Opere cit., II, pp. 73-74). ? P. 135. per una, per passaggi graduali, le affezioni, cio le pro- priet degli enti matematici (per es., del cerchio), proprie- t che sono infinite,  lintelletto divino con la semplice apprensione della sua essenza [ del cerchio, preso come e- sempio] comprende, senza temporaneo discorso, tutta la infinit di quelle passioni; le quali anco poi in effetto vir- tualmente si comprendono nelle definizioni di tutte le co- se, e che poi finalmente, per esser infinite, forse sono una sola nellessenza loro e nella mente divina '. Ma questo passo termina con lesaltazione, fatta da Sa- gredo, delle grandi conquiste dellingegno umano. Dun- que: la progressivit  data dalla partecipazione dellin- telletto umano alla ragione divina, ma lintelletto umano  discorsivo e finito, di fronte allunit e infinit del vero quale  in s, ossia nellapprensione divina. Si tratta dun- que di una progressivit infinita, di una verit che viene conquistata in un processo ir infinitura. 3. Il che  pretto platonismo rinascimentale, che ram- menta molto da vicino le dottrine di un Cusano o di un Bruno. Cusano accentua al massimo e sviluppa nelle sue conse- guenze lidea dellinfinit di Dio  unidea non certo nuo- va, ma sulla quale in genere la scolastica aristotelica non aveva insistito. Questa infinit rende incommensurabile la mente divina alla mente umana, legata al finito, e quindi alla divisione e al molteplice. Ch linfinit divina  uni- t: Dio  linfinito uno, lassoluto, lincondizionato. La verit, quindi, che  identica alla stessa natura di Dio,  irraggiungibile alla mente umana. Il pensiero umano  le- gato al discorso: determina un concetto per mezzo di un altro, ma per fare ci deve percorrere linfinita successio- ne dei termini medi, in una catena, virtualmente, infinita, di sillogismi  ma in tal modo sfugge proprio lincondizio- nata unit dellessenza, che  al di l di ogni paragone. Lu- nica forma genuina di sapere  dunque la docta ignoran- tia. Ma, come sar poi per Galileo, questa dottrina non si risolve in una rinuncia scettico-mistica al sapere scientifico, ma anzi termina in unaffermazione della progressivit di esso. Dal punto di vista delle questioni che stiamo trattando lo scritto pi interessante del Cusano  il De Conjecturis. La praecisio veritatis  inattingibile alla nostra mente: ogni umana asserzione positiva del vero  conjectura, i- potesi, molteplice e dispersa e quindi assolutamente ina- deguata nei confronti della verit, che  unit. Tuttavia la mente umana  sizzilitudo della mente divina, e partecipa, come pu, al potere creativo di questa: onde essa crea un mondo congetturale, ipotetico, fondato sulla sua strut- tuta; inadeguato, ma che conserva, nella molteplicit e nella differenza, una somiglianza con la verit:  Cogno- scitur . .. inattingibilis veritatis unitas alteritate conjectu- rali  !. Il rapporto, la sizzilitudo,  quello dellinfinita molte- plicit allunit, di unapprossimazione allinfinito: In solo . . . divino intellectu, per quem omne ens existit, veri- tas rerum omnium, uti est, attingitur; in aliis autem intel- lectibus aliter atque varie  . E questa varietas, dicevamo,  infinita, e si approssima indefinitamente alla praecisio del concetto divino, senza mai adeguarla. Il risultato  lindefinita progressivit del sapere: ch lessenza stessa delle menti create consiste nella partecipazione allatto della mente divina  onde questa non  semplicemente ir- raggiungibile, bensi avvicinabile allinfinito: Non sunt autem ipsae mentes in se divini luminis ra- dium capientes, quasi participationem ipsam natura prae- venerint, sed participatio intellectualis incommunicabilis ipsius actualissimae lucis earum quidditas existit. Actua- litas igitur intelligentiae nostrae in participatione divini intellectus existit. Quoniam autem actualissima illa virtus non nisi in varietate alteritatis accipi potest, quae potius quadam concurrentia potentiae concipitur, hinc partici- pantes mentes in ipsa alteritate actualissimi intellectus quasi in actu illo, qui ad divinum intellectum relatus alte- ritas sive potentia existit, participare contingit. Potius | De Con., I, cap. II, fol. 41v (NicoLaus von cuEs, Philosophische Schriftn, a cura di A. Petzelt, vol. I, Stuttgart 1949, p. 124). P. 145. igitur omnis nostra intelligentia ex participatione actuali- tatis divinae in potentiali varietate consistit. Posse enim intelligere actu veritatem ipsam, uti est, ita creatis conve- nit mentibus, sicut Deo proprium est actum illum esse va- rie in creatis ipsis mentibus in potentia participatum. Quanto igitur intelligentia deiformior, tanto eius poten- tia actui, uti esi, propinquior; quanto vero ipsa fuerit ob- scurior, tanto distantior.  Quapropter in propinqua, remota atque remotissima potentia varie differenter participatur. Nec est inaccessi- bilis illa summitas, ita aggredienda quasi in ipsam accedi non possit, nec aggressa credi debet actu appraehensa; sed potius, ut accedi possit semper quidem propinquior ipsa, semper, uti est, inattingibili remanente. Tempus e- nim ad aevum ita pergit, cui nunquam  quamvis accesse- rit continue  poterit adaequari . 4. Concezioni analoghe si ritrovano, un secolo e mez- zo dopo, nel pensiero di Giordano Bruno, sebbene, in ve- rit, non cosi nitide e non cos vicine al pensiero di Ga- lileo. Dalla concezione metafisica di un Uno-Infinito che si espande in tutte le cose e in tutte le menti, infinit con- tratta che si espande e nella quale si contrae ogni espan- sione, Bruno deriva la sua fondamentale concezione gno- seologica, per cui la verit consiste nel riportare il molte- plice disperso nei sensi e nellimmaginazione all'unit: processo infinito, che la mente umana non pu completa- mente assolvere.  Luno ente summo, nel quale  indifferente latto dal- la potenza, il quale pu essere tutto assolutamente ed  tutto quello che pu essere,  complicatamente uno, im- menso, infinito, che comprende tutto lo essere ... Per il che non vi sonar mal ne lorecchio la sentenza di Eracli- to, che disse tutte le cose essere uno, il quale per la mu- tabilit ha in s tutte le cose. E perch tutte le forme so- no in esso, conseguentemente tutte le diffinizioni gli con- ' pp. 145-46. vengono; e per tanto le contradittorie enunciazioni sono vere. E quello che fa la moltitudine ne le cose, non  lo ente, non  la cosa, ma quel che appare, che si rappresenta al senso ed  nella superficie della cosa  !. Lunit discende al molteplice nella produzione delle cose: la mente ripercorre, con cammino infinito, la strada a ritroso, cercando di risalire allunit: Prima ... voglio che notiate essere una e medesima scala per la quale la natura descende alla produzion de le cose, e lintelletto ascende alla cognizion di quelle; e che l'uno e laltra da lunit procede allunit, passando per la moltitudine dei mezzi ....  Secondo, considerate che lintelletto, volendo liberar- se e disciorse dallimmaginazione alla quale  congionto, oltre che ricorre alle matematiche ed imaginabili figure, a fin che o per quelle o per la similitudine di quelle com- prenda lessere e la sustanza de le cose, viene ancora a ri- ferire la moltitudine e diversit di specie a una e medesi- ma radice. Come Pitagora che puose gli numeri principii specifici de le cose, intese fundamento e sustanza di tutto la unit... di  Aggiungi a quel che  detto che, quando lintelletto vuol comprendere lessenzia di una cosa, va simplificando quanto pu: voglio dire, dalla composizione e moltitudi- ne se ritira, rigittando accidenti corrottibili, le dimensio- ni, i segni, le figure a quello che sottogiace a queste cose. Cossi la lunga scrittura e prolissa orazione non intende- mo, se non per contrazione ad una semplice intenzione. Lintelletto in questo dimostra apertamente come ne lu- nit consista la sustanza de le cose, la quale va ricercando o in verit o in similitudine. Credi che sarebbe consum- matissimo e perfettissimo geometra quello che potesse contraere ad una intenzione sola tutte le intenzioni di- sperse ne principii di Euclide; perfettissimo logico chi tutte le intenzioni contraesse ad una. Quindi  il grado ' De la causa, principio e uno, dial. V (Opere di crorDANO BRUNO e di TOMMASO CAMPANELLA, a cura di A. Guzzo e di R. Amerio, Ricciardi, Na- poli 1966, pp. 406-7). , P. 407. P. 408. delle intelligenze: perch le inferiori non possono inten- dere molte cose, se non con molte specie, similitudini e forme; le superiori intendono megliormente con poche; le altissime con pochissime, perfettamente. La prima in- telligenza in una idea perfettissimamente comprende il tutto; la divina mente e la unit assoluta, senza specie al- cuna  ella medesima lo che intende e lo che  inteso. Cos- si, dunque, montando noi alla perfetta cognizione andia- mo complicando la moltitudine; come, descendendosi alla produzione delle cose, si va esplicando la unit. Il descen- so  da uno ente ad infiniti individui e specie innumerabi- li; lo ascenso  da questi a quello  '. Da questa tensione di infinito complicato e infinito e- splicato, da questo doppio infinito processo di discesa ed ascesa tra luno e luno nasce anche per il Bruno la pro- gressivit del sapere, il senso di uno svolgersi del sapere umano nel tempo in cospetto delleterno. Nella Cena delle Ceneri si difende la nuova cosmologia copernicana (e bru- niana) dal conservatorismo culturale dei pedanti. Il mo- derno  ci che  pi vecchio; e daltra parte tutto ci che ora  tradizionale un giorno fu novit, e ci che oggi  novit un giorno sar tradizione. PRUDENZIO Sii come la si vuole, io non voglio di- scostarmi dal parer degli antichi, perch dice il saggio: nellantiquit  la sapienza.  TeoFILO E soggionge: in molti anni la prudenza. Se voi intendeste bene quel che dite, vedreste, che dal vostro fondamento sinferisce il contrario di quel che pensate: voglio dire, che noi siamo pi vecchi ed abbiamo pi lunga et, che i nostri prede- cessori; intendo, per quel che appartiene in certi giudizii, come in proposito [ della cosmologia ]. Non ha possuto es- sere sf maturo il giodicio dEudosso, che visse poco dopo la rinascente astronomia, se pur in esso non rinacque, co- me quello di Calippo, che visse trent'anni dopo la morte dAlessandro Magno; il quale, come giunse anni ad anni, possea giungere ancora osservanze ad osservanze. Ippar- co, per la medesma ragione, dovea saperne pi di Calippo, perch vedde la mutazione fatta sino a centononantasei 1 pp. 409-10. anni dopo la morte dAlessandro. Menelao, romano geo- metra, perch vedde la differenza di moto quattrocento- sessantadui anni dopo Alessandro morto,  raggione che nintendesse pit dIpparco. Piti ne dovea vedere Maco- metto Aracense milleduecento e dui anni dopo quella. Pi nha veduto il Copernico quasi a nostri tempi appresso la medesma anni milleottocentoquarantanove. Ma che di questi alcuni, che son stati appresso, non siino per stati pi accorti, che quei che furon prima, e che la moltitudi- ne di que, che sono a nostri tempi, non ha per pii sale, questo accade per ci che quelli non vissero, e questi non vivono gli anni altrui, e, quel ch peggio, vissero morti quelli e questi negli anni proprii  . 5. Torniamo ora a Galileo. La sua idea della progres- sivit del sapere, come in Bruno, da una parte  eminen- temente, tipicamente moderna: il sapere progredisce con lesperienza, e le esperienze si accumulano negli anni; in questo senso  assurdo invocare lautorit degli antichi. Ma, come in Bruno, c tutta la pesante eredit del plato- nismo rinascimentale, che abbiamo visto dal confronto col Cusano. La progressivit ha qui le sue radici in una fondamentale disequazione tra il pensiero umano disper- so nella mala infinit del molteplice ed una eterna verit: la storia  unindefinita tensione del tempo verso leterni- t, che mai non sar raggiunta. Onde il sapere umano non sar mai verit, ma conserver sempre, di fronte a s, un criterio trascendente di verit assoluta. Ci sar sempre la veritas, propria dellintelletto divino, e la conjectura, li- potesi, propria dellintelletto umano. Vero  che nel pensiero di Galilei ci sembra attenuar- si: c' in lui un oggettivismo che manca in Cusano, e in virti del quale sembra che la verit umana e quella divi- na in alcuni casi possano anche coincidere. Per esempio, per ci che riguarda le matematiche. Esse per Cusano so- no la forma della stessa mente umana e prodotte da que- sta: rispetto alle idee della mente divina sono soltanto similitudo (stanno a queste come le figure geometriche ! La Cena de le Ceneri, dial. I (Opere cit., pp. 203-4). disegnate stanno alle idee matematiche delle medesime quali sono nella mente). In Galileo non pare sia cosi: in- tensive le cognizioni matematiche sono uguali nella men- te umana e nella mente divina: e anche Dio le apprende, sia pure con intuito immediato. E mediante esse luomo legge la verit scientifica nel grande libro della natura  anche qui, coglie unobiettivit. Per, come abbiamo visto, resta una differenza, anche qualitativa, essenziale: l'intelletto divino non solo appren- de diversamente le idee, ma le apprende diverse, in una unit assoluta che  irraggiungibile dalla nostra mente. 6. Questo residuo teologico, tipicamente rinascimen- tale, affiora anche nelle dottrine di derivazione agostinia- no-platonica che Galilei invoca per difendere la scienza dagli attacchi dellortodossia chiesastica  dottrine che forse hanno contribuito ad aggravare la sua posizione, non essendosi egli accorto che il Rinascimento era finito e si viveva oramai in piena Controriforma. Queste dottrine sono esposte soprattutto nella celebre Lettera 4 Benedet- to Castelli, ampliata poi notevolmente nella Lettera a Ma- dama Cristina di Lorena. La tesi centrale di questi scritti , certo, tipicamente moderna  la si ritrover nei gianse- nisti, in Pascal, e ancora nel pensiero di protestanti ingle- si e olandesi ai princip del Settecento: i campi della fede e della scienza, della rivelazione e della conoscenza uma- na (sensibile-intellettuale), sono divisi e non si devono so- vrapporre. Galileo muove da due considerazioni comple- mentari: la prima  che, tutto derivando da Dio, sovrana- tura e natura, rivelazione e mezzi naturali umani di cono- scenza, sarebbe stato contrario all'economia del Creatore se Egli avesse fatto conoscere mediante la rivelazione ci che era accessibile ai mezzi culturali umani, ossia la natu- ra; mentre era necessario affidare alla rivelazione ci che trascende la natura, cio ci che trascende sensi e discorsi naturali  vale a dire, lessenza di Dio stesso e delle cose sopramondane, i voleri di Dio nei riguardi dei comporta- menti umani, ecc.  Laltra idea  che la Bibbia richiede comunque interpretazione, ch il suo senso letterale, sto- ricamente relativo alla cultura e mentalit del popolo cui la Scrittura era stata originariamente destinata,  spesso assurdo e ripugnante. Di conseguenza, anzi a maggior ra- gione, questa interpretazione  necessaria per tutte quelle frasi della Bibbia che abbiano sapore astronomico, cosmo- logico, comunque scientifico:  Stimerei . .. che lautorit delle Sacre Lettere avesse avuto la mira a persuadere principalmente a gli uomini quegli articoli e proposizioni che, superando ogni umano discorso, non potevano per altra scienza n per altro me- zo farcisi credibili, che per la bocca dellistesso Spirito Santo: di pi, che ancora in quelle proposizioni che non son de Fide lautorit delle medesime Sacre Lettere deva essere anteposta allautorit di tutte le scritture umane, scritte non con metodo dimostrativo, ma o con pura nar- razione o anco con probabili ragioni, direi doversi reputar tanto convenevole e necessario, quanto listessa divina sa- pienza supera ognumano giudizio e coniettura. Ma che quellistesso Dio che ci ha dotato di sensi, di discorso e dintelletto, abbia voluto, posponendo luso di questi, darci con altro mezo le notizie che per quelli possiamo conseguire, sf che anco in quelle conclusioni naturali, che o dalle sensate esperienze o dalle necessarie dimostrazioni ci vengono esposte dinanzi a gli occhi e allintelletto, do- viamo negare il senso e la ragione, non credo che sia ne- cessario il crederlo, e massime in quelle scienze delle qua- li una minima particella solamente, ed anco in conclusioni divise, se ne legge nella Scrittura; quale appunto  lastro- nomia, di cui ve n cos piccola parte, che non vi si tro- vano n pur nominati i pianeti, eccetto il Sole e la Luna, ed una o due volte solamente, Venere, sotto il nome di Lucifero  '. Stante, dunque, ci, mi par che nelle dispute di pro- blemi naturali non si dovrebbe cominciare dalle autorit di luoghi delle Scritture, ma dalle sensate esperienze e dalle dimostrazioni necessarie; perch, procedendo di pa- ti dal Verbo divino la Scrittura Sacra e la natura, quella come dettatura dello Spirito Santo, e questa come osser- | Lettera a Madama Cristina di Lorena (Opere cit., vol. I, pp. 560-61); cir. anche la Letera a Benedetto Castelli (ibid., pp. 528-29). vantissima esecutrice de gli ordini di Dio; ed essendo, di pi, convenuto nelle Scritture, per accomodarsi allinten- dimento delluniversale, dir molte cose diverse, in aspet- to e quanto al nudo significato delle parole, dal vero asso- luto; ma, allincontro, essendo la natura inesorabile ed immutabile, e mai non trascendente i termini delle leggi impostegli, come quella che nulla cura che le sue recon- dite ragioni e modi doperare sieno o non sieno esposti alla capacit degli uomini; pare che quello degli effetti na- turali che o la sensata esperienza ci pone dinanzi a gli oc- chi o le necessarie dimostrazioni ci concludono, non deb- ba in conto alcuno esser revocato in dubbio, non che con- dennato, per luoghi della Scrittura che avessero nelle pa- role diverso sembiante; poi che non ogni detto della Scrit- tura  legato ad obblighi cos severi comogni effetto di natura, n meno eccellentemente ci si scuopre Iddio negli effetti di natura che ne sacri detti delle Scritture ... '. Queste pagine, apparentemente cos limpide e quasi ovvie (e tali anche dovevano apparire a Galileo), in realt cosi tormentate e non esenti da qualche ombra di con- traddizione, meritano un certo commento. Galilei cerca di suffragare le sue dottrine circa i rapporti fra scienza e fede con larghe citazioni tratte da padri della Chiesa, e in particolare da sant'Agostino  e certamente esse rispon- dono ad una mentalit platonico-agostiniana largamente diffusa nel Rinascimento. I padri, e soprattutto gli africa- ni come Tertulliano e sant'Agostino, avevano unidea as- sai precisa quando distinguevano nel messaggio cristiano, e in genere biblico, ci che doveva essere accolto de fide e ci che poteva essere lasciato alla scienza, eventualmente acconsentendo a interpretazioni della lettera del testo sa- cro: la Rivelazione ha soltanto lo scopo di indicare alluo- mo le vie della salvezza religiosa, non mai quello di un addottrinamento scientifico. E ci soprattutto per una ra- gione chiarissima e specifica: che la conoscenza scientifica della natura ha punta o poca importanza, non conta,  inessenziale, e perci Dio lascia che in essa luomo si ar- rangi con i suoi mezzi naturali. La natura  solo fenomeno I, pp. 559-60.di Dio, e luomo , nel complesso, per essa sufficiente. Qualcosa del genere, qua e l, dice anche Galileo: la Bib- bia ha voluto rivelare solo quelle verit che sono necessa- rie alla salute degli uomini, quindi che riguardano i rap- porti di Dio con luomo, i destini dellanima, la morale si cose che, daltra parte, avendo almeno uno dei due termi- ni della relazione trascendente, trascendono lintelletto naturale.  Per pare che la regia sopreminenza se gli deva [alla teologia] nella seconda maniera, ci  per l'altezza del suggetto e per lammirabil insegnamento delle divine rivelazioni in quelle conclusioni che per altri mezzi non potevano dagli uomini esser comprese e che sommamente concernono allacquisto delleterna beatitudine  ' Molti filosofi moderni, in questo o in altri modi equi- valenti, ripeteranno la medesima cosa. Tuttavia il pensie- ro moderno, preso nel suo complesso, non vi potr aderi- re: alla fine troveremo non la separazione dei campi, ma panteismo, deismo, materialismo e infine positivismo da una parte, disperati tentativi di conciliazione dall'altra. L'autonomia della scienza Galileo la paga troppo cara: con una subordinazione che, se anche non  di contenuto dottrinale, tuttavia lo  comunque di dignit e di oggetto, e quindi con una sostanziale limitazione del suo campo, con una sostanziale rinuncia a divenire lanima, la forma, della cultura umana nel suo complesso. I due ultimi seco- li del pensiero moderno, il Settecento illuministico e lOt- tocento, finiranno, in genere, con un netto rifiuto di tali limiti. Ma, a parte ci, il testo galileiano, esaminato pi atten- tamente, appare malsicuro e oscillante. Da una parte vi fa capolino un quasi-neo-averroismo (non come dottrina del- le due verit, che anzi  decisamente ed esplicitamente ne- Bata: due veri non possono mai contrariarsi  ) nella forma di una specie di gnosticismo, per cui la lettera del- la Scrittura  fatta per gli incolti, per la plebe, per acco- modarsi allintendimento delluniversale, ma non ha su questo piano verit assoluta  oltre la lettera c un significato esoterico che  compito dei dotti intendere e svela- re. Di qui, per quanto riguarda la scienza, un audacissimo rovesciamento delle posizioni e delle pretese dei teologi  quasi, addirittura, l'affermazione di una supremazia del- la fisica sulla teologia, ch la parola della Bibbia  appros- simata e non rigorosa, mentre la legge della natura e la pa- rola della scienza che tale legge scopre ed enuncia  neces- saria. La verit scientifica non  arbitraria, non  opinabi- le: Io vorrei pregar questi prudentissimi Padri, che vo- lessero con ogni diligenza considerare la differenza che  tra le dottrine opinabili e le dimostrative; acci, rappre- sentandosi bene avanti la mente con qual forza stringhino le necessarie illazioni, si accertassero maggiormente come non  in potest de professori delle scienze dimostrative il mutar lopinioni a voglia loro ...  '. In fondo, la paro- la della Bibbia  storica: anche se viene dallEterno, par- la nel tempo e nel linguaggio del tempo; ma il libro della natura  eterno, astorico, parla eternamente sempre il me- desimo linguaggio, incurante se coloro che lo dovrebbero leggere lo capiscano o no. (A questo punto la condanna ecclesiastica di Galilei, in piena Controriforma, diviene comprensibilissima). Per... Il gran libro della natura  pur sempre un libro: in questo Galileo rimane senza scampo un uomo della tradizione umanistica. Gli umanisti avevano oppo- sto alle orribili compilazioni, ai centoni, alle cattive tra- duzioni, ai commenti artificiosi dei libri medievali i pi genuini, eleganti, intelligenti testi scritti dalle grandi fon- ti della stessa cultura medievale, dai grandi autori dellan- tichit; Galileo va al di l anche degli umanisti filologi, e oppone ai loro libri pur sempre scritti da uomini il grande libro della natura. Ma si tratta ancora di un testo, cio di un messaggio da decifrare, di qualcosa che consta di sim- boli attraverso cui parla un autore. Questa volta lautore non  n Aristotele n Platone,  Dio stesso, autore del libro della natura: ma il libro non  mai la realt, che ri- mane nel suo autore. E con ci si connette laffermazione che le ragioni divine restano nascoste, e che la sapienza divina  superiore alle congetture umane; e finalmente, nel campo della stessa filosofia della natura, si connettono i limiti posti alla conoscenza umana. 7. L'aspetto del pensiero galileiano in cui affiora pit decisamente la coscienza della modernit della sua posi- zione  tuttavia proprio qui, nellaffermazione dellauto- nomia della scienza. Autonomia un po equivoca, in quan- to pu anche significare il confinamento della scienza a campi limitati della cultura, anzich l'affermazione di una civilt delle scienze; ma tuttavia fondata su argomenti de- cisamente moderni, che scuotono il mito della civilt clas- sica come civilt modello e colpiscono i difetti fondamen- tali di una civilt delle lettere di origine umanistica. A tutti  nota la polemica contro laristotelismo, che Galileo ha in comune con molti altri moderni. Polemica contro laristotelismo del suo tempo, non contro Aristo- tele come tale: Simplicio, laristotelico alquanto ridicoliz- zato nei Dialoghi, non  n un peripatetico antico n uno scolastico medievale, ma un collega di Galilei, un profes- sore di Pisa o di Padova. In primo luogo, laristotelismo  combattuto per il fat- to che si fonda sullautorit di Aristotele. E quello che qui si respinge non  tanto lautorit di Aristotele come tale (per esempio, in nome di unaltra autorit), quanto lautorit in genere. Non era cosa nuova, perch gi ingegneri e scienziati del Rinascimento (per esempio, N. Tartaglia) si erano ribellati all'autorit. Nelle scienze han- no valore soltanto le sensate esperienze e le dimostrazioni matematiche, non le citazioni di autori per quanto impor- tanti ed illustri. Questo punto  anche troppo noto perch occorra insistervi: ma forse  opportuno che ci soffermia- mo brevemente ad intenderne il significato. Il principio di autorit, spesso invocato dagli scolastici e ancora  an- zi maggiormente, con riferimenti filologici precisi e preoc- cupazioni di correttezza testuale ed ermeneutica di cui in- vece gli scolastici si erano assai meno preoccupati  dagli scrittori del periodo umanistico ed umanistico-rinasci- mentale, non significava mera o cieca tirannide culturale, mancanza di libert di pensiero, o simili (sebbene una certa storiografia ottocentesca si sia compiaciuta di vederlo sotto questa luce): bensi rispondeva ad un preciso e de. terminato concetto di cultura: cultura come tradizio- ne. La cultura era depositata nelle opere degli auctores, i classici: compito delluomo colto, del clericus medie. vale come dellhumanista, era assorbirla, conservarla, tra- mandarla come un grande e sacro patrimonio. Non solo nella teologia, ma in tutto il sapere questo concetto era ritenuto fondamentale: e questo spiega, per esempio, lac- canimento della Chiesa contro l eresia copernicana, co- me, in genere, contro tutte le innovazioni anche fuori del campo teologico. A questa storica universalit di tra- dizione il pensiero moderno contrappone luniversalit del sapere empirico e concettuale, una universalit non legata alla storia, non legata a tradizioni e istituzioni, ma fondata sulla stessa natura  e sulla stessa natura raziona- le delluomo. E infatti negli scritti di Galileo la polemica contro la- ristotelismo non  che un aspetto di una pi vasta pole- mica contro questa cultura in cui il sapere si risolve in memoria, la scienza in filologia e in storia. La filologia e la storia servono soltanto a conoscere le cose passate che pi non sono attuali, non le cose presenti  e la natura  eternamente presente e attuale:  Passiamo a sentire i testimoni deglIstorici. Io non posso non ritornare a meravigliarmi che pur il Sarsi vo- glia persistere a provarmi con testimoni quello che io pos- so ad ogni ora veder per via di esperienza. Si esaminano i testimoni nelle cose dubbie e passate e non permanenti e non in quelle che sono in fatto e presenti; e cos  ne- cessario che il giudice cerchi per via di testimoni sapere se  vero che ier notte Pietro ferisse Giovanni e non se Giovanni sia ferito, potendo vederlo tuttavia e farne il visu reperto '. Questa polemica investe luso  tanto tipicamente u- manistico!  di rifarsi alle testimonianze dei poeti, contro il quale Galileo polemizza allegramente; e investe anche la tendenza, pure cos tipicamente umanistica, a invocare 1! Saggiatore (Opere cit., I, p. 768). il consensus gentium, tipico sempre in una cultura di tipo tradizionalistico e libresco.  Ma pit dico che anco nelle conclusioni delle quali non si potesse venire in cognizione se non per via di discorso, poca pi stima farei dellattestazioni di molti che di quel- le di pochi, essendo sicuro che il numero di quelli che nelle cose difficili discorron bene  minore assai che di quei che discorron male. Se il discorrere circa un proble- ma difficile fusse come il portar pesi, dove molti cavalli porteranno pi sacca di grano che un caval solo io accon- sentirei che i molti discorsi facesser pi che un solo, ma il discorrere  come il correre e non come il portare e un caval barbero solo correr pi che cento frisoni  '. E prima aveva detto: Intanto non posso mancare per avvertimento suo [del Sarsi] e per difesa di quelli [Cardano e Telesio] di- mostrare quanto improbabilmente ei conclude la lor poca scienza della filosofia dal piccol numero de suoi seguaci. Forse crede il Sarsi de buoni filosofi se ne trovino le squadre intere dentro ogni ricinto di mura? Signor Sarsi, credo che volino come laquile e non come gli storni.  ben vero che quelle, perch son rare, poco si vedono, e meno si sentono, e questi che volano a stormi dovunque si posano empiendo il ciel di strida e di rumori, metton sossopra il mondo. Ma pur fussero i veri filosofi come la- quile e non piuttosto come la fenice. Signor Sarsi, infinita  la turba degli sciocchi, cio di quelli che non sanno nul- la; assai son quegli che sanno pochissimo di filosofia; po- chi son quelli che ne sanno qualche piccola cosetta; po- chissimi quelli che ne sanno qualche particella; un solo Dio  quello che la sa tutta. Sicch per dir quel chio vo- glio inferire, trattando della scienza che per via di dimo- strazione e di discorso umano si pu dagli uomini conse- guire, io tengo per fermo che quanto pit essa parteciper di perfezione, tanto minor numero di conclusioni permet- ter dinsegnare, tanto minor numero ne dimostrer ed in conseguenza tanto meno alletter e tanto minore sar il numero dei suoi seguaci. Ma per lopposito la magnificenza de titoli, la grandezza e numerosit delle promesse, at- traendo la natural curiosit degli uomini, e tenendoli per- petuamente ravvolti in fallacie e chimere, senza mai far loro gustare lacutezza di una sola dimostrazione, onde il gusto risvegliato abbia a conoscer linsipidezza de suoi cibi consueti, ne terr numero infinito occupato, e gran ventura sar dalcuno che scorto da straordinario lume naturale si sapr torre dai tenebrosi e confusi laberinti nei quali si sarebbe con luniversale andato sempre aggirando e tuttavia pi avviluppando. Il giudicar dunque dellopi- nioni di alcuno in materia di filosofia dal numero dei se- guaci, lo tengo poco sicuro  . Questo passo  di notevole interesse, perch vengono messe in confronto due tipiche concezioni antitetiche in- torno al valore universale della cultura  pi precisamen- te intorno al tipo di universalit che  in giuoco. Il primo tipo, che Galilei respinge,  caratteristico di civilt vecchie e conservatrici, quali la civilt antica nellet post- aristotelica (per es., Cicerone), la civilt scolastica medie- vale, la civilt umanistica: l universalit  qui, concre- tamente e storicamente, il corsensus, della gente in gene- rale, ma pi in particolare dei dotti. La verit ha qui un criterio di natura, diciamo, sociale:  vero quello che  ammesso da tutti, o per lo meno dai pi, in cerchie di competenti qualificati (professori, accademici, scrittori ri- conosciuti). Laltro tipo  caratteristico del razionalismo scientifico: la verit non  di natura storica e (almeno im- mediatamente) sociale, ma  un sussistere obiettivo, fon- dato sulla prova e sulla dimostrazione: il sapere ha una universalit ideale, la quale, piuttosto che sul consensus, sulla tradizione e sull'ammissione da parte di gruppi so- ciali qualificati, si fonda su di una libera ricerca indivi- duale, in quanto per l'individuo supera i limiti della sua soggettivit e della sua biografia ed opera secondo criteri metodici e razionali rigorosi. Questi sono i criteri del metodo scientifico alla cui for- mulazione, come tutti sanno, Galilei rec notevoli contri- buti, e che egli contrappone al metodo umanistico, in ge- 1 pp. 638-39. nerale e in alcuni suoi specifici aspetti. Uno di questi aspetti  la polemica, molto viva in ogni suo scritto, con- tro la retorica con le sue caratteristiche contaminazioni valutative.  qui che, pi che in altri aspetti, Galileo si oppone ad Aristotele e a tutta una civilt classicistica che si rifaceva a lui (ma per il persistere in Aristotele stesso di fondamentali strutture del platonismo)  una civilt in cui criteri di valore potevano divenire, ed essere usati co- me, criteri di verit. Per esempio, per questo tipo di civil- t i moti dei corpi celesti devono essere circolari, perch il circolo  figura perfetta; la Terra deve stare in basso perch meno nobile degli astri, i quali perci devono sta- re in alto... Ma la scienza  esente da valori: essa pro- cede per leggi e conseguenze di leggi, cause ed effetti, e, in quanto scienza, non valuta, e tanto meno pu usare di concetti valutativi in funzione esplicativa. Dice Galileo a proposito delle figure circolari: Quanto a me, non avendo mai letto le cronache e le nobilt particolari delle figure, non so quali di esse sieno pi o men nobili, pi o men perfette, ma credo che tutte sieno antiche e nobili a un modo o, per dir meglio, che quanto a loro non sieno n nobili e perfette, n ignobili ed imperfette, se non in quanto per murare credo che le qua- dre sien pi perfette che le sferiche, ma per ruzzolare o condurre i carri stimo pi perfette le tonde che le triango- lari. Ma, anche qui, la modernit di Galilei ha dei limiti. L'autonomia del sapere che egli afferma cos energica- mente e chiaramente esprime una piena consapevole mo- dernit nei confronti della tradizione classicistica: ma re- sta limitata alle matematiche e alle scienze della natura. Manca ancora laffermazione delluniversalit della scien- za come forma di tutta la cultura in generale, che invece sar cos tipica del cartesianismo (pi ancora dei cartesia- ni che di Cartesio stesso). Pi anziano di Galilei e, rispetto allo sviluppo del- la scienza moderna, assai pi arretrato di lui, Francesco Bacone ha tuttavia unassai pi forte consapevolezza del- la modernit e del significato universale della rivoluzione scientifica come inizio di una nuova era. Come scienziato,  praticamente un fallito. Le sue dot- trine generali sulla natura, per quanto sotto certi aspetti assai interessanti, tuttavia rimangono, nel complesso, en- tro i limiti del pensiero rinascimentale. E lo stesso pu dirsi, per quanto possa suonare paradosso, della sua tan- to celebrata dottrina del metodo scientifico, la quale, per quanto pi elaborata di quella galileiana (e anche di quel- la cartesiana), resta per al di qua delleffettivo metodo della scienza moderna, impigliata nellempirismo rinasci- mentale e in concezioni metodologiche di origine retori- ca'. Ma Bacone, assai pi dei suoi entusiasti continuato- ri e ammiratori, ha una chiarissima nozione della sua po- sizione storica e del suo merito: egli  solo laraldo, il trombettiere (buccinator) della nuova civilt della scien- za. Afferma che la sua filosofia non deve essere considera- ta come opinione personale, pensamento suo privato, ma come prodotto della sua epoca, temporis partus mascu- lus. Sebbene Bacone sia stato un pensatore ben poco reli- gioso, tuttavia tutti gli storici hanno notato nel suo pen- siero indubbi segni della sua educazione calvinistica. Tra laltro, un certo gusto profetico: egli annuncia lavven- to di una nuova umanit, il compimento di un decreto provvidenziale per la sopravvenuta pienezza dei tempi. LInstauratio Magna Scientiarum recava sul frontespizio la figura di una grande nave che a vele spiegate passa tra due colonne, certamente le colonne dErcole; e sotto lil- lustrazione c un versetto della Bibbia: Multi pertran- sibunt, augebitur scientia (Daniele, XII, 4). Lallegoria i. Su questultimo punto cfr. p. Ross1, Francesco Bacone. Dalla magia alla scienza, Bari viene spiegata nel Novum Organum (I, 93):  Non si de- ve omettere la profezia di Daniele intorno agli ultimi tempi del mondo: Multi pertransibunt, augebitur scien- tia, che significa chiaramente essere nei fati, cio nella Provvidenza divina, che la definitiva esplorazione e co- noscenza del mondo, che per tante e lunghe navigazioni sembrano compiute o gi prossime ad esserlo e lo svilup- po delle scienze coincidano nella medesima epoca . Bacone d molta importanza alle scoperte geografiche: e, anticipando una tesi oggi divenuta luogo comune, fa cominciare con esse una nuova era nella storia delluma- nit  appunto, let moderna. Non solo: nella disputa circa la superiorit degli antichi e dei moderni, di cui Ba- cone si pu considerare liniziatore, egli sta decisamente dalla parte della cultura moderna contro lantica, classi- ca, fondata dai Greci; ed uno degli argomenti fondamen- tali a favore dei moderni  costituito appunto dalle cono- scenze geografiche di questi ultimi. Scrive nella Redargu- tio Philosophiarum:  necessario ammettere che i nostri tempi, a con- fronto di quelli di cui parliamo [lantichit greca], han- no il vantaggio di usufruire di quasi duemila anni di av- venimenti e di esperienze e di esser giunti a conoscere due terzi della terra (per non parlare, poi, delle opere dei grandi ingegni e dei frutti delle loro meditazioni). Vede- te pertanto come fossero angusti e limitati gli spiriti di quella et, sia che consideriate la cosa dal punto di vista dei tempi, sia la consideriate da quello delle regioni del- la terra. Essi non possedevano neppure una storia di mil- le anni, una storia che fosse degna di questo nome: ave- vano soltanto favole e sogni. Quante parti del mondo co- noscevano questi greci che chiamavano sciti tutti i popoli del Nord, e celti tutti i popoli dell'Occidente? Essi, nep- pure per sentito dire o per fama, conoscevano nulla in A- frica al di l delle parti pit vicine allEtiopia e in Asia al di l del Gange; e tanto meno avevano nozione delle ter- re del Nuovo Mondo. Considerarono inabitabili molti territori e molti climi in cui infiniti popoli vivono e respi- rano, e celebrarono come grandi imprese i viaggi di De- mocrito, di Platone, di Pitagora che non furono certo lun- 88 RETORICA E LOGICA ghi, ma piuttosto simili a gite nei dintorni di una citt.  Lesperienza, figli miei,  simile allacqua: pi si e- stende e meno si corrompe. Nei nostri tempi, come ben sapete, l'Oceano  stato percorso, nuovi mondi sono sta- ti scoperti, le estreme regioni del Vecchio Mondo sono conosciute in ogni parte in ogni loro particolare  . 2. Abbiamo accennato dianzi al fatto che Bacone pu considerarsi, a un dipresso, liniziatore di quella pole- mica degli antichi e dei moderni, che, sebbene in segui- to degenerasse in una polemica letteraria, alle origini  tanto caratteristica della coscienza che gli iniziatori del pensiero moderno hanno della loro modernit, in polemi- ca soprattutto contro il classicismo cos essenziale alla mentalit umanistico-rinascimentale. Come abbiamo gi detto, qui ripetiamo che questo classicismo non sempre aveva preso le forme di pedantesca imitazione o di fetici- stica adorazione dei classici antichi: ma pur sempre con- siderava la cultura classica, presa nel suo complesso, co- me cultura esemplare, paradigma in generale della cultu- ra in quanto, appunto, cultura umana  bumanae litte- rae. Per gli umanisti, insomma, anche se i modelli anti- chi sono parzialmente superabili e migliorabili, quella che resta insuperabile ed eterna  la formza della cultura classica nel suo complesso; mentre per i moderni  pro- prio questa forma che  caduta e superata, e va sostituita con la forma moderna  anche se, viceversa, in molte lo- ro creazioni, in molti particolari, i classici possono sem- pre contenere prodotti degni di ammirazione o verit da conservare. Non discutono laffermazione che la filosofia, la scienza, la poesia, ecc., antiche siano state create da grandissimi geni  ne affermano per larcaicit, la primi- tivit. Ed  appunto questa la posizione di Bacone, per esem- pio nella gi citata Redargutio Philosophiarum. Questa, come lantecedente Temporis Partus Masculus, contiene una critica della cultura scientifica rinascimentale  di una ! Riportato da BACONE, La Nuova Atlantide e altri scritti, a cura di Paolo Rossi, Milano 1954, pp. 84-85. cultura, in sostanza, che deriva dai greci, anzi da pochi grandi ingegni greci: Non negherete certamente che tutta la variet della vostra dottrina non  se non una parte della filosofia gre- ca, e non certo di quella che  stata nutrita nei boschi e nelle foreste della natura, ma nelle scuole e nelle celle, come un animale ingrassato in casa. Se prescindete infat- ti da un ristretto numero di greci che cosa possono pre- sentare i romani o gli arabi o gli uomini del nostro tem- po che non derivi dalle idee di Aristotile, di Platone, di Ippocrate, di Galeno, di Euclide, di Tolomeo, o che non sia in esse compreso? Vedete dunque che le vostre ric- chezze sono il possesso di pochi e che le speranze e le for- tune di tutti gli uomini sono riposte forse in sei cervelli . E tuttavia Dio non vi ha fatto dono di anime razionali perch portiate a degli uomini il tributo che dovete al vo- stro autore (vale a dire la fede che  dovuta a Dio e alle cose divine), n vi ha accordato una ferma e valida perce- zione sensibile per contemplare le opere di pochi uomini, ma per studiare il cielo e la terra che sono opera di Dio  . Qui dobbiamo osservare prima di tutto alcuni temi che Bacone ha in comune con Galilei. Anche qui la pole- mica contro il principio di autorit: non per, qui, come tradizione, ma come divinizzazione di uomini, sia pure grandissimi. Inoltre, anche qui (sebbene un tantino im- plicita) la separazione della scienza dalla fede. Lautorit ha senso solo nella teologia, che presuppone la fede: ma questa  dovuta solo a Dio e nei riguardi delle cose di- vine (come abbiamo visto in Galileo). In terzo luogo, la scienza umana non si deve fondare sui libri, ma sullaper- to studio della natura mediante i sensi, che sono stati da- ti da Dio all'uomo proprio perch luomo instauri il suo ! Come insiste E. Garin (L'educazione in Europa cit.), gli umanisti hanno buttato via le tarde e cattive compilazioni medievali e sono ritorna- ti ad abbeverarsi alle pure fonti classiche di quelle stesse compilazioni. Os- servo per che in questo modo di fatto hanno buttato via, in molti casi, sostanziali innovazioni e sostanziali progressi medievali, e hanno ristretto paurosamente il campo delle auctoritates e il contenuto stesso della cultu- ta. S che nella cultura moderna  avvenuto spesso un ricupero, contro le- minazione umanistica, di molte scoperte e innovazioni medievali. \ irta Philosophiarum (da BAcONE, La Nuova Atlantide ecc. cit, - 80-81). regno sulla natura, che per principio gli  soggetta  la natura  il regnum bominis'. Ma Bacone va pi addentro nella cosa, in un esame e in una critica di quella cultura greca che per i pensatori del Rinascimento  appunto tutta la cultura, la cultu- ra. Questa cultura, Bacone ribadisce continuamente, non  esemplare. Non si tratta di ingegni moderni superio- ri agli antichi: anzi, Bacone  disposto a riconoscere che i grandi classici, quanto ad ingegno, erano dei giganti. Ma era la forma del loro sapere che era sbagliata.  La forma, cio il metodo: ed in questo, prima di e sopra tutto, sta la superiorit dei moderni, anche se pi poveri di ingegno:  Ascoltate, figli miei, ci che vogliamo dirvi: se dichia- rassimo di giungere a risultati migliori di quelli a cui son giunti gli antichi dopo essere entrati nella stessa via che essi hanno seguito, non potremmo certo impedire con nessun artificio verbale che ci si accusi di pretendere a una superiorit di ingegno o di merito. Questa pretesa non ha nulla di nuovo o di illecito ma  inferiore alle nostre for- ze, che, ne siamo ben consapevoli, sono inferiori non so- lo a quelle degli antichi, ma anche a quelle dei contem- poranei. Poich ... uno zoppo che segue la via giusta ar- riva ... prima di un corridore che segue una strada sba- gliata, noi abbiamo seguito un altro sistema. Ricordatevi che la questione concerne la via da seguire e non le for- ze... E poco pi avanti seguono queste affermazioni estre- mamente significative:  Non vi  accaduto di rilevare, figli miei, quanta sotti- gliezza e quanta forza dingegno siano presenti presso i fi- ! Bisogna per notare qui due differenze tra Galilei e Bacone. La pri- ma  ovvia: Galilei parla di sensi e discorso, Bacone solo di sen- si. Infatii per lui il difetto principale della cultura greca  il suo aprio- rismo e deduttivismo, un abuso di discorso e una carenza di esperienza sensibile. Laltra differenza  pi sottile. Per Galilei senso e discorso sono sufficienti all'uomo, senza autorit e rivelazione, per conoscere la natura, e perci sarebbe contrario all'economia divina un intervento di rivelazione diretta in questo campo. Per Bacone invece la natura  il regnum bominis,  destinata da Dio all'uomo e posta in suo dominio: perci va indagata con i soli mezzi umani, i quali non soltanto sono a ci sufficienti, ma sono a ci preordinati. 2 RESO Pbilosophiarum (Bacone, La Nuova Atlantide ecc. cit., P. 97). losofi scolastici che si abbandonano allozio e alle contem- plazioni; arroganti a causa della stessa oscurit nella qua- le sono stati allevati? E non avete esaminato le ragnatele che essi hanno tramato per noi, mirabili per il tessuto e la sottigliezza del filo, ma prive di ogni interesse e di ogni utilit? Per quanto ci riguarda, noi affermiamo quanto se- gue: il metodo che noi applichiamo alle arti e il modo del- la nostra ricerca sono tali da produrre leguaglianza del- l'ingegno e delle facolt tra gli uomini, cos come accade- va per leredit presso gli spartani. Infatti, se si tenti di tracciare una linea retta e un cerchio perfetto affidandosi solo alla fermezza della mano e al giudizio della vista, la- bilit della mano e della vista conteranno molto; ma se si user una riga o un compasso questa abilit non conter assolutamente nulla; per la stessa ragione un uomo potr esser di molto superiore ad un altro nella contemplazione delle cose (il che dipende soltanto dalle forze della men- te), ma nel sistema che noi proponiamo non v', tra gli in- telletti umani, una differenza di molto maggiore di quan- to non soglia essercene fra le percezioni sensibili dei vari uomini  '. La querelle baconiana contro gli antichi non si presen- ta affatto, dunque, come un paragone degli ingegni: anzi, tutt'al contrario, tesa com' verso laffermazione di una nuova cultura oggettiva ed universalmente umana, vuole proprio distruggere la validit di un pensiero che si affidasse invece alla soggettivit dellingegno. Ed  proprio la situazione oggettiva, storica e umana, dei greci ci che fa si che essi per noi non debbano essere esempla- ri. Ci era stato detto con molta chiarezza poche pagi- ne prima (in parte gi citate) della medesima Redargu- t10: La vostra dottrina ... deriva dunque dai greci. Qual  il carattere di questa nazione? Non entrer in una pole- mica oltraggiosa e pertanto non ripeter n imiter ci che  gi stato detto da altri. Mi limiter ad affermare che quella nazione fu sempre precipitosa nellingegno e profes- sorale nei costumi, ed ambedue queste cose sono profondamente contrarie alla sapienza e alla verit. N  oppor- tuno passar sotto silenzio le parole di un sacerdote egizia- no rivolte a uno dei pi grandi uomini di Grecia. Questo sacerdote fu un verace conoscitore dei greci quando affer- m che i greci erano degli eterni fanciulli. Non ha indo- vinato con esattezza? I greci infatti furono eterni fanciul- li non soltanto nella storia e nelle loro narrazioni, ma so- prattutto nello studio della natura. E non  simile alla in- fanzia quella filosofia che sa soltanto ciarlare e disputare senza mai generare e produrre? Inetta nelle discussioni, essa non  anche sterile di opere? Ricordatevi dunque (come ammonisce il profeta) con quale pietra siete stati scolpiti e ricordatevi qualche volta che  la Grecia la na- zione di cui voi seguite lautorit.  Esaminiamo ora i tempi in cui  nata e si  diffusa questa vostra filosofia. Let in cui essa fu fondata, figli miei, era vicina alle favole, povera di storia, scarsamente informata ed illuminata sui viaggi e sulla conoscenza del- la terra: essa non aveva n la venerazione dellantichit, n l'abbondanza dei tempi moderni ed era priva sia della nobilt sia della dignit.  tuttavia lecito credere che in quegli antichi tempi esistessero uomini divini che aveva- no conoscenze assai pi profonde di quelle proprie della comune tradizione degli uomini. Ma  necessario ammet- tere che i nostri tempi, in confronto a quelli di cui parlia- mo, hanno il vantaggio di usufruire di quasi duemila anni di avvenimenti e di esperienze . ..!. Cio: 1) la cultura greca  giovane  e ci in molti sen- si: che manca di tradizioni, che  immatura; 2) la cultura greca  infeconda, perch interamente soggettiva, mera- mente verbale; insomma, sbagliata nel metodo.  qui ve- ramente che la critica baconiana diviene radicale: ch il metodo , appunto, per cos dire, lanima di una cultura, ossia la sua forma. Se si respinge il metodo di una civilt, si respinge in blocco quella stessa civilt. E, come  noto, Bacone scriver un nuovo organo, ossia una nuova lo- gica e una nuova dottrina del metodo  ch il rinnova- ! Cfr. PLATONE, Timseo, 22b. 2 Redargutio Pbilosophiarum (sAaconNE, La Nuova Atlantide ecc. cit., p. 84). mento di queste  la condizione prima e radicale per il rinnovamento di tutto il sapere e lavvento della scienza moderna. Veramente, anche il Rinascimento aveva sentito il pro- blema del metodo, e aveva per questo aspramente com- battuto laristotelismo scolastico e la logica di esso. Ma aveva cercato nellantichit stessa delle posizioni metodi- che alternative allaristotelica, rinnovando logiche e filo- sofie rivali dellaristotelismo. Cosi su basi epicuree, oppu- re (pid spesso) neoplatoniche, si erano diffusi atteggia- menti di radicale empirismo. Cosi P. Ramo e la sua scuo- la avevano cercato di attingere dai precetti della retorica ciceroniana regole non solo per una diversa tecnica della persuasione, ma anche per una diversa tecnica della ricer- ca scientifica. Secondo studi recenti ', F. Bacone stesso ne fu fortemente influenzato: ma fu proprio questo il suo li- mite. In realt voleva andare oltre, superare lo stesso Ri- nascimento  cercava un metodo affatto moderno. Il giovanile Temporis Partus Masculus (e in misura mi- nore anche lassai pi maturo Nuovo Organo)  pieno di una critica veemente non solo contro Platone, Aristo- tele, Galeno, ma anche contro Paracelso, Telesio, Agrip- pa, ai quali muove laccusa di legare arbitrarie teorie con osservazioni meramente scoperte a caso: Non vedi . . . che questi sottili costruttori di eccentri- ci e di epicicli, che questi conduttori del carro della terra, si compiacciono di consultare i fenomeni in modo vago e ambiguo? E lo stesso avviene nelle teorie generali. Se qualcuno capace di far uso soltanto della sua lingua ma- terna (e renditi ben conto della giustezza di questo para- gone) leggesse la scrittura di un idioma sconosciuto e os- servando qua e l qualche parola affine nel suono e nei ca- ratteri a quelle della sua lingua, credesse di poter dare immediatamente alle parole affini il medesimo significato (anche se invece in realt esse hanno assai spesso un sen- so molto differente) e se infine costui, dopo questi ravvi- cinamenti, pretendesse, con molta fatica ma anche con molta licenza, di indovinare il senso di tutto il restante 1 . Cfr. rossi, Francesco Bacone ecc. cit. discorso, costui sarebbe in tutto simile a questi interpreti della natura. Ciascuno di loro infatti prigioniero dei suoi propri idoli (e non tanto di quelli del teatro, quanto prin- cipalmente di quelli del foro e della spelonca) simili a tan- te diverse lingue materne, subito si preoccupa di stabilire analogie e interpreta tutto il resto secondo questi rappor- ti particolari  . 3. Il radicalismo di Bacone si manifesta soprattutto nella dottrina degli idola, una dottrina che affiora gi nei suoi primissimi scritti e che culmina nella notissima trat- tazione del Novum Organum. Gli idoli sono pregiudi- zi, ma in un senso molto profondo: non semplicemente giudizi erronei, bensi vere e proprie strutture mentali e culturali che si frappongono tra la mente umana e la na- tura, e fanno da ostacolo alla comprensione di questa. Se alcuni di essi sono innati (idola specus e idola tribus), al- tri invece sono acquisiti, dati dalla cultura, cio dalledu- cazione e dalla tradizione (idola fori, idola theatri). Con- tro i primi (disposizioni soggettive, inganni dei sensi)  ri- medio il metodo, la cui regolare applicazione garantisce lobiettivit del sapere (per questo  il metodo, non lin- gegno, che genera un sapere certo). Ma per evitare i se- condi (inganni del linguaggio comune, dogmi delle scuole filosofiche) occorre un radicale allontanamento sia dal lin- guaggio comune sia dalle tradizioni: ricominciare assolu- tamente da capo, creando al contempo gli strumenti lin- guistici idonei alla manipolazione concettuale e alla co- municazione della scienza (due compiti che si fondono in uno). Due compiti che si fondono in uno: qui, per giudizio u- nanime degli storici, sta la grande novit, la precipua mo- dernit di Bacone, nonostante la grande quantit di ele- menti rinascimentali che rimasero nel suo pensiero scien- tifico impedendogli di diventare quello scienziato moder- no che egli aspirava a divenire. Inferiore a Galileo nella effettiva realizzazione della scienza, come filosofo della scienza egli ebbe invece idee indubbiamente pi chiare, ! In La Nuova Atlantide ecc. cit., pp. 69-70. pi fresche, pi moderne: onde a lui, e non a Galilei, si ispir poi quella grande matrice della civilt scientifica moderna che fu la Royal Society; e alla sua filosofia, non a quella di Galilei, ancora si ispireranno gli illuministi set- tecenteschi e i positivisti dell'Ottocento. La scienza deve essere strumento mediante cui luomo adempie alla sua destinazione terrena, dominare la na- tura. Un ideale che, in s, si potrebbe dire ancora rina- scimentale, se Faust si pu in un certo senso considerare la raffigurazione mitica delluomo del Rinascimento; ma Faust  un mago, non uno scienziato. Lideale faustiano, cosi vivo in Bacone, si innesta su di una concezione reli- giosa e sociale tutta moderna, e in essa si trasvaluta. La scienza  dominio dellumana societ sulla natura,  servi- zio sociale ed ha per fine il bene sociale. La scienza rina- scimentale del mago o dellalchimista (ma anche del mago naturale e persino del matematico!)  scienza privata: la scienza moderna  pubblica. Di qui l'esigenza del meto- do, che non solo garantisca la validit obiettiva e pubbli- ca dei risultati, ma  cosa su cui Bacone insist moltissi- mo  faccia della scienza non solo una raccolta di inven- zioni, ma unars inveniendi, indefinitamente progressiva, in quanto ogni nuova scoperta diviene il punto di parten- za per indefinite successive scoperte. Di qui anche la ri- forma del linguaggio scientifico. Esso deve servire allela- borazione teorica delle scoperte empiriche e sperimentali  e perci deve avere quel rigore, quellunivocit seman- tica, quell'adeguatezza ai concetti che designa, che man- cano al linguaggio comune, sviluppatosi storicamente in epoche prescientifiche. E inoltre esso deve costituire un metodo per comunicare, non per alludere velatamente: linguaggio aperto e concettuale, non ermetico e simbolico come quello dellalchimista faustiano. E qui si innesta unultima osservazione. Come Galilei, e del resto anche come Cartesio, Bacone parla di una ri- forma radicale del sapere scientifico, non di tutta la cultu- ra; accanto alle scienze rimangono le discipline divine ed umane, la teologia, la giurisprudenza, la storia, scienze di memoria, di autorit e tradizione, alle quali sono anco- ra adeguati i vecchi strumenti linguistici e dialettici. Ma mentre per Galileo la scienza sta accanto a queste, invece in Bacone essa acquista un ruolo primario, diviene il cen- tro della civilt moderna, lattivit in cui propriamente luomo moderno, passate le colonne dErcole, realizza la profezia di Daniele e conquista il proprio destino terreno. Bacone  laraldo non solo della scienza moderna, ma an- che, e soprattutto, della moderna civilt della scienza. IV. 1. Nella Storia dell'idea di progresso il Bury sostiene unidea molto simile alla nostra:  Se vogliamo tracciare utili linee di demarcazione nel flusso ininterrotto della storia, dobbiamo trascurare le an- ticipazioni e i preannunci; non ci facciamo scrupolo per- ci di affermare che, per quanto riguarda la scienza e il pensiero, la storia moderna comincia nel xvii secolo. La ribellione contro la tradizione, serpeggiante un po do- vunque, un nuovo tipo chiaro e preciso in tutte le espres- sioni letterarie ... tutte queste cose segnano linizio di una nuova era  '. Ora, egli afferma, molto giustamente, che da questo punto di vista il xvII secolo si accentra in Descartes . E questo anche per quanto riguarda la rottura con la tra- dizione classica: Nel Rinascimento lautorit di greci e romani aveva dominato indiscussa nel regno del pensiero: nellinteres- se di un libero sviluppo ulteriore era necessario indebo- lirla. Bacone e gli altri avevano iniziato il movimento per abbattere questa tirannia, ma linfluenza di Cartesio fu molto pi grande e pi decisiva, e il suo atteggiamento fu pi netto e senza compromessi. Egli non ebbe la reveren- za di Bacone per la letteratura classica: andava orgoglio- so di aver dimenticato il greco, imparato da giovanetto. La sua opera fu pit ispirata a una rottura netta e assoluta col passato, per costruire un sistema che non prendesse niente a prestito dai morti  . ! BurY, Storia dellidea di progresso, trad. it., Milano La coscienza della modernit e il radicalismo antitradi- zionalistico raggiungono in Cartesio una tale chiarezza, e sono affermati con tanta energia, che veramente si pu fa- re di Cartesio quasi il campione o modello del pensa- tore moderno. Non che Cartesio abbia inventato la polemica anti- classicistica. Egli si forma e poi, durante la sua non lunga vita, opera in una vivacissima atmosfera di cultura, nella quale si incontrano, si scontrano, si combattono e si com- promettono correnti classicistiche di tardo umanesimo e correnti radicalistiche moderne. Lumanesimo era ancora molto vivo. Non solo nel sen- so che erano in pieno sviluppo gli studi classici, filologici, che si studiavano gli antichi, se ne pubblicavano a stampa le opere, si redigevano dizionari greci e latini: ma anche nel senso che linsegnamento scolastico e il pensiero filo- sofico e letterario erano impregnati di umanesimo. Con la creazione del loro collegio i gesuiti hanno creato il modello di liceo classico. La loro. educazione (e cosi il pensiero dei loro professori)  fondamentalmen- te umanistica, di un umanesimo appena temperato dal- lortodossia cattolica e da residui di scolastica aristoteli- ca. Ma  notevole il fatto che la loro educazione e il loro pensiero, che volevano essere moderni, di fatto erano gi, agli inizi del Seicento, essenzialmente conservatori; il loro era un umanesimo che sottolineava al massimo i non pochi e non leggeri elementi reazionari di cui, fino dal suo sorgere nel Trecento, lUmanesimo (soprattutto italiano: Petrarca, Coluccio Salutati) era stato portatore; mentre ne lasciava cadere, o ne metteva in ombra, gli elementi positivi e moderni  per es., l'ideale delluomo di lettere come libero civis in una libera civitas, l'umanit delle let- tere come liberazione ed equilibrio interiori, ecc. Nellin- sieme, lumanesimo gesuitico risultava un infelice com- promesso, politicamente anche troppo efficace, ma tale che sul terreno culturale suscitava le polemiche e le criti- che di tutte le correnti laiche di pensiero. 2. Ma cera anche una notevole corrente di pensie- ro umanistico laico, in polemica con i gesuiti, in un cer- 98 RETORICA E LOGICA to senso modernizzante, ma purtuttavia legata alleredit umanistico-rinascimentale. Essa si ispirava all'opera di Montaigne, i cui Essays esercitarono una profondissima influenza su tutto il pensiero francese; profondissima an- che sullo stesso Descartes, e ancora sul pensiero di B. Pascal. Il pensiero di Montaigne apparve in Francia, ma non soltanto in Francia, come il compendio della cultura uma- nistica. Montaigne non era, propriamente, un dotto e tan- to meno un filologo, non era un umanista di professio- ne (una figura che il tardo Rinascimento aveva gi abbon- dantemente criticata e ridicolizzata); bensi un uomo li- bero, un gentiluomo di provincia che nella lettura dei classici cercava la propria humzanitas, un alimento al pro- prio pensiero, e soprattutto alla comprensione, morale e psicologica, delluomo in genere e di se stesso in specie. Gli Essays sono un testo decisamente autobiografico: at- traverso la lettura dei classici e le riflessioni che i passi che viene leggendo gli suggeriscono, Montaigne dipinge se stesso, il suo carattere, i suoi vizi, le sue virt. Ma at- traverso se stesso Montaigne dipinge l'uomo in genere: si badi bene, non perch si ritenga un individuo deccezio- ne  unincarnazione dellidea platonica di uomo  ma al contrario, perch egli si sente un uomo qualunque, un uo- mo come gli altri. Prende s come campione, non nel senso di modello, paradigma, bensi nel senso di uomo sta- tisticamente medio, e quindi pi o meno uguale a tutti gli altri. Questo tono  insieme la causa e leffetto di un atteg- giamento generale, filosofico o quasi, che gli deriva dalla lettura dei classici, dallo spettacolo di tanta e cos poca scienza. Come ogni qualunquista, egli  scettico e conser- vatore; e come ogni scettico conservatore  qualunquista. Nella morale oscilla tra stoicismo e scetticismo (due cose, del resto, sul terreno pratico molto simili); in filosofia teoretica, se una gli si pu attribuire (non era certo un temperamento speculativo!),  decisamente scettico. LA- pologia per Raimondo di Sebonda, il pi lungo e filosofi- co degli Essays,  un vero e proprio testo di scetticismo. Vi si sottolineano le ragioni di un dubbio teoretico totale: la pochezza e loscurit delle nostre conoscenze, le in- sufficienze dei metodi umani di conoscenza, la molteplici- t dei punti di vista. Questo scetticismo ha certo lo scopo di dare all'uomo uninteriore tranquillit, fondata su di uno spregiudicato antidogmatismo; ma ha anche, e so- prattutto, lo scopo, ampiamente dichiarato, di combatte- re le novit in fatto di religione, di combattere il pro- testantesimo e il libero pensiero (deismo) in favore della cattolica fede dei padri, conservata, si noti, non perch si possa provare come pi vera, ma perch le altre concor- renti novit non hanno maggiori possibilit di prova- re la propria verit. Cos si compie la parabola dellUma- nesimo: comincia, nel Tre e Quattrocento, col cercare nelle favole dei poeti e nelle rivelazioni del divino Pla- tone conferme della fede cattolica; finisce col cercare ne- gli scrittori antichi i conforti ad un atteggiamento scetti- co, che deve generare un puro fideismo scettico. 3. Lo scetticismo di Montaigne fu poi redatto in for- ma sistematica da Pierre Charron. Ma il suo spirito uma- nistico fu continuato nel Seicento da un gruppo di scritto- ri e pensatori che si raggruppavano attorno al circolo dei fratelli Dupuy. Il loro umanesimo  decisamente anti-ge- suitico: essi affermano lideale del philosophe libero, alieno da onori e da impieghi, volto agli studi e alle medi- tazioni come fini a se stessi. Sono, come i moderni, de- cisamente antiaristotelici e antiscolastici. Finalmente, di- mostrano un notevole interesse per la nuova scienza che sta nascendo, senza per scorgerne il vero significato sto- rico. Elia Diodati fu amico fedele di Galilei e si adoper a diffonderne le dottrine: al suo interessamento si deve la diffusione a stampa, in versione latina, della Lettera 4 Madama Cristina di Lorena. Ma sono e restano degli eru- diti, degli ammiratori degli Antichi  anche se non di A- ristotele. Essi ritengono ancora che le bumanae litterae, particolarmente la storia, portino luomo alla saggezza. Ma si tratta di una saggezza scettica, come quella di Mon- taigne: diffidano della ragione, con i suoi schemi e i suoi ideali astratti, e studiano luomo come irriducibile variet di atteggiamenti, di caratteri, di credenze, di teorie... Una variet che insegna a non dogmatizzare, a non affidarsi ad alcuna evidenza razionale. Uno scetticismo che, come in Montaigne, finisce in un fideismo e conservatorismo re- ligioso. A capo dellAccademia Dupuy  una tetrade forma- ta da Gassendi, La Mothe le Vayer, Naud e Diodati. Di questi di gran lunga il pi importante  P. Gassendi. La sua prima opera, che sollev molto scalpore, furono le Exercitationes paradoxicae, frutto dei corsi di filosofia da lui tenuti ad Aix-en-Provence dal 1617 al 1623. Sono un pesante e deciso attacco contro Aristotele e laristoteli- smo, in uno spirito decisamente umanistico, che utilizza molti luoghi comuni dello scetticismo retorico di Cicero- ne, nonch tutti gli argomenti antidogmatici di Montai- gne. Vi si attaccano di Aristotele lapriorismo, il sistema- ticismo, il metodo sillogistico. Il risultato  uno scettici- smo empirico o un empirismo su basi scettiche: non si possono conoscere le essenze, non si pu conoscere la realt in s, ogni soluzione che la mente umana possa escogitare  soltanto provvisoria; lunico compito possi- bile per la mente umana  la descrizione storica, ossia la descrizione dei fenomeni, nella loro irriducibile molte- plicit e variet, cosi come si presentano allesperienza. Tipico a questo proposito  il tema, che sembra il pun- to di arrivo dellumanesimo erudito, della molteplicit dei punti di vista. Non c opinione a cui non ne sia stata con- trapposta unaltra, non c dottrina che non sia stata con- traddetta. I filosofi moderni affermavano che ci deriva dalla mancanza di metodo e di sani princip della filoso- fia tradizionale: affermavano che, appunto per questo, i classici non possono costituire dei modelli, che bisogna buttare via i libri, e cercare di nuovo la verit. Ma Mon- taigne, Charron, Gassendi, come tutti gli umanisti, non si liberano dai libri e dalla tradizione: e se questi, con le lo- ro contraddizioni, non dnno nessuna verit sicura, biso- gna rinunciare ad averne una. Questo spiega il comportamento apparentemente con- traddittorio di Gassendi circa il tema del consensus gen- tium. Negli scritti scettici, per esempio nelle Exercitationes e soprattutto nella lettera contro Herbert di Cherbu- ry, egli nega decisamente che esista un tale consensus: con Montaigne ripete che non c opinione che non venga contraddetta, che non c regola di morale o articolo di fe- de religiosa che, passando un confine, non divenga immo- rale ed eresia. Tuttavia afferma che lunica fonte della ve- rit e delle norme morali  costituita da convenzioni, rego- le sociali, in sostanza da consensus; e nei pi tardi scritti epicurei addurr volentieri il consensus a riprova di mol- te tesi, Il fatto  che per Gassendi, come per ogni umani- sta, il consensus e la tradizione sono lunica possibile fon- te di verit e di valore; ma la consapevolezza della sua va- riabilit storica e geografica porta a negare che esso abbia un qualunque fondamento in qualcosa come una ragione umana unica ed universale, bensi che esso si basi solo su situazioni storiche contingenti. Donde lo scetticismo, e al- la fine il fideismo religioso e il conservatorismo morale e politico di Gassendi, il doux prtre libertino e creden- te, rivoluzionario e timorato. La critica allapriorismo aristotelico, l'affermazione de- cisa e radicale del valore dellesperienza, hanno indotto molti storici della filosofia ad accostare Gassendi a Gali- leo e a Bacone. Accostamento che regge ancora di pit se si considera la seconda fase del pensiero gassendiano, quella epicurea, che culmina nel postumo Syntagma phi- losophicum. Si  anche discusso il passaggio dallo scetti- cismo allepicureismo, scorgendovi una contraddizione  contraddizione che forse non c', se si considera lepicu- reismo come un'ipotesi probabile, la pi probabile alla lu- ce dellesperienza sensibile, di cui tale filosofia accetta, al- meno di principio, il controllo ed il cimento. Tuttavia an- che cosi siamo ben lontani non solo da Galileo, di cui manca il razionalismo matematico, il senso di unassoluta struttura razionale che regge la natura; e dallo stesso Ba- cone, certo assai pi empirista di Galileo, ma che tuttavia non riteneva del tutto attendibile la conoscenza sensoria- le, e comunque rifiutava di risolvere la scienza in mera historia naturalis. Minore, ma purtuttavia degna di rilievo  la figura di F. La Mothe le Vayer. I suoi scritti hanno un tono decisamente scettico. Vivace  la polemica antirazionalistica; e, anche qui, largomento-base  lirriducibile disparit delle opinioni degli uomini, su tutti gli argomenti, teore- tici, morali, religiosi. Di qui, anche in lui, il senso di equi- librio, libert, pace interiore, aristocratico isolamento che deriva dallroyn scettica. Come in molti umanisti, si af- faccia una specie di tesi storicistica: i sistemi scientifici che si succedono hanno lo scopo di salvare i fenomeni nel modo pi elegante e pi ragionevole possibile; in que- sto modo lipotesi copernicana si rivela migliore di quel- la tolemaica. Analogamente, le varie religioni sono da con- siderarsi ipotesi, tentativi per spiegare i fenomeni stori. co-morali, le azioni e i costumi degli uomini. E, a quanto pare, anche il pensiero di La Mothe culmina in uno scet- ticismo cristiano, in una posizione fideistica: umiliata la superba ragione, negata fede ad ogni costruzione che pre- suma di cogliere un ordine razionale del mondo, non re- sta che un atto di fede. Non molto diverso, per quanto ci interessa qui,  il pensiero di Gabriel Naud. Con la differenza che  aristo- telico: ma di un tipo di aristotelismo decisamente. empi- rista, che diffida di tutte le idee e astrazioni  follie ispi- rate dalle passioni e dai pregiudizi; e ha come unica rego- la metodica lattenersi ai fatti. Di qui il suo gusto per la storia, gusto che si risolve in una storiografia che diffida di tutti i valori e tenta di spiegare tutti i fatti storici me- diante le pi elementari passioni umane. Anche qui, la modernit di questo scrittore  limitata: il suo piano di indagine non supera quello di Machiavelli e di Mon- taigne. 4. Malgrado qualche somiglianza estrinseca e qualche reciproca simpatia iniziale, Cartesio resta decisamente di- verso e inconciliabile con il gruppo Du Puy. Non   non vuol essere  lo scettico libero erudito che ama il sapere rimanendo decisamente un dilettante;   ha voluto esse-  il costruttore di una nuova et, di una nuova filosofia, di una nuova scienza. Gli dava decisamente noia lo scetti- cismo, divenuto atteggiamento culturalistico, dei puteani, cosi come a loro dava decisamente noia il suo razionalismo che a loro appariva (e forse anche era, o per lo meno doveva diventare in seguito) dogmatico. Pi profonde erano le simpatie, e le affinit, che lo le- gavano al padre Mersenne e al suo gruppo di matematici e fisici matematici, come Carcavy, Pascal padre, ecc.  Intorno a padre Mersenne gravitava tutto un mondo, non solo francese ma internazionale, di scienziati creatori del- la scienza moderna e di filosofi che di questa scienza si fa- cevano interpreti e sistematori; ed era un centro attorno a cui si annodavano molte relazioni. Non eruditi e storici aperti alla scienza moderna, come Gassendi e Diodati, bensi scienziati attivi cultori di questa medesima scienza, il padre Mersenne e i suoi amici avevano una pi spicca- ta modernit. Tuttavia rimanevano in loro residui di men- talit rinascimentale, un certo vago platonismo (che ri- corda in qualche modo quello di Keplero), assai palese nellopera di Mersenne e che ancora si rifletter in certe sfumature del pensiero matematico del giovane B. Pascal - l'idea di una mistica armonia matematica che regge il sistema del mondo  ancora una tipica idea rinascimenta- le che scomparir proprio ad opera degli sviluppi della scienza moderna nel corso del Seicento, e di cui non si tro- va gi pi traccia nel pensiero di Descartes maturo. Ma Descartes  legato soprattutto a quel gruppo di scrittori e pensatori che chiamavano se stessi moder- nes, un gruppo fiorito in Francia intorno al 1620. Si tratta di poeti e scrittori (Cartesio  lunico filosofo del gruppo) tutti animati da un deciso atteggiamento antiu- manistico: disprezzo per gli antichi, e persino per le lingue classiche, abbandono delle tradizionali forme letterarie, abbandono delle tradizionali regole retoriche. Thophile de Viau, parlando dellAntichit diceva le sotte antiqui- t. Nei Fragments d'une histoire comique si scaglia con- tro l'imitazione degli antichi. I libri degli antichi erano, quando furono scritti, nuovi: ma i libri che si fanno ad imitazione di quelli nascono vecchi. Dobbiamo liberarci da un rispetto servile, bandire figure che per noi non han- no senso. Non facciamo pit versi lirici, noi che non ab- biamo la lira; non facciamo pit versi eroici, noi che vivia- mo in un'et in cui non ci sono eroi! Al posto di questa inutile retorica, la verit e la ragione, nude e crude:  Bi. sogna che il discorso sia fermo, che il senso vi sia natura. le e facile, il linguaggio adeguato e significativo . Descar. tes nel Discorso dir: Quelli che hanno un raziocinio pi forte e sanno meglio elaborare il loro pensiero per renderlo chiaro e intelligibile, riusciranno sempre i pi persuasivi, anche se parlano solo il basso bretone e non abbiano mai studiato retorica . Pi importante ancora  Jean Guez de Balzac, amico di Cartesio. Le sue Lettres, per quanto piene di erudi- zione e di retorica, apparvero ai suoi tempi come il ma- nifesto del modernismo. Vi afferma che il greco e il lati- no sono inutili e che gli antichi non hanno altro pregio che quello di essere venuti prima. Contro il tradizionali- smo culturale afferma, come gi Galileo a proposito della scienza e come far poco dopo Cartesio per la filosofia, lesistenza di una ragione eterna e universale, che illumi- na ugualmente tutti i secoli e tutti i popoli e deve costi- tuire lunica regola per lo scrittore. Di qui una lotta a fondo contro lUniversit, fatta di filologi ed umanisti.  a questi modernes che pi strettamente si connet- te Cartesio, nella medesima critica ad una cultura fonda- ta sulla tradizione, critica fatta in nome di una nuova cul- tura fondata sulla ragione universale e atemporale. A pi riprese anchegli afferma linutilit dello studio delle let- tere classiche; per esempio, nella Ricerca della verit:  Un uomo dabbene non  obbligato a sapere il latino e il greco, pi dello svizzero o del basso bretone, oppure a sapere la storia dell'Impero, pi di quella del pi piccolo Stato dEuropa; ... egli deve soltanto stare attento a por- re la sua soddisfazione in cose oneste e utili, e a non ca- ricare la sua memoria se non di quelle pi necessarie  . Ma il latino e il greco, la storia antica, ecc., non servo- no a prendere contatto con la civilt antica, umanistica? Certo: ma  proprio a questa che Cartesio muove una critica a fondo. Da questo punto di vista  importantis- sima la prima parte del Discorso. Poco importa qui se ! Cito dal volume r. DESCARTES, Regole per la guida dellIntelligenza | La ricerca della verit mediante il lume naturale | Discorso sul metodo, Bari 1954. Il passo di sopra a p. 98. sia una storia (unautentica autobiografia) o una fiaba (cio, in fondo, unautobiografia ideale, narrata nelle pro- spettive di Cartesio adulto e formato, come era nel 1637): l'essenziale  che qui Cartesio prende posizione contro tutta la tardeia umanistica, contro la sua stessa educa- zione: Io sono stato istruito nelle lettere sin dalla fanciul- lezza; e poich mi si era fatto credere che con lo studio avrei acquistato una conoscenza chiara e sicura di tutto ci ch' utile alla vita, avevo un desiderio grandissimo dimparare  |. Ma ecco la delusione: quello che aveva appreso era un sapere poco solido e per lo pit inutile. Lo dice pure nella Ricerca della verit, in maniera anche pi dura: Un uomo dabbene non ha lobbligo daver letto tutti i libri, n daver imparato con cura tutto ci che sinsegna nelle scuole; e anzi questo sarebbe, in certo modo, un di- fetto della sua educazione, nel caso che egli avesse impie- gato un tempo eccessivo nelle esercitazioni letterarie. Egli ha da far molte altre cose durante la sua vita, il cui corso deve venir misurato cos esattamente, che a lui ne resti la parte migliore per praticare le buone azioni, che gli dovrebbero essere insegnate dalla propria ragione, nel ca- so che egli non apprendesse niente se non da essa  . Seguiamo pi da vicino la critica allistruzione umani- stica qual  condotta nel Discorso. Il primo punto, gene- rale e in qualche modo riassuntivo,  che la cultura uma- nistica porta allo scetticismo. Abbiamo visto che tale era la conclusione del tardo umanesimo francese, di Montai- gne, di Charron, di Gassendi e La Mothe le Vayer... Alla fine del corso di studi nel collegio di La Flche, dice Car- tesio, mi trovai intricato in tanti dubbi ed errori, che mi sembrava di non aver cavato altro profitto, cercando di istruirmi, se non questo: di aver scoperto sempre pi la mia ignoranza  ?. Un po pi avanti, nello stesso Di- scorso, parlando della filosofia tradizionale, insegnata nel- le scuole, dice: i P. 127.  P. 93. p. 128. 106 Della filosofia dir soltanto che, vedendo come essa sia stata coltivata dagli intelletti pi eccellenti di ogni tempo, che ci nonostante non c', in essa, nulla di cui non si seguiti a disputare come di cosa ancora dubbia, non avevo tanta presunzione da sperare di riuscirvi io meglio degli altri. D'altra parte, considerando quante diverse o- pinioni possono essere sostenute da persone anche dotte circa uno stesso argomento, mentre non ve ne pu essere pi di una conforme a verit, reputavo presso che falso tutto ci che fosse soltanto verosimile  !. Circa l'insegnamento propriamente umanistico lettera. rio, egli fa un'osservazione tipicamente modernistica che si riallaccia a quanto abbiamo visto sopra: linutilit, o addirittura pericolosit, di una simile cultura per /hon- nte homme, la cui sapienza e dottrina deve essere guida e impegno di vita: Conversare con gli uomini di altri secoli  quasi lo stesso che viaggiare; certo,  bene saper qualcosa dei co- stumi dei vari popoli per giudicare meglio dei nostri, e non stimare ridicolo e irragionevole tutto ci che  con- trario alle nostre abitudini, come credono coloro che non hanno visto mai nulla; ma quando simpiega troppo tempo a viaggiare, si diventa alla fine stranieri nel proprio pae- se, e cosi chi  troppo curioso delle cose del passato di- venta, per lo pi, molto ignorante di quelle presenti  . A ci si connette la dura critica che egli muove alla mo- rale antica: I trattati di morale degli antichi pagani mi parevano, sf, ..., superbi e magnifici palazzi, ma costruiti su sabbia e fango; essi levano in alto la virti e la stima di essa sopra tutte le cose del mondo, ma non insegnano abbastanza a conoscerla, e spesso quello a cui dnno un cos bel nome non  che insensibilit, o orgoglio, o disperazione, 0 par- ricidio  ?. Qui c un netto contrasto con lideale umanistico, per esempio di un Montaigne o dei signori dellAccademia Dupuy. Lumanista, uomo colto e distaccato, conquista ! p. 130. 2 p. 129. p.130. attraverso lo studio dellantichit un equilibrio interiore, che  meramente privato e soggettivo, fatto di scetticismo e di distacco. E la storia, magistra vitae, gli insegna tut- t'al pi un cinico pseudo-realismo, di fatto uno scettici- smo morale, quale quello di un Machiavelli o di un Nau- d. A ci Cartesio oppone la concezione moderna, tanto caratteristica di un Galilei o di un Bacone, di una cultura mondana ed utile nel presente e nella societ attuale; del- l'uomo di cultura come bonnte homme, uomo che sa vi- vere eticamente e saggiamente nel mondo, nel suo mon- do. Pu apparire strana una dichiarazione del genere in Cartesio, un uomo che dipinge se stesso come privo di ambizioni, privo di preoccupazioni pratiche, contento di dedicare la sua vita alla contemplazione, alla scienza pura e disinteressata. Ma la contraddizione  solo apparente: anche se pura e disinteressata, anche se coltivata in aristo- cratica solitudine e distacco, la scienza  sempre, per la sua ideale validit universale obiettiva, conoscenza della realt, e quindi feconda di impegni pratici, orientata ver- so il mondo reale, strumento di dominio delluomo (non del singolo, ma dellumanit articolata nelle societ uma- ne) sul mondo. Affiora qui uno dei caratteri dellopposi- zione delle due culture, sul quale ha posato particolar- mente laccento lo Snow. i L'opposizione tra lideale di cultura scientifica e lidea- le di cultura letteraria si accentua nella critica che De- scartes fa alla retorica e all'arte potica  discipline asso- lutamente inutili: Apprezzavo molto leloquenza, ed ero appassionato per la poesia; ma pensavo che luna e laltra sono doni di natura pi che frutti dello studio. Quelli che hanno un ra- ziocinio pit forte e sanno meglio elaborare il loro pen- siero per renderlo chiaro e intelligibile, riusciranno sem- pre i pi persuasivi, anche se parlano solo il basso breto- ne e non abbiano mai studiato retorica: cos, come quelli che san creare le fantasie pi gradevoli, ed esprimerle con maggior grazia e ornamento, non cesseranno di esse- te i migliori poeti, anche se ignorano larte poetica  '. 1 p. 129.  Il che ricorda assai da vicino ci che abbiamo visto af- fermare da Thophile e da Balzac. Molto interessante  quello che Cartesio dice delle ma- tematiche  discipline che, come tutti sanno, erano per lui di estrema importanza. Il Rinascimento le aveva tuttal. tro che disprezzate: anzi, si devono proprio a matemati- ci-filologi rinascimentali, come Francesco Maurolico, Fe- derico Commandino, Guidobaldo del Monte, la diffusio- ne della geometria greca nelle sue fonti originarie, non- ch il suo ampliamento e proseguimento nellideale del rigore euclideo in contrasto con i procedimenti empirici ed ermetici dellalgebra di origine araba. E nel collegio dei gesuiti, come del resto in tutti gli ambienti colti fran- cesi, le matematiche erano tenute in grande onore. Ma Cartesio osserva che poi luso ne era limitato alle sole arti meccaniche, stupendosi che su fondamenti cosi fermi e solidi non si fosse costruito nulla di pi alto e importante  . Cio, che non si fosse costruito su basi ma- tematiche un sistema cosmologico, una filosofia della na- tura, una fisica. In effetti, lumanesimo  civilt delle let- tere: una civilt che in ogni campo tende al discorso re- torico, qualitativo, valutativo, e in cui le matematiche, per quanto onorate, hanno sempre un posto margina- le, accessorio, ausiliario, tecnico (e ancora oggi gli ultimi epigoni dellumanesimo le considerano cos). Solo in una civilt delle scienze esse acquistano il duplice valore di disciplina modello e di scienza fondamentale. In questo senso Galileo  pi moderno di Bacone, ed  pit suo con- tinuatore Cartesio che non Gassendi. 5. Abbiamo gi visto in Bacone un radicalismo anti- classicistico e antiumanistico, che invece, per esempio, manca in Galileo. In Cartesio esso  estremamente accen- tuato, e si risolve in una decisa tabula rasa di tutto il pas- sato, di tutta la tradizione. Nella Ricerca * Eudosso, cio il personaggio di Cartesio, prega lerudito Epistemone (il rappresentante della cultura universitaria, tradizionale) ! p. 130. ? Dp. di lasciarlo intrattenersi con Poliandro, lhonnte homme che non  uomo di cultura,  affinch io possa subito but- tare all'aria tutto il sapere acquisito fino ad oggi. Poich, dal momento che non basta a soddisfarlo, esso non po- trebbe essere se non cattivo, e io lo ritengo con qualche cognizione di causa male costruito e con le fondamenta non sicure . Come abbiamo gi avuto occasione di vedere, lumane- simo oscilla tra due criteri di validit: luno  il consen- sus, cio l'accordo dei pi o dei pi tra i dotti, laltro  l'autorit del grande autore di genio  il primo, criterio di origine latina (Cicerone), il secondo tipicamente uma- nistico (tanto tipico della filosofia umanistica, che alcuni storici, come Windelband, hanno considerato questa fi- losofia come, essenzialmente, un conflitto di autorit). Cartesio respinge lun criterio e laltro. Nelle Regulae si legge una considerazione che in parte richiama un passo di Galileo. La regola III infatti enuncia il principio:  Riguardo agli argomenti da trattare si deve fare ri- cerca non di ci che altri abbiano opinato o di ci che noi stessi congetturiamo, bensi di ci che da noi si possa in- tuire con chiarezza ed evidenza; perch solo cosi si acqui- sta scienza  !. E nel commento a questa regola:  Anche se tutti fossero ingenui e sinceri e a noi mai volessero dare per vere delle cose dubbie, ma le espones- sero tutte in buona fede  dal momento che tuttavia non  quasi mai detta una cosa da qualcuno, senza che da qualche altro sia affermato il contrario, sempre saremmo incerti a chi dei due si debba credere. E non servirebbe a nulla fare il calcolo delle adesioni, per seguire quella opi- nione che  propria del maggior numero di autori; poich, quando si tratti di questione difficile,  da credere che la verit intorno ad essa possa essere trovata da pochi piut- tosto che da molti. Ma quandanche tutti consentissero tra loro, tuttavia la loro dottrina non sarebbe bastevole: e Invero non riusciremo mai ad essere, per esempio, mate- matici, sebbene ritenessimo a memoria tutte le dimostrazioni degli altri, se non abbiamo anche intelligenza capace di risolvere qualunque problema; oppure filosofi, se avre- mo letto tutte le argomentazioni di Platone e di Aristote- le, ma senza che siamo in grado di portare sicuro giudizio intorno agli argomenti proposti: cosi, invero, mostrerem- mo di avere imparato non le scienze, ma la storia  . D'altra parte, per, Cartesio non vuole lasciate la cul- tura allintuizione e creazione del genio. Come Bacone, ne diffida, e invece  e questo  forse il tratto pi tipico della cultura scientifica  si appella ad un universale buon senso, ossia ad una universale ragione umana. Ricordia- mo il celebre inizio del Discorso sul metodo: Il buon senso  la cosa nel mondo meglio ripartita: ciascuno, infatti, pensa di esserne ben provvisto, e anche coloro che sono i pi difficili a contentarsi in ogni altra co- sa, per questa non sogliono desiderarne di pi. N  vero- simile che tutti si ingannino: anzi ci dimostra che la fa- colt di ben giudicare e di distinguere il vero dal falso (ch propriamente quel che si dice buon senso o ragione)  uguale per natura in tutti gli uomini, e che la diversit delle opinioni non deriva dal fatto che gli uni siano pi ragionevoli degli altri, ma solamente dal condurre i nostri pensieri per vie diverse e dal non considerare le stesse co- se. Poich non basta avere un buon ingegno: quel che pi importa  di applicarlo bene. Le anime pivi grandi sono capaci dei pi grandi vizi come delle pi grandi virti; e quelli che seguono sempre la via diritta, anche se cammi- nano assai lentamente, possono andare molto pi innanzi di coloro che, correndo, se ne allontanano . Mi sembra che qui vadano messi in rilievo due punti. Il primo  laffermazione delluniversalit della ragione, come forma essenziale all'umanit in quanto tale, patri- monio comune degli uomini (in quanto tali). Poco pi avanti dice: Quanto alla ragione o buon senso, essendo questa la  p.9. Cfr. anche Discorso, p. 136: Non una conoscenza certa, dun- que,  per lo pi quel che ci fa persuasi, ma labitudine e l'esempio. Ma per la scoperta di verit un po difficili la maggioranza dei consensi vale poco o nulla, perch  pi facile che la scopra un uomo solo che non tutto un popolo.  III sola cosa che ci fa uomini e ci distingue dalle bestie, vo- glio credere che sia tutta intera in ciascuno, seguendo in ci l'opinione comune dei filosofi, i quali dicono che il pi e il meno  soltanto negli accidenti, non nelle for- me o nature degli individui duna stessa specie  . Il secondo punto ricorda Bacone:  limportanza, fon- damentale ed esclusiva, attribuita al metodo. La ragione  solo astrattamente una facolt astrattamente umana: in concreto, nella sua attualit, essa  metodo. La raziona- lit si esplica sempre, e solo, nel procedimento metodi- co, fuori del quale resta unastratta potenzialit. Solo il metodo conduce alla verit; in virt di esso si pu  tro- vare da s, pur avendo un ingegno mediocre, tutto ci che possono trovare gli ingegni pit sottili  . Questo radicalismo si esplica nellauspicio dell'evento impossibile delluomo che nasca adulto e costruisca da s tutto il suo sapere. Due testi paralleli della Ricerca e del Discorso * affermano la stessa cosa, con le medesime consi- derazioni: nascendo, la nostra mente  una fabula rasa, ma il giudizio  ancora immaturo. Sensi, inclinazioni na- turali, fantasia, precettori la riempiono di idee confuse e di errori:  Avviene cos, che, essendo stati noi tutti fanciulli pri- ma che uomini, e per in balia dei nostri appetiti, e biso- gnosi per lungo tempo di precettori, spesso contrari gli uni agli altri e forse non sempre capaci di consigliarci per il meglio,  quasi impossibile che i nostri giudizi siano co- sf puri e solidi come se avessimo avuto fin dalla nascita l'intero uso della ragione e fossimo stati guidati sempre soltanto da essa  . Ed ecco la posizione di assoluto radicalismo cartesiano. Facciamo in modo di essere quel neonato con luso intero della ragione. Facciamo tabula rasa di tutto quello che ab- biamo appreso e ricominciamo tutto da capo. La nostra cultura  come un quadro difettoso, riuscito male, abboz- zato da una pluralit di apprendisti inesperti. Nella Ricer- ; PD. 125-26. . Ricerca, nellop. cit., p. 101. , PP. 93-94  101-2, Discorso, pp. 132-34 dellop. cit. D. 133. ca Epistemone dice che lintelletto  come un eccellente pittore che tenti invano di dare lultima mano al quadro, correggendo come pu i molti errori delle mani inesperte che lhanno preceduto; ma Eudosso afferma recisamente:  Il vostro paragone scopre molto bene il primo osta- colo che ci capita; ma voi non parlate del mezzo di cui ci si deve servire per guardarsene. Il quale , mi sembra, che come il vostro pittore farebbe molto meglio a ricomincia- re tutto da capo quel quadro, dopo aver innanzi tutto pas- sato la spugna l sopra per cancellare tutte le linee che vi si trovano, piuttosto che perder tempo a correggerle; cosi bisognerebbe pure che ogni uomo, non appena ha rag- giunto un certo termine che vien chiamato let del giudi- zio, si risolvesse una buona volta a togliere dalla sua im- maginazione tutte le idee imperfette che vi sono state tracciate fino ad allora, e ricominciasse di buon proposito a delinearne di nuove .... Nella stessa Ricerca e nel Discorso c anche limmagi- ne, cosi pi razionalistica e secentesca, delledificio: il no- stro sapere  come un edificio costruito male, perch fatto da troppe mani e inesperte; inutile tentare di raccomodar- lo: meglio demolirlo e rifarlo di sana pianta . 6. E cosi l'atteggiamento radicalistico diventa esso stesso la prima regola del metodo  il dubbio metodi- co. Dubitare di ogni idea prima accolta nella mente, da qualunque fonte provenisse  dai sensi, dallimmaginazio- ne, dalla tradizione o dai libri. Gli argomenti per il dubbio sono tratti in gran parte da Montaigne, e derivano per- ci dalla tradizione classica dello scetticismo. Per questo Cartesio  stato a volte riaccostato a Montaigne, e persino agli umanisti dellAccademia Dupuy. Ma invece egli vol- ge in senso opposto latteggiamento montaigniano. Nulla  pi utile per comprendere appieno l'atteggiamento del moderno filosofo scientista in antitesi con quello del pen- satore umanistico che un confronto fra Montaigne e Des- cartes. Ne delineiamo qui i tratti fondamentali. ! p. 102. 2 Ricerca, p. 103; Discorso, p. 134. In Montaigne, come abbiamo gi detto e ripetuto, lo scetticismo  il risultato, la conchiusione della cultura classica:  per cosi dire il chiudersi della tradizione cul- turale ad ogni innovazione, ad ogni idea nuova  un fer- mare la storia. Al contrario, Cartesio non  uno scetti- co, e lo dichiara espressamente: Io non intendevo ... dimitare gli scettici, i quali dubitano per dubitare e affet- tano di essere sempre irresoluti nel giudizio; ch, anzi, tutti i miei propositi erano di raggiungere la certezza, e se scansavo la terra mobile e la sabbia era solo per trovare la roccia 0 largilla  '. A Cartesio i motivi scettici servono per motivare una sospensione della tradizione, per fare #4- bula rasa di essa: lo scetticismo risultante dalla tradizione ne  per lui, per cos dire, lautocritica, al di l della quale si apre lideale di una mathesis universalis, di un sapere assolutamente razionale, autofondato, evidente, condotto metodicamente sulla base di indiscutibili evidenze razio- nali. Ripetiamo: per Montaigne, come ancora per gli umani- sti del secolo successivo, la cultura  pumanae litterae;  essenzialmente monologo, meditazione interiore  in ulti- ma analisi, evasione. Non a caso gli Essays di Montaigne sono unautobiografia: perch tutta la cultura letteraria  biografica e autobiografica, rivolta al singolo e alla sua ri- cerca interiore, privata, di felicit, cio di equilibrio inte- riore (atarassia) e di distacco dagli impegni mondani (apatia). Ed  notevole come anche Cartesio esponga le sue idee sulla cultura in forma autobiografica: ma in lui l'autobiografia sfocia nel cogito ergo sum  nella pura universalit trascendentale del cogito, in cui il singolo si dissolve, o meglio attinge luniversalit umana, il piano di ragione universale e necessario; e cio il piano su cui la cultura si pu e si deve ricostruire da capo, ma non pi come bumanae litterae, bensi come scienza. E qui si inserisce lultima considerazione. Lo scettici- smo di Montaigne  unarma contro le rotture religiose che caratterizzano let moderna: contro il protestantesi- mo e il deismo  a questo proposito linizio dellApologia 1 Dp. 114. 114 per Raimondo di Sebonda  molto esplicito. Ora, su que- sto terreno anche Cartesio sembra seguire Montaigne. Le prudenti riserve delle prime due parti del Discorso circa la religione e la politica, la morale provvisoria di ispi- razione scettico-stoica della terza parte, ci riportano deci- samente a Montaigne e ad una saggezza di tipo scetti- co-umanistico. Qui Cartesio sembra veramente fare mac- china indietro: le considerazioni circa la privaticit delle scienze e la pubblicit della religione e della po- litica, sulle quali poi si basa la decisione di non estende- re a queste ultime il dubbio metodico (e la conseguente ri- forma del sapere), sembrano persino in contraddizione (almeno parziale) con le considerazioni circa la tavdeta umanistica. Opportunismo, cio vigliaccheria? Scrupoli e timidezza filosofica? Disinteresse per i problemi pratici? Si possono sostenere e confutare tutte queste interpreta- zioni del comportamento di Cartesio, discutendoci sopra fino a quando si vuole: ma la cosa riguarda la biografia delluomo Rn Descartes, non la posizione storico-filoso- fica del filosofo Cartesio. Di fatto, la sua limitazione ap- parir insostenibile; la sua distinzione tra privaticit della scienza e pubblicit della religione arriver addi- rittura a rovesciarsi, sotto la spinta di Bacone da una par- te, dellintimismo religioso protestante dallaltra. Il radi- calismo razionalista che Cartesio riservava alle parti pi teoretiche della cultura si estender anche alla politica e alla morale, dando origine ai sistemi di diritto naturale cosi caratteristici del Seicento e allethica more geometri co demonstrata (il titolo  dellopera di Spinoza, ma lidea appartiene a tutto il secolo). Per quanto poi riguarda la religione, Cartesio stesso pretender di gettare le basi di una teologia razionale assoluta, dedicando esplicitamente ai problemi dellesistenza di Dio e dell'immortalit della- nima la sua massima opera filosofica, le Meditationes de prima philosophia. E con questa opera produrr un effet- to ben al di l delle sue intenzioni: distinguendo, quasi senza volerlo, la parte comune, dimostrabile, razionale della teologia dagli elementi confessionali e dogmatici de- gli insegnamenti chiesastici, fornir ai deisti la base teore- tica per la loro costruzione e per la loro polemica: dar origine a quel programma di costruire, contro le religioni positive, una religione senza rivelazione e senza misteri che  cosi tipica dell'et moderna. 7. Ancora un ultimo punto circa il radicalismo anti- classicistico e modernistico di Cartesio. Abbiamo gi det- to, a proposito di Galilei e di Bacone, che i moderni ne- gano soprattutto che la cultura antica, greca e latina, sia esemplare: pi ancora che singoli e specifici risultati e asserzioni, ne negano il metodo. Abbiamo gi visto come anche Cartesio, non meno di Galilei, riponga le basi di un radicale rinnovamento del sapere nella scoperta e nellap- plicazione sistematica di un nuovo metodo, che egli ha poi esposto nelle Regole e nel Discorso. Questo meto- do per Cartesio  soprattutto una logica. La logica era anchessa eredit classica: lOrgazon rimaneva, pi o me- no, il testo fondamentale di questa disciplina. Contro la logica aristotelica c'erano state, a dire il vero, notevoli ri- bellioni per tutto il periodo dellUmanesimo e Rinasci- mento. Tali ribellioni si erano risolte da una parte in una riabilitazione della retorica ciceroniana, per esempio per opera di Pietro Ramo e della sua numerosa scuola. Dal- tra parte, fra quei torbidi pensatori, eredi della magia quattro e cinquecentesca, che si dedicavano ancora ai so- gni dellalchimia, pensatori che ancora pullulavano nel primo Seicento, si magnificava come una logica la famosa arte di Raimondo Lullo. ln un caso e nellaltro si ten- tava di opporre al formalismo della sillogistica aristoteli- ca una logica concreta, che portasse ad una presa di- retta sulle cose. Ma la logica moderna non si muover in nessuna di queste due direzioni: essa cercher di opporre al verbalismo e residuo retoricismo della logica aristoteli- ca una logica pi snella, pit efficace, modellata sulle strut- ture del discorso matematico. Quello che Cartesio critica  soprattutto linutilit della Logica tradizionale, sia ari- stotelica, sia lulliana: I sillogismi e la maggior parte dei precetti della logi- Ca servono piuttosto a spiegare agli altri le cose che gi si sanno, ovvero anche, come larte di Lullo, a parlare senza discernimento delle cose che uno ignora, invece di impararle. Quella logica contiene, senza dubbio, anche precet- ti ottimi, verissimi, ma mescolati con quelli ne ha tanti altri nocivi, o per lo meno inutili, che separarli- unim- presa ardua, come quella di cavar fuori una Diana o una Minerva da un blocco di marmo neppure sbozzato  . Questa  in sostanza unaccusa che muovevano anche gli umanisti, per esempio i ramisti che Cartesio sembra ignorare: indubbiamente la dialettica ramista, oscillante com'era tra retorica psicologismo ed empirismo, non po- teva interessarlo. A parte ci, Cartesio non  molto chia- ro nella sua critica alla logica antica: ne denuncia soltan- to, e in modo affatto generico, linutilit e il fastidio. Ma forse il motivo di questa mancanza di chiarezza sta nel fatto che egli intuiva ancora troppo oscuramente ci che voleva sostituire a quella logica, la sua idea rivoluziona- ria: lidea di una logica matematica, di una nuova discipli- na che nelle Regole vagheggia come mathesis universa- lis, dove la logica fosse non soltanto la riflessione meta- discorsiva sul discorso matematico e sulle strutture di es- so, ma il discorso logico-matematico coincidesse con quel- le stesse strutture e ad esse si riducesse. Donde la critica che simultaneamente muove anche alla geometria greca e allalgebra rinascimentale: discipline in cui l'oggetto del discorso non coincide con le strutture del discorso stesso. Vv. Alla met del secolo ritroviamo le medesime polemiche e le medesime affermazioni modernistiche in B. Pascal. Se per qualche aspetto la posizione di questultimo pu ap- parire pi arretrata di quella di Cartesio, con residui di pensiero umanistico e rinascimentale, per altri la sua po- sizione appare pi matura e, se possibile, anche pi con- sapevole. Ricordiamo che il giovane Pascal fu educato quasi e- sclusivamente dal padre Etienne Pascal  un gentiluomo di toga, colto, che era molto amico di un gruppo di matematici e scienziati, tra cui il grande Fermat. In questo am- biente c'era uno spiccato amore e gusto per la nascente scienza moderna; tuttavia questo conviveva con un catto- licesimo di tradizione, intinto di una sottile vena platoni- cheggiante che poteva anche preludere, inconsapevolmen- te e preterintenzionalmente, ad una specie di deismo. Questo ambiente era quindi largamente aperto, pi che al cartesianismo, alle idee scientifiche provenienti dallIta- lia, da Galilei e dalla sua scuola. Tale influsso italiano  ben visibile nel pensiero scien- tifico di B. Pascal: ha in comune con quello di Galilei e Torricelli l'accostamento di un deciso matematismo con un altrettanto deciso empirismo; Pascal  quindi del tut- to fuori dellalternativa Cartesio-Gassendi, avendo in co- mune col primo solo il matematismo, con il secondo solo lempirismo (ma con pi deciso orientamento sperimenta- listico, il che  appunto un tratto della scuola italiana). Certamente c anche qualche riflesso del pensiero di Cartesio  un pensatore molto stimato e profondamente sentito dai pensatori di Port-Royal, ma per il quale Pascal non simpatizzer mai del tutto (e non solo per motivi re- ligiosi). Ben presto il pensiero di Pascal venne interamente as- sorbito dal problema religioso: perci la sua produzione intorno alla scienza, e alle polemiche da questa suscitate,  scarsa (anche se molto importante), e nel complesso molto giovanile. Due testi tuttavia ci interessano qui in modo particolare. 1. Il primo  la prefazione ad un Trait du Vide, che Pascal aveva in mente di scrivere, ma non fini mai. Il te- sto della Prefazione venne composto nel 1647, ma fu pubblicato postumo e lacunoso solo nel 1779 con il tito- lo assai significativo di De lautorit en matire de philo- sophie. Infatti questa Prefazione contiene in sostanza una polemica contro il principio di autorit nelle discus- sioni scientifiche, arieggiando molto da vicino la Lettera a Madama Cristina di Lorena del Galilei, con qualche eco baconiana (probabilmente) e qualche non trascurabile tratto personale.  Pascal, avuto sentore dellesperienza di Torricelli, la- veva ripetuta, e ne aveva pubblicati i risultati, con un ten- tativo di interpretazione teorica dellesperienza stessa, nelle Expriences nouvelles touchant le Vide (1647). Pas- cal vi aveva accettata, e vivacemente sostenuta, lipotesi che nello spazio superiore del tubo torricelliano si formas- se il vuoto: e questo aveva scatenato un mare di polemi- che. Cartesio negava il vuoto per ragioni metafisiche; i Gesuiti (come il padre Nol), in genere blandamente ari- stotelici, avevano invocato contro lipotesi del vuoto lau- torit di Aristotele. Era, certo assai meno drammatica, la situazione polemica in cui si era trovato Galilei. Perci nella Prefazione al trattato sul vuoto che aveva intenzio- ne di scrivere Pascal combatte labuso del principio di au- torit con argomenti in gran parte derivati da Galilei. Pascal comincia con losservare che  Il rispetto verso lAntichit, anche nelle materie dove dovrebbe avere meno vigore,  giunto oggi ad un punto tale, che tutte le opinioni di essa sono prese per oracoli, e persino le oscurit ne sono considerate come misteri; che non si possono pi proporre idee nuove e il testo di un autore basta per demolire le ragioni pi forti  !. Egli procede distinguendo campi del sapere in cui lau- torit  legittima da altri in cui non lo . La distinzione  analoga a quella di Galilei, ma si trova anche in Bacone (e in Giansenio): ci sono scienze che dipendono dalla we- moria e scienze che dipendono dal ragionamento: Per introdurre attentamente questa distinzione, bi- sogna considerare che alcune scienze dipendono soltanto dalla memoria e sono puramente storiche, avendo per sco- po la conoscenza di ci che  stato scritto dagli autori; al- tre dipendono soltanto dal ragionamento e sono affatto dogmatiche, avendo per scopo la ricerca e la scoperta di verit nascoste. Quelle del primo tipo hanno i medesimi limiti dei libri in cui sono contenute . .. *. Nelle scienze del primo tipo vige ovviamente il princi- pio di autorit: ! B. PASCAL, Opuscoli e scritti vari, Bari Nelle materie in cui si cerca di sapere soltanto ci che gli autori hanno scritto  quali la storia, la geografia, la giurisprudenza, le lingue, soprattutto la teologia  insom- ma, in tutte quelle che hanno per principio o il fatto pu- ro e semplice o listituzione, divina od umana, bisogna ne- cessariamente ricorrere ai libri degli autori, poich in es- si  contenuto tutto ci che si pu saperne: dal che segue evidentemente che se ne pu avere una conoscenza inte- ra, cui non sia possibile aggiungere nulla  !. Ma il luogo in cui tale autorit ha il massimo vigo- re  nella teologia: perch in questa lautorit  insepara- bile dalla verit, e noi conosciamo questa solo mediante quella: in modo che per conferire completa certezza alle materie pi incomprensibili per la ragione basta mostrar- le nei libri sacri (nello stesso modo che per mostrare lin- certezza delle cose pi verosimili basta mostrare che que- ste non vi sono contenute), perch i suoi princip sono al di sopra della natura e della ragione e la mente umana, es- sendo troppo debole per arrivarci con le sue proprie for- ze, non pu giungere a tali alte intellezioni se non vi  portata da una forza onnipotente e soprannaturale  . Ma ben diversa  la situazione per le materie che dipen- dono dallesperienza e dal ragionamento; qui non ha pi senso il principio di autorit: Non  lo stesso per gli argomenti che cadono sotto i sensi o sotto il ragionamento: qui lautorit  inutile e la sola ragione riesce a conoscerli. Queste due cose, autori- t e ragione, hanno i loro diritti separati: l aveva il so- pravvento luna, qui tocca allaltra di dominare. Ma sic- come gli argomenti di questo genere sono proporzionali all'ambito della mente, questa vi trova unintera libert di dispiegarvisi, la sua inesauribile fecondit vi produce continuamente e le sue invenzioni possono essere senza fine e senza interruzione .. .. Ovviamente, il complesso di questo discorso arieggia, e riassume, la lettera galileiana, forse con qualche eco ba- coniana. Ma un lettore attento vi pu trovare qualcosa di } D. 4. i PP. 4-5. PD. 5.  molto diverso. C in questa pagina di Pascal un positi- vismo tutto moderno, che ancora mancava in Galilei e neppure era cosi nitido in Bacone. Nel testo pascaliano manca assolutamente il senso dellautorit come tradizio- ne. Ci sono in sostanza due tipi di scienze: filologiche e naturali. In quelle filologiche predomina lautorit: ma non nel senso di una tradizione storica, delle opinioni dei pi o dei pi dotti, bensi unicamente nel senso che in queste scienze si tratta soltanto di sapere che cosa  scrit- to nei libri, e quindi i libri vi tengono il posto che nelle scienze naturali  tenuto dallesperienza sensibile. (E trat- tandosi di scienze storiche, in cui non si fanno leggi e ge- neralizzazioni induttive, il ragionamento vi ha una fun- zione affatto secondaria). Si osservi che questo vale an- che per la teologia. Ritorneremo su alcuni aspetti del pen- siero religioso di Pascal: ma qui osserviamo che, mentre Galilei enumera esplicitamente tra le autorit teologiche, accanto naturalmente alla Bibbia, anche le opinioni dei padri e dei teologi autorevoli (cio ci che si chiama tra- dizione della Chiesa), Pascal ricorda solo i libri sacri  come se la teologia stessa si riducesse a filologia biblica. Un punto che Pascal riprende da Galilei  quello della progressivit del sapere scientifico. Anche per lui non si tratta di una progressivit del vero, ma solo della progres- sivit della conoscenza di una natura di per s eterna e immutabile: I segreti della natura sono nascosti: sebbene essa agi- sca sempre, non sempre se ne scoprono gli effetti: il tem- po li rileva di epoca in epoca e, sebbene essa sia in se stes- sa sempre uguale, non  sempre ugualmente conosciuta  . Anche qui rientrano i vecchi temi: per esempio, che noi vediamo di pi degli antichi perch siamo pit in alto di loro , cio perch abbiamo ampliato lesperienza al di l della loro, partendo dalla loro. E si ritrova anche lidea che i veri antichi siamo noi, con una tipica reminiscenza baconiana: 1 2 Le prime conoscenze che gli Antichi ci hanno date sono servite da scalini per salire alle nostre (p. 7). Si ricordi la vecchia metafora dei na- ni sulle spalle di giganti. Quelli che chiamiamo antichi in verit erano nuovi a tutto, e formavano propriamente linfanzia degli uomi- ni; e siccome noi abbiamo aggiunto alle loro conoscenze le esperienze dei secoli che li hanno seguiti,  in noi che si pu trovare quellantichit che onoriamo negli altri !. Ci sono per altri spunti pi originali, e comunque an- che pi interessanti. Per esempio, Pascal paragona la sto- ria dell'umanit alla vita di un uomo: lumanit intera  come un uomo singolo, che passa dalla fanciullezza alla maturit  e lantichit  la fanciullezza del genere uma- no. C' qui un senso corale della cultura e della storia  le quali non sono opera di singoli, non si accentrano at- torno a individui privilegiati, ma sono opera del genere umano: questo  propriamente il protagonista della sto- ria.  uno spunto bruniano che viene sviluppato in una visione molto nitida della storia della cultura: ma di una storia della cultura vista senz'altro sotto langolo delle strutture pi tipiche della cultura scientifica. Inoltre si chiarisce meglio il senso di questa progressi- vit: essa dipende,  vero, dall'aumento di esperienze, ma implica anche un mutamento nelle teorie generali e nei concetti. Ci perch le teorie sono generalizzazioni indut- tive, e quindi soggette a cadere o a trasformarsi in segui- to al presentarsi di fatti empirici nuovi. Finalmente c una critica fondamentalmente nuova al tradizionalismo che tende a chiudere la cultura in unere- dit degli antichi. Un tale atteggiamento, dice Pascal,  contrario alla natura razionale delluomo. Listinto, per esempio quello degli insetti,  conservatore, immobile: una volta assestato, rimane immutabilmente quello che . Invece la ragione umana  progressiva; e questo perch la natura, avendo per fine soltanto di mantenere gli ani- mali in un ordine di limitata perfezione, ispira loro una tale scienza necessaria sempre uguale per tema che essi vadano in deperimento, e non permette che lingrandisca- no per tema che oltrepassino i limiti che essa ha loro pre- scritti. Non vale lo stesso per luomo, prodotto solo per l'infinito  . LI 25.8  L’idea  certamente rinascimentale  tramite il Bovil- lo, risale a Pico della Mirandola: gli animali hanno una loro definita natura, ed entro a questa una loro limitata perfezione; ma luomo non ha una natura,  indetermina- to e quindi indefinitamente, e infinitamente, perfettibile. Per, se lidea  rinascimentale, luso che ne fa Pascal  affatto moderno: non riguarda la perfezione interiore rag- giungibile dal singolo, ma lindefinita progressivit del genere umano  progressivit che non si attua attraverso le bumanae litterae, ma nel progresso scientifico. 2. Inunaltro scritto pascaliano troviamo accenni po- lemici ad un aspetto della cultura classica, la Logica ari- stotelica, che connettono Pascal a Cartesio. Come Carte- sio, anche Pascal non si limita a criticare il principio del- lautorit degli antichi, ma colpisce l anima stessa del- la cultura greca, latina e medievale: la sua logica, con- trapponendole una nuova logica, ricavata dalle matema- tiche, in particolare dalla geometria, assunta come mo- dello unico di discorso rigoroso. Cartesio per non era giunto a ricavare dal modello matematico neppure i prin- cip di una nuova logica: aveva formulate solo alcune re- gole di metodo relative allidea di una matbesis universa- lis, la quale idea poi si  risolta in pratica nella creazione della geometria analitica  cosa importantissima, certo, ma pur sempre realizzazione molto limitata a paragone del progetto originario. Pascal invece arriva a formulare alcune regole logiche, e a vederne la problematica: sf che si pu affermare che solo con lui comincia propriamente la Logica moderna. Qui per non ci interessa in particolare questa Logica, bensi soltanto la polemica contro la sillogistica aristote- lica, in quanto dottrina del metodo. Tale polemica  con- tenuta nellArt de persuader. Lo scritto comincia con uninteressante distinzione tra retorica e logica. Entrambe rientrano nel medesimo ge- nus, larte di persuadere; ma si rivolgono a due facol- t diverse, che sono le due vie dingresso delle convin- zioni: lintelletto e la volont, lintelligenza e il cuore: La via pi naturale  quella dellintelletto, giacch  non si dovrebbe mai consentire se non alle verit dimo- strate; ma la pi comune, sebbene contro la natura,  quella della volont. Infatti tutti quanti sono uomini so- no quasi sempre indotti a credere non dalla prova, ma dal gradimento. Questa via  bassa, indegna, aliena, e quindi tutti la sconfessano ...!. Ora,  queste due facolt hanno ognuna i suoi princi- p e i primi motori delle sue azioni. Quelli dellintelletto sono verit naturali note a tut- ti, come per esempio che il tutto  maggiore della parte, oltre parecchi assiomi che alcuni ammettono ed altri no, ma che, una volta ammessi, sono, anche se falsi, altrettan- to efficaci ad indurre la credenza quanto i pi veri. Quelli della volont sono certi desideri naturali e co- muni a tutti gli uomini, come il desiderio di essere felice che nessuno non pu non avere, oltre parecchi scopi par- ticolari che ognuno persegue per raggiungerli e che, se hanno la forza di piacerci, anche se sono in realt danno- si sono altrettanto forti per fare agire la volont quanto se ne producessero la vera felicit  . Corrispondentemente, ci sono due metodi di persua- sione: quello della convinzione, che si dirige allintellet- to, e quello del gradimento, che si dirige al cuore. Ov- viamente, il primo metodo (come del resto risulta da quello che segue)  identico alla logica. Questa  in so- stanza larte che porta alla distinzione razionale tra vero e falso e che si fonda sulla dimostrazione. E laltro me- todo, quello del gradimento? Pascal non lo dice: ma evidentemente  la retorica, che si fonda sul sentimento del valore, e che costituisce verit non per lintelletto, ma per il cuore, ossia, appunto, per il sentimento. Essa si affida a qualcosa che non  n fermo n universale: I princip del piacere non sono fermi e stabili. Sono diversi in ogni uomo e variabili in ogni singolo con tale differenza che nessun uomo differisce da altri pit di quan- to differisca da se stesso in tempi diversi. Un uomo ha piaceri diversi da una donna; ne hanno diversi un ricco e  un povero; diversi sono un principe, un uomo darmi, un commerciante, un borghese, un contadino, i vecchi, i gio- vani, i sani, i malati; e i minimi accidenti li cambiano  !. Ora, anche se Pascal non lo dice,  chiaro che questo  uno dei caratteri del discorso persuasivo di tipo retorico: in quanto fondato su sentimenti e passioni, deve assume- re premesse diverse a seconda della composizione del suo uditorio concreto, come ha mostrato il Perelman. Invece il discorso razionale, logico, si affida alluniversale umano della ragione e si presenta con i caratteri della necessit.  solo a questo tipo di persuasione logica, razionale, che Pascal vuole dedicare il suo studio. Ma le regole della logica egli le estrapoler dalle forme del discorso matema- tico, perch questo, e questo solo,  discorso perfettamen- te razionale:  Il metodo per non errare  desiderato da tutti. I logi- ci fanno professione di condurre ad esso, ma ci arrivano soltanto i geometri, e, fuori della loro scienza e di quelle che la imitano, non ci sono vere dimostrazioni. Tutta lar- te ne  racchiusa nei precetti che abbiamo detti: essi soli bastano, essi soli provano, tutte le altre regole sono inuti- li e nocive  ?. Ecco dunque affermato non solo il carattere assoluta- mente razionale della matematica in se stessa, ma anche la capacit del discorso matematico di venire imitato, ossia di far da campione ad ogni discorso razionale in ge- nere; e insieme viene negato il valore esemplare e cano- nico della logica tradizionale. Poco prima infatti aveva detto: Mi guarderei bene dal mettere in parallelo le regole della Logica [tradizionale] con quelle dellaltra scienza [matematica], che insegna il vero metodo per guidare la ragione. Ma al contrario sarei assai disposto ad escluder- nele, e quasi definitivamente  . E poco pi avanti ribadisce il concetto che gi si trova p. 98. 2 Le regole per le definizioni, gli assiomi e le dimostrazioni, trattate nelle pagine precedenti in Cartesio: la Logica tradizionale contiene poche buone regole frammischiate con un mucchio di inutili e di no- cive:  Il difetto di un ragionamento falso  una malattia che si guarisce con questi due rimedi '. Se n composto un altro con un'infinit di erbe inutili in cui le buone si tro- vano frammischiate e restano senza efficacia per la cattiva qualit del miscuglio  . Pesantezza e gonfiatura retorica, inutile complicazione, vuoto verbalismo sono i vizi della Logica classica: di fron- te al barocchismo di questa sta lestrema semplicit della logica matematica.  Per scoprire tutti i sofismi e tutti gli equivoci dei ra- gionamenti capziosi hanno inventato dei nomi barbari che stupiscono chi li ode; e mentre non si possono sbrogliare tutte le involuzioni di questo nodo cosi intricato se non tirando uno dei capi additato dai geometri, ne hanno se- gnati molti altri strani tra cui quelli si trovano compresi, senza sapere bene quale sia quello buono  . Non ho quindi nessun dubbio che queste regole, es- sendo le vere, non debbano essere semplici, spontanee, na- turali  come sono. Non sono barbara e baralipton che for- mano il ragionamento. Non bisogna agghindare la mente: i modi sostenuti e penosi la riempiono di sciocca presun- zione con unelevazione che le  estranea ed una gonfia- tura vana e ridicola al posto di un nutrimento solido e vi- goroso  . Contro il barocchismo del tardo umanesimo sta, cate- goria squisitamente moderna, lidea della semplicit. Sem- plicit della natura, che significa universalit umana, con- tro le involuzioni del genio. Le seguenti parole possono venire assunte come limpresa del pensiero scientifico mo- derno contro lumanistica civilt retorica:  Nulla  pi comune delle cose buone:  questione sol- tanto di saperle discernere; ed  certo che sono tutte na- | Le due regole essenziali della logica pascaliana: definire tutti i no- mi che si impongono; provare tutto, sostituendo mentalmente le definizio- NI al posti dei definiti. 2 p. 106. PD. 107.  turali e alla nostra portata, ed anzi conosciute da tutti. Per non si sanno distinguere. Questa  una cosa genera- le. Ma non  nelle cose straordinarie e stravaganti che si trova uneccellenza di qualsiasi genere; per arrivarci ci si innalza, e invece ci si allontana da essa: il pi delle volte bisogna abbassarsi. I migliori libri sono quelli che i lettori credono che avrebbero potuto scrivere anche loro. La na- tura, che sola  buona,  affatto familiare e ordinaria  '. 3. Laspetto del pensiero pascaliano che sembra, in un certo senso, pi vicino alleredit di Montaigne  il pen- siero religioso. Anche per Pascal, infatti, la via della fede passa per lo scetticismo. E Montaigne fu un autore sul quale continu a meditare per tutta la sua vita. Ma pure, nonostante lindubbia influenza esercitata dagli Essays su Pascal, nonostante le non poche analogie di superficie, vi  una profondissima diversit di pensiero: e dalla profon- dit di questa differenza si pu, in un certo senso, misu- rare l'abisso che separa il pensatore moderno, formato al. la scuola della nuova scienza, dal tardo umanista di mez- zo secolo prima. C un famoso Colloquio di Pascal con De Saci, che fu redatto da Fontaine, segretario di De Sa- ci e pubblicato dopo la morte di Pascal; tuttavia leviden- za interna non lascia dubbi circa lautenticit del resocon- to, tanto che si  persino pensato che Fontaine utilizzasse appunti fornitigli dallo stesso Pascal (appunti di cui re- sterebbe traccia in alcune Penses). In questo Colloquio Pascal, non ancora permeato dello spirito di Port-Royal, ancora sotto linfluenza dei suoi stu- di scientifici e delle sue meditazioni filosofiche, esalta il pensiero di due autori: lo stoico Epitteto e lo scettico Montaigne, ripetendo in succinto le ragioni scettiche di questultimo, e lodandone (entro certi limiti, per la pre- senza di De Saci, tutt'altro che entusiasta) anche il fidei- smo scettico. Ma questultimo non , o per lo meno non  simpliciter; la conclusione di Pascal. Stoicismo e scettici- smo sono i due poli tra cui oscilla la ragione umana fuori della fede cristiana  la grandeur e la misre delluomo, ! p. 106. oscillante tra un irraggiungibile ideale di perfezione e la disperazione circa le sue capacit effettive. Lo scetticismo rappresenta la coscienza della zzisre. Ma questa situazio- ne non  definitiva: il Cristianesimo, con i dogmi della creazione, della caduta e della redenzione, insegna alluo- mo e l'origine della grandeur e lorigine della mzisre, e la via della grazia in cui si supera, in Dio, questa dialettica inerente alla situazione umana. Non si tratta dunque di tenersi la fede dei padri perch, tanto, la ragione non  in grado di fornirci una verit migliore: bensi di aderire al messaggio biblico perch  lunico che spieghi questa cosa inesplicabile, lo scacco della ragione. Non c' affatto il senso di tenersi aderenti al concreto di una tradizione sto- rica in quanto tale (e al cristianesimo perch per avventu- ra  tale tradizione), ma quello di una scelta assoluta di fronte ad uno scacco delle facolt umane che non  di ora o di ieri, ma  intrinseco alla condizione umana di sempre (per lo meno dopo la caduta) e contrario alla natura uma- na di sempre. Di fatto, per quanto riguarda la scienza Pascal non  veramente scettico. Nei suoi limiti umani, accontentando- si di certezze relative ed evidenze naturali, la scienza  va- lida: cessa di essere tale se commisurata allideale di una scienza assoluta, assolutamente razionale, dove ogni no- zione fosse definita e ogni principio dimostrato  il che a noi, nellattuale condizione umana, non  possibile. Se nel pensiero di Pascal ci sono residui rinascimentali, non sono di tipo montaigniano: piuttosto che allautore degli Essays ci viene fatto qui di pensare a Cusano e a Galilei. 4. Un cenno meritano le Provinciali, contenenti la fa- mosa polemica contro la morale dei casuisti. In questa morale in gran parte gesuitica era penetrato lo spirito u- manistico, nel senso preciso di unattenuazione della logi- ca del giudizio del confessore a favore di un approfondi- mento della situazione psicologica del peccatore, della considerazione delle circostanze concrete del peccato, ecc.  Non solo: ma essi avevano, con il nome di probabilit, introdotto nella teologia morale il criterio umanistico del consensus: il parere della maggior parte dei teologi, o di teologi molto autorevoli, diveniva norma, per cos dire giurisprudenziale, per il confessore. Pascal si ribella sde- gnato contro questa mentalit, alla quale attribuisce le enormit e il lassismo cui erano giunti questi teologi mo- rali. Abbiamo gi visto come nella Prefazione al Trait du Vide la teologia divenisse una specie di filologia bibli- ca, senza riguardo alla tradizione della Chiesa e alle opi- nioni dei teologi. Qui c la medesima posizione: c nel- la Bibbia una legge, e questa va applicata alla lettera. Non valgono qui n lapprofondimento psicologico e circostan- ziale del caso concreto, n il consensus e l'autorit: vale sempre, e solo, la lettera del libro sacro. La distanza dalla mentalit umanistica  immensa. VI. 1. Da Bacone a Descartes trasse in parte origine quel- la famosa querelle des anciens et des modernes, che fu tanto caratteristica degli ambienti colti della Francia del Seicento, ma ebbe una vasta eco anche fuori della Francia e si protrasse nel tempo molto oltre il Seicento. Questa querelle fu soprattutto un fatto letterario e una disputa tra letterati: per trasse dai filosofi alcune delle sue non molte ragioni profonde e vitali. In se stessa  per lo pi frivola: vista per come fenomeno complessivo pu avere un interesse maggiore di quanto non ne abbia se vista nei particolari: infatti in essa si avverte lo sforzo, da parte di un forte gruppo di scrittori moderni, di affer- mare i valori del mondo moderno contro il persistere del- ladorazione per i classici; di negare, comunque se ne giu- dichino poi autori e prodotti particolari, il carattere esem- plare della civilt antica. Alcuni storici della querelle, come il Rigault, hanno vi- sto in essa la lotta tra due princip di cui  intessuta la nostra civilt: la tradizione e il progresso.  Due mentalit si dividono il mondo, la mentalit an- tica e la mentalit nuova, tutte e due legittime, perch corrispondono a due bisogni reali dell'umanit, la tradi- zione e il progresso. La tradizione non la si rispetta sempre, ma non si dubita della sua esistenza;  un insieme di idee ammesse e di fatti compiuti, e non si pu negare n il passato n la storia. Del progresso si contesta spesso la realt, lo si considera come un sogno, perch  insieme un giudizio sul passato, discutibile come tutti i giudizi, e una speranza per lavvenire, che l'avvenire pu deludere, co- me tutte le speranze. Ma il progresso non  un sogno, ma una verit  |. Di qui limportanza della querelle, nonostante i suoi moltissimi aspetti frivoli: Di fatto la disputa degli antichi e dei moderni non  una frivola questione di precedenza. Al fondo del dibat- tito c'era unidea filosofica, una delle pi grandi che pos- sano essere state proposte alla mente umana, poich inte- ressa la dignit della sua natura: lidea del progresso in- tellettuale dellumanit. Cera unidea letteraria correlati- va, lidea dellindipendenza del gusto e dellemancipazio- ne dello spirito moderno, liberato dallimitazione degli an- tichi  . Dunque: il partito degli antichi  il partito della tra- dizione, il partito dei moderni  il partito del progres- so. Ma seguendo il dibattito nella sua lunga, complicata e, il pi delle volte, noiosa storia, emerge, seppure sporadi- camente, anche un altro fatto: lidea che la civilt moder- na  soprattutto una civilt delle scienze, e, in un certo de- terminato modo (che del resto abbiamo visto affiorare in Balzac e in Descartes e si ritrova in Pascal), questa idea determina anche una concezione delle arti, delleloquen- za, della poesia, che rende arcaica e retorica larte antica nei confronti della moderna. 2. A quanto pare, la querelle nacque in Italia a pro- posito di una disputa pro e contro la Gerusalemme Li- berata. Fu Alessandro Tassoni che nei Pensieri diversi (1620) inseri un Paragone degli ingegni antichi e mo-  Histoire de la querelle des anciens et des modernes, in CEuvres com- pltes de H. Rigault, t. I (1859), pp. 1-2. PP. xxx sg.  Per limportanza della querelle nellaffermazione mo- derna dell'idea di progresso cfr. anche BurY, Storia dellidea di progresso Cit., capp. IVe v. 130 RETORICA E LOGICA derni. Il suo libro fu tradotto in francese e i motivi del Tassoni furono ripresi, in seno allAcadmie frangaise di recente fondazione, da un poeta, il Boisrobert, che nel 1635 tenne un discorso che suscit molto scandalo, poi- ch, tra laltro, vi veniva attaccato Omero. Ma la campagna contro il culto dei classici venne ripre- sa con maggiore violenza e in modo pi sistematico da Desmarets de Saint-Sorlin, il quale nelle Dlices de les- prit (1658), nel Discours prliminaire au pome de Clovis (1673), ma soprattutto nel Trait pour juger des potes grecs, latins et frangais (1670), attizz la disputa. Nel suo odio per gli antichi e per i loro ammiratori Desmarets  mosso soprattutto da fanatismo cristiano. Ci che egli soprattutto condanna  il paganesimo dei poe- ti antichi, a cui contrappone lideale moderno di una letteratura cristiana, (di cui diede egli stesso dei pessimi esempi con i poemi Marie Magdeleine e Clovis). Ma ac- canto a questo motivo cristiano si ritrovano i temi che ab- biamo gi visto in Bacone e in Descartes: che i veri anti- chi siamo noi, e che, mentre la natura  costantemente la stessa, i prodotti umani sono storicamente progressivi:  Sebbene lantichit sia venerabile per aver dissodate le menti come ha fatto della terra, essa non  cos felice, n cosi dotta, n cosi splendida come i tempi moderni, che sono veramente la vecchiaia consumata, la maturit, e quasi l'autunno del mondo, avendo i frutti, le ricchezze e le spoglie di tutti i secoli passati, e la possibilit di giu- dicare e trarre profitto di tutte le invenzioni, di tutte le esperienze e di tutti gli errori degli altri; mentre invece lantichit non  che la giovinezza e rozzezza del tempo, e quasi la primavera dei secoli, la quale ha solo un po di fiori. E chi vorrebbe confrontare la primavera del mondo con il nostro autunno? Sarebbe come voler confrontare le prime case degli uomini con i sontuosi palazzi dei no- stri re . La natura produce in ogni tempo opere perfette: in ogni epoca ci sono stati dei bei corpi, dei begli alberi, dei bei fiori. I mari, i fiumi, il sorgere e il tramontare degli astri sono stati ugualmente belli dalla creazione in poi; ma non  lo stesso per le opere degli uomini: queste hanno cominciato con lessere imperfette, e si sono perfezio- nate a poco a poco. Le opere di Dio sono state perfette dal momento della creazione, mentre per l'invenzione gli uomini si correggono gli uni sugli altri, e gli ultimi sono i pi fortunati, i meglio istruiti e i pi perfetti, secondo il genio che Dio d loro !. 3. Da allora lAcadmie frangaise (e con essa un vasto pubblico di persone colte) si divider in due partiti: gli anciens e i modernes  due tipi di gusto letterario, ma anche due modi di concepire la funzione delle lettere nella cultura, due mentalit in conflitto. Il partito degli anciens vanta nomi illustri: Boileau (che fu a lungo il pi autorevole del gruppo), Racine, La Fontaine, La Bruyre. Ciononostante i mzodernes sono i pi forti: hanno un or- gano di stampa (il  Mercure Galant ) e il vasto pubblico  con loro. In questo gruppo emergono le figure dei fra- telli Perrault e di Fontenelle. Pierre Perrault tradusse in francese la Secchia Rapita; nella premessa a questa traduzione (1678) riprendeva la polemica modernistica, in deliberato contrasto con Boi- leau. Ma fu soprattutto Charles Perrault che scaten di nuo- vo la battaglia, con un famoso Pome sur le sicle de Louis le Grand, letto in una solenne seduta dell'Acadmie fran- gaise nel 1687. In questo poema, dove loccasione corti- giana fa scudo alla polemica contro Boileau, egli esalta le scoperte scientifiche dell'et moderna e le migliori cono- scenze sulla natura possedute dai moderni. Ch Ch. Per- rault, pur essendo un letterato,  un deciso fautore della scienza: tra laltro, per linfluenza che aveva su Colbert, contribui notevolmente alla fondazione dell Acadmie des Sciences. Per questo egli batte laccento soprattutto sulla superiorit scientifica della civilt moderna rispetto al- l'antica. Ma nel suo poema non si ferm l: os anche parlare male di Omero. Gli accademici lo ascoltarono in silenzio, e alla fine lo applaudirono: ma Boileau ne fu vio- ! Cit. in CEwvres compltes de H. Rigault cit., pp. 112-13. lentemente urtato e violentemente protest. E cosi si rin- focol la polemica. Perrault torn presto sull'argomento, nei Parallles des anciens et des modernes del 1688. Questo  lo scritto pi filosoficamente elaborato  se pur si pu parlare di filo- sofia in questo autore, che usa per la sua polemica tutti gli oramai molti loci che la cultura del tempo gli offriva. Metter qui in rilievo soltanto alcuni aspetti che sembra- no di maggiore importanza filosofica. Lidea fondamentale di Perrault, da cui ne dipendono molte altre nel saggio in questione,  questa: che non bi- sogna giudicare lartefice ma lopera. Non si sottolineer mai abbastanza questo pensiero, che tanto differenzia la mentalit scientifica dalla mentalit umanistica. Per que- stultima, tutta rivolta com alla soggettivit empirica, all'uomo come concreto psicologico, prima dellopera sta luomo che la produce, il genio. E il grande argomen- to dei sostenitori dellantichit classica, allora (come del resto ancora oggi), era la grandezza dei grandi geni delle- t antica, dopo dei quali non ci sarebbe stata, in generale, che una lunga decadenza. Come abbiamo gi visto, in gene- rale nessuno dei moderni discute la grandezza dei clas- sici antichi  qualche dubbio affiora soltanto negli scrit- ti giovanili di Bacone. Ma il problema non riguarda il me- rito soggettivo, bensi il valore oggettivo del lavoro cultu- rale prodotto. A questo proposito Perrault enuncia la teo- ria che abbiamo gi visto in Desmarets: la natura  im- mutabile, produce sempre con la medesima perfezione, non decade. Perci, coeteris paribus, in ogni epoca si deve ritrovare il medesimo numero di uomini di ingegno e di uomini dotati. Ma i prodotti dello spirito umano crescono e si perfezionano gli uni sugli altri. Non si tratta, quindi, di paragonare gli ingegni antichi e moderni, ma i prodotti dello spirito: e i moderni sono necessariamen- te migliori. A questo proposito Perrault assume anche un secondo punto di vista, pure molto interessante: non  tanto l in- venzione che conta, quanto il perfezionamento dellin- venzione. Ovviamente, gli antichi hanno inventato tutto, dal momento che prima di loro non cera niente: ma i moderni hanno introdotto quei perfezionamenti che sono quelli che conferiscono un valore alle loro invenzioni. In altri termini: possiamo ammirare quanto vogliamo gli an- tichi per avere creato una civilt; ma giudicata obietti- vamente la loro  una civilt rozza, arcaica, giovanile. Anche qui, i veri antichi siamo noi, se per antichi si intende pi esperti e pi civili. E anche qui ritorna, ac- canto al senso obiettivo, il senso corale, universale, della civilt, con quella medesima idea che abbiamo gi visto in Pascal: il progresso  un progredire della mente uma- na, simile al passaggio dallinfanzia alla maturit, come di una mente sola. Quindi  lumanit, il tempo, che  protagonista del progresso storico della civilt, non que- sto o quelluomo. Tutti questi argomenti, sebbene usciti dalla penna di un letterato, sono evidentemente ispirati da una menta- lit antiumanistica e antiletteraria. E questa mentalit pe- netra anche nellestetica di Perrault (se pure non  trop- po parlare qui di una estetica). Egli distingue tra bel- lezze esterne e assolute e bellezze relative e particolari: le prime, appunto, eterne e obiettive, le seconde invece contingenti, legate al gusto, alla moda, ecc.  Naturali le prime artificiali le seconde. Perrault non definisce la bellezza eterna e obiettiva, non dice che cosa sia, in che cosa consista: la indica arte per arte. Per esempio: In architettura, le bellezze naturali e positive che piacciono sempre, consistono per gli edifici nellessere al- ti e di grande estensione, nellessere costruiti con pietre ben levigate, bene unite, le cui saldature siano pressoch impercettibili; che ci che deve essere perpendicolare lo sia perfettamente, e cos ci che deve essere orizzontale, che il forte porti il debole, che le figure quadrate siano ben quadrate, le rotonde ben rotonde, e che il tutto sia disegnato con propriet, con linee molto vive e molto ni- tide  !. Tutto sommato, un ideale alquanto razionalista, geo- metrizzante. Carattere razionalistico che appare ancora pi ovvio in quello che Perrault dice delleloquenza  e ! Parallles, t. II, p. 45 (Euvres compltes de H. Rigault cit., p. 199). che ricorda tanto da vicino Descartes e Pascal. Nellelo- quenza le bellezze assolute ed eterne sono date dal ragio- nare in modo giusto e coerente, provare ci che si affer- ma, confutare le obiezioni mediante ragioni solide e con- vincenti; mentre lo stile, gli ornamenti, la grazia, labbon- danza o la concisione, ecc., tutto ci  affatto arbitrario e varia secondo lumore degli uditori, il gusto e la moda del secolo '. Osserva giustamente il Rigault che  Perrault mette nel novero delle bellezze eterne delleloquenza le ragioni solide e convincenti, le deduzioni esatte e conse- guenti, il concatenamento regolare delle idee  in una pa- rola, tutto ci che riguarda il vero; e relega tra le bellez- ze accidentali tutto ci che riguarda il bello . E forse  anche vero. Ma leloquenza  arte della parola,  discor- so: Perrault vi porta le esigenze di una civilt scientifi- ca, tende ad imporre i valori fondamentali di questa  e questi valori fondamentali portano pi sul vero che sul bello, pi sulla obiettiva universalit del primo che sul- la emozionale variabilit del secondo. 4. Accanto a Charles Perrault dobbiamo ricordare Fontenelle, la cui opera si intreccia (anche cronologica- mente) con quella dell'amico, e contiene circa gli stessi temi, le stesse motivazioni. Ma Fontenelle, oltre ad essere pi filosofo,  anche pi decisamente portato verso laffermazione di una civilt delle scienze. Non per nulla fu lautore di due opere assai lodate al suo tempo, lHistoire de lAcadmie des Scien- ces (della quale fu segretario dal 1697 al 1740) e la Go- mtrie de lInfini, un trattato citato con onore da dAlem- bert. Cos pure ebbero molta risonanza i notissimi Entre- tiens sur la pluralit des mondes, i quali, sebbene scrit- ti in forma divulgativa, mostrano un grande interesse e unottima informazione nella scienza del secolo. Perci non c da stupirsi se nelle Rflexions sur la potique et sur la posie en gnral (1678) Fontenelle giunga ad una concezione della poesia che risente fortemente della men- : Parallles, t. III, p. 49 (CEuvres compltes de H. Rigault cit., p. 192). p. 202. :  talit scientifica, ispirata ai valori dominanti di una civil- t delle scienze, s da risolvere il valore della poesia in funzioni pragmatiche o in funzioni conoscitive, e conce- pire quindi la poesia stessa su di un piano eteronomico. Fontenelle fa nascere la poesia da due cause: la neces- sit di scolpire le leggi nella memoria degli uomini pri- ma dellinvenzione della scrittura; e limitazione del can- to degli uccelli. Uno scopo pragmatico, quindi, e uno sco- po estetico: ma il momento estetico si esaurisce per lui in questa musicalit, che rimane in fondo una qualit e- strinseca alla poesia stessa, dipendente pi dal verso che dal contenuto. Quanto a questultimo,  molto interessante quello che egli dice circa luso pratico delle immagini. Tra queste pe- r hanno valore soltanto le images spirituelles, ossia quelle immagini che mostrano in modi nuovi delle re- lazioni obiettive tra idee, come, per esempio, chiamare gli adulatori idolatri tiranni dei re o il dire che il delitto  perseguito dal rimorso incorruttibile. Ma pi in al- to ancora di queste immagini intellettuali, in un genere superiore (e massimo) di poesia Fontenelle pone imma- gini ancora pi intellettuali, immagini metafisiche relati- ve all'ordine generale delluniverso, allo spazio, al tempo. Qui la poesia diviene filosofia, metafisica, scienza. Vari sono gli scritti di Fontenelle sulla querelle. Ne ri- corderemo due, i pi importanti. Uno alquanto giovanile, i Dialogues des Morts (1683), dove, ad imitazione di Lu- ciano, immagina che morti recenti si incontrino nellOl- tretomba con morti antichi e discutano dei costumi, del- le idee, ecc.  Particolarmente interessante  il dialogo (III) tra Socrate e Montaigne  dove, naturalmente, Mon- taigne  il sostenitore degli antichi e Socrate il portavo- ce di Fontenelle. Socrate si meraviglia nel sentire da Mon- taigne che il mondo non  migliorato nei secoli venuti do- po la sua morte, ma anzi  peggiorato, degenerato (uni- dea assai diffusa tra i sostenitori degli antichi); per iro- nizza sulladorazione che lumanista manifesta per lan- tichit, e ad un dato momento osserva: | Fate attenzione ad una cosa. Lantichit  un oggetto di una specie particolare; la lontananza lingrandisce. Se 136 aveste conosciuto Aristide, Focione, Pericle e me (visto che volete mettermi nel novero) avreste trovato nel vo- stro secolo persone che ci somigliavano. Ci che fa s che di solito si sia cosi ben disposti verso lantichit,  che si  in collera contro il proprio secolo  e lantichit se ne avvantaggia. Si collocano gli antichi molto in alto per ab- bassare i propri contemporanei. Quando vivevamo noi, stimavamo i nostri antenati pi di quanto non meritasse- ro; ed ora, la nostra posterit ci stima pi di quanto non meritiamo: ma e i nostri antenati e noi, e i nostri poste- ri, tutto  affatto uguale: credo che lo spettacolo del mon- do sarebbe assai noioso per chi lo considerasse da un cer- to punto di vista, perch  sempre la medesima cosa  . Sarebbe interessante sviluppare e verificare lannotazio- ne psicologica che questo passo contiene. Nel gusto anti- quario e umanistico, come in genere nel tradizionalismo, si cela spesso un certo disadattamento nei riguardi della societ in cui si vive, nei riguardi del proprio tempo; e di conseguenza un disappunto per lesaltazione di contem- poranei, dei quali non si sentono i valori. Ma forse, pi che un desiderio di avvilire (o non riconoscere) i valori contemporanei, si cela un desiderio di evasione. Comun- que, sono cose che  difficile decidere (e certo andrebbe- ro considerate caso per caso e generalizzate solo statisti- camente)  n qui  il luogo per farlo. Piuttosto, va fatta unaltra osservazione. Anche Fon- tenelle, nei Dialoghi, esalta il progresso scientifico e scor- ge in esso la specifica superiorit dei moderni. Tuttavia non si tratta di un progresso morale, n di una sostanzia- le modificazione della situazione umana nel mondo. Nel dialogo tra Socrate e Montaigne, Socrate, come abbiamo visto, disillude Montaigne: gli uomini antichi non erano migliori dei moderni; la natura umana  sempre uguale. Ci sono secoli dotti e secoli ignoranti, secoli rozzi e seco- li raffinati, eccetera, ma non ci sono secoli pi virtuosi e secoli pi malvagi.  Gli abiti mutano: ma ci non signi- fica che cambi pure la figura dei corpi. La cortesia o la grossolanit, la scienza o lignoranza, una maggiore o mi- * FONTENELLE, Dialogues des Morts anciens avec des modernes, in Eu- vres, Paris 1823, vol. III, pp. 424-25. nore rozzezza, il temperamento serio o leggero, non sono che lesteriore delluomo, e tutto ci muta: ma il cuore non cambia, e tutto luomo  nel cuore. In un secolo si  ignoranti, ma pu venire la moda desser dotti: si  inte- ressati, ma la moda di esser disinteressati non verr. Sul numero enorme di uomini alquanto irragionevoli che na- scono in cento anni, la natura ne ha forse due o tre doz- zine di ragionevoli, che deve distribuire su tutta la terra; e capita bene che non se ne trovano mai da nessuna parte in quantit sufficiente per stabilirvi una moda di virt e dirittura  . Nel dialogo (il V) tra Erisistrato e Harvey, Erisistra- to ammira la recente scoperta della circolazione del san- gue, ma dubita che tali nuove scoperte portino ad un reale progresso nella medicina:  Ammetto che i moderni sono migliori fisici di noi; conoscono meglio la natura  ma non sono medici migliori: noi guarivamo i malati altret- tanto bene quanto li guariscono loro  . La prova  che la gente continua a morire. Harvey per profetizza che quando le ancora recentissime scoperte della nuova ana- tomia e fisiologia saranno approfondite e diffuse, la me- dicina migliorer:  Forse non si  avuto ancora il tempo di trarre qualche utilit da tutto ci che si  imparato da poco; ma  impossibile che col tempo non se ne vedano grandi effetti . Altrimenti  sarebbe strano che conoscen- do meglio luomo non lo si guarisse meglio. Se no, per- ch ci si divertirebbe a perfezionare la scienza del corpo umano? Tanto varrebbe piantare l tutto . Ma Erisistra- to risponde: Ci si perderebbero delle conoscenze mol- to piacevoli: ma, per quanto riguarda lutilit, credo che scoprire un nuovo condotto nel corpo delluomo o una nuova stella nel cielo sia proprio la medesima cosa. La na- tura vuole che entro determinati tempi gli uomini si suc- cedano gli uni agli altri per mezzo della morte;  permes- so loro di difendersi da questa fino a un certo punto  ma al di l di questo, si avr un bel fare nuove scoperte nel- l'anatomia, si avr un bel penetrare sempre pi nei segre- i PP. 425-26. P. 433.  ti della struttura del corpo umano, ma non si inganner la natura: si morir come sempre  !. Si noti l'osservazione: ci si perderebbero delle cono- scenze molto piacevoli. Montaigne aveva duramente cri- ticata la medicina per la sua inefficacia; Cartesio lamen- tava che la scienza non avesse portato miglioramenti nel- larte medica, e si aspettava anche questo dalla sua ri- forma del sapere e dalle sue stesse ricerche fisialogiche; Fontenelle pure spera in un miglioramento dellarte me- dica  ma comunque la scienza ha un valore in se stessa; un valore che molto rozzamente Fontenelle esprime in ter- mini estetico-edonistici. Ma pure in questa maniera al- quanto semplicistica ed elementare, Fontenelle stacca la questione del valore della scienza da quella delle applica- zioni tecniche di essa, e proprio in questo si oppone alla mentalit umanistica, che abbassava il sapere scientifico al ruolo di tecnologia, ad utilit eteronoma; ed afferma che, anche se i costumi non migliorano, anche se le tecniche non se ne avvantaggiano, la nuova scienza ha un valore in se stessa. 5. Idee pi mature, anche se apparentemente meno originali, si trovano nella Digression sur les anciens et les modernes, uscita nel medesimo anno (1688) in cui usci- rono i Parallles di Perrault.  notevole il fatto che Fontenelle dichiara di affrontare la questione da un punto di vista scientifico anzich acca- demico-retorico: Se avessi impiegato grandi giri di eloquenza, avessi opposto dei fatti storici che tornano ad onore dei moderni ad altri fatti storici che tornano ad onore degli antichi, e dei passi favorevoli agli uni a passi favorevoli agli altri, se avessi trattato da eruditi testardi quelli che ci trattano da ignoranti e spiriti superficiali, e seguendo le leggi stabili- te tra i letterati avessi reso esattamente ingiuria per ingiu- ria ai partigiani dellantichit, forse si sarebbero maggior- mente gustate le mie prove. Ma mi  parso che prendere la cosa in quel modo fosse per non finire mai, e che dopo 1 p. 435.  molte belle declamazioni da una parte e dallaltra si rimar- rebbe stupiti di non aver fatto un passo innanzi. Ho cre- duto che la via pi breve fosse di consultare su tutto quanto la fisica, che ha il segreto di abbreviare molte con- troversie che la retorica rende infinite  . Il tema fondamentale  quello che abbiamo gi visto: la natura non muta, e cos non muta la natura umana:  Se la si comprende bene, tutta la questione di premi- nenza tra gli antichi e i moderni si riduce a sapere se gli alberi che erano in altri tempi nelle nostre campagne fos- sero pi grandi di quelli di oggi. Nel caso che lo siano sta- ti, Omero, Platone, Demostene non possono venire ugua- gliati in questi ultimi secoli; ma se i nostri alberi sono al- trettanto grandi quanto quelli di altri tempi, possiamo u- guagliare Omero, Platone e Demostene . . . Gli ammirato- ri degli antichi ci facciano un po dattenzione: quando ci dicono che quelle persone sono le fonti del buon gusto e della ragione e i lumi destinati ad illuminare tutti gli altri uomini, e che non si  intelligenti che nella misura che le si ammirano, che la natura si  esaurita producendo quei grandi originali, in verit li fanno di una specie diversa dalla nostra, e la fisica non  daccordo con tutte queste belle frasi. La natura ha fra le mani una certa pasta che  sempre la stessa, che essa gira e rigira in mille modi, e di cui forma gli uomini, gli animali, le piante; e certamente non ha formato Platone, Demostene e Omero con unar- gilla pi fine e meglio elaborata di quella dei nostri filoso- fi, oratori e poeti di oggi  . Ecco dunque risolta la grande questione degli antichi e dei moderni! I secoli non introducono alcuna differenza naturale tra gli uomini; il clima della Grecia e dellItalia e quello della Francia sono troppo vicini per introdurre qualche differenza sensibile tra i greci o i latini e noi: e se pure ve ne introducessero qualcuna, sarebbe molto facile can- cellarla. Eccoci dunque tutti perfettamente uguali  greci, : ) Sa ; ; FONTENELLE, Entretiens sur la pluralit des mondes. Digression sur ee pai et les modernes, a cura di R. Shackleton, Oxford 1955, pp. 103-604. ? p. 161. 140 RETORICA E LOGICA latini e francesi  '. E tuttavia noi moderni siamo superio- ri agli antichi, perch abbiamo una notevole somma di co- noscenze che gli antichi non avevano; e, inoltre, le nostre idee sono pi vere, perch quelli che ci hanno preceduto hanno scontato molte idee false, e quindi noi siamo im- muni da molti errori da cui il passato non era immune:  Dobbiamo essere grati agli antichi di aver esaurito per noi la maggior parte delle idee false che si potevano ave- re; era assolutamente necessario pagare allignoranza e al- lerrore il tributo che hanno pagato . . . Cos, essendo illu- minati dalle idee degli antichi, ed anche dai loro errori, non  strano se li sorpassiamo  . Ci vale indubbiamente per le scienze: avendo bisogno di molte esperienze e dell'aiuto del ragionamento che si perfeziona a poco a poco, hanno bisogno di molto tempo per perfezionarsi. Forse non vale per la poesia e leloquen- za che richiedono molte meno idee: Leloquenza e la poesia non richiedono che un certo numero di idee abba- stanza limitate, e dipendono principalmente dalla vivacit dellimmaginazione; ora, gli uomini possono aver accu- mulato in pochi secoli un piccolo numero di idee, e la vi- vacit dellimmaginazione non richiede una lunga serie di esperienze, n una grande quantit di regole per aver tut- ta la perfezione di cui  capace. Ma la fisica, la medicina, le matematiche, sono composte di un numero infinito di idee, e dipendono dalla correttezza del ragionamento, il quale si perfeziona con estrema lentezza; occorre anche che spesso siano aiutate da esperienze che solo il caso fa nascere e non arrivano al momento giusto in cui occorro- no.  evidente che tutto ci  senza fine, e gli ultimi fisici o matematici dovranno naturalmente essere i pi bravi  . Quindi:  Per quanto riguarda leloquenza e la poesia, che co- stituiscono l'oggetto della disputa principale tra antichi e moderni, sebbene non siano in se stesse molto importan- ti, credo che gli antichi abbiano potuto raggiungere la per- fezione, poich, come ho detto, la si pu raggiungere in pochi secoli  non so precisamente quanti ne occorra- no . Ora, si noti un punto di grande importanza. Nel mo- mento in cui Fontenelle vi interviene, la querelle  preva- lentemente letteraria, riguarda soprattutto la poesia e le- loquenza  ricordiamo che, almeno come pretesto, si  scatenata nellAcadmie frangaise in seguito alla denigra- zione di Omero da parte dei modernes. Ma Fontenelle la riporta alle origini ideali  sostiene cio la superiorit dei moderni soprattutto per la loro superiorit scientifica, e ci perch, per lui, eloquenza e poesia in se stesse non sono molto importanti. Dunque, non sostiene decisamen- te la superiorit dei letterati moderni rispetto ai modelli greci  ma in che cosa dunque sostiene cosi genericamen- te la superiorit dei moderni?  /a superiorit della civil- t moderna, quella che egli sostiene  la superiorit di una civilt che ha la sua espressione massima nelle scien- ze matematiche e naturali e ha come valori prevalenti i valori tipici di una mentalit scientifica. Alla luce di questa interpretazione si possono forse me- glio intendere l pagine tortuose che chiudono la Digres- sion. Fontenelle ha ammesso che nelle arti letterarie gli antichi abbiano potuto raggiungere la perfezione: quindi non si potr superarli  si potr uguagliarli, per, per le considerazioni fondamentali enunciate allinizio. Poi in- troduce considerazioni rivolte a rendere relative le nozio- ni di antico e moderno: ci che ora  antico (per e- sempio, le lettere latine) un tempo  stato moderno (ri- spetto ai classici greci, che gi per gli scrittori latini era- no degli antichi); e ci che ora  moderno un gior- no sar antico. La prospettiva storica che ora appiatti- sce la distanza tra greci e latini, un giorno appiattir la di- stanza tra questi e gli attuali moderni: e tolta questa di- stanza storica, tolta la passione che ora  in gioco, un medesimo criterio giudicher tutti insieme. Per cui  giu- sto che noi cominciamo gi da ora a trattare gli antichi co- me dei moderni, senza idolatrie e ingiuste indulgenze a lo- ro riguardo. Ora, in tutte le scienze e in tutte le arti noi ! p. 167.  abbiamo una tecnica molto pi raffinata, regole pi preci- se e pi severe; gli antichi, pi liberi, avevano in un certo senso un gioco pi facile, anche se, in compenso, erano meno sorretti dalle regole tecniche e dalle conoscenze. In fondo, Fontenelle propende per la letteratura moderna, pi regolare  pi razionale. Dice, per esempio:  A poco a poco si venne a riconoscere il ridicolo delle licenze che si accordavano ai poeti. Esse quindi vennero tolte loro luna dopo laltra, e al punto in cui siamo, i poe- ti spogliati dei loro antichi privilegi sono ridotti a parlate in modo naturale. Sembrerebbe che il mestiere sia molto peggiorato e la difficolt di fare versi assai maggiore. No  perch noi abbiamo la mente arricchita da un'infinit di idee poetiche che ci vengono fornite dagli antichi che ci sono sotto gli occhi; siamo guidati da un gran numero di regole e di riflessioni che sono state fatte in questar- te... Anche qui dunque viene applicato lo schema abbiamo tutta lesperienza degli antichi pi il progresso dei mo- derni: ed  notevole che il progresso sia tutto dalla par- te intellettuale (regole e riflessioni). E dice appunto qual. che pagina pi avanti:  DallArt Potigue e da altre opere della stessa mano vediamo che la versificazione pu avere oggi altrettanta nobilt, ma nello stesso tempo pi rigore ed esattezza di quanto mai non ebbe  . Di qui lidea di un progresso indefinito: per Fontenelle neppure i tempi moderni rappresentano la pienezza dei tempi. Ed ogni culto per lantichit (anche per let mo- derna quando sar divenuta antica) ferma il progresso, ed  in questo senso dannoso:  Se i grandi di questo secolo avessero sentimenti di ca- rit verso i posteri, li avvertirebbero di non ammirarli troppo e di aspirare sempre per lo meno ad uguagliarli. Nulla ferma tanto il progresso delle cose, nulla limita tan- to le menti, quanto l'ammirazione eccessiva per gli anti- chi. Per il fatto che ci si era fatti devoti allautorit di Aristotele, e non si cercava la verit altro che nei suoi scritti enigmatici, e mai nella natura, la filosofia non soltanto non progrediva in modo alcuno, ma era caduta in un abis- so di guazzabugli e di idee inintelligiili, da cui si dur un monte di fatica a trarla fuori. Aristotele non ha mai fatto un vero filosofo, ma ne ha soffocati molti che lo sarebbero diventati se fosse stato loro permesso. E il male  che se un capriccio di questo genere riesce una volta a stabilirsi tra gli uomini, ci star per un bel pezzo, ci vorranno secoli a liberarsene, anche dopo che se ne sar riconosciuto il ri- dicolo. Se un giorno ci si ostinasse su Descartes, metten- dolo al posto di Aristotele, sarebbe pressa poco lo stesso inconveniente  . In mezzo a queste considerazioni Fontenelle inserisce uno schema di filosofia della storia che riuscir alquanto familiare al lettore italiano: Il confronto che abbiamo fatto degli uomini di tutti i secoli con un uomo solo pu estendersi a tutta la nostra questione degli antichi e dei moderni. Una buona mente colta  composta, per cosi dire, di tutte le menti dei seco- li precedenti: non  che una medesima mente che si  col- tivata per tutto quel tempo. Cos questo uomo che  vis- suto dallinizio del mondo fino ad oggi ha avuto la sua in- fanzia in cui non si  occupato che dei bisogni pi urgenti della vita, la giovinezza in cui  riuscito abbastanza bene nelle cose dellimmaginazione, come la poesia e leloquen- za, e in cui anche ha cominciato a ragionare, ma con meno solidit che calore. Ora  nellet virile, in cui ragiona con pi forza e con pi lumi che mai  . L'immagine della storia come sviluppo analogo a quel- lo di un solo uomo (per cui i vecchi siamo noi) non  nuova: labbiamo gi vista. Ma in questo passo di Fonte- nelle acquista un significato ben diverso. Per gli altri luomo universale invecchiava nel senso di un accumu- larsi di esperienze, conoscenze, tecniche, ecc.  Per Fon- tenelle significa azche questo, ma non solo questo: le epo- che successive della storia hanno ciascuna una forma ti- } P. 175. PP. 171-72.  pica, dei valori propri  cio una civilt peculiare, distin- ta dalle altre non solo quantitativamente, ma per la sua interna struttura spirituale-oggettiva. Let classica, gio- vinezza del mondo,  caratterizzata dalla fantasia e dal sentimento, che sono alla base dei valori letterari; let moderna, virilit del mondo, dai valori della ragione e della conoscenza, che sono alla base dei valori scientifici. Ecco perch, in ultima analisi, Fontenelle  disposto a concedere ai sostenitori degli antichi la perfezione della letteratura classica, scorgendo il progresso letterario dei moderni pi negli aspetti intellettuali che in quelli pro- priamente poetici della letteratura stessa. Perch per lui la civilt moderna , di fronte alla civilt classica preva- lentemente letteraria e umanistica (retorico-poetica), una civilt della scienza: e in ci, soprattutto, sta la sua supe- riorit. III. Retorica e logica Nel primo di questi saggi (sez. v) abbiamo cercato di mostrare come letteratura/scienza costituisca una coppia dialettica operante dissociazioni entro la sostanza della nostra civilt. Nel saggio storico precedente abbiamo vi- sto sorgere i motivi della dissociazione stessa, e alcune im- portanti coppie dissociative cui essa d luogo quando si afferma come coscienza stessa della modernit. Ora vo- gliamo riprendere lanalisi da un punto di vista stretta- mente teorico, dellanalisi fenomenologica di una struttu- ra bipolare tipica della civilt. A questa analisi bisogna premettere, eventualmente ri- petendo, alcune considerazioni. Il presupposto fattuale della nostra analisi  la sostanza della civilt: un concre- to in cui esistono di fatto molte forme, molte attivit, molte idee, molti modi di conoscere e pensare. Questa  la totalit della cultura, totalit assunta per in modo so- stanziale, come essere, non ancora articolata alla luce di un concetto. Le dissociazioni filosofiche ne mostreranno le articolazioni, si da rendere ragione dei contrasti, delle contraddizioni, che in essa sussistano. La dissociazione ha lo scopo di mettere ordine, di sostituire alla totalit con- fusa un organismo articolato. Ora, ognuno dei termini secondi della coppia ha di fronte questa totalit, la vuole ordinare e regolare, non mutilare (e tanto meno sopprimere). Questo significa che in una cultura scientifica le lettere continuano, ovviamen- te, ad esistere, fino a che trovano cultori (ed  assai vero- simile che siano per trovarne sempre); e del resto anche in una cultura letteraria le scienze continuano la loro sto- ria. Una civilt delle scienze non  una civilt in cui si col- tivino solo le scienze, e basta; come una civilt delle lette- re non  una civilt priva di sapere scientifico.  Possiamo dire che, in un certo senso, nelle due culture i valori materiali sono i medesimi  sono i medesimi, per- ch nelluna e nellaltra ci sono tutti i valori. Non  una scelta di valori quella che le caratterizza e le oppone, ben- si una diversa gerarchia dei valori stessi, il fatto che sono scelti diversamente i valori centrali e superiori rispetto a quelli marginali e subordinati. Naturalmente, la cosa non  affatto priva di importanza: nella vita di una cultura, come nella moralit di un singolo, la gerarchia  tutto. Ed un valore, rigorosamente parlando, non rimane identi- co se gli si muta il posto nella gerarchia: divenendo diver- so il suo significato, diversa la sua funzione in seno alla vita culturale complessiva, anche le sue realizzazioni con- crete tendono a mutare: persino i contenuti ne risentono. Si opera una dialettica, di cui la coppia eteronomia/auto- nomia  lo schema pi generale: ch da una parte il valo- re subordinato tende ad assumere, nei confronti di quelli primari, un ruolo ausiliario (eteronomia); dallaltra invece tende a riscattare una funzione sua propria, ad esplicarsi in aree lasciate libere dai valori dominanti, secondo una funzione non-concorrenziale con essi (autonomia). Cos in una cultura fortemente politicizzata larte osciller tra lassumere compiti di propaganda (io lancio il verso co- me una parola dordine dagitazione) nel suo momento eteronomo, o divenire rifugio di anime solitarie, nel suo momento di autonomia. In una cultura fortemente scien- tificizzata larte osciller invece tra una funzigne didasca- lica e una funzione di surrogato della metafi$ica (dadai- smo e simili). E invece la scienza, per esempio in una ci- vilt cosi prevalentemente letteraria come quella del Rina- scimento, osciller tra atteggiamenti iperutilitaristici (tec- nica o addirittura magia) da una parte, e atteggiamenti in- vece di purezza formale, teoretica (neceuclidismo della geometria rinascimentale) dallaltra: in entrambi i casi, con la rinuncia ad essere conoscenza e concezione del mondo. Se questa gerarchia di valori la consideriamo nel con- creto pratico-umano, dei rapporti scambievoli e compor- tamenti degli uomini, essa diviene una moralit. Da que- sto punto di vista le due culture sono due diverse moralit, due diversi tipi di rapporto e comportamento umano - due modi diversi di venire o non venire in contatto, di comunicare o non comunicare, due diversi modi di defi- nirsi della persona singola di fronte alla sostanza sociale. Ma la civilt si chiama civilt, cultura, radeta, in quanto nel gruppo umano civile e colto i rapporti sono prevalentemente costituiti, comunque dominati e media- ti, dalla comunicazione discorsiva, dal discorso. Questo serve all'eredit non-biologica, alla trasmissione agli altri e agli eredi del patrimonio di esperienze, abiti, idee acqui- site. La comunicazione discorsiva  il modo normale di entrare in rapporto, nonch la sostanza, il concreto stes- so, della riflessione. Essenziale ad una cultura  il suo tipo di discorso  la cultura  discorso (discorsi). Ed il tipo di discorso riflette, per cos dire, la forma dominante, o li- deale dominante, di rapporti umani. C una stretta corre- lazione, in un certo senso unequivalenza, tra moralit e tipo di discorso. E connesso con ci c un terzo elemento: la nozione o idea di verit. Nella sua genericit, lidea di verit e- sprime il valore formale supremo di ogni cultura, di qual- siasi tipo:  lidea stessa della validit del conoscere, di autenticit del rapporto umano, di genuinit del valore, in quanto contenuti dei discorsi. Il mito metafisico-teolo- gico in cui si chiude la riflessione antica, il mito che iden- tifica tutti i valori nel Dio che  Logos e Verit, allude ap- punto, e adombra, questo rapporto sostanziale di momen- ti equivalenti. Scopo di questo saggio  appunto mostrare come hu- manae litterae e scienza siano caratterizzate da due diver- se gerarchie di valori e moralit, due diversi tipi di discor- so, due diverse nozioni di verit. Prendendo le mosse dal momento centrale (che  quel- lo pi rilevante in un'analisi fenomenologica della cultu- ra)  il tipo di discorso  riportiamo la coppia lettere/ scienza alla coppia retorica/logica. Partiremo da questa, per vederne le connessioni e le implicazioni.  I. Gli studi di Perelman' hanno profondamente rinnova- to nella cultura contemporanea lantico e da tempo scre- ditato concetto di retorica, cercando di coglierne, al di l delle degenerazioni e dello scadimento di tono che que- sta nobile arte ha subito per secoli, il profondo signifi- cato culturale, la funzione, determinando le strutture del discorso retorico e indagandone i rapporti con il discorso logico (in senso stretto). Sono stati proprio questi studi che hanno dato lavvio alle meditazioni di questo saggio  non solo, ma.in genere a tutti gli scritti di questo volu- me.  dalle dottrine del Perelman, quindi, che prendere- mo le mosse: tuttavia con punti di vista, gusti culturali, convinzioni e intenti talmente diversi, che le sue dottrine ne verranno profondamente modificate, e spesso anche molto liberamente rielaborate. 1. Partiamo, con il Perelman, dalla distinzione tra due aspetti pragmatici, due scopi, del discorso: persuadere e convincere. Distinzione antica quanto la nostra civilt, e che pu farsi risalire alla distinzione greca classica tra sta e da\nbeva. Nellet moderna la troviamo, per esem- pio, in Pascal, in Kant, con il medesimo accento raziona- listico che aveva la distinzione platonica tra opinione e verit: la persuasione diretta alla parte irrazionale (e- mozionale), soggettiva della mente umana, la convinzio- ne rivolta alla parte razionale, oggettiva. Relativa a tem- pi, luoghi, persone, tradizioni, gusti la prima; assoluta, e- terna, immutabile la seconda. Tuttavia bisogna riconoscere che tali connotazioni re- stano piuttosto vaghe, e per di pi implicano posizioni metafisiche che pochi filosofi oggi sarebbero disposti ad accettare tanto tranquillamente. Anche il Perelman non se ne contenta. Vediamo, seguendo in parte lo stesso Pe- relman, di stabilirla diversamente. Rifacendoci alle pre- ziose indicazioni di Stevenson in Ethics and Language, ! Oltre il gi citato Trait de lArgumentation, gli scritti raccolti in Rbtorique et Philosophie, Paris 1952. possiamo definire il discorso persuasivo come quello de- stinato a indurre, con soli mezzi discorsivi (naturalmen- te), nellascoltatore certi atteggiamenti, ossia certe dispo- sizioni a comportarsi in determinati modi (per esempio, a comperare, o no, un certo prodotto; a votare, o no, per una certa lista o un certo candidato; a sposarsi, 0 no; ecc.). Dice giustamente Perelman:  Per chi si preoccupa del ri- sultato, persuadere  pi che convincere, poich la con- vinzione non  che il primo gradino che conduce allazio- ne. Per Rousseau, non serve a nulla convincere un bambi- no se non lo si sa persuadere  '. Convincere, dun- que, non porta direttamente sulle azioni: porta diretta- mente solo sulle credenze, atteggiamenti anche questi, ma atteggiamenti di seconda intenzione (verso atteggia- menti, non verso azioni). I due criteri (irrazionalit-razionalit, destinazione prag- matica immediata - destinazione pragmatica mediata) ten- dono a coincidere fattualmente. L'azione non ha la con- vinzione per condizione n necessaria n sufficiente. Pu esserci azione, anche consapevole, senza convinzione; men- tre una convinzione (nel senso sopra definito) non porta necessariamente allazione. Per usare la nota terminolo- gia di Stevenson, ad uguali credenze (nella terminologia perelmaniana qui adottata, ad uguali convinzioni) posso- no corrispondere, e di fatto spesso corrispondono, atteg- giamenti diversi. Un mio amico crede,  convinto, che in una certa regione alpina quest'estate far assai fresco; e anch'io lo credo: ma questa convinzione costituisce, per lui, un motivo per andarci a passare le vacanze, per me un motivo per non andarci. Latteggiamento direttamen- te orientato verso lazione non implica soltanto credenze (convinzioni), ma anche tutto un impegno dellintero uo- mo, in unintera gamma di fini e valori (non importa se grandi o piccoli, importanti o meno). Cio: la per- suasione richiede sentimenti, atteggiamenti valutativi che la convinzione non richiede. Un esame degli strumenti (barometro, igrometro, ecc.) pu convincermi che domani piover, sia che la cosa mi faccia piacere, sia che non mi 1 Trait de lArgumentation cit., I, p. 35.  faccia piacere  ma da sola tale convinzione non mi per. suade a niente. Dal punto di vista della scienza psicologica questa di. stinzione  certamente molto problematica  probabil- mente falsa, o per lo meno insostenibile. Ma dal punto di vista di una fenomenologia (storico-empirica) della cultu- ra essa appare ben netta e quasi universalmente ricono- sciuta.  la distinzione tra due tipi di discorso, un discor- so persuasivo, con riferimenti pragmatici, e quindi emoti- vo-valutativi (sentimentali), mirante a stabilire unadesio- ne tra i partecipanti al discorso, e un discorso probativo- dimostrativo, avente per scopo la verit, oggettivo, razio- nale, non immediatamente pragmatico e non portante su valori, bensi su fatti (di qualsiasi ordine di realt) Giustamente Perelman fa corrispondere a questi due tipi fondamentali di discorso, la cui distinzione era gi stata chiaramente riconosciuta dai greci, le due grandi tyva antiche, le due artes sermocinales del Medioevo (la grammatica, penso, essendo preliminare ad entrambe) della retorica e della logica. Onde un tipo di discorso pu anche dirsi discorso retorico, laltro potremmo dirlo di- scorso logico (prendendo per il termine logica in sen- so piuttosto lato, per es. circa come lo prendevano i logici inglesi dell'Ottocento). Perelman, soprattutto nel saggio Logique et Rbtori- que (1950)', ha mostrato, mi sembra con ottime ragioni, l'opportunit di isolare e teorizzare con il nome di discor- so retorico il discorso persuasivo, e di esporne le struttu- re tecniche sotto il titolo di Retorica. Sono ragioni so- prattutto storiche: perch in sostanza i maestri della Re- torica antica, in particolare Aristotele, intendevano con questo termine proprio la tecnica del discorso persuasivo, nei suoi tre generi, giudiziario, politico ed epidittico. 2. Il genere epidittico, il meno valutato dagli antichi (proprio perch il pi... retorico, in senso dispregiati- vo)  invece quello che oggi riveste la maggiore importan- za  anzi si pu dire che in una filosofia della cultura oggi !  il primo (pp. 1 sgg.) della raccolta cit. Rbtorigue et Philosophie.  ISI  lunico che rivesta un interesse. Proprio perch non ha fini pratici spiccioli, ma ha un intento culturale, paideu- tico; soprattutto perch  quello che fornisce il genus del discorso letterario in prosa. Esso porta sui valori mo- rali, e in genere sui valori di una civilt; mira a rinforzare o suscitare atteggiamenti (sentimenti) non semplicemente nei riguardi di una decisione contingente (giudiziaria o politica), ma nei riguardi dei grandi valori di cui  intes- suta una civilt. Proprio per il suo carattere non-pratico, pi difficilmente degenera da discorso persuasivo in di- scorso propagandistico. Sono soprattutto le strutture e le regole di un tale discorso che costituiscono loggetto della nuova Retorica. Ora, dal punto di vista in cui ci mettiamo in questo stu- dio, il discorso retorico-epidittico  il modello, e anzi il genus del discorso letterario; mentre il discorso logico  il modello e il gens del discorso scientifico. Quanto alle sue forme, la cultura letteraria  la cultura retorica; la cul- tura scientifica  la cultura logica; ovvero, pi adeguata- mente: la forma della cultura letteraria  la retorica, la forma della cultura scientifica  la logica. La seconda parte dellasserto non credo sia per solleva- re obiezioni, ove per Logica si intenda non la sola sin- tassi o la pura semantica logica, ma qualcosa che venga a conglobare anche la metodologia scientifica, la teoria del- la verificazione e della prova: ossia tutto ci che ha atti- nenza alladesione puramente intellettuale, universale e necessaria qual  la caratteristica del sapere (cio quella che prima abbiamo chiamato convinzione in contrappo- sto a persuasione). Meno ovvia pu apparire la prima parte dellasserto  la forma della cultura letteraria  la retorica. Infatti, non il solo Huxley, ma moltissimi, credo, sarebbero pro- pensi a vedere lanima, il nocciolo, della civilt delle lette- re nella poesia, tuttal pi allargando il concetto di que- st'ultima fino a comprendere tutta la creazione letteraria in genere (e soprattutto, per limportanza che ha assunto nella nostra epoca, la narrativa). Non credo per che qui cl troviamo di fronte ad una sostanziale opposizione di punti di vista. Di fatto, la poesia come tale (nel suo momento di autonomia), e in genere il fatto letterario come tale possono costituire il fiore, il profumo, di una civilt, ma n il tronco n il frutto di essa. Entro una cultura, come abbiamo detto, si organizza lintera vita degli uomi- ni: parziale pu esserne la forma, ma il suo contenuto  sempre, almeno virtualmente, totale. I vecchi devoti di Omero su cui gi ironizzava Platone, Coluccio Salutati e tutti i partigiani della civilt delle lettere fino a Huxley, non hanno mai assegnato alla creazione letteraria un com- pito soltanto letterario. Tranne pochi amanti del calligrafi- smo, la maggior parte dei cultori di letteratura e critici let- terari stima di poco valore un testo che, per quanto ricco di pregi formali,  povero di contenuti, come suol dirsi, umani. (Le lettere sono bumzanae litterae: e, qualunque sia lorigine storica di questo humanae, il suo significato  stato sempre inteso in questo senso  e quello che conta non  lorigine di una cosa, o di una espressione, ma il modo in cui essa attualmente , e funziona). Per ritornare alla poesia, quando essa si carica di quei contenuti per cui diviene un fatto concreto di cultura e non una solitaria di- lettazione, essa contiene messaggi, comunica  si fa di- scorso. E il suo discorso diviene un tipo particolare di di- scorso retorico. Anche storicamente i limiti tra Poetica e Retorica non sono mai stati chiari. Anche il discorso poetico, quando ha da dire qualcosa di pit che i fatti pri- vati del poeta,  un discorso persuasivo. Visto da questo angolo, il discorso poetico (anche se non degenera in di- scorso propagandistico)  un discorso epidittico: e spesso il discorso epidittico  un discorso poetico in prosa. (Le considerazioni precedenti valgono tanto pi ovviamente per la narrativa, che credo non sia il caso di ripeterle). La cosa si pu considerare, giungendo alle medesime conclusioni, operando con la coppia dialettica autono- mia/eteronomia. Considerate nel loro momento di au- tonomia le forme di creazione letteraria (poesia, narra- tiva, ecc.) si organizzano secondo i propri valori specifici e le proprie finalit interne, e secondo tali prospettive possono venire giudicate (0, come suol dirsi, criticate). Tuttavia esse continuano ad essere fatti di civilt e signi- ficano qualcosa in essa: di conseguenza qui acquistano di- RETORICA E LOGICA 153 versi valori e diverse finalit. Questo  il piano di ete- ronomia: ma  solo su questo piano che una produzione spirituale  un momento della civilt cui appartiene. Per cui se, in unestetica o in una critica darte,  lecito isola- re come essenziale o assoluto il valore artistico come tale, in una fenomenologia della cultura tale valore appa- re sempre come un momento particolare', mentre i pro- dotti artistici (soprattutto letterari) vi si dispongono per i loro contenuti, che possono essere molto vari. Ora, se guardiamo i momenti e i valori che i teorici e i patrocinatori della civilt della poesia hanno additato co- me essenziali a tale civilt, troviamo che sono gli stessi di una civilt retorica in generale, cio quelli a cui si indiriz- za il discorso retorico a differenza del discorso logico. Per esempio, si insiste sulla huzzanitas: un rivolgersi alluo- mo concreto, di cui lintelligenza scientificizzante  solo un momento, ma che  anche emozione, volont, sen- timento, intuizione pratica, tradizione  quelluomo che vive una vita che non  solo speculazione teoretica, ma  anche, anzi soprattutto, bisogno, lavoro, azione, amore e odio, speranza e paura; e nella cui vita conta tutto questo, e tutto questo si esprime in persuasioni che non si posso- no ridurre, se non eccezionalmente, a prove scientifiche e/o dimostrazioni matematiche. Ma secondo i creatori della neoretorica contemporanea, secondo Stevenson, se- condo Perelman, come era secondo il vecchio Aristotele,  proprio questo il tipo del discorso retorico  questo il suo oggetto e scopo (provocare ladesione a persuasioni che non si lasciano ridurre a discorso apodittico o a prova fattuale ), questo il suo metodo, la sua struttura. ! Sebbene storicamente sia difficile incontrarla, possiamo immaginare una cultura estetizzante (come, secondo una tradizione storiografica arcai- ca, si riteneva fosse stata quella del Rinascimento): ossia una cultura in cui il valore artistico sia centrale (nello stesso modo in cui lo  in una per- sona estetizzante). In questo caso per, nel passare ai modi di vita, il con- cetto di arte si trasvaluta e diviene sommamente vago. In fondo, espres- sioni quali la vita come opera darte, lo Stato (la politica) come opera d'arte  dubbio siano pi che metafore. ? Cfr. Rbtorique et Philosophie cit., p. 18: La retorica, nel nostro senso della parola, differisce dalla logica per il fatto che essa si occupa non l verit astratta, categorica o ipotetica, ma di adesione. Il suo scopo  di Produrre o di accrescere l'adesione di un uditorio determinato a certe te- Sh...  Perelman insiste molto in tutte le sue opere su questo punto, che lo scopo e il valore della Retorica  quello di costituire, di fronte alla Logica, lpyavov di un tale tipo di discorso umanistico. Ne citeremo una pagina sola, ma che ci sembra particolarmente nitida:   perch essa  opera veramente umana che la retori- ca ... ha conosciuto il massimo del suo splendore nelle epoche di umanesimo, cosi nella Grecia antica come nei secoli del Rinascimento.  Se il nostro secolo deve liberarsi definitivamente dal positivismo, ha bisogno di strumenti che gli permettono di comprendere la realt umana. Per quanto ne sembri lontana, la nostra preoccupazione si avvicina, forse, per il suo movente, agli ultimi tentativi di Bachelard o alle ri- cerche degli esistenzialisti contemporanei. Vi si potrebbe trovare la medesima preoccupazione per luomo e per ci che sfugge alla giurisdizione di una logica puramente for- male e dellesperienza. Noi crediamo che una teoria della conoscenza, corrispondente a questo clima della filosofia contemporanea, ha bisogno dintegrare nella sua struttu- ra i procedimenti argomentativi utilizzati in tutti i campi della cultura umana e che, per questa ragione, un rinnova mento della retorica sarebbe conforme all'aspetto umani- stico delle aspirazioni della nostra epoca *. 3. E qui veniamo a toccare un punto di estremo inte- resse  un punto che costituisce uno dei problemi pi at- tuali della filosofia contemporanea. Ci troviamo di fronte al discorso valutativo. Un mondo civile  un mondo di valori: i discorsi valutativi di ogni genere (morali, esteti- ci, giuridici, ecc.) hanno un posto di importanza non tra- scurabile in qualsiasi civilt. Ora, la scienza  wertfrei, esente da valori: i retori direbbero materialistica, i sen- timentali arida  intendendo in ogni caso sorda ai valori. Di qui, come  noto, la tendenza a identificare la letteratura come quella attivit umana, spirituale, che  diretta verso i valori: non  su questo punto, infatti, che si impernia lappassionata difesa di un Leavis, o anche di 1 p. 43. I corsivi sono miei. RETORICA E LOGICA 155 un Trilling, secondo una rispettabile tradizione anglo-sas- sone? E i valori non sono strettamente connessi con lhw- manitas, con quel mondo di sentimenti, emozioni, volon- t, che  rivendicato come campo proprio dalla poesia e dalle lettere? Non sarebbe questo, il discorso valutativo, il tipo di discorso intorno a ci che sfugge alla giurisdizio- ne di una logica puramente formale e dellesperienza? Effettivamente, le correnti odierne della filosofia meta- morale (a partire dai suoi massimi maestri, Moore e Ste- venson) sono concordi sulleterogeneit del discorso valu- tativo rispetto al discorso logico-descrittivo. La logica del- la valutazione non si pu riportare simzpliciter alla logica della scienza. Stevenson, e anche, con moltissima insisten- za, Perelman, ravvisano nel discorso valutativo un discor- so persuasivo, che ha a che fare, per usare il linguaggio di Stevenson, non solo con credenze ma anche, soprat- tutto, con atteggiamenti. Perelman, riferendosi esplici- tamente a Stevenson, ribadisce che tale discorso persua- sivo  un discorso retorico, e il suo 6pyavov non  la Lo- gica, bensi la Retorica. E veniamo cosi al polo opposto rispetto alla posizione che identificava la cultura letteraria con la cultura poeti- ca; veniamo alla posizione, che del resto  assai tradizio- nale e ancora ha molti sostenitori, che tenderebbe a iden- tificare la cultura letteraria con quelle che si son chiama- te in vari modi: scienze dello spirito (Geisteswissen- schaften), scienze morali, scienze umane  insomma, quelle scienze delluomo qua homo, in cui il momento va- lutativo   o almeno appare ai sostenitori della civilt delle lettere  ineliminabile, essenziale, costitutivo. E non per niente in quasi tutto il mondo civile la maggior parte di tali discipline viene studiata nel curriculum delle facol- t di lettere. Qui il discorso dovrebbe farsi molto lungo: ch non  affatto indiscutibile che tali scienze non possano essere Sa Oggi, che abbiamo perduto le illusioni del razionalismo e del posi- tivismo, e ci rendiamo conto dellesistenza di nozioni confuse e dellim- portanza dei giudizi di valore, la Retorica deve ridiventare uno studio vi- vo, una tecnica nelle faccende umane e una logica dei giudizi di valore (p. 41. Corsivo mio).  wertfrei e non possano essere (e di fatto spesso lo sono, almeno in via tentativa) trattate con metodi del tutto scientifici. Ma, comunque, queste discipline sono anche tradizionalmente trattate in maniera valutativa e lettera- ria (si pensi, per fare un caso solo, e il pi grosso, a quel grande equivoco che  la storia: scienza o disciplina lette- raria?) Ora, anche di queste l6pyavov  la Retorica. Ci- tiamo ancora una volta Perelman: Non si potrebbero prendere nelle discipline delle scienze umane dei testi considerati come tradizionali mo- delli dargomentazione, e svolgerne sperimentalmente i procedimenti dargomentazione che consideriamo come convincenti?  vero che le conclusioni cui giungono tali esposizioni non hanno la medesima forza costrittiva che hanno le conclusioni dei matematici, ma occorre per que- sto dire che non ne hanno alcuna, e che non c modo di distinguere il valore degli argomenti di un buon o di un cattivo discorso, di un trattato di filosofia di primo ordi- ne o di una dissertazione da principiante? E non si po- trebbero sistematizzare le osservazioni cosi fatte? Avendo dunque intrapresa questa analisi dellargo- mentazione in un certo numero di opere, specialmente fi- losofiche, e in certi discorsi dei nostri contemporanei, nel corso del lavoro ci siamo resi conto che i procedimenti che ritroviamo erano, in gran parte, quelli della Retorica di Aristotele; comunque, le preoccupazioni di questi ultimi erano stranamente vicine alle nostre  . 4. Seguendo la tradizione filosofica e retorica, e in pi le posizioni assunte dai metamoralisti recenti (lo Steven- son soprattutto, ma, sebbene in modo pi confuso, anche gli oxoniensi), Perelman riprende, dandogli uno sviluppo molto originale e amplissimo, fino a farlo diventare il te- ma principale della sua filosofia della Retorica, il tema delluditorio*. In sede pragmatica, si pu affermare che la situazione fondamentale in cui si colloca ogni atto discorsivo  rap- 1 p.9. 2 pp. 19 sgg.; Trait de lArgumentation cit., I, pp. 22 sg8.  presentabile come quella di un oratore di fronte ad un uditorio. Loratore parla allo scopo di mantenere, raffor- zare, oppure modificare in un certo senso le credenze o convinzioni o giudizi del suo uditorio. Ora, da questo punto di vista, una differenza essenziale tra il discorso persuasivo, che mira ad influenzare la per- suasione, e il discorso volto alla convinzione  cio tra il discorso retorico e il discorso logico, sta nella qualit del- luditorio. O meglio, in un certo senso, nella quantit. Il discorso retorico si rivolge a un concreto e preciso udito- rio, che  sempre, per ci stesso, parziale; il discorso logi- co mira ad un generico, atemporale e aspaziale, uditorio universale. Diceva gi Kant:  Quando essa [la credenza, Fiirwabrbalten]  valida per chiunque in quanto ragione- vole, il suo fondamento  obiettivamente sufficiente, e la credenza si chiama convinzione {[berzeugung]. Se inve- ce ha il suo fondamento soltanto nella qualit [ Beschaf- fenbeit] particolare del soggetto, si chiama persuasione [Uberredung] . La distinzione per noi  estremamente importante, e ce ne serviremo ampiamente per qualificare le due culture, fino ai loro pi profondi aspetti etico-morali. Tuttavia ci rendiamo conto che essa  altamente problematica e ri- chiede delle precisazioni  altrimenti rischia di non voler dire nulla. Il discorso retorico  un discorso che si rivolge ad un uditorio particolare: io per preferirei dire determina- to. Infatti anche lo stesso Perelman, molto acutamente, afferma che luditorio   sempre, per colui che argomen- ta, una costruzione pi o meno sistematizzata ; ossia, es- so   costruzione delloratore  . Cio: largomentazione retorica muove da presupposti, non solo, ma anche sentimenti, emozioni, valutazioni  di- ciamo, con parola unica, da opinioni ($6Ear) che sup- pone presenti e operanti nel suo uditorio ?. Ovviamente, 3 Kritik der reinen Vernuntt, ed. Reclam, p. 830. . Trait de l'Argumentation cit., I, $ 4, p. 25. . .P. 27: Ogni ambiente potrebbe venir caratterizzato dalle sue opi- nioni dominanti, dalle sue convinzioni ammesse senza discussione, dalle premesse che esso ammette senza esitazione: queste concezioni fanno parte 158 RETORICA E LOGICA queste sono relative alla cultura delluditorio stesso: di- pendono dalla classe sociale, grado di istruzione, naziona- lit, ecc.  E anche, storicamente, dallepoca. Ora, dicia- mo che un uditorio U;  pi ampio di un uditorio i non quando  pi numeroso (in s, il numero conta poco), ma quando  pi eterogeneo: ossia quando tra gli uditori c' un gruppo di n persone (n= 0) appartenenti alludito- rio U, pi  (= 0) gruppi di un numero variabile (ma sem- pre diverso da zero) di persone appartenenti ad altri udi- tori (cio, in concreto, aventi opinioni parzialmente diver- se).  chiaro che il discorso rivolto a U: non potr partire da tutte le opinioni di U1: ma dovr selezionare un grup- po di queste appartenenti a tutti i gruppi (o uditori par- ziali) che lo compongono. Unulteriore selezione, e di conseguenza riduzione, richieder il discorso rivolto ad un uditorio U; pit vasto di U.. E cosi via. E cos via non significa per all'infinito  che non avrebbe senso: ma il processo sembra avere come limite luditorio universale, ossia l'insieme delle convinzioni che sono comuni a tutto il genere umano, in ogni luogo e tem- po e in qualunque situazione. Ma mentre pregiudizi (opi- nioni tradizionali), passioni, sentimenti, emozioni, espe- rienze vissute, sono estremamente variabili, lunica cosa costante  la ragione o buon senso (non nel significato di senso comune, che  variabilissimo, ma nel senso carte- siano, come sinonimo di ragione): il quale, si dice,  la cosa meglio distribuita nel mondo. Perci il discorso che si rivolge alluditorio universale  il discorso logico e scien- tifico (o filosofico-scientifico): il pi ricco di argomenta- zioni strettamente logiche e/o di convalide fattuali, il pi povero di appelli sentimentali, di indicazioni valutative, di argomenti fondati sullautorit o sul consensus. Lobiezione ovvia  che un simile uditorio universa- le non esiste. Di fatto un uditorio  sempre determina- to. Un discorso che si rivolge a uomini (e che, tra laltro,  fatto da un uomo)  sempre storicamente determinato, x  sempre in situazione. La frase un discorso valido per della sua cultura ed ogni oratore che vuol persuadere un uditorio partico- lare non pu far altro che adeguarvisi [5'y adapter] .  tutti gli uomini, in ogni luogo e in ogni tempo rischia persino di essere un non-senso. Di fatto, uditorio universale  unastrazione idealiz- zante, e in ultima analisi anche luditorio universale  una costruzione delloratore. Unastrazione idealizzante, o una costruzione, che muove da una cultura determinata (quel- la, ovviamente, delloratore) e ne fissa, per esclusione di tutti gli altri, alcuni caratteri. E fettivamente, poi, luditorio universale finisce per essere un uditorio determinatissimo, assai poco esteso  un uditorio dlite '. Questo vale anche per la scienza: co- me ha messo bene in evidenza, ai suoi tempi, il Peirce, il discorso scientifico valido  quello che usa argomenti e si fonda su esperienze che la cultura scientifica (qui, in senso antropologico: la societ degli scienziati) ammette come tali. Ma qui (come del resto in tante altre ricerche) si rivela forse l'insufficienza della mera considerazione pragmatica. Bisogna passare ad un punto di vista meno culturale e pi strutturale. Accontentiamoci qui di due osservazioni. Dal punto di vista storico, fattuale, il discorso raziona- le  di fatto il pi universale, quello cio che contiene me- no materie opinabili, il meno soggetto a discussioni (nel senso corrente e volgare della parola).  un privile- gio che gli  stato ottenuto nel corso della storia; le sue strutture linguistiche e logico-linguistiche, i suoi metodi di prova sono stati selezionati nel corso di secoli di espe- rienza culturale. I greci hanno espressa questa universa- lit obiettiva, questa validit col termine dvayxn, neces- sit: e da allora questo termine  passato nella Logica e nella Gnoseologia per indicare un tipo di inferenza o un valore modale che viene ad una proposizione dal tipo di inferenza mediante cui la si deriva da altre. Ma nel si- gnificato originario  come ancora oggi nel pensiero di al- cuni analisti del linguaggio  alludeva ad una specie di costrizione, di ineluttabilit: al fatto che nessun uomo sano di mente e in buona fede poteva negarne levidenza. ! $ 7, pp. 4o sge.; cfr. anche Rbtorique et Philosophie cit., part. a P. 22. 160 RETORICA E LOGICA  un modo di dire popolare come  vero che due e due fanno quattro, per significare che qualcosa  vero al di l di qualunque possibile differenza di opinioni. Ma se stiamo sul terreno fattuale si tratta di ununiver- salit empirica, relativa  pi ancora che relativa (ag- gettivo che non ha senso se si nega che abbia senso lag- gettivo assoluto), approssimata, parziale. Anche le veri- t scientifiche sono state spesso oggetto di discussioni; verit che per secoli erano state ritenute scientifiche, ad un dato momento si sono rivelate come enunciati falsi o privi di senso  per esempio, che il moto naturale della- ria e del fuoco  verso lalto. Diciamo tuttavia che la ve- rit razionale, anche quando, di fatto, non  universale (non  ammessa da tutti), lo  di diritto: nel senso, alme- no, che pu divenirlo. Ha sempre ununiversalit poten- ziale. E ci perch  ottenuta con la massima astrazione possibile da quelle che sono le fonti principali dellopinio- ne e della diversit di opinioni: lautorit, la tradizione (il costume), i sentimenti (emozioni)  e quindi il tipo di cul- tura, lepoca storica, la nazione, il gruppo sociale, ecc. Cio: il discorso razionale  il meno storicamente de- terminato. E qui si inserisce la seconda considerazione. La concezione di una verit razionale eterna, atemporale, aspaziale, sovrastorica pu essere accusata di metafisici- smo  e non a torto, se si guarda al tipo di discorso in cui di solito  stata proclamata e difesa. Tuttavia c un sen- so, molto pi umile ma assai pi verificabile, in cui si dice che la verit razionale  eterna ecc.: lo  nel senso che essa vuole esserlo, che appartiene alla sua essenza lesigenza di esserlo.  una cosa che si dimentica troppo spesso, soprat- tutto da parte di chi  abituato al modo culturale (u- manistico, letterario) di argomentazione. Tu dici cos perch sei positivista, perch sei idealista, perch sei...   un discorso che si fa spesso. Ma nessuno  nato positi- vista, idealista, o altro; e nessuno ha sposato (senza possibilit di divorzio) uno di questi -ismi. La risposta ra- zionale ad obiezioni di questo genere  una sola: dico cos perch mi appare vero, e ho ragioni per ritenerlo ta- le. Se le ragioni contrarie mi apparissero comunque con- vincenti, valide, modificherei le mie tesi. In generale, RETORICA E LOGICA I6I nel modo razionale di argomentazione non si pu pensa- re che quello che si dice non sia valido per tutti (cio, per tutti quelli che sono a conoscenza dei presupposti logici e fatturali del discorso): se si conoscono ragioni possibi- li di obiezione valida da parte di chicchessia, il discorso va eo ipso in qualche modo mutato. Lo stesso vale per ci che riguarda la verit futura. Le- sperienza storica mi istruisce sul fatto che molte verit scientifiche si sono rivelate col tempo degli errori e sono state abbandonate, oppure si sono conservate con una va- lidit soltanto parziale. Di fatto, la verit scientifica ha una tenacia molto maggiore di tutti gli altri valori cultu- rali (ad eccezione di quelli etici, i quali, pi che tena- cia, hanno vischiosit: tuttavia non si pu parlare di eternit. Ci rende probabile lillazione circa il futu- ro: quei discorsi razionali che oggi appaiono validi, un giorno, forse, appariranno erronei. Ma non si va pi in l di cos, di questa considerazione affatto astratta e forma- le. In realt, se possiamo anche solo intravvedere in che cosa e perch (intendo un che cosa e un perch de- terminati) le nostre convinzioni razionali (scientifiche) di oggi potranno un giorno apparire erronee, procediamo su- bito da ora a modificarle. Ammettiamo per vero e per va- lido razionalmente solo ci che non soltanto ci appare so- stenuto da ragioni valide, ma anche tale che non sappia- mo scorgere ragioni obiettive valide ad invalidarle. Dice- va Galileo che se Aristotele fosse tornato al mondo sa- rebbe stato galileiano e non aristotelico: e intendeva ci non nel senso storicistico della verit relativa ad unepo- ca, ma nel senso che se Aristotele, da vivo e al suo tem- po, avesse conosciuto i fatti e le ragioni con cui Galileo criticava la fisica peripatetica e affermava la fisica moder- na, avrebbe propugnato questultima '. ! Cio, la stessa considerazione vale anche per il passaggio dal presen- te al passato, e, con buona pace di alcuni amici storicisti, rende problema- tica la possibilit di una vera e propria storia della scienza. Possiamo ca- Pire e intendere costumi, istituzioni politiche, idee religiose, ecc., di un al- tro popolo e/o di unaltra epoca a partire dalla situazione concreta di quel popolo e/o di quell'epoca, e usare dei criteri della situazione storica deter- minata (popolo ed epoca) per giudicare della validit di quei costumi, isti- tuzioni, ecc. - Ma non cosi di una tesi scientifica: essa oggi ci appare vera 162 RETORICA E LOGICA 5. Ritorniamo ora al discorso retorico-persuasivo e, spesso con laiuto del Perelman, cerchiamo di fissarne le strutture fondamentali. Nella polemica antiretorica e antiumanistica condotta dai fautori della nuova mentalit scientifica, alcuni filosofi del Seicento hanno elencato, accanto alle tradizionali fa/- laciae gi note alla Logica aristotelica, dei tipi particolati di sofismi che dominano nel discorso comune e che, al- la luce dell'ideale logico-scientifico di verit, appaiono essere cause di errori. Cosi, per esempio, il capitolo xx (della quinta edizione, xviti della prima) della Logigue de Port-Royal si intitola Des mauvais raisonnemens que lon commet dans la vie civile & dans les discours ordinaires. In verit non si tratta di sofismi nel senso di fallacie (contravvenzioni alle buone regole della Logica formale): ma di forme di argomentazione che suppongono una struttura discorsiva e un modo di convinzione diversi da quello logico. Gli autori della Logigue avvertono che, mentre le classiche fallaciae logiche sono fonti di errori nelle materie scien- tifiche, questi altri tipi di sofismi agiscono invece fuori di questo campo, e soprattutto  in questo dei costumi, e delle altre cose che sono rilevanti per la vita civile e che costituiscono l'argomento abituale della conversazione degli uomini  . Questi sofismi sono distinti in due grandi classi: so- phismes damour propre, dintert et de passion e faux raisonnemens qui naissent des objets mmes. Vale la pe- o falsa, corretta o erronea, valida o invalida  e ci appare talc per ragioni che sono, per costruzione, indipendenti dal popolo e dall'epoca. An- che se ci mettiamo nei panni dello scienziato di allora, tuttavia conoscia- mo le ragioni per cui quella tesi che egli ha sostenuta  (oggi) vera o fal- sa - e dobbiamo mantenerla o modificarla di conseguenza. Fare diversa- mente  un mero gioco astratto o una commedia - e comunque quella che va perduta  la scientificit di quel fatto di cui facciamo la storia. (Per cui facciamo, si, della storia, ma non storia della scienza). ! La Logique ou LArt de Penser... par A. Arnauld et P. Nicole, d. critique par P. Claire e F. Girbal,  Paris 1965, p. 260: ...Il serait sans doute beaucoup plus utile de considerer generalement ce qui engage les hommes dans les faux jugemens qu'ils font en toute sorte de matire; & principalement en celle des mceurs, & des autres choses qui sont impor- tantes  la vie civile, & qui font le sujet ordinaire des leurs entretiens. RETORICA E LOGICA 163 na di riportare l'introduzione alla trattazione dei sofismi del primo gruppo  parole che riecheggiano evidentemen- te considerazioni di Pascal e di Malebranche: Se si esamina con cura ci che fa sf che di solito gli uomini aderiscano ad unopinione piuttosto che ad unal- tra, si trover che non  la penetrazione della verit e la forza delle ragioni, ma qualche legame damor proprio, di interesse o di passione.  il peso che fa traboccare la bi- lancia e che ci fa decidere nella maggior parte dei nostri dubbi:  ci che d il massimo avvio ai nostri giudizi e vi ci fa aderire pi fortemente. Giudichiamo delle cose non per ci che sono in se stesse, ma per ci che sono ri- spetto a noi; e la verit e lutilit sono per noi la medesi- ma e identica cosa.  Non ci vogliono altre prove oltre ci che si vede ogni giorno: che cose, le quali da ogni altra parte sono ritenu- te dubbie o addirittura false, sono ritenute certissime da tutti quelli che appartengono ad una nazione o ad una professione o ad un istituto. Infatti, non essendo possibi- le che ci che  vero in Spagna sia falso in Francia, n che la mente di tutti gli spagnoli sia costituita in modo tanto diverso da quella di tutti i francesi, che giudicando le co- se soltanto secondo le regole della ragione ci che gene- ralmente pare vero agli uni appaia generalmente falso agli altri   evidente che questa diversit di giudizio non pu venire da altra causa, se non questa, che agli uni piace ri- tenere per vero ci che  loro di vantaggio, mentre gli al- tri, non avendovi interesse, ne giudicano in altro modo '. Due cose qui sono particolarmente di rilievo. La prima  il carattere emozionale che  alla base di questo genere di persuasioni non-razionali: carattere emozionale indica- to un po rozzamente da termini come amor proprio, in- teresse, utilit, passione, ma tuttavia indubbio e co- mune a tutte le specie di sofismi che vengono descritte. La seconda  il carattere tipicamente sociale di queste for- me di sofisma: legate al rapporto che luomo ha con gli altri uomini, nella nazione, nel gruppo sociale o nell’istituto: carattere sociale che viene contrapposto alluniver- salit della convinzione razionale. Questo carattere sociale, umano,  ancora pi ma- nifesto, nonostante il titolo, nei faux raisonnemens qui naissent des objets mmes. A questa classe appartengo- no infatti quello che gli autori chiamano le sophisme de lautorit', comprendente il sofisma del consensus gen- tium  e in generale molti dei sofismi che sono basati sul- la stima (positiva o negativa) che si porta alle persone che esprimono un'opinione, anche in materie dove quella stima (o disistima), essendo fondata su altri motivi, non dovrebbe essere rilevante. Accanto alla Logigue de Port-Royal  ovvio ricordare lelencazione dei sofismi fatta da Locke nel libro IV, ca- pitolo xvII, $$ 19-22 del Saggio sullintelligenza umana. Egli distingue  quattro specie di argomentazioni, che gli uomini, ragionando tra loro, ordinariamente usano per ot- tenere lassenso di altri, o, quanto meno, per intimidirli e tacitare la loro opposizione  . Di queste quattro specie solo la quarta, largumentum ad judicium,  porta con s una vera istruzione e fa progredire la conoscenza  . Gli altri tre sono, praticamente, dei sofismi. E sono: largu- mentum ad verecundiam, largumentum ad ignorantiam, largumentum ad hominem. La prima  pressoch identi- ca a parecchi dei sofismi della seconda specie nella classi- ficazione dei porto-realisti: consiste nel riverberare sugli enunciati la stima, il valore, l'autorit di coloro che li e- nunciano. Le altre due specie di sofismi si riferiscono in- vece a una situazione concreta umana (e in ultima analisi emozionale) del contraddittore, ridotto al silenzio proprio sulla base della sua situazione  in quanto, cio, linterlo- cutore  messo in una situazione che diremmo di auto- rit negativa: sono dunque delle specie di argumentum ad verecundiam rovesciato. Ripetiamo: queste, che per i logici moderni sono so- fismi, erano invece classiche forme di argomentazione retorica, e affondano le loro radici nellintera tradizione pp. 282 sg. :  Beggi sullintelligenza umana, trad. it., Bari 1951, vol. II, p. 398. 3 p. 399.  della civilt letteraria. (Ci risulter, spero, dalla tratta- zione che segue). 6. Cominciamo da un caso particolare, ma importan- tissimo, di argomentazione ad hbominem. Questa, secondo la definizione di Locke ',  consiste nello stringer dappres- so un uomo con certe conseguenze tratte dai suoi propri princip o concessioni . Lo stesso Locke, nel $ 22, chia- risce che questo tipo di argomento consiste nel mostrare all'avversario che  in errore, che ha sbagliato. Ci ci fa pensare ad un esempio molto illustre  allar- gomentazione ironica di tipo socratico. Se linterlocutore, incautamente, enuncia una proposizione (per es., una de- finizione), da questa si traggono delle conseguenze: e se queste sono insostenibili, l'interlocutore deve trovare il coraggio o di rimangiarsi il primo enunciato o di sostene- re le conseguenze stesse nella loro paradossalit. Con ci, osserva Locke, non si  provata la verit di nulla: e questo  il noto limite della dialettica negativa di origine eleatica. Ma non  questo, almeno per ora, il pun- to che ci interessa: bensi dobbiamo fare due osservazio- ni. La prima  che in tale forma di argomentazione le- nunciato non viene considerato in s, nella sua significan- za logica, ma come lenunciato di una persona: largo- mentazione si volge alla persona, e la persona  legata al- la responsabilit del suo enunciato. Quindi, anche se il procedimento di confutazione  logico, la situazione di- scorsiva  tipicamente umana  la verit (o falsit) ap- pare come la verit (o falsit) di un uomo. La seconda considerazione ci  suggerita proprio dal- l'esempio del dialogo socratico. Tranne il caso che le conseguenze della proposizione confutata siano manife- stamente delle falsit fattuali, negli altri casi la falsit ri- sulta da unintuizione, non da un discorso: e, non essen- do fattuale,  di solito di natura emozionale. Le conse- guenze non sono provate false (non essendo fattuali) n dimostrare assurde (non essendoci premesse vere con le quali risultino incompatibili): la loro inammissibilit  di 1 S21.  solito di natura emozionale. Sono conseguenze vergogno- se o ridicole. Questo procedimento  vecchio quanto la letteratura. Si pensi alla commedia di Epicarmo o a quella di Aristo- fane, in cui la poleinica antifilosofica  condotta proprio in questo modo. , attraverso tutti i tempi, si pensi quan- to questo metodo (di criticare mediante la qualit emo- zionale delle conseguenze) sia stato applicato in tutti i settori della civilt delle lettere. Questi due caratteri di una delle forme pi fondamen- tali di argomentazione retorico-letteraria  intendo dire il carattere umano e il carattere emozionale (valuta- tivo) dellargomentazione stessa, non sono due caratteri semplicemente giustapposti o compresenti. Derivano in realt dal medesimo carattere  di un discorso che si ri- volge ad una umanit psicologicamente concreta e perci limitata, di un discorso che si svolge nel concreto di una interpersonalit sociale e non nellideale di ununiversale intersoggettivit (obiettivit). 7. Quello che da Locke in poi si suole chiamare ar- gumentum ad verecundiam costituisce non solo una del- le strutture fondamentali dellargomentazione retorica, ma (noi riteniamo) la forma, lanima, dellintera civil- t letteraria. Tale argomento consiste nel citare le opi- nioni di uomini il cui ingegno, dottrina, eminenza, pote- re, o qualche altra causa, ha ottenuto un nome, e ha sta- bilito la loro reputazione nella stima comune con una qualche specie di autorit. Quando gli uomini sono innal- zati ad una qualunque specie di dignit, si considera im- modesto che altri vi deroghino in alcun modo, e mettano in dubbio lautorit di coloro che di tale autorit sono in possesso. Si  soliti censurare questo comportamento co- me segno di troppo orgoglio, quando uno non cede pron- tamente a ci che  stato determinato da autori approva- ti, e che usualmente, da altri, sono accettati con rispetto o sottomissione; o quando altri si mette ad insistere nel- la propria opinione contro la corrente del pensiero del- lantichit, questo  considerato come insolenza; o quan- do uno mette su un piatto della bilancia il pensiero pro- RETORICA E LOGICA 167 prio contro quello di un qualche sapiente dottore, o di uno scrittore altrimenti approvato. Chiunque appoggi le proprie opinioni a simili autorit ritiene con ci di aver causa vinta, ed  pronto a censurare come impudente chiunque le contrasti  . Gi queste righe ci mettono di fronte ad una struttura discorsiva alquanto complessa, di cui cercheremo di scan- dire gli elementi. Il primo punto che qui ci interessa di fissare  stato ampiamente analizzato dal Perelman: ed  la dipendenza della persuasione retorica dalla qualit del- le persone che intervengono nel dramma oratorio (lora- tore e lobiettore od eventuali obiettori). Qui la verit (0, forse meglio, la validit) del discorso appare in funzio- ne del valore della persona che la sostiene. La Logique de Port-Royal, come abbiamo detto, parla a lungo di questo sofisma, sotto il titolo di faux raisonnemens qui naissent des objets mmes.   opinione falsa ed empia che la verit sia talmente simile alla menzogna, e la virt al vizio, da essere impos- sibile il discernerle: ma  vero che nella maggior parte delle cose c' un miscuglio di errore e di verit, di vizio e di virt, di perfezione e dimperfezione, e che tale miscu- glio  una delle fonti pi comuni dei falsi giudizi degli uomini.  Infatti  a causa di questo miscuglio ingannatore che le buone qualit delle persone che si stimano fanno si che ne vengano approvati i difetti, e che i difetti di coloro che non si stimano fanno s che si condanni quello che hanno di buono, perch non si pensa che le persone pi imperfette non lo sono in tutto e che Dio lascia alle pi virtuose delle imperfezioni che, essendo dei residui del- linfermit umana, non devono essere oggetto della no- stra imitazione, n della nostra stima.  La ragione di ci sta nel fatto che gli uomini non con- siderano le cose nei particolari: non giudicano che se- condo la loro impressione pi forte e sentono ci che maggiormente li colpisce  cos quando scorgono in un di- scorso molte verit, non notano gli errori che vi sono ! Sio, 168 RETORICA E LOGICA frammischiati: e viceversa, se ci sono verit frammischia- te in mezzo a molti errori, non fanno attenzione che agli errori, la parte pi forte prevalendo sulla pi debole e l'impressione pi viva soffocando quella pi oscura  . Siamo di fronte ad un classico esempio di quella che Duprel ha chiamato la pense confuse: e precisa- mente a quella che lo stesso Duprel ha analizzato come idea di merito personale. In essa si troverebbero mesco- lati due elementi irriducibili: il merito dellintenzione e il merito del risultato ottenuto o del successo. Non si pu ridurre questa dualit a uno solo dei due elementi (per es., a quello dellintenzione): perch nel merito dellin- tenzione  implicito il valore di quello che sarebbe stato il risultato, ove conseguito; e nel merito del successo  implicata lidea che esso non  frutto del caso, ma c sta- ta, da parte di chi lo ha conseguito, una consapevole in- tenzione di conseguirlo. Nozione confusa, quindi, ma non falsa: il negarla porta a negare uno specifico valore so- ciale. E del resto, osserva sempre il Duprel, molte im- portanti idee morali, come quelle di giustizia, felicit, libert, sono idee confuse. Dunque: unidea come quella di merito personale con- tiene una valutazione che si riferisce, circolarmente, e al- le qualit del soggetto agente e al risultato ottenuto. Su questa circolarit si fondano le valutazioni che hanno ri- ferimento alla qualit personale dei partecipanti a una di- scussione: ch chi  di solito buono si presume che com- pia sempre atti buoni, e quindi sia veritiero, non parli a caso, ecc.; e viceversa.  del resto la fondamentale strut- tura, eminentemente problematica, della nozione stessa di persona morale quale, per esempio, lha definita Max Scheler: la persona morale  un centro unitario di atti, e da questi trae la sua qualificazione  ma al contempo i suoi atti vengono qualificati dalla sua qualit personale. Il Perelman ha insistito sul fatto che la chiarezza delle nozioni, la necessit di un linguaggio inequivoco,  une- ! La Logique ou LArt de Penser cit., pp. 274-75. ? La Pense Confuse, in E. DuPREL, Essais pluralistes, Paris 1949, PP. 324 568. P. 326.  sigenza del discorso scientifico: ma che tale esigenza non vige sul piano del discorso valutativo e in genere si oppo- ne ad altre esigenze che nascono dai bisogni di decisione e di azione '. Insomma: questo tipo di sofisma ad verecundiam, fal- lace nel discorso di tipo scientifico (e perci condannato dagli autori della Logigue de Port-Royal e da Locke),  invece una struttura tipica del discorso giuridico, mora- listico, e in genere valutativo; ed ha un'importanza fon- damentale nella logica (retorica) di questo tipo di discor- si. I valori ammessi dalluditorio, il prestigio dellora- tore, il linguaggio stesso di cui ci si serve  tutti questi elementi sono in costante interazione quando si tratta di conquistare l'adesione delle menti , dice lo stesso Perel- man. E il motivo ce lo suggerisce egli stesso, che dice e spes- so ripete:  Il linguaggio non  soltanto mezzo di comu- nicazione:  anche strumento di azione sulle menti, mez- zo di persuasione  . Gi gli antichi (per es., Isocrate) di- cevano che la retorica  psicagogica, e in questo senso la difendevano dagli attacchi dei filosofi. Io direi: il ti- po di discorso retorico, e in genere di discorso umanisti- co o letterario,  un tipo di discorso non semplice- mente, e non principalmente, comunicativo (nel senso di comunicazione di conoscenze), bensi, direi, comunitario:  un modo di essere in concreta, personale, partecipa- zione. 8. Ecco perch Locke, assumendo il principio di auto- rit pi nel suo aspetto confutatorio che in quello proba- torio, lha chiamato argumentum ad verecundiam, mo- strando con ci di vederne la profonda unit di radice con gli altri sofismi retorici, ad hominem e ad ignoran- tiam. Si tratta qui di una specie di autorit a rovescio. Linterlocutore  fatto entrare nella discussione con il con- creto della sua persona: e in questo caso con la piccolez- ! Cfr. PERELMAN e OLBRECHTS-TYTECA, Trait de lArgumentation cit., I, pp. 176-82. 2 p. 178. * D. 177. 170  za, povert della sua persona. La tesi da lui sostenuta non viene sciolta da lui e considerata, come avviene nella pro- va scientifica, nellideale obiettivit del vero e del falso; ma al contrario viene considerata come espressione del- la persona, legata alla sostanza di essa e con essa co-valu- tata. Chi sei tu, che pretendi di saperne pi di Aristo- tele? Oppure; Non vedi che ti contraddici? (ma la contraddizione diventa una situazione umana dellinterlo- cutore: logicamente essa significherebbe che non entram- be le tesi che egli sostiene possono essere vere, non che ci che egli dice sia eo ipso privo di valore). Perch cri- tichi gli altri, se non sai fare meglio? (ma so con certez- za che Parigi dista da New York pi di cento chilometri, sebbene non sappia esattamente quanto). 9. Veniamo ora direttamente all autorit, il grande principio di ogni civilt umanistica  in ogni epoca il pi accanitamente condannato e pi attivamente combattu- to dai sostenitori di una civilt delle scienze. Questo  forse il punto pi critico in cui si misura il conflitto delle due forme operanti in seno alla nostra civilt: ch  qui che, come vedremo pi volte anche nel seguito di questo saggio, entrano in conflitto non soltanto due tecniche di argomentazione relative a due diversi tipi di discorso, ma due idee di verit, due idee del posto e della funzione del sapere in seno alla societ e alla storia  in ultima analisi, persino due opposte concezioni morali. Se lasciamo da parte laccezione pi rozza, e forse al- quanto convenzionale, dellautorit come ipse dixit, considerandola come una degenerazione patologica, in un senso pi sottile e pi profondo il principio dautorit co- stituisce il fondamento e lanima di tutta la civilt uma- nistica anche nelle sue pi normali e pi sane manifesta- zioni. Esso interviene ogni volta che esponiamo le nostre vedute attraverso, mediante, lesposizione di (o semplice- mente il richiamo a) opinioni di autori che, sinceramente oppure per verecundia, stimiamo pi importanti, oppure sappiamo essere pi stimati, di noi. Esso interviene ogni volta che, quasi a scusarci della paradossalit di quanto stiamo dicendo, ci affanniamo a mostrare come i nostri asserti, le nostre posizioni, non siano poi cos nuovi, ab- biano dietro di s una tradizione che conta illustri autori, eccetera. Cosi, quasi inavvertitamente, abbiamo mostrato due maniere distinte di operare, quasi due valenze, del prin- cipio di autorit. Alla base c sempre quella caratteri- stica struttura, cui abbiamo accennato allinizio del $ 7, per cui la stima che accompagna un oratore (un autore, uno scrittore, ecc.) si riversa, per cos dire, sulle sue ope- re, sulle sue parole, sulle sue opinioni. Ma ci si pu espli- care come autorit di un singolo uomo, di un singo- lo autore, in un concreto ambiente umano in cui vige la stima per quelluomo, se ne sente l autorit. Oppure si esplica nel senso pi vasto e pi profondo della tradi- zione. Tutti sappiamo che il concetto di auctoritas  medie- vale: le auctoritates sono poi i testi, le sentenze, le pro- posizioni degli auctores  e questi sono quegli autori uf- ficialmente riconosciuti sui quali si fonda la cultura stes- sa: sono quelli che noi chiamiamo i classici. Nel senso di auctor o di classico non  implicato soltanto il con- cetto di alte valutazioni dellopera (e/o della persona): ma insieme il concetto che esso appartiene ad un insieme fondamentale che costituisce la tradizione. Quest'ultima, pi ancora del fondamento,  la cultura stessa: persona colta  quella che ha appreso, che conosce, che possiede la tradizione dei classici  il professore, il doctor, il lector medievale. Gli auctores formano cosi la parte scelta della co- munit culturale, i raccoglitori e trasmettitori delleredi- t (x\.fjpoc), del patrimonio comune di cultura di un po- polo. Anche qui, la loro universalit  universalit concre- ta, storica, legata alle vicende di un popolo (o di un grup- po di popoli che la storia ha finito con lassociare), di una lingua, e alle istituzioni culturali in esso vigenti. La forza dellauctor supera di gran lunga il suo stesso prestigio: donde il grande valore etico, quasi religioso, che negli am- bienti culturalmente conservatori assume il concetto del- l'autorit cosi definito. Cosi Aristotele non  pi solo un grande filosofo, ma il Filosofo di un intero mondo culturale; e Dante non  pi solo un grande poeta, ma il poeta di nostra gente. 10. Passiamo cost ad unaltra categoria fondamentale nella struttura della civilt retorico-umanistica: la doxa. Lo scopo dellargomentazione retorica  di mostrare che le convinzioni esposte sono endoxai, probabili (nel sen- so di conformi alla doxa): ed alla doxa si appella tut- ta la civilt letteraria; ed  appunto in ci che consiste la sua umanit, il suo senso del concreto storico  onde le tendenze storicistiche che ha sempre avuto la filo- sofia di ispirazione retorico-letteraria, e viceversa le sim- patie verso lUmanesimo che in genere i filosofi storicisti hanno. La doxa , prima di tutto e fondamentalmente, con- sensus gentium, opinione degli uomini, del prossimo:  senso comune (che non  la medesima cosa del buon senso di cartesiana memoria), evidenza umana, fatta di sentimenti materiali nellabitudine, nella tradizione, nel costume. Lappello ad un tale consensus non solo  un metodo comunissimo dargomentazione retorica; ma  un metodo fondamentale dellapologetica religiosa, e si ritro- va ancora come fondamento pseudo-teoretico della mag- gior parte delle filosofie spiritualistiche. Si badi, non si tratta qui di un appello alla pura universalit della ragio- ne: bensi ad esigenze, a sentimenti, che dovrebbero essere scolpiti in ogni cuore umano... E i sostenitori del valore delle arti nei confronti del sapere intellettuale molto spesso invocano questa concreta universalit del- larte, questo suo appellarsi ai sentimenti pi profonda- mente e pi generalmente umani. Da questo punto di vista, il concetto di autorit ac- quista un particolare rilievo. Lappello allautorit  lap- pello allopinione dei migliori. I testi dell'Art de Pen- ser e del Saggio di Locke cui prima abbiamo accennato mettono bene in rilievo questo punto. I migliori so- no tali in un concreto umano, sono tali per una stima di cui li circonda il consensus.  la loro qualit personale, per cosi dire globale, che li rende autorit:  la fa- ma di cui godono e, molto spesso (se sono vivi), la posizione sociale che occupano. Non sono aquile che volano solitarie, ma le guide e i campioni dei pi. Anche i classici della tarda antichit (epoca eminentemente reto- rica) erano sentiti cosi: come campioni, e quindi come modelli per gli altri. La loro divinizzazione nellepoca del Rinascimento (divinizzazione tanto rimproverata da Bacone e da Galilei ai pedanti loro contemporanei)  gi un processo degenerativo (e tipicamente tardo-rinasci- mentale, manieristico) dallautentico senso dellauctoritas medievale (sia scolastica, sia umanistica): che  concreta universalit umana, senso comune incarnato, non testi- monianza di genio solitario. Essi rappresentano lopinio- ne ufficiale  onde la condanna di chi presuma di con- trapporre alla loro autorit la propria privata convinzione. 11. Il tipo del discorso letterario, cio retorico,  dun- que costituito da un argomentare che muove dalla doxa e finisce nella doxa: che si muove in un concreto umano e sociale di cultura (sentimenti, opinioni, tradizioni) stori- camente determinato, per ristabilirlo o ricostruirlo (qua- le era il genere epidittico per gli antichi), sia anche per mutarlo, ma per mutarlo mantenendo una coerenza nel- la sostanza. In questo ultimo caso, la critica (e l'esempio forse pi perspicuo ne  la critica illuministica di quel co- stume che viene criticato (che , per esempio, il tipico equivoco della critica voltairiana). Per questo, tecnicamente, la base del discorso lettera- rio  quella che lo Stevenson ha chiamato definizione per- suasiva: i bravi soldati non scappano, i buoni italia- ni non comperano automobili straniere, i veri ameri- cani non hanno simpatie per il comunismo, ecc. La de- finizione persuasiva lega un carattere C ad un nome N  e in questo assomiglia ad una comune definizione; ma que- sto nome N o  accompagnato da un attributo di valore, 0  esso stesso, nellaccezione corrente, connotante un ta- le attributo (cio,  associato ad una emozione): infatti basterebbe dire un soldato non scappa, ecc., nel caso che soldato, italiano, americano, ecc., siano associati a determinate emozioni. Un simile procedimento presup- pone evidentemente una dox4: presuppone cio emozioni, valutazioni, convinzioni che vigano in maniera indi. scussa nelluditorio, nella tradizione di quelluditorio, ecc, Un elemento tipico della definizione persuasiva  lin- terconnessione tra fatto e valore, conoscenza ed emozio- ne. Il fatto  dato nella concretezza umana del costume, dove ogni evento  carico di significati axiologici e ogni valore ha tradizionali, abituali esemplificazioni in fatti de- terminati. Sia la considerazione del fatto in s, fatta astra- zione da ogni concomitante emozionale, sia la considera- zione del valore puro, come autovalore, isolano il discor- so dalla doxa, dalla concreta vita abituale dei pi: la mancanza di emozione rende arido il discorso, la man- canza di esempio lo rende astratto; in ogni caso, non persuasivo, quindi non efficace come strumento di cultu- ra pragmatica in seno ad una societ. E aridit e a- strattezza sono, come  noto, due costanti bersagli po- lemici della cultura umanistica verso la cultura scientifi- cistica come verso la cultura scolastica. Formule co- me val pi l'esempio che il precetto, oppure formule pi teoreticamente ambiziose come quella della verit del cuore stanno appunto a indicare questa esigenza del concreto emozionale, della compenetrazione del fatto col valore  che, tra laltro, ha reso perplessi alcuni metamo- ralisti, i quali, di fronte a frasi come la signora X ha il naso rosso!, hanno osservato come ogni aggettivo pos- sa funzionare da aggettivo di valore. Di fatto, la definizio- ne persuasiva esplicita questo rapporto, ossia stabilisce la funzione valutativa di frasi denotanti fatti. Dalle definizioni persuasive, come da premesse mag- giori (princip), muove largomentazione retorica, la qua- le, pi o meno con lausilio di ttor intermedi, porta cer- ti caratteri di valore su determinati fatti, oppure mira a rendere probabili certi fatti dubbi sulla base di determi- nati caratteri di valore ( pi probabile che un delitto sia stato commesso da un pregiudicato che non da una per- sona rispettabile e incensurata; il criterio filologico della lectio difficilior; e simili). Il concreto discorso giuridico (come del resto in genere il discorso etico) esemplifica molto bene questo tipo di logica retorica, con forme di argomentazione le quali alla luce di una logica rigorosa (scientifica) sarebbero invece invalide o per lo meno problematiche. i Ma, naturalmente, la definizione persuasiva pu rima- nere sottintesa: che  un modo (derivante dallhabitus agli studi di Logica) per dire che pu mancare affatto, e agire solo come connettivo implicato nel sentimento e nella doxa. Non occorre dire: Gli uomini coraggiosi non scappano; Vittorio  scappato di fronte al nemico; Vitto- rio dunque non  coraggioso (dove gli uomini corag- giosi non scappano sarebbe la premessa maggiore per- suasiva); si pu dire  e si dice: Vittorio un uomo co- raggioso? Ma se  scappato! 12. E quicisi presenta un ultimo aspetto del discorso retorico-letterario, un aspetto che forse meglio di ogni al- tro ci mette in risalto il carattere letterario della... ci- vilt delle lettere (retorica). Un discorso che tende al concreto emozionale, al rap- porto umano e al modo di pensare che Trilling chiama culturale e che si accentra (muove da- e ritorna a-) nel giudizio su persone entro una societ, tende naturalmen- te a preferire lesemzpio al discorso formale: a presenta- re direttamente allemozione un campione intuitivo in cui si cala il concetto. I precetti retorico-poetici sono accom- pagnati dalla lettura dei classici, che sono concreta e intuitiva attuazione dei precetti medesimi, e sui concetti astratti presentano il vantaggio di offrirsi ad unimmedia- ta presa di posizione emozionale. Cosi il discorso morale si esemplifica nel racconto (fiaba, apologo, romanzo a te- sl, ecc.) Questo modo di discorrere, plastico, visivo, si pu, con Vico, far risalire ad Omero. E tutti sanno che Vico ha ravvisato in esso la struttura tipica, la forma gnoseologi- ca della stessa conoscenza poetica, cio della poesia. Ma non  la forma di gran parte del romanzo e del teatro mo- derno? La maggior parte dei pi seri difensori della ci- vilt delle lettere, tutti coloro che hanno voluto vedere nell'opera letteraria qualcosa di pi e di meglio che non un fatto calligrafico o di gusto (edonistico), hanno pro- Prio insistito su ci: lopera letteraria, la grande opera 176 RETORICA E LOGICA letteraria, contiene un messaggio: morale, civile, politico, religioso... Ma questo messaggio, questo insegnamento (se c')  comunque non nella forma discorsiva del trattato di morale, di politica, ecc., e neppure nella forma retori- ca (epidittica) del sermone, bensi nella forma dellesem- pio plastico, dove la dialettica dei concetti diviene dram- ma dei personaggi, i valori divengono eroi, le implicazio- ni logiche fattuali destini... Il buon scrittore letterario non loda e non biasima quello che vuole venga approva- to o disapprovato: lo mostra, ossia lo presenta allemo- zione nella forma plastica dell'esempio. Cosi la Capanna dello zio Tom, Le mie prigioni, I Miserabili sono state opere di propaganda, pit per quello che hanno mostrato e fatto sentire che non per quello che hanno detto. E an- cora oggi tendono, pi o meno, in questa direzione il ro- manzo, il teatro, il film impegnati. 13. Un'ultima osservazione, che non esula completa- mente dal tema di questa sezione del nostro saggio. Filosofia caratteristica della contemporanea civilt del- le lettere  lo storicismo. Ma questa parola, storicismo,  divenuta oramai equivoca a tal punto, che non si sa pi che cosa voglia dire. Ci sono tanti e poi tanti storici- smi! Ma in paesi pi decisamente dominati dalla tradi- zione retorico-letteraria, come il nostro (ma anche altrove ce ne sono manifestazioni)  venuto prendendo forma e corpo un peculiare storicismo, che direi biografismo. Si tratti di arte figurativa, di letteratura, di filosofia, qui dominante  luomo: lo studio delle sue produzioni  del tutto subordinato allo studio della sua biografia  ambien- te, formazione, situazione sociale e politica, ecc.; la sua stessa produzione  vista come documento autobiografi- co  si che spesso il documento minuto (una lettera, il frammento giovanile di un lavoro incompiuto) diviene quasi pi importante del capolavoro. Prima, e pi, della Critica della ragion pura c' Kant; prima e pi del Faust c' Goethe. Ripensiamo a quanto abbiamo detto a proposito del principio di autorit, degli argomenti 44 hominem, ecc.: lopera qualifica lautore, ma lautore qualifica lopera; il valore di questultima  nell'uomo che lha scritta, non (0 non tanto) nella sua verit e problematicit obiettiva, uni- versale. Tutto il sapore diviene storia; ma la storia stessa diviene biografia. II. Simmetricamente a quanto abbiamo fatto per indaga- re la forma caratteristica del discorso nella cultura lette- raria, dovremmo ora tentare di descrivere nelle grandi li- nee la forma caratteristica del discorso nella cultura scien- tifica. Ma questo compito ci appare, qui, non meno im- portante, per meno necessario. Infatti da Bacone ad og- gi la produzione di opere di metodologia delle scienze, di epistemologia e di logica del discorso scientifico  immen- sa: mentre, se si eccettuano i pochi scritti che abbiamo ci- tati, e pochi altri che non abbiamo citati, l'indagine paral- lela sulla forma del discorso retorico  pressoch nulla. Per questo ci limiteremo a pochi cenni, rivolti pi che altro a sottolineare alcuni aspetti che avranno un partico- lare rilievo nel seguito di questo saggio. 1. Come abbiamo chiamato il discorso tipico della cul- tura letteraria discorso retorico, nel senso di persua- sivo, cosi possiamo chiamare il discorso tipico della cul- tura scientifica discorso logico, nel senso di probativo- dimostrativo. Se dovessimo fissare quale ne  il carattere formale pit importante, dovremmo dire che questo  il carattere del- la necessit. Gi dai tempi di Aristotele, per tutta quanta la tradizione logica occidentale,  questo precipuamente che distingue il discorso apodittico dal discorso dialettico e retorico. Il primo, come  noto, muove da premesse ne- cessarie  termina in conseguenze necessarie; il secondo muove da premesse probabili (verosimili) e termina in conseguenze probabili (verosimili). A questo proposito, per, bisogna guardarsi da equivocit inerenti (in conse- guenza della storia stessa delle scienze e in genere della civilt occidentale) in parole come probabile, probabi- 178 RETORICA E LOGICA lit. Infatti, sarebbe anche troppo facile osservare che in molte zone della scienza contemporanea la necessit ha fatto posto alla probabilit: le leggi deterministi- che alle leggi stocastiche, le previsioni infallibili alle pre- visioni meramente probabili, il procedimento ipotetico per tentativo ed errore al procedimento per deduzione matematica. Ma facciamo attenzione che comunque non siamo in presenza di unapertura della mentalit scien- tifica a strutture tipiche della mentalit letteraria. La pro- babilit scientifica non  sinonimo dellvotia retorica: anzi, le due cose sono assolutamente inconfrontabili. La probabilit  una relazione e la misura di tale relazione: si deduce con un calcolo matematico, altrettanto dedutti- vo e rigoroso (cio, necessario) quanto ogni calcolo ma- tematico. Lenunciato matematico che attribuisce ad un evento  una probabilit p  altrettanto rigoroso e neces- sario quanto lenunciato che, data unaccelerazione, una velocit iniziale, ecc., attribuisce ad un proietto una de- terminata parabola. Le leggi stocastiche sono pur sem- pre leggi, quanto quelle deterministiche (meccaniche). E anche il principio di indeterminazione, su cui si basa il muovo orientamento stocastico, stabilisce una connessio- ne quantitativa recessaria tra i due errori di determina- zione (previsione) del momento e della posizione, il cui prodotto ron pu essere inferiore alla costante di Planck. La probabilit come verisimiglianza retorica, invece,  ci' che sembra al senso comune e alle auctoritates. Limprobabilit che una persona seria, per bene, incensu- rata, abbia compiuto una certa azione vergognosa o mal- vagia (che so, uno stupro violento o un assassinio a scopo di rapina)  unimprobabilit morale, fondata non su un calcolo delle probabilit, non su leggi statistiche di di- stribuzione (e infatti nei buoni classici romanzi polizie- schi, modelli di applicazione del metodo scientifico, il grande detective non ne faceva conto alcuno), bensi su un giudizio concreto, sociale, sull'uomo. Anzi, un tale giudi- zio di improbabilit (0, viceversa, di probabilit, quando si ritiene pi probabile che lassassino o il bruto sia stato quel certo tipaccio che  noto a tutti per tale, o, in America, il disoccupato, il bohmien o il comunista) il pi delle volte si fonda su un tipo di inferenza che nella logi- ca scientifica (anche in quella stocastica!)  erroneo: una specie di fallacia del moralista, per cui si tende ad at- tribuire allessere le qualit del dover-essere, a pensare che la realt sia come dovrebbe essere, come si vorrebbe che fosse  0, pi spesso, che ron sia come non dovrebbe essere, come non si vorrebbe che fosse '. Piuttosto, si potrebbe fare unaltra osservazione, assai pi rilevante. Per Aristotele e per tutta la tradizione lo- gica occidentale che ha da lui preso le mosse, la differen- za tra il discorso (sillogismo) apodittico e quello dia- lettico-retorico  gnoseologica, non logica. Il sillogismo ha sempre la sua intrinseca necessit logica (altrimenti  un sofisma o un paralogismo): ma il privilegio del sillo- gismo apodittico  dato dalla necessit delle sue premes- se, necessit che si trasmette alle conclusioni: e tale ne- cessit significa evidenza razionale. E su questo pun- to lepistemologia contemporanea difficilmente potrebbe accordarsi con la concezione aristotelica. Da una parte il convenzionalismo che, introdotto nella logica contempo- ranea da alcuni filosofi della matematica (in particolare da R. Carnap), anche se molto discusso ne domina oggi le stesse impostazioni di base; dallaltra lepistemologia di molti empiristi radicali  rendono inammissibile che in qualsiasi punto di un discorso scientifico si trovi unevi- denza razionale, una necessit, che non sia la necessi- t per cui le regole del linguaggio (sintattiche e semanti- che) determinano le derivazioni, deduzioni, conseguenze da certi enunciati a certi altri enunciati: ma gli assiomi del sistema, come le stesse regole del linguaggio, sono convenzionali; e lesperienza scientifica soltanto ipotetica. E la mediazione che  necessaria: solo questa  ma que- sta ha il carattere della necessit. Enunciati teorici con e- nunciati teorici, enunciati teorici con enunciati di osser- vazione, enunciati di osservazione con esperienze  tra questi vige una mediazione che  necessaria. Rimane li- dea di connessione necessaria  in fondo, di causalit ? ! Cfr. PERELMAN e OLBRECHTS-TYTECA, Rbtorique et Philosophie cit., PP. 26-27. Sulla probabilit, cfr. ibid., p. 33: Trait de l'Argumentation cit., I, pp. 59-61, 94-95, e passim. anche se ovvie ragioni tratte dalla storia del pensiero con- sigliano di andare molto cauti (o forse meglio di evitarlo) nelluso di questa veneranda parola. 2. Un altro aspetto del discorso di tipo scientifico (ri- guardante, questo, il suo momento materiale, la qualit del suo contenuto)  lintersoggettivit.  dubbio che le matematiche pure costituiscano il noc- ciolo della cultura scientifica, la cultura scientifica; co- me  dubbio che la poesia costituisca la cultura lette- raria. Questi sono, da una parte, prodotti-limite, prodot- ti di elezione, il fiore delle rispettive culture; dallal- tra ne sono, forse, i fondamenti formali e gnoseologici. Ma, in entrambi i casi, siamo di fronte ad aspetti astratti. Per quanto riguarda la civilt scientifica, il suo momento concreto  rappresentato dalla scienza naturale, e da tutte quelle discipline che, bene o male, perfettamente o imper- fettamente, su quelle si modellano. E queste scienze sono tutte scienze empiriche: lempiria vi rappresenta il carat- tere dominante. Il principio di verificazione, per quanto discusso (spesso anche troppo cavillosamente), per quan- to pi volte riformulato, resta, di massima, un principio epistemologico indiscutibile. In fondo, che la scienza sia empirica, che il suo conte- nuto materiale sia un contenuto di esperienza,  un trui- smo. Ma quanto infinitamente equivoco  questo termine esperienza! Quante mai cose, quanto diverse, e a volte persino contraddittorie,  preso a significare! Non voglia- mo qui farne unanalisi, ch una tale analisi richiederebbe un trattato a s. Tuttavia c un punto che vogliamo met- tere in rilievo: non ogni esperienza  esperienza scien- tifica. Al contrario, quellesperienza che ha vigore nella scienza, e che veramente serve di prova alle ipotesi e alle leggi,  unesperienza assai selezionata, o meglio una clas- se di esperienze assai selezionate. Anzitutto, devono essere esperienze significanti: non quindi meri stati vissuti, non mere situazioni sensoriali provate, bensi percezioni significative. Vale a dire, ta- li che ogni contenuto di esperienza  inserito, per cosi di- re, in un tessuto di esperienza, sf da rimandare ad altri e, tramite questi, ad altri ancora, entro un orizzonte totale che non  mai dato e che si allarga indefinitamente. Tale significanza, tale connessione,  mediata dai concetti (so- prattutto  non esclusivamente  dai concetti teorici  e dalle leggi (scientifiche e/o di natura): onde la funzione ineliminabile della teoria nella costituzione dellesperien- za scientifica. In secondo luogo (ma questo aspetto  forse connesso al precedente), lesperienza scientifica deve essere costitu- trice dell'oggetto, oggetto in questo peculiare preciso senso. Non ogni esperienza  costitutrice dell'oggetto: n a rigore lo sono semplici connessioni o associazioni. Il problema della costituzione dell'oggetto  assai com- plesso, e, oltre al fatto che richiederebbe un'intera trat- tazione per s, esula in massima parte dal tema di questo saggio. Qui accenniamo solo a qualche aspetto. In primo luogo, come ha ben analizzato Husserl, le qualit stes- se dell'oggetto (per es., il colore, la conformazione, ecc.) non sono quelle vissute. Lalbero che vedo  verde: bene. Posso anche dire (poich verde  il nome non di un co- lore, ma di una classe di colori) che  un certo determina- to verde. Ma, di fatto, quello che vedo  una serie di sfu- mature cromatiche diversissime e continuamente varian- ti: ma tutte queste sfumature vissute sono adom- bramenti di quel verde, che , per cos dire, il colore oggettivo dellalbero. E cosi, secondo un celebre esempio di Moore, la forma del soldo  circolare; ma nelle espe- rienze vissute essa non  circolare se non raramente, e se il soldo lo guardano molte persone insieme, ciascuna lo vede con una forma (per lo pi ellittica) diversa. Ma la forma circolare  la forma obiettiva del soldo. Que- sti colori, queste forme, obiettivi non sono in realt dati nel senso in cui sono dati i loro adombramenti nell'esperienza vissuta: ma in un certo senso si costitui- scono sulla base di tali adombramenti. Qui, ovviamente, funziona una selezione: si stabilisce un'esperienza stan- dard la quale costituisce il colore, o la conformazione, o- biettivi  tra laltro (nel caso di costituzione di qualit standard in esperienze scientifiche, quali misurazioni, let- ture di scale graduate, ecc.) in modo tale che, pit o meno con lausilio di qualche legge matematica o fisica, gli adombramenti vissuti sono spiegabili a partire dallipo- tesi che la qualit vera sia quella standard. Lo stesso si ripete, in maniera peraltro assai pi com- plicata, per il passaggio dalle qualit all'oggetto. Questo non  un semplice fascio di qualit percettive: se cosi fos- se, non si potrebbe dire che muta, ma ad ogni mutamen- to di qualit dovremmo parlare di un nuovo oggetto. Se, per esempio, diciamo che una sbarra di ferro riscaldata di- venta rossa, qui presupponiamo che loggetto sbarra di ferro rimanga identico nonostante il fatto che alcune qualit (colore, calore) siano diverse. In altri casi invece una diversit di qualit porta ad affermare una diversit di oggetto.  costituita pertanto una specie di trama di identificazione  quella che la mitologica ontologia pre- kantiana chiamava sostanza, e che noi potremmo anche continuare a chiamare cos, purch con sostanza inten- diamo soltanto la funzione categoriale. Questa trama di identificazione funziona anche da cri- terio di selezione e da trama di riferimento. Le qualit vengono selezionate in qualit vere e costanti, costituen- ti proprie delloggetto, e qualit variabili oppure contin- genti: le prime appartengono a una qualit generica che  qualit propria dell'oggetto, ma nelle sue specificazioni pu variare (per es., un cane deve avere un mantello co- lorato, ma la lunghezza del pelo e la specificit del colore possono variare indefinitamente, o per lo meno entro li- miti molto ampi); le altre possono anche non esserci (una persona che diventa calva  ancora la medesima persona di quando aveva i capelli). La vecchia distinzione tra qua- lit primarie e secondarie, cara ai teorici secenteschi del- la scienza, aveva  tra laltro  anche questo significato; e cos, per esempio, Newton definisce esplicitamente: Quelle qualit dei corpi che non si possono n aumen- tare n diminuire, e quelle che si ritrovano in tutti i cor- pi sui quali  possibile fare esperimenti, si devono ritene- re qualit universali dei corpi  '. Non solo: ma nelle sintesi delle qualit nell'oggetto, la ! Philosophiae naturalis Principia Mathematica, Amstelodami 1723, p. 357. ( la terza delle regulae philosophandi). RETORICA E LOGICA 183 medesima trama funziona anche (insieme, ch le due fun- zioni sono interdipendenti) da trama di riferimento. Log- getto non  soltanto un fascio di qualit selezionate: ma tali qualit sono anche interconnesse, riferite le une alle altre, e, almeno ipoteticamente, formano un sistema uni- tario. E ad esse, e a loro ipotetici mutamenti inessenziali, si riportano, come dipendenti (magari in connessione con circostanze esterne) la presenza o lassenza di qualit acci- dentali e i mutamenti delle qualit variabili. Nella costituzione dell'oggetto funzionano indubbia- mente degli elementi formali (Husserl direbbe delle pop- gai intenzionali) della stessa natura di quelli che, quan- do si tratta di oggetti generali (regioni) e concetti si chia- mano categorie: non solo quella di sostanza  una ca- tegoria, ma lunit di ogni oggetto individuale  costitui- ta mediante una specie di categoria individuale. E funzio- na indubbiamente una intuizione eidetica, senza la qua- le non avrebbe neppure senso parlare di un oggetto co- me di una cosa permanente nei, e ad onta dei, mutamen- ti  anzi, a stretto rigore, non avrebbe neppure senso parlare di mutamenti). Ma nella scienza queste funzio- ni vengono esplicate dal sistema degli assiomi e delle leg- gi generali  le leggi scientifiche, le quali, ben lungi dallessere induttive (in realt sono assiomi, e nelle scien- ze meglio formalizzate addirittura tautologie), stabilisco- no i criteri per la formazione della nozione di oggetto re- lativamente alla regione loro propria: oggetto (corpo) fisico, oggetto (corpo) chimico, essere (corpo) viven- te, soggetto psichico, ecc. L'esperienza scientifica stes- sa  predeterminata, formalmente, da tali princip assio- matici, e con essa la formazione stessa degli oggetti di quella esperienza. Con ci non vogliamo dire che tali leg- gi siano innate, attinte a qualche mitologica natura della mente umana o a qualche ancor pi mitologico re- gno delle idee  certo, storicamente si sono formate sul- la base di esperienze, di scacchi e successi, di tentativi ed errori; come mostra ogni storia del pensiero scientifi- co, si sono venute estrapolando e successivamente raffi- nando dalle esperienze e nozioni della vita comune e del mondo-della-vita. Ma quella che  a priori  la loro fun- 184 RETORICA E LOGICA zione, non la loro origine, non il modo in cui sono entrate nel sapere scientifico, ma il modo in cui vi operano attual- mente. 3. Abbiamo detto che non ogni esperienza  esperien- za scientifica, e non ogni qualit empirica entra nella co- stituzione delloggetto scientifico. Funziona una selezione, la quale obbedisce a vari e complessi criteri. Uno dei pi importanti tra questi criteri , abbiamo det- to, quello dellintersoggettivit. Una volta si diceva og- gettivit: ma questa parola  troppo filosoficamente scre- ditata, e poi, se applicata allesperienza, la qualit che si- gnifica appare alquanto problematica. Diciamo, dunque, intersoggettivit (che non esclude loggettivit, ma lha per condizione-limite: ch ci che fosse, per avventura, oggettivo sarebbe, 4 fortiori, intersoggettivo). Naturalmente, non si pu definire che cosa sia linter- soggettivit. Se ne possono per indicare alcuni criteri, al- cune condizioni necessarie. La prima, la pi generica,  quella della ripetibilit. O- gni esperienza da sola, ogni esperienza che si presenta una volta e che transita nel flusso del vissuto, non  mai unesperienza scientifica, n si pu dire intersoggetti- va. Io stesso che lho vissuta non ne posso essere comple- tamente certo. L'esperienza scientifica  quella che, alme- no di principio,  ripetibile. E si noti bene, qui di princi- pio non vuole alludere ad una possibilit astratta, mera- mente logica, di ripetere lesperienza stessa: ma solo al fatto banale che molti, per tante ragioni contingenti, non sono sempre in grado di ripetere esperimenti scientifici, per i quali occorrono apparecchi, mezzi, circostanze adat- te (per es., uneclisse solare), ecc. Per questo la scienza ideale  piuttosto sperimentale che empirica; e quelle scienze che non possono divenire sperimentali, o possono divenirlo solo in parte, selezionano tuttavia quelle osser- vazioni empiriche che, per essere pi costanti, pi facil- mente si possono ripetere, e considerano (nella costituzio- ne dei loro oggetti) accidentali quelle qualit che si riferi- scono ad osservazioni non ripetibili o difficilmente ripe- tibili. Una seconda condizione  quella della descrivibilit in comune. Non un qualunque oggetto  un possibile ar- gomento di discorso scientifico: esso deve poter venir de- scritto. Unesperienza ineffabile, indescrivibile, non  una possibile esperienza scientifica, n pu venire invocata a verifica di un enunciato, o entrare in una generalizzazione empirica. Ma, si dir, una visione, unallucinazione, un so- gno, possono benissimo venire descritti. Sf, ma non ir co- mune: qui ritorna, appunto, la condizione pi importan- te e discriminante; la condizione dellintersoggettivit. Occorre che, almeno di principio, sia possibile che lespe- rienza possa venire vissuta contemporaneamente da pi osservatori, A, B, C, ecc.: non solo, ma che, sotto certe ipotesi abbastanza ovvie (e nella pratica facilmente rea- lizzabili con una soddisfacente approssimazione), ognuno di essi descriva quella esperienza nel medesimo modo: cio con i medesimi enunciati, o con enunciati che le con- venzioni linguistiche dei parlanti considerano sinonimi. Si noti bene: non si richiede affatto che le esperienze siano vissute nello stesso modo. Oltre tutto, la questione se due esperienze Ei ed E. (due perch vissute simultanea- mente da due diversi osservatori, o perch vissute in mo- menti diversi dal medesimo osservatore) siano vissute nello stesso modo , a stretto rigore, priva di senso. Psi- cologicamente, occorre che esse vengano inserite in  e ri- dotte a  un complesso di comportamento, dal quale sol- tanto si pu inferirne luguaglianza e la differenza. Dal punto di vista logico-epistemologico, quello che  rilevan- te  il comportamento linguistico. Se A in una determina- ta situazione di esperienza (cio quando  in atto una cer- ta percezione sensoriale) dice verde, e B nella medesima situazione dice pure verde, e ci si ripete costantemente (e ogni volta che, e fino a quando, si ripete), non occorre sapere se A e B vivono nel medesimo modo quella si- tuazione (cio se provano la medesima sensazione)  lesperienza  gi eo ipso intersoggettiva e comune tra A e B. N daltra parte sarebbe comunque possibile verifi- care le esperienze stesse cos come sono vissute. (Tra laltro, il vissuto  unipotesi o un limite, comunque una nozione puramente teorica). A questo punto il discorso si dovrebbe fare maledetta- mente complicato e difficile. Rimandiamo alle Meditazio- ni cartesiane di Husserl. Nellesperienza di ogni soggetto individuale viene a costituirsi una specie di sfera di appar- tenenza propria: c' un mondo che mi appartiene, che  il mio: sono le mie esperienze vissute, le mie routines, gli oggetti che in esse si vengono a costituire, le relazioni tra tali oggetti. Questa mia sfera di appartenenza (di me come singolo, come soggetto individuale) ha un nocciolo o centro  quello che i vecchi filosofi chiamavano il sen- so interno  e ha una periferia, o meglio un campo (ch si dispone in profondit), che va da questo centro (ossia dalle esperienze, ed oggetti correlati, pi strettamente connesse con il nucleo) verso una non ben delimitata pe- riferia. Intermedio  il mio corpo, con i suoi sensi, le sue risposte a stimoli, ecc.: ogni relazione tra il mondo cir- costante e il nocciolo dellesistenza propria si stabilisce tramite questa sfera di appartenenza che  il corpo. Nel campo della mia esperienza si presentano gli altri  i qua- li sono, sf, oggetti, ma non semplici oggetti, non cose: ch, attraverso esperienze di accordo e/o di conflitto, essi mi sono dati come altri io, altri soggetti individuali, ciascuno con il suo nucleo, la sua sfera di appartenenza, il suo orizzonte (entro il quale cado io). In comune si vie- ne a stabilire una zona, che  lo spazio comune in cui si collocano, si giustappongono, si relazionano, le sfere di appartenenza, i corpi di ognuno:  quello che chiamia- mo il mondo fisico  non nel senso di regione della scien- za fisica, ma nel senso di mondo corporeo (del mzi0 e degli altri corpi).  solo attraverso i corpi, nel medio del mon- do fisico, che i soggetti comunicano: cio, in altri termini, le esperienze comuni, descrivibili in comune, intersogget- tive, sono quelle che si collocano in questa sfera che  il mondo fisico. Di qui il deciso empirismo della scienza. Solo la rotitia intuitiva quinque sensuum verifica le asserzioni scientifi- che, le rende cio universalmente (intersoggettivamente) valide. Certo, uno psicologo pu trovare questa nozione dei quinque sensus, questa descrizione dellesperienza sen- soriale, arcaica, cio non vera (ch scientificamente arcaico significa non vero, 0, se si preferisce, non pi vero, confutato). Ma come astrazione filosofica essa resta pur sempre valida (a parte il valore numerale di quel quin- que): i cinque sensi restano le basi dellobiettivit co- me intersoggettivit. 4. Chiudiamo questa sezione con alcune osservazioni.  a tutti noto l'importante ruolo che hanno nelle scien- ze le matematiche  tanto che la loro presenza sembra un fattore decisivo per la scientificit di una disciplina che aspiri ad essere scientifica. Anche se questo non  del tut- to vero,  certo che le scienze pi rigorose, pi perfet- te  soprattutto le pi fondamentali ed esemplari: la- stronomia e la fisica classica  hanno tutta la loro par- te teorica formulata in linguaggio matematico. Le matematiche in se stesse sono apparse per secoli e secoli non solo come il modello della scienza come tale, ma come le scienze per eccellenza. Questo secondo punto  certo oggi assai controverso: personalmente, lo ritengo affatto erroneo e insostenibile. La matematica pura o  mero linguaggio, o per lo meno porta su oggetti mera- mente formali. In s non ha alcuna rilevanza nei riguardi dell'esperienza, di ci che si chiama volgarmente real- t. Se pure porta su oggetti, questi sono talmente astrat- ti e formali che ci troviamo proprio ai confini del valore semantico del termine oggetto. Perci la cultura scientifica pu cos poco identificarsi con la matematica quanto poco la cultura letteraria pu identificarsi con la poesia. Non per niente sono state os- servate (per esempio da Novalis) affinit tra la matemati- ca (pura) e la poesia: entrambe sono poste ai limiti, cio costituiscono dei puri linguaggi simbolici in cui luso del linguaggio in generale  forzato ai suoi limiti di significa- tivit  entrambe costituiscono per, per cosi dire, il fiore e insieme il campione per i valori tipici rispettivi delle due culture. Ed entrambe, poesia e matematica, divengono cultura solo in un piano di eteronomia, solo se, per co- si dire, riempite di contenuti di esperienza rispetto ai qua- li, in s, esse sono indifferenti. Nel campo epistemologico ci significa che la matematica entra come elemento costitutivo del sapere scientifico solo in quanto interpre- tata. Le nozioni matematiche ricevono uninterpretazione scientifica come misure  comunque poi vengano intro- dotti e definiti (nelle varie scienze) i concetti metrici. O- vunque pu farlo, la scienza (pi o meno, ogni scienza) so- stituisce ai meri concetti qualitativi concetti metrici. Que- sti adempiono ad una doppia funzione  o meglio, a due funzioni distinte ma connesse. (Lascio a chi ama favoleg- giare sulla genesi e le origini lindagare quale delle due sia venuta prima ad esistenza). Luna  quella, appunto, di essere interpretazioni di simboli matematici  e quindi di portare dentro la scienza il rigore dimostrativo e gli esem- plari procedimenti di calcolo (ragionamento astratto) del- le matematiche. Laltra  quella di conseguire la massima intersoggettivit possibile nella conoscenza umana. Certa- mente, anche nelle misure intervengono spesso elementi soggettivi: equazione personale, parallasse nellos- servazione dei segni, ecc. Ma, tutto sommato, le misure sono affidate a quel tipo di sensazione-percezione che  meno variabile da soggetto a soggetto, su cui  piu facile (anche se non assolutamente garantito) l'accordo degli osservatori. Sappiamo tutti che  pi facile accordarci su quanti gradi segna un termometro che non su generiche sensazioni termiche personali; e come persino nozioni gi di per s quantitative come vicino e lontano, alto e basso, giovane e vecchio divengano pi intersoggetti- ve se sostituite da nozioni metriche come distante metri m,alto metri , di et anni 4. Forse l'elemento comune a questi due aspetti (rigore razionale e intersoggettivit fattuale)  dato dal fatto che gli oggetti propri delle mate- matiche (sia pure interpretate) sono costituiti da relazioni ordinali tra oggetti in generale (quindi da strutture ordi- nali che sono alla base del linguaggio stesso nel suo uso lo- gico)  e che queste, non gli oggetti in relazione, sono pro- priamente intersoggettive. Non vogliamo qui discutere questo punto  uno dei pit ardui e controversi dellintera filosofia della scienza. Ma  certo che la cultura scientifica  venuta nei secoli sele- zionando le esperienze, costituendole, per cosi dire, in gerarchia. Non tutte le esperienze sono scientificamente va- lide; ma anche nelle motitiae quinque sensuum i quinque sensus non sono alla pari. La vista ha un indubbio status di privilegio regale, si che i suoi dati prevalgono net- tamente (tranne in pochissimi casi veramente ecceziona- li) su quelli delludito e del tatto  non parliamo poi del- l'olfatto e del gusto, di cui la scienza non fa quasi nessun conto. Varrebbe forse la pena (ma qui non  il luogo) di riprendere le tesi, solo apparentemente paradossali, di Berkeley nella Teoria della visione. La vista  certamente il pi astratto, il pi distaccato, il pi simbolico dei cin- que sensi: quello in cui i dati sono pi poveri di con- tenuti iletici e pi ricchi di rimandi e connessioni inten- zionali. In un certo senso almeno, potrebbe sostenersi (forse solo come metafora, ma efficace metafora) che la vi- sta  un linguaggio i cui significati sono i dati degli altri sensi. Per questo, forse  per il fatto di essere il pi sim- bolico, e quindi il pi formale, la vista  il senso pi in- tersoggettivo. 5. Unultima osservazione. Indubbiamente al flusso vissuto dell'esperienza appartengono altrettanto i momen- ti emozionali (che tanto rilievo hanno nella cultura lette- raria) quanto i contenuti propriamente percettivi. Ma le- sperienza scientifica , di diritto, costituita esclusiva- mente di questi ultimi: i primi, per quanto possano esse- re stati, psicologicamente e sociologicamente, importanti nel determinare la genesi della cultura scientifica stessa, non costituiscono contenuti legittimi  non costituiscono prove, in quanto non appartengono mai al significato (logico) dei concetti scientifici. Questo fatto  di estrema importanza: gran parte della polemica umanistica contro la cultura scientifica si fonda infatti su ci  che la scienza  indifferente ai valori, onde (nel linguaggio retorico) materialistica, meccanicisti- ca, ecc.  In ogni momento della storia in cui valori pi o meno sacri appaiono minacciati, risorge costante que- sta accusa alla mentalit scientifica. Ora, in un certo senso tale accusa  valida. Fa pena sentire scienziati e filosofi scientisti belare scuse come scolaretti colti in castagna, giurare che la scienza  sensibile ai valori, anzi religiosa  e con ci rinnegare quella stessa che  la struttura fondamentale della conoscenza scientifica, la sua prima regola di metodo, e in ultima ana- lisi anche il suo massimo pregio  la Wertfreibeit. La scienza non  morale, come non  morale larte, come non  morale il diritto: non  un mondo di valori, ma una complessa forma dello spirito oggettivo che si organizza attorno ad uno specifico e intrinseco valore immanente  diciamo, nel caso della scienza, la verit, ma sarebbe pi esatto dire la verit scientifica. E questa ha tra le sue strutture fondamentali lintersoggettivit, la massima possibile intersoggettivit  per tornare ad usare la termi- nologia di Perelman, il rivolgersi alluditorio (idealmen- te) universale. Non voglio entrare qui nel problema della privaticit o meno delle emozioni  una questione che, se pure ha un senso (del che dubito),  comunque molto dif- ficile da risolvere. C per un fatto chiarissimo e incon- testabile: che le emozioni sono pochissimo intersoggetti- ve, simili in ci a quelle sensazioni che la scienza tende a eliminare o a risolvere in altre pi simboliche. Inutile di- re che tutti gli uomini provano emozioni: certo, tutti gli uomini, e non solo essi (per lo meno anche tutti gli ani- mali), provano emozioni  ma non sono le stesse in tutti, o per lo meno mancano affatto quelle strutture linguisti- che, discorsive, simboliche che possano renderle tali. Ora, io non penso che i valori consistano di emozioni  ossia, per parlare in modo meno mitico, che i giudizi di valore possano ridursi semplicemente allespressione di emozioni. Certamente il discorso valutativo ha una strut- tura assai complessa, come una struttura assai complessa hanno le attivit rivolte alla realizzazione di valori: en- trano in gioco funzioni a livello fenomenologico pit ele- vato  desideri, interessi, sentimenti, autovalori... Ma lErfillung, la ultimatio intuitiva e verificante di un di- scorso valutativo per quanto complesso  pur sempre unapprensione emozionale (o un insieme di apprensioni emozionali) di un valore elementare, di un valore-emozio- ne (o di un insieme di tali valori). E a questo livello viene meno ogni certezza di intersoggettivit:  questo il limite che di fatto incontrano sempre il discorso valutativo e la comunicazione di valori. Per questo lidea stessa di verit scientifica esige che la scienza sia immune da valutazioni. La contaminazione con valori genera una pseudo-scienza e una cattiva filo- sofia. III. Lanima, ossia la forma, di una cultura  la sua no- zione di verit. Questa non  propria della sola cultura scientifica (anche se, nella nostra civilt, tende a identifi- carsi con questa), ma di ogri cultura. Verit esprime la validit come tale del prodotto culturale, ne riassume il valore dal punto di vista formale  il suo contrario  ler- rore, ossia la scoria, ci che non vale, ci che occorre eli- minare. Errore/verit costituisce una coppia filosofica fondamentale di ogni discorso, di ogni tipo di discorso  anzi, pi ancora che apparenza/realt, costituisce la ve- ra e propria coppia fondamentale. Ed  appunto nellac- cezione della verit che vogliamo qui confrontare le due culture. Riprendiamo quindi il confronto tra le due  lo- giche   la logica del discorso umanistico, ossia la reto- rica, e la logica del discorso scientifico, ossia la logica tout court. I. A questo scopo ci sembra sommamente istruttivo ritornare su quei tipi di sofismi di cui parlano i logici del Seicento (noi ci siamo riferiti alla Logigue de Port- Royal e al Saggio di Locke). Questi sofismi non sono af- fatto le fallaciae classiche: non sono propriamente errori di logica formale, e perci in senso stretto non apparten- gono alla Logica. Perci n Aristotele, n i suoi continua- tori antichi e medievali ne hanno fatto cenno. Non sono sofismi nel senso di uso scorretto di forme logiche: so- no sofismi soltanto perch sono forme di argomenta- zione del tutto extralogica. Ed  proprio in questo senso che sia gli autori di Port-Royal sia Locke li criticano: che in ii propriamente, non provano, logicamente, nulla. Questo fatto dovrebbe farci riflettere: i cosiddetti so- fismi ad hominem, ad verecundiam, ad ignorantiam, non sono affatto sofismi. Sono forme di argomentazione per- suasiva, non forme fallaci di dimostrazione: non dimo- strano nulla (neppure in maniera scorretta) perch il loro scopo  retorico, non logico, e quindi mirano alla persua- sione, non alla verit. Sf: ma soltanto ove sia distinta questa da quella, ove la a\m0era si venga ad opporre alla $6ta. Poich questulti- ma  il modo concreto di essere della verit, il suo mo- do di presentarsi, e di vigere, come valore sociale. L#v- Sotov, quel probabile di cui parla Aristotele nella Re- torica,  quello che vige nei rapporti umani, che vige nei tribunali e nelle assemblee. Ora, proprio nellanalisi di Aristotele, ripresa e approfondita da Perelman, lautorit, e in genere la qualit personale di coloro da cui proviene l'opinione,  fondamentale per stabilire il probabile. Con il considerare dei sofismi gli argomenti che muo- vono dalle qualit personali di coloro che sostengono cer- te opinioni, i logici moderni (gli autori dell'Art de Penser e Locke) vengono eo ipso ad opporre un diverso concet- to di verit: un concetto per cui verit diviene una no- zione puramente logica, fondata su evidenze non-valuta- tive e indipendenti (almeno di principio) da rapporti e qualit umane, su evidenze inerenti alloggetto e agli elementi puramente gnoseologici essenziali alla costituzio- ne delloggetto stesso. 2. Se ripensiamo la polemica pascaliana delle Provin- ciali contro il probabilismo etico-teologico alla luce di quanto abbiamo detto sopra, essa ci si illumina di una lu- ce particolare. Sospendiamo, almeno per un momento, la simpatia quasi istintiva che suscita in noi lautore delle Provincia li, e cerchiamo di metterci da un punto di vista storico pi distaccato. Che senso aveva il probabilismo di quei teo- logi? Due punti qui vanno presi in particolare considerazio- ne. Il primo  il criterio, diciamo, formale di probabilit: probabile  l'opinione di un autore illustre  per lo meno che sia abbastanza illustre per rendere probabile la sua opinione. Evidentemente, c un circolo. Ma forse lo giu- dichiamo tale alla luce di una logica che non  quella pro- babilistica  cio, semplicemente, alla luce della logica. Ma la situazione concreta  etico-teologica: la situazione del confessore che deve giudicare nel foro del confessionale.  molto simile alla situazione del giudice  il quale dipen- de, nel suo giudizio, dalla lettera della legge, ma anche dal- la giurisprudenza. E cost il confessore ha i dieci comanda- menti, le loro interpretazioni dogmatiche, ecc., ma anche i pareri di illustri teologi morali  questi sono la sua giu- risprudenza. Egli si trova di fronte alla responsabilit di un giudizio; non solo, ma, attraverso lui,  tutta la Chiesa che giudica. La probabilit  questo appoggio giurispru- denziale,  questo dividere la sua responsabilit con uomi- ni che sono, o sono stati, eminenti in seno alla Chiesa stes- sa, e quindi in qualche modo ne costituiscono lespressio- ne. Il giudizio di quei teologi morali probabilisti si collocava in un concreto storico e aspirava ad essere vali- do in quel concreto. Il secondo elemento  appunto questo. Essi non vole- vano giudicare gli atti in abstracto, misurandoli semplice- mente al metro della lettera della legge. Giudicavano atti concreti di uomini in carne ed ossa: cercavano di riporta- re il peccato, o presunto peccato, alla qualit personale e alla situazione reale del peccatore. La direzione dinten- zione e il giudizio su questa erano certo forme molto goffe per esprimere queste esigenze; e per di pi (ovvia- mente ha ragione Pascal) si prestavano a infinite ipocrisie, ad abusi di ogni genere. Ma lesigenza era proprio questa: di dare un giudizio valido in un concreto umano; l'equit qui prevaleva nettamente sulla certezza della legge. A ci lanima giansenista di Pascal sembra rispondere qualcosa come umano, troppo umano. Ma non  que- sto il punto che qui ci interessa.  invece la risposta di Pa- scal come uomo della cultura scientifica che vogliamo ca- pire; e la risposta  io voglio la verit, non la probabili- t. Una verit assoluta, logica, che deduca il giudizio dal precetto e il precetto dalla legge. Se la legge dice non uccidere, non  lecito il duello, e ogni uccisione in duel- lo  peccato. N lanalisi delle circostanze (quale la classe sociale cui appartengono i duellanti), n lanalisi dellin- tenzione (per esempio, non quella di uccidere, ma quella di difendere il proprio onore), n il parere di illustri teo- logi possono togliere l'evidenza razionale di una tale de- duzione: il comandamento divino  assoluto, e altrettan- to assoluto  il valore del sillogismo che ne deduce il sin- golo giudizio nel caso concreto. Siamo cosi al punto: la cultura umanistica si volge ver- so una validit entro un concreto umano, storico, psico- logico, sociale; la cultura scientifica opera con lidea di un valore assoluto, lidea di verit. Questo  forse il pi profondo significato di quellantinomia tra opinione (o probabilit) e verit, tra retorica e logica, che da Pla- tone arriva fino a noi  anche se oggi si presenta camuffa- ta in forme pi sottili. La validit  tipica del giudizio di valore: un giudi- zio che non sia una proposizione, vale o vige, non  vero o falso; la verit  tipica dellenunciato scientifico, che  una proposizione significante, e si verifica o falsifica nel rapporto con l'oggetto, con il vnua, che in quello (e nel sistema di enunciati cui esso appartiene) si costituisce. Ti- pico della cultura retorico-letteraria  il riportare la verit a validit, o meglio il fare della validit il criterio della verit stessa: donde i criteri della autorit (i sofismi della trattazione di Locke), il criterio del consensus gen- tium; criteri che la cultura scientifica respinge come, ap- punto, sofistici, cio estranei alla verit, eteronomi ri- spetto allimmanente autonormativit del sapere stesso. 3. Prendiamo brevemente in esame unaltra tipica no- zione: quella di paradosso. Essa appare subito equivoca. Logicamente, e nelluso scientifico, un paradosso  una contraddizione  e nullaltro che una contraddizione. In questo senso si parla di paradossi dellinfinito, para- dossi della teoria degli insiemi, ecc.  Ma nelluso uma- nistico e retorico paradosso  unaltra cosa: unopinio- ne pu essere paradossale anche se del tutto scevra di contraddizioni, anche se lenunciato di essa  del tutto RETORICA E LOGICA 195 coerente con il sistema di enunciati di cui fa parte. Para- dosso  ci che va contro le opinioni, o i sentimenti, dei pi, o contro le opinioni tradizionali, ecc.  Le opinioni o i detti di uno scrittore, di un oratore, di un causeur in un salotto vengono qualificati paradossali se in qualche modo urtano contro il senso comune  cio, appunto, con- tro lopinione sociale. Siamo dunque di fronte a due diversi criteri dell erro- re  come violazione del principio logico o come viola- zione della 86ta. Di conseguenza, ovviamente, a due di- versi criteri della verit. Da una parte, in quella cultu- ra che ha nella retorica il suo organo, il criterio della ve- rit  fondamentalmente il consensus gentium: l'opinione umana, vigente nel concreto sociale, sulla base di cui si or- ganizza la vita sociale stessa, secondo i contenuti della quale si forma quella comune Lebenswelt che  il princi- pio di ogni esperienza individuale (intendo, dellindividuo sociale concreto) come di ogni comunicazione.  quello che si suole chiamare senso comune, spesso confuso con il buon senso o addirittura con la ragione.  lecita questa confusione? Stando alla definizione car- tesiana di buon senso  la capacit di distinguere il vero dal falso  e alla generale accezione filosofica del termine ragione, si deve dire che ben altra cosa sono il senso co- mune e il buon senso. Per . . . Qui  proprio un caratteri- stico punto di divaricazione delle due culture. Per la cul- tura scientifica (e per quella filosofica che nasce da que- st'ultima) lidentificazione  senzaltro da respingersi: non  affatto. detto che il senso comune sia il buon senso. Per la cultura umanistica le due cose si identificano: levi- denza umana, psicologica (cio socialmente e storicamen- te condizionata), costituisce la base delluniversalit con- creta, della validit universale delle opinioni. Vero  che anche nella cultura umanistica non sempre il senso comune  criterio di verit:  corrente il concetto che il volgo  ignorante, si inganna facilmente, anzi vuol essere ingannato; che contano le opinioni dei sapienti, anzi (in materie difficili) dei pi sapienti: di qui il criterio dellauctoritas. Si, ma in quanto, da una parte si postula O si presuppone concretamente una societ gerarchicamente organizzata  una societ che distingue (non im- porta qui se tale distinzione corrisponda o meno ad una gerarchia di classi sociali) il volgo dalla gente dotta, gli ignoranti dai sapienti, ecc.  In tal caso la classe eletta  rappresentativa: il privilegio ad essa accordato, di essere depositaria della verit, non dipende  o non dipende tanto  dallessere tecnicamente pi esperta in certi argo- menti (come  il caso nella analoga gerarchizzazione in se- no alla cultura scientifica), quanto dalla qualit personale di coloro che la formano, dal fatto che questi vengono re- putati pi pienamente uomini. Per questo la civilt scientifica pu apparire, soprat- tutto nei suoi momenti polemici, pi democratica. Il buon senso, dice Cartesio,  la cosa meglio distribuita tra gli uomini: nessun uomo, come tale, ne  il rappresen- tante o il portatore. Nelle scienze non ci sono auctores: la scienza  di tutti, la verit non ha padrone. Ma osservia- mo subito che questo non significa restituire al consensus gentium o alla $6a ro\}.Wwv i diritti usurpati dallaucto- ritas. Il buon senso non  affatto il senso comune. La lo- gica scientifica muove, come ogni umana attivit, dalla co- mune Lebenswelt: ma opera contro di essa, sostituendo- ne alle rappresentazioni ingenue le concezioni scientifica- mente elaborate. La verit non ha padrone,  vero: ma questo non signi- fica affatto che essa sia patrimonio collettivo. La scienza potrebbe far suo il detto di Eraclito: uno  per me come diecimila, se  il migliore. Ogni singolo la pu conosce- re: e una volta che labbia riconosciuta (cio fondata e provata) essa vale per tutti, anche per coloro che non la conoscono, o non la riconoscono. Ove si ponga in contra- sto con la verit scientifica, lopinione  ogni opinione, per quanto diffusa e accreditata  scade a pregiudizio e fi- nisce nel folklore. Non ci ha trattenuto il fatto che illustri pensatori del passato avessero creduto allastrologia o alla magia o alle streghe: una volta riconosciute come scienti- ficamente false e infondate, tali rappresentazioni sono fi- nite nel bidone delle spazzature in cui si accumulano i pre- Ei, o nei musei di anticaglie degli eruditi o dei fol- oristi. Mentre dunque la verit umanistico-letteraria  un va- lore legato alluniversale concreto, storicamente determi- nato, la verit scientifica  un valore che si appella ad una libera ideale universalit umana in generale. Libera nel senso che essa non riconosce alcuna autorit come tale  n di uomini, n di dotti, n di tradizione: che anche un solo scienziato pu riconoscerla e farla valere contro le opinioni anche pi venerande e accreditate. Ideale per- ch essa , in un certo senso, astratta, cio (meglio) for- male: i suoi criteri sono criteri formali, in un certo senso a priori, rispetto ad ogni possibile esperienza e ad ogni possibile discorso. Non  all'uomo concreto (sociale) che essa si rivolge, ma ad un ideale uditorio universalmente umano, definito soltanto, ed esclusivamente, dalloperare e giudicare con quei criteri. 4. E qui torna a proposito una precisazione. Un letto- re esperto di epistemologia contemporanea, leggendo le righe di sopra, potrebbe aver scosso la testa: averci trova- to una concezione della verit scientifica retorica e al- quanto arcaica. Effettivamente, epistemologi pragmatisti e neopositivi- sti (alludo soprattutto alla teoria della coerenza: Car- nap, Neurath, Hempel, ecc.) hanno messo in evidenza co- me nel campo scientifico vigano criteri di autorit sociale e, soprattutto, di consensus degli scienziati. Da questo punto di vista questi ultimi costituirebbero una specie di cultura in senso antropologico, cio un particolare grup- po sociale, e la verit scientifica sarebbe in ultima analisi funzione del corsersus di tale gruppo, con le sue eventua- li auctoritates. Infatti, tutta la matematica di livello superiore presup- pone una matematica intuitiva (per esempio, larit- metica dei numeri interi positivi o la geometria intuitiva elementare) che costituisce al contempo e linterpretazio- ne normale (o anche, meno direttamente, linterpretazione normale di interpretazioni) delle teorie pi formalizzate e, in definitiva, la base per tutte le tecniche di controllo della consistenza delle teorie e della completezza dei loro sistemi di assiomi. Ma questa matematica intuitiva, ove non ci si voglia appellare a troppo problematiche for- me di intuizione intellettuale, non ha che unevidenza, diciamo, psicologica; di fatto siamo di fronte piuttosto ad una matematica preliminare, presupposto attivo e indi- scusso di tutte le costruzioni pi elevate. Tale prelimi- narit significa, in fondo, tradizione: sono matematiche antichissime, le quali, per non risalire anche pi indietro, ci vengono dai greci e hanno attraversato tutta la storia della nostra civilt scientifica. Un discorso analogo, anche se non proprio del tutto identico, si pu fare per le scienze vere e proprie. Pren- diamo pure la fisica; ch quello che a questo proposito va- le per essa vale 4 fortiori per tutte le altre. Anche qui, da varie parti si  messa in rilievo la presenza di una fisica preliminare  la fisica delle grandi leggi scientifiche (t;- po principio di inerzia), soprattutto la fisica degli ap- parecchi (tra cui la fisica degli organi di senso animali, in particolare umani): questa entra in gioco gi al livello elementare dei cosiddetti protocolli, delle semplici re- lazioni circa osservazioni ed esperimenti. Questa fisica preliminare  fuori discussione: ogni contraddizione spe- rimentale con essa  a priori impossibile (perch ogni esperimento la implica nel suo significato), ogni contrad- dizione teorica con essa rende contraddittorio lintero si- stema (appunto perch i fatti di esperienza che do- vrebbero sostenere una teoria in contraddizione con la fi- sica preliminare ne presuppongono la verit come condi- zione della loro stessa validit). In fondo, la teoria del- la coerenza  meno paradossale di quanto appaia a prima vista: ch di fatto ogni relazione intorno a pretesi esperi- menti ed osservazioni empiriche che entri in contraddizio- ne con i postulati stessi dellosservazione scientifica non pu venire ammessa come valida. Anche qui, come nel caso delle matematiche, leviden- za, il privilegio, di questa fisica preliminare  un fatto di tradizione. Ogni scienziato, per essere un vero scienziato anzich un dilettante, per avere unautorit scientifica, de- ve possederla: a questo riguardo essa  un requisito assai pi fondamentale che non la conoscenza di elevate dottri- ne scientifiche o la capacit di maneggiare difficili calcoli. La cosa si fa ancora pi pesante se si scende al livello degli esperimenti stessi. Non ogni esperimento, fatto da chicchessia, ha valore scientifico: occorre che provenga da istituti e laboratori seri, sia fatto da ricercatori seri, che godono di credito. Sembra dunque che una delle pi essenziali distinzioni tra le due culture venga cos a cadere. E in un certo senso ci  anche vero: le due culture non sono certo nate e fio- rite una su Marte e laltra sulla Terra  sono due momenti e aspetti di una medesima civilt, si sono trasmesse e con- tinuano a trasmettersi in modo quasi identico, le rispetti- ve discipline vengono insegnate nelle medesime scuole, a volte persino dai medesimi maestri . .. Le istituzioni che organizzano, diffondono, trasmettono le produzioni dello spirito sono costituite in un certo modo: sono fatti emi- nentemente sociali, dominati quindi dalla logica (di- ciamo cos) della vita sociale e delle istituzioni stesse. Non  a questo livello pragmatico che potremo trovare essen- ziali differenze: esse riguardano la forza, cio il criterio formale, ideale, di validit. Fd  qui che, nonostante tutto, la verit scientifica rimane diversa dalla probabilit o validit retorico- umanistica. Gli aspetti sociali e tradizionali della verit scientifica riguardano la prassi, la dimensione pragmatica, non la validit ideale. N la matematica n la fisica preli- minare sono di principio dei tabi: pesanti rivoluzioni scientifiche le hanno a volte messe in forse, le hanno an- che modificate. Ma comunque il loro carattere tradiziona- le non conferiva loro eo ipso validit, verit: quegli scien- ziati conservatori che si sono mostrati pi restii ad accet- tare rotture nella tradizione non hanno invocato n la santit di questa n il peso degli auctores che laveva- no costituita; si sono limitati, pragmaticamente, a racco- mandare prudenza nellaccettazione di novit che non era- no completamente sorrette dal peso dellevidenza scienti- fica  ma questultima  rimasta pur sempre il criterio, pragmaticamente decisivo, teoreticamente unico, della ve- rit. Laritmetica dei numeri interi positivi, la geometria elementare euclidea devono, certo, il loro privilegio alla loro antichit: ma solo nel senso che, essendo discipline coltivate da molti secoli, e praticamente esaurite, non han- no mai rivelato la presenza di contraddizioni; a questo, non al genio o allautorit dei loro fondatori, ci si appella quando si usano come criteri per altre discipline matema- tiche. Dove il criterio sociale e l'autorit appaiono pi costi- tuzionali nel sapere scientifico  proprio nel settore spe- rimentale. Per quanto ci possa sembrare strano,  questo il campo in cui lindividualit dello scienziato  meno li- bera, lautorit pi forte. Ci dipende, ovviamente, dal fatto che il settore sperimentale  proprio il luogo in cui  posto il criterio assoluto della verit scientifica, il banco di prova e il tribunale dultima istanza per le teorie con- correnti. Per, anche qui, lautorit  pragmatica, come  pragmatico il criterio sociale. Ogni esperimento  valido solo se  fatto secondo canoni determinati e osservato da osservatori buoni (fisiologicamente bene, normalmen- te, dotati se sono uomini, apparecchi ben costruiti se sono apparecchi): ma quando queste condizioni sono sod- disfatte, esso  sempre valido. Lautorit dellistituto di ricerche o del ricercatore vige solo per la presunzio- ne  meramente pragmatica  che in quellistituto o da parte di quel ricercatore si lavori bene, cio conforme- mente ai canoni del metodo sperimentale: e contro questi ultimi non c autorit o tradizione che tenga. 5. Passiamo ora ad unultima differenza essenziale re- lativa alla struttura del giudizio scientifico nei confronti di quello umanistico-retorico: la presenza o meno dellele- mento valutativo. Quest'ultimo  talmente essenziale alla verit retorica che, come abbiamo visto,  stato consi- derato dai pi seri sostenitori della cultura letteraria come il suo elemento peculiare e differenziale. Mentre  noto a tutti che (almeno nel suo puro ideale teoretico) la scienza  wertfrei. Ritorneremo su questo argomento, cui dedi- cheremo lultimo capitolo di questo libro. Per ora qui li- mitiamoci ad alcune annotazioni pi consone al tema di questa sezione. C' una forma di argomentazione che  assolutamente tipica della cultura letteraria  argomentazione che contamina un punto di vista axiologico (per esempio, morale: ma non necessariamente) con un punto di vista ontologi- co. La sua forma generica potrebbe cos schematizzarsi: p deve essere vero perch p  bene (oppure: p de- ve essere falso, perch p  male); oppure, in forma ge- neralizzata: p implica q; q  male; dunque p deve essere falso. Di questo tipo di argomento usano, e abu- sano, soprattutto i filosofi aspiritualisti quando criticano dottrine di ispirazione scientifica (o anche no) per le loro (reali o presunte) conseguenze etiche: per esempio, il ma- terialismo e il determinismo, oppure lo scetticismo, ecc. Ma tale modo di ragionare si trova anche presso altri pen- satori, come alcuni pragmatisti (James lo ha addirittura teorizzato nella Volont di credere) o neomarzxisti (si ri- cordi la critica alloggettivismo borghese e la connes- sa affermazione della partitariet del sapere). La scienza ripudia questa forma di argomentazione: es- sa respinge ogni contaminazione di punti di vista descrit- tivo-esplicativi con punti di vista valutativi. Anche se nel concreto psicologico percezione ed emozione sono inscin- dibili, nellastrazione scientifica avviene una royn) del momento emozionale, un isolamento del momento rap- presentativo puro. La scienza non conosce n il bene n il male, n il bello n il brutto, n il desiderabile n lavver- sabile  conosce solo il vero e il falso, ci che  e ci che non . Spinoza  stato forse il pi nitido assertore di que- sto puro ideale teoretico  salvo poi caricarlo, a sua volta, di valori religiosi, facendone il quadrato rotondo di un amor intellectualis. E successa qui la stessa cosa che accadde alla forma di argomentazione retorica dichiarata sofisma dalla Logi- ca secentesca: quel tipico modo di argomentazione  stato chiamato, nel nostro secolo, fallacia del moralista   stato quindi considerato un modo di argomentazione logi- camente (scientificamente) scorretto. Il fatto che p sia be- ne (o male) non implica che p sia vero (o falso): se pio- ve, lenunciato piove  vero, anche se mi dispiace, anche se oggettivamente  male, che piova. Vuol dire che ci si metter rimedio: ma il fatto  il fatto, e non pu venire negato. Discorso anche troppo ovvio, ma di una ovviet che viene dimenticata non appena si sale a fatti di ordine in- tellettuale pi elevato, e quando sono in gioco valori pi pesanti. In tempo di guerra la previsione fattuale, scienti- fica, della sconfitta del proprio paese  considerata di- sfattismo. E il medesimo ragionamento di sopra, se ap- plicato ad argomenti morali trova subito degli oppositori. Per esempio: se la tesi del determinismo scientifico  ve- ra, e se  vero che il determinismo rende illusoria la mo- rale, la morale  illusoria  un ragionamento del genere non verr accettato dal moralista di tipo letterario, che subito anzi ne concluder dunque la tesi del determini- smo deve essere falsa  commettendo cos la sua tipica fallacia. Ora, a me sembra chiaro che anche qui sono in gioco due diverse nozioni di verit: la verit scientifica che, eliminati i momenti emozionali, fissa soltanto i momenti rappresentativi dell'esperienza, ed elabora una nozione di oggetto e di fatto costituita di questi soli momenti; la verit (o meglio probabilit) umanistico-retorica che si muove nel concreto psicologico della rappresentazione-e- mozione. O anche: una cultura che subordina il momento pura- mente conoscitivo al concreto sociale, al mondo umano di valori vigenti entro una societ; una cultura invece che, libera da ogni vincolo storico e sociale, elabora una no- zione universalissima per ogni tempo e luogo, per ogni uomo al di l dei suoi concreti condizionamenti psicologi- ci e sociali. IV. Passiamo cosi allultima sezione di questo saggio, desti- nata ad un altro tema  quello dellatteggiamento etico e morale delle due culture. Ch indubbiamente, investendo ciascuna lintera sfera della civilt rappresentano ciascuna un diverso modo complessivo di porsi delluomo di fronte al cosmo, al proprio destino e allumanit stessa. La stessa Wertfreibeit della scienza  fondata, come atteggiamento RETORICA E LOGICA 203 volontario, come roy compiuta deliberatamente e me- todicamente, da una norma derivante da quel valore fon- damentale e centrale che domina la cultura scientifica: la verit. Mentre la sensibilit ai valori che domina la cul. tura umanistico-letteraria implica al contrario una scarsa sensibilit verso la verit (in senso stretto), che in essa tende a scadere a valore secondario, quando non addirit- tura strumentale. Volgiamo quindi lattenzione a questo aspetto delle due culture. 1. Riprendiamo il tema perelmaniano dell uditorio - unutile fictio, che serve egregiamente, con la sua tra- sparente metafora, a mettere in luce le strutture essenzia- li del discorso in quanto tipico di una cultura. Ricordiamo che il discorso retorico, persuasivo, si ri- volge sempre ad un uditorio limitato e antropologicamen- te qualificato  per sesso, et, grado di cultura, convinzio- ni preliminari, ecc. ecc.  Esso muove da tali qualit  an- zi, il suo presupposto  appunto la qualit delluditorio. Pi luditorio  vasto (vale a dire, come abbiamo visto, eterogeneo), pi la sua qualificazione risulta indetermina- ta, e di conseguenza pi rade e pi formali (ossia ricche di variabili e povere di costanti descrittive) diventano le sue condizioni preliminari, o  come si potrebbe anche dire usando il termine con una certa libert  le sue premesse materiali. AI limite, troviamo luditorio universale: natural mente, anche questa  una fictio, ma una fictio fortemen- te operativa, in quanto luniversalit  esigenza caratteri- stica del discorso scientifico (e del discorso filosofico in quanto assuma, nella sua ideale essenzialit, il discorso scientifico come proprio modello): ma lessenziale qui non  tanto il fatto delluniversalit cos in genere (che forse  esigenza di ogni cultura), ma del tipo di universa- lit di cui si tratta. I filosofi razionalisti in genere l'hanno descritta come universalit necessaria  dove questo aggettivo necessario rischia di essere quasi pi importan- te del sostantivo. Essa rimanda, pit che al contenuto, alla forma stessa del discorso, al rapporto tra premesse e con- 204 RETORICA E LOGICA seguenze, e alla contraddittoriet che deve vigere tra la negazione del conseguente e laffermazione dellantece- dente affinch linferenza sia corretta (cio necessariamen- te, non contingentemente, valida). Emozioni, sentimenti, convinzioni, ecc., per quanto possano essere diffusi, non sono mai universali; tanto meno nel senso di necessaria mente universali. Solo la forma logica del discorso  tale. Naturalmente, questa  un limite: la logica pura, o an- che le matematiche pure, now sono la cultura scientifica (anzi,  persino abusivo chiamarle scienze), come (e for- se a maggior ragione) la poesia non  la cultura letteraria. Si tratta per in ogni caso di campioni o ideali, di forme che determinano lessenza della regione culturale cui si ri- feriscono. Abbiamo gi visto come la realt del sapere scientifico sia assai pi complessa (e anche assai pi pro- blematica). Ma qui lessenziale sta nel cogliere due aspet- ti: da una parte dei tipi di discorsi che si rivolgono sem- pre ad un pubblico determinato, e vigono in connessione con emozioni, sentimenti, opinioni, ecc., preliminari di questo medesimo gruppo; dallaltra un tipo di discorso che si rivolge a un pubblico idealmente universale, ossia idealmente indeterminato, nel quale non si presuppongo- no (idealmente) opinioni preliminari, ma al quale si pre- sentano soltanto evidenze necessarie: siano esse le eviden- ze apodittiche della logica e matematica, oppure le evi- denze dellesperienza percettiva pura (con royn di senti- menti e quindi valori). Ora, la sfera dei sentimenti, convinzioni, ecc., comuni e istituzionalizzati in una societ si chiama costuzze. Le sue istituzioni hanno una certezza concreta, ma condizio- nata  nel costume luomo  appoggiato, protetto, ma non  libero, la sua autotrascendenza  da una patte limitata da tab, dallaltra diretta verso certe forme determinate dalle consuetudini e dalle istituzioni. Di contro, la cultura di tipo scientifico si appella ad una libera universalit: essa  indipendente (almeno de jure, come esigenza implicita nella propria forma) dalle concre- tezze condizionanti del costume  pu, quindi, eventual- mente, rivolgersi criticamente contro di queste. Non si appoggia n al numero n allautorit, n al consensus n RETORICA E LOGICA 205 alla tradizione, ma all'evidenza. Uno pu valere per tutti (anche se in pratica ci accade assai raramente), n tutti fanno la verit. 2. Risale, mi sembra, a Hegel la celebre e importante distinzione tra eticit (Sifzlichkeit) e moralit (Mo- ralitt). Le due parole sono varianti derivate da etimi si- nonimi; e non  un caso, perch la distinzione stessa  re- cente, ed  ben lungi dallessersi imposta nelluso. Eppure  una distinzione, credo, di estrema importanza, senza la quale lintera filosofia della morale  destinata a brancola- re tra gli equivoci: poich siamo di fronte a due tipi di va- lore ben diversi, aventi un posto ben diverso nella gerar- chia dei valori, e strutture diversissime. In comune hanno soltanto lessere valori pratici, cio relativi al comporta- mento volontario (consapevole) degli uomini  ma i valo- ri pratici sono molti, e non vanno confusi gli uni con gli altri per la semplice affinit di genere. Leticit coincide concretamente con il costume: si arti- cola in istituzioni, tradizioni, routines fissate da canoni so- ciali:  senso comune pratico. Forma un sistema chiu- so, nel senso che i suoi istituti, i suoi #45, le sue norme si motivano gli uni con gli altri  secondo lo schema generi- co che, per es., bisogna essere onesti se si vuol godere della stima degli altri, e la stima degli altri  indispensabi- le per poter vivere onestamente: s che, come ha osser- vato molto giustamente Veblen, toccare un istituto signi- fica mettere in crisi lintero ethos sociale  donde laccani- mento dei conservatori nella difesa anche di singoli istitu- ti, persino secondari, nel timore che la piccola frana di un punto non finisca col produrre una frana generale . La moralit  invece unaltra cosa. Di solito, da Hegel in poi, la si considera quel tipico valore pratico che  stato teorizzato da Kant: essa risiede unicamente nella volont razionale, che, come la rousseauiana volont generale, non  n la volont di un singolo (come tale), n la volon- t di tutti (come insieme dei singoli), bensi  volont del- luniversale necessario. Ossia,  libera universalit, in cui 1 Cfr. il cap. Iv di questo volume. la volont, in quanto razionale, si fa legislatrice universa- le indipendentemente da ogni circostanza empirica (stori- ca) determinata. Essa quindi (un quindi che invano si cercherebbe in Kant, per lo meno in modo esplicito) non  legata al costume, ma anzi pu porsi criticamente di fronte al costume, giusta lantichissimo ideale socrati- co; non  legata alla $6Ea, ma anzi nasce da una sospen- sione di questa (anche se, a volte, finisce per convalidarla e ricostituirla, ma con altre motivazioni - comunque non pi come $ta). La chiusura delleticit non  soltanto formale (cio circolarit delle motivazioni), come non soltanto formale  lapertura della moralit. Si tratta anche di un modo diverso di assumere i contenuti. Leticit, per la sua stessa natura di comportamento sociale, di costume, si riferisce necessariamente ad un gruppo sociale, ed , struttural- mente (se si potesse dire, direi volontariamente, con- sapevolmente ') ad esso relativa: non  costume cos in generale e in astratto (il che sarebbe persino privo di senso), bensi i/ costume di un gruppo: un popolo, una na- zione, una razza, un partito, un clan, una gang ... Carat- teristico delleticismo  di essere sempre o nazionalista o razzista o partitario o chiesastico..., di essere sempre chiu- so in un gruppo sociale, e legato alla true way of life di quel gruppo. Un vero italiano non beve caff (si diceva in tempi per fortuna ormai lontani); una donna italiana non permette che il marito lavi i piatti, ecc., cosi come un vero americano non ama il comunismo... Intendiamoci: un tale atteggiamento in determinate circostanze storiche pu anche divenire progressista. Li- dea di nazione non  sempre stata reazionaria, come  og- gi: nel secolo scorso ha avuto, come tutti sanno, una no- tevole carica rivoluzionaria; e cosi il partitarismo che do- mina in partiti rivoluzionari pu per un certo tempo ave- re una funzione rivoluzionaria. Ma  un progressivismo a breve raggio: un progressivismo di cui  sempre immi- nente la chiusura, e quindi la degradazione a conservato- ! Tale riferimento diventa volontario e consapevole in coloro che sostengono ideologicamente o razionalizzano il costume stesso. rismo (o peggio). Basta che la rivoluzione abbia successo, ed eo ipso nazione, o partito (0 chiesa) divengono idee con funzione ideologica conservativa. Di contro, latteggiamento morale, ad un tempo indivi- duale e libero-universale, non conosce chiusure:  la pura idea di una sfera di valori che tende ad attuarsi attraverso lautotrascendersi di una persona morale. E poich - co- me gi aveva intuito Platone e come Kant cerc di dimo- strare con tutti i mezzi dialettici che possedeva  la mora- lit  autovalore, essa  autofondata: non deriva da nessu- na norma trascendente (poich il valore morale di una tale norma dovrebbe commisurarsi alla luce di criteri della moralit stessa), n da una pretesa sfera di valori che la preceda (essendo essa stessa tale sfera di valori, o almeno il fondamento di questa). Di conseguenza, coincide con la libert.  libera universalit. Di qui il suo carattere per- manentemente rivoluzionario, di fronte al costume e agli istituti di questo, nei confronti dei quali si pone come un principio non solo indipendente, ma superiore: di cui, in- somma, rappresenta, almeno per ci che riguarda la forma e il criterio di validit, il momento di negazione  quindi di critica e di movimento. Ma, daltra parte, anche laspet- to conservatore, o addirittura reazionario, che pu pren- dere in certe epoche della storia, quando un pesante etici- smo rivoluzionario rischia di voler schiacciare nellethos della rivoluzione (cio di un gruppo) la libera universalit e il libero autosviluppo della sfera dei valori. Ora,  indubbio che tanto leticit quanto la moralit hanno trovato, e trovano, espressione nellopera di uomi- ni di lettere; mentre la scienza, essendo wertfrei (lo abbia- mo ripetuto, e lo ripetiamo ancora: ma non lo si ripeter mai abbastanza), non pu direttamente esprimere n luna n laltra. E se guardiamo agli scienziati, purtroppo le lo- ro vite individuali (statisticamente parlando) appaiono an- che troppo dominate da atteggiamenti eticistici. Tuttavia, per la forma, la cultura letteraria opera entro il concreto etico, la cultura scientifica entro la libera universalit mo- rale. La cultura letteraria  discorso rivolto agli uomini: e il discorso letterario, anche quando non  meramente epi- dittico, tuttavia mira a persuadere e a convertire, cio a 208 RETORICA E LOGICA modificare gli atteggiamenti umani in vista della restaura- zione o conservazione dellantico costume, oppure dellin- staurazione di un nuovo costume. La cultura scientifica  discorso rivolto ad un astorico universale: afferma una ve- rit che vale in s, universalmente e necessariamente, e contro la quale non vigono istanze storiche, umane. La ve- rit logica (o in genere scientifica)  autofondata, come la moralit; la probabilit retorica  fondata sul consensus, sulla tradizione o sullautorit, comze il costume. 3. Di qui unaltra coppia dialettica, che apparentemen- te  l'opposto della precedente, ma in realt ne  una con- seguenza (e l'apparente contraddizione nasce da equivoca- zione). Si tratta dellantitesi tra il carattere personalistico della cultura letteraria e, contro, luniversalismo della cul- tura scientifica. Dovrebbe sembrare il contrario. La scienza, come la moralit,  individuale e personale: sganciato da ogni cow- sensus, da ogni tradizione, da ogni autorit, il singolo vi appare sovrano e legislatore, ha per criterio solo la sua ra- gione; mentre nella cultura letteraria, come nel costume, il singolo ha un limite nella concretezza storica dellopi- nione e dellethos. Si ricordi, a questo proposito, quanto abbiamo osservato circa i sofismi della trattazione por- torealista e lockiana. Tuttavia il singolo  concreto so- lo in quanto si pone, e si definisce, entro il gruppo: in es- so  persona tra le persone, ed  entro il gruppo che si de- finisce la sua qualit personale  quella per cui la sua opi- nione conta molto, poco o nulla, a seconda dei casi. Si pi- gli il rapporto dal lato che si vuole: ma il concreto-umano resta il singolo in quanto definito e collocato entro un gruppo (o un gruppo di gruppi); e il gruppo si compone di tali singoli concreti. Mentre abbiamo detto male dicen- do che nella scienza come nella moralit il singolo ha per criterio solo la sua ragione: dovevamo dire la ragione, senza aggettivo possessivo. Ci  stato messo energica- mente in evidenza da Kant per quanto riguarda la ragione (pura) pratica; un po meno energicamente (forse) per quanto riguarda la conoscenza: ma vale nellun caso e nel- laltro  naturalmente se stiamo alla descrizione dell’essenza, non alle condizioni storiche di attualit di queste forme della civilt. Il diritto del singolo, qui,  costituito proprio dal fatto che la verit non gli appartiene come sin- golo, non  sua: ch non appena essa viene riconosciuta come la sua verit, gi non  pi verit, gi  scaduta ad opinione. 4. Nonad una comunit di anime che si rivolge il di- scorso scientifico, ma ad una comunit di intelletti  0, pi esattamente, poich (essenzialmente) intelletto non ha plurale,  allintelletto simzpliciter che esso si rivolge. E qui tocchiamo un ultimo, pi profondo punto, col quale, credo, arriviamo ai limiti irriducibili della polemi- ca delle due culture. Ogni attivit umana (e forse do- vremmo dire ogni comportamento animale in genere)  sempre rivolta a realizzare valori, ed  sempre lealt a quei determinati valori che in e mediante essa si costitui- scono nella loro concreta attualit, mentre, in astratto, ne costituiscono le guide o modelli trascendentali. Anche lat- tivit della scienza non sfugge a questa legge  che forse  tautologica. La scienza  wertfrei; ma non lo  lattivit u- mana che produce il discorso scientifico (la contraddizione  solo apparente: ch siamo a due livelli logici differenti). La stessa Wertfreibeit  un valore, o la condizione per un valore  poniamo, per la validit conoscitiva o verit. Ma ci sono molte specie o classi di valori; ci sono valori della vita, valori dell'anima, valori dellintelletto. In una civilt ci sono tutti (se si vuole, questa la si pu anche prendere per una definizione di civilt), n  concepibile una civilt che manchi di una classe di essi.  forse impos- sibile, e certo comunque non auspicabile, volerne soppri- mere una classe o laltra: e se la polemica delle due cultu- re mirasse ad uno scopo del genere, non varrebbe neppure la pena di occuparsene. Ma diversa  la gerarchia in cui i valori si dispongono: in una civilt barbarica o neobarba- rica (quale la civilt nordamericana di oggi) prevalgono i valori della vita, e gli altri vengono a questi subordinati; in una civilt di tipo letterario prevalgono i valori della- nima; in una civilt di tipo scientifico prevalgono i valori dell'intelletto. Tutti indistintamente gli apologeti e i sostenitori di una civilt letteraria sono stati espliciti a questo proposi- to: i valori supremi sono quelli dell'anima (la bellezza, la giustizia, lintima comprensione di s e degli altri, ecc.), mentre i valori dellintelletto sono mediati, strumentali: i pi fanatici hanno cercato di ridurli addirittura a valori strumentali della vita. Non  la verit che conta, ma leffi- cacia pragmatica del sapere  e hanno condannato la lealt ai valori dellintelletto via via come rozzezza, barbarie, in- sensibilit etica, materialismo... e, da ultimo, come og- gettivismo borghese, strumento ideologico della bieca reazione capitalistica. AI contrario, luomo di scienza  almeno fino a che  ta- le   leale ai valori dellintelletto e alla verit (scienti- fica) in cui tutti si accentrano. Ogni deviazione inconsape- vole da essa  errore; ogni deviazione consapevole e volon- taria  disonest, cattiva fede, mistificazione. Lessere pre- cede il dover-essere: qualunque cosa avvenga del mondo, bisogna sapere che cosa  il mondo; qualunque siano le conseguenze per lanima, occorre che lintelletto determi- ni ci che  vero. Se lanima ha bisogno di miti o di illu- sioni, tanto peggio per lanima. A questo punto si arresta la possibilit di discorso tra i fedeli di una cultura e dellaltra. Molte discussioni sorte re- centemente a proposito di tentativi di applicare a scien- ze umane e alla definizione di contenuti fattuali di tipici valori dellanima il metodo del sapere scientifico hanno ri- velato chiaramente che questo era il punto della reciproca incomprensione: il pathos per lordine concettuale, per la definibilit dei contenuti, per la riduzione degli enunciati a proposizioni verificabili non ha trovato comprensione negli uomini dellanima, che se ne sono sentiti urtati, tur- bati, scandalizzati; mentre il loro patetico belare sulla sa- cert dei valori, sugli ideali di giustizia, libert, ecc.,  ap- parso agli altri anche pi ridicolo che pietoso. Sono in gioco due gerarchie  da ultimo due strutture axiologiche, due tipi umani, destinati a collaborare senza comprendersi e senza incontrarsi entro il grande fiume di una antica e vitale civilt, che  nata dalle contraddizioni e di esse vive. IV. Cultura axiologica e cultura teoretica Largomento delle due culture  suscettibile di venir af- frontato da molti punti di vista. Nei capitoli precedenti si  presentato spesso uno spunto, che allora o non abbiamo raccolto, o abbiamo poco sviluppato, e anzi, a volte, ab- biamo decisamente respinto. Riallacciamoci ad un tema fondamentale del capitolo precedente: quello della Wertfreibeit della scienza. La scienza  abbiamo detto e ripetuto  opera con una decisa, metodica, toyn) di tutte le considerazioni axiologiche. La scienza non valuta. Anche quando  normativa, quando si fa tecnologica, essa addita soltanto delle vie da seguire, dei possibili procedimenti operativi secondo fini-in-vista: ma non dice nulla circa il valore di questi fini stessi; n, in ultima analisi, circa il valore degli stessi procedimenti o- perativi. Si dice spesso, soprattutto da parte di pensatori influenzati dal pragmatismo 0, comunque, da forme di scientismo pragmatico, che la scienza pu indicare i pro- cedimenti operativi pi razionali; e perci, aggiungerebbe Dewey, reca anche delle indicazioni sulla razionalit degli stessi fini-in-vista. Ma, chiediamoci, che significa procedi- menti operativi pi razionali? Per esempio (per prendere un caso molto frequente), pu significare pi economici: il procedimento pi razionale , in questa ipotesi, quel- lo che consegue un dato fine, con determinate caratteristi- che, con il minor costo, nel modo pi economico. La scien- za, per, non insegna che il procedimento pi economico  il pi razionale: insegna una variet di procedimenti possibili, e ne valuta i relativi costi  e qui si arresta il suo compito. Nello scegliere il pi economico tra di essi entra in gioco un criterio valutativo, che in s non  n pi n meno scientifico, quindi n pi n meno (scientificamente) 212 RETORICA E LOGICA razionale, di altri possibili: la razionalit o meno della scelta  del tutto relativa a quel criterio, sta e cade con esso. Tanto  vero che ove entri in gioco un altro interesse pu persino apparire pit razionale l'adozione di altri procedimenti operativi, anche se meno economici: per e- sempio, ragioni di politica sociale possono indurre a se- guire procedimenti pit costosi, perch, poniamo, i pi e- conomici implicherebbero licenziamenti di mano dopera, con aumento della disoccupazione, ecc.  Cosi io posso ac- quistare un oggetto in un negozio in cui  venduto pi ca- ro, 0 perch ho qualche gratitudine verso il padrone del negozio, o perch sono abituato a servirmi in esso, o per- ch sono innamorato della commessa... La scelta pi razionale dei mezzi pu dunque non coincidere con la pi economica: i mezzi stessi si presen- tano investiti di valori  spesso non si tratta del semplice rapporto mezzi-fini, ma anche di criteri di valore che en- trano in gioco nella scelta dei procedimenti. I racconti di guerra sono pieni di problemi del genere: un generale non esita, per ottenere un certo risultato militare, a mandare migliaia di uomini al massacro; un altro invece esita, cer- ca altri modi per risolvere il problema militare, oppure si rassegna addirittura ad una momentanea sconfitta pur di evitare la strage. Conflitti di questo genere sono problemi morali, non problemi di scienza militare:  solo alla luce di certi criteri di valore che una strategia pu apparire pi razionale di unaltra. E questo si vede persino nel caso pi semplice, in cui sembra che il problema della scel- ta sia meramente scientifico, addirittura puramente mate- matico: quello della strategia nei giochi; dove c sempre il presupposto, sottaciuto perch ovvio, che il giocatore voglia vincere la partita. Ma ci possono essere circostanze in cui  invece pi razionale perdere la partita anzich vincerla, o metterci il tempo pi lungo anzich il pi breve. Cosi per la considerazione della razionalit dei fini- in-vista. La conoscenza pu indicare quali mezzi, quali costi, implichi la realizzazione di un fine; oppure quali ne saranno le conseguenze una volta che esso venga rag- giunto. E alla luce di tali conoscenze pu apparire, a volte, pi ragionevole rinunciarvi che perseguirlo. Alla luce delle conoscenze non significa per come conseguen- za logica delle conoscenze stesse: per quante informazio- ni queste possano dare, lasciano pur sempre sospeso il problema valutativo  questo  deciso alla luce di una struttura normativo-valutativa che pone le conoscenze in determinate relazioni axiologiche che la pura struttura teorica non contiene. Ma la vita non , non pu essere wertfrei. In senso la- to, vivere  valutare  gi al livello biologico pi elemen- tare, l'organismo compie atti di scelta: e questi, se allar- ghiamo il concetto di valutazione, sono gi valutazioni. Ma comunque una civilt priva di momenti axiologici non esiste, n  concepibile. Per questo la scienza pu tenere il posto centrale in una civilt, ma non pu esaurirla o risol- verla tutta nella propria forma. Dunque, ci troviamo qui di fronte ad unaltra coppia: cultura axiologica/cultura scientifica. Come abbiamo gi avuto occasione di vedere, molti au- tori tendono a riportare a questa la coppia delle due cul- ture, identificando la cultura letteraria con la cultura axiologica. Sono soprattutto i letterati anglo-sassoni pi seri che tendono ad assegnare alla letteratura questo alto compito; ma in qualche modo, anche se in maniera meno nitida, questa  in fondo lidea anche degli esistenzialisti francesi. Ma  stato soprattutto Perelman che, raccoglien- do un atteggiamento largamente diffuso nella filosofia con- temporanea, ha identificato largomentazione retorica con la logica del discorso valutativo. La base emozionale, psi- cologico-concreta e storico-concreta del valore, che rende il giudizio valutativo irrazionale alla luce del criterio strettamente scientifico di verit-razionalit, rende la strut- tura del'discorso retorico la pi idonea a dare al discorso axiologico tutto quel tanto di razionalit, di comunica- bilit, di trasparenza intersoggettiva di cui esso  suscet- tibile. Forse tutto ci va ammesso con riserve. In primo luo- go, anche se spesso la letteratura si  mostrata legata ai problemi axiologici e ai sentimenti, non si pu dire a prio- ri, senza un atto di arbitrio, che essa sia tutta, sempre e 214 RETORICA E LOGICA necessariamente cosi. In secondo luogo, scienze come le- conomia politica pura o la dottrina pura del diritto elabo- rano in maniera formale, cio scientifica, strutture axiolo- giche specifiche, mostrando come, almeno di principio, la scienza, in s sempre wertfrei, possa ciononostante porta- re sw valori e strutture valutative. N  detto che largo- mentazione retorica, con la sua profonda invalidit dal punto di vista logico, sia lunica possibile forma di discor- so valutativo  che nel discorso axiologico la ragione in senso autentico (ossia nel senso che si connette alla verit scientifica) non possa avere un posto pi importante, una funzione fondamentale, anche se non decisiva. Ma pur con queste riserve vogliamo qui, in questo ulti- mo capitolo di questo saggio, assumere come ipotesi liden- tificazione della coppia cultura letteraria/cultura scienti- fica con la coppia cultura axiologica/cultura teoretica, per indagare la problematica del loro rapporto. 1. Partiamo dalla struttura del giudizio di valore  un giudizio del tipo x  buono, x  bello, o simili. Un simi- le giudizio non  n razionale, n irrazionale, n valido n invalido: preso da solo, come ha detto una volta Ayer, non  che uninteriezione. Ma  anche vero che di solito le persone ragionevoli non fanno meri giudizi di questo ti- po: i giudizi di solito sono accompagnati con una motiva- zione. La forma normale per un giudizio axiologico  piut- tosto: x  buono, perch   , x  bello, perch -, dove --  una variabile (metalinguistica) proposizio- nale: in parole povere, al posto dei trattini sta una propo- sizione. Per esempio, x  buono, perch ha perdonato i suoi nemici, x  bello, perch ha dei colori ben disposti.  la motivazione che pu essere buona o cattiva, e co- me tale conferisce validit o meno al giudizio di valore. Naturalmente, per, essa di solito non si riduce ad un semplice enunciato atomico, come  alluso dai nostri trat- tini; pu assumere la forma di un enunciato molecolare, o macromolecolare  cio, insomma, di un discorso pi o meno lungo. Pu contenere anche altri enunciati axiologi- ci che implicano logicamente quello motivato (per esem- pio, enunciati axiologici o normativi generali): ma l’essenziale (e il nocciolo di tutta la teoria che stiamo per espor- re)  che in essa  sempre presente un enunciato fattuale (o un insieme di enunciati fattuali) o comunque teorico, conoscitivo. A questo proposito Stevenson ha messo in evidenza co- me in caso di disaccordo su un giudizio valutativo (ovvia- mente, un giudizio valutativo complesso, cio includente la motivazione) ci possiamo trovare di fronte a due tipi di- stinti di disaccordo: che egli chiama di atteggiamento e di credenza. Se A dice X  buono, perch ha perdonato i suoi nemici, e B dice X non  buono, la sua negazione pu riferirsi o alla proposizione motivante X ha perdo- nato i suoi nemici  cio pu ritenere che, di fatto, X non ha perdonato i suoi nemici: in tal caso il disaccordo  di credenza. Oppure B pu ritenere che, in generale o nel caso specifico, laver perdonato i propri nemici non sia una ragione sufficiente per dire buona una persona, o addirit- tura che il perdono (in generale oppure nel caso specifico) sia (o fosse) una cosa cattiva. In tal caso il disaccordo  di atteggiamento. Anche se il momento propriamente valu- tativo (latteggiamento) non si lascia interamente ri- durre al momento conoscitivo (la credenza), tuttavia  certo che il giudizio di valore complesso, cio motivato, contiene un elemento conoscitivo come suo momento es- senziale (tale cio che la negazione della proposizione mo- tivante implica la negazione dellintero giudizio). Insistiamo su questo punto, del resto abbastanza ovvio, perch esso ha un ruolo fondamentale e nellimpostazione di quello che  stato chiamato, in maniera assai suggestiva per quanto assai passatista, il problema del posto della ragione nella morale, e nellimpostazione del problema delle due culture nel senso specifico che gli abbiamo volu- to dare in questo capitolo. Infatti, quanto al primo punto, lestremamente equivoco termine ragione pu intendersi in senso meramente formale, cio come semplice coerenza logica di un discorso valutativo: in questo senso un tale discorso sarebbe razionale se fosse regolare rispetto ad un ammissibile sistema di logica. La logica non  limitata necessariamente al discorso conoscitivo: di fatto, qualun- que discorso pu essere formulato in maniera coerente rispetto ad una qualunque logica proposizionale. Di fatto, gi la logica aristotelica poteva applicarsi senza notevoli difficolt alla formalizzazione di un discorso valutativo (per esempio, con una premessa maggiore valutativa, una minore fattuale, una conclusione valutativa), e con poche innovazioni a quella di un discorso normativo; e oggi so- no stati fatti numerosi e interessanti tentativi per formu- lare sistemi logici formalizzanti discorsi valutativi. In questo caso si tratta per di una razionalit me- ramente formale: e non c giudizio valutativo, per quan- to folle e insostenibile, che non si possa, volendo, rendere razionale di questo tipo di razionalit. Ma in ogni al- tro senso, nessun discorso valutativo  razionale. Non si tratta qui di un particolare atteggiamento di scetticismo o irrazionalismo axiologico  di unaccentuazione del di- vario tra la razionalit del discorso teoretico (conoscitivo) e la irrazionalit del discorso valutativo. Tale atteggiamen- to  stato assunto da (o per lo meno attribuito a) L. Witt- genstein e molti positivisti logici. Non vogliamo qui ad- dentrarci in una discussione del genere, che esula dagli scopi del nostro saggio: ci limitiamo ad osservare quello che gi  stato una preziosa conquista di Hume, e che da Hume in poi dovrebbe essere considerata cosa pacifica nel- la filosofia: che la ragione ordina, e non crea, contenuti. E ci nel campo della conoscenza come del valore. I conte- nuti ultimi del sapere (le sensazioni) sono altrettanto ir- razionali quanto i contenuti ultimi del valore (le emo- zioni e/o gli atteggiamenti). Tuttavia c un altro senso di ragione che storicamen- te ha avuto molta importanza, ed  pi vicino a ci che con tale termine si intende nel linguaggio ordinario.  la raison illuministica  la riflessione logica e metodica, or- dinata, sulle sensate esperienze. Questa  tipicamente scientifica, e, come mostra il costante scacco di tutte le axiologie naturalistiche, per le valutazioni rimane sempre un mero ideale. Lunica razionalit (in questo secondo senso) del discorso valutativo sta nella razionalit del suo momento conoscitivo, delle sue motivazioni. Gli unici di- saccordi risolvibili razionalmente sono i disaccordi di cre- denza. La prova che laccusato non ha commesso il fatto toglie ogni senso alla discussione circa il configurarsi giu- ridico del preteso reato. Vedremo meglio in seguito limportanza che questo fat- to ha circa il problema delle due culture. Basti per ora un suggerimento: un sistema tradizionale di valutazioni pu entrare in crisi non soltanto per un mutarsi degli atteg- giamenti, ma anche  e pi irrimediabilmente  se il suo sistema di motivazioni si rivela teoricamente falso: se, cio, la scienza lo dichiara erroneo. Il caso delle streghe, per quanto sia un caso-limite, mostra in modo molto chia- ro quello che vogliamo dire. 2. Le ricerche axiologiche di questo secolo, dovute so- prattutto alle iniziative filosofiche di Moore e di Husserl, hanno portato ad una dottrina, che risulta chiaramente da ci che abbiamo detto nel paragrafo precedente: che i predicati di valore sono predicati di secondo ordine, cio predicati di predicati. Gli oggetti (cose, persone) han- no le loro qualit axiologiche in virt4 delle loro qualit descrittive (conoscitive), per esse: vale a dire che, nelle medesime circostanze, due oggetti aventi le medesime qualit (o propriet) hanno i medesimi valori. Moore e metamoralisti derivanti da Moore, come Hall- dn, si sono posti il problema della necessit che lega il valore (intrinseco) alla qualit su cui si fonda e in cui si motiva, fino al punto che, in alcuni casi, sembra addirit- tura identificarsi con essa (nel linguaggio comune, come anche nel linguaggio poetico, certe descrizioni sono eo ip- so valutazioni; meno spesso anche il viceversa, certe va- lutazioni sono implicitamente descrittive): una necessit che da una parte assomiglia ad una necessit di tipo logi- co  ma non  una necessit logica; dallaltra assomiglia ad una necessit di tipo causale  ma non  una necessit naturalistica, causale. Si dice allora che  una necessit sui generis, una necessit axiologica. E dal punto di vista dellindagine axiologica pura que- sta soluzione potrebbe forse essere soddisfacente. Non pe- r se ci poniamo il problema dal punto di vista della prag- matica dei giudizi di valore; e neppure da quello della lo- gica del discorso valutativo. Dal primo punto di vista si tratta, in qualche modo, di una necessit di tipo naturale, causale: certe qualit delle cose suscitano, o sono atte (in condizioni normali, o nella maggior parte dei casi) a susci- tare, determinate emozioni; si tratter, probabilmente, di leggi stocastiche e non dinamiche, ma comunque siamo di fronte ad una specie di causalit: ho paura del fuoco per- ch scotta, e aborro dalle scottature perch fanno male. E se, con Halldn, riteniamo che il contenuto empirico del predicato di valore sia lattitudine di una qualit a su- scitare un'emozione (e non l'emozione stessa), allora la necessit che lega il predicato di valore alla propriet descrittiva  di tipo causale (o per lo meno stocastico). A questo livello del giudizio di valore un tale legame non  un legame logico, cio analitico (o sintetico a prio- ri). Ma il discorso valutativo, in una cultura, ha una strut- tura pi complessa. Molto spesso in un discorso valutati- vo complesso e culturalmente elevato non si motivano i giudizi di valore mediante il ricorso immediato al rappor- to tra qualit ed emozioni; bensi in modo deduttivo, me- diante il ricorso a concetti (definizioni) e/o ad enunciati nomologici (assiomi) che legano certi caratteri generali con un determinato valore in generale. L'economia politi- ca classica (smithiano-ricardiana), la scienza pura del di- ritto sono esempi molto caratteristici di scienze valutati- ve a carattere assiomatico-deduttivo. Da Platone fino ai nostri giorni (compresi ') la storia della filosofia  attraversata da reiterati tentativi di legare, in una specie di identificazione, la nozione di valore (in- trinseco) con quella di essenza. Un bravo soldato  quello che si comporta come un soldato, conformemente cio, allessenza del soldato (Husserl); una buona au- tomobile  quella che ha tutti gli organi, e in cui tali or- gani funzionano, come  intrinseco alla nozione (cio al- lessenza) dell'automobile (R. S. Hartmann)... C' solo da osservare che una tale essenza  essa stessa, gi in s, una costruzione valutativa (e/o normativa): non  dal concetto empirico di soldato che si ricava il concetto va- ! Si veda, per esempio, La estractura del valor (1959) di Robert S. Hart- man. lutativo di bravo soldato, n dal concetto empirico di automobile quello di buona automobile: lessenza qui  gi una costruzione culturale che contiene lidea di co- me deve essere un soldato o unautomobile come si de- ve. Siamo cio di fronte ad una sintesi sui generis, di- versa dalla sintesi empirico-descrittiva. Comunque, una volta costruiti sistemi assiomatici del genere, la valutazione viene motivata deduttivamente me- diante le qualit stesse. Il rapporto qualit (o predicati)- valore diviene un rapporto logico: la sua necessit di- viene non analoga, ma identica, alla necessit di unimpli- cazione logica (per es., di tipo sillogistico). Oggi  assai diffusa la tendenza a distinguere il va- lore dal bene, ossia il valore dalloggetto-avente-valo- re, come il senso comune distingue il colore o il sapore dalla cosa colorata o dalla cosa saporita. Anche se forse in alcuni specifici casi la distinzione pu lasciare perplessi, tuttavia in linea di massima essa appare conveniente, e spesso addirittura ovvia. Adottiamola qui evitando lulte- riore discussione. Abbiamo visto che il predicato di valore  un predicato che porta, primariamente, su predicati.  dunque un pre- dicato di secondo ordine. Analogamente, come gi aveva ben visto Husserl, loggetto-avente-valore  un vonua di secondo ordine, o meglio un vnua fondato. La qualit- valore inerisce alloggetto-avente-valore in quanto allog- getto simzpliciter inerisce una determinata qualit o un in- sieme di tali qualit. Il passaggio dal soldato al buon soldato  il passaggio da un vnpa di un certo livello ad un vnua costruito in una sintesi pi complessa, una sin- tesi sopra una sintesi  quindi in una sintesi di secondo grado. Ma poich il fondamento (quale discorsivamente si esplica nella motivazione del giudizio) della sintesi che d luogo al secondo vnua  nella sintesi che costituisce il primo, questultima  il fondamento di quella: perci si dice che loggetto-avente-valore  un vnua fondato (forse la tradizione nostrana preferirebbe mediato: ma questo termine  oramai troppo equivoco). La cosa  molto importante per il nostro tema. Infatti il vinua fondante  teoretico, conoscitivo  e le proposi- zioni relative sono vere o false. Loggetto-di-valore come tale sussiste solo a condizione che sussista l'oggetto pri- mario: perde di senso dire che una certa donna  una cat- tiva strega o una buona fata quando si ritiene impossibile che esistano streghe e fate; e il valore di un regno di Uto- pia rester un valore meramente fantastico per limpossi- bilit che ha il regno di Utopia di essere nel mondo... 4. La considerazione precedente acquista un rilievo anche maggiore (e forse anche troppo banalmente ovvio) se passiamo a considerare, oltre i valori intrinseci, i valo- ri estrinseci. Forse per le implicazioni spiritualistico-metafisiche a cui essa potrebbe anche prestarsi (ma, ovviamente, solo in un discorso le cui premesse permettessero la fondazione di una tale implicazione)  forse per questo, alcuni filoso- fi, soprattutto della corrente pragmatista, hanno negato la distinzione tra valori intrinseci ed estrinseci  o meglio, hanno negato lesistenza di valori intrinseci. Naturalmen- te, siamo in un campo in cui il termine esistenza ha tut- taltro che un significato chiaro ed univoco: c persino il pericolo che non abbia affatto senso il parlare dellesi- stenza o meno di valori di un tipo o dellaltro... Possia- mo, certo, costruire modelli di discorso valutativo in cui la distinzione tra valori estrinseci ed intrinseci non sia re- sa possibile dalle regole formali del discorso stesso: ten- tativi del genere sono stati fatti da Dewey e da alcuni suoi interpreti e/o seguaci. Ma, tralasciando la discussione cir- ca il successo effettivo di tali tentativi, il risultato  un tipo di discorso valutativo estremamente impoverito, e quindi una logica del giudizio di valore del tutto inadegua- ta allanalisi di questi giudizi in una civilt come la nostra. Senza la distinzione tra valori intrinseci ed estrinseci vie- ne meno uno dei cardini di unadeguata axiologia  il di- scorso valutativo verrebbe abbandonato alla pi comple- ta irrazionalit. Possiamo introdurre una generica definizione duso del valore estrinseco (e implicitamente del valore intrinseco): un oggetto x ha un valore estrinseco W quando esso fa parte delle condizioni di attualit di un valore V. Cos, per esempio, il valore estrinseco di un buon pianofor- te deriva dal fatto che le qualit di quel pianoforte sono condizioni per una buona esecuzione pianistica. Come si vede, non occorre provare che esistano valori intrinse- ci e valori estrinseci: lunica cosa che occorre provare (ma basta lesperienza quotidiana a provarla)  che ci sono co- se (qualit) approvate e apprezzate indipendentemente dal fatto che esse siano, o non siano, condizioni per altre cose apprezzate; mentre ci sono cose (qualit) apprezzate in vista di un fatto del genere. Per tornare al filo del nostro discorso, nella motivazio- ne del valore estrinseco l'elemento conoscitivo ha una funzione ancora pi palese e dominante. Tanto che colo- ro i quali (come Dewey) hanno ridotto tutti i valori a va- lori estrinseci, hanno conseguentemente negata la distin- zione tra conoscenza e valutazione. In sostanza, dire che una cosa p  una condizione per lattuazione di unaltra cosa g, significa affermare che un determinato processo P, del quale p  il punto di parten- za o comunque un momento essenziale, sboccher nella si- tuazione g. Tale implicazione non , in genere, una impli- cazione logica, bensi fattuale  diciamo, genericamente, fisicale. Essa in genere non si pone da sola: presuppo- ne un intero sistema di implicazioni nomologiche, di leg- gi scientifiche e/o di natura  come suol dirsi, un quadro del mondo. Ovviamente, ove questo quadro risultasse pri- vo di valore teoretico, non vero, il giudizio di valore e- strinseco risulterebbe immotivato (e in questo caso si pu anche dire erroneo  termine che pi difficilmente pu usarsi per il giudizio di valore intrinseco). II. i. In un punto il pragmatismo ha ragione: che i valo- ri non sono sempre soltanto oggetto del sentimento (del- lapprensione o giudizio), ma si dispongono nella praxis. Si offrono alla volont come qualcosa che deve essere at- tuato: divengono mete e fini, o per lo meno determinano, (o concorrono alla determinazione di) mete e fini, e con- seguentemente progetti e corsi di azioni. In questo senso i filosofi moderni (postkantiani) han parlato di valori come dover-essere: il che in senso asso- luto non  esatto, se  vero che, come dice Keats, a thing of beauty is a joy for ever. Tuttavia  vero che, per la lo- ro stessa radice emozionale e sentimentale, i valori tendo- no a divenire princip di corsi di azione, e spesso lo diven- tano di fatto  tendono ad attuarsi, ossia a determinare la produzione di fatti, eventi, situazioni, cose, investiti di valore. Normalmente,  ovvio che l'apprezzamento della musica genera i concerti, e l'apprezzamento per certi tipi di rapporto sociale genera le rivoluzioni (o le reazioni). Per questo si  considerato spesso come essenziale al giudizio di valore l'aspetto normativo: in molti casi valu- tazione e prescrizione (consiglio, ecc.) sono equivalenti, nel senso preciso che sono vicendevolmente implicati. Lazione A  buona implica si deve compiere lazione A, e viceversa. In verit questo non accade sempre: in molti casi il giudizio di valore non si traduce in una norma, an- che se pu concorrere, indirettamente, alla motivazione di norme: questo  un bel cucciolo non implica compra- lo, anche se pu concorrere a motivare questultimo con- siglio. In altri casi, la norma non appare traducibile in un giudizio di valore  dura lex, sed lex; tuttavia la norma o appare affatto irrazionale, oppure si motiva, almeno parzialmente o indirettamente, con un giudizio di valore (segui quel consiglio, perch chi lo ha dato  una perso- na saggia). Per questa ragione, e per altre che sarebbe troppo lun- go discutere, noi qui consideriamo il giudizio di valore fondamentale rispetto allenunciato normativo: questo si presenta dunque come un enunciato fondato su un giudi- zio a sua volta fondato, e quindi in rapporto mediato con le proposizioni conoscitive. 2. Unaltro punto di verit del pragmatismo, derivan- te dal precedente,  questo: che quando si dispongono nella praxis tutti i valori divengono estrinseci: tutti si di- spongono entro il concreto di un processo causale-temporale, in nessi di condizioni e di implicazioni fattuali. Quando i valori divengono fini, entrano in un concreto di condizioni per cui si trasvalutano.  molto citata a questo proposito la gustosa storiella di C. Lamb, di come nellan- tica Cina si fosse casualmente scoperto, in seguito allin- cendio di una capanna, il pregio del porco arrostito; e co- me fosse invalsa la prassi, invero assai antieconomica, di incendiare le case per arrostire i porci. Per bisogna an- dare pi cauti di quanto si sia fatto finora nellinterpreta- re la morale di questa favola. La considerazione del- lantieconomicit del bruciare case per arrostire porci sva- luta il valore estrinseco di questo procedimento, ma non toglie nulla al pregio della carne del maiale arrosto  non porta a concludere che il maiale arrosto  cattivo, ma sem- plicemente che bisogna trovare procedimenti pi econo- mici per cucinarlo. Cio: in un concreto corso di azioni entra in gioco una molteplicit di valori (e di norme), per cui si mette in ope- ra una specie di calcolo (naturalmente, questa  solo una metafora) dei valori: generalizzando un noto concetto del- l'economia, si pu dire che lattuazione dei valori nella praxis ha un costo. In questo momento pratico ed estrinseco i valori cessa- no di essere essenziali, cio isolati e inconfrontabili  an- zi, entrano nel gioco come complementari o come rivali: possono anche entrare in conflitto. La situazione di con- flitto di valori  tanto tipica e frequente negli atti di voli- zione e progettazione pratica, che a moltissimi moralisti essa  apparsa addirittura essenziale, definitoria, della mo- ralit  la moralit implicherebbe sempre una scelta, con- cetto che ha senso solo nel presupposto di una rivalit o conflitto di valori. Non avrebbe senso parlare di Eracle al bivio se per una via ci fossero tutti e soli valori, per laltra solo disvalori o mancanza di valori. Perci parecchi moralisti contemporanei, tra i quali massimo Scheler, hanno parlato di una gerarchia di valo- ri: i valori si dnno (o si pongono) in gerarchia, in atti di preferenza; la moralit stessa non sarebbe, stricto sensu, un valore, bensi coinciderebbe co. la gerarchia (o una ge- rarchia) di valori. Mi sembra per che a tale proposito siano assai convincenti alcune considerazioni che, indipen- dentemente da Scheler e dalla scuola dei valori materia- li, aveva fatto Simmel: considerazioni che si ricollegano a quanto abbiamo accennato a proposito del porco arro- stito. Dicevamo che lantieconomicit insita nel bruciare capanne per arrostire maiali non toglie nulla al pregio del sapore della carne del maiale arrosto: solo che questo va- lore  inferiore al valore della capanna (tanto pi che ci sono modi pi economici per arrostire il porco). Ma fin- ch stiamo al momento puro della valutazione (0, con un linguaggio psico-fenomenologico, dellemozione-sentimen- to in cui  vissuto il valore) tra le due cose non c dissi- dio: la congiunzione logica la carne di porco  saporita e la capanna  comoda  perfettamente valida: tra i due enunciati (giudizi) non c contraddizione. Ora, se  vero che i valori si dnno sempre in atti di preferenza, ci ri- guarda preferenze rispetto al medesimo predicato di valo- re: possiamo accettare la tesi (scheleriana, ma non solo scheleriana) che bello significhi pi bello, cosi come lontano significa ad una distanza maggiore di una certa misura standard. Come questa esplicazione di lontano risolve il paradosso, gi osservato da Galileo, che, mentre una certa signora si lamenta che la chiesa  troppo lonta- na da casa sua, un certo corriere dice che Napoli  vicina a Roma - cos quella esplicazione di bello spiega in qual- che modo il variare dei gusti con lallargarsi delle espe- rienze, e perch, per esempio, un luogo che mi pareva me- raviglioso quando non ne avevo visti altri, dopo certe e- sperienze di viaggio mi possa apparire mediocre o addirit- tura insignificante. Ma i grandi valori, soprattutto quan- do si organizzano categorialmente, quando si strutturano come autovalori, non sono direttamente confrontabili. Mi sembra quindi che abbia ragione Simmel: -la con- correnza, o il conflitto, dei valori sorge solo in sede prati- ca: non quando si tratta di pregiare carni cotte e ammira- re case, ma quando si tratta di decidere se convenga bru- ciare le case per cuocere le carni. E lo stesso si dica per le norme. Finch non entrano in conflitto pratico, norme non-contraddittorie non sono in conflitto di nessun genere. Per riferirci ad un celebre esempio di Simmel, la nor- ma sii fedele alla parola data e la norma d allesercito del tuo paese in guerra tutte le informazioni utili che pos- siedi non sono affatto in conflitto: anzi, sono comple- mentari, per esempio, nelletica degli agenti dei servizi se- greti. Solo in circostanze determinate possono entrare in conflitto: ed  solo in tali circostanze che si impone una scelta. Ma ripetiamo la profonda osservazione di Sim- mel: in questi casi il valore (Simmel dice il dovere) sacrificato resta un valore: un senso oggettivo di colpa ac- compagna anche la pi razionale delle scelte. 3. A quanto pare, le considerazioni dei paragrafi pre- cedenti ci hanno portato piuttosto fuori dal filo del nostro discorso in questo saggio, e ancor pi fuori dal tema del libro. Ma forse non tanto quanto pu sembrare a prima vista. Infatti, un risultato appare subito: che fino a che si discute di valori intrinseci, il valore di una buona teo- ria scientifica, quello di una buona istituzione sociale, quello di una bella poesia, eccetera, sono inconfrontabili: non  possibile, non ha neppure senso metterli in gerar- chia.  solo sul piano pratico che possono, in determinate circostanze, entrare in conflitto  cio solo nei loro mo- menti estrinseci, quando da valori divengono fini, che pos- sono entrare in conflitto e, in tal caso, devono venire ge- rarchizzati. Cos le due culture possono (e ci, del re- sto, avviene di fatto) convivere luna accanto allaltra fino a che non si presentano circostanze che, nei loro momen- ti estrinseci, le pongano in conflitto pratico . Ma il discorso che vogliamo fare  un po pi profon- do, pi filosofico. Il mondo il cui quadro  costruito dal sapere scien- ! Cfr., per questo argomento: G. SIMMEL, Intersecazione dei cerchi so- ciali, in Nuova Collana di Economisti, vol. XII, Torino 1934, pp. 263 SEB. "Cfr. c. SIMMEL,  problemi fondamentali della filosofia, trad. it. di A. Banfi, Vallecchi, Firenze s. a. , PP. 204-5. 3 Nei capitoli precedenti abbiamo dato alle due culture e alla loro antitesi un significato diverso, per il quale esse erano in conflitto anche in- trinseco, dialettico. Qui invece, a titolo di ipotesi di lavoro, ne abbiamo mutato il significato, per cercare di intendere meglio il senso del conflitto attuale (Snow, ecc.). Tenendo presente ci, il lettore non trover contrad- dizione tra questo capitolo e quelli che lo precedono. tifico  un sistema di oggetti  e questi oggetti sono von) uata di primo grado, nella cui costituzione non entrano categorie (predicati) di valore. Il mondo della scienza non  n bello n brutto, n buono n cattivo: latteggiamen- to dello scienziato, in quanto tale (nel momento che  ta- le, e tale rimane)  quello dellascetica atarassia del sag- gio stoico-spinoziano. Per questo ha ragione Scheler, che luomo (in quanto essere che costruisce la scienza)  la- sceta della vita. Ma questo non  latteggiamento della vita  di nessun essere vivente, di nessun uomo; non pu essere neppure l'atteggiamento definitivo dello scienziato, o del filosofo, in quanto uomo-che-vive '. La vita  praxis, e il mondo della vita  un mondo di valori.  costituito di cose che sono vonmhuata di secondo ordine, sono beni (o ma- li);  costituito di azioni, di opere, che tendono a realiz- zare valori, ad attuarli in fatti e cose. Ma un mondo  un insieme universale di rapporti; e un mondo di valori  un insieme di rapporti axiolo- gici. Cio, in parole povere, un mondo di valori  costitui- to da una molteplicit di valori  almeno se deve essere un mondo reale. Ora, come le idee della mente divina se- condo Leibniz, tutti i valori sono possibili, ma non tutti sono compossibili per quanto riguarda la loro attuazione in un mondo. E, di conseguenza, non tutti si collocano al medesimo livello. Un mondo di valori  quindi costitui- to da due sfere: da una sfera di cose e di fatti, con i loro presupposti categoriali-teoretici; e poi da una sfera di be- ni, che ha per presupposto trascendentale una sfera di va- lori gerarchizzati e/o organizzati attorno a qualche valo- re centrale. I filosofi morali non sono mai riusciti a definire la mo- ! Anche la razionalit o la verit, in quanto oggetto e meta del- lazione, della ricerca, di uomini viventi (ch tali sono scienziati e filo- sofi) che ne fanno la loro vocazione o semplicemente il loro mestiere, sono dati in peculiari sentimenti, vissuti in un loro pathos peculiare. Non si confondano i livelli: che la scienza sia wertfrei, cio costituisca i suoi 0g- getti senza investirli di predicati axiologici, non significa affatto che essa non abbia o non sia, un valore per coloro che praticano lattivit scientifi- ca; e che, essendo un valore, non abbia il suo dover-essere, il suo ethos. ralit come valore specifico. I pi moderni (citiamo ix pri- mis Max Scheler, ma bisognerebbe ricordare kantiani co- me Simmel) hanno ripreso in maniera originale e profon- da una possibile interpretazione della morale kantiana: la moralit non esiste come valore specifico; essa  piutto- sto, come valore in s, il valore dei valori, come valore pratico la direzione della volont verso un mondo di valo- ri. Il contenuto ideal-obiettivo (trascendentale) della mo- ralit  una sfera di valori gerarchizzati (e/o organizzati attorno a qualche valore centrale). Ma un mondo di valori, in quanto ha da essere un mon- do attuale  o attuabile  suppone un mondo reale, con le sue strutture, le sue leggi, i suoi fatti e le sue cose: con la sua Wertfreiheit, che in tal caso diviene, negativamen- te, inerzia rispetto allazione morale, ma, positivamente, disponibilit per i valori, per la moralit. Ci che distin- gue il volgare moralista dall'uomo morale  proprio que- sto, che il primo si pasce di un lips service ai valori, a for- mule o giudizi preformati, e poco si cura dellattualit o attuabilit di un mondo di valori  la frase sublimemen- te idiota fa ci che devi, avvenga che pu pu essere il suo motto. Luomo morale dice come posso: preoccu- pato di instaurare un mondo reale, ha di fronte le condi- zioni che questo gli pone, e quali saranno di fatto le con- seguenze delle sue azioni. In questo senso linsegnamento di Dewey rimane prezioso. III. La breve ricerca di questo capitolo volge oramai decisa- mente alla sua conclusione. Abbiamo di fronte due strut- ture, due modi di fondare un mondo: teoretica e axio- logica. Si dir che esse si distinguono solo per astrazione  che nel concreto della vita, della societ, della storia, esse so- no indissolubilmente unite; che si tratta di uno dei tan- ti dualismi di cui si pasceva una vecchia filosofia dogma- tica. E forse questo sar anche vero: ma io non ne sono affatto convinto. Identit e distinzioni non sono mai del tutto empiriche, n scienze naturali come la psicologia o la sociologia possono mai metterle in evidenza: potranno al massimo rilevare la concomitanza o non-concomitanza, la dipendenza, o indipendenza, fattoriale, o simili, di di- stinti una volta che partano dallipotesi della distinzione. Per questo io penso che le distinzioni, solo che abbiano un briciolo di fondamento nellesperienza comune, non sono quasi mai inutili, e comunque mai dannose: anche se l'indagine, fattuale o filosofica che sia, mostrer che si tol- gono, la stessa prova del loro togliersi servir ad illumina- re rapporti, correlazioni, dipendenze e/o opposizioni che invece lipotesi dell'identit non avrebbe mai messo in ri- lievo. Per queste, e per molte altre ragioni, io mantengo qui le dicotomie tra conoscenza (verit teoretica) e valutazio- ne (valore), tra teoria e prassi. 1. E sulla base di tale mantenimento, usando qui di una terminologia certo equivoca e pericolosa, ma, agli sco- pi di questo saggio, abbastanza intuitiva e utile, chiamer soggetto un soggetto attuale (di qualunque genere di at- tualit) di atti conoscitivi, persona un soggetto attuale di atti valutativi e/o pratici (volti cio alla volontaria realiz- zazione di valori). Chiamer poi persona morale una per- sona soggetto di atti valutativi e pratici in quanto rivolti per non a determinati e singoli valori qui-e-ora, bensi ad un mondo-di-valori gerarchicamente disposti e accentrati. Com' noto, Scheler e N. Hartmann (dai quali ho tolto, pressa poco, questa mia terminologia), pur essendo dac- cordo su tanti punti dellaxiologia, non furono daccordo soprattutto su questo: che mentre Scheler riteneva pos- sibile una persona senza soggetto, e per questo parlava an- che di persone collettive e di Dio come persona, N. Hartmann non ammetteva la possibilit di una persona che non fosse anche un soggetto  mentre un soggetto pu non essere una persona, il viceversa non  possibile. La persona  al limite tra il regno dellessere (della natu- ra) e quello del dover-essere ideale (dei valori), volto a realizzare questo in quello. Per questo deve essere un soggetto conoscente. (E perci egli negava lesistenza di per- sone collettive e di Dio come persona). Non  qui il luogo di entrare nella discussione: tanto pi che essa implicherebbe anche laccettazione di molti presupposti metafisici e dei metodi dei due autori. Tutta- via il problema ha una sua importanza. Ci sembra diffici- le ammettere una persona, soprattutto una persona mora- le, senza un soggetto: vale a dire una volont tesa alla rea- lizzazione di valori nel mondo, senza un mondo, cio sen- za una qualsivoglia conoscenza del mondo *. Ricordiamo che il giudizio di valore  un giudizio secondario, e che l'oggetto valutato  un vnpa fondato: e infine che il mondo-dei-valori  il mondo dellessere (teoretico) inve- stito di un sistema di valori che in esso si attuano 2. A livello dello empirico, ossia del soggetto singo- lo fisio-psichico, troviamo forse la pi profonda unit tra soggetto e persona: tanto che, essendo proprio a questo livello che si pone lindagine della psicologia,  assai diffu- sa tra psicologi e filosofi psicologisti la tendenza a negare la dicotomia. Tuttavia, gi a questo livello, per quanto le faccende siano piuttosto complicate, la dicotomia stessa  operan- te: chi impreca contro la pioggia distingue bene tra la co- noscenza del fatto (piove) e la valutazione del medesi- mo. E anche lazione, volta sempre allattuazione di valo- ri, si fonda su conoscenze (o su credenze: che qui  lo stes- so): si prende lombrello perch si sa che la sua cupola  ! Cfr. N. HARTMANN, Etbik (1926), I. T., VII Abschn., 24. Kap.; M. SCHELER, Der Formalismus in der Ethik usw. (1966), Vortwort... zur drit- ten Auflage, pp. 19 sg. 2 Nella celeberrima tesi XI su Feuetbach, Marx ha scritto: Die Phi- losophen haben die Welt nur verschieden interpretiert; es kommt darauf an, sie zu verdndern. Confesso che, frastornato dalle interpretazioni cor- renti, sono rimasto per anni perplesso sul senso di questa frase: mi sem- brava persino che non avesse senso, mufare un mondo non previamente in- terpretato. E dove andava a finire la pretesa scientifica del socialismo? Diventava una specie di folle superstizione tipo Zen? Ma forse Marx, co- me Kierkegaard, pensava che con Hegel la filosofia avesse dato tutto quel- lo che poteva, e che con il sistema di Hegel linterpretazione del mondo fosse completa: e quindi riteneva che oramai lunico problema fosse quello di mutare il mondo realizzando la filosofia. (Si confrontino le pagine per la Verwirklichung der Philosophie gi negli appunti per la dissertazione di dottorato). impermeabile, si prendono le medicine perch si sa (o si crede) che abbiano una certa azione terapeutica...  inuti- le andare all'infinito con gli esempi. E questo vale anche per le motivazioni: si apprezza o si biasima sulla base di credenze, vere o erronee che siano, circa gli effetti o i ri- sultati di certe qualit delle cose. Come ha osservato il tanto citato Stevenson, un disac- cordo di credenza produce un disaccordo di valutazione. E, aggiungiamo, una crisi nelle credenze produce una cri- si nelle valutazioni. Se fosse vera quellunit inscindibile che sostengono alcuni psicologi, crisi di questo genere non potrebbero mai sorgere: ch latteggiamento condizione- rebbe sempre (e non soltanto spesso) e n ogni misura (e non soltanto in una certa misura) la credenza  e vicever- sa. Ma il mutamento di credenze produce un dramma mo- rale (grande o piccolo che sia): latteggiamento resta co- munque scosso, anche se spesso si ricostituisce sulla base di altre motivazioni. Ma tutto il sistema delle motivazioni ne viene rivoluzionato, e il sistema stesso degli atteggia- menti rischia di perdere di coerenza. 3. Mala problematica insita nella situazione preceden- te ci interessa di pi a livello dellego sociale, cio del sog- getto e della persona sociale. Naturalmente, occorrerebbe una lunga discussione per giustificare l'ammissione, che si fa qui, di un ego sociale: molti infatti non sarebbero disposti ad ammettere lego sociale come un piano di attualit dellego (il soggetto so- ciale come un piano di attualit del soggetto, la persona sociale della persona), o sulla base di una metafisica no- minalistica (per cui reali sono soltanto gli individui), o, al contrario, sulla base di nebulose concezioni umanisti- co-spiritualistiche. Ma da un punto di vista positivo con- cetti come questi, di persona sociale o soggetto sociale, si presentano correlati con caratteristiche esperienze, di ca- rattere assai simile (se non forse affatto identico) alle e- sperienze che verificano gli enunciati delle scienze stori- che (delle quali purtroppo non abbiamo finora unadegua- ta analisi epistemologica). Leggi, istituzioni, opinioni cor- renti, idee etiche (quali, per esempio, si esplicano nelle motivazioni di certe sentenze di magistrati), ecc., hanno unobiettivit di tipo empirico, anche se non si tratta del- lesistenza empirica delle cose che si costituiscono nel- la normale esperienza sensoriale (percezione). Sf che, da questo punto di vista, si pu parlare di persona sociale come lattualit della persona al livello della sfera dei va- lori socialmente ammessi e costituiti: valori principalmen- te etico-giuridici e religiosi, ma anche, sebbene in modo meno ovvio, estetici, edonistici (vitali), strumentali (si pensi, ancora una volta, alla storiella del porco atrostito). Questi valori si organizzano in maniera pi o meno coe- rente (a seconda delle societ e delle epoche storiche) se- condo sistemi di categorie valutative e si dispongono in gerarchie, le quali sono tipiche delle varie culture (axiolo- giche). Vivendo entro i conflitti della nostra cultura e co- me membri attivi della medesima non sempre scorgiamo nitidamente questo fatto: ma ce ne accorgiamo non appe- na, viaggiando e/o studiando, ci troviamo di fronte a cul- ture molto lontane dalla nostra nello spazio o nel tempo: allora, per cosi dire per effetto della prospettiva data dalla distanza, scorgiamo pi facilmente quando ci sforziamo di capirli, gli schemi formali e i contenuti di tali diverse cul- ture, non tanto in questo o quel singolo, ma come culture sociali. Lo stesso discorso vale per il soggetto del conoscere. A partire dal linguaggio comune, che  tipica istituzione so- ciale, per giungere ai linguaggi scientifici (che nascono da convenzioni linguistiche ammesse nella societ dei dotti), fino ai tipi di inferenza ammessi, gi le strutture linguisti- co-formali del sapere sono di istituzione sociale: si ap- prendono, si comunicano, e, fuori dei gradi di libert che esse eventualmente permettono, ogni deviazione da esse porta alla non-validit dei discorsi, delle teorie, delle proposizioni.  stato molto spesso (e forse anche troppo) sottolineato il fatto che teorie, convenzioni scientifiche, assiomi  insomma, ci che molto globalmente potremmo chiamare la verit scientifica, si pone ed  tale in un concreto sociale, ed ha una validit sociale. Anche qui, i- stituzioni (come scuole, accademie, ecc.) costituiscono la fonte autoritativa e l'appoggio sociale di questa verit quella che deve sapere ogni cittadino che aspiri a titoli di studio o si presenti a concorsi per esami. Ma ci vige anche a livelli pi profondi  anche al livel- lo dellesperienza sensoriale. Non alludo soltanto allEr- fabrung scientifica, all'esperienza (di osservazione o speri- mentale che sia) che verifica teorie scientifiche e, in forma di enunciati protocollari, fornisce la base per le induzioni che conducono alle costruzioni teoriche; ma anche alla co- mune Erlebnis, a ci che si vede o si crede di vedere. Ve- diamo il mare azzurro e la moneta circolare: ma questo non  mai ci che realmente (otticamente) vediamo:  in- vece uno standard sociale, che, attraverso i complessi e molteplici condizionamenti subiti da ognuno di noi fin dalla prima infanzia, guida le nostre integrazioni percetti- ve e gestaltiche. Lesperienza sensibile che conta, quella che  vera,  quella esperita da organi sensoriali e appara- ti nervosi normali: ma lo stesso normotipo, che fa da campione, da termine di riferimento, per la valutazione della sensibilit di ogni singolo,  una creazione sociale e vige in una societ.  noto, per esempio, che mentre nella nostra societ le parole di un uomo stimato pazzo non so- no attendibili, in altre civilt succede il contrario: le paro- le di un pazzo (o presunto tale) sono rivelazioni della di- vinit. Reticolati di categorie teoriche, sistemi logico-linguisti- ci, regole per losservazione e la sperimentazione, normo- tipi sensoriali  tutto ci costituisce quel piano di attuali- t del soggetto del conoscere che si pu chiamare sogget- to sociale. E cosi possiamo parlare, senza pericoli di me- tafisica e di misticismo romantico, di un soggetto sociale e di una persona sociale, correlati di due culture sociali, una scientifica ed una axiologica. Ma listanza nominalistica resta vera nel senso che, sul piano esistenziale dellattualit, esistenti sono soltanto i singoli (gli individui come residuo dell'analisi, cio ele- menti costitutivi, della societ). E da questo punto di vi- sta si pu, entro certi limiti e con le dovute cautele, par- lare di cultura nel senso antropologico di Snow  pro- prio nel senso di gruppi professionali di singoli, di indivi- dui, dediti ad una cultura o allaltra: di scienziati, di magistrati, di preti e... di letterati. E qui si pu parlare di una cultura scientifica e di una cultura axiologica, formate da coloro che, professionalmente o per vocazione, opera- no in un campo o nellaltro, che sono ricercatori o profes- sori 0 educatori o giudici o predicatori, o scrittori, incar- nando le forme concrete e le istituzioni dellego sociale. 4. Ora, chiediamoci: le due culture si identificano, o sono diverse e distinte? Prescindiamo dagli uomini: per- mettendoci forse un eccessivo ottimismo, possiamo postu- lare che ogni professionista persegua lealmente i valori della sua professione: che lo scienziato sia leale alla veri- t, il magistrato alla giustizia, ecc.  In questa ipotesi, ci sar un costante accordo tra le culture sociali, oppure po- tranno esserci divergenze o conflitti? Consideriamo le forme in astratto (il che ci  permesso appunto dallipotesi della lealt). La scienza, abbiamo det- to e ripetuto fino alla noia,  wertfrei: conosce, non valu- ta. La cultura axiologica valuta, e persegue nella praxis un mondo di valori. Cos stando le cose, non ci dovrebbe es- sere conflitto alcuno. Ma, come abbiamo gi osservato, le valutazioni si ap- poggiano a motivazioni: e queste sono conoscenze, valide o non valide come conoscenze, cio vere o false. Razional- mente, un conflitto di credenze deve portare, o per lo me- no pu portare, ad un conflitto di valutazioni.  gui, e so- lo qui, che tra la cultura teorica e la cultura axiologica pu sorgere, indirettamente, un conflitto. E cio quando mu- tamenti intervenuti nel sapere scientifico scalzano la veri- t delle conoscenze che motivano valutazioni attuali, fa- cendole regredire a pregiudizi. Una motivazione scientifi- camente invalida rende invalido il giudizio di valore che essa appoggia: e la civilt di un popolo si misura dalla scientificit delle motivazioni dei suoi giudizi di valore. Un popolo che appoggia le sue valutazioni a motivazioni prescientifiche o antiscientifiche  un popolo incivile: tut- to il suo ethos scade ad imposizioni bestiali e tiranniche. Gli esempi sono a portata di mano. Il pi banale, ma an- che il pi clamoroso,  quello delle streghe e degli inde- moniati. Non per nulla il Malleus maleficarum dichiara- 234 RETORICA E LOGICA va contraria alla religione e alla vera filosofia la miscre- denza scientifica nelle streghe (qualche secolo appresso di- verr ugualmente contrario alla religione e alla vera fi- losofia il non credere che i comunisti siano figli e incarna- zioni del diavolo in persona): tolta la credenza nella pos- sibilit della stregoneria cade anche, come reato impossi- bile, il reato di stregoneria, e con esso la liceit di colpire in sede giudiziaria persone antipatiche ai preti o alla co- munit, ricerche scientifiche di ricercatori isolati non inse- riti in tradizioni e in corpi scientifici ufficiali, ecc.  Ma pi importante, anche se meno cinematografico,  il caso degli indemoniati. Gi nel Corpus Hippocraticum c uno scritto medico in cui si cerca di provare che la malattia sacra (cio, credo, lepilessia) non  affatto sacra, ma  una malattia come le altre: ciononostante per millenni, fino al Settecento avanzato, si continu a pensare che ma- lattie nervose e mentali fossero malattie sacre, dovute cio alla presenza di demoni o spiriti maligni comunque qualificati. Ci portava ad un pesante giudizio di valore morale negativo sulle disgraziate persone che (consenzien- ti o no) ospitavano il Maligno  la malattia mentale era u- na cosa da punire piuttosto che da guarire. E cosi atti com- piuti in stato di follia, come infanticidi compiuti da puer- pere impazzite, erano considerati orrendi delitti (e pi or- rende ancora ne erano le punizioni). Lo studio scientifico del sistema nervoso, che appunto si inizia nel Settecento (Haller ecc.) porta alla convinzione (che gi Lamettrie af- ferma decisamente con tutte le sue implicazioni valutative in campo morale) che si tratta di malattie vere e proprie, non di malignit n immanenti n soprannaturali: e che di conseguenza i malati vanno curati, non puniti. Oggi tutto ci , per noi, ovvio  sebbene in pratica non ci si compor- ti sempre come se fosse tale. Pi attuale  il caso, tuttora discusso, del diritto di na- tura: un venerando concetto di origine metafisico-reli- giosa che oggi molti giuristi e filosofi del diritto ritengono (e, io penso, ben a ragione) affatto mitologico, ma che al- cuni giuristi (soprattutto di destra) invece vorrebbero rivalutare, ad onta della sua assoluta improbabilit (ed an- CULTURA AXIOLOGICA E CULTURA TEORETICA 235 zi insignificanza) teoretica '. Ammesso un sistema di nor- me di natura, esso costituisce un sistema assoluto di riferimento e valutazione di tutte le norme di un diritto storico (e di tutti gli atti in conformit o meno a queste ultime)  e quindi diventa relativamente facile rendere ta- bi certi istituti (per es., il matrimonio, la famiglia, la pro- priet privata), rendere contro natura certe rivoluzioni o anche semplicemente certe prassi legislativamente am- messe o imposte.  inutile obiettare che se per natura si intende (e credo che sia lunico modo per dare un senso a tale termine) l'insieme dei fenomeni in quanto compreso e ordinato secondo leggi scientifiche, tutto ci che accade, e comunque accada,  naturale  in tal caso lidea che certi fenomeni siano innaturali o antinaturali  so- lo il segno di una deficienza del nostro sapere. Di fatto, fuori delluso filosofico e scientifico, chiamiamo naturale o ci che  conforme a nostre abitudini, o ci che  in ar- monia con una selezione dei nostri impulsi, o ci che ci giova e che ci piace. In questo senso il rapporto eteroses- suale non-parentale, la salute, il riposo alternato al lavo- ro, ecc., sono naturali, mentre il rapporto omosessuale o incestuoso, la malattia, il sopralavoro sono contro na- tura.  chiaro per che se natura si concepisce cos, un tale concetto non serve pi a fondare nessun valore e nes- suna norma in modo assoluto: serve pi a dichiarare che non a fondare leticit o la non-eticit di certe prassi e di certi istituti. Tanto pi che in genere dallessere e dal ! Rimando al bel libro di BOBBIO, Giusnaturalismo e positivismo giu- ridico, Milano 1965. 2 In un certo senso, si potrebbe ancora parlare di diritto naturale con- nesso con un contratto sociale, ove tali nozioni venissero demetafisicizza- te e demiticizzate, perdendo per con questo la loro pretesa di criteri e fon- damenti assoluti. Ci che distingue un sistema reale di diritto da un possibi- le gioco giuridico (che formalmente potrebbe essere anche pi perfetto e rigoroso di qualsiasi reale legislazione)  l'efficacia del sistema stesso. Ora tale efficacia dipende in parte dalla forza coattiva della pubblica autorit, ma in parte dal consenso etico della popolazione soggetta (direttamente o in- direttamente) al sistema delle norme. Sia ci un bene, sia ci un male,  un fatto che in tutte le societ civili odierne la tendenza  di ridurre al minimo la coazione e a massimizzare invece il consenso. Quest'ultimo di- pende dalla libera accettazione del sistema di leggi da parte dei singoli. Ora, ogni sistema giuridico-politico instaura un insieme di libert e unito ad esso un insieme complementare di illibert: per es., la libert di gode- re in pace dei frutti del proprio lavoro implica lillibert di impadronirsi fatto non si possono dedurre il dover-essere, il valore, la norma: tale pseudo-deduzione da Moore in poi si chiama fallacia del naturalista. Ritornando al filo del discorso,  certo che anche se va- lutazioni e norme perdono le loro vecchie motivazioni, con ci non  detto che non si possano rimotivare. Per questo, della rimotivazione,  un procedimento che sem- pre, pi o meno, cambia il significato dei giudizi di valore  o pi esattamente ne muta il campo (estensionale) di ri- ferimento: in parole tradizionali, ne muta la casistica sot- tostante. Stevenson ' fa l'esempio di il rapporto sessuale extramatrimoniale  cosa cattiva, motivato con il perico- lo della nascita di figli fuori del matrimonio, ecc.; ma la conoscenza di norme igieniche e dellimpiego di anticon- cettivi (o altre tecniche anticoncettive) toglie tale motiva- zione: e con ci il giudizio cadrebbe, se non venisse rimo- tivato. Si pu allora rimotivare: per esempio, con le com- plicazioni emozionali che (soprattutto nelle donne) tale rapporto porta con s. Ma in tal caso il tabi  portato su di un altro piano: ha perduto di oggettivit, e quelle me- desime considerazioni degli aspetti emozionali e sentimen- tali dell'atto possono, in determinati casi, servire proprio a giustificazione dellatto stesso (ossia a motivarne una va- lutazione positiva). Analoga , per esempio, la faccenda della perturbatio sanguinis, parto di una fantastica genetica prescientifica, che serviva a motivare la maggiore severit del giudizio etico e della norma di legge nei confronti della donna a- dultera. Ora che la biologia ha sfatato questo mito, facen- con lastuzia o la forza di tali frutti, ecc. - Nel caso del consenso ogni sin- golo accetta liberamente libert e illibert (contratto sociale-politico) a certe condizioni. Si potrebbe chiamare diritto di natura linsieme mini- male delle condizioni necessarie al mantenimento del contratto: cio lin- sieme delle condizioni senza cui singoli, o gruppi etnici, o classi, ecc., non sono pi disposti, non hanno pi interesse, ad accettare liberamente il sistema di libert e illibert costituito dall'ordinamento. Va da s che in una tale accezione il diritto di natura, per quanto empiricamente si ri- veli abbastanza stabile in certi sottoinsiemi di condizioni, tuttavia  nel complesso variabile (da epoca a epoca, da civilt a civilt, da gruppo a gruppo, ecc.): e quindi, sebbene possa costituire un'efficace piattaforma per la discussione pratico-empirica di leggi e istituti storici, non pu co- stituire un fondamento e un criterio assoluto per il diritto stesso. ! Ethics and Language cit., p. 123. dolo decadere a volgare pregiudizio, i sostenitori di que- sta maggiore severit devono ricorrere ad altri argomenti: il ruolo della donna nella famiglia, il carattere diverso dei suoi rapporti con i figli, e, come prima, le diverse reazioni sentimentali ed emozionali della donna. Ma una volta in- trodotte queste nuove motivazioni, la colpa stessa mu- ta di senso: infatti, anche qui, queste ragioni possono in certi casi venire recate non a condanna, ma a giustificazio- ne, della donna e a sostegno del divorzio. 5. L'elemento importante in tutto ci  costituito dal- la solidariet degli istituti del costume: s che una rimoti- vazione, e conseguente mutamento di senso, di una nor- ma, potenzialmente mette in crisi tutto il costume  e questo ben lo sanno i conservatori. Questo punto  molto importante per intendere la ten- sione dinamica, e in alcuni casi il conflitto aperto, tra ethos e cultura scientifica. Quest'ultima infatti  in genere pi mobile  e comunque  pi aperta ai mutamenti, pi progressiva: non solo, ma le motivazioni dei suoi cambia- menti, della dottrina che adotta e di quella che confuta, obbediscono soltanto al valore essenziale e immanente al- la scienza stessa, il valore della verit scientifica, lunico che in essa risulti decisivo. Lethos  pit statico, meno in- cline ai mutamenti: e in genere in ogni societ non so- lo sono molto numerosi gli individui conservatori, ma le istituzioni stesse tendono decisamente allautoconserva- zione... La dinamica delleshos  stata magistralmente schizzata dal Veblen', la cui teoria in proposito voglio qui riferire con una certa libert. Il costume  un complesso di istituzioni, intenden- dosi con ci un insieme di abiti ampiamente prevalenti in una certa comunit, relativi a certe particolari funzioni, a determinati rapporti, della comunit e degli individui che la compongono. Un principio di riflessione trasforma que- sti abiti in costumi, cio li fissa in leggi o canoni, ne fa de- gli atteggiamenti o sentimenti  ne fa, insomma, degli abi- ! T. VEBLEN, La teoria della classe agiata, trad. it., Einaudi, 1949. 238 RETORICA E LOGICA ti di pensiero che a livelli di civilt gi abbastanza elevati possono giungere a divenire princip, e pi in l ancora con- cezioni della vita, atteggiamenti spirituali, ideologie. Come sorgono e si formano le istituzioni del costume? Veblen, come del resto, credo, la maggior parte degli an- tropologisti suoi contemporanei, mette questo fatto in re- lazione ai meccanismi dell'evoluzione della specie. Le isti- tuzioni sorgono come abiti selezionati di risposte a stimoli in circostanze standard, modi caratteristici di risposta a stimoli in determinate situazioni. Naturalmente, tra que- sti abiti c' anche quello di vivere una vita associata, il che a sua volta richiede la formazione per selezione di abi- ti associativi:  La vita delluomo in societ, proprio come la vita del- le altre specie,  una lotta per lesistenza e perci un pro- cesso di adattamento selettivo. L'evoluzione della struttu- ra sociale  stata un processo di selezione naturale delle istituzioni. Il progresso che si  fatto e che si sta facendo nelle istituzioni umane e nellumano carattere si pu ascri- vere sicuramente a una selezione naturale delle abitudini mentali pi idonee a un processo di forzato adattamento degli individui a un ambiente che  progressivamente mu- tato col crescere delle comunit e con le mutevoli istitu- zioni sotto cui gli uomini sono vissuti  !.  vero che le istituzioni derivano dalle azioni degli uo- mini; ma  anche vero che esse fanno, e selezionano, gli uomini per adattarli alle istituzioni:  Non appena una data tendenza o un dato punto di vi- sta  riuscito a farsi accettare come criterio o norma di vi- ta obbligatoria, reagir sul carattere dei membri della so- ciet che lha accettato come norma. Esso former in par- te le loro abitudini mentali ed eserciter una sorveglianza selettiva sullo sviluppo delle attitudini e delle inclinazio- ni. Questo effetto  operato, in parte da un adattamento coercitivo, frutto di educazione, delle abitudini di tutti gli individui, in parte da uneliminazione selettiva degli in- dividui e dei filoni di sviluppo inadatti. Quel materia- le umano che non si presta ai metodi di vita, imposti dal- 1 p. 151. CULTURA AXIOLOGICA E CULTURA TEORETICA 239 lo schema accettato, viene represso o addirittura elimi- nato  |. Dunque: esperienze di adattamento, soluzioni vitali si fissano, e divengono costume. Divengono anche standards valutativi, che operano sugli uomini formandoli e, comun- que, determinandone il destino entro il wzilieu sociale. Ci determina la tendenza del costume, appunto, a istituzio- nalizzarsi, a fissarsi, a divenire autoconservativo, arch al di l delloriginaria sua funzione vitale e pragmatica: il co- stume diventa tradizione, inerzia storica. Di qui la sua cri- si immanente, perpetua: perch, mutando le circostanze vitali (storiche, ambientali), anche le istituzioni dovrebbe- ro mutare, non essendo esse altro che metodi di risposta a circostanze mutevoli; non solo, ma le stesse istituzioni, operando una selezione nel materiale umano, mutano la stessa situazione umana, e cosi vengono a mutare anche le precedenti condizioni che le avevano fatte nascere. Perci si pu dire che le istituzioni del costume na- scono gi vecchie: sono sempre in ritardo, mai adeguate agli sviluppi della situazione umana. E allora vengono in conflitto o con la situazione reale o con il materiale uma- no che esse stesse sono venute creando: a questo punto, da vitali divengono antivitali, e la selezione comincia a funzionare in senso inverso. Sorte con un determinato va- lore, per rispondere a determinati scopi, nelle mutate si- tuazioni mutano senso e valore e spesso agiscono come un freno al progresso od evoluzione, sbarrando la via alla for- mazione di istituzioni pi adeguate. Linerzia delle tradizioni (sostenuta praticamente dal coagularsi intorno ad esse degli interessi di alcune classi, o caste o ceti) d origine a quel complesso atteggiamento che  il conservatorismo. Ma qui, a questo proposito, ci interessa soltanto un fatto, peraltro molto importante: il fatto che, in generale, le istituzioni sono tra loro solidali  nel senso che si sorreggono, si motivano le une con le al- tre; in una specie di movimento circolare in virti del qua- le il costume si chiude nella sua immanenza, diviene so- stanziale. Questa sostanza del costume, che si suol chia- 1 p. 168. 240 RETORICA E LOGICA mare anche lordine sociale, costituisce lo sfondo della vita quotidiana, lo sfondo delle normali attivit degli uo- mini, e perci ha, indubbiamente, per se stessa un valore vitale, quasi animale (non certo spirituale, come preten- dono i conservatori): romperla, mutando in tutto o in par- te le istituzioni (ma, data la circolarit, o sostanzialit che dir si voglia, il mutamento parziale rischia di mettere in crisi ogni volta lintero sistema! ),  un rischio, un avven- tura spirituale, che molte persone (tanto pi quando ne sono minacciati interessi dominanti) corrono mal volen- tieri: richiede una disperazione, o unascesi, che pochi hanno. Giova a questo proposito leggere una bellissima pagina di Veblen:  La repugnanza sentita dalla gente per bene a ogni pro- posta di allontanarsi dai metodi di vita accettati  un fatto di comune esperienza quotidiana. Non  infrequente sen- tire quelle persone che dispensano ammonizioni e consigli salutari alla comunit, esprimersi energicamente sugli in- calcolabili effetti perniciosi di cui la comunit soffrireb- be da cambiamenti cosi relativamente insignificanti come l'abbandono della Chiesa anglicana a se stessa, unaccre- sciuta facilit di divorziare, ladozione del voto femmini- le, la proibizione della preparazione e della vendita del- le bevande eccitanti, labolizione o restrizione del diritto di eredit, eccetera. Ognuna di queste innovazioni, ci si dice, scuoterebbe la struttura sociale dalla base, ri- durrebbe la societ a un caos, sovvertirebbe i fondamen- ti della morale, renderebbe la vita impossibile, rovi- nerebbe lordine della natura, eccetera. Questi vani mo- di di dire sono senza dubbio iperbolici; ma nello stesso tempo, come ogni esagerazione, sono indice di un senso vivo della gravit delle conseguenze che essi intendono descrivere. Si sente che leffetto di queste e simili innova- zioni nello sconcertare lo schema di vita accettato, appare assai pi grave che il semplice mutamento di una voce iso- lata nella serie delle sistemazioni collettive. Ci che vale cosf ovviamente per le innovazioni di primaria importan- za, vale in grado minore per i cambiamenti di una minore importanza immediata. Lavversione per il cambiamento  in gran parte lavversione per il disturbo di fare il riequilibrio che ogni cambiamento rende necessario; e que- sta solidariet del sistema delle istituzioni di una data ci- vilt o di un dato popolo fortifica la resistenza istintiva a ogni mutamento nelle abitudini mentali degli uomini, per- sino in cose che, prese a s, sono di minore importanza  . 6. Siamo cosi giunti al termine di questo capitolo  e di questo volume. Il momento propriamente teoretico, co- noscitivo, della cultura  la cultura scientifica  si configu- ra in un peculiare rapporto con la vita degli uomini e con la civilt complessiva. In virt della sua strutturale Wert- freibeit, in virti della sua libera universalit umana, la cultura scientifica appare come il momento del negativo: come negazione liberante, come strumento della stessa au- totrascendenza della vita e della storia: e appunto per que- sto la sua struttura  essenzialmente a-storica. Ci richiamiamo qui a quanto hanno messo in evidenza molti filosofi, forse a partire dallo stesso Platone  ma per stare in tempi meno remoti, richiamiamoci a filosofi come Simmel o come Scheler. La cultura, ogni cultura, nasce dalla vita: ma, una volta sorta, esercita rispetto alla vita una specie di ascesi, la sospende, le volta le spalle, ed elabora forme ideali di validit che obbediscono a criteri immanenti, non pi a quello della loro immediata vitalit. Questo vale per quello specifico e peculiare valore che  la verit, come per ogni altro valore. Ma, a questo punto, le forme di cultura mettono in crisi la vita stessa: la scon- certano nel momento stesso che tendono a riorganizzarla entro orizzonti pi vasti, pi ricchi, pi comprensivi. On- de ritornano alla vita come pit vita. Come abbiamo detto, la cultura axiologica, per le sue motivazioni, per le stesse progettazioni pratiche che im- plica nella sua tendenza ad attuare i valori nellessere, si appoggia alla cultura scientifica: e un quadro axiologico del mondo presuppone sempre un quadro scientifico del- lessere (della natura, della storia, eccetera). La non-coin- cidenza del quadro del mondo utilizzato dalla cultura a- xiologica con quello presentato dalla scienza produce una ! pp. 161-62. 242 RETORICA E LOGICA crisi storica di civilt, e quindi rappresenta un elemento dinamico di mutamento (parlo sempre in seno alla civilt, ossia sul terreno della vita riflessa, culturale). Ma la cultura axiologica, in quanto si organizza in un sistema di istituzioni etiche, tende a chiudersi nella sua sostanziale immutabilit, nella sua immanenza  come ab- biamo visto. E chiudendosi diviene non solo extravita- le (pi che vita), ma antivitale (meno vita). E ci ac- cade quando i suoi presupposti reali sono mutati, ossia quando si fonda su un quadro dellessere erroneo  erro- neo proprio dal punto di vista del sapere. Il sapere, in quanto regolato dal solo autovalore della verit,  meno vischioso delletbos: naturalmente, tende anch'esso a conservarsi, ma la legge della verit, con lac- centuato ascetismo che richiede, neutralizza gran parte dei motivi di vischiosit. La scienza  pi spregiudica- ta, e quindi, per il suo stesso ufficio, pi aderente ai mu- tamenti che intervengono nella realt. Onde essa, operan- do criticamente contro linvecchiata base pseudo-teoretica che sorregge un arcaico sistema di istituzioni etiche (e quindi di valori), la costringe a mutarsi, costringendo con ci lintero sistema a rimotivarsi, quindi a riorganizzarsi: con il risultato che nasceranno istituzioni etiche diverse, e spesso molto diverse, dalle precedenti. E cosi lascesi scientifica  strumento di riadattamento delletbos alle esigenze della vita: restituisce al mondo dei valori la sua fondazione, la condizione stessa della sua efficacia  mantiene aperte le vie della sua stessa autotra- scendenza. Questa, e non altra,  la funzione primaria della cono- scenza scientifica, in quanto conoscenza, entro la dialetti- ca storica della civilt. Chiederle altro  chiederle di di- venire teologia oppure tecnologia, ideologia oppure pro- gettazione pratica,  chiederle di tradire la sua funzione, di sparire come tale dalla civilt. Ma  anche chiedere alla vita di chiudersi in una immanenza antivitale, in una pace e sicurezza che  la pace della morte. Nuovo Politecnico Pubblicazione settimanale, 27 luglio 1974 Direttore responsabile: Giulio Bollati di Saint Pierre Registrazione presso il Tribunale di Torino, n. 2337, del 30 aprile 1973 Stampato per conto della Giulio Einaudi editore s. p. a. presso la Litografia Bona in Torino C.L. 350-9 a cura di Franco Cambi Giovanni Mari {B cs Asd Intellettuale critico e filosofo attuale yy _ STUDI E SAGGI - 100- Giulio Preti Intellettuale critico e filosofo attuale a cura di FRANCO CAMBI GIOVANNI MARI FIRENZE UNIVERSITY PRESS 2011 Giulio Preti: intellettuale critico e filosofo attuale / a cura di Franco Cambi e Giovanni Mari. - Firenze : Firenze University Press, 2011. (Studi e saggi ; 100) http://digital.casalini.it/9788866550440 ISBN 978-88-6655-039-6 (print) ISBN 978-88-6655-044-0 (online PDF) ISBN 978-88-6655-048-8 (online EPUB) Progetto grafico di Alberto Pizarro Fernandez Certificazione scientifica delle Opere Tutti i volumi pubblicati sono soggetti ad un processo di referaggio esterno di cui sono responsabili il Consiglio editoriale della FUP e i Consigli scientifici delle singole collane. Le opere pubblicate nel catalogo della FUP sono valutate e approvate dal Consiglio editoriale della casa editrice. Per una descrizione pi analitica del processo di referaggio si rimanda ai documenti ufficiali pubblicati sul sito-catalogo della casa editrice. Consiglio editoriale Firenze University Press G. Nigro (Coordinatore), M.T. Bartoli, M. Boddi, F. Cambi, R. Casalbuoni, C. Ciappei, R. Del Punta, A. Dolfi, V. Fargion, S. Ferrone, M. Garzaniti, P. Guarnieri, G. Mari, M. Marini, M. Verga, A. Zorzi.  2011 Firenze University Press Universit degli Studi di Firenze Firenze University Press Borgo Albizi, 28, 50122 Firenze, Italy Printed in Italy PRASSI, INTELLETTO, RAGIONE. IL NUOVO NEOCRITICISMO DI PRETI Massimo Baldacci P., GEYMONAT E LA FILOSOFIA SCIENTIFICA Coniglione TRE STUDI SU PRETI (E DUE APPENDICI) Franco Cambi SPIGOLATURE ALLA GIULIETTO Alberto Peruzzi UN EMPIRISTA LOGICO DI FRONTE AL 68 Giovanni Mari P.: LA FILOSOFIA COME EDUCAZIONE E COME RESPONSABILIT Luca Maria Scarantino IL MATERIALISMO DI P. Giulia Santi IL KANT DI PRETI NEI SAGGI FILOSOFICI Elisabetta Scolozzi P. DOCENTE UNIVERSITARIO Alessandro Mariani Franco Cambi e Giovanni Mari (a cura di) Giulio Preti : intellettuale critico e filosofo attuale Firenze Franco Cambi e Giovanni Mari La facoltà di scienze della Formazione di Firenze, erede della Facoltà di Magistero, già ubicata in via Parione, in cui hanno insegnato figure di intellettuali di alto prestigio, non solo nazionale e versati in molte discipline, ha voluto ricordare uno di questi grandi filosofi che vi hanno operato, a lungo e con impegno: P., che nella Facoltà  è stato docente di filosofia teorica, di filosofia morale e di storia della filosofia all’anno della morte. Un docente di alto valore scientifico e di rigoroso modello didattico, che lascia una profonda impronta nella Facoltà e, soprattutto, in molti filosofi tuttora operanti in questa. Su P. ormai fin dagli anni Settanta e Ottanta (Cambi fu l’artefice del primo saggio ricostruttivo/interpretativo del suo pensiero) si  venuta a costruire una ricca e attenta galleria di studi che ne hanno, in modo preciso, evidenziato sia il modello teorico, analizzandolo nella varietà/complessità e nella criticità aperta, sia la densa articolazione della ricerca, esemplare per ampiezza e rigore, che va dalla logica alla storia della filosofia, dai classici antichi agli autori pi contemporanei. Come contributo da parte della Facolt che lo ebbe come maestro, in occasione dei cento anni dalla sua nascita (1911) si  voluto dare vita a que- sto volume che raccoglie una serie di testi di allievi e studiosi del pensiero pretiano per ricordarne lo spessore intellettuale e critico oltrech tanto pi attuale quanto pi il pensare contemporaneo si mostra nel suo esser frastagliato e irriducibile a un'unica prospettiva teorica e metodologica. Un pensiero che in queste pagine viene attentamente ripreso nei suoi contrassegni teoretici: di pluralismo integrato e critico (Minazzi), di alto profilo dialettico-critico (Baldacci), di legame a una lettura assai comples- sa della scienza (Coniglione), di apertura dinamica e di intensa dialetticit interna (Cambi), di organica formazione critica anche allinterno dellap- proccio dialettico (Peruzzi). Ma qui viene illuminata anche la personalit di intellettuale di Preti: disorganico si  detto e disorganico, dopo le- sperienza attuata a Milano tra Liberazione, Resistenza e spirito del 45, in modo voluto e permanente (rispetto alle ideologie politiche sulle quali assume sempre un'ottica critica: si rilegga il messaggio su questo piano presente in Praxis ed empirismo; ma si vedano anche la sua resistenza al 68 e le testimonianze contenute in Que ser, ser). Disorganico non si- gnifica non-schierato (su un fronte laico e di sinistra) ma piuttosto libero Franco Cambi e Giovanni Mari (a cura di) Giulio Preti : intellettuale critico e filosofo attuale Firenze University Press VII P.: INTELLETTUALE CRITICO E FILOSOFO ATTUALE praticante di una teoria capace di svolgere un ruolo critico, nei confronti della cultura e dei suoi nessi sociali e politici. Un intellettuale ed un filo- sofo che si dichiarano tali anche in questo tipo di critica e in questo ruo- lo, minoritario e talvolta inquietante. Su Preti intellettuale intervengono in particolare Mari e Scarantino, con saggi assai significativi e capaci di ricordarci, oggi, quel ruolo-chiave dellintellettuale, insostituibile da par- te di altre figure emerse poi nel panorama culturale (il matre  penser, il quasi-guru, lopinion-maker ecc.). Su aspetti pi filologico-critici e interpretativo-settoriali si dispongo- no i saggi di Santi e di Scolozzi, sul materialismo di Preti e sul suo Kant, contributi anch'essi illuminanti per approfondire dimensioni-chiave (o strutturali) del pensiero pretiano. Il saggio di Mariani, invece, rievoca il Preti docente universitario e lo fa, felicemente, attraverso le testimonianze di allieve e allievi che di quel magistero hanno fatto tesoro per esercitare spesso, a loro volta, la professione di docenti. In queste voci prende cor- po anche il Preti-uomo: una personalit complessa e sfuggente, ma forse, sotto la scorza ora ironica, ora perfino tagliente, molto carica di squisita umanit, che proprio in alcune forme del suo comunicare di docente ve- niva nettamente a manifestarsi. NEOREALISMO LOGICO, TRASCENDENTALISMO STORICO-OGGETTIVO ED ONTOLOGISMO CRITICO IN PRETI Fabio Minazzi DellAssoluto devesi dire che esso  essenzialmente Resultato, che solo alla fine  ci che  in verit; e proprio in ci consiste la sua natura, nellessere effettualit, soggetto, o svolgimento di se stesso. Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Fenomenologia dello spirito [1807] 1. Ancora sulla rilevanza di Pascal per la riflessione e di Preti Pascal ha avuto modo di rilevare, fin dal 1987, Fulvio Papi  stato studiato da Preti per tutta la vita, proprio perch esiste unaffinit istin- tiva pi profonda, una specie didentificazione rovesciata tra la riflessione di Preti e il pensiero di Pascal. Per la verit non sono molti gli interpreti dellopera pretiana che hanno giustamente scritto sulla significativa e pre- gnante rilevanza di Pascal nellambito della biografia intellettuale di Preti. Rilevanza sulla quale ha pi recentemente insistito, in uno contributo che, anche da questo punto di vista, presenta molteplici, persuasive, conside- razioni, il primo interprete sistematico dellopera pretiana, ovvero Franco Cambi. Ma sempre per questa stessa ragione, pubblicando, nel 2004, il ! Cfr. F. Papi, Giulio Preti: l'ombra vuota dellidea e il fuoco della passione in F. Minazzi (a cura di), Il pensiero di Giulio Preti nella cultura filosofica del Novecento, Franco Angeli, Milano 1990, pp. 36-37 (poi riedito anche in F. Papi, Vita e filosofia. La scuola di Milano: Banfi, Cantoni, Paci, Preti, Guerini e Associati, Milano 1990, p. 242). Cfr., in questo stesso volume, il suo contributo Tre studi su Preti (e due appen- dici). Cambi , effettivamente, il primo autore di una monografia espressamente consacrata allo studio sistematico ed analitico del pensiero e dellopera del pensa- tore pavese, cfr. F. Cambi, Metodo e storia: biografia filosofica di Giulio Preti, gra- fistampa, Firenze, s. a. (ma: 1979). Naturalmente, precedentemente a Cambi, sono stati pubblicati altri contributi significativi dedicati allopera pretiana e tra questi non devono essere dimenticati sia gli importanti studi pionieristici di Ermanno Migliorini (cfr. la sua Introduzione al volume di G. Preti, Umanismo e strutturali- smo, da lui curato per Liviana, Padova 1973 e il suo contributo su Il pensiero axiolo- gico di G. Preti. Da Praxis ed empirismo a Retorica e logica, presentato nel corso del XXIV Congresso Nazionale di Filosofia (L'Aquila 28 aprile - 2 maggio 1973) poi edito nelledizione che ne raccoglie gli atti (Roma 1974, vol. II, tomo I, pp. 18-25), sia Franco Cambi e Giovanni Mari (a cura di) Giulio Preti : intellettuale critico e filosofo attuale Firenze University Press 2 MINAZZI volume, Il cacodmine neoilluminista, anchio ho parimenti avvertito le- sigenza di indicare, programmaticamente, fin dal sottotitolo del libro, la profonda inquietudine pascaliana di Giulio Preti, inquietudine ad un tempo teoretica ed esistenziale, sottolineandone proprio la sua importan- za strategica decisiva per una migliore intelligenza critica dellopera del pensatore pavese. Questa inquietudine, del resto, non appartiene al solo filosofo Preti e, anche nello stesso Pascal si delinea costantemente come unantinomia feconda e critica, invero paradossale ed insolubile, sempre emblematica e costitutiva, della stessa nostra modernit. Da questo particolare e specifico punto di vista, eminentemente filoso- fico,  allora estremamente interessante e criticamente fecondo poter rin- tracciare, con precisione, anche la genesi del primo pensiero che ha indotto Preti a scorgere, proprio nella riflessione pascaliana, un momento teoretico ed esistenziale tra i pi significativi e decisivi, tale, insomma, da aiutare a poter meglio intendere, realisticamente (appunto secondo un realismo uma- no e critico  la Banfi)}, la stessa nostra, eminentemente contraddittoria, condizione antropologica di uomini della modernit. Da questo punto di vista non  allora senza significato tener presente lopera prima di Preti, la felice e, invero, poco considerata e ancor meno studiata, Fenomenologia del valore, significativamente dedicata alla Daria adorata (appunto alla Me- nicanti, la consorte di Preti con la quale il filosofo pavese fu poi comunque legato per tutta la vita, malgrado la loro separazione, consumatasi nei primi i preclari contributi di Mario Dal Pra (a partire dalla sua fine ed acuta Presentazione dei Saggi filosofici di G. Preti, da lui raccolti, con la collaborazione di Franco Alessio ed Ermanno Migliorini, nei due densi volumi apparsi presso La Nuova Italia, a Firenze, nel 1976, 2 voll., cfr. vol. I, pp. V-XXVII, oltre a quanto si legge anche nel precedente Ricordo di Giulio Preti ospitato sulla Rivista critica di storia della fi- losofia, XXIX, 1974, n. 4, pp. 432-47, con contributi specifici, rispettivamente, di Alessio, Dal Pra ed Eugenio Garin). L'espressione citata tra virgolette  tratta da un appunto del 4 febbraio 1935 presente nei Diari di Antonia Pozzi (Diari e altri scritti, nuova edizione a cura di Onorino Dino, note ai testi e postfazione di Matteo M. Vecchio, viennepier- re, Milano 2008, p. 39). In un suo appunto alle lezioni universitarie che, con ogni probabilit, si riferisce al corso di Estetica tenuto da Banfi nellanno accademico 1933-34, la Pozzi, in riferimento specifica allopera del Beato Angelico, annota: [...] Nellarte gotica, dopo la simbolica mdv dellastratta dogmatica, si diffonde il senso della pi intima vita umana - | Il realismo dei sentimenti, dellintimit umana nelle celle di S. Marco del Beato Angelico - | La funz. del realismo non  di copiare la realt, ma di introdurre nellarte il sapore speciale della realt, per impedire che larte diventi simbolica e di maniera - [...] (la citazione  tratta dalle puntuali note di commento di Vecchio ai Diari della Pozzi, cit., p. 79, nota 7). Anche nelle grandi lezioni di storia della filosofia di Banfi dedicate, in quegli stessi anni, ad autori come Spinoza e Nietzsche, emergeva largamente questo nuovo senso del realismo critico con il quale, banfianamente, si veniva invitati a studiare la realt dal punto di vista di un problematicismo critico, aperto, vigile e, al contempo, affatto razionale, in grado cio di sempre comprendere (ermeneuticamente, diremmo oggi), le ragioni dellesistente e le sue stesse conflittualit costitutive. anni Cinquanta). Questo primo libro pretiano  peraltro nato in un preciso ed assai circoscritto contesto umano, storico, filosofico, culturale ed anche esperienziale, poich  direttamente connesso con tutto il particolare ed ef- fervescente clima della scuola banfiana della seconda met degli anni Trenta, i terribili anni Trenta di cui ha parlato espressamente Dino Formaggio. Anche la stessa modalit della sua stesura  nata, sartrianamente, sui tavolini dei vari Caff di Pavia dove Preti aspettava il termine delle lezio- ni private che sua moglie impartiva allora, a domicilio, ai vari studenti - rinvia ad una specifica e stratificata modalit di scrittura e di riflessione, assai mobile, sempre finalizzata - per dirla con le stesse, parole di Ban- fi (risalenti ad un'epoca coeva, allagosto 1939)  a chiarire lesperienza spirituale e approfondirla per una elaborazione ed accentuare la nostra sensibilit culturale fuor dogni pretesa sistematica. Quest'opera prima pretiana  cos nata proprio da un preciso suggerimento banfiano che il filosofo pavese ha tuttavia poi realizzato praticando una complessa for- ma di riflessione critica di cui ora la pagina stampata ci offre una docu- mentazione ampiamente stratificata e sofisticata (come non rilevare, per esempio, il tono decisamente esistenziale di molte importanti note di questo testo che si intrecciano costantemente con il rigoroso dipanarsi - hegeliano, kantiano e fenomenologico - anche  la Husserl - del testo?). D'altra parte, last but not least, in questa articolata prospettiva erme- neutica, non paia allora paradossale inaugurare una riflessione sullultimo Preti prendendo proprio le mosse dal primissimo Preti, giacch la genesi, forse pi profonda e riposta, della maturazione pi fine e criticamente av- vertita della sua stessa riflessione filosofica pu infatti essere individuata in alcuni leit-motiv, in alcuni orizzonti strategici decisivi che, pur essen- dosi poi dipanati criticamente con varia ed anche innovativa curvatura teoretica nel corso della intensa biografia intellettuale pretiana, tuttavia consentono anche, appunto, di meglio intendere, unitariamente, un vasto ed articolato programma di ricerca e il suo stesso, pi riposto ed intimo, cuore critico. Sempre per questa ragione non  allora affatto un caso che 4 Perla disamina di questo fondamentale rapporto sia comunque lecito rinviare al saggio introduttivo che ho premesso al volume di Daria Menicanti, Canzoniere per Giulio, a cura e con uno studio di F. Minazzi, con tre disegni inediti dellAutrice, Manni, San Cesario di Lecce 2004, pp. 7-59. 5 Cfr. Dino Formaggio, Una vita pi che vita in Antonia Pozzi, in G. Scaramuzza (a cura di), La vita irrimediabile. Un itinerario tra esteticit, vita e arte, Alinea, Firenze 1997, pp. 141-168.  La citazione  tratta da una significativa lettera cronachistica di Banfi a Clelia Abate del 16 agosto 1939 che ho gi espressamente richiamato nel volume Giulio Preti: bibliografia, Franco Angeli, Milano 1984, p. 63, nota 33. 7 Per una prima disamina critica di questo volume in questa sede sia tuttavia sufficiente rinviare a quanto ha persuasivamente e finemente rilevato Ettore Brissa nel suo saggio Due figure della Fenomenologia del valore, in F. Minazzi (a cura di), Il pensiero di G. Preti nella cultura filosofica del Novecento, cit., pp. 341-349. P., impostando il suo problema filosofico della fenomenologia dei valori richiami subito, in modo programmatico e strategico, proprio la lezione pascaliana. Ma allora, onde meglio intenderne il preciso ruolo euristico e strategico, conviene senz altro ripercorrere analiticamente le- satto perimetro della primissima riflessione pretiana 2. Il giovane Preti: il significato metodologico-critico del problema di dio nella riflessione di Kant ed Hegel Preti, avviando la sua disamina critica della fenomenologia del valore, proprio nella sezione delle ricerche preliminari, prende le mosse,  la Feuerbach e  la Kierkegaard, dallassoluto individuale esistente, appunto dallindividuo singolo, in carne ed ossa, ricordando peraltro, con l Hegel, autore dellEnciclopedia delle scienze filosofiche in compendio (cfr. il $ 375, citato nelledizione crociana del 1923), che la inadeguatezza dell'animale alluniversalit  la sua malattia originale; ed  il germe innato della morte. La negazione di questa inadeguatezza  appunto ladempimento del suo destino. Secondo il giovane Preti questo tema non solo culmina, in nega- tivo, nella malattia di Hlderlin, emblematicamente espressa nellIperio- ne, nonch, posteriormente, anche nella Montagna incantata di Thomas Mann (in base alla quale la spiritualit  percepita appunto come malattia e lussuria), ma d anche origine, in positivo, alla disperazione positiva, maschile, di volere essere quello che si , contrapposizione della propria finitezza allinfinito dello Spirito*. Mentre dunque la disperazione fem- minile vorrebbe inseguire unimpraticabile fusione romantica dell Uno col Tutto - dando appunto luogo alla fine di Empedocle -, di contro la di- sperazione maschile aprirebbe, invece, ad un diverso orizzonte strategico che ripropone il tema - decisamente kantiano - della possibilit di poter concepire un Assoluto concretamente esistente che ci riporta, appunto, al problema critico dellIdeale della Ragione. 2.1 Dio come ideale della ragione Ricordando la problematicit intrinseca dellidea di dio come  svolta da Kant nella sua Dialettica trascendentale, Preti rileva come questa stes- sa idea di dio in Kant si scinda in una duplicit categoriale coincidente con la sua stessa problematicit. Da un lato dio si configura infatti come lIdeale della Ragione, completamento e integrazione di tutta lesperien- za trasposta in termini e rapporti razionali. Questo , naturalmente, il 8 G. Preti, Fenomenologia del valore, Giuseppe Principato, Milano-Messina 1942, p. 13, ma cfr. pi in generale le pp. 9-39 che si sono tenute complessivamente presenti nel testo. ? G. Preti, Fenomenologia del valore, cit., p. 14, mentre le citazioni che seguono nel testo sono tratte, rispettivamente, dalle seguenti pagine: p. 14; pp. 14-15; pp. 19- tradizionale dio del razionalismo filosofico e allora lindimostrabilit dellesistenza di Dio ha perci in Kant il valore positivo di una scoperta di un limite metodologico-razionale del sapere, dellintegrazione infinita di esso da parte della Ragione. Nella Critica della ragion pura il concetto di dio finisce cos per assumere un valore eminentemente metodologico, con la conseguenza che la stessa fede morale non pu configurarsi come lassolutizzazione del sentimento, bens come la consapevolezza dellasso- lutezza della stessa Moralitt kantiana e della sua autonoma problemati- cit. Proprio su questo punto decisivo Hegel, avversando decisamente la soluzione, mitica e problematica, invocata dai romantici come Hlderling (che trasformano, eo ipso, un problema aperto in una unit in atto), pro- spetta  scrive Preti  l'esigenza autenticamente kantiana di far valere quel limite come limite razionale, come il termine cui si deve volgere tutto lo sviluppo del sapere. In questa precisa prospettiva interpretativa  in cui  assai agevole ritrovare l'influenza diretta di autentico imprinting della lezione banfiana - questa precisa esigenza kantiana pu allora essere in- dicata anche come il tema fondamentale, e invero decisivo, della stessa Fe- nomenologia dello spirito hegeliana. Come  noto per Hegel [...] dellAssoluto devesi dire che esso  essenzialmente Resultato, che solo alla fine  ci che  in verit; e proprio in ci consiste la sua natura, nellessere effettualit, soggetto, o svolgimento di se stesso. Per quanto possa sembrare contraddittorio che l'Assoluto sia da concepire essen- zialmente come resultato, basta tuttavia riflettere alquanto per render- si capaci di questa parvenza di contraddizione. Il cominciamento, il principio, l'assoluto, come da prima e immediatamente vien pronun- ziato,  solo lUniversale. Se io dico tutti gli animali, queste parole non potranno mai valere come una zoologia; con altrettanta evidenza balza agli occhi che le parole: divino, assoluto, eterno, ecc. non esprimono ci che quivi  contenuto; e tali parole in effetto non espri- mono che lintuizione, intesa come limmediato. Ci che  pi di ta- li parole, e sia pure il solo passaggio a una proposizione, contiene un divenir-altro che deve venire riassimilato: ossia  una mediazione. Muovendosi decisamente contro la tipica, diffusa e nota interpretazione romantica di Kant, in questa precisa prospettiva interpretativa, emergereb- be allora lintento pi vero e profondo di Hegel che sarebbe proprio quello di restaurare un vero e proprio criticismo, con la duplice conseguenza che, allora, tutto il sistema hegeliano sarebbe puramente metodologico, non ontologico-metafisico e, in secondo luogo, che il movimento delle stesse categorie hegeliane tendenti allassoluto (inteso quale dio-sostanza) 20; p. 22; p. 16 (nota 12); p. 17 (nota n. 12); pp. 19-20 (nota n. 12); p. 12 (nota n; 12); p. 23-24 (nota n. 16); p. p. 24 (nota n. 16); 1 Preti trae questa famosa citazione hegeliana da G.W.F. Hegel, Fenomenologia dello spirito, trad. it. di Enrico De Negri, La Nuova Italia, Firenze 1923, p. 17. sarebbe sempre essenziale, ma non esistenziale. Conseguentemente, per- lomeno se si legge il sistema di Hegel in modo decisamente non-metafisi- co (e anche non-neohegeliano!), allora la Sostanza-Dio sarebbe soltanto la struttura unitaria concreta del sapere mentre, di contro, il soggetti- vismo  [idest: sarebbe] il risultato del [sic] hegelismo come metafisica. 2.2 Dio come esistente assoluto Ma, dallaltro lato, il problema kantiano di dio rinvia anche ad un se- condo aspetto, quello tipico e tradizionale proprio della tradizione cristia- na, secondo il quale il concetto di dio rinvia, emblematicamente, proprio a quello dellesistente assoluto, appunto allesistenza di dio e a tutti i problemi che ne sono poi scaturiti nelle varie epoche storiche. In questo caso allora lesistenza di dio, pur non essendo, di per s, n essenza, n realt, tutta- via implica, per esempio d la Descartes, un rinvio ai concetti di essenza e di realt, donde la genesi dello stesso dubbio iperbolico. Ma proprio se il problema dellesistenza di dio viene invece affrontato in modo conseguen- te, perlomeno nei termini della classica metafisica realistica-ontologica  la Anselmo dAosta, ne consegue, allora, kantianamente, unimpossibilit essenziale, come del resto Preti puntualmente rileva: [...] se Dio  lEssere perfettissimo maggiore del quale non se ne pu pensare alcuno, non pu essere pensato anteriormente al suo atto di creazione: altrimenti potremmo pensarne un altro gi creante, il qua- le, contro la definizione, sarebbe maggiore di quello. Perci Dio non pu essere prima della creazione, perch prima non sarebbe se stesso: non si pu dunque porre fra Dio e il mondo un rapporto causale, per il fatto che la causalit (efficiente) implica una diversit temporale di momenti. Il rapporto sar perci rapporto essenziale. Conseguentemente, commenta ancora puntualmente Preti, proprio in quanto creatore, Dio  immanente e impersonale. Necessariamente im- manente e impersonale, il che sembra allora valere, pi in generale, per tutto lesistente-essente. Per esempio, Platone [rileva Preti]  lunit immanente delle proprie opere: la filosofia di Platone. Ma Platone  anche colui che ha creato quel- le opere e pensata quella filosofia, e che in esse non si esaurisce. Nellatto creativo, il creatore  dunque soltanto lunit delle cose create: la tra- scendenza sta allorigine di quellatto, solo essa  personale e soggettiva. Insomma: con la sua impostazione critica Kant mostra come lesistenza trascendentale di dio non possa essere mai dimostrata con nessuna argo- mentazione razionale, anche se il concetto di dio pu invece essere pensato come lunit trascendentale dei fenomeni. Pertanto, perlomeno dal pun- to di vista del criticismo kantiano, gli idealisti post-kantiani (per esempio Fichte ed Hegel) si illudono di aver superato Kant, proprio perch Kantha sempre mostrato, dal suo punto di vista trascendentalistico, che lassoluto categoriale  un limite ed una norma ideale del mondo dellesperienza, non individualit esistenziale. Tuttavia a Preti non sfugge di aggiungere come costituisca anche un grande merito di Hegel laver determina- ta la possibilit di un tale Essere come Assoluto che sorregga tutta la ra- zionalit dellesperienza, e che essa trovi come proprio Risultato. In tal modo, sempre secondo questa curvatura interpretativa scaturita, eviden- temente, a stretto contatto con la lezione banfiana, lassoluto razionalismo dogmatico spinoziano viene infine sciolto criticamente, trasformandosi, appunto, nella lezione di Hegel e, proprio grazie alla mediazione critica del trascendentalismo di Kant, in un metodo di risoluzione razionale del reale, risoluzione positiva e creativa che Hegel prospetta riducendo siste- maticamente lesistenziale allessenziale. Perci la realt dellAssoluto si trova alla fine come comprensione in sistema di tutto il reale nellEssere. Allora, esattamente in questa peculiare e preziosa prospettiva hegeliana metodologica, interpretata, kantianamente, quale metodo di risoluzione critico-razionale del reale, solo le molteplici figure, determinate e storiche, dello Spirito possono effettivamente concorrere, positivamente, ad affron- tare il problema dellesistenza dellAssoluto. Ed  esattamente in questo preciso contesto teoretico che Preti avverte l'opportunit di richiamare - in nota!  sia la sua adesione alla corrente del neokantismo di Marburg e alla lezione banfiana, sia a un preciso riferimento al pensiero di Pascal. 3. Il giovane Preti tra Marburg, Husserl e Banfi Avendo seguito puntualmente lesatta disamina sviluppata da Preti, non sar ora difficile scorgere in questa stessa sua impostazione del problema filosofico dellassoluto individuale esistente il preciso riverberarsi criti- co del cuore teoretico della scuola neokantiana di Marburg che consiste, appunto, nella scoperta del senso metodologico della filosofia kantiana e nel riaccostamento di Hegel a Kant sulla base di un comune razionali- smo metodologico trascendentale. Scoperta che, tuttavia, nella riflessio- ne di Preti si intreccia anche con una viva sensibilit (esistenzialista,  la Kierkegaard, ma anche d la Sarte) per il tema della concretezza sensibile del singolo (la carne, in senso anti-evangelico, anche  la Nietzsche, autore dellAnticristo) che lo porta infine a sottolineare limportanza dellanimali- t integrale delluomo quale essere naturale ( la Pascal). L'interpretazione della filosofia kantiana come un metodo trascendentale in virt del quale la sintesi teoretica non pu mai essere individuata nellessere in s, sempre transeunte ed in fieri, bens solo ed unicamente nella legge del conoscere, consente anche di comprendere come per Preti l'autonomia (relativa) del pensiero si debba costantemente intrecciare criticamente anche con il rico- noscimento dellindipendenza oggettiva del dato dell'esperienza. Proprio questa mossa critica, di netta ascendenza kantiana, consente a Preti di far sua anche la metodica filosofica di un Cohen o di un Natorp, intendendo 8 FABIO MINAZZI il metodo trascendentale come unanalisi trascendentale delle obiettivi- t di cultura. E per Preti lo sviluppo pi completo ed intimo di questo punto di vista ed un raccostamento sempre pi intimo alla necessit he- geliana di ricomprendere lesperienza nellunit in s e per s del Logos, si ha quando sulle posizioni della scuola di Marburg si innestano punti di vista derivati da Husserl. Il che per Preti vuol dire certamente un rin- vio alla lezione di Nicolai Hartmann, ma significa anche e soprattutto un rinvio ai Principi di una teoria della ragione di Banfi, proprio perch a suo avviso il pesatore italiano  in grado di superare definitivamente i residui panlogistici della scuola di Marburg, come il minumum di metafisica che N. Hartmann deve ancora postulare. In sintonia con la lezione banfiana Preti vuole pienamente recuperare allantinomia soggetto-oggetto il suo specifico carattere di mera legge trascendentale di continuit teoretica (come afferma citando espressamente il Banfi dei Principi). Ma a questo proposito sar meglio lasciare direttamente a Preti la parola: Per il razionalismo critico trascendentale del B. il problema fondamentale  la ricerca trascendentale dellidea del conoscere: tale idea  quella della correlazione soggetto-oggetto, come sintesi sempre presente in ogni momento fenomenologico della conoscenza concre- ta, ma mai in atto come pura sintesi ideale. Onde una problematicit di tutti gli aspetti fenomenologici della conoscenza, che spinge ogni momento a trapassare dialetticamente in altri. La Filosofia  lultimo di questi gradi di sviluppo: essa  essenzialmente sistematicit anti- dogmatica, sistema aperto, in cui tutti i momenti precedenti sono ri- conosciuti nella loro problematicit e nellattuazione, in essi presente, dellidea del conoscere. I motivi del hegelismo e del kantismo vengono cos a fondersi nel loro significato puramente metodologico e teoretico. Il pensiero di Kant ha quindi per Banfi il valore di scoperta della pu- ra sintesi conoscitiva, e di indagine dellesperienza nella sua struttura universale; Hegel quello di aver purificato il kantismo e di aver svol- to il panlogismo implicito nella concezione kantiana, secondo lide- ale di un sistema puro razionale delle strutture totali dellesperienza. Questa modalit specifica di lettura di Kant e Hegel rinvia, ancora una volta, proprio ed espressamente ai Principi di una teoria della ragione di Banfi e consente a Preti di assumere il problema critico di una razionali- t critica metodologica che trasforma lintegrazione critica dellesperien- za nella scoperta, critico-sistematica ed aperta, del piano dell'autonomia relativa della trascendentalit, mediante il quale lintreccio problematico delle stesse categorie del pensiero si dispone in un determinato, ma costi- tutivo, universo ontologico critico, mediante il quale il reale viene siste- maticamente trasposto e trasvalutato onde dar luogo ai differenti campi disciplinari. In questa prospettiva Preti eredita anche il preciso senso fi- losofico dellinnovativa domanda banfiana: come hegelianizzare Kant sen- za dar luogo ad alcuna metafisica della storia? Esattamente lungo questo specifico percorso critico-trascendentale e fenomenologico si inseriranno NEOREALISMO LOGICO, TRASCENDENTALISMO STORICO-OGGETTIVO 9 poi anche tutti i diversi rilievi critici con i quali Preti mostrer, via via, le ombre metafisiche della prospettiva banfiana, le sue insufficienze critiche, i suoi dogmatismi intrinseci, la sua mancanza di una sufficiente conside- razione dei molteplici piani di mediazione critica posti in essere dallana- litica dellintelletto entro il progetto di dispiegamento di una razionalit volta a poter sempre meglio integrare lesperienza delluomo. Ma non  certamente in questa fase iniziale del suo programma di ricerca che Preti esplicita questi rilievi critici, di cui non ha ancora piena consapevolezza. In questa fase Preti avverte, semmai, la necessit di precisare la sua con- vinta adesione critica a questo preciso universo prospettico, a questo vasto ed ampio programma di ricerca, entro il quale intende appunto lavorare alacremente, e certamente in piena autonomia critica, pur riconoscendosi, tuttavia, nei suoi assunti costitutivi, nelle sue premesse, come anche nel- la sua metodologia, come del resto lo stesso Preti dichiara espressamente: [...] a questa interpretazione di Kante di Hegel che, iniziata dal Cohen culmina col Banfi, io aderisco per ragioni storiche e teoretiche. Dopo Leibniz e Hume a me pare evidente che lidealismo tedesco nella sua corrente razionalista non potesse ritornare a posizioni metafisiche pre-leibniziane e pre-humeane; linterpretazione di Maimon, consi- derata da Kant stesso come la pi ortodossa,  chiaramente orientata in questo senso; la pi vasta comprensione di Hegel, in cui non si vie- ne a trovare pi nulla di inconseguente o di morto, che ne consegue, e la polemica antihegeliana dei secondi romantici sono per me con- ferme assai eloquenti. Non a caso Preti, onde meglio documentare questa sua programma- tica e fiduciosa adesione a questo peculiare programma di ricerca (ad un tempo, come si  visto, teoretico e storiografico), richiama poi sia le pa- gine della sua precedente Difesa del principio di immanenza, sia le stes- se analisi sviluppate nella Fenomenologia del valore. Ed  esattamente in questo preciso contesto teoretico che si inserisce un emblematico richia- mo - sempre in nota! - al pensiero di Blaise Pascal. 4. Sulrapporto tra Preti e Pascal (con un appunto inedito pretiano) Ridisegnando la polemica tra il romanticismo e lhegelismo come lotta tra Seele e Geist, Preti rileva come per Hegel siano unicamente gli spiriti " Cfr. G. Preti, Difesa del principio dimmanenza Sophia, IV, 1936, 2-3, pp. 281-301 in relazione al quale sia lecito rinviare al mio studio Il principio dimma- nenza nel dibattito filosofico italiano degli anni Trenta: il confronto tra Giulio Preti e Carmelo Ottaviano, Il Protagora, XXVIII-XXIX, 1988-1989, nn. 13-16, pp. 245- 74, unitamente al Manoscritto inedito di Giulio Preti sul problema dellimmanenza, presentazione, cura e note di commento di F. Minazzi, ivi, pp. 275-91. 10 FABIO MINAZZI che costituiscono la civitas Dei agostiniano-leibniziana, mentre per i romantici essa  semmai intessuta di anime (ma Schiller parla anche di Hertz, di cuore). Come  noto Hegel non gradiva molto la pappa del cuo- re, cui contrapponeva senz'altro le pi rilevanti dinamiche di sviluppo del Geist. Ma  proprio su questo punto specifico che Preti annota anche come [...] un simile contrasto era gi nel 600 espresso dalla questione se gli animali abbiano un anima - il che, come  noto, nega Cartesio, affer- mano i giansenisti. La polemica ha un significato assai pi profondo di quel che possa parere: in Cartesio la riduzione dellanima a pensiero e del corpo a sostanza estesa, dotata di movimento meccanico, esclu- de |anima (animale) e riduce tutta la realt a Spirito e ad essenza logica (a idee chiare e distinte); la negazione di un'anima animale  conseguente allo sforzo di riduzione; ma per Pascal si tratta di reinte- grare lesistenza dellanima come fatto necessariamente connesso con lanimalit delluomo (la nature de Phomme est tout nature, omne animal, Pense, $$ 94 e 94 bis delled. Bruschvicg), e come fondamen- to della caduta di esso, come della riconquista di Dio. Ebbene, proprio questo recupero critico integrale dellintrinseca com- plessit umana in cui la stessa anima risulta strettamente interconnessa - idest necessariamente connessa - con lanimalit delluomo configura per Preti linteresse oggettivo, specifico ed invero emblematico della po- sizione pascaliana. Pascal guarda infatti alluomo globalmente, nella sua effettiva concretezza umana e quindi anche nella sua intrinseca contrad- dittoriet: la natura delluomo  in tutto natura: omne animal. Non c' nulla che non si possa rendere naturale, n nulla di naturale che non si possa far scomparire!?. Pascal trasforma questa peculiare curvatura dellespressione scritturale (Gen. VII, 14 ed Ecclesiaste, XIII, 19) nellaf- fermazione del riconoscimento che luomo  in tutto animale, che co- stituisce la premessa critica per la denuncia pascaliana dellantinomicita costitutiva delluomo, della sua intrinseca duplicit, della sua grandezza come anche della sua miseria. Mentre una pianta, rileva ancora Pascal nei suoi Pensieri, non si conosce miserabile, la grandezza delluomo si radica proprio in questo, che esso ha coscienza della propria miseria. Richiamando, con riferimento alla classica edizione di riferimento predi- sposta da Lon Brunschvicg, nel 1897, tutta la sezione seconda e terza dei Pensieri di Pascal, Preti rileva come questo rilievo pascaliano sia, invero, decisivo e diffuso in pressoch tutta la riflessione del pensatore francese che trova infine una sua espressione paradigmatica del pi alto interesse teoretico nel suo celebre colloquio con Louis Le Matre de Saci di Port- 12 Blaise Pascal, Pensieri,, traduzione, introduzione e note di Paolo Serini, Arnoldo Mondadori, Milano 1972, p. 173 (pensiero n. 247), mentre la citazione che segue immediatamente nel testo  tratta da p. 216 (pensiero n. 372). 8 Cfr. la riedizione B. Pascal, Penses et Opuscoles, Hachette, Paris 1971. NEOREALISMO LOGICO, TRASCENDENTALISMO STORICO-OGGETTIVO 11 Royal: Entretien de M. Pascal avec M. de Saci sur Epictte ed Montaigne, rdig par Fontaine". In questa riflessione dialogata Epitteto e Montai- gne rappresentano due momenti, intrecciati e costitutivi, della condizione umana: lo stoicismo di Epitteto sottolinea infatti il valore e la grandez- za delluomo, facendo tuttavia comprendere agli uomini che non devono mai essere dipendenti dai beni materiali ed esteriori che li trasformano, appunto, in schiavi; lo scetticismo di Montaigne mostra, di contro, tutta la insufficienza della ragione umana, disingannando coloro che credono ciecamente alle proprie opinioni o che pensano che la stessa conoscenza scientifica sia per sua natura inattaccabile. Montaigne umilia, dunque, l'intelletto umano, mentre Epitteto sottolinea la grandezza morale delluo- mo. Ma per Pascal solo ed unicamente nel loro pur conflittuale intreccio critico, queste due posizioni possono mostrare la loro verit reciproca e relativa. Si tratta di un intreccio critico mediante il quale una posizione combatte e critica apertamente laltra prospettiva, ma che, al contempo, consente, pascalianamente, di combattere e criticare, tanto il naturale lor- goglio umano, quanto laccidia propria, ancora, delluomo concreto, in carne ed ossa, in quanto interamente animale. Ma secondo Preti proprio questo reciproco legame critico insolubile tra stoicismo e scetticismo do- cumenta ed illustra il carattere paradossalmente antinomico della natura umana: antinomia invero paradossale ed insolubile che rimanda sempre ad un aspetto costitutivo del concreto vivere umano: [...] la posizione delluomo  intimamente contraddittoria: da una par- te sta la sua grandezza (messa in evidenza dallo stoicismo), dallaltra la sua impossibilit, in quanto essere naturale, di esplicare tale grandezza spirituale fino a comprendere pienamente il mondo e realizzare il pro- prio Destino (il che  messo in evidenza dallo scetticismo). Vi  dun- que unantinomia, la stessa che si ritrova nel pensiero di Kierkegaard, non di momenti parziali integrabili in una sintesi, ma paradossale ed insolubile. La soluzione  data soltanto dalla volont religiosa. la vo- lont, attribuita anche agli animali (Pense, $ 340) non  la volont cartesiana, cio un aspetto fenomenologico del pensiero, ma un atto esistenziale, legato alla naturalit, al di qua o al di l del pensiero lo- gico (essenziale): essa porta all'affermazione di una verit du coeur, in cui tutto luomo, prendendo coscienza della propria naturalit e conse- guente limitazione della propria spiritualit, conformemente alla logi- ca neo-accademica abbandona il presunto mondo dellessere (certezza geometrica) si ritira nel probabile e scommette (Pense, $ 233) per lesi- stenza di Dio, in cui si risolve (negativamente) lantinomia. 14 Unedizione italiana di questo testo  stata del resto curata dallo stesso Preti nella sua raccolta degli Opuscoli e scritti vari di Pascal (Laterza, Bari 1959, pp. 52-70) per unanalisi del quale sia comunque lecito rinviare al mio I] Cacodmone neoillu- minista, cit., pp. 126-135. 12 FABIO MINAZZI Proprio quest'uomo pascaliano, paradossale ed antinomico, che pren- de coscienza critica della propria naturalit integrale implicante una limi- tazione della sua stessa spiritualit, ovvero del suo stesso flebile pensiero, costituisce lindicazione strategica della modernit che, sempre secondo Preti, ci riporta ad una antropologia critico-costituiva (ma non mai fon- dante!) nella quale se la carne si colloca indubbiamente allinizio di ogni pensiero, appunto quale principio e conditio sine qua non di ogni discorso possibile, tuttavia anche la morte, quale distruzione radicale della carne animale, ne rappresenta, al contempo, uno svolgimento ineliminabile e necessario. Certamente Pascal oscilla costantemente tra teologia e scien- za, mentre per Preti il confine ultimo e intrascendibile della vita, appun- to la morte della carne, costituisce, invece, il tragico ma naturale destino umano: esito inevitabile, ma che deve allora essere percepito come il rifles- so ultimo dello stesso lavoro infinito e pure sempre parziale e rettificante della razionalit umana. In questa prospettiva, come poi Preti affermer esplicitamente in Idealismo e positivismo, dellanno successivo, il 1943, il lavoro cui guarda il pensatore pavese  sicuramente una fede - anche se fede soltanto in se stesso, richiamando esplicitamente, e banfianamente, lunit dialettica della libera universalit dellesperienza e della Ragio- ne, nella piena consapevolezza critica di essere uomini, solo uomini; e, in fondo pi religiosi, vogliamo essere una cosa sola - quello che siamo - uomini. Uomini consapevoli che per vivere il dramma della nostra epoca ci vuole molta energia e molto coraggio - molta umilt, e molta vo- glia di lavorare. In questa prospettiva Preti  ben consapevole di voler fare dello stesso pensiero  incluso il pensiero filosofico - un lavoro, an- zi, come riconoscer poi esplicitamente nel 1958, ne Il mio punto di vista empiristico, un onesto mestiere, proprio perch il pensiero-lavoro cui guarda costituisce un'attivit di integrazione critica dellesperienza che ha fede solo in se stessa e vuole lasciare i propri prodotti incrostati alla terra ben sapendo che proprio questo loro carattere di transitoriet stori- ca costituisce lunico modo per luomo di aprirsi alleterno mediante una vita di lavoro e di sofferenza, ben sapendo che ci che sar costruito, con fatica, sar, inesorabilmente, travolto dalla storia perch costruiamo una casetta per noi, non un monumentum aere perennius. La centralit strategica di questa lezione pascaliana non sar mai pi dimenticata da Preti che la richiamer sempre in modo programmatico, poich questo rilievo di Pascal non solo consente di collocarsi criticamen- te al centro della modernit scaturita dal Rinascimento e dalla genesi del pensiero scientifico, ma consente anche di cogliere quellapertura esisten- ziale connessa alla naturalit animale per il cui tramite luomo pu pren- !5 G. Preti, Idealismo e positivismo, Bompiani, Milano 1943, pp. 238-9 da cui sono tratte tutte le citazioni, anche quelle che seguono immediatamente nel testo, mentre lultima citazione sul lavoro quale piena responsabilit nei confronti della propria opera  tratta da p. 236. NEOREALISMO LOGICO, TRASCENDENTALISMO STORICO-OGGETTIVO 13 dere piena consapevolezza, antropologico-critica e filosofica, del suo stesso essere mortale, proprio perch si deve pensare, in primis et ante omnia, come essere animale, in carne ed ossa. Una interessante conferma dell importanza e del rilievo costante e stra- tegico che questo celebre Colloquio di Pascal con de Saci riveste per Pre- ti  offerta anche dalla consultazione della copia personale di Preti della sua edizione degli Opuscoli e scritti vari, attualmente conservata presso il Fondo Giulio Preti del Centro Internazionale Insubrico dellUniversit degli Studi dellInsubria di Varese. Come si evince agevolmente da varie indicazioni e da alcuni appunti questa copia  stata ampiamente utilizzata da Preti anche per le sue lezioni universitarie fiorentine (probabilmente in connessione con il corso dellanno accademico 1964-65 consacrato a Gli inizi della filosofia moderna. Il Seicento"). Ma senza ora entrare nel me- rito specifico di questo corso, pu tuttavia essere interessante richiamare alcuni appunti di lettura che Preti indica, quale proprio pro-memoria, in chiusura del Colloquio: 1. Questione filologica: 1) testo di netta ispirazione giansenistica che riflette in modo ben pre- ciso un certo stato danimo di P. R. [Port-Royal] verso Pasc[al] (ammi- razione e diffidenza - luna e laltra giustificati); 2) redazione tardissima; 3) testo ben costruito (autonomi: tre parti I. teoria filosofica; II. impli- cazioni etico-religiose; III. impl[icazioni] pedagogiche); 4) riferimenti molto autentici al pensiero di Pascal Leggere poi la Lettera a Fermat; Conclusione: razionalismo-scetticismo pascaliano: a) Cusano > Pascal (conjectura, ragione matematica, simboli che rimandano a verit pi alta e non del tutto comprensibile) misticismo cusaniano, fondamentalismo pascaliano b) Montaigne, Cartesio > Pascal Notare come P[ascal] volga gli argomenti cartesiani pi in senso scet- tico che nel senso che essi avevano nel sistema cartesiano (dubbio me- todico), quindi  pi vicino al gruppo Dupuy (Gassendi, La Mothe Le Vayer) che non a Clartesio] stesso. Onde la soluzione fideistica, non razionalistica. Differenza C[artesio]-Pascal - innatismo cartesiano rilevante dai carat- teri interni delle idee - quello pascaliano dal consensus (scopo comune), funzione di fondamento nelle matematiche, cio evidenza pragmatica non logica (come invece in C[artesio]). wh 16 Per una sintetica descrizione del quale cfr. F. Minazzi, Giulio Preti: bibliogra- fia, Franco Angeli, Milano 1984, pp. 402-403, con riferimento ai quaderni autografi II, 20. 14 FABIO MINAZZI Da questi brevi, ma pregnanti, appunti inediti non solo  abbastan- za agevole rintracciare l'andamento complessivo (ed anche analitico) del commento che Preti pu aver svolto a lezione in relazione al Colloquio, ma si possono anche evincere alcune indicazioni preziose, che confermano, ulteriormente, il valore, invero paradigmatico, del razionalismo-scettici- smo pascaliano, perlomeno cos come viene letto e interpretato da Preti anche nel corso degli anni Sessanta. In questa chiave, la precisa attenzio- ne critico-filologica al testo costituisce il punto di partenza sperimenta- le ineludibile per la migliore intelligenza critica (e anche filosofica!) del testo pascaliano che Preti inquadra non solo storicamente, rintraccian- do, appunto, una precisa eco dellispirazione giansenistica che perva- de complessivamente il testo, ma anche studiandone, teoreticamente, la struttura interna che, di conseguenza, viene sciolta criticamente nelle sue differenti implicazioni filosofiche, etico-religose e pedagogiche. Il riferi- mento allintegrazione del testo con la lettura della Lettera a Fermat con- sente poi a Preti di insistere perlomeno su due punti (che, ancora una volta, sono puntualmente segnalati in modo evidente nella copia sulla quale il pensatore pavese lavorava): a) la riduzione della ricerca matematica ad un mestiere, ovvero ad un lavoro che pu senz'altro essere associato a quello dellartigiano: [...] per parlarvi francamente della matematica, trovo che essa  il pi alto esercizio dellintelligenza; ma nello stesso tempo la riconosco tanto inutile, da far ben poca differenza tra un uomo il quale non sia altro che un matematico e un bravo artigiano. Per questo chiamo la matematica il pi bel mestiere del mondo: ma in fin dei conti non  che un mestiere - e spesso ho detto che  buona per saggiare, ma non per impiegare la nostra forza; b) la difesa e il riferimento esplicito allideale moderno dell honntet: 17 Come lo stesso Preti rilever in Retorica e logica nel testo pascaliano [il ri- ferimento preciso  alla Prefazione per il Trattato del vuoto di Pascal precedente- mente citata nel testo della traduzione italiana laterziana curata dallo stesso Preti, con riferimento esplicito e complessivo alle pp. 3-7] manca assolutamente il senso dell'autorit come tradizione. Ci sono in sostanza due tipi di scienze: filologiche e naturali. In quelle filologiche predomina lautorit: ma non nel senso di una tradi- zione storica, delle opinioni dei pi o meno dotti, bens unicamente nel senso che in queste scienze si tratta soltanto di sapere che cosa  scritto nei libri, e quindi i libri vi tengono il posto che nelle scienze naturali  tenuto dallesperienza sensibile. (E trattandosi di scienze storiche, in cui non si fanno leggi e generalizzazioni indut- tive, il ragionamento vi ha una funzione affatto secondaria). Si osservi che questo vale anche per la teologia (G. Preti, Retorica e logica, Einaudi, Torino 1968, p. 120, corsivo nel testo). 18 B, Pascal, Opuscoli e scritti vari, cit., pp. 198-199, corsivo mio, mentre la cita- zione che segue immediatamente nel testo  tratta da p. 198. NEOREALISMO LOGICO, TRASCENDENTALISMO STORICO-OGGETTIVO 15 Vi dir pure che, sebbene voi siate quello che io stimo il maggiore matematico di tutta l Europa, non sarebbe stata tale qualit ad attirar- mi: bens il fatto che io mi immagino nella vostra conversazione molta intelligenza e civilt  e per questo vi ricercherei. Una conversazione sociale intessuta di molta intelligenza e civilt co- stituisce per l'appunto lideale dellhonntet. Proprio questa significativa precisazione, compiuta attraverso la considerazione della Lettera a Fermat, consente poi a Preti di meglio precisare la natura, ad un tempo razionalisti- ca e scettica, della posizione pascaliana che nei suoi riferimenti a Cusano, Montaigne e Cartesio , appunto, considerata come davvero emblematica e di riferimento per tutta la tradizione della modernit. Il misticismo cu- saniano, cui, come  noto rimandano anche le conjecturas matematiche e scientifiche, trova cos un suo preciso pendant teorico nel fondamentali- smo religioso pascaliano. Ma vi  di pi. Se in Cusano il carattere ipote- tico-congetturale, molteplice e sempre disperso, della conoscenza umana non pu mai essere confuso con linattingibile unit della praecisio veri- tatis, tuttavia la mente umana costruisce, nella molteplicit dispersa delle sue congetture, una struttura che presenta anche una somiglianza con la verit che consente, dunque, unapprossimazione dellinfinita molteplicit allunit divina. Su questa base  dunque possibile scorgere unindefinita progressivit del sapere presente tanto in Cusano quanto in Pascal, che giustifica  sia pure in una prospettiva decisamente infinita - la parteci- pazione (similitudo) della mente umana a quella divina. In tal modo, sul piano teoretico, il razionalismo pascaliano, aprendosi coraggiosamente al- le argomentazioni dello scetticismo, riesce cos a corrodere, dallinterno, la metafisica cartesiana delle idee innate. Il che se da un lato apre nuova- mente allorizzonte del fideismo religioso, daltra parte consente anche a Pascal di attribuire alla razionalit matematica (e scientifica, pi in gene- rale) una specifica evidenza pragmatica (e non pi logico-metafisica, co- me in Descartes), attraverso la quale emerge, proprio in seno al pensiero moderno e alla sua stessa metafisica, una breccia critica particolarmente importante e preziosa perch, appunto, consente di guadagnare una nuo- va e assai differente prospettiva euristica e filosofica. Certamente in Pascal questa sua nuova apertura critica all'evidenza pragmatica scaturisce ancora entro la precisa individuazione dellantino- mia, insolubile e paradossale, propria delluomo che trova una sua possibile soluzione solo nella volont religiosa che si radica sul terreno della pro- babilit implicante la pratica di una scommessa. Tuttavia, pur entro que- sto contesto, volutamente e decisamente religioso ed evangelico, a Preti, ancora una volta, preme sottolineare tutta la modernit della paradossale soluzione pascaliana, la quale consente comunque alluomo moderno di prendere piena consapevolezza critica dellinsopprimibile sua animalit integrale che lo fa infine necessariamente fuoriuscire dal mondo metafi- sico dellessere per aprirlo ad un mondo pi incerto, variabile e probabile, in cui anche la stessa razionalit dogmatica cartesiana deve essere profon- 16 FABIO MINAZZI damente ripensata alla luce delle contingenze storiche e delle molteplici limitazioni esistenziali che sempre accompagnano linsorgenza critica del pensiero. Il che, ancora una volta, induce nuovamente a sottolineare tut- to il valore eminentemente teoretico di questa posizione filosofica di Pa- scal, al di l della sua stessa scelta religiosa, proprio perch, come si legge emblematicamente nelle ultime righe della nuova introduzione postuma predisposta da Preti per la riedizione einaudiana della sua traduzione del- le Lettere provinciali (apparse peraltro, nel novembre 1972, proprio una manciata di mesi dopo la scomparsa di Preti, morto il 28 luglio dello stes- so anno a Djerba), [...] nella critica scettica  la ragione stessa che si distrugge in nome del suo stesso non raggiunto valore ideale assoluto; e la forma del discorso razionale resta pur sempre la forma in cui fede ed esperienza del sacro pi validamente si esprimono, almeno per chi, essendo ancora vivo,  ancora legato alla condizione umana - alla miseria come alla gran- dezza di questa. Beati i poveri nello spirito: ma proprio questo non  mai riuscito a Pascal - di farsi povero nello spirito. Il che spiega, nuovamente, lo specifico fascino teoretico della posizio- ne di Pascal che Preti, nellintero corso della sua biografia intellettuale, ha letto anche con differenti e persino contrastanti accentuazioni interpreta- tive (soprattutto in relazione al preciso valore storico-civile della nota po- lemica pascaliana contro il molinismo dei gesuiti, svolta soprattutto nelle Provinciali), senza tuttavia mai rinunciare a scorgere nel Pascal del celebre Colloquio con de Saci un momento filosofico eminente che ci aiuta, strate- gicamente, a meglio intendere criticamente la stessa modernit scaturita dalla nascita e dalla successiva affermazione del pensiero scientifico e della sua stessa intrinseca dinamicit. Del resto lindividuazione di una eviden- za pragmatica, non logica, emergente dalla riflessione pascaliana, rinvia anche ad una nuova forma di razionalismo critico che, invero, costituisce lasse critico privilegiato entro il quale si  sempre dipanata, complessiva- mente, pressoch tutta la riflessione filosofica pretiana?0. 19 B, Pascal, Le Provinciali, introduzione e traduzione di Giulio Preti, Einaudi, Torino 1972, p. XIX. La prima edizione di questa traduzione era apparsa nel 1946 presso un editore milanese dellambito banfiano: Maria Adalgisa Denti (come se- condo numero dei Classici del pensiero). In merito a questa traduzione va anche ricordato che, in realt, fu predisposta, in prima battuta, dalla moglie di Preti, la po- etessa Daria Menicanti, mentre il filosofo pavese si riserv poi il compito di rivedere complessivamente il lavoro. L'attribuzione finale di tutto il lavoro al solo Preti sca- turisce da un allora assai diffuso (per quanto assai discutibile) costume etico-civile, nonch da una specifica generosit umana (e scientifica) della stessa Menicanti. 2 Per una pi puntuale disamina del razionalismo critico di Preti sia comun- que lecito rinviare al testo recente di una mia relazione, Giulio Preti razionalista cri- tico europeo, che ho presentato e discusso nellambito della prima giornata di studio promossa a Firenze in occasione del centenario della nascita del pensatore pavese, NEOREALISMO LOGICO, TRASCENDENTALISMO STORICO-OGGETTIVO 17 5. Lo stile filosofico pretiano: un cantiere critico sempre aperto Presentando, nel 1957, alcune considerazioni concernenti Lontologia della regione natura nella fisica newtoniana, il filosofo pavese ha avu- to modo di premettere allo sviluppo del suo saggio una significativa av- vertenza preliminare, in base alla quale informa esplicitamente il lettore che questa ricerca verr piuttosto impostata e proposta che non condot- ta a fondo e risolta!, con la conseguenza che l'Autore si limiter ad illu- strarne il significato teoretico e storico. Rispetto allo stile peculiare del lavoro filosofico di Preti questo rilievo non  affatto marginale o peregri- no. Preti, infatti, ha sempre lavorato sviluppando, con rigore, differenti e pur liberi sondaggi critici, in cui il Nostro imposta e variamente propone alcuni possibili percorsi di ricerca. Percorsi e sentieri che, tuttavia, Preti non sviluppa mai oltre un determinato punto di sviluppo analitico, met- tendo cos capo ad un eventuale, possibile ed autonomo sistema filosofi- co. Semmai questi stessi diversi sondaggi critici sono sempre impostati e sviluppati da un punto di vista filosofico meta-riflessivo dalla cui artico- lazione analitica sempre urge e si manifesta la viva esigenza di delineare una possibile (ma non mai effettivamente realizzata), impostazione com- plessiva sistematica, unitaria e teoreticamente coerente. Il che contribui- sce a delineare la cifra precisa dello stile filosofico pretiano. Uno stile che lo vede saggiare, anche in molteplici direzioni, molti e differenti sentie- ri teorici, avendo tuttavia l'accortezza critica di saper ricondurre le sue singole puntuali disamine - sia pur diversamente impostate, variamen- te proposte e anche differentemente lumeggiate ed articolate  entro un quadro di riferimento teorico tendenzialmente sistematico, organico ed, appunto, unitario. Proprio perch, per dirla con le parole di Preti stesso, risalenti ai primissi anni Settanta, problematico e tentativo, inconcluso e inconcludente, il saggio  soprattutto un educato tentativo di contestare luoghi comuni, idee correnti - ivi compresi, se  il caso, i luoghi e le idee della contestazione stessa. Per questa ragione, ad uno dei pi fini e fe- lici interpreti dellopera pretiana come Mario Dal Pra, questi suoi saggi sono apparsi cos essenziali e geometrici, tali da configurare, senz'altro, Il contributo di Giulio Preti nel quadro del razionalismo critico europeo, promosso dallAccademia Toscana di Scienze e Lettere La Colombaria in attiva collaborazione con l'insegnamento di Filosofia teoretica dellUniversit degli Studi di Firenze della prof. ssa Maria Grazia Sandrini, nella giornata del 10 maggio 2011 (i cui atti sono attualmente in fase di stampa), unitamente alla mia relazione Il razionalismo critico nella lezione filosofica di Giulio Preti (1911-2011), presentata nel quadro del decimo ciclo di Intellgo, svoltosi nel Castello di Copertino, nella giornata del 28 aprile 2011, che, salvo errore, ha emblematicamente inaugurato, proprio nel profondo Sud del Salento, le celebrazioni dellanno del centenario della nascita di Preti. 2 G. Preti, Saggi filosofici, Presentazione di Mario Dal Pra, La Nuova Italia, Firenze 1976, 2 voll., vol. I, p. 413. 2 G. Preti, Que ser, ser, Il Fiorino, Firenze 1970, p. 8. 18 FABIO MINAZZI un contributo primario al pensiero contemporaneo?. Tant' vero che proprio dallinsieme composito ed articolato di questi studi raccolti, nel 1976, nei due corposi volumi dei Saggi filosofici, anche solo riferendosi alle disamine storiografiche e metodologiche del secondo volume, sem- pre risulta un quadro storico vivo e concreto, pieno di suggerimenti per ulteriori ricerche, nel quale non si sa se pi ammirare la chiarezza della prospettiva con cui il materiale documentario viene illuminato oppure la consapevolezza critica con cui lesposizione storica viene presentata nei suoi condizionamenti culturali pragmatici storici e convenzionali. Il che vale non solo per pressoch tutta la produzione saggistica pretiana, che ac- compagna la sua attivit filosofica (dagli esordi fino alla fine della sua vita), ma coinvolge anche i suoi molteplici interventi giornalistici (la cosiddetta micro-saggistica pretiana), nonch il suo stesso peculiare modo di lavo- rare quotidiano, ampiamente documentato da tutti i molteplici e ricchis- simi suoi inediti, attualmente conservati presso il Fondo Giulio Preti del Centro Internazionale Insubrico dellUniversit degli Studi dellInsubria*. In questa chiave ermeneutica anche le sue stesse opere in volume pi note e discusse  da Idealismo e positivismo (1943) al celeberrimo Praxis ed empirismo (1957), dal forse meno noto (ma non meno bello e signifi- cativo) Alle origini dell'etica contemporanea (1957), fino a Retorica e logi- ca (1968) - rimandano, invero, sempre e costantemente, alla produzione saggistica pretiana. Come mi  pi volte capitato di rilevare, tutti questi differenti libri-manifesto (secondo la felice e nota qualificazione di Eu- genio Garin) possono infatti essere considerati come delle punte di un iceberg che rinviano tutte ad un pi ampio e diffuso lavoro sotterraneo analitico, mobile e continuo. Solo grazie a questo diffuso lavoro analitico di fondo si sono infatti innalzate quelle stesse acuminate punte polemiche che, in tal modo, sempre presuppongono e sempre rinviano ad un molto pi ampio, diffuso ed articolato lavoro saggistico, frammentario ed assi- duo che costituisce il pi vero ed autentico laboratorio critico-filosofico pretiano. Un laboratorio mediante il quale Preti non si  del resto limitato a lavorare solo sui temi documentati dai saggi da lui editi nel corso della sua vita, perch questa sua articolatissima produzione saggistica analiti- ca rinvia, al contempo, anche ad un numero estremamente vario di stu- di, note e saggi rimasti inediti che si intrecciano poi con tutti i testi della sue preziose lezioni universitarie che sono state scritte e pensate con tale 2 M. Dal Pra, Presentazione in G. Preti, Saggi filosofici, cit., vol. I, p. IX, mentre la citazione che segue nel testo  tratta da p. XXVII. 24 Per una prima descrizione di questo Fondo G. Preti di autografi cfr. F. Minazzi, G. Preti: bibliografia, cit., pp. 271-458 e le aggiunte concernenti nuovi qua- derni descritti ne Il pensiero di G. Preti nella cultura filosofica del Novecento, cit., pp. 451-458, anche se allo stato attuale sono stati poi rintracciati altri nuovi importanti quaderni autografi. 235 Cfr. E. Garin, Ricordo di G. Preti. Tre libri, Rivista critica di storia della filo- sofia, XXIX, 1974, 4, pp. 441-447. rigore di impianto e di svolgimento da costituire, a loro volta, altri docu- menti eccellenti che documentano ulteriormente questa sua vita di ricer- ca e di riflessione continua. Ponendosi allora da questo privilegiato punto di vista volutamente saggistico, del tutto interno e strategico per la stessa produzione fram- mentaria pretiana,  veramente difficile sottrarsi allimpressione che Preti stesso abbia voluto consapevolmente configurare e praticare la sua inquieta e continua ricerca filosofica sotto forma di una indagine voluta- mente frammentaria ed espressamente saggistica, proprio perch sempre volta a rimettere in discussione critica varie piste di ricerca e anche i vari, provvisori, assunti teorici cui, di volta in volta, il pensatore pavese pensa- va di poter legittimamente pervenire. Esattamente entro questo preciso orizzonte metariflessivo si colloca, complessivamente, tutta lopera pre- tiana. Come ancora si legge nella prefazione a Que ser, ser, Preti infatti dichiara espressamente che [...] gi Russell ha distinto una filosofia dellintelletto da una filosofia dellanima; e antica almeno quanto Pascal  la distinzione tra esprit de gometrie ed esprit de finesse. C un discorso che  rigorosa me- tariflessione sulla cultura, i suoi linguaggi, le sue strutture formali: e questa, oggi,  la filosofia in senso pieno e regio. Ma c la possibili- t di altri discorsi, pure di metariflessione sulla cultura, ma meno ri- gorosi e pi densi di materia: discorsi in cui valutazioni, sentimenti, speranze e timori non vengono del tutto sospesi, ma in parte espressi, nel modo pi motivato possibile. In questa forma di discorso (voglia- mo ancora chiamarlo filosofico?) non  possibile il solo rigore formale; entrano in giuoco molti aspetti umani di chi lo tiene: razza, sesso, et, educazione, esperienze vissute, letture fatte e non fatte... -  anche, tra laltro, un certo habitus al rigore razionale formale, e di conseguen- za un deciso atteggiamento critico. [...] Questo tipo di filosofia si  sempre avvalso e continua ad avvalersi, di forme non trattatistiche e non sistematiche di esposizione: il dialogo, la narrativa, il teatro - e il saggio. Quest'ultimo, per la sua stessa brevit, per il suo stesso tono apparentemente dogmatico (derivante dalla brevit), per la sua strut- tura asistematica, per la sua possibilit di non concludere, rivela, nella sua stessa forma letteraria, in che sfera di riflessione si muova, a qua- le specie di riflessione si diriga. Per lo scrupolo acquisito nel mestiere di filosofo, lautore del saggio sa di non poter concludere in maniera necessaria: invita soltanto a considerare, anzi a ri-considerare, le cose del tema che tratta, accennando a motivi, ragioni di sostegno, consi- derazioni che sembrano appoggiare una certa conclusione possibile, non necessariamente enunciata. 2 G. Preti, Que ser, ser, cit., pp. 9-10, corsivo nel testo, mentre la citazione che segue nel testo  tratta da p. 11 (anche in questo caso il corsivo  nel testo). 20 FABIO MINAZZI Certamente  ben vero che Preti, in questa stessa pagina, distingue nettamente tra i micro-saggi giornalistici e gli studi filosofici pi rigorosi, tuttavia, malgr soi, questa distinzione pu essere contestata proprio rife- rendosi alla sua stessa produzione filosofica complessiva, entro la quale il filo rosso della sua metariflessione filosofica si  costantemente esercitata  sia pur in scritti di differente respiro teoretico e anche di varia ampiezza di analisi - secondo quella precisa modalit saggistica, non a caso di chiara ascendenza illuministica (e humeana!) - che gli ha consentito di mettere capo, complessivamente, ad una produzione filosofica ad altissimo tasso di criticit e anche di frammentariet, pur sempre anelando, al contempo, ad un impianto filosofico invero sistematico, richiedente ed aspirante ad una classica e affatto rigorosa esposizione metodica ed ordinata. Da que- sto punto di vista questa, dunque, pu cos essere anche assunta come la precisa fisionomia critica della sua stessa, instancabile, ricerca filosofica, nonch della sua pratica della metariflessione filosofica. Senza mai dimen- ticare che per Preti il compito del filosofo non  la progettazione, pi o meno rivoluzionaria, di un avvenire: ma, se vuole occuparsi del presente, la critica razionale di questo. Preti non ha del resto mai dismesso questo rigorosissimo abito sistematico della pratica saggistica configurante una metariflessione critica razionale continua, indicando cos nella stessa pro- blematicit da lui indagata in vari ambiti disciplinari, lorizzonte intellet- tuale pi autentico cui, a suo avviso, deve sempre essere ricondotta la pi rigorosa metariflessione filosofica. Donde, ad un tempo, il fascino e la difficolt della valutazione critica della sua stessa opera filosofica. Il fascino, proprio perch Preti fa sem- pre toccare con mano al suo lettore il gusto e la ricchezza della disami- na filosofica, da lui sempre praticata e vissuta come una ricerca aperta e provvisoria, in grado di sondare criticamente differenti piste di ricerca, pur percependo, al contempo, lesigenza di mettere sempre capo ad una riflessione unitaria, sistematica e globale. Per questa ragione nella pagi- na di Preti si avverte sempre tutta la forza vitale dell indagine filosofica, attenta a cogliere gli aspetti pi diversi e anche riposti di un determinato problema, avendo peraltro la capacit di saperlo leggere e rileggere anche alla luce di differenti e persino opposte ascendenze culturali e teoretiche. Al punto che la capacit critica con la quale Preti  in grado di individuare i differenti fuochi problematici e di sviscerare alcuni nodi decisivi, abitua- no il lettore a sempre spezzare criticamente ogni dogmatica contrappo- sizione prospettica, introducendolo cos ad uno stile di analisi filosofica che procede sempre per molteplici, inaspettate e felici contaminazioni critiche continue, in grado di meglio precisare i differenti temi, onde far appunto emergere il loro nucleo problematico intrinseco ed incandescen- te. Nelle mani di Preti un problema filosofico torna sempre ad illuminarsi di una inconsueta profondit prospettica e di una ricchezza problemati- ca che spiazza ogni tradizionale impostazione, donando al suo lettore il gusto pi vero della stessa meta-riflessione teoretica. Anche se poi questa sua meta-riflessione teoretica  in genere dipanata avendo la rara capacit di tener sempre nel debito conto lo spessore storico delle differenti tradi- zioni di pensiero, restituendo, in tal modo, ancora una volta, tutta leffet- tiva complessit - culturale, civile ed epistemologica - di un determinato problema. Donde, nuovamente, la necessit, nello studiare il suo pensiero, di saper sempre cogliere, con precisione, i suoi stessi orizzonti di pensie- ro (le sue costanti teoretiche) unitamente alle variazioni, ai mutamenti e ai cambiamenti concettuali che lo stesso Preti ha fatto suoi e ha teorizza- to nei differenti, inquieti, decenni della sua intensa attivit di ricerca. In questo senso specifico continuit e discontinuit si intrecciano cos con- tinuamente nellopera pretiana, mettendo capo ad un vasto ed articola- to programma di ricerca filosofico meta-riflessiovo veramente aperto ed originale, nel quale la pratica continua della riflessione filosofica diviene, socraticamente, uno stile di vita. Lo stile di un cantiere sempre in fieri in cui, a la Neurath, lo stesso filosofo pratica la meta-riflessione filosofica fa- cendo sua la consapevolezza critica di dover continuamente riprogettare il suo stesso programma di ricerca, saggiandolo e ponendolo in tensione critica continua con i problemi culturali, conoscitivi, etici e civili che av- verte essere quelli decisivi (e vitali!) per la propria stessa attivit critica. In questa spirale critica, sempre aperta e pur anelante alla sistematicit del trattato, la filosofia si configura certamente come una metariflessione critica di secondo livello che sempre si rivolge, consapevolmente, ad altre forme culturali (variamente elaborate dalle differenti discipline), ma che lo fa sempre rivendicando, con piena coerenza, il proprio autonomo ruolo meta-riflessivo, libero e critico. 6. Il focus teoretico pretiano: il trascendentalismo storico-oggettivo Come  emerso dalla precedenti considerazioni concernenti il partico- lare innesco banfiano-marburghiano del punto di vista filosofico del giovane Preti, per il pensatore pavese l'acquisizione critica kantiana della trascendentalit costituisce un punto di svolta e di non ritorno per la me- ta-riflessione filosofica. Agli occhi di Preti la rivoluzione copernicana inaugurata da Kant  infatti in grado di porre finalmente lindagine filo- sofica su un nuovo piano critico, che volge decisamente le spalle ad ogni impostazione metafisica. Facendo propria la rivoluzione copernicana inaugurata da Kant la filosofia non pu infatti pi interrogarsi su ci che possiamo sapere, n pu pi chiedersi che cosa possiamo effettivamente conoscere del mondo, perch la sua domanda muta radicalmente di sen- so. Per Kant la conoscenza non  pi un problema, ma  un dato di fatto e allora occorre proprio partire dalla positivit stessa del conoscere storico effettivo per interrogarsi sulla sua possibilit, sui suoi limiti e sul suo va- lore. In altri termini la domanda kantiana relativa alla conoscenza diven- ta la seguente: quali sono gli oggetti che il procedimento conoscitivo riesce effettivamente a costruire in modo che risultino adeguati alla sua stessa intenzione conoscitiva? Proprio questa costituisce linnovativa domanda 22 FABIO MINAZZI kantiana che scaturisce dalla scoperta della dimensione della trascenden- talit, in virt della quale la possibilit della conoscenza non rinvia pi ad un mondo - mitico - inevitabilmente e metafisicamente collocato al di l della conoscenza stessa. Al contrario la conoscenza viene assunta in tut- ta la sua positivit effettiva e la domanda filosofica si esplica nello studio critico delle condizioni di possibilit di quella stesa conoscenza. Per que- sto motivo la filosofia diventa una metariflessione di secondo livello che si rivolge alle altre riflessioni per studiarne, analiticamente, luniverso di discorso, i linguaggi, le categorie, i metodi, i principi di verificazione e di falsificazione, gli assunti programmatici, le regole deduttive, ecc. Il che si radica poi nella scoperta kantiana che la stessa ragione umana presenta perlomeno due facce intrecciate e sempre interrelate: quella del Verstand, dellintelletto, mediante il quale si costruisce, analiticamente, un deter- minato sapere, e quella della Vernunft, della ragione, mediante la quale le nostre idee non sono pi intese quali simboli di oggetti inconoscibili, bens come principi regolativi, direzionali, che dirigono, guidano, stimo- lano e regolano la nostra stessa ricerca conoscitiva. In questa prospettiva copernicana lintenzione conoscitiva delinea unicamente lidea di un og- getto e pertanto ogni particolare oggetto disciplinare non rimanda mai ad un mitico mondo metafisico, posto in un utopico e non mai raggiungi- bile al di l della nostra stessa possibilit di conoscere il mondo, ma rinvia sempre ad una determinata disciplina, ad un campo conoscitivo specifi- co e delimitato, entro il quale sempre (ed unicamente!) si costruisce quel peculiare oggetto della conoscenza. Sempre per questo motivo con Kant lindagine epistemologica si sposta decisamente dalla tradizionale questio- ne metafisica, attinente la genesi della conoscenza (quid facti?), al nuovo problema critico della sua giustificazione epistemologica (quid juris?). Con Kant la questione genetica della conoscenza perde cos di interesse, per- ch se ne mostra la radice gratuitamente metafisica (ancora presente nello stesso empirismo humeano che pure ha svegliato Kant dal sonno dog- matico della sua formazione razionalistico-leibniziana), mentre lanalisi epistemologica attinente la disamina critico-trascendentale delle condi- zioni di possibilit della conoscenza effettivamente costruita dall'uomo in un determinato ambito disciplinare diventa il punto di partenza, sempre irrinunciabile, per una filosofia che mostra di non possedere pi un suo oggetto specifico ed autonomo, proprio perch lo rintraccia e lo indivi- dua nei differenti settori disciplinari costruiti dalle differenti conoscenze oggettive formatesi entro i diversi ambiti disciplinari. Questo specifico assunto critico-trascendentale, di chiara ascendenza kantiana, costituir sempre, perlomeno nella riflessione di Preti, un assun- to irrinunciabile per la stessa pratica effettiva del suo onesto mestiere di filosofo. Naturalmente attorno a questo incandescente ed innovativo nu- cleo concettuale, implicante, per parte sua, un ben preciso e affatto pecu- liare programma di ricerca filosofico, Preti ha poi variamente organizzato e anche differentemente contaminato - sempre sul piano critico  diverse prospettive di indagine filosofica. Senza peraltro dimenticare che questo stesso nucleo incandescente del trascendentalismo ha subito esso stesso, nel corso dei decenni, alcune non banali riformulazioni prospettiche. Non per nulla Preti si  via via reso conto della necessit di ripensare conti- nuamente e criticamente la stessa funzione euristico-critica di questo suo trascendentalismo, ponendolo sempre pi in relazione con la dimensione del linguaggio, senza peraltro omettere di considerare, analiticamente, la stessa emergenza teorica del punto di vista trascendentalistico ponendolo in relazione con la storia del pensiero logico occidentale. Come ha rilevato lo stesso Preti in un suo importante studio consacrato alla disamina de Il linguaggio della filosofia: La conoscenza  un fatto: il nostro compito  analizzarla, rilevar- ne le strutture; e sulla base di tale analisi potremo anche vederne gli eventuali limiti interni. Ma la conoscenza  discorso. Se al dualismo ipostatico soggetto-oggetto, sostituiamo, proprio seguendo i pi vali- di insegnamenti di Kant e di Husserl, la tensione intenzionale noesi- noema, abbandonato il linguaggio soggettivistico e mentalistico, tale tensione si configura come tensione segno-significato. Il problema della conoscenza  problema semantico. In particolare, il problema della conoscenza filosofica  problema di semantica del linguaggio che si impiega nella discussione filosofica. La tradizionale domanda che cosa possiamo conoscere? si trasforma in quest'altra: che cosa possiamo dire?, Il che ci riporta anche alla tipica mossa socratica: ma di cosa stiamo esattamente parlando? Ma in Preti questa classica domanda socratica si sostanzia e arricchisce proprio grazie al suo nuovo innesto critico sullo- rizzonte trascendentalista kantiano, in virt del quale il pensatore pavese pu allora prendere in considerazione anche differenti e contrastanti in- dirizzi concettuali, scorgendone un fecondo nesso critico entro il nuovo e fecondo livello meta-riflessivo che, a suo avviso, connota, complessiva- mente, latteggiamento filosofico pi autentico e conseguente. Del resto nella disamina pretiana questo orizzonte trascendentalistico denuncia, sistematicamente, il carattere mitico di ogni eventuale pretesa radicali- stica pure presente in Husserl, per non parlaren poi, delle stesse ricadute kantiane in una problematica realistico-metafisica nel corso della consi- derazione dellego o della coscienza pura sviluppata da Kant nella Critica della ragion pura. Ma anche la presenza di queste incoerenze e di queste oscillazioni, che contraddistinguono il pensiero stesso di autori come Hus- serl e Kant, inducono sempre pi Preti ad assumere il linguaggio umano come una forma privilegiata e invero decisiva dellintersoggettivit della conoscenza umana. Preti, richiamandosi espressamente alle riflessioni di  G. Preti, Saggi filosofici, cit., vol. I, p. 462, corsivo nel testo, mentre la cit. che segue nel testo  tratta da p. 463. Morris, sottolinea come gli stessi segni linguistici debbano essere considerati come dei comun-segni nel duplice senso che sono prodotti da appartenenti ad una determinata comunit linguistica e che tutti i sog- getti di questa comunit sono in grado di intenderli. Il carattere ideale e plurisituazionale dei segni linguistici, nonch la loro componente seman- tica e anche quella delloggettivit che possiamo comunemente attribuire loro, costituiscono aspetti differenti, ma intrecciati ed interconnessi, che scaturiscono tutti dalla natura comun-segnica del linguaggio umano. Il che poi induce Preti a prendere in debita considerazione anche laspetto storico, ineliminabile, del linguaggio il quale, per sua intrinseca natura, rinvia sempre ad una tradizione: [...] anche il linguaggio  in un certo modo rituale: come usi e costu- mi, ordine degli alimenti nei pasti, etc. Le parole e le frasi hanno die- tro una storia che , per cos dire, cristallizzata e fossilizzata nelluso. Possiamo volontariamente e consapevolmente rinnovare, mutare, ta- le tradizione; non possiamo per ignorarla, sotto pena di non essere intesi o di essere fraintesi. Il che vale, a maggior ragione, anche per la stessa filosofia e il suo lin- guaggio, dove ogni termine si inserisce e sempre si riferisce ad una precisa tradizione concettuale di cui porta molteplici segni nella sua stessa carne linguistica. Proprio sulla scorta di queste precise considerazioni, di natu- ra squisitamente critico-epistemologiche, il trascendentalismo pretiano si apre allora, conseguentemente, ad una considerazione propriamente (ed anche eminentemente) storica della dimensione della stessa oggettivita. Ma, si badi bene, questo trascendentalismo storico-oggettivo di Preti da un lato non ha nulla a che vedere con i vari storicismi metafisici di marca hegeliana (ed anche marxiana) e, dallaltro lato, non implica mai nessuna apertura al piano dellipostasi metafisica e, tanto meno, delle reificazioni realistico-metafisiche. Infatti il terreno squisitamente e programmatica- mente linguistico dellimpostazione di questa disamina filosofica impedi- sce a Preti di ipostatizzare le espressioni del linguaggio che dal suo punto di vista indicano unicamente una forma e una struttura formale del lin- guaggio che non aprono ad un mitico piano assoluto e incontaminato, ma che, al contrario, proprio in quanto elementi di un linguaggio storica- mente dato, rinviano ad una tradizione specifica, insomma a una dimen- sione gi situata e configurata. Come ha sottolineato lo stesso Preti in un passo decisivo, che personalmente ho pi volte richiamato, [...] un tale trascendentalismo ha ben poco a che fare con quello sog- gettivistico-idealistico che si dice nato da Kant: infatti non si tratta di forme pure di una coscienza in generale o io penso, bens di schemi, scheletri, costruiti dalluomo (e il perch e il come siano stati costru- iti  piuttosto oggetto di antropologia positiva, per esempio di una sociologia del conoscere, che non di speculazione filosofica). Si tratta piuttosto di un trascendentalismo storico-oggettivo, che rileva le for- me costitutive dei vari universi di discorso attraverso lanalisi storico- critica dei linguaggi ideali che fungono da modello a questi universi, dalle regole di metodo che si sono imposte storicamente e ancora vi- gono nel sapere, etc. Insomma, si tratta di unOntologia trascendentale (o meglio, di ontologie trascendentali) che non pretende di cogliere le forme e strutture di un Essere in s, ma vuole determinare il modo (i modi) in cui la categoria dellessere  in atto nella costruzione, stori- camente mobile e logicamente convenzionale (arbitraria), delle regio- ni ontologiche da parte del sapere scientifico (in particolare) e della cultura (in generale). Assumendo esattamente questo innovativo punto di vista come il nu- cleo privilegiato di un preciso programma filosofico si pu allora meglio intendere non solo la ricerca di Preti che troviamo documentata nei suoi studi editi (e soprattutto nella sua produzione saggistica), ma si pu anche rintracciare un prezioso filo rosso che pu esserci di valida guida euristi- ca anche nello scandagliare, criticamente, il mare magnum dei suoi stessi scritti inediti. Da questo punto di vista la filosofia viene infatti praticata, sistematicamente, come una metariflessione vertente su altre riflessioni di differente livello. Naturalmente tale inferiorit non concerne mai una valutazione axiologica, bens rinvia unicamente ai differenti piani di ana- lisi e di scandaglio critico dei differenti oggetti disciplinari. Ma, si badi, la filosofia si configura esattamente come una meta-riflessione di secondo livello, proprio perch, di per s, non possiede pi alcun oggetto specifico. O, meglio ancora, loggetto della filosofia pu e deve essere rintracciato, di volta in volta, andando a studiare le differenti discipline che formano, appunto, l'oggetto della sua considerazione critica. Sono queste discipline che, istituendosi nel proprio specifico ed autonomo ambito disciplinare, forgiano i propri oggetti, le proprie categorie, i propri linguaggi, i propri metodi di inferenza, i propri protocolli, i propri universi di discorso e tutto quanto attiene, insomma, alla loro propria e specifica disciplina. Ri- spetto a questo ambito di studio la filosofia sembrerebbe allora collocarsi, ala Mach, tra le pieghe pi riposte del discorso scientifico, avendo appunto la capacit critica, a la Kant, di sapersi tuttavia sempre interrogare sulla possibilit di questa stessa disciplina presa in considerazione epistemo- logica, sul significato e i limiti precisi delle sue categorie, delle sue rego- le inferenziali, del suo stesso linguaggio, nonch del suo stesso specifico universo di discorso. Proprio per questo motivo metariflessivo di fondo il trascendentalismo storico-oggettivo di Preti considera sempre ogni disci- plina dal punto di vista, per dirla questa volta con Husserl, della sua pecu- liare ed autonoma ontologia regionale. Linstaurazione di una disciplina 28 G. Preti, Il mio punto di vista empiristico [1958] ora in G. Preti, Saggi filosofici, cit., vol. I, p. 486. Per una mia disamina di questo passo affatto emblematico cfr. perlomeno Il cacodmone neoilluminista, cit., passim. 26 coincide, infatti, con la costruzione di una ontologia regionale peculiare. Naturalmente sempre a questo specifico livello di analisi pretiana, luni- verso linguistico costituisce allora, costantemente, il terreno privilegiato di studio per il cui tramite, sempre secondo Preti, si pu impostare, nel miglior modo possibile, lanalisi critica-epistemologica di ogni singolo e differente ambito disciplinare. Da un punto di vista semantico le categorie di ogni disciplina hanno del resto proprio la funzione specifica di consentire la costituzione ana- litica di differenti regioni ontologiche. Ma queste categorie sono sempre pensate da Preti,  la Kant, come forme vuote che possono e devono es- sere eventualmente riempite da specifici contenuti empirico-fattuali. Ma anche in questo caso, kantianamente, i contenuti risultano essere sempre predisposti secondo modalit affatto specifiche che sono appunto instau- rate dalle forme vuote e a priori delle stesse categorie. In questo senso la rivoluzione copernicana kantiana continua insomma sempre ad ope- rare nelluniverso della riflessione filosofica pretiana, proprio perch il Nostro abbandona senz'altro ogni riferimento allidea astratta, propria, tipica e specifica, della tradizione dellempirismo classico. Secondo la tra- dizione dellempirismo classico, che possiede delle precise radici anche nel pensiero dellantichit della Grecia classica, un pensiero si delineereb- be unicamente, per mera induzione (anche, aristotelicamente, tramite il processo inferenziale dellenumerationem simplicem!) quale reale astra- zione dal concreto terreno dellesperienza sensibile ed empirica. Al con- trario, e in profonda sintonia con Kant, il pensatore pavese si dichiara invece convinto che ogni forma concettuale costituisca sempre la conditio sine qua non per il cui tramite possiamo appunto vedere e interrogare conoscitivamente il mondo. In questa prospettiva trascendentalistica il pensiero non  pi concepito come unastrazione vuota, bens come una direzione, un orientamento formale, mediante il quale ci si dirige ver- so il mondo concreto dellesperienza, guidando ed orientando la nostra stessa esperienza. Naturalmente la conoscenza oggettiva non nasce solo da questo movimento allin gi, perch si deve anche intrecciare con un movimento opposto, allin su, mediante il quale quella stessa pro- iezione semantica risulta essere pi o meno riempita da un determinato contenuto che contribuisce a modellare, ma che  pure dotato di una sua autonomia specifica ed irriducibile. L'intreccio critico tra la proiezione semantica posta in essere dalla trama delle differenti categorie formali e, di contro, il riempimento, pi o meno riuscito, di questa stessa trama formale vuota, costituisce il processo complessivo della conoscenza che proprio relazionando, per dirla con Galileo, alcune certe dimostrazio- ni con altre determinate sensate esperienze configura, infine, un de- terminato ambito di conoscenza oggettiva. Se si intende la pratica della metariflessione filosofica secondo questa specifica curvatura teoretica, emergono allora alcune importanti conse- guenze specifiche. In primo luogo, come aveva peraltro accennato lo stesso Kant, la critica alla metafisica che ha costituito sempre il terreno privilegiato di ogni filosofica scientifica richiede, per il suo stesso sviluppo in- trinseco, di mettere capo ad un nuovo punto di vista che sappia delineare il programma di una metafisica critica. Il passaggio (kantiano) dalla cri- tica della metafisica (quale campo di uno sterile contrasto senza fine tra le differenti filosofie che ha pure dominato la tradizione plurimillenaria dell'indagine filosofica) alla metafisica critica (intesa esattamente quale disamina critico-epistemologica delle differenti ontologie regionali co- stituite dalle varie discipline) inaugura allora una nuova stagione per la disamina filosofica. Quella entro la quale la filosofia, dismessa ogni pre- tesa egemonica, dichiara la vuotezza formale del proprio oggetto di stu- dio, ponendosi umilmente nella condizione di studiare i differenti ambiti disciplinari di cui vuole parlare filosoficamente. Questa consapevole ri- nuncia a voler costituire un proprio dominio di comando (un autentico imperialismo concettuale) su tutte le altre discipline che si sono venute progressivamente liberando da ogni eventuale dominio filosofico dogma- tico, rivendicando pienamente la propria autonomia disciplinare, richiede, precisamente, lassunzione di un punto di vista metariflessivo critico, in virt del quale la filosofia si configura, appunto, come una meta-riflessio- ne che ha per proprio oggetto privilegiato di analisi le riflessioni poste in essere dalle altre differenti discipline. In questa prospettiva se la filosofia perde allora il proprio ruolo (metafisico) di regina delle scienze, tuttavia ne guadagna sul piano della sua funzione critica, perch dora in poi si pone su un nuovo terreno di analisi che ne potr consentire uno sviluppo pi rigoroso e fecondo. Non per nulla Preti a questo proposito ha dichia- rato che da questo punto di vista [...] la filosofia quindi non ha finito la sua storia. Forse   e io ne so- no fermamente convinto - sta appena uscendo, faticosamente, dalla sua preistoria, e la sua storia comincia solo, e proprio, ora. Lunica cosa che va perduta  la millenaria dimensione religiosa - la pretesa di co- gliere degli assoluti in s. Le nostre ontologie regionali, i nostri quadri del mondo, si muoveranno entro i limiti di una cultura storicamente data, di linguaggi effettivamente usati o concretamente proponibili. Si muoveranno, cio, nella sfera del relativo. 7. Il programma pretiano del neorealismo logico (con riferimento ad alcuni suoi scritti inediti) Proprio sulla base filosofica programmatica del suo trascendentali- smo storico-oggettivo si pu allora comprendere come Preti sia riuscito a contaminare criticamente tradizioni di pensiero che, di primo acchito,  G. Preti, Saggi filosofici, cit., pp. 473-474, il corsivo  nel testo (la citazione  ancora tratta dal saggio Il linguaggio della filosofia). 28 FABIO MINAZZI appaiono anche come profondamente diverse quando non, addirittura, affatto divergenti. Ma anche in questo caso, come si  accennato,  pro- prio lapertura filosofica intrinseca del programma di ricerca filosofico di Preti che ci consente di meglio intendere tutte queste sue molteplici aperture, come anche il significato pi preciso di questi differenti in- nesti. A questo livello critico Preti non opera infatti, come invece pu sembrare ai lettori pi distratti ed affrettati, delle sintesi affatto estrin- seche, ovvero delle mere giustapposizioni tra tradizioni concettuali ete- rogenee e contrastanti. Al contrario, Preti, addirittura more hegeliano, tiene sempre conto dello specifico momento di verit di ciascuna rifles- sione filosofica: ne tiene conto per poi riportarla riformulandola, anche liberamente e assai criticamente, allinterno del proprio punto di vista, entro il quale quella determinata tradizione di pensiero viene appunto richiamata onde poter meglio lumeggiare un determinato aspetto di un problema peculiare, quello che, proprio in quel determinato studio, vie- ne analizzato e considerato. Proprio su questo specifico terreno di ana- lisi critica, aperta e contaminante, le disamine poste in essere da Preti assumono allora un fascino affatto particolare, che ne sottolinea tutta la loro originalit filosofica. Infatti il lettore delle sue riflessioni si rende sempre conto che nelle mani di Preti le differenti tradizioni concettua- li di pensiero sono sempre metabolizzate criticamente, onde poter fun- gere alla migliore intelligenza - appunto critico-problematica - di una determinata questione, che viene sempre scandagliata e dipanata nella sua autonomia relativa, avendo appunto la capacit di scorgerne molte- plici aspetti, per delucidare i quali Preti non teme mai di potersi affida- re a differenti e contrastanti tradizioni di pensiero. Cos operando Preti ha allora la rara capacit, autenticamente filosofica, di saper variamen- te riportare gli strumenti euristici e concettuali elaborati dalle diverse tradizioni di pensiero al problema specifico che sta dipanando in un de- terminato momento della sua ricerca, mostrando cos, nel corso com- plessivo della sua attivit di riflessione, anche singolari accentuazioni o significativi mutamenti di prospettiva (come inevitabilmente sempre accade, perlomeno in un pensiero vivo e mobile, sempre pronto a rive- dere criticamente le sue stesse posizioni teoriche). Non stupisce allora la feconda capacit con la quale Preti ha saputo scorgere la significativa convergenza esistente tra le ricerche dellempi- rismo logico, con particolare riferimento alla lezione di Rudolf Carnap, e quelle della fenomenologia delineata da Edmund Husserl. La duplice natura, ad un tempo teoretica e normativa, della Logica formale  chia- ramente affermata da Husserl, mentre, in modo sia pur meno chiaro e programmatico, emerge anche - sia pure quale problema aperto - nelle riflessioni carnapiane. Ma tanto per Husserl come per Carnap il discorso logico , in primis, un discorso metalinguistico, vertente sulle strutture proprie e specifiche degli enunciati linguistici. Preti si riferisce soprat- tutto alla semantica husserliana, sviluppata nel secondo volume delle Lo- gische Untersuchungen, nella quale attraverso minute analisi ricche di sottili ma ben fon- date distinzioni veniva messa in evidenza la funzione significativa del mezzo linguistico, scoprendo un esse obiectivum, la Bedeutung, come una specie di direzione o virtualit o senso del segno, il quale, non costituisce entro di s (n semplicemente si costituisce per mezzo suo) un contenuto rappresentativo, ma rimanda ad esso come a proprio riempimento o perfezionamento (Erfiillung). Questo concetto della Erfllung, alquanto trasvalutato in senso matematico,  alla base della nozione semantica di verit quale viene elaborata da Tarski, e ancora trova un certo sviluppo nella semantica carnapiana. Ma, al contempo, occorre anche subito aggiungere che le fini e persua- sive indagini pretiane concernenti la storia della semantica pura non tengono conto solo del pur ricco ed articolato dibattito filosofico della contemporaneit, ma vengono anche messe in feconda relazione con gli sviluppi pi riposti del pensiero filosofico, prestando particolare atten- zione anche alle molteplici discussioni dei logici medievali. Ma, nuova- mente, proprio questa sua feconda ed oltremodo felice capacit di saper sviluppare, liberamente e criticamente, la disamina di un determinato problema come quello della semantica pura avendo, al contempo, an- che la non comune capacit di saperne recuperare le lontane radici me- dievali, nonch quelle che variamente rinviano alle stesse, pi cospicue e rilevanti, tradizioni concettuali occidentali, emerge anche in questo ca- so. In questa specifica prospettiva, ancora una volta, la mediazione criti- ca della lezione del trascendentalismo finisce del resto per riemergere in tutta la sua rilevanza euristica e filosofica. Non per nulla nella produzio- ne inedita e pi matura di Preti la scelta stessa del termine di riferimento da lui utilizzato per indicare il complesso orizzonte del suo programma di ricerca filosofico pi maturo rinvia proprio ad una pluralit di indica- zioni in cui questo rimando esplicito alle tradizioni di pensiero medieva- li, moderne e kantiane gioca sempre un ruolo affatto specifico e rilevante. Cos, predisponendo degli scritti inediti consacrati programmaticamen- te ad una illustrazione teoretica e storica del neorealismo logico* Preti di- chiara espressamente come i suoi saggi vogliano proporre un punto di vista sullontologia filosofica cui diamo il nome di neo-realismo, ma che potrebbe altrettanto bene essere chiamato realismo fenomenologico oppure 30 G. Preti, Saggi filosofici, cit., vol. I, p. 344, corsivi nel testo; la citazione  tratta dal saggio Il problema della L-verit nella semantica carnapiana del 1955. 3 Per un approfondimento del quale sia anche lecito rinviare al mio studio Prolegomeni per una storia carsica del neorealismo logico. Il contributo critico-te- oretico di Giulio Preti che figura nel volume Realismo ed antirealismo, a cura di Mariano Bianca e Paolo Piccari, Aracne, Roma MMXI, pp. 91-126, unitamente al mio precedente saggio La rivalutazione del trascendentale di Giulio Preti e la pro- spettiva del neorealismo logico, Il Protagora, XXXVII, luglio-dicembre 2010, n. 14, pp. 313-340. 30 oggettivismo trascendentale. Preti avverte del resto subito come il ter- mine neorealismo sia un nome relativamente nuovo per una dottrina assai antica che il Nostro dichiara di aver [...] derivato dalla meditazione e discussione della problematica pi strettamente filosofica (teoretica) della filosofia analitica, della logica e dellepistemologia contemporanea (di Moore, di Russell, di Carnap, di Ayer, etc. etc.) alla luce di dottrine del primo Husserl (delle Logische Untersuchungen). Ma essa risale alla Scolastica trecentesca. In effetti il riferimento di Preti ai neorealisti della fine del XIII secolo e del XIV secolo (Buridano e la sua scuola, Nicola dAutrecourt, Marsi- lio di Inghen, Gregorio di Rimini, ecc.), sviluppato sempre sullo sfondo della tradizione occamista, gli consente di riconsiderare con attenzione la distinzione propria della logica medievale tra significatio e suppositio, in virt della quale una parola pu denotare solo grazie alla sua specifica in- vestitura significativa. Per esempio, esemplifica Preti, il termine cane pu denotare i cani proprio grazie alla propria significatio. Conseguentemente cane quindi significa il cane e denota cani (supponit pro canibus). Ma proprio con riferimento specifico al piano prettamente logico-semantico (e, quindi, non a quello direttamente ontologico-metafisico)  poi sorta una celebre e nota divergenza di posizione tra i realisti platonici, da un lato, e i nominalisti, dallaltro lato. Se infatti per il realismo metafisico il termi- ne cane rinvia senz'altro allidea sostanziale propria dei cani (ovvero alla tota collectio dei cani intesa come linsieme-unit di tutti i cani esistiti ed esistenti, insomma,  la Platone, alleidos dei cani, alla caninit), al contra- rio per il nominalismo cane costituisce una generalizzazione induttiva, un concetto che si ricava grazie all'esperienza diretta dei cani empirici. Rispetto a questa contrapposizione tra realisti e nominalisti i neo-realisti logici si collocano in una posizione affatto singolare, poich, con i reali- sti, condividono lidea che la parola cane rinvii ad un paradigma obiet- tivo (certamente non mai inteso quale unit metafisica in s), in virt del quale possiamo leggere e selezionare il mondo dellesperienza, ma, daltra parte, in sintonia con i nominalisti, riconoscono anche il ruolo specifico 32 G. Preti, Il neorealismo logico. Saggi di ontologia filosofica, p. 1, corsivi nel testo, cito direttamente dal manoscritto autografo pretiano (che nel Fondo Preti corrisponde alla schedatura: I, 49) attualmente conservato presso il Centro Internazionale Insubrico dellUniversit degli Studi dell Insubria (per la descrizione di questo autografo cfr. F. Minazzi, G. Preti: bibliografia, Franco Angeli, Milano 347-351). Di questo saggio esiste anche unedizione pirata (a cura di Luca Maria Scarantino, Rivista di storia della filosofia, LXI, 2006, 3, pp. 676-700), ma, na- turalmente, nel presente scritto tutti i miei riferimenti saranno forniti basandosi esclusivamente sul manoscritto autografo pretiano. Le citazioni che seguono im- mediatamente nel testo sono pertanto tratte dalle seguenti pagine dellautografo pretiano: p. 1-2; p. 3; p. 4. che i cani empirici esercitano nella nostra conoscenza del mondo. Infatti per i neo-realisti logici medievali il concetto di cane (ovvero la sua signi- ficatio)  sempre in relazione ai cani empirici e intrattiene quindi un nes- so col mondo empirico dei cani del tutto analogo a quello che si instaura, per esempio, tra un progetto architettonico e ledificio effettivamente co- struito in base a quello stesso progetto. Ci  espresso [rileva Preti] nella distinzione (a cui sembra ri- dursi quella tra significatio e suppositio) tra suppositio pro significato non ultimato e suppositio pro significato ultimato. Lultimatio  il ri- empimento intuitivo, completo, di quel progetto che era il concetto significato nel nome (nel termine categorematico); e quando il ter- mine sta per un contenuto di questo tipo, esso denota. Il significato differisce dalla denotazione quindi non per il genere, ma per specie:  una denotazione incompleta, non riempita completamente, e quin- di, in un certo senso, vaga (contiene note che rimangono indetermi- nate, quindi variabili). Proprio questa innovativa e feconda impostazione neo-realista logi- ca medievale finisce poi per assumere tutto il suo rilievo euristico e fi- losofico allinterno della rivoluzione copernicana di Kant. Per Preti le conseguenze principali della posizione trascendentalistica kantiana sono infatti due. In primo luogo Kant inaugura una nova dottrina del concet- to, in virt della quale il concetto  pensato sempre come una funzione di integrazione critica ed unificante dell'esperienza che non ha quindi pi nulla a che vedere con una sua pretesa natura rappresentativa (quella che la tradizione dellempirismo ha invece invariabilmente connesso al pen- siero umano). In tal modo tutti i tradizionali e sempre parologistici non- sensi inevitabilmente connessi alle rappresentazioni del pensiero umano vengono eliminati in modo radicale, mostrandone la loro natura squisi- tamente metafisica. In secondo luogo loggetto-del-conoscere non pu pi essere pensato come un presupposto del conoscere stesso, ma si configura, al contrario come il contenuto specifico del conoscere stesso. Lapparen- te paradossalit del trascendentalismo kantiano, strettamente connessa con la scoperta del giudizio sintetico a priori, ne costituisce cos la sua pi vera forza euristica e critica: loggetto-del-conoscere costituisce un te- los che viene indicato al conoscere dalle sue stesse strutture formali. Conse- guentemente, solo entro lorizzonte della direzione intenzionale posta dal processo del conoscere pu allora individuarsi la verit della conoscen- za cui luomo pu eventualmente attingere. Da sottolineare come questa nuova prospettiva critico-epistemologica del neo-realismo logico ripresa ed inaugurata da Kant con il suo trascendentalismo  colta da Preti nel- la sua precisa collocazione concettuale, come spesso torna a sottolineare e a ricordare in differenti scritti inediti. Tra questi, perlomeno nella pre- sente sede, sia allora sufficiente limitarsi a ricordare quanto si legge in un quaderno inedito pretiano risalente alla seconda met degli anni Sessan- 32 FABIO MINAZZI ta, espressamente intitolato Logica e Ontologia*. Questo scritto si apre ricordando come la cattedra di Kant, a Knigsberg, si chiamasse di Lo- gica e Metafisica, proprio perch le due discipline furono a lungo as- sociate, come il fondamento e il nocciolo stesso della filosofia teoretica. In questa prospettiva la Logica, quale scienza del Logos, era quindi con- cepita quale scienza obiettiva: la scienza delle strutture del Logos, ossia delle strutture - postulate razionali - dellEssere. La Logica coincideva quindi con lOntologia. Naturalmente la polemica dichiaratamente anti- metafisica della filosofia moderna (inclusa quella di matrice kantiana) ha contestato questa coincidenza tra Logica ed Ontologia, ma questo non ha significato un deciso abbandono di ogni portata ontologica della Logi- ca, bens soltanto l'abbandono di una pretesa metafisica di essa. In Kant, per esempio, proprio in virt della rivoluzione copernicana, la Logica si configura come la disciplina che stabilisce le leggi dell'accordo dellin- telletto con se stesso, per quanto concerne la mera forma del conoscere. In altri termini la logica  allora una disciplina formale, non ontologica perch concerne la determinazione delle condizioni formali della validi- t dei nostri discorsi attinenti la realt, concerne cio la verit come ac- cordo del pensiero con se stesso (con le sue leggi), non del pensiero con il suo oggetto. Tuttavia  ben noto come per Kant la struttura del pensiero concerne unicamente i fenomeni che costituiscono oggetti interni al pen- siero stesso, con la conseguente che [...] allora lunico essere, o realt, o natura di cui abbia senso discor- rere  quello fenomenico, costruito dal pensiero, secondo le sue forme o funzioni, e in accordo con le strutture logiche di queste. La Logica diviene quindi una specie di Ontologia (o per lo meno la base di es- sa): solo che non si tratta di una ontologia metafisica (poich non por- ta sugli elementi o forme pure dellEssere delle cose in s), bensi di unontologia critico-trascendentale, riferita cio agli elementi o for- me pure del pensiero in quanto in esso, e da esso, si costituiscono gli oggetti (fenomeni) Questa posizione kantiana  ovvia, del resto da lui stesso dichiara- ta, per quanto riguarda i compiti della Logica trascendentale (in par- ticolare dellAnalitica). Egli riprende dalla scolastica wolffiana (ma, molto probabilmente, pi ancora dalla scolastica anti-wolffiana, per esempio da Crusius) il compito di una filosofia analitica, e, a quanto pare, cerca di realizzarlo negli scritti teorici del decennio che precede la Dissertazione del 70.  Cfr. G. Preti, Logica e Ontologia, quaderno manoscritto di 18 pagine autogra- fe conservato presso il Centro Internazionale Insubrico dellUniversit degli Studi dellInsubria di Varese, [nel Fondo Preti corrisponde alla schedatura: I, 49], per la descrizione del quale cfr. F. Minazzi, G. Preti: bibliografia, cit., p. 344). Le citazioni che seguono nel testo sono tratte, rispettivamente, dalle seguenti pagine: p. 1; pp. 1-2; p. 2; p. 3; p. 4; pp. 5-6; p. 6; p. 7 e p. 8. Proprio il fallimento di questo programma specifico di Kant, segna- to, peraltro, dal suo essere stato svegliato, grazie a Hume, dal suo sonno dogmatico, ha infine consentito al pensatore di Knigsberg, di scoprire i giudizi sintetici a priori: [...] con la scoperta delle sintesi a priori egli [Kant] scopre pure il pia- no trascendentale e cos il tema della ontologia analitica viene affidato allEstetica e alla Logica trascendentale: quegli elementi puri a prio- ri che costituiscono la trama ideale della costituzione delloggetto ci sono, ma sono forme della stessa attivit del pensiero - in particolare dellintelletto. In questo preciso contesto per Pretilaspetto pi importante e decisivo della posizione trascendentalistica di Kant consiste nel rilevare [...] che lAnalitica trascendentale si salda alla Logica formale (ele- mentare): la mediazione  data dalla teoria delle funzioni logiche del giudizio, cio da una classificazione logico-formale dei tipi di propo- sizioni.  superfluo ricordare che il nocciolo dellAnalitica dei concetti  la teoria delle dodici categorie, e quello dellAnalitica dei principii  la tavola fisiologica pura dei principii generali della scienza naturale pura; ed  inutile dire che se queste sono, per noi, le parti pi caduche della grande opera kantiana, ci che  morto di Kant, lui, invece, ne andava orgoglioso, e le considerava invece lapporto pi prezioso da lui arrecato alla costruzione di una filosofia come scienza - e di fatto sem- bravano realizzare il progetto di una filosofia analitica nel senso sopra descritto. Ora la tavola fisiologica dei principi contiene lo schema di una fisiologia pura trascendentale, ossia lenumerazione dei princip puri a priori dellintelletto i quali rendono possibile una scienza della natura in generale, in quanto condizioni della pensabilit degli oggetti secondo Leggi; Questa tavola  fondata su quella delle categorie. E que- sta, in fondo, non sono che i nomi (0, se si preferisce, i concetti) delle funzioni logiche del giudizio, in quanto i vari modi dellunit sinte- tica delle intuizioni non sono dati da altro che dalle funzioni logiche del giudizio, e anzi coincidono con esse. E in questo modo la logica formale diviene, proprio in quanto esposizione delle leggi dellaccor- do del pensiero con se stesso, il fondamento di unOntologia generale critica (o trascendentale). La non breve citazione di questo interessante passo inedito ci consen- te di meglio comprendere il modo con il quale Preti guardava, per dir- la con unincisiva espressione di Jean Petitot, alla tragedia della ragione post-kantiana. Infatti la filosofia post-kantiana - considerato peraltro % Cfr. Jean Petitot, Per un nuovo illuminismo. La conoscenza scientifica come valore culturale e civile, Prefazione, cura e traduzione dal francese di F. Minazzi, 34 FABIO MINAZZI lo svolgimento parziale del punto di vista kantiano, nonch le sue oscu- rit intrinseche - ha cercato di completare questo programma partendo proprio dal piano dellontologia kantiana quale esplicitazione delle leggi del pensiero. Questa, perlomeno,  stata la soluzione di Hegel, ma secon- do Preti il filosofo di Stoccarda ha poi dipanata e continuata [lontologia kantiana] in una cos pesante e barocca interpretazione metafisica, che il risultato  stato piuttosto quello di screditarla. Inoltre nella prospettiva dellidealismo romantico si  sempre pi affermata uninterpretazione de- cisamente materiale della logica, con linevitabile pretesa metafisica che essa potesse senz'altro determinare non tanto l'accordo formale e vuoto del pensiero con se stesso (analitico e, quindi, senz'altro intellettualistico!, perlomeno per i romantici  la Hegel) quanto lindividuazione delle cate- gorie supreme dellessere in quanto tale (idest dellessere, dellunit, della cosa, dello spirito, ecc.). Questa, in particolare,  stata proprio la soluzione metafisica hegeliana. Di contro, rileva ancora Preti, si  invece configurata una ben diver- sa via ermeneutica, quella che ha inteso la logica quale scienza delle de- terminazioni del pensiero o Logos o ragione. Tra i contemporanei, il pi vicino, per questo particolare aspetto, allispirazione trascendentalistica della concezione kantiana dello status e della natura della logica sembra essere Ed. Husserl e non per niente Preti richiama allora espressamente la definizione husserliana della logica quale scienza del Logos in senso pregnante: come scienza del Logos nella forma della scienza, ossia come scienza delle parti essenziali che come tali costituiscono la scienza auten- tica che si legge in Formale und transzendentale Logik. Ma riferendosi ancora a questa definizione husserliana Preti rileva come [...] la scienza autentica  la scienza costituita secondo lideale della pura scientificit, il telos e il compimento dellidea stessa della ragione giudicante (apofantica). Nella logica quindi, in sostanza, si esplicita il senso intenzionale della Ragione stessa in quanto questa  la diezio- ne teleologica dellidea di scienza (in generale, ossia nella sua pura e formale generalit). Non  ora il caso di seguire pi analiticamente e dettagliatamente lo svolgimento complessivo di questa pur assai interessante disamina inedita pretiana, tuttavia mi auguro che quanto  stato riferito consenta comun- que di ben comprendere tutto l'ampio respiro teoretico, nonch il preci- so orizzonte critico-concettuale entro il quale Preti ha inteso inserire, del tutto consapevolmente, il proprio, assai originale, realismo fenomenolo- gico (o oggettivismo trascendentale), che, come si  visto, fa tutt'uno con il Bompiani, Milano 2009, in particolare le pp. 127-182, cui sia lecito affiancare anche le considerazioni del mio precedente volume Teleologia della conoscenza ed escatolo- gia della speranza. Per un nuovo illuminismo critico, La Citt del Sole, Napoli 2004. suo neorealismo logico. Semmai, in questa sede varr la pensa conclude- re queste considerazioni ricordando un altro interessante appunto inedi- to pretiano, connesso nuovamente con i suoi molteplici lavori ed appunti consacrati allo sviluppo analitico e prospettico di unontologia critica. In un quaderno manoscritto di Saggi logico-ontologici* Preti, riferendosi nuovamente ed esplicitamente al neorealismo, traccia i seguenti appunti: 1. Lintenzionalita (suppositio). L'unit di significazione - Sua traduzione positivista [Principio di verificazione] [Monadismo]; Denotazione e significazione (simboli e segni concettuali) Sinonimia La quaestio de universalibus nominalismo [formalismo] [convenzionalismo] realismo [logicismo] concettualismo [intuizionismo] neo-realismo - affinit col: 1 nominalismo 2 concettualismo 3 realismo; PORN 5. Definizioni e essenze 6. Classificazione - Specie e generi. Questo appunto  interessante non solo per lo schema complessivo dello sviluppo storico-concettuale ed analitico che Preti evidentemente intende- va prospettarsi per illustrare tutta la pregnanza teoretica della prospettiva del neorealismo logico, ma anche perch consente, nuovamente, di cogliere anche la collocazione strategica di questo suo programma di ricerca filo- sofico entro la tradizione del pensiero occidentale. In particolare, emerge nuovamente, con forza, il nesso che Preti individua tra questa tradizione di pensiero, scaturita dal dibattito dei logici medievali del tardo XIII se- colo e del XIV secolo, con la successiva tradizione dellempirismo logico. Ma, come si  visto, proprio questo prezioso e fecondo legame concettuale trala dottrina dellintenzionalit (connessa conla nozione scolastica della suppositio) con il principio di verificazione neopositivista rinvia, ancora una volta, alla mediazione decisiva della rivoluzione copernicana kantia- na che se da un lato sembra raccogliere e riannodare criticamente i fili del dibattito della tarda scolastica*, dallaltro lato, proprio con il suo trascen- 3 G. Preti, Saggi logico-ontologici, risalente ai primissimi anni Sessanta [nel Fondo Preti corrisponde alla schedatura: I, 33], p. 2; per una sua descrizione cfr. F. Minazzi, G. Preti: bibliografia, cit., p. 331. % A questo proposito sia comunque lecito rinviare a F. Minazzi, Sulla genesi del- la filsoofia trascendentale. A proposito di una rcente pubblicazione (Il Protagora, XXXVII, gennaio-giugno 2010, sesta serie, n. 13, pp. 193-200, edito in un numero monografico consacrato a Kant e il problema del trascendentale, in cui figura anche un mio secondo scritto, Sullo statuto epistemologico del trascendentale kantiano, pp. 87-115, cui mi permetto ancora di rinviare). dentalismo, apre ad un nuovo orientamento di pensiero che trova proprio in Husserl e in tutti i principali esponenti dellempirismo logico un terreno fecondo per mezzo del quale il trascendentalismo storico-oggettivo pu allora dispiegare tutto linteresse euristico e filosofico della sua innovati- va posizione teoretica. Ma, ancora una volta, proprio nellimpostare pro- grammaticamente tale sua disamina, si nota, nuovamente, come l'impianto critico analitico del programma di ricerca neorealista logico pretiano sia tale da saper spiazzare le chiusure dogmatiche delle differenti tradizioni di pensiero, onde individuare un suo autonomo punto di vista critico che gli consente di intrecciare con maggior libert di pensiero e anche con mag- gior fecondit critico-prospettica i contributi che i vari autori hanno pu- re elaborato autonomamente, entro il proprio specifico punto di vista. In tal modo nellonesto mestiere della filosofia pretiana la pratica della stessa riflessione filosofica si configura, sempre, come il frutto di un lavoro cri- tico continuo onde rendere sempre pi chiare le nostre idee sul mondo e sulla conoscenza, con la consapevolezza - dichiarata - che, come peraltro si  gi visto (per ripetere, totidem verbis, una emblematica dichiarazione risalente ad Idealismo e positivismo), si lavora sempre e solo sapendo di essere uomini, solo uomini; e, in fondo pi religiosi, vogliamo essere una cosa sola - quello che siamo - uomini. Integralmente umani, appunto  la Pascal. Ovvero animali dotati, simmelianamente, di una razionalit teoretico-pragmatica, nati comunque per morire nella contingenza, pro- blematica e transeunte, di un mondo storico delimitato, finito e relativo. PRASSI, INTELLETTO, RAGIONE. IL NUOVO NEOCRITICISMO DI PRETI Massimo Baldacci In seno alla scuola di Banfi, Giulio Preti! ha elaborato un pensiero di grande spessore e originalit. Infatti, la connessione organica che egli ha istituito tra razionalismo trascendentale, empirismo logico e filosofie del- la prassi (la filosofia del giovane Marx e il pragmatismo di Dewey) lo ha portato a una filosofia inedita, che  stata caratterizzata come empirismo critico o come trascendentalismo storico-oggettivo, e che si pu vedere come una forma di nuovo neo-criticismo, per riprendere unespressione di Schnadelbach?. Per un inquadramento del pensiero di Preti nella tradizione che fa capo ad Antonio Banfi,  indispensabile rilevarne sia gli elementi di continui- t, sia quelli di rottura rispetto ad essa. Dal momento che ho evidenziato laspetto della continuit in altra sede, in questo contributo intendo sot- tolineare piuttosto le rotture euristiche introdotte da Preti, ritenendole rilevanti anche per il campo di cui mi occupo: la pedagogia. 1. Lacritica di Preti a Banfi: il ruolo dellintelletto Nel saggio postumo La filosofia di Marx e la crisi contemporanea5, Preti asserisce che il limite della filosofia speculativa idealista  quello di ! G. Preti, Idealismo e positivismo, Bompiani, Milano 1943; Praxis ed empiri- smo, Einaudi, Torino 1957; Retorica e logica, Einaudi, Torino 1968; Saggi filosofici, 2 voll., La Nuova Italia, Firenze 1976; In principio era la carne. Saggi filosofici inediti, a cura di M. Dal Pra, Franco Angeli, Milano 1983. ? Sul pensiero di Preti vedi: M. Dal Pra, Studi sullempirismo critico di Giulio Preti, Bibliopolis, Napoli 1988. F. Minazzi (a cura di), Il pensiero di Giulio Preti nel- la cultura filosofica del Novecento, Franco Angeli, Milano 1990. P. Parrini e L.M. Scarantino, Il pensiero filosofico di Giulio Preti, Guerini, Milano 2004. 3 H. Schnadelbach, Il nostro nuovo neokantismo, in S. Besoli e L. Guidetti (a cura di), Conoscenza, valori e cultura. Orizzonti e problemi del neocriticismo, Quaderni di discipline filosofiche, n. 2, 1997, p. 11. 4 Vedi M. Baldacci, Il problematicismo, Milella, Lecce 2003, pp. 126 sgg. 5 G. Preti, La filosofia di Marx e la crisi contemporanea, in G. Preti, In principio era la carne, cit., pp. 35-103. Franco Cambi e Giovanni Mari (a cura di) Giulio Preti : intellettuale critico e filosofo attuale ISBN 978-88- 6655-039-6 (print) ISBN 978-88-6655-044-0 (online PDF) ISBN 978-88-6655-048-8 (online EPUB)  2011 Firenze University Press 38 MASSIMO BALDACCI funzionare in base a categorie astratte, rompendo i ponti con lesperien- za, e che questo difetto colpisce anche Banfi, il quale nel criticare il dog- matismo di Gentile: [...] pone laccento sullautonomia della ragione, la quale riconosce e pone in se stessa, nelle sue pure idee, quella problematicit mediante la quale risolve in s tutti i limiti e le particolarit che lintelletto (scien- tifico, pragmatico ecc.) pone al pensiero, ed entro cui questo tende a chiudere lesperienza. In questo modo, il pensiero filosofico si trova ad essere: [...] perennemente teso nella sua antinomicit, la quale non  indotta dai fatti dellintelletto o dellesperienza, non  riconosciuta come un limite del movimento storico della scienza, ma  posta immediata- mente a se stessa. Da qui, secondo Preti, deriva il secondo limite dellidealismo: [...] la nullificazione dellintelletto, che o viene risolto nella pura espe- rienza o viene travolto dal prevaricare della ragione, che ne scioglie ogni sintesi determinata nellinfinit dellIdea (e questo vale tanto per Gentile quanto per Banfi). E prosegue precisando: Infatti, la conoscenza intellettiva (scientifica, pragmatica) appa- re un momento necessario nel processo di trasposizione dellespe- rienza sul piano della ragione; ma si pone laccento sullautonomia di questultima, la quale riconosce e pone in se stessa, nelle sue pure idee [...] quella problematicit mediante cui risolve in s tutti i limiti e le particolarit che lintelletto pone al pensiero, ed entro cui tende a chiudere lesperienza?. Cosicch: [...] ad un movimento puramente in se stessa di una Ragione tesa nella sua pura (ma vuota) dialetticit [...] fa riscontro un movimento altrettanto libero [...] dellesperienza, abbandonata a se stessa e alla sua anarchia. 6 Ivi, p. 82 (corsivo dellautore). 7 Ivi, p. 83. 8 Ibid. ? Ibid. (corsivo dellautore). 1 Ibid. IL NUOVO NEOCRITICISMO DI PRETI 39 In ultima analisi, il fondamentale difetto delle filosofie speculative, in- clusa quella di Banfi,  di aver: [...] misconosciuta la funzione centrale dellintelletto, che media conti- nuamente esperienza e ragione, costruendo la prima (la quale propria- mente non si pu dire che esista prima di tale costruzione) secondo le strutture puramente formali (cio, puramente... strutturali, linguisti- che, sintattiche) della seconda ". Riassumendo, le obbiezioni di Preti alla filosofia speculativa di Banfi si possono cos sintetizzare: a. di porre laccento sullautonomia della ragione (e il termine autono- mia viene riportato due volte in corsivo), mentre il ruolo dellintelletto  fondamentale per trasporre lesperienza sul piano razionale; b. che lantinomicit delle idee della ragione non sia derivata dallintel- letto o dalla storia della scienza, ma sia posta come sussistente in s, generata immediatamente nella sfera della ragione; c. che la problematicit antinomica delle idee permetta alla ragione di risolvere in s, in maniera autonoma, particolarit e limiti che lintel- letto impone al pensiero circa lesperienza; d. che ci porta a misconoscere la funzione di mediazione dellintelletto e dunque a sopprimerlo, mentre esso  indispensabile per la trasposi- zione dellesperienza sul piano della ragione, perch  lintelletto che costruisce la prima secondo le strutture formali della seconda, assicu- randone cos la trasponibilit razionale. e. che in questo modo la ragione ed esperienza restano su un piano di reciproca esteriorit: la prima rimane astratta, la seconda resta confi- nata nella sua anarchia. Cerchiamo di mettere in luce il senso di queste obiezioni. I punti (a) ed (e), il primo e lultimo, definiscono la tesi di Preti: la for- ma di autonomia che Banfi ascrive alla ragione ne determina lastrattezza e lesteriorit rispetto allesperienza, e dunque la sua inefficacia. Ma qua- li sono i difetti di questa forma di autonomia che portano a questo esito? Il punto (b) individua il primo di questi difetti: la ragione auto-produ- ce le proprie idee antinomiche, senza alcuna relazione con lintelletto, la storia o lesperienza. Preti ravvisa qui un difetto che si potrebbe definire genetico: la genesi delle idee non pu compiersi in questo modo irrelato, se non al prezzo di partorirle gi morte nella loro astrattezza. Il punto (c) identifica il secondo difetto: la ragione provvede in manie- ra auto-sufficiente a risolvere in s le particolarit in cui il pensiero chiude lesperienza. Preti individua qui un difetto che si potrebbe definire fun- 1 Ivi, p. 84 (corsivo dellautore). 40 MASSIMO BALDACCI zionale: la funzione della ragione non  quella di risolvere direttamente le posizioni determinate del pensiero circa lesperienza, ponendosi in ci come auto-sufficiente. In qualche modo, Preti sembra rifarsi allarchitetto- nica kantiana, cio alla distinzione tra ragione (Vernunft) e intelletto (Verstand) e al loro rapporto: la ragione non ordina direttamente lespe- rienza, a ci provvedono le categorie dellintelletto, bens ha una funzione regolativa rispetto alluso dellintelletto. Il punto (d) identifica lesito combinato dei due difetti, quello gene- tico dellauto-produttivit della ragione e quello funzionale della sua auto-sufficienza. Questo esito consiste nel misconoscimento della funzio- ne dellintelletto: una ragione auto-produttiva e auto-sufficiente prevari- ca l'intelletto (ossia, la conoscenza scientifica) e ne annulla il ruolo. Qui Preti chiarisce che si tratta di un errore strutturale e funzionale al tempo stesso: lopera di mediazione dellintelletto tra lesperienza e la ragione  indispensabile per la trasposizione razionale della prima, poich: (dl)  lintelletto che costruisce lesperienza (che senza la sua funzione orga- nizzatrice non si pu dire neppure tale), non direttamente la ragione; (d2) ma lintelletto compie quest'opera costruttiva secondo le strutture formali stabilite dalla ragione. In altre parole, lintelletto costruisce e mette in forma lesperienza in modo conforme alle strutture della ragione, ed  perci grazie alla sua intermediazione che lesperienza viene trasposta sul piano razionale. In termini astratti, usando S per strutture, e assegnando i livelli 1, 2, 3 ri- spettivamente alla ragione, allintelletto e all'esperienza si ha che S4 pre- scrive a S2 le forme e i modi di ricostruire S3. Il punto (e) completa largomentazione di Preti: senza lintermediazio- ne dellintelletto, la ragione non cattura lesperienza, restando imprigio- nata nellastrattezza della sua falsa auto-produttivit e auto-sufficienza, mentre essa, lesperienza, rimane allo stato anarchico, informe e caotica. Circa la pedagogia, questo significa che una mera filosofia delleduca- zione (che definisce il piano della ragione), senza il supporto di una scienza delleducazione (che definisce il piano dellintelletto)  destinata a rima- nere astratta rispetto alla concreta esperienza educativa. Ma rimaniamo ancora al problema sollevato da Preti. Denunciata la- strattezza di una ragione privata del supporto dellintelletto, Preti si pre- occupa anche di evidenziare il rischio di un intelletto orfano della guida della ragione, infatti: [...] a tutte quelle posizioni che, in genere, tendono ad eliminare dalla filosofia il piano della logica trascendentale [...] si pu obbiettare che cadono nel dogmatismo opposto, a loro volta dando allintelletto un principio immediato, e quindi finendo per nullificarne pi o meno la funzione. 2 G. Preti, La filosofia di Marx, cit. p. 84. IL NUOVO NEOCRITICISMO DI PRETI 41 In altri termini, punto (f), senza la guida della ragione, lintelletto  co- stretto a sua volta ad auto-produrre un proprio principio che privato dei modelli formali (linguistici e sintattici) della ragione non pu provvedere in maniera adeguata alla costruzione dellesperienza. Preti sembra perci ritenere fondata larchitettonica kantiana, pur reinterpretando il significa- to dei suoi livelli, che rimangono per articolati secondo la tripartizione: ragione-intelletto-esperienza. Questo richiamo alla necessit della logica trascendentale, implica li- nadeguatezza del tentativo di risolvere la pedagogia in una disciplina me- ramente empirica di stampo positivista come la pedagogia sperimentale, privandola della componente della filosofia dell'educazione. Tentativo che alimenta ununilateralita complementare a quello di una filosofia delle- ducazione meramente speculativa. 2. Il rovesciamento della filosofia di Banfi: al principio sta la prassi Come si  visto, nel saggio inedito sulla filosofia di Marx, del 1948, Preti obietta (b) che nel razionalismo idealistico lantinomicit delle idee della ragione non venga derivata dallintelletto o dalla storia della scienza, ma sia posta come sussistente in s, generata immediatamente nella sfera del- la ragione; e in nota! asserisce di considerare i Principi di una teoria della ragione, di Banfi, come il massimo punto darrivo della filosofia speculati- va, ma di non poter continuare una simile filosofia se non rovesciandola, assumendo verso di essa un atteggiamento analogo a quello dei seguaci immediati di Hegel (tra i quali Marx) verso il suo sistema. Il bersaglio della critica di Preti  dunque il Banfi dei Principi di una teoria della ragione (le cui posizioni il filosofo milanese avrebbe in parte rivisto, e soprattutto integrato, negli anni trenta e quaranta, specialmente con l'adesione al marxismo). Qual  il processo genetico con cui, nei Prin- cipi..., Banfi arriva allidea antinomica della ragione? A proposito delli- dea del conoscere (nella quale, per lui, lesigenza teoretica trova espressione nella sua purezza), Banfi scrive che: [...] tale idea non ha la sua origine n in un processo di astrazione, n in un atto dilluminazione soggettivo. Essa ha la sua origine, come ogni idea speculativa, nel processo totale della coltura, per cui il mo- mento della teoreticit si  venuto elevando ad autonomia fissandosi in aspetti idealmente obbiettivi". E continua asserendo: B G. Preti, La filosofia di Marx, cit., nota 112, p. 83. 14 A. Banfi, Principi di una teoria della ragione, cit., p. 12 (corsivo mio). 42 MASSIMO BALDACCI  appunto non di fronte ad una presunta esperienza immediata, ma allinterno di tale tradizione filosofica stessa che noi cerchiamo, sui risultati raggiunti, di definire con sempre maggiore chiarezza la forma trascendentale del conoscere. Per concludere, una volta posta lidea del conoscere come sintesi sog- getto/oggetto, rispetto alla sua individuazione Banfi precisa: [...] non si tratta qui affatto di un'intuizione, ma di un risultato del processo dialettico del pensiero filosofico [...]. Il rapporto soggetto- oggetto non  affatto dato originariamente alla coscienza, si sviluppa piuttosto e si eleva sempre pi chiaramente di mano in mano che la sfera teoretica e lattivit conoscitiva acquistano autonomia nellauto- coscienza culturale". In altre parole, secondo Banfi, si arriva all'idea razionale attraverso un processo dialettico interno al pensiero filosofico, e dunque intrinseco alla ragione. E anche se le posizioni del pensiero filosofico che il processo dia- lettico scioglie dalla propria assolutezza dogmatica, risolvendoli nel pro- cesso stesso di genesi dellidea, si potessero definire come intellettuali, lintelletto assumerebbe qui il carattere della mera negativit e dogmati- cit che deve essere risolta e superata nella positivit dell'idea razionale. Il rilievo di un residuo di astrattezza idealistica del Banfi dei Principi..., mosso da Preti, non appare perci privo di riscontri. Questa impostazio- ne secondo Preti va rovesciata. Ma in che senso? Secondo il razionalismo speculativo di Banfi la ragione auto-produce le proprie idee antinomiche, l'origine dellidea razionale  la ragione stessa e il suo processo  dialetti- co. In altri termini, allorigine, in principio, sta il logos. Rovesciare questa impostazione significa assumere che allorigine, in principio, sta la prassi, ed solo grazie allopera dellintelletto che da questa si arriva alle strutture della ragione, del puro logos.  questo il tema del grande saggio incompiuto e lasciato inedito In principio era la carne', del 1963-64, le cui linee sono in parte gi anticipate in Praxis ed empirismo, del 1957. Quello che qui  in gioco  il processo di genesi delle strutture funzionali del conoscere. E la tesi  che il piano originario non va individuato nel logos, ma nella carne: nella vita degli uomini in carne ed ossa, nella prassi sociale che li mette in relazione reciproca e in rapporto col mondo. In questo modo viene data risposta alla domanda da dove prendono origine le strutture del conoscere. Secondo Preti, che richiama esplicitamente il marxismo, sono pro- priamente le esigenze connesse alla vita che spingono luomo ad elabora- 15 Ivi, p. 13 (corsivo mio). 16 Ibid. (corsivo mio). ! Vedi G. Preti, La filosofia di Marx, cit., p. 82. !8 G. Preti, In principio era la carne, in G. Preti, In principio era la carne. Saggi filosofici inediti, cit., pp. 161-201. IL NUOVO NEOCRITICISMO DI PRETI 43 re la tecnica, la scienza e la cultura, ossia il logos. In altre parole, il logos deriva dalla carne e vi fa ritorno: il loro rapporto  circolare (e dunque lo  anche il rapporto prassi-teoria). Ma il mondo della vita da cui pren- de origine il logos non ha la struttura ante-predicativa che gli attribuisce la neo-fenomenologia, esso  gi costruito di relazioni, significati, cre- denze, valutazioni; in altre parole, cos descritto, sembra che il piano dellesperienza identificato da Preti come basilare si possa identificare col piano del senso comune, al quale il linguaggio ordinario d gi struttura. In questa prospettiva, gli stessi dati iletici, la mera materia prima del co- noscere, sono solo un concetto-limite del processo del conoscere, e diven- gono oggetti di conoscenza solo in quanto si organizzano secondo sintesi noematiche che presuppongono una forma intenzionale. In altri termi- ni, lesperienza  sempre costruita secondo certe sintesi nelle quali la ma- teria iletica  costantemente congiunta a forme intenzionali e organizzata secondo di esse. La materia iletica bruta, informe,  una mera astrazione, anzi  il limite di ogni astrazione analitica. Il linguaggio interviene co- stantemente nellorganizzazione dell'esperienza, anche di quella di senso comune, che viene per cos dire messa in forma dal linguaggio ordinario. L'elaborazione dellesperienza si svolge secondo le modalit dell intel- letto (leggi: in maniera intellettuale), che procede nel finito, nellem- pirico storico e culturale, descrivendo fatti e ponendo tra loro relazioni. E in questo modo, spesso, opera abbattendo le strutture del senso comune, nonch i suoi pregiudizi, e le ricostruisce in modi diversi. Il razionalismo speculativo, al contrario, converte le relazioni in enti metafisici, cadendo nel dogmatismo ontologico. Per evitare questa caduta, occorre invece da- re alla ragione il ruolo meramente formale di limite ideale dellesigenza, corrente in tutta la cultura, delluniversalit e consistenza. Su questa base pu essere reimpostato il processo di costruzione del- le strutture funzionali del conoscere, muovendo dalla prassi per arrivare alla ragione attraverso la mediazione dellintelletto. Al livello basilare della prassi, la conoscenza  un fatto, non  un problema?: essa  basata su evidenze che hanno un valore vitale e rap- presenta uno strumento della vita per il proprio mantenimento. Su questo piano, il termine conoscenza, asserisce Preti,  un termine generico per indicare le transazioni vitali dell'organismo vivente con lambiente. E ri- 1 Ivi, p. 165. 20 Ivi, p. 169. 21 Ivi p. 186.  Ivi, p. 187. 23 Ivi, p. 165. 24 Cfr. ivi, p. 169. Ivi, p. 167 (corsivo dellautore). 26 Ivi, p. 172. 2 Cfr. ivi, p. 174. 44 MASSIMO BALDACCI spetto allatteggiamento naturalistico che permea questo livello, il conoscen- te e il conosciuto si distinguono e si oppongono, il soggetto e l'oggetto sono uno di fronte allaltro (anche se si deve rammentare il carattere transattivo della conoscenza), conformemente al modo in cui il realismo concepisce le cose. Ma ad altri livelli le cose si mettono diversamente, avverte Preti. Ad un livello pi alto (che si pu far corrispondere a S2), attraverso un processo di astrazione e idealizzazione dei contenuti e delle loro relazioni, la conoscenza si organizza in forma scientifica, secondo le strutture for- mali e le categorie del discorso scientifico. Aldi sopra di questo livello, in questo saggio Preti pone il piano trascen- dentalistico, che si apre grazie ad unastrazione che presuppone lepoch dellatteggiamento ontologico-naturale e una sorta di passaggio al limite. In questo piano trascendentale, si colloca la banfiana idea del conoscere come antinomia soggetto/oggetto, la quale pone come correlative le cate- gorie dellego trascendentale e del mondo trascendentale, che rappresen- tano idee della ragione nel senso preciso della Ragione pura kantiana? e dunque, sia singolarmente che nella loro correlazione trascendentale, hanno una funzione meramente regolativa. Lo scheletro formale delle strutture funzionali del conoscere rimane grosso modo quello dei lavori degli anni Cinquanta, con la sola variante che al livello pi astratto S4 questa volta viene evidenziata la componente gnoseologica dellidea trascendentale del conoscere, piuttosto che quella epistemologica dellOntologia formale costituita dai linguaggi ideali? Nel saggio del 1963-64 viene per chiarito il problema della genesi costrutti- vistica di tali strutture, attraverso due tesi fondamentali: (1) il processo della costruzione muove dal livello del senso comune (S3), dallesperienza degli uomini in carne e ossa, e risale attraverso il li- vello delle strutture dellintelletto (S2), alle strutture della ragione Sj. Con ci, come abbiamo gi rilevato si d risposta alla questione dello- rigine delle strutture funzionali del conoscere (da dove hanno origine). Ma in questa sistemazione, lintelletto non  solo la stazione intermedia del procedere dallesperienza alla ragione, bens rappresenta il motore o principio dinamico di tale processo. Infatti, laltra tesi  che: (2) il processo costruttivo  basato su operazioni di astrazione e idea- lizzazione, unite allepoch dellatteggiamento naturalistico che sospende qualsiasi valore ontologico alle nozioni elaborate. 28 Cfr. ivi, p. 175. 2 Cfr. ivi, p. 179. 30 Cfr. ivi, p. 180. 31 Ivi, p. 185. 32 G. Preti, Lontologia della regione natura nella fisica newtoniana, in G. Preti, Saggi filosofici, cit., pp. 413-35. Vedi anche: G. Preti, Linguaggio comune e linguaggi scientifici, in G. Preti, Saggi filosofici, vol. 1, cit., pp. 127-220; G. Preti, Praxis ed empirismo, cit., pp. 68-94. IL NUOVO NEOCRITICISMO DI PRETI 45 Preti, infatti, oltre a enunciare pi volte questa tesi nel corpo della trat- tazione, la ribadisce al termine dellitinerario costruttivo: [...] le categorie della gnoseologia trascendentale sono ricavate, attra- verso un laborioso processo di successive enoyai e successive astra- zioni-idealizzazioni, dalloriginaria situazione delluomo in carne e ossa [...]?3. In questo modo viene risolta laltra questione dellorigine delle strut- ture del conoscere, ossia il problema di come si formano tali strutture. Nel quadro messo a punto da Preti, non  la ragione che auto-produce le idee attraverso un proprio svolgimento dialettico interno, come nel raziona- lismo speculativo (e come avviene nello stesso Banfi); bens queste idee sono costruite dallintelletto attraverso successive operazioni dastrazione- idealizzazione che culminano nelliper-astrazione del passaggio al piano trascendentale, che Preti definisce attraverso l'analogia del passaggio al limite propria dellanalisi matematica. Il fatto che siano il frutto di un laborioso processo costruttivo dellin- telletto, e non della spontaneit dello sviluppo della ragione, non im- pedisce per che, come asserito nel saggio sullOntologia della regione natura nella fisica newtoniana, una volta costruite intellettualmen- te, queste idee e categorie siano poste con funzione di a priori entro il sistema, e che quindi funzionino come idee regolative al livello della ra- gione o come categorie formali costitutive degli oggetti di conoscenza a quello dellintelletto. Si tratta per di a priori storico-relativi, convenzio- nali bench oggettivi, e come tali valevoli solo relativamente al sistema e fino a nuovo ordine. Tuttavia, la tesi della costruzione per astrazione-idealizzazione delle ca- tegorie a partire dallesperienza (e delle idee movendo dal piano categoriale) non  esente da rischi, e il suo valore deve essere messo in rapporto con la necessit di individuare un processo di tipo intellettuale, alternativo allo svolgimento dialettico intrinseco della ragione su cui si era attestato Banfi. In linea di principio, il pericolo  quello di ricadere nei limiti della vec- chia gnoseologia empirista, dalla quale Banfi rimaneva immune postu- lando che il rapporto tra esperienza e ragione non fosse di tipo astraente, ma di trasposizione della prima secondo le forme razionali della seconda. Il limite della vecchia gnoseologia empirista basata sullastrazione dallesperienza  quello di mettere capo a concetti che categorizzano solo ci che  comune a un certo insieme desperienze. In questo modo, il con- cetto assume un carattere sostanzialista, e dunque dogmatico-ontologico, e nel contempo si presenta impoverito rispetto allesperienza, e perci in- capace di tornare produttivamente ad essa. 8 Ivi, p. 184. ** G. Preti, Lontologia della regione natura nella fisica newtoniana, cit. 46 MASSIMO BALDACCI Rispetto al processo astraente, Preti evita il rischio della caduta nel sostanzialismo ontologico chiamando in causa come correlato dellastra- zione lepoch, la quale sospende qualsiasi valore ontologico e sostanziale delle nozioni elaborate. Rimane per il pericolo che lelaborazione metta capo a nozioni vuote e astratte nel senso deteriore del termine, ossia si- tuate su un piano che trascende lesperienza e impoverite rispetto ad es- sa, e dunque estranee ed inefficaci rispetto allesperienza stessa. Il modo in cui Preti cerca di evitare tale pericolo si rende trasparente in un altro scritto, ossia nella Presentazione introduttiva al volume Sostanza e fun- zione di Ernest Cassirer. Qui Preti segue Cassirer nella critica al concet- to-sostanza della dottrina scolastica e della gnoseologia empiristica, che procede per astrazione dei dati comuni, giungendo cos a una rappresen- tazione tanto dogmatica quanto impoverita dellesperienza. A tale tipo di concetto Cassirer oppone il concetto-funzione, che costituisce la forma di rappresentazione tipica del pensiero scientifico (la scienza stessa  un tessuto di concetti-funzione)?, e che usa un differente tipo dastrazione, nella quale i tratti disomogenei non sono eliminati ma sostituiti da va- riabili espresse da simboli. E in un saggio posteriore, Cassirer chiarisce che secondo il proprio idealismo trascendentale il momento intellettuale (connesso ai concetti-funzione) non deriva da un allontanamento dallin- tuizione sensibile, perch questultima  sempre organizzata secondo un ordine che  gi intellettuale. Il dato, cio, non  semplice materia ileti- ca, ma possiede sempre una forma; la materia originaria, come tale,  un puro concetto limite. Il modo in cui Preti interpreta il ruolo simbolico dei concetti-funzione  cruciale per comprendere come si deve vedere il processo di astrazio- ne-idealizzazione a cui, nel saggio In principio era la carne, egli affida il compito di elaborare le strutture intellettuali e razionali a partire dalle- sperienza. Preti, infatti, scrive: Il simbolo ha una funzione irriducibile, che non  quella di rap- presentare, o dipingere, o economizzare lesperienza. Il simbolo [...] implica un distacco dallintuizione, una sospensione dellesperienza, una astrazione-idealizzazione che conferisce al pensiero ampi gradi di libert rispetto allesperienza stessa. 3 E. Cassirer, Sostanza e funzione. Sulla teoria della relativit di Einstein, La Nuova Italia, Firenze 1973. 6 G. Preti, Presentazione a E. Cassirer, cit., p. XIII. 9 Ivi, p. XII 38 E. Cassirer, La teoria della conoscenza e le questioni di confine della logica, in E. Cassirer, Conoscenza, concetto, cultura, a cura di G. Raio, La Nuova Italia, Firenze 1998, pp. 28-9. 3 Ivi, p. 31. 4 G. Preti, Presentazione a E. Cassirer, Sostanza e funzione, cit., pp. IX-X (cor- sivo mio). IL NUOVO NEOCRITICISMO DI PRETI 47 E subito aggiunge: Non c' per una dicotomia, un netto taglio gnoseologico (e tanto meno ontologico) tra esperienza e regno dei simboli: ch mentre non esiste neppure, a stretto rigore un'esperienza in senso vero e proprio la quale non sia gi investita di una funzione simbolica [...], daltra parte il mondo dei simboli  indefinitamente stratificato in livelli simbolici di progressivo formalismo [...]!!. In altre parole, come Cassirer, Preti non fa dellesperienza la sfera dei meri dati iletici, della materia informe del conoscere. L'esperienza, come si  visto,  gi costruita secondo una trama simbolica, fornita dal linguag- gio comune. Pertanto, considerando questi passi insieme a quanto Preti scrive nel saggio In principio era la carne, si deve interpretare il processo di astrazione-idealizzazione con cui si risale dall'esperienza alle catego- rie dellintelletto (e da queste alle idee della ragione) non nei termini del- la vecchia gnoseologia empirista (che egli respinge esplicitamente), bens secondo la forma di astrazione-idealizzazione realizzata dal linguaggio scientifico, che  quella della formulazione delle leggi scientifiche e, ag- giungiamo noi, della modellizzazione scientifica, nel contesto della qua- le il passaggio dal livello della realt a quello del modello, solitamente,  collegato a processi di astrazione e idealizzazione?. Lepoch da un lato, e lastrazione-idealizzazione inteso come processo di sostituzione della variet dellesperienza con simboli e variabili legati in concetti-funzione, ossia in categorie-significati, differenziano lempirismo di Preti dalla vecchia gnoseologia empirista. Il processo astrattivo codifica lesperienza in categorie formali, che sono svuotate di contenuti specifici e sono trasformate perci in variabili, lepoch ne sospende qualsiasi valore ontologico. Tuttavia, questo passaggio dallesperienza codificata secondo illinguaggio comune alla trama categoriale del linguaggio formale di una scienza, pone comunque un problema. Asserire che la formazione delle strutture concettuali dellintelletto muovendo dal piano dellesperienza implica operazioni di astrazione e idealizzazione sarebbe relativamente poco problematico, in quanto non impegna circa la struttura complessiva di tale processo di formazione (non si afferma cio che esso si riduce a tali operazioni). Pi problematico  sostenere che queste strutture sono pre- cisamente prodotte per mezzo di operazioni dastrazione dallesperienza 4 Ivi, p.X. 4 Vedi R.N. Giere, Spiegare la scienza, Il Mulino, Bologna 1996, p. 117. A que- sto proposito  significativo il modo in cui Preti descrive il metodo di Galileo: L'esperimento con la fantasia  in realt un procedimento astrattizzante che riduce il fenomeno a un tipico schema o modello matematico; G. Preti, Storia del pensiero scientifico, Mondadori, Milano 1975 (1957), p. 171 (corsivi miei). Probabilmente, quando Preti parla di processi di astrazione-idealizzazone si deve pensare a qualco- sa di analogo a un procedimento di modellizzazione scientifica dei fenomeni. 48 MASSIMO BALDACCI (linguisticamente codificata), in quanto in questo caso si cade nella dif- ficolt creata dallindeterminatezza dellesito, perch nella codificazione formale dellesperienza se ne possono trascegliere come pertinenti aspet- ti del tutto diversi. Infatti, come osserva lo stesso Cassirer: lastrazione rimarrebbe senza direzione e senza guida se non pensasse gli elementi, onde essa ricava il concetto, come collegati da un principio mediante una determinata relazione e ordinati in virt di essa*. Pertanto, sempre se- condo Cassirer, se s'intende affermare che il concetto si forma per astra- zione occorre dare a questo termine un senso completamente diverso da quello della dottrina sensista-empirista, identificandolo con atti di pen- siero diversi e indipendenti, ognuno dei quali comporta una peculiare interpretazione del contenuto dellesperienza*. Per compiere lastrazione del concetto occorre cio essersi gi posti secondo un determinato pun- to di vista, dal quale interpretare in maniera unitaria lesperienza; ossia  necessario pensare lesperienza secondo una specie concettuale di ca- rattere categoriale. Per compiere lastrazione del concetto dallesperienza occorre dunque porre gi un a priori, imponendo allesperienza un punto di vista secondo cui interpretarla in modo unitario. Come possono per le strutture fun- zionali del conoscere essere formate per mezzo di un processo dastrazio- ne, quando sono queste strutture a rendere possibile lastrazione stessa? A questo proposito, per salvaguardare la coerenza dellimpostazione di Preti, si deve fare appello alla struttura circolare del pensiero, che egli conside- rava tipica della filosofia. Occorre cio postulare un rapporto circolare tra lintelletto e lesperienza, per cui lesperienza si d sempre costruita secondo un ordine che in quanto simbolico-linguistico  gi in qualche modo quasi-intellettuale, e lastrazione da questa di strutture intellettua- li si compie secondo punti di vista (che si potrebbero vedere come schemi danticipazione), che sono essi stessi intellettuali, e che si ridefiniscono e si precisano nel corso del processo dastrazione stesso dai dati despe- rienza. Questo, come si  gi detto, non toglie che una volta costruite per astrazione-idealizzazione (ed epoch) le categorie siano poste come a pri- ori del conoscere. Un problema analogo si pone nel rapporto tra intelletto e ragione: la- strazione dellidea del conoscere dal piano categoriale  possibile solo in quanto tale piano sia gi stato pensato secondo la struttura di questa idea. Difatti, Preti scrive che lidea antinomica del conoscere  ottenuta attra- verso lidealizzazione di una struttura costante che il conoscere presen- ta ad ogni livello in cui venga analizzato. Ma questa affermazione ha unimplicazione forte, poich il fatto di ritrovare la medesima struttura a 4 E. Cassirer, Sostanza e funzione, cit., p. 36. Ivi, pp. 37-8. 3 Vedi G. Preti, Lezioni di filosofia della scienza, cit., p. 57. 4 G. Preti, In principio era la carne, cit., p. 183. IL NUOVO NEOCRITICISMO DI PRETI 49 livelli diversi di analisi significa o che questa struttura ha una radice on- tologica, inerisce cio allessere in s delle cose, oppure che questa struttu- ra  stata imposta allanalisi da un atto preliminare, e quindi la si ritrova costantemente perch la si  messa fin dallinizio nelle cose. Dato che le- poch provvede a sospendere qualsiasi valenza ontologico-naturalista, si deve optare per la seconda soluzione. Ma qual  il livello logico nel quale si opera l'imposizione di questo punto di vista? Se si risponde che  la ragio- ne si torna alla soluzione di Banfi: lidea del conoscere viene auto-prodotta dalla ragione, per cui si lascia astrarre dal piano categoriale dellintelletto solo se questo piano  gi pensato in funzione di tale idea. Ma in questo modo lintelletto perderebbe la funzione motrice che Preti intende affi- dargli, e tornerebbe a subordinarsi alla ragione. Anche questo processo deve perci essere pensato secondo un rapporto circolare tra lintelletto e la ragione. Si perviene cos a una doppia circolarit verticale (ossia tra piani logici diversi): il circolo prassi/intelletto a un primo livello, e quello intelletto/ragione a un secondo livello. Per concludere, si pu evidenziare la rilevanza delle seguenti tematiche nel pensiero di Preti: (A) il ruolo centrale dellintelletto, vero intermedia- rio del rapporto tra ragione ed esperienza; e (B) il carattere primario della prassi vitale. Si tratta di due motivi che sono molto importanti anche ai fini di un ripensamento dellassetto teorico della pedagogia problematicista, che nella versione di Giovanni Maria Bertin prescinde da entrambi. Ma di questo mi occuper in altra sede. Come si  detto, non  per sufficiente considerare il pensiero di Preti come una rottura rispetto a quello di Banfi, occorre coglierne anche gli elementi di continuit. A questo proposito, se ci si domanda qual  il nu- cleo che istituisce la continuit tra la teoria di Banfi e il pensiero di Pre- ti entro il programma di ricerca del criticismo la risposta potrebbe essere la seguente: tale nucleo  costituito da un trascendentalismo di caratte- re oggettivo e storico, che d ai concetti e alle idee un valore meramente metodico nei riguardi della concreta e vitale esperienza. 4 G.M. Bertin, Educazione alla ragione, Armando, Roma 1975. 48 Vedi il capitolo aggiuntivo della seconda edizione di M. Baldacci, Il proble- maticismo, Milella, Lecce, in corso di stampa. 4 Vedi I. Lakatos, La falsificazione e la metodologia dei programmi di ricerca scientifici, in I. Lakatos, A. Musgrave, Critica e crescita della conoscenza, Feltrinelli, Milano 1986, pp. 164-276. GIULIO PRETI, LUDOVICO GEYMONAT E LA FILOSOFIA SCIENTIFICA Francesco Coniglione Per intendere adeguatamente certi caratteri dellepistemologia di Giulio Preti riteniamo sia necessario riferirla ad un duplice sfondo problemati- co. Da un lato ci pare eccessivamente restrittivo assumere come punto di riferimento internazionale il neopositivismo, in quanto esso  un ogget- to storiografico troppo vasto per certi aspetti e troppo limitato per altri, bens assumere come punto di riferimento la cosiddetta filosofia scienti- fica la quale  se presenta indubbie intersezioni col positivismo - tuttavia non  totalmente riducibile ad esso; e vedremo tra breve quale sia il signi- ficato di questa delimitazione. In secondo luogo  indispensabile vedere in che modo egli si collochi allinterno della filosofia italiana non nel suo complesso, ma in relazione a quelle componenti e a quelle tendenze che dalla filosofia scientifica hanno cercato di trarre ispirazione ponendola in contrapposizione alla tradizione specificatamente italiana di intenderne lo statuto. In questa direzione  particolarmente significativo il confron- to con Ludovico Geymonat, che non solo gli fu contemporaneo, ma ebbe anche numerosi momenti di intersezione con lo sviluppo del suo pensiero nel corso dei quali le reciproche posizioni ebbero a chiarirsi per contrasto o anche per reciproca influenza. Infine, limiteremo la nostra analisi an- che temporalmente, ponendo come terminus ad quem il 1955 in quanto riteniamo non solo che gli anni 1950-1955 sono stati i pi decisivi per la formazione dei caratteri peculiari dellepistemologia italiana del secondo dopoguerra?, ma che  in quel torno di anni che si vengono a definire in modo abbastanza compiuto le rispettive posizioni di Preti e Geymonat sulla filosofia scientifica. ! Per tale aspetto si vuole portare un contributo in direzione della soluzione del problema storiografico  posto da P. Parrini, Preti teorico della conoscenza, in F. Minazzi (a cura di), Il pensiero di Giulio Preti nella cultura filosofica del Novecento, Franco Angeli, Milano 1990, p. 63 - di individuare l'orientamento di pensiero nellambito del quale la concezione pretiana della conoscenza possa essere collocata. ? A. Maros DellOro, Il Pensiero Scientifico in Italia (negli anni 1930-1960), Gianni Mangiarotti, Cremona 1963, p. 50. Pertanto non vogliamo prendere in esame lintero lascito filosofico dei due autori, sia nella cronologia che nei temi trattati, gi efficacemente analizzato e di- scusso in altri lavori, che ho avuto comunque presenti, come quelli di F. Cambi, Franco Cambi e Giovanni Mari (a cura di) Giulio Preti : intellettuale critico e filosofo attuale ISBN 978-88- 6655-039-6 (print) ISBN 978-88-6655-044-0 (online PDF) ISBN 978-88-6655-048-8 (online EPUB)  2011 Firenze University Press 52 FRANCESCO CONIGLIONE Nel far questo duplice confronto si assume esplicitamente un profilo metafilosofico, che eviti di entrare nel merito delle singole soluzioni che Preti o Geymonat hanno fornito alle maggiori questioni di tipo episte- mologico e che li vedono tra gli interpreti pi significati in ambito italia- no, privilegiando piuttosto l'interrogazione della filosofia su se stessa, sul proprio statuto e sul suo rapporto con le scienze cos come si sono venute a costituire dopo la rivoluzione scientifica galileiana; una interrogazione, tuttavia, che assume a proprio perimetro l'ambito problematico della fi- losofia scientifica!. 1. Se ci poniamo sul primo versante - quello internazionale - possiamo facilmente notare come i connotati propri della filosofia scientifica siano spesso o sfumati nella genericit oppure siano identificati di volta in vol- ta, a seconda dellinterprete o dellindirizzo storiografico, con particolari correnti ed autori che sono ben lungi dal rappresentarne in modo esclu- sivo le peculiarit. Nel primo caso, si indicano tutte le filosofie e i filosofi che intessono in qualche modo un rapporto privilegiato con la scienza, che la tengono in grande considerazione, che ad essa si ispirano e dei cui risultati tengono conto nelle proprie riflessioni, o che genericamente ne voglio imitare lo stile e il modo di procedere. Nel secondo caso la si so- vrappone al positivismo, al neopositivismo, alla filosofia analitica o se ne fanno rappresentanti singoli autori, come Russell, Carnap, Reichenbach, Metodo e storia: biografia filosofica di Giulio Preti, Grafistampa, Firenze 1979; M. Dal Pra, Studi sullempirismo critico di Giulio Preti, Bibliopolis, Napoli 1988; P.L. Lecis, Filosofia, scienza, valori. Il trascendentalismo critico di Giulio Preti, Morano, Napoli 1989; F. Minazzi, Lonesto mestiere del filosofare. Studi sul pensiero di Giulio Preti, Franco Angeli, Milano 1994; F. Minazzi, Contestare e creare. La lezione epis- temologico-civile di Ludovico Geymonat, La citt del sole, Milano 2004; F. Minazzi, Il cacodemone neoilluminista. Linquietudine pascaliana di Giulio Preti, Franco Angeli, Milano 2004; F. Minazzi, Ludovico Geymonat epistemologo, Mimesis, Milano 2010 e L. Scarantino, Giulio Preti. La costruzione della filosofia come scienza sociale, Bruno Mondadori, Milano 2007. 4 Filosofia scientifica e approccio metafilosofico non si sovrappongono, sia perch il secondo  stato praticato anche da pensatori che con la filosofia scien- tifica non hanno avuto alcun legame consolidato (come avviene ad esempio con Dilthey, con Simmel, ritenuto uno dei pi significativi metafilosofi della prima met del Novecento, e poi con Habermas, per non dire di Heidegger e di tanti altri che hanno parlato di fine della filosofia, dei metaracconti ecc.; oppure emerge con forza quando si affronta la vexata quaestio della distinzione/contrapposizione tra analitici e continentali), sia anche perch consistenti parti della filosofia contempo- ranea, che di solito si pongono nellalveo della filosofia scientifica (come ad esempio quella analitica), hanno spesso trascurato questa questione e, riprendendo un atteg- giamento tipicamente wittgensteiniano, hanno a lungo evitato di porsi il problema della legittimit della propria pratica filosofica.  solo in tempi pi recenti che  nato linteresse per la metafilosofia allinterno della filosofia analitica: si veda A. Biletzki, Wittgenstein: Analytic Philosopher, in A. Biletzki, A. Matar (a cura di), The Story of Analytic Philosophy. Plot and Heroes, Routledge, London-New York 1998, pp. 202-3. GIULIO PRETI, LUDOVICO GEYMONAT E LA FILOSOFIA SCIENTIFICA 53 Popper, Hempel, Quine, Dummett, Searle o Bunge, e molti altri ancora, che non sempre con essa hanno una stringente coestensione semantica 0 una adesione lungo tutto liter della propria riflessione. In effetti la filosofia scientifica - per dirla in maniera assai sintetica -  un progetto sui generis che (per limitarci al Novecento), inteso in senso proprio vede nella scienza il modello per la filosofia, la quale deve porre e risolvere i suoi problemi secondo quegli stessi metodi e criteri, in base alle stesse esigenze di precisione, delle scienze particolari. In tale accezione la filosofia scientifica ha un proprio oggetto, diverso dalla scienza, e quindi  in grado di portare ad una conoscenza distinta da quelle da essa forni- teci; tuttavia ci deve essere effettuato imitando il metodo e le procedure della conoscenza scientifica, ispirandosi al suo stile di pensiero. Tuttavia a questa definizione in senso stretto si sono associati altri significati che ne hanno accompagnato la storia e hanno alimentato la discussione su di essa:  stata infatti intesa anche come metascienza, teoria della scienza, che assume come proprio oggetto la scienza, cercando o di comprenderne le strutture logico-sintattiche, riducendosi a sintassi logica del linguag- gio scientifico, come avverr compiutamente con il Carnap; oppure le si  assegnato il compito di trarre fuori dalla scienza quella filosofia che le  implicita e che  lunica possibile, in grado di pervenire alla soluzio- ne dei problemi che la tradizionale filosofia aveva lasciato sempre irrisol- ti. In entrambi questi casi la filosofia viene privata di un proprio oggetto autonomo di indagine per diventare filosofia di... (della scienza, della fisica, della biologia ecc.), o nellaccezione logico-metodologica proposta da Carnap, oppure nella versione contenutistica fatta propria da altri au- 5 Su queste diverse accezioni e sulla problematica da esse veicolata mi permetto di rimandare - per evitare ripetizioni - a miei precedenti lavori, dove  contenu- ta anche unampia bibliografia sullargomento: F. Coniglione, Russell e la nascita dellidea di filosofia scientifica, in G. Bentivegna, S. Burgio, G. Magnano San Lio (a cura di), Filosofia, scienze, cultura, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ) 2002, pp. 181-218; F. Coniglione, Per la storia della filosofia scientifica. Il Circolo di Vienna e la Scuola di Leopoli-Varsavia, in G. Gembillo (a cura di), Filosofia e scienze. Studi in onore di Girolamo Cotroneo, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ) 2005, pp. 109- 141; F. Coniglione, The Place of Polish Scientific Philosophy in the European Context, Polish Journal of Philosophy, 1, 2007: 7-27; F. Coniglione, Il pensiero infermo. Origine e destino della filosofia scientifica, in B. Bonghi, F. Minazzi (a cura di), Sulla filosofia italiana del Novecento, Franco Angeli, Milano 2008, pp. 151-174; F. Coniglione, Filosofia scientifica europea e positivismo italiano, in G. Bentivegna, F. Coniglione, G. Magnano San Lio (a cura di), Il positivismo italiano: una questione chiusa?, Atti del Congresso tenutosi a Catania, 11-14 settembre 2007, Bonanno, Acireale-Roma 2008, pp. 39-67. 6 W. Tatarkiewicz, Historia filozofii, PWN, Warszawa 1988 (1950), vol. III p. 263. 7 R. Carnap, Sintassi logica del linguaggio, Silva, Milano 1966 (1934); R. Carnap, Philosophy and Logical Syntax, Kegan Paul, London 1935. 8 J.K. Feibleman, The scientific Philosophy, Philosophy of Science, 28, 3, 1961. 54 FRANCESCO CONIGLIONE tori, come Feibleman. Infine la filosofia scientifica  stata anche intesa co- me filosofia che ha a proprio fondamento la scienza, i risultati della quale dovrebbe utilizzare o per arrivare a sintesi pi generali, non raggiungibili allinterno della scienza a causa della sua frammentazione specialistica; oppure per stimolarne lulteriore avanzamento, indicando nuovi orizzon- ti cognitivi e mettendone in luce i presupposti teoretici spesso impliciti o taciti, grazie a una riflessione meno segnata dai limiti dello specialismo e pi libera di spaziare allinterno di scenari teorici inconsueti: filosofia scientifica, dunque, come riflessione filosofica sulla scienza, che si preoc- cupa di estenderne i risultati al di l del loro ambito specialistico e di fa- vorirne lulteriore avanzamento. Sebbene il movimento della filosofia scientifica abbia le sue radici nei filosofi-scienziati della seconda parte dellOttocento, con il loro richiamo al metodo induttivo quale strumento procedurale da applicare anche alla ricerca filosofica, essa ha tuttavia la sua pi grande fioritura e diffu- sione con il grande sviluppo della scienza agli inizi del Novecento e in particolare con la rinascita e la straordinaria vitalit della nuova logica che, dopo limpulso originario fornito da George Boole, ha nei Principia Mathematica di Russell e Whitehead di inizio secolo la sua consacrazio- ne e il suo monumento. Da allora sembra che la filosofia che voglia farsi scienza abbia trovato il metodo suo proprio; come afferma Russell, allo stesso modo in cui la filosofia naturale rinascimentale era potuta diven- tare fisica sperimentale grazie allutilizzo del metodo matematico, cos la filosofia sarebbe diventata scientifica grazie allimpiego della logica"; o, come avrebbe icasticamente sostenuto Schlick!, La filosofia  malata, la sua unica cura  la logica. E Reichenbach riteneva a sua volta che la filo- sofia, ammalata di spirito di sistema, si stia ora, con laffermarsi della fi- losofia scientifica, riprendendo dalla malattia ed  in convalescenza.  una fiducia smisurata, direi quasi temeraria, nei poteri taumaturgici della logica, la cui importanza per lintera filosofia  scrive nel 1928 Carnap -  stata avvertita ancora da pochi; ma - continua - se la filosofia ha lin- tenzione di incamminarsi per la via della scienza (in senso rigoroso), non ? Un luogo topico in cui queste varie accezioni di filosofia scientifica si in- trecciano e si sovrappongono nei diversi esponenti del tempo - che appunto si ri- conoscevano sotto la comune bandiera di filosofia scientifica -  il Congresso Internazionale di Filosofia scientifica tenutosi a Parigi nel 1936. Cfr. AA.VV., Actes du Congrs International de Philosophie Scientifique, Hermann & Cie, Paris 1936. 10 B, Russell, La conoscenza del mondo esterno, Newton Compton, Roma 1971 (1914), p. 77; B. Russell, Misticismo e logica, Newton Compton, Roma 1970 (1917), p. 98. 1 M. Schlick, Aforismi, in A. Ioly Piussi (a cura di), Problemi di etica e aforismi, Ptron, Bologna 1970, p. 200. 2 H., Reichenbach, New Approaches in Science: Philosophical Research, in H. Reichenbach, Selected Writings, 1909-1953, a cura di M. Reichenbach e R.S. Cohen, Reidel, Dordrecht 1978, p. 250. GIULIO PRETI, LUDOVICO GEYMONAT E LA FILOSOFIA SCIENTIFICA 55 potr rinunziare a questo strumento energico ed efficace per la precisio- ne dei concetti e per la chiarificazione delle situazioni problematiche. Eppure, abbiamo detto, non  stato solo questo il modo in cui  stata pro- priamente intesa la filosofia scientifica: indipendentemente dalla accettazio- ne o meno della logica come strumento terapeutico in grado di rimettere in salute la filosofia, essa aveva vissuto la grande stagione del positivismo euro- peo nel corso della quale la sua sorte era stata in bilico o tra l'essere pericolo- samente risucchiata da una onnivora scienza, o di autolegittimarsi (oppure venire dagli stessi scienziati legittimata) come diversa da essa e tuttavia in sua stretta correlazione. E in questultimo caso, poteva condividerne i me- todi, accettarne le conclusioni - dalle quali non pu prescindere se non cor- rendo il rischio di finire come la colomba kantiana - o, infine, ritenere di starne alla base, anche se in modo il pi delle volte tacito ed inconsapevole.  in questa fase che le diverse accezioni prima rilevate si sovrappongono, si intersecano, a volte si distinguono nelle diverse fasi del pensiero di uno stes- so autore, altre invece scolorano in una generica attenzione per la scienza. 2. Se ora volgiamo lattenzione alla specifica situazione italiana, non  difficile constatare come il positivismo, al di l e indipendentemente dalla specifica consistenza teorica delle proprie tesi filosofiche, si sia collocato  il pi delle volte in maniera inconsapevole - allinterno di questo gene- rale clima, cercando di declinare anch'esso una filosofia scientifica, che nella figura di Ardig" e nella Rivista di filosofia scientifica (1881-1891) di Morselli hanno avuto i loro esempi pi significativi, sino a giungere a quei positivisti che di solito vengono salvati dalla generale reprimenda che ha colpito il positivismo italiano, cio Vailati, Enriques e Calderoni. In tutti costoro  tuttavia presente  con le caratteristiche e lacume propri di cia- scuna biografia e del background filosofico-scientifico che ne ha retto la riflessione  lesigenza di un avvicinamento tra pensiero scientifico e pen- siero filosofico e non solo nel senso semplicistico e unilaterale di un andare la filosofia ad imparare dalla scienza, ma anche in senso inverso, ovvero della necessit per la scienza e gli scienziati di non ignorare il pensiero fi- losofico, se non volevano poi esserne le vittime.  questa, possiamo dire, la conditio sine qua non, il minimo comun denominatore, il punto di con- vergenza su cui tutti i filosofi scientifici si trovano d'accordo. Ma quando poi si vada ad esaminare pi da vicino come si articolano i modi specifici di tale rapporto, emergono le differenze e si possono apprezzare le diverse prospettive metafilosofiche dei vari protagonisti della filosofia scientifica, gli snodi teorici su cui vengono a definirsi le diverse posizioni, che mar- cano il proprio terreno per differenziarlo da quello di altri. 3 R. Carnap, Prefazione alla prima edizione di La costruzione logica del mondo, Fratelli Fabbri, Milano 1966 (1928). * F, Coniglione, S. Vasta, Introduzione a R. Ardig, Scritti di filosofia scientifica, Bonanno, Acireale-Roma 2008, pp. 7-51. 56 FRANCESCO CONIGLIONE  una vicenda pi volta raccontata quella che ha segnato la sconfitta di questo tentativo di connubio tra scienza e filosofia e inaugurata la lunga egemonia dellidealismo italiano tra le due guerre, per cui ci asteniamo dal ritornarci sopra. Facciamo solo notare tuttavia che, nonostante lidea- lismo, correnti minoritarie cercavano di coltivare un modo di fare filoso- fia diversa e pi attenta allo sviluppo del pensiero scientifico. Infatti, oltre alle figure gi citate (specie quella di Enriques, attivo lungo tutti gli anni Trenta e unico rappresentante italiano di spicco della filosofia scientifica ai congressi del movimento che si tenevano allestero), non bisogna dimenti- care il lavoro svolto dalla rivista Scientia, che sin dagli anni Venti aveva pubblicato in Italia alcuni degli scritti del Circolo di Vienna, con articoli di Reichenbach, Schlick, Frank, Neurath e Carnap, specie quelli maggior- mente attenti al dibattito metodologico legato allo sviluppo della scienza, anche se limpatto sulla cultura italiana di tali scritti fu assai limitato". E cominciavano anche ad essere pubblicate le prime opere di Geymonat che, oltre a tentare una nuova lettura del positivismo che lo liberasse dal- le mille accuse di matrice idealista', nella sua successiva opera! presen- tava alcune delle tesi fondamentali dei circolisti!8. Erano nondimeno, nel periodo tra le due guerre, poche gocce nel mare di una filosofia italiana a tutt'altro interessata che allepistemologia, verso la quale del resto anche gli scienziati nutrivano la loro diffidenza, convinti che in merito tutto or- mai fosse stato gi detto da Galilei. Con la caduta del fascismo il cammino della filosofia scientifica italia- na sembra di nuovo prendere vigore allinterno di un nuovo fervore che 3 L, Geymonat, Paradossi e rivoluzioni. Intervista su scienza e politica a cura di G. Giorello e M. Mondadori, Il Saggiatore, Milano 1979, p. 32. Un articolo di Schlick (Positivismo e realismo, Sophia, I-II-III, 1937: 85-96, 263-281) fu pubblicato anche nella rivista Sophia di Carmelo Ottaviano, filosofo cattolico tradizionalista e re- alista, ma appunto per ci avversario acerrimo dellidealismo e vicino al realismo scientifico sostenuto da molti scienziati, che apprezzava le finissime ricerche della Scuola di Vienna (cfr. F. Coniglione, Sophia. Nel segno di Ottaviano: una rivista a tutto campo, in P. Di Giovanni (a cura di), La cultura filosofica italiana attraver- so le riviste, Franco Angeli, Milano 2006, pp. 89-124). Un altro filosofo tra i primi a interessarsi in Italia di Wittgenstein, Schlick, Carnap, Frank e Reichenbach fu Giorgio de Santillana, cfr. A. Maros DellOro, Il Pensiero Scientifico in Italia (negli anni 1930-1960), cit., p. 25. 16 L, Geymonat, Il problema della conoscenza nel positivismo. Saggio critico, F.lli Bocca, Torino 1931. 1 L, Geymonat, La nuova filosofia della natura in Germania, F.lli Bocca, Torino 1934. 8 Ovviamente Geymonat nel corso degli anni Trenta pubblic anche diversi articoli su rivista, sui quali rinviamo alla bibliografia curata da Mario Quaranta in C. Mangione, Scienza e filosofia. Saggi in onore di Ludovico Geymonat, Garzanti, Milano 1985, pp. 823-854. 2 A. Maros DellOro, Il Pensiero Scientifico in Italia (negli anni 1930-1960), cit., pp. 19-20. GIULIO PRETI, LUDOVICO GEYMONAT E LA FILOSOFIA SCIENTIFICA 57 mira al rinnovamento della cultura filosofica italiana e che vede affianca- ti nella comune battaglia empiristi, pragmatisti ed esistenzialisti. Torino coni suoi intellettuali di spicco finisce per diventare il centro che raccoglie le forze di queste comuni convergenze intorno al Centro di Studi Meto- dologici che, fondato nel 1947 su iniziativa di Geymonat e di matemati- ci e scienziati come Piero Buzano, Eugenio Frola, Enrico Persico, Cesare Codegone, Prospero Nuvoli, vede protagonisti anche filosofi e umanisti come Abbagnano e Norberto Bobbio.  da questo clima che nasce il mo- vimento razionalista e critico che prende il nome di neoilluminismo e che, in polemica ai convegni della Societ Filosofica Italiana rinata nel dopo- guerra, organizza a cominciare dal 1953 i propri convegni. E non  un caso che nel primo di essi (il 3-4 giugno 1953) la dichiarazione conclusi- va, che in qualche modo detta lagenda del movimento, includa tra i suoi quattro punti quello in cui si sottolinea la necessit che si stabilisca tra filosofia e scienze una connessione articolata che risulti capace di sgom- brare la filosofia da problemi e concezioni derivanti da fasi arretrate della ricerca scientifica, e capace di dare un contributo positivo alla critica e al rinnovamento delle strutture di fondo delle scienze.  nella sostanza ripreso in nuce uno degli aspetti della filosofia scien- tifica, da noi prima delineato, ma in un forma abbastanza generica e ire- nicamente condivisibile anche da filosofi e scienziati di diversa tendenza. Tali due compiti assegnati alla filosofia avrebbero potuto facilmente pre- cipitare in un programma in cui o la filosofia si trasformava essa stessa in scienza mediante un bagno purificatore nella sua metodologia e nelle sue procedure sperimentali, oppure avrebbe ridotto le sue pretese accon- ciandosi ad un lavoro di secondo grado, a un metadiscorso sulle scienze, per chiarirne le procedure razionali e quindi servire da stimolo e pungo- lo allulteriore progresso della conoscenza scientifica. Perch appunto in ci stava il discrimine: se si trattava di sottolineare il reciproco fecondo beneficio che sarebbe derivato da un interscambio tra filosofia e scienza, da un dialogo interdisciplinare tra filosofi e scienziati, tutti si sarebbe- ro trovati daccordo, a meno di non essere degli irriducibili irrazionalisti o idealisti; ma quando si trattava di andare a precisare il modo in cui la filosofia avrebbe potuto trarre vantaggio dalla scienza o in che senso la scienza poteva fruire del pensiero filosofico, insomma quando si trattava di precisare il senso preciso che una filosofia scientifica avrebbe dovuto assumere, allora le strade rapidamente divergevano e finivano per preva- 2 S. Rinaldi, Il centro studi metodologici di Torino e la filosofia della scienza in Italia nel secondo dopoguerra, in F. Minazzi, L. Zanza (a cura di), La scienza tra filosofia e storia in Italia nel Novecento, Presid. del Cons. dei Ministri, Roma 1987, pp. 621-633. 2! M. Pasini, D. Rolando (a cura di), Il neoilluminismo italiano. Cronache di filosofia (1953-1962), Il Saggiatore, Milano 2000. 2 Ivi, p. 11 58 FRANCESCO CONIGLIONE lere le difese gelose delle reciproche autonomie, con gli scienziati che non volevano farsi dettare il mestiere dai filosofi e questi ultimi che non vole- vano abdicare a una teoresi che avesse modi peculiari di articolare i pro- pri argomenti, non riducibili a quelli specifici delle scienze.  allinterno di questa difficile quadratura del cerchio tra diverse esi- genze e differenti influenze che dobbiamo cercare di intendere il pensiero di Preti e le sue distinzioni e convergenze con quello di Geymonat. 3. Le riflessione sul rapporto tra filosofia e scienza, e quindi il modo specifico di intendere da parte di Preti la filosofia scientifica, devono esser fatte risalire ai primi contatti che egli ebbe con le tesi del neopositivismo. Questi si collocano per allinterno di un periodo di formazione che lo ve- de condividere e riprendere le tematiche trascendentali del neocriticismo e quindi lo portano anche allattenzione verso la riflessione fenomenologica.  proprio nel congiungersi di questa sua preliminare formazione  che gli deriva in gran parte dal maestro Banfi - con le problematiche proprie del positivismo del Circolo di Vienna a doversi scorgere la particolare forma che in lui assunse il concetto di filosofia scientifica. L'influenza husserliana spiega il perch, nonostante la vicinanza al ne- opositivismo, Preti fosse cauto nel condividere in maniera totale le tesi dei suoi principali rappresentanti. Ed  proprio in merito alla filosofia scienti- fica (trascurando qui gli altri elementi di dissenso) che egli opera i propri distinguo. In questa luce assume particolare significato la rivendicazione della possibilit di una metafisica empirica, che scaturisce dallesigenza di intervenire nel processo della scienza non restandone allesterno, come semplice spettatrice, ma collaborando dal di dentro con essa. Ci non pu per esser fatto mediante la costruzione di una metafisica dogmatica o di una logica trascendentale con significato metafisico, ma imboccando la strada gi battuta da varie parti, in particolare dal Circolo di Vienna, ov- vero quella di costruire una filosofia della scienza, o filosofia scientifica, la quale opera con analisi concrete, assumendo fin dove  possibile, come suoi gli stessi metodi delle scienze. Tuttavia questo progetto ha il difetto di non inserirsi in nessuna forma culturale specifica, cio di non essere n scienza n filosofia e quindi di rimanere marginale, accessorio rispet- to a tutte le forme culturali esistenti, cos mancando di una luce che ne illumini lorigine ideale e la funzione nell'economia del sapere umano. A tale fine sarebbero preziose le analisi trascendentalistiche della scuola di Marburgo (come pure quelle fenomenologico-critiche di Banfi), anche se 2 Per quanto riguarda la cronologia della vita e delle opere, nonch la biblio- grafia di e su Giulio Preti rinvio a F. Minazzi, Giulio Preti: Bibliografia, Franco Angeli, Milano 1984 (che ovviamente  aggiornata sino al 1983). 2 G. Preti, Il problema di una metafisica empirica, Studi filosofici, I, 1940: 251.  Ivi, p. 252. GIULIO PRETI, LUDOVICO GEYMONAT E LA FILOSOFIA SCIENTIFICA 59 troppo astratte in quanto prive di un connettivo che le colleghi a quelle dedite allanalisi della scienza effettiva. In effetti  questa un'esigenza avanzata qualche anno prima anche da Geymonat nei confronti della scuola di Marburgo. Partendo da uno dei postulati metodologici fondamentali di tutto il positivismo, e quindi an- che di quello viennese, ovvero che per compiere una vera critica della conoscenza  necessario prendere come oggetto di esame non la ragione astrattamente intesa, ma le discipline concrete nelle quali questa ragio- ne rivela le proprie capacit conoscitive, e quindi in particolare le scien- ze, considerate nel loro complesso svolgimento storico**, Geymonat, pur riconoscendo che la scuola di Marburgo ha fornito pregevolissimi con- tributi circa le questioni di critica delle scienze, e in special modo circa il problema della determinazione e valutazione filosofica della matemati- ca e della fisica, tuttavia le rimprovera il difetto di assumere la generica posizione di critica dei metodi scientifici, finendo alla fine per limitarsi al puro ufficio di scienza universale delle singole discipline particolari, e cio di generalissima metodologia, ovvero di studiare la scienza nella sua astrattezza. Ne segue che, nello studiare il processo della conoscenza scientifica, il neocriticismo non ritiene i risultati della scienza come diret- tamente rilevanti per la critica filosofica, per cui la scienza viene vista come un oggetto estraneo, scisso, dalle ricerche filosofiche. Ed appunto contro contro questa assurda scissione reagisce, in nome dellunit della vita te- oretica, la nuova filosofia della natura, delle scuole di Berlino e Vienna. Geymonat e Preti sembrano gi condividere, sia pur con diversi accenti, la medesima prospettiva. Tuttavia il filosofo pavese trova la soluzione alla insufficienza prima rilevata in una metafisica empirica, la quale partisse induttivamente dal lavoro delle scienze e dalle categorie di esse epurate dalla filosofia delle scienze, e, sulla scorta della sistematica della Ragione fornita da ricerche trascendentaliste, ne sistemasse i concetti in una visio- ne complessiva del reale nei suoi aspetti scientifici; si risponderebbe alla esigenza di fornire la cultura moderna di una Weltanschauungin armonia con tutto lo spirito di essa cultura, e una filosofia scientifica, che sarebbe insieme filosofia delle scienze naturali e della Natura, delle scienze stori- che e della Storia, ecc. Tutta la folla dei risultati che la filosofia in questi anni, procedendo anarchicamente, ha messi insieme, troverebbe, purifi- cata e sistemata, il suo vero posto. Ma  questa anche una opzione ben presto abbandonata in favore di una pi cauta rivendicazione delleredit kantiana, verso la quale egli 26 L. Geymonat, La nuova filosofia della natura in Germania, cit., p. 5. 27 Ivi, pp. 6-7. 28 Ivi, pp. 20-21. 2 G. Preti, Il problema di una metafisica empirica, cit., p. 252. 3 Anche successivamente Preti parler di metafisica empirica, ma in una ac- cezione depotenziata rispetto a quella che ha assunto in questo saggio, cio volta a 60 FRANCESCO CONIGLIONE trova troppo violentemente polemico il neopositivismo, pieno di astio verso Kant e i kantiani, che considera corruttori del pensiero, metafisici impastoiati nei miti prescientifici del rudimentale pensiero greco. Ep- pure il pensiero kantiano conosce un aspetto che  in assoluta continuit con quanto poi fatto dal neopositivismo: non certo il soggettivismo di un Io puro trascendentale autore della sintesi a priori - verso il quale giusta- mente il neopositivismo polemizza - ma invece quello svolto dalle cor- renti neokantiane e dalla scuola di Marburgo, specie il Cassirer, secondo cui lattivit del soggetto ed altre espressioni simili sono in sostanza me- tafore, per indicare elementi della struttura logica del sapere. Sicch il pensiero di Kant per questo aspetto si riassume nella tesi di una traduzio- ne da parte del pensiero intellettuale, secondo proprie strutture, del dato dellesperienza:  in sostanza ci che sostiene anche il Circolo di Vienna quando riduce il pensiero logico a linguaggio e le strutture del Logos a una sintassi, ove ogni linguaggio si pu ricondurre, in ultima analisi, a quello reale, cio agli enunciati traducenti, immediatamente o mediata- mente, fatti desperienza?. E quando Preti lamenta che Carnap e ami- ci non si rendono ben conto di questa relazione con il kantismo non fa altro che sostenere quanto pi recentemente  emerso negli studi di Mi- chael Friedman e di Alan Richardson sulle connessioni tra kantismo della scuola di Marburgo e neopositivismo. Tale linea di pensiero cerca di trovare un suo punto di fusione nel volu- me del 1943, Idealismo e positivismo, che, a dispetto del titolo,  tutto una presentazione e difesa del suo nuovo positivismo, sotto la cui bandiera, per, si vogliono far confluire le altre forme di positivismo, quali quello del Circolo di Vienna e della fenomenologia di Husserl, nonch il trascen- dentalismo di Cassirer e Banfi. Tutto un paragrafo (il III del cap. II)  infatti dedicato alla valutazione di Kant: viene ribadito e meglio articolato quanto gi espresso circa il fondamentale limite del neopositivismo in merito al- la valutazione del trascendentalismo e al tempo stesso si cerca di liberare la filosofia kantiana dei suoi pi evidenti e inaccettabili difetti, ovvero lo psicologismo e linterpretazione della funzione unificatrice della ragione individuare e determinare con precisione le differenti ontologie critiche operanti allinterno dei vari (e spesso conflittuali) universi di discorso messi in essere dalle singole discipline, dalle singole teorie e dalle molteplici tradizioni intellettuali (F. Minazzi, Lonesto mestiere del filosofare. Studi sul pensiero di Giulio Preti, cit., p. 51). | G. Preti, Il neopositivismo del Circolo di Vienna, Studi filosofici, III, 1942: 208-221. 2 Ivi, p. 218. 3 M. Friedman, A Parting of the Ways. Carnap, Cassirer, and Heidegger, Open Court, Chicago and La Salle (Ill.) 2000. 3 A. Richardson, The Fact of Science and Critique of Knowledge: Exact Science as Problem and Resource in Marburg Neo-Kantianism, in M. Friedman, A. Nordmann (a cura di), The Kantian Legacy in Nineteenth-Century Science, The MIT Press, Cambridge-London 2006, pp. 211-226. GIULIO PRETI, LUDOVICO GEYMONAT E LA FILOSOFIA SCIENTIFICA 61 e dellintelletto come autocoscienza, eredit che deriverebbe dal platoni- smo mediato da Leibniz. Ma  importante notare che, a prescindere dal- le analisi e soluzioni particolari da Preti fornite in questo volume (come la tesi della sostanziale identit tra idealismo e positivismo, o il modo in cui il pensiero di Husserl corregge e integra il positivismo, e cos via), il fuoco dellattenzione  in esso catturato dal problema dello statuto della filosofia e di conseguenza del valore della metafisica e del destino che a questa de- ve essere riservato nel nuovo positivismo da lui proposto:  infatti uno dei pericoli cui pu incorrere il positivismo quello di non trovare un posto per la ricerca filosofica. Tuttavia Preti, pur sposando la dottrina tipica del neopositivismo secondo la quale la metafisica  priva di senso a ragio- ne della non verificabilit in linea di principio delle sue proposizioni e di conseguenza difendendo il carattere intersoggettivo (e quindi oggettivo) della conoscenza sensibile e del vero sapere, tiene a precisare che ci non  una esclusiva esigenza delle scienze ma di tutta la cultura, in quanto non solo la scienza, ma larte e la religione, la stessa mistica, tendono irresisti- bilmente alla comunicazione intersoggettiva*, che deve assumere pertanto quella forma di obiettivit che  tipica di ogni espressione e che pertanto  connessa ad una certa tecnica; questa nel caso del pensiero umano  co- stituita dal discorso logico, per cui la logica matematica diventa nel nuovo positivismo il prezioso strumento per mezzo del quale - abbandonando lingenua fede nei suoi poteri magici nutrita da Carnap - il pensiero diven- ta effettuale: si dice qualcosa e si sa cosa si dice. Insomma, la strategia di Preti  chiara e in piena sintonia con la filo- sofia scientifica: non si tratta di restringere la scientificit alle sole scienze, che di essa sono in ogni caso le portatrici privilegiate, quanto piuttosto di farne una esigenza che possa investire lintero campo della cultura, tutto il sapere umano: La filosofia ha sempre aspirato ad essere scienza; e for- se ci che la distingue dalle singole scienze  soltanto il fatto che, mentre queste attuano lideale scientifico nei riguardi di una sezione particolare dellesperienza, la filosofia deve trasporre tutta quanta lesperienza nella sua forma di scientificit un'esigenza che per assuma quale punto di partenza e criterio proprio il modo di intendere la scientificit nellambito delle scienze storicamente costituite e che hanno dato prova di s, quelle scienze che sono al centro dellattenzione del Circolo di Vienna e del nuo- vo positivismo. In questo quadro la filosofia assume uno statuto di auto- nomia: essa  un grado di riflessione pi alto del pensiero scientifico*! e 3 G. Preti, Idealismo e positivismo, Bompiani, Milano 1943, pp. 105-110. 36 Ivi, p. 32. 7 Ivi, pp. 49-53. 38 Ivi, p.61. 9 Ivi, p. 91. 4 Ivi, p. 119. 4 Ivi, p. 85. 62 FRANCESCO CONIGLIONE in quanto scientificit - non scienza -  costretta a porsi da un punto di vista di riflessione pi elevato; essa ha s un suo contenuto, una propria legislazione e quindi una sua autonomia, secondo quanto rivendicato da Husserl e Banfi (il piano trascendentale o la riflessione sul pensiero in forma di pensiero, esaminato iuxta propria principia)*, ma nella sua struttura discorsiva, nel suo metodo e nella tecnica del filosofare, nonch nei suoi metodi di accertamento della validit delle proprie proposizio- ni, la filosofia  essenzialmente eguale alle scienze e vigono per essa i due principi che ne stanno alla base, sin dai tempi della scienza galileiana: il discorso logico e lesame della sua validit formale, e lesperienza**. Que- sta maggiore elevatezza della filosofia, che pu essere caratterizzata anche come razionalismo trascendentale, gioca sulla circostanza della fram- mentariet delle scienze, che operano sempre un taglio sulla realt (e qui si menziona Reichenbach), e sulla sempre continua emergenza di nuova esperienza che costringe alle novit e a profondissimi mutamenti dei siste- mi scientifici. Onde, compito della filosofia  appunto quello di integrare questi tagli in una unit, che li ricomprenda tutti e li giustifichi, grazie alla scoperta di una legge unitaria trascendentale. Essa cos va alla ricerca della legge di formazione dei sistemi del sapere, siano essi quelli scientifici siano le singole filosofie, con ci spezzando la loro finitezza nella misura in cui il dato non pu mai essere pienamente ed esaustivamente risolto in essi; essa si dimostra esigenza critica, ricerca, metodo e in quanto tale va al di l delle singole filosofie, dei singoli sistemi. L'accettazione del trascendentalismo nel modo depurato da lui propo- sta, porta Preti a dare un giudizio della metafisica che ne eviti la liquida- zione. Se infatti essa non pu ambire a presentarsi come scienza (secondo linsegnamento kantiano), pu nondimeno avere nella scienza un uso re- golativo, anche se non costitutivo**; pi ancora, rispetto a quanto avreb- be ammesso Kant, essa pu fornire i modelli secondo i quali ricondurre ad unit legale la molteplicit dellesperienza; pu cio costruire degli 4 Ivi, p. 119. 5 Insomma, il nuovo positivismo non riconosce alla Filosofia un'essenza di- versa di quella delle scienze particolari, ma solo un compito diverso. Non si oppo- ne infatti alle scienze, n pretende di completarle - ma vuol essere anchesso una scienza particolare, pur sapendo che tale scienza - la filosofia -  per lo stesso suo oggetto meno rigorosa, ma pi mobile e aperta di ogni altra scienza particolare (ivi, pp. 91-92). 4 Ivi, p. 93.  interessante il fatto che Preti qui riprenda in sostanza lesigenza di Galvano Della Volpe di intendere il pensiero come sintesi delleterogeneo, ovvero di intuizione empirica e forma della Ragione. Preti non cita mai in questopera le sue fonti n viene fornita alcuna bibliografia, tuttavia di certo egli ha presente la Critica dei principi logici pubblicata da Della Volpe nel 1942 e quindi confluita nella Logica come scienza positiva del 1950. 4 Ivi, p. 100. 46 Ivi, pp. 116-117, 131. GIULIO PRETI, LUDOVICO GEYMONAT E LA FILOSOFIA SCIENTIFICA 63 pseudo-enti, ponendo tra essi delle relazioni:  ci che comunemente si chiama ipotesi, ed  lanima del metodo sperimentale. Per cui il nuo- vo positivismo di Preti non ritiene la metafisica una sorta di alchimia o di astrologia, o il semplice momento prescientifico della filosofia, ma, a differenza del Circolo di Vienna, accoglie e giustifica da un certo punto di vista la pretesa di una Metafisica autonoma; e questo punto di vista , in puro spirito kantiano, quello di una sua interpretazione, per espri- merci in termini contemporanei, euristica: anche la scienza ha bisogno di ipotesi metafisiche, senza le quali essa dovrebbe accontentarsi di semplici descrizioni del dato, mentre ci cui mira  il trovare le leggi fondamenta- li dello sviluppo fenomenologico della realt studiata, la connessione di queste leggi con il complesso dellesperienza**. Ma ipotesi metafisiche che abbiano la forma di scienza, che siano idealmente scientifiche; ovvero che abbiano la forma della razionalit, anche se non la natura di scienza.  pertanto ammissibile in questa luce per Preti una vera e propria meta- fisica scientifica che lui distingue in ipotetico-deduttiva e in costruttiva; e allinterno di questultima egli colloca la precedente metafisica empi- rica che tiene a distinguere da quella sua forma deteriore che invece  la metafisica costruttivo-dogmatica (una variet della quale sono le me- tafisiche mitiche). Una metafisica il cui prezioso apporto alla scienza  giudicato appunto dalla sua fecondit sul piano scientifico e filosofico, dalla sua capacit di costruire modelli, cio ipotesi di come il Cosmo po- trebbe essere costituito e funzionare: la molteplicit dei modelli metafi- sici, la loro complementarit (si prende a prestito lespressione di Bohr),  una necessit derivante da una realt infinitamente complessa, per cui essi devono necessariamente contraddirsi, e, attraverso la contraddizio- ne, completarsi". Grazie alla loro molteplicit e lungo le molteplici vie che essi possono tracciare, la scienza poi trover la sua strada.  questa metafisica scientifica che Preti ha in mente quando, in uno scritto pi di- vulgativo e impegnato, difende le esigenze che stanno al di sotto di un materialismo depurato dalle sue scorie metafisiche: La scienza non pu fare a meno di un quadro del mondo, di una cornice entro cui inserire le sue ricerche e la sua azione pratica; altrimenti viene a mancare ogni idea direttrice, ogni impulso progressivo [...]*. Certo, accanto alla metafisica scientifica Preti ammette anche una me- tafisica speculativa, intesa come lo sforzo supremo dellessere umano e 47 Ivi, p. 117. 48 Ivi, p. 120. 4 Ivi, pp. 143-150. 50 Ivi, pp. 123-131. 51 Ivi, p. 136.  G. Preti, Gli scienziati di fronte alla crisi della scienza. 2 I positivisti, Il Politecnico, 17, 1946: 2. 9 G. Preti, Idealismo e positivismo, cit., pp. 150-159. 64 FRANCESCO CONIGLIONE della filosofia di indagare le strade possibili per pervenire a quella fina- le identit di Pensiero ed Essere che rappresenta lesigenza nascosta delle varie metafisiche, delle quali essa cercherebbe di coordinarne i risultati in modo da trasformarle in una sorta di ontologia universale. Ma non  questa la strada sulla quale il pensiero successivo di Preti si incammi- ner, per cui questa esigenza resta da una parte lestremo limite della sua precedente formazione filosofica, dallaltra il punto prospettico dal quale si svolge una visione della filosofia e della metafisica compatibile con la filosofia scientifica e quindi che non contraddica i caratteri fondamentali del nuovo positivismo da lui difeso. Ed  in questa luce significativo il fatto che tale modo di intendere la me- tafisica scientifica (ipotetico-deduttiva ed empirico costruttiva) finisce per concordare con quella posizione tipicamente popperiana che aveva fatto aspramente polemizzare il filosofo austriaco con i neopositivisti del Circo- lo di Vienna sul valore e il significato della metafisica; non solo, ma questo avviene anche in Popper sulla base di un'attenta considerazione del trascen- dentalismo kantiano da lui esplicitata nel manoscritto del 1930-1933 della sua Logica della scoperta scientifica rimasto inedito. In esso  assai pi presente ed attenta la discussione dellimpostazione kantiana (per cui egli arriva ad- dirittura a parlare di una definizione trascendentale della conoscenza), poi illanguiditasi e un po resa generica nellopera effettivamente edita, della cui mancata considerazione viene rimproverato il positivismo logico; i suoi esponenti (Feigl, Carnap, Schlick e Wittgenstein) fondano le loro ricerche di teoria della conoscenza su un concetto di conoscenza del tutto differente dal concetto kantiano. Come ha sostenuto Coffa, il furor teutonicus di cui Neurath e Carnap vibravano allepoca, nelle loro denunce della filosofia tradizionale, contrasta nettamente con il ben pi ragionevole atteggiamento che Popper mostrava verso il passato, specialmente verso Kant. Non  qui il caso di approfondire questo argomento o di esprimere delle riserve critiche sulle particolari soluzioni fornite da Preti nel suo 5 Per tale aspetto si ricorda che Popper aveva criticato il neopositivismo per la sua tesi della mancanza di significato della metafisica, che invece per lui ne pos- siede tanto da poter essere euristicamente utile alla scienza. Analogamente Preti, nel parlare della metafisica mitica, ovvero di quella tipologia che  la pi lontana dalla metafisica scientifica, tiene a precisare che essa non  difettosa perch tratti di una realt che non possa essere pensata, ma perch il suo concetto non pu mai diventare concreto, ovvero essere realizzato in termini positivistici con una verifica (ivi, p. 147). 5 Vedi K.R. Popper, Logica della scoperta scientifica, Einaudi, Torino 1970 (1934), e, per le vicende che hanno portato alla revisione del primitivo manoscrit- to, ora parzialmente pubblicato in K.R. Popper, I due problemi fondamentali della conoscenza, Il Saggiatore, Milano 1987 (1930-1933), vedi quanto contenuto ivi, pp. Xv-xvi, 465-474. 56 Ivi, p. 79. 9 A.J. Coffa, La tradizione semantica da Kant a Carnap, Il Mulino, Bologna, 1997 (1991), p. 528. GIULIO PRETI, LUDOVICO GEYMONAT E LA FILOSOFIA SCIENTIFICA 65 volume; n vogliamo fare una tassonomia esatta delle varie forme in cui egli intende la metafisica; quanto detto  sufficiente per capire il senso della polemica e dei distinguo da lui effettuati nellarticolo in cui discu- te gli Studi per un nuovo razionalismo di Geymonat. In questa prima e importante testimonianza dellincontro con laltro maggiore esponente e conoscitore delle tesi del Circolo di Vienna (mai citato nel corso del vo- lume Idealismo e positivismo, a cui si preferisce tra gli italiani Della Vol- pe, pi volte menzionato con approvazione) Preti non solo esprime il suo dissenso in merito a particolari soluzioni del Circolo di Vienna, condivise da Geymonat (il problema dei protocolli, la nozione di famiglia di con- cetti, la necessit del passaggio da una pura logica formale a una logica trascendentale allo scopo di poter risolvere il problema dal rapporto tra pensiero ed esperienza, i limiti del convenzionalismo viennese, accen- tuato a scapito del momento empiristico da Geymonat; e cos via), ma -  questa la cosa pi importante nellottica del nostro studio - vede nello antimetafisicismo del Circolo il rischio di travolgere tutta la filosofia, tutto quanto il pensiero, in quanto molti problemi metafisici hanno un reale significato epistemologico, come ad esempio quello del mondo re- ale. A essere in particolare sottoposto a critica  il suo convenzionalismo nella misura in cui  inteso come lunica possibile interpretazione della logica matematica e non ci si avvede che la spiegazione e giustificazione degli assiomi, delle regole e delle convenzioni che ne stanno a base, ap- partiene a un ramo del sapere che non  la Logica matematica, non  la metodologia, non  la critica scientifica:  la scienza totale delluomo, la scienza della cultura intesa come la manifestazione obiettiva delluomo nella sua storia. Tale deriva metodologista, che fa identificare metodo- logia e filosofia, fa della scienza un che di astratto, di avulso dalla concreta vita delluomo nella storia e nella societ, spezzando ogni sua connessione culturale col resto della cultura e facendo il vuoto pneumatico nella vita storica e culturale. La conseguenza  un razionalismo parziale, imperfet- to, destinato a fermarsi nellanticamera di quelli che sono i veri problemi di una filosofia razionalista. Un razionalismo che, non rendendosi conto della propria parzialit, minaccia di degenerare in forma di irrazionali- smo o di spiritualismo, in quanto tende a identificare i propri limiti con quelli della ragione e quindi finisce per consegnare al campo della non ragione gli altri domini, quali quelli del sentimento, della legge morale, delle ispirazioni liriche e religiose. E di ci ne  prova lopera di Geymo- nat, in cui troviamo una netta affermazione irrazionalistica nel campo SF. Minazzi, Lonesto mestiere del filosofare. Studi sul pensiero di Giulio Preti, cit., pp. 46-47. 9 G. Preti, I limiti del neopositivismo, Studi filosofici, VII, 1946: 87-96.  Ivi, p. 93. & G. Preti, La scienza in cerca della filosofia, Il Politecnico, 38, 1947: 27-28. 66 FRANCESCO CONIGLIONE morale. Ma, domanda Preti, perch [...] si dovrebbe sottrarre la con- dotta, ossia linsieme dei comportamenti, alla ragione scientifica? [...] Sottrarre la vita morale ai valori dellintelletto significa porla fuori della ragione, e viceversa: significa, in nome di una scientificit male intesa, opporsi allultima e pi grande conquista che ancora manca alla nostra intelligenza. Qui si scorge la portata complessiva della filosofia scien- tifica di Preti, alla quale nulla deve essere estraneo e che - con maggior radicalismo di quanto espresso da Geymonat - ritiene di poter ricondur- re tutto il campo del sapere sotto limperio della scienza: la scienza dei comportamenti e in generale letica, come anche le altre espressioni della cultura umana, possono essere intese come una scienza avente la stessa struttura di quelle che studiano gli altri fenomeni, ma naturalmente al- tro linguaggio, altri concetti, altre ipotesi di lavoro, altre categorie, ecc. Una scienza per la quale varranno esattamente le stesse esigenze logiche che valgono per le altre. 4. Dalla ricostruzione che abbiamo sinora effettuato dei primi lavori di Preti mi sembra emerga con chiarezza come la irresistibile seduzione della scienza  in lui suscitata dallesigenza di sfuggire a quel bellum om- nium contra omnes, e che egli sperimenta nella fasi della sua formazione come un urtarsi, pi che di posizioni, di ambizioni personali, di libidini di dominio e/o di servit, di chiacchiere a vuoto dietro cui si nasconde- vano pienezze di interessi non precisamente... speculativi - non lo ab- bia mai portato all'abbandono tout court della filosofia e addirittura della metafisica. L'impressione che egli aveva di una filosofia in cui contasse poco la logica e nulla lesperienza, cio di un campo libero dove ognu- no che avesse un cavallino, o anche semplicemente un somarello, potesse galoppare a piacere, era alla base dellattrazione su di lui suscitata dal neopositivismo logico (oltre che dallesistenzialismo per la sua tipica anti- sistematicit e lotta al dogmatismo), in quanto questo sembrava accoppiare le due esigenze fondamentali della logica (il rigoroso impiego di deter- minati procedimenti logici) e dellesperienza (la possibilit di ricorrere ai fatti, almeno come ultima, ma costante, istanza di controllo di teorie ed asserzioni), oltre che ad incarnare quellideale di intersoggettivit da lui sottolineato in Idealismo e positivismo come una imprescindibile ca- ratteristiche che deve avere ogni filosofia responsabile. A questa duplice  Preti fa riferimento in particolare al saggio di L. Geymonat Stati sentimentali e valutazioni etiche, in L. Geymonat, Studi per un nuovo razionalismo, Chiantore, Torino 1945, pp. 268-297. 8 G. Preti, I limiti del neopositivismo, cit., pp. 95-96. 64 Ivi, p. 96. & G. Preti, Il mio punto di vista empiristico (1958), in G. Preti, Saggi filosofici, La Nuova Italia, Firenze, 2 voll., I, p. 476. 6 Ibidem. GIULIO PRETI, LUDOVICO GEYMONAT E LA FILOSOFIA SCIENTIFICA 67 esigenza verso una filosofia intesa come un onesto mestiere e non un modo per urlare le proprie passioni o peggio ancora, sfogare una propria personale libido loquendi, si accoppia anche linfluenza della fenome- nologia di Husserl che, incontratasi col neokantismo e col relativismo di Simmel, aveva dato luogo a un nuovo razionalismo estremamente esper- to, aperto, problematico. Del resto non si deve dimenticare che proprio Husserl aveva proposto un concetto di filosofia come scienza rigorosa, in ci riprendendo lin- segnamento del maestro Brentano che era stato uno dei padri fondatori a Vienna della filosofia scientifica europea con la sua tesi che Vera philo- sophiae methodus nulla alia nisi scientiae naturalis est; e di tale nesso Preti  consapevole. Tuttavia, diversamente da Brentano, per il quale la scientificit veniva a coincidere con quella messa in atto dalle scienze na- turali, in Husserl la scientificit della filosofia veniva rivendicata in pole- mica con quella delle scienze naturali e quindi non era modellata sullidea di positivit: la filosofia aveva carattere fondante e doveva andare in cerca di quei principi assolutamente chiari, di quei fondamenti indiscussi che stanno al di l di ogni atteggiamento ingenuamente naturalistico e che permettono alla filosofia, intesa come fenomenologia, come scienza eide- tica, di farci venire ad una conoscenza obiettiva e a risultati universali e necessari. Insomma la filosofia  per Husserl scienza dei fondamenti, scienza universale dellessere nel mondo e in quanto tale  essa a dover costituire la fondazione delle scienze e non viceversa, cio come mutua- zione dalle scienze storicamente date dellideale di scientificit cui dove- va essere ispirata la riforma della filosofia. Per tale motivo il concetto di scienza rigorosa di Husserl non aveva nulla a che vedere con lidea di filosofia scientifica come veniva elaborata tra Ottocento e Novecento da filosofi e scienziati. Tuttavia, nonostante le strade intraprese dai circolisti di Vienna e dalla scuola brentaniana per molti aspetti sono state divergen- ti (Husserl  il caso pi emblematico), in molti altri pensatori esse furono comuni (specie col filone di Twardowski e dei suoi allievi polacchi): la ge- nerale accettazione dei metodi empirici, linteresse per la logica, il rigetto delle entit astratte e delle ipostatizzazioni metafisiche, laffidarsi al rigore della metodologia, specie di quella scientifica. 7 G. Preti, Il mio punto di vista empiristico, cit., p. 476. 8 Ivi, p. 478.  F, Brentano, Uber die Zukunft der Philosophie. Felix Meiner, Hamburg 1968 (1929), p. 36. 7 G. Preti, Il neopositivismo del Circolo di Vienna, Studi filosofici, HI, 1942: 208-209. 71 E. Husserl, Philosophy as Rigorous Science, (1911) in Q. Lauer (a cura di), Phenomenology and the Crisis of Philosophy, Harper & Row, New York 1965. ? D. Jacquette, Fin de sicle: Austrian thought and the rise of scientific philoso- phy, History of European Ideas, 27, 2001: 313. 68 FRANCESCO CONIGLIONE  anche questo modo specifico di intendere il rapporto tra filoso- fia e scienza della posizione husserliana ad essere presente nei primi scritti di Preti (che ben conosceva la filosofia come scienza rigorosa di Husserl), in particolare nellesigenza di una filosofia ancora intesa come fondazione delle scienze, che queste sono incapaci di darsi da so- le e che quindi spetta alla filosofia di delineare mediante la riduzione fenomenologica. Tuttavia tale influenza non scivola verso una sorta di autarchia filosofica, che finisce per convertirsi in idealismo, in quan- to  assai forte in Preti la compresente influenza del trascendentalismo elaborato dalla scuola di Marburgo, specie cassireriano, che vede solo nella scienza storicamente costituita, nello stato di fatto delle scienze razionali, il punto di partenza per ogni considerazione di teoria della conoscenza, e che per questo aspetto si fa erede della concezione il- luminista di filosofia. Questa eredit fa s che Preti propenda sempre verso uno dei due poli in cui poteva essere sviluppato il progetto episte- mologico kantiano, ovvero quello trascendentale nel quale si rigetta lo psicologismo in favore della connessione tra epistemologia e logica? e si assume quale punto di partenza la scienza, in cui la conoscenza, va- le a dire la scienza,  lobiettivo proprio del metodo trascendentale, e la pietra di paragone dellepistemologia*; mentre  sostanzialmente ac- cantonato il progetto fondazionale (laltro polo), in cui la filosofia viene vista come fondazione e giustificazione delle scienze e quindi tesa alla esibizione di quelle fondamenta che avrebbero dovuto porre la scienza su un terreno talmente saldo da sottrarla ad ogni possibilit di dubbio scettico (ed  questo in sostanza il progetto husserliano, almeno in una sua prima fase). Grazie a questa impostazione neocriticista lepistemologia, intesa quale luogo privilegiato in cui la filosofia affronta il problema della conoscenza, non trova la propria adeguatezza in criteri di razionalit da essa stessa posti - in modo da costituire una sorta di autocoscienza filosofica e metodolo- 73 G. Preti, Filosofia e saggezza nel pensiero husserliano, (1934), in G. Preti Saggi filosofici, La Nuova Italia, Firenze 1976, 2 voll.  E. Rodriguez, Giulio Preti e Ludovico Geymonat: un confronto tra due percorsi filosofici per la costruzione di un nuovo razionalismo, in F. Minazzi, Il pensiero di Giulio Preti nella cultura filosofica del Novecento, cit., p. 324. 73 G. Preti, Idealismo e positivismo, cit., pp. 18-24. % E. Cassirer, Storia della filosofia moderna, Il Saggiatore, Milano 1968, 4 voll, I, pp.32 e IV, pp. 133, 328). 7 E. Cassirer, La filosofia dellilluminismo, La Nuova Italia, Firenze 1974 (1932), p. 10. 78 F, Coniglione La parola liberatrice. Momenti storici del rapporto tra filosofia e scienza, CUECM, Catania 2002, pp. 182-188.  A. Richardson, The Fact of Science and Critique of Knowledge: Exact Science as Problem and Resource in Marburg Neo-Kantianism, Isis, 99, 2008: 215. 8 AJ. Coffa, La tradizione semantica da Kant a Carnap, cit., p. 331. GIULIO PRETI, LUDOVICO GEYMONAT E LA FILOSOFIA SCIENTIFICA 69 gica dello scienziato cui questo dovrebbe al limite adeguarsi se smarrisce la retta via  bens nella pratica effettiva degli scienziati, nella conoscenza di fatto conseguita e storicamente consolidatesi. Essa parte dalla scienza (essa  il datum, il faktum da spiegare e giustificare) e ritorna alla scien- za (il faktum che costituisce il suo criterio di convalida, il metro della sua adeguatezza). E sar proprio questo insistere sul faktum della scienza uno dei leit-motiv del Preti maturo e il motivo principale del privilegiamen- to nel giovane Preti del trascendentalismo della scuola di Marburgo e di Cassirer in particolare, che ne permette una pi agevole connessione con le prospettive dellempirismo logico*. Questa esigenza, che matura progressivamente nellopera di Preti a partire dal suo trascendentalismo e che avr la sua piena espressione nella riflessione matura, non  affatto estranea a Geymonat, che la porta sempre avanti con continuit in tutte le sue opere, anche se non a partire da una esigenza di carattere trascendentale, ma interpretando nel modo pi autentico e corretto lo spirito del neopositivismo logico (in sostanza schlickiano e anticarnapiano)*, con lo spogliarlo del suo normativismo per farne una metodologia descrittiva di quanto le scienze reali di fatto sono**. E tale comune condivisione giunge nelle opere successive di Preti quasi ad assumere lo stesso giro di frasi che possiamo ritrovare in alcuni scritti di Geymonat. 8! M. Ferrari, Ernst Cassirer. Dalla scuola di Marburgo alla filosofia della cultu- ra, Olschki, Firenze 1966, pp. 21-28. &2 L. Bertolini, Il trascendentalismo nei primi scritti di Giulio Preti, in F. Minazzi (a cura di), Il pensiero di Giulio Preti nella cultura filosofica del Novecento, cit., pp. 290-1. 8 M. Schlick, Teoria generale della conoscenza, Franco Angeli, Milano 1986 (1925), pp. 380, 404, 412; M. Schlick (1979) Philosophical Papers, ed. by H.L. Mulder and B.F.B. van de Velde-Schlick, Reidel, Dordrecht 1979, vol. I (1909- 1922); K.R. Popper, I due problemi fondamentali della conoscenza, cit., pp. 59, 99-101; K. Ajdukiewicz (1951) Logika, jej zadania i potrzeby w Polsce wspolcze- snej, in K. Ajdukiewicz, Jezyk i poznanie, PWN, 2 voll., Warsawa 1985, vol. II, p. 133; C.G. Hempel, Empiricism in the Vienna Circle and in the Berlin Society for Scientific Philosophy. Recollections and Reflections, in F. Stadler (a cura di), Scientific Philosophy: Origins and developments, Kluwer, Dordrecht et al. 1993, pp. 1-9. ** L. Geymonat, Caratteri e problemi della nuova metodologia, in L. Geymonat Saggi di filosofia neorazionalista, Einaudi, Torino 1953, pp. 67-81. 85 Scrive Preti: Di fatto, tutte le analisi - anche quelle di Kant e di Husserl - si muovono sul terreno obiettivo del discorso. Solo lanalisi del discorso come tale pu evitare reificazioni che rendono il problema della conoscenza impossibile, la conoscenza un mistero. La conoscenza  un fatto: il nostro compito  analizzarla, rilevarne le strutture; e sulla base di tale analisi potremo anche vederne gli eventua- li limiti interni. Ma la conoscenza  discorso. Se al dualismo ipostatico soggetto- oggetto sostituiamo, proprio secondo i pi validi insegnamenti di Kant e Husserl, la tensione intenzionale noesi-noema, abbandonato il linguaggio soggettivistico e mentalistico tale tensione si configura come tensione segno-significato. Il problema della conoscenza  problema semantico. In particolare, il problema della conoscen- 70 FRANCESCO CONIGLIONE Questa duplice eredit  alla base di quella oscillazione sul metodo** che avrebbe caratterizzato la fase iniziale di sviluppo del pensiero di Pre- ti? e che lo spinge in alcuni casi a criticare la posizione di Geymonat, da lui avvertita come troppo sbilanciata verso una visione della filosofia co- me metodologia delle scienze, in altri a sostenere, in congruenza con il suo pensiero (e col proprio trascendentalismo), la necessit di trovare nel- za filosofica  problema di semantica del linguaggio che si impiega nella discussione filosofica. La tradizionale domanda che cosa possiamo conoscere? si trasforma in quest'altra: che cosa possiamo dire? (G. Preti, Saggi filosofici, cit., pp. 461- 62; ma cfr. anche G. Preti, In principio era la carne, Franco Angeli, Milano 1983, p. 173; G. Preti, Lo scetticismo e il problema della conoscenza, ora come Scetticismo e conoscenza, CUECM, Catania 1993 (1974), pp. 17, 28-29). E si veda ora quanto scritto Geymonat dieci anni prima in merito allabbandono della prospettiva psicologista dellempirismo, alla necessit di considerare il linguaggio delle teorie scientifiche, che hanno natura precipuamente linguistica, e quindi di spostare lattenzione su di esso e infine sulla scienza come dato di fatto intrascendibile: Negare la validit as- soluta delle leggi scientifiche; sostenere il carattere convenzionale dei pi comuni postulati della matematica e della fisica; ripudiare come grossolani equivoci alcuni concetti che furono considerati da secoli come forniti della maggiore evidenza; sot- toporre ad una radicale revisione i pi rispettabili principi della logica; rivoluzionare le teorie che formavano il vanto dei nostri avi; tutto ci  possibile perch le nostre critiche, per forti che siano, non rischiano pi - ormai - di scuotere la solidit della scienza. Il metodologo del nostro tempo pu permettersi, senza alcun timore, di pro- vare il carattere umano e variabile di tutta la scienza; pu porre in luce le intrinseche limitazioni della sua solidit, proprio perch questa solidit non  pi in discussione, perch - qualunque abbia a risultare il suo carattere - essa si  ormai imposta al di sopra di ogni dubbio (L. Geymonat Caratteri e problemi della nuova metodologia, in L. Geymonat, Saggi di filosofia neorazionalista, Einaudi, Torino 1953, pp. 67-81). 86 Tali oscillazioni non furono rare nel pensiero di Preti, spesso motivate da contingenze polemiche o dalla necessit di collocarsi e differenziarsi allinterno del dibattito filosofico contemporaneo, cos come  avvenuto ad es. per il concetto di filosofia generale (F. Minazzi, Giulio Preti: Bibliografia, cit., pp. 20-21). Un al- tro esempio pu essere quello del concetto di filosofia da un lato definito in modo assai restrittivo e sostanzialmente assorbito allinterno di quello della scienza (G. Preti, Continuit ed essenze nella storia della filosofia, in G. Preti, Saggi filosofici, cit., pp. 114-116), dallaltro rivendicato nella sua autonomia dalla scienza (G. Preti, Continuit e discontinuit nella storia della filosofia, in G. Preti, Saggi filosofici, cit., IL, pp. 217-243) e addirittura ricercato per una sua forma specifica (G. Preti, Continuit ed essenze nella storia della filosofia, cit.,). Sul modo di intendere la fi- losofia in questi due ultimi saggi vedi M. Dal Pra, La metodologia della storiografia filosofica di Giulio Preti, in F. Minazzi, (a cura di) Il pensiero di Giulio Preti nella cultura filosofica del Novecento, cit., pp. 201-220. Faccio notare che la definizione polivoca di filosofia data da G. Preti (Continuit e discontinuit nella storia della filosofia, cit., pp. 218-219) ha il suo pendant scientifico nel modo in cui L. Geymonat (Convenzionalit e storicit delle teorie scientifiche, in L. Geymonat Saggi di filosofia neorazionalista, cit., pp. 55-66) riprende e utilizza la definizione di geometria forni- ta da Veblen: stesso anno, stessa impostazione, ma su tematiche diverse. # E. Rodriguez, Giulio Preti e Ludovico Geymonat: un confronto tra due percorsi filosofici per la costruzione di un nuovo razionalismo, in F. Minazzi, (a cura di) Il pensiero di Giulio Preti nella cultura filosofica del Novecento, cit., p. 325. GIULIO PRETI, LUDOVICO GEYMONAT E LA FILOSOFIA SCIENTIFICA 71 le scienze storicamente costituite quei piani intersoggettivi e quei metodi pi positivi in grado di fare della filosofia un onesto mestiere e di per- mettere cos di scoprire cosa abbiano in comune queste diverse forme del sapere, [...] che cosa le renda, appunto, sapere*. Insomma era lesigen- za per Preti di trovare un piano di ricerca che muovesse dallesperienza e dalla conoscenza intellettuale, procedendo per le vie possibilmente pi (relativamente) oggettive e sul terreno il pi possibile aderente allespe- rienza verificabile. 5. Per quanto riguarda la prospettiva metafilosofica, abbiamo visto come quello di Preti sia nella prima fase del suo pensiero una sorta di program- ma massimalista di filosofia scientifica, in cui la filosofia costituirebbe una sorta di architettonica generale della scienza e una sua sistemazione unitaria e complessiva, la cui scientificit  consegnata alla adozione del metodo delle scienze fin dove  possibile: una prospettiva verso la qua- le hanno militato altri filosofi scientifici, come il giovane Schlick o alcu- ni esponenti della scuola polacca, come Tadeusz Czezowski o Andrzej Grzegorczyk. In ci v' la ragione del suo dissenso verso un neopositivi- smo che viene esaminato e criticato nella forma che aveva assunto dopo la svolta che aveva allontanato il Circolo di Vienna dal modo originale di intendere la filosofia scientifica praticato dai suoi iniziatori (specie il primo Schlick) e che assegnava ancora alla filosofia un ampio ruolo, ivi compreso quello di mettere al sicuro le fondamenta sulle quali poggiano le scienze speciali: un progetto non molto lontano da quello di Husserl (significa- tive le date di pubblicazione), anche se compiuto con strumenti logici e non fenomenologici. Tuttavia, successivamente alla svolta dovuta allin- fluenza della filosofia di Wittgenstein, la filosofia era stata dai viennesi destituita di ogni validit che non fosse la chiarificazione del linguaggio della scienza e quindi indirizzata verso quella esclusiva vocazione me- 88 G. Preti, Il mio punto di vista empiristico, cit., p. 477. 9 Ivi, p. 479.  F, Coniglione, Logica, scienza e filosofia in Tadeusz Czezowski, Axiomathes, 10 Years, a cura di Roberto Poli, vol. VIII, nrs. 1-3, 1997: 191-250. 9 A. Grzegorczyk, Mata propedeutyka filozofii naukowej, Inst. Wyd. Pax, Warszawa 1989.  M. Schlick, Die Aufgabe der Philosophie in der Gegenwart, (1911) trad. ingl. in M. Schlick Philosophical Papers, cit., p. 108. 9 Di questa differenza tra un primo e un secondo Schlick  consapevo- le L. Geymonat, Paradossi e rivoluzioni. Intervista su scienza e politica, a cura di G. Giorello e M. Mondadori, pp. 36-37, 39, che la attribuisce alla influenza di Wittgenstein e alla svolta conosciuta dalla fisica con la meccanica quantistica. Tuttavia Geymonat non focalizza il problema della filosofia scientifica. % M. Friedman, Dynamics of Reason. The 1999 Kant Lectures at Stanford University, CSLI Publications, Stanford 2001, pp. 14-17. 72 FRANCESCO CONIGLIONE todologica che proprio nel Carnap della Sintassi logica avr la sua pi esplicita, chiara e coerente realizzazione. Tale programma massimalista della filosofia scientifica fu allinizio estraneo al pensiero di Geymonat che, molto pi fedele allimpostazione del Circolo e lontano dalle seduzioni della fenomenologia e del trascen- dentalismo della scuola di Marburgo, tende a identificare ragione e scienza e quindi a sposare quel razionalismo timido o incompleto, che abbiamo visto Preti gli aveva rimproverato. Insomma, in questa fase del loro svi- luppo filosofico sarebbero profonde le differenze tra Preti e Geymonat in merito alla statuto della filosofia; come afferma Scarantino, mentre per Preti questa doveva essere concepita quale struttura formale delle for- me spirituali, in continuit con la tradizione neokantiana e cassireriana, invece per Geymonat essa veniva intesa come metodo analitico che per- mette di chiarire i procedimenti scientifici. In effetti, abbiamo visto co- me Preti nella prima fase del suo approccio al neopositivismo abbia avuto una pi viva esigenza della funzione della filosofia rispetto a quanto fatto da Geymonat; questa cominciava laddove finiva la funzione e il lavoro del neopositivismo, ma giovandosi dei risultati da questo conseguiti; per cui anche la metafisica avrebbe finito per fruire di questa depurazione e dis- sodamento del campo del discorso, in quanto molti dei famosi problemi metafisici nascondono, in generale, veri e propri problemi filosofico-scien- tifici; solo che la metafisica li rende vani impostandoli in modo illecito. La critica positivistica ce li deve restituire purificati e posti nel loro vero senso; ma lerrore del neopositivismo sta nellilludersi di averli risolti, o meglio dissolti.  una posizione che fa essere Preti perfettamente in linea con le posizioni che nello stesso torno di tempo venivano esposte dai filosofi della scuola di Leopoli-Varsavia nei confronti del neopositivismo, i quali pure insistevano nel criticare, specie in Carnap, lillusione che, mediante lanalisi linguistica, i problemi della metafisica potessero essere dissolti piuttosto che risolti8; e non  un caso che la filosofia analitica o scientifi- ca polacca sia stata anche caratterizzata per la mancata influenza del pen- siero di Wittgenstein, cos come  avvenuto per il primo Schlick. Coglie 9 R. Carnap, Sintassi logica del linguaggio, cit. % L. Scarantino, Giulio Preti. La costruzione della filosofia come scienza sociale, cit., pp. 148, 237-240.  G. Preti, Recensione a L. Geymonat, Studi per un nuovo razionalismo (Chiantore, Torino 1945), Analisi, I, 2. 1945: 114-115.  J. Lukasiewicz, Co data filozofii wspczesna logika matematyczna?, (1936) in Logika i metafizyka, WfiS Uniwersytetu Warszawskiego, Warszawa 1998, p. 69; J. Lukasiewicz, Logistic and Philosophy, in Selected Works, (1936), a cura di L. Borkowski, North Holland, Amsterdam 1970, p. 227; M. Kokoszynska, Wraenia z Pierwszego Miedzynarodowego Kongresu Filozofii Naukowej, Ruch Filozoficzny, XIII, 1937: 5-10; K. Ajdukiewicz, Jezyk i poznanie, cit., passim. ? Su tutto cid mi permetto di rinviare ancora una volta a quanto da me detto nelle opere gi citate. GIULIO PRETI, LUDOVICO GEYMONAT E LA FILOSOFIA SCIENTIFICA 73 bene questa specifica caratteristica del neopositivismo Alan Richardson! quando afferma che di solito le ricostruzioni standard del neopositivismo hanno il torto di trascurare il fatto che suo compito fondamentale  stato quello di portare il rigore, la chiarezza e i metodi della scienza nella filosofia e cos permetterle di superare la propria crisi grazie alle risorse offerte dal- le scienze esatte: L'empirismo logico  stato, in primo luogo, un progetto volto ad assicurare lo status scientifico della filosofia, a trovare un luogo perla filosofia allinterno di una cultura scientifica. Solo che tale compito non fu condiviso nel corso dellintera storia del neopositivismo viennese e venne di fatto liquidato dopo la svolta wittgensteiniana e definitivamen- te affossato con la sintassi logica di Carnap.  proprio questultima fase che Preti ha davanti e che critica nellopera di Geymonat da lui discussa. Tuttavia riteniamo che tale divaricazione tra Preti e Geymonat debba essere collocata pi correttamente allinterno delliter intellettuale di en- trambi, nellambito di quella sintonia discorde! dove per noi laccento cade, per quanto riguarda il problema della filosofia scientifica, pi sul pri- mo termine che sul secondo. Innanzi tutto riteniamo che Preti abbia avuto presente nella sua critica solo alcuni degli aspetti delle concezioni espres- se da Geymonat negli Studi per un nuovo razionalismo del 1945, piuttosto che le concezioni contenute in La nuova filosofia della natura in Germania del 1934 (da lui mai citato). In questultimo studio Geymonat ha maggior- mente presente la fase iniziale del neopositivismo, quella anteriore allin- fluenza di Wittgenstein e ancora assai segnata dalle tesi di filosofia della natura di Schlick come anche dalla sua concezione di filosofia scientifica. E infatti successivamente Geymonat giudic severamente La nuova filo- sofia della natura in Germania, addirittura ripudiandola in quanto le in- formazioni sul Circolo di Vienna non sono esposte col sufficiente spirito critico, sfuggendogli il loro significato complessivo, cos come lui stesso si rese conto successivamente quando si rec a Vienna per sei mesi a partire 100 A. Richardson, Scientific Philosophy as a Topic for History of Science, cit., p. 90. 1 F, Minazzi, Il cacodemone neoilluminista. Linquietudine pascaliana di Giulio Preti, cit., p. 33. 102 Geymonat ha sostenuto la sostanziale continuit del pensiero di Schlick, che a suo avviso non presenta quella brusca cesura tra una prima e un seconda fase del suo pensiero. Tuttavia tale continuit  da lui inscritta allinterno di una comune ispirazione empiristica, sicch linfluenza di Wittgenstein viene intesa - diversamente da come fanno i sostenitori delle due fasi - come un ulteriore arric- chimento delle sue precedenti posizioni, che semmai subirono un approfondimento e un arricchimento dovuto agli sviluppi della fisica contemporanea, in particolare della meccanica quantistica (L. Geymonat, Evoluzione e continuit nel pensiero di Schlick, (1985) in L. Geymonat, La ragione, Piemme, Casale Monferrato 1994, pp. 87-95). Quanto da noi qui e altrove sostenuto non  in contraddizione con tale idea di Geymonat in quanto limita la svolta dovuta a Wittgenstein alla concezione della filosofia scientifica di Schlick, prendendo in esame anche opere precedenti a quelle cui fa riferimento Geymonat. 74 FRANCESCO CONIGLIONE dallautunno del 1933'. Per cui le tesi di tale volume sono anteriori alla sua frequenza del Circolo di Vienna e anteriori alla influenza di Wittgen- stein, onde la vera e propria fase di divulgazione delle tesi neopositivistiche avviene negli anni che vanno dal 1935 al 1945'. Di ci ne  dimostrazio- ne il saggio Nuovi indirizzi della filosofia austriaca del 1935, incluso negli Studi, in cui egli espone la tipica dottrina wittgensteiniana, fatta propria anche da Schlick, per la quale il significato dei concetti dipende dalle re- gole (sostanzialmente convenzionali) per luso dei termini. Ne segue che per analizzare il pensiero umano,  necessario compiere una sua analisi grammaticale e sintattica, cos come  stato fatto per importanti concetti scientifici la cui problematicit  stata risolta analizzando le regole che ne governano i significati (come ad es. quelli di serie, simultaneit, antinomia degli insiemi). Onde il compito della ricerca filosofica  quello di procede- re ad una chiarificazione del significato, stabilendo se un certo problema ha un senso oppure no; mentre compito della ricerca scientifica sarebbe quello di decidere della verit o falsit di un asserto e quindi distinguere i problemi apparenti o sinnlos, da respingere, e quelli genuini, sinnvoll, dei quali  possibile dare una soluzione scientifica. Come si vede siamo in piena linea di continuit con l'insegnamento wittgenstein-schlickiano, in cui il compito della filosofia  tutto inscritto in questa opera di chiarifi- cazione sia del linguaggio scientifico, come anche di quello comune, che  compito precipuo della filosofia teoretica!. Tuttavia ci non toglie il fatto che Geymonat non  affatto appiattito sulle tesi pi estreme del neopositivismo e avanza delle istanze che, se non sono in piena linea con le posizioni del Preti in fase di formazione, tutta- via vanno incontro e in certi casi preannunciano molte delle istanze che questi svilupper nel prosieguo del suo pensiero: la necessit di tener mag- giormente in conto la dimensione storica e dinamica della scienza", il cui sviluppo avviene per crisi successive e in modo discontinuo, richiedendo una ragione dialettica!; poi l'atteggiamento non liquidatorio su Kant, del quale si rifiuta il sintetico a priori e lassolutezza delle forme a priori, ma si cerca in qualche modo di recuperarne lesigenza allinterno dellat- tivit sintetica soggettiva mediata dal linguaggio comune, inteso non co- me qualcosa di fisso e universale ma esprimentesi in forme storicamente 103 Ivi, p. 87. 14 F, Minazzi, Contestare e creare. La lezione epistemologico-civile di Ludovico Geymonat, cit., pp. 187-92. 15 L, Geymonat, Nuovi indirizzi della filosofia austriaca, Rivista di filosofia, XXVI, 2, 1935: 146-175 (poi in L. Geymonat, Studi per un nuovo razionalismo, cit., pp. 13-15, 26-29); L. Geymonat, Convenzionalit e storicit delle teorie scientifiche, (1951) in L. Geymonat, Saggi di filosofia neorazionalista, cit., pp. 55-66. 16 L, Geymonat, Nuovi indirizzi della filosofia austriaca, cit., pp. 33-35, 110. 107 Ivi, p. 6; L. Geymonat, Convenzionalit e storicit delle teorie scientifiche, (1951) in L. Geymonat, Saggi di filosofia neorazionalista, cit., pp. 55-58. 08 L, Geymonat, Studi per un nuovo razionalismo, cit., pp. 157-8. GIULIO PRETI, LUDOVICO GEYMONAT E LA FILOSOFIA SCIENTIFICA 75 variabili!; o anche linsistenza sullimportanza del linguaggio comune e dellesperienza quotidiana, che tanto spazio avr nel pensiero di Preti, e lidea che non esiste un'unica razionalit scientifica cui corrisponderebbe una razionalit della natura, ma tante, come sono tante le logiche, ciascu- na determinata dalle sue regole sintattiche: la cos detta razionalit della natura non pu essere altro che la razionalit concreta e determinata dalle teorie scientifiche, con le quali la natura trovasi espressa!!! Infine, in me- rito al ruolo della filosofia, non  affatto vero che questa sia schiacciata ad una mera e sola analisi del linguaggio scientifico, di quello appartenente alla fisica matematica in particolare; Geymonat propone piuttosto unac- cezione molto ampia di filosofia, che viene ad essere riflessione sullespe- rienza umana nel suo complesso, conoscitiva e sentimentale, purch tale riflessione avvenga secondo il criterio della precisione critica accuratis- sima, mantenendo la propria analisi sempre fredda e obiettiva e rima- nendo sempre nel campo dellesatto e del verificabile! In particolare, per lanalisi degli stati d'animo Geymonat sostiene che si debba fare una- nalisi fenomenologica, quanto pi scrupolosa possibile e diversa da quan- to fa la psicologia!!5; lo stesso dicasi per i fenomeni della vita collettiva per i quali viene auspicata una sorta di osservazione partecipante!!*. In- somma vero filosofo non  chi autolimita il proprio lavoro ad un campo 10 L, Geymonat, Il pensiero di Kant alla luce delle critica neo-empiristica, (1943) in L. Geymonat Studi per un nuovo razionalismo, cit., pp. 36-54. Successivamente Geymonat rivaluta vari aspetti del pensiero di Kant contenuto nella sua opera spes- so sottovalutata, Principi metafisici della scienza della natura (1786), pur rimanendo fermo nello steso giudizio in merito alla priori, ritenendo che egli possa venire considerato, senza alcun dubbio, come un precursore del pi serio metodologi- smo. [...] Credo che sia difficile trovare anche in un metodologo odierno, maggiore chiarezza di espressione e di pensiero: ogni tentativo di introdurre nozioni assolute nella ricerca scientifica non  altro - per Kant - che un tentativo di opporre una barriera alla ragione investigatrice. La battaglia contro l'assoluto nella scienza  la battaglia contro questa barriera, contro ogni sorta di chimere, contro il pericolo di addormentare la ragione umana sul molle guanciale delle qualit occulte [...] E un insegnamento ancor oggi prezioso, poich ancora oggi il progresso della scienza si trova spesso intralciato da riferimenti metafisici (tanto pi pericolosi in quanto inconfessati, che tocca per l'appunto al filosofo smascherare e combattere. In questa battaglia Kant ci ha fornito un mirabile esempio di decisione e coraggio; su di esso  bene riflettere seriamente, proprio per essere in grado di imitarlo e di emular- lo (L. Geymonat, Metafisica e scienza in Kant, (1959) in L. Geymonat, La ragione, Piemme, Casale Monferrato 1994, pp. 127-128, 130, 135). no L, Geymonat, Nuovi indirizzi della filosofia austriaca, cit., p. 33; L. Geymonat, Studi per un nuovo razionalismo, cit., pp. 110-119, 269-270; L. Geymonat, La nuova impostazione razionalistica della ricerca filosofica, (1951) ora in L. Geymonat, La ragione, cit., p. 87. ui L, Geymonat, Studi per un nuovo razionalismo, cit., pp. 260, 278-279. u2 Ivi, p. 301. n? Ivi, pp. 299-301. 4 Ivi, pp. 329-335. 76 FRANCESCO CONIGLIONE ben definito, ma colui che ama il rigore, la chiarezza, l'esattezza, anche allorch queste lo costringano a rinunciare a sintesi grandiose, piene di fascino e di bellezza!!5. Certo non v in Geymonat lattenzione di Preti per la metafisica e il tentativo di giustificarne e difenderne il ruolo nella scienza; non v' quella visione massimalista della filosofia che nulla vuo- le escludere dal campo della sua scientificit (e qui la differenza da Preti evidenziata in merito al problema morale  significativa), tuttavia la dif- ferenza tra Preti e Geymonat non sembra essere alimentata da questioni di fondo, ma da un diverso atteggiamento nei confronti del neopositivi- smo, pi cauto e meno fanatico quello di Preti, pi entusiasta quello di Geymonat, che  capace di ingoiarlo in blocco e lavorarci dentro, per interpretarlo in maniera pi conforme alle proprie esigenze!!, Geymonat non ha intenzione di ridurre la filosofia a una sterile disci- plina di secondo livello, ad una metariflessione sui concetti e le strutture conoscitive fornite da discipline consolidate e definite nel loro carattere di scientificit, bens quello di trasporre e di trasferire al discorso filoso- fico quei concetti di rigore, esattezza e verificabilit razionale da lui indi- viduate come metodo precipuo delle discipline scientifiche storicamente costituitesi, allinterno di una concezione della filosofia improntata a una nuova razionalit ad un tempo estremamente modesta ed ambiziosa, nella quale si esprime il nuovo illuminismo!.  in effetti questo un ca- rattere comune di tutti coloro che in Italia si accostarono, in diversi gra- di, al neopositivismo, che evitarono di accettare in modo acritico i suoi punti di vista pi radicali e polemici, per cui la condanna alla metafisica, ad esempio, non si trasform mai in una condanna della filosofia. Ed us Ivi, p. 340. u6  quanto si evince da una lettera di Preti ad A. Banfi del 20 luglio 1950, in F. Minazzi, Giulio Preti: Bibliografia, cit., pp. 37-38. u7 L, Geymonat, La nuova impostazione razionalistica della ricerca filosofica, cit., pp. 92-96. Parecchi anni dopo Geymonat (Paradossi e rivoluzioni. Intervista su scienza e politica, cit., p. 57) attribuisce al nuovo razionalismo come da lui inteso il progetto per cui lattivit filosofica avrebbe dovuto costituire delle grammati- che capaci di farci comprendere il significato dei concetti noti nelle varie discipline e delle teorie su di essi costruite. Non c'era nemmeno bisogno di sposare le tesi che pi profondamente connotavano il programma antimetafisico dei viennesi... Si trattava, al contrario, di unattivit in cui ogni serio filosofo poteva impegnar- si perch forniva un metodo di analisi critica che non restringe la ricchezza dei nostri veri effettivi pensieri. Cos scrivevo allora. E aggiungevo che questa era la via maestra del nuovo razionalismo, un nuovo razionalismo per tempi e uomini nuovi. Come si vede la elaborazione di tali grammatiche innanzi tutto non era limitata alle scienze fisico-matematiche; inoltre non coincideva con la loro sintassi logica n aveva connotati antimetafisici. Questa prospettiva non era molto lontana dal programma pretiano della filosofia come analisi dei linguaggi che costituivano le ontologie regionali delle varie discipline. us M. Pera, Dal neopositivismo alla filosofia della scienza, in E. Garin (a cura di), La filosofia italiana dal dopoguerra a oggi, Laterza, Roma-Bari 1985, p. 103. GIULIO PRETI, LUDOVICO GEYMONAT E LA FILOSOFIA SCIENTIFICA 77  questa anche lesigenza prevalente nella riflessione di Preti. Da quanto egli scrive negli anni immediatamente successivi a quelli prima esami- nati - i medesimi in cui Geymonat produce alcuni dei suoi lavori pi significativi entrati a far parte del Saggi di filosofia neorazionalista!!? - emerge con chiarezza come egli sia a favore della sostanziale identit strutturale di scienza e filosofia: cos come non esiste una scienza, cos pure non esiste una filosofia, ma molteplici filosofie, tenute insieme da ci che tiene unite le scienze, e cio la scientificit, essendo la distinzio- ne tra pensiero filosofico e pensiero scientifico un frutto neoromantico. Non solo, ma viene stigmatizzato il carattere deteriore della metafisica in quanto non risponde alle esigenze di scientificit che oggi formu- liamo nei nostri linguaggi perfetti; ci giustifica la lotta delle correnti scientiste innanzi tutto contro quella metafisica inconsapevole di troppi filosofi contemporanei [...] che hanno volto del tutto le spalle ad ogni esistenza di scientificit, hanno ripudiato qualsiasi forma di controllo dei loro discorsi: sono dei letterati [...] dei retori, degli autobiografi, ten- denti a denotare in maniera impropria ed allusiva emozioni, speranze, paure e delusioni personali. Dunque, una forte esigenza di scientificit e critica alla metafisica, ma anche lidea di poter elaborare un discorso filosofico che abbia le stesse richieste che la critica scientifica pone al discorso scientifico: verificabilit e rigore'?0. Ma si  detto che questa  una esigenza prevalente in Preti, specie nel- la ricostruzione ex post facto del proprio pensiero che egli ne fa e che ha verosimilmente influenzato molti degli interpreti!!. Ed infatti non so- no mancati in lui quelle tipiche oscillazioni che ne hanno caratterizza- to il pensiero: diversamente si esprimeva qualche anno prima quando, dopo aver definito lepistemologia come una riflessione della scienza su se stessa, della scienza che si prende a proprio oggetto (per ci distin- guendola dalla filosofia della scienza, pi interna alla problematica pro- veniente dalla tradizione filosofica), finiva per affermare con decisione che La filosofia o diventa letteratura, volta a rapsodeggiare variazioni sul destino delluomo, oppure, se vuole conservare i suoi tradizionali caratteri razionalistici, di formalit e universalit, non pu che diveni- re epistemologia unitaria. Ma in tal modo finisce per essere affievo- lita esigenza dellautonomia della filosofia dalla scienza, visto che essa, 1 L, Geymonat Alcuni atteggiamenti filosofici che derivano da posizioni scien- tifiche ormai abbandonate, (1953) in M. Pasini, D. Rolando (a cura di), Il neoillumi- nismo italiano. Cronache di filosofia (1953-1962), cit., pp. 20-24. 20 G, Preti, Criticit e linguaggio perfetto, (1953) in G. Preti, Saggi filosofici, cit., I, pp. 114-116. 21 G. Preti, Il mio punto di vista empiristico, cit., pp. 482-484. 122 G. Preti, Due orientamenti nellepistemologia, (1950) in G. Preti, Saggi filo- sofici, cit., I, p. 55. 78 FRANCESCO CONIGLIONE interpretata come epistemologia unitaria, non pu che essere collocata allinterno del campo della scienza.  stato sostenuto che il contrasto tra i due filosofi sia emerso in parti- colare a seguito della relazione tenuta da Geymonat, in occasione del con- gresso di Torino del movimento neoilluminista tenutosi il 3-4 giugno 1953. In questa occasione Geymonat avrebbe sostenuto che la filosofia non debba costruire una sintesi delle scienze, ma limitarsi a considerare il rapporto tra i metodi delle varie scienze, intervenendo per la loro modifica critica dallinterno; per cui la filosofia dovrebbe essere intesa come metodologia e come coscienza storica dellevolversi delle scienze e degli intrecci ai quali essa va incontro, non senza una prospettiva di unificazione del sapere, con ci puntando a giustificare il compito della filosofia della scienza rispetto alle scienze, pi che il compito semplicemente della filosofia rispetto alla scienza. A quanto pare, nella discussione che ne segu (e della quale non resta, cos come della relazione di Geymonat, alcuna traccia scritta se non nelle cronache effettuate dalle riviste, per cui dobbiamo affidarci al ricor- do di Dal Pra) prende corpo il contrasto tra Geymonat e Preti, ovvero tra la filosofia intesa come filosofia delle scienze e quindi come loro metodo- logia generale, in Geymonat; e - in Preti - la filosofia come sintesi delle scienze, cio come determinazione dello stesso piano della scientificit e come mantenimento di alcuni tradizionali problemi metafisici rielaborati in forma logica rigorosa*. Di fronte alla tesi di Geymonat di un discor- so filosofico che ha il compito di porre in luce le strutture di ogni singo- la scienza, promuovendo la consapevolezza del processo di ricerca, v' il rifiuto pretiano di una mera considerazione metodologica delle scienze e l'esigenza di determinare il carattere di scientificit delle varie discipli- ne (anche di quelle morali) sulla base di una loro considerazione storica: questo sarebbe il compito della filosofia. Ma, come abbiamo visto, Geymonat nelle sue opere pi significative di questo periodo era stato lungi dalloperare una cos drastica riduzione. 123 Ad ulteriore esemplificazione delle oscillazioni di Preti nel corso della sua carriera, si veda quanto dice della filosofia, intesa non pi come epistemologia della scienza unitaria, ma come meta-epistemologia, in G. Preti, Pluralit delle scienze e unit eidetica del mondo scientifico, in G. Preti, Saggi filosofici, cit., II, pp. 511-512. Questo carattere della filosofia di Preti  stato anche notato dagli interpreti pi at- tenti, che vedono in ci le non poche difficolt in cui si incorre nella interpretazione del suo pensiero; cfr M. Dal Pra, Introduzione a G. Preti, In principio era la carne. Saggi filosofici inediti (1948-1970), Franco Angeli, Milano 1983, p. 9; P.L. Lecis, Giulio Preti e lidealit del soggetto trascendentale, in F. Minazzi, (a cura di) Il pensiero di Giulio Preti nella cultura filosofica del Novecento, cit., pp. 364-365;  questa, intesa in modo pi simpatetico, la spiralit del pensiero di Preti di cui parla F. Minazzi, Il cacodemone neoilluminista. Linquietudine pascaliana di Giulio Preti, cit., pp. 38 sgg. 124 M. Dal Pra, Il razionalismo critico, in E. Garin, La filosofia italiana dal do- poguerra a oggi, cit., p. 57. 15 G. Zanga, Un convegno a Torino e nuovi compiti per la filosofia italiana, Il pensiero critico, 7-8, 1953, p. 104. GIULIO PRETI, LUDOVICO GEYMONAT E LA FILOSOFIA SCIENTIFICA 79 Ci  tanto pi vero per lopera del 1934, nella quale non solo viene riven- dicato il valore filosofico dei risultati scientifici!, ma la filosofia scientifi- ca viene intesa come qualcosa di pi ampio del positivismo, che ne  una particolare declinazione! e di conseguenza si rigetta lidea che la filosofia possa essere riassorbita in una scienza particolare: la filosofia , e rester, sempre la conoscenza razionale riflessa dellatto conoscitivo, anche se il suo metodo non pu che esser quello di tener conto anche e sopra tut- to dei risultati della ricerca scientifica!*. Tale dipendenza nel metodo di trattazione non  segno di inferiorit in quanto la filosofia, quale regina di ogni nostro sapere (vengono quasi letteralmente riprese alcune espres- sioni di Schlick), non dipende solo dalla scienza, ma da tutti i risultati di questo nostro sapere, empirico, scientifico, storico, artistico. Per cui se la filosofia dipende e si avvale di tutte le nostre conoscenze, daltro lato pe- r le completa. Ed infatti tutte queste conoscenze, come aveva ben intuito lo Schlick, richiedono veramente qualcosa di diverso da s medesime per essere spiegate in modo completo; ma ci richiedono non perch risulti- no in s poco chiare, bens perch vengono sempre a porre qualche altro problema, che trascende i limiti della loro ricerca. Questi nuovi problemi, ai quali siamo portati da tutte le nostre conoscenze particolari, rappresen- tano un tipo superiore di questioni, cui si risponde, non, come pretende- rebbe lo Schlick, con una forma di atti estranei allintelletto, ma con una forma di intelligenza pi pura, pi completa: lintelligenza filosofica!?0. Sicch Geymonat parla del nuovo spirito che anima il neopositivismo e che  rivolto sopra tutto a ristabilire una profonda continuit fra la filo- sofia, eterna madre delle pi alte questioni dell'animo umano, e la scienza, cardine fondamentale di tutta la nostra odierna civilt! Come si vede tutt'altro che svalutazione della filosofia e sua riduzione a mera metodo- logia delle scienze consolidate, a pura sintassi logica del linguaggio delle teorie scientifiche in stile carnapiano! Ma non  questa solo una posizione di quasi ventanni prima; anche in un saggio del 1952 (ovvero lanno prima del convegno di Torino), Geymo- nat fa esplicito riferimento alle posizioni del neoilluminismo in rapporto alla metodologia scientifica, sostenendo che esso non consiste nellassor- bimento della filosofia da parte della scienza, ma piuttosto nellaggior- namento dello spirito critico della filosofia moderna, sulla base della piena consapevolezza dei metodi e caratteri delle ultime, pi significative, ricer- che scientifiche. Non a caso viene distinta la funzione del metodologo da quella del filosofo: il primo si propone il compito di analizzare le basi e i procedimenti della scienza effettiva, i rapporti tra teorie ecc. (ci che oggi 126 L. Geymonat, La nuova filosofia della natura in Germania, cit., p. 7. 127 Ivi, p. 27. Ivi, p. 41. 129 Ivi, pp. 41-42. 150 Ivi, p. 110. 80 FRANCESCO CONIGLIONE rientra nel compito della filosofia della scienza), in tal modo fornendo allo scienziato una maggiore consapevolezza dei mezzi di cui fa uso; la sua ope- ra costituisce cos il pi prezioso contributo della scienza contemporanea allopera del filosofo. Il neorazionalismo si basa appunto sull'opera del me- todologo quale punto-base per una riforma della filosofia: non  questo un programma puramente metodologico, ma largamente filosofico che ne integra lopera valorizzandola su di un piano non puramente scientifico; sicch non sarebbe in linea di principio inconcepibile che qualche studioso di metodologia intendesse il proprio lavoro in maniera pi ristretta e quin- di finisse per disinteressarsi delle questioni filosofiche generali. Ma il neo- razionalista vede la metodologia solo come una premessa, nella misura in cui  convinto che la razionalit non possa essere studiata a priori, ma solo nelle sue concrete realizzazioni. Nondimeno esso nutre il convincimento che la consapevolezza filosofica di tutte le conseguenze ricavabili da questa posizione  per un compito schiettamente filosofico che trascende la pura metodologia? Ne segue che metodologia della scienza e filosofia neorazio- nalista (o neoilluminista) sono lungi dal coincidere; e per sostenere questo punto di vista Geymonat non solo rivendica di aver in passato assunto delle posizioni critiche nei confronti del neopositivismo viennese (cos come gli  stato riconosciuto da critici quali Filiasi Carcano e Capone-Braga), ma non esita e ribadire le manchevolezze riscontrate nella concezione filosofi- ca ricavata dalle loro premesse metodologiche. Giacch il neorazionalismo (da distinguere dal neopositivismo) attribuisce al rinnovamento metodo- logico - il cui merito non va negato ai viennesi - un'importanza decisiva per tutta la filosofia'*: le tecniche razionali da esso messe in atto possono e debbono essere applicate allo studio delle altre questioni concernenti la vita e la cultura, portandovi il medesimo abito di spregiudicatezza critica e il medesimo rigore di analisi e di osservazione'. Persino le questioni tradizionali della metafisica possono essere affrontate in modo nuovo, ri- nunziando allimpostazione radicalmente antimetafisica: [...] lo spirito innovatore del neorazionalismo si spinge a punti ancora pi ambiziosi; e precisamente ad applicare la propria indagine critica alle stesse questioni ritenute di maggior attualit fra i metafisici mo- derni, non pi col solo intento negativo di denunciarne i presupposti dogmatici, ma al fine di scoprire se  al di sotto di questi presupposti - non si possa ritrovare un nucleo del problema, consistente e forni- to di significato!*. ni L, Geymonat, Neorazionalismo e metodologia, Annali della Facolt di Lettere e Filosofia e di Magistero dellUniversit di Cagliari, 1952, rist. in Saggi di filosofia neorazionalistica, Einaudi, Torino 1953; ora in L. Geymonat, La ragione, cit., pp. 99-103. 132 Ivi, p. 108. 133 Ivi, p. 109. 134 Ivi, p. 110. GIULIO PRETI, LUDOVICO GEYMONAT E LA FILOSOFIA SCIENTIFICA 81 Una posizione ribadita, tra laltro, proprio nel secondo convegno del movimento neoilluminista (Milano, 20-21 dicembre 1953) dove Geymo- nat, in polemica al modo di fare filosofia di Aliotta non sostiene la inuti- lit di questultima o la sua scomparsa come disciplina autonoma, bens esprime la sua convinzione che esista un altro modo di filosofare, molto diverso da quello prospettato dallAliotta. Per attuarlo, bisogna per ave- re il coraggio di compiere una svolta radicale, facendo dellattivit filo- sofica qualcosa di molto pi serio, di molto impegnativo e faticoso, non meno serio e non meno denso di controlli che qualunque attivit scien- tifica particolare; una seriet e una svolta di cui Geymonat d prova accingendosi ad affrontare - con gli strumenti messi a disposizione dalla moderna metodologia - alcuni classici problemi tratti dalla storia della filosofia, come la questione del nulla e delle tenebre in Fredegiso di Tours o lanalisi critica delle discussioni sulla prova ontologica o il problema de- gli universali!5,  questo un programma di filosofia scientifica che nel suo rifiuto dellantimetafisica dei viennesi e nella sua visione pi complessiva di una filosofia neorazionalista ispirata ai metodi della scienza assomiglia molto a quello fatto proprio dalla scuola di Leopoli-Varsavia, che appunto del rifiuto della liquidazione meramente sintattica e linguistica della filo- sofia aveva fatto la propria peculiare caratteristica! Dal Pra sembra avvedersi di questo fatto e facendo riferimento ai Saggi di filosofia neorazionalista del 1953 sostiene che in essi vi  un elemento nuovo rispetto a quanto sostenuto precedentemente (ovvero nel corso del convegno di Torino del 1953 in cui egli sostiene vi sia stata la descritta di- varicazione con Preti): il fatto che Geymonat accetta ormai un orizzonte filosofico che oltrepassa l'ambito della semplice metodologia; si tratta di passare, infatti, dalla metodologia delle teorie scientifiche allo studio di altre questioni della vita e della cultura; in tal modo linvito di Preti era accolto, anche se in un modo caratteristico, e cio non tanto aprendo la strada alla disamina di vecchi problemi della tradizione metafisica, epu- rati alla luce dei nuovi criteri, quanto invece estendendo lapplicazione di quei nuovi criteri a campi diversi della scienza, a questioni, appunto, della vita e della cultura! A parte il fatto che, come abbiamo visto, Geymonat parla esplicitamente di riesaminare i tradizionali problemi della metafisica (lestensione a quelli della vita e della cultura era gi avvenuta nelle opere precedenti),  singolare la tesi di Dal Pra per cui Geymonat finisce per ac- cettarein un saggio scritto nel 1952 linvito di Preti rivoltogli nel convegno 155 L, Geymonat, Alcuni atteggiamenti filosofici che derivano da posizioni scien- tifiche ormai abbandonate, cit., pp. 22-23. 86 L, Geymonat, Saggi di filosofia neorazionalista, cit., pp 101-137. 157 F, Coniglione, Per la storia della filosofia scientifica. Il Circolo di Vienna e la Scuola di Leopoli-Varsavia, cit; F. Coniglione, The Place of Polish Scientific Philosophy in the European Context, cit. 158 M. Dal Pra, Il razionalismo critico, cit., pp. 61-62. 82 FRANCESCO CONIGLIONE del 1953! Perch forse questo  sfuggito agli interpreti, che spesso si sono limitati a ripetere lautorevole giudizio di Dal Pra: le posizioni di Geymo- nat di apertura alla filosofia e la fuoriuscita dal metodologismo viennese sono ben antecedenti al famoso convegno del 1953; di essi si ha traccia in tutta la sua precedente opera per ricevere una loro esplicita e assai chiara formulazione nei due saggi del 1951 e del 1952. 6. In cosa risiederebbe allora il dissenso tra Preti e Geymonat? Se ci fer- miamo al periodo considerato, ovvero sino ai due congressi di Torino e Mi- lano del 1953 e agli anni immediatamente successivi, vediamo che esso si caratterizza in una prima fase, e nella misura in cui Preti  influenzato dalla fenomenologia e ancor pi dal neocriticismo, da una maggiore propensione da parte del filosofo pavese in direzione di una filosofia scientifica che sia in grado di ricomprendere in s tutte le varie forme di cultura (aspetto che nel prosieguo del suo pensiero avr sempre pi peso), e da una attenzione e valorizzazione della metafisica come orizzonte ipotetico e unitario allin- terno del quale la scienza traccia la sua strada. D'altra parte, in nessuna fase del suo pensiero Geymonat  segnato da una esclusiva ed estremistica con- divisione del metodologismo neopositivista e dalla tesi di una filosofia come mera analisi linguistica della scienza si tratta piuttosto di una questione di accenti che variano in dipendenza dell'argomento trattato. In ogni caso non assistiamo affatto ad una sua conversione su influenza di Preti verso un modo pi comprensivo di intendere la filosofia, cos come  stato soste- nuto, ma piuttosto ad una evoluzione endogena che aveva forti motivazioni gi allinterno del modo in cui veniva da lui interpretato il neopositivismo e che negli anni successivi a quelli da noi considerati trover ulteriori moti- vazioni nelladesione al materialismo dialettico e al marxismo. 159 F, Minazzi, Il cacodemone neoilluminista. Linquietudine pascaliana di Giulio Preti, cit., pp. 34-38; L. Scarantino, Giulio Preti. La costruzione della filosofia come scienza sociale, cit., pp. 231-245. 140 Ad esempio nel 1936 Geymonat, nel recensire lopera di Reichenbach sulla probabilit, sottolinea come sia un errore pensare che questo sia un problema che possa essere risolto mediante una formalizzazione matematica, in quanto il pro- blema della possibilit o meno di applicare il calcolo delle probabilit  un proble- ma filosofico molto generale, che non pu semplicemente risolversi scegliendo una definizione della probabilit piuttosto che unaltra, ma dipende da una complessa analisi critica di tutto questo tipo di calcolo (L. Geymonat, Nuovi indirizzi della filosofia austriaca, cit., p. 37). Con ci Geymonat sottolinea come lanalisi pura- mente sintattica di un concetto o di un problema, o anche la sua formalizzazione assiomatica, costituiscano solo le premesse affinch una critica filosofica possa aver luogo con piena consapevolezza ed evitando gli inganni e gli equivoci che posso- no scaturire da una errata posizione del problema, non certo la sua soluzione, che richiede sempre una presa di posizione filosofica. Insomma, come avrebbe detto Preti (G. Preti, Recensione, cit.), la filosofia comincia laddove finisce la sintassi e la metodologia: non pare che da questo punto di vista tra i due autori vi sia una reale divaricazione, se non per una questione di accenti e di scansioni temporali. GIULIO PRETI, LUDOVICO GEYMONAT E LA FILOSOFIA SCIENTIFICA 83 In ogni caso - e questo  l'elemento che accomuna i due pensatori - in entrambi, pur con le variazioni e le incertezze esaminate (specie in Preti), ritroviamo un concetto di filosofia scientifica intesa in una duplice acce- zione: come filosofia che accetta e fa propri i criteri di scientificit proposti dai saperi storicamente costituiti e quindi si propone come sapere rigo- roso e intersoggettivamente controllabile, quellonesto mestiere che sia Geymonat che Preti invocano; e come metariflessione sulle varie forme di articolazione della cultura umana, che per assume in Preti una de- clinazione di tipo trascendentale, in Geymonat meramente linguistica. In nessuno dei due  invece presente lidea che la filosofia possa essere ridot- ta alla mera analisi linguistica delle forme concrete del sapere scientifico (e quindi essere una filosofia di...) o debba essere intesa come astrazio- ne e generalizzazione a partire dalle scienze, allo scopo di effettuare una sintesi onnicomprensiva che ci faccia pervenire ad una verit sul mondo indipendente ed eccedente rispetto alle varie articolazioni del sapere, una sorta di super-scienza ad esse sovraordinata. Con gli anni Cinquanta, possiamo concludere, le posizioni dei due pen- satori raggiungono il loro punto di maggior raccordo, con un Preti che si avvicina sempre pi alle posizioni empiriste del neopositivismo, pur man- tenendo laccezione di filosofia scientifica aperta che abbiamo delineato; e un Geymonat che sviluppa ulteriormente le aperture verso la filosofia scientifica e quindi riduce il suo tasso di metodologismo e sintatticismo, che tuttavia mai aveva messo a tacere, neanche nel suo periodo pi neo- positivista, lesigenza di una filosofia autonoma rispetto alla sintassi logi- ca della scienza. Per tutta questa fase, ci sembra che sia corretto estendere la diagnosi da Parrini! rivolta al solo Preti anche a Geymonat: si tratta in entrambi i casi di una questione di dosaggio tra esigenze razionalisti- che (e diremmo filosofiche) ed esigenze empiristiche o riduzionistiche, pi tipicamente di origine neopositivista (o di una certa fase del neoposi- tivismo). Quel dosaggio e quel giusto riconoscimento del ruolo della filo- sofia che fu una caratteristica della filosofia scientifica nel suo senso pi proprio e che sembra essere stato uno dei motivi fondamentali dellepi- stemologia italiana, per questo aspetto molto pi simile alla filosofia ana- litica polacca di quanto non fosse allepistemologia viennese, specie se di provenienza carnapiana. 14! P, Parrini, Presentazione a L. Scarantino, Giulio Preti. La costruzione della filosofia come scienza sociale, cit., p. XIII. 12 P, Parrini, Preti teorico della conoscenza, cit., p. 62. TRE STUDI SU PRETI (E DUE APPENDICI) Franco Cambi I. Giulio Preti: un filosofo eclettico? 1. Una lettura di superficie...e en profondeur dello stile-di-pensiero Sia liter evolutivo del pensiero di Giulio Preti, nel percorso declina- to durante quattro decenni (e che decenni, anche dal punto di vista cul- turale, oltre che sociale e politico!), sia il modello complesso e dinamico assunto via via dal suo razionalismo critico (che va pensato come fo- cus di questo modello, come gi indicava Dal Pra e oggi ci ricorda Fabio Minazzi), possono apparire (e sono apparsi) contrassegnati da un para- digma (o tensione o orientamento che sia) di tipo un po (molto?) eclet- tico. Da una volont/capacit (ma critica, va sottolineato) di ibridare/ miscelare vari tipi di filosofia (ismi o metodi che siano), di renderli tra loro interattivi e organicamente pregnanti in modo reciproco, delinean- do cos un fare-filosofia di sintesi e un obiettivo di pensiero che nella cri- ticit fissa il suo asse caratterizzante e il suo principium individuationis. Pertanto il pensiero denso e plurale e organico di Preti solo in superficie (ovvero a uno sguardo frettoloso e non interpretativo) pu apparire co- me eclettico e quindi contrassegnato da coabitazione di modelli diversi attuata attraverso uno sguardo di sintesi, mentre in realt e pi in profon- dit  un fenomeno aperto e dinamico, plurale e organico al tempo stesso, guidato in tale operazione da un'ottica trascendentale che tiene fisso lo sguardo a ci che regola il diverso, a ci che accomuna, alle funzioni che fanno rete. Ed  alla luce di questo punto-di-vista che si organizza tutta l'avventura di pensiero del filosofo pavese, la quale attraversa e epoche e modelli assai difformi, carichi di tensioni, aperti a molteplici soluzioni, ma in essi fa valere quello sguardo kantiano che , alla fine, il vero e pi radicale imprinting originario e permanente del pensiero di Preti. Un kantismo neokantiano e marburghese ma che costantemente si rinnova nellincontro con altre posizioni filosofiche, dalle quali assorbe nuove lin- fe e attraverso le quali supera gli stessi formalismi del trascendentalismo tradizionale. Un trascendentalismo, allora, problematico e aperto, che fa da fulcro a quellapparente eclettismo e che ne rivela, invece, la profon- da identit teoretica, connessa a una filosofia dell esperienza che vede lattore dellesperienza stessa sempre meglio definito nel suo ruolo tra- Franco Cambi e Giovanni Mari (a cura di) Giulio Preti : intellettuale critico e filosofo attuale ISBN 978-88- 6655-039-6 (print) ISBN 978-88-6655-044-0 (online PDF) ISBN 978-88-6655-048-8 (online EPUB)  2011 Firenze University Press 86 FRANCO CAMBI scendentale proprio dalla sua stessa concretezza empirica e storica. E nel suo farsi costruttore delluniverso dei significati, dal linguaggio e le sue forme alle stesse forme simboliche della cultura e proprio al loro deter- minarsi storicamente e socialmente. Il pensiero di Preti non  eclettico, bens sintetico-critico guidato da un trascendentalismo non formalistico che lo lega a cogliere le strutture dellesperienza, partendo dal trinomio di soggetto/cultura/societ. E su queste strutture viene a filtrare le varie esperienze filosofiche possibili e significative e a delinearne lo specifico valore o funzione. Quindi il suo eclettismo  solo apparente, mentre in realt l opera una precisa volont di sintesi filosofica, ancorata a un esercizio di filosofia cri- tica a sua volta radicata sullanthropos, riletto in particolare come attore complesso del fare-esperienza. Va anche sottovalutato che in questa volont di sintesi e di sintesi criti- ca Preti interpreta anche un istanza profonda della filosofia del Novecento, che nella sua ricchezza/variet di ismi e di modelli ha tenuto fermo un bisogno comune: di fissare una teoria dellesperienza e la fenomenologia delle sue forme, tessendo un quadro organico dei suoi fronti plurali e dei suoi diversi livelli. A questo scopo, per, bisogna aprire il pensiero filoso- fico ai vari contributi arricchendo e affinando cos la comprensione della ricchezza, variet, complessit dellesperienza. A una lettura attenta del cammino del pensiero di Preti tale aspetto sintetico-produttivo risulta in modo evidente. E in molti modi. 1) Sul piano del confronto con le filosofie del tempo (e non solo di quello pi immediatamente contemporaneo) per estrarne contributi meto- dologici e/o tematici. E confronto che  stato, in Preti, costantemente ripreso. 2) Sul piano del modello teoretico di sintesi che si affina e integra in s i vari contributi riportandoli al focus di un trascendentalismo sempre pi ricco e criticamente fine. 3) Sul piano di una densa filosofia dell'esperienza che abbina razionali- smo critico e fenomenologia della cultura sulla base di unantropologia e storica e culturale, in cui la prospettiva del linguaggio si fa determi- nante nella regolazione e nel potenziamento dellesperienza stessa. Da ci emerge un modello filosofico di forma raffinata e complessa. Tutt'altro che eclettico. Bens critico e sottilmente critico. Modello che ancora oggi continua a parlarci e per la sua ricchezza e la sua volont di rigore. E che, perfino, continua a parlarci anche dai suoi margini e dal- le sue possibili zone d'ombra o di minor luce. Margini e zone che ci sono ma che non indeboliscono affatto la lectio di tale percorso di riflessione radicale. Anzi, ne evidenziano sia lidentit sia la funzione epocale (e di unepoca di cui lo stesso postmoderno si  fatto, pi nitidamente, erede: del pluralismo, del mtissage, del dialogo, orientati a dar luce alla com- plessit propria dellesperienza dei moderni). TRE STUDI SU PRETI (E DUE APPENDICI) 87 2. Le tappe di una sintesi costante in un cammino costantemente ripreso Gi con le opere-chiave di Preti (o libri-manifesto come ebbe a dire Garin) disposte nei tre decenni del suo lavoro maturo quellottica di co- struzione-di-sintesi del pensiero pretiano appare in piena luce e si delinea (nella sua costante ripresa) come un identikit di quel pensiero. Idealismo e positivismo nel 1943 delinea i punti dincontro (logici e metodologici) di quei due modelli filosofici, assunti nella loro piena maturit e oltre ogni loro accezione metafisica. Sono due prospettive che si allineano nellanalisi del concreto, cio dell'esperienza come essa si d allattore-uomo e alla sua mente, ricondotta alloriginariet e immediatezza del suo fare esperienza. Gi qui, allora, niente eclettismo ma integrazione critica per permettere un'analisi anch'essa critica del fare esperienza. E si rilegga la conclusione dellopera per convincersene. E tutto ci si compie alla luce di un critici- smo gi flessibile e aperto, volto a leggere le strutture stesse, ma dinami- che, in cui lesperienza si d. Praxis ed empirismo rilancia un'operazione analoga quindici anni dopo, collegando intimamente filosofie opposte e qui accolte, invece, dentro un tessuto di dialogo, ovviamente critico. La filosofia della prassi e lempiri- smo logico si fanno plafond per attivare una metafisica critica (alla Dewey) dellesperienza, a base antropologica, storico-culturale, e una fenomeno- logia della cultura di contrassegno logico e socio-culturale al tempo stes- so. Una posizione di sintesi attiva che ben venne ad illuminare tutto un contesto culturale, sia come provocazione sia come - appunto - sintesi. E come tale fu recepita. Se pure se ne fissarono anche i limiti, in un modello feuerbachiano dellanthropos come pure nella idealizzazione della scienza come regola aurea dei saperi. Anche qui niente eclettismo, bens costru- zione di una filosofia pluralistica capace di delineare una lettura critica dellesperienza: en structure e secondo funzione socio-cultural-politica. Anche lopera del 68 (Retorica e Logica) si dispone su questa frontiera. Riprende il tema delle due culture e attraverso unanalisi strutturale che ne fissa lintegrazione dialettica dentro una condizione storica dei sape- ri e dell'esperienza in generale. Quella dei moderni che gi dal Seicen- to  attiva nella cultura europea e che, oggi, noi dobbiamo fissare come modello culturale di base, che garantisce insieme la variet delle forme culturali e la loro costante integrazione. Ancora: niente eclettismo bens strutturalismo critico. 3. La teoreticit di sintesi e di radicalizzazione Ma qual  la teoresi che in quest'opera costante di costruzione sintetica e critica dentro lesperienza del Mondo Moderno e al di l delle posizioni filosofiche irrigidite in ismi si viene a delineare?  proprio quel raziona- lismo critico avanzato pi volte sottolineato dagli interpreti pi acuti del pensiero pretiano. Quelli che cercano di leggere lo stemma pi trasversale 88 FRANCO CAMBI e pi permanente dentro unavventura di pensiero che, in s,  polimor- fa, duttile, in continua metamorfosi. Stemma che lega trascendentalismo, empirismo e elementi di storicismo (molto critico) in un mlange che of- fre un dispositivo di analisi e di ricostruzione dellesperienza dei moderni secondo un'ottica complessa e non-riduttiva. S,  vero, elementi di irrigi- dimento di tale esperienza ci sono: lantistoricismo dichiarato (ma eser- citato a met), la scienza come regola ne varietur del cognitivo, l'assenza dellinterpretazione sia rispetto al linguaggio, sia allanthropos sia allex- periri. Ma ci non fa velo al disegno avanzato di teoreticit che Preti vie- ne a rappresentare e che  stato pi e pi volte esposto e comunicato: dal convegno del 1987 agli studi di Dal Pra, a quelli di Minazzi, di Petitot, di Scarantino e di molti altri. Il suo trascendentalismo empiristico, posto den- tro unempiria storico-sociale, in cui la cultura ha un ruolo assolutamente chiave per dire/capire il Mondo, fa emergere sia una teoria dellesperienza (che si incardina sul metodo razionale-critico e da l rilegge forme e livelli e tensioni nellesperienza: cultural-linguistico-scientifica), sia una teoria della cultura (complessa, dinamica, aperta, regolata dalla criticit) come pure una teoria della societ e una teoria dellanthropos. Elementi attra- verso i quali prende corpo, come gi detto, una metafisica critica: quella di un uomo-in-carne-e-ossa come attore dellesperienza, che si d in una mente che legge il mondo e lo fa attraverso il linguaggio e specializzando i linguaggi, proprio per possedere  part entire la complessit stessa del Mondo. Come pure si d in unazione volta a promuovere istanze e biso- gni di quellanthropos concreto e universale, di cui ogni soggetto  porta- tore. L si delinea anche una gnoseologia che si fa analisi dei linguaggi e indagine strutturale della cultura. Siamo davanti a un modello teoretico s complesso, s che ha attinto a vari modelli filosofici, ma che si  dato un nettissimo profilo di teoreticit (di sintesi? sia pure; ed  un elemento di positivit e proprio nellagire fi- losofico del Novecento che Preti ricordava e negativamente, gi negli anni Quaranta, come un tempo di proliferazione di ismi, Pun contro laltro armati, produttori di un caos riflessivo, che andava disboscato e ridotto allordine). Teoreticit capace di accogliere la lectio dei moderni e di inol- trarla come memento metodico nel fare-pensiero e del presente e dellav- venire (almeno di quello che ci sta in vista). Una teoreticita - proprio per questo - fine, organica, produttiva. 4. La filosofia dell'esperienza a base antropologica Si tratta di una teoreticit, poi (e non  affatto secondario, se pure que- sto risulta un aspetto meno sottolineato nell'analisi del pensiero di Pre- ti) consegnata (nel senso di fatta emergere da e resa funzionale a) un anthropos letto come carne e logos e il logos come riflessivit critica (alla Kant: rivolta a leggere le condizioni di possibilit dell'esperienza che quel corpo-pi-mente fa) e come organizzazione logica (rigorosa e proprio TRE STUDI SU PRETI (E DUE APPENDICI) 89 perch metodicamente definita) dellesperienza stessa.  luomo empiri- co, critico, sociale dei Moderni che Preti pone al centro della sua filosofia critica/ricostruttiva e lo pone proprio come a quo e ad quem, come atto- re e fruitore di quellesperienza costruttiva che la filosofia deve mettere a fuoco e pensare come patrimonio intellettuale comune. Come visione del mondo, da sottrarre alla cattura (autoritaria, deresponsabilizzante, in toto nefasta) di chiese, di ideologie, di partiti; da sviluppare  invece  secon- do un modello di esercizio intellettuale post-ideologico e, pertanto, post- impegnato, ecc.: libero soprattutto. Proprio lopera-manifesto del 57 (letta insieme al saggio, dello stesso anno, su Adam Smith) ci mette meglio a fuoco questo modello di anthro- pos, moderno, critico, democratico, ma che in s gi porta bisogni e valori, a partire dai quali va ri-costruita e la cultura (e la societ). E sono valori di uguaglianza e di vitalit concreta (carnale/sociale) che si impongono, come pure di universalit e rigore che regolano il pensiero, attivando in ciascuno quella libera universalit umana che in un altro volume, uscito sempre nel 1957, Preti indicava come la scoperta luminosa e permanen- te della civilt greca e come animatore costante della cultura occidentale, sia conoscitiva che sociale. Siamo davanti a una filosofia dellesperienza, allora, ricca, complessa e organica al tempo stesso, come gi ricordato che pone al centro il doppio dispositivo della concretezza (umano-sociale) e della criticit (articolata e aperta). Un modello di pensiero, per, inevitabilmente di ieri, proprio di un tempo in cui l'impegno, categoria depoca, continuava a tessere il pensiero anche dei disorganici? Forse, non proprio. 5. L'attualit postmoderna di un iter/modello filosofico Guardato dal postmoderno (dopo-le-ideologie; dopo-le-certezze; nel- pluralismo/dissenso; nella-decostruzione; nella-differenza; ecc.) cosa ci dice il pensiero di Preti, riletto nel suo stemma pi dinamico, pi aperto, declinato al di l del suo stesso gioco critico di ismi assunti come vettori di un metamodello critico? Nulla? Poco? Molto? Io propendo per il mol- to e per tre ragioni. 1. Perch ci delinea che pensare-il-pensiero , ormai, un processo sem- pre in movimento. Posto nellansia di una trasformazione continua, in cui conta pi la tensione teoretica che il modello di teoresi a cui ci si deve, tuttavia, legare. Ma sempre in modo mobile e aperto. Come Preti stesso ha fatto rispetto al suo trascendentalismo critico, al suo razionalismo empiristico e critico, al suo neoilluminismo. Poich lo ha vissuto co- me sempre in costruzione/ricostruzione. Sempre in affinamento e allarga- mento, tramite un dialogo critico con le, via via, sempre nuove posizioni di pensiero, come pure con quelle della tradizione medesima, su cui  co- stantemente tornato. 90 FRANCO CAMBI 2, Perch ci ha consegnato una filosofia dell'esperienza ricca e densa, inscritta in una metafisica critica sottile e matura, legata a una analisi tra- scendentale delle forme dellesperienza, capace di fissarne struttura, me- todo e gioco dialettico (tra le forme stesse). Sempre ancorandosi a quella condizione moderna da cui noi abitiamo il mondo. E che lo stesso post- moderno continua tener viva come radice. Come gi molti ebbero a sot- tolineare nel dibattito sul postmoderno intessuto nei primi anni Ottanta. Tesi che continua a mantenere una sua precisa validit. 34, Perch pu guidarci, con un suo modello (trascendentale-empiri- co-critico), a dar corpo a quel metamodello (fatto di complessit, artico- lazione, pluralismo) di cui il sapere e il pensare (e il sapere e lesperienza) contemporanei reclamano come dispositivo-trasversale-guida, sempre pro tempore e in situazione, certo, ma capace di dare ordine alla stessa caoticit, come complessit, come divergenza, come inquietudine, tipica del Mondo Attuale. E a ogni suo livello. Anche dei saperi. Anche della ri- flessivit filosofica. Quel modello pretiano che attiva uno sguardo meta, interpretativo e regolativo, ci si offre come un punto di vista efficace per attraversare il nostro tempo storico, senza perdere di vista limpegno del pensiero a dar Ordine e Senso al reale. Che attiva, s, uno specifico mo- dello, ma che nel far ci d corpo a un'istanza comunque fondamentale e da non far deperire. Che  poi listanza stessa, a ben guardare, della teore- ticit compresa nella sua identit organica e nella sua funzione rivelativa del tessuto pi formale dellesperienza stessa. Ieri. Oggi. E anche domani. II Riflessioni sullultimo Preti 1. 1957: il modello maturo del pensiero pretiano? Gli anni 1957-58 vedono il pensiero filosofico di Preti manifestarsi nella sua piena maturit. Quel pensiero che media trascendentalismo e empiri- smo, pensiero scientifico e antropologia storico-materiale, alla luce di un razionalismo critico di marca neoilluminista e che si dispone come uno dei modelli pi avanzati (ed europei, notava Garin) della filosofia italiana. Un pensiero sottilmente analitico, metodologicamente aggiornato e finissi- mo, storicamente interpretato, ma sempre criticamente orientato e perfino a cogliere le penombre stesse di tale modello integrato e complesso. Tra le tre opere del 57 (Praxis ed empirismo; Alle origini delletica contempo- ranea; Storia del pensiero scientifico) e i due articoli del 58 (Il mio punto di vista empiristico e Scienza e tecnica) Preti delinea un preciso modello di teoreticit per una cultura moderna e aperta, che fissa nella scienza (e nel suo metodo: la verificazione) il proprio volano e ne sviluppa il profilo analitico-critico in ogni ambito della vita culturale e sociale. Ma di tale modello fa emergere anche la costruzione storico-culturale degli a priori, come gi ebbi a sottolineare in un mio articolo di alcuni anni fa. Un mo- dello quindi saldo e inquieto al tempo stesso. Che si fissa come empiri- TRE STUDI SU PRETI (E DUE APPENDICI) 91 stico, ma critico, e come antistoricistico, ma recuperando la storicit in prospettiva critica. Un modello maturo e organico, anche e proprio den- tro la biografia filosofica di Preti. Un modello che fece discutere, ma che apparve subito come significativamente attuale e avanzato. Negli anni successivi tale modello non muta. Si riconferma. Si ostende anche. Ma piano piano qualcosa si trasforma. Prende quota unaltra stagione del pensiero pretiano. Sempre ancorata al trascendentalismo, ma che svilup- pa una nuova teoria della cultura, s ancora metodologica, ma pi inquieta e dialettica.  la stagione che avr al proprio centro Retorica e logica (del 1968), Umanesimo e strutturalismo (postumo, del 1973), gli interventi (numerosi e variegati) su La Fiera Letteraria (tra il 1967 e il 1968, raccolti in parte in Que ser, ser, del 1970) e la ripresa di Cassirer, sempre nel 1970, con la pre- sentazione a Determinismo e indeterminismo. Allora: c' un centro in questo ultimo Preti? E qual ? E cosa viene a configurare rispetto alla stessa fase di maturit? Detto in breve: il centro , come gi detto, una teoria dialet- tica della cultura, di marca s trascendentalista, ma pi propriamente cas- sireriana e pertanto animata dal problema delle strutture (nelle sue forme, nella sua dialettica, nelle sue stesse logiche oggi e qui). E questo centro si fa immagine culturale di massa, esce dal suo ambito specialistico-accademico e diviene - negli anni Sessanta: anni di diffusione sociale della cultura e di un pi efficace ruolo di orientamento etico-politico e di mentalit sociale da parte di questa - messaggio, appunto, sociale. La collaborazione a La Fiera Letteraria (che riprende, in un clima diverso, l'impegno dellintellettuale che Preti sent proprio al tempo del Il Politecnico di Vittorini ma ora de- clinandolo nella forma, diciamo cos, dellintellettuale critico e costitutiva- mente disorganico, sia al Politico sia al Mercato) lo testimonia nettamente. 2. La teoria della cultura  Preti stesso, nellavvio del suo Retorica e logica che ci indica nel pro- blema delle due culture il punto di avvio di una riflessione struttura- listica sulla cultura stessa. L quel problema  posto come epocale e da sviluppare ormai molto sul serio. Sotto legida dello strutturalismo, s, ma di uno strutturalismo di forma fine, trascendentalistico e fenomenologico e critico, di cui, forse, Cassirer resta un modello non del tutto implicito. Cassirer, infatti, come credo di aver mostrato in un articolo recente, ha un ruolo generativo e costante nellorganizzazione del pensiero pretia- no. Il Presente storico  figlio del Passato e, qui da noi, la civilt europea ha una tradizione, centrata su due fuochi culturali: leredita letteraria e la gloriosa storia della scienza. Letteratura e scienza sono due forme, due atteggiamenti, che ora si trovano ancora di fronte, forse per lultima volta, da studiare attentamente nella loro identit e funzione, se voglia- mo che la civilt europea debba continuare a vivere. Allora esse vanno ! G. Preti Retorica e logica, Einaudi, Torino 1968, p. 9. 92 FRANCO CAMBI fissate sia nelle loro strutture, sia nella loro dialettica. Strutture gnoseolo- gicamente diverse, ma dialetticamente complementari, secondo un gioco di alternanze e di integrazioni, che risulta sempre storico e in cui cultura axiologica e cultura teoretica si legano come coppia dialettica, animate da retorica e logica, da persuasione e dimostrazione. Abbiamo cos, due modi di fondare un mondo: teoretico e axiologico?. Tra essi si dispone un conflitto, ma sempre empirico e storico, connesso a situazioni vitali, in cui proprio il teoretico svolge una funzione di critica dellethos e di suo sviluppo. L'opera del 68 d corpo a una teoria della cultura, riletta mo- re philosophico (secondo le strutture), e a una sua dinamica aperta, in cui proprio al pensiero viene riservato un ruolo innovatore. Contro ogni ide- ologismo, oltre ogni storicismo dogmatico. A questa quota, per, lopera mostra anche alcuni punti deboli: lapartheid della teoresi, che  tutta da dimostrare; la sua storicit prevalentemente formale (relativa alle for- me culturali), che offusca i suoi interni condizionamenti storico-sociali. Il limite stesso di un kantismo che indaga strutture e tende a fissarle, pur nella storia e nella storia di una civilt come compatte e ne varieretur. E qui  proprio il cassirerismo pretiano che si fa significativo. Il quale, pur tuttavia, reclama una visione articolata e in movimento della cultura, ca- pace di renderla pi nuova e problematica rispetto al dominio del princi- pio di verificazione reso centrale nellopera del 57, Praxis ed empirismo. Ma c' di pi: anche la visione della scienza si amplia. Anche si stori- cizza nella contemporaneit. Accanto alle scienze naturali, come scien- ze tout court, ora anche le scienze umane acquistano voce e attraverso lo strutturalismo (e la sua nozione di struttura) vengono rese metodologi- camente rigorose. Umanesimo e strutturalismo, rispetto alla Storia del pensiero scientifico del 57, allarga l'orizzonte del fare-scienza: le strutture fungenti sono quasi leggi di natura, che agiscono come trascendentali, e ci vale nelleconomia politica, nella psicoanalisi, nella linguistica ecc., dando corpo a epistemai che agiscono come regolativi oggettivi fungenti e non essenti, eidetici e non empirici, sebbene non mai attuali se non nei fatti di esperienza che essi modellano e in cui lintuizione eidetica, che li tematizza, li riconosce e li isola (per astrazione). L'ultimo Preti fissa, cos, una teoria della cultura pi complessa e dina- mica, anche pi storica (connessa a una civilt: quella europea), e dialettica, animata dalla nozione di struttura, colta nella sua funzione trascendenta- le. E c' qui un pi netto richiamo a Kant, attraverso unottica cassireriana soprattutto. E poi la stessa nozione di scienza si amplia, se pure unifican- do i suoi diversi domini, ancora, intorno al principio-struttura e alla sua funzione intenzionale e trascendentale. Alla luce dello strutturalismo, ri- letto more theoretico, Preti aggiorna il suo kantismo, come pure sviluppa la nozione di scienza, allargandone i confini. Ma cos si pone anche come 2 Ivi, p. 227. G. Preti, Umanismo e strutturalismo, Liviana, Padova 1973, p. 19. TRE STUDI SU PRETI (E DUE APPENDICI) 93 un interprete fine e complesso di tutta una temperie culturale degli anni Sessanta, che tra due culture, struttura, funzione, dialettica ha messo a fuoco i propri principi-guida. 3. L'uso del saggismo L'ultimo Preti, per, esce anche (di nuovo) dallAccademia (che  stato il luogo specifico del suo pensiero e indicato orgogliosamente come tale: specialistico e separato) per farsi saggista. E d prova di essere uno scrit- tore di saggi preciso, efficace, ben consapevole di un altro stile nelleser- cizio del pensiero, in cui laxiologico, il letterario, il persuasivo hanno una precisa cittadinanza. Tutta la serie di articoli apparsi su La Fiera Lette- raria sono un episodio significativo di questo ulteriore sviluppo del suo pensiero. Che si fa impegnato nel non-impegno (come schieramento po- litico della cultura). Si fa pensiero critico-ironico. Connesso a procedu- re di logica della persuasione e di efficacia retorico-letteraria. Capace di rinnovare mentalit e visioni del mondo. Certo, contro ogni pensie- ro soggettivo, contro ogni ideologismo, contro ogni anti-scientismo, ma motivando sempre il suo argomentare per persuadere. E quindi per fare educazione della societ e aprire a una nuova (rigorosa e critica insieme) visione del mondo, in cui la critica vista proprio nel suo essere disorgani- ca si mostra nella sua stessa funzione di mutamento sociale, rinnovando coscienze, stili di pensiero, universo axiologico. Preti si fa saggista, anzi micro-saggista. Ma qui rende operante un preciso obiettivo etico-politico, connesso a un'idea di democrazia aperta. Lintellettuale disorganico si fa (e deve farsi) organico a unidea di cultura critica, da sviluppare costan- temente nel confronto del e col presente e da diffondere. Allora, qui, emergono quattro aspetti 1) la valorizzazione della forma- saggio; 2) limpegno per e della cultura ma posta sopra al politico; 3) una visione del mondo di tipo moderno e fertile nellesercizio stesso della de- mocrazia. 4) una tensione educativa, relativa alla mentalit e connotata dal potenziamento dello spirito critico, della mente libera e capace di rinno- vare le prospettive socialmente vigenti. Luso della forma-saggio  anche un richiamo di Preti al suo uso di Simmel, presenza banfiana e giovanile. Certo altro  il saggiamo simmeliano posto come forma pi alta del pen- siero. In Preti il saggio  occasionale. Il suo pensare resta organico e siste- matico. E metodologicamente definito. Per: ora la forma-saggio, col suo persuadere, col suo diffondersi si pone accanto al pensare rigoroso e lo problematizza anche. Almeno lo pone en question, avvicinandolo alla re- torica e attraversandolo con la logica delle due culture. Qui tale forma- di-quasi-micro-saggio si palesa nel suo dialogo col lettore (con artifici specifici: interrogazioni retoriche; testimonianze in prima persona) e nel suo concludere convincente s, ma sempre interlocutorio, come pure nel ritornare ai problemi di fondo (esempi: Arte: una parola equivoca; Ser- ve ancora la filosofia?; Chi ha paura della scienza?). Dentro quei saggi si delinea unidea di cultura (che  quella teorizzata poi in Retorica e logica 94 FRANCO CAMBI e che mette al centro la cultura autentica, teoretica, da far valere per/ nella democrazia, che Preti accoglie dalla riflessione di Dewey (riletto nel 1958) e di Oppenheim (su cui si sofferma nel 1964) e vede contrassegnata proprio dallesercizio del libero pensiero. 4. L'identit pi problematica di un pensiero? L'ultimo Preti (quello degli anni Sessanta) porta avanti, rinnovandolo, lo stemma complesso del suo pensiero (di sintesi e di interazione tra pi modelli), facendolo procedere oltre la sintesi stessa del 1957 fortemente ancorata al primato del pensiero analitico, sia pure posto al servizio di un uomo contrassegnato dalla coscienza sensibile e da un ruolo attivo nel- lo sviluppo della vita sociale. E lo fa secondo tre traiettorie: 1) la ripresa di Kant applicata a una teoria della cultura, complessa e organica e criti- ca al proprio interno, fissata in strutture e dinamiche; 2) lattenzione allo strutturalismo che si fa il suo interlocutore fondamentale, rispetto al me- todo e alla stessa norma della scienza e/o dei saperi; 3) la coltivazione di un saggiamo colto e vivace al tempo stesso che rilancia, dentro e con- tro la cultura di massa, unidea di cultura alta e articolata e capace di tener vivo lo sguardo critico, l'innovazione e il dissenso. Possiamo dire che, nellopera di questo decennio, Preti si delinea ancor pi come intel- lettuale disorganico al servizio della cultura e della condotta delluo- mo, a cui intende porgere un punto-di-vista sul mondo che, s,  carico di storia, di tradizione anche, ma che filtra sempre attraverso un uso cri- tico della mente, tanto sul piano axiologico quanto su quello teoretico (il ritorno del problema dellarte, la riedizione del testo di Hume, del 1946, sono sintomi efficaci), capace di svolgere anche e proprio un preciso ruo- lo e sociale e politico. Lintellettuale Preti sta cos, insieme, con e contro il "68, con cui, a molta distanza, interloquisce. Con il suo ritorno-all-impe- gno, s ma contro e oltre il suo impegno ideologico. Prospettandone uno pi squisitamente culturale, incardinato sullesercizio critico della mente proprio di un individuo disorganico, appunto, ma libero e capace di por- tare, nella stessa societas prospettive costanti di libert. III Preti e Pascal: il dialogo di una vita 1. I tre volti del Pascal di Preti Con Pascal Giulio Preti ha avuto un rapporto privilegiato.  stato uno dei suoi autori su cui  tornato pi volte e lungo tutto il cammino del- la sua ricerca. Ne  stato editore e interprete. Dal 1944 (anno di Pascale i giansenisti uscito per Garzanti nella collana I filosofi) fino alla morte. Nel testo del 1944, Pascal viene contestualizzato tra crisi del XVII seco- lo, giansenismo e nuova scienza, nonch ripresa critica del messaggio cri- stiano in chiave di filosofia dellesistenza. Ma sono temi che torneranno TRE STUDI SU PRETI (E DUE APPENDICI) 95 anche nelle riprese successive. Le Provinciali escono nella traduzione di Preti nel 1972. Sul pensiero di Pascal  ritornato pi volte anche negli an- ni della maturit piena del suo pensiero: nel 1957 e nel 1968, dedicandogli pagine assai fini nel contesto del Storia del pensiero scientifico e di Retorica e logica. Nel 1959 pubblica Opuscoli e scritti vari presso Laterza. Pascal si offre a Preti come un interprete-chiave del Moderno (e del suo baricentro: il Seicento) e come acuto teorico delle logiche dei saperi moderni, appunto. Poi anche come un sensibile interprete dellantropologia connessa allav- vento della Modernit che fissa, delluomo, le contraddizioni esistenziali e lansia di riscatto, che il filosofo francese incardina in modo radicale nel- la fede, ma una fede senza dogmi e incardinata a sua volta sul messaggio biblico, da riattivare, agostinianamente, nella coscienza, animata proprio da un cor inquietum che vive, insieme, un bisogno di certezza e unansia di verit come approdo di una scelta personale. Va subito detto, per, che il Pascal dei Pensieri resta nella riflessione pretiana abbastanza fuori sce- na. Di esso riconosce la matrice in Montaigne e Port Royal, ma su queste frontiere lattenzione pretiana resta pi tiepida. Forse proprio il richiamo fatto al maestro francese sia dallesistenzialismo religioso (e non solo) sia dallo spiritualismo cattolico (filosofie con le quali Preti dialoga sempre assai criticamente) hanno invitato il filosofo pavese a lasciare fuori scena questo aspetto, pur fondamentale, nel pensiero di Pascal. Anzi per molti il suo contributo pi alto, moderno, attualissimo sempre. Ma a un pen- satore come Preti, cos estraneo in sostanza alla tematica religiosa (e si rileggano le stesse pagine di Praxis ed empirismo dedicate a Religione e scienza per fissare il dialogo pretiano col religioso: critico, materialistico, decostruttivo e connesso alla crescita della scienza come ritiro del magi- co e del teologico e vittoria della tecnica e delletica laica), quel fronte del pensiero di Pascal interessa poco, se non come posizione storica (contro i gesuiti e la Chiesa-Tradizione) e quaestio storico-culturale collocata nel decollo del Moderno (dove , invece, molto significativa). A Preti interessa soprattutto laltro Pascal: lo scienziato e il logico. Interprete della pole- mica antiumanistica del Seicento, come sottolineer nel volume del 68 e acuto diagnostico delle due culture, come pure aperto polemista contro il principio di autorit. Sono questi i tre volti che guidano, e gi dal 1944, il dialogo tra il razionalista critico Preti e lo scienziato religioso e quasi mistico Pascal. Un dialogo che, oggi, pu apparirci, un po incompleto. Capace di sacrificare le tensioni e le connotazioni pi profonde di quellan- tropologia della finitezza cos care al filosofo francese e che lo rende, nel suo radicalismo esistenziale e intellettuale ad un tempo, ancora nostro in- terlocutore, e acuto e problematico, perfino nelle soluzioni ultime che ci presenta, ancorate, anche qui modernamente e molto, al doppio principio della scommessa e del come se. Ma questo , di fatto, un altro discor- so che poco ci illumina sul dialogo, intenso e costante, tra Preti e Pascal. Un aspetto, questo, del pensiero pretiano fin qui meno affrontato, anzi lasciato un po in ombra dai critici, anche da quelli pi attenti e pi fini, ma che  centrale proprio per declinare  part entire linterpretazione sottile del 96 FRANCO CAMBI Moderno che Preti ha tenuto ferma nello sviluppo stesso del suo pensiero. Solo Papi aveva, nel convegno su Preti del 1987, fissato con la sua consueta finezza, il posto che Pascal occupa nel pensiero pretiano, sottolineando che [...] Pascal  stato studiato da Preti tutta la vita, e vi sono alcune ragio- ni di congenialit importanti, ma di superficie: la ragione scientifica contro la tradizione, lo sguardo sul mondo piuttosto che la recitazione dei libri, la perfettibilit del sapere rispetto allautorit, la riforma del metodo che  derivata dalla struttura del ragionamento geometrico che  semplice, e funge da modello prendendo il posto della logica sillogi- stica, la separazione delle discipline scientifiche e filologiche secondo le metafore dellintelligenza e del cuore. Ma oltre a questo, c' unaf- finit istintiva pi profonda, una specie di identificazione rovesciata. La conoscenza per Pascal  tutto il lavoro possibile che  dato allin- telligenza di una creatura finita ed ospite di un mondo dominato dal disegno di Dio. Anche per Giulio Preti la conoscenza  lunico lavoro filosofico serio per un uomo che  immerso nel ciclo naturale che lo condiziona e, infine, lo domina tra carne e morte, le quali sono il nostro destino. [...] come in Pascal, prigioniero tra teologia e scienza, anche in Preti illimpido lavoro della ragione ha un suo riflesso tragico sul confine intrascendibile della vita. Queste di Papi sono parole illuminanti per delineare proprio la com- plessit e la centralit, in Preti, del dialogo con Pascal. 2. Alle radici del Moderno Rileggiamo le pagine di Retorica e logica, dove il ruolo articolato e ri- velativo che Pascal svolge nel Seicento, nel secolo che inaugura davvero la Modernit nei saperi e nella societ stessa (con i suoi Leviatani ma anche con la crescita della borghesia, con le logiche dispotiche del cuius regio ma anche con le voci del giusnaturalismo, della tolleranza, del costituzionali- smo politico, ecc.), risulta del tutto illuminato. L Pascal  s collocato nella polemica antiumanistica, e nella nascita della nuova scienza, ma vi  collocato come esponente di un modernismo pi maturo e consapevole. Egli sta al centro di quelliter culturale che contesta lautorit e la memo- ria del passato come segno efficace del fare-cultura. Alla memoria con- trappone il ragionamento, che si organizza nellesperienza e si attiene alla logica scientifica, la quale si appella a un pensare del genere umano come tale, e lo lega al presente, al pensare in atto di individui in carne ed ossa, qui e ora viventi e, appunto, pensanti. Qui Pascal sta gi sul fronte della futura Querelle des anciens et des modernes, valorizzando le posizioni dei 4 F. Papi, Giulio Preti: l'ombra vuota dellidea e il fuoco della passione, in F. Minazzi (a cura di), Il pensiero di Giulio Preti nella cultura filosofica del Novecento, Franco Angeli, Milano1988, pp. 36-37. TRE STUDI SU PRETI (E DUE APPENDICI) 97 moderni, per i quali gli antichi non bastano e il dubbio, la ricerca, il ragionamento, appunto, sono i nuovi principi metodologici, da poten- ziare oltre che da riconoscere e legittimare. Cos Pascal vive il travaglio del Moderno e lo riattiva nei suoi scritti solo apparentemente minori, co- me il Trattato sul vuoto (del 1647) e come L'arte di persuadere (del 1657). Sono due testi-chiave e proprio per capire la mentalit del Moderno e il suo stesso strumentario logico, che gi per Pascal si duplica in due model- li esemplari disposti sulle frontiere delle due culture. Tali modelli sono, appunto, la retorica e la logica. La prima convince, si basa sul gradimento, si appella al cuore e si rivolge a un uditorio ristretto, tendenzialmente ad hominem ed  propria dei saperi filologici, storici, religiosi. La seconda si lega allintelletto, guarda alla verit dimostrata, si connette a un metodo, si rivolge a un uditorio universale e, col Moderno, si lega anche a un prin- cipio di semplicit, oltre che di rigore formale, mutuato dalle matematiche. Sempre nellArte di persuadere, per, Pascal riconosce che ogni ragiona- mento parte da principi-valori indimostrati, bens presupposti e su di essi si sviluppa. Preti citer, nel 1958, tale punto di avvio del ragionare anche ne Il mio punto vista empiristico e lo citer come principio a cui sempre di fatto ci si attiene, anche nel filosofare. Ma che bisogna criticamente rico- noscere e sottoporre a verifica empirica, poich che la filosofia sia pensare senza presupposti  unaffermazione avente valore assai pi polemico che non costruttivo; essi sono scelti, anche se un filosofo deve motivare le sue scelte e necessariamente deve ricorre a quellesperienze che lo han- no ad esso indotto, esperienze sue s, ma in cui tutta una generazio- ne potr pi o meno, riconoscervisi. Tali scelte sono, insieme, formali e storico-socio-culturali, sempre. E vanno, sempre, motivate e mostrate, con un ragionamento persuasivo (mai dimostrativo). Ma c' di pi: in quelle pagine del 1968 Preti riconosce in Pascal anche il teorizzatore pi fine e inquieto delluomo moderno, della sua coscienza infelice e delle sue antinomie (tra intelletto e cuore, tra logos e pathos, tra miserie e grandezza). Pascal  il primo, netto interprete dellantropolo- gia del soggetto moderno, scisso, infelice, affranto, lacerato, ma insieme portatore consapevole della propria forza nel mondo, legata alla mente, al conoscere, alla scienza, alla tecnica e, insieme, alla coscienza di s e al possesso critico della propria immagine. Allora possiamo dire che Pascal , per Preti, il baricentro del Moderno (un interprete pi chiave di altri: da Bacone a Kant) e lo  proprio per- ch ne legge i nuclei pi profondi e li tematizza con precisa chiarezza: 1) il passaggio dallautorit alla ricerca, al metodo; 2) l'affermazione di due metodi diversi e complementari al tempo stesso: retorica e logica, appun- to; 3) la coscienza che pensa sempre collocata in un punto-di-vista che  valoriale e sociale, in quanto etico-culturale; 4) che protagonista di questa avventura di pensiero e di vita  sempre luomo finito, il singolo chiamato 5 G. Preti, Saggi filosofici, I-II, La Nuova Italia. Firenze1976, I, pp. 475-76. 98 FRANCO CAMBI a leggersi nelle sue contraddizioni di specie e nelle sue attese rispetto alla Vita, al Mondo, al suo Senso. I richiami di Papi (riconfermati, pi en passant e nella medesima oc- casione anche da Minazzi e Peruzzi) risultano del tutto efficaci per deli- neare il nesso Preti-Pascal, ma per rileggerlo soprattutto come chiave per ricomprendere proprio i caratteri-base del Moderno stesso. 3. Lidea avanzata di scienza Ma gi nel testo del 1968 Preti sottolinea anche lidea pi matura e pi squisitamente critica che Pascal ha della scienza. Un'idea legata allinflusso italiano, di Galilei e di Torricelli. Assai meno vicina al modello cartesiano. La sua scienza  sperimentale, in cui la matematica  strumento. Non fonda- mento e fine. Proprio il Trattato sul vuoto nella sua prefazione segue i criteri esposti da Galilei nella Lettera a Cristina di Lorena, valorizzando il ragio- namento che  antidogmatico in quanto rivolto a ricercare/scoprire verit nascoste. Qui valgono gli argomenti che cadono sotto i sensi o sotto il ra- gionamento. Essi stanno contro lautorit e esigono una mente libera, che produce invenzioni costantemente rinnovate. Preti parla, a questo pro- posito, di un positivismo tutto moderno, che ancora mancava in Galilei e neppure era cos nitido in Bacone. Anche se da Galilei stesso riprende il principio della progressivit del sapere scientifico che  progressivit della conoscenza di una natura per s eterna e immutabile. Tale progressivit  connessa, per, anche a un mutamento nelle teorie generali e nei concetti, e proprio perch le teorie sono generalizzazioni induttive fondate su fat- ti empirici, che possono rinnovarsi e mutare. Da ci Pascal deduce anche la perfettibilit del genere umano, da realizzare nel progresso scientifico. La scienza moderna si lega alla logica dellintelletto, che allora (nel Seicento)  governata dalle forme del discorso matematico posto come discorso perfettamente razionale. Una logica governata dallidea di semplicit, propria della natura e della mente. E riesumata, per cos dire, nellesprit de gometrie. Pascal, quindi,  scienziato modernissimo gi nel cuore del Seicento. Di quella scienza ancora in ascesa fissa i principi qualificanti: la speri- mentazione, il ragionamento logico-formale, il modello matematico, la funzione progressista e il proprio iter evolutivo/progressivo. Una scienza che ha gi in s molti dei miti del positivismo, come ben riconosce Pre- ti. Tra Galilei, Bacone e Cartesio Pascal occupa una posizione di fatto pi avanzata, criticamente pi sottile e culturalmente pi complessa, pur ri- tenendo dai tre Maestri elementi e suggestioni assai significative. E di cui Preti si fa testimone. Gi nel 1957, nella sua Storia del pensiero scientifico, Preti si era ferma- to su Pascal, riconducendolo verso il calcolo delle probabilit, verso la  G. Preti, Retorica e logica, Einaudi, Torino1968, p. 120. TRE STUDI SU PRETI (E DUE APPENDICI) 99 geometria proiettiva sintetica, sottolineandone la genialit precoce (ve- ro enfant prodige matematico, a soli sedici anni compone un Essay pour les coniques) e linflusso esercitato su Leibniz, a proposito del calcolo infi- nitesimale, come pure le annotazioni svolte sulla curva roulette (cicloide). Pur grande matematico (e anche tecnologo: costruisce nel 1642 la prima macchina calcolatrice) e anche logico matematico (si veda alla pagina 313 della Storia), Pascal va, per, valorizzato per la sua immagine della scien- za: matematica s, ma sperimentale; governata dal ragionamento; sempre storica ed evolutiva; orientata a scoprire i misteri della natura per gover- narla da parte delluomo, in un processo di continua perfettibilit umana. Nel testo stesso del 1959 che raccoglie Opuscoli e scritti vari Preti an- cora sottolinea che, tra le Provinciali, opera mirabile, ma che non get- ta alcuna luce sul pensiero pascaliano e non aiuta a capire la filosofia e la teologia di Pascal, e i Pensieri, opera frammentaria, disordinata e da altri riorganizzata intorno allApologia della religione cristiana, ma solo ipoteticamente, un ruolo-chiave hanno gli scritti minori per capi- re il sistema-Pascal proprio nel suo volto, appunto, sistematico. L, tra opuscoli e lettere, cogliamo tutta la ricchezza e lorganicit di un pensiero squisitamente moderno nei principi e nellarticolazione. Anche qui Preti riconferma il suo significativo dialogo col pensatore francese, sviluppan- done, sia pure per cenni, una visione dinsieme. 4. Stili del pensiero: tra logica e retorica Per Preti, quello del 1968, Pascal  anche il teorizzatore pi attento e organico (e proprio in quanto posto alle origini stesse del Moderno) della lettura metodologica e critica e problematica delle due culture. Come gi detto,  Pascal a teorizzare lopposizione e specificit di retorica e logica, ma anche a fissare la loro funzione relativa nella cultura e la loro storica gerarchizzazione, connessa a presupposti ideali e axiologici, individuali s, ma soprattutto collettivi. Se, come Preti ricorda nellincipit del suo vo- lume, la polemica tra le due culture  vecchia,  anche attualissima oggi, in questo momento di crisi di tutti i valori e di perplessit morale in cui gli intellettuali si interrogano sul proprio agire, ma momento in cui una gloriosa ma vetusta civilt deve fare i conti di cassa*. La differenza e la funzione distinta e la possibile (o no) complementarit tra letteratu- ra e scienza ci sta davanti in modo radicale e va rivista per comprendere struttura e funzione della cultura che  proprio oggi - non possiamo ab- bandonare e proprio perch il mondo  attraversato da giovani barbari a Est e a Ovest. Non  un caso, infatti, che tale problema sia stato rilan- ciato proprio negli anni Sessanta: di crescita della cultura di massa, ma anche di proliferazione delle scienze e di rilancio del pensiero poetico; 7 B. Pascal, Opuscoli e scritti vari, a cura di G. Preti, Laterza, Bari 1959, p. 110. 8 G. Preti, Retorica e logica, cit., p. 9. 100 FRANCO CAMBI tra le due culture vige, cos, un'opposizione, un contrasto, testimoniato da tutta una serie di saggi che non oltrepassano questo confine dellaut- aut. Il problema  da riprendere sia in senso storico, sia in quello teorico. Tale dualismo attiene al Moderno, di cui siamo direttamente figli. Ed  strutturato dalle due logiche gi pascaliane e che ora possiamo rileggere alla luce delle coppie filosofiche di Perelman e risolvere meglio secon- do un'ottica complementare e dialettica di cui Preti? ci offre il paradigma formale e lanalisi integrata, subordinata sempre a un criterio di valore di cui una fase storica della civilt  di fatto depositaria. Dentro gli emisferi della logica e della retorica Pascal ci conduce da maestro. Ne rileva i principi propri e regolatori, come pure le radicali dif- ferenze postulando anche una loro scelta come base di una valorizzazio- ne storica o delluna o dellaltra. Pascal, dentro il Seicento, rivive questo problema delle due logiche in modo esemplare, ma il tema-problema,  del secolo; secolo che si pone come una radicale rottura con un lun- go passato di civilt ma soprattutto nei confronti del Rinascimento umanistico! e vi collaborano, in vari modi, Galilei, col suo platonismo, Bruno, con la metafisica delluomo Uno-Infinito, Bacone, col suo Novum Organom e il De Argumentis, Montaigne, col suo individualismo scettico e stoico, Cartesio, col suo matematismo come fondamento delle Regulae: in tutti il dualismo tra scienza e letteratura si esprime e si impone come il tema del secolo. Ma  Pascal ad entrare pi specificamente nel modello delle due logiche ed a teorizzarle nel loro specifico e complementare con- gegno. Pascal cos svolge un lavoro esemplare a cui noi stessi, oggi, dob- biamo attingere per disporci alla quota pi alta (o dialettica) per rileggere strutture e funzioni delle due culture. Come il testo di Preti programma- ticamente (gi dal titolo) si propone di fare. E lo fa in modo esemplare nei capitoli terzo e quarto che rileggono Retorica e Logica e Cultura axiologi- ca e Cultura teoretica secondo un dettato analitico e culturale assai fine. 5. La dimensione teoretica delle Provinciali Certo, Preti  anche lettore e traduttore e prefatore delle Provinciali, sulle quali  tornato, in particolare, due volte: nel 1954 e nel 1972. Fermia- moci sul testo pi tardo. L il testo pascaliano viene con precisione con- testualizzato nel contrasto gesuitismo/giansenismo, viene riportato alle complesse polemiche teologiche e pastorali, viene riconosciuto come ca- polavoro della letteratura francese classica!!, ma, in particolare, viene sottolineato un suo fascino teoretico relativo al pensiero religioso, s, ma ancor pi al tessuto logico-dialettico dellargomentare. Cos le Provin- ciali mediano esprit de gometrie e esprit de finesse, umiliano la ragione ? Ivi, pp. 50, 51-54. 10 Ivi, p. 65. 1 B, Pascal, Le Provinciali, a cura di G. Preti, Einaudi, Torino 1972, p. VIII. TRE STUDI SU PRETI (E DUE APPENDICI) 101 ma attraverso la ragione e fanno emergere, in tal modo, le vie daccesso alla fede e all'esperienza del sacro. Preti rilegge le Provinciali alla luce del suo Pascal del 1968 e ne pone al centro con pi decisione la stessa con- traddizione fondamentale, che  testimonianza proprio della condizione umana.  solo un accenno, ma assai significativo. Attraverso lo scetticismo si minano alla base le superbe pretese della ragione. Per [...] nella critica scettica  la ragione stessa che si distrugge in nome del suo stesso non raggiunto valore ideale assoluto; e la forma del di- scorso razionale resta pur sempre la forma in cui fede ed esperienza del sacro si esprimono, almeno per chi, essendo ancora vivo,  legato alla condizione umana - alla miseria come alla grandezza di questa. Sono le parole che chiudono lIntroduzione al testo maior pascaliano e l Preti mette a fuoco il legame tra scetticismo-fede-ragione (ancora), ra- dicando tale inquieto mlange cognitivo nella stessa condizione umana, in quellantropologia materiale del finito che Preti aveva, nel 1957, descritto tra Marx e Dewey e che ora ritorna, ma in una sequenza pi dialettica e pi inquietante proprio nel finissimo pensiero di Pascal. S, si tratta solo di un accenno, che Preti integra poi, per, con altri punti: la lettura delle- sprit de finesse (dove c' una forte molteplicit di principi da applicare si- multaneamente e che tratta la saggezza della vita); lo scontro tra due concezioni religiose, due esperienze religiose, due modi di vivere lespe- rienza religiosa entro la medesima Chiesa, rappresentate da gesuitismo e giansenismo; gesuitismo che Preti rilegge, per, come compito attivo, per realizzare il Regno di Dio che deve advenire, realizzarsi sulla terra, costruendo entro la Chiesa dei credenti, il Corpo Mistico di Cristo'9; nel giansenismo pascaliano si colloca la fede come disperazione e scom- messa contro la vita: un punto di vista che da allora fino ad oggi il catto- licesimo non ha mai potuto accettare!. Le Provinciali, lette cos in filigrana, testimoniano che alla fine  stato proprio l'atteggiamento (se non l'insegnamento) molinistico che si  impo- sto nel mondo cattolico, e agisce tuttora (come atteggiamento, non come dottrina teologica nella sua organicit sistematica) sugli ultimi, fino a poco tempo fa imprevedibili, sviluppi del cattolicesimo della contestazione. Come pure testimoniano la complessit della teoresi pascaliana ricompo- sta nel suo intero, di cui rimandano anche le interne tensioni e le appa- 2 Ivi, p. XIX. 3 Ibid. 4 Ivi, p. XV. 1 Ivi, p. XVI. 16 Ivi, p. XVII. v Ivi, p. XIX. 18 Ivi, p. XIV. 102 FRANCO CAMBI renti contraddizioni, come pure la radice stessa della problematica di tale teoresi, collocata nellambito inquieto/inquietante della esistenza umana, in cui miseria e grandezza sono gli aporetici sigilli. Forse possiamo dire che, attraverso Pascal, Preti affina il suo stesso pensiero e, nella sua ultima stagione, ne ripensa i principi antropologici e storici, coniugando insieme finitezza e progresso in una dimensione di razionalit e critica e costruttiva al tempo stesso, aperta alla sfida reci- proca di questi due modelli cognitivi (gometrie e finesse) che si media- no attraverso lo scetticismo. E qui forse anche il saggio sullo scetticismo, uscito postumo (nel 1974), si fa interlocutore significativo e complemen- tare. Con esiti pi generalizzanti, anche. Riferimenti bibliografici F. Cambi, Metodo e storia. Biografia filosofica di Giulio Preti, Grafistampa, Firenze 1978. F. Cambi, Razionalismo e prassi a Milano (1945-1954), Cisalpino- Goliardica, Milano 1983. F. Cambi, Cassirer nel pensiero di Preti: una matrice essenziale, Il Protagora, gennaio-giugno 2010. M. Dal Pra, Studi sullempirismo critico di Preti, Bibliopolis, Napoli 1988. M. Dal Pra, F. Minazzi, Ragione e storia, Rusconi, Milano 1992. E. Garin, Cronache della filosofia italiana, 2 voll., Laterza, Bari 1966. E. Garin, Ricordo di Giulio Preti. Tre libri, Rivista critica di Storia della filosofia, 1974, 4. P.L. Lecis, Filosofia, scienza, valori. Il trascendentalismo critico di G. Preti, Morano, Napoli 1989. J.-F. Lyotard, La condizione postmoderna, Feltrinelli, Milano 1981. G. Mari (a cura di),, Moderno/postmoderno, Feltrinelli, Milano 1985. F. Minazzi, Giulio Preti: bibliografia, Angeli, Milano 1984. F. Minazzi (a cura di), Il pensiero di Giulio Preti nella cultura filosofica del Novecento, Franco Angeli, Milano 1988. F. Minazzi, Lonesto mestiere del filosofare. Studi sul pensiero di Giulio Preti, Franco Angeli, Milano 1994. F. Minazzi, Il cacodmone illuminista, Franco Angeli, Milano 2004. F. Papi, Il pensiero di Antonio Banfi, Parenti, Firenze 1960. B. Pascal, La morale dei Gesuiti: dalle Provinciali, (a cura di G. Preti), Feltrinelli, Milano 1954. B. Pascal, Opuscoli e scritti vari, a cura di G. Preti, Laterza, Bari 1959. B. Pascal, Le Provinciali, a cura di G. Preti, Einaudi, Torino 1972. A. Peruzzi (a cura di), Il cuore della ragione. Omaggio a G. Preti, Gabinetto Viesseux, Firenze 1987. A. Peruzzi (a cura di), Giulio Preti filosofo europeo, Olschki, Firenze 2004. G. Preti, Idealismo e positivismo, Bompiani, Milano 1943. G. Preti (a cura di), Pascal e i giansenisti, Garzanti, Milano 1944. TRE STUDI SU PRETI (E DUE APPENDICI) 103 G. Preti, Praxis ed empirismo, Einaudi, Torino 1957. G. Preti, Alle origini dell'etica contemporanea. Adam Smith, Laterza, Bari 1957. G. Preti, Storia del pensiero scientifico, Mondadori, Milano 1957. G. Preti, Retorica e logica, Einaudi, Torino 1968. G. Preti, Que ser, ser, Il fiorino, Firenze 1970. G. Preti, Presentazione, in E. Cassirer, Determinismo e indeterminismo, La Nuova Italia, Firenze 1970. G. Preti, Umanismo e strutturalismo, Liviana, Padova 1973. G. Preti, Presentazione, in E. Cassirer, Sostanza e funzione, La Nuova Italia, Firenze 1973. G. Preti, Lo scetticismo e il problema della conoscenza, Rivista critica di storia della filosofia, 1974, 1-2-3. G. Preti, Saggi filosofici, I-II, La Nuova Italia, Firenze 1976. G. Preti, In principio era la carne. Saggi filosofici inediti (1948-1970), Angeli, Milano 1983. 104 FRANCO CAMBI Appendice 1: Uno sguardo su Preti dal Postmoderno 1. A quasi quarantanni dalla morte di Preti possiamo dire che il cli- ma filosofico  mutato? Che nuovi paradigmi hanno preso corpo e cittadi- nanza nel pensare filosofico stesso? Che siamo, ormai, dentro una nuova stagione del pensare? S, forse dobbiamo dirlo. E analizzare il nuovo con- testo (en structure) e l ripensare lo stesso messaggio filosofico di Preti. Quali i caratteri dominanti in questo iter di rimessa a fuoco del filosofico in questi quarant'anni? Primo. Il richiamo a un tempo nuovo, Postmoderno, da rileggere an- che nellottica della Globalizzazione e dellIntercultura. Come pure s dei Grandi Racconti, ma anche dellEtnocentrismo e dellUnicit di una Tra- dizione dichiarandoli esauriti. Il pensiero, qui e ora, si fa plurale, dismor- fico, complesso. E s attiva in questo confronto/conflitto/dialogo, sempre. Secondo. Il primato di un modello del pensare come interpretazione (rispetto allo spiegare) che si attiva da un contesto, fatto di credenze e di valori (riconosciuto anche da Preti, ma posto nella superiorit della Tra- dizione Occidentale del Logos/Ratio/Vernunft). Pensiero che ha in s un punto-di-vista rispetto alla stessa teoreticit e che, se viene criticamente esposto e esaminato, si rivela come processo interpretativo meglio rappre- sentato dal circolo ermeneutico, sia pure laicizzato, per cos dire. Terzo. L'avvento di un pensiero post-metafisico radicale, che respinge ogni fondazione. Anche quella analitica, quella empiristica e si colloca, inve- ce, in un'esperienza plurale complessa, problematica sempre, di cui le filoso- fie del Novecento ci hanno dato una ricca e significativa lettura, ma proprio nella loro variet/complessit/interazione, pi che singolarmente prese. Sono, ovviamente, tre caratteri sommariamente indicati. Ma sui quali esiste, ormai, una ricchissima letteratura critica e una ricostruzione storica efficace, per farci capire che il nostro pensare filosofico, oggi, si dispone su una frontiera ancora pi radicale rispetto agli anni del pensiero pretiano. Pi radicale attraverso Nietzsche, Heidegger, il secondo Wittgenstein, au- tori, infatti, di cui il pensiero pretiano non si  mai, ex professo, occupato. Collocandosi cos in unaltra epoca. Se pure rappresentandola al meglio. 2. Ma, letto da qui, il pensiero pretiano ci parla ancora? E cosa ci dice? Cosa pu dirci? Intanto ci testimonia, possiamo dire, il punto di arrivo del tempo che precede il Postmoderno, il Novecento in senso proprio. E da l ci invia alcuni messaggi che si accordano col Postmoderno stesso e ci in- vitano a abitarlo efficacemente, dal punto di vista teoretico. Quindi Preti pur dal prima-del-Postmoderno ci invita ad attraversarlo in modo signifi- cativo poich ci rimanda unimmagine di pensiero pi orientata a quella complessit e problematicit attuale. Intanto in quanto pensiero sempre in fieri, in movimento e in condizione di dialogo con tutti i fronti del pensare filosofico, ergo dinamico e dialettico ad un tempo. Poi in quanto pensie- ro che, pur legandosi a un trascendentalismo logico-dialettico e alla cen- tralit del mentale come Logos, sviluppa questi aspetti in una prospettiva TRE STUDI SU PRETI (E DUE APPENDICI) 105 problematica. Si pensi alla storicizzazione degli a-priori presente gi nel suo pensiero pi maturo. Si pensi anche agli esiti complessi sulla cultura e sui linguaggi che la regolano criticamente in Retorica e logica. Sono gi segni efficacissimi di un possibile dialogo col Postmoderno. Gli a-priori possono essere sviluppati in senso storico-linguistico-antropologico (cul- turale), se dipanati su se stessi. La dialettica dei modelli mentali/linguistici complica la nozione di mente e problematizza il Logos, legittimandone un pluralismo, che pu, anch'esso, essere ulteriormente radicalizzato. E an- cora: lanthropos a cui Preti tiene fisso lo sguardo  luomo corporeo in cui passione e pensiero, organicit e mente si scandiscono come polarizzazioni da dialettizzare, da unificare in un processo reale: di vissuto, di materialit (corporea e sociale), di storicit (socio-comunicativa e culturale). Luomo in carne e ossa posto al centro di Praxis ed empirismo  un buon inizio per una filosofia del Postmoderno, se pur da rendere pi socio-culturale e meno materiale, recuperandone la complessa storicit. Che Preti lascia in penombra, ma che non elide affatto. 3. Su queste tre frontiere (o a partire da queste) potremo fissare il dia- logo Preti-Postmoderno e accogliere alcuni legati del suo pensiero. Con unoperazione di ritaglio? Non proprio. Se si tiene conto del primo punto gi sopra ricordato. Preti  una sintesi aperta e critica e complessa del Mo- derno (e del Novecento come suo), approdo al tempo stesso s esemplare, ma anche problematica. Tutto il suo iter di pensatore nel suo dinamismo e nel suo profilo complesso (di dialogo e di sintesi tra i modelli filosofici novecenteschi) si dispone ad essere emblema e frontiera di tutta unavven- tura europea e occidentale del pensiero. Posizione che Preti - come pi volte  stato ricordato: da Dal Pra, da Minazzi, anche da Peruzzi e molti altri, e un po anche dal sottoscritto - occupa in modo limpido e che lo rende una figura-chiave della filosofia europea. Forse pi chiave di tante altre pi conosciute/riconosciute e pi enfatizzate. Infatti di quel Nove- cento Preti rivive e interpreta: 1) il pluralismo dinamico e dialogico, ri- letto nellottica della sintesi; 2) l'approdo a una sintesi non sistemica, ma problematica, sempre; 3) i nuclei attorno ai quali quellapprodo si articola nella sua identit tensionale e problematica, quindi aperta: il Logos, gli a- priori, la dialettica delle formae mentis e dei linguaggi, la soggettivit che li possiede e sostiene; 4) lidea di esperienza che vicina a elaborare, sempre pi lontana dallempirismo classico e neo e sempre pi vicina ad una teo- ria dellesperienza che si profila complessa, dialettica, polimorfa e sempre dinamica e in senso sociale, culturale e storico. Il pensiero di Preti si dispone sulla frontiera delle filosofie del Novecen- to come un indicatore sensibile del loro divenire, integrarsi, criticamente aprirsi luna verso laltra e del loro produrre una sintesi efficace per farci comprendere il nostro stare-nell-esperienza e la formalizzazione stessa dellesperienza.  da qui che bisogna partire per decidere se e come Preti ci aiuta per leggere lo stesso Postmoderno, epoca che gli sta oltre s, ma di cui egli, con la sua fine sensibilit teoretica e culturale, ha gi accennato 106 FRANCO CAMBI in alcuni nodi problematici, pur lasciandoli ai margini del proprio eser- cizio di ricerca. Perch? Per il suo trascendentalismo neokantiano che guarda alle logiche pi che ai vissuti. Per il suo vincolo a unidea di Mo- dernit, dominata dalla scienza e da una societ problematica al suo in- terno, che ha bisogno di modelli e valori fermi e regolativi. Di cui ancora Kant (riletto con Marx e con Dewey) e aggiornato con Cassirer, ma anche con Pascal, ci pu essere una guida preziosa. Sta per, di fatto, che nel suo pensiero certi margini del Moderno sono evocati, compresi come problemi e rilanciati come problemi aperti (sia pure sottovoce). Quindi come inter- prete sintetico del Novecento, come enunciatore di alcuni suoi problemi interni, come evocatore di un (possibile?) procedere-avanti (o oltre? for- se no, ma lavanti c', c' accennato, come gi detto), come enunciatore di nodi-problematici, come teorico di un'esperienza riletta alla luce di pi filosofie, significative tutte per possederne la complessit: da tutti questi punti Preti ci parla anche nel Postmoderno. Non del Postmoderno. Ma ci aiuta a capire alcuni nuclei-di-base e alcune frontiere interne, sia pure con quel suo disegno filosofico fortemente ancora trascendentalistico (che  un punto donore e un limite, in parte, al tempo stesso) e non pi aper- tamente interpretativo come  postulato dallavventura postanalitica, er- meneutica, decostruttiva e sempre legata a un Logos come interpretazione propria del Postmoderno. Un Postmoderno ora (2011) gi in declino, per un ritorno della razionalit forte del tecnologico, tarata su una ragione costruttivistica e ormai lontana dalle critiche radicali e dai rovesciamen- ti della ratio critico- ermeneutica? Forse, ma non in modo cos connotato come passaggio senza ritorno e come ripresa di un dogmatismo funzionale alla societ iperproduttiva e ipertecnologica del presente, poich anches- sa niente affatto esentata dal comprendersi criticamente, radicalizzandosi nelle strutture e funzioni, sviluppandole alla luce della razionalit critico- radicale di cui il Postmoderno  stato (ed ) un emblema preciso, efficace e ancora oggi, alla fine, necessario. TRE STUDI SU PRETI (E DUE APPENDICI) 107 Appendice 2: Ricordo di Preti come docente universitario Ho seguito le lezioni di Preti sia come allievo sia come uditore nel cor- so degli anni Sessanta e poi fino allanno della morte. Per me  stato un punto di riferimento nella mia formazione di studente e poi di studioso e un vero maestro di lavoro intellettuale, insieme al prof. Borghi. Sono i due docenti che nelliter dei miei studi hanno lasciato pi traccia e con stili di- versi di didattica e di impianto culturale dei loro studi. Preti come docente si atteneva a un modello didattico tradizionale, ma rigoroso ed efficace nel trasmettere la complessit e la ricchezza di una disciplina come la filosofia. Le sue lezioni erano lineari e organiche. Re- citate seguendo un percorso gi scritto, in cui anche le citazioni da testi erano gi trascritte. Lezioni, quindi, che erano gi degli studi da pubbli- care. Come poi di fatto  avvenuto per i suoi ultimi corsi, curati da allievi, e in cui si ritrovano i caratteri del suo lavoro di studioso e di docente. In Preti, infatti, il filosofo e il docente di filosofia erano strettamente uniti. Cos i suoi corsi risultavano precisi, argomentati, e - come gi detto - li- neari e organici. Cos anche gli allievi erano introdotti dentro un pensa- re-filosofico puntuale e nel linguaggio e nellargomentazione come pure denso, densissimo di riferimenti storico-filosofici e, talvolta, anche scien- tifici. Corsi che spaziavano su tutto il panorama della filosofia occidentale. Io stesso ho seguito corsi su Hegel, sulla nascita della logica in Grecia (e poi del discorso morale), sulla costruzione di un mondo morale, ma an- che su Popper, Hempel e su Moore. Mia sorella ne segu uno su Tommaso dAquino e il pensiero medievale. Corsi in cui i testi degli autori venivano letti, esaminati e commentati con grande attenzione sia filologica sia cri- tica. Certo, erano delle lezioni molto lectiones. Che potevano apparire (e lo erano) s di alta tradizione accademica, anche se un po ingessate. Prive di digressioni, di discussioni tra allievi e docente (verso il quale si aveva tutti e soprattutto massima reverenza), di interventi dal vivo. Infatti, in esse era pi il pensiero-pensato messo al centro che non il pensare-in-atto, il costruirsi stesso del pensare filosofico, il suo stesso interno problema- tizzarsi, decostruirsi e ricostruirsi. Anche se, sempre, pensiero-pensato di altissimo profilo. Certamente era un modello didattico che proprio negli anni Sessanta veniva rimesso (e radicalmente) in discussione, dichiarato troppo trasmissivo e baronale. E si pensi al ruolo avuto dal 68 anche co- me rivoluzione didattica, universitaria in particolare. Ora erano i seminari a prendere il posto delle lezioni. E seminari significava studiare insieme e percorrere terreni di indagine (e di metodo) pi aperti. A tutto ci Pre- ti rimase insensibile. Anzi fu ironicamente contrario, in difesa del rigore e della sistematicit del sapere, quindi della sua aristocraticit, e di lin- guaggi e di forma mentis, che reclamava il suo essere esposto e non altro. Quanto allo stile comunicativo di Preti era soprattutto scientifico e anche distaccato, senza colloquio coi giovani nello spazio della lezione, mentre lo era (e anche un poconfidenziale) fuori dello spazio della lezio- ne stessa, quando il docente si fermava a parlare (s di filosofia, ma anche 108 FRANCO CAMBI del pi e del meno) con gli allievi e metteva pi a nudo la sua umanit: ironica, ma colloquiale, curiosa e, pur con molte mediazioni e con precisi formalismi, affettuosa. Qua e l, con una battuta  anche nelle lezioni, ma raramente -, con una breve digressione scherzosa, il Preti-docente salta- va fuori dal registro scientifico. E faceva emergere i suoi connotati di uo- mo: scettico di fondo, ma sensibile alla comunicazione personale (se pure frenata e occasionale). Uno scettico che nel registro ironico fissava il suo identikit comunicativo. E con unironia che talvolta invadeva la comu- nicazione anche coi colleghi (e si faceva anche tagliente) e si manifesta- va anche nei momenti ufficiali (negli esami e negli stessi esami di laurea: singolarmente ironiche erano le note che faceva in calce alle tesi di laurea per la discussione; mi ricordo, scritto di suo pugno, unacqua fresca!). La sua era anche una comunicazione umorale, a seconda dei giorni e dei suoi stati d'animo. Alloccasione perfino un po dispettosa. Ricordo di una studentessa che interrogata sullo scetticismo lo defin un movimen- to deleterio e che fu allontanata con un via, via... fuori, fuori da Preti, senza altro commento. Ma ricordo anche il suo salutare, per strada, oscil- lante a seconda dellumore, denunciato un po da tutti gli allievi. Ricordo anche il procedere delle sue lezioni. Avviate sempre in orario. Alle quali giungeva col suo quaderno di appunti e rigorosamente senza libri. Che esprimeva con ordine, scandite dal fumo di molteplici sigarette (Gauloises) e inframezzate da colpi di tosse. Che chiudeva facendo un segno sul suo quaderno di appunti. Che, come ho detto, ogni tanto spezzava con battute ironiche: ne ricordo una, in un corso di morale, che si riferiva alla perora- zione di una sua zia che lo invitava a non andare a ballare come prova di un modello moralistico e diffuso di etica privata. Dette con garbo e con efficacia, appunto, ironica. Fu assente in tanti anni, solo allultima lezione, nel 1972, senza preavviso e con sorpresa di tutti. Forse un avvertimento per una carriera arrivata alla fine e chiusa con un segnale informale di addio? Forse. Due mesi dopo in Tunisia Preti moriva. E le sue sofferenze erano gi visibili nella sua difficolt di tenere (per durata, non per altro) la lezione come pure di muoversi senza che, ogni tanto, non si ripiegasse su stesso premendosi laddome (come gi accadeva  a volte  per strada). Ma come, per gli allievi della mia generazione, Preti  stato educato- re e formatore? Educatore lo  stato per il suo stile di uomo, riservato e ironico, libero e distaccato (dal politico, dall'Accademia), da intellettuale disorganico (ergo critico, critico-radicale, ancorato al dissentire e al pro- blematizzare). Formatore lo  stato per il suo magistero scientifico: per lo stile (rigoroso, preciso, logicamente denso e organico, come gi detto) del suo pensiero che nelle lezioni appariva nel suo essere risultato (per dirla con Hegel), ma che si imponeva come modello. Ripeto: di pensiero-pen- sato? S, ma per questo anche del pensiero-pensante, richiamandolo alla documentazione, allanalisi, all'evidenza del tessuto teoretico. Allora: 1) Preti fu, per molti allievi, un incontro decisivo; 2) tenne fede a una tradizione accademica alta e la mostr ancora allopera e con pre- cisione; 3) tenne fede anche alloggettivita della ricerca (lasciando fuori TRE STUDI SU PRETI (E DUE APPENDICI) 109 il suo pensiero e i suoi testi dalle lezioni, pur importanti e di successo che fossero); 4) introdusse i giovani a un lavoro filosofico rigoroso; 5) cultu- ralmente denso e metodologicamente consapevole; 6) tenne viva quella figura dellintellettuale s schierato ma mai organico e la conferm an- che negli anni in cui veniva rimessa radicalmente in discussione (tra 68 e dintorni).  stato, quindi, un vero Maestro. Un Maestro depoca? Anche. Ma che ancora pu insegnarci, e non poco, anche sul piano della didat- tica (il rigore) e della comunicazione (l'atteggiamento ironico). Anche in tempi, come i nostri, ormai lontanissimi da quelli del Mondo Occidentale degli anni di Preti, culturalmente, politicamente, anche filosoficamente e perfino accademicamente. E qui va aggiunto un purtroppo. Ripensare il magistero di Preti pu essere, anzi e proprio, assai utile nella deriva at- tuale e della Cultura e dellUniversit. SPIGOLATURE ALLA GIULIETTO Alberto Peruzzi Che lItalia sia patria di santi, navigatori e poeti pu essere universal- mente riconosciuto con relativa facilit. Sullidea che sia anche patria di altrettanto numerosi filosofi, il consenso  meno ampio - e a ragion ve- duta. Naturalmente non  il mero numero che interessa: s'intende gran- di filosofi. Certo, potremmo far leva sui presocratici, che per scrivevano in greco, e sui medievali, scriventi in proto-italico, che con Roma in un modo o nellaltro avevano a che fare. Ma poi? Troviamo teologi, metafi- sici di ogni specie, traduttori, chiosatori, divulgatori, polemisti e infine storici della filosofia. Tanti  e alcuni anche grandi. Mentre di gente che (1) abbia elaborato idee nuove, avendo presente lo stato dellarte in ambi- to internazionale, e (2) le abbia argomentate con scrupolo in relazione a temi concernenti la natura, la conoscenza, il linguaggio, la mente, letica, l'estetica... ne troviamo pochina. Galileo parlava di s come matemati- co e filosofo, se non fosse che oggi lo consideriamo un fisico pi che un matematico o un filosofo; e anche se il significato dei termini cambia nel corso dei secoli, potremmo nel migliore dei casi dire che  stato anche fi- losofo. Analogamente, Leopardi  stato anche filosofo morale, ma prima di tutto resta un grande poeta. Basta scorrere lelenco dei principali autori dei quali tratta un comune manuale di (storia della) filosofia, per accorgersi che di italiani ce ne sono pochi. I manuali, in genere, coprono per sommi capi e in modo confuso il XX secolo, ma siccome siamo gi nel XXI  presumibile che nei prossi- mi anni le cose cambieranno. Allora supponiamo di ritrovarci nel 2030 e di avere davanti un manuale di filosofia fresco di stampa. Di quali grandi filosofi italiani del XX secolo dovrebbe parlare? Sono pronto a scommet- tere che fra essi non ci sar un nome che invece lo meriterebbe: quello di Giulio Preti. Nato a Pavia nel 1911 e morto a Djerba (Tunisia) nel 1972, il giovane Preti si leg al gruppo milanese di Antonio Banfi, collaborando stabil- mente alla rivista Studi filosofici. Tra i primi in Italia, si interess di feno- menologia, di semantica, di meta-etica e di storia del pensiero scientifico. Tra le sue opere, ne segnalo tre: Idealismo e positivismo (1943), Praxis ed empirismo (1957), Retorica e logica (1968), da cui sono tratti i brani sotto riportati. Figura di spicco nella breve stagione del neoilluminismo, Preti fu tra i primi che tennero in Italia lezioni di logica matematica e filosofia Franco Cambi e Giovanni Mari (a cura di) Giulio Preti : intellettuale critico e filosofo attuale ISBN 978-88- 6655-039-6 (print) ISBN 978-88-6655-044-0 (online PDF) ISBN 978-88-6655-048-8 (online EPUB)  2011 Firenze University Press 112 ALBERTO PERUZZI della scienza - e non con lo spirito divulgativo degli apostoli in eterno ri- tardo, ma sulla scorta di ricerche di prim'ordine che entravano nel vivo delle questioni allora dibattute in Europa e in America. Fu lunico italiano della sua generazione che avrebbe potuto discutere con Russell e Carnap senza farsi mangiare la pappa in capo - e, tra i colleghi che pi o meno avevano la sua et, il solo Geymonat arriv a riconoscerne la differenza di statura. Purtroppo, Preti ha sempre ed esclusivamente scritto in italia- no, quindi le sue idee non hanno avuto influenza (come meritavano) sulle frontiere della ricerca in campo internazionale.  solo in anni recenti che allestero, e soprattutto in Francia, si stanno accorgendo che Preti aveva anticipato strade che hanno poi reso famosi nel mondo altri nomi... che da lui avrebbero ancora molto da imparare. La scienza  utile, la filosofia  vera - la scienza  prassi, la fi- losofia  conoscenza, queste celebri frasi di una famigerata dottrina si odono risuonare fin troppo spesso. Confesso che non so confutarle - non le capisco. Come non capisco il pragmatismo in genere. [...] Il nuovo positivismo, razionalismo critico [...]  dunque antimetafisico. Suo compito  l'indagine delle forme e strutture dell esperienza e del- la cultura. [...]  dunque una filosofia fatta di lavoro, in cui il filosofo lavora senza ambizione, senza volere nella filosofia porsi come rivela- zione, non come un artista o un profeta religioso, ma piuttosto come uno scienziato che collabora con tutta lumanit a costruire il sapere degli uomini. La filosofia ha sempre aspirato ad essere scienza; e forse ci che la distingue dalle singole scienze  soltanto il fatto che, mentre queste attuano lideale scientifico nei riguardi di una sezione partico- lare dellesperienza, la filosofia deve trasporre tutta quanta lesperienza nella sua forma di scientificit. Non  dunque scienza, ma scientificit (Idealismo e positivismo, 1943). Ecco quindi il significato di una cultura democratica. Non si tratta di una cultura facile, dilettantesca, da universit popolare o piccola divulgazione: perch questa, ove non sia sorretta da autentica cultura preparata altrove con limpiego delle tecniche appropriate, ri- schierebbe di non essere cultura affatto, e tanto meno dunque cultura democratica. [...] L'essenziale  che, sia pure attraverso i debiti gradi di apprendimento (di apprendimento, non di iniziazione!), tutti pos- sano, senza aver bisogno di rivelazioni privilegiarie, arrivare a sapere tutto quello che altri sanno. L'essenziale  che non ci siano autorit, che la cultura si fondi su qualcosa che tutti possano verificare in co- mune [...] (Praxis ed empirismo, 1957). Una motivazione scientificamente invalida rende invalido il giu- dizio di valore che su essa si appoggia: e la civilt di un popolo si mi- sura dalla scientificit delle motivazioni dei suoi giudizi di valore. Un popolo che appoggia le sue valutazioni a motivazioni prescientifiche o antiscientifiche  un popolo incivile: tutto il suo ethos scade ad im- posizioni bestiali e tiranniche (Retorica e logica, 1968). SPIGOLATURE ALLA GIULIETTO 113 Varie iniziative sono state progettate per ricordarlo nel centenario del- la nascita di Giulio Preti: giornate di studio, convegni, cicli di lezioni a lui intitolate e perfino un sito internet. Nel momento in cui scrivo queste righe, soltanto alcune delle iniziative in cantiere sono gi state realizza- te, altre sono in corso, altre vedranno la luce nel prossimo autunno. Pri- ma della fine dellanno  ragionevole supporre che se ne aggiungeranno di nuove, delle quali finora non  giunta notizia. A cose fatte se ne potr trovare l'elenco completo sul sito , cui rimando per informazioni circa lelenco delle opere di Preti, riferimenti alla letteratu- ra critica e, appunto, indicazioni riguardo alle iniziative per il centenario. A causa di un imprevisto dellultima ora, a Firenze  stata cancellata un'intera giornata di studi dedicata a Preti, organizzata da Franco Cambi presso la Facolt di Scienze della Formazione, in cui Preti fu docente (ai suoi tempi si chiamava Magistero e, lo so, era unaltra cosa). Peccato, c'erano le premesse perch la giornata di studi fosse una pregevole occasione per discu- tere di Preti e sviluppare un fecondo confronto di idee, ma, a testimonian- za della volont di chi aveva organizzato la giornata fiorentina, le relazioni in programma saranno pubblicate in volume entro la fine di quest'anno. Le spigolature che seguono sono dunque una strana creatura: dovevo mettere sulla carta le parole dapertura che avrei pronunciato se la giornata di studi si fosse tenuta e ho finito per scrivere qualcosa di diverso. Certo, sono ancora parole di circostanza, relative all'anno del centenario della nascita di Preti, ma hanno acquistato una valenza pi generale: alludono a uno spirito che, quando un evento celebrativo si svolge, manca e, quan- do non si svolge, non manca. Evidentemente, qualche premessa di quanto sto per dire dev'essere sbagliata. Lascio a voi scegliere quale.  gi curioso che il volume di atti di una giornata che non c stata sia la prima opera pubblicata per il centenario di Preti. Verosimilmente, altro seguir sotto forma di atti di conferenze o di articoli su giornali e riviste; e in effetti, anche se concentrati in poche citt, gli eventi celebrativi pre- visti in memoria di Preti non sono pochi. Chiunque si sia interessato alla filosofia di Preti, alla sua figura di intel- lettuale, al suo magistero, al suo lascito di idee, non pu che rallegrarsi di una simile fioritura di iniziative, alcune delle quali si propongono perfino sulla scena internazionale. Ed  una collocazione pi che giusta: dovendo stilare un elenco dei filosofi italiani del Novecento che abbiano dato un contributo di rilievo durevole e non circoscritto al contesto peninsulare, il nome di Preti  infatti uno dei pochi presentabili allestero. Eppure, quello di Preti non  un nome che ricorra sulla bocca di fi- losofi e storici della filosofia italiani con la stessa frequenza dei nomi di altre, ben pi note, figure del nostro parterre novecentesco: dai nomi di Croce e di Gentile, prima, a quelli di Abbagnano, Geymonat e Bobbio, poi  per i quali  sfortunatamente pi arduo indicare quale rilevanza abbia- no, nellodierno dibattito internazionale in filosofia su temi di pertinen- za dellepistemologia o della filosofia del linguaggio, della filosofia della scienza o della filosofia morale e politica, rispetto a quanto non lo sia per 114 ALBERTO PERUZZI Preti. Unaffermazione eccessiva? Per pigrizia, per non ripetere cose gi dette e anche per incuriosire i bendisposti, mi esimo da spiegarne i motivi in quest'occasione, ma  un dato di fatto che tali motivi sfuggono tuttora a non pochi colleghi che insegnano filosofia negli atenei italiani. Se sfuggono a loro, figuriamoci agli altri. A titolo di test, potremmo andare allingresso di un dipartimento di filosofia e chiedere agli studenti che entrano ed escono: avete mai letto niente di Preti? Sapete se ci sia mai stato un filosofo che si chiamasse cos? Sono pronto a scommettere che la risposta pressoch unanime sarebbe negativa in entrambi i casi. Quanto ai docenti liceali di filosofia, forse un Preti che ricordano c', ma  quel Luigi che milit nel partito socialdemocratico e fu pi volte ministro. Perci, mi dico, ogni iniziativa volta a far conoscere quel Preti che invece fu filosofo  benemerita... Se non fosse che, un attimo dopo, la necessit di qualche distinguo si affaccia alla mente, accompagnato da una serie di p (ove la p sta per preoccupazione). A questo punto, se fosse ancora vero quel che Preti mi disse (Ci pensi? Lo stato mi paga per pensare!), avrei dovuto elencare ciascuna p, fornirne gli opportuni dettagli e corredare ognuna con i motivi che ne legittimano il carattere di p. Avrei dovu- to, supponendo che lo stato paghi pure me per fare la stessa cosa (pen- sare), anche se non solo quella, ovviamente. Invece, siccome da bravo mi adeguo al compito che l'universit di stato attribuisce oggi ai professori, non posso permettermi il lusso di pensare pi di tanto e cos mi limiter a domandare. Ecco le domande che pongo: I. Sono forse apprezzabili iniziative accademiche, nel nome di Preti, cu- rate da chi non se m mai interessato prima, tant' vero che non ha mai scritto una riga su di lui e non si  mai letto neanche un riga di quel che  stato scritto su di lui? II. Sono apprezzabili conferenze, nel nome di Preti, tenute da studiosi che si sono anche documentati per bene ma sono tra i pi lontani dal suo quadro di idee? (Che ne direste di una lezione sulla Torah tenuta da un nazista o di una sulla carit tenuta da Pol Pot? Beh, non potrebbero es- ser stati fulminati sulla via di Damasco, dopo una vita di perdizione? Non posso escluderlo, ma sono restio a credere a simili folgorazioni in filosofia e ho molti dubbi su quel che, in filosofia... ma anche altrove, dicesi che ne consegua, ovvero, che i folgorati riscattano ogni nefan- dezza con la presa visione della verit. Dicesi e basta, per, perch in filosofia, ma anche altrove, lovvio non ha priorit sulle ragioni e, per ricordare una battuta di Gauss, i Beoti che dalle strida passano al con- senso, via folgorazione, beoti restano.) III.Sono apprezzabili lezioni di chi a malapena si  letto un articolo o un libro di Preti e al riguardo disquisisce su punti problematici, ignoran- do allegramente quanto Preti ha scritto prima e quanto ha scritto do- po e soprattutto ignorando le sue argomentazioni? IV. Sono apprezzabili relazioni su Preti che poi informano il pubblico pre- valentemente sul relatore? SPIGOLATURE ALLA GIULIETTO 115 Ma queste quattro - direte - non sono vere domande: sono solo do- mande retoriche! Spero che lo diciate. E qui la faccenda si fa interessante, perch sono anche domande nelle quali il nome Preti potrebbe essere rimpiazzato da un altro a piacere e, volendo, sostituito con un nome co- mune (di una disciplina o di un problema). Gi in passato mi  capitato di essere presente a iniziative nelle quali  successo quel che per me, e spero per voi, non  apprezzabile. Credo pure che quanto  capitato a me sia ca- pitato a molti altri. Si ripeter (si sta ripetendo, si  ripetuto) anche per il centenario di Preti? Temo di s. Se, di fatto, le cose vanno in questo modo, evidentemente c chi non  dellavviso che le domande precedenti siano retoriche... e allora da una questione di circostanza spunta fuori una que- stione di etica professionale. Nello specifico, qualcuno (non dello stesso avviso) potrebbe suggerire che le opere di Preti siano ancora ricche di spunti e potrebbe continuare ponendo a sua volta una domanda retorica: nel fatto che ognuno prenda da Preti quel che gli interessa, ovvero, tragga spunto cos come pi gli ag- grada, c' qualcosa di male? Vale a dire: le parole dello scrivente sono su- perflue, perch dettate da spirito illiberale. Per replicare a tale ingiuria, non resterebbe altro che mettere insieme un florilegio di spunti, che in precedenza i pi o meno illustri Tizio, Caio e Sempronio hanno tratto da Preti, per documentare di volta in volta Pin- consistenza, la vaghezza, la velleitariet dello spunto e (collettivamente) lincapacit degli spuntatori di seguire un ragionamento filosofico ampio e articolato, di respiro non parrocchiale, talora molto esigente (per le com- petenze scientifiche richieste al lettore) e per giunta tuttaltro che mono- litico, ch Preti aveva in odio la filosofia sistematica. Niente di strano, in fondo: il suo, come ogni ragionamento che si rispetti, chiedeva di essere compreso prima di trarne spunti. Invece, da bravo (vedi sopra), lascio stare... e poi, siccome sono cos pochi gli studiosi che si sono interessati a Preti, mi sembrerebbe di sparare sulla croce rossa. Cos mi terr lingiuria. Non posso per fare a meno di notare che il suggerimento da cui segue lingiuria ha senso per filosofi di cui sia gi ampiamente noto il pensiero oppure per filosofi che al di l di spunti non abbiano altro da offrire. Ne concludo che il suggerimento non ha senso nel caso di Preti. Lo so che questo  un banale entimema. Banale  anche la pos- sibilit di rimediare al suo carattere ellittico? Solo per met: se  un dato di fatto che il pensiero di Preti  poco noto a studenti e docenti di filosofia, il compito di mostrare che Preti ha da offrire ben altro che una serie di spunti esige una lunga e laboriosa argomentazione. (A chi di voi  interessato sa- r lieto di fornire riferimenti ai lavori nei quali largomentazione  gid stata delineata: oggi, dunque, il compito non parte da zero.) Pochi se ne sono ac- corti? Niente di cui stupirsi: come parlare di ragnatele ai castori e dighe ai ragni. Del resto lidea che non ci sia niente di cui accorgersi, specialmente quando mette in gioco il casellario che ci siamo gi fatti,  cos confortevole! Finch dalle nostre parti bellamente si fa finta che il suggerimento abbia senso nel caso di Preti, i locali amanti di Sophia destano qualche, pi che 116 ALBERTO PERUZZI legittima, p. Siccome, poi, il fingimento suddetto non  peculiarit esclu- siva di quanto avviene entro i patrii confini, la derivata della p continua a essere positiva. Non mi risulta esistere un campo della cultura, dalla scien- za alla storia dellarte, dalla musicologia alla dietologia, in cui si verifichi quel che succede allamata: cio, che abbia luogo con tale frequenza e sia apprezzato cos tanto quel che apprezzabile non . Intendiamoci, succede anche altrove, ma non con la stessa pervicacia. Il che  quanto di pi di- sgraziato si possa immaginare, perch offende la disciplina che dovrebbe avere massima cura del rigore argomentativo, proprio perch affronta te- mi che al rigore mal si prestano. La cura messa ripaga, come la storia della scienza insegna. La cura non messa alimenta lidea (rancorosa) secondo la quale ognuno ha la sua filosofia (cos si dice, sbandierando lidea come uno dei diritti fondamentali delluomo). Un attimo dopo - contrordine, compagni! - sento di dovermi corregge- re. Perch? Semplice: la cosa pi abominevole che possiamo fare per ono- rare la memoria di Preti  condannarlo allaccademismo degli addetti ai lavori, i quali ora giulivi ora protervi si parlano addosso, scevri dal minimo scrupolo educativo, culturale, autenticamente teoretico. David Lodge ha gi scritto un libro, Il professore va al congresso, che ritrae unaffine varie- t faunistica, dunque non mi dilungo al riguardo. Apprezzabile o no nel senso su indicato, se un'iniziativa riesce ad attrarre lattenzione di studenti e di giovani ricercatori verso Preti e a spingerli alla lettura di anche una sola sua opera, liniziativa  da considerarsi riuscita perch evita loblio di quel che ci sta a cuore e che vogliamo condividere con le giovani genera- zioni. Non solo: se studiosi d'impostazione e di formazione quanto mai diversa affrontano il compito di discutere tesi e argomentazioni di Preti, da un lato si sprovincializza la sua lezione e dallaltro si avvia quel pro- cesso di fertilizzazione incrociata che pi volte in passato ha portato a un nuovo quadro di idee, o quanto meno ha gettato nuova luce su questioni altrimenti condannate ad ammuffire. Pi che sufficiente, no? S, ma... E qui ritornano le domande retoriche. In Italia ogni anno si celebra l'anniversario di qualcuno o qualcosa. La tabella delle ricorrenze  cos fitta che i destinatari delle iniziative, se volenterosi, ne rimangono storditi e, se ignavi, cestinano tutto. Lasciando gli ignavi al loro destino, ci interessano i volenterosi. Il pi delle volte il loro stordimento trae motivo dalla variegata superficialit delle iniziative, dalla pressoch vacua novit dei contributi, dallevanescente traccia che lasciano e dalla fuorviata at- tenzione che eventualmente suscitano. LUnesco riserva alla filosofia un giorno allanno, perch comprensibilmente un anno intero intitolato a colei che, madre di tutte le scienze,  dalle figlie oggi vituperata o a malincuore tollerata, sarebbe eccessivo. Capisco.  di misera consolazione che, non essendoci lanno della filosofia ac- canto allanno dellastronomia, della chimica (proprio il 2011) e di tan- te altre belle cose, ci sia almeno lanno di un filosofo; e poich di filosofi grandi e piccoli ne sono nati e morti un bel po, ogni anno i candidati non mancano. Scelto il candidato, in suo nome simbasticono eventi solo per- SPIGOLATURE ALLA GIULIETTO 117 ch lanno  quello e ricapiter solo fra un secolo, dunque non conviene rimandare, altrimenti non potremmo esserne i protagonisti.  questo che conta, dunque bisogna pur inventarsi qualcosa! Che poi sia acqua calda o fumo  del tutto secondario. S, ma... perch questacredine che genera sospetti anche su ci che  in corso dopera? Perfino nel caso in cui la ricorrenza riguardi qualcuno che abbia scritto su temi e problemi che non hanno mai finito dessere 0g- getto dampio interesse... perch non hanno mai cominciato (per usare un giochetto che piaceva a Preti), le iniziative hanno comunque un valore: buone o cattive che siano, possono rendere consapevoli molte persone che il de cuius  esistito, ha scritto la tale e talaltra opera in cui ha sostenuto tesi curiose come le seguenti..., ha osato criticare... (qui mettete un nume tutelare di ieri) ed  stato precursore di... (qui mettete un nume tutelare di oggi) e fra i suoi contributi ce ne sono alcuni rilevanti per quegli stessi temi e problemi oggi sul tappeto, temi e problemi che le stesse molte per- sone giudicano di primaria rilevanza. S, ma... possono, e basta. Ab posse ad esse non est inferentia e, scusate se lo ripeto fino alla noia, per indicare cosa  rilevante a cosa bisogna pri- ma capire bene temi e problemi. Quanto al generato sospetto, restituisco al mittente, perch se c' una cosa che pi ha allignato in questo paese e al contempo pi dannosa  come habitus mentale  proprio quella filoso- fia del sospetto con cui Preti non ha niente a che spartire. State tranquilli: laltalena di S, ma... si ferma qui. Se dite che in quanto precede ci sono volgari insinuazioni, fatte sulla scorta di evidenze non comprovate, spero tanto che abbiate ragione. Le cattiverie insinuate sono supposizioni, mere supposizioni (antipatiche, supponenti, prevenu- te)? Anchio voglio tanto che lo siano. A meno di prove in contrario, mi piace pensare che tutte le iniziative sorgano da un autentico interesse per largomento e, nel caso del centenario di Preti, nascano dalla voglia di ca- pire e far capire meglio la lezione di un piccolo grande uomo - il Giuliet- to`- senza liquefarsi in celebrazioni biblio-oleografiche e senza rimbalzare. Rimbalzare in che cosa? Nel preoccuparsi di mettere in luce pi i celebran- ti che il celebrando. Orbene, da quale pulpito viene la p? C' del veleno nella domanda e sono costretto a fare l'avvocato dufficio del pulpito. Nel mio piccolo di ex-allievo di Preti, ho cercato di sviluppare sul piano dellepistemologia e della teoria del linguaggio alcuni temi da lui affrontati e ho cercato di ri- solvere alcuni dei problemi ai quali riandava di continuo la sua indagine: due tipi di ricerche che, volendo essere serie, affrontano questioni molto specifiche e finiscono per avere aspetti abbastanza tecnici, al punto tale che pi volte le mie relazioni a convegni sono state declassate da filosofia a esercizi di matematica). Continuo a stupirmi che i nostri filosofi con- fondano il disquisir sulla filosofia con il farla - e chi pi disquisisce sulla filosofia, naturalmente sfruttando quella di altri, di filosofia ne fa poca. Di fatto, occupo la cattedra che fu di Preti e questo, almeno per me, significa pur qualcosa: se posso andarne giustamente fiero,  anche fonte di seve- 118 ALBERTO PERUZZI ri confronti fra i suoi magnifici corsi e quelli che riesce a tenere il sotto- scritto. A partire dai primi anni Ottanta ho promosso pi di un'iniziativa volta a farne conoscere il pensiero. Cominciando con le introduzioni ai suoi due ultimi corsi universitari, il cui testo  di Preti nello stesso senso in cui il Cours de linguistique gnrale  di Saussure, ho scritto alcuni sag- gi sul pensiero di Preti, sparsi in libri e riviste, pi altri che stanno l nel cassetto/cartella del pc (e che probabilmente ci resteranno perch saggi su... Chi-era-costui? scritti da uno che si rifiuta di versare contributi alle case editrici per stampare un libro). Nel 2007, insieme a Carlo Bernardi- ni, Franco Pacini, Gigliola Paoletti Sbordoni e Paolo Rossi, ho promosso listituzione di un premio nel nome di Chi-era-costui? da parte della Re- gione Toscana! e, soprattutto, nellarco di quarant'anni (da quando fre- quentavo le sue lezioni a oggi) mi sono sforzato di portare avanti il suo discorso in direzioni che Giulietto non poteva prevedere. Cos ho finito pure per scontrarmi con limpossibilit di conservare tutto ci che voleva trasmettere a noi allievi, improbabili filosofi in erba. Occorreva rinuncia- re a qualcosa della sua eredit e mi  costato dire chiaramente a che cosa intendevo rinunciare, spiegando le ragioni della rinuncia. Non so quanti altri, ai quali stia davvero a cuore il ricordo di Preti, abbiano accettato di pagare lo stesso prezzo. Non spetta a x giudicare se quel che x ha fatto era degno di un erede di y. Non mi sono neppure posto il problema quando lho fatto per Preti. E lho fatto non per dovere, per occasionali motivi, per convenienza (es- sendo linteresse per la sua filosofia estraneo alle commissioni dei nume- rosi concorsi in cui sono stato ovviamente bocciato), e tanto meno lho fatto per prender parte a ricorrenze ancora lontane da venire. Se mi sono permesso qui di ricordare tutto ci  solo per aiutare a capire una cosa: in- vece che da un alto pulpito, le p scaturiscono da radici nel pensiero stesso di Preti e coinvolgono la storia di una vita, perch a ventanni, la risposta che detti al quod vitae sectabor iter fu dovuta allincontro con quel mae- stro di acume e onest intellettuale. Oggi, a coloro i quali, smaniosi dintervenire, si sentano offesi dal- le parole precedenti, cosa posso dire? Vengono in mente i versi di Yeats: Vorrei stendere il mio mantello sotto ai tuoi piedi / Ma sono povero / Ho solo i miei sogni / Ho steso i miei sogni sotto ai tuoi piedi / Cammina con passo lieve / Perch cammini sui miei sogni. E c' una cosa che mi preme aggiungere nelloccasione: evitate liquefazione e rimbalzo! I pi abili ere- di di chicchessia in questo benedetto paese riescono non solo a miscelare liquefazione e rimbalzo ma anche a farlo senza che nessuno se ne accorga e, quandanche ci per disgrazia avvenisse, presumono e prevedono che andr a loro maggior gloria. La cosa straordinaria  che hanno successo in questa presunzione-previsione. ! Cfr. . SPIGOLATURE ALLA GIULIETTO 119 Il successo nel peccato non cancella il peccato e, bench liquefazione e rimbalzo si presentino anche divisi, lun peccato non esclude laltro. Anzi, la gamma delle miscele  ampia e raggiunge massima ampiezza proprio tra i filosofi, frequentemente affetti da ego ipertrofici (con conseguente scarsa voglia dimparare qualcosa dagli altri), da mania loquendi (che li porta a usare 2 parole per esprimere un concetto quando ne sono sufficienti n), e da lantanofrenia, ovvero: non sapendo articolare una nitida idea, ipotesi o teoria, ma sapendo invece disprezzare la superficie dei fatti (sfortunata- mente per loro, pi profonda di quel che ci vedono dietro), e non avendo il coraggio di assumersi piena responsabilit di ci che affermano (quan- do c qualcosa di affermato), i lantanofrenici si nascondono dietro a una cortina di citazioni, di allusioni ad auctoritates, meglio se controverse; e, non sapendo articolare una linea argomentativa che stia in piedi, si butta- no di peso in affreschi epocali-ancestrali in cui mescolano tutto con tut- to pur di non dimenticare nulla, offrono pur di ismi e, ovviamente, pi intricato  il quadro che ne emerge, pi sono felici. Dallantico senso del labirinto al recente senso della complessit,  sempre la stessa felicit che ci viene rivelata: quella di chi ha finalmente capito che il mondo  troppo complicato da capire - e troppo complicato da mettere a posto... almeno fintanto che ci affidiamo a schemi, lineari e rigidi, di una razionalit teutonica, cui si contrappone lalba di una nuova razionalit, oltre la scienza e oltre il senso comune, di cui ci recano Annun- cio. Come no? Non  forse evidente il vantaggio di uniporazionalit che  anche iper-razionale? Non  evidente che ci avviciniamo allessenza delle cose liberandoci dallidea che un'essenza ci sia? Non  evidente la verit del discorso che denuncia il mito della verit? Non venite da me a chiede- re le risposte, per favore. Andate a chiederle ai cantori dello stordimento. Sanno loro quale, fra liquefazione e rimbalzo, scegliere di volta in volta. Come faccio a dimenticarlo?  stato Preti a farmi vedere le su menzio- nate affezioni, perch, ingenuo, non le vedevo affatto. Spero che non siate ingenui comero io ma scusatemi se credo che le condizioni della forma- zione e della cultura filosofica in Italia non siano tali da avvalorare tale speranza. Il punto  che, come si scorgono le affezioni, comincia a pren- der forma una pur minima bussola per orientarci nella foresta di pensieri, credenze, comportamenti, giudizi di valore, teorie, norme, metodi per co- noscere, modelli dazione, stili di ragionamento, pratiche di vita... - una bussola che va oltre le contingenze commemorative.  la filosofia presa sul serio e non ci s'improvvisa filosofi dalloggi al domani, come non ci s improvvisa idraulici, elettricisti, medici, matematici e via di seguito. La filosofia non ha teoremi da offrire, non aggiusta gli scarichi, non fa di- ventare ricchi e neanche possiede la forza consolatoria di una fede, ma ha una cosa straordinaria ed  proprio questa bussola. Ci vale in partico- lare per la filosofia di Preti e chiunque ne sia stato allievo gli sar sempre grato per laiuto a orientarsi nei pi diversi ambiti dellesperienza umana. Ahim, la bussola  delicata: ci vuole grazia nel maneggiarla altrimenti si sciupa subito (e come si sciupa, fa il servizio opposto). La sua manuten- 120 ALBERTO PERUZZI zione  impegnativa e tra le altre cose richiede un lungo lavoro su se stes- si, per arrivare a... lonesto mestiere del filosofare, come lo chiamava Preti: qualcosa che esige una disciplina rigorosa. Non tutti reggono alla prova, non tutti laccettano. Il guaio  che coloro i quali non reggono alla prova, o non laccettano, si spaccino poi per filosofi e che coloro ai quali gli spacciatori si rivolgono non sappiano riconoscere la differenza tra chi cerca di fare onestamente il mestiere e chi no. Ora, liperegoico loquendimaniaco lantanofrenico non  uno storico ma sovente si atteggia a tale, anche se, allorquando definito tale, si dichia- rer offeso dalla lettura riduttiva che assimila quanto dice (e non dice) a considerazioni storiche. Ch Egli incarna la sofferta figura dellIntellet- tuale, che vede oltre e vede infra. Naturalmente, gli storici di professio- ne hanno di che sudare per distinguere la loro fatica da una tale capacit visionaria. Altrettanto naturalmente ci saranno degli sciocchi capaci di interpretare quanto appena letto come se attribuissi la palma doro per la filosofia agli storici della medesima: un significato verso il quale soffro dintolleranza alimentare, perch quella metariflessione che slitta sem- pre di piano, come Preti ripeteva,  fatta di argomenti e negli argomenti pu entrare anche lintelligenza cronologica, ma questa non li esaurisce. In proposito, due cose soltanto. La prima: Preti non  stato solo un filosofo da aula universitaria o da biblioteca.  stato coinvolto nella vita culturale italiana come un intel- lettuale a tutto tondo: dalla polemica con Togliatti sul posto da dare alle scienze nella scuola italiana, al rifiuto del 68. Interveniva senza peli sulla lingua circa la dimensione politica del fare cultura, denunciava i filosofi in minigonna, prendeva spunto da eventi di cronaca per impostare una riflessione di pi ampio respiro sulla societ contemporanea, assumeva posizioni secche, su temi che infuocavano gli animi, poco plaudite dagli schieramenti di turno lun contro laltro armati; e lo faceva sempre riven- dicando la difesa di alcuni valori che considerava fondamentali, fra i quali il valore della conoscenza e la dignit della filosofia, a dispetto di tutto e di tutti (compresi specialmente i filosofi suoi connazionali). La seconda: Preti avr detto cose giuste e cose sbagliate (in entrambi i casi dicendone alcune di nuove e altre in modo nuovo, cos nuovo che i pi dotti lettori italiani a lui contemporanei non erano in grado di iden- tificare cosa stesse dicendo) ed  sicuramente apprezzabile il fatto che in ricorrenze come questa si passino al setaccio le sue tesi e le sue argomen- tazioni. Setacciamo quanto vogliamo, ma cerchiamo di non dimenticare che Preti resta lontano mille miglia dalla triplice patologia alla quale mi sono riferito. Non fosse altro che per questo, non merita oggi una qualsi- asi miscela di liquefazione e rimbalzo. Perch simili spigolature in occasione del centenario della sua nascita? Per invitarvi a dis-occasionarne la lezione, che fu e resta quella di umin- tempestiva figura dello spirito, contrapposta alla figura che non solo in- carna la triplice patologia, ahim ben pi rappresentata tra gli amanti di Sophia, qui come anche altrove, allora come oggi, ma che  pure responsa- SPIGOLATURE ALLA GIULIETTO 121 bile di reazioni altrettanto disgraziate nei confronti della filosofia. Infatti, cos come molti filosofi si pensano l'ombelico del mondo, molti non-filo- sofi pensano che i filosofi siano una specie giustamente in estinzione. Pur essendo convinto che il modo migliore di confrontarsi con le sciocchezze, che spesso si presentano a coppie (come appunto in questo caso) sia non degnarle di replica, e pur ammettendo di non esser sempre stato coerente con tale convinzione, cosa posso dire a conclusione di un intervento pi lungo del necessario? Vi invito a leggere le opere di Preti, perch troverete in esse una serie di argomenti, finemente tessuti, grazie ai quali individua- re come sciocchezze - filo- o anti-sofiche che siano - molte affermazioni non facilmente riconoscibili come tali... e vi troverete pure un filo dA- rianna per imparare a non ripeterle. Quanto a vaghezza, quel che precede non  certo manchevole. Non lo  intenzionalmente! La vaghezza sparir se accoglierete linvito. UN EMPIRISTA LOGICO DI FRONTE AL 68 Giovanni Mari Tra il luglio 1967 e il dicembre 1968 Preti collabora alla Fiera lettera- ria, il settimanale allora diretto da Manlio Cancogni, pubblicando una serie di brevi saggi. Questi, nella loro reintegrata forma originaria, con i titoli originari trascurati dalle esigenze giornalistiche e in una di- versa successione, vengono pubblicati nel 1970 in un volumetto compar- so per le edizioni Il Fiorino di Firenze. Il libro, che sar lultimo di Preti uscito prima della sua morte, ha come titolo, Que ser, serd, il ritornello con cui, in una nota canzone di Doris Day, si insiste sconsolatamente sulla imprevedibilit del futuro. E del futuro il volume evita accuratamente di parlare concentrandosi invece sul presente, di cui comunque e dei suoi sviluppi dopo le osservazioni del filosofo... que ser, ser. E il presente, nei mesi in cui Preti scrive questi testi, vede lesplosione del 68 che, nel- le sue espressioni politico-sociali come in quelle culturali (anche coeve), costituisce il focus degli interventi brillanti ed in genere assai polemici di Preti. Que ser, ser offre quindi la possibilit di misurare, da diversi punti di vista, non tanto o soltanto il giudizio, del resto noto, del filosofo sul 68, quanto, come e con quale significato e valore lempirismo logico di Preti riesca a porsi di fronte a tali accadimenti. Un confronto non casuale, che vede Preti a modo suo partecipare al 68. Un coinvolgimento che lo in- teressa come docente e intellettuale ed a cui non si sottrasse, elaborando una precisa posizione che attraversa tutto il volumetto. Un posizione su cui questa breve Nota intende soffermarsi. Che l'operazione possa essere legittima lo conferma, indirettamente, lo stesso Preti quando, a sostegno delle critiche che rivolge a Lvi-Strauss a partire da un'intervista dellan- tropologo francese, dice che nel breve saggio [come sono appunto quelli che compongono Que ser, ser] appaiono pi nitidi luci e ombre, sfondi di pensiero, presupposti e dubbi, che invece nelle grandi opere sono, na- turalmente, come diluiti e dispersi. Nei quindici saggi che formano il volume, Preti parla di molti proble- mi (e ad altrettanti fa riferimento): della scienza, prima di tutto, ma anche della poesia e della bellezza, della letteratura, della morale, del progresso e della storia, della politica, della societ, della psicoanalisi, dellantropo- ! G. Preti, Que ser, ser, Firenze, Il Fiorino 1970, p. 63. Franco Cambi e Giovanni Mari (a cura di) Giulio Preti : intellettuale critico e filosofo attuale ISBN 978-88- 6655-039-6 (print) ISBN 978-88-6655-044-0 (online PDF) ISBN 978-88-6655-048-8 (online EPUB)  2011 Firenze University Press 124 GIOVANNI MARI logia strutturale, del dialetto, di Adorno, di Marcuse, di Freud, di Russell, di Lvi-Strauss... e poi del 68, della societ contemporanea, della demo- crazia, dello sviluppo industriale, dellistruzione, ecc. Su tutti questi argo- menti esprime una propria posizione, con chiarezza e una certa radicalit, cio senza compromessi. Gli effetti che intende introdurre nel contesto in cui scrive sono affidati a tesi asciutte e precise, talvolta unilaterali, perch questo gli appare il modo migliore in cui il metadiscorso del filosofo pu cercare di produrre tali effetti attraverso la critica razionale. Ma comun- que tesi filosofiche, appartenenti sempre ad un discorso filosofico da cui Preti non intende allontanarsi.  alla filosofia come tale, quindi, che egli intende affidare tale efficacia politico-sociale, nel senso di un metadiscor- so in grado di criticare ci che ricade sotto le proprie categorie e perci efficace. Efficace per questo tipo di critica, e non per aver assunto vesti estranee alla filosofia, la quale  giudicata essere in grado di apportare il proprio contributo alla discussione pubblica politica e sociale. In ci ri- velando un'idea della filosofia e della sua critica della cultura in grado di essere non neutrale (politicamente e socialmente) senza rinunciare al pro- prio statuto. Vedremo brevemente come in questo modo il filosofo debba inventarsi un tipo di discorso ed una specifica pratica teorica, che senza abbandonare la filosofia professata raggiunge gli scopi non meramente o rigorosamente filosofici. 1. Un contesto di lotta Attraverso i saggi emerge con chiarezza il giudizio di Preti sul presen- te, o almeno gli aspetti pi criticabili e negativi di esso su cui si sofferma quasi esclusivamente. Il primo elemento da sottolineare  la caratterizza- zione del presente come lotta: una lotta tra gli uomini che hanno bisogno di urlare in nome di credenze e ideologie assolute, e una lotta contro il razionalismo obiettivo ed in particolare contro lobiettivismo razionalista, destinato a raccogliere le migliori eredit storiche della filosofia. Ogni intervento scritto in questo contesto si presenta quindi come una presa di posizione nei confronti delle parti in lotta, che oc- corre identificare, combattere e criticare. Nella lotta si affrontano es- senzialmente rivoluzionari apocalittici e conservatori reazionari, anche attraverso le rispettive espressioni culturali che interessano al metalin- guaggio filosofico. Infatti lobiettivismo razionalistico  l a bloccare le pretese di entrambi: si noti: degli uni e degli altri, dei conservatori co- me dei rivoluzionari. La battaglia di Preti  quindi rivolta su due fron- ti, anche se  contro il 68 e la sua cultura che soprattutto argomentera. Non  da sottovalutare questo aperto rifiuto a schierarsi da una parte o 2 Ivi, pp. 15-16. Ivi, p. 16. UN EMPIRISTA LOGICO DI FRONTE AL 68 125 dallaltra. Infatti in entrambe le parti egli identifica nemici della filosofia. Le poste in gioco sono innumerevoli, ma al filosofo interessano le sorti dellobiettivismo razionalista che egli salvaguardia non semplicemente difendendone i caratteri, ma criticando attraverso di esso le culture che pretendono rovesciarlo. In questo modo difende la filosofia intervenendo nel contesto, cio nei confronti delle sue forme culturali. La lente attraverso cui fuoriesce il giudizio negativo sul presente  quindi il 68, cio una contestazione che appare contagiare societ e cultura, giovani e maestri, scuole, universit, fabbriche, istituzioni e mass media. Le categorie con cui Preti descrive ed interpreta questo mo- vimento sono prima di tutto filosofiche, ma poi anche politiche. Tra le prime, due appaiono essenziali, irrazionalismo e risentimento; tra le seconde centrale  senz'altro quella di totalitarismo democratico. Date queste premesse, e dato il profondo convincimento circa il ruolo che deve avere la filosofia cui non compete alcuna progettualit socia- le, si capisce che la raccolta termini con il saggio che d il titolo al libro e con le seguenti parole sul 68: Questo risentimento totale non ha al- cuna prospettiva, non ha un domani. Non  neppure rivoluzionario [...] c' un no senza un si, una negazione che, alla fine, non riuscir a di- struggere altro che gli stessi distruttori. E dopo... que ser, sera*. Mi sembra che le cose, per fortuna, non siano andate in questo modo e che il prevalente giudizio storico sul 68 risulti assai diverso da quello messo a fuoco da Preti. Ma tutto ci qui non interessa, perch sono le idee filo- sofiche che egli mise in gioco e lo stile con cui le impieg ad interessare, anche al fine di comprendere meglio il nostro presente lontano ma non estraneo a quello di allora. Lirrazionalismo  per Preti una violenta ondata che attraversa il mondo e che percuote con forza le rocce della filosofia: arbitrarie visio- ni neo-metafisiche o pseudo-metafisiche, ideologie neppure mascherate che hanno di mira l'obiettivismo razionalista: freudismo, neo-marxi- smo, neo-fenomenologia, varie rinascite religiose, tutto converge nella lotta contro il razionalismo obiettivo. Questo irrazionalismo prodot- to e rappresentato dal 68, dominante fino a costituire un nuovo con- formismo, che condanna la protesta ad una babele piuttosto che a un rinnovamento o ad una rivoluzione, non  irrazionalistico perch critica, anche radicalmente, le vecchie idee e i vecchi valori che sono certa- mente in crisi o morti, ma per il modo ed il linguaggio in cui attua ta- le critica. La quale, da un lato sembra non voler riconoscere che essa non pu non essere parte integrante della civilt odierna che contesta; che la confutazione, per avere validit e intellegibilit, dovr essere esposta in un linguaggio che  il medesimo linguaggio delle idee che si vogliono contestare. Analogamente ai marinai di Neurath dobbiamo cri- ticare il linguaggio con il linguaggio, dobbiamo rinnovarlo e migliorar- 4 Ivi, p. 130. 126 GIOVANNI MARI lo con quello che abbiamo e con cui stiamo parlando. Dallaltro, ignora che non tutti i valori sono ugualmente morti, che ve ne sono alcuni che sembrano restare saldi nella crisi, come ponti sopra il tumultuoso fluire degli eventi, che occorre salvare e interpretare alla luce dei nuo- vi problemi. Questo doppio rifiuto di un corretto rapporto col passato fa sprofondare il 68 in una cultura del rinnovamento apocalittico, intrisa di una esaltazione della soggettivit tipica delle epoche romantiche, che a Preti appare capace di dire solo di no. Il risentimento  la spiegazione dellirrazionalismo: Quando i risen- timenti contro la societ esistente sono molto forti ed esplodono in volont di rinnovamento apocalittico, e daltra parte la conservazione si arrocca in posizioni reazionarie, l'esplosione di irrazionalismo  inevitabile. Il concetto di risentimento compare pi volte in Que ser, ser e costitu- isce la principale spiegazione di determinati comportamenti sociali, qua- si che, tolta a questi ogni credibilit razionale, non rimanga per spiegarli che il ricorso ad una categoria socio-psicologica. Il risentimento infatti  un sentimento dellescluso o degli esclusi, che Preti impiega a secondo dellesclusione di cui tratta, ma che in generale si presenta come rabbia e risentimento dellescluso, il quale nega dei valori che non riesce a vive- re e ad assorbire. Per quanto riguarda il movimento si tratta dei valori dellalta cultura che la societ di massa offre ai pi anche nel caso in cui questi non siano allaltezza di assorbire tali valori. Per quanto riguarda Marcuse o Adorno, del risentimento verso una civilt fortemente intri- sa di razionalismo. Ma non  una categoria neutrale. Essa, ad esempio,  frequentemente impiegata da Nietzsche, in un quadro di neoaristocra- ticismo culturale, per spiegare alcune culture della moderna societ di massa, come laspirazione alleguaglianza, alla democrazia o a certi ideali socialisti. In Nietzsche  pure connessa ad un certo antisemitismo. Tutti questi elementi sono rinvenibili, a loro modo, nel ragionamento di Pre- ti, che quindi, da questo punto di vista, potrebbe essere accostato ad una critica del 68 di tipo nietzscheano. Un 68 che, oltre ad essere irrazio- nale e risentito,  plebeo e vive nel formicaio della nostra societ. Invece il nesso con lantisemitismo tocca a Lvi-Strauss, nella cui antro- pologia Preti, a causa di certi accostamenti tra civilt primitiva e civilt occidentale sostenuti dallantropologo francese, sospetta la presenza di un risentimento ebraico nei confronti della nostra civilt in cui gli ebrei rimangono in sostanza degli stranieri, dei meticci. Laddove, a questo punto, quello che colpisce non  laccusa di irrazionalismo rivolto al 68, una critica in s tuttaltro che infondata, quanto la familiarit della spie- gazione con una filosofia, quella di Nietzsche, che difficilmente potrebbe risultare estranea a tale accusa. Ivi, pp. 15-18, 8, 31, 11 e passim. 6 Ivi, pp. 15-16, 34, 64, 66, 75, 130 e passim. 7 Ivi, p. 64. UN EMPIRISTA LOGICO DI FRONTE AL 68 127 Secondo Preti la societ di oggi (Preti non usa il plurale)  di fat- to totalitaria, noi viviamo in una democrazia totalitaria*. Il giudizio (che ricorda quello marcusiano che accomuna comunismo e capitalismo nella stessa valutazione negativa) non riguarda le forme costituzionali o politico-formali della nostra societ, ma il modo in cui di fatto essa ten- de ad organizzare la vita dei cittadini. I due principali effetti di questa condizione sono un insufficiente libert (nulla di libero  ammesso dal totalitarismo democratico) ed un elevato processo di massificazione di tutti i comportamenti (il formicaio) cui corrisponde, sulla base del mi- to delluguaglianza di tutti gli uomini, a ogni costo, l'auspicio di una democrazia sociale. Con un ragionamento vagamente marxista, Pre- ti parla di un totalitarismo al di l delle differenze degli ordinamenti politici, frutto dellidentico processo di industrializzazione e di sviluppo tecnologico che hanno ampliato, in maniera pericolosamente predomi- nante e soffocante, la sfera dellamministrazione burocratico-politica: La societ di oggi (qualunque ne siano le tecniche per la determinazione del potere politico)  di fatto totalitaria: in guerra e in pace, nei consumi e nei gusti, nelle abitudini e nei rapporti umani, essa tende a unorga- nizzazione complessiva e completa degli individui entro le sue strutture economico-sociali. 2. Il metodo e lo strumento Se questo , a grosse linee, il contesto di lotta in cui Preti intende intervenire per combattere una battaglia in difesa della filosofia e di una cultura lontana dallirrazionalismo, in che modo e con quali strumenti ritiene di poter condurre la propria lotta? La risposta di Preti mi sem- bra rivesta un particolare interesse. Sia, perch articola lidea della filo- sofia come metariflessione sulla cultura in rigorosa metariflessione, la filosofia in senso pieno e regio, e altri discorsi, pure di metariflessione sulla cultura, ma meno rigorosi. Discorsi in cui valutazioni, sentimenti, speranze e timori non vengano del tutto sospesi, ma espressi nel modo pi motivato possibile, nel rispetto del rigore razionale formale e con un deciso atteggiamento critico. Un tipo di discorso che non mira ad ununiversalit di diritto, ma semmai solo ad una certa universalit fattuale, che non si avvale della forma trattatistica di esposizione, ma del dialogo, della narrativa, del teatro e, appunto come nel caso di Que ser, ser, del saggio!!. In questo modo Preti va oltre lantitesi di retorica e logica proponendo un discorso che non  sistematico, n logico, n reto- 8 Ivi, pp. 57, 81 e passim.  Ivi, p. 47 1 Ivi, p. 81. u Ivi, pp. 9-10. 128 GIOVANNI MARI rico, n ideologico o irrazionalistico, eppure razionale e provabile. Sia per il modo in cui giustifica l'articolazione del metalinguaggio filosofico in due discorsi, rilevando che si possono ammettere due basi dei discorsi le quali aprono a due discorsi ugualmente razionali, giustificabili ed ammissibili ancorch non equivalenti sul piano del rigore, una base come presuppo- sto teorico che porta sui fatti, e una base personale investita da tali fatti e che reagisce nei loro confronti. Due basi, o due fonti, e due discorsi che non sono in antitesi, anche perch possono benissimo essere tenuti dallo stesso filosofo (ancorch non nello stesso momento). Lo strumento della battaglia  dunque questo tipo di discorso meno rigoroso che Preti delinea in maniera empirica, di fatto descrivendo la pratica teorica della sua battaglia o, se si preferisce, attraverso unauto- riflessione sull impiego immediato di un certo discorso in una determi- nata battaglia culturale portata avanti da quel filosofo empirico che  lui stesso. In particolare Preti non prefigura, ovviamente, alcuna regola che stabilisca le modalit di passaggio da un livello o sfera di metadiscorso allaltro, ma neppure delinea gli statuti teorici dei due differenti discor- si, al di l del fatto di essere entrambi dei metadiscorsi, con le eventuali aree di sovrapposizione e di opposizione reciproca. Con tutto ci i due metadiscorsi risultano sufficientemente identificati, soprattutto in ba- se alle differenti mission, ed anche non scollati. Il nesso non  tuttavia teorico, ma umano, personale, o, se si preferisce, antropologico, cio costituito da un certo habitus al rigore razionale formale. Insomma il filosofo  tale in ogni occasione, e quando non fa discorsi sistematici e non pretende alluniversalit ed alle conclusioni stringenti e fondate, non per questo non pu comporre metadiscorsi e apportare il proprio contributo di critica e di razionalit pubblica. I discorsi meno rigoro- si sono una specie di metadiscorso immediato del filosofo che intende partecipare alla lotta senza con questo abbandonare la tipica posizio- ne del filosofo, precisamente la sua metaposizione. Senza abbandonare questa posizione ma senza rinunciare ad intervenire in un certo modo nel mondo dei discorsi, egli deve rifornirsi di un discorso che faccia par- te del mondo delle posizioni e di quello delle metaposizioni, cercando di trasformare questa duplicit in una posizione, cio in discorsi con effetti, e mantenendo lunit e l'identit personale, composta da certi abiti di razionalit, rigore, criticit, e pubblicit degli argomenti. I due discorsi non sono quindi scollegati perch sono umanamente collegati anche se teoricamente indipendenti. Non casualmente, e su questo ritorneremo nella parte finale della No- ta, la posizione rinvenuta tra i due mondi, le finalit polemiche perseguite e le critiche dei saggi, sono alimentate da diverse teorie e impostazioni teorico-culturali. Il risultato e gli effetti ricercati nella lotta prevalgo- no sulle preoccupazioni di omogeneit e di purezza teorica, tuttavia al- le diverse teorie si fa ricorso in nome di un coerente obiettivo critico. E se sopra erano venuti in mente Nietzsche e Marx-Engels qui, di fronte a questo spregiudicato ricorso a diverse teorie ai fini pratici della battaglia UN EMPIRISTA LOGICO DI FRONTE AL 68 129 filosofica, di fronte a questa specie di primato politico ricercato senza abbandonare la filosofia, vengono in mente (e ci ritorner nelle Conclu- sioni), sia per contrapposizione sia per affinit di problematica, lidea e il valore teorico della filosofia rispetto alla politica presenti in Materialismo ed empiriocriticismo di Lenin. 3. Alcuni temi principali della pratica teorica Tra i pi importanti temi che Preti sceglie per intervenire nel contesto col tipo di discorso prefigurato, vi sono quelli della scienza, della morale, della letteratura, della storia, della bellezza, dell'educazione. Tra gli autori verso cui rivolge particolari critiche vi sono Marcuse, Lvi-Strauss e Freud. In tutti questi casi il discorso teorico viene svolto al fine di determina- re effetti culturali attraverso l'anello del metadiscorso meno rigoroso, orientato dagli aspetti umani di chi tale discorso tiene. Mi soffermer soltanto sulla questione della scienza e della conoscenza scientifica e sulla questione della morale e della politica. Nelle pagine dedicate a questi temi troviamo materiale sufficiente per rilevare e comprendere luso politico o umano del metadiscorso e misurarne la sua efficacia. Il tema della scienza e della conoscenza scientifica ricorre in quasi tutti i saggi, in particolare in un gruppo di essi posti nella prima parte del volume: Filosofia unidimensionale?, Marcuse e la scienza, La psicoanalisi  scienza?, Dobbiamo riprenderci la nostra scienza. Possiamo iniziare da questultimo in vengono posti con chiarezza i termini politici della questione. Chi ha sottratto la scienza e a chi? E in che cosa consiste la nostra scienza? La scienza  stata sottratta agli scienziati, che non hanno pi il potere di una volta sulla loro ricerca. E chi si impadronito della scienza  la societ moderna, precisamente il potere dellindustria e della politica: tutto deve servire agli altri  cio in ultima istanza, al potere e ai suoi organi. La causa  innanzitutto i costi stessi e la pesantezza dellodier- na ricerca scientifica, e leffetto principale  il venir meno di una ricerca pura e disinteressata. Quest'ultima  quindi la nostra scienza, che sfug- gita di mano agli scienziati pu e deve essere coltivata dai filosofi: Si, noi filosofi possiamo riprenderci la nostra scienza. Per essere filosofi basta un cervello che funzioni, una risma di carta e qualche matita. Forse anche qualche libro: ma si trovano, insegneremo soltanto a chi vorr ascoltare. E nella societ del benessere e dei consumi si riesce sempre a non morire di fame. Il quadro diogenesco  rafforzato dalla forte esigenza di libert ed autonomia critica della filosofia, che deve rifuggire da essere metodo- logia, complesso di tecniche varie al servizio dellindustria e della po- litica, sottintesa e incontrollata metafisica della piattaforma ideologica della societ industriale avanzata, nonch esplicita ideologia politica come quella dellimpegno del filosofo. L'idea di una filosofia come me- talinguaggio capace di determinare abiti critici ed autonomi, e lidea di un metadiscorso meno rigoroso in grado di fornire strumenti per una 130 GIOVANNI MARI battaglia culturale comunque condotta da una metaposizione autonoma, costituiscono lalternativa a tutte queste posizioni". Notevole  il distacco nei confronti della societ industriale e della ri- cerca scientifica necessariamente finanziata dallindustria e dal potere pub- blico. Ma la vera ragione del distacco non  n politica n sociale,  teorica come emerge bene dalla critica delloperazionismo svolta in Filosofia uni- dimensionale? Le rigorose considerazioni metalinguistiche svolte in que- sto saggio coincidono con le considerazioni meno rigorose di Dobbiamo riprenderci la nostra scienza, ed entrambe approdano ad un tipo di giudizi assai critico nei confronti della societ e della democrazia industriali che non si discosta molto, vale la pena di sottolinearlo, da quello avanzato dai movimenti studenteschi degli anni sessanta, settanta ed ottanta, spesso sollevato proprio in nome di una cultura disinteressata ed autonoma dal capitale. Nellultimo saggio ricordato la battaglia non  pi tra razionali- t e irrazionalit, tra obiettivismo e soggettivit, ma tra due diverse for- me di conoscenza razionale. Due forme che Luomo ad una dimensione, il libro di Marcuse da cui il testo prende le mosse, non riesce a distinguere, rendendo sterile il pur importante appello a combattere la minaccia di monodimensionalit che effettivamente (scrive Preti) incombe sul- la cultura filosofica contemporanea. L'errore di Marcuse  nella ricer- ca delle cause del fenomeno, che egli individua nelle correnti che un po sommariamente si chiamano di filosofia analitica o neopositivistiche, che invece Preti ritiene come le pi moderne ed emancipate. Il nemico  invece loperazionismo, una mentalit che si  impadronita di tanta ricerca filosofica, e secondo la quale i concetti non sono affatto teorici: sono meramente operativi. Significano operazioni (reali) e progetti di ope- razioni (reali) da compiere [...] progetti e regole operative con una portata pi o meno tecnologica. Di conseguenza, la scienza non  scienza, cio co- noscenza, sapere, ma tecnologia [...] se vuole uscire dai sogni della meta- fisica (e integrarsi nei fini e nellorganizzazione della societ industriale). E non solo una certa filosofia si  piegata alla mentalit della societ industriale. La logica matematica  passata addirittura al servizio di la- boratori elettronici di grandi industrie o delle forze armate, dimostrando che in questa societ si afferma un appiattimento pragmatico del sapere da cui  sempre pi difficile sfuggire. Una mentalit che secondo Preti, esattamente come l'irrazionalismo, conduce un attacco alla concezione della scienza e del sapere scientifico che difendono lautonoma dimensio- ne della teoria. Questa trascende lesperienza, la collega in significati che rimandano, oltre che ai dati attuali, a unindefinita ricchezza di dati possibili [...] Il concetto teorico, proprio perch porta sul fatto, ha un si- gnificato che non  costituito dal fatto, che trascende il fatto. Laddove risulta assai chiaramente il cuore della battaglia di Preti, rivol- ta alla difesa di una dimensione metalinguistica della conoscenza (scien- 12 Ivi, pp. 57-59. UN EMPIRISTA LOGICO DI FRONTE AL 68 131 tifica) rivendicata nei confronti dellirrazionalit come della razionalit operativistica, dellempiria dei fatti come della metafisica, dellideologia e dellirrazionalit, della politica profetica come della societ industriale, nei confronti dei reazionari come dei rivoluzionari e portata avanti, come nella migliore tradizione classica, in nome della libert e del disinteresse del bios theoretikos. Che poi questa battaglia venga svolta con larma di un metalinguaggio meno rigoroso, che mescola teoria ed emozioni, di- mostra soltanto che la sua necessit, cio la necessit di una determinata pratica teorica, si fonda sulla consapevolezza che la posta in gioco, insieme alla teoria,  la persona: quella del medesimo filosofo che tenendo entram- bi i discorsi combatte per la teoria e per un mondo pi razionale a favore di tutte le persone (laddove viene in mente il convincimento del saggio di Seneca che nella speculazione condotta nellotium ritiene di svolgere un'attivit dal valore universale)!3. Negli altri scritti sullo stesso tema si precisa questa idea di scienza. In Marcuse e la scienza, in polemica con lidea marcusiana che la ragione sia un'attivit rivolta a cambiare il mondo con contenuti di libert e hu- manitas, Preti sottolinea che cambiare il mondo non  di per s razio- nale, e che comunque la scienza ha come fine non il mutamento ma la visione razionale del mondo, avendo come unico valore la verit (va- lidit conoscitiva razionale), essendo immune da ogni altro valore per- ch qualsiasi giudizio di valore non appartiene alluniverso di discorso di una scienza. In questo senso, aggiunge Preti, la scienza  repressiva [...] La scienza  ascetismo, rigore, repressione di impulsi: per questo  cosa altamente civile, perch ogni civilt, in quanto tale,  sempre repressiva. Laddove siamo nel caso di un metadiscorso meno rigoroso che difen- de il metalinguaggio rigoroso attraverso un uso personale delle categorie del discorso rigoroso che costituisce un ottimo esempio della pratica te- orica di Que ser, ser. A sua volta la difesa strenua, nei confronti dellirrazionalismo e dellin- dustria, del carattere puramente conoscitivo della verit scientifica apre ad una concezione trascendente, ma non trascendentale, metalinguistica ma forse sarebbe pi preciso chiamare neo-speculativa della conoscenza scien- tifica, ad un'idea della theoria a base empirica che ha cambiato le regole di verit ma non il significato del valore in s puro di essa. Insomma Ari- stotele pi Carnap". Nel tempo, il nostro, della societ della conoscenza e della knowledge based economy, in cui la ricerca di base riceve continui impulsi da quella applicata e dai finanziamenti privati e pubblici, queste preoccupazioni di Preti possono anche apparire ingenue e per certi versi da studioso isolato. Invece esse tengono vivo laspetto imprescindibile, ga- lileiano, che una ricerca compiuta in nome della verit pu benissimo non essere antagonista o necessariamente estranea alla finalizzazione tecnica. 13 Ivi, pp. 21- 27. 14 Ivi, pp. 31-37. 132 GIOVANNI MARI Come dire, che a differenza del Seicento oggi laccento non pu continuare a battere solo sulle conseguenze pratiche della conoscenza. Gli stessi temi e lo stesso spirito neo-speculativo di Preti sono rinve- nibili in La psicoanalisi  una scienza?, che si caratterizza per una forte critica a Popper ed al principio di falsificazione: Ogni scienza, proprio nella misura che  pi sistematica e pi perfetta, ha una parte teorica a priori, la quale  costruita in modo che non pu mai venire falsificata dallesperienza e serve di base alla spiegazione di qualunque fatto nel suo campo di significazione. Laddove emerge con chiarezza che il problema della scienza sia come un insieme di enunciati tautologici possa alla fine produrre nuova conoscenza. Per quanto riguarda la scientificit della psi- coanalisi Preti opta per un giudizio di proto-scienza (ancora piena di metafore oscure ma di enorme fascino e di concetti fecondissimi an- corch insufficientemente elaborati). Chiariti questi aspetti metalingui- stici, Preti passa alla metariflessione meno rigorosa proponendoci un altro esempio della sua pratica teorica, in questo caso rivolta alla critica dellestensione, gi iniziata da Freud e oggi tanto di moda di una serie di concetti psicoanalitici ai fenomeni sociali o addirittura storico-etici. Come quando, ad esempio, la psicoanalisi fornisce una base al mito del 68 diun'uguaglianza universale, che non si potr trovare che in ci che vi  di pi basso e di incivile nell'uomo, cio nellincoscio, nellEs, e nel- le sue sporcizie. Oppure quando, scrive, si ha limpressione che venga inventata una morale eterna o naturale impiegando concetti come il complesso di Edipo, con tutti i connessi fenomeni psicologici che do- vrebbero essere accaduti e accadere in ogni societ in ogni tempo. E qui temo, sostiene Preti, che siamo in pieno arbitrio e in piena mitologia. Il saggio Morale e politica intende criticare liniziativa di Bertrand Russell ed altri, tra cui J.-P. Sartre, di istituire nel 1967 a Stoccolma un tri- bunale che condannasse la politica statunitense, di intervento militare in Vietnam, in nome di fondamentali principi umani e morali. La conclusio- ne di Preti  che, non potendosi mai andare in politica al di l di un ethos particolare, la sentenza del tribunale non  affatto una sentenza, ma una clamorosa manifestazione di opinioni. Al centro del testo vi  dunque la questione del rapporto tra morale e politica alla luce del rapporto tra mo- rale e etica, ovvero alla luce di una distinzione sempre pi sottaciuta che invece Preti intende sottolineare. Ci che Preti intende innanzitutto com- battere  lidea di una politica fondata sulla morale: Si parla di introdurre o reintrodurre la morale nella politica. Ma  come se si volesse introdurre una stanza in un armadio, o unautomobile nel carburatore. La politica  nella morale [...] la politica  dentro la morale. Le metafore, tra laltro assai efficaci, indicano che lidea di morale in cui  possibile pensare e collocare la politica deve essere tale da prevedere una pluralit di versioni morali, cio di idee personali di ci che  buono e giusto perseguire, ma anche, e !5 Ivi, pp. 47-53. UN EMPIRISTA LOGICO DI FRONTE AL 68 133 qui le cose si complicano ancora di pi, di una pluralit di ethos colletti- vi che sono il referente diretto di ogni politica. La modernit ha cercato di trovare una risposta al primo problema, da una parte, attraverso una formalizzazione della morale in cui i rapporti morali sussistono anche indipendentemente dalle differenze morali specifiche: Il formalismo della morale kantiana [...] ha portato proprio a questa conclusione: la moralit non  un valore specifico. Essa consiste nel rispetto per i valori in gene- rale e in una gerarchia di valori. Le uniche forme di immoralit sono lipocrisia e lincoerenza (che contraddicono, appunto, alla legge forma- le della moralit). I valori politici non sono che un gruppo di valori o un insieme di mezzi per attuare un certo mondo di valori. In questo senso la politica  nella morale, come un mondo di valori in una morale formalizzata che non usa o fonda il potere contro alcun valore specifico. Condannare come immorale una prassi politica  un errore di dogmati- smo, perch si assolutizza la propria morale in Morale. Dal lato dellethos - a differenza della moralit leticit, cio il costu- me, non  formale e regola in concreto tutto il ciclo della vita delluomo - Preti sottolinea la fine di due contraddizioni che hanno attraversato la modernit. La prima, lantitesi tra morale individuale e morale sta- tale,  di fatto oggi superata a scapito dellindividuo, come effetto della perdita di ogni sacralit e di assolutezza dello Stato diventato unor- ganizzazione politico-amministrativa pervasiva e onnipotente: la socie- t, come si  gi visto,  totalitaria e tende al formicaio. La seconda, quella tra eticit e moralit statale, cio tra appartenenza individuale ad un certo costume e la necessit di sospendere la validit di questa eticit al di l dei confini comunitari o nazionali. Ad esempio in guerra, quando nei confronti dello straniero l'assassinio pu diventare eroismo. Ma oggi, sottolinea Preti, quando il formarsi di vasti complessi industriali, eco- nomici e politici internazionali, i viaggi e il turismo tutto contribuisce ad aprire il senso della trib ed il medesimo costume ci sta sempre pi accumunando, la validit di quella sospensione, come del nazionalismo che la giustifica, appaiono scaduti (tanto pi per noi in epoca di pro- cessi globali). Tuttavia, sia sul terreno della morale che su quello delletica, le vecchie contraddizioni si attenuano o tendono a scomparire, ma nuove e non me- no drammatiche compaiono. Se la morale formale ha disinnescato la vio- lenza contro gli individui in nome di un particolare mondo di valori, ed in particolare quella del potere eretto a baluardo assoluto di determinati valori; e se la crisi del nazionalismo e linternazionalizzazione dei costumi ha tolto molta efficacia alla doppia etica, non per questo i conflitti vengono meno. Essi appaiono a Preti lesito necessario, sia della responsabilit della scelta sul piano della morale formale, sia sul piano del nuovo ethos che non potr che affermarsi contro i vecchi costumi. Se il formalismo morale de-dogmatizza e quindi depotenzia la contrapposizione dei valo- ri, non per questa tale contrapposizione scompare e quando si tratta di valori politici il ricorso alla spada (fatta di acciaio o fatta di mere parole) 134 GIOVANNI MARI  comunque inevitabile. E sul terreno dellethos, se un nuovo costume, e quindi unaltra etica (e perci anche unaltra etica politica e militare) si va formando, ricordiamoci che esso si forma attraverso una rivoluzione. Nella storia vince sempre il pi forte ( tautologico) e un nuovo costu- me si forma travolgendo interessi economici, valori ideali, abiti, istituzio- ni, convinzioni, legati a vecchi costumi, c' un pi forte che schiaccia il pi debole, una maggioranza che spinge ai margini della vita e della so- ciet una minoranza. Da qui due osservazioni circa i due tribunali di Stoccolma e di Norim- berga in cui etiche particolari sono state trasformate in sentenze. Nel pri- mo caso quella dei pacifisti, nel secondo quella dei vincitori della seconda guerra mondiale. In entrambi i casi Preti fa appello alla consapevolezza della specificit etica ed ideologica su cui si sono basate tali sentenze, e allesigenza che i giudici ed i loro sostenitori si sentano legati ai valori ed allethos cui si ispirano le sentenze pena lincoerenza e la cattiva fede di comportarsi in nome di unideologia affatto diversa, in nome di una concezione tribale [che ammette le deroghe per gli stranieri] del costu- me e dei rapporti umani. Di nuovo tutta la metariflessione rigorosa sulla morale formale e sulletica approda ad una conclusione politica esposta in una metadiscorso meno rigoroso ma efficace e coerente. In questo caso rivolto a determinare effetti politici attraverso una pratica teorica intessu- ta di considerazioni kantiane e hegeliane. Le quali, per noi oggi, insieme alla formalizzazione della morale ed oltre la soluzione rivoluzionaria di Preti, pongono il problema di una formalizzazione delletica, cio di un pluralismo degli ethos e delle culture particolari dei popoli sul piano in- ternazionale (Rawls parlerebbe del problema di un diritto dei popoli). 4. Conclusioni Ho ripetutamente sottolineato, anche attraverso una lettera dei testi rivolta a rinvenirne esempi, che il saggi di Preti vanno considerati una pratica teorica finalizzata a produrre effetti politici in un determinato contesto, il 68, senza praticare un linguaggio politico, ma costruendo un tipo di discorso filosofico, cio metalinguistico, per ottenere tali ef- fetti indirettamente, cio attraverso la critica delle culture corrisponden- ti a determinati comportamenti sociali e politici oggetto finale, ancorch non diretto, della critica. In altre parole, che Preti fa politica da empiri- sta logico, senza abbandonare i presupposti e i caratteri di questa forma di metalinguaggio filosofico. Apparentemente fornisce sostegno a tutte quelle posizioni, come attualisti, storicisti, marxisti e cattolici sociali (per rimanere in ambito nazionale) che hanno sempre difeso e spesso insisti- to sulloggettivo significato politico che la filosofia riveste. Questo giudi- 16 Ivi, pp. 79-84. UN EMPIRISTA LOGICO DI FRONTE AL 68 135 zio pu non essere rifiutato, ma solo in parte e con alcune precisazioni, riassumibili nella consapevolezza teorica della distinzione introdotta tra rigorosa metariflessione e altri discorsi meno rigorosi, che troviamo alla base della pratica teorica dei saggi e degli effetti politici ricercati che Preti attua senza scegliere un determinato impegno o un determinato schieramento (partito) politico. Con la convinzione che la filosofia sia in grado, autonomamente e liberamente, senza abbandonare il proprio lin- guaggio, di definire e perseguire tali effetti, cio di prendere filosoficamente posizione in un contesto senza assumere una esplicita posizione politica: si noti, n con i conservatori, n con i rivoluzionari. Si tratta di un radicale antileninismo teorico, un leninismo che negli anni in cui Preti scrive, soprattutto in certa filosofia francese, andava molto di moda e co- stituiva una specie di controcanto delloperazionismo. Preti dimostra che non  necessario prendere posizione politica per far svolgere alla filo- sofia una funzione critico-politica, che la filosofia ha proprie ed autono- me risorse che le permettono di svolgere un discorso politicamente non neutrale, critico e capace di proporre effetti nella civilt cui tale discorso appartiene. Che  capace di prendere posizione facendo appello esclusi- vamente al proprio linguaggio, costruendone in questa prospettiva uno meno rigoroso, senza bisogno di introdurre da altri linguaggi, segnata- mente da quelli politici, una posizione non neutrale. Indipendentemente dagli specifici, e naturalmente discutibili, effetti politici prefigurati dalla pratica teorica di Que ser, ser, tra i quali alcuni sono per molti versi pi a sinistra del 68, indipendentemente da tutto ci, rimane l'indicazione che la filosofia, purch il filosofo ne sia capace e ci si impegni,  in grado di dire la sua sul presente senza confondersi con i partiti e i valori po- litici, cio liberamente e autonomamente. Da intellettuale disorganico verrebbe da dire. A questa prima osservazione vorrei aggiungerne altre due entrambe relative allimpiego di discorsi meno rigorosi e terminare, sperando mi sia scusata, con una nota personale. La prima per sottolineare pi espli- citamente che tali tipi di linguaggio sono tali perch personali, pi den- si di materia personale, come sentimenti, speranze e timori, cio stati emotivi e sentimentali.  a questo tipo di materia che la pratica teorica si rif e non alle parti politiche in gioco, per prendere posizione. Ma si tratta di una materia che non  spontanea, n lasciata a se stessa:  legata ad un certo habitus al rigore razionale e critico, e tali i discorsi devono essere espressi nel modo pi motivato possibile, cio pubblico. In altre parole si tratta di un personale che  filosofico. Con questa proposta Pre- ti sottolinea la necessita di sfondare certi limiti del linguaggio filosofico empirista senza abbandonarne i valori; che la filosofia non pu essere solo avalutativa, senza dover abbandonare le forme pi attente alla scientificit del suo discorso, senza le quali non potrebbe esserci quello meno rigoro- so; che se ci sono due discorsi e per certi versi ci sono anche due filosofi, gli abiti sono li stessi, e la scissione personale  evitata; che se non si pu stare in silenzio, se non esistono ambiti di cui in linea di principio si deve 136 GIOVANNI MARI tacere, in ceri casi la filosofia per parlare deve assumere un certo punto di vista, che non  quello politico, ma quello personale ma non meramente individuale; che cos si inventa un discorso adatto al presente, un pre- sente investito personalmente da cui la filosofia non pu filosoficamen- te sfuggire (una forma di impegno filosofico). Una proposta in cui non  possibile separare la teoria dallemozione, la storia dal presente, la tra- dizione dal giudizio e dalla critica dei fenomeni culturali del presente. Seconda osservazione, strettamente connessa alla precedente, ed an- che questa gi richiamata di sopra. Nella proposta critica conta soprat- tutto il punto di vista, che lega teoria, emozioni, passato e presente. Da questo punto di vista si definisce un obiettivo polemico; la selezione degli argomenti non  n dogmatica n unilaterale, si possono rinvenire armi teoriche laddove gli abiti si accordino ancorch in maniera meno rigo- rosa. L'effetto  prioritario rispetto alla purezza od omogeneit dottrina- le. Non si tratta di eclettismo se non da un punto strettamente scolastico; dal punto di vista teorico-emozionale che mira ad una determinata cri- tica, non si tratta di eclettismo ma di capacit di attingere da dove si pu secondo gli abiti ed una pratica teorica meno rigorosa, ma coerente col metalinguaggio rigoroso. AAA Un breve nota personale, che pu risultare utile ad illustrare ci che ho cercato di dire sin qui. Circa vent'anni dopo la pubblicazione dei saggi di Que ser ser, insieme ad alcuni amici, non solo di Firenze, il sottoscritto ha fondato una rivista Iride, con un sottotitolo Filosofia e discussione pubblica. Ritengo che ci che in 23 anni Iride ha pubblicato di pi in- teressante corrisponda allidea di pratica teorica o di autonomo impegno filosofico rivolto al presente che Preti ha esemplificato in Que aera, ser. Sia nel senso che determinati effetti politici in ambito culturale sono stati ricercati autonomamente da qualsiasi schieramento politico, sia perch si  cercato di commisurare il rigore con l'assunzione di un punto di vista non avalutativo, sia perch la rivista  partita dai problemi e non dalle scuole o indirizzi filosofici. Personalmente ho partecipato attivamente ed intensa- mente al 68, ero cio dalla parte dei rivoluzionari. Eppure vent'anni do- po ho promosso Iride, la cui idea non  stata certamente estranea a tale esperienza personale. Come dire: che le ragioni di Preti elaborate contro il "68 si sono dimostrate valide anche con certi frutti del 68, che il 68 non era poi cos babele o solo no come pensava Preti. GIULIO PRETI: LA FILOSOFIA COME EDUCAZIONE E COME RESPONSABILIT Luca Maria Scarantino Accettando di buon grado linvito di Alberto Peruzzi e Franco Cambi a trattare il tema della responsabilit politica in riferimento allopera di Giu- lio Preti, iscrivo volentieri questo breve contributo entro una tradizione di studi pretiani solidamente radicata nella citt di Firenze. Qui, presso la se- de universitaria che ebbe Preti come docente e ove si formarono la maggior parte dei suoi allievi, si  andata sviluppando un'attenzione nei confronti della filosofia di Preti che ha in gran parte contribuito a superare i vari ste- reotipi interpretativi aggrumatosi nel tempo attorno alla sua figura: tra essi, quello di un Preti essenzialmente filosofo della scienza a lungo rimasto in auge. Fu proprio Peruzzi, denunciando il diffuso invaghimento per il Pre- ti epistemologo', a delineare tra i primi un percorso interpretativo volto a integrare lopera filosofica pretiana entro la pi vasta storia della cultura eu- ropea del Novecento - un percorso culminato poi nellintervento su Preti filosofo dei valori svolto da Paolo Parrini in occasione del grande convegno (2002) per il trentennale della morte di Preti. Un approccio, questo, teso so- prattutto a proseguire limpegno teorico pretiano nelle sue diverse direzioni e che si integrava, completandosi a vicenda, con gli studi milanesi condotti sotto il precoce impulso di Mario Dal Pra e alimentati, tra laltro, dallim- pegno bio-bibliografico, documentaristico e archivistico di Fabio Minazzi?. Da parte mia, ho cercato di ricostruire questa dimensione non esclusi- vamente epistemologica dellopera di Preti insistendo sul suo tentativo di costruzione della filosofia come disciplina sociale, in cui lelemento caratte- rizzante  dato dalla nozione di persuasione razionale*. Senza ribadire con- cetti gi studiati, basti ricordare che proprio questultima, la persuasione razionale, rappresenta agli occhi di Preti la struttura teoretica di una comu- 1 A. Peruzzi,  morale la filosofia della morale?, in Il cuore della ragio- ne. Omaggio a Giulio Preti, Quaderni della Antologia Vieusseux, Gabinetto G.P. Viesseux, Firenze 1987, p. 309. P. Parrini, Preti filosofo dei valori, in Il pensiero filosofico di Giulio Preti, a cura di P. Parrini e L.M. Scarantino, Guerini, Milano 2004, pp. 21-46. 3 Per una ricostruzione dei primi venticinque anni di studi pretiani, si veda in par- ticolare il mio Venticinque anni di studi su Giulio Preti, Iride, 24, 1998, p. 371-385. 4 L.M. Scarantino, Giulio Preti. La costruzione della filosofia come scienza socia- le, Milano, Bruno Mondadori, 2007. Franco Cambi e Giovanni Mari (a cura di) Giulio Preti : intellettuale critico e filosofo attuale ISBN 978-88- 6655-039-6 (print) ISBN 978-88-6655-044-0 (online PDF) ISBN 978-88-6655-048-8 (online EPUB)  2011 Firenze University Press 138 LUCA MARIA SCARANTINO nicazione interpersonale libera e democratica, la quale costituisce quel che Preti ebbe a definire come il leitmotiv della propria vita filosofica. Di essa egli si applica a fornire, lungo lintera sua opera, una costruzione episte- mica che non si limiti a enunciare compiti o programmi filosofici, ma che metta effettivamente in tavola gli strumenti concettuali mediante i quali si possa articolare una comunicazione persuasiva e razionale. Le sue pagi- ne sul discorso propagandistico, nei capitoli finali di Praxis ed empirismo, non sono appelli etico-morali a forme di comportamento virtuoso, n ana- lisi di natura comunicativo-sociologica, ma conseguenze epistemicamen- te necessarie di un impianto teorico che si snoda lungo lintera sua opera. Questimpianto , come ormai chiaro, quello di un pluralismo ontolo- gico o categoriale cui fa da contraltare lasistematica pregnanza del mondo della vita, il mondo dell'esperienza immediata e della carne. Ad esso  dedi- cata per l'essenziale lopera filosofica di Preti: sia nelle strutture categoriali e trascendentali nelle quali si articola, sia nelle sue conseguenze sul piano eti- co-morale. Non entreremo qui negli ingranaggi di questelaborazione, il cui funzionamento abbiamo cercato di descrivere nella monografia del 2007. Li- mitiamoci piuttosto a delineare schematicamente un bilancio dellesperienza pretiana, con particolare attenzione alla sua attualit filosofica e culturale. Troviamo infatti nella congiunzione di episteme e morale una delle ca- ratteristiche principali del pensiero di Preti, retaggio dellinsegnamento banfiano e, pi generalmente, di tutta una tradizione filosofica di matrice socratica: lidea che le strutture morali dellagire riposino sulle strutture epistemiche del conoscere, ossia  per dirlo altrimenti - che la persona morale sia funzione del soggetto epistemico. Il punto che ci interessa in questa sede  che la funzione della filosofia come paideia prende la forma di un'educazione morale, uneducazione dei comportamenti e degli atteg- giamenti, che si svolge attraverso l'apprendimento di un modo di pensa- re non dogmatico, non essenzialista, non fondazionalista. Filosofia come scienza della cultura, analisi delle strutture formali e intenzionali del sa- pere, e filosofia come educazione morale coincidono. Gli atteggiamenti umani possono essere modificati educando a concepire le proprie rap- presentazioni non gi come datit ontologicamente necessarie, ma come funzioni storicamente variabili e pragmaticamente determinate: quel che in termini tecnici si pu descrivere come una trasformazione della neces- sit ontologica della rappresentazione in sua necessit storica. Si tratta di un procedimento di estrema complessit, che Preti realizza attraverso una storicizzazione radicale, ma non relativistica, degli a priori del conoscere, la cui variabilit storica viene trasposta sul piano della giustificazione epi- stemica (e mai sul piano della verit categoriale) sino a prendere la forma di una storicit della Lebenswelt o storicit del senso comune. 5 G. Preti, Praxis ed empirismo, Einaudi, Torino 1957, p. 22.  Per una ricostruzione dinsieme del pensiero e della filosofia di Preti, si veda il mio Giulio Preti. La costruzione della filosofia come scienza sociale, cit. GIULIO PRETI: LA RESPONSABILIT POLITICA 139 Donde la peculiare importanza dellopera pretiana. Preti non  un pre- dicatore, un filosofo che spenda tempo a indicare agli altri cosa fare   un filosofo che fa, che costruisce teoreticamente le strutture epistemiche (filosofiche) che permettono di costruire il senso in maniera aperta e non limitata culturalmente.  in questo che consiste la sistematicit aperta del- la sua opera. Qui entra in gioco il concetto di responsabilit. La struttura del senso come orizzonte aperto di possibilit, questa vera e propria filo- sofia dellazione che si trova in Preti, conduce a portare limpegno umano, la responsabilit, su di un piano globale. Significa cio fare dell'educazione filosofica un mezzo affinch ogni individuo sia consapevole di vivere in un mondo complesso in cui le proprie azioni avranno un effetto sullinsieme dellumanita, andando assai al di l delle loro conseguenze immediate. La responsabilit, lo sforzo che si richiede a ciascun individuo consiste preci- samente nel pensare l'insieme di queste conseguenze, nel conoscere, stu- diare, formarsi in maniera tale da poter prevedere gli effetti delle proprie azioni nella maniera quanto pi articolata possibile sul piano intersoggettivo e culturale. La comprensione non , nel realismo critico pretiano, semplice ottemperanza a norme predeterminate, ma autentico dovere, responsabilit umana su cui si fonda l'insieme delle relazioni interpersonali. La vera e propria svolta pragmatica che Preti imprime alla filosofia con- temporanea, e di cui egli traccia le principali linee di sviluppo, assicura in tal modo non solo un esito democratico al pensiero, una costruzione del- la cultura democratica, come egli stesso aveva perfettamente compreso, ma pi fondamentalmente restituisce alla filosofia una presa culturale e sociale che essa sembrava aver in parte perduto nel corso della modernit - o della postmodernit. Per questo  possibile individuare un fuoco te- matico principale del discorso pretiano proprio nella costruzione di una persuasione razionale, intesa non solo come struttura comunicativa, ma altres come struttura epistemica soggiacente a unintersoggettivit aper- ta, a livello tanto interpersonale quanto storico-collettivo. Un aspetto particolarmente significativo della sua opera  dato pro- prio dallaver recuperato la potenza teoretica della filosofia come elemen- to di trasformazione culturale. Preti non  un intellettuale sartriano. La filosofia, scrive,  necessariamente impegnata  ma il suo impegno punta a modificare un ethos, non un partito. Ma un ethos, come egli ha cerca- to di mostrare,  anche e anzitutto una struttura epistemica, o meglio un insieme di strutture epistemiche che determinano le regole e i criteri del giudizio, della credenza e in generale i criteri di validit del sapere.  in- 7 Cf. G.P., Praxis ed empirismo, cit., p. 243, ove si dice che la filosofia non  mai di fatto, e di diritto non deve essere, neutrale o indifferente. Per qui la filosofia sceglie un ethos piuttosto che un altro, non un partito piuttosto che un altro. Sulla critica filosofica che obbedisce sempre a profondi bisogni sociali, ed  profon- damente impegnata entro il divenire e le sorti di una societ e della cultura di questa, si veda Criticit e linguaggio perfetto (1953) in G. Preti, Saggi filosofici, La Nuova Italia, Firenze 1976, v. 1, pp. 105-126. 140 LUCA MARIA SCARANTINO tervenendo su questo piano, con gli strumenti concettuali (formali) propri del pensiero filosofico, che questultimo riesce a incidere sul piano della cultura mantenendo al tempo stesso la propria specificit - quel che Pre- ti avrebbe chiamato, e vale per la filosofia come per ogni altra disciplina, lautonomia della propria dimensione trascendentale. Lopera pretiana non ha quindi nulla di edificante.  anzi uno stru- mento di grande potenza teorica con cui pensare i problemi e le strutture socioculturali del tempo presente. Perch il discorso pubblico obbedisce in alcuni paesi a regole in gran parte simili a quelle del discorso scientifico, in cui leffettivit, la coerenza, il rispetto dei fatti sono condizione neces- saria per la sua accettabilit, mentre in altri paesi esso sembra rispondere a criteri di validit di natura assai pi sociale? Perch in un paese come lI- talia un discorso politico di tipo maccartista, tutto incentrato sulla paura del comunismo, ha potuto avere successo, alla met degli anni Novanta, e quali sono i meccanismi di formazione della credenza che ne hanno reso possibile l'affermazione? Tutta la tematizzazione della complessa relazio- ne tra convinzione e persuasione, tutta lanalisi del consensum gentium, quel particolare tipo di pressione conformista che determina i criteri del giudizio allinterno di un gruppo chiuso, trovano momenti di applicazio- ne in numerosi gruppi di fenomeni simbolici e sociali che caratterizzano le societ contemporanee. Si pensi daltro canto alle derive identitarie che attraversano una parte, forse ancora minoritaria ma di sicuro non trascurabile, delle societ euro- pee di oggi. Al di l dei motivi storico-sociali che possono essere allorigine di tali forme di chiusura identitaria, quali ne sono le strutture epistemiche, e come misurarne la portata per mezzo delle categorie filosofiche? Proprio il piano del senso e la costruzione della sua illimitatezza pragmatica (il fri- empimento infinito il cui limite sta proprio nellesperienza fondamentale dellazione) rendono possibile la costruzione di um idea di partecipazione, di citoyennet che trascenda i limiti di un gruppo nazionale, etnico o cul- turale per svolgersi su di un piano globale, il piano di un'umanit che non  un concetto moralistico ma il luogo simbolico di uninterazione umana non pi possibile su di un piano inferiore. Cos, il superamento di forme dogmatiche di universalismo, e al tempo stesso il rifiuto di un relativismo etico, entrambi conseguenze necessarie del pluralismo categoriale pretia- no (cui si accompagna la tematizzazione, nel saggio del 1962 Il linguaggio della filosofia, di un trascendentale situato)*, appaiono come forme em- brionali di una filosofia dellinterculturalit che trova nel pensiero pretia- no i suoi (impliciti) presupposti teoretici. Sono solo alcuni temi di cruciale importanza per la contemporaneit che lopera pretiana ci aiuta ad analizzare e talora persino a comprende- 8 G. Preti, Il linguaggio della filosofia, (1962) in G. Preti, Saggi filosofici, cit., v. 1, pp. 455-474. Su questo tema, cfr. i miei Giulio Preti, cit., pp. 319 sgg. e, successiva- mente, Persuasion, rhtorique et autorit, Diogne, 217, 2007, pp. 22-38. GIULIO PRETI: LA RESPONSABILIT POLITICA 141 re. In essa non si troveranno prediche inutili, ma strutture concettuali operative, in grado di esercitare proprio oggi, sulla cultura e sulle strut- ture simboliche con cui ci troviamo a operare, la propria azione analiti- ca, chiarificatrice, educativa. Esse lo fanno in una direzione ben precisa, quella di unapertura concettuale, culturale, filosofica di cui l'elaborazione politica contemporanea sembra avere un gran bisogno. Se di attualit di Preti si pu dunque parlare,  esattamente in questa direzione: quella di un pensiero che offre gli strumenti concettuali per pensare lintegrazione, linclusione, la fusione degli orizzonti culturali - quel che InSuk Cha ha recentemente chiamato la mondializzazione della Lebenswelt. IL MATERIALISMO DI GIULIO PRETI Giulia Santi 1. Il pensare filosofico, tra fluidit e rigore  tendenza assai diffusa a fare degli -ismi filosofici della specie di es- senze immobili, che si ripresentano nel corso della storia del pensiero con variazioni del tutto accidentali, ma sempre con il medesimo nocciolo o anima di verit. [...] Per molti pu rappresentare un ottimo pretesto per non leggere gli autori, per esimersi da pesanti obblighi filologici, per scri- vere monografie dove la costruzione sistematica pu facilmente sostituirsi alla lettura attenta e sensibile. Il pensiero viene cacciato per forza dentro a questi -ismi, ci stia o no: e il povero pensatore (che, essendo morto non pu pi protestare) deve dire quello che  conforme allo schema, anche se non lha mai detto, o lha detto dando alle espressioni un senso tutto diverso?. Mi  parso opportuno cominciare questo contributo con queste ci- tazioni, riguardanti le forzature che talvolta vengono imposte attraverso sclerotizzanti etichettature ermeneutiche nella lettura di autori, in quanto gi altamente significative rispetto alla diametralmente opposta matrice del pensare pretiano. Prima infatti di osservare direttamente il limpido filosofare di Giulio Preti, e nello specifico la forma assunta dal suo materialismo,  necessario riflettere in maniera preliminare sulle forme pi intime e profonde della sua impostazione filosofica. Preti stesso, forse, avrebbe ritenuto dovero- so rendere pi denso e problematizzare il lemma materialismo, qui uti- lizzato nel titolo, a partire innanzitutto proprio da quell-ismo finale, cos da effettuare opportuni distinguo, evidenziando a cosa quel termine non pu affatto riferirsi. Gia da un primo confronto con i testi, emerge immediatamente una ca- ratteristica basilare della ricerca filosofica intessuta da Preti. Le riflessioni ! G. Preti, Saggi filosofici, La Nuova Italia, Firenze 1976, vol. II p.247. Il corsivo  nel testo. 2 Ivi, vol. II p. 221. Il corsivo  nel testo. Franco Cambi e Giovanni Mari (a cura di) Giulio Preti : intellettuale critico e filosofo attuale ISBN 978-88- 6655-039-6 (print) ISBN 978-88-6655-044-0 (online PDF) ISBN 978-88-6655-048-8 (online EPUB)  2011 Firenze University Press 144 GIULIA SANTI del filosofo pavese si proiettano lungo una linea ben netta che attraversa, nello stesso tempo, le terre del fluido speculare antidogmatico e quelle di un procedere rigoroso e coerente sia linguisticamente, sia teoreticamente. Quello che immediatamente balza agli occhi nell'approccio con questau- tore  quindi da una parte la dinamicit delle sue riflessioni, che si tradu- ce in un rifiuto, nettissimo, di ogni cristallizzazione acritica e dogmatica, dallaltra parte il rigore con il quale egli analizza ogni posizione e concetto, posti sotto esame, nelle loro molteplici sfaccettature, riuscendone, coeren- temente, a focalizzare, con estrema lucidit, forze e debolezze interne. Il rifiuto di ipostatizzazioni del pensiero, non deve mai essere frainteso con una mancanza di un adeguato rigore, tanto nella riflessione tanto nelle- sposizione delle proprie posizioni. Osservando pi attentamente, Preti rifiuta, quindi, ogni rigidit, dif- fidando, innanzitutto, da ogni cieco e acritico utilizzo degli -ismi, visti come realt chiuse in compartimenti stagni, senza n storia, n vita, pur non giungendo mai, con questo, a disconoscere tout court lesistenza e limportanza delle tradizioni come termini di riferimento, in fase di ela- borazione, da parte del filosofo, e di ermeneutica, in fase di lettura e con- fronto, da parte del critico. Noi viviamo entro una tradizione: il nostro linguaggio, le catego- rie con cui organizziamo le nostre ricerche e i nostri discorsi, la pro- blematica stessa di cui ci occupiamo hanno senso nei riguardi di un linguaggio, di categorie, di problemi che sono giunti a noi attraverso millenni di storia. Preti comprende come il problema della continuita e discontinuita degli autori e dei pensieri, rispetto a tradizioni con le quali entrano in relazione, sia una questione complessa, per il denso intreccio di significati, e irta di insidie, se ci si riferisce alle evoluzioni sia della storia del pensiero in ge- nerale, sia delle riflessioni di un singolo nello specifico. Preti rileva come lutilizzo di categorie concettuali, troppo spesso rigido steccato che poco rispecchia la complessit della realt, mantiene comunque utilit e ope- rativit come strumento regolativo nelle mani del critico per ricostruire la trama di pensieri, in senso orizzontale (nella contemporaneit) e ver- ticale (in un respiro diacronico), nella quale lautore pu essere inquadra- to. Tale operazione  legittimata, in questi termini, anche dal fatto stesso che lautore per primo ha operato, a monte, una precisa e necessaria scel- ta. Sebbene il lettore non debba mai isterilire il precipitato di un filosofo in sterili -ismi, non  corretto nemmeno che non valuti come sia stato per primo lautore stesso a collocarsi, a prendere posizione, sono parole di Preti, a schierarsi operando una scelta ben precisa, spesso coraggiosa e dalle spinose conseguenze, implicando, molte volte, una conseguente ade- G. Preti, Saggi filosofici, cit., vol. I, p. 484. IL MATERIALISMO DI GIULIO PRETI 145 sione in questo e quellaltro partito politico, questo o quellaltro partito religioso. Pensare criticamente, prendendo una posizione chiara su pun- ti nodali, sia che ci avvenga scrivendo pagine, sia intraprendendo batta- glie, significa prima di tutto abbracciare e sostenere un idea, significa non essere indifferenti, nel corso della storia. Non avere il timore di ritenersi appartenenti a una parte, pur rimanendo vigili e critici, mai dormienti, in un torpore acefalo, vuol dire diventare partigiani in difesa del proprio punto di vista, per quanto pronti a maturarlo. Preti, inoltre, non liquida mai alcuna questione senza averne prima svi- scerato in profondit, e con estremo rigore filologico, gli aspetti pi intimi, non accettando mai facili riduzioni interpretative. Il tarlo della critica lo porta sempre a tenersi alla larga dalle sdrucciolevoli superfici, piastrellate di posizioni squadrate con laccetta, che lo condurrebbero a non rilevare gli elementi validi ed euristicamente fecondi allinterno di posizioni an- che non totalmente condivise o, al contrario, di individuare invece impas- se in punti di vista globalmente presi come riferimento primario. Ancora una volta riemergono nello stesso tempo fluidit e rigore nelle modalit del filosofare di Preti. In tale ottica deve essere letta anche la critica spietata e a tutto tondo portata avanti da Preti nei confronti di ogni discorso che si ponga su un terreno metafisico. Nella metafisica infatti, prima di tutto, il nostro intra- vede un pensiero non puntuale scientificamente, soprattutto nei metafisici moderni, non potendo accettare ci che esso ha di inconsistente dal pun- to di vista logico, di indefinitamente equivoco dal punto di vista semanti- co, di incontrollabile dal punto di vista empirico*. La metafisica mostra il fianco proprio in quanto pretende di raggiungere una conoscenza ulti- ma, reificando e cristallizzando il proprio oggetto, assolutizzandolo, per di pi senza essere in grado di rispondere allesigenza di rigore e veri- ficabilit che un'indagine scientificamente condotta richiederebbe. Preti avvertendo tutta lurticante boria racchiusa in ogni processo conoscitivo che aspiri a raggiungere leterno, lassoluto, limmutabile, si chiede allora quali possano essere il compito, il cammino e lambito della filosofia. La filosofia deve innanzitutto riconoscere come priva di senso la nozione delleternamente vero5, senza disconoscere il valore e la portata dello storicamente vero, che se non offre appagamento a chi  pervaso da una sete dincrollabilit, dallansia dell'eterno, a chi invece accetta pacifi- camente leventualit di morire, nel senso pi completo della parola, ma ci tenga invece a formarsi le idee pi chiare possibili, pi intersoggettive possibili, idee che contribuiscano a liberare lui e i suoi simili da incubi e fantasmi dellaldil e rendano pi comoda e ridente possibile la casetta delluomo terreno - per costui il difetto si tramuta in massimo pregio. 4 Ivi, vol. I, p. 477. 5 Ivi, vol. I, pp.75-76, dalle quali sono tratti anche i riferimenti seguenti fino a dove diversamente indicato. 146 GIULIA SANTI Partendo da queste considerazioni, Preti inevitabilmente giunge a ri- pensare anche gli ambiti propri ai quali la filosofia pu estendere il pro- prio ambito di indagine, sempre mantenendo, come filo d'Arianna, questo coerente intreccio di fluidit e rigore. A Preti appare allora fuorviante de- terminare a priori quale sia e come si determini loggetto proprio della filosofia. Non  intatti possibile congelare una volta per tutte e senza alcu- na declinazione storica e tramite uninterpretazione univoca quali siano i problemi sui quali la filosofia si pu, si  potuta e si potr, esprimere, e quelli, potremmo dire, off limits. Della storicit nella quale luomo  immerso non pu non partecipare anche ci che la filosofia pone sotto la propria lente. La philosophie est una metarflexion dont le niveau est toujours su- sceptible dtre dplac, afferma dunque Preti citando Jacques Ruytinx, per poi continuare dichiarando che essa non ha un locus proprio, ma deve porsi ad un livello superiore. Da ci non pu non risultare quindi una distorsione asserire, con estre- ma semplificazione, che lelemento di continuit, fondo opalescente di ogni riflessione filosofica, in ogni tempo e in ogni luogo, consista in problemi invariabili, quasi fossero fossili, nelle loro declinazioni, gi determinati nel passato e predeterminabili rispetto al futuro. Si  soliti affermare che [...] i problemi rimangono, sono costantemente gli stessi. Il problema della conoscenza, del bene, dellarte, della realt, dellorigine del mon- do... ecco i problemi costanti cui umanita pensante si trova sempre di fronte. [...] Anche qui il solito pericolo; i problemi della filosofia son A, B, C...; se in un pensatore essi mancano, non  un filosofo; se ne mancano alcuni,  filosofo incompleto; se ne pone altri, bene, ma non sono problemi filosofici. Che  un modo per ottenere vittoria sul- la realt un po troppo a buon mercato. [...] Ma anche ammesso che i problemi restino gli stessi,  pur sempre vero che, nel corso della storia della filosofia, essi, se mai, restano identici solo formalmente. Compito della filosofia diviene allora immergersi sempre nella dimen- sione storica ritagliando dimensioni di intelligibilit del reale, senza dogma- tizzazioni dei propri risultati, mantenendo nello stesso tempo un compito generale e particolare, di ampia sistemazione in vasti quadri complessivi e di ristretta penetrazione critico-sistematica in singoli campi della cultura*. In ultima analisi, per concludere questa prima ricognizione nel pensie- ro di Preti, una filosofia e un pensiero cos caratterizzati si materializzano  G. Preti, Saggi filosofici, cit., vol. I, p. 512, dove si cita lespressione di J. Rutynx in Le problmatique philosophique de lUnit de la Science, Societ ddition Les Belles Lettres, Paris 1962, p. 339, nota 2. 7 G. Preti, Saggi filosofici, cit., vol. II, pp. 223-224. Il corsivo  nel testo. 8 Ivi, vol. I, p. 484. IL MATERIALISMO DI GIULIO PRETI 147 necessariamente nellutilizzo di una particolare forma dellargomentare, nonch in un genere particolare di scrittura: il saggio. Preti nel corso del- la sua vita, anche se non in maniera esclusiva, ha scritto numerosissimi saggi, molti dei quali rimasti inediti fino alla sua morte, indirizzando la sua attenzione su molteplici ambiti dindagine. Preti si rivolge a destina- tari diversi e perci modula, con dinamismo, le forme utili ad analizzare la propria Weltanshauung e descrivere la propria narrazione conoscitiva senza mai venir meno a limpidezza critica, rigore e chiarezza. Tali saggi non devono essere visti come riferimenti minori, allinterno della produ- zione dellautore, in quanto sono vere e proprie trivellazioni critiche nei pi ampi orizzonti della ricerca filosofica, tali da scalfire dure rocce dog- matiche, senza mai sprofondare in sabbiosi terreni di totale relativismo, aprendo sempre nuove sfide che riannodino fili sciolti di pensiero. Come li defin Mario Dal Pra, i saggi di Preti sono tessere di un mosai- co che mano a mano si venivano disponendo nel luogo a ciascuna riservato e che, nellinsieme rendevano sempre meno incompiuto il quadro, che era rigorosamente presente fin dallinizio e che operava in modo ordinato e continuo nello sviluppo di una riflessione costruttiva? arricchendo sem- pre di nuove sfaccettature e nuovi slanci il proprio procedere investigativo. 2. Le tre ruote dentate Dopo aver dedicato uno sguardo dinsieme alle caratteristiche che si pongono come fondamenta alla base di tutto l impianto filosofico svilup- pato nel corso degli anni da Giulio Preti,  possibile ora penetrare allin- terno dei gangli e degli ingranaggi i cui ponderati movimenti ad incastro permettono alla macchina pretiana di avanzare con precisione rigorosa negli orizzonti del pensiero moderno. Sono principalmente tre le ruote dentate che con coerenza trovano un loro incastro innescando cos il meccanismo che anima la riflessione di Pre- ti, e sono lempirismo logico, il trascendentalismo e le filosofie della prassi. Sebbene sia principalmente il terzo aspetto quello che pi riguarda questo contributo,  necessario stabilire, sinteticamente, in che cosa con- sistano i primi due elementi e in che modo le loro dentature trovino una possibilit di incastro. Giulio Preti, proprio grazie al suo procedere non preconcetto e nello stesso tempo scrupoloso, riesce a rivalutare, in ottica critica, diversi indi- rizzi di pensiero nel tentativo continuo di stabilire incontri reciprocamente costruttivi e di fondare piani di mediazione tra posizioni, fino ad allora, ritenute totalmente divergenti, senza possibilit di dialogo. Per quanto riguarda lempirismo logico  possibile rintracciare una ri- costruzione delle caratteristiche e delle motivazioni che spinsero Preti ad ? M. Dal Pra, da Presentazione, in G. Preti, Saggi filosofici, cit., pp. VII-IX. 148 GIULIA SANTI avvicinarvisi allinterno del saggio I! mio punto di vista empiristico, del 1958 e poi raccolto tra i Saggi filosofici10. Allinterno di questo scritto, il nostro dichiara come sia stata un'esigenza ben precisa di rigore ad averlo portato ad avvicinarsi allempirismo, in seguito alla constatazione dello status quo interno alla ricerca filosofica. Preti descrive con ferocia il panorama degli inizi della sua militan- za filosofica, come un bellum omnium contra omnes, nel quale ognuno si riteneva in diritto di combattere e galoppare con qualsiasi mezzo, cavallo o asinello che fosse, in un autoreferenziale vaniloquio, nel quale la logica contava poco e lesperienza nulla, senza preoccuparsi quindi della possibile inconsistenza dal punto di vista logico e positivo delle proprie scorazzate, senza preoccuparsi di rendere la filosofia un onesto mestiere e non una gara a chi riesce a imporre la sua posizione urlando pi forte. Preti si avvicina allempirismo logico attratto principalmente dalla volont di garantire controllabilit ed esperibilit alle metodologie e agli assunti, smascherando, daltro canto, linverificabilit dei discorsi meta- fisici. La propria adesione,  parola di Preti, allempirismo logico risul- ta derivare principalmente dal bisogno che la ricerca filosofica tornasse a fare i conti con lesperienza, su vie possibilmente pi (relativamente) og- gettive e sul terreno il pi possibile aderente allesperienza verificabile!!. Giulio Preti, per lo spirito genuinamente critico e per il suo acuto ri- flettere teoretico, lascia spazio all'emergere di criticit anche in questa posizione, che pur in parte soddisfa la sua sete antidogmatica e antimeta- fisica. Nel procedere dellindagine, il nostro rintraccia nel neoempirismo, proponendosi di colmarla, una globale svalutazione del ruolo e dellambito dapplicazione della filosofia, in senso stretto, ritenendola quasi un tuttu- no con la metafisica stessa o al massimo un possibile strumento unica- mente di analisi del linguaggio, la necessit di introdurre una pluralit di ontologie regionali (orientando cos lempirismo logico verso un trascen- dentalismo), perdendo cos la presunta pretesa di cogliere il reale in s e di accentuare ancor di pi la storicit, nella quale il processo conoscitivo  immerso, e il suo rapporto con la prassi.  proprio a partire da questi rilievi che la dentatura della prima ruota inizier a intersecarsi con le altre due, il trascendentalismo e le filosofie della prassi, in particolar modo il marxismo e il pragmatismo di Dewey, arricchendosi in complessit e profondit, nonch in originalit della posi- zione cos elaborata. In Praxis ed empirismo, Preti descrive come di pro- fonda consonanza il rapporto tra empirismo logico e filosofia della praxis, fondata sul loro nascere come reazioni allidealismo e ad ogni sistema che tende ad una soluzione assolutizzante e di conchiusone della realt. 10 G. Preti, Saggi filosofici, cit., vol. I, pp. 475-495. 1 Ivi, p. 479. 2 G. Preti, Praxis ed empirismo, Einaudi, Torino 1957, pp. 19-20. IL MATERIALISMO DI GIULIO PRETI 149 Preti costruisce cos la sua filosofia come un punto di vista in continua crescita, un sistema aperto, sebbene riferendosi al sistema egli dichiari di non possedere nulla che assomigli a una cosa del genere3, che via via si potenzia affilandosi sotto la lama tagliente della ricerca pi autentica, con un suo sviluppo e una sua coerente concatenazione interna, ma che non diviene mai rigido prisma metafisico. 3. Le filosofie della praxis: pragmatismo e materialismo Una volta delineato come la posizione di Preti si vada costituendo co- me un meccanismo nel quale coerentemente tre ruote dentate (empirismo logico, trascendentalismo e filosofie della prassi) si muovono simultanea- mente, anche se con peculiarit differenti,  opportuno ora chiedersi quali nello specifico siano gli apporti del pragmatismo e del materialismo, nello specifico allinterno della trama filosofica cos costituita. Un ruolo altamente significativo in questi crocevia filosofici  svolto dallattenzione pretiana per la prassi, che mantiene ben conficcato luomo nel suo mondo terreno. Cosa si intende per per praxis? Nel primo capitolo di Praxis ed empirismo, Preti utilizza una definizione operativa inglobando in questo gruppo quelle filosofie (avvicinando in tal modo pragmatismo e marxismo) che mantengono un orientamento atti- vo, fattivo e volontaristico verso il mondo, che pretenda non di interpretare il mondo, bens di modificarlo, un'elaborazione che riesca a coniugare momento speculativo e momento tecnico. Nel momento in cui si af- ferma che la filosofia  orientata verso la prassi, verso il mondo, lo stesso pensare umano si presenta appunto, come umano e nel suo valore uma- no, come attivit delluomo che fa la sua storia, essere che fa se stesso, che risolve i propri problemi in un dinamico rapporto di prassi e pensiero. Nello specifico, il pragmatismo (Preti si avvicina in particolar modo alla formulazione di Dewey), configurandosi principalmente come unepiste- mologia, riconnette l'indagine conoscitiva delluomo alla sua sfera pratica. Il filosofo pavese riassume lo strumentalismo! di Dewey nellespressione ipotesi, teorie e concetti scientifici sono strumenti dellazione, pur rile- vando come sia maggiormente preciso, invece, sul piano della metodologia, l'utilizzo del temine operativismo, in quanto pone maggiormente laccento sulle trasformazioni che il mezzo innesca sul piano delle situazioni preesi- stenti. Il contributo del pragmatismo per una visione complessa della co- !3_G. Preti, Saggi filosofici, cit., p. 475. 4 G. Preti, Praxis ed empirismo, cit., p. 12. 15 Ivi, vol. I, p. 478. 16 Ivi, vol. I, p. 84 (il corsivo  nel testo), dalla quale  tratta anche la citazione seguente. 150 GIULIA SANTI noscenza e del pensare umano consiste proprio in questo riavvicinamento tra la scienza e la praticit, che porti a concepire lo stesso sapere come pratico. Preti dichiara come recidere questo legame o porre i due termi- ni, verit e praticit, come elementi contrapposti, non pu che portare ad un disconoscimento tanto della conoscenza che luomo pu elaborare, tan- to dei suoi effetti pratici di trasformazione. Un semplice articolo, secondo Preti, pu portare ad una misinterpretazione del contributo del pragmati- smo allepistemologia.  fuorviante infatti sostenere che la verit  luti- le, in quanto tramite questespressione si giungerebbe ad un avvizzimento del vero e un suo irrigidimento dogmatico, introducendo lutilit come criterio per legittimare il vero. A differenza di questa prima espressione, sottraendo larticolo, e sostenendo quindi che la verit  utile si recupe- ra il carattere empirico della conoscenza, colmando la frattura tra questi due termini. Se poniamo infatti la verit del sapere in opposizione al suo essere di validit pratica si fuoriesce dalla dimensione reale della scienza. In secondo luogo, il materialismo, apporta alla conoscenza la ricchezza di un continuo confronto con la prassi nella sua dimensione storica. Ad in- vestigare il mondo, dunque, vi  luomo concreto, luomo storico, luomo che vive realmente in una societ, la quale ha un passato, un presente ed un futuro verso cui si protende'*. Le forme di pensiero pi rigorose divengo- no allora strumento mediante cui luomo trasforma il mondo in un mon- do di leggi e di significati. Le ontologie regionali si declinano dunque nel divenire, immerse nella storicit delluomo e della cultura che costruisce. Il materialismo riconnette lo scorrere del tempo e il mutare del mon- do prima di tutto alla materiale storicit e al materiale mutare prima di tutto degli essere viventi che partecipano di questi processi. La reale dialettica delle strutture del pensiero  la dialettica delle strutture sociali. [...] Gli uomini mettono del tempo a nascere e a mo- rire, a moltiplicarsi - e quindi i rapporti di popolazione a mutarsi. Le macchine mettono del tempo a produrre, a logorarsi, a rifarsi; le per- sone mettono del tempo a spostarsi, a comunicare. La societ si muta nel tempo, come ogni altro fenomeno naturale, empirico: perci la fi- losofia muta nel tempo. Tempora mutantur, et nos mutamur in illis; ma  anche vero il contrario: che i tempi mutano con il nostro mutare. Non  che ci sia- mo noi e il tempo: ma noi siamo il tempo, e il tempo  noi. La prima posizione del materialismo storico  che la storia, sia essa economica, politica, religiosa o filosofica, la fanno gli uomini! . 17 G. Preti, Praxis ed empirismo, cit., p. 84. 18 G. Preti, Saggi filosofici, cit., vol. I, p. 73, nota 25. !9 il primo presupposto di ogni storia umana  naturalmente lesistenza di in- dividui umani viventi: K. Marx, Ideologia tedesca, trad. it., Milano, 1947, I p. 45. La nota qui riportata  presente nel testo di Preti.  G. Preti, Saggi filosofici, cit., vol II p. 241. IL MATERIALISMO DI GIULIO PRETI 151 Da questa citazione si desume come, ancora una volta, lanalisi di Pre- ti non sia mai unidirezionale e non eluda mai le problematicit interne ad ogni valutazione, anche quindi nella tradizione materialista. Il Nostro non pu non riscontrare come anche il materialismo rischi di ricadere o in una metafisica della natura, nuovamente pregna di realismo, o in una metafisica del divenire storico, pietrificando il divenire in perpetue leg- gi preconfezionate. Preti allora ammonisce che il materialismo storico , s, un potente strumento di indagine storica concreta, ma non bisogna per credere che sia una chiave che apra immediatamente tutte le porte. Le applicazioni semplicistiche che in genere se ne sono fatte lo hanno al- quanto screditato: invece va applicato con agilit, spirito critico e vigile occhio storico, per cogliere di volta, in volta e in concreto come si  svolto il processo storico reale?!. 4. La carne Il cuore del materialismo di Giulio Preti risiede, in maniera pi orga- nica e approfondita, nel saggio In principio era la carne del 1963-1964, che da il titolo allomonima raccolta, pubblicata nel 1983. Innanzitutto Preti tocca direttamente il nocciolo del materialismo, sovvertendo la proposizione, in principio era il logos, antica formulazione mitologica delle filosofie orientali e poi divenuto cardine del pensiero cri- stiano, ne in principio era la carne. Il cristianesimo aveva individuato il logos, come lelemento primordia- le, e solo come sua derivazione il corpo, la materialit, intesa cio come materia seconda, originata per successiva incarnazione e quindi tramite un progressivo decadimento. Al contrario invece Preti ritiene che [...]  il singolo organico, vivente, in carne, ossa e sangue, il principio, la condizione e lo scopo di ogni potere, di ogni sapere, di ogni valore e disvalore, di tutto il vero e il falso, il bello e il brutto, il bene e il ma- le - di tutta la storia e di tutta la realt umana. Subito dopo questaffermazione Preti aggiunge come la primariet del- la carne sul logos venga in epoca moderna affermata nello stesso tempo da molteplici filosofie?! Ivi, vol. II, p. 243. Il corsivo  nel testo. 2 G. Preti, In principio era la carne, Franco Angeli, Milano 1983. 23 Ivi, p. 163. 2  interessante rilevare come tutte le filosofie menzionate costituiscano degli importanti riferimenti per Preti. Si evidenzia cos un elemento che consente a quelle ruote dentate, in apparenza cos poco conciliabili, di trovare un ulteriore terreno di dialogo e confronto. 152 GIULIA SANTI [...] marxismo, pragmatismo, esistenzialismo, neopositivismo; persino, implicitamente, certe forme di neokantismo e della fenomenologia (non lultimo Husserl ricaduto, nella vecchiaia, nel mito ebraico-cristiano)?. Con questo capovolgimento il filosofo pavese non mira a negare qual- siasi realt allelemento razionale, quasi a dipingere una realt esclusiva- mente carnale, bens intende negare che il logos possa venir considerato il principio primo, di cui la materia  solo una discesa, uno scadimento. Come sostiene anche Sebastiano Timpanaro, il materialismo rivendica la priorit della natura sullo spirito, 0, se vogliamo, del livello fisico sul biologico e del biologico sulleconomico-sociale e culturale: sia nel senso di priorit cronologica (il lunghissimo tempo trascorso prima che la vi- ta apparisse sulla terra, e dallorigine della vita allorigine delluomo), sia nel senso del condizionamento che tuttora la natura esercita sull'uomo e continuer ad esercitare, almeno in un futuro prevedibile, senza con questo annullare alcuno degli altri livelli. Preti approfondisce ulteriormente cosa egli intenda per logos e quali rapporti intercorrano con la carne. In particolare il Nostro sottolinea co- me la cultura, ovvero le scienze, le tecniche, la sfera valoriale formino quel logos che non pu che derivare dalla carne, dalla vita, come suo potenzia- mento e non pu che ritornare nuovamente ad essa per un suo arricchi- mento, e in questo schema lautore propone un interessante riferimento a Simmel e alla sua formulazione vita, pi che vita, pi vita. Tutte le verit sono in funzione dellesperienza vitale e tutti i giu- dizi di valore, come tutti gli ottimismi e anche i pessimismi, sono in funzione di esigenze vitali della carne. La carne  non solo allorigi- ne, ma  il criterio primo, come ultimo, di ogni vero e di ogni falso, di ogni bene e di ogni male. Il logos cio non pu che partire dal mondo della vita, come sua im- magine, o meglio come costruzioni plurali su di esso basate, ma non pu che ritornare, come cultura, alla vita stessa. Il logos  quindi rete che luo- mo lancia per afferrare nelle sue maglie regioni conoscitive. A questo punto diviene inevitabile chiedersi in che cosa consistano queste immagini del mondo e in che modo Preti distingua la sua formu- lazione tanto da una riproposizione di un realismo ingenuo e metafisico, tanto da un soggettivismo che sfocerebbe in un relativismo conoscitivo. Preti incrina sotto il maglio della critica sia il presupposto realisti- co od oggettivistico, per il quale la conoscenza sarebbe vera solo se con- duce ad una piana corrispondenza tra limmagine e la realt vista come  G. Preti, In principio era la carne, cit, p.163. 2% S. Timpanaro, Sul materialismo, Unicopli, Milano 1998, cap. I, p. 6. 7 Ivi, pp. 168-169. IL MATERIALISMO DI GIULIO PRETI 153 archetipo e termine ultimo, sia il presupposto soggettivistico, per il quale invece il processo conoscitivo si ridurrebbe ad un atto mentale?8. Da questa stringente critica i due poli della conoscenza non svaniscono totalmente, bens permangono privati dellipostatizzazione classica, non pi come res assolute, totalmente scisse e indipendenti tra loro. I due ful- cri e il processo conoscitivo stesso recuperano il loro senso e la loro fun- zione solo allinterno della tensione conoscitiva, di una specifica tensione conoscitiva, che prende forma unicamente in un concreto e determinato atto, in un'esperienza caratterizzata storicamente e socialmente. 5. Concludendo: Preti nel fiume carsico del pensiero moderno italiano Un'indagine di questo tipo focalizza il ruolo e limportanza rivestita da Preti allinterno della linea di sviluppo del pensiero filosofico moderno. Giulio Preti innalzando la sua voce come quel bimbo della novella di Andersen che sbugiarda il re nudo, sradica i carismi dellassoluto: eter- nit, necessit verit riportando la fecondit degli strumenti conosci- tivi nellambito dell'umano. La filosofia, nelle riflessioni del filosofo pavese, sebbene sottratta alle pretese di cogliere lassoluto in s, con la sua funzione metariflessiva di- viene fluido e proficuo strumento nelle mani delluomo per indagare il mondo, la praxis culturale, le forme e la storia nella quale  immerso. La filosofia diviene grimaldello pronto a scardinare ogni deriva metafi- sica, idealistica e irrazionalistica, che costruisce la sua efficacia euristica, delimitando il proprio orizzonte di riferimento entro ontologie regionali. Giulio Preti potrebbe allora venir letto come una delle anse pi signifi- cative di quel fiume carsico di pensatori italiani, il cui corso si affianca ad autori, cos diversi tra loro, come Giacomo Leopardi, Ludovico Geymonat, Sebastiano Timpanaro, per limitarsi ad alcuni, tutti non organici e alter- nativi al predominante pensiero idealista prima, e irrazionalista poi, che hanno caricato la molla potente del criticismo, rilasciando, in un tempo diluito, tutta la forza impressa, portando il pensiero a compiere un balzo nella modernit. 28 G. Preti, In principio era la carne, cit, pp. 172, come i precedenti termini uti- lizzati tra parentesi.  Cfr. G. Preti, Saggi filosofici, cit., vol. I, pp. 127-129, da dove  tratta anche lespressione a seguire. IL KANT DI PRETI NEI SAGGI FILOSOFICI Elisabetta Scolozzi Osservo soltanto che non vi  nulla dinsolito nel fatto che - tanto nel- le conversazioni comuni quanto negli scritti, e mediante il raffronto dei pensieri espressi da un autore sul suo oggetto  si possa intendere lautore anche meglio di quanto egli intendesse se stesso: pu accadere infatti, che costui non abbia determinato sufficientemente il suo con- cetto, e cos abbia talvolta parlato, o anche pensato, contrariamente alla propria intenzione! [KrV B 370]. Cos scrive Immanuel Kant nel Libro primo della Dialettica trascen- dentale della Critica della ragion pura con lintento di definire il significa- to del concetto di idea in contrapposizione allaccezione platonica. Questa sua osservazione si rivela tanto pi appropriata se la accostiamo alla stessa critica gnoseologica kantiana che ha conseguito un ulteriore sviluppo te- orico nonch approfondimento critico nel dibattito filosofico e scientifico del Novecento. Nel momento in cui le nuove scoperte scientifiche otto- novecentesche hanno reso pi complesso il problema della comprensione della natura e riproposto il divario tra lindagine scientifica e il pensiero, la riflessione elaborata dal pensatore di Knigsberg si  configurata come un momento necessario nonch un riferimento irrinunciabile per la rile- vanza che assume la sua epistemologia. Un'opera filosofica, infatti, pur prendendo origine dai nodi problematici di una determinata epoca storica (nel caso degli scritti kantiani la mecca- nica newtoniana), pu essere meglio intesa e sviluppata, secondo quanto rileva Kant, anche in contesti storici distanti dal sentire proprio del suo autore. Invero, come ha puntualmente osservato Fulvio Papi, in chiusura del suo libro Capire la filosofia: [...] un testo filosofico rispetto alla vita stessa dellautore che vi ha la- vorato costituisce una alterit, si pu dire che esso ha le caratteristi- che che sono proprie di un mondo possibile. Il testo filosofico non  lapertura nel mondo dellesperienza vissuta,  una modellizzazio- ne simbolica che, proprio in ci che , mostra il suo essere altro che ! I. Kant, Critica della ragion pura, introduzione, traduzione e note a cura di Giorgio Colli, Adelphi, Milano 19763, p. 375. Franco Cambi e Giovanni Mari (a cura di) Giulio Preti : intellettuale critico e filosofo attuale ISBN 978-88- 6655-039-6 (print) ISBN 978-88-6655-044-0 (online PDF) ISBN 978-88-6655-048-8 (online EPUB)  2011 Firenze University Press 156 ELISABETTA SCOLOZZI si consegna in questa guisa per gli altri ma anche per se stesso come autore. Il proprio se stesso si trova quindi in un instabile, ambiguo statuto che consiste nelloscillare tra il proprio vissuto e il testo filoso- fico che ha una vita propria di oggetto simbolico, di mondo possibile?. Proprio in virt di questa caratteristica di mondo possibile che as- sumono gli scritti kantiani,  possibile considerare dinamicamente le questioni teorizzate dal pensatore tedesco e inserirle in un'ottica di con- temporaneit. Entro questo specifico orizzonte lindagine kantiana non  superata in quanto accolta e accettata nei suoi limiti come vera, bens - ricorrendo alle parole di Giulio Preti la cui riflessione filosofica aveva preso forma nellambiente universitario neokantiano sviluppatosi intorno alla figura di Antonio Banfi? - contemporanea [] una filosofia quando ha ancora contro di s della antitesi, vale a dire non ha ancora potuto ac- quietarsi e passare alleternita in una sua verit!. Seguendo pertanto tale impostazione che presuppone la comprensione del testo in quel che  il suo significato storico unitamente al suo contributo teorico, Preti riformula il criticismo elaborando una riflessione autonoma non contaminata dallismo filosofico kantiano. In altri termini, andan- do oltre la fedele adesione alla lettera del kantismo, il pensatore pavese ci fornisce una lettura originale della lezione del filosofo di Knigsberg che tiene presente i nuclei problematici aperti dalla contemporaneit al punto da rappresentare, come ricorda Fabio Minazzi nel suo studio sul pensiero del nostro autore, un capitolo (0, se si preferisce, un paragrafo) assai in- teressante della storia del neocriticismo?. L'orizzonte critico entro il quale Kant pone il problema teorico della scienza attraversa l'indagine pretiana che cerca, sulla scorta di esso, di for- mulare proposte di adeguamento alle mutate situazioni speculative. Una volta riconosciuta la validit della comprensione epistemologica kantia- na, Preti propone una lettura critica del neopositivismo, vale a dire tenta di accostare limpostazione kantiana alle tesi dellempirismo logico. L'in- tegrazione problematica e feconda tra il positivismo e il trascendentali- 2 F. Papi, Capire la filosofia, Ibis, Como-Pavia 1993, p. 108. Informazioni pi dettagliate sulla biografia del filosofo pavese sono fornite da F. Minazzi, Giulio Preti: bibliografia, Franco Angeli, Milano 1984, pp. 17-85. Inoltre per una disamina dell'ambiente culturale banfiano si rimanda al volume di F. Papi, Vita e filosofia. La scuola di Milano: Banfi, Cantoni, Paci, Preti, Guerini, Milano 1990, il quale, nel capitolo finale, Giulio Preti: l'ombra vuota dellidea e il fuoco della passione (pp. 235-60) esamina i momenti fondamentali della riflessione pretiana. Il trascendentalismo trasformato con la logica, il pragmatismo e il mar- xismo definiscono le due anime della battaglia culturale pretiana: il razionalismo e lumanesimo. 4 G. Preti, Idealismo e positivismo, Bompiani, Milano 1943, p. 9.  F. Minazzi, Lonesto mestiere del filosofare. Studi sul pensiero di Giulio Preti, Franco Angeli, Milano 1994, p. 33, il corsivo  nel testo. IL KANT DI PRETI NEI SAGGI FILOSOFICI 157 smo pu, pertanto, diventare una modalit di accesso alla riflessione del pensatore pavese e, in particolare, una chiave di lettura privilegiata per la comprensione degli scritti pretiani raccolti nei Saggi filosofici. La variet e l'ampiezza dei temi e delle questioni affrontate nei due volumi del 1976 rende conto della molteplicit di piani della disamina pretiana che, tuttavia, non impedisce una prospettiva unitaria di lettura. Infatti, nonostante il loro carattere di saggi autonomi scritti per svariate occasioni in un arco temporale che va dagli anni Trenta agli anni Sessan- ta del XX secolo (il primo saggio in ordine temporale, Filosofia e saggez- za nel pensiero husserliano,  stato pubblicato nel 1934, mentre lultimo saggio, Pluralit delle scienze e unit eidetica del mondo scientifico, risale al 1965), il filo conduttore che li ispira e li accomuna  il dialogo filosofi- co con il pensatore di Knigsberg. Kant si configura, dunque, quale oriz- zonte aperto che acquista il suo senso nellambito di una discussione pi vasta intorno alla problematica culturale dellimpresa scientifica, il cui momento teoretico assume una forma logica connettendosi, pertanto, con le formule del neopositivismo. Da questa riformulazione della dottrina kantiana alla luce delle tema- tiche dellempirismo logico elaborate dal Wiener Kreis, emerge un nuovo positivismo perch nuovi sono i motivi che lo hanno ispirato. Il pensatore pavese ci fornisce il suo biglietto da visita, nell'opera del 1943, Idealismo e positivismo, dove il riferimento a Kant si configura come cartina di tornasole per indagare il nuovo positivismo per via negativa, cio in polemica contro la metafisica. Pertanto solo rintracciando la metafisica insita nellidealismo e nel positivismo si pu delineare un nuovo positivismo antidogmatico $ Le varie componenti che animano la riflessione di Preti rendono difficile uninterpretazione unitaria del suo pensiero. Mario Dal Pra (Studi sullempirismo critico di Giulio Preti, Bibliopolis, Napoli 1988, p. 40, da cui  tratta la citazione), per esempio, ritiene che lindirizzo principale della riflessione pretiana sia lempiri- smo critico anche se profondamente corretto mediante le strutture formali del tra- scendentalismo convezionalistico, o storicistico. Minazzi, invece, sottolinea come lorizzonte del trascendentalismo storico-oggettivo sia il filo rosso che attraversa lindagine del pensatore pavese: attraverso una complessa mediazione della lezione del neopositivismo, del trascendentalismo neocriticista, della fenomenologia hus- serliana, del marxismo e del pragmatismo, grazie alla quale ognuna di esse viene trasfigurata, individuando degli intrecci problematici sempre ricondotti ad una trama unitaria, Preti ha cos configurato un originale trascendentalismo storico- oggettivo, in virt del quale la scienza e la filosofia, luomo e la storia, la conoscenza e laxiologia, sono qualificati tramite lindividuazione delle strutture fungenti con le quali un ambito dellesperienza viene normato e strutturato. F. Minazzi, L'onesto mestiere del filosofare. Studi sul pensiero di Giulio Preti, cit., p. 71. Inoltre si segnala il contributo di Franco Cambi, Metodo e storia. Biografia filosofica di Giulio Preti, grafistampa, Firenze 1979, p. 58 (da cui  tratta la citazione), che mette in evidenza come lavvicinamento pretiano della visione kantiana della filosofia alle strutture operative del linguaggio riduce la riflessione filosofica ad un grado zero che viene ad interdire ogni relazione dialettica con ci che resta escluso e ogni trascendimen- to del fondamento medesimo. 158 ELISABETTA SCOLOZZI per il quale lunica realt di cui ha senso e vale la pena di parlare, la realt pensata,  pensata nelle forme e strutture del soggetto trascendentale. Il positivismo nuovo elaborato da Preti, se non vuole fermarsi alla semplice descrizione dei procedimenti della conoscenza scientifica, deve definire il suo atteggiamento confrontandosi con il problema critico dove le nozioni che servono alla comprensione dellesperienza sono logiche non metafisi- che. Pertanto il positivismo pu indagare le forme e le strutture dellespe- rienza rinunciando ad una metafisica che vuole presentarsi come scienza. Tuttavia Preti, dopo aver messo in guardia dagli sbandamenti metafi- sici cui pu incorrere il nuovo positivismo, osserva quanto segue: [...] anche la scienza ha bisogno di ipotesi metafisiche, senza le quali essa dovrebbe accontentarsi di semplici descrizioni del dato, mentre ci cui mira  il trovare le leggi fondamentali dello sviluppo fenome- nologico della realt studiata, la connessione di queste leggi con il complesso dellesperienza. In altre parole, la metafisica una volta tenute a freno le piacevoli sebbe- ne illusorie speranze di addentrarsi nella conoscenza dellincondizionato (sia esso lesperienza dei positivisti o l'assoluto degli idealisti), si configura come indagine sulla natura del pensiero, sulle strutture e i principi della conoscenza umana. Gi Kant aveva rivolto una particolare attenzione al ruolo della meta- fisica nella comprensione scientifica poich, quantunque la metafisica fos- se qualcosa di soggettivamente reale, occorreva capire se essa fosse anche oggettivamente possibile. A tal riguardo, nella Prefazione ai Prolegomeni ad ogni metafisica futura che vorr presentarsi come scienza, osservava: [...] il mio proposito  di convincere tutti coloro, che reputano oppor- tuno occuparsi di metafisica, di questa verit: che  assolutamente ne- cessario sospendere provvisoriamente il loro lavoro, considerare tutto ci che si  fatto come non fatto, e porre anzi sopra ogni altra cosa la questione  possibile in genere ci che si dice metafisica?. Se essa  scienza, come avviene che non riesce, come altre discipline, ad affermarsi universalmente e stabilmente? Se non  scienza, come avviene che non cessa di glorificarsi come scienza e di trattenere lintelletto umano con speranze non mai morte, ma non mai realizzate? [AA IV 255-256]. La risposta a questi interrogativi sar fornita dalla disamina episte- mica delle condizioni di possibilit del reale nell'indagine della natura, 7 Questa e la successiva citazione sono tratte da G. Preti, Idealismo e positivi- smo, cit., p. 83, p. 120. 8 I. Kant, Prolegomeni ad ogni metafisica futura che vorr presentarsi come scienza, introduzione, traduzione, note e allegati a cura di Piero Martinetti, postfa- zione e apparati di Massimo Roncoroni, Rusconi, Milano 1995, p. 29. IL KANT DI PRETI NEI SAGGI FILOSOFICI 159 che trova la sua trattazione pi precisa nei Primi principi metafisici della scienza della natura. Kant, infatti, dopo aver criticato le pretese inganne- voli di una ragione che brancola tra concetti vuoti di significato, esamina le condizioni sotto le quali i concetti dellintelletto possono avere realt oggettiva. A tal fine, [...] una metafisica speciale della natura rende alla metafisica genera- le dei servizi eccellenti e indispensabili portando degli esempi (casi in concreto), per realizzare i concetti e i teoremi di questultima (propria- mente della filosofia trascendentale), cio per dare senso e significato a una semplice forma di pensiero? [AA IV 478]. Questa analisi critico-trascendentale intrapresa da Kant sulle struttu- re della fisica del suo tempo  sintetizzata da Preti nei seguenti termini: [...] egli [Kant] parte dal modello della fisica-matematica newtoniana (con le relative regulae philosophandi), della quale analizza le strutture cercando di distinguervi i tipi di enunciati in essa validi [...] e i rispet- tivi criteri di verificazione. Crea cos le regole fondamentali per luso di un linguaggio perfetto scientifico, che dovrebbero essere quelle di ogni discorso scientifico in generale: e poi critica gli enunciati metafi- sici in quanto non traducibili nei termini del linguaggio scientifico. Alla luce di ci, il trascendentalismo si integra criticamente con il ne- opositivismo. Nel momento in cui si elimina lingannevole discorso me- tafisico dalla scienza, lanalisi delle strutture della ragione, a parere di Preti, sostituisce il rigore matematico e la verificabilit empirica del lin- guaggio scientifico ai termini vaghi e ambigui. Questa sintassi rigorosa permette di evitare eventuali reificazioni che potrebbero contaminare la conoscenza scientifica. Mentre in Idealismo e positivismo, Preti utilizza la critica alla metafisica kantiana per rimuovere il velo metafisico dellidealismo e del positivismo con lintento di elaborare un nuovo positivismo antimetafisico, nei Saggi filosofici presenta un criticismo rielaborato con le categorie dellempirismo logico, vale a dire Preti precisa il nuovo positivismo soffermando latten- zione sulla parte teoretica, la logica matematica. Si tratta di due orizzonti gi presenti nellopera del 1943, ma, come gi allora il pensatore pavese  I. Kant, Primi principi metafisici della scienza della natura, introduzione a cura di Ludovico Geymonat, nota informativa e traduzione a cura di Luigi Galvani, Cappelli, Urbino 1959, p. 21, i corsivi sono nel testo. 10 G. Preti, Criticit e linguaggio perfetto in G. Preti, Saggi filosofici, a cura di Franco Alessio, con una presentazione di Mario Dal Pra, La Nuova Italia, Firenze 1976, 2 voll., vol. I, pp. 117-18 (il corsivo  nel testo), mentre le successive citazioni sono tratte dal saggio Il linguaggio della filosofia, ivi, vol. I, p. 462 (i corsivi sono nel testo), pp. 470-71. 160 ELISABETTA SCOLOZZI ricordava, la loro interconnessione era solo presupposta ma non chiara- mente esposta ed esaminata. Preti, partendo dalla constatazione che la conoscenza  un fatto di fronte al quale il filosofo deve operare non una giustificazione bens uno studio critico dei processi e delle condizioni di validit, intende il proble- ma della conoscenza come un problema semantico poich solo lanalisi critica del discorso consente di evitare le incrostazioni metafisiche insite nell'impresa scientifica. Per questa ragione, nel saggio del 1962, Il linguag- gio della filosofia, la domanda kantiana che cosa possiamo conoscere? diventa che cosa possiamo dire?. Tuttavia occorre distinguere un lin- guaggio simbolico da quello propriamente logico: il primo, in quanto me- taforico, mi conduce ad un paralogismo, il secondo  il linguaggio proprio della scienza ed  costituito dalle regole di esplicitazione sistematica dei contenuti stessi. In questo modo la teoria delle strutture trascendentali acquista un si- gnificato semantico e traduce le parti formali del discorso nei protocolli empirici e nel linguaggio delle cose. I principi e le categorie diventano, en- tro i quadri della semantica, degli ascrittori formativo-sistemativi che fondano la dimensione dei significati. La scienza, perci, si configura come ricerca di significati, non come una scoperta di regolarit nella natura quanto piuttosto unintroduzione delle stesse. In questo modo Preti riconferma la lezione kantiana espressa puntualmente nei Prolegomeni come segue: lintelletto non attinge le sue leggi (a priori) dalla natura, anzi piutto- sto le impone ad essa!! [AA IV 320]. In questa nuova prospettiva lintelletto diventa il legislatore della na- tura che non attinge le sue leggi dalla natura, anzi piuttosto le impone ad essa. L'oggetto, dunque, si conosce in quanto risultato della nostra intera- zione con il mondo, vale a dire unicamente dalle condizioni di possibilit dellesperienza che giacciono nel nostro intelletto. Proprio prendendo le mosse da questi rilievi critici Kant pu predi- sporre la sua rivoluzione copernicana che spiega come gli oggetti che a noi appaiono come apparenze possono conformarsi al nostro modo di rappresentazione. In altri termini il soggetto e loggetto della conoscen- za non si costituiscono come due res metafisiche, ma come funzioni dellatto del conoscere'. Infatti non si tratta di uno spostamento nel rapporto di conoscenza tra soggetto e oggetto quanto piuttosto - come osserva Preti in un saggio incompiuto del 1971-1972 pubblicato postu- mo - nellanalizzare a quali condizioni entro tali strutture e sotto tali u I. Kant, Prolegomeni ad ogni metafisica futura che vorr presentarsi come scienza, cit., p. 157, le spaziature sono nel testo. 2 G. Preti, Idealismo e positivismo, cit., p. 81. IL KANT DI PRETI NEI SAGGI FILOSOFICI 161 leggi [del pensare ndr] possa costruirsi una rappresentazione dellogget- to conforme ad esse. I fenomeni, pertanto, per diventare oggetti di esperienza devono es- sere inseriti allinterno di ordini di legalit. Questultimi rappresentano la dimensione trascendentale del linguaggio scientifico e costituiscono, a parere di Preti, linsieme di regole secondo cui si devono organizzare le definizioni. Questa problematica trova una sua pi compiuta trattazione nello scritto del 1953, Linguaggio comune e linguaggi scientifici, dove il Nostro, distinguendo tra gli enunciati del senso comune e gli enunciati tecnici (questultimi dotati di un calcolo e di unassiomatica), mette in evidenza come un fatto del senso comune (caratterizzato dallimmediata certezza pragmatica) acquista un significato allinterno di una precisa disciplina scientifica. A questo punto, nella parte finale del saggio in questione, pu trarre la seguente conclusione: [...] mediante le categorie, dice Kant, la mente trasforma i dati dellintu- izione in concetti empirici, e forma le proposizioni empiriche. Questo, nel nostro linguaggio, equivale a dire che  mediante le leggi scienti- fiche, espresse nel loro formalismo, che cose e fatti acquistano signi- ficato teorico. Pertanto, dalla corrispondenza tra la dottrina kantiana delle catego- rie e le leggi scientifiche, si desume che le categorie, per la caratteristica di essere formali e trascendentali, sono forme mediante cui i fatti del senso 3 G. Preti, Lo scetticismo e il problema della conoscenza, Rivista critica di sto- ria della filosofia, anno XXIX, gennaio-marzo 1974, fasc. I, pp. 3-31; ivi, aprile- giugno 1974, fasc. II, pp. 123-43 e ivi, luglio-settembre 1974, fasc. III, pp. 243-63, la citazione si trova a p. 253. ! Gli ordini di legalit sono, a parere di Kant, condizioni di oggettivit che ren- dono conoscibili gli oggetti di un'esperienza possibile, ossia condizioni di possibilit della conoscenza scientifica. Secondo Preti, le condizioni di scientificit dipendono dal discorso logico nel quale la matematica assume il ruolo di sintassi logica nelle teorie scientifiche, perdendo la funzione di costruzione sintetica. Sulla fecondit te- oretica di questultima e sul limite della concezione pretiana si sofferma Jean Petitot che, nel capitolo dedicato al pensatore pavese, scrive: dal punto di vista trascen- dentale, la legalizzazione analitica conduce allo sviluppo matematico di un'estetica trascendentale e non a una sintassi logica. La formalit delle regole riguarda il modo in cui i momenti categoriali delloggettivit si trovano a essere interpretati matematicamente [...] e non il modo in cui il concetto di oggetto si trova a essere pensato logicamente (J. Petitot, Per un nuovo illuminismo. La conoscenza scientifica come valore culturale e civile, prefazione, cura e traduzione dal francese di Fabio Minazzi, Bompiani, Milano 2009, p. 327, i corsivi sono nel testo). !5 Questa citazione  tratta da G. Preti, Due orientamenti dellepistemologia in G. Preti, Saggi filosofici, cit., vol. I, p. 65, mentre le successive citazioni si trovano nel saggio Linguaggio comune e linguaggi scientifici, ivi, vol. I, p. 210, p. 211 (il corsivo  nel testo). 162 ELISABETTA SCOLOZZI comune acquistano significato, cio si traducono in fatti nel linguaggio formale della teoria. Inoltre il ricorso alla nozione di meanings introdotta da John Dewey consente di estendere la nozione di a priori, poich la se- mantica permette di organizzare le esperienze in un discorso formando un reticolato di nozioni in riferimento alle quali le esperienze divengono significati. Infatti: dire che le categorie sono concetti formali, vuol dire che esse sono delle pure variabili, non sono altro che significati, ossia la- stratto di proposizioni e classi di proposizioni. Tuttavia il carattere formale delle categorie non comporta un allonta- namento dal contenuto fattuale, anzi piuttosto le regole duso oggettivo delle nostre categorie permettono lapplicazione del principio ad un con- cetto empirico. Preti, facendo propria linterpretazione marburghese della riflessione kantiana approfondita dalla disamina cassireriana!, intende queste va- riabili dinamicamente. Infatti la priori immobile e astorico proposto dal filosofo di Knigsberg si apre al divenire storico sperando che lidea diret- trice proposta da Kant in riferimento alla meccanica newtoniana, si possa estendere alla fisica contemporanea, come ha cercato di fare, per esempio, il filosofo di Breslavia. Nonostante la crisi delle strutture deterministico-causali, Preti  con- vinto che la struttura centrale della scienza della natura sia ancora new- 16  interessante notare come Preti, al fine di chiarire il contenuto fattuale, in- troduce lesempio della dinamica osservando quanto segue: non si possono fon- dare i principi della Dinamica sui concetti di forza e accelerazione; al contrario, saranno i principi della Dinamica che prescriveranno le regole duso dei termini forza e accelerazione e quindi in questo senso, ne fonderanno i concetti (ivi, vol. I, p. 211). La trattazione kantiana in proposito si rivela piuttosto chiara nel mo- mento in cui si confrontano la Deduzione trascendentale con lAnalitica delle propo- sizioni fondamentali: le categorie sono funzioni che unificano sotto un'intuizione la sintesi delle diverse rappresentazioni in un giudizio, vale a dire sono le condizioni formali con le quali si forma loggetto dellesperienza prescrivendo le leggi a priori alle apparenze. Esse non acquistano valore obiettivo in quanto sono applicabili ai sensibili, ma sono essi stessi a fornire lobiettivit alle rappresentazioni sensibili. 17 Sullincontro di Preti con il filosofo delle forme simboliche cfr. in partico- lare il contributo di F. Cambi, Cassirer nel pensiero di Preti: una matrice essenzia- le, Il Protagora, anno XXXVII, sesta serie, n. 13, gennaio-giugno 2010, pp. 181-92 che definisce nei seguenti termini la lettura cassireriana del Nostro: un rapporto costante e di ripresa, di riuso, ma pertanto anche di guida. Cassirer come punta di diamante del neokantismo riconferma il trascendentalismo come metodo e lo rin- nova e lo affina (la citazione si trova a p. 190).  importante ricordare come Preti ri- tenga di fondamentale importanza linterpretazione kantiana di Cassirer in quanto ha il merito, al di l della sua validit di fronte ai progressi scientifici del Novecento, di cogliere come, partendo dalla profonda ispirazione di questa gnoseologia critica, si debba svolgere in concreto una gnoseologia che interpreti il senso delle nuove dot- trine scientifiche ed epistemologiche. G. Preti, Presentazione in E. Cassirer, Sostanza e funzione - Sulla teoria della relativit di Einstein, La Nuova Italia, Firenze 1973, p. VIII, i corsivi sono nel testo. IL KANT DI PRETI NEI SAGGI FILOSOFICI 163 toniana e di questultima predispone una disamina nel saggio del 1957, Lontologia della regione natura nella fisica newtoniana. Qui il pensa- tore pavese, connettendo la nozione husserliana di ontologia regionale con la fisica newtoniana, enuclea la struttura del linguaggio scientifico, le regole di discorso o verificazione sulle quali il filosofo di Knigsberg ha riflettuto elaborando la sua dottrina trascendentalistica. Riflettere sulle re- gole di metodo, sui principi e sulle categorie che costituiscono lontologia della regione natura significa chiarire fenomenologicamente la nozione a priori di natura in quanto costituita come oggetto o correlato di una conoscenza (umana) in generale'*. Pertanto, secondo la dottrina kantiana la dimensione spazio-tempo- rale e le categorie costituiscono la condizione necessaria per losservabili- t intersoggettiva degli oggetti della natura e rappresentano le condizioni di pensabilit del mondo scientifico. Nella riflessione pretiana si tratta di concetti teorici per la descrivibilit discorsiva degli oggetti del mon- do scientifico, dove la nozione di mondo scientifico  la corrispondente moderna del concetto kantiano di natura. Quindi, da un lato il principio di verificazione dellempirismo logico consente di eludere il discorso metafisico con lintroduzione del rigore e della validit intersoggettiva della conoscenza, poich determina le con- dizioni di significativit scientifica [...] di un discorso in generale come condizioni di verificabilit delle frasi od enunciati di cui il discorso stesso consiste. Dallaltro lato il trascendentalismo evita il limite della sterili- t del linguaggio logico giungendo cos alla nozione di metafisica critica: Kant disse che la stessa critica della ragione era una metafisica cri- tica: allo stesso titolo si pu dire che la stessa critica metalinguistica  una filosofia critica. Il discorso che porta alle strutture formali (logi- che) e semantiche (fenomenologiche) dei linguaggi e dei discorsi cul- turali (scientifico, morale, religioso, giuridico)  esso stesso costruttore delle categorie fondamentali di questi linguaggi, e quindi delle loro ontologie regionali?!. !8 G. Preti, Lontologia della regione natura nella fisica newtoniana in G. Preti., Saggi filosofici, cit., vol. I, p. 414. ! Preti definisce lespressione mondo scientifico nei seguenti termini: mon- do  il correlato noematico delle strutture formali che nella scienza operano come forme noetiche del sapere scientifico stesso; e scientifico sta ad indicare che esso  il correlato non di qualsiasi reticolato di forme noetiche in genere, bens di quelle che costituiscono lesplicitazione, operata dalle ricerche epistemologiche, delleidos scienza. G. Preti, Pluralit delle scienze e unit eidetica del mondo, ivi, vol. I, p. 507, il corsivo  nel testo. 2 G. Preti, Le tre fasi dellempirismo logico, ivi, vol. I, p. 313. 2! L'esempio adottato da Preti per spiegare il concetto di metafisica critica  il seguente: per esempio, il discorso che usiamo per descrivere i fenomeni fisici pre- determina, come tra gli altri ha accennato lo Eddington, la forma di ci che chia- miamo natura fisica: non certo le leggi empiriche di questa natura, ma le leggi 164 ELISABETTA SCOLOZZI La pluralit di ontologie cos conseguita dipende dai differenti universi di discorso nei quali si pronuncia il giudizio di realt. Per questa ragione, di fronte allo specializzarsi delle ricerche, Preti si propone di raggiungere lunit della scienza tramite lunit del linguaggio scientifico. Questulti- ma dovrebbe essere data da una epistemologia unitaria che sia in grado di definire unitariamente gli scopi umani, le direzioni e strutture teoreti- che, le regole formali di validit degli enunciati, le tensioni di sviluppo. Tuttavia, siccome si tratta di ununit ideale dove per la dimensione tra- scendentale kantiana fornisce l'autonomia ad ogni singola scienza, essa  possibile solo come unit storica della scienza, unit dinamica, stimolo unitario di variazione che segue il variare dei parametri fondamentali lo- gico-formali e logico-trascendentali. Alla luce di ci, il nostro autore predispone una particolare forma di trascendentalismo che si interroga sulle costruzioni teoriche attraverso cui gli oggetti vengono presentati nellesperienza: [...] si tratta [...] di un trascendentalismo storico-oggettivo, che rile- va le forme costruttive dei vari universi di discorso attraverso lanali- si storico-critica dei linguaggi ideali che fungono da modello a questi universi, dalle regole di metodo che si sono imposte storicamente e ancora vigono nel sapere, etc. Insomma si tratta di unOntologia tra- scendentale (o meglio, di ontologie trascendentali) che non pretende di cogliere le forme e strutture di un Essere in s, ma vuole determinare il modo (i modi) in cui la categoria dellessere  in atto nella costru- zione, storicamente mobile e logicamente convenzionale (arbitraria), delle regioni ontologiche da parte del sapere scientifico (in particola- re) e della cultura (in generale). La lettura pretiana di Kant si sofferma ampiamente, come abbiamo avuto modo di esaminare, soprattutto sul primo dei tre noti interessi del- scientifiche entro cui collochiamo quelle leggi empiriche mediante cui costruiamo quel quadro fisico del mondo di cui parla Planck (ivi, vol. I, p. 472, i corsivi sono nel testo). Questa esemplificazione si rivela particolarmente significativa soprattut- to se confrontata con la riflessione critico-trascendentale condotta da Kant sulla meccanica newtoniana ed affidata ai Primi principi metafisici della scienza della natura. Qui Kant, interrogandosi sulle condizioni di oggettivit che rendono co- noscibili gli oggetti di un'esperienza possibile, individua le condizioni di possibi- lit della conoscenza scientifica. Nello specifico le categorie del Verstand e i rela- tivi Grundstze, esposti e definiti relativamente alloggetto in generale, diventano costruibili, vale a dire acquistano senso e significato, solo nel momento in cui si applicano ad un oggetto particolare (la materia), di cui ci  fornito solo un concetto empirico (il movimento). 2 Questa e la successiva citazione sono tratte dal saggio Due orientamenti nellepistemologia, ivi, vol. I, p. 59, p. 77, i corsivi sono nel testo. 2 G. Preti, Il mio punto di vista empiristico, ivi, vol. I, p. 486, mentre la succes- siva si trova a p. 476. IL KANT DI PRETI NEI SAGGI FILOSOFICI 165 la ragione, ossia sul problema della conoscenza in generale e della scienza in particolare, perch la preoccupazione che anima lanalisi del Nostro  quella di trovare, di fronte al bellum omnium contra omnes che dominava il dibattito filosofico della prima met del Novecento, piani di discorso e metodi pi positivi, pi intersoggettivi, di poter fare della filosofia un onesto mestiere. La filosofia, dunque [...] non ha pi un oggetto proprio e non fonda mediante quel suo og- getto le varie forme della cultura, le quali si fondano da s. La filosofia  quindi [...] questa stessa formalit della cultura in quanto auto- riflessa. In parole pi piane, la filosofia ha ora per oggetto la cultura stessa, nelle sue varie forme, conoscitive e no [...]. Non ricerca verit materiali, ma il senso di vero, in quanto valore che il sapere si pone [...] come scopo e criterio; non ricerca che cos' bello, ma il senso di bello in quanto scopo e criterio delle attivit (valutative e/o creati- ve) estetiche; non ricerca che cosa  bene, ma il senso di buono in quanto categoria del giudizio e della norma della moralit storica. Entro questa immagine dellargomentare filosofico, il riferimento ai problemi etici nei Saggi filosofici costituisce un'ulteriore prova della pos- sibilit di un discorso metamorale al fine di ribadire lattivit diagnosti- ca del filosofo che opera sulla realt analizzando la struttura logica di un discorso morale. In questo modo, alla diffidenza dei neopositivisti verso questa tipologia di temi, il suggerimento di Preti  un parallelismo tra le- sperienza morale e gli enunciati empirici. Inoltre, la trattazione pretiana della morale diviene un momento di confronto con lesposizione kantiana che resta tale anche laddove il pensa- tore pavese non discute dei risultati teorici della sua posizione, ma avanza solo delle chiarificazioni metodologiche. 24 G. Preti, Introduzione. Lo stato attuale della filosofia in Enciclopedia Feltrinelli - Fischer, Filosofia, a cura di Giulio Preti, Feltrinelli, Milano 1966, p. 11. 25 A tal riguardo Preti scrive come il discorso scientifico, esso [il discorso mo- rale ndr] si organizza intorno a significati (categorie) che rimandano ad atteggia- menti ed emozioni, ma hanno nel discorso una funzione indipendente, e in un certo senso a priori (G. Preti, Il mio punto di vista empiristico in G. Preti, Saggi filosofici, cit., vol. I, p. 490). Pertanto non si pu sottrarre la morale dalla ragione scientifica se si vuole evitare un irrazionalismo. 26 Su questo punto si segnala per esempio il saggio del 1935, I fondamenti del- la logica formale pura nella Wissenschaftslehre di B. Bolzano e nelle Logische Untersuchungen di E. Husserl (ivi, vol. I, pp. 11-31), dove Preti per spiegare la lo- gica husserliana si serve della logica kantiana, nella quale la prima rintraccia i suoi fondamenti. Si veda inoltre il saggio del 1955, Materialismo storico e teoria dellevo- luzione (ivi, vol. I, pp. 377-412, la citazione si trova a p. 403) dove Preti discutendo della situazione delluomo nella storia della natura o evoluzione naturale e nella storia umana, si serve dellidea kantiana di finalit per precisare che luomo [...], mediante il complesso di atti e comportamenti chiamato pensiero, introduce nella natura il concetto, e quindi ordine, orientamento, finalismo: pertanto, luso costi- 166 ELISABETTA SCOLOZZI Conclusioni [...] c' il fatto che di soliti i filosofi che si studiano hanno letto filoso- fi, i quali a loro volta avevano letto filosofi [...]. Di qui un tramandar- si di temi, un tramandarsi di termini, un tramandarsi di linguaggi: e con questultimo vocabolo intendo qualcosa di molto pregnante, che racchiude non solo luso di parole determinate, ma anche il modo di organizzare i discorsi, il modo di provare le asserzioni, e [...] un intera topica. Non solo cio delle regole logico pure di conseguenza forma- le, ma anche degli schemi generali di implicazione materiale, o anche semplicemente dei principii generali contenutisticamente determina- ti. Ci costituisce una tradizione filosofica, o per meglio dire [...] delle tradizioni filosofiche. Questo passo risulta particolarmente significativo a riguardo della collocazione del pensatore pavese in una tradizione concettuale. Infat- ti la riflessione del Nostro, per quanto si situa dichiaratamente in una tradizione di continuit con la dottrina kantiana in virt della lezione banfiana e della frequentazione con le opere del neokantismo, si presen- ta come un elemento di discontinuit in quanto elabora una versione del kantismo arricchita con i contenuti logici del neopositivismo. Questa strana [...] irruzione di metafisica idealistica entro i quadri di una di- scussione [...] condotta con i metodi della semantica neopositivista, ottenuta sostituendo le categorie - idest i concetti a priori - con le strut- ture logico-sintattiche del pensiero, permette di costruire entro il lin- guaggio scientifico, lontologia regionale di una determinata scienza in una certa epoca storica. L'apertura kantiana alla conoscenza scientifica, l'intreccio virtuoso tra la riflessione trascendentale e le conoscenze scientifiche ha consentito al pensatore pavese di indagare, sia pur entro lorizzonte del discorso logi- co, le condizioni di possibilit della scienza che sono condizioni indispen- sabili della nostra conoscenza oggettiva delle teorie scientifiche. Inoltre seguendo il suggerimento kantiano presente nella definizione di trascen- tutivo delle idee rende sterile il sapere, luso regolativo crea una direzionalit nella ricerca e nel lavoro. Infine nello scritto, Continuit e discontinuit nella storia della filosofia (ivi, vol. II, pp. 224-25), il Nostro pone a confronto il problema della mo- rale kantiana con quella platonica al fine di dimostrare come, nonostante laffinit formale del loro interesse per la morale, gli interrogativi di partenza e gli esiti da raggiungere sono differenti. Infatti, mentre Kant  intento a determinare luniver- salit e la necessit della morale, Platone vuole raggiungere il contenuto dellidea del Bene. 7 G. Preti, Continuit ed essenze nella storia della filosofia, ivi, vol. II, p. 246. 28 Questa e la successiva citazione sono tratte da ivi, vol. I, p. 64, p. 512 (il cor- sivo  nel testo). IL KANT DI PRETI NEI SAGGI FILOSOFICI 167 dentale, secondo il quale la conoscenza non si riferisce agli oggetti ma alla nostra conoscenza possibile degli oggetti, Preti pu cos raffigurare la filosofia come una riflessione di secondo livello che concerne la natura e la possibilit delle nostre rappresentazioni degli oggetti dell'esperienza: [...] la filosofia  meta-riflessione, e per questo non ha un locus pro- prio. Di fronte alla scienza, lepistemologia  filosofia; ma sviluppan- dosi unepistemologia scientifica, il luogo della filosofia si sposta ad un livello superiore, quello della meta-epistemologia. Kant non  solo il punto di arrivo della storia del pensiero moderno, ma anche la matrice della problematica del pensiero contemporaneo che ritro- va nella difesa kantiana del valore culturale della scienza e nella fondazio- ne del problema della conoscenza un termine di confronto fondamentale. 2 Kant, nella Sezione VII dellIntroduzione della prima Critica, definisce il tra- scendentale nei seguenti termini: chiamo trascendentale ogni conoscenza che in generale si occupa non tanto di oggetti, quanto invece del nostro modo di conoscere gli oggetti, nel senso che tale modo di conoscenza dev'essere possibile a priori [KrV A 13/B 25]. I. Kant, Critica della ragion pura, cit., p. 67, la spaziatura e il corsivo si trovano nel testo. GIULIO PRETI DOCENTE UNIVERSITARIO Alessandro Mariani 1. Nel ricordo degli allievi Accanto allallievo di Antonio Banfi, allonesto filosofo dal rigore analitico e dalla cartesiana pulizia, allempirista logico dalla sensibi- lit storica, linguistica e fenomenologica, al filosofo europeo, al teorico del mondo scientifico, del razionalismo critico e delle due culture - ampiamente illuminato nelle pagine precedenti  emerge un altro Giulio Preti, altrettanto interessante e strettamente collegato al suo fare ricerca. Mi riferisco al docente universitario, attivo presso la Facolt di Magistero dellUniversit degli Studi di Firenze dal novembre del 1954 al giugno del 1972, con una brevissima parentesi - nellAnno Accademico 1958/1959 - presso la Facolt di Lettere e Filosofia dello stesso Ateneo. Per ragioni anagrafiche (Giulio Preti  nato a Pavia il 9 ottobre del 1911 ed  morto a Djerba il 28 luglio del 1972) sarebbe stato impossibile, per me, ricostruire la memoria personale di questo importante segmento pedago- gico che riguarda direttamente lattivit di Preti, anche perch la didattica ha sempre assunto per lo studioso pavese un significato profondo, sia sul piano umano (si pensi al rapporto con gli studenti) sia su quello filosofico (si pensi all'esigenza di sistematizzare/giustificare il suo pensiero). Pertan- to, cercando di far emergere ricordi vivi, ho posto una serie di domande ai suoi allievi reperibili e di successo intellettuale, i quali hanno risposto con una dovizia di informazioni che sono andate ben oltre la semplice testi- monianza, cogliendo una serie di nuclei assai importanti costantemente scanditi tra la personalit di Giulio Preti, il suo stile comunicativo, le sue lezioni e il rapporto che egli ha avuto col 68. Per maggiore chiarezza riporto di seguito gli otto quesiti posti a Giulio Barsanti, Franco Cambi, Roberto Dami, Giorgio Paganini, Alessandro Pa- gnini, Gigliola Paoletti, Paolo Parrini (che il 30 maggio del 1986 aveva gi tenuto, nella sala del Gabinetto G.P. Vieusseux, una conferenza su L'ultimo Preti e i suoi corsi universitari), Alberto Peruzzi, Lucia Poli, Mauro Sbordoni e Andrea Spini, che ringrazio sentitamente per lattenzione, la sensibilit e la generosit dimostrate nel ricordare le tracce che il Professor Preti ha lascia- to nel loro iter formativo. 1) Dai Suoi ricordi di studente universitario quale immagine di Giulio Preti emerge? 2) Per quali ragioni definirebbe Preti come educatore? 3) Quali erano i metodi didattici maggiormente utiliz- Franco Cambi e Giovanni Mari (a cura di) Giulio Preti : intellettuale critico e filosofo attuale ISBN 978-88- 6655-039-6 (print) ISBN 978-88-6655-044-0 (online PDF) ISBN 978-88-6655-048-8 (online EPUB)  2011 Firenze University Press 170 ALESSANDRO MARIANI zati da Preti? 4) Tra ricerca e didattica universitarie esiste un nesso inscin- dibile. Potrebbe evidenziare questo nesso alla luce della lectio di Preti? 5) Qual era il rapporto che Preti docente universitario aveva con i classici? 6) In quali termini si pu parlare di una comunicazione formativa nella lunga azione didattica svolta da Giulio Preti? 7) Quale relazione educativa instaurava con gli studenti e i laureandi? 8) A quali, tra i suoi molteplici lavori scientifici, Preti faceva maggiore riferimento durante le sue lezioni? 2. La personalit Dalle risposte pervenute, tutte molto ampie e significative, i compor- tamenti di Giulio Preti appaiono sempre connotati dalloriginalit, anche se in molti casi enfatizzati dalla vulgata che circolava su dilui. A tal punto che, come afferma Gigliola Paoletti, circolavano molte voci che lo dipin- gevano come uno terribile che dava 13 agli esami (la pi comune); come uno che impediva la frequenza agli studenti-lavoratori (diffusa in genere dai compagni che frequentavano Vigilanza); come uno sciupafemmine (dallo spogliatoio femminile). Ovvero, un uomo avvolto nel fumo delle sue sigarette, con abitudini singolari e con una fisiognomica particolare. Tra le immagini di Preti ricordate da Gigliola Paoletti ne segnalo tre. Il professore tiene le lezioni settimanali pomeridiane di filosofia te- oretica e dal suo studio raggiunge laula, situata in fondo al lungo cor- ridoio al primo piano di Magistero, in Via Del Parione 7: lentamente mi si avvicina, piccolo, un po claudicante, con limmancabile Gauloise accesa, ci fa entrare, qualche battuta, un sorriso sdentato, si siede alla cattedra, apre uno dei suoi preziosi quaderni dove annotava il meglio delle sue ricerche e dei suoi pensieri per narrarli con generosit agli stu- denti nel corso della lezione, producendo in me ogni volta meraviglia e desiderio di conoscere; il professore, piccolo, seduto dietro al gran- de banco della gremita aula-biblioteca dove tiene le lezioni del Corso sulla filosofia dellOttocento e - nel silenzio generale - legge, spiega, annota e commenta in mezzo ad una nuvola di fumo la Prefazione al- la Fenomenologia dello spirito di Hegel; il professore dopo la lezione pomeridiana (e alcuni incontri che oggi potremmo chiamare semina- riali autogestiti, sulla cui qualit vigilava attraverso nostri compagni gi laureati) con un gruppetto di noi cammina e chiacchiera lungo il marciapiedi sinistro di Via Tornabuoni che da Piazza Santa Trinita ci porta al Bar Giacosa, dove per la prima volta in vita mia, poco pi che ventenne, sorseggio fiduciosa un Biancosarti da lui offerto (noi studenti squattrinati al massimo potevamo sorseggiare una gazosa!). Nella memoria di Giulio Barsanti  ancora presente immagine di un uomo inarrivabile. Entrava in aula preceduto da una giovane donna che si sedeva in disparte e l rimaneva silenziosa e immobile per un'ora. Tanto bella quanto inarrivabile pure lei. GIULIO PRETI DOCENTE UNIVERSITARIO 171 Una personalit umana, certamente, ma anche filosofica, come sotto- linea Andrea Spini: [...] il tratto, forse, che pu - in qualche misura - rendere unimmagi- ne di Preti  quella di un volteriano, anzi di un Voltaire che - ridendo ironicamente - si fa beffe, smascherandole, di tutte le pretese storici- stiche. Ad esse opponeva unaltra lettura della storia, tutta giocata sul filo della conoscenza come strumento di liberazione da ogni dogma, anche della scienza stessa. Di essa, rubandola a Dewey (non casual- mente, essendo stato il primo a cercare una fecondazione del marxismo con il pragmatismo), accettava solo il suo fondamento: essere libera da pregiudizi, pur sapendo che anche questa era una pretesa che per dare i suoi frutti umani doveva essere concepita come telos, mai co- me forma chiusa. 3. La comunicazione La comunicazione pretiana era intessuta di ironia e di rigore, di argo- mentazione e di acume, di onest e di amichevolezza. Giulio Preti [afferma Lucia Poli] era un professore affascinante: di una bruttezza rara, ostentava con civetteria la sua bocca senza denti, il suo cipiglio cespuglioso, le sue membra spigolose e sghembe, quasi a far gioco di s e lanciava strali al curaro contro gli studenti sprovveduti e soprattutto contro le studentesse (perch la Facolt di Magistero era perlo pi frequentata da ragazze), in modo da rendere il suo sottofondo critico una sorta di omaggio. Il dono dellironia e del sarcasmo sottile lo circondava come unaura. E questo prima ancora di cominciare la lezione. Poi, quando iniziava a parlare di filosofia, con cadenza lenta e precisa, leggermente cantilenante, inchiodava tutti al banco. Educatore [prosegue Lucia Poli]  colui che stimola alla crescita. In questo senso Giulio Preti ci spingeva ad essere allaltezza del suo umorismo intel- lettuale per noi non sempre comprensibile, ma catturante. Allusioni, richiami continui a Voltaire, a Husserl, a Kant, mescolati magari ai no- minalisti medioevali, ci spiazzavano e ci spingevano a leggere di pi, ad aprire la mente oltre il libro di testo. Insomma lo studio diventava un percorso personale e una sfida al miglioramento di s. [...] forse non cera un metodo prefissato, era soprattutto la forte personalit del maestro a comunicare emotivamente negli scolari un processo di imi- tazione e di affezione alle materie trattate. Su questultimo aspetto Roberto Dami ritiene che se per formazione di un individuo si intende lacquisizione degli strumenti critici per leggere, interpretare la realt, tutta lazione didattica di Preti  una comunicazione formativa e, direi, non solo intellettuale ma anche umana. 172 ALESSANDRO MARIANI Come ha asserito Giorgio Paganini, Preti era un filosofo e un docen- te che [...] ti sorprendeva continuamente perch, qualsiasi argomento filo- sofico o pi genericamente culturale trattasse, te lo faceva riscoprire al di fuori dei luoghi comuni o delle categorie interpretative comune- mente accettate. Naturalmente ci sono modi diversi di riscoprire la filosofia. Ma quello di Preti era in un certo senso il pi radicale: lo at- tribuirei al suo metodo di lavoro metalinguistico. Nel senso esatto che a lui interessavano il linguaggio e le implicazioni logico-formali su cui inevitabilmente sono costruite le teorizzazioni, le argomentazioni, le definizioni e i concetti filosofici. Con tutto ci che poi ne conseguiva. [...]. Ma, nel rapporto con gli studenti ci lo portava [...] a smontare non solo particolari posizioni su un argomento di studio - il che a mio parere  da ritenersi sommamente educativo, ma anche a mettere in crisi interessi o convinzioni espresse dallinterlocutore vanificandone il linguaggio con il quale venivano esposte. Secondo Franco Cambi, [...] lo stile comunicativo di Preti era soprattutto scientifico e anche distaccato, senza colloquio coi giovani nello spazio della lezione, men- tre lo era e confidenziale fuori dello spazio della lezione stessa quando il docente si fermava a parlare (s di filosofia, ma anche del pi e del meno) con gli allievi e metteva pi a nudo la sua umanit: ironia, ma colloquiale, curiosa e, pur con molte mediazioni e con precisi formali- smi, affettuosa. Qua e l, con una battuta, con una brevissima digres- sione scherzosa, il Preti-docente saltava fuori del registro scientifico. E faceva emergere i suoi connotati di uomo: scettico di fondo, ma sensi- bile alla comunicazione personale (se pure frenata e occasionale). Uno scettico che nel registro ironico fissava il suo identikit comunicativo. E unironia che talvolta invadeva la comunicazione coi colleghi (e si face- va anche tagliente) e si manifestava anche nei momenti ufficiali (negli esami e negli stessi esami di laurea: singolarmente ironiche erano le note che faceva in calce alle tesi di laurea per la discussione; ne ricor- do una, scritta di suo pugno, acqua fresca!). Come dichiara Alessandro Pagnini, Preti era un uomo che sapeva far vivere il proprio lavoro, comunicava agli studenti il pathos della ricerca. Non veicolava solo contenuti, ma la forma del pensiero pensante. Essere allievi di Preti, asserisce Alberto Peruzzi, [...] significava educarsi a una forma mentis, della quale tratti distin- tivi erano il fatto di poter usare un termine solo dopo aver riflettuto sul suo significato, il fatto di poter affermare qualcosa solo se avevamo capito bene le ragioni a sostegno e le possibili obiezioni. Ogni discorso fumoso, per quanto di facile presa, era bandito. I discorsi oscuri non avevano limprimatur della profondit ma erano piuttosto un segnale GIULIO PRETI DOCENTE UNIVERSITARIO 173 di scarso impegno nel compito chiarificatore che spetta alla filosofia. Associazioni e analogie andavano bene per i letterati, non per i filo- sofi. Venivamo educati a sviluppare una specie di radar nei confronti di ogni discorso retorico, indipendentemente dalla condivisione o no della tesi sostenuta. 4. Le lezioni Tra i possibili metodi didattici, continua Alessandro Pagnini, in Pre- ti ne emerge [...] uno solo: la lezione ex cathedra. [...]. Preti faceva lezione e insie- me si interrogava con gli studenti sui punti pi spinosi, dal punto di vista dellinterpretazione, e su quelli teoricamente pi ardui. Li anda- va a cercare, non li tralasciava, come invece fa spesso il professore che semplifica per agevolare lapprendimento dello studente. Sulla lezione cattedratica di Preti insiste anche Giulio Barsanti: [...] venni a conoscenza della sua presenza e autorevolezza subito, al primo anno (1968-1969), stupendomi del fatto che a lui anche gli stu- denti politicamente pi impegnati non richiedessero forme di didatti- ca pi aperta e partecipata. Poi capii. Era lunico che avrebbe dovuto essere registrato, passivamente. Sui corsi del filosofo pavese interviene anche Mauro Sbordoni: [...] erano essi stessi il frutto delle sue ricerche che egli comunicava im- mediatamente ai suoi studenti rendendoli cos i primi fruitori delle sua attivit di studioso e ricercatore. [...]. Le sue lezioni avevano continui e frequenti riferimenti con i classici (si trattasse dei classici dellantichi- t o del pensiero moderno) i cui testi egli spesso citava (senza peraltro fare mai alcun sfoggio di erudizione) nelle lingue originali (greco, lati- no, francese, inglese, tedesco...). In questo modo cos Preti dimostrava di fatto anche limportanza, ai fini di un corretto approccio alle fon- ti, della conoscenza della lingua con cui esse erano state redatte. Non a caso esigeva in sede di esame la conoscenza in lingua originale dei titoli e anche di alcuni termini chiave (spesso devo dire - esperienza personale - con qualche indulgenza per le nostre cattive pronunce...). A proposito di classici devo dire che a mio parere linsegnamento di Giulio Preti si connot in maniera particolare anche per la capacit di individuare rapidamente quelli che sarebbero stati i nuovi classici del pensiero contemporaneo.  il caso di Karl Popper. Credo che sia stato il primo docente italiano ad impostare un corso che prendeva le mosse da questo pensatore. Qualche anno dopo (diciamo a partire da- gli anni 70) spunteranno qua e l tanti zelanti scopritori di Popper. 174 ALESSANDRO MARIANI Nella memoria di Roberto Dami sono stampati [...] il suo grosso bagaglio culturale e la conoscenza dei classici del pen- siero sempre mirata a coglierne gli aspetti fondamentali; c'era sempre una breve citazione che ci faceva cogliere l'essenza di un problema, di unargomentazione. In questo senso i classici erano sempre presenti, erano sottofondo permanente della sua analisi. I classici e non autoreferenzialmente se stesso. Infatti, come dichiara Mauro Sbordoni, [...] non mi ricordo di avere mai sentito in lezione un riferimento di- retto di Preti ai suoi scritti. Credo che questo si dovesse non tanto a modestia (penso che Preti - giustamente - avesse un alto concetto della sua intelligenza e della sua capacit di produzione intellettuale?) quanto (azzardo una spiegazione) al fatto che egli sentiva limpegno di mantenere una netta distinzione fra la sua azione di docente e la bat- taglia delle idee che ha sempre svolto esponendosi in prima persona e in prima linea: dai suoi scritti ne Il Politecnico di Vittorini a Praxis ed empirismo, a Retorica e logica, agli scritti sulle riviste, compresi i suoi ultimi amari articoli dopo il 68. In aula (la mitica aula 4, ubicata in fondo al corridoio di Via Del Pa- rione 7, con laffaccio sullArno), ricorda Giorgio Paganini, Preti si limitava soltanto a leggere e spiegare le lezioni, con lausilio di un quaderno che portava sempre con s (non voleva essere registra- to). Alla fine dellora se ne andava e tornava nel suo Studio. Molto ra- ramente si fermava a parlare con noi degli argomenti trattati. Invece, a livello personale, si divertiva un mondo a spiazzarti e non solo su argomenti di studio. A deridere e demolire le tue presunte certezze. In breve, a toglierti la parola. Questo non piaceva e poteva anche essere molto castrante. Ma - ed  qui secondo me laspetto peculiare della sua didattica - proprio perch ti sentivi colpito cos duramente, non potevi accettare quei suoi giudizi liquidatori, ed eri spinto a reagire, a riconsiderare e quindi ad arricchire le tue conoscenze. Tra i ricordi di Andrea Spini emergono quelli del [...] primo e secondo anno di universit - da matricola a fagiolo, co- me venivamo definiti dalla tramontante goliardia (sempre odiata) -, e, seppur attraversato, per dirla con Vittorini, da astratti furori, fui catturato dal medioevo di Preti. Nelle condanne del vescovo Tempier [...] delle argomentazioni di Abelardo (ma anche di Tommaso) non era difficile cogliere i volti del potere (Foucault sarebbe arrivato dopo, e fuori dellorizzonte pretiano), cos come comprendere - con stupo- re  che quelle aride discussioni sulla suppositio, in realt minavano ogni forma di autorit che non fosse affidata alla ratio. E che dire, poi, GIULIO PRETI DOCENTE UNIVERSITARIO 175 di Husserl], e della sua trasparenza della coscienza alla quale Preti, ri- dacchiando con la sua bocca sdentata, sempre affogata nel fumo delle Gauloises, opponeva Carnap e il suo richiamo allopacit ineliminabile della coscienza? Lezioni, in realt riflessioni ad alta voce, nelle quali si coglieva (almeno il sottoscritto) lofferta a pensare con rigore, magari - come gli contester, non senza qualche ragione, Garin [...] - giocan- do troppo sulle dicotomie tra forme di sapere (come si usa dire oggi). 5. Il rapporto col 68 Il rapporto tra Preti e i movimenti studenteschi sessantottini  stato molto difficile e carico di tensioni. Anche se attraverso un atteggiamento ironico c' stato addirittura un rifiuto di quei barbari che avrebbero in- quinato il rigore, il sacrificio e la sobriet della ricerca filosofica. Lo stesso modello didattico, come riferisce Franco Cambi, [...] proprio negli anni Sessanta veniva rimesso e radicalmente in discussione, dichiarato troppo trasmissivo e baronale. E si pensi al ruolo avuto dal 68 anche come rivoluzione didattica, universitaria in particolare. Ora erano i seminari a prendere il posto delle lezioni. E seminari significava studiare insieme e percorrere territori di indagi- ne (e di metodo) pi aperti. A tutto ci Preti rimase insensibile. Anzi fu ironicamente contrario, in difesa del rigore e della sistematicit del sapere, quindi della sua aristocraticit e di linguaggio e di forma men- tis, che reclamava di essere esposto e non altro. Anche durante gli anni immediatamente successivi al 68, come ha scritto Paolo Parrini, Preti aveva preso delle posizioni molto dure nei confronti sia del movimento degli studenti sia, soprattutto, di certe concessioni e cedi- menti da parte di numerosi colleghi. In un primo momento ci lo aveva condotto a una situazione di isolamento pressoch totale, ma proprio negli anni fra il 70 e il 72 le cose avevano nuovamente iniziato a mu- tare. Con gioia, egli si era reso conto di poter ancora svolgere un ruolo in Facolt, che vi era un buon numero di studenti disposti a seguirlo e a impegnarsi nello studio della filosofia; ed una cosa che mi ripeteva spesso era che questo gli aveva fatto capire che, se pure continuava ad essere in rotta con molti studenti  e ci non poteva non dispiacergli - non era per, o non era pi, in rotta con tutti gli studenti. Di qui anche il particolare impegno e la rinnovata fiducia con cui in quegli anni tor- mentati volle svolgere la sua funzione di professore e il particolare signi- ficato che, anche sul piano umano, rivestono queste sue ultime fatiche. ! P, Parrini, L'ultimo Preti e i suoi corsi universitari, Quaderni della Antologia Vieusseux, 5, 1986, p. 42. Su Giulio Preti docente universitario si segnalano anche 176 ALESSANDRO MARIANI 6. Conclusioni. Un formatore alla ricerca? Da tutte le interviste emerge una vera e propria qualit di educatore esplicitata attraverso una didattica universitaria tradizionale che si intrec- cia sapientemente con una ricerca filosofica fresca, vivace e originale. An- che perch - prosegue Paolo Parrini, [...] nellaula universitaria la fatica di Preti era indirizzata quasi esclu- sivamente (a parte qualche divagazione di costume) allanalisi degli aspetti squisitamente tecnici delle questioni filosofiche nel tentativo, appunto, di reperire convergenze strettamente teoriche. Per questo sono convinto che una valutazione del carattere sincretistico della filosofia italiana di quegli anni che non voglia correre il rischio di tradursi in una condanna sommaria e indifferenziata non possa prescindere, tra le altre cose, da un esame attento, e orientato teoricamente, di quello che  stato linsegnamento universitario di Preti. D'altronde, come sostiene Alberto Peruzzi, Preti era un filosofo a tutto tondo. Anche quando si rivolgeva a stu- denti che poco masticavano di filosofia, le esigenze di ancor maggio- re chiarezza e semplicit nelle argomentazioni non gli impedivano di trasportare il discorso su un piano alto di riflessione. La ricostruzione storica delle questioni esaminate poteva snodarsi per pi settimane ma tornava immancabilmente alle domande centrali. I suoi corsi erano fi- nemente tessuti, preparati con grande scrupolo e con precisi riferimen- ti ai testi, accompagnati da commenti puntuali e simultanei richiami ad autori lontani nel tempo, permettendo agli studenti di superare le differenze di lessico che potevano esserci fra un autore e laltro e, natu- ralmente, impedendo una rapida acquisizione, tanto pi che non era- no corsi su temi facilmente riconoscibili nel panorama della cultura italiana dellepoca e anche per questo motivo era richiesto uno sforzo notevole per preparare lesame. Era per uno sforzo che dava frutti du- raturi, fornendo un bagaglio di concetti che a distanza di decenni e in relazione alle pi diverse tematiche non avrebbe perso il suo smalto. In via conclusiva, ma pretianamente non chiusa, possiamo dire che da tutte le interviste emergono alcuni punti fermi: 1) quello con Preti  stato per i suoi allievi intervistati un incontro decisivo; 2) egli ha tenuto fede alla tradizione filosofica occidentale, a quella accademica e alloggettivi- le testimonianze di Umberto Cattabrini, Domenico Maselli, Giovanni Nencioni e Gigliola Paoletti Sbordoni, in Alberto Peruzzi (a cura di), Giulio Preti filosofo euro- peo, Firenze, Leo S. Olschki, 2004, pp. 227-242 e il dossier curato da Fabio Minazzi, Per il centenario della nascita di Giulio Preti, in Il Protagora, 15, 2011, pp. 103-192. 2 Ivi, p. 44. GIULIO PRETI DOCENTE UNIVERSITARIO 177 ta della ricerca; 3) ha introdotto i giovani ad un lavoro/lavorio culturale e filosofico rigoroso, chiaro, denso e consapevole; 4) ha tenuta viva la figura di intellettuale schierato, ma mai organico; 5) ha tenuto sempre lezioni rigorose e precise, come libri stampati. In altri termini, il filosofo pavese ha incarnato la figura di un intellet- tuale disorganico, di uno studioso inquieto e di un esempio magistra- le, che - come ha sottolineato Franco Cambi -  stato anche educatore e formatore. Educatore lo  stato per il suo stile di uomo, riservato e ironico, libero e distaccato (dal politico, dallAccademia), da intellettuale di- sorganico (ergo: critico, critico-radicale, ancorato al discutere e al problematizzare). Formatore per il suo magistero scientifico: per lo stile (rigoroso, preciso, logicamente denso e organico) del suo pen- siero che nelle lezioni appariva nel suo essere risultato (per dirla con Hegel), ma che si imponeva come modello. Di pensiero-pensato? S, ma per questo anche del pensiero-pensante, richiamandolo alla do- cumentazione, allanalisi, all'evidenza del tessuto teoretico. [...].  stato, quindi, un vero Maestro. Un Maestro depoca? Anche. Ma che ancora pu insegnare e non poco sul piano della didattica (il rigore) e della comunicazione (lallenamento ironico), anche in tempi, come i nostri, ormai lontanissimi da quelli del Mondo occidentale degli an- ni di Preti, culturalmente, politicamente, anche filosoficamente e... accademicamente. E qui va aggiunto un purtroppo. Ripensare il ma- gistero di Preti pu essere, anzi e proprio, utile nella Deriva attuale e della Cultura e dellUniversit. INDICE DEI NOMI Abate C. 3 Abbagnano N. 57, 113 Abelardo P. 174 Adorno Th.W. 124, 126 Ajdukiewicz K. 69, 72 Alessio F. 2, 159 Aliotta A. 81 Andersen Ch. 153 Anselmo dAosta 6 Ardig R. 55 Aristotele 131 Ayer A. 30 Bacone R. 97-98, 100 Baldacci M. VII, 37, 49 Banfi A. 1-3, 7-9, 37-39, 41-42, 45, 49, 58, 60, 62, 76, 102, 111, 156, 169 Barsanti G. 169-170, 173 Beato Angelico 2 Bentivegna G. 53 Bernardini C. 118 Bertin G.M. 49 Bertolini L. 69 Besoli S. 37 Biletzki A. 52 Bobbio N. 57, 113 Bohr N. 63 Bolzano B. 165 Bonghi B. 53 Boole G. 54 Borkowski L. 72 Brentano F. 67 Brissa E. 3 Bruno G. 52, 100, 137 Brunschvicg L. 10 Bunhe M.A. 53 Burgio S. 53 Buzano P. 57 Calderoni M. 55 Cambi F. VII, 1, 51, 85, 102, 113, 137, 157, 162, 169, 172, 175, 177 Cancogni M. 123 Capone Braga G. 80 Carnap R. 28, 30, 52-56, 60-61, 64, 68, 72-73, 112, 131, 175 Cartesio 10, 13, 15, 98, 100 Cassirer E. 46-48, 60, 68-69, 91, 102-103, 106, 162 Cattabrini U. 176 Cha I.S. 141 Codegone C. 57 Coffa A.J. 64, 68 Cohen H. 7, 9, 54 Cohen R.S. 7, 9, 54 Colli G. 155 Coniglione F. VII, 51, 53, 55-56, 68, 71, 81 Crisius C. 32 Croce B. 113 Cusano N. 13, 15 Dal Pra M. 2, 17-18, 37, 52, 70, 78, 81-82, 85, 88, 102, 105, 137, 147, 157, 159 Dami R. 169, 171, 174 della Volpe G. 62 DeNegri E. 5 Denti M.A. 16 Franco Cambi e Giovanni Mari (a cura di) Giulio Preti : intellettuale critico e filosofo attuale ISBN 978-88- 6655-039-6 (print) ISBN 978-88-6655-044-0 (online PDF) ISBN 978-88-6655-048-8 (online EPUB)  2011 Firenze University Press 180 GIULIO PRETI: INTELLETTUALE CRITICO E FILOSOFO ATTUALE de Santillana G. 56 de Saussure F. 118 Descates R. (vedi anche Cartesio) 6, 15 Dewey J. 37, 87, 94, 101, 106, 148- 149, 162, 171 Di Giovanni P. 56 Dilthey W. 52 Dino O. 2-3 Doris Day 123 Dummett M. 53 Eddington A. 163 Engels F. 128 Enriques F. 55-56 Epitteto 11 Feibleman J.K. 53-54 Feigl H. 64 Fermat P. 13-15 Ferrari M. 69 Feuerbach L. 4 Fichte J.G. 6 Filiasi Carcano P. 80 Formaggio D. 3 Foucault M. 174 Frank Ph. 56 Fredegiso di Tours 81 Freud S. 124, 129, 132 Friedman M. 60,71 Frola E. 57 Galilei G. 26, 47, 56, 98, 100, 111 Galvani L. 159 Garin E. 2, 18, 76, 78, 87, 90, 102, 175 Gassendi P. 13 Gauss F. 114 Gembillo G. 53 Gentile G. 38, 113 Geymonat L. 51-52, 56-59, 65-66, 68-83, 112-113, 153, 159 Giere R.N. 47 Gregorczyk A. 71 Gregorio di Rimini 30 Guidetti L. 37 Habermas J. 52 Hartmann N. 8 Hegel G.W.F. 1, 4-10, 34, 41, 107- 108, 170, 177 Heidegger M. 52, 60, 104 Hempel C. 53, 69, 107 Hlderlin F. 4 Hume D. 9, 33, 94 Husserl E. 3, 7-8, 23, 25, 28, 30, 34, 36, 60-62, 67-69, 71, 152, 165, 171, 175 Ioly Piussi A. 54 Jacquette D. 67 Kant I. VIII, 4-9, 21-26, 31-33, 35, 60, 62, 64, 68-69, 71, 74-75, 88, 92, 94, 97, 106, 155-164, 166- 167, 171 Kierkegaard S. 4, 7, 11 Lakatos I. 49 La Mothe Le Vayer F. 13 Lauer Q. 67 Lecis P.L. 52, 78, 102 Leibniz GW. 9, 61, 99 Leopardi G. 111, 153 Lvy-Strauss C. 123, 124, 126, 129 Lodge D. 116 Mach E. 25 Magnano San Lio G. 53 Maimon M. 9 Mangiarotti G. 51 Mangione C. 56 Mann T. 4 Marcuse H. 124, 126, 129-131 Mariani A. VIII, 169 Mariano B. 29 Mari G. VII, VIII, 102, 123 Maros dellOro A. 51, 56 Marsilio di Inghen 30 Martinetti P. 158 Marx K. 37, 40-42, 101, 106, 128, 150 INDICE DEI NOMI 181 Maselli D. 176 Matar A. 52 Menicanti D. 2-3, 16 Migliorini E. 1-2 Minazzi F. VII, 1, 3, 9, 13, 18, 30, 32-33, 35, 37, 51-53, 57-58, 60, 65, 68-70, 73-74, 76, 78, 82, 85, 88, 96, 98, 102, 105, 137, 156- 157, 161, 176 Montaigne M. 11, 13, 15, 95, 100 Moore G. 30, 107 Morris C. 24 Morselli E. 55 Mulder H.L. 69 Musgrave A. 49 Natorp P. 7 Nencioni G. 176 Neurath O. 21, 56, 64, 125 Nicola dAutrecourt 30 Nietzsche F. 2, 7, 104, 126, 128 Nordmann A. 60 Nuvoli P. 57 Oppeneim F. 94 Ottaviano G. 9, 56 Pacini F. 118 Paganini G. 169, 172, 174 Pagnini A. 169, 172-173 Paoletti Sbordoni G. 118, 176 Papi F. 1, 96, 98, 102, 155-156 Parrini P. 37, 51, 83, 137, 169, 175-176 Pascal B. 1-2, 7, 9-16, 19, 36, 94- 102, 106 Pasini M. 57, 77 Pera M. 76 Perelman C. 100 Persico E. 57 Peruzzi A. VII, 98, 102, 105, 111, 137, 169, 172, 176 Petitot J. 33, 88, 161 Piccari P. 29 Planck M. 164 Platone 6, 30, 166 Poli L. 71, 169, 171 Popper K. 53, 64, 69, 107, 132, 173 Pot P. 114 Pozzi A. 2-3 Preti G. VII, VIII, 1-35, 37-49, 51- 52, 58-78, 81-83, 85-109, 111- 121, 123-141, 143-153, 155-167, 169-177 Quaranta M. 56, 88 Quine W. 53 Raio G. 46 Rawls J. 134 Reichenbach H. 52, 54, 56, 62, 82 Reichenbach M. 52, 54, 56, 62, 82 Richardson A. 60, 68, 73 Rinaldi S. 57 Rodriguez E. 68, 70 Rolando D. 57, 77 Roncoroni M. 158 Rossi P. 118 Russell B. 19, 30, 52-54, 112, 124, 132 Rutynx J. 146 Sandrini M.G. 17 Santi G. VIII, 143 Sartre J.-P. 132 Sbordoni M. 118, 169, 173-174, 176 Scaramuzza G. 3 Scarantino L.M. VIII, 30, 37, 52, 72, 82-83, 88, 137 Schiller J. 10 Schlick M. 54, 56, 64, 69, 71-74, 79 Schnadelbach H. 37 Scolozzi E. VIII, 155 Searle J. 53 Seneca L.A. 131 Simmel G. 52, 67, 93, 152 Smith A. 89, 103 Spini A. 169, 171, 174 Spinoza B. 2 Stadler F. 69 Tarski A. 29 182 GIULIO PRETI: INTELLETTUALE CRITICO E FILOSOFO ATTUALE Tatarkiewicz W. 53 Vieusseux G.P. 137, 169, 175 Tempier E. 174 Vittorini E. 91, 174 Timpanaro S. 152-153 Voltaire (Arouet F.) 171 Togliatti P. 120 Tommaso dAquino 107 Whitehead A.N. 54 Torricelli E. 98 Wittgenstein L. 52, 56, 64, 71-74, Twardowski J. 67 104 Vailati G. 55 Yeats W. 118 van de Velde-Schlick B.F.B. 69 Vasta S. 55 Zanga G. 78 Vecchio M.M. 2 Zanza L. 57 STUDI E SAGGI Titoli Pubblicati ARCHITETTURA E STORIA DELLARTE Benelli E., Archetipi e citazioni nel fashion design Benzi S., Bertuzzi L., Il Palagio di Parte Guelfa a Firenze. Documenti, immagini e percorsi multimediali Biagini C. (a cura di), LOspedale degli Infermi di Faenza. Studi per una lettura tipo- morfologica delledilizia ospedaliera storica Frati M., De bonis lapidibus conciis: la costruzione di Firenze ai tempi di Arnolfo di Cambio. Strumenti, tecniche e maestranze nei cantieri fra XIII e XIV secolo Gregotti V., Una lezione di architettura. Rappresentazione, globalizzazione, interdisciplinarit Maggiora G., Sulla retorica dellarchitettura Mazza B., Le Corbusier e la fotografia. La vrit blanche Messina M.G., Paul Gauguin. Un esotismo controverso Tonelli M.C., Industrial design: latitudine e longitudine CULTURAL STUDIES Candotti M.P., Interprtations du discours mtalinguistique. La fortune du sutra A 1.1.68 chez Patanjali et Bhartrhari Nesti A., Per una mappa delle religioni mondiali Nesti A., Qual  la religione degli italiani? Religioni civili, mondo cattolico, ateismo devoto, fede, laicita Rigopoulos A., The Mahanubhavs Squarcini F. (a cura di), Boundaries, Dynamics and Construction of Traditions in South Asia Vanoli A., I] mondo musulmano e i volti della guerra. Conflitti, politica e comunicazione nella storia dellislam DIRITTO Allegretti U., Democrazia partecipativa. Esperienze e prospettive in Italia e in Europa Curreri S., Democrazia e rappresentanza politica. Dal divieto di mandato al mandato di partito Curreri S., Partiti e gruppi parlamentari nellordinamento spagnolo Federico V., Fusaro C. (a cura di), Constitutionalism and Democratic Transitions. Lessons from South Africa Fiorita N., L'Islam spiegato ai miei studenti. Otto lezioni su Islam e diritto Fiorita N., L'Islam spiegato ai miei studenti. Undici lezioni sul diritto islamico Sorace D. (a cura di), Discipine processuali differenziate nei diritti amministrativi europei Trocker N., De Luca A. (a cura di), La mediazione civile alla luce della direttiva 2008/52/ CE ECONOMIA Ciappei C. (a cura di), La valorizzazione economica delle tipicit rurali tra localismo e globalizzazione Ciappei C., Citti P., Bacci N., Campatelli G., La metodologia Sei Sigma nei servizi. Unapplicazione ai modelli di gestione finanziaria Ciappei C., Sani A., Strategie di internazionalizzazione e grande distribuzione nel settore dellabbigliamento. Focus sulla realt fiorentina Garofalo G. (a cura di), Capitalismo distrettuale, localismi dimpresa, globalizzazione Laureti T., L'efficienza rispetto alla frontiera delle possibilit produttive. Modelli teorici ed analisi empiriche Lazzeretti L. (a cura di), Art Cities, Cultural Districts and Museums. An Economic and Managerial Study of the Culture Sector in Florence Lazzeretti L. (a cura di), I sistemi museali in Toscana. Primi risultati di una ricerca sul campo Lazzeretti L., Cinti T., La valorizzazione economica del patrimonio artistico delle citt darte. Il restauro artistico a Firenze Lazzeretti L., Nascita ed evoluzione del distretto orafo di Arezzo, 1947-2001. Primo studio in una prospettiva ecology based Simoni C., Approccio strategico alla produzione. Oltre la produzione snella Simoni C., Mastering the Dynamics of Apparel Innovation FILOSOFIA Baldi M., Desideri F. (a cura di), Paul Celan. La poesia come frontiera filosofica Barale A., La malinconia dellimmagine. Rappresentazione e significato in Walter Benjamin e Aby Warburg Berni S., Fadini U., Linee di fuga. Nietzsche, Foucault, Deleuze Brunkhorst H., Habermas Cambi F., Pensiero e tempo. Ricerche sullo storicismo critico: figure, modelli, attualit Cambi F., Mari G. (a cura di), Giulio Preti: intellettuale critico e filosofo attuale Desideri F., Matteucci G. (a cura di), Dall oggetto estetico alloggetto artistico Desideri F., Matteucci G. (a cura di), Estetiche della percezione Di Stasio M., Alvin Plantinga: conoscenza religiosa e naturalizzazione epistemologica Giovagnoli R., Autonomy: a Matter of Content Honneth A., Capitalismo e riconoscimento Solinas M., Psiche: Platone e Freud. Desiderio, sogno, mania, eros Valle G., La vita individuale. L'estetica sociologica di Georg Simmel LETTERATURA, FILOLOGIA E LINGUISTICA Bresciani Califano M., Piccole zone di simmetria. Scrittori del Novecento Dei L. (a cura di), Voci dal mondo per Primo Levi. In memoria, per la memoria Franchini S., Diventare grandi con il Pioniere (1950-1962). Politica, progetti di vita e identit di genere nella piccola posta di un giornalino di sinistra Francovich Onesti N., I nomi degli Ostrogoti Frau O., Gragnani C., Sottoboschi letterari. Sei case studies fra Otto e Novecento. Mara Antelling, Emma Boghen Conigliani, Evelyn, Anna Franchi, Jolanda, Flavia Steno Gori B., La grammatica dei clitici portoghesi. Aspetti sincronici e diacronici Keidan A., Alfieri L. (a cura di), Deissi, riferimento, metafora Lopez Cruz H., America Latina aportes lexicos al italiano contemporaneo Pestelli C., Carlo Antici e lideologia della Restaurazione in Italia Totaro L., Ragioni d'amore. Le donne nel Decameron POLITICA De Boni C., Descrivere il futuro. Scienza e utopia in Francia nell'et del positivismo De Boni C. (a cura di), Lo stato sociale nel pensiero politico contemporaneo. 1. LOttocento De Boni C., Lo stato sociale nel pensiero politico contemporaneo. Il Novecento. Parte prima: da inizio secolo alla seconda guerra mondiale De Boni C. (a cura di), Lo stato sociale nel pensiero politico contemporaneo. Il Novecento. Parte seconda: dal dopoguerra a oggi Gramolati A., Mari G. (a cura di), Bruno Trentin. Lavoro, libert, conoscenza Ricciuti R., Renda F., Tra economia e politica: linternazionalizzazione di Finmeccanica, Eni ed Enel Spini D., Fontanella M. (a cura di), Sognare la politica da Roosevelt a Obama. Il futuro dellAmerica nella comunicazione politica dei democrats Tonini A., Simoni M. (a cura di), Realt e memoria di una disfatta. Il Medio Oriente dopo la guerra dei Sei Giorni Zolo D., Tramonto globale. La fame, il patibolo, la guerra PSICOLOGIA Aprile L. (a cura di), Psicologia dello sviluppo cognitivo-linguistico: tra teoria e intervento Barni C., Galli G., La verifica di una psicoterapia cognitivo-costruttivista sui generis Luccio R., Salvadori E., Bachmann C., La verifica della significativit dellipotesi nulla in psicologia SOCIOLOGIA Alacevich F., Promuovere il dialogo sociale. Le conseguenze dellEuropa sulla regolazione del lavoro Becucci S., Garosi E., Corpi globali. La prostituzione in Italia Bettin Lattes G., Giovani Jeunes Jovenes. Rapporto di ricerca sulle nuove generazioni e la politica nellEuropa del sud Bettin Lattes G. (a cura di), Per leggere la societ Bettin Lattes G., Turi P. (a cura di), La sociologia di Luciano Cavalli Burroni L., Piselli F., Ramella F., Trigilia C., Citt metropolitane e politiche urbane Catarsi E. (a cura di), Autobiografie scolastiche e scelta universitaria Leonardi L. (a cura di), Opening the European Box. Towards a New Sociology of Europe Nuvolati G., Mobilit quotidiana e complessit urbana Ramella F., Trigilia C. (a cura di), Reti sociali e innovazione. I sistemi locali dellinformatica Rondinone A., Donne mancanti. Unanalisi geografica del disequilibrio di genere in India STORIA E SOCIOLOGIA DELLA SCIENZA Angotti F., Pelosi G., Soldani S. (a cura di), Alle radici della moderna ingegneria. Competenze e opportunit nella Firenze dell'Ottocento Cabras P.L., Chiti S., Lippi D. (a cura di), Joseph Guillaume Desmaisons Dupallans. La Francia alla ricerca del modello e lItalia dei manicomi nel 1840 Cartocci A., La matematica degli Egizi. I papiri matematici del Medio Regno Guatelli F. (a cura di), Scienza e opinione pubblica. Una relazione da ridefinire Massai V., Angelo Gatti (1724-1798) Meurig T.J., Michael Faraday. La storia romantica di un genio STUDI DI BIOETICA Baldini G., Soldano M. (a cura di), Nascere e morire: quando decido io? Italia ed Europa a confronto Baldini G., Soldano M. (a cura di), Tecnologie riproduttive e tutela della persona. Verso un comune diritto europeo per la bioetica Bucelli A. (a cura di), Produrre uomini. Procreazione assistita: unindagine multidisciplinare Costa G., Scelte procreative e responsabilit. Genetica, giustizia, obblighi verso le generazioni future Galletti M., Zullo S. (a cura di), La vita prima della fine. Lo stato vegetativo tra etica, religione e diritto Mannaioni P.F., Mannaioni G., Masini E. (a cura di), Club drugs. Cosa sono e cosa fanno Finito di stampare presso Grafiche Cappelli Srl - Osmannoro (FI) Giulio Preti. Preti. Keywords: retorica e logica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Preti” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Preve: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – la scuola di Valenza -- filosofia piemontese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Valenza). Filosofo italiano. Valenza, Alessandria, Piemonte.  Important Italian philosopher. He is the tutor of FUSARO, of Torino. Il comunitarismo è la via maestra che conduce all'universalismo, inteso come campo di confronto fra comunità unite dai caratteri del genere umano, della socialità e della razionalità. – “Elogio del comunitarismo”. Di ispirazione marxiana ed hegeliana, scrive saggi di argomento filosofico. Studia a Torino. Sotto Garrone sull’elezione politica italiana”. Studia Hegel, Althusser, Sartre, e Marx. Scrive "L'illuminismo e le sue tendenze radicali e rivoluzionarie: enogenesi della nazione: il problema della discontinuità con la romanità classica”. Insegna a Torino.  Analizza esistenzialmente il comunismo.  Membro del centro di studi sul materialismo storico. Pubblica “La filosofia imperfetta” (Angeli, Milano), dove testimonia la sua adesione di massima all’ontologia dell'essere sociale di Lukács, ed anche, indirettamente, il suo distacco definitivo dalla scuola d’Althusser. Fonda “Metamorfosi”. Spazia d’un esame dell'operaismo ida Panzieri a Tronti e Negri, all'analisi del comunismo dissidente dei socialisti alla critica delle ideologie del progresso storico, all'indagine sullo statuto filosofico della critica comunista dell'economia politica. Organizza un congresso dedicato al comunismo a Milano, e vi svolge una relazione sulle categorie modali di necessità e di possibilità all’interno del comunismo. Da quest'esperienza nasce una rivista chiamata “Marx 101”, che usce in due serie di numeri monografici e di cui e membro del comitato di redazione. Collabora a “Democrazia Proletaria”, organo dell'omonimo partito, che poi divenne insieme con i fuoriusciti dal partito comunista la componente politica e militante del partito della ri-fondazione comunista. S’iscrive a democrazia proletaria, facendo parte della direzione nazionale. Nella battaglia fra i sostenitori di una scelta ecologista – Capanna -- e comunista, sostiene la seconda. Quando la democrazia proletaria e l'associazione culturale comunista confluiscono nel partito della ri-fondazione comunista, abbandona la militanza politica. Con la pubblicazione dei saggi usciti presso l'editore Vangelista di Milano, affronta il suo tentativo di coerentizzazione di un paradigma filosofico comunista globale. Si verifica infatti una discontinuità nella sua produzione. Opta per l'abbandono di ogni “ismo” di riferimento, uscendo del tutto dalla cosiddetta sinistra e dalle sue procedure d’accoglimento e cooptazione.  Ritenendo che la globalizzazione nata dall'implosione dell'Unione Sovietica non si lasci più interrogare attraverso le categorie di destra e di sinistra, richieda altre categorie interpretative, P. diviene inoltre un convinto sostenitore della necessità di superare la dicotomia sinistra-destra. Questa posizione, condivisa da alcuni filosofi e movimenti internazionali, è criticata da molti, tra cui il filosofo Evangelisti, che ne sottolinea l'ambiguità ideologica. P. si ha dedicato a temi come il comunitarismo, la geopolitica, l'universalismo, la questione nazionale, oltre ovviamente ad un'ininterrotta attenzione al rapporto marxismo-filosofia. Cerca di opporsi alla deriva post-moderna seguita dalla stragrande maggioranza della sinistra italiana -- in particolare dai filosofi legati al partito comunista italiano -- con un recupero dei punti alti della tradizione marxista indipendente, del tutto estranea alle incorporazioni burocratiche del marxismo come ideologia di legittimazione di partiti e di stati -- soprattutto Lukács, Althusser, Bloch, ed Adorno. Dopo la fine del socialismo reale, che chiama comunismo storico, ed in dissenso con tutti i tentativi di sua continuazione/rifondazione puramente politico-organizzativa, lavora su di una generale rifondazione antropologica del comunismo, marcando sempre più la discontinuità teorica e politica con i conglomerati identitari della sinistra italiana -- Rifondazione Comunista in primis ma anche la scuola operaista e Negri in particolar modo. I suoi interventi sono apparsi sia su riviste legate alla sinistra alternativa -- L'Ernesto, Bandiera Rossa -- che su riviste come Indipendenza e Koiné, dove sostene l'esplicito superamento del dualismo destra-sinistra, approdando a posizioni antitetiche a quelle di  BOBBIO (si veda). Collabora con la rivista Comunitarismo, prima, e Comunità e Resistenza. È redattore di Comunismo e Comunità.  Al di là delle prese di posizione sulla congiuntura politica, tre cardini della sua filosofia sono l'interpretazione della storia della filosofia, l'analisi filosofica del capitalismo e la proposta politica per un comunismo comunitario universalistico.  Ri-leggendo l'intera storia della filosofia utilizza una deduzione sociale delle categorie del pensiero non riduzionistica, che gli permette di discernere la genesi particolare delle idee dalla loro validità universale. Infatti quello di lui è un orizzonte aperto universalisticamente alla verità, intesa hegelianamente come processo di auto-coscienza storica e sintesi di ontologia e assiologia, dell'esperienza umana nella storia. Nella sua proposta di ontologia dell'essere sociale riconosce razionalmente la natura solidale e comunitaria degl’uomini e l'autonomia cognoscitiva della filosofia, contrastando ogni forma di riduzionismo nichilistico, relativistico o partigianamente ideologico. Viene definito un strenuo difensore dello statuto veritativo della filosofia da una parte, e deciso oppositore di ogni fraintendimento relativistico dall’altra. Intende il capitalismo come totalità economica, politica e culturale da indagare in tutte le sue dimensioni. Propone di suddividerlo filosoficamente e idealisticamente in tre fasi: capitalismo astratto, capitalismo dialettico con una proto-borghesia illuministica o romantica, una medio-borghesia positivistica e poi  esistenzialistica, e una tardo-borghesia sempre più individualistica e libertaria; capitalismo speculativo (post-borghese e post-proletaria) in cui il capitale si concretizza come assoluto, espandendosi al di là delle dicotomie precedenti a destra economicamente, al centro politicamente e a sinistra culturalmente.  Nell'analisi filosofica del capitalismo, più volte insiste sulla critica al politicamente corretto, dove studia il concetto consterebbe dei seguenti punti nella sua concezione -- dove è considerato un'arma del capitalismo per attrarre fasce deboli a sé, nonché un'ideologia di fondo dell'occidente imperialista. ‘Americanismo’ come collocazione presupposta, anche sotto forma di benevola critica al governo statunitense. Religione olocaustica: Non aderisce al negazionismo dell'Olocausto e condanna i genocidi, ma considera la shoah un fatto non unico, utilizzato dal sionismo per legittimare le azioni di Israele tramite il senso di colpa dell'Europa. Auschwitz non può e non deve essere dimenticato, perché la memoria dei morti innocenti deve essere riscattata, e questo mondo nella sua interezza appartiene a tre tipi di esseri umani: coloro che sono già vissuti, coloro che sono tuttora in vita, e coloro che devono ancora nascere. Ma Auschwitz non deve diventare un simbolo di legittimazione del sionismo, che agita l'accusa di anti-semitismo in tutti coloro che non lo accettano radicalmente, e che non sono disposti a derubricare a semplici errori i suoi veri e propri crimini. Teologia dei diritti umani, che considera -- come altri filosofi marxisti come LOSURDO (si veda), o comunitaristi -- solo un grimaldello e un paravento del capitalismo per imporsi ed eliminare, in realtà, i diritti dei popoli e dei lavoratori, attuando il liberismo e l'imperialismo globali. “Antifascismo in assenza completa di fascismo. L’antifascismo, positivo un tempo, è considerato un fenomeno dannoso e a favore del sistema capitalistico, visto che il fascismo (da lui deprecato soprattutto per la colonizzazione imperialistica dell'Africa e la mascalzonaggine imperdonabile dell'invasione della Grecia, è stato ormai sconfitto, volto a creare tensioni tra le diverse forze anti-sistema, e a fungere da nuova ideologia della sinistra post-comunista e post-stalinista (dopo il graduale abbandono del marxismo-leninismo avvenuto  per gli effetti della de-stalinizzazione), che diviene così inutile. Falsa dicotomia Sinistra/Destra come "protesi di manipolazione politologica". Derivata dal precedente, questa teoria punterebbe a indebolire le critiche anticapitalistiche, impedendo l'unione tra comunisti, comunitaristi e socialisti nazionalitari contro il capitale. Al contempo, anche per le nette e costanti affermazioni contro i tribalismi, i razzismi e i nazionalismi soprattutto coloniali, è da ritenersi estranea al cosiddetto rossobrunismo (i cosiddetti nazionalboscevichi) di cui fu tacciato da Evangelisti, che a suo dire si configurerebbe come una folle somma dei difetti degli estremismi opposti. L'unione di sostenitori rasati del razzismo biologico con sostenitori barbuti della dittatura del proletariato sarebbe certamente un buon copione di pornografia hard, ma non potrebbe uscire dal piccolo circuito a luci rosse del sottobosco politico.  La sua proposta politica va nella direzione di un comunismo comunitario universalistico, da intendersi come correzione democratica e umanistica del comunismo, dal momento che quello storico sarebbe stato reo di non aver messo in comune innanzitutto la verità. Quello tratteggiato da lui è un sistema sociale che costituisce una sintesi di individui liberati e comunità solidali. Non è inteso come inevitabile sbocco storicistico o positivistico di una storia che si svilupperebbe linearmente, né tuttavia in modo aleatorio, bensì in potenza, a partire dalla resistenza alla dissoluzione comunitaria innescata dall'accumulazione individuale di merci. Qui il problema dell'auspicabile democrazia viene impostato su basi antropologiche, scommettendo sulle potenzialità ontologiche della bontà del potenziale degl’uomini, ente politico-comunitaria – “zόoa politika; razionali e valutativi della giusta misura sociale – “zόa lόgon échon” -- e generica, in senso marxiano – “Gattungswesen” --  cioè in grado di costruire diversi modelli di convivenza sociale, compreso quello in cui gl’uomini, affermando la priorità etica e comunitaria per contenere i processi economici altrimenti dispiegantisi in modo illimitato e dis-umano, può realizzare le sue potenzialità ontologiche immanenti, attualmente alienate. La liberazione avverrebbe quindi a partire dal suo radicamento comunitario in cui agisce collettivamente, pur rimanendo l'individuo stesso l'unità minima di resistenza al potere. Adere al partito comunista italiano, ma presto si allontanò (essendo ostile al compromesso storico tra PCI e DC, promosso da Berlinguer e Moro), entrando poi a far parte della Commissione culturale di Lotta Continua. In seguito si iscrisse a Democrazia Proletaria durante la sua ultima fase. Dopo lo scioglimento della Democrazia Proletaria, e in seguito alla confluenza di quest'ultima in Rifondazione Comunista, si è sempre più allontanato dall'attività politica in senso stretto. In seguito manifestò critiche verso l'operaismo e il trotskismo che animavano talvolta queste esperienze della post-sinistra extraparlamentare.  Se dal punto di vista teorico si era già distanziato dalla sinistra italiana a seguito della dissoluzione dell'Unione Sovietica e della svolta della Bolognina, il distacco emotivo definitivo dalla sinistra avvenne con il bombardamento NATO in Jugoslavia durante la guerra del Kosovo, che ricevette il beneplacito del governo italiano. Considera questo fatto come la fine della legalità costituzionale italiana riferendosi alla violazione dell'articolo 11 e un atto di tradimento verso i valori fondanti della Repubblica Italiana. Sul tema scrisse Il bombardamento etico. Saggio sull'interventismo umanitario, l'embargo terapeutico e la menzogna evidente. Molto clamore ha suscitato (anche tra le file della sinistra alternativa) la sua adesione ad alcune tesi del Campo Antimperialista per l'esplicito sostegno da questi fornito alla resistenza irachena. È stato uno dei filosofi di riferimento del comunismo comunitario, nonché animatore della rivista Comunismo e Comunità. Altre saggi: “La classe operaia non va in paradiso: dal marxismo occidentale all'operaismo italiano, in “Alla ricerca della produzione perduta” (Bari, Dedalo); “Cosa possiamo chiedere al marxismo”; “Sull'identità filosofica del materialismo storico”;  “Marxismo in mare aperto”; “Rilevazioni, ipotesi, prospettive” (Milano, Angeli); “La filosofia imperfetta”; “Una proposta di ricostruzione del marxismo ” (Milano, Angeli); “La teoria in pezzi”; “La dissoluzione del paradigma teorico operaista in Italia” (Bari, Dedalo); “La ricostruzione del marxismo fra filosofia e scienza”; “La cognizione della crisi. Saggi sul marxismo di Althusser” (Milano, Angeli); “La rivoluzione teorica di Althusser, in Il marxismo” (Pisa, Vallerini); “La passione durevole” (Milano, Vangelista); “La musa di Clio vestita di rosso, in Trasformazione e persistenza. Saggi sulla storicità del capitalismo” (Milano, Angeli); “Il filo di Arianna. XV lezioni di filosofia marxista” (Milano, Vangelista); “Il marxismo e l’eguaglianza”, Urbino; “IV venti”; “Il convitato di pietra”; “Saggio su marxismo e nichilismo” (Milano, Vangelista); “L'assalto al Cielo”; “Saggio su marxismo e individualism” (Milano, Vangelista); “Il pianeta rosso”; “Saggio su marxismo e universalismo” (Milano, Vangelista); “Ideologia Italiana”; “Saggio sulla storia delle idee marxiste in Italia” (Milano, Vangelista); “Il tempo della ricercar” “Saggio sul moderno, il postmoderno e la fine della storia” (Milano, Vangelista); “L'eguale libertà”; “Saggio sulla natura umana” (Milano, Vangelista); “Oltre la gabbia d'acciaio”; “Saggio su capitalismo e filosofia” (Milano, Vangelista); “Il teatro dell'assurdo”; “Cronaca e storia dei recenti avvenimenti italiani”; “Una critica alla cultura dominante della sinistra nell'attuale scontro tra berlusconismo e progressismo” (Milano, Punto Rosso); “Strategia politica”; “Premesse teoriche alla critica della cultura dominante della sinistra esposta nel Teatro dell'assurdo” (Milano, Punto Rosso); “Il marxismo vissuto del Che”; “Lettere di Che Guevara a Tita Infante” (Milano, Punto Rosso); “Un elogio della filosofia” (Milano, Punto Rosso); “Quale comunismo?”; “Uomini usciti di pianto in ragione” (Roma, Manifesto); “La fine di una teoria”; “Il collasso del marxismo storico del Novecento” (Milano, UNICOPLI); “Il comunismo storico novecentesco”; “Un bilancio storico e teorico” (Milano, Punto Rosso); “Nichilismo Verità Storia”; “Un manifesto filosofico della fine del XX secolo” (Pistoia, CRT); “Gesù. Uomo nella storia, Dio nel pensiero” (Pistoia); “Il crepuscolo della profezia comunista. A 150 anni dal “Manifesto”, il futuro oltre la scienza e l'utopia” (Pistoia, CRT); “L'alba del Sessantotto”; “Una interpretazione filosofica” (Pistoia, CRT); “Marxismo, Filosofia, Verità” (Pistoia, CRT); “Destra e sinistra. La natura inservibile di due categorie tradizionali” (Pistoia, CRT); “La questione nazionale alle soglie del XXI secolo”; “Nota introduttiva ad un problema delicato e pieno di pregiudizi” (Pistoia, CRT); “Le stagioni del nichilismo. Un'analisi filosofica ed una prognosi storica” (Pistoia, CRT); “Individui liberati, comunità solidali. Sulla questione della società degli individui” (Pistoia, CRT); “Contro il capitalismo, oltre il comunismo”; “Riflessioni su di una eredità storica e su un futuro possibile” (Pistoia, CRT); “La fine dell'Urss”; “Dalla transizione mancata alla dissoluzione” (Pistoia, CRT); “Il ritorno del clero. La questione degli intellettuali oggi”( Pistoia, CRT); “Le avventure dell'ateismo. Religione e materialismo oggi” (Pistoia, CRT); “Un nuovo manifesto filosofico. Prospettive inedite e orizzonti convincenti per la filosofia” (Pistoia, CRT); “Hegel Marx Heidegger. Un percorso nella filosofia” (Pistoia, CRT); “Scienza, politica, filosofia. Un'interpretazione” (Pistoia, CRT); I secoli difficili. Introduzione al pensiero filosofico dell'Ottocento e del Novecento, Pistoia, CRT); “L'educazione filosofica. Memoria del passato, compito del presente, sfida del future” (Pistoia, CRT); “Il bombardamento etico. Saggio sull'interventismo umanitario, l'embargo terapeutico e la menzogna evidente” (Pistoia, CRT); “Marxismo e filosofia. Note, riflessioni e alcune novità” (Pistoia, CRT); “Un secolo di marxismo. Idee e ideologie, Pistoia, CRT); “Un filosofo controvoglia. Introduzione a G. Anders, L'uomo è antiquato” (Bollati Boringhieri); “Le contraddizioni di Bobbio. Per una critica del bobbianesimo cerimoniale” (Pistoia, CRT); “Marx inattuale. Eredità e prospettiva” (Torino, Boringhieri); Verità filosofica e critica sociale. Religione, filosofia, marxismo” (Pistoia, CRT); “Dove va la sinistra?” (Boninsegni, Roma, Settimo Sigillo); “Comunitarismo filosofia politica” (Molfetta, Noctua); “La filosofia classica tedesca, Dialettica e prassi critica. Dall'idealismo al marxismo (Molfetta, Noctua); “L'ideocrazia imperiale americana” (Roma, Settimo Sigillo); Filosofia del presente. Un mondo alla rovescia da interpretare” (Roma, Settimo Sigillo); Filosofia e geopolitica” (Parma); All'insegna del Veltro, Del buon uso dell'universalismo. Elementi di filosofia politica” (Roma, Settimo Sigillo); Dialoghi sul presente. Alienazione, globalizzazione destra/sinistra, atei devoti. Per un pensiero ribelle” (Napoli, Controcorrente); “La comunità ritrovata. Rousseau critico della modernità illuminista, Torino, Libreria Stampatori); “Marx e gl’antichi greci” (Pistoia, Petite plaisance); “Il popolo al potere. Il problema della democrazia nei suoi aspetti filosofici” (Casalecchio, Arianna); “Verità e relativismo. Religione, scienza, filosofia e politica nell'epoca della globalizzazione” (Torino, Alpina); Elogio del comunitarismo” (Napoli, Controcorrente); “Il paradosso De Benoist. Un confronto politico e filosofico” (Roma, Settimo Sigillo); “Storia della dialettica” (Pistoia, Petite plaisance); “La democrazia in Grecia. Storia di un'idea, forza di un valore, in Presidiare la democrazia realizzare la Costituzione. Atti del seminario itinerante sulla difesa della Costituzione, Bardonecchia, Susa, Bussoleno, Condove, Borgone Susa, Edizioni Melli-Quaderni); “Sarà Dura!, Storia critica del marxismo. Dalla nascita di Karl Marx alla dissoluzione del comunismo storico novecentesco” (Napoli, La città del sole); “Il presente della filosofia italiana, Pistoia, Petite plaisance, Storia dell'etica, Pistoia, Petite plaisance,  “Hegel anti-utilitarista” (Roma, Settimo Sigillo); Storia del materialismo, Pistoia, Petite plaisance, Una approssimazione a Marx. Tra materialismo e idealismo, Saonara, Il Prato); Ri-pensare Marx. Filosofia, Idealismo, Materialismo” (Potenza, Ermes); Un trotzkismo capitalistico? Ipotesi sociologico-religiosa dei Neocons americani e dei loro seguaci europei, in Neocons. L'ideologia neoconservatrice e le sfide della storia, Rimini, Il Cerchio); “Alla ricerca della speranza perduta. Un intellettuale di sinistra e un intellettuale di destra "non omologati" dialogano su ideologie e globalizzazione” (Roma, Settimo Sigillo);  La quarta guerra mondiale, Parma, All'insegna del Veltro, L'enigma dialettico del Sessantotto quarant'anni dopo, in La rivoluzione dietro di noi. Filosofia e politica prima e dopo il '68, Roma, Manifesto); “Il marxismo e la tradizione culturale europea, Pistoia, Petite plaisance, Nuovi signori e nuovi sudditi. Ipotesi sulla struttura di classe del capitalismo contemporaneo” (Pistoia, Petite plaisance, Logica della storia e comunismo novecentesco. L'effetto di sdoppiamento” (Pistoia, Petite plaisance); “Elementi di Politicamente Corretto. Studio preliminare su di un fenomeno ideologico destinato a diventare in futuro sempre più invasivo e importante, Petite Plaisance,  Filosofia della verità e della giustizia. Il pensiero di Kosík, con Cesana, Pistoia, Petite plaisance, Lettera sull'Umanesimo, Pistoia, Petite plaisance, Una nuova storia alternativa della filosofia. Il cammino ontologico-sociale della filosofia, Pistoia, Petite plaisance, Lineamenti per una nuova filosofia della storia. La passione dell'anticapitalismo, con Luigi Tedeschi, Saonara, Il Prato,.Dialoghi sull'Europa e sul nuovo ordine mondiale, Saonara, Il Prato, Collisioni. Dialogo su scienza, religione e filosofia, Pistoia, Petite plaisance, Marx: un'interpretazione, Nova Europa). Prefere non definirsi marxista ma appartenente alla "scuola di Marx", e «allievo indipendente di Marx»; Elogio del comunitarismo, Controcorrente, Napoli,  Personalmente, non sono credente né praticante. Non credo in nessun Dio personale, considero ogni personalizzazione del divino una indebita e superstiziosa antropomorfizzazione, e sono pertanto in linea di massima d’accordo con Spinoza. Ma ritengo anche la religione, così come la scienza, l’arte e la filosofia, dati permanenti dell’antropologia umana in quanto tali desti durare tutto il tempo in cui durerà il genere umano  (Elementi di politicamente corretto. Convegno, Lukács e la cultura europea (II intervento)  Relazione Congresso Nazionale di DP (terzultimo intervento)  Destra e Sinistra: confronto tra P. e LOSURDO (si veda); Carmilla: I rosso-bruni: vesti nuove per una vecchia storia  Democrazia comunitaria o democrazia proprietaria?”; “Considerazioni sulla geopolitica”; “Il bombardamento etico dieci anni dopo”. Monchietto, Colletti; Marxismo, Filosofia, Scienza. L'“ultimo” filosofo marxista su la RepubblicaTorino  Addio al filosofo, In memoria, Fusaro  Un lutto veramente grande per noi di Gianfranco La Grassa, La Sala Rossa ricorda la figura e raccogliendosi in un minuto di silenzio, P., Con Marx e oltre il marxismo; Comunismo e Comunità » Laboratorio per una teoria anticapitalistica  A. Volpe e P. Zygulski, Verità e filosofia, in Monchietto e Pezzano, Invito allo Straniamento. I. filosofo, Pistoia, Petite Plaisance,  P., Elementi di politicamente corretto. E qui concludiamo con una serie di previsioni artigianali. Ricordo al lettore che questo non è ancora un Trattato di Politicamente Corretto, che ho peraltro intenzione di scrivere, in cui i cinque punti principali indicati (americanismo come collocazione presupposta, religione olocaustica, teologia dei diritti umani, anti-fascismo in assenza completa di fascismo, dicotomia Sinistra/Destra come protesi di manipolazione politologica) verranno discussi in modo più analitico e preciso. Da Intellettuali e cultura politica nell'Italia di fine secolo, Rivista Indipendenza, Da Gli Usa, l’Occidente, la Destra, la Sinistra, il fascismo ed il comunismo. Problemi del profilo culturale di un movimento di resistenza all’Impero americano, Noctua Edizioni, P.: audio congressi DP (Radio Radicale)  Intervista politico-filosofica (Repaci, P.)  «La costituzione italiana è stata distrutta per semprre con i bombardamenti sulla Jugoslavia, e da allora l’Italia è senza costituzione, e lo resterà finché i responsabili politici di allora non saranno condan morte per alto tradimento (parlo letteralmente pesando le parole), con eventuale benevola commutazione della condanna a morte a lavori forzati a vita. Eppure, questi crimini passano sotto silenzio, perché si continuano ad interpretare gli eventi di oggi in base ad una distinzione completamente finite (P., Elementi di politicamente corretto) Bobbio, Né con Marx né contro Marx, Riuniti, Roma, Storia dei marxismi in Italia, Manifestolibri, Roma, Alessandro Monchietto, Marxismo e filosofia in Preve, Editrice Petite Plaisance, Pistoia, Zygulski, P.: la passione durevole della filosofia, presentazione di Pezzano, Pistoia, Editrice Petite Plaisance, Monchietto e Pezzano, Invito allo Straniamento. I. P. filosofo, Pistoia, Petite Plaisance, Zygulski,  e l'educazione filosofica, in Educazione Democratica,  Foggia, Edizioni del Rosone, gennaio, Monchietto, Invito allo Straniamento. II. Marxiano, Pistoia, Petite Plaisance, Massimo (Bontempelli);   Bentivoglio, Il senso dell'essere nelle culture occidentali (Milano, Trevisini); Formenti, Il socialismo è morto. Viva il socialismo!, Meltemi, Milano).   LA MISERIA DEL MONDO ROMANO   E LA FORMAZIONE SOCIALE DEI PRESUPPOSTI DEL CRISTIANESIMO.  IL ROVESCIAMENTO DIALETTICO DELL'IMPERIUM IN BASILEIA  E L'INVERSIONE ONTOLOGICO-SOCIALE DELLA TERRA IN CIELO La filosofia stoica, nata sulla base della violazione sistematica del comune senso  del pudore (anaideia), e poi gradualmente “normalizzata” in innocuo sapere del  saggio capace di vincere il turbamento (ataraxia), diventò la koiné filosofica più dif-  fusa nel mondo ellenistico-romano. E questo non è un caso, perché si passò da una  prima fase “politica”, provocatoriamente antischiavistica ed antiproprietaria, ad  una seconda fase “apolitica” di semplice cura dell'anima individuale. Il percorso  normalizzatore dall’anaideia all'ataraxia è ovviamente mistificato e nascosto dalla  manualistica filosofica ordinaria, che lo rovescia integralmente. Tace e censura il  momento fondante dell’anaideia, e sostiene al contrario che la teoria della ataraxia è  la sola “filosofia politica” delo mondo romano. Se si legge Seneca e Marco Aurelio,  tuttavia, si vede che in realtà quello che viene impropriamente chiamato “stoici-  smo”, ed invece non lo è per niente, non è altro che la vecchia buona “cura di sé”  platonica (ricordo la corretta interpretazione di Alessandro Biral cui ho accennato  nel precedente capitolo su Platone), del tutto desocializzata. E vedremo più avanti  che proprio la desocializzazione della saggezza sta al centro di quella che Hegel ha  chiamato la “miseria del mondo romano”. L'unica definizione filosofica possibile  della “miseria sociale”, a fianco ovviamente della povertà materiale della gente  (povertà materiale su cui tornerò diffusamente nel prossimo capitolo), è proprio  la desocializzazione della saggezza, per la saggezza stessa, non avendo più alcun  mandato sociale, non può che avvizzire nell'ampio spettro di posizioni che vanno  dallo specialismo alla stravaganza, e cioè dalla filologia universitaria ai punkabbe-  stia.  Il pensiero stoico ha però “messo in circolo” due elementi filosofici nuovi, e cioè  l'universalismo del genere umano (katholikòs) e l’idea di necessità provvidenziale  (pronoia). Il primo concetto è ovviamente un derivato categoriale del cosmopoli-  tismo prodotto dalle conquiste di Alessandro il Macedone in Oriente, mentre il  secondo ha una derivazione “mista”, in parte greca ed in parte orientale. Zenone  riteneva che l'universo periodicamente terminasse nella conflagrazione e che gra-  dualmente si ricostituisse nello stesso modo. Come il vuoto che lo avvolge, il tem-  po è un interstizio cavo fra gli eventi (Leibniz dirà poi qualcosa di simile). I fatti  della storia universale ritornano eternamente. Si ripresenterà in futuro un nuovo  Socrate per subire un nuovo processo, e ci saranno nuovi Anito e nuovi Meleto per accusarlo. Chi sostiene quindi che il concetto di storia universale è nato con il  cristianesimo e con la fusione messianica giudaico-cristiana (Karl Lòwith ed altri)  a mio avviso sbaglia. Il concetto di storia universale è nato prima in forma ciclico-  ripetitiva con lo stoicismo di Zenone, ed è nato sulla base di una provvidenza pu-  ramente naturalistica e non divino-religiosa (pronoia), il cristianesimo l’ha incor-  porata in una visione messianica e salvifica della storia, e poi la filosofia classica  tedesca della storia (Fichte, Hegel e Marx) l’ha rielaborata in forma dialettica. Ma  questo punto verrà ovviamente sviluppato più avanti. Al tempo di Zenone, data  l'impossibilità di pensare la storia universale con un solo concetto unitario trascen-  dentale riflessivo (non possiamo infatti imputare a Zenone di non essere vissuto  nel settecento illuministico europeo), era inevitabile che la si pensasse nella forma  ciclica della ripetizione. Il pensiero ciclico, infatti, riflette in forma astratta il ciclo  delle stagioni che determina l'agricoltura, la pastorizia, l'allevamento e l'uscita in  mare dei pescatori, mentre il pensiero lineare-progressivo riflette la fine dei cicli  stagionali e l'avvento dell’accumulazione “lineare” del capitale. Ma su questa ov-  vietà, naturalmente, ritornerò più avanti in un prossimo capitolo.   Lo stoicismo, quindi, passata la fase provocatoria dell’anaideia, consegna al  mondo classico posteriore i due concetti di universalismo cosmopolitico e di prov-  videnza necessaria (pronoia). Entrambi staranno alla base del cristianesimo. È giun-  to allora il momento di parlare delle origini del cristianesimo, di Gesù di Nazareth  e di Paolo di Tarso, che ne sono stati entrambi i fondatori a “pari grado”, il primo  nella sua dimensione messianica, ed il secondo nella sua complementare dimen-  sione di assoggettamento universalistico ad un unico salvatore, codice filosofico  già presente da almeno duecento anni nei trattati in lingua greca “sulla monar-  chia” (perì basileias). Mentre infatti il primo ciclo della filosofia greca produce innu-  merevoli testi sulla natura (perì physeos), natura con cui veniva metaforizzata la so-  cietà (Diodoto, ecc.), ora il secondo ciclo della filosofia greca vede la pubblicazione  di innumerevoli testi sulla monarchia (perì basileias), con cui veniva metaforizzato  l'incredibile bisogno di protezione ed assistenza dei poveri abbandonati allo sca-  tenamento selvaggio della crematistica. E chi non coglie questo punto resta fuori  dalla storia della filosofia come un amante della musica che restasse fuori dalla  sala dei concerti e non potesse sentire che echi musicali vaghi e lontani.   Affrontiamo quindi il noto e cruciale problema dell’interpretazione filosofica  delle origini storiche del cristianesimo. Si tratta del secondo grande problema teori-  co del pensiero occidentale, dopo il primo grande problema che abbiamo affrontato  nei capitoli precedenti, quello delle origini e della natura della filosofia greca clas-  sica e poi ellenistica. Anche in questo caso, quindi, mi comporterò come mi sono  comportato in precedenza per il primo caso, ispirandomi alla genesi storica della  deduzione delle categorie del pensiero ed al metodo ontologico-sociale. In estrema  sintesi, sebbene mi ritenga più competente per il primo problema che per il se-  condo (sono infatti un filosofo che legge correntemente il greco antico ed il latino,  non sono per nulla un esegeta biblico e non conosco assolutamente né l'ebraico né  l’aramaico), considero l’analisi ontologico-sociale delle origini del cristianesimo La miseria del mondo romano e la formazione sociale dei presupposti del cristianesimo    più facile di quanto lo sia l’analisi complessiva del mondo greco. I Greci antichi  sono già volati via, infatti, e non sono più fra noi, mentre i cristiani, sia pure “ir-  riconoscibili” rispetto ai loro lontani progenitori (e vedremo il perché in questo e  nei prossimi capitoli), sono ancora fra noi, e per quanto mi riguarda mi auguro che  restino con noi a lungo.   Una parentesi. D'accordo con lo studioso di scienze sociali svedese Myrdal, io  ritengo che il massimo di “oggettività” possibile nelle scienze sociali ed in filoso-  fia, in cui non esiste la matematizzazione, l'esperimento e la verifica dei protocolli  sperimentali, sia l’esplicitazione pubblica chiara e veridica delle proprie premesse  di valore. Ciò vale soprattutto quando si parla di politica (destra e sinistra, ecc.) e di  filosofia (credenti e non credenti, ecc.). E farò anch'io così, interrompendo brevemen-  te la mia esposizione. Il lettore, infatti, ha il diritto di sapere bene come la pensa  colui che sta leggendo. :   Personalmente, sono stato battezzato a pochi giorni di vita nel culto cattolico  romano. Ho perso la cosiddetta “fede” nelle discussioni adolescenziali e da allora  potrei essere classificato fra coloro che si dicono e vengono detti “atei”. Termine  che non mi piace, peraltro, e in cui non mi riconosco, perché non mi piace per nulla  che ci si definisca in negativo con l'alfa privativo (a-teo). Da filosofo, preferisco le  definizioni in positivo, e non quelle in negativo. Pur non essendo in alcun modo un  “credente”, e pur ritenendo (a differenza di Benedetto Croce) che se lo vogliamo  e lo riteniamo necessario “possiamo anche non dirci cristiani” (su questo punto  Alain de Benoist ha ragione e Croce ha torto), sono tuttavia un sostenitore della  necessità sociale della religione. La religione, a mio avviso, è sempre e comunque  un katechon contro lo scatenamento della bestialità nichilistica della crematistica  nei rapporti sociali ( si tratta di un punto che mi differenzia fortemente dal mio  maestro di ontologia sociale Lukécs). Gli atei mangiapreti a mio avviso non lo  capiscono, ed è per questo che considero il loro un pensiero dell'intelletto astratto  (Verstand) e non della ragione concreta (Vernunft). Dal punto di vista dell'intelletto  astratto (Verstand) mi sembra del tutto logico sostenere non solo che Dio non è  logicamente “dimostrabile” (vedi la Critica della Ragion Pura di Kant) e che non  è logico rappresentarselo come un soggetto progettante antropomorfizzato (vedi  l’Etica di Spinoza), ma che siano anche del tutto plausibili le teorie dell'evoluzione  darwiniana e delle capacità auto poietiche ed auto-organizzative della materia e  dell'energia, da cui deriva la necessaria conclusione per cui “Dio non esiste”. Dal  punto di vista della ragione concreta (Vernunft), sono un sostenitore della necessità  sociale della religione, che nonostante tutti i suoi difetti e la possibile corruzione  venale e pedofiliaca di molti suoi esponenti ( comunque minore di quanto sosten-  gono i suoi avversari laici) considero in termini di katechon, e cioè di freno verso  una bestializzazione crematistica integrale dei rapporti umani. Sbagliano quindi  coloro che contrappongono il bel mondo dei Greci, riletti come atei e materialisti  (vedi Nietzsche, Onfray e compagnia cantante) al mondo posteriore superstizioso  dei cristiani. Se infatti costoro conoscessero meglio i Greci, che invece non conosco-  no e su cui coltivano pittoreschi ed infondati luoghi comuni da scuola media, saprebbero che i Greci veri si fondavano sul katechon, ed anche se preferivano quello  razional-politico non disdegnavano certamente anche quello religioso. Detto que-  sto, e messe bene le carte in tavola, passiamo a ragionare di filosofia. Costanzo Preve UNA NUOVA STORIA ALTERNATIVA DELLA FILOSOFIA Il cammino ontologico-sociale della filosofia n pelle plowance oa LA Questo libro - la cui scaturigine lautore ci rivela essere una intuizione da lui avuta la mattina del 9 ottobre 2007  costituisce la sintesi migliore dellopera quarantennale di Costanzo Preve. Si tratta non di un normale manuale di storia della filosofia, ma di una esposizione approfondita e sensata, col con- sueto metodo previano della deduzione storico-sociale delle categorie, dei principali autori e delle principali tendenze filosofiche. Preve, in queste pagine, dimostra magistralmente che si pu fare storia della filosofia - e filosofia - non solo in modo erudito, ma in modo partecipato, umano, comunitario. L'originalit delle singole interpretazioni pone questa opera come una vera e propria miniera doro per tutti quei giovani studiosi che vorranno, negli anni a venire, rapportarsi alla storia della filosofia in modo privo di pregiu- dizi e lontano dagli schemi del senso comune. Ma se i frutti maggiori di questa sua ricerca potranno venire nel futuro,  certo che, gi dalla fine del 2008, le idee contenute in queste pagine hanno comiciato ad alimentare e a nutrire la riflessione di molti, una linfa che si  diffusa percorrendo anche insospettabili sentieri. Adesso finalmente lopera si offre sulla tela per come lautore lha dipinta. Costanzo PREVE  nato a Valenza (Alessandria) il 14 aprile 1943. ISBN 978-883-7588-108-5  30 il giogo 50 Collana diretta da Luca Grecchi Oro Yp ioyxs ovtuyodor kai dikm, mola Euvmpig TOVE Kaprepwotepa; Eschilo, Frammento 267. Tv TAdEL uddog Bvta Kvpiog xe Eschilo, Agamennone, 177. Evppper OMPPOVEV UIT OTEVEL Eschilo, Eumenidi, 520. OUNW CHWPPOVEV ETLOTA0OL Eschilo, Prometeo, 982. In copertina: Vincent val Gogh, Autoritratto davanti al cavalletto, 1888. Amsterdam, Van Gogh Museum. .. Se uno ha veramente a cuore la sapienza, non la ricerchi in vani giri, come di chi volesse raccogliere le foglie cadute da una pianta e gi disperse dal vento, sperando di rimetterle sul ramo. La sapienza  una pianta che rinasce solo dalla radice, una e molteplice. Chi vuol vederla frondeggiare alla luce discenda nel profondo, l dove opera il dio, segua il germoglio nel suo cammino verticale e avr del retto desiderio il retto adempimento: dovunque egli sia non gli occorre altro viaggio. MARGHERITA GUIDACCI Costanzo PREVE, Una nuova storia alternativa della filosofia. Il cammino ontologico-sociale della filosofia ISBN 978-88-7588-108-5 Copyright 2013 editrio elile P nane Associazione culturale x j fini di lucro Chi non spera quello siii che non sembra sperabile  i di non potr scoprirne la realt, WWW.pI etiteplaisance.it ) poich lo avr fatto diventare, e-mail: info@petiteplaisance.it con il suo non sperarlo, Via di Valdibrana 311  51100 Pistoia qualcosa che Si ue ae  dea Tel.: 0573-480013  Fax: 0573-480914 SCEMO ROTA MORENO: ERACLITO C. c. postale 44510527 Costanzo Preve UNA NUOVA STORIA ALTERNATIVA DELLA FILOSOFIA Il cammino ontologico-sociale della filosofia elite plaisance pelile p Nota editoriale Questo libro  la cui scaturigine lautore ci rivela essere una intuizione da lui avuta la mattina del 9 ottobre 2007  costituisce la sintesi migliore dellopera qua- rantennale di Costanzo Preve. Si tratta non di un normale manuale di storia della filosofia, ma di una esposizione approfondita e sensata, col consueto metodo pre- viano della deduzione storico-sociale delle categorie, dei principali autori e delle principali tendenze filosofiche. Preve, in queste pagine, dimostra magistralmente che si pu fare storia della filosofia  e filosofia  non solo in modo erudito, ma in modo partecipato, umano, comunitario. L'originalit delle singole interpretazioni pone questa opera come una vera e propria miniera doro per tutti quei giovani studiosi che vorranno, negli anni a venire, rapportarsi alla storia della filosofia in modo privo di pregiudizi e lontano dagli schemi del senso comune. Ma se i frutti maggiori di questa sua ricerca potranno venire nel futuro,  certo che, gi dalla fine del 2008, le idee contenute in queste pagine hanno comiciato ad alimentare e a nutrire la riflessione di molti, una linfa che si  diffusa percorren- do anche insospettabili sentieri: lautore aveva terminato la stesura dei quaranta vibranti capitoli distesi in pi di seicento cartelle dattiloscritte con la sua vecchia Lettera 22, e in un primo incontro a Vicenza ne aveva fatto partecipi alcuni amici chiedendo loro un contributo critico sulle tesi sostenute. Nel 2009 Petite Plaisance assunse l'impegno di editare il volume: molte foto- copie di quelle seicento cartelle hanno cominciato a circolare, molti si sono dedicati alla composizione di quelle pagine.  dunque doveroso ringraziare questi amici di Costanzo: Andrea Bulgarelli, Carmine Fiorillo, Diego Fusaro, Davide Gallo Lasse- re, Luca Grecchi, Alessandro Monchietto, Giancarlo Paciello, Giacomo Pezzano, Francesco Ravelli, Enrico Varesio. Nostro desiderio era di riuscire a pubblicare il libro allinizio del 2011. Ma l'Associazione ha dovuto fronteggiare molte difficolt e siamo stati chiamati ad un silenzioso esercizio di paziente attesa. Adesso finalmente lopera si offre sulla tela per come lautore lha dipinta. g) pelle plassance Associazione culturale senza fini di lucro Prologo Il lettore  gi sicuramente a conoscenza del fatto che unOntologia dell'Essere Sociale esiste gi, ed  la grande opera redatta dal vecchio Lukcs fra il 1964 ed il 1971, anno della sua morte. Essa  stata egregiamente tradotta in lingua italiana da Alberto Scarponi, che ha curato anche la traduzione dei successivi Prolegomeni. A loro volta i Prolegomeni sono una semplice riscrittura dellOntologia, in cui peraltro la riformulazione ripetuta degli stessi problemi porta a nuovi approfondimenti qualitativi ed a nuove prospettive critiche. Dal momento che conservo il senso delle proporzioni, so bene che ogni composi- tore di musica ha diritto ad ispirarsi a Mozart ed a Beethoven, ma sarebbe incauto se pensasse di poter eguagliare Mozart e Beethoven. Ed io infatti non penso affatto di eguagliare il maestro Lukdcs, e neppure mi riprometto di riuscire a riformulare un'ontologia dell'essere sociale all'altezza del lavoro fatto da Lukcs fra il 1964 ed il 1971. Il periodo storico  diverso ed anzi imparagonabile, perch mentre allora la prospettiva politica era ancora quella di modificare in corso d'opera il socialismo realmente esistente prima della sua dissoluzione catastrofica, oggi (2013) la disso- luzione  gi avvenuta, e sembra irreversibile. E tuttavia, il termine ontologia dell'essere sociale non  una paroletta che pu soltanto connotare un'opera irripetibile, ma  una parola simile ad estetica, etica, idealismo trascendentale, filosofia della storia, storia della filosofia, ecc. In breve, il termine ontologia dell'essere sociale connota una scelta filosofica e metodologica generale, per cui non si tratta di una parola coperta da un copyright che se ne assicura cos giuridicamente l'esclusiva, ma  una parola a disposizione di tutti coloro che ritengono di poterne liberamente elaborare il significato. Del resto, Platone non avrebbe mai pensato di possedere l'esclusiva del termine repubblica, ed Epicuro si sarebbe messo a ridere se qualcuno gli avesse proposto di brevettare il termine natura. Ho quindi scelto di impossessarmi in parte del titolo Ontologia dell'Essere Sociale ftitolando per il mio libro Una nuova storia alternativa della filosofia) senza alcuna intenzione n di criticare Lukcs, n di competere con lui, n tantomeno di preten- dere di andare oltre l'altissimo livello da lui raggiunto. Il sottotitolo  stato scelto per il semplice fatto che, dovendo in qualche modo nominare la mia personale filosofia, oltre che la mia personale interpretazione del marxismo (che un Lukcs redivivus quasi certamente non approverebbe), mi sono reso conto che questultima . a tutti gli effetti una ontologia dell'essere sociale, e dunque non aveva senso ricoprirla con altri nomi fuorvianti e pomposi. Ho quindi scritto anche una mia personale Ontologia dell'Essere Sociale. In quanto alla sua maggiore o minore qualit filosofica, H lettore  sovrano, e giudicher lui. Prologo Ci sono per due piccoli fatti autobiografici che possono aiutare non certo a giudi- care la qualit di questo lavoro (gi Hegel diceva che tutto quanto c'era di personale nelle sue opere era falso), ma possono aiutare invece a collocare la genesi psicologica soggettiva di questa opera. In primo luogo,  possibile dire che il mio primo lavoro filosofico compiuto ed edito era gi dedicato ad una monografia critico-comparativa dellOntologia dell'Essere Sociale (cfr., Costanzo Preve, La filosofia imperfetta, Franco Angeli, Milano, 1984). Si trattava di una monografia critica, in quanto non si limitava ad esporre analiticamente i contenuti dellOntologia, ma ne forniva anche interpre- tazioni parzialmente divergenti, secondo linarrivabile modello del rapporto di Marx con Hegel, che riconosceva Hegel come il suo maestro di metodo filosofico (la Scienza della Logica, ecc.), ma nello stesso tempo si permetteva di criticarlo quando lo avesse trovato opportuno. Si trattava di una monografia comparativa, perch le soluzioni date da Lukacs ai principali problemi filosofici del nostro tempo erano paragonate alle soluzioni date da altri insigni filosofi (particolarmente tre, e cio Louis Althusser, Ernst Bloch e Martin Heidegger), e la loro relativa superiorit non era semplicemente affermata apoditticamente, ma era argomentata a partire proprio dalla comparazione. Questo mio lavoro del 1984 ha avuto per la sciagura di avere una titolazione incongrua ed affrettata, frutto di un consiglio maldestro datomi da un amico che non si riconosceva affatto in questa scelta. E cos, anzich darle un titolo pi sensa- to, le diedi un titolo del tutto surreale ed insensato. Tutte le filosofie sono per loro natura imperfette, nessuna pu essere perfetta per il semplice fatto che non esiste alcuna fine filosofica della storia, ma lontologia dell'essere sociale restava nel 1984 (e lo  ancora nel 2013, anzi lo  pi di allora) la migliore esistente nel novero delle idee del tempo. Mi scuso quindi, quasi un quarto di secolo dopo, per il titolo affrettato ed incongruo dato a quella lontana opera, da lungo tempo affidata alla critica roditrice non dei topi, ma del macero cui le case editrici mandano i volumi invenduti perch non intasino il prezioso spazio dei magazzini di deposito. La stesura di quellopera del 1984 fu per me liberatoria. A lungo avevo colti- vato in precedenza una sciagurata concezione strumentale della filosofia di tipo ideologico e/o epistemologico, alla ricerca di una vera filosofia rivoluzionaria e proletaria (lato ideologico), e/o di una vera filosofia scientifica e post-metafisica (lato epistemologico). Tutto questo mi aveva portato ad oscillare in modo insensato, sterile ed improduttivo fra le due scuole di Lucio Colletti e di Louis Althusser. Avrei continuato ad oscillare senza tirar fuori un ragno dal buco se la lettura dell'ultimo Lukdcs non mi avesse aperto gli occhi sulla sterilit delloscillazione tra ideologia ed epistemologia, termini apparentemente opposti ed il realt complementari che lo stesso Lukcs mi insegn a considerare in solidariet antitetico-polare, e quindi come poli della stessa unit alienata. Ci sono molte forme di alienazione, ovviamente, ma per quanto riguarda specificamente la filosofia l'alienazione massima e centralissima che pu colpirla sta nell'accettazione di una funzione ancillare e subalterna o all'ideologia (che ha sostituito in forma depotenziata la precedente funzione ancillare e subalterna alla 8 Prologo religione ed alla teologia) o allepistemologia (che ha sostituito la precedente funzio- ne ancillare e subalterna alla gnoseologia e ad ogni teoria della conoscenza e della metodologia in generale). La liberazione da questa alienazione pu essere trovata dalla filosofia soltanto nel ritorno allontologia, e pi esattamente in un ritorno allontologia nel senso di Aristotele e di Hegel, ritorno unito ad uninterpretazione dello spirito filosofico di Marx (spirito a volte non coincidente con la sua lettera) che lo ricolleghi appunto sia ad Aristotele che ad Hegel. Dopo la pubblicazione di quest'opera, piena di difetti e connotata da un titolo inutile e fuorviante, fui considerato nei piccoli gruppi dei cultori dellontologia come una sorta di lucacciano anomalo ed irregolare (le ortodossie sono infatti sempre per natura sospettose di qualunque deviazione - assomigliano infatti agli atomi di Democrito e non a quelli di Epicuro).  nei successivi due decenni decisi di scen- dere dal nobile cavallo di cui non ero il proprietario (non potevo infatti acquistare il nobile cavallo di Hegel, Marx o Lukcs), comprare a poco prezzo un asinello, e cavalcare questo asinello in piena indipendenza. La cavalcata di questo asinello  testimoniata dalle opere da me pubblicate in varie lingue europee fra il 1984 e il 2012. L'ontologia dell'essere sociale restava nello sfondo, ma non era pi per me oggetto di uno specifico interesse monografico. Nel frattempo era sopravvenuta la catastrofe dissolutoria del comunismo storico novecentesco realmente esistito (1917-1991), cui Lukcs era stato del tutto interno ed organico (uso qui il termine di Antonio Gramsci), e mi sembr (n da allora ho pi cambiato idea) che la rottura di Lukcs con lortodossia comunista era stata ancora troppo debole ed incerta, ed era ormai necessaria una rottura molto maggiore e pi qualitativa, in quanto per tornare allo spirito di Marx bisognava ormai sbarazzarsi della lettera del marxismo, secondo la formula radicale dell'amico recentemente scomparso Jean-Marie Vincent. Ripeto ancora che su questo punto non ho cambiato idea, ed anzi penso di avere proceduto ancora troppo poco su questa strada. Nella prima settimana dell'ottobre 2007 ho per partecipato con due relazioni distinte al quinto Congresso Marx Internazionale tenutosi a Parigi fra la Sorbona e lUniversit di Nanterre. In quell'occasione, il sabato 9 ottobre, ho partecipato ad un piccolo atelier in cui si teneva il Colloquio Lukcs, presieduto dal pi stimato lucacciano vivente, il filosofo romeno-francese Nicolas Tertulian. Ero il solo italiano, ma c'erano brasiliani, francesi, americani ed un giapponese. In quell'incontro mi resi conto che il mio abbandono degli studi ontologici era stato troppo frettoloso, e sarebbe invece valsa la pena ritornarci sopra con maggiore cura. Dallintuizione che ebbi quella mattina del 9 ottobre 2007  nato questo saggio. Ed il maggiore onore che avrei potuto rendere a Lukcs sarebbe stato il coraggio, in questo mio attuale lavoro, di fare direttamente riferimento alla sua Ontologia dell'Essere Sociale. E cos ho fatto. Il lettore dir poi sovranamente se si  trattato di un arbitrio o di una pre- sunzione inaccettabile. Si tratta, ovviamente, di unopera critica del tutto indipendente, e cio di una mia libera interpretazione dell'ontologia dell'essere sociale. Il lettore che crede al Limbo di Dante in cui gli spiriti magni del passato continuano a vivere e che  possibile 9 Prologo evocare facendo ballare i tavolini nelle sedute spiritiche potrebbe dire che un Lu- kacs redivivus non sarebbe d'accordo in tutto o in parte con quanto scrivo. Ma chi scrive non crede in tali evocazioni, e quindi non si pone questi problemi che Kant, a proposito di Swedenborg, defin a suo tempo sogni di un visionario. La mia esposizione comprende una parte introduttiva e una parte storico-genetica con una ricostruzione ontologica dell'intera vicenda del pensiero occidentale dalle origini ad oggi. Rimarr da realizzare, se sar possibile farlo in futuro  e se non da me auspico da altri , la parte sistematica sull'analisi ontologico-sociale del moderno capitalismo globalizzato, della sua natura e delle sue contraddizioni specifiche. In questa parte finale del prologo mi limito a riassumere la traccia sintetica di questo contenuto per fare cosa grata al lettore e permettergli di dare uno sguardo d'insieme al complesso di argomentazioni e di tesi di questo lavoro. L'introduzione ha come oggetto il chiarimento dei due termini ontologia ed essere sociale. Il termine ontologia, il cui uso moderno deve essere contestualizzato nel suo significato polemico ed oppositivo a gnoseologia, ed al criticismo gnoseologico di Kant e dei suoi epigoni neokantiani in particolare, significa ristabilimento  nel- le nuove condizioni e nei nuovi contesti storici - del punto di vista di Aristotele dell'unit fra categorie del pensiero e categorie dell'essere, unit infranta appunto dal criticismo e da altre scuole consimili. Questo ristabilimento, iniziato con Spinoza, si sviluppa poi con Fichte, Hegel e Marx, e Lukdcs deve esserne considerato solo lultimo sistematizzatore di buon livello. Il termine essere sociale, a sua volta, deve essere interpretato come opposizione determinata a due impostazioni filosofiche scorrette, responsabili di due ricadute ideologiche ancora pi scorrette, e cio da un lato il materialismo dialettico di Engels, Lenin, Stalin e Mao, che unifica presunte (ed in realt inesistenti) leggi della natura e della societ  che in questo modo viene scorrettamente naturalizzata , e dall'altro lato lindividualismo borghese anti-comunitario, definito a suo tempo da Marx robinsonismo, che invece costruisce il concetto di societ non in modo sociale, main modo programmaticamente asociale (individualismo possessivo, ecc.). Appare chiaro che questi tre complessi concettuali (ristabilimento dell'unit ontologica delle categorie dell'essere e delle categorie del pensiero, critica del na- turalismo del materialismo dialettico, ed infine critica dellindividualismo antico- munitario) sono in realt lati di un unico complesso teorico che si tratta di rifiutare consapevolmente. Per questa ragione la piena comprensione dell'Introduzione  preliminare alla comprensione analitica delle parti successive. Offriamo dunque al lettore una ricostruzione dialettica ed ontologico-sociale dell'intera storia del pensiero occidentale a partire dai presocratici greci fino a Lukcs. Che significa ricostruzione ontologico-sociale? Significa ricostruzione storico- genetica, in quanto non basta dichiarare in modo aprioristico lunit ontologica delle categorie del pensiero e delle categorie dell'essere se poi non si riesce a dare la genesi storica e sociale di questa unit. Soltanto una ricostruzione  sia pure sommaria ed inevitabilmente con qualche errore, semplificazione ed imprecisione  della storia del pensiero filosofico occidentale, ricostruzione compiuta con il metodo dialettico 10 Prologo della genesi sociale delle categorie, pu rendere plausibile la teoria dell'unit ontologica delle categorie dell'essere e del pensiero, unica alternativa da un lato a quella che Hegel aveva definito la dossografia della filastrocca di opinioni casuali (dossografia con cui vengono confezionati abitualmente i manuali di storia della filosofia per i licei e per le universit), e dall'altro a tutte le costituzioni aprioristiche e formalistiche del soggetto conoscente (Cogito di Cartesio, Soggetto come flusso di sensazioni e me variopinto di Hume, Io Penso di Kant, Soggetto come funzione energetica della volont di potenza in Nietzsche, ecc.). Una ricostruzione ontologico-sociale (termine equivalente a quello di storico- genetica) delle filosofia occidentale  preliminare (e nello stesso tempo  indispen- sabile) a qualunque sistematizzazione dellontologia dell'essere sociale applicata alla quotidianit presente. Fu questo l'approccio di Hegel, che avrebbe ritenuto insuffi- ciente la semplice esposizione di una logica e di una filosofia del diritto senza aver svolto preliminarmente e contestualmente una storia fenomenologica dello spirito umano, una filosofia della storia in generale e soprattutto una ricostruzione della storia della filosofia alternativa alle abituali dossografie compilative ed alle noiose e diseducative filastrocche di opinioni. Chi scrive non possiede certo la finezza interpretativa di Hegel, Marx e Lukcs, ed  pienamente consapevole dei propri limiti. Nello stesso tempo, chi scrive  con- sapevole che alcuni suoi predecessori nel campo della ricostruzione storico-genetica delle categorie (dal tedesco Alfred Sohn-Rethel alla greca Maria Antonopoulou) hanno certamente aperto la strada, ma hanno anche fornito alcune interpretazioni discutibili, o comunque migliorabili. Il lavoro che presentiamo al lettore  programmaticamente migliorabile, ma per poterlo migliorare ci vuole una discussione critica specifica su tutti i singoli punti presi in esame, discussione che non potr mai avvenire se ci si barrica ( proprio il caso di usare questo verbo!) allinterno del bunker dei difensori della costituzione formalistica del soggetto, della separazione di principio fra le categorie dell'essere e le categorie del pensiero, della negazione positivistica del valore conoscitivo e veritativo autonomo della pratica filosofica, della riduzione della pratica filosofica stessa a ideologia e/o ad epistemologia, ed infine della concezione della storia della filosofia come filastrocca di opinioni. Rimarr da lavorare in profondit ad un'esposizione sistematica del rapporto fra il punto di vista filosofico dellontologia dell'essere sociale ed il mondo contemporaneo. Questo mondo contemporaneo potr essere indagato assumendo liberamente il punto di vista di Marx, da allievi indipendenti di Marx, e soggettivamente convinti di portarne avanti sia il metodo di analisi che il contenuto di pensiero. L'ordine di successione espositiva di questo successivo lavoro ancora da compiere potr esse- re strutturato sulla base del primato sia del metodo di analisi sia dei contenuti di pensiero ereditati da Marx. Ma in cosa consiste esattamente questo metodo di analisi e questo contenuto di pensiero? Il Prologo Non posso certamente anticipare tali analisi in questo Prologo, ma posso rias- sumere a beneficio del lettore i punti fondamentali che toccano questo metodo e questo contenuto. Ogni esposizione sistematica, infatti, presuppone che una volta chiarita la genesi sociale delle categorie, esposta in questo volume, si passi a chiarire anche la natura del metodo e quella del contenuto. Il metodo dell'ontologia dell'essere sociale non pu che essere un metodo che ha come titolare un soggetto socialmente determinato e non aprioristicamente fondato in modo eterno (l'approccio trascendentale ha appunto la funzione di costituirlo in modo programmaticamente destoricizzato e desocializzato), e come oggetto una totalit logico-ontologica (nel senso di Hegel), costruita dialetticamente in modo rigorosamente monomondano (sempre nel senso di Aristotele e di Hegel) e non bi- mondano (nel senso di Platone e di Tommaso d'Aquino). E tuttavia questa totalit logico-ontologica presenta alcune ambivalenze ed alcune difficolt. Da un lato, infatti, questa totalit  in una certa misura sferica e non piramidale, e quindi tutti gli elementi che la costituiscono dovrebbero farne parte organicamente in modo non gerarchico (nel senso, grosso modo, della totalit dialettica della Scuola di Francoforte, e di Adorno in particolare). Dall'altro, se ci si colloca allinterno del metodo di Marx (come ha fatto a suo tempo Lukcs, e come intendo fare io stesso),  impossibile evitare del tutto una concezione topologica, cio caratterizzata spazialmente da un sotto e da un sopra, il sotto della struttura (e cio dal rapporto allinterno di un modo di produzione determinato fra lo sviluppo delle forze produttive sociali e la natura classista dei rapporti sociali di produzione) ed il sopra delle sovrastrutture (forme di coscienza sociale di tipo ideologico, ecc.). pr Non potendo certamente risolvere il problema del rapporto fra la concezione sferica e la concezione topologica della totalit unitaria dell'essere e del pen- siero, nel lavoro futuro ancora da compiere ritengo giusto scegliere la successione di tipo topologico, per cui parto dal sotto, e cio dal basso, per risalire a poco a poco verso il sopra, e cio l'alto delle forme ideologiche. Occorrer quindi definire prima la personale concezione di modo di produzione ipercapitalistico post-borghese e post-proletario (e cio la concezione speculativa di Capitale, inteso come concetto unitario), e su questa base la natura delle forze produttive sociali di questa fase storica (con annesse polemiche contro leconomici- smo, o meglio le interpretazioni economicistiche di queste forze produttive, speculari alle interpretazioni fondate sulla decrescita virtuosa), e poi la natura dei rapporti sociali di produzione classisti, il cui classismo implica la ripresa aggiornata della teoria leniniana dellimperialismo, contro le troppo rapide ed inesatte teorie di una globalizzazione mondiale post-imperialistica. E di qui, mano a mano, occorrer risalire alle cosiddette sovrastrutture, uti- lizzando liberamente in questa prospettiva ontologico-sociale non solo Lukcs, ma anche altri pensatori marxisti e non, scelti senza alcun settarismo e spirito di parrocchia ideologica. 12 x Prologo  questo un impegno di grande lena, cui occorre prepararsi in un tempo non certo breve, con studi appropriati, lavori preparatori, confronti serrati ma anche di grande respiro teoretico. Il contenuto dellontologia dell'essere sociale non pu che essere orientato a quello che definir anticapitalismo radicale moderno. Non credo quindi che si possa realmente contribuire allo sviluppo creativo dellontologia dell'essere sociale senza essere al contempo anche soggettivamente e politicamente anticapitalisti.  finito (ed  finito vergognosamente) il tempo in cui si poteva dire alla Hilferding che il marxismo poteva prevedere il passaggio dal capitalismo al socialismo come lo scienziato pu prevedere l'eclissi del sole. E cos come lontologia dell'essere sociale presuppone il rifiuto del principio di Kant, secondo il quale esiste una differenza ontologica di principio fra le categorie del pensiero e le categorie dell'essere, nello stesso modo lontologia dell'essere sociale presuppone anche il rifiuto del principio di Hume chiamato fallacia naturalisti- ca, per cui i giudizi di fatto devono essere separati in modo radicale dai giudizi di valore. In modo alternativo agli approcci di Kant e di Hume, invece, l'ontologia dell'essere sociale assume il fatto che il capitalismo  una realt alienata, e quindi da un lato  una realt che deve essere conosciuta con un certo grado di distacco e di oggettivit (c' infatti differenza fra la datit conoscibile dell'intelletto scientifico ed i sogni di un visionario), e dall'altro  una realt negativa, alienata ed alienante. Il giudizio che diamo della realt sociale  quindi ad un tempo ontologico ed as- siologico, un giudizio di fatto e un giudizio di valore. E questo implica il fatto che lontologia dell'essere sociale deve rifiutare l'approccio di almeno tre grandi pensatori, David Hume, Immanuel Kant e Max Weber, e si costituisce appunto in lotta (anche Kant riconosceva che la filosofia  un Kampfplatz, un campo di battaglia) contro questi tre approcci, che ne fanno peraltro logicamente uno solo. Terminato questo libro, si apre dunque la porta per un successivo cammino sul terreno della ricerca e dello studio dellontologia dell'essere sociale che sar quindi apertamente anticapitalistica. Si tratter, per, di sviluppare un anticapitalismo comunitario adatto al nostro tempo, che non solo rifiuti lindividualismo iper- capitalistico di oggi, ma anche le varie forme di collettivismo eterodiretto di tipo carismatico sviluppato dal defunto comunismo storico novecentesco (1917-1991), del quale  per bene non dare un giudizio interamente negativo, secondo la moda dellantitotalitarismo che infuria fra gli intellettuali di oggi. Chi scrive, infatti, non  in alcun modo un intellettuale, ma  un allievo critico ed indipendente di Marx, sostenitore di una interpretazione comunitaria del comunismo, ed  un filosofo che considera lontologia dell'essere sociale il punto pi avanzato del pensiero contemporaneo. Detto questo, cos come i magistrati dovrebbero parlare con le loro sentenze, e non con i loro irrilevanti pronunciamenti moralistici e manipulitistici, nello stesso modo i filosofi non dovrebbero parlare attraverso sparate ideologico-identitarie di appartenenza, ma dovrebbero esprimersi esclusivamente attraverso le loro argo- mentazioni filosofiche. E cominciamo a farlo. 13 Introduzione - IL SIGNIFICATO FILOSOFICO DEL TERMINE ONTOLOGIA DELL'ESSERE SOCIALE I grandi filosofi scelgono generalmente in modo molto intelligente i titoli delle loro opere. Pensiamo a titoli come la Critica della Ragione Pura di Kant, la Fenomenologia dello Spirito di Hegel, Essere e Tempo di Heidegger. In tutti questi tre titoli  anticipato in forma sintetica il contenuto che poi verr sviluppato in modo analitico. La stessa cosa, ovviamente, avviene per lOntologia dell'Essere Sociale di Lukcs. Sul suo esempio,  bene che sia fatto anche per questo presente lavoro. Se si  deciso di intitolarlo sobriamente Per una nuova storia alternativa della filo- sofia. Il cammino ontologico-sociale della filosofia, e non in qualche altro modo biz- zarro maggiormente attualizzante, ci  dovuto a ragioni profonde. E questo ci porta prima a scomporre i due termini ontologia ed essere sociale, e poi a ricomporli nella loro unit espressiva. Portate a termine queste due operazioni successive di scomposizione, prima, e ricomposizione, poi, potremo considerare terminata lIntroduzione e potremo dunque iniziare il nostro cammino, prima nella sua parte storica e poi  se non io, auspico che altri lo facciano in futuro , nella sua auspicabile parte sistematica.  Secondo il Dizionario Filosofico UTET di Nicola Abbagnano il termine onto- logia (che non a caso lesistenzialista neokantiano Abbagnano identifica con il termine metafisica  ed in questa identificazione filosoficamente e filologica- mente scorretta ed arbitraria  possibile giudicare in controluce l'insieme del suo pensiero, e giudicarlo negativamente!) ricorre per la prima volta nello Schediasma Historicum di Giacomo Thomasius del 1655, e sta direttamente alla base del signi- ficato che poi ne diede Wolff, e che fu il significato che Kant critic. Il significa- to moderno di ontologia, intesa come descrizione analitica di categorie comuni all'essere ed al pensiero, sta alla base del trittico di Wolff (psicologia razionale, cosmologia razionale e teologia razionale), e fu questo trittico ad essere investito dalla critica gnoseologica di Kant, basata come  noto sulla distinzione qualitati- va (e quindi, a modo suo, ontologica) fra le categorie dell'essere e le categorie del pensiero. Nella parte storico-sociale di questo saggio dimostrer (o cercher di dimostrare) che la vittoria di Kant su Wolff non fu dovuta a casuali motivi di maggiore performativit soggettiva da parte di Kant su Wolff, ma ad una severa ragione storico-sociale, nella misura in cui lontologia di Wolff era ancora ideologi- camente al servizio di una indiretta legittimazione ideologica di un potere di tipo signorile-tardofeudale, che si basava ancora su di un rapporto fondativo dell'Al- dil sull Aldiqu (ed appunto per questo aveva bisogno di sostenere lunit delle categorie dell'essere divino e del pensiero umano), mentre il criticismo vincitore 15 Introduzione di Kant, invece, poteva autonomizzare integralmente lAldigu stesso, affidando lo stesso Aldiqu allintelletto (Verstand), e relegando la ragione (Vernunft) all Aldil. Ma, data limportanza dell'argomento, rimandiamo agli appositi capitoli il chia- rimento di come la vittoria di Kant su Wolff si basava in realt su due elementi teorici e su due funzioni sociali ed ideologiche distinte. Da un lato, essa consentiva di criticare Je pretese dellontologia (e cio della metafisica ontologica - per Kant come per Abbagnano si tratta della stessa cosa) di poter esercitare una funzione norma- tiva sulla realt politica e sociale protoborghese in ascesa, e questa fu la ragione del suo gigantesco successo, che dura ormai da pi di duecento anni e fa tuttora di Kant il filosofo universitario per eccellenza, quello su cui giura in modo quasi unanime il grande circo della filosofia accademica internazionale. La gnoseologia  infatti il succedaneo della religione per questi professori senza Dio. Dall'altro, esso curiosamente, pur chiamandosi criticismo, permette di criticare soltanto l Aldil, laddove  una vera macchina da guerra teorica che non permette in alcun modo di criticare 1 Aldiqu. Il criticismo, quindi, permette di criticare solo il mondo celeste, mentre non permette di criticare il mondo terrestre, e questo  infatti il motivo del suo successo anche per i prevedibili tempi futuri del breve e del medio termine (sul lungo termine, invece, nutro una moderata speranza sulla vittoria del buoni, di cui fanno parte sia Lukcs sia il sottoscritto). Vedremo pi avanti che il termine ontologia  in proposito molto simile al termi- ne materialismo, in quanto entrambi i termini hanno una genesi storica molto precisa. Il fatto che in greco antico, la lingua della nascita della filosofia occiden- tale, non esistessero n il termine ontologia, n il termine materialismo (nato anch'esso alla fine del Seicento e allinizio del Settecento per opera di Bayle e di Leibniz), ma ci fossero invece gi i termini to on e he hyle (rispettivamente, lessente e la materia, o pi esattamente lessente alla luce dell'essere e la materia inscindibile nella forma), non deve affatto essere ritenuto casuale. I termini non c'erano perch i termini indicano concetti, e questi concetti (ontologia e materialismo, appunto) sono concetti pienamente moderni, prodotti da una congiuntura storico-sociale specifi- ca ed irripetibile, quella della modernit europea borghese di tipo illuministico e pre-illuministico, che analizzeremo nello specifico. Il pensiero greco classico non aveva bisogno di connotarsi con il termine appo- sito di ontologia perch era gi integralmente ontologico, fondandosi appunto sullunit delle categorie del pensiero e delle categorie dell'essere, unit che era il suo presupposto fondante integrale. Vedremo pi avanti, infatti, che un'operazione di tipo criticista-kantiano nel contesto del pensiero classico era letteralmente im- pensabile e non concettualizzabile, e questo perch l'operazione kantiana presup- pone socialmente l'esigenza di delegittimazione delle pretese normative non certo di una religione in generale, ma di una religione organizzata in potentissime Chiese gerarchiche e legate al potere, Chiese prodotte dalla tripartizione organiz- zativa del cristianesimo (cattolici, protestanti ed ortodossi). Nel mondo classico greco non esistevano n Chiese organizzate di tipo monoteistico (e neppure poli- teistico, come linduismo indiano), n libri sacri di riferimento la cui interpretazio- 16 IL SIGNIFICATO FILOSOFICO DEL TERMINE ONTOLOGIA DELL'ESSERE SOCIALE ne legittima era sequestrata da organizzazioni gerarchico-clericali, e quindi non c'era alcuno spazio per il criticismo, impossibile ed impensabile. Sta qui, appun- to, il segreto del fatto che tutte indistintamente le scuole filosofiche dell'antichit classica erano ontologiche, da quelle fortemente veritative (Platone, Aristotele, Epicuro, ecc.) a quelle scettiche (sofisti, accademici, scettici, ecc.). Non era quindi necessario nel mondo antico lottare per lontologia, cos come non  necessario per gli esquimesi lottare per il ghiaccio e per la neve e per i tuareg ed i beduini lottare per la sabbia. Dopo Kant e dopo la grande rivoluzione criticista, che sta alla base della filo- sofia apologetica borghese contemporanea (lo ripeto: il criticismo  una macchina da guerra per giustificare la critica del cielo e per impedire la critica della terra),  invece ridiventato necessario lottare per il ristabilimento dellontologia. Questa lotta a volte sembra disperata, perch si svolge spesso contro lintero establishment informalmente organizzato della filosofia universitaria. Lo stesso materialismo moderno, riproposto in modo mirabilmente sistematico da Federico Alberto Lange nel 1866, non  che una forma di neokantismo criticista, perch si basa sulla critica della pretesa di estendere la validit del pensiero umano al di l di certi limiti di tipo psicofisico. Non a caso secondo Lange il materialismo rinasce dalle sue ceneri ogni volta che luomo dimentica questi limiti e pretende di dare valore oggettivo a costruzioni metafisiche che hanno solo un valore fantastico e illusorio. Esamineremo le ragioni che hanno portato il materialismo marxista di Engels ad adottare il significato neocriticista di Lange, anzich riprendere il significato marxiano desunto da una ripresa creativa della Scienza della Logica dell'idealista Hegel. Mentre infatti la produzione di una teoria filosofica  largamente casuale e non pu essere dedotta  anche se questa stessa produzione individuale non sfugge neanch'essa ad una deduzione sociale generale delle categorie , laccet- tazione e/o l'emarginazione sociale di una certa concezione filosofica non  mai casuale ed aleatoria. Il significato di filosofia di Lange vince a partire dal 1866 su quello di Hegel per ragioni spietatamente storico-sociali, che cercheremo per l'ap- punto di esaminare analiticamente pi avanti. Se dunque nel mondo antico il punto di vista ontologico era un dato intuitivo che non aveva bisogno di fondazioni filosofiche di secondo grado, nel mondo moderno postkantiano esso ha invece bisogno di un ristabilimento consapevole. Questo ristabilimento consapevole  passato grosso modo per due momenti storici successivi, che indagheremo analiticamente pi avanti, ma che anticipiamo gi sommariamente in questa Introduzione, tracciando qui solo le linee generali di que- sto complesso ristabilimento. Il primo grande ciclo storico di ristabilimento ontologico dell'unit fra le catego- rie del pensiero e le categorie dell'essere  stato caratterizzato dalla successione di tre grandi pensatori profondamente ontologici, e cio Fichte, Hegel e Marx. Possiamo qui trascurare il fatto, peraltro non indifferente, per cui questi tre grandi pensatori si autorappresentavano e si autocertificavano in modo diverso, e cio come idealista soggettivo Fichte, come idealista assoluto Hegel, ed infine come 17 Introduzione critico materialistico dell'idealismo Marx. L'autocertificazione soggettivamente sincera di un filosofo  certamente un dato da non trascurare, ma poich sappia- mo che l'ingannarsi su se stessi  per uno svariato insieme di ragioni biografiche   un dato permanente dell'essere umano nel mondo, e nessuno vi pu sfuggire (tanto meno i cosiddetti geni), questa autocertificazione soggettiva sincera deve essere accompagnata da una legittima interpretazione esterna, cui non si chiede che di dare spiegazioni razionali di quanto afferma (logon didonai). E la mia inter- pretazione sta in ci, che Fichte, Hegel e Marx fanno parte della stessa filiera (come direbbe un produttore di latte e formaggi), e questa filiera  rappresen- tata dall'ontologia dell'essere sociale, e cio dal ristabilimento dell'unit fra le categorie dell'essere e le categorie del pensiero. D'altra parte, se si vuole cominciare a criticare il mondo presente, questo ristabilimento  inevitabile. E vedremo che Fichte inten- deva criticare l'epoca della compiuta peccaminosit, Hegel intendeva criticare il triangolo composto dal conservatorismo dei vecchi ceti, dall'economia politica individualistica inglese ed infine dalla furia del dileguare giacobino-russoviana, ed infine Marx (ga va sans dire) intendeva criticare l'alienazione capitalistica. Per ragioni che analizzer pi avanti, dopo il 1866 e lo sviluppo del neocritici- smo e del ritorno a Kant, Fichte ed Hegel diventano temporaneamente dei cani morti, e Marx non diventa invece un cane morto, perch viene assunto in cielo e santificato (anzi, viene fatto Santo Subito, come il papa polacco, Padre Pio e Madre Teresa di Calcutta) dalla socialdemocrazia tedesca di August Bebel desi- derosa di padrini teorici credibili, ma l'assunzione in cielo di Marx avviene con una aureola di tipo positivistico e quindi neokantiano. Vedremo appunto pi avanti le maestose ed inesorabili ragioni storico-sociali di tutto questo, ragioni contro cui non pu nulla anche il pensatore pi dotato (mi limiter ad elencane tre: Georges Sorel, Antonio Gramsci ed appunto Gyrgy Lukacs). Dopo il 1956 (destalinizzazione di Krusciov, ecc.) si apre di fatto un secondo ciclo storico di ristabilimento di un'ontologia dell'essere sociale basato anch'esso su di una riformulazione aggiornata dellunit fra le categorie dell'essere e del pensiero. Il primo fiore promettente  stato appunto lOntologia dell'Essere Sociale di Lukcs. Il valore di questo ristabilimento ontologico deve essere esaminato in modo contrasti- vo con altre coeve riproposizioni filosofiche, che esamineremo nell'ultima sezione di questo lavoro. Si tratta della dialettica negativa di Adorno, dello strutturalismo antidialettico di Althusser, del trotzkismo filosofico di Sartre, dell'utopia messia- nica di Bloch, del pessimismo di Giinther Anders, del neokantismo formalistico di Bobbio e di Habermas, ecc. La grandezza relativa di Lukcs appare appunto ancora pi grande se la mettiamo in relazione con questi eminenti pensatori. Il tramonto, anch'esso relativo, del punto di vista dellontologia dell'essere sociale, per cui essa appare invisibile sulla scena visibile del dibattito filosofico contempo- raneo  in cui appaiono invece visibili soltanto oggettivazioni di pensiero pro- vocatoriamente anti-ontologiche , pu essere spiegato attraverso il metodo della deduzione sociale delle categorie. Il fatto allora che lontologia dell'essere sociale sia oggi nascosta, e visibili in primo piano siano invece altre filosofie anti-ontologiche 18 IL SIGNIFICATO FILOSOFICO DEL TERMINE ONTOLOGIA DELL'ESSERE SOCIALE (ermeneutica, pensiero debole, nichilismo, relativismo dei valori, filosofia analitica anglosassone, insomma, tutto il circo che Lukcs considerava fondato sulla soli- dariet antitetico-polare fra lesistenzialismo ed il neopositivismo), sar appunto loggetto delle riflessioni analitiche conclusive di questo mio lavoro. Fin qui abbiamo analizzato il termine ontologia. Dobbiamo ora analizzare il se- condo termine, quello di essere sociale. Qui il discorso appare ad un tempo concet- tualmente pi semplice e pi bisognoso di analisi plurale differenziata. Una intera parte sistematica dovr successivamente essere scritta e dedicata ad un panorama analitico dellattuale capitalismo ed ispirata appunto a questa nozione ontologi- ca di essere sociale, e mi auguro che questo compito possa essere assolto. Per par- te mia, in questa sede, mi limito a segnalare i tre aspetti fondamentali di questo essere sociale. Ancora una volta, questa segnalazione pu essere fatta soltanto in base ad un metodo contrastivo: l'essere sociale si contrappone ad una visione pu- ramente storicistica e sociologistica, che in quanto tale  di fatto anche nichilistica e relativistica, perch ignora che l'essere sociale ha come presupposto ontologico l'essere naturale dell'uomo, e pi esattamente luomo come ente naturale generi- co (Gattungswesen), profilo storico-antropologico che lo mette in rapporto con il genere in quanto tale (Gattung), in base ad un rapporto definibile in termini di conformit al genere (Gattungsmdissigkeit); l'essere sociale ha una sua specificit differenziale che lo separa dall'essere naturale, l'agire teleologico del lavoro come forma originaria (Urform) e modello (Vorbild) della prassi (Praxis), e questa specifi- cit differenziale di tipo ontologico impedisce di parlare, come far il materialismo dialettico di Engels, Lenin, Stalin, Trotzky e Mao, ecc., di leggi dialettiche comu- ni ed omogenee della natura e della societ; infine, l'essere sociale richiede per sua natura ontologica che sia il pensiero (filosofico) che l'essere (sociale e comunitario) vengano esaminati rifiutando il punto di vista individualistico che parte appunto dallatomo sociale originario come monade dell'intero sociale successivo, punto di vista che gi Marx connot correttamente come robinsonismo. Da un punto di vista storico-genetico possiamo dire che lo storicismo sociologistico a base nichili- stica, il criticismo gnoseologico che separa le categorie del pensiero e le categorie dell'essere, la presunta fallacia naturalistica che impedirebbe di pensare insieme la conoscenza di un fatto e la sua immediata valutazione, la naturalizzazione del- la societ intesa semplicemente come natura applicata e raddoppiata, ed infine la costruzione individualistica ed atomistica della societ privata in questo modo automaticamente di ogni dimensione comunitaria, ecc., fanno parte di un unico complesso filosofico unitario, che si contrappone in toto allontologia dell'essere sociale. Rimando per lanalisi pi accurata alle pagine dei vari capitoli: concentriamoci in questa Introduzione su di una segnalazione sintetica dei tre aspetti prima indicati. In primo luogo - come vedremo meglio pi avanti  il grande progetto emanci- patorio della filosofia di Karl Marx, fondato sul riconoscimento ontologico dell'esi- stenza dellalienazione come dato strutturale della riproduzione capitalistica, fu pi tardi colpito da alcune patologie ideologiche, le maggiori delle quali furono lo sto- ricismo ed il sociologismo. Secondo la patologia storicistica, veniva negato lo spazio 19 Introduzione di una antropologia filosofica, con la scusa che si sarebbe trattato di una forma di essenzialismo, e cos non si poteva ammettere lesistenza di una essenza umana generica, che come  noto lo stesso Marx aveva connotato con il concetto inequi- vocabile di ente naturale generico (Gattungswesen). Eppure, anche ammettendo che ci che viene definito essenza umana non preesista alla costituzione storica delluomo in comunit, e quindi non esista affatto un Adamo nel paradiso terre- stre prima del peccato originale (cosa che sono largamente disposto ad ammet- tere), il carattere integralmente storico dell'essenza umana ha come presupposto biologico-antropologico il concetto fondativo di natura umana. Tipico dello storici- smo  allora la riduzione integrale della natura umana alla storia, con conseguente eliminazione di questo concetto. Eppure il genere (Gattung)  la sintesi dialet- tica di natura umana e di essenza umana, e quindi  del tutto corretto e plausi- bile parlare per l'individuo singolo concreto di conformit o meno al genere (Gattungsmiissigkeit). Lo storicismo rifiuta questa impostazione antropologica ed ontologica, ed attua una riduzione integrale delluomo alla storicit. La riduzione integrale delluomo alla storicit implica necessariamente la conclusione filosofica che l'uomo  al cento per cento storia, e senza la storia non  nulla, perch la storia  il suo unico fondamento. Parafrasando Lenin, diremo allora che il nichilismo  ne- cessariamente la fase suprema dello storicismo. A sua volta, lo storicismo deve cercare in tutti i modi un criterio di autocertificazione e di autoaccertamento, e poich non pu trovarlo al di fuori di esso (avendo escluso sia Dio, sia la natura umana - e restandogli solo lo scorrere insensato della storia), cerca di trovarlo in se stesso, e generalmente lo trova nel successo o nellinsuccesso dei progetti storici. In questo  modo chi vince ha ragione e chi perde ha torto. Questo esito, che in genere la mo- numentale ignoranza dei dilettanti e dei mestieranti attribuisce a Hegel, consacra- to come papa degli storicismi nichilisti adoratori del successo, non pu che dar luogo ad una forma di nichilismo integrale, che sfugge del tutto ai cosiddetti lai- ci, e che invece viene correttamente diagnosticato dai filosofi religiosi (ad esempio il dotato Joseph Ratzinger), i quali per non potranno mai accedere ad una vera ontologia dell'essere sociale, perch non possono fare a meno di dedurre l'essere sociale da una preventiva creazione divina. E tuttavia, nonostante questa inevita- bile carenza, il pensiero religioso resta quasi sempre (ho messo il quasi, perch il pensiero religioso fanatico ed integralista non  affatto migliore del laicismo, e pu talvolta avere conseguenze pratiche ancora peggiori - in fondo, il professore universitario scettico  meno pericoloso del lapidatore di donne che si ritiene ispi- rato direttamente da Allah) migliore del pensiero derivato dal nichilismo storici- stico. Sulla base della sua vergognosa idolatria del successo come unico parametro da usare per il giudizio storico (idolatria che ha come presupposto la cosiddetta fallacia naturalistica di Hume, che separa i fatti dai valori e nello stesso tempo fornisce ai valori una base puramente utilitaristica), lo storicismo  stato la com- ponente essenziale del cambio di campo del ceto intellettuale sedicente marxi- sta e comunista nel decennio 1985-1995. Se infatti lunico criterio assiologico  il successo storico, dal momento che la storia del comunismo storico novecentesco 20 IL SIGNIFICATO FILOSOFICO DEL TERMINE ONTOLOGIA DELL'ESSERE SOCIALE veramente esistito (1917-1991) si  conclusa con un palese insuccesso, ne deriva che la storia ha emesso il suo giudizio. Chi vince  un bravo ragazzo, chi perde  una testa di ... Ho scelto volutamente un'espressione volgare, perch non avevo graficamente altro modo di connotare l'incredibile ed insopportabile volgarit filosofica dello storicismo. Non a caso Lukcs riport ripetutamente un detto del poeta latino Marco Anneo Lucano nel suo poema Pharsalia, e cio causa victrix diis placuit, sed victa Catoni (la causa vincente piacque agli di, ma quella vinta piacque a Catone). Non conosco in tutta la letteratura filosofica mondiale un'affermazione tanto incompatibile con lo storicismo di ogni tipo. Il sociologismo  quella forma applicata di storicismo che aspetta la salvezza dall'azione di un soggetto definito in modo esclusivamente sociologico. Nel caso del marxismo, come  noto, se ne sono date molte varianti diverse, ma tutte basate su di un presupposto angustamente sociologistico. In Karl Marx si  trattato del lavoratore collettivo cooperativo associato, dal direttore di fabbrica all'ultimo ma- novale, alleato con le potenze della scienza e della tecnica, definite a sua volta dallo stesso Marx con il termine inglese di general intellect. Per il modello marxista post- marxiano classico di Engels e di Kautsky si  trattato della classe operaia, salariata e proletaria, organizzata dai socialdemocratici sia sul piano sindacale che su quello politico. Per Lenin ed i bolscevichi si trattava dello stesso soggetto di Engels e di Kautsky, che non sarebbe per mai passato dal suo in s sociale al suo per s politico senza la necessaria mediazione del partito politico comunista, variamente definito nella storia del marxismo successivo in termini di intellettuale collettivo o di moderno Principe (il termine, come  noto, fu coniato da Antonio Gramsci). Per Mao Tse Tung e Che Guevara, infine, il soggetto storico rivoluzionario era costi- tuito fondamentalmente dalla classe dei contadini poveri in lotta contro l'egoismo delle metropoli imperialistiche e delle loro aristocrazie operaie egoiste e complici. E potremmo continuare, ma non ha senso perdersi in esemplificazioni anali- tiche in questa Introduzione. Ci che conta  impadronirsi del nucleo concettuale della questione. Ed esso sta in ci, che il sociologismo  soltanto il fratello minore dello storicismo, e sta ad esso come lattiva casalinga Marta sta alla contemplativa Maria nella parabola dei Vangeli, in cui la seconda ascolta rapita il Salvatore e la prima si d da fare in cucina. Il punto di vista dellontologia dell'essere sociale  il solo che pu realmente fron- teggiare le due patologie complementari dello storicismo e del sociologismo, forma- zioni ideologiche entrambe impotenti di fronte alle smentite storiche. E questo per- ch lontologia dell'essere sociale non nega affatto la crucialit decisiva della storia, e non nega neppure il ruolo indispensabile dei soggetti sociali organizzati, ma in- serisce questi due fattori materiali in una forma senza la quale questi due fat- tori non possono trovare alcun fondamento. E questa forma essenziale (uso qui il linguaggio di Aristotele poi corretto ed integrato - ma non modificato - da Hegel)  appunto il genere (Gattung), che ha come specificazione antropologica e storica lente naturale generico (Gattungswesen), nel suo rapporto contraddittorio con la propria conformit o meno al genere stesso (Gattungsmissigkeit). Il genere stesso, 21 Introduzione inoltre, non  pura e vuota potenzialit riempibile all'infinito in modo relativistico (dynamis), ma  realizzazione in atto di questa potenzialit (energheia) in quanto la realizzazione in atto di questa potenzialit allude ad un contenuto, il contenuto antropologico dell'uomo come animale sociale, politico e comunitario (politikn zoon), e dell'uomo come animale dotato di ragione, linguaggio e capacit di calcolo geometrico delle proporzioni applicato alle proporzioni sociali e comunitarie (zoon logon echon). Ma su questo ritorneremo pi avanti in modo analitico e (speriamo) convincente. In secondo luogo, lontologia dell'essere sociale si oppone allindebita natura- lizzazione della storia sociale compiuta dal cosiddetto materialismo dialettico (Diamat), il quale negava la specificit ontologica dell'essere sociale attraverso la sa- cralizzazione di presunte (ed in realt inesistenti) leggi dialettiche unificate della natura e della storia. Nel nostro lavoro - sviluppato invece sulla base del metodo della deduzione sociale delle categorie del pensiero nella loro interfaccia filosofica ed ideologica , segnaleremo che questa naturalizzazione non  stata in alcun modo un errore, ma  stata invece in un certo senso necessaria ed inevitabile in almeno tre congiunture storiche distinte. Primo,  stata necessaria ed inevitabile nel pensiero dei primitivi, la cui dipendenza dalla natura era talmente forte e di- retta da rendere fisiologica la costruzione mentale collettiva e comunitaria di un unico complesso teorico e simbolico comprendente il macrocosmo naturale e il mi- crocosmo sociale, in cui da diventava un'appendice derivante ontologi- camente dal precedente. E possibile infatti - anche se paradossale  definire il pen- siero dei primitivi come un materialismo dialettico, e la deduzione sociale delle categorie permette di capire perch non avrebbe potuto in alcun modo essere una ontologia dell'essere sociale. Secondo,  stata necessaria ed inevitabile ai tempi del primo positivismo ottocentesco europeo (Auguste Comte nel 1830, ecc.), in quanto la comune ricerca di cosiddette leggi scientifiche - che avrebbero dovuto sosti- tuire integralmente le vecchie cause prime della metafisica, per cui la sociologia umana diventava di fatto del tutto omogenea concettualmente all'astronomia, alla fisica, alla chimica ed alla biologia , costituiva storicamente il solo modo di affer- mare e di legittimare il nuovo ruolo sociale di due professioni emergenti, quella del medico e quella dell'ingegnere.  noto che il medico e l'ingegnere erano due profili professionali gi esistenti (ed anche generalmente ben pagati) nell'antichit, ma solo con il positivismo ottocentesco queste due figure emergono socialmente in tutta la loro interezza. Terzo,  stata necessaria ed inevitabile al tempo della costruzione staliniana del socialismo, in particolare dopo il 1929 e la scelta della collettivizzazione integrale dell'economia che richiedeva un meccanismo unico in cui integrare simbolicamente tutte le possibili sovrastrutture (storia, filosofia, letteratura, pedagogia, ecc.), da cui deriva la decisione del Comitato Centrale del PCUS del 25 gennaio 1931 di condannare ufficialmente tutte le tendenze filosofiche contrastanti con lunica ammessa, linterpretazione ortodossa del materialismo dialettico. Cercheremo di chiarire, usando il metodo della deduzione sociale delle categorie, che si trattava di una scelta sistemica e non di un errore, perch qua- 22 IL SIGNIFICATO FILOSOFICO DEL TERMINE ONTOLOGIA DELL'ESSERE SOCIALE lunque versione dellontologia dell'essere sociale sarebbe stata incompatibile con la falsa coscienza necessaria che la costruzione staliniana del socialismo portava necessariamente con s. In terzo luogo, lontologia dell'essere sociale  del tutto incompatibile con l'auto- rappresentazione apologetica che il pensiero borghese fa della propria genesi sto- rica. Questa autorappresentazione apologetica si fonda su di una indebita indi- vidualizzazione del soggetto storico, sviluppata gradualmente da Hobbes, Locke, Hume e Smith (non a caso, tutti e quattro inglesi o scozzesi, in ogni caso britannici ed anglofoni), individualizzazione indebita cui si oppose precocemente Hegel, la cui filosofia politica  tutta rivolta contro questa impostazione individualizzante, che poi Marx connot mirabilmente come robinsonismo. Sullanalisi di questo cruciale passaggio rimando ovviamente alle specifiche pagine del libro. Questa corrente individualistica di pensiero, tuttavia, non  neppure in grado di costruire unaccettabile ontologia dell'essere individuale, e cio dell'ente storico moderno speci- fico. L'essere individuale, infatti,  unastrazione del tutto artificiale.  vero, e ci deve essere sottolineato, che nella modernit capitalistica l'essere individuale si rapporta direttamente e senza mediazioni castali al genere, e per questo dato on- tologicamente irreversibile la modernit non deve essere rimossa e rifiutata con impossibili ritorni alla tradizione precapitalistica. Questo dato, di importanza inestimabile, sar evidenziato perch senza la sua piena comprensione divente- rebbe impossibile scrivere unontologia dell'essere sociale adatta ai tempi che stiamo vivendo. Ma su questo, appunto, ritorneremo pi avanti. Dopo aver scomposto i due termini di ontologia e di essere sociale, e dopo aver anticipato sommariamente temi che saranno sviluppati analiticamente in segui- to, possiamo ora terminare questa Introduzione ricomponendoli, e si tratta allora di trovare la forma teorica pi opportuna per una loro corretta ricomposizione. Ancora una volta, un riferimento ad Hegel ci sar di aiuto. Vi sono due affermazioni di Hegel (o meglio, due citazioni letterali documenta- te) che sembrano a prima vista incompatibili. Da un lato, Hegel ha affermato che la filosofia si occupa di ci che , ed  eternamente, e con questo ha gi fin troppo da fare. Dall'altro, Hegel afferma che la filosofia  il proprio tempo appreso nel pensiero. Si tratta in effetti di tesi che possono sembrare inconciliabili. Che cosa  dunque la filosofia e quale  il suo oggetto specifico? Si tratta di una philosophia perennis, che nel corso del tempo storico non cambia n di metodo n di oggetto, e risponde sempre alle stesse insopprimibili esigenze delluomo di sensatezza della sua vita individuale e sociale, oppure si tratta di un sapere integralmente storico, ed addirittura storicistico, del tutto relativo al tempo storico ed allo spazio geogra- fico in cui si svolge? Quando si tratta di commentare affermazioni di un filosofo di grande valore che troviamo indiscutibilmente contraddittorie, un buon principio metodologico consiste nel ritenere che questa contraddittoriet non sia il frutto di stupidit, su- perficialit o distrazione, ma nasconda invece un nucleo razionale che si tratta di individuare.  vero che quandoque dormitant atque Plato et Kant et Hegel (e gi gli an- 23 Introduzione tichi dicevano che quandoque dormitat atque Homerus, ogni tanto dormicchia anche Omero), per cui anche nei testi dei grandi filosofi si trovano distrazioni, banalit e cadute di livello. In questo caso, per, possiamo dire che questa contraddittoriet  solo apparente, e proprio dalla comprensione di questo enigma risulta la corretta natura dellontologia dell'essere sociale e la sua relativa superiorit rispetto alle sue grandi oggettivazioni filosofiche rivali di oggi. Da un lato,  vero che la filosofia ha un oggetto veritativo generale, che consiste proprio in ci che , ed  eternamente. L'ontologia dell'essere sociale ha come oggetto l'essere sociale in generale, ci che contraddistingue lo specismo umano dallo specismo animale, e quindi il minimo comun denominatore di genere (Gattung, Gattungswesen) che unifica le storicit differenziate dei vari e distinti modi di pro- duzione (comunismo primitivo, antico-orientale, schiavistico, feudale, asiatico, capitalistico, socialistico-reale, ecc.), in quanto ne tratta gli elementi permanenti definiti dal rapporto del binomio essenza umana/natura umana con i modi di produ- zione stessi. Dall'altro,  vero che questo occuparsi di ci che , ed  eternamente, deve trovare la sua specifica determinazione (Bestimmung) in una societ concreta, che  appunto il luogo ideale del presente storico in cui vive il filosofo. In questo senso, non  affatto contraddittorio dire che l'ontologia dell'essere sociale  il luogo in cui si uniscono insieme i due elementi della permanenza ontologica (la filosofia si oc- cupa di ci che , ed  eternamente, e con questo ha gi abbastanza da fare) e della storicit determinata (1a filosofia  il proprio tempo appreso nel pensiero). Abbiamo indicato cos nellIntroduzione i tratti generali della nostra interpreta- zione dell'ontologia dell'essere sociale, certo diversa ed innovatrice rispetto a quella di Lukacs, ma che crediamo non incompatibile ed anzi complementare con essa. Ma questa  solo una dichiarazione apodittica. Per poterla giustificare  necessario metterla alla prova prima con una ricostruzione storica della filosofia occidentale, e poi con un esame ontologico del nostro tempo da apprendere nel pensiero. E allora proviamoci. Il lettore ci giudicher. 24 L'ontologia dell'essere sociale alla prova della ricostruzione sensata della vicenda complessiva della filosofia occidentale ONTOLOGIA DELL'ESSERE SOCIALE E DEDUZIONE STORICO-SOCIALE DELLE CATEGORIE DEL PENSIERO NEL LORO INTRECCIO DI ELEMENTO FILOSOFICO E DI ELEMENTO IDEOLOGICO L'ontologia dell'essere sociale, annunciata nel Prologo e nell'Introduzio- ne, deve ora essere messa alla prova. Nelle pagine che seguono essa verr messa alla prova nella sua dimensione strutturale e sociale. L'ideale sarebbe riuscire a non saltare nessun passaggio logico. Se non ci riusciremo, il lettore ci perdoni. L'ontologia dell'essere sociale, in ogni caso, non  il titolo di un saggio, che pu essere riuscito o meno, ma  la connotazione di un approccio filosofico generale, che pu e che dovr in futuro essere perfezionato e migliorato. Per il momento, eventuali errori, anche gravi, devono essere messi in conto. LA NATURA AD UN TEMPO NECESSARIAMENTE FILOSOFICA ED IDEOLOGICA DELLE CATEGORIE DEL PENSIERO UMANO L'uomo  antropologicamente un ente naturale generico (Gattungswesen), ed  pertanto del tutto naturale che anche il pensiero umano sia generico, e possa essere riempito di sensazioni, impressioni ed idee nel modo pi diverso, una di- versit che  certamente legata al caso individuale ( infatti inevitabile che anche la casualit sia necessaria  come disse Hegel), ma che passa pur sempre per il filtro della storia e della geografia, del tempo e dello spazio determinati in cui si vive. Se Jaspers ha ragione nel dire (ed io lo credo) che luomo  l'unico animale in grado di anticipare la propria morte individuale, ne consegue che  anche lunico anima- le costretto a dare un significato al breve segmento temporale che intercorre fra la sua nascita e la sua morte. Se questo  vero - come mi sembra plausibile  allora luomo  il solo animale costretto a dare senso (Sinngebung) alla propria vita, e ad inserirla e collocarla in un ambito pi generale. Chiamare essere questo ambito generale mi sembra molto razionale, e non certamente frutto di un cattivo pensiero metafisico, come dicono i positivisti di tutti i tipi. Il significato da dare alla propria vita individuale e collettiva (pi precisamen- te, individuale perch collettiva, o pi esattamente comunitaria)  quindi un pro- dotto simbolico dellanticipazione mentale della propria morte individuale, che Heidegger ha in fondo avuto ragione a definire la sola possibilit autentica delluomo, autentica proprio perch si tratta del solo caso in cui la possibilit coin- cide con la necessit, in quanto possiamo fare in teoria tutto, salvo ovviamente una sola cosa, quella di non morire. E dal momento che la sola cosa che non  nella no- stra possibilit  quella di non morire, in quanto il morire prima o poi  una neces- sit inderogabile, ne consegue che il dar un significato alla nostra vita diventa una necessit altrettanto inderogabile, che comprende ovviamente anche la possibilit di decidere che essa non ha avuto e non avr nessun significato, al di l del passare del tempo o  come si espresse Schopenhauer  del veleggiare verso la morte. Il significato che diamo alla nostra vita non ha ovviamente alcun significato scientifico, perch la scienza  caratterizzata concettualmente da un inevitabile processo di disantropomorfizzazione. Noi oggettiviamo il mondo fuori di noi, lo matematizziamo e lo sottoponiamo a procedure sperimentali di verificazione e/o di falsificazione di ipotesi, ma possiamo fare tutto ci soltanto nella misura in cui lo abbiamo preventivamente disantropomorfizzato integralmente. Nel nono capi- tolo chiariremo (mi scuso per lanticipazione) che la matematizzazione pitagorica del mondo non  in alcun modo un'anticipazione della scienza moderna di Galilei, perch Pitagora non  interessato ad una matematizzazione sperimentale del mon- 27 CarrroLo I do, ma ad una estensione al mondo sociale in cui vive del calcolo delle buone pro- porzioni geometriche. Se  del tutto privo di ogni significato scientifico nel senso moderno e seicen- tesco del termine, il significato che diamo alla limitata porzione di vita che ci  concessa assume per necessariamente un doppio significato filosofico ed ideologico. Il significato filosofico deriva dalla prima definizione di filosofia anticipata nellIntro- duzione, per cui la filosofia si occupa di ci che , ed  eternamente, e con questo ha gi fin troppo da fare. Il significato ideologico, che  sempre una inevitabile rica- duta (fall out) di quello filosofico, deriva invece dalla seconda definizione hegelia- na, segnalata insieme alla prima, per cui Ia filosofia  il proprio tempo appreso nel pensiero. Si  di fronte allora al primo problema teorico serio di questa ontologia dell'essere sociale, quello del corretto rapporto fra filosofia ed ideologia, 0 pi esat- tamente fra l'eterna veritativit della riflessione filosofica (loccuparsi appunto di ci che , ed  eternamente) e la sua inevitabile ricaduta ideologica contingente (il proprio tempo appreso nel pensiero, o meglio l'aspetto sociale del proprio tempo appreso nel pensiero). Partire con il piede sbagliato su questo delicatissimo problema significa ro- vinare tutto. Ed esistono due modi apparentemente opposti ma complementari di rovinare tutto, che consistono da un lato nel ridurre lo spazio della filosofia a spazio integrale dell'ideologia, e dall'altro nell'affermare con sciocca sicumera che l'ideologia  soltanto quella degli altri, mentre noi ne saremmo magicamente privi. Iniziamo dalla seconda versione, che  anche la pi sciocca e grottesca, per poi passare alla prima, che  indubbiamente pi seria, ma  anche pi mortifera. Colui che afferma che ideologici sono sempre e solo gli altri, mentre lui ne sa- rebbe miracolosamente immune in quanto praticante esclusivo della filosofia e/o della scienza, ricorda lo sciocco che in pieno sole afferma che tutti gli altri fanno ombra, al di fuori di lui che  un puro spirito che i raggi solari attraversano senza oscurarlo sul terreno. Come ha scritto argutamente il grande esperto di ideologia Terry Eagleton, lideologia  come lalitosi, ed appartiene sempre agli altri e mai a noi. Ed infatti  proprio cos. Vedremo pi avanti che la cosiddetta deideolo- gizzazione non  che la forma ideologica dominante del tempo presente, la cui funzione  quella di consacrare religiosamente l'eterno presente capitalistico, pri- vato di ogni storia, e di trasformarlo in destino ineluttabile che nessuna volont umana potr mai modificare. Scrivere una storia ontologico-sociale del pensiero umano in base al presuppo- sto dell'identit fra filosofia ed ideologia, o pi esattamente fra spazio filosofico veritativo e spazio ideologico di legittimazione e/o di contestazione sociale, si- gnifica rovinare metodologicamente tutto prima ancora di incominciare. L'uomo infatti non pu fare a meno di rappresentarsi ideologicamente i propri interessi individuali e collettivi, perch solo su questo terreno pu definirli, determinarli e prenderne coscienza e consapevolezza. Nello stesso tempo, nel corso di questo ine- vitabile processo, si forma un'eccedenza concettuale che va al di l di questa rappre- sentazione ideologica, e questa eccedenza concettuale  allora la matrice sociale, o La natura ad un tempo necessariamente filosofica ed ideologica delle categorie del pensiero umano pi esattamente ontologico-sociale, di ci che fa parte della componente veritativa, e cio di ci che , ed  eternamente.  questa allora la genesi storica ed ontologico-sociale del concetto di verit. Per poterlo per definire correttamente  necessario risalire ai cosiddetti albori della storia. I L'UNIT ONTOLOGICA DI MACROCOSMO NATURALE E DI MICROCOSMO SOCIALE E LA SUA PROGRESSIVA DIFFERENZIAZIONE STORICA  possibile disegnare una storia sociale della verit. Ed  possibile se riflet- tiamo sulla genesi storica dello spazio occupato da questo concetto. Una storia ontologico-sociale del concetto di verit inizia dalla constatazione per cui, per i nostri antichi e lontani progenitori detti spesso impropriamente primitivi, la verit coincideva interamente con la sopravvivenza del gruppo e con l'insieme di comportamenti individuali e collettivi che assicuravano e garantivano questa sopravvivenza, mentre il falso coincideva con l'insieme di comportamenti indi- viduali e collettivi che avrebbero messo in pericolo questa sopravvivenza stessa. Ci che riproduce il gruppo  vero, ci che ne minaccia la riproduzione  falso. Pi chiaro di cos! E tuttavia tale chiarezza non deve essere frettolosamente interpretata attra- verso categorie moderne. Questa concezione primitiva di verit  in linguaggio moderno  potrebbe essere definita come utilitarista o meglio pragmatista. Ma non  affatto cos. Soltanto i mestieranti del tutto privi di senso storico e sociale che usurpano il titolo di storici della filosofia potrebbero definire i nostri lontani progenitori utilitaristi o pragmatisti. I termini di classificazione hanno sempre una storia, ed al di fuori del contesto storico in cui sono nati non possono essere retro- datati, se non per analogia, ed anche questa analogia  quasi sempre impropria. L'utilitarismo non consiste nella sciocca banalit da bar per cui il vero  l'utile, ma in una corrente di pensiero storicamente determinata che si  opposta a suo tempo alla metafisica religiosa, alla dottrina del diritto naturale ed alla teoria del contratto sociale, opponendo a queste tre concezioni una teoria dellautomaticit armonica dei rapporti sociali, in cui la rete degli scambi fra venditori e compratori costituiva una sorta di mano invisibile che non richiedeva n una fondazione religiosa n una fondazione politica della convivenza sociale. In quanto al pragma- tismo, si tratt di una ben precisa reazione americana tardo-ottocentesca e primo- novecentesca allegemonia accademica delle correnti di pensiero neo-criticiste e neo-idealiste, divise praticamente su tutto, ma unite nel cercare una fondazione trascendentale (i neokantiani) ed ideale (i neohegeliani) del rapporto fra co- noscenza e prassi. I nostri lontani progenitori, quindi, non anticipavano per nulla lutilitarismo ed il pragmatismo. Vivendo immersi nella natura, e dipendendo interamente dalla natura stessa in quanto cacciatori, pescatori, raccoglitori, orticultori ed allevato- ri, percepivano in forma largamente intuitiva lunit di natura e di societ, o pi esattamente lunit di macrocosmo naturale e di microcosmo sociale. La differenza 31 CarrroLO II disciplinare fra le cosiddette due culture e fra le facolt scientifiche ed umanisti. che gli era ovviamente del tutto ignota e letteralmente impensabile. Oggi tutti no (all'infuori forse di qualche geniale artigiano polivalente fai-da-te) viviamo immers nella pi spinta divisione sociale del lavoro, e non potremmo sopravvivere neppu- re una settimana se essa si interrompesse. Tutti i prodotti con cui noi ci vestiamo, che mangiamo e beviamo, in cui abitiamo e con cui ci curiamo, ecc., provengonc da questa divisione sociale del lavoro. Per la maggior parte di noi  come scrisse argutamente Charles Baudelaire  la campagna  quello strano posto in cui i polli vanno in giro crudi. Ed  appunto sul presupposto di una divisione sociale del lavoro che noi oggi possiamo scomporre il concetto unitario di verit in verit scientifica, filosofica, politica, religiosa, ed in spazio del vero, del certo, dellesatto, del veridico, ecc. Non  dunque seriamente possibile negare la natura ontologico-sociale unitaria della nozione di verit, e di come essa implicasse lunit ontologica diretta fra il macrocosmo naturale ed il microcosmo sociale (o meglio, comunitario-tribale). La dipendenza dalla natura nelle comunit primitive era tale da non permettere neppure la distinzione moderna fra etica, politica, scienza e religione. L'idea che le categorie dell'essere e le categorie del pensiero, su cui si  basata la cosiddetta rivoluzione copernicana di Kant sul presupposto della preventiva costituzione formalistico-astratta del soggetto conoscente, ecc., sarebbe stata impensabile ed intraducibile per i nostri lontani progenitori. Essi dipendevano talmente della na- tura che erano costretti ad abbandonare i vecchi e a morire di fame e di freddo e ad eliminare i neonati con malformazioni. Si tratta di cose note. Ma, appunto, ci che  noto spesso non  conosciuto. E non  conosciuto, soprattutto, da quegli storici della filosofia per cui di fatto le categorie del pensiero cadono dal cielo come la pioggia. Per costoro sarebbe addi- rittura plausibile che i primitivi potessero dottamente discutere intorno al fuoco se esista o meno qualcosa chiamato verit oggettiva ed universale, oppure se sia meglio scegliere un tollerante e pluralistico relativismo. L'unit ontologica originaria fra macrocosmo naturale e microcosmo sociale re- ster a lungo la matrice fondamentale del pensiero umano, e soltanto gli ultimi secoli sono riusciti a scalfirla. Vedremo pi avanti che per scalfirla ci sono voluti, prima, i grandi scienziati seicenteschi come Galilei, e poi c' voluta la distinzione kantiana fra categorie del pensiero e categorie dell'essere. In entrambi i casi non si  trattato certamente di due pensate geniali di un astronomo di Pisa e di un filosofo della Prussia Orientale, ma si  trattato di risultati di un severo processo sociale e storico sottostante. Tornando ai nostri lontani progenitori, lunit ontologica di macrocosmo natu- rale e di microcosmo sociale, derivata dalla loro strettissima dipendenza dalla na- tura per la sopravvivenza e la riproduzione del gruppo tribale, non  ancora che un'immagine statica, e le immagini statiche non esistono, perch prima o poi sono investite dal movimento storico. In questo caso il movimento storico  descritto in modo sostanzialmente esatto dalla teoria marxiana dei modi di produzione, che 32 L'unit ontologica di macrocosmo naturale e di microcosmo sociale e la sua progressiva differenziazione storica mette in correlazione dialettica da un lato lo sviluppo delle forze produttive socia- li, e dall'altro la natura classista dei rapporti sociali di produzione. A tutt'oggi, mi sembra che questo modello teorico non sia stato ancora superato, e questo indipen- dentemente dal giudizio storico differenziato che possiamo dare sul comunismo storico novecentesco realmente esistito (1917-1991). L'interazione fra lo sviluppo delle forze produttive (agricoltura, allevamento, guerra, costruzione di templi ed edifici, navigazione, fusione dei metalli, ecc.) e lapprofondimento classista dei rapporti sociali di produzione produce una pe- culiare divisione antagonistica del lavoro sociale, prima o inesistente o limitata alla divisione del lavoro tra i due sessi, femminile e maschile (caccia, orticoltura, cura dei vecchi e bambini, ecc.). In una formula sintetica potremo allora esprimerci cos: lunit ontologica fra il macrocosmo naturale ed il microcosmo sociale, oggetto necessario della intuizione olistica della totalit del mondo, viene subordinata (0, pi esattamente, sottomessa, sussunta ed incorporata) alla divisione antagonistica del lavoro sociale. Uso il termine antagonistico per sottolineare la formazione di classi sociali antagonistiche, pur sapendo bene che la divisione sociale del lavoro (costruzione delle piramidi egizie e delle ziggurat mesopotamiche, ecc.) viene vis- suta ancora come frutto di una armonia cooperativa. Questa situazione implica che la religione cambi di funzione, e diventi unideo- logia di legittimazione del potere (faraoni egizi, re-sacerdoti mesopotamici, re- imperatori cinesi, ecc.), pur continuando ovviamente a funzionare come garante supremo della sensatezza del mondo. E se prima il concetto di verit era sorto in modo ontologico-sociale dalla necessit globale di riproduzione della comunit tribale, ora il concetto di giustizia, prima ancora del tutto impensabile ed inde- terminabile, sorge nel suo doppio aspetto dialettico-contraddittorio di garanzia metafisica del sistema sociale disegualitario e classista, da un lato, e di esigenza di ristabilimento delleguaglianza precedente, dall'altro. In questo senso, non c' alcuna differenza di principio fra la misura (metron) dei Greci, il ristabilimento del vero mandato del Cielo dei cinesi, e lira di Dio contro le iniquit degli uomi- ni dei profeti ebraici vetero-testamentari. Le prime grandi civilt storiche, dagli antichi egizi ai popoli mesopotamici, dal- la civilt dell'Indo a quella del Fiume Giallo in Cina, fino alle stesse civilt pre- colombiane (aztechi, maya, incas, ecc.) si costituirono in modo necessariamente del tutto prefilosofico, sulla base di una comune simbologia culturale basata sulla capacit dei re-sacerdoti di interagire positivamente e virtuosamente con le forze della natura. A sua volta, la natura non era certo quella dei moderni agrituri- smi e degli ecologisti della domenica, che per natura intendono soltanto lop- posto complementare dellinquinamento urbano e dei tubi di scappamento, ma era il fondamento dell'interazione fra agricoltura ed irrigazione (Nilo, Eufrate e Tigri, Indo, Fiume Giallo, ecc.). Il pensiero filosofico, quindi, non  temporalmente coestensivo all'intera storia umana. Non  allora del tutto esatto  ed anzi  improprio  dire che luomo  natu- raliter filosofo. I nostri progenitori, infatti, non lo erano. In un primo momento, essi 33 CarrroLo II cercarono di garantirsi attraverso la magia ed il totemismo la necessaria armonia fra il macrocosmo naturale ed il microcosmo sociale, pena l'interruzione della so- pravvivenza fisica del gruppo tribale. In un secondo momento, con il progressivo sviluppo della divisione antagonistica del lavoro sociale, questa unit ontologica fra macrocosmo naturale e microcosmo sociale fu sequestrata da caste di re-sa- cerdoti e di nobili armati. La genesi storica della filosofia deve quindi essere collocata in un terzo momen- to storico. Questo terzo momento storico  caratterizzato dalla problematizzazione critica degli equilibri sociali e culturali che si erano variamente costituiti nel secon- do momento (il momento della costituzione degli imperi dispotici dei re-sacerdoti), il quale a sua volta aveva conservato largamente i contenuti simbolici del primo momento, quello dei nostri progenitori tribali (in primo luogo lilozoismo, cio lidea della profonda solidariet fra uomini e animali e delluniversale animazione di tutta la natura, minerale, vegetale ed animale). Messe cos le cose in ordine, possiamo fare un altro piccolo passo avanti. IL LA TEORIA DEL PERIODO ASSIALE DI KARL JASPERS E L'INSIEME DEI PROBLEMI INTERPRETATIVI CHE ESSA PONE Nel 1959 il filosofo esistenzialista Karl Jaspers pubblic un importante saggio sull'origine e sul senso della storia. La filosofia di Jaspers era caratterizzata da due elementi convergenti e complementari, e cio da un punto di vista esistenziali- stico mirato a dare senso all'esistenza umana individuale e da una concezione dellontologia come periecontologia, e cio come unontologia che avvolge les- sere (periechon) e gli gira intorno senza poterlo mai assorbire. In questo saggio Jaspers descrive un asse della storia, situato tra 1800 e il 300 a.C., un processo spirituale di circa cinquecento anni che avrebbe avuto il suo pun- to culminante intorno al 500 a.C., cui d il nome di Periodo Assiale. Ne cito diretta- mente un breve brano: In questo periodo si concentrano i fatti pi straordinari. In Cina vissero Confucio e Lao Tse, sorsero tutte le tendenze della filosofia cinese, meditarono Mo Ti, Chuang Tse, Lie Tsu ed innumerevoli altri. In India apparvero le Upanishad, visse Budda e, come in Cina, si esplorarono tutte le possibilit filoso- fiche, fino allo scetticismo ed al materialismo, alla sofistica ed al nichilismo. In Iran Zarathustra propag l'affascinante visione del mondo come lotta fra bene e Male. In Palestina fecero la loro apparizione i profeti biblici, da Elia ad Isaia e Geremia. La Grecia vide Omero, i poeti tragici, Tucidide, Archimede ed i filosofi Parmenide, Eraclito e Platone. Tutto ci che  implicato da questi nomi prese forma quasi con- temporaneamente in quei pochi secoli in Cina, India, Persia, Palestina e Grecia, senza che nessuna di queste regioni sapesse delle altre. Partiamo allora dalla constatazione storica fatta da Jaspers, per cui ci fu vera- mente nel mondo una sorta di Periodo Assiale. A questo punto, uno si aspetterebbe che Jaspers facesse un passo in pi, e proponesse un'ipotesi storico-genetica, e quindi ontologico-sociale, di questo miracolo e di queste stupefacenti coincidenze. Niente di tutto questo. Jaspers constata tutto questo, e subito svolazza via parlan- do d'altro. Evidentemente, un miracolo ha voluto che cadessero dal cielo contem- poraneamente in diverse regioni del mondo alcune sublimi teorie filosofiche, da Confucio a Socrate, da Budda a Zarathustra, da Geremia ad Fraclito. Questo silenzio di Jaspers  ad un tempo stupefacente e vergognoso.  stupefa- cente, perch quando ci si imbatte in una serie di coincidenze ci si aspetterebbe che si facesse come Darwin alle isole Galapagos, in cui la serie di coincidenze osservate porta quasi spontaneamente alla creazione di un'ipotesi teorica, nel caso di Darwin all'ipotesi teorica dell'evoluzione della specie.  vergognoso, perch  vergognoso che si possa sostenere di fatto la teoria per cui le concezioni filosofiche cadono dal cielo. E tuttavia, anche i meteorologi danno spiegazioni sulla simultanea caduta 35 dal cielo di piogge simili in diverse aree del pianeta, in quanto si pone il problema di come analoghi equivalenti omeomorfi (tipo il tao cinese, il dharma indiano, il logos greco, ecc.) possano essere prodotti quasi simultaneamente (il termine equi- valenti omeomorfi  del filosofo indiano Raimundo Panikkar, ed indica i concetti che hanno giocato un ruolo analogo nelle differenti culture e civilt). Questo mistero  parzialmente spiegato dallirresistibile antipatia verso Marx e il marxismo coltivata da Jaspers. L'antipatia  tale da far s che il pur dotato Jaspers non voglia neppure prendere in considerazione il metodo ontologico-sociale della deduzione storica delle categorie, centro e cuore di questo saggio. C' qui evidentemente la paura del riduzionismo, delleconomicismo, della riduzione della sublime filosofia a volgare pratica ideologica, ecc. Jaspers  vissuto in un contesto storico in cui effettivamente il metodo marxista era applicato in modo insopportabilmente riduzionistico e volgare. Ma l'abuso di uno strumento, o pi esattamente il suo uso arbitrario e scorretto, non devono essere scambiati per il suo uso corretto. Ed allora lasciamo Jaspers ai suoi pregiudizi, e torniamo ad occuparci del problema che ci interessa, che formuler cos: che cosa ci sta dietro, sopra o sotto a questa serie di coincidenze che si possono tranquillamente chiamare Periodo Assiale? Tentiamo allora uninterpretazione ontologico-sociale. Potremmo ovviamente sbagliarci, ma meglio l'errore (sempre correggibile) della vuota insensatezza di chi si limita a constatare ieraticamente il miracolo dellemergere del Periodo Assiale. Il Periodo Assiale, infatti, c' stato veramente, ed  un bene che qualcuno lo abbia segnalato. Ma questo periodo assiale ha una genesi storica, ed  bene allora cercare di darla. Il Periodo Assiale di Jaspers coincide con quella che prima ho chiamato la terza fase dello sviluppo mondiale del pensiero umano.  comunque necessaria una ricostruzione storico-genetica ed una interpretazione ontologico-sociale di questa successione logico-temporale in tre fasi. L'ho gi illustrata precedentemente, e tut- tavia, data l'assoluta crucialit metodologica di questo problema, che ci accompa- gner nel corso di tutto saggio, un'ennesima ripetizione ed un ennesimo riappro- fondimento non saranno certamente inutili. In una prima fase l'intuizione sociale diretta dell'unit del macrocosmo naturale e del microcosmo sociale assume una natura necessariamente magico-animistica, che tuttavia non  per nulla irrazionale, ma  al contrario estremamente raziona- le, purch non si pensi che la raison sia nata con Galilei e con Voltaire (come pensa peraltro il novantacinque per cento dei presuntuosi neoilluministi odierni, se- guaci idolatrici della suprema destoricizzazione). Questa intuizione olistica  estre- mamente razionale, perch concepisce la verit della totalit come funzione della sopravvivenza e della riproduzione del gruppo. Di qui deriva ovviamente anche lunit immediata fra le categorie dell'essere e le categorie del pensiero. Senza questa unit, infatti, il gruppo si sfalderebbe e si frantumerebbe. I primitivi erano forse primitivi, ma non erano certamente stupi- di come molti filosofi contemporanei. In questa prima fase la divisione del lavoro Le 4 La teoria del Periodo Assiale di Karl Jaspers e l'insieme dei problemi interpretativi che essa pone sociale era ancora minima, e si svolgeva anch'essa in modo del tutto naturale fra sessi (uomini e donne) e fra classi d'et (giovani e vecchi). E tuttavia questa natu- ralit era anche immediatamente sociale, perch comportava lo sviluppo di un dominio sociale degli uomini sulle donne e di un dominio simbolico dei vecchi sui giovani. Vi  qui una dimostrazione eccellente del significato di unit dialettico- contraddittoria fra natura e societ. In una seconda fase lo sviluppo delle forze produttive sociali comporta progres- sivamente lapprofondimento della divisione antagonistica del lavoro sociale. Il lavoro umano continua ad essere fondamentalmente collettivo e cooperativo, ed  quindi impossibile la costituzione stabile di ideologie privatistico-individuali- stiche di tipo robinsoniano. E tuttavia cominciano a formarsi le classi sociali, e allinterno di questa formazione il concetto di verit comincia a coniugarsi con il concetto di giustizia, che uniti logicamente insieme diventano il primo concetto contraddittorio della storia, quello di vera giustizia. Mentre il precedente concetto primitivo di verit era ancora unitario e non contraddittorio, perch definiva la riproduzione globale e non separata del grup- po, il concetto di vera giustizia si divide necessariamente in due lati contrad- dittori, perch per la classe dei dominanti la giustizia riflette simbolicamente la sacralit delle gerarchie sociali di potere, consumo e status, mentre per le classi dominate la vera giustizia riflette invece simbolicamente il ristabilimento dello stato di eguaglianza precedente nel frattempo violato e abolito. In questa seconda fase gli Stati monarchico-imperiali si costituiscono sulla base di una legittimazione interamente religiosa (faraoni, re-sacerdoti, ecc.). Questa religione, lungi dall'essere basata sullignoranza  come sosterranno poi in modo superficiale gli illuministi settecenteschi, i professori ottocenteschi e i marxisti novecenteschi , si basava sulla diretta comprensione, pi che razio- nale, del fatto che lunico collante simbolico che potesse tenere insieme la societ era la religione, e soltanto la religione. In una terza fase, l'equilibrio fra i dominanti ed i dominati, ancora sostanzial- mente conservato nella seconda fase, comincia ad incrinarsi ed a fessurarsi, a causa delleccessivo ed anormale approfondimento della separazione antagonisti- ca fra ricchi e poveri. I ricchi diventano egoisti, ed i poveri invidiosi. La sinergia viziosa fra egoismo dei ricchi ed invidia dei poveri diventa cos il primo problema filosofico della storia della filosofia mondiale, anche se ovviamente in modo non temporalmente sincronizzato nei vari contesti geografici, quasi sempre non co- municanti (e se fra l'India e la Grecia qualche comunicazione indiretta potrebbe esserci stata,  assolutamente sicuro che invece fra la Cina e la Grecia non ci pu essere stata nessuna comunicazione, n diretta n indiretta). E tuttavia la produzione di alcuni significativi equivalenti omeomorfi (ta0, dharma, logos, ecc.) non deve essere riferita - con un eccesso di immediatezza - ad una natura umana comune, in quanto la natura umana esiste certamente, ma soltanto l'essenza umana sociale comune pu produrre concetti filosofici confrontabili in quanto equivalenti omeomorfi. 37 La filosofia nasce quindi nel contesto di questa terza fase dello sviluppo del pen- siero umano. Da un punto di vista storico-genetico, essa  prodotta da una situa- zione inedita, avvertita come pericolosa per la stessa sopravvivenza del gruppo comunitario, per cui la separazione antagonistica fra le classi sociali e fra i ricchi e i poveri diventa insopportabile. Da un punto di vista ontologico-sociale, invece, il primo problema filosofico, sia in senso storico che logico (primo perch  stato pre- cedente, e primo perch  il pi importante, in quanto ha appunto il primato), diventa il modo razionale di affrontare la sinergia viziosa fra l'egoismo dei ricchi e l'invidia dei poveri. La societ deve allora riacquistare e riconquistare l'armonia perduta, e non  un caso che il concetto di armonia passi dalla natura alla societ, e diventi oggetto privilegiato di tutte le possibili teorizzazioni dei filosofi, dalla Cina alla Grecia. E tuttavia, se questa condensazione di fenomeni storici e di innovazioni teo- riche  provocata da elementi sociali comuni, il modo specifico con cui questa con- densazione logica si realizza nei vari contesti geografici  molto differenziato. Qui l'esame comparativo e contrastivo si farebbe lungo ed analitico, ma per gli scopi di questa ricostruzione ontologico-sociale basteranno quattro esemplificazioni, lan- tica Cina, l'antica India, l'antico Israele e l'antica Grecia. Non ho ovviamente alcuna intenzione di metterle tutte sullo stesso piano, e non certo per ragioni di presunta superiorit. Si tratta soltanto di relativa com- petenza. Sulla genesi ontologico-sociale della filosofia in Grecia mi considero re- lativamente competente, anche perch me ne occupo da pi di quaranta anni e conosco la lingua greca. Sulle altre tre genesi storiche il mio dilettantismo  invece manifesto e la mia specifica incompetenza addirittura pittoresca. Ma qui non si ha a che fare con un'impossibile cultura mostruosa. Se vi sono errori nei prossimi tre capitoli, lo specialista li corregger. Qui si tratta soltanto di stabilire un meto- do credibile di accertamento della genesi storica delle categorie del pensiero, che devono essere dedotte socialmente, e non cadono miracolosamente dal cielo come la pioggia. La specificit irripetibile della genesi storico-sociale della filosofia greca potr cos essere raggiunta con un metodo contrastivo, che  anche il metodo migliore per l'apprendimento delle lingue straniere (a suo tempo, ho insegnato la lingua francese agli italiani con l'ausilio di una grammatica contrastiva, che evidenzia- va le differenze grammaticali e sintattiche fra le due lingue). Anticipo qui subito le principali differenze contrastive: in Cina c'era la necessit di grandi lavori idraulici collettivi, pena la disgregazione integrale della societ, necessit invece del tutto assente in Grecia; in India c'era la necessit di giustificare e legittimare una divi- sione castale della societ di tipo razzistico, necessit invece del tutto assente in Grecia; nell'antico Israele esisteva una religione monoteistica del Libro, basata su di un patto fra Dio e il suo popolo eletto, religione monoteistico-sacerdotale del tutto assente ed addirittura inconcepibile in Grecia. Si tratta dunque di tre elementi contrastivi fondamentali. Abbiamo quindi una serie di frazioni, dotate di un minimo comun denominatore e di differenti nume- 38 La teoria del Periodo Assiale di Karl Jaspers e l'insieme dei problemi interpretativi che essa pone ratori. Il minimo comun denominatore  costituito dalla comune condensazione di fattori storici ed ontologici-sociali, ruotanti tutti intorno allo scontro fra la giu- stizia dei dominanti e la vera giustizia dei dominati. Il numeratore  invece diverso nell'antica Cina, nellantica India, nell'antico Israele e nell'antica Grecia. Esaminiamoli separatamente. IV. LA GENESI ONTOLOGICO-SOCIALE DEL PENSIERO FILOSOFICO NELL'ANTICA CINA La religione degli antichi cinesi presentava caratteri comuni a quelli presenti in tutte le religioni mondiali primitive, ma possedeva anche caratteri di tipo sciama- nico, tuttora riscontrabili in alcune popolazioni nomadi siberiane e mongole. Lo sciamanesimo presenta un carattere fortemente ilozoistico, fondato su un rapporto strettissimo fra uomini ed animali. Esso  fortemente legato alla predizione di oro- scopi e di vaticini, con cui si esorcizzava la paura del futuro. Non  allora un caso che i primi documenti scritti della cultura cinese siano iscrizioni oracolari su osso, seguite poi sempre da iscrizioni oracolari su bronzi e sulla parte esterna di campa- ne di bronzo. La prima dinastia cinese storica si chiama Dinastia Shang (1650-1027 avanti Cristo), ed il termine cinese Shang significa essere mercante, scambiare, ne- goziare. Nello stesso tempo, i primi cinque imperatori mitici della prima dinastia leggendaria Hsia (2000-1600 circa avanti Cristo) sono tutti e cinque sovrani inse- gnanti, che insegnano appunto i fondamenti della riproduzione sociale, e cio larte idraulica di imbrigliare la piena dei fiumi, la costruzione di armi di giada, la fusione del bronzo, l'allevamento dei bachi da seta, ecc. Come interpretare filoso- ficamente questa lontana mitologia cinese, tenendo conto appunto che la dinastia Hsia viene viene prima della posteriore dinastia Shang? Mi sembra del tutto plausibile ipotizzare che questa successione mitica riflet- ta interamente la logica di sviluppo da una prima fase di tipo prevalentemente agricolo-comunitario, e quindi ancora chiuso ed autosufficiente,.ad una seconda fase di interazione e di scambio mercantile (shang) con altri gruppi culturalmente ed etnicamente affini. E tuttavia, seguendo il suggerimento del sinologo tedesco Ralf Moritz (che mi ha personalmente iniziato allo studio sensato e non solo dossografico della storia della filosofia cinese), tutte le scuole filosofiche cinesi antiche sono caratterizzate da una debolissima e quasi inesistente distinzione fra Soggetto ed Oggetto, il che comporta nellessenziale una parallela non distinzione fra il Sociale ed il Naturale. Secondo Moritz la filosofia cinese, esaminata in unotti- ca comparativo-contrastiva con tutte le altre filosofie mondiali,  quella in cui si  conservata maggiormente l'impronta dell'unit organica fra macrocosmo naturale e microcosmo sociale. Il concetto di ta0, inteso come la giusta via, o la giusta norma di tutte le cose, naturali e sociali, ha cos permesso per duemila anni di continuare a concepire la struttura istituzionale della societ cinese come un riflesso imme- diato dell'ordine cosmico celeste. Ma se il Cielo stava sopra l'impero del mezzo, l'Acqua stava alla sua base, e con lacqua la necessit di lavori idraulici continui di tipo collettivo. 41 CarrtoLo IV Mencio (Meng Tzu) dice letteralmente nel suo libro: Lo sviluppo dello xin [la potenza spirituale ed emozionale delluomo] significa capire che cos' la natura umana. E comprendere la natura umana, significa comprendere il Cielo. Il sino- logo americano Graham, in unopera recente del 1989, precisa che in Cina non ci si chiede, diversamente che nella tradizione occidentale di origine greca, che cosa sia la verit, bens dove sia la via (ta0), cio quale sia il modo migliore di realizzare se stessi e di governare la comunit. E Fung Yu Lan, autore della storia della filosofia . cinese pi diffusa in Italia, scritta per purtroppo in base ad una metodologia orri- bilmente dossografica e quindi di fatto inutile (la destoricizzazione  infatti diffusa nel mondo come la stupidit e l'intelligenza) afferma peraltro letteralmente: I ci- nesi enfatizzano l'essere (shi), non l'avere (you). Ecco perch non enfatizzano mai la conoscenza (zhi shi). A questo punto, per non abusare della mia incompetenza disciplinare,  giunto il momento di fare alcune osservazioni critiche su quanto finora  stato detto. In primo luogo, come del resto ha affermato Moritz in un suo saggio dedicato all'approccio comparativo fra la genesi ontologico-sociale della filosofia greca e quella cinese antica, in Cina la produzione agricola  sempre stata dominante, ed anche per di pi inserita organicamente nella necessit di continui lavori idraulici organizzati in cui la fusione di natura e di societ diventava di conseguenza quasi visibile, e perci ovvia e presupposta, mentre in Grecia la natura del suolo e la collocazione geografica marittima hanno reso precocemente possibile lo sviluppo del commercio e di una corrispondente produzione artigianale e manifatturiera, oltre ovviamente della moneta coniata, matrice inesauribile dellarricchimento individuale e dellapprofondimento della distanza sociale fra poveri e ricchi. La dinamica di propagazione smisurata della ricchezza individuale incentivata so- prattutto da questo commercio marittimo monetario avrebbe cos provocato, per necessario contraccolpo, la formazione di un pensiero della misura (metron). Ma su questo mi soffermer analiticamente a partire dal capitolo ottavo. In secondo luogo, l'osservazione di Fung Yu Lan, per cui la filosofia cinese non ha mai messo al centro il problema gnoseologico della conoscenza in quanto tale - il che comporta l'assunzione immediata ed irriflessa dell'identit delle categorie del pensiero e delle categorie dell'essere data per ovvia e scontata , deve essere probabilmente spiegata in senso ontologico-sociale con il fatto che non  mai sta- to necessario in Cina delegittimare logicamente una (inesistente) religione mo- noteistica, dotata per di pi di apparati sacerdotali organizzati gerarchicamente. Vedremo pi avanti, nel capitolo dedicato alla genesi storica del criticismo di Kant, che la separazione ontologica fra le categorie del pensiero e le categorie delles- sere  del tutto impensabile al di fuori di un'esigenza di delegittimazione politica borghese delle pretese della teologia di essere direttamente normativa in sen- so politico e sociale. Kant  gi probabilmente entrato trionfalmente nelle facolt di filosofia cinesi, ma se lo ha fatto lo ha fatto sulla base strutturale della diffusione dell'individualismo capitalistico nella Cina stessa.  L genesi ontologico-sociale del pensiero filosofico nell'antica Cina In terzo luogo, lacuta osservazione del sinologo americano Graham ci proprio al cuore del problema che ci interessa, che  quello di una rifondi integrale, che non pu e non deve fermarsi a mezza strada o fare compro! opportunistici, della storia della filosofia occidentale in senso ontologico-sc Graham ripete uno stereotipo consolidatosi in pregiudizio a proposito della f fia greca, secondo il quale essa si occuperebbe della verit (aletheia, orthotes, ve piuttosto che della via (il ta0), come fa invece saggiamente la filosofia cine: cos fosse, allora bisognerebbe proprio lasciar perdere la lingua greca, impai cinese e convertirsi in massa a Lao Tse, Confucio, Chuang Tse, Meng Tese, i 1 ecc.  infatti del tutto logico giungere alla conclusione che  meglio occupa una cosa pratica e concreta come la giusta via (o la giusta norma) per \ il meglio possibile, piuttosto che interrogarsi astrattamente su cosa sia la v interrogazione preceduta dallo scetticismo sofistico sul se esista  e se esista conoscibile , e se conoscibile se sia comunicabile. Se le cose stessero cos, Cor non potrebbe che vincere contro Socrate con punteggio tennistico. Ma, appunto, le cose non stanno affatto cos. Graham ripete un bimille luogo comune sulla natura della filosofia greca, che risale addirittura al gi Aristotele, e su cui mi soffermer nel capitolo settimo. In realt, la filosofia gre sempre avuto lo stesso oggetto di quella cinese, e cio il rinvenimento di una ; via, la via della misura (metron) per la soluzione pratica dei conflitti sociali. Sec lantichista britannico Thomson, il metron  frutto di un approccio razional alla lotta di classe. Graham non ha colpa se non lo comprende, dal momenti come specialista dell'antica Cina, prende per buona ad occhi chiusi linterpre ne classica dellantichistica occidentale e della dossografia manualistica. Ed  questa allora una ragione in pi per ricostruire questa tradizione d grafica alla luce di una deduzione storica delle categorie e di una ontologia dell sociale. La genesi ontologico-sociale del pensiero filosofico nell'antica Cina In terzo luogo, lacuta osservazione del sinologo americano Graham ci porta proprio al cuore del problema che ci interessa, che  quello di una rifondazione integrale, che non pu e non deve fermarsi a mezza strada o fare compromessi opportunistici, della storia della filosofia occidentale in senso ontologico-sociale. Graham ripete uno stereotipo consolidatosi in pregiudizio a proposito della filoso- fia greca, secondo il quale essa si occuperebbe della verit (aletheia, orthotes, veritas), piuttosto che della via (il ta0), come fa invece saggiamente la filosofia cinese. Se cos fosse, allora bisognerebbe proprio lasciar perdere la lingua greca, imparare il cinese e convertirsi in massa a Lao Tse, Confucio, Chuang Tse, Meng Tse, i legisti ecc.  infatti del tutto logico giungere alla conclusione che  meglio occuparsi di una cosa pratica e concreta come la giusta via (o la giusta norma) per vivere il meglio possibile, piuttosto che interrogarsi astrattamente su cosa sia la verit, interrogazione preceduta dallo scetticismo sofistico sul se esista  e se esista se sia conoscibile , e se conoscibile se sia comunicabile. Se le cose stessero cos, Confucio non potrebbe che vincere contro Socrate con punteggio tennistico. Ma, appunto, le cose non stanno affatto cos Graham ripete un bimillenario luogo comune sulla natura della filosofia greca, che risale addirittura al grande Aristotele, e su cui mi soffermer nel capitolo settimo. In realt, la filosofia greca ha sempre avuto lo stesso oggetto di quella cinese, e cio il rinvenimento di una giusta via, la via della misura (metron) per la soluzione pratica dei conflitti sociali. Secondo lantichista britannico Thomson, il metron  frutto di un approccio razionalistico alla lotta di classe. Graham non ha colpa se non lo comprende, dal momento che, come specialista dell'antica Cina, prende per buona ad occhi chiusi linterpretazio- ne classica dellantichistica occidentale e della dossografia manualistica. Ed  questa allora una ragione in pi per ricostruire questa tradizione dosso- grafica alla luce di una deduzione storica delle categorie e di una ontologia dell'essere sociale. M LA GENESI ONTOLOGICO-SOCIALE DEL PENSIERO FILOSOFICO NELLANTICA INDIA Secondo lo storico ed indologo italiano Michelguglielmo Torri tre sono le teorie che vengono proposte per spiegare il rapporto storico fra gli arya, e cio i portatori della concezione castale della societ, e la societ indiana precedente. La prima (poco seguita, e sostenuta principalmente dai nazionalisti indiani contemporanei riuniti in partiti ispirati al fondamentalismo induista) sostiene l'origine autoctona degli arya stessi. Ma questa ipotesi sembra poco verosimile, perch le precedenti civilt dette vallinde (le civilt della valle dell'Indo di Harappa e Mohenjo Dar, oggi in Pakistan) parlavano probabilmente una lingua dravidica e non indo-euro- pea, ed i dravidi furono spinti verso il Sud dellIndia dagli stessi arya (ma alcune popolazioni di aree tribali del Nord dell'India parlano ancora lingue dravidiche, sia pure ormai incomprensibili per gli indiani del Sud), e non sembra inoltre che fossero caratterizzati da un sistema castale, ecc. La seconda, considerata di gran lunga la pi probabile,  quella dellirruzione violenta degli arya indoeuropei nel subcontinente indiano, mentre la terza accetta anch'essa la tesi dellirruzione, ma la interpreta come una migrazione pacifica progressiva. Dato il carattere guerresco dei poemi classici indiani (Ramayana, Mahabharata, ecc.), la seconda teoria appare pi probabile della terza. Assumendo il punto di vista della seconda teoria, integrata dalla terza per il periodo successivo dell'espansione al Sud del Gange, appare chiara la centralit del concetto filosofico di dharma, inteso come dovere sociale, o pi esattamente dovere di casta, nel senso dellinserimento individuale in un ordine sacralizzato, e sacralizzato appunto dal dovere di mantenimento ritualizzato delle distinzioni castali. Questo concetto di dharma appare specificamente indiano, e non  tradu- cibile in alcun modo in concetti analoghi della tradizione cinese, ebraica o greca. L'ordine universale del cosmo gerarchizzato  cos duplicato simbolicamente non certo da un monoteismo di tipo ebraico e cristiano, ma da un politeismo naturali- stico. A me sembra che questo politeismo sia strutturato simbolicamente su di una duplicazione celeste del pluralismo della gerarchizzazione castale, e del resto indologi professionali come Louis Dumont hanno affermato che limmagine antro- pologica dellhomo gerarchicus, contrapposta allhomo aequalis occidentale, caratte- rizza il profilo di fondo degli elementi di lunga durata (longue dure) della societ indiana. Questo politeismo  fortemente ilozoistico (come tutti i politeismi, vedi le Metamorfosi di Ovidio), e questo ha portato Hegel a sostenere spregiativamente che [...] in Cina domina l'intelletto privo di fantasia [...] in India per contro non vi  oggetto che stia saldo di fronte alla poesia ed alla fantasia. Per Hegel gli indiani 45 [...] non hanno, come i cinesi, una superstizione distinta, accanto al resto della loro attivit, ma tutto il loro modo di essere non  che una fantasticheria sognante. Non avrei riportato queste affermazioni eurocentriche ed un po' razziste di Hegel, contenute nelle sue Lezioni sulla Filosofia della Storia, se accanto ad esse non ci fosse anche un'osservazione estremamente intelligente. Hegel infatti critica co- loro che, gi ai suoi tempi, affermavano che Pitagora era stato fisicamente in India o almeno vi aveva ricavato i fondamenti della sua filosofia. Pitagora avr anche viaggiato in Egitto, ma il suo pensiero  squisitamente ed essenzialmente greco (rimando il lettore al nono capitolo). La presenza della trasmigrazione delle anime e di pratiche alimentari vegetariane pu certamente testimoniare la presenza di influssi orientali, ma la natura complessiva del suo pensiero  ancora pi greca di quanto lo sia la natura dei pensieri di un Socrate o di un Protagora. infatti difficile negare che la nozione di dharma sia organicamente connessa con l'ordine castale, che doveva essere talmente radicato in India che lo stesso bud- dismo, sorto originariamente in opposizione frontale ed esplicita con il politeismo castale ariano, raggiunse addirittura per un certo tempo il potere politico (regno di Asoka, ecc.), ma poi spar dall'India senza praticamente lasciarvi tracce (se non storico-archeologiche). E vi  allora il principale fattore storico-culturale contrastivo con la filosofia greca. La filosofia greca non comprende nessun fattore castale, ed  anzi del tutto incompatibile con esso. Certo, esistono residui storici marginali in Grecia di in- vasioni doriche precedenti con sovrapposizione castale dei nuovi arrivati sugli abitanti originari, ed il residuo storico pi conosciuto  quello di Sparta, con la sovrapposizione castale degli Spartiati sui Perieci e sugli Iloti. Ma gli stessi Greci consideravano Sparta una eccezione irripetibile, e comunque Sparta non gioc al- cun ruolo nello sviluppo ulteriore della filosofia greca. La totale mancanza dell'elemento castale di tipo indiano (e del concetto di dhar- ma che lo accompagna necessariamente) ebbe una conseguenza importante da un punto di vista ontologico-sociale. Abbiamo visto nellIntroduzione, e vedremo pi analiticamente in seguito, che il concetto ontologico-sociale di individualit pre- suppone un rapporto con il genere (Gattung) e con la conformit al genere stesso (Gattungsmiissigkeit). Ebbene, questo rapporto diviene di fatto impossibile se esso resta mediato da un ordine castale. L'ordine castale non permette infatti un rap- porto fra l'individuo ed il genere, perch questo rapporto  sequestrato di fatto dall'ordine castale stesso. I Greci erano estranei ad ogni ordine castale, e quindi ad ogni proiezione sim- bolica di questo tipo. Certamente, anche negli ordinamenti della polis pi demo- cratica (lAtene di Clistene, su cui mi soffermer nel dodicesimo capitolo), vi erano discriminazioni fra uomini e donne, liberi e schiavi ed infine fra cittadini, meteci e stranieri. Per questa ragione bisogner aspettare i tempi moderni per poter reim- postare correttamente un rapporto ontologico-sociale fra individuo e genere, in /quanto solo i tempi moderni hanno abolito le differenze giuridiche fra uomini e  donne e fra liberi e schiavi (ma non ancora fra cittadini e stranieri). E tuttavia, 46 La genesi ontologico-sociale del pensiero filosofico nell'antica India queste discriminazioni giuridiche e politiche non furono mai trasformate in di- scriminazioni castali e razziali. Per questa ragione Nietzsche, da molti considerato un buon interprete del mondo classico greco, non lo fu invece per nulla. I suoi Greci, del tutto inesistenti, sono castali e razzisti, e non sono allora altro che la prioiezione destoricizzata della sua personale polemica (del tutto legittima, ed anzi parzialmente fondata) contro l'ipocrisia della cultura borghese del suo tempo, e della sua variante pi insopportabilmente filistea, quella della cultura universita- ria tedesca, cui per sua fortuna Marx sfugg completamente (una sola cosa  sicura: un Marx professore in una universit tedesca non avrebbe mai potuto concepire la sua geniale critica dell'economia politica, che per sua natura ignora del tutto i confini disciplinari, laddove il Limite Disciplinare  la sola religione di questa casta di senza Dio). Vi  qui allora il filo rosso della continuit tra il pensiero greco e quello ontologi- co-sociale contemporaneo: il rapporto di conformit o meno fra l'individuo e il ge- nere, non mediato dallappartenenza castale precedente (India), o da una divinit trascendente, sia in versione esclusivistico-particolare (ebraismo), sia in versione universalistica (cristianesimo e Islam, in tutte le loro versioni differenziate). Non si tratta allora di parlare bene o male di queste mediazioni castali e/o monoteistiche. Ognuno pu opinare (meinen) come vuole, pu sposarsi con chi vuole, e pu aderire a ci che crede. L'importante  che non scambi - come si dice popolar- mente - fischi per fiaschi. 47 VI. LA GENESI ONTOLOGICO-SOCIALE DEL MESSIANESIMO RELIGIOSO ESCLUSIVISTA NELL'ANTICO ISRAELE Personalmente non so se noi europei di oggi proveniamo da Atene, da Gerusalemme o da tutte e due. Lo statuto epistemologico di questo dilemma  certamente superiore a quello a quello del conflitto simbolico fra Roma e Lazio e fra Milan ed Inter, ma non di molto. Di una cosa per sono moderatamente sicuro, e la enuncer cos: sulla base della tradizione filosofica dellantico Israele non  possibile arrivare ad una visione ontologico-sociale del mondo. Affermazione in- dubbiamente antipatica, ed inoltre politicamente scorretta. E tuttavia, in filosofia le affermazioni si argomentano razionalmente, ed  ci che cercher di fare in questo capitolo. Vi  oggi un pregiudizio infondato, per cui gli ebrei sarebbero stati gli invento- ri del monoteismo, e quindi i fratelli maggiori dei cristiani posteriori. Si tratta di due falsit, 0, se vogliamo esprimerci in modo pi moderato e secondo i vincoli del politicamente corretto odierno  divinit idolatrica non migliore di molte di- vinit idolatriche antiche , di due posizioni inesatte. Per quanto concerne il cri- stianesimo, esso per potersi costituire dovette rompere con l'ebraismo del tempo in modo radicale, in quanto le eresie devono rompere con le ortodossie con molta maggiore virulenza di quanto debbano demarcarsi o coesistere con religioni com- pletamente diverse (in quel caso, il politeismo greco-romano). E dovette rompere, perch questo presunto fratello maggiore non poteva consentire su almeno due punti qualificanti della nuova religione, il carattere messianico di Ges di Nazareth (figuriamoci poi sulla credenza della sua resurrezione dopo la morte!) ed il carat- tere universalistico e non tribale-particolaristico del suo messaggio. Anche Caino e Abele e Romolo e Remo erano fratelli, ma non per questo dovremo evitare per buonismo concordistico posteriore la verit storica sui loro rapporti conflittuali. Questo non significa ovviamente che i rapporti conflittuali debbano durare per sempre e non possano essere ricomposti pacificamente. Ma tacere per buonismo concordistico ipocrita sulla verit storica non serve a nessuno. In quanto alla cosiddetta invenzione del monoteismo, gi a suo tempo Sigmund Freud, in una sua opera magistrale, sostenne che gli ebrei avrebbero do- vuto farsi psicanalizzare collettivamente per liberarsi dalla loro nevrosi di on- nipotenza e si superiorit sugli altri popoli, ed il miglior modo di farlo sarebbe consistito nel riconoscimento razionale del fatto che il loro monoteismo non era affatto un meraviglioso prodotto autoctono dovuto alla predilezione che Dio aveva nei loro confronti (un Dio che predilige qualcuno  la bestemmia pi grande verso la divinit che si possa concepire, ed  stato proprio l'ebreo Spinoza a di- 49 CarrroLo VI struggere limmagine di un Dio concepito in modo antropomorfico come qualcuno che predilige), ma era derivato dalla religione monoteistica egiziana del faraone Akhenaton (e vedi su questo anche gli studi storici di Jan Assmann). In proposito, la lettura del romanzo storico di Mika Waltari, Sinuhe lEgiziano,  storicamente pi attendibile dell'intero Antico Testamento. Ho volutamente iniziato con la citazione di due ebrei perseguitati, e cio Baruch Spinoza e Sigmund Freud (anche il secondo lo fu, perch dovette abbandonare Vienna poco prima di morire), perch la rilevazione della sciocca arbitrariet della presunta invenzione del monoteismo non ha ovviamente nulla di antisemiti- co. E non solo non ha nulla di antisemitico, ma  anche uno strumento razionale di lotta contro l'antisemitismo, perch lantisemita si nutre di una presunta diver- sit (non importa se superiore o inferiore) del popolo ebraico, e succhia questa diversit come il ragno succhia la mosca incappata sciaguratamente nella sua ra- gnatela. Lottare contro l'antisemitismo, e nello stesso tempo riconoscere al popolo ebraico una presunta diversit radicale di tipo etnico-religioso (diversit di cui si nutrono appunto i sionisti religiosi fondamentalisti e gli antisemiti di ogni tipo), equivale a cercare di spegnere le fiamme buttandogli sopra dei fiammiferi accesi. Il vero presupposto filosofico di ogni razionale lotta allantisemitismo consiste infatti (ma gi gli ebrei razionali ed intelligenti Baruch Spinoza e Sigmund Freud lo sape- vano) nel ristabilimento dellassoluta normalit del popolo ebraico. Gli ebrei non furono infatti per nulla i fondatori del monoteismo, e numerosi studi storici recenti testimoniano che il loro monoteismo fu un fatto relativamente recente, preceduto da un robusto politeismo anteriore. E questo fatto mi permet- te di aprire un'importante parentesi teorica sul modo ontologico-sociale, e non aprioristico, di considerare i tre grandi complessi del politeismo, del monoteismo e dellateismo. Non si tratta infatti di crederci (0, viceversa, di non crederci, in quanto il credere ed il non credere sono solo posizioni opposizionali-com- plementari dell'intelletto, laddove la ragione li esamina necessariamente nella loro unit contraddittoria). Si tratta allora di considerarli nel loro aspetto filosofico. Politeismo, monoteismo ed ateismo sono posizioni che riflettono tutte e tre in vario modo una comprensione ontologica parziale dell'unione fra il macrocosmo naturale ed il microcosmo umano-sociale. Il politeismo riflette l'esistente pluralit delle diverse forze della natura e dell'agire sociale umano, e per questo non  af- fatto primitivo e neppure inferiore al monoteismo, e sul fatto che non sia affat- to inferiore hanno concordato pensatori eminenti come David Hume, Friedrich Nietzsche e Max Weber. Il monoteismo, invece, riflette ed interpreta correttamente lidea dell'unit universalistica della ragione umana e su questa base dell'intero ge- nere umano. In questo senso il Dio (Gott)  solo la proiezione del Genere (Gattung), e questa proiezione in s non  neppure unalienazione (Entfremdung), come a suo tempo sostennero almeno tre pensatori che mi interessano (nell'ordine, Feuerbach, Marx e Lukcs). Per dirla in modo sintetico-paradossale (ma ci ritorneremo pi avanti), a mio avviso il capitalismo aliena necessariamente, mentre la religione in s non aliena necessariamente, ma aliena soltanto in alcuni casi (peraltro abbastanza 50 La genesi ontologico-sociale del messianesimo religioso esclusivista nell'antico Israele numerosi storicamente). L'ateismo, infine, riflette correttamente l'esigenza di au- tonomia e di indipendenza assoluta della ragione umana universalistica di potersi pensare senza alcuna mediazione simbolica di tipo politeistico e/o monoteistico. Politeismo, monoteismo ed ateismo devono quindi essere messi sullo stesso piano come sintesi unitarie parziali della stessa comprensione essenziale di una totalit olistica razionale. Il politeismo ne interpreta il principio del pluralismo vi- talistico, il monoteismo il principio dell'unit universalistica della ragione, e latei- smo infine il principio dell'autonomia e dellindipendenza radicale della ragione umana autofondata. Per questo motivo, una corretta impostazione ontologico-so- ciale non dovrebbe contrapporli luno allaltro, ma tematizzarne l'essenziale loro complementariet. Non sono quindi d'accordo con quei pensatori (e cito qui, un po alla rinfusa, Alain de Benoist, Michel Onfray e lo stesso Jan Assmann) che sostengono la supe- riorit del politeismo e dellateismo sul monoteismo in base alla teoria della cosid- detta tolleranza pluralistica. Mentre infatti per sua stessa natura il monoteismo avrebbe una concezione monopolistica, esclusivistica e totalitaria della verit (il mio Dio  lunico vero, e tutti gli altri sono falsi e bugiardi, per cui chi ci crede  infedele), con le ben note conseguenze politiche (crociate, jihad islamica, ecc.), il politeismo per sua propria natura sarebbe invece tollerante e pluralista, in quanto non avrebbe alcuna riserva nellincludere nuove divinit nel suo Pantheon affolla- tissimo. E non sono d'accordo non perch queste argomentazioni siano infondate, ma perch in un'ottica ontologico-sociale le cause materiali della tolleranza, o vicever- sa dellintolleranza, non devono mai essere fatte risalire e ricondotte ad un profilo simbolico (monoteistico, politeistico o ateistico che dir si voglia), ma devono sem- pre essere rintracciate nell'uso ideologico di questi profili simbolici, che abbiamo visti essere parziali e complementari, e non esclusivi. Il politeismo pu tran- quillamente essere intollerante (esempi sommari: gli assiri, i mongoli, le espan- sioni militari romane, ecc.), cos come pu essere intollerante lateismo (esempio: l'ideologia atea del regime sovietico staliniano e post-staliniano). Non sono quindi intolleranti per natura n il politeismo, n il monoteismo, n lateismo, ma tutti e tre devono essere sottoposti ad analisi ontologico-sociale nei loro due versanti dellinterpretazione filosofica globale del mondo e del loro uso di legittimazione politico ed ideologico. Ritornando alla questione dell'ebraismo, sono personalmente d'accordo con lin- terpretazione dello storico italiano Mario Liverani, che connota l'Antico Testamento in termini di grande romanzo identitario, costruito in un'epoca relativamente tar- da sulla base di una integrale retroazione post-esiliaca (posteriore cio all'esilio col- lettivo a Babilonia, dove il popolo ebraico era stato deportato dal re babilonese Nabucodonosor), elaborata e scritta soltanto dopo che Ciro il Grande, fondatore dell'impero persiano a base ideologico-religiosa zoroastriana, permise agli ebrei di ritornare in Palestina, da loro conquistata circa mezzo millennio prima sulla base di spaventosi massacri di indigeni. 51 CarrroLo VI Ciro il Grande aveva una politica religiosa pluralistica, che raddoppiava nel mondo della simbologia astratta un fatto materiale concreto, e cio che l'impero persiano imponeva imposte differenziate in aree geografiche e sociali appartenenti a differenziatissimi modi di produzione. Per questa ragione, che Marx avrebbe correttamente definito strutturale (la pluralit estrema dei modi di produzione e dei sistemi di vita dell'impero persiano, testimoniata dalle meravigliose Storie di Erodoto, vera chiave interpretativa indiretta anche dell'Antico Testamento ebrai- co), l'impero di Ciro non impose n l'obbligo della lingua persiana (la lingua di comunicazione commerciale di questo impero rest laramaico, che fra laltro era anche la lingua parlata dagli ebrei), n l'obbligo della conversione alla religione zoroastriana, che rest esclusivamente la religione nazionale dei soli persiani. La sovrastruttura pluralistica persiana fu quindi il riflesso della sua struttura geo- graficamente ed economicamente differenziata. In questo contesto, Ciro sollecit attivamente tutti i popoli del suo impero, e gli ebrei in primo luogo, a dotarsi di libri sacri, e cio di testi scritti di legittimazione religiosa. Per questa ragione Yahweh, che era allinizio l'oggetto di un culto di tipo tribale- identitario aggiunto per ad altre divinit della zona (Baal, Astarte, divinit minori della terra e della fertilit, ecc.), divent il Dio Unico degli Ebrei. Secondo Liverani, allinizio tutta questa simbologia era ancora incorporata allinterno del politeismo egiziano, ma a partire dal XII secolo avanti Cristo l'Egitto decade, e mostra di non essere pi in grado di garantire la sicurezza in cambio della fedelt. Il riferimento egiziano del Patto si rompe definitivamente, e questa rottura viene sancita sim- bolicamente con il cosiddetto esodo dall'Egitto, dovuto alla persecuzione del faraone contro Mos, cui viene peraltro apertamente riconosciuto il titolo e il ruolo di principe egiziano (e ricordo ancora Freud ed Assmann, che insieme a Liverani sono le mie fonti principali dirette  ve ne sono anche altre, che non nomino per brevit). La costituzione storica del monoteismo ebraico particolare implica ovviamente molti elementi, dalla purezza razziale (su cui l'insistenza  ossessiva, e francamen- te sgradevole agli occhi di un contemporaneo, anche perch quasi sempre legata a massacri tribali spaventosi, vedi il mostruoso Deuteronomio) alla responsabilit personale del singolo rispetto al suo Dio esclusivistico, ecc. L'Antico Oriente ci aveva abituato alla strage selettiva, in cui venivano squar- tati e sterminati i membri delllite politico-militare e religiosa degli avversari, e di cui i bassorilievi assiri ci forniscono innumerevoli plastiche rappresentazioni in terracotta. Ma nell'Antico Testamento vi  una novit: il massacro razziale generalizzato. Mi rendo conto del carattere sgradevole e politicamente scorretto di quanto dico, ma non saremo lontani dal vero affermando che limperdonabile ed inaccettabile Hitler  stato un diligente allievo del Deuteronomio. Liverani rileva en passant che anche il cosiddetto herem, la maledizione biblica, era funzionale al totale rimpiazzo dei popoli estranei da parte dell'unico po- __polo eletto. Si tratta di una vera e propria strategia teologica di potenziamento del 52 La genesi ontologico-sociale del messianesimo religioso esclusivista nell'antico Israele potere, il cui aspetto odioso  lesclusivismo razziale, e l'aspetto positivo  invece lindividualizzazione del rapporto fra il singolo ed il suo Dio unico. Questa unit dei contrari implica ovviamente che questo Uno si divida in due, dando luogo a due opposti contraddittori, il Dio di George Bush e del messianesi- mo ideocratico americano dei neo-conservatori (neocons), da un lato, ed il Dio dei grandi pensatori ebraici universalistici (Spinoza, Bloch, Benjamin, ecc.), dall'altro. Da un lato, c' il Dio esclusivo e legato di fatto ad un singolo popolo eletto (un tempo gli ebrei, oggi gli americani del Destino Manifesto e della Casa sulla Collina, il popolo che lo svergognato bestemmiatore Bill Clinton ha spudoratamente definito nel suo discorso dinsediamento alla Casa Bianca l'unico popolo indispensabile nel mondo), il Dio in nome del quale si gettano le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki e si invade lIrak nel 2003, il Dio in nome del quale si moltiplicano le basi militari in tutti i paesi del mondo, pianificando ossessivamente la prossima guerra con la connivenza di un'Europa asservita e terrorizzata. Dall'altro lato, invece, c' la grande tradizione umanistica ebraica che ha progressivamente universalizza- to l'originale profilo razzistico ed esclusivistico, i cui due grandi esponenti storici sono stati Spinoza, il molitore di lenti, e Karl Marx, il nipote di un rabbino ebraico di lontana origine marocchina, da cui Marx aveva ereditato la carnagione scura (gli amici lo chiamavano infatti il Moro). Detto questo, passiamo finalmente ai Greci. Devo ammettere al lettore che lo faccio con un sospiro di sollievo, nel doppio significato di contenuto e di compe- tenza specialistica. 53 VII. IL PASSO FALSO INIZIALE. LA RICOSTRUZIONE DI ARISTOTELE DELLA STORIA DELLA FILOSOFIA PRECEDENTE E LA SCIAGURATA SUCCESSIVA FILASTROCCA DI OPINIONI La prima storia scritta della filosofia occidentale  contenuta nella Metafisica di Aristotele, e da allora  sempre servita da modello a tutte le storie successive della filosofia fino ad oggi. Le ragioni di questo indiscutibile successo, che dura da pi di duemila anni, sono l'oggetto principale di riflessione di questo settimo capitolo. Aristotele si occupa dei suoi predecessori in modo totalmente destoricizzato e desocializzato, ed  proprio questa sintesi di destoricizzazione e di desocializ- zazione che  evidentemente piaciuta a tutti i suoi successori. Si tratta dunque di trovare le ragioni storiche e sociali che spiegano perch  piaciuta loro cos tanto. E non sar neppure difficile farlo, se useremo un corretto metodo di indagine stori- co-genetico ed ontologico-sociale. Facciamo, per, un passo per volta. Aristotele classifica le posizioni filosofiche che gli stanno alle spalle attraver- so un criterio, il criterio delle Quattro Cause (materiale, formale, efficiente e finale). Il criterio delle Quattro Cause distinte sta alla base della sua considerazione unitaria del mondo della natura e di quello della societ. Anche la societ, per esempio,  caratterizzata da una causa finale (la vita buona, eu zen). In questo c' sicuramen- te un'eredit indiretta dell'intuizione olistica del pensiero primitivo e della sua unione ontologica fra macrocosmo naturale e microcosmo sociale. Ma, nello stesso tempo, questa unit  gi stata abbondantemente fessurata, ed il mondo sociale  gi ampiamente trattato secondo categorie sue proprie distinte da quelle natura- li. Ovviamente, regna sempre il presupposto dell'unit ontologica delle categorie dell'essere e delle categorie del pensiero, per le ragioni gi ampiamente segnalate in precedenza: non cera nessun bisogno di delegittimare kantianamente le pretese metafisiche di chiese monoteistiche, visto che nel mondo di Aristotele di queste chiese non c'era nemmeno l'ombra. Aristotele descrive comunque un'astratta divi- nit con cinque diverse determinazioni complementari (Atto Puro, Motore Immobile, Causa Prima, Pensiero del Pensiero e Fine Ultimo). La teologia monoteistica cristiana posteriore (Tommaso d'Aquino, ecc.) individuer la principale (e pi utile ai suoi scopi) determinazione nella terza, e cio nella Causa Prima, identificata con il Dio biblico. Identificazione, quest'ultima, di cui la teologia domenicana porta linte- ra responsabilit, in quanto lidentificazione della Causa Prima aristotelica con la Creazione Divina biblica andava contro la lettera e contro lo spirito di Aristotele che, tuttavia, essendo gi morto da tempo, non poteva pi protestare. Come tutti i Greci, Aristotele partiva dal presupposto dell'eternit della materia caotica, in- dipendentemente dal fatto che per alcuni questa materia caotica possedeva in se stessa la capacit di darsi una propria forma (Epicuro, ecc.), mentre per altri la for- 55 CarrroLo VII ma doveva esserle data dall'esterno (il nous di Anassagora, il demiurgo platonico, ecc.). In ogni caso, luso teologico medioevale di Aristotele fa parte di una storia che esamineremo pi avanti. Il nostro filosofo applica alla classificazione delle diverse teorie filosofiche pro- poste nei circa trecento anni precedenti il metodo delle Quattro Cause. Vi sono in- fatti i filosofi che hanno privilegiato le cause materiali (l'acqua di Talete, laria di Anassimene, l'infinito  indeterminato  apeiron di Anassimandro, ecc.), filosofi che hanno privilegiato le cause formali (il numero in Pitagora, lidea in Platone, ecc.), filo- sofi che hanno negato ogni causa efficiente ed ogni causa finale (Democrito, ecc.), facendo cadere gli atomi nel vuoto (vuoto  come  noto  negato da Aristotele) in una totale casualit, e filosofi invece che le hanno affermate entrambe (lui stesso, per es.). Questa classificazione  totalmente destoricizzata e desocializzata, in quan- to tutti questi filosofi potrebbero idealmente essere riuniti intorno ad una grande tavola rotonda, in cui ognuno prende la parola e sostiene la sua opinione. Non pos- siamo stupirci del fatto che questa concezione destoricizzata e desocializzata della filosofia abbia incontrato lentusiastica approvazione dei professori universitari e dei loro seguaci subalterni (i professori liceali), in quanto questa concezione viene incontro alla loro spontanea rappresentazione del mondo, in cui ognuno  seduto ad un tavolo ed entra in competizione dialogica con altri colleghi, finch la pro- posta pi intelligente  adottata dai loro committenti esterni (divisi in politici ed in ricchi finanziatori). I primi filosofi sono quindi concepiti come la proiezione di colleghi nel frat- tempo defunti. Questi colleghi sono certamente stati volenterosi, tenendo conto della mancanza di laboratori e della loro imbarazzante ignoranza delle scienze naturali moderne e dei metodi attuali di rilevamento sociologico (sondaggi, ecc.). E tuttavia essi sono anche inevitabilmente superati, non potendo ancora tener conto del big bang, della deriva dei continenti, della sfericit della terra, della gra- vitazione universale, della teoria dell'evoluzione della specie, e soprattutto del di- sincanto postmoderno verso le cosiddette grandi narrazioni. I primi filosofi diventano cos tutti dei volenterosi colleghi purtroppo ancora largamente disinformati. Aristotele non ha certamente colpa di questa pittoresca deformazione della sua classificazione. E nello stesso tempo la prima domanda che ci porremo sar la seguente: questa classificazione aristotelica pu essere in qual- che modo corretta, o deve essere decisamente archiviata e sostituita? La risposta deve essere netta: questa concezione aristotelica deve essere filolo- gicamente studiata, ma deve anche essere archiviata e sostituita. Archiviata, perch fa parte dell'archivio storico delle grandi produzioni concettuali umane. Sostituita, perch ci d un'immagine deformata delle origini della filosofia, origini ricostruite in totale assenza dell'elemento storico-genetico e di quello ontologico-sociale. Ci si pu chiedere, naturalmente, come  stato possibile che un grande pen- satore come Aristotele abbia potuto creare un simile capolavoro classificatorio di destoricizzazione e di desocializzazione. A questa domanda non possiamo rispon- dere, perch Aristotele  ormai morto da tempo, e non possiamo chiederglielo. Ma 56 Il passo falso iniziale. La ricostruzione di Aristotele della storia della filosofia precedente possiamo razionalmente ipotizzare che nessuno pu chiamarsi fuori dal proprio tempo, cos come il barone di Minchhausen non pu salire in cielo tirandosi da solo per il proprio codino. Il punto di vista della genesi storica dei fenomeni non  certamente innato nell'uomo, ma sorge soltanto ad un certo punto dello sviluppo storico, ed  legato al pi ampio concetto di storia universale unificata in un solo concetto trascendentale-riflessivo, che secondo lo studioso tedesco Koselleck non sorge in Europa prima della seconda met del Settecento.  possibile avanzare una cauta ipotesi. Aristotele chiude nel modo pi brillante possibile il primo periodo unitario del pensiero greco, il periodo che va da Talete, Pitagora, Parmenide, Eraclito ed Anassimandro fino a lui stesso compreso, ed  allora del tutto naturale che ne tracci un bilancio anch'esso unitario. Il secondo periodo unitario del pensiero greco, da Epicuro a Plotino, non era ancora iniziato, ed Aristotele non poteva certamente presagirne e prevederne la natura e gli svi- luppi (pi esattamente, la natura individualistico-privatistica ed i posteriori svi- luppi religiosi; il privatismo provoca, ed in un certo senso addirittura invoca la compensazione religiosa). Vediamo qui plasticamente davanti a noi la madornale erroneit del punto di vista storiografico che divide questo periodo profondamen- te unitario in due fasi successive, la fase detta presocratica e la successiva fase socratico-platonica. Qui sta il secondo pi grande riorientamento gelstaltico cui siamo chiamati nella considerazione storiografica della filosofia greca. Il primo ri- orientamento gelstaltico - come si  detto in precedenza  sta nello smettere di considerare i filosofi greci come professori universitari intorno ad una tavola ro- tonda che enunciano luno dopo laltro profonde verit differenziate che si tratta di scegliere secondo i nostri gusti e le nostre preferenze (c il vuoto? c' il pieno? c' Dio? c' il caso? c' lacqua? c' l'infinito? ci sono le idee eterne delliperuranio? ci sono sono soltanto i concetti astratti? e via pluralisticamente opinando). Il se- condo riorientamento gelstaltico sta nello smettere di dividere i primi filosofi greci in socratici ed in presocratici. Questa divisione ha ovviamente alle spalle un fatto incontrovertibile, il fatto cio che i dialoghi di Platone ci sono pervenuti, ed in que- sti dialoghi Socrate  il rappresentante indiscusso della posizione filosoficamente corretta contro i cattivi sofisti, relativisti e convenzionalisti. Ma questo teatro filosofico, che peraltro integra gli altri due teatri ateniesi, quello tragico e quello comico,  un episodio esclusivamente ateniese. Atene  stata centrale, indubbiamen- te, ma non pu cancellare lunitariet del pensiero greco. Lo stesso Platone (e ne parleremo nel quattordicesimo capitolo)  almeno altrettanto pitagorico di quanto  stato socratico. Aristotele chiude quindi un periodo storico unitario ed omogeneo (in questo-stesso saggio i capitoli dallottavo al sedicesimo fanno parte di ununi- ca trattazione, spezzata unicamente per ragioni di migliore leggibilit e chiarezza analitica), e questo fu un esempio ben compreso da Hegel nelle sue Lezioni sulla Storia della Filosofia, su cui avr modo di tornare ampiamente in seguito. Il bilancio che fa Aristotele dei suoi predecessori  certamente destoricizzato e desocializzato, ma  anche unitario, e rimproverare ad Aristotele di non aver letto Marx sarebbe una sciocchezza imperdonabile ed un anacronismo ridicolo. 57 Carrroro VII E tuttavia, perch questa ridicolaggine della storia destoricizzata e desocializza- ta della filosofia, ricostruita come dossografia di opinioni, ha potuto durare cos a lungo, e tuttora furoreggia incontrastata? In fondo, la storia della filosofia  l'unico campo disciplinare in cui ci si  fermati a Diogene Laerzio, il quale si distingue appunto per una concezione puramente dossografica della filosofia stessa, e tutte le concezioni alternative, da Hegel a Sohn-Rethel, sono state respinte, mentre il cosiddetto marxismo non ha certamente saputo offrire un'alternativa sensata, sacralizzando per pi di un secolo la penosa Lavagna dei Cattivi e dei Buoni (e cio dei cattivi idealisti e dei buoni materialisti, proiezione ideologica retroattiva dello scontro ideologico fra borghesi e proletari, destra e sinistra, progressisti e conser- vatori). Non possiamo certamente limitarci a quanto detto prima sulla visione sponta- nea del mondo dei professori universitari. Ci siamo concessi una parentesi umori- stica innocente. Tutti i gruppi sociali, dai professori universitari agli scommettitori sulle corse dei cavalli, dalle prostitute ai primari di ospedale, dai killer della mafia ai commercialisti, ecc., producono una propria visione del mondo costruita sulla proiezione ideale della propria pratica lavorativa. E quindi non possiamo accon- tentarci di questa tragicomica spiegazione. Bisogna andare pi in profondit, e non sempre  facile farlo senza cadere in semplificazioni ed in riduzionismi. E tuttavia non possiamo sottrarci ad un tentativo di spiegazione. Il modo di studiare, insegnare, divulgare e scrivere la storia della filosofia  lultimo anello della catena di un insieme articolato di configurazioni politiche, economiche e sociali, che costituiscono quello che potremo definire societ, e che Marx ha proposto di studiare attraverso il filtro metodologico del concetto di modo di produzio- ne. Finora abbiamo conosciuto tre modi di produzione basati sullo sfruttamento (schiavistico, feudale e capitalistico), pi una quarta formazione economico-socia- le che si  mostrata largamente incapace di costruire una societ postcapitalistica accettabile (il comunismo storico novecentesco, o socialismo realmente esistito).  quindi normale che in tutti e quattro questi tipi di societ abbia regnato una con- cezione ideologica caratterizzata dalla destoricizzazione e dalla desocializzazione dell'immagine unitaria della riproduzione dell'insieme sociale. La storia della fi- losofia non poteva che esserne lultimo e pi irrilevante anello della catena. ora Cerchiamo ora di raddrizzare, anche se in modo largamente inadeguato, questo lungo filo storico ideale. 58 VII. IL POEMA DELLA NATURA DI ERACLITO SECONDO LINTERPRETAZIONE DEL GRAMMATICO ALESSANDRINO DIODOTO Un'interpretazione storico-genetica ed ontologico-sociale delle origini della filo- sofia greca dovrebbe iniziare logicamente da una decifrazione del famoso fram- mento di Anassimandro, in cui  contenuto il segreto nascosto nello scrigno del tempo. Se per ho deciso di rimandare lanalisi del frammento di Anassimandro al capitolo undicesimo, iniziando invece dall'analisi del poema sulla natura (phy- sis) di Eraclito, ci avviene perch qui abbiamo una miracolosa fonte storiografica diretta che risale a duemila anni fa, quella del grammatico alessandrino Diodoto. Prima ancora, ad ogni modo, bisogna seguire il consiglio del film di Woody Allen, per cui prima di uscire con una ragazza bisogna farsi una doccia e profumarsi sotto le ascelle. L'equivalente teorico di questa operazione deduttiva di Woody Allen  la liberazione da almeno quattro deformazioni intollerabili. Ne ho gi parlato, ma conviene ritornarci sopra. Possiamo definire le quattro deformazioni intollerabili in termini di Scuole alla Rovescia, di scuole cio che rovesciano qualsiasi corretto approccio storico-gene- tico ed ontologico-sociale al problema che ci interessa. Nellordine le definirei la Scuola della pensata casuale geniale, la Scuola dei colleghi scienziati primitivi non ancora purtroppo sufficientemente informati, la Scuola dei sapienti generici matti come un cavallo, ed infine la Scuola dei precursori dello scontro politico fra destra e sinistra. Il lettore mi consenta un po di timido umorismo, perch  meglio riderci sopra che arrabbiarsi. La Scuola della pensata casuale geniale ci informa che alcuni Greci della at- tuale costa turca dell'Anatolia, ad un certo punto della storia, cominciarono a cer- care larch (il fondamento, il principio e l'origine delle cose), e qualcuno lo trov nell'acqua, qualcun altro nell'aria, qualcuno pens che ci fosse soltanto il vuoto in cui gli atomi si uniscono a caso, qualcuno invece pensava che tutto fosse pieno, ecc. Si tratta di affermazioni talmente generiche e banali da chiedersi se basta veramen- te cos poco per conseguire l'immortalit. E ci mi ricorda mia nonna, la cui cultura artistica si era fermata agli impres- sionisti francesi, per cui tutte le avanguardie posteriori erano formate da farabutti e cialtroni che guadagnavano milioni con gli scarabocchi. Ogni volta che vedeva in fotografia un Picasso sosteneva fieramente: Questo riesco a disegnarlo persino io!, per cui ho trascorso la mia prima infanzia a chiedermi seriamente perch non lo facesse, in modo da poter diventare ricchi come pasci e non dover misurare i soldi per la spesa come faceva invece mia madre. Solo pi tardi ho acquisito una cultura artistica di tipo maggiormente storico. Queste miscele di acqua, aria, atomi 59 CarrroLo VII ed altri pasticci mi ricordano peraltro anche un comico di una vecchia trasmissione televisiva italiana, che parlava in continuazione di brodo primordiale. La Scuola dei colleghi scienziati primitivi non ancora purtroppo sufficiente- mente informati, non avendo conseguito una laurea scientifica in qualche dipar- timento universitario (ripeto qui quanto gi anticipato nel precedente capitolo), rappresenta limmagine spontanea che il positivismo ha sistematizzato ormai da quasi duecento anni. Prima ci sono stati dei volenterosi pasticcioni che cercavano i principi materiali delle cose, e bisogna comunque ringraziarli per aver sostituito druidi, stregoni, sciamani, aguri ed aruspici, ma la loro funzione si  esaurita del tutto quando, a partire dal Seicento, sono arrivati degli scienziati veri (sottoli- neato veri) a calcolare ed a sperimentare. Non basta dire acqua, bisogna anche misurarne la temperatura. Misurata la cosiddetta materia, la filosofia perde del tutto di ruolo e di significato. Si tratta ormai solo pi di una chiacchiera inutile, che i buoni scienziati sopportano semplicemente perch hanno ben altro da fare che chiacchierare con tronfi sapientoni. Se qualcuno crede che abbia esagerato, si vede che non ha mai ascoltato quello che dice il novanta per cento (valutazione bassa) dei cosiddetti scienziati, la cui ignoranza della funzione storica e sociale della filosofia oscilla in genere fra il pittoresco e linsopportabile. La Scuola dei sapienti matti incurabili si ferma stupita di fronte a personag- gi che affermano da un lato che lEssere , e non pu non essere, e dall'altro che niente , e tutto diviene, e solo il divenire esiste. L'insensatezza di queste generiche idiozie  tale da stupirsi per la pazienza con cui vengono ascoltate. Che cosa vuol dire che lEssere ? Che Dio esiste, e non cambia mai idea nella sua vita eterna? Che il mio cane Fido ed il mio gatto Marameo sono? Che si diventa vecchi, e di- ventando vecchi si diventa anche rincoglioniti? Che c' una palla sferica in cielo che rimane l per sempre? Potremmo continuare con questa insensata e demenziale elencazione, ma non ce n' ragione. Il fatto che la maggior parte delle persone, messe di fronte a queste banalit sapienziali, stia zitta e non reagisca, per di pi talvolta colpevolizzan- dosi per la propria ignoranza, ricorda la paura di osare fare brutta figura contenuta nel detto Tutto ci che avreste voluto sapere sul sesso e non avete mai osato chie- dere. Ma cosa saranno mai dunque questo essere e questo divenire? Sarebbe interessante fare un'inchiesta sui lettori degli articoli de Il Corriere della Sera scritti dal sapiente bresciano Emanuele Severino. Soltanto la pietas mi impedisce di conti- nuare a rigirare il coltello nella piaga. E tuttavia il male che fanno alla filosofia (non ad una scuola filosofica particolare fra le altre, proprio alla filosofia in quanto tale, come pratica sociale potenzialmente universalistica cui tutti hanno diritto) questi sapienti oracolari  molto grande, e non dovrebbe essere messo sotto silenzio per cautela accademica o timore reverenziale della plebe verso coloro che hanno ac- cesso al circo mediatico. La Scuola dei precursori dello scontro politico fra destra e sinistra affronta il problema degli antichi Greci come se costoro avessero anticipato lo scontro epo- cale tra Prodi e Berlusconi, tra fascisti e antifascisti, borghesia e proletariato, atei 60 Il poema della natura di Eraclito secondo linterpretazione del grammatico alessandrino Diodoto e credenti, materialisti ed idealisti, progressisti e conservatori, ecc. Da una parte lakropolis, polo elevato in cui si concentrano sacerdoti, filosofi idealisti, conserva- tori, ecc. Dall'altra parte lagor, il mercato ed il luogo delle assemblee democrati- che, dove si concentrano i pensatori laici, gli studiosi della natura, i materialisti che deridono le inesistenti divinit, ecc. Questa quarta scuola  certo migliore delle tre precedenti, perch almeno tenta, sia pure con rigidit bipolare, di abbozzare a grandi linee una deduzione sociale delle categorie del pensiero, e non si limita a far cadere dal cielo delle pensate pi o meno originali. E tuttavia la proiezione nel mondo antico del modello dicotomico contemporaneo non pu portare a nes- sun vero risultato interpretativo. A chi appartiene Pitagora, allakropolis o all'agor? E se appartiene allakropolis dei sapienti dittatori collegiali, allora come  possibile che il pitagorico Clistene abbia stabilito la costituzione politica pi democratica mai esistita? Gli studenti liceali ed universitari del primo anno di filosofia dovrebbero essere difesi sul piano civile, penale ed amministrativo nei loro diritti soggettivi e nei loro interessi legittimi ad avere della filosofia un'immagine socialmente sensata. Questo saggio, con tutti i suoi probabili difetti, ha di mira proprio questo scopo. Incominciamo da Diogene Laerzio (cfr. IX, 15), che ricorda come il grammatico alessandrino Diodoto aveva gi attestato che il poema di Eraclito sulla natura non trattava in realt della natura, ma dello Stato (politeia), e che la natura (physis) vi stava dentro solo in funzione di modello. Diodoto aveva a disposizione lintero poema filosofico di Eraclito, e non solo i pochi frammenti sparsi di cui disponiamo, frammenti che a prima vista potrebbero far pensare che Eraclito sia stato una sorta di relativista, negatore assoluto della permanenza di alcunch, per cui il succo del suo discorso avrebbe potuto ridursi al famoso detto generico ed indeterminato tutto scorre (panta rei), detto che esaurisce le vaghe reminiscenze liceali su questo autore. E tuttavia Diodoto  un testimone pi credibile di Aristotele, perch non  un filosofo in proprio, e non sente il bisogno di inserire i suoi predecessori nel proprio sistema. Inoltre, il panta rei non appartiene neppure ad Eraclito, ma all'era- cliteo ateniese Cratilo. Sarebbe come cercare di interpretare Marx senza neppure disporre delle sue opere, ed avendo come unica fonte i commenti di Stalin. Secondo l'eccellente ricostruzione storico-filologica di Antonio Capizzi, la chia- ve della comprensione della metafora naturalistica di Eraclito, che utilizza la physis come modello per spiegare il nomos (in questo caso il polemos) che regge la dinamica della lotta di classe nella polis di Efeso  a quei tempi la pi ricca ed importante citt della Ionia , sta nell'analisi del periodo storico di Ermodoro di Efeso, che rifiut la sottomissione ai persiani del re Dario e restaur lisonomia, e cio l'eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. In quanto seguace ed amico di Ermodoro, Eraclito non pu essere connotato come aristocratico, come fanno tutti gli sciocchi manuali in circolazione, ma semmai come ultrademocratico. A quei tempi i democratici era- no connotati come fautori dellobbligatoriet di scrivere le leggi e di non lasciarle allarbitrio orale dei reggitori (e si pensi alla rivendicazione plebea romana della scrittura delle Dodici Tavole), e per questa ragione Eraclito indica Pitagora come 6l CarrroLo VII caposcuola dei ciarlatani (fr. 81), in quanto Pitagora (in questo maestro di Platone) sarebbe stato un sostenitore delloralit esclusiva delle leggi stesse. Egli equipara la ricchezza privata allinfamia (fr. 125 a); ripete che il popolo deve combattere in difesa delle leggi isonomiche come combatterebbe sulle proprie mura contro il nemico (fr. 44); ed infine questo presunto sostenitore del mobile casino creativo e del tutto scorre afferma letteralmente (fr. 30) che questo ordine  isonomico  identico per tutti non lo ha fatto n un uomo n un Dio. Esso  da sempre,  e sar fuoco semprevivo, che regolarmente si accende e regolarmente si spegne. Come spiegare il fatto che Eraclito, considerato il sostenitore della teoria per cui niente  e tutto scorre (panta rei), sostenga invece lesatto contrario, per cui esiste un ordine da sempre, che  e sar per sempre fuoco semprevivo? Certo, non lo sappiamo con sicurezza. E tuttavia il contesto storico, che conosciamo nelle sue grandi linee (o meglio, lo conosciamo se non ci rifiutiamo di conoscerlo pur poten- dolo fare, conservando cos i nostri pittoreschi pregiudizi), ci dice che quest'uomo decise di rompere con i suoi concittadini che avevano voltato le spalle alla sua costituzione democratico-isonomica, scelse si salire sullacropoli e passare il resto della sua vita a giocare a dadi con i ragazzini, attuando cos una sua personale secessione da una polis in cui non poteva pi riconoscersi, non certo perch era aristocratico, ma proprio al contrario perch era invece ultrademocratico. La filosofia politica presocratica, infatti, si  sempre espressa attraverso metafo- re necessariamente naturalistiche, ed il per physeos (sulla natura) significava anche sempre metaforicamente per politeias (sulla costituzione). Ho scritto necessaria- mente perch a quei tempi il pensare insieme natura e societ passava attraverso la nozione di necessit organica che le collegava (kat to chreon). Mentre in una fase precedente  in cui la separazione fra le classi sociali, ed il conflitto che necessa- riamente ne derivava quando la differenza fra ricchi e poveri diventava infinita e indeterminata (apeiron, aoriston) , questa scissione fra macrocosmo naturale e microcosmo sociale veniva ancora percepita in modo magico-sacrale, ora emerge la necessit di una sua riformulazione razionale (/0g0s). Il grammatico alessandrino Diodoto aveva quindi colto il punto essenziale, lad- dove la classificazione aristotelica delle quattro cause non lo aveva colto. Eraclito aveva probabilmente inteso esprimere in linguaggio naturalistico la compresen- za di un ordine isonomico stabile e perfetto (il fuoco semprevivo che  e sar per sempre) e di un conflitto insanabile (polemos) fra coloro che vogliono mantenerlo e coloro che si fanno trascinare dalla smisuratezza delle passioni private. La lotta di classe non  certo qualcosa che debba essere scoperta n tantomeno inventata, perch  sempre un'evidenza immediata. Possiamo dire che, in un certo senso, Eraclito  stato il primo filosofo (e per questo abbiamo cominciato proprio con lui) che ne ha plasticamente espresso la logica complessiva: da un lato, la costituzione isonomica accompagnata da costumi egualitari e dal rifiuto del lusso e delle ric- chezze eccessive, un logos che  e sar sempre fuoco semprevivo; dall'altro lato, il polemos e la guerra di tutti contro tutti che deriva fatalmente e necessariamente (kat to chreon) dallo scatenamento degli egoismi contrapposti. 62 Il poema della natura di Eraclito secondo l'interpretazione del grammatico alessandrino Diodoto Non  un caso che molti grandi filosofi posteriori (Hegel e Marx in primo luo- go) abbiano tenuto Eraclito in grande considerazione. E non  un caso che tutti gli estimatori del pensiero dialettico (fra cui chi scrive) abbiano ritenuto Eraclito un eminente precursore. E non  un caso, infine, che i rappresentanti della destoriciz- zazione e della desocializzazione nella ricostruzione della storia della filosofia non ci abbiano capito mai assolutamente niente, e si siano limitati a balbettare linsulso mantra per cui tutto scorre, sapere per barcaioli ed idraulici, ma non per storici della filosofia degni di questo nome. Eraclito affront il problema della lotta di classe in termini naturalistici, e non cerc di esorcizzarla. Altri pensatori, invece, ritennero opportuno in qualche modo esorcizzarla, attraverso la mediazione dei rapporti geometrici equilibrati applicati alla societ o attraverso la concettualizzazione astratta (1Essere) della permanenza e della stabilit della buona legislazione. Occupiamocene. 63 IX. IL NUMERO DI PITAGORA ED IL LOGOS COME CALCOLO SOCIALE DELLE BUONE PROPORZIONI GEOMETRICHE NELLA COMUNIT Non  facile individuare con precisione il cuore del pensiero dei Greci. Pochi possono vantarsi di essersi avvicinati, mentre nessuno pu dire di esserci riuscito. Come ha scritto il grande poeta greco moderno Yorgos Seferis, possiamo aggirarci soltanto per le rovine dell'antica Asine, perch del nome del re di Asine non resta che un verso di Omero. E tuttavia fra coloro che si sono avvicinati di pi a questo cuore c' stato certamente Hegel, il pi greco in senso assoluto dei filosofi mo- derni e contemporanei (fra i meno greci citerei, alla rinfusa ma non senza averci prima pensato sopra, Schopenhauer, Kierkegaard, Nietzsche, e ovviamente Kant, il meno greco di tutti in senso assoluto). Secondo Hegel, i Greci hanno ad un tempo animato ed onorato il finito. Animare il finito significa ovviamente rinunciare al concetto biblico-cristiano di creazione, e riconoscere al finito la capacit potenziale di automovimento e di direzione verso la propria finalit che il finito stesso contiene in s (dynamei on). Onorare il finito significa cercare la perfezione non in un infinito smisurato ed in- determinato (apeiron, aoriston), ma proprio nel finito stesso, che  perfetto proprio perch  finito. Altro che uomo copernicano ed universo infinito alla Giordano Bruno! Con tutto il rispetto per il filosofo di Nola bruciato vivo sul rogo nel 1600, la via giusta non sta nelluniverso fisico infinito, ma nel mondo sociale finito! In ogni caso, rimando ai capitoli in cui mi occuper storicamente del Seicento la questione dellinfinitezza metaforica dell'universo nell'et moderna, che presenta aspetti imparagonabili con il mondo dei Greci. Non sarebbe corretto da parte mia accusare gli altri di anacroni- smo e di proiezione temporale indebita, e poi cadere io stesso in questa trappola. E tuttavia, bisogna tornare al problema che ci interessa, e cio che cosa significa esattamente onorare il finito. Onorare il finito significa prima di tutto misurarlo, e cio definirne esattamente la misura (metron). I Greci antichi hanno sempre pensato che bisognasse misurare il finito, perch il finito era una somma di entit finite caratterizzate da una pro- priet anch'essa misurata. Si tratta evidentemente di un approccio razionalistico alla lotta di classe (George Thomson). Questo approccio razionalistico alla lotta di classe caratterizza unitariamente tutto il primo periodo della filosofia greca, da Pitagora ad Aristotele compreso, e cio dalla misurazione delle proporzioni geome- triche intese in senso sociale (le proporzioni fra ricchezze e le proporzioni di potere politico), tipica della scuola di Pitagora, fino alla distinzione tra economia e cremati- stica, tipica della filosofia di Aristotele. 65 CarrtoLo IX Cos come la concezione numerica della scuola di Pitagora non ha nulla in co- mune (nonostante le apparenti somiglianze superficiali) con la quantificazione ma- tematica della natura della posteriore scienza di Galilei e con il posteriore domi- nio sulla natura di Bacone, nello stesso modo la scienza economica di Aristotele, basata sulla distinzione fra economia e crematistica, non ha nulla in comune con la posteriore scienza economica di Adam Smith, che  in realt una crematistica dellin- dividuo che usurpa il nome di economia sociale. Ma su tutto questo nodo di problemi rimando ai relativi capitoli. Il calcolo (logos) delle proporzioni geometriche in Pitagora (la matematica greca non conosceva ancora il calcolo algebrico, ma derivava invece dalle misurazio- ni terrestri dellantico Egitto e dalle misurazioni celesti dell'antica Mesopotamia)  una proiezione diretta della necessit di conservare nellorganizzazione socia- le della politeia (la costituzione della polis, che peraltro Pitagora, a differenza di Eraclito, preferiva non scritta, e qui sta il carattere aristocratico della sua natura socio-politica) una giusta proporzione. Tutti i paradossi (tipo quello di Achille che non raggiunge mai la tartaruga) non erano certo gli stupidi giochini che sono diventati nel demenziale insegnamento odierno della filosofia, ma erano le problematizzazioni serissime che derivavano dalla pretesa pitagorica di misurare il mondo, e di poter in questo modo trovare le giuste proporzioni sociali della propriet, del potere e del consumo. La stessa scelta della dieta vegetariana per i governanti esprimeva anch'essa, da un lato, lintuizio- ne olistica dell'unit del vivente fra uomini ed animali, e testimoniava dall'altro il metron nella dieta stessa. Ma cos' dunque questo metron da misurare? Non  certamente il numero di Galilei o del gran libro della natura scritto in caratteri matematici delle neces- sarie dimostrazioni e delle sensate esperienze del nostro astronomo pisano. Il me- tron  un concetto ad un tempo geometrico, sociale, politico, economico e religioso. Per poterlo capire non potremo evitare una breve spiegazione storica ed etimolo- gica. Spiegazione che  tuttavia opportuno rimandare al capitolo undicesimo, per- ch solo il frammento di Anassimandro permette di mettere al centro il concetto di giustizia (dike), nel suo doppio aspetto dialettico di rendere giustizia e di pagare il fio (diken didonai). In Pitagora invece il metron  direttamente numero, e si tratta di spiegare il perch. Due sono le catatteristiche peculiari della figura di Pitagora. La prima  il viaggio iniziatico di formazione, che lo porta in Egitto, che era a quei tempi il luogo geogra- fico e simbolico della sapienza eterna e senza tempo, in cui Pitagora pu imparare le tre forme classiche della sapienza orientale, la geometria egizia (necessaria per la corretta misurazione statale e faraonica dei campi irrigati dal Nilo), laritmetica fenicia (necessaria per calcolare il valore esatto delle merci scambiate), ed infine l'astronomia caldea (necessaria per accertare astrologicamente i corretti rapporti nu- merici fra cielo e terra, e cio fra il macrocosmo naturale ed il microcosmo sociale che a sua volta  esattamente come in Cina - avrebbe dovuto armonizzarsi con il primo per non dissolversi nel disordine, nella dismisura e nel caos primigenio). 66 Il numero di Pitagora ed il logos come calcolo sociale delle buone proporzioni geometriche nella comunit Questa sapienza orientale pensava se stessa come permanente, naturale, cosmi- ca e destoricizzata, anche se ovviamente non lo era per nulla. Questa permanenza simbolica era il riflesso astratto di civilt che si pensavano come eterne e perma- nenti, in quanto la loro permanenza ideale era il riflesso di altune permanenze materiali come la regolazione dei fiumi (Egitto e Mesopotamia), o come il commer- cio (Fenicia). L'Oriente non  infatti il luogo delleterno, cos come l'Occidente non  il luogo della storia. Hegel poteva pensarlo, ma nel frattempo c' stato Marx, che ci ha insegnato a correlare le grandi idealit concettuali con la loro gene- si storica e con la loro funzione ideologica. La seconda caratteristica peculiare della figura di Pitagora  la sua emigrazio- ne nella cosiddetta Magna Grecia (Megale Hellas), ed esattamente nella citt di Crotone. La Sicilia e la Magna Grecia hanno giocato per il mondo greco classico lo stesso ruolo di luogo fantastico di possibile sperimentazione politico-sociale illi- mitata che ha giocato a partire dal Settecento lo spazio vuoto americano per gli europei. Sicilia e Magna Grecia sono state il Far West dei Greci. Ma come lo spazio vuoto americano era in realt pieno di pellirossa da sterminare e di messicani da cacciare, nello stesso modo lo spazio vuoto siciliano ed italico era in realt pieno di popolazioni autoctone da sterminare o sottomettere e di stranieri (etruschi e cartaginesi soprattutto) da scacciare con guerre interminabili e sanguinosissime.  inevitabile che i Greci rappresentassero simbolicamente i loro nemici in termini di barbarie, disordine e dismisura ed invece amassero pensare se stessi in termini contrapposti di civilt, ordine e misura. Questa contrapposizione dicotomica ideale sta alla base delle dieci coppie di contrari su cui si basa la teoria pitagorica. Queste dieci coppie di contrari sono con tutta evidenza (almeno per chi scrive) la trasposizione simbolica di una op- posizione e di una contrariet sociali, cos come Io era la natura in Eraclito secon- do linterpretazione di Diodoto. Il senso ultimo della tavola pitagorica delle dieci contrariet oppositive sta nel fatto che gli uomini devono inserire i loro progetti di vita comunitaria sul lato sinistro della tavola, quello dell'uno, del limite e del- la misura, mentre se lo iscrivono sul lato destro, quello del molteplice, del caos e dellillimitato, non possono che perire. La polarit limite/illimitato  infatti la prima e fondamentale polarit della tabella pitagorica delle opposizioni. Comprendiamo meglio allora perch Hegel ha scritto che i Greci hanno onorato il finito e perch ha anche affermato che il cuore dellidealismo consiste nel comprendere che il finito  ideale. Per i pitagorici la vita umana pu prosperare soltanto allinterno di un peri- metro dato, in quanto fuori da questo perimetro c' soltanto il caos, e quindi non soltanto lindeterminato, ma anche linsensato.  quindi probabile che il concetto di senso filosofico delle cose  per cui ci che la geometria misura  nello stesso tempo inscindibilmente il senso delle cose stesse (questo concetto  centrale in Platone, per cui nessuno pu entrare nella sua scuola se non  geometra) -, deri- vi geneticamente dalla primitiva insensatezza numerica prodotta dallindeterminato e dal non calcolabile, e questo ci spiega perch per Pitagora i teoremi dovessero 67 CarrroLo IX essere tenuti segreti, e chi li rivelava meritava la morte. Oggi i segreti sono gli ar- mamenti nucleari, allora erano erano i teoremi della geometria, e questo  dovuto al fatto che sia gli armamenti nucleari sia i teoremi geometrici hanno in comune il fatto di essere strumenti del potere politico. I circoli pitagorici erano infatti strumenti di potere politico, un po come i par- titi politici di oggi. Non ha alcun senso scandalizzarsi di tutto questo. Anche se non sono mai esistiti partiti dellakopolis e partiti dellagor (ho polemizzato nei due capitoli precedenti contro questa indebita trasposizione retroattiva dello scon- tro moderno tra destra e sinistra, progressisti e conservatori, borghesia e proletariato),  plausibile immaginare che lo spazio perimetrato che i pitagorici esprimevano in termini di rapporto numerico stabile e permanente (e quindi eterno, ed ecco perch l'eternit delle idee geometriche sar il modello delliperuranio platoni- co) fosse di fatto la trasposizione simbolica dello spazio economico-sociale diretto dallakropolis, mentre il caos e la molteplicit non fossero altro che l'arbitrio casuale delle decisioni dell'insieme dei proprietari privati e dei commercianti. I gruppi pitagorici sono quindi stati i primi partiti politici organizzati della storia occidentale. Questo partito pitagorico ha guidato una guerra sulla base dell'ideologia dello scontro fra la virt limitata ed il vizio illimitato (Crotone contro Sibari), ed  stato poi detronizzato da un sanguinosissimo colpo di Stato che ne ha massacrato e disperso i membri. Eraclito aveva gi correttamente compreso che il polemos  inevitabile, che la ricchezza privata  un'infamia (fr. 125 a), e che nessuna sua perimetrazione numerica limitativa pu arrestare la dinamica della lotta di classe. Nella tradizione filosofica occidentale, tuttavia, c' stata una corrente di pen- siero che ha ritenuto di poter arrestare il tempo. Questa tentazione di arrestare il tempo, tuttavia, ha anch'essa profonde motivazioni storico-sociali.  giunto il momento di occuparci di Parmenide. 68 X. LEssERE DI PARMENIDE COME METAFORA E PROIEZIONE IDEALE ETERNA DELLA STABILIT E DELLA PERMANENZA NEL TEMPO DELLA BUONA LEGISLAZIONE Nella bimillenaria tradizione filosofica occidentale il termine essere ha gio- cato un ruolo decisivo, e questo ha contribuito a rendere a poco a poco del tut- to incomprensibile il significato originario dei frammenti che ci restano del poe- ma di Parmenide di Elea. Ho gi notato che la contrapposizione folkloristica di Parmenide, guru dell'essere e di Eraclito, guru del divenire,  degna dei giochi te- levisivi a quiz, ed ha lo statuto epistemologico della canzoncina della Vispa Teresa. Tuttavia,  bene ricordare al lettore almeno alcuni significati principali assunti dal termine essere nel pensiero occidentale dalle origini ad oggi. Trascurando qui gli antichi Greci, il primo significato rilevante di essere  quello che lo identifica prima con lUno dei neoplatonici e poi con il Dio monoteista dei cristiani e dei successivi musulmani. Si tratta di una vera e propria onto-teo- logia unificata, come dir poi Martin Heidegger. A questa onto-teo-logia unificata, mirabilmente sistematizzata da Tommaso d'Aquino e dalla teologia domenicana medioevale  che risacralizz cos in forma razionale lunit ontologica del ma- crocosmo naturale e del microcosmo sociale , reag fortemente prima il nomina- lismo sia laico (Abelardo) che religioso (Guglielmo di Occam), e poi il panteismo rinascimentale (Giordano Bruno). Il periodo storico della costituzione formalistica del soggetto, da Cartesio a Kant,  un periodo di declino storico della onto-teo-logia, e questo non certo a caso, in quanto lonto-teo-logia consacrava in quel periodo sto- rico il dominio simbolico delle vecchie classi signorili e tardo-feudali, e la borghe- sia nascente era interessata ad infrangere razionalmente il nucleo metafisico di questa onto-teo-logia, e cio lunit delle categorie dell'essere e delle categorie del pensiero. Il grande filosofo Kant infranse questa unit ontologica, sostituendo la nuova religione gnoseologica borghese alla vecchia religione onto-teo-logica tardo- feudale e signorile, e si acquist cos la riconoscenza perenne di tutto il nuovo clero universitario. La restaurazione della categoria di essere da parte di Hegel  basata sullattribuzione all'essere di una genericit assoluta, che si concretizza e si determina progressivamente mediante una logica dialettica (Scienza della logica, ecc.). Per Marx e poi per Lukcs il termine essere non pu che significare linsie- me pensabile concettualmente della totalit espressiva della societ e della storia. L'Uno-Tutto non  per pi declinato in modo religioso e bimondano - come per Plotino ed i neoplatonici - ma  costruito concettualmente con l'intreccio della per- manenza ontologica (ci che , ed  eternamente) e della determinatezza storica (il proprio tempo appreso nel pensiero).  questo lunico possibile ritorno a Parmenide, non certo la ripetizione ieratica e sapienzale (pi esattamente: pseudo- 69 CAPITOLO X jeratica e pseudosapienziale) secondo cui  da pazzi (e tutto il mondo moderno sarebbe pazzo, al di fuori di un professore universitario in pensione di Brescia) ritenere che le cose possano mutare nel tempo. Parmenide, di cui presuppongo qui l'appartenenza alla scuola pitagorica, gi ampiamente attestata dalle fonti classiche, pensa radicalmente un numero solo, il Numero Uno. Sostenendo la cosiddetta sfericit dell'essere, non bisogna pensare che alluda ad una sorta di palla splendente in cielo. Il termine sfairiks significa infatti congiuntamente sferico ed anche congiuntamente globale, totale e complessivo. In greco moderno, duemila e cinquecento anni dopo Parmenide (la non conoscenza del greco moderno, custode semantico incomparabile dei signifi- cati originari della filosofia classica, rappresenta uno dei pi pittoreschi elementi di ignoranza dei professori europei di filosofia), il termine sfairiks continua ad avere lo stesso doppio significato semantico; si dice, ad esempio, un'idea globale del problema, mia sfairik andilipsi tou provlimatos). Non avrei fatto questa deviazione semantica se non avessi voluto sottoline- are il fatto che il termine parmenideo di sfericit dell'essere non allude ad un gigantesco pallone aerostatico in cielo, ma connota semanticamente e concettual- mente lo stesso oggetto teorico che Hegel e Marx (senza contare anche Adorno, Marcuse e Luk4cs) hanno pi tardi connotato in termini di totalit espressiva. Certo, sarebbe sbagliato attualizzare eccessivamente questa analogia, perch da un lato Parmenide non poteva ancora isolare l'essere sociale dall'essere naturale, ma li pensava in strettissima unit ontologica (vedremo pi tardi che questo isolamen- to, parzialmente anticipato da Aristotele, dovr aspettare il Settecento illuministi- co-borghese per poter essere concettualizzato e sviluppato), e dall'altro non poteva ovviamente ragionare sulla base della distinzione kantiana e della successiva ride- finizione hegeliana di intelletto (Verstand) e di ragione (Vernunft).  quindi chiaro che il concetto di sfericit di Parmenide ed il concetto di totalit in Hegel e Marx non ricoprono esattamente lo stesso spazio teorico. E tuttavia, pur non rico- prendolo, sono largamente comparabili, e questa comparabilit deve essere messa alla base del ragionamento. Ma qual  l'esatta natura storico-genetica ed ontologico-sociale del concet- to parmenideo di essere? Di quale sfericit, cio di quale totalit  il riflesso astrattizzato? Ammetto che non possiamo saperlo con certezza. Non possiamo ar- rivarci con il metodo deduttivo diretto, e neppure con il metodo induttivo indiret- to. Dovremo arrivarci con quello che Peirce chiama il metodo abduttivo, e cio non il metodo di Aristotele (la deduzione) o il metodo di Stuart Mill (linduzione), ma il metodo di Sherlock Holmes e di Hercule Poirot: succede X, un fatto straordinario ed inesplicabile; se per Y  vero, X smette di essere straordinario ed inesplicabile, e diventa invece razionalmente spiegabile. L'essere di Parmenide  un tipico esempio di sfida all'abduzione.  infatti straordinario decidere di chiamare essere la totalit sferica di tutto ci che pu essere pensato.  allora plausibile che ci sia un sostrato socialeche fa da riferi- mento materiale a questa concettualizzazione ideale. Si tratta di discutere spregiu- 70 L'Essere di Parmenide come metafora della stabilit e della permanenza nel tempo della buona legislazione dicatamente tutte le ipotesi che ne possono essere date, scartare le meno plausibili, ed accettare la pi plausibile. Alfred Sohn-Rethel, che  stato uno dei grandi fondatori del metodo della de- duzione sociale delle categorie filosofiche (e che appunto per questa ragione  oggi trascurato e dimenticato), ha cercato di dare una spiegazione materialistica della categoria parmenidea di essere. Sohn-Rethel nota acutamente che il concetto di Essere in Parmenide  caratterizzato da una totale genericit indeterminata ( infat- ti indeterminato come lapeiron di Anassimandro), e si chiede allora che cosa possa aver causato questa indeterminatezza astratta assoluta. Se infatti io penso in modo astratto  sostiene Sohn-Rethel  ci vorr qualcosa di astratto che faccia s che io pensi astrattamente. E Sohn-Rethel ritiene di individuare la sorgente materiale e sociale di questa astrattezza nella moneta coniata, moneta coniata originatasi prima in Lidia, poi passata dalla Lidia alle isole greche di Chio e di Egina, e pro- gressivamente diffusasi in tutto lo spazio economico e culturale greco. La moneta implica il passaggio dal baratto concreto allo scambio astratto, perch con una moneta si possono comprare le cose pi diverse, indipendentemente dai materiali con cui sono costruite. Non c' dubbio che la moneta, insieme con la fusione dei metalli (e del ferro in particolare), abbia giocato un ruolo decisivo nella costituzione materiale della civilt greca. La moneta  stata anche un fattore primario per il sorgere dellecono- mia schiavistica antica, perch ha permesso di comprare gli schiavi come si com- prano tutte le altre merci, mentre prima ci volevano guerre di conquista di tipo assiro-babilonese. E tuttavia a mio avviso Sohn-Rethel si sbaglia. E si sbaglia di grosso, nonostante il fatto che almeno ci ha provato, e gli sciocchi che continua- no a proporre un concetto indefinibile, ieratico, sapienziale, sacerdotale e falsa- mente profondo (come direbbe Hegel) di essere non gli arrivano neppure alle caviglie. Chi ci prova pu sbagliare, ma chi non ci prova neppure rester sempre a pestare sul suo quadratino di terra, come un tempo facevano i soldati nel cortile delle caserme. Sohn-Rethel sbaglia perch proietta nel lontano passato greco limportanza che la forma merce  e quindi il denaro come merce astratta per eccellenza - ha assunto a partire dal Settecento europeo, importanza che ha determinato prima l'economia politica di Adam Smith e poi la critica dell'economia politica di Karl Marx. Per i Greci, ed in particolare per i Greci del tempo di Parmenide, ci che contava non era la forma astratta del valore di scambio e della moneta coniata che ne era la portatrice astratta, ma era proprio l'esatto contrario, e cio la buona legislazione comunitaria che ne permetteva la limitazione e la sua sottomissione al metron. Come si vede, la realt storica e concettuale  invertita rispetto a come se la rappresenta Sohn-Rethel. Il concetto generale ed astratto di Essere, infatti, presumibilmente non deriva dalla proiezione della funzione mercantile-astratta della moneta coniata, la cui introduzione nel mondo greco equivale appunto (e qui Sohn-Rethel ha ragione) allirruzione del Nulla nel mondo dell'Essere, ma proprio al contrario, e cio dal 71 CAPITOLO X  x concetto di buona legislazione comunitaria, che essendo buona  pensata come non migliorabile e non modificabile, e quindi eterna, stabile e permanente. Parmenide allude certamente alla sua polis di Elea, ed i suoi frammenti descrivono proprio le cavalle che salgono sulla akropolis della sua citt per un sentiero erto e difficile. E sono queste cavalle concrete le portatrici materiali del concetto astratto di essere inteso come proiezione metafisica della buona legislazione comunitaria, dotata per ci stesso di stabilit e di permanenza, e quindi di eternit. Riflettere su Parmenide in modo ieratico-sapienziale, destoricizzato, desocia- lizzato (e quindi privato di ogni chiave di interpretazione semantica) e pomposo- giornalistico non serve a niente, se non ad incrementare quella particolare forma di idiozia presente in molti filosofi di professione fondata sull'idea che meno ci si fa capire, pi si  profondi. Se invece ci si accosta a Parmenide in modo storico- genetico ed ontologico-sociale, allora si guadagnano molti punti di vista illumi- nanti, nuovi ed inediti. In primo luogo, che i Greci pensavano in modo sferico, sulla base cio dell'idea di totalit espressiva, e questo modo sferico  esattamente quello che verr poi restaurato in forma storica da Hegel e da Marx. In secondo luogo, che la permanenza e la stabilit eterna della buona legislazione comunitaria sta alla base dell'idea sociale di eternit della cultura occidentale. In terzo luogo, che tutte le forme di sensismo e di empirismo non possono giungere a questo tipo di comprensione, e nonostante si presentino come pi concrete sono paradossal- mente molto pi astratte della stessa idea di Essere, perch questa idea allude alla cosa pi concreta di tutte, e cio all'idea della coesione sociale e comunitaria, mentre lempirismo sacralizza invece concettualmente la dispersione caotica degli atomi sociali individualizzati. In quarto luogo, infine, che il concetto di Uno non ha bisogno necessariamente di un supporto teologico per essere pensato (il Dio monoteistico cristiano, musulmano ed ebraico), perch lUno stesso  del tutto au- tonomo ed autofondato in modo logico ed ontologico. Bisogna quindi rispettare l'onto-teo-logia, ed io la rispetto mille volte di pi dellempirismo e del sensismo, ma essa non pu essere lultima parola di una trattazione ontologica dellessere. In quanto a Parmenide (ed affermo voluta- mente una cosa paradossale e provocatoria!) la sua trattazione dell'essere socia- le del suo tempo  filosoficamente del tutto omogenea alla trattazione che ne far Lukcs (e sulla sua scia, ma pi modestamente, chi scrive) nel suo tempo. In en- trambi i casi, l'essere sociale  pensato in modo unitario con una categoria sfe- rica. La differenza ovviamente sta nel fatto che in Parmenide non pu esistere la storia, intesa come concetto universalistico di tipo trascendentale-riflessivo (concetto sorto nella seconda met del Settecento europeo sulla base di una ge- nesi ideologica borghese), e per questa ragione la buona legislazione comunitaria, concepita in modo pitagorico, viene rappresentata nella forma della stabilit, della permanenza e della eternit temporale. Oggi, sulla scorta di Eraclito, sappiamo invece che il polemos non si pu esorcizzare. 72 CarrroLo XI oggi sostituiti dal silenziamento mediatico per i violatori della nuova religione postmoderna globalizzata, il politicamente corretto), ed il concetto di vera giusti- zia, e cio del ristabilimento egualitario della comunit. In seguito segnaler che anche il concetto di comunismo presenta un duplice aspetto contraddittorio, perch da un lato  futuristico, in quanto viene proiettato nel futuro sulla base della proiezione anticipante dell'evoluzione prevista delle contraddizioni sociali del presente, e dall'altro  retroattivo, perch non pu che essere pensato che come ristabilimento. L'interpretazione ontologico-sociale del frammento di Anassimandro  resa ne- cessaria dal fatto che in questo frammento il concetto di arch (principio, fonda- mento, origine, sorgente)  legato strettamente al concetto di dike (giustizia) ed al concetto di diken didonai (rendere giustizia e/o pagare il fio di una colpa). Per sua fortuna Anassimandro non era informato della cosiddetta fallacia naturalistica di David Hume e della distinzione di Max Weber fra giudizi di fatto e giudizi di valore, che tutti gli sciocchi considerano ovvi ed intoccabili come la tavola pitago- rica. Per questa sua felice situazione di ignoranza Anassimandro pu legare stret- tamente insieme un'affermazione ontologica (e cio lesistenza dellapeiron, inteso come unione di infinito e di indeterminato) ed un'affermazione assiologica, e cio morale e politica (il fatto che da questa esistenza dellapeiron deriva necessaria- mente il diken didonai, e cio il rendere giustizia ed il pagare il fio di una colpa). Esagerando un po, direi che praticamente tutto il sapere filosofico greco  conte- nuto nello scrigno del frammento di Anassimandro. Conviene quindi riportarlo, citando anche i termini greci originali, e poi commentarlo al meglio. Il frammento di Anassimandro, riportato da Simplicio, suona cos: Anassimandro ha detto che principio degli esseri [arch ton onton]  l'infinito [apei- ron] [...] di dove infatti gli esseri trovano la loro origine [genesis], l hanno anche la loro dissoluzione [phthor] secondo infallibile necessit [kat to chreon]: essi infatti si pagano reciprocamente la pena ed il riscatto [allelois diken didonai] dellingiusti- zia commessa [adikia] e questo secondo l'ordine [taxis] del tempo [chronos].  inevitabile che traduzione ed interpretazione facciano tutt'uno, trattandosi di un testo sapienziale di duemila e cinquecento anni fa. Nessuno (e tantomeno chi scrive) pu seriamente pretendere di aver capito interamente il frammento di Anassimandro. Heidegger ne ha fornito un'affascinante interpretazione, che per qui non discuto perch non la condivido. Si pone per il problema oggettivo del- la compresenza di un linguaggio naturalistico (arch, apeiron) e di un linguaggio politico-giuridico (dike, adikia). A questo punto le grandi classi di interpretazioni del frammento di Anassimandro diventano due, quella che decide di interpretare questa compresenza e quella che rifiuta di interpretarla con stolida superficialit. La maggior parte dei manuali di filosofia segue la seconda stolida strada attra- verso due varianti tragicomiche, che potremo chiamare del brodo primordiale e della gloriosa scoperta dellacqua calda. La prima interpretazione, che fa di Anassimandro il fondatore della prima fa- colt di chimica della storia, si pu formulare cos: mentre i rozzi semplificatori 74 L'Apeiron di Anassimandro: il pericolo dellinfinitezza delle ricchezze individuali per la convivenza comunitaria Talete ed Anassimene si erano limitati alla semplice aria ed alla semplice acqua, Anassimandro capisce che  necessario partire da un composto chimico, che non si  ancora determinato e specificato e che pure riempie lo spazio infinito di un universo in espansione; bravo collega! Una geniale anticipazione della nascita dell'universo! Dati i tempi e la mancanza di laboratori e di finanziamenti alla ri- cerca, non si poteva certo pretendere di pi, e possiamo congratularci con questo lontano collega! La seconda interpretazione afferma che luomo, nascendo nel tempo, dovr mo- rire nel tempo, ed in questo modo paga fatalmente il prezzo di essere nato (diken didonai). Siamo polvere, ed in polvere ritorneremo! La morte  Ia sola possibilit autentica! Prima o poi, toccher a tutti! E tuttavia questo profondo pensiero resta anche una sublime banalit, ed inoltre non appare chiaro perch Anassimandro ha deciso di usare un surreale linguaggio giuridico e giudiziario (adikia, diken didonai). Comunque la si giri, mi sembra che ci troviamo sempre tra i piedi il termine giu- stizia. Il posteriore commento classico di Aezio, che rappresenta il punto di vista peri- patetico ispirato ad Aristotele ed a Teofrasto, fa parte della classe dei commenti che ignora questa ambivalenza naturalistico-giudiziaria, ed infatti, dopo aver esposto sommariamente la sua tesi (Anaximandros fesi ton onton archen einai to apeiron) af- ferma subito: E tuttavia Anassimandro sbaglia [amartanei] perch non dice cos' l'infinito, se aria, acqua, terra o un qualche altro elemento corporeo [soma]. Sbaglia, inoltre, perch considera la materia [hyle], ma ignora la sua causa efficiente [aition]. In realt, l'infinito altro non  che materia [apeiron ouden allo he hyle estin], ed inoltre la materia non pu essere in atto, in assenza di una sua causa efficiente [poioun aition]. Il commento di Aezio  di enorme interesse. Aezio rimprovera Anassimandro di non essere aristotelico, ma non dobbiamo scandalizzarci per questo, perch gli antichi erano molto pi interessati alla verit o alla falsit di quanto affermavano piuttosto che alla corretta ricostruzione storiografica del passato. E allora, come non possiamo rimproverare Aezio di interpretare Anassimandro con il metodo di Aristotele, non possiamo neppure rimproverarlo perch non utilizza il metodo di Marx della deduzione sociale delle categorie del pensiero. Ma quello che non possiamo rimproverare ad Aezio, possiamo rimproverarlo a chi, nel 2013, non ha ancora preso atto del fatto che Marx  esistito, ci ha lasciato un metodo genetico ed ontologico-sociale, ed  bene considerarlo seriamente senza stupidi risolini di sufficienza e senza virtuose prese di distanza dal cosiddetto totalitarismo. Ignorando questi buffi personaggi destoricizzanti, la chiave del problema (gi individuata peraltro da pensatori intelligenti come Havelock, Mondolfo, Thomson, ecc.) sta nel mettere in rapporto il principio materiale dellapeiron, e cio dell'infini- to-indeterminato (i due termini non possono essere separati, pena lincomprensibi- lit finale assoluta) ed il principio ideale della adikia (ingiustizia). Il frammento di Anassimandro si inserisce cos nella pi complessiva cultura globale greca (secondo l'approccio corretto di un Carlo Diano), per cui la filoso- 75 CarrroLo XI fia dei Greci non  in alcun modo isolabile dalle loro altre forme culturali. Cito Diano: La storia della filosofia non pu pi essere fatta come la storia della pura e nuda filosofia. Chi dal V secolo di Atene toglie, a mo di esempio, un Eschilo, un Pericle, un Euripide, un Fidia, fa come chi da un libro togliesse tutti i termini con- creti per lasciarvi solo gli astratti. Non si poteva dire meglio, anche se ovviamente il consiglio di Diano non  stato seguito. E tuttavia io lo seguir, senza per questo poter garantire la sua verit. L'adikia  la violazione del principio del metron, la regola che  e sar fuoco semprevivo (Eraclito), l'oggetto del pensiero che  e sar eternamente (Hegel). Nelle societ impropriamente dette primitive ciascun membro della comunit riceveva la giusta parte del prodotto del suo lavoro (dikaion) come parte non ulte- riormente divisibile (atomon, e poi in latino in-dividuum) del lavoro sociale collet- tivo (to koinn, da cui deriva direttamente il termine, indistinguibile per i Greci, di comunit-societ, koinonia). George Thomson nota che le figure mitiche delle Moire rappresentavano le an- tenate del clan matriarcale, deputate dalla tradizione al mantenimento dellegua- glianza. Si trattava di uneguaglianza non ancora mediata dalla politica, che era in un certo modo vissuta direttamente (kat physin), in quanto si originava e fioriva direttamente (phyo) dalla comunit sociale stessa intuita, pensata ed intesa come una sua spontanea e naturale espansione vitale (bios). Ancora una volta, ripeto che sta qui la vera arch del pensiero filosofico classico, e non in una anticipazione della facolt di chimica o in un insieme di incomprensibili detti sapienziali. Thomson nota parimenti che le Erinni (e ci torneremo nel prossimo capitolo a proposito di Eschilo) non erano in origine niente altro che queste stesse Moire nel loro aspetto negativo della condanna dellingiustizia (adikia), in quanto la loro funzione sociale specifica era proprio quella di perseguitare coloro che avevano violato queste antichissime leggi religiose egualitarie. Thomson rileva inoltre che, nel periodo in cui i Greci antichi passarono dalla precedente comunit tribale a forme embrionali di Stato politico, queste Moire-Erinni furono subordinate a Zeus (immagine della monarchia, o pi esattamente della monarchia aristocratica, se riflettiamo sul fatto che il luogo simbolico di questo primato monarchico era il posto d'onore nel banchetto degli altri dei). Zeus, distributore massimo della dike, e cio della giustizia,  cos il soggetto sim- bolico titolare di un concetto che avr poi una ricca evoluzione semantica, che sun- teggeremo tra poco. Prima, per,voglio far notare che mentre l'et moderna, carat- terizzata dallaccumulazione capitalistica illimitata e dalla legalizzazione della dismisura proprietaria che si pensa come duplicazione sociale dell'universo fisico infinito, ha prodotto una costituzione formalistica del soggetto (Cartesio, Kant, ecc.), carat- terizzato da una capacit astratta di conoscenza (duplicazione, quest'ultima, del sottostante lavoro astratto), l'et antica ha pensato invece il soggetto nei termini di garanzia dellamministrazione della Dike, e chi non riflette su questo fatto ma- croscopico dovrebbe dedicarsi a tutto, salvo che alla storia della filosofia. 76 L'Apeiron di Anassimandro: il pericolo dell'infinitezza delle ricchezze individuali per la convivenza comunitaria La ricca evoluzione semantica del concetto di giustizia (dike, donde il diken dido- nai di Anassimandro) pu essere riassunta in sei punti: Sentiero, e quindi via da seguire per tutto il gruppo, ed anche per l'individuo isolato rimasto per caso staccato dal gruppo stesso. Ricordo qui ancora il giudizio dato dal sinologo americano Graham, per cui la filosofia cinese sarebbe stata caratterizzata dalla via (#20) e non dalla verit. Non  esatto. La filosofia occidentale, correttamente ricostruita, si origina proprio da un concetto di via (dike), intesa come sentiero co- munitario della vita razionale. Abitudine, e quindi insieme di comportamenti che sono etici pro- prio perch precedono ogni successiva problematizzazione morale, la quale nasce soltanto sulla base di un'imputazione astrattamente in- dividualizzante. A questo significato fanno riferimento sia letica di Aristotele (lethos comunitario si basa sulle abitudini sociali introietta- te dallindividuo libero, razionale ed autosufficiente) sia la posteriore eticit di Hegel (i Sitten, che devono presupporre  a differenza che in Aristotele  la problematizzazione morale individuale definita peraltro da Hegel non morale, ma invece significativamente moralista). Vendetta o Punizione. E quindi, da un lato vendetta come peculiare forma di invidia intesa come corruccio (il phthonos ton theon, l'invidia degli di nella tragedia antica), e dall'altro come punizione per la vio- lazione di un equilibrio (isorropia). Vedremo nel prossimo capitolo che la politica nasce in Grecia come tecnica razionale (e cio arte prati- ca, techne) per garantire non l'eguaglianza (la democrazia antica non  comunista, e tantomeno di sinistra), ma l'equilibrio, equilibrio impossibile se la dismisura fra le ricchezze non  frenata (katecho, katechein) dalla politica stessa. Questa isorropia  evidentemente spo- stata simbolicamente da Anassimandro nella natura, e qui si radica a mio avviso lunit ontologico-sociale fra apeiron (principio materiale) ed adikia (violazione di un principio morale). Altro che la fallacia natu- ralistica di David Hume e la distinzione fra giudizi di fatto e giudizi di valore in Max Weber! Giudizio, e quindi razionalizzazione logica (logos), in cui il termine logos assume prima una veste calcolante dei rapporti geometrici pro- iettati sulla convivenza sociale (il logos di Pitagora), e poi una veste discorsiva dovuta alla costituzione democratica degli ateniesi, basata sulla isonomia (eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alle leggi) e sulla 77 CarrroLo XI isegoria (diritto di tutti i cittadini di parlare in assemblea), e si tratta ov- viamente del notissimo /ogos di Socrate (dialogos, oppure pi propria- mente secondo linterpretazione di Olaf Gigon, sokratiks logos). La personificazione della Dea della Giustizia. Qui Thomson nota corret- tamente che lantropomorfizzazione esplicita dei principi della convi- venza sociale (archai) non  originaria, ma sopravviene soltanto in un secondo momento, quando i culti passano dalla fase tribale-famiglia- re alla fase comunitario-politica. La personificazione della Dea della Giustizia implica ovviamente il passaggio dalla vendetta al giudizio, passaggio descritto in modo sublime nella Orestea di Eschilo. L'idea astratta di Giustizia. Si tratta evidentemente di un momento posteriore che presuppone storicamente l'elaborazione razionale e dia- logica del momento precedente. Ancora una volta, questa elaborazione presuppone lerroneit della tesi illuministico-feuerbachiana (ed anche - ahim - giovane-marxiana), secondo cui ogni forma di religione presuppone una forma precedente di alienazione (Entfremdung). Non  cos. La religione  il presupposto logico e storico della filosofia, che senza questo presupposto simbolico non esisterebbe neppure. Ed in- fatti la Dea della Giustizia  il presupposto della posteriore trasforma- zione ed elaborazione platonica in Idea di Giustizia. Il punto principale di cui impadronirsi concettualmente in questa ricostruzione di Thomson sta in ci, che come le Erinni puniscono le trasgressioni alla Moira, cos Dike punisce le trasgressioni al metron. Impadroniamoci concettualmente di questo punto, e la filosofia greca smetter di essere il luogo onirico-demenziale di chimici in erba che si interrogano sui composti primitivi (solo acqua? solo aria? solo brodo primordiale?, ecc.) o di simpatici perditempo che si chiedono mangiando olive e bevendo vino resinato se Tutto Sia oppure se invece Tutto Divenga, oppure se Achille riuscir o meno a raggiungere la famosa tartaruga. Che cos' questo metron? Nei poemi omerici la parola metron  usata soltanto nei significati concreti e materiali di stecca di misura, oppure di quantit definita di grano, olio e vino. Ma gi in Esiodo il termine comincia a significare anche e so- prattutto moderazione, perch comincia ad essere socialmente chiaro che i nuo- vi rapporti di classe basati sullo sfruttamento e su di una estrema ed intollerabile disuguaglianza porterebbero appunto alla dissoluzione (phthor, nel linguaggio di Anassimandro) di cui poi lintera comunit umana dovrebbe pagare il fio (diken didona). Il limite, metron,  quindi prima di tutto il frutto di un approccio concettualmen- te razionale alla lotta di classe. Senza porre chiaramente un limite (peras), linfinito- 78 LApeiron di Anassimandro: il pericolo dell'infinitezza delle ricchezze individuali per la convivenza comunitaria indeterminato (apeiron) dissolverebbe lintera societ. Ed il non mettere limiti non produce soltanto ingiustizia (adikia), ma anche dissoluzione (phthor). Ma cos' che per sua propria irresistibile natura non conosce limiti? A questa domanda ha risposto lateniese Solone, che scrisse: La ricchezza non conosce limiti. Ed il suo seguace ottocentesco Karl Marx ne riprese l'intuizione scrivendo: La circolazione semplice delle merci  la vendita per la compera - ser- ve da mezzo per un fine ultimo che sta fuori dalla sfera della circolazione, cio per l'appropriazione dei valori d'uso, per la soddisfazione dei bisogni. Invece la circolazione del denaro come capitale  fine a se stessa, poich la valorizzazione del valore esiste soltanto entro tale movimento sempre rinnovato. Quindi il movimento del capitale  senza misura. Solone scrive: La ricchezza non conosce limiti. Marx scrive: Il movimento del capitale  senza misura. Il lato dellontologia dell'essere sociale, per cui essa si occupa di ci che , ed  eternamente, ci permette di situare i rilievi di Solone e di Marx sullo stesso piano ideale, logico-ontologico. Il lato dellontologia delles- sere sociale per cui essa  il proprio tempo appreso nel pensiero ci costringe invece a situare questi due rilievi, separati da duemila e cinquecento anni, in una determinazione specifica (Bestimmung) che individui i due diversi modi di produ- zione in cui agiscono Marx e Solone. Marx si muove con tutta evidenza allinterno del modo di produzione capitalistico. Ma Solone, in che modo di produzione si muove? Sbagliare la connotazione del modo di produzione in cui si muove Solone significherebbe rovinare tutto. Ma io assicuro il lettore che non roviner tutto. 79 XII LA RIFORMA DEMOCRATICA DEL PITAGORICO ATENIESE CLISTENE COME APPLICAZIONE POLITICA DIRETTA DELLA CENTRALIT DEL METRON E DELL'ISORROPIA, FONDAMENTI ONTOLOGICO-SOCIALI DEL SAPERE FILOSOFICO ANTICO Cominciamo con un innocente indovinello: che cosa hanno in comune i seguaci totalitari e trinariciuti del materialismo dialettico di Stalin, i seguaci della filosofia del martello dello scriba del caos Nietzsche, ed infine i seguaci liberaldemocrati- ci e politicamente corretti di Hannah Arendt? Che cosa unisce gli esponenti filoso- fici della sinistra comunista (Stalin), della eterna destra fascista dei superuo- mini che dominano sui malriusciti invidiosi (Nietzsche), ed infine del centro virtuoso lontano dai due incresciosi opposti estremismi (Arendt)? Rispondere a questo indovinello equivale a partire con il piede giusto per l'apprezzamento storico-genetico ed ontologico-sociale del pensiero greco classico. Tutti costoro hanno in comune una pittoresca ed incurabile ignoranza sulla na- tura sociale e classista dell'antica Atene. Essi infatti danno assolutamente per scon- tato che si sia trattato di una societ schiavistica divisa polarmente in liberi ed in schiavi, in cui i liberi non facevano niente dalla mattina alla sera (e per questo pote- rono creare larte, la filosofia, la tragedia, la commedia, ecc.), mentre gli schiavi, con il loro duro lavoro, li mantenevano e consentivano loro la vita activa e la pratica politica della democrazia. E invece le cose non stavano assolutamente cos. Il modo di produzione, e quindi i rapporti sociali di produzione dominanti nella Atene classica, non era affatto schiavistico, ma era un modo di produzione basato sui piccolo produttori indipendenti. La schiavit ovviamente c'era, ma ad Atene re- stava relativamente marginale (miniere del Lavrion, polizia scitica di schiavi di Stato, ecc.). La stragrande maggioranza dei cittadini liberi lavorava, ed il modo di produzione schiavistico vero e proprio dovette aspettare le conquiste orientali del bandito macedone Alessandro, incendiario di Persepoli ed uccisore dei suoi stessi amici nel suo perenne stato di ubriachezza, e poi le conquiste di quella Roma il cui impero rappresent storicamente lunit degli interessi di tutte le classi schiavisti- che del Mediterraneo, come peraltro l'impero americano rappresenta oggi lunit di tutte le oligarchie finanziarie del mondo capitalistico occidentale (e se cos non fosse, non si spiegherebbe la presenza di basi militari fornite di armi nucleari in Italia a pi di sessanta anni dalla fine della seconda guerra mondiale). L'antica Atene era quindi sostanzialmente una societ di piccoli produttori in- dipendenti, prevalentemente commercianti, agricoltori ed artigiani, e non fu mai quella specie di agriturismo per conversatori oziosi mantenuti dagli extra-comu- nitari che si sono immaginati Stalin, Nietzsche ed Hannah Arendt. Per capire que- sto fatto elementare non c' neppure bisogno di conoscere il greco moderno (che 81 CarrroLo XII per aiuterebbe, vedi gli studi di Thanassis Kalomalos), il giapponese o il birmano, perch esiste gi un'ottima bibliografia nella pi accessibile lingua inglese (e si veda l'ottimo studio di Ellen Meiskins Wood). Tuttavia, questa segnalazione resta del tutto inutile, perch i peggiori sordi sono coloro che ci sentirebbero benissimo, ma si tappano le orecchie, ed i peggiori ciechi sono quelli che ci vedrebbero benissimo, ma chiudono gli occhi come la nota scim- mietta. E dunque non ci curiamo di loro, ma guardiamo e passiamo. I loro pitto- reschi pregiudizi ricoprono per una specifica funzione sociale, che compendier qui ancora una volta: la destoricizzazione in generale ricopre una funzione ideo- logica inestimabile per le classi dominanti, che  quella di impedire la formazione di una coscienza storica critica, che demistificherebbe la pretesa di naturalit astorica del loro dominio; la destoricizzazione specifica della filosofia greca antica  decisiva, perch la filosofia greca antica  il codice genetico dellautocoscienza culturale del mondo occidentale. Riprendersi simbolicamente Atene  quindi una parte essenziale del ristabilimento di un punto di vista ontologico-sociale pi generale. I Greci misuravano i loro anni partendo dai primi giochi di Olimpia (776 a.C.).I giochi di Olimpia erano di tre tipi (corsa, lancio e lotta), ed  evidente che simula- vano mimeticamente i tre principali movimenti della guerra oplitica (corsa contro l'avversario, lancio ad un certo punto del giavellotto contro di lui, ed infine scontro fisico corpo a corpo). E per, se la guerra vera e propria (polemos) era senza regole, la lotta olimpica (agn) si basava invece sulle regole (nomoi). Le regole olimpiche furono in una certa misura il modello della posteriore regolamentazione demo- cratica, che  anch'essa una lotta (agn) regolata in modo ferreo (nomo). Le regole sono quindi un compromesso fra due principi opposti, il principio dellillimita- tezza dei mezzi da usare per vincere ed il limite delle regole imposte ad un agone razionalmente regolato. Ancora una volta, ricordo la prima opposizione della lista dei contrari, quella fra limite ed illimitato. La fondazione artistica della democrazia ateniese, lOrestea di Eschilo, si basa anch'essa su questa dialettica. Per capirlo, basta richiamare brevemente il contenuto delle sue tre tragedie: l Agamennone, le Coefore e le Eumenidi. Nell'Agamennone  messo in scena il ritorno da Troia di Agamennone. Ma men- tre Ulisse trova a casa la fedele Penelope, Agamennone trova invece la moglie Clitennestra ed il suo amante Egisto che lo uccidono mentre sta facendo il bagno. Dal momento che i Greci credevano nella maledizione del destino per i crimini fat- ti dai propri predecessori, la sua concubina Cassandra ricorda il crimine del padre di Agamennone, Atreo, che, per vendicarsi del fratello Tieste che aveva insidiato sua moglie, gli aveva ucciso i figli e gliene aveva servito le carni arrostite facendole passare per selvaggina. Lo stesso Agamennone, peraltro, aveva sacrificato agli di  dieci anni prima  la figlia Ifigenia, per propiziare la partenza degli Achei verso Troia. Eschilo vuole in questo modo ricordare agli ateniesi che le origini non sono caratterizzate da una sorta di stato di natura felice, ma da uno stato perenne di caos e di crudelt, 82 La riforma democratica del pitagorico ateniese Clistene: centralit del metron e dell'isorropia e che quindi la polis degli ateniesi  il risultato di un processo di incivilimento ra- zionale. Allinizio non c'erano gli agriturismi di ecologisti felici e seminudi, ma il massimo di crudelt e di ferinit incontrollata. Nelle Coefore i figli di Oreste ed Elettra promettono al padre di fargli vendetta, ed il fatto che la vendetta venga ancora identificata con la giustizia  testimoniato dal fatto che egli mandi al loro fianco la dea della giustizia (e cio il quinto signifi- cato di dike segnalato nel precedente capitolo). Oreste uccide quindi con un ingan- no sia Egisto che la madre Clitennestra. E subito gli compaiono davanti furibonde le Erinni, le antiche dee della maledizione. Nelle Eumenidi, infine, Atena  chiamata a giudicare Oreste (il terzo significato di dike), e sceglie una giuria popolare composta dai migliori (aristoi) membri della comunit che lei protegge (e cio Atene, perch Atene  la proiezione simbolica della lontana Micene di Agamennone). Met dei giurati vota per la condanna e met per l'assoluzione. Atena decide che la parit dei voti sia a favore dellaccu- sato. Alle Erinni che imprecano contro il verdetto, Atena ribatte che la giustizia si difende con le regole della democrazia, grazie alle quali [...] Zeus protegge chi parla, e fa sempre prevalere ci che  bene nella contesa di sole parole. E tuttavia Atena non disprezza affatto le Erinni, ed afferma:  destino delle Erinni di rego- lare tutte le vicende degli uomini. Chi non comprende che il dolore proviene da queste dee,  privo della sapienza che riconosce i veri mali della vita. In queste due affermazioni di Atena  racchiusa la chiave simbolica della democrazia antica. Da un lato, Zeus fa sempre prevalere ci che  bene nella contesa di sole parole. Dall'altro, le Erinni devono restare nella sua citt, da tutti onorate. Si tratta di un compromesso simbolico. Ed infatti la democrazia  frutto di un compromesso politico-sociale, che a sua volta deriva da una elaborazione razio- nalistica degli esiti dissolutori della lotta di classe fra ricchi e poveri. Il fatto che oggi la filosofia universitaria si occupi di tutto, ma non di questo, segnala la sua lontananza dall'oggetto della filosofia degli antichi Greci. Un semplice riassunto sommario del processo di costituzione della democrazia ateniese  infatti il prin- cipale testo filosofico del mondo antico, e si dovrebbe allora imparare a leggerlo ed interpretarlo, prima nella sua formazione (Clistene), e poi nella sua critica interna (Socrate) ed esterna (Platone). Verso la fine del VII secolo la polis degli ateniesi era dominata da un gruppo di aristocratici che avevano per effettuato una riconversione oligarchica. In segui- to all'introduzione della moneta coniata attraverso i mercanti delle vicine isole di Eubea e di Egina, una parte del ceto aristocratico ateniese trad le antiche norme che regolavano la propriet collettiva della terra, vendendo ai mercanti egineti i prodotti delle terre che amministrava in nome della dea Atena, come se si fosse trattato di propriet private. Si venne cos a determinare una situazione per cui i contadini, se per una qualsiasi ragione, come un cattivo raccolto, una guerra, o al- tro ancora, non riuscivano a trarre il necessario per vivere dal loro lotto di terra, si vedevano costretti ad acquistare il necessario per vivere nel mercato, dal momento che lorganizzazione collettivistica della comunit arcaica si era nel frattempo dis- 83 CarrroLo XII solta. I contadini giungevano a contrarre debiti con i ricchi possidenti aristocratici, offrendo come garanzia lipoteca sulla loro terra e addirittura sulla loro stessa perso- na. Molti contadini poveri, non potendo saldare i debiti, furono ridotti in schiavit. Chi conosce ed ha letto il capitolo dedicato da Marx nel primo libro del Capitale alla cosiddetta accumulazione primitiva del capitale potr assimilare pi facilmente questa importante lezione ontologico-sociale. In questo modo Atene era sull'orlo della dissoluzione: l'apeiron della accumu- lazione delle ricchezze, non regolato dal metron, portava alla resa dei conti (diken didonai). Nel 592 a.C., per salvare la comunit dalla disgregazione, fu nominato con pieni poteri il saggio Solone. Solone percorse una via di compromesso, che dimo- stra come la democrazia sia nata sulla base di un approccio razionalistico alla lotta di classe (proprio quello che oggi sembra inesistente, in quanto nulla arresta lo stra- potere delle oligarchie finanziarie e la moderna forma di schiavit, il lavoro flessi- bile e precario). Egli legittim i rapporti mercantili, legalizz la propriet privata e la circolazione monetaria, ma abol la schiavit per debiti dei cittadini ateniesi. Questo provvedimento fu lunico limite che impose allo sviluppo dell'economia mercantile, impedendo di trasformare in merce anche i membri della comunit. I cittadini ateniesi, pur divisi per censo e con un accesso diseguale alle pubbli- che cariche, avrebbero potuto far valere i loro diritti riunendosi periodicamente in un'assemblea generale (ecclesia). Racconta Plutarco: Solone aveva scontentato i ricchi, perch aveva annullato i loro crediti, ma aveva scontentato ancora di pi i poveri, perch non aveva riparti- to le terre fra i cittadini, n li aveva resi economicamente eguali, come aveva fatto Licurgo a Sparta. I cento anni che seguirono la riforma di Solone videro quindi lo sviluppo di una vera e propria lotta di classe. Quest'ultima non si svolse per con la costituzione di due partiti politico-ideologici (optimates e populares a Roma, comunisti e liberali nel Novecento europeo, ecc.), ma con una divaricazione geo- grafico-territoriale fra gli abitanti della costa dellAttica (paraliaci), gli abitanti della pianura coltivata e della citt abitata (pediaci), ed infine gli abitanti delle terre mon- tane (acriti). I tre gruppi sociali perseguivano strategie di arricchimento diverse (i paraliaci con il commercio marittimo, i pediaci con i pascoli di allevamento), mentre gli acriti erano essenzialmente produttori di grano per il mercato interno. Il cosiddetto tiranno Pisistrato, pur provenendo da una ricca famiglia di mer- canti, esercit un potere populistico per pi di trent'anni, basandosi sui pi po- veri (chi cerca analogie con l'oggi  sempre irresistibili, e sempre ingannatorie - le pu forse trovare nel peronismo argentino). In ogni caso, il conio della prima mo- neta dargento di Atene, la dracma con su impressa limmagine della civetta, fu il fattore decisivo per la riformazione dei partiti antagonisti dei ricchi e dei,poveri. Si ripresentavano pari pari le condizioni distruttive del tempo di Solone. Nacquero allora ad Atene i due veri propri partiti politici, quello aristocratico di Isagora e quello democratico di Clistene. Isagora chiam per due volte in suo soccorso gli spartani di Cleomene. Clistene fece appello al popolo (demos), prese il potere e var una costituzione integralmente democratica, in cui tutti i cittadini (si 84 La riforma democratica del pitagorico ateniese Clistene: centralit del metron e dellisorropia intende, i maschi liberi con cittadinanza, non le donne, gli schiavi e gli stranieri) potevano non solo votare, ma partecipare al potere politico, essere eletti in cariche di potere, e ricevere anche un sussidio per le giornate di lavoro perse per assistere alle tragedie ed alla commedie, i cui autori ricevevano stipendi pubblici regolari per la loro composizione. Il cosiddetto teatro, infatti, era una cerimonia pubblica di purificazione spirituale (katharsis), e non certamente uno spettacolo tipo quelli di Shakespeare, Corneille o Molire. Se il problema stava nella divaricazione di interessi fra paraliaci, pediaci ed acriti, la soluzione fu la loro mescolanza geometrica in demoi (cio in circoscrizioni elet- torali, che sostituivano cos le vecchie trib): in ogni demos ci stava una parte di paraliaci, una parte di pediaci ed una parte di acriti. Si tratt di una scelta ispirata al pitagorismo, per cui alcuni autori (come il francese Lvque) hanno correttamente parlato del pitagorico Clistene. Ed io accetto interamente questa ipotesi inter- pretativa. Clistene, come poi Pericle, faceva parte del clan aristocratico degli Alcmeonidi. Questo ha spinto alcuni commentatori frettolosi (Luciano Canfora ed altri) a so- stenere che la cosiddetta democrazia non  mai esistita, che il popolo non  mai andato al potere, che le lites sono inevitabili in qualunque regime, in quanto gli Alcmeonidi (come gi prima Pisistrato ed il figlio Ippia) erano sempre e solo stati degli oligarchi che avevano governato sfruttando per i loro scopi l'appoggio po- polare. Non  questa la mia opinione. Che Clistene e Pericle (il pitagorico Clistene e l'anassagoreo razionalista Pericle) si siano appoggiati al demos,  un fatto storico incontrovertibile. Ma ci che conta non  questo, quanto il fatto che attraverso questa mescolanza territoriale e pitagorica si  perseguita effettivamente lisorropia, e cio l'equilibrio sociale, e che l'economia di mercato individuale  stata regolata dalla misura comunitaria. Si tratta del punto filosofico essenziale. Il fatto che que- sto punto non possa essere capito ed assimilato, da un lato, dai fautori dell'eterno destino elitario del dominio di alcuni ricchi illuminati sulla massa dei pecoroni plaudenti, e dall'altro da coloro che hanno creduto (e tuttora credono) che gli ate- niesi non facessero nulla dal mattino alla sera (e per questo potessero filosofare, ecc.), in quanto mantenuti da schiavi da liberare (Stalin), da picchiare anche di pi (Nietzsche), oppure da ignorare in quanto non iscritti all'universit (Hannah Arendt), non cambia la realt delle cose. In compagnia ideale con coloro che invece lo hanno capito, andremo avanti verso la figura di Socrate. - 85 XII. SOCRATE, IL MOSCONE FASTIDIOSO DEL NOBILE CAVALLO DELLA DEMOCRAZIA DEGLI ATENIESI. LA CRITICA RAZIONALE AL FALLIMENTO POLITICO DEGLI AUTOMATISMI DEL MODELLO DEMOCRATICO DI CLISTENE Ges di Nazareth e lateniese Socrate hanno in comune una cosa, e cio di non aver scritto niente, per cui tutto ci che hanno (o avrebbero) detto ci viene da altri, e questi altri non sono sempre affidabili. Per quanto riguarda Ges di Nazareth ed i Vangeli canonici ed apocrifi ne accenneremo pi avanti. Per quanto riguarda Socrate dobbiamo fidarci di Platone e di Senofonte, e gi Hegel diceva che il se- condo era pi affidabile, perch non avendo un suo personale sistema filosofico da promuovere, non aveva bisogno di nobilitare le sue personali posizioni teoriche retrodatandole a Socrate. In ogni caso, in questo capitolo partir dal presuppo- sto, che so peraltro filologicamente molto discutibile, che ci che ha veramente detto Socrate sia ci che  contenuto nei cosiddetti dialoghi socratici di Platone, perch in quanto agli altri dialoghi, ed in particolare i pi tardi,  del tutto evidente e non contestato da nessuno che Socrate  un puro prestanome dei punti di vista pitagorici di Platone. Io parto invece dal fatto che Socrate non fosse un pitagorico, e quindi non sia sta- to un teorico dell'educazione (paideia) della classe dei reggitori della Repubblica, non sia stato un sostenitore della geometria come propedeutica dellarte di go- vernare, ed in altre parole che non sia stato un megafono di Platone. In accordo con l'ormai vecchia interpretazione di Olaf Gigon, credo che Socrate sia stato il portavoce di una forma culturale del patriottismo nazionalistico ateniese, per cui Atene, oltre che essere la citt della scultura e dellarchitettura, della tragedia e del- la commedia, era anche la capitale indiscussa del sokratiks logos, che non era tanto una ben precisa teoria filosofica determinata (per esempio, la teoria dellesistenza della verit contro il relativismo), quanto piuttosto una forma socio-culturale, quella dell'estensione della isegoria politica nell'assemblea (ecclesia) alla isegoria filosofica nel mercato (agor), in evidente omologia e parallelismo. Atene era il luogo della parrhesia, e cio del parlare libero e chiaro aperto a tutti (a tutti, compresi gli stra- nieri, gli schiavi e le donne, e questa apertura globale caratterizzer anche la scuola epicurea del Giardino e la scuola stoica del Portico, entrambe nate ad Atene, e solo pi tardi estesesi altrove). Il sokratiks logos, quindi, non  tanto un contenuto spe- cifico determinato quanto una forma sociale, l'estensione della isegoria dall'ecclesia allagor. Che poi lempirico Socrate non fosse d'accordo con Protagora e con Gorgia  certo rilevante, ma non decisivo. Ma chi era Socrate? La risposta  facilissima, perch lha fornita lui stesso. Socrate era il moscone fastidioso e linsopportabile tafano che ronzava continua- 87 CarrroLo XIII mente intorno al nobile cavallo della polis degli ateniesi. Se vogliamo prendere sul serio questa auto-attribuzione (come io faccio), allora ne conseguono alcune cose. Primo, che il Socrate autentico non era un sapiente di tipo pitagorico come il suo (indiretto) allievo Platone, in quanto i sapienti di tipo pitagorico si aggrega- vano abitualmente insieme in comunit politico-religiose, e non andavano in giro a chiacchierare nellagor con giovani e vari sfaccendati. Secondo, che il Socrate autentico non era un nemico della democrazia, come la pigrizia storiografica lo dipinge. Se infatti Socrate viene indagato con un metodo ontologico-sociale, che lo collochi cio nel suo contesto comunitario, l'attribuzione di nemico della demo- crazia a Socrate non sta n in cielo n in terra. Esaminando il modo in cui questa sciocchezza ha potuto sorgere, e tornando poi al Socrate storico e non alla sua proiezione retroattiva destoricizzata e desocializzata, potremo capire molte cose preziose. Qui infatti la destoricizzazione e la desocializzazione, nemiche dellap- proccio storico-genetico ed ontologico-sociale, celebrano i loro grotteschi trionfi. Chi scrive non ritiene affatto di stare vivendo oggi in una democrazia. Volendo definire il dispotismo smisurato del denaro che ci domina, e che  militarmente ga- rantito da un impero armatissimo a legittimazione messianico-veterotestamentaria (e quindi per nulla greca), lo definirei una oligarchia finanziaria globalizzata che viene legittimata periodicamente da plebisciti pluralisti ampiamente manipolati (sondaggi, finanziamenti stratosferici ai politici buoni e marginalizzazione diffa- matoria dei cattivi da parte del circo mediatico asservito, ecc.). Volendo per giocare al gioco del politicamente corretto, ipotizziamo che si tratti invece veramente di una democrazia, e vediamo allora con un metodo storico- contrastivo le differenze con l'antico modello classico ateniese. Queste differen- ze non stanno affatto  come scrisse nel 1819 Benjamin Constant - nel fatto che la libert degli antichi sarebbe stata collettivistico-comunitaria mentre quella dei moderni (cio dei ricchi: per lo sfacciato Constant vigeva l'equazione Moderno = Ricco) avrebbe avuto come suo fondamento il diritto assoluto di godersi le proprie ricchezze senza rompiscatole giacobino-comunisti. La differenza essenziale stava nel fatto che gli antichi, ignari della fallacia na- turalistica, del disincanto del mondo, del politeismo dei valori, della separazio- ne kantiana fra categorie dell'essere e categorie del pensiero, della smentita delle grandi-narrazioni, ecc., credevano in genere nell'esistenza del Bene, non ancora definito in modo neoplatonico-cristiano ma concettualizzato ancora in modo co- munitario (Bene = Garanzia del metron, oggetto della dike), e quindi non potevano rassegnarsi alla semplice automaticit del principio numerico-casuale di maggio- ranza. Senza aver ancora letto Joseph Ratzinger, i Greci antichi sapevano perfet- tamente che la semplice decisione politica (boulesis) fondata sul puro principio di maggioranza equivaleva esattamente a ci che oggi viene definito come nichili- smo o come relativismo. Gorgia, ritenuto un sostenitore di entrambi, non era un filosofo, ma un retore giudiziario, e quindi un avvocato. Nessuno pu oggi sostenere seriamente che gli avvocati siano i titolari del vero e del falso, visto che il loro mestiere consiste esat- 88 Socrate: La critica razionale al fallimento politico degli automatismi del modello democratico di Clistene tamente nel far assolvere un criminale che ha strangolato un intero caseggiato. In quanto a Protagora, ritenuto da molti superficiali un relativista, perch sostene- va che luomo era la misura di tutte le cose, non era affatto un relativista, ma un normativista antropologico (come Aristotele e Ratzinger, del resto), in quanto par- tiva non da questo o da quell'uomo, ma proprio dal buon vecchio concetto univer- sale unitario di Uomo con la U maiuscola, proprio il concetto che gli althusseriani amano come i tori il panno rosso. Socrate apparteneva a questo mondo, un mondo che credeva che il Bene esi- stesse veramente, coincidesse con il Vero, non fosse n relativo n convenzionale, ed appunto per questo ronzava come un tafano nell'agor rompendo le scatole al nobile cavallo della polis degli ateniesi. Niente  pi stupido ed anacronistico che rappresentarsi Socrate come un partecipante habermasiano ad una tavola rotonda di professori universitari o ad un pensionato perdigiorno. Erede della concezione precedente di verit (vero  ci che garantisce la riproduzione comunitaria, falso  ci che la mette in pericolo), cos come della concezione precedente di giustizia (giusto  ci che frena  katechein  lo scatenamento dellillimitato  apeiron  con l'imposizione della giusta misura  metron), Socrate criticava la democrazia atenie- se dall'interno. Non era quindi un nemico della democrazia, se non per i teorici del forma- lismo alla Kelsen-Bobbio per cui la democrazia non pu essere definita in modo sostanziale a partire dai suoi contenuti, ma soltanto in modo formale a partire dalle sue procedure. Socrate era il pensatore meno bobbiano che sia mai esistito, e chi non lo capisce non capisce proprio nulla. Un insigne rappresentante di coloro che non capiscono nulla di Socrate  stato il pur volenteroso e benintenzionato professore americano Stone, che ha riscritto in modo avvocatesco la famosa Apologia di Socrate. Come  noto, lApologia  il discor- so di difesa che Socrate ha tenuto davanti alla foltissima giuria popolare che poi lo condann a morte con il veleno indolore della cicuta. Sulla competenza delle giurie popolari basterebbe leggere le Vespe di Aristofane, ma nel caso di Socrate il processo fu interamente politico. Formalmente, si trattava di due accuse, che Socrate defin la vecchia accusa(quella di non credere agli di della polis) e la nuova accusa (quella di corrompere i giovani con le sue opinioni politiche antidemocratiche), ma in real- t si trattava di una resa dei conti politica contro coloro che avevano collaborato direttamente con gli Spartani oppure contro coloro che erano stati troppo tiepidi con l'occupazione (e Socrate, non avendo fatto parte della giunta collaborazionista di Crizia, poteva essere collocato nel secondo gruppo). L'avvocato francese Vergs, esperto in processi politici, ha spiegato in unopera fondamentale che quando si  di fronte ad un processo politico si pu decidere se strisciare come vermi chiedendo piet, decidere di attenersi unicamente ad un livello procedurale formale, sfidare apertamente i giudici rivendicando il proprio operato, oppure dichiararsi non-colpevole. Socrate si difese da solo, e sostenne so- stanzialmente di non essere colpevole: non  vero che non credeva negli di della 89 Carrroo XII polis, e non  vero che corrompeva i giovani; anzi, avrebbe dovuto ricevere una pensione dallo Stato (mantenimento a vita nel Pritaneo, ecc.). Con questa ultima richiesta imbestial i bizzosi pensionati ateniesi, e fu condannato a morte. Rifiut l'offerta di scappare (cfr. Critone) e pass le ultime ore prima di morire dissertando sullimmortalit dell'anima in modo apertamente orfico-pitagorico (e interpreta- to alcuni secoli dopo come precristiano). Cos muore  aggiungo io  un patriota ateniese sincero, un moscone della democrazia, un eroe comunitario. Altro che un filosofo da bar o un nemico della democrazia! Stone non ci capisce nulla, e riscrive lintera Apologia, sostenendo di aver trovato duemila anni dopo la giusta strategia processuale con cui Socrate avrebbe potuto probabilmente essere assolto. Riporto qui sommariamente la riscrittura difensiva di Stone, perch si tratta di un vero capolavoro di destoricizzazione e di desocia- lizzazione integrale, che mostra gli abissi tragicomici di ogni rifiuto dell'approccio ontologico-sociale. Stone infatti afferma che Socrate non avrebbe dovuto fare una difesa sostanzialistica, affermando di essere nel giusto e cos irritando i pensio- nati ateniesi (Stone ha certamente in mente le giurie dei telefilm tipo Perry Mason), ma avrebbe dovuto fare unarringa puramente formalistica, sostenendo che ad Atene cera il diritto astratto di dire tutto quello che uno pensava (Stone traduce cos il termine greco parrhesia, che significa invece sincerit, veridicit, diciamoci la verit, e non invece diritto astratto di dire quello che uno vuole), e pertanto anche lui aveva avuto il diritto di farlo. E quindi, perch condannarlo a morte se si era limitato a fruire del diritto di dire quello che pensava? Ed in quanto a quello che Socrate veramente pensava, Stone gli attribuisce apertamente l'ostilit verso la democrazia. Non mi sarei soffermato tanto a lungo sul pittoresco equivoco di Stone, se dietro a questo equivoco non ci fosse un intero gigantesco complesso di fraintendimenti. In breve, la distinzione fra il diritto formale di dire tutto quello che uno pensa e l'eventuale contenuto di verit e di giustizia di quello che uno dice  distinzione che Stone fa retroagire storicamente fino a Socrate  non nasce prima del Settecento europeo, e nasce appunto soltanto nel Settecento europeo perch con lo sviluppo del modo di produzione capitalistico ci che uno dice diventa interamente irrile- vante, perch non fonda pi i presupposti della convivenza comunitaria, fondata ormai sullabitudine dello scambio (David Hume, Adam Smith), e quindi, diven- tando irrilevante, pu essere interamente liberalizzata. Socrate era del tutto estraneo a questa situazione storico-sociale, che pi tar- di Lukdcs nella sua Ontologia dell'Essere Sociale definisce onnipotenza astratta e concreta impotenza. E mai definizione fu pi esatta e geniale, in quanto lonni- potenza astratta di poter dire quel che si vuole (o quasi; si pu infatti riempire di fango tutto, da Dio al comunismo al sesso maschile, ma non discutere la proble- matica dellolocausto ebraico) si coniuga alla concreta impotenza di intervento sui meccanismi anonimi della globalizzazione economica, dellimpoverimento e della precariet sociali di massa, della distruzione ecologica del pianeta, ed infine sui processi di istupidimento antropologico di massa prodotti dalla sinergia di cir- 90 Socrate: La critica razionale al fallimento politico degli automatismi del modello democratico di Clistene co mediatico, pulsione consumistica eccessiva e distruzione della scuola da parte delle cavallette sindacalistiche e psico-pedagogiche di vario tipo. Lasciamo stare il grande Socrate. Socrate, moscone della democrazia, eroe del dialogo, credeva nella unit veritativa delle categorie del pensiero con la giu- stizia comunitaria delle categorie dell'essere sociale. Pensare che avrebbe potuto essere invitato al ballo sociale dei relativisti significa non capire assolutamente niente della Grecia antica. 91 XIV. PLATONE, UN PITAGORICO SOCRATICO, LE BASI ONTOLOGICO-SOCIALI DEL MODELLO IDEALISTICO BIMONDANO E L'INDIVIDUALIZZAZIONE DELL'IDEALE DELLA ISORROPIA ALL'INTERNO DELL'ANIMA DEL SINGOLO La grandezza di Platone  stata tale, da rendere difficile commentarlo adegua- tamente. Platone, infatti, si commenta da s, ed ha avuto ragione Hegel nel dire che con la sua Repubblica, lungi dallo scrivere una banalissima utopia program- maticamente inapplicabile, egli ha espresso al suo punto pi alto lo spirito greco. Lukcs, nella sua Ontologia dell'Essere Sociale, distingue lidealismo bimondano di Platone (bimondano perch comprende due mondi, il mondo sensibile ed il mon- do intelligibile delliperuranio) e lidealismo monomondano di Hegel (monomon- dano perch comprende un solo mondo, il mondo della storia umana come luogo esclusivo del processo di autocoscienza del soggetto). Questa distinzione  corretta, ma la sua piena comprensione  impossibile sen- za una complessiva ricostruzione ontologico-sociale dell'intero pensiero occiden- tale dalle origini ad oggi. La monomondanit, infatti,  un risultato che pu essere idealmente raggiunto soltanto attraverso le vicende della bimondanit. Entrambe sono ideali, ed ecco perch (come verr chiarito in seguito) non  corretto dire che solo la bimondanit  ideale mentre la monomondanit sareb- be materiale. In questo senso, idealisti sono stati sia Platone che Hegel e Marx. Questa dichiarazione pu certo sembrare apodittica, ma ho preferito anticiparla gi adesso, perch la sua comprensione non pu aspettare Spinoza, Kant e Hegel, ma comincia con Platone ed Aristotele. La monomondanit ideale di tipo storico, impossibile prima del Seicento e del Settecento europeo, ha avuto bisogno per affermarsi e costruirsi della bimondanit platonica precedente.  sul suo terreno, infatti, che la coscienza umana ha potuto specchiarsi (speculativo, da speculum, specchio) fuori di s. Non ha dunque nessun senso qualunque operazione di scelta o di preferenza fra Platone ed Aristotele. Cos come Kant  stato il presupposto indispensabile sia di Fichte che di Hegel, e solo dopo aver accertato la necessit di questo presupposto  possibile criticare la sua separazione fra categorie del pensiero e categorie dell'essere, nello stesso modo solo il riconoscimento dell'operazione bimondana platonica permette di ca- pire che il pensiero aristotelico ha bisogno di questa operazione come suo presup- posto non solo storico, ma anche logico. Platone ha avuto e avr centinaia di interpreti. Volendo scegliere (in modo ine- vitabilmente arbitrario) il migliore ed il peggiore, indicher come migliore Nicola Cusano, e come peggiore Karl Popper. E spiegher brevemente le ragioni di questa scelta. 93 CaprroLO XIV Nicola Cusano  stato il pensatore che ha utilizzato creativamente la filosofia di Platone per disegnare il profilo dellumanesimo rinascimentale. E non a caso, proprio la struttura bimondana del suo pensiero gli permette di disegnare lau- tosufficienza ideale dellumanesimo. Egli dice infatti: [...] non ergo activae cre- ationis humanitatis alius extat finis quam humanitas, ed in questo modo l'umanit stessa diventa il solo fine possibile della creazione. Lo stesso Cusano, in un bel latino medioevale di facile comprensione, afferma che: [...] potest igitur homo esse humanus deus atque deus humaniter, potest esse humanus angelus, humana bestia, huma- nus leo aut ursus, aut aliud quodcumque. Il presupposto di questa monomondanit assoluta, per cui luomo pu diventare un dio o una bestia, o qualunque altra cosa (aliud quodcumque),  proprio la distanza che si stabilisce fra il cielo e la terra.  proprio perch Dio e le bestie fanno parte di due mondi idealmente diversi che possiamo poi pensarli allinterno dello stesso mondo come possibilit alternati- ve. Certo, il platonismo rinascimentale  un fenomeno sociale individualistico, e quindi non ha molto in comune con il Platone originale, che era un pensatore co- munitario, il cui pitagorismo geometrico era al servizio appunto della comunit. E tuttavia Cusano, uomo del Quattrocento a met fra la Germania e lItalia, visitatore di Costantinopoli prima della sua caduta nel 1453, riesce a cogliere lo spirito di Platone. Per questo l'ho messo al punto pi alto. Al punto pi basso della vergognosa destoricizzazione metto invece Karl Popper, autore di un dilettantistico libello che imputa congiuntamente a Platone, Hegel e Marx la promozione del totalitarismo in quanto nemici della societ aper- ta. Non contesto affatto il pieno diritto di Popper a giudicare con implacabile severit il comunismo storico novecentesco veramente esistito (1917-1991). Sono perfettamente convinto che vi siano ragioni profonde per una condanna inesorabi- le e senza appello (anche se  lo dico subito - non  questa la mia opinione storico- politica). Ma ci che  insopportabile e volgare  che si scomodino grandi pensatori come Platone ed Hegel (di Marx se ne parler a parte) per le proprie polemiche di bassa cucina ideologica. L'antipatia destoricizzata di Popper verso Platone deve servirci invece da pun- to di partenza ideale per poterlo giudicare diversamente. Popper  un santone dell'epistemologia e della critica al marxismo, le due colonne teoriche con cui oggi il successo  garantito, nel doppio aspetto di successo universitario per lepistemo- logia e di successo mediatico per la critica al marxismo. Si pu quindi ipotizzare che la realt sia invertita rispetto a quanto sostiene. E infatti Popper si presenta come guru della cosiddetta societ aperta, e dal momento che la rappresenta- zione ideologica  sempre invertita rispetto alla realt ontologico-sociale data, ne deriva che egli difende la societ pi chiusa possibile, la societ capitalistica che si pensa come culmine del progresso storico e quindi fine simbolica della storia. Contro i modelli di societ chiuse (che Popper identifica con i progetti rivoluzio- nari, unico evidente modo di riaprire la storia stessa) egli propone la cosiddetta ingegneria sociale a spizzico, e cio le riforme di aggiustamento caso per caso, cosa gi ampiamente nota a Tutankhamen, Nabucodonosor ed a Assurbanipal. 94 Platone: le basi ontologico-sociali del modello idealistico bimondano. L'isorropia nell'anima del singolo E tuttavia, perch Popper antipatizza per Platone? Qui sta il cuore del proble- ma. Che antipatizzi per Marx, da lui scambiato per il padre spirituale ed il consi- gliere segreto di Stalin,  in fondo naturale, perch Marx rappresenta il concetto di rivoluzione. Che antipatizzi per Hegel,  parimenti naturale, perch egli condivide il concetto inglese di civil society come superiore al government (traduzione: supe- riorit degli automatismi del mercato sugli interventi statali), ed odia il concetto hegeliano di Stato etico, che probabilmente confonde con l'imposizione polizie- sca dei mutandoni alle signore che prendono pacificamente il sole sulla spiaggia. Ma perch se la prende con un signore morto quasi duemila e cinquecento anni fa, le cui proposte politiche concrete sono comunque palesemente inapplicabili oggi, e sono inapplicabili sia che ci piacciano sia che invece non ci piacciano? Forse che  possibile pensare che sia realistico proporre oggi il comunismo di gruppo dei governanti, la selezione eugenetica forzata delle coppie, l'educazione basata sulla geometria e sul modello rigido di dialettica, ecc.? Certamente no. Si tratta di un modello inapplicabile, e che oggi nessuno propone seriamente. E allora, perch diavolo il mediocre Popper se la prende tanto con Platone? La ragione c', naturalmente. Platone rappresenta il punto massimo di critica qualitativa globale della societ presente (nel caso di Platone, la democrazia mercantile greca fondata sulla dismisura ormai incontrollata delle ricchezze; nel nostro caso, il sistema capitalistico globalizzato postborghese e postproletario).  questo che  intollerabile per Popper, ed  invece ovviamente questo che deve stare alla base della nostra stima e reverenza verso Platone. E qui abbiamo la genesi storica ed ontologico-sociale dellidealismo, che al- trimenti ci apparirebbe inspiegabile, come se ad un certo momento della storia un ateniese barbuto dalle spalle larghe (platys, in greco classico) avesse avuto una pen- sata geniale, secondo la quale non ci sono solo i singoli cavalli, ma in cielo permane come modello lidea eterna di Cavallo, e cos ovviamente avviene per quella che per Platone  lidea pi importante, quella di giustizia (dike). Altro che presocratici e post-socratici! La Dike di Platone  la stessa dike di Eraclito, Pitagora, Parmenide ed Anassimandro! Ed  anche la stessa dike di Socrate, che per riassume integral- mente la precedente veste pitagorico-geometrica, visto che la sua semplice pratica dialogico-discorsiva del moscone fastidioso della democrazia ateniese si era risolta in un fallimento pratico ed in una ingiusta condanna a morte! E non a caso nella sua Lettera VII Platone dice apertamente che  stata la condanna a morte di Socrate ladikia che lo ha spinto a concepire la sua intera filosofia politica. La genesi storica ed ontologico-sociale dellidealismo sta quindi nella criti- ca determinata allingiustizia (adikia) e poi duemila anni dopo alla alienazione (Entfremdung) della realt sociale presente. Questa critica presuppone una presa di distanza spaziale simbolica dalla realt stessa, e questa presa di distanza spazia- le simbolica, non potendosi ancora pensare in forma temporale (impossibile pri- ma del Settecento europeo), deve pensarsi appunto in forma spaziale, e cio nella forma della contrapposizione fra l'Alto, buono, ed il Basso, cattivo. La religione olimpica dei Greci, che metteva gli di simbolicamente fra le nuvole sullalto di un 95 CarrtoLo XIV monte, e riservava le forze oscure e pericolose (dette ctonie) nel ventre della terra e nel profondo delle caverne (si consiglia al turista distratto di visitare in proposito le grotte peloponnesiache del Tenaro a Pyrgos Dirou), serviva da modello mitico per la trasposizione del banchetto di Zeus al pi puro ed idealizzato Iperuranio. L'idealismo, quindi,  una cosa buona, e non certo una cosa cattiva, come riten- gono in commovente e sospetta concordia i seguaci positivisti di Comte, i seguaci neopositivisti di Carnap (per cui il filosofo  semplicemente un musicista privo di talento), i seguaci comunisti di Althusser, i seguaci trinariciuti di Stalin, i se- guaci multitudinari di Toni Negri, e via citando. Ed  una cosa buona, del tutto indipendentemente dalle concrete proposte politiche empiriche degli idealisti, che possono essere buone, cattive, splendide o semplicemente idiote ed insopportabili. E tuttavia, lidealismo resta il modello teorico inarrivabile del necessario distacco dal reale sociale presente, la cui adesione pu essere invece definita, nei termini usati da Fichte, dogmatismo. Non c' infatti peggior dogmatico di colui che sostiene il dogma massimo e principalissimo, quello per cui le cose non possono essere cambiate. Ma su questo rimando a Fichte, il maestro idealista segreto di Marx, che ha espresso questo basilare concetto nel modo pi esauriente possibile. A differenza di come si pu pensare, lidealismo non  una filosofia per intel- lettuali, ma  esclusivamente una filosofia per filosofi. Il termine intellettuale (in greco moderno dianooumenos) non a caso  inesistente in greco antico, perch gli intellettuali come gruppo sociale specifico non nascono prima della fine dellOtto- cento (caso Dreyfus in Francia, ecc.), ed  scorretto retrodatarlo allantichit (sofisti come intellettuali laici, circolo augusteo di Mecenate, circolo dei poeti del Dolce Stil Novo, ecc.). Nel settimo libro della Repubblica Platone descrive in modo mira- bile il destino di ogni vero filosofo, che  quello di essere maltrattato, deriso, emar- ginato, ed infine anche ucciso, quando insiste nel contrapporre il cielo dellidea- lismo e del mondo delle idee alla caverna dei rapporti sociali ingiusti in cui vive. A differenza del philosophos, il dianooumenos invece lecca i ricchi ed i potenti e vezzeggia i pregiudizi degli abitanti della caverna, ed anzich essere maltrattato, emarginato ed ucciso viene onorato, ben pagato e ritenuto magari organico alle burocrazie politico-sindacali che accettano soltanto pifferi della rivoluzione (uso qui lespressione di Vittorini quando respinse la funzione ancillare e subalterna che Palmiro Togliatti ed il suo coro di plauditores erano disposti a riconoscergli). Platone resta il patrono dei filosofi, e fece bene Raffaello quando lo dipinse nella Scuola di Atene con il dito rivolto al cielo. In quanto ad Aristotele, nel prossimo ca- pitolo intenderemo il dito rivolto verso la terra in termini di dito rivolto piuttosto al riconoscimento della funzione normativa del concetto di natura umana. Ma ogni cosa a suo tempo. Esistevano gli intellettuali nell'antichit? In senso specifico no, perch a mio avviso non esistono prima del caso Dreyfus. Ma se li intendiamo come teorici ri- voluzionari forse s (pensiamo a Blossio di Cuma, il filosofo stoico che appoggi i movimenti popolari greci e romani del suo tempo), e se li intendiamo come retori e conferenzieri di successo certamente s, e pensiamo ad Apuleio ed a Luciano. 96 Platone: le basi ontologico-sociali del modello idealistico bimondano. L isorropia nell'anima del singolo Costoro giravano loikoumene romana come oggi i loro equivalenti girano loikoume- ne globalizzata occidentale di lingua inglese, riscuotendo successo in platee colme di mature signore ingioiellate stanche di mariti che parlano solo di calcio e dei loro acciacchi, di sindacalisti e politici al potere con velleit di una certa Kual Kultura, di studentesse coscialunga estasiate, di colleghi invidiosi del loro successo che fingo- no ipocrita e cerimoniale ammirazione, ed infine di giovani occhialuti persi in quel- la che Hegel avrebbe chiamato vuota profondit, che  poi sempre la superficie alla moda prevalente nelle scuole accademiche sponsorizzate dal circo mediatico. Ma costoro erano leccati, mentre i filosofi sarebbero stati irrisi e picchiati. In tutta la storia della filosofia occidentale questo maestoso fenomeno ontologico-sociale non  mai stato descritto meglio di quanto lo sia stato nel settimo libro della Repubblica. La scuola platonica italiana di Guido Calogero e di Gabriele Giannantoni si  distinta per la sua preferenza della libera oralit dialogica di Socrate rispetto al suo presunto irrigidimento dogmatico compiuto successivamente da Platone. In particolare Giannantoni, forse il maggiore amico di Socrate nella filosofia ita- liana del secondo Novecento (ma gi Antonio Labriola lo aveva preceduto nella seconda met dell'Ottocento), sostiene che il dialogare di Socrate, fatto di do- mande, esami e confutazioni, che approda necessariamente al sapere di non sa- pere,  radicalmente diverso dalla dialettica di Platone, perch questa  un vero e proprio sapere, anzi lunica vera scienza. Largomentare di Socrate invece  se- condo Giannantoni  sarebbe sempre ad hominem. Per questo il valore supremo per Socrate non sarebbe la scienza (nel senso della episteme di Platone, che diventer poi duemila anni dopo la philosophische Wissenschaft di Hegel e  a mio avviso  an- che di Marx), ma il dialogo, e soltanto il dialogo. Il dialogo per Socrate sarebbe il valore supremo, assoluto, e superiore anche ad ogni precedente credenza religiosa. La stessa domanda socratica del cos'? (ti estin), che sta al centro di ogni dialogo socratico, non sarebbe la domanda di una essenza, come sar per Platone che ne trarr la sua teoria delle Idee, ma  una domanda su cosa l'interlocutore pensa ed intende, ed allora equivale semanticamente a che cosa vuoi dire?, che cosa chiami con questo nome?, ecc. Socrate non cercherebbe insomma la definizione, ma la comunicazione, il consenso (omologhia). E non a caso Giannantoni ha ripetu- tamente scritto che Socrate  stato il fondatore della filosofia, e che prima di lui non c'erano ancora propriamente filosofi, ma soltanto sapienti (sopho), tesi condivisa anche da Giorgio Colli, sia pure con un diversissimo apparato argomentativo e critico. La tesi di Giannantoni merita una discussione. Da un lato, essa offre un mera- viglioso apparato argomentativo per coloro che sostengono (come chi scrive) che Socrate, lungi dall'essere un nemico della democrazia, ne era in realt un inter- prete autentico, in quanto la democrazia, prima di essere una presa di decisioni in base al nudo principio di maggioranza (principio nichilistico e relativistico per sua inevitabile essenza), era una tecnica dialogica tesa al convincimento reciproco razionale (e ricordo qui la gi citata frase di Eschilo nelle Eumenidi: Zeus protegge chi parla, e fa sempre prevalere ci che  bene nella contesa di sole parole). Ma, 97 CariroLo XIV dall'altro, pur restando legittima la sua preferenza di Socrate rispetto a Platone (ognuno, infatti, preferisce sempre sovranamente chi vuole, e la sola cosa che gli si pu chiedere  che porti argomenti, logon didonai), non accetto personalmente la sua conclusione, e ci porter ovviamente un mio argomento razionale contrario (logon didonai). Pitagora aveva messo in cima alla sua coppia di contrari il Limite e lIllimitato. Nei capitoli precedenti abbiamo gi argomentato (e non possiamo qui ripeterlo) che questa opposizione sta a fondamento dell'intera filosofia greca, perch ladi- kia si basa sulla prevalenza caotica dellillimitato ed indeterminato (apeiron) sul limitato, e cio sul finito (che Hegel individua come ci che i Greci hanno ad un tempo animato ed onorato). Se prevale ladikia, bisogna poi pagarne il fio (diken didonai) secondo l'ordine (taxis) del tempo (chronos). E il solo modo di imporre la dike fra i mortali  il calcolo geometrico delle buone proporzioni sociali (Pitagora), il riconoscimento dell'ordine democratico isonomico come fuoco sempre vivo (Eraclito), ed il concetto generale ed astratto di Essere (to on) come metafora della stabilit e dell'eterna permanenza della buona legislazione politica comunitaria (Parmenide). Questo ordine comunitario fu applicato ad Atene prima in forma an- cora oligarchica (Solone), e poi radicalmente democratica (Clistene). Ma gli auto- matismi sociali della mescolanza dei demoi fra benestanti e poveri non resistettero a lungo, in quanto furono infranti prima dallarricchimento commerciale di pochi, e poi dalle passioni demagogiche scatenate dalla guerra del Peloponneso. Socrate  quindi il moscone fastidioso della democrazia, il suo massimo patriota (altro che nemico!), in quanto cerca il consenso (omologhia) attraverso il dialogo maieuti- co, in cui si comincia presupponendo di non sapere e si fanno partorire le idee attraverso il loro passaggio (in greco dia) della ragione (logos) da un interlocutore allaltro (dialogos). Fin qui si potrebbe consenterire con Giannantoni. E tuttavia, appunto, il Limite prevale sull'Illimitato, e questo principio deve pur sempre applicarsi anche al dialogo (dialogos). Il buon dialogo non  un dialogo illimitato, ma  un dialogo che viene invece limitato non solo dal consenso dei dialoganti (omologhia), ma dal fatto che c' stato il raggiungimento, inevitabilmen- te dialettico, di una verit comune. Non si tratta solo di dire che il presupposto trascendentale di ogni dialogo  la possibilit di raggiungere un comune consenso (tesi oggi che caratterizza la scuola neokantiana di Jurgen Habermas), ma si tratta di dire che questo dialogo non pu essere considerato in termini di infinita inde- terminatezza (secondo la critica di Hegel al cattivo infinito del concetto di cosa in s di Kant intesa come concetto-limite, Grenzbegriff). Ora, nessuno contesta il fatto che Calogero e Giannantoni abbiano preferito linfinita indeterminatezza del dialogo interminabile di Socrate al limite veritativo posto ad un certo punto da Platone. Ma questo limite veritativo di Platone, che corrisponde peraltro alla de- terminazione (Bestimmung) di Hegel, corrisponde invece pienamente allo spirito profondo dellonore verso il finito che contraddistingue la filosofia greca. Certo, l'interpretazione socratica di Giannantoni non deve essere assimilata alle vol- garit destoricizzate di Popper, e deve invece essere presa sul serio. Ma essa resta 98 | sbagliata, ed in un certo senso proprio la sua infinita indeterminatezza esprime indirettamente unideologia tipica dei professori universitari, che si rappresentano il mondo come il luogo della comunicazione razionale infinita. In un certo senso {ma ci ritorner pi avanti) la stessa dialettica negativa di Adorno fa parte della stessa costellazione filosofico-ideologica di cui fa parte il dialogo socratico illimi- tato di Calogero e di Giannantoni. La dialettica - come dovrebbe essere noto (ma non lo  sempre) - non pu per sua stessa natura essere solo negativa, perch consta di tre momenti ontologici interconnessi, di cui il primo  quello astratto, il secondo quello propriamente negativo, in quanto dialettico, dove sorge la contrad- dizione, ed il terzo  quello speculativo, quello della ragione, che  detto specula- tivo perch il concetto vi si riconosce come in uno specchio (in latino speculum). Non discuto qui il valore filosofico della dialettica negativa di Adorno in quanto tale. Il suo valore ideologico  per simile a quello del socratismo interminabile di Giannantoni, ed  un alibi dato alla classe degli intellettuali per poter giustificare davanti a se stessi il fatto di non determinarsi mai, ed in questo modo di elevare la cosiddetta moralit (Moralitt) a valore assoluto, rifiutando in questo modo ogni approdo ad una vera etica comunitaria condivisa (Sittlichkeit). Si dir che per criticare il socratismo indeterminato ed infinito di Giannantoni ho usato il modello dialettico di Hegel anzich quello di Platone.  certamente cos. Ma anche il modello platonico  un modello della determinazione ontologica temporale della realt ideale. Certo, la determinazione non  mai perfetta, perch n la partecipazione (metexis), n l'imitazione (mimesis), potranno mai esaurirne la perfezione ideale assoluta. E tuttavia, anche se sarebbe stupido ed anacronistico interpretare Platone come un precursore imperfetto di Hegel (Dio me ne guardi e liberi, e mi corregga se per caso cadessi in tentazione!), dal momento che il con- cetto di determinazione storica dellIdea non poteva essere presente nel pensiero dei nostri maestri Greci, vi  comunque in lui la consapevolezza che lidea (nella forma di eidos, essenza eterna visibile con gli occhi della mente ben addestrata dal- la paideia, l'educazione dialettica) nel mondo deve fare i conti con la hyle, la materia che il divino artigiano (demiurgs) modella dandole forma allinterno dello spazio caotico vuoto (chora). Il dar forma attraverso l'equilibrio armonico (lisorropia comune alla ginna- stica, alla musica ed alla geometria) proviene in Platone dalla scuola pitagorica. In genere i manuali danno molto spazio alle irrilevanti chiacchiere da taverna greca fra Socrate ed i sofisti (mi esprimo volutamente in questo modo innocentemente provocatorio), mentre lasciano in ombra il carattere profondamente pitagorico del pensiero di Platone. E perch diavolo lo fanno? Da un lato, perch gli  spontanea- mente congeniale lidea di filosofia come libero chiacchiericcio nellagor, con ine- vitabile conclusione diretta che il massimo cui pu giungere la filosofia  il sapere di non sapere, e con laltrettanto inevitabile conclusione indiretta che, visto che la filosofia al massimo pu arrivare a capire che non pu sapere proprio niente, solo la scienza vale qualcosa, visto che essa almeno qualcosa sa. Il dialogo intermina- bile giunge cos inevitabilmente al positivismo; dal momento che il sapere dovr 99 CaritoLo XIV pur sempre determinarsi, e si determiner nelle facolt scientifiche, lasciando la fa- colt di filosofia alla vuota profondit e/o alla filologia archeologico-maniacale. Dall'altro, perch i manuali sono costruiti sul presupposto dellesistenza di due fasi distinte della filosofia greca classica, quella pre-socratica e quella post-socra- tica, e si farebbero strozzare piuttosto che ammettere quanto sosteniamo in questa ricostruzione storico-genetica ed ontologico-sociale, e cio che il ciclo della filosofia classica  unitario, e va direttamente da Anassimandro ad Aristotele compreso. Il pitagorismo si basava sul presupposto per cui l'armonia sociale comunitaria era inseparabile dallarmonia dell'anima (psych), intesa come cura di s. Scrive Alessandro Biral, autore di una delle migliori monografie italiane su Platone del Novecento: Il tempo della scienza non  il tempo della cura di s. Ma, secondo Platone, merita il nome di scienza soltanto quel sapere che conferisce il giusto ordine all'anima e rende migliore e felice colui che ad esso si dedica. Proprio per- ch vera scienza  quella in virt della quale luomo si cura di s. E del resto, nel Carmide (cfr. 164 d  165 a), Platone sostiene che il detto Sii sag- gio si identifica con il detto del tempio di Delfi Conosci te stesso. Acutamente Platone rileva che il detto Conosci te stesso non  un generico consiglio, ma  il saluto augurale del dio, che augura a tutti coloro che entrano di comportarsi da saggi, e non soltanto di nutrire astrattamente opinioni sagge. Ed infatti, in propo- sito Platone chiarisce (cfr. Leggi, 689 b-c) che [...]  da definire ignorante quelluo- mo che ospita nella sua anima dei bei pensieri. Ma essi si limitano a stare l fermi e tutto l'agire si muove in modo contrario. Ad un uomo siffatto non deve essere consentito di governare, ma deve essere biasimato come ignorante, anche nel caso in cui fosse un grande ragionatore e padrone di tutte le sottigliezze logiche e in possesso di tutte quelle abilit che conferiscono prontezza all'anima stessa. Le forme del sapere, finalizzate a se stesse e disgiunte dal governo di s, non potreb- bero che generare squilibri nella comunit, perch lanima delluomo  come una citt, e cio [...] una bestia polimorfa, dalle molte teste: teste di animali mansueti e feroci che gli spuntano da ogni parte, capace di trasformarle e di generarle tutte da s (cfr. Fedro, 238 a). A questa bestia tiranna Platone d il nome di epithymetikn, il pulsare di una gran folla di desideri ciechi. Non  per fatale che essa possa dominare per sempre, ed in questa possibilit di salvezza sta il cuore del pensiero di Platone, che lo mette al di sopra di tutti i fatalisti che si crogiolano nella banale constatazione della co- siddetta esistenza del male nel mondo. Allepithymetikn  infatti possibile unire il thymoeids, paragonato al leone, un animale che pu allearsi con il precedente oppure allearsi con il loghistikn, la parte razionale dell'anima. Ma, sia chiaro, per Platone il loghistikn da solo, non contemperato con le altre due parti, pu diven- tare perverso, perch [...] come pu essere chiamata virt (aret) quella sapienza che rimane sterile ed alloggia soltanto nella mente senza diventare governo della vita? (cfr. Leggi, 689 e). Ed infatti Platone scrive: Se saggezza significa conoscere se stessi, nessuno e saggio in virt della sua sola competenza, della sua arte o della sua tecnica. 100 Platone: le basi ontologico-sociali del modello idealistico bimondano. L' isorropia nell'anima del singolo Non amo molto la citatologia, tipico sapere dei nullatenenti, ma in questo caso era necessaria. Platone appare qui un precursore di Freud (l'io risulta da un equi- librio messo sempre in pericolo dallo scontro distruttivo fra diverse componenti), di Marx (la sola teoria non  ancora sapere se non si unisce ad una prassi), di Aristotele (la filosofia  un sapere pratico, e quindi n poietico n semplicemente teorico), di Lukcs (allinterno dellonnipotenza astratta e della concreta impo- tenza lanima umana avvizzisce in un ampio arco di posizioni che vanno dallo specialismo alla stravaganza), ecc. Ma, anzich al gioco infantile dei precursori,  meglio affidarsi al gioco maturo dellaccertamento ontologico-sociale. E qui, il pitagorismo di Platone appare in piena luce. Platone ribadisce il principio meritocratico tipico della scuola pitagorica, per cui nella sua Rapubblica si dice esplicitamente (libro terzo) che i figli di governanti possono essere assegnati all'artigianato, ed invece i figli di artigiani, se meritevoli, al governo. Un principio molto pi meritocratico ed individuale di quanto avvenga oggi, in cui dagli schermi dellosceno circo mediatico ci sorridono sghi- gnazzando i faccioni degli eredi dei ricchi, sia dei ricchi dinastici che dei figli delloligarchia finanziaria. E tuttavia,  sulla questione dell'accesso al potere delle donne (libro quinto) che Platone appare pi pitagorico. Le donne pitagoriche erano infatti note nell'antica Grecia come i fachiri e gli elefanti in India ed i cavolini e le patatine in Belgio. A Glaucone che gli ripete il noto argomento sulle differen- ze naturali fra uomini e donne (argomento oggi stolidamente ripetuto sia dai ma- schilisti baffuti che dalle femministe differenzialiste vocianti in corteo i loro mantra di odio verso il maschio), Socrate risponde che le femmine degli animali domestici (ad esempio i cani da guardia) forniscono gli stessi servizi dei maschi, quando sono state addestrate nello stesso modo, ed  lecito supporre che questo valga per la specie umana, per cui se le donne e gli uomini ricevessero la stessa educazione (paideia) emergerebbero fra le prime come fra i secondi governanti capaci di guida- re la citt. Ancora una volta, la filosofia si occupa di ci che , ed  eternamente, e questa eterna affermazione di Platone, valida nellanno 370 avanti Cristo come nellanno 2013 dopo Cristo, continua a brillare luminosa fra i brontolii sprezzanti dei maschilisti e le grida isteriche delle femministe. Nel quarto libro della Repubblica Adimanto obbietta a Socrate che i governanti potrebbero non essere felici a rinunciare al possesso di ricchezze e di beni. Sar questo il presupposto psicologico del successivo rifiuto di Aristotele del cosid- detto comunismo platonico, e cio la naturalit del desiderio insopprimibile della propriet privata trasmissibile ai discendenti della propria famiglia. Socrate risponde in modo oggi spaesante, ma nello stesso tempo razionale: nel modo se- condo cui alcuni trovano la propria realizzazione non nella ricchezza, ma in altre cose, constatazione che forse Silvio Berlusconi potrebbe non capire, ma la maggio- ranza della gente s. Qui siamo sempre di fronte al potere dell'educazione nella coltivazione delle inclinazioni. E tuttavia, anche per coloro che hanno accesso alla propriet privata (la terza classe della Repubblica) Platone stabilisce forti limitazio- ni alla propriet privata delle ricchezze. 101 CarrroLo XIV La stessa teoria della degenerazione progressiva delle costituzioni, dalla timo- cratica alloligarchica e dalla democratica alla tirannica (le ultime due non sono neppure propriamente costituzioni, perch regno dellinvidia la prima e dellar- bitrio la seconda), teoria esposta nellottavo libro della Repubblica (a mio avviso il pi importante di tutti, e persino pi importante del sesto e del settimo, dove sono esposti in positivo gli ordinamenti dello Stato ideale), si fonda sul ruolo decisivo della ricchezza nella dissoluzione degli ordinamenti sociali. Ed oggi, infatti, tutti i dilettanteschi tentativi di spiegare il processo di dissoluzione del comunismo sto- rico novecentesco realmente esistito in termini di crimini e/o di errori politici ed ideologici, anzich di divaricazione di sapere, ricchezze e potere allinterno delle societ comuniste stesse, mostrano di essere molto al di sotto dell'ottavo libro della Repubblica di Platone, in cui questo idealista pitagorico confesso si mostra in gra- do di diagnosticare i motivi materiali che portano prima alla ricerca degli ono- ri, e poi alla ricerca ancora pi distruttiva delle ricchezze personali e del vantag- gio personale (pleonektein). Soltanto un freno (katechon, katechein) potrebbe arrestare questa dissoluzione (phthor), che porta allingiustizia (adikia), di cui prima o poi bisogner pagare il fio (diken didona), secondo l'ordine (taxis) del tempo (chronos). Espressione, quest'ultima, che potremmo tradurre in linguaggio moderno post- settecentesco come pagarne il prezzo secondo la logica della storia. Essendo questa una ricostruzione storico-genetica ed ontologico-sociale (e quin- di logicamente sensata e non una filastrocca di successive opinioni casuali) non mi interessava proporre ennesimi stimoli per la cosiddetta attualit di Platone. Lasciamo gli stimoli ai vibratori e lattualit al circo mediatico ed al chiac- chiericcio degli intellettuali con accesso a questo circo mediatico stesso (la societ dello spettacolo di Guy Debord). A me interessava semmai la completa inattua- lit di Platone, perch concordo con Nietzsche che soltanto linattuale pu esse- re realmente interessante e rilevante (non concordo certo con Nietzsche su molte cose, anzi, ma su questa s). E mi interessava ancora di pi la corretta collocazione dellidealismo platonico allinterno di una ontologia storica dell'essere sociale. Da un lato, esso  una mirabile riproposizione del precedente sapere pitagorico, mediata dall'oralit dialogica socratica, riflesso dellisonomia e dellisegoria della polis degli ateniesi. Dall'altro,  il presupposto logico e storico delle posteriori forme di idea- lismo storico moderno. I suoi dispregiatori passano, ma per fortuna Platone resta. 102 XV. LA PRIMA FORMULAZIONE SISTEMATICA DELLONTOLOGIA DELL'ESSERE SOCIALE IN ARISTOTELE. LA NORMATIVIT ONTOLOGICA DELLA NATURA UMANA INDIVIDUALE Ho gi ampiamente anticipato nel Prologo e nellIntroduzione che lontologia dell'essere sociale non  soltanto il nome di un volume (in tre tomi) e di un insieme articolato di saggi, interviste e prolegomeni scritti dal vecchio professore unghere- se Lukcs fra il 1964 ed il 1971, anno della sua morte, ma  anche e soprattutto una posizione filosofica generale, che mirava nella sua intenzione soggettiva a due sco- pi fondamentali. Primo, a ristabilire un punto di vista ontologico sul mondo, punto di vista largamente dimenticato a partire dallaffermazione del criticismo kantiano e del connesso primato della gnoseologia sullontologia stessa. Secondo, a modifica- re in corso d'opera l'autoconsapevolezza filosofica del comunismo storico novecen- tesco, persuadendolo ad abbandonare l'ideologia naturalistico-meccanicistica del materialismo dialettico (Diamat), in favore di un radicale riorientamento onto- logico-sociale, per cui il socialismo non pu pi decentemente pensarsi come il ri- sultato inevitabile di alcune leggi dialettiche della natura-storia (Engels), oppure come risultato del materialismo in lotta contro il punto di vista convenzionalistico dellempiriocriticismo (Lenin), ma deve essere rivisto in termini di frutto di un la- voro sociale (Arbeit), modello (Vorbild) di una prassi razionale dell'intera umanit pensata unitariamente come genere (Gattung). Su tutto questo ordine di problemi ritorner analiticamente nel quarantesimo ed ultimo capitolo di questo lavoro, volto ad esporre sistematicamente la mia per- sonale versione non certo del libro di Lukcs, che si legge da s senza riassunti deformanti e non ha alcun bisogno di esposizioni divulgative ( infatti scritto con chiarezza cristallina), ma dellontologia dell'essere sociale in generale come io la intendo e concepisco. E tuttavia, in questo capitolo bisogna giustificare quanto ho anticipato nel titolo, per cui Aristotele  il primo pensatore che formula in modo soddisfacente una vera e propria ontologia dell'essere sociale. E perch dunque il pri- mo, e non il secondo dietro Platone o il terzo dietro qualche precedente autore scorrettamente indicato magari come presocratico? Le motivazioni di questo perch sono molto importanti. Un'ontologia dellesse- re sociale pu chiamarsi tale quando  fondata senza mediazioni o senza trasfigu- razioni metaforiche indirette sull'essere sociale stesso. Questo non avviene ancora in Anassimandro, che esprime in modo sapienziale-intuitivo la consapevolezza del fatto che l'estensione dellinfinito-indeterminato (apeiron) al mondo sociale e comunitario comporta una ingiustizia (adikia), e bisogner prima o poi pagarne il fio (diken didonai) nel tempo del nostro vivere (il chronos, che non  in nessun modo il kairds, il momento). Questo non avviene ancora in Eraclito, che secondo la 103 CaprroLo XV testimonianza di Diodoto ha avuto bisogno di una mediazione naturalistica, che chiama fuoco semprevivo, e pertanto eterno (nulla a che fare, dunque, con il pittoresco panta rei di Cratilo), il nomos sociale della isonomia e la rinuncia al lusso dei ricchi come povera contropartita allasservimento della Ionia (in lingua turca, persiana e araba i Greci vengono ancora chiamati yunan, per marcare come per gli occidentali la grecit sar magari Atene e Sparta, ma per il vicino oriente  sempre e solo la Ionia). Questo non avviene ancora in Pitagora, in cui l'essere sociale  pensato esclusivamente come ordine di proporzioni geometriche estese al vivere politico, da interpretare metaforicamente secondo una tavola dei contrari in cui peraltro saggiamente primeggia la dicotomia Limite/Illimitato. Questo non avviene ancora nel pitagorico Parmenide, in cui l'essere sociale  correttamente inteso in termini di totalit sferica, e vengono correttamente individuati come nichili- sti (e cio sostenitori dellesistenza del nulla) coloro che rifiutano la sua presa in considerazione come assoluta unit sferica, ma di cui ci si limita a consacrare la permanenza, la stabilit e l'eternit nella forma metaforico-sapienziale della buona legislazione non ulteriormente mutabile e perfezionabile. Questo non avviene an- cora nel moscone della democrazia ateniese Socrate, che prende atto del fatto che i meccanismi pitagorici di equilibrio stabiliti dai legislatori Solone e Clistene non funzionano automaticamente, e ci vuole un surplus di razionalit comunicativa, la comunicazione dialogica basata sulla premessa metodologica del sapere di non sapere, sul metodo maieutico di far partorire le idee giuste non con la semplice enunciazione sapienziale (siamo infatti ad Atene, patria dellisegoria, e quindi pa- tria anche del sokratiks logos), ed infine sullaccordo. E questo infine non avviene ancora neppure in Platone, che  ovviamente quello che ci va pi vicino, ma che deve necessariamente pensare in modo idealistico-bimondano la propria critica ra- dicale alla societ mercantile ateniese, in cui il denaro conta pi del merito, inteso come virt (aret). Il modo idealistico-bimondano  quindi la premessa logica necessaria dellontolo- gia dell'essere sociale, ma non  ancora unontologia dell'essere sociale. Essa presup- pone infatti la critica aristotelica a Platone, connotato felicemente come un amico delle idee. Solo questa critica al raddoppiamento bimondano della monomon- danit sociale e politica dell'uomo (quindi anche metafisico-ontologica) pu dar luogo ad una vera e propria ontologia dell'essere sociale. Ontologia dell'essere sociale significa infatti piena autonomia del mondo umano. Questa piena autonomia del mondo umano  il tessuto di tutta la grande filosofia di Aristotele. Il passaggio del concetto di universale dal livello della cosiddetta idea di Platone al livello della astrazione logica del pensiero in Aristotele rappresenta infatti non certo il ristabilimento (perch non cera ancora stato nessun Kant che ne rendesse neces- sario il ristabilimento), ma quanto meno la stabilizzazione sistematico-concettuale dellintegrale autonomia fondata su se stessa dellontologia dell'essere sociale umano e storico. Qui non c' lo spazio  e neppure la necessit  di esaminare in dettaglio tutto il gigantesco apparato categoriale di Aristotele. Basti invece notare che il suo presupposto, mai da lui messo in discussione, dell'unit ontologica delle categorie 104 Aristotele: la prima formulazione sistematica dell'ontologia dell'essere sociale dell'essere e del pensiero, non  solo un dettaglio secondario di tipo gnoseologico (secondo la vera e propria fissazione maniacale non tanto del grande Kant quan- to dei posteriori litigiosi nanetti neokantiani), ma  il fondamento dellintuizione olistica dell'unit del mondo, intuizione olistica che poi egli svilupper in modo originale, non per diverso nellessenziale (la filosofia infatti tratta di ci che , ed  eternamente, e con questo ha gi abbastanza da fare) da come faranno in segui- to Spinoza, Fichte, Hegel, Marx e Lukacs (non aggiungo anche chi scrive, perch mantengo ancora un sobrio senso delle proporzioni). Qual  la sostanza (hypokeimenon) e l'essenza (ousia) dellontologia aristotelica dell'essere sociale? In estrema sintesi, si tratta del concetto di natura umana. La natura umana  il fondamento dellontologia aristotelica dell'essere sociale. Dal mo- mento che questa  la tesi centrale di questo capitolo, sar necessario discuterla un poco. Non  facile, perch questa concezione sta gi da tempo alla base dellaristote- lismo cristiano, da Tommaso d'Aquino a Joseph Ratzinger fino a professori aristo- telici cristiani come Enrico Berti, ed in minor misura Giovanni Reale. Dal momento che la mia posizione  diversa, sar necessario individuare prima il nostro minimo comun denominatore, e poi gli elementi differenziali dellinterpretazione che mi distinguono dallaristotelismo cristiano contemporaneo. Ancor prima, per,  bene ancora fare riferimento allinterpretazione che Aristotele d della teoria delle idee. Il cuore teorico di questa interpretazione non sta tanto nelle sue notissime critiche, riassunte da Alessandro di Afrodisia fra il 198 ed il 211 dopo Cristo e desunte da un saggio dello stesso Aristotele intitolato Sulle Idee oggi perduto, che esponeva in forma compiuta ci che nella Metafisica  appena accennato. Queste critiche sono ovviamente interessanti, e si possono trovare esposte in qualunque buona opera monografica o in qualunque manuale completo. Il cuore teorico sta invece in due punti cui accenner brevemente. In primo luogo, Aristotele sostiene che la dottrina di Platone per molti aspetti si ricollega alle dottrine pitagoriche, ma possiede anche una sua originalit che la separa dalle dottrine degli Italici (sesto paragrafo del libro primo della Metafisica). Come si vede, sottolineando nel capitolo precedente la strettissima derivazione di Platone dai pitagorici, ed ignorando sovranamente lirrilevante chiacchiericcio dopolavoristico ateniese nellagor fra Socrate ed i sofisti, non ho fatto altro che ricollegarmi alla venerabile tradizione di Aristotele. In secondo luogo, a proposi- to della cosiddetta separazione di Platone dai pitagorici, dove esattamente stia questa separazione  detto chiaramente dallo stesso Aristotele, che fu personal- mente allievo di Platone e doveva dunque conoscerne molto bene anche le co- siddette dottrine non scritte (anche Platone aveva certamente i suoi ascoltatori esoterici ed essoterici). Egli riferisce infatti, sempre nella Metafisica, che mentre nei Dialoghi platonici sono concettualizzati soltanto due livelli di realt (quello sensi- bile del mondo empirico e quello intelligibile delle idee eterne ed immutabili), nel suo insegnamento orale Platone affermava lesistenza di ben quattro distinti livelli di realt: la realt degli enti sensibili, la realt degli enti matematici, la realt delle idee vere e proprie (tipo la Giustizia ed il Bello), ed infine la realt dei Principi, cio l'Uno e 105 Pali : CaprroLo XV la Diade, intesa come il necessario processo di rottura dell'unit dellUno, che com- porta il passaggio della qualit alla quantit, e quindi alla dimensione della misu- rabilit, per cui lo stesso Platone ci dice che con la Diade nasce anche il contrasto fra il grande e il piccolo. Dalla quantit, prodotta dalla Diade, nascerebbe per Platone lIllimitato, che invece per Pitagora era una semplice opposizione polare al Limite. Tutto questo potr certamente sembrare astruso ed incomprensibile al profano curioso, ma lo sembrer molto meno se lo interpreteremo in modo ontologico-so- ciale. Cerchiamo di farlo in ordine. Primo, il pensiero di Platone non si origina dal chiacchiericcio dopolavoristico con i sofisti sullagor, ma da una interpretazione originale del pensiero di Pitagora da cui deriva. Secondo, al di sopra del sempli- ce mondo delle Idee ci stanno i due Principi, che prevedono lautonoma divisione dellUno in Due (lUno si divide sempre in Due, sosteneva negli stessi anni la filo- sofia cinese classica, ripresa poi nel Novecento da Mao Tse Tung). Terzo, la Diade comporta il passaggio dalla qualit pura alla quantit numerica, la misura e l'illi- mitato, e perci il rapporto fra la quantit e la qualit sta alla base della dialettica (tesi ripresa sia dallo Hegel della Scienza della Logica, sia da Marx nella sua distin- zione fra aspetto qualitativo ed aspetto quantitativo della teoria del valore-lavoro, il cui lato qualitativo comporta l'alienazione, mentre quello quantitativo comporta la produzione illimitata). Quarto, i tre mondi delle idealit vere e proprie (giustizia, bel- lezza, ecc.), delle idealit matematiche (il triangolo, il cerchio, la misurazione delle proporzioni architettoniche, musicali, sociali, ecc.), ed infine delle idealit materiali (il cane, il cavallo, ecc.) sono distinti, e debbono essere trattati in modo specifico. Quinto (e questo  forse il punto pi rilevante), Platone si mostra paradossalmente pi vicino ad Eraclito che a Parmenide, perch la spaccatura necessaria interna all'identit dell'Uno e della Diade non comporta soltanto la superiorit della teoria dei Principi sulla teoria delle Idee, ma comporta l'accettazione implicita della teoria del polemos che regge tutte le cose. Che cos' infatti lazione della Diade se non lo scatenamento del polemos? Non nasce infatti il polemos dallo scatenamento smisu- rato della quantit, e questo scatenamento smisurato ideale della quantit non  forse la matrice della adikia che regna tra i mortali, e di cui bisogner pagare prima o poi il fio (diken didonai)? Questa interpretazione sembrer certamente strana e mostruosa ai commenta- tori pii e politicamente corretti, ma si tratta semplicemente di uno sviluppo dia- lettico coerente delle due teorie aristoteliche precedentemente ricordate, e che per completezza ripeto ancora una volta: primo, Platone  un allievo di Pitagora, ed il suo pensiero deve essere interpretato come una brillante ed originale eresia pi- tagorica, assai pi che come un irrigidimento dogmatico del libero chiacchierare infinito ed indeterminato di Socrate (il Socrate di Guido Calogero e di Gabriele Giannantoni, ovviamente, non il vero Socrate, nel frattempo svanito per sem- pre nella tempesta del tempo); secondo, Platone ha sovraordinato alla sua teoria delle idee una teoria dei Principi, che fondandosi sulla divisione dellUno in due accoglie di fatto la tesi di fondo eraclitea sul polemos come madre di tutte le cose. Ed a queste due tesi pienamente aristoteliche aggiungo una terza di cui porto lin- 106 Aristotele: la prima formulazione sistematica dell'ontologia dell'essere sociale tera responsabilit, per cui in questo modo Platone, ritenuto da tutti gli sciocchi un conservatore amante di ci che  immobile e non cambia mai,  invece un pensatore che, come Marx e Mao Tse Tung (il paragone  effettivamente un po azzardato, ma  come disse Rousseau - meglio avanzare un paradosso che ripe- tere per l'ennesima volta un pregiudizio), pensava che lUno producesse la Diade, la Diade producesse la Quantit (il grande ed il piccolo), la Quantit producesse la Dismisura, e tutti i tentativi di opporsi alla Dismisura con la Misura sarebbero stati precari e fragili (vedi i tre fallimenti dei viaggi in Sicilia, ecc.). Aristotele non accetta questa teoria conflittuale e potenzialmente catastrofica, ed  questa che non accetta, non tanto lo sdoppiamento dei due mondi. Se infatti il problema fosse stato soltanto la bimondanit dei due mondi, perch avrebbe dovuto affaticarsi tanto a riportare la teoria dei due Principi? E mentre la teoria dei due Principi porta al disordine, egli intende riportare l'ordine nel mondo della so- stanza (hypokeimenon). E riporta questo ordine (taxis) con la sua teoria della natura umana, che invece non  un fondamento dialetticamente contraddittorio e conflit- tuale, ma  il principio di ordine (taxis) del mondo (cosmos). Ed in questo modo, appunto, dalla decostruzione della teoria platonica dei Principi (dei Principi  lo ripeto  non delle Idee), egli fonda la prima vera e propria ontologia dell'essere sociale. Ci abbiamo messo un po di tempo per arrivarci (neanche poi troppo, per), ma ci siamo finalmente arrivati. . La natura umana di Aristotele  una categoria normativa dell'ordine sociale. L'ordine sociale si fonda su di una corretta interpretazione ontologica della na- tura umana. In proposito, sar forse utile discutere questa tesi aristotelica  che, dico subito, io accetto nellessenziale  attraverso il filtro di tre interpretazioni, tutte legittime ed interessanti e tutte e tre da me non condivise: la teoria storicista dellinesistenza della natura umana e del suo integrale scioglimento nella storia, la cui variante marxista sono i rapporti sociali di produzione; la teoria postmo- derna del cosiddetto pensiero debole, per cui ogni riferimento alla natura umana  potenzialmente matrice di una dittatura della verit sul diritto alla cosiddetta differenza; terzo, la teoria aristotelico-critiana per cui Aristotele avrebbe ragione a fondare l'ordine sociale sulla normativit antropologica della natura umana, ma che questa teoria  meglio assicurata dandole un ulteriore fondamento religioso, il fondamento della rivelazione cristiana. La prima scuola sciagurata che nega la pertinenza ontologico-sociale della ca- tegoria di natura umana  quella del cosiddetto storicismo marxista, ma questa negazione coinvolge anche altre scuole marxiste, come quella del materialismo sovietico di Stalin, obbligatoria in URSS dopo il 1931, e come quelle dei nemici filo- sofici del rapporto di continuit Hegel-Marx (Galvano Della Volpe e Lucio Colletti in Italia, Louis Althusser in Francia, ecc.). In alcuni capitoli successivi cercher di chiarire come Marx non ne sia direttamente responsabile, perch mor (1883) senza lasciarsi indietro un vero chiarimento sistematico delle sue opinioni filosofiche. Chiarimento che non lasci non tanto perch fosse occupato con altre cose (ste- sura del Capitale, inutili polemiche perditempo con confusionari come il signor 107 CariToLo XV Vogt, furibondi articoli russofobi in difesa dell'impero ottomano in cui sostanzial- mente non poteva ancora capire che il vero progetto dissolutore di quest'ultimo non sarebbe venuto dalla Russia zarista, ma dall'Inghilterra ipercapitalista affama- ta di petrolio, ecc.), ma perch riteneva erroneamente (segnalo al lettore questo av- verbio con una sottolineatura grafica) di aver gi fatto i conti con la filosofia prima del 1848, e che non ce ne fosse pi bisogno. E tuttavia, poich restava un genio, scrisse egualmente il Capitale sulla base della scienza tedesca di Hegel (Wissenschaft im deutschen Sinn). Ne parleremo pi avanti, ovviamente. Per ora basti dire che, sulla base di una discutibile interpretazione di una delle Tesi su Feuerbach, tutto il posteriore circo marxista neg la pertinenza del venerabile concetto aristotelico di natura umana, sostenendo che questultima non esisteva, era un'invenzione ideo- logica delle classi dominanti sfruttatrici per eternizzare il presunto nesso natura umana-istinto proprietario innato nell'uomo (da cui l'impossibilit antropologica e sociale del comunismo), e che ci che i reazionari chiamavano natura umana non era altro che l'insieme dei rapporti sociali di produzione, da cui derivare peraltro l'inevitabile trapasso naturale dal capitalismo al socialismo. Lo storicismo marxista, che in Italia  stato propugnato per pi di mezzo se- colo da una pittoresca banda di seguaci di Benedetto Croce che credevano di essere marxisti perch votavano a sinistra (equivoco che sta alla base di qualunque ricostruzione sensata della storia pirotecnica e surreale del cosiddetto marxismo italiano del secondo dopoguerra 1945-1991), non poteva che sfociare in un nichili- smo relativistico ed individualistico di tipo radicale di sinistra (Pannella-Bonino, quotidiano il manifesto, ecc.), ed  stato merito di Augusto Del Noce laverlo segna- lato nel pittoresco disinteresse assoluto del popolo colto di sinistra. La scuola di Lukcs  stata cos lunica a segnalare il fatto che il nucleo antropolo- gico del pensiero di Marx  la categoria di ente naturale generico (Gattungswesen), che questo termine implica etimologicamente il fatto che esista un genere umano (Gattung), e che questo fatto infine implica che esista qualcosa di ontologico de- finibile come conformit al genere (Gattungsmissingkeit). Impostare le cose in questo modo implica il riferimento non solo a Hegel, ma anche e soprattutto ad Aristotele, ma l'unico testo sistematico che ne sviluppa il tema  stato scritto in francese da Michel Vade, e nessuno lo ha mai tradotto in italiano e neppure recen- sito (unica eccezione, naturalmente, lo scrivente). In ogni caso, i lettori di Lukcs in Italia non hanno mai superato la capienza di una sala di media dimensione. In sintesi, l'eliminazione del concetto di genere (Gattung) e di natura umana in Marx pu essere plasticamente raffigurata come un ebete con gli occhi sgranati e la bocca aperta che sega furiosamente il ramo dell'albero su cui  seduto. E con questo  detto (quasi) tutto. La seconda scuola che nega lesistenza della natura umana  quella che definirei sinteticamente post-moderna (Gianni Vattimo, ecc.), che teme che un concetto nor- mativo di natura umana possa servire da pretesto ideologico per una normazio- ne (e cio messa a norma) dei comportamenti umani che si discosterebbero dallunica norma socialmente accettata. In questo modo, un potere autoritario e 108 repressivo avrebbe la scusa filosofica per punire penalmente i comportamenti an- ticonformistici, considerati non normali. Questo evoca una Polizia dei Costumi, armata o meno di bastoni, che non solo reimpone alle donne sulla spiaggia i vir- tuosi mutandoni (ne abbiamo gi evocato in precedenza la pittoresca immagine), ma criminalizza anche i gay in base al fatto che la loro sessualit andrebbe contro la norma della vera natura umana. Questa concezione si fonda su di una interpretazione dilettantesca dello Stato Etico di Hegel, confuso con lassistenzialismo clientelare di Mastella e naturalmen- te con l'ordine dato dal papa (mi scuso, ma non ricordo quale) che volle ricopri- re pudicamente i nudi di Michelangelo. E tuttavia, questi debolisti nemici del concetto normativo della natura umana non hanno tutti i torti, perch ci che essi (giustamente) temono  ampiamente avvenuto in passato e potrebbe certamente avvenire in futuro. Ma qui, ancora una volta, siamo in piena confusione fra il livel- lo ideologico ed il livello propriamente filosofico-veritativo del pensiero. Alivello ideologico, e cio manipolativo-strumentale, non nego affatto la impos- sibilit che un Grande Moralizzatore organizzi una Polizia dei Veri Costumi Virtuosi per controllare i comportamenti intimi (e sacrosanti) delluomo, dalla sessualit all'uso di alcolici e droghe leggere (sulle droghe pesanti, mi spiace, ma sono perch la polizia entri anche nelle camere chiuse). Si tratterebbe, per, di un uso ideolo- gico indebito ed intollerabile della teoria filosofica dellesistenza ontologica della natura umana, che in quanto tale (pensiamo al democratico Spinoza, che era un en- tusiastico sostenitore dellesistenza oggettiva della natura umana) non comporta af- fatto una teoria politica basata su orwelliane e foucaultiane sorveglianze totali del comportamento umano (sorveglianze che peraltro sono gi ampiamente in atto, particolarmente di tipo eletttronico, ma che non derivano da moralismi bigotti, ma dal fatto che il moderno capitalismo  in effetti una societ della sorveglianza totale). Pi avanti mostreremo anzi che oggi il problema storico della natura umana si basa appunto su di un rapporto diretto (e non pi mediato da caste di tipo indiano, da ordines di tipo cristiano medioevale o dalla schiavit greco-romana) fra lindi- viduo ed il genere, e che questo rapporto  ontologico, e non comporta affatto la Polizia dei Costumi o il controllo sui comportamenti sessuali degli individui nelle camere chiuse e nei locali di incontro. La terza ed ultima scuola  quella che invece accetta apertamente la teoria ari- stotelica della natura umana (con i necessari aggiornamenti storici, ovviamente, do- vuti alle nostre conoscenze biologiche ed etologiche, che sono molto maggiori di quelle di cui disponeva il vecchio Aristotele), ma ritiene opportuno non lasciarla cos com', oppure svilupparla sulla base di una ontologia dell'essere sociale pie- namente mondana (come  quella di chi scrive, e come  certamente stata quel- la di Lukcs conclusa prima del 1971), ma al contrario di innestarla apertamente sulla philosophia perennis del cristianesimo. Ho forti dubbi sul fatto che Agostino possa essere arruolato fra i suoi fondatori. Ritengo invece che i veri fondatori di questa sobria ed intelligente teoria siano stati i teologi domenicani medioeva- 109 CarrtoLO XV li, e Tommaso d'Aquino in particolare, e che gli stessi nominalisti (Guglielmo di Occam, ecc.), erroneamente considerati come precursori in saio da francescano dellempirismo inglese settecentesco, non ruppero assolutamente con i domenica- ni su questo punto decisivo, ma si limitarono ad individualizzarlo nel singulus in doppia opposizione ai mercanti pingui e truffatori ed ai pretoni avignonesi cor- rotti e meritevoli di pene infernali (merito eterno di Dante  quello di aver messo all'inferno individui simili a coloro cui oggi il falso dantista e vero giullare del potere Roberto Benigni lecca gli stivali - per non dire di peggio!). Ma su questo ovviamente ritorner pi avanti, perch considero i grandi nominalisti medioevali non certo gli empiristi in tonaca e dei nemici dellontologia dell'essere sociale, ma in un certo modo i primi pensatori europei che hanno saputo individualizzare corretta- mente lontologia dell'essere sociale (ovviamente, con i limiti del tempo). Che dire dei moderni sostenitori di questa posizione (Joseph Ratzinger, profes- sori cattolici come Enrico Berti, Giovanni Reale, ecc.)? Personalmente, non credo di credere al loro Dio biblico, e sono anzi un dispregiatore confesso del Vecchio Testamento (salvo invece in buona parte il Nuovo perch ci vedo un implicito co- munitarismo che mi piace, e che comunque  sempre meglio dellindividualismo laico odierno). Il mio Dio, se proprio devo sceglierne uno al Supermercato del pensiero occidentale,  quello di Spinoza, debitamente riveduto e corretto da Hegel e da Marx. In quanto allateismo, non ne sono particolarmente interessato, lo lascio ai tarantolati neodarwiniani di Micromega (Flores D'Arcais e compagnia bella), e considero la causa di negare Dio, sensata ed encomiabile nei periodi storici in cui il potere classista si basava su Dio e mandava al rogo i suoi negatori, oggi del tutto inutile e surreale, perch Dio  stato ridotto, dal capitalismo invasivo di tutti gli ambiti della vita umana, a semplice organizzatore di funerali ed a direttore sanitario per l'assistenza ai malati poveri e per il salvataggio di giovani drogati sbandati. Si tratta, ovviamente, di una funzione sociale meravigliosa, e per di pi com- piuta molto meglio (perch realizzata con pi passione) di quanto possa esserlo da burocrati pubblici distratti ed inefficienti, ma questo non cambia nulla sul fatto che la legittimazione sociale del potere in una societ ferocemente classista come la nostra non sta pi nelle mani di pittoreschi pretoni vestiti nei modi pi strani (ma gi luso diffuso del clergyman segnala un trend di secolarizzazione di tipo protestante-individualistico), ma nelle mani di un nuovo clero di pubblicitari, gior- nalisti, attori, veline e professori universitari di scienze sociali. Oliviero Toscani e Beppe Grillo contano oggi in Italia pi di Ratzinger, purtroppo (segnalo al lettore questo purtroppo, scritto da un non-credente nel suo Dio biblico, ma nello stesso tempo da un sincero apprezzatore della sua funzione di katechon, in quan- to il katechon  la principale funzione di unontologia dell'essere sociale, come il freno lo  per una macchina veloce). Data l'importanza cruciale del tema, in nome del vecchio motto latino repetita iuvant, ripeto qui i quattro punti sviluppati in precedenza: 110 Aristotele: la prima formulazione sistematica dellontologia dell'essere sociale 1. Il concetto aristotelico di natura umana  gi pienamente un concetto ontologi- co-sociale autonomo e monomondano. Non potrebbe esistere senza il presupposto della critica aristotelica non tanto alla teoria delle idee (come ripetono pigramente tutti i manuali), quanto alla teoria dei principi, in quanto la teoria della Diade di- struttiva finisce per riproporre la vecchia delegittimazione integrale di un sistema sociale proprietario che sfocia necessariamente nellingiustizia (adikia). Aristotele invece intende legittimare (almeno parzialmente, e si veda il prossimo capitolo consacrato alla sua concezione limitativa di economia) il sistema della propriet privata schiavistica, sia pure nella forma moderata del consiglio di liberare sempre gli schiavi dopo un certo tempo. Il rifiuto della Diade comporta una rifondazione ontologica globale, un rifiuto sia della teoria platonica delle idee che della teoria platonica dei principi, ed una risistemazione metafisica generale sul principio del- la natura umana. La teoria della natura umana comporterebbe lo sviluppo di una teoria del diritto naturale, che verr poi sviluppata dagli stoici (e lo vedremo pi avanti), che Aristotele non pu per sviluppare perch  ancora legato allo spazio simbolico della Citt-Stato (polis) e non ancora dell'intero mondo abitato (cikoume- ne). E tuttavia, con tutti i suoi limiti storici, quella di Aristotele  gi a tutti gli effetti una vera ontologia dell'essere sociale. Aristotele  quindi un precursore di Marx al- meno quanto lo  di Hegel. 2. Per ragioni storiche che indagheremo pi avanti, il marxismo storico real- mente esistito, fondato congiuntamente da Engels e da Kautsky nel ventennio 1875-1895, rifiut il fondamento ontologico-sociale, interpret Hegel sulla base della falsa dicotomia di metodo dialettico (buono) e di sistema idealistico (catti- vo), accett l'impostazione neokantiana di Lange dandone un'illusoria curvatu- ra materialistica, incorpor il concetto di scienza positivistica come previsione necessaria, e in questo modo sfoci su quella perversa sintesi di natura e societ, viziosamente ricalcata sul pensiero primitivo dell'unione di macrocosmo natu- rale e microcosmo sociale, che poi si chiam materialismo dialettico, e su cui Marx (che pure non aveva esplicitato il suo pensiero filosofico) era restato del tutto estraneo ed indifferente. Molto peggiore nei suoi effetti del pittoresco materiali- smo dialettico fu per lidentificazione del marxismo con lo storicismo assoluto, macchina filosofica destinata per sua inesorabile logica dialettica interna a sfociare nelladesione allindividualismo della societ radicale dei consumi ed al rifiuto di ogni comunitarismo. 3. Questo stesso pensiero individualistico-radicale, essendo del tutto indiffe- rente che i suoi sostenitori votino a destra oppure a sinistra (essendo in una democrazia manipolata il voto ormai assimilabile alla scelta di un piatto oppure di un altro al ristorante),  anch'esso ostile al concetto aristotelico-normativo di natura umana, perch ne teme luso ideologico per la legittimazione di una Polizia dei Costumi, armata o meno di bastoni e manganelli. Paura legittima, ma che per concerne soltanto luso perverso e manipolatorio di questo concetto, in quanto il 111 RO erge I Tae MO suo uso corretto allude soltanto alla definizione sociale processuale di un concetto credibile e comunitario di genere (Gattung), e non certo alla persecuzione statuale di gay, ecc. 4. Il concetto aristotelico di natura umana  invece di regola accettato dal pen- siero religioso odierno, ed  anzi il principale fattore del dialogo inter-relogioso. Questo concetto  un katechon rispetto alla dissoluzione sociale dell'individualismo capitalistico, diagnosticato da Marx quando scrisse, sulle orme di Solone (la filo- sofia infatti tratta di ci che , ed  eternamente), che la produzione capitalistica  senza misura (apeiron, aoriston, ecc.). La correttezza ontologico-sociale di questa posizione  del tutto indifferente al fatto (pur rilevante) se Dio esista o no. Se Dio esiste  meglio, ma anche se non esistesse lontologia dell'essere sociale resterebbe la filosofia migliore etsi Deus non daretur (anche nel caso che Dio non esistesse). In ogni caso, la superiorit filosofica dellaristotelismo cristiano su ogni tipo di pen- siero detto laico  la superiorit della catena dell'Himalaya sulla depressione del Mar Morto. Torniamo ora ad Aristotele. Paul Ricoeur ha fatto giustamente notare che la teoria aristotelica del giusto mezzo (messotes) non deve essere interpretata in ter- mini di apologia e consacrazione della mediocrit e del conformismo, in quanto al contrario  una teoria della vetta cui deve aspirare luomo, e, come scrive lo stesso Ricoeur, una cresta, un vertice, e non gi una specie di palude in cui luomo affonda. Molto ben detto. Ricoeur nota anche che per Aristotele non si delibera mai sui fini, ma solo sui mezzi, e questo potrebbe sembrare un avvallo al relativi- smo. E tuttavia non  cos, perch nel sesto libro dellEtica Nicomachea Aristotele sostiene che ancora pi importante della phronesis (tradotta spesso con il termine latino prudentia, ma che in realt significa saggezza pratica)  l'essere diventato phronimos, l'uomo saggio capace di volta in volta di prendere la decisione pratica giusta. Si tratta della stessa concezione che abbiamo trovato nella concezione pla- tonica ricordata da Alessandro Biral. In entrambi i casi si tratta di una saggezza pratica, che non ha nulla a che fare con il dovere di Kant. E citando per lultima volta Ricoeur, sono d'accordo con lui quando dice che la nozione di prassi, che ha avuto poi una cos gran fortuna con Marx,  nata con Aristotele. La prassi  infatti il luogo dellazione, e lazione  quella che discrimina il Bene dal Male. La prassi  quindi a tutti gli effetti una virt (gret). Certo Ricoeur esagera, quando dice che questo concetto  nato con Aristotele.  nato certamente prima, ma solo Aristotele lo definisce come azione volta a modificare in modo virtuoso i comportamenti umani, distinto dalla poiesi (la fabbricazione di oggetti materiali) e dalla teoria propriamente detta (la contemplazione della verit in s, poi connotata da Aristotele come bios theoretiks). Per i Greci il termine virt (aret) non aveva nulla del retrogusto moralistico che questo termine ha oggi assunto (ad esempio, una donna virtuosa, ecc.). Virt 112 Aristotele: la prima formulazione sistematica dellontologia dell'essere sociale significava semplicemente esercitare nel modo migliore possibile la funzione cui si  assegnati (la virt del coltello  quella di tagliare, virt della barca  quella di non affondare, virt del medico  quella di curare, ecc.). Per Aristotele (ma anche per Platone, come si  visto in precedenza) il solo luogo in cui esiste la virt  la prassi, e quindi la virt  prassi per sua propria essenza. A mio avviso, dal momento che la prassi  il luogo della trasformazione di ci che  vizioso e la conservazione di ci che invece  gi virtuoso e non ha dunque bisogno di essere trasformato, il concetto di prassi di Aristotele ricopre quasi integralmente quello di Marx, con la piccola correzione per cui i filosofi non devono limitarsi ad interpretare il mondo, ma devono trasformarlo, rivoluzionandolo se  cattivo e conservandolo se  buono (mi prendo integralmente la responsabilit di questa ardita analogia!). L'uomo ha due virt fondamentali, quella di essere un animale sociale, politico e comunitario (politikn zoon), e quello di essere un animale dotato di ragione, di linguaggio (nel senso di dialogos di Socrate), ed infine di capacit di calcolo del- le proporzioni geometriche applicate all'equilibrio sociale nel senso di Pitagora. Questi tre ultimi significati interconnessi si dicono in greco zoon logon echon, dove logon  l'accusativo di logos ed echon significa che possiede. Il primo significato, inteso nel senso per cui la filosofia si occupa di ci che , ed  eternamente, ci dice che luomo  un animale per sua natura (la natura umana, appunto) comuni- tario, ed il presente individualismo scatenato  probabilmente soltanto un inci- dente della sua lunga storia, un incidente storicamente contingente e non eterno. Il secondo significato ci dice che in ogni epoca storica luomo realizza in modo diverso (il proprio tempo appreso nel pensiero) la propria capacit razionale, i propri sistemi di dialogo sociale, ed infine la propria capacit di calcolo scientifi- co. La stessa scienza  cos sottoposta integralmente alla storicit, e non diventa un feticcio religioso astorico ed assoluto. La nostra trattazione di Aristotele non  terminata. Nel prossimo capitolo ne in- dagheremo le concezioni economiche. Ma possiamo gi concludere che per lui la possibilit emancipativa della natura umana non era concepita in termini di casua- lit aleatoria (kat to dynatn), ma di essente in possibilit (dynamei on), lo stesso concetto che in Marx  descritto come ente naturale generico (Gattungswesen). Ma su questo sar necessario ancora tornare, e tornare, e tornare. 113 XVI. - LA PRIMA CRITICA SOCIALE SISTEMATICA PRIVA DELLA MEDIAZIONE SIMBOLICA DELLA NATURA AL PERICOLO DELLA CREMATISTICA IN ARISTOTELE Nel capitolo precedente ho rinvenuto la genesi dellontologia dell'essere so- ciale in Aristotele nella sua critica alla teoria dei principi e della Diade di Platone, in cui la dinamica potenzialmente distruttiva dello scatenamento della quantit, fondamento numerico della smisuratezza sociale, era frenata (katechein, katechon) dal fatto che la natura umana aveva in s la potenzialit ontologico-antropologica (dynamei on) di produrre un tipo umano phronimos, capace cio di portare nel cam- po della decisione politica (boulesis) quel giusto mezzo di comportamenti (messo- tes), che lungi dall'essere una razionalizzazione moderata e conservatrice era in- vece (secondo lopportuna interpretazione di Paul Ricoeur) una cresta, un picco, un vertice in cui si pu conseguire la vita felice (eu zen). Questa, ovviamente, non  che la genesi personale. La genesi sociale sta invece nel fatto che Aristotele vive tra due periodi storici, e proprio l'aver vissuto tra due mondi ha prodotto un tempo intermedio (Zwischenzeit) in cui la democrazia antica si era gi stabilizzata in un panorama schiavistico moderato, che aveva attutito quella furibonda lotta di classe precedente da cui erano nati i concetti di apeiron e di adikia in Anassimandro, il concetto di fuoco semprevivo di Eraclito, il sogno della regolamentazione ge- ometrica perfetta dei rapporti sociali di Pitagora, la proiezione simbolica nel con- cetto di Essere (to on) del carattere stabile e permanente della buona legislazione eterna di Parmenide, la pratica dialogica nellagor di Socrate, grande patriota della sua citt e non certo nemico della democrazia, ed infine la grande sintesi politica della Repubblica di Platone, nei cui dieci libri sono contenuti tragicamente sia il modello delle tre classi sia lo schema dialettico dellinevitabile corruzione progressiva dei reggitori. In una parola, il carattere ontologico-normativo del concetto di natura umana rappresenta nel rarefatto mondo della filosofia il risultato storico-sociale di questo processo ideale durato tre secoli, che Aristotele non  in grado di ricostruire gene- ticamente per la necessaria falsa coscienza degli agenti storici (teoria destoricizzata delle quattro cause, idea strampalata per cui la filosofia nascerebbe da una non me- glio identificata e generica meraviglia, anzich dallelaborazione razionale dei conflitti sociali, ecc.), ma che per egualmente pu in qualche modo sistematizzare al massimo livello possibile. Aristotele  stato anche il fondatore della filosofia dell'economia, e dicendo fondatore intendo proprio dire il fondatore. Questo fatto basilare  ampiamente 115 CarrroLo XVI noto agli specialisti (Henry Denis, Karl Polanyi, Geoffrey de S. Croix, Moses Finley, ecc.), era gi ampiamente noto a Marx, mentre  sistematicamente ignorato dai manuali liceali ed universitari di storia della filosofia, che arrivano al massimo (ma neppure tutti) a riportare distrattamente che Aristotele nella Politica avreb- be distinto fra economia e crematistica, senza peraltro neppure immaginare le conseguenze dirompenti di questa distinzione, sulla quale poi indirettamente Marx costru la sua critica dell'economia politica. Certo, non  mia intenzione at- tualizzare indebitamente Aristotele, anche se il metodo dellontologia dell'essere sociale  veritativo, e quindi tratta anche e soprattutto di ci che in filosofia , ed  eternamente. Nello stesso tempo, per, la critica dell'economia politica di Marx presuppone un punto di vista critico-qualitativo sull'economia politica inglese di Smith e Ricardo, e cio uno sdoppiamento teorico, lo stesso sdoppiamento qua- litativo che c' in Aristotele fra l'economia propriamente detta (oikonomia, e cio la regola, nomos, per gestire correttamente con la regola della messotes la casa, oikos, in vita del vivere bene, eu zen), e la crematistica (chrematistik, e cio larte di procurar- si e di accumulare ricchezze, chremata). Ora, se questa non  filosofia al 100%, non capisco che cosa sia la filosofia, a meno che con questo termine si alluda a quel gossip gnoseologico-ermeneutico che viene chiamato oggi filosofia nei dipartimenti universitari. Un giovane filosofo italiano, Luca Grecchi, ha invece costruito il modello di umanesimo greco pro- prio sulla consapevolezza di questa distinzione e sulla sua elaborazione sistemati- ca. Oggi si tratta di una vox clamans in deserto, ma la logica della storia ci fa ragio- nevolmente pensare che verranno giorni migliori, esaurito il ciclo del pentimento della sciagurata e fallimentare generazione sessantottina (1968). Comunque, per non disturbare i colleghi di economia, che potrebbero aversela a male per questa indebita invasione di campo disciplinare, la riflessione filosofica sull'economia di Aristotele  ignorata in favore del vacuo chiacchiericcio sulla cosiddetta filoso- fia del linguaggio (per non dire di peggio). Io seguir qui una strada opposta. La filosofia dell'economia  la chiave della filosofia di Aristotele. In proposito, una delle ragioni del silenziamento del suo pensiero sta nel fatto che, anzich prestare attenzione al suo metodo di analisi, si  preferito prestare attenzione alle sue opinioni contingenti, che, essendo estrema- mente politicamente scorrette, non potevano che indignare virtuosamente tutti i buonisti del mondo. Aristotele sostiene infatti che lo schiavo  tale (anche) per natura, che le donne non devono partecipare alla vita pubblica (con una eviden- te svolta a destra rispetto al pitagorismo platonico), che i poveri di citt (teti) non dovrebbero poter votare, che i tripodi di Efesto non si muoveranno da soli ci vogliono necessariamente gli schiavi per spostarli, ecc. Orrore! Orrore! Ma allora era un reazionario! Ma allora era uno schiavista! Ma allora Veltroni  pi buono di lui! Viva Bobbio, viva Habermas, viva la liberaldemocrazia! Insomma, da qua- lunque parte lo si guardi, Aristotele non va bene! Se lo si guarda dal punto di vista della centralit dell'economia, diventa un comunista! Se lo si guarda invece dal punto di vista delle opinioni che professa, diventa un fascista! 116 La prima critica sociale sistematica priva della mediazione simbolica della natura Naturalmente, Aristotele non era n l'uno, n laltro. E tuttavia ha ragione Geoffrey de S. Croix, quando afferma: Aristotele  molto vicino a Marx nella sua analisi della comunit politica su almeno tre punti. Comincia con la classificazione delle parti (mere) che costituiscono il corpo della citt, distinguendo i cittadini se- condo le funzioni che svolgono nel processo di riproduzione complessivo. Finisce con una dicotomia fondamentale fra proprietari e non proprietari, e cio fra ricchi (euporoi) e poveri (aporoi), rilevando che i poveri sono sempre pi numerosi dei ricchi, e per questo vogliono la democrazia, che  definibile come il regime dei po- veri (aporoi) e non certo come il bobbiano regno delle regole formali (cfr. Politica, 1291 b7-13). Infine, interpreta sempre la posizione economica di un uomo come la principale determinante del suo comportamento. Riflettiamo con attenzione su questa affermazione di S. Croix, e cio che Aristotele interpreta sempre la posizione economica di un uomo come la princi- pale determinante del suo comportamento. Non siamo ancora al concetto mar- xiano di prevalenza della struttura economica sulla sovrastruttura ideologica, ma ci manca proprio poco. Ed infatti Aristotele si spinge a dire che il thes, e cio il la- voratore salariato povero, anche se formalmente libero, svolge un lavoro doulikn, adatto cio allo schiavo. Questa affermazione  molto antipatica, e certamente poco umanistica. Devo dire che molte opinioni di Aristotele sono sgradevoli e non condivisibili, non tanto perch cos appaiono a noi pi di duemila anni dopo, ma perch gi ai suoi tempi (vorrei insistere su questo gi ai suoi tempi) vi erano pensatori che non sareb- bero stati d'accordo con lui. Nellorazione funebre pronunciata da Pericle circa un secolo prima si dice: Non  vergognoso per nessuno confessare di essere povero, ed  soltanto vergognoso non sforzarsi di uscire dalla povert. I cittadini che si occupano degli affari della citt possono nello stesso tempo provvedere ai propri, e cos chi si dedica alle proprie attivit pu nello stesso tempo essere attivo in poli- tica. Con questo Pericle smentisce con pi di duemila anni di anticipo le visioni di Stalin, Nietzsche e Hannah Arendt, per cui i Greci potevano occuparsi di politica perch non facevano nient'altro. E comunque Aristotele resta uno scopritore dell'economia (Polanyi). E lo re- sta perch Polanyi riesce a periodizzare i due grandi momenti di sviluppo delleco- nomia come scienza sociale, cosa che gli economisti professionali, che fondano il loro sapere sulla destoricizzazione ed ancor pi sulla desocializzazione (il Robinson Cruso di Locke, di Hume e di Smith) non potrebbero mai fare. Per periodizzare storicamente l'economia, infatti, bisogna uscire dal cerchio magico autoreferenziale dell'economia stessa, per entrare nella filosofia, o pi esattamente nel metodo della deduzione sociale delle categorie, della genesi storica delle teorie e dellontologia dell'essere sociale, intesa come elaborazione dialettica del rapporto fra la natura umana storicamente data e l'insieme dei rapporti sociali di produzione vigenti in un certo momento storico. Se ci si colloca in questa ottica si pu allora capire Karl Polanyi, che periodizza appunto in due distinti momenti l'evoluzione dellecono- mia. 117 CarrroLo XVI In un primo momento l'economia propriamente detta  ancora incorporata (em- bedded) allinterno della societ, e non pu essere logicamente separata e distinta dal resto dei rapporti sociali, politici e religiosi. In un secondo momento, a partire dal decollo capitalistico del Settecento britannico, e non prima di quello, leco- nomia pu essere svincolata, e quindi isolata dal resto della societ. Aristotele sta ancora allinterno del primo momento di embeddedness, anche se  in grado di presagire la dinamica autonomizzante della crematistica. Marx sta ovviamente in pieno dentro il secondo momento, parte dall'esistenza di una economia gi inte- ramente desembedded, e appunto per questo pu fare ci che Aristotele non avrebbe mai potuto fare, e cio una critica dell'economia politica. E tuttavia hanno ragione quegli interpreti (De S. Croix, Polanyi, Henri Denis, ecc.) che interpretano la distin- zione aristotelica fra economia e crematistica come una anticipazione significativa, anche se ancora imperfetta, di una critica dell'economia politica. Ed hanno ancora pi ragione quei commentatori filosofici (Luca Grecchi, e se me lo si permette, il modesto scrivente) che ritengono che il cuore dellumanesimo greco si debba indi- viduare proprio nellelaborazione filosofica ulteriore di questa distinzione. Il caso contrario, l'umanesimo diventa una pomposa e tronfia etichetta che gli sciocchi si autoattribuiscono, credendo che lautodefinirsi Umanisti li faccia uscire dalla condizione di bestie senza cervello e senza sensibilit sociale e comunitaria. Ho rilevato in precedenza che per cogliere il lato ontologico-sociale del pensiero di Aristotele ci vuole un riorientamento gestaltico. Bisogna smettere di fissarsi sul- le sue opinioni (in larga parte oggi inaccettabili), per guardare invece al suo metodo (secondo i rilievi di De S. Croix prima citati), e soprattutto alla sue contraddizioni. E sono le sue contraddizioni le cose pi interessanti. Facciamo l'esempio del suo atteggiamento verso la schiavit. Nella lingua greca lo schiavo (doulos) era anche chiamato ragazzo, anche se era gi anziano (pais), oppure addirittura corpo (soma). Aristotele, che pure afferma che la schiavit  secondo natura (kat physin), scrive per (cfr. Politica, V, 1254 b) che la natura ten- de senza dubbio a formare i corpi degli schiavi in modo che siano diversi da quelli degli uomini liberi [...] e tuttavia accade sovente il contrario: degli schiavi hanno dei corpi da uomini liberi, e degli uomini liberi hanno anime da schiavi. Qui la contraddizione logica  tale da poterla spiegare soltanto con il fatto che lanima filosofica veritativa di Aristotele configgeva con laltra sua anima ideologico giu- stificativa. E scrive anche Aristotele (cfr. Economica, I, cap. V, 14-16): Bisogna stabilire sem- pre un termine al lavoro degli schiavi.  giusto ed  utile, infatti, far brillare davan- ti ad essi la libert, quale premio per le loro pene, perch gli schiavi si sobbarcano volentieri la fatica, quando si aspettano una ricompensa, e quando il tempo del servaggio  limitato. La motivazione sar anche utilitaristica, ma questa insisten- za nel limitare il tempo del lavoro dello schiavo non pu non far pensare al tema del limite (peras) su cui abbiamo tanto insistito in precedenza, individuando in esso la base simbolica del pensiero antico. 118 La prima critica sociale sistematica priva della mediazione simbolica della natura La stessa critica aristotelica al comunismo platonico deriva dal suo concetto di natura umana. Scrive Aristotele (cfr. Politica, 1262 b): Vi sono due impulsi di inte- resse e di amore predominanti nell'uomo: il sentimento della propriet e l'affetto esclusivo. Come si vede, siamo di fronte ad una constatazione di tipo dialettico, perch la propriet (aspetto egoistico)  legata allaffetto (aspetto altruistico). Egli nota anche (cfr. Politica, 1263 b) che tra quanti possiedono beni in comune, o in forma indivisa, i contrasti sono molto pi frequenti che non tra i cittadini i cui interessi siano separati.  anche interessante un rilievo (che sar poi accettato da Epicuro, pi o meno negli stessi termini) secondo cui essere generosi e sovvenire alle necessit degli amici, degli ospiti e dei conoscenti,  il pi grande dei piaceri, che per non potrebbe essere gustato se non si posseggono dei beni in propriet privata (cfr. Politica, 1263 b 5). Potrei continuare, ma ci che conta  rilevare che persino nella polemica contro il comunismo platonico Aristotele usa argomenti altruistici e comunitari. C' inoltre un rilievo di Aristotele che suona stupefacente alle nostre orecchie individualistiche (cfr. Politica, VII, 12, 1332): La vita felice richiede un certo so- stegno di beni materiali, ma in misura minore per quegli individui che hanno le migliori disposizioni morali, ed in pi grande quantit, invece, per coloro le cui disposizioni, sul piano etico, sono meno buone. In buona sostanza, Aristotele dice che la ricchezza  un dato compensatorio che serve a risarcire le insufficienze umane ed intellettuali dei poveri di spirito. Si tratta di una verit solare probabilmente ignota a Berlusconi, Prodi e Cordero di Montezemolo, ma non per questo meno esatta e socialmente pertinente. E qui ven- gono anche individuate le radici ultime della crematistica (cfr. Politica, I, IX, 1257): Alcuni pensano che laccumulazione sia anche il vero obbiettivo dellamministra- zione domestica, e vivono perci immersi nellidea che sia loro dovere conservare intatta la loro riserva di denaro, o addirittura di accrescerla all'infinito. La ragione di un tale atteggiamento si ritrova nel fatto che essi si impegnano unicamente a vivere, e non a vivere secondo il bene. Ora, poich l'appetito di vivere  illimitato, essi sono egualmente portati a desiderare dei mezzi illimitati per soddisfarlo. Da nemico della citatologia, scienza per nullatenenti, ho comunque deciso di chiudere il ciclo critico dedicato al primo periodo della filosofia antica (con il prossi- mo capitolo, dedicato ad Epicuro, inizier lanalisi critica del secondo periodo, quel- lo ellenistico, e poi romano-cristiano) con questa citazione aristotelica rivelatrice.  rivelatrice perch siamo sempre di fronte a ci che Hegel ha definito onorare il finito. Aristotele onora il finito sostenendo che vivere secondo il bene significa respingere il nesso fra lillimitato appetito di vivere e lillimitata accumulazione di denaro per soddisfarlo. Certo, Marx non si esprimer con questi termini. Ma mi prendo la responsabilit di affermare che lo spirito (Geist) del suo pensiero  pro- prio questo, e che la conformit al genere, di cui parla Lukcs, consista proprio nella capacit di diventare phronimos, e diventando appunto saggio, di imparare ad onorare il finito. 119 CarrroLo XVI Ed il comunismo - a mio avviso  consiste proprio nella capacit di imparare ad onorare il finito in senso sociale, ed a respingere l'infinito proprio in senso sociale, nel senso del dominio dellinfinitezza delle ricchezze. Concludendo cos il ciclo unitario di questi capitoli (dallottavo al sedicesimo compreso: con il prossimo siamo in un altro ciclo storico-teorico interamente di- stinto) potremo riassumere il senso complessivo in questo modo sintetico. I La saggezza filosofica del primo periodo della filosofia greca classica ha come ra- dice l'esigenza sociale di frenare lillimitatezza delle ricchezze (katechon, katechein). Il compito ideologico mistificante della destoricizzazione e della desocializzazione nella ricostruzione della storia della filosofia intesa come filastrocca di opinioni casuali  proprio quello di non far capire questo. Questo insegnamento, quindi, non ha di mira l'educazione (paideia), ma al contrario l'ignoranza (amatheia). Il Questo filo conduttore, basato sul katechein, si svolge attraverso una logica sto- rica Razionalmente ricostruibile, dallindividuazione di Anassimandro del nes- so fra linfinito-indeterminato, l'ingiustizia e il doverne poi pagare il fio (apeiron, adikia, diken didonai) al nomos della isonomia fra i cittadini come fuoco semprevi- vo di Eraclito, dal concetto di armonia geometrica dei rapporti come proiezione dellarmonia interiore dell'anima ed esteriore della societ (anima comunitaria) di Pitagora e Platone al concetto di Essere (to on) di Parmenide come proiezione ideale della buona legislazione intesa come entit stabile ed eterna. Aristotele chiude ide- almente questo ciclo unitario con un concetto di umanesimo fondato sulla natura umana come rinuncia allillimitatezza dellarricchimento crematistico. Nel secondo periodo il baricentro sociale, e quindi ideale, cambier completa- mente. Dal prossimo capitolo cercheremo di vedere come. 120 XVII. IL NECESSARIO RIPIEGAMENTO INDIVIDUALISTICO IN UNA COMUNIT PROTETTA DI AMICI IN. EPICURO E LA SUA SPIEGAZIONE ONTOLOGICO-SOCIALE L'antichista italiano Piero Innocenti, gi traduttore dei lavori fondamentali di George Thomson, ha scritto una splendida storia delle varie interpretazioni che sono state date di Epicuro e della sua scuola.  evidente che Epicuro  sempre stato un pretesto nobile per poter parlare d'altro, e cio del proprio modo di collocarsi nel tempo storico in cui si viveva. Questo vale ovviamente per tutti indistamente i filosofi, ma per Epicuro pi ancora che per gli altri. L'esempio ne  stato dato da Karl Marx, con la sua tesi di laurea del 1841 a Jena sulla Differenza fra la filosofia della natura di Democrito e di Epicuro. A mio avviso, questa tesi di laurea, tra laltro scritta senza tenere metodologicamente alcun conto del metodo della deduzione storica delle categorie, non possiede una grande rilevanza teorico-critica, mentre invece rappresenta una testimonianza inestimabile per ricostruire il processo di pensiero (Denkweg) di Marx stesso, e vedremo fra poco come. Epicuro, quindi, come pretesto per parlare d'altro. Per Michel Onfray, lateologo nemico dei pretoni,  un pretesto per ricostruire una sorta di storia ideale eterna dellateismo, che va da Democrito a lui stesso (naturalmente, o come dicono in francese, ca va sans dire!). Per Walter Otto, nemico dei materialisti e dei riduzioni- sti,  un pretesto per evidenziare il ruolo essenziale degli dei in Epicuro (altro che intermundia!). Per Jean Fallot, per riproporre l'attualit della concezione del piacere misurato e del corretto modo di affrontare la morte che Epicuro continua a trasmet- terci a pi di duemila anni di distanza. Per Althusser, Epicuro  un pretesto per la costruzione di una genealogia(che a me sembra invece piuttosto una grande narrazione del soggetto) di cosiddetti materialisti aleatori(nellordine: Epicuro, Machiavelli, Spinoza e infine Marx), genealogia con cui dovremmo oggi espiare e pagare il fio (diken didonai) per avere prima creduto come imbecilli allumanesimo antropologico, al materialismo dialettico ed allo storicismo assoluto. Insomma, a ciascuno il suo Epicuro! Ma questo Epicuro di tutti  in realt l'Epicuro di nessuno. Per questa ra- gione,  consigliabile limitare i nostri Epicuro a due soli commentatori, sceglien- doli fra i pi illustri ed eminenti (in questo caso, lo Hegel delle Lezioni sulla storia della filosofia ed il Marx della tesi di laurea sopra citata). Soltanto dopo, in nome del detto per cui i nani devono salire sulle spalle dei giganti per poter vedere pi lontano, avanzer alcune mie personali interpretazioni di tipo storico-genetico ed ontologico-sociale. 121 CaprroLo XVII L'atteggiamento di Hegel verso Epicuro  certo paradossale, ma anche rivelato- re ed interessante. Di fronte alle lamentele per cui ci  arrivato di lui troppo poco e dobbiamo accontentarci di poco pi delle tre lettere riportate da Diogene Laerzio, Hegel rileva che certamente i filologi pazzi e maniacali avrebbero pane per i loro denti se si scoprissero ancora dei suoi testi completi, ma che d'altro lato bisogna compiacersi del fatto che sia arrivato cos poco, che  anzi fin troppo. Sarebbe stato meglio, infatti, che non fosse arrivato niente. La sola cosa che Hegel  disposto a riconoscere ad Epicuro  la sua nobile concezione etica del piacere come limite, e ci stupiremmo del contrario, visto che Hegel parte sempre dal fatto che i Greci hanno onorato il finito, e dunque Epicuro, ponendo l'etica come misura (metron) del piacere regolato, dominato e padroneggiato, ha ovviamente a suo modo onora- to anche lui il finito. Per il resto, come dice un'espressione popolare, sarebbe stato meglio perderlo che trovarlo. E tuttavia, un genio come Hegel non dice (qua- si) mai sciocchezze, anche se a volte dice cose criptiche, spaesanti e paradossali. Conviene quindi riflettere sulle ragioni che lo hanno spinto a dire queste cose cos poco politicamente corrette. Le ragioni sono molte, ma in questa sede ricostrut- tiva e non monografico-analitica posso limitarmi a ricordarne solo tre. La terza  la pi importante. In primo luogo, Hegel ritiene che ogni filosofia sia necessariamente ideali- smo, e che quindi il materialismo filosofico di fatto non esista e non possa esi- stere, perch se si elabora sistematicamente il concetto nelle sue determinazioni e non ci si ferma a met strada, anche il punto di partenza pi materiale dovr necessariamente approdare all'idea. E tuttavia in Epicuro la stessa teoria atomisti- ca non  ricavata in modo sensistico, ma  posta in forma puramente razionale ed ideale (atomon idea). Epicuro potrebbe tranquillamente essere definito in termini di idealismo della materia, in quanto ovviamente la stessa materia (hyle), quando diventa lunico principio di tutto, diventa un'idea, e cio lidea di materia, e tutte le strida ed i brontolamenti dei nemici dellidealismo non possono farci proprio niente. Tuttavia io non giungerei comunque a questa decisione, perch non penso neppure che Epicuro sia stato un materialista, in quanto condivido la tesi della studiosa greca Maria Antonopoulou (che riprender pi avanti), secondo cui il vero e proprio materialismo non nasce prima (e quindi prima non c'era) del set- tecento europeo, in cui adempie alla funzione ideologica (attenzione, alla funzione ideologica, non filosofica) di offrire un quadro spaziale omogeneo ed ideale per il libero scorrimento della merce capitalistica in alto, in basso, a sinistra ed a destra in un medium materiale non pi diviso nell'Alto divino e nel Basso umano, nel Secolo umano e nel Millennio divino, ed altri dualismi ontologici funzionali alla visione ideologica tardo feudale e signorile della societ nobiliare degli Ordines sacralizza- ti della metafisica cristiana. In secondo luogo Hegel ce lha con Epicuro perch lo vede come uno sciagurato precursore di lingua greca degli altrettanto sciagurati sensisti, empiristi e mate- rialisti del settecento illuministico, per i quali nutre un pittoresco disprezzo. A dif- ferenza di Horkheimer e Adorno, Hegel non disprezza affatto lilluminismo, che 122 Il necessario ripiegamento individualistico in una comunit protetta di amici in Epicuro considera anzi come la premessa necessaria di ogni idealismo moderno. Ritiene di vivere in un'epoca di gestazione e di trapasso, e pensa che quest'epoca non avrebbe neppure potuto esistere senza questa premessa logico-storica. Per quello che vale, sono completamente d'accordo con lui, ed ho sempre trovato stucchevoli nella loro pittoresca mancanza di storicit tutte le affrettate liquidazioni dellillu- minismo. La sola cosa che non sopporto  la trasformazione diretta destoricizzata dell'eredit illuministica in identit ideologica di bandiera dei laici antimarxisti di oggi (Scalfari e gruppi di La Repubblica ed L'Espresso, Micromega ed altri tarantolati del darwinismo e della lotta neovolteriana contro i pretoni, ecc.). Per il resto, viva l'illuminismo ed ancora pi viva la critica idealistico-dialettica ai limiti intellet- tualistici dell'illuminismo stesso. In proposito, per, la chiave di tutto sta nella comprensione anticipata (ed ecco perch la anticipo fin da adesso) che il limite dei Greci non ha nulla a che fare con il limite di Kant. Il limite dei Greci  un limite on- tologico, basato sull'identit fra le categorie del pensiero e le categorie dell'essere, e quindi  un limite che indica direttamente la necessit di limitare le smisurate ed illimitate ricchezze, mentre il limite di Kant  un limite gnoseologico, che presup- pone la separazione ontologica fra le categorie dell'essere e del pensiero, con il bel risultato di permettere di pensare soltanto la critica alla pretesa normativa della metafisica dellaldil sul mondo empirico dellaldiqua, e non permette invece di criticare la violazione ontologico-sociale del dominio della smisuratezza capitali- stica nellaldiqua. Il criticismo di Kant, che presuppone una costituzione soltanto formalistica del soggetto e fa da sbarramento a qualunque sua costituzione storico- sostanzialistica (Hegel, Marx, ecc.),  una vera macchina da guerra teorica per non consentire la critica dialettica del capitalismo stesso inteso come totalit olistica e come unit sferica (riuso qui il termine di Parmenide gi analizzato in preceden- za). Mi scuso con il lettore per aver anticipato in forma sintetica tesi che verranno sviluppate pi avanti in modo pi analitico, ma la filosofia si occupa anche di ci che , ed  eternamente, e non solo del tempo storico specifico di Epicuro e di Kant, che non sarebbe infatti comparabile se ci attenessimo strettamente al principio del proprio tempo appreso nel pensiero. La filosofia non si occupa infatti solo della storia del genere umano (Gattung), ma anche della sua natura (Aristotele, ecc.). In ogni caso, per concludere su questo punto, lo stesso Innocenti rileva che su Epicuro viene retrodatata lantipatia che Hegel nutre per i sensisti e gli empiristi settecenteschi, cui invece vanno tutte le virtuose simpatie anglosas- soni dei laici (Augusto Viano, Nicola Abbagnano, e via via enumerando tutta la filosofia italiana, e specialmente torinese). In terzo luogo, infine, Hegel non ce lha semplicemente con Epicuro perch  uno svevo settario e/o un prete travestito che non sopporta la materia, ma per- ch diagnostica perfettamente la natura profonda delle filosofie ellenistiche in ter- mini di falsa libert, oppure (uso qui un termine caro al mio maestro Lukcs) di interiorit all'ombra del potere, quando non di Grand Hotel dell Abisso (Grand Hotel Abgrund). Di questo giudizio di Hegel bisogna parlare, chiedendoci se sia vero o falso, non certo del chiacchiericcio pettegolo dellopinare (meinen). 123 CaprroLo XVII Sebbene infatti io mi consideri personalmente un modesto allievo di Hegel (e di Marx, naturalmente), non sempre sono ovviamente d'accordo con gli specifici giu- dizi che Hegel d su moltissime civilt (India, Cina, ecc.) e su molti filosofi. Nel caso di Epicuro non sono d'accordo, e non sono d'accordo su due punti, che tocca- no il primo giudizio teorico complessivo sulla natura della filosofia di Epicuro, ed il secondo sulla sua stessa collocazione storica. A proposito della valutazione globale della filosofia di Epicuro,  chiaro che tal- volta noi andiamo a cercare i nostri Greci come se entrassimo in un negozio ben fornito, ed ognuno alla fine si sceglie i Greci che vuole. Il borgomastro antisemita di Vienna disse un giorno: Decido io chi  ebreo e chi no, e nello stesso modo oggi i filosofi scelgono loro chi ha veramente interpretato al massimo livello la sfuggente grecit, da Parmenide a Socrate, da Platone ad Aristotele, da Epicuro agli stoici. Nei capitoli precedenti ho messo in guardia contro questo atteggiamen- to soggettivistico ed arbitrario da shopping in un supermercato, rilevando come la ricchissima storia della filosofia greca classica giri sempre intorno ad un solo concetto centrale, quello del katechein contro la Dismisura e del modo per frenare la dismisura stessa con il metron. E tuttavia,  impossibile impedire alla gente di scegliersi il suo guru preferito di riferimento (oggi tira molto forte il Dalai Lama, ma domani chiss!). Secondo il filosofo greco (moderno) Charalambos Theodoris, Epicuro  stato il pensatore che ha saputo pi e meglio di tutti gli altri non solo interpretare, ma an- che salvarela grande eredit complessiva del pensiero classico, trasmettendone integralmente il metron dalla comunit politica ormai irreversibilmente distrutta alla comunit protetta di amici. Non si tratterebbe quindi di individualismo, come spesso si ripete, ma di comunitarismo solidale. Ed infatti il primo pensiero del testamento di Epicuro  la segnalazione agli amici di occuparsi del figlio rima- sto orfano dell'amico Metrodoro, ed inoltre lo stesso Epicuro respinge il comuni- smo con lo stesso argomento di Aristotele, secondo cui il comunismo ci toglierebbe il pi grande piacere della vita, quello di beneficare gli amici. Il problema non sta certamente nel decidere se il primato che Theodoris assegna ad Epicuro sia cor- retto o meno, o se sia opportuno invece assegnare retroattivamente il Nobel ideale ad un altro, il che restringerebbe fatalmente la scelta ai soli Platone ed Aristotele, scatenando una demenziale gara fra utopisti e moderati. Ognuno opina sovra- namente come vuole. Il problema  di capire che nel caso di Epicuro la cosiddetta rottura individualistica rispetto al passato classico  molto meno grande di come spesso si pensa. Hegel ha invece ragione nellessenziale a constatare che le filosofie dette elle- nistiche rappresentano una rottura qualitativa rispetto alle filosofie precedenti perch segnano l'abbandono del carattere direttamente politico delle precedenti. Sebbene questo giudizio debba essere sfumato (e lo vedremo nel prossimo capitolo a proposito dello stoicismo antico), resta il fatto che nellessenziale  impossibi- le sottovalutare la rottura storica verificatasi nel trentennio 320-290 avanti Cristo nellarea culturale di lingua greca. Il gangster Alessandro il Macedone (uso qui il 124 Il necessario ripiegamento individualistico in una comunit protetta di amici in Epicuro moderato aggettivo con cui lo ha connotato lo storico greco Kyriakos Simopoulos) non conquist soltanto lecumene persiana, favorendo dopo la sua morte precoce da smodato ubriacone (nessuno come il presunto allievo di Aristotele viol tanto costantemente la regola greca del metron, il che dimostra che anche il maestro mi- gliore del mondo non pu nulla contro una cattiva indole) la formazione dei regni ellenistici, il cui modello politico-ideologico star poi alla base della basileia cristia- na (e cio lasservimento di tutti ad un solo Re Salvatore, Soter), ma distrusse con l'immissione massiccia della monetazione quanto restava ancora di moderatamen- te economico (e non crematistico) nel mondo ellenofono. Se allora la crematistica domina incontrastata, e non si sono ancora sviluppate le condizioni per un ciclo storico nuovo (e si tratta di una situazione storica sinistramente analoga a quella di oggi, caratterizzata dalla crematistica globalizzata smisurata nella concentra- zione delle ricchezze sia nella distruzione ecologica dell'ambiente), non possiamo rimproverare a posteriori ai nostri lontani antenati di aver sviluppato una strategia di difesa amicale-comunitaria contro questa situazione. Ovviamente, i cosiddet- ti epicurei di oggi si distinguono per ignorare i massacri sionisti in Palestina ed americani in Irak (circa un milione di morti solo nei tre anni 2003-2006), e per concentrarsi in simulazioni amicali in cui si beve bene, si mangia bene, si scelgo- no i migliori agriturismi e si decidono i viaggi pi interessanti in cui accarezzare negretti cenciosi ma sorridenti. Non era questo il tetrafarmakon di Epicuro. Quella di Epicuro  stata a tutti gli effetti una filosofia di resistenza, ed anche la resistenza  una strategia politica. Ridurla ad individualismoo a semplice cura di s attra- verso il piacere limitato significa decontestualizzare e destoricizzare la sua col- locazione in un momento storico in cui lo smisurato per eccellenza (Alessandro il Macedone non lo chiamerei grande neanche morto) dovette essere fermato dai suoi soldati perch se no si sarebbe gettato persino sullIndia e sulla Cina. Per questa ragione, e per altre minori di questo tipo, mi sento di sfumare il duro giudizio di Hegel. A proposito di Marx, l'importanza filosofica decisiva della sua tesi di laurea del 1841 a Jena sulle differenze fra latomismo di Democrito e quello di Epicuro  stata a lungo sottovalutata (come  del resto avvenuto per il suo Quaderno Spinoza). In realt Marx ha cominciato a tematizzare la sua concezione della libert dellin- dividuo (metaforizzata nella declinazione dell'atomo dalla sua rigida traiettoria verticale, clinamen, parekklisis) proprio con questa tesi. So di andare contro corrente (e peraltro me ne compiaccio!), ma mi spingerei a dire che questa tematizzazione della libert individuale, compiuta attraverso la tortuosa deviazione del clinamen epicureo,  ancora pi importante della sua posteriore rottura con Hegel e con Feuerbach, tanto enfatizzata dalle ricostruzioni tradizionali del processo di pensie- ro (Denkweg) di Marx nel decennio 1838-1848.  infatti nellelaborazione filosofica ulteriore di questo clinamen (lo scrivo in modo lucreziano clinamen, ma sarebbe molto meglio usare il termine greco originale parekklisis) che Marx  in grado di auto-interpretarsi come un atomon nato borghese, che per non ricade vertical- mente borghese, ma cade liberamente come intellettuale rivoluzionario. Come 125 CarrroLo XVII ha scritto in modo insuperabile in una sua monografia critica il filosofo atenie- se Alexandros Chryssis, il giovane Marx  il Marx della rivolta nel giardino di Epicuro. Benjamin Farrington, lantichista marxista inglese che ha scritto un'ottima mo- nografia su Epicuro, ha ipotizzato che il giovane Marx avrebbe desunto da Epicuro lidea stessa della possibilit dell'abolizione dello Stato, per cui l'insieme marxiano delle comunit autogestite ed autogovernate non pi bisognose di uno Stato auto- ritario accentratore sarebbe derivato dall'idea delle comunit solidali di amici che entrano in relazioni amicali reciproche. Forse Farrington si spinge troppo in l, ma ritengo che la sua ipotesi meriti una discussione e debba pertanto essere presa sul serio. Marx scrisse che il comunismo del futuro non avrebbe mai potuto essere previ- sto e tantomeno descritto, perch era impossibile scrivere ricette per le osterie del futuro. E tuttavia, seguendo l'insegnamento di Diodoto a proposito di Eraclito, per cui anche quando si parla di natura si parla in realt di rapporti sociali, non dobbiamo limitarci a constatare quello che soltanto gli stupidi si rifiutano di fare, e cio che Marx ha dovuto pensare persino la sua propria scelta rivoluzionaria personale attraverso la mediazione della metafora della parekklisis. E quindi persino il suo comunismo presenta tracce del mondo di Epicuro. Il comunismo di Marx, pur fondandosi su di una concezione storica e non solo naturalistica dei bisogni (ed in questo, ovviamente, il suo concetto di bisogno ric- co si distingue sia da Epicuro sia da Rousseau), non intendeva certamente abban- donarsi ad una concezione smodata e smisurata di desiderio (il comunismo dei desideri smodati ed illimitati  semmai quello del visionario Toni Negri, il pensa- tore meno spinoziano e meno marxiano dell'intero orbe terracqueo). In questo Marx restava epicureo. Platone nella Repubblica aveva definito lo stato di natura anterio- re alla nascita delle classi uno stato di porci (e cos si intende lautodefinizione del poeta latino Orazio come porco del gregge di Epicuro), ma Epicuro respinse totalmente questa connotazione. Per Epicuro, peraltro (e qui si avvicina invece a Platone), la giustizia naturale  impraticabile nello Stato gonfio di lusso (sic!). Bisognava quindi praticare una secessione necessaria ed un esodo inevitabile. Per questo fond il Giardino (kepos), l'orto coltivato da una comunit che soddisfi i bi- sogni essenziali e rifiuti i beni superflui. Beni superflui, a loro volta, che nascono da vana opinione (mai definizione fu a mio avviso tanto azzeccata e felice). Egli fond anche la casa, come centro editoriale per la diffusione delle sue idee, che fu di fatto la prima casa editrice politica della storia occidentale. Gi in vita, infatti, Epicuro cre migliaia di amici (philoi), nonostante i denigratori che lo dipingeva- no come un gaudente ed un donnaiolo, che per di pi accoglieva tutti a filosofare nel suo giardino, compresi donne e schiavi. A differenza dei misticheggianti hippies e degli individualisti gaudenti di oggi, Epicuro elabor un pensiero originale, considerato critico ed eversivo nella societ storica in cui visse. Sia pure addomesticato, il suo pensiero restava politico, e per questo fu diffamato fino a quando fu (provvisoriamente) oscurato dal cristianesi- 126 Il necessario ripiegamento individualistico in una comunit protetta di amici in Epicuro mo. Per questo intendo criticare blandamente Hegel per non averlo capito a fondo, ed invece lodare il giovane Marx per averlo capito (sia pure attraverso una me- diazione naturalistica alla Diodoto). E del resto, che cosa  il comunismo di Marx se non lanticipazione ideale di un insieme libero ed indipendente di comunit di amici reciprocamente solidali? 127 XVII. LA FUGA IN AVANTI COSMOPOLITICA DELLA COMUNIT DEI SAGGI E LA COMPENSAZIONE UTOPICA ALLA MISERIA DEL MONDO REALE DEGLI STOICI Ho sostenuto nei capitoli precedenti che esiste un primo ciclo unitario del pen- siero filosofico greco che si apre con i grandi saggi Eraclito e Pitagora e si chiu- de con Aristotele. La tradizionale distinzione fra periodo presocratico e periodo postsocratico, con al centro ovviamente la figura di Socrate, non  soltanto lega- ta allinerzia della tradizione, inerzia dovuta al fatto che nei dialoghi platonici Socrate fa da autorevole portavoce delle opinioni di Platone. Essa  dovuta a mio avviso ad un indiretto e quasi sempre inconsapevole effetto di occultamento di tipo sia storiografico sia ideologico. E che cosa si vuole propriamente occultare con questa centralit di Socrate? In un'ottica ontologico-sociale come quella che sto adoperando per ricostruire la logica genetica nella deduzione sociale delle ca- tegorie, l'insistenza sulla (sostanzialmente innocua e pittoresca) presenza gratuita del pensionato Socrate nellagor, in cui sembra che la filosofia si divida in due parti, il patrocinio gratuito socratico ed il patrocinio a pagamento sofistico, vuole occultare il fatto che Socrate  incomprensibile al di fuori di una logica del katechein e del metron, in quanto lo stabilire che cosa sia qualcosa, in una societ basata sulla isegoria, e quindi sul dialogos (dei tre termini in corsivo il pi importante  quindi), non  possibile fissare un metron, e quindi attivare collegialmente un kate- chein comunitario in grado di frenare la dismisura, se prima non si  collegialmente stabilito che cosa sia qualcosa (ti estin). Per occultare questa funzione pubblica di- rompente della pratica filosofica  del tutto normale che essa diventi lininterrotto ed innocuo domandare dopolavoristico di un vecchio perdigiorno circondato da giovani ancora pi perdigiorno di lui (il primo almeno  un pensionato, di cui si presuppone un leggero rincoglionimento presenile, ma i giovani sono evidente- mente distratti da una pi utile attivit imprenditoriale, per dirla con Berlusconi, Marchionne e Montezemolo). Abbiamo visto nei capitoli precedenti che il concepire la funzione sociale della filosofia antica in termini di disinteressato chiacchiericcio per semicolti (mid-brows) significa non capirci proprio niente, cos come sarebbe non capirci niente credere che Fidia sia stato un precursore di Brancusi, Aristofane di Molire e Sofocle di Shakespeare. Altra la funzione sociale, altro il contenuto simbolico. So perfetta- mente che queste sono prediche inutili, come diceva argutamente Luigi Einaudi, ma la logica con cui il filosofo scrive  molto simile alla logica di chi consegna un messaggio in una bottiglia e lo getta nel mare.  improbabile che venga raccolto, a meno che lo getti in una corrente che passer davanti ad una certa riva. Nel mio 129 CaprrroLo XVII caso, scommetto che prima o poi i pescatori si stancheranno di pescare pesci post- moderni. Il mercato del pesce cambia, e cos i gusti della gente. A proposito delle filosofie ellenistiche, quasi tutti i commentatori insistono sul fatto che lo stoicismo e lepicureismo sono molto diversi, ma entrambi hanno in comune la proposta della liberazione filosofica dal turbamento (ataraxia). In quan- to al cercare un piacere moderato, ed evitare di trovarlo (come dice surrealmente Epicuro) nelle donne, nei fanciulli e nei pesci (questa triade mi ha sempre affa- scinato, dal momento che mi  sempre piaciuto molto il pesce, in particolare alla griglia), si tratta certamente di un tratto comune sia allepicureo Lucrezio sia allo stoico Seneca. E tuttavia l'impostazione che intendo proporre si discosta da questi luoghi comuni di carattere erotico-culinario con inclinazioni manifeste verso la pedofilia. La scuola di Epicuro  certamente allinterno del nuovo ciclo filosofico elleni- stico, e tuttavia conserva forti elementi di continuit con la precedente. Non c' soltanto la nota ripresa dellatomismo di Democrito, con le modificazioni libere (clinamen, parekklisis) che poi piacquero tanto al giovane Marx. C' soprattutto il decentramento del metron nella comunit di amici, in cui l'amicizia (philia) gio- ca un ruolo analogo a quello giocato in precedenza dalla concordia fra i cittadini (omonoia). Ed  allora solo con lo stoicismo che le cose cambiano veramente.  infatti assai pi lo stoicismo, ben pi che lepicureismo, a segnare un netto discri- mine storico e qualitativo. Scrivendo quasi settecento anni dopo la nascita dello stoicismo antico atenie- se del Portico Dipinto (Stoa Poikile) di Zenone di Cizio limperatore neoplatonico Giuliano lApostata dice che bisogna rifarsi a quei filosofi che scelsero Dio a gui- da, e cita nell'ordine Pitagora, Platone, Aristotele e la scuola stoica di Crisippo e Zenone. Si tratta praticamente dell'intera tradizione filosofica greca, con lovvia eccezione di Democrito e di Epicuro. Giuliano intendeva sviluppare quella che oggi chiameremmo un'operazione politico-ideologica rivolta verso la nuova basi- leia cristiana (ai suoi tempi vecchia solo di cinquant'anni, e quindi ragionevolmen- te pensabile come reversibile), e l'aspetto filosofico di questa operazione politico- ideologica consisteva in un interpretazione teologica della tradizione filosofica greca, in cui si mettevano in fila i quattro ritratti di Pitagora, Platone, Aristotele e Zenone. Ma chi era il vero Zenone, non quello idealizzato da Giuliano? Se cerchiamo di individuare il suo profilo storico reale, ci accorgiamo di quanto pu cambiare un profilo filosofico nel corso dei secoli. Lo Zenone che Giuliano ar- ruola fra i precursori del suo neoplatonismo era nella realt un filosofo che non solo metteva sullo stesso piano uomini ed animali, ma che anzi deduceva il cor- retto comportamento umano dal comportamento etologico degli animali stessi. Difficile pensare ad una maggiore rottura con Platone ed Aristotele.  ovvio che i manuali di filosofia politicamente corretti ed insopportabilmente noiosi censuri- no questo fatto, ma nessuna storia della filosofia ricostruita in modo ontologico- sociale potr farlo. 130 Fuga in avanti cosmopolitica della comunit dei saggi e compensazione utopica alla miseria del mondo reale degli Stoici Zenone fu il primo filosofo greco che dovette imparare il greco come si impara una lingua straniera, in quanto era un fenicio di Cipro, la cui lingua semitica era simile allarabo ed allebraico di oggi. Scrisse una Politeia in opposizione a quella di Platone, in cui sosteneva la totale inutilit dell'istruzione umanistica generale (enkyklios paideia), la libert assoluta del sapiente, la cui parrhesia non avrebbe do- vuto essere limitata da nessun politicamente corretto derivato dal conformismo sociale, la comunanza delle donne, l'abolizione della moneta, dei templi, dei gin- nasi, il disprezzo per i cadaveri ed infine l'invito a nutrirsi di carne umana. Dopo aver meditato su Giocasta ed Edipo, concluse che non c' niente di terribile nel possedere la propria madre, visto che alcuni animali lo fanno. L'anima  infatti in- teramente mescolata con il corpo e si dissolve quando i suoi componenti. Quindi, non c niente oltre al mondo sensibile e nulla tranne il corpo. Diogene Laerzio, che  sempre pettegolo, ma non  mai noioso, riporta che per Zenone [...] si possono scopare indifferentemente fanciulli e fanciulle, che se ne sia innamorati o meno; non c' differenza infatti fra amati e non amati, n fra femmine e maschi, ma tutto va bene per tutti (la crudezza del verbo scopare  solo una traduzione letterale dal greco antico). Tutto questo non si trova nei manuali di filosofia. In questo modo, allora, non si riesce a capire che il concetto fondamentale degli inizi del nuovo ciclo filosofico el- lenistico non  pi la ricerca del metron sociale e la condanna (diken didonai) dellin- giustizia (adikia) derivata dallappropriazione privata smisurata ed indeterminata (apeiron), il che porta necessariamente a pensare lisonomia come fuoco semprevivo e la permanenza della buona legislazione nelleternit come essere (fo on), ma al contrario  la violazione provocatoria ed individualistica delle norme della vita sociale e comunitaria, in una parola la continua violazione sistematica del comune senso del pudore (anaideia). Il concetto di anaideia non si trova in nessun manuale di storia della filosofia, ed  un peccato, perch per almeno mezzo secolo resta centrale nella ricostruzione on- tologico-sociale del pensiero antico. Anaideia significa che si rifiuta laidos, il senso di vergogna sociale che l'individuo prova quando viola le regole della comunit. Il fatto , appunto, che non cera pi una comunit degna di questo nome, e quan- do non c' pi (come oggi), allora l'individuo avvizzisce in un arco di posizioni che vanno dallo specialismo alla stravaganza. L'anaideia  soltanto la stravaganza portata agli estremi, ed  il solo modo di ostentare una protesta provocatoria in una situazione in cui la societ appare priva di fondamenti comunitari, e allora tanto vale manifestare il proprio dissenso. Anche oggi i managers con il telefonino ed i punkabbestia dei centri sociali sono assolutamente intercambiabili sul piano del fondamento filosofico (tutte le bande dei professori universitari concordano sul fatto che oggi la societ non ha pi fondamenti metafisici, ma si fonda unicamente su regole formali), e la loro differenza  puramente crematistica, in quanto i primi sono pieni di soldi, mentre i secondi ostentano le loro gloriose pezze sul sedere. La posteriore saggezza stoica  quindi un'elaborazione tarda del primitivo con- cetto di anaideia. Anche Diogene il Cinico (s, proprio lui, quello che cercava luo- 131 CarrroLo XVII mo con una lanterna e viveva in una botte) scrisse una Politeia, in cui diceva che il denaro doveva essere abolito e sostituito con astragali (dadi per il gioco dei bam- bini), considerava legittima lantropofagia anche nei confronti del proprio padre e lincesto con la propria madre, sosteneva la parit assoluta fra uomo e donna anche nel vestiario ed invitava ovviamente ai rapporti indiscriminati tra i due sessi, con conseguente abolizione del matrimonio (e quindi della propriet privata trasmis- sibile per testamento). Eforo esalta nei barbari Sciti linnato senso di giustizia, ed afferma che non c' bisogno di ricorrere alla Repubblica di Platone per giustificare la tesi del comuni- smo, che il filosofo aveva riservato ai governanti. Secondo Eforo il mettere tutto in comune, dai beni alle donne, non  frutto del logos, ma deriva direttamente dalla natura (physis). Ed  stato il socratico Antistene, contemporaneo di Platone e suo avversario, il primo a sostenere che la virt del saggio (aret) non si commisura pi con le istituzioni politiche, ma ricerca in se stessa il proprio fondamento (autarchia). Il termine di riferimento diventa cos la physis, e non pi il nomos. Da un punto di vista ontologico-sociale di deduzione storica delle categorie del pensiero, l'affermazione di questo punto di vista (anticipato dalla polemica di Antistene contro Platone)  inseparabile dal processo storico di formazione di una comunit cosmopolitica in cui finalmente Greci e barbari si mescolano, e non c' pi nessun bisogno di calcolare pitagoricamente delicati equilibri (isorropiai) fra ricchi e meno ricchi del tipo della Costituzione di Clistene e della stessa Politeia di Platone. Ormai  solo il denaro (chrema) l'equivalente generale (isodynamia). In questa situazione, sparito il fondamento sociale (koinonia), resta solo la virt individuale (aret). Questo cosmopolitismo  da un lato un derivato inevitabile, ma  anche dall'altro una vera e propria fuga in avanti. Di l il severo giudizio di Hegel sullo stoicismo. La parrhesia di Diogene il Cinico sar largamente simile alla posteriore parrhesia di Luciano di Samosata: prendere in giro la gente e stroncare tutte le posizioni filosofiche possibili, e poi chiamare questa distruzione dissolutoria fi- losofia  un gioco da ragazzi, quando si  colti e spiritosi, ma questo pensiero debole(Luciano di Samosata, Gianni Vattimo di Torino, ecc.) rivela solo in contro- luce la forza schiacciante della crematistica dominante nell'ambiente sociale in cui si vive (crematistica schiavistica per Luciano di Samosata, crematistica capitalistica per i pensatori deboli del postmoderno all'ombra del capitale finanziario). E tuttavia il pensiero stoico antico, che dovette essere poi normalizzato per di- ventare funzionale ai nuovi dominatori romani, passando dalla precedente anaide- ia alla virtuosa e totalmente innocua humanitas, mostra anche per il suo carattere dialettico. Il concetto di natura implica infatti il concetto di diritto naturale (physi- kon dikaion), ed il concetto di diritto naturale reintroduce necessariamente il concet- to di giustizia (dike).  logico allora che lo stoicismo dia luogo a due fenomeni stori- ci interconnessi, il fenomeno della creazione di utopie geografico-politiche di tipo apertamente comunista, ed il fenomeno dell'impegno politico diretto di filosofi stoici a fianco di movimenti rivoluzionari dellepoca. Entrambi i fenomeni, ovvia- 132 Fuga in avanti cosmopolitica della comunit dei saggi e compensazione utopica alla miseria del mondo reale degli Stoici mente, sono silenziati dalle filastrocche di opinioni che abusano il nome di storie della filosofia, ma non per questo devono essere dimenticati o marginalizzati. Per quanto riguarda la creazione di utopie geografico-politiche di tipo comuni- sta, si tratta ovviamente di un comunismo che non viene ricavato (come sar poi il caso per Marx) da una teoria dello sviluppo storico, ma viene ricavato da una teoria radicalizzata della natura umana e del diritto naturale. Le due principali utopie comuniste sono quella di Evemero nella Sacra Iscrizione (Ier Anagraph) e del viaggio di Giambulo nell'isola degli adoratori del Sole, entrambe riportate in dettaglio da Lucio Bertelli, che non ha solo scritto una storia completa ed analitica dell'utopia greca, ma ha anche disegnato (e qui lo ringrazio) una storia alternativa della filosofia greca.  per questo, ovviamente, che non lo conosce nessuno. Il con- formismo bovino colpisce selvaggiamente con il silenziamento rituale qualsiasi innovatore. Ma in queste cose (forse) il tempo sar galantuomo. Per quanto riguarda l'impegno politico diretto dei filosofi, Bertelli riporta i due casi del filosofo stoico Sfero di Sparta, che appoggi il tentativo rivoluzionario di Cleomene di riportare in vigore l'antica costituzione egualitaria di Licurgo, questa volta per senza pi lodiosa divisione in tre caste (spartiati, perieci ed iloti), ma interamente comunistizzata, e fu poi ovviamente massacrato, e del filosofo Blossio di Cuma, che prima appoggi a Roma la politica del tribuno Tiberio Gracco, e poi fugg a Pergamo in Asia Minore per combattere nella rivolta di Aristonico, una rivolta egualitaria contro l'imperialismo romano basata sul programma di libera- zione integrale degli schiavi. AI di fuori di pochissimi specialisti nessuno conosce i nomi e le azioni di Sfero di Sparta e di Blossio di Cuma, mentre tutti pensano che la filosofia sia nata dal- le simpatiche chiacchiere del pensionato ateniese Socrate con altri giovani perdi- giorno. In proposito Nietzsche  semplicemente esilarante con la sua dilettante- sca teoria dei Greci dionisiaci che potevano permettersi di essere tali perch gli schiavi malriusciti lavoravano per loro, teoria come  noto ripresa congiuntamente da Stalin (il modo di produzione schiavistico come secondo stadio nella marcia trionfale verso il comunismo, il suo, naturalmente) e da Hannah Arendt (la vita activa riservata nell'antichit ai pochi che non lavoravano). E tuttavia, perch nes- suno conosce Sfero di Sparta e Blossio di Cuma e tutti conoscono Socrate? Soltanto una ricostruzione ontologico-sociale della storia della filosofia antica pu spiegare questo semplicissimo enigma. E per finire su questo punto riassumo come di consueto i punti essenziali. 1) L'epicureismo  certamente a tutti gli effetti una filosofia ellenistica, che tuttavia  anche a met fra i due mondi. Da un lato, attua una secessione dalla comunit politica per ricentrarsi sulla comunit solidale ed egualitaria pro- tetta di amici, indipendentemente uomini, donne, liberi e schiavi. Dall'altro, conserva il principio greco del metron, continua nella sua etica ad onorare il finito (Hegel), riassume al massimo livello il punto di vista greco sul mondo 133 CarrtoLo XVIII (Theodoridis), ed addirittura anticipa idealmente la marxiana abolizione dello Stato (Farrington). 2) Lo stoicismo antico, che settecento anni dopo Giuliano lApostata arruo- la nella tradizione delle filosofie religiose, nasce invece all'insegna della vio- lazione sistematica del comune senso del pudore derivante dalle regole della vita associata (anaideia). E tuttavia, il senso di vergogna (aidos), che stava a fondamento dell'etica originaria dei Greci, e che ne determinava direttamente il comportamento comunitario (che poi Kant, il meno greco dei filosofi che sia mai esistito, avrebbe definito eteronomo), era gi stato distrutto dallo sca- tenamento crematistico dell'economia schiavistica, di cui lanaideia  solo una reazione diretta. I paragoni con l'oggi saltano agli occhi, e farli non significa affatto violare la storicit di quei tempi. Prima di diventare una pratica di vita addomesticata per saggi benestanti (Seneca), schiavi (Epitteto) ed imperatori romani filosofi (Marco Aurelio), lo stoici- smo anim movimenti politici rivoluzionari ed egualitari (Sfero di Sparta, Blossio di Cuma), e svilupp utopie egualitarie di tipo direttamente comunista (la Sacra Iscrizione di Evemero ed il viaggio di Giambulo nell'isola degli adoratori del Sole). Il silenziamento su questi aspetti essenziali non pu essere spiegato che con mo- tivi di manipolazione ideologica e di riscrittura normalizzata della storia della filosofia occidentale. 134 XIX. LA MISERIA DEL MONDO ROMANO E LA FORMAZIONE SOCIALE DEI PRESUPPOSTI DEL CRISTIANESIMO. IL ROVESCIAMENTO DIALETTICO DELL'IMPERIUM IN BASILEIA E L'INVERSIONE ONTOLOGICO-SOCIALE DELLA TERRA IN CIELO La filosofia stoica, nata sulla base della violazione sistematica del comune senso del pudore (anaideia), e poi gradualmente normalizzata in innocuo sapere del saggio capace di vincere il turbamento (ataraxia), divent la koin filosofica pi dif- fusa nel mondo ellenistico-romano. E questo non  un caso, perch si pass da una prima fase politica, provocatoriamente antischiavistica ed antiproprietaria, ad una seconda fase apolitica di semplice cura dell'anima individuale. Il percorso normalizzatore dallanaideia all'ataraxia  ovviamente mistificato e nascosto dalla manualistica filosofica ordinaria, che lo rovescia integralmente. Tace e censura il momento fondante dellanaideia, e sostiene al contrario che la teoria della ataraxia  la sola filosofia politica delo mondo romano. Se si legge Seneca e Marco Aurelio, tuttavia, si vede che in realt quello che viene impropriamente chiamato stoici- smo, ed invece non lo  per niente, non  altro che la vecchia buona cura di s platonica (ricordo la corretta interpretazione di Alessandro Biral cui ho accennato nel precedente capitolo su Platone), del tutto desocializzata. E vedremo pi avanti che proprio la desocializzazione della saggezza sta al centro di quella che Hegel ha chiamato la miseria del mondo romano. L'unica definizione filosofica possibile della miseria sociale, a fianco ovviamente della povert materiale della gente (povert materiale su cui torner diffusamente nel prossimo capitolo),  proprio la desocializzazione della saggezza, per la saggezza stessa, non avendo pi alcun mandato sociale, non pu che avvizzire nell'ampio spettro di posizioni che vanno dallo specialismo alla stravaganza, e cio dalla filologia universitaria ai punkabbe- stia. Il pensiero stoico ha per messo in circolo due elementi filosofici nuovi, e cio l'universalismo del genere umano (katholiks) e lidea di necessit provvidenziale (pronoia). Il primo concetto  ovviamente un derivato categoriale del cosmopoli- tismo prodotto dalle conquiste di Alessandro il Macedone in Oriente, mentre il secondo ha una derivazione mista, in parte greca ed in parte orientale. Zenone riteneva che l'universo periodicamente terminasse nella conflagrazione e che gra- dualmente si ricostituisse nello stesso modo. Come il vuoto che lo avvolge, il tem- po  un interstizio cavo fra gli eventi (Leibniz dir poi qualcosa di simile). I fatti della storia universale ritornano eternamente. Si ripresenter in futuro un nuovo Socrate per subire un nuovo processo, e ci saranno nuovi Anito e nuovi Meleto 135 CariroLo XIX per accusarlo. Chi sostiene quindi che il concetto di storia universale  nato con il cristianesimo e con la fusione messianica giudaico-cristiana (Karl Lwith ed altri) a mio avviso sbaglia. Il concetto di storia universale  nato prima in forma ciclico- ripetitiva con lo stoicismo di Zenone, ed  nato sulla base di una provvidenza pu- ramente naturalistica e non divino-religiosa (pronoia), il cristianesimo lha incor- porata in una visione messianica e salvifica della storia, e poi la filosofia classica tedesca della storia (Fichte, Hegel e Marx) lha rielaborata in forma dialettica. Ma questo punto verr ovviamente sviluppato pi avanti. Al tempo di Zenone, data l'impossibilit di pensare la storia universale con un solo concetto unitario trascen- dentale riflessivo (non possiamo infatti imputare a Zenone di non essere vissuto nel settecento illuministico europeo), era inevitabile che la si pensasse nella forma ciclica della ripetizione. Il pensiero ciclico, infatti, riflette in forma astratta il ciclo delle stagioni che determina l'agricoltura, la pastorizia, l'allevamento e l'uscita in mare dei pescatori, mentre il pensiero lineare-progressivo riflette la fine dei cicli stagionali e l'avvento dellaccumulazione lineare del capitale. Ma su questa ov- viet, naturalmente, ritorner pi avanti in un prossimo capitolo. Lo stoicismo, quindi, passata la fase provocatoria dellanaideia, consegna al mondo classico posteriore i due concetti di universalismo cosmopolitico e di prov- videnza necessaria (pronoia). Entrambi staranno alla base del cristianesimo.  giun- to allora il momento di parlare delle origini del cristianesimo, di Ges di Nazareth e di Paolo di Tarso, che ne sono stati entrambi i fondatori a pari grado, il primo nella sua dimensione messianica, ed il secondo nella sua complementare dimen- sione di assoggettamento universalistico ad un unico salvatore, codice filosofico gi presente da almeno duecento anni nei trattati in lingua greca sulla monar- chia (per basileias). Mentre infatti il primo ciclo della filosofia greca produce innu- merevoli testi sulla natura (per physeos), natura con cui veniva metaforizzata la so- ciet (Diodoto, ecc.), ora il secondo ciclo della filosofia greca vede la pubblicazione di innumerevoli testi sulla monarchia (per basileias), con cui veniva metaforizzato l'incredibile bisogno di protezione ed assistenza dei poveri abbandonati allo sca- tenamento selvaggio della crematistica. E chi non coglie questo punto resta fuori dalla storia della filosofia come un amante della musica che restasse fuori dalla sala dei concerti e non potesse sentire che echi musicali vaghi e lontani. Affrontiamo quindi il noto e cruciale problema dellinterpretazione filosofica delle origini storiche del cristianesimo. Si tratta del secondo grande problema teori- co del pensiero occidentale, dopo il primo grande problema che abbiamo affrontato nei capitoli precedenti, quello delle origini e della natura della filosofia greca clas- sica e poi ellenistica. Anche in questo caso, quindi, mi comporter come mi sono comportato in precedenza per il primo caso, ispirandomi alla genesi storica della deduzione delle categorie del pensiero ed al metodo ontologico-sociale. In estrema sintesi, sebbene mi ritenga pi competente per il primo problema che per il se- condo (sono infatti un filosofo che legge correntemente il greco antico ed il latino, non sono per nulla un esegeta biblico e non conosco assolutamente n l'ebraico n laramaico), considero lanalisi ontologico-sociale delle origini del cristianesimo 136 La miseria del mondo romano e la formazione sociale dei presupposti del cristianesimo pi facile di quanto lo sia lanalisi complessiva del mondo greco. I Greci antichi sono gi volati via, infatti, e non sono pi fra noi, mentre i cristiani, sia pure ir- riconoscibili rispetto ai loro lontani progenitori (e vedremo il perch in questo e nei prossimi capitoli), sono ancora fra noi, e per quanto mi riguarda mi auguro che restino con noi a lungo. Una parentesi. D'accordo con lo studioso di scienze sociali svedese Myrdal, io ritengo che il massimo di oggettivit possibile nelle scienze sociali ed in filoso- fia, in cui non esiste la matematizzazione, l'esperimento e la verifica dei protocolli sperimentali, sia lesplicitazione pubblica chiara e veridica delle proprie premesse di valore. Ci vale soprattutto quando si parla di politica (destra e sinistra, ecc.) e di filosofia (credenti e non credenti, ecc.). E far anch'io cos, interrompendo brevemen- te la mia esposizione. Il lettore, infatti, ha il diritto di sapere bene come la pensa colui che sta leggendo. : Personalmente, sono stato battezzato a pochi giorni di vita nel culto cattolico romano. Ho perso la cosiddetta fede nelle discussioni adolescenziali e da allora potrei essere classificato fra coloro che si dicono e vengono detti atei. Termine che non mi piace, peraltro, e in cui non mi riconosco, perch non mi piace per nulla che ci si definisca in negativo con l'alfa privativo (a-teo). Da filosofo, preferisco le definizioni in positivo, e non quelle in negativo. Pur non essendo in alcun modo un credente, e pur ritenendo (a differenza di Benedetto Croce) che se lo vogliamo e lo riteniamo necessario possiamo anche non dirci cristiani (su questo punto Alain de Benoist ha ragione e Croce ha torto), sono tuttavia un sostenitore della necessit sociale della religione. La religione, a mio avviso,  sempre e comunque un katechon contro lo scatenamento della bestialit nichilistica della crematistica nei rapporti sociali ( si tratta di un punto che mi differenzia fortemente dal mio maestro di ontologia sociale Lukcs). Gli atei mangiapreti a mio avviso non lo capiscono, ed  per questo che considero il loro un pensiero dell'intelletto astratto (Verstand) e non della ragione concreta (Vernunft). Dal punto di vista dell'intelletto astratto (Verstand) mi sembra del tutto logico sostenere non solo che Dio non  logicamente dimostrabile (vedi la Critica della Ragion Pura di Kant) e che non  logico rappresentarselo come un soggetto progettante antropomorfizzato (vedi lEtica di Spinoza), ma che siano anche del tutto plausibili le teorie dell'evoluzione darwiniana e delle capacit auto poietiche ed auto-organizzative della materia e dell'energia, da cui deriva la necessaria conclusione per cui Dio non esiste. Dal punto di vista della ragione concreta (Vernunft), sono un sostenitore della necessit sociale della religione, che nonostante tutti i suoi difetti e la possibile corruzione venale e pedofiliaca di molti suoi esponenti ( comunque minore di quanto sosten- gono i suoi avversari laici) considero in termini di katechon, e cio di freno verso una bestializzazione crematistica integrale dei rapporti umani. Sbagliano quindi coloro che contrappongono il bel mondo dei Greci, riletti come atei e materialisti (vedi Nietzsche, Onfray e compagnia cantante) al mondo posteriore superstizioso dei cristiani. Se infatti costoro conoscessero meglio i Greci, che invece non conosco- no e su cui coltivano pittoreschi ed infondati luoghi comuni da scuola media, sa- 137 CaprroLo XIX prebbero che i Greci veri si fondavano sul katechon, ed anche se preferivano quello razional-politico non disdegnavano certamente anche quello religioso. Detto que- sto, e messe bene le carte in tavola, passiamo a ragionare di filosofia. In estrema sintesi, il cristianesimo si basa sul contributo  a pari grado  dei suoi fondatori, rispettivamente Ges di Nazareth e Paolo di Tarso. Il primo ha svilup- pato un messaggio di tipo messianico (e secondariamente apocalittico), derivato direttamente dalla tradizione profetica ebraica, e dal profeta Isaia in particolare. Il secondo, invece, ha sviluppato un messaggio derivato da una tradizione com- pletamente diversa, quella della basileia ellenistica, ed in cui la liberazione umana viene pensata come il frutto dellasservimento volontario di tutti i membri (mere) della societ a questo unico Liberatore-Benefattore, siano essi schiavi (douloi), liber- ti (apeleutheroi) e liberi (eleutheroi). Ma vediamo prima Ges di Nazareth, e dopo Paolo di Tarso. Per la ricostruzione del messaggio originale del Ges storico vale lo stesso prin- cipio metodologico che vale per la ricostruzione dei contenuti ontologico-sociali della filosofia antica. Bisogna infatti partire con il piede giusto e non con il piede sbagliato. Per la filosofia antica il piede sbagliato  lelencazione dossografica delle opinioni dei filosofi antichi, in cui la de storicizzazione e la desocializzazione possono essere compiute in nome della teoria delle quattro cause o di una generica ed astorica meraviglia, oppure in qualsiasi altro modo, mentre il piede giusto  la collocazione storica e sociale delle categorie del pensiero allinterno delle catego- rie dell'essere sociale, caratterizzato storicamente dalla dismisura delle ricchezze e dall'esigenza di un katechein. Per il Ges storico il piede sbagliato consiste nel chiedersi arbitrariamente chi era veramente Ges, mentre il piede giusto consiste nel chiedersi prima perch e sulla base di quali accuse (in modo molto simile a quanto si fa con Socrate)  stato crocefisso, e poi chi  stato a crocefiggerlo, se il governatore militare romano Ponzio Pilato o il sinedrio ebraico di Caifa, oppure tutti e due. Se non si impostano cos le cose si girer sempre su se stessi, ed ognuno, da Ernest Renan a Joseph Ratzinger, si sceglier arbitrariamente il suo Ges  la carte, secondo il doppio parametro del suo gusto personale e del politicamente corretto vigente nell'epoca. Avremo cos un Ges guerriero ed un Ges pacifista, un Ges maschili- sta ed un Ges femminista, un Ges che offre laltra guancia ed un Ges che invece frusta i mercanti nel tempio, un Ges che sostiene che  pi facile che un cammello passi per la cruna di un ago piuttosto che un ricco vada in paradiso, ed infine un Ges che sostiene che ognuno deve fare il suo dovere a seconda dei talenti (e cio dei soldi) che possiede. Come si vede, questo Ges arbitrario, riempibile a piacere,  l'equivalente religioso della filosofia intesa come dotta e filologica filastrocca di opi- nioni. Il Ges arbitrario e la filosofia delle opinioni confluiscono necessariamente entrambi nel libero chiacchiericcio che ha oggi sostituito la seriet del ricostruire e del pensare. In base a quali accuse e perch  stato crocefisso il Ges storico? Partendo dal fatto che il proclamarsi messia non era un reato per gli occupanti romani, che non cono- scevano il cosiddetto reato di opinione, ma lo era invece per le autorit ebraiche, 138 La miseria del mondo romano e la formazione sociale dei presupposti del cristianesimo che lo punivano con la lapidazione, dovremmo concluderne che  stato il sinedrio ebraico a condannare Ges, consegnandolo peraltro al braccio secolare del po- tere militare romano perch eseguisse la sentenza. Ma resta il fatto che quando i romani crocefiggevano qualcuno mettevano sulla croce un cartiglio che indicava il reato commesso. Il cartiglio posto sulla croce di ges era composto da quattro lettere (INRI), di cui le prime due indicavano il nome (Ges Nazareno) e le ultime due il reato (Re dei giudei). Bisogna quindi sapere esattamente che cosa voleva dire Re dei giudei. Inoltre, bisogna cercare di capire se la condanna fu legittima (non dico giusta, perch fu ingiusta in ogni caso, ma soltanto legittima), oppure fu fon- data su un equivoco ed una menzogna, manipolata dal sinedrio mafioso ebraico. La mia opinione  la seconda, ma dovr brevemente motivarla. Il termine Re dei giudei, in una situazione storica in cui non cera pi nessun re dei giudei ma soltanto un sinedrio collaborazionista con loccupante romano, era il nome che i romani davano ai capi politico-militari dei cosiddetti zeloti (dal greco zelotes, fanatici, in latino sicari), i membri del partito insurrezionale dei parti- giani antiromani. Da sempre, il potere chiama terroristi coloro che si oppongono ad una occupazione militare straniera, ci che avviene anche oggi, ed ecco perch la filosofia si occupa non solo del proprio tempo appreso nel pensiero, ma anche e soprattutto di ci che , ed  eternamente. Ges fu dunque crocefisso come terrorista zelota, e chi fa smorfie in proposito fa come le tre scimmiette che non vedono, non sentono e non parlano. Se infatti Ges fosse stato uno zelota (come sostengono innumerevoli studi storici, di cui personalmente me ne sono letto al- meno una decina), la condanna sarebbe stata ingiusta, ma almeno la si potrebbe definire legittima. Ad esempio Barabba, lenfant du pays salvato dalla plebaglia gerosolimitana, era uno zelota confesso, che aveva pugnalato un soldato romano (a quei tempi, il maggior equilibrio di forze fra insorti ed occupanti non aveva ancora costretto i partigiani a farsi saltare in aria come i moderni kamikaze). Resta il fatto, incontrovertibile storicamente, che Ges non poteva essere condannato a morte dalloccupante romano per generici reati di opinione (vogliamoci bene, vi porto la pace, offrire laltra guancia, i ricchi andranno all'inferno, c' un solo Dio in cielo ed io sono suo figlio, ecc.), ma soltanto per insurrezione armata ed uccisione di soldati occupanti (gli zeloti, appunto, i cui capi si facevano chiamare, ed erano chiamati re dei giudei). E tuttavia, personalmente non aderisco a questa pur razionale interpretazione, sempre che, ovviamente, si considerino i Vangeli come documenti storici, e non come miti arbitrari costruiti artificialmente pi tardi (Ambrogio Donini), che si sono addirittura inventati un Ges storicamente mai esistito (la storiografia so- vietico-staliniana su Ges). Alla luce dei testi evangelici, Ges non sembra essere stato uno zelota, anche se per crocefiggerlo hanno dovuto inventarsi il suo esserlo stato. Pare che Ges si auto-interpretasse come un servo sofferente (cfr. Isaia, 53; Saggezza di Salomone, 2, 13-20), e non come re vittorioso (il che lo avrebbe fatto di- ventare zelota). Sta di fatto, ed  stato testimoniato chiaramente (cfr. Luca, 4, 14-30) che Ges rischi il linciaggio e la lapidazione quando in una sinagoga annunci 139 CaprroLo XIX che con la sua venuta era possibile annunciare un nuovo Anno di Misericordia del Signore. Ma cos'era l'Anno di Misericordia del Signore? Si trattava di un provvedimento politico-religioso di remissione dei debiti, di liberazione degli schiavi per debiti (qui il parallelismo con Solone  addirittura provocatorio), ed in generale di una redistribuzione comunistico-comunitaria delle ricchezze private. Conformemente alle attese messianiche dellepoca, questo provvedimento comunista era inestri- cabilmente mescolato alla guarigione dei malati e dei ciechi ed alla stessa resurre- zione dei morti (Lazzaro, ecc.), senza contare che sulla base dell'unione fra macro- cosmo naturale e microcosmo sociale il terremoto sociale di una redistribuzione delle ricchezze era simbolicamente unito ad un terremoto naturale. E tuttavia, per attuare questo Anno di Misericordia del Signore, non bastava un an- nuncio in una sinagoga di provincia, ma bisognava andare a purificare il Tempio di Gerusalemme. Data la pittoresca ignoranza storica oggi dominante, molti non sanno che il tempio non era una sorta di chiesa in cui si pregava e basta, ma una sorta di ministero dell'economia che raccoglieva le tasse e redistribuiva i beni. Purificare il Tempio, quindi, non significava derattizzarlo e farci passare laspi- rapolvere, ma significava cacciare le bande di sacerdoti e scribi corrotti che ne ave- vano a lungo assicurato una gestione mafiosa e privatistica. Quando il galileo Ges arriv a Gerusalemme, la banda mafiosa del sinedrio fu presa dal terrore. Altro che Mani Pulite! Qui si trattava di una vera rivoluzione sociale (ripeto: Anno di Misericordia del Signore), che li avrebbe spazzati via. Fu relativamente facile per loro corrompere il pi corrompibile degli apostoli, (nonostante il nome da zelo- ta, non credo alla storiella per cui Giuda sarebbe stato uno zelota deluso, che si  vendicato del suo capo pacifista!), e fare intervenire gli occupanti romani contro il terrorista rivoluzionario. I romani non aspettavano altro! E cosla storia si ripete. Aprite i giornali, e di Ges ne troverete uno al giorno nelle aree geografiche occu- pate dalle armate imperiali (fra cui ovviamente anche la nostra)! E cos Ges fu crocefisso come zelota, cosa che probabilmente non era, e fu crocefisso congiuntamente dagli occupanti romani e dal sinedrio mafioso ebraico. Che poi sia risorto da morte o meno, ognuno creda ci che vuole, ma qui non siamo pi nel campo della filosofia, ma della cosiddetta fede. Dal momento che chi scrive non crede purtroppo alla resurrezione dei morti, neppure se lunico morto resuscitato  il figlio di Dio (su questo, mi spiace, considero pi razionale l'Islam, generalmente etichettato come irrazionalistico), ritengo razionale lipo- tesi medico-positivistica, per cui Ges  stato staccato dalla croce ancora vivo, ed  poi morto due mesi dopo per le conseguenze delle ferite riportate. Ma, come dico, tutto questo per la filosofia non ha la minima importanza. Importante invece  accertare per quale reato Ges  stato crocefisso (terrorista rivoluzionario zelota) e chi lo ha fatto crocefiggere (l'alleanza fra il Sinedrio mafioso ebraico ed il potere militare romano che non voleva grane). Ed ancora pi importante  accertare il carattere messianico-sociale del suo progetto di purificazione politico-religiosa del Tempio (l'Anno di Misericordia del 140 La miseria del mondo romano e la formazione sociale dei presupposti del cristianesimo Signore) da ottenere con la cacciata delle bande corrotte di scribi e sacerdoti (ove gli scribi erano quelli che raccoglievano le tasse). Crocefisso Ges, e distrutto nel sangue il suo progetto sociale di tipo comuni- tario-comunista (mi spiace, ma non si tratta di estremismo riduzionistico, bens di semplice deduzione sociale delle categorie), il cristianesimo cessa di essere un pro- getto messianico ebraico, e deve diventare per sopravvivere un progetto univer- salistico (katholiks) garantito in qualche modo dalla divina provvidenza (theik pronoia).  giunto allora il momento di Paolo di Tarso, cofondatore a pari grado del cristianesimo storico. Se Ges era mosso da una interpretazione messianico-politica dell'Anno di Misericordia del Signore, da ottenere attraverso una purificazione del tempio fa- vorita dal sacrificio volontario di un servo sofferente, Paolo  un cittadino roma- no di origine ebraica (per la precisione un fariseo, l'equivalente della sinistra pa- rolaia ed ipocrita dellepoca, che a parole era per il messianesimo e di fatto lo boi- cottava in mille modi quando si presentava), influenzato dallideologia ellenistica del Salvatore (Sotr) e del Benefattore (Everghetes). Non bisogna quindi stupirsi se Paolo non potesse che interpretare cos il messaggio messianico di Ges: al posto dell'annuncio dell'Anno di Misericordia del Signore propiziato dalla purificazione del tempio, la proposta di asservimento di tutte le parti (le aristoteliche mere) della societ ad un unico Salvatore. Quanto dico  documentato (anche laborrita citatologia a volte serve a qualcosa) nella Lettera ai Corinzi (cfr. 7, 20-24). A Corinto sembra che lintera popolazione fos- se divisa grosso modo in tre parti equivalenti, gli schiavi (douloi), i liberti (apeleuthe- roi), ed infine i liberi (eleutheroi). E vediamo cosa scrive Paolo: Ciascuno rimanga nella condizione in cui era quando fu chiamato. Eri uno schiavo quando sei stato chiamato? Non farti inquietare da questo. Anche se avessi la possibilit di diven- tare libero, scegli piuttosto di fare buon uso della tua schiavit. Infatti lo schiavo che  diventato cristiano  un liberto del signore, mentre il libero che  stato chiamato  uno schiavo di Cristo. Siete stati comprati [si intende: da Cristo]! Non diventate schiavi di uomini! Ciascuno, fratelli miei, resti davanti a Dio in quella condizione in cui  stato chiamato. La citazione  chiarissima, anche se falangi di pretoni manipolatori l'hanno in- terpretata per secoli come invito interclassista a non contestare lordine dominante (dimenticando il precedente Anno di Misericordia del Signore di Ges). La libera- zione  pensata nella forma dellasservimento universale ad un unico Liberatore (Sotr, Everghetes).  questa la forma simbolica che ha preso, e non poteva non prende- re, il messaggio cristiano in un contesto sociale in cui vi erano tre parti (mere) della societ, i liberi, i liberti e gli schiavi. Ma qual era questo contesto sociale? Era il contesto sociale dell'impero romano, lorganizzazione politico-militare che garantiva lunit economica di tutte le classi schiavistiche dell'antichit. Per interpretarlo user linsuperabile modello simboli- co di Hegel, dal momento che vorrei tanto, ma non ne conosco uno migliore. 141 CaprroLo XIX Le Lezioni sulla filosofia della storia tenute a Berlino da Hegel contengono unana- lisi filosofica dell'impero romano addirittura stupefacente, anche perch le analo- gie con la situazione storica attuale sono letteralmente incredibili. Hegel definisce l'impero romano come la finitezza portata all'infinito, e mi permetto liberamen- te di interpretare questa frase hegeliana come la finitezza del possesso privato portata all'infinito arricchimento incontrollato, l'esatto contrario del metron greco. Ma la citazione fondamentale per capire il pensiero di Hegel  questa: Il mondo romano, nel suo disorientamento e nel suo dolore per l'abbandono da parte di Dio, ha generato il dissidio con la realt e il comune anelito a una soddisfazione che pu essere raggiunta solo interiormente, nello spirito, preparando cos il terreno per un superiore mondo spirituale.  evidente dal contesto che questo superiore mondo spirituale per Hegel  il cristianesimo. Si tratta di una lettura frontalmente opposta a quella che far Nietzsche sullavvento del cristianesimo come decadenza. Due sono comunque i punti essenziali del problema su cui Hegel attira lattenzione. In primo luogo, proprio l'aver accolto tutti gli di conquistati in un unico Pantheon romano li svuota di ogni vero significato. Se infatti un dio  ammesso in un Pantheon di una civilt barbarica che si fonda sui giochi gladiatori, allora vuol dire che si tratta di un dio ormai divenuto del tutto irrilevante. Si afferma il plurali- smo, e potrebbe sembrare un progresso rispetto alla precedente intolleranza, ma la precedente intolleranza significava pur sempre che le differenze venivano prese sul serio, ed appunto per questo erano in lotta reciproca. Ma ora queste differenze, assunte ufficialmente in un Pantheon, si equivalgono e sono tutte uguali. Un simile eguagliamento nellindifferenza non pu che portare al dolore per l'abbandono da parte di Dio. Si tratta esattamente della situazione attuale. In superficie, globa- lizzazione pittoresca, multiculturalismo, pensiero debole, relativismo, everything goes, ed altro ancora. In profondit, dominio del possesso, ed ancora del possesso, e solo del possesso. Un mondo in cui c' soltanto il possesso,  appunto un mon- do disorientato per l'abbandono da parte di Dio. In secondo luogo, per mostrare come non mi sto inventando nulla e non sto liberamente fraintendendo Hegel, Hegel stesso individua la religione dei romani nella cosiddetta finalit pratica. Ma il finito che interessa ai romani non  pi il finito onorato dai Greci, e cio il metron dell'equilibrio comunitario (isorropia), ma  il finito della propriet privata. Scrive allora Hegel: Il diritto assoluto  soltanto lastratto diritto di propriet [...] lesistenza di me  la mia propriet e questa interiorit non va pi oltre, ed ogni contenuto ulteriore  in essa scomparso. E con ci gli individui sono posti come atomi, ma nello stesso tempo essi stanno sotto il duro governo delluno [...] il sog- getto  autorizzato solo al possesso, la persona delle persone (e cio limperatore) al possesso di tutti, cosicch il diritto singolo  nello stesso tempo abolito e privato di forza giuridica. Questa contraddizione  la miseria del mondo romano. Si tratta anche della miseria del mondo presente. Dopo la disoluzione del comu- nismo storico novecentesco recentemente defunto (1917-1991) si  creata una situa- zione generalizzata che Lukcs avrebbe definito in termini di unione di astratta onnipotenza e concreta impotenza del soggetto individuale. Da un lato, esso  142 La miseria del mondo romano e la formazione sociale dei presupposti del cristianesimo astrattamente onnipotente, e pu fare quello che vuole. Dall'altro,  concretamente sorvegliato in ogni momento della vita da onnipotenti sistemi di controllo che gli sfuggono, e la sola oggettivazione della sua libert che ha a disposizione  lacceso alla propriet privata con i giganteschi differenziali di potere, consumo e status sociale che questo comporta. Il presidente USA, lunico che pu ordinare di di- struggere il mondo con le sue bombe atomiche,  esattamente la persona delle persone di cui parla Hegel. Gli individui sono infatti posti oggi come atomi, ed il soggetto  autorizzato solo al possesso. L'analisi filosofica hegeliana mi sembra insuperabile. Non a caso, Heidegger dir che oggi solo un dio pu ancora salvarci. Agli atomi sociali astrattamente onnipotenti e concretamente impotenti viene dato come contenuto della libert solo laccesso al possesso e lincontrollato ed irrilevante opinare (meinen), in cui tutti possono dire quello che vogliono, ma in cui qualunque cosa dicano  del tutto irri- levante, perch soltanto laccesso al possesso conta. La legittimazione paradossale di questo potere vergognoso deve ancora essere studiata, e lo sar nel prossimo capitolo. L'Impero del Ricco, infatti, si rovescer simbolicamente in Regno del Povero. La realt superer la fantasia pi scatenata. Ma questa  appunto la dialettica. 143 XX. IL REGNO CELESTE DEL POVERO ED IL REGNO TERRESTRE DEL Ricco. SULLA GENESI ONTOLOGICO-SOCIALE DELLA FONDAZIONE IDEOLOGICA DEL CRISTIANESIMO COSTANTINIANO E POST-COSTANTINIANO La fine del mondo antico e la dissoluzione politico-militare dell'unit dellim- pero romano sono stati sempre fra gli argomenti preferiti della storiografia, perch nell'analisi di questi due fenomeni si incrociano al massimo grado le interrelazioni dialettiche fra cosiddette cause esterne e cosiddette cause interne. Lo storico francese Piganiol, chiedendosi se l'impero romano sia morto di cause naturali op- pure sia stato assassinato, giunse alla conclusione che era stato assassinato (dalle invasioni barbariche, ovviamente). E tuttavia, senza sottovalutare il ruolo storico importantissimo delle invasioni barbariche (che per distrussero soltanto lunit politica della parte occidentale dell'impero, non quella orientale che dur fino al 1453  ma leurocentrismo occidentalistico presuntuoso non ha ancora imparato ad accettare che il cosiddetto impero bizantino era in realt un impero romano a tutti gli effetti), ritengo sulla base del metodo di Marx che le cause interne, attinenti la riproduzione dei parametri essenziali di un modo di produzione (in quel caso, il modo di produzione schiavistico maturo nel suo passaggio dalla schiavit al colo- nato e da un'economia monetaria fiorente ad un'economia autarchica di autocon- sumo), siano state molto pi importanti delle cause esterne. Non a caso, chi non possiede questo metodo strutturale non ha ancora capito oggi, pi di un ventennio dopo, le cause strutturali interne della dissoluzione dei regimi del comunismo sto- rico novecentesco realmente esistito (1917-1991), e continua a cianciare di tradi- menti (Gorbaciov, Eltsin, ecc.) e di complotti CIA. Ma come l'impero romano non croll per predominanti cause esterne (che pure ci furono, ovviamente), ma per predominanti cause interne, nello stesso modo il comunismo storico novecentesco non croll per predominanti cause esterne (che pure ci furono, ovviamente), ma per predominanti cause interne, su cui ci soffermeremo analiticamente negli ultimi capitoli di questa ricostruzione ispirata al metodo della genesi storica delle catego- rie del pensiero e dellontologia dell'essere sociale. Non  questa la sede per una elencazione ed un esame critico delle cosiddette cause interne del crollo del mondo antico (passaggio dall'economia schiavisti- ca delle villae all'economia del colonato dei latifundia, indebolimento demografico causato da nuove spaventose epidemie, rarefazione della circolazione monetaria dovuta al progressivo esaurimento delle miniere di argento, insopportabilit pro- gressiva dell'imposizione fiscale e tributaria, fino addirittura alla insalubrit delle condutture di piombo per lacqua, ecc.). L'elencazione delle cause non serve a nul- 145 CariToLO XX la, se queste cause non vengono correttamente gerarchizzate per ordine di impor- tanza. E se si vuole seguire il metodo di Marx, che non  obbligatorio ma resta il migliore esistente gratuitamente sul mercato delle idee, la causa strutturale pi importante resta la crisi della produzione schiavistica generalizzata investita da una pressione esterna (i barbari, appunto) e da una pressione interna (il passaggio al colonato derivato dalla rarefazione della moneta per gli scambi commerciali). Tutto questo, ovviamente,  incasellato dalla divisione universitaria del lavoro come storia e non come filosofia. E tuttavia la cosiddetta filosofia deriva di- rettamente dalla cosiddetta storia (ho scritto cosiddette perch in realt sono d'accordo con Marx, che esista cio una sola scienza indivisa della totalit sociale, ed i dipartimenti organizzativi, utilissimi per l'attribuzione dei concorsi, devono poi essere decompartimentati dall'analisi dialettica unitaria). Vorrei per intro- durre un elemento essenziale che non ho quasi mai trovato nelle analisi storiche del periodo, e cominciare proprio da quello per la ricostruzione complessiva di quel tempo lontano ed affascinante. Affascinante, soprattutto, per le sconcertanti analogie con i nostri tempi.  ovvio, infatti, che la cultura imperiale (l'Inghilterra del settecento con Gibbon, e gli USA oggi con i consulenti imperiali del governo) sia affascinata per analogia dallascesa e poi dal declino dell'impero romano, in quanto nell'impero romano vede se stessa con duemila anni di ritardo e vorrebbe scongiurare il declino e la caduta. Ma non  questo per me l'aspetto pi impor- tante. Io non sono un consulente imperiale, ma un libero filosofo dellontologia dell'essere sociale. L'aspetto a mio avviso pi importante di quel complesso periodo storico  l'aspettativa sociale decrescente nel passaggio fra le generazioni. Oggi si  di fron- te allo stesso fenomeno generalizzato, ma solo alcuni sociologi intelligenti lo af- frontano. Oggi il diffondersi a macchia dolio delle aspettative sociali decrescenti, per cui i figli staranno quasi sicuramente peggio dei loro genitori (non in Cina ed India, ovviamente, ma in Europa e negli stessi USA, che sono pur sempre il centro dell'impero),  dovuto al passaggio da un capitalismo di tipo fordista-keynesiano che conservava forti elementi di sovranit statale sulla moneta, ad un capitalismo finanziario globalizzato che ha costretto le classi dominanti metropolitane a pas- sare dal lavoro fisso al lavoro a termine flessibile e precario. Questo ha comportato ovviamente anche alcune altre distruzioni derivate, prima fra tutte la distruzio- ne della scuola liceale europea, basatasi per due secoli sulla proiezione ideale di un lavoro fisso e stabile dalla maturit alla morte. Come  noto, questa distruzio- ne capillare della scuola, la cui origine sistemica e strutturale  dovuta a severe ragioni di passaggio d'epoca capitalistico e non certo a sbandamenti culturali contingenti (pur esistenti, e si veda la conversione della generazione del 1968),  stata delegata dalla classe dominante neoliberale-finanziaria a bande scomposte di pedagogisti pazzi, psicologi invasivi e sindacalisti bulimici. Ma su questo si dir qualcosa pi avanti. Se le aspettative sociali decrescenti, per cui in media i figli staranno peggio dei padri, sono oggi dovute al passaggio da un capitalismo fordista-keynesiano con 146 Sulla genesi ontologico-sociale della fondazione ideologica del cristianesimo costantiniano e post-costantiniano sovranit statale sulla moneta ad un capitalismo finanziario globalizzato neolibe- rale, erano allora dovute alla disgregazione dei meccanismi di riproduzione so- ciale basati sulla doppia disponibilit di schiavi e di moneta. Entrata in crisi que- sta doppia disponibilit,  chiaro che anche le cosiddette classi medie, o meglio medio-basse, cominciarono ad avere aspettative sociali decrescenti, mentre le classi basse cominciavano a ribellarsi (pensiamo ai bagaudae in Gallia) ed a pre- ferire i barbari, che almeno non facevano pagare le tasse ed espropriavano soltanto i latifondisti ricchi. Questa crisi frontale della riproduzione sociale tardo-antica e particolarmente delle aspettative sociali decrescenti soprattutto nell'ampia fascia delle classi medie imperiali sta alla base dell'abbandono sociale di massa della cultura della huma- nitas, impropriamente e scioccamente chiamata pagana (il pagus era il villaggio, mentre in realt questa cultura era urbana al massimo grado, non certo pagana), sintesi umanistica basata soprattutto sulla koin filosofica stoica, da lungo tempo passata dalla fase provocatoria iniziale della anaideia (scopare con la madre, man- giare la carne del padre, ecc.) alla fase della ataraxia, del tutto equivalente all'etica del gentleman britannico, ben espressa nella nota poesia di Rudyard Kipling. I ge- stori di un impero devono infatti prima di tutto imparare una disciplina interio- re del comportamento, perch in caso contrario i loro subalterni potrebbero non rispettarli pi. In questo i padroni coloniali romani ed i padroni coloniali inglesi dovevano seguire etiche dellautocontrollo molto simili. Tutto questo per crolla in un'epoca di crisi della riproduzione e di aspettati- ve sociali decrescenti. Al periodo della humanitas classica succede unepoca di angoscia (il termine  dellantichista inglese Dodds). Gli stessi governanti se ne rendono perfettamente conto. La giunta militare illirica di Diocleziano tenta un ristabilimento forzato della situazione attraverso provvedimenti di emergenza come lultima grande persecuzione organizzata dei cristiani, ma questi metodi fa- scisti (mi si perdoni questa impropriet analogica!) non riescono. Da che mondo  mondo, si governa meglio con la vaselina che con la frusta, con Veltroni e Sarkozy piuttosto che con Pinochet e Papadopoulos.  giunto il momento di Costantino detto il Grande. La figura di Costantino  una delle pi interessanti del mondo antico, ed  an- che paradossalmente una delle meno studiate e conosciute (non parlo degli specia- listi, evidentemente). E questo non avviene certamente a caso. Studiare Costantino significherebbe studiare il contesto sociale della legalizzazione del cristianesimo e del suo inserimento organico negli apparati ideologici di Stato (uso qui il corret- to termine di Louis Althusser). Ed  questo ovviamente ad essere temuto come il fuoco da una cultura che vive di destoricizzazione. Noi seguiremo ovviamente la via opposta. Costantino attu riforme militari ed economiche radicali. Ci voleva ovviamente anche una riforma simbolica che sovrastasse tutte le altre, e questa riforma simbo- lica fu lo spostamento della capitale imperiale da Roma a Costantinopoli, e cio Bisanzio ribattezzata. San Pietroburgo diventa Leningrado, e Bisanzio diventa 147 CaprroLo XX Costantinopoli. La conseguenza linguistica di questa scelta  dirompente, per- ch il latino, privato di una corte imperiale (curtis) si spezzer in una decina di lingue neolatine, mentre il greco, ridiventato lunica lingua ufficiale di un impero (autocratoria), rester una lingua unitaria fino ad oggi. E tuttavia, la riforma simbo- lica di Costantino dello spostamento di capitale non fu certamente lunica. Per la prima volta nella storia dell'impero, le forze armate furono ampiamente germanizzate, perch in questo modo costavano molto meno delle truppe di lin- gua latina e greca. La tecnica della difesa in profondit delle frontiere dell'impero implicava lequipaggiamento di costosissime divisioni di cavalleria, e questo ov- viamente comportava un aumento della pressione fiscale in un momento storico di relativa crisi dei commerci. Ma fu la riforma monetaria di Costantino l'elemento decisivo, senza il quale non si capirebbe l'esigenza di legalizzare la chiesa cristiana come gigantesco apparato di welfare per poveri. Il venire meno delle risorse eco- nomiche dei normali benefattori ricchi pagani (everghetai) comportava la loro sostituzione con un apparato capillarmente diffuso nel territorio. Come ci riporta analiticamente lo storico antico Zosimo, Costantino fece pra- ticamente sparire dalla circolazione monetaria il denario dargento, base della ric- chezza delle classi medie e medio-basse precedenti, ed impose la circolazione uni- ca di una nuova moneta doro, il solidus (da cui soldi, ecc.). Con questa moneta erano pagati gli stipendi militari ed amministrativi, e ci ovviamente per un certo periodo ravviv il consumo di questi ceti largamente parassitari. Ma tutti gli altri finirono con l'andare in rovina, concentrandosi in basso in fondo alla scala sociale nella categoria dei cosiddetti humiliores. Non esistono riforme monetarie a costo zero. Come tutti sanno, al di fuori della corporazione dei professori di storia con- temporanea, l'introduzione dell'euro al posto della vecchia lira ha comportato la distruzione di tutte le conquiste in termini di potere d'acquisto del salario reale raggiunto in quasi mezzo secolo dai ceti subalterni in Italia. Tutte le vecchiette italiane lo sanno, pur avendo solo la licenza della quinta elementare, mentre pos- siamo essere sicuri (e scommetterci sopra) che gli unici che non lo sanno e non lo vogliono sapere sono gli economisti ed i professori di storia contemporanea. Le riforme di Costantino erano talmente cattive e reazionarie e portavano ad una tale acutizzazione della struttura oligarchica della societ (come ho detto, il solo paragone possibile  con le riforme finanziarie della attuale globalizzazione selvaggia) da richiedere imperativamente l'allargamento della base di consenso politico. Sta qui la chiave della legalizzazione del cristianesimo e del famoso Editto di Milano del 313 dopo Cristo. Ma soprattutto si afferm quella tipica inversione dia- lettica che caratterizza le societ classiste, indifferentemente schiavistiche, feudali o capitalistiche. Pi si afferma in terra il potere dei Ricchi, pi viene compensato simbolicamente in cielo con la santificazione dei Poveri. L'antichista americano Peter Brown, in uno studio che considero personalmente il pi importante contributo in assoluto per linterpretazione di quel passaggio d'epoca, ci ha spiegato che questo passaggio d'epoca non avrebbe mai potuto compiersi senza la santificazione del Povero, ed inoltre afferma esplicitamente che 148 Sulla genesi ontologico-sociale della fondazione ideologica del cristianesimo costantiniano e post-costantiniano lattuale ideologia dei cosiddetti diritti umani corrisponde funzionalmente oggi all'ideologia della centralit del povero allora. E questo non deve stupire chi  abituato al metodo dialettico di Hegel e di Marx. Pi i diritti umani reali vengono violati con invasioni militari illegali e con la saturazione dello spazio geografico mondiale con basi militari imperiali armate con ordigni nucleari di distruzione di massa e pi nel mondo rovesciato delle ideologie di legittimazione del potere se ne predica la centralit. Pi l'economia reale, attraverso una riforma monetaria che distruggeva il potere d'acquisto delle classi medie, veniva consegnata ai ricchi, e pi nel mondo ideologico compensatorio della religione il potere simbolico veniva dato ai poveri. In Matteo (cfr. 5, 3) viene detto che i poveri di spirito (pneuma) sono beati, per- ch di essi  il Regno dei Cieli. Ho letto in proposito interpretazioni francamente demenziali, tipiche della teologia selvaggia e fai-da-te che Ratzinger cerca di frenare. C' persino chi ha tradotto pneuma con fiato, per cui i poveri di fiato sarebbero quelli che sono rimasti a corto di respiro per avere troppo riso o troppo pianto. La demenzialit  come la pubblicit, irrefrenabile. Interpretando il testo di Matteo allinterno del suo contesto storico espressivo, esso diventa invece com- prensibilissimo. In primo luogo, ricordando il testo di Paolo citato nel capitolo precedente (cfr. Lettera ai Corinzi, 7, 20-24), appare chiaro che lasservimento uni- versale (katholiks), di tutti imembri della societ (liberi, liberti e schiavi) allUnico Salvatore (sotr) e Benefattore (everghetes) Divino, implicava un'operazione simbo- lica di spoliazione di ogni identit precedente (kenosis), perch solo da questo pre- ventivo svuotamento (kenosis, appunto, il termine greco per indicare lo svuota- mento) ci si poteva riempire della nuova identit. In secondo luogo, allinterno di una polemica contro lo gnosticismo (inesistente al tempo di Paolo, ma ancora esistente al tempo del traduttore Gerolamo), si afferma che tutti indistintamente sono chiamati alla Salvezza, mentre invece gli gnostici (l'equivalente dei sofisticati intellettuali francofortesi dellepoca  mi prendo tutta la responsabilit per que- sta spaesante analogia storica!) dicevano in sostanza che soltanto pochi individui fortemente spirituali (gli psichici), o almeno fortemente intellettualizzati (gli pneu- matici) potevano salvarsi, mentre non potevano salvarsi i bestioni ignoranti che non ascoltano Beethoven, non leggono Proust e parlano soltanto della Juve e del Milan (gli ilici). Sono questi i poveri di spirito (pneuma). E Gerolamo diceva loro: Vi salverete tutti, anche quelli che leggono soltanto la collezione Harmony e non leggono Kant in tedesco con sottotitoli in polacco!. E tuttavia Ges aveva detto chiaramente: Se vuoi essere perfetto vai, vendi tutti i tuoi averi, dalli ai poveri e seguimi (cfr. Matteo, 19, 21); ed anche:  pi facile per un cammello passare per la cruna di un ago che per un ricco entrare nel regno dei cieli (cfr. Matteo, 21, 24). Resta inteso che il regno dei cieli (basileia ton ouranon) non significa affatto luogo sulle nuvole dove si suona larpa salmodiando in un'ebete e astorica felicit priva di carnalit, ma significa invece il regno terre- stre (basileia) secondo il mandato celeste della giustizia divina (theik dike). Vorrei insistere molto su questo punto, perch falangi di pretini e pretoni per secoli hanno 149 CaritoLo XX diffuso limmagine di un luogo in cui cori dopolavoristici di peccatori perdonati intonano noiosissime lagne tenendo i piedi sulle nuvole e tuttavia non precipitan- do in basso secondo i canoni della legge della gravitazione. Una simile immagine da cartolina  ovviamente funzionale alla corrosione laica, che ha buon gioco nel mostrarne la totale mancanza di scientificit, con la triste conclusione di far per- dere la consapevolezza che persino questa immagine da asilo infantile per bambini ritardati  un katechon sociale migliore di tutta la prosopopea laica sul disincanto del mondo, il politeismo dei valori, la fondazione formalistica del vivere sociale e la pubblicit a punti per riempire i carrelli della spesa. E tuttavia, la questione del risarcimento simbolico del Povero resta cos solo impostata. Brown parla di rivoluzione dei patrocini. Secondo lui, la nuova ideologia dominante rivendicava a s il merito di aver messo radici nella parte infima della societ per mezzo della cura vescovile dei poveri. Ed infatti  cos. E perch da al- meno duemila anni le Chiese rompono i timpani e battono i tamburi sulla centralit simbolica del povero, magari davanti a tavoloni di lurchi miliardari benefattori? Ma  semplice, ed  semplice come lUovo di Colombo. Questo avviene perch il povero  lunica figura sociale esistente che  per definizione del tutto incapace di prassi au- tonoma progettante e che essendo appunto vuoto di spirito (pneuma) pu essere riempito dalla benevolenza del volere delle classi dominanti. Il povero, in poche parole,  vuoto di prassi ed  riempito di benevolenza. Secondo una testimonianza di Giovanni Crisostomo del quarto secolo, i cosid- detti poveri non superavano la percentuale del decimo della societ , mentre un altro decimo era invece composto dei cosiddetti ricchi (plousio). I restanti otto decimi erano composti in varia misura da tutta la stratificazione dei cosid- detti ceti medi, e se Crisostomo non mente o non si sbaglia, faccio notare che oggi la composizione della societ  ancora pi ingiusta di allora, in quanto oggi i poveri sono pi numerosi del dieci per cento di allora. Alla faccia del progresso! Nel frattempo, la Chiesa cattolica in circa trecento anni aveva di fatto cominciato a conquistare le classi medie del tempo, che non volevano certamente il comunismo e la spartizione dei beni del messaggio evangelico primitivo (e ti credo, come dico- no a Roma!), ma volevano un risarcimento spirituale per la miseria del mondo romano (Hegel), ed erano dispostissime a finanziare l'assistenza ai poveri, dal momento che l'epoca comportava comunque il diffondersi dell'ansia sociale per le aspettative decrescenti e per limpoverimento che ne derivava. Le classi medie sono quindi decisive (e lo sono anche a mio avviso per la crisi di oggi  ma ci ritor- neremo ampiamente pi avanti), come aveva capito Aristotele e come invece non ha mai capito il marxismo storico novecentesco, ipnotizzato dalla decisivit sociale delle sole componenti operaie, salariate e proletarie. E per finire, Brown sostiene (e qui per si sbaglia) che la tarda antichit fu testimone della transizione da un mo- dello di societ in cui i poveri erano in gran parte invisibili ad un altro in cui giun- sero a giocare un ruolo potente nell'immaginario. E Brown sbaglia perch sembra che limpoverimento e la caduta delle aspettative crescenti di promozione sociale delle classi medio-basse romane non siano state un massiccio fenomeno storico, 150 Sulla genesi ontologico-sociale della fondazione ideologica del cristianesimo costantiniano e post-costantiniano ma una semplice illusione nellimmaginario. Non  cos, e credo di averlo se non dimostrato almeno segnalato. La promozione simbolica del Povero per coprire con una inversione dialettica il predominio del Ricco, favorito dalla riforma monetaria oligarchica di Costantino (accolgo qui la decisiva testimonianza di Zosimo), doveva ovviamente accompa- gnarsi ad un insieme di provvedimenti materiali e di sistematizzazioni teologiche, che ora ricorder brevemente. In primo luogo, lorganizzazione ecclesiastica cristiana fu chiamata a suppli- re la totale incapacit dello stato e la correlata decadenza della beneficienza del vecchio notabile (everghetes) nel garantire la sopravvivenza materiale dei poveri. Non a caso, Giuliano lApostata cap che questo era il punto essenziale, e cerc di costruire una rete di assistenza sociale alternativa, non riuscendoci perch mor due anni dopo essere salito al potere. La freccia di un soldato persiano sassanide anticip un probabile colpo di stato cristiano con pittoresca mattanza successiva. Quando arrivarono i barbari unti di grasso e si beccarono una parte delle terre dei latifondisti romani, il solo apparato istituzionale che trovarono fu quello cristiano, e per questo dovettero poi convertirsi. Non ci si converte ad un'opinione astrat- ta, ma ci si converte prima o poi alla pensione ed alla mutua. Inoltre, ci si converte volentieri ad un apparato teologico che sostiene che Dio non vuole il disordinato casino generale, ma vuole la divisione della societ in tre ordines sacralizzati, e cio i bellatores, i feudatari armati (alla faccia del porgere laltra guancia!), gli oratores, e cio i pretoni stessi in preghiera, ed infine i laboratores, che laboravano e laborava- no senza lamentarsi, pena squartamento in terra ed inferno nell'aldil, e laborando mantenevano lintera piramide feudale. Ma questo venne solo pi tardi, quando il feudalesimo europeo si assest (i due secoli 800-1000, ecc.). In secondo luogo, fu necessario eliminare tutti i Vangeli cosiddetti apocrifi, in cui Ges fa lamore con Maria Maddalena, ecc., e canonizzare solo tre vangeli si- nottici (Matteo, Marco, Luca) ed un vangelo filosofico (Giovanni). Ci si pu chiede- re perch non sarebbero bastati i tre sinottici. La risposta  relativamente semplice. Dai tre Vangeli sinottici viene fuori un Ges messianico figlio di Dio pi o meno nel senso in cui Maometto  un uomo di Dio (rasul-illah), da cui risulta che aveva perfettamente ragione Ario ad interpretare Cristo come uomo, e non come Dio. Se avesse vinto Ario, il cristianesimo si sarebbe storicamente posizionato pi o meno come l'Islam: in breve, c' Dio, questo Dio  unico e non ce ne sono altri, e Ges  stato il sigillo dei profeti. Ma vedremo pi avanti le ragioni storiche e sociali della sconfitta di Ario a Nicea nel 325 dopo Cristo. In terzo luogo, il Vangelo filosofico di Giovanni dice giustamente che in princi- pio c'era il logos, il quale era ad un tempo presso Dio e Dio. La traduzione cor- rente pretesca del logos con la parola latina verbum (parola)  correttissima, mentre il mantenimento in italiano del termine (In principio era il Verbo, ed il Verbo era presso Dio, ed il Verbo era Dio) testimonia il dilettantismo e lopportunismo furbesco degli apparati pretoneschi. L'unica traduzione corretta di logos-verbum  ovviamente la Parola, che significa, liberamente tradotto, In principio c' Dio, e quindi la parola 151 CarrroLo XX di Dio, che  lunica parola vera, perch viene da Dio. Se lo si fosse tradotto cos, che sarebbe il solo modo sensato di tradurre questa espressione (da piccolo pensavo che in principio ci fossero i verbi, e dopo venissero gli aggettivi e gli avverbi), si potrebbe capire che la parola originaria  la parola della verit, la parola della verit coincide con la parola della giustizia (dike), la giustizia  un fuoco semprevivo (Eraclito) e coincide con la permanenza eterna della buona legislazione metaforizzata con il ter- mine Essere (to on), e si sarebbe finalmente trovato il missing link fra lo spirito (pneu- ma) della filosofia classica e quello posteriore del cristianesimo. Ma  appunto per questo che tutto ci  nascosto dietro il demenziale ed ambiguo termine di verbo cos come un tempo le gambe delle ballerine erano nascoste dai mutandoni della censura ecclesiastica. In quarto luogo, l'affermazione della concezione della trinit (aghia triada)  in- separabile dal contesto culturale del neoplatonismo. Cos come linterpretazione positivistica del marxismo fu un portato necessario del'contesto storico ottocente- sco, nello stesso modo linterpretazione neoplatonica del cristianesimo fu un por- tato necessario del contesto storico del terzo o quarto secolo. I musulmani non l'hanno accettata, mentre come  noto Hegel l'ha fortemente lodata, con argomenti peraltro velatamente ateo-umanistici, perch solo con la trinit si pu giustificare filosoficamente l'incarnazione divina nell'uomo, la processione (proodos) della ve- rit dal livello ideale (per Hegel, il livello della Scienza della Logica, da lui definita argutamente Dio prima della creazione del mondo) al livello storico (da lui de- finito come equazione di Reale e di Razionale), e pi in generale la razionalit del ritmo triadico di sviluppo dialettico della realt (momento astratto, momento dialettico e momento speculativo). Bench io mi consideri un allievo di Hegel (ov- viamente, nelle condizioni storiche odierne) non condivido la sua retroazione al cristianesimo. Sono anzi convinto, per dirla in breve, che sarebbe stato meglio per tutti se fosse passata la sana e razionale interpretazione di Ario, per cui Ges  semplicemente la Parola (logos) del Padre. E tuttavia, dal momento che sono gi considerato un eresiarca del marxismo, mi basta ed avanza un eresiarcato, e non c' nessun bisogno che me ne si appioppi anche un altro. In quinto luogo, infine, la vittoria di Atanasio su Ario, e cio del carattere di- vino e non solo umano del Figlio, non pu essere spiegata altrimenti  a mio av- viso  che con l'intervento esterno di un fattore ideologico, e cio della necessit di consacrare simbolicamente per trasferimento ideale la divinit dellimperatore romano e poi bizantino. Si trattava peraltro non certo di una novit, quanto della prosecuzione della lunga durata (longue dure) della concezione sacrale orientale della divinit del sovrano, concezione che dal faraone egizio passa ai sovrani me- sopotamici ed infine agli stati ellenistici. Sotto alcuni aspetti, l'impero bizantino  lultimo dei grandi stati ellenistici, anche se  poco noto che i suoi governanti abo- lirono per legge il termine greci (ellenes), imposero il nuovo termine di romani (romaioi in greco, e poi in turco rum, e cio nazione greca milliyet i-rum), ed il ter- mine greco, scomparso per pi di mille e cinquecento anni (e scomparso perch significava pagano, donde il detto di Paolo, per cui il cristianesimo era pazzia 152 SuULtta genesi ontotogico-sociate detta fondazione ideotogica de cristianesimo costantiniano e posi-costantiniano per i Greci), fu riproposto fra il 1780 ed il 1820 dagli illuministi greci, e neppure da tutti (il pi noto di loro, Adamantios Korais, avrebbe preferito non riesumarlo ed adottare il termine francese di grec, in greco moderno graiks). Mi sono permesso questa chiarificazione etimologico-storica per far notare il peso semantico-simbo- lico che il triplo termine di ellenas, romaios-romis, ed infine graiks, si porta dietro. Nella sua evoluzione si potrebbe leggere in controluce (ma solo chi conosce il greco moderno pu farlo!) lintera storia del rapporto simbolico fra il pensiero antico e quello moderno. Tutto quanto ho detto pu essere verificato, con effetti esilaranti, dalla ricostru- zione del Concilio di Nicea del 325 dopo Cristo. Ho scritto effetti esilaranti perch  noto che la Chiesa cattolica, mediante il suo papa anti-relativist di oggi, sostiene che la verit non pu essere messa ai voti. Ebbene, nel 325 dopo Cristo, a Nicea, la verit fu proprio messa ai voti, e per di pi la contesa fu sciolta da Costantino, che non era ancora neppure diventato cristiano (secondo la tradizione, lo fece solo in punto di morte, nel 337 dopo Cristo). Ma una sommaria ricostruzione di quella fissazione eterna della verit della trinit messa ai voti pu essere utile oltre che ovviamente divertente. L'atteggiamento di Costantino verso il cristianesimo era molto simile a quello che sedici secoli dopo ebbe Stalin verso il marxismo, ed il Concilio di Nicea che normalizz il cristianesimo nel 325 ebbe la stessa funzione della decisione del co- mitato centrale del PCUS del 25 gennaio 1931 (e si veda pi avanti il capitolo 37, che studia la Nicea del Marxismo). Si trattava della stabilizzazione ideologica di una religione (nel caso di Costantino) e di una quasi religione (nel caso di Stalin). Per ora, occupiamoci solo della prima. Nel maggio del 325 viene aperto il primo Concilio ecumenico a Nicea (oggi Izmit presso Costantinopoli). L'occidente latino non  praticamente rappresentato; ci sono solo teologi di lingua greca. Il solo occidentale, Osio vescovo di Cordova,  per fortemente anti-ariano, e Costantino ha bisogno del consenso dell'occidente di lingua latina. Egli interviene direttamente, quindi, per far mettere in minoranza le posizioni umanistiche di Ario, e per far ottenere la maggioranza alla diarchia Atanasio-Osio. L'organizzazione ecclesiastica viene modellata integralmente su quella dell'Impero, cui si sovrappone, ed entro la cui cornice si inserisce.  pe- raltro interessante notare che prima di morire Costantino si riavvicina agli ariani moderati e concilianti, come Eusebio di Cesarea, amico di Ario, e nel 335 (due anni prima di morire) riconvoca a Tiro un altro concilio (limitato alle chiese orientali) in cui riabilita parzialmente l'ormai quasi ottantenne Ario, senza peraltro modificare i dogmi di Nicea, dominanti ormai nella parte occidentale dellimpero. Chi  come il sottoscritto   esperto della storia del marxismo, si trova a proprio agio nel dibattito teologico bizantino, perch da un lato questo dibattito prende sul serio la parte filosofica della sua teologia (e quindi Platone ed Aristotele in un caso, Marx ed Engels nell'altro), e dall'altro la discussione filosofica  comple- tamente intrisa di richiami politici ed ideologici, che sono sempre determinanti in ultima istanza. E tuttavia, una seria analisi ontologico-sociale del pensiero del 153 CarrroLo XX mondo antico non potrebbe mai fermarsi qui, pena un intollerabile riduzionismo.  necessario infatti, prima di congedarsi dal mondo antico, prendere ancora in esame il grande neo-platonismo, che ha giocato il doppio ruolo di estrema trincea simbolica del mondo antico e di base teorica per l'elaborazione della posteriore teologia cristiana medioevale. 154 XXI IL MUTAMENTO DI FUNZIONE SOCIALE E POLITICA DELLA SINTESI FILOSOFICA NEOPLATONICA DALLESTREMA DIFESA DEL MONDO ANTICO ALLA LEGITTIMAZIONE DEL MONDO GERARCHICO FEUDALE La filosofia neoplatonica  stata il terzo ed ultimo fattore ontologico-sociale es- senziale per la costruzione simbolica della fede cristiana. Nel prossimo capitolo, infatti, in cui verr illustrato il complementare contrasto fra le cattedrali teologiche aristoteliche delle scuole domenicane e la reazione nominalistica ispirata allegua- litarismo sociale del pauperismo francescano, siamo gi di fronte ad un panorama spirituale che  ormai del tutto al di fuori del periodo della costituzione della stessa filosofia cristiana. La comprensione della corretta natura sociale di questo nomina- lismo individualistico francescano (Occam, ecc.)  di cruciale importanza, perch dalla sua analisi risulta chiaramente che l'individuo pu e deve essere pensato al di fuori ed indipendentemente dalla sua incorporazione messianica veterotesta- mentaria attuata dallo sgradevole calvinismo protestante e poi dalla sua corre- lata e derivata fondazione dellindividualismo possessivo. Si tratta di un punto essenziale, per alcuni aspetti paradossalmente ancora pi importante di una pur rilevante ricostruzione del pensiero greco classico, e scrivo questa eresia perch il pensiero greco, pur essendo molto superiore, ha avuto solo una funzione indi- retta nella costituzione del moderno profilo individualistico occidentale, mentre lo sgradevole calvinismo messianico veterotestamentario, con la sua coda privati- stica posteriore, ha giocato un ruolo molto maggiore. Ma di tutto questo insieme di problemi, ovviamente, parler nei prossimi capitoli. Mi permetter invece di ripetere ancora una volta i contenuti dei due capitoli precedenti, perch il lettore deve avere sempre davanti agli occhi in una sintesi plastica i tre fattori simbolici costitutivi del fenomeno cristiano, unico modo per evitare la solidariet complementare ed antitetico-polare fra i sostenitori della teo- ria della decadenza alla Nietzsche (il cristianesimo come invidia dei malriusciti e come decadenza platonico-popolare rispetto alla meravigliosa grecit apollineo- dionisiaca) ed i sostenitori della teoria della provvidenza dei posteriori teologi cristiani. Anche se per il pensiero non abituato alla dialettica e bisognoso di un salutare riorientamento gestaltico le due teorie della decadenza e della provvi- denza sembrano opposte ed incompatibili, nella realt si tratta di una sola ed unica teoria, che anzich ricostruire la genesi storica del cristianesimo in forma ontologi- co-sociale preferisce opinare (e a questo punto, nellirrilevante mondo dellopinare, ciascuno opina come vuole) se esso sia stato buono (teoria della provvidenza) o cattivo (teoria della decadenza). 155 CaritoLO XXI Il primo fattore ontologico-sociale che ha consentito la nascita del cristianesimo  stata la miseria del mondo romano, che ha provocato il disorientamento gene- rale per l'abbandono del mondo da parte di Dio, preparando cos il terreno per un superiore mondo spirituale. I fattori della miseria romana, plasticamente rappre- sentabili con losceno combattimento fra i gladiatori nel circo, sono numerosi, ma abbiamo deciso di insistere soltanto su due di loro. Da un lato, Roma ha accolto tutti gli dei delle terre occupate e brutalizzate nel suo Pantheon, ma in questo modo, sotto la scorza superficiale della tolleranza plu- ralistica, li ha fatti diventare irrilevanti ed intercambiabili, perch il pluralismo delle differenze relative comporta necessariamente il nichilismo psicologico ed esistenziale. Se infatti sono todos Caballeros, allora no hay mas Caballeros, ma soltanto peones e gringos. Dall'altro, il fondamento dell'impero romano, organo politico di coordinamento di tutte le classi schiavistiche e proprietarie, era la garanzia giuridi- ca e giudiziaria della sicurezza del possesso, e limperatore diventava la persona delle persone che in questo modo simbolicamente tutti i possessori, ridotti ad atomi individuali privi di qualunque sostanza etico-comunitaria. Questo Imperium insensato e crudele si rovescia dialetticamente in Basileia celeste, e cio in Regno di Dio, e allora Dio stesso, mediato nella figura messianica del Cristo, deve diventare lunico (donde il monoteismo) imperatore che pu chiedere lasservimento volon- tario di tutte e tre le categorie sociali distinte del mondo romano, i liberi, i liberti e gli schiavi (cfr. Paolo di Tarso, Lettera ai Corinzi, 7, 20-24). Vorrei insistere molto su questo punto cruciale, perch solo in questo modo  possibile capire veramente in che senso ed in quali limiti Paolo  stato il vero fondatore della religione cristia- na universale (katholik), emancipandola radicalmente dal precedente ambiguo ed esclusivistico messianesimo ebraico. Il secondo fattore ontologico-sociale fu invece il rovesciamento (che presuppone per logicamente e storicamente il precedente rovesciamento dell'Imperium terre- no in Basileia dei cieli) del regno materiale dei Ricchi (gli honestiores), prodotti dalle spaventose riforme monetarie di Costantino, in regno ideale dei poveri (humilio- res). Si tratta di un processo ricostruibile storicamente con una chiarezza tale, che il suo essere stato messo sotto silenzio non pu spiegarsi altrimenti che in termini di occultamento ideologico funzionale alla legittimazione di una societ classista. Ma di questo fattore, appunto, abbiamo gi trattato con maggiore ampiezza nel precedente capitolo. Ci occupiamo ora del terzo fattore, e cio del neoplatonismo. In proposito, vi sono stati gi alcuni tentativi (Mario Vegetti, ecc.) di spiegarne la struttura dupli- cando semplicemente in cielo la struttura politica del tardo impero romano (l'Uno che diventa la proiezione dell'unico imperatore, le ipostasi maggiori che diven- tano la proiezione di chi gli sta spazialmente pi vicino, senatori e funzionari, e via via scendendo nella emanazione della gerarchia del potere). Sono questi gli inconvenienti di una scorretta applicazione di un principio metodologico giusto, quello della deduzione sociale delle categorie (ne ho gi parlato in precedenza, a proposito della scorretta interpretazione del concetto di essere in Parmenide 156 Il mutamento di funzione sociale e politica della sintesi filosofica neoplatonica come duplicazione simbolica astrattizzante della diffusione della moneta coniata).  necessario perci ridiscuterli radicalmente. Il neoplatonismo, come  noto, fu allinizio un nobile tentativo di rilegittimare filosoficamente il politeismo pagano antico (Plotino di Licopoli, Giuliano detto lApostata, Proclo, ecc.), e divent poi in pochi secoli la copertura filosofica della nuova fede cristiana (e poi anche musulmana qualche secolo dopo). Come spiega- re questo mistero? Non pretendo certamente di spiegarlo, ma penso invece di poterne avanzare uninterpretazione storico-genetica ed ontologico-sociale. Per quanto riguarda il suo ruolo di ultima trincea del politeismo pagano, la spiegazione  relativamen- te semplice, perch Platone, sia pure eclissato a lungo dallepicureismo e so- prattutto dalla sapienza stoica, sia pure ammorbidita per poterla acclimatare negli ambienti dei benpensanti romani (Cicerone, Seneca, ecc.), non aveva mai cessato di essere un punto di riferimento per la cultura filosofica antica (Plutarco, ecc.). Bastava soltanto liberarlo dalle interpretazioni scettico-accademiche prima e neo-pitagorico-iniziatiche poi, e Plotino fece esattamente questo, lo restaur e lo liber (se mi si permette un ardito paragone attualizzante, ci che Plotino fece allora con Platone  necessario farlo ora con Marx, liberandolo da tutti i marxi- smi diventati obsoleti). Ma chi era Plotino? Plotino rifiut sempre di dire quando e dove fosse nato, ma in realt era egizia- no, ed era cresciuto in un ambiente bilingue greco-copto (il copto era la variante parlata dellantico egizio) dove ci si nutriva insieme di Platone e della vecchia sim- bologia mitica egizia. A trentanove anni segu limperatore Gordiano III nella spe- dizione contro i persiani sassanidi, che seguivano la religione zoroastriana, il cui dualismo Bene-Male (Orzmud-Ahriman) non faceva che personalizzare il dualismo Spirito-Materia che poi Plotino svilupp nelle sue Enneadi.  del tutto plausibile che Plotino si sia immerso nello studio di questo dualismo spirituale, se pensiamo che il Re sasanide di Persia Sapore si era portato dietro il grande filosofo dualista Mani, fondatore del manicheismo. Plotino cominci a scrivere soltanto a quarantanove anni, dieci anni dopo che il segreto della scuola di Alessandria era stato tradito da Erennio e da Origene. Compose cinquantaquattro trattati, dando il permesso di leggerli soltanto a pochi allievi, ed il compito di correggerli al pi amato. Non volle mai essere ritratto. Rifiutava le medicine, si asteneva dai bagni, ma si faceva fare ogni giorno dei mas- saggi. Si vergognava di avere un corpo, e di trascinare cos l'idolo con cui la natura ci ha avvolto. Figuriamoci se valeva la pena di lasciare un'immagine di quella immagine! Ho riportato questi dati biografici di Plotino perch a mio avviso  necessario interpretarli. Di tutti il pi curioso e difficile da capire per noi moderni  il vergo- gnarsi di avere un corpo. Lo si interpreta in generale in modo inesatto, come an- ticipazione della posteriore mortificazione cristiana del corpo (vivere nel deserto, vivere su di una colonna come Simeone lo Stilita, castrarsi come Origene, mettersi il cilicio come Pascal, ecc.), ma io non lo credo proprio. Il corpo fisico (soma) era 157 CaprroLo XXI in quel periodo venuto a noia a tutte le persone sensibili del mondo greco-romano per una ragione relativamente semplice: mentre nellepoca classica dei Greci esso non era venuto a noia, ma anzi era amato ed esaltato (vedi in Platone il Fedro, il Convito, ecc.), in quanto unione (synolon) di corpo (soma) e di anima (psych), nel mondo romano il corpo era diventato oggetto di maialoni impegnati in banchetti in cui mentecatti arricchiti si ingozzavano di cibarie costosissime per poi vomitarle subito dopo. Si legga in proposito il Satyricon di Petronio, in cui lex schiavo arric- chito Trimalcione racconta di avere prestato i suoi buchi anteriori e posteriori alla padrona (buco anteriore) e poi al padrone (buco posteriore). In questo mondo del fornicare (la fornix era il portico sotto cui dormivano gli schiavi, che i padroni visitavano appunto applicando la libert intesa come libera scopata generale del ricco sul povero  nessuna differenza, peraltro, con lattuale industria della prosti- tuzione globalizzata!) posso capire che una persona sensibile come Plotino potesse vergognarsi di avere un corpo. Non posso certo riportare qui il complesso sistema filosofico di Plotino, e ri- mando ad una dettagliata esposizione monografica, peraltro facile da trovare. In breve, considero scorrette ed affrettate le abituali liquidazioni di Plotino in ter- mini di incomprensibile pensiero mistico-religioso dell'antichit. In accordo con il filosofo greco Stavros Kouloubaritsis, che  stato la mia guida alla comprensione del neoplatonismo antico, ritengo Plotino uno dei filosofi pi facili da comprende- re, purch ovviamente se ne abbia la chiave giusta. Si ricordi quello che ho detto nel capitolo dedicato a Platone, in cui ho accettato la tesi di Biral per cui il con- cetto centrale di Platone  la cura di s. Nello stesso modo Kouloubaritsis nota che Plotino riprende integralmente questa concezione dell'autonomia delluomo, la padronanza dellazione che egli chiama autexousion, quella stessa libert che si trova nella sesta Enneade a proposito dellarte. Ma Kouloubaritsis nota anche che Plotino va oltre il concetto aristotelico di giusto mezzo (messotes) perch ritiene che non basti, ed occorra andare oltre la virt, verso la vera e propria intelligenza, definita come la capacit di decidere se valga la pena agire o non agire, desiderare o non desiderare. Ed  qui, e solo qui, che Plotino pu essere definito neo-platonico e non neo-aristotelico. Plotino afferma anche la teoria del male come assenza di essere, e tutti sanno che Agostino la adott nella sua lotta contro i manichei del suo tempo. Ma sanno male ed affrettatamente, perch Plotino la deduce in via puramente razionale, ed in questo  greco al cento per cento, mentre invece in Agostino la nozione di vo- lont  legata al peccato originale, e di conseguenza c' una perversione interna della volont nella sua essenza stessa. E colgo qui l'occasione per dire che Agostino, il pensatore meno greco (e pertanto pi antipatico) della tarda antichit, non pu in alcun modo essere definito platonico (come fanno per bovina inerzia i manuali), perch tutto il suo pensiero si basa sul peccato originale e sulle cattive inclinazioni innate nell'uomo (vedi la sua polemica con Pelagio), e qui di platonico non c' pro- prio niente. Ci si accontenti di considerare Agostino come il teorico della citt di Dio, modo educato per dire che la Chiesa ha il diritto di ficcare il naso dove vuole 158 ti HU INen o j]ju z0H1 SOC le e po tica de A SH esi fl OSOICA Heopiatonica e di obbligare con la forza a praticare ilo cristianesimo (e ci sono testi di Agostino dedicati proprio al costringere ad entrare, impelle intrare). Ma non si tiri in ballo Platone per onorare questo poliziotto prepotente, per favore! I nemici di di Hegel (e di conseguenza di Marx, vedi scuola di Della Volpe e di Colletti) hanno spesso collegato questi due spiriti magni a Plotino, per poter poi sghignazzare contro la metafisica. Non ci vedo peraltro niente di male. Come spiega egregiamente Kouloubaritsis, Plotino parte sempre dalla metafora dello specchio per capire la pluralit degli oggetti intellegibili. L'uomo per vedersi ha bisogno di uno specchio, perch in un mondo completamente privo di specchi non potrebbe mai vedere il suo volto. Per questo anche la materia  importante per Plotino, perch  proprio la materia che, lungi dall'essere un semplice residuo negativo della estrema lontananza dallUno ideale,  ci che permette che si svolga il gioco degli specchi in cui possiamo vederci. Kouloubaritsis  a mia conoscenza (ma ammetto di non essere uno specialista in neo-platonismo) il solo interprete che abbia saputo valorizzare il concetto di mate- ria (hyle) in Plotino, e secondo me ci  riuscito perch, come tutti i Greci sia antichi che moderni, non crede che possa esistere un pensiero puramente monistico, e ritiene perci che dallUno ci sia sicuramente emanazione (proodos), ma sia ancora pi importante dire che c' anche la conversione (metanoia), che comporta necessa- riamente il ritorno (epistrophe). Senza ritorno, infatti, ci sarebbe solo dispersione, e tutte le cose si disperderebbero in un gran fiume che si perderebbe. Come sostiene oggi il cosiddetto pensiero debole. L'idea di Hegel, per cui le cose sono prima in s, poi escono fuori di s ed infine rientrano in s e per s (dotate quindi di autocoscienza, Selbstbewusstsein), deriva quindi dal neoplatonismo. Ebbene, questo  un bene e non  un male. La concezione dialettica di Plotino, infatti, non  in alcun modo uno sbandamento mistico, ma  il concentrato della buona eredit del pensiero greco. Del resto, non dice anche Marx qualcosa di simile, quando afferma che non esiste il soggetto formale ed astorico di Cartesio e di Kant, ma esiste invece il concreto soggetto storico indagato da Hegel nella Fenomenologia dello Spirito, che deve perdersi e ritrovarsi nel mondo delle estraneazioni storiche (Entusserungen), fra le quali la pi importante  pro- prio l'alienazione capitalistica (Entfremdung), e solo in questo modo luomo potr avere una consapevolezza speculativa di se stesso (speculum, specchio, nel senso di specchiarsi nella propria autocoscienza storica)? Il neoplatonismo, quindi, fu una buona cosa, e non dobbiamo stupirci che un filosofo intelligente come Hegel lo abbia capito. Ora, per, abbandoniamo la fi- losofia vera e propria (ci che , ed  eternamente) per andare alluso ideologico del neoplatonismo, nel doppio aspetto dell'uso pagano e delluso cristiano (e mi verrebbe da dire non cristiano, ma neo-cristiano, perch il il cristianesimo costan- tiniano  molto pi neocristiano che cristiano). Ma, appunto, qui c' solo ideologia e non filosofia propriamente detta. Non possiamo per evitarla, se vogliamo ap- prendere il nostro tempo nel pensiero (in questo caso, il tempo antico di Giuliano e Costantino). 159 CaritoLo XXI Giuliano l'Apostata fu molto intelligente nel capire che la sintesi filosofica ne- oplatonica era di fatto la sola che poteva legittimare il mantenimento della cultura classica dei Greci, in un momento storico in cui ormai il termine greco era diven- tato sinonimo negativo di non-cristiano. La sintesi filosofica neoplatonica, infatti, era la sola che permetteva di pensare congiuntamente lUno ed i Molti, senza che l'Uno dovesse necessariamente essere pensato nei termini del terribile Dio biblico veterotestamentario, del tutto incompatibile nella sua mostruosa e soggettivistica separatezza con la filosofia greca, e senza che i Molti fossero pensati come frutto di una dispersione pluralistica nellinsensatezza puramente sociologica (l'odierno essere che si consuma di Gianni Vattimo, la verit come convenzione comuni- taria di Richard Rorty, lermeneutica interminabile delle universit che si rovescia necessariamente nel chiacchiericcio mondano delle conferenze delle star dello spet- tacolo colto per presenzialisti, ecc.). Non dimentichiamo che gli equivalenti delle due posizioni c'erano gi nel mondo antico, dai fanatici dellUno-Dio Biblico come Ambrogio e poi il terribile Agostino fino ai conferenzieri post-antichi (perch come c' ora un postmoderno ci fu anche allora un postantico) come Apuleio e Luciano. Il pensare congiuntamente lUno ed i Molti costituisce una scienza filosofica della totalit, che ovviamente non  affatto obbligata a ricalcare bovinamente le soluzioni date a suo tempo da Plotino o da Proclo. Ed infatti, sulla base della moderna costi- tuzione settecentesca dell'idea di storia universale concepita idealmente (Fichte) come unico soggetto trascendentale riflessivo (Koselleck), Hegel e poi Marx si di- scostarono da Plotino su di un punto radicale, e cio sulla monomondanit im- manente e non pi trascendente del rapporto fra lUno (lidea universalistica di storia) ed i Molti (le differenziate culture filosofiche in Hegel, i differenziati modi di produzione in Marx). Ma il modello resta quello della scienza filosofica neopla- tonica, che chiude nel modo pi onorevole possibile il ciclo della filosofia classica dei Greci.  dunque paradossale che la corrente antidialettica italiana (Lucio Colletti, Giuseppe Bedeschi, Luciano Albanese, Dante Argeri, ecc.) abbia creduto di poter liquidare Marx tacciandolo di neoplatonismo nascosto, laddove il neoplatoni- smo di Marx, ereditato con modificazioni radicali da Hegel, non  neppure poi tanto nascosto. Ma ci che per Colletti (il pensatore che mi  in un certo senso pi lontano, e che per questo ringrazio per avermi permesso indirettamente di definirmi in opposizione a lui per differentiam specificam, per dirla con gli scolastici del due- cento) era male, per me  invece un fattore positivo da rivendicare. Ma su questo torner ampiamente negli ultimi capitoli dedicati a Marx ed al marxismo, fino all'ultimo, intenzionalmente dedicato a Lukcs, in cui chiarir finalmente al lettore (e glielo devo, visto che ho scelto di intitolare questo saggio nello stesso modo in cui quarant'anni fa  e quali quarant'anni! - lui aveva intitolato i suoi) le concor- danze e le differenze nel modo di concepire, definire e sviluppare unontologia dell'essere sociale. La sintesi filosofica di Plotino  la prima filosofia greca (ed  interessante che sia ad un tempo la prima e lultima) che richieda la conoscenza di una terminologia 160 Il mutamento di funzione sociale e politica della sintesi filosofica neoplatonica filosofica specifica che si distacca interamente dal linguaggio filosofico preceden- te. AI di fuori di alcuni dialoghi dialettici di Platone e di alcuni passaggi della Metafisica di Aristotele quasi tutti i filosofi Greci precedenti usano o il linguaggio metaforico della natura (Eraclito) o il linguaggio parlato ordinario (Epicuro). Solo con Plotino si afferma il primo vero e proprio lessico filosofico specialistico, che richiede quel tipo di approccio ermeneutico-storico di cui ha parlato Adorno nella sua meravigliosa Terminologia filosofica. D'altro canto, una scienza filosofica richie- de e quasi impone una complessa terminologia filosofica specifica (Hegel docet). E tuttavia, il generoso sforzo di Giuliano non poteva avere successo. Il mon- do antico si era come svuotato dall'interno a causa della miseria dell'impero ro- mano. La grande filosofia classica di lingua greca, una volta incorporata nella cultura dei ceti schiavistici ricchi di lingua latina (faccio ovviamente eccezione per Lucrezio, il cui epicureismo resta comunque dubbio, essendo stato un poeta dell'angoscia - secondo lespressione del latinista Perelli - quanto di pi lontano dallo spirito originale di Epicuro) si era come disseccata. Hegel coglie bene questo punto, che invece lo sciocco Nietzsche non riesce assolutamente a cogliere. Si era infatti giunti ad un tale punto di crisi da far comprendere la famosa frase criptica (e per chiarissima) di Heidegger, per cui ormai solo un Dio pu ancora salvarci. In queste condizioni,  impossibile salvare un patrimonio storico, sia pure inesti- mabile, senza incorporarlo in una nuova sintesi espressiva. Sappiamo oggi (ma Giuliano poteva ancora pensare che i processi storico-cultu- rali fossero reversibili) che questa sintesi nuova  stata quella cristiana. E tuttavia possiamo chiederci il perch del fatto, apparentemente ovvio, per cui i cristiani scelsero di adottarla. Il discorso sarebbe lungo, ma mi limiter a discutere tre sole ipotesi. La terza  di gran lunga la pi importante. In primo luogo, il motivo per cui i cristiani scelsero la sintesi neoplatonica  banale. Essi non ne avevano una propria, e la sintesi neoplatonica era la migliore disponibile nel mercato delle idee del tempo. Chi ha difficolt a capire questo processo di adozione filosofica del neoplatonismo da parte dei cristiani pensi per analogia contrastiva al processo di adozione filosofica compiuto dai marxi- sti dopo il 1875. Da un lato, Marx non aveva prodotto una filosofia sua propria in senso sistematico, e dall'altro sul mercato delle idee allora regnava il positivismo. Il neoplatonismo fu a tutti gli effetti il positivismo dei cristiani. In secondo luogo, il neoplatonismo, con la sua teoria delle processioni degli enti dall'uno fino alla materia e ritorno, era l ideologia ideale (ho scritto ideologia, non certo filosofia, la quale, essendo veritativa o con pretese veritative, non  ide- ologica per sua propria essenza) per una legittimazione teorica di un sistema ge- rarchico. Lo studioso egiziano Samir Amin, che  un economista di professione ma fa spesso incursioni geniali nella storia della filosofia, ha studiato in modo compa- rativo le filosofie cristiana e musulmana medioevale, e le ha correlate appunto ai sistemi sociali stratificati che entrambe in qualche modo sacralizzavano. E tuttavia  il terzo punto che ora discuteremo il pi importante in senso asso- luto. Il neoplatonismo offr finalmente al cristianesimo il quadro teorico ideale per 101 CAPITOLO AXI neutralizzare definitivamente l'elemento messianico-rivoluzionario delle origini.  noto che lApocalisse di Giovanni, con cui si chiude il Nuovo Testamento,  un testo messianico che rivela (rivelazione in greco  apokalypsis) le sorti della Bestia e di Babilonia la Grande, e cio del ripugnante dominio oppressivo dell'impero schia- vistico romano. Non a caso,  il testo neotestamentario preferito dalle altrettanto ripugnanti correnti fondamentaliste del protestantesimo americano, la corrente re- ligiosa che si pensa come emanazione di una religione imperiale, anche se rispetto allApocalisse originale inverte paradossalmente le cose, perch pensa il proprio ripugnante impero come buono ed i suoi nemici come cattivi (stati-canaglia, rogue states, ecc.). Mi sono sempre chiesto  non ho mai trovato risposta  come le chiese di oggi, invischiate con mille compromessi con il potere, abbiano potuto conservare nei loro testi sacri anche l Apocalisse. Ritengo che il segreto stia nella de contestualizzazione storica. Opportunamente decontestualizzati, infatti, i vangeli e la vispa Teresa sono in effetti del tutto equivalenti. Sul fatto che il Ges storico sia stato un profeta messianico ben inserito nella tra- dizione ebraica non ci sono dubbi, come ho gi sostenuto in un capitolo precedente. Ho gi respinto linterpretazione zelotica del capo militare crocefisso non certo per le sue innocue chiacchiere pacifiste (i vogliamoci bene sono infatti sempre stato onorati dal potere), ma per l'essere stato un sostenitore della lotta armata contro gli occupanti e della restaurazione di un regno ebraico (INRI, Ges nazareno re dei giudei). Ho invece cautamente accettato l'ipotesi storica per cui il contenuto socia- le del suo messaggio si basava sullannuncio di un Anno di Misericordia del Signore, e cio di un programma sociale comunistico di redistribuzione delle ricchezze, remissione dei debiti e liberazione degli schiavi, programma che risaliva ai primi tempi del passaggio dalla tribalit ebraica egualitaria alla nuova propriet priva- ta regale (Davide, Salomone, ecc.). Ho anche segnalato che questo programma implicava una purificazione del tempio, con connessa messa in pericolo della collaborazione di classe fra il sinedrio ebraico mafioso (Caifa) e loccupante mi- litare romano (Ponzio Pilato). E, per finire, ho trovato la chiave della condanna a morte di Ges per terrorismo nell'accordo fra questi due centri di potere alleati. In ogni caso, una cosa  sicura: Ges era un profeta messianico, si pensava come un messia, e sarebbe caduto dalle nuvole se avesse potuto immaginare che lo avreb- bero fatto diventare un Dio, sia pure con curiose e bizzarre ipostasi dialettiche. Ancora una volta  per sicurezza  ripeto il concetto: Ges sarebbe caduto dalle nuvole se avesse saputo che lo avrebbero fatto diventare un Dio. Ma anche Paolo era totalmente allinterno di un progetto messianico. Sostenendo che tutte le classi del mondo romano doveva sottomettersi ad un unico Salvatore (cfr. Corinzi, 7, 20-4), che sarebbe venuto presto (parousia, e cio essere presente davanti a noi, paron), egli parlava di un regno di Dio (basileia) concreto qui ed ora sulla terra, ed aveva in mente uomini e donne concreti (di qui la resurrezione del- la carne, poi sostituita dalla famosa  e per nulla cristiana  immortalit dellani- ma di origine orfico-platonica), e non certo pecoroni salmodianti e belanti sulle novolette che anzich suonare la chitarra elettrica suonano larpa). 162 Il mutamento di funzione sociale e politica della sintesi filosofica neoplatonica La parousia non  venuta. Come ha scritto il grande storico Alfred Loisy: Cristo predic il regno di Dio, ed  venuta la chiesa. Ges, convinto che la fine del mon- do fosse imminente, non avrebbe secondo Loisy fondato la chiesa. L'istituzione ecclesiastica sarebbe nata e si sarebbe affermata in seguito al progressivo venir meno, fra i credenti, della tensione escatologica iniziale, in risposta ad esigenze storico-sociali del tutto estranee alloriginario annuncio di fede. E tuttavia Loisy sbaglia, in quanto la sua pittoresca ignoranza del metodo di Marx gli impedisce di capire che cosa veramente  accaduto allora. Non  vero che Ges fosse convinto dell'imminente fine del mondo in generale. Ges era convinto che stesse finendo in modo catastrofico non il mondo, ma solo quel mondo dellingiu- stizia e delloppressione. Qui stava quellunione di testimonianza apocalittica (vi rivelo che questo mondo del peccato sta per finire) e di testimonianza messianica (vi riveloche sono io il messia che toglier i peccati del mondo, se seguirete il mio messaggio di fratellanza, e cio di eguaglianza e di solidariet comunitaria). E Loisy non pu capire nulla, neppure dall'alto di cinquanta anni di studi biblici, perch non possiede la chiave per capire. Ges annunciava lo stesso contenuto so- ciale emancipativo annunciato da Parmenide, l'eternit del bene e della giustizia.  questo il significato del motto di Hegel che abbiamo messo al centro di questa ricostruzione ontologico-sociale della storia della filosofia occidentale, e cio la filosofia si occupa di ci che , ed  eternamente, e con questo ha gi fin troppo da fare. Il neoplatonismo liquid completamente questo contenuto messianico, spiri- tualizzandolo e ridefinendolo in una innocua scala di enti, che pi tardi i teolo- gi francescani (Bonaventura da Bagnoregio, ecc.) definirono Itinerarium mentis ad Deum. In questo senso, paradossalmente (ma non troppo), il neoplatonismo esegu il compito che Max Weber assegn ai razionalizzatori dei primitivi contenuti messianici di tutte le religioni. Sul pensiero di Max Weber ritorner pi avanti, perch Weber  stato uno dei maestri di Lukdcs. Personalmente, considero molto intelligente, ed anche sostan- zialmente esatta, la sua teoria sulla religione e sulla sua natura sociale. In breve, Weber riconosce che quasi tutte le religioni nascono e si sviluppano in una forma messianica, ma che per ad un certo punto del loro sviluppo storico insorge un inevitabile disincanto (Entzauberung), perch le loro promesse messianiche non si avverano, ed anzi le cose sociali vanno di male in peggio. A questo punto, o il disincanto si diffonde ed uccide la religione (la storia ci mostra decine di religioni di tipo messianico che si estinguono dopo pochi anni, decenni o secoli), oppure la stessa religione si libera del suo primitivo elemento messianico e si ricicla nella forma di una razionalizzazione dei costumi della vita quotidiana, ispirando letica familiare e sociale e gestendo simbolicamente i riti di passaggio (nascita, matrimonio, morte, ecc.). Questo passaggio dalla prima fase messianica alla seconda fase di razionalizza- zione della vita quotidiana e di risarcimento simbolico per la smentita del messia- nesimo originario  pienamente riuscito non solo nel cristianesimo, ma in tutte le 163 CarrroLo XXI grandi religioni precedenti e successive, ed un buon esame storico comparativo  in grado di dimostrarlo chiaramente. Il neoplatonismo, questa grande filosofia greca, fu anche lo strumento simboli- co della neutralizzazione razionale dell'elemento messianico. E dal momento che questo elemento messianico era socialmente impossibile ed irrealizzabile (i pove- ri sono soggetti sociali ancora pi inefficaci dei proletari, che pure si difendono bene), la razionalizzazione neoplatonica compensatrice non fu in alcun modo un tradimento, come tendono a dire i confusionari di ogni tipo. La tradizione cristia- na europea - comunque la si giudichi, ed io non la giudico poi troppo male - vie- ne anche di l. Prima lo si capisce, e meglio . 164 XXI LA SACRALIZZAZIONE RELIGIOSA DEGLI ORDINES SOCIALI MEDIOEVALI, LE GRANDI CATTEDRALI TEOLOGICHE DOMENICANE ED IL SIGNIFICATO ONTOLOGICO-SOCIALE DELLA CONTESTAZIONE NOMINALISTICA FRANCESCANA A differenza di come molti pensano, esiste gi una filosofia universalistica della storia nel medioevo, ma si tratta di un universalismo parziale, in quanto questo universalismo  limitato al popolo cristiano, ed il resto del mondo  visto unica- mente come residuo da distruggere o da convertire. Ma se qualcuno pensa che oggi siamo pi avanti di allora, ebbene si sbaglia, perch loccidentalismo esclu- sivistico ed il disprezzo per il resto del mondo resta intatto. Non si tratta per pi di convertire i barbari alla vera religione cristiana, ma di convertirli all'unico vero modo di vivere, il consumismo occidentale laico basato sulla propriet priva- ta illimitata del capitalismo finanziario multinazionale. Il cosiddetto progresso rispetto al medioevo resta un'illusione, e per dirla con Georges Sorel  possibile parlare sensatamente di progresso soltanto rispetto alla tecnologia. Chi crede che Roberto Benigni sia pi avanti di Dante Alighieri  veramente un caso irre- cuperabile di incomprensione filosofica della storia. E qual  questa filosofia medioevale della storia? In estrema sintesi, una idea della storia come caduta, cio come allontanamento dalla vera natura divina e uma- na. Pur sapendo di compiere una parziale scorrettezza concettuale, affermo che il concetto di caduta nella filosofia cristiana della storia copre lo stesso contenuto sim- bolico del concetto di alienazione nel pensiero di Marx. Se poi qualcuno (Lwith, ecc.) vorr sostenere che il concetto di alienazione non  altro che una secolariz- zazione razionalistica del precedente concetto di caduta, ebbene lo sostenga pure. C' qualcosa di vero, ovviamente, ma non si coglie egualmente il punto essenziale, e cio che dopo Hegel  possibile concettualizzare razionalmente il passaggio qua- litativo dalla rappresentazione religiosa (Vorstellung) al concetto filosofico vero e proprio (Begriff), e tutte le teorie della secolarizzazione pura e semplice (Schmitt, ecc.) non colgono questo salto qualitativo, e si fermano a rilevare tutti gli (ovvi) ele- menti di continuit. Il fatto  che la specie umana, o se vogliamo il genere (Gattung), continua nel tempo, e sarebbe strano che non ci fossero anche robusti elementi di continuit sia nella sua immagine del mondo (Weltbild) sia nella sua concezione generale del mondo (Weltanschauung). Questo schema di Caduta  Redenzione si situa spazialmente in uno Spazio ap- punto largamente simbolico, in cui si cade verso il Basso e ci si redime salendo verso l'Alto. Nella Divina Commedia di Dante, appunto, si scende all'Inferno e si 165 CAL OLO AALE sale verso il Purgatorio ed il Paradiso. Ma ovviamente lalto delle cattedrali gotiche non ha nulla a che fare con lalto dei grattacieli delle metropoli moderne. L'alto dei grattacieli  uno spazio privato, risultante dalla speculazione edilizia, per cui su di una superficie relativamente modesta si possono costruire migliaia di locali da vendere o da affittare. L'alto delle cattedrali medioevali  uno spazio pubblico, in cui lagor della libera discussione socratica  sostituita dal pulpito della predica- zione dei sacerdoti. Nei fondamentali Studi su Dante di Erich Auerbach viene ricostruita in modo magistrale la filosofia della storia di Dante, il che fa di Dante uno dei principali filo- sofi medioevali, e non solo un poeta (qualcosa di simile si potr dire seicento anni dopo per laltro grande poeta-filosofo italiano, Giacomo Leopardi). Dante disegna una rappresentazione della storia scandita da alcuni avvenimenti capitali: il pecca- to originale, che segn la caduta degli uomini e linizio del corso storico; lincarna- zione di Cristo, e cio la prima redenzione, che permise agli uomini di risollevarsi; una seconda caduta, determinata dal fatto che la Chiesa si  trasformata in potere politico, dalla conseguente crisi dell'autorit imperiale, ed infine dallavvento di una societ mercantile, che riduce tutto ad avidit e denaro; ed infine, una fine del mondo che viene annunciata come non lontana (cfr. Paradiso, XXX, vv. 130-132). C' stata dunque una prima caduta ed una prima redenzione, una seconda caduta e l'attesa di una seconda redenzione. Le folle presenzialiste postmoderne che oggi affollano gli eventi delle letture giullaresche di Dante non immaginano certa- mente che cosa a quei tempi arrovellasse il nostro massimo poeta nazionale. Chi vuole farsi plasticamente un'idea della rappresentazione simbolica del mondo nel medioevo deve andare a visitare la cittadella monastica di Mont Saint Michel in Normandia. Salendo dal basso verso lalto si ha infatti la trasformazione in pietra materiale delle gerarchie sociali ideali: nell'ordine dal basso verso l'alto, la dispensa, la stanza per i pellegrini comuni (laboratores), poi lo scriptorium (la filosofia e la teologia), poi pi su il salone per i pellegrini di riguardo (nobili, re, bellatores), ed infine pi in alto ancora, il chiostro e la chiesa. Questa disposizione verticale suggeriva una ben precisa scansione simbolica: al livello inferiore, il nu- trimento del corpo; al livello intermedio, il nutrimento dello spirito nello studio e nella lettura silenziosa; al livello pi alto, che coincideva con il piano di accesso alla Chiesa, il nutrimento della meditazione cristiana ed il trionfo della fede. A differenza di come sostengono i goffi manuali dossografici di storia del- la filosofia, il medioevo  stato il trionfo del materialismo, e particolarmente del materialismo del tatto. I medioevali volevano soprattutto toccare, e non solo nel senso boccaccesco del termine. I re di Francia toccavano i plebei, e li guarivano dalla scrofola. I fedeli volevano vedere le reliquie, e se possibile anche toccarle. Dovunque, regna la materia. Certo, non si tratta del materialismo dell'antichit (gli atomi che cadono nel vuoto deviando dalla loro traiettoria verticale e formano il mondo senza bisogno di un intervento demiurgico esterno), e neppure del materialismo moderno (la materia come medium spaziale del libero scorrimento simbolico delle merci in tutte 166 Le cattedrali teologiche domenicane ed il significato ontologico-sociale della contestazione nominalistica francescana le direzioni senza pi alcun controllo e giudizio morale celeste, e poi la Materia come sciocca divinit idolatrica del comunismo storico novecentesco). A differenza del materialismo antico e del materialismo moderno il materialismo medioevale  un materialismo del contatto diretto materiale di Dio e del mondo. Chi pensa che io stia esagerando rifletta sul tema della cosiddetta transustanziazione, cio della presenza materiale, e non solo simbolica, di Cristo nellostia consacrata. Agli occhi di un moderno, si tratta di superstizione pura, ma questo  possibile pen- sarlo solo dopo dosi massicce di demitizzazione razionalistica, cui il popolo dei credenti anche oggi  del tutto estraneo (stimmate di Padre Pio, liquefazione del sangue di San Gennaro, ecc.). Ma dove i filosofi illuministi vedono solo residui di superstizione e la presenza di una plebe irredimibile, la gente comune, che conta sempre pi dei filosofi razionalisti, vede, sente e soprattutto tocca il dolore, il dolore che  sempre materiale. In caso contrario, non si capisce bene la dinamica di una storia apparentemente tanto assurda come la transustanziazione, e cio la trasfor- mazione materiale del corpo e del sangue di Cristo in pane e in vino. Il notevole teologo razionalista Berengario di Tours, che dubitava che la tran- sustanziazione producesse veramente la presenza materiale del corpo di Cristo nellostia, fu condannato nel 1079 in un concilio presieduto da Gregorio VII, lo stesso papa che afferm per primo in modo sistematico il primato assoluto della chiesa sul potere politico imperiale del tempo (lotta per le investiture, ecc.). Senza voler troppo indulgere in una lettura alla Sohn-Rethel, faccio egualmente lipote- si che l'insistenza sulla realt materiale del processo di transustanziazione non sia altro che il raddoppiamento simbolico della realt materiale del primato papale sul potere politico. Non mi spiegherei altrimenti il fatto, altrimenti inesplicabile, che la chiesa non abbia mai mollato su questa questione, anche se pu sembrare plau- sibile che non lo abbia mai fatto per salvare simbolicamente il ruolo essenziale del prete nell'esecuzione materiale dell'atto di transustanziazione. Intorno al 1330 Occam scrive un piccolo trattato (De sacramento altari seu de cor- pore Christi) in cui sostiene semplicemente che la transustanziazione  logicamente indimostrabile, in quanto lunica realt materiale  la quantit e non solo la qualit, e quindi bisogna crederci e basta, senza pretendere di dimostrarlo. Per questo, e solo per questo, fu proclamato eretico, e se non fosse scappato in Baviera, lavreb- bero certamente bruciato vivo per questo (e poi se la prendono con il cosiddetto irrazionalismo dei musulmani!). Del resto, un recente studio dello storico Pietro Redondi ha sostenuto (con argomenti assolutamente plausibili) che lo stesso pro- cesso a Galilei del 1632 non aveva tanto di mira il suo copernicanesimo, quanto proprio il fatto che la sua teoria quantitativa della natura riprendeva il vecchio argomento di Occam, sostenuto dai luterani, per cui le sostanze sarebbero cos due, la sostanza divina e la configurazione quantitativa del pane e del vino (teo- ria luterana della consustanziazione, nemica della teoria cattolica della semplice transustanziazione). Secondo Redondi, l'accusa di negare il sistema geocentrico sarebbe stata meno grave dell'accusa di negare la trasformazione integrale di Cristo in pane ed in vino. 167 CarrroLo XXII Il razionalismo moderno che ride delle discussioni bizantine sul sesso degli an- geli e sulle discussioni cattoliche sulla transustanziazione dall'alto della boriosa epistemologia contemporanea mostra di non sapere neppure che cosa sia lanalisi ontologico-sociale della genesi delle categorie del pensiero. Se un tema permane per pi di cinquecento anni, da Berengario di Tours a Galileo Galilei passando per Occam, si pensa forse che fosse una pura perdita di tempo e non invece un modo, sia pure contorto, con cui gli uomini di quel tempo cercavano di rappresentarsi simbolicamente i loro rapporti sociali? La questione, infatti, stava nella materialit vera e propria della fede cristiana. E del resto, la compresenza contraddittoria di qualit e quantit, evidente nella teoria della transustanziazione, non corrisponde forse alla compresenza contraddittoria di un elemento qualitativo (l'alienazione) e di un elemento quantitativo (la misura del tempo di lavoro sociale medio e la sua tra- sformazione in prezzo di produzione) nella teoria del valore-lavoro di Karl Marx? So di aver stupito con questa ardita analogia il lettore pio e timorato, ma senza meraviglia (Aristotele) non c' neppure filosofia. In proposito, il medioevo teo- logico cristiano (su quello musulmano non dico nulla, data la mia imperdonabile e pittoresca ignoranza dellarabo)  una miniera di stimoli e di spaesamenti. Il fatto  che in esso la lotta di classe, che nel mondo antico era del tutto trasparente e senza veli, e per questo i filosofi potevano concettualizzarla chiaramente, sia pure spesso sotto metafore naturalistiche (il fuoco semprevivo di Eraclito, ecc.), non pu praticamente essere concettualizzata, e deve sempre passare attraverso metafore religiose. L'invenzione sociale ed ideologica del Purgatorio, studiata dallo storico francese Jacques Le Goff,  in proposito rivelatrice. Il cristianesimo originario e proto-medio- evale conosceva soltanto uno schema rigidamente dualistico proiettato nell'aldil, con la conseguenza che fra il Paradiso e l'Inferno risultava problematico introdurre e pensare il terzo luogo dell'eternit. Vi erano state certo anticipazioni studiate da Le Goff (Agostino, Gregorio Magno, Beda il Venerabile, ecc.), ma non erano state sufficienti per imporre socialmente la creazione simbolica del Purgatorio. C' volu- ta la rivoluzione commerciale del XII secolo. E fu questa rivoluzione commercia- le a far creare il Purgatorio dai teologi.  interessante che Le Goff, lungi dall'essere un marxista,  un intellettuale che si  sempre autodefinito di destra. Ma in queste cose non conta la ridicola autodefinizione identitaria di tipo sportivo, ma soltanto il rigore del metodo che si usa per interpretare la storia. I veri inventori del Purgatorio furono alcuni preti parigini come Pietro Cantore e Simone di Tournai, ma nel secolo successivo tutta questa materia fu codificata da Innocenzo IV nel 1254 e da teologi come Alessandro di Hales e Tommaso dAqui- no. Alla base sta il fatto che la Chiesa si inser positivamente nella rivoluzione com- merciale, nonostante le proteste pauperistiche degli eretici (lestrema sinistra del tempo). Toller mestieri che prima aveva considerato illeciti, come il prestito di denaro dietro interesse, e si fece mediatrice fra le nuove esigenze mondane degli uomini e le loro speranze di salvezza dell'anima. Proprio quando per i mercanti e gli esponenti delle fiorenti corporazioni e per i primi banchieri poteva farsi pi 168 Le cattedrali teologiche domenicane ed il significato ontologico-sociale della contestazione nominalistica francescana inquieta lidea della morte, accett ufficialmente la concezione del Purgatorio e la fece predicare, ed in questo modo offr a molti cristiani un concreto messaggio di speranza. Bisogna tener conto del fatto che il prestito ad usura si fonda sul tempo, ed il tempo per sua natura  un dono gratuito di Dio. L'usuraio, per cos dire, fa lavora- re Dio al suo posto, e fa lavorare Dio per il suo egoismo personale di arricchimento crematistico. Il fatto di legittimare, sia pure con la mediazione simbolica di una espiazione a tempo da passare in Purgatorio, fu un fatto indubbiamente dirom- pente. Fino al XII secolo i soli prestatori ad usura erano gli ebrei, ma di essi si dava per scontato che essendo per di pi stati un popolo deicida (secondo linterpre- tazione puramente giudeofoba del proceso di Ges discussa in un precedente ca- pitolo), sarebbero comunque andati all'inferno. Ora, invece, a far lavorare il tempo, regalo di Dio, per arricchire i mercanti ed i banchieri, sono dei cristiani (se non ricordo male, la citt piemontese di Asti fu la prima a legalizzare completamente il prestito ad usura). Dargli una via di salvezza con i castighi purgatori diveniva cos un vero e proprio aggiornamento teologico, simile a quello che oggi i laici chiedono a gran voce ai poveri pretoni disorientati. La teoria marxiana del fatto che il tempo di lavoro sia direttamente l'origine dell'alienazione, ove questo tempo di lavoro sia incorporato nel processo di ac- cumulazione del capitale, non deriva certo direttamente dalla concezione religiosa per cui il tempo, dono di Dio, non deve essere alienato dal denaro. A mio avvi- so, per, esiste una derivazione indiretta, che risale addirittura a considerazioni di Esiodo (gli uomini non sono mai n del tutto buoni n del tutto cattivi, e per questo gli dei concedono loro un'ambigua speranza). Del resto, se esiste una continuit antropologica del genere umano (Gattung), e se la filosofia si occupa di ci che , ed  eternamente, perch stupirsene? In tutti i periodi storici, nonostante ovvie diffe- renze, gli uomini hanno sempre ritenuto che vi fossero la Giustizia e lIngiustizia, ed il massimo di ingiustizia (adikia) consistesse nel rubare agli altri uomini lo spazio ed il tempo in cui vivevano. Vi sono indubbiamente tipi diversi di sfruttamento (schiavistico, feudale, capitalistico, ecc.), ma in tutti questi casi vi  un minimo comun denominatore, che gli sfruttatori prendono per s pi spazio (abitano in palazzi e giardini, e confinano i poveri in tuguri malsani), e soprattutto pi tempo, aumentando le ore di lavoro agli sfruttati (circa la met del primo libro del Capitale di Marx  dedicato a questo furto di tempo, da cui un recente saggio di Diego Fusaro ha estratto il tema della cosiddetta schiavit salariata in Marx). La fabbricazione del Purgatorio, avvenuta nel quarantennio 1140-1180,  certa- mente un equivalente storico-sociale funzionale della fabbricazione del marxismo, avvenuta nel ventennio 1870-1890. Da entrambi questi fenomeni sono derivati capolavori letterari, come la Divina Commedia di Dante, e capolavori filosofici (il grande marxismo critico del Novecento). La fabbricazione del Purgatorio fu certa- mente delegata ad un piccolo gruppo di teologi esperti in scritture, ma solo uno sciocco pu pensare che si sia trattato di una committenza diretta, a pagamento, da parte di un gruppo di mercanti desiderosi di essere salvati da un gruppo di 169 CarrroLo XXI intellettuali conoscitori del latino (la conoscenza del greco avrebbe certo implicato un supplemento di cento zecchini doro). Solo uno sciocco pu pensare ad una telefonata del genere, fatta da Giovanni Agnelli ad Hannah Arendt: Signora, i comunisti mi rompono le scatole in fabbrica con scioperi continui. Per favore, mi costruisca una bella teoria del totalitarismo, ed io la ripagher con azioni FIAT. Gli intellettuali si muovono autonomamente, interpretando liberamente lo spirito del tempo (Zeitgeist), ed il contesto sociale circostante poi seleziona la ricaduta ideologica delle loro produzioni disinteressate, funzionalizzandola ad interessi sociali collettivi. La fabbricazione del Purgatorio  in proposito veramente un caso da manuale, o come si dice oggi, un case-study. E tuttavia, la semplice fabbricazione simbolica del Purgatorio non poteva certa- mente bastare. Lo sviluppo economico e commerciale avvenuto prima della grande catastrofe della Peste Nera del 1348 aveva contribuito a formare un'articolazione sociale complessa. Le esigenze di medici competenti, preti colti, notai che registras- sero i passaggi di propriet, avvocati e funzionari dei comuni e dellamministra- zione imperiale, ecc., aveva dato luogo alla formazione delle Universitates e delle quattro facolt originarie (diritto, medicina, teologia ed artes, essendo questultima una specie di super liceo classico-scientifico). In casi del genere, la sistematizzazio- ne del sapere filosofico non si fai mai aspettare a lungo. E poich qui ci si limita ad una ricostruzione storico-genetica ed ontologico-sociale delle categorie del pensie- ro, senza ovviamente avere l'impossibile velleit di ricostruire lintera storia della filosofia (come scrisse Hegel, bisogna che anche il casuale sia necessario, e quindi una simile ricostruzione non pu certo dedurre tutti i filosofi elencati nelle dosso grafie),  bene soffermarsi su due correnti decisive del pensiero di questo periodo, laristotelismo ed il nominalismo. Indagheremo quindi prima laristotelismo, e poi il nominalismo, sia dal punto di vista del loro contenuto veritativo sia dal punto di vista della loro funzione ideologica. L'aristotelismo giunse in Europa occidentale attraverso il meritorio lavoro inter- culturale dei traduttori di Toledo, che traducevano direttamente dall'arabo al lati- no saltando il testo greco originale. Tutto questo era dovuto alle scelte culturali suicide dell'impero carolingio prima e sassone poi, e soprattutto al provincialismo aggresivo del papato romano. Occuparsi di filosofia senza il greco  infatti un po come occuparsi di tecnologia oggi senza l'inglese. Ma mentre la poesia non  integralmente traducibile, la filosofia invece  in- tegralmente traducibile, purch ovviamente di ogni termine si dia l'equivalente semantico e concettuale giusto. Ho personalmente discusso a lungo su Hegel con dei filosofi indiani che non conoscevano il tedesco e lo avevano letto in traduzio- ne inglese, eppure ne avevano capito perfettamente sia la lettera che lo spirito, mentre vi sono personaggi come Habermas, che pure almeno in teoria dovrebbero conoscere la lingua tedesca, e tutto ci che hanno capito di Hegel  che bisogna demarcarsene completamente per poter diventare veramente moderni e non re- stare incollati al pensiero metafisico. Con simili tedeschi, meglio il dialetto polinesiano delle isole Tonga! 170 Le cattedrali teologiche domenicane ed il significato ontologico-sociale della contestazione nominalistica francescana Aristotele giunse cos in Europa passando dall'arabo al latino. E siccome tut- tavia i testi filosofici (compresi quelli scritti in cinese antico) sono integralmente traducibili, perch la loro traducibilit integrale rispecchia la veritativit poten- ziale (dynamei on) che vi sta sotto, ci che conta  che arriv. Il solo paragone di- rompente possibile  quello che possiamo stabilire con Hegel e con Marx. Una cometa luminosissima era apparsa nel cielo della filosofia. Questa cometa arriv attraverso la meravigliosa interpretazione del medico arabo di Cordova Averro, uno dei pi grandi filosofi mai esistiti nella storia. Dal momento che non esiste- vano apparati ideologici di tipo inquisitorio come quelli che poi condizionarono il pur dottissimo Tommaso d'Aquino (la religione musulmana ne era priva), non possiamo stupirci del fatto che linterpretazione di Aristotele data da Averro sia mille miglia al di sopra di quella di Tommaso. La ragione di questa manifesta e pit- toresca superiorit non deve essere cercata in contingenti fattori personali (forse l'essere medico  meglio che essere soltanto frate), ma deve essere cercato in un fattore sociale esterno: Averro fu certamente perseguitato da rompiscatole esterni (la pianta dellidiozia cresce in tutto il mondo, anche fra i pinguini dell'Antartide, non appena ovviamente giungono i cosiddetti ricercatori), ma almeno non era controllato a vista da papi, papetti, superiori domenicani, inquisitori, professori della Sorbona ed altri scriteriati ideologi del potere. L'averroismo latino  stato un fenomeno sociale importantissimo, importante almeno come il marxismo critico novecentesco. Il fatto che se ne parli relativa- mente poco nei manuali di filosofia  dovuto al silenziamento opportunistico cui i conformisti indulgono sempre. E tuttavia l'attribuzione ad Averro della cosid- detta teoria della doppia verit  un falso storiografico clamoroso, perch Averro non sotenne mai che esistevano due distinte verit, una religiosa ed una filosofico- scientifica, ma che la verit era ovviamente una ed una sola, in quanto tutte le in- dicazioni che il dotto pu trarre dalle verit filosofiche ricostruibili razionalmente dallintelletto sono esattamente quelle che il credente pu trarre dalle credenze reli- giose contenute nella rivelazione divina.  questo il contenuto della falsafa (in ara- bo filosofia) di Averro. La verit  una sola, ma ci possono essere due distinte forme di accesso. Nel pensiero occidentale una teoria del tutto simile si pu trovare in Hegel, grande ammiratore di Aristotele, per cui lo Spirito Assoluto ovviamente  Uno, e non potrebbe che essere tale, ma esso pu essere colto sia attraverso la via della rappresentazione religiosa (Vorstellung), sia attraverso la via della concettua- lizazione filosofica (Begriff). Conclusione filosofica: sia per Averro che per Hegel non esiste, e non pu esistere, una qualsivoglia doppia verit. Che poi questa posizione filosofica sia vera (come tendo a pensare io), oppure sia falsa e da cor- reggere (come hanno pensato un mucchio di eminenti pensatori, dai positivisti a Feuerbach, da Marx a Lenin, ecc.), lo discuteremo meglio pi avanti. La chiave filosofica per capire quanto stiamo cercando di dire la si trova in due canti gemelli del Paradiso di Dante, in cui il poeta mette insieme San Francesco, fondatore dell'ordine dei francescani, e San Domenico, fondatore dell'ordine dei domenicani. Nel periodo storico in cui visse Dante, i due ordines erano spesso vi- 171 CaritoLo XXII sti come alternativi, in quanto quasi sempre i domenicani difendevano luso di Aristotele come base filosofica della teologia cristiana, mentre quasi sempre i francescani lo rifiutavano in nome di una teologia di origine agostiniana (spesso scorrettamente definita come platonica). Ma Dante rifiuta questa alternativit in favore di una complementariet fra i due. Celebra le nozze mistiche di Francesco con la Povert e di Domenico con la Fede, fa celebrare Francesco dal domenicano Tommaso d'Aquino e Domenico dal francescano Bonaventura da Bagnoregio. E tuttavia, appare chiaro dal testo che Dante sente maggiormente Francesco ri- spetto a Domenico, in quanto concretizza nei dettagli di vita il primo mentre non lo fa con il secondo. Senza bisogno di ricorrere ad una sorta di lettura sintomale alla Althusser, direi che questo dimostra come la questione della paupertas stesse particolarmente a cuore a Dante. Ed infatti questa questione  stata centrale nel Duecento e nel Trecento almeno quanto la questione dello sfruttamento capitalisti- co (Ausbeutung)  stata centrale nell'Ottocento e nel Novecento. Non possiamo ov- viamente pretendere che questo sia chiaro ai giullari dantisti degli eventi post- moderni, ma possiamo sperare invece che il nostro paziente lettore lo capisca. Secondo Henry Denis la stessa Summa Theologica di Tommaso d'Aquino  stata una risposta allaverroista latino Boezio di Dacia, che alla Sorbona di Parigi ave- va negato l'immortalit dell'anima (come poi fece duecento anni dopo laristote- lico mantovano Pietro Pomponazzi nell'universit di Padova) ed aveva insegnato apertamente che il bene supremo per luomo  la felicit sociale comunitaria (fe- licitas politica).  evidente che questa tesi di Boezio di Dacia (uno degli autori pi silenziati della storia della filosofia occidentale, ed  chiaro il perch) corrispon- deva perfettamente a quello che aveva insegnato Aristotele mille e cinquecento anni prima. Aristotele aveva infatti insegnato tre cose del tutto incompatibili con la fede cristiana, e cio appunto: 1) che scopo delluomo  la felicit politica, sociale e comunitaria; 2) che il mondo fisico deve essere inteso come eterno e non come creato; 3) che lanima  forma del corpo materiale, ed  pertanto impossibile con- cepirla come sinolo autonomo e sussistente, che possa pertanto permanere dopo la morte del corpo stesso. Il capolavoro aristotelico di Tommaso d'Aquino sta dunque nell'avere ripro- posto Aristotele separandolo da queste tre tesi aristoteliche. Il lettore non filosofo dir che  impossibile. Non  vero. Tutto  possibile per i filosofi. Ci sono stati pla- tonici che hanno tagliato via la teoria delle idee, spinoziani che hanno trasformato Spinoza in teorico esagitato dei centri sociali, ed infine marxisti che hanno sepa- rato Marx dalla teoria dello sfruttamento capitalistico e dalla prospettiva del co- munismo, trasformandolo in una sorta di profeta ecologista della globalizzazione. Non possiamo quindi stupirci del fatto che Tommaso abbia trasformato Aristotele in massimo teorico della teologia cristiana. E tuttavia, non possiamo confondere il grande Tommaso con i poveracci sopra indicati. Tommaso (sul quale si svilupp precocemente una leggenda metropo- litana a proposito della sua uccisione, cfr. Purgatorio, XX, 68-69) fu un grandissi- mo filosofo, che ancora oggi si legge con meraviglia, del tutto indipendentemente 172 Le cattedrali teologiche domenicane ed il significato ontologico-sociale della contestazione nominalistica francescana dal fatto che si abbia o no la sua fede. Per lui Dio  la spiegazione ultima delle cose, ma non la causa diretta dei fenomeni naturali (e Ratzinger oggi pensa esatta- mente la stessa cosa). Ancor pi, Tommaso ha sostituito il metodo della lectio, per cui il professore universitario legge il testo che vuole nel silenzio pecoresco degli studenti passivizzati, con il metodo dialogico della quaestio, per cui si  costret- ti a discutere nel merito tutti i dubbi e le obiezioni. C' da restare ammirati per il coraggio di questo metodo, in quanto personalmente, in tutta la seconda met del novecento, non ho quasi mai incontrato docenti marxisti tanto coraggiosi (uniche parziali eccezioni, Roger Garaudy e Jean Hyppolite, ed in Italia Ludovico Geymonat) da accettare il metodo della quaestio, ma ho sempre incontrato soltanto presuntuosi e tronfi babbioni che praticavano esclusivamente il metodo unilaterale della lectio. Come  noto, Tommaso avanza la tesi per cui lanima umana, oltre ad essere la forma sostanziale delluomo,  anche la sua forma sussistente, il che significa che  forma dotata di un a esistenza autonoma rispetto al corpo. Mi immagino Aristotele redivivus che ha imparato il latino ed ascolta roba del genere. La pratica della fi- losofia insegna a non stupirsi di niente, neppure di Stalin che si autoproclama il vero interprete di Marx. E tuttavia Tommaso sostiene che luomo, ente finito per definizione, possiede parzialmente (partim habere) la natura divina, alla qua- le partecipa ( evidente qui luso del termine platonico di metexis). Mi sembra un'ottima impostazione antropologica, che sta alla base sia della posteriore con- cezione umanistica di Cusano e di Marsilio Ficino, sia alla posteriore concezione antropologica marxiana dell'ente naturale generico (Gattungswesen). L'uomo non  infatti direttamente identico al genere umano di cui pure fa parte (Gattung), ma ne partecipa ontologicamente (nel lessico tomista, partim habere), il che significa che  ontologicamente un essente-in-possibilit (nel lessico aristotelico, dynamei on), il che ne rende possibile il processo di progressiva conformit al genere stesso (nel linguaggio dellontologia dell'essere sociale di Lukcs, Gattungsmiissigkeit). E tuttavia, seguendo qui Polanyi, il punto essenziale per l'attualit di Tommaso sta in ci, che seguendo Aristotele Tommaso considera ancora l'economia come incorporata (embedded) nell'essere sociale complessivo, e ne rifiuta quella separa- zione che star alla dellopera di Adam Smith del 1776. Dico subito apertamente che un'eventuale economia postcapitalistica, che non potr ovviamente che tenere conto della critica dell'economia politica fatta da Marx, dovr tornare allo spirito di Aristotele e di Tommaso, in quanto in entrambi il bene comunitario, e non il valore di scambio, sta alla base dello stesso scambio delle merci e della stessa propriet privata, che pure entrambi non mettono in discussione. La polemica di Tommaso contro il comunismo degli eretici del tempo ricalca gli argomenti di Aristotele contro il comunismo di Platone, e non riveste quindi un particolare interesse. Pi interessante  il fatto che al centro dell'etica economica di Tommaso ci stia il concetto di moderazione e di misura (metron). Condannabile  cercare di ottenere guadagni che eccedano i bisogni vitali, cos come condannabile  la concorrenza sfrenata, lapprofittare di congiunture favorevoli 0, peggio, delle necessit e delle 173 CarrroLo XXII difficolt del prossimo. Certo, siamo sempre allinterno della teoria del giusto salario e del guadagno moderato (lucrum moderatum), e non mi sogno neppure di sostenere che saremmo gi sul terreno marxiano della critica dell'economia politi- ca. Ma ci sono almeno due questioni teoriche che bisogna assolutamente eviden- ziare in Tommaso, da cui traspare l'incredibile superiorit di questo domenicano rispetto agli ideologi della globalizzazione di oggi. In primo luogo, Tommaso sostiene che la propriet privata  un istituto del di- ritto positivo, e non certo del diritto naturale. Secondo quest'ultimo, infatti, tutti i beni dovrebbero essere comuni, anche se poi lo stesso Tommaso nota timidamente che la propriet privata stessa, ove sia moderata e serva a fini sociali,  estranea ma non contraria al diritto naturale stesso. E tuttavia queste oscillazioni ci fanno capi- re il perch del fatto che tutti i veri sostenitori del capitalismo oggi siano contrari al diritto naturale, liquidato come residuo metafisico premoderno. Il solo marxista che abbia veramente capito questo punto cruciale  stato Ernst Bloch, in mezzo al coro asinesco dei marxisti scientifici nemici del pensiero detto metafisico. In secondo luogo, Tommaso scrive (cito letteralmente): In caso di estrema ne- cessit, tutte le cose sono comuni (omnia sunt communia). Per cui a colui che soffre una tale necessit  lecito sottrarre allaltro ci che serve al suo sostentamento, se non trova chi glielo voglia dare spontaneamente. Mi sembra molto chiaro. Sono un nemico della citatologia, ma in questo caso la citazione era indispensabile. Tommaso giustifica quello che potremmo chiamare un comunismo in situazioni di emergenza. Non  certamente ancora il comunismo di Marx, che non si basa sull'emergenza pauperistica ma sulla completa soddisfazione dei bisogni in con- dizioni di altissima produttivit tecnologica, ma ne  a mio avviso comunque un presupposto logico e storico. E quindi, se l'economia politica inglese di Smith e Ricardo  una delle tre fonti e parti integranti esplicite del marxismo (Lenin), io direi invece che le teorie economiche di Aristotele e di Tommaso, sia pure non esplicitamente citate, ne sono ancora di pi dei presupposti impliciti, almeno in un'ottica ricostruttiva di tipo storico-genetico ed ontologico-sociale, come quella che stiamo cercando di praticare. Non possiamo oggi comprendere la crucialit assoluta delle nozze mistiche fra San Francesco e la Povert nel Paradiso di Dante senza tener conto del vero e proprio shock causato in quegli anni dalla deriva crematistica e speculativa della Chiesa cattolica. I banditi cominciarono a lucrare sulle rendite e sulle indulgenze, iniziando una deriva su di un piano inclinato che poi port al Lutero del 1517. E non solo, ma gli stessi banditi cominciarono a bruciare vivi tutti gli estremisti ed i terroristi dellepoca, e cio sia i ribelli sociali (lollardi in Inghilterra, hussiti in Boemia, ecc.), sia i teologi pauperisti ribelli, scelti soprattutto fra i cosiddetti fran- cescani spirituali. Lo stesso Occam, il pi grande filosofo europeo del Trecento, riusc a scampare soltanto perch, convocato ad Avignone, scapp in Germania presso limperatore. I conflitti di classe novecenteschi possono essere capiti meglio se ci si impadronisce storiograficamente dei conflitti di classe del Trecento. E come nel Novecento molti spiriti eletti cercarono in un partito comunista ideale il loro 174 Le cattedrali teologiche domenicane ed il significato ontologico-sociale della contestazione nominalistica francescana risarcimento psicologico ed esistenziale rispetto alla brutale esistenza empirica del reale (stalinismo sovietico, fascismo, capitalismo colonialista, ecc.), nello stesso modo nel trecento molti spiriti eletti cercarono il loro risarcimento nellequivalente religioso del tempo, e cio nella cosiddetta Chiesa invisibile. La concezione filosofica che sta alla base della Chiesa invisibile (e cio l'invisibile comunit dei veri credenti) fu quella che lo studioso francese di Occam, Pierre Alfri, ha chiamato ontologia della singolarit. E che cos' questa ontologia della sin- golarit, che sta alla base della critica delle pseudo-entit collettive (Chiesa cattolica corrotta, ordo franciscanus corrotto dalla vittoria dei conventuali sugli spirituali, ecc.)?  semplice, se ovviamente si possiede la chiave giusta. Dire che luniversale di per s non esiste, ma esiste soltanto il singularis, e che soltanto nella singolarit esiste la perfetta ontologia dell'essere sociale, significa che le pseudo-entit colletti- ve prima citate non sono nulla, se non praticano la simplicitas e la paupertas comuni sia a Ges di Nazareth sia a Francesco d'Assisi. Solo il singolo frate francescano che le pratica, infatti, pu veramente dirsi francescano, mentre lordo franciscanus, se ha smesso di praticarle,  solo un universale vuoto ed inesistente. Ed  questa, ap- punto, la base storica ed ontologico-sociale del cosiddetto nominalismo, che deve ovviamente sfuggire non solo ai postmoderni nichilisti di oggi (ad esempio ad Umberto Eco, il cui Occam nel Nome della Rosa  solo la caricatura medioevale del detective empirista Sherlock Holmes, il cui fine  la legittimazione della risata post- moderna contro il fascista Jorge da Burgos, maschera medioevale di Francisco Franco), ma anche ai compilatori delle storie dossografiche della filosofia euro- pea. In queste storie Occam diventa un cretino perditempo che taglia con il suo rasoio i ragionamenti superflui, e che sostiene che luniversale non esiste, ed esi- ste solo il singolare. Insomma, non c' l'Uomo, ma solo Giovanni, Tommaso ed Annibale. Perbacco! Una vera scoperta! Che cos' la penicillina al confronto? Il grande nominalismo medioevale, che fa da fondamento filosofico-ideologico alla protesta sociale contro la corruzione della chiesa, la degenerazione dell ordo fran- ciscanus e la cannibalesca brama di denaro dei mercanti e dei banchieri (destinata a vincere alla grande con le signorie, i principati e le compagnie di ventura quat- trocenteschi), e fa da copertura ideale alla chiesa invisibile degli individui singoli che praticano veramente la paupertas e la simplicitas diventa occasione di chiacchiere in- sulse di perditempo che si chiedono stupidamente se esista luniversale o se esista solo il singolare! Ci sarebbe appunto da ridere, se ogni tanto la destoricizzazione e la desocializzazione del sapere filosofico non creassero mostri, per dirla con Goya! Il nominalismo medioevale  stato storicamente il primo episodio moderno di ten- tativo di mettere direttamente in rapporto l'individuo con il genere. L'individualit non nasce quindi con Hobbes, ma con Occam. Per essere esatti, essa era gi nata con Abelardo. Non voglio certo dedurre la sua scelta di fare lamore con Eloisa (vedi la bellissima Storia delle mie disgrazie), per cui fu poi castigato orrendamente con la castrazione, dalla sua scelta nominalistica in filosofia, per cui, pensandosi 175 CarrroLo XXII come individuum, si pensava anche automaticamente come abilitato a fare lamore, come ogni individuo degno di questo nome pu e deve fare. La passione amorosa, sia spirituale che fisica, non ha bisogno di essere fondata su deduzioni teoriche. E tuttavia, pur sapendo che non  cos, mi piace gratuitamente pensare che sia cos. Inoltre  e qui chiudo  mi piace pensare che la critica nominalistica ai (cattivi) universali corrotti sia lantecedente della critica marxiana dell'economia politica, la quale invece non avr un fondamento filosofico nominalistico, bens dialettico- idealistico, e quindi universalistico. Ma di questo pi avanti. 176 XXIII. LA NATURA ONTOLOGICO-SOCIALE DELLA RIVOLUZIONE PROTESTANTE EUROPEA E DELL'AFFERMAZIONE DEL RAPPORTO DIRETTO FRA L'INDIVIDUO E LA DIVINIT MEDIATO DAL TESTO VETERO-TESTAMENTARIO Il protestantesimo non fu certamente una rivoluzione borghese pura, in quan- to nel Cinquecento la classe borghese vera e propria non si era ancora per nulla de- marcata dalle strutture feudali e signorili, e cercava anzi in tutti i modi di inserirsi in esse senza pensare affatto di contestarle in modo rivoluzionario. Le sue strategie di inserimento erano peraltro profondamente differenziate da paese a paese. In Inghilterra scelse precocemente  a partire dalla fine del Quattrocento  la strate- gia dellarricchimento privato, quella stessa strategia anti-statuale che poi ebbe il nome, duecento anni dopo, di civil society, nulla a che fare ovviamente con ci che viene chiamato con questo nome nella Filosofia del Diritto di Hegel (e cio biirger- liche Gesellschaft). In Francia scelse invece la diversa via statalistica dell'accesso alla nobilt (anoblissement) mediante il funzionariato giudiziario ed amministrati- vo (noblesse de robe). In Spagna la cacciata degli ebrei (marranos) e dei musulmani (moriscos), i due gruppi etnici che avevano per fino al 1492 esercitato funzioni di fatto preborghesi, e la possibilit di promozione sociale generalizzata nel fun- zionariato statale in America e nelle Filippine, oltre che nell'Italia occupata, fecero s che per una vera e propria autonomia sociale della borghesia spagnola si dovette aspettare lOttocento. Non analizzo qui la specificit di ogni singolo paese euro- peo, ma chi ne  interessato pu ricorrere al magnifico studio di Perry Anderson, Lo Stato Assoluto, guida ineguagliabile alla formazione dell'Europa moderna. Quando inizia la rivoluzione protestante? In generale la si fa iniziare simbolica- mente la notte del 31 ottobre 1517, in cui Martin Lutero inchiod le sue 95 tesi ere- tiche sulla porta della cattedrale tedesca di Wittenberg. E tuttavia, siccome il dirit- to di periodizzare autonomamente il flusso storico  un diritto naturale delluomo, mi permetter di proporre due date alternative, il 1510 e prima ancora il 1484, spiegando ovviamente perch lo faccio, e lo faccio soprattutto perch senza spa- esamento e modificazione delle abitudini consolidate non esiste riorientamento gestaltico nella considerazione della storia, e quindi anche della filosofia. Nel 1510 Martin Lutero fa un viaggio a Roma, ed a mio avviso questo viaggio a Roma  un vero e proprio viaggio iniziatico, senza il quale forse il protestan- tesimo non sarebbe mai nato, o sarebbe nato, ma non nella forma specifica che gli 177 CaprroLo XXIII d Lutero. Questo viaggio determina un suo senso di repulsione talmente forte da sbloccare di fatto le residue resistenze. Con questo colgo l'occasione per respin- gere le pittoresche spiegazioni psicologiche correnti su Lutero, per cui il protestan- tesimo sarebbe nato da un suo complesso psicologico, caratterizzato da un incon- scio senso di colpa nato dallinteriorizzazione di un modello repressivo, e legato quindi all'infanzia e alla proiezione su di un Dio severissimo e terribile dellim- magine paterna. Bevuto a piccoli sorsi, Freud fa bene, ma bevuto a garganella a bottiglioni pieni produce un diffuso rincoglionimento storiografico, peraltro fun- zionale indirettamente alla legittimazione capitalistica ed alla rimozione della lotta di classe. Il capitalismo ha sempre paura delle resistenze sociali, mentre se ne fa un baffo del complesso di Edipo e del mancato superamento della fase sadico-anale. Riflettiamo un attimo sulla Roma del 1510. Siamo abituati a considerarla come un meraviglioso cantiere rinascimentale aperto, in cui in trecento metri di strada puoi incontrare Raffaello, Michelangelo e Bramante, e di intrattenerli sulla tradu- zione latina di Platone fatta da Marsilio Ficino. Non nego che fosse anche questo. Ma Roma era fondamentalmente una citt di cortigiane e di puttane, di banditi notturni e di truffatori turistici autorizzati, un'oscena industria di reliquie e di taglieggiamenti sui turisti religiosi. Non c' quindi da stupirsi che un signore come Lutero arrivasse a convincersi che sul soglio di Pietro non sedesse il rappre- sentante di Cristo, ma lAnticristo in persona. E per capire questo, bisogna sapere che da circa trent'anni lidea dell Anticristo circolava massicciamente in Europa. E questo ci porta alla seconda data di cui si  parlato. Il 23 novembre 1484 si era verificata una congiunzione planetaria fra Giove e Saturno sotto il segno dello Scorpione, evento di grande rilevanza astrologica, per- ch secondo la teoria dellarabo Albumasar avrebbe dovuto preludere ad un gran- de rivolgimento. In poche parole, una sorta di equivalente dell11 settembre 2001. Per alcuni, sarebbe nato un profeta eccellente e mirabile nellinterpretazione delle Scritture, mentre per altri sarebbe venuto un grande eresiarca proveniente dal settentrione. Il punto centrale da capire  che le grandi attese messianiche di mas- sa non sono mai semplici scoppi di irrazionalismo  come credono i positivisti di ogni tipo  ma sono sempre fenomeni sociali che nascono dalla percezione di diseguaglianze ormai intollerabili, unite per di pi a fenomeni esterni. I turchi era- no sbarcati a Otranto nel 1480, anche se non avevano potuto allargarsi allinterno, avevano decapitato un po' di pugliesi locali e poi si erano reimbarcati. Tutti pensa- vano, comunque, che ci avrebbero riprovato, perch il loro sultano aveva lasciato capire che si riprometteva la conquista militare sia di Venezia che di Roma. Il clima di isterismo sociale era alle stelle, e questo spiega fenomeni altrimenti inspiegabili, dalla pubblicazione a stampa delle profezie millenaristiche di Gioacchino da Fiore alla predicazione di Savonarola a Firenze. Un anno prima dell'affissione delle tesi di Lutero, nel 1516, il Concilio del Laterano aveva imposto ai vescovi cattolici di controllare che nella predicazione pubblica non venisse predetto in alcun modo il futuro dalla Sacra Bibbia, n si affermasse di conoscerlo dallo Spirito Santo o per rivelazione divina. 178 Natura ontologico-sociale della rivoluzione protestante e dellaffermazione del rapporto diretto fra l'individuo e la divinit Soltanto un esame genetico ed ontologico-sociale pu ricostruire questo clima. In caso contrario, cos come pu sembrare che un signore di Mileto chiamato Talete abbia pensato che lacqua sta all'origine di tutto, nello stesso modo pu sembra- re che due professori universitari, l'olandese Erasmo e il tedesco Lutero, abbiano opinato il primo che esiste il libero arbitrio del volere, mentre il secondo riteneva che invece non esistesse, e ci fosse invece al suo posto la predestinazione. Eppure, liberata dalla pedanteria dossografica destoricizzata, la discussione svoltasi fra il 1520 e il 1530 fra Erasmo e Lutero a proposito dei due problemi del libero esame e del libero arbitrio  stata assolutamente fondativa per il corso ulteriore della storia della filosofia dei cinquecento anni successivi. I temi del libero esame e del libero arbitrio (come  noto, Lutero affermava il primo e negava il secondo) sono stati infatti decisivi nel dibattito posteriore, perch trattano delle due decisive categorie ontologiche modali della possibilit e della necessit. Queste due categorie modali hanno infatti regnato a tal punto nel dibattito successivo da consigliare che la loro discussione cominci gi da qui, anche se la loro secolarizzazione vera e pro- pria dovr aspettare il Settecento e lOttocento. Discutiamo dunque prima il tema del libero esame, e poi quello del libero arbitrio, mostrando il filo rosso che li collega al dibattito ulteriore. Martin Lutero aveva sollevato il tema del diritto assoluto del credente ad inter- pretare liberamente i testi sacri, e per questo li aveva tradotti nella lingua tedesca parlata e ne aveva poi favorito la diffusione a stampa.  stato detto che la rivolu- zione protestante  stata favorita in modo decisivo dallinvenzione della stampa, ed  possibile concordare moderatamente con questa valutazione, purch non la si assolutizzi trasformandola in una spiegazione tecnologica della storia. Dalla stampa al collegamento in rete via internet  ovvio che il mezzo influenzi il mes- saggio (o meglio, il modo sociale in cui il messaggio viene recepito, dal massimo di attivizzazione collettiva al massimo di passivizzazione individualistica - e chi vuole intendere intenda), ma sarebbe sbagliato concluderne che il mezzo  il mes- saggio (Mac Luhan, ecc.). La stampa fu certamente importantissima fra il 1520 e il 1560, ma la rivoluzione protestante fu dovuta a profonde ragioni sociali, non certo alla tecnologia della carta stampata. Il tema del diritto assoluto del credente ad interpretare liberamente i testi biblici e neotestamentari era gi stato ovviamente sollevato nel medioevo, e non era nuovo, ma in questo caso il punto fondamentale stava nel fatto che non era pi socialmente possibile bruciare sul rogo immedia- tamente chi lo aveva sollevato, dati i nuovi rapporti di forza politici e sociali. Nel 1520 Lutero poteva predicare liberamente in Germania, mentre nel 1320 o nel 1420 sarebbe stato bruciato vivo, il che non deve farci concludere in modo relativistico che la verit in s  relativa ai rapporti di forza in cui  inserita, ma che la sua enun- ciazione e la sua connessa ricaduta ideologica invece lo sono. Vi  qui  non di- mentichiamolo mai - la base storica per poter distinguere la filosofia, che si occupa di ci che , ed  eternamente, e si propone l'accertamento veritativo della corretta na- tura del rapporto fra essere individuale ed essere sociale (nel linguaggio di Hegel e di Lukcs, fra universalit, particolarit ed individualit), e lideologia, che inserisce 179 CarrroLo XXIII necessariamente questi contenuti allinterno di inevitabili (e quasi sempre benefici) scontri di interessi collettivi. La rivendicazione del libero esame  di origine greca, ed  per questo che non  esatto dire che Lutero si oppose allo spirito classico. Lutero si oppose parzialmente all'umanesimo, questo  certo, ma si oppose allumanesimo perch questultimo si era degradato a cultura cortigiana ed era degenerato in puro filologismo eru- dito ed in estetismo al servizio dei committenti ricchi. Troppo spesso gli umani- sti quattrocenteschi avevano fatto lapologia del denaro e troppo spesso avevano considerato la povert unicamente come simbolo di vergogna e di fallimento. In questo senso, lapologia calvinista della ricchezza come segno del favore divino si inserisce in un rapporto di continuit e non di rottura con le oscene dichiarazioni degli umanisti in favore del denaro. I primi umanisti fiorentini del quattrocento avevano gi detto apertamente che il denaro pu di gente nata fra i rifiuti fare no- bili illustri e che un uomo senza il denaro non  un uomo. Dante non lo avrebbe mai detto, e avrebbe spedito all'inferno chi lo avesse scritto. Ma qui c'era con tutta evidenza la copertura ideologica servile della legittimazione del nuovo potere dei Medici, e dell'accesso alla nobilt attraverso la via del commercio e della specu- lazione bancaria. Viste le cose sotto questa ottica, persino la teoria di Max Weber sulla decisivit della sintesi di vocazione e di professione (Beruf) appare oggetto di moderata relativizzazione. Non c' dubbio infatti che vi sia stato un legame fra protestantesimo e decollo dello spirito capitalistico, anche se gli animal spirits di questo decollo crescono sotto tutti i climi (e si vedano gli odierni decolli ultraca- pitalistici in India ed in Cina). Ma in Europa la legittimazione del denaro non ha avuto nessun bisogno di aspettare i disgustosi ed esagitati predicatori calvinisti, che peraltro credevano talmente poco al libero esame da portare al rogo il medico spagnolo Michele Serveto sulla base di un dissenso interpretativo sulla natura del- la trinit. La legittimazione del denaro (e qui rimando al precedente capitolo) cominci in Europa con la sconfitta storica della chiesa invisibile di Occam e dei francescani spirituali, e lo stesso umanesimo (che Dio benedica comunque la sua riscoperta della lingua greca!) si inserisce pienamente in questa sottomissione della cultura alle nuove esigenze ideologiche sorte con la mescolanza dei vecchi ceti feudali tradizionali e dei nuovi ceti arricchiti con il commercio, il prestito ad usura ed il mercenariato militare di ventura (signoria, principati, corti dei nuovi stati naziona- li, ecc.). Detto questo, viva la grande arte rinascimentale! Nulla mi  pi disgustoso delle miserabili guardie rosse cinesi che credevano di opporsi alla borghesia nel partito distruggendo opere darte e reperti archeologici! Un quadro di Raffaello vale per me pi dell'intera produzione ideologico-gruppuscolare di tutto il secon- do Novecento, cui ho anch'io sciaguratamente contribuito, sia pure in minima par- te! E tuttavia, tutto questo non toglie niente al fatto storico per cui la legittimazione ideologica dellarricchimento individualistico non ha dovuto aspettare Lutero, e tantomeno Calvino, ma era gi stata compiuta dallumanesimo italiano, nella mi- sura in cui quest'ultimo aveva accettato di essere incorporato negli apparati ideo- 180 Natura ontologico-sociale della rivoluzione protestante e dellaffermazione del rapporto diretto fra l'individuo e la divinit logici della nuova classe al potere dopo il periodo 1350-1450, frutto del matrimonio fra vecchi ceti feudali e nuovi ceti arricchiti (Medici, ecc.). Tornando al nostro tema della decisivit del libero esame luterano dei testi biblici,  noto che Hegel ritenne che qui si trovasse la vera origine del mondo moderno, in quanto da questa libert interpretativa originaria sarebbero poi sorte progressiva- mente tutte le altre libert economiche e politiche della modernit, fino ed oltre il famoso postulato kantiano della libert del volere, che Hegel accetta integralmen- te, salvo a denunciarne il carattere astratto di cattiva infinit e ad integrarlo con la sua costituzione storico-dialettica del soggetto, costituzione storico-dialettica del soggetto che fu poi alla base della integrazione sociale-classista attuata (a mio avviso, con pieno successo) da Karl Marx. Questa scelta di Hegel non deve stupirci, in quanto la stessa filosofia hegeliana della storia  una filosofia della libert, ed in quanto filosofia della libert si  poi prestata a scelte politiche differenziate, da Karl Marx (la libert concreta del sog- getto rivoluzionario contro la libert astratta del borghese-cittadino) a Benedetto Croce (la libert liberale come modello eterno e sovrastorico di ogni possibile liber- t). Hegel sublimava cos il proprio protestantesimo luterano di famiglia, nutrito di antipatia verso il cattolicesimo, religione dellobbedienza papista e del culto pagano-idolatrico delle reliquie. Possiamo per chiederci in piena libert interpre- tativa se veramente Hegel abbia o no avuto ragione ad individuare nel libero esa- me biblico di Lutero la sorgente originaria del concetto di libert occidentale. In proposito, la mia opinione  cautamente negativa. Dal momento per che questo tema della libert dinterpretazione, legata alla libert di diffusione pubblica pe- nalmente e civilmente non punibile di questa libert dinterpretazione  uno dei temi filosoficamente pi importanti della storia,  bene discuterne gi fin da ora, anche se il tema ritorner continuamente. Non c' dubbio che una delle forme in cui il potere si manifesta  la censura delle opinioni dissenzienti e limpedimento penale e giudiziario della libert despres- sione. La cartina di tornasole per capire quali siano realmente i fattori ideologici di legittimazione di un sistema sociale  infallibilmente rinvenibile nelle proposizioni penalmente sanzionabili. Nel medioevo negare Dio era penalmente sanzionabile, in quanto Dio era il fondamento simbolico della legittimazione sociale feudale, mentre oggi qualunque mascalzone pu vendere i jeans con Cristo che li indossa e pu riempire di fango la religione fra gli schiamazzi approvativi della nuova plebe postmoderna. In compenso oggi negare lOlocausto ebraico del 1943-45  un reato penalmente perseguibile (del tutto indipendentemente dal fatto che il genocidio nazista sia veramente avvenuto nei termini e nella quantit simbolica del famoso 6 milioni), laddove sputare su Cristo non lo  pi, perch il complesso di colpa dell'Europa deve essere mantenuto all'infinito, visto che sullespiazione di questo complesso di colpa si basa l'appoggio al sionismo israeliano ed il mantenimento delle basi militari americane. Non c' bisogno di conoscere la parabola del Grande Inquisitore di Dostoevskij per sapere che Ges Cristo sarebbe stato bruciato vivo per eresia dalla Chiesa cattolica, e sarebbe stato bruciato vivo proprio nei termini 181 CarrroLO XXIII del Concilio Laterano del 1516, in quanto come  noto Ges prevedeva il futuro partendo dalla Sacra Bibbia, ed affermava di conoscerlo dallo Spirito Santo e per rivelazione divina. Ricordo ancora lo sconcerto e l'indignazione del mio vecchio amico editore Vangelista di Milano quando gli dissi che Marx sarebbe stato certa- mente ucciso da Stalin se avesse esposto pubblicamente le sue opinioni sulla natu- ra sociale del suo comunismo, anche se poi aggiunsi prudentemente che Marx, essendo quello che i Greci antichi chiamavano phronimos, e cio non completamen- te cretino, sarebbe stato zitto ed avrebbe utilizzato la sua conoscenza del greco per scrivere un innocuo libro sulla lotta di classe nella Atene di Pericle. Ma, mentre la libert d'espressione pubblica  un dato politico-sociale che di- pende dai rapporti di forza nella congiuntura storica, oppure dalla totale irrile- vanza sistemica nella riproduzione sociale classista complessiva (come oggi, in cui la riproduzione sociale sopporta tutto  all'infuori della sola contestazione delle cifre del genocidio ebraico  attraverso le tecniche del silenziamento, dellemargi- nazione e della demonizzazione delegate agli appositi ceti dei giornalisti e/o degli intellettuali), il libero esame luterano  qualcosa che merita una riflessione ulteriore. Si tratta di un vero pozzo senza fondo, che non si scandaglia mai abbastanza. Marx scrisse a suo tempo che bisognava passare dalla semplice innocua inter- pretazione del mondo alla sua trasformazione rivoluzionaria. Giustissimo, se per si aggiunge subito che non esiste trasformazione senza preventiva interpretazione, ed anzi la natura della trasformazione pratico-politica del mondo dipende stretta- mente dalla preventiva interpretazione teorico-filosofica di esso, visto che l'agire delluomo  un agire teleologico (Lukcs), e lontologia dell'essere sociale parte pro- prio dal principio che la differenza fra l'ape e l'architetto, secondo i termini usati da Marx, sta nel fatto che la prima non progetta lalveare, mentre il secondo invece dovrebbe progettare le sue realizzazioni politico-sociali. Non basta quindi ripetere che Lutero sosteneva che bisognasse compiere un libero esame dei testi biblici. Bisogna anche chiedersi, o meglio richiedersi, che cosa contenevano i testi biblici. Me lo sono gi chiesto nel sesto capitolo (Antico Testamento), e poi nel diciannove- simo (Nuovo Testamento), ma il tema  talmente importante da richiedere un conti- nuo ritorno esegetico. Sulla scorta soprattutto della lettura di Mario Liverani, ho parlato dellAnti- co Testamento come di un grande romanzo identitario che si pone al servizio di una strategia teologica di potenziamento del potere, da un lato, e di rafforzamento sim- bolico delleccezionalissimo esclusivistico ebraico, dall'altro. Nella confezione di quest'opera si possono ovviamente riscontrare elementi mitici di origine diversa (sumerica, egiziana ed assiro-babilonese), residui politeistici evidentissimi (e si vedano gli studi rivelatori dellepigrafista romano Massimo Baldacci), riscritture redazionali differenziate a seconda se si voleva o meno evidenziare il ruolo dei sa- cerdoti, sistematizzazioni addirittura commissionate dall'imperatore zoroastriano Ciro il Grande, ecc.  tutto pane per gli esegeti biblici, trib che rispetto ed ammi- ro, leggo e commento, ma di cui non faccio parte. E tuttavia, la ricaduta storico- ideologica di questo grande romanzo identitario posto al servizio di una strate- 182 Natura ontologico-sociale della rivoluzione protestante e dellaffermazione del rapporto diretto fra l'individuo e la divinit gia teologica di rafforzamento etnico-sacerdotale  invece a tutti gli effetti il mio pane, e quindi mi permetto di aprirci il becco in proposito. Questo grande romanzo identitario, dallesodo dall'Egitto all'occupazione armata genocida della Palestina, ecc., ha una potenzialit simbolica ed analogica addirittura esplosiva, perch pu essere messo facilmente al servizio di strategie similari di occupazione territoriale e esclusivista (pensiamo alla trinit dei coloni americani dell'ovest, la Bibbia, il fu- cile e la bottiglia di whisky per risolvere i problemi di conciliabilit dei due fattori precedenti), o della pretesa di primato politico che deriva dal mandato divino (la house on the hill dei predicatori protestanti americani, i neo-cons di oggi, doppio si- gnificato inglese e francese del termine, ecc.). Non ha quindi molto senso elogiare semplicemente il libero esame interpretativo, come non avrebbe senso elogiare le mine che si usano per le esplosioni minerarie se fossero date in gioco a bambini incauti ed un po scemi. Dare l'Antico Testamento in mano a popoli colonialisti e razzisti significa consegnare un ordigno esplosivo. Ammazzi gli indiani e sei con- vinto di ammazzare simbolicamente gli egiziani, i madianiti e gli amaleciti. E via di questo passo. A questo punto, ci si pu chiedere seriamente se sia meglio che questa vera e propria bomba ad orologeria venga consegnata alla libera interpre- tazione analogico-simbolica di tutti, oppure venga sorvegliata da un'apposita casta di pretoni-filologi esperti del contesto storico. Negli USA, qualunque idiota televisivo finanziato da petrolieri texani pu legittimamente aprire la sua Bibbia, e sentirsi ipso facto Mos, Giosu, Gedeone e Sansone. Nulla di male, se questo idiota televisivo non occupasse il mondo con basi nucleari e non potesse lanciare aggres- sioni distruttive unilaterali. Certo, il libero esame di Martin Lutero non ha nessuna colpa, cos come Marx non ha nessuna colpa per i gulag di Stalin. Nello stesso tem- po i Greci antichi non avrebbero mai fatto lapologia del libero esame formalmente concepito, ma soltanto della saggezza nellinterpretazione. E qui nasce tutto il pro- blema filosofico della libert intesa come arbitrio contingente oppure della libert intesa come manifestazione pratica della conoscenza del bene. E ci ritorneremo. Il tema del cosiddetto libero arbitrio del credente  forse ancora pi impor- tante del precedente, perch la sua secolarizzazione ha dato luogo al tema del rapporto fra possibilit e necessit nella storia, centrale nella discussione marxista posteriore sul problema del rapporto (possibile e/o necessario) fra capitalismo e comunismo. Ne parler ovviamente pi avanti, ma  bene che le origini di questo tema vengano gi messe in luce attraverso la ricostruzione degli inizi di questo dibattito. E gli inizi si situano proprio nel contesto storico che stiamo analizzando, nonostante il fatto che sia necessario ricorrere a dati ancora anteriori, come il con- trasto fra Agostino e Pelagio. Il primo dibattito filosofico esplicito sul libero arbitrio del volere umano e sulla predestinazione divina fu quello fra Agostino e Pelagio. Purtroppo,  impossibile ricostruirne oggi i termini esatti, perch di Agostino abbiamo praticamente tutto, e di Pelagio praticamente nulla. Il potere ecclesiastico ha spazzato via tutto. Sarebbe come se oggi di Marx non fosse rimasto nulla, al di fuori delle critiche di Popper. In ogni caso, il cuore dellargomentazione di Agostino sul fatto che senza la grazia 183 CarrroLo XXI divina noi non ci salveremmo, ed il libero arbitrio  certo coaudivante, ma non decisivo, ci  noto nellessenziale, anche se la monumentale stupidit dei commen- tatori posteriori non  quasi mai in grado di ricostruirla correttamente. Il cuore della teoria della predestinazione divina, infatti, si basa direttamente sulla teoria soggettivistica del tempo inteso come distensio animae, e cio come struttura nasco- sta della percezione soggettiva che lega insieme la memoria del passato, la realt immediata del presente e la speranza del futuro. Con un'operazione analogica teo- ricamente sbalorditiva, Agostino mette in correlazione il tempo del soggetto umano e l'eternit del soggetto divino. Dio, in altri termini,  pensato come un soggetto che anzich vivere nel tempo, il che implica che il futuro pu soltanto essere oggetto di speranza, ma non di conoscenza, vive nelleternit, e cio vede simultaneamen- te con una sola occhiata diretta il passato, il presente ed il futuro, ed in questo modo - per dirla in maniera semplice  sa sempre come le cose andranno a finire. Dio vede simultaneamente Adamo che accetta la mela da Eva, Cesare che conquista la Gallia, Napoleone che si fa incoronare imperatore, il pilota americano che sgan- cia la bomba ad Hiroshima, ed ovviamente i rapporti di forza nel mondo nel 2817 e nel 9017 (ammesso, ovviamente, che il mondo esista ancora). Sarebbe come se io, seduto alla mia scrivania, vedessi contemporaneamente il mio trisavolo che ha com- battuto nell'esercito napoleonico, mio padre che scarpinava nella nave sul fronte greco-albanese nel 1941, la mia nascita e la mia morte, ed infine il matrimonio di un mio lontanissimo nipote con unisolana delle Tonga nel 2156. Il tutto, sia chiaro, contemporaneamente. Se la distensio animae hominis  il tempo, la distensio animae Dei  l'eternit. Se infatti si accetta l'attribuzione a Dio della cosiddetta onnipotenza, ne deriva che se non potesse conoscere il futuro e non vivesse nelleternit da sem- pre non sarebbe onnipotente. Ma l'eternit  circolare e ciclica, per cui Dio appunto vede simultaneamente linizio e la fine del mondo.  questa la ragione per cui esiste la predestinazione; Dio sa gi da sempre come andr a finire. Lutero era un mona- co agostiniano, e non possiamo quindi stupirci che ereditasse questa lontana teoria dellonnipotenza, della predestinazione e del soggetto trascendente che dall'alto dell'eternit vede in un attimo tutto lo svolgimento del tempo concentrato in un punto. La teoria agostiniana della visione simultanea eterna di Dio, con connessa ca- pacit di conoscenza degli eventi addirittura prima che avvengano empiricamen- te, sta alla base della visione medioevale del mondo esattamente come la critica di Hume alla categoria di causalit sta alla base della concezione capitalistica del mondo stesso. Come vedremo pi avanti, l'unione delle due teorie del diritto na- turale e del contratto sociale davano pur sempre un primato simbolico ed una priorit temporale alla politica sull'economia. Criticando la categoria astratta di causalit, Hume criticava anche la concezione per cui era la politica (intesa come contratto sociale che applica nella societ i dettami del diritto naturale) che causa- va la societ. Nella concezione di Hume, poi ripresa ed ampliata da Adam Smith, la societ non richiedeva pi una causazione politica, ma si auto-istituiva sulla base della propensione abitudinaria della natura umana allo scambio delle merci. 184 Natura ontologico-sociale della rivoluzione protestante e dell'affermazione del rapporto diretto fra l'individuo e la divinit E cos  l'economia che fonda la politica, e non pi la politica che fonda l'economia. Ma su questo tema cruciale, appunto, torner pi avanti. Agostino  stato lo Hume del medioevo cristiano. Dio  pensato integralmente come soggetto, ma si tratta di un soggetto che non vive nel tempo, ma nelleterni- t, e pertanto non ha neppure bisogno di prevedere il futuro, perch lo vede men- tre si svolge a tutti gli effetti.  interessante ora aprire una breve parentesi sulla secolarizzazione successiva della onnipotenza previsionale di Dio, in particolare quando Dio sar sostituito a met Settecento dalla Storia, come nuova divinit im- perfettamente secolarizzata. Anche su questo punto sar costretto ad anticipare, ma credo che sia il procedimento corretto. Il trasferimento dellonnipotenza previ- sionale (o pi correttamente, addirittura visionale) da Dio alla Storia non  che il raddoppiamento del passaggio dallagostinismo politico dei preti al marxismo agostinianizzato dei marxisti successivi. Il fatto che la religione di questi ultimi sia durata solo un secolo circa, mentre la variante originale di Agostino sia durata pi a lungo, deve essere fatto oggetto di specifica riflessione. E lo sar. Da un punto di vista psicologico-sociale, la convinzione di essere ispirati e be- nedetti da Dio oppure di essere ispirati e benedetti dalla Storia, questo Dio seco- larizzato ed altrettanto onnipotente, adempie alla stessa funzione sociale. I com- battenti della New Model Army di Oliver Cromwell della guerra civile inglese del 1640-1650 ed i combattenti della Krasnaja Armija (armata Rossa) di Vladimir Lenin della guerra civile russa del 1918-1921 hanno in comune la stessa ispirazione reli- giosa, ed il fatto che gli uni fossero anglicani e gli altri fossero atei ha veramente soltanto un interesse minore. Come si vede, una riconsiderazione ontologico-sociale della nascita del prote- stantesimo europeo fatta in base al metodo storico-genetico ed ontologico-sociale consente di disoccultare le radici religiose della modernit.  del tutto naturale che la falsa coscienza organizzata dell'immagine ideologica borghese del mondo si autorappresenti la nascita della modernit in termini di progresso, e cio di vittoria della razionalit scientifica sullignoranza e la superstizione. Come avviene sempre nel rapporto concreto fra storia ed ideologia, la realt  sistematicamente rovescia- ta rispetto alla sua rappresentazione, come peraltro avviene nello scatto delle fo- tografie. In realt la nascita della modernit, limitandoci ovviamente ai suoi tratti ideologici rovesciati, risulta da due processi di secolarizzazione, che ripeto ancora sommariamente, perch non vorrei che fossero sfuggiti al lettore frettoloso. In primo luogo, la trasformazione del libero esame vetero-testamentario (nel Nuovo Testamento Ges  troppo buono per poter realmente ispirare e legittima- re laccumulazione capitalistica primitiva, la schiavizzazione di milioni di neri, il commercio triangolare, l'espropriazione di milioni di contadini ed operai, ecc.a  ci vuole il pugno duro del Dio degli eserciti) in raddoppiamento simbolico ed analogico del grande romanzo identitario ebraico e della strategia sacerdotale di potere, permette di concettualizare, giustificare e legittimare la missione esclu- siva del colonialismo inglese nella sua conquista del mondo. Se Dio  con te, puoi massacrare gli irlandesi cattolici e papisti, occupare l'India, accumulare enormi 185 CapitoLo XXIII ricchezze con il commercio degli schiavi (e non bisogna mai dimenticare che per- sino il buon empirista liberale John Locke era azionista di una compagnia schia- vistica, e soprattutto non se ne vergognava). Questa proiezione mimetica della mis- sione del popolo eletto, e delleccezionalismo ebraico (che tutti i grandi pensatori ebrei, da Spinoza a Freud, hanno sempre apertamente esecrato), tessuto ideologico fondamentale delloccidentalismo e delle sue mostruose conseguenze,  stato un derivato concreto anche (non solo, ovviamente) del libero esame. Certo, la Chiesa cattolica non ha le carte in regola per credersi migliore. Negli stessi anni, alluni- versit di Salamanca, avallava di fatto le tesi di Seplveda sui nativi americani come homunculi degni di essere schiavizzati (per di pi, con dotti argomenti aristo- telici), lasciando di fatto solo il grande Bartolomeo di Las Casas che difendeva gi l'uguaglianza naturale di tutti gli uomini (sempre, peraltro, con argomenti tratti dalla tradizione greca). In secondo luogo, l'accoglimento della teoria della predestinazione di Agostino, sostenuta pi o meno con gli stessi argomenti della onnipotenza previsionale di Dio, che vivendo nelleternit era un soggetto titolare della capacit di sapere come tutto sarebbe andato a finire, fece da supporto ideologico ad una folle presunzione di auto-investitura da spiriti eletti. Se Dio  con noi, per poterlo sapere la cosa migliore  arricchirsi e vincere tutte le guerre. Detto questo, non sono sicuro che Max Weber abbia ragione nella sua teoria del nesso strettissimo fra protestante- simo (in realt calvinismo, perch il luteranesimo dopo il 1525 e la sconfitta dei contadini ribelli di Thomas Mintzer, narrata sia da Engels che da Bloch, divent ben presto una religione per aristocratici e contadini) e capitalismo. Vi sono anche altre teorie genetiche, come quella del ruolo degli ebrei (Werner Sombart), ecc. E comunque questo non  il luogo per una pur facilissima rassegna sulle teorie alternative sulla nascita del capitalismo in Europa.  invece importante far notare da subito che lidentificazione proiettiva con le decisioni di Dio, sorta con il puri- tanesimo inglese e poi evolutasi nell'odierna missione speciale degli USA come unico paese indispensabile del mondo (Bill Clinton in un suo delirante discorso dinvestitura alla presidenza), ha avuto anche una secolarizzazione laica ed atea con la teoria marxista dei voleri della Storia, questo equivalente imperfettamente secolarizzato di Dio. Ma qui siamo gi ben oltre il nostro argomento. Siamo gi in- fatti ben dentro il pensiero moderno, che a partire dal prossimo capitolo tenteremo di interrogare con un'ottica nuova, e decisamente inconsueta per le anime pie e politicamente corrette. 186 XXIV. IL SIGNIFICATO ONTOLOGICO-SOCIALE DELLA COSTITUZIONE FORMALISTICA DEL SOGGETTO NEL Cocito ERGO Sum DI CARTESIO Il modo abituale con cui la dossografica scolastica racconta la nascita del pensie- ro moderno  in generale un pezzo di umorismo demenziale di grande efficacia, di fronte al quale Buster Keaton  un triste attore di drammi lacrimosi. Da un lato, un coro di cretini che si rifiutavano di guardare dentro un cannocchiale, salmodiando che tanto Aristotele aveva gi detto tutto quello che era possibile dire (ipse dixit), e che come le famose scimmiette si coprivano gli occhi e le orecchie, mentre il solo non completamente cretino, cio Galileo Galilei, ci guardava dentro e ci vedeva che la terra girava intorno al sole e non viceversa, anche se i preti, che ovviamen- te non si smentiscono mai, volevano per questo bruciarlo vivo, e lo costrinsero a strisciare davanti a loro, anche se Galilei riusc comunque a bofonchiare Eppur si muove!. Dall'altro, un signore seduto su di una stufa (evidentemente con un asse fra il suo sacro sedere e la caldaia - senza questo asse provvidenziale, niente pensiero filosofico moderno!), che ad un certo punto esclama Cogito ergo sum e snocciola quattro regole che se ben applicate possono permetterci di conoscere tutto (evidenza, analisi, deduzione, enumerazione). E tuttavia non ci si dovrebbe fidare troppo di lui, visto che pensava che lo stesso mondo esterno non esistesse, e fosse un trucco di un diavolo malvagio. La ricostruzione delle origini del pensiero moderno seguendo il metodo che definirei Woody Allen-Buster Keaton non  affatto una follia, ma  funzionale ad una ricostruzione destoricizzata e soprattutto desocializzata dei processi del pensiero. Essa  l'equivalente funzionale, per la classe degli intellettuali, del sangue di San Gennaro e delle stimmate di Padre Pio per le classi popolari. In entrambi i casi il miracolo sostituisce i processi del pensiero. Ma mentre nel caso delle classi popolari si tratta nobilmente di elaborare il dolore delle disgrazie, nel caso degli intellettuali si tratta invece di raffigurarsi il processo della conoscenza umana come frutto delle loro pensate geniali. Il lettore intelligente, a questo punto, avr gi capito quale delle due forme di mistificazione  degna di maggiore condanna morale. In un'ottica ontologico-sociale, i miracoli di Galileo e di Cartesio appa- iono maggiormente spiegabili. Nel caso di Galilei, la formazione e lo sviluppo di una scienza matematica quantitativa della natura si pu spiegare con una grande rivoluzione scientifica, correttamente definita dal grande epistemologo americano Thomas Kuhn come un salto di paradigma, e poi criticata negli anni Trenta del 187 CarrroLo XXIV Novecento da Husserl in modo ragionevole, ma a mio avviso non del tutto con- vincente. Nel caso di Cartesio, invece, si tratt del primo passo decisivo per quella costituzione formalistica del soggetto, che fece da nuova sostanza per lelaborazio- ne di un pensiero astratto che potesse corrispondere a quel lavoro astratto su cui si svilupper poi il modo di produzione capitalistico. Se infatti la metafisica  l'ontologia delle classi signorili e feudali, la gnoseologia  lontologia della nuova classe borghese europea. L'impadronirsi con sicurezza di questo semplice concetto permette di guardare lo sviluppo del pensiero moderno con un nuovo e decisivo riorientamento gestaltico. La vecchia scienza aristotelica aveva sostanzialmente resistito all'attacco por- tatole dal neoplatonismo quattro-cinquecentesco. E non si tratta solo del fatto che questo neoplatonismo, sorto innocuo con Marsilio Ficino, era evoluto in senso panteistico dando luogo ad una delegittimazione generalizzata della teologia cat- tolica, con logiche conseguenze repressive (Giordano Bruno). Si tratta del fatto che grandi fabbriche manifatturiere - soprattutto per l'allestimento di parchi d'arti- glieria e per l'armamento civile - vengono costruite in tutta l'Europa. Se pensiamo che la stessa rete (web) di Internet deriva direttamente dal progetto militare di Arpanet non ci stupiremo pi che anche ai primi del Seicento la spinta verso i mutamenti dei modelli teorici sia venuta da un'esigenza militare. In questa nuova realt economica alla figura dellartigiano medioevale, che in- trattiene rapporti con cose concrete e non ha ancora bisogno di un grande ap- parato matematico complesso per raccontarle, in quanto bastano gli strumenti di lavoro e la materia cui li applica, va sostituendosi la figura del padrone della fabbrica manifatturiera, che ha invece a che fare con flussi di prodotti e di merci, con un numero di operai fra i quali dividere il salario, con capitali da investire ed interessi da calcolare. Senza contare, inoltre, le esigenze della navigazione transo- ceanica, che richiedeva un apparato matematico complesso per calcolare i tempi, le previsioni e le posizioni. Non a caso, lo scienziato sovietico Hessen ritenne che la stessa definizione fisica di lavoro (forza per spostamento) abbia avuto come genesi teorica indiretta le esigenze della nuova industria inglese dei trasporti. So bene che su questa strada vi sono reali pericoli di riduzionismo di tipo esternisti- co, che possono nascondere le serie ragioni interne che spiegano i mutamenti dei paradigmi scientifici. Lo so, e ne tengo conto. E tuttavia sono preferibili gli errori di eccessivo riduzionismo esternistico agli errori che derivano dal ritenere che il decorso teorico sia della filosofia che della scienza sia dovuto o alla casualit assoluta o alla autoreferenzialit dei ceti specializzati dei filosofi e degli scienziati. In linguaggio cattolico, sono entrambi peccati, ma mentre il primo  un peccato veniale, il secondo  un peccato mortale. La teoria delle rivoluzioni scientifiche di Kuhn  un'ottima teoria, certamente superiore alla teoria della cosiddetta falsificabilit di Popper, di cui studi detta- gliati su casi specifici hanno dimostrato che nei fatti non  mai stata concretamente applicata dagli scienziati empirici. Essa si applica a moltissimi casi concreti (dal passaggio dal geocentrismo alleliocentrismo, all'abbandono della teoria del flogi- 188 Il significato ontologico-sociale della Costituzione Formalistica del Soggetto nel Cogito ergo Sum di Cartesio sto in chimica, fino al passaggio dal fissismo allevoluzionismo), ed io sono anche d'accordo con Paul Sweezy, nel fatto cio che essa avrebbe dovuto essere applicata anche al marxismo, ma  noto che il conservatorismo e la vilt della comunit de- gli intellettuali marxisti, legata con mille fili ai burocrati nichilisti degli apparati partitici e statuali, ne ha sempre impedito l'estensione al marxismo stesso. Sono capaci tutti di lodare Galileo, ma quando ci si trova di fronte ad un caso concreto di tipo galileiano (in questo caso, il rovesciamento astronomico del marxismo), allora persino il galileiano Simplicio diventa un genio dell'innovazione. Ma su questo ci soffermeremo pi avanti. Basti dire per ora che la teoria di Kuhn  ottima, ma non spiega quali siano le basi materiali che di fatto costringono la boriosa e conservatrice comunit degli scienziati a mutare di paradigma scientifico. Su questo il vecchio Marx, che Kuhn sembra ignorare,  sempre in grado di dare la zampata decisiva. Un discorso analogo pu essere fatto per il pur grande Husserl, che ha dedicato riflessioni decisive a questo passaggio d'epoca. Nelle sue Meditazioni Cartesiane del 1930 Husserl da un lato loda Cartesio per aver avuto il coraggio di porsi il problema di una fondazione razionale della scienza, e dall'altro lo rimprovera per aver avuto un pregiudizio galileiano, secondo cui la realt sarebbe divisa in una materialit puramente meccanica ed in una spiritualit puramente immateriale. Nel 1935 Husserl tiene due conferenze, una a Vienna e laltra a Praga (pubblica- te poi postume nel 1954 con il titolo La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale), in cui mette sotto accusa lintera scienza moderna per aver indebi- tamente ritagliato dalla totalit dell'esperienza umana quel particolare aspetto pur esistente che  la quantit, promuovendolo ad un unico essere-in-s delle cose. La diretta conseguenza di una siffatta concezione del sapere  che paradossalmen- te i problemi morali, intersoggettivi, di significato globale della vita umana, ecc., offrendosi come non omologhi al metodo che consente di indagare l'aspetto quan- titativo della vita, finiscono con l'essere svalutati come mere apparenze soggettive. Per Husserl, che pure era un matematico di professione, la matematizzazione della natura  uno strumento indispensabile per la successiva applicazione tecnologica, ma non  l'essere in s delle cose. Ho anticipato la critica di Husserl al pensiero galileiano perch questa antici- pazione ci permette di comprenderne meglio la sua genesi. Da un lato, Husserl ha perfettamente ragione a criticare la riduzione scientistica di tutti gli aspetti della vita umana, ed anticipa genialmente con la sua critica le successive volgarit con- tro la filosofia (Lucio Colletti, i cosiddetti laici alla Micromega, filosofia analitica anglosassone criticata da Herbert Marcuse, ecc.). Dall'altro, la pittoresca ignoranza da parte di Husserl sia di Hegel e Marx sia del metodo ontologico-sociale marxista gli impedisce non solo di sapere che il suo tipo di critica  gi stata fatta (critica di Marx allinfinitezza quantitativa del capitale nella distruzione della natura e nellestorsione del plusvalore, ecc.), ma anche di diagnosticare le ragioni sociali del comportamento di Galilei e di Cartesio. Sembra quasi che questi due colleghi, anzich prendere in esame il suo metodo fenomenologico trascendentale, abbiano deciso di quantificare la natura materiale e di santificare il meccanicismo. Una 189 CarrroLo XXIV analoga mancanza di senso storico  manifestata dal pur grande Ernst Cassirer, quando nella sua peraltro stupenda storia della filosofia moderna rimprovera a Cartesio di aver cercato in Dio il fondamento della conoscenza scientifica, non accorgendosi in questo modo che questultima ne sarebbe risultata indebolita. Il principio del razionalismo sarebbe stato cos scalzato dallarbitrio della credenza in Dio, aprendo cos la strada al doppio irrazionalismo di chi nega contemporane- amente sia Dio che la scienza. Ha ragione Cassirer: Cartesio resta imperdonabile per non aver letto Kant. La destoricizzazione resta imperdonabile anche se viene esercitata da geni filosofici assoluti come Husserl e Cassirer. In realt, il pur volenteroso Husserl non coglie il punto essenziale, e questo non solo per la sua pittoresca ignoranza di Hegel e di Marx, ma anche e soprattutto perch - come del resto tutti gli scienziati di professione - riduce sistematicamente lo spazio della filosofia a spazio dellepistemologia (come peraltro osservarono criticamente sia Heidegger che Adorno). La scienza moderna ha fatto benissimo a quantificare il mondo. Se non lo avesse provvidenzialmente quantificato, ci sogneremmo di poter andare a Parigi in treno ed a New York in aereo. Con la scienza qualitativa di Aristotele - come diceva una vecchia canzone risorgi- mentale - andremo ancora piedi da Lodi a Milano. Viva la quantificazione, se essa fornisce lavatrici, farmaci e mezzi di trasporto! Il problema non sta nella scienza, ma nellautocoscienza della filosofia. La filosofia avrebbe dovuto prendere atto del- la provvidenziale quantificazione scientifica della natura, e sulla base di questa presa d'atto inevitabile, sobria e razionale, avrebbe dovuto per tempo ritagliarsi il proprio spazio conoscitivo specifico. Filosofi intelligenti come Spinoza, Kant e Hegel lo hanno fatto. Filosofi meno intelligenti, ed anzi decisamente stupidi, han- no creduto invece di agganciare il loro carro alla locomotiva delle scienze dette positive, come se la filosofia avesse avuto soltanto un metodo ed un contenuto negativi. In definitiva,  del tutto inutile prendersela con Galilei e con Cartesio.  meglio invece capire la natura storico-genetica ed ontologico-sociale del pensiero di entrambi, e di Cartesio in particolare. Italo Cubeddu, che ha scritto un'ottima introduzione al Discorso sul Metodo di Cartesio, lo ha definito un appello ai lettori, perch Cartesio sente di doversi giustificare di fronte a loro per poter continuare tranquillamente le sue ricerche di fisica. Il fatto di doversi giustificare davanti a qualcuno di cui pure si stanno facendo gli interessi storici (situazione gi vissuta da Tommaso d'Aquino, che do- veva giustificarsi per fare gli interessi storici della Chiesa davanti alla Chiesa stes- sa) rivela che i grandi pensatori strategici (e Cartesio lo era) sono sempre qualche passo avanti rispetto ai pecoroni cui pure si rivolgono idealmente. Qualcosa del genere capit anche al vecchio Lukcs: stava facendo gli interessi storici a lungo termine del comunismo, e la bestiale idiozia dei burocrati e delle loro basi osan- nanti lo costringevano allemarginazione. In questo senso, la Chiesa  stata molto pi grata a Tommaso e la borghesia  stata molto pi grata a Cartesio di quanto il movimento comunista sia stato grato a Lukcs e a quelli come lui. Da questo fatto, personalmente, sono spinto a trarne conseguenze epocali. 190 Il significato ontologico-sociale della Costituzione Formalistica del Soggetto nel Cogito ergo Sum di Cartesio Cartesio propone un vero e proprio itinerarium mentis in veritatem attraverso una vera e propria ricostruzione autobiografica, nella forma di una confessione esisten- ziale. Antonio Negri ha parlato di un romanzo filosofico, anzi di un romanzo di formazione, il primo Bildungsroman del pensiero borghese. Sono completamente d'accordo. Il Discorso sul Metodo di Cartesio (che in realt parla del metodo vero e proprio solo per meno di un quinto del totale delle pagine)  il primo vero e pro- prio romanzo di formazione (Bildungsroman) del pensiero borghese. Ma, appunto, questo romanzo di formazione racconta la formazione non di un soggetto storico e dialettico, come nella Fenomenologia dello Spirito di Hegel, ma di un soggetto cono- scitivo totalmente destoricizzato e desocializzato, come  e deve essere appunto il suo Cogito. Questo  il punto essenziale da capire. Capito questo, si dispone della chiave per aprire lo scrigno dei segreti del pensiero borghese successivo, almeno fino a Kant compreso. Dopo Kant, invece (Fichte, Hegel, Marx, ecc.), la filosofia si ri- mette in movimento, e si rimette in movimento superando, sia pure con una parziale conservazione (Aufhebung), la precedente costituzione formalistica del soggetto. Il pensiero borghese deve nascere, e non era possibile che fosse diversamente, con un'operazione di destoricizzazione e di desocializzazione. Ristoricizzazione e risocializzazione (Hegel, Marx, ecc.) sono venute dopo, e non potevano che venire dopo. Hobbes ha dovuto partire da una improbabile situazione primitiva (bellum omnium contra omnes, homo homini lupus, ecc.) per poter distruggere l'antropologia sociale e comunitaria di Aristotele (luomo come politikn zoon, ecc.). Locke ha do- vuto costruirsi il primo lavoratore-proprietario (il Robinson di Defoe e soprattutto di Marx), che legittimava cos la sua propriet privata originaria con il suo lavoro individuale originario. Hume ha dovuto legittimare il suo pensiero interpolando la natura umana nel capitalismo con le presunte abitudini astoriche della natura umana in generale (spinta allaccoppiamento dei sessi, ricerca dell'utile individua- le, predisposizione alla cura della prole, esigenza di intraprendere libere attivit economiche per superare gli altri in ricchezza e prestigio  si noti la sapiente suc- cessione di un dato naturale con un dato storico!). E, per finire, Smith pre- suppone il mercato e lo spazio mercantile come dati originari della propensione umana allo scambio economico che non hanno neppure bisogno di presupposti filosofici (la discussione sui diritti naturali delluomo) o di presupposti politici (la discussione sulle modalit di un buon contratto sociale). Ma su questi quattro pen- satori torneremo pi avanti in un capitolo successivo. Per ora basti registrare con- cettualmente il fatto che il pensiero borghese, proprio per poter nascondere ( il caso di dire larvatus prodeo, procedo mascherato, anche se non nel senso di Cartesio) il fatto di essere integralmente storicizzato e socializzato, deve fingere di essere in- vece destoricizzato e desocializzato. Cartesio non fa che precedere la serie Hobbes- Locke-Hume-Smith sopra accennata. Nel suo caso, per, ad essere destoricizzato e desocializzato  lo stesso soggetto della conoscenza, il Cogito. Ma perch il pensiero deve precedere l'essere, e non viceversa? Se capiamo questo, capiamo perch lunica possibile ontologia della borghesia  appunto la gnoseologia. Hegel defin Cartesio un eroe del pensiero perch avrebbe posto il 191 CarrroLo XXIV pensiero stesso di fronte alla semplice opposizione al suo contenuto, il pensare e l'estensione o essere. Marx ritiene invece che Cartesio veda il mondo con gli occhi del periodo manifatturiero, soprattutto per il fatto, poi contestato dagli animalisti odierni, che vede gli animali come vere e proprie macchine. E tuttavia, con tutto il rispetto verso Marx, penso che sia errato e riduzionistico incatenare Cartesio al periodo manifatturiero puro e semplice. Cartesio va molto oltre al suo tempo, e non pu essere ridotto (come ha fatto negli anni Trenta l'austriaco F. Borkenau) ad un semplice ideologo del periodo manifatturiero. La costituzione formalistica del soggetto (il Cogito)  in Cartesio qualcosa di correlato al pensiero astratto come derivazione concettuale del lavoro astratto. In questo Cartesio  un vero precursore geniale, perch ai suoi tempi il lavoro ca- pitalistico astratto vero e proprio non cera ancora, e dovette aspettare quasi un secolo per essere prima affermato (Smith) e poi criticato (Marx). Eppure, se non gli si concede questa implicita previsione, si finisce con il non coglierne leccezio- nalit fondativa. E neppure Heidegger la coglie appieno, quando ricostruendo la storia della verit nel pensiero occidentale si limita a constatare un po banalmente che Cartesio (e non Kant) sarebbe stato il fondatore della metafisica moderna, in quanto per primo avrebbe determinato l'ente come oggettivit del rappresentante ed avrebbe concepito la verit come certezza del rappresentare, riducendo cos la verit a certezza rappresentativa. Non nego che sia anche cos Ma Heidegger si ferma a met strada, in quanto anche questo genio del pensare rifiuta sempre siste- maticamente di indagare le determinazioni ontologico-sociali del pensiero stesso. In Cartesio la verit esiste ovviamente ancora, ci sono le idee innate, c' Dio, e ci sono anche le prove razionali per poterlo dimostrare. Heidegger ha torto nel dire che Cartesio riduce integralmente la verit a certezza oggettivata dell'ente. Ha per indirettamente ragione nel dire che con questa concezione si apre effet- tivamente un processo di pensiero per cui a poco a poco la verit, che in Cartesio coesiste ancora contraddittoriamente con la certezza, viene a poco a poco sostituita integralmente dalla certezza, ed alla fine di questo processo c soltanto la certezza, e la verit non esiste pi. Detto questo, Heidegger si ferma, perch dopo c' solo la terra incognita del metodo di Marx, che egli ignora e disprezza. La borghesia nascente non ha effettivamente nessun bisogno della verit, perch la verit la obbligherebbe a problematizzare filosoficamente i propri presupposti, e soprattutto farebbe a pezzi il presupposto universalistico di cui si nutre. Essa infat- ti vorrebbe rappresentare il progresso dell'intera umanit, da un lato, e praticare lo schiavismo e l'espropriazione selvaggia, dall'altro. Ha invece effettivamente biso- gno della certezza del rappresentare, perch su questa certezza delle rappresentan- ze si fondano tutti i suoi progetti imprenditoriali, commerciali e militari. Il passag- gio dalla verit alla certezza  quindi prima di tutto un processo storico e sociale, che viene occultato nel mondo della filosofia con il passaggio dalla metafisica alla gnoseologia. Ed  questa la ragione per cui la gnoseologia resta lunica vera me- tafisica della borghesia. Per poter portare a termine questo processo, ci vorr per un Kant, perch solo con Kant viene stabilito realmente il fondamento di questa 192 Il significato ontologico-sociale della Costituzione Formalistica del Soggetto nel Cogito ergo Sum di Cartesio metafisica a base gnoseologica, e cio la separazione di principio fra le categorie del pensiero e le categorie dell'essere. In Cartesio questo pezzo decisivo della metafisica a base gnoseologica non c' ancora. E non c' ancora perch non ci pu ancora essere, in quanto socialmente e politicamente la vecchia metafisica continua ancora ad esercitare un ruolo ideologico decisivo per la legittimazione comples- siva del sistema signorile e tardo-feudale in vigore. Qui sta la radice storica del famoso dualismo cartesiano fra pensiero ed estensione, res cogitans e res extensa. In questo dualismo, peraltro, resta inteso che permanga la pi totale identit ontolo- gica fra le categorie del pensiero e le categorie dell'essere, che soltanto Kant conte- ster veramente. Bench il cosiddetto occasionalismo, e cio la sincronizzazione provvidenziale garantita da Dio fra il pensiero e l'estensione, dovette aspettare per essere sistematizzato il prete oratoriano francese Malebranche, questo occa- sionalismo provvidenzialistico  gi perfettamente presente in Cartesio. Da questo occasionalismo deriver pi tardi anche l'armonia prestabilita di Leibniz, ed anche l'ipocrita teodicea leibniziana del cosiddetto migliore dei mondi possibili, che poi Voltaire nel Candido defin metafisico-cosmo-scemologia. Ma il migliore dei mondi possibile di Leibniz non  certo il mondo borghese del mercato di Smith - come hanno sostenuto molti goffi seguaci marxisti del metodo delicatissimo della deduzione sociale delle categorie - ma  il mondo del compromesso educato fra la nobilt e la nascente borghesia. In quanto pensatore della res cogitans, Cartesio  stato il capofila della tradizione spiritualistica francese. In quanto teorico della res extensa, Cartesio  stato lispi- ratore del successivo materialismo francese settecentesco e poi della filosofia di Giacomo Leopardi. Richiesto di dove si trovasse spazialmente il suo Dio, Cartesio rispose nullibi, e cio in nessun posto. Ma anzich giocare allinterminabile gioco del Cartesio spiritualista e/o ateo mascherato (larvatus), io preferisco battere un'al- tra strada. E la sunteggio cos: Cartesio  stato il grande teorico della costituzione formalistica del soggetto (il Cogito); questa costituzione  formalistica, perch  programmaticamente destoricizzata e desocializzata; e lo  perch il pensiero deve imporsi all'essere come messa a disposizione integrale dell'essere stesso come estensione materiale simbolica da progettare e sfruttare; alla base ci sta la ancora lenta emersione del lavoro capitalistico astratto, che richiede un soggetto astratto che si fa portatore di un pensiero altrettanto astratto. Vi  per un pensiero alternativo che nasce. Quello di Spinoza. Occupiamocene. 193 XXV. LA CENTRALIT DEL PENSIERO DI SPINOZA NEL RISTABILIMENTO MODERNO DELL'ONTOLOGIA DELL'ESSERE SOCIALE Tutti i metodi, anche i migliori, devono essere utilizzati con parsimonia e mo- derazione. Il metodo della deduzione storico-sociale delle categorie del pensiero  certamente migliore del non-metodo della compilazione dossografica delle opi- nioni casuali in successione, ma non per questo si deve pensare che sia in grado di dedurre socialmente tutti i pensatori della storia della filosofia. Chi si mettesse su questa strada giungerebbe facilmente al ridicolo. Enzenberger riporta che lo scrittore inglese Belfort Bax ricorda che Marx ed Engels si divertivano al gioco della deduzione sociale di tutti i pensatori e di tutte le pi curiose e strampala- te eresie religiose, ma resta il fatto che lo hanno fatto per gioco, e nessuno potr mai dedurre socialmente il culto del coccodrillo sacro che gioca a carte con la foca monaca ed il lupo siberiano. Hegel scrisse che bisogna che anche il casuale sia necessario, e che limprevedibile possa aver luogo.  giunto allora il momento di dirlo, perch il lettore malizioso non pensi che abbia avuto maniacalmente lidea di dedurre socialmente lintera storia della filosofia. La considerazione storico-ge- netica ed ontologico-sociale della storia della filosofia non significa la sua deduzione maniacale. Il pessimismo di Schopenauer e la riscrittura filosofica della religio- ne cristiana di Kierkegaard, ad esempio, non sono certo socialmente deducibili dal contesto storico dei problemi della borghesia di Francoforte e di Copenhagen. Nietzsche, questo scriba del caos (Ferruccio Masini), non  socialmente deducibi- le, ed a differenza di come ha fatto Heidegger nella sua romanzesca ricostruzione della consumazione finale in tecnica planetaria della lunga storia della metafisi- ca occidentale, io non mi azzarderei mai a dire che il baffuto tedesco sia stato il punto terminale della integrale soggettivazione dell'essere della onto-teo-logia in volont di potenza pura e semplice. La ricostruzione ontologico-sociale della storia della filosofia occidentale deve limitarsi ferreamente ai pensatori che interpretano e danno forma teorica sublimata a tendenze storico-sociali pi profonde. Chi in- vece pretende di dedurre tutti, finisce con il discreditare il metodo genetico al punto di non dedurre pi nessuno. Nel capitolo precedente, ad esempio, mi sono permesso di proporre una modesta deduzione sociale di Cartesio, ma non mi sarei mai permesso (a differenza, ad esempio, del pur bravissimo Lucien Goldmann) di fare la stessa cosa con Blaise Pascal. Eppure, nulla sarebbe stato teoricamente pi 195 CarrtoLo XXV facile. Goldmann ipotizza che il dio nascosto (dieu cach) di Pascal sia la metafora compensativa dellimpossibilit della noblesse de robe francese di accedere al potere politico, impossibilit che viene compensata e sublimata in una visione tragica della vita in Pascal. Ebbene, questa spiegazione di Goldmann mi sembra simile alla spiegazione di Sohn-Rethel sulla derivazione del concetto astratto di essere in Parmenide dalla diffusione della moneta coniata.  possibile, non si pu certo escludere in via di principio, ma il rapporto di causalit in questo caso  talmente labile da confondersi con un dato di casualit. E quando il dato di casualit ed il rapporto di causalit coincidono, si pu sospettare che il metodo non debba essere proposto, e si ripieghi prudentemente sull'ipotesi  sempre per dirla con Hegel - che in questo caso il casuale sia necessario. Ho fatto questo discorso per affermare che non far nessun tentativo sociale di dedurre lopera di Spinoza. Spinoza  un fatto miracoloso ed indeducibile, un dono che la filosofia ha fatto ai mortali. Non  stato per nulla un pensatore bor- ghese, come si suole ripetere scioccamente, a meno che non si intenda affermare la banalit sociologica per cui apparteneva di nascita alla piccola borghesia ebraica commerciale della citt olandese di Amsterdam. Il suo pensiero  del tutto disorga- nico e disomogeneo alla riproduzione del capitalismo borghese olandese dei suoi tempi, altrettanto ferocemente schiavistico di quello inglese e francese. A differen- za di come ha sostenuto Antonio Negri, che ha voluto a tutti i costi comunistizza- re Spinoza, suscitando fastidio e disapprovazione in tutti gli spinoziani europei (Mignini, Giancotti, Tosel, ecc.), io non credo che sia mai esistita una meraviglio- sa eccezione olandese. Certo, l'Olanda era una repubblica mercantile integrale (come Venezia, del resto), ed era nei suoi interessi il mantenere la convivenza (fino ad un certo punto, per) fra cattolici, protestanti, ebrei e musulmani, ecc. Certo, Spinoza  il frutto di un incrocio culturale particolare, che metteva insieme sotto il coperchio del cartesianesimo filosofico lesegesi biblica eretica, il libertinismo erudito, il panteismo neoplatonico e bruniano, ecc. Tutto questo  ovvio. E tuttavia, Spinoza rappresenta un'eccezione singolare, un pensatore che non  stato organico a nulla ed a nessuno, un filosofo cui non si applica una seria deduzione sociale delle categorie. Spinoza  e resta una miracolosa eccezione singolare. E cos lo tratter in questo capitolo. Secondo Hegel, Spinoza  un punto talmente importante della filosofia mo- derna, che in realt si pu dire: o tu sei uno spinoziano, o non sei affatto filosofo. L'affermazione di Hegel  paradossalmente estremistica, come devono essere del resto tutte le proposizioni filosofiche significative. Il moderatismo, e soprat- tutto la stucchevole retorica della cosiddetta complessit, alibi per tutti i tartufi, gli ipocriti ed i pesci in barile del sottomondo intellettuale, vengono dopo ed in subordine alle affermazioni recise di questo tipo. Personalmente, sono assolu- tamente d'accordo con Hegel. Se si comincia con Spinoza l'esame della filosofia moderna, si comincia bene, proprio perch Spinoza, in un certo senso, anticipa ge- nialmente, senza ovviamente averlo potuto immaginare, la critica alle tendenze gnoseologiche e positivistiche del cosiddetto pensiero moderno.  questo un 196 La centralit del pensiero di Spinoza nel ristabilimento moderno dellontologia dell'essere sociale punto cruciale di cui  necessario impadronirsi concettualmente. Il principio es- senziale del filosofare moderno non sta in Cartesio, perch non sta e non pu stare in un dualismo irrisolto e semplicemente posto fra una concezione materialistica della natura estesa ed una concezione formalistica, destoricizzata e desocializzata del soggetto conoscente (il Cogito). Il principio essenziale del filosofare moderno non sta in Kant (e tantomeno poi nel neokantismo, ad un tempo posteriore e dete- riore), perch Kant, nella sua legittima lotta politico-ideologica illuministica contro le pretese normative della metafisica religiosa, ha creduto di poterla condurre con la sua illegittima distinzione fra le categorie dell'essere e le categorie del pensiero. Il principio essenziale del filosofare moderno non sta nemmeno in Marx, che pure  il pensatore di riferimento principale per ogni ontologia dell'essere sociale, in quanto Marx ha oscillato fra due paradigmi filosofici distinti, quello idealistico e quello materialistico, contribuendo cos a confondere le idee ai suoi pur volenterosi se- guaci. E lo stesso Hegel, il punto pi alto della filosofia moderna, non avrebbe potuto costituire il suo concetto di soggetto storico processuale e dialettico se prima Spinoza non lo avesse pensato come sostanza. Sostanza che poi il pensiero capi- talistico, da Locke a Hume, dovette sciogliere nella rete dei flussi mercantili del valore di scambio assolutizzato. In sostanza, Spinoza  il vero principio essenziale di ogni filosofare moderno. E lo , paradossalmente, perch restaura il grande principio ellenico dell'identit on- tologica fra le categorie dell'essere e le categorie del pensiero. Lo fa, ovviamente, utilizzando la terminologia filosofica dominante ai suoi tempi, quella del carte- sianesimo. Si tratta di quello che  (un po' impropriamente) chiamato paralle- lismo psicofisico, che istituisce correttamente il rapporto parallelo fra l'ordine e la connessione delle cose (ordo rerum) e l'ordine e la connessione delle idee (ordo idearum). Questo parallelismo psicofisico, ovviamente, serve ad eliminare lidea (e cio, la terza idea) di un dio sincronizzatore e collegatore del mondo dello spirito e del mondo dell'estensione (Cartesio, cartesianesimo religioso, occasionalismo, Malebranche, ecc.). E tuttavia, pi che di parallelismo psicofisico, termine un po am- biguo, sarebbe meglio parlare di identit ontologica fra le idee e le cose.  noto che Marx si impadron concettualmente della propria identit rivoluzio- naria passando attraverso la metafora della deviazione nella caduta degli atomi (clinamen, parekklisis). Ma nello stesso anno in cui discusse a Jena la sua tesi in filosofia greca (1841), scrisse anche un Quaderno Spinoza, che rappresenta a tutti gli effetti il primo passo fondativo della sua filosofia politica. Si tratta della demo- crazia diretta dei produttori, definita come l'unione di tutti gli uomini che hanno collegialmente pieno diritto a tutto ci che  in loro potere (cfr. B. Spinoza, Trattato teologico-politico, cap. XVI). Se quindi Spinoza  il principio essenziale di ogni filo- sofare moderno (principio dell'immanenza assoluta, e principio della separazione della religione dal potere politico unito al principio della democrazia diretta dei produttori sul loro prodotto)  anche il principio essenziale della posteriore filoso- fia politica di Marx. Su questo punto Antonio Negri ha ragione. Non credo - come lui afferma - che si debba creare un partito degli spinozisti, e non lo credo perch 197 CaritoLo XXV vuole espellere da questo partito  di cui si sente evidentemente guru, profeta ed ispiratore - Hegel e la dialettica, ma si pu consentire con lui quando si spinge a dire che lo spinozismo  il trascendentale ontologico della rivoluzione (sic!), e la stessa democrazia  qualcosa sub specie aeternitatis. Certo, antipatizzando per Hegel, Negri non pu sapere che Hegel aveva gi espresso il concetto di sub specie aeternitatis con il concetto di ci che , ed  eternamente. Ma non si pu volere tutto. Lukcs coglie molto bene la specificit moderna di Spinoza quando scrive nella sua Ontologia dell'Essere Sociale che Spinoza compie una correzione rispetto allantropologia filosofica greca, per cui il dominio delluomo sui propri affetti non  pi quello della ragione sugli istinti (il che pu ancora essere reificato in un fatto trascendente, come appunto avvenne nel cristianesimo) ma quello degli affetti pi forti su quelli pi deboli, il che, sempre secondo Lukcs, pu essere definito come il compimento della autocostituzione processuale, terreno-immanente, dell'uo- mo. Mi sembra difficile fare un elogio pi grande a Spinoza. Ed unendo insieme Hegel, Marx e Spinoza, formulerei in questo modo sinteticamente il problema: Spinoza  un punto talmente importante della filosofia moderna che o si  spi- noziani, o non sia affatto filosofi; partendo da lui,  per legittimo pensare ci che lui ha pensato come sostanza (e cio l'identit ontologica di Dio e Natura) come soggetto (e cio costituzione processuale della soggettivit e non come au- toposizione formalistica destoricizzata e desocializzata alla Cartesio); pensandola come soggetto si ha in questo modo il concetto per pensare il compimento della autocostituzione processuale, terreno-immanente, delluomo; ed  questo il tratto caratteristico della filosofia di Marx, che non  uno strutturalismo epistemologico, un materialismo dialettico o uno storicismo assoluto, ma  un umanesimo rivolu- zionario a base dialettica. La formulazione sintetica  stata un po lunga, ma non volevo saltare nessun pezzo essenziale. E tuttavia un pezzo ho finito con il saltarlo, ed  il riconosci- mento del fatto che Spinoza  stato il primo critico filosofico dell'ideologia, e questo in un periodo storico in cui lo stesso termine di ideologia non esisteva ancora. Pi esattamente,  stato un critico dell'illusione ideologica, anche se non poteva ovvia- mente ancora impadronirsi del concetto di necessit sociale dell'ideologia stes- sa, e quindi nellimpossibilit di farla sparire. Si tratta di un punto essenziale, che  bene subito far proprio concettualmente. Torner nell'ultimo capitolo di questo scritto sulla teoria dell'ideologia di Lukdacs, che ritengo spinoziana al massimo grado. In breve, secondo Lukcs, lil- lusione ideologica si origina dal fatto che luomo, elaborando in modo necessaria- mente antropomorfico ed antropomorfizzate i contenuti del proprio rispecchia- mento quotidiano dei fatti della vita (perch i miei cari sono morti cos presto?, ecc.), estende questa antropomorfizzazione anche ai rispecchiamenti scientifici del vivere sociale, e con questa estensione anzich approdare alla scienza approda alla religione, che Lukcs (in questo allievo ortodosso di Feuerbach, Marx, Engels e 198 La centralit del pensiero di Spinoza nel ristabilimento moderno dellontologia dell'essere sociale Lenin) considera sempre come unalienazione (Entfremdung). Ne parleremo ap- punto pi avanti, perch la mia posizione  diversificata (io considero infatti sullo stesso piano, e del tutto complementari, l'illusione religioso-trascendente e lillu- sione laico-immanente, tesi che Lukcs non avrebbe certo potuto condividere in questa forma). Tornando a Spinoza, si pu notare che su questo punto la sua teoria dellillusio- ne ideologica  eguale a quella di Lukcs, anche se ovviamente non esiste (e non pu esistere) il termine tecnico di ideologia. L'illusione nasce in Spinoza dallin- debita antropomorfizzazione del concetto di Dio, che anzich essere concepito come realt sostanziale assoluta priva di progettualit, buona o cattiva che sia,  concepito come traslazione trascendente della realt umana, per sua natura pro- gettante. Come si vede, lo stesso Feuerbach non ha aggiunto nulla di essenziale a questo concetto spinoziano di alienazione religiosa. E tuttavia, il punto essenziale non  qui, ma sta in ci, che i marxisti non sono stati capaci di imparare da Spinoza il segreto filosofico che avrebbe loro permesso di esaminare razionalmente la loro propria illusione ideologica antropomorfizzante. Anche se il tema dovrebbe essere trattato pi avanti, approfitto di questo mio elogio di Spinoza per parlarne su- bito. Spinoza ha individuato nella indebita antropomorfizzazione di Dio il nucleo di tutte le illusioni e di tutte le paure delluomo. In questo - ma solo in questo -  stato un materialista prosecutore di Epicuro, ed anche per questo la cop- pia Epicuro-Spinoza  piaciuta tanto al giovane Marx. I marxisti, in teoria seguaci di Epicuro, Spinoza e Marx, hanno in realt fatto tutto l'opposto, perch hanno invece antropomorfizzato sia la storia sia il loro stesso movimento politico-ideo- logico. Hanno antropomorfizzato la storia, costruendo una vera e propria Grande- Narrazione (Lyotard) in cui un soggetto pieno, allinterno di un flusso storico-tem- porale concepito come continuo ed omogeneo (lo storicismo, appunto), garantisce con il mantenimento della sua identit (rivoluzionaria) iniziale la realizzazione finale del suo progetto originario (il ristabilimento della giustizia sociale perduta  equivalente laico della caduta nel peccato originale). Hanno poi antropomorfiz- zato anche il loro proprio movimento ideologico, inventandosi un padre fondatore divinizzato che non si sbaglia mai (Karl Marx, appunto), un suo san Paolo che lo interpreta sempre correttamente e senza errori (Engels, appunto), una sua parousia storica messianica e liberatrice che fonda quanto pi assomiglia al regno di Dio in terra (Lenin, appunto) ed infine una lotta zoroastriana e manichea fra il Bene (lortodossia) ed il Male (il relativismo). Se avessero letto (e soprattutto capito, che  altra cosa) Spinoza, avrebbero potuto sviluppare opportuni anticorpi. Ma  noto che non c' peggior sordo di chi non vuol sentire.  stato Spinoza un ateo, che ha nascosto il suo ateismo implicito sotto una maschera panteistico-neoplatonica? Da Bayle in poi si  sviluppata la tendenza a concepirlo come un ateo virtuoso, ma questo uso ateo di Spinoza non fa a mio avviso parte della storia dello spinozismo vero e proprio, come non ne fa parte linterpretazione panteistica di Lessing, che pure ha giocato un ruolo decisivo nella 199 CarritoLo XXV partenza dellidealismo tedesco posteriore. La Storia della Filosofia dell Accade- mia delle scienze della defunta URSS parla apertamente dellateismo di Spinoza, ma questa interpretazione deve passare attraverso un filtro ermeneutico pi com- plesso ed articolato. Che il Dio di Spinoza non abbia nulla a che vedere con il Dio ebraico e cristiano mi sembra evidente, a meno che queste divinit ed i loro appa- rati sacerdotali possano rinunciare alla loro concezione teistica, antropomorfizzata e soggettivistico-normativa della divinit stessa (giudizio finale, ecc.). E tuttavia, anzich chiedersi se Spinoza fosse un ateo mascherato per opportunismo, oppu- re un panteista neoplatonico passato attraverso la terminologia filosofica cartesia- na con il suo meccanicismo palese ed ostentato,  meglio farlo passare attraverso le due tradizionali interpretazioni materialistica ed idealistica. Solo dopo sar pos- sibile proporre la mia personale interpretazione di Spinoza, che deriva comunque dalla precedente interpretazione di Andr Tosel. La grande maggioranza degli spinozisti non religiosi inserisce Spinoza nella tra- dizione materialistica.  interessante  in proposito  notare il fatto che quasi tutti i marxisti antistaliniani recepiscano ed accettino di fatto la sacralizzazione atea della storia della filosofia fatta nel 1931 da Stalin, con la connessa tavola dei buoni (i materialisti) e dei cattivi (gli idealisti). E tuttavia costoro possono rispondere che accettano questa tabella non perch lha proposta per la prima volta Engels, lha poi consacrata Lenin, che per definizione non sbaglia mai, e l'hanno infine recepita Stalin, Trotsky e Mao Tse Tung, ma perch risulterebbe dalla storia della filosofia stessa. A me personalmente non risulta per niente, e che non risulti per niente lo discuter nel prossimo capitolo, in cui manifester la mia adesione allinterpreta- zione della studiosa greca Maria Antonopoulou. Ma torniamo al nostro Spinoza materialista. La spinozista italiana Emilia Giancotti ha riassunto in questo modo chiaro e cristallino l'interpretazione materialistica di Spinoza: Ateismo, determinismo, definizione della materia come attributo della sostanza, teoria della verit come corrispondenza dell'idea al dato reale, riduzione dell'anima ad idea del corpo, concezione delluomo come parte della natura, libert come ragione ossia come consapevolezza della necessit, democrazia diretta. Sono questi i principi dello spinozismo che, senza cadere in banali semplificazioni, rendono legittima la sua collocazione allinterno di una linea di sviluppo del pensiero occidentale che, pas- sando attraverso le elaborazioni del materialismo metafisico, approda al materiali- smo storico e dialettico. Pi chiaro di cos! Emilia Giancotti aggiunge che lanalisi spinoziana degli affetti, in particolare nel principio del superamento delle passioni attraverso la conoscenza,  stata una fonte della psicoanalisi freudiana, mentre il concetto di libert dell'uomo come consapevolezza della necessit, attraverso la mediazione di Hegel, passer a far parte del patrimonio dottrinario del materiali- smo storico e dialettico, vedi Anti-Dihring di Engels. Devo personalmente molto all'ombra benefica di Emilia Giancotti, che mi in- vit ripetutamente ad Urbino permettendomi di partecipare ad alcune delle pi profonde discussioni filosofiche della mia vita. E tuttavia il rispetto che si deve alla 200 La centralit del pensiero di Spinoza nel ristabilimento moderno dell'ontologia dell'essere sociale filosofia, di cui tutti siamo figli, mi induce a criticare molte delle sue affermazioni. In primo luogo, essendo allieva ed amica di Ludovico Geymonat, Emilia Giancotti difendeva anche il cosiddetto materialismo dialettico, sia pure nella versione di Geymonat e non in quella di Stalin. E tuttavia questo per me  un errore, per- ch il miglior involucro filosofico per poter concettualizare il progetto comunista di Marx non  n il materialismo dialettico n il materialismo aleatorio, e neppure lo spinozismo anti-hegeliano di Negri e di Illuminati, ma  lontologia dellessere sociale. In secondo luogo, non credo che esista qualcosa chiamata linea di sviluppo del pensiero occidentale da Epicuro a Marx oppure da Platone a Hegel, e che questa immagine continuistico-bidimensionale sia solo unillusoria grande-narrazione deterministico-teleologica con l'esito prefissato dalla vittoria finale della Scienza (materialistica) sulla Filosofia (idealistica). Un sogno - o meglio, un incubo  posi- tivistico. In terzo luogo, penso abbia ragione Lukcs nel rilevare che ci che caratteriz- za Spinoza non sia tanto il superamento delle passioni attraverso la conoscenza, tema cristiano per eccellenza (la conoscenza del Bene, infatti, ci fa superare, o alme- no controllare, le passioni stesse), quanto proprio il far giocare una passione contro laltra (in questo caso, la passione della conoscenza). E ancora, in quarto luogo (e questo  un tema che percorre sia lOntologia che i Prolegomeni di Lukcs) la concezione marxiana della libert non deve e non pu essere identificata con la coscienza della necessit. Questa  certamente un'opinione di Engels, che era per strettamente correlata ideologicamente alla credenza nel crollo necessario della pro- duzione capitalistica, per cui la libert era ridefinita come consapevolezza del singolo del necessario crollo della produzione capitalistica stessa. Meno di mezzo secolo prima Marx aveva definito ben diversamente la libert. Non certo coscienza della necessit, identificata nella caduta verticale degli atomi di Democrito, ma deviazione consapevole dalla necessit stessa, metaforizzata dalla deviazione degli atomi stessi in Epicuro (clinamen, parekklisis). Fu infatti Plekhanov, nei suoi peraltro profondi studi su Spinoza e lo spinozismo, a popolarizzare lidea che Marx avesse desunto da lui la coincidenza di libert e di consapevolezza della necessit. Ma questa equazione  sbagliata, ed assomiglia allequazione che in quegli stessi anni veniva fatta fra Darwin ed il darwinismo sociale. Darwin aveva certo parlato di lotta per la vita (struggle for life), ma ne aveva parlato esclusivamente per il mondo animale, non per luomo. L'uomo, infatti, da un lato fa parte del mondo animale, ma dall'altra parte il suo genere specifico (Gattung) lo mette in condizione di su- perare consapevolmente la lotta per la vita con la cooperazione e la solidariet. Nello stesso modo Spinoza, non potendo ancora disporre di un concetto di storia (che appunto - secondo linterpretazione di Koselleck  nasce soltanto cento anni dopo Spinoza nel senso di unificazione simbolica della temporalit umana in base ad un solo concetto unitario di tipo trascendentale riflessivo), non poteva neppure interpretare la storia stessa come luogo dell'identit di libert e di coscienza della necessit. Mai come in questo caso, la retroazione di simili concetti  indebita e pericolosa. 201 CarrroLo XXV Con questa discussione critica con l'ombra benefica di Emilia Giancotti non in- tendo certo affermare che Spinoza non appartenga alla storia del materialismo, se qualcuno ovviamente (ma non  il mio caso) pensa che esista una storia unitaria del materialismo da Democrito a Marx e oltre. Io non lo penso, ma se qualcuno vuole pensarlo lo pensi pure.  sempre meglio costruire una (inesistente) gran- de narrazione teleologica che pensare che la filosofia sia soltanto una disordinata filastrocca di opinioni casuali. La prima tesi  errata, ma razionale. La seconda  semplicemente stupida, e la stupidit  irrecuperabile. Detto questo, diamo la pa- rola a Hegel, che invece suggerisce che di Spinoza si possa dare uninterpretazione apertamente idealistica, o almeno di precursore indiretto dellidealismo. Nelle sue Lezioni sulla Storia della Filosofia Hegel infatti ci invita, a proposito di Spinoza, ad uno sbalorditivo ennesimo riorientamento gestaltico. Hegel parte dal fatto che molti hanno mostrato corruccio verso Spinoza. Ci si aspetterebbe che Hegel confermasse la banalit per cui coloro che hanno mostrato corruccio verso Spinoza lo hanno fatto perch Spinoza ha negato recisamente lesistenza del Dio personale ebraico e cristiano in favore di un Deus sive Natura, ci per cui la comu- nit ebraica lo ha colpito con una terrificante scomunica ed un fanatico ha cercato addirittura di pugnalarlo. Niente di tutto questo. Per Hegel, invece, quelli che han- no accusato Spinoza di ateismo (e che per lui hanno torto e lo hanno interpretato male) sono meno preoccupati di Dio che del finito. Quelli che cos lo denigrano non vogliono infatti salvare Dio, ma la mondanit. Essi gli mostrano corruccio per- ch Spinoza li ha distrutti insieme con il loro mondo. Trovo questa affermazione hegeliana stupefacente per acutezza e pertinenza. Hegel ritiene infatti che non si possa nemmeno iniziare a filosofare se lanima non si tuffa in questetere di un'unica sostanza, in cui viene sommerso tutto quel che precedentemente era ritenuto vero. Ogni filosofo deve cos giungere necessa- riamente a questa negazione di tutto ci che  particolare, e ci non  nient'altro che la liberazione dello spirito e la sua base assoluta. Ci che  grandioso nel modo di pensare di Spinoza  riassume Hegel -  l'aver egli potuto rinunciare ad ogni determinazione, ad ogni particolare, per riferirsi soltanto allUno, per poter tenere in considerazione soltanto questo. Come  noto, Hegel not che Spinoza aveva esagerato nel suo idealismo, fino a vedere nellUno soltanto Dio e non invece anche il mondo (acosmismo). E qui Hegel riprende il tema del suo capolavoro filosofico del 1802 (cfr. Rapporto dello scetticismo con la filosofia), saggio-chiave per la comprensione di tutto il suo pensiero posteriore, per cui l'essenza della filosofia non sta certamente nel rimuovere lo scetticismo, ma nel partire coraggiosamente da una sua analisi radicale per poterlo poi conservare-superare (aufheben) nella sua posteriore elaborazione dialettica. Spinoza (e non Fichte) diventa cos per Hegel il primo vero idealista, ed  per questo che gli si mostra corruccio, non perch abbia negato Dio, o lo abbia identi- ficato con la natura, ma perch ha distrutto il mondo empirico di chi ritiene di poterlo conoscere direttamente e senza mediazione filosofica nella sua molteplicit irrelata. Spinoza ha distrutto quella che il filosofo marxista ceco Karel Kosfk nel- 202 La centralit del pensiero di Spinoza nel ristabilimento moderno dell'ontologia dell'essere sociale la sua Dialettica del Concreto (un capolavoro assoluto del marxismo novecentesco) chiamer poi il mondo della pseudo-concretezza. Ho riportato abbastanza esattamente le opinioni della Giancotti e di Hegel per- ch esse permettono di inquadrare la questione-Spinoza oggi, finito il tempo dello Spinoza di Bayle, di Lessing, di Engels e di Plekhanov. E tuttavia, ritengo che la lettura di Spinoza fatta dal filosofo francese Andr Tosel sia quella che ci porta pi vicini allo spirito di Spinoza. Tosel inserisce Spinoza nella cosiddetta tradizio- ne materialistica, cosa che io mi guardo bene dal fare, ma tutto ci  veramente di secondaria importanza. Ci che conta, invece,  ci che si trova dentro Spinoza. Tosel osserva che Spinoza  un grande riformatore della metafisica perch in lui l'essere non viene creato (teologia cristiana), e neppure sta l da sempre (metafisica platonica), ma viene prodotto, ed in quanto viene prodotto  anche intelligibile in via di principio. Questa lettura avvicina di fatto Spinoza al Vico del verum ipsum factum, in quanto proprio il fatto che la verit non sia un presupposto atemporale ma sia un prodotto della prassi umana la fa diventare anche oggetto di conoscenza possibile. A me sembra che le cose stiano proprio cos, che la coppia Spinoza-Vico stia in questo senso congiuntamente all'origine del pensiero moderno. Secondo Tosel, Spinoza voleva costruire veramente un'etica, ed  riuscito a farlo perch ha evitato la doppia via ingannatoria del libero arbitrio e del dover essere. Il dover essere stacca luomo reale dall'uomo ideale, e qui abbiamo una critica an- ticipata alla morale di Kant. Il presupposto formalistico del libero arbitrio, inve- ce, mette al centro dellazione un uomo (luomo dellumanesimo astratto), che diventa cos teoricamente onnipotente e creatore delle sue scelte libere, laddove invece quel poco o tanto che luomo concreto pu veramente fare lo pu fare sol- tanto se capisce che cosa lo determina e lo produce a sua volta come effetto. Anche qui, ovviamente, abbiamo una geniale critica anticipata alla morale di Kant, che secondo Lukcs (ed io concordo) fa continuamente oscillare luomo moderno da una onnipotenza astratta ad una concreta impotenza. Nellinterpretazione di Tosel, l'etica di Spinoza  prima di tutto una teoria delle possibilit immanenti offerte alla natura umana, senza alcuna garanzia divina e senza alcuna sicurezza finale. L'etica, in definitiva,  sempre e solo una possibilit di etica data all'uomo capace di eticizzarsi, nel significato aristotelico del termine possibilit come essente-in-possibilit e singolarit individuale (dynamei on). Il fatto che questa possibilit razionale di vivere eticamente abbia come fondamento lente specifico, e cio la singolarit dellesistenza materiale, fa s che non ci possa essere una liberazione etica simultanea di tutti imembri della collettivit umana (multitu- do). E tuttavia Spinoza  un pensatore della democrazia radicale, e non potrebbe mai teorizzare e giustificare la separazione della societ in due parti platonicamente intese, la parte che  gi stata capace di eticizzarsi e la parte che non ne  anco- ra stata capace, e quindi deve sottomettersi politicamente agli etici. Tosel nota che per Spinoza il saggio non pu trovare la sua salvezza individuale fuori della citt, e pertanto fuori della politica. Il fatto che Spinoza abbia una filosofia politica democratica, ed abbia sempre rifiutato ogni tentazione elitaria ed aristocratica di 203 CaprroLo XXV una dittatura di illuminati fa s che - secondo Tosel - la democrazia sia una si- tuazione politica di coesistenza regolata del saggio e di coloro che non lo sono ma che potrebbero in via di principio diventarlo tutti, di colui che si suppone abbia acquisito il controllo razionale di se stesso e della sua natura e di coloro che non l'hanno acquisito. La tentazione dellelitarismo, che da Platone in poi assimila la filosofia politica occidentale, verrebbe cos da Spinoza esplicitamente esclusa. Ritengo che Tosel abbia ragione nellessenziale, e che i punti che mette in eviden- za siano pi importanti dell'etichetta che possiamo incollare al sistema di Spinoza, se esso cio faccia parte della cosiddetta tradizione materialistica (Giancotti), op- pure se con un riorientamento gestaltico radicale possiamo invece collocarlo agli inizi impliciti dellidealismo moderno (Hegel, e sulla sua scia, il modesto scrivente).  invece pi importante guardare a Spinoza con gli occhi di Tosel, e mi permetto allora di concludere questo capitolo con una riformulazione complessiva e rias- suntiva personale. Spinoza  del tutto estraneo alla costituzione formalistica del soggetto (il Cogito di Cartesio), che fa da presupposto gnoseologico alla messa-a-disposizione-del- mondo (Heidegger e la sua concezione di immagine del mondo, Weltbild, come oggetto di manipolazione integrale degli enti in un mondo preventivamente desa- cralizzato, e quindi secolarizzato). L'operazione astrattizzante di Cartesio (il Cogito, appunto)  funzionale alla concretizzazione estrema di un mondo ridotto ad esten- sione (res extensa), estensione che  metafora del piano orizzontale su cui si svolge lo scambio delle merci del mercato capitalistico. Questa estensione (res extensa) non deve avere n Alto n Basso, n Dio n Diavolo, n Paradiso n Inferno. Deve essere una semplice estensione liscia, un piano di scorrimento perfetto, un luogo di svolgimento di spinte puramente meccaniche, una fisica d'urto di particelle. Certo, Cartesio  ancora per molti versi un uomo di transizione, ed a fianco di questi elementi futuribili conserva ancora elementi metafisici tradizionali (idee innate, lesistenza di Dio, prove razionali della sua dimostrabilit, ecc.). Ci penseranno progressivamente Locke, Hume e Kant a perfezionare la secolarizzazione. Spinoza utilizza il lessico filosofico cartesiano, e non poteva fare diversamen- te. Il meccanicismo deterministico  limmagine del mondo dellepoca, frutto del progresso delle scienze naturali. Ma Spinoza sfugge ad ogni riduzionismo (atei- smo, panteismo, libertinismo, neoplatonismo, meccanicismo, determinismo, ecc.), perch propone un umanesimo non antropocentrico, cui riesce a giungere proprio perch si era preventivamente liberato di una immagine antropomorfica di Dio. Si tratta anche di un umanesimo democratico e non elitario, in cui i saggi non si costi- tuiscono in setta platonica, ma coabitano, coesistono, soffrono e godono insieme con i non-ancora-saggi, ma pur sempre saggi-in-possibilit (Aynamei on). Il comu- ne genere, infatti (Gattung) permette un comune processo di conformit al genere (Gattungsmdissigkeit). L'etica e la politica cos coincidono. Spinoza  quindi un filosofo dellemancipazione a pari grado con Marx. Il ter- mine essenziale : a pari grado. 204 XXVI. LA GRANDE INSTAURAZIONE ILLUMINISTICA DEL FONDAMENTO METAFISICO DEL PENSIERO BORGHESE MODERNO: IL TEMPO DEL PROGRESSO, LO SPAZIO DELLA MATERIA ED IL LAVORO ASTRATTO. LA CRITICA UTILITARISTICA AL DIRITTO NATURALE ED AL CONTRATTO SOCIALE In un certo senso, il difficile comincia adesso. L'individuazione nel metron e nel katechein del cuore del pensiero filosofico greco non  difficile, se appena si capisce il perch del fatto che trecento anni dopo la sua formazione Aristotele poteva aver- ne dimenticato la genesi ed in questo modo, partendo logicamente da questa di- menticanza, poteva proporne una classificazione destoricizzata e desocializzata sulla base dello schema delle quattro cause (materiale, formale, efficiente e finale). Le ragioni del passaggio del pensiero stoico dall'originale contestazione provoca- toria dei costumi ordinari (anaideia) all'innocuo modello del saggio imperatore che cerca di opporsi alla totale e feroce insensatezza del mondo con il controllo delle passioni (ataraxia) non sono difficili da comprendere, se ci si impadronisce della dinamica storica di legittimazione ideologica dell'impero schiavistico romano. Il processo al profeta messianico Ges di Nazareth e la sua crocifissione per terrorismo zelota (INRI) non sono difficili da capire, se pensiamo alla pericolosit per le classi dominanti e per la collaborazione sinedrio ebraico mafioso / occupante militare romano dell'annuncio rivoluzionario-sociale dell Anno di Misericordia del Signore, programma di remissione dei debiti e di liberazione degli schiavi. La stes- sa trasformazione di un annuncio messianico di liberazione sociale in religione ge- rarchica di gestione simbolica della vita quotidiana in un quadro socio-politico di gerarchie feudali sacralizzate non  affatto difficile da capire, se ci si impadronisce concettualmente della teoria maxweberiana della trasformazione necessaria di un annuncio utopico-messianico in razionalizzazione simbolica della vita quotidiana, in particolare nei suoi momenti di passaggio (la morte, innanzitutto).  facile capire altres che il solo modo concettuale-simbolico di razionalizzare la propria intransigente opposizione morale ad una chiesa corrotta ed ad un ordo franciscanus normalizzato e collaborazionista era la costruzione di una filosofia no- minalistica, che negava gli universali astratti e concretizzava tutto ci che cera di sacro e di buono nella somma di individui che formavano la chiesa invisibile.  facilissimo capire, altres, che il perdonismo pacifista del Nuovo Testamento, pieno di inviti ad offrire laltra guancia allo schiaffo e ricco di minacce ai ricchi di restare fuori dal regno dei cieli (che significa, ovviamente, non regno delle nuvole, ma regno terrestre secondo il mandato dei cieli), non poteva adattarsi ai nuovi pro- getti colonialisti ed imperialisti inglesi ed olandesi (e poi americani), ma ci voleva un ritorno simbolico allAntico Testamento per poter proiettare i propri progetti 205 CarrroLo XXVI sacralizzati sul popolo eletto da Dio. Ed  forse meno facile, infine, ma neppu- re troppo difficile, capire che l'accoglimento sociale generalizzato della teoria del Cogito di Cartesio non  dovuta ad un generale rincoglionimento intellettuale di massa degli uomini del seicento, ma al fatto che al vecchio lavoro artigianale e contadino precedente, che richiedeva una mentalit materiale e materialistica (altro che metafisica idealistica medioevale!), si stava sostituendo un nuovo lavoro astratto di gestione ed organizzazione della produzione precapitalistica, lavo- ro astratto che richiedeva imperativamente un pensiero astratto ed un soggetto astratto che ne fosse il portatore. Tutto questo, e molto altro ancora,  stato relativamente facile da capire, anche se  impossibile sottoporlo alla discussione razionale dei sostenitori della filosofia come dossografia di opinioni casuali. Ad un certo punto, a Talete viene in mente lacqua, a Locke la tolleranza, a Hume lurto delle bocce di biliardo, ecc. Costoro non vogliono essere defraudati del loro modo di concepire il processo storico del pensiero, cos come i bambini non vogliono essere defraudati della palla con cui giocano. E tuttavia, bisogna finalmente passare a ragionare sul perch fino ad ora le cose sono state relativamente semplici, ed il difficile inizia soltanto adesso. Le ragioni sono molte, ma qui per chiarezza mi limiter a discuterne solo due. La prima  la meno importante, anche se sociologicamente la pi efficace. La seconda  di gran lunga la pi importante, anche se ben pochi sono riusciti fino ad oggi ad impadronirsene concettualmente. Iniziamo allora dalla prima, la pi semplice e banale, che richiede soltanto un atto di coraggio intellettuale e di anticonformismo. La seconda, invece, far da tessuto concettuale connettivo non solo di questo capi- tolo, ma anche dei successivi, fino al quarantesimo ed ultimo. La prima ragione della difficolt di concettualizzare questo passaggio d'epoca sta in una sorta di intimazione, lintimazione ad adeguarsi alla cosiddetta mo- dernit, salvo l'esclusione, lirrisione ed il confinamento nelle cosiddette lunatic fringes,  gruppi marginali pittoreschi che credono alla terra piatta ed agli uomini verdi. Il circo mediatico asservito, che ha sottomesso integralmente alla sua ri- produzione ideologica complessiva le caste universitarie dei professori di scienze sociale e di filosofia (vi sono ovviamente eccezioni, che come  noto da sempre confermano la regola), ha da tempo imposto al chiacchiericcio dei semi-colti il ter- mine modernit nel significato di adeguamento passivo alla riproduzione capi- talistica complessiva anonima ed impersonale, ed il termine modernizzazione nel significato di partecipazione attiva ai processi di adeguamento individuale e collettivo. Pregare  diventato premoderno, e mettersi un piercing al naso  inve- ce diventato interamente moderno. Da Adorno a Bloch, da Heidegger a Lukacs, una parte della grande filosofia novecentesca si  opposta a questa dittatura della pubblicit (lespressione  az- zeccatissima   di Adorno), ma dopo il crollo del comunismo storico novecentesco in Europa (1989-91) anche la filosofia universitaria  stata normalizzata, per cui si  passati dal consenso ad Adorno allo studio filologico dei testi minori di Adorno, letti come si legge Duns Scoto e Malebranche. 206 La Grande Instaurazione illuministica del fondamento metafisico del pensiero borghese moderno Ovviamente, tutto questo  passeggero.  passeggera l'ammirazione per Habermas, che ha seppellito per la seconda volta i suoi maestri, tanto migliori di lari, il quale spaccia per pensiero metafisico tutto ci che critica il capitalismo, definito come lultimo involucro possibile del pensiero post-metafisico. In pro- posito, Roland Barthes ha scritto un giorno: Ad un certo punto, mi  diventato completamente indifferente non essere pi considerato moderno. Non si poteva dire meglio. Chi scrive ha smesso da tempo di interiorizzare una sorta di vergogna culturalistico-intellettuale per poter essere criticato come non moderno. Essere post-moderni infatti  socialmente accettato, ed anzi incoraggiato e favorito, men- tre essere definiti e considerati non-moderni ed anti-moderni  oggetto di vergo- gna. In questo grottesco gioco delle tre carte i pubblicitari ed i giornalisti, diventati # clero della modernit capitalistica, e quindi gli oratores che anzich pregare Dio pregano il flusso globalizzato delle merci, hanno quasi completamente imposto ai filosofi ed ai politici il terreno simbolico su cui  obbligatorio muoversi. La prima mossa, ed anzi la prima regula in senso cartesiano-spinoziano  dunque ignorare sovranamente qualunque ingiunzione ad adeguarsi alla cosiddetta modernit. La modernit  il primo degli idola di cui disfarsi, per dirla con Bacone. Chi ne accetta la costruzione pubblicitaria all'adeguamento  gi al di fuori di ogni vero dibattito filosofico, e non ci rientrer probabilmente pi dentro. Il secondo punto  per molto pi importante del precedente. Mentre per il precedente basta un atto di coraggio, e cio il far mancare l'assenso soggettivo al comando imperativo di modernizzarsi, e mentre nei modi di produzione pre- capitalistici a base religioso-sacrale si poteva pagare questa mancanza dassenso con il rogo, oggi lo si paga al massimo con l'emarginazione, la mancanza di re- censioni da parte della trib dei colti, ecc., per questo secondo punto, invece, non basta ridere o piangere  come direbbe Spinoza - ma bisogna anche capire. E capire (intelligere) e la cosa pi difficile di questo mondo, perch costringe ad una conversione (metanoia) di tutto il proprio orientamento culturale. Dico subito al lettore entusiasta di non farsi illusioni: solo i giovani sono fisiologicamente e psico- logicamente capaci di metanoia, i vecchi e le persone di mezza et  salvo eccezioni mumericamente poco rilevanti - non lo sono quasi mai. E qual  questo secondo punto concettuale decisivo? In estrema sintesi, esso sta in ci, che senza distinguere accuratamente la borghesia ed il capitalismo la comprensione filosofica della cosiddetta modernit  del tutto impossibile. La borghesia  un soggetto sociale e culturale complessivo, che non  soltanto no- minalisticamente composto da una addizione di singoli borghesi l'uno diverso dall'altro, il che comporterebbe se si vuol essere conseguenti l'impossibilit asso- luta di usare questo concetto. In quanto soggetto, gli si applica il pensiero dialet- tico, che  un pensiero delle vicende contraddittorie del soggetto stesso nelle sue odissee di perdita e di possibile riappropriazione. Il capitalismo, o pi esattamente il modo di produzione capitalistico (Marx), non  affatto un soggetto sociale e cul- turale complessivo, ma  un processo strutturale anonimo ed impersonale, o se si vuole un processo senza soggetto (Louis Althusser), oppure per dirla con Martin 207 CarrroLo XXVI Heidegger un Dispositivo di impianto e di imposizione (Gestell).  del tutto chia- ro che la Borghesia e il Capitalismo si intersecano continuamente in un intreccio strettissimo, ma che in senso storico la stessa Borghesia  stata il motorino dav- viamento economico dellaccumulazione capitalistica. Non intendo negare una simile ovviet. La borghesia non  certo la res cogitans di Cartesio, come il capita- lismo non ne  certamente la res extensa. Bisogna evitare ogni occasionalismo alla Malebranche. Nelle stesso tempo, solo la preventiva distinzione concettuale astrat- ta potr permettere poi le operazioni di ricollegamento storico fra le due entit. Il pensiero liberale ed il pensiero marxista hanno invece sempre condiviso un curioso minimo comun denominatore, e cio lidentificazione fra borghesia e capi- talismo, per cui la borghesia  sempre stata vista come il suo lato soggettivo, ed il capitalismo il suo lato oggettivo. La borghesia, in altre parole, il creatore, ed il capitalismo il creato. Questa confusione porta al livello della rappresentazione (Vorstellung) alla religione del capitalismo, ed al livello del concetto (Begriff) alla metafisica filosofica del capitalismo. Impadroniamoci quindi concettualmente di questo nucleo metafisico, e tutto quel che ne seguir non ne  che dettaglio, inte- ressante certamente, ma pur sempre dettaglio. A proposito del capitalismo e della sua progressiva costituzione storica, i libera- li ed i marxisti ne condividono entrambi la stessa concezione provvidenzialistica. Per i liberali lavvento del capitalismo  stato provvidenziale, perch in questo modo lhomo oecomomicus, il soggetto proprietario imprenditore visto come il su- premo modello antropologico dell'intera umanit, ha potuto finalmente liberar- si degli impacci religiosi ed assolutistici, creando un mondo che per i suoi critici sar magari solo un grande ammasso di merci (Marx), me per i suoi apprezzatori moderni svincolati dai pregiudizi pre-moderni  invece il regno delle oppor- tunit e del consumo finalmente alla portata di tutti. Per i marxisti l'avvento del capitalismo  altrettanto e forse ancor pi provvidenziale, perch  il presupposto storico necessario al suo successivo subentrare come stadio supremo e definitivo dell'evoluzione umana. Certo, per i primi il capitalismo  buono e l'alienazione non esiste (Habermas ha scritto che non  un concetto scientificamente operativo - sento gi che Adorno si rivolta nella tomba, visto che  stato lui ad innalzare il parricida!), mentre per i secondi il capitalismo  cattivo ed esiste l'alienazione (ad eccezione che per i seguaci di Althusser, che sul punto dellinesistenza dellalie- nazione condividono il punto di vista dei liberali). E tuttavia, direbbe Heidegger, la loro differenza si situa soltanto nellirrilevante mondo dei valori, laddove nel ben pi importante mondo della concezione globale metafisica liberali e marxisti condividono integralmente lidea della provvidenzialit dell'avvento del capitali- smo stesso. Robert Brenner, che ha dedicato studi profondi alla nascita e poi al successivo decollo (take off) del capitalismo inglese, ha accertato che questa nascita non ha avuto alcun carattere di fatale necessit, ma  stata dovuta integralmente ad una serie di coincidenze storiche del tutto contingenti e casuali. In altre parole, il ca- pitalismo cos come noi lo conosciamo, inteso come processo non solo di differen- 208 La Grande Instaurazione illuministica del fondamento metafisico del pensiero borghese moderno ziazione funzionale ma anche e soprattutto di separazione fra economia e politica, seguita poi da un dominio progressivo della prima sulla seconda, avrebbe anche potuto non nascere mai, e non c'era nessuna necessit storica provvidenziale, pi o meno secolarizzata e laicizzata, che ne imponesse la nascita. E del resto an- che Karl Polanyi era giunto alle stesse conclusioni di Robert Brenner, sulla base di una ricchissima analisi comparativa delle societ umane. La regola storica genera- le - secondo Polanyi -  che la cosiddetta economia  sempre stata incorporata (embedded) nella pi generale riproduzione sociale a base politica e religiosa. La religione non  quindi una superstizione, cui si pu al massimo concedere un'ir- rilevante ed impotente coltivazione nella sfera privata (un po come accade per la pornografia  per la filatelia), e la politica non  una escrescenza parassitaria di caste di burocrati mangioni. L'affermazione del primato dell'economia su tutte le altre sfere dellagire umano (e qui potrei citare oltre a Karl Polanyi ed a Robert Brenner anche autori meno conosciuti come Karl Marx e Max Weber)  un dato storico, non certo metafisico-provvidenziale. Questo riguarda il capitalismo, o pi esattamente il modo di produzione capita- tistico (che non  affatto una determinata societ capitalistica realmente esistente, ma un modello teorico ad un tempo idealtipico nel senso di Weber ed ontologico nel senso di Lukcs). Il capitalismo non  quindi uno strumento il cui manico  sempre tenuto strettamente in mano da un artigiano chiamato borghesia, ma  un processo dinamico di allargamento anonimo ed impersonale, una struttura di strutture alla Althusser o se si vuole alla Luhmann, un dispositivo (Gestell) alla Heidegger. In ogni caso, il capitalismo e la borghesia non si identificano. Per pi di duecento anni in molte parti del mondo c' stato (e tuttora in molte parti c' ancora) un capitalismo dialettico borghese e proletario, ma ora sta emergendo un nuovo capitalismo speculativo, largamente post-borghese e post-proletario. Lo analizzeremo pi avanti. Per ora, basti rilevare che chi confonde ed identifica la borghesia (un soggetto sociale trascendentale e riflessivo, e quindi dotato di au- tocoscienza dialettica) ed il capitalismo (una struttura di strutture modali la cui riproduzione allargata  fortemente sistemica, e quindi anonima ed impersonale) non  in grado di tematizzarne in modo filosoficamente e concettualmente adegua- to n la nascita, n lo sviluppo, n lattuale trapasso verso un modo di produzione ad un tempo ipercapitalistico, ma anche postborghese e postproletario. Con tutto il rispetto, ritengo che la grande ontologia dell'essere sociale di Lukcs, presuppo- sto indispensabile di ogni lavoro posteriore (come il mio qui presente), sia ancora segnata (e non poteva storicamente essere diverso  Lukcs  morto nel 1971) dalla sostanziale identit fra borghesia e capitalismo, e quindi dall'impossibilit di at- tingere concettualmente lidea di una societ ad un tempo ipercapitalistica e per anche postborghese e postproletaria. Ma facciamo un passo per volta. Sono perfettamente a conoscenza del fatto che il concetto sociologico di bor- ghesia non  affatto univocamente definibile e determinabile, anche perch (come tutti gli studiosi di impronta marxista) ho sempre diligentemente studiato le cosid- dette rivoluzioni borghesi, da quella inglese del 1640 a quella francese del 1789. 209 CarrtoLo XXVI Se ci si limita ad un (pur necessario ed indispensabile) approccio sociologico si scopre che il concetto unitario, o pi esattamente storico-unitario, di borghesia non corrisponde mai a nulla determinato. Esistono strati sociali diversi, spesso con interessi addirittura divergenti. La storica francese Rgine Robin, studiando la cosiddetta borghesia francese prima del 1789, non  riuscita a trovarla, ma ha soltanto potuto classificare strati sociali diversi. La Robin ha ragione. Il concetto di borghesia  largamente artificiale, e risulta da una sovrapposizione categoriale posteriore resa possibile proprio dall'avvento del capitalismo, il che ha consentito di unificare in modo trascendentale-riflessivo il concetto di borghesia come por- tatrice unitaria della gestione dei processi economici di accumulazione del capita- le. Lo stesso Marx, che pure aveva una grande sensibilit storica, utilizza il concet- to unitario di borghesia come soggetto portatore (Trger) dei nuovi rapporti di produzione capitalistici. E tuttavia,  nel nostro pieno diritto problematizzare autonomamente lintera questione, senza farci spaventare dai grandi del passato che lo hanno gi fatto. Se lo facciamo, scopriamo lintersecarsi dialettico di un processo strutturale, sistemi- co, anonimo ed impersonale (l'affermarsi progressivo dei rapporti di produzione capitalistici) e di un processo dialettico soggettivo, sia pure di un soggetto colletti- vo costruito attraverso un concetto unitario di tipo trascendentale-riflessivo (l'af- fermarsi della borghesia come soggetto portatore di una cultura contraddittoria, basata sulla compresenza di una coscienza apologetica e di una coscienza infelice). Esaminiamo allora questo secondo aspetto. Da questo esame risulter poi lintero contenuto ulteriore di questo capitolo. E non essendo qui possibile (e neppure ne- cessario  l'eccessiva fissazione sui singoli alberi fa perdere di vista l'insieme della foresta) fornire una completa descrizione dossografica sui singoli autori (basta per questo la lettura di una buona analitica storia della filosofia), limitiamoci a fissare alcuni punti essenziali da ricordare. In primo luogo, non bisogna dimenticare mai che la stessa fissazione del concet- to astratto di borghesia non  che la costituzione ideale (donde necessariamen- te lidealismo) di un soggetto ricavato idealtipicamente (Karl Marx, Max Weber), laddove nellempirica realt sociologica questo soggetto non esiste veramente se non come aggregato plurale di strati sociali diversi ed in alcuni casi addirittura an- tagonisti. Chi pensa che il metodo marxista consista in una registrazione storicisti- ca e sociologica del reale empirico, sempre pluralistico per definizione, si interdice con questo ogni possibile comprensione. La borghesia  necessariamente lidea di borghesia. Chi vuol rifiutare questa astrazione per odio verso lidealismo la ri- fiuti pure, e si trover con un pugno di mosche in mano. In secondo luogo, proprio perch il concetto di borghesia  un concetto unita- rio ricavato con una astrazione trascendentale-riflessiva, esso si compone ontolo- gicamente di due lati complementari e contraddittori, il lato apologetico, che lo fa aderire al processo di sviluppo capitalistico fino a farsene assorbire, ed il lato problematico-infelice, che gli porta ben presto alla coscienza (o meglio, alla auto- coscienza, Selbstbewusstsein) l'impossibilit di una vera fondazione e di una vera 210 La Grande Instaurazione illuministica del fondamento metafisico del pensiero borghese moderno universalizzazione. Gran parte della filosofia degli ultimi trecento anni si fonda su questa contraddizione dialettica, ed  per questo che essa appare praticamente indecifrabile per il pensiero non dialettico. In terzo luogo, vi  qui la chiave per comprendere il perch sia della preferenza del pensiero apologetico per la semplice costituzione formalistica del soggetto, da Cartesio a Kant, sia per la sua preferenza verso laltrimenti incomprensibile mos- sa teorica kantiana che fissa la differenza ontologica fra le categorie del pensiero e le categorie dell'essere. Il primo aspetto impedisce che il soggetto diventi il titolare dinamico e contraddittorio delle avventure dellautocoscienza, ed in questo modo della possibile contestazione della totalit sociale capitalistica, restando cos fissa- to al suo puro ruolo gnoseologico-epistemologico di conoscitore delle scienze della natura in vista della loro applicazione tecnologica rivolta alla valorizzazio- ne del capitale. Il secondo aspetto (ma ne parler pi diffusamente nel prossimo capitolo) permette di criticare soltanto il mondo ultraterreno della legittimazione metafisico-religiosa della societ, ed invece consente appunto di non-criticare la to- talit altrettanto e pi metafisica della societ capitalistica. Tutto ci consente di capire i due caposaldi del pensiero apologetico borghese-capitalistico, l'arresto del pensiero filosofico a Kant (dopo Kant ci sono certamente ancora interessanti chiacchiere alla Schopenhauer ed alla Nietzsche, ma non c' pi filosofia vera e propria, perch Kant ha gi praticamente detto tutto quanto cera da dire) e lan- tipatia verso Hegel, individuato come la sorgente filosofica di tutte le possibi- li critiche alla totalit unitaria del mondo, del tutto indipendentemente dalle sue personali (e del tutto irrilevanti) opinioni conservatrici. In quarto luogo,  possibile su questa base comprendere i tre pilastri costitutivi della fondazione della metafisica borghese, e cio l'unificazione simbolica unitaria del Tempo sotto lidea astratta di Progresso, l'unificazione simbolica unitaria dello Spazio sotto lidea astratta di Materia, ed infine l'unificazione simbolica unitaria delle attivit umane prime qualitativamente differenziate sotto lidea astratta di Lavoro. In tutti e tre questi casi si  di fronte ad un possibile sviluppo dialettico, che consente di definire questi tre concetti borghesi e non solo capitalistici. Nel caso del progresso, la problematizzazione marxiana e marxista che ne contesta larre- sto alla fine capitalistica della storia, e lo prolunga fino all'esito comunista della soluzione delle contraddizioni sociali. Nel caso della materia, la problematizza- zione marxiana e marxista che la prolunga a fondamento metafisico della visio- ne proletaria e rivoluzionaria del mondo (materialismo dialettico, ecc.). Nel caso del lavoro, infine, la problematizzazione marxiana che non si limita all'economia politica critica di contestazione delle ingiustizie della distribuzione classista del capitalismo (socialisti ricardiani, Owen, Sismondi, Proudhon, ecc.), ma costruisce una critica globale dell'economia politica sulla base dellunificazione dialettica del concetto filosofico di alienazione e del concetto economico di valore. In quinto luogo, infine (e qui si ha al massimo grado la sottomissione reale e non solo formale del pensiero borghese alla legittimazione capitalistica pura e sempli- ce), si ha la critica utilitaristica alle precedenti fondazioni filosofico-politiche del 211 CaprroLo XXVI diritto naturale (giusnaturalismo) ed al contratto sociale (contrattualismo). Queste fondazioni precedenti stabilivano pur sempre un primato della politica sulleco- nomia, ed in questo modo potevano sempre reclamare che questultima fosse in- corporata (embedded) allinterno della pi ampia comunit politica. Lo sviluppo dialettico sia del diritto naturale che del contratto sociale, infatti, avrebbe permes- so il passaggio dalla legittimazione del vecchio comunitarismo disegualitario (ri- mando qui alla filosofia politica della democrazia diretta di Spinoza richiamata nel precedente capitolo). Tagliando alla radice ogni possibile sviluppo sia del diritto naturale che del contratto sociale Hume, che resta l'esempio maggiore di dominan- za del pensiero capitalistico su quello borghese (mentre al contrario Hegel resta l'esempio massimo di dominanza del pensiero borghese su quello capitalistico, e per questo oggi gli viene preferito Hume nel chiacchiericcio apologetico universita- rio), afferma il principio dellutilitarismo, lunica base filosofica sicura sulla quale pu svilupparsi l'economia politica e la sua fondazione teorica, lauto-istituzione utilitaristica della societ. Ho qui elencato cinque punti fondativi, fra i molti possibili. Questi cinque pun- ti, per, sono sufficienti. Nella parte che resta di questo importante ventiseiesimo capitolo, senza alcuna illusione di completezza e scontando anche alcuni errori nello sviluppo deduttivo (siamo infatti su terreno vergine, trascurato non a caso sia dai pensatori liberali che dai pensatori detti impropriamente marxisti, carat- terizzati entrambi dalla destoricizzazione e dalla desocializzazione nella esposi- zione delle categorie, che non vengono mai dedotte, ma soltanto poste), mi limiter a disegnare soltanto i tratti essenziali di alcuni di questi temi. Di quelli qui dimenticati me ne occuper pi avanti. La via  ancora lunga, e il sentiero  appena disegnato nell'erba. Il tema della costruzione concettuale artificiale del lavoro astratto (il quale - a differenza di come pensano gli innumerevoli seguaci di Hume e di Smith -  unidea generale che non si trova affatto in natura e non  in alcun modo oggetto di esperienza empirica diretta)  di tutti il pi importante e decisivo., perch il lavoro astratto  la base materiale (ma Marx avrebbe detto  ed ha detto  sen- sibilmente sovrasensibile) della societ capitalistica. Appunto per questa ragione ne riserver la trattazione analitica e dialettica ai capitoli successivi. Per comodit del lettore, ne anticipo qui subito la trattazione in quattro punti sintetici. Primo, il lavoro non  soltanto la base materiale della riproduzione umana, sia per chi lo svolge direttamente sia per chi  mantenuto parassitariamente dal lavoro sociale degli altri, ma  anche il principale fattore della richiesta di riconoscimento che luomo inevitabilmente rivolge verso il resto della societ (Hegel). Secondo, il ri- conoscimento del lavoro non pu avvenire se il lavoro umano  alienato e sfrutta- to (Marx). Terzo, la richiesta marxiana di abolire socialmente il carattere alienato e sfruttato del lavoro sociale umano deriva dalla problematizzazione tragica del pensiero borghese stesso, e cio dal rilevamento doloroso della coscienza infelice borghese di non perseguire l'universalit del proprio progetto in presenza struttu- rale dellalienazione e dello sfruttamento. Quarto, infine, lattuale situazione stori- 212 La Grande Instaurazione illuministica del fondamento metafisico del pensiero borghese moderno ca agli inizi del XXI secolo  resa difficile non solo dallindebolimento strutturale delle classi salariate, operaie e proletarie a livello mondiale, ma anche dal venir meno dei residui della coscienza infelice borghese in quanto, in estrema sintesi, il postmoderno pu essere definito come una liquidazione concettuale degli ultimi residui della coscienza borghese stessa, cui si impone ormai di aderire integral- mente ad un mondo reso concettualmente liscio dal dominio finanziario e tecno- logico. Mi scuso per questa sommaria anticipazione, ma in questo modo il lettore pu cominciare il suo spaesamento ed il suo riorientamento gestaltico, senza il quale le righe stampate vengono bens lette, ma non vengono in realt viste. L'unificazione borghese del tempo avviene sotto l'egemonia della categoria di Progresso. Questa categoria  figlia di un secolo (il Settecento) che ha prodotto per la prima volta un concetto unificato di storia universale (e non solo di storia sacra biblica, o di storie particolari, di Francia, di Firenze, di Napoli, ecc.) intesa in senso trascendentale-riflessivo (trascendentale perch trascende i singoli stati e personaggi, e riflessivo perch  in grado di ritornare criticamente su se stessa au- tovalutandosi criticamente). Mentre Ernst Cassirer ha correttamente individuato il secolo della storia e del senso storico dell'illuminismo, in Italia il neoidealismo italiano di Croce e Gentile ha largamente confuso le acque, insistendo sul carattere astratto ed astorico del pensiero illuministico. La presunta incapacit del pen- siero illuministico di capire la storia  in realt un luogo comune polemico della cultura della Restaurazione posteriore al 1815, influenzata dalle riflessioni di Burke sulla rivoluzione francese, per cui capire la storia era l'equivalente dotto del con- servatorismo tardo-feudale e del lasciare le cose cos come stavano, dal momento che questa era la storia. In realt il Settecento produce il concetto moderno uni- versalistico di storia, e lo produce perch lautoconsapevolezza della propria sto- ricit era funzionale al progetto borghese complessivo di storicizzare, e quindi di abolire, il precedente regime signorile e feudale. In questo senso il pensiero di Marx  figlio diretto di questa strategia illuministica di storicizzazione (e quindi di abolizione) del mondo feudale, perch applica la stessa strategia storicizzante al mondo borghese-capitalistico, che viene anch'esso storicizzato per giustificarne l'abolizione.  interessante, ed anche paradossale, che i difensori oggi dell'eternit destoricizzata del capitalismo utilizzino gli stessi argomenti usati intorno al 1790 (Burke, ecc.) dai difensori della naturalit dei sistemi feudali-signorili. Ma in questo abbiamo la conferma del carattere in un certo senso eterno della mistifi- cazione ideologica. Il tempo del progresso rompe con il tempo ciclico esemplificato dal ritorno cir- colare delle stagioni per imboccare la via lineare dellaccumulazione capitalisti- ca, ormai largamente indipendente dalle stesse stagioni naturali. Per Turgot (cfr. Discorsi di storia universale, 1756) il progresso  il cammino lento dell'umanit, pen- sata come un tutto espressivo (e qui abbiamo una chiara anticipazione del concetto di Io del Fichte 1794). La velocit del progresso dipende dalle circostanze esterne e soprattutto dalla natura degli uomini vissuti nelle varie epoche. Non esistono per Turgot epoche illuminate ed epoche oscure. Anche in quelle oscure, il progresso 213 CaprroLo XXVI non si ferma mai. Esso infatti si realizza a dispetto della ragione umana, utilizzan- do per i suoi scopi provvidenziali le assurdit ed i disastri della storia fatti dagli uomini. Faccio notare in proposito che Turgot nel 1756 da un lato secolarizza inte- gralmente il vecchio concetto stoico di provvidenza (pronoia), e dall'altro anticipa il concetto di potere del negativo nella storia che sar poi ampiamente utilizzato sia da Hegel che da Marx (che peraltro non fece che comunistizzare il concetto hegeliano). Se Turgot ha anticipato il posteriore concetto hegelo-marxiano di potere prov- videnziale del negativo, Condorcet ha anticipato la concezione stadiale della sto- ria che poi il marxismo adott entusiasticamente per fornire ai suoi aderenti una rassicurante concezione prefissata del corso storico con teleologia incorporata (in cinque stadi del comunismo primitivo, dello schiavismo, del feudalesimo, del ca- pitalismo ed infine del rassicurante ed inevitabile comunismo risolutivo finale). Per Condorcet la storia dell'umanit  ricostruita in dieci epoche successive, di cui nove vanno dalle origini dell'umanit fino al tempo in cui vive e scrive lo stesso Condorcet (che quindi ritiene di stare vivendo nella nona). Partendo dal presente (la rivoluzione francese in corso), e volgendosi a considerare da questo punto di vista privilegiato la storia precedente del passato, ci si pu immaginare lavveni- re, la decima epoca, la societ del futuro come compimento delle promesse di emancipazione. E Condorcet formula in modo incomparabile per chiarezza l'essenza della de- cima epoca: Le nostre speranze sullo stato futuro della specie umana possono ri- dursi a questi tre punti importanti: la distruzione della diseguaglianza tra le nazio- ni; i progressi delleguaglianza in seno ad uno stesso popolo, e da ultimo, il reale perfezionamento delluomo. Siamo nel 1794, lo stesso anno in cui Fichte scriver la sua immortale Dottrina della Scienza. Anche Fichte ovviamente periodizza la sto- ria dell'umanit passata, presente e futura in cinque epoche successive, collocan- dosi nella terza, che definisce l'epoca della compiuta peccaminosit. Ma ci ritorne- remo pi avanti, ovviamente. Per il momento, ci si ricordi che senza la tradizione di Turgot, Condorcet e Fichte non avremmo mai avuto la concezione di Marx, che anche lui concettualizza simultaneamente il passato (Comunismo primitivo, schiavi- smo e feudalesimo), il presente (capitalismo) ed infine il futuro (comunismo). Ho ritenuto opportuno insistere molto sulla natura predittiva del concetto borghese di progresso per due ragioni, di cui la seconda  la pi importante. In primo luogo, perch esaminando spregiudicatamente la genesi di queste secola- rizzazioni provvidenzialistiche e di queste periodizzazione teologiche si tocca con mano il fatto che Marx si  pienamente inserito in una linea concettuale gi esi- stente, ed  allora legittimo (anche se contestabile - ma tutto  in via di principio contestabile) sostenere che la genesi del suo pensiero non sta affatto in una com- mittenza operaia, salariata e proletaria (questa committenza esiste, e sar appun- to il marxismo del ventennio 1875-1895 edificato congiuntamente da Engels e soprattutto da Kautsky, il papa rosso), ma sta invece in uno sviluppo dialettico geniale della coscienza infelice del pensiero borghese, e solo di esso. 214 La Grande Instaurazione illuministica del fondamento metafisico del pensiero borghese moderno Con questo ( quasi umiliante doverlo dire) non si intende affatto svalutare il gigantesco ruolo storico della classe operaia, ma soltanto ristabilire alcuni elementi genetici ed ontologico-sociali minimi per una ricostruzione razionale della storia del pensiero. In secondo luogo, infine, appare qui chiara la non-coincidenza assoluta fra la borghesia, classe dialettica in bilico fra la coscienza apologetica e la coscienza in- felice, ed il capitalismo, la cui logica  del tutto estranea a qualsiasi compimento teleologico del progetto di liberazione umana. Al capitalismo la distruzione della diseguaglianza fra le nazioni ed i progressi delleguaglianza in seno ad uno stesso popolo (i due elementi fondamentali del progresso in Condorcet, pensatore bor- ghese al cento per cento e politicamente girondino) non interessano assolutamen- te nulla. Nel momento in cui scrivo (2008) la diseguaglianza fra le nazioni  al massimo, e la cosiddetta globalizzazione non fa che approfondirle, ed in quanto ai progressi delleguaglianza in seno ad uno stesso popolo (nel nostro caso quello italiano), essi sono al minimo storico, e sono ancora peggiori di quelli raggiunti al tempo della cosiddetta Prima Repubblica (1946-1992). Se il tempo  stato unificato concettualmente sotto lidea del progresso, lo spazio  stato unificato concettualmente sotto lidea di materia. L'idea di materia, quindi, lungi dall'essere una base simbolica per l'emancipazione proletaria, rivoluzionaria e comunista,  stata ed  un presupposto per l'unificazione spaziale orizzontale dello scorrimento delle merci capitalistiche, che abolisce ogni dualismo ontologico Alto/Basso e Dio/Uomo e permette cos di unificare concettualmente un solo mondo, il mondo della produzione capitalistica. Dal momento che su questo punto la mia interpretazione diverge sensibilmente da quella di Lukcs, che non avrebbe certa- mente mai sostenuto qualcosa di simile, ci ritorner sopra nei capitoli successivi. Max Weber ha chiarito a suo tempo che il significato delle cose si origina dalle loro relazioni sociali. Per Marx la merce, appunto,  una relazione sociale, e que- sta relazione sociale  il valore di scambio (o semplicemente, valore). Il presup- posto dello scambio  il concetto di equivalenza, in quanto tutte le merci devono essere omogenee, per poter essere appunto valutate e scambiate. Lo stesso tempo di lavoro sociale medio, che gli economisti inglesi fissano come sostanza del valo- re, deve potersi fondare su di un presupposto materiale omogeneo ed equivalente, che  appunto la materia. Nel primo libro del Capitale Marx utilizza il termine di materialit universale (allgemeine Materiatur) per indicare questa omogeneizza- zione concettuale ed ideale dello scambio universale. Per la studiosa greca Maria Antonopoulou il movimento del capitale intenso come unit della produzione e della circolazione delle merci provoca una sorta di reificazione concettuale, che a sua volta costituisce la materia in un vero e proprio soggetto ideale autonomo, che si manifesta appunto come materialit universale (allgemeine Materiatur). Una storia del materialismo che abbandonasse il presupposto della continuit concettuale del termine  materia nella storia ed adottasse il criterio marxiano-weberiano a proposito del significato delle cose, e dei concetti che intendono esprimere le cose stesse, potrebbe facilmente dimostra- 215 CaprroLo XXVI re che i concetti di materia in Democrito, Platone, Aristotele, Epicuro, ecc., non giungono mai ad una nozione unificata della materia stessa. Come la storia univer- sale, anche la materia universale omogenea  un prodotto storico del Settecento. E se la storia universale del progresso e la materia omogenea ed autofondata sono entrambe dei prodotti concettuali storico-sociali, ce n' abbastanza per mettere la pulce nellorecchio a tutti coloro che conservano quella che Wright Mills chia- mava opportunamente immaginazione sociologica. Su questo, ovviamente, bi- sogner ritornare pi avanti. Ma non ha senso ritornare sugli argomenti se prima non si  riusciti ad impadronirsi del loro nucleo concettuale. E tuttavia, pi ancora che sul tempo del progresso e sullo spazio della materia, bisogna qui ancora concentrarsi sulla critica di Hume al diritto naturale ed al con- tratto sociale, critica che si serve di un'ipotesi antropologica sulla natura umana e di una interpretazione apparentemente innocente della categoria di causalit. Qui siamo infatti nell'anello mancante (missing link) del passaggio del pensiero propriamente ancora borghese al pensiero gi compiutamente capitalistico. Il passaggio  delicatissimo, e deve essere compreso con assoluta chiarezza. Il tema  di tale importanza da giustificare un'ennesima ripetizione. Mai come in questo caso, repetita juvant. La costituzione simbolica della societ capitalistica  infatti in una certa misura il quarto stadio di una ricostruzione storica della filo- sofia politica fatta non sulla base di una disordinata filastrocca di opinioni (Hobbes  pessimista sulla natura umana, Rousseau invece  ottimista, Locke pensa che la propriet sia un diritto naturale inalienabile, i comunisti utopisti alla Babeuf non lo pensano, e via liberamente opinando a ruota libera), ma sulla base di un criterio storico-genetico ed ontologico-sociale. Ricostruiamolo allora ancora una seconda volta. In un primo momento, al tempo degli antichi Greci e del pensiero classico, la costituzione della comunit politica  vista come il naturale sbocco della socialit comunitaria delluomo (politikn zoon), socialit che si differenzia dalla socialit ani- male per essere frutto di una capacit di ragione (logos), di linguaggio (dialogos, ise- goria) e soprattutto di applicazione dei rapporti di armonia geometrica e musicale alla ripartizione del potere e della ricchezza (metron). La violazione di queste nor- me comporta lo scatenamento dellinfinito-indeterminato (apeiron), e questo scate- namento comporta l'ingiustizia (adikia), e la conseguente impossibilit di riportare la concordia fra i cittadini (omonoia). La filosofia politica ha quindi come base la capacit di frenare lo scatenamento dellindeterminato (katechein). Sia che si scelga la via di una regolazione differenziata del potere politico in base ad una paideia specifica e rivolta esclusivamente ai governanti (Platone), sia invece che si scelga la via di una costituzione oligarchica fondata sulla famiglia e la propriet privata misurata (Aristotele), resta comunque in comune il fatto che la ragione (logos) deve restare pubblica (isegoria), e deve nutrire la capacit di freno (katechein) dello scate- namento della diseguaglianza del potere e delle ricchezze private (adikia). In un secondo momento, con il passaggio dal mondo antico alla societas christia- na, viene abbandonato il nucleo del pensiero greco, lautofondazione razionalistica 216 La Grande Instaurazione illuministica del fondamento metafisico del pensiero borghese moderno della comunit umana, e si passa all'idea di salvezza collettiva attraverso lasser- vimento volontario ad un unico liberatore celeste (cfr. Paolo, Lettera ai Corinzi, 7, 20-4). Questo messianesimo moderato sostituisce il precedente messianesimo radicale-rivoluzionario di Ges di Nazareth, che fu crocifisso come zelota da una decisione congiunta del sinedrio ebraico collaborazionista e del potere militare delloccupante romano, e che invece probabilmente (considerando i Vangeli come testi storici e non come invenzioni arbitrarie posteriori) intendeva purificare il tempio per annunciare l'Anno di misericordia del signore (cfr. Luca, 4, 14-30). Dopo trecento anni ci fu la normalizzazione costantiniana, il cristianesimo fu incorpo- rato simbolicamente negli apparati ideologici del tardo impero attraverso il prima- to simbolico-compensatorio del Povero (Peter Brown) e fu ufficializzato attraverso il Credo di Nicea del 325 dopo Cristo. Se prima lasservimento simbolico riguar- dava le tre classi del mondo schiavistico romano, e cio gli schiavi (doulo), i liberti (apeleutheroi), ed i liberi (eleutheroi), ora invece nelle nuove condizioni storiche las- servimento simbolico rimane, ma si struttura nelle nuove tre classi dei guerrieri- nobili-feudatari (bellatores), dei sacerdoti-monaci-preti (oratores), ed infine dell'in- sieme delle classi lavoratrici (laboratores). I conflitti fra il papa e limperatore sono certo importanti, ma non al punto di far mutare radicalmente lo schema teologico di legittimazione sociale. Quando per la Chiesa comincia a mostrare una corruzione intollerabile, il pau- perismo francescano prende la via del nominalismo, e cio della concentrazione in un solo individuo (in-dividuum, non ulteriormente divisibile), dei due valori cri- stiani fondamentali ed irrinunciabili, la paupertas e la simplicitas, traditi e violati dalla chiesa corrotta. La corruzione della Chiesa  anche il fattore emotivo che scatena la ribellione di Lutero, che non avrebbe per mai potuto vincere se non si fossero nel frattempo costituiti i fattori indipendenti dellindipendenza degli stati nazionali e dello sviluppo capitalistico (Max Weber). E tuttavia il rinnova- mento evangelico del cristianesimo, propugnato dalla rivoluzione protestante, non pu avvenire, ed anzi le cose peggiorano ancora, perch levangelismo originario viene sostituito dall'adozione del messianesimo militare e razzista di tipo vetero- testamentario, con cui il colonialismo razzista olandese ed inglese metaforizza il proprio ruolo attraverso lidentificazione simbolica con il popolo ebraico, lunico popolo del mondo che abbia con Dio un rapporto privilegiato particolare. Con la controriforma cattolica e con il messianesimo esclusivistico protestante in un certo senso finiscono mille e cinquecento anni di storia continua del cristianesimo, ed il cristianesimo negli ultimi cinquecento anni non  pi lespressione di una societ integralmente cristiana, ma  una religione testimoniale e militante di mino- ranza, concentrata sui temi della sessualit e della bioetica (cattolicesimo), della difesa della comunit nazionale minacciata (ortodossia), e della propria arrogante autoinvestitura ad esecutore unico del mandato di Dio sul mondo (protestantesi- mo fondamentalista imperiale USA). In un terzo momento, a partire dal tardo Cinquecento europeo, ta filosofia po- litica si riposiziona simbolicamente in base al motto etsi Deus non daretur, il che 217 CarrtoLo XXVI significa Che Dio esiste, e nessuno intende metterlo in discussione (anche perch  come dir bene Giordano Bruno  i dotti possono anche governarsi da soli, ma i rozzi popoli devono essere governati dalla religione), ma che il potere pu essere fondato razionalmente anche se per ipotesi Dio non esistesse. Questo program- ma viene svolto in due momenti logicamente successivi ma praticamente sincro- nizzati, il momento dello stabilimento dei Diritti Naturali dell'Uomo (giusnaturali- smo) ed il momento dello stabilimento delle regole e delle modalit per fondare il Contratto Sociale (contrattualismo). In questa sede, non ha senso discutere in detta- glio le varie proposte alternative di costituzione teorica del nesso Diritto Naturale/ Contratto Sociale (Grozio, Pufendorf, Hobbes, Locke, Rousseau, ecc.), in quanto ci che conta qui  impadronirsi concettualmente della sua logica unitaria. E ci che conta qui  sottolineare il fatto che in tutte le sue possibili varianti (assolutistica in Hobbes, liberale-proprietaria in Locke, democratica in Rousseau, comunistica in Babeuf, ecc.) il nesso fra diritti naturali e contratto sociale (pi esattamente, i diritti naturali da garantire con un adeguato contratto sociale)  fondativo della societ, e quindi  la politica che fonda ed  sovrana sull'economia, e non viceversa. Si tratta di una teoria politica incompatibile con la pretesa di dominio assolutistico del capitalismo. Per il capitalismo  impensabile che la politica fondi l'economia, o meglio che la societ economica venga causata da una precedente discussione sui diritti naturali innati delluomo in quanto uomo o sul tipo di contratto sociale e politico atto a fondare una societ giusta. In altre parole, il giusnaturalismo ed il contrattualismo, nati nel Cinquecento per legittimare in buona parte il potere esistente, stavano scivolando nel Settecento non solo verso la sinistra, ma ad- dirittura verso quella che si chiamerebbe oggi estrema sinistra. Bisognava disfar- sene in qualche modo. Nei prossimi capitoli vedremo in che modo se ne sono di- sfatti prima Hegel e poi Marx, che infatti non furono in alcun modo dei teorici del diritto naturale e del contratto sociale, ma anzi ne furono dei critici. Hegel e Marx, per, volevano creare una nuova teoria politica, e cio una teoria del primato della politica sull'economia. La logica dello sviluppo capitalistico, invece, voleva ben altro, e cio una teoria del primato dell'economia sulla politica. David Hume fu il pensatore strategico che gliela forn, ed Adam Smith non fece che applicarla alla nuova teoria economica. In un quarto momento, quindi, Hume elabora la teoria della autofondazione spon- tanea della societ sulla base delle tendenze psicologiche insite nella natura umana. La critica della categoria di causalit svolta brillantemente da Hume significa ap- punto che la societ in cui viviamo non  affatto causata da qualcosa che la pre- cede temporalmente, in questo caso da un contratto sociale fondativo, ed in quanto | alle idee generali che fanno base al diritto naturale esse non sono che chiacchiere vuote (cfr. la seconda parte del primo libro del Trattato sulla natura umana), merite- voli di essere buttate via insieme con il libro che le contiene. Nel mondo incan- tato della falsa coscienza necessaria agli agenti storici (Marx) David Hume non si rende conto che il suo concetto di natura umana, da lui concepito come una fortezza inespugnabile, era in realt una idea generale altrettanto e pi astratta 218 La Grande Instaurazione illuministica del fondamento metafisico del pensiero borghese moderno di quanto lo fossero le idee generali di diritto naturale e di contratto sociale da lui tanto disprezzate. Il modo con cui Hume ha interpolato nel suo concetto di natura umana componenti biologiche ed addirittura genetiche (spinta allaccoppiamen- to dei sessi, predisposizione alla cura della prole, ecc.) e componenti interamente storiche e sociali (ricerca dell'utile individuale, necessit di una propriet privata attraverso cui soddisfare i propri bisogni, esigenza di intraprendere libere attivit economiche per superare gli altri in ricchezza e prestigio, ecc.)  pi degno di un astuto giocatore delle tre carte napoletano che di un gentiluomo scozzese con la parrucca incipriata. E tuttavia questa interpolazione del biologico e del sociale, unita ovviamente alla ipostatizzazione della natura umana sociale media di quei tempi, sta alla base del processo mentale di auto-istituzione economica della societ fon- data sulle abitudini al valore di scambio generalizzato ed alle aspettative vi- cendevoli che ne derivano, le stesse abitudini e le stesse aspettative che poi Adam Smith chiam etica della simpatia, e che poi Kant critic come eteronoma. Questa natura umana, costruita sulla base di una serie di induzioni sul comporta- mento medio (ed il tempo di lavoro sociale medio contenuto nel valore coincide largamente con la natura umana sociale media che deve rispecchiarlo),  la stessa natura umana del romanzo poliziesco inglese, dallo Sherlock Holmes di Conan Doyle ad Hercule Poirot ed a Miss Marple di Agatha Christie. L'imprenditore ed il detective, infatti, devono basarsi sullo stesso studio induttivo delle costanti del comportamento umano, da cui dedurre poi le aspettative di profitto (primo caso) e la soluzione dei casi criminali (secondo caso). Il concetto di autoistituzione della societ su basi comportamentali abitudinarie senza la mediazione non solo del diritto naturale e del contratto sociale ma anche e soprattutto di uno stato politico, passa poi dalla concezione utilitaristico-armonica di Hume e di Smith (la mano invisibile, ecc.) alla concezione utopica dellestinzio- ne dello stato in Marx. In entrambi i casi si hanno delle societ senza stato, tenute insieme esclusivamente da abitudini reciproche e da aspettative vicendevoli. Chi crede che gli elementi detti impropriamente autoritari della concezione marxista dello stato vengano da Hegel, ecc., si sbaglia di grosso. Marx si limita a rovesciare dialetticamente (con una cattiva dialettica, per) la costituzione utilitaristica della societ capitalistica senza la mediazione di uno stato politico in una nuova costitu- zione utilitaristico-solidale della societ comunista anch'essa senza la mediazione di uno stato politico (Bernard Chavance, Pierre Rosanvallon). A questo punto, chiudo qui questa prima analisi genetica della formazione del pensiero borghese-capitalistico moderno. Non si si lasci scappare il punto concet- tuale essenziale: il termine borghese-capitalistico, inteso in senso unitario,  un termine dialettico, la cui natura  quella di sdoppiarsi logicamente prima, e di dividersi storicamente poi, in due lati contradditori, sia pure in correlazione essen- ziale. E su questa base concettuale affronteremo i capitoli successivi. XXVII. IL KANT DELLA CRITICA ALLA METAFISICA. IL SIGNIFICATO ONTOLOGICO-SOCIALE DELLA SEPARAZIONE FRA LE CATEGORIE DELL'ESSERE E LE CATEGORIE DEL PENSIERO La Critica della Ragion Pura di Kant  uno dei capolavori assoluti della lunga storia della filosofia occidentale. Da pi di duecento anni  letta, discussa e com- mentata, e fra duecento anni possiamo scommettere che lo sar ancora. Dato lalto contenuto specificatamente filosofico, sarebbe scorretto sottoporla ad una lettura sociologistica, riduzionistica ed ideologica, cose se Kant avesse lavorato unica- mente per committenza indiretta della classe borghese desiderosa di fondare su se stessa (ovviamente, nella forma metaforizzata del destino e delle speranze dell'umanit) sia il mondo della scienza che il mondo della moral, strappando questi due mondi alla supervisione esterna della religione e soprattutto dei suoi apparati politici e sacerdotali. Dunque, no ad ogni lettura riduzionistica, ideologi- ca e sociologistica. Le opere filosofiche di qualit hanno sempre un loro autonomo contenuto di verit. Se la metodologia  la scienza dei nullatenenti, l'ideologia  la scienze degli apparati politici e la sociologia  la scienza degli apparati confindu- striali e sindacali. Kant  stato prima di tutto un onore per la filosofia mondiale, un maestro del pensiero ed uno stimolo inesauribile per il pensare indipendente. Chi scrive ritiene che lo Hegel della Scienza della Logica abbia sostanzialmente ragio- ne e che invece il Kant della Critica della Ragion Pura abbia sostanzialmente torto, e con questo si schiera contro lottanta per cento (almeno) della koin filosofica universitaria europea, che ha fatto in varia misura di Kant l'equivalente gnoseo- logico secolarizzato di quello che  Ges di Nazareth per i credenti e gli apparati ecclesiastici. Ovviamente, tutto questo non avviene per caso, perch la gnoseologia critica  a tutti gli effetti la metafisica di legittimazione della borghesia capitalistica (laddove la parte della borghesia dotata di inquietudine e di coscienza infelice si rivolge soprattutto ad un Marx depurato del suo imbarazzante comunismo rivo- luzionario ed a uno Heidegger ridotto a pensatore del non c' pi niente da fare alla Umberto Galimberti). E tuttavia Antonio Gramsci non ha tutti i torti a rilevare che esistono intellet- tuali pi organici di altri alla costruzione di una solida immagine del mondo. Nessuno ha direttamente commissionato a Kant la gnoseologia critica, come nessuno ha direttamente commissionato ai teologi del dodicesimo secolo l'in- venzione del purgatorio. Ma come il purgatorio permetteva ai banchieri cristiani di peccare prestando ad usura lasciandosi uno spiraglio di salvezza ultraterrena 221 i CarrroLo XXVII I possibile, e come il marxismo deterministico e teleologico-necessitato di Engels e di Kautsky permetteva alla classe operaia, salariata e proletaria di sentirsi sicura della propria inevitabile (e del tutto illusoria) vittoria finale, nello stesso modo il criticismo di Kant permetteva alla classe borghese di chiarire in primo luogo a se stessa che la propria scienza (Wissenschaft), intesa come autoconsapevolezza del proprio ruolo noumenico nel mondo fisico dei fenomeni, non dipendeva pi da un fattore esterno, la metafisica religiosa ed i suoi apparati sacerdotali, ma si fondava su se stessa, e cio sulla propria immanente autoriflessione intellettuale. Credo che Kant sia stato completamente consapevole di stare esercitando un ruolo di committenza sociale e politica indiretta, anche se in base alla nota falsa coscienza necessaria degli agenti storici (cui ovviamente nessuno pu sfuggire, compreso Marx ed ovviamente il modestissimo scrivente, che in nessun momento ritiene in modo megalomane di essere il portavoce incarnato del logos nella storia) chiamava gli interessi borghesi interessi dell'intera umanit. Le grandi opere filosofiche si scrivono cos come le grandi opere darte vengono dipinte e scolpi- te, in modo del tutto gratuito. Le motivazioni piscologico-psicoanalitiche posso- no essere le pi diverse, dalla mancata elaborazione del complesso di Edipo alla lotta sublimata contro l'autorit paterna, dallincoercibile narcisismo al desiderio di sopravvivere idealmente dopo la propria morte con i propri scritti geniali, ecc. Tutto questo  peraltro del tutto irrilevante, ed infatti Hegel scrisse argutamente che tutto ci che di personale c' nei miei scritti,  falso. Kant scrive la Critica della Ragion Pura cos come Marx scrisse il Capitale, in base ad una insopprimibile pulsione gratuita. E tuttavia il problema della committenza sociale indiretta di una grande opera filosofica non pu essere rimosso, in quanto la ricaduta ideologica della creazione filosofica non  quasi mai frutto di una intenzione consapevole e trasparente del filosofo, ma  un dato sociale indipendente dalle sue dirette vo- lont. Come ha scritto Marx, lostrica produce la perla esclusivamente per il suo piacere, e sono poi i gioiellieri e le signore benestanti che utilizzano la perla per i loro scopi, cui lostrica  del tutto estranea. Kant fu dunque contemporaneamente un grande filosofo gratuito ed indipen- dente, ed un ideologo organico alla visione borghese del mondo, la cui ontologia dell'essere sociale non pu essere ovviamente un'ontologia dell'essere sociale, ma  una metafisica a base gnoseologica, come vedremo analiticamente fra poco. E tuttavia, Kant non pu essere confuso con i successivi ritorni a Kant, cos come Marx non pu essere confuso con il ritorno staliniano a Marx e Ges di Nazareth non pu esser confuso con quellindubbio ritorno a Ges dell'inquisitore spa- gnolo Torquemada. Il primo grande ritorno a Kant, inaugurato nel 1866 dalla Storia del Materialismo, di Lange (si noti la data,  un anno prima della pubblicazione del primo libro del Capitale di Marx), trasforma praticamente Kant in un consulente gnoseologico del positivismo. Ulteriormente sviluppato il neokantismo diventa praticamente sinonimo di filosofia universitaria tedesca e di canone gnoseologico obbligatorio per chiunque volesse filosofare secondo i canoni accademici con- sentiti. Se questo non  un sintomo (non dico una prova, mi basta il termine 222 Il Kant della critica alla metafisica. Significato ontologico-sociale della separazione fra categorie dell'essere e del pensiero sintomo) del fatto che il criticismo (o neocriticismo, in questo caso)  la metafi- sica gnoseologica della borghesia, mi chiedo che cosa significhi allora sintomo. E del resto il giovane Lukcs, quando ruppe con il modo kantiano e neocriticista obbligatorio di fare filosofia nelle universit tedesche dellepoca, lo fece attraverso la dirompente mediazione della sua amicizia con il vulcanico Ernst Bloch, che si comportava come se lintera filosofia contemporanea non esistesse, e filosofava invece al modo di Aristotele e di Hegel. Lukcs ha scelto bene i due personaggi di riferimento del passato, e cio Aristotele e Hegel, entrambi filosofi caratterizzati dallintentio recta nel rapporto fra il pensiero e le cose, dal rifiuto della mediazione gnoseologica e soprattutto dal rifiuto di separare le categorie del pensiero dalle categorie dell'essere. In altre parole, il ristabilimento di uno sguardo ontologico- sociale sul mondo presuppone il ritorno al modo di filosofare di Aristotele e di Hegel ed il cortese rifiuto di ogni mediazione critico-gnoseologica alla Kant. Ma, appunto, per poter rifiutare consapevolmente Kant bisogna prima conoscerlo, e per conoscerlo bisogna assolutamente saltare la fastidiosa e fuorviante media- zione di ogni ritorno a Kant. E tuttavia, il primo ritorno a Kant posteriore al 1866  pur sempre inquadrabile nella ricerca di una sofisticata consulenza gnoseologica al positivismo, notoria- mente carente sul piano della sofisticazione gnoseologica. Questo ritorno a Kant ebbe come ricaduta una stagione estremamente creativa nel campo della storia della filosofia, da Windelband a Cassirer, che giunge addirittura fino all'italiano Nicola Abbagnano. La storia della filosofia di impronta neokantiana si distingue per un'assoluta destoricizzazione e desocializzazione nella ricostruzione dei si- stemi di pensiero, ma nello stesso tempo  ispirata ad una grande chiarezza ter- minologica nella ricostruzione dei concetti. La stessa leggendaria chiarezza di Norberto Bobbio, frutto di una desocializzazione e di una destoricizzazione asso- luta nella ricostruzione dei profili filosofici (si tratta di un metodo che sta alloppo- sto di quello che sto qui cercando di usare), e che d luogo appunto ad una serie di dicotomie del tutto inadatte alla comprensione storico-dialettica delle cose e dei processi storici (ed appunto per questo adorate e santificate dal pensiero universita- rio politicamente corretto), deriva direttamente da Kant e dal neokantismo. Il secondo ritorno a Kant non  pi interessato a fornire una sofisticata consu- lenza gnoseologica al positivismo, ma  rivolto a costruire sistematicamente un profilo polemico rivolto contro Hegel, contro Marx, e contro il pensiero dialettico della totalit alla Hegel-Marx. Kant  visto cos come il geniale critico anticipato della successiva caduta metafisica del pensiero, iniziata con Fichte, e poi sempre pi scivolata verso il sempre maggiore irrazionalismo anti-scientifico, romantico e mistico di Hegel, Marx e Heidegger. E vedremo allora perch Kant  considerato di fatto lultimo pensatore della filosofia occidentale, dopo il quale c' stato certamen- te un ricco e pittoresco filosofare, ma non c' pi stato nulla che possa realmente comportare un progresso della filosofia. Kant  lulfimo dei filosofi, il sigillo del filosofare, pi o meno come Maometto  lultimo ed il sigillo dei profeti. Ma per potersi impadronire concettualmente del perch Kant  considerato il sigillo defi- 223 CarrroLo XXVII nitivo dell'islam filosofico borghese bisogna tornare al punto di partenza e svolgere il discorso cercando di non saltare i vari passaggi logici necessari. Devo ovvia- mente dare qui per scontata nel lettore la conoscenza della trama concettuale della Critica della Ragion Pura. Chi scrive ne ha sostenuto prima un difficilissimo esame scritto ed orale in una universit francese, e poi lha analizzata per trentacinque anni consecutivi per gli studenti liceali italiani. In ogni caso, questa trama concet- tuale  svolta analiticamente in qualsiasi manuale universitario e liceale di storia della filosofia. La costruzione della metafisica a base gnoseologica che fa di Kant il sigillo dei filosofi e del suo criticismo lultima filosofia possibile dellautocoscienza filoso- fica borghese-capitalistica, fine criticista e laica della filosofia che si accompagna e si interseca strettamente con la fine capitalistica e proprietaria della storia, verr da me discussa, ricostruita e criticata in quattro momenti logici successivi (sempre ovviamente presupponendo nel lettore la piena conoscenza nozionistica della Critica della Ragion Pura). In primo luogo, attraverso lanalisi della ricostruzione della filosofia precedente a lui fatta da Kant stesso, in cui i tagli tematici sono effettuati in funzione della sua stessa originale costruzione sistematica. In secondo luogo, attraverso lanalisi della sua cosiddetta rivoluzione copernicana, rivolta a mettere il soggetto conoscente (l'Io penso) e le tre rispettive facolt conoscitive delluomo (sensibilit, intelletto e ragione) al centro delle differenziate capacit co- noscitive umane (conoscenza sensibile della matematica, conoscenza intellettuale del mondo fisico, conoscenza razionale del mondo metafisico). Questa rivoluzio- ne copernicana, che  stata lindubbio presupposto del posteriore pensiero dei tre grandi idealisti successivi (nellordine: Fichte, Hegel e Marx), viene fatta per nella forma della costituzione formalistica del soggetto gi proposta da Cartesio, e quin- di nella forma destoricizzata e desocializzata con cui appunto la borghesia capita- listica vede necessariamente se stessa, come culmine invalicabile cio della storia e della societ. In terzo luogo, attraverso la separazione ontologica delle categorie del pensiero e delle categorie dell'essere, operazione teorica mai perseguita prima con tanta sistematicit e chiarezza, pietra miliare in negativo della delegittimazio- ne della conoscenza normativa del mondo della metafisica religiosa ed in positivo del primato della scienza sulla filosofia (intesa come conoscenza veritativa autono- ma del mondo, e ridotta a gnoseologia di servizio della scienza, pi o meno come nel medioevo era stata ridotta a gnoseologia di servizio alla teologia).  questo terzo punto il pi importante dei quattro. In quarto luogo, infine, attraverso il ro- vesciamento dei ruoli rispettivi dell'intelletto (Verstand) e della ragione (Vernunft), rovesciamento che dovette essere opportunamente e provvidenzialmente rad- drizzato dai tre grandi idealisti successivi (nell'ordine: Fichte, Hegel e Marx) per poter restaurare lintentio recta, il parallelismo ontologico dellordo rerum e dellordo idearum (Spinoza) ed infine lontologia dell'essere sociale dei nostri maestri Greci. Ho ridotto a solo quattro i passaggi logici, ed in questo modo ne ho saltati molti altri. Se per il lettore non far mancare la sua attenzione, credo che la discussione di questi quattro punti successivi sar sufficiente per comprendere il meccanismo . 224 Il Kant della critica alla metafisica. Significato ontologico-sociale della separazione fra categorie dell'essere e del pensiero metafisico di questo vero e proprio islamismo filosofico borghese di cui Kant diven- ta il sigillo definitivo dei filosofi. Il primo punto riguarda il modo con cui Kant ha legittimato la sua propria fi- losofia attraverso la ricostruzione orientata delle correnti della filosofia anterio- re. Tutti i filosofi, grandi o piccoli, tendono a legittimare la propria filosofia del presente attraverso una lettura orientata della filosofia del passato. Chi scrive queste righe, che  il filosofo pi piccolo fra tutti quelli che cita e citer, intende esplicitamente legittimare la sua lettura filosofica del presente capitalismo assolu- to postborghese e postproletario e dellepoca di gestazione e di trapasso (Hegel) in cui stiamo vivendo attraverso la presente lettura alternativa e straniante della tradizione filosofica fatta in base ai due metodi, liberamente interpretati, della de- duzione sociale delle categorie (Sohn-Rethel) e dellontologia critica dell'essere sociale (Lukcs).  un mio assoluto diritto, ed intendo esercitarlo senza alcuna censura o autocensura introiettata dalla dittatura del politicamente corretto. Passando ad esempi illustri, Aristotele ha definito la sua stessa filosofia, basata sull'uso di un concetto plurimo di causa, attraverso una ricostruzione destoricizzata e desocia- lizzata della tradizione filosofica precedente fatta in base alla teoria delle quattro cause (materiale, formale, efficiente e finale). Hegel ha scritto una storia della filo- sofia (pi esattamente, ne sono state registrate e poi pubblicate le lezioni da parte di allievi) che fa da tessuto storico di giustificazione genetica del suo stesso sistema. E potrei moltiplicare gli esempi. Il modo di guardare al passato spiega infatti sia il modo di in cui guardiamo al presente sia il modo in cui immaginiamo il futuro (Kant avrebbe detto che cosa possiamo sperare dal futuro  tema su cui Lucien Goldmann ha incentrato la sua bellissima introduzione al pensiero di Kant). In che modo Kant ricostruisce il passato della filosofia? Nel prossimo capitolo esaminiremo il modo in cui Kant ha ricostruito la storia dell'etica come storia della successione di visioni eteronome (e quindi cattive) della morale, cui contrappone la sua nota visione autonomo-imperativa basata sul dovere incondizionato, che peraltro interpreter (mi scuso per lanticipazione, ma anch'essa, come la ripeti- zione, juvat) come critica di ogni comunitarismo e come apologia dellindividuali- smo incondizionato autoreferenziale, borghese fino al midollo. Nella Critica della Ragion Pura, invece, il passato della filosofia  ricostruito in modo unilateralmente gnoseologico, come se la filosofia avesse come scheletro la gnoseologia (laddove il suo scheletro  ammesso che ne abbia uno, ed a mio avviso ce lha  non  la fon- dazione gnoseologica ma  la fondazione del comunitarismo solidale e del rispetto della libert dell'individuo congiuntamente). Ci sono quindi, da un lato, i raziona- listi sostenitori del giudizio analitico (Cartesio, Spinoza e Leibniz), e dall'altro gli empiristi sostenitori del giudizio sintetico a posteriori (Locke, Berkeley e Hume). Si tratta di una classificazione alla Borges, che non bisogna a mio avviso lasciare assolutamente passare senza contestarla radicalmente. Se la si lascia passare, il sigillo dei filosofi dellislamismo filosofico borghese, cio del laicismo fondamen- talistico nemico sia di Marx che di Hegel (e di Ges), viene impresso con la cera- lacca bollente nel libro della filosofia del presente e del futuro. 225 CarrroLo XXVII Non  infatti un caso che i Greci siano pressoch assenti in Kant. Come si spiega questa pittoresca assenza? Non certo con l'ignoranza di Kant. Kant infatti li co- nosceva benissimo, ma non li sentiva come veramente interessanti e fondativi per almeno due ragioni. In primo luogo, perch i Greci avevano unanimemente fondato ii e solidale, in cui non ci poteva essere nessuno spazio per anticipazioni individualistiche di tipo categorico. Il concetto etico di saggez- za (sophia) dei Greci, inteso come saggezza pratica (phronesis) non lascia nessuno spazio ad a priori categorici di alcun tipo, dal momento che ai Greci non poteva saltare in mente di tematizzare i comportamenti di un individuo borghese isolato ed astrattizzato nel suo dovere. I Greci per dovere (kathekon) intendevano prima di tutto un dovere verso la collettivit, e non certo quel che Kant invece intendeva. In secondo luogo, perch i Greci non avevano teologie e metafisiche monoteistiche rivelate fornite di appa- rati sacerdotali da delegittimare con distinzioni sapienti fra fenomeni e noumeni, intelletto e ragione, scienza e metafisica, e tutto lambaradan delle ossessioni laiche e laicistiche del moderno individualismo relativistico a base nichilistica e storici- stica che i nostri progenitori ellenici non avrebbero mai neppure potuto concepire (fortunati loro!).  dunque normale che Kant conosca i Greci, ma non li senta. Il motivo per cui il grande Kant non li sente, debitamente rovesciato,  esatta- mente il motivo per cui personalmente li sento tanto vicini. L'ontologia infatti mi interessa, mentre della gnoseologia, come dicono a Roma, non me ne potrebbe fregare di meno. A proposito della distinzione fra razionalisti (Cartesio, Spinoza e Leibniz) ed empiristi (Locke, Berkeley e Hume) diciamo subito educatamente che essa non sta in cielo n in terra, se ovviamente vogliamo porci non in un'ottica gnoseologica ma in un'ottica ontologico-sociale. Queste due coppie di pensatori possono essere tenute insieme solo in modo estrinseco, sulla base di un dato del tutto secondario, ricavato dal poco rilevante approccio gnoseologico. Anche Napoleone, Vittorio. Emanuele III e Berlusconi hanno in comune il fatto di essere tutti e tre piccoli di statura, ma solo uno storico incauto ne farebbe il parametro per un giudizio stori- co. Il lettore non deve stupirsi per il mio atteggiamento provocatoriamente critico verso la gnoseologia, in quanto non si tratta per nulla di disprezzo o di sottovalu- tazione verso la conoscenza detta scientifica della natura e della societ. La co- noscenza scientifica procede secondo parametri propri, e secondo regole stabilite. autonomamente dalle comunit scientifiche specialistiche senza alcun intervento di consulenti gnoseologici esterni, che verrebbero percepiti come ridicolmen- te incompetenti, e questa conoscenza viene poi validata esclusivamente dalla | sua efficacia pratica e dalla sua posteriore applicazione tecnologica. Dal volo degli elicotteri alla psicologia, dallinsulina e dagli antibiotici fino alle scoperte della ge- . netica di oggi, la gnoseologia  del tutto assente, e la sua interazione con la ricerca scientifica e la sua applicazione tecnologica  nulla.  questa la ragione per cui definisco la gnoseologia una metafisica borghese, e non un contributo alla ricerca scientifica e tecnologica. 226 Il Kant della critica alla metafisica. Significato ontologico-sociale della separazione fra categorie dell'essere e del pensiero Tornando al nostro tema, i tre signori chiamati Cartesio, Spinoza e Leibniz han- no avuto in comune solo il periodo storico (e neppure quello, per la verit), non certo una sorta di comune (ed inesistente) razionalismo conoscitivo. Leibniz  stato di fatto un apologeta di una concezione teistica del mondo, e la sua stessa teoria del migliore dei mondi possibili (che poi sulla base delle riflessioni sul terremoto di Lisbona del 1755 Voltaire pi tardi defin scemologia) fa riferimento ad un Dio che ne garantisce la teodicea positiva, non certo ad un meccanismo storico immanente della societ, come nei posteriori Turgot e Condorcet. In questo senso Leibniz  piuttosto assimilabile a Malebranche ed a Berkeley. Si tratta di ristabi- litori del teismo religioso di fronte alla sfida deistica e soprattutto di fronte alla nuova fisica di Newton. Non parlo qui ovviamente del Leibniz teorico delle pic- . cole percezioni, del tempo come rapporto soggettivo di continuit e dello spazio come rapporto soggettivo di contiguit (questo Leibniz  stato determinante per la teoria kantiana posteriore del tempo e dello spazio come forme a priori della sensibilit e non come flussi e recipienti assoluti di Newton). Parlo del Leibniz come propugnatore consapevole di una teologia razionale unificata che mettes- se finalmente d'accordo cattolici e protestanti ed interrompesse il ciclo di guerre religiose annientatrici (peraltro gi largamente interrotto con le paci di Westfalia del 1648). Di Cartesio ho gi parlato in un capitolo precedente. La sua filosofia  frutto di un compromesso fra la teologia precedente (res cogitans intesa in senso sostan- ziale come anima immortale, idee innate, dimostrazioni metafisiche dellesistenza di Dio, morale provvisoria di adeguamento ai costumi feudali e signorili, ecc.) e le nuove prospettive materialistiche del pensiero borghese moderno (res extensa, fisica dei vortici, analisi materialistica delle passioni del corpo, animali come mac- chine da sperimentazione medico-scientifica, Dio che non occupa un suo spazio- nullibi-privilegiato, ecc.). Queste due componenti sono tenute insieme da una co- stituzione formalistica del soggetto (il Cogito), che riflette il modo necessariamente destoricizzato e desocializzato (e quindi individualistico) con cui il nuovo mondo borghese-capitalistico interpreta se stesso. In quanto a Spinoza, in un capitolo pre- cedente l'ho interpretato come precursore del concetto idealistico di unit astrat- ta del mondo (Hegel), come precursore della democrazia diretta (Giancotti) e del concetto marxiano di genere (Gattung) come spazio comune del processo storico di divenire-saggi non solo dei dotti separati dagli altri, ma dei dotti mescolati con tutti gli altri (Tosel). Comunque la si giri, Cartesio, Spinoza e Leibniz non hanno praticamente nulla in comune, a meno che si decida che in comune abbiamo avuto la glicemia, il colesterolo e l'attrazione sessuale per le belle signore. Un discorso analogo vale anche per Locke, Berkeley e Hume, i quali non hanno avuto nulla in comune, se non il passaporto britannico. Il comune possesso del passaporto britannico  stato in ogni caso il pretesto per creare la grande narra- zione mitica di una linea inglese della storia della filosofia, caratterizzata da un sobrio empirismo nominalistico e dal rifiuto delle fumisterie metafisiche conti- nentali, linea inglese che inizia con Occam, passa poi da Bacone, trionfa con Locke, 227 CarrroLo XXVII Hume, Bentham e Stuart Mill, continua con Bertrand Russell e con lemigrato au- striaco Wittgenstein e culmina oggi con la (demenziale) distinzione fra analitici (e cio anglofoni sobri e scientifici) e continentali (e cio europei che mangiano rane e lumache, cantano canzoni tirolesi, assistono alle corride, suonano la chitarra, ecc.). Questa linea inglese, a mio avviso inesistente,  una protesi ideologica indiretta per affermare la superiorit dellanglofonia Usa-Gran Bretagna-Canada anglofo- no-Australia sul resto del mondo). A suo tempo Marcuse lo cap perfettamente (cfr. L'Uomo ad una dimensione), ma temo che il circo universitario europeg non possa capirlo, perch non ha la strumentazione concettuale storico-genetica per farlo. Berkeley, lo si  detto,  un semplice apologeta religioso, l'equivalente britan- nico-protestante del francese Malebranche. Il francese segue la fisica nazionale di Cartesio, mentre il britannico segue la fisica nazionale di Newton. Entrambi de- realizzano il mondo materiale per affermare meglio la potenza spirituale di Dio. Qualcuno mi spieghi che cosa c'entra con tutto questo il famoso empirismo. Io non lho ancora capito, a meno che mi si dica che senza la vista, ludito, il tatto, il gusto e lodorato non posso entrare neppure a contatto con il mondo, e solo dopo e su questa base posso poi formarmi idee astratte come la giustizia e l'ingiustizia. Sono sempre grato a coloro che inventano lacqua calda. In quanto a Locke, era un sostenitore della conoscenza a base empirica, del contratto sociale e dell'immagine deistica del Dio cristiano ragionevole. Hume era invece un avversario di tutte e tre queste concezioni lockiane, ed era quindi un totale e consapevole anti-Locke. A proposito della conoscenza a base empirica, ne contesta la validit, e ricostruisce il mondo esterno sulla base di un concetto fondativo di natura umana, inesistente in quanto tale in Locke. A proposito della teoria del diritto naturale e del contratto sociale, elimina la prima come insieme di idee generali del tutto astratte, indi- mostrabili e fantasmatiche, ed elimina la seconda attraverso la mediazione della critica alla categoria della causalit, negando che la societ venga causata da un contratto politico-sociale ed affermando che si autocostituisce sulla base di auto- matismi di aspettative reciproche di tipo economico e non politico. A proposito del deismo razionale e ragionevole di Locke, afferma nella sua stupenda Storia Naturale della Religione che il deismo non  affatto superiore alla superstizioni politeistiche e teistico-cattoliche, in quanto il teismo non fa che proiettare su Dio le manie organizzative degli intellettuali che vorrebbero sempre organizzare razio- nalmente il mondo. A questo punto, qualcuno mi spieghi che cosa hanno avuto in comune Locke e Hume, al di fuori del fatto che ringraziavano dicendo Thank You anzich Merci Beaucoup oppure Muchas Gracias. E nello stesso tempo Kant ha le sue buone ragioni per costruire una storia della filosofia a base gnoseologica. Come pi di duemila anni prima Aristotele aveva compiuto un'operazione necessariamente destoricizzante e desocializzante con la sua teoria delle quattro cause (materiale, formale, efficiente e finale), nello stesso modo Kant compie un'operazione necessariamente destoricizzante e desocializ- zante con la sua teoria del giudizio sintetico a priori, teoria basata sulla riscrittura , della storia della filosofia precedente in base alla (inesistente) dicotomia fra ra- 228 Il Kant della critica alla metafisica. Significato ontologico-sociale della separazione fra categorie dell'essere e del pensiero zionalisti (sostenitori del giudizio analitico) ed empiristi (sostenitori del giudizio sintetico a posteriori). La metafisica borghese-capitalistica a base gnoseologica  cos fondata. Il secondo punto da discutere  la teoria kantiana dell'Io Penso (Ich Denke), che lo stesso Kant ha definito rivoluzione copernicana nella filosofia, in quanto il soggetto conoscente viene messo al centro dell'attivit conoscitiva e l'oggetto co- nosciuto ne viene messo alla periferia. La metafora  astronomica, e lo  veramen- te, in quanto il campo conoscitivo  fatto oggetto delle capacit di visibilit di tre telescopi. Il primo telescopio, quello della conoscenza sensibile che ha come lenti le forme a priori spaziali e temporali della sensibilit stessa (Sinnlichkeit), permette di vedere il vicino pianeta delle matematiche. Il secondo telescopio, quello della conoscenza intellettiva, che ha come forme a priori le dodici categorie unificate dell'attivit coordinativa formale dellappercezione trascendentale (Ich Denke), permette di vedere il pi lontano pianeta della fisica (cui oggi potremmo aggiun- gere anche la chimica, la biologia e la genetica). Il terzo telescopio, quello della ragione metafisica (Vernunft) ha delle lenti oscurate e poco chiare (le tre idee di anima, mondo Dio), ed in questo modo non possiamo vedere il mondo della me- tafisica. So bene che Kant non si  espresso in questo modo astronomico, ma attraverso il meccanismo di poter fare o meno l'operazione della sintesi a priori fra la priori stesso (nell'ordine: spazio e tempo, categorie ed infine le tre idee della ragion pura) ed il dato esterno della conoscenza stessa. Ma mantengo ugualmente la metafora astronomica, perch essa permette di collegare insieme il tema della conoscibilit ed il tema della visibilit come metafora della conoscibilit stessa. E dato che il mondo del capitalismo (metaforizzato in fenomeno)  visibile, ed il mondo della religione (metaforizzato in cosa in s oppure in concetto-limite) non  visibile, il primo mondo ha diritto ad una dimensione pubblica, mentre il secondo ha diritto al massimo ad una dimensione privata. Il codice genetico del laicismo successivo sta qui, e chi non ha capito ancora che il cosiddetto laicismo  il rifles- so rovesciato ed astrattizzato del capitalismo che si afferma come nuova divinit sensibile (Karl Marx parler di sensibilmente sovrasensibile, Roger Garaudy di monoteismo del mercato, e Martin Heidegger di dispositivo tecnico frut- to della risoluzione storica integrale della metafisica occidentale, ecc.), fa come la scimmietta che piuttosto che considerare la genesi storica delle categorie si mette le mani davanti agli occhi. La costituzione formalistica del soggetto in Kant porta a termine il processo di destoricizzazione e di desocializzazione della soggettivit apertosi con Cartesio, e lo perfeziona togliendole lultimo residuo metafisico precedente, lidentificazione della funzione pensante (il cogito) con la sostanza pensante (la res cogitans). Il campo conoscitivo dell'attivit filosofica viene sgomberato da ogni pretesa veritativa au- tonoma, bollata di metafisica premoderna (Habermas, ecc.), e la conoscenza pub- blica, tolta alla pretese religiose e filosofiche, viene riservata alla scienza naturale di Newton ed alla scienza sociale di Max Weber, fondata a sua volta sui due nuovi articoli di fede della conoscenza universitario-borghese del mondo, il Politeismo dei 229 CarrtoLO XXVII Valori ed il Disincanto del Mondo, rispettivamente il padre e lo spirito santo della nuova trinit. Se poi qualcuno oltre al padre e lo spirito santo vorr anche cercare il figlio, lo trover nellAttivit Imprenditoriale pura, unica vera creatrice del mondo in presenza della nicciana morte di Dio e della heideggeriana risoluzione finale della lunga storia della metafisica occidentale nella gabbia d'acciaio della tecnica planetaria che si autoriproduce come un vero e proprio processo senza soggetto. La sola alternativa alla deduzione trascendentale delle categorie fatta da Kant  ovviamente unesplicita deduzione sociale delle categorie stesse. E non bisogna pensare che sia necessario attendere Marx e Sohn-Rethel (o il pi modesto scri- vente) per farlo. Scrive N. Merker: L'accentuazione dell'Io come soggetto di atti- vit dinamica consent a Fichte interessanti avanzamenti rispetto a Kant. In primo luogo il conoscere non  privo di presupposti, perch anzi il primo presupposto  lattivit pratica. Le categorie e le regole che governano la formulazione dei giu- dizi, essendo il risultato di un processo continuo, non possono venir ridotte ad un numero determinato, come ad esempio nella tavola delle dodici categorie di Kant. Inoltre i due procedimenti a priori ed a posteriori non sono separabili. Essi confluiscono in unit perch le leggi e le categorie a priori che riscontriamo nella nostra attivit conoscitiva sono, in quanto prodotte da noi, anche costitutive della realt. Gi lattivit pratica ci suggerisce che esiste una reale ed oggettiva unit di soggetto e oggetto. Nellattivit conoscitiva riformuliamo semplicemente in termi- ni di riflessione cosciente le relazioni di soggetto-oggetto che nella prassi hanno un'unit immediata. Ho scelto questa lunga citazione di Merker perch in essa ci sono gli elementi concettuali minimi per la comprensione del problema della rivoluzione coperni- cana in Kant e del suo duplice carattere dialettico. Da un lato, questa rivoluzione copernicana riflette il nuovo ruolo del soggetto nel contesto storico della societ liberale e capitalistica, che non deve pi conformarsi ad un volere divino esterno ma si autopone etsi Deus non daretur (come se Dio non esistesse). Dall'altro, il fatto che il soggetto sia posto indipendentemente dalla sua genesi pratico-storica ne permette l'operazione di destoricizzazione e di desocializzazione, che a sua volta permette la rappresentazione ideologica ed ideologizzante della concezione della societ capitalistica come seconda matura delluomo e quindi come fine della storia. Tutti coloro che accuseranno il marxismo di essere un pensiero teleologico- messianico della fine della storia (Max Weber, Benedetto Croce, Karl Lwith, ecc.) non avranno tutti i torti (anzi!), ma dimenticheranno in genere che il punto di vista ideale da cui partono  anch'esso a tutti gli effetti un punto di vista formalistico ed astorico di fine (capitalistica) della storia stessa. E tuttavia,  il terzo punto da esaminare il pi interessante e significativo. Si tratta dell'operazione kantiana di separazione ontologica (e gnoseologica) delle categorie dell'essere e delle categorie del pensiero. In genere i manuali di filosofia presentano questa operazione come una fatto ovvio, ed anzi come una constata- zione talmente evidente e ragionevole da non meritare neppure una discussione critica. Le cose, ovviamente, stanno esattamente al contrario, e bisogner per que- 230 Il Kant della critica alla metafisica. Significato ontologico-sociale della separazione fra categorie dell'essere e del pensiero sto ricordare alcuni temi apparentemente noti (ma il noto, appunto, non  mai realmente conosciuto) della storia della-filosofia occidentale. Nessuna delle sei principali scuole filosofiche greche (naturalismo metaforico presocratico nelle sue varie e convergenti dimensioni storiche, platonismo, aristo- telismo, epicureismo, stoicismo e neoplatonismo) si sarebbe mai sognata di met- tere in dubbio lunit ontologica delle categorie dell'essere e delle categorie del pensiero. L'intero pensiero filosofico greco, da Talete a Proclo (e si parla di mille anni di storia!), si basa anzi sul presupposto di questa unit, che  anche la ragione princi- pale del fascino che tutto questo pensiero ha per noi a tanti secoli di distanza. Ho gi detto - e qui lo ripeto  che i Greci non avevano bisogno di delegittimare una casta sacerdotale monoteistica che basa il suo potere civile sullinterpretazione monopolizzata di una rivelazione contenuta in libri sacri di vario tipo. Come  noto, i Greci avevano una ricchissima mitologia, avevano religioni di salvezza attraverso riti individuali di purificazione e di iniziazione, avevano cerimonie po- litiche in cui la religione era strettamente intrecciata con la ritualit pubblica di tipo identitario, ecc., ma non avevano mai avuto libri sacri di legittimazione trascen- dente, per cui non sarebbe mai venuto loro in mente di separare il trascendente ontologico dal trascendentale gnoseologico. Con il cristianesimo si afferm la mediazione dellinterpretazione sacerdotale dei libri sacri. La proposta di Marcione, che voleva lasciare completamente agli ebrei l'antico testamento come loro libro esclusivo e riservare ai cristiani il solo nuo- vo testamento, fu prima emarginata e criminalizzata (gnosticismo! gnosticismo!) e poi respinta, ed in questo modo il cristianesimo successivo dovette portarsi dietro quella che (a mio avviso, ovviamente  mi prendo sempre la responsabilit delle eresie che sostengo) resta la profonda incompatibilit fra una versione esclusivi- stica ed addirittura razziale del popolo eletto (antico testamento) ed una versione universalistica, pacifista e non-violenta di una liberazione rivolta a tutti (nuovo testamento). E tuttavia in questo dualismo tragicomico non c'era posto per una specifica separazione gnoseologica fra le categorie dell'essere e quelle del pensiero. Il pensiero moderno (e cio posteriore al quindicesimo secolo) non avrebbe mai potuto concepire che la sua contestazione alla teologia esclusivistica della chie- sa (e poi delle chiese) potesse basarsi sulla distinzione gnoseologica fra le categorie dell'essere e quelle del pensiero. Ci fu prima la proposta panteistico-naturalistica di Giordano Bruno, giustamente punita con la pena di morte e con il rogo ( co- mica in proposito la denuncia cattolica novecentesca della cosiddetta intolleran- za dei comunisti!), e poi l'elaborazione delle due teorie del diritto naturale e del contratto sociale, fondate entrambe sull'ipotesi etsi Deus non daretur. E tuttavia, n il panteismo naturalistico, n laristotelismo materialistico, n il giusnaturalismo, n infine il contrattualismo si sarebbero mai sognati di fondare filosoficamente il loro discorso sulla separazione fra lato gnoseologico (categorie del pensiero) e lato ontologico (categorie dell'essere). Cartesio propose un paral- lelismo, non certo una differenza ontologica, e Spinoza ricompose questo paral- 231 CarrroLo XXVII lelismo in una visione ontologicamente unitaria, realizzando cos quel ritorno ai Greci che era possibile in quel contesto storico. Kant attua quindi un'innovazione radicale. E la attua perch era finalmente giun- to il momento storico in cui era diventato possibile la compiuta ed esplicita dele- gittimazione pubblica non tanto della pretesa della metafisica a presentarsi come scienza (come dicono i manuali di storia della filosofia, che non sospettano mai i moventi politico-sociali che stanno alla base della produzione pubblica delle idee), quanto della ben pi importante e corposa pretesa della religione di det- tare normativamente i propri contenuti etico-politici alla nuova societ civile borghese, ed anzi gi borghese-capitalistica. Le categorie dell'essere vengono in questo modo definite inconoscibili, e le categorie del pensiero, a questo punto le sole conoscibili dal soggetto, possono pienamente identificarsi simbolicamente con le categorie del nuovo essere, e cio non pi Dio ma la societ borghese- capitalistica. Vi  per ancora da concettualizzare il punto pi importante. Gli anni intorno al 1780, in cui Kant dietro la delegittimazione delle pretese teoriche della metafisica di presentarsi come scienza delegittima in realt le pretese politiche della religione di essere un fattore normativo della vita politico-sociale, sono anche gli anni in cui la religione cominciava comunque a non essere pi normativa della vita sociale, in quanto la normativit era passata alla capacit della produzione capitalistica di assicurare una normativit alternativa, attraverso nuove merci e nuovi servizi, e soprattutto attraverso l'apertura di nuovi canali professionali ed imprenditoriali di promozione sociale. La delegittimazione della metafisica, quindi, arriva proprio quando non  neppure pi socialmente necessario delegittimarla. Kant  una not- tola di Minerva che si alza al crepuscolo, non  un uccello che annunzia il giorno. Delegittima teoricamente ci che stava comunque perdendo ogni funzione sociale. E questo  il punto che ci introduce al quarto ed ultimo tema da trattare. La delegittimazione kantiana delle pretese della metafisica a presentarsi come scienza passava come  noto dalla distinzione fra la facolt dellintelletto (Verstand), lo strumento in grado di conoscere i fenomeni e quindi di fare vera scienza, e la facolt della ragione (Vernunft), vista come la facolt delle illusioni dialettiche (per Kant la dialettica  infatti pura logica dell'apparenza). La totalit per Kant  certamente un'idea regolativa del giudizio riflettente (Urteil), ma non certamente un'idea che potesse realmente determinare (bestimmen) la conoscenza scientifica della realt. E quindi bisognava attenersi strettamente alle sicurezze dellintellet- to, e non lasciarsi andare ai sogni del visionario della ragione dialettica, certo migliori della vecchia evocazione delle anime dei defunti di Swedenborg, ma in ultima istanza derivati dalla stessa fonte inaffidabile. Il neokantismo posteriore, sviluppatosi come consulente sofisticato del positi- vismo ottocentesco e poi dellanti-marxismo novecentesco, ha involgarito in modo insopportabile la critica kantiana alla metafisica, facendo di Kant un campione del- la distruzione della metafisica, ed agendo in questo modo nei confronti di Kant pi 0 meno come ha agito Croce nei confronti di Hegel e Stalin nei confronti di 232 Il Kant della critica alla metafisica. Significato ontologico-sociale della separazione fra categorie dellessere e del pensiero Marx. Kant in realt si dichiarava un innamorato della metafisica, e voleva sem- plicemente sostituire la sua proposta metafisica a base pratico-morale alla vecchia metafisica alla Wolff basata sulla teologia razionale. Kant non lo avrebbe mai permesso, se avesse potuto saperlo, ma nello stesso tempo questo sviluppo posi- tivistico-volgare, di cui non fu in alcun modo responsabile, portava comunque a termine una logica immanente del suo pensiero. E tuttavia, parafrasando la corretta intuizione storiografica di Martin Heidegger, intorno al 1780 la metafisica cominciava gi a scendere dal cielo della teologia (0 meglio dalla onto-teo-logia) per atterrare nell'aeroporto della riproduzione tec- nica del capitalismo. Tutte le principali categorie metafisiche della onto-teo-logia precedente, in primo luogo la categoria modale della necessit, si stavano riformu- lando (in questo caso, dalla necessit del volere divino luteranamente concepito alla necessit della riproduzione allargata dei rapporti sociali capitalistici di pro- duzione), e si stavano riformulando in modo secolarizzato e laicizzato. Kant sta- va allora conducendo lultima guerra contro il dispotismo feudale-signorile a base onto-teo-logica, proprio mentre si trattava di condurre la prima guerra del nuovo periodo storico, la guerra contro la secolarizzazione terrena delle categorie me- tafisiche. Ovviamente, la mia non intende essere in alcun modo una stroncatura di Kant e del suo pensiero. Chi scrive non ha perso del tutto il senso delle proporzioni, e sa perfettamente di essere un nano rispetto al pensiero potente di Kant. Ma qui non si tratta di dare un voto a Kant, quando di interpretare in modo storico-genetico ed ontologico-sociale la natura del suo pensiero. E comunque chi scrive ritiene di essere un nano rispetto a Kant, ma di non esserlo affatto rispetto allorchestra ne- okantiana odierna, la cui funzione sociale  appunto quella di non rendere possibile la critica alla metafisica realizzata nellimminenza della produzione capitalistica (basata sull'unione inscindibile di alienazione e di sfruttamento), e di non render- la possibile proprio accampando l'argomento per cui la sola critica sensata alla metafisica  quella che si fa all'(ormai irrilevante) aldil trascendente. Sparare su Ratzinger, sui mullah musulmani, sui pope ortodossi, ecc. (il Dalai Lama e la reli- gione ebraica invece vengono sempre risparmiati per principio),  indubbiamente molto pi facile che criticare il capitale finanziario, le transnazionali e le forze ar- mate dell'impero americano. E tuttavia, il discorso su Kant non  ancora finito, e richieder ancora almeno un capitolo ulteriore di discussione. 233 XXVIII. IL KANT DELLA FONDAZIONE INDIVIDUALISTICA DELLA MORALE ED IL RIFIUTO DELL'ETICA COMUNITARIA COME ETERONOMIA La teoria kantiana della morale  ampiamente nota, ed ha avuto anche una grande fortuna allinterno del movimento operaio di ispirazione marxista (pro- fessori universitari di ispirazione neokantiana nella socialdemocrazia tedesca fra il 1890 e il 1914, ecc.). E tuttavia una sua interpretazione storico-genetica ed ontologico-sociale pu essere di una certa utilit. Solo attraverso di essa, infatti,  possibile comprendere le ragioni di fondo del suo indiscutibile successo negli ultimi duecento anni, che rilever subito per comodit del lettore, anche se sarebbe stato meglio svelare il loro segreto solo alla fine della mia trattazione. In primo luogo, la morale kantiana ha avuto successo non tanto nonostante sia inapplicabile, ma proprio perch  del tutto inapplicabile, e questo svela la sua natura profonda- mente religiosa. Le morali religiose, infatti, devono essere inapplicabili, in quanto la loro funzione non consiste nel poter essere applicate, ma al contrario nelloffri- re uno sfondo compensatorio ideale al modo concreto e quotidiano peccaminoso ed immorale in cui si vive necessariamente in una societ classista di qualunque tipo (asiatico, schiavistica, feudale, capitalistica, socialistico-burocratica, ecc.). In secondo luogo (e questo punto  altrettanto importante del primo), la morale kantiana ha avuto successo perch rompe decisamente con qualunque posizione comunitaristico-solidale della fondazione della morale, fondando la morale stessa nella coscienza individuale, e soltanto in essa. Come  noto, questo passaggio dalla fondazione comunitaristico-solidale della morale alla fondazione individualistico- coscienziale di essa  stato realizzato da Kant sotto lo schermo della preferenza per la cosiddetta autonomia rispetto alla cosiddetta eteronomia. Fissiamo dunque bene i due punti essenziali, quello della impossibilit della sua concreta applicazione come ragione essenziale del suo successo, quello del passag- gio dalla fondazione comunitaristico-solidale, definita negativamente in termini di eteronomia, allo fondazione individualistico-coscienziale (morale dellintenzione), definita positivamente in termini di autonomia. In questo modo, la metafisica mo- rale di Kant  diventata a tutti gli effetti una religione laica, ed ha cos pienamente incorporato il principio di ogni religione, quello di essere ritualizzato la domenica (o il sabato, o il venerd, poco importa), e di non essere ovviamente per nulla pra- tica negli altri giorni feriali della settimana. La teoria morale di Kant si basa sulla distinzione preliminare fra massime ed imperativi. Le massime sono soggettive, per cui qualcuno ha come massima lan- dare al mare e qualcun altro l'andare in montagna, c' chi  vegetariano e chi non lo 235 CarrroLo XXVIII , ecc. C' chi di vendica di ogni offesa che riceve ( l'esempio scelto da Kant), e chi invece ha come massima il perdonare chi lo ha offeso. Ma per Kant evidentemente  impossibile fondare una morale universale sulle massime soggettive. Ci sono poi gli imperativi, che sono oggettivi in quanto rivolti a tutti, e che Kant distingue ulteriormente in ipotetici e categorici. Gli imperativi ipotetici si distinguono a loro volta in regole dellabilit (se vuoi essere promosso, devi studiare) e consigli della prudenza (se vuoi avere una vecchiaia sicura, devi risparmiare, se vuoi farti ben volere, sii cortese e generoso con gli altri). Ma Kant, ovviamente, cos come ha respinto la morale arbitraria e soggettiva fondata sulle massime, nello stesso modo respinge la morale utilitaristica fondata sulle regole dellabilit e sui consigli della prudenza. Non accetta infatti il principio ipotetico del nesso se ... allora. Il nesso se ... allora non pu dar luogo ad una morale universalistica, o pi esattamente con pretese universalistiche. Kant d tre formulazioni distinte e convergenti del suo imperativo categorico: agisci in modo che la massima della tua volont possa valere sempre, al tempo stesso, come principio di una legislazione universale; agisci in modo da conside- rare l'umanit, sia nella tua persona, sia nella persona di ogni altro, sempre an- che come scopo, e mai come semplice mezzo; agisci in modo che la volont, con la sua massima, possa considerarsi come universalmente legislatrice rispetto a se medesima. Le tre formulazioni sono largamente complementari, ma la prima insi- ste soprattutto sulla legge (oggettiva), mentre la terza insiste invece sulla volont. (soggettiva). La seconda, invece, appare come una sostanziale secolarizzazione del vecchio motto evangelico non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te. Per poter mettere in atto un comportamento stabilmente ispirato allimperativo categorico,  necessario che si possa presupporre la libert del volere umano. Kant sa bene che la cosiddetta Libert del volere  altrettanto indimostrabile dellesi- stenza di Dio, e non cerca neppure di farlo, avendo anche escluso questa possibilit nell'esame delle antinomie dell'idea di mondo nella terza parte della Critica della Ragion Pura. Egli la definisce quindi curiosamente come un fatto della ragione, luni- co giudizio sintetico a priori non fenomenico. Kant esclude che la libert sia cono- scibile, in quanto per conoscerla dovremmo avere un'intuizione intellettiva, cosa impossibile perch a sua volta la libert non  un fenomeno, ma anzi  il solo modo di sfuggire alla catena di nessi causali che caratterizza il mondo dei fenomeni stes- si.  evidente che questa concezione filosofica kantiana di libert  interessante, ed  meritevole di uno studio particolare. L'elemento paradossale sta in ci, che non appena la libert come fatto della ragione che non richiede alcun tipo di dimostrazione logica  evocato, immedia- tamente essa viene identificata con lasservimento volontario. La libert, quindi, coincide con la servit volontaria. Qui sta la specifica secolarizzazione kantiana del cristianesimo, perch ci che in Paolo di Tarso era lasservimento volontario di tutte e tre le classi della societ schiavistica romana all'unico salvatore (cfr. Lettera ai Corinzi, 7, 20-4), in  Kant lasservimento volontario di tutti i membri unificati 236 Il Kant della fondazione individualistica della morale ed il rifiuto dell'etica comunitaria come eteronomia idealmente del genere umano alla Legge Morale. La legge morale, quindi,  la se- colarizzazione del salvatore cristiano. Ma il salvatore cristiano (almeno in Paolo) era ancora il portatore di una speranza escatologica di tipo egualitario e di una soluzione redentrice dei conflitti sociali sanguinosi evocati nella Apocalisse di Giovanni. Qui invece la realizzazione della legge morale esclude esplicitamente ogni redenzione meccanica della societ. Ed infatti la libert astratta a priori come fatto della ragione della filosofia politica liberale deve escludere in ogni forma la sua concretizzazione egualitaria. Si tratta di una libert di individui che parte- cipano alla comune societ civile borghese. La loro formalit a priori ha come a posteriori il mondo del mercato capitalistico regolato dalle leggi. Per questa ra- gione Kant resta il massimo filosofo politico liberale, anche se non si  mai speso per una irrilevante classificazione scolastica delle forme di stato e di governo. I condottieri lasciano questi particolari poco importanti ai furieri. L'idea secondo la quale la libert del volere umano non abbia bisogno di es- sere dimostrata, essendo un fatto intuitivo della ragione (Faktum der Vernunft) non deriva in Kant da una concezione ottimistica preliminare, in quanto Kant dice apertamente che luomo  un legno storto, che non si pu pensare realisticamen- te di raddrizzare. E tuttavia, legno storto o meno, bisogna presupporre la libert del volere umano come un fatto intuitivo della ragione. Non si cerca di sciogliere il nodo gordiano degli innumerevoli argomenti pro o contro la libert del volere umano, ma li si taglia con l'intuizione immediata del fatto della ragione. Michel Foucault ha introdotto l'ipotesi che alle spalle di questa decisione kantiana ci sia stato l"entusiasmo per la rivoluzione francese del 1789. E nonostante il fatto che la teoria kantiana della libert del volere come fatto della ragione sia stata enun- ciata prima dellanno 1789,  possibile dire che nellessenziale Foucault ha ragione, perch l'atmosfera di attesa della possibilit della rivoluzione precedeva il 1789 nella coscienza della parte migliore degli intellettuali di quel periodo. Poca gente oggi dichiara che la libert del volere delluomo  un fatto ovvio ed indiscutibile della ragione, e questo per un insieme di ragioni che qui sar ne- cessario compendiare. In primo luogo, mentre Kant esprimeva il suo entusiasmo per la rivoluzione del 1789 (salvo ovviamente esprimere il suo orrore per lese- cuzione di Luigi XVI e per lestremismo dei giacobini  ma questo  un classico del pensiero moderato, che vorrebbe sorvegliare il decorso rivoluzionario come si sorveglia la bollitura dellacqua per la colazione), tutta la generazione intellettua- le di oggi al potere negli apparati giornalistici, editoriali ed universitari, scottata dalla sua riconversione dal gesticolare sessntottino alla depressione sociologica posteriore, ha trasformato il 1917 russo in modello demonologico dell'utopia che si trasforma inevitabilmente in terrore, ed ha ripiegato come male minore nel dominio imperiale USA sul mondo, che ci difende con le sue armi nucleari contro barbuti fondamentalisti islamici e contro baffuti dittatori populisti. L'entusiasmo si  dialetticamente rovesciato nel sorrisino di scherno dellulti- mo uomo nicciano, che sa bene che ormai Dio  morto, e per questo appunto tutto diventa possibile. In secondo luogo, la psicoanalisi di Freud ha interamente 237 CarrroLo XXVII secolarizzato la vecchia teoria luterana della predestinazione divina, attribuendo la predestinazione dei comportamenti umani che si vorrebbero soggettivamente liberi alla fatalit dello svolgimento degli stadi psicologici dell'infanzia e dellado- lescenza, per cui le varie fissazioni di origine orale ed anale ed i vari complessi di Edipo non risolti rendono del tutto illusoria lidea che l'adulto possa autodeter- minarsi liberamente nelle sue scelte consapevoli. Come  noto, l'infantilizzazione che inevitabilmente ne deriva, con i complessi di colpa che accompagnano questa infantilizzazione generalizzata, rappresenta il principale argomento per la medi- calizzazione psicologica dell'intera societ, per l'indebolimento del potere paterno (e come pu pretendere di comandare il padre, se il suo Super-Io  il frutto di fissa- zioni sadico-anali, di regressioni orali e di elaborazioni sublimate dell'odio verso il padre, la madre, o il cugino Filippo?), e per la totale espropriazione del prestigio degli insegnanti, sostituiti da ridicole bande invasive di pedagogisti pazzi, di psi- cologi maniaci, di assistenti sociali soffocanti e di sindacalisti assatanati. In questa societ medicalizzata, ovviamente, della libert del volere non ne  pi nulla. Il let- tino dello psicoanalista ha sostituito qualunque progettualit rivoluzionaria. Marx era certamente figlio di un complesso di Edipo non risolto, e del fatto che voleva distruggere la societ capitalistica perch ci vedeva in essa l'ombra ingombrante del padre. In quanto a Lenin, la sua violenza era certamente dovuta ad una sua fis- sazione sadico-anale. Pi tempo sul vasino, e probabilmente non avremmo avuto il 1917? In terzo luogo, infine, la teoria di Heidegger sul perfezionamento anonimo ed impersonale del Dispositivo (Gestell) tecnico del mondo non  certamente soltanto una sofisticata ipotesi filosofica sul destino della societ occidentale, ma  ormai un dato psicologico che si  addirittura travasato nelle riviste femminili del- la donna moderna (Umberto Galimberti). E quando una concezione filosofica arriva fino alle riviste femminili del ceto medio, insieme a consigli sulle creme, i profumi, l'arredamento, i viaggi intelligenti ed i consigli erotici, possiamo pro- prio concluderne che la metafisica si  ormai ridotta in tecnica di riproduzione so- ciale anonima ed impersonale del Kapital-Gestell. In questa situazione epocalmente nuova nella storia universale dell'umanit non c' pi ovviamente spazio per il programma dell'Io di superamento del Non-Io (Fichte), per il programma di Hegel di adeguamento del reale (wirklich) e del razionale, ed infine per il programma di Marx di superamento sociale consapevole del nesso alienazione/sfruttamento. L'incrocio fra Popper, Freud e Heidegger ha certamente dato un colpo (provvi- sorio, comunque) all'intuizione autoevidente di Kant sulla libert del volere come Faktum der Vernunft. E tuttavia Kant non ne  certamente responsabile, se oggi il meccanismo culturale universitario-giornalistico-editoriale diffonde lidea che la libert consista nel riuscire a vincere la concorrenza imprenditoriale dell'India e della Cina (nonostante il fatto che i nostri lavoratori purtroppo sono ancora troppo pagati rispetto ai cinesi e agli indiani), ed infine nello scegliere un luogo per va- | canze intelligenti in cui non incontrare la solita marmaglia dirottata alle Maldive o a Sharm el-Sheikh. 238 Il Kant della fondazione individualistica della morale ed il rifiuto dell'etica comunitaria come eteronomia Vorrei per insistere sul fatto che il grande successo della morale kantiana ri- siede proprio nel fatto di essere inapplicabile, cos come il grande successo della religione cristiana, superata limbarazzante fase estremistica di tipo messianico,  consistito nel rinvio in un innocuo (e francamente incredibile) consesso di suo- natori darpa assisi sulle nuvolette. Il concetto di dovere (Pflicht)  certamente un nome sublime e grande, che per esige la sottomissione, in quanto presenta semplicemente una legge che penetra da se sola nell'animo e si procura venerazio- ne. Questa dichiarazione apodittica  stata a suo tempo smontata da molti pen- satori, da Schopenhauer e Nietzsche, che hanno mostrato come questo imperativo categorico nascondeva in realt un imperativo ipotetico sottostante, perch il vero movente psicologico del trattare gli altri come fine e non come mezzo non poteva che essere la paura della reciprocit, del fatto cio che essendo gli altri pi forti di noi avrebbero potuto cominciare loro a trattarci come mezzo e non come fine. Ma questo per me non  un argomento contro Kant, in quanto Kant  del tutto disin- teressato alla credibilit pratica di quanto dice. Egli ha infatti voltato talmente le spalle alla phronesis di Aristotele da non essere pi accessibile a ragionamenti di tipo aristotelico (o hegelo-marxiano). Il dovere (kathekon, Pflicht), infatti, esiste veramente, ma pu esistere soltanto come dimensione comunitario-solidale, non certamente come nome sublime e grande che esige la sottomissione. Il totale disinteresse di Kant per largomentazione pratica ispirata alla phronesis aristotelica  rivelato da un curioso episodio che generalmente i manuali non ri- portano, ma che  ovviamente noto agli studiosi. Kant riteneva la veridicit, e cio il dire sempre sinceramene la verit, un presupposto formale a priori dell'agire morale, in quanto ovviamente se mento non posso pi agire moralmente (su que- sto, le regole dell'abilit ed i consigli della prudenza del medico portano peraltro il medico stesso ad agire spesso diversamente). Fu chiesto a Kant come avrebbe dovuto agire luomo giusto se un fuggiasco inseguito da un feroce assassino aves- se cercato rifugio nella sua casa e se l'assassino, giunto alla sua porta, gli avesse chiesto se colui che inseguiva si trovava nella sua casa. Dalle sei scuole filosofiche greche principali al cristianesimo, da Spinoza allempirismo inglese fino allo scet- tico Hume, comprendendo tutte le persone ispirate dal buon senso (che poi Lukcs ha definito in termini di rispecchiamento quotidiano), chiunque risponderebbe: Non ho mai visto quello che lei cerca. Anzi, l'ho visto mezz'ora fa che stava scap- pando in quella direzione (indicando ovviamente la direzione della pi vicina stazione dei carabinieri). Ma Kant afferma che persino in quel caso non  consen- tito mentire, in quanto la formalit della veridicit come precondizione universale della morale non tollera eccezioni. E tuttavia, sostiene Kant, posso sempre spera- re che linseguito riesca a scappare per i tetti (sic!), ed in ogni caso non potrei mai essere ritenuto penalmente responsabile (!). Mostrare la pedantesca e filistea idiozia di Kant sarebbe come sparare sulla Croce Rossa. E tuttavia abbiamo qui il cuore del tentativo titanico di Kant di creare una morale che escluda ogni componente psicologica e sociale di tipo eteronomo. Egli fa l'esempio del deposito di denaro che ci  stato affidato da un padrone che 239 CarrroLo XXVIII nel frattempo  morto e non ha lasciato nessun scritto a questo riguardo. Secondo Kant, soltanto il senso del dovere ci potrebbe spingere a restituire il deposito, visto che nessuno ne saprebbe mai niente. In realt, ci sarebbero certamente dei furbac- chioni (o pi probabilmente, dei poveracci) che si terrebbero il deposito, ma ci sa- rebbe probabilmente anche una (esigua) maggioranza che lo restituirebbe agli ere- di legittimi, per un insieme differenziato di ragioni psicologiche (introiezione fin dall'infanzia del senso di colpa, introiezione dei sentimenti comunitari di giustizia, paura del giudizio di Dio dopo la morte, sentimenti di simpatia verso gli eredi del lascito, ecc.). Ma sono appunto questi motivi che Kant vuole escludere. Deve resta- re soltanto il dovere per il dovere, senza altre componenti. Ora, di fatto nessuno agisce cos, ed (aggiungo io),  un bene che nessuno agisca cos. Atomi insensibili, privi di motivazioni psicologiche, che agiscano solo in base alla formalit astratta del dovere, formerebbero una societ da incubo. E del resto, Kant ha teorizzato con maniacale argomentazione teutonica che la masturbazione  una buona alter- nativa alle noie di una famiglia, che possono distogliere dall'attivit di pensiero. Attenzione, non ha detto che la masturbazione  un piacere solitario, un frutto della solitudine, oppure che fa diventare ciechi (minacciosa teoria della mia nonna materna). No, ha detto che  una ragionevole alternativa alle noie di famiglia. Non intendo affatto accanirmi con Kant. Intendo soltanto sottolineare con pittoresca insistenza che non solo tutte le morali del mondo sono eteronome, e non potrebbero essere diversamente, ma che  anche bene che siano eteronome, e bene ha fatto Hegel non solo a distinguere fra la moralit e leticit (distinzione impossibile in Kant, in quanto tutte le forme di eticit devono necessariamente essere sciolte e ricomposte in un unico modello formale di moralit categorico- trascendentale), ma anche a rimettere al loro posto le motivazioni soggettive del comportamento. C' infatti una fortissima omogeneit fra il modo con cui Kant aveva ricostruito in modo gnoseologico lintera storia della filosofia precedente (lo scontro fra razionalisti ed empiristi e la sua soluzione alternativa, ecc.), ed il modo in cui riscrive la storia dell'etica. Dal momento che il criterio metodologico di Kant  quello di purificare la for- ma del comportamento isolandone ed in questo modo eliminandone progressiva- mente le motivazioni materiali, egli distingue nella sua tavola delle distruzio- ni quattro tipi di motivazioni eteronome, i motivi soggettivi interni ed esterni, ed i motivo oggettivi interni ed esterni. Rimandando alla (necessaria) lettura diret- ta di Kant, si ha qui il rifiuto delle motivazioni in base all'educazione (Montaigne, ma anche Cartesio, che sostenevano che ci si dovesse conformare agli usi ed ai costumi del proprio paese), alla costituzione civile (Mandeville nella Favola delle Api, per cui i fini individuali, soggettivamente cattivi, si trasformano per conto loro in fini sociali, oggettivamente buoni), al sentimento fisico (Epicuro, che fondava la sua etica sul sentimento del piacere), al sentimento morale (Hutcheson, ed il suo sentimento della giustizia e della simpatia insito nella natura umana, da cui poi anche Hume e Smith), alla perfezione (stoici antichi e Wolff), ed infine alla volont di Dio (la morale fondata in modo teologico).  interessante notare (in quanto in 240 Il Kant della fondazione individualistica della morale ed il rifiuto dell'etica comunitaria come eteronomia questi casi le assenze sono ancora pi significative delle presenze) che in questa tipologia in sei parti manchi del tutto la motivazione principale che uno si aspette- rebbe, e cio la ricerca dellapprovazione degli altri membri della comunit. E tut- tavia, questa assenza  la chiave interpretativa principale di tutta questa elaborata tassonomia kantiana. Sospendiamo provvisoriamente queste considerazioni su Kant e torniamo ad esaminare le origini del processo di costituzione del pensiero umano (capitolo se- condo). Ricostruendo questo processo storico-genetico di costituzione (processo storico-genetico che per definizione  assente nell'approccio formalistico, destori- cizzato e desocializzato di Kant), appare evidente che non nasce prima la religione, e poi l'etica da cui viene dedotta, ma l'etica e la religione nascono storicamen- te insieme intrecciate strettamente, in quanto l'etica si basa sulle regole solidali- comunitarie che permettono la sopravvivenza fisica del gruppo nelle condizioni naturali date (il che pu implicare ovviamente in caso di penuria di risorse lab- bandono dei vecchi e l'eliminazione dei bambini malformati), regole tribali-comu- nitarie in cui l'individuo cerca naturalmente l'approvazione e la simpatia dei suoi simili, e la religione assicura simbolicamente la permanenza eterna di queste regole etiche dandone una garanzia divina. E quindi, anche se storicamente l'etica e la religione nascono insieme, logica- mente nasce prima l'etica (la funzione della sopravvivenza comunitario-solidale del gruppo) e poi la religione (la garanzia simbolica del fondamento divino di queste regole sociali riproduttive). Quanto dico qui sommariamente  stato di- mostrato da innumerevoli studi etnologici comparati, ed  comprensibile a tutti coloro che vogliano rifletterci sopra (al di fuori, ovviamente, dei sostenitori del ritorno a Kant). Come si spiega, allora, il fatto che nonostante queste solari evidenze di tipo comunitario-solidale, storico-genetico ed ontologico-sociale si continui a predicare l'impossibile ed inapplicabile morale kantiana, e non la si storicizzi come pro- dotto teorico superato di un'epoca ormai del tutto trascorsa? L'ho gi detto in precedenza, ma repetita juvant. In primo luogo, lo scopo segreto di questa formula- zione kantiana della morale non  quello di fornire un insieme applicabile di nor- me etiche, ma al contrario di fornire un ideale asintotico di morale programmati- camente inapplicabile, che funga da compensazione festiva per lo scatenamento feriale degli animal spirits dellaccumulazione capitalistica. In secondo luogo,  evidente che luomo borghese non pu pensarsi ed autorappresentarsi come mem- bro solidale di una comunit, ma deve pensarsi come individuo sovrano ed originario. Questo individuo  titolare di una assoluta sovranit politica nella societ civile liberale, da cui sono escluse tutte le classi pericolose il cui accesso al suffragio universale (cfr. Costituzione giacobina del 1793, mai entrata in vigore) avrebbe messo sicuramente in pericolo la propriet privata (siamo infatti in una fase sto- rica precedente alla economizzazione del conflitto salariale, alla nazionalizzazione imperialistica e razzistica delle masse ed alla loro integrazione consumistica nella societ manipolata dello spettacolo mediatico). CaritoLo XXVII Questo individuo ha diritto alla propriet privata originaria fondata sul suo lavoro robinsoniamente inteso (Locke), ed agisce in base a costanti antropologi- che comportamentali della natura umana (Hume). Kant non fa altro che portare a termine sul piano teorico-astratto il processo di costituzione formalistica del sog- getto iniziato con Cartesio e la rappresentazione destoricizzata e desocializzata del suo comportamento. La formalizzazione, tanto amata dai neokantiani, coincide infatti con la destoricizzazione e con la desocializzazione, e nello stesso tempo offre un'alternativa individualistica radicale a qualunque riproposizione dellagi- re comunitario, spacciato per autoritarismo organicistico eteronomo. Che poi questo neokantismo individualistico si presenti in vesti di destra o di sinistra, questo  irrilevante per ogni severo esame filosofico, e pu interessare solo i letto- ri di rivistine di gossip politico-parlamentare (amanti del premier, Sark insieme a Karl, ristoranti gratuiti per parlamentari mangioni, ed altre perle di ci che a suo tempo Heidegger ha chiamato chiacchiera, Gerede, curiosit, Neugier, ed equivoco, Zweideutigkeit). E tuttavia non posso finire in questo modo con Kant. Kant  stato ovviamente un pensatore strategico per la visione borghese del mondo, ma  anche stato un donatore di alcune fra le concezioni pi geniali della storia della filosofia. La sua teoria estetica, consegnata nella mirabile Critica del Giudizio, (si sar gi capito che per chi scrive si tratta della migliore fra le tre Critiche di Kant), resta oggi attualis- sima, e non ne parlo solo perch il suo contenuto  estraneo alla linea principale delle mie analisi. Ma  soprattutto linterpretazione del giudizio teleologico che merita un'analisi particolare. Quando scrisse della natura del giudizio teleologico, Kant non poteva ancora sapere che nel secolo successivo si sarebbe formata una metafisica teleologica della storia, quella del marxismo. Kant non lo sapeva, ma noi invece lo sappiamo, ed abbiamo quindi il permesso di rifletterci sopra spregiu- dicatamente. Spinoza aveva gi rilevato che l'essenza del cerchio sta nella sua produzione, e cio nella mano che lo disegna. E sulla sua scia Kant rileva che il cerchio  il princi- pio della soluzione geometrica di una grande quantit di problemi, ma questo non significa affatto che il cerchio sia lunit finalistica dei problemi che grazie ad esso vengono risolti. La finalit del fiume Nilo non  quella di consentire l'agricoltura agli antichi egizi, anche se noi possiamo spiegarci perch sulle rive di quel fiume sono sorti grandi insediamenti umani. La ragione per cui viene prodotto un oro- logio non sta nella natura meccanica dell'orologio, ma sta al di fuori dell'orologio stesso, nella finalit per cui lorologiaio lo ha costruito e per cui i suoi acquirenti lo compreranno. Kant ha ragione. Quando visse, la scienza che dettava il modello per tutte le altre era la fisica, non la biologia, ed era evidente che la finalit interna degli orga- nismi naturali non potesse essere conoscitivamente determinata, ma solo riflessa dal pensiero (giudizio detto riflettente). Il massimo che si poteva raggiungere era una spiegazione meccanicistica. E la stessa filosofia della storia di Kant era costitu- ita in questo modo: nel corso storico possiamo soltanto sperare che si vada verso 242 II Kant della fondazione individualistica della morale ed il rifiuto delletica comunitaria come eteronomia il meglio, non possiamo pretendere di determinare con sicurezza che certamente sta andando verso il meglio. Che dire? In breve, che Kant su questo punto ha perfettamente ragione, ed il successivo marxismo deterministico e necessitaristico ha avuto invece completamente torto.  bene che non lasci dubbi su questo punto, perch su quasi tutte le questioni fondamentali della filosofia sono un allievo di Hegel e di Marx ed un avversario di Kant (e gli ultimi due capitoli lo dimostrano ampiamente). Ma su questo punto la mia opinione  invertita: su questo punto Kant ha avuto ragione, e se qualcuno su questo punto (e solo su questo punto) mi propone un ritorno a Kant, ebbene, gli andrei volontariamente dietro. E tuttavia, la questione  di tale importanza da meritare una discussione ulteriore. Dovr anticipare cos temi che tratter nei prossimi capitoli, e tuttavia  data la crucialit della questione  sono sicuro di fare cosa gradita al lettore. Il rifiuto kantiano di determinare il corso storico del futuro, e di limitarsi di speranze di un giudizio riflettente di tipo teleologico tratto dalla considerazione della natura, cui Kant non applicava consapevolmente le categorie del determini- smo fisico e della precisione matematica, non era soltanto qualcosa di saggio e di razionale da rivendicare ancora oggi, dopo la consumazione e la smentita delle previsioni scientifiche del marxismo storico novecentesco e del suo codice ide- ologico staliniano. Questo rifiuto era comune a quasi tutte le filosofie della storia illuministiche di quel periodo, inglesi, francesi, tedesche, ecc. E questo non  un caso, perch le filosofie settecentesche della storia ignoravano la nozione positivi- stica di legge scientifica, intesa come insieme di regolarit accertabili del corso storico che avrebbero permesso la previsione certa del futuro storico delluma- nit. Certo, esisteva l'ideologia del progresso, che in precedenza ho interpretato in termini di necessaria unificazione trascendentale-riflessiva della temporalit ideologica borghese. Ma questa robustissima ideologia del progresso (che soltan- to Rousseau ed alcuni pochi altri osarono rifiutare esplicitamente, ben prima di Walter Benjamin e di Georges Sorel) non si fondava sulla concezione di legge storica come previsione scientifica del corso storico. Questa concezione determi- nistico-necessitaristica, adottata da Engels nel suo scritto fondativo sul passaggio del socialismo dallutopia alla scienza, era assente sia nel pensiero illuministico che nel posteriore pensiero idealistico. In Fichte c' certamente una filosofia della storia, ed anzi la sua teoria sulla cosiddetta epoca della compiuta peccaminosit  addirittura fondante per inten- derne il pensiero. E tuttavia la stessa accusa di Hegel, di proseguire cio il cattivo infinto indeterminato di Kant, ci mostra indirettamente quello che comunque ri- sulta dai testi fichtiani, e cio che in Fichte non c' nessun determinismo e nessun necessitarismo storico. Per Fichte la storia, come per Kant, continua ad essere il luogo ideale di un giudizio riflettente, anche se ovviamente sono sempre deter- minabili i passaggi in cui l'Io (e cio lunit concettuale e metaforizzata dell'intera umanit intesa come soggettivit attiva e trasformatrice) modifica il Non-Io (e cio l'insieme degli ostacoli che il mondo del pregiudizio e della corruzione ci met- te invariabilmente davanti). Il passato  razionalmente ricostruibile, il presente  243 CaprroLo XXVIII logicamente determinabile, ma il futuro resta privo di qualunque determinazione teleologico-necessitaristica. Si dir che Hegel, con la sua critica al cattivo infinito indeterminato di Kant e Fichte, ha invece messo un tassello per la costruzione di una filosofia della storia necessitaristico-deterministica. Non  cos. In un suo mirabile e dettagliato studio sulla Scienza della Logica di Hegel, letta in controluce con le concezioni di Engels sulle presunte leggi dialettiche della natura e della societ, lo studioso svedese Eric Liedman ha accertato che il concetto di legge dialettica non esiste in Hegel, mentre invece (ahim)  presente nel primo libro del Capitale di Marx pubblicato nel 1867. Ed il fatto che questo concetto sia assente nello Hegel del 1812 e sia invece pre- sente nel Marx del 1867 non si pu spiegare che in un modo, e cio che nel frattem- po era intervenuto il positivismo (ed anche il darwinismo), che invece si nutriva del concetto di legge scientifica intesa come previsione certa dell'esito di processi di temporalit future che ci concepivano come il proseguimento lineare omoge- neo delle temporalit passate e presenti. Liedman (ma non solo lui) dimostra cos che Hegel avr magari avuto tutti i difetti del mondo, ma non ha mai difeso una concezione della filosofia della storia come previsione scientifica del futuro sulla base estrapolazione logica delle regolarit storiche e sociali del presente. Il fatto   detto in breve - che Marx si  fatto intrappolare dalla concezione positivistica delle leggi scientifiche, e di l  poi sorta l'applicazione ideologica sviluppata dalla coppia Engels-Kautsky fra il 1875 ed il 1895. Althusser ha quindi ragione nellauspicare una scienza marxista della strut- tura del modo di produzione capitalistico depurata dalle tre nozioni ideologiche di Origine, Soggetto e Fine. Ha invece torto nel credere che il marxismo possa essere questo, laddove il marxismo realmente esistito al di fuori di alcuni cena- coli catacombali  proprio stato questo e non poteva che essere questo (e cio una grande narrazione deterministico-teleologica dell'origine, del soggetto e del fine). E non poteva che essere questo, ovviamente, per gli scopi funzionali per cui era stato creato, la rassicurazione metafisica di un soggetto subalterno, e quindi reli- gioso per sua profonda essenza sociale. Ha anche torto nel rifiutare l'eredit idea- lista, perch questa eredit idealista non coincide in alcun modo con la metafisica deterministico-teleologica della grande narrazione dell'origine, del soggetto e del fine, ma ne  anzi a tutti gli effetti il pi sicuro antidoto teorico e filosofico. In questo modo, cos, la prima parte di questa ricostruzione ontologico-sociale della storia della filosofia  terminata. Entriamo nella seconda parte, che non si arrester fino al quarantesimo ed ultimo capitolo. Il bello  per cos dire  comincia soltanto adesso 244  XXIX. IL RISTABILIMENTO DELL'ONTOLOGIA DELL'ESSERE SOCIALE IN FICHTE E LA CONNOTAZIONE DEL PRESENTE COME EPOCA DELLA COMPIUTA PECCAMINOSIT Nei suoi Dialoghi di Profughi Bertolt Brecht ha scritto che tutti coloro che man- cano di senso dell'umorismo non potranno mai capire la dialettica di Hegel. Sono perfettamente d'accordo. Aggiungo per che le prime lezioni filosofiche di senso dell'umorismo devono iniziare dallo studio della filosofia di Fichte. In Fichte non abbiamo soltanto il ristabilimento del punto di vista dellontologia dell'essere sociale dopo la parentesi kantiana, ma anche un vero e proprio quaderno di esercizi sul rapporto fra senso dell'umorismo e filosofia teoretica. Prendiamo ad esempio la nota undicesima tesi su Feuerbach di Marx, che dice: I filosofi hanno soltanto diversamente interpretato il mondo, ma si tratta ora di trasformarlo. Trascuriamo qui il fatto che in alcuni ambienti politici la lettura e lo studio erano diffamati come semplice interpretazione del mondo, mentre per trasformazione di esso si intendeva la friggitura dei salamini ai festival di partito. Trascuriamo il fatto che mettere in opposizione linterpretazione e la trasforma- zione  qualcosa di demenziale, perch non  possibile trasformare nulla se prima non lo si  interpretato, in quanto se lo si fosse giudicato buono durante linterpre- tazione non bisognerebbe ovviamente trasformarlo, ma conservarlo. L'elemento irresistibilmente umoristico dell'intera faccenda sta in ci, che questa undicesima tesi di Marx  stata considerata per pi di un secolo come la fondazione del materiali- smo, e pi esattamente del materialismo della prassi (opposto allidealismo, evidente- mente considerato come la filosofia della contemplazione passiva per eccellenza), laddove invece essa non fa che esprimere in modo sintetico la formula idealistica di Fichte, gi perfettamente espressa circa cinquanta anni prima (1794). Per Fichte, infatti, i filosofi precedenti avevano sempre e soltanto interpretato il mondo, sulla base del presupposto dogmatico dellesistenza preliminare dell'oggetto, laddo- ve si trattava ora di trasformarlo, sulla base della comprensione che gli oggetti sociali esterni a noi (nel suo linguaggio, il Non-Io) erano, sono e saranno anche in futuro prodotti dell'attivit umana, che  quindi un'attivit trasformatrice per sua stessa essenza. La trasformazione nel febbraio 1845 in materialistiche di tesi che erano state espresse nel 1794 in forma pienamente idealistica  ovviamente un pezzo di al- tissimo umorismo storico, ma  anche un esempio di come la terminologia filosofi- ca, lungi dall'essere una libera creazione idealtipica (le possibilit del filosofare di Nicola Abbagnano e Norberto Bobbio),  sempre dipendente dalla congiuntura storica. Nel 1794 lattivismo rivoluzionario di tipo giacobino si esprimeva in forma 245 \ CarrroLo XXIX idealistica (non pi soltanto interpretare, ma anche trasformare), laddove mezzo secolo dopo, nel 1844, lo stesso attivismo rivoluzionario, che si esprimeva peraltro con gli stessi identici termini (non pi soltanto interpretare, ma anche trasforma- re), riteneva di stare rovesciando il vecchio idealismo in nuovo materialismo. Naturalmente chi lo faceva non era affatto stupido. In cinquanta anni circa (1794- 1844) il termine idealismo aveva subito una mutazione semantica che era anche e soprattutto una mutazione sociale, trasformandosi da rivendicazione giacobina- rivoluzionaria (Fichte) in apologia conservatrice del ruolo della religione e del di- ritto dello stato a controllare in modo poliziesco la societ civile (destra universita- ria hegeliana). Per questo dico con Brecht che chi non ha senso dell'umorismo non pu studiare la filosofia. Gli ismi sono sempre e soltanto maschere, che vengono indossate volta a volta da sinceri rivoluzionari e da ipocriti piagnoni. La parola comunismo era sempre la stessa, ma la sua funzione storica nel passaggio dai compagni di Gramsci ai funzionari delle cooperative dell'Emilia Romagna era to- talmente cambiata. Passiamo ora ai quattro volumi della Storia della Filosofia Occidentale di Bertrand Russell, che acquistai su di una bancarella nel lontano 1966. Ero troppo giovane ed inesperto allora per poter interagire criticamente con quello che leggevo, e non potevo ancora capire che Bertrand Russell riscriveva lintera tradizione filosofica occidentale con maniacalit gnoseologica. Riletta oggi, lopera  un pezzo di altis- simo umorismo inglese, da associare alla Pantera Rosa di Peter Sellers. La destori- cizzazione e la desocializzazione delle categorie del pensiero  in Bertrand Russell addirittura totale. Di Spinoza si dice che il suo sistema metafisico  del tipo di cui  capostipite Parmenide. Di Hegel interpreta l'identit di reale e razionale in termini di quella sorta di compiacenza che deriva dal credere che qualunque cosa sia,  giusta (sic!). Di Marx dice che la sua economia  un prodotto della classica economia britannica, di cui cambia solo la forza motrice (sic!). In nessun momen- to, Russell mostra di sospettare che Marx non ha alcuna intenzione di creare unen- nesima versione di una economia politica di sinistra, ma intende invece scrivere una critica filosofica globale dell'economia politica. Di Dante egli dice che pur essendo, come poeta, un grande innovatore, fu come pensatore alquanto indietro sui suoi tempi. Potrei continuare con questo florilegio, e soprattutto con le storiel- le esilaranti sulla vita privata dei filosofi (inimitabile  quella in cui Schopenhauer getta dalle scale una cucitrice, le causa lesioni permanenti, deve mantenerla a vita con cinque talleri al mese, e quando muore scrive sul suo diario in latino obit anus, abit onus, la vecchia  morta, il debito  saldato, segno di una conoscenza del latino che oggi  perduta), ma non c' qui lo spazio necessario. E tuttavia la stupidit di Bertrand Russell  una stupidit interamente sociale, frutto cio della maniacalit anglosassone di poter riscrivere lintera storia della filosofia sulla base esclusiva degli (irrilevanti) problemi della teoria della conoscenza. Ma vediamo come il nostro lord giudica Fichte. Qui devo citarlo, perch in caso contrario il lettore sospettoso e neopositivista potrebbe pensare che lo stia pren- dendo in giro: L'immediato successore di Kant, Fichte, abbandon le cose in s, e 246 Ristabilimento dell'ontologia dell'essere sociale in Fichte. Il presente come epoca della compiuta peccaminosit port il soggettivismo ad un punto assai prossimo alla pazzia. Fichte sostiene che l'Io  la sola realt definitiva [sic], e che esiste perch postula se stesso. Il Non-Io, che ha una realt subordinata, esiste anch'esso solo perch lIo lo postula. Fichte non ha importanza come filosofo puro, ma per essere stato il fondatore del nazio- nalismo tedesco. LIo come concetto metafisico fu facilmente confuso con il Fichte empirico. Poich l'Io era tedesco, ne conseguiva che i tedeschi erano superiori a tutte le altre nazioni. Di questa sintesi esilarante richiamo soprattutto lespressione Fichte port il soggettivismo fino ad un punto assai prossimo alla pazzia.  evidente che Russell non ha neppure capito il significato semantiee del termine Io in Fichte, e non aven- done capito il significato semantico non pu neppure averne capito il significato concettuale. Il termine Jo in Fichte non allude affattovad una autoposizione narci- sistica prossima alla pazzia, ma connota il concetto unificato dell'intera umanit, pensata come se fosse un solo soggetto storico e morale ed intesa come attivit sociale e culturale permanente, che non ha nessun Dio al suo esterno, e quindi si produce da sola tutto il bene e tutto il male di cui  capace. E tuttavia la pittoresca stupidi- t mostrata da Russell  un fatto sociale, non certamente individuale, in quanto in mille altri frangenti Russell dimostra di non essere affatto stupido, ma di essere al contrario spiritoso, colto ed acutissimo. La stupidit che Russell dimostra rispetto a Fichte  quindi una stupidit integralmente sociale, da cui bisogna partire per poter comprendere cos lintera logica della storia della filosofia degli ultimi due- cento anni.   noto che il rapporto fra il finito e l'infinito  forse la chiave teorica principale per comprendere lintero idealismo tedesco (del quale  secondo mia interpreta- zione - Marx  stato il sigillo, e non certo il superatore materialistico). Hegel scrisse che lidealismo si basava sulla proposizione per cui il finito era ideale. Dire che il finito era ideale, e quindi ideale non  solo l'infinito contrapposto al finito (come avrebbe detto Kant, se fosse stato interpellato in proposito), signifi- cava dire che l'infinito non  ontologicamente e gnoseologicamente contrapposto al finito (e Kant avrebbe detto in proposito che il finito  conoscibile, mentre lin- finito non  conoscibile ma solo pensabile), ma che l'infinito si determina nel finito, che ne  solo una sua determinazione (Bestimmung). E tuttavia limitarsi a queste banali precisazioni gnoseologiche e da manuale scolastico non ci permette di capire l'essenza della questione. Nicolao Merker, uno dei migliori conoscitori italiani dellidealismo tedesco, ha rilevato che in Fichte il temine finito  una metafora per indicare l'accettazione del dispotismo feudale esistente, ed il termine infinito  una metafora per indicarne il processo di superamento. Qui sta infat- ti la chiave dell'intera questione, che sfugge interamente non solo al pittoresco lord Russell, ma anche a tutta la manualeria dossografica-compilativa. Ed infatti, come in Parmenide il concetto di essere  una metafora per indicare la stabilit e la permanenza eterna nel tempo della buona legislazione a base pitagorica, nello stesso tempo in Fichte il finito  la metafora dellaccettazione servile del dispoti- smo feudale, e l'infinito  la metafora del processo del suo superamento rivoluzio- 247 CarrroLo XXIX nario. In caso contrario, saremo condannati a ripetere la lezioncina gnoseologica kantiana (peraltro rivolta anch'essa contro le pretese del dispotismo normativo delle chiese in Germania), secondo cui il finito  conoscibile in quanto determina- bile dallappercezione trascendentale (Ich Denke) attraverso le categorie a loro volta rese possibili dalla spazio-temporalizzazione materiale delle forme a priori della sensibilit. Ma questa nobile tiritera gnoseologica  di cui non mi sogno affatto di contestare la funzione sociale anti-feudale che esercit  non ci permette di capire nulla di quanto avvenne allora. Figlio di un tessitore di nastri sassone, Fichte era, tra i filosofi dellidealismo, lunico che fosse di estrazione sociale plebea. La miseria della gente povera dei villaggi feudali ed il quotidiano contatto che il giovane Fichte ebbe con la male- dizione della servit della gleba, furono esperienze che lasciarono in lui tracce profonde. Nel 1788 (e quindi un anno prima dello scoppio della rivoluzione fran- cese) Fichte redige una serie di annotazioni (cfr. Pensieri casuali di una notte insonne) ispirate ad un illuminismo radicale e rivoluzionario. In questo scritto si affaccia il progetto di scrivere un libro che mostri lintera corruzione dei nostri governi e dei nostri costumi. Lungi dall'essere il prodotto narcisistico di un pazzo (interpretazione di Bertrand Russell), la Dottrina della Scienza del 1794  la realizzazione, interamente astrattiz- zata e filtrata in un lingiaggio formalizzato (l'Io, il Non-Io, l'io minuscolo teoretico e pratico, ecc.) del programma abbozzato sei anni prima nel 1788. Quest'opera si basa sulla distinzione radicale fra la logica formale e la dottrina della scienza (Wissenschaftlehre), concetto che come vedremo Fichte trasmise non solo a Hegel ma anche a Marx (di cui vedremo pi avanti il Triumph der deutschen Wissenschaft e la scienza im deutschen Sinn annunciata nelle sue lettere). La logica formale  la scienza dell'uso corretto delle categorie del pensiero, e si basa sulla preventiva separazione metodologica di principio fra forma e contenuto (n potrebbe esser diversamente). La dottrina della scienza, invece, che  una vera e propria scienza filosofica (mentre invece la logica formale non lo ) presuppone un rapporto or- ganico (ontologico, appunto, o se si vuole ontologico-dialettico) fra un soggetto che progetta, agisce, trasforma e modifica il mondo ed un oggetto naturale e/o so- ciale che ne viene di conseguenza agito, modificato e trasformato. Fichte, che si au- todefinisce idealista  ma potrebbe tranquillamente essere anche definito realista o addirittura ndalo! scandalo!) materialista, definisce la realt in termini di sviluppo dialettico frai posti in correlazione essenziale dell'Io e del Non-Io, per cui la dialettica stessa pu esser definita come l'unificazione sintetica dellop- posizione creatasi attraverso la determinazione reciproca che risulta dal processo stesso. Se si  ben compreso questo punto, apparir del tutto inutile qualunque discorso di separazione fra una dialettica presunta idealista ed una dialettica presunta materialistica. E cos come l'operazione di addizione e di sottrazione non si scinde in operazione idealista ed operazione materialista, nello stesso modo la dialettica  sempre una e solo una. In termini sintetici,  l'operazione teorica che fa da tessuto e da rete alla scienza filosofica, che a differenza della logica formale 248 Ristabilimento dell'ontologia dell'essere sociale in Fichte. Il presente come epoca della compiuta peccaminosit si basa sulla connessione organica fra forma e contenuto e fra soggetto ed oggetto. In Marx, come  noto, il termine Io  ridefinito in termini di soggetto rivoluziona- rio anti-capitalistico, ed il temine Non-lo  ridefinito come unit di alienazione e di sfruttamento nella produzione capitalistica. Ma la grammatica teorica resta a tutti gli effetti quella di Fichte, anche se curiosamente (ma non troppo!) viene chiamata materialistica, in quanto (come vedremo in un capitolo apposito) la materia far da metafora per la libert, la prassi, lateismo ed il primato della struttura sulla sovrastruttura. Ma di que i avanti. Come reagisce Kant? In modo assolutamente p dibile, reagisce con un at- teggiamento di totale e provocatoria incomprensione. Saverdote del finito (di cui abbiamo fatto in precedenza la deduzione storica e sociale),  cieco, sordo e muto di fronte ad una logica dialettica dell'infinito (cui rimandiamo alla sua deduzione storica e sociale). Il 7 agosto 1799 fa pubblicare una solenne dichiarazione contro la filosofia di Fichte, in modo che fosse ben chiaro che lui non c'entrava nulla con questultima. Il 1799  anche lanno in cui Fichte viene licenziato per ateismo dall'universit di Jena, ed  anche lanno in cui lipocrita marpione Schelling accet- ta di prenderne il posto dopo la cacciata. La presa di distanza di Kant  quindi un colpo ulteriore sferrato a chi  gi a terra per conto suo, in un contesto in cui un falso amico, e reale ipocrita-marpione, approfitta per sedersi sulla sua cattedra, pi veloce della luce. Capiamo ora meglio perch Spinoza, che valeva da solo duemila Schelling messi uno sopra laltro, aveva rifiutato la servit universitaria promes- sagli ad Heidelberg. E tuttavia vogliamo credere che Kant fosse disinteressato nella sua presa di distanza. Dopo aver deplorato che Fichte non si fosse limitato a fare il ripetitore della sua propria filosofia critica ed averlo definito come filosofia dell'elemento scolastico, Kant dichiara: Con la presente dichiaro di considerare la dottrina del- la scienza di Fichte un sistema del tutto insostenibile. Pura dottrina della scienza  infatti n pi n meno che mera logica, la quale, con i suoi principi, non pu presumere di arrivare fino all'elemento materiale della conoscenza. Essendo pura logica, essa astrae dal contenuto di questa, e volerne tirar fuori un oggetto  fatica sprecata, ed  unimpresa alla quale non si era ancora messo nessuno. E se poi la si tenta si  costretti, ammesso che sia valida la filosofia trascendentale, a passare subito oltre di essa, ed a finire nella metafisica. Questo testo kantiano  di estremo interesse, e commentandolo si capiranno molte cose non solo sul delicato passaggio storico dal criticismo allidealismo, ma sull'intera filosofia degli ultimi duecento anni. Nel Dizionario Filosofico UTET di Nicola Abbagnano, bibbia del neokantismo universitario italiano scritta pi di un secolo e mezzo dopo questa dichiarazione solenne kantiana, il termine ontolo- gia non  neppure citato, e c' solo un rimando al termine metafisica, per cui si d per scontato che i due termini si identificano. Questa assurda identificazione, assurda perch lontologia, lungi dallidentificarsi con la metafisica, ne  un'alter- nativa radicale (e rimando qui all'ultimo capitolo dedicato a Lukcs), deriva per linearmente dalla considerazione di Kant, per cui la dottrina della scienza fichtia- 249 CaprroLo XXIX na non poteva che finire nel cosiddetto elemento scolastico (Wolff, Tommaso d'Aquino, ecc.). E tuttavia, qualche altra considerazione sar di qualche utilit. Kant era soggettivamente convinto di essere in qualche modo il sigillo della filosofia. In questa stessa dichiarazione contro Fichte termina scrivendo: La filo- sofia critica, per la sua irresistibile tendenza a soddisfare la ragione dal punto di vista teoretico come da quello morale-pratico, deve serbare la convinzione che ad essa non si impone alcun mutamento di vedute, n alcuna correzione, n alcuna ricostruzione del suo edificio dottrinale. Il sistema della Critica si appoggia ad un fondamento del tutto sicuro, di solidit indiscutibile, e sar per tutte le epoche fu- ture indispensabile alla realizzazione dei fini supremi dell'umanit.  difficile essere pi chiari. Kant era soggettivamente convinto di avere edifi- cato una filosofia definitiva, e lo dice esplicitamente senza lasciar adito al dubbio. Quando lo ho definito in precedenza, con una certa malizia, il sigillo finale dei filosofi dell'islam filosofico borghese, ho certo esagerato un poco, ma mi sono ba- sato sulle sue stesse dichiarazioni.  curioso che questa accusa di voler chiudere la storia, la filosofia e la religione, e di concepirsi come il sigillo di tutte e tre, sia sempre rivolta verso Hegel, ed invece Kant ne sia sempre assolto. Le cose stanno esattamente all'incontrario. Ma di questo pi tardi. Kant non comprende che la dottrina della scienza non solo non  e non pu essere mera logica, ma si fonda proprio sul distacco dalla mera logica stessa. Kant si rivela il vero fondatore del materialismo ottocentesco (intendo la Storia del Materialismo di Lange del 1866, da cui derivarono poi linearmente Engels, Lenin, Stalin, ecc.), il quale presupponeva appunto il cosiddetto elemento materiale del- la conoscenza (cosa in s, Ding an Sich), che poi fece da presupposto alla cosiddetta teoria del rispecchiamento (Widerspiegelungstheorie), sulla quale si fond Materialismo ed Empiriocriticismo di Lenin e tutta la posteriore scolastica del Diamat sovietico e cinese. Formalmente, il criticismo non  ancora materialismo, ma inserito nel positivismo ottocentesco (Lange, Engels, ecc.), sfocia nel materialismo dialetti- co, e questo  uno dei tanti paradossi della filosofia che richiede luso del senso dell'umorismo, perch Kant resta il critico della dialettica come logica dellappa- renza (Herbart, Trendelenburg, ecc.). Ma se la natura pu essere considerata come oggetto ideale di rispecchiamento scientifico successivo (Lenin, Geymonat, lo stesso\Lukcs, ecc.), la societ deve essere bens conosciuta (se non la conoscia- mo, ron possiamo neppure trasfomerl, ma non pu essere rispecchiata, per- ch  impossibile rispecchiare una prassi trasformatrice. L'Io fichtiano, infatti, non rispecchia il Non-Io, ma lo trasforma, e solo in questo modo lo conosce. Non pretendo ovviamente di convincere con queste pacate argomentazioni filosofiche i sostenitori del neokantismo e/o del materialismo dialettico, sia nella versione ontologica sovietico-staliniana sia nella versione gnoseologica althusse riana. So bene per esperienza quarantennale che entrambe le trib sono al di l di qualunque possibile convincimento, e lo so perch (a differenza di come pensa Habermas) la stessa argomentazione convincente  un fatto sociale, non un dato | retorico o gnoseologico. Ma torniamo a Kant. 250 Ristabilimento dell'ontologia dell'essere sociale in Fichte. Il presente come epoca della compiuta peccaminosit In questa dichiarazione Kant confessa di aver scritto una lettera a Fichte in cui lo sconsigliava di coltivare infruttuose sottigliezze (apices), ma Fichte gli avrebbe risposto rifiutando cortesemente, e dichiarando che non avrebbe cessato di inte- ressarsi all'elemento scolastico. In questa incomprensione ci sta la chiave teorica di tutto il nostro discorso. Lungi dall'essere un ritorno al cosiddetto elemento scolastico, la filosofia di Fichte  al contrario il solo modo di congedarsi veramente dallelemento scolastico, inteso come il fondamento della onto-teo-logia metafisica tradizionale. Il criticismo di Kant, lungi dall'essere un vero congedo, ne effettua soltanto una delegittima- zione gnoseologica, delegittimazione che stava peraltro i inutile negli stessi anni, in cui lo sviluppo capitalistico-*spostava la legittima- zione dal cielo (della divinit) alla terra (del consumo e dell'apertura di canali di promozione sociale verticale). Il dualismo kantiano  cos di fatto la metafora sofi- sticata di un arresto della critica al finito, in cui il finito non era che l'accettazione metaforica del dispotismo feudale, o se si vuole del compromesso del dispotismo illuminato di Federico Il di Prussia. Ed  curioso che Kant, che mantiene lelemen- to scolastico della cosa in s (il suo elemento materiale della conoscenza) accusi Fichte proprio della cosa che Fichte non fa, ed in cui lui invece  impigliato. Kant ha invece ragione nel dire che Fichte si  accinto ad una impresa alla qua- le non si era ancora messo nessuno, anche se il suo approccio formale-gnoseolo- gico non pu consentirgli di spiegarne le ragioni storico-genetiche ed ontologico- sociali. Non bisogna pensare che Fichte abbia avuto la pensata geniale di porre lIo, che a sua volta pone il Non-Io, cos come a suo tempo Talete ha avuto la pensata geniale di individuare nell'acqua larch di tutte le cose. Se infatti Fichte ha fatto nel 1794 una operazione teorica alla quale prima non si era ancora messo nessuno  perch lattivit pratica della classe borghese euro- pea, metaforizzata nel termine lo, fa della stessa classe borghese idealtipicamente concepita la prima classe sociale della storia che pu rappresentare la propria stessa prassi senza ricorrere ad una mediazione trascendente esterna, e cio il volere di Dio. Gli stessi Greci, che pensavano se stessi e la propria prassi politica (praxis) senza la mediazione di una divinit trascendente dotata di libri sacri e di appara- ti sacerdotali, avevano mantenuto comunque lesternit degli dei stessi (Epicuro, ecc.), come metafora dell'esempio che essi davano ai mortali (ed infatti Epicuro  ritenuto erroneamente un ipermaterialista  li definisce immortali felici). La borghesia, in quanto produttrice integrale del proprio mondo sociale,  la prima classe che pu veramente pensarsi simbolicamente come originaria e fon- datrice, e che pu quindi metaforizzare la propria funzione storica come unit sog- gettiva di un concetto trascendentale-riflessivo della storia universale (Koselleck). Per questo Fichte pu accingersi a qualcosa che prima di lui non aveva mai fatto nessuno. E tuttavia Fichte  un pensatore borghese, ma non lo  certamente nel senso di Hume e di Kant. Lo  nel senso di primo teorico della coscienza infelice della borghesia stessa.  allora un borghese rivoluzionario, di cui Marx sar un erede 251 CaprroLo XXIX diretto. Ci sta qui un punto essenziale, di cui bisogna indicare almeno i passaggi principali. In primo luogo, il processo storico di cui Fichte si sente parte  metaforizza- to nella forma del ringiovanimento (Verjungen). Lontano da ogni teoria di tipo deterministico e necessitaristico del corso storico (ricordo ancora che prima del positivismo il concetto di legge storica non esiste neppure), Fichte si raffigura il corso dell'umanit in cinque epoche successive. Nella prima epoca, quella dellin- nocenza del genere umano, la ragione domina attraverso l'istinto. Nella seconda, la ragione si afferma nelle forme dell'autorit e della coercizione esterna contro le spontanee tendenze peccaminose degli individui. Nella terza, che Fichte considera quella in corso durante la sua vita e che battezza epoca della compiuta peccami- nosit, domina un atteggiamento intellettualistico che mira solo al vantaggio ed allutilit immediati dell'individuo. Da tale atteggiamento di egoismo, frutto della critica illuministica alle religioni positive e dellassolutizzazione nichilistica delle conoscenze scientifiche separate dagli scopi sociali cui dovrebbero subordinarsi, si sviluppa la rivolta contro ogni autorit esterna, cos che domina l'anarchia. Nella quarta epoca, con l'affermarsi progressivo della scienza filosofica razionale, la ve- rit  riconquistata come principio normativo e valore supremo, e su questa base potr cominciare il reale riscatto dell'umanit. Nella quinta epoca, infine, l'epoca dell'uomo redento dalla compiuta peccaminosit, ogni attivit si svolge alla luce della ragione e della libert, intesa non come arbitrio del volere del singolo, ma come comprensione di una fondazione comunitaria della societ. Non c' dubbio che la filosofia della storia di Fichte si iscriva in una visione religiosa, in cui la quinta epoca non  che il ritorno alla prima, ed  perci un rista- bilimento dell'origine. Si tratta di una visione romantica del ristabilimento dellin- tero originario decaduto e spezzato, una visione che in quanto tale non potrebbe resistere alle obiezioni logiche di un Lucio Colletti e di un Louis Althusser, e che a mio avviso Marx modific radicalmente, togliendole gli aspetti teleologici. Ma di questo parleremo pi avanti. Per ora basti notare che Fichte individua con una certa precisione la natura dellepoca in cui oggi stiamo vivendo, e la individua con un anticipo di due secoli. L'epoca in cui stiamo vivendo, infatti,  caratterizzata dal rifiuto di ogni scienza filosofica della verit, denunciata come protesi ideologica di un presunto pensie- ro forte autoritario. Quest'epoca  anche l'epoca di una totale anarchia, che non  certamente l'anarchia di Bakunin e di Kropotkin, ma  l'anarchia dellindividua- ismo esasperato e del mercato capitalistico come unica normazione automatica esterna dell'agire umano. Quest epoca, infine,  l'epoca in cui la critica laica alle religioni positive e l'assolutizzazione del metodo delle scienze della natura eretto ad unica razionalit possibile fanno venir meno ogni sensatezza della vita individuale e comunitaria. Quanto dico potr sembrare un inutile ritorno ad una visione romantica del- la societ, e tuttavia preferisco (cito Rousseau) enunciare un paradosso piuttosto che ripetere un pregiudizio. In breve: non conosco nessuna descrizione filosofica 252 Ristabilimento dellontologia dell'essere sociale in Fichte. Il presente come epoca della compiuta peccaminosit approssimata migliore dellepoca in cui stiamo vivendo (2013) della concezione fichtiana dellepoca della compiuta peccaminosit. E tuttavia, a differenza dei seguaci di Heidegger per riviste fem c' lidea che per cui dall'epoca della compiuta peccaminosit si un ringiovanimento (Verjungen) dellintera societ.  evidente c potendosi marxianamente inventare un soggetto rivoluzionario mo inili, in Fichte u uscire con Fichte, non UA dini mosse da flussi deleuziano-negriani, generale intellect informatizzato, contdi- ni poveri organizzati in partiti marxisti-leninisti-maoisti, ecc.), deve metaforizzare filosoficamente questo soggetto nella Giovent. Ed infatti dice: La scelta di una filosofia dipende da quello che si  come uomo, perch un sistema filosofico non  un'inerte suppellettile, che si pu lasciare o prendere a piacere, ma  animato dallo spirito delluomo che lha [...] per essere filosofi bisogna essere nati tali, essere stati educati tali, e tali educarsi: non c' arte umana che valga a far diventare filosofi. Ed  per questo che questa scienza si ripromette pochi proseliti fra gli uomini gi fatti. Se le  dato di avere qualche speranza, essa la ripone nella giovent, la cui conge- nita energia non si  ancora rovinata nella fiacchezza dei nostri tempi.  facile oggi sorridere con una smorfia cinica di tipo postmoderno sullingenui- t romantica di queste affermazioni. Oggi si preferisce la saggezza disincantata di Benedetto Croce, per cui il solo vero problema dei giovani  quello di aspettare di diventare vecchi. L'epoca in cui viviamo  l'epoca in cui la giovent, preco- cemente integrata nell'industria del consumo e del divertimento, e nello stesso tempo precarizzata e flessibilizzata in modo da non poter mai raggiungere letica professionale hegeliana (il cui presupposto  la stabilit nel tempo delle professio- ni),  spesso meno idealista delle stesse generazioni pi anziane. Nel nostro caso italiano (2013), essa deve anche sopportare le lezioni di disincanto come saggezza. E tuttavia queste note sono inspirate dal passaggio fichtiano dalla terza alla quarta epoca possibile (possibile, ovviamente, non necessaria), quella del ristabilimento del rispetto verso la verit prodotta da una scienza filosofica razionale. In secondo luogo, infine, Fichte  stato il primo teorico moderno del comunitari- smo. Ho molto insistito nei primi capitoli di questa storia alternativa della filoso- fia occidentale sul fatto incontrovertibile che la filosofia  nata dal comunitarismo, o pi esattamente  nata dalla problematizzazione dialogica e razionale (/ogos, isegoria) della crisi delle precedenti forme di convivenza, dissolte dalla dismisura delle ricchezze private (adikia, apeiron). Con gli sviluppi prima ellenistico-romani e poi cristiani questa strettissima unione di pensiero filosofico e di comunit solidale si  apparentemente perduta, attraverso il suo ripiegamento in comunit protette e solidali di amici (Epicuro), la sua fuga in avanti in una forma di cosmopolitismo ideale di utopia dei dotti (stoicismo), di asservimento di tutti ad un unico libera- tore divino (Paolo, Lettera ai Corinzi, 7, 20-4), ed infine della ricostruzione di una chiesa invisibile di praticanti (Occam). E tuttavia questa radice comunitaria di ogni vera filosofia non pu che riaffiorare, ed infatti con Fichte  riaffiorata. 253 CaprroLo XXIX In una sua critica al diritto naturale (cfr. Fondamento del diritto naturale, sezione III paragrafo 9), Fichte scrive che luomo  realmente titolare di diritti soltanto quando vive in comunit con altri, cos come soltanto in una comunit pu essere pensato. Un diritto originario  perci una mera finzione. Non si poteva dire meglio. Per diritto originario Fichte intende ovviamen- te il diritto robinsoniano dell'individuo isolato di Locke, ma anche quella vera e propria unione di solitudini originarie che fa da tessuto al contratto sociale di Rousseau, da cui proviene la tradizione individualistica della cosiddetta si- nistra. Per Fichte non sarebbe in alcun modo possibile una indagine sui diritti come diritti originari, senza badare alle limitazioni rese necessarie dai diritti degli altri. E ancora: Si pu parlare di diritti soltanto a condizione che una persona venga pensata come persona, cio come individuo, dunque in rapporto con altri individui, e che fra questa persona e le altre, anche se non venisse istituita una so- ciet reale, si concepisca tuttavia una societ possibile. Concludiamo. Il comunismo inteso nel senso di Karl Marx, concepito a lungo come esito prefissato necessario di una determinazione teleologica voluta dalla storia, deve essere concepito oggi (dopo le smentite tragicomiche della storia re- ale novecentesca) come una societ possibile. Come societ possibile, essa non pu essere che una comunit. Non potr essere certamente una comunit di tipo greco, e neppure un ristabilimento religioso di una origine nel frattempo deca- duta (come la concepiva Fichte sulla base probabile di filosofie della storia alla Giambattista Vico), ma sar comunque una comunit. La cosiddetta sinistra, giunta oggi al suo massimo grado di estenuazione, decadenza ed esaurimento, non potr in alcun modo contribuire idealmente al suo concepimento, perch que- sta cosiddetta sinistra  intrisa di individualismo anarcoide, ed  perci soltanto una componente dellepoca della compiuta peccaminosit. Certo, questa  una lettura personale di Fichte, di cui porto ovviamente lintera responsabilit.  possibile che lo fraintenda, ma credo di fraintenderlo meno di Bertrand Russell (spinse il soggettivismo sino alla pazzia) e di Immanuel Kant (ri- torn all'elemento scolastico della vecchia metafisica). In ogni caso, si tratta dellin- vito cortese ad un ennesimo riorientamento gestaltico. 254 XXX. HEGEL E LA SCOPERTA PROGRESSIVA DELLA FILOSOFIA PRIMA E DELLA SCIENZA FILOSOFICA POI COME TERRENO DEL RISTABILIMENTO DELLONTOLOGIA DELL'ESSERE SOCIALE Whitehead ha scritto che tutta la storia della filosofia occidentale pu ridursi ad una serie di note a margine delle opere di Platone. L'affermazione  certo un po esagerata e volutamente estremistica, ma resta corretta nellessenziale. Platone ha infatti imposto ai filosofi successivi il tema dellesistenza della verit, ed an- che se questo tema  stato poi declinato in modi diversi dal suo, e che lo stesso Platone non avrebbe mai neppure potuto immaginare (la onto-teo-logia cristiana, il razionalismo cartesiano, la dialettica hegeliana, il progetto marxiano di eman- cipazione dell'umanit, ecc.), resta il fatto che Platone ha aperto lo spazio fra la verit e l'opinione, e fra il Vero da un lato ed il Relativo ed il Convenzionale dall'altro. Questo campo di battaglia (il termine Kampfplatz  di Kant), imposto da Platone quasi duemila e cinquecento anni fa, rester probabilmente per sempre fino alla trasformazione astronomica del sole in una nova ed il connesso venir meno della base materiale per il proseguimento della discussione. Nello stesso modo  stato scritto che la storia della filosofia dopo Hegel pu essere vista come una successione di reazioni diverse alla sua opera. Ed  vera- mente cos. Bisogna per aggiungere che le menzogne, i fraintendimenti, gli uti- lizzi ideologici perversi, ed infine l'odio e lantipatia verso Hegel, come pure la simpatia e l'apprezzamento, sono fatti sociali nel senso di Durkheim, e non sono certamente semplici oggetti di chiarimento seminariale universitario.  quindi ne- cessario, prima di iniziare l'esame dei fraintendimenti pi pittoreschi e diffusi, cercare di spiegare il perch del fatto che l'atteggiamento verso Hegel non  mai un semplice dato filosofico di opinione (Meinung), ma  un fatto sociale che trova al di fuori del semplice dato teorico conflittuale la sua spiegazione storico-genetica ed ontologico-sociale. La stessa cosa, del resto, era gi avvenuta agli inizi della filoso- fia greca, in cui il ristabilimento democratico della misura sociale (metron) contro l'ingiustizia (adikia) derivata dallillimitatezza delle ricchezze (chremata) e del po- tere tirannico (hybris) non frenato dal potere della ragione (katechein, logos) non  stato mai in alcun momento un dato teorico di convincimento socratico (sokratiks logos), ma  sempre e solo stato un fatto sociale. La stessa cosa, ovviamente, si pu riscontrare anche nellatteggiamento verso Hegel. E cerchiamo allora di cogliere subito il cuore sociale della questione-Hegel, al di l della variopinta messe di discorsi e di interpretazioni. 255 CAPITOLO XXX Fichte aveva chiarito che l'epoca della compiuta peccaminosit era l'epoca in cui regnava esclusivamente la corrosione razionalistica di ogni precedente certez- za a base tradizionale e religiosa, corrosione razionalistica che produceva anarchia sociale e nichilismo culturale (il tema del nichilismo, e lo stesso termine che lo con- nota, non nasce affatto con Nietzsche, come molti pensano, ma nasce esattamente allepoca di Fichte). Fichte sapeva bene che non si poteva certamente restaurare il tempo definitivamente trascorso dal fondamento religioso-tradizionale della so- ciet, e bisognava stabilire un nuovo fondamento sociale veritativo in base al presup- posto che si era ormai entrati in unepoca di gestazione e di trapasso (lespres- sione  come  noto   di Hegel). E dal momento che non si poteva regredire da questa terza epoca alla seconda precedente,  chiaro che bisognava invece avanzare da questa terza epoca verso una quarta. Non siamo ovviamente qui di fronte ad una filosofia necessitaristico-meccanicistica della storia, che verr solo ai tempi del positivismo con la nozione (comtiana) di legge storica, e che era impensabile ed inconcepibile ai tempi di Fichte. Su questo punto Fichte era un kantiano integrale, riteneva che alla storia si potesse solo applicare un giudizio di tipo riflettente e non certo determinante (come nel caso delle scienze naturali), e su questa base ancora kantiana concepiva il passaggio dalla terza epoca (l'epoca della compiuta pecca- minosit) alla quarta (l'epoca del ristabilimento di una credibile verot filosofica come sola base possibile di una nuova comunit). Ricordo quanto ho gi sostenuto nel capitolo precedente: per Fichte la societ non poteva che essere una comunit, in quanto il giusnaturalismo a base individualistica con i cosiddetti diritti innati dell'individuo isolato non era filosoficamente difendibile, in quanto fin dal principio l'individuo entra in una rete di rapporti obbligati con i suoi simili. La quarta epoca, che evidentemente Fichte non pu dimostrare con un giudi- zio determinante, ma solo evocare con un giudizio riflettente,  l'epoca auspica- bile dellaffermazione della scienza filosofica razionale, in cui la verit  riconqui- stata come principio e valore, e su questa base (e solo su questa base) pu iniziare il riscatto dell'umanit. Pi avanti chiarir (o pi modestamente cercher di chiarire) che questo rester il codice filosofico di Karl Marx, anche se ovviamente Marx so- \stituir alla giovent di Fichte la classe operaia, salariata e proletaria, il lavora- Di collettivo cooperativo associato, il general intellect, e compagnia cantante, oltre ovviamente a chiarire il nesso fra alienazione e sfruttamento con la connessa critica dialettica all'economia politica. Vorrei insistere molto sul fatto che il codice filosofico fichtiano rester in Marx assolutamente intatto, a partire ovviamente dallundicesi- ma tesi su Feuerbach del 1845, del tutto incompatibile con qualunque posteriore teoria del cosiddetto rispecchiamento (Widerspiegelung). Ma torniamo a noi. Tutte le successive prese di distanza di Hegel rispetto a Fichte, ivi compresa la sua (a mio parere errata) preferenza del sistema idealistico | di Schelling rispetto a quello di Fichte, devono essere subordinate ad un dato di fondo, che qui ripeter per evitare ogni pittoresco fraintendimento. Hegel si collo- ca allinterno del passaggio fichtiano dalla terza alla quarta epoca, e cio dellepoca della compiuta peccaminosit (nel suo linguaggio, del regno animale dello spirito) ; 256 Hegel e la scoperta della filosofia e della scienza filosofica come terreno del ristabilimento dellontologia dell'essere sociale allepoca del ristabilimento della scienza filosofica della verit come solo fonda- mento possibile per una nuova comunit politico-sociale. Da l nasce storicamente e socialmente lodio e lantipatia verso Hegel, fenomeni che non possono certamente essere limitati (e tantomeno aboliti) da educati chia- rimenti universitari di tipo seminariale. Hegel, infatti, esprime l'esigenza di una sovranit della scienza filosofica della verit sia nei confronti delle certezze e delle esattezze raggiungibili mediante la scienza della natura di Galileo e di Newton, sia rispetto alla tradizione religiosa, sia soprattutto rispetto al mercato capitalistico ed ai suoi automatismi economici. In questo modo Hegel si mette contro i preti, gli scienziati di laboratorio e soprattutto i capitalisti, che non possono tutti e tre (sia pure per motivi diversi  diversi ma convergenti) accettare questa insopportabile sovranit della scienza filosofica della verit sullincenso delle chiese, sulle provet- te dei laboratori ed infine sulle quotazioni di borsa, oggi definite il giudizio dei mercati. In questo consiste il problema-Hegel. Chi non ne comprende la natura, si per- der inevitabilmente nel chiacchiericcio colto degli argomenti teorici pro 0 con- tro Hegel. Io imboccher pertanto una strada completamente diversa, una strada storico-genetica ed ontologico-sociale. La stessa ricostruzione razionale del profilo filosofico di Hegel, che tenter in questo e nei due successivi capitoli, deve quindi essere preceduta dallo studio dei fraintendimenti, dellotie-e dellantipatia verso Hegel, in quanto prima si studia un fatto sociale, e soltanto dopo si possono pro- ficuamente discutere i vari passaggi logici della filosofia propriamente detta. I fraintendimenti di Hegel sono ovviamente molti, in quanto il loro numero  in fun- zione della legittima antipatia sociale che lo stesso Hegel suscita nelle chiese, nei laboratori e soprattutto nelle borse-valori. Per chiarezza, mi limiter a segnalare solo sette fraintendimenti fra i molti possibili. L'elenco ovviamente non  esausti- vo, ma  tuttavia sufficiente a completare la pars destruens, cui ovviamente dovr seguire una pars costruens. Un primo fraintendimento tocca la natura del lessico filosofico hegeliano, con- siderato non solo difficile, ma mistico ed incomprendibile. Contrapposto alla chia- rezza (indiscutibile) di Kant, il linguaggio di Hegel  ritenuto oscuro ed incom- prensibile, ed in questo modo si incrementa il sospetto che si tratti di una ripropo- sizione dello gnosticismo segreto del tardo impero romano. Ebbene, le cose stanno esattamente al contrario. Il linguaggio di Hegel  uno dei pi semplici e chiari di tutta la storia della filosofia, se si ammette per che una scienza filosofica deve dotarsi di un proprio lessico concettuale specifico, che bisogna imparare come bi- sogna imparare d'altronde un lessico fisico, chimico e biologico, fatto di cui nessu- no si lamenta ma che tutti trovano ovvio. Ma  evidente che chi intende la filosofia come un libero opinare incontrollato a ruota libera, in cui regna il relativismo ni- chilistico assoluto dei punti di vista, non potr che avere antipatia verso un les- sico come quello di Hegel. A suo tempo Lukcs, che ha dedicato decenni di studi al pensiero di Hegel, ha definito il suo pensiero gnoseologia democratica, perch Hegel lo aveva concepito come accessibile potenzialmente a tutti, in un momento 257 CarrtoLO XXX storico in cui ampollosi cretini (fra cui come sempre si distingueva il confusionario Schelling) sostenevano che solo il genio poteva intuire lunit mistica fra la Natura e lo Spirito. Lukdcs fa notare giustamente che Hegel si  sempre opposto alla vuota profondit di questa gnoseologia aristocratica basata sullineffabile intuizione del Genio, solo possibile portatore della comprensione del mondo. Il lessico di Hegel  certamente di difficile comprensione, richiede studio e concen- trazione, ecc., ma  programmaticamente alla portata di tutti coloro che decidono di applicarvisi. La scienza filosofica di Hegel  cos potenzialmente (dynamei on) alla portata di tutti, e questo non  un caso, perch deriva dal ripensamento auto- nomo fatto da Hegel nei confronti del pensiero di Platone e di Aristotele. Da un lato, infatti, Hegel riprende il progetto di Platone, per cui la sola possibile fonda- zione filosofica razionale di una comunit consiste in una scienza filosofica della verit e del bene, in particolare in una situazione storica in cui le vecchie fondazio- ni religioso-comunitarie tradizionali sono entrate in crisi irreversibile (dato storico che accomuna la situazione del 390 avanti Cristo in Grecia e del 1810 dopo Cristo in Europa). Dall'altro, Hegel accetta pienamente le critiche fatte da Aristotele a Platone, sul fatto che non  opportuno proporre che la societ venga diretta da una casta sociale separata di governanti che praticano il comunismo di gruppo e la selezione genetica dei candidati al matrimonio. Il progetto di Platone, quindi, viene da un lato giustificato nella sua intenzione (il fondamento della comunit sociale su di una scienza filosofica della verit e del bene), ma viene anche consi- derato frutto di una operazione di intelletto astratto (Verstand), evidente peraltro nel disegno della sua Repubblica. Trascurando di denunciare l'ipotesi dilettantisti- ca secondo la quale Hegel avrebbe ereditato lidea di societ chiusa e perfetta di Platone (Popper e popperiani, ecc.), laddove in realt  esattamente l'opposto, ri- sulta che Hegel ha invece pienamente recepito l'insegnamento di Spinoza, per cui ormai nei tempi moderni saggi e non-saggi sono "condannati a vivere insieme, e non possono pi essere separati in modo platonico. Tutti, saggi e non-saggi, possono potenzialmente (dynamei on) impadronirsi di un lessico filosofico unitario democratico, per complicato e tecnico che sia, a differenza di come sostengono gli sciocchi pomposi che riservano al cosiddetto genio la comprensione ineffabi- le del mondo. Un secondo fraintendimento  fondato sull'idea che Hegel pensasse di aver ca- pito tutto, e di essere in questo modo diventato Dio. Il tema  francamente demen- ziale, e nello stesso tempo il fatto che questa percezione sia stata tanto diffusa ai suoi tempi ci impone la sua presa in considerazione. Persino un simpatizzante di Hegel come il poeta Heine ha scritto: Ero giovane e fiero, e colpiva il mio orgoglio limparare da Hegel che non esisteva il buon Dio che sta nei cieli, come lo crede- va mia nonna, ma ero invece io stesso il buon Dio che sta sulla terra. E tuttavia l'accusa a Hegel di credersi l'equivalente di Dio in terra trova in Schopenhauer, e soprattutto in Kierkegaard, accenti di vero e proprio odio scatenato. | Per Schopenhauer Hegel  un accademico mercenario, un corrotto che fa l'elogio dello stato prussiano unicamente perch ne mangia il pane. Hegel  um; 258 Hegel e la scoperta della filosofia e della scienza filosofica come terreno del ristabilimento dellontologia dell'essere sociale ciarlatano pesante e stucchevole, che si esprime nel gergo pi ripugnante ed insieme insensato, che ricorda il delirio dei pazzi.  un sicario, il sicario della verit che rende la filosofia serva dello stato e colpisce al cuore la libert di pen- siero. Per Hegel, il caposezione e luomo erano una sola ed unica cosa. Hegel  luomo della verit remunerata. Kierkegaard, per cos dire, va gi ancora pi duro. Il sistema hegeliano avreb- be un fondamento ridicolo, dimenticandosi dellesistenza del Singolo, ed in que- sto modo uno sgraziato professorino pretenderebbe di aver scoperto la necessit di ogni cosa, guardando le cose con gli occhi di Dio. E conclude Kierkegaard: Gli dei dell'Olimpo si sono certamente abbandonati a scoppi di risa. Ho evitato di riportare altri volgari insulti di Schopenhauer e di Kierkegaard, perch dico subito di trovarli del tutto legittimi. Mi spiego. Sia Schopenhauer che Kierkegaard capiscono perfettamente che Hegel intende trattare la storia come un oggetto razionale della conoscenza umana, ed appunto per questo sono tanto fu- riosi. Nel loro ridurre la filosofia di Hegel al semplice fatto di essere pagato dallo stato prussiano i due critici preannunciano la marmaglia urlante delle sezioni del comunismo storico novecentesco che di fronte a qualsiasi tipo di critica politica 0 filosofica si alzava in piedi rossa di indignazione gridando: Chi vi paga? Chi vi paga?, come se qualunque tipo di critica non potesse che essere interpretata che come il corrispettivo di un pagamento corruttivo da parte di non meglio identifi- cati capitalisti.  del tutto evidente inoltre che Hegel non sosteneva la deduzione della neces- sit di ogni cosa, avendo scritto invece che bisogna che anche il casuale sia ne- cessario. Ed  curiosa lidea che lo stato etico di Hegel fosse unideologia di fun- zionari statali, laddove Hegel si limitava a constatare l'evidenza per cui esistono due tipi di etica, l'etica familiare e l'etica professionale, ed entrambe non possono essere dedotte e derivate dalla semplice morale categorica kantiana. Ma qui i due critici di Hegel anticipano la buffa idea diffusa oggi dai nemici di Hegel, per cui lo stato etico sarebbe uno stato poliziesco che manda la polizia dei costumi ad imporre i mutandoni alle signore in bikini sulla spiaggia ed a fare irruzione nei lo- cali per gay. Ovviamente non  cos. Un simile stato non sarebbe affatto uno stato etico, ma uno stato morale, ed anzi uno stato moralistico. E tuttavia, come ho detto, il fraintendimento di Hegel  un fatto sociale, e non certamente un equivoco scioglibile con un opportuno seminario universitario. Considero del tutto legittime ed opportune le sfuriate di Schopenhauer e di Kierkegaard, e mi congratulo anzi con loro per aver avuto il coraggio del turpi- loquio. Chi ritiene che la storia umana non abbia nessun senso, non possa essere pensata concettualmente con un concetto unitario di tipo trascendentale riflessivo, e sia soltanto o un veleggiare verso la morte (Schopenhauer) o il teatro tragico di scelte alternative (1Aut Aut kierkegaardiano), ha tutte le ragioni per sputare su Hegel, anche se avrebbe potuto avere la generosit di pensare che Hegel sosteneva tutte queste cose gratis, ma se pensa qualcosa lo pu fare soltanto perch qualcuno lo paga. Definirei questo atteggiamento un nichilismo morale a base sociologico- 259 CarrroLo XXX economica, ed anche un aspetto permanente della subalternit e della bestialit umana. Un terzo fraintendimento, ben pi socialmente grave dei due precedenti,  quel- lo che fa diventare Hegel il fondatore ed il papa dello storicismo. Per storicismo, evidentemente, non intendo il suo irrilevante significato universitario, che riguar- da il ben poco rilevante problema metodologico (metodologia=scienza per nullate- nenti) se il metodo delle scienze della natura sia eguale o diverso dal metodo delle scienze storiche e sociali ( infatti chiaro come la luce del sole che  diverso!), ma intendo la nota posizione ideologica a base nichilistica per cui il successo storico  lunico indice del vero e del falso, del giusto e dellingiusto, dal momento che Dio non esiste, Platone aveva torto nel pensare che esistesse un'idea iperuranica del Bene, ed in quanto al buon Kant ha magari ragione in teoria, ma in pratica  del tutto inapplicabile. Hegel sarebbe dunque stato il fondatore dello storicismo inteso in questo senso, ed  infatti in questo modo che il dilettante anglofono Bertrand Russell ed i trinariciuti militanti del defunto comunismo storico novecentesco (chi vi paga? Chi vi paga?) lo hanno sempre concepito. Si d il caso, per, che si tratti soltanto di un pittoresco equivoco.  del tutto evidente che il successo o l'insuccesso storico non possono essere indici del bene e del male, e solo un cinico cretino pu veramente pensarlo. Non certo Hegel, che riteneva che la filosofia avesse come oggetto ci che , ed  eter- namente, e con questo avesse fin troppo da fare. In proposito, Hitler non ha cer- tamente perso perch avesse torto (trascuro qui la lunga elencazione delle ragioni storico-morali per cui aveva torto), ma ha perso unicamente perch disponeva di petrolio e acciaio in misura minore dei suoi vincitori. L'Italia non  certamente entrata in guerra nel 1940 con motivazioni morali peggiori che nel 1915, ma ha semplicemente perso perch si  scelta lalleato pi debole anzich quello pi forte. La bomba di Hiroshima non  stata certamente eticamente migliore del lager di Auschwitz, ma avendo vinto la guerra gli USA hanno potuto anche riscriverne le motivazioni morali, diffondendo la leggenda della assoluta incomparabilit di Auschwitz con qualsivoglia altro evento storico, fola che non resisterebbe a cinque minuti di argomentazione razionale di tipo comparativo. E potremmo continuare, ma il succo del discorso  chiaro: il criterio storicistico del successo  un criterio nichilistico abbietto, che distrugge ogni possibilit di considerazione ontologica della differenza fra il Bene ed il Male. Hegel non pu essere stato tanto stupido dal sostenere un simile principio per cinici deficienti. Ed infatti non lo ha mai sostenuto. Hegel non ha sostenuto che la storia  il criterio del bene e del male, e tantomeno che il successo storico  il solo criterio del bene e del male. Hegel ha sostenuto che la storia  il terreno moderno in cui siamo costretti a cercare le tracce del bene e del male. La verit non  la storia, ma  qualcosa che deve essere cercata allinterno della storia umana, non fuori di essa. Se questa mia interpretazione di Hegel  giusta (ma mi rendo perfettamente colpo che pu essere filologicamente contestata, anche se penso che pu essere contestata soltanto decontestualizzando citazioni staccate dallo spirito generale 260 Hegel e la scoperta della filosofia e della scienza filosofica come terreno del ristabilimento dellontologia dell'essere sociale della filosofia hegeliana), ne risulta che Hegel non  stato il papa del cosiddetto giustificazionismo storico, e che quest'ultimo  stato soltanto un'abbietta ricadu- ta ideologica novecentesca. Si tratta, tra laltro, dell'accusa di Herbert Marcuse al cosiddetto neo-hegelismo di destra del Novecento, accusa che non solo condivido pienamente ma che vorrei anche estendere al non meno abbietto hegelismo di sinistra, anch'esso sciaguratamente intriso di giustificazionismo storico. Un quarto fraintendimento consiste nel ritenere che Hegel abbia proclamato la fine definitiva nel suo pensiero sia della filosofia sia della storia. In poche parole, Hegel avrebbe decretato che il trentennio 1800-1830 sarebbe stato l'esito definitivo sia della storia propriamente storica (cio non tanto gli eventi fattuali, quanto il loro significato ultimo in termini di filosofia universalistica della storia delluma- nit), sia della storia della filosofia e della religione (nonch dell arte). Nonostante questa tesi abbia avuto difensori illustri (Kojve, ecc.), a me sembra del tutto inso- stenibile, non soltanto per la sua pittoresca idiozia intuitiva, ma anche per ragioni filologiche ed ermeneutiche. Hegel riteneva che la filosofia fosse come luccello di Minerva che sia alza al crepuscolo, e che comunque la filosofia fosse soltanto il proprio tempo appreso nel pensiero. E che la filosofia non potesse in ogni caso andare oltre al proprio tempo storico era un principio che Hegel applicava anche e soprattutto a se stesso. Non era un genio che pensasse di essere al di l ed al di sopra dei comuni mortali, come pensava il pomposo confusionario Schelling. Pensava che quanto potesse dirsi nel trentennio 1800-1830 non potesse essere la stessa cosa che avrebbe potuto essere detta nel trentennio 1900-1930, o nel trenten- nio 2000-2030. Attribuire a Hegel questa sciocchezza non pu che derivare da un pregiudizio sociale di antipatia verso Hegel. In un suo ottimo studio sul concetto di fine della storia Perry Anderson ne rintraccia le radici nel francese Cournot, nel positivismo posteriore e nellutopia di origine positivistica sulla scoperta del metodo scientifico definitivo per amministrare scientificamente lintera ripro- duzione sociale. Questa concezione, che sta alla base del cosiddetto comunismo scientifico di tipo sovietico (altro che Hegel e Marx!), sarebbe stata definita da Hegel un delirio dell'intelletto astratto, che immagina di fermare il corso storico del mondo con la scoperta definitiva di marchingegni amministrativi a base ma- tematica. Lo studio di Perry Anderson  poco conosciuto, ma  anche decisivo per chiunque voglia togliersi dalla testa che lidea di amministrazione scientifica defi- nitiva della riproduzione sociale derivi da Hegel, laddove  in realt esattamente il contrario. La totalit dialettica della societ non pu per sua natura essere sotto- posta ad una amministrazione definitiva. Non a caso, l'idea di fine della storia  oggi diffusa presso gli stessi ambienti ipercapitalistici che antipatizzano per Hegel. Il quinto fraintendimento  ancora pi interessante del precedente. Si tratta della concezione hegeliana dell'intelletto scientifico (Verstand) e delle sue specifi- che capacit conoscitive. In proposito, esiste una curiosa convergenza fra le scuole neopositivistiche (Carnap, ecc.) e le scuole marxiste anti-hegeliane (Della Volpe, Althusser, Colletti, ecc.) per accusare Hegel di irrazionalismo, ostilit verso la scienza moderna, ecc. Ho detto in precedenza che le ragioni di questa ostilit sono 261 CarrroLo XXX sociali, e non possono essere contestate in modo dialogico-razionale. E tuttavia an- ticiper subito quattro ordini di ragionamento. In primo luogo, con il termine scienza (Wissenschaft) Hegel non intende la stessa cosa che si dice in francese ed inglese science (pronunciata nel primo caso sians e nel secondo caso saiens), ma intende scienza filosofica della totalit dellin- tero e delle sue connessioni dialettiche. Come dir pi avanti, questa  esattamen- te la stessa concezione di scienza di Marx, e cio scienza filosofica critica della dinamica delle contraddizioni del modo di produzione capitalistico allinterno di una filosofia della storia universale intesa come concetto unitario trascendentale- riflessivo e ispirata dall'idea guida dell'emancipazione umana dalle alienazioni storiche (in linguaggio fichtiano, il Non-Io). Il pensare che esista una scienza filo- sofica della verit dell'intero corrisponde esattamente al passaggio fichtiano dalla terza epoca della compiuta peccaminosit alla quarta epoca del recupero di un concetto normativo-sociale di verit. Si pu ovviamente rifiutare integralmente questa concezione di scienza intesa come scienza filosofica della verit dell'intero razionalmente ricostruibile con il metodo dialettico (per quanto mi riguarda, lac- cetto con entusiasmo e gratitudine), ma non fingere di non sapere di che cosa si tratta.  allora pi onesto dire: Non credo che esista qualcosa come una scienza filosofica dell'intero. Se esiste  inconoscibile. E se  conoscibile  incomunicabile (ripropongo qui la nota mossa scettica di Protagora, gi criticata dal Socrate plato- nico), anzich incominciare a suonare il solito organetto: Hegel  irrazionale, odia la scienza moderna,  un mistico romantico, ecc.. Almeno ci si potrebbe capire. Da una parte avremmo gli allievi (critici, ovviamente) di Hegel e di Marx. Dall'altra, gli eterni scettici empiristi allievi di Protagora e di Gorgia in vesti moderne, o meglio postmoderne. In secondo luogo, non si pu chiedere a Hegel di accettare il significato kantia- no di intelletto (Verstand).  curiosa questa pretesa che Hegel diventi neo-kantiano per poter essere accettabile, e questo dimostra indirettamente quanta arroganza e quanta sicumera ci stia dietro questa richiesta. Kant aveva avuto tutte le sue buone ragioni per esaltare la capacit conoscitiva dell'intelletto (Verstand), perch a Kant interessava delegittimare le pretese conoscitive (e di riflesso politico-normative) della metafisica del trascendente onto-teo-logico, ed era quindi del tutto logico che individuasse nella spazio-temporalizzazione terrestre dei fenomeni il limite della conoscenza. Come ho gi detto in un capitolo precedente, i limiti della cono- scenza metafisica sono semplicemente la metafora dei limiti che il nuovo mondo borghese pone alle pretese feudali-signorili di continuare a dominare spiritual- mente la nuova societ. Ma Hegel non si pone questo problema, considerandolo (a ragione) come ormai sorpassato nella nuova epoca di transizione e di trapasso. Molto prima di Heidegger, e con ben maggiore articolazione storica e dialettica, Hegel sa bene che ormai la metafisica non sta pi in cielo, ma  calata sulla terra della storia e della societ, e che  quindi impossibile essere un popolo civile sen- za metafisica (accusa che fa all'Inghilterra empirista ed economicista). La ragione hegeliana (Vernunft)  allora semplicemente la facolt che studia la secolarizza- 262 Hegel e la scoperta della filosofia e della scienza filosofica come terreno del ristabilimento dellontologia dell'essere sociale zione storica della metafisica nel suo essere ormai incorporata in forze terrene, storiche e sociali. Per questo studio la semplice facolt fenomenica dell'intelletto kantiano (Verstand)  insufficiente, perch Hegel, un buon secolo prima di Husserl, sa perfettamente che questa facolt si fonda sullastrazione della quantificazione matematica della natura, e non  quindi adatta alla valutazione complessiva di una societ. Si vuole forse pretendere che i metodi di ricerca della signora Rita Levi Montalcini nei suoi laboratori di chimica e di biologia siano gli stessi metodi che si possono impiegare per la valutazione complessiva della societ capitalistica? Nessuno lo potrebbe onestamente pretendere, e chi lo proponesse uscirebbe scon- fitto in qualunque dibattito a ci dedicato. Eppure la volgarit verso Hegel (che   lo ripeto senza stancarmi - un fenomeno sociale non aggredibile con argomen- tazioni filosofiche razionali) non si ferma certamente davanti a questo. Egli deve restare un nemico della scienza moderna. In terzo luogo, Hegel sa bene che l'intelletto (Verstand)  lo strumento conosci- tivo per eccellenza, ed  uno strumento insostituibile, delle moderne scienze della natura derivate dalla rivoluzione scientifica seicentesca di Galileo e di Newton. Come ho detto, Hegel non deve certamente aspettare la critica di Husserl per es- serne perfettamente consapevole. Certo, egli vive nel contesto della critica roman- tica tedesca al meccanicismo deterministico della scienza anglo-francese (Goethe, ecc.), e quindi non pu essere del tutto estraneo a questo clima organicistico, anche se non scende mai al livello delle sciocchezze di uno Schelling. E tuttavia, ancora oggi vi sono tendenze culturali e scientifiche (Bateson, il tao della fisica di Capra, la terra intesa come gaia, e cio come organismo vivente, ecc.) che critica- no con strumenti aggiornati il punto di vista meccanicistico. Al tempo di Hegel, certamente, non erano ancora visibili i fenomeni di distruzione ecologica dellam- biente. La mia opinione in proposito  non voglio lasciare dubbi al riguardo -  che la scienza in quanto tale non  affatto responsabile dei disastri ambientali, ma il solo responsabile  la dinamica smisurata dellaccumulazione capitalisti- ca. Chi accusa la scienza in quanto tale (heideggerismo da giornali femminili alla Galimberti, pubblicit per agriturismi e fette biscottate, ecc.) non pu in al- cun modo rifarsi decentemente a Hegel, che avrebbe sorriso di fronte alla accuse alla scienza in quanto tale di fare disastri sociali. Hiroshima non  frutto della scienza, ma dei criminali storici e sociali che l'hanno provocata. Hegel  sempre prima di ogni altra cosa il filosofo delle avventure dellautocoscienza umana, ed il termine autocoscienza (Selbstbewusstsein) significa etimologicamente essere con- sapevoli di quanto si sta facendo. Le bombe non sono mai consapevoli, in quanto solo gli uomini che le gettano lo sono (o pi esattamente, non lo sono). Se qualcuno decide di essere contro la scienza in generale, salvo poi a ricorrere ad essa in caso di malattia o di spostamenti rapidi da Parigi a New York, lo sia pure, ma non faccia riferimento a Hegel per legittimare filosoficamente questa sua posizione. Hegel aveva un grande rispetto per l'intelletto scientifico (Verstand) e le sue conquiste. Semplicemente pensava (e chi potrebbe seriamente dargli torto?) che non si trattava di una facolt ad un tempo conoscitiva e valutativa della realt (Vernunft), ma di 263 CarrroLo XXX una facolt puramente conoscitiva e non valutativa. O qualcuno pensa veramente che dopo un'operazione di disantropomorfizzazione scientifica della realt (il la- boratorio chimico e biologico della signora Levi Montalcini) si possa fare a meno di una sua riantropomorfizzazione valutativa in termini di giudizio di Bene e di Male sulla societ in cui viviamo? Forse anche i seguaci di Carnap, Colletti ed Althusser non giudicano anche loro il mondo in cui vivono con modalit antropomorfizzan- ti? Sono forse dei robot per potere evitare di farlo? In quarto luogo, infine, Hegel produce effettivamente una critica dell'intelletto astratto, ma non nel senso di intelletto applicato alla ricerca fisica, chimica o bio- logica, quanto nel senso di intelletto applicato alla valutazione dell'intero sociale dinamico in cui viviamo. Come vedremo analiticamente in un successivo capitolo dedicato specificatamente a questo cruciale problema, egli considera intellettua- listiche, e perci sbagliate e fuorvianti, le tre posizioni apparentemente oppo- ste, ma anche segretamente solidali, del tradizionalismo nostalgico (Metternich, i vecchi ceti, la cultura della Restaurazione), della fondazione individualistica dell'economia politica inglese (utilitarismo, Hume, Bentham, Smith, Ricardo, ecc.), ed infine del rivoluzionarismo russoviano e giacobino del contratto sociale im- mediato (Rousseau, Robespierre, rovesciamento dialettico della virt in terrore, ecc.). Su questo punto la critica di Hegel alle pretese di applicazione dell'intelletto astratto alla societ resta nellessenziale esatta, e si pu anzi dire che, lungi dalles- sere esaurita, deve ancora in buona parte essere utilizzata. Ma su questo punto, appunto, ritorner pi avanti in modo analitico. Il quinto fraintendimento, di tutti il pi comico, irritante e grottesco (si tratta del fraintendimento dei dilettanti volenterosi Bertrand Russell e Karl Popper),  quello secondo cui Hegel avrebbe affermato che tutto quanto  reale, in quanto avviene realmente, sarebbe anche razionale. A questo punto, qualunque persona dotata di sensibilit filosofica, alzerebbe la manina per dire che non si pu conside- rare razionale Hiroshima o Auschwitz per il fatto di essere realmente avvenute. Questa persona, ovviamente, avrebbe completamente ragione. Per il fatto di essere realmente avvenute, non per questo Hiroshima ed Auschwitz sarebbero razionali. Ed infatti Hegel non ha mai pensato qualcosa di simile. Come ha accertato Herbert Marcuse nel suo libro in lingua inglese del 1941 intitolato Ragione e Rivoluzione (ma come risulta comunque da una lettura contestualizzata delle stesse opere di Hegel, anche senza bisogno della mediazione interpretativa di Marcuse), Hegel per rea- le (wirklich) non intendeva l'insieme di tutti gli eventi fattualmente avvenuti, ma soltanto ci che  portato al proprio concetto (Begriff), e questo risulta dalla sua Scienza della Logica, che  anch'essa un vero e proprio romanzo di formazione (Bildungsroman), che ha come portatore non il percorso della coscienza storica ver- so lautocoscienza (cfr. Fenomenologia dello Spirito), ma il passaggio dialettico dalla categoria pi vuota ed astratta (l'essere, Sein) alla categoria pi piena e concreta (il concetto, Begriff). Se ci si mette in questa ottica, lunica filologicamente possibile trattandosi di Hegel, di cui non si pu fingere che non abbia scritto la Scienza della Logica, ci si accorger che per Hegel reale e razionale  solo il concetto (Begriff), e 264 Hegel e la scoperta della filosofia e della scienza filosofica come terreno del ristabilimento dellontologia dell'essere sociale pertanto l'adeguamento di qualcosa al suo vero concetto. Il concetto  la sintesi di reale e di razionale, non certo il dato empirico effettuale. Ad esempio lo stupro  un fenomeno fattuale che purtroppo avviene di frequente. Nel linguaggio di Hegel, tuttavia, lo stupro non  veramente reale, perch non corrisponde al concetto (Begriff) del rapporto sessuale fra un uomo ed una donna, che per sua stessa na- tura presuppone il libero mutuo consenso di entrambi. E potremmo ovviamente continuare, pur sapendo che sarebbe completamente inutile (chi antipatizza ver- so Hegel, infatti, non  aggredibile con argomenti razionali, perch se si liberasse del suo pregiudizio svanirebbe immediatamente nell'aria).  forse meglio, invece, svolgere due ordini di ragionamenti integrativi. In primo luogo, da dove pu derivare la curiosa idea storicistico-giustificazioni- sta per cui tutto ci che avviene realmente in senso effettuale  anche di per s ra- zionale? Se riteniamo che questa opinione non sia di Hegel (Marcuse, lo scrivente, ecc.), da dove pu derivare? Il discorso sarebbe lungo, ma credo che si tratti di una doppia secolarizzazione, e cio della secolarizzazione della provvidenza stoica poi travasatasi nel cristianesimo (pronoia, providentia), e poi della secolarizzazione del- la teodicea di Leibniz, per cui nonostante tutte le peggiori disgrazie vivremmo pur sempre nel mondo migliore possibile. Di qui deriva la strana idea per cui, nono- stante Auschwitz, Hiroshima e le guerre imperiali USA per il controllo totale del mondo di oggi vivremmo comunque nel migliore dei mondi possibili, essendoci certamente un disegno occulto e segreto della storia che attraverso il male porta comunque al bene. Che attribuisce questa visione provvidenzialistico-religiosa a Hegel dimentica che Hegel ne ha addirittura proposto un'alternativa radicale nella sua Scienza della Logica e nella sua Fenomenologia dello Spirito, per cui al centro del- la considerazione filosofica non ci sta pi il misterioso significato provvidenziale dell'evento fattuale in quanto tale, ma l'adeguamento al suo concetto (Begriff) di una realt non ancora razionale, ma che pu diventare per potenzialmente tale (dynamei on), perch non esistono ostacoli ontologici di principio a questo suo di- venire (Hegel non accetta infatti il vincolo del peccato originale, e si  anzi affret- tato a darne uninterpretazione allegorica di tipo razionale, anche se non poteva certamente arrivare all'opinione di origine marxiana per cui il peccato originale non  altro che la nascita della propriet privata e della societ di classe  questa  comunque l'opinione di chi scrive). Hegel non secolarizza quindi la teologia, ma anzi rompe con essa. Leibniz l'aveva secolarizzata, con la sua teoria del migliore dei mondi possibili, teoria giustamente connotata da Voltaire in termini di scemo- logia. Ma Hegel non lo fa. La sua teoria dell'identit di reale e razionale, infatti,  l'alternativa a questa concezione provvidenzialistica imperfettamente secolariz- zata (Leibniz ed il migliore dei mondi possibili, Stalin ed il marxismo come stori- cismo provvidenzialistico, ecc.). Essa dice infatti che il reale deve essere portato al razionale, e solo quando viene portato ad esso diventa realmente reale, perch prima  soltanto fattuale, e quindi non ancora per nulla reale. In secondo luogo, linterpretazione marcusiana (ed anche previana, me lo si consenta) dell'identit di reale e di razionale che esclude ogni storicit fattuale, sta 265 CarrroLo XXX alla base dellinterpretazione lucacciana (da me fatta propria) della conformit al genere (Gattungsmiissigkeit), e se non lo pensassi fermamente non parlerei certa- mente di ontologia dell'essere sociale e non avrei certamente scelto di concludere questa trattazione storica con un capitolo dedicato a Lukcs. La mia stessa inter- pretazione di Marx, infatti, risulta da una sovrapposizione fra l'itinerario sogget- tivo della Fenomenologia dello Spirito e l'itinerario oggettivo della Scienza della Logica, itinerari che hanno entrambi Spinoza come presupposto essenziale di ogni filosofare successivo. Ma questo  ormai ben chiaro al lettore che mia ha cor- tesemente seguito fin qui. Vi  poi un sesto ed ultimo fraintendimento, da cui partir perch  proprio dalla sua confutazione che si origina la mia ricostruzione del percorso filosofico (Denkweg) di Hegel. Hegel ha infatti avuto un Denkweg che occorre assolutamente ricostruire. Molti commentatori hanno diffuso lidea che il giovane Hegel  stato romantico e mistico, non ha mai smesso di essere romantico e mistico anche nel- la sua maturit, e quindi il suo sistema filosofico non  che una sublimazione razio- nalizzata della precedente pulsione romantica e mistica. Questo fraintendimento  certamente meno rozzo e volgare di molti di quelli precedentemente segnalati, ma resta un fraintendimento a tutti gli effetti. In estrema sintesi, il Denkweg di Hegel  contrassegnato dalla progressiva con- sapevolezza che, con la fine dei vecchi fondamenti religiosi tradizionali, la sola le- gittimazione razionale di una comunit politica moderna poteva essere la filosofia, e la filosofia intesa come scienza filosofica della verit. Per giungere a questa piena presa di coscienza, che culmina nella composizione della Fenomenologia dello Spirito e della Scienza della Logica, in cui questa consapevolezza  ormai definitivamente acquisita, Hegel ha avuto bisogno di razionalizzare una serie di rotture, che ricor- der ancora una volta. In primo luogo, una rottura con Kant, di cui ho gi parlato, e di cui posso limitar- mi a ripetere alcuni punti essenziali. Kant aveva criticato in modo impareggiabile la metafisica dellal di l trascendente, ma in questo modo non aveva fatto che fon- dare l'epoca della compiuta peccaminosit, in cui la critica di ogni metafisica del trascendente non aveva potuto fondare una nuova metafisica morale dellimpera- tivo categorico, ma si era rovesciata dialetticamente dallascetismo della morale al regno animale dello spirito. Essendo lascetismo morale kantiano totalmente inap- plicabile nella vita sociale reale, che si basa su di una etica dei costumi condivisi e non su imperativi categorici astratti, non ne poteva che discenderne dialetticamen- te il suo contrario, e cio il regno animale dello spirito dei contrapposti egoismi (gli animal spirits dell'economia capitalistica inglese). Il fatto  che la metafisica nella nuova epoca moderna di gestazione e di trapasso era scesa dal cielo alla terra. Non si trattava quindi n di liberarsene (empirismo di Locke, scetticismo di Hume), e neppure di fondare una cattiva metafisica a base individualistica, formalistica e moralistica (Kant), ma di fondare una vera metafisica credibile a base storico- razionale. Ed  ci che appunto Hegel ha fatto, e che a mio avviso Marx e Lukcs hanno completato. 266 uo pina ui Hegel e la scoperta della filosofia e della scienza filosofica come terreno del ristabilimento dellontologia dell'essere sociale In secondo luogo, una rottura con Schulze e, con tutti coloro che riproponevano il vecchio modello sofistico-scettico dellimpossibilit della conoscenza filosofica ideale del mondo. L'opera di Hegel del 1802 (cfr. Rapporto dello scetticismo con la filosofia)  in proposito assolutamente fondamentale, ed  errato trascurarla nella ri- costruzione del Denkweg di Hegel. In questa opera Hegel effettua quella vera e pro- pria distruzione della pseudoconcretezza (Karel Kosk) che consiste nel negare che la verit possa trovarsi nella semplice molteplicit delle determinazioni iso- late della realt cos come questa realt si presenta davanti ai nostri cinque sensi. Si tratta dello stesso ragionamento fatto pi tardi da Hegel a proposito di Spinoza, per cui agli avrebbe provocato corruccio non certo negando Dio, ma distruggen- do il mondo di chi pensava di conoscerlo senza passare per la mediazione di una astrazione idealizzante (per Hegel l'Assoluto, per Spinoza il Deus sive Natura, ecc.). Hegel connota la concezione di realt di Schulze (e di tutti gli scettici, i relativisti ed i debolisti dopo di lui) come una improbabile roccia sotto la neve. In questa concezione  dice Hegel  la stolida percezione degli oggetti diventa linnegabile realt. La filosofia deve quindi vincere prima di tutto questa stolidit, ma sic- come tipico degli stolidi  il rifiuto di accettare di essere tali possiamo ipotizzare che le probabilit di riuscirci siano effettivamente limitate (ma questo lo dico io, non Hegel). Lo scetticismo empiristico, infatti,  alla portata di tutti i cretini. Che cosa ci vuole, infatti, a ripetere linsulso mantra relativistico: Il tale pensa questo, il tale pensa talaltro, Tizio, Caio e Sempronio pensano cose diverse, cos  stato e cos sempre sar, e non c' modo di sapere chi ha ragione, perch tot capita, tot sententiae!? Qualunque chiacchierone da bar, infatti,  all'altezza di questo mantra scettico-empiristico e di questo relativismo. La filosofia, invece, comincia proprio dalla problematizzazione veritativa di questa banalit. Chi invece ritiene che la filosofia consista nel continuare a ripetere in forma sofisticata la banalit per cui ognuno la pensa come vuole, allora non solo non pu capire nulla di Hegel, ma anche della filosofia greca e di Platone. Questo  il messaggio mandato da questa operetta giovanile hegeliana, in cui c' gi in nuce l'intero sviluppo posteriore del suo pensiero filosofico. In terzo luogo, una salutare rottura con Schelling. La rottura con lopportunista che aveva approfittato del licenziamento di Fichte per rubargli la cattedra, con il pomposo trombone che pensava che soltanto il  genio poteva avere un'intuizione dell Assoluto, con il filosofo per cui l Assoluto si dava come un colpo di pistola, ed era di fatto concepito come la notte in cui tutte le vacche sono nere, ecc.,  stata la vera precondizione che ha permesso a Hegel di volare con le proprie ali sen- za l'impaccio dellincurabile confusionario Schelling, che per me resta l'esempio massimo (ma il lettore lo avr gi capito) di come non si deve filosofare. Eppure, in un'operetta dedicata alla Differenza fra i sistemi di Fichte e di Schelling, Hegel aveva preso posizione per il secondo contro il primo, sostenendo che Fichte aveva anco- ra contrapposto astrattamente la scissione originaria tra l'Io ed il Non-Io, mentre Schelling era migliore perch aveva compreso che entrambi erano momenti interni ad una sola unit assoluta. 267 CarrroLo XXX Mi permetto di non essere d'accordo con Hegel. A mio avviso, anche su questo punto, Fichte  stato migliore di Schelling. Devo ovviamente darne ragione al let- tore, perch non  consueto dire apertamente che non si  d'accordo con un autore che resta pur sempre il nostro principale autore di riferimento. Personalmente, ri- tengo che la natura resta un dato esterno ed estraneo ai progetti soggettivi di eman- cipazione umana. Basta per questo guardare i visetti smarriti dei bambini ricove- rati in un reparto ospedaliero di oncologia pediatrica. Su questo il pessimismo di Leopardi resta insuperabile. La natura non  una nostra amica, ma  solo il limite invalicabile di ogni progetto umano. Per questa ragione, non vedo come possa essere integrata in un'unit espressiva con lo spirito (inteso come processo di au- tocoscienza progressiva delluomo nella storia). La natura resta esterna allo spirito, e non  ontologicamente dialettizzabile con esso. Per questa ragione Fichte aveva ragione allora, ed a maggior ragione continua ad aver ragione adesso. Per evitare catastrofi ecologiche terribili, la natura deve essere semplicemente rispettata, non dialettizzata. La dialettica  sempre e soltanto un rapporto delluomo con se stesso. Detto questo, loperetta hegeliana resta comunque geniale. In essa Hegel fa no- tare che la filosofia, o pi esattamente il bisogno della filosofia, nasce soltanto quando la potenza dellunificazione scompare dalla vita degli uomini, quando diventano privi di significato gli sforzi vitali della vita per rinascere nellarmo- nia, in una parola, dalla potenza della scissione, unica e vera matrice sociale della genesi della filosofia stessa. Scrive Hegel: La filosofia  figlia della scissione, in quanto la scissione (Trennung)  la fonte del bisogno di filosofia. Se infatti esaminiamo pi da vicino la forma particolare di una filosofia, la vediamo scaturire da un lato delloriginalit vivente dello Spirito, e dall'altro da una forma particolare di una scissione da cui procede il pensiero. Il lettore noter che questa concezione del bisogno di filosofia originato da una Trennung sociale  esattamente il modello interpretativo utilizzato in tutto questo mio saggio, modello contrapposto a quello di Aristotele (la filosofia come insieme di posizioni derivate dalla classificazione delle quattro cause), di Cartesio (la filosofia come pensare chiaro e distinto frutto di una costituzione formalistica del Cogito), ed infine di Kant (la filosofia come critica delle pretese della metafisica ultraterrena di essere scienza). Mentre i pur grandi Aristotele, Cartesio e Kant non si sognano neppure di cercare la genesi reale del bisogno di filosofia, ma ne danno per scontate (e quindi per non-dedotte) le ragioni di insorgenza (equivalente teorico del creazionismo nelle scienze naturali, per cui il presupposto divino ci al- leggerisce dal compito di dedurre materialisticamente le ragioni dell'insorgenza della vita sulla terra), Hegel invece propone un'ipotesi storico-sociale, la Trennung della precedente comunit. Ora lo posso proprio dire. Il mio metodo genetico, im- piegato in tutto questo saggio, non deriva direttamente da Marx, Lukcs o Sohn- Rethel (che pure vi hanno la loro parte), ma deriva dalla concezione anticipata da Hegel nel suo studio del 1802. In quarto luogo, per finire, Hegel ha dovuto rompere (o se vogliamo, supera- re) con il suo punto di vista precedente. Prima di giungere alla piena consape- 268 Hegel e la scoperta della filosofia e della scienza filosofica come terreno del ristabilimento dellontologia dell'essere sociale volezza del fatto che nei tempi moderni la comunit sociale pu soltanto essere fondata sulla filosofia, o pi esattamente su di una scienza filosofica della verit razionalmente ricostruibile nella storia, Hegel aveva proseguito per pi di un de- cennio lidea che questa fondazione comunitaria potesse essere perseguita attra- verso la religione comunitaria spontanea dei Greci e /o attraverso lo stesso amore cristiano. Si tratta, come  noto, del cosiddetto giovane Hegel. Ma qui, appunto, tocchiamo con mano lerroneit del punto di vista di chi semplicemente sostiene la piena continuit fra il giovane Hegel e lo Hegel del suo compiuto sistema. Una continuit materiale esiste ovviamente anche nel caso di rotture. Personalmente, non credo all'esistenza di rotture epistemologiche, che vorreb- bero venderci lidea di un Marx pienamente scientifico e privo di presupposti scientifici (Althusser). E tuttavia non si pu negare che rotture avvengono nel Denkweg di tutti i filosofi, dai pi grandi ai pi piccoli. Il Denkweg di tutti i filosofi  sempre un intreccio dialettico di continuit nell'intenzione soggettiva (nel caso di Hegel, di fornire alla nuova comunit un fondamento veritativo indiscutibile) e di rottura nella formulazione oggettiva (nel caso di Hegel, il passaggio da una fondazione sull'amore a una fondazione sulla scienza filosofica della verit). Nel mio modestissimo caso personale (e mi scuso di inserirlo in una considerazione su Hegel - ma sono del tutto consapevole del senso delle proporzioni) l'intenzione soggettiva di trovare una base filosofica credibile al marxismo  rimasta intatta dal- la mia prima giovinezza, ma la rottura  avvenuta nel passaggio dalla tentazione scientistica di Althusser allontologia dell'essere sociale (sia pure debitamente cri- ticata e modificata) di Lukcs. Come si vede, il riferimento personale non  stato fatto per narcisismo o megalomania, ma per indicare come lesperienza personale della rottura pu aiutare a capire anche rotture ben pi nobili ed importanti, da Aristotele a Hegel. Il Denkweg di Hegel quindi esiste, ed  un Denkweg che lo ha portato dalla rifles- sioni giovanili sulla bella comunit spontanea della religione naturale dei Greci e sulle antinomie dell'amore cristiano fino alla meditata e razionale convinzione che non si poteva tornare a queste due nobili configurazioni spirituali, ma si doveva invece coraggiosamente passare ad una nuova configurazione, quella della fonda- zione di una comunit moderna su di una scienza filosofica della verit sociale accessibile a tutti, e non solo ad alcuni geni pomposi. In questo Hegel non fu mai un intellettuale, perch gli intellettuali sono quella categoria di persone che pen- sano che le verit sociali sono accessibili solo alla loro piccola (e meschina) casta, e non fu mai un giusnaturalista, perch pensava che non ci fossero i diritti naturali di un individuo isolato, ma solo i costumi effettivi di una comunit. Partendo da questi presupposti, e ricostruito il suo Denkweg autentico, possiamo passare ad una esposizione critica del suo incomparabile sistema filosofico. 269 XXXI. HEGEL ED IL RISTABILIMENTO ONTOLOGICO-SOCIALE DELLA STORICIT. LA FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO, LA FILOSOFIA DELLA STORIA E LA STORIA DELLA FILOSOFIA, TRE ASPETTI DI UN UNICO COMPLESSO IDEALE Bisogna sempre tenere bene a mente il progetto filosofico di Hegel per poterlo giudicare correttamente, e quindi accettarlo oppure respingerlo.  infatti del tutto legittimo respingerlo, se lo si ritiene opportuno, ma  necessario averne ben capito la natura, cosa che da due secoli dilettanti, confusionari, superficiali e chiacchiero- ni sistematicamente non fanno, e che probabilmente nei due prossimi secoli non faranno, in quanto lincomprensione di Hegel  un fatto sociale (Durkheim), e non certamente un equivoco che possa essere sciolto con argomentazioni seminariali o con saggi pi o meno chiari ed intelligenti. Il progetto filosofico di Hegel, che sta integralmente alla base del posteriore progetto di Marx e dei suoi interpreti di tipo ontologico-sociale (Lukcs, ecc.),  quello della costruzione dialettica di una scienza filosofica della verit sociale e comunitaria della natura della convivenza umana (e solo di questa, e quindi non delle procedure di conoscibilit, verificabilit e validit delle scienze della natura). Se ci si impadronisce fino in fondo di questo concetto, si capir immediatamente che questo progetto di costruzione dialettica di una scienza filosofica della verit (ci che , ed  eternamente), partendo metodo- logicamente dallinterpretazione del presente (il proprio tempo appreso nel pen- siero),  incompatibile con almeno quattro principali impostazioni teorico-pratiche. In primo luogo,  incompatibile con qualunque enunciazione di verit eterne di tipo religioso alla Joseph Ratzinger. Con questo, non voglio negare la funzione sociale positiva della religione, che  sempre un katekhon sociale rispetto alla cor- rosione di tipo relativistico-nichilistico. Il relativismo, infatti, non  affatto di per s una cattiva cosa, se  un punto di vista metodologico di tipo scettico nel senso dato a questo termine da Hegel nel suo saggio sul rapporto dello scetticismo con la filosofia. Anzi, la filosofia parte sempre dal dubbio metodico di tipo inevitabil- mente relativistico (ironia e maieutica di Socrate, dubbio metodico e iperbolico di Cartesio, ecc.). Il relativismo, quindi,  il necessario punto di partenza della filosofia, che nasce a sua volta da un fenomeno sociale ben preciso, la scissione (Trennung) dovuta a motivi materiali di vario tipo (divisione del lavoro sociale, privilegi di casta, propriet privata incontrollata e smisurata, percezione dellin- tollerabilit della adikia, ecc.). Il relativismo, quindi,  qualcosa di storicamente e socialmente posto da qualcosa d'altro (la scissione, appunto). Trasformarlo in 271 CarrroLo XXXI valore sociale, come si  fatto nella lunga storia che va da Gorgia a Rorty, signifi- ca non comprenderne la natura politica. Un conto  infatti tollerare giudiziaria- mente l'enunciazione di punti di vista plurali ed incompatibili (cosa da rivendicare in un mondo in cui  per dirla con lo Spinoza di Tosel  i saggi vivono insieme ai non-saggi e non  percorribile la via di caste separate di sapienti-governanti alla Platone), e un conto  sostenere che la sola verit degna di questo nome  la non-verit programmatica del relativismo dei valori. Contro costoro la religione avr sempre ragione, perch la religione, sia pure nella forma depotenziata della rappresentazione (Vorstellung), esprime pur sempre la corretta esigenza sociale e comunitaria dellesistenza della verit. La verit, infatti, esiste, mentre quella del relativismo  una non-verit che si specchia nel suo narcisistico ed autoreferenziale pluralismo variopinto. Eppure, la verit contenuta nella religione (in qualunque religione) rispetto allo scetticismo pluralistico della dittatura delle opinioni (che a sua volta, nonostante quello che opina il cosiddetto pensiero debole, non  affatto il regno della tolleranza universale fondata sulla estinzione delle cosiddette verit forti, ma  soltanto il totalitarismo degli apparati dei dispensatori mono- polistici delle opinioni consentite, e cio il circo finanziario, il circo mediatico ed il circo politico, la trinit infernale del Politicamente Corretto), non pu essere per Hegel il fondamento della comunit umana. In secondo luogo,  incompatibile con qualunque costituzione formalistica del soggetto (da Cartesio a Kant), e con la destoricizzazione e la desocializzazione del sapere storico umano. Questo sapere, fondato sul nesso di destoricizzazione e la desocializzazione,  funzionale alla delegittimazione critica delle fondazioni pre- cedenti della societ feudale e signorile. La sua critica, per, si limita a criticare questa metafisica nel frattempo divenuta irrilevante e sorpassata (il fondamento del legame sociale capitalistico non sta pi infatti in un volere divino, in un flusso del consumo capitalistico), mente impedisce ogni critica (e questa appunto  la sua funzione ideologica specifica) alla metafisica incorporata nella societ capitalisti- ca, la cui natura  per usare il temine di Marx   quella di essere sensibilmente sovrasensibile. In terzo luogo,  incompatibile con qualunque concezione positivistica di scien- za. Al tempo di Hegel questo concetto positivistico di scienza non era ancora stato enunciato (il corso di filosofia positiva di Comte fu pubblicato nel 1830, un anno prima della morte di Hegel, ed a mia conoscenza Hegel non giunse mai ad esa- minarlo  se lo avesse fatto, lo avrebbe trovato banalissimo ed indegno di acco- glimento critico), e tuttavia era stato largamente anticipato da alcune formula- zioni tardo-illuministiche (gli idologues francesi, ecc.). Questa concezione, lungi dallaccettare lidea di una scienza filosofica della totalit sociale, respinge proprio il nesso fra filosofia e scienza, e pensa che la scienza nasca proprio liberandosi e congedandosi non tanto da una cattiva filosofia, quanto proprio dalla filosofia in quanto tale (nel linguaggio di Auguste Comte, cui i vari Colletti e Althusser non aggiungono assolutamente nulla, la scienza positiva delle leggi della natura e della societ nasce soltanto rompendo con la metafisica ed i suoi fondamenti). 272 Hegel ed il ristabilimento ontologico-sociale della storicit Non illudiamoci. Questa concezione, enunciata per la prima volta in modo orga- nico da Comte nel 1830,  quella che regna incontrastata da quasi duecento anni. Riformulando il concetto fichtiano di epoca della compiuta peccaminosit ed ap- plicando questo concetto al tempo presente, direi che lattuale forma dellepoca della compiuta peccaminosit ha assunto il profilo di una solidariet antitetico-po- lare (e quindi complementare di due opposti in correlazione dialettica essenziale) fra lo scetticismo relativistico della proclamazione della totale inesistenza di una verit filosofica, da un lato, e l'arroganza scientistica dellunicit normativa del canone delle scienze positive della natura, dall'altro. In quarto luogo,  incompatibile con lo storicismo, inteso appunto come attribu- zione al flusso vincente degli eventi storici del compito di essere lunico canone del vero e del falso (index veri ed falsi). Ho gi criticato ampiamente nel capitolo pre- cedente questa interpretazione che fa di Hegel proprio l'esatto contrario di quello che  stato, e cio il papa fondatore dello storicismo. Lo storicismo  infatti sempre l'involucro del pi scatenato relativismo storico, ed il relativismo storico  sem- pre l'abito preferito dal nichilismo e dallapologia servile dei (provvisori) vincenti. Ma qui il fraintendimento di Hegel ci introduce alla natura dell'ideologia, intesa non solo come forma di falsa coscienza, ma anche e soprattutto come forma di falsa coscienza necessaria.  infatti necessario che tutti i cretini ed i manipolatori falsifichino in questo modo la limpida concezione di scienza filosofica di Hegel, perch solo in questo modo  possibile gettare via il bambino (la scienza filosofica democraticamente condivisa ed accessibile a tutti della verit sulla natura della comunit) con lacqua sporca (il carcame delle motivazioni ideologiche della giu- stificazione di tutto quanto avviene, carcame proveniente non certo da Hegel, ma semmai dalla teodicea religiosa del migliore dei mondi possibili di Leibniz). La formula ideale per la comprensione della scienza filosofica di Hegel  quella di tutte le ontologie dell'essere sociale degne di questo nome: bisogna infatti par- tire dal proprio tempo vissuto nel pensiero per arrivare alla scienza filosofica, il cui oggetto  appunto ci che , ed  eternamente. Se si comprende che senza partire da una interpretazione filosofica del proprio tempo storico (il che comporta la sto- ricizzazione degli eventi e la socializzazione del punto di vista comunitario della riproduzione umana) non si potr mai arrivare ad una scienza filosofica non-relati- vistica dal ci che , ed  eternamente, ma soltanto a stanche ripetizioni delleter- na rivelazione religiosa, ad apologie della costituzione formalistica del soggetto e del modello previsionale e positivistico delle scienze della natura, ed infine ad abbiette giustificazioni di tutto quanto  avvenuto soltanto perch  avvenuto, ecc., ebbene, allora si posseder la chiave per capire sia lo spirito che la lettera del pensiero Hegel, unica anticamera filosofica del posteriore sistema di Marx. Ma le ordinarie esposizioni scolastiche di Hegel non solo non aiutano, ma generalmente impediscono questo tipo di comprensione. Non si tratta certamente di una con- giura della manualistica per non far capire Hegel. Bando a simili paranoie com- plottistiche. La manualistica  costretta per sua natura a seguire un metodo di tipo cronologico-dossografico. Questo metodo funziona per molti autori, ma per Hegel 273 CariroLO XXXI non funziona. Il segreto filosofico di Hegel  come ho detto in precedenza - sta nel fatto che parte dalla storicit concreta in cui siamo inseriti, ne siamo consapevoli oppure lo rimuoviamo poco importa (e cio il proprio tempo appreso nel pensiero) per giungere alla verit (e cio alla scienza filosofica di ci che , ed  eternamente, e non  attingibile n dalla rivelazione religiosa, n dallo storicismo nichilistico, n dalla scienza positivistica, n dalla costituzione formalistica e destoricizzata del soggetto conoscente). Questa  la formula-Hegel, e senza questa formula Hegel  ridotto ad un insieme di irritanti ed incomprensibili oscurit, luogo per le scorrerie di confusionari (Russell, Popper, Colletti, ecc.). Secondo la manualistica cronologico-dossografica abbiamo un ragazzo svevo di famiglia protestante, che al liceo ha cattivi voti in filosofia (indizio sicuro que- sto di brillante avvenire filosofico  al liceo l'originalit  considerata un peccato), danza intorno all'albero della libert nel 1789 (si tratta del famoso entusiasmo di cui parla Foucault a proposito di Kant), riflette sulla vita di Ges, sull'amore cristiano e sulla religione civico-naturalistica dei Greci, ed infine dopo tutte que- ste oscillazioni intorno alla fine del Settecento decide di mettersi ad ululare con i lupi (lespressione  tratta dal titolo di un magnifico saggio di Rudolph Bahro su Hegel), e cio di riconciliarsi con il cosiddetto mondo dei filistei, come era- no chiamati in Germania i non-rivoluzionari. Poi, ad un certo punto, si accende nella sua testa una lampadina, ed allora i manuali espongono in modo verboso la famosa dialettica, in cui lartificialit di sottoporre tutto al metodo triadico (tesi, antitesi e sintesi) conduce necessariamente all'opinione per cui si tratta di qualcosa di talmente insensato da consigliare un ripiegamento rassicurante o ver- so il precedente criticismo di Kant (e cio verso la costituzione formalistica, desto- ricizzata e desocializzata del soggetto), o verso la posteriore scienza positivistica dei medici e degli ingegneri. La cosa che in genere non viene mai detta  che la dialettica di Hegel non  un ristabilimento mistico dell'intero precedente originario in una causalit finale prefissata, e quindi non si tratta di una pulsione al ritorno al paradiso terrestre dopo la decadenza (Hegel, infatti, non  n Nietzsche n Spengler, non annuncia l'Ubermensch n il tramonto dell'occidente). Si passa poi alla Fenomenologia dello Spirito, che appare effettivamente pi sensata, facendo per credere che l'approdo finale dello Spirito Assoluto, anzich essere una proposta ra- zionale per la comprensione storicizzata dellarte, della religione e della filosofia, sia una metafora per dire che Hegel si credeva il secondo messia dopo Ges di Nazareth. In questa situazione il passaggio alla Scienza della Logica sembra proprio il farneticare di un pazzo, laddove si tratta soltanto di un sobrio ristabilimento del punto di vista ontologico degli antichi Greci, che non si sarebbero mai sognati di separare le categorie dell'essere dalle categorie del pensiero, non avendo caste sacerdotali monoteistiche da delegittimare. A questo punto la frittata  fatta. Hegel diventa un maschilista patriarcale (Sputiamo su Hegel era il titolo di un libello fem- minista italiano di Carla Lonzi), un sostenitore delle corporazioni (che tutti i cre- tini frettolosi assimilano immediatamente alle corporazioni fasciste di Mussolini) e dello Stato etico (e cio lo Stato della polizia dei costumi con burka e mutandoni 274 Hegel ed il ristabilimento ontologico-sociale della storicit obbligatori). Se a questo punto qualcuno non  ancora giunto ad antipatizzare per Hegel, si vede che la pazienza umana non ha limiti. Il filosofo australiano Peter Singer consiglia di non usare verso Hegel il meto- do cronologico-dossografico, ma di partire dalla sua filosofia della storia, dal suo concetto storico e non naturalistico di natura umana, e dal modo in cui Hegel definiva il suo stesso tempo storico, e cio il proprio tempo storico appreso nel pensiero. Singer ha ragione. Hegel ha voluto creare un sistema filosofico, non scri- vere un insieme di aforismi staccati, e quindi ha senso non attenersi alla narrazio- ne biografico-cronologica, ma cercare il punto di partenza migliore dentro il suo sistema. Il filosofo americano Tom Rockmore ha paragonato il sistema di Hegel ad una giostra circolare, che si pu prendere in qualsiasi punto, ma che conviene prendere nel punto in cui gira meno veloce ed  perci pi agevole saltarci su. I consigli di Singer e di Rockmore sono preziosi, cos come  preziosa l'esposizione di Hegel fatta dal filosofo inglese Findlay (rovinata purtroppo nella traduzione italiana dal fatto che il traduttore ha tradotto il termine inglese notion, che in quel- la lingua significa concetto, e cio Begriff, con la parola italiana nozione  non vi sono limiti all'umana follia!). Ho citato volutamente tre anglosassoni (Singer, Rockmore e Findlay), perch proprio il fatto che Hegel sia lontanissimo dal modo di pensare anglosassone medio (che  di tipo scettico, empiristico ed utilitaristico) costringe i filosofi anglosassoni intelligenti e filo-hegeliani (ce ne sono molti, per fortuna) ad esporlo nel modo migliore possibile, laddove gli europei sono sempre invischiati nel pomposo accademismo universitario. Non  infatti un caso che lo stesso Marcuse abbia scritto nel 1941 il suo capolavoro in lingua inglese. Sta qui un altro dei paradossi hegeliani: il filosofo apparentemente pi difficile del mondo pu essere esposto nel modo migliore possibile in una lingua che non tollera inutili complicazioni pompose. Seguiamo quindi in questo nostro capitolo gli insegna- menti di Marcuse, Singer, Rockmore e Findlay, e mandiamo al diavolo la vuota profondit (Hegel). Se allora saliamo sulla giostra hegeliana nel punto in cui gira meno veloce, non possiamo che porci subito il problema della nostra propria autopercezione come enti integralmente storici. Noi siamo infatti prima di ogni altra cosa unit di senso storico, e non soggettivit formalizzante titolari di una gnoseologia critica e/o di una morale trascendentale. Certo, possiamo sempre rifiutare di prendere in consi- derazione questa realt storicamente data, e ritagliare da questa realt un insie- me di situazioni volutamente destoricizzate (la malattia, la solitudine, il fallimento esistenziale, e sopra ogni cosa evidentemente la prospettiva paurosa della morte imminente). Tutte queste situazioni sono anch'esse storiche (ad esempio la morte  un dato biologico, ma il modo di affrontarla e di ritualizzarla  invece un dato anch'esso storico), ma ammetto che  possibile destoricizzarla, e chiamare anche questa destoricizzazione saggezza eterna. Ma resta il fatto che dopo il Settecento non  pi possibile censurare il fatto che siamo enti completamente storici. Dante poteva anche non pensarlo nel 1310, e vedersi come protagonista di un dramma messianico. Ma gi Marx ed Engels scrissero: Noi conosciamo una sola scienza, la 275 CapiroLo XXXI scienza della storia. In questo senso, Hegel non ha scoperto nulla, ma ha soltanto dato una veste filosofica sistematica e rigorosa al modo di essere della modernit borghese europea. Paul Sweezy ha intitolato una sua raccolta di saggi Il Presente come Storia. E partendo dal presente come storia e dalla problematizzazione scetti- co-relativista che bisogna prendere in considerazione metodologicamente per poi abbandonarla,  possibile intraprendere un percorso che ci potr portare alla fine a capire che la filosofia ha come oggetto ci che , ed  eternamente, e questo (e solo questo)  lidealismo. L'assunzione di questo punto di vista non comporta affatto necessariamente l'approvazione di tutte o alcune delle opinioni espresse da Hegel a proposito di valutazioni filosofiche (Platone, Spinoza, Kant, Epicuro, ecc.), religiose (ebrai- smo, cattolicesimo, protestantesimo, ecc.), o politiche (la famiglia, le corporazio- ni professionali, lo stato prussiano, ecc.). La conoscenza dettagliata di queste sue opinioni  ovviamente necessaria in quella disciplina specialistica che possiamo chiamare hegelologia, che comporta la buona conoscenza della lingua tedesca e di tutta la sterminata letteratura secondaria di commento su Hegel ed il suo tempo, che ovviamente non basterebbe ad esaurire una vita intera dedicata soltanto a que- sto oggetto di studio. La hegelologia dossografica  anch'essa una disordinata filastrocca di opinioni su Hegel, e pu addirittura diventare di ostacolo allimpa- dronirsi concettuale dello sguardo storico sul mondo. Vedremo pi avanti che Marx era soggettivamente convinto di e essere appro- dato a questo sguardo storico sul mondo, fondendo insieme il punto di vista valutativo della totalit della scienza filosofica di Hegel ed il punto di vista predit- tivo sulle tendenze storiche in corso derivato dal concetto positivistico di scienza. Discuter ovviamente pi tardi nel capitolo apposito se Marx sia riuscito in questa impresa o si sia semplicemente illuso di riuscirci. Per ora rileviamo soltanto di es- sere riusciti a salire sulla giostra hegeliana nel punto in cui essa gira meno veloce, e cio la propria collocazione individuale nel flusso storico. I problemi, allora, non finiscono, ma cominciano soltanto adesso. Giambattista Vico aveva gi ampiamente anticipato il cuore teorico di questo problema (la propria corretta autopercezione storica) con la sua formula del verum ipsum factum, per cui la verit vera e propria poteva e doveva essere cervata non tanto nella quantificazione del mondo della natura, quanto nella ricognizione di quello che luomo aveva veramente fatto, e cio la storia. I manuali di storia della filosofia presentano in generale in opposizione il cogito ergo sum di Cartesio ed il verum ipsum factum di Vico, ed in questo non sbagliano, perch si tratta effettiva- mente di due approcci alternativi al problema della conoscenza umana. E tuttavia sarebbe sbagliato concepirli come qualcosa di incompatibile, perch sono in una certa misura storicamente complementari, in quanto entrambi sgorgavano dallo stesso problema di autocostituzione storico-filosofica dellautocoscienza borghese. Da un lato, la borghesia aveva bisogno di dotarsi di una costituzione formalistica destoricizzata e desocializzata del soggetto, ed ho cercato di spiegarne le ragioni nei capitoli dedicati a Cartesio, allinstaurazione illuministica generale ed a Kant. 276 Hegel ed il ristabilimento ontologico-sociale della storicit Dall'altra, la stessa borghesia aveva bisogno di sostituire alla vecchia storia sa- cra cristiana (di cui lultima manifestazione esplicita  stata la teodicea di Leibniz e la sua annessa scemologia) una nuova storia sacra, la sua, fondata sul fatto che la verit della storia (verum) si identificava in ultima istanza con tutto ci che era riuscita a fare (factum), e cio commercio internazionale, sviluppo della ma- nifattura, sistema di fabbrica, giornalismo e opinione pubblica, costituzioni libe- rali, smascheramento delle cosiddette imposture religiose, letteratura, scoperte scientifiche, romanzo storico, ecc. Hegel si situa nello stesso solco di Vico, anche se ovviamente con una struttura argomentativa diversa. Per Hegel, tuttavia, il fatto che un soggetto deve dotarsi di una autoconsape- volezza storica non era un dato astratto. Come ha scritto il Rosenkranz, Hegel voleva diventare il Machiavelli della Germania. E come ha scritto Otto Pggeler, al concetto di natura e di vita degli anni giovanili si sostituisce quello di Assoluto, ed ora l'Assoluto non  pi soltanto l'ideale di un tempo realizzatosi nella polis gre- ca, ma  gi presente nella totalit etica di un popolo. Credo che Pggeler abbia ragione in questa ricostruzione genetico-concettuale: l Assoluto in Hegel non cade dal cielo, ma  la metafora della totalit etica di un popolo, e quindi dellintenzione di questo popolo di darsi un'unit costituzionale. Come ha accertato mirabilmente Koselleck, il termine tedesco Staat ai tempi di Hegel non aveva il significato se- mantico di baraccone burocratico o di istanza tirannica, ma corrispondeva seman- ticamente al termine inglese Commonwealth ed al termine francese Rpublique. Incidentalmente, Pggeler ha fatto questi corretti rilievi genetici sul concet- to di Assoluto in Hegel (l'Assoluto come metafora per indicare la totalit etica di - una comunit che si trasforma in stato per garantire la propria riproduzione in un mondo dominato dalla volont di potenza diplomatico-militare) per poter colpire meglio Hegel. Secondo Pggeler, Hegel ha voluto dare una risposta filosofica nuo- va e convincente alle scissioni dellepoca, ma a questo compito la filosofia secondo lui dovrebbe rinunciare. Pggeler attribuisce a Hegel la pretesa di determinare il futuro dell'umanit, ma con questa valutazione in realt mira ad un altro obiet- tivo, quello di togliere alla filosofia il diritto di dare un giudizio storico-politico sul presente. Qui sta infatti il segreto della questione-Hegel. Insieme ad Hyppolite, Pggeler  stato uno dei massimi commentatori di Hegel nel Novecento. L'antipatia verso Hegel, fortissima in ambiente universitario al di fuori di piccoli gruppi di hege- lologi specialisti, in genere politicamente muti, sta proprio nel fatto che, con il pretesto di negare la possibilit della filosofia di conoscere il futuro (impossibilit sulla quale peraltro concordo anch'io), le si vuole negare il diritto di giudicare la natura della scissione (Trennung) nel presente storico. E questo non  un caso: se infatti la filosofia rivendica la propria sovranit (kyriarchia, exousia) nel giudicare la natura delle scissioni storico-politiche del presente storico, che ne sar allora delle pretese di sovranit delle oligarchie economico-finanziarie e dei ceti politici e giornalistico-universitari al servizio di queste oligarchie? Non ne resterebbe pi nulla. Questa pretesa di giudizio sulla natura delle scissioni ridarebbe al filosofo 277 CaprroLo XXXI il primato del giudizio complessivo che, sia pure con esiti costituzionali diversi, rivendicavano anche Platone e Spinoza, e che Occam rivendicava con la teoria no- minalistica del singolo veramente cristiano in un mondo in cui gli universali (Ordo Franciscanus Corruptus, Ecclesia ladrorum, ecc.) si erano totalmente venduti al potere. In questo senso, lantipatia verso Hegel  un fenomeno sociale, ed il riferimento ad Otto Pggeler mi ha aiutato a definirlo meglio. Il punto di vista storico di Hegel coincide infatti con la rivendicazione assoluta del pensiero di giudicare la natura delle scissioni storiche in cui viviamo, ed allora non esistono forze esterne (capita- lismo, banchieri, giornalisti, pretoni, pretini, rabbini, e neppure apparati ideologici di partito e di Stato) che possono espropriare il nostro diritto assoluto (ed  questo il secondo significato che do a questo termine dopo quello di totalit etica di una nazione che si fa stato per non farsi mangiare dagli imperi vicini) a dare una va- lutazione concettuale del mondo inteso come totalit espressiva. Hegel  secondo questa mia modesta lettura   il filosofo moderno della libert assoluta ed incon- dizionata, in quanto nessuno pu affermare di avere il monopolio della propriet privata del concetto (Begriff). Certo, chi pensa che il termine libert equivalga allarbitrio incondizionato dellopinare a ruota libera (meinen), arbitrio scientifico del relativismo che pone sullo stesso piano Spinoza e Beppe Grillo, Kant e Nanni Moretti, ecc., non potr mai neppure avvicinarsi alla concezione di Hegel. Assumendo come pertinente l'ipotesi storiografica di Pggeler, il percorso dalla certezza sensibile e dal sapere immediato al vero e proprio Sapere Assoluto, che come  noto  l'oggetto della Fenomenologia dello Spirito, indicherebbe metaforica- mente il passaggio dalla frantumazione pulviscolare degli staterelli tedeschi alla coscienza di costituire ormai una compiuta totalit etica, meritevole di costituirsi in Staat (nel senso di Rpublique e di Commonwealth, non di baraccone burocratico gestito da caste parassitarie inefficienti). L'Assoluto, inteso come raggiungimento si una totalit etica ormai meritevole di farsi Stato, occuperebbe cos in Hegel il posto che occupava Eraclito il fuoco semprevivo (e cio la metafora di una co- stituzione democratica), ed in Parmenide lEssere (e cio la metafora della stabilit e della permanenza nel tempo di una buona legislazione pitagorica). E tuttavia in filosofia le ideazioni hanno una fisiologica eccedenza rispetto alle motivazio- ni storiche contingenti che ne hanno permesso la genesi e la costituzione teori- ca. Nel caso dell'Assoluto hegeliano, si tratta del fatto che una vera autocoscienza (Selbstbewusstsein)  la premessa di una vera libert (Freiheit), e quindi la libert non pu definirsi n come larbitrio del volere dellimprenditore sovrano nei suoi investimenti finanziari (che  - come tutti sanno  la definizione odierna e sciagu- rata di libert), n come postulazione kantiana che renderebbe Pelo il mondo degli imperativi categorici. Il contenuto della Fenomenologia dello Spirito  appunto questo, e ci fa di questo libro uno dei capolavori assoluti della letteratura filosofica universale. La libert, infatti, non  un dato postulabile a priori (o meglio, lo  soltanto in termini di po- tenzialit pura della natura umana in societ, dynamei on). Non esiste un soggetto 278 Hegel ed il ristabilimento ontologico-sociale della storicit formalisticamente costituito che disporrebbe della libert, cos come un neonato ben formato dispone gi di gambe e braccia (e che comunque non potrebbe mai usare senza leducazione necessaria). La libert  unacquisizione storica, che tocca sia la storia universale sia la storia dell'individuo singolo concreto. Per questa ragione la Fenomenologia dello Spirito  un romanzo di formazione (Bildungsroman), e le sue figure sono metafore di momenti educativi di consapevolezza anche e soprattutto per i singoli individui. Qui non potr certamente analizzare quest'ope- ra immortale, ma mi limiter a segnalare la decisivit di alcuni passaggi. Hegel sa bene che il dominio ed il potere delluomo sull'uomo non proviene mai dal consenso. Il contrattualismo, nonostante tutti i suoi meriti (ho gi fatto notare che la teoria del contratto sociale  delegittimata da Hume per poter far passare il primato degli automatismi economici sulla sovranit politica), aveva fat- to circolare lidea che l'accettazione del potere di alcuni su altri provenisse da un mutuo contratto di accettazione funzionale. Hegel sa bene che non pu essere cos. Il potere di qualcuno su qualcun altro nasce dal fatto che il vincitore ha saputo superare la paura della morte nello scontro, mentre il vinto ha abbassato gli occhi, preferendo la sopravvivenza servile alla morte in combattimento. Ebbene, questa da un lato  una ovviet, e dall'altro  un segreto ipocritamente seppellito da sette sigilli. Oggi, ad esempio, l'impero USA chiede sottomissione assoluta minacciano l'annientamento atomico a chi non gliela consente, e poi chiama terroristi coloro che gliela rifiutano, mentre civili (ad esempio lattuale Europa asservita) sareb- bero coloro che invece abbassano gli occhi per la paura.  allora del tutto naturale che nella manualistica filosofica la nascita hegeliana del dominio venga o taciuta o segnalata distrattamente come un particolare secondario. Ci vuole anche qui un riorientamento gestaltico. L'analisi hegeliana della nascita del dominio dalla forza, o meglio dal nesso coraggio della forza/paura della sottomissione, deve essere oggi messa al centro di qualunque insegnamento della filosofia, se si vuole capire la natura storica imperiale del periodo storico che stiamo vivendo. La dialettica della lotta per il riconoscimento fra il servo ed il suo signore  forse la figura fenomenologica hegeliana pi conosciuta. Essa sfugge totalmente all'uni- verso espressivo kantiano e neokantiano e tutti i ritorni a Kant, come sfugge a tutte le inutili giaculatorie gnoseologiche per perditempo. La sottomissione attua- le dei continentali agli analitici testimonia, nel rarefatto mondo sottomesso dellirrilevante sapere universitario, la sottomissione storica della grande filosofia della tradizione Spinoza-Hegel-Marx alle stupidaggini scolastiche che nei campus USA  spesso definita filosofia. Questa figura hegeliana sta alla base della scien- za filosofica posteriore di Marx, che non  in alcun modo un sapere economico sullestorsione del plusvalore travestito sotto un apparente scambio di equivalen- ti, ma  appunto un sapere del riconoscimento (del lavoratore da parte del suo sfruttamento), in vista di un autoriconoscimento (dell'intera umanit, pensata logicamente come un unico concetto trascendentale-riflessivo, che comprende che il lavoro  sua propriet indivisa, e non  oggetto di dominio o di compravendi- ta).  bene che il processo che porta dal semplice riconoscimento (che implica an- 279 CarrroLo XXXI cora la permanenza di due soggetti antagonisti, sia pure parzialmente inciviliti ed addomesticati) al vero e proprio autoriconoscimento (che implica l'abolizione della scissione, Trennung, fra sfruttatori e sfruttati) venga concettualmente compre- sa. Se la si comprende, la derivazione lineare di Marx da Hegel appare quasi ovvia, e nessun rigurgito di antipatia verso Hegel riuscir mai a nasconderla. La connotazione hegeliana delle filosofie ellenistiche in termini di interiorit impotente allombra del potere pu essere giudicata troppo severa, ma mi sembra difficile negarne la plausibilit. Epicuro, ovviamente, pu piacere (giovane Marx) o non piacere (Hegel), ma qui non si tratta di dare voti. Anche ammesso che Hegel si sia sbagliato su Epicuro e sugli stoici (ed io stesso ne ho dato due letture differen- ziate nei capitoli a ci dedicati), resta il fatto che si danno situazioni storiche in cui la filosofia perde di fatto ogni funzione politica orientativa della comunit, e deve ripiegare penosamente in piccoli circoli protetti.  per me evidente che oggi vivia- mo una simile situazione, e che la generale delegittimazione politica seguita alla dissoluzione del comunismo storico novecentesco realmente esistito (1917-1991) ha comportato anche e soprattutto la generalizzazione dellantipatia verso Hegel e verso Marx. Non si tratta quindi di un insieme di valutazioni storiografiche pi o meno corrette su Epicuro, Pirrone o Zenone. Si tratta di accettare pienamente la legittimit della critica di Hegel a quei pensieri che si ritirano dalla polis per ef- fettuare secessioni ed esodi. Per quanto mi riguarda, laccetto pienamente. La critica hegeliana alla cosiddetta coscienza infelice  rivolta  come  noto  alla sensibilit religiosa medioevale. Personalmente, non mi convince nemmeno troppo. Da quanto mi  dato capire, il Medioevo non  stato per nulla infelice, ma semmai messianico (ricordo qui la mia accettazione della teologia di Auerbach sulla filosofia della storia di Dante). Qui il protestantesimo luterano di Hegel lo porta spontaneamente ad antipatizzare verso il cattolicesimo medioevale. Hegel aveva peraltro un'altissima concezione di Dio, ed era irritato da coloro che labbas- savano. Il clero cattolico fece in proposito una protesta collettiva ufficiale, perch Hegel ridicolizzava nei suoi corsi il dogma della transustanziazione, affermando che su questa base la divinit sarebbe stata contenuta negli escrementi di un topo che aveva mangiato unostia (la fonte  Michelet). Un giorno davanti alla cattedrale di Colonia, mentre vedeva vendere medaglie benedette, esclam: Chiss se potr vivere fino al giorno in cui tutte queste buffonate finiranno!. Ad un allievo cretino che gli magnificava le delizie dei buoni nell'aldil, Hegel disse severamente: Ah, cos lei vuole riscuotere anche una mancia, per aver curato la sua signora madre malata e per non aver avvelenato il suo signor fratello maggiore!. E potremmo continuare con questa sapida aneddotica, ma non  necessario, perch  noto che Hegel non riteneva soffermarsi sulla cosiddetta inesistenza di Dio (si tratta di un sapere positivistico alla Odifreddi, ridicolo nella sua petulante presunzione di su- periorit laica sulle plebi superstiziose preda di quella che Viano chiama lim- postura), ma preferiva puntare sul fatto che di Dio si avesse una rappresentazione (Vorstellung) pi adeguata e meno animalesca. 280 Hegel ed il ristabilimento ontologico-sociale della storicit La coscienza infelice che pass poi a Marx ed al marxismo non fu limpossibi- lit mistico-teologica medioevale di essere Dio, ma l'impossibilit del profilo cultu- rale borghese di essere realmente universalistico. La coscienza infelice si identifica con l'impossibilit del raggiungimento di una autocoscienza universalistica. Qui sta la matrice dell'intera scienza filosofica di Marx, che  infatti un episodio non certamente del cosiddetto pensiero operaio, salariato e proletario (la cui natura  quella di semmai di oscillare perpetuamente come un pendolo fra leconomicismo della equa distribuzione e il messianesimo dell'attesa di un salvatore  in questo caso la Storia divinizzata cui assoggettarsi in modo paolino), quanto della coscien- za infelice borghese. Ma di questo pi avanti. La ricostruzione hegeliana della storia della filosofia, della storia della religione e della filosofia della storia  un'unica ricostruzione. I singoli alberi sono certo tutti interessanti, ma ci che conta  la logica complessiva che presiede alla ricostruzio- ne. Non si tratta di sottoscrivere a tutto ci che Hegel ha scritto. Ad esempio, ci che Hegel ha scritto dell'India e della Cina mi sembra francamente una sciocchez- za. Essere hegeliani non significa sottoscrivere tutto ci che i suoi allievi hanno trascritto dalla sue lezioni orali. Essere hegeliani (ed io mi sento di esserlo pia- mente) significa comprendere che la verit parte dalla storia, o meglio dalla feno- menologia dialettica della propria collocazione individuale e collettiva nel flusso storico, ma che la verit non si esaurisce nella storia, perch tende verso qualcosa che , ed  eternamente, e con questo il campo della filosofia non pu e non deve essere indentificato con quello dell'ideologia (marxismo), dellepistemologia, della gnoseologia e della morale categorica. E con questo, mi sembra, si dice molto. 281 XXXII. LA FILOSOFIA POLITICA DI HEGEL E LA SUA OPPOSIZIONE DETERMINATA AL CONSERVATORISMO DEI VECCHI CETI, ALLA DISPERSIONE INDIVIDUALISTICA DELL'ECONOMIA POLITICA INGLESE E ALLA FURIA DEL DILEGUARE RUSSOVIANO-GIACOBINA Il 9 novembre 1977  stata pubblicata la seguente dichiarazione sul prestigioso quotidiano francese Le Monde: Ci che sciocca i tedeschi  la tendenza diffusa nella stampa estera ad assimilare lattuale caccia al terrorismo della Rote Armee Fraktion ad un ritorno del nazismo, laddove ai loro occhi tale caccia  precisamente destinata a lottare contro il ritorno di quel romanticismo tetro, crudele, al limite della follia, che ha sedotto pi di una volta, dal Medioevo a Nietzsche a Wagner, passando per Hegel, le zone torbide dell'anima tedesca.  questo romanticismo che ha generato il culto della violenza, che ha sostituito l'adorazione della Storia all'adorazione di Dio, che ha condotto ieri a Hitler e rinasce oggi sotto la forma della Rote Armee Fraktion. Questo testo, ispirato ad un sublime umorismo demenziale, non  stato pubbli- cato da un qualche BCI (Bollettino per Cretini Incurabili, ciclostilato a cura dei sud- detti), ma  stato pubblicato su uno dei pi colti quotidiani europei. Giustamente Jacques DHondt ne ha preso lo spunto per una ottima messa a punto del pro- blema Hegel. Ma non bisogna farsi illusioni di alcun tipo. La libera caccia a Hegel  un fatto sociale, e nello stesso tempo un derivato ideologico della sconfitta militare tedesca prima del 1918 e poi del 1945. La germanofobia ideologica  in Europa l'alibi miserabile per culture come quella francese, inglese, italiana, ecc., per assolversi delle proprie porcherie storico-politiche, dai massacri coloniali fran- cesi, inglesi e italiani alle corresponsabilit negli stessi scatenamenti delle guerre del 1914-1918 e del 1939-1945. Per poter inchiodare per sempre la Germania al suo passato irriscattabile bisogna farla diventare una sorta di grande Transilvania di vampiri sanguinari, nell'ordine Lutero, Guglielmo II, Wagner, Nietzsche, Hegel e Hitler. Mi si dir che questi personaggi avevano in comune solo l'accento tedesco, che per hanno anche Schumacher, Kant e Ratzinger. Non importa. Qui non si tratta di fare della storiografia, ma della demonologia. E questa demonologia  non bisogna dimenticarlo mai - non  rivolta ad una ricostruzione razionale della storia europea, ma  rivolta ad eternizzare il complesso di colpa e di vergogna de- gli europeo, in modo che accettino per sempre di essere occupati militarmente da basi USA dotate di bombe atomiche. Chi non capisce che lodio verso Hegel serve anche a questo, mostra di non capire gli elementi minimi delluso ideologico della falsificazione storica e filosofica. Ed  difficile esser un maestro della storiografia filosofica quando si  analfabeta dell'ideologia. 283 CarrroLo XXXII  difficile oggi sostenere seriamente che Hegel  stato a suo tempo un pensatore organico alla Restaurazione dopo il 1815. Al tempo dell'URSS di Stalin fu impo- sto come dogma storiografico di Stato l'interpretazione dellidealismo tedesco e di Hegel in particolare come reazione aristocratica alla Rivoluzione francese, ed un Comitato centrale del PCUS fu addirittura dedicato a smentire ufficialmente un professore sovietico di filosofia, tale Alexandrov, che non aveva adottato questa interpretazione in una sua storia della filosofia moderna. So bene che l'ideologia ha le sue esigenze, ed infatti rimprovero agli storici della filosofia di essere troppo spesso degli analfabeti dell'ideologia, di non essere vaccinati contro di essa e quindi di caderne preda come pesci non appena essa tende le sue reti attraverso gli apparati politici, universitari, editoriali e giornalistici. E tuttavia le due concezioni di Hegel come espressione della reazione aristocratica alla Rivoluzione francese e di Hegel precursore dellautoritarismo di Bismarck e del totalitarismo di Hitler de- vono essere intese non come qualcosa di storiograficamente interessante, ma come una proiezione ideologica dell'alleanza fra l'URSS e gli USA nella Seconda guerra mondiale, pi o meno come oggi Maometto  visto come il precursore ideologico dei patrioti suicidi impropriamente chiamati kamikaze. Chi  stato politicamente Hegel? Jacques D'Hondt, che insieme a Jean Hyppolite ed a Herbert Marcuse  la mia principale fonte storiografica su Hegel (e ritengo che D'Hondt, Marcuse e Hyppolite bastino ed avanzino, anche se qualco- sa pu essere trovato anche in altri pensatori secondari, come Fetscher, Losurdo, Cesa, Taylor, ecc.), lo definisce un riformatore progressista, e fa notare che tutti gli assistenti-ripetitori nominati da Hegel sono stati tutti, l'uno dopo laltro, arre- stati, imprigionati e destituiti. In ogni caso, nella Berlino di Hegel non esisteva- no partiti o club politici autorizzati, e quindi definire Hegel di centro-sinistra (Peperzak) oppure definirlo come reazionario anti-liberale  comunque frutto di una retrodatazione arbitraria. Il solo modo di attingere oggi il profilo della filosofia politica di Hegel sta nel collocarla nel suo tempo storico, leggendo la sua Filosofia del Diritto nel contesto storico in cui  stata scritta, e non certamente esaminan- dola con la prospettiva delle ideologie politiche novecentesche ed anche tardo- ottocentesche. Hegel, infatti,  del tutto estraneo non solo al Novecento (fascismo, comunismo, impero USA, ecc.), ma  anche estraneo al tardo Ottocento (pragmati- smo, positivismo, marxismo, ecc.). Essendo un carattere pienamente autunnale (Livio Sichirollo), concluse l'estate, anche se pu essere legittimamente interpreta- to come una primavera, e cos io linterpreto (su questo ho a suo tempo dissenti- to con Sichirollo, che insieme ad Emilia Giancotti sono stati maestri e compagni ad Urbino, e che appartengono ormai la mondo dei pi  anche se sono ancora vivi nel pensiero e nella memoria). La filosofia politica di Hegel deve a mio parere essere ricostruita a partire da. ci cui egli si opponeva e da ci che egli criticava ed evitava, cos come il presup- posto per capire la filosofia di Marx sta nel fatto che egli non si opponeva soltanto genericamente ad un indeterminato capitalismo, ma si opponeva a quasi tutte le teorie di sinistra del suo tempo. Se si adotta questo approccio metodologico, 284 La filosofia politica di Hegel Hegel ridiventa in un certo senso attuale, perch anche oggi vi sono equivalenti moderni e post-moderni delle posizioni cui egli si oppose ai suoi tempo. Questo non significa che si debba indebitamente attualizzare Hegel. Questo significa invece che l'analogia  consentita, se per si  pienamente consapevoli che si tratta solo di una analogia interpretativa, e non di una regolarit nel ripresentarsi di fantomatiche leggi storiche. A suo tempo, Hegel si oppose a tre posizioni ideologico-politiche concreta- mente esistenti: il conservatorismo reazionario dei cosiddetti vecchi ceti alla Metternich, che si riconoscevano nella filosofia della Restaurazione ed auspicava- no il ritorno alla situazione anteriore al 1789; l'imitazione dell'economia politica inglese e dello Staat ridotto a governement, cio a puro regolatore politico del fun- zionamento dell'economia capitalistica, che in quel momento storico coincideva di fatto con lo scatenamento liberale integrale (la grande fame dell'Irlanda non era ancora avvenuta, ma era nell'aria); la ripresa del giacobinismo russoviano e ro- bespierrista, colpito dai termidoriani nel 1794, ma ancora ben vivo nella memoria storica e nei progetti politici radicali. Sono questi i tre punti di vista politici cui si oppone Hegel, e senza esaminarli  impossibile ricostruire oggi la natura del suo pensiero politico. Il mondo dei vecchi ceti (o se lo si vuole chiamare cos, dellancien rgime) era stato colpito duramente dalla Rivoluzione francese del 1789, ma  noto che esso ormai scricchiolava da tempo, ed il cosiddetto dispotismo illuminato, pi che una anticipazione incerta ed inconseguente della rivoluzione borghese imminente, deve essere meglio inteso come ultima tappa dellassolutismo, che a sua volta  assai pi lultima frontiera contro il modo di produzione capitalisti- co (Perry Anderson). La strategia politico-militare dellInghilterra, che mobilitava contro la Francia rivoluzionaria e napoleonica tutte le forze signorili e tardo-feu- dali europee, riusc a galvanizzare ancora per qualche decennio i vecchi ceti, e Metternich dopo il 1815 costru per loro un'Europa a loro immagine e somiglianza. Ma Hegel non credette mai che sarebbe stata possibile una vera restaurazione. Oggi siamo ancora in un clima abbietto di convinzione che si sia potuto restaura- re per sempre il modello di capitalismo liberale incontrollato precedente il 1914, ed infatti Alain Badiou parla correttamente di seconda restaurazione (io accetto pienamente questa connotazione). Ma Hegel non pensava l'equivalente di questa concezione da servi nel 1815, perch tutta la sua Fenomenologia dello Spirito era stata scritta nella convinzione di stare vivendo allinterno di un'epoca di gestazione e di trapasso. Per Hegel, il mondo delle gerarchie sacralizzate feudali e signorili era definitivamente tramontato, ed ogni tentativo di tenerlo in vita era destinato al fallimento. Non a caso (ricordo qui Pggeler) la sua intenzione era quella di concepire l'Assoluto come metafora filosofica del ristabilimento politico di una comunit nazionale e statuale (il Machiavelli della Germania), fondata per sulla scienza filosofica, e non pi sulla tradizione religiosa pura e semplice. La filosofia della Restaurazione, infatti, era un filosofia del primato assoluto della religione sulla filosofia intesa come scienza filosofica, ed una filosofia del primato del diritto 285 CaritoLo XXXII consuetudinario sul diritto ricostruito su basi razionali (la sua Filosofia del Diritto, appunto). Per Hegel lIlluminismo aveva portato a termine una necessaria funzio- ne di distruzione del vecchio, ed Hegel era riuscito a concettualizzare pienamente la positivit di questa funzione distruttiva attraverso la sua concezione filosofica generale della positivit dialettica del negativo nella storia. Anche se non utilizz mai la categoria pessimistica fichtiana del presente come epoca della compiuta peccaminosit, di fatto condivideva le conclusioni di Fichte, per cui si trattava di un'epoca provvisoria, che avrebbe dovuto essere sostituita da un'epoca illuminata (e quindi, da un nuovo Illuminismo - lidealismo di Hegel  infatti pensato come un nuovo Illuminismo della ragione dialettica che sostituisce il vecchio Illuminismo dell'intelletto astratto), ed illuminata proprio da una scienza filosofica diretta a tutti e non solo ad alcuni geni pomposi autoproclamatisi tali (si tratta di ci che Lukcs ha correttamente definito gnoseologia democratica). Chi esalta la tradizione medioevale intendendola come un comunitarismo positivo rispetto al nuovo individualismo proprietario borghese lo faccia pure, se lo vuole e cos gli piace, ma non pensi di potersi collegare al pensiero dialettico di Hegel (e ovviamente di Marx). Il rapporto di Hegel con la posizione dei no- stalgici dei vecchi ceti , a ben vedere, analogo a quello che abbiamo noi con i nostalgici del comunismo storico novecentesco recentemente defunto e seppelli- to. Indubbiamente anche nelle strutture pi autoritarie e degradate del baraccone burocratico staliniano c'erano elementi di solidariet comunitaria ed esistenziale migliori dellattuale scatenamento privatistico di oligarchi miliardari e di belve privatizzatrici liberate dalla loro gabbia. L'ex-dissidente Alexander Zinoviev, che pure suo tempo fu perseguito dai culi di pietra dell'apparato burocratico so- vietico, lo ha capito benissimo, e lo ringrazio qui per avermi fatto da guida alla comprensione globale del sistema sovietico, che fu sempre di fatto un katekhon contro lo scatenamento degli animal spirits capitalistici, solo vero fattore pericoloso dellattuale congiuntura storica. E tuttavia il mondo dei burocrati comunisti e del- le grandi masse assistite e spoliticizzate, positivo o meno il ruolo di katekhon che ha giocato nella storia novecentesca (a differenza del pur stimabile Solzenitsyn, penso che abbia giocato un ruolo molto positivo) non pu pi essere restaurato. L'autobus della storia  gi passato da quella fermata, ed  inutile aspettare che ripassi ancora, perch da quella fermata non ripasser mai pi. Le due ideolo- gie gemelle, complementari ed antitetico-polari della sacralizzazione gerarchica cristiana tradizionale e del materialismo dialettico sovietico sono entrambe defini- tivamente trapassate, e non si potranno quindi riformare n i vecchi ceti feudali e signorili, n i nuovi ceti socialisti e comunisti. Questo ci insegna Hegel, e mi sembra un insegnamento di valore inestimabile, anche se so bene (per usare una vecchia espressione del liberale piemontese Luigi Einaudi) che si tratta per ora di prediche inutili. Il mondo della nuova economia politica inglese stava appena affacciandosi al- lora nell'Europa continentale, e non poteva quindi ancora realmente comparire nella analisi di Hegel. E tuttavia mi azzardo a dire che se Hegel avesse potuto 286 La filosofia politica di Hegel conoscere la proposta economica di List, che contrapponeva alle armonie del mer- cato di Smith una legittima fase mercantilistica e protezionistica per poter garan- tire la crescita di una comunit-Stato, l'avrebbe certamente preferita (ed io con lui, ovviamente). I giudizi dei mercati (questa espressione ad un tempo sciocca ed idolatrica  oggi molto di moda, e non a caso, perch i periodi di decadenza sono sempre anche periodi di stupidit diffusa) devono sempre passare dopo i giudizi delle comunit. Il fondamento filosofico dell'economia politica inglese, che si presenta come un sapere privo di presupposti filosofici laddove  ovviamente un impasto di sensi- smo, empirismo, scetticismo ed utilitarismo, sta in una operazione di destoriciz- zazione e di desocializzazione preventiva (il robinsonismo), che sta ovviamen- te agli antipodi della concezione hegeliana, e di l deriva il pittoresco odio verso Hegel della corporazione degli economisti, la cui scienza infatti non resisterebbe cinque minuti alla corrosiva critica della dialettica. E tuttavia Hegel non  stato avaro di complimenti e di riconoscimenti alla nuova scienza dell'economia po- litica. Nel paragrafo 189 (con nota) della sua Filosofia del Diritto Hegel definisce l'economia politica come la scienza dellappagamento della particolarit sogget- tiva, nella relazione con i bisogni ed il libero arbitrio di altri. Si tratta quindi di una nuova scienza dell'intelletto astratto (Verstand) e non della ragione dialettica (Vernunft). Essa  anche una scienza in cui l'intelletto si sfoga nei suoi fini sogget- tivi e nelle sue opinioni morali. In quanto scienza del sistema dei bisogni Hegel colloca l'economia nellambi- to della societ civile (biirgerliche Gesellschaft). Il concetto hegeliano di biirgerliche Gesellschaft non solo non  identico al concetto empiristico-liberale di civil society, ma ne  addirittura l'opposto. Nella concezione liberale-lockiana (o se si vuole, liberale-smithiana), la civil society  il fondamento ultimo della societ, e lo Stato non  che una superfetazione utilitaristica, che si tratta di limitare (libert da, come premessa della libert di), e non certo di dotare di legittimit. Attraverso il linguaggio rarefatto ed ipocrita della politologia si ha qui ovviamente la fondazio- ne del primato delleconomico sul politico. L'economico, raddoppiato dal chiac- chiericcio di saturazione e di legittimazione della cosiddetta opinione pubblica, cio del monopolio mediatico del primato delle opinioni consentite (civil society e public opinion marciano sempre insieme come i carabinieri di una volta), deve infatti avere sempre il primato sul politico (teoria dellautoistituzione della societ sulla base del primato dell'abitudine mercantile in Hume, ecc.).  ovvio che Hegel rifiuti radicalmente questo approccio liberale. In questo senso, ma solo in questo senso, Hegel  un pensatore anti-liberale, e lantipatia verso di lui da parte dei vari Bobbio, Dahrendorf, Berlin, Aron, ecc.,  pi che giustificata. Chi vuole attribuire un primato metafisico alla riproduzione capitalistica pura, in cui gli animal spi- rits si fondono con la civil society e con la public opinion (ho qui lasciato non tradotti nell'originale in lingua inglese le tre persone della trinit capitalistica), non potr simpatizzare per Hegel, teorico del primato della scienza filosofica e della politica comunitaria sull'economia assolutizzata e divinizzata. 287 CarrroLo XXXII Hegel riconosce lesistenza dei bisogni, e del fatto che in una certa misura l'economia politica aiuta a determinarli, coordinarli e soddisfarli. In questo senso l'economia politica, come l'ideologia,  necessaria e non pu essere in alcun modo abolita. A suo tempo alcuni marxisti meccanicisti e poco dialettici (il giovane Bucharin, Rosa Luxemburg) concepirono il socialismo come la fine dell'economia politica. Si tratta di un errore, in quanto l'alternativa radicale al mercato (almeno di alcuni beni, non necessari alla riproduzione vitale delluomo - il bisogno di cure mediche non  della stessa natura del bisogno di visitare il Madagascar) non pu che essere la distribuzione amministrativa di un iper-Stato benefattore, con conseguente asservimento dei consumatori egualizzati dai distributori.  pi o meno come capitava gi nell'antico Egitto, e mi pare poco opportuno prefigurare il socialismo del futuro sulla base del modello sociale degli antichi faraoni.  vero peraltro che la mummificazione rituale dei capi comunisti defunti (Lenin, Stalin, Mao, Dimitrov, ecc.) non fu certo casuale, perch riprodusse simbolicamente lo stesso tipo di legittimazione religiosa. I sacerdoti egizi mummificavano Amenofi come i burocrati sovietici mummificarono Stalin, in quanto in entrambi i casi la per- manenza fisica del corpo del loro faraone-babbione sacralizzava direttamente la permanenza ideale del loro dominio. Abbiamo qui un esempio luminoso del fatto- re materiale dell'ideologia nella sua funzione di legittimazione dei rapporti sociali. Non si pu seriamente pretendere di ricavare da Hegel una teoria dei modi di produzione o una critica dell'economia politica. Chi le considera necessarie per capire il presente (come chi scrive) deve rassegnarsi ad aspettare Marx, con tutte le antinomie che il pensiero di questultimo presenta (di cui chi scrive  pienamente consapevole). E tuttavia, se Hegel non  un critico dell'economia politica, non  neppure un apologeta indiretto del primato normativo della riproduzione econo- mica su tutti gli altri ambiti del legame sociale comunitario, ed  anche per questo, ovviamente, che  oggetto di antipatia da parte dei seguaci di Locke (medico, mer- cante schiavista, filosofo empirista e cristiano ragionevole). Con la sua definizio- ne dell'economia politica come sapere dell'intelletto e non della ragione, Hegel si ricongiunge semmai ad Aristotele ed alla sua critica alla assolutizzazione della . crematistica, critica che fu ripresa poi anche da Tommaso d'Aquino. Questo non . sfugge ovviamente al grande storico francese dell'economia Henri Denis, gi am- piamente citato, uno dei pochi commentatori capaci di notare che Hegel critica gh economisti inglesi perch tratterebbero erroneamente luomo come un essere solo | naturale, ignorando che la libert umana  un prodotto storico, e non solo natu rale. Denis coglie qui un punto che sfugge a molti commentatori, per cui l'estremo artificialismo dell'economia politica, che nell'epoca della manipolazione pubblid- ; taria e della creazione pianificata di bisogni del tutto artificiali tende addirittura a rendere la natura umana un dato interamente manipolabile, si fonda curiosamente | su di un presupposto interamente naturalistico, e cio destoricizzato e desocializ- zato. Ma qui Denis raggiunge idealmente Polanyi nel capire che l'isolamento ar tificiale dell'economia dal resto dei rapporti sociali non  affatto un dato naturale, | ma al contrario  un prodotto non solo storico, ma addirittura iperstorico (e liper-; 288 La filosofia politica di Hegel storico, per cancellare le sue sporche tracce, si presenta sempre con labito candido del sovrastorico e dell'eterno parmenideo) di una congiuntura storica particolare, di cui abbiamo gi parlato. In quanto sapere storico e limitato del sistema dei bisogni l'economia politica ha il suo posto nella riproduzione umana. Ma essa non si accontenta di essere un sapere subordinato all'etica comunitaria. In quanto teologia del capitalismo, essa vuole il dominio assoluto nel proprio regno, e vuole che la sua pipa brandeggiata dai suoi sacerdoti anglofoni possa dominare sul turibolo dellincenso dei preti e sul megafono dei sindacalisti in sciopero. Ma perch la sua pipa-totem brandeg- giata nelle sue messe anglofone possa mandare tranquillamente il suo odore di trinciato verso il cielo della speculazione finanziaria bisogna prima che vengano delegittimate sia larte che la religione che la filosofia. L'arte deve diventare mer- cato dellarte, con venditori che battono con il martelletto l'acquisto di miliardari gi intenzionati a nascondere i capolavori dellarte in caveau di banche svizzere. La religione deve diventare affare privato personale del credente, assimilato cos al filatelico o al pornografo, che ha diritto alla sua sfera privata, cos come la sfera pubblica deve invece diventare luogo sacro della trinit degli animal spirits, della civil society e della public opinion. In quanto alla filosofia, bisogna che nel migliore dei casi diventi gnoseologia critica del mondo (nel frattempo esaurito) della meta- fisica dellal di l, e nei peggiori dei casi venga sbeffeggiata come residuo infantile di maniaci che anzich dedicarsi al pi produttivo inglese finanziario si dedicano al tedesco filosofico. Eppure, nonostante tutte queste indecenti manipolazioni,  difficile togliere di mezzo questa semplice verit: l'economia politica, sapere le- gittimo del sistema dei bisogni,  qualcosa che in qualunque comunit civile non pu essere divinizzato e posto al di sopra di tutto, ma  qualcosa di subordinato al sapere razionale degli interessi complessivi di una comunit. La critica di Hegel alla sinistra del tempo  a mio avviso ancora pi interessan- te delle due critiche allillusione restaurativa dei vecchi ceti ed al sapere astratto della sovranit dell'economia politica liberale capitalistica. Anch'essa  del tutto attuale, se non si pretende ovviamente di poterla applicare direttamente alla congiuntura storico-politica di oggi. Il cuore della questione sta in ci, che Hegel non critica la sinistra perch sarebbe troppo collettivistica, ma proprio per la ragione opposta, perch il suo fondamento  eccessivamente individualistico. Da momento che anche oggi (2013) lincurabilit della sinistra europea sta proprio nel suo essere inguaribilmente individualistica, e di non saperlo pure,  bene dedicare a questo aspetto del pensiero politico di Hegel un'attenzione particolare. Ci sono stati recentemente pensatori (come il francese Louis Dumont) che sono riusciti a diagnosticare la natura individualista dellincurabile patologia filosofico-sociale della sinistra, dal populismo baffuto di Zapata al radicalismo glabro di Zapatero, ma sono ragioni storiche inesorabili che impediscono (per ora; domani chiss!) la presa in considerazione pubblica di queste diagnosi. La sinistra oggi  il problema, e ritiene di essere la cura. Ma  impossibile che il problema curi se stesso. Oggi gli apparati culturali, politici e giornalistici della cosiddetta sinistra sono il vettore 289 CaprroLo XXXII marciante della secolarizzazione individualistica dellattuale ipercapitalismo mul- ticulturale globalizzato interamente post-borghese e posto-proletario, ed  quindi impossibile che siano in grado di fare luce su se stessi e di scoprire la loro funzione sociale, visto che sono impregnati di quella falsa coscienza necessaria degli agenti storici che impedisce per principio ogni rinnovamento del metodo dialettico della Fenomenologia dello Spirito, e cio laccesso allautocoscienza (Selbstbewusstsein) sul- la propria funzione. Un bagno di Hegel farebbe bene, ma la porta della doccia  chiusa. Eppure  come ha scritto felicemente Jacques D'Hondt  chi  stato toccato dallala della filosofia hegeliana acquista un altro portamento!. Ernst Cassirer ha sostenuto che Rousseau (si noti bene: Rousseau, non Marx)  stato il fondatore del pensiero di sinistra, perch solo Rousseau ha veramente rovesciato la teodicea in sociologia, individuando il peccato originale non in un caduta teologica che avrebbe prodotto la malvagit mondana, ma nelliniqua distribuzione dei bene terreni frutto di un contratto sociale ingiusto da rinnovare e raddrizzare. E infatti scrive Rousseau: Nego che la malvagit sia connaturata alla specie, come insegna il sofista Hobbes, o sia necessario ammettere la dottrina del peccato originale, come propaganda il retore Agostino. Qui sta il logos fon- dativo della sinistra, che a mio avviso  un buon /ogos, e pu essere pienamente rivendicato a distanza di pi di due secoli.  infatti assolutamente vero che il sofista Hobbes ed il retore Agostino sono inaccettabili. Solo la sofistica pu sostenere che la malvagit sia realmente connaturata alla specie umana e non sia anche soprattutto (anche se non esclusivamente) un dato sociale, e solo la retorica pu sostenere che il peccato originale non sia anch'esso un dato storico che nasconde lo sviluppo di una societ divisa in classi (e rimando qui ai capitoli due e tre di questo scritto). La filosofia si erge soprattutto contro la sofistica di Hobbes e la retorica di Agostino, ne svela i vizi teorici attraverso la ricostruzione storico-genetica ed ontologico-sociale e mostra cos la via per la liberazione. Non ha quindi senso ripudiare il logos della sinistra enunciato da Rousseau. E tuttavia Rousseau coniuga questo logos in modo nevroticamente individuali- stico. Indentificando lintero sistema dei costumi sociali come corrotto egli non fa che spostare il peccato originale dalla religione alla societ. Hobbes e Agostino, apparentemente espulsi dalla porta, rientrano immediatamente dalla finestra. La denuncia russoviana della corruzione sociale che dovr essere riscattata attraverso un azzeramento ideale (lo stato di natura, che come  noto in Rousseau non  la descrizione di una societ di selvaggi realmente esistita, ma il grado zero concettuale della ricostruzione sociale integrale), ha come portatore un indivi duo libero di ogni peccato sociale (lEmilio russoviano  infatti il grado zero della societ radicale), che costruir insieme ad altri individui liberati come lui la nuova societ, che apparir cos fondata sul contratto sociale stipulato da indivi dui virtuosi. Virtuosi, indiscutibilmente, ma sempre individui. Il fatto che, vizioso o virtuoso, Robinson malvagio o Robinson buono, l'individuo non  mai il fonda- mento della societ. Fondamento della societ per Hegel non  mai l'individuo, ma  sempre la comunit, assunta prendendo in considerazione la scissione (Trennung) 290 ai La filosofia politica di Hegel che la caratterizza storicamente (il proprio tempo appreso nel pensiero). Rimando qui alla critica di Fichte allindividualismo del diritto naturale, critica che  anche costitutiva del pensiero posteriore di Hegel. La critica di Hegel a questa sinistra originaria si incentra quindi su tre punti principali, che conviene segnalare subito in forma riassuntiva ed analizzare poi separatamente: la critica generale allastrazione illuministica, la critica politica al cosiddetto rovesciamento della virt in terrore del robespierrismo giaco- bino, ed infine la critica filosofica generale alla cosiddetta furia del dileguare. Personalmente, condivido la prima e la terza, mentre respingo fortemente la se- conda. Ma qui non conta ci che lo scrivente accetta o respinge, quanto la com- prensione dei punti teorici fondamentali. La critica generale di Hegel allilluminismo  nota, ma converr sempre ripeter- la, per coglierne nuove sfaccettature. Hegel accusa lilluminismo di essere il pen- siero dell'intelletto astratto, e su questo punto mette insieme il sensismo materiali- stico, lempirismo lockiano, lo scetticismo humeano, la corrosione volterriana ed infine  punto pi alto di tutto lilluminismo  il criticismo kantiano. Questo regno dell'intelletto astratto  condannato con espressioni simili a quelle usate dal Fichte dellepoca della compiuta peccaminosit, ma a differenza di Fichte c' anche il riconoscimento non solo della necessit, ma anche dellassoluta indispensabilit della corrosione critica illuministica, per astratta che abbia potuto essere. Ci che differenzia radicalmente Hegel dai filosofi reazionari della Restaurazione, infatti,  che questi ultimi semplicemente deplorano il movimento illuministico, mentre Hegel non lo deplora per nulla, ma ne riconosce dialetticamente lunit di indispen- sabilit e di insufficienza. Oggi il cosiddetto rilancio dell'illuminismo, con slogan ridicoli e pomposi come illuministi di tutto il mondo, unitevi! (rivista Micromega, quotidiano Repubblica, ecc.),  primariamente rivolto contro il marxismo connotato come utopia sanguinaria, ma  impregnato ovviamente soprattutto di antipatia verso Hegel, perch Hegel  stato colui che verso lilluminismo ha avuto latteggia- mento pi sano e pi sobrio, e cio una critica non distruttiva. La critica hegeliana verso lilluminismo si basa sul fatto che questultimo ha un codice teorico comune a tutte le scuole (dal deismo allateismo materialistico), e cio lindividualismo anti-comunitario. Le cose non sono sostanzialmente cambiate oggi. Tutti gli odierni ritorni allilluminismo sono infatti infallibilmente indivi- dualistici e anti-comunitari, ed uno spoglio sistematico della sua ampia letteratura ( ampia, perch i suoi propugnatori sono numerosissimi negli apparati ideologici universitari ed editoriali) pu facilmente accertarlo. L'individualismo anti-comu- nitario, mascherato da progressismo, modernizzazione e liberalizzazione dei co- stumi, polemica contro il cosiddetto fondamentalismo cattolico e musulmano, ecc.,  tuttora il codice filosofico fondamentale della sinistra europea. Hegel non avrebbe certo potuto prevederlo, ovviamente. Ma ha previsto, invece, l'incredibile forza distruttiva e corrosiva dellindividualismo anti-comunitario. Di fronte alla Rivoluzione francese, fenomeno cui a quei tempi nessuno poteva sottrarsi al dovere di darne una interpretazione storico-filosofica generale (come 291 CarrroLo XXXII del resto avvenne nel Novecento con la Rivoluzione russa del 1917), Hegel pren- de una posizione facilmente riassumibile. Da un lato, essa  connotata come un immane spettacolo, rappresentato dal tentativo di sovvertire ogni assetto pre- esistente della societ e di fondare lo Stato sulla base del puro pensiero e del puro progetto razionale (quello dei giacobini, appunto). Dall'altro, i suoi esiti del periodo 1793-1794 sono connotati come l'evento pi orribile ed allucinante che la storia ricordi, in base alla figura dialettica del rovesciamento della virt sogget- tiva (le intenzioni morali di Robespierre) in terrore della ghigliottina. Questa va- lutazione hegeliana  stata alla base di tutte le liquidazioni novecentesche della Rivoluzione russa del 1917, da Maurice Merleau-Ponty (cfr. Umanesimo e Terrore e Le Avventure della Dialettica) fino a Frangois Furet (cfr. Il passato di una illusione). La parte pi degenerata della generazione del 1968 ha trovato in questa pappa rea- zionaria l'alibi ideologico colto per la propria riconciliazione (Vershnung) con lo spirito capitalistico della globalizzazione ultracapitalistica e con le grida rauche in favore dei bombardamenti umanitari contro stati canaglia, genocidi inesistenti e certificati come tali e dittatori baffuti e barbuti nemici dei cosiddetti diritti uma- ni. Bench io sia soggettivamente un ammiratore di Hegel ed un sostenitore del co- siddetto hegelo-marxismo respingo completamente questo ululare con i lupi. Anche il pi grande filosofo della modernit pu ululare con i lupi, ma non  obbligatorio ululare con lui. Certo, Hegel rileva che Robespierre, lungi dallesse- re un mostro sanguinario, come gridavano gli sciocchi del tempo (nemici delle poche migliaia di vittime fatte da Robespierre, ed amici dei milioni di vittime fatte nelle guerre napoleoniche  il morto politico fa orrore, mente il morto militare piace a tutti i tartufi di questa terra particolarmente ricca di tartufi), fu qualcuno che prese la virt molto sul serio, ma sulla virt soggettiva non pu fondarsi una comunit, che pu fondarsi solo su costumi condivisi (Sitten). Su questo Hegel ha sostanzialmente ragione. Ma egli ignora (e non pu non ignorare in base alla categoria di falsa coscienza necessaria del pensiero borghese) che Robespierre non mirava solo alla virt, ma mirava proprio ai costumi politici egualitari diffusi, e proprio questo faceva paura alle canaglie termidoriane. Dal momento che le ca- naglie termidoriane volevano soprattutto rubare, ed impadronirsi legalmente dei beni portati via alla nobilt ed al clero,  evidente che dovettero decapitare Robespierre ed i suoi eroici seguaci, mentre il solito popolo bue ed idiota (le tri- coteuses, e cio le cucitrici che stavano sotto la ghigliottina inneggiando a tutte le teste tagliate, monarchici o giacobini che fossero) si inebriava del sangue versato. E tuttavia Robespierre, infangato e sporcato da gente che non gli pu neppure stare alle caviglie, resta a pi di duecento anni di distanza una figura immortale, del tutto comparabile s figure come Socrate, Ges, Francesco di Assisi e Lenin (e non si stupisca il lettore di questi accostamenti apparentemente borgesiani, e certamente assurdi e scandalosi per il Politicamente Corretto ed i suoi conformistici seguaci). E tuttavia  chiaro che Hegel doveva effettuare quel particolare sganciamento simbolico della Rivoluzione francese il cui codice teorico  sempre lo stesso da due 292 di  La filosofia politica di Hegel secoli: viva il 1789, abbasso il 1793! Come  noto, Marx ed Engels non lo seguiro- no su questo terreno (ed insieme a loro storici come il mio indimenticato maestro Albert Soboul), anche se persino loro sono stati a mio avviso inutilmente severi e sprezzanti verso Robespierre, accusato del reato contrario di quello cui lo accus Hegel, quello di essere stato troppo borghese. E tuttavia lo ripeto, e qui chiudo su questo punto: il fatto che il nostro maestro sia stato un filisteo, non significa che filistei dobbiamo esserlo anche noi; il fatto che egli abbia deciso di ululare con i lupi, non significa che dobbiamo ululare anche noi! La critica hegeliana alla russoviana furia del dileguare mi sembra invece sen- satissima. Per furia del dileguare Hegel intende l'errore contrattualistico rus- soviano, per cui per poter fondare il nuovo contratto sociale equo ed egualitario (ed individualistico, nel senso di una comunit astratta di individui sradicati ed originati, e non dedotti dai costumi di comunit precedenti), bisogna saltare tutti i momenti intermedi (soprattutto la famiglia e la corporazione professionale), per arrivare subito alla comunit di Emili e di Nuove Eloise. Il fatto che Rousseau fosse un signore che abbandon quattro figli alla ruota dei conventi non  a mio avviso del tutto casuale (anche se sarebbe errato giudicare il suo pensiero solo su dati biografici). Questo pensatore politico era pervaso di sentimenti fortemente anti-politici, ed anche il fatto che il suo romanzo preferito fosse il Robinson Cruso non  certo casuale. Il suo ideale di vita stava nel fatto che lo lasciassero tranquillo a fare erboristeria, perch solo fra le piante mute un simile Robinson poteva vivere.  dunque del tutto ovvio che la sua furia del dileguare lo rendesse impaziente di lasciarsi alle spalle la famiglia, la societ civile e lo Stato. Per Hegel i costumi morali comunitari (leticit, Sittlichkeit) si imparano in due luoghi. La prima radice etica  la famiglia, la seconda radice etica  la cor- porazione professionale. E questo corrisponde esattamente al senso comune ed all'esperienza quotidiana. Prendiamo un medico sposato (o una donna medico sposata, non cambia nulla). Come titolare di coscienza individuale puramente mo- rale, in senso kantiano, egli  un individuo socialmente sradicato, n medico n padre di famiglia, ma  semplicemente un'unit astratta di libert del volere, luogo ideale per linfinita casistica morale kantiana di impossibili imperativi categorici spaventati da ogni possibile (ed inevitabile) eteronomia. Come padre di famiglia  invece titolare di ben precisi doveri etici verso i vecchi genitori, la moglie e i fi- gli. Come medico  titolare di altrettanto fortissimi doveri etici verso se stesso (il dovere del continuo aggiornamento professionale), verso i colleghi (il dovere di interpellarli quando non  sicuro delle sue diagnosi, prognosi e terapie), ed infine verso i pazienti. Ma Hegel constata che questa persona non esaurisce i suoi doveri etici verso la famiglia e verso la corporazione professionale, ma deve tener conto di un terzo tipo di valori etici, quelli verso la comunit complessiva, che al tempo di Hegel non poteva essere che lo Stato nazionale (Staat), che correttamente Koselleck ha sostenuto essere soltanto l'equivalente tedesco del francese rpublique e dellin- glese commonwealth, con tutta la carica semantico-simbolica che questi termini si portavano dietro. 293 CarrroLo XXXII Che dire? In breve, che Hegel aveva ragione nellessenziale, senza per questo dover scioccamente dargli ragione a posteriori sulle valutazioni congiunturali che dava su singoli empirici aspetti della Germania 1815-1831. Ma  per questo che oggi Hegel  odiato.  odiato dai tradizionalisti conservatori, che vorrebbero rifondare il senso della comunit su metafisiche ultraterrene sacralizzate da sfilate salmodianti di pretoni con i loro turiboli di incenso.  odiato da chi vorrebbe che solo il giudizio dei mercati e dei loro brokers urlanti possa fare da fondamento sociale comunitario.  odiato infine da chi ha come ideale radicale una societ di single la cui filosofia sia solo un impasto di relativismo merceologico ed un carne- vale permanente di stili di vita ingentiliti da un uso moderato di droghe leggere che dovrebbero liberare la coscienza. Ma la coscienza si libera diversamente. E chi capisce questo capisce anche che la filosofia di Hegel non  solo l'anticamera della liberazione, ma  gi la liberazione essa stessa. Come Spinoza, Hegel  dunque il presupposto imprescindibile di ogni filosofare moderno. 294 XXXIII. LA SCIENZA FILOSOFICA DI KARL MARX. LA CENTRALIT DELLA CATEGORIA MODALE DI POSSIBILIT ONTOLOGICA SENZA ALCUNA GARANZIA NECESSARIA DI FILOSOFIA DELLA STORIA SECOLARIZZATA DI SUPERAMENTO COMUNISTA GLOBALE DEL MODO DI PRODUZIONE CAPITALISTICO Per pi di un secolo, il marxismo  stato in uropa ed in molte parti del mondo (gli USA sono un'eccezione rilevante, ed in questa eccezione c' in nuce il loro ruolo imperiale) un fatto sociale totale (Durkheim). In questo fatto sociale totale, del tutto assimilabile a quello delle grandi religioni, non ha alcun senso sottoporlo all'esame seminariale universitario sul suo statuto teorico, gnoseologico ed epistemologico e sui suoi numerosi fraintendimenti. La categoria di fraintendimento  utilissima per esaminare Kant e Spinoza, ma  del tutto inutile per esaminare il pensiero (pe- raltro non coerentizzato) di un autore che la storia stessa ha trasformato in profeta escatologico mondiale. I fraintendimenti, quindi, fanno parte della fisiologia del marxismo, non della patologia.  tuttavia me ne occuper pi analiticamente in un capitolo successivo, dal momento che il primo passo metodologico quando ci si occupa di Marx resta pur sempre quello di distinguere accuratamente fra il pen- siero marxiano (di un signore cio chiamato Karl Marx, nato nel 1818 e morto nel 1883), il codice marxista primario (elaborato congiuntamente da Engels e da a Kautsky nel ventennio di fondazione 1875-1895), ed infine i differenziati marxi- smi plurali posteriori al 1895, nel loro intreccio specifico di scienza, filosofia ed ideologia. In quanto fatto sociale totale il marxismo ha come caratteristica il fatto che non  necessario conoscerlo per giudicarlo e prendere posizione. Ho gi molto insistito in precedenza che lantipatia verso Hegel  un fatto sociale, non certo un insieme puro e disinteressato di legittime opinioni filosofiche kantiane o positivistiche, in quanto dietro lantipatia verso Hegel ci sta un fatto politico-sociale, il rifiuto di riconoscere alla scienza filosofica una specifica sovranit sul giudizio della totalit sociale, sovranit che ove venisse consentita verrebbe inevitabilmente tolta lad- dove i nemici di Hegel vorrebbero che invece venisse ben conservata, la sovranit della rivelazione religiosa, dellopinare politico pluralistico, dellintenzione rivolu- zionaria soggettivamente sincera e soprattutto del mercato capitalistico e del libero scorrimento sovrano della crematistica e della merce.  ovvio che per Marx lan- tipatia verso Hegel  moltiplicata per dieci, anche se ovviamente vengono messe in atto strategie di depistaggio e di neutralizzazione (Marx teorico del mercato ca- pitalistico globale, Marx innocuo sociologo dellalienazione intesa come generico 295 CarrtoLo XXXII disagio del singolo nella societ massificata, Marx inteso come apologeta dello sviluppo delle forze produttive e della scienza contro ecologisti e fautori della co- siddetta decrescita, ecc.). Marx era comunista, si proclamava tale e non lasciava alcun dubbio di voler essere ritenuto tale. Un buon modo ideologico di diffamarlo, ovviamente, sta nelladdossargli la responsabilit morale dei crimini commessi dal comunismo storico novecentesco realmente esistito (gul7g, persecuzioni di dis- sidenti, geopolitica sovietica di occupazione di stati contigui al confine russo, ecc.). Dire che il suo comunismo non era della stessa natura statalistico-militare di quello dell'URSS  filologicamente esatto, ma non pu ovviamente smuovere chi decide di posizionarsi su questo argomento ideologico, appunto perch Marx, a differenza di Platone o di Kant, non  mai oggetto di semplice studio disinteressa- to, ma  sempre un oggetto simbolico di odio o di amore, e lo  soprattutto per chi  del tutto analfabeta sul piano della conoscenza del suo pensiero. Su questo punto ho un'esperienza personale di quasi mezzo secolo (e quale mezzo secolo: 1960- 2010!), che si pu compendiare cos: meno conosci Marx, le sue opere ed il contesto storico in cui  vissuto, e pi lo ami e/o lo odi, un quanto lamarlo e lodiarlo  rivolto verso uno spettro, non verso una persona reale. Su questo punto Jacques Derrida, parlando di spettri di Marx, coglie il punto essenziale della questione. In questo e nei tre capitoli successivi, per un totale di quattro capitoli, mi occu- per di Marx e del marxismo, riformulando in modo il pi possibile sintetico con- siderazioni svolte altrove in forma pi analitica. Ma dico subito che le esigenze di esposizione scolastica mi hanno costretto a formulare distinzioni (scienza filosofica e scienza positiva in Marx, pensiero marxiano vero e proprio e marxismi succes- sivi, marxismo ideologico di legittimazione prima della socialdemocrazia tedesca e poi del comunismo storico novecentesco e marxismo filosofico di testimonianza radicale, ecc.) che nella complessa realt storica non esistono, perch solo il loro intreccio di fatto esiste. Le distinzioni servono, ma servono solo se si  del tutto consapevoli che le si usa per chiarire dei pensieri, non certo per ricostruire la totalit della realt concreta. Da un punto di vista storico-genetico, che non si limiti a dedurre il singolo individuo empirico Karl Marx (su questo punto personalmente, in accordo con Hegel, ritengo che nella storia il casuale sia necessario, e sia del tutto impossibile dedurre dialetticamente un singolo individuo, cos come Hegel sostenne arguta- mente che la filosofia non pu dedurre la penna del professor Krug, uno scioc- co non altrimenti noto che aveva chiesto a Hegel di dedurgli la sua penna), ma che ambisca invece a dedurre storicamente e filosoficamente la natura del suo pensiero, il pensiero di Marx deriva da un episodio tardoromantico di coscienza infelice dellimpossibile universalismo della borghesia tedesca. Fichte aveva indi- viduato in un'epoca della compiuta peccaminosit il rifiuto di rendere socialmente e politicamente normativa una scienza filosofica della verit e dell'emancipazione, e molti giovani hegeliani di sinistra (oltre allo stesso Feuerbach) avevano ripre- so in forma critica il suo programma di unione di rivoluzione e di filosofia. La filosofia della rivoluzione del giovane Marx, comunque la si voglia giudicare e 296 La scienza filosofica di Karl Marx spezzettare (influenza di Hegel, influenza di Feuerbach, ecc.), deriva linearmente da una crisi della coscienza borghese, e meno si rimuover questo evidente fatto biografico e meglio sar. Da un punto di vista ontologico-sociale, invece, bisogna volgere lo sguardo non tanto verso le vicende spirituali empiriche e largamente casuali di un tedesco chiamato Karl Marx, quanto verso un autonomo processo di richiesta di ricono- scimento (nel senso esatto assunto da questo termine nella figura servo-signore della Fenomenologia dello Spirito di Hegel) delle nuovi classi salariate, operaie e pro- letarie create dallo stesso sviluppo capitalistico prima in Inghilterra, poi in uropa Occidentale e negli USA, ed infine nel resto del mondo. Per richiesta di ricono- scimento distinguerei subito fra richiesta di riconoscimento relativa e richiesta di riconoscimento assoluta. Si tratta di una distinzione generalmente ignorata nelle esposizioni divulgative del pensiero di Marx e del marxismo, che tuttavia ritengo assolutamente essenziale. La richiesta di riconoscimento relativa consiste nella richiesta collettiva e comu- nitaria delle classi operaie, salariate e proletarie (i tre termini non coincidono, ma per ora per brevit li identificheremo) di essere riconosciute allinterno del modo di produzione capitalistico, assunto come dato sociale intrascendibile. L'espressione politica di questa richiesta di riconoscimento relativa pu ovviamente assumere molte forme (tradeunionismo sindacale inglese, socialdemocrazia tedesca, socia- lismo francese, comunismo italiano 1945-1991), tutte interessanti ma anche tutte ferreamente subordinate alla relativit di questo riconoscimento. Il processo di av- vio di questa richiesta di riconoscimento relativo pu essere individuato in quel- la che il sociologo Bauman chiama economicizzazione del conflitto. Il conflitto viene ritenuto fisiologico, ma nello stesso tempo viene ferreamente limitato alla distribuzione del prodotto. Ai capitalisti viene riconosciuto il monopolio nelle de- cisioni macroeconomiche di investimento e di speculazione finanziaria, mentre le classi operaie, salariate e proletarie (e nei punti alti della produzione capitalisti- ca, sempre pi salariate, ma anche sempre meno proletarie) si riservano con la pressione elettorale, politica e sindacale il loro miglioramento nellambito del salario diretto e indiretto (scuola, servizi, assicurazioni sociali, sanit, ecc.). Alla economicizzazione del conflitto segue inevitabilmente prima la nazionalizza- zione imperialistica delle masse, necessaria per trasformare le classi subalterne in carne da cannone fanatizzata per le guerre di spartizione imperialistica del pia- neta, e poi la neutralizzazione mediatico-consumistica nell'epoca del loro declino sociologico-politico. Economicizzazione del conflitto di classe e sua ferrea limi- tazione all'ambito distributivo di beni e servizi, nazionalizzazione imperialistica delle masse e loro bestializzazione razzista per il loro uso come carne da cannone, ed infine neutralizzazione mediatico-consumistica in un'epoca di globalizzazione e di fine del servizio militare obbligatorio e sostituito dalla leva volontaria e da contractors privati, sono i tre stadi successivi cui inevitabilmente porta la Richiesta di Riconoscimento Relativa (RRR) della classi operaie, salariate e proletarie. Per questo tipo di richiesta il pensiero di Marx e lo stesso marxismo non solo sono inu- 297 CarrroLo XXXII tili, ma sono addirittura dannosi. Sul piano economico diventa del tutto inutile la critica marxiana complessiva dell'economia politica, ma sono del tutto sufficienti teorie regionali di economia politica critica blandamente di sinistra (sociali- smo ricardiano, cooperativismo di consumo, keynesismo sociale in deficit di bilan- cio, banche dei poveri e prestito gratuito o semigratuito, ecc.). La richiesta di riconoscimento relativo allinterno dell'orizzonte del modo di produzione capitalistico dato per non superabile esiste da quasi due secoli, e tutti possono liberamente dare un giudizio sui suoi esiti, spesso considerati realistici e non utopistici. Duecento anni di realismo, come  noto, hanno portato oggi alla generazione del lavoro salariato flessibile e precario, alla quasi cancellazione politica e culturale del ruolo del lavoro operaio e salariato, alle iniziative unilate- rali impazzite di un impero armato di armi atomiche e del tutto messianicamente svincolato dal diritto internazionale fra stati, alla saturazione mediatico-manipola- tiva dell'universo della comunicazione, ecc. Dal momento che i riformisti amano ricordare ai rivoluzionari i successi del loro cauto e graduale realismo, sarebbe bene che i fautori del Riconoscimento Relativo facessero finalmente un bilancio reali- stico di duecento anni circa di richiesta di riconoscimento relativo. La Richiesta di Riconoscimento Assoluto  invece quella che il pensiero di Marx desume da una interpretazione appunto assoluta della figura servo-signore del- la Fenomenologia dello Spirito di Hegel. Quando intorno al 1930 furono pubblicati i primi inediti Manoscritti economico-filosofici del 1844 lo studioso italiano Giuseppe Capograssi scrisse: Marx ha tentato di far diventare principio di vita la profonda volont razionale che per Hegel sorregge il reale, ed in questo modo ne ha raccolto la sua esigenza pi profonda. Nel suo sforzo di pensiero che  insieme azione sto- rica, il reale diventa, attraverso lazione, razionale, e la razionalit coincide con la storia stessa della vita. In questo modo Marx, sarcastico e scettico critico di Hegel,  il solo scolaro che Hegel abbia avuto. In sede di marxologia, o meglio di hegelo- marxologia,  interessante che il Capograssi del 1930 dica sostanzialmente le stesse cose che dir undici anni dopo nel 1941 Marcuse in Ragione e Rivoluzione. Ma qui  inutile perderci nella critica marxologica, interminabile perch avviene fra te- stardi inconvincibili divisi in cordate accademiche rivali. Qui  invece essenziale giungere al cuore teorico della questione. d il cuore teorico della questione sta in ci, che la richiesta di riconoscimento assoluta implica di fatto il recupero del concetto hegeliano di assoluto, perch senza il concetto hegeliano di assoluto non ci pu neppure essere la richiesta di riconoscimento assoluta.  questa richiesta di riconoscimento assoluta implica una scienza filosofica, perch tutte le forme di scienza non filosofiche non possono essere per loro natura portatrici di una richie- sta di riconoscimento assoluta. Cerchiamo allora di non saltare nessun passaggio concettuale. Ho rilevato nei capitoli precedenti dedicati a Hegel (accettando parzialmente la tesi interpretativa di Pggeler), che il concetto hegeliano di Assoluto, che con Schelling aveva assunto il pomposo ed inutile ruolo di espressione dellintuizio- ne del genio della profonda unit ontologica fra Natura e Spirito, viene invece 298 La scienza filosofica di Karl Marx ad assumere la metafora di presa di coscienza comunitaria integrale del diritto della nazione tedesca a farsi Stato nazionale integrale. L'Assoluto, quindi,  una metafora concettuale di una richiesta di sovranit assoluta. Una sovranit relativa e condizionata pu accontentarsi di fare compromessi con una potenza militare occupante, con i vecchi ceti signorili e tardo-feudali, con le loro banche di specula- zione inglesi, con i preti ed i loro libri sacri, ecc. Ma una sovranit assoluta si basa sulla piena autocoscienza del fatto che essa basta integralmente a se stessa, e non  condizionata che da se stessa, o meglio dalla sue forme di coscienza razionali. Coloro che negano la (a mio avviso ovvia) derivazione di Marx da Hegel devono ignorare due cose. In primo luogo, devono ignorare che Marx non  il portatore di una richiesta di riconoscimento relativa vincolata alla permanenza del modo di produzione capitalistico, ma  il portatore di una richiesta di riconoscimento asso- luta, in cui il proletario  pensato come il portatore sociologico-politico empirico dell'Io di Fichte, e cio del soggetto storico complessivo capace di portarci fuori dall'epoca della compiuta peccaminosit. In secondo luogo, devono ignorare che Marx non ha recepito il concetto di assoluto (perch l'assoluto  ovviamente la so- stanza ontologica del concetto di pretesa di riconoscimento assoluto) dal cielo da cui cadono i concetti come la pioggia o meglio gli escrementi degli uccelli, ma da un ambiente culturale hegeliano in cui il concetto di Assoluto era diventato concet- tualmente egemone. La filosofia di Marx  quindi stata una filosofia dell Assoluto, nel significato pri- ma chiarito (lo ripeto a scanso di equivoci: l'assoluto come oggetto di riconosci- mento assoluto, e non solo relativo, di una classe salariata e proletaria che pensa se stessa come la portatrice degli interessi storici dell'intera umanit, a sua volta pensata in forma attiva e dinamico-trasformatrice con la mediazione di un solo concetto unitario trascendentale-riflessivo). Ma il riconoscimento assoluto del pro- letariato implica la sparizione di entrambi i lati del processo di riconoscimento, in quanto sia il lato borghese sia il lato proletario spariscono entrambi in una nuova entit socio-storica, e cio l'intera umanit emancipata e divenuta piena- mente autocosciente. Quella di Karl Marx  quindi una scienza filosofica, nel senso preciso dato a questo termine nelle due opere di Hegel Fenomenologia dello Spirito e Scienza della Logica. Nel senso della Fenomenologia dello Spirito,  una scienza filosofica del per- corso dialettico dal sapere immediato della propria collocazione empirica nel flus- so spazio-temporale determinato dalla casualit della nostra venuta al mondo fino al sapere assoluto della propria autocoscienza assolutamente padrona di se stessa. Nel senso della Scienza della Logica,  una scienza filosofica dell'identit del- le categorie del pensiero e delle categorie dell'essere, per cui il pensiero si appro- pria concettualmente dell'intera realt, e non solo di una sua parte fenomenica separata metodologicamente da un inconoscibile noumenico stabilito dogmati- camente a priori come tale. Ricordo qui che esiste un'amplissima bibliografia critica sui rapporti metodologici fra la Scienza della Logica (ed in particolare la dottrina dell'essenza) ed il Capitale di Marx, e che si tratta di qualcosa di estremamente con- 299 CarrroLo XXXII vincente, a meno che ovviamente non si decida a priori di non prenderla neppure in considerazione per antipatia verso Hegel. Ma contra negantes principia non est disputandum, se non per far passare il tempo in alternativa alle parole incrociate o al gossip sportivo-sessuale. Che cosa significa scienza filosofica? Significa sapere assoluto che lega insieme l'elemento della conoscenza con l'elemento della valutazione, e quindi l'elemento della concettualizzazione di un oggetto di conoscenza (nel caso di Marx, il modo di produzione capitalistico inteso nella sua articolazione interna, nella sua genesi sto- rica e nella sua concreta processualit riproduttiva complessiva) e l'elemento della sua valutazione etico-morale (nel caso di Marx, l'alienazione, lo sfruttamento, la polarizzazione geografica mondiale fra ricchi e poveri, ecc.). Questa  la scien- za filosofica. Per capire meglio che cosa sia una scienza filosofica (ad esempio, le scienze filosofiche di Spinoza, Fichte, Hegel e Marx, i miei quattro moschettieri),  bene aprire una parentesi su quattro forme di conoscenza che non sono scienze filosofiche, lempirismo di Hume, il criticismo di Kant, il modello di scienza della natura di Galileo Galilei, ed infine il modello di scienza sociale avalutativa di Max Weber. Da questo esame contrastivo (il metodo contrastivo  sempre un ottimo metodo per chiarirsi le idee) si potr ricavare meglio la natura della scienza filoso- fica di Marx. In primo luogo, quella proposta da Hume non  una scienza filosofica.  non lo , perch Hume propose la cosiddetta legge di Hume, altrimenti detta fallacia naturalistica, per cui bisogna separare per principio i giudizi di fatto dai giudizi morali che vengono dati a partire da questo fatto stesso. La scienza filosofica, in- vece, costituisce unitariamente l'oggetto di conoscenza e l'oggetto di valutazione. In questo senso, essa riprende il tema platonico del fatto che la conoscenza vera (episteme)  conoscenza del Bene, per cui il Bene ed il Vero coincidono sempre in ultima istanza, una volta che si sia risalita lintera scala delle divisioni dialettiche. Questa derivazione da Platone  spesso vissuta con imbarazzo dai filosofi, come se si trattasse di qualcosa di metafisico di cui vergognarsi e non di qualcosa di sano da rivendicare. Sta qui il complesso di colpa introiettato dal positivismo di essere solo una penna che scrive e non di essere diventato un trattore. Ma Platone aveva ragione nella sua equazione, perch era ancora interno alla problematizza- zione critica delle scissioni della comunit, e sapeva bene ci che  ancora noto fino ad Aristotele (al di l delle soluzioni diverse date a questa soluzione), e cio che il bene esiste,  il metron, il male esiste,  la hybris dellapeiron delle ricchezze non controllate e non mediate dal logos, ecc. Del resto, la filosofia  questa, e chi non la vuole ha sempre un ampio spettro di scelte alternative, dal trekking hymalaiano alla speculazione borsistica. Naturalmente, la fallacia naturalistica e la legge di Hume non esistono, e non possono esistere, a meno che non si intenda la bana- lit per cui la presa in considerazione gnoseologica di un oggetto di conoscenza pu essere metodologicamente separata dall'atto della sua valutazione. Se\accerto che presso un certo gruppo induista fondamentalista esiste ancora il rogo delle vedove,  certo che la semplice presa d'atto di questa constatazione  metodolo- 300 La scienza filosofica di Karl Marx gicamente separata dal giudizio di valore secondo cui sarebbe bene che venissero mandati dei poliziotti in turbante per salvare la poveretta ed imprigionare que- sti mascalzoni, indipendentemente dal loro riferimento eventuale a Brahma, Siva, Visn e la dea Kal dalle molte braccia dei romanzi di Emilio Salgari. Qui non c' ovviamente nessuna legge di Hume e nessuna fallacia naturalistica, a meno che si neghi appunto l'intuizione immediata del bene che sgorga da una filosofia del- la storia dell'emancipazione umana. Per usare il termine di Kant, il fatto che sia male bruciare le vedove sul rogo  un fatto della ragione (Faktum der Vernunft), ma non perch nella nostra comunit occidentale relativisticamente concepita noi non lo facciamo (opinione relativistico-comunitaristica di Richard Rorty), ma perch l'abolizione del rogo delle vedove deriva direttamente da una concezione univer- salistica e razionalistica del processo di autocoscienza universale. Certo, bisogna credere nell'esistenza di una ragione universalistica. Chi non ci crede, adotti pure la folle teoria della fallacia naturalistica e della legge di Hume, la legge pi inesistente dell'intero orbe terracqueo. Legge inesistente, comunque, che deve es- sere geneticamente studiata insieme con la negazione humeana della categoria di causalit (negazione rivolta a delegittimare il contratto politico russoviano ed a sostenere lautoistituzione economica mercantile e robinsoniana della societ), e con la sua contestuale negazione della permanenza di un soggetto, sostituito da un me variopinto (Kant) di flussi di coscienza, concezione poi entusiasticamente recepita da Nietzsche con la sua teoria dei flussi di coscienza retti dalla volont di potenza (Wille zur Macht). In ogni caso, deve essere ben chiaro che senza respinge re consapevolmente linesistente fallacia naturalistica della legge di Hume non si potr neppure attingere il concetto di scienza filosofica nel senso congiuntamente dato a questo termine da Hegel e da Marx. In secondo luogo, quella proposta da Kant non  una scienza filosofica, e del resto questo era perfettamente chiaro allo stesso Kant. Pu esistere infatti un mar- xismo kantiano ( esistito in passato e potr esistere anche in futuro  Kant  in- fatti una sorgente inesauribile di suggestioni teoriche), ma non pu esistere a mio avviso una interpretazione kantiana del pensiero propriamente marxiano, data la sua natura di scienza filosofica integrale, filologicamente documentabile. Quella di Kant  infatti una critica alla metafisica (o pi esattamente, una critica politica tra- vestita in modo gnoseologico delle pretese normativo-sociali dell'individuo me- tafisico della religione e dei suoi apparati sacerdotali), unita ad un ribadimento del fatto che lunica vera scienza  quella galileiano-newtoniana, basata sulla spazio-temporalizzazione dei fenomeni. Nella sua solenne presa di distanza da Fichte, su cui ho gi insistito in un capitolo precedente, Kant ritiene che chi abban- dona il suo sicuro terreno critico non potr fare a meno di ricadere nellelemento scolastico.  in realt esattamente il contrario, ma Kant ovviamente non poteva capirlo. Kant rimase prigioniero del suo avversario, e cio appunto dellelemen- to scolastico, in quanto fu ipnotizzato per tutta la sua onesta vita di illumini- sta dalla coazione a ripetere le dimostrazioni logiche della sua indimostrabilit. Indimostrabilit divenuta peraltro storicamente superflua, perch l'elemento sco- 301 CarrroLo XXXII lastico aveva smesso di essere socialmente normativo con il tramonto del modo di produzione feudale-signorile in Europa, e con il passaggio della normativit sociale dal cielo verticale della religione alla terra orizzontale della circolazione capitalistica delle merci, lunico elemento normativo della strutturazione in classi sociali ed in parametri differenziati di ricchezza e di povert. Ho gi sostenuto nei capitoli precedenti, e qui mi limito a ricordarlo, che la separazione ontologica kantiana fra le categorie del pensiero e le categorie dell'essere, lungi dall'essere un fondamento scientifico della modernit,  soltanto un espediente per delegittimare la categoria di causalit come prova cosmologica dellesistenza di Dio, strappan- do ai poveri apparati ideologici dei pretoni l'argomento della famosa Causa Prima, e strappando loro anche l'ormai penoso argomento tomistico-cartesiano per cui la funzione pensante si identificava con la sostanza pensante dell'anima immortale, argomento che di per s non pu resistere ad alcuna risonanza magnetica e ad alcuna tomografia assiale computerizzata. Tuttavia questo espediente kantiano fu utilizzato (e credo sar ancora utilizzato a lungo) dai vari neokantismi posteriori giornalistico-universitari per delegittimare la posteriore pretesa hegelo-marxiana di giudicare la totalit dinamica non pi di Dio, ma della societ capitalistica nel suo complesso. Ma su questo punto, almeno lo spero, credo di essere riuscito ad esprimere il mio punto di vista. In terzo luogo, la scienza filosofica di Marx non  certamente la scienza del mo- dello scientifico delle scienze della natura di Galileo e Newton, pi o meno inte- grato dal modello positivistico delle cosiddette leggi scientifiche. In proposito, sar sempre utile seguire il percorso dissolutorio e suicida della scuola di Galvano Della Volpe, dal suo fondatore fino al suicidio rituale ed al harakiri di Lucio Colletti, perch questa scuola  caratterizzata dall'aver preso veramente sul serio lidea del marxismo come galileismo morale. Pur di poter allontanare ogni sospetto di hegelismo, inteso come metafisica romantica e mistica di origine neoplato- nica imperfettamente secolarizzata, la scuola di Della Volpe e di Colletti volle ri- pristinare il modello di Hilferding e di una corrente del marxismo della Seconda Internazionale (1889  1914), per cui il sapere di Marx era un sapere scientifico nel senso delle scienze naturali. Per Hilferding il sapere marxista era assimilabile al sapere astronomico, che si basa sullinfallibile previsione delle eclissi, anche se con meno precisione, perch le eclissi possono essere previste matematicamente addirittura al minuto secondo, mentre il trapasso scientifico dal capitalismo al socialismo pu essere previsto con sicurezza, ma non per all'anno, mese, gior- no, ora e minuto secondo. Vedremo pi avanti che Hilferding in un certo senso non fraintende completamente Marx, ma si innesta sulla sua sciagurata (e nel- lo stesso tempo ideologicamente inevitabile) centralit della categoria ontologica modale di necessit opposta alla categoria ontologica modale di possibilit, con la conseguenza di trasformare il passaggio al socialismo in un giudizio assertivo di tipo apodittico anzich in un giudizio assertivo di tipo problematico. Ma su questo pi avanti. In ogni caso, non  necessaria una laurea in filosofia alla Sorbona unita ad un dottorato ad Oxford per capire che se il socialismo  assimilabile ad una 302 La scienza filosofica di Karl Marx eclissi, diventava allora del tutto superfluo darsi da fare per accelerarlo, e tutta la teoria materialistica della cosiddetta prassi rivoluzionaria avrebbe dovuto essere messa in soffitta. Del modello di scienza galileiana sappiamo oggi pratica- mente tutto. Si tratta di un sapere che presuppone che il gran libro della natura sia scritto in caratteri matematici (presupposto peraltro niente affatto nuovo, perch era gi il presupposto di Pitagora e di Platone). Galileo non  interessato alle ragio- ni ontologico-sociali che avevano spinto Pitagora e Platone a presupporre questa omogeneit ontologica fra macrocosmo naturale e microcosmo sociale  su cui mi sono soffermato a lungo nei primi capitoli di questo scritto  e probabilmente non ne sospettava pure lesistenza. Ma sta di fatto che egli rifiutava la sottovalutazione aristotelica della conoscenza matematica, ed attua un ritorno a Platone gi am- piamente esistente in Occidente da almeno duecento anni (accademia platonica fiorentina di Marsilio Ficino, ecc.). E tuttavia le necessarie dimostrazioni e le sensate esperienze di Galileo presuppongono ovviamente un'operazione artifi- cialistica di riduzione del mondo esterno alle sue quantit calcolabili (come fu poi ovviamente notato da Husserl e da infiniti altri dopo di lui), che non pu che accet- tare come presupposto implicito la fallacia naturalistica di Hume. Ma il modo di produzione capitalistico di Marx non  un insieme di fenomeni costituito dallap- percezione trascendentale destoricizzata e desocializzata dell'intelletto kantiano (Verstand), e neppure un insieme numerico calcolabile e poi sperimentabile (le ga- lileiane sensate esperienze), ma  una totalit assoluta che viene conosciuta e giudicata con un solo inscindibile atto del pensiero. Il tentativo di rinchiudere la scienza filosofica di Marx nelle strutture della scienza matematica della natura di Galilei  in realt un atto molto pi teologico che puramente epistemologico, come sembra a prima vista. L'idea della Scienza come garanzia assoluta (non a caso, con la S maiuscola), cui aggiogare il carro di Marx,  infatti unidea teologica, in quanto lilluminismo ha effettuato l'operazione (correttamente giudicata da Hegel del tutto astratta) di spostamento dellassolutezza della teologia di Tommaso d'Aquino alla scienza di Newton. Ma di assoluto c' soltanto il sapere assoluto dellautocoscienza umana capace di ricostruire razionalmente e dialetticamente la propria storia, non certo la prevedibilit del futuro ricavata dallestensione del me- todo delle cosiddette leggi scientifiche. N la legge della gravitazione di Newton n la legge dell'evoluzione di Darwin possono infatti nobilitare luso errato della categoria modale della necessit assolutizzata, trasformando il giudizio asser- tivo problematico della conoscenza storica in giudizio assertivo apodittico della filosofia della storia. Ma su questo, appunto, mi soffermer tra poco. In quarto luogo, infine, la scienza filosofica di Marx non  in alcun modo il pre- annuncio della scienza sociale unificata di Max Weber. Max Weber, lungi dalles- sere soltanto un sociologo,  stato a tutti gli effetti uno dei pi grandi filosofi della modernit, a pari grado con Lukcs, Heidegger e Nietzsche, ed io cos lo considero. Weber unisce una concezione idealtipica e categoriale della conoscenza scientifica ricavata sostanzialmente dal neokantismo del tempo (ed il neokantismo  infatti il minimo comune denominatore che condivide con il suo gemello nemi- 303 CarriroLo XXXIII co, il marxismo neokantiano di Engels e della seconda internazionale) con una metafisica generale della storia ricavata invece da Nietzsche e dal suo politeismo dei valori. Questa funzione esplosiva di neokantismo razionalistico e di niccia- nesimo irrazionalistico  lo vedremo nel quarantesimo ed ultimo capitolo -  il presupposto da cui partir Lukcs per potersene poi demarcare ed allontanarsene, ed  quindi l'origine dellontologia dell'essere sociale.  cos come la teoria aristo- telica della sostanza presuppone Platone come luogo ideale della demarcazione contrastiva, e la teoria hegeliana della scienza filosofica presuppone Kant come luogo ideale della stessa demarcazione contrastiva, nello stesso modo la teoria dellontologia dell'essere sociale di Lukcs (e sulla sua scia, del modesto scrivente) presuppone Weber come luogo ideale della demarcazione contrastiva. Ma questo, appunto, pi avanti. La scienza sociale di Max Weber riprende in forma pi sofisticata la teoria hu- meana della fallacia naturalistica, riformulata come teoria della separazione as- soluta fra i giudizi di fatto ed i giudizi di valore, con la conseguente ridefinizione della scientificit come avalutativit (Wertfreiheit) e come sapere libero da valori (wertfrei). Si tratta della religione per universitari pi diffusa, lunica religione che questa categoria di sofisticati relativisti senza Dio pu effettivamente adottare. Se infatti essi giudicassero come ontologicamente esistente l'alienazione capitalisti- ca e lo sfruttamento sfacciato delle oligarchie finanziarie padrone del pianeta, non potrebbero semplicemente vincere i concorsi universitari con giuramento poli- ticamente corretto incorporato. Weber d loro una religione ideale, in quanto la realt viene prima cancellata nella sua datit empirica, e poi ricostruita in modo ideal-tipico. Si riconferma cos che la gnoseologia  lunica e sola metafisica del modo di produzione capitalistico e dei suoi apparati religiosi (oratores). Una volta separati da Max Weber i due campi dei giudizi di fatto e dei giudizi di valore, ed una volta stabilit lavalutativit come dogma religioso fondamentale del sapere moderno, resta comunque la necessit di valutare comunque il mondo, perch luomo, a differenza delle galline e dei brokers,  un animale valutativo per eccellenza, e non pu fare a meno di valutare il mondo, appunto perch  un ente simbolico consapevole anticipatamente della propria morte, e del connesso bisogno di valutare il senso del limitato segmento temporale in cui conduce la sua fragile esistenza terrena. Weber offre a questo ente instabile la sua metafisica tragica, sostenendo che lepoca moderna  l'epoca del disincanto del mondo (Weltentzauberung) e del politeismo dei valori, con connessa fine di ogni illusio- ne in grandi narrazioni salvifiche di riscatto (in questo caso Karl Lwith e Jean- Francois Lyotard non aggiungono assolutamente nulla a quanto gi mirabilmente detto da Max Weber).  peraltro curioso, ed a mio avviso di umorismo demenziale assoluto, che nella prospettiva weberiana la virilit non consista pi in un nume- ro esagerato di coiti notturni, ma nella virile accettazione della gabbia d'acciaio capitalistica e dellimpossibilit di superarla e scavalcarla. Si tratta del passaggio del concetto di virilit dai soldati di ventura e dal loro maschilismo di stupratori autorizzati al concetto di virilit dei professori universitari di mezza et e del loro 304 La scienza filosofica di Karl Marx incedere mercuriale e frettoloso, in cui non si trafigge pi con lo spadone, ma si irride con il sorrisetto scettico di chi la sa lunga sul corso del mondo. Una volta stabilito (ma non  certo difficile farlo) che la scienza filosofica di Marx non  quella di Hume, di Kant, di Galileo ed infine di Max Weber, ma che  sostanzialmente quella di Hegel, il discorso non solo non  finito, ma  appena cominciato. Si sono infatti sgombrate le macerie, ma la costruzione deve ancora essere intrapresa. C' purtroppo una difficolt logica, che  impossibile aggirare, e che  allora meglio segnalare senza pretendere di saperla risolvere frettolo- samente. In Marx, come  noto, la critica dell'economia politica ed il materialismo storico (intesa come teoria della dinamica costituiva e dissolutiva dei vari modi di produzione sociali) sono una sola ed unica teoria, e cos Marx li ha concepiti nel cor- so della sua laboriosa vita terrena.  tuttavia a mio avviso la critica dell'economia politica  una scienza filosofica, mentre il materialismo storico non  propriamente parlando una scienza filosofica. Che Marx ne fosse cosciente o meno, non  per me di alcuna importanza. A me interessa soltanto proporne una ricostruzione differen- ziata logicamente credibile, e per non far confusione riserver a questo capitolo la sola ricostruzione della scienza filosofica della critica dell'economia politica, men- tre dedicher invece il prossimo capitolo alla ricostruzione del materialismo sto- rico come scienza con presupposti sicuramente filosofici, ma costruita attraverso l'intreccio dialettico fra la cosiddetta struttura e la cosiddetta sovrastruttura, categorie entrambe non filosofiche, perch non fondate sull'unit di conoscenza e di valutazione. Si tratta ovviamente di un'operazione scolastica di esposizione, erch nel cantiere creativo di Marx queste due dimensione non erano separabili.  tuttavia la chiarezza deve pagare alcuni prezzi. : Nella concezione di Adam Smith, brillantemente sistematizzata nella sua Ricchezza delle Nazioni del 1776, l'economia politica non voleva soltanto essere una disciplina particolare a fianco di altre, ma ambiva ad essere una teoria generale complessiva della societ in quanto tale, e non solo di una particolare societ ca- pitalistica. Il suo presupposto filosofico era infatti la teoria della natura umana di David Hume e delle sue costanti di comportamento eterne, passate, presenti e future, ed infatti Smith pensava che lautoistituzione della societ fondata su co- stanti naturali utilitaristiche di comportamento rendesse superflue tutte le altre teorie fondatrici del legame sociale, dalla volont di Dio al diritto naturale fino al contratto sociale.  bene che la natura di questa teoria di Smith, peraltro da me gi molte volte segnalata in precedenza, venga intesa molto bene, per non commettere l'errore di pensare che Marx sia stato un'economista, sia pure di sinistra, ed abbia voluto sostituire ad una teoria economica la sua. Marx non era un economi- sta, non voleva sostituire la sua ad una teoria economica precedente, ma voleva criticare il complesso indivisibile dei rapporti sociali che l'economia politica di Smith e dei suoi successori voleva eternizzare attraverso unopera di destoricizza- zione (il robinsonismo) e di desocializzazione (lindividualismo possessivo). Se si accetta lo squartamento disciplinare universitario (il Marx economista, storico, sociologo, politico, giurista, filosofo, ecc.) la discussione finisce immediatamente, 305 CarrroLo XXXIII perch Marx voler immediatamente in cielo come una palloncino bucato di un bambino piangente. La critica dell'economia politica di Marx  dunque un sapere della ragione (Vernunft), e quindi una scienza filosofica come unit di conoscenza e di valuta- zione, che si oppone consapevolmente ad un sapere dell'intelletto (Verstand), come indubbiamente Marx (su questo punto d'accordo con Hegel, vedi il paragrafo 189 con nota della sua Filosofia del Diritto citato nel paragrafo precedente) intendeva fare. Trascuro qui le pur necessarie informazioni metodologiche sul modo di con cui Marx venne a contatto con l'economia politica inglese grazie alla conoscenza di Engels ad a un soggiorno di sei settimane a Manchester, informazioni riccamente fornite da monografie come quelle di Ernest Mandel e Roman Rosdolsky. Marx compie un'operazione teorica che prima di lui mai nessuno aveva compiuto, e cio l'innesto della dialettica di Hegel sull'impianto della teoria del valore-lavoro di Smith e di Ricardo, che stabiliva come criterio quantitativo (e cio scientifico, data la natura della scienza moderna come scienza della misurazione oggetti- va della quantit) dello scambio fra le merci e il tempo di lavoro sociale medio contenuto in esse. Ma l'innesto della dialettica hegeliana sulla teoria del valore implica l'innesto di una categoria della qualit su di una categoria della quantit, laddove nell'economia politica inglese la qualit (il valore d'uso) veniva invece se- parata dalla quantit (il valore di scambio calcolabile come tempo di lavoro sociale medio incorporato). Nella Scienza della Logica di Hegel (e pi esattamente nella logica dell'essenza) la quantit deriva dalla qualit, nel senso che ne costituisce una negazione, come dimostra il fatto che un essere dotato di determinate qualit non cambia per il fatto che si presenti in quantit maggiore o minore (per esempio un tessuto di tela rimane tale e quale nonostante la sua lunghezza). Per questo il pensiero ricorre alla misura, cio ad una qualit quantificata a ad una quantit qualificata. Ho gi fatto notare che la misura (metron) intesa come unit di qualit quantificata e di quantit qualificata,  stata il concetto filosofico pi importante della filosofia greca antica, ed anche il criterio di regolazione della riproduzione della comunit sociale, lunico che potesse portare alla concordia (omonia) e che potesse contrastare (katekhon) la dissoluzione politica. Il primato della qualit sulla quantit permette a Marx di innestare la catego- ria (qualitativa) di alienazione (Entfremdung) sulla categoria quantitativa di valore (value, valuer, Wert). Si tratta di un punto di importanza teorica inestimabile, inac- cessibile a coloro che ignorano la scienza della logica hegeliana. L'innesto della teo- ria filosofica dellalienazione sulla teoria economica del valore, infatti, comporta il primato della categoria qualitativa dellalienazione sulla categoria quantitativa del valore, ma nello stesso tempo la fusione dialettico-ontologica di entrambe. La teoria del valore di Marx, quindi, ha un aspetto qualitativo dominante sull'aspetto quantitativo dominato. Ci  stato stabilito per la prima volta da Franz Petry, gio- vane economista tedesco caduto nel 1915 nei campi di battaglia della prima guerra mondiale, e poi ripreso dalleconomista sovietico Rubin e dal marxista americano Sweezy. In Italia la consapevolezza dell'unit logica fra la teoria dellalienazione 306 La scienza filosofica di Karl Marx e la teoria del valore  giunta nei primi anni settanta grazie a Lucio Colletti ed a Claudio Napoleoni, ed il modo in cui questi due insigni personaggi hanno uti- lizzato questa consapevolezza non  rilevante in questa sede. Ci che conta non  il modo in cui essi hanno ritenuto opportuno utilizzare questa scoperta, ma  la scoperta in s, che potremo riformulare ancora una volta cos: quella di Marx  una scienza filosofica, la scienza filosofica si basa sull'unit di conoscenza e di valutazione (e quindi non  una scienza nel senso di Hume, Kant, Galileo e Max Weber), la critica dell'economia politica di Marx  una scienza filosofica unitaria ed integrale dellassoluto, l'assoluto  la metafora dellautocoscienza del rapporto fra coscienza umana e produzione capitalistica, ed infine l'oggetto di questa cono- scenza filosofica  l'unit fra teoria filosofica dellalienazione e teoria economica del valore, in cui l'elemento quantitativo (la teoria del valore-lavoro), per le ragioni esposte nella logica dell'essere della Scienza della Logica di Hegel. La formula  stata forse un po macchinosa, ma nellessenziale ritengo che non abbia saltato nessun passaggio essenziale.  questo permette appunto di tornare meglio al concetto di scienza filosofica di Marx nel suo rapporto con la stessa stesu- ra del Capitale. Vi sono infatti dati filologici, ricavati con il metodo citazionistico, da cui in genere rifuggo per la sua natura teologica, ma che in un caso come questo vale la pena utilizzare, sia pure con parsimonia. Chiunque si sia occupato di marxologia sa bene che la questione della forma di esposizione (Darstellungsweise)  assolutamente centrale per capire Marx. Si pu infatti avere un'intuizione generale in cinque minuti, e poi impiegare trent'anni di sforzi ripetuti per darne un'esposizione sistematica e coerente. Darwin aveva gi ampiamente avuto l'intuizione dell'evoluzione mentre si aggirava fra le tartarughe e gli uccelli delle isole Galapagos, ma poi pass anni sui libri di logica indutti- va di Stuart Mill prima di scrivere e di pubblicare lOrigine delle Specie. Qualcosa di simile caratterizz anche Marx. Che il rapporto di produzione capitalistico si basasse sullestorsione di plusvalore, e che questa estorsione si presentasse nella forma illusoria dello scambio fra equivalenti, era per lui una ovviet nota fin dalla sua giovinezza. Altro era per trovare la Darstellungsweise giusta. Se Marx avesse voluto dare una forma d'esposizione storica al suo concetto di capitale avrebbe rovesciato come un cubo il libro primo del Capitale, ed avrebbe cominciato dai due ultimi capitoli, e cio dal capitolo 24 (la pretesa accumulazione primitiva del capitale) e dal capitolo 25 (la teoria moderna della colonizzazione). Sarebbe stata a tutti gli effetti una scelta didattica giusta, perch avrebbe cominciato dal facile e non dal difficile, visto che l'esposizione storica  accessibile a tutti, mentre la dialettica hegeliana non lo , con la conseguenza che la stragrande maggioranza dei comunisti (e Fidel Castro lo ha confessato candidamente), ha abbandonato la lettura del Capitale dopo trenta pagine circa.  tuttavia Marx non faceva scelte didattiche da pedagogista, ma scelte teoriche da cultore della scienza filosofica, per cui comincia dal concetto di merce, lo dialettizza, e ne diagnostica un aspetto sensibile (il valore) ed un aspetto sovrasensibile (l'alienazione), per cui la definisce come qualcosa di sensibilmente sovrasensibile (prego verificare). A questo pun- 307 CarrroLo XXXII to, la stragrande maggioranza dei lettori poco volenterosi abbandona la lettura, accontentandosi di tabelle quantitative in cui si indica graficamente come su otto ore di lavoro il padrone te ne sgraffigna quattro, due per i suoi investimenti e due per la sua barca d'altura, lo Stato te ne sgraffigna una per mantenere la sua casta parassitaria di mangioni, te ne rimarrebbero allora tre, ma due vanno in servizi inefficienti, liste d'attesa, code per iscrivere i bambini all'asilo, ecc. Tutto ci ha la funzione di coltivare l'invidia ed il rancore sociale, e nello stesso tempo questo pit- toresco socialismo ricardiano per sindacalisti riesce nel suo intento, che  quello di rendere del tutto impossibile la comprensione della natura della scienza filosofica di Marx. Allora bisogna muovere dal fatto che se Marx non  partito dai facili capitoli 24 e 25, ma dal sensibilmente sovrasensibile, ci  dovuto a ragioni profonde. La Darstellungsweise, infatti, non  come una camicia che si pu prendere o cambiare come si vuole. Del resto, vi sono confessioni epistolari di Marx che lasciano pochi dubbi in proposito. Il 12 novembre 1858 Marx scrive a Lassalle: L'economia come scienza nel senso tedesco del termine (in deutschen Sinn) resta ancora da fare. Il 20 febbraio 1866 scrive ad Engels: Il mio lavoro  un trionfo della scienza tedesca (ein Triumph der deutesche Wissenschaft). Il 27 luglio 1867 scrive ad Engels: Nelleconomia volgare si rispecchia soltanto la forma fenomenica di rapporti e non la loro coerenza inter- na. D'altra parte, se le cose stessero soltanto cos, che bisogno ci sarebbe ancora di una scienza?. Mi sembra chiaro che per scienza nel senso tedesco del termine e per trionfo della scienza tedesca Marx intende il metodo della Scienza della Logica di Hegel.  d'altronde lo dice anche. Il 16 gennaio 1858 scrive ad Engels che deve tutto il suo metodo alla Scienza della Logica che ha appena riletto, ed il 31 maggio 1858 scrive a Lassalle che la dialettica hegeliana  lultima parola di ogni filosofia. Certo, nella Ideologia Tedesca Marx aveva dichiarato che bisognava abbando- nare il terreno della filosofia (den Boden der Philosophie verlassen), ma questa frase non deve essere intesa nel senso del positivismo di Comte (e cio abbandonare il terreno della metafisica per quello della scienza cosiddetta positiva), ma nel sen- so di Hegel, che nella prefazione alla Fenomenologia dello Spirito aveva scritto che si doveva contribuire a che la filosofia si avvicini alla forma della scienza, in modo da poter rinunciare al suo nome di amore per il sapere per diventare sapere ef- fettivo.  d'altra parte ci che io mi propongo. Mi sembra filologicamente indiscutibile che Marx mirasse ad un sapere effetti- vo sulla storia, e sul modo di produzione capitalistico in particolare.  tuttavia, an- cora nel 1870 Marx (che a questo punto non  pi un giovane Marx, ma un Marx maturo) scrive queste righe: I miei rapporti con Hegel sono molto semplici. Io sono un allievo di Hegel, e le presuntuose chiacchiere degli epigoni che credono di aver seppellito questo eminente pensatore mi sembrano francamente ridicole.  tuttavia, mi sono preso la libert di adottare con il mio maestro un atteggiamento critico. 308 La scienza filosofica di Karl Marx Personalmente, non riesco a leggere questa frase del Marx 1870 senza commuo- vermi ed ispirarmi, perch essa riflette al cento per cento il mio atteggiamento, ad un tempo deferente e critico, verso Marx e Lukcs, e le chiacchiere di chi pensa di avere seppellito questi eminenti pensatori mi sembrano francamente ridicole.  tuttavia, mi prendo la libert di adottare verso questi due miei maestri un atteg- giamento critico, e non ho paura di eventuali giudizi sprezzanti, perch qui non si tratta di vanit personale o di riconoscimenti pubblici o privati, ma di discutere cose pi grandi di noi e che ci sopravvivranno sicuramente in futuro. La Scienza della Logica di Hegel discute nella dottrina dell'essenza la natura della contraddizione dialettica, e culmina infine nella dottrina del concetto (Begriff). Il capitale per Marx  quindi prima di tutto il concetto di capitale. Ma il concetto per Hegel, e quindi per Marx,  prima di tutto autocoscienza dispiegata, e quindi non sar strano dire (anche se so bene che suoner a prima vista assurdo) che il comu- nismo per Marx  prima di tutto autocoscienza concettuale dispiegata allo stesso modo che il capitale  inteso come concetto (Begriff), in quanto il concetto afferra (begrei- fen) tutte le determinazioni dialettiche del suo percorso logico. Del resto Hegel lo scrive: Quando si ha di mira non la verit, ma soltanto la storia [...] ci si pu di certo fermare alla narrazione. Ma la filosofia non ha da essere una narrazione di ci che accade, sebbene una conoscenza di ci che in quello vi  di vero, ed in base al vero essa deve poi comprendere ci che nella narrazione appare un semplice accadere. Questa  una citazione tratta dalla dottrina del concetto della Scienza della Logica di Hegel, che lo stesso Marx ha dichiarato essere stata la sua lettura fondamentale per la forma d'esposizione (Darstellungsweise) della sua scienza filosofica in senso tedesco (im deutschen Sinn). Mi permetto di interpretarla liberamente: il pensiero di Marx non ha di mira soltanto la storia, e tantomeno la narrazione storica in quanto tale; il pensiero di Marx ha di mira la verit contenuta nel concetto (Begriff) di capi- tale; e la verit contenuta nel concetto di capitale  che esso  una non-verit, anche se certamente  una fattualit processuale in corso; ed  una non-verit perch  determinato dalla compresenza di valore e di alienazione; e tuttavia, pur essendo una non-verit, sviluppa dialetticamente nel suo processo di sviluppo alcune de- terminazioni speculative che rendono possibile il suo superamento comunista, che bisogna per cercare allinterno di esso, perch se lo si ricerca fuori di esso non lo s trover mai. Questa, ovviamente,  un'interpretazione. Non sono mica il Padreterno, per dire che si tratta della vera interpretazione di Marx finalmente scoperta dopo un secolo d'attesa! Prima di tutto, senso dei limiti e della misura! E nello stesso tem- po, pazienza, testardaggine e perseveranza se si crede di aver imboccato la strada giusta. In questo caso, la strada giusta consiste nellaccertare che Marx riteneva il comunismo come una sorta di sillogismo del modo di produzione capitalistico dialetticamente sviluppato (uso il termine sillogismo nel senso del giudizio com- piuto dalla logica del concetto della Scienza della Logica di Hegel), e allora comin- ciano qui i veri problemi, e cominciano soprattutto investigando il primato delle 309 CarrroLo XXXII categorie ontologiche modali di Marx. La sua scienza filosofica, infatti,  dominata dal primato della categoria modale di necessit, ed a me sembra che si tratti, con tutto il rispetto verso il gigante Marx, di un errore. Ma per questo sar necessario ricostruire tutto il problema delle categorie modali. Nella Critica della Ragion Pura Kant elabora mirabilmente una tavola delle cate- gorie del pensiero, che  possibile a mio avviso adottare integralmente, con lag- giunta peraltro di due rilievi non-kantiani (il fatto che esse sono anche categorie dell'essere, e non solo del pensiero, ed il fatto che  necessario dedurle storicamen- te e socialmente, e non solo in modo trascendentale). Le categorie sono dodici, ed a ogni categoria  legato un tipo di giudizio, per cui alla fine anche i giudizi sono dodici. I giudizi e le categorie sono raggruppati in quattro classi (quantit, qualit, relazione e modalit). Delle categorie di qualit e di quantit non ci oc- cuperemo qui, ed in quanto alla categoria di relazione noter soltanto che in essa si colloca il problema della contraddizione dialettica in quanto essa  distinta dal concetto di opposizione reale, per cui la contraddizione dialettica, lungi dall'essere fondata su un ristabilimento teologico di un Intero decaduto, connota semplice- mente il rapporto organico di due opposti in correlazione essenziale (ad esempio borghesia e proletariato, che nella scienza filosofica di Marx non possono essere pensati se non in reciproca correlazione essenziale, nel senso che non ci pu essere luna senza laltra, e viceversa, e quindi sia la proletarizzazione della borghesia che il correlato imborghesimento del proletariato sono sempre e solo relativi e mai assoluti). Ma su questo ordine di problemi dialettici torneremo pi avanti nei prossimi capitoli. Concentriamoci ora sulle categorie modali. Kant distingue tre tipi di giudizi modali, che a loro volta hanno come oggetto tre distinte coppie categoriali: i giudizi assertori, che concernono la coppia modale esistenza /inesistenza; i giu- dizi problematici, che concernono la coppia modale possibilit /impossibilit; ed infine i giudizi apodittici, che concernono la coppia modale necessit / contingen- za. Partir da questa classificazione kantiana, che ritengo ottima ed esaustiva, del tutto indipendentemente dal fatto che Kant abbia voluto distinguere l'essere ed il pensiero (ma abbiamo visto che la ratio storica della sua scelta era la delegittimazio- ne delle pretese ontologico-normative della metafisica signorile-feudale), ed anche indipendentemente dal fatto che nor ci potesse essere in lui una deduzione sociale delle categorie (Adorno, Sohn-Rethel, ecc.), dal momento che la costituzione for- malistica del soggetto  funzionale al modo destoricizzato e desocializzato con cui necessariamente la borghesia capitalistica interpreta la propria funzione storica e soprattutto la propria pretesa di eternit (fine della storia, ecc.). Applichiamo allora le categorie modali al concetto di scienza filosofica di Marx. Per quanto riguarda lesistenza, e cio il giudizio assertorio di esistenza,  chiaro che per Marx il capitale esisteva realmente come rapporto sociale, e nei termini della dottrina dell'essenza della logica hegeliana era una sintesi determinata di essenza e di esistenza. Ed esisteva, appunto, come grande ammasso di merci sensibilmente sovrasensibile, non per come cosa (Ding), ma rapporto sociale di produzione fra 310 La scienza filosofica di Karl Marx le polarit borghese e proletaria. Per quanto riguarda invece la necessit, o meglio il giudizio apodittico di necessit, egli riteneva che fosse necessario che il capita- le, sviluppando dialetticamente le sue determinazioni, si rovesciasse ad un certo punto in comunismo, che diventava a questo punto un vero e proprio sillogismo del capitale. La categoria di possibilit, o meglio il giudizio problematico di pos- sibilit, diventava cos del tutto secondario, e finiva con lidentificarsi di fatto con la contingenza, non a caso definita da Kant come il contrario della necessit. In questo modo, di tutte queste categorie modali, che in Marx a differenza che in Kant sono categorie dell'essere sociale e non solo del pensiero, trionfa una sola, la cate- goria della necessit, o meglio lasserzione apodittica dellesistenza della necessit storica. La questione a questo punto non  pi filologica, ma  filosofica al suo pi alto grado. Certo, c' anche un problema filologico, interessante ma secondario. Secondo Michel Vade, che intende difendere Marx dall'accusa di necessitarismo teleologico e deterministico prefissato, in Marx non ci sarebbe mai il dominio della categoria di necessit, ma sempre e soltanto il dominio della categoria di possibili- t intesa come potenzialit ontologica oggettiva (laristotelico dynamei on opposto alla possibilit come contingenza casuale assoluta, laristotelico kat to dynatn). Secondo Bernard Chavance, invece, Marx avrebbe postulato uninesistente modo di produzione mercantile semplice (inesistente storicamente come lo stato di natu- ra russoviano, ma indispensabile come grado zero della postulazione dialettica), e da questa postulazione astorica avrebbe ricavato la triade dialettica, e cio la tesi astratto-intellettuale (linesistente societ mercantile semplice), lantitesi ne- gativo-razionale (le societ classiste ed il capitalismo), ed infine la sintesi positivo- razionale (il comunismo come ristabilimento della propriet individuale contro l'alienazione della propriet privata). Pi avanti torneremo sulle due tesi opposte ed incompatibili di Michel Vade e di Bernard Chavance. Ma qui il problema non  quello di sapere se Marx sia colpevole o innocente (pi esattamente, colpevole di necessitarismo deterministico e teleologico, oppure innocente di tutto questo). Si tratta di un affascinante tema di marxologia, anzi del tema marxologico indi- scutibilmente pi importante e decisivo, quello su cui si gioca l'avvenire teorico di tutta l'impresa di Marx. A me interessa qui stabilire non se abbia ragione la let- tura aristotelica di Vade oppure la critica utopistica di Chavance, quanto di accertare dove stia la verit della questione. E mi esprimer in modo volutamente chiaro e deciso. A mio avviso, una concezione apodittica della centralit modale della categoria di necessit nel passaggio dal capitalismo al comunismo (o se vogliamo, del co- munismo come sillogismo del capitalismo) non tiene assolutamente, ma mi rendo conto che la storia non riesce in realt a smentire niente, perch la teoria poppe- riana della falsificabilit empirico-storica degli enunciati di previsione pu forse funzionare per la fisica e la biologia (ma secondo Lakatos, Kuhn e Feyerabend neppure per queste ultime), ma non pu funzionare per il flusso storico futuro (non esistono infatti date falsificatrici, ed il 1991 non falsifica Marx, ma semmai 311 CaprroLo XXXII soltanto il modello staliniano di socialismo). No, il giudizio apodittico fondato dal primato della categoria modale di necessit non funziona, ma  invece il concetto di possibilit inteso in senso aristotelico come essente-in-possibilit (dynamei on), e non certo come contingente-casuale in possibilit (kat to dynatn). Questo  il punto essenziale della questione. Hegel poteva giustamente trascu- rarlo, perch il pensiero di Hegel era il pensiero della nottola di Minerva, che si alzava al crepuscolo e non pretendeva affatto di prevedere il futuro. D'altra parte la previsione del futuro ha necessariamente bisogno del concetto di legge storica da estrapolare, e ricordo che lo studioso svedese Liedman ha accertato scrupolo- samente che non esiste nella Scienza della Logica di Hegel nessuna traccia dellinesi- stente concetto di legge storica. Il concetto di legge storica arriva con il positi- vismo, e solo con il positivismo. Bisogna quindi retrocedere in modo dichiarato e palese dal primato della cate- goria modale di necessit (con il giudizio apodittico che la determina) al primato della categoria modale di possibilit intesa come potenzialit sociale ontologica (con il giudizio problematico che la determina). Bisogna quindi problematizzare la scienza filosofica di Marx, senza per questo distruggerla dalle fondamenta, buttan- do via il bambino con lacqua sporca del necessitarismo. Il quale necessitarismo, probabilmente,  un'eredit indiretta delle escatologie (ebraiche o ebraico-cristiane che dir si voglia), ed  quindi un effetto della secolarizzazione di un precedente piano occulto della storia contenuto nella mente imperscrutabile di Dio. Siamo quindi di fronte all'ennesimo caso di scelta fra Gerusalemme ed Atene. Se scegliamo Gerusalemme, o meglio la versione secolarizzata di Gerusalemme fil- trata dalle teorie borghesi dellinevitabilit del progresso storico, allora la scien- za filosofica di Marx viene di fatto incorporata simbolicamente in un piano di sal- vezza dell'intera umanit in cui la Storia viene idolatricamente posta al posto di Dio e funziona appunto come il Dio della Lettera ai Corinzi di Paolo, che promette la liberazione attraverso il generale asservimento all'unico liberatore. Ma se Dio c',  necessario che sia appunto necessario, perch un Dio solo possibile non pu essere veramente Dio, soprattutto nella versione monoteistica del termine. Se scegliamo Atene, o pi esattamente la tradizione del grande razionalismo filosofico greco, le cose cambiano completamente. Non esiste un Dio che ha sta- bilito dalla notte dei tempi un piano occulto della storia, che si svolge necessa- riamente alla spalle degli uomini, e non esiste di conseguenza un ceto sacerdotale che ne conosca i voleri segreti. Gli uomini sono esseri razionali (logon echontes) e soprattutto comunitari, e dispongono della capacit razionale (/0gos) di frenare il regno dellillimitato delle ricchezze (katechon). Non esiste piano del mondo. Non esiste salvezza prefissata. Non esiste messia. Il messia non verr mai. Produttori, salvatevi da soli! Il comunismo  solo una possibilit ontologica dell'umanit (dynamei on). E chi vuole la salvezza, deve solo scegliersi la religione migliore. In proposito, con- siglio le pi comunitarie, lortodossia e lIslam. Chi invece vuole Marx, non pu assolutamente prenderlo cos com'. Cos com' non va bene. 312 La scienza filosofica di Karl Marx  tuttavia, possiamo trovare dentro Marx gli elementi per una correzione po- sitiva di Marx? Ad esempio Michel Vade lo pensa, e sicuramente anche Lukcs lo ha pensato. Anch'io lo penso, ma penso anche che sia ancora teologico que- sto modo di ragionare, come se Marx fosse una sorta di equivalente laicizzato di Ges di Nazareth, che non si pu confutare mai, ma soltanto interpretare. Marx poteva sbagliarsi, e su questo punto della deduzione dialettica della necessit del comunismo si  sbagliato, e si  sbagliato per un insieme di ragioni. Da un lato, ha trasformato un suo legittimo desiderio di emancipazione in un convincimento sul funzionamento legale del processo capitalistico (wishful thinking), e questo capita a tutti, per cui chi  senza peccato scagli la prima pietra. Dall'altro, ha inne- stato un concetto di scienza filosofica hegeliana su di un tronco positivistico, in cui l'evoluzione verso il comunismo diventava una legge storica. Ci ha prodotto il cosiddetto materialismo storico, che cercher di analizzare brevemente nel pros- simo capitolo, nella sua grandezza e nei suoi pittoreschi fraintendimenti. La saggezza non teleologica dei Greci deve restare al centro della nostra rotta storica, perch  la sola bussola di cui disponiamo. Le categorie di necessit fatale e di potenzialit possibile sono come due gemelline siamesi, che sono per at- taccate soltanto superficialmente, non hanno organi vitali in comune, e possono cos essere staccate con una facile operazione chirurgica. Il modo di produzione capitalistico per Marx possiede alcune caratteristiche di universalizzazione, che per lui sono la base materiale del comunismo stesso. Il fatto che il capitalismo sia la base materiale del comunismo, ma debba per essere anche idealmente negato come non-verit,  uno dei pi difficili enigmi del pensiero marxiano, ma  anche il luogo ideale in cui la dialettica funziona a pieno regime. Marx ha creduto opportuno affiancare alla sua scienza filosofica del concetto di capitale una scienza dichiaratamente non-filosofica, e cio il cosiddetto materialismo storico. Ed in che senso la scienza non-filosofica del materialismo storico si innesti nel tronco della scienza filosofica precedente sar l'oggetto spe- cifico del prossimo capitolo. Il mistero Marx resta comunque il mistero della compresenza di una scienza filosofica e di una scienza non-filosofica.  necessario sopportare la contraddizione. 313 XXXIV. IL MATERIALISMO STORICO DI MARX. UNA SCIENZA NON-FILOSOFICA INNESTATA SU DI UNA SCIENZA FILOSORIcA DELLEMANCIPAZIONE UMANA. STORIA, MODO DI PRODUZIONE, FORZE PRODUTTIVE SOCIALI, RAPPORTI SOCIALI DI PRODUZIONE, IDEOLOGIA E RIVOLUZIONE Il 2 settembre 1933 Karl Lwith scrisse a Gadamer: Per me Marx  importante solo come esponente del crollo della filosofia hegeliana  lultima che credeva an- cora in se stessa, alla filosofia come filosofia. Si tratta di una dichiarazione molto significativa. Circa trent'anni dopo, intorno al 1963, Louis Althusser avrebbe potu- to sottoscrivere una dichiarazione molto simile. Anche per Althusser, che pure ha intenzioni teoriche e politiche assolutamente opposte a quelle di Lwith, Marx  importante come esponente del crollo della filosofia hegeliana, vista come lultima scuola che crede ancora in se stessa, e cio alla filosofia come filosofia. Simili sono anche gli esiti di entrambi. Per Lwith la delusione ed il disincanto assu- mono la forma della connotazione della filosofia di Marx come secolarizzazione della vecchia escatologia giudaico-cristiana nel linguaggio dell'economia politica inglese. Per Althusser la caduta della credenza nella epistemologia scientifica della teoria dei modi di produzione senza origine, soggetto e fine assume la forma del cosiddetto materialismo aleatorio, e cio del passaggio dalla necessit alla con- tingenza, in un oscillare non dialettico allinterno del giudizio assertivo apodittico di kantiana memoria. Questa antipatia verso Hegel del Lwith 1933 e dell Althusser del 1963 non deve stupire, perch dai tempi dei pittoreschi insulti di Schopenhauer e di Kierkegaard soprariportati  una costante della vergogna regressiva dei filosofi a riconoscersi come tali. Questa vergogna ha colpito anche Marx, ed  stata alla base della co- azione a lasciare il campo della filosofia (den Boden der Philosophie verlassen) per cercare qualcosa di pi serio su cui poggiare i piedi. In greco scienza si dice episteme, e deriva da un verbo che significa poggiare saldamente i piedi per ter- ra. L'illusione per cui abbandonando le nuvole della filosofia (come direbbe Aristofane, il primo nuvolista della polemica contro la filosofia, cui tutti i suoi successivi odiatori non hanno potuto aggiungere nulla se non positivistiche e di- sinformate bestemmie) si possa finalmente posare saldamente i piedi sulla scien- za  evidentemente fortissima. Dipende per, ovviamente, che cosa intendiamo esattamente per scienza (episteme, science, Wissenschaft). Il problema del perch tanti filosofi giungano a disprezzare il terreno della filo- sofia propriamente detta ed a auspicare un suo superamento che coincida con la 315 CarrroLo XXXIV sua abolizione di fatto  stato posto per la prima (ed ultima volta) in modo insupe- rabile nel 1830 da Auguste Comte. Comte  considerato un filosofo poco sofistica- to, ed ecco perch tutti i tromboni ed i palloni gonfiati lo citano poco. Eppure il suo codice  semplicissimo: la religione  per bambini o rimasti tali, la filosofia  per adolescenti o rimasti tali, solo la scienza positiva  per adulti veramente consape- voli di essere tali. Come ho detto, tutti i pomposi sofisticatoni non amano riferirsi a Comte, ma poi tutti fanno come se Comte fosse il loro guru indiretto. In Italia vi sono alcune scuole pittoresche di distruttori della filosofia come disciplina verita- tiva autonoma, anche se io mi limito a citarne solo due, quella di Galvano Della Volpe e dei suoi allievi (Colletti, Bedeschi, ecc.), e quella di Nicola Abbagnano e dei suoi allievi (Rossi, Viano, ecc.). In entrambi i casi tesori di conoscenza storiografica e filologica nella storia della filosofia occidentale portano ad un suicidio teoretico del valore di conoscenza veritativa dell'attivit filosofica propriamente detta. La stessa cosa avviene peraltro anche per altre scuole, come quella althusseriana, che per non riesco a disprezzare come le precedenti. E non riesco a disprezzarla, pur disapprovandola radicalmente, perch almeno questultima  intenzionata sogget- tivamente a valorizzare il materialismo storico di Marx, intenzione soggettiva che coltivo anch'io da quasi mezzo secolo. Prima di passare al materialismo storico di Marx, oggetto di questo capitolo,  per necessario tentare di dare uninterpretazione storico-genetica ed ontologico- sociale a questo curioso fenomeno dell'odio filosofico verso la filosofia, esempio di masochismo culturale apparentemente inesplicabile. Non esistono infatti esempi similari di odio dei calciatori verso il calcio, dei filatelici verso i francobolli, dei fisici verso la fisica, dei biologi verso la biologia e dei pittori verso la pittura. Il pit- toresco odio di Lwith, filosofo che ha dedicato la vita alla filosofia, nei confronti della filosofia come filosofia, odio condiviso da pi del cinquanta per cento delle trib accademiche dei professori di filosofia,  infatti un caso assolutamente unico. I giuristi non odiano il diritto, i sociologi non odiano la sociologia, gli economisti non odiano l'economia. Solo la stupida e masochistica trib dei filosofi non per- de mai occasione per dire che in realt irride la filosofia per la filosofia, modo pleonastico ed enfatico per indicare la filosofia tout court. Una volta risolto questo problema generale (quello del superamento della filosofia attraverso la scienza, su tale), possiamo poi affrontare in modo corretto il perch Marx riten- ne necessario a partire dal 1845 (e cio dallIdeologia Tedesca circa) affiancare una scienza non-filosofica, di tipo inevitabilmente positivistico prima e maxweberiano dopo, alla scienza implicita precedente, chiamandola poi materialismo storico. Il surreale fenomeno di filosofi che si vergognano di praticare la filosofia come attivit specifica caratterizzata da pretese conoscitive di tipo veritativo (unico esem- pio in tutta la storia delle professioni, con la sola parziale eccezione dei prosseneti e dei killer della mafia) non pu essere spiegato attraverso Kafka, Borges o il principe De Curtis (in arte Tot), ma pu essere agevolmente compreso attraverso il codice genetico della pressione sociale. A partire dalla met del Settecento e dellunifica- zione simbolica dello spazio e del tempo (materia e progresso), della costituzione 316 Il materialismo storico di Marx formalistica del soggetto e della delegittimazione delle pretese normative della metafisica, il mondo cessa di essere problematico, e diventa cos socialmente vergognoso continuare infantilmente a problematizzarlo, proprio quando il tempo diventa denaro, lo spazio area edificabile, il lavoro produttivo oggetto di com- pravendita vantaggiosa. L'ultima trincea della problematizzazione  il concetto di finito in Fichte come metafora del dispotismo signorile e feudale e di assoluto in Hegel come metafora della consapevolezza della comunit nazionale tedesca (richiamo qua le due interpretazioni di Merker e di Pggeler). Dopo il 1830 il filo- sofo diventa una sorta di pittoresco e marginale rompiballe che intende continuare a problematizzare un mondo che ambisce invece ad essere considerato normale, evidente, naturale ed ovvio.  allinterno di questo mutamento culturale della borghesia capitalistica che Comte pu proporre di considerare il filosofo come un eterno adolescente. La sua proposta suscita un immediato entusiasmo soprat- tutto da parte di chi non ha mai neppure sentito nominare il suo nome. Lo spirito del capitalismo pu tollerare la religione purch stia al suo posto, si occupi di negretti, disgraziati, poveracci, emarginati e moribondi, venendo cos incontro ai tagli neoliberali delle spese di welfare, e non pretenda di essere normativa nella vita sociale, il cui unico Dio deve essere la legge economica della domanda solvi- bile. In quanto ai filosofi, anche ad essi pu essere lasciato un piccolo spazio per lintrattenimento di adolescenti nevrotici, signore con velleit mondane e gente di una certa Kual Kultura (per dirla con Stefano Benni). E tuttavia Hegel significa pur sempre la pretesa di sovranit conoscitiva, e soprattutto veritativa, della filosofia intesa come scienza filosofica. La pressione sociale si alza allora immediatamente contro questa sconcia pretesa inaccettabile. Ma come, ci siamo appena liberati dei preti, ed arrivano i filosofi hegeliani a dirci come devono andare le cose! Rinchiusi negli armadi i turiboli, sono ora i portafogli pieni, e solo i portafogli pieni, ad esser sovrani del bene e del male!  questa la radice materiale del confinamento della pratica filosofica alle facolt di filosofia, in cui  proibita e diffamata qualunque attivit interpretativa del mon- do, accusata di dilettantismo, oppure della sua derubricazione a cura psicologica per semicolti problematici. Dal 1850 circa una gigantesca pressione sociale agisce in questa direzione, ed  questa pressione sociale, diretta ma pi spesso indiretta, a spiegare il fenomeno altrimenti inesplicabile di una categoria (i filosofi) che si vergogna e diffama la propria stessa attivit professionale. In proposito, i harakiri degli allievi di Galvano Della Volpe e di Nicola Abbagnano sono particolarmente grotteschi per il loro ingenuo scientismo laico-positivistico ed il loro infantile odio verso Hegel, di cui non sono degni neppure di allacciare le scarpe. Altro  il discor- so da fare per personaggi come Karl Lwith o Louis Althusser, ed altro ancora  il discorso da fare per Karl Marx, un discorso che ora bisogna cominciare a fare. Nessuno sfugge alla pressione sociale del proprio tempo. Per parafrasare Aristotele, solo una bestia o un dio pu farlo. Ma Karl Marx non era n una bestia n un dio, ed a partire dal 1845 non poteva in alcun modo sfuggire alla pressione sociale, pressione sociale integralmente borghese, e per nulla proletaria, di giusti- 317 CarrroLo XXXIV ficare scientificamente le sue pretese dottrinali. Marx si vide quindi costretto dalla pressione sociale dell'ambiente borghese ad abbandonare il campo della filoso- fia (e cio della valutazione del mondo), per passare al campo della dimostrazione scientifica, e cio al materialismo storico. La genesi sociale della scienza marxista della storia non sta quindi in un passaggio epistemologico interno (e tantomeno in una rottura epistemologica, per dirla con Althusser ed i suoi seguaci), ma deriva da una pressione sociale esterna, quella dell'ordine sociale indiretto di giustificare scientificamente quanto si intende sostenere. La genesi logica del materialismo sto- rico inteso come scienza autonoma senza presupposti filosofici di alcun tipo, ma fondata unicamente sui propri presupposti epistemologici liberi da ogni metafi- sica e da ogni filosofia della storia, sta quindi quasi completamente in una coazione sociale esterna. Ho prima chiarito che la gnoseologia, e la sua figlia pazza chia- mata epistemologia,  la vera ed unica metafisica della borghesia. Sii scientifico!,  l'ordine che sostituisce il precedente ordine feudale-signorile: Credi in Dio!.  questa  e non altra  e la genesi sociale materiale del materialismo storico: se vuoi sostenere una tesi filosofica (ad esempio: il capitalismo  una non-verit, ecc.), non puoi farlo direttamente, ma devi travestirla da tesi scientifica (ad esempio: il modo di produzione capitalistico  caratterizzato da leggi scientifiche interne che porte- ranno infallibilmente alla sua fine matematicamente prevedibile). Questa, e non altra,  la genesi sociale materiale della teoria del materialismo storico. Una volta che la si sia ben capita, e non si cada pi nella pittoresca assurdit della rottura epistemologica,  possibile finalmente passare alla sua esposizione problematica. La categoria scientifica di modo di produzione  gi accertata nel 1845, e con- traddistingue il materialismo storico di Marx fino al 1883, anno della sua morte, per poi subire uneclisse al tempo del marxismo della seconda (1889-1914) e della terza internazionale (1919-1943), fino ad essere rivalutata e ripulita a partire da- gli anni Sessanta del Novecento dalla scuola di Louis Althusser e dei suoi epigoni.  possibile anche chiamare il modo di produzione concetto (Begriff), ma sarebbe improprio, perch il concetto propriamente filosofico (pi esattamente, della scien- za filosofica)  un'unit indivisa di conoscenza e di valutazione etica, mente la categoria scientifica di modo di produzione  pensata come categoria fondativa di una scienza non-filosofica.  vero che dire modo di produzione capitalistico evoca immediatamente lunit di alienazione e di valore, lo sfruttamento, lestorsione del plusvalore assoluto e relativo, la diseguaglianza fra individui, classi e nazioni, lor- gia smisurata dellaccumulazione di ricchezze, in una parola ci che Marx usava chiamare merda (Scheisse). E tuttavia la categoria di modo di produzione non  un concetto di una scienza filosofica propriamente detta, ma  una determinazione storica che in quanto tale prescinde dalla valutazione di tipo intuitivo cui per non pu ovviamente sottrarsi, se non crediamo (come personalmente non credo) n alla avalutativit maxweberiana n alla fallacia naturalistica humeana. In unottica kantiana di deduzione trascendentale delle categorie, il modo di produzione deriva logicamente dal fatto che la categoria di produzione in gene- rale viene fatta passare per le forme a priori della sensibilit dello spazio e del 318 Il materialismo storico di Marx tempo. In altri termini, il modo di produzione marxiano deriva da una spazio- temporalizzazione storica della categoria di produzione in generale, su cui si era basata (e tuttora si basa) l'economia politica intesa come sapere immediato della produzione capitalistica. E tuttavia in un'ottica di deduzione sociale delle catego- rie  come quella che cerco di sviluppare in questo scritto  la categoria di modo di produzione si oppone in modo antagonistico alla categoria borghese di pro- duzione in generale, e ne rappresenta appunto un'opposizione determinata che ne delegittima la pretese di validit normativa. Il pensiero borghese-capitalistico  infatti un pensiero naturalistico, fondato sulla destoricizzazione e sulla desocia- lizzazione del soggetto (Kant), della propriet privata (Locke), della natura umana (Hume), ed appunto anche della produzione e dello scambio (Adam Smith). Pi esattamente, la falsa coscienza necessaria del suo modo di nascondere a se stesso ed agli altri (e cio ai suoi sfruttati) la sua storicit  appunto la sua naturalizza- zione. La produzione capitalistica specifica viene ipostatizzata in produzione in generale, e tutto ci che non vi rientra logicamente viene diffamato come ano- malia, ritardo, inefficienza, ecc. (schiavismo, feudalesimo, comunit dette impropriamente primitive e selvagge, pi tardi socialismo novecentesco ribat- tezzato economia amministrativa di comando, ecc.). Karl Polanyi ha dimostrato con una ricchissima documentazione storico-comparativa che questo processo di naturalizzazione  del tutto falso e mistificato, in quanto in generale il processo economico  incorporato (embedded) nella riproduzione complessiva della societ, e la sua autonomizzazione, storicamente presentatasi nel Settecento inglese,  una anomalia artificiale che non pu decentemente pretendere ad alcuna naturalit. La categoria marxiana di modo di produzione  quindi una categoria scienti- fica ottima, a tutt'oggi insuperata. Essa permette almeno due cose insieme, e cio una storicizzazione determinata sul piano conoscitivo, ed una polemica ideologica sul piano storico-politico. I teorici della naturalit della produzione in generale, in- fatti, da un lato rendono impossibile la conoscenza della storia passata, e dall'altro fanno passare il loro processo di sfruttamento classista come il modo giusto e razionale di guidare la riproduzione sociale in generale. Marx riprende qui lo spirito (non certo la lettera, essendo un universalista di tipo hegeliano) del nominalismo di Occam, che ai suoi tempi si era gi opposto al potere mistificatorio dei falsi universali (in questo caso, il falso universale dellinesistente produzione in generale). E questo non deve stupire, perch lo spi- rito della grande filosofia passa attraverso i diversi modi di produzione. La cate- goria di modo di produzione  uno strumento inestimabile, perch permette di pensare fino in fondo la storicit del capitalismo, e quindi l'illegittimit della sua arrogante pretesa di durare per sempre e di essere cos la fine della storia. In proposito, vi sono almeno due rilievi da fare subito. In primo luogo, la cosiddetta teoria marxista della fine della storia, per cui il comunismo viene collocato in modo deterministico-teleologico-necessitato alla fine del corso storico, che viene cos idealmente interrotto, deve essere non solo respinta come insostenibile, ma anche interpretata come una ricaduta ideologica 319 CaprroLo XXXIV della precedente teoria borghese della fine capitalistica della storia intesa come scoperta della produzione in generale. Si  qui di fronte a due vere e proprie de- storicizzazioni, entrambe deterministico-teleologico-necessitate, di tipo naturali- stico, in quanto non vi sono differenza logiche di principio fra la destoricizzazio- ne della produzione in generale borghese e la destoricizzazione della produzione comunista perfetta finale. Si tratta infatti di due varianti complementari, gemellari ad antitetico-polari di fine della storia.  molto importante impadronirsi concet- tualmente di questo punto, perch generalmente la teoria marxista della fine co- munista della storia  fatta risalire ad una secolarizzazione indebita dellescatolo- gia giudaico-cristiana nel linguaggio dell'economia politica (Karl Lwith ed i suoi numerosissimi seguaci). Non nego che anche questo fattore possa aver giocato un certo ruolo nella diffusione e nella popolarizzazione ideologica di questa con- cezione della fine (comunista) della storia. Ma insisto sul fatto che la derivazione principale dell'ideologia della fine (comunista) della storia non proviene dal mes- sianesimo imperfettamente secolarizzato, ma proviene dalla precedente ideologia della fine (capitalistica) della storia sancita dalla scoperta (scientifica) delle eterne leggi naturali della produzione razionale. In secondo luogo, occorre tenere ben distinta la categoria scientifica di modo di produzione (lo ripeto: categoria conoscitiva ottima, ed a tutt'oggi insuperata: domani chiss!) della cosiddetta teoria dei cinque stadi successivi obbligati della storia universale dal passato al futuro attraverso il presente, teoria di origine chia- ramente eurocentrica ed occidentalistica che poi divent una protesi ideologica del comunismo storico novecentesco realmente esistito (1917-1991). I cinque stadi sa- rebbero nell'ordine il comunismo detto primitivo, il modo di produzione schiavi- stico, il modo di produzione feudale, il modo di produzione capitalistico, ed infine a coronamento e fine della storia il modo di produzione comunistico (intendendo in questo modo il cosiddetto socialismo una formazione economico-sociale di transizione fra il capitalismo ed il comunismo propriamente detti). La questione  a mio avviso teoricamente chiara, e pu essere sinteticamente formulata cos:  bene accogliere, sia pure criticamente, la categoria marxiana di modo di produzione come risposta determinata alla categoria borghese-capitalistica di produzione in generale, cuore della metafisica destoricizzata e desocializzata del sistema globale dello sfruttamento e della diseguaglianza, ed  bene anche respingere senza se e senza ma la cosiddetta teoria della successione dei cinque stadi. Che Marx abbia sostanzialmente condiviso per una certa parte della sua vita una qualche versione della teoria dei cinque stadi  possibile, ma in sede scientifi- ca non  molto rilevante.  invece plausibile ci che hanno sostenuto molti autori (Hosea Jaffe, Samir Amin, Umberto Melotti, Perry Anderson, e sulla loro scia il modesto scrivente), e cio che gli interessi di Marx verso il modo di produzione asiatico (testimoniato da un ricco capitolo dei Grundrisse) e verso le societ impro- priamente dette primitive (testimoniate dai quaderni antropologici ed etnologici raccolti da Lawrence Krader), e cio che in Marx c' gi una visione multilineare e non-necessitata della storia universale, e lunilinearismo  stato un successivo 320 Il materialismo storico di Marx fraintendimento compiuto delle due formazioni ideologiche marxiste posteriori della seconda e della terza internazionale, su cui ritorner in modo pi analitico nel prossimo capitolo dedicato ad una storia materialistica del marxismo inteso come successione di formazioni ideologiche determinate da vincoli di legittima- zione esterna.  possibile svincolare la categoria scientifica di modo di produzione da qual- siasi filosofia della storia? Molti lo hanno pensato, ad esempio la scuola di Louis Althusser. La scuola di Louis Althusser, infatti, si basa proprio sul fatto che la ca- tegoria di modo di produzione, ritenuta una categoria interamente scientifica e completamente priva di presupposti filosofici, pu e deve essere pensata senza il peso metafisico dellOrigine, del Soggetto e del Fine. Da un punto di vista puramen- te epistemologico, si tratta a mio avviso di un'operazione astrattamente possibile. La storia viene pensata come un campo di strutture, in cui le strutture sono come le bamboline russe di legno, l'una dentro laltra. Ma il modello epistemologica- mente puro non solo non  una scienza filosofica, ma non  neppure una scienza propriamente detta. Strappata dall'origine, dal soggetto e dal fine, la storia diventa totalmente astorica, ed il modo di produzione diventa un puro oggetto di stu- dio universitario, una sorta di idea platonica per chi non crede nel mondo delle idee (ritenendolo ovviamente troppo idealistico). Allinterno di questa desto- ricizzazione integrale e di questo misticismo della struttura resta soltanto un culto della cosiddetta aleatoriet, in cui il concetto di potenzialit ontologica (dyna- mei on) sparisce completamente, e viene restaurato integralmente il principio dei giudizi assertivo-apodittici kantiani, e cio il principio della contingenza (kat to dynatn). Non mi stancher mai di ripeterlo: il principio della contingenza aleatoria, oggi molto di moda fra gli universitari confusionari,  soltanto l'opposizione reale dialetticamente non mediata del principio della necessit. Entrambi i principi sono le polarit non mediate del giudizio apodittico modale di kantiana memoria. L'isolamento della categoria di modo di produzione da qualsiasi filosofia del- la storia  quindi possibile, ma  possibile soltanto come operazione dellintellet- to astratto (Verstand). In realt, il pensiero di Marx  anche necessariamente una filosofia della storia, e non potrebbe non esserlo, per una ragione di facilissima comprensione. Dopo il 1760 circa tutte indistintamente le oggettivazioni teoriche sistematizzate sono necessariamente forme di filosofia della storia, ed il fatto che qualcuno possa dire: Tutte le altre lo sono, salvo la mia, che unica fra tutte  sol- tanto scientifica e disincantata, e quindi non lo  non pu che suscitare il riso, come se qualcuno che si trova al sole con gli altri dicesse: Tutti voi fate ombra, all'infuori di me che non la faccio!. Prima del 1760 circa in Europa regnava la storia biblica, che dava luogo a forme differenziate di teodicea. La storia biblica era anch'essa a suo modo una filoso- fia della storia (ed infatti Lwith la tratta come tale), ma si tratta a mi avviso di un'estensione indebita che crea confusione. La vera e propria filosofia della storia moderna (Turgot, Condorcet, Herder, poi Fichte, Hegel, Marx ecc.) nasce proprio svincolandosi dalla storia biblica e per cos autocertificandosi, ed a questo punto 321 CaprroLo XXXIV  di importanza solo secondaria l'accettazione della teoria dellintegrale secolariz- zazione di categorie precedentemente teologiche (Carl Schmitt), oppure laccet- tazione della teoria della nuova fondazione razionale non secolarizzata (Werner Blumenberg). Marx ha una filosofia della storia per il semplice fatto che tutti dopo il 1760 hanno in Europa una filosofia della storia, anche e soprattutto coloro che dichiarano di non averla e di esserne per cos dire immuni. Come  universalmente noto, la categoria scientifica di modo di produzione si specifica e si determina attraverso il gioco di tre determinazioni ulteriori, il progresso delle forze produttive sociali, la natura classista dicotomica dei rapporti sociali di produzione, ed infine l'ideologia e le forme di coscienza ideologica degli agenti sociali. In seconda istanza, la correlazione dialettica essenziale dei primi due termini (forze produttive e rapporti di produzione)  stata chiamata dallo stes- so Marx struttura (Struktur), mentre il complesso delle forme ideologiche  stato chiamato sovrastruttura (Uberbau). Si tratta del notissimo modello epistemolo- gico marxista, che esiste senza radicali modificazioni da pi di cento e cinquanta anni. Il fatto che sia notissimo non ci esime per da un insieme di brevi considera- zioni di chiarimento ulteriore. La correlazione essenziale fra forze produttive e rapporti di produzione (0 pi esattamente, fra sviluppo classista delle forze produttive come fattore essenziale di dominio sociale e natura antagonistica polare dei rapporti sociali classistici di produzione)  a tutti gli effetti una contraddizione dialettica, che trova il pi vicino ri- ferimento concettuale nella dottrina dell'essenza della Scienza della Logica di Hegel. In questo senso Lenin pot scrivere nei suoi Quaderni Filosofici che chi non ha letto e capito la Scienza della Logica di Hegel non pu capire niente del Capitale di Marx. Vorrei sottolineare questa paroletta niente, perch appunto senza la scienza del- la logica hegeliana il Capitale di Marx diventa un normale trattato di economia politica di sinistra (nel linguaggio di Claudio Napoleoni, un trattato di economia politica critica e non un testo fondativo di critica dell'economia politica). Perch  importante considerare come una contraddizione dialettica i due poli in correlazione essenziale delle forze produttive e dei rapporti di produzione?  importante farlo, perch se non lo si fa e li si considera separatamente dal punto di vista dell'isolamento dell'intelletto astratto (Verstand), si hanno due processi pa- ralleli, quello del progresso della scienza e della teconologia, da un lato, e quel- lo della ingiustizia sociale da correggere riformisticamente in qualche modo, dall'altro. Progresso della scienza e questione sociale, infatti, sono i due lati concettuali della destoricizzazione e della desocializzazione della categoria. Da un lato, lo sviluppo delle forze produttive  visto come un processo di tipo non sociale ma puramente tecnologico-applicativo, e la storia degli ultimi due secoli diventa storia dei progressi della tecnologia, dalla macchina a vapore al computer. Dall'altro, ai rapporti di produzione viene tolto ogni carattere classista-antagoni- stico, e viene invece di tanto in tanto benevolmente riconosciuto che esiste una questione sociale di sacche di povert cui porre rimedio con un accurato uso bilanciato di poliziotti, prigioni, assistenti sociali, spesa pubblica, preti caritatevoli, 322 Il materialismo storico di Marx ecc.  chiaro dove vanno sempre praticamente a parare i processi ideologici di destoricizzazione e di desocializzazione. La trinit di produzione in generale, storia del progredire della tecnologia e questione sociale intesa in senso poliziesco-assistenziale  appunto la trinit ide- ologica del modo di produzione capitalistico, che  del tutto ostile ed incompati- bile con le due concezioni intrecciate di Marx, la scienza filosofica della negativit della produzione capitalistica e la scienza non-filosofica del modo di produzione capitalistico. Una volta attuata logicamente la destoricizzazione, essa pu assume- re poi una forma apologetica (la teoria neoliberale alla Popper, Berlin, ecc.), o una forma critica (la teoria del Dispositivo Intrascendibile, Gestell, di Martin Heidegger). La prima  rivolta alla global middle class ed allinfinita plebe clonata dei sudditi felici del capitalismo ormai del tutto privi di coscienza infelice, mentre la se- conda  rivolta ai tipi inquieti, colti e problematici, che sanno che il denaro non  tutto, ed esiste anche (sia pure non pagata) la riflessione pensosa sui destini ultimi del mondo degradato ed inquinato. In entrambi i casi, per, la storicit del modo di produzione capitalistico  negata. Marx ha invece completamente ragione: forze produttive e rapporti di produ- zione formano una unit logica in correlazione essenziale, e danno luogo ad una contraddizione dialettica del tipo di quella esposta per la prima volta in forma sistematica nella dottrina dell'essenza della Scienza della Logica di Hegel. Ora cer- cher di discuterle separatamente, ma si tratta solo di un accorgimento scolastico dell'esposizione. Nella realt, queste due dimensioni sono inseparabili. Iniziamo dal lato dello sviluppo delle forze produttive, o meglio dellassolu- tizzazione della centralit storica del loro sviluppo. Questo primato dello sviluppo delle forze produttive, che ha indiscutibilmente caratterizzato il codice marxista originario di Engels e di Kautsky del ventennio 1875-1895,  stato variamente criti- cato in termini di economicismo (scuola di Louis Althusser), di marxismo smi- thiano (Robert Brenner), e di teoria reazionaria delle forze produttive (sinistra maoista in Cina del decennio 1966-1976). In effetti in questa concezione non esiste pi una vera contraddizione dialettica fra i due termini, che implicherebbe una loro relazione essenziale (nella termino- logia di Kant, un giudizio disgiuntivo della reciprocit di azione e reazione), ma semplicemente un rapporto estrinseco di adeguamento, per cui di volta in volta i rapporti di produzione si adeguano alla sviluppo delle forze produttive stesse. Le forze produttive crescono, dalla scoperta del fuoco allingegneria genetica, e mano a mano che crescono i rapporti di produzione si adeguano, dallo schia- vismo al feudalismo al capitalismo fino al comunismo inteso come trionfo finale dello sviluppo delle forze produttive. Esiste una sterminata letteratura marxologica sivolia ad assolvere Marx da questa concezione, ed in generale fanno da parafulmine, prendendosi tutta la colpa, Engels, Kautsky, Lenin, Stalin, ecc. Si tratta di un'ottica di tipo teologico- pretesca, come se il problema fosse quello di assolvere Marx discolpandolo dalleconomicismo o dal marxismo smithiano, in base al solito ipocrita principio 323 CarrtoLo XXXIV della perfezione del fondatore e del fraintendimento degli epigoni. A me sem- bra - con le mie modeste competenze di marxologo  che il buon Marx non possa essere completamente assolto dall'accusa di economicismo, in quanto innumere- voli passi delle sue opere consentono appunto una lettura economicistica (per non dire di peggio!). Ma il problema non sta nel palleggiamento delle responsabilit, robaccia da teologi fanatici, ma in un dilemma ben diverso: dato e non concesso che la teoria delladeguamento semiautomatico dei rapporti di produzione allo sviluppo neutrale delle forze produttive inteso come variabile indipendente non  una concezione dialettica, ma esclusivamente meccanicistica,  possibile abbando- narla senza con questo buttare via tutta la concezione della centralit del modo di produzione? Prudentemente risponderei di no: probabilmente s. Mi sembra evidente che la teoria dell'adeguamento dei rapporti sociali di produzione allo sviluppo delle forze produttive  una semplice variante di sinistra (e nemmeno troppo!) della concezione borghese del progresso, non lascia spazio a nessuna teoria della prassi rivoluzionaria (perch infatti darsi da fare se intanto le forze produttive ci risol- veranno il problema?), ed  incompatibile con qualunque teoria della contraddi- zione dialettica. Occorre quindi respingere in toto e senza compromessi teorici la teoria meccanicistica dell'adeguamento, senza peraltro cadere nella sua polarit opposta, la concezione per cui il comunismo si fonderebbe su di un atto comuni- tario di volont morale egualitaria anche in presenza di una terribile penuria che ci costringe ad eliminare i bambini malformati ed a abbandonare i vecchi sdentati nella steppa o sulla banchisa polare. La teoria meccanicistica dell'adeguamento  una tentazione permanente del cattivo marxismo, non soltanto perch  purtroppo spesso avallata dalla lettera di Marx, ma perch risolve il problema della ri- voluzione. Essa percorre lintera storia del marxismo, dal suo fondatore Kautsky, che vedeva cos assicurato laccesso al potere dei suoi operai protestanti lettori di compendi di volgarizzazione di Darwin, fino a Toni Negri ed alle sue moltitudini desideranti, che possono finalmente servirsi al supermercato senza pagare sulla base dell'incredibile sviluppo delle forze produttive. Come il ballo in maschera e la commedia dellarte, anche leconomicismo pu travestirsi in molti modi, ma solo gli sciocchi non capiscono che  sempre lo stesso, si presenti in doppiopetto da manager oppure nellabito casual-straccione del frequentatore dei centri sociali di vario tipo. Il tema dello sviluppo delle forze produttive ha anche un altro aspetto, forse ancora pi importante. Si tratta della possibilit di uno sviluppo distruttivo delle forze produttive, il che farebbe diventare immediatamente legittima un'eventuale teoria della cosiddetta decrescita. Il tema  delicato, ma non pu essere ignorato. Ai tempi di Marx e di Engels, il tema di uno sviluppo pericoloso e distruttivo delle forze produttive non era ancora socialmente visibile, e sarebbe ingiusto ed antistorico rimproverarli 4 posteriori di non averlo preso adeguatamente in consi- derazione. Certo, ci sono nelle loro opere molte citazioni, che mettono in guardia dallinquinamento urbano e soprattutto dalleccessivo sfruttamento industriale 324 Il materialismo storico di Marx dell'agricoltura, e questo consente a molti benevoli commentatori di farli diventare dei pionieri e dei padri dell'ecologia. E tuttavia, ancora una volta, il tema non  n teologico n filologico. La domanda  questa: nel contesto del bilancio teorico complessivo del pensiero di Marx (e di Engels), si trova gi la consapevolezza del- la possibile deriva catastrofica e distruttiva dello sviluppo delle forze produttive (capitalistiche, ovviamente, non della produzione in generale), oppure questa consapevolezza non esiste ancora, ed allora dobbiamo aggiungerla noi, nel caso che volessimo definirci allievi di Marx? A mio avviso, non c' ancora, e dobbiamo aggiungerla noi. E questo per un in- sieme di ragioni, che possiamo sunteggiare in due grandi classi. L'attuale sviluppo delle forze produttive  infatti distruttivo su almeno due punti, la convivenza an- tropologica degli uomini e la tenuta ecologica dell'ambiente in generale. Marx non poteva esserne consapevole, perch nellanno della sua morte, il 1883, entrambi gli aspetti non erano ancora visibili. In primo luogo, la stessa tenuta dell'etica borghe- se e della vita comunitaria operaia e proletaria funzionavano da katekhon all'attuale disfrenarsi di un totale individualismo anomico corrosivo di tutti i rapporti sociali, e non solo dei rapporti sociali solo borghesi o solo proletari. In secondo luogo, gli equilibri ecologici del pianeta non erano ancora realmente intaccati nel loro complesso, ma soltanto in alcune aree geografiche limitate. Oggi per le cose non stanno pi in questo modo. Oggi la degradazione antro- pologica ed ambientale sono fatti visibili socialmente, anche se  evidente che ci siano i negazionisti che affermano che le cose non vanno affatto cos male, che le prognosi catastrofiche sono eccessive ed infondate, che tutto questo complesso di problemi  un'invenzione di snob ecologisti occidentali che vogliono impedire ai cinesi ed agli indiani di comprarsi lutilitaria, ecc. Non intendo entrare nel merito dello scontro fra negazionisti e catastrofisti. So bene che entrambi agitano come trofei totemici diagnosi opposte di cosiddetti scienziati. In quanto agli scien- ziati, essi sono corrompibili ancora pi dei politici (che pure lo sono in modo pittorescamente svergognato), tanto  vero che se ne sono anche trovati alcuni che hanno sostenuto che le sigarette non fanno male anche se uno ne fumasse quaran- ta al giorno. Da come mi sembra di capire, la crisi ecologica generale del pianeta  gi in atto, e questa  indubbiamente una ragione sufficiente di critica globale della produzione capitalistica (laltra  ovviamente   lapprofondimento delle diseguaglianze fra individui, popoli e nazioni, con il connesso sistema ideologico di manipolazione rivolto a sostenere in modo capillare che questo sistema della diseguaglianza  buono, benefico, libero e provvidenziale per tutti). Cos com', la teoria marxiana dello sviluppo delle forze produttive non  buo- na, e non pu essere semplicemente ereditata e difesa contro i soliti fraintendi- tori. Non funziona la teoria meccanicistica del cosiddetto adeguamento, e non funziona la sottovalutazione del carattere distruttivo di questo sviluppo. Non pu esistere unontologia dell'essere sociale che non lo dica chiaramente, e che si limiti al ristabilimento del cosiddetto vero pensiero di Marx. Lukcs poteva ancora pensarlo nel periodo 1964-1971, quando scrisse la sua mirabile Ontologia ed i suoi 325 CarrroLo XXXIV ottimi Prolegomeni. Ma oggi abbiamo un grado di consapevolezza complessiva mi- gliore. Passiamo ai rapporti sociali di produzione. La presa in considerazione della assoluta centralit di questi rapporti caratterizza molte forme di marxismo, dal pensiero di Gramsci a quello di Mao Tse Tung. Si tratta della versione del mar- xismo chiamata generalmente filosofia della prassi, o del primato dellattivit rivoluzionaria. Chiediamoci: Marx stesso, al di l di certe sue inequivocabili affer- mazioni economicistiche, che solo la pietas teologica pu mettere sotto silenzio, era convinto della centralit dei rapporti sociali di produzione? A me sembra di s. Ed il fatto che questa centralit della lotta di classe (indi- scutibile in particolare in molte sue opere storiche, da quelle che descrivevano il biennio 1848-49 a quelle che commentavano la Comune di Parigi del 1871) coesi- stesse contraddittoriamente con la teoria del cosiddetto adeguamento dei rap- porti sociali di produzione alla crescita delle forze produttive ci mostra ancora una volta che un semplice ritorno a Marx  impossibile, perch Marx  come il Torso del Belvedere di Michelangelo, ed  un fascio di contraddizioni in buona parte non elaborate e non sistematizzate. In primo luogo, la polarizzazione dicotomica nei modi di produzione preca- pitalistici fra proprietari di schiavi e schiavi (nel modo di produzione schiavisti- co europeo) e fra feudatari e servi della gleba (nel modo di produzione feudale europeo) non  quasi mai un criterio storiografico adatto a spiegare la dinami- ca di funzionamento del rispettivo rapporto sociale di produzione. Nel modo di produzione schiavistico mediterraneo sono bens esistite grandi rivolte di schiavi (la Sicilia descritta da Diodoro, la rivolta dei gladiatori di Spartaco, ecc.), ma esse hanno caratterizzato soltanto un periodo storico molto limitato. Anche se l'idea che il mondo antico fosse caratterizzato dalla dicotomia liberi /schiavi caratterizza vari tipi di dilettanti (Stalin, manuali di materialismo storico della teoria dei cinque stadi, Hannah Arendt, Nietzsche e nicciani vari, film in costume chiamati peplo, ecc.), noi oggi sappiamo che il conflitto di classe fondamentale nel mondo greco non avveniva fra liberi e schiavi, ma fra liberi poveri e liberi ricchi, e che proprio la natura di questo conflitto  stata la matrice storico-genetica ed ontologico-sociale della teoria filosofica del metron e del logos come katekhon contro la dissoluzione sociale della guerra di tutti contro tutti. In quanto al mondo romano, Marx era un appassionato della sua storia (come chi scrive, del resto, che scambierebbe un solo manuale di storia romana per cinquanta di irrilevante e manipolata storia contemporanea), e sapeva bene che il conflitto di classe fra optimates e populares, senatori e cavalieri, ecc.,  stato la chiave della dinamica sociale romana fino agli esiti imperiali augustei e post-augustei. E per finire, il crollo del mondo antico non  stato dovuto al conflitto fra liberi e schiavi (al di l degli argomenti del Kovaliov, la cui storia romana di tipo staliniano  stata la prima lettura di giovent che mi ha acceso l'interesse per Marx), ma  stato dovuto ad un crollo generale della produ- zione classista antica, che ha posto le condizioni per le cosiddette invasioni barba- riche (episodio, peraltro, solo occidentale, perch Bisanzio, che non era certamen- 326 Il materialismo storico di Marx te meno romana di Roma, ha tenuto ancora per mille anni e pi). In definitiva, non intendo certo negare il conflitto fra padroni di schiavi e schiavi. Intendo per negare che questo conflitto sia stato decisivo per il passaggio modale europeo dallo schiavismo al feudalismo, ed intendo anche negare che sia stato decisivo in questo passaggio lo sviluppo delle cosiddette forze produttive, pur tenendo conto delle cosiddette innovazioni tecnologiche medioevali (staffa per i cavalieri in armatura, mulini a vento, gioco dei buoi, rotazione triennale, ecc.). Lo stesso discorso pu essere fatto per la natura della lotta di classe nel medio- evo europeo. Qui certamente assistiamo a momenti di acutissimo conflitto diretto fra i servi della gleba ed i loro padroni (jacqueries francesi del 1358, rivolte inglesi del 1381, ecc.), che sarebbe sciocco ignorare. La stessa rivolta dei contadini tedeschi del 1525, con massacro dei suoi capi religiosi come Thomas Munzer,  stata oggetto di studio particolare da parte di marxisti, da Engels a Ernst Bloch. E tuttavia non sarebbe serio sostenere che la ragione storica fondamentale del passaggio mo- dale del feudalesimo al capitalismo si trovi in questo conflitto classista polare.  noto a tutti, infatti, che allinterno della societ feudale si  poco a poco costituita a partire addirittura dal Duecento una classe manifatturiera e commerciale borghe- se, o meglio protoborghese, che ha poi dovuto subire per alcuni secoli un proces- so di rifeudalizzazione signorile, e che solo dopo altri secoli ed in grazia di fattori esterni (commercio triangolare, ecc.) ha potuto realmente innescare il processo di transizione al capitalismo. Anche qui, come nel caso precedente degli schiavi gre- co-romani, i servi della gleba si distinguono per la loro sostanziale marginalit ed irrilevanza. Ci si pu chiedere, allora, perch nel caso della polarit capitalistica, Marx abbia assegnato ai proletari un ruolo rivoluzionario modale che non aveva in alcun modo contraddistinto le classi sfruttate degli schiavi e dei servi della gleba nei precedenti modi di produzione precapitalistici. In secondo luogo, infatti, la polarit sociale borghesi-proletari, da cui Marx si aspetta direttamente il passaggio modale al comunismo, deve essere fatta oggetto di una analisi particolare, al di l della stessa lettera di Marx. C' qui un classico punto cieco della discussione marxista, punto cieco dovuto alle pie rimozioni di chi preferisce lasciare le cose in ombra piuttosto che smentire i suoi venerati ma- estri. Ma l'atteggiamento pio e politicamente corretto della venerazione filologica e teologica non  mai servito a nulla, se non a rinviare ed a rimandare il momento della verit.  infatti possibile che lerrore di Marx, perch certamente di un errore dia- gnostico si tratta, sia scattato sulla base di un incantesimo di una analogia storica impropria. Nella transizione fra il feudalesimo e il capitalismo, infatti, ci siamo tro- vati in Europa di fronte ad una classe che ha funzionato da fronte avanzato per lo sviluppo delle forze produttive, e cio la borghesia capitalistica inglese settecen- tesca, ed una classe stagnante, o che ha incarnato storicamente la stagnazione delle forze produttive, e cio la nobilt signorile tardofeudale. A questo punto, sembra evidente che Marx si sia irretito in una analogia ingannatrice, facendo di- ventare il proletariato fronte avanzato per lo sviluppo delle forze produttive, e 327 CaprroLo XXXIV la borghesia l'equivalente dei nobili di un secolo prima, e cio il portatore storico della stagnazione. Non riesco a spiegarmi altrimenti un errore diagnostico del genere. La smentita  stata in proposito clamorosa. Il proletariato non si  dimostra- to per nulla il portatore storico dello sviluppo delle forze produttive, e del resto nessuno vede perch avrebbe dovuto esserlo. Le classi subalterne non sono inte- ressate ad uno sviluppo imprenditoriale delle forze produttive, ma ad un sacrosan- to miglioramento individuale e collettivo delle condizioni di erogazione del loro lavoro e soprattutto ad un riconoscimento comunitario sul piano dei costumi (Sitten). In quanto alla cosiddetta borghesia, si sono storicamente notati segni di stagnazione culturale e sociale (la famosa decadenza, peraltro ampiamente sopravvalutata da un insieme di autori, da Tocqueville a Nietzsche, da Pareto a Spengler fino allo stesso Lukcs), ma questi segni sono sempre stati dominati dal rinnovo degli animal spirits dellinvestitore capitalistico. In un'ottica di modo di produzione marxiano, la borghesia non  mai Voltaire, Hegel, Beethoven, Stendhal e Balzac, ma  sempre e soltanto l'insieme statistico degli agenti anonimi ed im- personali della riproduzione capitalistica. Del resto, lo stesso Marx lo ha capito, quando ha parlato degli individui nel capitalismo in termini di maschere di ca- rattere (Charaktermasken). In ogni caso, il succo del discorso  questo: nel modo di produzione capitalistico, al di l dell'errore (comprensibile) di Marx basato su di un incantesimo dellanalogia con la transizione modale precedente, il proletariato non  affatto il portatore storico dello sviluppo delle forze produttive, e la borghe- sia capitalistica non  di conseguenza il soggetto titolare della stagnazione, e tantomeno della decadenza, che  soltanto la trasposizione culturale della sta- gnazione stessa trasfigurata in caduta culturale e di gusto. Questo errore di Marx  comprensibile, ma non  scusabile il fatto che il dogmatismo conformistico lo ab- bia protratto inutilmente per pi di un secolo. Ma qui ha funzionato un'ingiunzione esterna di carattere ideologico: cos come la pressione sociale esterna nel ventennio 1875-1895 ha provocato l'ingiunzione ad una (inutile) dimostrazione scientifica di tipo previsionale positivistico del passaggio necessario dal capitalismo al sociali- smo (il famoso passaggio del socialismo dallutopia alla scienza, che si  rivelato meno scientifico del ritorno paolino del salvatore, la cui maggiore lunga du- rata  sotto gli occhi di tutti), nello stesso modo la pressione sociale esterna del mandato simbolico della classe operaia e proletaria ha provocato negli intellettuali marxisti l'ingiunzione ad una (totalmente inesistente) connotazione della borghe- sia come classe decadente, parassitaria e stagnante, e del proletariato operaio come fronte avanzato dello sviluppo delle forze produttive. Si  qui di fronte ad un inse- gnamento inesorabile: quando la riflessione sociale e storica, giusta o sbagliata che sia, si sottomette per conformismo politicamente corretto ad ingiunzioni esterne, magari filtrate ideologicamente in perfetta buona fede (e questo era sicuramente il caso di Marx, che non era alcun modo un intellettuale organico di ciniche bu- rocrazie corrotte  il termine organico  usato nel senso di rifiuti organici), la rovina  sicura, e prima o poi arriver infallibilmente. 328 Il materialismo storico di Marx Marx non ha mai avuto dubbi sul fatto che non esiste soltanto una condizione operaia, ma esiste invece una vera e propria classe operaia intesa come sog- getto storico rivoluzionario. Se ci fosse soltanto la condizione operaia (e non c' alcun dubbio che esista, e - come dice Marx  che l'essere un lavoratore produttivo di plusvalore sia una disgrazia), sarebbe impossibile dedurre dialetticamente da essa un progetto rivoluzionario. La condizione operaia al massimo pretende riconoscimento dentro il modo di produzione capitalistico, e quasi sempre non lottiene, perch agli intellettuali non piace il grigiore del lavoro manuale, ed ecco perch sono sempre pronti a correre dietro a qualunque straccio colorato che gli venga agitato davanti nella corrida della simulazione situazionistica (Debord). In Marx, piuttosto, esiste un innesto allinterno di una classe filosofica (il proletariato, che ha da perdere soltanto le proprie catene, ed emancipando se stesso emancipa l'intera umanit, perch  la sola classe potenzialmente universalistica, laddove la borghesia non lo , perch agita formalmente valori universalistici, ma poi vive di estorsione di plusvalore, e quindi di sfruttamento) di una classe definita in modo sociologico (l'operaio manuale di fabbrica) ed in modo economico (il salariato che scambia forza-lavoro con salario, e quindi fornisce un valore d'uso maggiore del valore di scambio che riceve). Le classi proletarie, salariate e operaie non si sovrap- pongono, n logicamente n storicamente. Mano a mano che procede lo sviluppo capitalistico, esse vengono integrate attraverso il sistema del consumo e attra- verso la frammentazione individualistica delle vecchie comunit di resistenza pre- capitalistiche, tanto  vero che in generale le vere capacit ed i veri comportamenti collettivi eversivi della classe operaia avvengono dopo un'uscita recente dalle condizioni bracciantili, contadine ed artigiane precapitalistiche (le lotte operaie italiane del biennio 1968-69 ne sono addirittura un esempio da manuale), laddove ad un grado maggiore di integrazione la classe operaia diventa sempre pi ano- nima condizione operaia, in cui la coscienza di separatezza e di essere oggetto di sfruttamento e di vergognosa invisibilit sociale permane  ed anzi a volte addirittura aumenta  ma non esiste pi la soggettivit di essere in quanto tale un soggetto eversivo anticapitalistico rivoluzionario, nonostante il patetico ronzare di gruppetti fondamentalisti marxisti che continuano a suonare questo organetto. Vi sono almeno due sintomi problematici interessanti nel pensiero di Marx, presenti nel cosiddetto Capitolo VI inedito del Capitale e nei cosiddetti Grundrisse. Il fatto per che questi due sintomi problematici non siano stati mantenuti nelle pubblicazioni a stampa fa pensare che lo stesso Marx non era sicuro fino in fondo della loro pertinenza scientifica.  solo un sintomo, certamente, ma la scelta di non pubblicazione in condizioni di possibilit di pubblicare vorr pur sempre dire qualcosa. In primo luogo, Marx sostiene in una citazione che il soggetto rivoluzio- nario capace di superare (aufheben) il modo di produzione capitalistico non deve essere limitato alla classe proletaria, operaia e salariata (come poi tutta la vulgata marxista ripeter bovinamente per un secolo), ma deve essere individuato nel la- voratore cooperativo collettivo associato, dal direttore di fabbrica all'ultimo mano- vale generico non specializzato, lavoratore collettivo alleato con le potenze mentali 329 CarrroLo XXXIV sprigionate dalla stessa produzione industriale capitalistica, potenze mentali che in genere Marx indicava con il termine inglese di general intellect. Nella storia del marxismo pi recente l'insistenza su questa citazione fondamentale  stata soprat- tutto opera del marxista italiano Gianfranco La Grassa, completamente ignorato dal chiacchiericcio fatuo di sinistra, e tuttavia lo stesso La Grassa ne ha anche fornito una critica, sostenendo (con buone ragioni) che questo soggetto si pu forse formare a livello di fabbrica, e cio di unit produttiva integrata, ma non di rete concorrenziale di imprese, in cui il lavoro si spezzetta e si antagonizza, ma non si ricompone certamente. Il che spiegherebbe, se fosse vero (come io credo), il fatto che la condizione operaia non abbia mai dato luogo ad una vera e propria sogget- tivit rivoluzionaria dentro il rapporto di produzione industriale diretto (lultima illusione in proposito  non a caso tramontata e caduta nel discredito generale   stata coltivata dalla corrente teorico-politica del cosiddetto operaismo italiano posteriore al 1956, e tuttora sopravvissuto attraverso tragicomiche metamorfosi). In secondo luogo, Marx sostiene in unaltra citazione che il capitalismo tende, nel suo sviluppo tecnologicamente sempre pi produttivo, a superare la cosid- detta legge del valore-lavoro (e cio lo scambio di equivalenti in base al tempo di lavoro sociale medio contenuto in essi) gi allinterno della stessa produzione capitalistica, per cui ormai le macchine, e solo le macchine, diventerebbero il cuo- re erogatore del cosiddetto lavoro produttivo. Si avrebbero cos le condizioni per laccesso al comunismo (senza neppure la necessit di passare attraverso un purgatorio socialista, nel frattempo divenuto completamente obsoleto e supe- rato storicamente) a partire dai punti alti della produzione capitalistica. Il fatto che Marx abbia sollevato questa possibilit in un quaderno di appunti per uso personale e non l'abbia ritenuta degna di pubblicazione a stampa deve far pen- sare, ma questo di per s non sarebbe un argomento contro la sua plausibilit, che la rende degna di essere presa in considerazione. Si tratta  come  noto agli addetti ai lavori  della tesi di fondo della coppia postmoderna Negri-Hardt (cfr. i due testi Impero e Moltitudini). Ci si ritorner sopra pi avanti. Per ora basti dire che qui si fondono uninterpretazione ulta-economicistica del pensiero di Marx (la rivoluzione  derivata esclusivamente dallo sviluppo delle forze produttive), unita ad una riproposizione integrale dellanarchismo, a volte chiamato surrealmente autonomia (oppure ancora pi surrealmente spontaneismo), in quanto tutte le forme politico-partitiche (ed il partito leninista in particolare) vengono viste come forme omologhe al cosiddetto socialismo, considerato una forma particolarmen- te odiosa di oppressione statalistica sul lavoro. Queste due incertezze di Marx naturalmente gli fanno onore, in quanto si tratta del fisiologico tastare di un pensatore. Ma in esse c' anche il punto cieco di un'incertezza di fondo sulla vera e propria decisivit di un soggetto rivoluziona- rio collettivo, gi proclamato entusiasticamente fin dal 1844, e poi mano a mano problematizzato fino alla tragicit. Ed infatti il pensiero di Marx presenta una com- ponente tragica, che del resto contraddistingue tutti i veri grandi pensatori. E la tragicit sta in ci, che da un lato  vero che il capitalismo  unit di alienazio- 330 Il materialismo storico di Marx ne e di valore, ed in pi  sorgente inesauribile di smisuratezza delle ricchezze, sfruttamento del lavoro vivo, degradazione antropologico-sociale della comunit umana e distruzione degli equilibri ecologici del pianeta, e dall'altro non  affatto sicuro che esistano forze soggettivamente capaci di superarlo (aufheben), perch potrebbero anche non esserci, al di l di una potenzialit ontologica (dynamei on), che per potrebbe restare sempre una potenzialit possibile ontologica senza mai approdare all'atto (energheia). Il marxismo si svilupper (e non poteva essere diversamente!) sulle due basi dellingiunzione ineseguibile alla cosiddetta scientificit e della rimozione del- la possibile tragicit. L'esame di queste due penose caratteristiche verr fatto nel prossimo capitolo. Per ora vale la pena di osservare che la scienza non-filosofica di Marx, e cio la sua teoria del modo di produzione capitalistico inteso come spazio topologico di un rapporto fra struttura e sovrastruttura, sfocia in un modello posi- tivistico-previsionale che non  per in grado di prevedere realmente il passaggio necessario del capitalismo al socialismo. Ne era consapevole lempirico barbuto esule tedesco a Londra Karl Marx?  difficile saperlo. Non disponendo del metodo dellevocazione delle anime dei de- funti e dei tavolini che ballano si pu rispondere sia s che no. Personalmente ten- do a rispondere di s, per quello che Kant definirebbe un giudizio analitico, in cui il predicato  contenuto nel soggetto. Dal momento che la consapevolezza della tragicit  tipica delle persone sensibili ed intelligenti, e Marx era sicuramente una persona sensibile ed intelligente, ne consegue che Marx non poteva che essere con- sapevole della tragicit della storia, e non me lo vedo firmare ad occhi chiusi uno sciocco documento marxista sull'inevitabilit necessaria assoluta del passaggio inderogabile al comunismo. So bene che altre numerose citazioni consentono in- terpretazioni diverse. E tuttavia io interpreto cos la frase-presentimento di Marx alla fine della sua vita: La sola cosa di cui sono sicuro,  che io non sono marxista (dichiarazione di Marx a Lafargue, riportata in francese nel testo, contenuto in una lettera di Engels a Bernstein del 3 novembre 1882). Resta da trattare il decisivo tema dell'ideologia, che porta con s il modello topologico struttura /sovrastruttura. Mi sembra evidente che il termine materiali- smo storico in Marx non ha nulla a che fare con un concetto scientifico di mate- ria, comunque definita, ma  al contrario indice di strutturalismo storico, in cui la struttura occupa il posto della materia (o causa materiale) e la sovrastruttura occupa il posto della forma (o causa formale). In questo modello spariscono sia la causa efficiente (a meno che si intenda la prassi soggettiva del proletariato ri- voluzionario come causa efficiente), sia soprattutto la causa finale (che il modello meccanicistico galileiano-positivistico non prevede, considerandola metafisica e quindi scientificamente impresentabile). In questo modo, il modello aristotelico delle quattro cause diventa il modello marxista delle due sole cause rimaste, e la materia diventa metafora della struttura, mentre la forma diventa metafora della sovrastruttura. 331 CarrtoLo XXXIV  possibile riscrivere un modello scientifico marxista rinunciando alla topolo- gia simbolico-materialistica struttura /sovrastruttura? Sono state date in proposito molte risposte, per cui mi limiter a dare la mia, sia pure in forma necessariamen- te apodittica. In una scienza filosofica della totalit espressiva, che esprime il concetto (Begriff) di negativit del capitalismo, c' soltanto lo spazio logico per le determinazioni dialettiche della totalit stessa nel suo svolgimento logico, e quindi non ci pu essere posto per una topologia spaziale struttura (sotto) e sovrastruttu- ra (sopra), topologia evidentemente derivata dalla costruzione di una casa, in cui i piani abitativi si reggono sulle fondamenta (ed infatti nei sistemi della scienza filosofica di Aristotele, Spinoza e Hegel non ci pu essere alcuno spazio per una topologia spaziale struttura/sovrastruttura). E tuttavia, in un modello di scienza non-filosofica, invece, non si pu fare a mio avviso a meno di questa metafora topologica spazializzata. Per cui in definitiva s, ci vuole la struttura (Struktur), e ci vuole anche sopra la sovrastruttura (Uberbau). Dipende per da che cosa si intende esattamente per sovrastruttura, ed  proprio quello che ora discuter brevemente. Esiste nel marxismo una patologia infausta, ad un tempo mortale e ripugnante, che potremo definire brevemente riduzionismo. La parola per  purtroppo in- sufficiente, perch indica solo una sorta di innocua insufficienza gnoseologica, per cui nella mia considerazione della totalit posso cadere nell'errore di ridurre ec- cessivamente limportanza di alcuni fattori, di cui si tratter di ristabilire lim- portanza con un adeguato raddrizzamento. Tutto questo  fuorviante. Per ri- durre la complessit (uso qui un termine di moda nella sociologia di Luhmann)  a volte necessario effettuare un'operazione consapevole di riduzione e di isola- mento metodologico di fattori, ed in questo non trovo niente di male. Ci vorrebbe un altro termine, tipo peste, o tumore mortale, ma in mancanza di un termine adeguato sar necessario segnalare la patologia con la necessaria severit.  anche poco importante accertare se per caso Marx e Engels fossero stati colpiti da questa ripugnante patologia, e baster segnalare al lettore che essa  come l' AIDS, per cui se ci fai attenzione non te la prendi, e quindi puoi fare all'amore (e cio praticare la scienza filosofica di Marx) senza pagarlo con la vita (e cio con il contagio del riduzionismo). La sovrastruttura esiste, ma essa  soltanto l'ideologia, o meglio l'insieme delle ideologie, forme di coscienza che  comunque  impossibile socialmente non ave- re, per cui un soggetto conoscente-agente privo di ideologia  una pura astrazione dell'intelletto, e non esiste storicamente nella realt politico-sociale storicamente data. Chi solleva l'accusa di ideologia ritenendo di essere lui stesso privo di qualunque ideologia  uno sciocco illuso di essere titolare o di un punto di vista galileiano sul mondo sociale o di un sapere assoluto para-hegeliano sul mondo. In parole semplici, un tronfio imbecille, si dichiari liberale o marxista poco importa. Ed  bene capire questo, perch larte, la religione e la filosofia non sono ideologie, e quindi non fanno parte della sovrastruttura. La sovrastruttura, quindi,  soltanto l'insieme sociale delle ideologie. 332 Il materialismo storico di Marx Come ho detto, non ritengo fondamentale sapere se Marx e Engels redivi- vi avrebbero o no sottoscritto questa mia affermazione o l'avrebbero tacciata di idealismo. Come dicono popolarmente a Roma, non me ne potrebbe fregare di meno. La questione sta altrove, e sta nel fatto che si tratta di una questione di merito. La struttura di un modo di produzione  quindi costituita dal rapporto dialet- tico della contraddizione fra lo sviluppo delle forze produttive sociali e la natura classista dei rapporti sociali di produzione, anche se abbiamo visto nella nostra precedente problematizzazione che questo modello strutturale non garantisce la deduzione scientifica della transizione e del passaggio necessario, che resta solo una potenzialit ontologica possibile (dynamei on). La sovrastruttura di un modo di produzione  costituita esclusivamente dallideologia, che a sua volta  un campo antagonistico di forme di coscienza sociale strutturato al suo interno fra un lato di giustificazione e di legittimazione simbolico-razionale dei rapporti sociali di produzione vigenti (schiavistici, asiatici, feudali, capitalistici, ecc.), ed un lato di opposizione e di contestazione ad essi. Ad esempio il marxismo, di cui mi occuper nel prossimo capitolo,  stato unideologia, o pi esattamente una for- mazione ideologica (aggiungo io: interamente legittima!) di opposizione e di con- testazione al sistema capitalistico, ed il fatto che Marx sia stato o meno marxista  interessante per i suoi biografi, ma  del tutto irrilevante per la storia strutturale, materialistico-genetica ed ontologico-sociale del marxismo stesso. L'arte, la religione, la filosofia non sono di per s ideologie, e quindi non sono sovrastrutture. Certo, esiste,  esistito ed esister ampiamente in futuro un uso ideologico dellarte, della religione e della filosofia. E non potrebbe essere diversa- mente, perch da dove potrebbe l'ideologia parassitare i propri contenuti ideali di riproduzione se non dall'arte, dalla religione e dalla filosofia stessa? Ma allora, se larte, la religione e la filosofia non sono ideologie, e non fanno parte n della struttura n della sovrastruttura di un modo di produzione, allora che cosa sono e di cosa fanno parte? A questa domanda non si potr mai rispon- dere finch si rester prigionieri dellincantesimo dello strutturalismo. L'arte, la religione e la filosofia sono infatti forme permanenti e trans-storiche dell'attivit uma- na eterna di riproduzione ed interpretazione individuali e collettive del mondo, e quindi la loro migliore definizione possibile  stata data da Hegel in termini di spirito assoluto. Esse infatti hanno certamente una storia (ed infatti Hegel forn tre modelli di storia dellarte, della religione e della filosofia), ma non possono ridursi integralmente a storia, laddove invece per sua propria natura l'ideologia  integralmente storia. L'ideologia  il luogo necessario del relativismo e del nichili- smo, cui nessuno di noi (e tantomeno che scrive) potr mai sfuggire, mentre larte, la religione e la filosofia sono invece le sole forme culturali e sociali che possono invece sfuggire al relativismo ed al nichilismo stessi. La riduzione dellarte, della religione e della filosofia a forme di ideologia  quindi la patologia massima e principalissima delle consuete forme di materiali- smo storico, indipendentemente dal fatto (a mio avviso pochissimo rilevante) che 333 CarrtoLo XXXIV si sia trattato di un fraintendimento posteriore del meraviglioso e puro pensiero di Marx e di Engels oppure che si sia trattato di patologie di cui Marx e Engels sono stati i primi portatori. Dal momento che qui non mi occupo di epidemiologia ma di filosofia, o meglio di scienza filosofica in senso hegeliano, possiamo lasciare questo problema del tutto marginale alla marxologia filologica specialistica. A proposito dellarte, ci ritorner sopra pi avanti a proposito della concezio- ne estetica di Lukcs, che condivido nellessenziale nel senso della missione de- feticizzante dellarte, anche se non condivido l'opinione lucacciana per cui essa dovrebbe essere rivolta contro l'alienazione religiosa, che per me non  sempre alienazione, ma lo  soltanto quando  incorporata in formazioni ideologiche di giustificazione e di legittimazione di rapporti sociali di produzione basati sulla diseguaglianza e lo sfruttamento (come peraltro avviene  lo ammetto francamen- te  nella stragrande maggioranza dei casi). In quanto alla religione, appunto, non condivido la tesi tradizionale di origine feuerbacchiano-marxista (derivata infatti indiscutibilmente da Feuerbach e da Marx), secondo cui essa, per sua natura,  sempre e comunque alienazione di un umanesimo terreno (Entfremdung). Quanto alla filosofia, ovviamente, non  possibile diventare eredi della filosofia classica tedesca (come sosteneva verbalmente Engels, salvo poi a fare il contrario - come vedremo) se non si conserva il cuore di questa filosofia, e cio il suo carattere cono- scitivo e veritativo integrale, al di l del disprezzo di mille Lwith per la cosiddetta filosofia per la filosofia. Non si potr infatti salvare il cuore dell'eredit marxiana senza tornare apertamente proprio alla filosofia per la filosofia. 334 XXXV. STORIA DEL MARXISMO 1870-2000 IN UNA PROSPETTIVA STORICO-GENETICA ED ONTOLOGICO-SOCIALE Esistono molte storie dossografiche delle idee marxiste (anch'io ne ho scritta una  e non certo delle peggiori!). Tuttavia queste storie dossografiche del marxi- smo sono tutto, meno che marxiste, in quanto ricalcano e riproducono il metodo opinionistico delle storie generali borghesi della filosofia, per cui le opinioni cadono dal cielo, anche se ad un certo punto hanno una sorta di epicurea devia- zione (clinamen, parekklesis), e si incrociano cos luna con laltra, dando luogo in questo modo ad un educato e pluralistico dialogo filosofico. Ci sono cos opinioni sulla possibilit di una dialettica materialistica della natura, e opinioni che ritengo- no che la dialettica riguardi solo la coscienza umana, e quindi la societ e non solo la natura. Chi opina che vi sia una irresistibile tendenza al crollo del capitalismo attraverso le crisi di sovrapproduzione e di sottoconsumo e/o attraverso laumen- to della composizione organica del capitale e la caduta tendenziale del saggio di profitto, e chi opina che no, non  possibile che il capitalismo cada in questo modo, e ci vuole invece il partito rivoluzionario che organizza le masse proletarie per las- salto finale. C' chi opina che solo la struttura conta, mentre le sovrastrutture non contano niente se non per gli intellettuali chiacchieroni, mentre c' chi opina che invece  proprio sul piano sovrastrutturale della coscienza (di classe, di specie, ecc.) che si avr la possibilit del salto rivoluzionario anticapitalistico. In questo carnevale permanente dellopinare si ottiene quel senso generalizzato di incertez- za, dubbio e paralisi che ci ha con le tavole rotonde pluralistiche televisive, in cui lo spettatore istupidito sulla sua poltrona acquisisce un senso di impotenza, deri- vata dal fatto che cinque cervelloni autorizzati dicono luno il contrario dell'altro, e quindi bisogna tirare la conclusione inevitabile che non c' nessuna soluzione, e sarebbe stato meglio guardare un bel western. In questo pittoresco carnevale dossografico dellopinare ci sta la subordinazio- ne canina del cosiddetto marxismo al peggiore pensiero delle classi dominanti. Personalmente, sono un esperto europeo della classificazione delle varie opinio- ni marxiste, e nello stesso tempo so bene che questa sagra dellopinare non serve assolutamente a far capire le dinamiche strutturali di fondo di quel fenomeno uni- tario chiamato marxismo. In questo capitolo, dunque, lopinare sar ridotto al minimo, mentre si cercher di evidenziare alcuni caratteri strutturali di questa storia. Ma essendo il marxismo un'ideologia, o meglio una formazione ideologica, e quindi una sovrastruttura, si tratta di diagnosticare alcune permanenze strutturale di questa sovrastruttura. La storia del marxismo, sottoposta liberamente al metodo CarrroLo XXXV di Marx,  la storia di una formazione ideologica, e quindi di una sovrastruttura, di cui non bisogna dimenticare mai la struttura sottostante. Questa storia non  quindi in nessun caso la storia di una caduta, e cio di un graduale allontanamento da Marx. Non  quindi in nessun caso la storia di un fraintendimento, e quindi non ha senso  ed  anzi un po vergognoso - far di- ventare il povero Engels il parafulmine di questo fraintendimento. Il povero Marx avrebbe gi capito tutto, ma essendo morto nel 1883 non ha potuto controllare, ed eventualmente fermare, il grande fraintenditore Engels, che gli  sopravvissuto dodici anni (1883-1895), ed in questo modo ha potuto fregarlo, e fregando lui ha fregato tutti noi, imponendoci lindigesto zibaldone del cosiddetto materialismo dialettico (Diamat). Non  cos. Marx aveva lasciato la sua dottrina in uno stato deplorevole di prov- visoriet e di mancanza di sistematicit e di coerenza (e bisognava quindi coeren- tizzarla, make consistent). Esisteva una committenza sociale esterna che ne esigeva la coerentizzazione, e questa committenza sociale esterna era costituita dalla classe operaia della seconda rivoluzione industriale, che si stava organizzando sul pia- no sia politico che sindacale, e che si trovava allinterno della cosiddetta Grande Depressione (1873-1896), per cui  pi che normale che ritenesse che ci potesse essere un crollo della produzione capitalistica (e del resto dopo il 1883 Engels lo ha affermato - erroneamente - innumerevoli volte).  stata questa committenza s0- ciale la matrice storica materiale della formazione ideologica sistematica chiama- ta marxismo, e da questa committenza bisogna partire. Se non ci fossero stati due empirici signori di lingua tedesca chiamati Engels e Kautsky ce ne sarebbero stati altri, probabilmente peggiori. Ed  chiaro che se ci si mette in questa ottica metodologica, che  il contrario di ogni dossografia e di ogni ossessiva attenzione esclusiva all'opinare degli opinanti,  possibile accostarsi alla formazione ideolo- gica marxista come fatto sociale totale, o pi esattamente come ad una struttura sovrastrutturale integrale. Questa formazione ideologica ha a sua volta molti presupposti sistemici, ed  bene cominciare ad evidenziarne tre: la rimozione delle aporie teoriche di Marx (ricordate nel precedente capitolo), con conseguente rimozione dei suoi aspetti tra- gici; l'ingiunzione ineseguibile ad essere in tutti i modi scientifici (e vedremo perch essa era ineseguibile); la distruzione infine (nascosta dalla rivendicazione di eredit) del grande lascito della filosofia classica tedesca, e di Hegel in parti- colare, per cui la verit di una societ si trova soltanto proprio nella filosofia per la filosofia (per usare il termine di Lwith, da lui per usato in modo spregiativo). Tutti e tre questi elementi ideologici sono strutturali, e devono essere dedotti gene- ticamente dalla situazione storica e sociale del periodo. La maggioranza delle sto- rie dossografiche del marxismo non lo fa, ed ecco perch esse sono del tutto inutili per una ontologia dell'essere sociale. Eppure questi tre elementi (e non solo que- sti, ovviamente) sono strutturalmente sovrastrutturali, nellesatto senso che Marx ha dato al termine da lui usato sensibilmente sovrasensibile, e come tali devono essere studiati. 336 Storia del marxismo 1870-2000 in una prospettiva storico-genetica ed ontologico-sociale Il primo elemento strutturalmente sovrastrutturale della costituzione della for- mazione ideologica marxista si basava in modo rigorosamente freudiano (siamo del resto poco prima dellelaborazione del codice psicoanalitico freudiano, e quin- di non c nulla di cui stupirci) sulla rimozione degli elementi tragico-aporetici del pensiero di Marx, da me segnalati sia pur brevemente nel precedente capitolo. Come abbiamo visto,  sicuro che esiste una condizione operaia, fondata sullo sfruttamento e sulla collocazione simbolica in fondo alla scala sociale, ma non  affatto sicuro che questa condizione operaia comporti necessariamente una classe operaia intesa come soggettivit storica rivoluzionaria anticapitalistica. Tutte le aggiunte ad hoc ed eccezioni (uso qua il linguaggio dello storico della scienza Thomas Kuhn), per cui il partito politico marxista fa passare la coscienza di classe ZII (Klassenbewusstsein) dal puro in s sociologico, economico, rivendicativo e sin- dacale al per s politico rivoluzionario, non possono essere sufficienti a levare di mezzo il dubbio iperbolico: e se per caso la condizione operaia non fosse il presup- posto per la costituzione di una vera soggettivit storica chiamata proletariato, o classe operaia rivoluzionaria? Questo dubbio iperbolico  ineludibile, e questa tempesta del dubbio  ovviamente l'equivalente marxista della tempesta del dubbio religiosa. Vedremo in un capitolo successivo che questa tempesta del dubbio  stata la matrice diretta nel 1965 della successiva elaborazione del pen- siero postmoderno da parte di Jean-Frangois Lyotard. La formazione ideologica marxista non poteva assolutamente, per ragioni strut- turalmente sovrastrutturali, accettare questo dubbio iperbolico nel suo apparato simbolico e culturale. Essa si  quindi formata sulla base necessaria della sua ri- mozione. La rimozione, psicoanaliticamente intesa,  fonte inevitabile di nevrosi e psicosi successive, come la storia dossografica del marxismo successivo dimostra a iosa. Nello stesso tempo, il lieto fine (happy end)  un ingrediente indispensabile- per almeno tre strutture narrative di edificazione pubblica: il drammone sentimen- tale hollywoodiano per platee metropolitane subalterne, il racconto escatologico di salvezza per religioni messianiche, ed infine la grande-narrazione marxista in cui l'emancipazione proletaria finale  garantita dalle leggi inesorabili della teodicea storica.  difficile vivere nellincertezza, nellinsicurezza e nel dolore. La grande- narrazione marxista che rimuove la tragicit aporetica della storia, e con questa rimozione prepara tempeste di dubbio e di delusione incredibili, assomiglia per molti versi all'attuale incoscienza ecologica distruttiva, per cui per ora possiamo sguazzare felici nel consumo, in quanto solo i nostri nipoti se ne accorgeranno, ma a noi non importer pi, perch da tempo saremo tutti in un mondo migliore. Nello stesso modo i primi marxisti, con la loro rimozione dell'elemento tragico della storia, scaricarono sui loro nipoti (e cio noi) la consapevolezza della tragi- cit della nostra condizione temporale aporetica. Il secondo elemento consiste in quella che definir l'ingiunzione ineseguibile ad essere scientifici in tutti i modi. L'ingiunzione era chiaramente un vincolo so- ciale, e veniva dal fatto che la societ borghese aveva sostituito Dio con la Scienza divinizzata, ed era quindi necessario, lo si volesse o no, ballare al ritmo di questi 337 CaprroLo XXXV nuovi cantici. La giustizia non era pi rivendicata in nome di Dio, ma in nome della nuova divinit, la Scienza della Storia. Ma questa ingiunzione era inesegui- bile, per il semplice fatto, divenuto oggi chiaro come il cristallo, che dalla scienza della storia non  possibile ricavare logicamente nessuna necessit del comunismo, ed oggi infatti non lo tenta decentemente pi nessuno. Esiste una scuola psicolo- gica americana che studia le nevrosi infantili sulla base proprio delle ingiunzioni ineseguibili che genitori ed educatori stupidi hanno imposto ai bambini stessi. I bambini, di fronte ad ingiunzioni ineseguibili, ma che non sanno essere tali, si colpevolizzano credendo di essere degli inetti e degli incapaci, laddove  la stessa ingiunzione in s ad essere del tutto ineseguibile. Lo stesso  avvenuto per lin- giunzione ineseguibile di far dimostrare alla cosiddetta scienza la necessit inde- rogabile della transizione al comunismo attraverso le contraddizioni oggettive del capitalismo. Ho scritto cosiddetta scienza non perch la scienza correttamen- te intesa non esista, o sia sempre cosiddetta, ma per marcare in modo pi visibile la differenza essenziale fra il modello borghese-positivistico di scienza ed i modelli precedenti, quello della filosofia greca, del concetto religioso di giustizia cristiano, ed infine del concetto di scienza filosofica di Spinoza e di Hegel. Tutti e tre questi modelli precedenti sono migliori, non peggiori, dellingiunzione ineseguibile della deduzione scientifica del comunismo. Mi rendo conto di stare dicendo qualcosa di paradossale, ma seguendo ancora una volta Rousseau  meglio sostenere un paradosso che ripetere un pregiudizio. Un greco antico redivivus giunto a noi con una macchina del tempo, messo di fronte al ricatto dellingiunzione ineseguibile di tipo positivistico di dimostra- re scientificamente il passaggio necessario dal capitalismo al socialismo indipen- dentemente dal giudizio filosofico negativo sulla societ dellalienazione e del- lo sfruttamento, direbbe probabilmente cos: la societ in cui vivete  certamente preda dell'indeterminatezza e della smisuratezza (apeiron); in essa non  possibile alcun equilibrio (isorropia), e alcuna concordia fra i cittadini (omonoia); lisonomia  soltanto formale, perch lisegoria  permessa soltanto al circo mediatico diretta- mente dipendente da una casta minoritaria di potenti (oligarchia); il padrone del mondo, l'imperatore USA in grado di distruggere nuclearmente il mondo intero non  che un despota (tyrannos);  normale che abbiate cercato e continuate a cer- care un qualcosa che possa frenare questa infamia (katechon); e tuttavia non esiste alcuna necessit (ananke), nessuna casualit (tyche) e nessuna contingenza aleatoria (kat to dynatn) che possa salvarvi; la sola salvezza  una scienza del bene e del male (episteme); questa scienza si fonda solo sull'uomo (anthropos), come misura (metron) del bene e del male stessi; e luomo, misura del bene e del male, animale dotato di capacit di ragionamento dialogo e calcolo delle buone proporzioni natu- rali e sociali (zoon logon echon),  potenzialmente in grado (dynamei on) di giungere a vivere bene in comunit (eu zen). Come si vede, non c' nessun bisogno di ricorre- re alla prevedibilit meccanicistico-deterministica di tipo galileiano-positivistico. Eraclito non ne ha avuto bisogno quando ha parlato di fioco semprevivo per indicare la costituzione democratica ed isonomica. Parmenide non ne ha avuto bi- 338 Storia del marxismo 1870-2000 in una prospettiva storico-genetica ed ontologico-sociale sogno quando ha parlato di essere per indicare la permanenza eterna nel tempo di una buona e stabile legislazione. Pitagora non ne ha avuto bisogno quando ha parlato di armonie geometriche nella natura, nella musica e nel corpo per indicare la necessit di una armonia sociale razionale. E potremmo continuare, ma sarebbe inutile per i sordi che ritengono, con un atto di fede assolutamente e provocato- riamente irrazionalistico, che ci sia una cosa chiamata progresso, distinta dagli indiscutibili progressi tecnologici, farmacologici, chirurgici e dell'industria dei trasporti veloci. Un medioevale redivivus su sarebbe anche lui stupito dellingiunzione inesegui- bile di dimostrare la possibilit della iustitia attraverso la dimostrazione positivi- stica di essa con l'adozione del metodo delle scienze naturali. Tommaso d'Aquino avrebbe detto che chi muore di fame ha un diritto naturale assoluto a rubare ai ricchi ci che  necessario alla sua sopravvivenza. Occam avrebbe detto che ogni individuo che pratica i grandi valori di Francesco d'Assisi (paupertas e simplicitas in primo luogo) fa parte della chiesa invisibile dei giusti, e non  necessario ag- giungervi (sta qui il lato sociali del cosiddetto rasoio di Occam, incomprensibile per tutti coloro che interpretano questo francescano inglese come precursore di Locke, Hume, Stuart Mill, Bertrand Russell e Wittgenstein) assolutamente niental- tro, che sarebbe solo inutile, pleonastico e sovrabbondante. Per finire, neppure Spinoza e Hegel, i pi grandi esponenti occidentali della scienza filosofica della conoscenza della verit, capirebbero l'ossessione della co- azione sociale positivistica allingiunzione ineseguibile della dimostrazione d una necessit sociale che porti alla societ giusta della produzione comunitaria e della ripartizione egualitaria del comunismo (marxianamente inteso come la societ in cui ciascuno dar secondo le sue capacit e ricever secondo i suoi bi- sogni  aggiungo io, individualmente differenziati secondo la nozione marxiana di propriet individuale intesa come superamento dialettico della propriet privata capitalistica). Per Spinoza come per Hegel esiste una scienza filosofica della verit comune, che non coincide con il metodo matematico in quanto tale. Chi sostiene che in Spinoza la verit filosofica coincide integralmente con il metodo della fisica mec- canicistica seicentesca deve necessariamente abolire il quinto libro dellEtica, e fare come se non ci fosse, come se bastasse la ripetizione del mantra laico per il quale, Dio essendo identico con la natura, ed essendo la natura oggetto esclusivo e mo- nopolistico delle scienza della natura, la verit delle cose  monopolio delle fa- colt di fisica, chimica e biologia. Ma purtroppo per costoro il quinto libro dellEtica esiste,  stato tradotto,  leggibile e non lascia spazio ad equivoci.  infatti necessa- rio un pensiero filosofico sub specie aeternitatis per interpretare il mondo, in quanto la libert presuppone lo studio disantropomorfizzato della necessit universale. In quanto a Hegel, non  un caso che sia diventato il bersaglio dellantipatia non solo di coloro che non sopportano che la filosofia possa rivendicare una sovranit ideale sull'economia, ma anche e soprattutto di coloro che non sopportano che la cosiddetta scienza moderna (in realt un'ideazione come le altre, rispettabile 339 CarrroLo XXXV certamente perch assolutamente utile, ma non divinizzabile se non per tutti gli idolatri di nuovo tipo) possa essere sottoposta ad un giudizio critico. Possiamo certo dissentire dall'individuo empirico Hegel a proposito delle sue contingenti opinioni sulla famiglia, la societ civile, lo Stato, ecc., ma  difficile trovare qualco- sa da eccepire sul fatto che la natura della convivenza sociale moderna non pu es- sere ricavata da una astrazione quantitativa estrapolata dalle scienze della natura. In definitiva, l'ingiunzione irricevibile ed ineseguibile che ha costretto i primi marxisti (Engels, Kautsky, Plechanov, ecc.) a formulare in modo scientifico il passaggio dal capitalismo al socialismo deve essere storicizzata, e non assolutiz- zata come frutto del progresso. Se lo si fa, essa appare essere soltanto un prodot- to storico integrale del clima positivistico che regnava nel trentennio 1870-1900, ed ancora pi esattamente nel ventennio 1875-1895. Il fatto che sia stata mantenuta per pi di un secolo ha solo una spiegazione storico-genetica ed ontologico-sociale possibile: la subalternit complessiva strutturale, e quindi modale, delle classi proletarie, salariate ed operaie alla visione borghese-capitalistica del mondo, per cui la sovrastruttura ideologica non poteva che conformarsi all'immagine capi- talistica del mondo (Weltbild).  Un discorso analogo, anche se pi articolato e dettagliato, deve essere fatto an- che e soprattutto per il terzo elemento ideologico sopraricordato della confezio- ne della formazione ideologica marxista. Si tratta del rifiuto della filosofia come base di legittimazione universalistica del socialismo, della sua grottesca e riduzio- nistica derubricazione ad ideologia, e della connessa sua identificazione con la gnoseologia. Ho gi molto insistito nei capitoli precedenti che l'ossessione verso la gnoseologia nel pensiero borghese non  n un caso n frutto di un progresso an- timetafisico, ma deriva da due fattori storico-genetici strutturali. In primo luogo, dal fatto che nel pensiero borghese-capitalistico  necessario costituire il soggetto in modo formalistico-naturalistico (cogito di Cartesio, io penso di Kant, ecc.), per- ch questa sua costituzione formalistico-naturalistica  funzionale ad un concet- to destoricizzato e desocializzato di produzione in generale. In secondo luogo, dal fatto che il pensiero borghese-capitalistico aveva bisogno di delegittimare la metafisica teologica, nella misura in cui quest'ultima funzionava come ideologia di legittimazione politico-sociale degli ordinamenti tardofeudali e signorili ancora robusti in pieno Settecento. La distruzione illuministica di questa legittimit inau- gur l'epoca che Fichte chiam della compiuta peccaminosit, cui Hegel cerc di ovviare con la riproposizione di una verit filosofica sui rapporti sociali, e Marx cerc di ovviare con la sua teoria storica ed ontologico-sociale del comunismo. Il rifiuto della sovranit veritativa della filosofia non poteva che comportare linnesco di una confusione borgesiano-kafkiana, evidente ad esempio in Engels. Engels resta comunque un genio (e non solo un talento, come si definiva con ammirevole modestia), e non bisogna trasformarlo in parafulmine per gli errori dello stesso Marx. Engels proclamava, da un lato, che il proletariato era l'erede della filosofia classica tedesca, e poi dall'altro respingeva il cuore immortale della filosofia classica tedesca stessa, il fatto cio che la filosofia in s (pi esattamente, 340 Storia del marxismo 1870-2000 in una prospettiva storico-genetica ed ontologico-sociale la scienza filosofica dell'intero) avesse un carattere conoscitivo e veritativo auto- nomo, laddove il sapere delle scienze propriamente dette (dalla fisica allecono- mia politica), era soltanto un sapere dell'intelletto (Verstand). Ma se il modello di sapere era il modello del sapere dell'intelletto, il ritorno a Kant era inevitabile, ed era parimenti inevitabile la derubricazione della filosofia a gnoseologia, con tut- te le tragicomiche conseguenze. La filosofia marxista nasce cos come una vera e propria commedia degli equivoci, la cui metodologia non pu essere che quel sen- so dell'umorismo a proposito dello studio di Hegel raccontato da Bertolt Brecht nei suoi Dialoghi di Profughi, necessaria introduzione divulgativa alla Scienza della Logica di Hegel. In estrema sintesi, la riduzione marxista dello spazio veritativo della filosofia allo spazio servile della gnoseologia pu essere ridotto a due elementi principali, la teoria del riflesso o rispecchiamento come teoria della conoscenza (Widerspiegelung), e la ricostruzione dicotomica della storia della filosofia precedente come conflitto bipolare fra il materialismo (buono) e lidealismo (cattivo), ove entrambi i termi- ni (materialismo e idealismo, appunto) vengono a loro volta definiti in termini non ontologico (come sono in realt), ma puramente gnoseologici, di cosiddetto primato dell'essere sul pensiero (materialismo) oppure del pensiero sull'essere (idealismo). Questo enigma  in realt un vero e proprio segreto di Pulcinella, se appena lo si indaga alla luce del metodo storico-genetico ed ontologico-sociale. Per quanto riguarda la teoria del riflesso o rispecchiamento (Widerspiegelung), si trat- tava della metafora sociale di un presunto rispecchiamento scientifico-oggettivo di una cosa in s (Ding an Sich) storico-sociale, identificata con la previsione scientifica necessaria del passaggio oggettivo dal capitalismo al socialismo (questa tesi  particolarmente evidente nelle polemiche furiose contro i benemeriti empiriocriticisti del Lenin di Materialismo ed Empiriocriticismo). Per quanto riguar- da invece la ricostruzione dicotomica dell'intera storia della filosofia occidentale precedente come lotta a morte retrospettiva fra idealisti e materialisti (definiti en- trambi in modo gnoseologico e non ontologico), si trattava invece della metafora sociale della retrodatazione simbolica della lotta di classe bipolare fra borghesia e proletariato, in cui la borghesia diventava simbolicamente e metaforicamente l'erede dei (cattivi) idealisti, mentre il proletariato diventava simbolicamente e me- taforicamente l'erede dei (buoni) materialisti. Per chi  dotato di senso dell'umorismo, si tratta di una commedia degli equivoci assolutamente esilarante. Si era di fronte ad un ritorno a Kant, e si chiamava que- sto ritorno a Kant eredit della filosofia classica tedesca. Si era di fronte ad un episodio filosofico proletario del neokantismo, e si chiamava questo episodio recupero del metodo rivoluzionario della dialettica di Hegel respingendone il si- stema conservatore e reazionario.  dunque bene non perdersi nei singoli alberi (per questo consiglio una buona storia dossografico-compilativa del marxismo, il Fetscher, il Kolakowski, il Vranicki, ed ovviamente la mia, la pi critica di tutte), ed impadronirsi di uno sguardo complessivo sullintera foresta. 31 CaprroLo XXXV Iniziamo dalla teoria del rispecchiamento o riflesso (Widerspiegelungstheorie). Essa  sempre stata il pilastro del marxismo sovietico, lunico mai giunto al potere nel mondo (e quindi - non fosse altro che per questo  degno di essere studiato e non liquidato con la supponenza con cui il professore universitario medio di economia e di filosofia corregge distrattamente le tesi di laurea degli studenti). Quando esso croll in modo dissolutivo (1989-1991), i suoi manuali di insegna- mento obbligatorio si basavano ancora su questa gnoseologia, definita materiali- stica, ed irridevano come borghese, religiosa ed oscurantistica la teoria filosofica dell'unit di soggetto-oggetto del benemerito Hegel, il maestro di Marx. Questa teoria  di origine integralmente neokantiana, ed  possibile anche dimostrarlo con una certa facilit. L'origine storica della teoria del rispecchiamento sta nel libro di F. A. Lange Storia del Materialismo, pubblicato nel 1866 ed arricchito ed esteso nella seconda edizione del 1873 (Lange nacque nel 1828 e mor nel 1875 in giovane et, e la sua data di nascita non  casuale, perch  chiaro che visse in un'epoca integralmen- te post-romantica e post-hegeliana, in cui si poteva pensare che Hegel fosse un cane morto). Lange ritiene che il vero Kant sia quello della Critica della Ragion Pura, ed in particolare della prima edizione di essa, in cui il noumeno o cosa in s (Ding an Sich)  il vero limite materiale della conoscenza. Detto questo, Lange criticava anche il materialismo positivistico abituale come riduzionistico, e faceva addirittura l'elogio della religione come mezzo di elevazione, rifiutandone (a mio avviso correttamente) la sua connotazione in termini di alienazione (Entfremdung). Tuttavia, lorganizzazione della conoscenza fenomenica, la sola scientifica possibi- le, risultava dal presupposto limitativo dellesistenza della cosa in s. Il marxista italiano Ludovico Geymonat, seguace di Lange un secolo dopo, ridefin la cosa in s sulla base della teoria funzionalistica della seconda edizione della Critica della Ragion Pura, in cui essa  concepita come concetto limite (Grenzbegriff), inseren- dosi cos nella corrente principale del neokantismo novecentesco (Cassirer, ecc.). Ma le cose non cambiano. Verniciato dellazzurro borghese o riverniciato con il rosso proletario, il neokantismo resta neokantismo, la cosa in s resta la cosa in s, il rispecchiamento resta il rispecchiamento, e non se ne esce. La teoria del rispecchiamento resta un'ipotesi gnoseologica plausibile per il progresso conoscitivo delle scienze della natura, ammesso evidentemente (come io tendo ad ammettere) che i vari paradigmi scientifici siano lun laltro compa- rabili in base a parametri di esattezza, certezza, verificabilit e falsificabilit (si noter l'assenza della paroletta verit, che io riservo alla sola scienza filosofica della valutazione dell'intero sociale in cui viviamo), e non siano invece l'un laltro incomparabili per mancanza di criterio comune (Kuhn, Feyerabend, ecc.). Si pu infatti pensare (come Geymonat pensava, e come abbiamo spesso discusso insie- me nel corso della nostra consuetudine amicale e della nostra comune difesa del marxismo negli anni 1976-1991) che la conoscenza del mondo della natura sia un interminabile avvicinamento asintotico ad una verit assoluta inesauribile., che per noi possiamo solo conoscere come processo progressivo di verit relative suc- 342 Storia del marxismo 1870-2000 in una prospettiva storico-genetica ed ontologico-sociale SI cessive. Era questa la concezione di verit dei filosofi maoisti cinesi come Chang En Tse, di cui Geymonat fece curare una memorabile traduzione. Tuttavia, a mio avviso, questa concezione applicabile alle scienze della natura, non si applica per nulla alla totalit sociale, ivi compresa la totalit sociale della storia universale e delle tendenze del modo di produzione capitalistico. Ammesso che la natura stia ferma, per cos dire, e si lasci rispecchiare, sia pure con la sollecitazione di metodologie artificiali di ricerca tecnologica (acceleratori di particelle, ecc.), la totalit sociale non sta affatto ferma, e quindi non si lascia per nulla rispecchiare, sia pure passando dalla metafora della fotografia statica alla metafora della mac- china a ripresa cinematografica dinamica. Dal momento che la dinamica sociale non esiste senza una prassi umana concreta (a meno che si sia degli strutturali- sti fanatici, la prassi non conti nulla, ma ci sia soltanto un'anonima struttura di strutture!), appare evidente che il polo soggettivo del processo dialettico non pu in alcun modo rispecchiare il polo oggettivo, dal momento che interagisce con esso in modo essenziale.  dunque chiaro che l'adozione della teoria neokantia- na del rispecchiamento, scambiata per ricezione dell'eredit della filosofia classica tedesca (e cio del metodo dialettico di Hegel), si basa solo su di un pittoresco ed umoristico equivoco, peraltro scusabile data la pressione sociale dellepoca ad ab- bandonare la filosofia ad e passare alla cosiddetta scienza (in realt sapere dellin- telletto, Verstand). Alla base, ci sta sempre e soltanto una funzione sociale illusoria di rassicurazione teologica data ai proletari: state tranquilli, non preoccupatevi, la scienza ci garantisce con il suo rispecchiamento oggettivo della realt cos com' che il passaggio dal capitalismo al socialismo non si basa pi su speranze utopiche (risatine moderate del buon militante), ma su dati oggettivi di tipo scientifico (ap- plausi liberatori, ed i militanti passano ad un modesto rinfresco di analcolici e di polpette vegetariane). La ricostruzione dicotomica della storia della filosofia sulla base della polarit fra materialisti ed idealisti  ancora pi esilarante del caso precedente, perch qui si ha a che fare con una retroazione simbolica, allegorica e metaforica della polari- t Borghesia/Proletariato all'intera storia occidentale di duemila e cinquecento anni precedenti. Il positivismo  dominato da una pulsione irresistibile alla riscrittura del passato, paragonabile soltanto alla pulsione temporale in cui la Scienza proce- de contro lIgnoranza e la Superstizione. Ernst Laas scrisse in proposito un'opera in tre volumi, intitolata Idealismo e Positivismo, e pubblicati rispettivamente nel 1879, nel 1882 e nel 1884. Il lettore  pregato di fare attenzione agli anni delle pubblica- zioni. Sono esattamente gli anni in cui fu elaborato il codice espressivo della for- mazione ideologica marxista. Secondo Laas, lintera storia della filosofia deve essere considerata un campo di battaglia (Kampfplatz) fra due soli tipi di dottrina, che egli contrassegna come platonismo e positivismo. Sotto la rubrica del platonismo Laas colloca i filo- sofi pi diversi: Aristotele, Spinoza e Kant per il carattere matematizzante delle loro dottrine; Fichte, Schelling e Rousseau per le loro tendenze verso l'assoluto; Leibniz e Herbart perch pongono una norma morale che non deriva dalla sen- 343 CaprroLo XXXV sibilit; Descartes e Hegel perch affermano un'attivit spirituale spontanea che non  condizionata dal meccanismo naturale; ed infine tutti quelli che in un modo o nell'altro riconoscono un'attivit o principio trascendente, irriducibile alla vita terrestre delluomo. Il platonismo ha cos un primato indiscusso nella storia, giac- ch di contro ad esso il positivismo non pu che allineare i nomi di Protagora, che secondo Laas ne  il fondatore, di David Hume e di Stuart Mill. Lo stesso Comte, per la sua pretesa metafisica di fondare una religione dell'umanit, non  conside- rato da Laas un vero positivista. La classificazione di Laas, oggi dimenticata, ma presa molto sul serio ai suoi tempi, presenta un'irresistibile comicit demenziale, che ricorda la classificazione riportata da Borges sui criteri ordinativi della biblioteca di un imperatore cinese, in cui i libri erano divisi a seconda se erano o meno scritti con finissimo pelo di cammello. Eppure, questa classificazione non era poi qualitativamente diversa da quella proposta da Engels, per cui tutti i filosofi precedenti erano classificati in ma- terialisti, che presupponevano il primato e la precedenze dell'essere sul pensiero che lo rispecchiava, ed in idealisti, che invece pensavano che il loro pensiero po- tesse porre addirittura lessere. Questa dicotomia a mio avviso  talmente stupida ed improbabile che bisogna assolutamente cercare di trovare la derivazione socia- le, che non pu che consistere nella retroazione simbolica, allegorica e metaforica del conflitto bipolare fra borghesia e proletariato fino ai tempi di Mileto, Efeso, Crotone ed Atene.  necessario capire fino in fondo che la demenzialit  un fatto materiale, e la stupidit  un fatto sociale. Se uno stilita bizantino, che decideva di passare la sua vita su di una colonna, ci avesse lasciato un trattato filosofico scritto con gli escre- menti degli uccelli, in cui si affermava che Dio ci osserva dall'alto dei cieli e ci sal- ver o ci condanner a seconda della quantit di sole o pioggia che ci siamo beccati nella nostra vita terrena, solo un razionalista astratto trascurerebbe di collocarlo nel tempo storico in cui  vissuto, per cercare le determinanti sociali e politiche che hanno (sia pure indirettamente) provocato la scrittura di queste sublimi idiozie. E allora non possiamo stupirci che sia Engels che Laas (come del resto la teoria della natura umana di Hume e della produzione in generale di Smith, che non sono affat- to pi razionali di Laas o di Simeone lo Stilita), debbono essere esentati da una considerazione genetico-storica ed ontologico-sociale delle loro produzioni teori- che (come del resto quella dello scrivente, che non posso per fare da solo, ma che richiede lo sguardo critico di altri). I concetti filosofici, e con questo intendo tutti i concetti filosofici, nessuno esclu- so, sono fatti sociali che hanno bisogno di una deduzione storica e sociale, e questo del tutto indipendentemente dal fatto che coloro che provano a farla (da Alfred Sohn-Rethel alla signora Antonopoulou al modesto scrivente), riescano a farla bene in modo convincente, oppure non vi riescano e cadano in un detestabile ri- duzionismo. In questo senso, non c' nessuna differenza fra il concetto di caduta degli atomi in Democrito (considerato materialistico) ed il concetto di dialettica discendente in Platone (considerato idealistico). La deduzione sociale delle cate- 344 Storia del marxismo 1870-2000 in una prospettiva storico-genetica ed ontologico-sociale gorie filosofiche ha un campo omogeneo di applicazione, delimitato da parametri storici e geografici, e non sa che farsene della (inesistente) dicotomia oppositiva fra materialismo e idealismo. La filosofia, infatti, non  una sovrastruttura, ma una permanente attivit umana di tipo transtorico. L'ideologia, invece,  a tutti gli ef- fetti una sovrastruttura, ed  normale che utilizzi strumentalmente le categorie filosofiche per i suoi scopi. Anche la ruota, peraltro, non  una sovrastruttura, ma pu essere usata sia dai carri da guerra di invasori schiavisti sia da benefici vasai in modo strutturalmente alternativo.  del tutto chiaro che le categorie filosofiche sono fatti sociali, che possono es- sere socialmente dedotti con una certa precisione (ed anche ovviamente con una fisiologica imprecisione), ma questo non significa che i loro empirici portatori possono anch'essi essere dedotti dialetticamente. L'empirica esistenza di Platone, Aristotele, Spinoza, Kant, Hegel e Marx dipende dal fatto aleatorio per cui i loro genitori hanno fatto all'amore nove mesi prima della loro nascita, e questi grandi filosofi non sarebbero mai nati se i loro genitori avessero litigato e si fossero separati dieci mesi prima. In proposito, sarebbe errato sostenere che avremmo egualmente i loro sistemi, perch qualcun altro li avrebbe sostituiti scrivendoli, ed adempiendo cos alla loro stessa funzione sociale.  ovvio che non pu essere cos. Cos come sono, questi sistemi filosofici derivano direttamente dallempirica contingenza della concreta personalit dei loro autori. Come direbbe Hegel, bisogna che anche il casuale ed il contingente siano necessari. Chi scrive fa parte di una generazione la cui parte maggioritaria ha compiuto una pittoresca riconversione ideologica da un apparente marxismo estremistico ad un reale neoliberalismo dei diritti umani stessi, ma evidentemente il potere del contingente ha voluto che lo scrivente, in questo simile allatomo epicureo ed alla sua deviazione (clinamen, parekklisis), sia caduto in una diversa traiettoria, per nulla predestinata dal corso della storia universale, che lo ha portato ad opporsi in modo radicale ed implacabile a questa ripugnante deriva generazionale, che quasi sicuramente i nostri discendenti con- danneranno (non subito, per, il purgatorio sar ancora presumibilmente lungo). La sinergia di rimozione della tragicit della storia, di accettazione bovina dellingiunzione ineseguibile alla scientificit predittiva della giustificazione lo- gica della superiorit morale del socialismo sul capitalismo, ed infine dellaccetta- zione della teoria neokantiana del rispecchiamento e della retroazione identitaria dell'inesistente opposizione polare fra materialismo ed idealismo, con conseguente negazione del carattere sociale e storico di tutti i concetti filosofici, ha prodotto un vero e proprio mostro ideologico, che potremmo definire come la formazione ide- ologica marxista classica, oppure il codice marxista primario, usando qui un termi- ne di origine freudiana (la scena primaria, ecc.). Detto questo, senza alcuna pietas retrospettiva, bisogna applicare anche a questo codice la deduzione sociale delle categorie, da cui risulta che questo codice teorico penoso era comunque socialmente necessario, e quindi interamente legittimo sul piano storico e culturale. La classe operaia europea della Grande Depressione (1873-1896), della seconda rivoluzione industriale (l'epoca dell'applicazione pianificata della ricerca scienti- 345 CaprroLo XXXV fica ai processi produttivi), della formazione di partiti e di sindacati strutturati, ecc.,  stata la committenza diretta della formazione ideologica marxista, con tutte le penose caratteristiche che abbiamo appena descritto. Essa era socialmente giu- stificata ad esserne la committente, visto che l'alternativa borghese era molto pi bestiale, perch implicava il razzismo, il colonialismo e l'imperialismo. Con tutta la sua pittoresca inadeguatezza e con tutte le sue contraddizioni alla Borges- Kafka-Brecht, questa sintesi restava moralmente superiore allo zibaldone borghese del tempo, gonfio di giustificazione socialdarwiniana del razzismo, del coloniali- smo e dellimperialismo. Il rimprovero che si pu fare a questa formazione ideologica marxista, infatti, pu soltanto essere quello di essere stata troppo simile alla matrice positivistica e scientistica della cultura borghese-capitalistica. Tutti i tentativi interni a questa tradizione (esemplare quello di Georges Sorel) di modificare radicalmente que- sto codice (con Bergson al posto dellevoluzionismo deterministico di Kautsky, ad esempio) non potevano che fallire, perch ogni innovazione teorica  irricevibile, se il destinatario sociale  intrasformabile. Ed era impossibile trasformare le classi proletarie, operai e salariate di quell'epoca in classi rivoluzionarie capaci di transi- zione modale (e cio da un modo di produzione ad un altro). Esse erano desola- tamente interne al modo di produzione capitalistico, e desolatamente incapaci nel loro complesso sociologico maggioritario (non parlo qui ovviamente di minoranze agenti di avanguardia) di uscire dallimpasto di economicizzazione distributiva del conflitto e soprattutto di nazionalizzazione razzista, colonialista ed imperiali- sta delle masse. Il 1914 fece saltare in pochi giorni losceno baraccone evoluzionista e determinista di Kautsky. Alla luce del 1914, la rivoluzione teorica di Lenin appare necessaria, buona e provvidenziale. Bisogna ignorare  come si fa spegnendo con il telecomando un televisore che emette trasmissioni manipolate  lattuale concerto ideologico di de- monizzazione del 1917. Il 1917 fu benefico, perch non si tratt di un fenomeno deducibile dalla (miserabile) teoria evoluzionistico-deterministica di Kautsky, ma fu un fenomeno di legittima reazione al bagno di sangue imposto nel 1914 dalle borghesie imperialiste. Tutto il chiacchiericcio universitario sul cosiddetto totali- tarismo non  che un patetico rumore di fondo, se lo si paragona alla grandezza dell'iniziativa rivoluzionaria di Lenin. Con questo, non intendo nascondere affatto la mia convinzione filosofica profonda, per cui gli empiriocriticisti avevano sostan- zialmente ragione, ed il materialismo dialettico di Lenin era soltanto una forma dilettantistica di neokantismo alla Lange. Tuttavia, sarebbe sciocco sottoporre ad un esame di filosofia teoretica un grande rivoluzionario che ha fatto la storia, e la cui opera resta in un certo senso immortale! Lenin fu lo Einstein del marxismo. Einstein relativizz il tempo assoluto e lo spazio di Newton (ma anche di Kant). Nello stesso modo, Lenin relativizz la co- scienza di classe proletaria, salariata ed operaia alla funzione rivoluzionaria del partito. I tempi di Lenin erano anche i tempi filosofici di Nietzsche e di Bergson, ed il fatto che Lenin non ne fosse direttamente influenzato non significa che non 346 Storia del marxismo 1870-2000 in una prospettiva storico-genetica ed ontologico-sociale ne abbia assorbito indirettamente i contenuti attivistici ed energetici. Il partito rivoluzionario leninista non  affatto riducibile ad un puro espediente organizza- tivo, come fanno in genere i praticoni del gruppettarismo fondamentalista, esempi di totale incurabilit storica e razionale, ma deve essere inteso come un grande epi- sodio della storia filosofica della soggettivit occidentale, e cos lo tratter e lo intender.  un fatto storicamente documentato, anche se generalmente passato sotto si- lenzio, che Lenin ha cercato di pensare radicalmente il proprio tempo storico leg- gendo la Scienza della Logica di Hegel. I suoi commenti a margine della Scienza della Logica sono stati in proposito un contributo geniale alla storia della filosofia occidentale. Lenin capisce perfettamente che il cuore della Scienza della Logica di Hegel  il ristabilimento dell'unit delle categorie del pensiero e delle categorie dell'essere, o se si vuole del parallelismo di queste stesse categorie (ordo rerum ed idearum) dellEtica di Spinoza. Egli non si ripromette infatti di delegittimare gno- seologicamente la metafisica, ma di comprendere come la civilt borghese abbia potuto rovesciarsi dialetticamente nella pi immonda barbarie, e la categoria di contraddizione dialettica in senso hegelo-marxiano resta la sola a spiegare questo apparentemente inspiegabile rovesciamento. Il soggetto deve allora tirarsi fuori dalla riproduzione meccanica della barbarie imperialistica, ed in questo modo la terza parte della Scienza della Logica di Hegel, la dottrina del concetto, diventa la base teorica dell'iniziativa soggettiva leniniana. Certo, Lenin  ancora profondamente interno al modello della formazione ideolo- gica kautskiana, e quindi deve giustificare di fronte a se stesso ed ai suoi com- pagni dottrinari la propria iniziativa rivoluzionaria, per cui ricorre allespediente epistemologico (a mio avviso del tutto strumentale) per cui nell'epoca dell'impe- rialismo, definito fase ultima e suprema del capitalismo, la transizione al sociali- smo non ha pi bisogno di aspettare la cosiddetta maturazione dello sviluppo delle forze produttive nei punti alti della produzione capitalistica (leggi: USA, Inghilterra, Germania, ecc.), ma pu iniziare a partire dagli anelli deboli della ca- tena mondiale imperialistica (leggi: Russia zarista, ma anche India e Cina coloniali e semicoloniali). Tuttavia, questo non  che un poco rilevante aggiustamento ideo- logico a posteriori. Ci che conta  la mossa soggettiva leninista, che relativizza in modo einsteiniano lo spazio ed il tempo assoluti della produzione capitalistica. La rivoluzione leninista del 1917 per fortuna riusc. Ed in questo modo mostr con i fatti che una rivoluzione socialista era possibile, e non solo idealmente pensa- bile. Vedremo nel prossimo capitolo che l'atteggiamento verso il 1917 fu il fattore determinante per la comprensione della storia del marxismo indipendente, che in quanto tale deve essere distinto dalle due formazioni ideologiche marxiste pro- priamente dette. Le formazioni ideologiche propriamente dette, infatti, furono due e soltanto due. La prima, gi discussa, fu quella elaborata nel ventennio 1875-1895. La secon- da, che ora discuteremo brevemente, fu quella elaborata nel ventennio 1917-1937. Dopo, non ce ne sono state altre. Varianti provinciali particolari possono certo inte- ressare i maniaci della dossografia (fra cui ovviamente chi scrive), ma  bene sape- 347 CarprroLo XXXV re che esistono anche i singoli alberi, ma ci che conta  solo la foresta. E di foreste, per quanto riguarda il marxismo, ce ne sono due, e soltanto due. Non  importante in questa sede fare dettagliatamente la storia della seconda formazione ideologica marxista, che  quella di Stalin. Le sue date pi importanti sono la pubblicazione nel 1925 della Dialettica della Natura, opera manoscritta ine- dita di Engels scritta per appunti di uso personale fra il 1873 ed il 1883, il decreto del 25 gennaio del 1931 del comitato centrale del PCUS, che per la prima volta risolveva in modo politico un dibattito filosofico (quello svoltosi negli anni prece- denti nella rivista in lingua russa Sotto le bandiere del marxismo), ed infine loperetta riassuntiva Materialismo Dialettico e Materialismo Storico, pubblicata da Stalin nel 1938. Possiamo qui tralasciare il contesto del dibattito del tempo, ed anche le di- stinte posizioni prima di Bucharin e poi di Deborin.  invece opportuno cogliere i punti teorici decisivi, dal cosiddetto ateismo scientifico alla naturalizzazione della storia e del processo storico, dalle cosiddette leggi della dialettica al feno- meno pi importante di tutti, il pensiero magico che discende dalla sacralizzazio- ne della fonte da cui sgorgano le posizioni politiche consentite e politicamente corrette. Nellessenziale, nonostante correzioni e liberalizzazioni di dettaglio, la seconda formazione marxista dur anche dopo la morte di Stalin (1953), e si pu dire che si estinse veramente solo con la dissoluzione del comunismo storico no- vecentesco.  Si preferisce generalmente demonizzare semplicemente il marxismo di Stalin, ma  una grave errore, perch la doppia demonizzazione di Stalin e Hitler fa sem- plicemente parte di un'altra ideologia, quella della superiorit della libert sul co- siddetto totalitarismo. In realt la formazione ideologica staliniana, come del resto quella kautskiana precedente, possiede una profonda razionalit sistemica, che deve essere individuata fino in fondo. Non pu infatti avvenire in alcun modo un superamento-conservazione (Auf-hebung), se non si comprende fino in fondo la natura di una costellazione ideologica sorta in una determinata congiuntura storico-sociale. Il decreto politico del 25 gennaio 1931 del comitato centrale del PCUS a proposi- to del dibattito interno alla rivista Sotto le bandiere del marxismo  di enorme impor- tanza, perch svela apertamente che cosa succede quando i filosofi e gli scienziati cedono la sovranit assoluta di cui sono titolari nella loro disciplina (sempre che ovviamente la prendano sul serio e non ne facciano invece esempio per ragioni di ambizione e/o di odio reciproco). In questo caso si trattava di una rivista fon- data su impulso dello stesso Lenin, che proco prima di morire scrisse un articolo intitolato Sul significato del materialismo militante, in cui auspicava che la rivista di- ventasse una specie di societ degli amici materialisti della dialettica hegeliana (sic!). Qui si manifesta a cielo aperto l'equivoco in cui si trovava il Lenin filosofo (grande politico rivoluzionario ed incurabile confusionario in filosofia), per cui da un lato faceva grandi elogi a Hegel, e dall'altro gli negava il cuore massimo e prin- cipalissmo del suo pensiero, il carattere conoscitivo e veritativo della conoscenza propriamente filosofica (quella che Lwith chiamava sprezzantemente la filosofia 348 Storia del marxismo 1870-2000 in una prospettiva storico-genetica ed ontologico-sociale per la filosofia). In ogni caso, dopo la morte di Lenin, la direzione della rivista fu assunta da un gruppo di amici materialisti della dialettica hegeliana (Deborin, Sten, ecc.), contro i quali si sollevarono prima un gruppo di fanatici della scienza pura poi definiti materialisti volgari (per cui tutta la filosofia, e non solo qual- che sua scuola, era un insieme di sciocchezze), e poi un gruppo di anti-hegeliani (Mitin, Judin, ecc.). Era chiaro che lo hegelismo, sia pure mascherato grottesca- mente da materialismo militante, poteva diventare potenzialmente pericoloso, in quanto porta nel suo stesso codice il diritto della filosofia di giudicare la politica. La stessa antipatia verso Hegel nutrita per questa ragione dal liberalismo capitali- stico ed individualistico  nutrita (in modo complementare ed antitetico-polare) dal collettivismo comunista di partito. Interverranno i dirigenti politici, Stalin in testa (che pure aveva seguito privatamente lezioni di filosofia del deboriniano Sten sulla Fenomenologia dello Spirito di Hegel - Sten fin successivamente in un lager e l mor), ed assicurarono la vittoria degli anti-hegeliani. Deborin fece una penosa autocritica, dichiarandosi colpevole di idealismo menscevizzante (sic!). Si ha qui un esempio da manuale della riduzione integrale della filosofia allide- ologia, il che comporta ovviamente la morte della filosofia in quanto tale. La filo- sofia, infatti, pu vivere solamente allinterno di un spazio plurale (un Kampfplatz) di teorie filosofiche confliggenti. Chi scrive non  kantiano (a questo punto anche il lettore pi tardo lo avr capito!), ma si impegnerebbe politicamente per garantire la massima libert di parola ai kantiani, e si vergognerebbe come un ladro di acce- dere ad una cattedra universitaria in cui poco prima il potere politico avesse cac- ciato un kantiano convinto (il che non fece il miserabile Schelling nel 1798 quando Fichte fu cacciato per ateismo). Eppure Lenin, grande rivoluzionario e penoso filosofo, aveva gi dichiarato che il materialismo militante era la filosofia del partito comunista. Questo d luogo al rapporto cinquantennale fra filosofia mar- xista e direzioni politiche comuniste, che fu poi definita la quinta operazione. Come  noto, esistono quattro normali operazioni aritmetiche (addizione, sottrazione, moltiplicazione e divisione). In tutte e quattro queste operazioni si fanno prima i calcoli necessari, e solo dopo viene ovviamente scritto il risultato. Nei dibattiti marxisti successivi, sempre pervasi da odio teologico ed autofagia (gli intellet- tuali comunisti  che io ho avuto modo di conoscere molto bene in quasi mezzo secolo  sono autofagi, nel senso che sono come quegli animali che si divorano gli uni con gli altri), i dirigenti politici prima scrivono il risultato finale, e poi lascia- no al parco animale degli intellettuali organici (nel senso di rifiuti organici) di partito di calcolarlo. In questo senso, il decreto del 25 gennaio 1931  il modello del rapporto fra dirigenti e filosofi di partito. Si tratta di un modello teologico, perch ovviamente nessun apparato sacerdotale lascerebbe alla libera ricerca teologica la sovranit di interpretare la verginit di Maria, la resurrezione dei corpi o lesisten- za fisica dell'inferno e del paradiso, con il pericolo che poi questi ultimi dicano che sono soltanto simboli, allegorie e metafore. Di fronte a questo modello, che ha torto persino quando poi abbia empiricamente ragione nel merito della disputa in questione, un marxista ha solo il compito di fare come Ercole al bivio, e cio 349 CarrtoLo XXXV scegliere fra la sottomissione volontaria e la libert di coscienza. Ma su questo mi soffermer maggiormente nel prossimo capitolo. L'intervento politico di Stalin sul contenuto filosofico della rivista, e sulla sua linea di ricerca, aveva una sua leibniziana ragion sufficiente, che occorre compren- dere fino in fondo. Dal 1929, infatti, si era messo in moto il meccanismo dispotico dei piani quinquennali e dellindustrializzazione socialista, per cui non c'erano pi aree garantite di dibattito, ma soltanto fronti di guerra. Non a caso uno dei vincitori di Deborin, il filosofo Judin (autore poi del pi noto e diffuso Dizionario Filosofico dei tempi di Stalin  che io posseggo nella traduzione francese), parl di combattenti del fronte filosofico. Ovviamente, lespressione  demenziale, per- ch non pu esistere un fronte filosofico, ma soltanto un (a volte necessario) fronte ideologico. Ma allora tutto era fronte. C'era il fronte filosofico, dei militanti del materialismo dialettico contro i nemici del popolo idealisti e spiritualisti (in cui i marxisti eretici ed apostati erano ovviamente ancora pi degni del rogo dei nor- mali pensatori borghesi), con sovranit in ultima istanza dei dirigenti politici. C'era il fronte letterario, in cui il realismo socialista si imponeva contro i lacrimo- si intimisti decadenti. C'era il fronte degli storici, che riscriveva linterpretazione ufficiale del passato secondo l'indirizzo del compagno Stalin e dei suoi fedeli collaboratori (poi massacratisi fra di loro). C'era il fronte degli scienziati, in cui ad una biologia borghese si contrapponeva una biologia proletaria (caso Lyssenko). C'era persino un fronte dei fisici, impegnati a dare uninterpretazione materialisti- ca contro le deviazioni idealistiche della teoria della relativit e della meccanica quantistica. Tutto questo oggi pu sembrare assurdo ed incomprensibile. A mio avviso  certamente deplorevole, ma non  assolutamente assurdo ed incomprensibile, e per quanto mi riguarda le mie competenze specialistiche di bizantinistica mi han- no abituato a considerare le dispute trinitarie (spesso definite dispute sul sesso degli angeli) come qualcosa di serissimo, veri e propri riflessi simbolici di scontri politici e sociali. Lo stalinismo  stato un progetto di militarizzazione integrale del- la societ, sgradevole per chiunque si richiami allilluminismo borghese europeo ed allo stesso marxismo democratico plurale, ma che io insisto a considerare un katekhon sia contro il nazionalsocialismo di Hitler, sia contro il colonialismo impe- rialistico del tempo. Si tratta, ovviamente, di una valutazione di cui porto lintera responsabilit, e che  frutto assai pi di una intuizione olistica sull'intera sto- ria del Novecento che di una argomentazione convincente erga omnes. Chi infatti non considera uno scandalo intollerabile il colonialismo imperialistico dei normali borghesi liberali, e si concentra soltanto sui pittoreschi tratti totalitari di Stalin e dei suoi paranoici compagni, non pu essere affatto di convincimento razionale. Semplicemente, ha una diversa intuizione olistica sul Novecento.  questa la ragione per cui non considero convincibili su questo punto i seguaci di Hannah Arendt, Norberto Bobbio, John Rawls o Jtirgen Habermas. Essi hanno infatti un orientamento gestaltico diverso dal mio. Essi vedono soltanto Auschwitz, men- tre io vedo insieme Auschwitz e Hiroshima. Essi vedono le crapule di Hitler e di 350 Storia del marxismo 1870-2000 in una prospettiva storico-genetica ed ontologico-sociale Stalin, mentre io vedo soprattutto le infamie normali del colonialismo imperia- listico. Mi scuso con il lettore per questa deviazione, ma volevo sottolineare la mia sfiducia verso chi pensa che la filosofia si basi su di un dialogo in via di principio sempre convincente. Il dialogo filosofico non  sempre convincente.  impossibile convincere qualcuno a voltare la testa ed a guardare qualcosa che non vuole guar- dare.  inutile dire che il 1917 non  stato un colpo di Stato totalitario se questo qualcuno non prova unindignazione bruciante per i criminali responsabili della mattanza sanguinosa di milioni di persone nel 1914. Imperterrito, continuer a + blaterare sul colpo di Stato dell'ottobre 1917, come se niente fosse. Ed allora se ne vada in buona pace con il suo Dio. Per quanto mi concerne, il suo Dio non esiste. Il fronte filosofico staliniano aveva bisogno di una religione di riferimento, che fu lateismo scientifico. L'ateismo, infatti,  anch'esso una religione, sia pure rove- sciata, perch mette la Materia al posto dello Spirito, assegnandole per la stessa funzione ideologica di legittimazione. Quello di Marx, influenzato da Feuerbach, era stato un ateismo filosofico di tipo umanistico, che intendeva riprendere a Dio le capacit sociali che secondo Feuerbach e Marx luomo aveva alienato alla divi- nit. Ma Lenin impostava diversamente la questione. Nei suoi Quaderni Filosofici (peraltro anch'essi rivolti ad esclusivo uso personale, come i Manoscritti del 1844 di Marx e la Dialettica della Natura di Engels) Lenin d ragione a Hegel contro Kant, ma poi conclude in questo modo dilettantistico-demenziale, che cito volutamente come esempio di pittoresca confusione: Kant svilisce il sapere per far posto alla fede. Hegel innalza il sapere, assicurando che esso  conoscenza di Dio. Il mate- rialista innalza la conoscenza della materia, gettando nel letamaio Dio e tutta la canaglia filosofica che lo difende. Questo vero e proprio odio teologico rovesciato  di estremo interesse. Dio deve essere gettato nel letamaio con tutta la canaglia filosofica che lo difende. Si tratta di un gesto tipicamente teologico, perch tutti i fondatori di religioni hanno sempre gettato nel letamaio gli idoli precedenti (si pensi a Mos con il vitello doro o Maometto con gli idoli della Mecca). La divinizzazione della Materia mi sembra una semplice metafora teologica della divinizzazione della prassi collettiva comu- nista concentrata nei piani quinquennali. Per questa ragione ai tempi di Stalin la chiesa ortodossa fu umiliata (bisogna dire peraltro che essa aveva sempre appog- giato lo zarismo e benedetto le sue guerre imperialiste  cosa che lapologeta reli- gioso Solzenitsyn sembra sistematicamente dimenticare), i suoi monasteri furono distrutti, furono istituite nelle universit cattedre di ateismo scientifico, ecc. Io ho letto alcuni manuali di ateismo scientifico diffusi in milioni di copie al tempo del comunismo sovietico, e si tratta di testi molto interessanti sul piano ideologi- co. Essi retrocedono al 1760 circa ed al Buon Senso del barone D'Holbach, come se Kant, Fichte, Hegel e Marx non fossero mai esistiti. Al centro ci stanno le cosiddette imposture dei preti. Queste imposture vengono smascherate dalla divul- gazione scientifica. E allora tonnellate di evoluzionismo darwiniano, derive dei continenti, astrofisica elementare, luomo che deriva dalla scimmia, spiegazione scientifica dei miracoli, ecc. Si tratta dello stesso tipo di ragionamenti che s tro- CarrroLo XXXV vano oggi nelle riviste Micromega e L'Ateo, il che fa di Maria Turchetto e Paolo Flores D'Arcais tecnicamente dei successori diretti di Stalin (anche qui, solo il surreali- smo e il paradosso possono veramente spiegare il mondo). Attraverso lonnipoten- za creatrice ed autopoietica della materia viene metaforizzata ideologicamente l'onnipotenza creatrice ed autopoietica del partito comunista auto-divinizzato. In proposito - con coloro che vogliono ancora ragionare  ricordo linterpretazione di Maria Antonopoulou, da me accettata, per cui il concetto moderno astratto di ma- teria non sorge nel Settecento come simbolo operaio, proletario e rivoluzionario degli sfruttati, ma nasce geneticamente come astrazione spaziale della circolazio- ne orizzontale illimitata delle merci capitalistiche. Mi rendo perfettamente conto, per, che la comprensione di questo fatto elementare porterebbe ad esiti ideologici dirompenti, e per questa ragione  impossibile socialmente che venga per ora ac- cettata. Sarebbero infatti smascherati le pretese dell'odierno pensiero laico, che ha assunto Darwin e la divulgazione scientifica come nuovo fronte ideologico di combattimento contro la religione oscurantista, e di essere la linea avanzata del Progresso contro la Reazione, in un contesto storico di occupazione militare dell'Europa da parte di basi atomiche americane e di fine del diritto internazionale fra stati. La naturalizzazione della storia e del processo storico  stata un'esigenza ideo- logica sistemica del marxismo di Stalin, e questa esigenza ideologica sta alla base del cosiddetto Materialismo Dialettico (Diamat), elaborato e sistematizzato dai combattenti del fronte filosofico dopo il 1931. Per questa ragione vengono sa- cralizzati gli appunti privati della Dialettica della Natura di Engels. Collocati nel tempo in cui furono scritti, questi appunti senza pretese non devono eppure essere giudicati troppo male, perch sono caratterizzati da un recupero della dialettica hegeliana, anche se Engels sembra non capire mai che questa dialettica implica un soggetto autocosciente, e non  mai una dialettica di processi del tutto cosali, anonimi ed impersonali (per cui la Natura di Schelling diventa di fatto il Dispositivo di Heidegger). Ed  questa la ragione per cui Engels applica la nozione interamente positivistica di legge al metodo dialettico hegeliano, scoprendo cos tre (del tutto inesistenti) leggi della dialettica. Ho gi fatto notare ripetutamente (ma conviene sempre ripeterlo) che nella Scienza della Logica di Hegel non esiste il concetto di legge, e non esiste neppure la parola (Liedman). Il concetto di legge  puramente positivistico, e positivistiche sono le cosiddette tre leggi dialettiche di Engels. Di esse si pu dire brevemente che non stanno n in cielo n in terra. La prima legge parla di conversione reci- proca della quantit e della qualit (per cui  impossibile mutare la qualit di un determinato corpo senza aggiungere o togliere materia e movimento, cio senza un mutamento quantitativo). Ma questo non c'entra nulla con la dottrina dellesse- re della Scienza della Logica di Hegel. Essa infatti afferma esattamente il contrario, e cio che soltanto la misura pu determinare la fusione di qualit e di quantit, ma siccome la misura implica un misuratore che la misuri, e dunque una sogget- tivit agente,  impossibile parlare di una legge automatica, a meno che si voglia 352 Storia del marxismo 1870-2000 in una prospettiva storico-genetica ed ontologico-sociale affermare la banalit per cui due borghesi su cento persone non possono fare una rivoluzione borghese, ma trenta su cento s, e nello stesso modo dieci proletari su cento persone non possono fare una rivoluzione proletaria, ma cinquanta proletari su cento s, la possono fare. La seconda legge dialettica parla della compenetrazione degli opposti, secon- do cui a ogni realt naturale se ne oppone un'altra, che la implica ed alla quale  a sua volta implicata. Si riformula qui il concetto hegeliano di contraddizione dialettica, che':non  per una legge scientifica, ma una determinazione logico- ontologica dell'essere. Su questo punto lessere naturale e l'essere sociale sono on- tologicamente diversi, perch l'essere naturale non comprende la coscienza, cio la consapevolezza, mentre l'essere sociale  un agire teleologico, che invece implica costitutivamente la coscienza stessa. La terza legge dialettica parla della negazione della negazione, secondo la quale ogni realt viene necessariamente negata per poi essere recuperata ad un livello superiore. Ma qui siamo veramente di fronte a qualcosa di completamente inesi- stente. Bernard Chavance ha fatto notare che l'applicazione al modo di produzio- ne capitalistico di questa presunta (ed in realt inesistente) legge dialettica della negazione della negazione porta ad un insieme di posizioni insostenibili. Viene postulato infatti un inesistente grado zero della societ, che  linesistente e mai esistita produzione mercantile semplice, fatta di piccoli produttori indipendenti che lavorano ognuno per s senza lavoro sottoposto, schiavistico, feudale o sala- riato che sia; poi avviene la negazione di questa di situazione, e cio la societ classista basata sullo sfruttamento; ed infine abbiamo la negazione della negazio- ne, e cio il ristabilimento della situazione di origine, con per in pi la ricchezza dovuto allo sviluppo delle forze produttive (la negazione della negazione). Questa specie di catechismo tridentino colorato di rosso non avrebbe mai po- tuto essere imposto senza una inquisizione poliziesca ed una polizia del pensiero. La polizie del pensiero imponeva ovviamente la pulizia del pensiero da ogni tentazione eretica. Ma mi sembra chiaro che questa indebita naturalizzazione della storia non debba essere valutata sul piano scientifico (in questo caso, il suo voto sarebbe due su dieci), o sul piano filosofico (in questo caso, il suo voto sarebbe quattro su dieci), ma deve essere valutata sul piano esclusivamente ideologico (in questo caso, il suo voto  buono, diciamo otto su dieci). Naturalizzando la storia, e facendolo in un contesto positivistico di negazione del valore conoscitivo e ve- ritativo della filosofia in quanto tale (la lwithiana filosofia per la filosofia), ed in un contesto sociale in cui tutti sanno, anche solo per sentito dire, che soltanto le scienze naturali hanno uno statuto epistemologico serio e sicuro (laddove le scienze sociali sono correttamente percepite come un insieme di opinioni pi che opinabili), si forniva cos all'apparato dei militanti una facile religione prte- d-porter. Il comunismo, nato con Marx come previsione scientifica di un'evolu- zione strutturale del capitalismo, diventava cos unideologia infinita. Un Marx redivivus, oltre ad essere sicuramente condannato a morte dagli apparati ideologici staliniani (ricordo qui la parabola di Cristo portato di fronte al Grande Inquisitore 353 CarrroLo XXXV di Dostojevski), avrebbe avuto un'occasione in pi per esclamare come nel 1882: Ci di cui sono sicuro,  che io non sono marxista. i Eppure il marxismo c' stato, ed ha caratterizzato un intero secolo. Bisogna quindi cercare di comprenderlo, ed  quello che stiamo facendo. In quanto religio- ne di militanti, esso ha prodotto prima di tutto un tipo umano, che Ernst Fischer ha brillantemente definito sosia socializzato, in cui ogni individuo era sdoppia- to (come nel romanzo di Stevenson i famosi Dottor Jekill e mister Hyde) in una persona privata, che coltivava vari dubbi, ed in una persona pubblica, che si sottoponeva a riti di socializzazione forzata (applaudire insieme il capo benevolo, gridare slogans demenziali, urlare il proprio odio rituale verso eretici e dissidenti). La definizione di Fischer di sosia socializzato  buona, ma  ancora migliore quella di pensiero magico di Leszek Kolakowski. Kolakowski ha fatto parte di apparati ideologici comunisti (come chi scrive, del resto), e soltanto che ne ha visto il funzionamento dall'interno pu sapere fino a che punto di abiezione, ipo- crisia e rinuncia alla libert di giudizio personale era possibile arrivare. Ha scritto il poeta futurista Majakovsky: Il partito  una mano a milioni di dita/ stretta in unico pugno/ il partito  la spina dorsale della classe operaia/ il partito  lim- mortalit della nostra causa. Mi immagino Marx, basito e costernato, che ascolta questa follia. Eppure la follia  razionale, come direbbe Shakespeare. Il pensiero magico  il pensiero teologico-identitario, fase suprema dellirrazionalismo, per cui la verit di un enunciato non risiede nella verit e/o nella falsit dellenunciato stesso (base dia del criticismo di Kant che della logica di Hegel, e di tutta indistintamente della tradizione filosofica di tutti i paesi), ma deriva esclusivamente della purezza o dell'impurit della fonte che lo emette. Questo  visibile in tutta la storia del comu- nismo, ma raggiunge il suo apice ed il suo orgasmo nella cosiddetta destaliniz- zazione, seguita al XX congresso del PCUS del 1956. Se a denunciare i crimini di Stalin fossero stati i comunicati della CIA oppure i comunicati eretici della Quarta Internazionale di Trotzky tutti i militanti si sarebbero alzati con la bava alla boc- ca urlando contro questa intollerabile provocazione degli imperialisti e del Giuda Trotzky. Ma se la denuncia, con gli stessi identici termini, veniva dal papa-babbio- ne della congrega, il semianalfabeta ucraino Krusciov, gi grande massacratore di dissidenti nel periodo dei grandi processi 1936-39, allora tutti si stracciavano le ve- sti, gridando: Ma come  stato possibile! Ma come abbiamo potuto non saperlo? Ma come abbiamo potuto permetterlo?. Mascalzoni. Ma questo succede inevitabilmente quando la liberazione umana  pensata nella forma dellasservimento comune ad un unico Liberatore (cfr. Lettera ai Corinzi, 7, 20-4). Il tipo umano che ha sorretto questa caricatura nel pensiero di Marx si  in massima parte riciclato dopo il triennio 1989-91 in apparato di priva- tizzazione selvaggia della precedente produzione socialista. Ne parler nel capito- lo dedicato a Nietzsche ed al suo cruciale e centrale concetto di ultimo uomo. Per ora basti sapere che il pensiero magico regna tuttora, ed il mondo intellettuale in gene- rale non si chiede mai se una certa affermazione sia giusta o sbagliata, intelligente 354 Storia del marxismo 1870-2000 in una prospettiva storico-genetica ed ontologico-sociale o stupida, ecc., ma soltanto se sia stata scritta in una rivista di destra oppure di sinistra. Se la fonte cartacea  impura, allora anche il contenuto  impuro. La cosa farebbe indignare, se non fosse ad un tempo ridicola e sintomatica. Che sia ridicola  evidente.  per pi importante capire che  sintomatica, ed  sinto- matica di due sintomi: il sintomo della corruzione identitaria del gruppo sociale degli intellettuali, ed il sintomo della subalternit incurabile della corte plebea dei plauditores. Ma il grande ed immortale pensiero di Marx non si esaurisce certamente in que- ste miserie, figlie della storia, e che con la storia vanno e vengono. XXXVI. IL GRANDE MARXISMO INDIPENDENTE DEL NOVECENTO, TESTIMONIANZA DI LIBERT, CRITICA DELLO SFRUTTAMENTO CAPITALISTICO ED IMPERIALISTICO ED AUTOCRITICA DELLE FORMAZIONI IDEOLOGICHE MARXISTE DI PARTITO E DI STATO Questo capitolo  un po particolare, ed  pertanto un po diverso dagli altri. Bench sia in parte d'accordo con Gadda, per cui lio  il pi odioso dei pronomi, io mi sento parte attiva ed integrante del marxismo indipendente, che resta la mia scuola filosofica di appartenenza. Appartenenza critica e problematica, ere- tica e marginale, certo, ma pur sempre appartenenza pienamente rivendicata. Certo, le dichiarazioni di appartenenza sono pur sempre soggettive e contestabili, e so bene di dover sopportare dissenso, disapprovazione ed in alcuni casi ostilit e disprezzo da parte di personaggi che si autocertificano come marxisti anche loro. Ma ritengo questo fatto, un po sgradevole e talvolta imbarazzante, del tutto normale. Ci che viene chiamato marxismo, infatti,  costituito da formazioni ideologiche differenziate di tipo militante-identitario (i togliattiani, gli stalinisti, i trotzkisti, i maoisti, gli anarco-comunisti, gli operaisti, i nemici di Hegel, gli amici di Hegel, ecc.), ed ognuno di questi gruppi, lungi dal solidarizzare con gli altri, ne desidera lannientamento, e non potendolo ottenere in mancanza di polizie del pensiero cui demandare la pulizia del pensiero stesso, ne pratica la diffamazione ed il silenziamento. Questo ricorda limmortale scena dei capponi di Renzo nei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni, in cui i capponi destinati ad essere portati in pentola, anzich solidarizzare tra loro, si beccavano furiosamente. Quasi mezzo secolo di frequentazione degli ambienti culturali comunisti (in senso empirico- sociologico, non certo nel nobile senso di Marx) mi ha chiarito le idee sul fatto che, come le strutture di partito comuniste si riproducono mediante feroci lotte di cordate organizzate informalmente, nello stesso modo gli apparati ideologici si riproducono mediante cordate informali di amici impegnati a sostenersi l'un lal- tro ed a diffamare, espellere e silenziare gli avversari. Se poi sei solo, perch non ti sei mai occupato di formare una cordata, la tua emarginazione  inevitabile, sia che tu ti chiami Marx o Engels sia che tu ti chiami Bertoldo o Calandrino. Ancora una volta, per, la colpa non  di Marx. Si tratta sempre, se vogliamo applicare a questa penosa situazione il metodo dello stesso Marx, di una insufficienza sociale oggettiva, che si tratta di diagnosticare. Dichiaro quindi di sentirmi parte integrante ed attiva di una specifica corrente filosofica, definibile come marxismo indipendente. Ma, appunto, qui nasce su- bito un doppio dubbio metodico ed iperbolico: pu esistere un marxismo indipen- dente, oppure per sua propria natura il marxismo indipendente  una contraddi- zione in termini, in quanto la cosiddetta indipendenza  una illusione idealistica 357 CarrroLo XXXVI ed individualistica (una sorta di robinsonismmo marxista), dal momento che noi dipendiamo dalla lotta di classe e dalla nostra collocazione sociale di classe dentro il rapporto di produzione capitalistico? Si tratta con tutta evidenza della versione marxista del vecchio problema del libero arbitrio e della autodeterminazione del volere. Fino a Kant il problema si poneva cos: io posso anche soggettivamente ritenere in buona fede di essere libe- ro, ma in realt il mio arbitrio  determinato da altre forze che mi sfuggono, come Dio (Agostino, Lutero, ecc.), o come la riproduzione della natura (Spinoza, ecc.); la dimostrazione del libero arbitrio del volere  impossibile, perch d luogo ad una delle quattro antinomie dellinconoscibile idea metafisica di mondo; tuttavia posso e debbo postulare la libert del volere come presupposto indispensabile del mio agire morale. Il successo della risposta kantiana  dovuto alla sua sostanziale ragionevolezza. Siamo infatti costretti ad agire, e non possiamo aspettare per far- lo l'aver risolto logicamente il problema dellesistenza o meno della libert del volere. Nello stesso tempo,  del tutto legittimo non accontentarsi di questa impo- stazione antinomica. Il marxista indipendente  messo di fronte a questo dilemma:  certo che io mi penso indipendente, ma lo sono poi veramente? Non dipendo forse dalla lotta di classe e dalla mia collocazione di classe? Non  forse vero - come avrebbe detto Spinoza, o almeno Spinoza secondo Plechanov  che la libert  semplicemente co- scienza della necessit? E allora questo  il primo dilemma che discuter in questo capitolo. A questo  come ai successivi  risponder in prima persona, trascurando la pur interessante elencazione dossografica di come hanno risposto gli altri. Chi vuole sapere questo, vada a sfogliarsi una buona storia dossografica del marxismo. In questa sede, per, discuter filosoficamente tutte le questioni, dando sempre la mia personale versione. Karl Marx ha gi risposto da par suo a questo dubbio iperbolico nella sua tesi di laurea del 1841 sui sistemi atomistici di Democrito e di Epicuro. E lo ha fatto attraverso la metafora della libera caduta in deviazione degli atomi (clinamen, pa- rekklisis), atomi in cui sono chiaramente metaforizzati i comportamenti umani in- dividuali. E cos come gli atomi deviano da una ipotetica linea di caduta necessi- tata, nello stesso modo gli individui deviano da una ipotetica linea retta di caduta necessitata. Il pensiero di Marx nasce dunque da un atto libero di fondazione. Ed  veramente difficile negare ci che risulta filologicamente dalla lettura di questa opera del 1841.  ancora pi difficile sostenere che il Marx giovane, ancora idea- lista, pensava erroneamente di essere libero, mentre il Marx maturo saprebbe di essere necessitato. Ma non diciamo idiozie! Forse che Marx avrebbe scritto il primo libro del Capitale nel 1867 pensando di non essere libero mentre lo scriveva, ma di essere necessitato da inesorabili leggi storiche? Credo che il comune senso del pu- dore dovrebbe scoraggiare l'eventuale idiota che sostenesse una cosa del genere. Eppure lidiozia regna sovrana. In proposito, ho sentito con le mie orecchie so- stenere che Marx poteva permettersi questo atto divino di autodeterminazione fondatrice, ma noi non possiamo permettercela, in quanto sarebbe un atto di orgo- 358 Il grande marxismo indipendente del Novecento glio idealistico piccolo-borghese (e ti pareva!).  infatti la piccola-borghesia, classe idealistica ed anarchica per eccellenza, che rivendica a se stessa la piena libert del volere, mentre il proletariato che sa bene che si vince soltanto mediante la discipli- na e lorganizzazione, sa bene spontaneamente che la cosiddetta libert  solo un'illusione inesistente. Si ha qui una mossa teorica tipica di tutte le religioni: il fondatore divino pu cose che i successori invece non possono pi permettersi. In realt, l'atto della deviazione metaforizzata degli atomi (clinamen, parekklesis) viene simbolicamente ripetuto in ogni processo individuale di adesione alla scienza filosofica di Marx (ed anche alla sua connessa scienza non-filosofica dei modo di produzione, che ognuno pu sovranamente interpretare). Che poi nella pratica si vinca soltanto con la disciplina organizzata  verissimo, ed  unovviet nota a tutti coloro che si muovono in modo organizzato, dalle squadre di calcio alle squadre di pompieri. Si tratta  direbbe Kant  di regole dellabilit e di consigli della pru- denza. Ma tutto questo non c'entra nulla con la questione della libert del volere e della sovranit assoluta del diritto alla interpretazione. E tuttavia, mentre il pensiero propriamente marxiano si  costituito sulla base epicurea della libera deviazione degli atomi (clinamen, parekklesis), la formazione ideologica marxista successiva del ventennio 1875-95 si  costituita sulla base stoica della secolarizzazione storica della necessit (ananke) della provvidenza del mon- do (pronoia). La socialdemocrazia tedesca  stata un fenomeno prevalentemente protestante, e non  stato pertanto difficile secolarizzare il vecchio provvidenzia- lismo religioso luterano in un nuovo provvidenzialismo della necessit storica. Rendersene conto  un gioco da bambini, ed il fatto che pochi se ne siano resi conto fino in fondo (ma ad esempio Walter Benjamin lo ha fatto)  dovuto soltanto alla volont di credere introiettata servilmente dai cosiddetti intellettuali marxisti. Questa volont di credere  un atto intellettuale di umiliazione rituale auto-im- posta, simile ai riti di umilt della chiesa cattolica, in cui si rinuncia alla propria libert di giudizio, considerata una forma diabolica di orgoglio. Credere alla vergi- nit di Maria (o se vogliamo alla sua immacolata concezione  povero Giuseppe! Cornuto e mazziato!) diventa un atto di sottomissione, mentre sarebbe un atto di orgoglio ritenere che tutte le donne, prima di partorire, devono preventivamente perdere la verginit. Tutti i comunisti che hanno per pi di un secolo irriso a questi comportamenti religiosi non si sono mai resi conto di fare esattamente la stessa cosa, quando condannavano i loro compagni (divenuti improvvisamente individualisti piccolo-borghesi o addirittura nemici del popolo) che rivendica- vano la libert dellinterpretazione. Il problema quindi  risolto: la libert di interpretazione del mondo, premessa assoluta della sua eventuale trasformazione,  fondamentale, irrinunciabile e pre- liminare, e titolare di essa  la singola coscienza individuale, e non certamente un corpo sociale. Karl Marx lo ha inequivocabilmente formulato nel 1841, e non si pu essere marxisti, dipendenti o indipendenti che si voglia essere, senza accet- tare pienamente questo principio. Detto questo, si pone per un secondo proble- ma, collegato al primo prima evocato: deve o no un intellettuale marxista essere in CarrroLo XXXVI qualche modo organico alla sua classe sociale di riferimento (in questo caso, il proletariato), oppure pu continuare ad essere marxista senza esserne diventato organico, restando membro di quella che Karl Mannheim chiamava intellet- tualit libera da legami (freischwebende Intelligenz), e che Husserl ha definito il funzionariato dell'umanit? Il tema dellintellettuale organico  stato sollevato da Antonio Gramsci nei suoi Quaderni del Carcere, ed  impossibile discutere di marxismo indipendente senza prenderlo in considerazione. Inoltre, si ha qui a che fare non con un misera- bile burocrate pronto a riciclarsi, ma con una figura di altissima statura morale ed intellettuale. Detto questo, penso che la teoria gramsciana dellintellettuale orga- nico sia sbagliata, e debba essere cortesemente ma ferreamente respinta. Non lo si pu fare, per, senza proporre preventivamente un insieme di argomentazioni razionali. In primo luogo, quando Gramsci la propose, era in una prigione di Mussolini, e non era in alcun modo un dirigente di partito. Gramsci lha quindi proposta gra- tuitamente, ed il fatto che il PCI dal 1943 al 1991 labbia trasformata in codice di sottomissione volontaria per la sua intellettualit di partito non pu essere usato come argomento contro Gramsci. Gramsci era un uomo libero, e non un pagliaccio da apparato. Egli viveva in un mondo libero di idee, non nel mondo manipolato di babbioni urlanti istigati da dirigenti cinici che alzavano le solite grida rauche rivolte ai dissidenti: Chi vi paga? Chi vi paga?, come se l'enunciazione di libere opinioni dovesse sempre essere il prodotto di un pagamento preliminare (alla base di questo atteggiamento ci sta una sorta di spontaneo materialismo volgare, del tipo i negri hanno la musica nel sangue, i siciliani sono tutti mafiosi, e soprat- tutto tutte le donne sono puttane). Dunque, se Gramsci ha commesso un errore, lo ha commesso liberamente, e non certo su commissione. Questo significa che Gramsci, sostenitore della teoria dellintellettuale organico, non era lui stesso un intellettuale organico. In secondo luogo, Gramsci ha proposto la sua teoria dellorganicit degli intel- lettuali nel contesto di una specifica polemica contro Giovanni Gentile e soprattut- to contro Benedetto Croce. Secondo Gramsci, Croce si sente al di sopra delle parti e crede di essere una sorta di sacerdote della libert, ma questo non  vero, perch egli non  certo organico alla libert in generale, ma agli interessi economici e so- ciali della classe dirigente italiana, che  una borghesia agraria (Gramsci scrive pri- ma del boom economico italiano del 1958, in cui la borghesia agraria cede il bastone del comando alla borghesia industriale, peraltro ampiamente foraggiata e protetta dallo Stato) particolarmente parassitaria. Bisogna dire che a proposito di Croce Gramsci ha completamente ragione. Ed  ovvio che avesse ragione, perch lABC del metodo di Marx consiste nel sapere che esistono le classi sociali e lo sfruttamento delluomo sull'uomo. In questa situazione, oggettivamente dicotomica,  del tutto ovvio che gli intellettuali (ma pi avanti ritorneremo su questa ambigua catego- ria) non possono che schierarsi, lo vogliano o no, ne siano consapevoli o meno, e quindi di fatto finiscano con l'essere in un certo senso organici alla borghesia 360 Hl grande marxismo indipendente del Novecento yppure al proletariato. Tutto questo funziona, per, soltanto nella misura in cui il nodo di produzione capitalistico continua ad essere caratterizzato dalla dicotomia storico-sociologica Borghesia/Proletariato, mentre potrebbe non cominciare a fun- zionare pi in una terza et del capitalismo (uso qui il termine proposto dagli studiosi francesi Luc Boltanski e Eva Chiapello), in cui ci si avviasse in un'epoca post-borghese e post-proletaria. Ma questo Gramsci, morto nel 1937, non poteva rertamente immaginarselo. Di questo, per, parler pi avanti. In terzo luogo, tuttavia, Gramsci era a tutti gli effetti un uomo della Terza In- ernazionale Comunista (1919-1943), e quindi un uomo che aveva recepito fino in ondo la lezione leninista (le attuali letture edificanti e manipolate di un Gramsci on-comunista sono un esempio dellopportunismo da fogna delle attuali cupo- e di intellettuali al potere politicamente corrotto). In questa ottica, essere orga- ici alla Classe proletaria, operaia e salariata si identificava al cento per cento con lorganicit al Partito che la rappresentava, che Gramsci con una metafora tratta dal Machiavelli chiamava il Moderno Principe. Ma questa identificazione, che il le- ninista Gramsci considerava del tutto logica, razionale e storica, non lo era per nulla, perch presupponeva ci che non poteva affatto essere presupposto, e cio che per sua natura il Partito continuasse a rappresentare gli interessi storici della classe. Ma si trattava di un presupposto insostenibile. Mano a mano infatti che procedeva l'integrazione sistemica delle classi subalterne nel capitalismo (attra- verso i tre processi interconnessi di economicizzazione distributiva del conflitto, di nazionalizzazione razzista ed imperialista delle masse attraverso gli apparati re- ligiosi, mediatici e culturali, ed infine di integrazione consumistica differenziata), il partito, lungi dal continuare ad essere un Moderno Principe, diventava piuttosto quello che nel 1960 Jean-Paul Sartre (cfr. Critica della Ragione Dialettica) definiva il pratico-inerte. Non sono un ammiratore particolare di Sartre, ma la sua teoria sullintegrazione degli apparati socialisti e comunisti mi sembra nellessenziale esatta. Sartre parte dal fatto che a un certo punto della storia si costituiscono collettivit combattenti cementate da un'identit rivoluzionaria comune, che egli chiama in modo bergso- niano gruppi in fusione. Questi gruppi n fusione hanno in comune una finalit progetto (in questo caso ovviamente il comunismo). E tuttavia, sia che riescano a prendere il potere (ad esempio URSS 1917 e Cina 1949), sia che restino allopposi- zione (partiti comunisti francese e italiano dopo il 1945), ad un certo punto line- vitabile processo di integrazione sociale li porta ad uno stato che Sartre chiama seriale, in cui la loro stessa riproduzione diventa una forma di pratico-inerte. A me sembra chiaro che Sartre non faccia altro che trascrivere in un pomposo lin- guaggio para-bergsoniano la critica trotzkista alla burocrazia staliniana, permet- tendo ai gruppetti estremistici di pensarsi come nuovi gruppi in fusione dotati di finalit progetto, che lottano contro i bestioni burocratizzati comunisti ribat- tezzati pratico-inerte seriale. Si tratta di un errore storico e metodologico, e lo segnaler pi tardi a proposito dellontologia dell'essere sociale, che  a mio avviso del tutto alternativa a questa affabulazione trotzkista. Ma per ora basti segnialase CaprroLo XXXVI che in una certa misura Sartre smentisce effettivamente Gramsci.  infatti del tutto illusorio pensare di poter diventare organico ad una classe che nel frattempo si integra progressivamente allinterno della produzione capitalistica, o di un partito che nel frattempo viene diretto da una cupola burocratica di mascalzoni pronti a riciclarsi come gruppo specializzato di direzione ultracapitalistica. Il dilemma potrebbe essere riformulato cos: Gramsci voleva un soggetto sociale potenzialmente rivoluzionario ed universalistico; in pieno accordo con il Lukcs di Storia e Coscienza di Classe del 1923 egli pensava che questa classe non potesse essere la borghesia, ma potesse esserlo soltanto il proletariato; d'altra parte, secon- do l'insegnamento di Lenin, senza un partito il proletariato sarebbe rimasto per sempre un aggregato economicistico e sindacalistico, condizione operaia e non classe operaia; per questa ragione ci voleva un gruppo sociale specifico e specia- lizzato in conoscenza ed in valutazione, chiamato intellettuali. Bisogna allora discutere la questione degli intellettuali, cuore del problema del marxismo indipendente novecentesco. In proposito, trascurer le consuete formu- lazioni dossografiche, e sceglier la via di una impostazione del tutto personale ed originale. Gli intellettuali non sono certo l'insieme statistico delle persone che usano cri- ticamente l'intelletto di cui ogni essere umano  dotato biologicamente e storica- mente (zoon logon echon). Se cos fosse, ci troveremmo ancora una volta davanti ad un paradosso assai comico, perch i cosiddetti intellettuali sono quasi sempre le persone meno dotate di capacit di giudizio critico indipendente e pi ricattabili dal politicamente corretto dellepoca in cui vivono, dal momento che ne sono loro stessi i costruttori ed i sistematizzatori. Gli intellettuali sono un gruppo sociale specifico il quale, allinterno della ferrea divisione del lavoro sociale che struttura necessariamente qualsiasi societ articolata e complessa (nelle societ tribali pri- mitive, infatti, non ci sono intellettuali, a meno che si decida di chiamare cos gli sciamani e gli stregoni), producono ideazione ideologica, e sono quindi i produttori specializzati di sovrastruttura. Capire questo punto  essenziale, perch in caso contrario la categoria degli intellettuali diventa un grande magazzino in cui ci stanno tutti. Non esiste una lau- rea universitaria in intellettualit. Gli artisti, i religiosi, i filosofi e gli scienziati non sono automaticamente intellettuali, per il semplice ed ovvio fatto che larte, la religione, la filosofia e la scienza sono attivit umane permanenti che per loro stessa natura non possono essere inserite nello schema struttura/sovrastruttura. I medici, gli ingegneri, i ricercatori, i tecnici specializzati, gli insegnanti, ecc., non sono di per s intellettuali, se vogliamo ovviamente usare questo termine con di- scernimento, e non come un grande recipiente in cui bolle un minestrone.  ovvio che la stessa persona pu esercitare una funzione intellettuale in senso proprio ed una non-intellettuale. Il poeta Orazio, ad esempio, non era un intellettuale quan- do scriveva le sue immortali Satire, ma lo era quando propagandava e magnifi- cava la pax augustea. E potremmo ovviamente moltiplicare gli esempi, ma non  necessario, perch  sufficiente impadronirsi concettualmente della questione. 362 Il grande marxismo indipendente del Novecento Incidentalmente, io non mi considero un intellettuale, non ritengo di esserlo, sono imbarazzato ed anche lievemente offeso quando mi si inserisce a forza senza il mio permesso in questa categoria. Lo sono stato a lungo in giovent, ed ero anche fiero di esserlo. Ma ora ritengo di avere idee pi chiare di un tempo, e di aver capito meglio i meccanismi della riproduzione sociale, dellideazione ideologica ed in generale della produzione collettiva organizzata delle sovrastrutture, all'interno sempre di una specifica divisione del lavoro sociale, che  oggi quella ultracapita- listica globalizzata, tendenzialmente postborghese e postproletaria, in cui la fun- zione signorile-feudale degli oratores  stata compiutamente assunta dagli apparati mediatici (clero secolare) e da quelli universitari (clero regolare). Chi scrive aborre la categoria degli intellettuali, e si considera alla Occam un membro della chiesa invisibile di chi respinge globalmente lidea che questa societ si fondi su di una legittimazione morale universalistica, ed alla Marx un singolo che cerca di attin- gere autonomamente e senza mediazioni (ancora una volta l'atomo di Epicuro del giovane Marx nella sua imprevedibile parekklisis) la scienza filosofica espressiva della totalit sociale. Per farlo, oggi, bisogna andare contro il gruppo sociale degli intellettuali intesi come produttori di sovrastruttura e di ideazione ideologica, e sarebbe quindi ben strano che chi si pensa come ostile al gruppo degli intellettuali in quanto tale voglia poi rivendicare di volerne fare parte. In quanto gruppo sociale specializzato nella produzione di sovrastrutture e di ideazione ideologica gli intellettuali sono gi presenti nella tarda antichit. Furono indubbiamente degli intellettuali coloro che nell'antico Egitto idearono il pas- saggio (poi fallito) dalla vecchia religione politeistica di Iside e di Osiride alla nuo- va religione monoteistica del culto del disco solare Aton, e nello stesso tempo non lo furono, se si riconosce alla religione in quanto tale una natura non strettamente ideologica (anche se ovviamente funzionalizzata praticamente allobbedienza del- le masse ed all'accettazione delle gerarchie sociali disegualitarie). E tuttavia un uso troppo generico della categoria rischia di non farci capire nulla della specificit della funzione sociale degli intellettuali oggi. In accordo con lo studioso francese Louis Bodin, tendo a pensare che la categoria sociale degli intellettuali europei in senso moderno nasca soltanto intorno alla fine dell'Ottocento, e che il famoso caso Dreyfus ne sia stato un catalizzatore sociale. Bodin potrebbe anche sbagliarsi. I populisti russi, ad esempio, mi sembrano a tutti gli effetti degli intellettuali, eppure precedono di alcuni decenni il caso Dreyfus. E tuttavia il suggerimento di Bodin resta valido nellessenziale. Nella lotta contro il pregiudizio antisemita, i dreyfusardi si riconobbero come gruppo sociale specifico, e si pensarono come i portatori delluniversalismo critico contro il pregiudizio, replicando cos i vecchi illuministi. Gli intellettuali si pensano quindi come gli illuministi della societ contemporanea. E tuttavia, questa pretesa di universalismo laico  quasi sempre illusoria. Per capire le radici di questa illuso- riet,  necessario distinguere fra tre categorie di intellettuali (uso qui il termine in modo improprio): gli studiosi ed i ricercatori di scienze naturali, i riproduttori tecnici della societ (medici, ingegneri, ecc.), ed infine gli studiosi di filosofia CarrtoLo XXXVI e scienze storiche e sociali (impropriamente dette umanistiche, dal momento che in questa categoria prevalgono e sono ampiamente maggioritari degli anti- umanisti dichiarati). Gli studiosi di scienze naturali (fisica, chimica, biologia, genetica, ecc.) non sono ovviamente degli intellettuali, in quanto i loro codici scientifici vengono stabiliti allinterno delle loro corporazioni professionali, e non sono di per s codici ide- ologici. In laboratorio l'ideologia non entra, e non sarebbe neppure bene che en- trasse. Ovviamente, molti scienziati si lanciano in modo dilettantesco nel dibattito intellettuale, ed in generale difendono la tesi grottesca ed indifendibile per cui la scienza (si intende: la loro scienza)  lunica forma valida di conoscenza, mentre larte serve solo a ristorarci quando siamo stanchi e stressati, ed in quanto alla religione ed alla filosofia si tratta in definitiva di chiacchiere edificanti per adulti rimasti bambini ed adolescenti (il codice  sempre lo stesso, ed  quello stabilito da Auguste Comte nel 1830). Si tratta di una tesi grottesca ed indifendibile, perch persino un commesso di macelleria educato alla riflessione indipendente capirebbe che le procedure uti- lizzate in chimica, fisica e biologia non sono in grado di emettere giudizi politici e morali sul bene e sul male della convivenza sociale. Nello stesso tempo le loro conoscenze sono indubbiamente buone, valide ed utili, ma toccano la certezza e l'esattezza, non certo la verit intesa come sapere sul bene e sul male. Dai labora- tori esce indubbiamente un grande incremento di conoscenza sociale, ma non pu uscire una scienza del bene e del male. Siccome questo  ovvio, allora si risponde che per vivere in societ non abbiamo bisogno di una scienza del bene e del male, che essa sarebbe comunque inconoscibile, e, se conoscibile, normativo-autoritaria (pensiero debole, relativismo, ecc.), e non ce n' alcun bisogno. In questo modo vengono respinti insieme Spinoza, Hegel, Marx e soprattutto i Greci. L'unica nor- mazione (perch lo si voglia o meno una normazione  inevitabile) diventa quindi la riproduzione capitalistica pura e semplice. Il fatto che questo esito catastrofico della storia del pensiero occidentale venga chiamato scienza, e si facciano osceni balli tribali sulla fine della filosofia, ecc., sar, probabilmente giudicato molto severamente dai nostri lontani successori. Il sapere pratico dei medici e degli ingegneri non  ovviamente un sapere intellettuale propriamente detto. Dal momento che le operazioni chirurgiche, le terapie farmacologiche e la costruzione di case, impianti, ponti e strade, ecc., de- vono funzionare per rendere possibile la riproduzione sociale, ed  evidente a tutti che non si tratta di opinioni soggettive, queste discipline sono state salvate dal relativismo e soprattutto dalla oscena distruzione della scuola del cosiddetto Ses- santotto (voto unico, sei politico, contestazione permanente, apologia della dro- ga, ecc.). I codici di queste discipline conoscono ovviamente il fallibilismo, ma non certo il cosiddetto relativismo. Il cosiddetto relativismo non  infatti un'opinione filosofica tra le altre (laltra sarebbe il dogmatismo, con connessa convinzione di possedere la verit e di volerla utilizzare socialmente in modo normativo), ma  un fatto sociale della modernit tardocapitalistica, per cui diventando socialmente 364 Il grande marxismo indipendente del Novecento assoluto il solo valore di scambio di merci e servizi in una societ individualiz- zata, tutto il variopinto mondo delle opinioni pu essere liberalizzato, e quindi relativizzato, e la verit pu finalmente essere abolita diffamandola come resi- duo religioso e metafisico (da qui - non mi stancher di ripeterlo  nasce il fatto sociale della antipatia verso Hegel). Passando agli intellettuali propriamente detti,  evidente che la stragran- de maggioranza di loro viene reclutata nelle universit dette impropriamente umanistiche, e cio di storia, filosofia e scienze sociali. Ma, appunto, si  qui di fronte a ci che Marx chiamava opportunamente falsa coscienza necessaria degli agenti storici. Gli agenti storici si pensano infatti quasi sempre come universali- stici, ma il loro universalismo  un dato ideologico fasullo, perch viene ricavato dalla ipostatizzazione del loro specialismo, il quale specialismo  sempre social- mente determinato dagli interessi dei gruppi che stanno allinterno della ripro- duzione classista della societ. Sarebbe per necessario articolare un discorso dif- ferenziato per diagnosticare le varie forme di elaborazione della falsa coscienza necessaria dei gruppi intellettuali intesi come produttori di ideazione ideologica e di adeguamento sovrastrutturale. Non potendolo fare adeguatamente per ragioni di spazio e di opportunit espositiva, mi limiter ad alcune note orientative, neces- sariamente superficiali. Per quanto riguarda gli storici, la stragrande maggioranza ha sostituito la vec- chia religione monoteistica cristiana, ormai irrisa e considerata cibo spirituale per vecchiette ed altri deficienti, con una nuova religione, la religione dellUnicit dell'Olocausto, e quindi dellunicit di Auschwitz, con conseguente banalizzazio- ne e derubricazione non solo di Hiroshima, ma di tutti i crimini del colonialismo e dellimperialismo (prima guerra mondiale), ecc. Chiunque contesti questa nuova religione espiatoria ed il suo clero rituale (il sionismo, da non confondere ovvia- mente con l'ebraismo e con la religione ebraica), viene portato al rogo mediatico con la doppia accusa (direbbe Socrate) di revisionismo e di negazionismo.  del tutto inutile dire e ripetere che questo rilievo, del tutto ovvio e fattuale, non c'entra nulla con il cosiddetto antisemitismo, e non comporta ovviamente nessuna giu- stificazione dei crimini di Hitler e dei suoi collaboratori. E tuttavia gli storici (pi esattamente: la corporazione tribale-sacerdotale degli storici europei omologati) sono oggi i portatori autorizzati di questa nuova religione per senzadio, che ha sostituito a sinistra la vecchia religione staliniana della materia, cui ho accennato nel capitolo precedente. La funzione ideologica di questa religione espiatoria dell'Olocausto non ha sol- tanto la funzione evidente di legittimare indirettamente i crimini del sionismo e dell'occupazione militare USA del vicino oriente. La sua funzione ideologica prin- cipale resta quella di eternizzare il senso di colpa dell'Europa per aver permesso Hitler, ed in questo modo eternizzare l'occupazione militare permanente da parte degli USA del suolo europeo. Questi rilievi, comunque, pur essendo del tutto pa- cati e razionali (ed a mio avviso anche del tutto evidenti), vengono per percepiti socialmente come bestemmie antisemite intollerabili, cui non bisogna dare nessun 365 CaprroLo XXXVI diritto di parola (casi Irving, Moffa, ecc.). Il fatto poi che la supponente casta degli storici lo capisca oppure no  rilevante solo per i loro parenti, amici e commissio- ni esaminatrici, ma  del tutto irrilevante per la storia universale. La corporazione degli economisti chiama economia la riproduzione comples- siva del sistema capitalistico. L'economia  infatti a tutti gli effetti una econo-mia, nel senso che ha come oggetto il mio della propriet capitalistica. Si tratta di una sfacciata crematistica che chiama se stessa ipocritamente economia, e rimando in proposito alle osservazioni fatte nei capitoli precedenti su Aristotele, Adam Smith, Hegel, Marx, Polanyi, ecc. Claudio Napoleoni, anche lui gi ampiamente citato, ha distinto a suo tempo fra critica dell'economia politica (che non pu essere per sua natura una disciplina universitaria, perch traversa diagonalmente la divisione universitaria delle discipline concorsuali consentite), ed economia politica critica, le cui scuole (Ricardo, Keynes, Schumpeter, ecc.) sono invece inseribili nella divi- sione universitaria del lavoro, ma in cui Marx ed Hegel non possono chiaramente trovare posto (in quanto filosofia che non c'entra nulla con l'economia). Tutti i presunti marxisti che accettano il terreno della cosiddetta economia politica critica sono indubbiamente di sinistra (ed a volte addirittura di estrema si- nistra), ma una cosa  sicura, che non sono marxisti nel senso di Marx. Marx  incompatibile con l'accettazione della divisione universitaria delle discipline, e questa  una delle ragioni (non la sola, per) per cui  generalmente disprezzato ed irriso come metafisico dal sapere universitario. In quanto ai filosofi, ho gi avuto modo di osservare che essi sono di fronte ad un paradosso sociale particolare, in quanto fanno parte della sola categoria sociale al mondo che in maggioranza disprezza la propria stessa disciplina, ed utilizza la cattedra di filosofia per irridere alla filosofia stessa, diffamata come chiacchiera inconclu- dente premoderna e prescientifica. Si tratta peraltro di un paradosso inevitabil- mente irritante e disgustoso, ma anche facilmente spiegabile. Esso  infatti deriva- to da una gigantesca pressione sociale, che deve delegittimare il principio per cui la filosofia  una legittima forma di conoscenza veritativa del bene e del male, in quanto lunico indice del bene e del male, oltre che del vero e del falso, deve essere avocato alla riproduzione capitalistica ed imperialistica assolutizzata. Una volta che questultima venga assolutizzata, tutto il resto  necessariamente derubricato a relativismo. Ma su questo punto mi sono gi soffermato abbastanza. Sono stato costretto a questa lunga parentesi sulla categoria dei cosiddetti in- tellettuali (che aborro e di cui non faccio parte) per uno scopo ben preciso che at- tiene alla comprensione di questo capitolo. Il grande marxismo critico indipenden- te del Novecento, infatti, non  in alcun modo un episodio della storia dei gruppi intellettuali, ma  un fenomeno largamente distino da esso. Tutti i grandi marxisti critici, lungi dall'essere servilmente incorporati allinterno dei gruppi intellettuali maggioritari, hanno invece dovuto prima di tutto demarcarsi da loro, e soltanto dopo aver realizzato quello che molto propriamente Antonio Gramsci ha chiamato spirito di scissione hanno potuto dire qualcosa di utile e di originale, giusto o sbagliato che sia. 366 Il grande marxismo indipendente del Novecento Il marxismo critico indipendente, lungi dall'essere stato un fenomeno di intel- lettuali (Come opina erroneamente Perry Anderson in unoperetta dedicata alla storia del cosiddetto marxismo occidentale),  invece stato all'opposto un feno- meno minoritario il cui presupposto  stato lo spirito di scissione dai gruppi intellet- tuali stessi, regno del conformismo politicamente corretto dellepoca. Tutto quanto di buono, stimolante ed interessante esso ha prodotto deriva infatti dalla capacit di resistenza alla pressione sociale, ai sensi di colpa artificialmente suscitati (per cui l'obbedienza ai burocrati era vista come un segno di espiazione del proprio peccato di nascita piccolo-borghese), alle imposizioni di essere organici (tradu- zione: di accettare lietamente di essere i rifiuti organici del grande movimento di emancipazione sociale), ecc.  bene che questo punto venga capito nel modo migliore possibile, perch il 95 per cento (e mi tengo ancora molto basso) delle ricostruzioni del marxismo critico indipendente lo connota come marxismo degli intellettuali.  esattamente il con- trario. Si tratta del prodotto di una separazione volontaria, di un esodo, di una secessione e di uno spirito di scissione dal mondo degli intellettuali stessi. A que- sto punto, le riflessioni che seguiranno non potranno che essere esplicitamente un insieme di opinioni personali. Pochissimi marxisti critici indipendenti hanno saputo respingere il ricatto posi- tivistico, per cui, per essere appunto marxisti, bisognava prima respingere la cosid- detta filosofia per la filosofia (Lwith). Il mio principale motivo di orgoglio, che ha ispirato tutte queste pagine dalla prima all'ultima,  proprio l'essere riuscito a respingerlo senza per questo respingere il metodo genetico della deduzione socia- le delle categorie. Ne sono consapevole, e non vedo perch non dovrei rivendicarlo apertamente.  invece costernante rilevare quanti pensatori dotati ed originali ab- biano scioccamente introiettato questo dogma positivista, ritenendo cos di essere pi scientifici, e di rifiutare cos la metafisica idealistica. Chi sono i responsabili? Nessuno, naturalmente. La ricostruzione della storia della filosofia non  un processo che si svolge in un'aula giudiziaria, con pubblici ministeri, avvocati difensori e codice-prontuario per l'erogazione delle pene. Io sono uno studioso di storia della filosofia, non certamente un magistrato giudican- te, ed anzi aborro le ricostruzioni giudiziarie della storia della filosofia (Platone reazionario, Lukcs stalinista, Heidegger nazista, Gentile fascista, ecc.). Si tratta di cibo per mascalzoni, che non potendo competere con i grandi sul loro terreno, ritengono di risolvere la questione diffamandoli. Oggi gli intellettuali sono par- ticolarmente impegnati in questo gioco mediatico al massacro, e questa  un'enne- sima buona ragione per separarsi da loro. Responsabili, quindi, no certamente. Ma nello stesso tempo non  possibile evi- tare di esercitare una legittima critica. Marx ha sovrapposto una scienza filosofica della valutazione critica negativa della totalit sociale capitalistica ad una scienza- non-filosofica della considerazione avalutativa della dinamica strutturale dei modi di produzione. Engels ha commesso veri e propri errori (scusabili, tutti gli errori sono per principio scusabili, e chi  senza peccato scagli la prima pietra), scambian- 367 CarritoLo XXXVI do lo statuto teorico di un neo-kantismo positivistico (Lange, Laas, ecc.) per una ripresa critica della filosofia classica tedesca. Lenin ha commesso vere e proprie ca- stronerie filosofiche, sostenendo che i filosofi idealisti sono soltanto preti travestiti, e lidealismo non  altro che una copertura ideologica colta della religione. Come abbia poi potuto valorizzare Hegel ed auspicare la formazione di gruppi di amici materialisti della dialettica hegeliana (che  ovviamente inseparabile dallideali- smo, e non  riducibile a metodo come pensava Engels), fa parte dei misteri glo- riosi della storia sacra del marxismo rivolta ai confusionari impenitenti. A me sembra ovvio che il grande idealismo di Fichte e di Hegel non fa parte di una copertura colta della religione, e gli apparati sacerdotali lo hanno sempre capi- to molto bene, espellendo Fichte per ateismo dall'universit nel 1798, e conside- rando sempre Hegel un pericolosissimo ateo in pectore (vedi scomuniche cattoliche di Croce e Gentile, ecc.). Lidealismo ha semmai sempre rifiutato di dichiararsi ateo e materialista, ma questo  dovuto a ben precise ragioni filosofiche, e non deve essere considerato frettolosamente come frutto di opportunismo furbesco. L'ateismo, infatti, resta sempre un sapere dell'intelletto astratto (Verstand), perch si limita a negare lesistenza dello stesso oggetto esterno (il Dio personale e creatore, lIngegnere cosmico-stellare del creazionismo, il Giudice Spaziale che manda in Paradiso, in Purgatorio ed all'Inferno, e via antropomorfizzando pi o meno grotte- scamente), di cui invece il teista-credente afferma lesistenza. Ma non si pu chiedere decentemente allidealismo di diventare un ateismo materialistico, e non tanto per la questione di Dio, ma proprio per la questione della critica della ragione (Vernunft) alle pretese dell'intelletto astratto (Verstand). Negare e/o affermare Dio fa infatti sempre parte del pensiero dell'intelletto (Ver- stand), che  lo stesso pensiero che sorregge le scienze della natura prodotte dalla matematizzazione del mondo. Ci che conta, la sola cosa che conta,  come lessere sociale concepisce e si rappresenta l'assoluto. Il fatto che ne neghi o ne affermi la datit esterna  certo interessante, ma non sfiora neppure il problema. Hegel lo aveva capito, ed  questa un'altra ennesima ragione dellantipatia verso Hegel. Tutti i cretini necessariamente antipatizzano per chi  meno cretino di loro. La tentazione di respingere la filosofia per la filosofia (Lwith)  stata gran- de nel marxismo critico del Novecento, e qui ricordo soltanto ancora le scuole di Galvano Della Volpe e di Louis Althusser. Galvano Della Volpe si  inventato un impossibile marxismo galileiano, ma appare evidente che il pensiero di Marx, essendo una scienza filosofica basata sull'unit di conoscenza e valutazione, non pu dar luogo ad una conoscenza di tipo galileiano, basata su di una ideazione che attua una quantificazione del mondo della natura (e solo di essa, poich un galilei- smo sociale  una vera impossibilit categoriale). L'allievo di Galvano Della Volpe, Lucio Colletti, ha effettuato un vero e proprio harakiri rituale e positivistico del marxismo di estremo interesse, ed  consigliabile in proposito un suo saggio esemplare, ad un tempo grottesco e protervo, pubbli- cato nel 1996 sulla rivista Micromega, ed intitolato Fine della filosofia? (il punto interrogativo  ingannatorio, perch in realt il testo annuncia un punto finale e 368 Il grande marxismo indipendente del Novecento basta), in cui l'odio verso Hegel diventa un vero e proprio odio verso la filosofia in quanto tale, accusata di voler mettere al centro luomo in un universo che in realt non ha alcun senso.  chiaro che Marx intendeva cercare un senso al mondo, in buona compagnia con Socrate, Spinoza, ecc. Ma larrogante proclamazione che il mondo non ha alcun senso, e la scienza ce lo dice,  in realt un fenomeno di pentimento sociale di un intero gruppo intellettuale (gli intellettuali storicisti ita- liani di sinistra), che ha scambiato il proprio empirico approdo allinsensatezza tout court (e questo  particolarmente ridicolo provenendo da un gruppo di critici della cosiddetta ipostatizzazione - ma non poteva certo venirgli in mente di stare ipostatizzando la propria personale insensatezza con linsensatezza in generale). E comunque la lettura di questo testo di Colletti, ad un tempo grottesco e protervo,  di grande interesse, perch mostra a cielo aperto che lodio verso Hegel sfocia facilmente in odio verso la filosofia tout court. Il rifiuto radicale della filosofia nella scuola di Louis Althusser ha esiti ben di- versi, perch il cuore del pensiero di Althusser (per usare la concettualizzazione che ho proposto nei due capitoli che ho dedicato a Marx) si basa sul rifiuto che vi sia in Marx una scienza filosofica, ed invece su di una piena accettazione che vi sia invece una scienza non-filosofica dei modi di produzione. E tuttavia, siccome in realt non  cos, perch in Marx non pu non esserci un'unit dialettica di cono- scenza e di valutazione (in caso contrario, dove fondare il comunismo? Forse in un movimento anonimo ed impersonale di strutture che muovono altre strutture?), il mantenimento testardo di questa indifendibile posizione porta ad oscillazioni penose, dalla riduzione della filosofia a lotta di classe nella teoria ad un poco cre- dibile materialismo aleatorio, che in realt  una religione irrazionalistica del culto della casualit e della contingenza, che ognuno riempie poi come vuole nella pi totale arbitrariet (arbitrariet ed aleatoriet sono infatti unite come i denti e le labbra). In ogni caso, se Colletti ha avuto un esito grottesco e protervo, Althusser ha avuto soltanto un esito testardo. Le due posizioni non devono essere messe sullo stesso piano. Il grottesco odio verso Hegel  formalmente lo stesso, ma gli esiti non sono gli stessi, perch Althusser resta soggettivamente nello spazio del marxismo critico indipendente. Persino in Lukcs, che considero personalmente il punto pi alto del marxi- smo indipendente novecentesco, la paura di cadere nella filosofia per la filoso- fia (Lwith) assume forme francamente un po ridicole. Lukcs adotta la teoria engelsiano-leniniana del rispecchiamento (Wiederspiegelung), in piena contraddi- zione logica con la sua teoria dell'ontologia dell'essere sociale, e deve quindi limitare i rispecchiamenti a tre (quotidiano, scientifico ed estetico). In questa concezione la religione resta a tutti gli effetti alienazione, mentre la filosofia viene di fatto ridotta ad ideologia, e cio a sovrastruttura. Si tratta di un errore molto grave, ma riservo la sua discussione e la sua correzione al capitolo che dedicher esplicitamente al suo pensiero. Io sono infatti un sostenitore integrale dellontologia dell'essere so- ciale, ed in questo Lukcs  un mio maestro riconosciuto cui devo ammirazione 369 CarrroLo XXXVI e gratitudine, ma nello stesso tempo non posso accettare la versione che lui ne ha dato. Ci sono ovviamente state eccezioni in questo rifiuto della filosofia per la filoso- fia, che non  altro che la filosofia tout court. E c' voluto anche un certo coraggio, per andare contro lassordante concerto positivista e scientista, uno scientismo che  a sua volta una patologia filosofica, e non ha nulla a che fare con la benemerita scienza propriamente detta. Il momento forse pi significativo di questo corag- gio di rivendicare la natura conoscitiva e veritativa della filosofia sta forse nellope- ra di Herbert Marcuse del 1941 Ragione e Rivoluzione, in cui il legame teorico fra Hegel e Marx  esposto in modo a un tempo sistematico e convincente. Si distingue in questa corrente il grande libro di Karel Kosk Dialettica del Concreto, immortale lavoro della fenomenologia critica della pseudo-concretezza. E si sia d'accordo oppure no (ed io non lo sono) in questa nobile corrente ci sta anche la Dialettica Negativa di Adorno, insieme con le opere utopiche di Ernst Bloch. Non si tratta infatti di firmare in blocco questo insieme di opere. Sarebbe sciocco ed anche impossibile. Si tratta invece di riconoscere in questo gruppo eterogeneo di opere il punto essenziale da valorizzare, e cio il riconoscimento del pieno carattere cono- scitivo e veritativo dell'attivit filosofica in quanto tale, proprio di quella che viene sprezzantemente liquidata come filosofia per la filosofia. E da questo punto di vista non bisogna dimenticare neppure Antonio Gramsci. La sua filosofia della prassi, infatti, appartiene integralmente a questa nobile tradizione. Nonostante non avesse alle spalle studi filosofici, ma studi universitari di tipo linguistico e letterario, Antonio Gramsci era un filosofo di razza, e dei filosofi di razza aveva la capacit intuitiva di cogliere sempre il punto essenziale della questione, capacit quasi sempre scoraggiata e soffocata nelle facolt specialisti- che di filosofia. In questo caso il cuore della questione stava in ci, che il termine materia in Marx non ha alcun rapporto con una qualsivoglia dialettica della natura e delle sue (inesistenti) leggi scientifiche, ma  una semplice metafora della prassi rivoluzionaria. Per questa ragione la sua filosofia  una filosofia della prassi. Gramsci  nellessenziale un allievo italiano di Sorel, perch al tempo del marxismo della Seconda Internazionale (1889-1914) soltanto Sorel  stato realmen- te un'alternativa potenziale del marxismo deterministico di Kautsky, ed il fatto che sia sempre rimasto un marginale (Lenin lo defin un noto confusionario), mentre Kautsky sia stato un riverito ed onorato papa rosso  dovuto ad un fatto sociale, messo brillantemente in luce nelloperetta di Eric Matthyas Kautsky ed il kautskismo. Il kautskismo, infatti, era la cerimonia rituale della messa della domenica, che san- tificava lattivit feriale della socialdemocrazia tedesca. Il pensiero filosofico di Gramsci si form nella polemica contro il meccanicismo marxista, da un lato (Nicolai Bucharin ed Amedeo Bordiga in particolare), ed con- tro il neoidealismo italiano, dall'altro (e cio Benedetto Croce e Giovanni Gentile). Demarcandosi da costoro, Gramsci individu brillantemente il comune positivi- smo che ci stava sotto, e la comune santificazione del fatto in quanto fatto (su questo punto anche Marcuse, nella sua opera del 1941, defin il neoidealismo di 27 Il grande marxismo indipendente del Novecento Gentile una forma mascherata di positivismo e di culto del fatto). A mio avviso, solo l'inerzia scolastica del politicamente corretto impedisce di connotare il pensie- ro di Gramsci come idealista, laddove mi pare evidente che lo sia. E d'altronde il suo grande rivale Amedeo Bordiga, che lo rispett sempre pur non condividendo una sola parola di quanto sosteneva, connot sempre corretta- mente il pensiero di Gramsci come idealismo filosofico. E questa  anche la mia valutazione, che per  rovesciata rispetto a quella di Bordiga, nel senso che ci che per Bordiga era male, per me invece  bene, anzi benissimo. D'altra parte Bordiga, su questo punto coerente con se stesso, rest fedele alla teoria della prevedibilit matematica di un crollo del capitalismo, ed in una lettera del 4 marzo 1969 allami- co di giovent Umberto Terracini, scritta un anno prima della morte, se la prese con la peggiore muffa interclassista, la giovent cosiddetta studente ed afferm di stare aspettando entro il 1975 larrivo della nostra rivoluzione comunista plu- rinazionale, monopartitica e monoclassista. Bordiga era ingegnere di professione, e solo un ingegnere pazzo pu veramente pensare di poter calcolare larrivo della rivoluzione comunista come si calcola la resistenza dei materiali di un ponte. E tuttavia io rispetto molto di pi (pur ovviamente non condividendola) questa lucida follia deterministica di quanto ri- spetti i deliri desideranti dellarbitrio aleatorio. Almeno Bordiga si  impegnato in una data precisa (1975), ricavata sulla base di folli calcoli matematici sulla caduta tendenziale del saggio di profitto, ed in questo modo si  scoperto davanti al principio popperiano di falsificabilit. Un qualsiasi osservatore onesto, a questo punto, dovrebbe concludere che lidealismo della prassi alla Gramsci si  rivelato sulla distanza pi realistico del materialismo alla Bordiga. Senza una prassi con- sapevole e cosciente, infatti, prassi che  azione teleologica progettuale orientata, la potenzialit sociale del comunismo (dynamei on) non potr mai e poi mai giungere all'atto (energheia). E tuttavia, il punto massimo dell'orgoglio che pu rivendicare il marxismo cri- tico indipendente  stata la sua capacit di distanziamento critico che ha saputo tenere per pi di settant'anni rispetto al socialismo realizzato ed alle sue aporie, e cio rispetto al comunismo storico realmente esistito (1917-1991). Quasi sempre questo distanziamento critico, che sarebbe stato pagato con la morte o con la pri- gione negli stessi paesi socialisti, si univa al consenso nei confronti della funzio- ne storica positiva di quegli stessi regimi che avrebbero ucciso o incarcerato il dis- sidente socialista. In questo non c' stato nessuna stupidit e nessun masochismo. C'era, invece, la registrazione di una tragedia storica, del tutto incomprensibile per chi non ha preventivamente capito (anche sulla base dellinsegnamento dei Greci) che la storia  di per s tragica, e la tragicit  la sua fisiologia, non la sua patologia. Nel clima di riscrittura della storia e di annientamento pianificato della memo- ria, sembra oggi che in settant'anni si sia levata soltanto la voce della signora Han- nah Arendt, che avrebbe detto che il socialismo era una forma di totalitarismo, e che qualunque vita activa deve rifiutarlo con ribrezzo. In altre parole, contestare il capitalismo non pu che portare al totalitarismo, in quanto l'utopia, essendo ine- 371 CapitoLo XXXVI seguibile, non pu che portare al terrore. E con questo la faccenda  chiusa, e pos- siamo tracciare un rigo sull'intero ventesimo secolo, secolo della follia totalitaria.  questa la visione del mondo cialtrona della fallimentare generazione sessan- tottina, che appunto ipostatizza il proprio grottesco fallimento in una sorta di di- sincanto verso la storia universale. In altra parole, si giunge a Karl Popper, Max Weber, Karl Lwith e Lucio Colletti attraverso la propria iniziazione alle droghe nelle facolt occupate. E tuttavia, la natura miserabile di questi buffoni non deve esimere dal discutere seriamente la categoria di totalitarismo. Si tratta di una categoria tautologica, che non spiega nulla. Kant avrebbe detto che si tratta di uno sterile giudizio analitico, in cui il predicato  gi contenuto nel soggetto.  infatti evidente che una societ che impedisce la libera organizzazione politica, punisce la libera espressione di opinioni filosofiche, politiche e religiose, e si autolegittima attraverso una pseudo-scienza deterministica e teleologico-neces- sitata della storia universale (che per non si pu discutere liberamente pena im- prigionamento o condanna a morte)  totalitaria. E lo  come lacqua  bagnata ed il sole  asciutto.  dunque necessario riprendere il metodo di Marx e cercare di spiegare razionalmente il perch queste societ funzionavano cos (e dove perman- gono - vedi Corea del Nord - funzionano ancora cos). Non si tratta dell'equazione hegeliana Reale=Razionale, perch ho gi chiarito che il reale (wirklich) in Hegel non  leffettuale, ma ci che per sua natura po- trebbe (dynamei on) essere potenzialmente portato al suo concetto (ed  questa in poche parole linterpretazione che del marxismo ha dato Ernst Bloch). Si tratta del buon vecchio principio leibniziano di Ragion Sufficiente, per cui se per pi di set- tant'anni il comunismo reale (e non quello utopistico-scientifico di Marx - los- simoro  chiaramente del tutto voluto ed intenzionale)  stato cos, bisogner pur sempre spiegarlo in modo materialistico (e cio strutturalistico), e non limitarsi alla spiegazione ridicola, grottesca e demonologica per cui la teoria di Marx era perfetta, e sarebbe bastato applicarla, ma purtroppo i malvagi burocrati mangioni l'hanno tradita, mentre i vari teorici al loro servizio l'hanno fraintesa. Anche qui siamo di fronte ad un paradosso che richiede brechtianamente una buona dose di senso dell'umorismo e dello straniamento surreale: la spiegazione sociale meno marxista del mondo viene proposta da gente che si dichiara soggettivamente mar- xista, e punisce con la morte, la prigione, il licenziamento e la diffamazione tutti coloro che, in nome di Marx, ne contestano le affermazioni. E tuttavia, la lunga sto- ria delle religioni e del modo in cui le ortodossie puniscono le eresie (roghi, torture, ecc.) ci offre pur sempre la chiave interpretativa migliore. E tuttavia, c' un problema. Un kantiano potrebbe pur sempre utilizzare il me- todo della contrapposizione del socialismo cos com' (sein) e di come il socialismo dovrebbe essere (sollen). Ma i marxisti non possono utilizzare l'appello ed il riman- do al sollen senza smentire il proprio metodo hegelo-marxiano, che si  costituito proprio rinunciando al facile ricorso al sollen. Se il marxismo fosse una religione, potrebbe sempre dire: La Santa Inquisizione brucia la gente, ma si tratta di un tradimento dei Vangeli, perch Ges non lo vorrebbe. E se poi ci si chiede perch 372 Il grande marxismo indipendente del Novecento Ges, essendo Dio, lo consente, si pu sempre fare riferimento ai misteri della teo- dicea ed alla scemologia leibniziana. Se il marxismo fosse un kantismo, potreb- be sempre dire: Stalin fa cos e cos, ma non dovrebbe fare cos e cos (sollen), ed invece dovrebbe applicare l'imperativo categorico del proletariato, che suona cos: non fare al borghese ed al contadino quello che non vorresti che fosse fatto a te. E soprattutto, Stalin dovrebbe applicare Marx, e cos tutto andrebbe per il meglio.  del tutto evidente che per chi ha abolito Dio e lidealismo, e fa solo riferimento al cosiddetto (ed in realt del tutto inesistente) tribunale della storia, non c' la possibilit di ricorrere in extremis alle soluzioni religiose e kantiane, e cio alla teo- dicea ed al formalismo. Bisogna cercare di spiegare storicamente e socialmente per- ch Stalin  stato cos e cos, senza rifugiarsi nel bel marxismo originale e perfetto di Marx (che, come  noto, non era marxista e non perdeva occasione per dirlo). Questo  impossibile per una mentalit nevrotico-religiosa, che generalmente provoca la clonazione psicologico-sociale di infinite mentalit paranoico-autorita- rie. Bisognerebbe, infatti, giungere al dubbio iperbolico-diabolico per cui la classe operaia e proletaria, non essendo in alcun modo una classe modale (e cio capa- ce di gestire socialmente il passaggio da un modo di produzione ad un altro),  co- stretta a garantire la sua egemonia sociale complessiva (e cio piena occupazione, servizi sociali gratuiti e bassa intensit di lavoro) attraverso forme di dispotismo sociale autoritario. Chi non sarebbe infatti liberale, democratico, libertario ed anti- autoritario, se appena potesse permetterselo? E tuttavia, dal momento che la religione marxista si basa sulla premessa teologi- ca della modalit strutturale della classe operaia sulla modalit della necessit storica del socialismo, ci si trova nella situazione teologica classica, per cui tutto si pu chiedere a papa Ratzinger, ma una sola cosa non gliela si pu chiedere, e cio di affermare pubblicamente che Dio non esiste. In altri termini, il rifiuto di esaminare le due modalit sopraricordate, impedisce ai marxisti ci che pure la loro prassi storica ha costituito. In primo luogo, infatti, la classe operaia, salariata e proletaria non  affatto modale, nel senso che non ha la capacit storica globale complessiva di effettuare il passaggio modale dal modo di produzione capitali- stico al comunismo, ma nonostante sia sicuramente oggetto di estorsione del plu- svalore assoluto e relativo e di sfruttamento quasi sempre feroce (e che impedisce comunque il suo riconoscimento in senso hegeliano), ha una collocazione allin- terno del modo di produzione pi o meno simile alle collocazioni, anch'esse per nulla modali, delle classi degli schiavi antichi e dei servi della gleba medioevali. In secondo luogo, la categoria modale della necessit, che d luogo a giudizi apo- dittici, funziona certamente per un grande insieme di fenomeni (dalla caduta dei gravi alla previsione del decorso di una malattia incurabile), ma non funziona se applicata alla storia universale dell'umanit intesa come un unico concetto di tipo trascendentale-riflessivo, in cui semmai funziona il giudizio modale problemati- co della possibilit potenziale (dynamei on), a sua volta distinto dalla categoria di contingenza, casualit ed aleatoriet (kata to dynatn), che a sua volta non  che l'opposto categoriale non dialetticamente mediato della categoria di necessit. 373 CarrtoLo XXXVI L'impossibilit di effettuare questa radicale riforma religiosa ha di fatto bloc- cato ogni vera riflessione sul socialismo detto veramente esistente. Tutti coloro che vi si sono identificati hanno potuto farlo soltanto mettendo fra parentesi il pensiero autentico ed originale di Marx, derubricato di fatto ad una forma tardo- romantica di volenteroso utopismo inapplicabile nel duro mondo machiavellico dei rapporti di forza. I rapporti di produzione sono diventati integralmente rap- porti di forza, e nel migliore dei casi Marx  diventato un predecessore utopista di von Clausewitz. L'equazione hegeliana di reale e razionale  stata cos interpretata attraverso una teodicea materialista del migliore dei mondi possibili, per cui il reale (identificato con i gulag di Stalin), diventa la forma pi razionale possi- bile del corso necessitato della storia universale. Io ho conosciuto ancora molti tipi umani sorti dal codice politico staliniano, che sono per ormai morti quasi tutti per ragioni biologiche, essendo nati fra il 1900 e il 1920. Marx  totalmente inutile per capirli. Si tratta di profili antropologici caratterizzati da una compresenza schi- zofrenica di ottimismo storico (il comunismo non solo  possibile, ma  a tutti gli effetti necessario, e verr certamente) e di pessimismo politico (siamo circondati da traditori, revisionisti, agenti segreti, provocatori, e ci vuole vigilanza, vigilanza ed ancora vigilanza!). Il fatto  che questa giustificata congiuntura emergenziale (non furono certo costoro ad inventarsi Hitler e la CIA americana!) divent un abito politico perma- | nente, e con questo abito essi vennero poi sepolti nel triennio 1989-91. La teoria trotzkista della burocrazia  in proposito esemplare per studiare questo rifiuto reli- gioso di investire criticamente le proprie premesse teologiche.  del tutto evidente, infatti, che la burocrazia non esiste, esattamente come non esistono i diavoli della demonologia cristiana, che hanno la sola funzione ideologica di spiegare il male nel mondo. Intendiamoci:  evidente che la burocrazia esiste come aggregato so- ciologico di funzionari, che lucrano privilegi personali e di gruppo approfittando del fatto di essere collocati in strutture di direzione, amministrazione e comando (si tratta di un'ovviet comprensibile anche ad un bambino delle scuole elementa- ri); ma se per burocrazia si intende la forza maligna che impedisce la bellissima autogestione economica dei produttori ed il meraviglioso autogoverno politico in- tegrale dei lavoratori, essa non esiste, in quanto il presupposto della sua maligna esistenza, e cio appunto questa unione armonica di autogestione economica e di autogoverno politico integrali, deve essere a sua volta dimostrato. Ma siccome non pu essere dimostrato, deve essere postulato. Ma ci che  postulato, fa parte del modo kantiano di pensare, e non di quello hegelo-marxiano. Il pensiero hegelo- marxiano, infatti, non pu postulare nulla, ma deve dedurre logicamente tutte le determinazioni logico-storiche. Cosa che il trotzkismo, ovviamente, non pu fare. Il trotzkismo, quindi, rappresenta in un certo senso lanima bella (Hegel) e la coscienza infelice (sempre Hegel) del comunismo storico novecentesco realmente esistito. Staliniani e trotzkisti sono infatti i due poli di una unit storica, ed esistono soltanto in correlazione reciproca essenziale. Essi non possono essere pensati luno senza laltro, e per questo finch esister il loro odio reciproco pregresso (che alme- 374 Il grande marxismo indipendente del Novecento no a partire dal 1940 non ha pi alcun significato, se non di protrarre una identit rigida e fantasmatica) non si uscir da questa impasse tragicomica.  in proposito superfluo analizzare in questa sede le pur interessanti varianti sociologiche del trotzkismo, dal cosiddetto collettivismo burocratico (Bruno Rizzi) alla formu- lazione classica dello Stato operaio con degenerazione burocratica (Ernst Mandel, Livio Maitan, ecc.), dalla teoria del capitalismo di Stato (Tony Cliff) alla variante maoista-occidentale della borghesia di partito che restaura il capitalismo (Charles Bettelheim). Nella loro differenza, si tratta sempre d un'unica variante, quella della rivoluzione tradita (e tradita sempre dai cosiddetti burocrati, mangioni, corrotti e revisionisti). Nonostante il tono di estrema sinistra, questa critica al socialismo reale inteso come degenerazione burocratica risale integralmente al marxismo della seconda in- ternazionale (1889-1914), ed alla teoria kautskiana del primato delle forze produt- tive. La burocrazia, infatti, mangia e ruba perch c' ancora la penuria, ed in condi- zioni di penuria bisogna fare la fila, per controllare la fila ci vuole il poliziotto, ed il poliziotto si serve per primo. Questo comporta necessariamente l'esigenza di una accumulazione primitiva per ridurre la penuria, e questa accumulazione primitiva pu anche chiamarsi socialista, ma di fatto non potr che ripetere il modello di tutte le accumulazioni primitive capitalistiche che si rispettino (sfruttamento dei contadini, abbassamento dei prezzi agricoli, disciplina ferrea in fabbrica, mer- cantilismo di Stato, ecc.). La categoria naturalistica di penuria sostituisce cos la categoria marxiana di rapporto di produzione. Il pensiero di Mao Tse Tung costituisce per un progresso rispetto a quello di Trotzky, perch  lunico che in un certo senso spiega cosa  successo nel triennio della restaurazione capitalistica 1989-91. Secondo l'impostazione di Mao e dei suoi seguaci occidentali (Charles Bettelheim, Gianfranco La Grassa, ecc.), dopo la rivo- luzione socialista la borghesia si riforma incessantemente, ma non si riforma tanto attraverso la piccola produzione mercantile (come pensava ancora Lenin), ma si riforma a partire dalle strutture direzionali oligarchiche dello stesso partito comu- nista.  esattamente quello che si  verificato in Cina dopo il 1976 ed in URSS dopo il 1985 (le date sono peraltro poco indicative, perch  ovvio che la scoperta di un tumore o di una cardiopatia non coincide con l'avvio dei processi biologici che li hanno determinati). Ma a questo punto bisogna ancora rispondere alla domanda: perch? Non credo che la risposta vada cercata in una generica teoria della cosiddetta natura umana nel senso di David Hume, per cui luomo sarebbe antropolo- gicamente caratterizzato dallappropriazione privata, dallegoismo e dallirresisti- bile tendenza alla propriet privata. La propriet privata non  l'equivalente eco- nomico della fame, della sete e dell'impulso sessuale. Su questo punto la scienza non-filosofica di Marx, e cio il materialismo storico, coglie a mio avviso sempre il punto essenziale. L'appropriazione privata, con il connesso sfruttamento capita- listico delluomo sull'uomo, sorge sul terreno della divisione sociale e tecnica del lavoro, e si riproduce allinterno di questo terreno, dando luogo incessantemente 375 CaprroLo XXXVI a formazioni ideologiche di servizio che la giustificano. E cos continuer ad essere, finch non si produrranno le condizioni materiali (qui, e soltanto qui, sta il materialismo, che  sempre e solo metafora ideologica per indicare scientifi- camente lo strutturalismo e filosoficamente luniversalismo dellemancipazione) dellemersione di un insieme di soggetti storici capaci di gestire questo processo. In questo insieme di soggetti storici, possibili ma non necessari, ci saranno proba- bilmente anche gruppi di lavoratori manuali, ed  anzi assai probabile che ci siano. Ma  da abbandonare lidea, dimostratasi storicamente sbagliata, della titolarit modale esclusiva della classe operaia e proletaria. Prima ci libereremo di questo mito, e meglio sar. Per quanto mi  dato di vedere, i residui della comunit intel- lettuale e marxista non sono in grado di effettuare quella che lepistemologo Kuhn ha correttamente chiamato una rivoluzione scientifica. E non ne sono in grado anche perch continuano stupidamente a non avere il coraggio di rispettare la fi- losofia per la filosofia (Lwith), unica premessa per giungere poi ad una scienza il pi possibile alleggerita da presupposti ideologici. E tuttavia io, parte integrante a tutti gli effetti (e fiero di esserlo) del marxismo critico indipendente, continuo a dare un giudizio storico positivo nellessenziale del comunismo storico novecentesco realmente esistito, pur avendo conosciuto al suo interno veri e propri mostri psicologici ed antropologici (ma anche persone eccezionali per moralit ed intelligenza). Esso ha giocato un ruolo positivo sul pia- no militare per rendere possibile molte guerre di liberazione contro il colonialismo. Ed esso  stato a suo modo un vero e proprio katekon contro il pieno dispiegamento del capitalismo assoluto. Ed  proprio la mancanza di questo katekon che caratte- rizza i nostri tempi. Sar questo il criterio metodologico principale dei prossimi tre capitoli. 376 XXXVII LA FILOSOFIA DI NIETZSCHE E LE RAGIONI STORICO-SOCIALI DEL SUO GRANDE SUCCESSO FRA GLI INTELLETTUALI ED IL GRANDE PUBBLICO. LA CRITICA UNITARIA ALLE METAFISICHE BORGHESI E ALLE METAFISICHE PROLETARIE La filosofia di Nietzsche, questo vero e proprio scriba del caos (Ferruccio Ma- sini),  stata sempre fatalmente incorporata dentro quel vero e proprio isolatore di stupidit che  l'applicazione generalizzata al dibattito filosofico della dicotomia politica Destra/Sinistra. Con questo non intendo affatto dire, ovviamente, che que- sta dicotomia politica non sia mai esistita, o sia stata sempre illusoria. Non lo penso affatto. Al contrario, questa categoria storiografica in Europa  esistita, eccome, ed  esistita per almeno duecento anni (1789-1989). Il chiarimento di questo problema  cruciale per la stessa comprensione della funzione sociale della filosofia di Niet- zsche, e per questa ragione dovr essere discusso prima di prendere in esame la filosofia di Nietzsche propriamente detta.  bene infatti chiarire subito che Nietz- sche non  stato n di destra n di sinistra (filosoficamente parlando, ovviamente, perch le sue opinioni politiche, quasi sempre superficiali ed idiote, erano invece indiscutibilmente non solo di destra, ma di estrema destra). Egli  stato semmai lindiscutibile precursore della fine della dicotomia Destra/Sinistra, ed in questa ot- tica (indiscutibilmente inedita o quantomeno poco praticata) bisogner studiarla. La dicotomia Destra/Sinistra  completamente assente nel mondo antico ed in quello cristiano-medioevale, e questo dimostra che non  affatto necessaria per rappresentarsi concettualmente il conflitto sociale in cui siamo necessariamente inseriti allinterno di una divisione del lavoro classista della societ. E cos come in passato non c' stata, in futuro potr non esserci pi (come il capitalismo, del resto). Ed  interessante come gli storicisti, che affermano il carattere storico, e quindi provvisorio, di tutto quanto esiste al mondo, affermino invece il carattere eterno, quasi parmenideo, della dicotomia Destra/Sinistra, che  in effetti la loro religione laico-identitaria di riferimento, e per questo deve essere eternizzata simbo- licamente. Ma leternizzazione, appunto, pu essere imposta in via esclusivamente ideologica, e non resiste ad una critica scientifica e filosofica di tipo dialettico. La dicotomia Destra/Sinistra sorge per la prima volta nel 1791, a seconda di come gli eletti dell'Assemblea Legislativa francese si siedono rispetto alla presidenza dell'assemblea. Chi si siede alla sua sinistra  di sinistra, chi si siede alla sua destra  di destra. I giacobini sono di sinistra, i girondini di centro, i monarchici ed i foglianti di destra, pi un centro amorfo chiamato palude, pronto a mettersi con chi  pi forte (si tratta degli antenati del moderno trasformismo). 377 CaprroLo XXXVII Questa collocazione simbolica  assolutamente giustificata, e rappresenta un trionfo dell'illuminismo, o pi esattamente dell'intelletto astratto appliacto alla politica (Verstand). Mentre infatti la vecchia legittimazione del potere era di tipo verticale, perch Dio stava sopra e gli uomini stavano sotto, la societ borghese non pu tollerare alcuna normativit metafisica dei suoi comportamenti e deve quindi delegittimare la divisione simbolica fra l'Alto ed il Basso (richiamo qui lin- terpretazione che ho dato del criticismo di Kant e della genesi del materialismo moderno di Maria Antonopoulou). Alla divisione verticale fra Dio (l'alto) e gli uo- mini (il basso), si sostituisce una divisione orizzontale, i cui poli sono costituiti da due posizioni alternative fra chi interpreta il diritto naturale ed il contratto sociale in modo egualitario (alla Rousseau, per semplificare) e chi invece li interpreta in modo maggiormente disegualitario (alla Constant ed alla Locke, per semplificare). Naturalmente, non si tratta di educate opinioni alternative da seminario filosofico, ma di corposi interessi sociali contrapposti, che trovano nello spazio simbolico della dicotomia il luogo della loro stabile coagulazione identitaria. Non mi sogno affatto di negare questa corposa e materiale evidenza, su cui si  costruita la storia degli ultimi duecento anni in Europa. Nego per che questa dico- tomia ricopra una stabile dicotomia valoriale, come ha affermato Norberto Bobbio e la sua scuola (Marco Revelli, ecc.). Essa resta lespressione di una rappresentazione intellettuale (Verstand) di contrari, ma i contrari in storia non esistono, perch esi- stono soltanto gli opposti in correlazione essenziale, e non esiste un solo concetto (dal progresso alla conservazione, dalla religione allateismo, ecc.) che non sia del tutto trasversale e diagonale alla dicotomia Sinistra/Destra. Il fatto che un classi- ficatore politico venga immediatamente trasformato in classificatore filosofico  un sottoprodotto particolarmente sgradevole dellidentificazione dello spazio fi- losofico con lo spazio ideologico, e pi in generale della filosofia per la filosofia (Lwith). Hegel aveva opinioni politiche che secondo Peperzak potrebbero essere definite oggi di centro-sinistra, e Marx aveva indubbiamente opinioni politiche di sinistra, o pi esattamente di estrema sinistra. E tuttavia il sistema filosofico di Hegel non  ovviamente n di destra n di sinistra, ed il fatto che sia stato utiliz- zato a destra (Gentile), al centro (Croce), ed a sinistra (Bloch, Lukcs, ecc.) fa parte della storia delle sue interpretazioni, e non certo della sua natura teorica. In quanto a Marx, la critica dell'economia politica, il materialismo storico e la scienza filoso- fica della valutazione della totalit espressiva della societ delle merci, non sono ovviamente n di destra n di sinistra, e si sono anzi costituiti geneticamente contro l'insieme delle ideologie politiche della sinistra del suo tempo (Owen, socialismo utopistico, Proudhon, socialismo ricardiano, sindacalismo laburista inglese, lassal- lismo tedesco, ecc.). A suo tempo, il filosofo francese Alain rilev che chi nega la dicotomia Destra/ Sinistra  in realt di destra, perch afferma una sorta di naturalismo ideologi- camente neutrale, sostenendo che la societ deve essere diretta in modo non ide- ologico, ma secondo criteri scientifici, che in quanto tali non sono n di destra n di sinistra, cos come non lo sono i criteri per dirigere unacciaieria o per guidare 378 La filosofia di Nietzsche e le ragioni storico-sociali del suo grande successo una nave. Le regole dellabilit ed i consigli della prudenza - per dirla con Kant  non sono effettivamente n di destra n di sinistra. Alain aveva ragione, in quanto ai suoi tempi la teoria della neutralit della direzione sociale complessiva della societ derivava dalla teoria positivistica di Comte degli ingegneri sociali e della teoria delle cosiddette lites, per cui  impossibile evitare comunque una deriva oligarchica della societ complessa moderna (Mosca, Pareto, Michels, e soprattutto appunto Nietzsche e Max Weber). Oggi, per, le cose sono cambiate dai tempi di Alain, e ripetere il mantra di Alain come se fosse indiscutibile  diventato ideologi- co ed insensato. Capire bene perch lo  diventato  anche la migliore introduzione ontologico-sociale al significato complessivo del pensiero di Nietzsche. Nella misura in cui ha rispecchiato per quasi due secoli in Europa (ed ancora lo fa in molte parti del mondo oggi, dal Nepal al Venezuela, che non vedo perch de- vono essere considerati meno importanti della Spagna o della Francia oggi, ove oggi significa ai tempi dell'impero americano e dell'occupazione militare dell'Eu- ropa da basi atomiche straniere) reali interessi economici e politici in conflitto, la dicotomia Destra/Sinistra pu essere definita come un complesso ideologico-simbolico, che riflette la sovrastruttura di una certa fase della storia del capitalismo stesso, dopo che lorizzontalizzazione spaziale del conflitto ha sostituito la sua precedente verticalizzazione. In quanto complesso ideologico, la dicotomia ha permesso agli attori sociali in conflitto di rappresentarsi la propria prassi di lotta. In quanto com- plesso simbolico, la dicotomia ha permesso agli stessi attori sociali di consolidare e solidificare la costituzione politica di stabili identit collettive (il patriottismo di partito e del cosiddetto popolo di sinistra, ecc.). In quanto complesso ideologico- simbolico unificato, la dicotomia ha permesso di strutturare la principale sovra- struttura degli ultimi duecento anni. Mentre infatti larte, la religione, la filosofia e la scienza non sono n sovrastrutture n ideologie, ma forme permanenti della ri- flessione umana sul mondo, e quindi per loro stessa intima natura non sono e non possono essere n di destra n di sinistra, le loro pittoresche ricadute ideologiche (ideologica! fall-out) invece ovviamente lo sono. Lo sono, certamente, ma non sempre. Lo sono, infatti, fino a che la sovranit economica, politica e militare dello Stato-nazione continua ad esistere, e finch il conflitto sociale  ancora parzialmente sovrano, e non si  ridotto a protesi politologica artificiale per la mobilitazione orgasmatica pre-elettorale, ed a un in- sieme di contrapposizioni simboliche su questioni del tutto irrilevanti (matrimoni gay s o no, crocifissi nelle aule s o no, pittoresche grida rauche identitarie degli sportivi delle due squadre, caroselli rumorosi di automobili dei rispettivi fan il giorno della irrilevante vittoria elettorale, ecc.). In altre parole, la dicotomia Destra] Sinistra continua ad avere un minimo di significato storico-politico in presenza di un orizzonte di sovranit, ma lo perde quando entrambi i poli concordano su due punti essenziali liberandosi per di pi (con opportune leggi elettorali maggiori- tarie) dei due estremi rompiballe di ntrambi gli schieramenti. In primo luogo, la dicotomia perde ogni validit se si afferma la sovranit di organismi economici sistemici (Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale, Banca Europea, ecc.) 379 CaprroLo XXXVII che svuotano interamente la decisione politica, che non pu che ratificare quanto hanno deciso bande di economisti mascalzoni che parlano tra loro in inglese come gli aruspici parlano fra loro in etrusco ed agitano pipe-totem blaterando in un in- comprensibile gergo scettico-empiristico-utilitaristico. In secondo luogo, la dicoto- mia perde ogni validit se nessuno mette pi in discussione il dominio dell'impero militare USA, che si mette sotto le scarpe il diritto internazionale fra stati ed arroga a se stesso il diritto messianico di giudicare unilateralmente il corso del mondo e di bombardare a suo piacimento i cosiddetti stati-canaglia (rogue states). La caduta ingloriosa del comunismo storico novecentesco (1917-1991), da me criticato radicalmente, ma anche ritenuto un provvidenziale katekhon storico, ha indubbiamente accelerato lobsolescenza della categoria, che oggi  difesa in gene- re con patetici ideal-tipi alla Weber, completamente destoricizzati e desocializzati (in Italia si distingue in questo penoso compito bobbiano-operaista Marco Revel- li, che cumula cos due delle tradizioni culturali pi astratte ed intellettualistiche dell'intera Via Lattea). Oggi la dicotomia  uno zombie, ma come tutti i vampiri che vengono tirati fuori dopo mezzanotte dai castelli della Transilvania, essa continua a spaventare tutti coloro che volessero gettare uno sguardo nuovo sul mondo, che in genere si ritraggono atterriti quando la pressione del Vampiro-Capo, il politica- mente corretto imposto dagli apparati ideologici normalizzati, li terrorizza accu- sandoli di neo-nazismo, di fascismo mascherato, di alleanza segreta con il Grande Berlusca, ecc. + Ma tutto questo cosa ha a che fare con la valutazione filosofica di Nietzsche? Gi, proprio qui sta il problema. Problema, per altro, di facile soluzione, non appe- na sia stato impostato nel modo giusto, come cercher di fare. Il problema-Nietz- sche, infatti,  molto pi facile del problema-Kant, del problema-Hegel, e soprattutto del problema-Marx. Basta solo affrontarlo con il metodo giusto. Nietzsche, questo scriba del caos,  la porta girevole per entrare nella critica della fondazione del profi- lo ideologico unificato europeo (e cio il mito del progresso), profilo che  comune e che precede il suo sdoppiamento posteriore, avvenuto circa a met Ottocento, fra il profilo ideologico borghese di destra ed il profilo ideologico proletario di si- nistra, sdoppiamento che ha caratterizzato pi di un secolo (sorto intorno al 1870, si esaurisce in Europa nel ventennio 1970-1990). In quanto porta girevole, ed indi- pendentemente dalle sue penose opinioni reazionarie da frustrato piccolo-borghe- se tedesco gonfio di pregiudizi ripugnanti (ma - ripeto  non  su questo terreno da birreria bavarese che lo si deve giudicare), il nostro Nietzsche resta uno dei pi grandi filosofi dell'intera tradizione occidentale, e non  neppure difficile spiegare il perch, se appena si esce dalla tragicomica simulazione ideologica Destra/Sinistra. Uno degli aspetti pi paradossali del caso-Nietzsche, che richiede per essere compreso una sana dose di senso dell'umorismo, dote completamente assente nel- la stragrande maggioranza dei filosofi universitari, sta in ci, che il filosofo noto per essere un cantore dellaforisma, del frammento e del rifiuto del sistema,  invece uno dei pensatori pi rigorosi e sistematici dell'intera storia della filosofia occidentale. La sua  infatti unantropologia politica, rigorosamente dedotta da una 380 interpretazione fortissima (altro che pensiero debole) della storia dell'Occidente. Personalmente, non conosco filosofia della storia tanto rigorosa e lineare come quella di Nietzsche, in un pensatore cio che la vulgata storiografica presenta in generale come un distruttore ed un dissolvitore di qualunque possibile filosofia della storia. In confronto a quella di Nietzsche, persino le filosofie della storia di Hegel e di Marx appaiono aporetiche e problematiche. Il fatto che gli sciocchi non lo capiscano, e prendano sul serio i luoghi comuni storiografici,  un argomento in pi per invitare le persone intelligenti ad un riorientamento gestaltico. L'antropologia politica di Nietzsche presuppone la conoscenza di due presup- posti. In primo luogo, la sua interpretazione dilettantesca e quasi totalmente in- fondata della storia dell'Occidente, storia riassunta sotto lunica categoria di de- cadenza. In secondo luogo, la sostituzione della precedente costituzione forma- listica del soggetto (Cartesio, Kant, ecc.) con una nuova costituzione vitalistica ed energetista di esso, che riprende peraltro, radicalizzandoli, molti aspetti della costituzione del soggetto di David Hume (il che fa del pensiero di Nietzsche una sorta di utilitarismo eroico mascherato). Questa radicale modificazione della te- oria del soggetto d luogo ad un sistema filosofico dellarbitrio sistematico, e larbi- trio viene posto a fondamento del mondo. Dalla costituzione formalistica del sog- getto si passa cos ad una costituzione interamente arbitraria del soggetto stesso. Le ragioni di questo passaggio non possono essere trovate allinterno del dibattito filosofico propriamente detto (e tanto meno allinterno di quella sua caricatura che  il dibattito interno alla cosiddetta comunit universitaria). Esse devono essere cercate allesterno, nella storia reale. Nietzsche deve essere sottoposto al suo stesso metodo, quello della genealogia della morale (in questo caso, dell'analisi genealogi- ca della sua stessa morale  perch  evidente che limmoralista Nietzsche  stato forse lultimo dei grandi moralisti della tradizione filosofica occidentale che co- nosciamo). Non sar difficile mostrare questo. Prima per per liberarci di interpre- tazioni poco convincenti,  bene prenderne sommariamente in esame alcune, per poi rifiutarle cortesemente. In primo luogo, vale la pena di esaminare linterpretazione di Karl Lwith espo- sta nel suo notevole libro Da Hegel a Nietzsche. Lwith  mosso sempre dal suo progetto di delegittimazione integrale dello spazio conoscitivo e veritativo della cosiddetta filosofia per la filosofia, suo obiettivo polemico principale. Con una sorta di gioia maligna, fondata peraltro su di una conoscenza filologicamente ec- cellente della storia della filosofia stessa, Lwith constata il progressivo dissolvi- mento del sistema hegeliano dopo il 1830, e lo interpreta come la fine definitiva di una perniciosa illusione. La fine di questa perniciosa illusione travolge ovvia- mente anche Marx, il vero obiettivo polemico di Lwith, ed a questo punto nulla pi si oppone alla liquidazione di Marx come punto estremo della secolarizza- zione del messianismo ebraioco-cristiano nel linguaggio dell'economia politica. Nonostante il professore universitario Lwith non si riconosca integralmente nel martellare scomposto ed urlante di Nietzsche (un po di educazione, per favore!), egli ne condivide i propositi distruttivi, e lo assume becchino delle illusioni fi- 381 CarrroLo XXXVII losifche. Vale la pena notare un fatto marginale e microscopico, ma significativo. Allinterno della scuola filosofica torinese di Nicola Abbagnano (il pendant laico dello stesso odio verso la filosofia e verso Hegel il cui pendant marxista  stato la scuola marxista di Della Volpe e di Colletti) era possibile laurearsi in filosofia senza avere mai letto la Fenomenologia dello spirito e la Scienza della logica di Hegel (laddove la Critica della ragion pura di Kant era eretta a bibbia filosofica definitiva), ma in compenso era consigliata la lettura di Da Hegel a Nietzsche di Lwith. Solo un incurabile ingenuo pu a questo punto non avere ancora capito che la distruzione del sistema di Hegel  solo un pretesto per fare passare quello che si ritiene invece essenziale, e cio la delegittimazione integrale dello spazio conoscitivo e veritativo della filosofia per la filosofia. La filosofia del martello di Nietzsche  infatti assunta non tanto perch mar- tella il cristianesimo, il platonismo ed il socialismo (anche se si tratta pur sem- pre di graditissimi danni collaterali), ma proprio perch consente di martellare lodiata filosofia per la filosofia. In quest'opera di demolizione della cosiddetta metafisica la strategia  Lwith, mentre la tattica  distribuita fra Hume e Kant. In secondo luogo, esiste una lettura di Nietzsche che non mira affatto a demolire la filosofia in quanto tale, che viene anzi riabilitata e rispettata, ma tende a sostituire la filosofia di Hegel e di Marx (considerata metafisica), con lesistenzialismo ed il potenziamento del soggetto. Esempi di questa lettura sono i libri di Gilles Deleu- ze Nietzsche e la filosofia e di Karl Jaspers Nietzsche. Introduzione alla sua filosofia. In proposito Jaspers, che non perde quasi mai l'occasione per dire pompose banalit, fa di Nietzsche il precursore, insieme con Kierkegaard, della filosofia esistenzia- listica, che rompe con la pretesa di razionalizzare tutto (ovviamente Hegel; e ti pareva!), rottura di cui lesistenzialismo (e Jaspers in particolare) sarebbe lerede. Questo arruolamento di Nietzsche, lanticristo armato di martello, di Kierkegaard, il cupo protestante maniaco ossessionato dalla predestinazione del suo Dio lute- rano,  sicuramente un'operazione di altissimo umorismo, di cui bisogna essere grati a Jaspers. In quanto a Deleuze, a differenza di Jaspers, si ha a che fare con un pensatore che non  mai banale. Deleuze riconosce il carattere integralmente sistematico della filosofia di Nietzsche, contro coloro che ci vedono soltanto un in- sieme caotico di aforismi sparsi (e che in questo modo nobilitano la loro personale mancanza di rigore attribuendola anche a Nietzsche, che diventa cos il nobile alibi della loro mediocrit) ed individua nella Genealogia della Morale il punto pi alto di questa sistematicit. Naturalmente, anche per Deleuze il valore delloriginalit filosofica di Nietzsche sta nella distruzione del sistema di Hegel. Una osservazione. Lwith, Jaspers e Deleuze sono filosofi diversi, che voglio- no cose diverse e sostengono cose diverse. E tuttavia il fatto che il loro insistito minimo comun denominatore sia la pulsione alla distruzione di Hegel non pu essere considerato casuale. C' evidentemente qualcosa di storico-genetico e di ontologico-sociale che porta a questa vera e propria ossessione della distruzione di Hegel, che va da pensatori sostanzialmente marginali e mediocri come Nicola Ab- bagnano e Galvano Della Volpe a pensatori indubbiamente pi solidi, importanti 382 La filosofia di Nietzsche e le ragioni storico-sociali del suo grande successo ed epocali come Jaspers, Deleuze e soprattutto Lwith, il pi importante di tutti. Cerchiamo di scoprire dove sta l'enigma, ed il problema-Nietzsche sar in parte risolto. In terzo luogo, infatti, bisogna esaminare il grande autore che ha capito il pro- blema del rapporto Hegel-Nietzsche, e cio il Lukcs del grande libro La Distru- zione della Ragione. Opera oggi ignorata e diffamata, su cui qualunque analfabeta politicamente corretto ritiene di avere il diritto di sputare, e che rester invece sulla lunga distanza quando i ridicoli conformisti del coro alla moda oggi saranno gi da tempo dimenticati.  curioso che Lukcs venga sommariamente connota- to dagli analfabeti come stalinista, laddove il suo libro  stato scritto contro gli stalinisti del tempo, che sostenevano che la filosofia di Hegel fosse una reazione aristocratica alla rivoluzione francese. Lukcs sostiene esattamente il contrario di ci che era sostenuto dalla filosofia stalinista (Judin, Rosenthal, Mitin, Zdanov, ecc.). E tuttavia, la sua valutazione di Nietzsche non  a mio avviso del tutto con- vincente, e vale la pena dire sia pure sommariamente il perch. La Distruzione della Ragione non  una lavagna dei cattivi, anche se i cattivi ci sono (dall'ultimo Schelling a Schopenhauer, da Kierkegaard a Nietzsche, che  il pi cattivo di tutti, in quanto  definito il pensatore-guida dellepoca imperiali- stica della decadenza borghese). E non  una lavagna dei cattivi perch  in realt una legittima interpretazione generale del recente passato e del presente storico rielaborata attraverso la mediazione di una lettura della storia della filosofia.  interessante in proposito rilevare che la caccia ad Hegel  sempre permessa, e se qualcuno la fa  un geniale smascheratore della metafisica da ringraziare (Abba- gnano, Della Volpe, Jaspers, Deleuze, Lwith, ecc.), mentre se qualcuno si azzarda a fare il contrario (LukAcs, ma anche Bloch, ecc.), subito si alzano rauche grida di dogmatismo, stalinismo, metafisica, pensiero premoderno, ecc. Anche per questo, ci vogliono ampie dosi di senso dell'umorismo (e delle proporzioni). Solo chi capi- sce che lantipatia verso Hegel  un fatto sociale ( infatti un fatto sociale la pretesa che la filosofia possa giudicare il primato dell'economia e della politica che lo aval- la) pu capire questo (semplicissimo) segreto. Per usare il linguaggio delle staffette di atletica, Lukcs ritiene che Hegel ab- bia passato a Marx il testimone del filo rosso della storia della filosofia moder- na, e cio il filo rosso del razionalismo dialettico del progresso. In questa ottica,  evidente che la valutazione negativa di Nietzsche  quasi automatica, ed  anche facile, perch basta ricordare e citare le dichiarazioni numerosissime fatte da Niet- zsche sulla necessit di trattare i negri e gli operai come schiavi, in modo che non rompano le scatole e permettano agli spiriti liberi e colti di fare una vita activa senza lavorare. E tuttavia, queste opinioni da ubriacone e da frequentatore abituale di birrerie tedesche, unite alle simpatiche opinioni antifemministe di un signore che era sistematicamente scavalcato dagli amici nella realizzazione delle sue normali concupiscenze, non sono a mio avviso significative per comprendere il problema- Nietzsche, in quanto la lettura di Lukcs presenta alcuni difetti di fondo. CaprroLo XXXVII Nellessenziale, io condivido la tesi di fondo di Lukdcs. Anche per me, infatti, Hegel passa in un certo senso il testimone a Marx, e dopo Hegel c' sostanzial- mente solo Marx. Certo, una simile affermazione pu essere fatta soltanto in base ad una ricostruzione sensata della storia del pensiero occidentale, ricostruzione che  del tutto arbitraria e deve riconoscersi apertamente come tale, laddove invece Lukcs ci vedeva una sorta di corso progressista e provvidenziale della storia. A mio avviso, proprio per difendere il nucleo razionale della tesi della continuit virtuosa Hegel-Marx, bisogna rinunciare al presupposto necessitaristico marxi- sta, per cui esisterebbe un corso oggettivo della storia universale che porterebbe al comunismo in modo deterministico-teleologico. Lukcs  ancora dentro questa tradizione, mentre io ritengo di non esserlo pi (e questo fra laltro giustifica la composizione di unontologia dell'essere sociale che riprende il progetto lucaccia- no modificandolo radicalmente). Possiamo dire che Marx riceve idealmente il testimone da Hegel? Nellessen- ziale s, possiamo dirlo, e questo lo hanno capito perfettamente tutti i nemici co- muni di Hegel e di Marx (da Karl Lwith all'ultimo Lucio Colletti), i quali ne trag- gono ovviamente conclusioni filosofico-politiche opposte a quelle che ne traggo io. E tuttavia non si pu passare sotto silenzio il fatto che quella di Marx  certamente anche una scienza filosofica, ma lo  in modo implicito e contradditorio, perch  filologicamente vero (e Lwith lo documenta ampliamente nel suo studio Da Hegel a Nietzsche) che Marx era approdato alla stupida e suicida convinzione del fatto che la filosofia non era che una forma di ideologia sovrastrutturale, e che bisognava or- mai passare ad una scienza integralmente non-filosofica. Venivano cos, di fatto, aperte le porte alla prima formazione ideologica marxista del ventennio 1875-1895, e venivano cos anche, sia pure indirettamente, avvallate le posizioni della seconda formazione ideologica marxista del ventennio 1918-1938.  difficile sostenere, in- fatti, che il marxismo deriva da Hegel, quando entrambe le formazioni ideologiche marxiste 1875-1895 e 1918-1938 si contrappongono frontalmente ad Hegel sul punto principale ed essenziale del suo pensiero, e cio la riaffermazione del carattere veritativo e conoscitivo dell'attivit filosofica in quanto tale (la l6withiana filosofia per la filosofia), che nel corso di tutto questo mio lavoro ho interpretato in chiave di ristabilimento del punto di vista ontologico dei Greci. Lukcs sembra pensare che vi possa essere una continuit Hegel-Marx-Marxi- smo. Era perfettamente possibile che lo si pensasse ai suoi tempi e si interpretassero le patologie evidenti del socialismo come malattie infantili di un organismo in cre- scita. Si tratta anche per Lukcs di quello che potremmo marxianamente chiamare la falsa coscienza necessaria degli agenti storici (nel caso di Lukcs, degli agenti ideologici). Oggi ritengo che non possiamo pensarlo pi, e questo non pu che in- fluenzare anche il nostro modo di valutare Nietzsche nel suo complesso. Nietzsche non ha infatti semplicemente interrotto una continuit virtuosa nel passaggio ideale del testimone della staffetta Hegel-Marx-marxismo-Lenin. Nietzsche ha testimoniato, seppur in modo provocatorio e spesso sgradevole, che questa con- tinuit non cera, ed era stata semmai interrotta dal positivismo. 384 La filosofia di Nietzsche e le ragioni storico-sociali del suo grande successo In quarto luogo, deve certamente essere preso in considerazione il monumen- tale studio di Martin Heidegger intitolato Nietzsche.  un errore per interpretarlo come se si trattasse di uno studio monografico su Nietzsche, perch non  nulla di tutto questo. Nietzsche  unicamente un pretesto per esporre la filosofia della storia dello stesso Heidegger, e non ha dunque nessuna importanza che la sua figura storica corrisponda oppure no al profilo che Heidegger disegna. Heidegger presenta Nietzsche come il filosofo il quale, concependo lessere come volont di potenza (e cio come volont della volont, come volont di non essere null'altro che se stessa), conclude la storia della metafisica e nello stesso tempo rivela che cosa la metafisica  sempre stata: un pensiero che dimentica la questione dell'essere che apparentemente essa stessa pone e si limita alla considerazione dell'ente, un approccio nichilistico che Nietzsche non fa che completare e svelare, proprio per- ch Nietzsche  deliberatamente e dichiaratamente nichilista, e non crede che ci sia nulla dietro la volont di potenza degli enti stessi. Dichiarando che lEssere non esiste, Nietzsche non avrebbe cos distrutto con il suo martello la filosofia prece- dente, ma avrebbe semplicemente portato a conclusione una tendenza immanente fin dalla critica di Platone e Parmenide. La correttezza del percepire un oggetto con gli occhi della mente, ritenendo che questo stesso oggetto ideale sia l'essere (idea come eidos, oggetto visibile, e verit come correttezza dello sguardo ideale, ortho- tes), avrebbe cos spodestato il vecchio modo della sapienza premetafisica (sophia), spodestando cos anche la comprensione della verit come non-nascondimento - (aletheia). Ho riassunto qui brevemente per comodit del lettore le note tesi di Hei- degger su Nietzsche, ma ci che conta ora  commentarle criticamente. La pittoresca ignoranza di Heidegger del metodo genetico di Marx, considerato dagli ambienti universitari tedeschi dellepoca un pensatore non-rispettabile ed un economista ricardiano, fa s che Heidegger non sospetti neppure che chi ricostru- isce ipoteticamente la storia della filosofia greca debba tentare anche di fornirne un'analisi genetica. E quindi Heidegger non sospetta neppure che il fuoco sem- previvo di Eraclito sia una metafora naturalistica della costituzione democratica isonomica (Diodoto), che il riferimento di Anassimandro allapeiron segnali la ne- cessit di intervenire socialmente sull'illimitatezza e lindeterminatezza private, e che infine lessere di Parmenide, lungi dall'essere una cosa oppure lo sfondo di una cosa, sia la metafora della stabilit e della permanenza eterna della buo- na legislazione pitagorica, ecc. Il suo metodo provocatoriamente destoricizzato e desocializzato ovviamente impedisce questa analisi e questa consapevolezza ge- netica, e non si pu arrivare in questo modo che a genericit sapienziali del tutto astratte, che nel suo allievo italiano Severino giungono a vertici di inconsapevole comicit. Chiediamoci spregiudicatamente:  vero oppure no che nel pensiero antico si  verificato uno slittamento da una considerazione veritativa dell'ascolto delles- sere (aletheia) ad una considerazione puramente accertativa della sua riduzione ad ente (orthotes)? Da come risponderemo a questa domanda dipende il nostro giudi- zio di plausibilit sul modo heideggeriano di fare storia della filosofia. 385 CarrroLo XXXVII Assumiamo pure come esatta l'ipotesi storiografica di Heidegger, per cui la metafisica occidentale nasce da uno slittamento dalloriginario atteggiamento di ascolto del disvelamento dell'essere (aletheia) al nuovo atteggiamento della corret- tezza della visione mentale dell'ente scambiato per essere (orthotes). Ebbene, anche se cos fosse, quali ne sono state le cause storico-genetiche ed ontologico-sociali? Heidegger sembra non sospettare neppure che vi sia il problema. Ma noi invece sospettiamo che esista, e dobbiamo quindi cercarne la soluzione. A me sembra che la soluzione stia nel fatto che fino a quando permaneva la societ spontanea pri- mitiva basata sull'unit intuitiva del macrocosmo naturale e del microcosmo so- ciale non era per nulla socialmente necessario determinare l'esattezza della collo- cazione degli enti nel mondo politico artificialmente costruito (orthotes), e non era necessario neppure stabilire la misura (metron) del rapporto armonico (isorropia) fra gli enti scambiabili (chremata), ma era sufficiente ascoltare la tradizione pre- razionale (aletheia). Heidegger non sospetta neppure che vi sia una genesi sociale delle categorie del pensiero, e per questa ragione parla di erramento, sviamento, ed altre consimili categorie teoriche dilettantesche, completamente destoricizzate e desocializzate. In quanto ad allievi minori come Severino, ritengo che non siano neppure in grado di sospettare che vi sia qui un problema genetico, e che credano veramente in buona fede che ci sia gente che non si sbaglia pensando che lEssere ci sia, e non possa non essere, mentre ci sia altra gente che si sbaglia ritenendo in- vece (gli sciocchi!) che lEssere potrebbe anche non esserci da sempre, ma sia stato creato (sciocchi credenti), oppure si modifichi storicisticamente nel corso storico (sciocchi marxisti e sciocchi capitalisti, che per almeno pagano bene la collabora- zione a Il Corriere della Sera oppure al Il Sole 24 Ore). L'incapacit di Heidegger di dedurre la storia della metafisica a partire dalla genesi sociale delle sue categorie (ci che fa paradossalmente di Heidegger un ne- okantiano inconsapevole), fa s che da un lato egli colga il punto essenziale ( vero infatti che esiste una storia terrena della metafisica), e dall'altro che non ne sia assolutamente in grado di farne veramente la storia. Ma su questo punto cruciale torner nel prossimo capitolo. Per ora mi limiter a discuterne l'incapacit a dare conto realmente di Nietzsche. Nietzsche, infatti,  il primo pensatore che ha avuto finalmente il mandato sociale indiretto per l'abbandono della costituzione for- malistica del soggetto in favore di una costituzione di esso, che definir della sua costituzione arbitraria integrale. In Cartesio la costituzione formalistica del soggetto (il Cogito) aveva il compito sociale (si trattava - ovviamente  di un mandato indiretto e non certo di un ordi- ne da eseguire emanato da un gruppo di borghesi) di azzerare tutto il vecchio mondo simbolico, allegorico e metaforico della cultura signorile e feudale.  ci che si chiama oggi, in linguaggio informatico, reset. In unepoca storica in cui si stava progressivamente affacciando il lavoro astratto, era necessario che il pensiero astratto  che inevitabilmente doveva accompagnarlo  si dotasse di un soggetto astratto che ponesse di fronte a s un mondo liscio, totalmente materiale, in cui potesse liberamente scorrere la merce capitalistica. Nello stesso tempo, ai tempi 386 La filosofia di Nietzsche e ie ragioni storico-sociali del suo grande successo di Cartesio era ancora impensabile che una societ potesse esistere senza il riferi- mento ad un mondo religioso sottostante (sub-stantia), ed ecco perch in Cartesio ci sono non solo le idee innate, ma anche la riaffermazione sia dellesistenza di Dio sia della sua dimostrabilit razionale. In Kant Ia costituzione formalistica del soggetto ha gi fatto passi avanti qua- litativi, dovuti alla maggiore maturit borghese-capitalistica dellepoca storica tardo-settecentesca. Cartesio non poteva ancora essere socialmente illuminista, ma Kant pu gi esserlo. Il soggetto formalmente costituito (appercezione trascen- dentale, Io Penso) riconosce come veramente conoscibile ci che si trova nello spa- zio e nel tempo, e quindi non pu in alcun modo dimostrare Dio, che per definizio- ne si trova al di fuori dello spazio e del tempo che sono sotto il nostro controllo. Da un lato, vengono politicamente e socialmente delegittimate le pretese normative della metafisica, che era ancora la copertura ufficiale della legittimazione delle societ tardosignorili. Dall'altro, questa delegittimazione giungeva tardi (Hegel avrebbe detto che - come la nottola di Minerva  giungeva al crepuscolo), perch la legittimazione della nuova societ capitalistica non si basava pi sulla religione (come afferm opportunamente pi di un secolo dopo Anton Pannekoek in una sua polemica con la filosofia di Lenin), ma sulla performativit del nuovo mercato capitalistico di assicurare un flusso costante di consumi. Nello stesso tempo, anche al tempo di Kant era ancora socialmente impensabile azzerare integralmente la religione, e farla diventare una sorta di optional privato, come l'ascolto della musica sinfonica o la raccolta di francobolli. E per questo Kant propose una nuo- va metafisica universalistica di tipo morale basata sul dovere e sull'imperativo categorico, metafisica che piacque subito alla borghesia, per il semplice motivo che la sua normativit astratta era di fatto socialmente inapplicabile, esattamente come le prediche domenicali dei preti e come le (future, ma gi vicine) prediche marxiste del kautskismo della seconda internazionale (non a caso robustamente neokantiano). In David Hume, invece, la costituzione formalistica del soggetto giunge al suo culmine con la distruzione dello stesso concetto di soggetto come sede di uniden- tit stabile e permanente. Hume non ha alcun bisogno di identit stabili e perma- nenti, perch il suo concetto ipostatizzato di natura umana ricopre integralmen- te lo scambio capitalistico delle merci, e si riassume in un sistema psicologico di anticipazioni e di aspettative. E cos come la critica alla categoria di causalit non ha ovviamente nulla a che fare con le palline del biliardo (come credono gli scioc- chi lettori delle dossografie scolastiche), ma  uno strumento metaforico contro la teoria della causazione politica della societ tramite il contratto sociale basato sul diritto naturale (Hume consiglia di gettare via tutti i libri che parlano di inesistenti diritti naturali), nello stesso modo la sparizione humeana del soggetto ha la fun- zione di fare diventare la produzione capitalistica unit di soggetto e di oggetto. Se c' infatti un pensatore ultrametafisico il cui pensiero si basa sull'unit integrale di soggetto e di oggetto, questo  proprio Hume. La cosiddetta fallacia naturalisti ca, poi adeguatamente ripresa sotto altro nome da Max Weber, che praticamente wr CarrroLo XXXVII impedisce di emettere giudizi di valore direttamente sui giudizi di fatto (in questo caso, il fatto della produzione capitalistica naturalizzata, e quindi ipostatizzata), ha la funzione di creare una cortina fumogena su questo insieme di mistificazioni e di ipostatizzazioni. Il mondo di Hume non ha gi pi bisogno di legittimazione religiosa, e cio gi visibile nelloperetta Storia Naturale della Religione, che  un manuale di ateismo integrale, ricoperto di ipocrita scetticismo (nel mondo capitalistico, che si basa su di una generalizzata ipocrisia integrale, lateismo manifesto  malvisto, perch po- trebbe offendere una parte dei consumatori, mentre lo scetticismo  ben visto, per- ch corrisponde meglio alla natura snobistica, beffarda, relativistica e nichilistica del legame sociale). E tuttavia loperetta di Hume esce postuma. Il politicamente corretto dellepoca non sopporta ancora che si dica apertamente che Dio non esi- ste, oppure lo si dica con ipocriti e furbeschi ragionamenti indiretti. Certo, c' chi dice che Dio non esiste, e c' soltanto la materia (barone D'Holbach, ecc.). Ma si tratta di marginali tenuti ai margini della vera societ. Voltaire, lespressione pi pura di questa tendenza borghese, ironizza su preti e miracoli, ma nello stesso tempo esibisce un deismo razionalistico ispirato a Locke. Per quale ragione, allora, la dichiarazione della morte di Dio da parte di Nietz- sche fa tanto scalpore, e viene accolta come una novit sconvolgente? La cosa pu sembrare strana, visto che la dichiarazione che Dio non esiste, e lo hanno inventato | i preti per lucrare sulla paura della morte (paura umana, troppo umana, direbbe Nietzsche), e per sedersi per primi a tavola divorando i bocconi migliori (il cosid- detto boccone del prete, nel linguaggio popolare italiano), era gi vecchia come il cucco ai tempi della scandalosa dichiarazione nicciana. Ma, appunto, chi si stu- pisce mostra di non capire come la dichiarazione nicciana della morte di Dio  una dichiarazione sociale, perch proclama che per la prima volta nella storia europea la societ non ha pi bisogno di fondarsi su di una legittimazione religiosa. Per questo  possibile proclamare apertamente la morte di Dio, prima soltanto sussur- rata da gruppi di filosofi materialisti epicurei e libertini. Ed  per questo, per, che persino coloro che lo sanno benissimo (i borghesi scettici ed i dirigenti socialde- mocratici) riluttano a dirlo apertamente, e preferiscono invece continuare a vivere come se Dio ci fosse. Se infatti fosse manifesto che Dio non c', sarebbe necessario attuare una trasmutazione di tutti i valori, andare al di l del bene e del male, fare una spregiudicata genealogia della morale, dichiarare apertamente che la volont di potenza  il solo fondamento del mondo, rovesciare il nichilismo dal passivo ad attivo, insomma, tutto ci che un mondo decaduto non pu fare. L'originalit di Nietzsche, che lo pone al di l della dicotomia Destra/Sinistra, sta nel fatto che il suo concetto di decadenza investe simultaneamente sia l'ideologia borghese sia l'ideologia proletaria dellepoca, unificate dalla comune menzogna della credenza nell'esistenza della verit e del progresso. Nietzsche  il primo che investe dura- mente la comune matrice di tre versioni ideologiche della verit, la verit di Dio dei preti, la verit del Progresso dei borghesi ipocriti, ed infine la verit della Storia dei socialdemocratici. Questi ultimi sono quelli che Nietzsche disprezza di pi, e 388 La filosofia di Nietzsche e le ragioni storico-sociali del suo grande successo li vorrebbe ridotti ad iloti ed a schiavi.  questa la ragione del successo delle idee nicciane negli ambienti di destra, ma sarebbe egualmente errato ridurre la sua filosofia a questa ideologia da crumiri e da spezzatori di scioperi. In realt la teoria nicciana della morte di Dio non si sogna neppure di dire che Dio non esiste, cosa gi talmente nota da essere ormai ridotta ad una banalit umanistico-positivistica (Feuerbach, Comte, ecc.), ma sostiene invece che ormai la societ non ha pi biso- gno di una legittimazione religiosa, e per questo Dio  morto. Dio  morto perch ha esaurito il suo compito di legittimazione sociale, anche se l'ipocrisia politica- mente corretta non lo vuole ancora ammettere. Con questa sua dichiarazione Nietzsche rivela di essere quello che tutti i ma- nuali dossografici non capiscono, e cio un perfetto positivista. E tuttavia possiamo chiederci spregiudicatamente:  vero che Dio  morto, oppure lesagitato baffuto si sbaglia? Il fatto che le chiese siano sempre pi vuote pu effettivamente far pensare che la diagnosi di Nietzsche sia giusta. L'angoscia di papa Ratzinger si fonda infatti sul legittimo sospetto che Nietzsche possa avere ragione nella sua diagnosi in- fausta. E tuttavia io penso che questa diagnosi sia sbagliata, e questo del tutto indipendentemente dall'opinione (a mio avviso quasi sempre filosoficamente irri- levante) se Dio poi esista veramente oppure no. Il fatto che in Brasile, il paese pi corrotto, socialmente ingiusto e privatizzato del mondo, le chiese organizzate abbiano perso negli ultimi anni milioni di fedeli passati a miserabili sette fonda- mentaliste ultra-protestanti che promettono ricchezza e successo ignorando com- pletamente il precedente elemento pauperistico e solidale del cristianesimo, testi- monia che nell'epoca dell'isolamento informatico dell'individuo  isolato davanti alla luce fioca del proprio computer  anche la fede si individualizza. Le miserabili sette fondamentaliste rispondono evidentemente anch'esse ad un bisogno religio- so insopprimibile nell'uomo, ma vi rispondono nella forma dellindividualismo pi estremo e della chiamata individuale al successo ed alla ricchezza. Si dir che questo  il contrario del messaggio evangelico originario. Ma  chiaro che  l'esatto contrario! Non vi sono dubbi che lo sia! Ed  tuttavia questo il nemico principale delle religioni organizzate, non certo il cosiddetto ateismo di tipo scien- tistico-positivistico o umanistico-feuerbacchiano (oppure, orrore fra gli orrori, di tipo scientifico-staliniano). I fedeli, gi minoritari, si disperdono e si frammentano, dividendosi fra laici senzadio di tipo relativistico e nichilistico classico ed inva- sati settari che ballano e gridano che Cristo  il loro signore, mentre lo supplicano di farli diventare ricchi e famosi come i calciatori e le attrici di Hollywood. Nietzsche ha correttamente diagnosticato che l'avvento di un mondo del genere, il pi schifoso e corrotto nella storia dell'intera umanit, un mondo in cui la fichtia- na epoca della compiuta peccaminosit sarebbe in paragone una societ di carit e di beneficienza, pu soltanto essere pensato in una forma antropologica. La filosofia di Nietzsche infatti, in estrema sintesi,  uno scenario antropologico. Ed i profili fon- damentali di questo scenario antropologico sono cinque, e cio nell'ordine: luomo comune, o uomo umano e troppo umano; l'uomo superiore; leremita; lo Uber- 389 CaprroLo XXXVII mensch, non importa se questo termine venga tradotto come Superuomo (destra) o come Oltreuomo (sinistra); ed infine, pi importante di tutti, lUltimo Uomo. Come si noter, ho deciso di invertire la successione delle ultime due figure. Mentre in- fatti le esposizioni correnti del pensiero di Nietzsche collocano come culmine della sua antropologia lo Ubermensch (superuomo-oltreuomo), io credo invece che Niet- zsche si sia sbagliato, ed al culmine del mondo che ha descritto non ci possa che essere lultimo uomo. Ma, per comprendere questo,  bene descrivere brevemente il profilo di queste cinque figure, come risultano almeno da Cos parl Zarathustra. L'uomo, o meglio luomo semplice, luomo senza determinazioni specifiche, luomo-gregge, luomo umano troppo umano,  la prima figura antropologica del teatro nicciano. Questo uomo  sottomesso agli antichi valori della cultura tra- dizionale, ed  un nichilista passivo di cui il cammello  il simbolo (egli infatti  gravato dai vecchi valori come il cammello  gravato dai pesi), e leremita lide- ale. Quest'uomo  un nichilista perch svalorizza il mondo terreno rispetto ad un altro mondo, ed  cos condannato a fare parte di una plebe irriscattabile di iloti. Chiediamoci:  veramente cos? Non ho idea di come fosse esattamente ai tempi della Germania di Nietzsche, ma a me pare che le cose non stiano esattamente cos. Oggi luomo comune  completamente inserito nella liberalizzazione dei costumi provocata dalla necessit di indirizzare il consumo (solvibile) in tutte le direzioni, cui lIdeologia del 1968 ha fornito una sorta di copertura culturale. Pensare che di- penda ancora dal mondo dellaldil, contrapposto al mondo dellaldiqu, significa veramente essere rimasti ad un secolo fa. Oggi luomo umano, troppo umano, con- sidera pienamente legittima la scopata generalizzata, non crede pi nell'aldil, e si rivolge alla religione soltanto in caso di malattia grave o di riti sociali di conformi- smo comunitario. E cos come Kant aveva delegittimato una metafisica che proprio allora stava perdendo qualunque funzione sociale, nello stesso modo il kantiano (inconsapevole) Nietzsche invoca una legittimazione dei piaceri terreni che la produzione capitalistica era da parte sua ben contenta non solo di consentire, ma addirittura di promuovere. Per quanto Nietzsche si sforzi di legittimare filosofica- mente il diritto al corpo, rester sempre un dilettante rispetto ai pubblicitari. La seconda figura antropologica del teatro nicciano  luomo superiore. Mentre luomo comune svalorizza il mondo terreno in nome di un inesistente sopramon- do celeste divino, luomo superiore non ci crede gi pi, ma finisce con il disprez- zare sia il mondo celeste che il mondo terrestre, e quindi la sua superiorit  totalmente fasulla. Egli  infatti informato della morte di Dio, ma non giunge a convincersene realmente nel suo intimo e continua a comportarsi come se Dio esi- stesse ancora. Sostituisce il fondamento divino dei valori con un fondamento uma- no, ma la trasmutazione dei valori non avviene, e ci si trova immersi negli stessi valori precedenti. Quest'uomo superiore  come lacrobata (il primo compagno di Zarathustra). Lacrobata vorrebbe muoversi in direzione dellUbermensch ma nello stesso tempo vuole ignorare la morte di Dio ed in questo modo cade dalla corda su cui stava camminando, e la sua caduta  mortale. 390 La filosofia di Nietzsche e le ragioni storico-sociali del suo grande successo La figura delluomo-superiore-acrobata connota nella prospettiva nicciana tutto l'insieme dellumanesimo filosofico occidentale, da Spinoza a Kant fino ad He- gel (e di conseguenza a Marx, che filosoficamente  un umanista feuerbacchiano). Non  chiaro fino a che punto  possibile estendere questa figura antropologica nicciana, ma credo che essa simboleggi lo scacco inevitabile di tutte le filosofie umanistiche ed universalistiche della storia. Su questo punto Nietzsche precede in un certo senso Max Weber e Karl Lwith nella teoria per cui lumanesimo raziona- listico resta allinterno dei valori biblici e religiosi. Le due teorie di Max Weber (di- sincanto del mondo e politeismo dei valori nel mondo moderno come esito della riorganizzazione dell'illuminismo scientifico) e di Karl Lwith (le filosofie marxia- ne e marxiste dellemancipazione come secolarizzazioni della vecchia escatologia ebraico-cristiana nel linguaggio dell'economia politica) possono essere interpreta- te come sottoprodotti razionalizzati della figura antropologica nicciana dell'uomo superiore (ed infatti cos io le interpreto). La figura delleremita  la terza figura antropologica del teatro nicciano, e pre- senta un particolar interesse sociale. Dal momento che vive isolato fra le monta- gne, leremita non  informato della morte di Dio. E non essendone informato,  particolarmente schiacciato dal peso della metafisica e della morale tradizionale. Qui credo proprio che Nietzsche abbia veramente centrato il cuore della questione. Quando incontro vecchi militanti comunisti che non hanno ancora capito che lan- ticapitalismo resta interamente legittimo, ma il vecchio modello stalinista  morto, perch corrispondeva ad una fase storica sorpassata, mi sembra di essere vera- mente davanti ad una reincarnazione degli eremiti nicciani. Quando vedo giovani fuorviati che si bastonano ed a volte addirittura si uccidono in nome della dicoto- mia di Fascismo ed Antifascismo, dicotomia finita in Europa per sempre nel 1945, e riattizzata artificialmente per esclusive ragioni di manipolazione e di creazione artificiale di scenari devianti, mi sembra veramente di assistere a scontri fra eremi- ti. Ma evidentemente leremitaggio non  soltanto frutto di pigrizia o di semplice idiozia, anche se non bisogna dimenticare mai che lidiozia  la flora pi diffusa e numerosa nel meraviglioso mondo della botanica sociale. L'eremitaggio  un de- posito ideologico preziosissimo, in quanto lo sfruttamento politico dei depositi di eremitaggio ideologico permette sistematicamente di occultare i conflitti presenti in nome di conflitti pregressi. E mentre l'impero militare USA occupa il mondo intero con basi atomiche, la stupida giovent di eremiti europei  chiamata ad am- mazzarsi in nome di scenari tramontati a partire almeno dal 1945. In proposito, la categoria nicciana di eremitaggio resta la migliore in senso assoluto. La figura antropologica dello Ubermensch (superuomo-oltreuomo)  la quarta figura del teatro nicciano, ed  per pensata da Nietzsche come lultima e la culmi- nante, vera e propria variante nicciana della fine della storia del comunismo e del capitalismo globalizzato. Il fatto che Nietzsche sia del tutto interno alla prospettiva del culmine finale della storia (l'avvento dello Ubermensch, appunto) indica la sua dipendenza totale, ed a questo punto quasi ridicola, dalle metafisiche finalistiche ed escatologiche della storia. D'altronde, lo fa profetizzare da Zarathustra, del tut- 391 CarrroLo XXXVII to indifferente al fatto che lo Zarathustra reale predicava il contrario di quanto so- steneva Nietzsche, e cio la contrapposizione polare fra Bene e Male. Ma lesagitato baffuto, del tutto giustamente (su questo la sua superiorit sui pedanti  sempre stata assoluta), ignorava questi dettagli storici secondari. Personalmente, non sono affatto d'accordo con la tesi per cui l' Ubermensch  il culmine di un processo storico. Capisco perfettamente perch Nietzsche lo abbia fatto diventare il culmine, in quanto l'Ubermensch  il soggetto di una nuova me- tafisica, quella dell'eterno ritorno (che egli attribuisce sbrigativamente ai Greci, laddove non  esattamente cos) ed  il soggetto che pu attuare la trasvalutazione dei valori (il termine deriva dagli alchimisti, che speravano di poter estrarre loro dai metalli pi vili). Dal momento per che il tema  importante,  necessario di- scuterlo in modo maggiormente analitico. In primo luogo, ho gi fatto notare in precedenza la pittoresca ignoranza di Hei- degger del metodo marxiano della deduzione sociale delle categorie, da cui risulta che la metafisica ad un certo punto arriva come uno schellinghiano improvviso colpo di pistola, per cui Platone improvvisamente compie la scelta fatale di trattare l'essere come se fosse un ente, e di sostituire il disvelamento (aletheia) con lesat- tezza (orthotes). Ho fatto notare altres come questa ineffabile sostituzione, origine dellerramento e dello sviamento dell'Occidente, ha avuto in realt una genesi sociale e storica molto chiara, basata sul passaggio da una societ tribale fondata sulla indistinzione di macrocosmo naturale e di microcosmo sociale, che non ri- chiedeva pertanto operazioni di misura (metron), non essendosi ancora affacciato socialmente linfinito-indeterminato delle ricchezze (apeiron), ad una societ che invece lo richiedeva urgentemente come suo katekon. Dato che la pittoresca igno- ranza di Heidegger dei rapporti economici e sociali dell'antica Grecia gli impedi- sce di comprendere la natura storica e sociale di questo katekon,  evidente che egli debba ripiegare su spiegazioni ineffabili sapienzialmente demenziali di questa origine della metafisica. E tuttavia, Heidegger  un vero seguace di Marx e di Sohn-Rethel in rapporto al pittoresco baffuto Nietzsche, che pure era professionalmente un filologo classico, ma la cui ignoranza della Grecia reale sfiorava il sublime ed il surreale. Nietzsche, in compagnia peraltro con un gruppo di dilettanti sociali fra cui spiccano partico- larmente Hannah Arendt e Giuseppe Stalin, credeva veramente che gli antichi Greci fossero una massa di colti discutitori rivolti all'arte, alla filosofia ed al puro pen- siero in quanto mantenuti da masse gigantesche di iloti, schiavi, animali parlanti e strumenti semivocali. Paradossalmente, il nemico del classicismo monumenta- listico di Nietzsche aveva mutuato questa immagine idiota proprio dal classici- smo stesso, e dal suo culto di Atene come luogo eterno dell'armonia estetica pura. Non stupisce allora neppure il pittoresco fraintendimento nicciano della metafisica dell'eterno ritorno. Come pretesto per criticare lideologia borghese-proletaria del progresso, persino questa metafisica pu prestare un onorato servizio, ed io in- fatti la considero incondizionatamente migliore dell'ideologia del progresso, che  nellessenziale soltanto il tappeto su cui posa laccumulazione capitalistica il- 392 La filosofia di Nietzsche e le ragioni storico-sociali del suo grande successo limitata nel suo progredire indefinito ed indeterminato (apeiron). E tuttavia lidea del Grande Anno, in cui tutte le cose ritornano e ricominciano dopo un periodo di migliaia di anni,  riscontrabile in molte civilt antiche (indiani antichi, maya dello Yucatan, aztechi, ecc.), dunque, ad eccezione dei Greci, a meno che per Gre- ci si intendano alcune correnti stoiche del tutto marginali. Ed il fatto che Eraclito abbia potuto essere interpretato come un sostenitore di questa teoria pu essere assimilato allequivoco del principiante nello studio della lingua inglese, che tra- duce of course come di corsa. Nietzsche non  affatto a conoscenza dellesistenza di Diodoto e del fatto che il fuoco semprevivo di Eraclito non  una metafora dell'eterno ritorno del sempre eguale e del Grande Anno, ma della costituzione democratica isonomica di Efeso. Si  qui ancora una volta di fronte al fatto che una corretta e sobria interpretazio- ne storico-sociale degli antichi Greci  il presupposto indispensabile per capire tutto il pensiero occidentale successivo. Se infatti qualche critico mi dicesse che ho inter- pretato male Spinoza, Kant, Hegel e Marx ne sarei certamente rattristato, ma non lo considererei poi troppo importante, laddove se lo stesso critico mi dicesse che ho gravemente frainteso i Greci, allora s che mi preoccuperei seriamente. In secondo luogo, il fatto che Nietzsche usi una metafora alchemica per indi- care il processo di trasvalutazione dei valori (o trasmutazione, se cos si vuole), indica il carattere appunto alchemico di questo concetto. Gli alchimisti usavano la famosa pietra filosofale, che per ovviamente era una pura illusione da ciar- latani, perch la pietra filosofale non esisteva, e per questa ragione non poteva trasmutare assolutamente nulla. E la volont di potenza  a mio avviso lequiva- lente filosofico della pietra filosofale, in quanto ognuno pu sentirsi arbitrariamente sovrano di connotare come vuole la volont di potenza, concetto che non  un vero concetto (Begriff) perch non pu essere in alcun modo determinato e sottoposto ad analisi fenomenologica (nel senso di Hegel). Mentre infatti in Hegel tutti i compor- tamenti sociali ed individuali devono essere dedotti dialetticamente, nellesagitato baffuto tedesco questo non avviene, e qualunque confusionario pu sostenere di avere avuto una trasvalutazione dei valori, di aver superato il nichilismo passivo, di essere approdato al nichilismo attivo, ecc., trasformando il proprio illimitato arbitrio in nobile volont di potenza. In terzo luogo, per concludere su questo punto, il fatto che Ubermensch debba essere tradotto, a destra, come Superuomo, e debba invece essere tradotto, a sini- stra, come Oltreuomo, e che questo sia un problema teorico e filologico,  un pezzo di demenzialit pura, possibile soltanto in Italia, paese in cui la simulazione della lotta a morte Destra/Sinistra  stata protratta per pi di mezzo secolo in una inter- minabile danza degli equivoci. Ma come sar il vero Nietzsche, il vero Ubermensch nicciano? Quello della belva bionda nazista che ammazza ebrei, slavi, bolscevichi e negretti, oppure quello dell'uomo libero e consapevole, liberatosi dal peso cam- mellare delle grandi-narrazioni? Il dilemma  di sconcertante demenzialit, per il fatto che dovrebbe essere noto che il vero Nietzsche non esiste, e di conseguenza non esiste neppure il vero signi- 393 CaprroLo XXXVII ficato di bermensch. Lo bermensch  una porta girevole del teatro antropologico della morte di Dio e del nichilismo, ed  semplicemente una maschera di volta in volta assunta da almeno altre due figure antropologiche, luomo superiore e lulti- mo uomo (l'umano, troppo umano e leremita in genere non la indossano mai). In questo senso, il termine Ubermensch corrisponde esattamente al termine di Marx maschera di carattere (Charaktermaske), che indica non una precisa individualit concreta, ma un profilo teatrale determinato dai ruoli occupati allinterno di un rapporto sociale classista. Bisogna quindi contestare Nietzsche proprio per la sua pretesa principale, quel- la di indicare il profilo dello Ubermensch come esito dell'annuncio profetico di un culmine messianico della storia dell'occidente. Il baffuto filosofo del martello era quindi assai meno martellatore di come si autorappresentava. In realt, la sua ana- lisi resta interessante e pertinente, ma solo in rapporto alla sua analisi genetica (la sola che sia in realt riuscito a fare) dell'avvento dell'ultimo uomo. Ed infatti que- sto, e solo questo,  Nietzsche: il filosofo dialettico che spiega l'avvento dell'ultimo uomo. Ma questo Nietzsche  solo un allievo, inconsapevole e riluttante, di Hegel e di Marx, e non c nessuna possibilit che i tifosi del niccianesimo, essi stessi in gran parte ultimi uomini (che si autointerpretano quasi sempre per narcisistici Superuomini e/o Oltreuomini), riescano anche solo lontanamente a capirlo. La quinta figura antropologica del teatro sociale nicciano, quella dellUltimo Uomo,  la sola veramente interessante. L'uomo umano, troppo umano, luomo su- periore e acrobata, ed infine leremita sono tutti e tre profili interessanti, ma anche relativamente banali. In quanto allUbermensch, erroneamente considerato il pro- filo storico-antropologico pi interessante della filosofia nicciana complessiva,  in realt il meno interessante, per il fatto che  lunico che proprio non esiste, e non esiste perch non pu esistere, in quanto la volont di potenza (Wille zur Macht)  una funzione energetica che non esiste, perch non esiste il generatore di cor- rente che dovrebbe farla funzionare. Dal momento che viene chiamato volont di potenza larbitrio assoluto dell'illusione soggettiva di determinare il corso del mondo, che in realt larbitrio soggettivo non determina mai e non pu determi- nare, si  qui di fronte ad una sublimazione illusoria dellimpotenza che grida nel buio come un bambino spaventato e chiama se stessa Potenza (con la P maiuscola). Che cos' invece lUltimo Uomo? L'ultimo uomo  colui che sa, ed  bene informa- to, della morte di Dio, e su questa base sa ormai che tutto  possibile.  significativo che Nietzsche lo connoti come il pi disprezzabile degli uomini, in quanto non dispone neppure pi dei criteri per esserne consapevole e per potersi disprezzare da solo. Uomo del nichilismo, ha riconosciuto per tempo l'assenza di fondamento dei vecchi valori e sa bene, a differenza delleremita, che Dio  morto. Contento di veder sparire ogni costrizione ed ogni compito (in questo senso, non  pi um cammello), non  un creatore, perch non tenta di creare nuovi valori, e disprezza anche tutti gli umanesimi morali residui degli uomini superiori. Nietzsche riesoe veramente a descrivere molto bene questo profilo, e solo per questo si sarebbe gi meritato un posto immortale nella storia della filosofia occidentale (altri lo hanno 394 La filosofia di Nietzsche e le ragioni storico-sociali del suo grande successo conquistato per molto meno, e per pompose banalit moralistiche e gnoseologi- che). E tuttavia, naturalmente, Nietzsche non riesce assolutamente a produrre una genealogia di questa figura ad un tempo oscena ed imbecille, ed in questo modo, giunto alle soglie della sua stessa geniale teoria, non  in grado di descrivere in modo adeguato il mondo dell'ultimo uomo stesso. Per farlo, ci vorrebbero i meto- di di Hegel e di Marx, ma il baffuto esagitato disprezza Hegel, scambiandolo per un funzionario prussiano laureato in filosofia, ed ovviamente non conosce Marx (ma questo non  una colpa, visto che la visibilit di Marx  posteriore al suo im- pazzimento a Torino, citt per sua stessa natura favorevole ad impazzimenti di ogni tipo).  allora necessario tentare autonomamente di disegnare un profilo del Regno dellUltimo Uomo. La societ nicciana degli Ultimi Uomini, che sanno che Dio  morto (intendo Dio in tutte le sue versioni, che hanno come minimo comune denominatore il rico- noscimento razionale della sensatezza del mondo), ed appunto per questo tutto (il termine tutto indica le infinite forme di arbitrio soggettivo travestito da volont di potenza del Superuomo-Oltreuomo)  possibile,  esattamente quello che il consu- lente del pentagono Francis Fukuyama ha definito la fine capitalistica della storia. Il tutto  possibile  stato correttamente interpretato da G. Anders, uno dei pi grandi filosofi del Novecento (ed appunto per questo ignorato dallaccademismo fi- losofico del politicamente corretto), nel senso che tutto quanto viene scoperto dalla scienza ed applicato dalla tecnologia viene poi necessariamente messo in opera (a meno che, ovviamente, si temano rappresaglie). Si tratta, curiosamente, dell'unico significato di necessit storica ancora plausibile, in un'epoca storica in cui tutti gli altri significati della filosofia della storia (il regno di Dio cristiano, il comunismo marxista, ecc.) hanno visto crollare la credibilit sociale della loro presunta neces- sit. Ma di questo parler pi diffusamente nei prossimi due capitoli, in cui fornir la mia propria interpretazione filosofica della situazione storica attuale, sia pure passando attraverso il filtro di alcuni autori molto conosciuti (Max Weber e Martin Heidegger prima di tutti). La societ nicciana degli Ultimi Uomini  quindi la geniale anticipazione di al- meno un secolo dell'avvento di una societ capitalistica assoluta globalizzata. In questo senso la genialit previsionale di Nietzsche  stupefacente, e fa effettiva- mente di Nietzsche un profeta nel senso etimologico ebraico del termine, cio qual- cuno che dice prima degli altri quanto dovr accadere. Nella previsione nicciana dell'avvento della societ degli ultimi uomini si riannodano una serie di fili spezzati della storia della filosofia precedente, e possiamo quindi generosamente perdonar- gli di avere annunciato l'avvento di un profilo antropologico che non esiste, non pu esistere e non esister mai, lbermensch superuomo-oltreuomo, pura proie- zione ipostatizzata del suo personale delirio di volont di potenza, e pura sintesi di onnipotenza astratta e di concreta impotenza (uso qui la formula di Lukcs, che mi sembra assolutamente geniale). Nietzsche riannoda il filo della concezione greca che ha anticipato con altri con- cetti il tema della morte di Dio e dell'avvento di una societ di ultimi uomini. I 395 CaprroLo XXXVII Greci avevano perfettamente capito che lo scatenamento della soggettivit ha un nome (hybris), che la hybris  del tiranno, il pi spregevole fra gli uomini (Plato- ne), che il perseguimento dell'infinito e dellindeterminato (apeiron)  semplice- mente distruttivo per qualunque comunit (koinonia), ed  necessario socialmente che la ragione umana (logos) possa frenare questa deriva dissolutiva e distruttiva (katekon). In mancanza di tutto questo, l'avvento della societ degli ultimi uomini (che i Greci non chiamavano in questo modo, ma di cui avevano gi interamente il concetto) era inevitabile, ed avrebbe comportato addirittura la fine del mondo (apokalypsis). Nietzsche riannoda il filo della concezione cristiana medioevale dell Anticristo, condivisa non solo da mistici come Gioacchino da Fiore, ma anche da poeti e filo- sofi come Dante Alighieri. La cosa curiosa sta in ci, che mentre oggettivamente lo stava facendo, il maniaco baffuto pensava di essere lui stesso lanticristo e di stare martellando il crocefisso. Ma  come dice ancora Lukdcs  essi lo fanno, ma non lo sanno. E questo  stato proprio il caso di Nietzsche. Il pensiero cristiano medio- evale era pienamente consapevole della possibilit dell'avvento di una societ di ultimi uomini, anche se non li chiamava cos. Contro questa possibilit Francesco d'Assisi propose una nuova societ basata sulla paupertas e sulla simplicitas, e Gu- glielmo di Occam una chiesa invisibile formata da individualit portatrici del modello antropologico e sociale francescano. | Nietzsche riannoda il filo della concezione fichtiana dellepoca della compiuta peccaminosit, epoca caratterizzata non tanto dalla distruzione delle precedenti certezze, quanto dellassoluta mancanza di volont di ristabilire un concetto socia- le e comunitario di verit condivisa, questa volta fondata razionalmente, storica- mente e dialetticamente (il progetto di Hegel, come  noto). L'epoca della compiuta peccaminosit coincide infatti, quasi al cento per cento, con la societ nicciana degli ultimi uomini, ed  questo uno dei punti cruciali che devono essere socialmente occultati dal circo mediatico ed accademico internazionale. Se non fosse occulta- to, infatti, cadrebbe il teatrino dossografico della stragrande maggioranza delle ricostruzioni della filosofia contemporanea, basate o sul criterio politico (Marx di sinistra, Heidegger di destra, Max Weber di centro, Nietzsche alternativamente superuomo di destra o oltreuomo di sinistra, e via sproloquiando in modo da arri- vare sui paginoni culturali dei giornali), o su criteri formali del tutto irrilevanti (Marx per la dialettica e Nietzsche invece contro la dialettica, Hegel per la ragione ed invece Nietzsche ed Heidegger irrazionalisti, e via sproloquiando in modo da poter scrivere dossografie del tutto fuorvianti, concepite espressamente per non fare capire nulla dei reali problemi epocali di oggi). Nietzsche riannoda infine il senso intimo dello strato filosofico profondo del pensiero di Marx. A me sembra chiaro, infatti (anche se so bene che non lo  affatto per la stragrande maggioranza dei marxologi e dei marxisti politici), che per Marx la classe operaia, salariata e proletaria  l'equivalente moderno e contemporaneo del katekon dei Greci. Senza il suo provvidenziale ruolo modale, infatti, lo scate- namento infinito ed indeterminato (apeiron) sarebbe infatti del tutto incontrollabile 396 La filosofia di Nietzsche e le ragioni storico-sociali del suo grande successo ed inarrestabile. Il fatto  filologicamente innegabile  che Marx non si sarebbe mai espresso in questo modo metafisico, ma avrebbe sobriamente parlato del prole- tariato come fronte avanzato dello sviluppo delle forze produttive contro la bor- ghesia tentata dalla stagnazione parassitaria, non cambia nulla del senso profondo della concezione della storia. Nietzsche, quindi, come segnalatore di incendio (uso qui un termine impiegato da Michel Loewy per indicare il pensiero di Walter Benjamin). Ed il fatto che sostan- zialmente, al di l delle ridicole appartenenze identitarie di tipo partitico, Nietz- sche segnali lo stesso incendio segnalato da Marx, non pu ovviamente essere preso in considerazione n dal partito marxista n dal partito nicciano. E questo, ovviamente, per implacabili ragioni sociali dovuti alla falsa coscienza organizzata degli agenti ideologici in cui viene artificialmente divisa e dicotomizzata la societ contemporanea. Il partito marxista ed il partito nicciano, infatti, devono contrapporsi sia nella societ dello spettacolo (Debord), sia nel teatrino universitario delle scuole dellin- telletto astratto (Verstand). Da un lato la dialettica, dall'altro la differenza. Da un lato il proletariato salvifico ed emancipatore, guidato da nicciani uomini superio- ri di sinistra. Dall'altro gli scettici di destra, che sanno bene come le lites siano inevitabili in una societ complessa (la complessit  lultimo rifugio teorico del- le canaglie), dall'altro gli utopisti che sognano l'impossibile autogoverno politico e l'impossibile autogestione economica dei lavoratori riuniti in consigli. Eccetera, ecc. ... Lo sblocco di questa contrapposizione fasulla e fittizia non pu venire da argo- mentazioni convincenti, e tantomeno da ricostruzioni genetiche alternative della filosofia occidentale, come quella che il lettore benevolo e paziente ha sotto gli occhi. Lo sblocco sar (ammesso che possa esserci, tema su cui nutro un moderato scetticismo) un fatto sociale totale, dal momento che i riorientamenti gestaltici (ci che gli antichi chiamavano correttamente metanoia, o conversio) sono sempre fatti sociali. Ma questo significa che un numero crescente di persone guardi altrove (con- versio), oppure muti integralmente il suo modo di ragionare (metanoia). L'improba- bilit che questo avvenga, come  noto, ha portato Heidegger a pronunciare la fra- se sapienziale solo un Dio pu salvarci. A questa frase sar dedicato il prossimo capitolo, sia pure con argomentazioni ben diverse da quelle che sarebbero piaciute allo stesso Heidegger. 397 XXXVII. SoLo un Dro PU ANCORA SALVARCI. L'ESITO DEPRESSIVO NELLA FILOSOFIA CONTEMPORANEA NELLE DIAGNOSI DEPRESSIVE EPOCALI DELLA GABBIA D'ACCIAIO DI MAx WEBER E DELL'ESITO CONCLUSIVO DELLA LUNGA STORIA DELLA METAFISICA OCCIDENTALE IN TECNICA PLANETARIA DI MARTIN HEIDEGGER Vista con uno sguardo d'insieme, gran parte della filosofia contemporanea si ri- duce ad una fenomenologia della depressione. Non c' pi niente da fare. Solo un Dio potrebbe ancora salvarci. Ma siccome Dio non c', tanto vale affrontare virilmen- te ( proprio vero che viviamo in tempi di Viagra!) la nostra condizione umana disperata, in compagnia di amici colti, viaggi a basso costo in paradisi esotici di ragazze disponibili, ristoranti etnici, musica e letteratura alla moda di buona qua- lit, prevenzione delle malattie pi diffuse, conversazioni colte da caff letterari, politicamente corretto da sinistra moderata (quella estremista  composta da in- curabili eremiti che non sanno ancora che l'utopia si rovescerebbe inevitabilmente in terrore, penuria ed inefficienza), prevenzione poliziesca del terrorismo fonda- mentalista islamico, liberazione delle donne dal velo, e soprattutto diritti umani, diritti umani ed ancora diritti umani.  questo il nicciano profilo dell'ultimo uomo, quello che non crede a nulla, e tuttavia  inquieto del fatto che, se la gente non crede pi a nulla, tutto pu diven- tare possibile. Questa inquietudine occidentale, tuttavia, deve essere indagata con il metodo marxiano del materialismo storico, che consiglia di ricavare la sovra- struttura ideologica dai movimenti della struttura. E la struttura vede da circa due decenni un impoverimento della classe media nei paesi che hanno iniziato lo sviluppo capitalistico. Questa classe media  sempre stata negli ultimi duecento anni la prin- cipale produttrice di ideologia, ed  dunque dalla sua situazione sociale che dob- biamo partire. Dobbiamo partire, quindi, da quella sintesi instabile di onnipotenza astratta e di concreta impotenza (Lukcs) che lha caratterizzata ideologicamente. Soltanto dopo potremmo affrontare la decifrazione storico-genetica ed ontologico- sociale di due delle principali diagnosi filosofiche del novecento, quella di Max Weber (la gabbia d'acciaio delle societ complesse moderne), e quella di Martin Heidegger (la risoluzione finale della storia della metafisica in tecnica planetaria). Torniamo a Hegel. Per Hegel la filosofia unisce insieme il proprio tempo ap- preso nel pensiero e ci che , ed  eternamente. A me interessa sostanzialmente ci che , ed  eternamente, non l'ho mai nascosto al lettore, ed ho sempre consi- derato le teorie relativistiche, storicistiche e nichilistiche che negano questo modo di pensare, considerato metafisico e premoderno, non come lultima parola del- 399 CarrroLo XXXVII la saggezza mediatico-universitaria, ma come un insieme specifico di formazioni ideologiche del capitalismo, alcune dirette ed alcune indirette (le migliori e le pi sofisticate, appunto perch difficilmente diagnosticabili, e quindi cibo preferito dai gonzi e dai semicolti). E tuttavia  impossibile arrivarci direttamente. Ci vuole una deviazione (dtour) attraverso il proprio tempo appreso nel pensiero. E cerchiamo allora, sia pure in modo inevitabilmente incerto e dilettantesco, di apprendere il nostro tempo nel nostro pensiero. Hegel  morto nel 1831, Marx  morto nel 1883, e quindi non ci possono aiutare se non indirettamente, e cio metodologicamente. Mi rendo perfettamente conto che partire dal proprio tempo appreso nel pen- siero  pi facile a dirsi che a farsi. Che cosa caratterizza infatti il nostro tempo?  evidente che il cosiddetto nostro tempo  un concetto talmente generico e sfug- gente da permettere le pi arbitrarie manipolazioni ideologiche. Ciascuno, infatti, ipostatizza le proprie personali opinioni in interpretazioni epocali dello spirito del tempo (Zeitgeist). Sarebbe incauto da parte di chi scrive affermare di aver capito l'essenziale dello spirito del tempo. Ad esempio, partire dalle aspettative decre- scenti della classe media USA ed europeo-occidentale potrebbe sembrare scorretto ed incauto, dal momento che la cosiddetta globalizzazione (che  in realt sol- tanto una forma sfacciata di neoliberalismo) comporta invece aspettative crescenti di consumo e di benessere da parte delle classi medie cinesi, indiane e malesi. E tuttavia l'innovazione di Marx, che non deve essere gettata via insieme con il crollo dissolutivo dei sistemi socialisti, consiste proprio nel partire dalla struttura socia- le, e nel non credere che si possa soltanto fare una deduzione delle categorie del pensiero di tipo autoreferenziale e partenogenetico, come se le categorie semplice- mente si originassero una dall'altra. Sarebbe strano che per Eraclito e Parmenide si invocasse una deduzione sociale delle categorie, e poi improvvisamente questo non fosse pi valido per interpretare il mondo in cui viviamo ed il presente come storia (utilizzo qui un'espressione di Paul Sweezy). L'impoverimento delle classi medie europee, accompagnato dalla percezione diffusa di dover coltivare aspettative decrescenti per i propri figli e nipoti,  un fenomeno che segue ai cosiddetti trenta anni gloriosi 1945-1975 di cui ha par- lato lo storico Eric Hobsbawm, lo stesso storico che ha fatto passare persino nella manualistica scolastica la fortunata definizione di secolo breve per il novecen- to, accorciato in questo modo in un secolo definito dal 1914 (inizio della prima guerra mondiale) al 1991 (fine autodissolutiva del comunismo storico novecente- sco, gi fortemente indebolito nel 1989 dalla caduta del muro di Berlino, con conse- guente reincorporazione nella societ occidentale di mercato dei paesi socialisti dell'Europa centro-orientale). Il secolo breve 1914-1991 sarebbe quindi un secolo durato settantasette anni, e cio una vita umana media. Se Hobsbawm ha ragione a proporre questa periodizzazione, non possiamo pensare che essa non abbia nessun rapporto con la produzione filosofica. Se lo pensassimo, dovremmo abbandonare ogni pretesa di deduzione sociale delle categorie. Certo, la proposta di Hobsbawm  indubbiamente eurocentrica, ma nello stesso tempo bisogna dire apertamente se la si accetta oppure no. 400 Solo un Dio pu ancora salvarci. L'esito depressivo nella filosofia contemporanea Io laccetto come ipotesi metodologica di lavoro. La dossografia filosofica uni- versitaria ovviamente non pu farlo, ma io lo faccio. Partendo da questa ipotesi metodologica di lavoro (il secolo breve 1914-1991), cerchiamo di elaborarne le ca- tegorie, sulla base del progetto di poter apprendere il nostro tempo nel pensiero. In primo luogo, il 1914 appare come lanno criminale per eccellenza, lanno da cui tutto ci che segue deriva, come deriva un filo che viene sgomitolato da un gomitolo. E tuttavia la natura criminale del 1914 deve essere in qualche modo ideologicamente silenziata, dal momento che una qualunque indagine storico- sociologica ci direbbe che le classi dirigenti e dominanti di oggi sono ancora pi o meno le stesse che dirigevano e dominavano nel 1914. E ci si potrebbe infatti legit- timamente domandare: com' possibile fidarsi di gruppi sociali che ci promettono un felice futuro, e che sono gli stessi (con pochi spostamenti fra borghesia e nobilt, ecc.) che hanno innescato loscena mattanza di milioni di morti nelle trincee del 1914-18 (che diventa poi il 1911-22 per paesi come la Turchia e pi in generale il vicino oriente)?  evidente che la prima operazione ia delle classi dominanti deve es- sere un'operazione di oblio e di diversione rispetto al 1914. Tutto ci che viene dopo deve essere colpa di uomini con nome e cognome (in particolare il comu- nismo, e cio Stalin, ed il nazionalsocialismo, e cio Hitler), mentre il 1914 deve svanire in un nebbia lattiginosa come fatalit, ecc. Certo, pochi oggi rivendica- no apertamente il 1914, in quanto non esiste pi la congiuntura storica che aveva spinto Mussolini nel 1922 e Hitler nel 1933 a rivendicare un tradimento (rispet- tivamente, una vittoria tradita per Mussolini ed una sconfitta dovuta a traditori per Hitler). Ma ci che conta  cancellare le tracce ed avvelenare i pozzi non tanto della cosiddetta memoria (che il gruppo sociale dei professori universitari di storia contemporanea ha trasformato in memoria selettiva politicamente corretta, e cio in non-memoria ed in ideologia di legittimazione), quanto della possibilit di ri- costruzione razionale del passato prossimo, e cio ancora relativamente vicino. Ma com' possibile far dimenticare il 1914, e cio la mattanza sanguinosa originaria, di cui le classi operaie, salariate e proletarie, pur subalterne e stupide, e sia pur intrise di nazionalismo e di razzismo imperialistico, sono sostanzialmente innocenti, laddove integralmente colpevoli sono soltanto le borghesie imperialistiche, alleate bens con i residui di classi nobiliari diplomatico-militari, ma sostanzial- mente dominanti e sovrane?  possibile, ovviamente, con una strategia di diversio- ne ideologica. E come avviene questa diversione ideologica? Ma  facile. Avviene ricostruendo lintera storia del novecento, in questo caso la storia del secolo breve posteriore al 1914, come storia della follia del totalitarismo, e cio come una sorta di peccato mortale laicizzato, il peccato di aver pensato di poter imporre il delirio ideologico al mondo. E sotto la categoria unificata di delirio ideologico si mettono insieme il de- lirio ideologico del nazionalsocialismo di Hitler, in primo luogo, ed il delirio ide- ologico del comunismo di Stalin, in secondo luogo. Questi sono i deliri ideologici massimi, quelli che Dante avrebbe messo nelle fauci di Lucifero. Poi ci sono varie 401 CarrroLo XXXVII forme satellitari di deliretti e delirucci, da Mussolini a Mao Tse Tung, da Pol Pot a Ho Chi Minh. Se si accetta questa impostazione, il gioco  finito, ed il neoliberalismo ultracapitalistico ha gi vinto, ed il resto  soltanto un insieme di innocui detta- gli storiografici minori, cibo per chiacchieroni videodipendenti dei programmi di cosiddetta divulgazione storica, vere e proprie macchine da guerra per non far capire nulla delle dinamiche della storia contemporanea. Intendiamoci.  quasi umiliante doverlo dire - ma la pressione sociale del poli- ticamente corretto lo impone -, questo non significa affatto legittimare a posteriori Hitler oppure Stalin, o uno solo dei due, oppure tutti e due. Per chi si ispira alle filosofie umanistiche dei Greci, di Spinoza, di Hegel e di Marx qualunque pelo- sa giustificazione di questi due personaggi sarebbe semplicemente impossibile. Alla luce di questa tradizione umanistica, come si potrebbe approvare, o anche solo giustificare in modo contorto (contestualizzazione storica, emergenza di guer- ra, ecc.) la giudeofobia sterministica di Hitler e lorganizzazione ingegneristica razionale del genocidio di Auschwitz?  chiaro che sarebbe del tutto impossibi- le. E alla luce del metodo di Marx, per di pi fondato sulla scienza filosofica della totalit di Hegel, come si potrebbero approvare i metodi di Stalin, dal capillare sistema del lavoro schiavistico dei gulag fino alle migliaia di ufficiali prigionieri massacrati a freddo nelle cosiddette fosse di Katyn in Polonia?  chiaro che sa- rebbe del tutto impossibile, e non solo per ragioni ispirate al moralismo kantiano, ma proprio per ragioni ispirate alle filosofia della storia di Hegel e di Marx, di cui ho gi dato un'ampia interpretazione personale nei capitoli precedenti, ispirata proprio al rifiuto del giustificazionismo storicistico del relativismo machiavellico. Dunque, nessun recupero ipocrita del cosiddetto totalitarismo (categoria te- orica di cui ho gi criticato l'incapacit euristica, ma che so bene essere ormai una categoria sacralizzata del politicamente corretto attuale). E tuttavia non posso non rilevare che il primo effetto collaterale di questo modo di pensare consiste nel delegittimare la rivoluzione russa del 1917 e la figure di Lenin. Ho criticato ampia- mente nei capitoli precedenti la sciagurata tendenza di Lenin a ridurre il campo della filosofia a campo manipolabile delle ideologie, a valutare la filosofia idea- listica come una forma di pretismo travestito ed a scendere in stupide volgarit contro lidea di Dio (letame, spazzatura, ecc.), ma devo qui ribadire che la sua rivo- luzione del 1917  stata sacrosanta, ed  stata sacrosanta perch rispondeva, sul suo terreno, alla precedente grande mattanza. I vari Ernst Nolte e Francois Furet non colgono intenzionalmente questo aspetto, con le loro teorie della guerra civile eu- ropea innescata dai comunisti e dalla loro illusione del comunismo in quanto tale. Non parliamo poi delle banalit universitarie del comunismo come totalitarismo di Hannah Arendt e delle operazioni di colpevolizzazione pregressa di Rousseau, di Hegel e dello Marx per i crimini di Stalin. Tanto varrebbe prendersela con il cro- cifisso per i cristiani di Torquemada e della Santa Inquisizione, tenendo conto che il crocifisso  stato oscenamente agitato davanti a Giordano Bruno mentre stava bruciando vivo. Bisogna solo vergognarsi per il fatto di aver permesso che il di- battito storico e filosofico possa scendere a tali tragicomiche bassezze! Per criticare 402 Solo un Dio pu ancora salvarci. L'esito depressivo nella filosofia contemporanea duramente e senza sconti i dittatori del novecento non c nessun bisogno di demonizzarli, come se provenissero da una sorta di buco nero sovrastorico da cui improvvisamente irrompe il male. Un male metafisico, eccezionale, interamente destoricizzato e desocializzato. Un Male Assoluto, da cui ricavare con una opera- zione di teologia negativa, questa s imperfettamente laicizzata, un Bene Assoluto ricavato per contrasto. E se allora il Male Assoluto  il totalitarismo, il Bene Assoluto ricavato per contrasto non dialettico  il liberalismo capitalistico della globalizza- zione attuale. Si tratta di un vero segreto di Pulcinella, che assomiglia a quei giochi delle tre carte con cui astuti trafficoni turlupinano ingenui provinciali appena scesi dai loro treni. Eppure, perch questo trucco non viene respinto? Come si fa a non capire che vi sono fortissime ragioni razionali per respingere le ragioni dei dittatori novecen- teschi, senza per questo aver bisogno di una demonizzazione metafisica del tutto destoricizzata e desocializzata? E come non capire che la demonizzazione  a sua volta uno strumento di manipolazione che deve servire a legittimare gli assetti sociali e politici ingiusti del presente? Si tratta di qualcosa che dura da almeno quattromila anni. Come fare a non capirlo? Come si pu essere tanto stupidi da non capirlo? La stupidit, tuttavia, non  una categoria biologica, ma  prima di tutto una categoria sociale. In quanto categoria sociale,  una categoria ideologica. Opporsi, significa affrontare una pressione sociale terribile, che oggi non giunge pi ai roghi ed alle condanne a morte, ma che comporta isolamento sociale, disapprovazione diffusa, maldicenza generalizzata, esclusione dai canali mediatici, silenziamento sistematico, insomma, tutto quel complesso di provvedimenti soft che un soggetto indebolito come quello odierno pu non riuscire a sopportare. Ho scritto che l'individuo del capitalismo avanzato  caratterizzato da una sin- tesi vacillante di onnipotenza astratta e di concreta impotenza. Onnipotenza astratta perch in teoria viviamo in una societ di individui sovrani le cui scelte libere determinano la sintesi sociale ed il legame politico. Concreta impotenza perch in realt soltanto gli imperativi sistemici della riproduzione capitalistica complessiva contano qualcosa, e di fronte ad essi tutti devono adeguarsi. In proposito il grande saggista americano Chirstopher Lasch ha rilevato che in questa situazione lio del soggetto tende a diventare un io minimo, e che la principale caratteristica di questo io minimo  il narcisismo. Viviamo infatti, secondo Lasch, in una societ del narcisismo, continuamente innaffiato e coltivato dal circo mediatico, in particolare televisivo, che potremmo infatti definire in termini di Narcisismo Organizzato. In queste condizioni si restringono anche i margini per il coraggio di pagare le spese sociali per il proprio anti-conformismo. Il fatto che l'infrazione del politica- mente corretto, questa nuova teologia per senzadio, comporti automaticamente una generalizzata assenza di riconoscimento, che gi Hegel aveva ritenuto essen- ziale per lautocoscienza umana media, porta l'io minimo narcisista del tardo capi- talismo a ripiegare in una zona maggiormente protetta di conformismo sociale. Ed  questa a mio avviso la ragione principale per cui la Demonizzazione del Male, 403 CarrroLo XXXVIII che ne impedisce una ricostruzione storico-genetica credibile e razionale, viene accettata dalla tremebonda e narcisistica categoria degli intellettuali, sulla quale ho gi espresso la mia severa opinione in un capitolo precedente. La demonizzazione  sempre per sua natura una demonizzazione selettiva. Si demonizzano sempre e soltanto coloro che il conformismo del politicamente cor- retto ha gi selezionato. Ad esempio, il politicamente corretto di oggi, contro le opinioni esplicite del grande G. Anders, deve demonizzare soltanto Auschwitz, mentre deve salvare Hiroshima, per il semplice fatto che chi ha commesso Hiro- shima  anche il grande impero buono cui tutti oggi sono chiamati a sottomettersi. Il giullare conformista Roberto Benigni, attentissimo a cogliere i rapporti di forza sociali, ha fatto un film su Auschwitz, ed ha fatto liberare nel suo film Auschwitz da un carro armato americano, laddove nella storia reale (che per, appunto, non conta pi nulla) Auschwitz  stata liberata dallarmata sovietica di Stalin. Ma un totalitario non pu per definizione fare il bene, ed allora la storia viene can- cellata. Buffoni e giullari sono su questo terreno molto pi avanti dei filosofi e degli storici contemporaneisti. Ma le cose non cambiano passando dai giullari di professione ai politici di professione. Scrive Fausto Bertinotti:  stato affermato che con Auschwitz Dio  morto. Poi c' stata Hiroshima, la violenza di chi ha vinto contro il nazismo. Era legittima Hiroshima? Potremmo rispondere di s, perch meno distruttiva di Auschwitz e del nazismo. Perch il nazismo  intrinsecamente distruzione, oppressione sistematica e violenza generalizzata. Auschwitz  la sua cattedrale e la sua verit. Hiroshima non aveva come fine lannientamento. Era un modo terribile e violento di opporsi ad esso. Ho voluto citare questo pezzo intriso di stupidit e di ignoranza, nonostante sia un nemico della citatologia, perch qui si ha una manifestazione, sia pure un po sgangherata storiograficamente (il nazismo era infatti gi stato vinto da quattro mesi quando furono gettate le due bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki, che non furono gettate per ragioni umanistiche o antifasciste, ma per una strategia bellica di vecchio tipo), della fondazione ideologica del mondo in cui viviamo. E questa fondazione ideologica pu essere riassunta cos demonizzare soltanto Auschwitz, di cui si afferma leccezionalit e l'incomparabilit, e innocentizzare Hiroshima, di cui si afferma la dolorosa necessit per poter vincere contro il Male Assoluto del fascismo (peraltro gi vinto quattro mesi prima). Il filosofo irlandese Desmond Fennell, in unopera magistrale (cfr. The Postwe- stern Condition), ha definito cos la condizione post-occidentale contemporanea: abbiamo fatto Auschwitz, e ce ne siamo pentiti, e l'abbiamo deplorata come ingiu- stificabile, ed  bene che si sia fatto cos; abbiamo fatto Hiroshima, non ce ne siamo pentiti e l'abbiamo variamente giustificata (risparmiare la vita dei nostri ragazzi, our boys, ecc.); in questo modo, con questo sistema di doppio peso e doppia misu- ra, abbiamo implicitamente affermato che potremmo anche rifarla in futuro; ed in questo modo abbiamo anche rotto con la tradizione filosofica occidentale, che si basava sul fatto che gli inermi, donne, vecchi e bambini, devono essere il pi pos- sibile risparmiati dalla guerra. 404 Solo un Dio pu ancora salvarci. L'esito depressivo nella filosofia contemporanea Desmond Fennell ha ragione. La doppia contabilit su Auschwitz ed Hiro- shima  a tutti gli effetti il fondamento ideologico dell'et contemporanea, e prima di filosofeggiare con Weber ed Heidegger  necessario sottolineare fortemente questo punto simbolico essenziale. L'apeiron ideologico, e cio Auschwitz,  giustamente condannato; ma lapeiron tecnologico, e cio Hiroshima, viene assolto. Questo  il primo aspetto del nostro tempo appreso nel pensiero. So bene che quasi tutti i pii, virtuosi e timorosi sostenitori della eccezionalit imparagonabile di Auschwitz lo fanno in perfetta buonafede, determinati a sotto- lineare in questo modo che per i responsabili di Auschwitz non si possono trovare scuse di alcun tipo o attenuanti di tipo patriottico. E tuttavia nel linguaggio di Marx il termine  buonafede si traduce come falsa coscienza necessaria, ed a sua volta la falsa coscienza necessaria  una sovrastruttura di tipo ideologico. La funzione di questa sovrastruttura ideologica, infatti,  appunto quella di fondare una religione. La fondazione religiosa, infatti  sempre unica ed eccezionale. I ro- mani hanno crocefisso centinaia di migliaia di ribelli, ma la crocefissione di Ges  unica. Milioni di arabi hanno avuto in millenni di storia rivelazioni divine nel deserto, ma la rivelazione di Maometto  unica. L'unicit  sempre la fondazione di una religione. Hitler ha fatto veramente lolocausto, ed i negazionisti hanno torto a negarlo (anche se hanno torto anche coloro che gli negano il diritto di negarlo pubblicamente). Ma la religione dellolocausto  una religione, particolarmente adatta ad un periodo storico che non sopporta religioni normative della morale sessuale, e bisogna analizzarla come tale, senza paura che il farlo sollevi rabbiose (ed assurde) accuse di antisemitismo (per fortuna evitate ad ebrei come Spinoza, Marx, Lukcs, ecc.). E tuttavia con queste osservazioni non abbiamo ancora sfiorato il centro della questione. Ed il centro sta in ci, che la condanna delle ideologie totalitarie del novecento, sia del grande diavolo Hitler che del piccolo diavolo Stalin, oltre a pro- durre leffetto religioso di destoricizzazione e di desocializzazione, ha la funzione di rilegittimare integralmente la naturalit, a questo punto non pi ideologica, del- la produzione capitalistica.  allora come se Fichte, Hegel, Marx, Nietzsche, ecc., non fossero mai esistiti. Si ritorna al vecchio paradigma di David Hume, per cui la natura umana  la semplice duplicazione psicologica dellaltrettanto naturale produzione capitalistica. E tuttavia, non possiamo rinunciare all'idea per cui sia il capitalismo che il co- munismo sono prodotti storici, e non  affatto vero che il primo sia pi naturale del secondo. Il fatto di criticare radicalmente le forme storiche novecentesche del comunismo (e chi scrive  un noto specialista di queste critiche) non significa asso- lutamente, e non deve significare, l'accettazione tacita o implicita della naturalit della produzione capitalistica. Invece  proprio questa naturalit che  perseguita dai sostenitori della demonizzazione del novecento come secolo dei mostri ide- ologici. I pi intelligenti di questi demonizzatori sanno perfettamente qual  lo scopo di questa demonizzazione, mentre i pi stupidi di essi non lo capiscono, ma demonizzano egualmente. 405 CarrroLo XXXVII Considero gli sutpidi peggiori degli altri, perch dopo i dodici anni di et la stupidit non  pi solo un ritardo scolastico, ma  un vero e proprio crimine. Ma  stato veramente il secolo breve (1914-1991) il secolo delle ideologie assassine, mostruosa parentesi di un flusso storico normale e naturale di pro- gresso economico e scientifico? A me non risulta, e pensare che ho insegnato storia per trentacinque anni! A me risulta altro. Risulta, prima di tutto, che sia stato un secolo di grandi movimenti di liberazione nazionale in Asia, Africa ed America Latina, che si sono diretti in modo assolutamente legittimo contro potenze colo- niali, razziste ed imperialiste. Risulta che, proprio a causa del grande massacro del 1914 derivato da una concorrenza economica degenerata poi in scontro militare diretto (il famoso imperialismo di Lenin, di cui c' persino stato qualcuno che ne ha sfacciatamente voluto negare lesistenza), ci sono stati tentativi di restaurare l'egemonia della politica sull'economia, o pi esattamente della decisione politica sugli automatismi dell'economia. Ed  proprio questo fenomeno della restaurazio- ne del primato della politica sull'economia che vuole esorcizzare ideologicamente il grande concerto mediatico-universitario del novecento come secolo delle ideo- logie assassine. Per poter produrre la naturalit non ideologica della produzio- ne capitalistica, in modo che questa naturalit possa assumere la doppia forma del pensiero unico e del politicamente corretto, bisogna prima scatenare la muta urlante degli intellettuali, che riduca il novecento a secolo delle ideologie assassine, ed azzeri totalmente il mondo dei significati storici e sociali riducen- do questo mondo ad una sola dimensione, quella dei diritti umani a geometria variabile e soprattutto a bombardamento etico differenziato. Con questo, ovviamente, non intendo affatto dire che tutte le forme con cui nel secolo breve 1914-1991 si  manifestato questo tentativo di riaffermare il primato della decisione politica sugli automatismi economici (il giudizio dei mercati, per usare lespressione favorita di Romano Prodi) siano state buone ed apprezzabili. Non lo sono state affatto. In estrema sintesi ce ne sono state almeno cinque: il co- munismo storico novecentesco realmente esistito, che  anche stata la forma storica pi importante; i vari fascismi e nazionalsocialismi, di cui non si pu negare lin- tenzione soggettiva di restaurare il primato della decisione politica sull'economia pura e semplice (e questo non  un caso, perch la loro base di classe era la piccola borghesia, che gli automatismi economici schiaccia come e pi dello stesso prole- tariato); le socialdemocrazie (scandinave, ma non solo) di redistribuzione sociale del reddito attraverso la fiscalit e la promozione del cooperativismo e del muni- cipalismo; i populismi di vario tipo (peronismo argentino, nasserismo egiziano, ecc.), certamente interclassisti, ma anche spostati verso gli interessi dei meno privilegiati; ed infine, i modelli di sviluppo protetto dei paesi giunti tardi al li- vello dellindustrializzazione matura (quello che Samir Amin, economista marxi- sta egiziano, chiama sviluppo autocentrato). Tutti e cinque questi modelli devono essere sottoposti ad esame storico, sto- riografico, politico, economico ed anche morale e filosofico. Non vedo perch la filosofia non dovrebbe avere il diritto di giudicarli, visto che nella modernit  406 Solo un Dio pu ancora salvarci. L'esito depressivo nella filosofia contemporanea impossibile non avere una filosofia della storia universale, e coloro che affermano grottescamente di non averla sono in genere quelli che ne professano una variante particolarmente misera, destoricizzata e desocializzata. Per il momento, io constato che nel momento in cui ho scritto queste righe, e prescindo da tutti i giudizi sto- rici e morali che si possono (e si debbono) dare su questi fenomeni storici, tutti e cinque questi tentativi di restaurare il primato della decisione politica sovrana sui movimenti anonimi dell'economia sono falliti, ed il primato dell'economia  stato restaurato ovunque. Vogliamo interrogare filosoficamente questa Grande Restaura- zione, ben maggiore di quella dilettantesca e provvisoria del 1815, oppure voglia- mo lasciarne la discussione alle facolt di economia, che se ne prenderanno l80 per cento almeno, lasciando il restante 20 per cento alle facolt di storia, sociologia, psicologia (il disagio, la societ liquida, ecc.), e via citando? A questo punto, ma solo a questo punto, dopo aver messo le carte in tavola, pos- siamo cominciare ad interrogare i grandi interpreti del novecento, senza rischiare di limitarci ad una educata simulazione accademica. Preliminare ad ogni sguardo filosofico sul mondo (lo sguardo filosofico sul mondo  quello che mira a diagnosticarne la totalit espressiva, prima semplice- mente intuita e poi razionalmente costruita con il metodo dialettico della scienza filosofica propriamente detta)  l'accertamento se via sia una foresta, oppure sol- tanto degli alberi sparsi. In questo caso la domanda  questa: c' qualcosa in co- mune fra Hegel, Marx, Weber e Heidegger, per cui tutti e quattro fanno parte della stessa foresta, oppure per quanto si osservi non si trover mai un vero minimo denominatore comune? La mia risposta  decisamente di s, e di qui bisogna parti- re: l'elemento comune di questi quattro pensatori  il privilegiamento esplicito della storia dell'occidente, e solo dell'occidente, per comprendere e prevedere i processi storici e geografici di universalizzazione di un unico modello di vita nel mondo in- tero. Tutti e quattro, infatti, sono filosofi della storia, e non potrebbero non esserlo, perch dopo la met del settecento europeo, con la caduta generalizzata della vi- sione biblica del tempo, tutti sono filosofi della storia, lo ammettano o no. Ma tutti e quattro sono paradossalmente anche e soprattutto filosofi della geografia, e prima lo si capisce e meglio , visto che il nucleo del pensiero post-moderno  proprio il fatto di essere basato su di uno spostamento dal tempo allo spazio, e quindi dalla storia alla geografia. In proposito, bisogna cercare in questi quattro eminenti pen- satori le origini dialettiche di questo spostamento. Nel caso di Hegel,  del tutto evidente che egli concede alloccidente uno spazio unico e privilegiato. L'occidente  il luogo universale in cui si realizza il con- cetto di libert come autocoscienza reale, e cio non solo come arbitrio del volere di uno, di pochi o di tutti, ma come processo di progressiva consapevolezza del significato del mondo, consapevolezza che diventa autoconsapevolezza sulla base dell'identit di soggetto ed oggetto. Il resto del mondo, dallebraismo (che per He- gel non appartiene integralmente alloccidente, ed infatti Hegel non si sarebbe mai sognato  come ad esempio Lwith  di connotare la civilt ebraico-cristiana come qualcosa di unitario) all'India, dalla Cina al vicino oriente islamico, non si trova 407 CarrroLo XXXVIII per Hegel sullo stesso piano dell'esperienza occidentale, perch non vi si trova la libert come processo dialettico di autocoscienza. Gli ebrei hanno una divinit tribale che non si incarna nell'uomo, e che per di pi  programmaticamente non universalistica, perch ha stretto un patto di alleanza con il suo popolo esclusivo. L'India non distingue fra animali e uomini, ed il suo ilozoismo materialistico del- la metempsicosi non permette l'emersione dellautocoscienza libera. La Cina  il paese del formalismo e dell'imposizione estrinseca della legge, ecc. In sostanza, per Hegel la storia universale c', ma  concettualmente riservata alloccidente, e solo alloccidente. In questo senso, la critica di Hegel allempirismo inglese ed alla visione del mondo di Locke, Hume e Smith resta monca ed interrotta. Il robinso- nimso del primo lavoratore-proprietario di Locke, il concetto di natura umana di Hume ricalcata sulla rete di aspettative individuali reciproche prodotta da un mer- cato di venditori e di compratori, la provvidenziale mano invisibile di Smith, ecc., sono tutte forme di ipostatizzazione occidentalistica, in cui comportamenti soltan- to occidentali vengono fatti passare per dati antropologici della natura umana in generale. Hegel  chiaramente migliore di costoro, perch introduce correttamente il concetto di progressiva acquisizione dialettica dellautocoscienza (cfr. Fenome- nologia dello Spirito) e di scienza filosofica del sapere (cfr. Scienza della Logica), oltre che ovviamente il rifiuto di considerare la societ civile degli individui economici come il fondamento morale del mondo (cfr. Filosofia del Diritto). E tuttavia il privile- giamento universalistico delloccidentalismo resta alla base del suo pensiero. Non poteva essere diversamente, dati i tempi storici in cui ha vissuto. Ma siccome noi oggi viviamo in altri tempi storici, e l'epoca di gestazione e trapasso non  pi la stessa, abbiamo il diritto di modificare alcune delle sue tesi. Karl Marx, come  noto,  stato un allievo di Hegel, e come tutti gli allievi si  portato dietro vantaggi e svantaggi, perch uno dei fondamenti della filosofia coincide con lultima battuta del film A qualcuno piace caldo, e cio nessuno  per- fetto. Come ha acutamente rilevato Iring Fetscher, Marx ha ereditato da Hegel il privilegiamento del profilo storico-antropologico occidentale: l'occidente, e solo l'occidente, ha prodotto il modo di produzione capitalistico, ma questo modo di produzione capitalistico, diffondendosi nel mondo intero, produrr nel mondo in- tero le premesse oggettive per il rovesciamento dialettico nel comunismo. Se que- sto non  occidentalismo, sia pure rivoluzionario, mi chiedo che cosa vuol dire occidentalismo. Ed in proposito Lenin, considerato spesso un fraintenditore ed un peggioratore rispetto a Marx, non lo  invece a mio avviso per nulla, perch Le- nin rompe parzialmente con loccidentalismo legittimando integralmente il diritto assoluto alle rivoluzioni anticoloniali (ed  proprio per questo rifiuto dellocciden- talismo che Lenin  in genere tanto odiato dalle anime belle, ed anche ovviamen- te dalle anime brutte). Le indegne stupidaggini che Lenin ha detto su questioni filosofiche, da me gi ampiamente rilevate, non toccano questa questione di fondo decisiva. Lenin resta colui che ha smosso il terreno, contribuendo a diminuire loccidentalismo marxiano (anch'esso  peraltro  figlio della sua epoca ottocente- sca). 408 Solo un Dio pu ancora salvarci. L'esito depressivo nella filosofia contemporanea Ho ritenuto necessario questo rimando a Hegel ed a Marx, perch sussiste il pregiudizio storiografico per cui Max Weber e Martin Heidegger sono tutt'altra cosa. Weber e Heidegger conoscono indubbiamente Nietzsche, che Hegel e Marx non potevano conoscere, e partono quindi dalla sua azione corrosiva. Ma per quanto riguarda il privilegiamento occidentalistico essi sono paradossalmente eredi eretici e critici di Hegel e di Marx. Per Weber il razionalismo occidentale, sia pure nato in un punto geografico e storico particolare del mondo,  il destino del mondo intero, nel senso che il mondo intero diventa mano a mano terra di conquista per la razionalizzazione progressiva di una societ della divisione del lavoro, dellinevitabilit della gestione sociale da parte di lites specializzate, del disincantamento del mondo e del connesso politeismo dei valori. Per Heidegger la risoluzione progressiva della metafisica in tecnica planetaria, sorta in una specifica congiuntura occidentale nell'antica Grecia, diventa inevitabilmente tecnica plane- taria. Possiamo allora concluderne che la teoria weberiana della razionalizzazione come destino, e la teoria heideggeriana parimenti della tecnica come destino, rappresentano pur sempre una continuazione della teoria hegeliana della libert e della teoria marxiana dellemancipazione. In questo senso la categoria weberia- na-heideggeriana di Destino (Geschick) rappresenta una secolarizzazione dialettica della categoria hegelo-marxiana di storia propriamente detta (Geschichte). Si tratta ora di capire il perch, e soltanto dopo scendere in dettagli secondari su Max We- ber e su Martin Heidegger. Per quale ragione la categoria ottocentesca di storia (Geschichte) diventa la ca- tegoria novecentesca di Destino (Geschick)?  possibile fare soltanto alcune ipotesi plausibili, che restano ovviamente soltanto ipotesi. Ma queste ipotesi, se ci riferia- mo al metodo del materialismo storico di Marx, devono partire dalla struttura per risalire poi alla sovrastruttura. Dal punto di vista filosofico, le categorie di Storia e di Destino non fanno parte direttamente della sovrastruttura ideologica, ma sono espressioni dell'eterna ragione umana transmodale. E tuttavia l'ideologia storici- stica e l'ideologia fatalistico-destinalistica sono invece sovrastrutture ideologiche, che non possono nascere dal nulla, ma devono anch'esse essere socialmente de- dotte. Nel cinquantennio 1870-1920 cambiano molte cose. Non c' soltanto la gran- de e sanguinosa mattanza del 1914-1918, che tutta l'ideologia contemporanea del novecento come secolo delle ideologie assassine deve cercare ad ogni costo di di- menticare e di legittimare indirettamente, scaricando tutto il Male esclusivamente su Hitler e Stalin, che furono invece a tutti gli effetti prodotti integrali del 1914. C' soprattutto la formazione di una societ di massa che prima non cera, e che  a sua il prodotto di una produzione di massa di tipo taylorista-fordista (o pi esattamente prima taylorista e poi fordista). In questa societ di massa creata dalla produzio- ne di massa la stessa storia impallidisce fino a diventare evanescente, perch la storia era pur sempre il luogo delle scelte alternative di tipo politico, sociale ed economico. Storia, in altre parole, significa, solo e sempre luogo di scelte alterna- tive radicali. Ma se questa alternativit  di fatto svuotata da imperativi sistemici 409 CariroLo XXXVIII di riproduzione obbligata, pensata come neutrale, abbiamo di fatto il processo inverso a quello compiuto da Fichte, Hegel e Marx. Fichte, Hegel e Marx, infatti (coloro che provocatoriamente e contro tutta la tradizione dossografica consolida- ta mi ostino a considerare i tre grandi idealisti), avevano cercato di promuovere un generalizzato passaggio dall'epoca dell'intelletto (Verstand) allepoca della ragione (Vernunft). L'epoca dell'intelletto, pur giustificata storicamente dall'esigenza illumi- nistica di sbaraccare il dispotismo signorile-feudale, non era fatta per stabilizzar- si virtuosamente, in quanto la sua eventuale stabilizzazione non poteva che dare luogo ad un'epoca di compiuta peccaminosit (Fichte), ad una mescolanza di tradizio- nalismo dei vecchi ceti, dellarbitrio individuale dell'economia politica e della furia del dileguare russoviano-giacobina (Hegel), ed infine ad una generalizzata alienazio- ne capitalistica (Marx). Per questo, e solo per questo, era necessario promuovere un processo dialettico dellautocoscienza umana che facesse da portatore storico e filosofico del passaggio dallintelletto (Versand) alla ragione (Vernunft).  questo il significato storico-genetico ed ontologico-sociale del cosiddetto dualismo fra in- telletto e ragione. Chi si limita ad indagini gnoseologiche sulle rispettive ragioni di Kant e/o di Hegel (Herbart, Trendelenburg, tradizione universitaria neo-kantiana, marxismo anti-hegeliano alla Colletti-Althusser, ecc.) attua un'operazione di de- storicizzazione e di desocializzazoine integrale, ed in questo modo si interdice la comprensione di tutto il processo storico del Novecento. La formazione di una societ di massa fondata sulla produzione di massa  il principale fattore storico che, per cos dire, espelle Fichte, Hegel e Marx, e nello stesso tempo promuove il marxismo, Max Weber e Martin Heidegger. Il marxismo viene ovviamente promosso in quanto positivismo di sinistra ed in quanto secolarizzazione messianica semplificata, e viene promosso perch  impossibile impedirne la diffusione come ideologia della sindacalizzazione ope- raia e della formazione di stabili partiti politici di sinistra. Diventato dal 1917 al 1991 ideologia ufficiale di legittimazione del comunismo storico novecentesco realmente esistito (da non confondersi ovviamente con l'utopia scientifica di Marx - l'ossimoro  ovviamente del tutto volontario), il marxismo entra in una dinamica storica, geografica e sociale gi da me parzialmente discussa nei capitoli preceden- ti, ma non per questo pu evitare filosoficamente la sua retrocessione a pensiero dell'intelletto (Verstand), in questo caso a pensiero degli interessi ipostatizzati delle sole classi operaie, salariate e proletarie, cui viene attribuita intellettualisticamen- te ununiversalit inesistente. Max Weber, erroneamente considerato un geniale sociologo o addirittura un metodologo delle scienze sociali (metodologia=scienza dei nullatenenti),  stato in realt non solo un filosofo, ma uno dei pi grandi filosofi della tradizione occidenta- le, certo inferiore a Spinoza, Hegel e Marx, ma comunque del livello di Cartesio, Hume e Lukdcs (come si vede, come storico della filosofia sono assolutamente bi- partisan). Insieme con Simmel, che considero peraltro suo parigrado, Weber  stato il primo filosofo che ha considerato oggetto legittimo della filosofia linterpre- tazione metafisica della vita sociale quotidiana nel capitalismo, oggetto assolu- 410 Solo un Dio pu ancora salvarci. L'esito depressivo nella filosofia contemporanea tamente invisibile per la filosofia universitaria. Non a caso, Bloch e Lukacs, miei venerati maestri, sono stati allievi sia di Simmel che di Weber. Da dove parte Max Weber? Weber parte dal principio di Hume di eterogeneit radicale fra enunciati descrittivi ed enunciati prescrittivi, e cio da ci che  stata chiamata fallacia naturalistica o legge di Hume. Ma ci che conta  che We- ber trasfigura questa posizione humeana in principio di deontologia scientifica, in vera e propria religione per intellettuali, e soprattutto in religione per professori universitari, che in questo modo possono pensarsi come sacerdoti delloggettivit scientifica, distinti dai giornalisti, dai ciarlatani, dai letterati, dagli artisti e dai capi politici. La cultura universitaria sar sempre grata a Weber per questa sua inve- stitura, e per questo lo ha fatto santo subito, per usare il termine dei pellegrini polacchi durante i funerali di papa Giovanni Paolo II. E tuttavia, la distinzione fra giudizi di fatto e giudizi di valore, che dovrebbe far parte in teoria di tutte le deon- tologie, compresa quella del circo mediatico (che invece la viola sfacciatamente), finisce con il riservare la qualit di scienza (Wissenschaft) ai soli saperi empirici, riservando alla filosofia soltanto lo statuto, banalissimo e del tutto inutile e mar- ginale, di riflessione sui valori. Ma qui Weber non fa che esplicitare i pregiudizi positivistici tipici della sua epoca. Allinizio del secolo precedente, ed in particolare in Hegel, la filosofia rivendi- cava per s il carattere della scientificit: filosofia e Wissenschaft erano sinonimi. Lo slittamento semantico del termine di Wissenschaft  lindice storico del trionfo delle scienze positive, correlato alla decadenza del ruolo sociale e politico della filosofia. Weber non fa che esplicitare il passaggio della filosofia da uno statuto serio, quello di scienza filosofica (che abbiamo visto essere caratteristico non solo di Fichte e di Hegel, ma anche e soprattutto di Marx), ad uno statuto semiserio, e spesso verbo- samente buffonesco ed irrilevante, quello di riflessione sui valori. I lettori sono dunque avvertiti: passino da Marx a Weber, se lo vogliono e lo trovano pi scien- tifico e disincantato (oggi la moda tira in questa direzione!), ma non credano di poterlo compatibilizzare con Marx. Per Marx esiste una scienza filosofica della totalit, unit dialettica di conoscenza e valutazione, e cio di conoscenza della totalit capitalistica e di valutazione negativa di essa come totalit alienata basata sullo sfruttamento delluomo sull'uomo. Per Weber, al contrario, c' la fallacia na- turalistica, la legge di Hume, la distinzione fra giudizi di fatto e giudizi di valore, l'etica della cosiddetta avalutativit (Wertfreiheit), ecc. La degradazione dello statuto della filosofia da scienza filosofica possibile (dy- namei on) a riflessione interminabile ed irrisolvibile sui valori  di indiscutibile provenienza nicciana.  stato infatti Nietzsche che ha disegnato uno scenario te- atrale in cui i suoi cinque personaggi (l'uomo troppo umano, leremita, l'uomo superiore, il superuomo-oltreuomo ed infine lultimo uomo) si palleggiano linter- minabile disputa sul significato del mondo. Weber attua una mossa filosofica per Nietzsche e contro Hegel, e questo  talmente evidente da non richiedere verbose argomentazioni ulteriori. Ma ci che conta, in un'ottica di deduzione sociale delle categorie,  che la mossa di Weber rispecchia effettivamente il passaggio da una 411 CaprroLo XXXVII societ concettualmente aperta ad una societ concettualmente chiusa, quella della cosiddetta gabbia d'acciaio. Il concetto di gabbia d'acciaio  ovviamente una metafora dellintrascendibilit e dellinsuperabilit storica della produzione capitalistica, vista come sostanza della produzione di massa e come forma della societ di massa. Weber  il primo grande filosofo che la teorizza, in quanto prima di lui la produzione capitalistica era sempre e soltanto vista stupidamente come la forma naturale della produ- zione in generale. Ma ai tempi di Weber questa stupidaggine lockiano-humeano- smithiana era gi stata investita dalla critica dell'economia politica di Marx, ed appariva indifendibile in una prospettiva storica e sociale. La destoricizzazione e la desocializzazione sono sempre possibili, ed attirano in particolare gli sciocchi, gli ignoranti, i vanesi ed i superficiali, ma non possono resistere alla corrosione critico-epistemologica. Weber ne prende atto, e prepara la seconda trincea filosofi- ca di difesa dell'eternit e della inesorabilit del capitalismo: dalla prima trincea, la sua naturalit, alla seconda trincea, la sua strutturale e sistemica insuperabilit. Ma questo avviene sulla base di una ipostatizzazione astorica, lipostatizzazione del cosiddetto razionalismo occidentale. Questo punto  di grande importanza. Mentre infatti Nietzsche si distingueva per la pittoresca e provinciale ignoran- za sul mondo del piccolo borghese tedesco, Max Weber intraprende invece una stupefacente analisi comparativa di tutte le religioni mondiali, ed in questo modo mostra di capire che nell'epoca della globalizzazione (dal 1870 in poi il mondo conosce gi una globalizzazione economica diffusa, per cui la presunta novit di quella odierna  solo una ciarlataneria del circo mediatico) la storia deve diventare geografia. Il fine di questo incredibile sforzo comparativo  per quello di deter- minare lirripetibile specificit del solo razionalismo occidentale, che diventa cos un vero e proprio ideal-tipo, ma nello stesso tempo anche una diagnosi di filosofia della storia: il razionalismo occidentale  qualcosa di estremamente specifico, ma nello stesso tempo  destinato (Geschick) a diventare di fatto il coronamento della storia universale (Geschichte). Max Weber sembra cos accettare la critica rivolta da Ranke contro Hegel, che riassumer brevemente. Per Ranke lidea che ci sia una, ed una sola, forma di vita realmente privilegiata, sarebbe una ingiustizia di Dio. Con la curiosa espressio- ne ingiustizia di Dio Ranke intende l'opinione hegeliana per cui lultima epoca dovrebbe essere la pi privilegiata, mentre le epoche anteriori sarebbero soltanto le portatrici subalterne di questa logica di tipo teleologico. In questo modo - af- ferma acutamente Ranke  non esisterebbe un rapporto immediato con Dio da parte di tutte le generazioni, ma soltanto dell'ultima, o comunque di una sola. E sarebbe questa dunque per Ranke lingiustizia di Dio. Ma siccome Ranke non crede che Dio possa essere ingiusto, ne consegue che lo storico deve rinunciare a fare ipotesi sul senso generale della storia universale, ed addirittura interdirsi come imperativo ad un tempo etico e metodologico di fissare il significato di storia universale (Weltgeschichte), attenendosi soltanto al dato storico in s. 412 Solo un Dio pu ancora salvarci. L'esito depressivo nella filosofia contemporanea Il fatto stupefacente di questa argomentazione di Ranke sta in ci, che leman- cipazione dalla tutela della filosofia viene fatta in nome dell'ortodossia religiosa.  infatti leguale vicinanza a Dio di tutte le generazioni della storia, con il correlato rifiuto della cosiddetta ingiustizia della divinit, che delegittima le filosofie della storia alla Fichte, Hegel e Marx (ma di Marx Ranke non si occupa, sia per ragioni storiche, sia per la boria accademica tedesca che faceva di Marx una non-persona).  bene che il lettore si impadronisca di questa argomentazione, per cui sia il rela- tivismo dei valori del niccianesimo moderato di sinistra (Richard Rorty, Gianni Vattimo, ecc.), sia la critica di principio all'esistenza di qualsivoglia filosofia della storia (Karl Lwith, ecc.) hanno una matrice religiosa alla Ranke, anche se quasi sempre sono lontanissimi dallimmaginarselo. Costruito sulle rovine di tutte le possibili escatologie messianiche, il concetto di storia di Max Weber  in realt un concetto mascherato di fine della storia. Sebbe- ne spesso Weber lo esponga in modo prudente e problematico, la fine weberiana della storia  lincedere inesorabile della razionalizzazione, con il suo necessario correlato corrosivo del disincanto del mondo (Weltentzauberung) e con la necessa- ria ricaduta sociale, politica, sociologica e culturale del politeismo dei valori. La teoria del politeismo dei valori e del correlato ritorno del paganesimo energetistico ed anti-socratico  di evidente origine nicciana, ma Weber la ingentilisce, perch sa bene che nell'epoca della razionalizzazione anche la volont di potenza non pu esplicarsi nella forma dell'esagitato con il martello che distrugge i crocefissi, ma deve incanalarsi nelle forme civili del pluralismo. Per Weber c' un solo moni- smo intrascendibile, quello della razionalizzazione prodotta dalla societ di massa e della produzione di massa, mentre tutto il resto pu essere pluralisticamente li- beralizzato. Gli stili di vita sono liberi, perch sono del tutto irrilevanti. i socialisti potranno anche arrivare al potere come amministratori razionali, ma il socialismo non arriver mai al potere, in quanto fondato su di una impossibile sintesi di auto- governo politico e di autogestione economica integrali, del tutto incompatibili con la complessit articolata della societ moderna. Il disincanto del mondo produce inevitabilmente depressione ed anomia sociali, che devono essere per affrontate virilmente. Insomma, la virilit intellettuale consisterebbe nel proclamare che non c' pi niente da fare,  stato bello sognare, ma ormai gli dei sono caduti. A sua volta, il weberiano disincanto del mondo presenta due aspetti distinti, a seconda del destinatario sociale: da un lato,  una visione del mondo, ma Weber non ama le visioni del mondo (chi ne ha bisogno  dice argutamente  vada al cinema); dallal- tro,  un profilo di ascesi epistemologica, proposta agli scienziati e ai politici di professione. La secolarizzazione del vecchio Beruf calvinista (lunit di vocazione religiosa e di professione mondana) sbocca in un nuova Beruf, lo scienziato ed il politico del tutto privi di illusioni, filosofie della storia, ecc. La concezione della religione di Max Weber coincide quasi al cento per cento con la concezione di Heidegger della cosiddetta sdivinizzazione. Entrambe ri- salgono al cento per cento alla concezione nicciana della morte di Dio. Com' noto, essa non si ferma a discutere se Dio esista oppure no, dando per scontato che non 413 CaprroLo XXXVIII esista (lo scrittore S. Rushdie dice in proposito che non c' differenza fra Dio e la Mamma Oca delle favole), ma parte dallapparente constatazione del fatto che, a parte gli eremiti in diminuzione, nessuno sembra pi crederci, anche se tutti fanno finta di farlo, per evitarsi il problema di come dovrebbero comportarsi se veramen- te Dio non ci fosse, e cio da uomini superiori, superuomini-oltreuomini oppure ultimi uomini. Weber interpreta la situazione nicciana come lultimo esito del bibli- co albero della conoscenza. La completa individualizzazione e desocializzazione comunitaria dei vecchi valori religiosi, un tempo oggetto di spontaneo consenso globale, mette l'individuo di fronte alla situazione di dover decidere per luno o per laltro.  esattamente quello che Heidegger chiama sdivinizzazione (Entgt- terung), cio la situazione di incertezza rispetto alla divinit, che tutto il chiac- chiericcio teologico oppure la ridicola tenzone mediatico-spettacolare fra laici e credenti (ultima secolarizzazione italiana della seicentesca commedia dellarte e della novecentesca commedia all'italiana) non possono certamente guarire. Nel suo complesso, la notevole filosofia di Max Weber  una teologia del capitali- smo, 0 pi esattamente una teologia razionale dellinevitabilit e dellinsuperabil- t del capitalismo. Il politeismo dei valori, una volta che ne sia stato disinnescato ed incivilito l'originario carattere nicciano,  semplicemente la raffigurazione colta e sofisticata del mercato capitalistico e dei suoi innumerevoli (e tutti legittimi) stili di vita, in cui la volont di potenza  ridotta a volont di acquisto, o pi esat- tamente a funzione energetico-criminale per impadronirsi del denaro e del potere necessari per dotarsi cannibalisticamente di tutti i beni di prestigio acquistabili. Non  chiaro se lUbermensch debba essere tradotto come superuomo o come ol- treuomo, ma  evidente che se non si dota di Rolex o di capi griffati nessuno potr riconoscerlo (in senso rigorosamente non-hegeliano). In sintesi: il comparatista relativista, che analizza genialmente tutte le diverse religioni mondiali (fra cui chi scrive mette ovviamente anche il marxismo) con rigore relativistico, diventa un epistemologo assolutista, perch c' almeno una religione assoluta, quella della ra- zionalizzazione capitalistica. Martin Heidegger parte dalle stesse premesse metodologiche e metafisiche di Max Weber, quelle della specificit del destino dell'occidente, e di come questa specificit inevitabilmente (e cio destinalmente) si universalizzi geograficamente. Certo, sia Weber che Heidegger sono allievi filosofici di Nietzsche, ma la loro gran- dezza sta in ci, che come Marx sviluppa criticamente Hegel, nello stesso modo essi sviluppano criticamente Nietzsche, giungendo per ad esiti simili. Il fatto che il circo dossografico consideri Weber un razionalista, ed invece Heidegger un irrazionalista,  uno dei tanti esempi di umorismo involontario del teatrino della storia della filosofia, che richiedono il riferimento ai soliti Dialoghi di Profughi di Brecht, o meglio allumorismo surreale di Buster Keaton. Come potrebbero infatti l'uno essere razionalista, e laltro irrazionalista, se la sostanza metafisica del loro pensiero  identica? Identico nei due pensatori  infatti il presupposto fondamentale, quello per cui la storia dell'occidente  determinata ferreamente da una pulsione teleologica de- 414 Solo un Dio pu ancora salvarci. L'esito depressivo nella filosofia contemporanea stinale, quella che lo porta verso l'affermarsi fatale della razionalit e del disin- canto (Weber), e quella che lo porta verso l'affermarsi fatale della risoluzione della lunga storia della metafisica in tecnica planetaria (Heidegger). Si tratta di due rigo- rose teologie necessitaristiche. A mio avviso quella di Heidegger  pi interessante di quella di Weber, e cercher di dire brevemente il perch. Individuare dove stia esattamente la grandezza filosofica di Heidegger  nello stesso tempo una chiacchiera da bar ed uno dei pi importanti dilemmi interpreta- tivi di una storiografia filosofica seria. In proposito,  possibile soltanto sollevare ipotesi approssimative.  stato di moda, e ora per fortuna lo  un po meno, alzare una cortina fumo- gena contro Heidegger per la sua manifesta adesione al nazismo nel 1933. Questa adesione non  stata di certo dovuta ad equivoco, ma nello stesso tempo la filo- sofia complessiva di Heidegger non ha nulla a che fare con la visione ideologica del mondo nazista. Nella filosofia di Heidegger non  presente il razzismo biolo- gico, e neppure la giudeofobia paranoica ed ossessiva della visione del mondo di Hitler. Non esiste inoltre quel darwinismo sociale che teorizza la naturalit della vittoria dei forti sui deboli. E non c' neppure quella esaltazione modernistica del- la scienza e della tecnica che costituisce il substrato ideologico positivistico del nazismo. Heidegger ha creduto nel rinnovamento promesso da Hitler nel 1933, ma gi nel 1935 era emarginato, disincantato, e completamente messo da parte dal regime. Certo, non s' mai dissociato, ma la dissociazione pubblica non  mica obbligatoria. Norberto Bobbio non si  mai dissociato dal fascismo, fino a quan- do quest'ultimo non  crollato per una sconfitta militare. Tutti i tromboni della fi- losofia universitaria di oggi non si sono mica dissociati dalle guerre americane del 1999 in Jugoslavia e del 2003 in Irak, e su questo punto Perry Anderson ha svolto una terrificante analisi comparativa di questa connivenza nei tre filosofi alla moda Norberto Bobbio, John Rawls e Jirgen Habermas. E allora, da che pulpito viene la predica? Il nazismo cominci a commettere atti del tutto ingiustificabili ed im- perdonabili a partire soprattutto dal 1941 (Auschwitz, progetti di genocidio verso ebrei, zingari e slavi, ecc.), mentre tutto questo nel 1933 non era certamente ancora prevedibile, e quindi condannabile. Questo ovviamente non scusa la vigliaccheria di Heidegger rispetto al suo maestro Husserl (che era appunto ebreo), ma questo fa il paio con il miserabile Schelling, che piomba come un falco sulla cattedra da cui era appena stato espulso per ateismo Fichte. Si tratta di miserie personali, certamente censurabili, ma che devono essere te- nute ben distinte dalla valutazione filosofica di una teoria. In fondo, se la penicilli- na fosse stata scoperta da un pedofilo, funzionerebbe lo stesso. Una teoria filosofi- ca ha certamente un grado molto minore di indipendenza dalla soggettivit di una scoperta farmacologica, ma deve comunque essere tenuta distinta da questultima. In fondo, se la teoria di Kant fosse originata da una mania ossessiva e quella di He- gel da un complesso di Edipo non risolto, ed una commissione di psicoanalisti lo accertasse senza ombre di dubbio, queste teorie continuerebbero ad essere valide. L'attuale mania ossessiva per la psicologizzazione a tutti i costi, derivata da una 415 CaprroLo XXXVIII societ malata di io minimi, unit di onnipotenza astratta e concreta impotenza,  inversamente proporzionale alla necessit di fare una deduzione sociale delle categorie, deduzione che invece prescinde largamente dalle fobie di Eraclito, dalla mania di persecuzione di Parmenide, dalla rimozione sadico-anale di Anassiman- dro, o dal fatto che in giovane et Schopenhauer  stato traumatizzato perch ha visto dal buco della serratura la madre fare lamore con il giardiniere. Heidegger  noto per la sua teoria del cosiddetto vivere-per-la-morte, esposta nel 1927 in Essere e tempo, e su cui la scomposta chiacchiera degli esegeti ha inven- tato una sorta di diabolica ideologia tedesca, a met fra il Kaiser del 1914 e Hitler del 1933. Se per la si legge pazientemente, si scopre che coincide quasi interamen- te con ci che viene correttamente espresso in linguaggio dantesco non ti curar di lor / ma guarda e passa, o in linguaggio volgare fare quello che si pensa sia giusto fregandosene completamente di quello che pensa la gente (in linguaggio heideg- geriano, man sagt).  un gioco di societ dire che cosa uno vorrebbe fare se morisse domani e non dovesse preoccuparsi della rispettabilit, delle aspettative confor- mistiche, dei vincoli della carriera, del politicamente corretto, ecc. Con questo, non voglio certo ridurre il nobile concetto heideggeriano della autenticit soltanto a questo. Voglio invece invitare a collocare storicamente questa teoria heideggeriana, e non solo collocarla nella Germania di Weimar, ma collocarla allinterno della socie- t massificata che cominciava ad essere percepibile dalla filosofia (ma gi prima l'avevano percepita Simmel e Weber). Heidegger fa una fenomenologia di questa societ, e la fa in modo veramente geniale. Cento e pi anni prima Hegel aveva gi fatto una fenomenologia della societ borghese del suo tempo, incentrandola nei due concetti di riconoscimento e di coscienza infelice. In altre parole, il soggetto tende al riconoscimento, lo esige, ed appunto perch lo esige sviluppa una coscienza infelice dal fatto che lui stesso non riconosce gli altri come dovrebbe razionalmente fare. In precedenza, ho gi sostenuto la tesi scandalosa per cui lo stesso pensiero di Marx si origina dallela- borazione dell'incontro fra la teoria del riconoscimento e la teoria della coscienza infelice. Ma ora Heidegger vive in una societ dellindifferenza, dove Dio  morto, ma nello stesso tempo non gliene frega niente a nessuno, in quanto ogni soggetto  intercambiabile con un altro, e quindi lanonimit  un dato ormai strutturale. Certo, la sua pittoresca ignoranza integrale del metodo di Marx gli impedisce di trovare le radici sociali di questo fenomeno (in poche parole, la generalizzazio- ne capillare del lavoro astratto, con svuotamento contestuale della stessa vecchia soggettivit propriamente borghese), ma di fatto la sua genialit di osservatore gli permette ugualmente di diagnosticarla, aiutato anche dal fatto provvidenziale di vivere in campagna e di essere figlio di un bottaio-sagrestano, e pertanto di essere immune dal nervoso chiacchiericcio metropolitano, in cui era stato impigliato an- che il pur geniale Simmel. Heidegger nota il crescere dellanonimit impersonale della vita associata (Das man), che da' luogo a cascata al generalizzarsi incontrollato della chiacchiera (Ge- rede), della curiosit (Neugier), e infine dellequivoco sistematico (Zweideutigkeit). 416 Solo un Dio pu ancora salvarci. L'esito depressivo nella filosofia contemporanea Dal momento che di tutto bisogna fare un'esperienza personale, finch non ne sono stato vittima negli ultimi cinque anni io stesso non me ne ero mai veramente accorto. Non si tratta appunto della vecchia maldicenza e della vecchia calunnia, che sorgevano da un sentimento umano, troppo umano come linvidia e lavver- sione. Invidia, avversione, maldicenza, calunnia erano ancora patologie del com- portamento sociale nelle epoche antiche e proto-borghesi. Ma con l'avvento della societ di massa basata sulla produzione di massa, chiacchiera, curiosit ed equi- voco sistematico diventano elementi della fisiologia riproduttiva di queste societ. La cosiddetta inautenticit, infatti, non  pi una dolorosa patologia, ma  la forma normale di riproduzione sociale di una forma di vita dellalienazione genera- lizzata. La novit non sta allora nel fatto che si creino degli equivoci, ma nel fatto che non esiste pi un interesse sociale nel chiarirli, anche se per il loro chiarimento sarebbero necessari solo pochi minuti o poche ore. La stessa curiosit, infatti,  del tutto superficiale, e fluttua sulla superficie della chiacchiera senza mai giungere al livello del chiarimento. In questa societ, quindi, vengono meno i presupposti so- ciali del dialogo socratico e dello stesso sokratiks logos. Il dialogo socratico, infatti, si basava su di un presupposto tacito, e cio che i partecipanti ad esso avessero la concentrazione e soprattutto la pazienza di aspettare fino a quando avessero chiarito gli equivoci, e potessero finalmente rendersi conto se fossero in accordo o in disaccordo. Tutto questo finisce nell'epoca dell'io minimo, dell'attenzione su- perficiale, della curiosit epidermica, della chiacchiera mondana di facciata, e del disinteresse per i chiarimenti degli equivoci. Devo dire che fino a quando io stesso non sono divenuto oggetto di questa analisi fenomenologica heideggeriana non lo avevo capito, come un sano non capisce fino in fondo la condizione di un malato. Heidegger mi ha infatti aiutato a penetrare in un mondo in cui Marx non mi aveva invece introdotto. Marx mi aveva spiegato che cos'erano le ideologie, ma nello stesso tempo pensavo che la gente fosse interessata a chiarirle, laddove nella so- ciet del capitale il trucco c', si vede, e nello stesso tempo non gliene frega niente a nessuno. Ed  allora inutile svelare i trucchi, se intanto non gliene frega niente a nessuno. Questa scoperta heideggeriana  esplosiva. Tutta la tradizione filosofica occi- dentale, da Socrate a Kant, si fondava infatti sul presupposto illuministico per cui la gente fosse interessata a chiarire le cose, e quindi ci fossero in competizione amichevole sistemi dialettici tendenti appunto a chiarire meglio le cose stesse. Ma ora la possibile fine della filosofia non viene perch sarebbe stata sostituita dalla cosiddetta scienza, come sostengono i sostenitori positivisti di Comte, Lwith e Colletti, ma perch non gliene frega pi niente a nessuno di ascoltare chiarimenti sugli equivoci, in quanto la curiosit sociale  ormai sempre superficiale e del tutto aleatoria. La scoperta che la societ contemporanea  la societ dell'indifferenza  la premes- sa logica e metodologica della comprensione del fatto che  una societ della tecnica. Bisogna capire bene questo fatto, perch in caso contrario non si capisce nulla della cosiddetta svolta (Kehre), e si continuer a parlare di un primo Heidegger, feno- 417 CaprroLo XXXVIII menologo ed esistenzialista, e di un secondo Heidegger, ontologo e critico della tradizione metafisica occidentale. In realt, a mio avviso, c' sempre un solo Hei- degger. Dopo aver scoperto la societ dellindifferenza assoluta (1927), Heidegger scopre la societ dell'imposizione tecnica assoluta (Gestell). Il dispositivo tecnico sul mondo (Gestell)  soltanto il coronamento di un processo storico che passa at- traverso la riduzione della religione comunitaria a sdivinizzazione problematica ed a stato di incertezza verso la divinit, la fruizione dellarte ridotta a chiacchie- riccio dei critici darte, la cultura ridotta a politica culturale organizzata da partiti, enti locali o bande di sapientoni politicamente lottizzati, il dibattito filosofico a comparsata superficiale di distratti mercuriali e frettolosi, ecc. Qui Heidegger for- nisce gli elementi minimi per una teoria marxista dellarte, che i marxisti ufficiali non possono certo produrre, essendo invischiati in apparati ideologici di intellet- tuali organici a cordate politiche di supponenti analfabeti di ritorno. Ancora una volta, vige il principio aureo: essi non lo sanno, ma lo fanno. Heidegger sa bene che per il chiacchiericcio filosofico medio la metafisica  la difesa del mondo dellaldil contro il mondo materialistico dellaldiqu, mentre la tecnica  generalmente definita (uso le stesse parole di Heidegger) come mezzo in vista di un fine, oppure come un'attivit delluomo. Egli sa bene che fino a quando non sar riuscito ad ottenere un vero riorientamento gestaltico nel modo di guardare il mondo la sua predicazione rester vana. Ed infatti, nonostante il suo indubbio successo mondiale, ritengo che Heidegger non sia riuscito ad ottenere il minimo riorientamento gestaltico sui due punti essenziali della metafisica e della tecnica. E tuttavia,  il perch di questo fallimento nellottenere un riorientamento gestaltico che deve interessarci. Iniziamo dal venerando termine di metafisica, e sottoponiamolo ad un som- mario esame statistico-sociologico. In questa Italia degli otto anni di scolarizzazio- ne obbligatoria possiamo essere sicuri del fatto che per il novante per cento delle persone il termine metafisica pu essere scambiato per la mamma del calciatore Del Piero o per una marca di scarpe da ginnastica. Ne resta un dieci per cento di scolarizzati superiori. Ebbene, possiamo essere sicuri che per il novantacinque per cento di questo dieci per cento il termine metafisica continuer ad essere si- nonimo di teologia per preti che parla dellaldil, mentre  soltanto invece aldiqu, che  studiato empiricamente dalle scienze empiriche, quelle per cui la matematica non  un'opinione.  questo  com' noto  il bel risultato del disincantamento ra- zionalistico weberiano del mondo che ha ridotto la filosofia a interminabile discus- sione a ruota libera sui valori di sinistra e sui valori di destra. Resta un cinque per cento di questo dieci per cento (ma la mia  una valutazione incredibilmente ottimistica) che  venuta forse a conoscenza del fatto che per un nazista tedesco con la piccozza il termine metafisica significa invece il modo in cui funziona il mon- do reale, il mondo in cui viviamo, proprio il mondo che si vede, si tocca, si gusta, si odora e si sente. Se siamo a questo punto, ed  noto che siamo proprio.a questo punto, lepo- ca della compiut peccaminosit di Fichte diventa un parco giochi per bambini. 418 Solo un Dio pu ancora salvarci. L'esito depressivo nella filosofia contemporanea Eppure, Hegel aveva gi chiarito che era impossibile che ci fosse un popolo civi- le senza metafisica, e Marx aveva gi definito metafisico, e cio sensibilmente sovrasensibile, il mondo della generalizzazione della produzione capitalistica di merci.  evidente che Heidegger non si  inventato niente, e si inserisce comple- tamente nella tradizione filosofica di Hegel e di Marx. I tifosi dellheideggerismo e del marxismo identitario potranno stupirsi ed offendersi, ma cos . E bisogna allora dare un giudizio, sia pure sommario, sulla qualit e sulla natura della sua ricostruzione della storia della metafisica. Questa ricostruzione  caratterizzata dalla pi pittoresca e provocatoria assenza di una deduzione sociale delle categorie. Fino al 1947 (cfr. Lettera sullumanesimo), Heidegger ha probabilmente pensato che Marx fosse una sorta di sindacalista ri- cardiano esagitato che pensava che tutto fosse economia, in buona compagnia con gli agenti di borsa, i negozianti ed i contrabbandieri. A partire dal 1947, sia pure in modo incidentale e distratto, Heidegger riesce ad individuare due punti importanti nel pensiero di Marx. In primo luogo, che la concezione marxista della storia si pone al di sopra di ogni altro storiografismo (Histoire), perch Marx, partendo da Hegel, ha riconosciuto in un senso essenziale la mancanza di patria (Heimatlosigkeit) come alienazione delluomo. In secondo luogo, che  necessa- rio che ci si liberi dalle ingenue rappresentazioni relative al materialismo e dalle critiche superficiali che dovrebbero colpirlo. L'essenza del materialismo non sta nellaffermazione che tutto  pura materia, ma piuttosto in una determinazione metafisica, secondo cui tutto lessente appare come materiale del lavoro. E tutta- via, dopo aver rilevato questi due aspetti del pensiero di Marx, Heidegger ne con- duce una critica molto forte, perch afferma che lontologia pensa sempre e solo lessente (on) del suo essere. Ma finch tuttavia non sar pensata la verit delles- sere, ogni ontologia resta senza il suo fondamento. Da cui deduco personalmente che Heidegger riteneva il marxismo una rispettabile ontologia, migliore anche di tutte le altre (esperiva infatti l'alienazione come mancanza di patria delluomo mo- derno), ma pur sempre senza fondamento veritativo, perch anch'essa riteneva di poter pensare lessente senza l'essere da cui necessariamente lessente dipende. Se pensiamo al sostanziale analfabetismo accademico di Heidegger rispetto a Marx, considerato non-rispettabile nelle universit tedesche dellepoca, si rimane stupi- ti per l'intelligenza e la profondit, dei suoi rilievi. Heidegger non perde tempo a ripetere le consuete sciocchezze sulla secolarizzazione dell'escatologia ebraico- cristiana nel linguaggio dell'economia politica, ma (a differenza delle scuole mar- xiste di Colletti e di Althusser) capisce immediatamente che una filosofia in grado di esperire l'alienazione si colloca immediatamente al di sopra di ogni altro sto- riografismo. E con questo, Heidegger si congeda da tutte le spiegazioni scettico- demitizzanti ispirate ai vari razionalismi alla Max Weber. Si respira gi meglio. Heidegger capisce inoltre che il concetto marxiano di materia non c'entra nulla con la materia delle scienze naturali, ma  una semplice metafora del concetto di lavoro come sostanza dinamica della trasformazione delle cose. Inoltre, Heidegger fa la sola critica sensata a Marx che si possa decentemente fare, quello di dire cose 419 CaprrroLo XXXVII geniali a livello di essenti, ma di trascurare l'interrogazione veritativa del rapporto fra gli essenti e l'essere. Chiediamoci con la radicalit filosofica necessaria: in que- sta ultima critica Heidegger ha ragione o ha torto? Avrebbe ragione, se il pensiero di Marx fosse un integrale storicismo relativisti- co, che fa soltanto una storia metodologica della successione delle varie tecniche di produzione. Ad esempio, il cosiddetto operaismo, che infatti fa soltanto questo, e per di pi se ne vanta, cade completamente sotto la critica di Heidegger. Ha inve- ce torto, se il pensiero di Marx potesse essere reinterpretato come sintesi dialettica del proprio tempo, appreso nel pensiero, e di ci che , ed  eternamente, come suggerisce Hegel, e che purtroppo il Marx empirico e filologico ha trascurato di sviluppare, congedandosi troppo presto dalla filosofia come filosofia, che  invece lunica filosofia degna di questo nome. Ma quello che Marx non ha fatto, non  detto che non possiamo farlo noi. La ricostruzione heideggeriana della storia della filosofia occidentale in termini di storia della metafisica (e cio di oblio dell'essere)  uno dei punti alti di tutto il pensiero novecentesco. E resta uno dei punti alti nonostante la pittoresca e pro- vocatoria mancanza di qualunque deduzione sociale delle categorie. Ma ormai lo sappiamo: la deduzione sociale delle categorie c' soltanto quando  legata ad una filosofia umanistica dellemancipazione, e non c' quando questultima  assente. Nello stesso tempo, Heidegger  un filosofo talmente acuto e geniale da riuscire a . cogliere ugualmente quasi sempre il punto della questione. L'antipatia e la simpa- tia verso Heidegger  sia pure in misura minore di quanto avvenga in Hegel ed in Marx -  anch'essa un fatto sociale, e non certamente soltanto un dato secondario dellirrilevante dibattito accademico. Da un lato, unantipatia fortissima verso Hei- degger  nutrita quasi sempre da positivisti, neopositivisti, kantiani, neokantiani, razionalisti generici, marxisti tradizionalisti, ecc., per il semplice fatto che Heideg- ger sostiene che la metafisica  qualcosa di storico e di terreno, mentre tutti costoro non possono cedere (senza scomparire) sul fatto che la metafisica  solo religiosa, celeste, divina, ecc. Come potrebbe infatti essere imposta la dittatura della cosid- detta scienza se si coltivasse il dubbio sul fatto che la metafisica  qualcosa che riguarda il mondo in cui viviamo? Questa bestemmia e questo sospetto devono essere allontanati, ed un modo artigianale ma efficace per farlo  confondere le acque gridando con voce stridula che Heidegger  stato un nazista, un nazista, un nazista, un nazistaaaa! Dall'altro lato, gli amici filosofici di Hegel e di Marx, e cio di coloro che a modo loro e con il loro linguaggio hanno sempre sostenuto che la metafisica non sta in cielo, ma sulla terra, non possono che essere incuriositi ed intrigati dallelabora- zione di Heidegger. E questo  per l'appunto il mio caso. Io sono interessato alla ricostruzione heideggeriana della metafisica occidentale in quanto amico di Hegel e di Marx, non certo in quanto cercatore di un'alternativa filosofica a Hegel ed a Marx. Su questa base, e con questa metodologia, diventa sensato occuparsene, trascurando il fastidio del totale rifiuto heideggeriano del metodo della deduzione sociale delle categorie. 420 Solo un Dio pu ancora salvarci. L'esito depressivo nella filosofia contemporanea Il fraintendimento heideggeriano dei Greci (nonostante le numerose pagine su Anassimandro, Platone, Aristotele, ecc.) mi sembra totale. Heidegger non sembra disposto a riconoscere alla logica dialettica unoriginalit rispetto a quella formale, ed in Essere e tempo si legge che ogni dialettica si rifugia nella negazione, senza essere in grado di fondarla proprio dialetticamente, per cui non  mai stato posto il problema dell'origine ontologica del nulla.  noto che questo problema  stato posto nella Scienza della logica di Hegel, ma qui Heidegger sembra accettare a sca- tola chiusa la critica a Hegel di Trendelenburg (e nel novecento italiano di Colletti). Egli sembra invece capire che la concezione di Protagora delluomo come misura di tutte le cose (metron ton chrematon) non ha nulla di relativistico e di soggettivisti- co, perch luomo di Protagora  inserito in una comunit dotata di senso politico e razionale, e non  quindi luomodel relativismo. Heidegger si muove ancora allinterno di un fraintendimento totale della gre- cit, derivata dal dilettante esagitato Nietzsche. Certo, non giunge alla comicit di interpretare la grecit come il carnevale opposizionale di Dionisiaco/Apollineo, spezzato ed infranto dalla pedante interrogazione socratica del che cos' la ve- rit (fi estin), e questo deve essergli riconosciuto ad onore. Ma la sua totale pit- toresca mancanza di deduzione sociale delle categorie lo porta a non capire che i Greci, lungi dall'aver dimenticato l'essere scambiandolo per l'insieme degli enti, avevano capito benissimo invece che esisteva, ed esisteva proprio come infinito- indeterminato (apeiron), da cui deriva la necessit assoluta di frenarne il potenziale distruttivo (katekon), ed il solo modo di frenarlo era limporgli socialmente e poli- ticamente una misura (metron), che a sua volta presupponeva luso sociale (politi- kn) della ragione, del linguaggio e della capacit di calcolo (/ogos). Ma, appunto, chi prende sul serio Nietzsche sui Greci non ci potr mai arrivare, cos come non ci potranno mai arrivare coloro che ritengono seriamente che i Greci vivessero in un villaggio turistico serviti da iloti, sottouomini ed altri indigeni (dal marxismo staliniano ad Hannah Arendt). Heidegger ha invece ragione quando parla di onto-teologia per distaccarsi dalla concezione cristiana, che come  noto identifica completamente il concetto religio- so di Dio con il concetto filosofico di Essere. Rifacendosi soprattutto a Duns Sco- to, il francescano medioevale che ha messo maggiormente in discussione questa indebita equazione (senza poterne ovviamente tirare tutte le conclusioni radicali del caso, incompatibili con i dati sociali dellepoca), Heidegger ha cos di fatto suggerito una critica radicale alla religione a mio avviso ancora pi profonda di quella dellateismo classico, sia nella variante di Feuerbach (Dio non esiste, e non  altro che l'alienazione dell'essenza umana trasferita in cielo, con conseguen- te inversione fra soggetto e predicato), sia in quella di Nietzsche (Dio  morto, e si pone allora il problema del teatro antropologico a cinque personaggi che recitano diversamente il copione della sua assenza). L'onto-teologia  infatti semplicemente una forma sociale diffusa di soggettiva- zione dell'essere (visto che il thes  pensato soggettivamente ed antropomorfica- mente), e criticandola Heidegger non fa altro (consapevolmente o meno) che ritor- 421 CarrtoLo XXXVIII nare sulle orme di Spinoza, che nella sua Etica aveva gi ampiamente sviluppato una acuta critica alle rappresentazioni progettuali ed antropomorfizzanti della divinit stessa. Ma sono questi, appunto, i lati comici della storia della filosofia. La totale estraneit di Heidegger alla concezione della filosofia come indagine sui valori (egli non manca mai di rilevare linconsistenza di questo approccio, an- che se non nego che talvolta il suo anti-umanesimo  provocatorio ed anche fuori bersaglio) gli permette per di cogliere quasi sempre l'essenziale. Heidegger pre- cede Kuhn e Feyerabend nel capire che la scienza  qualcosa di storico, in quanto la fisica aristotelica e la fisica galileiana implicano due diverse concezioni generali dell'ente (finalismo e meccanicismo, concezione qualitativa e concezione quanti- tativa della natura, finit ed infinit dello spazio, ecc.). Nello stesso tempo, egli capisce perfettamente che quella di Galileo  una ideazione particolare basata sul presupposto della quantificazione del mondo della natura, e non  lo Spirito Santo dei premi Nobel in processione, magari preceduti da Ludovico Geymonat e Lucio Colletti con i loro turiboli di incenso. Verissimo, ma nello stesso tempo la scienza moderna  pi esatta di quella antica, e quindi la comparabilit esiste, anche se solo sul piano dellesattezza e non su quello della verit. Ma la distinzione fra il campo dellesattezza nella misurazione razionale dei fenomeni (Verstand) ed il campo del giudizio filosofico sulla totalit sociale intesa come unit di conoscenza e di valutazione razionali (Vernunft) era gi stata stabi- lita in modo soddisfacente da Fichte e da Hegel (ed a mio avviso anche da Marx), per cui Heidegger non ci aggiunge nulla, se non appunto quel relativismo dellin- commensurabilit dei paradigmi gi affermato da epistemologi come Kuhn e Fe- yerabend, appunto. A mio avviso Husserl ha detto queste cose molto meglio, ed il fatto che Husserl lo abbia fatto in una prospettiva soggettivistico-umanistica, e non nella prospettiva anonimo-categoriale di Heidegger,  un bene e non un male, un vantaggio e non uno svantaggio. E questo per una ragione semplicissima: lantropomorfismo reli- gioso  un male, perch si costruisce un Dio a immagine umana, troppo umana, ma l'umanesimo filosofico  un bene, in quanto il mondo della natura in s deve esse- re studiato necessariamente in modo disantropomorfizzato (il Lukcs dellEsteti- ca e dellOntologia dell'Essere Sociale), ma per quanto riguarda l'essere sociale una riantropomorfizzazione umanistica  necessaria, in quanto si tratta soltanto del processo progressivo dellautocoscienza che porta alla convergenza di realt e di razionalit, forma moderna di ci che i Greci chiamavano invece equilibrio (isorro- pia) di misura (metron) e di capacit di frenare lincontrollabilit distruttiva dellin- determinato del potere e delle ricchezze (apeiron, katekon). Heidegger interpreta Cartesio come il fondatore della metafisica moderna, in quanto per primo Cartesio ha determinato lente come oggettivit del rappresen- tante ed ha concepito la verit come certezza del rappresentare, cio come rappre- sentazione chiara e distinta, di cui  impossibile dubitare . Dal momento per che egli ignora pittorescamente il metodo della deduzione sociale delle categorie, non pu comprendere non solo la genesi materiale di questa concezione (la costituzio- 422 Solo un Dio pu ancora salvarci. L'esito depressivo nella filosofia contemporanea ne formalistica di un soggetto astratto, provocata da una progressiva formazione di un lavoro astratto, che implica un pensiero astratto che lo determini socialmen- te, e cio capitalisticamente), ma non pu neppure capire il diverso ruolo del con- cetto di misura. Per i Greci, infatti, la misura (metron) era prima di tutto una misura sociale, la misura che impediva la formazione di ricchezze e di poteri smisurati, e quindi distruttivi e bisognosi di uno strumento razionale (logos), che potesse im- pedire la dissoluzione politica e sociale, equivalente per i Greci alla fine della vita stessa (katekon). Per Cartesio, invece, la misura misura tutto, all'infuori proprio di questo, che  invece per definizione sottratto ad ogni misurazione (morale provvi- soria, conformismo sociale, esclusione della politica dal mondo della misurazione, ecc.). Secondo Heidegger, in Hegel per la prima volta l'essenza della metafisica vie- ne pensata assolutamente, perch Hegel nella sua Scienza della Logica avrebbe per primo concepito l'assoluto come il sistema di tutte le determinazioni dell'ente. L'essere coinciderebbe cos in Hegel con la somma di tutte le determinazioni dia- lettiche dell'ente. Mi sembra evidente che questo implichi un rifiuto radicale di Hegel, almeno altrettanto grande del tradizionale rifiuto neokantiano. E tuttavia il pittoresco rifiuto heideggeriano di fare la storia degli uomini a fianco della storia anonima ed impersonale dell'essere gli impedisce di capire che in Hegel la scelta di interpretare l'essere come l'insieme delle determinazioni dialettiche degli enti non  uno sviamento, ma  la premessa di un programma politico e sociale di uma- nizzazione dell'essere, e cio di trasferimento di queste categorie nellautocoscienza umana. Il giudizio filosofico di fondo di Heidegger su Marx  ancora peggiore di quello su Hegel, perch Marx avrebbe ridotto integralmente luomo ad essere sociale, in- teso come essere sociologico. L'essenza delluomo verrebbe cos vanificata, ricon- ducendo integralmente il naturale al sociale. Un simile pensiero, perdendo ogni dimensione ontologica, si ridurrebbe allora integralmente a tecnica (e si veda in proposito linterpretazione del filosofo greco Kostas Axelos). E si potrebbe allora formulare cos il problema: la metafisica  ci che dissolve lontologia riducendola a tecnica, e cio dissolve l'essere delluomo riducendolo a manipolazione. Se Marx fosse questo, bisognerebbe abbandonarlo. Non esiste infatti nulla di pi abbietto della riduzione dell'essenza umana e pura socialit, perch la so- cialit in s, lungi dall'essere un valore, non  che l'insieme delle manipolazioni classistiche ed ideologiche del potere e soprattutto della legittimazione delle ric- chezze. Del resto, poco prima di sprofondare nella follia, lo cap perfettamente anche Louis Althusser (cfr. conferenza di Terni, aprile 1980), che infatti afferm: Il comunismo non significa affatto socializzazione, perch socializzare  una cosa terribile, un portato del capitalismo, e bisogna semmai desocializzare. La socializzazione capitalistica, infatti, si basa sulla naturalizzazione dei com- portamenti capitalistici stessi, i quali a sua volta devono destoricizzare e desocia- lizzare le stesse tendenze della natura umana verso la comunit, l'emancipazione e la libert. A modo loro, Martin Heidegger e Louis Althusser lo hanno capito, ma 153 CaprroLo XXXVIII non hanno potuto trasmetterlo ai loro seguaci. In ogni caso, se il marxismo fosse uno storicismo sociologistico, Heidegger avrebbe ragione. Il pensiero di Marx, nel- la interpretazione che ne ho dato, non lo . L'interpretazione heideggeriana di Nietzsche  invece a mio avviso esattissima, e distrugge alle fondamenta ogni uso alternativo del superuomo-oltre-uomo per la legittimazione relativistica del postmoderno (su cui per mi soffermer mag- giormente nel prossimo capitolo).  vero che il postmoderno si presenta come una sostituzione della coppia Nietzsche-Heidegger alla coppia Hegel-Marx, ma in questo c' una mistificazione. Non esiste infatti una coppia Nietzsche-Heidegger, perch Heidegger resta del tutto incompatibile con Nietzsche, essendone un critico radicale ed inesorabile. La totale nullificazione dell'essere compiuta da Nietzsche, cui corrisponde l'esaltazione di una volont di potenza assolutamente vuota, puro volere senza 0g- getto e nello stesso tempo disperato tentativo di esaltare un soggetto ormai sradi- cato,  infatti il peggio del peggio che si possa concepire, peggio di Hegel e peggio di Marx (che almeno esperisce l'alienazione, ed in questo modo si pone al di sopra di ogni altro storiografismo). In questo modo, curiosamente, ed al di l dei linguaggi usati, il Nietzsche di Heidegger e la Distruzione della Ragione di Lukcs convergono nello stesso severissimo giudizio di Nietzsche. E cos Heidegger e Lukcs, filosofi tanto diversi (il primo tentato da Hitler, ed il secondo da Stalin), si contrappongono a pensatori come Karl Lwith, che sono magari troppo moderati per diventare nicciani, ma non smettono di ringraziare Nietzsche per avere delegittimato quella maledetta filosofia per la filosofia che Hegel ha proposto, e che Marx avrebbe rifiutato solo verbalmente, per poi ricader- ci dentro nella forma della secolarizzazione della escatologia ebraico-cristiana nel linguaggio dell'economia politica. Heidegger, quindi, resta un difensore della filosofia per la filosofia, e tanto mi basta per stimarlo. Certo, nella sua ottica antiumanistica, che definirei una for- ma di strutturalismo esasperato (in cui paradossalmente raggiunge i pi esagitati strutturalisti marxisti anti-umanisti), egli deve concludere (ed infatti cos ha con- cluso in una famosa intervista postuma a Der Spiegel) che solo un dio pu ancora salvarci. Tuttavia, il fatto che abbia usato la parola salvare (retten) significa che quest'uomo ha capito che siamo in una situazione (classista, ambientale, ecologi- ca, sociale, antropologica, esistenziale, geopolitica, militare, ecc.) in cui dovremmo essere salvati.  possibile essere ancora salvati? A questa domanda non  possibile dare risposte affrettate. Paolo di Tarso ha proposto la via della salvezza di tutti attraverso lasservimento ad un unico liberatore (cfr. Lettera ai Corinzi, 7, 20-4). Il marxismo classico, o pi esattamente la formazione ideologica marxista nata nel ventennio 1875-1895 e poi bolscevizzata nel ventennio 1918-1938, ha sostenuto che la salvezza verr dallunica classe intermodale, la classe operaia, salariata e proletaria. La salvezza paolina e la salvezza marxista possono certamente in via di principio ancora venire nel futuro, ma deve essere permesso in proposito non solo un dubbio metodico, ma anche un dubbio iperbolico. 424 Solo un Dio pu ancora salvarci. L'esito depressivo nella filosofia contemporanea Mentre Weber ha parlato di gabbia d'acciaio, Heidegger ha parlato di tecni- ca. La tecnica, naturalmente, non  uno strumento (Werkzeug), ma  un dispositi- vo anonimo e impersonale (Gestell), che metaforicamente significa che non  pi in nostro potere, e che ci  sfuggito ogni controllo sulla sua direzione storica e socia- le. Paradossalmente, qui Heidegger dice la stessa cosa che dice Giinther Anders, pensatore che pure soggettivamente non lo amava (anche perch era un ebreo di sinistra fuggito nel 1933 dalla Germania e rientrato a Vienna solo nel 1950). Anche per Anders luomo  antiquato, in quanto non riesce antropologicamente e psi- cologicamente a stare dietro agli imperativi sistemici dellaggiornamento tecni- co del mondo. In un certo senso, Anders ha fornito un'integrazione antropologica alla filosofia della storia di Heidegger (almeno, questo  ci che io penso), anche se  duro da riconoscere per i rispettivi fans. Anders parla di discrepanza (Geffille), per indicare lo squilibrio che si manife- sta fra lazione che un singolo compie allinterno di un apparato e l'impossibilit per lui di comprenderne e di percepirne anche emozionalmente le conseguenze ultime delle sue azioni. Si tratta esattamente del caso dellaguzzino di Auschwitz e del pilota di Hiroshima. Per questa ragione Anders ebbe una corrispondenza con il pilota di Hiroschima Eatherly e cerc un contatto con il figlio di Eichmann, che per non gli rispose. Mentre la sua banale moglie Hannah Arendt interpret questi comportamenti unicamente in termini di banalit del male (il male soltanto di Auschwitz, perch per la signora Arendt Hiroshima non  un male paragonabile, e per questa ragione il politicamente corretto di oggi la esalta ed invece ha dimenticato suo marito), Anders li ha invece interpretati, in modo infinitamente pi profondo, come frutti di uno scarto antropologico, appunto di un Gefaelle. Il male, purtroppo, non  mai banale, anche se sono quasi sempre banali coloro che lo fanno, capaci di amare bambini, gattini ed uccellini e poi di spingere gli iner- mi nelle camere a gas oppure premere i bottoni dello sganciamento delle bombe di atomiche. Dire kantianamente che essi avrebbero potuto e dovuto usare la loro libert del volere per non farlo  giusto, ma resta alla superficie delle cose. La teoria heideggeriana del dispositivo (Gestell) connota pur sempre un dato reale, e cio la percezione sociale diffusa di massa che non ci sia pi niente da fare, e che coloro che esperiscono l'alienazione (gli ultimi uomini si trovano invece dentro lalie- nazione come i topi nel formaggio) finiscono di fatto per pensare che solo un Dio pu ancora salvarci, anche se intorno a loro gli eremiti continuano a ripetere le vecchie litanie.  questo lo scenario del cosiddetto postmoderno. E tuttavia il post- moderno richiede un'analisi particolare, in quanto si tratta proprio dello scenario in cui viviamo. Questa analisi verr condotta nel prossimo capitolo. 425 XXXIX. IL POSTMODERNO FILOSOFICO SPIEGATO AI BAMBINI E AGLI ADULTI Jean-Frangois Lyotard, il filosofo francese che ha lanciato il concetto filosofico di postmoderno inteso come fine della credenza sociale diffusa nelle Grandi Nar- razioni (grands rcits), ha scritto un agile libretto intitolato Il postmoderno spiegato ai bambini. Si tratta di un paradosso e di una contraddizione in termini. I bambini, per loro stessa definizione, sono fantastici, mitici, favolistici, e quindi escatologi- ci e messianici per loro stessa natura. Un bambini disincantato  nel senso di Max Weber -  unimpossibilit logica, storica e psicologica. Il disincanto comincia dopo i diciotto anni, e chi ne dubita dovrebbe andare a leggersi il grande romanzo di Balzac Le Illusioni Perdute. Pu darsi che una generazione parcheggiata davanti ai giochi elettronici e che  socialmente indotta a non leggere pi libri possa disin- cantarsi prima, ma anche in questo caso saremmo di fronte ad una coazione sociale che si trasforma in manipolazione antropologica. In ogni caso, il postmoderno non pu essere a mio avviso spiegato ai bambini, perch  il prodotto sociale di una elaborazione filosofica del disincanto, ed  come il servizio militare, che non si pu fare prima dei diciotto anni di et. Nella teoria lyotardiana del disincanto postmoderno verso le grandi narrazioni si annodano tutte le percezioni sociali di un tempo di gestazione e di trapasso, la ge- stazione ed il trapasso da un mondo ancora per molti aspetti capitalistico-borghese (con il suo polo in solidariet complementare, il comunismo storico novecentesco realmente esistito), ad un mondo ancora capitalistico, anzi ipercapitalistico, ma ormai in gran parte postborghese e postproletario. Le ideologie complementari della cosiddetta proletarizzazione della (piccola) borghesia e della cosiddetta in- tegrazione consumistica del proletariato sono infatti il modo in cui gli eremiti delle due parti (eremiti borghesi liberali ed eremiti proletari staliniani) manifesta- no la loro eremitica incomprensione di quello che sta avvenendo, nella fattispecie appunto l'epoca di gestazione e di trapasso che stiamo vivendo in questo delicato passaggio storico. Poco prima di morire Jean-Frangois Lyotard ha elencato ben cinque grandi nar- razioni: il racconto cristiano della progressiva redenzione dal peccato originale, attraverso la decifrazione umana della teodicea divina; la narrazione illuministica dell'emancipazione umana dallignoranza, dalle imposture e dai pregiudizi attra- verso la diffusione sociale dei lumi della ragione scientifica; la narrazione specu- lativa di origine romantica della realizzazione dell'idea universale attraverso la dialettica storica; il racconto marxista dellemancipazione dallalienazione e dallo sfruttamento; ed infine, la narrazione capitalistica del benessere per tutti attraver- so lo sviluppo economico, tecnico ed industriale. 427 CarrroLo XXXIX Com' possibile spiegare ai bambini che queste cinque grandi narrazioni sono tutte illusorie, e l'educazione filosofica di oggi consiste propriamente nel convin- cere razionalmente bambini, adolescenti ed adulti (per i vecchi non c' problema, perch tanto moriranno presto) ad abbandonarle? Ho gi fatto notare che  im- possibile convincere i bambini, la cui credenza nel lieto fine e nella punizione dei malvagi  incrollabile (Biancaneve, Cenerentola, ecc.), ma  forse possibile con- vincere due altri gruppi generazionali: gli adolescenti, affidati al lavoro flessibile e precario, per cui il postmoderno  veramente l'epoca della produzione flessibile (Jameson), e del passaggio dal primato borghese del tempo del progresso al prima- to postborghese dello spazio della globalizzazione economica (Harvey); gli adulti di mezza et appena usciti dall'epoca precocemente sfiorita delle illusioni tardo- marxiste (il mitico Sessantotto, assai pi ormai mito di fondazione che insieme storico di fatti eterogenei), e riciclati in generazione di cinici disincantati (ultimi uomini nicciani, ma anche e soprattutto io minimi alla Lasch).  evidente che per il postmoderno la deduzione sociale delle categorie  un vero gioco da ragazzi, e ci si vergogna quasi tanto  semplice e banale, se lo si paragona alla difficolt di capire Parmenide, Platone, Cartesio, Kant, Hegel, Marx e Heideg- ger. Eppure nel postmoderno la facilit del ricavarlo con una deduzione sociale delle categorie deve diventare una sfida per complessificare il quadro storico, e testarlo per la ricostruzione dell'intero metodo usato fino a qui. Personalmente sono infatti pi d'accordo con Hegel di quanto lo sia con Marx. Marx riteneva di prevedere il futuro, sia pure in modo tendenziale e non fisico-matematico. Hegel riteneva invece che la filosofia fosse come la nottola di Minerva, arrivasse solo al crepuscolo, e quindi non permettesse previsioni futurologiche. Proponendo di sostituire il giudizio problematico della categoria modale di possibilit (intesa pe- raltro aristotelicamente come possibilit ontologicamente potenziale, dynamei on) al giudizio assertivo-apodittico della categoria modale di necessit, in rapporto al noto passaggio del capitalismo ad una societ pi comunitaria e solidale (che potremo chiamare comunismo in senso marxiano, ma non certo in senso stali- niano), ho gi di fatto proposto non solo una interpretazione hegeliana di Marx, ma anche una rilegittimazione integrale della cosiddetta filosofia per la filosofia, che anzich essere ritenuta unanticaglia degna di sorrisini di disprezzo scientista e positivista torna ad essere il luogo del rinvenimento della conoscenza della ve- rit attraverso una scienza filosofica adeguatamente riveduta e corretta. Questa mia impostazione, ovviamente, va in direzione opposta allo spirito del cosiddetto postmoderno. Una ragione in pi, questa, per discuterlo con seriet e disponibilit all'ascolto. Bisogna ringraziare Jean-Francois Lyotard per la sua onest intellettuale, perch non ha cercato in nessun modo di nascondere, ma lo ha anzi rivelato apertamente, che la sintesi teorica postmoderna  raffigurabile come una vera e propria elabora- zione filosofica di un disincanto politico. E tuttavia, lelencazione dei cinque modelli di grandi narrazioni fatta da Lyotard  fuorviante ed ingannevole, ed assomiglia alla lettera rubata di Edgar Allan Poe, che viene nascosta in mezzo ad un mazzo di 428 altre lettere poste in evidenza per poterla nascondere meglio, oppure al gioco delle tre carte, in cui una sola carta deve essere nascosta, mentre le altre devono invece essere facilmente trovate. A Lyotard, infatti, interessa sottolineare il disincanto di una sola grande-narrazione, la quarta sopra elencata, quella marxista. Si tratta di un disincanto personale, autobiografico, filosoficamente elaborato. Le altre quattro grandi-narrazioni, infatti, non sono affatto tali, e sono messe l soltanto per confon- dere le acque. Una breve riflessione analitica baster a dimostrarlo ampiamente. Il racconto cristiano della progressiva redenzione dal peccato originale, come  noto, non esiste pi socialmente almeno da mille ed ottocento anni, e non  quindi in alcun modo una novit. Non si pu essere infatti weberiani a corrente alternata, come  Lyotard, che da un lato accetta integralmente la diagnosi weberiana del disincanto razionalistico del mondo, e poi ne rifiuta la spiegazione storico-meto- dologica, per cui tutte le religioni nascono messianiche ed escatologiche (o almeno, tutte le religioni monoteistiche e teistiche occidentali del Libro), ma si estingue- rebbero ben presto se restassero per sempre legate a questa origine, e non hanno altro modo per stabilizzarsi normalmente che ripiegare sulle trincee socialmente sostenibili della razionalizzazione simbolica della vita quotidiana, abbandonando completamente ogni promessa messianica di rifondazione integrale della comuni- t sociale. Ges di Nazareth predic lanno di misericordia del signore (cfr. Luca, 4, 14- 30), il cui contenuto sociale ai suoi tempi era integrale, e cio socio-politico com- plessivo, in quanto implicava una purificazione del tempio la quale, essendo il tempio non una chiesa in cui si salmodiava in modo innocuo ma il centro politico- economico della distribuzione dei beni e degli obblighi, finiva con il disegnare una rifondazione comunista della societ. Egli era certamente convinto di propiziare questo evento messianico con il suo sacrificio di servo sofferente (cfr. Isaia, cap. 53, e Saggezza di Salomone, 2, 13-20), ma dal momento che l'essere un servo soffe- rente non era un reato per gli occupanti romani, dovette essere crocefisso come in- sorgente zelota armato, fatto inconfutabilmente registrato dal cartiglio inchiodato sulla sua croce (re dei Giudei, in un contesto politico caratterizzato dalla diar- chia fra occupanti romani e sinedrio ebraico mafioso collaborazionista, significava letteralmente capo politico-militare armato degli insorgenti zeloti). Paolo di Tarso certamente universalizz il suo messaggio, e fu pertanto il Lenin del cristianesimo di cui Ges era stato il Marx, ma in mancanza di tempio da purificare indic una prossima presenza messianica di ritorno del Cristo (la parousia). La parousia ovvia- mente non si verific, come non si verific lapokalypsis della caduta della grande meretrice Babilonia la Grande, metafora palese di Roma e del suo terrificante do- minio schiavistico. A questo punto, gi nel secondo secolo, e pi ancora nel terzo, il cristianesimo non era gi pi una grande narrazione di salvezza, ma una normale religione po- polare di massa non escatologica e non messianica che offriva strutture di sostegno per i poveri in un sistema sociale completamente privo di assistenza pubblica e di forme di welfare (anche se non di evergetismo, e cio di beneficienza di miliarda- 429 CaprroLo XXXIX ri, tipo oggi Bill Gates e consorti). E quindi Lyotard non pu prenderci in giro: la grande-narrazione cristiana, estinta fra il 150 ed il 250, e mai pi realmente ripro- posta (al di fuori di gruppi in fusione effimeri di eretici di vario tipo, sempre sistematicamente uccisi ed emarginati, anche se ovviamente stimabili e degni di memoria storica), non deve essere decentemente elencata fra le grandi narrazioni della modernit. Nella misura in cui la religione organizzata (che personalmente vedo con favore, non perch creda ai suoi dei teistico-personalistici, ma in quanto katekon, sia pure debole, dello scatenamento individualistico del capitalismo as- soluto) non  una grande narrazione escatologica (se non in innocue chiacchere pretesche cui i preti generalmente sono i primi a non credere), ma  un'agenzia psicologico- assistenziale di tipo comunitario in unepoca di sdivinizzazione (hei- deggerianamente concepita come stato di incertezza rispetto all'esistenza di Dio, colmato con chiacchiericci teologici e morali sui valori di vario tipo), bisogna respingere il suo inserimento nella lista lyotardiana. A proposito della grande narrazione illuministica dellemancipazione universa- le attraverso il superamento dell'ignoranza e della superstizione, bisogna dire che il suo papa laico Voltaire, cui si rifanno oggi tutti i cosiddetti neoilluministi, che si vergognano invece degli estremisti sociali alla Rousseau, e soprattutto del radicalismo rivoluzionario dei giacobini (Robespierre eguale Stalin con il codino, Stalin eguale Robespierre con gli stivali, ecc.), era un nemico di tutte le grandi nar- razioni del tempo, ed un fautore furbesco del dispotismo illuminato di Federico Il di Prussia. Certo,  esistita nellilluminismo francese una corrente minoritaria di filosofia della storia (Turgot, Condorcet, ecc.), che effettivamente consente di connotare questa grande corrente come una sorta di grande narrazione delleman- cipazione attraverso l'istruzione. Ma non pu essere un caso che dei quasi-con- temporanei come Fichte ed Hegel, che erano ancora in grado di farne un bilancio storico-culturale ravvicinato (come  il nostro caso per il novecento), e quindi non erano fuorviati dalla lontananza temporale, matrice infallibile dellidealizzazione, ne rivelassero il carattere soprattutto distruttivo, l'epoca della compiuta peccami- nosit (Fichte) e dello scatenamento dell'intelletto astratto (Hegel). In ogni caso, facciamo pure l'ipotesi che lilluminismo settecentesco fosse nel suo complesso una grande narrazione (anche se, ovviamente, non lo credo affatto). Ebbene, ci che oggi rumorosamente si autodefinisce neo-illuminismo in Italia (rivista Micromega, ecc.)  una macchina da guerra scettico-relativistica contro qualunque filosofia dellemancipazione, ha alzato il cartello di Darwin e della te- oria dell'evoluzione per nascondere meglio il fatto di avere abbassato il cartello di Marx e della critica al capitalismo, se la prende con il comunitarismo in nome delle forme pi estreme di individualismo, ed anzi si vanta di aver distrutto la credenza grande-narrativa nelle utopie emancipatrici in nome di una virile accettazione del presente socialmente intrascendibile. Fine capitalistica della storia, stato di di- ritto, mercato capitalistico concorrenziale contro i mercantilismi dello Stato-nazio- ne, diritti umani con bombardamenti incorporati contro gli stati canaglia, adesione all'impero americano come nuovo nomos della terra, nuova religione laica dellolo- 430) causto di Auschwitz contro le vecchie religioni monoteistiche tradizionali troppo normative verso gli stili di vita individuali, diffamazione e silenziamento verso tutte le voci che in qualche modo tendono a riabilitare Marx dopo la caduta del comunismo storico novecentesco (1917-1991), ecc. Questo  il neo-illuminismo che osa mettere in copertina Marianna, il simbolo rivoluzionario francese, che porta la scritta illuministi di tutti i paesi, unitevi (cfr. Micromega, novembre 2007). Mi sembra difficile sostenere che esista ancora una grande narrazione illuministica e razionalistica dell'emancipazione. Oggi il cosiddetto neo-illuminismo  una mac- china da guerra contro tutte le filosofie dellemancipazione, ed  un pensiero pi conservatore di quanto lo fosse ai suoi tempi la teologia dei gesuiti rispetto alla legittimazione del sistema sociale signorile e tardo-feudale. Non c dubbio che le filosofie dellidealismo tedesco presentino maggiormente il codice teorico di grandi narrazioni emancipative. Anche qui, per, bisogna pro- cedere con attenzione. Nella misura in cui ha stabilito una filosofia della storia in cinque tappe, quella di Fichte  certamente almeno in parte una grande narrazio- ne nel senso di Lyotard. Ma a mio avviso Hegel non ci rientra gi pi, e per certi aspetti il suo pensiero pu essere interpretato come una critica dialettica a qualun- que grande narrazione. Il percorso fenomenologico della coscienza in direzione dellautocoscienza, disegnato nella sua Fenomenologia dello Spirito, non  affatto a mio avviso una grande narrazione nel senso di Lyotard. Esso non promette alcuna salvezza, ma descrive un possibile itinerario di liberazione. O forse la descrizione realistica della nascita del dominio delluomo sull'uomo, originatasi dal coraggio e dalla paura e non certo da un pacifico contratto sociale,  una grande narrazione? O forse la lotta del servo contro il signore per il riconoscimento sociale egualitario  una grande narrazione? O forse la critica delle filosofie ellenistiche come esodo protetto in piccoli gruppi all'ombra del potere  una grande narrazione? O forse lindicare il rovesciamento dialettico dellascetismo kantiano della morale in regno animale dello scatenamento degli appetiti egoistici del regno animale dello spirito  una grande narrazione? No, tutte queste figure dialettiche non sono grandi narrazioni.  possibile retro- attivamente considerarle tali, e portare legna postmoderna al fuoco dellantipatia organizzata verso Hegel, soltanto quando la societ dellindifferenza, basata sulla chiacchiera, la curiosit superficiale e distratta e l'equivoco sistematico coltivato,  riuscita ad imporre socialmente questa indifferenza stessa come stato normale della societ e come saggezza del disincanto degli intellettuali. Si tratta di una congiuntura storica particolare, frutto di un'epoca di gestazione e di trapasso ad un universo ultracapitalistico, congiuntura che viene ipostatizzata in smasche- ramento delle grandi narrazioni. Mi sembra altrettanto evidente che non esiste nessuna grande narrazione capi- talistica del benessere e del consumo attraverso lo sviluppo economico, tecnico ed industriale. Il capitalismo non  unideologia, non poggia su basi ideologiche, e non deve essere creduto o legittimato in base ad unideologia di riferimento, e quindi non pu essere una grande narrazione. E del resto lo stesso Lyotard, in 431 CaritoLO XXXIX modo sinceramente contradditorio, ammette altrove che il capitalismo si legittima esclusivamente in modo performativo, e cio con la sua capacit effettiva e fattuale di garantire un flusso permanente di merci e servizi accessibili almeno ai due terzi delle societ metropolitane, laddove il terzo rimanente  consegnato alla polizia, alle agenzia di assistenza e beneficienza, all'emarginazione e alle reti di solidariet prevalentemente mafiose. Se a New York c' un black-out, e cio un'interruzione generalizzata della corrente elettrica, i supermercati vengono immediatamente saccheggiati ed ognuno corre via con il suo bottino. Non esiste un'adesione ideologica e grande-narrativa alla produzione ed al consumo capitalistici. Se il capitalismo si fondasse su di una adesione ideologica, grande-narrativa o anche semplicemente valoriale, il problema della rivoluzio- ne sarebbe immediatamente risolto, ed il capitalismo non esisterebbe gi pi da molto tempo. La sua gigantesca forza sta appunto nel non essere oggetto di scelta ideologico-valoriale, e quindi in qualche modo grande-narrativa, ma nell'essere | una riproduzione performativa, che viene poi metaforizzata in gabbia d'acciaio dai seguaci di Max Weber e di dispositivo tecnico (Gestell) dai seguaci poco radi- cali e molto integrati nella societ mediatica dello spettacolo di Martin Heidegger (Umberto Galimberti, ecc.). Non  pertanto possibile consentire in alcun modo con Lyotard quando definisce l'insieme di promesse capitalistiche e di consumo una grande narrazione. Il sistema dei consumi  un puro meccanismo performativo. Forse che il motore, che non pu funzionare senza un costante flusso di benzina,  una grande narrazione? Certamente non lo . Si pu parzialmente consentire con Simmel, il primo filosofo che ha scelto di occuparsi del denaro allinterno del capitalismo come oggetto specifico e come fondamento del legame sociale, il quale ha connotato come errore metafisico l'inversione fra mezzi e fini (con privile- giamento dei primi sui secondi, e quindi rovesciamento dell'essere in avere  per dirla con Eric Fromm), per cui il privilegiamento dei mezzi (i prodotti della tecni- ca immessi sul mercato in vista di un'offerta solvibile) da un lato ci fa diventare schiavi delle mode e dei prodotti, dall'altro per moltiplica i possibili stili di vita, rompendo la monotonia dei vecchi modi di vivere precapitalistici uniformemente comunitari. Ma di Simmel, autore decisivo e sempre stupidamente sottovalutato, parler nel prossimo ultimo capitolo dedicato a Lukcs, che fu allievo di Simmel (e di Weber), ed il sui marxismo si origina proprio per reazione dal suo congedo filosoficamente elaborato da Simmel (e naturalmente da Weber). Qui baster solo insistere ancora una volta sul fatto che il capitalismo non si fon- da su di una grande narrazione ideologica, in quanto, se si fondasse su di essa, sa- rebbe fragilissimo. Sostenendo che anche il capitalismo si fonda su di una grande narrazione, Lyotard mostra di non capire la ragione della clamorosa vittoria tenni- stica del capitalismo sul comunismo storico novecentesco del decennio 1985-1995. Si tratta proprio del decennio pi filosofico del novecento, ed appunto per questa ragione il meno filosoficamente studiato dalla filosofia universitaria politicamente corretta. Un sistema sociale del tutto privo di legittimazione ideologica, e basato solo sulla pi totale performativit consumistica, ha sbaragliato sul campo un si- 432 Il postmoderno filosofico spiegato ai bambini e agli adulti stema sociale che si nutriva quasi esclusivamente di legittimazione ideologica, ed appunto per questa ragione  crollato tanto miseramente. E questo appunto fa sospet- tare (lo dico per pura cortesia  in realt ne sono sicuro, e non lo sospetto affatto) che Lyotard non disponga n di una teoria del capitalismo n di una teoria del comunismo, ma solo di uno schema elementare del cosiddetto passaggio dalla Modernit alla Postmodernit, modello la cui funzione esiste, ed  quella di non per- mettere mai di capire che cosa stia realmente succedendo nel presente come storia.  necessario a questo punto congedarsi provvisoriamente da Lyotard, per cer- care di fare una deduzione sociale delle categorie del pensiero a proposito del triangolo concettuale Premodernit, Modernit e Postmodernit, trinit in cui il ruolo di Dio  svolto dal capitalismo, variamente metaforizzato, ma sempre divinizzato. La discussione teologica di questa trinit corrisponde esattamente alla discussione teologica bizantina sulla trinit cristiana di Padre, Figlio e Spirito Santo, e lunica differenza  di carattere storico, perch ai tempi di Bisanzio la legittimazione po- litica e sociale si basava sulla religione, mentre dopo il settecento illuministico la legittimazione politica e sociale si basa sulla definizione del concetto di ragione.  questa la ragione per cui la differente funzione dell'intelletto scientifico (Verstand) e della ragione filosofica (Vernunft) non  una questione accademica per specialisti di storia della filosofia, ma  una questione politica e sociale. La definizione di Mo- derno come epoca storica che delegittima la filosofia, o se vogliamo la filosofia per la filosofia (Lwith), ha infatti un valore direttamente politico e sociale, come del resto l'avevano gi categorie come fuoco semprevivo (Eraclito), essere (Par- menide), numero (Pitagora), idea (Platone), individuo singolo (Occam), io penso (Cartesio e Kant), ecc. i Il moderno  ovviamente soltanto una metafora per indicare lintrascendibi- lit storica del capitalismo, la naturalizzazione di esso come forma di produzione insuperabile, la fissazione virtuale della fine della filosofia seria e razionale a Kant ed allilluminismo, ecc. Del resto, tutta la filosofia dopo Kant  intollerabile peri teorici della modernit. Scrive Karl Lwith: Lo storicismo metafisico di Hegel, il materialismo storico di Marx ed il discorso heideggeriano sul destino dell'Essere si rivelano egualmente insufficienti per una comprensione del mondo, in quanto muovono tutti dall'uomo e dal suo mondo storico. Essi rimangono tutti entro la tradizione biblica, secondo la quale il cielo e la terra sono stati creati in funzione delluomo. Qui non ha veramente pi senso rilevare ancora una volta che la matrice storica e filosofica delle elaborazione di Hegel, Marx e Heidegger (lasciando qui da parte le differenze enormi fra i tre pensatori)  invece storicamente proprio il contrario di quello che Lwith dice, e cio il passaggio dalla fede biblica all'accertamento razionalistico del tempo storico presente. Ma il disincantato non  accessibile a ragionamenti pacati come questo. Dal momento che il disincanto  un fatto sociale, e non solamente un insieme contingente di pensieri di Max Weber, Karl Lowith, Jean-Frangois Lyotard e Lucio Colletti,  del tutto inutile illudersi sul fatto che . funzionino ancora le buone vecchie argomentazione socratiche. I disincanta@l, j CarrroLo XXXIX infatti, non stanno pi nellagor ateniese, ma fanno parte di robustissimi apparati ideologici, tenuti insieme particolarmente dal clero mediatico e dal clero univer- sitario. Cos come i preti sono stati a lungo i sacerdoti dellincanto, essi sono oggi semplicemente i sacerdoti del disincanto. Preti erano prima, e preti sono adesso. I primi, peraltro, erano migliori, perch sotto le favole teologiche ci stavano metafo- re di rapporti sociali che richiedevano ancora il significato del vivere comunitario, mentre nei secondi c' soltanto la richiesta arrogante di non chiedersi pi il signi- ficato di nulla. Sta qui, infatti, il segreto dellavversione verso la filosofia per la filosofia. Il potere simbolico deve essere spartito esclusivamente fra capitalisti, scienziati e sociologi. Si tratta di una nuova versione della tripartizione indoeu- ropea di Georges Dumzil: non pi il trifunzionalismo di sovranit religiosa, for- za fisica e fecondit (trifunzionalismo di cui la teoria politica di Platone potrebbe essere interpretata come una versione pitagoricamente addomesticata), ma il tri- funzionalismo di potere economico capitalistico, riproduzione tecnico-scientifica e sacerdozio di legittimazione ideologica. Spodestata la filosofia dalla sua funzione di interpretazione del mondo, la so- ciologia ne distrugge i concetti per mettere al loro posto la categoria di moderniz- zazione. Si tratta della categoria pi vuota ed assurda del mondo, che corrispon- de funzionalmente alla categoria di Nulla di Parmenide. E come per Parmenide il nulla era la metafora della rinuncia ad una buona legislazione pitagorica stabile e permanente (e perci eterna) cos la categoria di modernizzazione simboleg- gia la tautologica rinuncia a giudicare il presente storico, limitandosi a sdraiarsi su di esso, oppure a galleggiare su di esso come su di una tavola da surf. Ed infatti, che cosa significa propriamente modernizzazione, la categoria pi tautologica e vuoto dell'intera storia del pensiero? Significa semplicemente registrazione della combinazione fra innovazioni di processo (taylorismo, fordismo, toyotismo, just in time, ecc.), innovazioni di prodotto, ed infine stili di vita e di consumo continua- mente indotti dalla saturazione pubblicitaria e dal suo eraclitismo permanente (il vecchio panta rei  peraltro del tutto assente nei frammenti di Eraclito  diventa tutto il consumo scorre, e non si ferma mai). Il concetto di modernizzazione  il concetto pi vuoto e tautologico del mondo, ed infatti non  neppure un concetto, perch rifiuta l'unione di conoscenza e valutazione. Il suo antecedente diretto  la buona vecchia scemologia di Leibniz, per cui la modernizzazione  il migliore dei mondi possibili. La teodicea si  cos completamente secolarizzata nella coazio- ne al consumo. Il concetto di Moderno  quasi sempre una metafora di una rappresentazione idealtipica del capitalismo, cui vengono attribuiti in generale le valutazioni di Max Weber (razionalizzazione universalistica, impossibilit del socialismo in una so- ciet complessa ed articolata, disincanto illuministico del mondo, politeismo dei valori, relegamento di Hegel, Marx e Heidegger in una fantomatica e metafisica pre-modernit, ecc.). Si tratta di una visione del mondo per professori universitari, il clero regolare del capitalismo (i giornalisti ne sono invece il clero secolare, che vive a contatto con la plebaglia, i laboratores ed il Terzo Stato da manipolare ca- 434 pillarmente). In questo senso, la teologia del disincanto del clero regolare univer- sitario corrisponde esattamente alla onto-teo-logia di Tommaso d'Aquino e dellor- dine domenicano, anche se questultima doveva servire ad una legittimazione ver- ticale e trascendente, mentre la prima deve servire ad una legittimazione indiretta orizzontale e storicamente immanente. Ma chi sa guardare oltre la superficie delle cose non potr sbagliarsi, se ovviamente non trasforma in vocazione-professione (Beruf) la destoricizzazione e la desocializzazione. Come Jean-Frangois Lyotard  il papa filosofico del postmoderno, Juergen Ha- bermas  il papa filosofico del moderno. Cos come Lyotard spiega il postmoderno ai bambini, Habermas spiega il moderno agli adulti (cfr. Il Discorso Filosofico della Modernit). Ma come direbbe la Vispa Teresa: sorpresa, sorpresa! I due discorsi sono identici! Il moderno tedesco ed il postmoderno francese concordano nel ritenere insuperabile il capitalismo e nel considerare grandi-narrazioni ideologiche tutte le concezioni aperte della storia che ne ipotizzano il possibile superamento. Il fatto che l'uno chiami quello che pensa postmoderno e laltro lo chiami moderno  certo rilevante per le storie dossografiche della filosofia contemporanea, ma non per la deduzione sociale delle categorie e la loro collocazione ontologico-sociale. Habermas  stato allievo di Horkheimer e Adorno (ma la corrispondenza dei due mostra che Horkheimer sospettava di lui da moltissimo tempo  e fu buon profeta!). Quando i due santoni erano ancora vivi, moder opportunisticamente le sue irresistibili pulsioni verso il rifiuto moderno della filosofia e verso l'integrale accettazione della scienza come unica ideazione legittima per la conoscenza del mondo. L'aver ritenuto Habermas un francofortese  forse uno degli episodi pi comici ed esilaranti dell'intera filosofia del novecento, e rivela una doppia stupi- dit: la stupidit dei professori universitari di filosofia (ed Horkheimer e Adorno lo erano diventati, laddove il presupposto sociale della loro teoria critica stava proprio nel fatto che all'origine non lo erano), nel loro investire i successori sul- la base della loro semplice autocertificazione ipocrita; e la stupidit dei commen- tatori, incapaci di scavare in profondit ed abituati a galleggiare sulla superficie delle opinioni. E comunque Habermas, per tradire i grandi francofortesi, dovette aspettare che fossero prima seppelliti (Adorno 1969, Horkheimer 1973). Una volta seppelliti, la pulsione conformistica di Habermas non ebbe pi freni. Certo,  im- possibile dedurre lempirica e casuale personalit di Habermas, ma il seppelli- mento della scuola di Francoforte  ancora un fatto sociale totale, e non  neppure difficile capirlo. I francofortesi sono stati lultima incarnazione intellettuale europea della figura hegeliana della coscienza infelice. La dialettica negativa di Adorno non deve essere investigata come un semplice complesso di opinioni sulla dialettica, ma come il segnale di un dilemma tragico. Da un lato, Adorno aveva perfettamente capito che la dinamica del capitalismo lo stava portando verso uno smantellamento degli stessi residui problematici del pensiero borghese classico (questa consapevolezza  particolarmente viva in quel capolavoro che  i Minima Moralia), e quindi verso un capitalismo assoluto interamente postborghese e postproletario (non c' forse 435 CarrroLo XXXIX la parola, ma a mio avviso il concetto e lo spirito si potrebbe dimostrare con una ca- pillare lettura interpretativa). Dall'altro, la disapprovazione verso le forme sociali e politiche assunte dal comunismo storico novecentesco realmente esistito (stali- nismo, dittatura burocratica, materialismo dialettico, ecc.) impediva ad Adorno l'adesione politica al comunismo. Il comunismo sarebbe stato quindi astrattamente necessario per impedire la deriva verso un capitalismo amministrato postborghe- se e postproletario, ma dall'altro canto era concretamente inaccettabile. Da questo dilemma alla Buridano, per cui l'asino non pu scegliere n di qua n di l la balla di fieno, essendo perfettamente nel mezzo (ma si trattava gi del dilemma delle antinomie della Critica della Ragion Pura di Kant), si origina concettualmente la dialettica negativa di Adorno. La dialettica non pu determinarsi mai, e quindi non pu mai diventare speculativa (Hegel), perch nella congiuntura storica no- vecentesca concreta il comunismo reale non  in alcun modo speculativo, perch non permette all'umanit di guardarsi nello specchio, in quanto lo specchio di Stalin  quello di Dorian Gray nel romanzo di Oscar Wilde. Uno specchio in cui chi si guarda muore. E cos Adorno finisce con il nobilitare la passivit sistematizzata. La dialettica negativa  infatti anche un alibi per il rifiuto sistematico dell'impegno politico, impegno le cui forme storicamente date non possono mai aspirare a rag- giungere il concetto (Begriff). Il pensiero di Adorno resta per pur sempre un pensiero tragico, e quindi no- bile. Il pensiero di Habermas  invece un pensiero tragicomico, perch esorcizza sistematicamente tutti gli aspetti tragici del presente, ed appunto per questo si leggo- no spesso negli organi del circo mediatico stampato il giudizio per cui Habermas sarebbe il pi grande filosofo vivente (gennaio 2008). Habermas, morti i suoi due benefattori, inizia con una stroncatura del loro noto capolavoro Dialettica dell'Illuminismo. Egli ha buon gioco nel mostrare i limiti dia- lettici di questo libro, in cui effettivamente di un fenomeno ambivalente come lilluminismo veniva data un'immagine puramente negativa, e per di pi attraver- so metafore letterarie come Ulisse e le Sirene o il marchese De Sade. In sostanza, i francofortesi avrebbero esagerato, e non ci si pu pi fidare di chi esagera, estre- mizza, finisce nel paradossale, ecc. Pi sobriamente, lilluminismo ha certamen- te prodotto dei pericoli di scientismo e di progressismo ottimistico, ma ha anche prodotto - ed  ci che pi conta  un profilo razionalistico ed universalistico di intelletto scientifico. In sostanza, Adorno viene spodestato, ed al suo posto viene posto sul trono Max Weber. Leggendo Dialettica dell'Illuminismo, appare chiaro che effettivamente i franco- fortesi hanno esagerato. Ma quello che i vari Habermas non potranno mai capire  che per sua propria natura la filosofia pu e deve anzi esagerare. Nietzsche avrebbe forse dovuto dire che non esiste la morte di Dio, non ci sono gli Ultimi Uomini e non bisogna martellare il crocifisso perch non  politicamente corretto in un sano ed educato pluralismo laico delle opinioni? Sciocchezze, fastidiose sciocchezze! La filosofia deve mirare principalmente a provocare riorientamenti gestaltici radicali, e per questo a volte bisogna gridare e parlare sopra le righe. Poi, in un secondo 436 Il postmoderno filosofico spiegato ai bambini e agli adulti momento, i consigli della prudenza e lo stesso buon senso penseranno a produrre correzioni moderate. Ma il whisky non pu essere prodotto direttamente con lac- qua dentro. E la filosofia  esattamente come il whisky scozzese. Chi la vuole al- lungare, lallunghi pure, ma solo dopo che  stata prodotta pura. I francofortesi ci hanno dato uninterpretazione radicale dell'illuminismo, certamente unilaterale ed esagerata, ma la cui eventuale moderazione deve avvenire soltanto dopo. Qui Habermas compie una vera operazione universitaria. L'apparato ideologi- co universitario, in quanto composto da sacerdoti del politicamente corretto e della nuova individuazione sociale delle bestemmie indicibili e sanzionabili anche pe- nalmente (senza pi roghi e torture, per, ed in questo propriamente consiste la mo- dernit, che  allora soltanto una premodernit civilizzata e soft), deve smussare tutte le esagerazioni non filtrabili dal chiacchiericcio accademico. Ma in questa operazione di filtraggio la filosofia necessariamente muore, perch essa vive di esagerazioni politicamente scorrette, in quanto queste esagerazioni distruggono ci che opportunamente il grande filosofo ceco Karel Kosk chiama il mondo della pseudo-concretezza (cfr. Dialettica del Concreto). Naturalmente il vero ed unico bersaglio strategico di Habermas restano solo Hegel e Marx (altri bersagli, come i postmoderni e Foucault, restano semplicemen- te bersagli tattici di congiuntura). Ed  perci necessario diagnosticare con chiarez- za dove stiano i punti delicati della stroncatura habermasiana di Hegel e di Marx, individuati come pensatori da espellere da un sano concetto di modernit. Per quanto riguarda Hegel, Habermas lo conosce benissimo, e non pu quindi semplicemente dichiarare che  un pensatore premoderno. Anzi, ne riconosce lar- gamente il ruolo di annunciatore della modernit. E tuttavia, qui il diavolo si na- sconde nel dettaglio. Habermas non pu ovviamente accettare, e deve respingere con forza, lidea che ci possa essere una conoscenza filosofica della realt. Come Lwith, Colletti, Lyotard, ecc., Habermas diagnostica il cuore della modernit nel- la fine della filosofia, cui  disposto a riconoscere soltanto un ruolo subalterno di chiarificazione epistemologica degli enunciati scientifici (i soli realmente conosci- tivi) e di interminabile chiacchiericcio mediatico sui valori. E Hegel? Qui linterpretazione di Habermas  realmente acuta, e  devo am- metterlo francamente  assolutamente geniale. Habermas parte dalla distinzione kantiana fra il concetto scolastico (Schulbegriff) di filosofia, inteso come sistema del- le conoscenze razionali, che implica anche ovviamente la conoscenza della storia della filosofia precedente, ed il concetto mondano di essa (Weltbegriff), che si riferi- sce a ci che interessa necessariamente ogni uomo. Kant qui rende veramente un servizio non solo alla chiarezza terminologica, ma alla corretta collocazione storica della questione. Ebbene, secondo Habermas Hegel  stato veramente il primo che ha fuso in- sieme un concetto mondano di filosofia con il concetto scolastico di essa. Il fatto   per  che questa fusione non  sopravvissuta alla morte di Hegel (1831), e le due concezioni si sono inevitabilmente disarticolate. Habermas capisce perfetta- mente - e lo dice  che Hegel aveva in vista la ricomposizione di una scissione 437 CaprroLo XXXIX sociale (Trennung), ma  appunto questo ci a cui la filosofia deve rinunciare (que- sta  anche la tesi dell'heideggeriano Pggeler prima ricordata). La modernit  cos definita come l'accettazione del fatto che la scissione fa parte costitutivamente della realt sociale (come sempre, modernit = capitalismo, in un eufemismo lin- guistico ipocrita che dice tutto sullautoconsapevolezza, o pi precisamente sulla non-consapevolezza, degli apparati ideologici). Mi permetto un commento. Sono pienamente d'accordo con Habermas sul fat- to che la dirompente novit di Hegel (ed ovviamente ancor di pi del suo allievo comunista Marx) sta proprio nell'avere fuso insieme il concetto scolastico (Schulbe- griff) ed il concetto mondano (Weltbegriff).  proprio questa la radice sociale dellan- tipatia verso Hegel. Per impedire un giudizio complessivo sulla totalit sociale, e cio una scienza filosofica dell'intero, lapologetica capitalistica deve ricacciare la filosofia (a suo tempo uscita con Fichte, Hegel e Marx dalla gabbia disciplinare, il cui chiacchiericcio interminabile  del tutto innocuo per le oligarchie economiche e militari al potere) nel suo concetto scolastico (Schulbegriff), per riservare il suo significato mondano (Weltbegriff) alle organizzazioni ideologiche del sistema. Lu- kcs, Adorno, Gramsci, Bloch, Benjamin, ecc., lo avevano capito benissimo. Ed  proprio per il fatto che lo avevano capito benissimo che Habermas deve ricacciarli nell'ombra del mondo confuso di una generica ed inconsistente teoria della reifi- cazione. Habermas sa bene che per colpire al cuore Marx bisogna colpire il concetto di alienazione.  interessante la formulazione che utilizza nella sua opera pi siste- matica, la Teoria dellAgire Comunicativo. Ascoltiamolo: Questo concetto di aliena- zione resta indeterminato, in quanto al conetto, oscillante fra Aristotele ed Hegel, di una vita che  limitata nelle sue potenzialit in seguito alla violazione dell'idea di giustizia inerente allo scambio di equivalenti, manca l'indice storico (sic!). Impagabile! Proprio a Marx, che ha fatto diventare la storia contemporanea 0g- getto diretto della critica filosofica, unificando cos sulle tracce di Hegel lo Schulbe- griff ed il Weltbegriff del concetto di filosofia, viene rimproverato di non avere un indice storico! In proposito, Habermas sembra capire perfettamente il cuore della questione, anche se attribuisce incongruamente a Marx lidea che il capitalismo violi lidea di giustizia, mentre Marx ha esplicitamente prodotto una teoria (il materialismo storico, appunto) che prescinde completamente dall'idea di giustizia che Habermas attribuisce a Marx, contro ogni filologia possibile. Ma non voglio certamente scendere sul terreno della correzione con matita rossa e blu di enormit che non si farebbero passare ad uno studente del primo anno di filosofia, in quanto so bene che il fraintendimento  prima di tutto un fatto sociale, e non pu ridursi mai ad un errore filologico.  invece interessante che Habermas colga perfettamente il cuore della questione, rilevando genialmente il presupposto metafisico di Marx, e cio il concetto di potenzialit di una vita che un sistema sociale alienato limita nelle sue potenzialit.  impressionante: Habermas capisce il cuore del problema, e subito dopo lo rifiuta. 438 Il lettore sa gi che la mia interpretazione del pensiero di Marx, esposta in alcuni capitoli precedenti,  incentrata sulla valorizzazione della categoria moda- le di potenzialit ontologica (il dynamei on di Aristotele) e sulla interpretazione marcusiana del pensiero di Hegel come pensiero della razionalizzazione dialettica di una realt che  a sua volta potenzialit disponibile a farsi razionalizzare, in quanto le condizioni storiche lo possono permettere.  quindi impressionante per me rilevare che Habermas, nello stesso momento in cui dice in modo ipocrita ed anguillesco che l'alienazione non ha un indice storico (traduzione: non esiste se non come opinione e fantasticheria premoderna, indegna dellepoca presente della razionalizzazione scientifica e del disincanto del mondo), capisce perfettamente che questo concetto si situa nello spazio aperto dell'arco che va da Aristotele a He- gel. Devo quindi concluderne che l'esito habermasiano  certo un esito personale, ma  anche e soprattutto un esito sociale di gruppo, il gruppo degli universitari cui viene assegnato il compito sacerdotale di definire teologicamente la modernit, e di emettere quindi scomuniche socialmente legittimate contro tutti i metafisici, i premoderni, ecc. Torniamo ora al nostro amico Jean-Frangois Lyotard. Ho gi fatto notare in pre- cedenza che lunica grande-narrazione che interessa a Lyotard  la quinta, il gran- de racconto marxista dellemancipazione, e parlo per conoscenza diretta di causa, perch vivevo a Parigi nellanno 1965, lanno in cui si  realizzata in diretta la morte di Dio ed il connesso disincanto. Non ho potuto assistervi in diretta (acciden- ti!) ma per testimonianza di amici e compagni del tempo so perfettamente che cosa  successo. Lyotard faceva parte di un gruppo gauchiste (poi si vedr perch ho mantenuto il termine francese, che  intraducibile in italiano) chiamato Socialismo 0 Barbarie, animato dal greco Cornelios Castoriadis, in cui si univano l'eresia marxista e lortodossia marxiana. Questo gruppo esplose nel 1965, ben tre anni prima del mitico 1968, per cui quando arriv il grande carnevale del 1968 i suoi membri non erano gi pi eremiti, perch erano gi informati della morte di Dio. Fra di loro, il fenomenologo universitario Lyotard, nato a Parigi nel 1924 (e morto poi a settan- tatr anni nell'aprile del 1998), era il pi filosoficamente dotato. E fu lui infatti ad elaborare filosoficamente il disincanto della morte di Dio, ed a chiamarlo postmo- derno, che deriva da una crisi interna al gauchisme francese. Quale morte di Dio? Ma con tutta evidenza la morte nella credenza delle capaci- t rivoluzionarie modali della classe operaia, salariata e proletaria, nazionale ed internazionale. Voglio insistere ancora sul concetto che in questa posizione si con- centrava il massimo di eresia marxista e di ortodossia marxiana, e chi non capisce questo si interdice la comprensione della dinamica di questo disincanto. Il gauchisme in senso proprio non deve essere confuso con il fenomeno che in italiano viene connotato come estremismo. In parole semplici, lestremismo  quella posizione (o insieme di posizioni) che riconosce legittimo nellessenziale il comunismo storico novecentesco ed il suo paradigma politico leninista (in sinte- si, la necessit del partito politico organizzato, e di fatto militarizzato, per fare la rivoluzione e per permettere alla classe operaia di passare dallIn S, puramente 439 CaprroLo XXXIX economicistico e sindacalistico, al Per S politico comunista), ma che per lo estre- mizza, e cio lo radicalizza a sinistra, ritenendo troppo moderate, riformiste, inte- grate ed opportuniste le sue grandi organizzazioni politiche e sindacali. In questo estremismo di sinistra ci sono posizioni ideologicamente molto diverse, di cui ne ricorder solo tre, il neostalinismo dopo il 1956, il trotzkismo a partire dagli anni trenta (la fondazione della Quarta Internazionale avviene nel 1938, e l'uccisione di Trotzky in Messico da parte di un sicario di Stalin nel 1940), ed infine il maoismo fi- locinese a partire dai primi anni sessanta del Novecento. Queste posizioni possono essere considerate estremiste, anche se ovviamente esse non si autocertificano in questo modo, linguisticamente spregiativo. Il gauchisme  un'altra cosa. Il gauchisme respinge frontalmente e senza com- promessi lintero sistema di legittimazione storica del comunismo dopo il 1917, sia nella variante ortodossa che nelle varianti eretiche. E lo fa in nome di una or- todossia marxiana, che si unisce ovviamente con il massimo delleresia marxista. E l'ortodossia marxiana consiste nel prendere alla lettera lidea di emancipazione diretta dei lavoratori, considerati capaci di attuare una integrale autogestione eco- nomica delle unit produttive ed un integrale autogoverno politico dei cittadini- compagni. Il gruppo Socialismo o Barbarie (il termine risale a Rosa Luxemburg, e storicamente il gruppo nasce alla fine degli anni quaranta come eresia trotzkista)  per l'appunto la quintessenza del gauchisme, perch non frappone alcuna me- diazione fra il soggetto emancipatore (e cio la classe operaia, salariata e proleta- ria) e la pratica del comunismo, inteso marxianamente non come un partito, o un partito-Stato, ma come il movimento reale che abolisce lo stato di cose presenti. Tutto questo, per, frana nel 1965. Diamo la parola direttamente a Lyotard, un testo notevole anche letterariamente: Appartengo ad una generazione per la qua- le la politica era tragica, perch significava giocarsi sul terreno politico unalterna- tiva in un certo senso metafisica e non soltanto politica. Si trattava di rovesciare quel simulacro di soggetto della storia, che si chiama capitale, e di sostituirlo con lautentico soggetto, che secondo il nostro modo di vedere era il proletariato. Questa alternativa in fondo viene da un'antica tradizione, quella della Citt di Dio di Agostino. Si tratta appunto di vincere il Male e di realizzare il regno dei cieli sulla terra. Sotto questo riguardo  chiaro che Marx appartiene ad una perdurante rappresentazione della storia umana. E poi, dieci o quindici anni fa,  venuto visi- bile che il soggetto alternativo, cio il proletariato, era unidea della ragione, non aveva realt [...] tutto ci che  avvenuto dopo il 1945 ha mostrato che la solidarie- t tra le classi operaie non esisteva. Il movimento di solidariet, di cui Marx aveva sempre fatto il criterio dellesistenza del proletariato, non  riuscito a svilupparsi [...] mi sono ritirato nel 1965, ed  stati ben pi di un semplice cambiamento di vita.  stato un disastro, ed  stata per me una crisi enorme, una crisi direi esi- stenziale [...] quel grande racconto di emancipazione che la politica moderna ha prodotto  finito, non  pi credibile, ed abbiamo a che fare con un enorme sistema, che s chiamava una volta capitalismo, e che non ha pi sfidanti. Il terzo mondo, infatti, non  uno sfidante. 440 il postmoderno jilosofico spiega 0 ai bambini e agii adul 1 Queste affermazioni di Lyotard sono talmente chiare da non rendere neppure necessaria una particolare esegesi. Nel suo distacco dal marxismo (l'unica grande narrazione che gli interessa veramente superare, pi per nel senso della ber- windung, l'abbandono, che nel senso della Auftebung, il superamento-conserva- zione) Lyotard fonde insieme la morte di Dio nicciana, il disincanto weberiano e l'avvento del dispositivo intrascendibile della tecnica heideggeriana. Ci che  francamente ammirevole in Lyotard  la sincerit e l'onest intellettuale di quanto dice. Egli non lascia alcuna ombra sul suo percorso. Si dir che non bisogna trasformare in fatto epocale la crisi politica di un ristrettissimo gruppo di gauchistes parigini alla met degli anni sessanta del no- vecento. Ma allora, non vedo perch si dovrebbe trasformare in fatto epocale laf- fermazione di un piccolo-borghese tedesco baffuto e pieno di penosi pregiudizi classisti, secondo cui Dio sarebbe morto, gli eremiti non se ne sarebbero accorti, gli umani, troppo umani continuerebbero ad adorarlo per il loro incurabile nichili- smo passivo, gli uomini superiori si limiterebbero a chiamare Dio luomo, senza tentare alcuna alchemica trasvalutazione dei valori, ed infine gli ultimi uomini ne trarrebbero le conseguenze che, dal momento che Dio  morto, tutto diventa pos- sibile (in quanto al presunto Ubermensch, insisto nella mia tesi che esso non esiste, non pu esistere, non  mai esistito, non esister mai, ed  solo una sublimazione fantasmatica di un delirio di onnipotenza-impotenza, e cio di una onnipotenza astratta e di una concreta impotenza, che  esattamente il profilo della condizione umana media nel capitalismo). Eppure, se la filosofia prende sul serio Nietzsche (e fa molto bene a farlo), deve prendere anche sul serio Lyotard. Personalmente, lo prendo tanto sul serio che ritengo che bisogna proprio partire dalla sua diagnosi- prognosi. Lyotard effettua un harakiri del gauchisme assolutamente corretto.  infatti veris- simo che lortodossia gachiste non tiene. Non  vero, infatti, che la classe operaia, salariata e proletaria  il soggetto emancipatore dell'intera umanit. In proposito, non ha nemmeno senso insistere troppo su sciocchezze filologiche, per cui per Marx il soggetto era in realt il lavoratore collettivo cooperativo associato, dal di- rettore di fabbrica all'ultimo manovale, alleato con le potenze mentali sprigionate dalla stessa produzione capitalistica, definite da Marx con il termine inglese di ge- neral intellect. Tutto vero, ma anche tutto oggetto di sapienti chiacchiere seminaria- li. Lyotard non ci invita ad una serie di dubbi metodologici sul come interpretare correttamente Marx (roba da nullatenenti!), ma ci pone un dubbio iperbolico: la salvezza  ancora possibile? Sarebbe sciocco che cercassi di rispondere sommariamente a questa domanda in qualche pagina frettolosa. Risponderei cos: la salvezza, definita in modo reli- gioso (non a caso Lyotard cita Agostino) probabilmente non esiste, ed aveva ragio- ne Spinoza a consigliare di abbandonare il modo di pensare teologico-utopico- messianico; la classe operaia e proletaria, che Marx riteneva con ottime e serissime ragioni una classe generale universalistica, probabilmente non lo  per nulla, il che non significa per che debba continuare ad essere un insieme di schiavi salariati 441 CaprtoLo XXXIX (Marx), cui si estorce il plusvalore assoluto e relativo, questo s del tutto esistente; e tuttavia questi due rilievi disincantati non colpiscono e non falsificano il valore conoscitivo e veritativo di una filosofia dell'essere umano che aspira a cercare nella storia, ed in particolare nel presente come storia, il luogo in cui cercare il significato della storia stessa. Conosciamo ormai a memoria tutte le sofistiche argomentazioni di chi a sostenuto in passato e sostiene oggi che la storia non ha nessun significato, e che la virilit consiste nel proclamarlo. Questa Viagra-Philosophy ha smesso da tempo di intimidirmi, anche se il suo potere di intimidazione  forte in coloro che sono sensibili all'approvazione ed alla disapprovazione del sacerdozio mediatico- universitario. E comunque la lezione di Lyotard ormai lho capita: il postmoderno filosofico, dal punto di vista soggettivo,  il frutto di una sofisticata elaborazione del lutto per la morte di Dio (o meglio, del Dio marxista), morte di Dio sublimata in un disincanto weberiano ed in una riduzione dei rapporti sociali di produzione in dispositivo (Gestell). E cos, lesperienza illusoria-delusoria di unintera genera- zione (e delusoria perch prima illusoria, essendo la delusione sempre nutrita da precedenti illusioni) viene ipostatizzata in disincanto e fine capitalistica della sto- ria. Non conosco il futuro, ma scommetterei che i nostri discendenti saranno molto severi su questo episodio. Tutto ci che  stato detto fin qui su Lyotard e Habermas tocca soltanto la giu- stificazione ideologica del postmoderno, e la giustificazione ideologica non fa parte della struttura, ma solo della sovrastruttura. E tuttavia in un'opera ispirata alla deduzione sociale delle categorie la critica sovrastrutturale non basta. Il post- moderno  la sovrastruttura di una struttura, e questa struttura  la produzione postmoderna. In proposito Fredric Jameson coglie il punto essenziale parlando del postmoderno come dell'ideologia dellepoca della produzione flessibile, e David Harvey coglie nel segno quando parla di spostamento dal tempo allo spazio ed alla sua centralit simbolica come caratteristica essenziale del paradigma postmo- derno. Vi sarebbero anche altre importanti determinazioni, ma i parametri indicati da Jameson e da Harvey (la flessibilit e la spazialit) sono secondo me sufficienti per impostare la discussione. Ovviamente, bisogna prima respingere cortesemente alcune determinazioni del tutto illusorie della postmodernit. Ad esempio, non  vero quello che sostiene il noto e celebrato sociologo Bauman, per cui vivremo da tempo in una societ liquida. Bauman utilizza la metafora della liquidit per alludere al caleidoscopio di mobilit, viaggi facili, diversificazione e legittimazione degli stili di vita, capric- ci del consumo, fine delle appartenenze ideologiche rigide, ecc. Sarebbe questa la liquidit, che si contrappone metaforicamente alla solidit del tempo della produzione fordista, dello Stato sociale dalla culla alla tomba, delle appartenen- ze politiche rigide, ecc. A questo livello superficialissimo la metafora di Bauman della liquidit contrapposta alla solidit rigida potrebbe anche sembrare vera, ma appena si approfondiscono un po le cose vediamo subito che non  vera. La so- ciet apparentemente liquida di oggi si basa su di una piattaforma rocciosa e solidissima, costituita da una sorveglianza capillare, da un crescente controllo, da 442 AL prUDLIFIUUCI LU JLLUDUJLLU Dpiugioru ur Umisiuzize 1 gr: nveeree una militarizzazione mercenaria (i cosiddetti contractors), da un'atmosfera di guer- ra al terrorismo che  in realt una forma di legittimazione del diritto dellimpe- ro ideocratico USA di dominare il mondo, ecc. Non conosco infatti nulla di pi pesante della precarizzazione diffusa del lavoro, della svalorizzazione crescente della forza-lavoro operaia, impiegatizia e salariata, degli orari sempre pi lunghi e sempre pi intensi, ecc. Non discuto la buona fede di Bauman nella sua sciocca proposta sociologica di una inesistente societ liquida. Ma chiamare liquida la societ pi pesante mai esistita nella storia significa confondere il superficialissi- mo fenomeno dellindebolimento delle identit collettive fordiste con il ben pi profondo fenomeno dellappesantimento oligarchico, finanziario e globalizzato del moderno capitalismo. Nello stesso modo, cos come non esiste la societ liquida di Zygmunt Bauman, non esiste nemmeno il pensiero debole di Gianni Vattimo. Ci che  stato chiamato per un ventennio in Italia ed in Francia pensiero debo- le  semplicemente il processo di indebolimento e di sparizione, allinterno della comunit degli intellettuali universitari, della credibilit del pensiero di Marx e di tutte le forme di organizzazione informale identitaria della religione sociologica degli intellettuali di sinistra (sartrismo ed althusserismo in Francia, francoforti- smo in Germania, operaismo multicolore in Italia, ecc.). In realt, la tesi di fondo di questo presunto pensiero debole era la pi forte che potesse mai essere con- cepita, e cio l'affermazione della gabbia d'acciaio di Max Weber, della fine delle grandi narrazioni di Lyotard, della compiuta secolarizzazione religiosa di Lwith e della risoluzione della metafisica in tecnica planetaria di Heidegger. Chiamare debole questo pensiero significa chiamare deboli le corna di un toro andaluso. Si tratta pur sempre, infatti, di dotarsi di una periodizzazione strutturale del- la storia del capitalismo. Senza una periodizzazione strutturale, oscilleremo sem- pre fra teorie suggestive, ma del tutto sovrastrutturali (l'epoca dell'io minimo e del narcisismo di Lasch, la societ liquida di Bauman, pensiero debole di Vattimo, ecc.). Non esiste ovviamente una periodizzazione perfetta, e non pu esistere. Ma esisto- no periodizzazioni pi credibili di altre. Secondo la periodizzazione proposta da Ernest Mandel e da Fredric Jameson, si possono distinguere tre stadi dello sviluppo capitalistico. In un primo stadio, siamo di fronte ad un capitalismo del libero mercato, la cui base tecnica preponderante  la macchina a vapore, e la norma culturale egemonica il realismo. In un secondo stadio, siamo di fronte ad un capitalismo monopolistico a base ancora prevalen- temente nazionale (Stato-nazione), la cui base tecnica preponderante  l'industria meccanica ed elettrica, e la cui norma culturale egemonica  il modernismo. In un terzo stadio, infine, siamo di fronte ad un capitalismo transnazionale globalizzato dei consumi, la cui base tecnica preponderante  costituita dalle nuove tecnologie, e la cui norma culturale preponderante  costituita dal postmodernismo (che pi avanti analizzer pi in dettaglio seguendo alcuni suggerimenti di David Harvey). A me sembra che questa periodizzazione, pur non priva di plausibilit, sia molto rigida ed economicistica, e non sia pertanto soddisfacente per i nostri scopi. 443 CarrroLo XXXIX Perry Anderson propone invece di collocare storicamente l'esaurimento del modernismo nei trent'anni che seguono il 1945 e la fine della seconda guerra mon- diale, i trent'anni appunto 1945-1975 definiti da Hobsbawm i trenta anni gloriosi del secolo breve 1914-1991. Questo esaurimento  dovuto alla dislocazione storica di tre coordinate strutturali che avrebbero invece caratterizzato il periodo prece- dente, e che enumero: 1) La persistenza (fino alla fine dell'Ottocento) di pezzi interi di ancien rgime, accompagnati dai loro canoni consacrati di produzione artistica. La codificazione di questi ultimi stabilisce una scala di valori culturali contro i quali il modernismo insorge. In questo modo, lesistenza di una avversario comune unifica le pratiche estetiche del modernismo nascente. 2) Il momento storico del modernismo nascente  quello della seconda rivolu- zione industriale (telefono, radio, automobile, aereo, ecc.). L'immaginario sociale del modernismo  quindi segnato in modo congenito dalle forme tecnologiche del- le invenzioni di questa rivoluzione. 3) La congiuntura storica del modernismo corrisponde ad un diffuso sentimen- to di attesa di una rivoluzione sociale. La prossimit immaginata della rivoluzione  intrattenuta da una tensione sociale permanente, che si manifesta attraverso con- flitti di classe aspri e duri. Secondo Anderson la crisi di queste tre coordinate  la premessa dellapparizio- ne del post-moderno: sparizione dell'ordine agrario e semi-aristocratico, affermar- si massiccio del fordismo, esaurimento delle ondate di innovazione tecnologica della. seconda rivoluzione industriale, sparizione del senso di prossimit tempo- rale della rivoluzione socialista. Mi sembra che questo modello di Anderson sia migliore di quello di Jameson-Mandel, perch meno economicistico. E tuttavia, in esso non sono rinvenibili alcuni dati storici che ci interessano. Questi dati sono parzialmente presenti in una recente periodizzazione proposta dagli studiosi francesi Luc Boltanski e Eve Chiapello. Secondo questo modello, in una prima fase il capitalismo si costituisce nella emersione della borghesia im- prenditoriale vera e propria dalla precedente incorporazione del magma dei ceti del terzo Stato, e questo d luogo a quella particolare etica capitalistica rilevata da Max Weber, unita ovviamente all'insieme unitario di costituzione di valori capitalistici, che sono peraltro il semplice riflesso delle istituzioni capitalistiche vere e proprie, di tipo politico, economico, militare, scolastico, familiare, ecc. In una seconda fase, invece, trovano un momento di alleanza politico-culturale due distinte critiche del capitalismo, la critica economica delle classi lavoratrici a bassi redditi ed a consumo incerto, e la critica artistica della piccola borghesia scolariz- zata insoddisfatta dellipocrisia e del conservatorismo tradizionalistico della bor- ghesia arrivata e soddisfatta di s.  questo il periodo in cui stabilisce quella alleanza fra critica economica e criti- ca culturale che costituisce la cosiddetta cultura di sinistra, e che viene pensata 444 ii postmoderno ji10s0fico spiegato n DambDIni e agli AGuiti come permanente, laddove si tratta invece soltanto di una finestra storica tem- poranea, anche se destinata a durare per circa un secolo. La critica sociale e la critica artistica del capitalismo vedono spezzarsi la loro al- leanza con lentrata in crisi della terza fase del capitalismo. In questa terza fase, in- fatti, il capitalismo riesce a liberalizzare integralmente i costumi di vita familiari e sessuali (pensiamo al mitico Sessantotto, mito di fondazione di un ipercapitalismo postborghese pienamente liberalizzato). Si rompe cos la precedente alleanza fra critica economico-sociale e critica artistico-culturale al capitalismo, ed  errato in- terpretare questa rottura come un tradimento degli intellettuali piccolo-borghesi artistici nei confronti dei lavoratori economici. Si tratta semplicemente della fine di un'alleanza temporanea che la falsa coscienza necessaria degli agenti storici aveva pensato in termini di alleanza organica per il socialismo, laddove invece si trattava soltanto della temporanea contiguit di progetti del tutto divergenti. Di tutte queste periodizzazioni, quella di Boltanski e Chiapello mi pare la pi acuta, ed anche quella pi utile per capirci qualcosa. Partendo da essa, ed incro- ciandola con alcune acute dicotomie culturali proposte da David Harvey, possia- mo avviarci a stringere il nodo storico della questione che ci interessa. La base economica da cui occorre dedurre socialmente quasi tutte le categorie del cosiddetto postmoderno, che seguendo Boltanski e Chiapello definir sem- plicemente la terza et del capitalismo, quella in cui si dissolve la precedente al- leanza fra critica economica e critica artistico-culturale del capitalismo, e vengono meno le bisecolari identit complessive borghese e proletaria,  l'allargamento della forbice fra ricchi e poveri nelle metropoli capitalistiche, e negli USA in primo luogo. Dal momento che il presidente USA  stato incoronato imperatore del mondo capi- talistico globalizzato dal circo mediatico-universitario,  evidente che tutta lattua- le cultura (tra virgolette, ovviamente, trattandosi paradossalmente di un riflesso di un'epoca della compiuta incultura) si diffonde a cascata partendo dagli USA e poi ricadendo nelle province, protettorati, proconsolati, ecc. Si parla, ovviamente, di ricchi e poveri in senso relativo, bench anche la povert assoluta aumenti (pensiamo ad un fenomeno oggi considerato negli USA normale come gli homeless, i senzacasa, fenomeno che avrebbe attirato la massima indigna- zione sociale quando la piccola borghesia aveva ancora una cultura improntata he- gelianamente alla coscienza infelice). Nellepoca della massima estrazione mar- xiana del plusvalore relativo, grazie al macchinismo industriale, anche la forbice fra ricchezza e povert diventa relativa. Da un lato, aumenta l'enorme massa di lavoro flessibile e precario, con conseguente precarizzazione progettuale della vita, il che fa venire meno i presupposti sociali della visione hegeliana del mondo. La vi- sione hegeliana del mondo, infatti, non solo si basava sullacquisizione di una au- tocoscienza sociale di un mondo dotato di senso (laddove il mondo di oggi  pro- grammaticamente insensato), ma si riferiva anche al conseguimento di un'identit etica stabile, fondata sui tre presupposti della famiglia eterosessuale riproduttiva, della professionalit acquisita e poi praticata per tutta la vita, ed infine dello Stato- nazionale sovrano sull'economia e non occupato da basi militari straniere. Tutto 445 CarrroLo XXXIX questo, evidentemente, non connota pi il mondo di oggi strutturalmente, ed ecco perch sovrastrutturalmente il circo intellettuale asservito deve alzare un polverone per colpire la famiglia eterosessuale stabile, il sistema scolastico serio tendente a formare professionalit stabili e sicure, ed infine la sovranit economica e militare dello Stato nazionale, considerata un ferrovecchio nell'epoca del cosiddetto av- vento della globalizzazione. La dicotomizzazione della societ  peraltro evidente a tutti gli osservatori at- tenti. Non conosco New York, Los Angeles e Tokyo, ma conosco bene Londra e Parigi. Ebbene chi ha conosciuto Londra e Parigi negli anni sessanta del novecento, sa bene che oggi la forbice fra ricchi e poveri  talmente aumentata da caratteriz- zare ormai la formazione di quartieri-citt diversi ed antagonistici, letteralmen- te impensabili allora. E questo  avvenuto in un cinquantennio in cui sono stati al governo (al governo, non certo al potere, il potere nel capitalismo di oggi  esclusivamente nelle mani delle oligarchie finanziarie, dette con fervore religioso giudizio dei mercati) personaggi socialisti come Mitterand o laburisti come Blair. Se si vuole cercare una prova della totale irrilevanza della politica nel de- terminare lo sviluppo sociale, ebbene questa  una prova grande come la monta- gna dell'Everest. Come ho detto, la vecchia piccola borghesia era il luogo sociale dellirrequietez- za e della coscienza infelice, che trovava pensatori sovrastrutturali che in qual- che modo cercavano di interpretarla (Nietzsche, Heidegger, Adorno, ecc.). Ma i sociologi notano che oggi nel mondo sta formandosi un aggregato che definiscono new global middle class, e che non ha pi nulla a che fare con i vecchi ceti medi. Ci vorrebbe un Simmel per descriverne i modi di vita, ma Simmel  morto e  come direbbe Woody Allen, massima espressione della depressione sociale contempora- nea ancora capace di autoironia  anche noi non ci sentiamo troppo bene. Questa new global middle class, unificata da viaggi facili, dallumanitarismo distratto e su- perficiale, da un inglese turistico-operazionale della comunicazione semplificata e standardizzata, da un multiculturalismo indotto in funzione della distruzione della propria cultura nazionale, dallaccettazione conformistica del politicamen-. te corretto circostante (femminismo di genere, pacifismo rituale e puramente narcisistico-ostensivo, ecologismo da pubblicit di fette biscottate, falso interesse caritativo verso i migranti, ecc.), non  pi ovviamente la vecchia piccola bor- ghesia. Sta qui il famoso passaggio dal paradigma Hegel-Marx al paradigma Niet- zsche-Heidegger, che la cultura mediatico universitaria d per ovvio e scontato (aggiornarsi, please), laddove invece non  per nulla in grado di darne un'analisi storico-genetica ed ontologico-sociale. L'inizio del processo di dicotomizzazione sociale (da un lato, grande massa di lavoro flessibile e precario, dall'altro, formazione della nuova classe media globale priva di coscienza infelice, e quindi amica della differenza e nemica della dia- lettica) pu essere grossomodo posto nel 1973. Da quellanno data la caduta pro- gressiva del potere d'acquisto dei salari operai americani. Negli anni Cinquanta del Novecento un solo salario operaio medio era in grado di sopperire ai bisogni, 446 bet statali dt pine dt deal rbt  Sta det i ci Pea Sano e quindi di riprodurre, una famiglia di quattro persone. Un sondaggio dell'agosto 1991 (lanno del crollo del comunismo storico novecentesco, accolto da tutti gli sciocchi come linizio augusteo di una pax americana e di un'epoca di libert e be- nessere per tutti) rilevava che il reddito accumulato da una coppia tipo della classe operaia bianca, entrambi destinati ad impieghi precari, era equivalente al 44 per cento di un operaio qualificato di trent'anni prima.  questa la base materiale del postmoderno, anche se coloro che rifiutano il me- todo strutturale di Marx potranno pensare che ad un certo punto, per illumina- zione, le persone colte si rendono improvvisamente conto che lutopia degenerare sistematicamente in terrore, che Dio  morto, che siamo soli nell'universo insensa- to, che non c' la dialettica ma solo la differenza, che la cosa migliore  il politeismo dei valori che non ti impone obblighi etici comunitari ma solo il formalismo del- la norma giuridica astratta, che il genere non  pi il genere umano oppure lente naturale generico (Gattungswesen), ma  il genere inteso come coscienza sessuale separata nei tre sessi consentiti (maschi, femmine, ed infine gay e lesbiche), ecc. Finanziarizzazione del capitale e globalizzazione dell'economia sono quindi i pilastri strutturali della terza et del capitalismo, con conseguente riclassifica- zione integrale della struttura sociale (nuovo proletariato flessibile e precario, e classe media globale priva di coscienza infelice se non nella forma depotenziata e manipolata dellumanitarismo genericamente buonista e dei diritti umani a geometria variabile e soprattutto a bombardamento unilaterale incorporato). La scienza si  adeguata, mentre la filosofia e l'ideologia no. Per questo, bisogna pri- ma ritornare ancora una volta sia sulluna che sull'altra, per capire le dinamiche di mistificazione e di manipolazione che le hanno colpite, e che le stanno ancora colpendo furiosamente. Per quanto riguarda la filosofia, non  pi necessario ripetere ancora in detta- glio ci che ho gi detto almeno una decina di volte (ma repetita juvant), e cio che i poteri oligarchici di oggi devono in tutti i modi delegittimare la sua sovranit conoscitiva e veritativa e ridurla o a passatempo filologico universitario, oppure a consulenza psicologica per disadattati colti (al normale disadattato poco cul- turalizzato basta il prozac). Hegel ovviamente resta sempre il bersaglio principale, appunto perch Hegel  riuscito in massimo grado a legare insieme il concetto della filosofia come sistema delle conoscenze razionali (Schulbegriff) ed il concetto mondano della filosofia come insieme di ci che interessa necessariamente ad ogni uomo (Weltbegriff). Marx resta parimenti intollerabile ed insopportabile per le sue idee politiche comuniste, anche se si sta sviluppando un tentativo di neutraliz- zarlo come profeta barbuto della globalizzazione capitalistica. Certo, piccoli grup- pi universitari ultraspecializzati di hegelologi e di marxologi continuano ad esiste- re e vengono anzi mantenuti ed incoraggiati allinterno della divisione del lavoro sociale universitario, ma deve essere ben chiaro che nessuna ricaduta espressiva di tipo politico-sociale pu essere tollerata, pena diffamazione immediata ed esclu- sione dai riti di accettazione della comunit universitaria, non importa se religiosa o laica, di centro, di sinistra o di destra. 447 CarrroLo XXXIX E tuttavia l'enigma sociale non sta in questa ovvia constatazione, ma sta altro- ve, e cio su quali siano le determinanti sociali sottostanti che fanno s che non si sviluppi una reazione culturale ed una indignazione sociale. Ancora una volta, l'enigma culturale del medioevo non sta nel fatto che venivano bruciati gli ereti- ci sul rogo, gi ampiamente torturati con tenaglie roventi, ma sta esclusivamente nel fatto che vi fosse un ampio consenso sociale per simili comportamenti isti- tuzionalizzati.  questo, e solo questo, l'enigma. Per questa ragione, il fatto che la cultura della finanziarizzazione del capitale, della globalizzazione economica e dellapprofondimento della forbice sociale fra le (nuove) classi respinga Hegel e Marx non  un problema difficile da risolvere, ma  un vero e proprio segreto di Pulcinella. La mancanza di reazione, invece,  un problema. Lo ritengo un dato storico provvisorio, anche se si tratta di qualcosa che va ben oltre la prospettiva della mia restante vita terrena. Lo scrittore portoghese premio Nobel Jos Saramago ha scritto: Dire che lidea socialista  morta nel 1989 signi- fica cadere in una tentazione molto comune nell'uomo, che avendo una vita breve tende sempre a pensare che qualche altra cosa muoia prima di lui. Non si poteva dire meglio. Marx ha scritto che per le epoche storiche, cos come per le epoche geologiche, non esistono linee di demarcazione rigide. Molto ben detto. L'epoca detta premoderna, quella detta moderna e quella detta postmoderna si intrecciano l'una con laltra. Per questa ragione non possiamo andare oltre ad una approssima- zione necessariamente incerta ed imprecisa. David Harvey, geografo di professione, ha scritto un testo fondamentale sulla postmodernit che considero la migliore approssimazione esistente. Si pu fare di meglio, ma per il momento possiamo servirci dei suoi schemi di interpretazione. Da buon allievo di Hegel, io penso che le dicotomie dovrebbero essere dialettizza- te. Ma mentre le dicotomie formalistiche di tipo neokantiano di Norberto Bobbio e dei suoi allievi operaisti non permettono di capire nulla della realt di oggi, le dicotomie di Harvey colgono almeno qualcosa di ci che si muove. Io mi limiter qui a discuterne ed a enumerarne soltanto alcune, tralasciandone molte altre: 1) Dicotomia Tempo (modernit) e Spazio (postmodernit). Il progetto moderno borghese si  costituito nel settecento intorno alla riformulazione del tempo storico come tempo del progresso, smantellando e destrutturando il vecchio tempo reli- gioso, che a sua volta non era gi pi da tempo messianico (come hanno opinato erroneamente Lwith e Lyotard), ma era il tempo ciclico dell'eterno ritorno degli stessi ceti e delle stesse classi, oltre che degli stessi metodi produttivi e della stes- sa estorsione della rendita agraria feudale e signorile. Il tempo degli investimenti produttivi e dell'attesa dei profitti e degli interessi  un tempo lineare orientato in avanti, e non pu pi essere il tempo dei ritorni sicuri delle stagioni e della ri- scossione delle rendite agrarie. Ma oggi, con la mondializzazione planetaria della produzione capitalistica (la cosiddetta globalizzazione), il tempo si  integral- mente realizzato in spazio. Harvey forse non lo sa, ma ci che dice corrisponde quasi integralmente alla diagnosi heideggeriana della risoluzione della metafisica 448 occidentale in tecnica planetaria. La metafisica, infatti, si organizza intorno ad una interpretazione del tempo, mentre la tecnica si organizza intorno al dominio sullo spazio. 2) Potere dello Stato-nazione (modernit) e Potere Finanziario Multinazionale (post- moderno). Tutti sanno che la grancassa mediatica ci ripete ogni giorno in modo asfissiante che lo Stato-nazione  morto. In realt, alcuni stati-nazione sono ancora legittimati (fondamentalmente USA, Israele, e stati di lingua inglese, pi vassalli tipo Olanda e Danimarca), mentre sono tutti gli altri che sono sbrigativamente in- vitati a togliersi dai piedi (la Francia  in particolare oggetto di pressanti ultimatum a far finire la cosiddetta eccezione francese  e cio l'indipendenza nazionale  e su questo obiettivo  stato mediaticamente costruito il cosiddetto fenomeno- Sarkozy, sperando che questo signore faccia finire la scandalosa eccezione gollista, che Dio preservi la memoria del generale De Gaulle). Il potere finanziario multi- nazionale, infatti,  veramente multinazionale, ma non potrebbe esistere senza la suprema garanzia politico-militare dell'impero americano. E questo spiega il fatto, altrimenti inspiegabile, che a sessantotto anni (1945-2013) dalla fine della seconda guerra mondiale gli USA continuino ad occupare militarmente paesi che hanno liberato fra il 1943 e il 1945. Chi ha unaltra spiegazione di questo enigma servile e scandaloso me la comunichi, e gliene sar grato. Ma non penso proprio che ve ne sia unaltra. 3) Profondit (moderna) e Superficie (postmoderna). Il pensiero moderno (Hegel e Marx in particolare) riteneva che sotto la superficie delle cose ci fosse una sostan- za che le sorreggeva. Pensiamo al concetto di sostanza in Aristotele, che riteneva correttamente che vi fosse una sostanza (hypokeimenon) a sorreggere gli accidenti naturali e sociali. La filosofia era quindi pensata come uno scandaglio capace di andare in profondit per spiegare la superficie. Ma ora la superficie sostiene arro- gantemente di non avere nessun bisogno di essere spiegata, perch la sua ripro- duzione spaziale (e cio la globalizzazione capitalistica) basta a s stessa. E infatti, se il disincanto del mondo porta al politeismo dei valori, e il politeismo dei valori si realizza concretamente in pluralismo di infiniti stili di vita dipendenti non pi da un riferimento metafisico, ma da un differenziato potere d'acquisto, non c' pi posto per una profondit, ma solo per una superficie di libero scorrimento del denaro. 4) Produzione ed originalit (moderno) e riproduzione e pastiche (postmoderno). In pi Avanguardismo Artistico (moderno) e Commercializzazione Artistica (postmo- derno). Il tempo delle avanguardie, artistiche e letterarie,  ancora il tempo che Boltanski e Chiapello chiamano della critica artistica del capitalismo e della ipo- crisia borghese. Ma venuto meno questo periodo storico, con la liberalizzazione integrale postborghese dei costumi sessuali e comportamentali, lavanguardismo artistico diventa bene di rifugio per capitalisti, che acquistano a carissimo prezzo 449 CaprroLo XXXIX le scatolette di merda d'artista, adeguatamente quotata nel mercato dellarte. Il fatto che lo sciagurato che ha inscatolato la propria merda chiamandola merda d'artista non venga cacciato a calci gi per le scale, ma venga ricompensato con quotazioni da capogiro, spiega meglio di ogni altra analisi estetica la degradazione che la commercializzazione integrale comporta nella stessa attivit artistica. 5) Etica protestante del lavoro (moderno) e Liberalizzazione del costume (postmoder- no). Qui Harvey dicotomizza opportunamente quanto ho gi avuto modo di rile- vare. Il capitalismo non ha infatti un profilo morale permanente, ma funzionalizza i sistemi morali al suo sviluppo ed alle sue fasi riproduttive. I rilievi di Max Weber sul ruolo del concetto protestante di Beruf (vocazione-professione) riguardano in- fatti soltanto la sua fase di decollo (take off), in cui era necessario demarcarsi dai comportamenti di spreco, lusso, consumo ed esibizione delle classi signorili. In Inghilterra l'ipocrisia anglicano-puritana ci aggiunge il cosiddetto moralismo vit- toriano, per cui nella citt con il maggior numero di puttane al mondo era conside- rato politicamente scorretto parlare delle gambe dei tavoli. E tuttavia questa fase borghese del capitalismo  solo provvisoria, perch la stessa necessit di allargare la base sociale e politica di consenso e di sottoporre al consumo capitalistici anche aree comportamentali prima sottratte al potere assolutistico dell'economia porta ad una crescente liberalizzazione del costume. Si giunge infine alla tragicomica generazione detta del Sessantotto, mito transnazionale di fondazione del nuovo capitalismo liberalizzato e del vietato vietare, in cui la scopata generalizzata e luso delle droghe per liberare la coscienza vengono trasfigurate per comporta- menti anticapitalistici, laddove invece, appunto perch erano in parte antiborghesi, erano perci stesso ipercapitalistici (nel senso della terza fase del capitalismo di Boltanski e Chiapello). 6) Fallico (moderno) e Androgino (postmoderno). La critica femminista alla pre- cedente fallocrazia maschilista  un prodotto sociale ed ideologico, rivolto alla de- legittimazione del precedente modello autoritario di famiglia borghese patriarcale. La famiglia borghese patriarcale, infatti,  incompatibile con la nuova struttura del mercato giovanile, in cui i giovani devono diventare sovrani nell'acquisto dei modelli, preferibilmente griffati e dotati di logo. I genitori devono essere sposses- sati di qualunque residua sovranit etica, che deve passare agli apparati pub- blicitari, fortemente sponsorizzati dal circo mediatico-televisivo. Il padre, in altre parole, diventa un semplice ufficiale pagatore delle ossessive richieste di con- sumo dei figli. Anche la scuola, ovviamente, deve perdere ogni residua aura di cultura, e la vecchia figura del professore scienziato ed umanista viene sostituita da figure grottesche di animatori psicologici e da prof socialmente disprezzati.  anche interessante, sia pur socialmente poco osservato, che il titolo di professore venga riservato esclusivamente ai membri della casta universitaria, laddove sotto di essa c' solo una penosa e frustrata plebaglia di prof, in cui il dimezzamento del titolo corrisponde al dimezzamento del prestigio sociale. I professori universitari 450 Il postmoderno filosofico spiegato ai bambini e agli adulti vengono cos cooptati nella nuova classe media globale, mentre i prof ricadono nella nuova plebe flessibile. Come comprende molto bene Harvey, questo presuppone uno spostamento dal vecchio modello fallico borghese al nuovo modello androgino postborghese. Cer- to, su questo terreno nascono anche esagerazioni da correggere, come l'esaltazione di modelle anoressiche e scheletriche che cadono morte al suolo, laddove limma- ginario maschilista frustrato deve rifugiarsi in tette gigantesche (su questo  inte- ressante studiare i modelli matrimoniali tipici del capitalista di vecchio tipo, come ad esempio in Italia Silvio Berlusconi). Il modello androgino esalta ovviamente la centralit simbolica del gay maschile e femminile, che viene imposta mediati- camente come la figura sessuale centrale e pi significativa della societ contem- poranea. In un mondo in cui non esiste pi naturalit, sostituita dallartificialit integrale della produzione capitalistica,  del tutto ovvio che anche il genere (gender) si scelga, ed uno non nasce pi maschio o femmina, ma sceglie di diven- tare maschio o femmina. Interrompo qui lanalisi delle dicotomie di Harvey (ma ce ne sono ancora deci- ne, tutte geniali), per raccogliere le fila di tutto questo discorso in una formulazio- ne il pi possibile sintetica. Non esiste ancora un'immagine filosofica soddisfacente della societ contem- poranea. Georg Simmel e Max Weber sono morti, ed anche noi non ci sentiamo troppo bene. Personalmente, non ritengo di disporne, ma penso di stare soltanto aggirarmi fra frammenti. E tuttavia, da allievo di Hegel e di Marx, penso che i cosiddetti frammenti siano sempre razionalmente ricomponibili e ritengo lesal- tazione estatica del frammento soltanto un effetto ideologico per ingenui (nel caso migliore) e per corrotti e deficienti (nel caso peggiore). Dire che la conoscenza co- nosce soltanto frammenti non ricomponibili significa soltanto consegnare la sovra- nit sull'intero alla riproduzione capitalistica assolutizzata e dichiarata eterna (la teoria della fine della storia del consulente del Pentagono Francis Fukuyama). Oggi praticamente tutte le concezioni filosofiche legittimate dallapparato univer- sitario sono teorie della fine capitalistica della storia (Lyotard, Habermas, ecc.). Concezioni filosofiche migliori (dialettica negativa di Adorno, critica della metafi- sica di Heidegger), che almeno conservano l'orizzonte del concetto di alienazione (sostanzialmente accettato sia da Adorno che da Heidegger), sono ancora legittimo oggetto di sapere universitario, ma non escono di fatto dalle aule e dai seminari delle facolt di filosofia, perch non esistono pi forze politiche che, sia pure in modo mediato, semplificato ed ideologizzato, possano recepire i loro contenuti critici. Adorno  ridotto a critico intelligente della cosiddetta industria culturale, cosa che ovviamente , ma che non coglie il punto essenziale del suo pensiero, che  invece la registrazione filosofica acutissima di due fatti intrecciati, l'impossibilit di aderire realmente al modello staliniano di socialismo, da un lato, e la progres- siva degenerazione del vecchio sapitalizmo borghese in ipercapitalismo postbor- ghese, dall'altro. 451 In quanto ad Heidegger, pensatore indiscutibilmente anticapitalistico, e per que- sto temuto, si alzano mediatici polveroni sul suo (in gran parte presunto) nazi- smo del discorso del rettorato del 1933 e si enfatizzano esclusivamente i suoi con- tributi sullarte. Ma essendo ormai oggi larte caduta completamente in mano ai pescecani del mercato dellarte e dei suoi committenti oligarchici, il parlare di arte  quasi sempre chiacchiericcio universitario irrilevante, oppure simulazione per l'approntamento di mostre e di eventi finanziato da fondazioni bancarie ed altri evergeti postmoderni del jet-set semicolto locale ed internazionale. La base strutturale del postmoderno  la finanziarizzazione del capitale e la globalizzazione geografica del capitale mondializzato (Harvey). A livello di pe- riodizzazione capitalistica, il postmoderno  la proiezione ideologica della pro- duzione flessibile (Jameson), ed  lautorappresentazione ideologica della terza et del capitalismo, quella della fine dell'alleanza di critica economica e critica artistico-culturale del capitalismo (Boltanski-Chiapello). Dal punto di vista delle figura fenomenologica delle avventure dialettiche della coscienza, secondo linsu- perabile modello della Fenomenologia dello Spirito di Hegel, il postmoderno inteso come disincanto rispetto alle grandi narrazioni trova la sua genesi in una partico- lare ideologia gauchiste francese, sintesi di eresia marxista di origine trotzkista e di ortodossia marxiana fondamentalista, che razionalizza la propria delusione verso la pittoresca incapacit storico-modale del proletariato in una sublimazione disin- cantata della mancanza di senso delle grandi narrazioni (Lyotard).  possibile restaurare storicamente il punto di vista di Hegel e di Marx?  questo il grande enigma della storia presente. Ce ne sarebbe socialmente bisogno, vista la degradazione ecologica ed antropologica del pianeta, ma il fatto che ce ne sarebbe astrattamente bisogno non significa che sia anche concretamente possibile. Questo  l'enigma di oggi. Questo  il nostro tempo appreso nel pensiero. Per questo non basta interpretare il nostro mondo, ma  necessario trasformarlo. Per questo, per,  necessario restaurare la legittimit della filosofia, proprio quella che alcuni hanno chiamato sprezzantemente la filosofia per la filosofia. E bisogna allora testare la natura di una prospettiva filosofica che potremmo provvisoriamente chiamare ontologia dell'essere sociale. Essa non ha un copy- right, non appartiene n a Lukcs n tantomeno a chi scrive. Appartiene alla libera discussione socratica. 452 XL. LA PASSIONE DUREVOLE PER UNA FILOSOFIA DELL'EMANCIPAZIONE. NOTE DI ANALISI SULLONTOLOGIA DELL'ESSERE SOCIALE DI LUKACS, E PROPOSTA ARTICOLATA DI SUA RIFONDAZIONE CATEGORIALE CRITICA Nell'ultima parte della sua vita (1956-1971) il filosofo ungherese di lingua tede- sca G. Lukcs (1885-1971) si accinse ad un'impresa filosofica che per la sua serie- t ed il suo livello qualitativo pu essere paragonata senza esagerazione a quelle compiute da autentici geni del pensiero come Spinoza, Kant, Hegel e Marx. Prima scrisse una monumentale Estetica, che non deve essere confusa con unopera spe- cialistica sul giudizio estetico puro e semplice, ma che ha come oggetto la cosid- detta missione defeticizzante dellarte, rivolta a combattere quello che chiamava lateismo permanente alla manipolazione ideologica (su questo punto Lukcs ha incontrato felicemente l Antonio Gramsci della rivalutazione del cosiddetto sen- so comune come matrice della filosofia). Terminata lEstetica, Lukcs si ripropose di scrivere un'Etica. E, tuttavia, egli si rese immediatamente conto del fatto che un'Etica scritta senza prima accertare le categorie dell'essere sociale non pu che sboccare inesorabilmente in un'etica dell'intenzione di tipo kantiano, o in un'etica della responsabilit di tipo weberiano, o in una interminabile, sfiancante ed inutile disputa sui valori, oppure in uninterminabile casistica di tipo gesuitico su cosa si dovrebbe fare in situazioni-limite, scelte appositamente per evitare di prendere in considerazione le normali situazioni della vita quotidiana (del tipo:  possibile cavare gli occhi al torturato se in questo modo gli si pu far confessare dove ha messo una bomba che ucciderebbe centomila persone?  lecito tagliare la gola alla propria madre se questo comporta la salvezza di dieci persone?). Lukdcs si rese presto conto che  del tutto inutile scrivere unEtica, o se si vuole una Morale, se pri- ma non ci si  chiariti bene la natura prima dell'essere sociale in generale (in quanto  appunto categorialmente distinto dall'essere naturale oggetto delle scienze moder- ne di tipo galileiano, newtoniano ed einsteiniano), e poi dell'essere sociale specifico (in quanto appunto  capitalistico, e non primitivo, antico-orientale, asiatico, schia- vistico 0 feudale-signorile). Fra il 1964 ed il 1971, infatti, Lukcs si accinse a scrivere un'ontologia dell'essere sociale. Non mi riferisco affatto all'opera in due volumi e tre tomi conosciuta con questo nome. Mi riferisco all'insieme delle sue opere del periodo 1964-1971, dal- la vera e propria Ontologia dell'Essere Sociale, ai Prolegomeni allontologia dell'essere sociale, dall'Uomo e la Democrazia allautobiografia in forma di dialogo intitolata Pensiero Vissuto, dalle conversazioni tenute con Kofler, Holz e Abendroth, dalla corrispondenza con Hoffmann alle numerosissime interviste rilasciate a singoli, riviste e giornali. Si tratta infatti di un complesso unitario di posizioni contenute in volumi diversi e diseguali per esposizione e livello di astrazione. 453 Devo una spiegazione al lettore. Lukcs ha scritto questo complesso monu- mentale fra i settantanove e gli ottantasette anni di et, quando ormai la fine  imminente e si tratta di stilare un bilancio complessivo dell'attivit filosofica di un'intera vita. In quel periodo io invece andavo dai ventuno ai ventotto anni, e mi trovavo in una congiuntura politica ed ideale ben diversa. Fra me e Lukcs si instaurava di fatto una vera e propria non-contemporaneit (Urgleichzeitigkeit), per usare il termine proposto da Ernst Bloch. Io sono vissuto allora nel contesto delle rifondazioni filosofiche e superscientifiche del marxismo alla Della Volpe ed alla Althusser, mentre Lukcs era stato allievo di giganti come Georg Simmel e Max Weber, e contemporaneo di pensatori epocali come Herbert Marcuse, Adorno, Sartre, Heidegger, Bloch, ecc. Inoltre, aveva dovuto fare i conti con Stalin e lo stali- nismo, e con il connesso dilemma tragico se accettarlo, sia pure interiormente non condividendolo, oppure rompere con esso, ed in questo modo uscire anche dal movimento operaio organizzato (come fece ad esempio un altro grande pensatore esemplare dellepoca come il tedesco Karl Korsch). Dilemmi tragici, mentre i dilemmi del mio tempo erano soltanto comici, se cio strisciare davanti ad un barone universitario per riuscire a sostituirlo dopo avergli portato la borsa per vent'anni, inserirsi in cordate partitiche introiettando servil- mente i parametri ideologici della cultura di schieramento, oppure scegliere una sorta di solitudine metodologica che per non implicava affatto pericoli di morte, incarcerazione o licenziamento ma soltanto ridicole difficolt di pubblicazione e di recensione. Ritengo di aver capito abbastanza presto la differenza fra un'epoca tra- gica di dilemmi esistenziali assoluti ed un'epoca comica di simulazione situazioni- stica alla Debord, e per questa ragione non mi sono mai ridicolmente identificato con Lukacs. E tuttavia in una cosa mi sono effettivamente identificato psicologica- mente, e la potrei formulare grosso modo cos: come si fa a sopportare il peso del conflitto schizofrenico fra una causa storica che si ritiene legittima (la causa di Marx, e cio della legittimit della critica radicale al capitalismo) ed un profilo politico che si ritiene pessimo e da sostituire il pi presto possibile (lo stalinismo e le sue prati- che massacratorie e dispotiche)? Non esiste ovviamente nessuna formula di salvezza che possa fornire un formulario di questo tipo. Eppure Lukcs, nella sua vita concreta, ha mostrato di possedere almeno concettualmente questo dilemma. In questo suo aspetto mi sono certo soggettivamente identificato, e non vedo perch debba rimuoverlo o silen- ziarlo. E tuttavia, sia ben chiaro, non sono un fan di Lukcs, e Lukcs non solo non  il mio guru, ma non  neppure il mio principale pensatore di riferimento. Conosco abbastanza bene il piccolissimo gruppo dei lucacciani, ne stimo alcuni e ne di- sprezzo altri. Non ho quindi alcuna preoccupazione di ortodossia lucacciana. Da tempo sono disceso dalla sella dei nobili cavalli di pensatori di riferimento gran- dissimi (Spinoza, Hegel, Marx), o semplicemente grandi (Adorno, Bloch, Sartre, Gramsci, lo stesso Lukacs, ecc.). Mi sono comprato un asinello, che per  mio, che nutro, mantengo e di cui sono responsabile. Meglio essere proprietario di un 454 asinello, che essere costretto da altri a scendere da cavallo, o meglio dal cammello, perch l'appartenenza ideologica  un fenomeno da cammelli nel senso preciso dato a questa parola da Nietzsche. Dunque io non sono un fan di Lukcs, ma un pensatore radicalmente indipendente. Mi merito quindi integralmente le lodi che mi possono essere fatte, e nello stesso tempo non ho scusanti per le sciocchezze che inevitabilmente mi sar capitato di dire. Ritengo semplicemente che lontologia dell'essere sociale, intesa non come un tito- lo di libro, ma come una prospettiva filosofica praticabile, sia quanto di meno peg- giore (e cio di migliore) il mercato filosofico di oggi ci offre. Non sento quindi il bisogno di criticare Lukcs, e quindi nemmeno ovviamente di approvarlo o giu- stificarlo. Seguendo il motto metodologico di Ernst Bloch del camminare eretti, io cammino eretto anche nei confronti di Lukcs, e penso a lui idealmente come ad un amico anziano nel frattempo defunto. Defunto nel frattempo  anche Cesare Cases, il germanista che fu amico personale di Lukcs, e con cui invece ho potuto scambiare valutazioni e rilievi su Lukcs, cos come ho potuto farlo con filosofi di livello come Kofler e, naturalmente, con Nicolae Tertulian, esempio ineguagliabile di competenza filosofica e di onest intellettuale. Considerando Lukcs come un amico anziano nel frattempo scomparso, so bene di ricollegarmi idealmente a quella catena di conflitti filosofici che ho fatto iniziare con Eraclito. Il lettore  quindi avvertito: non legger qui un commento esegetico-critico all'ultimo Lukcs, ma legger soltanto un insieme di considera- zioni personali sulla prospettiva filosofica dellontologia dell'essere sociale. In questo insieme di considerazioni, si avr un compendio critico riassuntivo dei trentanove capitoli precedenti, che trovano qui un loro (provvisorio) coronamento. Una regola basilare del discorso filosofico, forse la regola pi importante di tutte,  quella di confrontarsi con i punti pi alti possibile del discorso filosofico stesso, in particolare quando i punti alti sono quelli della propria tradizione di scuola. Solo i mediocri si confrontano con i punti bassi, e lo fanno per la meschina soddisfazione di uscirne facilmente vincitori. Confrontandosi con i punti alti, invece, si rischia facilmente la sconfitta, perch  probabile che questi punti alti stessi si trovino ad un'altezza concettuale che noi non potremmo mai raggiungere. E tuttavia il di- scorso filosofico si distingue da tutti gli alti tipi di agone sportivo, di concorrenza economica e di prestigio sociale per il fatto che non ci sono mai n vinti n vincito- ri, ma solo la Filosofia vince (la scrivo volutamente con la maiuscola per enfatizzare il concetto). Questa tradizione viene direttamente da Socrate, che non era interessato a vin- cere sul campo la tenzone retorica, ma ad avviare un processo problematico-mai- eutico che coinvolgesse entrambi gli interlocutori per giungere ad una accettabile definizione concettuale comune. Certo, Socrate non aveva ancora letto Marx, ed aveva tutto il diritto di non sapere la cosa fondamentale, e cio che esiste uno sbar- ramento invalicabile ad ogni argomentazione razionale, e questo sbarramento  l'interesse di classe, che rende ad un certo punto impossibile la prosecuzione del flusso argomentativo bipolare, inserendovi in mezzo l'elemento ideologico. 455 Ma mentre Socrate aveva tutto il diritto di non saperlo, il seppellitore dei franco- fortesi Habermas non ha il diritto di non saperlo. E cos come lo studioso di scienze naturali non ha il diritto di non sapere che Darwin  esistito, e quindi bisogna fare i conti con la sua teoria dell'evoluzione, nello stesso modo oggi non si ha il diritto di non sapere che esiste un sistema filosofico  piaccia oppure no  che spiega come il flusso argomentativo dialogico bipolare non passa, in presenza di interessi di classe divergenti. Non  possibile convincere un membro della oligarchia finanziaria globalizzata, che consuma in lussi quanto sarebbe necessario per la sopravvivenza fisica di diecimila persone, che la sua ricchezza si basa sul lavoro sfruttato di al- tri. Il flusso argomentativo necessariamente si interrompe. Ripeto, Socrate poteva non saperlo, ma quando Habermas propone una teoria generale dellargomenta- zione che prescinde totalmente dai rapporti di diseguaglianza sociale, ed afferma egualmente che essa mira ad un convincimento possibile, ci si chiede se egli menta sapendo di mentire, sia istupidito, oppure marxianamente sia in mezzo alla falsa coscienza ideologica necessaria degli agenti storici. Siccome si chiama dialettica l'insieme dei metodi dialogici per rendersene parzialmente conto da soli, non ci si stupisce pi quando Habermas sublima la propria falsa coscienza ideologica con il rifiuto metodologico della dialettica. Ci detto, la filosofia non ha nulla del dialogo buonista e del chiacchiericcio esibizionistico da caff letterario. Essa  un campo di battaglia, come ha giusta- mente detto Kant (Kampfplatz). Ma questo Kampfplatz, a differenza di Canne e di Waterloo, non vede mai vincitore uno dei due schieramenti, ma solo la Filosofia in quanto tale. Il concetto (Begriff) pu essere definito in molti modi, ma forse il modo migliore per definirlo  ci che non pu diventare per sua natura propriet priva- ta di nessuno. Anche Heidegger afferm che la filosofia non si pu amministrare (verwalten), e qui sta infatti la differenza fra filosofia ed ideologia: l'ideologia per sua propria natura  amministrata da capillari apparati ideologici, mentre la filoso- fia si muove liberamente, e si fa beffe di chi la vuole amministrare e regolamentare. Bisogna quindi sempre confrontarsi con i punti pi alti possibili del pensie- ro filosofico, rischiando di uscire battuti dallinevitabile campo di battaglia (Kam- pfplatz). Ed allora ho deciso nel mio ultimo capitolo conclusivo di confrontarmi con il punto pi alto possibile del pensiero della scuola marxista novecentesca, che per me appunto  Lukcs. Il motivo per cui lo considero il pi alto, naturalmente, ver- r progressivamente analizzato in questo capitolo. Se alla fine del capitolo Lukes risulter vincitore, ed io perdente, mi riterr soddisfatto egualmente. Lukacs ha incarnato nella sua lunga vita (1885-1971) l'intreccio fra filosofia e politica, e nello stesso tempo il rifiuto sistematico di sciogliere la filosofia nella po- litica. E poich i politici di professione se ne fregano della filosofia, e sono soltanto interessati al suo uso ideologico di manipolazione,  evidente che per tutto il cor- so della sua vita Lukacs sia stato assai pi tollerato e sospettato che riconosciuto nella sua grandezza oggettiva. A volte ha dovuto piegarsi - e vedremo perch - ma nellessenziale ha sempre camminato eretto  come direbbe Bloch  e la sua biografia lo mostra ampiamente. E tuttavia, prima di affrontarne il pensiero  e di 456 criticarlo quando lo ritengo opportuno  ci sono quattro determinazioni generali che intendo subito segnalare. In primo luogo, Lukcs  stato un modello di comportamento intellettuale per quanto riguarda il fare i conti con Marx. C' un testo del 1933 (con un post-scriptum del 1957) che si intitola La mia via al marxismo (Mein Weg zu Marx) che  assolu- tamente esemplare in proposito. Scrive Lukdcs: Il rapporto con Marx  la vera pietra di paragone per ogni intellettuale che prenda sul serio il chiarimento della propria concezione del mondo, lo sviluppo sociale, in particolare la situazione pre- sente, la propria posizione stessa ed il proprio atteggiamento rispetto ad essa. La seriet, lo scrupolo e lapprofondimento con cui egli si dedica a questo problema ci indica se ed in quale misura egli voglia, consciamente o inconsciamente, sottrarsi ad una chiara presa di posizione nelle lotte della storia attuale. Parole d'oro. E parole doro perch esse non scendono correttamente nei det- tagli della particolare interpretazione che possiamo dare al pensiero generale di Marx, al materialismo storico, alla dialettica, ai suoi rapporti o meno con Hegel, ai veri e propri macroscopici errori di previsione che fece sul decorso storico del capitalismo, ai residui positivistici o messianici pi o meno secolarizzati, ecc. Tutto questo  ovviamente importante, e fa parte della necessaria esegesi marxiana e della ancora pi importante ricostruzione sociale materialistica della storia del marxismo. Ma tutto questo non  essenziale, e viene soltanto dopo. Prima  necessa- ria una presa d'atto, che non tocca certamente sciocche classificazioni di inferiori- t o di superiorit rispetto a Platone, Aristotele, Spinoza, Kant, Hegel, ecc. Non si tratta di stilare classifiche dossografiche per giochi di societ o di chi verr but- tato prima dalla torre. Si tratta di qualcosa che in effetti presuppone una decisione esistenziale totale, che consiste nel rifiuto dell'adattamento (Anpassung) alla societ capitalistica, intesa come totalit alienata, e quindi non-vera, e quindi falsa. Que- sto atto esistenziale totale  la mossa primaria, quella a cui tutto il resto verr poi di fatto ricondotto come conseguenza necessaria. Il fatto di considerare la totalit sociale capitalistica (e poi imperialistica, ecc.) come alienata, e quindi non-vera, e quindi falsa, pone necessariamente il problema filosofico (e non solo giuridico, eco- nomico, sociologico, politico, ecc.) della verit. In questo senso il problema della verit  un problema pratico prima ancora di essere teorico. E qui bisogna riflettere sui due termini di seriet e di sottrazione (cio del sottrarsi) ehe presenti nella citazione di Lukcs.  assolutamente normale che ci si voglia sottrarre alle lotte della storia in cui si vive. Queste lotte, infatti, non sono soltanto stressanti e pericolose, ma sono an- che incerte, opache ed ambigue, per cui si pu scoprire (ed anzi necessariamente si scopre) che coloro che tu credevi i tuoi disinteressati e generosi compagni di lotta sono in realt una banda di ultimi uomini nicciani, soggettivamente quasi sempre pi spregevoli dei borghesi stessi. La scoperta traumatica di questa realt, caratteristica del movimento comunista del Novecento, ha causato una serie lun- ghissima di scoperte pittoresche e tragicomiche del cosiddetto Dio che ha fallito. Tipico degli intellettuali  prima credere che il comunismo sia storicamente il sosti- 457 tuto immanente di Dio nella storia, e poi scoprire che in esso pullulano numerosi tipi umani pi ripugnanti dei vermi in un cadavere, con successiva inevitabile ria- desione al capitalismo pi sfrenato, che diventa in pochi anni prima il male mi- nore, poi il bene maggiore. Questo  un modo classico di sottrarsi, caratteristica della tipologia umana del comunista deluso (quello, appunto, del Dio che ha fallito). Ma ci sono anche modi molto pi nobili di sottrarsi, e nulla  pi stupido e fastidioso del moralismo del cosiddetto impegno che li colpevolizza. Ci si pu tranquillamente rifugiare nella scienza, nella famiglia, nella professione, nell'arte, negli studi eruditi, nei viaggi, nella carriera, ecc. In proposito, Lukcs sostiene che in casi del genere il soggetto in quanto tale avvizzisce per lo pi nell'ampio arco che va dallo specialismo alla stravaganza.  possibile che Lukcs sia stato troppo severo nel mettere nello stesso mazzo il chirurgo, l'ingegnere progettista, il traduttore letterario (lo specialismo) con il produttore di merda d'artista ed il pagliaccio mediatico-televisivo (la stravagan- za). A mio parere lo  stato. Ma io vivo ormai in un'epoca ellenistica in cui il ripiegamento protetto nel privato  spesso rimasto il solo modo per razionalizzare la sconfitta storica attuale provvisoria di tutti i tentativi storici di emancipazio- ne, e quindi non si pu condannare troppo in fretta lavvizzimento pendolare fra specialismo e stravaganza. Lukcs  vissuto in un'epoca classico-ellenica, e non ellenistica come la nostra;  quindi naturale che sia severo con coloro che in vario modo si sottraggono alle sfide del tempo. invece pi importante riflettere sul termine seriet, applicato al rapporto che instauriamo con Marx. Questo rapporto non pu essere lo stesso di quello che instauriamo con Dante, Cervantes, Goethe o Shakespeare, e non pu essere neppure lo stesso di quello che instauriamo con Platone, Aristotele, Epicuro, Spi- noza, Kant, Hegel, Weber o Heidegger. Marx ci provoca (nello senso che ci pro-voca, ci chiama fuori, ci grida di venir fuori) a dire apertamente che cosa pensiamo del nostro presente e come lo valutiamo. In proposito, i filosofi di professione sono maestri nella mancanza di seriet, perch credono sinceramente di cavarsela con ricostruzioni sofistiche del pedigree teorico marxiano. Ma anche se fosse vero (e non lo ) che il pensiero di Marx  una tarda secolarizzazione della escatologia ebraico-cristiana (Lwith), oppure una forma rinnovata di neoplatonismo laico basato sulla confusione fra contraddizione dialettica ed opposizione reale senza contraddizione (Colletti), e via elencando almeno altre venti interpretazioni con- simili, quasi tutte liberamente derivate dalla teoria del disincanto di Max Weber, ebbene, anche se tutto questo fosse vero (e non lo ), resta poco serio il pensare di sbrigarsela in questo modo con il problema reale oggettivo della totalit capitali- stica. Una volta che si sia smontato tutto Marx con l'abilit con cui un meccanico smonta un motore (ed il filosofo accademico, con tutta la sua prosopopea, non  altro che un normale meccanico che anzich avere a che fare con dei pistoni e con delle valvole ha a che fare con apparati concettuali, di cui per, a differenza del meccanico, che gli  molto superiore, non conosce assolutamente la provenienza, ma che crede che gli siano caduti dal tetto dellofficina), resta il problema del 458 une rie nz ppt sci dei soir trici ria cit detriti nostro rapporto esistenziale soggettivo con la totalit sociale. Qui sta il concetto lucacciano di seriet. Credere che siano sufficienti stroncature gnoseologiche del pensiero di Marx  veramente poco serio, ed in proposito i pi esilaranti sono gli economisti di sinistra, che pensano veramente che l'impresa filosofica di Marx cada perch risulta impossibile o incerta la cosiddetta (totalmente e ridicolmen- te irrilevante) trasformazione dei valori in prezzi di produzione. La critica alle prove ontologiche, cosmologiche e fisico-teleologiche all'esistenza di Dio non sono mai riuscite ad abolire la religione. Si tratta di una pittoresca deformazione dellin- tellettuale universitario, che crede di avere risolto definitivamente una questione storica quando riesce a trovare degli errori, e li cancella con la sua comica matita rossa e blu. In secondo luogo, Lukacs ha chiarito in modo veramente esemplare il concetto di passione durevole. Questo punto  ancora pi importante e decisivo del preceden- te. Cito Lukacs: Nei giovani la frequente dedizione entusiastica ad una causa pu terminare al medesimo modo o nella fedelt (lucida o ottusa) ad essa, o nel passag- gio ad un diverso campo, oppure ancora nella perdita di capacit di dedizione in genere [...]. I movimenti giovanili cos frequenti nell'ultimo mezzo secolo lo mo- strano con la massima evidenza, e tanto pi quanto pi danno valore centrale alla giovinezza stessa [...]. Occorre esaminare se e fino a quale punto una dedizione  in grado di indurre l'individuo ad innalzarsi sopra la propria particolarit, oltre che a dar luogo ad una passione durevole. Credo che si tratti di una citazione stupenda, che una volta analizzata e scom- posta in elementi concettuali ci pu permettere di cogliere l'essenziale della que- stione. Qui Lukcs ci propone una vera e propria antropologia sociale della ela- borazione della dedizione giovanile (la fedelt alla causa abbracciata in giovent, lucida o ottusa, il passaggio ad un diverso campo, e la perdita della capacit di de- dizione in genere). Se ad esempio, quarantacinque dopo (1968-2013), esaminiamo i cosiddetti reduci dellanno domini 1968, troviamo tutte e tre le tipologie descritte da Lukacs, la fedelt lucida o ottusa, il passaggio ad un diverso campo, ed infine la perdita di dedizione in genere. Certo, Lukcs aveva avuto vent'anni nel 1905, in un contesto storico ben diverso sia da quello del 1968 sia da quello del 2013, ma si nota immediatamente la capacit, tutta hegeliana, e tutta derivata dal metodo dialettico della Fenomenologia dello Spirito, di cogliere la natura della figura sociale della giovent. Il primo filosofo moderno che mette la giovent in quanto tale al centro del suo sistema filosofico  Fichte, che usa la metafora del ringiovimento (Verjungen) per indicare il rinnovamento emancipativo della societ, ed individua nella giovent come categoria sociale il suo soggetto storico capace di portarci fuori dall'epoca della compiuta peccaminosit. Oggi tutto questo pu sembrare illusorio e romantico, ma non bisogna dimenticare che la giovent di cui parla Fichte non aveva vissuta un'infanzia all'ombra della play-station e dei modelli di consumo televisivi, un'adolescenza in una scuola degradata, ed unincipiente maturit in un contesto di lavoro salariato flessibile e precario. In altre parole, ed usando una terminologia marxiana, Fichte non poteva neppure immaginare che cosa sarebbe 459 potuto avvenire in un'epoca di sottomissione crescente del lavoro al capitale e di approfondimento orizzontale (la globalizzazione) e verticale (la manipolazione ca- pillare) del modo di produzione capitalistico. La fedelt, lucida o ottusa (generalmente ottusa) alla causa sposata in giovent  molto rara, e spesso caratterizza il tipo umano che Nietzsche aveva definito degli eremiti. Personalmente, conosco (ed apprezzo umanamente) alcuni eremiti che cercano incessantemente di ricostruire gruppi eretici del marxismo rivoluziona- rio, trotzkisti, stalinisti, operaisti, anarco-comunisti, ecc. Nellepoca attuale, essi vivono come se la signora Rosa Luxemburg fosse ancora fra noi, come se Stalin inseguisse ancora Trotzky armato di piccozza, e come se si potesse ancora credere sinceramente al crollo del capitalismo a causa della caduta tendenziale del saggio di profitto. Eppure  lo dico chiaramente  pur essendomi demarcato da tempo da ogni forma di eremitaggio ideologico, umanamente stimo molto di pi questi eremiti di quanto stimi e consideri le due tipologie antropologiche del passaggio allaltro campo e della perdita di capacit di dedizione in genere. Meglio infatti leremita dellultimo uomo. Eppure lo stesso Lukcs, morto nel 1971 e quindi ben prima del triennio di dis- soluzione del comunismo storico novecentesco 1989-1991, ci mette giustamente in guardia dallo spirito eremitico e dalle tentazioni delleremitaggio. Scrive Lukcs: Dobbiamo convincerci che oggi, quanto al risveglio del fattore soggettivo, non possiamo rinnovare e continuare gli anni Venti, ma dobbiamo cominciare da un nuovo punto di partenza, sia pure utilizzando tutte le esperienze che sono patri- monio del movimento operaio e del marxismo. Dobbiamo renderci conto infatti chiaramente che abbiamo a che fare con un nuovo inizio, o per usare unanalogia, che noi ora non siamo negli anni Venti del Novecento, ma in un certo senso allini- zio dell'Ottocento, quando dopo la rivoluzione francese si cominciava a formare lentamente il movimento operaio. Credo che questa idea sia molto importante per il teorico, perch ci si dispera assai presto quando l'enunciazione di certe verit produce solo un'eco molto limitata. Considero questa citazione di Lukcs ancora pi decisiva ed importante delle precedenti, perch essa stringe insieme i tre elementi psicologico-concettuali della passione durevole, del nuovo inizio, e della disperazione nel rendersi conto che quanto si dice produce un'eco talmente limitata da provocare necessariamente non tanto il passaggio ad un diverso campo, quanto proprio la perdit della capacit di dedizione in genere. La tematizzazione di questo intreccio suggerito genialmente da Lukcs  infatti assolutamente decisiva. Iniziamo dall'analisi di quella particolare disperazione, che potremo chiamare disperazione del filosofo. L'atleta non si dispera, ma perde oppure vince. L'imprendi- tore non si dispera, ma ha successo e si arricchisce oppure va in fallimento e perde tutto, Il ricercatore scientifico non si dispera, ma verifica le sue ipotesi, oppure vi rinuncia e sceglie un'altra strada. Il filosofo, invece,  quella peculiare figura che da un lato  spesso convinta di aver colto la verit della totalit sociale in cui vive, ma non potendo dimostrarla n con metodi scientifici (Galileo), n con me- 460 todi argomentativi (Habermas), e restandone tuttavia convinto, si dispera neces- sariamente per la sua penosa impotenza. Il problema sta allora nel modo in cui si elabora questa impotenza, dal momento che - come dice giustamente Lukdcs  ci si dispera assai presto quando l'enunciazione di certe verit produce solo un'eco molto limitata. In generale, l'elaborazione di questa disperazione porta a due strade entrambe bloccate. Da un lato, si comincia a pensare che quelle che noi riteniamo verit, producendo un'eco molto limitata, non siano poi quelle verit che crediamo, ma siano solo pure illusioni ideologiche falsificate dal mondo esterno. Questo atteg- giamento  suicida, perch le verit filosofiche non sono come le certezze fisiche o le esattezze matematiche, e quindi il consenso ed il dissenso esterni non possono certo verificarle o falsificarle. Tutte le teorie e tutti i criteri della falsificabilit pop- periana, postpopperiana o anti-popperiana, valgono solo per le scienze naturali, e non valgono per la filosofia. La filosofia non ha date di scadenza temporali, dal mo- mento che parte sempre dal proprio tempo appreso nel pensiero, ma arriva anche e sempre a ci che  , ed  eternamente. La filosofia se la ride di Popper, Lakatos o Feyerabend. Si commette quindi un errore, quando si comincia a dubitare della propria visione filosofica, necessariamente indimostrabile con i metodi della fisica, perch raccoglie solo un'eco molto limitata. Dall'altro, si pu cominciare a pensare che ci che noi diciamo sia giusto, ma che il mondo esterno sia troppo coglione e corrotto per capirlo. In sostanza, al mondo ci sarebbero soltanto pochi saggi, cio noi stessi ed i nostri pi stretti sodali. Questa via, che definirei paranoico-nicciana, pu soltanto portare alla distruzione fisica di chi la pratica. Dal momento che il buon senso  relativamente diffuso nel mondo, pur consentendo che il buon senso  quasi sempre lultimo dei metafisici, perch baluardo della pseudo-concretez- za (Kosk),  storicamente poco probabile che nel mondo gli unici saggi siamo noi ed i nostri sodali. Bisogna quindi percorrere unaltra via. Questa via non pu essere che quella del carattere storico-disvelativo della verit. Questo non significa accettare il relativismo ed il convenzionalismo, per cui la ve- rit non esiste, ma viene chiamata cos e cos a seconda della relativit del tempo storico e della convenzionalit delle sue definizioni. La passione durevole per il comunismo, o se si vuole per la critica al capita- lismo, presuppone dunque  per esistere e per essere coltivata e sviluppata  che ci si renda per conto che essa da un lato coincide con il percorso della nostra vita umana concreta, necessariamente e fatalmente breve, ma che dall'altro essa  idea- le, nel senso che va al di l della nostra stessa vita umana. Del resto, si tratta dello stesso concetto di immortalit presente in una lettera di Antonio Gramsci a sua madre, che era cattolica e non certo marxista, e il marxismo lo aveva probabil- mente solo sentito nominare. Il marxismo  quindi idealismo non solo nel senso della scienza filosofica tedesca delle lettere di Marx ad Engels ed a Lassalle, ma in questo senso ben preciso. Mi rendo conto che questo provocher una smorfietta epistemologico-positivistica nel marxista medio, ma non so proprio che cosa farci. 461 Oltre a segnare profondamente il rapporto fra marxismo ed idealismo (per cui potremmo dire  con un certo grado di approssimazione  che senza un certo gra- do di idealismo non  neppure possibile coltivare una scienza non-filosofica  e quindi non-idealistica - come lo stesso materialismo storico inteso come teoria pura e scientifica dei modi di produzione), il concetto di passione durevole  una vera e propria porta girevole per tematizzare un insieme di problemi es- senziali del nostro tempo. In primo luogo, il concetto di passione durevole riprende il concetto greco di bilancio filosofico di una vita intera, senza alcun privilegiamento del momento ma- gico della giovinezza. I Greci sapevano bene che il bilancio di una vita si fa solo alla fine. Fichte aveva le sue ragioni per sostenere che la giovent era il solo sog- getto che sfuggiva alla corruzione generalizzata dellepoca storica della compiuta peccaminosit. Dal momento che egli, del tutto correttamente, definiva metafo- ricamente il finito come l'accettazione conformistica del dispotismo signorile- feudale, ed infinito la tensione al suo superamento nella prassi concreta (ho gi ripetutamente affermato - e qui lo ripeto  che Fichte, e non Marx,  il fondatore della filosofia della prassi, e Marx lha solo applicata al comunismo),  normale che egli si rivolgesse alla giovent, intesa come il soggetto complessivo del rion- giovanimento del mondo (Verjungen).  del tutto possibile sostenere che la classe proletaria di Marx, intesa come soggetto risolutore e non corrotto, non sia che il sostituto-successore della giovent fichtiana. E tuttavia Fichte ha torto, e Lukacs ha ragione. La giovent deve essere onorata, ma non privilegiata come soggetto sto- rico. Ci che conta  la passione durevole, non la passione giovanile. La passione  il minimo comun denominatore di tre generazioni, giovani, persone di mezza et ed anziani. E del resto, il giovanilismo ha smesso da tempo di essere pensato come lo aveva pensato il grande Fichte (il Verjungen come metafora del supera- mento della corruzione dellepoca della compiuta peccaminosit), per diventare feticcio pubblicitario, in quanto la merce si vende meglio se  associata a carni pie- ne e non a carni rugose e cascanti. La vecchiaia, ancora veneranda nei tempi an- tichi, medioevali e protomoderni,  oggi una vergogna da nascondere con il lifting della chirurgia estetica oppure con la segregazione degli anziani in citt protette per pensionati (qui gli USA e lo Stato caldo della Florida sono all'avanguardia, anche se si pu sempre sperare che il resto del mondo non li segua). E non  nep- pure vero che la giovent sia meno corruttibile della mezza et e della vecchiaia. In un'epoca postmoderna della produzione flessibile (Jameson), dello sposta- mento del parametro simbolico dal tempo del progresso allo spazio dell'economia liberale globalizzata (Harvey), del disincanto socialmente indotto verso le gran- di-narrazioni (Lyotard), della fine della vecchia alleanza fra critica economica e critica artistico-culturale al capitalismo (Boltanski e Chiapello), ecc., la giovent diventa insieme un feticcio pubblicitario dellesaltazione dei corpi come supporto degli oggetti di consumo e un soggetto facilmente ricattabile da quel politicamen- te corretto, che funziona oramai come codice di accesso ideologico alle funzioni di potere sociale in un mondo senza Dio e composto da ultimi uomini. Il politica- 462 mente corretto dice (enumero brevemente e senza alcuna pretesa di classificazione completa) che magari Marx  un barbone interessante, ma che non c' pi limpe- rialismo, e che solo dei militanti attardati e fanatici ancora lo sostengono; che Dio  soltanto pi un oggetto di credenza per ignoranti del tutto ignari della risolutiva teoria di Darwin, ma che una religione civile  ancora necessaria, il culto della memoria del genocidio ebraico (e solo di quello, gli altri assai numerosi sono tutti derubricati a generiche atrocit contestualizzabili), il quale  imparagonabile, ed essendo imparagonabile  di fatto religiosizzato (solo l'unicit veritativa delle reli- gioni  infatti imparagonabile), e funzioner per sempre come complesso di colpa per l'Europa, che rester sempre militarmente occupata per espiare; che  vietato vietare, dal momento che tutto ci che  acquistabile potr essere acquistato e tutto ci che  tecnicamente fattibile potr essere fatto (Gunther Anders), ecc. Dal momento che il giovane non  ancora entrato nel mondo delle istituzioni econo- miche e politiche che fanno accedere al mondo del privilegio (global middle class, e cio nuovo ceto medio borghese senza la coscienza infelice della vecchia piccola- borghesia illuministico-romantica), egli ha necessit del politicamente corretto come indispensabile codice d'accesso. Gi da tempo la cosiddetta democrazia non  pi l'insieme di interessi sociali da rappresentare in nome di un voto popolare libero, ma  diventata un codice d'accesso obbligatorio fissato da bande non elette di politici di professione (circo mediatico), cosiddetti grandi intellettuali che rappresenterebbero la cosiddetta (ed inesistente) opinione pubblica, con in pi la copertura ideologica della casta universitaria. Oggi il giovane  un soggetto indebolito e ricattato, anche per le difficolt enormi che si frappongono ad una sua autonomizzazione economica, professionale, e quindi anche sessuale e matri- moniale (nella storia dell'intera umanit non  mai avvenuto che una generazione potesse arrivare ad un'autonomia reale soltanto intorno ai trent'anni, a causa dei salari flessibili e precari, per poi dover sopportare cinici mascalzoni che dopo aver creato questa situazione insultano i giovani come bamboccioni). Ho volutamente aperto questa parentesi sulla condizione giovanile oggi per po- ter far rilevare le ragioni storiche e sociali del tramonto dell'illusione fichtiana sul soggetto giovanile, ritenuto lunico in grado di abbattere la corruzione dellepoca della compiuta peccaminosit, e per evidenziare la pertinenza del concetto lucacia- no di passione durevole, che rilegittima attraverso lastrazione filosofica il concetto greco dell'alleanza fra le tre generazioni (giovani, persone di mezza et ed anzia- ni). E tuttavia, non  soltanto questo il nodo del concetto di passione durevole. La passione durevole lucacciana si nutre della consapevolezza della necessit di un nuovo inizio, sia pur mediato dalle esperienze di un secolo di movimento operaio e di marxismo. Morto nel 1971, Lukcs era impregnato dell'idea di ri- formabilit in extremis del baraccone socialista, poi crollato definitivamente circa vent'anni dopo la sua morte. In realt Lukcs si sbagliava: il baraccone era cor- rotto al punto di essere arrivato allultimo stadio della produzione di massa della figura antropologica dellultimo uomo (con un necessario correlato minoritario di eremiti), era giunto allo stadio dellepoca della compiuta peccaminosit, e se 463 Lukcs fosse arrivato allet di cento e dieci anni avrebbe assistito alla scena, ad un tempo ridicola, grottesca e tragica, della formazione di un'alleanza fra speculatori, pescecani della finanza internazionale, bande mafiose assassine interne ed esterne, burocrati riciclati ed altri mostri sociali, che privatizzano tutto ci che tre gene- razioni socialiste avevano costruito. Pur essendo un ammiratore della capacit previsionale di Lukcs, ritengo che il nostro autore non disponesse delle categorie teoretiche necessarie per comprendere questo maestoso fenomeno. E ritengo che non le avesse per il suo sostanziale rifiuto delle correnti letterarie alla Kafka, e per la sua adesione all'estetica realistica alla Thomas Mann. Thomas Mann non pu spiegare gli oligarchi russi, i loro consumi e soprattutto i loro stili di vita. Ci vo- gliono Aristofane, Teofilo Folengo, Kafka, Borges, ecc. Non nego che anche Balzac abbia descritto qualcosa di simile, accaduto nell'epoca 1815-1848. Ma nella dissolu- zione del socialismo reale c' stato qualcosa di pi, un'eccedenza grottesca e tragica che va al di l dei canoni del cosiddetto realismo socialista. La centralit del concetto lucacciano di passione durevole non  stata a mio avviso ancora pienamente colta dalla critica. Il fatto che Lukcs la leghi stretta- mente al concetto di resistenza alla disperazione soggettiva nel vedere che ci che si pensa ottiene un'eco soltanto molto limitata mi sembra molto importante. Significativa  l'analogia storica proposta da Lukdcs: non siamo negli anni Venti del Novecento, ma se proprio si vuole cercare unanalogia (e non dovrebbe essere necessario, dato il carattere strutturalmente ingannatorio di tutte le analogie stori- che) siamo piuttosto negli anni Venti e Trenta dell'Ottocento. Naturalmente Lukdcs sapeva benissimo che stava usando unanalogia un po impropria. E tuttavia in questo modo egli si differenzia da tutte le letture messianiche del marxismo, colti- vate da suoi grandi coetanei come Bloch e Benjamin (e non a caso poi privilegiate come facile oggetto di critica e di stroncatura da pensatori come Lwith, Colletti, ecc.), per proporre una lettura integralmente razionalistica di esso. Vorrei insistere molto su questo cruciale concetto. Chi intende criticare il pensiero di Marx nel suo complesso deve necessariamente interpretarlo in senso messianico-prometeico, per il semplice e banale fatto, ac- cessibile anche ad un normale studente liceale intelligente, che il messianesimo prometeico non tiene, non  difendibile,  fatalmente condannato ad essere presto o tardi distrutto dal disincanto (le avventure della dialettica di Maurice Merleau- Ponty, la fine delle grandi narrazioni di Jean-Frangois Lyotard, ecc.). La riflessione di Lukcs, essendo essa stessa fondata su di un radicale rifiuto del messianesimo escatologico e delle attese teologico-teleologiche, non pu diventare oggetto di una stroncatura alla Lwith, ed  per questo necessario che venga socialmente silenzia- ta il pi possibile. Passiamo ora ad un terzo punto essenziale, dopo il fare i conti con Marx e dopo la passione durevole non solo giovanistico-generazionale. Si tratta del modo con cui Lukcs affronta il venerando concetto marxiano di alienazione. Qui, a mio avviso, la sua interpretazione  veramente buona, o almeno la migliore che cono- sca. 464 Il dibattito sul concetto di alienazione e sul giovane Marx non  mai stato un puro dibattito filosofico-filologico per addetti ai lavori, ma  sempre stato (nel senso che lo  da circa ottanta anni, da quando sono stati pubblicati i Manoscritti econo- mico-filosofici del 1844) uno schermo per un dibattito politico. Mai come in questo caso la filosofia - come sistema razionale delle conoscenze categoriali (Schulber- griff)   diventata l'insieme dei pensieri che interessano necessariamente ogni uomo (Weltbegriff). In un certo senso, il problema dellinterpretazione dellaliena- zione  l'equivalente marxista dell'interpretazione del dogma dialettico della trini- t nella teologia cristiana. Dimmi come interpreti l'alienazione e la trinit e ti dir che razza di marxista o di cristiano sei. Ritengo necessario fare alcune considera- zioni preliminari sullalienazione per poi giungere in modo contrastivo a Lukcs, premettendo per che Lukcs ha sempre tenuto fermo (dagli anni Trenta alla sua morte avvenuta nel 1971) il principio dellessenzialit del concetto di alienazione nel pensiero marxiano. Togli a Marx il concetto di alienazione, e Marx muore. Ho inteso formulare in modo volutamente estremistico la mia opinione in proposito per non lasciare dubbi al lettore su questo punto. Ripeto qui per comodit del lettore le mie due concezioni fondamentali sul con- cetto di alienazione (Entfremdung) in Marx. In primo luogo,  evidente che Marx non si inventa questo concetto, ma lo eredita da pensatori come Rousseau, He- gel e Feuerbach. E tuttavia, egli modifica qualitativamente questo concetto, appli- candolo al lavoro salariato, qualificato come lavoro alienato. In sostanza, il lavoro salariato  anche sempre lavoro alienato, in quanto  anche e sempre lavoro sfrut- tato. Il concetto di sfruttamento (Ausbeutung) e quello di alienazione (Entfremdung) coincidono. Ma non sarebbe giusto dire che il primo  un concetto economico, ed il secondo un concetto filosofico, che fanno quindi parte di due aree disciplinari distinte (il primo cibo per economisti, il secondo cibo per filosofi), in quanto per Marx esiste solo ununica critica dell'economia politica borghese-capitalistica, che non permette separazioni disciplinari fra economia e filosofia. Inoltre, il fatto che ci sia sfruttamento (Ausbeutung) nel rapporto fra lavoro sa- lariato e capitale, e che ci sia sotto l'apparenza dello scambio fra equivalenti (il che comporta che il fenomeno non coincida con l'essenza, e sia quindi del tutto illusorio l'approccio alla Locke ed alla Hume, ma ci voglia invece un approccio dialettico alla Hegel), comporta una conseguenza decisiva, e cio che tutta la societ  alie- nata, e quindi falsa nel senso concettuale hegeliano per cui vero  soltanto il tutto, mentre la parte  volta a volta certa, esatta, sbagliata, ecc., ma comunque mai vera o falsa (al massimo, pu essere veridica o ipocrita). Ha quindi avuto sostanzialmente ragione leconomista-filosofo italiano Claudio Napoleoni (1924-1988) a sostenere, primo, che la teoria filosofica dellalienazione coincide con la teoria economica del valore-lavoro e, secondo, che nella societ ca- pitalistica solo alcuni (sia pure generalmente la maggioranza statistica della popo- lazione) sono sfruttati, mentre tutti sono alienati. Queste due tesi di Napoleoni mi sembrano esattissime. Si possono certo rifiutare, ma a mio avviso in questo modo si rifiuta anche Marx. 465 In secondo luogo, il fatto che Marx non riprenda esplicitamente questo con- cetto nelle sue opere dette mature non significa affatto che lo abbia  per cos dire - respinto. Ritengo invece che lo abbia metabolizzato ed incorporato pie- namente nel suo processo di pensiero (Denkweg), per cui non era pi necessario che lo ripetesse ossessivamente. E del resto, studi filologici recenti (come quello di Roberto Fineschi sui rapporti fra Hegel e Marx) hanno accertato il continuo e documentabile ritorno di questo concetto anche nelle sue opere mature. Ho qui riassunto per comodit del lettore il mio punto di vista sul problema dellalienazione. Ed  per importante soprattutto rilevare che nei discorsi rivolti a stroncare Marx si ha  in un certo senso  una duplicazione della strategia argo- mentativa prima indicata, per cui ci si fa prima un idolo polemico manifestamente indifendibile, e poi lo si distrugge gioiosamente. E cos come si riduce il pensiero di Marx ad (insostenibile) messianesimo prometeico, ed in questo modo lo si distrug- ge gioiosamente con infantile facilit, nello stesso modo si interpreta il concetto di alienazione come rottura di una felice e non alienata unit comunitario-sociale originaria, che costituisce un mondo a testa in gi, che poi viene progressivamente raddrizzato dalla storia universale necessitata, fino al comunismo concepito come il ristabilimento naturalistico autentico di un mondo finalmente con i piedi per terra. Il lettore informato sa ormai che il primo modello di stroncatura (Karl Lwith), ed anche il secondo modello di stroncatura (Lucio Colletti) stroncano in entrambi i casi una caricatura precedente.  quello che si chiama in linguaggio ordinario il vincere facile. La pulsione ad eliminare dal profilo teorico marxiano il concetto di alienazione  un fenomeno talmente diffuso e pittoresco da meritare un'indagine sociale, e non solo culturalistico-concettuale. Personalmente, ho vissuto il clima ideologico degli anni Sessanta del Novecento, e so bene che allora vi fu un tentativo di togliere al marxismo i suoi lati sgradevoli di lotta di classe per affermare una sorta di inno- cua teoria sociale del generico disagio psicologico-esistenziale tipico della societ industriale connotata come avanzata.  evidente che il concetto di alienazione in quel contesto storico preciso (e questo capitava anche ai correlati concetti di uomo e di umanesimo) mirava ad una sorta di neutralizzazione universitario- psicologica del marxismo, che passava cos da Lenin e Rosa Luxemburg a Eric Fromm ed a Umberto Galimberti. La reazione althusseriana, che negava radical- mente il mantenimento nel Marx maturo e scientifico del concetto di aliena- zione, era quindi socialmente del tutto giustificata, ma lo era soltanto dal punto di vista della lotta di classe ideologica nella congiuntura politica (1956-1968, e per di pi solo a Parigi), mentre era catastroficamente errata nel contesto storico generale Novecentesco. Detto questo, insisto nel non identificare le due correnti scientiste di Lucio Colletti e di Louis Althusser. Il programma dellavolpiano di ritraduzione dell'intero pensiero di Marx in un modello galileiano di scienze della natura del tutto affrancato da Hegel e dalla dialettica non pu che portare ad un suicidio programmato a tempo, e dobbiamo essere grati (parlo sul serio, ed alla lettera) a Lucio Colletti per aver mostrato in piena luce l'esito autodistruttivo 466 e suicida di questo programma. Il programma althusseriano  infinitamente pi serio, perch spinge giustamente a fissare gli sguardi sulla scienza non-filosofica dei modi di produzione sociali, e non certo sulla gnoseologia, scienza della de- legittimazione di ogni pretesa di conoscenza della totalit (si chiami Dio oppure Capitale), o tantomeno sulla metodologia, pittoresca ed irrilevante scienza per nul- latenenti. Dunque, nessun segno di eguaglianza fra Colletti ed Althusser. Nel lin- guaggio pittoresco dei maestri di scuola, daremo a Colletti un bel quattro, ed a Al- thusser addirittura un generoso sette (mi perdonino i rispettivi fans, ed accettino il fatto che non sempre si pu utilizzare il lessico serioso della conferenza filologica). E tuttavia non si pu e non si deve evitare di riflettere sulle conseguenze provo- cate dal rifiuto del concetto di alienazione e dalla teoria della cosiddetta rottura epistemologica. Si va infatti da una concezione di episteme che oscilla dal concetto positivistico di Auguste Comte al concetto sociologico di Max Weber (in entrambi i casi nessuno capisce perch si debba lottare contro il capitalismo se non lo si giu- dica negativo, e non si vede come sia possibile giudicarlo negativo con una sem- plice visione strutturalistica della dinamica dei modi di produzione), che scivola poi nella (fastidiosa e riduzionistica) definizione di filosofia come lotta di classe nella teoria, ed infine sfocia nellapologia della aleatoriet come sublimazione del- la propria (peraltro giustificata) critica alla precedente (ed insostenibile) filosofia necessitaristico-teleologica della storia, insaporita ed aromatizzata con il peperon- cino rosso del messianesimo e del prometeismo. Ma questo comporterebbe una critica all'intero Denkweg di Althusser, che non mi interessa affatto fare in questa sede, se non per contrapporlo idealmente alla molto maggiore sobriet di Lukdcs. Vi sono ovviamente molte altre varianti, tutte cattive, del rifiuto della centralit del concetto di alienazione. Un'ultima variante italiana (Roberto Finelli), storica- mente poco importante, ma comunque socialmente significativa, propugna una sorta di marxismo ridotto al concetto di astrazione reale che rifiuti esplicitamen- te, e quindi espunga del tutto dal quadro teorico, i due concetti di alienazione e di contraddizione. Tralascio qui le argomentazioni, del tutto sofistiche, con cui questi due concetti vengono licenziati. Senza alienazione e senza contraddizione avremmo egualmente un corpo, ma senza gambe e senza braccia. Se il marxismo  uno sgabello a tre gambe, e metaforicamente lo , queste tre gambe sono effet- tivamente i concetti di astrazione reale (il mondo sensibilmente sovrasensibile), di contraddizione dialettica (che include peraltro come suo momento particolare l'opposizione reale economica fra sfruttati e sfruttatori, che restano comunque i due poli di una correlazione essenziale), ed infine di alienazione sociale. Devo am- mettere che la proposta di trasformare uno sgabello a tre gambe in uno sgabello ad una gamba sola  esilarante, ma socialmente parlando si tratta soltanto dell'enne- sima pensata sofistica universitaria per togliere al marxismo qualunque residuo potenziale eversivo. Ed effettivamente un marxismo senza esplicita eversione per me  come una pastasciutta senza sugo. A qualcuno potr piacere, ma a me no. L'esemplarit, ed a mio avviso linsuperabilit, del modo in cui Lukcs tema- tizza la categoria di alienazione sta in una specifica fusione di Marx e di Hegel. Da 467 Marx Lukcs ricava l'assoluta oggettivit esistente della categoria di alienazione, ed il fatto che essa non possa essere posta e poi tolta con un semplice atto del pensiero autocosciente (vi  qui chiaramente una critica ad Hegel, cui viene attri- buita una concezione puramente logica e coscienziale di alienazione). Da Hegel, ed in particolare dalla dottrina del concetto della Scienza della Logica, Lukcs ricava il rapporto fra l'universalit, la particolarit e lindividualit come momenti logici del concetto stesso, che resta unitario. Una breve spiegazione ulteriore permetter di cogliere la grande correttezza del pensiero di Lukcs. In una lettera a Lucien Goldmann, Lukcs sostiene che il pensatore sostanziale  preoccupato da un unico pensiero per tutta la vita. E Lukcs  veramente stato un pensatore sostanziale, la cui sostanza pu essere individuata in una sua sin- golare affermazione, per cui egli afferm di se stesso: Non parteciper pi alla mia stessa alienazione (ich mache meine eigene Entfremdung nicht mehr mit). Si tratta peraltro della stessa formula che era servita come parola d'ordine dei membri della scuola di Francoforte, il che significa che molte distinzioni di scuola vengono meno quando si tratta di stringere la cosa stessa. Ma cerchiamo di commentare, sia pure brevemente, questa ottima formulazione. In primo luogo, vi  il riconoscimento del fatto che l'alienazione esiste ogget- tivamente, ed  una categoria logico-ontologica della produzione capitalistica in quanto tale, e non certo una sofisticata opinione sul disagio esistenziale in un mon- do mercificato. Questo disagio esistenziale ovviamente c, anche se le tendenze esistenziali postmoderne (tipica ancora una volta  la posizione del filosofo delle riviste femminili italiane, Umberto Galimberti) tendono a staccarlo dalla coscienza infelice, ed a negargli cos ogni carattere di sintomo superficiale di un universali- smo impossibile. In secondo luogo, c' lovvio riconoscimento del fatto che l'alienazione riguarda in primo luogo noi stessi, e non certamente soltanto gli altri. Tipico del moralismo dell'intelletto astratto (Verstand)  il separare noi stessi dagli altri, e pensare che gli altri siano alienati, tranne noi che non lo siamo, perch abbiamo capito tutto quel che c'era da capire, come se fossimo un laicizzato Dio hegelo-marxiano. La cosa suona subito ad un tempo grottesca ed esilarante, eppure  proprio il modo in cui la falsa coscienza del marxista medio ha a lungo impostato le cose. Tutti sono alie- nati, perch non capiscono che il capitalismo  cattivo, tranne me ed i miei sodali e correligionari, che invece lo abbiamo capito. Nel paranoico mondo marxista la cosiddetta autocritica  sempre stata un rituale di confessione religiosa, di pen- timento servile e di adeguamento al potere (classiche in proposito le cosiddette autocritiche di tipo staliniano, peraltro mantenute in vita fino al triennio disso- lutivo 1989-1991). In realt appare chiaro che la critica non pu essere fatta da un soggetto destoricizzato e desocializzato, e quindi incapace di tematizzare anche se stesso (come  il caso di tutte le costituzioni formalistiche del soggetto, da Cartesio a Kant, e di tutte le sparizioni del soggetto sostituito da flussi di abitudini e/o di volont di potenza, da Hume a Nietzsche). La critica deve essere fatta da un soggetto che, almeno in via di principio,  disposto non solo a farsi criticare da altri 468 (cosa che peraltro neppure il pi grande dei paranoici potr mai di fatto socialmen- te impedire), ma  disposto a criticare se stesso. Ed il suo modo di poter criticare se stesso  quello di accettare l'inserimento della propria particolarit individuale allinterno di una dialettica oggettiva delle figure delle forme di coscienza, il che fa diventare la Fenomenologia dello Spirito di Hegel il modello insuperato di questa possibilit di inserimento autocritico. In quanto universale concreto, il concetto  l'universalit riferita allindividua- lit. L'individualit non  altro che me stesso, in quanto mi penso in rapporto alla particolarit concreta che forma la mia personalit. Ma la particolarit (per Hegel come per Lukcs) non  altro che la semplice negazione diretta delluniversalit, in un certo senso la semplice sottrazione delluniversalit. Peraltro luniversa- lit stessa, come ogni realt, pu soltanto concretamente esistere nella forma di una sua determinazione (Bestimmung), che  poi sempre e solo una concretizza- zione storico-sociale. E tuttavia lindividualit reale e concreta delluomo non pu identificarsi con la particolarit, in quanto tutte le determinazioni particolari de- vono essere prese in considerazione, e non una sola. In questo caso l'alienazione  certamente una determinazione delluniversalit del concetto di capitale, ma  una determinazione anche la volont libera soggettiva di non partecipare ad essa. Questo  il significato della scelta libera soggettiva di non voler pi partecipare (mitmachen) alla propria stessa alienazione (Entfremdung). Lukdcs identifica cos correttamente il concetto marxiano di libert con la scelta di non partecipare pi alla propria stessa alienazione, oppure, utilizzando il lin- guaggio hegeliano, di spostare la propria particolarit di adesione alluniversali- t della produzione capitalistica, ad un tempo sfruttata ed alienata in quanto unio- ne di alienazione e di valore, alla propria individualit di adesione alluniversalit di una realt emancipata. Questa concezione di libert si differenzia radicalmente da tutte le altre concezioni di libert di tipo aprioristico (la libert del volere come postulato dalla possibilit della morale categorica in Kant), di tipo religioso (la li- bert come dono di Dio, che vuole cos renderci liberi e simili a Lui, in modo che possiamo scegliere se essere salvati o essere dannati), o infine di tipo neoliberale (la libert del soggetto proprietario di intraprendere nel mondo delle merci e del denaro). L'alienazione non  cos la presunta rottura di una (inesistente) unit organica originaria, ma  una condizione oggettiva che riguarda tutti. Tutti siamo infatti alienati, ma c' chi decide di parteciparvi e chi decide invece di non parte- ciparvi pi. Il concetto di alienazione, inteso come scelta di interrogare la propria particolarit (alienata) in nome della propria individualit (libera), viene in questo modo ad ereditare la grande tradizione di Spinoza e di Hegel. Di Spinoza, perch la sua filosofia non  affatto una filosofia della necessit (come ripete pigramente la manualistica), ma  una filosofia della libert dellindividualit che per tiene conto dellesistenza oggettiva della necessit (in questo caso, dellesistenza oggetti- va della alienazione capitalistica). Di Hegel, perch accetta la problematizzazione dialettica del soggetto, e del fatto che universalit, particolarit ed individualit non possono essere ontologicamente separate. Hegel infatti ha scritto che la se- 469 parazione delle realt dalla verit  specialmente cara allintelletto, che tiene le sue astrazioni ed i suoi sogni per alcunch di vero. E per finire Hegel ha scritto: Ma quando io parlo di realt, si deve pur tenere presente il senso in cui adopero questa espressione, dal momento che nella mia Scienza della Logica ho trattato ampiamente la nozione di realt e l'ho accuratamente distinta dallaccidentale che ha esistenza e da altri consimili concetti. Il quarto ed ultimo aspetto generale del pensiero di Lukcs  parimenti di gran- de importanza. Fino ad ora abbiamo insistito sui tre punti del prendere sul serio il proprio rapporto con Marx, della passione durevole come alternativa esistenziale alle concezioni mitico-sociologiche del privilegiamento fichtiano della giovinezza come soggetto privilegiato, della lotta alla corruzione dellepoca della compiuta peccaminosit, ed infine della decisione di non partecipare pi alla propria stessa alienazione. Tocchiamo ora il cuore della natura filosofica del pensiero di Lukcs, che molti commentatori lucacciani non hanno colto sufficientemente, e che io inve- ce sottolineer con particolare enfasi. Ho gi ampiamente fatto riferimento in precedenza alla distinzione kantiana fra il concetto scolastico della filosofia intesa come sistema organizzato delle cono- scenze razionali (Schulbegriff), ed il concetto mondano di essa, intesa come ci che interessa necessariamente ogni uomo (Weltbegriff). In proposito, ho ricordato che Habermas ha scritto che Hegel  stato il primo che li ha fusi insieme, ma  anche in un certo senso lultimo, perch la modernit consiste appunto nella rinuncia alla normativit della verit filosofica cui Hegel credeva fermamente. In proposito, quella fusione dei due elementi che Habermas attribuisce a Hegel come al primo (ed anche per lultimo, per cui di fatto Hegel diventerebbe lunico  attributo che neppure i pi entusiasti ammiratori di Hegel  come chi scrive - sarebbero disposti ad attribuirgli) caratterizza invece tutta la storia della filosofia occidentale (ma anche indiana e cinese), almeno fino alla sua istituzionalizzazione universitaria neokan- tiana e post-neokantiana. Solo questa istituzionalizzazione, che caratterizza quasi tutta l'istituzione universitaria odierna (le brillanti eccezioni purtroppo conferma- no la regola), ha rotto il precedente rapporto organico fra il concetto scolastico ed il concetto mondano di filosofia, e vedremo pi avanti che il punto di partenza del giovane Lukcs sar appunto quello di rompere con il giuramento gnoseologico ne- okantiano e di decidere (grazie anche all'incontro con Ernst Bloch) di filosofare nel modo in cui lo avevano fatto Aristotele ed Hegel. In breve, ritengo che Lukacs sia stato nel Novecento il punto pi alto della fusione fra Schulbegriff e Weltbegriff, che sia possibile pacatamente dimostrarlo, e che qui stia la sua inarrivabile specificit, al di l dellaccettazione o meno della prospettiva dellontologia dell'essere sociale. Questo, per, presuppone una ennesima breve ricognizione della precedente sto- ria della filosofia occidentale. Essa  necessaria, perch se non si inserisce Lukcs in questa nobile tradizione si corre il rischio di perdere la specificit del suo contribu- to. Se infatti si legge Lukcs, ci accorgiamo subito che i riferimenti allo stalinismo si uniscono a considerazioni su Epicuro e Spinoza, e che note sulla vita quotidiana si mescolano ad interpretazioni originali di Marx e di Hegel. Questo non pu che ir- 470 La passione durevole per una filosofia dell'emancipazione ritare i sacerdoti della filologia universitaria, e non pu al contrario che confermare a studiosi indipendenti come chi scrive di essere sulla via giusta. Chi volta le spalle all'unione fra Schulbegriff e Weltbegriff, infatti, non pu interessare a nessuno, che non sia un irrilevante animale accademico preso dai suoi grotteschi riti di identit. La costituzione del sapere filosofico in disciplina erudita autoreferenziale e fine a se stessa  relativamente recente, e risale grosso modo a met Ottocento. In quel momento storico, in particolare dopo la svolta del 1848 ed il clima controrivolu- zionario di normalizzazione reazionaria che si diffuse in Europa (testimoniato da autori diversi come il De Sanctis di Schopenhauer e Leopardi ed il Lukcs della Di- struzione della Ragione) i poteri dominanti non ritennero sufficiente legittimarsi con la pura scienza evoluzionistica (esemplare  il caso di Spencer come ideologo del darwinismo sociale), ma considerarono opportuno togliere alla riflessione filoso- fica qualunque potere contestativo rispetto allesistente attraverso la sua istituzio- nalizzazione universitaria integrale. Questa istituzionalizzazione avviene storica- mente con modalit diverse nei vari paesi europei, ed in Germania, il paese guida della seconda rivoluzione industriale, avviene con lorganizzazione di un sistema di filtraggio basato sullerudizione positivistica, da un lato, e sulla riduzione neokantiana della filosofia a gnoseologia, dall'altro.  questa la ragione per cui Lukcs non sbaglia dicendo che dopo il 1848 Hegel passa in un certo senso il te- stimone a Marx. Si pu contestare e ritenere schematico questo giudizio, ma  un fatto che il concetto mondano di filosofia (Weltbegriff) inteso come l'insieme di ci che interessa necessariamente ad ogni individuo, passa veramente da Hegel a Marx. Nel mondo degli antichi Greci lidea di una facolt universitaria di filosofia era letteralmente impensabile. Fino ad Epicuro ed agli stoici compresi (e quindi senza alcuna differenza fra periodo presocratico, socratico, platonico, aristotelico e stoico delle origini) si dava assolutamente per scontato che la filosofia esistesse soltanto nel suo significato mondano (Weltbegriff). In periodo ellenistico nasce peraltro la filologia fine a s stessa (il Museo e la Biblioteca di Alessandria d'Egitto), ed i ro- mani ricchi cominciano a seguire corsi di filosofia in greco come forma di cultura di status (Cicerone, ecc.). Il distacco del sapere filosofico dal suo concetto mondano, essenziale nei trecento anni che vanno da Fraclito allo stoico Zenone,  dunque storicamente e socialmente legato ad un periodo storico di crematistica scatenata, dispotismo del denaro, fine del metron, indebolimento del katechon, ripiegamento nellindividualit politicamente del tutto impotente, ecc. E nonostante tutto que- sto, la filosofia continua ad essere praticata come forma di vita comunitaria dei saggi, ed il fatto che potesse essere fatta diventare un oggetto di specialismo social- mente neutralizzato non avrebbe neppure potuto essere immaginato dagli antichi in modo fantascientifico. Il cristianesimo medioevale non avrebbe potuto avere facolt separate di filoso- fia, a meno che queste ultime potessero essere identificate con la facolt di arti nel periodo averroista parigino. Le facolt canoniche erano tre (diritto, medicina e teologia), e questo non  un caso, perch era socialmente impensabile che si po- tessero costituire facolt separate di filosofia, che sarebbero inevitabilmente potute 471 CarrroLo XL diventare centri di contestazione globale alla legittimazione religiosa dell'ordine sociale feudale e signorile. Ma questo non bast. L'esperienza di Occam (ed in par- te dellaverroismo latino) dimostra come si fosse sviluppato un uso rivoluzionario e contestativo della teologia (nominalismo, chiesa invisibile, ecc.). Molti filosofi del tempo, anche in area cristiana, erano in realt medici prestati alla filosofia (come laristotelico Pietro Pomponazzi, laureatosi in medicina a Pa- dova nel 1487). Spinoza era del tutto estraneo all'universit, e rifiut un'offerta ad Heidelberg per timore di non poter esprimersi liberamente. Chi conosce la cor- ruzione della disciplina universitaria odierna pu trovare addirittura comico che qualcuno si sia posto il problema di esprimersi liberamente, dal momento che il codice d'accesso alla filosofia universitaria di oggi si basa sulla adesione mimetica (e priva ormai di coscienza infelice) alle opinioni dei cattedratici che dispongono delle chiavi degli accessi per concorso, in una totale assenza di qualsivoglia me- ritocrazia. La grande maggioranza degli illuministi francesi del Settecento, su cui sono sta- te costruite centinaia di carriere universitarie, era composta da persone totalmente estranee agli apparati universitari dellepoca. Kant e Hegel, invece, erano certa- mente prodotti universitari integrali (come poi, pi di un secolo dopo, Husserl e Heidegger), ma erano ancora personaggi in cui si univano gli aspetti scolastici e gli aspetti mondani della filosofia. Kant utilizzava la sua cattedra per delegittimare il potere politico-normativo della metafisica (e per questo fu anche richiamato) ed Hegel intendeva rappresentare nel pensiero l'epoca nuova di gestazione e di trapasso che riteneva di interpretare adeguatamente. Persino i pensatori che inau- gurano il pittoresco periodo di odio verso il sapere universitario (Schopenhauer e Nietzsche sopra ogni altro) sono prodotti integrali del curriculum universitario del tempo. Tutto ci si interrompe a met Ottocento dopo il 1848, per ragioni di tipo storico e sociale prima ricordate. Il potere pubblico e mondano della filosofia come insie- me di pensieri che interessano necessariamente ad ogni uomo (Weltbegriff) era in- fatti inversamente proporzionale al sapere positivistico erudito ed al neokantismo gnoseologico. Lukcs  quindi ad un tempo un rivoluzionario ed un restauratore. Un rivoluzionario, perch cerca di innestare nel concetto scolastico della filoso- fia, intesa come sapere sistemico, i contenuti della critica dell'economia politica di Marx, che essendo una disciplina globale non integrabile nella divisione univer- sitaria delle discipline, spezza e distrugge il falso sapere compartimentalizzato, ed in questo modo neutralizzato e disinnescato. Un restauratore, perch restaura il bimillenario carattere mondano (Weltbegriff) della filosofia. La filosofia torna ad essere ci che interessa necessariamente ad ogni uomo, senza per questo cessare di essere anche l'esposizione categoriale e razionale del sapere. Per finire con la segnalazione di questi punti generali, ve n' forse ancora un quinto che fa da cifra interpretativa per la personalit di Lukcs. Questo allievo novecentesco di Hegel e di Marx, che accett Stalin per puro realismo storico e non certo perch ne condividesse i comportamenti e l'ideologia, mise sempre 472 Sa DS La passione durevole per una filosofia dell'emancipazione al primo posto le sue convinzioni soggettive, e non si adegu mai al cosiddetto giudizio dei fatti. Per lui (come per altro per Marcuse) il realismo hegeliano non era mai leffettuale o il vincente (e cio ci che i giornalisti filosoficamente analfa- beti chiamano hegelismo), ma sempre ci che storicamente avrebbe potuto essere portato al suo concetto (Begriff). Ripetutamente ricord un verso della Pharsalia di Lucano che diceva: La causa vincente piacque agli dei, ma quella vinta piacque invece a Catone (causa victix diis placuit, sed victa Catoni). Ancora nella autobio- grafia in forma di dialogo rilasciata poco prima della morte (cfr. Pensiero vissuto) Lukcs ricord il motto Ugocsa non coronat per indicare la cifra del suo pensiero. Nel 1723 l'assemblea nazionale ungherese, formata dai rappresentanti di ciascuna regione o comitato, vot la Prammatica Sanzione, che prevedeva la successione di Maria Teresa al trono di suo padre, Carlo d'Asburgo. Gli unici che rifiutarono la propria approvazione furono i rappresentanti di Ugocsa, la pi piccola regione dell'Ungheria di allora. Lukacs intende dire con questo esempio storico che si pu e si deve dire: Mi oppongo, pur non contando nulla, oppure Mantengo il mio disaccordo, pur sapendo che le cose andranno diversamente. E Lukcs dice: Per me Ugocsa noti coronat, e cio io non mi lascio comandare, ha sempre fatto da mu- sica di accompagnamento per la Fenomenologia dello Spirito e per la Scienza della Logica di Hegel. Ora che conosciamo la musica di accompagnamento alla filosofia di Lukcs possiamo passare alla decifrazione filosofica della sua vita. Figlio dell'alta borghe- sia ebraica bilingue (tedesco e ungherese) di Budapest, Lukcs  stato caratteriz- zato per tutta la vita da queste tre determinazioni. In quanto bilingue (ungherese e tedesco) ha subito avuto un rapporto universalistico con la lingua, scegliendo quella che gli sembrava pi adatta alla comunicazione delle sue idee in quanto pi conosciuta (e per questa ragione  passato abbastanza precocemente dall'un- gherese al tedesco). Teniamo presente che per tutti gli anni Venti il tedesco era la prima lingua dellInternazionale Comunista (solo dopo il 1929 fu sostituita dal russo  conseguenza inevitabile della costruzione del socialismo in un solo paese), era la lingua di comunicazione di tutta l'Europa centrale, settentrionale ed orientale, ed esercitava la funzione del greco nel mondo antico, del latino nel mondo medioeva- le e dell'inglese nella societ odierna. Ma le lingue non sono mai strumenti neutrali di comunicazione. Esse si portano dietro un mondo di simboli, in questo caso il mondo della gran- de letteratura (Goethe in primo luogo), e soprattutto il mondo della grande filoso- fia classica tedesca, che non comprende affatto soltanto il cosiddetto idealismo, ma anche Lessing, Herder, Kant, il dibattito postkantiano, fino a Schopenhauer ed allo stesso Feuerbach (e per quanto mi riguarda anche Marx, a tutti gli effetti, ma non credo che Lukcs redivivus sarebbe d'accordo). Lukdcs appartiene alla lingua tedesca come Aristotele appartiene alla lingua greca. Non riesco a pensarlo allin- terno dello spirito un po' frivolo e razionalistico della lingua francese o allinterno dello spirito pragmatico, scettico-empirico ed operazionalistico della lingua ingle- se. 473 CarrroLo XL L'essere stato figlio dell'alta borghesia ebraica di Budapest  stato certo un caso, ma a mio avviso ne ha anche determinato lo spirito. Quando nacque, nel 1885, Hitler era ancora al di l da venire (anche se in realt Hitler, come Lukcs, nacque come cittadino dell'impero degli Asburgo nel 1889  lo stesso anno di Heideg- ger e di Wittgenstein). Siamo lontanissimi dal clima politico-culturale che  poi sfociato in Auschwitz oppure nel sionismo nazionalistico-identitario come nuovo profilo di appartenenza del popolo ebraico. Allora gran parte della cultura ebraica dell'Europa Centrale era il luogo della problematizzazione universalistica (e quin- di nient'affatto ebraica) della condizione umana. Ci  difficilissimo comprendere oggi questa situazione storico-epocale del gran- de pensiero ebraico, particolarmente in un'epoca in cui gli ebrei sono stati consacra- ti ad una sorta di sacerdozio levitico europeo ed americano della nuova religione laica della cosiddetta eccezionalit dellolocausto, con pellegrinaggi, scolaresche e giornate esclusive della memoria (laddove tutte le altre numerose memorie dellingiustizia e della oppressione non sono evidentemente ritenute degne di sa- cralizzazione postuma  penso soltanto alle centinaia di migliaia di vittime del co- lonialismo italiano in Libia ed in Etiopia, addirittura ignorate nei nostri indecenti manuali scolastici di storia). Si tratta  purtroppo  dell'ultima vittoria postuma di Hitler. Ma Lukcs (che pure ebbe un fratello ucciso in un battaglione del lavoro riservato agli ebrei nel tempo del dominio dei fascisti ungheresi delle cosiddette Croci Frecciate) fa parte ancora dell'ultima leva del grande universalismo ebraico europeo, che ha nutrito fra laltro il miglior pensiero comunista novecentesco (su questo punto l'odierna operazione di silenziamento mediatico-universitario  in pieno svolgimento, e sembra quasi che il grande pensiero filosofico ebraico del No- vecento abbia soltanto prodotto la modesta professoressa Hannah Arendt), pensie- ro che mi ostino a pensare si trovi soltanto silenziato in una eclissi temporanea. Di questo grande pensiero ebraico novecentesco Bloch ha interpretato il lato utopico-messianico (quello contro il quale i vari Lwith hanno pensato di vincere facile), mentre Lukcs ne ha interpretato il lato razionalistico-realistico, quello appunto pi difficile da stroncare, e che appunto per questa ragione viene preferibil- mente silenziato e diffamato (stalinista, ecc.).  bene comprendere fino in fondo la genesi del pensiero di Lukcs, e su questo punto purtroppo la maggior parte delle monografie critiche non aiuta. Lukcs, cos come Marx, pass da studi giuridici alla filosofia, anche se si laure egualmente in legge nell'universit di Koloszvr (oggi Cluj in Romania). Il passaggio dagli studi di diritto agli studi di filosofia  un vero e proprio topos della situazione esisten- ziale ottocentesca e novecentesca. In termini filosofici, potremmo dire che si tratta della pulsione esistenziale che spinge a passare dallintelletto (Verstand) alla ragio- ne dialettica (Vernunft). Il diritto  il regno dell'intelletto astratto, della formalizzazione delle norme, dellapplicazione della fattispecie concreta allastrazione universalizzante della norma, del superamento della vecchia giustizia del caso per caso (quella che Max Weber chiamava la giustizia del cad, cio del giureconsulto arabo che giu- | 474 } La passione durevole s filosofia dellemancipazione dicava in base alla propria saggezza ed esperienza). Esso  una scuola per lintel- letto, in quanto abitua alla precisione terminologica ed alle distinzioni (esemplare in proposito  stato per me il magistero epistemologico di Norberto Bobbio, ed esemplare anche il mio correlato rifiuto di accettare che si possa filosofare per di- cotomie oppositive e non invece  ca va sans dire  per contraddizioni logico-dialet- tiche), ma nello stesso tempo invita a riconoscere nella concretezza del mondo cos com' il solo mondo possibile. Ma il mondo apparentemente concreto  in realt il mondo completamente astratto di quella che Karel Kosk ha chiamato pseudo-concretezza, ed il passaggio dalla facolt di legge alla facolt di filoso- fia rappresenta proprio il passaggio dallaccettazione metodologica della pseudo- concretezza dell'intelletto (Verstand) alla problematizzazione dialettica del signifi- cato espressivo della totalit (Vernunft). Questo ha riguardato molte persone, dal giovane Marx al giovane Lukcs. Ma qui appunto si situa esistenzialmente il disincanto (Entzauberung) di Lukcs, di- sincanto peraltro ammesso apertamente da Lukcs nella sua ultima autobiografia in forma di dialogo.  bene soffermarci un poco, perch non si tratta solo di un episodio della biografia lucacciana, ma di una vera e propria figura dialettica uni- versale nel senso della Fenomenologia dello Spirito. Sembra oggi che il termine disincanto (Entzauberung) debba essere inteso esclusivamente nel senso di Nietzsche (morte di Dio), di Weber (approdo della lunga storia del razionalismo occidentale al politeismo infondato dei valori), di Lyotard (disincanto verso la precedente credenza nelle grandi-narrazioni emanci- pative), di Lwith (scoperta che la presunta scienza marxista non  altro che seco- larizzazione della vecchia escatologia ebraico-cristiana nel linguaggio dellecono- mia politica), di Colletti (scoperta che il pensiero di Marx non  altro che neopla- tonismo riverniciato), ed infine di Heidegger letto secondo la coppia postmoderna Vattimo-Galimberti (presa d'atto che il mondo si  rinchiuso sopra di noi in una tecnica planetaria intrascendibile da accettare fatalmente). A pochi viene ormai in mente che questa sorta di fine della storia (attribuita sempre erroneamente ad He- gel, magari letto alla Kojve ed alla Fukuyama) non  che una formazione ideologico universitaria frutto di una congiuntura storica del tutto temporanea, che fra mezzo secolo verr probabilmente storicizzata e riferita ad un clima culturale che non fa che registrare nel rarefatto e pittoresco mondo ideologico la vittoria tennistica del capitalismo neoliberale sul comunismo storico novecentesco realmente esistito nel ventennio 1985-2005. Per Lukacs il disincanto fu una cosa totalmente diversa. Fu il disincanto nei confronti dell'inserimento nel mondo delle istituzioni e dello spirito borghese, di- sincanto che si consum nel decennio 1905-1915, e che si origin dalla scoperta semitraumatica della totale insensatezza dello specialismo universitario. E si noti bene che non si tratt di una delusione nei confronti di pittoreschi baroni e trom- boni mediocri ed analfabeti, ma di un disincanto che sorse dalla frequentazione di maestri assoluti come Simmel e Weber. Vorrei insistere molto su questo punto: Lukcs non fu disincantato dalla mediocrit di anonimi analfabeti saliti in cattedra 475 CAPITOLO XL per cooptazione tribale-mafiosa, ma fu disincantato dopo essere stato allievo di Simmel e di Weber. Si tratta ovviamente di un disincanto che non sorgeva da una delusione psico- logica contingente e aleatoria, ma di un disincanto verso la totalit della cultu- ra borghese nel suo complesso, che trovava nellinsensatezza specialistica della cultura universitaria tedesca semplicemente il suo punto di deviazione (clina- men, parekklisis) per dirla con Epicuro. E Lukcs ricorda un aneddoto che fu quasi decisivo per la sua vita. Aveva letto un ponderoso saggio accademico che discu- teva del colore degli occhi di Lotte nel Werther, che Goethe afferma che erano blu, mentre in realt erano neri. E Lukcs scrive: Io vidi in questo l'incarnazione di ci che Hatvany chiam la scienza di ci che non vale la pena di sapere [Die Wissen- schaft des Nichtwissenswerten]. L'insensatezza dello specialismo universitario non era evidentemente che il riflesso superficiale di una ben pi profonda e pericolosa insensatezza generale. E qui Lukacs ebbe la fortuna di incontrare Ernst Bloch (suo coetaneo, un ebreo tedesco nato nel 1885). La decisivit di questo incontro  testimoniata sempre in Pensiero Vissuto. Dice Lukdcs: Su di me ebbe enorme influenza Bloch. Egli infatti mi convinse con il suo esempio che era possibile filosofare alla maniera tradizio- nale. Fino a quel momento io mio ero immerso nel neokantismo del mio tempo, ed adesso incontravo in Bloch il fenomeno di qualcuno che filosofava come se lintera filosofia odierna non esistesse, e che era possibile filosofare al modo di Aristotele e di Hegel. Considero questa citazione decisiva per linterpretazione complessiva non solo di Lukcs, ma dell'intero progetto di ontologia dell'essere sociale, e pi modestamen- te del contenuto di tutti e quaranta i capitoli di questo mio saggio.  possibile, ed  anzi necessario, riprendere a filosofare nel modo di Aristotele e di Hegel. Questo non significa (sembra quasi sciocco doverlo dire!) che si debba coltivare l'illusione di riuscire a filosofare al loro livello. La storia della filosofia dispensa limmorta- lit a pochissimi grandi del pensiero, e sono molti i chiamati, ma pochi gli eletti. Qualunque filosofo di medie capacit, che si metta a leggere Platone, Aristotele, Spinoza, Kant o Hegel, si rende conto immediatamente di non essere in grado di raggiungere la loro profondit e la loro capacit di analisi e di sintesi. Avviene un po come nel film di Forman Amadeus, in cui sia Giuseppe II che Salieri, dopo aver composto un motivetto ed aver ascoltato quello proposto da Mozart, si rendono immediatamente conto di trovarsi di fronte a qualcuno di superiore a loro. Non si tratta quindi di voler competere con Aristotele o con Hegel. Chi si met- tesse su questo piano ne uscirebbe sconfitto, e la delusione porterebbe a sicuri mo- menti di depressione. Si tratta di filosofare al modo di Aristotele e di Hegel, con la pretesa cio di unire al proprio tempo appreso nel pensiero ci che , ed  eternamente, 0, se si vuole, di unire il concetto scolastico con il concetto mondano di filosofia, in cui l'esposizione sistematica delle categorie del pensiero, che passa anche necessariamente per la ricostruzione di tutta la storia della filosofia prece- dente, deve sempre essere rivolta a ciche interessa necessariamente ad ogni uomo. 476 La passione durevole per una filosofia dell'emancipazione Nella sua vita, Lukcs ha filosofato come Aristotele ed Hegel. Per questo  stato un esempio ed un maestro (quantomeno u o un mio maestro, insieme ad Hyppolite e po- chissimi altri), e questo del tutto indipendentemente dall'accordo o dal disaccordo con singole tesi interpretative. Senza Bloch, Lukcs sarebbe forse rimasto invischiato nel neokantismo e nella gnoseologia, tipica disciplina per nullatenenti. E tuttavia, vale la pena esaminare tre dei suoi maestri, e cio Simmel, Weber e Lenin. In proposito, al di l di preci- sazioni monografiche, mi limiter ad esprimere il mio pensiero sul contributo di questi tre illustri personaggi. Lukacs considera nell'essenziale Simmel un po' frivolo, mentre riconosce sempre la seriet di Weber. Dal momento che Lukcs ha conosciuto personal- mente Simmel, ed io l'ho soltanto letto sui libri, non ho nulla da eccepire. E tut- tavia considero la Filosofia del Denaro di Simmel un capolavoro assoluto, ed un libro paradossalmente hegeliano. Si tratta di un'opera che considero intrisa di marxismo involontario, in un senso che ora spiegher. I marxisti volontari del tempo, e cio coloro che si autocertificavano soggettivamente come tali (ma anche i pazzi si autocertificano soggettivamente in modo sincero e veridico come Na- poleoni), affrontavano il problema del denaro in modo trogloditico, come se esso fosse soltanto il vecchio sterco del diavolo di medioevale memoria, oppure fosse per definizione qualcosa di non-filosofico, ma semplicemente di economico, da lasciare cortesemente ai colleghi di economia. Simmel affronta la questione del de- naro in modo dialettico, dal momento che da un lato il denaro  la sostanza astratta e generica del valore di scambio puro (ma questo lo aveva gi detto bene Marx), ma dall'altro concretizza invece la fioritura di diverse forme sociali di vita. E sono appunto queste forme sociali di vita diverse la vera forza del capitalismo, che da un lato non si fonda su nessuna ideologia e neppure su nessuna grande narrazione (come opina erroneamente Lyotard), ma dall'altro trova un robustissimo consenso passivo proprio nella moltiplicazione di diverse forme di vita, che potremmo chia- mare la concretizzazione sociale dell'astrazione economica. Nel noioso cimitero della filosofia marxista della Seconda internazionale (1989-1914) il non-marxista e marxi- sta involontario Simmel  lunico che di fatto porta avanti le intuizioni marxiane sul denaro.  impressionante altres che in un'epoca in cui non esisteva ancora per nulla una vera societ dei consumi, che sul continente europeo non arriva prima degli anni Sessanta del Novecento e che soltanto negli ultimi anni comincia ad ar- ticolarsi come dittatura leggera della pubblicit e della coazione alluniformazione pluralistica delle varie forme di vita consentite, Simmel abbia individuato lerrore metafisico basato sul privilegiamento dei mezzi sui fini nel consumo e nelluso dei prodotti della tecnica. Ritengo poco probabile che Lukcs non sia stato influenzato dalla teoria di Sim- mel sul carattere dialettico del denaro (che socialmente parlando rappresenta la concretizzazione plurale di una precedente astrazione singolare), e sullerrore me- tafisico che ne discende. Ripeto, si tratta di una stupenda teoria marxista-inconsa- pevole, del tutto degna di Hegel e di Marx. Certo, avendo letto Simmel, la frivo- 477 CapriroLo XL lezza accademica della sua scrittura risulta ad occhio nudo. Quando Simmel mor nel 1918 Lukcs ne scrisse un necrologio filosofico che ancora oggi si legge con interesse. E tuttavia,  il confronto con Max Weber il cuore della risposta di Lu- kcs. Ancora una volta, vale la pena di confrontarsi con i punti pi alti, e non certo con scagnozzi lottizzati di nessuna importanza. E proprio la grandezza di Weber ci permette di inquadrare il problema-Lukcs al punto pi alto possibile. Da un lato, infatti,  oggi generalmente accettata la tesi per cui Weber discende direttamente da Nietzsche nel nucleo metafisico delle sue opinioni, ed il neokan- tismo funziona solo come metodologia scientifica delle sue categorizzazioni. La teoria weberiana del nesso fra teoria del razionalismo occidentale, disincanto del mondo, politeismo dei valori ed insuperabilit della gabbia d'acciaio deriva diret- tamente dallannuncio nicciano della morte di Dio, che per viene smussato nei suoi angoli acuti togliendone gli aspetti profetico-esagitati, eliminando ogni su- peramento da parte del superuomo-oltreuomo della fatale gabbia dacciaio del capitalismo, e soprattutto chiamando ipocritamente etica della responsabilit la semplice presa in carico delle compatibilit riproduttive della societ borghese- capitalistica. Lukcs, essendo stato allievo diretto di Weber, capisce benissimo che tutto il pensiero di Weber gira intorno al nesso fra fine della filosofia e accettazione destinale dell'insuperabilit della societ borghese-capitalistica, ieraticamente travestita con il pomposo e supponente nome di modernit (Weber, morto nel 1920, non poteva ovviamente immaginare la ridicola semplificazione del suo pen- siero da parte dellingrato seppellitore dei francofortesi Juergen Habermas). E la filosofia, ovviamente, cui si intima di smettere di esistere come giudizio sulla tota- lit del mondo, viene seppellita proprio perch bisogna togliere progressivamente qualsiasi istanza esterna alla riproduzione destinale del mondo. Lukcs capi- sce bene tutto questo, ed appunto per questo tutto il suo pensiero deve essere inter- pretato in termini di restaurazione della grande tradizione che va da Aristotele ad Hegel. Non si capisce altrimenti il significato della frase fare come se la filosofia moderna non esistesse, e riprendere a filosofare come Aristotele ed Hegel. L'on- tologia dell'essere sociale (non alludo ai titoli dei saggi, ma alla prospettiva filosofica espressa con questo termine) non  altro che questo: filosofare nel Novecento come se fossimo Aristotele ed Hegel, consapevoli certamente di non poter arrivare al loro livello, ma nello stesso tempo seguire il loro esempio. Dall'altro lato, il fatto che Lukcs dopo il 1918 abbia aderito ad un marxismo basato sulla (erronea ed incorreggibile) teoria del rispecchiamento non poteva permettere di portare fino in fondo questo progetto di restaurazione del modo di filosofare come Aristotele e come Hegel.  noto che il capolavoro del giovane Lukcs (cfr. Storia e coscienza di classe, scritta peraltro da un trentottenne, neppure poi molto giovane) non si basa sulla teoria del rispecchiamento, ma sulla teoria idea-listica dell'unit fra soggetto ed oggetto (e cio sul proletariato come lato soggettivo e sulla storia universale dell'umanit come lato oggettivo), ma  altres noto che a partire dal 1926-1931 Lukacs aderis Imente al canone filosofico marxista staliniano. Questo canone non prevede (ed anzi condanna esplicitamen- 478 La passione durevole per una filosofia dell'emancipazione te come idealismo) il carattere veritativo della pratica filosofica, che viene anzi degradata a pratica ideologica-bukcs accetta formalmente questa degradazione, con quella che potremmo chiamare una guerra di guerriglia e di sopravvivenza, e continua a fare dell'alta filosofia chiamandola nello stesso tempo ideologia. Ma alla fine l'accettazione della teoria del rispecchiamento si vendica, perch nella sua stessa formulazione dellontologia dell'essere sociale egli deve necessariamente limitarsi ad elencare tre e solo tre forme di rispecchiamento conoscitivo (quotidia- no, artistico e scientifico), ed in questo modo la filosofia sparisce. Dal momento che la filosofia non pu avere per sua natura un carattere rispecchiante di un oggetto esistente al di fuori di noi, ne consegue che essa non pu avere alcun ca- rattere conoscitivo, e quindi ovviamente nessun carattere veritativo. Ecco, questo  in poche parole la contraddizione-Lukcs, che per rivela non solo un suo limite, ma esprime la contraddizione fondamentale del marxismo dell'intero Novecento. Contraddizione che riformuler brevemente cos: da un lato, soltanto la ripresa esplicita della tradizione conoscitiva e veritativa della filosofia, da Aristotele ad He- gel, avrebbe potuto salvare lautocoscienza dei marxisti stessi rispetto ai proces- si storico-sociali in atto; dall'altro, questa ripresa esplicita era impossibile, perch lideologizzazione del marxismo operata dagli apparati politico-burocratici, con la connessa imposizione del materialismo dialettico inteso come mistificata natura- lizzazione della storia e con la connessa diffamazione dellidealismo inteso come difesa della religione, costringeva ad imprigionare la filosofia stessa nella prigione dell'ideologia, forma di conoscenza che per sua stessa natura  oggetto di manipo- lazione e di amministrazione gestita da apparati appositi. Lukcs evit la guerra 1914-1918, non so se perch era raccomandato o perch fu riformato per ragioni di salute. In Ungheria ho ascoltato entrambe le ragioni. Nel 1918, alla fine della guerra, and ad iscriversi al partito comunista ungherese di Bela Kun, personaggio che non stim mai (e che spar poi nelle purghe di Sta- lin del 1936-38), e disse: Prima o poi bisogner comunque farlo. Rest comuni- sta in interiore homine, ma anche pubblicamente (mor nel 1971 con la tessera del Partito ungherese del lavoro). Nel 1919 fu commissario nelleffimera Repubblica comunista ungherese dei consigli, e sarebbe sicuramente stato fucilato dai con- trorivoluzionari vincitori, se non fosse scappato a Vienna. E tuttavia ritengo che l'avvenimento decisivo della sua vita si determin quando fu costretto ad ordinare la fucilazione di alcuni disertori al fronte, in occasione dell'invasione dell'esercito romeno. Essere costretti a sporcarsi le mani di sangue  un'esperienza che  stata risparmiata alla mia generazione (sono nato nel 1943). Da un lato, ne sono ov- viamente ben contento, dall'altro sono consapevole che non  giusto condannare troppo in fretta persone che si sono trovate in questo tragico dilemma. Lukdcs conosceva ovviamente la figura hegeliana della cosiddetta anima bella, che vive allinterno di dilemmi morali astratti, e crede di essere morale perch la storia non la costringe mai a sporcarsi le mani.  facile avere le mani pulite quando la storia non ci costringe  lo vogliamo o no  a sporcarcele. Lukcs pare se le sia sporcate. Anche Bobbio se le  sporcate scrivendo una lettera servile a Mussolini 479 CarrroLo XL in occasione del suo brevissimo arresto. Personalmente, seguo il principio di non salire in cattedra per condannare persone che hanno vissuto un periodo storico pi tragico di quello che mi  toccato in sorte. Ma questi dilemmi sono per loro stessa natura irrisolvibili. Risolvibile  invece il dilemma etico (etico, non morale) dell'eventuale adesione al comunismo nel 1918, e cio non in una congiuntura astratta, ma in una congiuntura storica ben concreta, che si tratta appunto di com- prendere fino in fondo. L'adesione di Lukcs al comunismo leninista (perch il suo comunismo fu sem- pre incrollabilmente leninista fino alla fine) fu da subito un dilemma etico. La comprensione di questo fatto non  affatto difficile, se ci si riporta a quegli anni, e si pensa alla spaventosa e sanguinosa mattanza cui furono sottoposti i popoli euro- pei a causa delle scelte imperialiste della borghesia europea nel 1914. Il fatto  che la tendenza egemone oggi  quella di dimenticare questa sanguinosa mattanza e retrodatare la condanna dello stalinismo al 1917. Esemplare  in proposito la bib- bia di questa retrodatazione, il Passato di una Illusione di Francois Furet. Il comuni- smo diventa una figura filosofica della propria personale illusione giovanile (Furet fu ovviamente un comunista in giovent, poi ovviamente deluso, che trasforma l'elaborazione della propria precedente illusione in visione disincantata della sto- ria universale secondo il vecchio consolidato modello del passaggio dallutopia al terrore), ed in questo modo si dimenticano le scelte oligarchiche del 1914, fatte alle spalle dei popoli ridotti a carne da cannone, che sono lunica legittimazione storica reale del successivo comunismo storico novecentesco.  chiaro che questa legitti- mazione non pu essere trovata in un barbuto signore tedesco chiamato Marx, e neppure nel marxismo deterministico-evoluzionistico di Kautsky, che a posteriori possiamo considerare una delle pi infondate ed illusorie teorie dell'intero sistema solare (Plutone incluso). Si pu essere marxisti senza essere leninisti? Ovviamente s, si pu esserlo. Ad esempio Rosa Luxemburg, Kautsky, Bernstein, il govane Lyotard, Korsch, Mat- tick, Pannekoek, lo sono stati. Anche Adorno e Bloch non sono certo stati lenini- sti. Ma Lukacs lo  stato (e sulla sua scia, il modesto scrivente). Ora, ognuno pu definire il leninismo come vuole, e per esempio Stalin lo ha fatto in due importanti scritti del 1924 e del 1926. Ho gi espresso un giudizio molto severo sulla filosofia di Lenin, che personalmente rifiuto radicalmente. Ma, a parte la (per me) sacro- santa iniziativa rivoluzionaria del 1917 esiste una rivoluzione copernicana fatta da Lenin rispetto allo stesso Marx, che  la teoria dellimperialismo. Dal momento che lo stesso Lukcs la condivideva, mi sembra opportuno parlarne, dopo aver per segnalato il punto nodale dellinterpretazione lucacciana di Lenin, che  pressoch identica a quella di Antonio Gramsci. Lenin, in altre parole, come portatore dellat- tualit della rivoluzione. Antonio Gramsci defin la rivoluzione russa del 1917 in termini di rivoluzione contro il Capitale, intendendo non certo il primo volume del Capitale di Marx, ma l'interpretazione evoluzionistica e deterministica dl marxismo prevalente nella Seconda Internazionale socialista. Il libretto di Luk(s intitolato Lenin, e pubblicato 480 gg La passione durevole per una filosofia dell'emancipazione Z nel 1924, sostiene esattamente la stessa tesi di Gramsci. Un esame comparativo dei lavori filosofici rispettivi di Lukcs e di Gramsci porterebbe a riscontrare somi- glianze molto forti. Ad esempio le critiche di Gramsci e di Lukcs al meccanicismo del Manuale di Bucharin sono praticamente identiche. Lukcs era nato nel 1885 e Gramsci nel 1891, in posti che pi diversi non avrebbero potuto essere, Budapest e la provincia sarda. Ma entrambi facevano parte di quella vera e propria gene- razione magica per cui la filosofia raggiunse il massimo del Weltbegriff, cio della concezione per cui essa tratta di ci che interessa necessariamente ad ogni uomo. Le differenze di dettaglio, pur esistenti, vengono dopo. Non pu esistere in Marx una compiuta teoria dellimperialismo, per il sempli- ce fatto che l'imperialismo vero e proprio  un prodotto della grande depressione economica 1873-1896, che tra laltro produsse anche la formazione ideologica mar- xista engelsiano-kautskiana del ventennio 1875-1895 e la correlata teoria del co- siddetto (e completamente inesistente) crollo del capitalismo. Esiste per (eccome se esiste!) una teoria del colonialismo, e del fatto che il commercio colonialistico  stato uno dei presupposti per lo sviluppo capitalistico (secondo Paul Sweezy il principale, secondo Maurice Dobb invece soltanto un fattore coadiuvante, il prin- cipale essendo invece la trasformazione capitalistica settecentesca dell'agricoltura inglese). Se  cos (e mi sembra che sia filologicamente ineccepibile!), cadono allora tutte le interpretazioni sul carattere progressivo del capitalismo e sulla giustifi- cazione indiretta che pu essere data alla colonizzazione capitalistica.  vero che Marx (ma solo nei primi anni cinquanta, dopo sempre meno, e negli ultimi anni per nulla) si  lasciato andare a (stupide) affermazioni sul carattere progressivo del colonialismo (in particolare riguardo all'India, ma anche l solo fino all'indegno massacro che segu l'insurrezione dei cepoys del 1857), ma in un contesto pi largo queste (stupide) affermazioni devono essere contestualizzate, e se le si contestualizza queste (stupide) affermazioni rivelano che Marx ancora di- pende dalla filosofia occidentalistica ed eurocentrica di Hegel. Per ammirare Marx, e ritenersi suoi allievi critici ed indipendenti, non c' mica bisogno di sottoscrivere bovinamente tutte le frasi che pu aver scritto nella sua vita! Gli antichi dicevano: quandoque dormitat atque Homerus, e chi non lo capisce se lo vada a cercare nel di- zionario! Lo spirito di Marx era totalmente anticoloniale, e possiamo quindi ipotizzare che sarebbe stato anti-imperialista, come possiamo ipotizzare che non si sarebbe riconosciuto nel modello socialista di Stalin, ed avrebbe avuto solo disprezzo e di- sapprovazione integrale per il modello nazionalsocialistico di Hitler. Non si tratta allora di evocare Marx in una seduta spiritica per fargli dire con i tavolini che bal- lano che cosa ha pensato di Bush e di Bin Laden, ma semplicemente di interpretare il suo spirito generale. E allora la mia conclusione  questa: chi nega il carattere marxiano della categoria di imperialismo uccide Marx per la seconda volta. L'ac- cettazione della categoria di imperialismo  la cartina di tornasole per sapere se  possibile essere marxisti oggi. 481 CarrtoLo XL Il geografo marxista David Harvey ha scritto recentemente unopera (cfr. The new Imperialism) che aggiorna creativamente le opere precedenti, tenendo conto dei nuovi dati storico-politici. Harvey distingue tre fasi successive del dibattito sull'imperialismo. La prima  quella classica (Hobson, Lenin, Rosa Luxemburg), che si basava soprattutto sui tre elementi della sovraccumulazione del capitale, del sottoconsumo che ne derivava e della spartizione del mercato mondiale e dellac- cesso alle materia da parte delle principali potenze del periodo (Germania, Inghil- terra, Francia, Russia, Giappone, ecc.). Questa prima forma classica  stata com' noto la principale causa del sanguinoso macello della grande guerra 1914-1918, ed anche della benemerita e mai abbastanza lodata rivoluzione russa del 1917. La seconda fase ha avuto il suo coronamento negli anni Sessanta del Novecento, e si  soprattutto fondata sulle nuove relazioni neocoloniali che si sono sviluppate dopo le grandi lotte anticoloniali dei due decenni precedenti (Samir Amin, Paul Sweezy, Gunder Frank, ecc.). La terza fase, quella attuale, si basa sulla globalizzazione, sul dominio dell'impero americano e sulle nuove contraddizioni che questo odioso dominio comporta (resistenze nazionali e religiose, emergenza di nuovi poli im- perialistici ancora dominati, tipo India, Cina, Brasile, ecc.). In una seria ontologia dell'essere sociale questi temi dovrebbero coprire uno spazio pi grande ancora di quello che  stato dedicato a Cartesio, Spinoza, Kant e Nietzsche. Non potendolo fare per ragioni di spazio me ne scuso, ma neppure voglio dimenticare di sottoli- neare la mia opinione cos: la questione dellimperialismo  ancora pi importante della questione del rapporto fra Hegel e Marx, e solo Dio sa quanto importanza io dia al rapporto fra Hegel e Marx! Tutto questo lo dovevo a Lukcs. Detto questo, prima di affrontare il nostro problema centrale, quello della natura dellontologia dell'essere sociale di Lukcs, vo- glio ancora soffermarmi liberamente su due temi importanti e generalmente poco trattati dai commentatori lucacciani, quelli del rapporto rispettivo di Lukcs con Hitler e con Stalin. A proposito di Hitler, Lukcs si muove in direzione opposta al modo in cui i due circhi complementari mediatico ed universitario affrontano il problema di Hitler. Il politicamente corretto di oggi, la cui dittatura corrisponde a tutte le forme pre- cedenti di costrizione ideologica (ma che per la natura fluida del capitalismo pu limitarsi a demonizzazioni e silenziamenti, diffamazioni e ridicolizzazioni, senza bisogno di ricorrere ad artigianali e pittoreschi roghi e tenaglie roventi), non rie- sce a discutere realmente di Hitler, ed oscilla fra la demonizzazione inesplicabile, l'irruzione metafisica del diabolico nella storia, la banalit del male, leccezionali- t espiatorio-religiosa di Auschwitz, la necessit di negare addirittura il legittimo fatto nazionale tedesco per limitarsi ad un impossibile e demenziale patriottismo della costituzione, ecc. Si ha in questo modo una classica rimozione psicoanalitica di Hitler, che viene cos interamente destoricizzato, desocializzato e deculturaliz- zato. Chi pensa in questo modo di poter tenere lontane le giovani generazioni da un nuovo Hitler sappia che con questo insieme di demonizzazione, desocializza- zione, destoricizzazione, deculturalizzazione (insieme ideologicamente necessario 482 La passione durevole per una filosofia dell'emancipazione per costituire la nuova religione atea dellolocausto, la cui funzione  lapologetica indiretta  il termine  lucacciano, e quindi utilizziamolo  del sionismo e del suo garante strategico, l'impero USA e le sue basi militari che costellano il mondo) ot- terr leffetto contrario. Il solo modo di condannare Hitler, che merita ovviamente una condanna senza appello e senza giustificazione ( infatti vero che Auschwitz, pur non essendo affatto stato unico, non consente nessuna giustificazione), con- siste nella sua collocazione storica. In questa ottica deve essere letto il capolavoro di Lukcs La Distruzione della Ragione, che non  affatto una lavagna dei cattivi, e neppure la cucitura storica di una grande narrazione demoniaca, ma  una ri- flessione sulle vicende del razionalismo occidentale. L'ebreo Lukcs non si sogna neppure di scrivere una storia sacra giudeocentrica del Novecento (lespressione giudeocentrica  di Domenico Losurdo). Egli ne scrive una storia culturale, e su questo deve essere giudicato. A proposito della visione del mondo complessiva (Weltanschauung) nazionalso- cialista Lukcs sostiene che essa si basa sul trasferimento alla strada di quanto era stato a lungo soltanto attivit di salotti, caff e studi degli eruditi. E mi sembra proprio che sia cos. Altro che irruzione del demoniaco nella storia, banalit del male ed altre pittoresche sciocchezze! Non  forse vero che oggi salotti, caff, studi degli eruditi teorizzano la necessit storica di un impero americano? E possiamo allora stupirci che negli USA i tifosi mascalzoni dei politici repubblicani inalberi- no cartelli con su scritto Bomb Iran? I Sudeti, che Hitler occup nel 1938, ed in cui c'era uninequivocabile stragrande maggioranza tedesca, sono forse diversi dal Kosovo del 1999, in cui c'era una stragrande maggioranza albanese? Perch porta- re via una provincia alla Cecoslovacchia nel 1938  demoniaco, e portare via una provincia alla Jugoslavia nel 1999  una meritoria difesa dei diritti umani? Il lettore capisce perfettamente che non intendo affatto giustificare Hitler. Tut- to al contrario! Io penso che Hitler debba essere condannato senza appello, ma questa condanna deve essere storica, sociale, filosofica, razionale, e non deve dar luogo a nuove religioni con i rituali ed i pellegrinaggi del caso. Chi vuole condan- nare Hitler legga invece la Distruzione della Ragione, e capir il rapporto fra lelabo- razione di concezioni sofisticate ed il loro trasferimento nella strada. A parte questo, lopera lucacciana  un vero tesoro di stimoli, ed  appunto per questo che oggi  diffamata ed ignorata. Lukcs ha elaborato per il comportamento diffuso degli intellettuali il termine Grand Hotel dellAbisso (Hotel Abgrund), per indicare quegli alberghi di lusso costruiti sulle cascate, in modo che sorseggiando il t ed ascoltando buona musica classica l'ospite potesse dare di tanto in tanto uno sguardo dorrore sul burrone che si apriva sotto il suo sicuro balcone. Si tratta (e non intendo affatto nasconderlo) di uno dei maggiori contributi alla sociologia de- gli intellettuali che sia mai stato scritto. Un'altra categoria lucacciana assai utile  quella di apologia indiretta. Se infatti un sistema sociale appare troppo ingiusto per essere direttamente difendibile, un buon modo per farne lapologia  sostenere che  il meno peggiore possibile. Vediamo oggi, a quarant'anni dalla morte di Lukcs, che il capitalismo imperialistico globalizzato si legittima con la continua 483 CarrroLo XL ed insistita retroazione della condanna del socialismo. E poi c' chi dice che Lukcs sarebbe sorpassato! Allievo di Max Weber, Lukcs non si stanca di ripetere che la tesi fondamenta- le di Weber  quella dellimpossibilit del socialismo, per cui (cito) l'apparente storicit delle considerazioni sociologiche tende  sia pure mai in modo esplicito  a giustificare il capitalismo come sistema necessario e sostanzialmente non pi modificabile, ed a scoprire le pretese contraddizioni economiche e sociali del socia- lismo che ne devono rendere impossibile la realizzazione sia nel campo teorico che nel campo pratico. Non si poteva dire meglio, ed inquadrare meglio il problema. Le osservazioni intelligenti nel campo della storia della filosofia sono innume- revoli. Mi limito a segnalare che Lukcs afferma che lattribuire una mentalit an- tistorica allilluminismo  uninfondata leggenda borghese, perch anzi lillumi- nismo ha a tutti gli effetti scoperto la storia in senso moderno (e richiamo qui le autorevoli opinioni di Cassirer e di Koselleck). Egli afferma anche che Fichte, vo- lendo dedurre lintero mondo della conoscenza dalla dialettica dell'Io e del Non-Io (quella che Kant defin uno scandalo della filosofia) riprende la stessa rigorosa immanenza con cui Spinoza deduceva il suo mondo dallestensione e dal pensiero, e questo rilievo, a mio avviso, consente una rilettura alternativa dell'intera storia della filosofia (come quella che il lettore ha sotto gli occhi). Per finire, Lukcs so- stiene che la lotta di Hegel contro Schelling non deve essere ritenuta un semplice battibecco accademico fra specialisti, ma deve essere ritenuta una lotta fra la co- struzione della dialettica e la fuga da essa nellirrazionalismo. La difesa del razionalismo dialettico in Lukcs deve quindi essere letta come lunico vaccino possibile non solo contro Hitler, ma contro qualsiasi ritorno di Hitler. Com' chiaro, si tratta di una strategia filosofica e culturale opposta a quella dominante oggi, che si fonda sulla tesi irrazionalistica ed antidialettica della de- monicit incomparabile di Hitler, per cui i cosiddetti negazionisti, assimilati ai bestemmiatori medioevali, sono lunica corrente culturale del mondo (occidentale) cui viene negato il diritto di parola, che viene invece consentito a tutti gli altri be- stemmiatori. Naturalmente, so bene che nel chiacchiericcio diffamatorio del Gerede odierno, simili affermazioni vengono subito intese in termini di cripto-nazismo, antisemitismo ed approvazione del negazionismo.  del tutto inutile negare che sia cos. So bene che le kantiane regole della prudenza consigliano di non svegliare il cane che dorme. E tuttavia non si pu fare a meno di ritornare sempre al punto essenziale, che riformuler ancora una volta cos: volete condannare Hitler? Vole- te che in futuro un nuovo Hitler non possa affacciarsi pi nel teatro della storia? Bene, avete ragione, perch quello che ha fatto Hitler  completamente inaccettabi- le e non pu essere in alcun modo giustificato. Auschwitz, ad esempio,  del tutto inaccettabile. Ma sappiate che la strategia irrazionalistica della demonizzazione, della destoricizzazione e della mescolanza fra banalit del male ed irruzione del diabolico nella storia non serve agli scopi che vi proponete. Anzi, il modo ieratico- rituale-religioso che avete scelto  il modo migliore per fare s che quando un nuo- vo Hitler si riaffaccer non potr essere riconosciuto. Solo uno sciocco, infatti, pu 484 La passione durevole per una filosofia dell'emancipazione pensare che si ripresenter eguale a quello precedente, con i baffetti e la stridula pronuncia tedesca. Si ripresenter totalmente diverso, ovviamente, e solo unedu- cazione filosofica razionale e dialettica potr forse permettere di riconoscerlo, e quindi di combatterlo. Persino il medioevale pi scemo sapeva che il diavolo non si presenta mai con il forcone e la coda arricciata. Vogliamo forse essere al di sotto del medioevale pi scemo? Ho riassunto qui non tanto le opinioni specifiche di Lukcs su Hitler (che erano ovviamente pessime), quanto l'approccio razionalistico al problema-Hitler. Esporr ora le mie considerazioni sullapproccio di Lukcs al problema-Stalin. Queste con- siderazioni sono infatti molto pi importanti di quelle svolte in precedenza. L'osti- lit di Lukcs verso Hitler  infatti del tutto evidente, ed  sufficiente sottolinearne l'elemento critico di tipo dialettico-razionalistico. L'approccio di Lukcs verso il problema-Stalin  invece immensamente pi significativo, perch  esemplare di molti approcci, sia di contemporanei sia di pensatori posteriori. Ammetto aperta- mente che il mio personale approccio al problema-Stalin  sostanzialmente simile a quello di Lukcs, e perci prender due piccioni con un fava, perch parler di Lukcs, ma dir anche come io vedo la questione nei suoi tratti essenziali.  stato Lukcs uno stalinista? Bisogna ovviamente intendersi bene sul termi- ne. Se mettiamo nel grande cesto degli stalinisti tutti i comunisti novecenteschi che non hanno rotto politicamente in modo esplicito con il comunismo maggiori- tario ufficiale di Stalin allora s, lo  stato. Ma, appunto, nego che il criterio della rottura esplicita con Stalin sia un parametro storiografico utile. E cos come a pro- posito della collocazione politica di Hegel ho utilizzato in un precedente capitolo un modello spaziale a tre lati (i vecchi ceti di Metternich, la furia del dileguare del contrattualismo rivoluzionario di Rousseau e di Robespierre, ed infine la societ civile che fonda lo Stato dell'economia politica liberale inglese), nello stesso modo utilizzer per Lukcs un modello simile, basato sulle possibilit politiche concrete che aveva Lukcs nel corso della sua vita terrena, e non sulla retrodatazione re- ligiosa che  oggi corrente, retrodatazione basata sulla demonizzazione di Stalin come incarnazione del male assoluto (sia pure un pochino meno di Hitler, perch ha fatto le fosse di Katyn ed il sistema schiavistico dei gulag, ma non ha fatto lim- paragonabile ed eccezionale Auschwitz). Si tratta di un'analisi molto importante, che non riguarda solo Lukcs, ma lintero Novecento politico-filosofico. Lukcs si riconosceva in una filosofia della storia universale basata sull'idea per cui il capitalismo, lungi dall'essere il coronamento razionale della storia univer- sale (Weber), era un momento di passaggio necessario (e cio lhegeliano potere del negativo) verso una societ emancipata, che chiamava comunismo perch cos l'avevano chiamata i suoi due maestri Marx e Lenin ( importante la paroletta due, perch non si pensi che Lukcs sia stato un allievo diretto di Marx). Bene, si tratta esattamente della stessa filosofia della storia che io coltivo, ed ecco perch trovo ridicolo che si possa dire che il pensiero di Marx non  una filosofia della sto- ria, e non la contiene neppure implicitamente. Il fatto che una simile tesi, analoga a quella della terra piatta, venga sostenuta seriamente, pu per me essere spiegato 485 CarrroLo XL soltanto in termini di pressione sociale sugli intellettuali, cui viene ordinato di esse- re moderni, postmoderni, post-metafisici, scientifici e via ordinando. Non  quindi possibile capire Lukcs se non lo si colloca in questo quadro di storia universale. La storia universale, per, pu essere pensata con le categorie astratto-dicoto- miche dell'intelletto (Verstand), oppure con le categorie dialettico-ontologiche della ragione (Vernunft). Se penso la storia universale (e non posso fare a meno di pen- sarla  persino i suoi negatori pi feroci, come i neopositivisti e gli althusseriani, in realt la pensano, ma poich non la tematizzano, finiscono per cadere in forme grottesche come la fine capitalistica della storia, laleatoriet oppure le moltitudini desideranti in lotta con un impero deterritorializzato e privo di Stato-nazione -, e la penso sulla base dell'intelletto (Verstand), non posso fare a meno di pensarla con le categorie aporetiche, dicotomiche ed astratte dell'intelletto, ed allora si scatena un carnevale di contraddizioni logiche e di opposizioni reali. Ma la contraddizione  ontologica, e non  mai solamente logica (ed ecco perch la preferenza di Hegel nei confronti di Kant non  un affare di seminario universitario, ma  una questio- ne che riguarda direttamente ogni uomo, Weltbegriff). Se affronto il problema- Stalin in chiave intellettiva (Verstand) ne risultano un mucchio di conseguenze, fra le quali il fatto che egli non applica Marx e Lenin, e quindi non si comporta come avrebbe dovuto comportarsi se avesse veramente applicato Marx e Lenin. Ma Lukcs cercava di affrontare il problema-Stalin con la ragione dialettica (Vernunft), ed  cos giunto a questa conclusione: in termini di filosofia della storia, il passag- gio dal capitalismo al socialismo  ad un tempo necessario e buono (l'unione di questi due attributi costituisce un concetto, Begriff); e tuttavia questo passaggio non riesce a compiersi secondo le ipotesi di Marx prima e Lenin dopo; bisogna hegelianamente cercare di capire perch non si compie in quel modo, ma in un modo nuovo ed inedito; una volta che lo si sia capito (0 creduto soggettivamente di capire), si pu pensare che si tratti di una deformazione grave, ma correggibile una volta che si sia superata la fase tattica dell'emergenza, per raggiungere una fase strategica in cui il passaggio al socialismo possa essere ripreso su nuove basi. Questo  forse stalinismo? Non lo credo proprio.  forse un errore sulla natura dello stalinismo, ma non  assolutamente stalinismo. Forse che riconoscersi in una filosofia della storia del superamento del capitalismo  stalinismo? Forse che il pensare (magari sbagliandosi  ma  facile dirlo nel 2013 con il noto senno del poi) che lo stalinismo sia solo una malaugurata fase storica immatura desti- nata ad essere superata  stalinismo? Non lo credo proprio. Agnes Heller, che senza essere mai stata una allieva di Lukcs (non condi- videva nulla del progetto dellontologia dell'essere sociale, unico vero testamento di Lukcs, odiava il socialismo reale, ed ha accolto con rauche grida di gioia la restau- razione del capitalismo) ne ha per studiato seriamente la personalit, ed ha a mio avviso risolto brillantemente l'enigma teorico del cosiddetto mistero-Lukcs. La Heller distingue due tipi di marxismo, riferiti al sistema socialista di tipo sovietico- staliniano, il marxismo dottrinario ed il marxismo ideologico. Per dottrinario intende lunica dottrina ufficiale obbligatoria di Stato, per ideologico intende la 486 \ Pali La passione durevole per una filosofia dell'emancipazione libera coltivazione pluralistica delle interpretazioni di Marx. La terminologia  cat- tiva, perch in realt c'era da un lato una dottrina ideologica, e dall'altra una libera coltivazione filosofica, e questa confusione terminologica dice tutto sul livello pe- noso del pensiero della Heller. E tuttavia prendiamo provvisoriamente per buona questa terminologia. Secondo la Heller nel sistema di dominio sovietico tutti i tipi di marxismo ideologico (compreso paradossalmente quello che ritiene che Stalin abbia avuto ragione) sono fuori legge per la semplice ragione che essi implicano il pluralismo per la loro stessa natura ideologica. Ma la stessa esistenza di una ideologia marxista  una sfida al diritto assoluto del sovrano a porsi come il solo interprete autentico della dottrina. Scrive la Hel- ler, e devo ammettere che scrive qualcosa di geniale: Quando accus Lukcs di stalinismo, neppure Deutscher afferr il nocciolo del problema. Lukcs poteva accettare tutte le teorie di Stalin che voleva, ma non poteva egualmente diventare stalinista, per la semplice ragione che praticava un marxismo di tipo ideologico. Il suo marxismo restava comunque illegale, rappresentava una forma di pluralismo, nonostante il contenuto dei suoi scritti. Egli non rinunciava al suo diritto di inter- pretare in modo indipendente la teoria, un diritto che non era affatto garantito. [...] la logica del sistema non poteva tollerare una teoria sociale originale ed indipen- dente, almeno non senza le tendenze eufemisticamente definite amministrative del regime. Per chi conosce la logica riproduttiva di queste fogne a cielo aperto, che mettevano in prigione particolarmente gli oppositori marxisti indipendenti, amministrativo significava nell'ordine richiamo, minaccia, ricatto, licenziamen- to, prigione e morte. Devo ammettere che nonostante la mia irrefrenabile antipatia per la cosiddetta (ed inesistente) scuola di Budapest, che ha usato Lukcs per autosponsorizzarsi nellaccademia occidentale per poi pugnalarlo dopo morto (in pittoresco e sinto- matico parallelismo con ci che Habermas ha fatto con i suoi maestri francofortesi  si tratta evidentemente di un fatto sociale, cio di un rinnegamento funzionale ad un codice d'accesso alla nuova rispettabilit post-comunista), la Heller coglie vera- mente in modo eccellente il nocciolo della questione. Lukcs poteva anche condi- videre quasi tutte le idee di Stalin, ma non poteva per questo diventare stalinista, perch lo stalinismo non consiste in un insieme di libere opinioni, ma in una rinun- cia ad avere opinioni indipendenti. La teoria politica dello stalinismo non pu essere spiegata attraverso Rousseau, Hegel o Marx, ma soltanto attraverso Hobbes, che teorizza il monopolio assoluto del Leviatano statale sullunica religione consentita, non certo perch questa religione fosse quella giusta (Hobbes era totalmente ateo e materialista), ma unicamente perch il solo modo di garantire l'ordine sociale dalle rivolte era la garanzia statale-poliziesca-militare sullunicit della dottrina. E questo Lukcs non poteva garantirlo, perch la sua educazione filosofica hegelo- marxiana non poteva permettergli di rinunciare a pensare. C' qui lo spazio per una ulteriore osservazione. A partire da Thomas Mann, esiste una pittoresca (ed infondata) tradizione che connota Lukcs come il gesuita della rivoluzione. In questo caso, ovviamente, il gesuitismo  usato come metafora 487 CarrroLo XL per indicare i sofistici allineamenti alle giustificazioni del potere, in questo caso quello papale. Ma qui si dimentica che il fondatore dell'ordine dei gesuiti, il basco spagnolo Ignazio di Loyola, aveva teorizzato che bisognava obbedire al papa come un corpo morto (perinde ac cadaver). Ma Lukcs, proprio per le ragioni esposte dalla Heller, non poteva certamente essere un gesuita, in quanto non rinunciava e non poteva non rinunciare a quello che la Heller impropriamente chiama il mar- xismo di tipo ideologico, e cio la libera riflessione indipendente. Quale fosse la natura dello stalinismo, Lukcs l'aveva capito benissimo. In una stupefacente pagina di Pensiero Vissuto, richiesto di dire in che modo era soprav- vissuto agli anni terribili dei processi sovietici 1936-1939, rispose che ci era pro- babilmente dovuto al fatto di vivere a Mosca in una specie di sottoscala, e cio in un alloggio che nessun delatore poteva volere. Se fosse vissuto in una bella villetta con giardino, sarebbe stato arrestato in piena notte, deportato e non sarebbe pro- babilmente sopravvissuto. Una persona che ammette candidamente qualcosa del genere pu restare comunista soltanto se distingue accuratamente la materialit storico-sociale empirica chiamata comunismo (e cio i delatori ed i poliziotti) e lidealit storico-processuale della sua filosofia universalistico-emancipativa della storia.  questa un'ennesima ragione che spinge a ridefinire il rapporto teorico fra materialismo ed idealismo, o per meglio dire fra materialit effettuale e con- giunturale ed il trascendimento di questa materialit in una filosofia idealistica del processo storico. E a questo punto uno si pu definire ed autocertificarsi in termini di materialista a diciotto carati (magari perch non crede in Dio e chiama questo suo privato ateismo materialismo - come faceva Lukcs) ma nessuno pu im- pedirmi di connotare come idealismo (nel senso di Fichte e di Hegel, ma anche addirittura di Platone) la capacit di trascendimento del dato empirico fattuale. Evidentemente per Lukcs il reale non si riduceva al sistema di spionaggio e di assassinio di quegli anni. La storia raccontata da Lukcs sul suo alloggetto-sottoscala che non attirava i delatori apre comunque uno squarcio di interpretazione sulla natura dei gran- di processi degli anni 1936-39. Come nel caso di Hitler, anche in questo caso  comodo spiegare tutto con la follia assassina di Stalin. E tuttavia, secondo la corrente storiografica di Arch Getty e di Ludo Martens (certo minoritaria, ma in casi come questi solo il minoritario  credibile e rilevante, mentre il maggioritario  solo la ricaduta conformistica del politicamente corretto universitario), il periodo dei grandi processi  interpretabile come una gigantesca rivolta plebea contro i privilegi dei burocrati, rivolta plebea che Stalin cavalc per ragioni politiche (pi o meno come fece Mao trent'anni dopo, fra il 1966 ed il 1969, con la mia generazione di maoisti religiosi e sciocchi che pensava si trattasse di un ritorno a Marx  ma Lukacs, che era ancora vivo, vi riconobbe un gi visto e non vi casc), salvo poi a fucilare sia Yagoda che Yezov, i due capi-assassini. Tutto questo viene censurato, perch il politicamente corretto di sinistra non pu ammettere a s stesso che il popolo non  sempre buono, ma talvolta  invidioso, spietato e cattivo. Meglio cullarsi nellillusione per cui il male  sempre fatto da singoli demoniaci e crude- \ 488  / La passione durevole per una filosofia dellemancipazione li (Mussolini, Franco, Hitler, Stalin, Pol Pot, ecc.), esentandone sempre e dovunque i normali capitalisti non-politici. Ma torniamo al quadro storico in cui dovette muoversi Lukcs nella sua vita, applicando il metodo della contestualizzazione gi usato a proposito di Hegel. Solo in questo modo, infatti, potremo pretendere di capire qualcosa su Lukcs ed i suoi tempi. E se vogliamo esaminare alcune possibilit concrete, trascurandone ovviamente altre astrattamente possibili (farsi prete cattolico, convertirsi al sio- nismo ed andare in Palestina e cacciare via gli abitanti dalla loro terra in nome di lontani diritti biblici, diventare bonzo buddista, ecc.), io vedo per Lukcs solo quattro possibilit: ritornare al capitalismo liberale dopo un adeguato pentimen- to, farsi tentare dalla demagogia nazionalsocialista e fascista, scegliere la strada testimoniale del marxismo puro dei consigli, ed infine aderire alla grande eresia trotzkista del tempo.  bene esaminare una per una queste quattro possibilit, in modo sfacciatamente spregiudicato e realistico, per capire come la scelta di con- tinuare ad essere fedele alla sua scelta esistenziale del 1918 non implica affatto nessuno stalinismo. La scelta di tornare a succhiare i capezzoli della grande madre borghese-libe- rale, e quindi capitalistica-imperialistica, dopo il normale sbandamento giovanile comunista,  sempre stata la pi ovvia e convenzionale di tutti, ed  infatti sta- ta la scelta prevalente della grottesca e sciagurata generazione europea detta del Sessantotto (1968). Secondo un vecchio detto (che non si pu pi applicare alle giovani generazioni post-borghesi e new middle-class di oggi, ma implica la persi- stenza della hegeliana coscienza infelice della piccola borghesia classica), chi non  comunista a vent'anni  uno stupido, ma chi lo resta ancora a quarant'anni  ancora pi stupido.  per questo che Lukcs contrapponeva la passione durevole al passaggio ad un diverso campo oppure alla perdita di dedizione in genere. La giovent  pensa- ta come il luogo biologico dell'ideale, e la maturit come il ritorno disincantato al materiale. Max Weber spiegato ai deficienti. Si crede che il comunismo sia la nuova religione di salvezza dell'umanit, poi si incontrano i comunisti veri in carne ed ossa, con inclusa la figura del cinico burocrate, dello straccione invidioso e dellin- tellettuale mediocre per cui tutto diventa ideologia, non perch lo sia, ma per- ch lidiota  incapace di capire larte, la religione, la filosofia e la scienza, e allora sopravviene prima il Dubbio Iperbolico (ma questo comunismo sar mai possibile?) e poi il Disincanto Definitivo (ma certo che  impossibile, e se possibile detestabile, e quindi meglio il capitalismo, prima come male minore, e dopo qualche anno di intrallazzo come bene maggiore). A questo punto il ritorno al capitalismo neoliberale  garantito: il Dio ha fallito, si ritorna al Mondo (e cio ai soldi, oppure alle querimonie contro il totalitarismo in favore della libert). L'idea che un grande filosofo critico come Lukcs potesse seguire questa penosa e ridicola trafila a met fra Aristofane e Alberto Sordi e che l'allievo di Simmel e di Weber potesse comportarsi come Cohn-Bendit o Adriano Sofri  un vero insulto per l'intelligenza. 489 CaprroLo XL La scelta nazionalsocialista e fascista non era solo preclusa a causa della origine ebraica di Lukcs, ma era resa impossibile proprio dai suoi presupposti filosofici. Ho volutamente previsto questa fattispecie a prima vista assurda, perch si tende a rimuovere il fatto che molti convinti comunisti della prima ora (il norvegese Quisling, il francese Doriot, l'italiano Bombacci, e molti comunisti tedeschi) passa- rono al fascismo. E vi passarono per una ragione semplicissima, che la storiografia politicamente corretta di oggi tende a rimuovere, e questa ragione semplicissima sta in ci, che il fascismo era realmente molto pi sociale del normale capitalismo liberale, ed era quindi in grado di lottare contro la disoccupazione ed il parassiti- smo del capitale finanziario molto pi di quanto lo fosse il capitalismo liberale, che dopo il 1929 era invece a tutti gli effetti disoccupazione e parassitismo del capitale finanziario. Lungi infatti dall'essere una dittatura degli elementi pi reazionari del capitale finanziario (come recitava la dilettantesca formula di Dimitrov al VII congresso dell'Internazionale Comunista), il fascismo tedesco era una dittatura del capitale industriale e produttivo, che aveva come base di massa la piccola borghe- sia e come apparato politico di comando il partito nazionalsocialista.  del tutto normale  e quindi niente affatto demoniaco  che quando si riduce in un anno la disoccupazione da sette milioni ad un milione, e quando si mettono in opera le solite strutture sociali del consenso di massa (assistenza pubblica, ostelli della giovent per giovani, ecc.), con correlate forme ideologiche di scarico del normale odio plebeo verso i capri espiatori (ebrei, zingari, malati mentali, improduttivi vari) si possa avere un buon consenso sociale.  questa la ragione per cui gli in- tellettuali di stupidit media (e cio la stragrande maggioranza della categoria) furono tentati dalla demagogia fascista. E persone come Quisling, Doriot, Bom- bacci, Cline, Pound, ecc., ne furono tentati non certo perch fossero peggiori dei neoliberali che scappavano a servire gli interessi imperiali di Londra e di New York, ma perch la loro socialit non si radicava  come nel caso di Lukcs  in una filosofia universalistica della storia.  questo il cuore della questione, che n i neoliberali n i comunisti ortodossi potranno mai capire (e neppure i fascisti in buona fede). Vedere fra il 1933 ed il 1945 il fascismo come la terza via fra il capitalismo liberale imperialistico (pen- siamo allorrido colonialismo inglese in India, ed allaltrettanto orrido colonialismo francese in Indocina) ed il dispotismo staliniano non era per nulla l'irruzione del demoniaco nella storia o la banalit del male, ma era una tentazione del tutto com- prensibile. Il fascismo era infatti non solo pi sociale del capitalismo liberale, ma anche meno soffocante e dispotico dello stalinismo (non parlo ovviamente dei crimini di guerra 1939-1945, ma del fascismo 1933-1939). Solo in Spagna (guerra civile spagnola 1936-1939) il fascismo era a tutti gli effetti tradizionalismo reazio- nario puro. In Germania non lo era, e neppure nella trasformistica Italietta lo era. Ci che era propriamente insopportabile nel fascismo era la sua ostentata e pro- vocatoria non-universalit. Coltivava il razzismo biologico, e si trattava di un deli- rio positivistico che attirava medici ed igienisti vari, ma non poteva che ripugnare a persone educate nella concezione universalistica di Spinoza, Hegel e Marx (non 490 La passione durevole per una filosofia dell'emancipazione parlo qui del cosiddetto neo-hegelismo fascista, che  un semplice culto veteroli- berale dello Stato colonialista ed imperialista, che chiamava etico il colonialismo ed il razzismo mussoliniano). Parlava della nazione, e schiacciava le nazioni de- gli altri, mandando la plebe in divisa a massacrare gli arabi della Cirenaica e gli eroici combattenti etiopici del 1935-1941. Forse che la Libia e l'Etiopia non avrebbe- ro avuto il diritto di essere anche loro nazioni come lItalia? Chi  stato realmente educato allumanesimo di Kant, di Hegel e di Marx (non parlo ovviamente dei neokantismi e dei neohegelismi universitari) non poteva accettare questa doppia morale e questo doppio registro. Ed  questa la ragione per cui possiamo ipotizza- re che gli ex-socialisti aderenti al fascismo e poi al nazionalsocialismo (Mussolini sopra tutti) fossero persone il cui legittimo odio sociale verso il capitalismo libe- rale e verso il dispotismo staliniano non era nutrito dallumanesimo universalista. Conclusione: il solo reale antidoto alla tentazione fascista, comunque si ripresenti ed in qualunque modo si travesta (certo,  improbabile che si ripresenti con saluti romani e camicie nere o brune),  il razionalismo universalistico. L'essere sociali, di per s, non solo non  una vaccinazione, ma pu addirittura essere un fattore di adesione. Soltanto lumanesimo universalistico  realmente un fattore strategico di dissuasione. e Vi era una terza possibilit per tutti coloro che, delusi della realizzazione sta- linista e della soffocante organizzazione di partito leninista, che chiedeva pur sem- pre un sacrificio dell'autonomia assoluta del giudizio filosofico compatibilizzato coni vincoli della formazione ideologica di appartenenza politico-identitaria, con- tinuavano ad identificarsi con il pensiero di Marx e con il marxismo. Si trattava del cosiddetto minoritarismo testimoniale del cosiddetto comunismo dei consigli (Ritekommunismus), la corrente che fino al 1918 aveva rifiutato la concezione lenini- sta del partito (Gorter), ed aveva quindi rifiutato di aderire alla Terza Internazionale Comunista. Non si pu negare che costoro, ritenuti eretici marxisti, fossero para- dossalmente dei fondamentalisti ortodossi marxiani. Essi rifiutarono il modello leninista, ritenendo che la struttura inevitabilmente burocratica dellorganizzazio- ne comunista, una volta preso il potere ed avviato un processo di accumulazione primitiva socialista non avrebbero potuto fare altro che costruire un capitalismo di Stato, in cui le categorie del rapporto sociale di capitale sarebbero state con- servate, in una forma semplicemente statalizzata. In questo modo essi da un lato riprendevano le vecchie critiche di Marx a Lassalle (ma anche in parte le vecchie critiche di Bakunin a Marx), e dall'altro anticipavano di quarant'anni le critiche del gruppo Socialisme ou Barbarie (Castoriadis, Lyotard, ecc.). Si tratta appunto di un gauchisme ante litteram. Questa corrente, inevitabilmente testimoniale nella sua ortodossia marxiana in- tegrale (dove hanno vinto, infatti, sia pure provvisoriamente come ora sappiamo, gli operai hanno vinto con il partito e con lo Stato, e non certo con gli inattuabili, confusionari ed inefficienti consigli di base  i consigli infatti, soviet, sono serviti per rompere in modo rivoluzionario lo Stato capitalista, ma non hanno mai potuto gestire nulla, replicando la frammentazione produttiva tipica dello Stato capi- 491 CarrroLo XL talistico stesso) non poteva che fare del minoritarismo la propria bandiera. Eppu- re questa corrente espresse almeno due marxisti novecenteschi di primo livello, l'olandese Anton Pannekoek ed il tedesco Karl Korsch. I contributi teorici da loro apportati al pensiero critico non sono stati a mio avviso inferiori a quelli portati da Adorno o da Gramsci, ed il fatto che siano meno conosciuti  dovuto soltanto alla pigrizia della casta intellettuale, che segue le mode e seppellisce non solo chi  morto, ma chi sarebbe ancora vivo ma non pi di moda. In Marxismo e Filosofia, opera del 1923, in mezzo ad osservazioni molto intelligenti (ma anche in mezzo ad estremistiche sciocchezze, come quella per cui per ora la filosofia  ancora utile  a differenza di come pensa Bucharin  ma quando sar realizzato il comunismo esprimer solo il punto di vista superato di un passato ancora immerso nelligno- ranza, sic!), Korsch rileva lovviet, che era per allora una vera e propria bestem- mia, per cui si deve considerare tendenza fondamentale della filosofia borghese non quella che si ispira ad una concezione idealistica, ma quella che si ispira ad una concezione materialistica influenzata dalle scienze naturali. Questa assoluta ovviet fu scritta, stampata, diffusa e discussa nel 1923, ed  al- lora evidente che laverla respinta pu soltanto essere spiegato come un fatto socia- le, e non solo come un'idiozia estremistica di recensori e di burocrati dell'ideologia. Fin dal 1923 Korsch insiste sul fatto che quella di Marx  una critica, e non una scienza positiva, e nello stesso tempo il bel libro di Emmanuel Renault, stampato in Francia nel 1995, e che sostiene la stessa identica tesi di Korsch, non porta neppu- re il nome di Korsch nei riferimenti bibliografici. Il fatto che la storia del marxismo, pur perfettamente ricostruibile, sia costellata da queste incredibili dimenticanze, fa pensare che i giochi di oblii e riscoperte siano spiegabili unicamente con moti- vazioni esternistiche di clima politico. Per quanto riguarda Pannekoek, il suo libro sulla filosofia di Lenin  a mio avviso un classico assoluto, perch spiega in modo chiaro che il materialismo di Lenin  un materialismo di tipo francese sette- centesco, completamente premarxiano, e corrisponde a bisogni di lotta ideologica tipici non dei momenti avanzati della storia del capitalismo, ma di una situazione arretrata di necessaria lotta contro la simbiosi di dispotismo zarista semifeudale e di sacralizzazione di questo dispotismo da parte della chiesa ortodossa russa. Lukacs non volle scegliere la via dellautoemarginazione testimoniale, che considerava una forma di manifestazione della figura morale (morale, non etica) dellanima bella. Pur stimando Korsch, che abbandon il movimento comunista organizzato nel 1926 (e mor poi negli USA nel 1961), egli scrisse ripetutamente che non aveva voluto finire emarginato come Korsch, ma aveva voluto poter parte- cipare in forma organizzata alla lotta contro il fascismo tedesco. Personalmente, rispetto pienamente questa scelta, e non ha alcun senso dire che la si condivide o meno, perch viviamo in un diverso periodo storico in cui questi dilemmi non si pongono pi. Oggi essere considerati come rinnegati dalle bande di ridicoli pa- gliacci dei residui partitini politicamente corretti della cosiddetta sinistra radica- le (sic!)  ad un tempo onorevole e del tutto irrilevante, mentre allora le cose stava- no diversamente, dal momento che si era ancora vicini al grande evento esplosivo 492 DI La passione durevole per una filosofia dell'emancipazione della rivoluzione russa del 1917. Detto questo, poich fra non molto sar passato un secolo da questi eventi, possiamo ora rispettare sia la scelta di Lukcs di restare interno al movimento comunista sia la scelta di Korsch di restarne esterno, con la conseguenza inevitabile di essere connotato come traditore, rinnegato e nemico del popolo. Nellessenziale, la filosofia di Korsch pu essere connotata come una forma di marxismo dellempirico. Erroneamente indicato da alcuni frettolosi commentatori come hegeliano, il marxismo di Korsch  in realt una forma di positivismo empi- ristico quasi popperiano. Korsch parte dal fatto che il marxismo pu essere ve- rificato soltanto dalla constatazione della capacit attuale della classe operaia, salariata e proletaria di agire in modo rivoluzionario senza mediazioni partitiche, e considera falsificata questa ipotesi marxiana dalla constatazione che nei fatti in URSS c' Stalin, in Germania c' Hitler, e negli USA c' Roosevelt. Gli operai non ci sono da nessuna parte. Questo gioco di verificazioni e di falsificazioni, a mio av- viso,  figlio delle correnti neopositivistiche di Vienna e di Berlino, e non esprime in alcun modo un rinnovamento hegeliano del marxismo. Pi di trent'anni dopo, ma con una volgarit teorica imparagonabile con la nobilt classica di Korsch, la scuola marxista italiana impropriamente autodefinitasi come operaismo riprese in modo pressoch integrale l'apparato concettuale di Korsch, identificando la ca- pacit rivoluzionaria con l'attualit dei movimenti autonomi della classe operaia di fabbrica. E tuttavia, come ho detto, vi  un abisso fra Korsch e gli operaisti, perch Korsch teneva fermo il carattere totale ed integrale della capacit rivoluzio- naria del proletariato, mentre gli operaisti effettuano una tragicomica riduzione del concetto marxiano (e koschano) di rapporti sociali di produzione complessivi a semplici rapporti di fabbrica (e di fabbrica fordista per di pi) fra innovazione tecnologica capitalistica e resistenza operaia allestorsione di pluavalore relativo attraverso il casino sindacale ed il sabotaggio.  proprio il caso di dire che certe volte un fenomeno si presenta prima come tragedia, e la seconda volta come farsa. L'operaismo, a mio avviso, pu essere interpretato come una riproposizione farse- sca del nobile (e completamente errato) pensiero di Korsch. Se il pensiero di Korsch pu essere interpretato in termini di marxismo dellem- pirico di origine neopositivistica, la grande eresia di Trotzky pu essere interpretata come il punto massimo del marxismo dell'intelletto astratto (Verstand). Da un punto di vista formalistico astratto, infatti, non c' dubbio che il trotzkismo sia molto pi ortodosso dello stalinismo, e questo spiega perch il trotzkismo sia politicamen- te una minoranza organizzata che si riproduce incessantemente, e tuttora  presen- te in Europa, in America Latina e nel mondo intero. Il pensiero marxiano propria- mente detto, pur essendo sempre rimasto incompiuto come il Torso del Belvedere di Michelangelo, non poteva certamente prevedere quello che poi  successo nel Novecento. Non poteva prevedere che le classi operaie dei paesi capitalistici avan- zati sarebbero state integrate in modo subalterno e pittoresco attraverso i due pro- cessi di economicizzazione sindacalistico-politica del conflitto (Bauman) e della nazionalizzazione imperialistica delle masse (Mosse). Non poteva prevedere che, 493 CaprroLo XL a causa di questa integrazione, i proletari di tutto il mondo non si sarebbero affatto uniti (almeno per ora), ma si sarebbero vicendevolmente massacrati al servizio dei profitti imperialistici. Non poteva prevedere che la rivoluzione non avrebbe avuto luogo nei punti alti della produzione capitalistica, ma nel principale anello debo- le della catena mondiale imperialistica. Non poteva prevedere che, in mancanza di questa rivoluzione, sarebbe stato necessario intraprendere la costruzione di un modello socialista in un solo paese. Non poteva prevedere che questa costruzione avrebbe necessariamente implicato la formazione di strutture politico-burocrati- che di tipo dispotico, e che ogni progetto di esportazione della rivoluzione in altri paesi sarebbe stata resa impossibile da ragioni di tipo diplomatico (alleanze fra Stati capitalisti), militare (bomba atomica), sociale (formazione di ceti medi non interessati al socialismo ma anzi ostili ad esso), ecc. Dal momento che il canone trotzkista  un canone ortodosso (in quanto deriva da un'interpretazione estremistica di sinistra del marxismo della Seconda inter- nazionale 1889-1914), un canone testimoniale (in quanto testimonia la permanenza infinita nel tempo di un modello del tutto inapplicabile, ma anche morale, in quanto non si  sporcato le mani con la bassa realt fangosa della storia), e so- prattutto un canone dell'intelletto astratto (Verstand) e non della ragione concreta (Vernunft),  inevitabile che esso si scinda continuamente in scissioni ripetute ed ossessive, che hanno caratterizzato, caratterizzano, e certamente caratterizzeranno in futuro, il movimento trotzkista. La scissione caratterizza infatti il mondo dellin- telletto astratto (Verstand), perch per sua propria natura l'intelletto astratto si nu- tre di astrazioni isolate e non dialetticamente correlate. Non  un caso, infatti, che il movimento trotzkista abbia prodotto buoni storici, ma quasi nessun filosofo, in quanto per sua natura il trotzkismo rifiuta di stabilire un rapporto teorico forte fra il proprio modello astratto di storia e la storia reale. Astrattamente, infatti, la classe operaia non dovrebbe produrre una burocrazia, dovrebbe sempre agire in modo rivoluzionario (e se non lo fa - come ovviamente non si sogna affatto di fare  la colpa  delle sue direzioni politiche burocratizzate), dovrebbe rifiutare di fare il socialismo in un solo paese, dovrebbe perseguire una rivoluzione permanente, ecc., tutte determinazioni dell'intelletto astratto (Verstand), e non certamente di un corretto uso della ragione dialettica (Vernunft). Lukcs respinse quindi sia la versione empiristico-neopositivista di Korsch sia la versione astratto-intellettualistica di Trotzky non certo perch era stalinista, dal momento che  come ha correttamente rilevato Agnes Heller - non poteva essere stalinista in quanto praticava un libero marxismo di tipo ideologico e non dot- trinario (la terminologia  scorretta, ma il concetto  chiaro), ma perch seguiva una sua autonoma linea di pensiero. Nel 1956 si prest a far parte delleffimero governo Nagy, ma il suo realismo lo port a votare contro lirresponsabile rottura del patto di Varsavia, mostrando ancora una volta che un pensiero filosofico vera- mente profondo non  affatto incompatibile (tutto al contrario!) con la capacit di realismo politico. Gi nel 1929 (cfr. Tesi di Blum) Lukcs aveva preceduto di alcuni anni la linea politica antifascista dei fronti popolari, accettata solo nel 1934, e per 494 gl La passione durevole per una filosofia dell'emancipazione questa sua preveggenza fu espulso dall'attivit politica e dovette (ma fu una fortuna per l'umanit) limitarsi a studiare le questioni teoriche (che sono per definizio- ne inutili ed irrilevanti per i bestioni burocratici che si vantano sempre di essere pratici, e la cui praticit conduce sistematicamente la causa del comunismo alla rovina!). Nel 1949 Lukcs cerc di opporsi alla deriva estremistica del governo del comunista ungherese Rakosi, e per questo fu emarginato, cacciato e punito. Nel 1957 gli fu proposto di testimoniare contro Nagy, di cui pure aveva disapprovato i comportamenti, e lui rispose che lo avrebbe fatto solo se Nagy avesse passeggiato libero per le strade di Budapest (Nagy fu invece fucilato lanno dopo ed il suo ca- davere fu gettato in una fossa comune). A mio avviso, il rifiuto di collaborare al ri- tuale dei processi comunisti dellepoca equivale alla scrittura di quellEtica che non scrisse mai. Che cos' infatti l'etica? L'etica  il rifiuto di collaborare alliniquit, o se si vuole il rifiuto di collaborare alla propria stessa alienazione (ich mache meine eigene Entrfremdung nicht mehr mit). Il lettore avr notato che giriamo, giriamo, ma torniamo sempre allo stesso punto. Possiamo ora stringere finalmente la discussione, e concludere sia tutti questi quaranta capitoli sia questo quarantesimo ed ultimo. Si tratta, infatti, non certo di analizzare ulteriormente li progetto ontologico lucacciano, in quanto entrambe le versioni date in piena e totale solitudine dall'ultimo Lukcs (lOntologia propria- mente detta in due volumi ed i Prolegomeni in un unico volume) non sono esposte in modo rigoroso. Si tratta invece di congedarsi dal lettore dandone un'interpreta- zione generale convincente, e per questo torneremo ad alcune considerazioni gi proposte nel Prologo e nellIntroduzione. Mi sembra giusto che un testo filosofico torni alla fine al punto di partenza, arricchite per dalle considerazioni svolte nel corso dellopera. Era questo il metodo di Hegel, un metodo insuperabile cui esser- gli per sempre grati. In estrema sintesi, il progetto di ontologia dell'essere sociale dell'ultimo ina (progetto aperto ed ancora incompiuto, e quindi da non identificarsi con i due libri editi intitolati Ontologia e Prolegomeni)  caratterizzato da una rifondazione della filosofia che si ispira alla filosofia comunista della storia derivata da Marx (il termi- ne che si ispira a Marx deve essere preferito al termine marxismo, che segnala soltanto una successione di formazioni ideologiche, quasi tutte irrecuperabili e da archiviare nella storia del pensiero del passato). Questa rifondazione si caratterizza per un consapevole reinserimento di questo progetto nella tradizione classica del pen- siero occidentale (e per tradizione classica intendo la tradizione che va da Aristo- tele a Hegel passando per Spinoza), e questo reinserimento avviene passando per una autocritica radicale dei precedenti modelli marxisti di tipo deterministico- positivistico, da Kautsky a Stalin, e soprattutto di tipo estremistico-messianico- utopistico. In altre parole, il reinserimento nella tradizione classica passa necessariamen- te attraverso lautocritica consapevole della propria (storicamente inevitabile, in quanto sorta come effetto ideologico necessaria della rottura rivoluzionaria del 1917) autocoscienza precedente di tipo messianico, utopistico, prometeico e teleo- 495 CaprroLo XL logico. Ad un marxismo soteriologico di tipo paolino  necessario contrapporre un marxismo sobrio, ispirato a Spinoza ed a Hegel. Questa operazione non pu essere condotta a termine con semplici mezzi filolo- gico-universitari, per il semplice fatto che dentro Marx, e non solo dentro la lettera, ma anche dentro lo spirito, coesistono contraddittoriamente statuti teorici diversi, si intrecciano insieme una scienza filosofica della totalit espressiva ed una scienza non-filosofica delle strutture dei modi di produzione sociali, si accavallano cate- gorie ispirate alla possibilit ontologica senza necessit (dynamei on) a categorie ispirate alla categoria apodittico-previsionale di necessit storica, ed in definitiva non possiamo trovare una esposizione sistematica delle categorie caratterizzate dall'unit ontologica di pensiero e di essere che secondo lo Hegel della prefazione alla Fenomenologia dello Spirito era la precondizione per il passaggio dalla filosofia alla vera e propria scienza filosofica. Non possiamo quindi ritornare semplicemen- te a Marx, e quindi possiamo escludere che il progetto di ontologia dell'essere sociale sia un progetto definibile come ritorno a Marx, e tantomeno come un ritorno al vero Marx. Il vero Marx  una postulazione religiosa, del tipo del ritorno al vero Ges, al vero Maometto, al vero Budda. Non esiste il vero Marx, perch la verit non  mai un accertamento filologico, ma  sempre un processo storico. Essa connota certamente ci che , ed  eternamente, ma per coglierlo siamo costretti a passare necessariamente per il nostro tempo appreso nel pensiero. Il nostro tempo non  pi quello di Hegel (1790-1830), non  pi quello di Marx (1840-1880), non  pi quello di Lukcs (1910-1970), e fra qualche anno e decennio non sar pi il mio tempo, in cui sto pensando e scrivendo. Questo non comporta affatto il cosiddetto relativismo, e neppure la cosiddetta incommensurabilit delle filosofie (secondo il modello esposto da Thomas Khun in epistemologia e da Richard Rorty nella filosofia vera e propria). Questo comporta unicamente la determinazione storica della verit nel tempo, in cui il termine verit indica l'infinito e l'assoluto, ed il termine determinazione storica indica il finito. L'infinito ed il finito non sono quindi contrari antinomici, ma opposti in correlazione essenziale. Analizziamo ora separatamente (ma  una pura astrazione scolastica, dal momento che si tratta di un processo unitario) il momento del reinserimento consapevole nella tradizione classica del pensiero occidentale ed il momento del superamento autocritico delle versioni estremistiche, messianiche e prometeiche del marxismo. La ragione per cui Lukcs ha saputo fare questo  molto semplice: negli anni venti egli era stato colui che aveva portato al massimo grado sistemico questa tentazione messianico- estremistica, ed  appunto perch la conosceva perfettamente, avendola elaborata lui stesso, era in grado di superarla nel senso hegeliano del termine. A costo di ripetere per l'ennesima volta cose gi ripetutamente dette if prece- denza (ma  meglio ripetere dieci volte la stessa cosa piuttosto che rischiare che non venga capita perch troppo straniante rispetto ad abitudini che rifiutano anche solo la possibilit di un radicale riorientamento gestaltico), bisogna risotto- lineare che il progetto ontologico di Lukcs non ha nulla, ma proprio nulla a che vedere con tutte le impostazioni classiche che ci consegna la storia del marxismo. 496 La passione durevole per una filosofia dell'emancipazione I soli pensatori importanti che considero parzialmente compatibili con Lukcs sono Antonio Gramsci e Karel Kosk. E ripetiamo ancora una volta queste incom- patibilit. Qualcuno ha scritto: Mi ripeter fino a che non sar capito. Ebbene, mi ispiro a questo aureo detto. Il progetto di ontologia dell'essere sociale  incompatibile con la filosofia che ha ispiratola prima formazione ideologica marxista del ventennio 1875-1895. Questa filosofia, di impronta positivistica, basata su una concezione neokantiana di rispec- chiamento di un oggetto esterno della conoscenza (Lange) e su di una concezio- ne classificatoria della storia della filosofia occidentale basata su di una contrap- posizione fra idealisti antiscientifici e positivisti scientifici (Laas), si ispirava alla concezione della necessit previsionale delle leggi scientifiche dell'evoluzione sociale (Engels, e poi Kautsky). La categoria di necessit era quindi fusa con una filosofia necessitaristica della storia, al punto da ispirare una definizione di libert come coscienza integrale della necessit (Plechanov). I tentativi di opporsi a questa concezione, prevalentemente ispirati all'insegnamento di Henri Bergson (Georges Sorel ed altri) non riuscirono a coagularsi in un sistema coerente, e questo fatto pu essere spiegato soltanto attraverso una deduzione sociale delle categorie: la classe operaia sublimava la propria palese impotenza storica complessiva in una teoria religiosa dell'evoluzione necessaria dal capitalismo al socialismo, ed il marxismo di Kautsky funzionava cos da messa della domenica che santificava le attivit feriali di tipo riformistico (Matthyas). Il progetto di ontologia dell'essere sociale  incompatibile con qualunque forma di materialismo dialettico, non importa se engelsiana, leniniana o staliniana. Nono- stante l'accettazione (che ritengo errata) da parte di Lukdcs della teoria engelsia- no-leniniana del rispecchiamento (Widerspiegelung), che a mio avviso funziona (ammesso che funzioni) soltanto per quanto riguarda la ricerca nel campo delle scienze naturali (Geymonat), ma certamente non funziona nel mondo sociale ca- ratterizzato dalla prassi attiva di trasformazione dei soggetti individuali e sociali, egli respinge la naturalizzazione teleologica della dialettica, le tre cosiddette (ed inesistenti) leggi della dialettica, ed in questo modo respinge in toto il materia- lismo dialettico (Diamat). Possiamo notare che forse  sempre stato troppo timido ed incerto nel respingerlo con il disprezzo e la radicalit che questa buffonata filo- sofica meritava, ma  bene notare che egli visse in tempi oscuri (il termine  di Bertolt Brecht), in cui i dissidenti potevano essere arrestati ed uccisi. Appare inoltre chiaro che il Diamat come filosofia era pessimo, ma come ideologia era stupendo e performativo, perch avallava con la sua teoria naturalistico-positivistica la prete- sa della direzione politica staliniana di essere coerente con le leggi della storia. Il progetto di ontologia dell'essere sociale  incompatibile con qualunque forma di realizzazione integrale della filosofia nella storia, per cui la filosofia sarebbe una forma di coscienza temporanea, e temporanea perch alienata, della coscienza sociale degli agenti storici. Questa concezione messianico-religiosa della realizza- zione integrale della filosofia nel comunismo, e quindi nel comunismo inteso come fine della storia,  stata sostenuta da pensatori onesti e rivoluzionari (ad 497 CarrroLo XL esempio dal francese Henri Lefebvre, che ho avuto l'onore di conoscere personal- mente), ma resta inaccettabile e radicalmente sbagliata. La filosofia, come del resto larte, la religione e la scienza, tutte radicate nella vita quotidiana degli uomini in societ ed in comunit,  una forma di coscienza e di attivit permanente. Fa parte della condizione umana in quanto tale, e caratterizza luomo come animale contraddistinto dal lavoro, dal linguaggio, ed infine dalla consapevolezza antici- pata della propria sicura morte individuale, che per ci stesso lo spinge a dare un significato (o anche solo a cercarlo, e addirittura paradossalmente a negarlo) al segmento temporalmente limitato della propria esistenza. Non esiste quindi, e non pu esistere, una fine della filosofia attraverso la sua presunta realizzazione. La sua realizzazione, infatti,  infinita, mentre il massimo di comunismo cui possiamo aspirare  un comunismo della finitudine, come si esprime opportunamente il grande marxista francese Andr Tosel. Il progetto di ontologia dell'essere sociale  incompatibile con qualunque forma di verificazione e/o falsificazione storico-empirica, per cui viene data alla classe ope- raia di fabbrica una sorta di data ultimativa di scadenza per la sua attesa rivo- luzione sociale totale, pena l'annuncio disincantato di morte del marxismo per incapacit manifesta del soggetto che dovrebbe esserne il portatore. Tralasciando tutta la pittoresca banda neoliberale, il rappresentante marxista maggiore di que- sta concezione  stato Karl Korsch (considero gli operaisti italiani soltanto unap- pendice sociologica filosoficamente irrilevante). Ma la verit del marxismo (o se si vuole per i suoi oppositori la sua falsit) non pu essere oggetto di verificazione e/o falsificazione storica. Soltanto il certo, l'esatto ed il veridico sono oggetto di falsificazione, perch dispongono di parametri e di protocolli appositi. La verit del marxismo (ammesso ovviamente che sia vero come io ritengo) non ha date empiriche di scadenza. Le avrebbe se il suo fondamento ontologico fosse la capa- cit misurabile della classe operaia e di fabbrica. In questo caso, il marxismo si potrebbe falsificare per manifesta incapacit rivoluzionaria intermodale. Ma la classe operaia, salariata e proletaria  solo una parte di un possibile (dynamei on) insieme plurale di soggetti collettivi e comunitari, a pari grado con i contadini, i popoli oppressi, le nazioni minacciate dal furore imperiale, i lavoratori flessibili e precari dell'odierna globalizzazione neoliberale, ed in pi i soggetti sociologico- politici nuovi che per il momento non possiamo neppure immaginare, ma che sa- ranno certamente visibili nel 2050, 2100 o 2150. Korsch  stato un grande pensatore, ma  stato anche influenzato dalla corrente antifilosofica del neopositivismo logico di Vienna e di Berlino (poi ampiamente emigrata in USA e in Gran Bretagna). Questa scuola si basa sullassprbimento della categoria ontologica hegelo-marxiana di verit nelle strutture di crtificazione e/o falsificazione delle scienze naturali. In proposito Karl Popper, che si vantava di es- sere il seppellitore del neopositivismo, per aver compiuto lirrilevante passaggio dallirrilevante verificazionismo allirrilevante falsificazionismo (li chiamo irrile- vanti perch sono certamente rilevanti per lepistemologia delle scienze naturali, ma sono del tutto irrilevanti per la conoscenza filosofica propriamente detta),  498 La passione durevole per una filosofia dell'emancipazione stato in realt il culmine del (l'irrilevante) neopositivismo. Ma qui Korsch  caduto vittima della pressione sociale del tempo, per cui tutti si affrettavano a giurare di non voler aver nulla a che fare con la filosofia per la filosofia (Lwith), con la metafisica (orrore! orrore!) e con il punto di vista superato di un passato ancora immerso nellign ranza (Korsch, ecc.). La filosofia di Marx, ammesso che abbia un soggetto portatore (e ce lha), ha come soggetto di riferimento l'ente naturale ge- nerico umano (Gattungswesen) che non fa n l'operaio, n il contadino, n il medico, n l'ingegnere, che non  n uomo, n donna, n gay, che non  caratterizzato dal colore della pelle o da un riferimento etnico o religioso privilegiato, che non  n occidentale, n orientale, n nordista n sudista, ma che pu essere o fare tutte que- ste cose. Si possono falsificare i contadini in India, gli operai in Francia, i tecnici in Svezia, ecc., ma non si falsifica lunit di teoria economica del valore e della filo- sofia dellalienazione. L'accettazione neopositivistica (erroneamente scambiata per hegeliana persino dall'amico di Korsch, Bertolt Brecht) della data di scadenza della falsificazione di Marx da parte di Korsch ci mostra le conseguenze di queste sociologismo rivoluzionario. Il marxismo si identifica con un certo ciclo storico di lotte operaie, poi queste lotte operaie sono sconfitte, o semplicemente rifluiscono, e si trovano subito degli ingenui a proclamare solennemente che il marxismo  morto, lunico mondo possibile  il liberalismo imperialistico, sono finite le gran- di narrazioni, e la sola cosa che c' rimasta  il bombardamento degli Stati-canaglia (rouge states) per affermare i diritti umani a geometria variabile con missili USA a puntamento rapido. Il progetto di ontologia dell'essere sociale  incompatibile con qualunque ripropo- sizione di un modello utopico-messianico di marxismo, non importa come argo- mentato o variamente secolarizzato. Le ragioni di queste riproposizioni possono essere le migliori di questo mondo, come ad esempio la distinzione di Ernst Bloch fra corrente fredda e corrente calda del marxismo. Alla corrente fredda, evoluzionisti- ca, positivistica, scientista, deterministica, meccanicistica, ecc., Bloch contrappone la corrente calda, che recupera sia la tradizione del giusnaturalismo rivoluziona- ria settecentesca, sia la tradizione biblico-messianica. Il pensiero di Marx, tuttavia, non  una vasca da bagno con due rubinetti, uno dacqua fredda ed uno dacqua calda. L'acqua calda scotta, e lacqua fredda gela.  noto che si apre un po' l'uno e un po' laltro, alla fine lacqua tiepida non  pi n fredda n calda, e per questo  gradevole.  del tutto normale che Bloch abbia voluto contrapporsi al cosiddetto marxi- smo ufficiale dottrinario, qualificandolo come freddo. Ma il suo rimedio  peg- giore del male. Il marxismo non pu sopportare dosi da cavallo di messianismo religioso imperfettamente secolarizzato. Naturalmente, Bloch non ha tutti i torti.  vero che esiste una sinistra aristotelica di tipo averroista, e che Avicenna e Maimonide sono fonti del pensiero comunista non inferiori a nessun'altra.  vero che esiste un Experimentum Mundi, e che la stessa ontologia non  ancora del tutto compiuta, terminata e realizzata.  vero che Lenin, parlando delle tre fonti e tre parti integranti del marxismo (economia politica inglese, filosofia classica tedesca 499 CariroLo XL e socialismo politico francese) ha dimenticato altre due fonti del tutto legittime, il diritto naturale rivoluzionario e l'impulso messianico-religioso a ribellarsi con- tro l'ingiustizia. Tutto questo  vero, purch non si dimentichi che il messianismo escatologico pu essere certamente un fattore ideologico positivo in una concreta situazione sociale (Miinzer nel 1525, rivoluzione iraniana nel 1979, ecc.), e questo  molto buono, ma resta profondamente sbagliata la scelta di dare al pensiero di Marx un fondamento religioso e messianico. Non si tratta certamente soltanto di non cadere nelle critiche alla Weber o alla Lwith. Qualsiasi cosa facesse il marxismo, Weber e Lwith lo criticherebbero lo stesso, perch dietro alla loro critica teorica alla secolarizzazione messianica ci sarebbe sempre e soltanto il rifiuto politico del comunismo e l'accettazione stra- tegica del capitalismo. Si tratta di una necessit interna allo statuto dellontologia dell'essere sociale, che prescinde del tutto dalle cosiddette critiche esterne. L'on- tologia dell'essere sociale  incompatibile con uno statuto messianico del marxismo. Se si crede di curare la corrente fredda con la corrente calda, ebbene pu soltanto trattarsi di una cura temporanea e sintomatica, come il mettere in un bel bagno caldo un naufrago rimasto a lungo in acque fredde. Ma il pensiero di Marx non pu essere un messianesimo. Sul messianesimo credo che abbia sostanzialmente ragione Max Weber: l'annuncio messianico caratterizza tutte indistintamente le re- ligioni occidentali (e quindi anche la religione comunista di Marx, nel momento in cui essa incontra le speranze sociali di emancipazione di massa), ma nello stesso tempo esso non pu essere che temporaneo, per il semplice fatto che  socialmente ed ontologicamente del tutto impossibile, e deve quindi razionalizzarsi in una forma di vita quotidiana e comunitaria consolidata e diffusa.  questa mancata ra- zionalizzazione che ha ucciso il comunismo dopo pi di settant'anni, non certo la mancata realizzazione messianica (Bloch), e neppure quella versione pallida e moderata della mancata realizzazione messianica che  il rifluire dei gruppi-in-fu- sione dotati di finalit-progetto nella serialit cosiddetta pratico-inerte (Sartre). Il progetto di ontologia dell'essere sociale  incompatibile con qualunque ripropo- sizione di un marxismo puramente scientifico, di-un scientificit indifferente- mente galileiana (il modello previsionale della scienza della natura) oppure webe- riana (la scienza priva di giudizi di valore etico-politici). Lukcs era troppo vecchio e impegnato nel suo lavoro per perdere tempo con le nuove versioni di questa testardaggine scientista (Galvano Della Volpe, Lucio Colletti, e soprattutto Louis Althusser e la sua scuola). Ma non ne aveva neppure bisogno, perch queste scuole post-1945 non facevano che riproporre con una nuova riverniciatura gnoseologi- ca (Della Volpe) ed epistemologico-ideologica (Althusser), concezioni che si erano presentate con frequenza asfissiante nei settant'anni precedenti. Il sogno positivi- stico di un marxismo senza fondazione filosofica percorre infatti tutta la sua sto- ria, a partire dal ventennio di costituzione 1875-1895, e si tratta di un dato sociale prodotto dallingiunzione a scientificizzarsi per poter essere presi sul serio dagli apparati ideologici universitari. Ma un marxismo senza fondazione filosofica di- venta un puro pragmatismo, ed il pragmatismo  sempre puro utilitarismo. Oggi si 500 La passione durevole per una filosofia dell'emancipazione esalta molto il filosofo americano recentemente scomparso Richard Rorty, nemico di ogni fondazionalismo filosofico, relativista dichiarato (ha infatti affermato di non aver fatto altro che applicare alla filosofia il relativismo epistemologico dellin- commensurabilit dei paradigmi scientifici di Thomas Khun), sostenitore della de- rubricazione della filosofia a conversazione fra le altre (nemmeno i sofisti greci erano giunti a tanto!), ecc. Mi sono gi espresso in proposito, ma data limportanza del tema mi ripeter: togliere alla filosofia ogni pretesa fondazionalit non si- gnifica affatto (se non per gli sciocchi!) togliere ogni fondazionalit in generale in direzione di un presunto (ed inesistente) sapere senza fondamenti, ma significa lasciare un solo fondamento implicito, il fondamento dellassolutezza indiscutibile della riproduzione capitalistica ed imperialistica. Oggi togliere ogni pretesa fon- dazionale alla filosofia equivale all'affermazione medioevale della possibilit di dimostrare Dio. Cos come la legittimazione ideologica di quei tempi si basava sul fondamento trascendente di Dio (e quindi sulle concesse prove teologiche), nello stesso modo la legittimazione ideologica di oggi si basa sulla performativit pura del flusso di produzione e di consumo, e quindi si basa sul fondamento immanen- te della riproduzione capitalistica, che non ha bisogno di nessun altra fondazione. Ogni altra fondazione, infatti, potrebbe in qualche modo metterla in discussione, e quindi  bene che si dica (e gli sciocchi ovviamente lo ripetono come ripeterebbero un mantra buddista alla moda) che non ci pu essere nessuna fondazione filosofica di nulla (e particolarmente della societ). Lukcs ovviamente capiva benissimo tutto questo, e capiva che esisteva quella che chiamava solidariet antitetico-polare fra esistenzialismo e neopositivismo. Con questo, il codice ideologico del tardo capitalismo era messo allo scoperto. Cer- to, ci si pu lamentare che Lukcs, anzich usare il bel termine di filosofia, abbia usato il cattivo ed ambiguo termine di ideologia. Luk&cs sapeva perfettamente che Marx aveva usato il termine di ideologia in senso negativo, come falsa co- scienza, organizzata o no, e come riflesso deformato degli interessi sociali classisti contrapposti. Ma sapeva anche che Lenin aveva modificato radicalmente il signi- ficato del termine, dandone una valenza positiva, per cui l'ideologia diventava il punto di vista complessivo della coscienza di classe e della visione del mondo del proletariato rivoluzionario e delle forze progressiste.  questa la ragione per cui sia nellOntologia sia nei Prolegomeni il termine ideologia  utilizzato in modo positivo, nel senso dello smascheramento comunista delle ideologie capitalistiche (fra cui  prima di ogni altra  l'ideologia della deideologizzazione, che gli appara- ti ideologici del capitalismo ripetono sempre in modo asfissiante e protervo). Vi  ovviamente unaltra ragione di fondo per la preferenza lucacciana del termine ideologia rispetto al termine filosofia, che porta il paradosso per cui il pi grande filosofo marxista del Novecento si vergogna costantemente del termine fi- losofia. Si tratta dellaccettazione lucacciana della teoria gnoseologica del rispec- chiamento, che in effetti una volta accettata toglie alla filosofia qualunque pretesa conoscitiva e veritativa di tipo fondazionale, e che non consente nessuna scienza filosofica di tipo hegeliano e marxiano. Una volta accettata la (a mio avviso profon- 501 CaprroLo XL damente errata) teoria del rispecchiamento, utile forse per le scienze della natura, ma non certamente per la trasformazione fichtiano-marxiana della societ alienata, si ricade inevitabilmente nella dicotomia Materialismo/Idealismo, Lai la correlata necessit di combattere l'idealismo in nome del materialismo, che.non pu che portare ad un vicolo cieco. Ma non possiamo pretendere che Lukcs, uomo del suo tempo, rinunciasse alla teoria del rispecchiamento ed alla correlata dicotomia Materialismo/Idealismo.  impossibile camminare oltre l'ombra che il sole ci proietta sulla sabbia. Chi scrive - ma ormai lo hanno capito tutti, a causa delle continue volute ripetizioni   favorevole allontologia dell'essere sociale, ma  contrario sia alla teoria del rispecchiamento sia allinutile, positivistica e gnoseologica dicotomia Materialismo/Idealismo. Il progetto di ontologia dell'essere sociale  incompatibile, infine, con la stessa ri- proposizione del marxismo messianico- estremista del giovane Lukcs di Storia e Coscienza di Classe e pi in generale dei suoi scritti marxisti del settennato 1919- 1926. Lukcs non avrebbe infatti mai potuto mettere tanto bene a fuoco il problema dellontologia dell'essere sociale se non fosse stato lui stesso quaranta anni prima a produrre il profilo migliore possibile del marxismo messianico-estremistico. E parlo del profilo migliore possibile con conoscenza di causa, avendo a suo tempo studiato con cura tutte le opere in cui questo modello  esposto. Dopo la rivoluzio- ne del 1917 il comunismo si trov privo di una vera legittimazione ideologico-filo- sofica, al di l delle risposte polemiche di Lenin a Kautsky ed a Rosa Luxemburg. Il primo tentativo di fornire una legittimazione filosofica al nuovo comunismo fu dato da Nicolai Bucharin nel 1921 con un Manuale di materialismo storico, capola- voro negativo di riduzionismo, economicismo e determinismo. Il fatto che que- sto libro orribile e dilettantesco abbia potuto essere preso sul serio dimostra che un grande evento rivoluzionario non pu certamente dotarsi in tempo reale di una sufficiente autoconsapevolezza. Lukcs propose un paradigma filosofico diverso ed anzi opposto, basato sull'identit idealistica di soggetto e di oggetto, in cui il soggetto era lidealtipo di proletariato rivoluzionario universale (e qui l'influenza idealtipicizzante di Max Weber  palese), e l'oggetto era il corso della storia uni- versale (e qui l'influenza della filosofia hegeliana della storia  parimenti palese). Si trattava di un buon modello filosofico, certamente superiore a quello di Bu- charin ed anche a quello imposto nel 1931 da Stalin. E nello stesso tempo si trattava di un modello messianico-estremistico, perch investiva il proletariato di una sor- ta di missione metastorica complessiva che ben presto il proletariato reale (e non quello idealtipico maxweberiano) avrebbe mostrato di non poter realizzare. Vorrei insistere molto su queste sette distinte incompatibilit (le ripeto nell'ordine dandone un nome per indicarle: Engels, Stalin, Lefebvre, Korsch, Bloch, Althus- ser, lo stesso giovane Lukcs) perch se non le si  capite fino in fondo come pars destruens non si potr mai capire che il progetto di ontologia dell'essere sociale  la pars construens che risulta dal superamento dialettico di queste distinte sette unila- teralit. Ed  appunto questa comprensione che  mancata, ed evidentemente non poteva che mancare, al modo con cui la proposta di Lukcs fu valutata. 502 La passione durevole per una filosofia dell'emancipazione Eppure la questione  chiarissima, e pu anche essere espressa in modo concet- tualmente chiaro: abbiamo bisogno socialmente di un anticapitalismo radicale moder- no, ma questa radicalit non pu essere raggiunta attraverso il messianesimo estre- mistico in filosofia ed attraverso lavanguardismo provocatorio nell'arte; questa radicalit, paradossalmente (ma tutta la filosofia  paradosso, unico avversario del pregiudizio!), pu essere conseguita soltanto attraverso un reinserimento consa- pevole del pensiero comunista di Marx nel grande alveo della tradizione filosofica occidentale pi tradizionale possibile, quella che passa da Aristotele ad Hegel. Questo paradosso non poteva evidentemente essere socialmente compreso ai tem- pi di Lukcs, per cui egli non poteva che morire senza eredi (non parlo qui di lumi- nose eccezioni come Nicolae Tertulian, e Werner Hofmann). Lukcs ha lasciato un messaggio in una bottiglia, e questa bottiglia galleggia ancora sul mare. Il rifiuto di accettare il messaggio lucacciano  stato cos diffuso da far s che anche questo rifiuto deve essere socialmente dedotto. I pi vergognosi furono i quattro filosofi ungheresi membri della cosiddetta (ed inesistente) scuola di Budapest (Heller, Fher, Markus, Vajda). Costoro si dichiara- no allievi di Lukcs fino al 1971, anno della sua morte, in quanto attaccarsi al suo nome era pure sempre una sponsorizzazione nel mondo accademico occidenta- le. Poi, appena morto il maestro (ma la cosa assomiglia molto al seppellimento di Adorno fatto da Habermas  per questo ritengo sia un fatto sociale, e non solo accidentale), pubblicarono documenti in cui non solo prendevano le distanze dal progetto dellontologia, ma lo demolivano totalmente punto per punto con ipocri- ta acredine, in favore di una mescolanza eclettica di filosofia dei valori alla Scheler, di disincanto alla Max Weber e di neokantismo alla Habermas (e cio tutto ci che Lukcs aveva consapevolmente respinto). Una volta crollato il socialismo reale ed affermatosi pienamente il monopolio militare dell'impero americano, la Heller si  lasciata andare ad oscene grida di gioia, che varrebbe la pena rileggere (sono state pubblicate anche in italiano). Non critico i quattro di Budapest per il loro profilo filosofico. Li critico per aver lasciato passare per anni il mito di essere allievi di Lukcs. L'allievo non  certamente chi ti frequenta. L'allievo  chi, almeno in par- te,  solidale con te e condivide il tuo progetto filosofico. Per quanto mi riguarda, ho frequentato a lungo Ludovico Geymonat e Norberto Bobbio, ed ho anche go- duto della loro stima ed amicizia (peraltro ricambiata), ma non mi sognerei mai di definirmi loro allievo, perch non condivido praticamente nulla del loro proget- to teorico e filosofico. Si pu essere amici personali, ed avversari filosofici, per cui i quattro budapestini sono stati tra i pi accaniti ed ingenerosi avversari di Lukcs. Se i liberali anticomunisti di Budapest furono avversari di Lukcs, ci si potrebbe aspettare che almeno i marxisti lo vedessero con favore. Ma neppure per sogno! Nella principale rivista filosofica della Germania Orientale un certo Beyer pubblico nel 1969 un articolo intitolato: Ontologia marxista. Una moda idealistica. Non c' bisogno di ulteriori commenti. Cesare Cases, il germanista italiano che fu amico di Lukdcs, non perse mai occasione di dire che lOntologia era un ritorno alla vecchia filosofia universitario-accademica, inutile per qualunque progetto rivoluzionario. 503 CarrroLo XL I commentatori sessantottini ignorarono sempre lOntologia, ed invece facevano lapologia di Storia e Coscienza di Classe del 1923, senza tenere alcun conto nella loro stolidit motoria che lo stesso Lukcs aveva detto che, per usare unanalogia, non si era pi negli anni Venti del Novecento, ma allinizio dell'Ottocento, quando in- cominciava soltanto a formarsi il movimento operaio. Il polacco Leszek Kolakowski, che scrisse unacutissima storia critica del marxismo, che era anche l'elaborazione della sua personale totale rottura con esso, dedic a Lukcs un capitolo sprezzante che ignorava completamente lesistenza del progetto ontologico, parlava di mito- logia marxista, ed era intitolato La ragione al servizio del dogmatismo. Non poteva mancare in questa galleria Juergen Habermas. Come riferisce la Heller, non appena gli fu esposta la trama concettuale del progetto ontologico, Habermas ebbe una reazione di rifiuto per principio. Un tentativo di questo gene- re gli sembrava contrastare con una visione storica del marxismo, e dirigersi verso il ripristino dei grandi sistemi razionalistici, il che fa parte del passato filosofico. Habermas coglie veramente qui il centro della questione.  infatti esattamente cos. Lukcs intendeva veramente ripristinare i grandi sistemi razionalistici, ed in questo modo ricollegarsi al passato filosofico. E tuttavia io rovescio di 180 gradi la sua valutazione. Appunto per la ragione che dice Habermas ci che Lukcs voleva era bene, ed  anzi fin troppo timido in questa restaurazione. Questa restaurazione deve essere non solo perseguita, ma anzi deve essere ancora ulteriormente radi- calizzata, senza curarsi di usignoli, corvi e cornacchie, e del loro coro di sapere senza fondamenti, ecc. Siamo giunti finalmente al cuore della questione. Ci sono volute centinaia di pa- gine per arrivarci, ma in questo modo ci siamo arrivati meglio, senza lasciarci alle spalle penosi equivoci storiografici ed interpretativi. Possiamo quindi, in chiusura, tentare un ennesimo bilancio di chiarificazione. La deduzione sociale delle categorie del pensiero  indispensabile, perch in caso contrario tutta la storia sociale del pensiero umano si riduce necessariamente a quella che Hegel ha definito una disordinata filastrocca di opinioni.  anche possibile chiamare materialistico in senso marxiano il metodo della deduzione sociale delle categorie, ma non  obbligatorio farlo, perch ad esempio Hegel, che era indubbiamente idealista, utilizza di fatto questo metodo nel disegnare lo sviluppo dialettico delle figure sociali nella sua mirabile Fenomenologia dello Spirito. E allora  meglio chiamare questo metodo genetico per sfuggire alla falsa dico- tomia materialismo/idealismo. Il metodo genetico  per anche un metodo storico, lunico metodo storico possibile, da non confondere con il cosiddetto storicismo, che  invece una negazione della storia, perch sovrappone alla storia reale un in- sieme ideologico variamente improntato al relativismo, oppure alla teleologia predeterminata. Il metodo genetico  per anche un metodo ontologico-sociale, perch l'essere sociale nelle sue diverse configurazioni storico-classiste  la matrice ed il fondamento della struttura portante su cui si sviluppano le categorie. In questo senso Marx ha ragione, e continua ad averla anche dopo il crollo sociale dei siste- mi economici del comunismo storico novecentesco 1917-1991, crollo sociale che 504 La passione durevole per una filosofia dell'emancipazione invece porta con s nella sua dissoluzione gran parte delle formazioni ideologiche marxiste posteriori al ventennio di costituzione 1875-1895. L'apparato ideologico universitario delle facolt di filosofia, al di l delle sue pretese maxweberiane di oggettivit,  appunto un apparato ideologico, e come tutti gli apparati ideologici non pu avere gli strumenti concettuali per potersi ve- dere come tale. Esso (salvo luminose eccezioni, che come tutte le eccezioni confer- mano la regola) deve quindi obbedire ai vincoli ideologici che gli impongono in- direttamente (ed in alcuni casi anche direttamente) le classi dominanti dellattuale societ capitalistica globalizzata largamente postborghese e postproletaria. Questa assunzione di vincoli sistemici viene generalmente fatta con quella che Marx chia- ma falsa coscienza necessaria degli agenti storici. I vincoli sono molti, ma qui po- tremo per brevit riassumerli in due. In primo luogo, bisogna appunto che la sto- ria della filosofia venga concepita come disordinata filastrocca di opinioni, il che permette da un lato l'esercizio della filologia riferita appunto esclusivamente alle opinioni stesse, e dall'altro contribuisce a dare socialmente un'immagine di inuti- lit della filosofia stessa, perch nessuno potrebbe ritenere socialmente utile una successione erudita di una filastrocca destoricizzata e desocializzata di opinioni. In secondo luogo, bisogna diffamare in tutti i modi come tradizionale, metafisica, arretrata e premoderna qualsiasi fondazionalit della filosofia, in modo che la normativit dei comportamenti individuali e sociali venga riservata esclusivamente ai vincoli sistemici della riproduzione capitalistica, per cui chi si sottrae a questi vincoli viene subito accusato di sottrarsi alla cosiddetta etica della responsabilit alla Max Weber (Max Weber  il Tommaso d'Aquino della razionalit capitalisti- ca). Insisto su questo punto: l'apparato ideologico universitario nel suo complesso deve strutturalmente e funzionalmente depotenziare il carattere di razionalismo cri- tico del pensiero filosofico, e le due forme convergenti di depotenziamento sono la sua riduzione a filastrocca di opinioni premoderne e la negazione di qualunque suo carattere fondazionale. Non  sempre stato cos. Ad esempio, al tempo di Kant e di Hegel non era cos. Ma oggi  cos, e chi non lo capisce, per stupidit e/o op- portunismo, paga con il prezzo del codice d'accesso politicamente corretto al si- stema ideologico universitario la rinuncia a qualsiasi critica radicale indipendente ai rapporti di produzione dominanti. Nicchie di professori universitari marxisti vengono ovviamente tollerate, sia pure marginalizzate e tenute sotto controllo, ma si fa in modo che costituiscano ghetti autoreferenziali sostanzialmente innocui, oltre che di volta in volta ignorati, ridicolizzati e travisati dal cannibalismo del sistema mediatico. Individuare la necessit di una deduzione sociale delle categorie non significa per avere risolto il problema. Se questo infatti  adoperato senza un'accurata di- stinzione fra valore filosofico e valore ideologico delle categorie, ed i due valori ven- gono identificati, allora il metodo appena scoperto  subito da gettare via, perch non pu che dar luogo ad un/carnevale relativistico e sociologistico che nega ogni valore conoscitivo e veritativo alla filosofia. Per usare il lessico di Hegel, la filosofia tratterebbe certo del proprio tempo appreso nel pensiero, ma ignorerebbe il suo 505 CaprroLo XL vero oggetto, che  ci che , ed  eternamente. Il benemerito scopritore nove- centesco di questo metodo, Alfred Sohn-Rethel,  spesso caduto in questo errore, ma lo si deve scusare, perch una scienza non deve mai rimanere al livello del suo scopritore, ma deve continuamente correggersi ed autocorreggersi. Tutto il mio lavoro pu essere interpretato come una cortese correzione a Sohn-Rethel (per quanto riguarda il metodo genetico delle categorie) ed a Lukcs (per quanto riguarda le categoria dellontologia dell'essere sociale). E tuttavia, pur rivendicando la mia ori- ginalit in proposito, non ho nessun problema ad ammettere di volermi collocare nel solco di Sohn-Rethel e Lukcs. Fin qui, per, abbiamo soltanto girato intorno al punto essenziale della que- stione. Ed il punto essenziale sta in ci, che la filosofia per sua propria natura  l'unione di due elementi inscindibili, il sistema delle conoscenze razionali e l'insieme di ci che interessa necessariamente ad ogni uomo, elementi inscindibili che Kant connot con i nomi rispettivi di Schulbegriffe di Weltbegriff. L'avverbio inscindibil- mente  qui la parola concettualmente pi importante. Da un lato, infatti, l'apparato ideologico universitario, a partire dalla svolta positivistica e neo-kantiana di met Ottocento, ha separato questi due elementi inscindibili, ed ha limitato la filosofia al suo solo Schulbegriff, diffamando, isolan- do ed intimidendo tutti coloro che volevano servirsi degli apparati universitari per praticare un Weltbegriff, che si affermava ormai impossibile, premoderno, me- tafisico, ecc. (e da Habermas a Rorty abbiamo qui solo l'imbarazzo della scelta). Dall'altro lato, ed in segreta solidariet antitetico-polare (o se vogliamo in manife- sta divisione funzionale del lavoro ideologico), gli apparati politico-ideologici, che si servono della filosofia esclusivamente per la sua ricaduta ideologica, ma non hanno alcuna intenzione di rispettarne l'autonomia e soprattutto la veritativit in- dipendente da ogni manipolazione, hanno ritenuto di poterne utilizzare l'aspetto mondano (Weltbegriff) disprezzandone nello stesso tempo il rigore sistematico, che richiede necessariamente un apprendimento lento e faticoso, per nulla inferiore ai tempi di apprendimento della medicina, dalla chimica e della farmacologia, in una parola del suo Schulbegriff. Concetto scolastico senza concetto mondano, e vi- ceversa concetto mondano senza concetto scolastico, ecco le membra dilacerate e scomposte dellunico corpo concettuale della filosofia. Con questo, non intendo dire affatto che gli unici abilitati a dare giudizi sulla totalit del mondo sociale in cui viviamo sono i filosofi muniti di dottorato a Parigi ed a Oxford, ed in possesso non solo della conoscenza della lingua inglese come strumento di comunicazione dei sudditi dell'unico impero legittimo dello spazio globalizzato imperialistico mondiale (Harvey), ma anche del greco antico di Plato- ne e di Aristotele e del tedesco di Kant e di Hegel. Una simile concezione elitistico- demenziale non farebbe che riproporre in modo farsesco la tragica illusione di Platone di poter garantire ed assicurare la scienza filosofica intesa come riferimen- to normativo dellorganizzazione sociale attraverso listituzionalizzazione di una casta non elettiva di governanti muniti della scienza filosofica (episteme) del Vero, del Giusto, del Bene e del Bello. 506 La passione durevole per una filosofia dell'emancipazione La tentazione di simili riproposizioni si  affacciato molto spesso nella storia, anche se quasi mai in modo direttamente filosofico-platonico, e quasi sempre pri- ma in modo teologico-religioso (dalla controriforma cattolica ai puritani protestan- ti inglesi) e poi in modo direttamente economico-dispotico (e si pensi alle canaglie oligarchiche che governano il mondo tramite apparati come la Banca Centrale, il Fondo Monetario Internazionale, ecc.).  chiaro che l'esaltazione della filosofia come luogo di fusione fra il suo concetto scolastico ed il suo concetto mondano, fusione per loro propria natura esclusa da- gli apparati ideologico accademico-universitari e politico-militanti,  incompatibile con il suo sequestro elitario in apparati snobistico-elitari di supercolti (o presunti tali) con la puzza al naso e con la convinzione di essere migliori degli altri. Al contrario, ho enfatizzato in precedenza linterpretazione data da Andr Tosel alla filosofia di Spinoza in termini di coesistenza egualitaria sociale fra i dotti ed i non- ancora-dotti, ma potenzialmente in grado di diventarlo (dynamei on). E fra tutti i pensatori marxisti novecenteschi ho soprattutto lodato Antonio Gramsci e Gyrgy Lukcs, come coloro che hanno messo alla base di tutto il senso comune (Gram- sci) ed il rispecchiamento quotidiano (Lukcs).  infatti del tutto secondario, anche se meritevole di analisi, il fatto che la teoria del rispecchiamento sia o no esatta, o il fatto che il nuovo senso comune possa essere portatore di fattori di im- pedimento ad una visione dialettica della realt. Ci che invece conta  il comune carattere democratico, e quindi non elitario, della concezione di pratica della filosofia in Spinoza, Gramsci, e Lukcs. Il lettore avr notato che ho parlato di pratica della filosofia, e non solo di filosofia in generale. La filosofia, infatti,  un sapere pratico, nello stesso modo in cui peraltro  anche un sapere teorico (uso qui i significati aristotelici dei due termini). Lateniese Socrate non  stato infatti linventore della filosofia, ma  stato il primo che ha inaugurato la pratica comunitaria della filosofia stessa. Nei primi capitoli di questo saggio non ho nascosto la mia fermissima opinione, per cui la filosofia ha un'origine sociale, e quindi in un certo senso anonima e struttu- rale, e sorge da una problematizzazione politica delle leggi (nomoi), viste come il principale fattore frenante (katechon) nei confronti della dismisura infinita ed in- determinata (apeiron), cui opporre in modo consapevole (logos) una misura sociale (metron) delle ricchezze (chremata), e questo non solo per impedire la dissoluzione della citt (polis), ma anche per perseguire lo scopo del vivere bene (eu zen), vivere bene che corrisponde alla natura (physis) delluomo, che per sua natura appunto  un animale politico, sociale e comunitario (politikn zoon), ed un animale dotato di capacit di linguaggio, ragione e calcolo (zoon logon echon). Ed  appunto que- sto che consente, al di l delle differenze di scuola, di parlare di un complessivo umanesimo greco, come risulta da una illuminante trilogia del filosofo italiano Luca Grecchi. Questa  per soltanto la genesi della filosofia, non ancora la genesi della prati- ca filosofica come pratica sociale comunitaria. Di questultima  invece inventore lateniese Socrate, tenendo conto per che il socratismo non  in alcun modo una 507 CaprroLo XL scuola particolare fra molte altre (in proposito il Socrate di Platone non  affatto socratismo, ma platonismo al cento per cento), ma  semplicemente il nome che si d ad una pratica comunitaria della filosofia prima inesistente. Come ha corretta- mente rilevato Olaf Gigon, pi che di socratismo bisognerebbe parlare di sokratiks logos, e cio di una forma di ragione comunitaria ispirata da Socrate. Il sokratiks logos  un altro dei molti doni inestimabili offerti dalla polis degli ateniesi all'intera umanit, insieme alla tragedia di Eschilo, Sofocle ed Euripide, alla commedia di Aristofane, alla storiografia di Tucidide ed alla scultura di Fidia. Tutti questi doni sono stati resi possibili da una concezione profondamente religioso-comunitaria della vita associata, concezione del tutto incomprensibile per chi ragiona sulla base di un individualismo ispirato a Hume o a Kant, di una fallacia naturalistica o di un presunto politeismo dei valori. La religione dei Greci non disponeva ovviamente di libri sacri di riferimento e di apparati sacerdotali di tipo inquisitorio, e per questa ragione era a tutti gli effetti pi religiosa del successivo cristianesimo, come del resto a loro tempo sia Hegel che Marx capirono molto bene, e come invece N ietzsche non riusc mai a capire, ipnotizzato nelle sue ossessive dicotomie e soprattutto nella sua errata concezione del mondo sociale greco classico, fondato su di un modo di produzione di piccoli produttori indipendenti e di piccoli proprietari misurati (metron), e non certo su di un modo di produzione schiavistico incontrollato in cui schiavi ed iloti mante- nevano nellozio creativo individui pigri ma dialoganti. La vita dei Greci, oltre ad essere religiosa, era anche comunitaria, e per questa ragione incomprensibile, inattingibile ed irrapresentabile per chiunque si ostina ad interpretarla secondo schemi posteriori che non le corrispondono in alcun modo, come lindividualismo borghese, il moralismo kantiano, la concezione formalistica del soggetto di tipo cartesiano, il cosiddetto laicismo, lestetismo neoclassico, la cosiddetta scienza disinteressata, e via via sempre pi fraintendendo. Socrate fu l'inventore non certo della filosofia, ma della pratica filosofica co- munitaria, perch ad Atene era politicamente impossibile continuare a far passare contenuti politici attraverso lo schermo di filosofie naturalistiche (lacqua di Talete, laria di Anassimene, il fuoco semprevivo di Eraclito, la permanenza nel tempo della buona legislazione di Parmenide definita in modo metaforico con il termine to on, l'essere sferico). L'accesso di tutti allagor, ed il diritto di tutti i cittadi- ni alluguaglianza dei diritti (isonomia) ed all'accesso eguale della parola pubblica (isegoria), non potevano non riflettersi sulleguale accesso di tutti alla parola filo- sofica (sokratiks logos). Socrate  quindi per definizione, ed anzi 4a priori, lunico filosofo che non poteva aver scritto nulla, perch il fondatore di uno spazio pubblico della pratica filosofica aperta a tutti coloro che la vogliono appunto mettere in pratica non pu aver sostenuto qualcosa di particolare, ma pu soltanto sostenere di sapere di non sapere, e con questo limitarsi ad un metodo di ironia e di maieutica. Ho ripetuto qui cose gi ampiamente sostenute nei primi capitoli per una ra- gione ben precisa. Si tratta infatti di sapere se l'esempio del grande sokratiks logos possa essere ancora riproposto oggi, oppure se faccia parte di un passato tramon- 508 La passione durevole per una filosofia dell'emancipazione tato per sempre. Ebbene, a mio avviso il mondo spirituale dei Greci non potr mai tornare, perch i suoi presupposti storici e sociali non sono pi in alcun modo riproponibili e restaurabili, in quanto il cristianesimo lo ha ucciso per sempre (e questo sia che questa uccisione sia valutata positivamente, alla Hegel, oppure in- vece negativamente, alla Nietzsche). E per, se il mondo complessivo dei Greci non potr pi tornare, purtroppo (il purtroppo  una mia esclusiva valutazione, di cui porto tutta la responsabilit), il sokratiks logos invece non  morto, perch il so- kratiks logos  semplicemente l'equivalente antico di quello che Kant ha chiamato l'aspetto mondano della filosofia (Weltbegriff), quello per cui la filosofia  ci che interessa necessariamente ad ogni uomo.  questa langolatura con cui ho scelto di considerare il progetto di ontologia dell'essere sociale, il meno peggiore dei profili filosofici oggi presenti sul mercato ideale dei sistemi filosofici (Schulbegriff), e nello stesso tempo il meno peggiore dei sistemi filosofici il cui risvolto pratico pu interessare ad ogni uomo (Weltbegriff). Per poterlo valutare con tutti gli elementi di conoscenza possibili, non si poteva fare a meno di ripercorrere tutta lintera storia della filosofia occidentale, intesa nel senso datole a suo tempo da Hegel. La storia della filosofia non  in alcun modo un succedersi casuale di opinioni, ma  il riflesso sistematico della storia dellautoco- scienza umana. Con questo, non  affatto necessario dare ragione ad Hegel in tut- te le sua valutazioni specifiche (personalmente, io non ne condivido moltissime), ma  sufficiente accettare come legittima la sua impostazione generale. Il progetto di ontologia dell'essere sociale unisce insieme inscindibilmente lele- mento scolastico e l'elemento mondano della filosofia, e proprio per questa ra- gione non pu fare a meno di assumere la forma di un sistema razionalistico alla Spinoza, Kant e Hegel. E proprio per questa ragione non poteva piacere a Cesare Cases, figlio di una generazione critica, che per questa stessa ragione era piuttosto attratta da filosofie puramente critico-negative, come linnocuo messianismo testi- moniale di Benjamin e come la dialettica negativa di Adorno. Ed  proprio per que- sta ragione che piace molto a me. Con tutto il rispetto per Benjamin ed Adorno, che rispetto molto, la loro critica negativa allesistente, unita ad un innocuo discorso di principio sulla bont astratta del messianismo,  qualcosa di totalmente compa- tibile con lapologia dell'esistente, che  anzi compiaciuto narcisisticamente della sua capacit di tollerare l'enunciazione testimoniale di una negazione radicale dell'esistente, tanto radicale da non permettere alcuna mediazione (Vermittlung) a cui attaccare la leva di un possibile cambiamento. Il sistema della odierna tolleranza repressiva (il termine  di Marcuse, e non si poteva sceglierne uno migliore) non ha nulla in contrario a che si formulino ne- gazioni apocalittiche, messianiche e totali, mentre non sopporta assolutamente punti di vista, esposti in forma pacata e tradizionale, che mettano realmente in discussione la sovranit assoluta della riproduzione capitalistica riproponendo il carattere fondazionale della filosofia. Ma non scherziamo, signori! Il solo fon- damento di oggi  la sovranit della merce capitalistica (quella che l'economista emiliano Romano Prodi chiama insistentemente il giudizio dei mercati)! Non 509 CarrroLo XL esistono altri fondamenti! Mica sarete per caso tanto metafisici, conservatori ed arretrati dal riproporre la natura fondazionale della filosofia? Ah! Ah! Oh! Oh! Il progetto di ontologia dell'essere sociale restaura la posizione classica di tutta la grande filosofia da Aristotele ad Hegel, e cio lunit ontologica delle categorie del pensiero e delle categorie dell'essere. Abbiamo visto in alcuni precedenti capitoli che Kant  lunico grande filosofo tradizionale che la contrasta e la nega, ma per comprenderne la ragione ci soccorre la deduzione sociale delle categorie. Kant doveva infatti delegittimare le pretese normative della metafisica religiosa, e lunico modo per farlo era appunto la separazione fra categorie del pensiero e categorie delles- sere, in quanto solo le prime erano dimostrabili (i fenomeni), mentre le seconde erano indimostrabili (il noumeno come cosa-in-s o concetto-limite). Ma fu poi il successivo neokantismo che trasform la gnoseologia in teologia, o pi esattamen- te in equivalente borghese della teologia. Il meccanismo della riproduzione capitalistica, infatti,  la sola ed unica cosa- in-s rimasta, perch non  pi cosa-per-noi pretendere di poterla trascendere e sostituire (gabbia d'acciaio di Weber, fine delle grandi narrazioni di Lyotard, fine della storia di Kojve, Gehlen e Fukuyama, fine delle illusioni di Furet, e cos via sempre finendo qualcosa).  questa la ragione dellirritata reazione di Habermas. Ma come, tanta fatica per seppellire Horkheimer ed Adorno, e adesso arriva un signo- re che vuole ripristinare i grandi sistemi razionalistici, il che fa parte del passato filosofico! Ma chi decide che qualcosa faccia parte del passato filosofico, e non piuttosto del presente e del futuro?  evidente che questo, e solo questo,  il problema. E non  un problema di abilit argomentativa, perch le classi dominanti sono sorde a qualunque argomento razionale, se appena questo argomento mette in discussione una struttura di potere e di dominio. Ed  questo il maggiore contributo portato da Marx rispetto a Socrate. Socrate partiva ancora dal principio dialogico per cui in via di principio tutti possono essere convinti (anche se gi nei suoi dialoghi alcuni si sottraggono andandosene prima di essere sconfitti nel confronto). Marx sa gi che questo non pu avvenire, a causa della natura classista dei rapporti sociali di produzione. Ma non  questo il sintomo di una ammissione indiretta dellimpotenza della filosofia? La questione merita una riflessione particolare di tipo ontologico-sociale. Che il metodo dialogico in Socrate non fosse fine a se stesso, e non avesse come unica finalit il conoscere se stessi in senso psicologico-individualistico (gnothi se- auton) a me sembra non possa essere realmente messo in dubbio. Il dialogo di Socrate aveva come sua finalit il convincimento razionale dellinterlocutore (e qui sta infatti il carattere normativo della filosofia  convincere razionalmente linter- locutore), e questo pu essere dimostrato in molti modi, di cui mi limiter qui a segnalarne due. In primo luogo, il dialogo socratico non era per nulla una cortese e pluralistica discussione, ma era una faticosissima macchina argomentativa che im- plicava una attenzione spasmodica. .Il sokratiks logos aveva regole altrettanto fer- ree delle rappresentazioni tragiche e comiche. Iniziava con l'ironia (che non signifi- 510 La passione durevole per una filosofia dell'emancipazione cava affatto fare dello spirito in senso moderno, ma ammettere preliminarmente di sapere di non sapere, e perci di essere potenzialmente aperto a qualunque esito del confronto), procedeva con la maieutica (larte di far partorire le idee attraverso lo scambio dialogico e le domande ben poste) e mirava al consenso attraverso la definizione concordata (la cosiddetta omologhia). In molti dialoghi socratici il con- senso non viene raggiunto, mentre in altri s, ma  difficile dubitare che la struttura del dialogo socratico non mirasse ad un consenso sopra una definizione comune. In secondo luogo (e questo secondo punto  molto pi importante del primo), Socrate non viveva in una societ individualistica liberale, per cui non ha senso re- trodatargli il nostro atteggiamento (che risulta non certo dalla natura umana, ma da una svolta individualistica ed antimetafisica posteriore alla seconda met del Settecento europeo), ma viveva in una societ politica. Vivere in una societ (Ge- sellschaft) e vivere in una comunit (Gemeinschaft) non  certamente la stessa cosa. Questo non significa affatto che non ci fosse ancora la libera individualit. Essa c'era gi da tempo, perch gi da tempo era stato rotto il legame tribale che pensava se stesso attraverso lindistinzione fra macrocosmo naturale e microcosmo sociale. Ma non si trattava assolutamente dell'individuo (in-dividuum, non ulteriormente divisibile), nel senso che questo termine ha assunto dopo Hobbes e dopo Locke, oltre che dopo Cartesio e Kant. Il sokratiks logos non era ancora per nulla filosofare moderno, e questo non solo per lovvia ragione che  venuto prima di Galilei e di Newton, ma anche e so- prattutto perch presupponeva una comunit che si trattava di convincere al bene e di distogliere al male. Chi individualizza Socrate, magari in perfetta buona fede, ed in questo modo lo tratta a tutti gli effetti come un nostro contemporaneo, non lo capir mai, e creder che il sokratiks logos sia equivalente al dibattito fra gli illuministi, con lunica differenza di essere in lingua greca anzich in lingua fran- cese. In conclusione:  bene partire dal fatto che la filosofia, nella forma socratica del logos portato nellagor, intendeva essere conoscitiva e veritativa (il che non significa affatto normativa in senso autoritario, dispotico, amministrativo, polizie- sco ed ideologico). Essa era quindi rivolta non tanto al convincimento in generale di individui, ma al convincimento comunitario. E perch mai convincimento comunitario, e non solo convincimento in genera- le? Ma per il semplice fatto che non si trattava di convincere qualcuno di questioni irrilevanti, se siano pi belle e seducenti le ragazze di Atene o quelle di Sparta (tema interessante certamente, ma privo di qualunque universalit), ma di che cosa sia il Bene, ossia il bene politico. Questo fu capito molto bene da Hegel, che non consider mai la Repubblica di Platone una utopia irrealizzabile, ma lespres- sione pi alta del vero spirito dei Greci. Negare alla filosofia greca classica la finali- t (telos) del convincimento comunitario significa precludersi la comprensione del mondo antico. Nello stesso tempo,  evidente che il pensiero epicureo non mira pi al convincimento comunitario, ma al ripiegamento in un gruppo protetto di amici. E dopo il primissimo periodo di provocazione e di ostentazione di compor- tamenti asociali (anaideia), anche gli stoici si ricongiunsero alla tradizione del con- 511 CaprroLo XL vincimento comunitario, sia pure nella forma della comunit cosmopolitica di tipo universalistico.  bene avere chiaro questo punto, perch oggi ci ritroviamo in una situazione analoga a quella stoica, e cio in un terreno globalizzato di comunit di tipo universalistico. C' per un paradosso, che caratterizza la filosofia in quanto tale. Da un lato, la filosofia ha una vocazione irresistibile al convincimento comunitario, e perci uni- versalistico, veritativo e normativo. Non solo i sistemi filosofici antichi (Platone, Aristotele, ecc.), ma anche quelli moderni (Spinoza, Kant, Hegel, ma anche Marx), si muovono a mio avviso in base a presupposti ispirati al convincimento razionale come loro scopo intimo e naturale (telos). Il telos del dialogo del convincimento razionale, anche se il dialogo pu dar piacere di per se stesso. La specie umana si riproduce infatti necessariamente attraverso il coito fra luomo e la donna, anche se  largamente noto che il coito pu essere (e generalmente  oggi) un fine a se stesso. Questo vale anche per la filosofia. Il dialogo pu essere un piacere per se stesso, ma la sua funzione resta sempre quella di essere il mezzo per un convincimento comunitario. Dall'altro, per, vi sono oggettivamente due questioni, che non possono essere passate sotto silenzio, e cio, nell'ordine, il fatto acclarato che largomentazione filosofica nei fatti non riesce a convincere quasi nessuno, per cui il convincimento  assai pi l'eccezione della regola, e infine che oggi le comunit sembrano quasi del tutto scomparse, e quando ancora esistono, si muovono assai pi sulla base di pregiudizi tesi ad escludere laltro piuttosto che sulla base di un universalismo razionale. Affrontiamo queste due difficolt, e solo dopo potremo veramente col- locare il progetto di ontologia dell'essere sociale nel nostro tempo storico. Iniziamo dal primo problema, che  anche un paradosso. Da un lato, la filosofia si pone come un sistema di conoscenze razionali strutturate in modo logico, che possono certo divertire e compiacere chi le elabora, ma che in ogni caso sono orga- nizzate in modo da avere come telos il libero convincimento, e cio inevitabilmente la vittoria di una tesi sull'altra. I Greci stessi la intendevano anche come lotta di tipo olimpico (agn), e lo stesso Kant afferma che si tratta di un campo di batta- glia (Kampfplatz). Dall'altro, lesperienza di pi di duemila e cinquecento anni ci conferma che di regola questo convincimento  impossibile, ed il fatto che qualcuno cambi idea (metanoia), gi di per se rarissimo,  piuttosto prodotto da esperienze-limite (pen- siamo a Paolo di Tarso che diventa cristiano dopo un incidente ed una insola- zione). In altre parole  per usare il lessico di Wittgenstein - la filosofia pretende di dimostrare, ma il massimo che riesce a fare  mostrare. Si mostra infatti qualcosa con il dito, ma non capita quasi mai che l'interlocutore fissi lo sguardo verso ci che gli indichiamo. Ed  questo in definitiva il paradosso della filosofia: nata per dimostrare e per perseguire il convincimento razionale comunitario, deve ripiegare e deve accontentarsi di mostrare con il dito. Ed il passaggio dalla mente che dimostra al dito che mostra comporta quasi sempre leffetto di un detto cinese: il saggio mostra da un lato con il dito, lo sciocco guarda soltanto il dito. 512 La passione durevole per una filosofia dell'emancipazione La potenza della filosofia si mostra dunque troppo spesso socialmente impo- tente. Di fronte a questa deprimente impotenza,  normale che si seguano scor- ciatoie che vorrebbero soggettivamente superare questa palese impotenza. Si pu ripiegare appunto in gruppi protetti di parenti e di amici, rinunciando al telos del convincimento comunitario razionale (limitato alla polis nei classici, esteso alloi- koumene negli stoici). Si pu credere che la violenza ideologica obbligatoria possa servire allo scopo (pensiamo alla Santa Inquisizione di Torquemada oppure al ma- terialismo dialettico di Stalin). Si pu credere che l'impotenza della filosofia possa essere curata con la fede religiosa e con il sentimento di appagamento che essa non pu che comportare. Si pu pensare, infine, che la soluzione definitiva sia la scien- za ed il metodo scientifico, che dispongono di un sistema di protocolli osservativi e di metodi di verificazione e/o falsificazione, per cui finalmente non si mostra soltanto, ma si dimostra. Come si vede, le fughe dalla frustrazione dellimpotenza della filosofia a dimostrare qualcosa, e ad avere successo nel convincimento co- munitario sono molte, anche se mi sono limitato a segnalarne solo quattro (ripiega- mento in un gruppo protetto di amici co-senzienti, fuga in avanti nella costrizione ideologica considerata  erroneamente  come pi performativa, approdo alla fede religiosa come medicina contro il tormentoso e frustrante dubbio permanente, scelta per la scienza e per i suoi metodi considerati finalmente sicuri, vincolanti ed universalistici). Queste quattro operazioni possono riuscire perfettamente, e nello stesso tempo alla fine il malato  morto. Con il ripiegamento in una piccola comunit protetta certo riduciamo lo stress sociale, ma alla fine non ci salveremo lo stesso, se la comu- nit in cui viviamo sceglie la via della guerra e del massacro dell'ambiente naturale e sociale. Il pensare di poter costringere alla verit per via ideologico-inquisitoria non riesce mai (se non apparentemente per qualche secolo o decennio), in quanto la verit  per sua natura qualcosa cui nessuno pu essere costretto, in quanto essa comprende costitutivamente non solo un dato fattuale (questo  il caso di altre dimensioni, come la certezza e l'esattezza), ma anche un libero convincimen- to razionale (anche se la filosofia  costellata di personaggi che non lo hanno ca- pito, da Agostino a Stalin). La religione scalda il cuore con i suoi riti comunitari, cos come la scienza rassicura con le sue procedure da laboratorio. Alla fine, per, il problema della razionalit del convincimento comunitario, libero ed universa- listico, resta. Si pu cercare in tutti i modi di espellere la filosofia, ed il modo oggi generalmente usato  spaventare la gente dicendo che  sorpassata e pre-moderna (la gente, infatti,  socialmente spinta a considerare buono il nuovo e cattivo il vecchio, ed a questo contribuisce in modo decisivo la dittatura della pubblicit e la coazione ad adeguarsi alla moda), ma alla fine essa salta sempre fuori come una molla goffamente compressa. La speranza che essa non si limiti a mostrare, ma riesca prima o poi anche a dimostrare quello che sostiene, non pu essere elimi- nata dalla storia. Una congiuntura storica (come quella che stiamo vivendo) pu affermarlo arrogantemente, ma bastano in genere pochi decenni per rovesciare i verdetti troppo affrettati ed arroganti. 513 CaprroLo XL L'oscillazione fra la vocazione irresistibile della filosofia al convincimento co- munitario (che nell'antica filosofia classica ruotava intorno ai tre concetti intercon- nessi di logos, metron e katechon) e la palese impossibilit di ottenerlo, con conse- guente ripiegamento dalla dimostrazione al mostrare con un dito, fa parte della sua essenza, e non pu essere guarita con nessuna terapia. Tutte le illusioni di risolvere il problema, dall'imposizione ideologica allillusione scientifica, re- stano infatti sempre illusioni. L'imposizione ideologica non  mai performativa, perch luomo  un essere autonomo e problematico, e non si pu costringere qualcuno ad ammettere come verit qualcosa di cui non  intimamente convin- to. La fuga nella scienza moderna non  mai una soluzione, perch la scienza pu dirci che cosa  il certo, l'esatto, lo sperimentabile ed il verificabile, ma non potr mai dirci che cosa  bene e che cosa  male, perch il suo metodo per principio non si pone queste domande. Bisogna quindi che il filosofo non si faccia intimidire dalle ingiunzioni ad essere moderno, ad essere postmoderno, ad essere scientifico, a non essere metafisico, ecc. Oggi la filosofia parte da un atto di coraggio. Senza questo atto di coraggio non solo non pu svilupparsi, ma non pu neppure cominciare. Passiamo ora al secondo problema, che  ancora pi decisivo ed importante del primo appena discusso. La filosofia  nata come portatrice di un convincimento co- munitario potenziale (dynamei on), convincimento comunitario potenziale rivolto ad impedire la rovina portata necessariamente dallinfinitezza e dallindetermina- tezza (apeiron) delle ricchezze (chremata), ed i suoi tre concetti portanti non poteva- no che essere il freno di questo scatenamento crematistico (katechon), lo strumento razionale volto ad impedirlo (logos), ed infine il prodotto del logos stesso, la misura volta a dare ordine (nomos, taxis) alla realt sociale (metron). Ma cosa pu succedere oggi, in cui la comunit non esiste pi, e lunica comunit virtuale  la comunit del capitale, il che ovviamente equivale a nessuna comunit? Questo  allora il problema di fondo: come riattivare il carattere razionale ed universalistico della filosofia, nata come pratica sociale del convincimento comunita- rio, e rimasta ancora fondamentalmente tale allepoca dei cosiddetti grandi sistemi (Spinoza, Hegel e Marx), in un'epoca storica di frammentazione sociale di tipo individualistico? Senza affrontare questo problema, infatti,  impossibile pensare ad una collocazione sociale di una prospettiva di tipo ontologico-sociale. Cosa pu infatti fare lontologia dell'essere sociale in un contesto storico e geografico in cui la sola comunit  la non-comunit del capitale, che come non-comunit si vanta di non avere alcun fondamento (se non appunto, il nulla), e dichiara che il solo assoluto possibile oggi  il relativo, non solo, ma che il relativo  buono, perch non ha alcuna imposizione ed alcuna normativit? Il generale discredito che ha invstito.il metodo di Marx ed il marxismo, che le strutture ideologiche legate al potere ultracapitalistico hanno collegato in modo falso e protervo alla dissoluzione sociale e politica del comunismo storico real- mente esistito (1917-1991), ha comportato negli ultimi due decenni (ma per quanto ancora?  nessuno lo sa!) una situazione spirituale malata e del tutto anormale, per cui il tipo di societ che avrebbe meritato il massimo di critica  praticamente 514 La passione durevole per una filosofia dell'emancipazione rimasta senza critica. Si tratta del paradosso maggiore dei nostri tempi. Potremmo formularlo cos, in un modo espressivo che utilizza modalit hegeliane liberamen- te reinterpretate: l'epoca attuale sembra essere un'epoca di gestazione e di trapasso verso una forma di ipercapitalismo assoluto geograficamente globalizzato, sostan- zialmente postborghese e postproletario; si tratta di un'epoca che potremo definire dellalienazione compiutamente realizzata proprio sulla base della compiuta realizza- zione della sovranit del valore di scambio su ogni altra forma di sintesi sociale umana comunitaria, il che verifica nei fatti l'ipotesi teorica dell'unit della teoria economica del valore e della teoria filosofica dellalienazione; e proprio quando sarebbe socialmente necessario rilanciare il carattere veritativo della pratica filoso- fica essa  delegittimata come premoderna; e infine, proprio il tipo di societ che meriterebbe il massimo di critica  rimasta di fatto senza critica; il nichilismo espri- me l'assenza di ogni fondamento comunitario, che  diventato appunto nulla, e s afferma che questa mancanza di fondamento  bene, anzi benissimo, perch il sapere moderno sarebbe caratterizzato dalla mancanza di fondamenti; il relati- vismo esprime il fatto sociale per cui tutto  diventato relativo al valore di scambio ed alla sua solvibilit, e questa determinazione ontologico-sociale, che esprime il massimo di barbarie alienata, viene lodata come fine delle costrizioni, delle norma- tivit metafisiche, dello Stato etico hegeliano e dell'utopia comunista. Stando cos le cose, l'epoca della compiuta peccaminosit di Fichte  finalmente realizzata. Viviamo infatti nell'epoca della realizzazione della compiuta peccaminosit. Sarebbe ingenuo pensare che tutto questo a lungo andare (ed anche in alcuni casi a corto andare o a medio andare) non provochi reazioni o resistenze. E tuttavia per ora queste resistenze sono di tipo non-universalistico, di tipo preva- lentemente religioso. Dal momento che queste resistenze sono pienamente giusti- ficate (il che non implica evidentemente che se ne debbano approvare moralmente tutte le manifestazioni), non ha pi senso a mio avviso continuare a dire che la religione  per sua natura alienazione. Forse un tempo lo  stata, ma ora non lo  pi. Nel momento in cui la religione investe direttamente la legittimit morale del capitalismo, sia pure in forme che ci possono non piacere o addirittura respin- gere, essa automaticamente non  pi alienazione. Ai loro tempi Feuerbach, Marx e Lenin potevano dirlo con qualche ragione, ma ora non pi. Oggi il solo pensiero alienato  quello che sostiene, direttamente o indirettamente, la legittimit e lin- trascendibilit del capitalismo nella forma attuale, e della necessit di un unico impero militare mondiale. Questo, e solo questo,  il solo pensiero alienato. Non ci sono altri pensieri alienati. Non sono sicuro che Spinoza, Hegel, Marx e Lukcs lo direbbero. Ma la filosofia  pensare con la propria testa, ed io mi sento di dirlo. Nessuno ovviamente sa come si svilupperanno le nuove contraddizioni di classe. Nella loro vecchia forma delle prime due et del capitalismo, la borghesia e il pro- letariato fanno parte del passato, anche se in altre parti del mondo esistono ancora. In Cina ed in India, ad esempio, soltanto adesso possiamo parlare veramente di scontro di classe borghesi-proletari cos come noi lo abbiamo conosciuto nellOtto- cento e nel Novecento. Si formeranno certamente nuove contraddizioni dialettiche 515 CarrroLo XL per ora ancora invisibili. Per cominciare,  improbabile che le classi medie svilup- patesi nel Novecento, ed ora in caduta verticale non solo di status e di aspettative, ma anche e soprattutto di condizioni di vita, potranno sopportare a lungo questo processo come fatale, laddove ovviamente non  per nulla fatale, ma provocato dal modello di sviluppo economico del potere delle oligarchie pi abbiette, crudeli e schifose dell'intera storia mondiale dai Sumeri ad oggi. Non tocca per alla pratica filosofica fare dilettantesche previsioni di tipo eco- nomico o sociologico. In questo senso, il futuro resta ampiamente imprevedibile, ed  questa imprevedibilit che fa cadere tutte le forme di pensiero teleologico, deterministico e messianico. La pratica filosofica deve invece strutturarsi non sulla (impossibile) prevedibilit, oppure sulla (ancora pi impossibile) scientificit, ma su tre solidi fondamenti: il carattere dialogico-comunitario, la deduzione sociale della categorie, e lontologia dell'essere sociale. Chiariamo ancora una volta di che si tratta, e soprattutto il perch di questa insistenza. Il carattere dialogico-comunitario deriva direttamente dalla pratica dellateniese Socrate. Nato sulla base dell'esigenza di conoscere se stesso (gnothi seautn), si  sviluppato sulla base del telos del convincimento comunitario possibile. Il con- vincimento comunitario presuppone per il rischio (probabile) che non si riesca a perseguirlo, per il permanere degli interessi egoistici dei singoli (pleonektein). E tuttavia,  bene evitare la fuga in avanti nella tentazione della costituzione di una lite ideologico-politica, per il semplice fatto che la verit non pu essere semplice- mente dedotta, affermata e conosciuta ma deve anche essere condivisa. Nel mondo moderno, Spinoza  stato il primo che ha affermato esplicitamente che la democra- zia, filosoficamente parlando,  la coesistenza dei saggi e dei non-saggi. Ma cosa pu essere la saggezza se non la conoscenza della verit? AI di fuori di questa definizio- ne, l'unica possibile, ci sono soltanto le regole dellabilit, i consigli della prudenza, i riti sociali consentiti, il conformismo di ci che di volta in volta  considerato il politicamente corretto che d luogo all'accesso a posti di comando, i vari utilita- rismi di gruppo, ecc. Ma il dialogo per sua stessa definizione,  interminabile solo idealmente ed astrattamente. Socialmente parlando, il dialogo deve di tanto in tan- to determinarsi. La determinazione sociale del dialogo si chiama etica, mentre si chiama morale la problematizzazione interminabile programmaticamente im- potente, e proprio per questo lodata da chi vuole che le cose rimangano come sono. La deduzione sociale delle categorie  il metodo usato in tutto questo trattato stori- co della filosofia. Ogni generazione di filosofi deve riaggiornarla e rifarla, per cui non esiste, e non pu esistere, una scoperta definitiva del quadro storico-strut- turale in cui viene socialmente dedotta la produzione delle categorie. Ad esempio, tutte queste mie proposte potrebbero essere errate, e tutte meritevoli di correzione radicale (anche se non lo penso affatto - la mia autocritica ed il mio masochismo non arrivano a tanto!). Ma questa eventualit non cambierebbe nulla sullutilit di questo metodo della deduzione sociale delle categorie. Si tratta infatti di una tera- pia vera e propria, attraverso la quale ci poniamo una serie di dubbi, sia metodici che iperbolici, sul nostro stesso apparato categoriale. Se infatti accettiamo il principio 516 La passione durevole per una filosofia dell'emancipazione che certo pensiamo individualmente e con la convinzione di essere mossi dal no- stro libero volere, ma non postuliamo questo libero volere (Cartesio, Kant, ecc.), ed invece lo inseriamo in una totalit sociale storicamente determinata, allora la tradizione boria dei dotti (lespressione  di Vico) si indebolir. Solo una vera deduzione sociale delle categorie, infatti, pu permettere di dimostrare a dito che tutte le tronfie dichiarazioni di fine moderna della storia dell'ideologia contem- poranea sono false, ed  quindi necessario dotarsi del coraggio di contrastarle, indif- ferenti alle calunnie ed alle incomprensioni. L'ontologia dell'essere sociale (non parlo qui ovviamente dei libri di Lukcs che hanno questo titolo) significa che l'essere sociale esiste (come del resto esiste la natura umana, e su questo punto Chomsky ha completamente ragione e Foucault comple- tamente torto). Il fatto che l'essere sociale esista, e sia caratterizzato da categorie ontologiche specifiche, e non solo storico-relative (il sociologismo relativistico  la porta girevole verso il nichilismo), resta il solo baluardo credibile contro lillimitata manipolazione che sorregge lattuale epoca della compiuta peccaminosit.  quin- di del tutto normale che questa ontologia dell'essere sociale si esprima preferibilmen- te nella forma dei vecchi sistemi filosofici. Il suo carattere mondano, che riguarda ci che necessariamente interessa ad ogni uomo (Weltbegriff), non pu fare a meno di prendere l'aspetto del sistema delle categorie e della loro connessione razionale (Schulbegriff). Quando dunque sentiamo dire che  finita l'epoca dei sistemi pos- siamo essere sicuri al cento per cento di una cosa: chi lo afferma con tanta sicumera vuole in realt che un solo sistema esista e sia legittimato, il sistema della produzio- ne ipercapitalistica postborghese e postproletaria della terza et del capitalismo. A questo punto, possiamo mettere tranquillamente la parola fine a questo studio. Siamo tornati esattamente dove avevamo cominciato: il potere comunitario della filosofia, l'irriducibilit della sua funzione sociale all'ideologia e/o alla scienza, la de- duzione sociale delle categorie, lontologia dell'essere sociale. L'andare oltre toccher ad ogni singolo lettore. 517 Indice dei nomi A Abbagnano N. 15, 16, 123, 223, 245, 249, 316, 317, 382, 383 Abelardo P. 69, 175 Abendroth W. 453 Achille 66, 78 Adorno T. L. W. 12, 18, 70, 99, 122, 161, 190, 206, 208, 310, 370, 435, 436, 438, 446, 451, 480, 492, 503, 509, 510 Aezio 75 Agamennone 82, 83 Agnelli G. 170 Agostino d'Ippona 109, 158, 159, 160, 168, 183, 184, 185, 186, 290, 358, 440, 441, 513 Akhenaton, il faraone 50 Albanese A. 160 Alessandro di Afrodisia 105 Alessandro di Hales 168 Alessandro il Macedone 124, 125, 135 Alfri P. 175 Alighieri D. 9,110, 165, 166, 169, 171, 172, 174, 180, 246, 275, 280, 396, 401, 458 Allen W. 59, 187, 446 Althusser L. 8, 18, 96, 107, 121, 147, 172, 207, 208, 209, 244, 252, 261, 264, 269, 272, 315, 317, 318, 321, 323, 368, 369, 410, 419, 423, 454, 466, 467, 500, 502 Ambrogio Aurelio (Sant'Ambrogio) 160 Amin S. 161, 320, 406, 482 Anassagora 56 Anassimandro 56, 57, 59, 66, 73, 74, 75, 77, 78, 95, 100, 103, 115, 120, 416, 421 Anassimene 56, 75, 508 Anders G. 18, 395, 404, 425, 463 Anderson P. 177, 261, 285, 320, 367, 415, 444 Anito di Atene 135 Antistene 132 Antonopoulou M. 11, 122, 200, 215, 344, 352, 378 Apuleio 96, 160 Archimede 35 Arendt H. 81, 85, 117, 133, 170, 326, 350, 371, 392, 402, 421, 425, 474 Argeri D. 160 Ario 151, 152 Aristofane 89, 129, 315, 464, 489, 508 Aristonico 133 Aristotele 9, 10, 12, 17, 21, 43, 55, 56, 57, 61, 65, 70, 75, 77, 89, 93, 96, 100, 101, 103, 104, 105, 107, 109, 111, 112, 113, 115, 116, 117, 118, 119, 120, 123, 124, 125, 129, 130, 150, 153, 161, 168, 171, 172, 173, 174, 187, 190, 205, 216, 223, 228, 239, 258, 268, 269, 288, 300, 317, 332, 343, 345, 366, 421, 438, 439, 449, 457, 458, 470, 473, 476, 477, 478, 479, 495, 503, 506, 510, 512 Aron R. 287 Assmann ]. 50, 51, 52 Atanasio 152, 153 Auerbach E. 166, 280 Averro 171 Avicenna 499 Axelos K. 423 B Babeuf F.-N. 216 Bacone F. 66, 207, 227 Badiou A. 285 Bahro R. 274 Bakunin M. 252, 491 Baldacci M. 182 Balzac H. de 328, 427, 464 Barthes R. 207 519 Indice dei nomi Bateson G. 263 Baudelaire C. 32 Bauman Z. 297, 442, 443, 493 Bax B. 195 Bayle P. 16, 199, 203 Bebel A. 18 Beda il Venerabile 168 Bedeschi G. 160, 316 Beethoven L. van 7, 149, 328 Bela Kun 479 Benigni R. 110, 165, 404 Benjamin W. 53, 243, 359, 397, 438, 464, 509 Benni S. 317 Bentham J. 228, 264 Berengario di Tours 167, 168 Bergson H. 346, 497 Berkeley G. 225, 226, 227, 228 Berlin I. 287, 323 Berlusconi S. 101, 119, 129, 226, 451 Bernstein E. 331, 480 Bertelli L. 133 Berti E. 105, 110 Bertinotti F. 404 Bettelheim C. 375 Biral A. 100, 112, 135, 158 Blair T. 446 Bloch E. 8, 18, 53, 174, 186, 206, 223, 327, 370, 372, 378, 383, 411, 438, 454, 455, 464, 470, 474, 476, 477, 480, 499, 500, 502 Blossio di Cuma- 96, 133, 134 Blumenberg W. 322 Bobbio N. 18, 89, 116, 223, 245, 287, 350, 378, 415, 448, 475, 479, 503 Bodin L. 363 Boezio di Dacia 172 Boltanski L. 361, 444, 445, 449, 450, 452, 462 Bombacci N. 490 Bonaventura da Bagnoregio 163, 172 Bonino E. 108 Bordiga A. 370, 371 Borges J. L. 225, 316, 344, 346, 464 Borkenau F. 192 Bramante 178 Brancusi C. 129 520 Brecht B. 245, 246, 341, 346, 497, 499 Brenner R. 208, 209, 323 Brown P. 148, 150, 217 Bruno G. 65, 69, 188, 218, 231, 402 Bucharin N. 288, 348, 370, 481, 492, 502 Budda 35, 496 Bulgarelli A. 5 Buonarroti M. 109, 178, 326, 493 Burke E. 213 Bush G. 53 C Caifa 138 Calogero G. 97, 98, 99, 106 Canfora L. 85 Cantore P. 168 Capizzi A. 61 Capograssi G. 298 Carnap R. 96, 261, 264 Cases C. 455, 503, 509 Cassandra 82 Cassirer E. 190, 213, 223, 290, 342, 484 Castoriadis C. 439, 491 Castro F. 307 Catone M. P. 21, 473 Cline L.-F. 490 Cervantes M. de 458 Cesa C. 284 Cesare G. 184 Chang En Tse 343 Chartier .-A., detto Alain 378, 379 Chavance B. 219, 311, 353 Chiapello E. 361, 444, 445, 449, 450, 452, 462 Chomsky N. 517 Christie A. 219 Chryssis A. 126 Chuang Tse 35, 43 Cicerone M. T. 157, 471 Ciro il Grande 51, 52, 182 Clausewitz K. von 374 Cleomene 84, 133 Cliff T. 375 Indice dei nomi Clinton B. 53, 186 Clistene 46, 61, 81, 83, 84, 85, 98, 104, 132 Clitennestra 82, 83 Cohn-Bendit D. 489 Colletti L. 8, 107, 159, 160, 189, 252, 261, 264, 272, 274, 302, 307, 316, 368, 369, 372, 382, 384, 410, 417, 419, 421, 422, 433, 437, 458, 464, 466, 467, 475, 500 Colli G. 97 Comte A. 22, 96, 272, 273, 308, 316, 317, 344, 364, 379, 389, 417, 467 Condorcet J.-A. Cariat de 214, 215, 227, 321, 430 Confucio 35, 43 Constant B. 88, 378 Cordero di Montezemolo L. 119 Corneille J. F. 85 Costantino detto il Grande 147, 148, 151, 153, 156, 159 Cournot A. A. 261 Cratilo 61, 104 Crisippo 130 Crizia 89 Croce B. 108, 137, 181, 213, 230, 232, 253, 360, 368, 370, 378 Cromwell O. 185 Cubeddu I. 190 Cusano N. 93, 94, 173 D Dahrendorf 287 Darwin C. 35, 201, 303, 307, 324, 352, 430, 456, 463 De Benoist A. 51, 137 Debord G. 102, 329, 397, 454 Deborin A. M. 348, 349, 350 De Curtis A. 316 Defoe D. 191 De Gaulle C. 449 Deleuze G. 382, 383 Della Volpe G. 107, 159, 261, 302, 316, 317, 368, 382, 383, 454, 500 Del Noce A. 108 Democrito 9, 56, 121, 125, 130, 201, 202, 216, 344, 358 Denis H. 116, 118, 172, 288 De Sade D. A. F. 436 De Sanctis F. 471 Descartes R. (Cartesio) 11, 69, 76, 159, 187, 188, 189, 190, 191, 192, 193, 195, 197, 198, 204, 206, 208, 211, 224, 226, 227, 228, 229, 231, 240, 242, 268, 271, 272, 276, 340, 344, 381, 386, 387, 410, 422, 423, 428, 433, 468, 482, 511, 517 De S. Croix G. 116, 117, 118 Deutscher I. 487 D'Holbach P. H. T. 351, 388 D'Hondt J. 283, 284, 290 Diano C. 75, 76 Dimitrov G. M. 288, 490 Diocleziano 147 Diodoro 326 Diodoto 59, 61, 62, 67, 104, 126, 127, 136, 385, 393 Diogene di Sinope il Cinico 131, 132 Diogene Laerzio 58, 61, 122, 131 Dobb M. 481 Dodds E. 147 Domenico tdi Guzmn 171, 172 Donini A. 139 DoriotJ. 490 Dostoevskij F. M. 181, 354 Doyle C. 219 Dreyfus A. 96, 363 Dumzil G. 434 Dumont L. 45, 289 Duns Scoto G. 206, 421 Durkheim . 255, 271, 295 E Eagleton T. 28 Eco U. 175 Edipo 131, 178, 222 Efesto 116 521 Indice dei nomi Egisto 82, 83 Einaudi L. 129, 286 Einstein A. 346 Elettra 83 Elia 35 Eloisa 175 Eltsin B. N. 145 Engels F. 10, 17, 19, 21, 103, 111, 153, 186, 195, 198, 200, 201, 203, 214, 222, 243, 244, 250, 275, 293, 295, 304, 306, 308, 323, 324, 325, 327, 331, 332, 333, 334, 336, 340, 344, 348, 351, 352, 357, 368, 461, 497, 502 Enzenberger H. M. 195 Epicuro 7, 9, 17, 57, 119, 121, 122, 123, 124, 125, 126, 130, 161, 199, 201, 216, 240, 251, 253, 276, 280, 358, 458, 470, 471, 476 Epitteto 134 Eraclito 35, 57, 59, 61, 62, 63, 66, 67, 68, 69, 72, 76, 95, 98, 103, 106, 115, 120, 126, 129, 152, 161, 168, 278, 338, 385, 393, 416, 433, 434, 455, 471, 508  Erasmo da Rotterdam 179 Erennio Filone 157 Ermodoro di Efeso 61 Erodoto 52 Eschilo 76, 78, 82, 97, 508 Esiodo 78, 169 Euripide 76, 508 Eusebio di Cesarea 153 Evemero da Messina 133, 134 F Fallot J. 121 Farrington B. 126, 134 Federico II di Prussia 251, 430 Fher M. 503 Fennell D. 404, 405 Fetscher I. 284, 341, 408 Feuerbach L. 50, 108, 125, 171, 198, 199, 245, 256, 296, 297, 334, 351, 389, 421, 465, 515 522 Feyerabend P. 311, 342, 422, 461 Fichte J. G. 10, 17, 18, 93, 96, 105, 136, 160, 191, 202, 213, 214, 223, 224, 238, 243, 244, 245, 246, 247, 248, 249, 250, 251, 252, 253, 254, 256, 267, 268, 286, 291, 296, 300, 317, 321, 340, 343, 351, 368, 405, 410, 411, 413, 422, 430, 431, 438, 459, 462, 484, 488, 515 Fidia 76, 129, 508 Findlay J. N. 275 Finelli R. 467 Fineschi R. 466 Finley M. 116 Fiorillo C. 5 Fischer E. 354 Flores D'Arcais P. 110, 352 Folengo G. (Teofilo Folengo) 464 Forman M. 476 Foucault M. 237, 517 Francesco d'Assisi 171, 172, 174, 175, 292, 339 Franco F. 175, 489 Frank G. 482 Freud S. 49, 50, 52, 101, 178, 186, 237, 238 Fromm E. 466 Fukuyama F. 395, 451, 475, 510 Fung Yu Lan 42 Furet F. 292, 402, 480, 510 Fusaro D. 5, 169 G Gadamer H.-G. 315 Gadda C. E. 357 Galilei G. 27, 32, 36, 66, 167, 168, 187, 189, 190, 257, 263, 300, 302, 303, 305, 307, 422, 460, 511 Galimberti U. 221, 238, 263, 432, 466, 468, 475 Gallo Lassere D. 5 Garaudy R. 173, 229 Gates B. 430 Gehlen A. 510 Gentile G. 213, 360, 367, 368, 370, 371, 378 Indice dei nomi Geremia 35 Ges di Nazareth 87, 136, 138, 139, 140, 141, 149, 151, 152, 162, 163, 167, 169, 175, 178, 182, 205, 217, 221, 222, 225, 274, 292, 313, 372, 373, 405, 429, 496 Getty A. 488 Geymonat L. 173, 201, 250, 342, 343, 422, 497, 503 Giambulo 133, 134 Giancotti E. 196, 200, 201, 202, 203, 204, 227,284 Giannantoni G. 97, 98, 99, 106 Gibbon E. 146 Gigon O. 78, 87, 508 Gioacchino da Fiore 178, 396 Giocasta 131 Giovanni Crisostomo 150 Giovanni Paolo II 411 Giuliano detto lApostata 130, 134, 151, 157, 159, 160, 161 Glaucone 101 Goethe J. W. von 263, 458, 473, 476 Goldmann L. 195, 196, 225, 468 Gorbaciov M. 145 Gordiano III 157 Gorgia 87, 262, 272 Gorter H. 491 Graham A. C. 42, 43, 77 Gramsci A. 9, 18, 21, 221, 246, 326, 360, 361, 362, 366, 370, 371, 438, 453, 461, 480, 481, 492, 497, 507 Grecchi L. 5, 116, 118 Gregorio VII 167 Grillo B. 110, 278 Grozio U. 218 Guevara E. 21 Guglielmo di Occam 69, 110, 155, 167, 168, 174, 175, 180, 227, 253, 278, 319, 363, 396, 433, 472 Guglielmo II 283 H Habermas]. 18, 98, 116, 170, 207, 208, 229, 250, 350, 415, 435, 436, 437, 438, 439, 442, 451, 456, 461, 470, 478, 487, 503, 504, 506, 510 Hardt M. 330 Harvey W. 428, 442, 443, 445, 448, 450, 451, 452, 462, 482, 506 Hatvany E. 476 Havelock E. 75 Hegel G. W. F. 8,9, 10, 11, 12, 15, 17, 18, 20, 21, 23, 27, 45, 46, 57, 58, 63, 65, 67, 69, 70, 71, 72, 76, 77, 87, 93, 94, 95, 97, 98, 99, 105, 106, 107, 108, 109, 110, 111, 119, 121, 122, 123, 124, 125, 127, 132, 133, 135, 136, 141, 142, 143, 149, 150, 152, 159, 160, 161, 163, 165, 170, 171, 177, 179, 181, 189, 190, 191, 195, 196, 197, 198, 200, 201, 202, 203, 204, 211, 212, 214, 218, 221, 222, 223, 224, 225, 227, 232, 238, 240, 243, 244, 245, 246, 247, 248, 250, 255, 256, 257, 258, 259, 260, 261, 262, 263, 264, 265, 266, 267, 268, 269, 271, 272, 273, 274, 275, 276, 277, 278, 279, 280, 281, 283, 284, 285, 286, 287, 288, 289, 290, 291, 292, 293, 294, 295, 296, 297, 298, 299, 300, 301, 303, 305, 306, 307, 308, 309, 312, 315, 317, 321, 322, 323, 328, 332, 333, 338, 339, 340, 341, 342, 343, 344, 345, 347, 348, 349, 351, 352, 357, 364, 365, 366, 368, 369, 370, 372, 374, 378, 380, 381, 382, 383, 384, 387, 391, 393, 394, 395, 399, 400, 402, 403, 405, 407, 408, 409, 410, 411, 412, 413, 415, 416, 419, 420, 421, 422, 424, 428, 430, 433, 434, 436, 437, 438, 439, 446, 447, 448, 449, 451, 452, 453, 454, 457, 458, 459, 465, 466, 467, 468, 469, 470, 471, 472, 475, 476, 477,478, 479, 481, 482, 484, 485, 486, 487, 488, 490, 491, 495, 496, 503, 504, 505, 506, 509, 510, 511, 512, 514, 515 Heidegger M. 8, 15, 27, 69, 74, 143, 161, 190, 192, 204, 206, 208, 209, 221, 223, 229, 233, 238, 242, 253, 262, 303, 323, 523 Indice dei nomi 352, 367, 385, 386, 392, 395, 396, 399, 405, 407, 409, 410, 413, 414, 415, 416, 417, 418, 419, 420, 421, 422, 423, 424, 425, 428, 432, 433, 434, 443, 446, 451, 452, 454, 456, 458, 474, 475 Heller A. 486, 487, 488, 494, 503, 504 Herbart J. F. 250, 343, 410 Herder J. G. 321, 473 Hessen B. 188 Hilferding R. 13, 302 Hitler A. 260, 283, 284, 348, 350, 365, 374, 401, 402, 405, 409, 415, 416, 424, 474, 481, 482, 483, 484, 485, 488, 489, 493 Hobbes T. 23, 175, 191, 216, 218, 290, 487, 511 Hobsbawm E. 400, 444 Hobson J. A. 482 Ho Chi Minh 402 Hofmann W. 453, 503 Holz H. H. 453 Horkheimer M. 122, 435 Hume D. 11, 13, 20, 23, 50, 74, 77, 90, 117, 184, 185, 191, 197, 204, 206, 212, 218, 219, 225, 226, 227, 228, 239, 240, 242, 251, 264, 266, 279, 300, 301, 303, 305, 307, 339,344, 375, 382, 387, 388, 405, 408, 410, 411, 465, 468, 508 Husserl E. 188, 189, 263, 303, 360, 415, 422 Hutcheson F. 240 Hyppolite J. 173, 277, 284, 477 I Ignazio di Loyola 488 Iuminati A. 201 Innocenti P. 121, 123 Innocenzo IV 168 Irving L. C. 366 Isagora 84 Isaia 35, 138 524 J Jaffe H. 320 Jameson F. 428, 442, 443, 452, 462 Jaspers K. 27, 35, 36, 382, 383 Judin P. 349, 350, 383 K Kafka F. 316, 346, 464 Kalomalos T. 82 Kant I. 10, 11, 13, 15, 16, 17, 18, 23, 32, 42, 65, 69, 76, 93, 98, 104, 105, 112, 123, 134, 137, 149, 159, 190, 191, 192, 193, 197, 203, 204, 211, 219, 221, 222, 223, 224, 225, 226, 228, 229, 230, 232, 233, 235, 236, 237, 238, 239, 240, 241, 242, 243, 244, 246, 247, 249, 250, 251, 254, 257, 260, 262, 266, 268, 272, 274, 276, 278, 279, 283, 295, 296, 300, 301, 304, 305, 307, 310, 311, 319, 323, 331, 340, 341, 342, 343, 345, 346, 351, 354, 358, 359, 372, 378, 379, 380, 381, 382, 387, 390, 391, 393, 410, 417, 428, 433, 436, 453, 456, 457, 458, 468, 469, 472, 473, 476, 482, 484, 486, 491, 505, 506, 508, 509, 510, 511, 512, 517 Kautsky K. 21, 111, 214, 222, 244, 295, 323, 324, 336, 340, 346, 370, 480, 495, 497, 502 Keaton B. 187, 414 Kelsen H. 89 Keynes]. M. 366 Khun T. 496, 501 Kierkegaard S. A. 65, 195, 258, 259, 315, 382, 383 Kipling R. 147 Kojve A. 261, 475, 510 Kolakowski L. 341, 504 Korais A. 153 Korsch K. 454, 480, 492, 493, 494, 498, 499, 502 Koselleck R. 57, 160, 201, 277, 293, 484 Kosk K. 202, 267, 370, 437, 461, 475, 497 Indice dei nomi Kouloubaritsis S. 158, 159 Kovaliov S. I. 326 Krader L. 320 Kropotkin P. A. 252 Krusciov N. 18, 354 Kuhn T. 187, 188, 189, 311, 337, 342, 422 L Laas E. 343, 344, 368, 497 Labriola A. 97 Lafargue P. 331 La Grassa G. 330, 375 Lakatos I. 311, 461 Lange F. A. 17, 111, 222, 250, 342, 346, 368, 497 Lao Tse 35, 43 Las Casas B., di 186 Lasch C. 403, 443 Lassalle F. 308, 461, 491 Lefebvre H. 498, 502 Le Goff J. 168 Leibniz G. W. von 16, 135, 193, 225, 226, 227, 265, 273, 277, 343, 434 Lenin V. I. 10, 19, 20, 21, 103, 171, 174, 185, 199, 200, 238, 250, 288, 292, 323, 346, 347, 348, 349, 351, 362, 384, 402, 406, 408, 466, 477, 482, 485, 486, 492, 499, 502, 515 Leopardi G. 166, 193 Lessing G. E. 203, 473 Levi Montalcini R. 263, 264 Licurgo 84, 133 Liedman E. 244, 312, 352 Lie Tsu 35 Liverani M. 51, 52, 182 Locke J. 23, 117, 186, 191, 197, 204, 206, 216, 218, 225, 226, 227, 228, 242, 254, 266, 288, 319, 339, 378, 388, 408, 465, 511 Loewy M. 397 Loisy A. 163 Lonzi C. 274 Losurdo D. 284, 483 Lwith K. 136, 230, 304, 315, 316, 317, 320, 321, 334, 336, 348, 367, 368, 369, 372, 376, 378, 381, 382, 383, 384, 391, 407, 413, 417, 424, 433, 437, 443, 458, 464, 466, 474, 475, 500 Lucano M. A. 21 Luciano di Samosata 96, 132, 160 Lucrezio 130, 161 Luhmann N. 209, 332 Luigi XVI 237 Lukcs G. 7, 8, 9, 10, 11, 12, 15, 16, 18, 19, 21, 50, 69, 70, 72, 73, 90, 93, 101, 103, 105, 108, 109, 119, 123, 137, 142, 160, 163, 173, 179, 182, 190, 198, 199, 201, 203, 206, 209, 215, 223, 225, 239, 249, 250, 257, 266, 268, 269, 271, 286, 303, 304, 309, 313, 325, 328, 334, 362, 367, 369, 378, 383, 384, 396, 399, 405, 411, 422, 424, 438, 453, 454, 455, 456, 457, 458, 459, 460, 462, 463, 464, 465, 467, 468, 469, 470, 471, 472,473, 474, 475, 476, 477, 478, 479, 480, 481, 482, 483, 484, 485, 486, 487, 488, 489, 490, 492, 494, 495, 496, 497, 500, 501, 502, 503, 504, 506, 507, 515, 517 Lutero M. 174, 177, 178, 179, 180, 182, 183, 184, 217, 283, 358 Luxemburg R. 288, 440, 460, 466, 480, 482,. 502 Lyotard J.-F. 199, 304, 337, 427, 428, 429, 430, 431, 433, 435, 437, 439, 440, 441, 442, 443, 451, 452, 462, 464, 475, 480, 491, 510 Lyssenko T. D. 350 M Machiavelli N. 121, 277, 361 Mac Luhan M. 179 Maimonide (Moshe ben Maimon, detto anche Rambam) 499 Maitan L. 375 Majakovsky V. V. 354 525 Indice dei nomi Malebranche N. 197, 206, 208, 227, 228 Mandel E. 306, 375, 443, 444 Mandeville B. de 240 Mani, fondatore del manicheismo 157 Mannheim K. 360 Mann T. 464, 487 Manzoni A. 357 Maometto 151, 223, 284, 351, 405, 496 Mao Tse Tung 10, 19, 21, 106, 107, 200, 288, 326, 375, 402, 488 Marchionne S. 129 Marcione 231 Marco Aurelio 134, 135 Marcuse H. 70, 189, 228, 261, 264, 265, 275, 284, 298, 370, 473, 509 Marsilio Ficino 173, 178, 188, 303 Martens L. 488 Marx K. 8,9, 10, 11, 12, 13, 17, 18, 19, 20, 21, 23, 36, 47, 50, 52, 53, 57, 58, 61, 63, 67, 69, 70, 71, 72, 75, 79, 84, 93, 94, 95, 96, 97, 101, 105, 106, 107, 108, 110, 111, 112, 113, 116, 117, 118, 119, 121, 123, 124, 125, 126, 127, 130, 133, 136, 145, 146, 149, 153, 157, 159, 160, 161, 163, 165, 168, 169, 171, 173, 174, 181, 182, 183, 189, 190, 191, 192, 195, 197, 198, 199, 201, 202, 204, 207, 208, 209, 210, 212, 213, 214, 215, 218, 219, 221, 222, 223, 224, 229, 233, 238, 243, 244, 245, 246, 247, 248, 249, 251, 252, 254, 256, 261, 262, 266, 268, 269, 271, 272, 273, 275, 276, 279, 280, 281, 284, 286, 288, 290, 293, 295, 296, 297, 298, 299, 300, 301, 302, 303, 305, 306, 307, 308, 309, 310, 311, 312, 313, 315, 316, 318, 320, 321, 322, 323, 324, 325, 326, 327, 328, 329, 330, 331, 332, 333, 334, 336, 337, 340, 342, 345, 351, 353, 354, 355, 357, 358, 359, 360, 363, 364, 365, 366, 367, 368, 369, 370, 372, 373, 374, 375, 378, 380, 381, 383, 384, 385, 391, 392, 393, 394, 395, 396, 397, 400, 402, 405, 407, 408, 409, 410, 411, 412, 413, 414, 416, 417, 419, 420, 422, 423, 424, 428, 429, 430, 431, 433, 434, 437, 438, 439, 440, 441, 442, 446, 447, 448, 449, 451, 526 452, 453, 454, 455, 457, 458, 459, 461, 462, 463, 464, 465, 466, 467, 468, 470, 471, 472, 473, 474, 475, 477, 480, 481, 482, 485, 486, 487, 488, 490, 491, 492, 495, 496, 499, 500, 501, 503, 504, 505, 508, 510, 512, 514, 515 Masini F. 195, 377 Matthyas E. 370, 497 Mattick P. 480 Mecenate G. C. 96 Meiskins Wood E. 82 Meleto 135 Melotti U. 320 Mencio (Meng Tzu) 42 Merker N. 230, 247, 317 Merleau-Ponty M. 292, 464 Metternich K. von 264, 285, 485 Michelet J. 280 Michels R. 379 Mill S. 70, 228, 307, 339, 344 Mills W. 216 Mitterand F. 446 Molire (J.-B. Poquelin) 85, 129 Monchietto A. 5 Mondolfo R. 75 Montaigne M. E. de 240 Moritz R. 41 Mos 52 Mosse 493 Mo Ti 35 Mozart W. A. 7, 476 Miintzer T. 186, 327, 500 Mussolini B. 274, 360, 401, 402, 479, 489, 491 Myrdal G. 137 N Nabucodonosor 51, 94 Nagy I. 494, 495 Napoleone Bonaparte 184, 226 Napoleoni C. 307, 322, 366, 465 Negri A. 96, 126, 191, 196, 197, 198, 201, 324, 330 = Indice dei nomi Newton J. 227, 228, 229, 257, 263, 302, 303, 346, 511 Nietzsche F. 11, 47, 50, 65, 81, 85, 102, 117, 133, 137, 142, 155, 161, 195, 211, 239, 256, 274, 283, 301, 303, 304, 326, 328, 346, 354, 377, 379, 380, 381, 382, 383, 384, 385, 386, 388, 389, 390, 391, 392, 394, 395, 396, 397, 405, 409, 411, 412, 414, 421, 424, 436, 441, 446, 455, 460, 468, 472, 475, 478, 482, 508, 509 Nolte E. 402 O Odifreddi P. 280 Omero 24, 35, 65 Onfray M. 51, 121, 137 Orazio (Quinto Orazio Flacco) 126, 362 Oreste 83 Origene Adamanzio 157 Osio, vescovo di Cordova 153 Otto W. 121 Ovidio (Publio Ovidio nasone) 45 Owen R. 211, 378 P Paciello G. 5 Panikkar R. 36 Pannekoek A. 387, 480, 492 Pannella M. 108 Paolo di Tarso 136, 138, 141, 149, 156, 162, 199, 217, 236, 237, 253, 312, 424, 429, 512 Papadopoulos G. 147 Pareto V. 328, 379 Parmenide 35, 57, 69, 70, 71, 72, 95, 98, 104, 106, 115, 120, 123, 124, 156, 163, 196, 246, 247, 278, 338, 385, 416, 428, 433, 434, 508 Pascal B. 157, 195, 196 Pelagio Britannico 158, 183 Penelope 82 Peperzak A. T. 378 Perelli L. 161 Pericle 76, 85, 117, 182 Petronio (Tito Petronio Nigro) 158 Petry F. 306 Pezzano G. 5 Piganiol A. F. G. 145 Pinochet A. 147 Pirrone di Elide 280 Pisistrato 84, 85 Pitagora 27, 46, 56, 57, 61, 62, 65, 66, 67, 77, 95, 98, 104, 106, 115, 120, 129, 130, 303, 339, 433 Platone 7, 12, 17, 23, 35, 56, 57, 62, 67, 73, 83, 87, 88, 93, 94, 95, 96, 97, 98, 99, 100, 101, 102, 103, 105, 106, 107, 113, 115, 120, 124, 126, 129, 130, 132, 135, 153, 158, 159, 161, 173, 178, 201, 204, 216, 255, 258, 260, 276, 278, 296, 300, 303, 304, 344, 345, 367, 385, 392, 396, 421, 428, 433, 434, 457, 458, 476, 488, 512 Plekhanov G. V. 201, 203, 340, 358, 497 Plotino 57, 69, 157, 158, 159, 160, 161 Plutarco 84 Poe E. A. 428 Pggeler O. 277, 278, 285, 298, 317, 438 Polanyi K. 116, 117, 118, 173, 209, 288, 319, 366 Pol Pot 402, 489 Pomponazzi P. 472 Ponzio Pilato 138, 162 Popper K. 93, 94, 95, 98, 183, 188, 238, 258, 264, 274, 323, 372, 461, 498 Pound E. 490 Preve C. 5,8 Proclo 157, 160, 231 Prodi R. 119, 406, 509 Protagora 46, 87, 89, 262, 344 Proudhon P.-J. 211, 378 Proust M. 149 Pufendorf S. von 218 527 Indice dei nomi O Quisling V. 490 R Raffaello Sanzio 96, 178, 180 Rakosi M. 495 Ranke M. 412, 413 Ratzinger]. 20, 88, 89, 105, 110, 138, 149, 173, 233, 271, 283, 373 Ravelli F. 5 Rawls]J. 350, 415 Reale G. 105, 110 Redondi P. 167 Renan . 138 Renault E. 492 Revelli M. 378, 380 Ricardo D. 116, 174, 264, 306, 366 Ricoeur P. 112, 115 Rizzi B. 375 Robespierre M. de 264, 292, 293, 430, 485 Robin R. 210 Rockmore T. 275 Roosevelt 493 Rorty R. 160, 272, 301, 413, 496, 501, 506 Rosanvallon P. 219 Rosdolsky R. 306 Rosenkranz K. 277 Rousseau J.-J. 107, 126, 216, 218, 243, 252, 254, 264, 290, 293, 343, 378, 402, 430, 465, 485, 487 Rubin E. J. 306 Rushdie S. 414 Russell B. 228, 246, 247, 248, 254, 260, 264, 274, 339 S Salgari E. 301 Salieri A. 476 Sapore, re sasanide di Persia 157 528 Saramago J. 448 Sarkozy N. 147, 449 Sartre J.-P. 18, 361, 454, 500 Scarponi A. 7 Schelling F.W.]J. 249, 256, 258, 261, 263, 267, 268, 298, 343, 349, 352, 383, 415, 484 Schmitt C. 165, 322 Schopenhauer A. 27, 65, 211, 239, 246, 258, 259, 315, 383, 416, 472, 473 Schumacher M. 283 Schumpeter J. A. 366 Seferis Y. 65 Sellers P. 246 Seneca 130, 134, 135, 157 Senofonte 87 Seplveda L. 186 Serveto M. 180 Severino E. 60, 386 Sfero di Sparta 133, 134 Shakespeare W. 85, 129, 354, 458 Sichirollo L. 284 Simeone lo Stilita 344 Simmel G. 411, 416, 432, 446, 451, 454, 475, 476, 477, 478, 489 Simone di Tournai 168 Simopoulos K. 125 Simplicio 74, 189 Singer P. 275 Sismondi J. C. L. de 211 Smith A. 23, 66, 90, 116, 117, 173, 174, 184, 191, 192, 212, 218, 219, 240, 264, 287, 305, 306, 319, 344, 366, 408 Soboul A. 293 Socrate 35, 43, 46, 73, 78, 83, 87, 88, 89, 90, 91, 95, 97, 98, 99, 101, 104, 105, 106, 113, 124, 129, 133, 135, 138, 262, 271, 292, 365, 369, 417, 455, 456, 507, 508, 510, 516 Sofocle 129, 508 Sofri A. 489 Sohn-Rethel A. 11, 58, 71, 167, 196, 225, 310, 344, 392, 506 Solone 79, 84, 98, 104, 140 Solzenitsyn A. I 286, 351 Sombart W. 186 Indice dei nomi Sordi A. 489 Sorel G. 18, 165, 243, 346, 370, 497 Spencer H. 471 Spengler O. 274, 328 Spinoza B. 49, 50, 53, 93, 105, 109, 110, 121, 137, 186, 190, 193, 196, 197, 198, 199, 200, 201, 202, 203, 204, 212, 224, 225, 226, 227, 231, 239, 246, 249, 258, 266, 267, 272, 276, 278, 279, 294, 295, 300, 332, 338, 339, 343, 345, 347, 358, 364, 369, 391, 393, 402, 405, 410, 422, 441, 453, 454, 457, 458, 469, 470, 476, 482, 484, 490, 496, 507, 509, 512, 514, 515, 516 Stalin G. 10, 19, 61, 81, 85, 95, 96, 107, 117, 133, 153, 173, 182, 183, 200, 232, 250, 284, 288, 323, 348, 349, 350, 351, 352, 373, 374, 392, 401, 402, 404, 405, 409, 424, 430, 440, 472, 479, 480, 481, 482, 485, 486, 487, 488, 489, 493, 495, 502, 513 Stendhal, M.-H. Beyle, detto 328 Stevenson R. L. 354 Stone E. 89, 90 Swedenborg E. 10 Sweezy P. 189, 276, 306, 400, 481, 482 T Talete 56, 57, 75, 179, 206, 231, 251, 508 Taylor C. 284 Teofrasto 75 Terracini U. 371 Tertulian N. 9, 455, 503 Theodoris C. 124 Thomasius G. 15 Thomson G. 43, 65, 75, 76, 78, 121 Tiberio Gracco 133 Tieste 82 Tocqueville A. de 328 Togliatti P. 96 Tommaso d'Aquino 12, 55, 69, 105, 110, 168, 171, 172, 173, 174, 175, 190, 250, 288, 303, 339, 435, 505 Torquemada T. de 222, 402, 513 Torri M. 45 Toscani O. 110 Tosel A. 196, 200, 203, 204, 227, 272, 498, 507 Trendelenburg F. A. 250, 410, 421 Trotzky L. 19, 200, 354, 440, 460, 493, 494 Tucidide 35, 508 Turchetto M. 352 Turgot A. R. J. 213, 214, 227, 321, 430 Tutankhamen 94 V Vade M. 108, 311, 313 Vajda M. 503 Varesio E. 5 Vattimo G. 108, 132, 160, 413, 443, 475 Vegetti M. 156 Veltroni V. 116, 147 Vergs]. 89 Viano A. 123, 280, 316 Vico G. B. 203, 254, 276, 277, 517 Vittorio Emanuele III 226 Vogt C. 108 l Voltaire (F.-M. Arouet), detto 36, 193, 227, 328, 430 Vranicki P. 341 W Wagner R. 283 Waltari M. 50 Weber M. 13, 50, 74, 77, 163, 180, 186, 209, 210, 215, 217, 229, 230, 300, 303, 304, 305, 307, 372, 379, 380, 387, 391, 395, 396, 399, 405, 407, 409, 410, 411, 412, 413, 414, 415, 416, 419, 425, 427, 432, 433, 434, 436, 443, 444, 450, 451, 454, 458, 467, 474, 475, 476, 477, 478, 484, 489, 500, 502, 503, 505, 510 529 Indice dei nomi Whitehead A. N. 255 Z Wilde O. 436 Windelband W. 223 Zapata E. 289 Wittgenstein L. 339, 474, 512 Zapatero J. L. R. 289 Wolff C. 15, 16, 240, 250 Zarathustra Spitama 35 Zdanov A. A. 383 Zenone 130, 131, 135, 136, 280, 471 Zinoviev A. 286 Zosimo 148 530 Sommario Nota editoriale Prologo Introduzione Il significato filosofico del termine Ontologia dell'Essere Sociale I La natura ad un tempo necessariamente filosofica ed ideologica delle categorie del pensiero umano II L'unit ontologica di macrocosmo naturale e di microcosmo sociale e la sua progressiva differenziazione storica II. La teoria del Periodo Assiale di Karl Jaspers e l'insieme dei problemi interpretativi che essa pone IV. La genesi ontologico-sociale del pensiero filosofico nell'antica Cina V. La genesi ontologico-sociale del pensiero filosofico nell'antica India VI. La genesi ontologico-sociale del messianesimo religioso esclusivista nell'antico Israele VII. Il passo falso iniziale. La ricostruzione di Aristotele della storia della filosofia precedente e la sciagurata successiva filastrocca di opinioni 15 27 31 35 41 45 49 55 533 Sommario VII. Il poema della natura di Eraclito secondo linterpretazione del grammatico alessandrino Diodoto IX. Il numero di Pitagora ed il logos come calcolo sociale delle buone proporzioni geometriche nella comunit x. L'Essere di Parmenide come metafora e proiezione ideale eterna della stabilit e della permanenza nel tempo della buona legislazione XI. L'Apeiron di Anassimandro come prioiezione ideale astratta del pericolo dellinfinitezza e dell'indeterminatezza delle ricchezze individuali per la convivenza comunitaria XII. La riforma democratica del pitagorico ateniese Clistene come applicazione politica diretta della centralit del metron e dellisorropia, fondamenti ontologico-sociali del sapere filosofico antico XII. Socrate, il moscone fastidioso del nobile cavallo della democrazia degli ateniesi. La critica razionale al fallimento politico degli automatismi del modello democratico di Clistene XIV. Platone, un pitagorico socratico. Le basi ontologico-sociali del modello idealistico bimondano e lindividualizzazione dell'ideale della isorropia allinterno dell'anima del singolo XV. La prima formulazione sistematica dellontologia dell'essere sociale in Aristotele. La normativit ontologica della natura umana individuale XVI. La prima critica sociale sistematica priva della mediazione simbolica della natura al pericolo della crematistica in Aristotele 534 59 65 69 73 81 87 93 103 115 Sommario XVII. Il necessario ripiegamento individualistico in una comunit protetta di amici in Epicuro e la sua spiegazione ontologico-sociale XVIII. La fuga in avanti cosmopolitica della comunit dei saggi e la compensazione utopica alla miseria del mondo reale degli Stoici XIX. La miseria del mondo romano e la formazione sociale dei presupposti del cristianesimo. Il rovesciamento dialettico dellImperium in Basileia e l'inversione ontologico-sociale della Terra in Cielo XX. Il regno celeste del Povero ed il regno terrestre del Ricco. Sulla genesi ontologico-sociale della fondazione ideologica del cristianesimo costantiniano e post-costantiniano XXI. Il mutamento di funzione sociale e politica della sintesi filosofica neoplatonica dall'estrema difesa del mondo antico alla legittimazione del mondo gerarchico feudale XXIL La sacralizzazione religiosa degli Ordines sociali medioevali, le grandi cattedrali teologiche domenicane ed il significato ontologico-sociale della contestazione nominalistica francescana XXIII. La natura ontologico-sociale della rivoluzione protestante europea e dellaffermazione del rapporto diretto fra l'individuo e la divinit mediato dal testo vetero-testamentario XXIV. Il significato ontologico-sociale della Costituzione Formalistica del Soggetto nel Cogito ergo Sum di Cartesio 121 129 135 145 155 165 177 187 535 Sommario XXV. La centralit del pensiero di Spinoza nel ristabilimento moderno dellontologia dell'essere sociale195 XXVI. La Grande Instaurazione illuministica del fondamento metafisico del pensiero borghese moderno: il tempo del progresso, lo spazio della materia ed il lavoro astratto. La critica utilitaristica al diritto naturale ed al contratto sociale XXVII. Il Kant della critica alla metafisica. Il significato ontologico-sociale della separazione fra le categorie dell'essere e le categorie del pensiero XXVIII. Il Kant della fondazione individualistica della morale ed il rifiuto dell'etica comunitaria come eteronomia XXIX. Il ristabilimento dellontologia dell'essere sociale in Fichte e la connotazione del presente come epoca della compiuta peccaminosit XXX. Hegel e la scoperta progressiva della filosofia prima e della scienza filosofica poi come terreno del ristabilimento dellontologia dell'essere sociale XXXI. Hegel ed il ristabilimento ontologico-sociale della storicit. La fenomenologia dello spirito, la filosofia della storia e la storia della filosofia, tre aspetti di un unico complesso ideale XXXII. La filosofia politica di Hegel e la sua opposizione determinata al conservatorismo dei vecchi ceti, alla dispersione individualistica dell'economia politica inglese e alla furia del dileguare russoviano-giacobina 536 195 205 221 235 245 255 271 283 Sommario XXXIII. La scienza filosofica di Karl Marx. La centralit della categoria modale di possibilit ontologica senza alcuna garanzia necessaria di filosofia della storia secolarizzata di superamento comunista globale del modo di produzione capitalistico XXXIV. Il materialismo storico di Marx. Una scienza non-filosofica innestata su di una scienza filosofica dellemancipazione umana. Storia, modo di produzione, forze produttive sociali, rapporti sociali di produzione, ideologia e rivoluzione XXXV. Storia del marxismo 1870-2000 in una prospettiva storico-genetica ed ontologico-sociale XXXVI. Il grande marxismo indipendente del Novecento, testimonianza di libert, critica dello sfruttamento capitalistico ed imperialistico ed autocritica delle formazioni ideologiche marxiste di partito e di Stato XXXVII. La filosofia di Nietzsche e le ragioni storico-sociali del suo grande successo fra gli intellettuali ed il grande pubblico. La critica unitaria alle metafisiche borghesi e alle metafisiche proletarie XXXVIII Solo un Dio pu ancora salvarci. L'esito depressivo nella filosofia contemporanea nelle diagnosi depressive epocali della gabbia d'acciaio di Max Weber e dell'esito conclusivo della lunga storia della metafisica occidentale in tecnica planetaria di Martin Heidegger XXXIX. Il postmoderno filosofico spiegato ai bambini e agli adulti 295 315 335 357 377 399 Sommario XL. La passione durevole per una filosofia dellemancipazione. Note di analisi sullontologia dell'essere sociale di Lukcs, e proposta articolata di sua rifondazione categoriale critica 453 Indice dei nomi 519 538 Costanzo Preve LA FILOSOFIA IMPERFETTA Una proposta di ricostruzione del marxismo contemporaneo Centro Studi di Materialismo Storico Franco Angeli Editore CENTRO STUDI DI MATERIALISMO STORICO Il Centro Studi sul Materialismo Storico (Csms)  unassociazione scien- tifica e culturale che si  costituita per promuovere ed attuare lo studio, io sviluppo e la divulgazione del materialismo storico stesso, inteso come scien- za della societ e della storia e, in particolare, della societ e della storia mo- derna e contemporanea. Gli studiosi che ne hanno promosso la fondazione constatano che, per complesse ragioni di ordine storico e teorico, lo sviluppo del materialismo storico interessa ben poco, nellattuale congiuntura culturale e politica ita- liana, sia ai tradizionali partiti e sindacati di sinistra sia allambiente acca- demico e specialistico. Si tratta di un fatto da registrare senza compiacimen- to, che non deve assolutamente portare verso forme di isolamento settario, ma pu al contrario dar luogo ad iniziative autonome di studio, comunica- zione, dibattito di tesi differenziate ed anche contrapposte. Non si sente, certo, il bisogno di una restaurazione del materialismo sto- rico, che significherebbe il ritorno a uno stato di partenza che nel frattem- po si  corrotto, e neppure di una rinascita del materialismo storico, che significherebbe il rinnovamento di una tradizione che  stata nel frattempo sepolta (Habermas). E, tuttavia, a differenza di Habermas, gli studiosi che hanno promosso la fondazione del Csms non ritengono che il progetto di ricostruzione. del materialismo storico possa pagare il prezzo della sepa- razione sistematica fra lavoro e interazione e fra la teoria dello sviluppo sociale e la teoria dellagire comunicativo. Anche il progetto di un puro ritorno a Marx  estraneo ai fondatori del Csms. Dentro Marx, infatti, esistono ambiguit e problemi che devono essere discussi e sviluppati alla luce della passione teorica e dellesperienza storica. Ambigua e sterile sarebbe poi ogni parola dordine di difesa del marxismo che non facesse i conti con le storie differenziate dei marxismi reali, e con i loro opposti destini di filosofie della rivoluzione, da un lato, e di ideologie di legittimazione, dallaltro. 1 fondatori del Csms si sforzeranno anche di evitare le frettolose etichettature spregiative verso le molte tenden- ze delleconomia, della filosofia e della storiografia contemporanea cui pure sono spesso fortemente avversi. Il materialismo storico non  infatti una de- nominazione di origine controllata che abiliti a lanciare scomuniche ed a ri- lasciare patenti di ortodossia. Due cose, tuttavia, stanno particolarmente a cuore ai fondatori del Csms: la unitariet disciplinare del materialismo storico, da un lato, loriz- zonte problematico del rapporto fra teoria e prassi, dallaltro. Il materialismo storico, infatti, non pu rinunciare a svilupparsi sulla base teorica, pratica ed epistemologica, della sua unitariet disciplinare. Linnesto, eclettico e frettoloso, di discipline sorte sul terreno della divi- sione accademica del lavoro intellettuale, da un lato, e la disarticolazione in aspetti, filosofico, sociologico, economico, politologico, eccetera, dal- laltro, non sono compatibili con lo sviluppo del materialismo storico. Dal- tra parte linvocazione astratta allunitariet della disciplina resta del tutto priva di contenuto, se non si tenta di entrare nel merito dei singoli contri- buti reali di conoscenza sorti sul terreno di questa divisione del lavoro intel- lettuale, che oggi  molto spesso un orizzonte non facilmente superabile con generici discorsi sulla totalit e sul metodo dialettico. In secondo luogo, il materialismo storico non pu svilupparsi a lungo sulla base del sistematico divorzio fra teoria e pratica, fra riflessione ed e- mancipazione. I fondatori del Csms sono consapevoli del pericolo di una ri- flessione teorica svincolata da pratiche sociali e politiche concrete, e non ritengono certo sufficiente il riferimento ad una fantomatica ed ambigua autonomia della pratica teorica, E, tuttavia, fra teoria e pratica non vi  coincidenza immediata, se non si vuole ridurre il materialismo storico ad una giustificazione storicistica di tutte le svolte politiche o ad una fenome- nologia degli stati di coscienza delle varie composizioni di classe e dei soggetti sociali che vengono di volta in volta inseguiti. Questa collana di studi  uno degli strumenti di cui il Csms intende do- tarsi. Con molta modestia, pazienza e determinazione, cercheremo di offri- re materiale utile, alternando contributi specialistici a contributi divulgativi, opere di bilancio e di sintesi ad opere del tutto aperte, problematiche e provvisorie. Gli studiosi italiani che hanno fondato il Csms sono ragio- nevolmente ottimisti sulle prospettive del loro lavoro, perch si ritengono parte di un movimento, italiano ed internazionale, di ripresa e di sviluppo del materialismo storico, che, al di l delle superficiali mode del presente, dar forse frutti pratici in un futuro non troppo lontano. CENTRO STUDI DI MATERIALISMO STORICO Presidente: Giuseppe Bazzi Comitato di Direzione: Giuseppe Bazzi, Michele Cangiani, Giovanni Iorio Giannoli, Augusto Hluminati, Gianfranco La Grassa, Costanzo Preve, Maria Turchetto Redazione: c/o Franco Angeli Editore Viale Monza, 106 - 20127 Milano I lettori che desiderano essere regolarmente informati sulle novit pubbli cate dalla nostra Casa Editrice possono scrivere, mandando il loro indiriz zo, alla "Franco Angeli Editore, Casella Postale 17130, 20100 Milano", or dinando poi i volumi direttamente alla loro libreria. E COSTANZO PREVE LA FILOSOFIA IMPERFETTA UNA PROPOSTA DI RICOSTRUZIONE DEL MARXISMO CONTEMPORANEO FRANCO ANGELI Copyright  1984 by Franco Angeli Editore, Milano, Italy. INDICE Introduzione Parte d PA SF 4, (941 6. Parte ein .* i id: 4. di 6. 7. 8. prima: Il Laboratorio filosofico di Marx Un vicolo cieco: il problema delle tre fonti e delle tre parti integranti Per una critica genealogica del materialismo storico Il discorso filosofico grande-narrativo in Marx Il discorso filosofico deterministico-naturalistico in Marx. | Il discorso filosofico ontologico-sociale in Marx Il problema dei fraintendimenti filosofici di Marx seconda: Le avventure filosofiche del marxismo Il concetto di formazione ideologica N ortodosso n rinnegato: Karl Kautsky e il marxismo Friedrich Engels: fondatore del marxismo orientale o ispiratore del marxismo occidentale? La filosofia di Lenin: il matrimonio fra dialettica e materialismo Il provvidenziale esaurimento progressivo del marxismo orientale Il vicolo cieco del paradigma teorico del marxismo occidentale La parabola teorica e l'esito storico dell'operaismo italiano Il significato storico e teorico della storia del marxismo pag. Li MILLI 25 28 30 32 38 41 47 65 67 70 73 76 79 84 86 93 Parte 1. Zi 3. 4. de 6. Parte 1. 2, di 4, di 6. di Parte N DD  terza: Solo un Dio pu ancora salvarci. Alienazione ed intrascendibilit del mondo contemporaneo nel pensiero di Martin Heidegger Il destino della storicit contemporanea: pensare filosoficamente il XX Secolo Weber e Heidegger: un confronto necessario fra due radicalit filosofiche Marx e Heidegger in Italia: storia di un mancato incontro L'analisi heideggeriana del presente: un dispositivo di inversione L'analisi heideggeriana del passato: un dispositivo teleologico Weber, Heidegger, Marx: un confronto produttivo ancora tutto da compiere quarta: L'Utopia si occupa solo del presente. Il pensiero di Ernst Bloch - Il multiversum blochiano: unit di temporalit e di storicit La critica blochiana alla religione ed il materialismo storico Il recupero blochiano della tradizione giusnaturalistica Il significato profondo della teoria blochiana dell'Utopia Concreta L'invito blochiano a studiare la storia del materialismo Experimentum mundi: l'ontologia della possibilit del Nuovo nella storia Sulla feconda ambiguit dell'ontologia blochiana quinta: Un discorso filosofico attuale. L'Ontologia dell'Essere Sociale di Gyorgy Lukcs Una proposta filosofica sistematica ma aperta Pu il marxismo imparare dall'esperienza? L'esempio lucacciano Un'introduzione al bilancio dell'eredit filosofica del passato pag. 107 110 114 118 123 128 130 143 145 149 154 157 159 161 165 177 179 181 185 11. 12. L3, 14. Un'interpretazione del pensiero borghese del Novecento Il lavoro come forma originaria e modello della prassi Un felice paradosso filosofico Alcuni problemi della riproduzione sociale La realt materiale del "momento ideale" Problemi filosofici della nozione negativa di ideologia Problemi filosofici della nozione positiva di ideologia Il significato ontologico-sociale della estraneazione La dialettica di particolarit e di generalit nel marxismo La dialettica di etica e di politica nel marxismo L'autonomia relativa della forma filosofica del discorso ti . 187 192 196 200 208 211 214 216 220 228 233 INTRODUZIONE Un apparente paradosso storico sta al .centro del nostro presente filosofico. "Il grande problema dell'epoca (come scrive Lukcs e correttamente rileva il traduttore italiano della sua autobiografia "Pensiero Vissuto", Alberto Scarponi)  l'individualit". Il problema dell'individualit, cio della particolarizzazione delle singole DI personalit umano-sociali, non  un problema genericamente metafisico o trascendentalistico, ma  un problema. integralmente. storico, ed anzi storicamente del tutto determinato, in quanto  strettamente connesso con la creazione per l'individuo di condizioni di vita astrattamente casuali, insorte con il declino delle societ organiche, castali e divise in ceti e con l'emergere dei rapporti sociali capitalistici nel loro progressivo e contraddittorio tentativo di manipolare e colonizzare sempre pi la vita quotidiana. Il paradosso di una individualit umano-sociale che non pu pi determinarsi sulla base "sostantiva" dell'appartenenza a ceti (o a "classi" concepite come Soggetti Universali Sostantivi, del tipo di una Classe Operaia sostantivizzata e resa gigantesca ed eterna), ma deve vivere fino in fondo la propria casualit senza per questo scivolare nel disperato sradicamento dell'intellettuale cosmopolita (per i pi colti o acculturati) o nel nichilismo autodistruttivo del conformismo non-conformistico di massa (per i pi fragili ed indifesi),  a tutti gli effetti un paradosso dell'oggi. Come dice molto bene Lukcs, "il divenire dell'uomo in quanto uomo , come processo complessivo, la medesima cosa del costituirsi dell'essere sociale in quanto specie d'essere peculiare. Nell'iniziale stato gregario l'uomo singolo quasi non si distingue dalla mera singolarit, che  presente ed operante in ogni punto della natura inorganica ed organica. Ma il salto che -sebbene in un lungo periodo di tempo- lo trasforma da ente naturale ad ente sociale, fino dall'inizio si impone con intensit ed estensione sempre maggiori" (cfr. "Ontologia dell'Essere Sociale", Roma,1981,II,2,pag.570). Il passaggio della singolarit alla particolarit individuale  dunque un passaggio ontologicamente connesso (per l'essere umano 10 sociale) con la generalizzazione di rapporti sociali in cui l'astrazione del lavoro e la casualit della collocazione sociale sono ormai elementi strutturali. La forma della particolarit individuale  dunque filosoficamente "tipica" della generalizzazione e dell'approfondimento del modo di produzione capitalistico almeno quanto lo  la forma del "lavoro" (capitalistico diviso). Certo, la presenza dell'individuo (l'individuo, ricordiamolo ancora una volta, nella sua astrattezza determinata dalla sua strutturale casualit, non l'individuo posto in modo trascendentale come Origine delle Scelte Sociali Alternative, cui non crediamo per nulla)  coessenziale alla struttura fondamentale dei processi sociali. Questi ultimi, come afferma Lukcs (cfr. "Ontologia",I,pag.337) muovono immediatamente da posizioni teleologiche, determinate in senso alternativo, di singoli uomini, tuttavia, dato il decorso causale delle posizioni teleologiche, queste sfociano in un processo causale contraddittoriamente unitario dei complessi sociali e della loro totalit e producono connessioni legali generali", che di nuovo pongono problemi su cui si esercitano ancora una volta le decisioni alternative dei singoli. In generale, tuttavia, l'individuo tardo-capitalistico che cerca di autocomprendere la propria tipicit, singolarit, e particolarit, rilutta apertamente di fronte alla prospettiva teorico-pratica di una considerazione ontologico-sociale di questa particolarit stessa. L'autocomprensione esistenzialistica della particolarit individuale evita in generale di considerare l'esserci (cio, l'essere esistenziale nel mondo) sotto l'aspetto della strutturalit e della determinatezza dell'esserci-cos capitalistico. La soggettivit  sempre pi personalizzata, quanto pi l'individualizzazione  legata alla casualit della collocazione sociale ed all'impersonalit necessaria delle strutture riproduttive sociali. Il "capitale" non  n una sorta di antropomorfico soggetto onnipotente e tuttopianificante n un insieme di imprenditori innovatori e/o di tagliatori di cedole, cos la "classe operaia" non  n un megasoggetto dai muscoli ipertrofici e dalla memoria di elefante n un insieme di operai dai colletti bianchi e bl che votano in una assemblea sindacale. E' inevitabile, tuttavia, che la determinatezza ontologica dell'individualit venga spesso pensata, falsamente ma comprensibilmente, sotto il dominio della categoria di soggetto. Si tratta, in alcuni casi, di un puro e semplice errore di prospettiva, un "errore disinteressato", ampiamente correggibile. In altri casi, invece, si tratta di una "deformazione interessata" per scopi di manipolazione ideologica, assolutamente incorreggibile. In questo caso, la reazione, ontologicamente inevitabile, dell' individualit 11 particolare offesa, assume l'aspetto necessario dell'individualismo globalmente anti-marxista ed anticomunista, antitetico-polare al soggettivismo olistico-sociale. L'individualit conosce infatti soltanto "posizioni teleologiche", mentre la categoria di soggetto, quando  pensata come terminale, iniziale e finale, di una totalit espressiva,  titolare di un'essenza che pretende contenere in s, in modo immanente, una teleologia necessaria. Questa presunta teleologia  ovviamente il supporto teorico di una concezione del comunismo come utopia sintetica, in cui pubblico e privato, individuale e collettivo si fonderanno insieme, "soluzione definitiva dell'enigma della storia". | Un'analisi disincantata della storia del marxismo ci permette di comprendere come il materialismo storico e la critica dell'economia politica siano stati entrambi incorporati in una forma filosofica del discorso del tipo che sopra s  brevemente descritto. Ambizione di questo scritto  portare un piccolo contributo all'eliminazione di questa sciagurata camicia di forza. Il materialismo storico, come il prigioniero rinserrato in una tremenda camicia di forza dai suoi carcerieri, di cui parla Jack London nel romanzo "Il Vagabondo delle Stelle", non ha smesso e non smetter comunque di sognare nuovi mondi, vie di uscita, evasioni impossibili. E' tuttavia profonda convinzione dello scrivente che il materialismo storico finir con l'essere sfiancato e soffocato da questa camicia di forza, finch l'odiosit di quest'ultima provocher una reazione di rigetto tale da far preferire apertamente anche le visioni del mondo pi assurde, irrazionalistiche e regressive, purch apparentemente non compromesse con la metafisica immanentistica di un Soggetto che marcia cantando verso l'Utopia Sintetica di una Societ integralmente Trasparente. Crediamo che una proposta sostitutiva di questa camicia di forza filosofica gi esista, anche se non ancora ben sviluppata ed articolata, e sia appunto un discorso teorico di tipo ontologico-sociale, in grado di accompagnare la crescita di conoscenza e la correttezza dell'azione pratica che possono avvenire sulla base del materialismo storico. Vi sono per in proposito delle difficolt, e ci limiteremo qui a menzionarne alcune. In primo luogo, come  del resto del tutto evidente, non basta che una determinata forma filosofica del discorso (in questo caso di tipo ontologico-sociale) venga "proposta", e variamente argomentata. Bisogna anche che essa venga realmente presa in considerazione, ed accettata entro un lasso di tempo non troppo lungo. Ora, le possibilit concrete che la forma filosofica del discorso di tipo ontologico-sociale "passi" in gruppi consistenti di "marxisti" italiani 12 sono per ora molto poche. Da un lato, la frammentazione produttiva e sociale che risulta dall'attuale fase di sottomissione reale del lavoro al capitale produce "spontaneamente" una speculare "frammentazione filosofica", nei discorsi post-moderni della perdita del centro, della caduta della dialettica, dell'ineffabile mistica del frammento, esattamente il contrario, cio, del punto di vista ontologico-sociale. Dall'altro lato, infine, il discorso filosofico di tipo ontologico-sociale  strettamente connesso, nel suo aspetto di "filosofia pratica", con la conseguente "democratizzazione della vita quotidiana", la fine di ogni mistica dei capi e degli apparati e di ogni esistenza "trascendente" di partiti ed organizzazioni totalizzanti. Le tradizionali organizzazioni "storiche" del movimento operaio per, sia nei paesi a "socialismo reale" (dove si sono metamorfosate in apparato portante di un tipo inedito di capitalismo burocxatico di stato), sia nei paesi occidentali (dove si sono ormai imposte come aministratori delegati della forza-lavoro organizzata dentro il modo di produzione capitalistico), non possono avere alcun interesse ad un reale abbandono delle ideologie manipolatorie del Soggetto, del Fine e della Utopia Sintetica, in nome delle quali legittimano il proprio monopolio politico. Se, d'altro canto, abbandonano le forme teoriche legate alla triade soggetto-fine-utopia sintetica, ormai ampiamente sbeffeggiata dagli intellettuali universitari e della cosiddetta "cultura d'avanguardia", lo fanno per abbracciare forme di razionalismo critico, di ideologia sistemica, di scambio politico, eccetera, che rappresentano soltanto l'altra faccia della manipolazione strutturale della realt sociale. In ogni caso, il discorso di tipo ontologico-sociale interessa loro ancor meno di quanto alla Chiesa interessi il messaggio evangelico delle origini. Per fortuna, per, la crescita della determinatezza ontologica delle individualit storiche nel tempo presente  un fenomeno di massa, e questa peculiare forma di "soggettivit"  alla lunga incompatibile (a differenza, ed anzi in opposizione, di quanto dicono. pessimisticamente i francofortesi) con le arroganti ideologizzazioni manipolatorie dei ceti politici cresciuti parassitariamente intorno al monopolio della "rappresentanza politico-sindacale" del movimento operaio. Non c' ovviamente in questo nulla di necessario, di fatale e di predeterminato. L'intensit e l'estensione delle individualit storiche nel tempo presente  un fatto ontologico-sociale (nel suo nesso dialettico fra il massimo della casualit nella collocazione sociale ed il massimo di particolarit che si d l'individualizzazione cosciente di questa casualit), ma la possibilit che questo processo di individuazione porti al comunismo  appunto soltanto una "possibilit concreta", e nulla di pi. 13 In secondo luogo, non crediamo certamente che la forma filosofica del discorso che proponiamo, di tipo ontologico-sociale, e che traiamo esplicitamente dalla prospettiva teorica dell'ultimo Lukcs, sia la "filosofia" definitiva, ultima, e "finalmente scoperta", del materialismo storico e della critica dell'economia politica. Da un lato, cos come non crediamo, sul piano della riflessione epistemologica, ad un "metodo scientifico definitivo", analogamente non crediamo ad "una forma filosofica del discorso definitiva". L'ontologia dell'essere sociale ' per lo scrivente quindi in prima istanza una risposta determinata all'incorporazione del materialismo storico in una "grande narrazione" manipolatoria ed ideologica, in quella che abbiamo definito una "camicia di forza", e come tale deve essere giudicata e considerata, non certo come una philosophia perennis cui fare appello contro il periodico ed eterno ritorno del sempre eguale "idealismo soggettivo". Dall'altro lato, non crediamo certo che Lukcs sia andato molto pi in l di un'impostazione provvisoria e largamente generica del problema di cui ci occupiamo. Certo, questo basta (ed avanza!) perch lo scrivente lo giudichi in perfetta coscienza come il maggiore filosofo marxista del secolo (essendo, appunto, compito del filosofo quello di impostare teoreticamente i problemi, non certo quello di "risolvere" le contraddizioni prodotte inevitabilmente dalla prassi dei soggetti storici concreti). Con questo riconoscimento, per, si pu forse scrivere un capitolo della storia della filosofia del Novecento, ma si fa poca strada. In questo saggio lo scrivente non ritiene purtroppo di essere gi in grado di fare dei passi avanti sulla via filosofica aperta dalla ""Ontologia" lucacciana (la cui lettura ed il cui studio dovr in larga misura dare per presupposti, cosa relativamente agevole, dato l'alto livello della traduzione italiana di Alberto Scarponi), e ripiegher su di un compito pi modesto, ed. indubbiamente pi facile: l'individuazione e la traccia di un percorso teorico che, partendo da contraddizioni filosofiche presenti nel pensiero di Marx, ed attraversando alcuni problemi teorici del marxismo tradizionale e dei punti alti del pensiero del Novecento (in particolare Heidegger e Bloch), sfoci infine nell'accettazione consapevole della prospettiva teorica lucacciana individuata come la migliore (o, se si vuole, la meno peggiore, e ci si scusi la cattiva espressione in lingua italiana) di cui possiamo disporre oggi. Questo percorso teorico viene sviluppato in cinque parti, interconnesse, ma anche parzialmente autonome. Dall'impossibilit di un mero " ritorno a Marx" (prima parte), attraverso l'impossibilit di una mera "difesa del marxismo" (seconda parte), fino alla possibilit di una radicale riforma della forma filosofica del discorso 14 con cui pensare il materialismo storico, in vista di un suo necessario sviluppo (terza, quarta e quinta parte). Nella prima parte si affronter, senza ipocrisie e senza voler difendere inutili "rendite di posizione", la forma filosofica del discorso di Marx. Allo scrivente sembra si possano individuare in Marx tre differenti "discorsi filosofici", che coesistono talvolta contraddittoriamente: un primo discorso, di tipo grande-narrativo (si tratta di una forma di teleologia sociale in cui un soggetto pieno garantisce con la permanenza della sua identit iniziale, in una temporalit cumulativa, omogenea e lineare, l'inevitabile realizzazione finale del suo progetto originario, dando luogo cos ad un quadruplice mito, del soggetto, dell'origine, del fine e della. trasparenza); un secondo discorso, di tipo deterministico-naturalistico (si tratta del fatto che Marx, profondamente influenzato dal concetto illuministico di "storia naturale", pensa talvolta il suo progetto teorico sotto la dominanza dell'analogia con la struttura teorica delle scienze ottocentesche della natura, e dello stesso darwinismo); un terzo discorso, di tipo ontologico-sociale (in cui non c' nessuna teleologia automatica della storia-solo il lavoro come "forma originaria" e "modello"  unit di causalit e teleologia-, nessun "paradigma della produzione", nessuna grande narrazione, nessun determinismo naturalistico). E' evidentemente questo terzo "discorso filosofico" che deve essere valorizzato, sviluppato, arricchito ed aggiornato. In questo senso, il "ritorno a Marx"  del tutto possibile ed auspicabile. Tuttavia, essendo questa terza forma del discorso filosofico marxiano spesso mescolata con la prima e con la seconda,  meglio scoraggiare ogni facile illusione di un "ritorno" ad un Marx univoco, compatto, cristallino come acqua di fonte. Nella seconda parte si effettuer una lettura "orientata" delle avventure filosofiche del "marxismo". Lo scrivente d per scontato il fatto che fra pensiero marxiano e "marxismo" vi  una specifica discontinuit, quasi fisiologica, dovuta al ruolo teorico di Kautsky ed ancor pi alle necessit di identit teorica della socialdemocrazia tedesca. Tutto questo  ormai ampiamente noto, e spesso  taciuto soltanto per malafede. Altre cose non sono per del tutto scontate, e vale forse la pena ripeterle. In primo luogo, vi sar una moderata, ma convinta, "difesa di Engels", letto come pensatore originale e fecondo di contraddizioni assai utili, anche se datato. Engels  infatti molto spesso sottoposto ad operazioni di "squartamento teorico" molto strumentali. Isolando infatti lo Engels della"dialettica della natura" infatti chiaro che lo si pu far facilmente diventare il fondatore del''marxismo orientale" 15 (il cosiddetto Diamat, fondato su di una gnoseologia del riflesso dell'essere nel pensiero e su una pseudo-ontologia della storia naturalizzata in nome di una -peraltro giusta- natura storicizzata). D'altra parte, isolando lo Engels sostenitore della tesi sul "proletariato come soggetto storico erede della filosofia classica tedesca" lo si pu far facilmente diventare il fondatore del "marxismo occidentale" (fondato sulla unit di soggetto ed oggetto, proletariato e storia, esattamente come la filosofia classica tedesca si basava sulla unit di soggetto e di oggetto, borghesia idealtipicizzata e storia razionalizzata dialetticamente). Lo scrivente ritiene che Engels non debba essere sottoposto ad incresciosi squartamenti filosofici isolando parti strumentalizzabili e che questo grande "classico" non abbia "fondato" proprio nulla. In secondo luogo, vi sar una cauta, forse meno convinta, ma sostanziale, "difesa del Lenin filosofo". Lenin ha cercato una sua particolare via al matrimonio fra materialismo e dialettica, anche se poi, all'atto pratico, il "materialismo"  pensato sotto il primato della tesi gnoseologica del rispecchiamento, e la dialettica  pensata talvolta sotto il primato della contraddizione semplice. E' possibile tuttavia spiegare questo fatto collegandolo alla congiuntura storico-politica di quegli anni, non certo per giustificazionismo storicistico, quanto per la necessit di "situare" correttamente il pensiero filosofico di Lenin. Vi sono per (almeno) due aspetti irrinunciabili nell'approccio filosofico di Lenin: il discorso di tipo ontologico-sociale determinato prevale in lui quasi sempre su quelli (pur presenti) di tipo grande-narrativo o. deterministico-naturalistico; il programma di connessione elastica fra materialismo e dialettica  strutturalmente superiore alle posizioni differenzialistiche e sistemiche. In terzo luogo, non vi sar invece alcuna concessione, neppure periferica e di dettaglio, ai programmi di "salvataggio" di quanto ancora resta del "marxismo orientale" e del "marxismo occidentale". Le differenze fra i due sono certo importanti sul piano della corretta ricostruzione degli eventi storici, ed  chiaro che, ad esempio, il "livello teorico" di un Karl Korsch non pu essere seriamente paragonato a quello di uno Zdanov o di un Mitin. In sede per di bilancio teorico, l'aspetto principale  la sottolineatura della loro profonda e segreta solidariet antitetico-polare, mentre secondario diviene l'aspetto del pur alto "livello di qualit" dei marxisti occidentali rispetto agli ideologi di partito confezionatori delle indigeste pillole del. "materialismo dialettico" sovietico. Si insistert anche sulla sostanziale sterilit dei tentativi di "liberalizzazione parziale", di 'integrazione" e di riforma delle 16 strutture teoriche portanti dei due marxismi: il materialismo dialettico sovietico non pu essere cambiato qualitativamente innestandovi sopra spezzoni esistenzialistici, positivistici, sistemici, cos come il modello economico sovietico non pu essere cambiato qualitativamente con riforme 'efficientistiche"; il marxismo occidentale non pu essere qualitativamente cambiato enfatizzando in modo ipertrofico, all'interno dell'unit soggetto-oggetto che lo caratterizza, il ruolo del "soggetto", come l'esperienza del cosiddetto "operaismo italiano", tanto ricca di insegnamenti, mostra bene a chiunque ne voglia veramente trarre un bilancio teorico. In quarto luogo, infine, alla luce delle precedenti considerazioni, si insister ancora sul fatto che senza l'abbandono esplicito e convinto di moltissime "rendite di posizione" marxiste non ci pu essere n un confronto produttivo fra materialismo storico ed i cosiddetti "punti alti del pensiero borghese" n una ricostruzione filosofica della "dicibilit" della critica marxiana dell'economia politica nell'attuale situazione storica. Nella terza parte si prender in esame l'insieme del pensiero di Martin Heidegger come punto alto del pensiero borghese novecentesco, degno di essere "confrontato" con il materialismo storico. La filosofia di Heidegger  considerata, in primo approccio, come una grande metafora teorica di una tragica situazione pratica del nostro secolo, l'unit fra alienazione ed intrascendibilit del modo di produzione capitalistico, che per Heidegger non nomina mai, preferendo espressioni come "epoca dell'immagine del mondo" e come "coronamento" della storia della metafisica occidentale. L'interrogazione heideggeriana del marxismo non  esplicita come in Max Weber, ma  quasi sempre pi radicale. E' facile accorgersi di questo, non appena vengano evitate le facili etichettature di Heidegger come "vecchio  conservatore" (Habermas), le interpretazioni esistenzialistiche, neorazionalistiche ed estetico-nichilistiche, molto diffuse in Italia, oppure i frettolosi confronti e conciliazioni con Marx o con il marxismo, anch'essi presenti nella letteratura filosofica secondaria. In Heidegger l'interrogazione radicale della societ capitalistico-borghese  caratterizzata da una significativa evoluzione da un primo momento, in cui la critica  condotta soggettivisticamente,sotto il segno della categoria di "'anonimit" (si veda l'analisi della trasformazione del Wer in Man in "Essere e Tempo", della chiacchiera, della curiosit e dell'equivoco), ad un secondo momento, in cui la critica  condotta ontologicamente, sotto il segno della categoria di "tecnica" come vera e propria "im-posizione anonima" (Ge-stell). Il passaggio dalla soggettivistica critica alla chiacchiera anonima (Gerede) alla 17 critica ontologica della im-posizione anonima (Gestell), attraverso il link intermedio del concetto di "immagine del mondo" (Welt-bild), come superamento dell'incantesimo epistemologico dell'opposizione polare fra soggetto ed oggetto,  una metafora filosofica che interroga in modo radicale il capitalismo come unit (in Heidegger non dialettica) di alienazione e di intrascendibilit. Tuttavia, questa grande unit teorica non dialettica di alienazione e di intrascendibilit, pur essendo in grado di trasformare l'alienazione in un concetto ontologico (alle soglie dunque della giusta equazione fra forma di valore ed alienazione, tipica della critica dell'economia politica) e soprattutto di legare insieme sia il "capitalismo occidentale" sia il cosiddetto "socialismo reale", non contiene, ma anzi evita con pervicace e voluta cecit l'esame dialettico della reinterpretazione delle possibilit contenute nel passato. Sostituendo infatti allo storicismo (cui vuole opporsi) una sorta di fatalistico destinalismo (che altro non  se non un'inversione di 180% dello storicismo, e dunque uno storicismo rovesciato e cambiato di segno), il pensiero di Heidegger decade in una storia, storicisticamente predeterminata ed unilineare, della caduta destinale da Platone a Taylor, da Aristotele a Stalin, ed in questo modo l'"intrascendibilit della alienazione" viene legittimata in modo del tutto metafisico, fino a cadere sotto il livello dell'analisi weberiana della razionalizzazione crescente, che  anch'essa una forma di destinalismo, linguisticamente pi sorvegliato e mille volte pi articolato nei dettagli, anche se meno rigoroso nell'impianto teorico e nell'interrogazione filosofica del presente. Nella quarta parte verr interrogato il pensiero di Ernst Bloch, visto sotto l'angolatura dell'opposizione determinata al destinalismo heideggeriano. Bloch  un pensatore che mette al centro proprio quella "reinterpretazione delle possibilit contenute nel passato" che  appunto estranea sia ai paradigmi filosofici "marxisti" sia alla critica differenzialistica di questi ultimi. La blochiana distinzione strategica fra "non-contemporaneit" ed arretratezza" (con la scelta esplicita della prima contro la seconda) permette una vera resa dei conti con la temporalit storicistica e con il suo "supporto sostanziale", l'umanesimo astratto. E' molto importante, infatti, che il multiversum blochiano sia un concetto filosofico che rompe realmente sia con le strutture teoriche grande-narrative che con quelle di tipo deterministico-naturalistiche, cui si  fatto sopra cenno. L'importanza teorica del pensiero blochiano non si ferma certo qui. In primo luogo, Bloch  un pensatore che attua una "centralizzazione teorica" della critica della religione come premessa 18 immanente, logico-storica, della critica dell'economia politica. La critica della religione (e si leggano "Religione in eredit" ed "Ateismo nel Cristianesimo") non deve essere scambiata per la negazione astratta dell'esistenza nel cielo" di una "entit cosale chiamata Dio", in quanto la critica positivistico-ingenua della religione sta al materialismo storico come l'economia "razionale" ricardiana sta alla critica dell'economia politica. In secondo luogo, Bloch  il pensatore che inserisce apertamente il giusnaturalismo come fonte e parte integrante del materialismo storico (e questo non  "innocente" poich, per esempio, nell'elencazione delle "tre fonti", Lenin si era scordato del giusnaturalismo, che non ha certo uno "statuto epistemologico" inferiore a quello della progettualit del socialismo utopistico). In Bloch (si veda "Diritto naturale e dignit umana") il giusnaturalismo  certo una "filosofia pratica" che deve servire per quella scienza della liberazione che egli chiama l''ortopedia del camminare eretti", ma finisce con il diventare anche (e soprattutto) la negazione teoretica determinata delle letture destinali, pessimistiche e disperate della societ borghese alla Heidegger ed anche alla Horkheimer e Adorno. In terzo luogo,. Bloch  il pensatore che riesamina radicalmente e ridefinisce integralmente la nozione di utopia e di "agire utopico", modificando la nozione classica di progettualit astratta da tavolino" contrapposta al cosiddetto "movimento reale che abolisce lo stato di cose presenti", ed anche la nozione di "sogni impotenti ed irrealizzabili" contrapposta alla "conoscenza scientifica delle leggi oggettive del movimento della storia". Non bisogna dimenticare mai che "l'utopia blochiana si occupa solo del presente", mentre la nozione regressiva ed infausta di utopia come progettualit astratta  da trovare semmai nel tentativo, sempre frustrato, di proiettare nel futuro un modello statico di "economia razionale". In quarto luogo (ed  questa una rilevante novit, che non permette frettolose etichettature e "stroncature" di Bloch come "Schelling marxista") Bloch , soprattutto, il pensatore che infrange l'unilaterale polarit astratta fra il marxismo orientale (che sostiene la dialettica della natura, e respinge la considerazione unitaria del nesso soggetto-oggetto) ed il marxismo occidentale (che sostiene l'unit soggetto-oggetto, e respinge la dialettica della natura). In Bloch (e si vedano opere come "Soggetto-Oggetto", e soprattutto "Das Materialismusproblem") la specifica, originale compresenza dei temi della dialettica della natura e dell'unit soggetto-oggetto non deve essere interpretata come eclettico pasticcio e concordismo ad ogni costo, ma come un'originale via filosofica che sblocca le polarit irrigidite. 19 In quinto luogo, infine, Bloch  seriamente orientato verso una fondazione ontologica della prassi, come risulta evidente esaminando "Experimentum mundi", la "summa" sistematica blochiana. Bloch vede bene come senza ontologia la prassi non pu essere sensata ed orientata, e diventa arbitraria, manipolatoria, soggettivistico-astratta. Egli connota la prassi come "ruotar fuori al di l dell'immediato", e come momento immanente alla temporalit che scioglie ogni trascendentalistica fissit del soggetto, che non pu pi essere concepito come originario (come avviene, ad esempio, nelle concezioni neo-utilitaristiche e neo-contrattualistiche). E, tuttavia, lo scrivente ritiene che in Bloch il non concepire la prassi come "lavoro" porta necessariamente ad una grande indeterminatezza del concetto di prassi stessa, fino a rovesciarla inevitabilmente nel suo contrario, la prassi come contemplazione. Questo pu certo avvenire contro le esplicite intenzioni di Bloch, in quanto in lui l'oscillazione fra "sogno di una cosa" e "lotta per realizzare il sogno" cade quasi sempre sul secondo termine, ma  aperto il varco teorico ai blochiano-contemplativi che possono legittimamente enfatizzare unilateralmente il primo termine. Nella quinta, ed ultima parte il pensiero ontologico di Lukcs viene interrogato proprio a partire dalla "mancanza" che lo scrivente crede di individuare nello sforzo ontologico blochiano: la centralizzazione di un concetto di prassi storicamente pi determinato, che sappia correlare ontologicamente la specificit delle individualit concrete particolari con le legalit "oggettive" del movimento del modo di produzione capitalistico. Parlando di Lukcs,  evidente che non ci si riferisce affatto al "primo Lukcs" (che in "Storia e Coscienza di Classe" ha scritto il capolavoro teorico del marxismo occidentale", la cui tradizione riteniamo debba essere invece integralmente abbandonata), e neppure al "secondo Lukcs" (che nella "Distruzione della Ragione" ha tentato un impossibile compromesso con gli aspetti '"razionalistici" del "marxismo orientale", mentre riteniamo che quest'ultimo debba essere visto come il correlato antitetico-polare dell'irrazionalismo borghese, e per nulla affatto un "principio superiore" ad esso), ma a quello che potremo per brevit definire il "terzo ed ultimo Lukcs", portatore di una proposta aperta di ricostruzione della forma filosofica del discorso del materialismo storico sulla base esplicita di una ontologia dell'essere sociale, individuato nella sua determinatezza e nella sua storicit. E' il carattere "aperto" della proposta che soprattutto interessa allo scrivente, cui non interessa certo fare una monografia apologetica sull'ultimo Lukcs n tantomeno sottoscrivere tutto quanto Lukcs ha detto o scritto (a partire dal problema della 22 esistenziale" (diventando una sorta di chiave lessicale per le corporazioni professionali dei filosofi e soprattutto degli psicologi), provocando la reazione, antitetico-polare, di coloro che vollero addirittura cancellare la parola dal linguaggio marxista (e si pensi soltanto a Louis Althusser). Alla fine, il gioco era diventato "a somma zero". In Lukcs la dialettica fra individuo, genere e specie (che contiene ovviamente anche il momento della '"estraneazione") non porta mai a dichiarazioni, apparentemente estremistiche e gratificanti, ma generiche, sulla "incompatibilit ontologica" del capitalismo con l'uomo o con la natura "in generale" (come avviene in posizioni che vanno dai coccodrilli borghesi del Club di Roma ai pi sinceri e stimabili ecologisti antiborghesi apocalittici), ma sfocia in. una concezione storico-ontologica dello statuto della estraneazione. Soprattutto due punti sono messi in evidenza. Da un lato, l'individualit generica e concreta dei singoli cresce, nel capitalismo, sulla base astratta della casualit della collocazione sociale non pi sostantivizzata dai ceti e dalle corporazioni, ed . appunto questo carattere ontologico-specifico della individualit che entra in conflitto con le esigenze strutturali di manipolazione della - riproduzione del sistema capitalistico, la cui logica  appunto quella di reprimere, deviare, soffocare ogni reale tendenza dell'individualit concreta all'universalit reale del genere umano (e vi  qui un vero progresso qualitativo in rapporto alle concezioni sulla "disumanit astratta" del capitalismo che "mercifica tutto" o che semplicemente "manipola" attraverso i mass-media). Dall'altro lato, la differenza ontologica fra individualit (sviluppata fin che si vuole) ed universalit del genere  mantenuta, contro ogni organicismo, trasparenzialismo, mito della "ricomposizione integrale" fra pubblico e privato, in modo da fondare una sorta di "individualismo comunista" che leghi insieme il rifiuto di ogni atomismo borghese con il rifiuto di ogni olismo sociale organicistico. La lotta delle classi sar sempre pi una lotta di individui coscienti, sempre meno disposti ad inneggiare a duci e ducetti "operai", capi carismatici ed individui cosmico-storici, grandi timonieri e leaders saggi e preveggenti. Si gioca qui una "partita filosofica" (soprattutto in Italia) non meno importante della partita vinta dalla nazionale italiana ai mondiali di calcio. Il percorso filosofico che qui si  riassunto, per comodit del lettore,  ovviamente un tipico caso di "posizione teleologica" in. filosofia, ed  soggetto a tutte le determinazioni ontologiche della forma-modello di "lavoro". Se esso presenta errori ontologici di fondo, sia nell'interpretazione storiografica di Marx e del marxismo successivo, sia soprattutto nella praticabilit concreta della 23 prospettiva che vuole aprire, esso fallir, e non potr avere sviluppo. Lo scrivente non  affatto preoccupato dalle inevitabili superficialit che non possono non. risultare da una trattazione "enciclopedica", che mette in campo pensatori del calibro di Marx, Engels, Heidegger, Bloch, Lukcs, eccetera. Questo  dato per scontato, ma non  molto grave, data la disponibilit in lingua italiana di ottime monografie specialistiche su questi pensatori (che verranno spesso peraltro richiamate in nota o nel testo, in modo che il lettore interessato possa approfondire per suo conto). Il vero problema, ovviamente,  soltanto quello della effettiva e concreta praticabilit . filosofica della prospettiva teorica che qui viene indicata. Sulla pars destruens vi sar probabilmente un accordo quasi generale. Sono pochi coloro che sostengono apertamente oggi  concezioni grande-narrative, deterministico-naturalistiche, o che difendono il materialismo dialettico staliniano, oppure forme ingenue e " cumulative" di storicismo. L'opposizione netta dello scrivente all'"operaismo" potr sembrare a qualche lettore maniacale ed eccessiva, ma bisogna mettere in conto la specificit della situazione italiana, in cui la matrice teorica "'operaista" ha dato luogo a forme di ultra-soggettivismo di tipo neo-gentiliano. Heidegger interessa per ora in Italia quasi soltanto alle varie forme di nichilismo di tipo post-moderno, e Bloch  letto molto spesso soltanto dai teologi, in forma generalmente depotenziata e concordistica. Inoltre, molte opere che interesserebbero il nostro argomento non sono state ancora tradotte, e costringono cos a sapienziali e faticose letture specialistiche in lingua tedesca. E' sulla pars costruens che invece vi saranno maggiori difficolt. L'"Ontologia dell'Essere Sociale" resta (nonostante  l'ottima traduzione) un libro poco letto e poco studiato. Lo scrivente ritiene tuttavia che il lungo festival del nichilismo soggettivistico stia per finire, le luci si stiano spegnendo, e professa in proposito un sobrio e moderato ottimismo. Parte Prima IL LABORATORIO FILOSOFICO DI MARX Entrando nel laboratorio filosofico di Marx, si ha l'impressione che non manchi nulla di essenziale per fare ricerca, condurre analisi, esaminare reperti, classificare secondo le necessit concrete che possono via via emergere. Non vi  neppure un particolare disordine, anche se molto va perduto per capire la logica che presiedeva al modo concreto con cui Marx collocava tutta l'attrezzatura. Tuttavia, ogni ricercatore ha le sue abitudini (e spesso le sue manie, le sue idiosincrasie) particolari, e soltanto il pigro e l'indifferente lascierebbero tutto come stava prima, senza toccare niente. Un periodo di disordine e di confusione  dunque da mettere in conto, prima che i "coltelli e gli stili" trovino posto nei loro rispettivi cassetti ed i reagenti chimici vengano separati dalle aranciate (1). Inoltre, non esiste turismo organizzato verso il laboratorio filosofico di Marx. Ogni viaggiatore deve organizzarsi il viaggio per conto suo, pur sapendo che forse trover le stanze d'albergo gi occupate e che potr perdere alcune coincidenze. Esistono, certo, anche dei "tutto compreso" che vantano prezzi particolarmente bassi, ma il viaggiatore finirebbe con il non vedere nulla, all'infuori delle faccie dell'autista e della guida-interprete. Conviene dunque mettere in conto un po' di fatica in pi, ma rispettare i propri tempi soggettivi di studio e di comprensione. In ogni caso, cento anni di interpretazioni (ed alcune centinaia, almeno, di libri di ottimo livello) sbarrano la strada del viaggiatore verso il "contatto originale ed autentico" con Marx. Certo,  sempre possibile allontanare con un gesto sovrano tutta la "letteratura secondaria", e lasciare che i testi di Marx parlino da soli. Questo atteggiamento, semireligioso, e pieno di "pathos dell'autenticit",  quanto di pi antimarxista si possa immaginare. E' comprensibile che il "credente" pretenda di leggere la "Bibbia" fingendo che la critica delle forme e trecento anni di esegesi biblica non esistano, e che si possa "ascoltare direttamente la parola di Dio" senza neppure. 26 sapere chi erano i semiti, gli antichi egizi, la redazione sacerdotale, tutta la "Lebensjesuforschung" (ricerca scientifica sulle fonti della vita di Ges), eccetera. Il credente ha forse il diritto di fare cos, ma il materialista storico certamente no. Del resto, basta fare pochi esempi concreti per capire che questo "atteggiamento ingenuo" non  neppure praticabile. Si prenda un testo di Marx considerato generalmente facile ed "immediato", come . il "Manifesto del Partito Comunista". Indubbiamente, questo testo appare facile, se paragonato ai primi testi filosofici del giovane Marx oppure alla densit stenografica dei "Grundrisse". Eppure, questa facilit  pi apparente che reale. Il valore: semantico delle parole  cambiato negli ultimi centocinquant'anni, ed il lettore  inevitabilmente portato al gioco delle analogie storiche superficiali con il presente: chi sono oggi i "socialisti aristocratici" ?; chi sono oggi i "socialisti piccolo-borghesi"? Certo, a seconda delle sue simpatie o antipatie politiche il lettore del "Manifesto" trover facilmente le analogie che gli servono. Ma questa facilit analogica  del tutto illusoria. E' chiaro  che bisogna scavare pi profondamente nella specificit storica, ed il lettore italiano (per quanto desideroso di "contatto autentico" sia) si accorger di non poter "saltare" le utilissime note introduttive di Emma Cantimori Mezzomonti (2). Prendiamo ancora il primo libro del "Capitale" di Marx. Ecco una lettura "classica" dei marxisti (che generalmente "saltano" il secondo ed il terzo volume, e solo molto raramente si avventurano nella prosa letteraria delle "Teorie sul Plusvalore"), che generalmente viene consigliata come "indispensabile" ai principianti. Abbiamo in proposito "raccomandazioni imperative" molto autorevoli, e del tutto opposte, da parte di chi consiglia di "saltare" la prima sezione (ad esempio Louis Althusser) e da parte di chi consiglia invece di leggere soprattutto la prima sezione (ad esempio Paul D. Dognin). Facciamo anche l'ipotesi che il principiante ignori queste autorevoli raccomandazioni imperative, insieme con tutta la (sterminata) letteratura secondaria sulla "forma di valore" e sul tormentato rapporto fra Hegel e Marx. Resta il fatto che la prima sezione  effettivamente difficile, e nello stesso tempo indispensabile: se il principiante si impunta a leggerla, ne rimarr forse impantanato e non riuscir a continuare la lettura (esistono esempi autorevoli di uomini politici, ed anche di teorici famosi che non sono riusciti ad andare oltre la ventesima pagina del "Capitale", a causa della terribile prima sezione); se il principiante, invece, corre subito alla scorrevole e facile seconda sezione, potr 27 tranquillamente per tutto il resto della sua vita pensare che Marx sia stato un dotato allievo di Ricardo, di tendenze socialiste, e con una forte cultura filosofica tedesca. Anche qui, dunque, il "contatto autentico" pu giocare brutti tiri. Orientarsi sulla migliore "letteratura secondaria" diventa allora assolutamente necessario (3). Prendiamo, infine, i famosi "Lineamenti" (i Grundrisse) di Marx. Qui, il lettore italiano pu scegliere addirittura fra due diverse traduzioni e due diverse edizioni. Inoltre, vi sono anche ottimi lavori di "letteratura secondaria che aiutano ad affrontare i "Lineamenti", in tutto o in parte. Il lettore si render conto di essere egualmente in alto mare, in quanto sui "Lineamenti", lo si voglia o no, si  svolta negli ultimi anni una vera e propria "battaglia teorica" (in particolare in Italia) fra chi ha voluto contrapporli al "Capitale" (come testo "segreto" e gnostico del Comunismo, mentre il "Capitale" sarebbe compromesso con la nefasta ideologia del "socialismo del lavoro") e chi invece li ha letti su di una linea di continuit tematica con il "Capitale" stesso. Si pu, certo, ignorare questo dibattito, denso di implicazioni teoriche, e soprattutto politiche, cos come una persona, in pieno sole, pu ignorare la propria ombra chiudendo gli occhi, ma si sar comunque "dentro" questo dibattito, non appena si vorr organizzare una propria personale opinione sui rapporti fra "Lineamenti" e "Capitale" (4). I tre esempi che sono stati qui fatti (e che mettono in guardia dall'opinione, volonterosa ma ingenua, che si sia all'anno zero nella lettura del "Manifesto", dei "Lineamenti" e del "Capitale") sono per ancora poca cosa, se si riflette al problema della collocazione storica dell'opera di Marx nel suo tempo. In proposito anche i "principianti" dello studio del materialismo storico ricorderanno il breve scritto di Lenin del marzo 1913 (dedicato al trentesimo anniversario della morte di Marx), intitolato "Tre fonti e tre parti integranti del marxismo" (in cui, come certo si ricorder, Lenin parla della filosofia tedesca, dell'economia politica inglese e del socialismo francese). Quando lo scrisse, Lenin aveva certamente le sue buone ragioni (soprattutto, l'intenzione di "universalizzare" il significato storico del marxismo, mostrando che la cultura tedesca non era che una delle fonti, e non l'unica, come dicevano alcuni "patrioti" della socialdemocrazia tedesca). In questo senso, criticare questo testo di Lenin (che , inoltre, un testo d'occasione), gi ampiamente discusso e criticato (in particolare dalla scuola althusseriana) non avrebbe molto senso, al di fuori di una sua storicizzazione integrale. Lo scrivente ne far tuttavia egualmente un obiettivo polemico (in parte "di comodo"), per cercare di mostrare 28 come non si deve impostare il problema teorico delle "origini del marxismo", e per converso, come si pu impostare una critica genealogica del materialismo storico. Tracceremo allora prima un breve schizzo della situazione aporetica e dei vicoli ciechi cui porta lo sviluppo coerente delia problematica delle tre fonti e delle tre parti integranti, per poi passare ad un'impostazione diversa, a nostro parere meno eclettica ed aporetica, dell'intera questione,. la quale impostazione, infine, non "risolve" nulla, consegnandoci invece del tutto irrisolto il problema della compresenza di tre diverse forme filosofiche del discorso dentro Marx. Definire tuttavia "del tutto irrisolto" il problema della compresenza  un eccesso di cautela metodologica e di modestia teoretica, in quanto, come il lettore pu agevolmente capire da solo, la compresenza di tre discorsi filosofici  in realt caratterizzata dalla dominanza del "migliore" di gran lunga dei tre. C' dunque, gi dentro Marx, un inizio di soluzione, che si tratta di non lasciar cadere, ma di sviluppare con coerenza e con precisione. 1. Un vicolo cieco: il problema delle tre fonti e delle tre parti integranti Il grande marxista italiano Antonio Labriola (sempre molto citato, a causa del nuovo patriottismo del made in Italy, e tuttavia evidentemente non letto e tantomeno studiato) disse gi a suo tempo cose acute, e parzialmente definitive, sul come non impostare il problema dei rapporti fra filosofia, economia e politica in Marx. Egli polemizz contro la storiografia dei "fattori" (cio contro la separazione metodologica sistematica .dei "fattori" economico, culturale, eccetera), che egli genialmente vedeva come l'altra faccia della tendenza a costruire filosofie della storia. E' curioso, in proposito (ma non c' purtroppo qui lo spazio per soffermarvisi) che il suo grande allievo Benedetto Croce respinse, a parole, le filosofie edificanti e teleologiche della storia, ma recuper integralmente nella sua controriforma della dialettica (la dialettica dei distinti) lo spezzettamento feticistico in "fattori" differenziati tipico delle | filosofie borghesi del Novecento. Il tentativo teorico labrioliano di far passare il principio della unitariet disciplinare del materialismo storico e della non separabilit in via di principio dei differenti "fattori" si rivel necessariamente donchisciottesco, per due ordini essenziali di ragioni. In primo luogo, non interessava al partito politico socialista del 29 tempo (quello di Turati, ma il discorso pu essere tranquillamente prolungato), il cui economicismo strutturale non poteva che pensare l'economia come "fattore dominante". In secondo luogo, non poteva essere recepito dal mondo accademico ed universitario, che si stava proprio allora consolidando sulla base della separazione metodologica e della "non belligeranza" fra le discipline. La "grandezza" di Labriola  allora proprio quella di uno Spinoza, ed  quella di un grande "isolato", assolutamente non integrabile e per nulla "intellettuale organico" (5). Lenin fu (e questo pu anche essere storiograficamente dimostrato) un "labrioliano" filosofico, nel senso che non credette mai alla scomposizione teorica del marxismo in "fattore filosofico" (da risolvere secondo l'impostazione della grande filosofia dialettica hegeliana), in "fattore economico" (da impostare secondo la teoria della continuit tematica con la teoria del valore smithiano-ricardiana), ed in "fattore politico" (in cui occorreva proseguire le tradizioni giacobine sostanziandole con la promozione degli esperti e dei tecnocrati, come suggerivano Comte e Saint-Simon). Sta di fatto, per, che cos fu spesso intesa la teoria delle tre fonti: tre fonti, che davano luogo a tre distinti fattori, uno dei quali a sua volta dominante. Le premesse per la "giungla aporetica" erano cos poste. Il "fattore economico", pensato isolatamente come centrale, produce una problematica della pianificazione staliniana (se il potere politico"  monopolio del cosiddetto partito del proletariato) oppure una problematica di tipo sraffiano (se il "potere politico" deve essere diviso  contrattato con altre forze). In entrambi i casi, ovviamente, Marx  a tutti gli. effetti un continuatore degli economisti classici, mentre la problematica della "forma" del valore e del lavoro  consegnata alle innocue chiacchiere dei filosofi (considerati, chiss perch, degli esperti in "forme", come i giudici dei concorsi di bellezza). I filosofi non possono. ovviamente "risolvere" questo problema, e riescono al massimo ad "avvertire" (del tutto inascoltati) che vi  un'unit fra teoria del valore e dell'alienazione. A loro volta i "politici" non riescono a tradurre a livello politologico questa problematica, e ripiegano sulle forme di rappresentanza dei meriti (individuali e sociali) e di soddisfacimento dei bisogni (individuali e sociali). | La babele dei linguaggi (oppure la loro cortese indifferenza reciproca, tipica di un'epoca in cui la spartizione concordata ha sostituito integralmente lo scontro fra le idee)  a questo punto inevitabile, in quanto  legittimata dalla falsa problematica della "dominanza" di un "fattore". Occorre dunque coraggiosamente 30 abbandonare ogni tendenza all'"aggancio" del materialismo storico alla "trinit delle fonti", comunque concepite. In primo luogo, le "tre fonti" non possono essere cucite insieme per concordismo teorico ad ogni costo. Esse hanno retroterra filosofici diversi: la filosofia morale della "simpatia" di Adam Smith  incompatibile con la lotta a morte per il riconoscimento e la conseguente dialettica servo-signore di Hegel (per non fare che un esempio elementare). L'impianto teorico di Smith  rigorosamente "robinsoniano", mentre Hegel ha semmai tendenze opposte (anche se in Smith l'"individuo" funziona di fatto come "totalit espressiva" autonoma, esattamente come l'Assoluto hegeliano). In secondo luogo, l'incorporazione teorica del materialismo storico in una delle "fonti e parti integranti" produce effetti devastanti. Dentro la forma filosofica della filosofia classica tedesca, la critica dell'economia politica diventa inevitabilmente lo svolgimento temporalizzato dialetticamente dell'autocoscienza comunista di un'unit soggetto-oggetto (la civilt umana). Dentro la forma filosofica del discorso dell'economia politica inglese, la critica dell'economia politica diventa inevitabilmente la soluzione accettabile delle insufficienze della teoria classica del valore-lavoro (e dunque la base teorica dell'economia politica del socialismo, quando non deve accontentarsi di essere un "pezzo" di economia keynesiana o sraffiana). Dentro la forma filosofica del socialismo utopistico francese, la critica dell'economia politica diventa inevitabilmente una scienza dell'amministrazione razionale delle "cose" (e dunque dei rapporti sociali cosalizzati, e ridotti a stadi di. sviluppo della tecnologia e dei sistemi sociali complessi) (6). Si tratta allora di tre teorie assolutamente diverse, il cui tratto comune  quello di non essere affatto la continuazione, logica e storica, del progetto marxiano. Esse, possono anche ostentare l'etichetta di "marxismo", ma questo non fa che portare confusione. E' forse meglio, dunque, cercare di impostare l'intero problema in modo diverso. 2. Per una critica genealogica del materialismo storico In prima approssimazione, potremo definire la genesi teorica del materialismo storico come la produzione di una "nuova scienza" facilitata da una "metafisica influente". Gli epistemologi sanno benissimo come questa sia una situazione comune a tutte le scienze, ma talvolta lo dimenticano, quando si tratta di sputare sugli "elementi metafisici" del pensiero di Marx (7). Si tratta di una "metafisica influente" unitaria nella sua problematica, e perci 31 assolutamente non "spezzabile" nelle tre parti integranti di cui sopra. Come sanno bene gli storici della scienza, "gli scopritori fisici si sono differenziati dagli sterili speculatori non perch non avessero nessuna metafisica nelle loro teste, ma per il fatto che avevano una buona metafisica, mentre i loro avversari ne avevano una cattiva; e perch legarono la loro metafisica alla loro fisica, piuttosto di tenere separata. l'una dall'altra" (W. Whewell). Questo vale per Cartesio come per Newton, per Darwin come per Einstein, per Freud come per Marx. La "metafisica influente" anticipa in forma confusa cose che poi potranno essere provate, indica programmi di ricerca, suggerisce metafore, stimola l'""immaginario scientifico". Il giovane Marx si trovo' di fronte una scienza sociale borghese che incorporava una cattiva metafisica: l'individualismo possessivo, il pre-giudizio della naturalit assoluta dei rapporti sociali, la consacrazione dell'eternit dell'esistente in nome della sintesi suprema delle scissioni. Egli fu fortemente influenzato da una buona metafisica, la teoria dell'"ente naturale generico", capace in quanto tale di trasformazione, l'utopia libertaria del superamento integrale della divisione del lavoro in una comunit di cacciatori, pescatori e critico-critici, l'ideale di una trasparenza integrale fra individuo e societ una volta superato il mondo delle merci, che intorbidano tutto ed impediscono di "vedere" i veri rapporti umani che stanno oltre il mondo reificato del denaro (8). Si trattava di una "buona metafisica", che presentava un carattere aperto ed espansivo. In quanto tale, essa era del tutto al di qua del materialismo storico (che fu concepito prima), ed ovviamente molto lontana ancora dalla critica dell'economia politica (che fu concepita dopo). Il "materialismo storico" (come teoria della genesi, struttura e trasformazione dei modi di produzione in generale) potr essere concepito prima, in quanto non era poi cos lontano dalle teorie settecentesche dell'evoluzione e del progresso degli "stadi sociali" (caccia, pastorizia, agricoltura, commercio). La "critica dell'economia politica" (come teoria della specifica genesi, struttura e trasformazione del modo di produzione capitalistico) venne logicamente dopo, possedendo un grado di complessit molto superiore. Insistiamo ancora una volta sul fatto che non vi sono molte metafisiche influenti, che confluirebbero in modo disordinato nella genesi di una teoria scientifica. Vi sono, certo, molte componenti culturali, e gli storici delle idee fanno benissimo a classificarle ed a rintracciarme la genesi. Tuttavia, rintracciare la genesi storico-culturale delle varie componenti ideali non  la stessa cosa del ricostruire la genealogia di un prodotto come il materialismo 32 storico. Quest'ultima  unitaria, perch unitario  il campo problematico instaurato dalla metafisica influente. Si tratta del perseguimento dell'uomo integrale, del superamento della scissione, della riconquista della totalit perduta nel destino della civilt. La metafisica influente cade, si stacca come il primo stadio di un razzo vettore, non appena l'autonomia disciplinare della teoria dei . modi di produzione "decolla" e conquista la sua autonomia. Da quel momento in poi, il materialismo storico pu essere coltivato anche dai "non credenti" nella praticabilit dell'utopia sintetica, che diventa una "filosofia privata", esattamente come lo scetticismo sulla conseguibilit dei "fini ultimi'. Diciamo questo in modo volutamente rigido ed estremistico, perch in realt la "filosofia privata" continua a determinare il modo concreto con cui si sviluppa l'autonomia disciplinare della scienza della societ. A differenza del primo althusserismo (che pure ha avuto i suoi meriti storici), lo scrivente non crede nella separabilit "visibile" fra ideologia e scienza. Metafisica influente e sviluppo della ricerca scientifica (che prima sono stati paragonati a due stadi di un razzo vettore) devono ora essere pensati come intreccio fittissimo, come un vero e proprio nodo gordiano. Concretamente, per Karl Marx fu cos. Marx fu precocemente consapevole della autonomia disciplinare di quanto era riuscito a creare (e, in questo senso, lo ripetiamo ad nauseam, era "marxista" al 100%), e persegu per tutta la vita il suo programma di ricerca. Ma egli accompagn questo programma con discorsi filosofici eterogenei, dentro i quali era linguisticamente costretto a "dire" le cose che stava mano a mano scoprendo. Lo scrivente ha isolato per comodit (in forma forzatamente ideal-tipica) tre di questi discorsi filosofici: il grande-narrativo, il deterministico-naturalistico, e l'ontologico-sociale. A dire il vero, questa tricotomia potrebbe facilmente diventare una dicotomia: il discorso deterministico-naturalistico  infatti una variante "scientistica". della grande narrazione, e non ne differisce qualitativamente (se non per una non essenziale mimesi linguistica delle scienze della natura dell'Ottocento). La vera differenza filosofica  fra i primi due, ed il terzo. Tuttavia, la tricotomia  forse pi chiara, e comunque la sua discussione lascier meno equivoci. 3. Il discorso filosofico grande-narrativo in Marx Negli ultimi anni (in particolare dopo alcune recenti scoperte della marxologia pi avvertita e pi filologicamente attenta) la questione del rapporto fra il cosiddetto "giovane Marx" ed il Marx SS maturo ha assunto aspetti del tutto nuovi. Da un lato, la marxologia ufficiale sovietica (o tedesco orientale) aveva preso atto a malincuore dell'esistenza di un "giovane Marx" (sapendo perfettamente che tutta l'"operazione" di politica culturale poggiante sul giovane-marxismo non era "gestibile" dal Diamat ma soltanto dall'umanesimo socialdemocratico attento ai "valori"), e lo aveva rubricato nel ruolo di apprendista al mestiere di "marxista maturo". Questo Marx maturo, naturalmente, era ridotto a ideologo della legittimazione del marxismo terzinternazionalistico (attraverso una serie di" "tagli tematici" cui faremo cenno nella seconda parte di questo scritto). Dall'altro lato, il cosiddetto giovane-marxismo (che non bisogna mai confondere con lo "studio" del giovane Marx, cosa, questa, del tutto positiva) si era costituito come vera e propria corrente di pensiero sul presupposto di una "autonomia", anzi di una vera e propria completezza ed armonia teorica delle opere giovanili di Marx. La tesi di fondo del giovane-marxismo potrebbe riassumersi in questo modo, forse semplificando un poco: se Marx non avesse mai pi scritto una riga dopo l'"Ideologia Tedesca" sarebbe egualmente da annoverare fra i massimi pensatori mai esistiti. La lotta fra giovan-marxismo e vecchio-marxismo (che potrebbero entrambi essere studiati prescindendo paradossalmente da Marx, essendo composti con materiali rispettivamente prometeico-idealistici e positivistico-evoluzionistici)  stato un episodio molto importante della cultura europea, in quanto dietro il suo (esile) schermo si giocavano poste politico-sociali rilevanti. Tuttavia essa funziona da ostacolo per la comprensione di un fatto teorico di grande interesse: nel giovane Marx  presente, fin dall'inizio, una tendenza ad una rappresentazione ontologico-sociale dei fenomeni sociali (con la distinzione fra alienazione ed oggettivazione), ed una tendenza enfaticamente grande-narrativa (con la ricerca di un soggetto radicale su cui "poggiarsi" in modo privilegiato per l'emancipazione totale dell'umanit). Nel giovane Marx la rappresentazione ontologica dei fenomeni sociali  tuttavia presente soltanto come tendenza, in quanto manca ovviamente ancora una fondazione adeguata alla critica dell'economia politica. Questa tendenza  per agevolmente visibile, non appena ci si riesca a liberare dello schermo prodotto da tutta la "letteratura secondaria" di tipo giovane-marxista (9). Faremo in proposito soltanto pochi cenni. In primo luogo, occorre comprendere che fin dal'inizio, sul piano pi strettamente metodologico Marx si riallaccia direttamente ad Hegel, e non invece a quella corrente sostanzialmente neofichtiana (e dunque 0 idealistico-soggettiva), rappresentata da Hess e dagli hegeliani di sinistra, ed in cui rientra 34 anche un certo Feuerbach. La dura critica del giovane Marx alle ipostatizzazioni hegeliane (messa in luce particolarmente dalla scuola di Della Volpe) ha fatto troppo spesso dimenticare la "solidariet profonda" di Marx con Hegel, basata sulla consapevolezza realistica dell'esistente di contro a mere volont. utopiche fondate sull'intenzione (e si legga in proposito il fondamentale saggio di Lukcs del 1926 intitolato "Moses Hess ed i problemi della dialettica idealistica", in cui il "collegamento diretto" di Marx con Hegel  adeguatamente argomentato) (10). In secondo o luogo, occorre rivendicare al giovane Marx la critica radicale al principio dell'individualit irriducibilmente egoistica sostenuto da Max Stirner, senza cadere nell'errore di far diventare l'anarchico Stirner l'antesignano dei diritti dell'individuo empirico di contro alle astrazioni dell'''essenza umana" ed alla divinizzazione della societ. L'individuo empirico si oggettiva infatti in forma "alienata" nella quotidianit della vita capitalistica, ed ogni anarchismo metodologico che assolutizzi l'individualit empirica e le sue manifestazioni dentro quest'ultima finisce con l'avallare la. vita alienata, accampando il pretesto della lotta all'organicismo ed al principio olistico-autoritario (11). In terzo luogo (e si tratta, in senso assoluto, del punto teorico pi importante) occorre valorizzare fino in fondo tutte le recenti scoperte filologiche sul giovane Marx, che vanno tutte nella direzione di un declassamento delle pretese della completezza e della autonomia del pensiero del "giovane Marx" rispetto ad un fantomatico "Marx maturo" e di una valorizzazione del carattere di ricerca e di studio, di work in progress, delle opere giovanili di Marx, sia di quelle edite che di quelle inedite (12). La valorizzazione, metodologicamente fondamentale, della tendenza ontologica del pensiero del giovane Marx come work in progress in direzione della critica dell'economia politica resterebbe tuttavia ambigua ed insufficiente se non si ammettesse francamente che questa tendenza ontologica coesiste con una sorta di antropomorfizzazione della storia, cio con la fondazione del senso e della direzione della storia in un soggetto collettivo titolare di ci che  stato definito "grande narrazione". La "grande narrazione" , in prima approssimazione, l'incorporazione del materialismo e della dialettica dentro una filosofia del soggetto. Il soggetto grande-narrativo ha a sua volta perduto le caratteristiche formali e trascendentalistiche di derivazione cartesiana e kantiana in direzione di una integrale storicizzazione e sociologizzazione. Esso garantisce, con la permanenza della sua identit originaria fondamentale, la realizzazione finale di un programma iniziale che  a sua volta pensato come basato sulla 35 propria "essenza vera". E' appunto a partire da questa " essenza propria" che il Soggetto diviene portatore di un progetto di filosofia della storia (13). Nel laboratorio del pensiero del giovane Karl Marx l'ebreo  il primo titolare, idealtipicamente astratto, del processo di disalienazione radicale pensato con il supporto di un Soggetto. Si tratta, ovviamente, di un "soggetto" assai particolare, il solo capace di "saltare" il mondo reificato della identit nazionalistica e borghese (e dunque limitata e particolare) nel suo possibile passaggio diretto dai ceti e dalle corporazioni feudali, in cui era discriminato e ghettizzato, alla nuova comunit sociale comunista in cui l'emancipazione sarebbe stata ad un tempo giuridica e filosofica, individuale e collettiva. Nell'ebreo il massimo di astrazione negativa, il denaro come equivalente generale spogliato da ogni determinazione particolare, che ne aveva fino ad allora connotato la natura sociale, poteva dialetticamente rovesciarsi nel massimo di astrazione positiva, l'emancipazione totale e compiuta, nel diritto e nei fatti (14). La figura dell'ebreo fu ben presto sostituita, come ben si sa, dalla figura del proletario, titolare di catene radicali, e pertanto unico soggetto in grado di emancipare, insieme a se stesso, l'intera umanit. Come  facile notare, il passaggio dalla figura idealtipicamente astratta dell'ebreo alla figura, altrettanto idealtipicamente astratta, del proletario, rappresenta, dentro l'ancora incerta tendenza ontologico-sociale del pensiero del giovane Marx, la metafora filosofica del passaggio dal punto di vista della eircolazione al punto di vista della produzione, senza peraltro che questo passaggio comporti ancora una teoria compiuta della determinatezza strutturale della produzione capitalistica. Questa teoria verr dopo, in seguito al fecondo incontro di Marx con l'economia politica classica, e pi ancora con lo studio storico-sociale del capitalismo inglese. L'edificazione di una teoria di tipo sostanzialmente impersonale (quale il materialismo storico, e pi ancora quella sua specificazione determinata che si chiama critica dell'economia politica) su di un presupposto filosofico incardinato su di un Soggetto astratto-collettivo, quale il Proletariato, non deve affatto stupire. Si tratta di un paradosso relativamente facile a comprendersi, se appena si riflette con onest al modo di costituirsi delle teorie scientifiche: da un lato esse si emancipano abbastanza presto dalle determinanti influenze animistico-artificialistiche, e perci fortemente magico-antropomorfiche, che ne facilitano la nascita e lo sviluppo, dall'altro lato esse non diventano mai "pure" e perfettamente indenni dalle problematiche filosofiche di tipo soggettivistico ed idealistico. Questa compresenza di idealismo e di materialismo sfugge quasi 36 sempre ai punti di vista filosoficamente unilaterali, che non riescono letteralmente mai a sopportare, sul piano teoretico, questa compresenza stessa. Da un lato, infatti, 1 sostenitori esistenzialistico-soggettivistici del giovane-marxismo (e  pi in generale dell'intero "marxismo" ridotto a punto di vista della prassi di un soggetto assolutizzato) scrivono migliaia di pagine, acute e - virtuose quanto perfettamente inutili, per tradurre il materialismo storico nel Punto di Vista di un Soggetto (radicalmente) Trasformatore, salvo poi abbandonare completamente il materialismo. storico stesso quando questo Soggetto Trasformatore sembra sociologicamente sparito, o quanto meno latitante (si pensi a Jean-Paul Sartre, o meglio ancora ad Andr Gorz). Dall'altro lato, invece, i sostenitori strutturalistici del materialismo storico come Processo senza Soggetto sono costretti ad arrampicarsi sui vetri per negare l'evidenza del fatto che in Marx una concezione grande-narrativa del Proletariato come Soggetto Privilegiato della Storia universale permane anche dopo la cosiddetta "rottura epistemologica" (e si pensi ad Althusser, e pi ancora agli althusseriani pi schematici e semplificatori). Se sottoponiamo l'intera questione ad una pur sommaria analisi storica ci accorgiamo che le tendenze filosoficamente antropomorfizzanti (inevitabile supporto di una filosofia idealistica che pensa la Storia come un continuum temporalmente omogeneo in cui un Soggetto realizza il suo Destino) coesistono strettamente con tendenze opposte, di tipo impersonale e disantropomorfizzante, che utilizzano massicciamente la distinzione fra soggetto ed oggetto. Questa stretta coesistenza e compresenza mostra, tra l'altro, tutta la superficialit antidialettica della tesi che propugna l'esistenza di un Pensiero Originario, presocratico ed in generale preplatonico, che non conosceva per nulla la scissione fra soggetto ed oggetto, e che promette nel prossimo futuro possibile l'emersione di un Nuovo Pensiero, che sar del tutto al di l di questa scissione in cui si  consumato il destino della metafisica e della Tecnica del mondo occidentale (15). Nel pensiero presocratico, infatti, figlio di una cultura orale e di una civilt della memoria estranea in gran parte alla scrittura, non si era ancora data compiutamente la separazione fra un "soggetto", cio la personalit pensante autonoma, ed un "oggetto", cio una zona della conoscenza che deve essere del tutto astratta (separazione che , appunto, il nucleo del piatonismo pi antico); ma questa mancata separazione coesisteva con il massimo di personificazione soggettiva delle forze impersonali della natura e della storia, in quanto la psicologia dell'apprendimento mnemonico e della 37 registrazione orale esigeva che il contenuto da mandare a memoria fosse una serie di azioni, e ci presuppone a sua volta degli attori o agenti. La controparte del rifiuto della cultura orale (basata, appunto, su di una integrale antropomorfizzazione mitica delle forze naturali e sociali)  stata, inoltre, la dottrina della "psiche autonoma" (cio dell'anima, separata dal corpo, e potenzialmente immortale), in cui un soggetto si separa dal proprio oggetto di riflessione; processo, questo, che riantropomorfizza in modo nuovo e qualitativamente diverso le forze naturali e sociali, questa volta sulla base della distinzione fra soggetto ed oggetto (16). La lunga storia del pensiero occidentale (dalla filosofia greca al marxismo di Marx) si compie dunque sotto il segno di una intima compresenza fra tendenze disantropomorfizzanti (negazione determinata del dominio assoluto del mito tipico delle culture orali) e tendenze riantropomorfizzanti (che si riformano continuamente sulla base della distinzione fra soggetto ed oggetto, modalit gnoseologica strutturale con cui si  storicamente compiuta in Occidente la disantropomorfizzazione al tempo degli antichi Greci). In Marx (in particolare nel giovane Marx) la teoria del soggetto privilegiato, il cui punto di vista permette di "sciogliere l'enigma della storia" (l'ebreo, prima, per un brevissimo periodo, il proletario poi) non si pone dunque come un residuo mitico-antropomorfico di filosofie della storia e di religioni di salvezza (per usare un linguaggio alla Lowith, una laicizzazione imperfetta della escatologia giudaico-cristiana nel linguaggio dell'economia politica), ma si colloca come una vera e propria premessa (potenzialmente, ma solo potenzialmente, antropomorfizzante) di una teoria che  nella sua pi intima essenza integralmente disantropomorfizzata, la critica dell'economia politica, appunto, basata sulla critica radicale del robinsonismo e della assolutizzazione (questa s, del tutto antropomorfica) dello homo oeconomicus capitalistico-borghese. Certo, la critica dell'economia politica non pu mai essere integralmente disantropomorfizzata (come volle a suo tempo la scuola althusseriana, per cadere nel "soggettivismo delle strutture", la cui personificazione  pi pericolosa in quanto  talvolta difficilmente riconoscibile), ma di questo non bisogna preoccuparsi fuori misura. La sola riantropomorfizzazione  "pericolosa" della critica dell'economia politica , appunto, la trasformazione integrale del marxismo in grande narrazione edificante, in cui il "comunismo" funziona come "utopia sintetica" e si vuole come soluzione "integrale" della storia. Marx usa certo queste espressioni, di tipo integralmente grande-narrativo, la cui tendenza innegabile  quella di antropomorfizzare la storia. Queste espressioni sono per quasi 38 sempre usate in determinati "contesti rilevanti", caratterizzati dallo sforzo di derobinsonizzare l'economia politica e pi ancora di scoprire i vizi ipostatici della filosofia hegeliana, basati tutti in ultima istanza sulla trasformazione di punti di vista soggettivi della borghesia tedesca del tempo in manifestazioni impersonali dello Spirito (oggettivo ed assoluto). Il contesto rilevante, integralmente disantropomorfizzante, coesiste dunque, in compresenza necessaria, con una forma linguistica riantropomorfizzata, la "grande narrazione". Solo la comprensione piena ed onesta di questa compresenza permette, dunque, di evitare realmente l'incantesimo grande-narrativo, pur presente in Marx (17). 4. Il discorso filosofico deterministico-naturalistico in Marx Come si  visto nel paragrafo precedente, la critica marxiana dell'economia politica, il cui aspetto dominante  l'antirobinsonismo e la polemica contro la personificazione metafisico-idealistica delle forze storiche e sociali, nasce e si sviluppa dentro un discorso spesso antropomorfizzante, in cui il Proletariato, soggetto privilegiato del processo storico, ne risolver l'enigma fino all'utopia sintetica chiamata "comunismo". E' questo l'aspetto filosofico-idealistico del pensiero marxiano. Vi  per anche, in ambigua compresenza, un secondo aspetto, che potremo sommariamente definire scientistico-idealistico, in cui viene soggettivizzata una entit cosalmente impersonale definita Produzione Moderna, che sostituisce in parte (mai del tutto) la nozione di Comunismo come progetto intrinseco-immanente alla "natura essenziale" del Proletariato. La struttura teorica dell'idealismo "scientistico" non  diversa, negli aspetti essenziali, dalla struttura teorica dell'idealismo "filosofico". In entrambi i casi, infatti, una dottrina diventa integralmente ideologia di legittimazione sociale di comportamenti politici determinati, e questo pu avvenire sia in nome di una filosofia dello Spirito (come nel caso di Benedetto Croce e pi in generale del crocianesimo borghese italiano), sia in nome del possesso privilegiato del metodo e della conoscenza "scientifica" della natura e della societ (come nel caso del positivismo borghese, in Italia ed altrove). Dire che il "comunismo"  lo sbocco inevitabile, scientificamente prevedibile, della natura dinamica della produzione capitalistica moderna, che socializza le forze produttive e polarizza i rapporti di produzione, non  diverso dal dire che il "comunismo"  il passaggio dalla preistoria alla storia attuato dal proletariato rivoluzionario. La prima proposizione suona anzi pi "scientifica", e- dunque pi "convincente", in un'epoca storica in cui la scienza 39 diventa la principale, se non l'unica, ideologia di legittimazione sociale (18). | In Marx (ed ha poco senso attribuire al solo Engels dichiarazioni scientistiche, nell'ingenua ed infondata intenzione di "salvare" Marx da ogni caduta deterministico-naturalistica) si possono agevolmente trovare decine di citazioni che possono legittimare una lettura del materialismo storico come teoria delle "legalit necessarie" di tipo naturalistico applicate a quella particolare "sezione" della natura chiamata "societ" (19). Questa lettura, come  noto, fu storicamente fatta, e divent storicamente dominante, nel "marxismo" della Seconda e della Terza Internazionale. E' possibile, ed anzi necessario chiedersi: si tratt di un fraintendimento della lettera e dello spirito di Marx, o di un coerente sviluppo della sua impostazione teorica fondamentale? Alcune riflessioni ci aiuteranno forse a rispondere a questa domanda. A ben riflettere, una ricognizione attenta al laboratorio teorico di Marx ci permette di affermare tranquillamente che la sua preoccupazione principale non fu mai quella di formulare la critica dell'economia politica in modo da farle "superare" i controlli di tipo "epistemologico" cui erano sottoposte le ipotesi scientifiche del tempo (in pratica, l'induttivismo di Stuart Mill, cui si sottopose volentieri lo stesso. Darwin), quanto quella di trovarne una "forma d'esposizione" dialettica soddisfacente. Tutto questo  ormai assai noto, e non vogliano qui ripeterlo (20). E' forse meno noto, ed appunto per questo ancora pi degno di riflessione, che Marx ebbe sempre un interesse vivo, costante, mai episodico e saltuario, per i progressi che si stavano facendo nelle scienze naturali ed applicate. Questo interesse non era fondato sul progetto di "incorporazione" della propria scoperta (il materialismo storico come teoria della genesi, sviluppo e declino di determinati modi di produzione, in particolare quello capitalistico) in un'enciclopedia generale delle scienze di tipo positivistico, ma si basava su di una acuta consapevolezza di tipo interdisciplinare, ostile a quella esasperata divisione accademico-universitaria delle discipline che fu un prodotto (spesso non voluto, ed anzi avversato a parole) del grande positivismo europeo dell'Ottocento. Il materialismo storico restava in Marx qualcosa di ben distinto dalla chimica, fisica, biologia, mineralogia, geografia, eccetera. Esso aveva il suo oggetto ed il suo metodo peculiare, ma il suo sviluppo sarebbe risultato asfittico e monco, senza una ricca e consapevole informazione nel campo delle scienze della natura e dell'industria (21). Marx stesso si impegn a fondo in questo campo, e questo impegno comport necessariamente l'uso e l'abuso di metafore di tipo naturalistico, deterministico e scientistico 40 tipiche del linguaggio delle scienze della natura del tempo, basate sul paradigma della necessit, categoria assolutamente portante di tutto il linguaggio scientifico dell'Ottocento (22). L'ideale laplaciano, rigorosamente deterministico e necessitaristico,  infatti centrale, nell'Ottocento, non tanto nelle singole scienze particolari (le quali, come ben spiega Gaston Bachelard, avevano tempi di sviluppo ben differenziati e problemi specifici di "assestamento epistemologico" non suscettibili di essere semplificati e ridotti ad un unico modello), quanto nella "ricaduta filosofica" con la quale le scienze "si presentavano" alla sintesi culturale dominante. Questo non significa, ovviamente, che la storia delle scienze dall'Ottocento al Novecento sia stata un semplice trapasso dalle "sicurezze" predittive e deterministiche ad una sorta di generale indeterminismo (sarebbe, questa, una vera caricatura della storia del pensiero scientifico). E' invece possibile dire, con tutta tranquillit, che la categoria di necessit aveva un ruolo assolutamente centrale nell'immagine della scienza ottocentesca, finendo inoltre con l'indicare due significati del tutto eterogenei l'un l'altro, il nesso di causalit rigorosa, da un lato, la ferrea prevedibilit ed anticipazione degli esiti, dall'altro. Qui sta, fra l'altro, la radice di quell'equivoco (filosoficamente assai poco spiegabile), tanto diffuso soprattutto a fine Ottocento, che faceva dell'ideale scientifico qualcosa di simultaneamente meccanicistico (basato cio su di una causalit rigorosamente necessitante) e teleologico (in grado di prevedere, cio, un esito in modo talmente infallibile da far pensare che questo esito fosse stato iscritto fin da principio nella "natura stessa" del fenomeno) (23). La paradossale compresenza di meccanicismo e di teleologismo, tipica dell'immagine scientifica ottocentesca (che era poi l'immagine che giungeva allo stesso Marx), permette di comprendere la . sostanziale inutilit di tutti quegli schemi di lettura (alla Lucio Colletti, per intenderci) che retrodatano all'Ottocento  la. contrapposizione polare fra intelletto scientifico-analitico, buono, e ragione dialettico-contraddittoria, cattiva. Il necessitarismo teleologico era infatti presente (ed anzi, fortemente presente) sia nelle teorie scientifiche di tipo rigorosamente empirico-induttivo sia nelle generalizzazioni enciclopediche di tipo dialettico, senza che fosse possibile una netta separazione fra le due (24). Anche Marx, ovviamente,  spesso irresistibilmente attratto da questa compresenza di meccanicismo e di releologismo, e talvolta. mette egli stesso il materialismo storico e la critica dell'economia politica sotto il dominio della categoria della necessit (mettendo fra parentesi tutte le altre categorie ontologiche, in primo luogo la 41 categoria della possibilit) (25). Ci non deve stupire, e nemmeno scandalizzare: ci che invece stupisce, e sinceramente scandalizza,  il ritardo del materialismo storico a cent'anni dalla morte di Marx a 'sganciarsi" da un paradigma scientifico ottocentesco, superato ormai da molto tempo. Il ritardo  caratteristico anche della storiografia e della cosiddetta marxologia. Ingenera stupore e sdegno, ad esempio, il permanere della leggenda che vuole Marx mendicare, alla porta della casa di Darwin, il permesso di dedicare "Il Capitale" al grande naturalista (26). Marx ammirava infatti moltissimo Darwin, ma non ne feticizz mai il metodo, in primo luogo, e non attribu mai al darwinismo teorico una natura teleologico-metafisica, in secondo luogo (quasi volesse "legittimare" una lettura teleologico-deterministica della propria opera assimilandola a quella darwiniana). Marx non permise mai alla propria autoconsapevolezza scientifica l'irruzione di una immagine teleologico-necessitante della propria concezione dell'accumulazione del capitale (cos come non permise mai un'antropomorfizzazione filosofico-idealistica del ruolo storico del Proletariato), nonostante alcune evidenti concessioni all'immagine ottocentesca della scienza. Imped questo la sua consapevolezza filosofica di tipo ontologico-sociale, cui ora brevemente accenneremo.  5. Il discorso filosofico ontologico-sociale in Marx La comprensione della dominanza specifica, in Marx, di un discorso filosofico di tipo ontologico-sociale sugli altri due tipi di discorso (pur presenti) grande-narrativo e deterministico-naturalistico produce due effetti fondamentali. In primo luogo, in negativo, interdice tutta una serie di fraintendimenti radicali della filosofia del materialismo storico, che lo trasformerebbero in una (mediocre) filosofia della storia (27). In secondo luogo, in positivo, promuove attivamente una concezione filosofica del mondo la quale, di per s, non  ancora "materialismo storico" n tantomeno "critica dell'economia politica", ma che funziona da cornice e da quadro per il loro sviluppo creativo e non dogmatico. In conclusione della prima parte di questo scritto accenneremo brevemente ad alcuni fraintendimenti radicali della filosofia del materialismo storico. Non esiste ancora, purtroppo, una vera e propria teoria materialistica del "fraintendimento sistematico" del marxismo come parte di una pi generale ed ampia teoria dell'ideologia come falsa coscienza e come coscienza necessariamente falsa. Il "fraintendimento" non pu essere in genere ricondotto 42 soltanto a questioni di conoscenza (teoria razionalistica dell'errore)\ o a questioni di "interesse" (teoria economicistica dell'egoismo, individuale o di gruppo), e neppure ad una mera interazione fra i due' elementi fatta in nome del "buon senso". Il fraintendimento  forse una vera e propria forma d'esistenza necessaria della lotta fra ideologie in una congiuntura storica determinata, che deve essere data per scontata. Vi  per una tendenza molto forte oggi, di tipo astratto-razionalistico, che intende lottare contro i fraintendimenti pi fastidiosi e strumentali del materialismo storico finendo con l'accettare il terreno in cui sono sorti questi ultimi: si tratta di quell'incantesimo epistemologico e di quell'insistenza di tipo gnoseologico che ha integralmente dimenticato Marx (in cui logica, dialettica e teoria della conoscenza si identificavano in ultima istanza) per perdersi nei mille meandri di Popper, Lakatos, Feyerabend, Kuhn, eccetera. Si tratta di una tendenza sterile, che non fa che ripetere, in forma impoverita e linguisticamente involuta, posizioni teoriche notissime nella storia della filosofia occidentale dai tempi almeno di Kant e di Hegel. L'istanza criticista, che interdice (con la dolce forza della ragione, non certo con il "braccio armato" dei poliziotti) i fraintendimenti di tipo metafisico del materialismo storico (dallo scrivente distinti nei due gruppi grande-narrativo e deterministico-naturalistico) non pu essere garantita da una gnoseologia che si sovrapponga ad una ontologia, duplicandola, ma pu essere soddisfatta solamente da una corretta concezione ontologica delle categorie specifiche dell'essere. sociale, oppure, altrimenti detto, da una critica immanente all'uso scorretto di queste categorie. Si  qui distinto, per chiarezza, fra "interdizione" di cattive concezioni del marxismo e "promozione" di una corretta concezione. di esso. Si tratta in realt di un unico movimento del pensiero, che. si sviluppa dialetticamente su di una base ontologico-sociale, cui ora accenneremo brevemente in positivo. La proposizione ontologico-sociale fondamentale del pensiero marxiano  fondata sull'esistenza di una sola scienza, la scienza della storia, caratterizzata "filosoficamente" dalla processualit, e "scientificamente" dalla specificit. Nel momento in cui Marx fa della produzione e riproduzione della vita umana il problema centrale, compare la doppia determinazione di una insopprimibile base naturale e di una ininterrotta trasformazione sociale di questa (l'essere sociale nel suo insieme ed in ogni suo singolo processo presuppone l'essere della natura inorganica ed organica). Tuttavia, questa apparente, cristallina semplicit" monistica nasconde grandi difficolt di corretto orientamento filosofico. Elenchiamone alcune, 43 senza alcuna pretesa di completezza (28). In primo luogo, la "natura", inorganica ed organica, non pu essere filosoficamente intesa come il "fondo" sul quale viene edificata la "storia". E' noto che questa concezione, gi criticata a suo tempo da Benjamin, fu propria del pensiero socialdemocratico e secondinternazionalistico, che vedeva il "lavoro umano" creatore di ogni ricchezza come attivit che si "fondava" sulla inesauribile saccheggiabilit delle risorse naturali e sociali, cui era possibile "dar fondo" in modo pressoch illimitato. Oggi questa concezione si presenta in modo specularmente rovesciato (pensiamo al "pessimismo ecologico" del Club di Roma e pi ancora di posizioni "verdi" tedesche), insistendo sui "limiti" invalicabili del "fondo naturale" cui possiamo attingere, e proponendo cambiamenti nel "modo di distribuzione" (che dovrebbe basarsi sul rifiuto del "consumismo"). Sebbene lavisione del mondo ecologico-igienistica sia indubbiamente pi simpatica del delirio industrialistico-prometeico occorre notare che esse si fondano sulla stessa adialettica concezione destoricizzata della "natura come fondo".'in Marx, invece, la trasformazione sociale della base naturale  pensata inscindibilmente con il "movimento" di questa base naturale stessa, che nella sua processualit (i cui tempi, ovviamente, non coincidono con i progetti soggettivi degli ingegneri) non si lascia mai dare come "fondo" statico delle azioni umane (29). s In secondo luogo, l'esistenza ontologico-sociale di una sola scienza, la scienza della storia, non significa affatto che vi sia automaticamente anche un solo "paradigma scientifico" unificato, valido per le cosiddette scienze della natura come per le cosiddette scienze storico-sociali. La prima questione verte sulla forma filosofica del discorso marxiana, che  incardinata sul rifiuto metodologico e sistematico di considerare in modo astorico lo sviluppo del nesso natura-societ; la seconda questione concerne invece il concreto dibattito epistemologico nelle scienze della natura e nelle scienze storico-sociali, che va dalla "vecchia alleanza" ottocentesca fino alle proposte attuali di "nuova alleanza" (attraverso il divorzio tra "natura" e "cultura" alla svolta del Novecento, prima, e l'imitazione dei modelli formali e l'espulsione della storia fatta dal neopositivismo applicato alle scienze sociali, dopo). Vi , indubbiamente, una "difficile alleanza" fra i paradigmi prevalenti nelle scienze naturali e quelli dominanti nelle scienze storico-sociali, che nasce, appunto, dalla estrema difficolt di conciliare il principio generale della processualit storica (naturale e sociale, ovviamente) con la. determinazione particolare della . specificit strutturale (che attiene alla pluralit bachelardiana delle singole scienze naturali ed alla pluralit marxiana dei singoli modi di produzione sociali). E' 44 questa, tuttavia, una "sfida teorica" che pu nascere soltanto sulla base ontologico-sociale dell'esistenza dell'unica scienza della storia (30). In terzo luogo, l'attribuzione alla processualit dialettica (della natura e della storia impersonalmente e/o antropomorficamente naturalizzata) di una natura teleologica immanente (dovuta a ci che sommariamente definiremo l'irresistibile fascino della logicizzazione hegeliana della storia) porta alla esiziale conseguenza che Lukcs definisce in modo geniale come "storia spogliata dalla forma storica". Questa "storia spogliata dalla forma storica" dimentica che la conoscenza "tipicizzata" del passato avviene soltanto post. festum ( l'anatomia dell'uomo la chiave per capire l'anatomia della scimmia, cos come l'economia borghese fornisce la chiave per l'economia antica), e che dal fatto che l'antichit classica nasca con necessit ontologica, venga sostituita in modo altrettanto necessario ontologicamente dal feudalesimo, eccetera, non si pu affatto dedurre che dall'economia schiavistica la servit della gleba "derivi" in termini logico-razionali. La necessit, filosoficamente fondamentale, di enfatizzare tanto la presenza nella sola categoria del "lavoro" del doppio aspetto della causalit e della teleologia (fino a sembrare maniacalmente noiosi)  dovuta proprio al fatto che non vi  concretamente altro modo di mettere in guardia dalla "storia spogliata dalla forma storica" (31). Le tre difficolt sopra indicate non sono certo le sole che sorgono sul terreno della proposizione ontologico-sociale che afferma l'esistenza di una sola scienza, la scienza della storia. Delle tre,  certo l'ultima la pi indicativa e la pi delicata: ci che infatti inevitabilmente dimentica o trascura la "storia spogliata dalla forma storica" non deve essere dimenticato o trascurato all'interno di una forma filosofica del discorso che voglia appunto sfuggirle. Vi sono in proposito almeno due ordini di problemi di rilevanza strategica. | In primo luogo, la generale processualit dialettica che muove i complessi sociali non avviene in una temporalit lineare omogenea, ma procede solo all'interno di specifiche discontinuit storiche, che sono appunto la forma temporale d'esistenza dei modi di produzione. . Il cosiddetto comunismo primitivo, ad esempio (ma il termine dovrebbe essere abbandonato in favore del termine, pi neutro, ma anche pi corretto, di "societ primitive"), presenta specifiche legalit ontologiche-sociali che gli sono del tutto peculiari, e che sono dunque caratterizzate dalla categoria ontologica della necessit; per contro, l'evoluzione del comunismo primitivo in direzione di una forma di stato di tipo antico-orientale o asiatico  una pura e semplice possibilit (mentre l'evoluzione diretta al capitalismo  una vera e propria impossibilit ontologico-sociale, a meno che si creda 45 all'esistenza "reale" e concreta della societ mercantile semplice) (32). Il modo di produzione schiavistico (il cui studio ha fatto recentemente enormi progressi, mostrando ancora una volta la totale erroneit del punto di vista alla Karl Korsch o alla Polanyi che limita strettamente la vigenza del metodo storico-materialistico al solo modo di produzione capitalistico)  anch'esso caratterizzato da modalit di riproduzione dominate da una legalit sociale necessaria, mentre  una mera possibilit la sua evoluzione verso forme di tipo feudale. In quanto al modo di produzione feudale,  ormai divenuto un luogo comune sancito da tutta la migliore storiografia il fatto che esso non contenesse dentro di s l'immanente .e necessaria transizione al capitalismo, ma che quest'ultima  stata solo una possibilit storica, sviluppatasi peraltro sulla base di azioni teleologiche di agenti protocapitalistici e poi capitalistici (33). Indubbiamente il modo di produzione feudale non  mai stato in grado di procedere ad una reale "unificazione economica" del mondo (vista da. Marx come l'elemento specificatamente "progressivo" del capitalismo), ed in questo sta una delle sue qualitative differenze dal modo di produzione capitalistico. @In comune - per vi  una determinazione ontologico-sociale: di fondo: anche nel modo di produzione capitalistico vi sono determinazioni costitutive rette dalla categoria della necessit (ad esempio, le crisi economiche), mentre vi sono altre determinazioni costitutive rette solamente dalla categoria della possibilit (ad esempio, la transizione al socialismo ed al comunismo) (34). E' questa, ovviamente, una distinzione basilare. Si tratta, peraltro, di una condizione necessaria, ma non ancora sufficiente, per acquisire urna vera e propria fondazione ontologico-sociale della filosofia del materialismo storico; la semplice affermazione del nesso dialettico necessit della crisi/possibilit della transizione  infatti tipica di un "marxismo" come quello di Rosa Luxemburg o dei neo-kantiani di inizio secolo, e non basta, se non vi si aggiunge la caratterizzazione del "lavoro" come forma originaria e modello della prassi sociale e si tralascia di dire che la realizzazione dell'uomo integrale  una petizione prometeico-olistica, estranea alle determinazioni ontologiche. dell'individuo, il quale si pu invece legittimamente porre il programma realistico dello sviluppo della particolarit, che diventa una possibilit reale sulla base del comunismo, e solo su questa base (35). Queste due determinazioni essenziali si riconducono entrambe al fatto che la storia  descrizione e comprensione di processi irreversibili (se la storia dovesse tornare sempre al punto di partenza, cesserebbe di essere storia, =d  appunto questo fatto che permette 46 al materialismo storico di parlare di sviluppo e di progresso in chiave non ideologica). Il lavoro (nel suo doppio carattere di posizione teleologica, inesistente della natura inorganica ed in quella organica, e di modello della prassi sociale) produce situazioni e livelli storici irreversibili, che fanno diventare sempre nuove situazioni che ad una prima analogia potrebbero sembrare apparentemente le stesse (il ritorno alla sessualit o alla tecnologia degli antichi Egizi  impossibile, e la stessa ipotesi fantascientifica del cosiddetto dopo-bomba non ci farebbe comunque recuperare l'infanzia perduta dell'umanit; una ragione in pi, questa, per lottare contro le ipotesi "sterministiche" della guerra atomica) (36). Il modo di produzione capitalistico, ad esempio, produce una situazione assolutamente irreversibile per quanto concerne la divisione (sociale e tecnica) del lavoro, l'integrazione del mercato mondiale e la riduzione del tempo di lavoro necessario per la riproduzione della vita umana associata, eccetera: ogni "regresso" al feudalesimo, all'asiatismo, ecc.,  impossibile dal punto di vista ontologico-sociale, anche se il fascino delle facili analogie mette su questo punto fuori strada molti. teorici e commentatori. Producendo una sempre maggiore astrattizzazione del lavoro ed una sempre maggiore casualit nella collocazione individuale e sociale dentro l'organizzazione (sociale e tecnica) del lavoro,il singolo individuo si trova confrontato con una situazione storica irreversibile, che non ha pi nulla in comune con quella degli antichi egizi, dei greci classici, dei servi della gleba medioevali o dei borghesi del Settecento Egli  ora costretto a "giocare tutte le sue carte" sull'irreversibile terreno dell'astrattizzazione del lavoro (il termine non esclude - ma anzi contiene - il "nuovo" problema del neo-artigianato specializzato nella cosiddetta individualizzazione del prodotto) e della casualit del suo inserimento dentro di questa. E' questo il problema della particolarit, che non pu essere risolto n. dalle utopie anti-individualistiche, di tipo olistico ed organicistico (che pensano sempre s stesse come una sorta di Superindividuo unificato ed antropomorfizzato, in cui i singoli "atomi sociali" verrebbero "sciolti"), sciaguratamente sostenute anche e soprattutto all'interno del movimento operaio storico, n tantomeno dalle forme - di neo-individualismo borghese (di tipo utilitaristico e/o contrattualistico), che ritengono di poter ancora giocare la salvaguardia della particolarit umana individuale all'interno dei "meriti e dei bisogni" che si riproducono sulla base della divisione capitalistica del lavoro sociale (37). Nessuno pu certo dire oggi come si realizzer (n se si realizzer) la possibilit storica, ontologicamente resa possibile dall'irreversibilit del capitalismo stesso, della particolarit comunista 47 dell'individuo (in questo senso, marxianamente, non si possono scrivere ricette per le osterie dell'avvenire) (38). E' certo per che su questo punto si regge la forma filosofica del discorso marxiana, di tipo ontologico-sociale: l'irreversibile processualit del discontinuo divenire storico ha prodotto una costellazione specifica (il modo di produzione capitalistico, nel suo pi ampio senso di unit di determinazioni , economiche, giuridico-politiche, etico-morali, artistiche, filosofiche, eccetera), in cui sono possibili ontologicamente modalit di vita associata che prima non lo erano. E' questa, a nostro parere, la formula filosofica principale del materialismo storico. Essa non  dunque n di tipo grande-narrativo (non vi  infatti un Superindividuo antropomorfizzato che fa da "portatore" alle utopie sintetiche), n di tipo deterministico-naturalistico (eesendo la modalit teleologico-causale del lavoro propria soltanto dell'ontologia dell'essere sociale, ed estranea all'essere inorganico ed organico). Sembra sicuro che Marx abbia sostanzialmente. condiviso questa. impostazione fondamentale (sia pure con secondarie ambivalenze ed ambiguit). Essere "marxisti"  dunque tuttora possibile e necessario, anche sul terreno della filosofia. 6. Il problema dei fraintendimenti filosofici di Marx Nella seconda parte di questo scritto si chiarir come non esista a: rigore una storia lineare-cumulativa di fraintendimenti della purezza originaria" marxiana, ma vi sia soltanto una storia discontinua di "formazioni ideologiche" in cui per forza di cose il "nucleo marxiano" non  che una componente. Il problema del "fraintendimento" non pu dunque essere impostato sulla base razionalistico-didattico-scolastica degli "errori" fatti da superficiali ignoranti (sebbene a proposito del "marxismo" chiunque si senta in grado di dire le prime banalit che gli passano per la testa), ma fa parte integrante del problema storico delle "ideologie di legittimazione" del potere (oppure, se si preferisce il linguaggio heideggeriano, delle "immagini del mondo" che si impongono con inesorabile ed irreversibile necessit temporale). Premesso doverosamente questo,  chiaro che si pone anche un problema teoretico specifico concernente il fraintendimento filosofico del discorso marxiano. In linea generale esso si riconduce sempre alla dimenticanza della prevalenza del discorso ontologico-sociale sugli altri due sopraindicati, che vengono in varie misure ipertrofizzati e resi unilateralmente prevalenti (39). In via subordinata. il fraintendimento prende  forme diverse, a prima vista molto eterogenee. Non discuteremo qui il "fraintendimento economicistico", El 48 che di tutti  il pi noto e diffuso; esso non attiene infatti la forma filosofica del discorso marxiana, ma  un vero e proprio stravolgimento radicale di tutto l'apparato categoriale del materialismo storico, di cui non rimane, in un certo senso, pietra su pietra. La "letteratura secondaria"  in proposito assai vasta, e ben poco rimane da aggiungere (40). Altri fraintendimenti sono invece meno noti, e meritano un breve cenno di segnalazione, necessariamente frettolosa. Ci limiteremo qui a tre "cattive filosofie" del materialismo storico, meritevoli di un sommario esame. | In primo luogo, occorre insistere sul fatto che la filosofia del materialismo storico non , e non pu essere, la riflessione epistemologica sul "paradigma delle scienze sociali". A prima vista, sembrerebbe una vera e propria ovviet. E' facile infatti per l'osservatore non prevenuto capire che il materialismo storico (per la sua genesi, il suo sviluppo, il suo oggetto, il suo metodo, eccetera)  cosa ben distinta dalla "sociologia", ed anche dalle cosiddette "scienze storiche" (41). Inoltre, dovrebbe essere ancora pi facile capire che il materialismo storico non , e non pu essere, la descrizione della fenomenologia degli "stati di coscienza" e delle "modalit d'azione collettiva" dei cosiddetti soggetti sociali. Questa descrizione  ovviamente necessaria, ed utilissima (la conoscenza I sociologica non  infatti "ideologia", ma  a tutti gli effetti uno pezzo importante della rappresentazione materialistica del mondo sociale), ma non  certo la "filosofia" del materialismo storico. Storicamente per la si  spesso scambiata per quest'ultima, in una . variet di forme differenti, che vanno da un certo sartrismo francese (in particolare Gorz), fino al nefasto paradigma filosofico del cosiddetto "'operaismo italiano". La riduzione dell'oggetto e del metodo del materialismo storico alla "descrizione partecipante" delle forme di attivit e di coscienza di "soggetti storico-sociologici" via via rumoreggianti sul proscenio del tempo presente ha portato (e, d'altronde, non poteva che portare) alla paradossale e sgangherata coincidenza della "falsificazione epistemologica" delle pretese. "scientifiche" del materialismo 0 storico, da un lato, e. dell'""accertamento sociologico" dell'incapacit pratica dei soggetti sociali a fare. subito, presto e bene la "rivoluzione comunista", dall'altro. In questo modo il "paradigma della disillusione" (che studia la ciclica alternanza fra le stagioni dell'impegno ed i giorni del distacco)  l'inevitabile conclusione filosofica di tutte le "descrizioni partecipanti" che si vogliono fondative del significato teorico del materialismo storico (42). - In secondo luogo, occorre ribadire in ogni occasione che la 49 filosofia del materialismo storico non pu "staccarsi" mai dai concetti fondamentali del materialismo storico stesso e dalla "specificazione determinata" che questi concetti stessi trovano in quella particolare "forma" storico-materialistica chiamata critica dell'economia politica. Anche in questo caso ci troviamo davanti ad una assoluta ovviet, che a prima vista sembra addirittura una vuota e pretenziosa tautologia. Non  purtroppo cos. Gome sappiamo, vi sono storicamente state molte filosofie che si sono volute "apologetiche" del marxismo (dal "Diamat" allo storicismo), e che si sono sviluppate in modo totalmente autonomo dal materialismo storico, che non  una religione di salvezza, ma una teoria dei modi di produzione sociale. Non possiamo dunque stupirci che anche gli "avversari" del marxismo siano caduti nell'errore di "dimenticare" che la teoria dei modi di produzione e delle formazioni economico-sociali non  soltanto il nucleo portante del materialismo storico, ma  anche parte integrante della sua forma filosofica del discorso. Benedetto Croce, ad esempio, ha decretato il "tramonto" del marxismo con argomentazioni di vario tipo, variamente. valutabili, che non toccano comunque mai la valenza pratico-trasformativa che scaturisce da un corretto uso dei concetti storico-materialistici come quello di modo di produzione (altra cosa, infatti,  la valutazione crociana del materialismo storico come "canone metodologico", discendente da una interpretazione del marxismo come storicismo, e non come teoria della discontinuit temporale dei modi di produzione) (43). Benedetto Croce  un critico "laico" del marxismo. Vi sono, per, critici "religiosi" che dimenticano spesso e volentieri che. il materialismo storico  pur sempre una teoria dei modi di produzione, ed una valutazione filosofica di esso non pu tralasciare questo aspetto. Un esempio ci  dato dal filosofo Augusto Del Noce, che resta pur sempre un acuto interprete filosofico delle tendenze suicide immanenti allo sgangherato "storicismo marxista" italiano. L'analisi di Del Noce sul karakiri culturale ed ideologico dell'italo-marxismo  tuttora secondo lo scrivente insuperata (empiricamente "visibile" nei verbosi "dibattiti" pluralistici dei festival dell'"Unit" e nella consunzione progressiva delle giunte "rosse" e di ogni residuo di identit "differenziale" di sinistra), e costituisce un "rimosso" inevitabile per i sempre meno numerosi "credenti" nella cosiddetta "'eccezionalit in positivo" del caso Italia nell'Europa contemporanea. Quando, tuttavia, Augusto Del Noce passa ad esaminare "filosoficamente" il materialismo storico, dimentica semplicemente che si tratta pur sempre di una teoria ontologico-sociale determinata n dei modi di produzione sociali (ed  perci in base a questa sua 50 pretesa che deve essere giudicato), per trasfigurarlo in una sorta di immanentismo radicale o in un ateismo prometeico, inevitabilmente nichilistico. Certo, questa interpretazione "serve" ideologicamente a rafforzare l'identit teorica del "nuovo" integralismo cattolico, ma pu soltanto fondarsi sopra una sostanziale ignoranza della specifica valenza ontologico-sociale della filosofia marxiana (44). Croce e Del Noce non sono ovviamente i soli esempi possibili di questa "dimenticanza" della teoria dei modi di produzione. Ve ne sono molti altri. In proposito, il pi "grande" dei teorici contemporanei di questa tendenza  forse il polacco Leszek Kolakowski. La sua "grandezza" (nel senso di exemplum negativum, da cui peraltro c' molto da imparare) risiede proprio nel fatto di "incarnare" (nel senso di una moderna figura di una sorta di Fenomenologia dello Spirito di "gallerie" marxiste esemplari) una carriera filosofica in cui si passa da una prima fase di settarismo soggettivistico staliniano (travestito da "materialismo dialettico"), ad una seconda fase di umanesimo riformista di marxismo dialogico (a met fra la morale dell'"intenzione" e l'autonomia del "fattore economico"), per finire in una terza fase di consapevole ripudio dell'intera tradizione marxista e dello stesso nucleo marxiano originario, popperianamente ridotto ad un progetto utopistico-autoritario basato sulla dialettica. In tutte e tre queste "fasi" il materialismo storico non  mai una sobria e modesta teoria dei modi di produzione, ma  sempre altro: teoria generale della natura e della storia, umanesimo radicale, prometeismo utopistico, eccetera. Questo "altro"  sempre giustamente criticato (a posteriori), ma finisce ovviamente con l'assorbire integralmente tutto il materialismo storico. D'altra parte, la critica di Kolakowski  "irresistibile", se non si  prima fatta chiarezza sulla specifica prevalenza dell'ontologia sociale sui discorsi grande-narrativo. e deterministico-naturalistico. Ove la chiarezza sia invece fatta,questa critica diventa debole e sovente pretestuosa, finendo con il mancare integralmente il suo bersaglio teorico (45). In terzo luogo, infine, occorre respingere decisamente tutte quelle varianti teorico-filosofiche del pensiero materialista che legittimano una sorta di "doppio livello" della teoria marxista: un primo livello, iconoclasta, capace di lasciarsi alle spalle tutte le ideologie consolatorio-edificanti e tutte le idolatrie di capi, capetti e "duci", mummificati o viventi, del movimento operaio; un secondo livello, iconomane, destinato a restare sempre invischiato nel fascino carismatico dell'autorit a-razionale del leader politico "sacrale", ed incapace di attingere integralmente la portata della critica genealogica delle ideologie del potere (46). i S1 Esistono, ovviamente, molte varianti di questa teoria del "doppio livello", che potremo definire come una sorta di '"aristocraticismo gnoseologico" (che rimanda all'idea romantica di "genio") applicato alla filosofia marxista, e che presuppone indiscutibilmente l'influenza del pensiero di Nietzsche, grande teorico del fatto che le "personalit" capaci di superare i pregiudizi del volgo furono, sono e sempre saranno delle ecczioni. Non pu essere questa la sede di una enumerazione, che pure presenterebbe qualche motivo di interesse (ci si imbatterebbe infatti in pensatori che passano per ultra-egalitari e super-democratici, e che hanno invece sistematicamente sostenuto la perennit della scissione fra dirigenti e diretti, fra coscienti ed inconsapevoli, fra illuminati ed "oscuri", eccetera). Il lavoro di Rgis Debray sopracitato (e curiosamente sconosciuto in Italia) ci sembra da questo punto di vista assolutamente esemplare (rappresentando, fra l'altro, uno dei possibili esiti teorici della scuola althusseriana, che  sempre stata ossessionata dalla scissione fra scienza ed ideologia nel marxismo-moderna versione dell'averroismo medioevale e della sua teoria della "doppia verit"): esemplarit che risiede nel fatto di avere effettivamente individuato un evento storico reale, l'incapacit della critica marxiana dell'economia politica di farsi politica concreta, e la sua apparente oscillazione destinale fra carisma: e consenso, teoria astratta per pochi palati raffinati, del tutto ineffettuale ed impotente,. e volgarizzazione emotiva ed economicistica che invece "smuove le montagne e modifica la storia, in una direzione per ben diversa da quella ipotizzata a suo tempo da Karl Marx. In questo senso Debray "segnala" un vero problema, storico e filosofico, in modo assai pi convincente della ricostruzione alla Kolakowski ed alla Del Noce del supposto "senso" del marxismo (47). E, tuttavia, si  qui in presenza di una questione filosofica centrale, sulla quale non si possono fare concessioni di nessun tipo: la consapevolezza marxiana della natura | genealogico-dialettica del modo di produzione capitalistico, del suo sviluppo e delle sue contraddizioni, non , e non pu essere, qualcosa che  accessibile solo ad alcuni, alla portata di pochi privilegiati, di pochi nicciani oltre-uomini. Al contrario, l'irreversibilit specifica della generalizzazione del modo -di produzione capitalistico sta in ci, che per la prima volta lo sviluppo filosofico della particolarit individuale  pu ontologicamente indirizzarsi nella tendenza alla formazione di una individualit personale consapevole e cosciente di tutti i nessi sociali fondamentali. E' questo, infatti, il messaggio filosofico fondamentale di Marx, il solo, in un certo senso, del tutto irrinunciabile. Ogni ambiguit in proposito deve essere sciolta (48). Con questo, ovviamente, non si  che all'inizio di un lungo lavoro 52 filosofico. La storia, per ora, non conosce che dirigenti e diretti, sempre pi arroganti, i primi, sempre pi ripiegati nel privato, i secondi (e, del resto, perch mai i privati ripiegati - dovrebbero "ridispiegarsi" nel pubblico, se quest'ultimo  sempre pi il luogo plebiscitario-consensuale cui si  chiamati ad avallare scelte economiche e politico-militari fatte da pochi "esperti" in base a giochi di simulazione, war games ed altre proiezioni manipolatorie di "dati"?). Esempi storici recenti (e meno recenti) ci fanno per cautamente pensare a possibili inversioni di tendenza: di contro all'eterno ritorno dell'arroganza dei sempre eguali duci e ducetti politico-sociali la forma filosofica del discorso marziano, robustamente ontologico-sociale, fondata sullo sviluppo del materialismo storico correttamente inteso e della critica dell'economia politica correttamente praticata, apre ad una concezione del mondo rivolta a tutti e soprattutto accessibile a tutti. Estranea ad ogni aristocraticismo gnoseologico e ad ogni "pathos dell'autenticit" essa si sviluppa a partire dalla vita quotidiana, dialetticamente elaborata (essendo, appunto, la quotidianit capitalistica qualcosa di specificatamente astratto), e non conosce primogeniture di sesso, razza, nazionalit, e tantomeno titoli di studio universitario. si 53 NOTE DI 1. Il riferimento  al bellissimo libro di Mario Vegetti (cfr. "Il coltello e lo stilo", Il Saggiatore, 1979). Vegetti cerca di tracciare una storia genealogica della ragione scientifica, partendo dalla polarit fra homo sapiens ed homo necans nell'antichit greca, fra l'esperienza pratica del coltello dell'anatomo e del macellaio e la sistematizzazione teorica cumulativa dello stilo per scrittura del dotto "teorico". La considerazione genealogica della pratica scientifica (e del suo rapporto con la sistematizzazione teorica)  la sola alternativa valida e praticabile alle storie teleologiche. Non vi  allora nulla da stupirsi del fatto che la "professionalit filosofica" acquisita da Mario Vegetti nello studio dell'antichit (Vegetti  infatti un antichista di professione) abbia una ricaduta concreta nel modo di affrontare i problemi del marxismo nel presente (cfr. Mario Vegetti, "Potenza dell'astrazione e sapere dei soggetti", in Aut-aut, 175-176), in cui la considerazione genealogica delle ideologie contemporanee non fa concessioni allo stucchevole chiacchiericcio antidialettico, differenzialistico, decentrato, e cos via frammentando. 2. Si veda Marx-Engels, "Manifesto del partito comunista", Einaudi, 1962 (ma ora anche l'edizione negli Oscar Mondadori  corredata con le introduzioni di Emma Cantimori Mezzomonti). Un'intelligente introduzione divulgativa al "Manifesto" pu essere letta in "Marx, Engels e il socialismo premarxiano' di Eric J. Hobsbawn (cfr. "Storia del marxismo", I, Einaudi, 1978).  A proposito delle "raccomandazioni imperative" si veda Louis Althusser, "Come leggere Il Capitale", in "Freud e Lacan", Editori Riuniti, 1977. Althusser si rivolge ai proletari, che hanno l'esperienza diretta dello sfruttamento e del braccio di ferro con il padrone a proposito del tempo di lavoro, ma non potrebbero essere in grado di leggere le fumisterie hegeliane contenute nella prima sezione del "Capitale" di Marx. Althusser consiglia di lasciare sistematicamente da parte la prima e la quinta sezione, e di concentrarsi invece sulla teoria del plusvalore assoluto e relativo. Sottolinea invece l'importanza della prima sezione Paul-Dominique Dognin, "Les sentiers escarps de Karl Marx", Cerf, 1977 (due tomi, uno di testi di Marx, uno di note di commento e critica). In quest'opera utilissima Dognin riporta le varie redazioni successive che Marx fece della prima sezione, il continuo tornare sulle espressioni usate, l'evidente insoddisfazione per la difficolt di legare la prima sezione con quelle successive. Althusser e Dognin sono indubbiamente due "marxologi laureati". Eppure, dicono e scrivono cose assolutamente opposte. Il lettore principiante non deve dunque spaventarsi, e cercare di usare la sua testa. 4. Non vi  qui purtroppo spazio per una sufficiente analisi della duestione: Lo scrivente condivide in linea di massima le posizioni (vedi per tutte Gianfranco La Grassa, "Il valore come astrazione del lavoro", Dedalo, 1980) tendenti a collegare dialetticamente i "Lineamenti" ed il "Capitale", mentre non condivide le posizioni (vedi per tutte Antonio Negri, "Marx oltre Marx", Feltrinelli, 1979) che contrappongono i "Lineamenti", testo segreto del comunismo, al "Capitale", impregnato di ideologia socialista del 54 lavoro. Torneremo su questo problema nella seconda parte di questo scritto, in rapporto alle posizioni teoriche derivate dal cosiddetto "operaismo italiano". , 5. Si veda Antonio Labriola, "Scritti filosofici e politici" (due voll.), Einaudi, 1973. Il saggio introduttivo, di Franco. Sbarberi,  ricco di utilissime indicazioni metodologiche. Su Labriola si vedano anche gli studi di Valentino Gerratana, usciti a suo tempo nella "Storia del marxismo contemporaneo", Feltrinelli, 1974, e nella "Storia del marxismo", II, Einaudi, 1979. 6. Lo scrivente ha gi ampiamente sviluppato questo punto nel suo contributo apparso nel volume collettivo "Il marxismo in mare aperto", Franco Angeli, 1983. Pu quindi permettersi qui un'esposizione abbreviata. 7. Questo  particolarmente vero per molti  epistemologi popperiani, capacissimi di tener conto delle "metafisiche influenti" nell'elaborazione delle teorie scientifiche, ma che non sono disposti a perdonare assolutamente nulla al materialismo storico, da loro sistematicamente confuso con gli elementi di filosofia della storia che lo hanno aiutato a nascere (penso a Domenico Settembrini, Marcello Pera, Dario Antiseri, eccetera). E' questo un esempio classico di fattore "extrateorico" nella valutazione delle teorie. . 8. Sulla metafisica delli'"individualismo possessivo" si veda il classico testo di Crawford B. Macpherson, Libert e propriet alle origini del pensiero borghese, Mondadori, 1982, ma anche Albert O. Hirschman, Le passioni e gli interessi, Feltrinelli, 1979. Lo scrivente ha anticipato le tesi di fondo di cui sopra in Costanzo Preve, La contraddizione e la differenza del pubblico e del privato, in Fenomenologia e societ, 19-20, 1982. 9. Consigliabile  in proposito la messa a punto di G. Lukcs, Il giovane Marx, Editori Riuniti, 1978. In una direzione molto positiva, sul piano metodologico, va anche il recente prezioso contributo di F. S. Trincia e R. Finelli, Critica del soggetto e aporie della alienazione, Franco Angeli, 1982. 10. L'enfasi antihegeliana della scuola dellavolpiana  giunta infine, con pensatori come Colletti e Bedeschi, al totale rifiuto della dialettica e della critica dell'economia politica. Il fatto che Marx si ricolleghi direttamente ad Hegel (sul piano teorico profondo, ovviamente, in quanto dal punt di vista generazionale e biografico il suo rapporto "diretto" era ovviamente con i Giovani Hegeliani) non deve essere inteso come una dichiarazione di hegelo-marxismo: quest'ultimo  infatti una sciagurata filosofia, idealistico-soggettiva e totalmente grande-narrativa, della unit soggetto-oggetto e della confusione sistematica fra alienazione ed oggettivazione, mentre la tesi del "collegamento diretto" fra Marx ed Hegel, bene argomentata nel saggio lucacciano del 1926 sopracitato,  una polemica determinata contro le interpretazioni neofichtiane ed ultraidealistiche del giovane Marx. il. A questo proposito il recente libro di Ferruccio Andolfi, L'egoistmo e l'abnegazione, Franco Angeli, 1983 (uno studio monograficamente accurato e ricchissimo di utili informazioni di dettaglio sui rapporti fra il giovane Marx e Max Stirner, vero antesignano del bisognismo individualistico post-moderno), va in direzione del tutto opposta alle note dello scrivente. 12. 55 Andolfi critica il Marx dell'Ideologia Tedesca per non aver saputo integrare il principio dell'individualit, proposto da Stirner, nella sua prospettiva del socialismo. Si tratta di una critica del tutto astratta ed astorica, analoga, in un certo senso, al rimprovero fatto a Marx di non aver saputo integrare le ragioni del robinsonismo dentro la critica dell'economia politica. Le ragioni dell'individuo contro la societ, cos come Stirner le tematizza, non sono integrabili n allora n adesso, essendo l'individuo stirneriano pensato come differenza non dialettica, scarto irriducibile, masso erratico ed atomo vagante. Facciamo in proposito soltanto due esempi. Olivier-Ren Bloch (cfr. Marx, Renouvier, et l'histoire du matrialisme, in La Pense, 191, 1977) dimostra agevolmente che le conosciutissime pagine marxiane della Sacra Famiglia sulla storia del materialismo non sono in gran parte che note di lettura copiate ed elaborate sulla base di un Manuale di filosofia moderna apparso a Parigi nel 1842, e dovuto al futuro spiritualista francese Renouvier. Jurgen Rojahn (cfr. Il caso dei cosiddetti "manoscritti economico-filosofici dell'anno 1844", in Passato e Presente, 3, 1983) dimostra analiticamente che la "bibbia del giovane-marxismo", fastidiosamente contrapposta per cinquanta anni al Capitale, pur non potendosi ridurre a semplici note di lettura,  ben lontana dall'essere quell'opera nuova e compiuta propagandata dalla leggenda giovane-marxista. Si tratta di estesi appunti di lavoro, in cui i quaderni di estratti ed i quaderni di commenti non possono essere concettualmente separati, un vero e proprio work in progress. . Le scoperte filologiche di O. R. Bloch e di J. Rojahn non danneggiano 13. 14. affatto l'immagine del giovane Marx, come  del resto assolutamente evidente. Danneggiano invece (ma si tratta di un vero sollievo, di una vera liberazione!) la pretesa dell'ideologia giovane-marxista di contrapporre le note di lettura di un giovane studioso alla critica dell'economia politica. Lo scrivente non ripete qui le analisi di dettaglio sul concetto di "grande narrazione" contenute nel suo contributo al libro collettivo Il marxismo in mare aperto, Franco Angeli, 1983. Per una ricca introduzione alla figura dell'ebreo in Marx si veda il fondamentale saggio di Bruno Bongiovanni, Figure marxiane della mediazione: l'ebreo e il denaro, in Rivista di Storia Contemporanea, I, 1983. Nota giustamente Bongiovanni che "la scuola umanistica tedesca da cui scaturir la corrente socialista pi agguerrita e meglio dotata sul piano teorico parte dunque dal denaro inteso come mediazione oltre (e prima) che come forma fenomenica del valore. All'inizio il cuore della riflessione  lo scambio e non la produzione. Il lavoro, come presunto segreto che | svela l'essenza e la dinamica del valore, verr dopo, grazie alla lezione, del Lia resto largamente riconosciuta, dell'economia politica. L'ebreo senza patria e il suo doppio-l'uomo che nel suo tragitto  diventato orgogliosamente individuo smarrendo per i propri legami con l'essenza umana-precedono, sul piano teorico come su quello etico, l'operaio". Lo scrivente si rif qui esplicitamente alla magistrale analisi del nesso fra tendenze disantropomorfizzanti ed inevitabili riantropomorfizzazioni con la quale Lukcs inizia la sua magistrale Estetica. Il valore filosofico di queste pagine  fino ad ora rimasto in Italia pressoch ignorato (come 56 16. 17. 18. giustamente rileva Guido Oldrini sul Giornale critico della Filosofia italiana, III, 1982). Lo scrivente riprender questo tema essenziale nella quinta parte di questo scritto, dedicata alla valorizzazione critica della Ontologia dell'Essere Sociale di Lukcs. Una adeguata comprensione di questo processo comporta una conoscenza accurata (o, quanto meno, una sufficiente dimestichezza) della storia della filosofia greca. Il migliore strumento critico resta forse il testo di Eric A. Havelock, Cultura orale e civilt della scrittura. Da Omero a Platone, Laterza, 1973. Le attuali mode irrazionalistiche diffuse in Italia (sovente sulla base di suggestioni heideggeriane e travalicando le stesse intenzioni di studiosi seri come Giorgio Colli) impediscono di fatto un contatto razionale e dialettico con l'antichit greca, e fanno di tutto per imporre lo scarno e grottesco paradigma: dalla sapienza originaria, numinosa ed inaccessibile, ma autentica, alla caduta destinale nella scissione fra soggetto ed oggetto. Lo scrivente  molto pessimista sulla possibilit di invertire, a breve termine, questa sciagurata tendenza. Si vuole quindi, con queste osservazioni, insistere sul fatto, filologicamente dimostrabile, che in Marx il "contesto rilevante" teorico-pratico non  mai quello della filosofia della storia di tipo edificante, grande-narrativo. Gli. elementi antropomorfizzanti sono quindi quasi sempre subordinati alla. struttura disantropomorfizzata della critica dell'economia politica come teoria scientifica dei modi di produzione sociali determinati. Jurgen Habermas  il teorico contemporaneo che ha maggiormente (e giustamente) insistito sul fatto che oggi la "scienza" funziona direttamente . come ideologia, senza passare pi attraverso la mediazione di ideologie 19. 20. Zi. scientistiche. Ha ragione, nell'essenziale, Sebastiano Timpanaro (cfr. Sul materialismo, Nistri-Lischi, 1975) a respingere le troppo affrettate separazioni fra un Marx, dichiarato immune da ogni "caduta" scientistica, ed uno Engels, reso responsabile di tutte le "infamie" teoriche possibili. Le tentazioni" scientistiche sono infatti presenti anche in Marx. Si vedano gli studi della migliore marxologia (Reichelt, Rosdolsky, eccetera), unanime nel focalizzare l'attenzione sulla "forma d'esposizione" che Marx si sforz di dare alla sua opera fondamentale Il Capitale. Si vedano anche le tesi dello scrivente, esposte in Il Marxismo in mare aperto, cit., pagg. 32-46. Un'opera preziosa  in proposito quella di A. Guerraggio e F. Vidoni, Nel Laboratorio di Marx: scienze naturali e matematica, Franco Angeli, 1982. Questa puntuale analisi dell'articolazione complessiva degli interessi . ed interventi scientifici di Marx giunge a conclusioni assolutamente antiscientistiche, e che tendono a superare l'assurda contrapposizione fra una Marx "umanistico" ed un Marx "scientifico". Guerraggio e Vidoni (op. cit., pag. 55-61) chiariscono come Marx, che ha pure postulato la possibile edificazione futura di una sorta di unica scienza (capace di unificare natura e societ) non  andato di fatto oltre un uso metaforico di questa espressione. La nozione di "storia naturale" (che Marx usa talvolta anche per la storia umano-sociale) deriva invece da un uso illuministico e settecentesco, sorto in polemica con le concezioni provvidenzialistiche e metafisiche (sia della natura che della storia), e non connota affatto 22. 236 24. 57 meccanicamente una (indebita) naturalizzazione scientistica del mondo storico e sociale. Si tratta di una precisazione "semantica" di grandissimo significato anche teorico. Il fondamentale libro di S. S. Prawer (cfr. La biblioteca di Marx, Garzanti, 1978) ci aiuta a comprendere il "processo di produzione" della prosa marxiana (edita ed inedita) a partire dalla sua conoscenza della letteratura mondiale, classica e moderna, ma non parla delle metafore scientifiche, e deve perci essere integrato con il libro di Guerraggio e Vidoni (di cui alla nota 21). E' utile, in proposito, una conoscenza della "crisi dei fondamenti" della scienza ottocentesca, cos come si manifest a cavallo dei due secoli. Del tutto fuorvianti sono invece le letture che enfatizzano la rottura fino al punto di evocare un "cominciamento assoluto delle scienze" nel Novecento, come se gli uomini dell'Ottocento fossero stati del tutto privi della consapevolezza della problematicit di un paradigma troppo rigidamente necessitaristico. Si evocano cos "crisi della ragione" che sono quasi sempre pretesti per liquidare il "materialismo storico" in nome della liquidazione dei paradigmi necessitaristici ottocenteschi. La teoria darwiniana dell'evoluzione (nient'affatto "dialettica", ed aliena da ogni utilizzo della "contraddizione") era notoriamente recepita in chiave teleologico-necessitaristica (e viene ancora oggi raffigurata nei posters didattici come una "catena evolutiva ascendente" dal magma vulcanico all'uomo bianco dalla fronte spaziosa). D'altra parte, nonostante la . fastidiosa "leggenda" coliettiana, la dialettica non incorpora affatto un 25. 26. teleologismo necessitaristico e non  affatto in "contraddizione" con la logica aristotelica (si veda, per cominciare, la voce Dialettica di Enrico Rambaldi per la Enciclopedia Einaudi, ed ancor meglio quel piccolo capolavoro di chiarezza, competenza intellettuale ed informazione di Enrico Berti, Logica aristotelica e dialettica, Cappelli, 1983). E' peraltro vero (cfr. Berti, op. cit., pag. 48) che in Marx, accanto ad una sostanziale accettazione del principio aristotelico di non contraddizione, sono presenti tendenze a ritenere la "realt contraddittoria" fatalmente destinata a "morire" con la esplosione di questa stessa contraddizione. Si veda Helmut Fleischer, Marxismo e storia, Il Mulino, 1970. Con grande chiarezza e sobriet Fleischer analizza dettagliatamente la nozione di "necessit storica", con osservazioni penetranti anche sul cosiddetto "determinismo economico". In piena sintonia con l'ultimo Bloch e con l'ultimo Lukcs egli rifiuta l'interpretazione deterministica del marxismo contenuta nella frase "la libert non  che coscienza della necessit". Questa leggenda  stata definitivamente sfatata da Margaret Fay (cfr. Marx e Darwin, un romanzo poliziesco, in Monthly Review, ed. ital., 7, 1980). Questa leggenda fu coltivata ed intrattenuta per suggerire un'analogia fra il progetto teorico marxiano e quello darwiniano, ma i fatti sono altri; la lettera di cortese rifiuto della dedica scritta da Darwin non era indirizzata a Marx, che non c'entrava per nulla, ma al genero di Marx Hyndman e si riferiva ad un libretto di divulgazione anticlericale di quest'ultimo. Lo scrivente ha ascoltato ripetere questa leggenda in almeno due occasioni (1982 e 1983) durante paludati e dottissimi convegni % accademici su. Marx. A proposito di Marx, l'ignoranza  non solo 58 consentita, ma  doverosa. o 27. In questo senso, e solo in questo senso, il punto di vista ontologico-sociale (pur scoraggiando tendenze gnoseologiche) adempie una funzione di tipo criticista, e dunque antimetafisico in senso kantiano. 28. Si veda Lukcs, Ontologia, I, pag. 264-67. La comprensione adeguata di questo principio "monistico" marxiano presuppone ovviamente una corretta impostazione dei problemi gi presenti nella filosofia classica greca e tedesca. L'istanza criticistico-kantiana (come si  detto nella nota precedente) deve essere integralmente tenuta presente, ma non pu essere recuperata che all'interno del rifiuto hegeliano di distinguere gnoseologia ed ontologia, logica, dialettica e teoria della conoscenza (in questo modo l'istanza criticista diventa teoria materialistico-genealogica dell'ideologia e delle ragioni della permanenza della falsa coscienza). Lukcs sta dunque sistematicamente con Hegel contro Kant. D'altra parte Hegel logicizza la storia sotto il dominio di una nozione non semplicemente processuale, ma pienamente teleologico-predittiva, di dialettica. E' questa la radice della "storia spogliata dalla forma storica" (cfr. Ontologia, pag. 354). I 29. Una concezione della "natura come fondo"  presente (se non vado 30 errato) anche in lavori italiani di sicura impostazione storico-materialistica (si veda il peraltro ottimo libro di Laura Conti, Questo Pianeta, Editori Riuniti, 1983). Lo stesso Heidegger, grande critico della manipolazione. tecnico-metafisica della natura concepita come "fondo", tende poi a definirla per differenza come "sfondo" di una sapienza umana pre-socratica che ambisca solo disvelare e non anche manipolare nichilisticamente. A questo punto, non vi  filosoficamente una "differenza" qualitativa fra il lasciare lo sfondo come stava prima oppure il trattarlo come un pozzo senza fondo. A questo proposito si veda particolarmente Marco Revelli, Storia e scienze sociali: lo sviluppo storico, in Gli strumenti della ricerca, tomo 3, La nuova Italia, 1983, ed anche Maria Turchetto, La fondazione weberiana dell'economia neoclassica, in Metamorfosi, 8, Franco Angeli, 1983. La cultura dell'Ottocento appare caratterizzata da una conciliazione tra le dimensioni dell'indagine della natura, l'interpretazione della societ e la concezione della storia, conciliazione retta dalla categoria di "evoluzione" e dall'idea che il tempo (lineare) costituisca la dimensione fondamentale della "legalit". I concetti di "legge naturale dello sviluppo sociale" (economisti classici) e di "storia naturale della societ" (sociologia di . Spencer) rendono l'idea di tale paradigma evoluzionistico, che regge la "vecchia alleanza" fra natura e cultura. Questa alleanza  messa in crisi - alla svolta del Novecento, e nello stesso tempo le discipline sociali cercano di garantirsi lo statuto di "scienze" da un lato espungendo la dimensione storica (per cui: scientifico = storicamente invariante), dall'altro. considerando essenziale il requisito della coerenza logica (per cui: scientifico = assiomatizzabile). Vi sono oggi interessanti tendenze che reagiscono a questa vera e propria "espulsione neopositivistica della storia" dettate, almeno in parte, dalla esigenza di pensare "scientificamente" il mutamento storico (si pensi a Prigogine e Thom). La nuova alleanza  per una "difficile alleanza" (come lo era del resto gi per Marx, mentre la "facile alleanza" era semmai propria di Smith, e pi ancora di Spencer e 31. 32: 33. 34.. 35. 59 LI dei darwinisti sociali). Su questo nodo di problemi  in preparazione un numero monografico della rivista Metamorfosi. Il tema del "lavoro" nell'ontologia marxiana sar trattato pi diffusamente nella quinta parte di questo scritto, dedicato alla Ontologia lucacciana, nella quale del resto lo scrivente si riconosce pienamente. Si veda il saggio di Michele Cangiani, Il tempo del lavoro (in Aa. Vv. H marxismo in mare aperto, cit.). Cangiani esamina la ricca letteratura sulle comunit primitive, marxista e non (Clastres, Sahlins, Terray, Godelier), in un'ottica tendente ad evidenziare (contro ogni riduzionismo alla Marvin Harris) le differenze qualitative che caratterizzano le comunit primitive nei confronti degli altri modi di produzione precapitalistici ed in particolare del modo di produzione capitalistico. La letteratura  in proposito sterminata. In Italia  presente una vivace scuola (Vegetti, Lanza, Carandini, Schiavone, Mazza, eccetera) che  ormai in grado di studiare il modo di produzione schiavistico con sufficiente determinatezza e specificit, senza l'ausilio di schemini unilineari e necessitaristici dello sviluppo storico. Ancora pi copiosi sono ovviamente gli studi sul modo di produzione feudale e la transizione dal feudalesimo al capitalismo (dalla ormai classica discussione fra Dobb e Sweezy, fino alla grande medievistica francese ed alla scuola polacca di Kula e Topolski). E' dunque chiaro che coloro che conservano una visione della storia "spogliata dalla forma storica" non hanno alcuna attenuante culturale, ma sono del tutto incorreggibili. I teorici del "capitalismo organizzato" hanno ad esempio negato la natura ontologicamente necessaria della crisi capitalistica, provocando veri e propri disastri teorici (a volte in nome della "dialettica", come nel caso di Horkheimer e di Marcuse). Per contro, una visione ontologico-necessitaristica della "crisi capitalistica" sembra pienamente fondata e del tutto convincente (vedi, per cominciare, Giuseppe Bazzi, Alla ricerca di una nuova teoria marxista della crisi, in Il marxismo in mare aperto, cit., ed ancora Gianfranco Pala, L'ultima crisi, Franco Angeli, 1982). Il lettore attento non ha difficolt a capire che la tesi ontologico-necessitaristica dell'inevitabile esistenza della crisi capitalistica non ha assolutamente nulla a che vedere con la tesi del cosiddetto inevitabile crollo del capitalismo (la cosiddetta Zusammenbruchstheorie). La pigra ripetizione dello slogan ultimativo di Rosa Luxemburg (Socialismo o barbarie!) non ci aiuta infatti molto. Nella tradizione del marxismo occidentale, infatti, lo slogan luxemburghiano era ripetuto in mille forme come un invito ad agire subito e comunque, pena l'arrivo inevitabile della barbarie. Il concetto di "barbarie"  in genere poco utile per orientarsi nel . presente storico: la maggior parte dei componenti del gruppo francese Socialisme ou Barbarie (a cominciare dal suo leader, il greco-francese Castoriadis)  tranquillamente passata da un concetto di barbarie = consumismo neo-capitalistico ad un concetto di barbarie = totalitarismo sovietico. Il fatto  che la "barbarie" non  mai un modo di produzione, ma  talvolta un'opinione personale di tipo esistenzialistico. Quando invece la "barbarie" non  un'opinione, ma un fatto reale, oggettivato in lager nazisti, bombardamenti atomici, torture sistematiche, eccetera, il modo migliore per combatterla resta sempre lo studio materialistico del perch 60 36. 37. 38. la riproduzione di un determinato modo di produzione richiede la messa in atto su larga scala di certi comportamenti. Detto questo,  per vero che un nocciolo importante di verit  contenuto nell'alternativa fra socialismo e barbarie: il superamento del capitalismo  oggi possibile, ontologicamente possibile, ed  per questo che la sua riproduzione allargata approfondisce l'estraneazione. Si veda G. Lukcs, Cultura e potere, Editori Riuniti, 1970, pag. 164-67. Si tratta di un'intervista a Lukcs di un giornalista tedesco di formazione filosofica. Vi sono qui equivoci molto curiosi e significativi. Lukcs parla del "lavoro" come forma ontologica dell'unit fra causalit e teleologia, insiste sulla categoria della irreversibilit storica, eccetera. E' chiaro che qui si parla della categoria di "lavoro", e non del concreto processo di produzione capitalistico, in cui il "lavoro astratto"  incorporato e sottomesso, fino al massimo di "degradazione" descritta da Braverman e da altri studiosi. e testimoni. !l giornalista naturalmente equivoca subito, sostenendo che solo l'artigiano "si riconosce psicologicamente" nel proprio "lavoro ben fatto", mentre l'operaio-massa della catena di montaggio non pu certo riconoscersi nel proprio "lavoro" (ma semmai nel tempo libero, nel consumo, eccetera). Sbaglierebbe dunque Lukcs nel parlare tanto di "lavoro". Questo equivoco  assolutamente significativo. Entrambi gli interlocutori hanno ovviamente ragione, ma parlano di cose assolutamente diverse. Ha ragione il giornalista francofortese (che poco dopo, del tutto a sproposito, citer entusiasticamente Horkheimer e Adorno) nel sostenere che l'astrattezza del lavoro diviso non  qualcosa in cui l'uomo concreto possa "riconoscersi". Ha ancora pi ragione Lukcs, il quale, seguendo Marx, sostiene (ovviamente del tutto inascoltato) che la sola alternativa teorica al riconoscimento della specificit ontologico-sociale della categoria di. lavoro  la ricaduta in forme metafisiche e deterministiche della storia. Riprenderemo questi temi nella quinta parte di questo scritto, nella quale sosterremo, fra l'altro, che un'etica filosofica comunista non pu svilupparsi che sulla base della ferrea esclusione di ogni tipo di olismo organicistico, da un lato, e di individualismo robinsonistico, dall'altro. Riteniamo che i fondamenti di questa concezione siano gi rintracciabili in, Marx. Nella terminologia lucacciana l'uomo "particolare"  orientato soltanto verso la cerchia immediata dei propri bisogni ed interessi, mentre  l'uomo "individuale" che, nel suo modo di essere, di pensare e di agire, si colloca all'altezza storica del "genere umano". Quindi l'"individualit" (a volte: "personalit")  caratteristica dell'uomo "generico". A sua volta la "genericit per s" implica la coscienza del rapporto con il "genere umano", mentre la "genericit in s" vede questo rapporto come mero fatto oggettivo non problematizzato. Nel contesto del nostro discorso (che non ha di mira un'ortodossia neo-lucacciana, ma un'elaborazione ontologico-sociale) il termine "particolarit" connota per meglio il fatto che lo sviluppo della personalit non pu avvenire attraverso una rottura unilaterale ed astratta con i propri bisogni ed interessi "immediati" cui contrapporre altrettanto astrattamente una "genericit umana". Per questa ragione si  volutamente mantenuto il termine "particolarit". 39. 40. 41. 42. 61 E' ovviamente questa la tesi fondamentale di tutta la prima parte di questo lavoro. Si rimanda ancora il lettore al fondamentale capitolo dell'Ontologia lucacciana intitolato I principi ontologici fondamentali di Marx. Lo scrivente non segue tuttavia Lukcs su di un punto di non secondaria importanza: nella Ontologia Marx  presentato come un autore che non cade praticamente mai in forme grandi-narrative e deterministico-naturalistiche, ma  pressoch sempre ben saldo su di un discorso ontologico-sociale. Lo scrivente ritiene questa tesi indifendibile, nella forma "ortodossa" datale da Lukcs. L'imponente bibliografia che demistifica il "fraintendimento economicistico del materialismo storico" va da Labriola ad Althusser, da Gramsci a Bettelheim, eccetera. Tuttavia, non basta certo mettere in guardia dal fraintendimento economicistico, se il contesto rilevante della polemica anti-economicistica  l'esaltazione demenziale dei flussi desideranti della "vitalit della bestia proletaria... un animale vivo, feroce coi suoi nemici, selvaggio nella considerazione di s, delle sue passioni" (cfr. Antonio Negri, IY dominio e il sabotaggio, Feltrinelli, 1978, pag. 65). E' questo solo l'alter ego dello homo oeconomicus, passato dal furore della produzione all'orgasmo del consumo. Per una critica sobria e convincente del fraintendimento economicistico del materialismo storico si vedano in generale gli scritti di Gianfranco La Grassa e Maria Turchetto; si veda anche il libro di Valerio Romitelli, Critica dell'economia politica e teoria delle forze produttive, Franco Angeli, 1982. Vi  in linea di principio una grande prossimit fra discipline storiche e sociologiche, ed in particolare fra sociologia storica e storia sociale (cfr. Peter Burke, Sociologia e storia, Il Mulino, 1982). Entrambe sono ovviamente una componente fondamentale dell'accrescimento della conoscenza sulla base del materialismo storico. Il testo di G. Therborn, Scienza, classi, societ, Einaudi, 1982,  utilissimo per comprendere come sia "assolutamente non sostenibile e semplicemnte fuorviante parlare di una sociologia marxista o del marxismo come di una sociologia...ovvero di una convergenza fra marxismo da una parte e sociologia ed economia dall'altra" (op. cit. pag. 474). Purtroppo l'edizione italiana del lavoro del Therborn  compromessa da una presentazione del sociologo non marxista Luciano Gallino, che mette in guardia proprio contro questa tesi, intorno alla quale l'intero libro  costruito. Si veda in proposito il bel libro di Albert O. Hirschman, Felicit privata e felicit pubblica, il Mulino, 1983. Pi in generale la situazione filosofica del marxismo italiano  sempre stata sciaguratamente caratterizzata (e qui purtroppo Giovanni Gentile c'entra per qualcosa) dall'ossessivo primato della soggettivit e della prassi (con i bei risultati finali che stanno sotto gli occhi di tutti). Il primato "ontologico" dell'attivit dei soggetti non  infatti stato esaltato solamente nelle forme estreme politologico-dirigistiche di Mario Tronti oppure decadentistico-demenziali di Antonio Negri, ma  stato anche purtroppo "messo al centro" dell'universo sociale dal populismo comunista (Ingrao e Trentin) e dall'operaismo psiuppino (Foa e Basso). Questo "fuoco di sbarramento soggettivistico" ha sempre cercato la verit nella prassi come attivit, lasciandosi filosoficamente alle spalle un deserto. 62 43. 44, 45. Si veda Carmelo Vigna, Le origini del marxismo teorico in Italia, Citt Nuova, 1977. L'estesa raccolta di documenti curata da Vigna documenta bene i veri e propri fraintendimenti sullo "statuto teorico" del materialismo storico fatti da Croce e Gentile (ed  addirittura impressionante l'analogia con i fraintendimenti odierni di tipo soggettivistico-operaistico). Chi vuole dilettarsi con una ennesima stucchevole e giornalistica "liquidazione" del materialismo storico pu leggere il libro del collettiano minore Giuseppe Bedeschi, La parabola del marxismo in Italia, 1945-1983, Laterza, 1983. Ci che tramonta parabolicamente non  comunque mai la teoria dei modi di produzione, a questi signori sempre simpaticamente del tutto ignota o indifferente. Si veda Augusto Del Noce, Il suicidio della rivoluzione, Rusconi, 1978. L'acuto esame di Del Noce sulle tendenze storico-filosofiche immanenti all'italo-marxismo gramsciano (che  cosa comunque del tutto diversa dalla ricostruzione autentica del pensiero di Antonio Gramsci) documenta la subalternit dello storicismo (questo ingenuo eraclitismo che santifica il movimento temporale in '"avanti") alle ben pi solide rappresentazioni "radicali", laicistiche e post-moderne del presente storico. li rigoroso sviluppo dello storicismo "uccide" il marxismo meglio di ogni altro nemico "esterno"(ed  per questo che, secondo lo scrivente, la forma filosofica del discorso marxiana non pu e non deve essere uno storicismo, ma un'ontologia dell'essere sociale, che non santifica mai in modo ingenuamente eracliteo il semplice divenire storico assolutizzato). La critica di Del Noce  assai scomoda per la sinistra populista-storicista (sia italiana che italiota), che ha preferito ignorarlo (con alcune parziali eccezioni, si veda Francesco Ciafaloni, Quaderni Piacentini, 69, 1978). Quando Del Noce passa invece ad esaminare Marx, lo fraintende radicalmente, essendo ossessionato dal suo problema (il problema dell'ateismo "radicale" delle moderne societ secolarizzate e consumistiche), che ovviamente non  quello di Marx. E' possibile allora utilizzare Del Noce per contrapporre il pensiero di Karol Woitila al moderno "marxismo suicidato", come fanno i delnociani integralisti italiani (Buttiglione, Formigoni, eccetera). Si veda Leszek Kolakowski, Main Currents of marxism. Its Origins, Growth, and Dissolution, 3 voll., Clarendon Press, Oxford, 1978. Si tratta di un lavoro di grande impegno, ed  forse il pi intelligente manifesto anti-marxista disponibile oggi sul mercato librario. Esso si propone di illuminare lo "strano destino di un'idea che  cominciata come umanesimo prometeico ed  culminata nella mostruosa tirannia di Stalin". Il pensiero di Marx  collegato strettamente al "mito dell'identit", di tipo mitico-escatologico, di cui  ovviamente responsabile la "dialettica" (anche se in Marx il raggiungimento dell'unit ed il superamento dell'alienazione non significano il riassorbimento della storia umana nell'Assoluto "preesistente", ma la realizzazione di s dell'umanit che  "assoluta" nella sua stessa finitudine). Ovviamente, Kolakowki condivide l'interpretazione di Marx data in Storia e Coscienza di Classe di Lukcs (che  la famosa identit di soggetto ed oggetto, di proletariato e senso della storia, esplicitamente respinta da Lukcs stesso - ma questo non interessa a Kolakowski). Questo Marx idealisticamente interpretato pu dar 46. 47. 63 luogo al leninismo ed allo stalinismo come sviluppi non necessari ma in un certo senso "legittimi", ed  l'anticamera di una propensione irrazionalistica e di un possibile tradimento della ragione. Il lettore attento noter che tutto lo sforzo teorico dello scrivente  rivolto contro l'interpretazione di Marx come "filosofo della identit" fra soggetto ed oggetto (la tesi, appunto, sposata da Kolakowski). Si veda Rgis Debray, Critique de la raison politique, Gallimard, 1981. Secondo Debray il politico ed il religioso sono originariamente sovrapposti, la storia della nascita delle ideologie  la storia della loro apparente dissociazione, ed infine le ideologie si riducono in ultima istanza a delle credenze, necessarie alla sopravvivenza di qualsiasi gruppo sociale organizzato. La tesi fondamentale di Debray si basa sull'impossibilit "ontologica" di eliminare l'aspetto "religioso-ideologico" dall'agire umano collettivo, compreso quello che si richiama al "marxismo"., Il notevole lavoro di Debray combina insieme, con geniale eclettismo, elementi culturali tipici della tradizione conservatrice (Schmitt, Julien Freund, Dumzil) e caratteristici della tradizione "di sinistra" (in particolare Althusser e Sartre). Secondo Debray, le "idee" non riescono a mobilitare nessuno, e soltanto il sacro mobilita, essendo gli imperativi della credenza ad un mito e dell'appartenenza ad un gruppo delle vere e proprie "forme a priori" dell'esistenza sociale organizzata. Vi  una "permanenza nel tempo di tutti gli aspetti essenziali del comportamento politico", che  in ultima istanza di tipo sacrale-religioso e non razionale. Lo stesso pensiero di Marx  secondo Debray pieno di lapsus religiosi, come quello secondo cui il comunismo scriver sulle sue bandiere alcuni. motti. sociali (laddove l'esistenza stessa delle "bandiere" rimanda ad un imperativo di appartenenza di un gruppo che si demarca da un altro, che ha, appunto, "bandiere" di colore diverso). Il "politico"  prodotto psicologicamente dall'angoscia, individuale e sociale, ed  qualcosa di originario, che non pu essere per nulla concettualizzato dalla critica dell'economia politica, che crede ingenuamente nell'eliminabilit storica dell'alienazione religiosa e politica. L'iconoclastia delle intenzioni teoriche marxiane crolla come un castello di carta di fronte alle tendenze iconolatriche delle masse (e degli stessi intellettuali), bisognose di capi carismatici e di simboli. Le analisi di Debray non sarebbero interessanti, se non fossero accompagnate da due interessanti posizioni: in primo luogo, Debray decide di rimanere egualmente socialista e marxista, in modo del tutto in-fondato, a met fra la scommessa pascaliana e l'istanza etica personale; in secondo luogo, Debray porta una serie di raccappriccianti esempi sulla permanenza del "religioso" nel "socialismo reale", dalle processioni davanti alla mummia. di Lenin alla difesa del "sacro suolo della patria" e dei "sacri confini", eccetera. Qui sta, a parete dello scrivente, l'elemento di maggiore debolezza del pensiero di Debray. Egli descrive i riti grottescamente iconolatrici del socialismo reale e le masse mobilitate di fronte a tombe egiziane di leaders defunti e ne deduce ia mitica originariet della sacralit religiosa del politico. Come sempre, affermazioni esistenzialistiche sul pathos carismatico vengono giustificate con fotografie "empiriche" di sterminate schiene di guardie rosse osannanti Mao Tsetung, che "dimostrerebbero", 64 48. appunto, l'originaria sacralit del politico. Nella quarta parte di questo scritto, dedicata ad Ernst Bloch, torneremo sulla necessaria distinzione fra mito ed utopia, senza la quale non vi  modo di separare l'identit culturale di destra da quella di sinistra. Non sono dunque accettabili interpretazioni "nicciane" del comunismo marxiano. In primo luogo, la critica genealogica delle ideologie non pu "fondarsi" (come avviene in Nietzsche ed anche in Debray) su qualcosa di originario in senso etologico, sociobiologistico e metafisico. In secondo luogo, il superamento della particolarit alienata dell'uomo borghese {e proletario, che ne  ovviamente il necessario correlato storico-teorico) non pu essere connotata mai in termini di Uber-mensch, sia che si voglia tradurre questo termine con la parola super-uomo (alludendo ad una gerarchia verticale di valori e di collocazione sociale), sia che lo si voglia tradurre con la parola oltre-uomo (alludendo ad una "differenza" nei confronti dell'uomo dialettico, schiavo delle ideologie e della falsa coscienza). Il termine lucacciano "sviluppo dell'individualit" (nel suo rapporto con il genere) resta a tutt'oggi l'unico il quale, nonostante alcuni equivoci secondari,  sostanzialmente fedele all'intenzione filosofica del comunismo marxiano, estraneo ad ogni "mito dell'identit" (Kolakowski) e ad ogni "ineluttabilit del politico" (Debray). Parte Seconda LE AVVENTURE FILOSOFICHE DEL MARXISMO L'indagine condotta nel laboratorio filosofico di Marx non  stata, crediamo, un fallimento, ed i risultati non devono essere accolti con nichilistico disincanto. Da un lato,  apparsa impossibile la "restaurazione del discorso filosofico originale marxiano", ove quest'ultimo venga ingenuamente visto come "puro e cristallino come acqua di sorgente";  impossibile e regressivo, infatti, il "ritorno ad uno stato di partenza che nel frattempo si  corrotto" (Habermas). Dall'altro lato, occorre rivendicare con forza, in modo pacato ma convinto, la dominanza del discorso filosofico di tipo ontologico-sociale sugli altri due discorsi "metafisici" (di tipo grande-narrativo e di tipo deterministico-naturalistico) gi nello stesso Marx. Il materialismo storico e la critica dell'economia politica non hanno dunque bisogno di cercare una filosofia adeguata fuori di Marx, ma hanno tutto l'interesse ad esigere dalla filologia marxiana seria e pi in generale dall'indagine marxologica la piena valorizzazione degli elementi ontologico-sociali presenti nel discorso marxiano. Questa premessa  necessaria, e si potrebbe ripetere cento volte, fino alla nausea. Senza comprenderne il significato, infatti, si imposta male fin dall'inizio il delicato problema della discontinuit fra pensiero marxiano e marxismo successivo. Vi sono molti modi, a nostro parere, di impostare male questo problema, anche solo sul piano terminologico. | Un primo modo, a nostro parere fuorviante, consiste . nel chiedersi se Marx sia o non sia mai stato "marxista". In proposito lo scrivente  portato a dare pochissima importanza alla famosa frase detta da Marx stesso: "Io non sono marxista!" Certo, Marx, da buon padre fondatore, non era un semplificatore, un banalizzatore, un ricercatore di semplici schemini tuttofare di filosofia della storia, ed in questo senso non era "marxista". Ma questa  un'assoluta ovviet. In realt, Marx  stato a tutti gli 66 effetti un marxista, un consapevole sostenitore del carattere sistematico del materialismo storico ed un propugnatore della superiorit teorica della critica dell'economia politica sui punti di vista borghesi" di spiegazione storico-sociale (caratteristica, questa, al 100% marxista). Marx non  invece stato il traguardo del "primo chilometro" di una fantomatica tappa ciclistica a cronometro denominata "marxismo", alla fine della quale ci sia il traguardo finale, il Sapere Assoluto del Materialismo Storico. In questa forma, il problema del "marxismo di Marx"  in larga parte nominalistico ed ideologico, e degrada facilmente a chiacchiera da caff. Dal momento, per, che i negatori sistematici di ogni relativa continuit fra Marx ed il marxismo successivo non ci aiutano a tematizzare la corrispondente discontinuit relativa (che pure esiste), ma creano visioni metafisiche di un Marx purissimo alla fonte, dopo il quale giungono i grandi criminali mistificatori (Engels e Kautsky per primi),  forse bene storcere il bastone dall'altra parte, e sostenere invece che Marx  stato il "primo dei marxisti" (essendo, appunto, costitutivo del marxismo un certo grado di "impurit", che distingue appunto le teorie sociali dall'acqua distillata). . Un secondo modo, a nostro parere ancora pi fuorviante, consiste nel chiedersi se tutti i libri "marxisti" non firmati direttamente da Marx siano una "affermazione" oppure una "deformazione" del marxismo. Il caso dell'"Antiduhring" (firmato da Engels)  in proposito assolutamente esemplare. L'"Antiduhring" non  stato n un'affermazione n una deformazione del marxismo, ma pi semplicemente una sua "manifestazione", una sua "forma di esistenza" storicamente determinata. Il lettore deve qui avere pazienza, e non pensare subito a dispute di lana caprina. E' infatti costitutiva della storia del marxismo la successione di avventure filosofiche e teoriche, di aggiunte o di omissioni. Certo, l'"Urtext" di Marx esiste, a differenza della prima stesura dei poemi omerici e delle saghe germaniche. Ma questo "Urtext" non  un feticcio, non appartiene alla sfera del magico, del mitico, del numinoso, in una parola, dell'Originario. La storia dei "marxismi" non  affatto un rotolare nell'Inautentico, come se Il Primo Fraintendiment Originario del malvagio Engels avesse avuto la funzione della tentazione di Eva nel Paradiso Terrestre oppure della Conversione della aletheia in orthotes da parte di Platone, che secondo Heidegger contiene gi in nuce tutta la storia maledetta del tramonto dell'Occidente. ' curioso, infatti, che questo atteggiamento, del tutto "metafisico", sia tipico di coloro che trovano Engels "troppo metafisico". 67 Lo scrivente cercher di seguire un'altra strada: la storicizzazione integrale delle "formazioni ideologiche" in cui costitutivamente  stata incorporata (e non poteva non esserlo) la critica dell'economia politica marxiana. 1. Il concetto di formazione ideologica A parere dello scrivente,  impossibile attingere una nozione corretta del rapporto fra pensiero marxiano ed incorporazione di questo pensiero nei marxismi successivi (con la relativa dialettica fra continuit e discontinuit) senza il concetto di "formazione ideologica". Ci che conta, ovviamente, non  la "parola" (se infatti il termine di "formazione ideologica" non piace, appare troppo scolastico, strutturalistico, eccetera, se ne pu tranquillamente coniare un altro) ma il concetto di cui questa parola  veicolo. Tutti coloro che si avvicinano al materialismo storico, ed ai suoi concetti fondamentali, sanno bene che la distinzione fra "modo di produzione", da un lato, e "formazione economico-sociale"", dall'altro, rappresenta qualcosa di equivalente alla distinzione fra massa e peso, velocit ed accelerazione, a proposito dei concetti della fisica. Si tratta di una distinzione basilare, senza la quale si instaura una babelica confusione di linguaggi, ed ogni discussione sulie forme di economia, di propriet, di potere politico, eccetera, appare del tutto priva di senso concreto (1). E' curioso, allora, che ci che viene generalmente ammesso senza contestazione a proposito dei concetti "fondativi" del materialismo storico, non venga invece riconosciuto ed applicato quando si passa ai tentativi di storicizzazione materialistica "nel mondo delle idee". In proposito generalmente dominano due atteggiamenti, entrambi sbagliati, che definiremo brevemente del . "tutto o niente", da un lato, e della "quantificazione dei pezzi", dall'altro. | Il primo atteggiamento (quello del "tutto o niente") consiste nel chiedersi se l'autore Tizio o l'autore Caio siano "marxisti! oppure non lo siano. In proposito ci si ritaglia un personale pezzo di "marxismo originario" (autentico ed ortodosso), scelto nel grande corpus marxiano, e si sottopone al controllo di qualit l'autore "marxista" in questione. Questo atteggiamento merceologico pu anche avere motivazioni comprensibili ma, a parere dello scrivente, DS porta a ben poco. Ci si chiede: Engels  marxista? Rosa Luxemburg  marxista? Lenin  marxista? Gramsci  marxista?. Rispondere con un s o con un no  del tutto sterile. Ci che conta, infatti,  accertare in quale modo, concreto, specifico ed irripetibile, gli 68 f elementi originali marxiani vengano fusi insieme con altri elementi teorici, e soprattutto sotto quale dominanza teorico-pratica concreta avvenga questo processo inevitabile di fusione. Il secondo atteggiamento (quello della quantificazione dei pezzi") viene generalmente adottato per correggere quello che viene considerato l'unilaterale estremismo del primo. Cos come, nella vita pratica, non.  realistico chiedere tutto o niente, cos, analogamente, nella "vita teorica" occorrono dei "compromessi". Si quantificano allora, a seconda dei propri gusti e delle proprie necessit, i "pezzi" di marxismo autentico nei singoli autori. Gramsci, allora, diventa per il 50% marxista, e per il residuo 50% bergsoniano, crociano, soreliano, e via etichettando. Secondo l'esiziale opinione di Mao Tsetung il "compagno" Stalin era per il 70% buono e solo per il 30% cattivo. E cos via pesando, e magari rubando qualcosa sul peso, secondo le inveterate abitudini di molti cosiddetti "esercenti" (2). Entrambi gli atteggiamenti sono inadatti a cogliere il nesso fra continuit e discontinuit fra il pensiero marxiano ed i successivi marxismi. La nozione di "formazione ideologica" appare invece molto pi utile e concreta (3). L'incorporazione del materialismo storico e del pensiero marxiano "autentico" (che  a sua volta una mera astrazione, ceme si  ripetuto fino alla nausea nella prima parte di questo scritto).in una "formazione ideologica"  allora a tutti gli effetti una "forma di esistenza necessaria" del marxismo, cos come ogni modo di produzione esiste soltanto nella forma concreta di incorporazione in una formazione economico-sociale (4). Nella "formazione ideologica" confluiscono, e si gerarchizzano sotto la dominanza di una determinata forma filosofica del discorso (che poi orienta la prassi concreta dei vari agenti sociali, che non hanno altro mezzo di autorappresentarsi la propria prassi se non i"linguaggi" scaturenti dalla forma filosofica del discorso stesso), i materiali culturali pi diversi ed eterogenei: il fascino delle analogie storiche, i prodotti dell'immaginario individuale e sociale, la laicizzazione imperfetta delle ideologie religiose dominanti, il fascino discreto dell'economia politica borghese, i linguaggi professionali e variamente influenzati dalla tecnologia, l'indebita estrapolazione di nozioni tipiche delle scienze della natura, l'illusione dei ceti intellettuali di essere un gruppo sociale "disinteressato", eccetera. L'elencazione di questi "materiali" (qui fatta in modo empirico e disordinato)  ovviamente del tutto insufficiente per comprendere in che modo funziona concretamente una "formazione ideologica". Occorre l'analisi concreta della 69 situazione concreta (principio valido anche nella "storia delle idee") per comprendere sotto quale specifica dominanza tutto ci avviene (5). La cosiddetta "storia del marxismo" pu dunque esistere soltanto nella forma della storicizzazione materialistica delle formazioni ideologiche dentro le quali il "materialismo storico"  incorporato. Tutto questo, ovviamente, pone molti problemi "epistemologici", che qui potremo solo elencare. # In primo luogo, vi  uno specifico problema delle "permanenze". Esiste un qualcosa che possiamo chiamare "nucleo rivoluzionario del marxismo", e che permane in tutte le "formazioni ideologiche" in cui  presente il "materialismo storico"? Si tratta di una questione molto importante. Fuorviante, a parere dello scrivente, sarebbe porre il problema in termini di "dominanza di un concetto fondamentale irrinunciabile" (ad esempio, l'unit teoria-prassi, l'identit soggetto-oggetto, la teoria del valore-lavoro, la stessa nozione di sottomissione reale del lavoro al capitale). Ogni concetto, infatti,  sfigurato, se non se ne indica il valore di posizione. E' forse meglio dire che il materialismo storico vive soltanto come sistema armonico e flessibile di concetti, i quali cambiano tutti il valore di posizione a seconda della formazione ideologica in cui sono incorporati (6). In secondo luogo, cade ogni pretesa di scrivere una storia "continua", cumulativa, teleologica del marxismo. Una simile storia  una semplice "storia sacra", a fine predeterminato, un racconto edificante, e nulla pi. Di simili storie ne esistono molte, ma esse non ci dicono nulla sul "marxismo", ma rivelano soltanto l'ideologia specifica di chi le ha scritte. | In terzo luogo, trovano spazio le storie multidisciplinari ed enciclopediche del marxismo (come la recente "Storia del Marxismo Einaudi"), ma unicamente sotto il punto di vista dell'utilit del materiale specialistico di consultazione per studiosi. Contributi illuminanti (ed illuminanti proprio perch profondamente specifici ed inseriti nella congiuntura storica determinata) possono trovare posto accanto a testi del tutto inutili. Anche qui, per non esiste un criterio per definire "oggettivamente" se un determinato testo  utile o inutile, in quanto il giudizio di "utilit"  funzione del progetto teorico di apprendimento del lettore (7). Le note che seguiranno non ambiscono, ovviamente, ad essere l'abbozzo di una "storicizzazione materialistica delle formazioni ideologiche dentro le quali il materialismo storico fu via via incorporato". A questo scopo, sarebbe invece utile un saggio bibliografico, che utilizzi i ricchissimi materiali esistenti (anche in 70 lingua italiana). Si tratta di una semplice e telegrafica elencazione di "nodi problematici" della storia del marxismo, ad uso del lettore. Lo scrivente deve infatti esplicitare pienamente al lettore la sua personale lettura della storia del marxismo, in quanto solo in questo modo  possibile collegare il "bilancio teorico" di questa storia con le "risposte determinate" che si sono avute in alcuni pensatori eminenti del XX Secolo (Heidegger, Bloch, Lukcs, eccetera). 2. N ortodosso n rinnegato: Karl Kautsky e il marxismo A suo tempo, nell'irripetibile momento della diffusione del marxismo della II Internazionale, Karl Kautsky fu definito il "papa rosso" del socialismo. E, in effetti, Kautsky fu veramente un p "papa", anche se non ebbe mai a disposizione un collegio di cardinali ed una santa inquisizione. La sua cultura enciclopedica, la tendenza un p pedantescamente tedesca alla sistematicit, la sua collocazione strategica nella rivista Neue Zeit, il prestigio .di "continuatore diretto" dei classici del marxismo fecero di lui una figura centrale, che viene giustamente studiata ed analizzata dalla moderna storiografia delle idee marxiste (8). In questa sede, ci interessa soltanto esaminare due aspetti di Kautsky teorico del marxismo: il Kautsky "fondatore" del marxismo secondinternazionalistico (la cui formazione ideologica  caratterizzata dall'idea di crollo del capitalismo e di correlata ascesa politica del proletariato organizzato); il Kautsky "divulgatore" dei classici, in cui la semplificazione gioca un ruolo qualitativo nello stravolgimento dell'intera problematica marxiana di critica dell'economia politica. Come rileva giustamente il grande studioso Georges Haupt, Kautsky (assai pi di Engels) pu essere considerato il vero fondatore del "marxismo" (9). Il movimento politico della classe operaia organizzata, che tendeva ad emarginare insieme con l'anarchismo teorico anche le figure sociali "marginali" ed i lavoratori non qualificati o comunque non "organizzabili", e si basava sempre pi su una concreta figura operaia la cui "composizione di classe" derivava dalle caratteristiche della seconda rivoluzione industriale, espresse nell'Europa di fine Ottocento una specifica domanda di "visione del mondo". Kautsky ebbe il grande merito di "rispondere" a questa domanda, a questo vero e proprio mandato sociale. La teoria marxiana del plusvalore fu dunque depurata dalle cosiddette "fumisterie hegeliane" (considerate una perdita di tempo per professori di filosofia) ed incorporata in una vera e propria visione complessiva della storia, gradualistica ed 71 evoluzionistica (e qui, come  ovvio, il darwinismo divulgativo ebbe la sua funzione), caratterizzata da due "soggetti" in rapporto inversamente proporzionale: il sistema capitalistico, avviato ad un inevitabile crollo economico-sociale, ed il proletariato organizzato, aviato all'egemonia numerica e culturale. Proponiamo di chiamare questo marxismo "formazione ideologica kautskiana". Esso non fu certo un semplice "errore" di Kautsky (non scherziamo!), ma fu il riflesso necessario di un mandato sociale e di una congiuntura storica determinata. Essendo a sua volta la "formazione ideologica kautskiana" esposta in dottissimi volumi il cui peso avrebbe schiacciato qualunque marxista che si fosse trovato sotto lo scaffale al momento del crollo del capitalismo, essa dovette subire un ulteriore processo di semplificazione e di divulgazione, Come dice acutamente Czeslaw Milosz in "La mente prigioniera" (".. I capi del Novecento -Hitler ad esempio - hanno attinto il loro sapere unicamente da opuscoli di divulgazione, il che spiega tra l'altro l'incredibile confusione esistente nelle loro teste. Ci che contraddistingue infatti il sapere volgarizzato  la sensazione che tutto sia comprensibile e chiaro.."), la divulgazione non  mai innocente, ma d luogo a frammenti di verit mescolati con rappresentazioni ideologiche che divengono quasi sempre dominanti. Grande fondatore e divulgatore del suo "marxismo" (che certo riteneva con falsa coscienza necessaria - cio in perfetta buonafede - conforme all'originale marxiano, cos come a suo tempo S. Paolo fece con Ges Cristo) Karl Kautsky ebbe in sorte una lunga vita caratterizzata da una fondamentale coerenza (come giustamente rileva Massimo Salvadori nel suo utilissimo libro italiano su Kautsky) (10).? Non fu, certo, "ortodosso" (e come poteva esserlo, visto che l'ortodossia non esiste se non come concetto dell'ideologia religiosa e non ha spazio alcuno nel mondo materialistico della storicizzazione delle formazioni ideologiche), ma non fu neppure "rinnegato". Lenin ebbe certo le sue ragioni pratiche per definirlo cos (e lo scrivente, ammiratore della figura storica di Lenin, condivide queste ragioni), ma oggi, in sede di ricostruzione storica e di storiografia critica, questa "etichetta" deve essere staccata. Kautsky non rinneg affatto la sua "ortodossia kautskiana", e si comport anzi, di fronte al "fatto nuovo" della rivoluzione russa del 1917 e di fronte soprattutto allo scioglimento della Costituente del 1918, in modo pienamente "ortodosso". Il concetto di "formazione economico-sociale", che serviva a Lenin per dedurre una tattica politica concreta, gli era estraneo, avendo egli sempre ragionato sulla sola base della nozione di tendenze generali del modo di 72 n produzione capitalistico (anzi, peggio, del sistema sociale basato sulla propriet privata, che  tutt'altra cosa). Il concetto di "anello debole del sistema mondiale imperialistico", familiare a Lenin, gli era estraneo, avendo egli sempre ragionato sulla base della transizione al socialismo a partire dai "punti alti" della produzione capitalistica. Kautsky non fu dunque un traditore ed un rinnegato. Coerentemente kautskiano fino in fondo, egli mostr che ci si pu continuare a definire "marxisti" pur senza imparare nulla dall'esperienza. Il "marxismo kautskiano"  oggi una sorta di "reperto archeologico", qualcosa di appartenente al passato, come l'antica e la media Sto, lo gnosticismo orientale, la cristologia bizantina, l'averroismo latino, il libertinismo erudito del Seicento, eccetera. Tuttavia, a differenza di queste rispettabili forme culturali, non c' nel kautskismo nessun passato da "riscattare" (per civettare con il linguaggio di Ernst Bloch), ma soltanto un "esempio negativo" da tenere presente, per almeno due ordini di ragioni. In primo luogo, il kautskismo ha vissuto molto a lungo su una mistificazione qualitativamente carica di equivoco, quella di una "ortodossia marxista" che aveva alla sua "destra" qualcosa chiamata "revisionismo" (nella fattispecie, le coerenti posizioni di Eduard Bernstein, per nulla affatto pi "a destra" di quelle di Kautsky, come a suo tempo fu genialmente rilevato da Lukcs). Ci che, effettivamente, i revisionisti "rivedevano" (e si veda in proposito l'esauriente raccolta di documenti di Iring Fetscher) era infatti il materialismo storico marxiano nell'insieme, e questo fu ben compreso da molti pensatori, fra i quali Lenin e Rosa Luxemburg. Tuttavia, la "difesa kautskiana dell'ortodossia" fu ancora peggiore dell'attacco revisionista, perch non permise di evidenziare quello che era il fondamentale "momento di verit" dell'offensiva teorica revisionista, la segnalazione del divorzio totale fra teoria e prassi nel marxismo secondinternazionalistico (11). | In secondo luogo, la formazione ideologica kautskiana riusc nella difficile impresa di cucire insieme a filo doppio i due "discorsi filosofici" pi metafisici gi presenti in Marx, tralasciando sistematicamente invece il migliore, quello ontologico-sociale. La nozione kautskiana di capitalismo  . infatti pienamente incorporata in un discorso deterministico-naturalistico. Si tratta dell'evoluzione "automatica" di un organismo complesso, analogo agli "organismi complessi" di cui si parla nelle scienze della natura, e che pu essere studiato con leggi di tipo naturale (certo, forse pi tendenziali e pi statistiche, come del resto la rivoluzione della fisica contemporanea imponeva anche alle scienze della natura). La 73 nozione kautskiana di proletariato.  invece incorporata in un discorso di tipo grande-narrativo. Si tratta di una crescita cumulativa della coscienza politico-sociale di un soggetto, che cresce insieme alla crescita della grande industria moderna, fino alla piena "comprensione" delle cose, unit di gnoseologia e di ontologia, di maggioranza elettorale alle urne e di egemonia morale sul resto della societ (12). E' comprensibile, certo, che Kautsky abbia costruito in questo modo il suo "marxismo", che ebbe, insieme alla sua corposa "realt", una sua corposa "razionalit". Esso provoca in noi una sorta di effetto di lontananza, senza per alcuna nostalgia. Non c' infatti in Kautsky alcuna ambiguit, non c' nessuna ambivalenza. Tutto  in Kautsky assolutamente chiaro, e tutto  assolutamente falso. Questo non potrebbe essere detto di Engels, in cui c' invece qualcosa di ambiguamente fecondo di contraddizioni. 3. Friedrich Engels: fondatore del marxismo orientale o ispiratore del marxismo occidentale? A proposito del pensiero di Friedrich Engels  cresciuta negli ultimi ottant'anni una vera e propria "leggenda nera", che rende difficile un rapporto sereno e storicizzato con questo classico del marxismo. Il "marxismo antiengelsiano"  oggi un fenomeno teorico di grande importanza culturale, che si frappone come un filtro deformante fra lo studioso contemporaneo ed i testi engelsiani. Occorrer dunque parlarne subito, prima di dare una valutazione di fondo della natura del "marxismo di Engels". Il marxismo antiengelsiano pu essere definito, in prima approssimazione, un vero e proprio errore teorico, filologico e storiografico, che viene per compiuto "con qualche ragione", cio in base a motivazioni quasi sempre giuste. Questo "errore teorico" si fonda su due colonne portanti, entrambe degne di esame accurato. In primo luogo, il marxismo antiengelsiano  una metafora teorica per indicare l'avversione al discorso filosofico di tipo deterministico-naturalistico, in base alla convinzione (errata) che Marx sia stato del tutto immune da questa. deformazione, e che occorra dunque "salvarlo" dal suo troppo invadente ed enciclopedico amico. Ma cos non , come abbiamo cercato di mostrare nella prima parte di questo scritto. In secondo luogo, il marxismo antiengelsiano  una metafora teorica per indicare l'avversione (pienamente giustificata) per il materialismo dialettico sovietico-staliniano,, che sembra avere avuto nell'Anti-Duhring e nella Dialettica. della Natura di Engels le sue fonti teoriche 74 principali. Ma cos non , in quanto, come indicheremo fra poco, il Diamat sovietico  una specifica formazione ideologica che occorre storicizzare ferreamente, e non risale a prima del 1931. Si vuole, insomma, salvare Marx e condannare Stalin, obbiettivi entrambi altamente commendevoli, che usano per Engels come vero e proprio capro espiatorio. Tuttavia, a differenza di Kautsky, Engels non  stato il "fondatore" organico di una formazione ideologica. Certo, l'idea di crollo e la correlata nozione di ascesa irresistibile del proletariato sono presenti anche in Engels, ma non sono, come in Kautsky, assolutamente "portanti" del suo discorso. In Engels, anzi, vi sono apparentemente posizioni eclettiche, che sembrerebbero indicare uno scarso rigore: l'ottimismo sull'irresistibile ascesa del proletariato organizzato si mescola al pessimismo cosmico della fine entropica del mondo; l'evoluzionismo della vittoria "tranquilla" ed automatica dei proletari, che imparano dagli stessi borghesi l'addestramento militare che verr poi loro buono al momento giusto si mescola allo studio di uno stratega come von Clausewitz, teorico della congiuntura bellica specifica, della cosa giusta da fare al momento giusto. Non si tratta per di eclettismo superficiale, quanto di compresenza necessaria di opposti non mediabili nel pensiero, ma "scioglibili" soltanto nella realt concreta. Il pensiero di Engels  il "luogo teorico" della irresolubilit logica della contraddizione, oltre che il "luogo polemico" della battaglia di idee contro le interpretazioni ultrametafisiche delle scienze naturali e sociali del suo tempo. Se, invece, il pensiero di Engels viene disarticolato ed unilateralizzato, lo si pu far diventare addirittura l'iniziatore di due tradizioni assolutamente opposte. Nulla di pi facile, ma anche nulla di pi fuorviante e di sostanzialmente inutile. Secondo alcuni, infatti, Engels  il vero "fondatore" del materialismo dialettico staliniano, cio del "marxismo orientale". Engels persegu in effetti un progetto teorico di dialettizzazione filosofica delle scienze della natura del suo tempo, che non ra ai suoi occhi incompatibile (come in realt , almeno nella forma generalizzante che Engels era portato a dargli) con la specifica determinatezza delle categorie del materialismo storico. Questo progetto fu da Engels consegnato a quaderni per uso personale (poi pubblicati per la prima volta in URSS nel 1925 sotto il titolo di "Dialettica della natura"), che non furono certo scritti per soddisfare committenze esterne o per costruire un "sistema autoritario". Oggi siamo portati ad associare gli sforzi filosofici sistematici ed onnicomprensivi con l'autoritarismo politico (e non del tutto a torto, se pensiamo che la scienza funziona anche da ideologia della legittimazione ed "interdice" certi comportamenti, 75 come rispettivamente Habermas e Foucault hanno bene spiegato), ma questo non  sempre del tutto esatto. Nel Settecento, ad esempio, uomini non sospettabili di autoritarismo, come Denis Diderot, perseguirono autonomi progetti di dialettica della natura. Le note "dialettiche" di Engels risalgono agli anni fra il 1873 ed il 1883, e sono del tutto coeve all'allargamento enciclopedico di interessi che spingeva Marx a studiare le societ primitive. Chi legge Engels si accorge che non c' in lui nessuna tendenza a "chiudere il cerchio" ed a costruire quelli che a suo tempo Voltaire ridicolizzava come i trattati di meta - fisico - teologo - cosmo - scemologia. E' dunque del tutto errato istituire una continuit lineare fra le esercitazioni materialistico-dialettiche di Engels ed il "materialismo dialettico" sovietico, e si finisce cos con il perdere di vista la specificit di entrambi (13). Sarebbe perfettamente plausibile, inoltre, far diventare Engels il vero "ispiratore" del cosiddetto "marxismo occidentale". E' stato Engels a lanciare la parola d'ordine del proletariato come soggetto storico erede della filosofia classica tedesca. Ora, se non vogliamo usare il concetto di "filosofia classica tedesca come "concetto-ripostiglio" buono a tutti gli usi, e perci generico sinonimo di cultura ad alto livello di cui il proletariato dovrebbe appropriarsi (acquistando presumibilmente i dischi di Beethoven a rate e leggendo riassunti sinottici di Goethe, Schiller ed Hegel), il termine "filosofia classica. tedesca" non pu che significare tecnicamente "filosofia della attivit fondativa del soggetto" (Fichte), in primo luogo, e "filosofia dell'identit soggetto-oggetto" (Hegel); in secondo luogo. Se le parole hanno ancora un senso, allora, il proletariato (ovviamente ideal-tipicizzato) sostituisce la borghesia come soggetto storico portante sia dell'attivit che dell'identit (nel doppio aspetto di teoria e di prassi). Si tratta del paradigma filosofico del marxismo occidentale in forma pressoch pura (14). Naturalmente, Engels non  n il fondatore del marxismo orientale n l'ispiratore segreto del marxismo occidentale. Il fatto che si possano facilmente ed in modo non sofistico dimostrare ambedue le tesi ci mostra ancora una volta che in filosofia si pu dimostrare quasi tutto (e cio quasi niente), se non ci si attiene ferreamente al metodo della storicizzazione integrale delle formazioni ideologiche ed al valore di posizione dei concetti nelle situazioni storiche determinate. Il ensiero di Engels, dunque, deve essere correlato al suo. tempo. Il suo concreto aspetto di attualit consiste nell'apertura "filosofica alle scienze della natura e nell'istanza enciclopedica, che 76 non  mai regressiva, se pensa s stessa come totalit provvisoria sempre destrutturabile. Lo stesso "Antiduhring" non  pi letto, dai critici avvertiti ed intelligenti, come manuale del socialismo e testo canonico di legittimazione, ma come sintesi provvisoria che fu "trasformata" in manuale dal "socialismo a vapore" della II internazionale (15). , 4, La filosofia di Lenin: il matrimonio fra dialettica e materialismo Cos come Marx non fu il fondatore del "marxismo" (ma lo fu nell'essenziale Kautsky, fra il 1882 ed il 1891), cos Lenin non fu il fondatore del "leninismo" (ma lo fu nell'essenziale Stalin, fra il 1924 ed il 1931). La tesi che qui esponiamo pu essere facilmente verificata, soprattutto se si leggono i documenti teorici sui "punti essenziali del leninismo" (con le divergenze fra Trotsky, Stalin e Zinoviev) e, soprattutto, le significative differenze fra le due successive opere di Stalin, Principii del leninismo (aprile 1924) e Questioni del leninismo (gennaio 1926). In meno di due anni si era gi costituita una scolastica definitoria, pronta a funzionare da ideologia della legittimazione e da "marxismo monopolistico di stato". Tuttavia, il pensiero di Lenin pu egualmente essere studiato nella sua determinatezza storica, una volta che si sia messo in guardia dal confonderlo con la scolastica "marxista-leninista". Esso |  solo secondariamente un pensiero "filosofico", essendo invece ricchissimo di contributi originali sulle classi, la teoria del partito politico "marxista", l'imperialismo, lo stato di transizione, eccetera. E' difficile gerarchizzare i temi del suo pensiero intorno ad un asse centrale. Ad esempio, la centralit della "teoria del partito politico" (e correlativamente del marxismo come teoria di partito, in cui il partito diventa. custode della purezza e della creativit della dottrina)  certo caratteristica del "leninismo", ma non lo  del pensiero di Lenin, in cui la teoria del partito coesiste, a "pari grado di importanza", con la teoria dello stato, dell'imperialismo, delle classi. Non  questa la sede per discutere analiticamente il pefisiero di Lenin (essendo questo un trattato filosofico, e non un testo di "materialismo storico" strettamente inteso), Da un lato,  facile criticare le sue inadeguatezze, purch si sappia riconoscere che a tutt'oggi non possediamo una teoria dello stato e del partito politico che abbia veramente "superato" Lenin. Tutti sanno che Lenin ha "sottovalutato" l'importanza dei "diritti borghesi" di libert presenti nello stato capitalistico, eppure, quando si passa 77 all'analisi concreta dello stato capitalistico oggi, si scopre che esso non  affatto "democratico", ma integralmente "corporativo". L'esperienza storica della fusione perversa fra partito, sindacato e stato nei paesi a "socialismo reale" (con conseguente creazione di una "borghesia rossa" unificata intorno alla nomenklatura di partito) ha spinto molti marxisti (orientali ed occidentali) ad ipotizzare una separazione strutturale, nella transizione, fra sindacato, partito e stato "marxisti") ma questa non  che una parola d'ordine ancora del tutto astratta, e non  certo ancora post-leninista. Il solo punto del pensiero di Lenin che pu essere considerato popperianamente "falsificato"  forse la sua tesi forte della "putrefazione delle forze produttive" nel capitalismo imperialistico, per cui la "classe operaia" dovrebbe funzionare da "volano" del progresso tecnologico. Nel cosiddetto "terzo mondo"  ancora vero, mentre nel cuore del sistema mondiale imperialistico (dalla California al Giappone alla Germania) i borghesi si sono dimostrati capacissimi di sviluppare le "forze produttive". Qui Lenin paga il prezzo dell'uso acritico del concetto kautskiano - secondinternazionalistico di "forze produttive", come qualcosa di sostanzialmente "esterno" ai rapporti di produzione, e pertanto di sostanzialmente "neutrale" per quanto concerne la organizzazione della divisione tecnica del lavoro sociale. | Passando alla forma filosofica del discorso di Lenin, lo scrivente  portato a darne una valutazione molto positiva. Cerchiamo di spiegarci (anche perch andremo su questo punto cntro corrente, essendo molto diffusa l'opinione che Lenin sia in filosofia un "cane morto"). Abbiamo ripetuto ad nauseam che la "questione fondamentale" in filosofia non  il presunto "primato dell'essere sul pensiero", eccetera, ma risiede nell'evitare l'incorporazione delle proprie conoscenze naturali e sociali in una forma filosofica del discorso grande-narrativa e deterministico-naturalistica. Ebbene, Lenin mostra quasi sempre nei suoi scritti filosofici di possedere questa capacit (16). In Lenin (cos come il concetto di modo di produzione si presenta quasi sempre soltanto nella forma della formazione economicd-sociale) il discorso filosofico generale si presenta quasi sempre soltanto nella forma della congiuntura teorica specifica. E' questo, lo ripetiamo, il punto essenziale. Senza intenderlo bene non si capir mai come in Materialismo ed Empiriocriticismo (scritto nel febbraio - ottobre 1908) ci sia molto "materialismo", - nella forma della teoria realistico-gnoseologica del rispecchiamento nel pensiero di una realt esistente indipendentemente da quest'ultimo, e ci sia invece poca "dialettica", mentre invece nei Quaderni 78 Filosofici (scritti fra il 1914 ed il 1917) ci sia apparentemente pochissimo "materialismo" e sia invece presente un altissimo grado di "dialettica". In Lenin c' infatti una topologia filosofica flessibile, costruita su quattro parametri mobili: il materialismo (punto di vista dell'interazione pratica fra soggetto ed oggetto); l'idealismo (punto di vista della soggettivit che pensa s stessa in modo ipertrofico); la metafisica (punto di vista statico dell'immobilit e della ipostatizzazione); la dialettica (punto di vista dinamico del cambiamento e del rovesciamento). Ci sono dunque sempre in Lenin quattro combinazioni filosofiche possibili: idealismo e metafisica (- e -); idealismo e dialettica (- e +); materialismo e metafisica (+ e -); materialismo e dialettica (+ e +). Queste quattro combinazioni sono per dei veri e propri "regni combattenti" che esistono soltanto nella loro relazione conflittuale e nel loro concreto valore storico di posizione, e non sono mai pensabili come sistemi filosofici riassumibili ed insegnabili. Nel momento in cui, ad esempio, la specifica combinazione fra materialismo e dialettica si irrigidisce e si solidifica in un sistema chiuso, chiamato ad esempio "materialismo dialettico" (manualizzato e manualizzabile all'infinito),  aperto il varco per la trasformazione immanente del materialismo in idealismo e della dialettica in metafisica. Si potrebbero fare qui molti esempi, ma lo spazio lo impedisce. Se quanto detto sopra  vero, non esiste il "sistema filosofico" di Lenin, ma solo una "pratica filosofica" di Lenin. Questo non significa, ovviamente, che Lenin abbia avuto sempre ragione, ed i suoi congiunturali avversari sempre torto. Su questo, la discussione deve essere del tutto libera, e non pu essere dogmaticamente accettata nessuna auctoritas statuale (17). Materialismo ed empiriocriticismo  tuttavia, a parere dello scrivente, un libro giusto nell'essenziale. In proposito lo scrivente condivide la tesi argomentata a suo tempo da Dominique Lecourt. Lenin se la prende con l'indeterminismo filosofico, che  un. fall out idealistico della rivoluzione scientifica dei primi anni del Novecento, e non si oppone invece affatto ai concreti risultati scientifici della fisica contemporanea. Le polemiche, -di tipo paleopositivistico, contro i filosofi idealisti, dietr .i quali occhieggiano i pope ortodossi, dietro i quali si leva l'ombra dello zar, sono del tutto datate (ma congiunturalmente comprensibili, siamo nel pieno della reazione politica dopo il 1905), ma non  affatto datata la tesi di fondo, che si erge contro la manipolazione filosofico-idealistica dei risultati delle scienze della natura (18). Anche i Quaderni Filosofici sono, a parere dello scrivente, una 79 grande scuola di filosofia. Essi sono (se pensiamo a quando furono scritti) la prima guerra mondiale riflessa nel linguaggio filosofico. La prima guerra mondiale fu infatti un vero sconvolgimento pratico, integralmente dialettico, dell'universo sociale che si presupponeva "noto". La civilt europea si convert in pochi giorni in barbarie legalizzata, migliaia di operai diventarono guerrafondai (contro la loro presunta "essenza" pacifista), migliaia di borghesi si .scoprirono pacifisti (contro la loro presunta "'essenza" guerrafondaia), il capitalismo della libera impresa si pianific immediatamente in vista dello sforzo bellico, e cos via. Poich tutto era in movimento, Lenin cerc di pensare filosoficamente il "movimento". A questo proposito, la teoria gnoseologica del rispecchiamento appare astrattamente giusta, ma poco utile, mentre le intuizioni dialettiche di Hegel appaiono fecondissime (19). A. parere dello scrivente, i due parametri filosofici dell'idealismo e della metafisica ,trovano un momento di fusione in una teoria unificata della cosiddetta differenza, mentre gli altri due parametri, il materialismo e la dialettica, trovano il loro specifico momento di fusione nella teoria unificata della contraddizione. Le filosofie della contraddizione e le filosofie della differenza sono dunque assolutamente incompatibili, ma non pu esistere una "riga divisoria" fissa, manualizzabile ed insegnabile astrattamente. E' questo, a parere dello scrivente, l'essenziale dell'insegnamento filosofico di Lenin (20). 5. Il provvidenziale esaurimento progressivo del marxismo orientale Il complesso processo storico che prende il nome di "costruzione del socialismo in Urss" (e di cui E. H. Carr resta secondo noi a tutt'oggi lo storico insuperato) provoc necessariamente un mutamento qualitativo di funzione della teoria marxista: da "ideologia di legittimazione di partito", priva di poteri coercitivi e di un braccio secolare (come era al tempo di Kautsky e della Il Internazionale) divenne una "ideologia di legittimazione di stato", dotata di monopolio della forza e del tutto legibus. soluta. E' sintomatico (e si veda in proposito fil III volume delle Luttes de classe en Urss di Charles. Bettelheim, in due tomi) che chi cerca di periodizzare adeguatamente questo mutamento di funzione si avvolge da solo in una tela di ragno terminologica: non  mai chiaro se una tale teoria fa parte del "nucleo rivoluzionario del pensiero marxista", del "marxismo storicamente costituito", della "formazione ideologica bolscevica", dello "stalinismo vero e proprio", eccetera. Alla fine (e Bettelheim scrive la prefazione del 80 libro dopo aver scritto il libro intero) salta tutto, c' un black out  generale, corto circuito, l'accumulo di tensione  eccessivo, e Bettelheim conclude che la rivoluzione del 1917  stata la grande illusione del XX Secolo (21).  Eppure, i bolscevichi non si illusero soltanto di rompere con la Il Internazionale. Ruppero veramente, e causarono una "discontinuit forte" nella storia del cosiddetto "movimento operaio". Questa discontinuit, evidente e visibile nel "cielo della politica", non fu forse cos grande per quanto riguarda il nucleo duro della "teoria". Alcuni studiosi (primo fra tutti Louis Althusser) argomentarono a suo tempo come vi sia stata una "continuit segreta" fra il marxismo della II e quello della II Internazionale, definibile telegraficamente come il nesso economicismo/umanesimo: la retorica sul progresso inarrestabile delle forze produttive, delle quali il socialismo pianifica la crescita,  fondata con una parallela retorica umanistica del produttore e  dell'uomo nuovo prometeicamente fabbro del futuro. Althusser traduce qui in linguaggio "marxista" un'intuizione espressa in modo molto pi profondo dallo Heidegger della Lettera sull'Umanesimo (come noteremo nella terza parte di questo scritto), e che coglie effettivamente un aspetto reale: il carattere integralmente "umanistico" della scienza, e dunque l'assurdit di contrapparre le "due culture", la metafisica alla tecnica (22). Altri studiosi, capaci di gettare lo sguardo oltre il "punto cieca del marxismo althusseriano, l'incapacit di prendere teoricamente in considerazione la nozione di sottomissione reale del lavoro al capitale come "scheletro" della riproduzione dei rapporti capitalistici di produzione, riuscirono ad andare un po' pi avanti sul terreno della "continuit" fra i marxismi della II e della II Internazionale: l'idea che il capitalismo sia gi in grado di socializzare nell'essenziale le forze produttive, lasciando il socialismo erede di questa socializzazione, che si tratterebbe soltanto di "completare" (La Grassa-Turchetto). l o In questa posizione lo scrivente si riconosce, e non vale dunque la pena ripetere in dettaglio l'argomentazione. Pu essere invece utile sviluppare un'altra questione, a questa peraltro parallela: la logica dell'esaurimento interno del "marxismo" che si. . ' pensato come "interno" a questo processo di socializzazione (capitalistica) delle forze produttive, il marxismo del "socialismo reale", qui chiamato per comodit "marxismo orientale". | La genesi del "materialismo dialettico" staliniano  complessa. Prima della sua affermazione, ci fu una darwiniana "lotta per la vita" con altre varianti di "marxismo" (almeno tre), alla fine della 81 quale il Diamat emerse vincitore. Si trattava, in effetti, della "specie teorica pi adatta". Una prima forma, assolutamente inadatta, fu quella variante colta e filosofica di "marxismo occidentale" (Lukcs e Korsch), elaborata negli ambienti degli intellettuali comunisti fuori dall' Urss. Teorizzando l'unit fra soggetto ed oggetto (cio, fuor di metafora, fra proletariato e  processo storico), correlava strettamente le forme di coscienza del partito con quelle del proletariato empiricamente dato. Unit di idealismo e di empirismo, non era adatta a "legittimare" la realt sovietica, caratterizzata dal fatto che era ormai il "partito" a creare, con atto politico d'imperio, il "proletariato di fabbrica" (vedi i Piani Quinquennali), e non viceversa (23). Una seconda forma, -anch'essa inadatta, fu il cosiddetto "materialismo meccanicista" (Bucharin). A differenza del primo, questo era un prodotto autoctono sovietico. Sia trattava di una metafora filosofica del rifiuto di imprimere una accelerazione artificiale allo sviluppo delle forze produttive mediante scelte economiche che "violentavano" il sano rapporto "materiale" fra struttura economica (kulaki + NEP) e sovrastruttura politica. Una terza forma, anch'essa inadatta, fu il cosiddetto "idealismo menscevizzante" (Deborin). Anch'essa prodotto autoctono sovietico, il suo sincero e reale rapporto con la dialettica (ed il gruppo deboriniano pu essere considerato il "gruppo di amici materialisti della dialettica hegeliana" gi a suo tempo auspicato da Lenin in un famoso articolo) lo abilitava a capire fino in fondo il carattere manipolatorio e strumentale dell'uso staliniano della dialettica. Il Diamat vince dunque in questa battaglia filosofica secondo il migliore stile burocratico: una risoluzione ufficiale del C. . del Pcus (b) del 25-1-1931. Si tratta, a nostro parere, della data di nascita del Diamat. .Il Diamat non  infatti una filosofia fra le _ altre, un punto di vista che si confronta liberamente con altri, ma  solo una sacra theologia, una scolastica di partito, una vera e propria onto-teo-logia dello stalinismo. Ripercorrere le posizioni del Diamat sui pi svariati problemi (dalla controversia lysenkoiana sulla genetica al rifiuto della meccanica quantistica, dall'origine della vita sulla terra alla negazione dell'esistenza del modo di produzione asiatico, eccetera)  certo utile per l'informazione, ma occorre farlo senza cadere in una "leggenda fuorviante": l'incompetenza ed il dilettantismo dei burocrati di partito, incapaci di rispettare l'autonomia disciplinare dei veri scienziati e degli specialisti (in questo modo, fra l'altro, il processo a Galilei diventerebbe un frutto dell'incompetenza della 82 Curia romana) (24). Lo sviluppo del Diamat  ovviamente del tutto incompatibile con l'esistenza di altre scuole (legalizzate), di altri punti di vista, di un "pubblico dei lettori" (per riprendere l'espressione kantiana). Cos come gli scrittori dovettero diventare "ingegneri di anime", i filosofi dovettero metaforizzare in una cosmologia generale la (falsa) naturalit del meccanismo unico fra politica, economia ed ideologia del sistema staliniano. Ogni opinione diversa, non appena aspirasse a sistematizzarsi ed a organizzarsi", era subito illegalizzata, cos come del resto succedeva alle "linee alternative" in politica economica o nell'arte militare (25). La funzione principale del Diamat  quella di far apparire naturale ed obbligata la scelta staliniana sulla base dell'unit metodologica fra natura e storia. Si  fatto cos perch non s poteva, anche volendo, fare . diversamente. Qui non ci sono opinioni confliggenti (cio chiacchiere, oppure complotti della quinta colonna), ma solo inesorabili necessit, e la libert non  dunque altro che coscienza della necessit storica. Il Diamat vede dunque, in un certo senso, esaurire la sua funzione non appena sia stato instaurato un solido senso comune sulla . necessit-cos della riproduzione del sistema sociale sovietico. Come la scala di cui parla Wittgenstein, esso pu essere anche gettato, una volta che ci si sia saliti. Dopo il 1953 ed il 1956 (morte di Stalin'e XX Congresso del PCUS) il Diamat esiste ancora come "etichetta" della filosofia sovietica di stato, ma comincia a morire, a svuotarsi, in direzione di un'altra, diversa, forma filosofica del discorso, la cosiddetta "direzione scientifica della societ", l'ideologia della "rivoluzione tecnico-scientifica", portata avanti da specialisti "neutrali" espressione per di un popolo sovietico non pi diviso in classi. Nella forma staliniana, infatti, il Diamat era strutturato in modo da essere troppo ostile all'articolazione funzionale degli specialismi che si instaura necessariamente in un sistema sociale complesso. Si trattava del punto di vista "filosofico". del ceto politico bolscevico di origine operaia, di una ideologia della "identit forte" che non poteva che essere liberalizzata. La liberalizzazione del Diamat (dopo il 1956)  comunque strettamente "controllata", e non permette certo la nascita di un'"opinione pubblica di pensatori marxisti". Il potere continua ad avere un carattere "monolitico" (anche se la natura fondamentalmente capitalistica della societ di tipo sovietico da luogo continuamente a tensioni fra istanze politiche ed interessi economici in concorrenza), ed ha sempre meno bisogno del "marxismo" come fondamento della propria legittimazione. Gli ideologi ufficiali di stato sono sempre meno creduti, ed essi stessi credono sempre di meno a quanto devono teorizzare. E' esattamente questo l'inarrestabile processo che qui viene definito l'esaurirsi progressivo ed immanente del marxismo orientale. In Occidente, in ambito "marxista", le societ di tipo sovietico vengono analizzate secondo parametri diversi. La vecchia tesi "trotskysta", enunciata prima del 1940 (societ a struttura fondamentalmente socialista ed a sovrastruttura politica "degenerata"), appare oggi difficilmente difendibile. i Altre letture sono oggi pi diffuse, e ne citeremo qui soltanto tre: la societ sovietica come "modello di funzionamento" di un peculiare sistema politico; la societ sovietica come dispotismo orientale, variante moderna del modo di produzione asiatico; la societ sovietica come tipo particolare di rapporto sociale di produzione integralmente capitalistico. La prima lettura (di cui in Italia la sovietologa Rita Di Leo si fa chiassosa banditrice) propone di lasciare cadere del tutto ogni riferimento alle categorie marxiane di critica dell'economia politica. Esse "appesantirebbero" inutilmente il problema "tecnico" di sapere come funziona concretamente il modello sovietico di societ, caratterizzato dalla dominanza del fattore politico su quello economico. Bisogna studiare invece mille problemi pratici (come vengono scelti i deputati, come si viene ammessi all'Universit o ricoverati in ospedale, come vengono scelte le lettere dei lettori ai giornali, eccetera), e non perdersi nel cercare di calare la realt sovietica negli "sterili" schemi del materialismo storico. Si tratta di una variante della scuola italiana dell'"autonomia del politico", che ha il merito di rendere esplicito il suo disprezzo per il valore . conoscitivo specifico delle categorie della critica dell'economia politica (26). La seconda lettura raccoglie stimoli di studiosi noti, come Wittfogel e Bahro, e sistematizza (in modo per unilaterale) la compresenza di dominio di classe e di assenza di propriet (giuridica) privata dei mezzi di produzione in un "incantesimo analogico" con il marxiano modo di produzione asiatico. In questo modo la divisione capitalistica del lavoro e le specifiche modalit del suo approfondimento sono semplicemente "ignorate", mentre giganteggiano in primo piano le abitudini grottesche e prepotenti dei nuovi despoti neroniani tipici del socialismo reale (con il loro codazzo di parenti, adulatori, flabellatori ed opportunisti) (27). La terza lettura, che resta strategicamente la pi giusta e convincente (sul "lungo periodo", quando la riattivazione categoriale delle categorie marxiste potr aver dato i suoi frutti),  al 84 momento attuale indebolita da alcuni seri fattori storici congiunturali. In primo luogo (si pensi al caso di Charles Bettelheim) questa lettura si  costituita storicamente in Occidente come "rovescio teorico" di un'adesione pratica al programma politico della sinistra maoista della rivoluzione culturale cinese. Venuto meno questo referente storico concreto (che aveva attivato reali pratiche sociali anticapitalistiche all'interno di un sistema sociale presunto "socialista") si  correlativamente indebolita anche la connessa elaborazione teorica. In secondo luogo, la teoria sulla natura sociale "capitalistica" dei paesi a socialismo reale pu rafforzarsi soltanto se viene condivisa e praticata da settori, intellettuali e sociali, dell'opposizione nei paesi dell'Est. Questa opposizione per (anche quando si vuole anticapitalistica e quando afferma di far riferimento al materialismo storico)  generalmente schierata, sul piano teorico, sulla posizione della negazione netta del carattere "capitalistico" delle societ in cui vive. La questione non  affatto puramente definitoria e nominalistica (di "lana caprina"), ma  il segnale ed il sintomo del fatto che si usano ancora categorie concettuali molto diverse, e che si  ancora molto lontani dall'univocit dell'uso del materialismo storico presso i settori critici e di opposizione ad Est ed a Ovest (28). i Questo dialogo, la cui necessit ed urgenza  indubitabile, non verr per accelerato o facilitato dall'eclettismo teorico o dal pluralismo pasticcione delle opinioni. Il fatto che nei paesi a "socialismo reale" sia venuta meno la credenza nella riformabilit del "marxismo monopolistico di stato"  una condizione necessaria (in negativo), ma non ancora sufficiente, per un uso critico del materialismo storico in quelle situazioni. In proposito il futuro  del tutto aperto, e nessuna previsione seria pu essere qui fatta. 6. Il vicolo cieco del paradigma teorico del marxismo occidentale Mentre la cosiddetta "costruzione del socialismo .in un solo paese" (pianificazione economica + propriet giuridica statale dei mezzi di produzione + monopolio del potere politico da parte del partito-stato + trasformazione del marxismo in -ideologia di legittimazione) dettava ferreamente le regole "teoriche" dello sviluppo del marxismo orientale, in Occidente gli intellettuali critici e gli operai rivoluzionari godevano, nel campo della teoria, di una maggiore libert di movimento. Findagli anni '20 si costituirono (per opera soprattutto di Lukcs e di Korsch) le due varianti teoriche possibili all'interno del paradigma filosofico del marxismo occidentale. In una prima posizione (giovane Lukcs) il proletariato 85 diventa l'unico soggetto in grado di fare la storia e di comprenderla come sua creazione senza falsa coscienza, mentre la borghesia non pu intendere teoricamente il suo carattere provvisorio e transeunte, legata com' alle categorie pseudonaturalistiche della sua economia politica e della sua sociologia. Il proletariato empirico per (come insieme anagrafico di operai concreti) potrebbe anche risultare provvisoriamente incapace di assumere il suo destino storico, e subentra allora il "partito comunista" come rappresentante degli interessi storici e della tattica politica del proletariato ideal-tipicamente concepito. In una seconda posizione (Karl Korsch) ci si rifiuta per di separare metodologicamente il proletariato sociologico, storicamente dato, ed il proletariato filosofico, ricostruito in via ideal-tipica, e si preferisce imboccare in modo coerente la strada della 'deduzione"' delle categorie teoriche dal comportamento concreto dei soggetti sociali collettivi e dai livelli di coscienza che essi via via esprimono. Si tratta di uno sviluppo consequenziale (nelle nuove congiunture storiche del XX secolo) della definizione classico-marxiana di comunismo come "movimento reale che abolisce lo stato di cose presenti", in contrapposizione all'utopismo degli "ideali da realizzare". Sebbene il capolavoro teorico del "marxismo occidentale" sia stato costruito in base allo svolgimento coerente della prima posizione (si tratta di Storia e coscienza di classe di Lukcs, in cui il proletariato fu trattato, per la prima e l'ultima volta, come vero "erede" della filosofia classica tedesca), la seconda posizione era indubbiamente pi fedele alle istanze "materialistiche" della teoria marxiana. Non vi era solo la "deduzione" delle categorie teoriche dal movimento storico reale; ci si trovava di fronte anche ad una negazione determinata" del marxismo ufficiale terzinternazionalistico, divenuto integralmente copertura teorica (manipolata dagli ideologi di partito) dei piani quinquennali staliniani. La storia concreta di Karl Korsch  in proposito assolutamente paradigmatica, e la vita di questo comunista tedesco presenta aspetti "tipici" del dramma del comunismo novecentesco, che ricordano le ideali "figure" di una Fenomenologia dello Spirito marxista del XX secolo: la collaborazione con Kautsky nei tentativi di socializzazione giuridica del capitalismo tedesco dopo il 1919; il passaggio alla militanza nel comunismo tedesco degli anni 20; la fronda critica all'interno di questo comunismo, fino al destino di espulsione ed emarginazione politica; l'adesione all'anarchismo politico ed alla fiducia nell'autoattivit delle masse e dei consigli operai e contadini; l'emigrazione negli USA e la fiducia nel crollo 86 del capitalismo, sottoposto alle terribili tensioni degli anni 30; l'abbandono del marxismo, una volta verificata la totale incapacit delle masse e della classe operaia di riacquistare una pur minima capacit di azione politica indipendente dal sindacalismo neocorporativo o dai partiti comunisti stalinizzati (se, infatti, non c' nessun movimento reale che abolisce lo stato di cose presenti, non si vede bene la ragione di mantenere in piedi la finzione dell'esistenza di un comunismo marxista "privilegiato" nei confronti delle teorie utopistiche o delle pratiche riformiste quotidiane). Karl Korsch, amico di Bertolt Brecht e considerato il suo ''maestro di marxismo", fu anche autore negli anni '30 di una delle poche monografie su Karl Marx in grado di resistere all'usura del tempo (il suo libro Karl Marx  infatti ancor oggi leggibile con profitto). Pochi per intesero fino in fondo il significato storico del suo assoluto radicalismo teorico, una sorta di "spinozismo sociologico" che non faceva concessioni sulla unit di principio, rigorosamente monistica, fra storia e teoria (o meglio, fra processo storico concreto ed elaborazione teorica risultante da una autoriflessione rigorosa dei contenuti del processo storico stesso). Al materialismo storico viene negato ogni potere di "trascendimento" del processo storico, in una immanenza storicistica mai pi raggiunta nei pensatori successivi. Dal punto di vista puramente teorico, il marxismo cegidentale dopo Korsch non pu pi avere storia, perch la formulazione korsciana  assolutamente insuperabile. Varianti annacquate ed incoerenti del korscismo possono invece sopravvivere molto pi a lungo, gonfiandosi come palloni nei periodi in cui "le masse si muovono" (in ondate massicciamente massificate), ed afflosciandosi lamentosamente quando le masse non si muovono pi e si riscompongono in atomi sociali frammentati dalle controffensive capitalistiche (29). Non vi  qui lo spazio per studiare queste varianti minori ed incoerenti del rigoroso pensiero korsciano. Esse non presentano comunque alcun interesse teorico. Pu invece essere di qualche utilit ripercorrere la parabola autodistruttiva e l'esito nichilistico della sola "formazione ideologica" marxista culturalmente rilevante nella storia dell'Italia degli ultimi decenni: il cosiddetto "operaismo italiano". 7. La parabola teorica e l'esito storico dell'operaismo italiano Vi  un modo, probabilmente inevitabile, ma assolutamente sterile, di affrontare la storia del marxismo italiano: quello di 87 elencare cronologicamente tutti i cittadini con passaporto italiano (o naturalizzati) che si sono occupati di marxismo negli ultimi anni, fino a cucinare una salsiccia lunga ovviamente alcune centinaia di metri. Un altro modo, che attiene assai pi alla "storia del Paese" chiamato Italia che alla storia del materialismo storico,  quello di fare la storia dei "vincenti" (per cui di Togliatti si fa la storia, ma di Bordiga si ritiene che non valga la pena di parlarne) oppure la storia di "perdenti" canonizzati dai vincenti stessi che ritengono di poterli utilizzare per loro scopi (tipico il caso dell'uso che di Gramsci, morto nel 1937, fece Palmiro Togliatti dopo il 1943). E' questo un modo sicuro per far diventare la "storia" qualcosa di inutile e di noioso, una legittimazione del presente per mezzo del passato: contro questa "storia" l'invettiva di Nietzsche sar sempre giustificata, e sar sempre inevitabile la tentazione di "azzerare tutto da capo". Sono infatti molti i "miti", assolutamente ingiustificati, ma resistenti, che girano intorno al cosiddetto "marxismo italiano". Ad esempio, di Antonio Labriola  giusto dire tutto il bene possibile (si tratta infatti, in senso assoluto, di uno dei pi profondi e ricchi pensatori marxisti mai esistiti, meritevole di essere tuttora letto e studiato), ma  un mito intollerabile quello della sua presunta "influenza" sul concreto movimento operaio italiano (sia nella variante Turati che in quella Togliatti). Antonio Labriola deve essere (assai pi proficuamente) studiato come un pensatore assolutamente isolato, senza che questo pregiudichi assolutamente la sua "grandezza". A differenza di Labriola, Gramsci fu un marxista che un realmente la teoria e la prassi (come si suol dire), in particolare nel decisivo biennio 1919-20. Tuttavia, l'estrapolazione ideologica successiva di elementi del pensiero gramsciano isolati dal loro contesto rilevante (come l'apologia dell'operaio "produttore" fatta in particolare da Giorgio Amendola, ove in Gramsci siano inscindibili gli aspetti "produttore" e "rivoluzionario" della figura operaia degli anni '20) ha portato ad equivoci ed a mistificazioni francamente intollerabili. Dopo il 1945, sembra allo scrivente che il solo tentativo italiano di considerare il materialismo storico come possibile unit fra teoria e pratica sia stata quella costellazione di posizioni definibile come "operaismo italiano". Questa tesi pu sembrare di primo acchito una scandalosa enormit, e ci affrettiamo ad argomentarla sommariamente, esplicitandola: che ne  allora (potrebbe fondatamente obiettare qualcuno) di Togliatti e di Ingrao, di Della Volpe e di Colletti, di Badaloni e di Luporini, di Pesenti e di Basso? Occorre su questo fare una precisazione. Il cosiddetto 88 "marxismo ufficiale" italiano, dopo il 1945 e la guerra partigiana, si  sviluppato istituzionalizzando e riproducendo in modo allargato una dicotomia strutturale: da un lato Togliatti, il suo partito nuovo ed il suo primato della politica, che possono essere studiati cos come si studia Cavour e Depretis, Crispi e Giolitti, prescindendo integralmente dalla critica dell'economia politica; dall'altro, un'attivit marxologica di alto livello, quasi esclusivamente universitaria, che ha vissuto "all'ombra protettiva del grande partito", senza praticamente nessun punto effettivo di tangenza con esso. Si possono dunque studiare (lo si  fatto, e lo si far certo ancora) le posizioni gnoseologico-epistemologiche di Della Volpe, l'involuzione significativa di Colletti, la rigorosa filologia marxiana di Luporini, eccetera, in modo assolutamente indipendente - e separato dalle linee politiche concrete del PCI e del sindacato, dal rapporto con il centro sinistra al compromesso storico, dalla tregua produttiva alla cosiddetta alternativa. E' questa la storia dell'attivit culturale e pubblicistica dei marxisti italiani, non certo del marxismo italiano che ha ambito costituirsi come unit dialettica fra teoria e pratiche sociali che si sono volute come anti-capitalistiche (30). Certo, anche il "marxismo togliattiano'" (che  stato in grado di costituirsi e di riprodursi in una vera e propria "formazione ideologica" flessibile e coerente) si  ideologicamente riferito a certi aspetti del pensiero di Gramsci (l'egemonia, il rapporto fra intellettuali e masse, il partito come moderno Principe macchiavellico, la "terza via filosofica" fra il meccanicista Bucharin e l'idealista Croce, la necessit di "completare" il Risorgimento, eccetera) in nome di una unit fra la teoria e la prassi. La nozione soggettivistica di "primato della politica", inserita dentro una temporalit storicistico-cumulativa, portava per inevitabilmente ad un primato della tattica sulla prospettiva storica (rilevata a proposito di Togliatti dal sempre inascoltato Lukcs), fino a quel vero e proprio "suicidio dolce" di ogni identit comunista e marxista avvenuta sotto la segreteria di Enrico Berlinguer, ad un tempo erede legittimo del togliattismo e suo affossatore inevitabilmente coerente (31). 2 Uno dei pochissimi (forse l'unico) intellettuali marxisti italiani seriamente paragonabili a Gramsci fu invece Panzieri, animatore della rivista Quaderni Rossi e portatore di una serie di idee-forza destinate a "fare storia" nell'Italia contemporanea. Raniero Panzieri (come Antonio Gramsci) interpreta la critica dell'economia politica secondo un approccio duplice:dal punto di vista del "soggetto" enfatizza il primato del soggetto stesso interpretandolo come 89 attivit in atto (il "capitale" pianifica dunque l'estorsione del plusvalore e dunque programma coscientemente la stessa riproduzione del rapporto di produzione, mentre la "classe operaia" con le sue lotte determina in ultima istanza il capitale stesso come suo "residuo oggettivato" in macchine ed in tecnologia); dal punto di vista dell'"oggetto" adotta integralmente le scienze sociali (in particolare l'inchiesta sociologica e la modellistica del compatibilismo economico della distribuzione dei redditi) sviluppatesi nella societ capitalistica novecentesca. Si tratta dunque di un innesto originalissimo di elementi filosofici relativamente "arcaici" tratti dalla tradizione italiana (l'idealismo soggettivo di Giovanni Gentile, a sua volta erede della riforma ultrasoggettivistica della dialettica hegeliana fatta da Spaventa, eccetera) su di un "corpo" ultramoderno, quello, appunto, dell'economia politica, della sociologia, della psicologia sociale (32). In Panzieri c' unit fra la proposta teorica, nuova ed originale, e le pratiche politiche e sociali che ne derivavano. La ''Isoggettivizzazione" del concetto di capitale, pensato "kantianamente" come unit della coscienza della pianificazione globale (dimenticando perci che non c' mai un capitale, ma solo molti diversi capitali in conflitto reciproco, in un processo che deve perci essere pensato come rigorosamente impersonale), implica necessariamente la speculare "soggettivizzazione" anche del suo antagonista, la classe operaia (ed  questo, l'aspetto arcaico, gentiliano) (33). D'altra parte, l'uso massiccio dell'inchiesta sociologica e dei dati economici porta a superare ogni concezione filosoficamente idealtipica della classe operaia (come in Storia e Coscienza di Classe, in cui il proletariato  trasfigurato in una sorta di archetipo puro, ed  depurato da ogni inquinamento bassamente sociologico ed economico), in vista di un concetto di "composizione di classe" come unica forma di manifestazione concretamente empirica della classe operaia stessa (ed , questo, l'aspetto modernizzante, anglosassone). La novit teorica della "breccia" di Raniero Panzieri pu essere verificata nella stessa storia degli ultimi vent'anni in Italia: il partito teorico "panzieriano" si  realizzato come partito vittorioso proprio. dividendosi e potendo farsi carico della divisione. Ancora una volta, la brillante intuizione di Hegel nella Fenomenologia dello Spirito pu essere storicamente verificata in un caso particolare (34). Un primo partito teorico-pratico, nato dalla breccia panzieriana e poi integralmente autonomizzatosi, ha assunto la forma filosofica che potremo in primo approccio definire una variante di "idealismo 90 soggettivo". Si tratta della scuola della cosiddetta autonomia del politico: il suo nucleo teorico  l'esaltazione della soggettivit (come struttura fondante del reale) nella forma pi "pura" possibile, senza neppure il problema dell'ancoramento della identit ad un progetto "oggettivo" di transizione (il cui stesso concetto  anzi respinto). Una simile struttura teorica di esaltazione incondizionata della soggettivit "deve necessariamente portare ad un crollo verticale, fatalmente immanente, della stessa nozione di "identit" (sprovvista appunto di ogni contenuto "oggettivo"): la conseguenza non pu che essere quella di una soggettivit che si svuota mano a mano perdendo la sua identit (e, in effetti, questa forma di idealismo soggettivo oscilla pendolarmente fra un'esaltazione vuota della forma-soggetto e la liquidazione sapienziale di ogni identit qualsivoglia di "soggetto concreto") (35). Le conseguenze di questa forma filosofica del discorso idealistico-soggettiva sono molto gravi, su piani assai diversi. In primo luogo, sul piano della ricostruzione storiografica del passato la concezione ipertrofizzante e soggettivistica dell'autonomia del politico porta a mistificare profondamente sia la rivoluzione borghese sia la rivoluzione socialista, che vengono ridotte brutalmente alla sola dimensione politica e cos svuotate di ogni significato per quanto attiene alla natura dei rapporti sociali di produzione (36). In secondo luogo, sul piano della considerazione teorica della politica, l'enfatizzazione ossessiva della sua centralit tolemaica porta curiosamente ad un suo svuotamento. in considerazioni di disincanto esistenzialistico o in modellistiche politologiche e sociologistiche (37). In terzo luogo, sul piano, decisivo per lo scrivente, della identit filosofica di fondo, si  in presenza di una fatale, immanente tendenza alla autodistruzione nichilistica di ogni identit fino alla enfatizzazione di una sorta di "crinale" e di filo teso sull'abisso (38). Un secondo partito teorico-pratico, anch'esso nato dalla breccia panzieriana e poi integralmente autonomizzatosi, ha invece assunto la forma filosofica che potremo in primo approccio definire una variante di "idealismo oggettivo" (39). Si tratta della scuola della cosiddetta composizione di classe::il suo nucleo teorico  il tentativo di mantenere differenziati i due elementi dell'accentuazione del primato del soggetto (nella forma dell'attivit eversiva promanante dalla composizione di classe astrattizzata dell'operaio-massa) e della autonoma materialit dell'esistenza dell'oggetto (la teoria del valore-lavoro, la classe operaia concreta nella sua determinata composizione tecnica e politica, eccetera). L'equilibrio  per necessariamente instabile (40). Infatti, mentre nel primo "partito 91 teorico" (in modo coerentemente suicida) c'era una centralit dell'attivit pura sganciata da ogni riferimento oggettivo (che finiva perci inevitabilmente o nella politologia sistemica O nell'ineffabilit esistenzialistica del crinale cacciariano), qui l'attivit stessa, come categoria filosofica, entra in crisi quando entra in crisi la concreta ctomposizione di classe cui si fa riferimento (41).Si attiva quindi la contraddizione strutturale tipica di questo secondo partito, che lo porta necessariamente o ad esiti integralmente "memorialistici" oppure ad esiti integralmente "utopistici", a seconda se l'interesse maggiore venga portato sulla storiografia delle classi subalterne oppure sulla pensabilit filosofica della transizione al comunismo, visto come qualcosa di integralmente "altro" dal capitalismo borghese (42). Un terzo partito teorico-pratico, anch'esso nato dalla breccia panzieriana e poi integralmente autonomizzatosi, ha invece assunto la forma filosofica che potremo in primo approccio definire una variante di "idealismo assoluto" (43). Si tratta di una scuola che potremo connotare come propugnatrice di un capitalismo comunista (oppure, ma  lo stesso, di un comunismo capitalistico): portando alle estreme conseguenze la tesi filosofica di fondo del marxismo "occidentale", l'identit soggetto-oggetto (ma espungendone per la dialettica e quindi il trascendimento del reale immediato), si giunge alla identit integrale fra esistenza della realt capitalistica (nei suoi aspetti di produzione, circolazione consumo) e possibilit ontologica della forma di esistenza comunista dentro di essa. Il comunismo  l'orizzonte del consumo di beni e servizi privi ormai di valore" (- lavoro), fruito da un unico soggetto collettivo privo di memoria storica; questi beni e questi servizi sono prodotti da macchine integralmente automatizzate, mentre il soggetto fruitore  affidato alla automaticit macchinica, integralmente post-moderna, di flussi desideranti. Vi  cos una totale compresenza (che assume il carattere di identit, in senso filosofico) fra soggetto (autovalorizzazione di contenuti vitali "comunisti" da parte di soggetti sociali post-dialettici e post-moderni) ed oggetto (maturit del comunismo fondata sull'estinzione integrale della legge del valore-lavoro). L'unico elemento "materiale" (chiamiamolo cos) della differenza fra capitalismo e comunismo  lo scontro soggettivo fra opposte volont soggettive: da un lato, il potere, cio il comando capitalistico, forma attuale di tutte le precedenti mostruose forme di potere della storia, che cerca di re-imporre l'infamia del lavoro produttivo e della legge del valore in una confezione "socialista", quando ormai non rimarrebbe che "consumare". gratis i prodotti "senza valore" . delle macchine 92 post-moderne; dall'altro lato, la potenza, cio la forza vitale metafisicamente promanante dai "nuovi" soggetti sociali (giovani, donne, eccetera). Nonostante le apparenze rizomatiche, aforismatiche, disperse, | acentrate e derealizzanti, questa scuola presenta un sistema ferreo di pensiero in cui tutto "si tiene" con estrema coerenza. Vi , in primo luogo, un'interpretazione di Marx in cui i Grundrisse sono letti contro il Capitale, con il pretesto di leggerli "oltre". In secondo luogo, vi  un'interpretazione dell'intera filosofia occidentale in cui una presunta linea Macchiavelli-Spinoza-Marx  opposta a quella Hobbes-Rousseau-Hegel: la potenza contro il potere, la differenza contro la dialettica, il vivo contro il morto. In terzo luogo, vi  un'interpretazione della storia del capitalismo come manipolazione continua da parte di una soggettivit borghese dispotica e malvagia: dallo stato-concorrenza allo stato-piano allo stato-crisi fino allo stato-nucleare-del terrore-e-del-ricatto. In quarto luogo, vi  un'interpretazione della storia del socialismo come progressione fatale dell'imposizione coatta della legge del valore-lavoro fino al disciplinamento autoritario dell'intera societ ed allo stato "azteco". In quinto luogo, infine, vi  un'interpretazione del comunismo come "attivit attuale" di una sorta di grande "multiforme farfalla", soggettivit piena, autoespressiva, utopia sintetica, sintesi di desiderio ricco e di suo soddisfacimento tecnologico, in uno scenario (per lo scrivente orribile e mostruoso) da fantascienza post-moderna (44). Come per Heidegger la "ripetizione" della metafisica (e non la sua pura "messa agli atti")  il luogo della possibilit storico-temporale del suo oltrepassamento", analogamente il marxista italiano  costretto a "ripetere" mille volte le tre possibili varianti di svolgimento dell'operaismo panzieriano, ed in particolare la terza, in quanto quest'ultima incorpora in forma esemplarmente mostruosa l'esito integrale della riduzione sistematica del materialismo storico a soggettivismo vitalistico-esistenziale (45). La scuola del "comunismo capitalistico" si vuole ad un tempo critica . radicale del socialismo reale (l'impero azteco) e del movimento operaio storico (l'organizzazione contrattuale del walore di scambio eternizzato e gestito dalle corrotte burocrazie sindacali) ed apologia radicale della quarta rivoluzione industriale (come viene presentata dai capitalisti stessi: fine del lavoro, tempo libero illimitato per tutti, totale informatizzazione della societ, pienezza del consumo, nuove soggettivit, eccetera). Essendo unit di critica radicale e di apologia radicale essa finisce con il "consumare" ogni spazio intermedio con la vera e propria cultura "radicale", che cresce 4 93 autonomamente all'interno della realt capitalistica. La crisi di identit del marxismo italiano  dunque legata con mille fili alle ragioni storiche che hanno portato al "dispiegamento" di questa visione del mondo. 8. Il significato storico e teorico della storia del marxismo Si  molto insistito, nella prima parte di questo scritto, sul fatto che  possibile (e necessario) tornare a Marx, in quanto in Marx non c' solo una fondazione sostanzialmente corretta del materialismo storico e della critica dell'economia politica, ma c' anche una forma filosofica del discorso di tipo ontologico-sociale che "domina" altri discorsi, pur innegabilmente presenti, di tipo grande-narrativo e deterministico-naturalistico. Ritorno a Marx, dunque, possibile, nel duplice senso disciplinare e filosofico. Tuttavia, questo ritorno a Marx non potr avvenire mai in forma diretta, ma soltanto attraverso il necessario passaggio della de-costruzione (0, se si vuole, della de-strutturazione) dei marxismi storicamente costituitisi negli ultimi cento anni. Non pu essere infatti casuale che cent'anni di marxismo abbiano prodotto una situazione storica in cui appare chiaro che il programma marxiano di critica dell'economia politica non ha potuto realizzarsi affatto. E non  neppure un caso che pensatori epocali del Novecento (come Weber ed Heidegger, di cui ci occuperemo nella terza parte di questo scritto) siano giunti alla conclusione che questo programma non  realizzabile perch  ontologicamente impossibile, in quanto "metafisico" (anche se Weber e Heidegger danno al termine "metafisica" due significati assolutamente  opposti). Dimostrare la possibilit "astratta" ed atemporale della realizzazione del comunismo, prescindendo dall'esperienza storica,  per un marxista serio una strategia teorica assolutamente suicida. La "ripetizione" (usiamo coscientemente questa espressione heideggeriana) della storia (metafisica) dei marxismi novecenteschi porta purtroppo a prendere atto dell'esemplarit non casuale di due esiti opposti ma convergenti: per il marxismo orientale, l'assunzione del socialismo reale come orizzonte intrascendibile, non suscettibile di transizione al comunismo (anche se l'ideologia ufficiale "finge" che questa transizione sia ancora un orizzonte possibile), da gestire con metodi sistemici di riduzione della complessit sociale; per il marxismo occidentale, l'assunzione del capitalismo reale come orizzonte intrascendibile, da consumare per in modo comunista attivando l'immaginario sociale, i flussi desideranti, ed  cosiddetti nuovi soggetti. 94 Questo esito non  un "destino", ma  indubbiamente un "evento epocale". Sul piano teorico, nulla  pi inutile dell'ottimismo messianico-sociologico, che continua a proclamare che le masse ed il loro movimento "caveranno le castagne dal fuoco"ai teorici,che la teoria e la riflessione filosofica non sono affatto necessarie, in quanto le "masse" sono di per se lo scrigno del passato, del presente e del futuro. La storia del marxismo  indispensabile, perch solo attraverso la "ripetizione" di esiti storico-teorici, in parte contingenti, in parte predeterminati, si potranno aprire spazi per un reale trascendimento storico-teorico di questi esiti stessi. In questo senso,  istruttivo sia lo studio di "formazioni ideologiche" che hanno coinvolto milioni di persone (come l'evoluzionismo kautskiano, il materialismo dialettico staliniano e lo storicismo politicistico togliattiano) sia lo studio di pensatori isolati e privi di influsso pratico, ma radicali ed esemplari nella loro posizione teorica (come Karl Korsch, Amadeo Bordiga o Anton Pannekoek). Sono inoltre spesso le estremizzazioni pi coerentemente ripugnanti (e lo scrivente considera tali, ad esempio, la giustificazione cosmologica dei processi di Mosca fatta dal Diamat oppure la coniugazione del comunismo con la distruzione post-moderna della storia, della memoria e della dialettica) quelle che ci insegnano di pi, in quanto non si nascondono opportunisticamente in una pappa di parole, di distinguo, di felpate allusioni, ma mostrano allo scoperto "che cosa avviene" al materialismo storico quando lo si sottopone a demenziali terapie ortopediche. La ripetizione teorica della storia dei marxismi novecenteschi  per anch'essa insufficiente. Occorre integrarla con lo studio di quelle filosofie "borghesi" (che non hanno mai dichiarato di voler essere "marxiste" o "comuniste") che hanno finito con l'affrontare anch'esse il nodo teorico di cui ci stiamo occupando: l'apparente intrascendibilit dell'universo sociale capitalistico, la sua resistenza ai cambiamenti, il fallimento delle strategie soggettivistico-attivistiche di uscirne fuori, la spiegazione del perch l'unica cosa che sembra "fatale" nel XX secolo  la "ripetizione" di una temporalit storica che sembra impersonalmente impermeabile a qualsivoglia strategia di trasformazione cosciente. Ci occuperemo in questa ottica di Martin Heidegger, in quanto ci sembra essere stato il teorico novecentesco che, sia pure in forma metaforica e non riconoscibile a prima vista, ha pi radicalmente tematizzato il capitalismo come unit di alienazione integrale e di intrascendibilit strutturale. 95 NOTE 1. In Italia, in cui in questa fase storica prevale il disprezzo pi totale per la determinatezza dei concetti marxiani, la scuola pavese di Fulvio Papi continua a mettere al centro del suo interesse il concetto di "modo di produzione" (cfr. Silvana Borutti, Il modo di produzione capitalistico in Marx, Zanichelli, 1976). Per semplificare, potremmo distinguere due grandi approcci definitori alle nozioni di modo di produzione e di formazione economico-sociale: la prima, che enfatizza il ruolo strategico dei rapporti di produzione nei confronti di quello di forze produttive (cfr. Gianfranco La Grassa, Struttura economica e societ, Editori Riuniti, 1973); la seconda, che enfatizza maggiormente il ruolo strategico della "crescita delle forze produttive" (cfr. Maurice Godelier, Modo di produzione e formazione economico-sociale, in Enciclopedia Einaudi). 2. La soluzione della "questione di Stalin " in base alla quantificazione dei pezzi (70% buono, 30% cattivo)  stata una vera e propria sciagura per coloro che la hanno presa sul serio. La considerazione genealogica e dialettica dello stalinismo  stata cos integralmente sostituita dall'attribuzione dei voti e delle percentuali, che ricorda molto i "voti" che i giornali sportivi danno ai giocatori di calcio dopo le partite, e che sono quanto di pi arbitrario e soggettivo ci si possa immaginare. Si veda in proposito la bella messa a punto di Patrick Tissier, Chine: l'impossible rupture avec le stalinisme in Les Temps Modernes, 394, 1979. 3. Il concetto di "formazione ideologica"  ampiamente usato da Charles Bettelheim nella sua fondamentale opera in pi volumi Le lotte di classe in Urss (Etas Libri, 1975 e 1978). Lo sforzo di Bettelheim  di mostrare come l'originale pensiero marxiano, filtrato prima da Kautsky e Piechanov e poi da Lenin, si articola infine in una "formazione ideologica bolscevica" (che si vuole "marxista" e fonda anzi una sua ortodossia) che infine .si autonomizza completamente dalla critica dell'economia politica, divenendo "economia politica" della costruzione di un capitalismo burocratico di stato fatto passare con falsa coscienza necessaria per socialismo, societ + di transizione al comunismo marxiano. A sua volta, questa "economia politica del socialismo" si duplica in una filosofia metafisico-cosmologica della natura, chiamata "materialismo dialettico", ed in un normativismo | giuridico autoritario, che si lascia alle spalle lo stesso garantismo giuridico borghese. Nel terzo volume (in due tomi) dell'opera (per il momento-1983- non ancora disponibile in lingua italiana) Bettelheim lascia praticamente ' cadere l'impostazione precedente, incentrata sull'uso sistematico del concetto di "rapporto di produzione capitalistico" per connotare l'Urss (sulla base dell'articolazione della divisione sociale del lavoro dorninata da un approfondimento specifico della divisione tecnica capitalistica del lavoro), per aderire di fatto ad una visione dell'Urss come dispotismo di tipo asiatico. Non si pu, in proposito, dimenticare l'esito negativo e la sconfitta storica della linea di Mao Tsetung in Cina, cui Bettelheim era legato nel momento in cui scrisse i primi due volumi dell'opera, e che ai suoi occhi rappresentava la "critica pratica" dello stalinismo, . Un'appassionante discussione sull'uso pratico del concetto di "formazione 96 5. 6. 7. 8. 9. 10. ideologica" si ha in Bettelheim-Linhart. Dbat sur le marxisme et le lninisme, rivista Communisme, 27-28, 1977. Linhart si mostra qui capace di migliorare, articolare e concretizzare in positivo il concetto di "formazione ideologica". Lo stesso scrivente, ovviamente, non si considera affatto un "marxista . ortodosso". Una simile auto-attribuzione vanificherebbe l significato teorico di questo scritto. Non esistono, infatti, i "marxisti ortodossi". Lo scrivente cerca faticosamente una sua strada (e dispera di trovarla se il suo cammino fosse destinato a non incrociare mai altri sentieri percorsi da altri) verso un "marxismo autentico", che si caratterizzer inevitabilmente all'interno di una "formazione ideologica" determinata. Vi  qui una situazione analoga al dibattito fra "internisti" ed "esternisti" nella storia della scienza. Gli "esternisti" hanno metodologicamente ragione, anche se spesso sono forzatamente imprecisi nel dettagliare gli aspetti pi propriamente formalizzati delle teorie scientifiche (e qui gli internisti" sono talvolta pi convincenti). Anche le formazioni ideologiche hanno aspetti .teorici che non sono affatto deducibili dal "mandato sociale" esterno (Kautsky non pensa certo su "comando" della direzione della Spd, ma  chiaro che  quest'ultimo l'aspetto dominante della questione). Per capire questo fatto  particolarmente utile il gi citato Dizionario Marx Engels, Zanichelli, 1983. Aproposito della citata Storia del Marxismo Finaudi sono infatti possibili almeno quattro o cinque diversi "percorsi di lettura", tutti legittimi. Estremamente dettagliata e ricca di informazioni  in proposito la fondamentale monografia di Marek Waldenberg, Il papa. rosso. Karl Kautsky, Editori Riuniti, 1981. Pressoch definitivo  in proposito il saggio di Georges Haupt, Marx e il. marxismo, in Storia del marxismo, Einaudi, I. Molto utili sono anche i saggi di Andrea Panaccione e di Richard J. Geary in Storia del marxismo contemporaneo, Feltrinelli, 1974. Si veda Massimo L. Salvadori, Kautsky e la rivoluzione socialista, Feltrinelli, 1976. Salvadori era interessato (e l'anno di edizione del libro  significativo) a dimostrare che Kautsky, e non certo Gramsci (cui Salvadori dedic studi accurati), fu uno dei precursori del cosiddetto "'eurocomunismo", come sintesi di socialismo economico e di democrazia politica. Salvadori ha ragione, nel senso che Gramsci rappresenta una variante del marxismo terzinternazionalistico (in cui l'egemonia del moderno principe non  pensata dentro le forme della democrazia politica parlamentare pluripartitica), mentre Kautsky fece sempre esplicitamente coincidere la dittatura del proletariato con la maggioranza parlamentare "proletaria". Ha, se  possibile dirlo, doppiamente ragione, nei confronti del concordismo furbesco e del trasformismo teorico, di chi allora volle vedere in Gramsci un "precursore del compromesso storico". A distanza per di pochi anni la vera e propria estinzione precoce del "compromesso storico" ci fa capire meglio che la miseria del progetto non meritava in fondo la mobilitazione teorica di personaggi pur sempre degni come Gramsci e Kautsky. 11. Si veda Iring Fetscher, Il marxismo (tre volumi), Feltrinelli, 1970. Il LZ. 13. 14. 13, 16. 17. 97 DI saggio di Lukcs cui si  fatto cenno  Il Trionfo di Bernstein, pubblicato nel 1924 (ora in Lukcs, Scritti politici giovanili, Laterza, 1972). Per comprendere il carattere strutturale della teoria kautskiana nel determinare la funzione dell'ideologia nella Socialdemocrazia tedesca fino alla prima guerra mondiale consigliamo il tutt'ora insuperato testo di Erich Matthias, Kautsky e il kautskismo, De Donato, 1971. Nel fondamentale libro di Ferruccio Maggiora, Il dibattito sull'economia nell'ambito del marxismo, Loescher, 1978, vi  forse qualcosa di ancora pi importante: il chiarimento di come la generica "idea" di crollo del capitalismo, sistematicamente divulgata dalla formazione ideologica kautskiana, abbia prodotto effetti molto pi devastanti della esplicita "teoria" del crollo del capitalismo (ad esempio, Rosa Luxemburg). Quest'ultima pu infatti essere almeno individuata, discussa, fatta oggetto di polemiche e di obiezioni, mentre la prima ingenera un "senso comune" crollistico, che  l'altra faccia del "senso comune" ottimistico sulla crescita continua della coscienza proletaria. E' questa una caratteristica che possiamo trovare nelle tendenze teoriche pi disparate. Nello scientismo arrogante di Lucio Colletti, ad esempio (cfr. Tra marxismo e no, Laterza, 1979 e Tramonto dell'ideologia, Laterza, 1980),  costante la tendenza ad istituire una linea continua, viziata di metafisica antiscientifica e totalitaria, da Schelling ad Hegel ad Engels a Lenin fino a Stalin, per finire nei sessantottini critici romantici della societ industriale (Cini, Baracca, Tonietti, eccetera). Nessuna storicizzazione  ces possibile, poich Colletti mostra di ignorare (fra le altre cose) anche il "valore di posizione" dei concetti filosofici nelle congiunture storiche determinate. E' curioso, tuttavia, che molti marxisti italiani ostili allo scientismo collettiano (appunto Cini, Baracca, Sbardella, eccetera) cadono nella stessa tentazione, spinti dal duplice intento di salvare Marx e di condannare Stalin. I marxisti occidentali odierni (nelle varianti sartriane, marcusiane, eccetera) saranno indubbiamente orripilati dall'idea di avere Engels come progenitore, cos come a suo tempo il vescovo anglicano Wilberforce fu orripilato dall'idea di avere una scimmia come progenitrice. Ma giunge sempre il momento del disincanto, come disse bene Max Weber. Un esempio di lettura intelligente dell'Antiduhring (che lo scrivente raccomanda caldamente al lettore)  contenuto nel saggio di Michael Vester, Quando i professori litigano, in Aa.Vv. L'Antiduhring: affermazione o deformazione del marxismo?, Angeli, 1981. A proposito degli scritti filosofici di Lenin, lo scrivente consiglia di utilizzare il volume III delle Opere Scelte (in sei volumi) delle edizioni Progress+Editori Riuniti, 1973. Come gi nel caso di Engels, non si tratta di dare patenti di ortodossia filosofica. Lenin  stato mummificato come un faraone egizio, e composto per l'adorazione rituale sulla piazza rossa di Mosca. I filosofi sovietici dissidenti, che vogliono aprire uno spazio per il pensiero indipendente nella camicia di forza dell'"ortodossia" leninista sovietica, sono ovviamente costretti a chiosare singole frasi e singole "parolette" di Lenin in funzione antidogmatica. Tuttavia, Lenin  stato trasformato in mummia da Stalin, e non  direttamente responsabile. Anche nell'antico Egitto la casta dei 98 sacerdoti aveva bisogno (materialisticamente) della mummia del faraone, ed anche nel medioevo la corporeit delle reliquie era preferita ai vaporosi discorsi filosofici sul logos. 18. Si veda in proposito Dominique Lecourt, Lenin e la crisi delle scienze, Editori Riuniti, 1974, 19. Si veda in proposito Raya Dunayevskaya, Filosofia e rivoluzione, Feltrinelli, 1977 (in particolare pagg. 106-131). 20. Si veda Giovanni Bottiroli, La contraddizione e la differenza, Giappichelli, Torino, 1980. Bottiroli  anche autore di "letture" orientate del pensiero filosofico di Mao Tsetung e del pensiero psicoanalitico di Lacan. 21. Si cade in questo modo vittima di una illusione eguale e contraria, che definiremo "illusione definitoria": appiccicando un'etichetta su di un fenomeno storico si pensa cos di "possederlo", e di aver fatto i conti teorici con esso una volta per tutte. 22. Come sosterremo con forza nella terza parte di questo scritto,  appunto nella radicalit del "monismo teoretico" (capace di legare insieme la solidariet segreta, che si presenta come dualismo insanabile, delle cosiddette culture umanistica e scientifica) che Martin Heidegger ha una specifica e determinata "superiorit" su pensatori neokantianamente dualisti (ad esempio Max Weber, ma anche Jurgen Habermas). 23. La letteratura secondaria sul "marxismo occidentale"  vastissima. Si segnala in questa sede soltanto il saggio, documentato e preciso, di Lubomir Sochor, Lukcs e Korsch: la discussione filosofica degli anni '20, in Storia del Marxismo, III, I (cit.). 24. In modo acuto ed intelligente Alexandre Adler interpreta un'intera tendenza della cultura sovietica come un grande tentativo (sconfitto sul piano storico, ma ricco di insegnamenti per noi oggi) di opporre al soggettivismo manipolatorio del Diamat una ricerca, per nulla astorica ma anzi assai determinata, delle "regolarit e dei ritmi oggettivi dell'esistenza, soprattutto l dove questa sembra quasi del tutto priva di razionalit evidente". Adler cita in proposito i romanzi di Bulgakov, la ricerca di Vigodskij per una psicologia razionale di ispirazione fenomenologica, fondata su elementi semantici prelinguistici, i lavori della scuola di Bachtin nel campo della sociologia della letteratura, eccetera. Secondo Adler, gli oggetti noetici di questa ricerca di razionalit sovietica sono precisamente quelli che il potere politico trascura o respinge: il folklore contadino (Vladimir Propp), il mercato agricolo e il suo sistema di prezzi oggettivamente determinati (Kondratiev e Feldman), la storia degli intellettuali russi e del loro posto nea vita nazionale (Tinjanov e Sklovskij), l'ottimizzazione della produzione in una societ ad alto ritmo di sviluppo tecnologico (Kantorovic), la teoria critica delle utopie letterarie, del linguaggio corrente e del freudismo (Bachtin e la sua scuola). E si potrebbero qui aggiungere, secondo lo scrivente, anche gli studi marxologici di Rubin sulla teoria del valore. Si veda Alexandre Adler, Politica e ideologia nell'esperienza sovietica, in Storia del marxismo, Einaudi, IV. 25. Cos come i pensatori ufficiali erano costretti a metaforizzare il contenuto politico-dispotico dello stalinismo in "caso particolare" di una cosmologia generale dialettico-materialistica, analogamente i pensatori di 26. Zi, 28. 29: 99 opposizione dovevano metaforizzare il loro dissenso (la storia bizantina come critica del dispotismo statuale, la logica matematica come critica del Diamat, la semiologia come protesta contro la degradazione della lingua attraverso la strumentalizzazione propagandistica, la sociologia come accusa verso l'irrazionalit dei processi decisionali, eccetera). Su questo tema ha pagine convincenti A. Adier (citato nella nota precedente). Si veda R. Di Leo, H modello di Stalin, Feltrinelli, 1977. Nella quarta parte di questo scritto, parlando dello specifico approccio di Ernst Bloch al giusnaturalismo, argomenteremo come il rilancio di quest'ultimo sia una reazione determinata ai comportamenti, di tipo sovente feudale-asiatico, della nuova borghesia burocratica di stato e del suo modo dispotico e straccione di gestire la "cosa pubblica". Si tratta per, a parere dello scrivente, di un'apparenza necessaria a livello del consumo e della circolazione (in cui effettivamente la borghesia burocratica del socialismo reale appare meno efficiente e pi arrogante della vecchia borghesia idealtipicizzata del capitalismo ottocentesco - che peraltro non esiste neppure pi in Occidente, - e si vedano le spiccate tendenze criminali di gran parte della borghesia italiana contemporanea), dovuta al fatto che la "produzione"  invece pensata come neutrale e naturale. Lo scrivente considera in proposito necessaria la lettura dell'ottimo saggio di Johann P. Arnason, Prospettive e problemi del marxismo critico nell'Est europeo, in Storia del Marxismo, Einaudi, IV. Arnason espone in modo particolarmente preciso le diverse "letture" delle societ a socialismo reale fatte dai marxisti critici ungheresi (Konrad-Szelenyi, Bence-Kis, la scuola della "dittatura sui bisogni", cui va la sua approvazione). Comune a tutte queste scuole.  il rifiuto della teoria "occidentale" che connota le societ del "socialismo reale" come societ integralmente capitalistiche. Vi  qui in problema di comunicazione intellettuale e sociale (nell'uso delle categorie marxiste) che non pu essere affrontato seriamente qui. Lo scrivente d qui una nozione specifica e precisa di "marxismo occidentale", per forza di cose idealtipicizzata: Karl Korsch rappresenta il punto pi alto e pi coerente di un integrale vicolo cieco; proseguendo per la sua strada c' solo l'abbandono coerente del materialismo storico, oppure l'ipocrisia e la doppia verit permanente dell'operaismo populistico-sociologico. Ci sembra invece meno feconda la nozione di ''marxismo occidentale" inteso come marxismo degli intellettuali universitari che teorizzano su di un materialismo storico scollegato strutturalmente ad una prassi adeguata di massa (cfr. Perry Anderson, H dibattito nel marxismo occidentale, Laterza, 1977); questo tipo di marxismo  caratteristico. anche (e soprattutto) di quei marxisti "orientali" che riflettono criticamente sul socialismo reale senza essere per in grado di innescare alcuna prassi rivoluzionaria (e riguarda perci la Cina e l'Ungheria, la Cecoslovacchia ed il Vietnam). Il marxismo occidentale non  allora una categoria geografica (pensiero ad Ovest della Vistola e della Moldava) oppure di sociologia degli intellettuali (pensiero adattato agli standards di riconoscimento della comunit universitaria degli scienziati sociali); ma rappresenta una possibilit storica di sviluppo Cd 100 del materialismo storico (che a nostro parere  da abbandonare e da sostituire integralmente con l'ontologia sociale). 30. Lucio Colletti (cfr. Intervista politico-filosofica, Laterza, pp. 15-16) chiarisce molto bene tutto questo: "Della Volpe stesso era un intellettuale di vecchio tipo, che ebbe sempre come base che dovesse esserci una divisione del lavoro tra teoria e politica. La politica doveva essere lasciata ai politici di professione". Ogni paragone fra un fenomeno esclusivamente teorico (come il dellavolpismo) ed un fenomeno pratico-politico (come l'operaismo panzieriano)  privo di qualsiasi significato. 31. Mentre abbondano, in Italia, le analisi politiche, storiche e politologiche sul Pci degli anni '70 e dei primi anni '80 e sul significato della segreteria di Enrico Berlinguer in rapporto alle concrete "linee politiche" (dal compromesso storico all'alternativa democratica), manca una. riflessione approfondita sulla dissoluzione culturale dell'universo culturale togliattiano che si  avuta in questi anni. Togliatti cerc sempre di "governare" e di "amministrare" il pluralismo culturale del Pci, riportando le varie culture (da Geymonat a Sereni, da Alicata a Della Volpe, eccetera) ad una "identit culturale di fondo" riconoscibile ed anche "spendibile" nella battaglia delle idee. Luigi Longo credette di poter amministrare il togliattismo in modo continuistico (anche se fu capace di atti coraggiosi, come la condanna dell'intervento sovietico in Cecoslovacchia nel 1968 e la sostanziale adesione ai contenuti radicali del movimento studentesco dell'epoca), e ne preparava in questo modo la fine. Berlinguer  invece un esempio di "politico puro", che porta alle estreme conseguenze il togliattiano primato della politica (tatticamente concepito) come separazione integrale dall'identit teorica e culturale: il togliattismo esplode dunque anche culturalmente in mille pezzi, dal democraticismo metodologico e predicatorio di Ingrao all'organicismo integralistico di Rodano, dal neocontrattualismo di Veca al nichilismo integrale di Cacciari, dall'isterismo politologico di Tronti all'eclettismo privo di principi di Tortorella. Cento fiori possono fiorire, in aiuole accuratamente recintate. 32. Lo scrivente ha anticipato questa lettura di Panzieri in Metamorfosi, 2, Angeli, 1980. L'operaismo  stato metodologicamente affrontato come "formazione ideologica operaista", sulla base della quale avvengono poi le divisioni e le scissioni. Nel saggio di Metamorfosi si parlava di due operaismi risultanti dallo sdoppiamento dell'originaria unit instabile panzieriana: l'operaismo di destra, evoluto nella cosiddetta autonomia del politico, ideologia esoterica del ceto politico straccione che cerc di fare lo sgambetto alla Dc sul terreno del compromesso storico (finendo con le ossa rotte, data la maggiore capacit della Dc di governare le contraddizioni della societ civile capitalistica), e l'operaismo di sinistra, evoluto nella cosiddetta autonomia del sociale, ideologia del cosiddetto "movimento del 1977", confusa reazione al progetto del compromesso storico stesso.In questo modo erano sacrificati quegli "operaisti" che avevano continuato a collocarsi al fianco degli "operai concreti" (Bologna, Revelli, la rivista Primo Maggio, eccetera), di cui invece si fa qui cenno. 33, Lo scrivente condivide qui la critica a Panzieri fatta da Gianfranco La Grassa (cfr. Dalia fabbrica alla societ. L'ideologia della pianificazione globale del capitale, in Aa.Vv. Circolazione e forme del politico, Angeli, 34. 35. 101 1980). Il pensiero di Panzieri  troppo coerente e radicale per essere ridotto a semplice istanza autogestionale-democratica (come fanno alcuni interpreti, come Mancini, Mangano, Rieser). La comprensione panzieriana del fatto che il "capitale". non  una "cosa", ma un "rapporto sociale di produzione" viene declinata (gi nello stesso Panzieri, ed ancor pi negli operaisti successivi) come rapporto fra due soggetti in "opposizione reale": il comando capitalistico contro il comportamento collettivo proletario in fabbrica. In questo modo, fra l'altro, il concetto di "crisi capitalistica"  ridotto a quello di "opposte volont confliggenti" (chiave per capire fenomeni come la cosiddetta "scuola di Modena", che negli anni '70 ha ambito a funzionare come "consigliere economico del sindacato" sulla base di un marxismo ridotto al pensiero di Sraffa e di Ricardo). E' un fatto curioso, anche se del tutto secondario, che Lucio Colletti, nemico furioso dell'operaismo teorico e pratico, abbia dedicato gran parte delle proprie energie teoriche a combattere la nozione di "contraddizione dialettica" in nome della nozione di opposizione reale", esattamente, cio, in nome della nozione chiave usata dagli operaisti stessi. Si veda, su questo, la predica nel deserto di C. Preve, Le sventure della dialettica, in "Unit Proletaria", 1-2, 1981. Hegel si esprime in questo modo: "Un partito prova a se stesso di essere il partito vincitore solo in quanto si scinde a sua volta in due partiti. In effetti, mostra cos che possiede in se stesso il principio che fino a poco prima combatteva e che ha soppresso la unilateralit con la quale era entrato in scena all'inizio. L'interesse che si era spezzettato all'inizio fra lui e l'altro s'indirizza adesso interamente a se stesso, e dimentica l'altro, dal momento che questo interesse trova in lui solo l'opposizione che lo assorbiva. Nello stesso tempo tuttavia l'opposizione  stata elevata nell'elemento superiore vittorioso e ci si presenta dentro sotto una forma chiarificata. In questo modo, lo scisma nascente in un partito, che assomiglia ad un infortunio, manifesta piuttosto la sua fortuna" (cfr. Hegel, La phnomnologie de l'esprit, Aubier, t. II, p. 123). Principali esponenti di questa tendenza sono stati in Italia Mario Tronti, Alberto Asor Rosa, Massimo Cacciari. Occorre dare atto a questi teorici di aver realisticamente diagnosticato la totale incapacit del sociale, visto nella sua apolitica autonomia, a resistere e soprattutto a vincere contro l'iniziativa capitalistica quando quest'ultima decida di scegliere il terreno del "politico". Vi  indubbiamente qui un aspetto molto "leninista" (assai superiore al chiacchericcio luxemburghiano sul "sociale che si socializza" automaticamente e spontaneamente in direzione cominista, mentre il "politico" sarebbe pura superfetazione parassitaria ed inautentica). Tuttavia, la stessa effettualit del politico non pu essere pensata (e tantomeno agita) se il politico stesso  sradicato dalla sua base sociale e dalla sua identit storica, e ridotto ad un insieme di tecniche neutre. Ad esempio, l'esaltazione fatta da Tronti della dicotomia (sviluppata in particolare da Schmitt) amico/nemico coincideva storicamente con la politica di compromesso storico, che di fatto scioglieva l'identit opposizionale destra/sinistra in una mistificazione unitaria (il popolo italiano democraticamente rappresentato dai partiti e dai sindacati, da un lato, contro la crisi economica ed il terrorismo demenziale, dall'altro). 102 36. 37. 38. L'irrigidirsi della dicotomia schmittiana senza neppure la fondazione ontologica del senso che dovrebbe legittimare questa dicotomia porta alla crisi irreversibile di questa forma di idealismo soggettivo. Si veda, ad esempio, Mario Tronti, Stato e Rivoluzione in Inghilterra, Il Saggiatore, 1977, e Rita Di Leo, Il modello di Stalin, Feltrinelli, 1977. Il Cromwell di Tronti e lo Stalin della Di Leo non sono certa figure storiche concrete, ma semplici metafore filosofiche (integralmente idealistico-soggettive) della politica come "arte del governare". In entrambi i casi il contenuto materiale dei rapporti di produzione  considerato irrilevante, mentre giganteggia in primo piano il "personaggio". E' chiaro che n per Tronti n per la Di Leo il problema dei rapporti di produzione ha il minimo significato. Si tratta per loro di pura scolastica marxista, null'altro. Si veda M. Tronti, Il tempo della politica, Editori Riuniti, 1980, ed A. Asor Rosa, La felicit e la politica, in Laboratorio Politico, 2, 1981. La nevrotica insistenza sulla centralit assoluta dell'agire politico sulle altre dimensioni della vita umana si rovescia inevitabilmente nelle considerazioni disincantate sulla "politica che non d nessuna felicit". Nella rivista Laboratorio politico, che esce da due anni sulle macerie del compromesso storico, la politica  peraltro integralmente dissolta in politologia ed in sociologismi di varia natura. Il massimo di idealismo soggettivo, in filosofia, si unisce con il massimo di scientismo e di positivismo nell'approccio con le scienze sociali. Non c' tuttavia, in questo, niente di strano (e si rimanda qui ancora una volta alla nozione lucacciana di solidariet antitetico-polare fra esistenzialismo e neopositivismo). Su questo punto  istruttivo l'itinerario filosofico di Massimo Cacciari. Partito da una interpretazione della filosofia della Krisis (e della figura di Nietzsche) come enfatizzazione dello sfondamento integrale di - ogni "centro", e passato attraverso un'interpretazione neorazionalistica  tecnocratica di Heidegger (di cui si parler nella terza parte di questo scritto) fino ad un coerente rifiuto dell'agire teleologico lucacciano come filosofia del pro-getto, Cacciari  approdato alla integrale messa in discussione di ogni differenza fra sinistra e destra (cfr. Diorama Letterario, 56-57, febbraio-marzo 1983, che contiene gli atti di un dibattito fra Cacciari e gli esponenti della "nuova destra" tenuto a Firenze il 27-11-1982). Cacciari  stato accusato di neo-nazismo, in modo sciocco ed ingiusto, ed i mess media italiani hanno perduto un'altra buona occasione per parlare dei veri problemi teorici in gioco. Cacciari  invece un pensatore esemplare, un vero exemplum negativum, per percorrere un ideale tracciato di suicidio rituale di un'identit filosofica di sinistra. Mentre la "destra"  in grado di pensare radicalmente la differenza fra gli individui sotto il dominio della categoria di diseguaglianza, la sinistra si  rivelata incapace di pensare radicalmente la differenza insieme con l'eguaglianza. Questo comporterebbe l'accettazione dell'impostazione lucacciana (che verr analizzata nella quinta parte di questo scritto), secondo la quale gli individui diventano tanto pi differenti quanto pi il capitalismo li astrattizza, ed  appunto questa astrattizzazione individualizzante il presupposto ontologico per il perseguimento dell'eguaglianza comunista contro l'eguagliamento omogeneizzatore 39. 40. 41. 42. 103 capitalistico. Per leggere le argomentazioni di rifiuto totale di Cacciari verso la prospettiva lucacciana si veda la rivista. Metaphorein 8, Napoli, Pironti, 1982. Si vedano i lavori della rivista Primo Maggio, ed in particolare teorici come Sergio Bologna e Marco Revelli. La storia dell'organizzazione Lotta Continua non pu certo essere meccanicamente fatta seguendo uno schema semplificato ed unidimensionale (e si veda Luigi Bobbio, Lotta Continua. Storia di una organizzazione rivoluzionaria, Savelli, 1979). Tuttavia, leggendo le cosiddette Tesi sul Materialismo pubblicate in occasione del I Congresso dell'Organizzazione (che non fu mai esplicitamente "operaista", ed anzi spessissimo prese le distanze in modo esplicito dall'operaismo stesso) emerge la polarit sopraindicata. Da un lato, il materialismo viene identificato con il movimento delle masse nei suoi contenuti comunisti, con un esplicito primato dell'attivit e della prassi come fattore di conoscenza del reale; dall'altro, viene esplicitamente accettata la teoria del valore-lavoro, come fondamento "ontologico" oggettivo cui ancorare la pratica politica e sociale. La contraddizione strutturale della scuola della composizione di classe  espressa in modo insuperabile da Guido De Masi in Primo Maggio, 13, pp. 5-6. A differenza dell'enfasi gramsciana ed amendoliana sul lavoro produttivo e sull'etica del "lavoro sotto padrone" (la scuola della composizione di classe sa perfettamente che secondo Marx essere un lavoratore produttivo  una "disgrazia"), si connota il comunismo sostanzialmente come liberazione dal lavoro piuttosto che come liberazione del lavoro in senso cogestionale od autogestionale. Quando  lo stesso capitalismo che ristruttura la fabbrica distruggendo il lavoro produttivo e colpendo la composizione di classe basata sull'operaio-massa, la scuola della composizione di classe non pu certo opporsi a questo in nome dell'etica del lavoro. In un certo senso, questa scuola trasforma "la scala che si butta via, una volta che la si  usata per salirci" (l'espressione di sapore wittgensteiniano connota la teoria del valore-lavoro e del lavoro produttivo) in una sorta di "ramo in cui si sta seduti e che viene segato proprio da chi ci sta sopra". Il capitalismo moltiplica le figure sociali legate alla circolazione ed a quello che un tempo era chiamato "lavoro improduttivo", base di una ideologia e di un comportamento politico di tipo "radicale", e Sergio Bologna (si veda la La trib delle talpe, Feltrinelli, 1978, p. 149), esponente della scuola della composizione di classe, proclama: "Amo il rosso e il nero, colori del comunismo e dell'anarchia, odio il rosa ed il viola, colori del. movimento radicale e del neofemminismo". Tuttavia l'affermazione di comportamenti di tipo "rosa e viola"  in questa congiuntura un fatto socialmente inevitabile, e la scuola della composizione di classe  costretta alla pi totale impotenza politica (almeno provvisoriamente). .L'impotenza del presente, caratterizzato dall'agire politico senza principi del "ceto politico" legato ai partiti ed ai sindacati neocorporativi, porta necessariamente al culto della memoria della classe come rifugio e risarcimento psicologico in un passato che deve essere salvato come premessa per un futuro che assume sempre pi l'aspetto della n 104 43. 44, testimonianza etica o dell'utopia. Tuttavia, la scuola della composizione di classe, a differenza di quella dell'autonomia del politico, salva i contenuti etici e storici fondamentali dell'emancipazione comunista. Come si chiarir meglio nella quarta parte di questo scritto (dedicata a Bloch) il pensare il passato sotto la categoria di memoria storica ed il pensare il futuro sotto la categoria di utopia sono i presupposti per un atteggiamento filosofico non schiacciato su di un presente assolutizzato e feticizzato. Ci riferiamo qui principalmente al pensatore padovano Antonio Negri (e solo in seconda istanza a teorici secondari del comunismo post-moderno, come Oreste Scalzone, Piperno, Virno, Castellano, eccetera). Costoro sono divenuti le vittime sacrificali ed i capri espiatori della tragedia storica avvenuta nel nostro paese negli anni '70. E' evidente che la critica dello scrivente non ha nulla a che vedere con i "teoremi giuridici" che hanno ridotto vent'anni di storia ad un unico, grande complotto (lo scrivente condivide anzi l'impostazione garantistica diffusa in Italia da intellettuali onesti e non imbarbariti come Rossana Rossanda e Luigi Ferrajoli). Da un punto di vista storico-teorico, invece, lo scrivente ritiene che con la (coerente) teorizzazione di Antonio Negri nessun compromesso culturale sia possibile, e che soltanto con la sua decostruzione filosofica integrale sia possibile fare progressi. Lo scrivente ritiene che il pensiero di Negri sia il peggio che si possa avere partendo dal materialismo storico oggi in Italia (lo stalinismo, che era ancora peggiore, appare "superato"). E' per questo che occorre studiarlo con seriet e precisione. Per comprendere questo  necessario documentarsi su una serie di riviste (da Potere Operaio a Rosso, da Linea di Condotta a Metropoli, da Pre-print a Magazzino). In esse la grafica  almeno altrettanto importante del contenuto culturale, ed anzi spesso "detta" la chiave di lettura del contenuto stesso (e si pensi alla rivista Frigidaire). Antonio Negri ha scritto una decina di libri, che qui per ragioni di spazio non possono essere riassunti e presentati, ma che documentano (in uno stile espositivo che non pu essere separato dal contenuto, si veda la recente biografia Pipe-line, Einaudi, 1983) una linea di pensiero coerente. Si tratta di una interpretazione epocale del concetto di "prassi", cio di attivit, senza passare attraverso il modello del lavoro (come Urform e Vorbild, ovviamente, non come apologia del sudore della fronte e delle mani callose), arrivando cos ad un concetto contemplativo della prassi stessa, cio ad un comunismo immaginato e fantasticato come pienezza "attuale" del consumo collettivo capitalistico (in un mondo in cui lavorano soltanto le macchine). Vi sono in questa scuola i filoni tematici pi diversi: il rifiuto del lavoro, l'apologia della devastazione dei supermercati, l'americanismo e la cultura radicale nella sua forma pi kitsch, il rifiuto pratico del terrorismo progettuale ma la giustificazione teorica di quello diffuso-desiderante, una concezione della politica alla Pannella e della filosofia come elogio dell'assenza di memoria, differenzialismo ferocemente antidialettico, lacanismo alla Deleuze, eccetera. La critica di questa scuola pu essere impostata in molti modi. In primo luogo, tutto il concetto negriano di capitale come "comando senza valore" cade di fronte ad una corretta interpretazione della critica marxiana 45. 105 dell'economia politica. In secondo luogo, un'analisi ontologico-sociale (non esiste pensatore pi distante da Negri dell'ultimo Lukcs) mostra come l'odio verso la dialettica, il differenzialismo, eccetera, siano proteste a priori impotenti contro l'alienazione capitalistica. In terzo luogo, un'analisi di "antropologia filosofica" (pensiamo agli scritti di Lasch sulla. cultura tardocapitalistica del narcisismo) mostra come il modello negrista di soggettivit eversiva sia solo la "scimmia oscena" dell'individuo borghese. Lo scrivente non si aspetta nulla, ovviamente, dalla scuola del comunismo capitalistico e da quella dell'autonomia del politico. Quest'ultima  anzi la vera prosecuzione, logica e storica, del soggettivismo monocentrico staliniano, nell'epoca per della catastrofe dei soggetti storici e dei valori sostantivi, ed ecco perch pu buttare via come ferrivecchi il Diamat, l'etica del lavoro, eccetera, conservando soltanto il vuoto formalismo astratto dell'azione, riempibile di volta in volta in modo in-fondato. La stessa scoperta dell'autonomia del politico (intesa come abbandono integrale dell'idea utopistico-marxiana della administration des choses e della derivabilit meccanica dell'azione politica dai movimenti sociali)  di fatto vuota e priva di utilit pratica reale. Un discorso diverso occorre fare per la scuola della composizione di classe, Il suo "soggettivismo" ha avuto una forte carica "oggettivistica", perch contestava la riduzione della storia del movimento operaio a storia degli operai qualificati ed organizzabili. Il suo autore non  Schmitt, ma E. P. Thompson. La carica umanistica e rivoluzionaria degli aderenti a questa scuola dovrebbe preservarli dalla sbandate ciniche, superomistiche o decadentistiche tipiche dei seguaci delle altre due scuole. Parte Terza SOLO UN DIO PUO' ANCORA SALVARCI. ALIENAZIONE ED INTRASCENDIBILITA! DEL MONDO CONTEMPORANEO NEL PENSIERO DI MARTIN HEIDEGGER La manifesta incapacit, storica e teorica, dei "marxismi" novecenteschi di portare avanti il programma di critica dell'economia politica e di farsi "movimento reale che abolisce lo stato di cose presenti"  alla base di quella sorta di nevrosi depressiva che sembra aver colto il pensiero contemporaneo (e la stessa tendenza alla psicologizzazione, quando non addirittura alla psicosomatizzazione, del linguaggio filosofico attuale  una manifestazione superficiale di questo fatto). In campo "marxista", si  visto come questa "incapacit" sia stata ideologicamente mascherata con la separazione ormai esplicita fra programma marxiano della transizione e gestione sistemica del socialismo reale assunto come orizzonte intrascendibile, da un lato, e con la fuga in avanti del comunismo del consumo sulla base del macchinismo capitalistico, dall'altro lato. La "crisi del marxismo" ,viene cos "risolta" con una sorta di "adesione" alla superficie dei fenomeni sociali, che si legittima teoreticamente con il rifiuto della dialettica e l'apologia delle differenze. A suo tempo, Voltaire aveva rappresentato, nel suo racconto fantastico Micromegas, un gigante extraterrestre in grado non solo di ridicolizzare le pretese prometeiche degli esseri umani, ma anche di "giudicare" la filosofia di Locke come una forma di pensiero sensato il quale, una volta razionalmente condiviso da tutte le | creature pensanti, avrebbe potuto risolvere gran parte dei problemi degli esseri umani stessi. Ai "marxisti" dell'ultima parte del XX Secolo non  data certo la possibilit di seguire l'esempio razionalistico dell'illuminista Voltaire. Sebbene molti sognino incontri ravvicinati del terzo tipo e siano pronti a. commuoversi per la storia del piccolo extraterrestre E Ti, non verr mai nessun extraterrestre .a dirci che la "filosofia di Marx"  la pi sensata 108 esistente sul mercato delle idee. Il fatto stesso, anzi, che la filosofia di Marx si sia mostrata poco "praticabile" (per usare un cortese eufemismo), e che i "marxismi" successivi si siano dibattuti fra prometeismo fallimentare e conciliazione forzata con l'esistente, ha scatenato nel "pensiero borghese" alcune reazioni ideal-tipiche, degne di essere discusse filosoficemente. Individueremo qui tre di queste "reazioni filosofiche", ma non faremo mistero del fatto che consideriamo tragicamente seria soltanto la terza forma di reazione, che sar perci l'unica che cercheremo di discutere analiticamente in questa terza parte di questo scritto. Una prima forma di reazione di fronte all'incapacit strutturale dei "marxismi" del Novecento di "realizzare" il programma marxiano consiste nel tentare di "dedurre" i campi di lavoro forzato aperti nei paesi a "socialismo reale" dallo stesso progetto filosofico di Marx. Questa forma di reazione ha certo varianti religiose fondamentalistiche (ad esempio Solzenitsyn) e varianti laiche pi "digeribili" ai mass-media (ad esempio i nouveaux philosophes francesi). Sebbene alcuni esponenti di questa corrente di pensiero abbiano sofferto duramente sulla propria pelle il dispotismo burocratico del lavoro forzato che scrive il nome di Marx sulle proprie bandiere (ma non  questo il caso dei nouveaux philosophes, episodio di protagonismo narcisistico di sessantottini delusi amplificato dai mass-media), e meritino perci rispetto, o almeno silenzio,  bene dire che un martire non fa giusta una causa, e che questa "teoria" non pu essere seriamente presa in considerazione. Non si tratta tanto del fatto che in questo modo vi  una rilegittimazione apologetica del capitalismo occidentale, che riacquista un aspetto presentabile di fronte ad un "mondo orientale" assimilato al despotismo asiatico ed a Genghiz Khan. Questa rilegittimazione apologetica pu benissimo essere fatta (o non fatta), in quanto attiene al legittimo campo delle "opinioni", ed il materialismo storico non pu comunque consistere nel "preferire" l'Ovest (disoccupazione + opinione pubblica, sia pure manipolata) oppure l'Est (piena occupazione + manipolazione diretta, senza finzione di opinione pubblica). Come dice brillantemente Bloch, il problema non pu consistere nella scelta della "noia pluralistica" contro la "noia monolitica", o viceversa. Il cuore del problema sta nell'impossibilit di prendere sul serio, sul piano filosofico, una teoria che prima riduce Marx in modo semplificatorio ad un unidimensionale fautore dell'omologazione universale e del livellamento forzato, in nome della sadica volont di potenza del pensiero dialettico (tutta la prima parte del nostro scritto va contro questa concezione), poi riduce il marxismo e la sua storia 109 complessa, differenziata e pluralistica ad avanzamento di un fantoccio meccanico impazzito (tutta la seconda parte del nostro scritto va contro questa concezione), ed infine estrae il coniglio dal cappello, la grande scoperta del fatto che le stragi del rivoluzionario cambogiano Pol Pot, sostenitore di una pianificazione forzata di un sistema economico ermeticamente chiuso e di un livellamento sociale autoritario, derivano in linea retta dalla dialettica hegeliana, dallo stato commerciale chiuso di Fichte, e soprattutto dalla teoria marxista del pluslavoro e del plusvalore. Comprendiamo che un simile filosofia da drive in venga propagandata (ci sono anche i "bambini di Dio", i credenti nel "grande cocomero" e gli adoratori di Satana), ma riteniamo poco serio fermarsi ad analizzarla (1). Una seconda forma di reazione di fronte all'impotenza dei marxismi novecenteschi (in parte collegata alla prima, pensiamo ad autori come Popper) si basa sulla strategia epistemologica della "falsificazione" del marxismo. Si  detto del collegamento fra queste due forme di reazione al marxismo. Questo collegamento si basa sul rifiuto sistematico della dialettica. La dialettica  infatti ritenuta qualcosa di "cattivo" per due ragioni: la prima, di carattere teorico, consiste nel fatto che la dialettica si sottrae epistemologicamente ai procedimenti di falsificabilit, ed  pertanto incompatibile con il metodo scientifico, comunque definito; la seconda, di carattere pratico, vede nella dialettica l'inevitabile ideologia della legittimazione di un potere assoluto, strutturalmente in-correggibile, che pretende governare in nome di una "scienza non falsificabile". L'incredibile successo mondiale di un pensatore come Sir Karl Popper consiste appunto nel fatto che la sua filosofia lega ' insieme i due aspetti, teorico e pratico, di critica alla dialettica, e si presta inoltre ad essere "facilmente predicabile" per il suo carattere sistematico, dogmatico e semplificato. Indubbiamente, questa seconda forma di reazione  pi seria della prima, in quanto contiene un momento empiristico di verit, che pu essere valorizzato, mentre la prima degrada inevitabilmente a romanzaccio di appendice. Il momento empiristico di verit che  inevitabilmente contenuto. nelle teorie epistemologiche del nesso . verificabilit/falsificabilit (che obbligano, appunto, lo si voglia o . no, a parlare dei "fatti", e che sono anche disposte, come avviene nel caso di Popper, ad ammettere che i "fatti" non parlano da soli, ma dentro determinate "metafisiche influenti" e teorie generali)  per automaticamente indebolito dall'istanza antistorica di scoperta del Metodo Definitivo, del Tribunale Epistemologico di ultima istanza, che boccia  promuove senza appello le teorie 110. "scientifiche". Sappiamo che la stessa "trib degli epistemologi"  orientata allo scioglimento di questo Tribunale, e che la Falsificazione del Marxismo  ormai divenuta soltanto pi un prodotto per rotocalchi, mentre gran parte degli espistemologi "veri"  su posizioni ben pi critiche. Tuttavia, il mito del marxismo come Teoria del Gulag Universale  generalmente spacciato insieme con il mito del marxismo come Pseudoscienza ormai Definitivamente Falsificata, secondo il sistema delle vendite noto come "offerte speciali". E' questa la ragione per cui non  possibile prendere sul serio queste due forme di reazione alla (innegabile) miseria del marxismo contemporaneo (2). Vi  per una terza reazione all'impotenza trasformativa dei marxismi novecenteschi, l'unica, a parere dello scrivente, realmente degna di analisi e di studio. Si tratta di un approccio al mondo storico e sociale di tipo ontologico, che oppone al progetto trasformativo del marxismo una posizione teorica esplicita, secondo la quale, al punto in cui siamo giunti, il mondo non pu pi essere trasformato, per ragioni sia antropologiche sia, soprattutto, ontologiche. Il progetto marxista sarebbe quindi ontologicamente impossibile, momento di un "destino" che si tratta ormai soltanto pi di comprendere, essendo la "trasformazione" un'illusione interna alla sua staticit, e la "temporalit" una dimensione della sua fissit. Il significato del pensiero di Martin Heidegger, che verr esaminato pi avanti, trova in questa prospettiva, storicamente determinata, il suo valore di posizione ed il suo punto di tangenza con la critica dell'economia politica. x 1. Il destino della storicit contemporanea: pensare filosoficamente il XX Secolo La negazione filosofica, ad un tempo antropologica ed ontologica, della praticabilit del progetto marxista di transizione al comunismo, assume nel grande pensiero borghese del Novecento un carattere nuovo, storicamente determinato. A prima vista, sembrerebbe che non vi sia altro che un aggiornamento della vecchia tesi classica del pessimismo antropologico (gi analizzata genialmente da Horkheimer ne Gli inizi della filosofia borghese della storia, opera tuttora utilissima). Essendo la "natura umana" ontologicamente cattiva, orientata alla lotta, all'acquisizione ed al dominio, non sarebbe realistico porsi obbiettivi di emancipazione sociale comunitaria (3). Non  questa la sede per discutere adeguatamente se il 111 radicamento ontologico-sociale del pessimismo antropologico (la "natura umana cattiva"), che caratterizza il pensiero borghese classico e l'"individualismo possessivo" trovi la sua origine in una secolarizzazione del peccato originale cristiano oppure derivi laicamente dal meccanicismo seicentesco. La teoria pessimistica della "natura umana" ha comunque due padri e due padroni, l'uno "religioso" e l'altro "laico", quanto basta per rendere inutili ed un po' ridicole le diatribe fra spiritualisti e clericali, da un lato, atei, mangiapreti e laici, dall'altro, tese a ributtare sui rivali tutte le responsabilit delle brutalit politiche e sociali avvenute dopo la pubblicazione del cartesiano Discorso sul Metodo. (4). La polemica filosofica contro le concezioni astoriche e pessimistico-antropologiche della "natura umana"  certo ancora. di attualit, in particolare nel mondo anglosassone, in cui robuste tradizioni di "individualismo possessivo" (solo superficialmente laico) si intrecciano perversamente con ideologie tratte dalla cosiddetta "sociobiologia". Vi  qui un campo teorico e filosofico, oltre che decisamente "scientifico", tutto da conoscere e da arare. E, tuttavia, la negazione filosofica novecentesca della praticabilit del progetto comunista marxiano non  affatto la semplice prosecuzione "lineare" del vecchio discorso "pessimistico" sulla "natura umana", ma presenta un significativo aspetto di novit, che deve essere evidenziato e bene individuato. In caso contrario, si pu disegnare un "continuum lineare" fra il pessimismo di S. Agostino, di Thomas Hobbes e Max Weber (passando per Machiavelli). Operazione perfettamente plausibile, ma del tutto scolastica, ed assolutamente inutile per chi ricerca nozioni determinate, Il pessimismo novecentesco viene infatti dopo la grande indagine hegeliana delle categorie del pensiero moderno, viene dopo la critica marxiana dell'economia politica, viene dopo l'edificazione di una "visione del mondo" che ha preso il nome di "marxismo", ed  in grado di tener conto di tutti questi fattori, cosa del tutto impossibile per il vecchio pessimismo calvinistico sulla "natura umana". Per dirla in modo forzatamente telegrafico, esso non sostiene che il mondo non pu essere trasformato, perch la natura umana  quella che , ma che, a questo punto dell'evoluzione storica, il mondo non pu pi essere trasformato, data la complessificazione irreversibile che si  creata con la societ industriale, che sarebbe diventata ormai addirittura post-industriale. . Il pessimismo borghese novecentesco cerca dunque una sua via per la quadratura filosofica del cerchio: la trasformazione di un concetto astorico per sua natura come quello di "destino ineluttabile" in un concetto storicamente determinato 112 (l'intrasformabilit di un modo di produzione, integralmente assunto ad orizzonte intrascendibile della vita umana). Da un lato, si afferma in mille modi che l'"intero" non pu pi essere detto, in quanto l'inevitabile proliferare degli specialismi legati alla complessificazione strutturale e sistemica della societ rende possibile "dire" soltanto logiche regionali, frammenti di esperienza, operazionismi particolari. Dall'altro lato, una cosa almeno si continua a dire sull'"intero" (preventivamente spezzettato negli specialismi regionali): che esso , appunto, intrascendibile. Il motto diventa allora: inevitabilit degli specialismi, intrascendibilit dell'intero. Il cerchio viene chiuso, il deserto cresce, scende la calotta d'acciaio. Il marxismo novecentesco  stato anch'esso quasi sempre prigioniero di questa logica, che ha cercato soltanto di rovesciare. Da un lato, l'inevitabilit dell'orizzonte degli specialismi  stato assunto nella forma teleologica della "politicizzazione degli specialismi", assunti cos come erano "dati" (in una apparente, ma ingannevole "neutralit") nella divisione sociale del lavoro. Dall'altro lato, una cosa almeno si .continuava a dire sull'"intero" (che il "partito" ricomponeva mettendo insieme i cocci degli specialismi); che ci voleva un "impegno a cambiarlo". Il motto diventa allora: filosofia dell'engagement, politicizzazione degli specialismi. Come si  visto nella seconda parte di questo scritto, il marxismo novecentesco non poteva nascondere a lungo la debolezza di questo programma, e la sua sostanziale subalternit al ben pi coerente e rigoroso disincanto. borghese. Da un lato, l'atteggiamento soggettivo di "impegno" (la filosofia dell'engagement)  intessuto di visioni mistificate del rapporto fra passato, presente e futuro, in cui la grande narrazione teleologica fa tutt'uno con le utopie sintetiche regressive della conciliazione definitiva delle contraddizioni. In queste condizioni, l'"impegno" non pu essere mantenuto a lungo, ed il "disincanto" (l'abbandono delle credenze ingenue nelle utopie sintetiche) fa praticamente tutt'uno con il "disimpegno". Un impegno che si basa sull'illusione non pu che essere seguito da un disimpegno che si basa sul disincanto. Dall'altro lato, il programma di politicizzazione degli specialismi incontra inevitabili difficolt. La segmentazione e la regionalizzazione del sapere che gli specialismi attuano integralmente (e su cui si basano) non pu essere infatti tinta di rosso, inquanto questa compartimentazione  pienamente incorporata in una divisione sociale e tecnica del lavoro funzionale alla riproduzione dei rapporti sociali capitalistici di produzione. Portare fino in fondo il proprio "specialismo", fare bene il proprio 113 "mestiere", essere stimati dalla comunit accademica degli specialisti (in modo da essere riconosciuti come "uno dei loro", eccetera) fa entrare inevitabilmente in crisi il programma di politicizzazione degli specialismi a partire dallo specifico degli specialismi stessi. La divisione sociale del lavoro che si realizza nel capitalismo permette infatti a gruppi ristretti di filosofi e scienziati di polemizzare contro la presunta "neutralit della scienza", ma non permette certo di intaccare il meccanismo riproduttivo dei rapporti sociali borghesi in cui questa scienza  incorporata. Le trattazioni filosofiche del "pensiero del Novecento" registrano generalmente questa impasse, si accorgono dell'intreccio fra  specialismi tecnocratici e disincanto pessimistico che connota. il pensiero borghese, ambiscono superare il "punto morto" delle concezioni ingenue dell'impegno. E, tuttavia, sgomente di fronte alla -situazione bloccata, ripiegano su un presunto "pensiero debole", capace di "salvare" l'individualit fino ad ora troppo schiacciata dagli "insiemi mistificati" dello Stato, del Partito, della Chiesa, e via via maiuscoleggiando. Alla "crisi" viene tolto ogni carattere sociale, determinato, ontologico, per enfatizzarne, e trasformarla in Krisis, gli aspetti estetici ed esistenzialistici. Vi  qui un punto di grande importanza filosofica. Polemizzare contro la "crisi" in nome del "progresso" (0, peggio ancora, opporre l'ottimismo della volont al pessimismo della ragione) non ha veramente alcun senso. In questo momento, se si affrontano le cose con prospettiva ontologica, vi  crisi, e non certo progresso. Altra cosa  invece trasformare il dato ontologico della crisi in "filosofia esistenzialistico-positivistica della crisi", come sfondo teorico che maschera la propria totale subalternit ai punti alti del pensiero borghese stesso. Pensare filosoficamente il XX Secolo non pu dunque significare la rimozione (o la banalizzazione) di quello che  stato sopra definito il terzo tipo di reazione alle difficolt del marxismo nel Novecento: la connotazione del ventesimo secolo come vicolo cieco e dell'orizzonte capitalistico come unit ontologica di alienazione e di intrascendibilit. Tutti i pensatori di valore del Novecento hanno ovviamente toccato questo punto (lo scrivente non ritiene certo di aver scoperto nulla). Tuttavia, per non perderci nella selva dei nomi, fino a smarrire il problema, occorrer individuare il pensiero che  stato pi coerente e radicale nel tematizzare questa unit ontologica di alienazione ed intrascendibilit, questo nesso che nella sua apparente indeterminatezza  in realt la sola negazione determinata (e fin ora assolutamente vincente) agli sforzi del . marxismo del Novecento. Crediamo di individuare questo pensiero 114 in Martin Heidegger, e non in Max Weber (come ci si potrebbe aspettare) per ragioni che verranno qui telegraficamente esposte. 2. Weber e Heidegger: un confronto necessario fra due radicalit filosofiche Max Weber  stato uno dei pi grandi pensatori della storia contemporanea, ed i panni di "confutatore del marxismo" gli vanno certamente stretti. Studiare Weber per avere alcuni argomenti per "confutare" Marx  forse una delle cose pi stupide che si possano fare nel Novecento (secolo in cui peraltro non mancano possibilit di fare cose molto stupide). Tuttavia, molti libri dedicati al rapporto Weber-Marx sono costruiti proprio su questo impianto, e seguono un copione prevedibile. All'inizio, vi  un "attacco" teorico, che si pone il problema della compatibilit o meno dei modelli ideal-tipici maxweberiani con i concetti marxiani afferenti i modi di produzione. A questo. livello del discorso, una certa "compatibilit" sembra essere possibile, e si tratta solo di vedere fino a che punto la separazione maxweberiana fra produzione e distribuzione possa 'accompagnarsi" alla centralit marxiana dei rapporti sociali di produzione (5). Ben presto, tuttavia, si arriva al dunque, alla "filosofia pratica": Marx avrebbe pensato il modo di produzione capitalistico sotto il segno della trasformabilit, attuando con il concetto di proletariato e soprattutto di comunismo una secolarizzazione della escatologia giudaico-cristiana nel linguaggio dell'economia politica, mentre Max Weber, sobrio erede del disincantamento illuministico del mondo, avrebbe comunicato ai contemporanei l'amara verit della chiusura definitiva, sulle nostre teste, della "calotta d'acciaio" della societ industriale moderna. Con la precisione e la radicalit tipica dei grandi pensatori, Max Weber classifica in effetti due ideal-tipi di "socialista": l'intellettuale, spesso socialmente sradicato e prigioniero di irrealistici sogni palingenetici, quasi sempre ignaro del funzionamento concreto dei meccanismi di riproduzione di una societ complessa e funzionalmente differenziata, che "crede" alla praticabilit concreta degli utopistici sogni marxiani; l'operaio, che  invece ben radicato nella concretezza della produzione, ed , almeno in Europa (ma non in America) naturaliter socialista (e non  perci convincibile con conferenze di sociologia e di economia politica in favore del sistema capitalistico), ma che pu essere tenuto a bada ed addomesticato con una forma di "socialismo di stato" assistenziale compatibile con la societ borghese moderna. In questo modo, in effetti, Max Weber cancella la specificit della 115 critica marxiana dell'economia politica: l'intellettuale vuole la catarsi universale, la realizzazione dell'assoluto e l'utopia sintetica, tutte cose che non si possono ontologicamente avere; l'operaio vuole alti salari, servizi sociali, garanzie sull'occupazione, tutte cose che si possono avere in un capitalismo "socialmente corretto". L'operaio crede di essere marxista, ma  al massimo un ricardian socialist spontaneo; l'intellettuale crede di essere marxista, ma non  che un sognatore romantico in ritardo. E' difficile sottovalutare la forza di questa teoria "disincantata". Essa funziona come forza sociale, ed ha impregnato anche il senso comune non filosofico. A questo proposito, si possono fare alcune interessanti osservazioni sull'atteggiamento che tengono verso Max Weber molti intellettuali. Alcuni, spesso i pi grandi (da Lukcs, fino a Marcuse, Adorno e Habermas), si rendono perfettamente conto del fatto che Weber  alternativo a Marx, e che non si tratta certo di insolentirlo (e tanto meno di ignorarlo) quanto di mettere alio scoperto le radici metafisiche ed irrazionalistiche del suo "disincanto" (che viene spacciato per totalmente razionalistico e realistico"). Essi capiscono bene, per dirla in breve, che si pu certo essere weberiani, ma che  perfettamente possibile essere antiweberiani senza con questo cadere nel ridicolo. Altri, quasi sempre meno grandi, ritengono invece che il weberismo (ed esiste, checch se ne dica, un vero e proprio weberismo ortodosso) sia la conditio sine qua non per pensare la modernit. Come a suo tempo Voltaire pensava che solo un metafisico inguaribile poteva non aderire all'evidenza del pensiero di Locke, cos oggi il volterriano in ritardo pensa che chi non segue Max Weber deve avere qualche tabe metafisica nella testa. : Si pone, allora, un problema che definiremo in breve come quello della apparente "ovviet" del weberismo, del suo presentarsi come "evidenza sistematizzata", che non pu essere seriamente messa in dubbio (e qui il paragone con Locke acquista una particolare pregnanza). Senza affrontare di petto questa apparente evidenza, e questo effetto di "ovviet", ci si perde necessariamente in analisi particolari, spesso utili, ma fuorvianti (6). Gli elementi dell'apparente ovviet del senso comune che. il weberismo ha trasmesso alla visione filosofica del XX secolo sono soprattutto due. In primo luogo, Weber (facendo proprie nell'essenziale alcune tesi di Rickert, ed invece respingendo il "dualismo forte" di Dilthey) rifiuta l'ipotesi che vi sia una differenza qualitativa sostanziale ne modi di intendere le scienze dello spirito rispetto a quello della natura. Varia lo scopo (l'interesse per l'individuale delle une, per il generale delle altre), 116 ma non il metodo. In secondo luogo, Weber restaura su di un altro piano il dualismo metodologico (negato in via di principio) fra le scienze storico-sociali caratterizzate in senso "convenzionalistico" (convenzionalismo dei punti di vista a partire dai quali si effettua la dotazione di senso) e "probabilistico" (si vedano i concetti di "possibilit oggettiva" e di '"causazione adeguata") e le scienze naturali (in cui invece i rapporti causali sono espressi in termini legali-ogni volta che X allora Y) (7). E' aperta cos la porta per una separazione strutturale fra filosofia, scienze sociali e scienze della natura, con due conseguenze teoriche di fondo. In primo luogo, in Weber l'unica categoria filosofica "forte" rimane quella della "scelta di valore" (che si attua all'interno di un Olimpo ppoliteistico di valori irrelati, metafora nichilistica per indicare la pi radicale negazione di ogni ontologia), ed essa si rivela poi tanto "debole" da non poter resistere alla post-weberiana critica alla "metafisica" di tipo neopositivistico. La filosofia  dunque delegittimata, e pu soltanto pi condurre un'esistenza larvale come metodologia critica delle scienze sociali (8). In secondo luogo, in Weber si ha una specifica (e curiosa) cecit del fatto che il probabilismo ed il convenzionalismo nascono proprio nell'ambito delle scienze della natura (si pensi alla cosiddetta "crisi dei fondamenti"), e solo dopo vengono "travasati" nel campo delle scienze sociali. Quando si  in presenza di un fatto di tale importanza non si pu pensare ad una "svista" da parte di un uomo acuto, colto ed informato come Max Weber, ma  pi realistico congetturare che si tratti di una dimenticanza filosoficamente voluta: la dimensione ontologica, negata ai processi sociali, viene invece attribuita ai processi naturali negando addirittura il probabilismo ed il convenzionalismo come elementi di indebolimento di questa stessa "ontologia ingenua". Un pezzo di mondo, dunque, quello delle scienze naturali, si basa su una ontologia ingenua e rassicurante, che sar l'anticamera del postweberiano uso della scienza come ideologia di legittimazione del potere politico. Un altro pezzo di mondo, quello delle scienze sociali, deve rinunciare all'inutile fondazione ontologica, ma conserva un impianto "scientifico" flessibile, caratterizzato dal corvenzionalismo e dal probabilismo. Un terzo pezzo di mondo, infine, quello della filosofia, vede impallidire la sua consistenza (integralmente de-ontologizzata e pienamente in-fondata) nel destino inesorabile di avere come unico oggetto il "disincanto". La "radicalit filosofica" di Max Weber ci sembra dunque pi apparente che reale: il mondo della natura  intrascendibile, 117 perch in esso si danno legalit ontologicamente ferree; il mondo della societ  invece trascendibile nella sfera della coscienza, ma diviene ontologicamente intrascendibile una volta che si sia compiuta la complessificazione capitalistica della razionalizzazione di tutti gli ambiti di vita; il sentimento di disagio e di alienazione  un destino esistenziale inevitabile in questa situazione sociale, ma esso non ha alcuna rilevanza ontologica; la filosofia, infine, non pu che ripetere all'infinito questa constatazione, ed  questo l'ultimo "universale" che le sia rimasto, a razionalizzazione compiuta. Ne consegue uno 'spezzettamento teorico del mondo", che  la premessa logico-storica per la manipolazione "artificialistica" (concettualmente neopositivistica, filosoficamente esistenzialistica, e strutturalmente anti-ontologica) del mondo sociale, necessaria ad un capitalismo che aveva perduto ogni fiducia nella riproduzione "automatica" della sua pseudonaturalit (9). La "radicalit filosofica" di Martin Heidegger ci sembra invece (nel paragone con Max Weber) del tutto reale e conseguente. Come cercheremo sommariamente di argomentare, essa presenta alcune caratteristiche "monistiche" che ne fanno il vero oppositore radicale al materialismo storico in questo secolo. In primo luogo, Heidegger riesce a pensare insieme, in ferrea unit metodologica, le tre componenti che Weber aveva "spezzettato": filosofia, scienze della natura, e scienze sociali. In secondo luogo (sulla base di questa ferrea unit metodologica) Heidegger riesce a pensare in modo "forte" la sua tesi "metafisica" fondamentale, l'unit di alienazione e di intrascendibilit del mondo contemporaneo (in Weber, invece, solo l'intrascendibilit  pensata, in senso debole, come ontologica, mentre l'alienazione  resecata da ogni fondamento strutturale e consegnata al mondo psicologico della claustrofobia per chiusura di "calotta d'acciaio"). In terzo luogo, Heidegger riesce a svolgere questa sua tesi forte prima in una formulazione "semplice" (sotto il dominio della categoria di "soggetto") e poi in una formulazione pi complessa ed impersonale (in cui la categoria di "soggetto" non  pi presupposta ma  subordinata integralmente alla sua genesi ontologica). Se Heidegger avesse ragione, il progetto marxiano di critica "pratica" dell'economia politica diventerebbe realmente "ontologicamente impossibile". Una critica marxista ad Heidegger (come quella che qui tentiamo, sia pure in modo ancora incerto)  dunque necessaria, ed improcrastinabile. Essa deve per avere almeno due caratteristiche: il primo luogo, deve riconoscere senza vergogna la superiorit teoretica del rigoroso monismo metodologico di Heidegger sulla maggior parte dei pensatori del Novecento; in secondo luogo, deve concentrare i suoi attacchi ed 118 DI il suo rifiuto soltanto dove il suo rifiuto  materialisticamente giustificato (nel caso del nostro discorso, la nozione segretamente storicistica. del concetto heideggeriano di temporalit, cui Bloch oppone un multiversum assai pi "materialistico"). Tuttavia, prima di iniziare questo discorso, vi  ancora un ultimo problema, attinente al "fuoco di sbarramento" che le interpretazioni italiane di Heidegger hanno aperto, da almeno vent'anni, contro questa prospettiva. Svolgeremo allora una breve indagine sulla "letteratura filosofica" secondaria su Heidegger, senza la pretesa di . farne una rassegna critica esauriente, ma con lo scopo limitato di mostrare chiaramente al lettore come il modo di considerare filosoficamente il rapporto fra Heidegger e Marx che viene qui proposto si contrapponga (su quasi tutti i punti teoricamente rilevanti) alla maggior parte delle "coniugazioni" Marx-Heidegger consuete in Italia oggi. 3. Marx e Heidegger in Italia: storia di un mancato incontro Il panorama filosofico italiano a proposito di Heidegger presenta due interessanti caratteristiche: da un lato, diffusione relativamente precoce della problematica heideggeriana, traduzioni di ottimo livello, letteratura secondaria ampia e ricca di analisi e di informazioni; dall'altro lato, assenza pressoch totale di un vero confronto Marx-Heidegger, che avvenga sul terreno radicale dell'interpretazione ontologico-sociale del destino del modo di produzione capitalistico (comunque metaforizzato). Un' (apparente) contraddizione di questo tipo non pu ovviamente essere del tutto casuale. Essendosi il marxismo italiano sviluppato sotto il segno dello storicismo, non vi sono neppure le condizioni minime (di comunicabilit linguistica) per far interagire proficuamente e produttivamente due problematiche che sembrano a prima vista assolutamente eterogenee: Marx, visto storicisticamente come l'assertore della positivit dell'accumulazione lineare del tempo storico che prepara via via le condizioni per le "magnifiche sorti e progressive" del superamento dell'arretratezza, non pu effettivamente avere nulla in comune con Heidegger, visto esistenzialisticamente come negatore del "senso" oggettivo della storia al di l della determinatezza del vivere-per-la-morte del singolo individuo. Un simile " dialogo filosofico" si degrada inevitabilmente in una (poco divertente) commedia degli equivoci. Elencheremo sommariamente qui alcuni di questi equivoci. In primo luogo, appare francamente poco utile (ed  poco pi di una semplice esorcizzazione verbale) mettere in guardia dallo 119 studiare la problematica filosofica heideggeriana accampando il pretesto di un presunto "Heidegger nazista". Non possiamo qui (per ragioni di spazio) discutere tutti i problemi storiografici sulla collocazione di Heidegger durante la crisi della repubblica di Weimar (1929-1933), sulla adesione di Heidegger alla "presa del potere" da parte di Hitler (1933-1934), e soprattutto sull'evidente ed ormai pienamente dimostrato allontanamento e presa di distanza di Heidegger rispetto al regime nazista (1934-1945). Il fatto che Heidegger non fu mai un pensatore "organico" del nazionalsocialismo, e che non pu neppure essere seriamente considerato un suo "apologeta indiretto", pu essere ormai dato come dimostrato dalla storiografia filosofica; ancora aperto  invece il problema della appartenenza (o meno) di Heidegger a quella corrente di pensiero, tipicamente tedesca, che viene generalmente definita della "rivoluzione conservatrice", e che trova in Ernst Junger e soprattutto in Moeller van den Bruck due esponenti di rilievo. La sostanziale mancanza, in Heidegger, di elementi teoretici organicistici" (massicciamente presenti nel pensiero tedesco rivoluzionario-conservatore) ci porterebbe per ad escludere anche questa seconda (effettivamente pi plausibile) appartenenza (10). In secondo luogo, appare fuorviante anche l'indicazione filosofica (autorevolmente sostenuta da Jurgen Habermas) che vede in Heidegger una sorta di "vecchio conservatore", nostalgicamente attaccato all'unit premoderna degli ambiti (modernamente differenziati) della scienza, dell'arte e della morale. Habermas, impegnato in una battaglia (che lo scrivente condivide integralmente, e vorrebbe anzi ulteriormente radicalizzare) contro il cosiddetto "post-moderno", finisce con l'assimilare Heidegger a posizioni che non hanno nulla a che fare con il suo pensiero, incasellandolo in una tipologia di varianti del pensiero anti-moderno come "pensiero conservatore": i giovani-conservatori, i vecchi-conservatori, ed infine i neo-conservatori. Qui Habermas, oltre a scambiare Heidegger per un "organicista" nostalgico della totalit misticament vissuta, ripropone conseguentemente una forma di weberismo aggiornato agli anni 80 (e questo , ovviamente, un suo diritto) (11). In terzo luogo, e soprattutto, appare ancora pi fuorviante la lettura di Heidegger come pensatore esistenzialista. Si tratta di un equivoco estremamente interessante, se si pensa che questa lettura fu tipica di uno dei massimi conoscitori di Heidegger in Italia, il filosofo piemontese Pietro Chiodi, il quale sapeva perfettamente che Heidegger respingeva decisamente l'interpretazione del suo pensiero come "esistenzialistico" (e considerava questa 120 interpretazione come il fraintendimento massimo, il pi imperdonabile e fuorviante), e pure non teneva coscientemente nessun conto di questo esplicito atteggiamento heideggeriano. Evidentemente, la lettura di Essere e Tempo come di una sorta di manuale esistenzialistico per l'impegno ed il rischio, contro l'anonimit ed i compromessi della vita quotidiana, banale e troppo spesso inautentica, era un fatto storicamente quasi obbligato per una generazione di intellettuali provenienti dall'antifascismo e dalla resistenza e portati a metaforizzare questi ultimi come. "autenticit" contrapposta alla "inautenticit" del fascismo e del collaborazionismo. Non ha dunque molto senso polemizzare contro la lettura "esistenzialistica" di Heidegger, cos come non avrebbe senso polemizzare contro l'operazione di Tommaso volta a fare di Aristotele un pensatore naturaliter cristiano. Si tratta di un episodio storico, che bisogna prima comprendere, per poi potersene congedare, in modo rispettoso, ma anche irreversibile (12). In quarto luogo, appaiono improduttivi gli inviti a leggere Heidegger in chiave soprattutto ermeneutica". Il pensiero heideggeriano  infatti, in senso forte una ontologia (ed anzi un'ontologia decisamente storica e sociale, sia pure metaforizzata linguisticamente in forma differenzialistica e destinale), e non certo un'ermeneutica; esso da luogo ad una "pratica filosofica" di tipo ermeneutico, ma questa peculiare "pratica teorica" non deve essere scambiata per una "filosofia dell'interpretazione" (che, appunto, esiste, ma  altra cosa). Se fuorviante appare la tendenza a schiacciare Heidegger su Gadamer (che  invece veramente un ermeneuta, nel senso pi pieno ed autentico del termine), ancora pi fuorviante, e del tutto infondato,  il far diventare Heidegger un pensatore compatibile con una sorta di "ermeneutica del nichilismo" che ha avuto recentemente un certo successo nel panorama filosofico italiano contemporaneo. Si istituisce infatti un rapporto di continuit tematica (del tutto inesistente) fra la radicale critica nietzschiana dei "valori" platonico-cristiani, inverati nella societ borghese contemporanea, ed il congedo heideggeriano dal pensiero metafisico (quando in realt Heidegger  stato un pensatore radicalmente anti-nietzschiano, ancora  pi anti-nietzschiano di quanto lo  stato il Lukcs della Distruzione della Ragione); la critica nicciana dei valori morali, sommata alla critica heideggeriana della metafisica, finisce con il legittimare una sorta di "sfondamento ontologico permanente", che diventa paradossalmente una ermeneutica del nulla. Tuttavia, (cos come non ci si deve stupire delle letture esistenzialistiche del pensatore meno esistenzialista che ci sia) non bisogna stupirsi troppo di una 121 lettura nichilistica applicata al pensatore meno nichilista che vi sia; il doppio crollo della credibilit (in senso forte) del pensiero laico-borghese, da un lato, e del pensiero storicista-marxista, dall'altro, ha creato una congiunturale, storica situazione di "delegittimazione teoretica dell'esistente", che si metaforizza filosoficamente in un innocuo, conformistico nichilismo metodologico, perfettamente compatibile con l'accettazione della riproduzione dei rapporti sociali borghesi (13). In quinto luogo, appare del tutto infondata la tendenza a leggere il pensiero di Heidegger come una sorta di "legittimazione teorica del primato fondativo della prassi politica". La trasformazione dell'ontologia differenzialistica heideggeriana in una teoria dell'azione costruita sul modello dell'attualismo gentiliano (travestito-goffamente-da "autonomia del politico") poteva avvenire soltanto in Italia, cio in una situazione geograficamente e storicamente caratterizzata dalla continuit sotterranea del dominio del pensiero gentiliano, idealistico-soggettivo, da un lato, e dalla decadenza irreversibile dello storicismo marxista, dall'altro. La "sinergia" di questi due processi (largamente inconsapevoli l'uno dell'altro) ha caratterizzato gli anni '70 in Italia, e non pu essere compresa senza fare riferimento alla dissoluzione dell'operaismo teorico in una forma di machiavellismo di seconda categoria. Avendo Heidegger (secondo questa tendenza) dimostrato che dell'Essere come tale non  pi Nulla, l'azione politica diventa il centro archimedico, svincolato da qualsivoglia limite ontologico-sociale, dell'agire umano nel Cosmo (un cosmo, ovviamente, senza pi "centro") (14). In sesto luogo, infine, occorre evitare la via, invitante ma scivolosa, delle troppo facili conciliazioni fra Heidegger e Marx. Le apparenti somiglianze fra la critica heideggeriana del mondo "mederno" ed altre, analoghe critiche, possono infatti trarre in inganno e legittimare letture "concordistiche, pi attente a classificare facili analogie che a riconoscere differenze radicali di metodo e di oggetto (15). Non basta, infatti, individuare Heidegger e Marx come i pensatori che pi radicalmente hanno cercato di pensare il carattere "planetario" della tecnica moderna facendone l'oggetto privilegiato del loro pensiero:  questa una condizione necessaria, ma non sufficiente per pensare radicalmente il rapporto fra Heidegger e Marx. Se si vede questo rapporto "dalla parte dell'oggetto" (ipostatizzando, cio, l'oggetto) si  portati a pensare che Marx e Heidegger abbiano una nozione di tecnica come fatalit destinale che si impone con l'inesorabilit di un processo naturale, e si tratti perci di imparare ad "ascoltarla", a "fruirne", a 122 "cogliere l'occasione" che essa ci d per uscire dal circolo vizioso della "ripetizione" dell'agire metafisico. Se si vede questo rapporto "dalla parte del soggetto" (ipostatizzando, cio, il soggetto), si  portati a pensare che la produzione, storicamente specificata come capitalistica, operi la crisi del soggetto; la perdita dell'Essere viene cos interpretata come perdita del "soggetto", distrutto dalla sottomissione reale del lavoro al capitale e violentato dalla Tecnica. In entrambi i casi ogni rapporto produttivo fra Heidegger e Marx  reso impossibile da questo doppio mito dell'Origine, di un Essere Pieno, mano a mano perduto nell'inesorabile precipitare della civilt occidentale verso il Tramonto, da un lato, oppure di un Soggetto Pieno,distrutto progressivamente dal dispiegarsi del "Capitale" come astrazione reale, produttrice di effetti '"oggettivanti", dall'altro (16). Non aggiungeremo qui altre "letture heideggeriane che riteniamo fortemente fuorvianti. Lo stesso aggettivo "fuorviante"  del resto poco heideggeriano (Heidegger pensa infatti la pratica filosofica come un sentiero che penetra nel bosco, permettendo di trarne legna per scaldarsi, e non come un itinerario da percorrere in modo turistico o commerciale). Volevamo qui percorrere un nostro sentiero filosofico, e si dovevano togliere gli ostacoli dalla strada. Un ultimo ostacolo deve forse essere ancora tolto: l'interminabile discussione sulla cosiddetta Kehre del pensiero heideggeriano,e sul quando e dove situarla (Kehre significa "svolta", e ci si chiede se Heidegger abbia realmente "svoltato" da una prima posizione, etichettabile come esistenzialistica, o comunque soggettivistica, ad una seconda posizione, di tipo antisoggettivistico dichiarato, definibile come "ontologica"). Si tratta di un problema interpretativo serio, degno di analisi filologica e di riflessione: tuttavia essendo la nostra ottica molto "orientata" sul rapporto diagnosi heideggeriana/crisi del materialismo storico (un punto di vista assai preciso e determinato), interpreteremo la Kehre non come "svolta", ma come radicalizzazione ed approfondimento di un unico itinerario filosofico: la tematizzazione della inscindibile unit di alienazione e di intrascendibilit del mondo storico-sociale contemporaneo, visto sotto l'aspetto rigorosamente ontologico. Gi in Essere e tempo Heidegger pensa infatti l'impersonalit strutturale della esistenza dei singoli nel capitalismo come una categoria ontologica (e pertanto non come un "esistenziale"), lasciando per spazio linguisticamente a possibili fraintendimenti esistenzialistici; sviluppando il suo pensiero l'impersonalit strutturale del mondo contemporaneo pertiene sempre di pi alla societ come tale, e sempre meno al soggetto. Qui, e solo qui,  123 il luogo filosofico dell'incontro con la marxiana critica dell'economia politica, che non ha anch'essa nulla a che vedere con le grandi narrazioni edificanti del soggetto olisticamente collettivo (17). 4, L'analisi heideggeriana del presente: un dispositivo di inversione L'analisi heideggeriana  stata correttamente definita da uno studioso tedesco come unit sistematica fra critica della conoscenza e critica della societ. La critica heideggeriana della conoscenza non d per luogo ad una variante del neocriticismo n tanto meno della epistemologia, ma assume la forma strutturale della "scepsi", cio della messa fra parentesi dell'apparenza "positiva" del mondo (l'atteggiamento  ontologico, mentre il linguaggio con cui la "scepsi" viene articolata presenta tracce fenomenologiche ed ermeneutiche) per rintracciare le condizioni ontologiche che determinano questa apparenza "positiva" stessa. La critica heideggeriana della societ non d luogo ad una "teoria critica" basata su di un uso sistematico della "dialettica negativa", ma si fonda monisticamente sopra un principio semplicissimo ed apparentemente molto povero (a prima vista) (18). Questo principio inverte e soprattutto mina alle fondamenta il presupposto (quasi sempre implicito, e considerato troppo ovvio per necessitare una dimostrazione) dell'umanesimo occidentale, cio il rapporto soggetto-oggetto. Questo rapporto, come  noto, viene generalmente concepito in due varianti: quella idealistica, per la quale il soggetto produce l'oggetto, in condizioni particolari; quella realistico-materialistica, per la quale il soggetto riflette l'oggetto, in condizioni particolari. Le due varianti sono certo basate su differenze molto importanti, e la discussione di queste differenze ha prodotto una letteratura filosofica vastissima e spesso di grande valore: il razionalismo (che si basa sulla riflessione dialogica di secondo grado fondata sulla distinzione fra soggetto ed oggetto) ed il misticismo (che si basa sulla intuizione muta di primo grado fondata sulla indistinzione fra soggetto ed oggetto) fanno entrambi parte di questa costellazione, in quanto varianti antitetico-polari dell'isolamento metodologico delle categorie autonomizzate di soggetto e di oggetto (19). Invertire questo approccio  molto difficile, in quanto quest'ultimo ha alle spalle la forza d'inerzia del linguaggio (ed infatti Heidegger ha giustamente sottoposto il linguaggio a torsioni inaudite, erroneamente scambiate per "gergo della autenticit" e tentativo di stupire il lettore, o meglio l'ascoltatore):  difficile 124 "far parlare l'impersonale", in quanto  pur sempre un soggetto particolare che tenta di usare il linguaggio consueto per piegarlo in una direzione contraria, la "voce dell'Essere" (20). Per pi di quarant'anni Martin Heidegger ha cercato di pensare una cosa sola, un apparente paradosso che va contro le collaudate certezze apparenti del senso comune: quanto pi si pensa la realt sociale sotto il dominio della categoria di soggetto (o peggio, di attivit di un soggetto), tanto pi allora l'oggetto che necessariamente gli si contrappone appare dominato da una sempre maggiore immodificabilit. Vi sono, certo, evidenti similitudini con il pensiero orientale, indiano e soprattutto cinese: anche nel taocismo cinese classico l'attivit  pensata sotto il segno della totale incapacit a modificare. Queste similitudini portano per fuori strada. Il pensiero heideggeriano  un pensiero radicalmente occidentale, e non ha nulla a che vedere con le "acclimatazioni" affrettate di filosofie "orientali", nate in contesti storici molto differenti. Heidegger ha cominciato molto presto a cercare di dar voce alla impersonalit ontologicamente promanante dal mondo moderno, e non vi  in proposito che da leggere Essere e Tempo (21). L'impostazione heideggeriana del problema dell'Essere esclude pregiudizialmente la "descrizione" di questo Essere come qualcosa che "ci stia davanti".Occorre passare attraverso una sorta di analitica esistenziale, che parta dall'essere-nel-mondo come unico spazio (teorico e pratico) in cui pu avvenire la dialettica fra impersonalit strutturale e personalizzazione esistenziale dell'esperienza di questa impersonalit. Occorre notare subito che non si  davanti ad un "manuale di esistenzialismo autentico", ma ad una semplice "mossa filosofica" per entrare in rapporto con l'Essere (il quale non si d comunque se non nella forma specifica dell'Esserci, cos come - per fare un'analogia geymonattiana - la verit assoluta non si d se non nella forma della verit relativa). E' interessante osservare che le tre determinazioni essenziali dell'impersonalit necessariamente inautentica del mondo analizzate da Heidegger (la chiacchiera - Gerede -, la curiosit - Neugier -, l'equivoco- Zweideutigkeit -) non sono affatto meri "esistenziali" astorici e fuori dallo spazio-tempo, e non sono neppure caratteristiche psicologiche della frenetica vita berlinese e pi in generale metropolitana viste da un campagnolo radicato nel suo villaggio, ma rappresentano caratteristiche ontologico-sociali del decadimento della "sfera pubblica borghese" nel XX secolo (22). In Essere e Tempo la critica all'inautenticit impersonale del mondo moderno  ancora fatta sotto una forma linguistica che L25 "promette" illusoriamente l'apertura di spazi di autenticit" (l'assumere su di s il proprio destino, il vivere-per-la-morte, il superamento della coscienza volgare" con la decisione anticipatrice). Non  dunque casuale che si sia potuto costruire, proprio sulla base di Essere e Tempo, un'incredibile filosofia della "possibilit" esistenziale del superamento, almeno parziale, della vita inautentica del mondo moderno. Heidegger prende invece un'altra strada. Dopo Essere e Tempo radicalizza ulteriormente l'analisi ontologico-sociale dell'impersonalit strutturale del mondo moderno. In questo periodo si colloca il suo interessante dissidio con Ernst Junger, che  tuttora di straordinario significato filosofico: entrambi assumono la Tecnica moderna come "destino" dell'uomo contemporaneo, ma soltanto Junger ritiene che si possa andare "oltre la linea" stabilita da essa per mezzo di una decisione esistenzialmente rischiosa e di una serie di esperienze fisico-psichiche personali. Si pu dire che Junger abbia veramente esistenzializzato Essere e Tempo nel modo pi coerente ed anche pi suggestivo: la solidariet antitetico-polare fra un massimo di personalizzazione esistenzialistica dell'esperienza ed un massimo di accettazione fatalistico-destinale dell'involucro "tecnico" del mondo moderno  in Junger massima (ed  questo, forse, il motivo pi profondo dell'attuale revival jungeriano, che coincide con il massimo di rifiuto per una prospettiva di tipo ontologico-sociale) (23). Heidegger sa invece che "oltre la linea" non si pu andare, enfatizzando il primato della volont-della-volont come sostituto delle vecchie metafisiche onto-teo-logiche ormai tramontate. E' questo, non a caso, il periodo del suo studio di Nietzsche, considerato idealtipicamente e paradigmaticamente come l'esito inevitabile ed il coronamento del tentativo di andare "oltre la linea" con la mera decisione anticipatrice dell'impegno personale (24). Nella Lettera sull'umanesimo il rifiuto del trascendimento soggettivistico del destino storico _in nome della decisione anticipatrice (nutrita quasi sempre di uno sciagurato pathos dell'autenticit) assume finalmente una forma espressiva di cristallina chiarezza. Vi sono, certo, delle "esperienze" alle spalie della Lettera sull'umanesimo: la guerra mondiale, che aveva travolto la Germania insieme con il regime hitleriano, ed i prodromi della guerra fredda fra Usa ed Urss, viste sempre da Heidegger come portatrici di una cultura storico-politica intimamente solidale (l'americanismo ed il comunismo come varianti dell'inveramento tecnico della metafisica) (25). 126 Heidegger si avvicina al marxismo con un movimento di pensiero che sembra avere due tempi. In primo luogo, secondo Heidegger "Marx, in quanto esperisce l'alienazione, raggiunge una dimensione essenziale della storia:  perci che la concezione marxista della storia si pone al di sopra di ogni altro "storiografismo" (Historie)". Si tratta di un "riconoscimento" fatto da Heidegger a Marx che non ha nulla a che vedere con il pallido giovane-marxismo (che contrappone un'interpretazione umanistico-esistenzialistica della alienazione, attribuita al giovane Marx, al Marx del Capitale), in quanto concede al pensiero di Marx di essere stato un pensiero ontologico, che verte sull'Essere nella sua dimensione storica. In secondo luogo, Heidegger sostiene che " necessario che ci si liberi dalle ingenue rappresentazioni relative al materialismo e dalle critiche superficiali che dovrebbero colpirlo. L'essenza del materialismo non sta nell'affermazione che tutto  pura materi, ma piuttosto in una determinazione metafisica, secondo cui tutto l'essente appare come materiale del lavoro. L'essenza moderna e metafisica del lavoro  anticipata nella Fenomenologia dello Spirito di Hegel come il processo auto-organizzantesi della produzione incondizionata, cio come l'oggettivazione del reale da parte dell'uomo inteso come soggettivit". Il materialismo del lavoro, secondo Heidegger,  tipico sia del nazionalismo che dell'internazionalismo: "Ogni nazionalismo  metafisicamente antropologismo e come tale soggettivismo. Esso non  superato mediante il semplice internazionalismo; anzi mediante questo si estende e si eleva a sistema. Il nazionalismo non viene in tale modo innalzato e superato nell'humanitas, cos come l'individualismo non  superato mediante un collettivismo privo di storia. Il collettivismo  la soggettivit dell'uomo posta a livello della totalit. Esso porta a compimento la sua incondizionata autoaffermazione. Questa non si lascia eliminare; non solo: un pensiero che ne media solo un aspetto non  neanche in grado di esperirla in modo sufficiente. Dappertutto l'uomo, esiliato dalla verit dell'Essere, gira su se stesso come animal rationale". Qui Heidegger (il quale, del tutto en passant, coglie due aspetti essenziali dello stalinismo storico, il suo nazionalismo grande-russo travestito da internazionalismo e la sua enfasi sul lavoro stachanovizzato e di potenza "illimitata") coglie acutamente, meglio di centinaia di inutili tomi sul marxismo teorico apologeticamente ricostruito, come "il processo auto-organizzantesi della produzione incondizionata, cio l'oggettivazione del reale da parte dell'uomo inteso come soggettivit" sia la struttura portante del materialismo storico (concepito in senso grande-narrativo) e del materialismo 127 dialettico (concepito in senso deterministico-naturalistico, ove la natura sia antropomorfizzata e pertanto dotata di un teleologismo dialetticamente espressivo). Inoltre, Heidegger non pensa neppure che. tutto questo sia stato un "errore d'interpretazione", correggibile mediante l'affinamento della critica testuale e della marxologia filologica, ma colloca l'intera nozione soggettivistica di materialismo in una serie storica geneticamente indagata (in linguaggio marxista, la falsa coscienza  innanzitutto coscienza necessariamente falsa). L'acuta valutazione heideggeriana del marxismo novecentesco contenuta nella Lettera sull'Umanesimo  integrata dalla analisi metaforizzata del capitalismo occidentale contemporaneo contenuta nel testo L'Epoca dell'immagine del mondo. Le cinque manifestazioni essenziali del mondo moderno (il mondo della metafisica) indicate da Heidegger sono tutte determinazioni ontologiche dell'Esserci capitalistico contemporaneo: la scienza matematica della natura, che si pensa soggettivisticamente come "precedente" e come fondativa del mondo moderno, e che  in realt seconda; la tecnica meccanica, che viene pensata come "derivata" dalla scienza matematica della natura, e che in realt la precede sul piano logico e storico; la riconduzione dell'arte nell'orizzonte dell'estetica, riflessione dell'arte su se stessa e quindi sua estinzione; la trasformazione della cultura in politica culturale; la sdivinizzazione che, in quanto stato di indecisione rispetto a Dio ed agli Dei, ha riempito ci che aveva prima svuotato con la ricerca storiografica e psicologica sul mito. Anche qui, solo uno sciocco pu parlare di "critica romantica della scienza": la specificit, storicamente determinata, del capitalismo contemporaneo  fotografata con una tale vivezza di colori da far risultare "sfuocate" le tanto apprezzate fotografie weberiane (26). Apparentemente, Heidegger non parla di ci di cui i marxisti vorrebbero parlare. Tuttavia, proprio dove, Heidegger sembra a prima vista pi lontano dall'approccio ontologico-sociale di Lukcs (l'uno, che mette in guardia dalle illusioni di padroneggiare gli esiti dei progetti finalisticamente orientati al "dominio" su qualcosa; l'altro, che limita .ferreamente alla "forma" dell'agire lavorativo, teleologicamente orientato, la propriet di raggiungere uno scopo) mette in guardia in realt contro la stessa cosa: l'illusione soggettivistica, ontologicamente s-fondata, e perci pretestuosamente autofondativa, di uscire dalla durezza della costituzione. materiale del modo di produzione capitalistico, segretamente impersonale e perci del tutto impermeabile ad una serie di "decisioni soggettive". Oggi sappiamo che la problematica 128 della sostituzione della propriet giuridica pubblica alla propriet giuridica privata dei mezzi di produzione, e la problematica della sostituzione del piano al mercato (per vincere la cosiddetta "anarchia della produzione capitalistica") ha continuato a far girare su se stesso l'uomo come animal rationale. (27). Resta il fatto che, se la diagnosi antisoggettivistica  comune ad Heidegger ed ai marxisti orientati in senso ontologico-sociale (come lo scrivente), diverse sono le prospettive di prognosi: in Heidegger (che lo disse anche esplicitamente), solo un Dio pu ancora salvarci (in altre parole, un intervento, per ora imprevedibile, esterno al continuum storico che rappresenta se stesso con una immagine del mondo umanistico-scientifica); in Lukcs, il ritorno ad una concezione ontologico-sociale del processo storico  dichiarata possibile e praticabile senza alcun intervento divino, ma per opera degli individui associati, ove per questi individui sappiano costituirsi in particolarit" di tipo nuovo, recidendo il cordone ombelicale con la pura singolarit seriale. Il problema, qui, non  certo quello di fare scommesse ottimistiche o dichiarazioni sapienzialmente pessimistiche (si tratterebbe comunque di "opinioni" ontologicamente poco fondate). E' invece utile chiederci in che modo Heidegger giunge al disincanto della frase terribile: "solo un Dio pu ancora salvarci". Egli vi giunge dopo aver attivato un dispositivo ferreamente teleologico di lettura dell'esperienza occidentale, che pu essere interessante ripercorrere brevemente (28). 5. L'analisi heideggeriana del passato: un dispositivo teleologico _ In Heidegger, la storia precipita destinalmente nel tempo presente, dopo aver percorso una serie di tappe, tutte ricostruibili alla luce del presente tramonto dell'Occidente. E' gi stato rilevato (e non  certo difficile accorgersene) che Heidegger, in un certo senso, rovescia il percorso della Fenomenologia dello spirito di Hegel. 1In Hegel lo Spirito, anch'esso superpersonale e sempre ontologicamente organizzato, percorreva una serie di tappe concepite come un fondamentale "accrescimento dell'esperienza storica": il processo era ferreamente imputato alla sostanza concepita come soggetto, ed in questo modo la titolarit dell'esperienza era garantita. Heidegger rovescia l'imputazione soggettiva dell'accrescimento dell'esperienza in perdita progressiva dell'Essere causata dall'ipertrofia del soggetto stesso. A parere dello scrivente dopo tante chiacchiere sul "rovesciamento" di Hegel da parte di Marx, il primo, autentico, "rovesciatore" di Hegel  stato 129 Heidegger, e soltanto Heidegger. Si tratta, inoltre, di un rovesciamento integralmente materialistico di Hegel, in quanto si prende materialisticamente atto di centocinquant'anni di storia post-hegeliana. In Heidegger la "differenza ontologica" gioca lo stesso ruolo conoscitivo che in Hegel giocava la "determinazione riflessiva", ed il fatto che la prima si pensi come determinazione non dialettica non riveste una grande importanza. In generale,  possibile dire che l'insistenza sulla contrapposizione polare fra dialettica e differenza  un artificio gnoseologico stupidamente post-moderno, in quanto da Hegel a Heidegger lo "scivolamento" progressivo della determinazione dialettica in determinazione differenziale rivela piuttosto, nel rarefatto mondo della terminologia filosofica, l'aumento della "durezza" impersonale (ed imperforabile all'attivit) della riproduzione dei rapporti sociali capitalistici (29). Heidegger, come  noto,  un acuto commentatore dei presocratici. Egli si tiene lontano sia dal marxismo razionalistico applicato all'antichit (si pensi a Farrington), sia dal sapienzialismo di derivazione nicciana (evidente anche in acutissimi interpreti come Colli), sia, infine, dal materialismo genetico-dialettico (si pensi a Thomson ed a Sohn-Rethel). E' sufficiente, per Heidegger, che risulti chiara, nei presocratici, l'assenza di una vera dicotomia articolata sulla distinzione fra soggetto ed oggetto, radice del destino metafisico dell'Essere (30). Anche l'analisi heideggeriana di Platone e di Aristotele  estremamente radicale, nella sua semplicit. Non vi  in lui quasi traccia di analisi di sociologia storica (o di antropologia storica, luogo in cui il multiversum del possibile decorso temporale potrebbe meglio apparire). Platone compie l'atto originario, geneticamente fondativo (e sappiamo che l dove c' l'origine, l c' anche la fine, l dove c' Platone, c' gi, fin da subito anche Nietzsche): la conversione della aletheia in orthotes, della verit come modalit di apparizione e di disvelamento dell'Essere in verit come modalit di rappresentazione "giusta" di un soggetto. Da questo punto, il destino inesorabile dell'Occidente  gi integralmente predeterminato: da Aristotele a Cartesio, da Kant a Nietzsche, il tempo del destino, originario quanto fatale, segna l'approfondimento del. dominio impersonalmente metafisico sul mondo. Non possiamo qui. soffermarci sulla (spesso acutissima) interpretazione heideggeriana dei vari autori (anche qui, un esame comparativo con le hegeliane Lezioni sulla Storia della Filosofia sarebbe utilissimo; ogni autore, apparentemente ultrapersonalizzato,  in realt inserito in un continuum temporalmente omogeneizzato funzionale alla tesi predeterminata in anticipo dall'autore) (31). 130 Si tratta, dunque, di un dispositivo integralmente teleologico: il passato  ricostruito come visibilit filmica della precipitazione di un grave in un punto, in un tempo integralmente spazializzato. La trattazione heideggeriana del presente, come unit di alienazione compiuta e di impossibile trascendimento (solo un Dio pu ancora salvarci),  legittimata (secondo i pi vieti canoni storicistici) da una lettura unilineare del tempo storico, che trascura ogni possibile "uscita laterale" e, pi in generale, ogni possibile "padroneggiamento della prassi". Meglio questo, certo, della pappa umanistica e storicistica delle "magnifiche sorti e progressive". Tuttavia, non si  in presenza di un'alternativa teorica di nessun genere. 6. Weber, Heidegger, Marx: un confronto produttivo ancora tutto da compiere Se non esiste una vera alternativa teorica convincente alla (pur grandemente difettosa) filosofia del materialismo storico, non esiste tuttavia neppure una possibilit immediata, da parte di quest'ultima, di giungere ad una praticabile sintesi di conoscenza del mondo e di trasformabilit di quest'ultimo. Un confronto produttivo fra Weber, Heidegger e Marx sarebbe certo utilissimo, ma esso stenta a decollare. Non si tratta solo del fatto, gi ampiamente documentato  nelle pagine precedenti e certo rilevante, che i tre autori vengono analizzati e discussi sempre separatamente, da weberologi, heideggerologi e marxologi. Si tratta di una ambiguit strutturale del mondo "moderno" (cui, tra l'altro, il cosiddetto post-moderno filosofico tenta di dare una soluzione) (32). Il "moderno" non  infatti un "archetipo", staticamente fisso, dotato di caratteristiche univocamente descrivibili, ma  un "processo" dinamico, che incorpora una serie di slittamenti (non solo teorici, ma integralmente teorico-pratici), che potremo definire, in primo approccio e con molta approssimazione, uno slittamento problematico e complesso dalla ragione alla razionalit alla razionalizzazione. Non vi  qui nulla di fatalistico, e non si tratta dell'esito inevitabile della scelta di Ulisse di ascoltare il canto delle Sirene o di Platone di trattare l'essere come se fosse un ente. Si tratta di qualcosa di specifico e di determinato, che attiene integralmente al movimento profondo dello sviluppo del modo di produzione capitalistico. I grandi pensatori che furono attivi durante quello che potremo definire il "periodo classico del moderno" (da Kant a Hegel a Smith) cercarono tutti di rintracciare la ragione nella storia: vi fu 131 chi identific semplicemente la ragione con il progresso dei commerci e dell'industria inteso come supporto sostanziale dell'incivilimento dei costumi sociali (Smith); chi rifiut di identificare la ragione direttamente con il corso storico, ma la correl con esso come idea regolativa dei comportamenti umani (Kant); chi infine non si accontent di questa correlazione "debole" (che separava ancora in modo troppo illuministico il reale concreto e l'ideale astratto), ma volle in modo pi "forte" pensare insieme la ragione ed il decorso storico stesso (Hegel). In. tutti tre i casi, per, il "moderno" era il luogo della ragione, anche se per alcuni, refrattari alla dialettica, esso nasceva dal medicevo per sottrazione di superstizioni ed addizione di conoscenze, mentre per altri, dialettici, esso sviluppava, negando e conservando, elementi gi presenti nel decorso storico passato. Gli stessi negatori della ragione dovettero (come Schopenhauer) collocarsi su questo terreno "moderno", se non altro per rifiutarlo integralmente come "illusione". Con l'avvento del positivismo e la generalizzazione dell'industrializzazione, durante l'"et della borghesia", la ragione assunse sempre pi il carattere limitativo della razionalit. Si tratt di un'apparente ritorno alla razionalit illuministica, che si poneva per sul terreno della integrale autonomizzazione disciplinare delle scienze naturali e sociali. Queste scienze assumevano da un lato specifici "stili di razionalit", mentre dall'altro erano costrette a rinunciare ad un'unificazione filosofica basata su di un concetto sostantivo di ragione. La "visione del mondo" positivistica (con il connesso "romanticismo della scienza") non pu essere scambiata in alcun modo per qualcosa di analogo alla precedente costellazione classico-moderna (tipica di Kant, Smith e Hegel), in quanto essa si limitava ad enfatizzare apologeticamente la somma dei "risultati" raggiunti dalle varie scienze particolari (le enciclopedie positivistiche non sono dunque qualcosa di omogeneo. alla Enciclopedia hegeliana). La razionalit positivistica non  neppure la "conseguenza" applicata della ratio calcolistico-quantitativa che si fa risalire a Cartesio, in quanto essa vive esclusivamente nelle pratiche pluralistiche degli "stili di razionalit" delle singole scienze, che non sono per (come opinano i gnoseologi) mere condizioni epistemologiche di auto-riflessione delle scienze stesse, ma incorporano direttamente (come giustamente nota Heidegger) una particolare messa-a-disposizione del mondo stesso (33). Lo scivolamento degli stili di razionalit in pratiche di razionalizzazione  dunque (per usare ancora un termine heideggeriano) "fatale". Il capitalismo, autolegittimatosi all'inizio 132 come ragione, costituitosi in modo articolato attraverso stili di razionalit, si riproduce attraverso procedimenti di razionalizzazione. Si tratta, ancora una volta, di un processo unitario, che deve essere pensato in modo rigorosamente monistico. In Marx esistono tutti i presupposti per pensare il "moderno" come un processo unitario incorporante ragione, razionalit e razionalizzazione. Max Weber, invece, disarticola la "ragione" in una pluralit neo-kantianamente irrelata di politeismo dei valori, la "razionalit" in un rapporto mezzi-fini ed infine la "razionalizzazione" in un destino storico ineluttabile. Martin Heidegger, pi monisticamente, ontologizza la ragione "metafisica" come compimento storico-destinale della temporalit occidentale, ed unifica cos anche la razionalit e la razionalizzazione come le due faccie inseparabili, teorica e pratica, dell'integrale 'messa-a-disposizione impersonale del mondo ridotto ad im-posizione anonima (Ge-stell). Nello stato catastrofico, grande-narrativo e deterministico-naturalistico, in cu i marxismi storicamente costituiti hanno ridotto il materialismo storicc e la critica dell'economia politica, il pensiero di Marx appare francamente, a prima vista, inferiore a quello di Weber o di Heidegger. Ovvia mente, il termine "inferiore" deve essere inteso come "pensiero assai meno in grado di comprendere e di trasformare il mondo". Il mondo, infatti, non si comprende per nulla applicandogli un dispositivo teleologico (in avanti o in indietro), e non si trasforma affatto imputando il processo di trasformazione ad un soggetto sradicato e svincolato da ogni presupposto ontologico-sociale. Come si  detto nella seconda parte di questo scritto, il ritorno a Marx  possibile per noi soltanto attraversando a ritroso (ripetendo, per civettare con il linguaggio heideggeriano) i marxismi storicamente costituiti. Nel caso concreto dei "marxisti italiani" di questi anni, ripetendo senza stancarsi la formazione ideologica storicistico-togliattiana e quella operaistica. Non torneremo su questo punto, gi ampiamente argomentato. Apriremo invece il problema dei "grandi pensatori" contemporanei, i quali hanno cercato di affrontare sul terreno del materialismo storico (almeno come volont soggettiva di adesione e di appartenenza, che  anche il caso dello scrivente) il compito della riforma radicale della forma filosofica del discorso marxista. Ve ne sono molti, anche e soprattutto poco noti. Le mode filosofiche di oggi non si interessano a loro, oppure, se lo fanno, li piegano in direzioni che nulla hanno a che fare con le loro intenzioni teoriche di fondo, oppure ne enfatizzano aspetti del tutto secondari mutando del 133 tutto il contesto rilevante delle loro affermazioni. Discuteremo brevemente alcune soluzioni teoriche date da Ernst Bloch e Gyorgy Lukcs ai problemi che abbiamo aperto. Esse non sono certo definitive, e non possono quasi mai essere divelte dal contesto storico congiunturale in cui vennero pensate. La valorizzazione del multiversum temporale blochiano e del carattere ontologico-sociale della lucacciana categoria di lavoro deve essere intesa come un primo passo, necessariamente ancora insufficiente, in una direzione che si lasci alle spalle gli esiti bloccati dei marxismi contemporanei ed il loro disincantato rovescio antitetico-polare, il crudo destinalismo di Martin Heidegger (34). 134 NOTE 1. Per una introduzione ai testi dei nouveaux philosophes si veda Mura-Pieretti-Galeazzi, I Nuovi Filosofi, Citt Nuova, 1978. E' difficile, comunque, prendere filosoficamente sul serio chi mette insieme Fichte, Marx e Nietzsche in un gruppo di "maestri pensatori" del dominio dispotico sulle plebi in nome di un "popolo" sublimato in statualit senza legge. Per comprendere il fenomeno (effimero ma significativo) dei nouveaux philosophes occorre tenere soprattutto in conto due fattori: in | primo luogo, si tratt di un fenomeno vezzeggiato, accompagnato, sponsorizzato dai mass-media, come mai era accaduto prima (furono infatti i media capitalistici, fra il 1976 ed il 1978, a determinare la forma in cui si discusse pubblicamente della cosiddetta "crisi del marxismo", predeterminandone in parte gli esiti teorico-pratici): in secondo luogo, come not a suo tempo Goran Therborn (cfr. Problemi del socialismo, 21, 1981), la "crisi del marxismo" di cui si parl a cavallo fra gli anni 70 e gli anni '80 fu un fenomeno geograficamente e storicamente sud-europeo, particolarmente francese ed italiano (dovuto dunque al modo specifico in cui avvenne il "riflusso" di una precedente politicizzazione "marxista" di consistenti strati di intellettuali e giovani). Altra cosa, ovviamente,  il fenomeno storico-mondiale della crisi oggettiva della forma terzinternazionalistica del marxismo nell'attuale periodo storico. 2. Lo scrivente rimanda qui al suo saggio pubblicato in Aa.Vv. Il marxismo in 3. mare aperto, Angeli, 1983. Non si vuole certo qui disprezzare come irrilevante il complesso di problemi che ruota intorno al tema della "falsificabilit" (per un'introduzione a questa problematica si veda la convincente voce di S. Amsterdamski, Verificabilit/Falsificabilit, in Enciclopedia, Einaudi, 1981). Si vogliono invece riaffermare con forza due punti chiave. In primo luogo, se si concepisce il materialismo storico come una grande narrazione edificante, umanistico-sintetica e/o naturalistico-teleologica, esso  effettivamente inverificabile ed infalsificabile: i popperiani avrebbero su questo punto ragione, se non si costruissero sistematicamente un fantoccio polemico inesistente contro il quale duellare e vincere facilmente. In secondo luogo, il materialismo storico ha effettivamente bisogno di una propria epistemologia (che non , dunque, un "lusso"), ma quest'ultima deve essere omogenea e coerente con l'oggetto stesso di cui si occupa, e non pu essere dunque che un'epistemologia integralmente storica: in proposito riteniamo che la via tracciata da Bachelard sia quella corretta, mentre quella tracciata da Popper non lo sia. ; Si veda Max Horkheimer, Gli inizi della filosofia borghese della storia, Einaudi, 1978. Vi  per una differenza radicale fra l'antropologia filosofica "pessimistica" dei pensatori classici (Machiavelli, Hobbes, eccetera) e l'odierno pessimismo antropologico-filosofico. Il primo era un pessimismo centrato sui comportamenti attivi di un essere umano lasciato alle sue pulsioni in una sorta di "stato di natura" (e si rispondeva a questa malvagit umana con la doppia strategia, parzialmente contraddittoria, di rafforzamento del Leviatano statuale titolare del monopolio della forza militare, da un lato, e della trasformazione delle 135 pericolose ed imprevedibili passioni in innocui e prevedibili interessi economici, dall'altro), mentre il secondo  un pessimismo passivo (il mondo non si ritiene pi qualitativamente trasformabile, ma appare al soggetto contemplante sotto la forma della immodificabilit strutturale e permanente). Non  chi non veda la differenza fra i due diversi "stadi storici" di questo pessimismo filosofico borghese. 4. In linea generale, occorre tenersi lontani dalla facile tendenza a scaricare sul meccanicismo cartesiano tutti i mali naturali e sociali degli ultimi tre secoli (come ad esempio fa il fisico americano Fritjof Capra, autore di libri, interessanti ma sbagliati, come Il Tao delia Fisica, Adelphi, 1982, ed il recentissimo The turning point). Pi precisamente, occorre congedarsi dalla visione filosofica del mondo, segretamente storicistica, che vede il Moderno, dal diciassettesimo secolo in poi, affermarsi nella forma unilineare della secolarizzazione (cio nella derivazione analitica, per sottrazione, di aspetti della sua preistoria teologica e religiosa). In questo modo si finisce con il presupporre una fantomatica Origine Medioevale Semplice, gonfia di illusioni - religiose e di aspettative escatologiche, da cui il moderno sarebbe nato per sottrazione, togliendo mano a mano da questa torta originaria tutte le fette che l'analisi chimica aveva dichiarato immangiabili. Il filosofo tedesco Hans Blumenberg (polemico soprattutto con K. Lowith e C. Schmitt, ma si potrebbero anche aggiungere Weber e lo stesso Heidegger)  forse oggi il maggiore critico delle interpretazioni storicistiche del moderno come sottrazione secolarizzante (che , non dobbiamo dimenticarcelo, la stessa cosa, apparentemente rovesciata, e dunque a somma zero, della addizione progressistica - il tempo viene concepito in entrambi i casi come entit omogenea e sostanzialistica che toglie illusioni, da un lato, ed aggiunge conoscenze, dall'altro). 5. L'autore pi. interessante, se si vuole studiare "sul campo" il problema della conciliabilit o meno fra materialismo storico e procedure idealtipicizzanti maxweberiane,  certamente Kari Polanyi. 6. Il paragone che si vuole qui suggerire non  dunque quello, assolutamente consunto, fra Weber e Marx (Weber sarebbe il "Marx della Borghesia" - e, allora, perch non Pareto? Keynes? Popper?), ma quello fra Locke e Weber. Pensatore epocale, ed organico ad una classe,  colui che riesce a "sistematizzare" ad alto livello filosofico delle "apparenze necessarie" prodotte dalla realt sociale in cui vive. Locke sistematizza la metodologia empiristica, il rifiuto del concetto di sostanza e delle idee innate, la mente come tabula. rasa (da riempire integralmente, dunque, in modo "borghese"), il nesso fra stato di natura, contratto sociale e legittimit della propriet privata, eccetera (e si vedano gli studi di Crawford B. Macpherson sul possessive individualism). Weber sistematizza la distinzione fra opzione di valore filosofica, politeisticamente infondata, scienze sociali e scienze della natura, la concezione della modernit come sottrazione (di illusioni) ed addizione (di conoscenze) dal medioevo, il disincanto e lo scetticismo sulle pretese "pratiche" del marxismo, eccetera. 7. Si vedano gli studi weberiani di Maria Turchetto in Metamorfosi, 6, Angeli, 1982, ed in Metamorfosi, 8, 1983. Lo studio parallelo di Marx, Heidegger e Weber (assolutamente insolito in Italia) permette alla Turchetto alcune 136 "scoperte", apparentemente ovvie, ma ricche di significato teorico (ed anche politico). Queste "scoperte" non possono strutturalmente essere fatte dagli studiosi (storicisti) del solo Marx, dagli studiosi (neorazionalisti e positivisti) del solo Weber, e dagli studiosi (nichilisti) del solo Heidegger. E' evidente che un simile "programma di ricerca" pu considerarsi appena iniziato. 8. Non  casuale, infatti, che gli ammiratori italiani di Weber siano i pi acerrimi nemici dell'insegnamento della filosofia nelle scuole secondarie superiori italiane, ed ambiscano sostituirla integralmente con un pool di "scienze sociali" tenute insieme, appunto, dalla metodologia weberiana. Questo atteggiamento, ad un tempo piattamente positivistico e profondamente nichilistico,  assolutamente conseguente con il dogmatismo "weberista". x 9. Se la sommaria ricostruzione di Weber fatte in queste righe  anche solo 10. 11. parzialmente plausibile, ogni tentativo di "piegare" in senso socialista l'apparato categoriale di Max Weber appare poco convincente. Nella sua ultima opera (cfr. Theorie des Kommunikativen Hendelns, Suhrkamp, 1981, in particolare vol.I, cap. II) Jurgen Habermas, che non aveva .mai condiviso la stroncatura marcusiana e lucacciana di Weber, si ricollega esplicitamente alla distinzione weberiana di "razionalit formale" e di "razionalit materiale", e prende le mosse dall'irreversibilit di questa differenza di sistemi di agire nelle societ moderne. Habermas (il quale, ricollegandosi alla hegeliana Filosofia dello Spirito di Jena, che concepisce lavoro ed interazione come differenti modalit nel processo di formazione dello Spirito Oggettivo, aveva gi precedentemente weberizzato Hegel) intende certo soggettivamente vedere garantita una prospettiva di razionalizzazione evoluzionistica e non contingente delle norme dell'agire umano (di modo che la prospettiva di una societ socialista, eticamente "conciliata" non riposi sui fondamenti decisionistici di irrazionali decisioni di valore, ovvero soffochi nel carcere di un modello tecnocratico di socialismo). Non si vede per come questo nobile obbiettivo possa essere raggiunto mantenendo intatto l'apparato categoriale con il quale la societ borghese pensa se stessa (la sistematizzazione maxweberiana del senso comune, appunto). Si tratta; a parere dello scrivente, di un "equivalente filosofico" dei tentativi economici di fondare il socialismo. su basi sraffiane e neo-ricardiane. Lo scrivente rimanda qui alla sua comunicazione dal titolo Una tragedia: moderna: Martin Heidegger nel 1933, tenuta in un convegno internazionale di studi su Fascismo oggi. Nuova destra e cultura reazionaria negli anni 80 ( Cuneo, novembre 1982 ). Per . .  i . " un'interpretazione che schiaccia eccessivamente Heidegger sul nazionalsocialismo si veda, ovviamente, la Distruzione della Ragione di Lukcs. Materiali (di notevole livello) per un'interpretazione di Heidegger all'interno della cosiddetta "rivoluzione conservatrice" si hanno in Lectures de Heidegger, numro 37, printemps 1982, della rivista francese della "nuova destra" Nouvelle Ecole (saggi di Guillaume Faye e Patrick Rizzi, Patrick Simon e Robert Steuckers). Si veda J. Habermas, Moderno, Post-moderno, Neo-conservatorismo, in Alfabeta, 22, 1981. Secondo la diagnosi di Habermas, la fuga dall'impegno 12. 13. 137 a capire alla radice le contraddizioni che emergono nel mondo moderno si manifesta nella autocoscienza di cui si vuole postumo rispetto alla propria epoca, al di l del tempo attuale, post-moderno. Questo darebbe luogo, inoltre, a tre esiti sostanziali, differenziati ma convergenti: la posizione dei giovani conservatori, teorici di una soggettivit decentrata, utopisticamente libera dagli imperativi del lavoro e delia utilit, che d luogo ad una evasione puramente estetica dal moderno; la posizione dei vecchi conservatori, portatori di un romantico rimpianto verso la totalit espressiva originaria perduta e la prerazionalit armonico-organicistica, non differenziata nei tre moderni ambiti della scienza, dell'arte e della morale, che d luogo ad una istanza di impossibile restaurazione delle posizioni pre-moderne; la posizione dei neo-conservatori, teorici della neutralit delle scienze, sia naturali che sociali, dell'autonomia del politico e del confinamento dell'arte in una dimensione strettamente privata (non importa se fruita individualmente oppure in spettacoli di massa), che da luogo ad una istanza di razionalizzazione pi spinta, attuata arrogantemente senza pi alcuna coscienza infelice ed autoriflessione filosofica. La classificazione proposta da Habermas sembra allo scrivente geniale ed assolutamente condivisibile. Tuttavia (come gi detto nella nota 9 del presente capitolo) appare poco realistico opporre una variante di sinistra dell'apparato categoriale maxweberiano alle mistificazioni del cosiddetto pensiero post-moderno: i cosiddetti "moderni ambiti differenziati", cos come Habermas li cataloga, rappresentano un'interpretazione del moderno, e non possono affatto darsi come "ovvi", come Habermas fa. Si veda in proposito P. Chiodi, L'esistenzialismo di Heidegger, Taylor,1955, ed anche L'ultimo Heidegger, Taylor, 1960. Lo scrivente ha conosciuto Pietro Chiodi all'universit di Torino, e non pu che ricordarlo come maestro di filosofia, in senso morale come teoretico. Il "secondo Heidegger" ovviamente ripugnava a Chiodi, in quanto gli sembrava abbandonare la sicura via "esistenzialistica" per l'"assunto romantico della messa in questione dell'essere in quanto essere". Al razionalismo piemontese di Chiodi il mettere insieme mondo della metafisica (e delle interrogazioni sul "senso") e mondo della tecnica (e delle applicazioni pratiche della razionalit formale differenziatasi in discipline scientificamente controllabili) appariva veramente una follia ed un "decadimento del pensiero". Vi sta qui forse (a parere delio scrivente assolutamente nefasto) l'influsso su Chiodi di Nicola Abbagnano, un importantissimo pensatore degli anni '50 e '60, che  per lo scrivente un vero e proprio exemplum negativum. Chi non conosce (starei per dire, "a memoria") il Dizionario Filosofico di Nicola Abbagnano non pu sapere concretamente che cosa voglia dire la solidariet antitetico-polare fra esistenzialismo e neo-positivismo, la metafisica della possibilit esistenziale di scelte alternative sulla base del rifiuto pi totale del materialismo storico, indebitamente schiacciato sul peggiore hegelismo. Si veda Gianni Vattimo, Al di l del soggetto: Nietzsche, Heidegger e l'ermeneutica, Feltrinelli, 1981, e pi in generale gli studi che Vattimo ha dedicato al "pensiero negativo". Come Abbagnano (negli anni '50) separava meccanicamente e contrapponeva le categorie di possibilit e di necessit 138 14. 15. 16. 17. 18. 19. (scegliendo la prima contro la seconda, tipica dei "marxisti" credenti nel necessitarismo storico), cos Vattimo (negli anni 80) separa meccanicamente e contrappone la differenza e la dialettica (scegliendo la prima contro la seconda, tipica dei soliti "marxisti" che si ritiene continuino a credere nel necessitarismo storico). La caratteristica principale di Vattimo (che ne fa un pensatore interessante)  quella di "esistenzializzare" il cosiddetto "secondo Heidegger" (mentre Chiodi riteneva che si potesse soltanto esistenzializzare il primo), togliendo ogni carica ontologica reale alla concezione heideggeriana di Essere, che resta come "sfondo" di un mondo ormai privo di "fondamenti". Si tratta per di un esistenzialismo integralmente contemplativo (mentre quello di Chiodi era attivo e laicamente trasformatore), tipico della "caduta dei valori" dopo la sbornia degli anni '70. Si veda l'interpretazione heideggeriana di Massimo Cacciari, Pensiero negativo e razionalizzazione, Marsilio, 1977. In Italia vi sono purtroppo quasi solo gli scritti di Francesco Ciafaloni e di Raffaele Sbardella (usciti sulla quasi introvabile rivista Unit Proletaria) che documentano la continuit teorica fra il gentilianesimo ed il cosiddetto pensiero negativo (che  in realt una forma di ultrapositivismo e di accettazione del cosiddetto "dato"). Un serio conoscitore di Heidegger come Franco Volpi (cfr. Adorno e Heidegger: soggettivit e catarsi, in Nuova Corrente, 81, 1980) mostra, ad esempio, un atteggiamento "concordistico" nei confronti della problematica adorniana e di quella heideggeriana. Allo scrivente le differenze sembrano molto pi significative delle apparenti analogie. Ci riferiamo a tentativi filosofici, interessanti, ma ancora insufficienti, d tentare un confronto produttivo fra Heidegger e Marx. Dalla parte dell'"oggetto" si individua in un confuso concetto di planetariet l'elemento comune dei due pensatori (cfr. Kostas Axelos, Marx e Heidegger, Guida, Napoli, 1977). Dalla parte del "soggetto" si cerca di correlare la perdita di quest'ultimo (che evidentemente preesisteva in, forma "piena" in una temporalit originaria) al crescere della astrazione reale della produzione capitalistica (cfr. Daniele Goldoni, Il mito della trasparenza, Unicopli, Milano, 1982). Fra i (molti) interpreti che non vedono la Kehre come una svolta tematica, ma come una radicalizzazione (oltre allo stesso Heidegger, che sar pur sempre un testimone attendibile), si veda Vincenzo Vitiello, Heidegger: il nulla e la fondazione della storicit, Argalia, Urbino, 1976 (che vede l'esperienza del Nulla come fatto storico-determinato, e non come "esistenziale" sovratemporale, e d perci una lettura radicalmente antiesistenzialistica dello stesso Essere e Tempo). Si veda Hans Kochler, Skepsis und Geselischaftskritik im Denken Martin Heideggers, Verlag Anton Hain, 1978. In questo studio, assolutamente fondamentale, si segnala come solo attraverso un salutare "bagno" nel pensiero heideggeriano il marxismo contemporaneo potr liberarsi da quei presupposti metafisici che ispirano una condotta volontaristica dell'esperienza individuale e collettiva. Si tratta esattamente della posizione dello scrivente. Ci si scusi la semplificazione, che non rende ovviamente ragione alle 139 radici profonde del razionalismo e del misticismo. 20. Peruna bibliografia utilissima allo studio dei problemi linguistici della filosofia heideggeriana si veda Franco Volpi, Interpretare Heidegger. Rassegna di studi sulla vita, l'opera e l'incidenza, in Fenomenologia e Societ, 15, 1981. 21. Si  qui utilizzata la traduzione di Pietro Chiodi per Essere e Tempo e Sentieri Interrotti, di Andrea Bixio per la Lettera sull'umanesimo e di Gianni Vattimo per La questione della Tecnica. Per un'introduzione generale al pensiero di Heidegger si veda, per cominciare, la monografia di Gianni Vattimo, Introduzione a Heidegger, Laterza, molto ricca anche di bibliografia ragionata. 22. Si tratta di qualcosa di noto soprattutto dopo la diffusione dll'opera di Jurgen Habermas, Storia e critica dell'opinione pubblica, Laterza, 1974. Il decadimento comunicativo della sfera pubblica borghese  qualcosa di strutturale, che appartiene costitutivamente alla sempre maggiore opacit dei meccarismi di riproduzicne sociale capitalistica. Tutto questo  anticipato da Heidegger. Quando egli parla di "chiacchiera" (Gerede) come modalit normale della comunicazione contemporanea non intende contrapporre i discorsi essenziali, seri e gravi, delle contadine ai superficiali scambi di opinione degli impiegati metropolitani (come opina Adorno, Terminologia filosofica, Einaudi, 1975, p. 147), ma intende connotare il carattere tirannico della comprensicne illusoria veicolata dall'inesistente mediet" dell'atmosfera pubblica contemporanea. Quando egli parla di "curiosit" (Neugier) allude alla fine della "meraviglia" di fronte a vere novit, ed alla necessit di riempirsi continuamente di qualcosa di "nuovo": ma la dispersione e l'irrequietezza rendono appunto impossibile l'esperienza della reale "novit". Quando egli parla di "equivoco" (Zweideutigkeit) allude all'azione congiunta della chiacchiera e della curiosit, per cui tutto si sa, di tutto si parla e si finisce in tal modo per non sapere precisamente che cosa si sappia e che cosa no. Si tratta di caratteristiche strutturali del moderno capitalismo, che vive sull'obsolescenza programmata, sulla dittatura della pubblicit e sulla fluidit dell'opinione pubblica. 23. L'atteggiamento di Junger  ben diverso da quello di Heidegger. Si veda, per fare un solo esempio, il romanzo Ludi Africani, Longanesi, 1974, pp. 5-6: "...la noia penetrava in me come un veleno mortale ogni giorno di pi. Mi sembrava assolutamente impossibile poter "diventare" qualcosa: gi la parola mi ripugnava, e dei mille impieghi che la civilt pu offrire, nemmeno uno mi sembrava adatto a me. Piuttosto mi attiravano le attivit molto semplici, come quella del pescatore, del cacciatore o del boscaiolo; per, de quando avevo sentito dire che i guardaboschi oggi sono diventati quasi degli impiegati contabili, che lavorano pi cor la penna che cor il fucile, e che i pesci si pescano con la barca a motore, anche questo mi era venuto a noia... Di giorno in giorno si rafforzava la ripugnanza verso ogni cosa utile...le regioni in cui era possibile agire sembravano irraggiungibili. L m'immaginavo un'audace societ di uomini, il cui simbo!o era il fuoco, il cui elemento era la fiamma...supponevo, con ragione, che fosse possibile incontrare i figli naturali della vita soltanto voltando le spalle all'ordine costituito...avevo in fondo ragione, in quanto 140 24, 25. 26. ZI. 28. 29. ponevo l'insolito al di l della sfera sociale e morale che mi circondava... ero attirato da una zona, nella quale si esprimeva, pura e senza scopo, la lotta delie potenze naturali". Heidegger stesso (nella sua nota Intervista politico-filosofica del 1966 allo Spiegel, si veda Metaphorein, 4, 1978) dichiara esplicitamente che i suoi seminari su Nietzsche tenuti sotto il nazismo furono da lui concepiti come una forma metaforizzata, cripticamente esopica, di polemica contro l'interpretazione di Nietzsche come "filosofo nazionale tedesco" favorita in tutti i modi dal regime. Su questo si pu certo discutere a lungo. E' chiaro, tuttavia, che l'interpretazione heideggeriana di Nietzsche non   utilizzabile per la "cultura di destra", non  neppure -politicamente spendibile in funzione "anticomunista", ed infine non  neanche una vera e propria forma di apologetica indiretta del capitalismo (come afferma-ma su questo punto lo scrivente non lo segue-il Lukcs della Distruzione della Ragione). Dice Heidegger nella Lettera sull'umanesimo: "Chi prende il comunismo solo come "partito" o come "concezione del mondo", pensa in modo altrettanto angusto di quelli che reputano che con. il termine "americanismo" si indichi solo, e per di pi in modo spregiativo, un particolare stile di vita". Una lettura marxista dell'Epoca dell'immagine del mondo deve in realt ancora cominciare. Lo scrivente ne ha dato un inquadramento anccera insufficiente in Metamorfosi, 6, 1982. Per dirla nel modo pi esplicito possibile, il pensiero heideggeriano sarebbe stato per i marxisti uno scrigno chiuso da sette chiavistelli senza l'elaborazione teoretica dell'esperienza storica della sconfitta del progetto prometeico-soggettivistico del Sessantotto, della fine della rivoluzione culturale cinese (1966-1976), e soprattutto del fallimento della propriet giuridica pubblica e della pianificazione economica centralizzata del socialismo reale. Non c', ovviamente, un rapporto meccanico di causa ed effetto. Semplicemente, diventa concretamente visibile la frase sibillina e sapienziale che parla deli'"uomo che gira su se stesso come animal rationale". In un interessante saggio di Mimmo Porcaro (cfr. Charles Bettelheim: un lungo addio, in Lineamenti, 2, Angeli, 1983) la categoria di "dispositivo teleologico"  applicata alle tesi di fondo del terzo volume (in due tomi) di Charles Bettelheim dedicato allo stalinismo. Bettelheim, che sostiene l'esistenza in URSS di un inedito "capitalismo di partito", in cui uno strato dominante costituitosi in meccanismo unico di partito-stato esercita il suo potere assoluto su di una massa di dominati dispersi ed atomizzati, applica un analogo "dispositivo teleologico" alla rivoluzione russa del 1917, che viene derubricata a rivoluzione popolare-borghese (non socialista) proprio alla luce di quello che sappiamo essere venuto dopo. Il problema  allora quello di conciliare una grande spregiudicatezza analitica con il rifiuto dei dispositivi teleologici. Un'interpretazione della dialettica hegeliana non contrapposta astrattamente al metodo ermeneutico-differenziale heideggeriano  contenuta in Gadamer, La dialettica di Hegel, Marietti, 1973. Secondo Heidegger, in Hegel l'essenza della metafisica viene per la prima volta 30. 31. 32. 33, 34. 141 LI "pensata assolutamente": l'essenza della metafisica  l'oblio dell'essere, l'onticizzazione dell'essere, e Hegel  proprio colui che ha concepito l'Assoluto come il sistema concettuale di tutte le determinazioni ontiche, come la ragione che si incarna in ogni aspetto della realt. Hegel sarebbe dunque l'anticamera del marxismo, che renderebbe integralmente sociali tutte le determinazioni gi preventivamente onticizzate da Hegel. Un'interessante analisi filosofica dell'origine della metafisica a partire dal pensiero presocratico (che tiene conto anche della riflessione di Heidegger)  contenuta in Aldo Masullo, Metafisica, Mondadori, 1980. In Heidegger non vi  mai un tentativo di analisi sociologica ed antropologica dell'antichit greca (come si pu trovare, ad esempio, in Gernet o in Vernant), ma il suo pensiero  sempre talmente stimolante e profondo da riuscire comunque a metaforizzare filosoficamente la realt sociale dell'epoca. Gran parte della letteratura secondaria su Heidegger illustra in dettaglio la storia heideggeriana della metafisica occidentale. Si segnala qui solo Valerio Cavallucci, Heidegger: metafisica e tecnica, Ace, 1981; e Pietro De Vitiis, Heidegger e la fine della filosofia, La Nuova Italia, 1974. Il post-moderno filosofico ha certo rapporti con quello artistico, letterario, architettonico, ma deve essere rigorosamente distinto da questi ultimi. Si tratta di una "interpretazione nichilistica del moderno" che rappresenta se stessa come emancipazione definitiva e finale dalle illusioni dialettiche del moderno stesso. Non a caso uno dei suoi teorici (cfr. Jean-Frangois Lyotard, La condizione post-moderna, Feltrinelli, 1981) proviene dall'esperienza del gruppo francese di estrema sinistra Socialismo o barbarie. Il precedente teleologismo escatologico, atteso con uno spirito messianicamente teso al compimento in uno stato d'animo da speranza pascaliana, si rovescia (in modo adialettico e pertanto piattamente differenzialistico) in assolutizzazione del presente, che viene "caricato" di tutta la precedente tensione escatologica dispersasi nel frattempo. Si veda in proposito l'utilissimo studio di Bianca Maria d'Ippolito, All'ombra della tecnica, Esi, 1981. Lo studioso di epistemologia e di storia della scienza che meglio ci aiuta a comprendere il nesso fra teoreticit ed operativit nello sviluppo delle scienze , a parere dello scrivente, Gaston Bachelard (e se ne veda l'ottima antologia a cura di Giuseppe Sertoli, La ragione Scientifica, Bertani, Verona, 1974). Cos come questa terza parte non  stata una monografia su Heidegger, ma esclusivamente una valorizzazione della capacit heideggeriana di riflettere teoreticamente l'impersonalit della riproduzione dei rapporti sociali (in quanto essa pu aiutare il materialismo storico a disfarsi di un concetto di soggetto grande-narrativo, di tecnica neutrale-operativa e di storia teleclogica), analogamente la quarta e la quinta parte di questo saggio, che verranno dedicate a Bloch ed all'Ontologia di Lukcs, non sono monografie su questi autori, ma semplicemente l'introduzione alla discussione di alcune soluzioni teoriche da loro date. Il lettore di queste note non pu pertanto realisticamente aspettarsi moltc di pi di quanto viene annunciato. 4 LT Parte Quarta L'UTOPIA SI OCCUPA SOLO DEL PRESENTE: IL PENSIERO DI ERNST BLOCH Nella sua Autobiografia Gyorgy Lukcs, giunto ad ottantacinque anni di et, in grado ormai di trarre un bilancio filosofico del Novecento, ricorda la sua conoscenza con Bloch in questi termini: "Su di me ebbe enorme influenza Bloch, lui infatti mi convinse con il suo esempio che era possibile filosofare alla maniera tradizionale. Fino a quel momento io mi ero immerso nel neokantismo del mio tempo, ed adesso incontravo in Bloch il fenomeno che qualcuno filosofava come se l'intera filosofia odierna non esistesse, che era possibile filosofare al modo di Aristotele o di Hegel" (1). Si tratta di un'osservazione molto acuta, che. ci porta direttamente al cuore del problema che ci interessa. Se infatti  vero (come non riteniamo di essere riusciti a dimostrare, ma come abbiamo almeno suggerito) che dentro il laboratorio filosofico marxiano passano tre forme filosofiche del discorso intrecciate insieme, sotto la dominanza peraltro della migliore fra le tre (quella ontologico-sociale), che il marxismo novecentesco ha integralmente percorso alcune possibilit storiche concrete (non certo destinalmente predeterminate, ma contenute almeno come possibilit oggettive), e che infine il vertice filosofico del pensiero borghese del Novecento ha "preso di petto" questa situazione di scollamento fra teoria e prassi, legittimando il "verdetto definitivo" dell'unit fra alienazione ed intrascendibilit del mondo moderno con una teoria della temporalit storica che precipita destinalmente in un "punto zero" del presente ed in un "buco nero" da cui ormai solo un Dio pu ancora tirarci fuori, possiamo dire allora che solo un pensiero che osi prendere altrettanto "di petto" questo verdetto  degno di essere studiato, considerato, e preso sul serio (2). | A noi sembra che Ernst Bloch sia un pensatore del genere. Egli 144 "cerca" di filosofare, in effetti, al modo di Aristotele e di Hegel, in un momento storico in cui i gerghi specialistici non sono certo il frutto di un complotto di corporazioni universitarie cui basterebbe opporre la buona volont dell'intenzione divulgativa, ma solo il portato "ontologico" dell'approfondimento della divisione del lavoro intellettuale. Egli "cerca" di farlo, perch si rende perfettamente conto dell'unit dialettica che lega l'estrema pluralit irripetibile e non omologabile delle esperienze umane (e pochi pensatori del Novecento sono in grado come Bloch di rispettare veramente questa pluralit) all'unit concettuale con la quale la ragione e l'intelletto cercano di stringere insieme questa pluralit dispersa. In Bloch il massimo di monismo ed il massimo di pluralismo concettuali coesistono armonicamente, mostrando nella pratica come non abbia senso la contrapposizione polare fra pensiero che ambisce alla totalit e pensiero che mira alla conoscenza del particolare. In Bloch, al contrario, la tematica filosofica ha certo un forte momento "monistico", in quanto il suo pensiero, complesso ed articolato, si gerarchizza intorno al multiversum (cio, appunto, all'intreccio complesso fra storicit e temporalit), ma  appunto guesto forte momento "monistico" che gli permette di rispettare la pluralit incomponibile e differenziata del reale concreto, che non viene collocato nel continuum storicistico ed omogeneizzato, destinato a cadere teleologicamente in un "buco nero" (3). Quando, come avviene nel caso di Bloch, si cerca di pensare in senso forte la reinterpretazione, alla luce della modernit, delle possibilit storiche contenute nel passato e non attuate, si sottrae la modernit stessa ad ogni destinalismo fatalistico, e si disinnesca lo sciagurato meccanismo grande narrativo e deterministico-naturalistico. Non ha dunque molto senso accusare Bloch (come ha fatto, in modo molto ingeneroso, Leszek Kolakowski in Main Currents of Marxism) di essere un tardo hegeliano pasticcione, incapace di analisi concreta e di precisione , e di appartenere al grande gruppo degli utopisti totalitari, la cui confusa escatologia prometeica si rovescia necessariamente in dominio buroratico sopra una societ atomizzata e privata della possibilit di avere un'opinione pubblica. Il multiversum blochiano, lungi dall'essere un coacervo pasticcione di nozioni poco precise,  al contrario una risposta determinata all'universum unidimensionale della temporalit capitalistica e della riproduzione dei suoi rapporti sociali. Questo universum viene dato come "ovvio" e non problematico dagli apologeti "diretti" del capitalismo, ma viene anche accettato, nell'essenziale, da pensatori come Heidegger (e lo si  visto nella 145 terza parte di questo scritto), che vedono il presente alla luce di un destino inesorabile che si  compiuto alla luce di una filosofia della storia teleologicamente immanente allo svolgimento di ci che era gi contenuto in una Origine mitizzata e numinosa. 1. Il multiversum blochiano: unit di temporalit e di storicit Come si  visto (nella terza. parte di questo scritto) Martin Heidegger ha saputo rifiutare il punto di vista esplicito del Soggetto che, pretendendo di fare la storia a partire dalla manipolazione della natura, ripete inesorabilmente il destino della metafisica, ma ha finito con il trasformare la temporalit storica in un nuovo, grande Soggetto personale (anche se "impersonale" rispetto ai singoli esseri umani concreti). Sarebbe un grave errore (di cui  meglio subito sbarazzarsi) pensare che Bloch si opponga ad Heidegger ristabilendo il primato dell'attivit soggettiva "generica" dell'uomo di contro al pessimismo (altrettanto "generico") di chi pensa che ogni attivit  comunque inutile e "ripetitiva" e che solo un Dio pu ancora salvarci. i E' questo purtroppo il -modo con cui Bloch  presentato da gran parte della manualistica filosofica ed anche da molta letteratura secondaria specializzata: di contro alla "corrente fredda" del marxismo, che confida solo sulla crescita delle forze produttive, del PNL e delle tonnellate di acciaio, si ergerebbe una "corrente calda", di cui Bloch sarebbe magna pars, che mette invece al centro la prassi del soggetto, i sogni, l'immaginario sociale, insomma, tutto ci che  qualitativo e non cartesianamente "quantitativo" (4). Se tuttavia Bloch fosse solo uno dei tanti pensatori "che hanno messo l'accento sulla. prassi", sul soggetto, sull'attivit, eccetera, esso sarebbe poco significativo (ed avrebbe ragione Kolakowski). Se qualcuno cerca il primato della prassi e la corrente calda, si rivolga pure a Stalin, maestro insuperabile nell'attivare l'"immaginario sociale" e nel pensare il materialismo storico sotto il punto di vista della prassi e dell'attivit. Il significato teorico epocale di Bloch sta invece proprio nel fatto che in lui non c' alcun primato della prassi (soggettivisticamente astratta, cos come  in ogni filosofi del soggetto), ma c' soltanto un primato ontologico della temporalit differenziata della storia umana, che - impedisce appunto di omogeneizzare storicisticamente i tempi concreti dei comportamenti individuali e collettivi. La sola cosa "calda"  questa. Chi cerca invece il "calore" protettivo della comunit 146 operaia e proletaria, si cali pure il passamontagna sul volto oppure partecipi ai raduni di massa di milioni di giovani, donne, soggetti sociali, eccetera. Il primato ontologico della temporalit differenziata nella storia umana, che ci sembra centrale nel pensiero di Bloch (e che vediamo  come "opposizione determinata" al destinalismo heideggeriano), pu dar luogo, a parere dello scrivente, a due possibili esiti differenti: il primo, positivo, che sbocca in una teoria ontologica delle possibilit concrete della prassi umana di modificare il "dato" storico, cui viene tolta ogni fatalit ed ogni presunta intrascendibilit destinale; il secondo (che lo scrivente non condivide), che pu sboccare in una Metafisica contemplativa del Multiversum temporale. Vediamo i due aspetti separatamente. Parlare di teoria ontologica delle possibilit concrete da parte della prassi umana di modificare il "dato" storico (cui viene tolta ogni presunta intrascendibilit destinale, certo, ma anche ogni contingenza casuale, che  la premessa della scelta esistenzialistica disancorata da ogni ontologia sociale fondativa) significa parlare del carattere integralmente storico del multiversum temporale. E' questo un punto di grande importanza, sul quale non si possono fare concessioni a mistiche della multitemporalit irrelata ed ineffabile (che pretendono contrapporre l'ineffabilit del tempo filosofico soggettivo . all'inautenticit cosale" del tempo della scienza cartesiana, presunta fonte di tutti i mali) (5). Una concezione storica (e materialistica) del multiversum deve infatti avere almeno tre caratteristiche strutturali: in primo luogo, il multiversum deve essere pensato senza alcun monismo originario, come se. ci fosse un Tempo Originario, Denso e Compatto, da cui derivano come mille ruscelli tante temporalit storiche differenti, figlie di un unico, grande Padre Chronos; in secondo luogo, il multiversum deve essere pensato in modo integralmente storico, senza sostituire perci al concetto di arretratezza" inteso come restare indietro" (Zuruckgebliebenheit) un concetto altrettanto astratto di "non contemporaneit" (Ungleichzeitigkeit) come adorazione contemplativa della presunta autenticit popolar-contadina; in terzo luogo, il multiversum non pu essere pensato come qualcosa che fluisce verso un Grande Tempo Finale destinato ad inverarlo ed ad autenticarlo (la fine dei tempi, appunto), in cui finalmente la storia possa riposare su se stessa, pacificata e realizzata. Poich. molti parlano di multiversum senza tenere rigorosamente presente che esso deve avere queste tre caratteristiche essenziali (senza le quali esso  solo un universum che dispone di un guardaroba a mille travestimenti) vale forse la pena fermarsi un poco su 147 quest'importante nodo di problemi. La prima caratteristica essenziale del multiversum, a nostro parere,  la sua originariet nella fluidit eraclitea (sulla quale si innesta, emergendo da essa, l'azione umana datrice di forme e di simboli), ed il rifiuto del presupposto metafisico di una "densit temporale originaria", matrice ed origine dialettica dell'eterno ritorno del sempre eguale oppure (ma si tratta della stessa soluzione, apparentemente opposta) della possibile ricostituzione di questa "situazione temporale autentica", di fronte alla quale l'intera storia umana  deiezione, inautenticit, apparenza del divenire, caduta. Esistono, certo, molte varianti possibili di questa concezione. Secondo una variante "debole", il destino nichilistico della necessit storica  gi iscritto nella stessa accettazione del principio secondo il quale l'Essere, in una certa misura "divenga" qualcosa che non sia il. proprio rigoroso autorispecchiamento (questa variante "debole" lascia per del tutto impregiudicato il se ed il come sia possibile il riattingimento della autenticit originaria, e si limita a mettere in guardia contro le illusioni nei confronti della temporalit che si vuole progressiva) (6). Secondo una variante "forte" il solo ed autentico superamento del nichilismo temporale in cui vive il mondo moderno sta nella duplice accettazione dei principi (apparentemente contraddittori) della originariet del tempo (ci fu un "tempo originario" pi autentico di questo) e della fatalit del tempo (il distacco dal "tempo originario" fu un destino ineluttabile, e solo l'accettazione eroica di questo distacco permette di differenziarsi dal gregge umano che vive nel tempo cartesiano degli orologi dimenticando le proprie origini). I principi metafisici di originariet e di fatalit del tempo, discendenti entrambi dal presupposto della densit primigenia da cui si "sprigiona" la storicit, ci sembrano incompatibili con il multiversum (nella stessa versione che Bloch ne ha dato) (7). La seconda caratteristica del multiversum ci sembra essere il rapporto fra l''"oscurit dell'attimo vissuto" (che rende impossibile una "scienza", filosoficamente autoespressiva, del presente storico ove quest'ultimo venga metodologicamente reciso dal passato e dal futuro), da un lato, e la dialettica fra arretratezza e non-contemporaneit in cui questo attimo oscuramente vive, dall'altro. Non possiamo tuttavia qui (come sarebbe forse necessario) dare tutti i significati possibili dei tre concetti blochiani di oscurit dell'attimo vissuto, di arretratezza e di non contemporaneit (8). Il punto essenziale che ci sembra invece concernere direttamente il materialismo storico ci pare essere questo: l'esperienza della 148 temporalit storica, non potendo essere mai integrale (a causa della sua ontologica oscurit), non permette la costituzione scientifica di un "saperesul progresso dei tempi" (nel senso di un sapere "positivo"), ma soltanto la costituzione filosofica di un sapere "critico" sulla non contemporaneit dei processi storici umano-sociali. Si tratta di un apparente "depotenziamento epistemologico" da cui peraltro il materialismo storico ha molto da guadagnare e ben poco da perdere. Nell'attraversamento del guado che porta dalla dialettica errata ed unilineare dell'arretratezza (basata sulla spazialit semplice dell'indietro-avanti) alla dialettica complessa della non contemporaneit (basata sulla rottura di questa spazialit semplice), il pensiero critico corre il rischio (inevitabile) di rimanere esteticamente affascinato dalla ricchezza vitale e tsostantiva"" dei mondi sociali "non contemporanei", fino all'idolatria feticistica della "semplicit contadina originaria" e pi in generale di tutto quanto  comunque pre-industriale. Si tratterebbe di una sottile vendetta che il pensiero lineare-cumulativo compie contro il pensiero critico che cerca di detronizzarlo (fino a far idolatrare la stessa "arretratezza" come esempio genuino ed autentico di non contemporaneit da salvare). Anche se non vi  teleologia storica immanente al tempo impersonalizzato, vi  per ontologicamente una tendenza al rapporto fra l'individuo ed il genere, resa possibile nell'unificazione capitalistica del mondo tome presupposto logico-storico, e la cui realizzazione tendenziale (mai integralmente attuabile, per la ontologica non-coestensivit fra individuo e genere) verrebbe ulteriormente ostacolata dalla permanenza dell'individuo in comunit precapitalistiche saldate insieme in modo strutturalmente mitico ed organicistico. Ci sembra che molti "blochiani" dimentichino questo, feticizzando la non contemporaneit in contemplazione estetizzante di una presunta "autenticit"popolar-contadina (9). La terza caratteristica del multiversum . infine la rottura integrale con il tema della "fine dei tempi". Si  gi molto insistito sul fatto (filosoficamente evidente, ma spesso trascurato) che problematica. del Fine e problematica dell'Origine sono la stessa cosa, e non ci ritorneremo. Vi sar sempre un passato da riscattare, un'eredit da fare propria, un. attimo vissuto che viene esperito oscuramente per l'opacit della latenza temporale. In Bloch c' (forse) un'ambivalenza su questo punto. Da un lato, l'unilaterale insistenza sul tema aristotelico della entelechia del processo storico-temporale pu lasciare varchi metafisici aperti nella direzione di un'attribuzione di un fine pre-scritto nella temporalizzazione (pur multilaterale) dell'esperienza. Dall'altro, 149 l'iscrizione dell'utopia nel solo presente come orizzonte ad un tempo oscuro ed illuminato dall'arco fra passato e futuro documenta (come dettaglieremo meglio pi avanti) un'istanza decisamente antiteleologica del pensiero blochiano (10). Tenendo presenti i rilievi sul tre punti sopra discussi, ci sembra che il multiversum blochiano rappresenti una negazione determinata (cio, collocata storicamente in una congiuntura particolare) di due specifiche filosofie della storia: il marxismo cosiddetto storicistico, che temporalizza in modo unilateralmente coercitivo il divenire storico nella camicia di forza dei. cosiddetti "cinque stadi" (variante staliniana), o che temporalizza in modo informe il passato in un continuum cumulativo ed omogeneizzato (variante storicistico-italiana); il destinalismo heideggeriano, capace di "fotografare" correttamente il presente come dominio di un meccanismo impersonale che si pensa come soggettivit ricca di storia e di umanesimo, ma incapace di vedere il passato altro che come dispositivo teleologicamente orientato alla trasformazione mondializzata della metafisica occidentale in tecnica planetaria. Sbagliano, dunque, coloro che considerano Bloch un autore che cerca nel passato pre-moderno una soluzione filosofica per sfuggire al mondo moderno, in quanto Bloch non intende "sfuggire", quanto rispondere alla "situazione bloccata" .derivata dalla solidariet antitetico-polare fra storicismo (teleologico) e destinalismo (altrettanto teleologico). Sbagliano, tuttavia, anche coloro che, interpretando Bloch in modo eccessivamente concordistico, attenuano la carica distruttiva del pensiero blochiano verso ogni forma di storicismo, e vedono Bloch (insieme con Benjamin ad esempio) come una sorta di "correttore" degli eccessi unilineari dello storicismo stesso (11). La creazione di un grande minestrone filosofico in cui aggiungere (in qualit di "gusti" e di "sapori") Bloch e Benjamin non  di alcuna utilit per chi si prefigge finalit teoriche anti-grandinarrative. Meglio indagare gli aspetti specifici di Bloch (sulla religione, sul giusnaturalismo, sul materialismo, eccetera), come cercheremo ora brevemente di fare. 2. La critica blochiana alla religione ed il materialismo storico Il pensiero di Ernst Bloch rappresenta, nel suo insieme, un approfondimento ed una radicalizzazione della marxiana critica alla religione. In questo senso, egli non  un "teologo", in quanto il suo discorso filosofico non si indirizza n verso una sorta di sapere "teologico" positivo sulle tracce (o sulle assenze) del "divino" nella storia, n tantomeno verso una sorta di nuova "teologia negativa", 150. in cui il "divino" riempie lo spazio della Differenza Ontologica fra l'incondizionato e gli enti mondani. Bloch pu certo essere "usato" da teologi di vario tipo (in particolare dalla cosiddetta "teologia della speranza"), ma questa operazione teorica comporta necessariamente uno svilimento ed un'attenuazione delia radicalit - della posizione blochiana di critica della religione (12). . Bloch non  neppure un "esegeta biblico", anche se la .sua lettura della Bibbia presuppone una conoscenza non superficiale dei problemi interpretativi sorti sul terreno della critica "scientifica" delle fonti e delle redazioni dei testi biblici, ed  in generale compatibile con i "punti alti" di questa tradizione interpretativa, brillantemente iniziata dal capolavoro di Spinoza intitolato Trattato teologicopolitico. L'esegesi biblica  una disciplina storico-filologica del tutto autonoma dal materialismo storico, il quale, ove debba essere applicato ai contesti storico-geografici cui la Bibbia fa riferimento, non pu che essere una teoria dei modi di produzione pre-capitalistici, in cui le istanze economiche, politiche. ed ideologiche si combinano in modo del tutto diverso da quanto. avviene nel modo di produzione capitalistico, indagato dalla critica dell'economia politica opportunamente sviluppata (13). - Infine, Bloch non  un "filosofo della religione", in quanto l'oggetto della sua indagine filosofica non si inserisce nel continuum storico-probiematico istituito da questa particolare "sezione" del sapere filosofico, che da un lato cataloga, sul piano storico, le differenti mediazioni razionali (o irrazionali) della fede religiosa, e dall'altro lato prende posizione, sul piano teoretico, sulle differenti soluzioni date volta a volta al rapporto fra uomo e Dio (14). Teologia, esegesi biblica e filosofia della religione sono dunque tre dimensioni verso cui "apre" il pensiero blochiano, ma nono. rappresentano l'oggetto e l'intenzione della blochiana critica della religione. | i Indagando le opere blochiane specificatamente dedicate alla critica della religione (in particolare Religione in eredit e soprattuto Ateismo nel Cristianesimo) ci si accorge infatti della compresenza di due dimensioni teoriche integralmente storico-materialistiche: in primo luogo, infatti, Bloch si ricollega direttamente a Marx (trascurando la tradizione feuerbacchiana e soprattutto "marxistica", sia secondo - che terzinternazionalistica) nella radicalit della critica alla forma della alienazione religiosa; in secondo luogo (e questo a parere dello scrivente  ancora pi importante) Bloch rappresenta una risposta concretamente determinata (e dunque storicamente specifica) ad una situazione 151 storica presente, caratterizzata ad Est da nuove fiammate di integralismo religioso (e si pensi alla Polonia di papa Woitila) e ad Ovest da un debole "dialogo" fra cosiddetti marxisti e cristiani, fondato su di un comune riferimento ai "valori". Questa situazione non poteva ovviamente essere "prevista" da Marx, ed essendo del tutto nuova deve essere indagata in tutta la sua peculiare specificit, integralmente novecentesca (15). Non sar tuttavia inutile un breve richiamo alla natura teorica della critica marxiana alla religione. Vi sono in proposito infatti molti luoghi comuni e molti fraintendimenti, che possono prendere le forme pi svariate. Vi  chi ritiene, infatti, che l'ateismo di Marx sia, in un certo senso, fondativo del materialismo storico, che sarebbe appunto un'elaborazione sistematica, rigorosamente immanentistica, della "scelta filosofica ateistica" di Marx, cui tutte le categorie specifiche della critica dell'economia politica sarebbero subordinate ferreamente (16). Vi  chi ritiene, invece, che l'ateismo di Marx sia poco pi di un'"opinione personale" di Marx stesso intorno alla non-esistenza di un'entit cosale astronomico-galattica convenzionalmente definita "dio" da coloro che sono tanto ingenui da crederci, del tutto separabile, in via di principio, dalla nozione di sfruttamento capitalistico e di estorsione del plusvalore, le quali, permettendo di capire il meccanismo di riproduzione delle "ingiustizie sociali", servono da base teorica per la lotta diretta al perseguimento pratico della "vera giustizia sociale" (17). Entrambe le "opinioni" sono infondate, e non possono reggere ad un confronto filologico onesto con i testi originali marxiani. In Marx la critica alla religione  una premessa logico-storica alla critica dell'economia politica, da cui non pu essere assolutamente scissa e separata. Non vi  in Marx una negazione parallela, ma. irrelat (e pertanto separabile) della "naturalit sovrastorica" dei raporti di produzione capitalistici, da un lato, e della esistenza di un'entit cosale astronomico-galattica chiamata "dio", dall'altra, e neppure vi  una critica politico-morale al capitalismo sfociante in un radicale immanentismo storico a partire dalla "negazione astratta" della presenza del "divino" nella storia. Vi  invece un'unica critica al dominio impersonale esercitato sugli uomini concretamente inseriti in rapporti storico-sociali dal reificarsi delle ipostatizzazioni astratte (ad un tempo sociali, economiche, religiose, eccetera); all'interno della tradizionale inseparabilit marxiana fra cattiva. gnoseologia e falsa ontologia, il vizio ipostatico nel mondo della conoscenza e della teoria fa tutt'uno, inscindibilmente, con il dominio pratico-politico dell'uomo sull'uomo (18). 152 Ernst. Bloch non fa che radicalizzare l'impostazione classico-marxiana. La sua critica della religione non  infatti una variante dell'ateismo, configurandosi invece come una critica, ideal-tipicamente radicale, al dominio dell'uomo sull'uomo mediato dall'ipostasi divina. Cristiani ed atei non vengono pi isolati in "opposizione reale" e contrapposti staticamente (gli uni, che dicono si ad un Dio padrone ad un tempo personalizzato e cosificato, gli altri, che dicono che "dio" non  che un'illusione per i deboli di spirito e di carne), come fa tutto il pensiero idealistico, sia nella variante "cristiana" che nella variante cosiddetta "laica". Nell'ottica blochiana, integralmente dialettica, solo l'ateo pu essere un buon cristiano, e solo il cristiano pu realmente essere ateo. Non vi  qui infatti soltanto la ripresa della consapevolezza (che gi fu classicamente engelsiana) del doppio carattere ambivalente dell'ideologia religiosa, ad un tempo accettazione fatalistica dello sfruttamento e protesta contro lo sfruttamento in nome di una societ migliore, ma vi  in pi la comprensione piena del fatto che non vi  nessuna opposizione reale" fra atei e cristiani, credenti e non-credenti, ma vi  solo una "contraddizione dialettica" fra sostenitori del dominio ed oppositori del dominio, attraversati entrambi verticalmente dalla presenza o dall'assenza della cosiddetta "credenza" (19). La pregnanza della critica blochiana della religione non pu comunque essere intesa prescindendo da un'analisi della congiuntura teorica presente, dentro la quale  ben collocata. Vi sono infatti due novit storiche, che attendono di essere "spiegate" alla luce del materialismo storico, e che non tollerano di essere frettolosamente rimosse: in primo luogo, il socialismo reale ha dimostrato ampiamente di non essere affatto in grado di "superare" la cosiddetta "alienazione. religiosa", nonostante esorcizzi guesto fatto con rimandi improbabili ai "ritardi nella coscienza delle masse", ignoranza, superstizione, complotti dell'imperialismo e via tergiversandoj in secondo luogo, il dialogo fra "marxisti e cristiani", iniziato con molte belle speranze, non procede, e si  anzi impantanato in generiche chiacchiere sui "valori" ed in inconcludenti polemiche contro il consumismo, l'americanismo, la mentalit "radicale", la prevalenza dell'avere sull'essere, ed altri bla-bla-bla superficiali. La radicalit blochiana  in proposito una vera boccata di aria fresca. Bloch comprende bene come il "socialismo reale", nella sua critica economicistica del capitalismo, finisca con l'assolutizzare ed ipostatizzare l'istanza economica in modo ancora pi astrattamente rigido di quanto faccia lo stesso capitalismo monopolistico 153 occidentale (che infatti "laicizza" e secolarizza l'istanza economica in modo post-moderno, sciogliendo apparentemente le determinazioni produttive materiali nel flusso della comunicazione e dello scambio simbolico); il noioso insegnamento statale di tipo ateistico, con la pedante elencazione delle ragioni "scientifiche" che proverebbero la "non esistenza" di una "cosa" chiamata "dio" finisce con il ribaltarsi nel suo contrario. In primo luogo, infatti, la coscienza individuale singola, disgustata dall'inattendibilit del marxismo monopolistico di stato ridotto ad ideologia burocratica della manipolazione ripiega sul libero esame filosofico ancorato a temi "trascendenti" (in cui la "trascendenza"  peraltro solamente una risposta "immanente" e determinata alla pretesa di monopolio della permanente manipolazione burocratico-partitica). In secondo luogo, inoltre, la coscienza collettiva di opposizione  "costretta" ad usare le chiese e le confessioni religiose come specifico mezzo di lotta contro la pretesa di controllo totale dello stato "socialista reale" sulla "societ civile" (usiamo qui questo termine nonostante la sua imprecisione), come l'esperienza polacca mostra in modo abbastanza chiaro ed articolato (20). La comprensione blochiana di questa realt  piena e profonda. Da questa "situazione bloccata" non si esce tuttavia abbandonando la marxiana critica della religione per stipulare compromessi "ragionevoli" fra atei e credenti (questo deve certo essere fatto sul piano giuridico e legislativo, per far cessare ogni "discriminazione", ma non certo sul piano della radicalit teorica, che giustamente non conosce compromessi), ma solo approfondendo l'analisi delle ragioni che hanno portato alla compresenza fra divulgazione ateistico-positivistica e riduzionismo economicistico del marxismo, da un lato, e reazione idealistica contro questa compresenza, dall'altro. | La radicalit blochiana  d'altronde assolutamente inutilizzabile per il cosiddetto "dialogo" fra marxisti e credenti. Questo dialogo ha, come  noto, conosciuto alti e bassi significativi. Al tempo della guerra fredda, nel pieno dello scontro simbolico fra. il comunismo di Stalin e la chiesa di Pio XII, la contrapposizione polare fra neo-scolastica e materialismo dialettico sovietico nascondeva una segreta solidariet di fondo fra i due sistemi dogmatici contrapposti (21). Al tempo del disgelo, nel pieno delle grandi speranze sulla distensione e la "convergenza" fra i due sistemi sociali, il dialogo si stabil sulle fragili basi del minimo comun denominatore "umanistico" (i "valori"), in cui i credenti avrebero rinunciato alla dottrina della propriet privata come "diritto naturale" ed i marxisti, per contraccambiare, avrebbero 154 rinunciato unilateralmente al "materialismo dialettico" (individuato come spiegazione immanentistica ed ateistica della natura) per concentrarsi sul solo "materialismo storico" (ridotto ad una sorta di sociologia scientifica integrale e ad un ricettario per la giustizia sociale) (22). Al tempo della nuova guerra fredda, in cui ora ci troviamo, la ripresa fondamentalistica ed integralistica delle religioni (in particolare dell'Islam, ma anche del cattolicesimo woitiliano e del protestantesimo dell'America ieaganiana) sembra stravincere di fronte ad un "marxismo" incerto sulla sua identit e privo di prospettive. La critica blochiana della religione passa attraverso queste tre fasi storico-politiche restando estranea alla miseria teorica del materialismo dialettico, dell'umanesimo generico ed interclassista dei "valori comuni edificanti" ed infine della "crisi del marxismo". Essa sopravvive a tutte e tre, in vista di una fase nuova (per il momento certo non ancora all'orizzonte) in cui la radicalit marxiana dell'unica ed identica critica della religione e dell'economia politica possa trovare momenti pratico-storici di applicazione e di attuazione (23). 4 3. Il recupero blochiano della tradizione giusnaturalistica L'importantissimo libro di Ernst Bloch Diritto Naturale e Dignit Umana non pu essere considerato soltanto un contributo storiografico all'interpretazione storico-filosofica del diritto naturale moderno, ma deve essere visto come una vera e propria "opera d'indirizzo", che va ben al di l delle singole soluzioni date ai vari problemi discussi (che sono, ovviamente, opinabili e soggette a possibile critica e correzione), per raggiungere il livello della vera e propria integrazione filosofica" del materialismo storico contemporaneo (24). Tre ci sembrano le dimensioni teoriche particolarmente degne di discussione: in primo luogo, la giusta valutazione dialettica dell'eredit filosofica borghese, in opposizione determinata al bilancio negativo unilateralmente dato da pensatori come Horkheimerj in secondo luogo, il rifiuto di considerare il pensiero politico marxiano sotto l'aspetto della negazione frontale dello "spirito" del giusnaturalismo, con la conseguenza pericolosa di interpretare Marx in chiave decisionistica e positivistico-giuridica; in terzo luogo, il carattere "determinato" della valorizzazione biochiana del giusnaturalismo, volta a polemizzare contro il disprezzo per i "diritti umani" tipico delle legislazioni del cosiddetto "socialismo reale". Esaminiamole dunque brevemente. Sulla prima questione, Bloch rappresenta un vero e proprio 155 superamento della "situazione bloccata" creatasi a partire da due posizioni non dialettiche, sciaguratamente antitetico-polari: da un lato, il marxismo sovietico, sulla scia di un breve articolo di Lenin, continua stancamente a ripetere la formuletta delle "tre fonti e tre parti integranti del marxismo" (che dimentica, fra l'altro, tutta una serie di fonti "possibili", dal materialismo edonistico francese del Settecento fino al giusnaturalismo, appunto, "fonti" del tutto inutilizzabili per legittimare interpretazioni autoritarie, organicistiche ed economicistiche del materialismo storico); dall'altro, il marxismo occidentale (e si veda il fondamentale saggio di Horkheimer del 1936, intitolato Egoismo e movimento di libert, in cui tutti i temi della posteriore Dialettica dell'Illuminismo vengono gi anticipati), incline ad applicare in modo non dialettico un dispositivo teleologico a tutto il passato borghese (ed addirittura pre-borghese), che conterrebbe fin dal principio le premesse totalitarie destinate ad inverarsi inevitabilmente nel capitalismo monopolistico e soprattutto nel socialismo reale. Nel primo caso, come  evidente, l'eredit x progressista borghese  di fatto impoverita, con la conseguenza di incentivare l'unilaterale ripudio dei suoi aspetti libertari e rivoluzionari ed il disprezzo per la "democrazia borghese"; nel secondo caso (che, ripetiamo, vede in Egoismo e movimento di libert di Horkheimer la sua insuperata bibbia teorica) si cerca di dimostrare che nel movimento rivoluzionario borghese erano presenti fin dall'inizio, o addirittura predominanti, quegli aspetti di inumanit che si sarebbero poi manifestati in modo aperto e brutale nel fascismo (l'avversione nei confronti del piacere, l'ideologia della comunit popolare, l'impiego strumentale della ragione al servizio di interessi puramente materialistici, l'idolatria della produttivit econamica ed in breve la riduzione dell'esistenza umana alle categorie del calcolo e dell'utilit) (25). La lettura blochiana del giusnaturalismo contenuta in Diritto Naturale e Dignit Umana  giustamente diretta contro questo dispositivo teleologico horkheimeriano, che si pretende dialettico, ma che ricorda invece certi tratti fatalistici e destinalistici tipici del pensiero di Heidegger. Per Bloch "la rivoluzione borghese  stata certamente, nella maggior parte dei problemi, pi borghese che rivoluzione, ma essa non si  limitata a compiere - con la liquidazione dei privilegi di classe. - un lavoro colossale di preparazione e di sgombero, ma contiene in s anche la promessa, ed il nocciolo utopistico e concreto di quella promessa, a cui la vera rivoluzione pu restare fedele. Il contenuto dei diritti umani, libert, eguaglianza, fratellanza, la tentata ortopedia dell'andamento eretto, dell'orgoglio virile, della dignit umana, trascendono di 156 gran lunga l'orizzonte borghese". In questo modo Bloch collega dialetticamente il giusnaturalismo rivoluzionario borghese ed il materialismo storico dal punto di vista della finalit emancipatoria reale, senza che questo collegamento comporti affatto la negazione della "rottura", teorica ed espistemologica, che separa invece gli apparati concettuali giusnaturalistico e marxiano, che sono in effetti qualitativamente diversi (26). Questa riflessione ci porta direttamante alla seconda questione. Marx, indubbiamente, non  un giusnaturalista, e la produzione concettuale della nuova teoria storico-materialistica si basa su di una discontinuit nei confronti della vecchia teoria (per usare il linguaggio di Kuhn,  un nuovo paradigma, una rivoluzione scientifica). Tuttavia, questo non comporta affatto un atteggiamento filosofico di disprezzo e di irrisione nei confronti delle finalit emancipatorie del giusnaturalismo classico (presi di mira sono, semmai, i "nuovi" utilitaristi, come Bentham). Non  neppure possibile parlare di una contrapposizione polare fra l'astrattismo giusnaturalistico ed il cosiddetto "realismo" di Hegel, e neppure di una contrapposizione fra un modello politico-giuridico giusnaturalistico ed un' modello hegelo-marxiano (27). Pi in generale, non c' affatto in Marx la base teorica per giustificare una "preferenza" storico-materialistica per il "virile disincanto" delle varie forme di decisionismo e comunque di positivismo giuridico (i quali, invece, sono realmente mossi da disprezzo ed irrisione nei confronti delle problematiche giusnaturalistiche, scambiate talvolta per "filosofie del garantismo" ed in generale dell'individualismo astratto). In sintesi, invece, si pu fondatamente sostenere che il pensiero politico marxiano  estraneo, sul piano teoretico, all'apparato categoriale giusnaturalistico, mentre  del tutto affine e solidale con le intenzioni emancipatorie di alcune componenti della scuola del diritto naturale, ed  infine ostile alle ciniche spacconate che stanno alle spalle del cosiddetto "decisionismo". Passando alla terza questione, infatti, non si pu non riconoscere che il soggettivismo settario che ha dominato la cosiddetta "costruzione del socialismo" ha molto pi a che fare con il decisionismo politico (che si dota in generale di un'autocoscienza giuridica di tipo positivistico, e dunque irridente ai "valori", anche se a questi ultimi ipocritamente ci si inchina negli innocui "preamboli") che con la problematica classica del giusnaturalismo, sempre attenta a non idolatrare unilateralmente lo Stato. Il normativismo giuridico sovietico (questo equivalente orientale del feticismo e dell'astrattismo giuridico occidentale), in generale ostile 157 alle problematiche giusnaturalistiche ed alle tematiche "utopiche" della cosiddetta "estinzione della norma giuridica",  del tutto incapace di assicurare la cosiddetta "certezza del diritto"; ma questo non avviene per carenze "tecniche" nella legislazione o nella procedura, procedendo invece dalla necessit di riprodurre in un certo modo i rapporti sociali complessivi vigenti nel socialismo reale (28). Ernst Bloch stesso fu vittima di questa situazione, e la pag sulla propria pelle e su quella di alcuni fra i suoi migliori allievi. E' difficile non vedere in Diritto Naturale e Dignit Umana un libro integralmente storico, un'opposizione determinata ad una situazione in cui siamo tutti ancora immersi (29). 4. Il significato profondo della teoria blochiana dell'Utopia Concreta Come  noto, Bloch  il grande pensatore novecentesco dell'Utopia. Alcune sue opere classiche (dal Geist der Utopie, disponibile in lingua italiana, al monumentale Prinzip Hoffnung, sciaguratamente non ancora disponibile) rappresentano un patrimonio teorico gi consolidato nella migliore critica filosofica internazionale (30). La teoria blochiana dell'Utopia non pu essere assimilata ad altre teorizzazioni novecentesche, pur interessanti (che vanno da Buber ad Huxley, da Orwell a Mannheim, da Marcuse a Baczko), essendo caratterizzata da modalit peculiari irripetibili (31). Molti sono gli aspetti che suggeriscono di prendere molto sul serio la riflessione blochiana sull'agire utopico. Tuttavia, nel contesto del discorso che qui viene fatto (limitato alla valorizzazione degli aspetti ontologico-sociali), ci limiteremo a segnalare due dimensioni teoriche fondamentali: in primo luogo; il rapporto diretto Bloch-Marx, cio la legittimit. storico-materialistica di un discorso sull'Utopia che assuma fino in fondo il carattere "marxiano" di questa categoria; in secondo luogo, la funzione odierna, contemporanea, novecentesca, della categoria di Utopia, dal punto di vista della filosofia politica e del materialismo storico. Sulla prima questione,  necessario non partire con il piede sbagliato (32). In primo luogo, infatti, l'interpretazione del materialismo storico come "passaggio del socialismo dall'utopia alla scienza" deve sobriamente scartare tutte le varianti incentrate sull'opposizione fra i sogni ed i progetti cervellotici (utopici, appunto) e la ferrea prevedibilit necessitaristica, scientificamente dimostrabile: (e si  polemizzato contro questa concezione della "scienza" nella prima parte di questo scritto); se si vuole 158 conservare ad ogni costo questa espressione (che riteniamo comunque infelice, e dunque sacrificabile), occorre drasticamente limitarla ad una nozione di "causalit strutturale". afferente la transizione fra diversi modi di produzione, in cui l'interazione dialettica fra ie istanze economiche, politiche ed ideologiche non pu essere mai frutto di mere "volont utopiche", ma  sempre ferreamente "limitata" dalle possibilit concrete iscritte nei modi di produzione stessi (33). In secondo luogo, occorre blochianamente insistere sul fatto che in Marx non vi  mai una polemica anti-utopica condotta in nome del "sano realismo": l'orizzonte del possibile politico-sociale  in Marx questione di fondazione ontologica, compatibile dunque con le categorie utopiche della "coscienza anticipante" e della "possibilit concreta" (34). I marxismi posteriori a Marx hanno invece sviluppato l'opposizione astratta utopia/realismo in anti-utopismo programmatico, finendo con il perdere di vista che ad un certo punto l'anti-utopismo pregiudiziale diventa anti-realismo ed incapacit a "vedere" le possibilit reali nuove offerte dal divenire storico (come ben vide Marcuse nella Fine dell'Utopia). In Bloch la teoria filosofica dell'Utopia Concreta  sempre anche (ed inscindibilmente) una teoria ontologico-materialistica della Possibilit Reale (che comprende, ovviamente, anche il sogno ad occhi aperti, l'immaginario letterario ed artistico, la coscienza anticipante, eccetera). In questo senso (ma si tratta di un significato fondamentale) Bloch  pienamente fedele, nel metodo, alle intenzioni teoriche di Marx (che abbiamo interpretato, nella prima parte di questo scritto, come il fondatore "scientifico" della dottrina della Possibilit Reale della transizione dal capitalismo al socialismo, respingendo la dottrina della Necessit Immanente di questa transizione), che sviluppa ovviamente con il suo inimitabile. stile espressionistico e con le sue specifiche componenti culturali. Passando alla seconda questione (che , in fondo, l'unica che veramente ci preme, essendo il problema della "ortodossia marxologica" di Bloch di secondaria importanza), ci si accorge. agevolmente che la teoria blochiana dell'Utopia ha un valore storico di posizione attualissimo nella situazione culturale odierna, caratterizzata dallo sbandamento dell'identit filosofica della "sinistra" e dall'aggressivo avanzare di una cultura di "nuova destra", che ambisce all'egemonia negli anni '80 di questo secolo. Non si vuole qui "strumentalizzare" la teoria blochiana dell'Utopia, riducendola alla bassa cucina delle polemiche spicciole contro la nuova Destra (35). Al contrario, si intende qui segnalare la teoria blochiana dell'Utopia Concreta come componente fondamentale di 159 un'identit culturale storico-materialistica della sinistra marxista. Nella teoria blochiana il mito  correttamente inserito nell'identit anticipante di una comunit storica, vive come componente strutturale del presente storico, allude all'impossibilit di raggiungere una (del resto indesiderabile) "razionalit perfetta" integralmente demitizzata, e non  perci mai messo in opposizione frontale all'agire utopico-anticipante, che anzi feconda in continuazione (36). Il modello utopico non pu coniugarsi in alcun modo, invece, con la "cultura di destra", in cui il "mito" rinvia all'originario come fondamento anti-storico e del tutto meta-storico, rifiuta il tempo come "futuro", come novum, come non-ancora (per usare un'espressione ontologica blochiana), ed  dunque una perfetta anti-utopia, facilmente trasformabile in un'utopia regressiva. Il riferimento all'originario come sede di un'autenticit numinosa metatemporale, degradata dal fluire decadente del tempo,  infatti ad un tempo una perfetta utopia regressiva e dunque una radicale anti-utopia. In Bloch l'utopia come "esercizio mentale sui laterali possibili" del tempo  possibile esclusivamente come "presente storico", e si distingue in modo qualitativo dalle prefigurazioni geometrico-totalitarie di un futuro irrigidito e programmato (come temono invece Kolakowski e Popper) (37). L'utopia vive infatti, in Bloch, come principio-speranza, non come progetto maniacalmente onni-prefigurante. La sua realizzazione integrale implicherebbe la sua morte, la chiusura dell'orizzonte storico del futuro, il nevrotico rifiuto di fermare ia freccia del tempo. L'Utopia Concreta  dunque, ad un tempo, una teoria ontologica della Possibilit Reale ed una teoria storico-dialettica della Temporalit: il materialista storico pu tranquillamente rivendicare questa fondamentale dimensione teorica, senza farsi spaventare dalle messe-in-guardia degli assolutizzatori del presente feticizzato nella sua immutabilit (38). 5. L'invito blochiano a studiare la storia del materialismo Il materialismo storico marxiano, come  noto, non  un materialismo filosofico "speculativo", n richiede "fondazioni" materialistico-speculative di alcun tipo. E' noto (e lo si  ricordato nella seconda parte di questo scritto) che l'incasellamento del , materialismo storico dentro una teoria generale di tipo "speculativo" (quale  stata di fatto il materialismo dialettico sovietico) non  mai un'operazione innocente. I prezzi da pagare sono molto alti, e vanno dall'edificazione di una "visione del 160 mondo" ateo-materialistica di tipo quasi sempre scientistico-positivistico (nemica della "cultura umanistica" ed ingenuamente subalterna alle manipolazioni tecnocratiche) fino all'elaborazione di una ideologia di legittimazione statuale. Resta il fatto che un'attivit filosofica materialistico-speculativa non  mai eliminabile, risultando dal doppio fenomeno convergente degli scienziati che riflettono sulla globalit delle proprie conoscenze, da un lato, e dei filosofi che vogliono far interagire la propria "speculazione" con i dati offerti loro dalle scienze della natura. Questa convergenza  un fatto progressivo, e non bisogna certo spaventarsi dalle inevitabili genericit e dai veri e propri errori che il non-specialista fa quando abbandona il suo campo. Si tratta di un prezzo molto basso da pagare, pi basso, in ogni caso, dell'isolamento reciproco cui sarebbero altrimenti condannate le discipline scientifiche e la riflessione filosofica (39). Il "materialismo speculativo" non ci dice nulla, dunque, sui modi di produzione, ma ci segnala atteggiamenti filosofici destinati ad influenzare indirettamente anche l'approccio alla teoria specifica dei modi di produzione, stessi. Si  gi segnalata positivamente (nella terza parte di questo scritto) la messa in guardia heideggeriana contro il "materialismo" inteso come teoria della produzione incondizionata a partire dal "lavoro" creatore e signore di tutte le cose. Si pensi ai disastri filosofici causati in Italia dalle conseguenze del dellavolpismo (escludendo parzialmente da queste pesanti responsabilit Galvano Della Volpe stesso), che aveva integralmente ridotto il "materialismo" a metodologia scientifica antidialettica, fino a sfociare nella "distruzione" collettiana del materialismo storico. E si pensi infine all'atmosfera di opportunistico agnosticismo verso i problemi di "visione del mondo" creata dallo "storicismo integrale" del cosiddetto italo-marxismo togliattiano (sulla quale ha scritto indimenticabili pagine Sebastiano Timpanaro). Poich speculare sulla materia"  largamente inevitabile, tanto vale almeno che lo si faccia nel modo pi proficuo e fecondo possibile 0, se se vuole, creando meno danni possibili (40). E' nel quadro di queste considerazioni che possiamo apprezzare la storia blochiana del materialismo. Si  parlato, in proposito, di Bloch come di uno "Schelling marxista". L'analogia  stimolante, ma pu condurre anche fuori strada, se si "schiaccia" eccessivamente la problematica blochiana sulla "filosofia della natura" dei romantici. Ernst Bloch viene infatti dopo la grande "crisi delle scienze" di inizio secolo, ed  a partire da essa che deve essere giudicato, nel suo doppio aspetto di storico e di filosofo 161 del "problema del materialismo" (41). Ernst Bloch non , ovviamente, un filosofo della scienza. Egli non indaga sui meccanismi e sulla logica della scoperta scientifica, ma 'specula" sulla nozione filosofica di materia. Seguendo l'indicazione di Lenin, non pretende insegnare agli scienziati specialisti la nozione corretta" dell'oggetto" che essi stanno studiando, ma attua una "riflessione di secondo grado" su questo stesso oggetto, attraverso l'esame storico delle idee di materia e di materialismo. Un grande genetista contemporaneo ha scritto: "Alcuni specialisti hanno consigliato di limitare il termine "evoluzione" alla sola evoluzione biologica. Io non condivido il loro punto di vista, poich mi sembra importante trasmettere l'idea che mutamento e sviluppo sono caratteristiche del mondo inorganico come della materia vivente e delle faccende umane". Pi in l, questo genetista chiarisce con molti esempi come la scienza moderna, intesa in modo filosoficamente dinamico, non solo non scoraggi, ma anzi attivamente incoraggi una visione dinamico-speculativa della materia come capacit di creare ininterrottamente novit evolutive (42). i E' questa, indubbiamente, "speculazione", e non certo riflessione determinata sui marxiani modi di produzione. Tuttavia, dopo i disastri provocati da tutti gli storicismi integrali che hanno preteso espellere la natura ed il materialismo da una coerente visione del "moderno", e pi ancora ridurre il materialismo storico a "sociologia", il tentativo blochiano di riscrivere la storia del materialismo appare un ritorno alle intenzioni del pensiero settecentesco, il quale sapeva molto bene come dietro la metafora della "natura" e della "materia" si stavano giocando questioni sociali 'di fondo (43). E' interessante (e certo non casuale) che Bloch riesca ad apprezzare contemporaneamente il teologo rivoluzionario Thomas Munzer e l'ateo materialista barone d'Holbachj soltanto una situazione filosoficamente e provincialmente arretrata, che distingue gli uomini in clericali e mangiapreti, pu stupirsi che sia lo stesso autore ad affrontare con approccio analogo il nocciolo rivoluzionario della teologia ed il nucleo emancipatore del materialismo, aspetti, entrambi, della stessa dinamica realt (44). 6. Experimentum mundi: l'ontologia della possibilit del Nuovo nella storia La valutazione positiva che  stata qui data del pensiero blochiano nel suo complesso non sarebbe tale se tutte le 162 componenti fin qui enumerate (concezione multilineare e differenziata della temporalit storica, radicalit della critica religiosa, valorizzazione dell'eredit giusnaturalistica borghese, centralit dell'anticipazione utopica, profondit e genialit del suo materialismo speculativo) non confluissero tutte in una salda e coerente visione ontologica della storia. Allo scrivente un'immagine di Bloch "maniaco della soggettivit" e cultore di Prometeo e dei Titani non interessa per nulla. Il ventesimo secolo  pieno di cantori del titanismo e di apologeti della "prassi che ha successo", sempre pronti a sputare sui perdenti e ad incensare i vincitori (ma Ernst Bloch, che parla del "riscatto" dei vinti, e che vede in Thomas Munzer il simbolo della "provvisoriet" della sconfitta, non rientra certo nel gruppo di costoro). Tutte le componenti filosofiche che abbiamo sopra sommariamente elencate non varrebbero anzi un soldo bucato (su questo lo scrivente preferisce esprimersi con triviale franchezza) se dovessero essere "cambiate di segno" ed acquistare una valenza anti-ontologica ed idealistico-soggettiva. La filosofia contemporanea  infatti piena di chiacchiere sul tempo come categoria percettiva in cui migliaia di "soggetti sociali" irrelati si sprofondano a met fra lavori a part time, esercito industriale di riserva, e rifiuti del lavoro di vario tipo; di riscoperte del "religioso" in stile falso-indiano e vetero-contadino; di contrapposizione dei "diritti umani innati" alla rivoluzione sociale ed alla critica delle diseguaglianze e della propriet privata; di chiacchericcio sull'utopia come fuga in avanti ed alibi per evitare i discorsi concreti sul possibile storico hic et nunc; di riscoperte di un "nuovo materialismo" sulla base dei tarocchi, dell'astrologia, del "sapere delle donne" e dei manuali di Jane Fonda; eccetera, eccetera. Tutti i "temi" blochiani sono infatti apparentemente molto di moda oggi, nella misura in cui possono essere declinati in forma irrazionalistica e soprattutto violentemente anti-ontologica. Si tratta, tuttavia, di temi blochiani senza Ernst Bloch, il quale non c'entra per nulla con tutto questo, e ci ha lasciato con Experimentum mundi un testamento filosofico di enorme importanza teorica e soprattutto di forte impronta ontologica, sul quale ben pochi equivoci sono possibili. Experimentum  mundi  un'opera profondamente calata nell'atmosfera dei primi anni '70 di questo secolo, che risentivano ancora della scossa storica, confusa ma generosa, del Sessantotto europeo. Essa  ad un tempo un'esposizione sistematica di categorie filosofiche (logico-ontologiche, secondo la tradizione di Hegel), un repertorio di problemi aperti e non risolti della filosofia marxista, un insieme di piccoli saggi in un certo senso compiuti in se stessi come i migliori aforismi adorniani. Tutta la ricca problematica blochiana vi trova una sorta di "assestamento", che non ha nulla a che fare con la manualizzazione ed il compendio facilmente riassumibile e ripetibile (Bloch non pu essere soggetto a riassunti e schematizzazioni, data la fusione fra forma e contenuto tipica delle sue opere), ma che illumina retrospettivamente il significato filosofico di tutta la sua precedente attivit teorica (45). L'ontologia di Bloch non  una "descrizione" delle caratteristiche modali dell'Essere, ma  una teoria descrittivo-processuale del non-essere-ancora (46). La modalit fondamentale del non-essere-ancora  ovviamente la categoria della "possibilit". Quando Bloch parla di possibilit" in senso ontologico, ne sviluppa due significati fondamentali: in primo luogo, la possibilit  una espressione modale della materia in quanto  2 essere processuale; in secondo luogo, la possibilit  il luogo delle concrete condizioni parziali della realizzazione di quanto  "volta per volta" possibile (che  a sua volta unit di un fattore soggettivo, la maggiore o minore capacit di trasformare il dato, e di un fattore oggettivo, la maggiore o minore trasformabilit del dato). In entrambi i casi, la "necessit" non rappresenta mai la modalit fondamentale del non-essere-ancora (e questo preclude ogni possibilit di lettura di Experimentum mundi in chiave grande-narrativa o deterministico-naturalistica), ma  sempre ontologicamente subordinata alla possibilit, cos come lo spazio  subordinato al tempo, ed il presente al futuro (47). La possibilit  anche una "forma d'esserci" della prassi, che  la categoria fondamentale della ontologia blochiana, che pu essere dunque definita come una fondazione ontologica del primato della prassi'umana sulla base di una concezione della "materia" come di un essente-in-possibilit (definizione che, non permettendo l'inserimento di Bloch n nel marxismo orientale n in quello occidentale, costringe a rivedere tutti gli schemi consueti) (48). La centralit ontologica della prassi. in Bloch deve essere ovviamente ben compresa; in primo luogo, non si tratta di una "filosofia della prassi", nella misura in cui questa espressione allude al rifiuto di una considerazione dialettica della natura, mentre in Bloch  la concezione della materia come essente-in-possibilit che fonda la prassi stessa; in secondo luogo, non si tratta di una concezione della prassi come "immediatezza" (e si pensi alla critica hegeliana del "darsi della conoscenza" concepito come un improvviso "colpo di pistola"), in quanto in Bloch il ruotare ci che ci sta davanti ed il portare il vissuto fuori dall'immediatezza ancora oscura e confusa significa anche collocarlo su un piano superiore a 164 quello dell'emotivit indeterminata, ossia inserirlo nel processo dell'oggettivazione e dell'astrazione concettuale (49). La nozione blochiana di prassi si presta certo a molte considerazioni. In primo luogo, essa  certo anche "lavoro", ma il lavoro non  mai, come nella Ontologia lucacciana, la forma LI originaria ed il modello della prassi stessa;  questa certo una scelta degna di riflessione (50). In secondo luogo, essa  il | principale fattore storico-filosofico che potremo definire anti-nichilistico (e questo  interessante e nuovo per il dibattito filosofico italiano, nel quale, per infiuenza anche di pensatori come Severino, la prassi  divenuta sinonimo di nichilismo), in quanto  momento costitutivo della processualit dell'essere-in-tensione (51). In terzo luogo (ed  forse il punto pi importante), la prassi  il fattore che realizza nella storia ci che Bloch chiama la tendenza, e che egli oppone alla "legge", intesa come "ci che tiene ferma la ripetizione" (52). Il fatto che la prassi sia inserita in una sorta di tendenza latente nella processualit. storica, da un lato, e nello stesso tempo sia considerata come il fattore decisivo della storia, dall'altro,  certo un elemento d'ambiguit dell'ontologia blochiana. Non c' in proposito soltanto una mancanza di rigore terminologico (come ha osservato Adorno) e neppure una confusione filosofica sistematicamente intrattenuta (come ha opinato Kolakowski). Bloch ha inteso invece rispecchiare (qui lo scrivente esprime la propria personale opinione) un elemento di ambiguit e di ambivalenza realmente esistente nella ontologia del materialismo storico, che effettivamente oscilla fra una incorporazione dell'agire trasformatore in una sorta di causalit strutturale radicata nelle leggi di movimento immanenti ai modi di produzione ed una enfatizzazione dell'elemento di novit portato nella storia dall'iniziativa umana concreta (53). Experimentum mundi  d'altronde programmaticamente una ontologia di un sistema aperto, un eccezionale sforzo linguistico di tenere aperte insieme le vie dell'aforisma e dell'osservazione micrologica e le strade della categorizzazione sistematica delle nozioni filosofiche. Si tratta di un libro che abbiamo appena incominciato a leggere, e che dar i suoi primi frutti storici quando incominceremo a prenderlo sul serio come un vero e proprio libro-spartiacque, che si colleca nello spazio intermedio fra la chiusura della storia dei vecchi marxismi e LAPGItuta di una storia di marxismi LISCA PERO rinnovati. 165 7. Sulla feconda ambiguit dell'ontologia blochiana La mancanza di "precisione" del linguaggio filosofico blochiano  dunque un motivo di forza, e non di debolezza. Bloch considera il passato come un'unit dialettica di tendenze all'asservimento e di tendenze all'emancipazione (in sintonia con un pensatore che gli  apparentemente tanto lontano, nello stile e nei contenuti, come Jurgen Habermas, ed in opposizione a pensatori pi affini a lui nel linguaggio, come i "vecchi signori" di Francoforte e lo stesso Heidegger), analizza il presente come ci che rimarrebbe sempre oscuro se non fosse fatto "ruotare" in direzioni progettuali, e concepisce il futuro come luogo in cui l'utopia (che, in quanto tale, trova nel presente il suo luogo di formazione) si dispiega e si manifesta, aiutata dalle tendenze dinamiche contenute nella stessa realt "materiale". | Ernst Bloch  dunque la prima risposta, del cuore e dell'intelletto, della fantasia e della ragione, alla spietatezza delle diagnosi di Weber e soprattutto di Heidegger sull'intrascendibilit del meccanismo riproduttivo della societ capitalistica. Questa risposta non pu e non deve essere linguisticamente "sorvegliata" e concettualmente " formalizzata"; in comune con le avanguardie artistiche e letterarie Bloch ha la consapevolezza della necessit di attuare una rivoluzione nel linguaggio (analoga, del resto, alla consapevolezza che porta Heidegger a distinguere fra "filosofia" e pensiero"). | La questione teorica essenziale si trova tuttavia altrove, al di l delle mille questioni di dettaglio che non possono non nascere dall'arialisi della sterminata enciclopedia filosofica blochiana (che non  mai, in nessun momento, un "pensiero edificante", che ambisca "consolare" i vinti e farli sperare contro ogni "evidenza dei fatti"). Il punto di reale ambiguit  l'atteggiamento generale di Bloch verso la possibilit di edificazione di un futuro emancipato (e comunista). Mentre nella Ontologia lucacciana non si va oltre ad una cauta e sobria esplorazione della "possibilit ontologica" di un futuro emancipato e comunista e della negazione di fattori metastorici (di tipo sociobiologistico o sistemico-sociale) in grado di renderla impossibile, in Bloch (nonostante i suoi riferimenti metaforici. alla realt del diavolo come sopravvivere dell'''avversante" contenuti in Experimentum mundi) vi  certo qualcosa di pi di una mera teoria "fredda" della possibilit ontologica del comunismo.E' presente in Bloch una vera e propria scommessa emotiva sulla tendenza generale, che non ' mai (come si 166 x  detto sopra) edificazione ed ottimismo . irrazionalmente programmatico, ma che  pur sempre una esaltazione della prassi umana in tutte le sue forme. Non si tratta qui di rimproverare Bloch per non aver definito in forma pi precisa le forme fondamentali della prassi umana (e del resto Bloch non sarebbe pi tale senza la sua voluta torrenzialit multiforme). Si tratta, invece, di vedere in Bloch la. compresenza di due tendenze filosofiche fondamentali, delle quali l'una  integralmente prometeica, titanica, e romanticamente tesa all'infinito, mentre l'altra ontologizza le possibilit. del finito, naturale e sociale, di trasformarsi, di cambiare forma e qualit, di non rimanere sempre eguale, di trovare dimensioni sempre diverse in una temporalit ricca e multiforme, mai schiacciata sul tempo capitalistico dell'orologio e sullo spazio della propriet privata (54). Lo scrivente non nasconde la sua preferenza verso un'ontologia del finito e delle sue forme, e qui Bloch non ci soccorre pi. Senza un bagno nel torrente blochiano, tuttavia, neppure un'ontologia del finito diviene possibile. Occorre imparare, prima, da chi ha filosofato sempre "come Aristotele e Hegel", come se l'intera filosofia contemporanea, irrigidita nella gabbia dei linguaggi accademici, non esistesse neppure. 167 NOTE 1. Si veda Lukcs, Pensiero Vissuto, Ed. Riuniti, 1983, p. 44. Quando Lukcs * parla di Bloch, si  generalmente in presenza di una valutazione di fondo altamente positiva del pensatore tedesco, di cui  continuamente sottolineata la classicit" mentre si criticano altri elementi teorico-politici di fondo (valutazione delle avanguardie storiche, problema del tempo, eccetera). Quando Bloch parla di Lukcs (cfr. Bloch, Tagtraume vom aufrechten Gang, Suhrkamp, 1977, passim) la valutazione  ancora pi positiva, in quanto mancano in generale persino critiche specifiche (al di fuori dell'accusa di "cecit critica" verso le avanguardie storiche). I) libro di Bloch sulla storia del materialismo  d'altronde dedicato da Bloch all'"amico di giovent" Lukcs. Lo studio che il lettore ha sotto gli occhi non  una monografia critica su Lukcs e Bloch, e neppure un esame sistematico delle convergenze e delle divergenze dei due autori. Lo scrivente intende solo sottolineare sistematicamente la comune battaglia teorica, filo-ontologica ed anti-soggettivistica, dei due autori, che li contrappone in modo netto alla solidariet antitetico-polare fra esistenzialismo e neopositivismo, tipica del pensiero e della prassi del nostro tempo. Non c', fra l'altro, nessun "concordismo opportunistico", ma una esplicita scelta (filo-lucacciana) da parte dello scrivente. Tuttavia (e qui si arriva al dunque), lo scrivente  molto contento del fatto che i due vecchi autori si sentissero solidali nel loro sforzo teorico, perch anch'egli li legge come sostanzialmente solidali. 2. Il Dio di Heidegger  infatti molto spesso un "padrone" del mondo, mentre in Bloch, come vedremo, lo eritis sicut deus rende impossibile una teologia del padre-padrone. 3. Lo scrivente deve molto, ed  pienamente d'accordo, con la fondamentale monografia di Remo Bodei, Multiversum. Tempo e storia in Ernst Bloch, Bibliopolis, 1979. Bodei ha il merito di centralizzare la valutazione di Bloch: del concetto di multiversum temporale, di cui vede bene l'incompatibilit assoluta con le filosofie storicistiche della storia. E' questa anche la tesi di fondo dello scrivente nella quarta parte di questo scritto. 4. E' questo forse il modo privilegiato con cui leggono Bloch i simpatizzanti per il cosiddetto "marxismo occidentale": primato della attivit, esaltazione della prassi comunque e dovunque, unit soggetto-oggetto. Vi  qui la radice della grottesca koin filosofica che rappresenta la sistematizzazione (non dialettica) del senso comune elaborato dai "soggetti" (definiti "nuovi", e quasi sempre vecchi come il cucco) liberati, e cio resi disoccupati, dalla razionalizzazione capitalistica della produzione. Gli operai che bollano la cartolina sarebbero schiavi del tempo cartesiano quantitativo, mentre la qualit del vero rapporto con il reale sarebbe attinta (o attingibile) con trainings di induismo semplificato gestito industrialmente da managers capitalistici del "bisogno di misticismo" che esprimerebbero gli emarginati. Scrittori positivisti (come Lucio Colletti) tendono a collocare questo rifiuto del "tempo delle scienze" all'interno di un unico blocco irrazionalistico e "bergsoniano" di 168 rifiuto del mondo moderno. Si tratta invece di un'esasperazione grottescamente esistenzialistica di un atteggiamento integralmente positivistico di accettazione della "superficie" visibile del mondo post-moderno (che  anti-dialettico esattamente come quello di Colletti). 6. Si veda E. Severino, Destino della necessit, Milano, 1980. 7. ! principi filosofici della originariet e della fatalit del tempo rappresentano, a parere dello scrivente, il connotato filosofico principale della "nuova destra" degli anni '80 (insieme con il principio di differenza interpretato come radicale diseguaglianza fra gli uomini). Si rimanda qui alla ricchissima pubblicistica della "nuova destra" (Elementi, Nouvelle Ecole, eccetera). 8. Indispensabile strumento di lavoro  la monografia di Remo Bodei citata nelia nota 3. A p.15-16 Bodei fa la distinzione fra non-contemporaneit ed arretratezza. Pi avanti (p. 37)  citata una critica argomentata (dallo scrivente non condivisa) di uno scritto lucacciano degli anni '30, rimasto lungamente inedito, a proposito del concetto. blochiano di non-contemporaneit. Pi avanti ancora, in pagine fondamentali, Bodei elenca quattro nozioni di attimo-(l'attimo nei suoi caratteri di repentinit e di discontinuit granulare; l'attimo come nunc stans, nunc aeternum  come congelarsi e rallentare del tempo, quale "attimo immenso"; l'attimo come ' Jetzt-Zeit, tempo-ora con cui si spezza il continuum della storia; l'attimo come momento solenne della decisione anticipatrice, come segno della autenticit). Bodei riconduce la prima nozione a Hegel, ed illustra poi posizioni di Bachelard; connette la seconda con i mistici, parla del Faust e del giovane Lukcs; esamina la terza in rapporto a Benjamin (di cui occorrerebbe esaminare con attenzione le fondamentali Tesi sulla filosofia della storia, quasi sempre mal interpretate dall'attuale moda benjaminiana in Italia, che ha assunto ormai aspetti francamente demenziali); si riferisce nella quarta allo Heidegger di Essere e Tempo. 9. Sembra allo scrivente che queste posizioni siano diffuse soprattutto fra i verdi tedeschi. Pi in generale vi  qui una singolare compresenza fra ammirazione delle avanguardie storiche (e pi in particolare dell'espressionismo e del montage) ed ammirazione dell'autenticit contadina. In questo senso queste posizioni sono "fedeli" a Bloch (che era incantato sia dal cabaret espressionista che dai villaggi contadini della Turingia). Lo scrivente (che concorda invece con le posizioni teoriche della Ontologia lucacciana) ritiene che la non-contemporaneit che viene confusa con il rispetto feticistico di ogni tipo di arretratezza sia una nozione che non tiene conto della novit storica portata dal capitalismo, che permette la "transizione antropologica" dalla singolarit alla particolarit. 10. E' questo, in senso assoluto, il problema pi importante che dovr essere risolto in futuro dalla filologia blochiana. Gi ora la migliore letteratura secondaria s  impegnata su questo. Il notevole testo di H. H. Holz, Logos Spermatikos. Ernst Bloch Philosophie der unfertigen Welt, Luchterhand, 1975, documenta chiaramente come Bloch attribuisca una finalit immanente sia alla storia che alla natura. Per usare il linguaggio della Estetica di Lukcs,  indubbio che vi sono in Bloch fortissime tendenze all'antropomorfizzazione filosofica della natura. Lo scrivente 169 (che non condivide per nulla questa tendenza) ha deciso per di enfatizzare altri aspetti del pensiero blochiano, che lo collocano in un'opposizione determinata allo storicismo ed al destinalismo. Ogni pensatore si muove in una congiuntura storica determinata, occupa spazi e ne lascia liberi altri. Questo avviene per Bloch, come per chiunque altro. 11. Questa versione edulcorata, moderata, ed educata" di Bloch  sostanzialmente presente nel testo di Bodei, sopracitato, ed anche nelle divulgazioni scolastiche (cfr. Sergio Moravia, Pensiero e civilt, III, Le Monnier, 1982). Ancora pi dannose sono le confusioni fra Bloch e Benjamin, fatte a partire da superficiali analogie nella tematica teorica. 12. Per essere pi precisi, Ernst Bloch pu essere legittimamente usato sia dalla cosiddetta "teologia della speranza" sia dalla cosiddetta "teologia della rivoluzione". Nel primo caso, si enfatizza un principio squisitamente ontologico riferito alla natura ed alla storia (il "principio speranza", appunto), nel secondo caso, si tende verso un'interpretazione "zelotica" di Ges ed in ogni caso verso una lettura "politica" dei vangeli. Entrambe le letture sono estranee al materialismo storico ed anche alla ontologia dell'essere sociale, ma non possono neppure essere definite ostili. 13. Si veda Hindness-Hirst, Pre-capitalist modes of production, Routledge & Kegan, London, 1975. E' certo impossibile "dedurre" il profetismo ebraico a partire dall'istanza ideologica del modo di produzione antico-orientale (e non deveessere questo l'obbiettivo di un materialismo storico bene inteso), ma  certo che senza un'approfondita conoscenza dei meccanismi sociali di riproduzione pre-capitalistici in Giudea non si pu neppure intendere adeguatamente Isaia e Geremia. In Bloch c' molto spesso la tendenza a "forzare" il testo biblico (all'interno di pi generali tendenze ermeneutiche tipiche del pensiero contemporaneo), ma non si  mai in presenza di manipolazioni o di falsificazioni. 14. La filosofia della religione  caratterizzata oggi da uno slittamento da posizioni "fenomenologiche" (assai forti negli ultimi trent'anni) a posizioni apertamente "antropologiche" (si veda, ad esempio, la voce Religione, scritta da Marc Aug, Enciclopedia Einaudi, 1980). Bloch  sostanzialmente estraneo ad entrambe le tendenze, consapevole della limitatezza e della parzialit delle spiegazioni fenomenologiche e delle riduzioni sociologistiche o antropologico-sociali. 15. Le opere blochiane cui si fa riferimento sono Religione in eredit, Queriniana, 1979, ed Ateismo nel Cristianesimo, Feltrinelli, 1971. Dato il carattere di questo saggio, lo scrivente non pu neppure sunteggiare sommariamente queste opere fondamentali, limitandosi a darne un giudizio teoretico di fondo. Studiosi accreditati di Bloch (come il padre gesuita Giuseppe Pirola ed il traduttore italiano delle due opere sovracitate, Francesco Coppellotti) si sono molto sforzati, nel generale disinteresse della cultura italiana (in tutte le sue varianti, laica, cattolica, e "marxista"), di chiarire il reale significato dell'espressione "ateismo nel cristianesimo". 16. E' questa la posizione del noto filosofo italiano Augusto Del Noce, sostanzialmente condivisa dai teorici del movimento cattolico-integralista Comunione e Liberazione (Buttiglione, Formigoni, eccetera). Questo non 170 17. 18. 19. 20. 21: deve stupire, e neppure provocare indignazione. Trattandosi di metafisici, per i quali ogni "pensiero" deriva linearmente da un "fondamento" unico ed originario, non  un caso che riducano il "marxismo" ad una sorta di "filosofia del fondamento originario" (identificato con la negazione radicale di Dio). Ad essi  estranea non solo la determinatezza delie categorie della critica dell'economia politica, ma anche la critica blochiana al culto religioso di un Dio visto come Padrone e despota teologico-politico. Questa posizione  diffusissima, anche se raramente esplicitata. Nell'ambito filosofico, si tratta di un equivalente teorico della posizione ricardian-marxista. Come i neo-ricardiani ritengono che Marx abbia semplicemente "corretto" gli economisti classici inglesi, inserendosi per nello stesso ambito problematico (per i neo-ricardiani, come  noto, Hegel non  mai esistito), analogamente alcuni ritengono che Marx, inserendosi nello stesso ambito problematico del dibattito positivistico sull'esistenza o meno di "dio" (Moleschott, Du Bois-Reymond, Haeckel, eccetera), abbia concluso, sulla base della divulgazione astronomica, chimico-fisica, biologica, eccetera, di "non aver bisogno di questa ipotesi per spiegare il mondo". Il marxismo sovietico, ad esempio, sviluppa in modo parallelo ,la divulgazione ateistica degli argomenti sulla "non esistenza di dio" e l'insegnamento dogmatico delle "leggi economiche del socialismo". Su questo punto Marx  successore contemporaneamente di Hegel e di Feuerbach. Marx sa bene come una cattiva gnoseologia produce una falsa ontologia, ed  assai lontano dalla critica gnoseologica kantiana a qualsivoglia posizione ontologica. Secondo l'impostazione dello scrivente, la critica blochiana dell'alienazione religiosa deve essere intesa, in prima approssimazione, come una prosecuzione di Marx e come un miglioramento rispetto ad Engels. Questo non significa affatto, ovviamente, che Bloch "la pensi esattamente come Marx e come Engels su tutta una serie di questioni". Su molti punti Bloch la pensa infatti diversamente. La questione "strategica"  un'altra: in Bloch, come in Marx, senza critica della religione niente critica dell'economia politica. L'esperienza polacca  certo specifica e del tutto peculiare (ed infatti non appare estendibile a paesi come l'Ungheria, la Germania orientale, la stessa Urss),ma presenta pur sempre aspetti paradigmatici (come del resto la rivoluzione culturale cinese di Mao Tsetung, ad un tempo cinese ed universale). Il filosofo Kolakowski (gi criticato nella prima parte di. questo scritto) rappresenta un esempio di reazione idealistica all'ideologia del socialismo di stato, che non a caso assume sempre di pi aspetti "religiosi" (esattamente nel senso criticato da Bloch). Autori come Michnik e Geremek hanno invece compiutamente teorizzato la funzione della Chiesa cattolica in Polonia come specifica forma di resistenza della "societ civile" nella sua lotta per l'autonomia rispetto allo Stato (abbandonando cos ogni residuo di critica marxiana alla religione). Il pensiero di Bloch  ovviamente del tutto estraneo alle teorizzazioni di Kolakowski e di Michnik. | Non a caso, l'esposizione pi "partecipante", chiara e comprensiva del materialismo dialettico sovietico  dovuta ad un sacerdote cattolico che 2: 23: 24. 171 si pene dal punto di vista del tomismo neo-scolastico (cfr. Gustav A. Wetter, Dialectical Materialism, Praeger, 1958). I due sistemi, dogmatici e chiusi, si contrappongono staticamente e pretescamente come castelli: di carta di verit rivelate ed invariabili. Marx e Tommaso d'Aquine non c'entrano ovviamente per nulla, e restano meri pretesti per giustificare il conflitto fra "visioni del mondo" segretamente solidali. Non si intende qui polemizzare con pensatori valorosi e meritevoli {come Giulio Girardi) che effettivamente perseguirono la separazione fra materialismo dialettico e materialismo storico in vista di una "unit d'azione" fra marxisti e "credenti" per la comune attuazione di trasformazioni rivoluzionarie. Una simile piattaforma comune (che lo scrivente condivide integralmente)  ad esempio operante in paesi come il Nicaragua. La polemica  invece diretta contro le sgangherate riduzioni del materialismo storico a sociologia (caratteristiche degli anni '60). La critica blochiana della religione  dunque un aspetto parziale e particolare della sua complessiva "ontologia della speranza", fondata sulia negazione della possibilit di definire "impossibile" ci che non si  ancora verificato nella storia (o che si  gi verificato in modo embrionale ed incompiuto), ma che non per questo deve essere anticipatamente negato e connotato come "assolutamente impossibile". Lo scrivente non ci vede dunque alcun prometeismo (che gli sarebbe odioso), ma solo un coerente sviluppo di tematiche gi rintracciabili in Marx. Ci riferiamo a Naturrecht und Menschliche Wurde, Frankfurt am Main, 1961. Il libro di Bloch non  stato ancora tradotto in italiano (ma esiste una traduzione francese). Si tratta di un testo ad un tempo storico e teorico, scritto in una prosa ad un tempo profonda e divulgativa, di affascinante lettura. Non resta che sperare che una buona traduzione venga fatta il pi presto possibile, e che giunga in un clima filosofico e culturale meno avvelenato dell'attuale dalle tendenze decisionistiche, 25: irrazionalistiche e pi in generale post-moderne (di derivazione francese). Il fondamentale testo cui si  fatto riferimento, Egoismo e movimento di libert  contenuto nella raccolta di saggi di Max Horkheimer, Teoria critica, JI, Einaudi, 1974. E' interessante (e certo non del tutto casuale) che Horkheimer sia passato da questa diagnosi radicale e disperata del "passato borghese", presente nelle sue posizioni degli anni '30 e '40, alle posizioni di ripiegamento intimistico ultraborghese e francamente anticomunista degli anni '60. In ogni caso il testo horkheimeriano resta un capolavoro, di fronte all'antigiacobinismo dozzinale e straccione dei nouveaux philosophes francesi, per i quali "x  sempre gi contenuto in y" (in questo caso, i Gulag in Robespierre, Beria in Hegel e Pol Pot in Fichte). E' anche interessante il fatto che Jurgen Habermas (spesso erroneamente considerato un "seppellitore" dell'inimitabile radicalit dei vecchi signori francofortesi ed un annacquatore del loro "terribile disincanto") abbia sviluppato posizioni molto pi sobrie, ragionevoli e materialistiche, capaci di tener conto (esattamente come Bloch) del doppio carattere dell'eredit filosofica borghese. Si veda Jurgen Habermas, L'intrico' di mito e di illuminismo: osservazione sulla "Dialettica dell'Illuminismo" dopo una rilettura, in Fenomenologia e Societ, 21, marzo 1983. Habermas  dunque un "miglioratore" dei francofortesi, e 172 26. 27. 28. 29, 30. 31. 32. non il contrario, almeno dal punto di vista del bilancio critico-dialettico del rapporto fra passato e presente storico. Si veda Reinhard Kuhnl, Due forme di dominio borghese: liberalismo e fascismo, Feltrinelli, 1973. Il libro del Kuhnl  uno dei pochissimi disponibili in lingua italiana che utilizzi esplicitamente il Bloch del Naturrecht contro ij dispositivo fatalistico-teleologico alla Horkheimer-Heidegger. Si veda N. Bobbio, Studi hegeliani, Einaudi, 1981, e soprattutto N. Bobbio e M. Bovero, Societ e Stato nella filosofia politica moderna, Il Saggiatore, 1979. Lo scrivente  sostanzialmente d'accordo con Bobbio ed  invece in forte disaccordo con Bovero. Bobbio ricostruisce dialetticamente il rapporto fra la tradizione del diritto naturale e la filosofia di Hegel, mostrando come questa ne costituisca insieme il compimento e la dissoluzione: se essa "proseguiva, sia pure con una ricchezza di strumenti concettuali senza precedenti, la stessa strada" che portava ad individuare nello stato" il punto culminante del processo storico", il coronamento di questa visione generale  "la considerazione della supremazia della legge, intesa come la pi alta manifestazione della volont razionale dello stato". Bobbio accentua certo gli elementi statalistici del giusnaturalismo (ed in questo senso Bloch ne rappresenta l'opposto, in quanto accentua sistematicamente tutti gli elementi antistatalistici, che pure sono presenti), ma lo fa, in fondo, a buon diritto. Inaccettabile  invece l'invenzione di Bovero di un fantomatico "modello hegelo-marxiano" (in Marx non c', infatti, nessuna "supremazia della legge", come in Hegel, e non c' neppure uno "spazio specifico" per la teoria politica, come del resto Bobbio ha a suo tempo brillantemente dimostrato), che  possibile cucire insieme solo con molte forzature. Chi veramente apprezza Marx e Hegel, li separa sempre accuratamente (come fanno sia Bloch che Lukcs), e sa bene che lo hegelo-marxismo non esiste. Si veda Marxismo e teorie del diritto (a cura di Riccardo Guastini), Il Mulino, 1980. Si veda Karola Bloch, Memorie della mia vita, Marietti, 1982. Si veda E. Bloch, Spirito dell'Utopia, La Nuova Italia, 1980. Ai fini del nostro discorso  per assai pi importante la summa filosofica intitolata Das Prinzip Hoffnung (di cui si veda l'edizione economica in tre volumi, per complessive millesettecento pagine circa, pubblicata dalla Suhrkamp nel 1982). Fondamentali soprattutto le pp. 50-387 (dedicate alla categoria di "coscienza anticipante") ed in particolare le pp. 258-288 (dedicate alla categoria di "possibilit"). Si veda l'ottimo saggio di B. Baczko, Utopia, in Enciclopedia Einaudi, 1981. Ad esso  allegata anche una preziosissima bibliografia. : Un diffuso errore, ad esempio, consiste nell'attribuire a Marx la titolarit di una "corrente calda" del marxismo, che recepisce le componenti utopiche, mentre Engels sarebbe l'iniziatore della corrente "fredda", deterministica, scientistica, positivistica (anche Bloch cade talvolta in questo equivoco). In realt l'ipotesi (ultra-utopistica) dell'estinzione dello stato e della sua integrale sostituzione con una "comunit sociale"  trasparente e del tutto post-statuale  di Engels (come ha brillantemente CRE 34. 173 argomentato in Italia lo studioso Danilo Zolo in molti precisi saggi), il quale peraltro non fa che sviluppare coerentemente la concezione marxiana del comunismo come robinsonismo sociale perfettamente compiuto. Nel secondo volume del suo Prinzip Hoffnung E. Bloch esemplifica analiticamente le varie progettazioni utopiche (Gioacchino da Fiore, Moro, Bacone, eccetera). L'agire utopico di Ges Cristo non pu certo essere anti-capitalistico (essendo radicato in una formazione sociale antico-orientale, a sua volta dipendente dal modo di produzione schiavistico romano; non v'era a quei tempi nessun modo di produzione capitalistico), ma comprende una "latenza" anticipante dell'agire sociale utopico di modi di produzione non ancora esistenti. Una adeguata dimostrazione di questa tesi non pu essere qui fatta per ragioni di spazio. Si rimanda ai due volumetti di scritti marx-engelsiani curati da Roger Dangeville Utopisme et communaut de l'avenir e Les | utopistes, Petite collection Maspro, Paris, 1976 (che si vorrebbe veder 35, 36. 37. 38. 39. tradotti in lingua italiana). In Italia molti commentatori si sono recentemente accorti della "nuova destra" e della sua offensiva culturale. Franco Fortini ha scritto alcuni saggi brevi (in forma d'articolo di giornale) assolutamente indimenticabili. Italo Mancini ci ha dato un saggio di grande respiro, impegnato ed informato, che utilizza massicciamente gli scritti di Bloch (cfr. Italo Mancini, Il Pensiero Negativo e la Nuova Destra, Mondadori, 1983). Marco Revelli, infine, ha ampiamente utilizzato l'opposizione mito/utopia in una direzione teorica totalmente condivisa dallo scrivente (al di l di divergenze di dettaglio). Si veda Jon Elster, Ulisse e le Sirene.Indagini sulla razionalit e l'irrazionalit, Il Mulino, 1983, ed anche, se pure meno efficace, Johan Goudsblom, Nichilismo e cultura, Il Mulino, 1982. In entrambi questi autori la polemica contro il razionalismo astratto non porta a rivalutare forme di irrazionalismo (come in parecchi saggisti italiani), ma conduce alla sottolineatura dell'inevitabile e positiva complementariet fra razionalit imperfetta ed immaginario sociale: complementariet, questa, che trova in Ernst Bloch un teorico acuto ed articolato. Si veda Leszek Kolakowski, Marxismo, utopia e antiutopia, Feltrinelli, 1981. Nella prima parte di questo scritto si  gi polemizzato ampiamente contro la concezione di Popper e di Kolakowski. Il pensiero post-moderno  in proposito quanto di pi lontano e di pi ostile ci possa essere alla riflessione filosofica di Bloch. Nel pensiero post-moderno coesiste il massimo di polemica anti-utopistica (l'utopia sarebbe una traccia di pensiero dialettico, incompatibile con un "pensiero debole" che vuole fruire integralmente dell'assolutizzazione del presente) con il massimo di pretesa che l'utopia sia ormai "realizzata" (con la morte del valore-lavoro e l'integralit dell'orizzonte del consumo fruito da un corpo senza organi e da grandi macchine desideranti). La tradizione filosofica anglosassone, in generale molto attenta ai rapporti fra filosofia e scienze della natura,  in proposito esemplare (e si pensi ad autori come Needham e Whitehead). Un esempio di "materialismo speculativo"  il famoso testo di Prigogine-Stengers, Einaudi, 1981 (e si veda l'uso di questo testo nel saggio di Giannoli-Iliuminati in Aa.Vv. Il 174 marxismo in mare aperto, Angeli, 1983). Vi  in Italia il malvezzo, diffuso dalla scuola collettiana, a considerare il "materialismo speculativo" una sorta di vergogna romantico-tedesca, tipica di dilettanti come Hegel e Schelling, cui si opporrebbe la sobria considerazione razionale della scienza I tipica degli anglosassoni. La realt  per assai diversa. Il "materialismo speculativo"  fiorente ovunque, dalla Cina all'Inghilterra, dalla Francia alla Germania, e si tratta invece di giudicare i contenuti concreti che di volta in volta si possono rintracciare nelle sintesi filosofico-scientifiche dei vari autori via via considerati. 40. Per una sobria sintesi in proposito si pu vedere l'agile libro di A. Pacchi, Materia, Enciclopedia Filosofica Isedi, 1976. Come  possibile agevolmente constatare, il materialismo storico non c'entra per nulla, e nello stesso tempo  impossibile sottrarsi alla sensazione che un corretto approccio alla nozione filosofica di "materia" finisca per influenzare anche il nostro modo di declinare la teoria dei modi di produzione. 41. Alludiamo a Ernst Bloch, Das Materialismusprobiem, seine Geschichte und Substanz, Suhrkamp, 1972. Anche questo fondamentale lavoro, concepito da Bloch e parzialmente realizzato fin dagli anni '30 (e questo costringe ad un lavoro critico di collocazione di questo lavoro nella stessa congiuntura storica che vede il Nietzsche di Heidegger ed il testo di Sohn-Rethel su Lavoro Intellettuale e Lavoro Manuale), non esiste affatto in lingua italiana. Chi non conosce la lingua tedesca pu farsi un'idea dell'approccio blochiano alla filosofia della natura leggendo il libretto di Bloch sulla Filosofia del Rinascimento, Il Mulino, 1981 (ottimamente introdotto da Remo Bodei). Un ottimo strumento bibliografico per orientarsi nei problemi della concezione blochiana della "materia" si ha nel numero monografico di Aut Aut, 173-174, 1979. Lo scrivente tende in generale ad. accettare le riserve espresse da Hans Heinz Holz (ed anche da Lukcs in : molti passi della Ontologia dell'Essere Sociale) sulla concezione blochiana di "materia", ma ritiene anche che il problema principale, nella situazione filosofica italiana contemporanea, sia quello di far leggere Bloch. Le riserve specifiche possono venire dopo. Si veda Theodosius Dobzhansky, Diversit genetica e uguaglianza umana, Einaudi, 1975, p. 108. Dobzhansky separa accuratamente quelli che chiama i "tre tipi conosciuti di evoluzione", cosmica, biologica ed umana, e nello stesso tempo insiste sul carattere ontologico della novit che l'evoluzione porta con s. Egli insiste anche sul fatto che "la cosmologia moderna  cosmologia evolutiva". 43. Si veda Post-Schmidt, Che cos' il materialismo?, Laterza, 1976. La finalit emancipatoria del materialismo borghese  stata ampiamente studiata da Alfred Schmidt anche in rapporto al pensiero di Feuerbach. Il fatto che il marxismo secondinternazionalistico abbia ridotto il "materialismo" a pura divulgazione scientifica popolare e quello terzinternazionalistico lo abbia compendiato in manuali di propaganda ateistica rappresenta un tradimento dello stesso pensiero borghese settecentesco, che legava insieme edonismo ed incivilimento dei costumi, divulgazione scientifica ed emancipazione politica. 44. E' questo l'aspetto dominante, ed emancipativo, del pensiero blochiano. In Bloch non vi  alcuna contraddizione logica nella valorizzazione di elementi 42 . 45. 46. 47. 48. 175 culturali, a prima vista tanto diversi, quali il materialismo ateistico e la teologia biblica. Sotto questo aspetto Bloch non  un successore di Schelling (come ritiene Jurgen Habermas, cui si deve l'appellativo di "Schelling marxista" cui prima si  fatto cenno), ma lo  semmai di Spinoza. E' il pensatore olandese, infatti, che supera integralmente la disputa terminologica sugli attributi di Dio e/o della materia (anche se, ovviamente, l'analisi spinoziana del profetismo  priva di carica escatologica e rivoluzionaria), nella sua tensione verso un monismo reale (in Bloch, ovviamente, dialettico, mentre in Spinoza prevalgono gli aspetti meccanicisti). Disponiamo fortunatamente di un'ottima edizione italiana di Experimentum mundi (cfr. Ernst Bloch, Experimentum mundi, Queriniana, 1980). La nota introduttiva del traduttore italiano, Gerardo Cunico,  molto utile sul piano informativo ed  anche penetrante sul piano teoretico, sottolineando giustamente le intenzioni ontologiche di Bloch, messe talvolta fra parentesi da alcuni commentatori. Cunico  invece poco interessato ai problemi teorici del "marxismo" di Bloch, ed  questo un orizzonte che trascura del tutto. Experimentum mund  dedicato alla "memoria di Rosa Luxemburg", ed  stato scritto fra il 1972 ed il 1974 con l'essenziale collaborazione di Burghardt Schmidt. Lo scrivente non condivide tutte le "soluzioni ontologiche" date da Bloch in questa grande opera (trovandosi pi vicino alle soluzioni lucacciane), ma ritiene fermamente che un esame comparativo serio delle soluzioni blochiane e lucacciane, fatto con confronto e rigore di scuola, potrebbe portare a passi in avanti qualitativi nell'edificazione di una forma filosofica del discorso del materialismo storico all'altezza dei tempi. L'essere  dunque inteso come "latenza", e ci differenzia l'ontologia blochiana da tutte le ontologie, classiche e moderne (ivi compresa quella di Hartmann, che Bloch mostra di non apprezzare). Sulla categoria di possibilit, si veda soprattutto p. 174 ssg. La centralit della "prassi" in Bloch non  per simmetrica alla centralit ontologica del "lavoro" in Lukcs. In Lukcs il "lavoro" non  una categoria fondativa da cui dedurre le categorie gerarchicamente inferiori. che vengono dopo, n tantomeno richiede di essere ontologicamente "fondato" su qualcosa che lo precede (ma  invece, come chiarirenio nella quinta parte di questo scritto, una mera forma originaria e modello della specificit storica del comportamento umano orientato ai 49. 50. fini). In Bloch, invece, la "prassi" si fonda effettivamente sopra un precedente concetto di materia come tendenza e come latenza, ed infatti compare in forma esplicita soltanto alla fine del libro (p.269 ssg.). Lo scrivente  portato a ritenere pi sobriamente efficace una concezione ontologica dell'agire umano che non richiede una preventiva "fondazione" (ed  pertanto maggiormente orientato verso Lukcs), ma nello stesso tempo riconosce la legittimit dell'approccio blochiano. Questo secondo punto  giustamente rilevato dal traduttore Cunico, che rifiuta pertanto ogni lettura irrazionalistica di Bloch. Il lavoro  paragonato in Bloch al "remare seguendo la corrente", coadiuvando cos la forza della tendenza: "il lavoro anzitutto ruota in avanti il corso delle cose e non aspetta che corra per conto suo,  quel 176 dd 52. Sdi 54. che visibilmente muove e al tempo stesso si muove nella storia umana" (p. 179). Siamo dunque ben lontani dalla centralit lucacciana della categoria di "lavoro". Assai simile all'approccio lucacciano  invece la trattazione che Bloch fa del nesso inscindibile che lega insieme le categorie di causalit e di teleologia (p. 151 ssg.). La differenza sorge inevitabilmente nel fatto che in Bloch la teleologia  connessa con la latenza immanente nelle "cose", mentre in Lukcs la teleologia non ha nulla a che fare con le "cause finali" di un mondo animisticamente concepito come antropomorfizzato. E si veda a p. 278 e seguenti. Il fatto che in Italia si sia potuta recentemente diffondere in modo cos ampio una tendenza come quella di Emanuele Severino, che ripete in mille guise l'equazione fra prassi e nichilismo, ed in conseguenza fra verit ed immobilit, autenticit e staticit, pu essere compreso soltanto come reazione determinata all'eraclitismo ingenuo dello storicismo diffuso nella 'sinistra" italiana, per il quale ogni movimento era positivo, ogni movimento era progresso. Con la eliminazione delle due opposte confliggenti idiozie sorgeranno anche le premesse per una sobria considerazione del . rapporto fra prassi e nichilismo. i Si veda a p. 181. Il concetto blochiano di "tendenza"  peraltro molto diverso da quello lucacciano di "prospettiva". La prospettiva  una possibilit concreta, che lega insieme presente e futuro, la tendenza  un vero e proprio modo d'essere della materia come essente-in-possibilit. Adorno (cfr. Terminologia Filosofica, Einaudi, 1975, pp. 57-59)  perfettamente in grado di vedere nel linguaggio "giornalistico" di Bloch una protesta determinata contro la "coscienza reificata" e la filosofia burocratica del Diamat, "mescolanza di termini fissi  di indifferenziazione linguistica". A differenza di Adorno, Kolakowski (in Main Currents of marxism) accusa Bloch di essere del tutto privo di rigore e di precisione. Strana accusa, da parte di chi non pu ignorare il fatto che nel Diamat dei filosofi tedesco-orientali il rigore terminologico c', ma  appunto una forma linguistica della reificazione concettuale. Su questo punto, e soltanto su questo punto, lo scrivente ritiene che Kolakowski abbia ragione, o quanto meno colga un essenziale elemento di debolezza di un "marxismo" che crede invece di trovare nel "prometeismo" un punto di forza. L'elemento prometeico non aiuta il pensiero rivoluzionario. Si tratta di una cattiva filosofia, che ritiene che l'Uomo possa fare tutto e diventare tutto. Quanto di meno ontologico vi sia. Parte Quinta UN DISCORSO FILOSOFICO ATTUALE. L'ONTOLOGIA DELL'ESSERE SOCIALE DI GYORGY LUKACS x Come si  visto nelle parti precedenti, non c' ragione di trarre un bilancio nichilisticamente sconsolato dell'esperienza storica del Novecento. In primo luogo, non tutti i "marxismi" devono essere posti sullo stesso piano, in un gran calderone di inautenticit e prometeica follia, come se si dovesse sempre ripartire da zero e l'esperienza storica delle generazioni precedenti alla nostra valesse meno di niente (si ricorda qui la valorizzazione che della "memoria storica" dei proletari ha giustamente fatto la scuola italiana della "composizione di classe", cui si  fatto cenno nella seconda parte di questo scritto). Alcuni 'marxismi" hanno infatti voltato decisamente le spalle alla tensione trasformatrice, ontologico-sociale, contenuta nel pensiero marxiano originario, scegliendo invece di valorizzare strumentalmente gli aspetti grande-narrativi e deterministico-naturalistici, suscettibili di essere usati .per l'edificazione di "scienze del potere" e della manipolazione sociale. In proposito occorre ovviamente capire (ed in questo talvolta molti rispettabili storici delle idee rivelano strane incomprensioni) che non si tratta mai di "errori" correggibili con | ampie spiegazioni razionalmente ben congegnate, ma di "marxismi" degradati in specifiche ideologie della legittimazione sociale. Altri "marxismi", invece, meno compromessi con il "potere" (che non  comunque mai un'entit metafisicamente negativa, demonizzabile in quanto tale), hanno scelto la strada "non ideologica", e sono allora caduti in errori veri e propri. Il pi comune  stato quello di pensare che il materialismo storico e la critica dell'economia politica potessero funzionare da "filosofie di s stessi" (di "autofilosofie", se ci si permette un'espressione un po' balorda), come se si potesse "saltare" come inesistente o irrilevante il problema della forma filosofica del discorso dentro la quale sono invece inevitabilmente declinati (1). 178 n E' questa allora la ragione per cui si  scelto coscientemente di condurre avanti una "valorizzazione" del pensiero di Ernst Bloch nei confronti del pensiero di Martin Heidegger (e si veda la parte terza e quarta del presente scritto). La forma filosofica del discorso heideggeriana inserisce intuizioni geniali ed acute osservazioni sul tempo presente all'interno di una forma filosofica del discorso di tipo destinalistico-differenzialistico, una vera e propria filosofia teleologica della storia che vorrebbe opporsi alla temporalit storicistica in nome di una considerazione pi "alta" del tempo, e finisce poi con il ricadervi dentro per il suo rifiuto (peraltro consapevole) della dialettica materialistica. Il pensiero di Ernst Bloch  stato allora valorizzato non certo per concordismo eclettico o per opportunismo teorico, ma perch si  ritenuto che Bloch (il quale, come tutti i pensatori veramente grandi, ha pensato in fondo una cosa sola, il carattere di multiversum del tempo storico) stato nei fatti un'opposizione determinata (storicamente determinata) a questo "pessimismo ontologico" che ha alle spalle un'interpretazione globale della storia dell'Occidente. Abbiamo tuttavia, nella parte finale della parte quarta del presente scritto, sollevato alcuni dubbi sull& determinatezza delle categorie filosofiche blochiane. Il multiversum temporale  certo molto importante, ma si tratta di una condizione necessaria, e tuttavia di per s non ancora sufficiente, per il perseguimento di una forma filosofica del discorso non grande-narrativa e non deterministico-naturalistica. Occorre che, dentro il multiversum temporale, si riesca anche a pensare la determinatezza storica della prassi umana concreta, che  funzione del tempo storico in cui  inserita e quasi incastrata, ma che presenta aspetti irrinunciabili (per l'appunto, una "forma", se ci si passa l'abusata, ma irrinunciabile parola) di carattere ontologico-sociale, che occorre pazientemente esaminare. Detto altrimenti (ed in modo necessariamente un po' scolastico e banale) la pars -destruens che Bloch attua versus Heidegger  perfetta, ma la pars costruens appare viziata da tendenze globalistiche e totalizzanti, che lo scrivente non si sente di "sposare" (ma su cui lascia permanere un dubbio ed un beneficio d'inventario). Un discorso diverso si vorrebbe qui fare per l'Ontologia dell'Essere Sociale di Gyorgy Lukcs (2). Qui il terreno sembra sicuro, ed una prospettiva sobria sembra aprirsi. La quinta parte di questo scritto  dedicata dunque ad una valorizzazione di alcuni aspetti filosofici cruciali di quest'opera. Non trattandosi di una ''monografia" su quest'opera molti aspetti verranno tralasciati, altri trattati superficialmente, mentre lo sforzo principale sar 179 concentrato nella sottolineatura della proposta filosofica presente in quest'opera. Vi sono per da fare ancora due premesse di carattere generale, per ridurre al massimo gli equivoci: il carattere di "opera aperta" della Ontologia, in primo luogo; la natura di "bilancio filosofico di un'esperienza storica", in secondo luogo. 1. Una proposta filosofica sistematica ma aperta La rovinosa caduta dei "sistemi centrati" (quelli che promettevano di risolvere tutti i problemi e di dar risposta ad ogni tipo di domanda) ha provocato nell'ultimo decennio gli effetti della caduta di una meteorite. Fuga generale, un enorme buco nel suolo, panico fra i sopravvissuti. Passato un po' di tempo, la ricerca delle "colpe" e, soprattutto, dei "colpevoli". Filosoficamente parlando, il colpevole principale  stato individuato nello "spirito di sistema", nelle pretese "totalizzanti" del materialismo storico, nel suo presunto o razionalismo astratto, eccetera. La forma dell'aforisma e del frammento  stata individuata come pi genuina, autentica, vera, del presunto "spirito chiuso" del materialismo storico. Certo, ben presto ci si  accorti che non  facile imitare Nietzsche oppure Adorno, cos come i poeti della domenica si accorgono ben presto che non  facile imitare Rilke oppure Rimbaud. Era inevitabile, e certo anche utile. Alcuni cominciano anche a capire (ed  ci che interessa in questa sede) che si pu essere molto pi dogmatici, rigidi, settari e chiusi scegliendo la forma espressiva dell'aforisma mentre si pu essere aperti al nuovo, fecondi e creativi tenendo fermo il principio della gerarchizzazione delle opinioni filosofiche intorno ad un nucleo portante che non viene mai dimenticato e tantomeno abbandonato. Per fare un solo esempio storico, "illustre", si pensi a Spinoza (ma, volendo, si pensi pure ad Hegel, in cui il "sistema" non pu certo esere staccato dal "metodo" come una pelle secca). La vaporosa ambiguit dell'aforisma  molto spesso il veicolo privilegiato all'intuizione di verit che non troverebbero posto nella pedante elencazione di categorie del pensiero, ma nei pi superficiali . fautori delle mode diventa un alibi permanente per la superficialit e la mancanza di rigore. Leggere l'Ontologia dell'Essere Sociale  in proposito un'esperienza intellettuale interessante. Lukcs tende continuamente, e spesso pedantescamente, ad una sistematicit ed a una "architettura" in cui tutte le parti si fondono armonicamente intorno al concetto di "lavoro" come forma originaria e come modello della prassi umana determinata (nel modo di produzione 180 capitalistico, non certo in una sorta di "azione sociale in generale", dalle caverne del paleolitico alla fabbrica californiana perfettamente automatizzata). Tutto viene ricondotto al "lavoro" e tutto vi converge, dalle osservazioni filosofiche critiche su Wittgenstein, Bloch e Sartre all'elencazione hartmanniana delle categorie "ontologiche" dell'agire umano determinato. E, tuttavia, sbagliano molto, a nostro parere, coloro che individuano in questa pedantesca sistematicit una variante senile, "marxista", dei lavori ontologici del filosofo accademico tedesco Nicolai Hartmann. Certo, l'influenza di Hartmann  importante, in particolare nella ripresa del concetto aristotelico di agire teleologico", ma non deve neppure essere sopravvalutata. Hartmann piace a Lukcs, cos come gli piace Thomas Mann in letteratura. Soprattutto, evitare l'avanguardia, il suo atteggiamento estremistico e dissacrante, la sua pretesa di "rifondare tutto da zero", la sua apologia dei "nervi spezzati di uno zingaro", per poi finire troppo spesso nell'accademia, nella consacrazione postuma, nel conformismo non-conformistico (vi sta qui, nel rifiuto totale dell'avanguardia, filosofica ed artistica, il maggiore elemento di lontananza fra Lukcs e Bloch, amico invece di quasi ogni avanguardia). Lo scrivente, che condivide in pieno la ripugnanza lucacciana per lo "spirito di avanguardia", non vorrebbe qui soffermarsi troppo (e, del resto, l'analisi delle avanguardie storiche  ormai un problema storiografico che non ha pi nulla a che fare con l'atteggiamento da prendere verso lo "spirito di avanguardia"). La questione di fondo  un'altra: l'Ontologia lucacciana  del tutto indipendente dalle intenzioni teoriche di Hartmann, ed in essa i concetti di lavoro, causalit, teleologia, possibilit, necessit, casualit, eccetera, hanno un "valore di posizione" del tutto diverso (3). Tutte queste nozioni e questi concetti, spesso allineati molto "sistematicamente" nell'Ontologia lucacciana, valgono spesso come metafore filosofiche di un'"altra" cosa, di un'altra realt storico-sociale: l'a difficile transizione dal capitalismo al socialismo, il fatto che per cento anni questa "transizione" non  stata adeguatamente pensata e concettualizzata come "lavoro", come agire teleologico, ma  stata invece sciaguratamente attuata come violenza sistematica sui "dati" ontologico-sociali che risultano da un'indagine non manipolata sulla societ umana sviluppata capitalisticamente. Se quest'interpretazione, che qui anticipiamo,  almeno in parte giusta, ne discendono subito alcune conseguenze. In primo luogo, se la nozione di "lavoro" in Lukcs ha come valore di posizione il riferimento determinato all'agire umano nella prospettiva della 181 "transizione al socialismo" (e tutti sanno, d'altra parte, che il concetto di "prospettiva"  centrale in Lukcs anche per quanto concerne la critica letteraria), ogni analogia con Hartmann diviene povera e fuorviante, non avendo Hartmann mai avuto alcuna intenzione di concettualizzare un agire orientato anticapitalistico che si fondasse per su di una conoscenza "ontologica" del capitalismo in ci che questo modo di produzione ha di specifico e di storicamente determinato. | In secondo luogo, le stesse "opinioni di occasione" che Lukcs esprime di volta in volta (ad esempio, sulla rifojmabilit del socialismo reale, che lo scrivente assolutamente non condivide, come ha gi avuto modo di esplicitare nella seconda parte di questo scritto), e che occorre certo ricostruire e registrare con acribia filologica (data l'importanza storica del pensatore), diventano sotto certi aspetti periferiche e marginali rispetto al discorso centrale, che  allora quello del "lavoro" come metafora (di tipo metafisico-influente, in analogia a quanto detto su Marx nella prima parte di questo scritto) di un agire umano orientato, nella transizione al socialismo, a non violentare i dati ontologico-sociali della realt (4). In terzo luogo (ed  ci che pi conta, in senso assoluto) l'Ontologia diventa un'opera assolutamente aperta, aperta cio a correzione ed a integrazioni. Non si tratta, cio, di "prendere o lasciare", come se un filosofo pi che ottantenne x potesse essere in grado di fare un'"opera compiuta", in cui tutto  detto, tutto  discusso, tutto  completo. Il carattere "aperto" della Ontologia sta nel fatto che, se ci si consente un'espressione impropria, il riferimento ad essa  soprattutto di prospettiva, ed in nessun caso di tratta di "tavole della legge". Quasi ogni punto specifico pu essere discusso, migliorato, approfondito. L'opera  un lavoro in progressione" (un work in progress) e la stessa cornice sistematica appare in larga misura provvisoria, come una prima stesura, e nulla di pi. Per comprendere meglio questo fatto,  forse utile fare un breve excursus storiografico su Lukcs, in cui l'Ontologia non venga fuori come un fungo dopo la pioggia, ma venga ben compresa nella sua genesi storica, e non solo teorica. 2. Pu il marxismo imparare dall'esperienza? L'esempio lucacciano L'Ontologia di Lukcs (i cui concetti, come si  detto sopra, hanno un valore di posizione, e non possono essere certo analogicamente accostati ad opere come quelle di Hartmann) non  soltanto un'opera che possiede un carattere intrinsecamente aperto, 182 nonostante l'involucro sistematico. E' anche un'opera che possiede una dote assai rara nei lavori filosofici, quella di "tener conto dell'esperienza storica", in modo non liquidatorio e distruttivo, ma concretamente e dialetticamente storico. Ci si permetta qui un brevissimo excursus personale, indegno di un'opera di tipo filosofico, ma forse utile al lettore per non cadere in equivoci. Lo scrivente appartiene ad una generazione che non ha fatto l'esperienza concreta del fascismo e dello stalinismo, ma che ha ricevuto una "socializzazione politica" (e pertanto anche teorica) fortemente determinata da una cultura politica di tipo anti-fascista, da un lato, e da un insieme di miti politico-filosofici che provenivano direttamente da una radicalizzazione di "sinistra" (o presunta tale) del modello terzinternazionalistico, d'altro lato. A questo punto, essendo il Sessantotto un pezzo di storia passata, e non pi di attualit,  possibile capire meglio le ragioni che rendevano inevitabile la compresenza di tematiche ultra-occidentali, come l'antiautoritarismo e l'assemblearismo consigliare (motivato con argomentazioni in cui si mescolava la tradizione consiliaristica del movimento operaio e la critica psicoanalitica alla personalit. autoritaria ed all'eterodirezione) e di tematiche ultra-orientali e terzomondiste, come il leninismo del partito, il guerrigliero eroico, e la solidariet internazionalistica. Una elencazione pedante degli "spezzoni culturali" del sessantottismo teorico troverebbe certo gravi contraddizioni ed ingenuit (pensiamo alle "ricostruzioni" astiose di un Lucio Colletti), ma sarebbe del tutto incapace di "spiegare" la determinatezza concreta della fusione di questi eterogenei spezzoni culturali nella congiuntura storica specifica. Molti sessantottini, rifluiti e pentiti, proiettano astrattamente nel passato alcune consapevolezze tipiche del presente, e si mostrano cos assolutamente incapaci di imparare qualcosa dall'esperienza. Recriminano, respingono il tempo presente, oppure, al contrario, contrappongono al passato "ideologico-astratto" un fantomatico presente "realistico-concreto". Due ottimi modi per "non imparare dall'esperienza" (5). In totale contrasto con questo atteggiamento (tipico non certo soltanto della generazione dello scrivente, ma sicuramente presente in essa in modo rilevante) l'Ontologia di Lukcs  un esempio concreto di come il marxismo teorico pu imparare qualcosa dall'esperienza, e di come non vi pu mai essere una pura autocorrezione di errori logici o gnoseologici che non giunga a "trasferire" nell'elaborazione teorica il peso storico concreto di esperienze sociali, individuali e di massa. 83 L'Ontologia  infatti, a tutti gli effetti, un concentrato 183 filosofico di esperienza storica, in cui il bilancio del passato viene "filtrato" nelle categorie concettuali per servire ai compiti del presente in direzione del futuro. Per capire quello che diciamo occorre sapere che l'Ontologia  un'opera del "terzo ed ultimo" Lukcs, che viene dopo una stagione teorica ricca di opere il cui significato teoretico  spesso molto diverso, ed anzi apparentemente confliggente con le tesi fondamentali dell'Ontologia. Il Lukcs che qui indichiamo come "primo" Lukcs  il Lukcs definito dall'opera Storia e Coscienza di Classe. Abbiamo fatto riferimento a quest'opera nella seconda parte di questo scritto (dedicata anche al "marxismo occidentale") e non ripeteremo i rilievi fatti a questo capolavoro teorico. Basti qui dire che Storia e Coscienza di Classe trova il suo irripetibile valore di posizione nella congiuntura storica degli anni 20, ed il suo rapporto con l'Ontologia  un rapporto di discontinuit, e non certo di continuit lineare. Lukcs non "ruppe" con Storia e Coscienza di Classe perch "obbligato" dal Kominterm (o perch non voleva psicanaliticamente rompere con il partito-mamma, che lo aveva sgridato per il suo idealismo"), ma perch ritenne autonomamente che ci fosse un "errore" nel concepire il rapporto fra proletariato e processo storico come un'unit dialettica soggetto-oggetto e nel confondere alienazione con oggettivazione storica, Certo, oggi sappiamo che il "rendersi conto di questo errore"  non era un processo di autocorrezione illuministica, ma era il riflesso nel pensiero della sconfitta storica del proletariato, che "non si lasciava pi pensare" sotto la dominanza della categoria teorica di "attivit" e di "attualit della rivoluzione". Tuttavia, resta il fatto che (a torto o a ragione  un'altra questione - ma noi crediamo comunque "a ragione") Lukcs comp una tipica azione esemplare: trarre le conseguenze filosofiche di un'esperienza pratica (6). Il Lukcs che qui indichiamo come "secondo Lukcs"  il Lukcs definito dall'opera La distruzione della ragione. Lo scrivente non ritiene che ci si trovi qui di fronte ad un capolavoro teorico paragonabile a Storia e Coscienza dij Classe, in quanto non si  qui di fronte alla stringente coerenza teoretica di quell'opera. A differenza di come molti pensano, non crediamo che la "debolezza" di quest'opera consista nell'ingiusto trattamento riservato al cosiddetto "pensiero negativo", a Schopenhauer, a Kierkegaard, soprattutto a Nietzsche. Questo cosiddetto "ingiusto trattamento" (che consisterebbe nell'istituire una "linea continua" fra questi pensatori e lo sbocco nazionalsocialista della crisi tedesca, come se quest'ultimo fosse gi contenuto nella teologia dell'ultimo Schelling, nelle obiezioni antidialettiche di Trendelenburg a Hegel, nella 184 critica genealogica nicciana alla morale, eccetera) deve essere collocato nella tesi di fondo del libro, che , in fondo, un libro su Hegel e sulla dialettica hegeliana . (nel senso che ci si chiede il perch della "mancata eredit" e soprattutto del "mancato sviluppo" della dialettica hegeliana nel suo aspetto progressivo). E' allora comprensibile che Lukcs usi la "mano pesante" verso Schopenhauer, Nietzsche, eccetera. Non si pu negare che costoro si contrapposero frontalmente ai contenuti teorico-pratici potenzialmente contenuti nella dialettica hegeliana, ed anzi si opposero in tutti i modi al suo sviluppo. La "debolezza" di quest'opera non consiste neppure, secondo lo scrivente, nella cosiddetta rigidit e schematicit della coppia opposizionale razionalismo/irrazionalismo. Lukcs ritiene infatti che il razionalismo astratto, antidialettico, laicistico-positivistico, abbia una carica irrazionalistica potenzialmente maggiore, nei suoi effetti sociali, dell'irrazionalismo ingenuo e dichiarato (e non vi  dunque nessuna rigidit nella coppia opposizionale). La "debolezza" di quest'opera consiste invece proprio nel suo giudizio sul "materialismo dialettico" (anche e soprattutto staliniano), che appare talvolta come un alleato oggettivo, o almeno come un compagno di strada accettabile, laddove si tratta di qualcosa con cui nessun x compromesso teorico  possibile (7). Essendo Lukcs assolutamente "interno" alla costruzione del "socialismo reale"  chiaro che un simile atteggiamento gli era del tutto estraneo. Resta il fatto che, come cercheremo di dimostrare, l'Ontologia rappresenta una "discontinuit forte" con la base filosofica della Distruzione della Ragione. Quest'opera si presentava infatti come una "variante colta e civilizzata", e dunque "presentabile", del marxismo orientale (che era comunque troppo stupido per essergliene grato). L'Ontologia parte invece da un giudizio, reciso ed esplicito, di totale rifiuto del "marxismo orientale" comunque definito, che viene messo. sullo stesso piano storico-epocale del pensiero borghese capitalistico. E' questa discontinuit forte che permette di connotare l'Ontologia come opera del "terzo ed ultimo Lukcs". In questa sede, ci interessa sottolineare ancora una volta che  filtrata qui, filosoficamente, un'esperienza storica. Non  un "peccato mortale" e neppure una "vergogna incancellabile" aver ritenuto possibile un accomodamento con lo stalinismo nella situazione storica di scontro frontale con il fascismo. Un'intera generazione di rivoluzionari, quasi sempre soggettivamente sinceri, ha fatto questa esperienza. Ci che conta, invece,  congedarsi da questa esperienza. Il "congedo filosofico" non consiste affatto nel far dichiarazioni teatrali di pentimento e di abiura, ma si fonda su di un 185 "superamento teorico" reale della posizione precedente. Il carattere antistalinista dell'Ontologia non pu infatti consistere nel numero di ingiurie dedicate a Stalin, ma si radica nell'elaborazione teoretica dell'esperienza storica dello stalinismo, e, nello stesso tempo, delle ragioni profonde della debolezza strategica di tutto l'antistalinismo del pensiero del cosiddetto "marxismo occidentale". Cerchiamo difesaminare meglio questo punto. 3. Un'introduzione al bilancio dell'eredit filosofica del passato L'Ontologia lucacciana presenta un profilo teoreticamente unitario, caratterizzato dal sistematico antisoggettivismo. Questo antisoggettivismo, tuttavia, si specifica concretamente in tre dimensioni sistematiche, che qui tratteremo brevemente: la sistematica valorizzazione degli aspetti materialistici della logica dialettica di Hegel, contro ogni centralit (pur talvolta presente in Hegel) dell'unit soggetto-oggetto e della totalit olistico-organicistica; la sistematica valorizzazione del discorso ontologico-sociale gi ampiamente presente in Marx, contro ogni estremistica unilateralizzazione degli aspetti (pur talora presenti) grande-narrativi e deterministico-naturalistici; il sistematico, parallelo e convergente rifiuto di ogni ipotesi di rivitalizzazione, comunque mascherata e comunque motivata, degli opposti marxismi archeologici, antitetico-polari, che abbiamo definito "marxismo orientale" e "marxismo occidentale". La prima dimensione sistematica che Lukcs compie, si  detto,  la valorizzazione degli aspetti materialistici del pensiero hegeliano. E' impossibile esporre qui, per ragioni di spazio, il ricco contenuto teorico del capitolo dell'Ontologia intitolato Falsa e vera ontologia di Hegel (8). Toccheremo pertanto solamente due punti che ci sembrano rilevanti. In primo luogo, Lukcs sa perfettamente che in Hegel il concepire la sostanza come soggetto, l'idea come unit soggetto-oggetto e la processualit storica come teleologia immanente allo Spirito non sono caratteristiche periferiche e casuali, ma sono momenti costitutivi della ewncezione hegeliana. E, tuttavia, in Lukcs c' la consapevolezza acuta del fatto che la dialettica hegeliana non si riduce integralmente all'esposizione sistematica dell'unit fra soggetto ed oggetto, e non , pertanto, sempre e dovunque una dialettica semplice (ed  interessante che studiosi tedeschi contemporanei della dialettica, sia hegeliana che marxiana, distinguano una sorta di "dialettica enfatica di esposizione" da un tipo diverso di dialettica, che definiscono "dialettica ridotta di esposizione"), ma pu essere utilizzata per un 186 trattamento "finito" della contraddizione (e del resto Hegel ha messo in guardia contro un pensiero di tipo ingenuamente eracliteo, ipnotizzato dal fascino della cosiddetta "furia del dileguare"). Ci sarebbero, dunque, gi in Hegel, i presupposti teorici per il superamento delle forme grandi-narrative di pensiero (9). In secondo luogo, Lukcs non si limita a sostenere astrattamente la:tesi della possibilit di un trattamento finito della contraddizione gi in Hegel, ma individua nel concetto di "determinazione riflessiva" e nel suo coerente sviluppo il luogo teorico per una presa esplicita di distanza dal continuum dialettico grande-narrativo, caratterizzato strutturalmente (come si  detto nella prima parte di questo scritto; dedicata a Marx) dal presupposto di una soggettivit titolare di una identit storicisticamente continua (10). Lukcs d dunque gli elementi fondamentali per una lettura di Hegel che non solo non  grande-narrativa, ma anche prelude ad una separazione del "problema Hegel", da un lato, e del problema "hegelo-marxismo", dall'altro. La confusione fra i due  sempre stata esiziale: o s sputava su Hegel", oppure si , era hegelo-marxisti. Lukcs ci dimostra invece, in modo pacato e convincente, che tertium datur, e che questo tertium deve essere valorizzato fino in fondo. Una seconda dimensione sistematica del pensiero lucacciano si realizza nella lettura ontologico-sociale del pensiero originale di Karl Marx. Su questo punto con ci soffermeremo, in quanto tutta la prima parte di questo scritto  stata ispirata direttamente dal. fondamentale capitolo della Ontologia intitolato I principi ontologici fondamentali di Marx. Ricordiamo in questa sede soltanto i due punti cardinali dell'interpretazione ontologica di Marx: in primo luogo, la possibilit del rapporto non estraniato fra individualit. particolare e genere umano  ontologicamente consentita dallo stesso processo di astrattizzazione causato dal rapporto capitalistico di produzione, ma questo non comporta affatto un'utopia organico-olistica in cui un Soggetto recupera integralmente la propria essenza umana alienata; in secondo luogo la particolarit individuale non  mai coestensiva al genere, e la dialettica fra particolare ed universale non pu mai pacificarsi in una densit temporale che chiude la storia". Come dice bene. Lukcs (Ontologia, p. 324), "noi qui neghiamo ogni forma generalizzata di teleologia non soltanto nella natura inorganica ed organica, ma anche nella societ e ne limitiamo la validit ai singoli atti di quell'agire umano-sociale la cui forma pi esplicita ed il cui modello  il lavoro". E con questo ogni. interpretazione grande-narrativa e deterministico-naturalistica della forma filosofica,  187 del discorso marxiana  respinta esplicitamente (11). Una terza dimensione del pensiero lucacciano (dallo scrivente autonomamente elaborata nella seconda parte di questo scritto, dedicata al marxismo ed alla necessit di studiarne la storia per non doverne sempre "ripetere" alcuni esiti negativi)  radicata nel congedo da entrambi i marxismi, orientale ed occidentale. Nei confronti del pensiero staliniano Lukcs effettua una vera e propria rottura qualitativa, anche se nella propria ricostruzione autobiografica si notano maggiori elementi di continuit: ma questo non  affatto contraddittorio, in quanto in Lukcs c' sempre la compresenza fra la rivendicazione dell'unit biografica della vita concreta dell'individuo e della continuit della sua esperienza, da un lato, e della discontinuit fra le formazioni ideologiche e culturali "universali", dall'altro (12). Nei confronti degli aspetti idealistici del marxismo occidentale c' in Lukcs sempre la massima estraneit, e la tranquilla consapevolezza della complementariet (e non alternativit) di quest'ultimo con lo stalinismo (13). 4., Un'interpretazione del pensiero borghese del Novecento . L'eterno rimando delle posizioni dei marxismi orientale ed occidentale, il loro palleggiare senza scopo in un campo da tennis ormai senza spettatori, mostrano bene come vi siano costellazioni ideologiche che sembrano in opposizione reale", ma che costituiscono in realt una segreta unit teorico-pratica in solidariet antitetico-polare. Nell'Ontologia Lukcs tenta un'interpretazione complessiva della situazione filosofica del Novecento, dentro la quale  per necessit collocato il suo tentativo di rilancio del materialismo storico in una prospettiva teorica ontologico-sociale. Non c' in Lukcs nessuna concessione alla tendenza (molto diffusa oggi soprattutto in Italia) di interpretare il Novecento some secolo della "esplosione del centro" e fine dei sistemi centrati ottocenteschi, luogo storico della frammentazione e della dispersione, in cui si consumano le presunte "certezze  classiche" ancora condivise nel Settecento e nell'Ottocento. Cos, in effetti, il Novecento "appare" a prima vista, nel suo apparente pluralismo frammentato senza spazio e senza tempo (14). i In Lukcs il Novecento appare in primo approccio come il luogo storico contraddittorio in cui sono confliggenti due tendenze opposte; da un lato, l'istanza storica di emancipazione comunista, resa ontologicamente possibile dalla stessa unificazione capitalistica del mondo (come pensava del resto gi Marx), e che si oggettivizza 188 sul piano collettivo nelle classi progressive e sul piano individuale nelle individualit particolari che vogliono uscire da un rapporto estraniato con il genere; dall'altro, la reazione contro questa istanza storica di emancipazione, che sceglie sempre pi il terreno della manipolazione permanente della politica e della societ (15). Questa reazione  sostanzialmente unica nella: sua struttura teorico-pratica di fondo ad Est ad Ovest, anche se si presenta filosoficamente come unit contraddittoria di tendenze teoriche apparentemente opposte. Ad Est, domina un marxismo monopolistico di stato in cui il soggettivismo settario del primato della direzione politica  in solidariet antitetico-polare con il romanzo cosmologico falsamente "scientifico" chiamato materialismo dialettico. Ad Ovest, domina una forma di pensiero generalizzatasi in senso comune in cui la formulazione soggettivistica ed esistenzialistica dei problemi sociali e dei "valori etici" cui far riferimento  in solidariet antitetico-polare con una concezione integralmente neopositivistica delle scienze naturali e sociali, premessa per un uso massiccio della "scienza" (dall'economia politica all'arte militare dell'equilibrio del terrore garantito da missili scientificamente bilanciati") come ideologia di legittimazione politico-sociale. In proposito l'esatta formulazione lucacciana (che lo scrivente fa integralmente propria)  quella della "solidariet antitetico-polare nella storia contemporanea fra neopositivismo ed esistenzialismo" (16). Questa formulazione presenta due aspetti, entrambi importanti: da un lato (e si pu qui fare un'analogia con Heidegger) si  in presenza di un'interpretazione metodologicamente monistica del Novecento, che riflette l'unit complessa del reale concreto nella forma dell'unit contraddittoria fra opposti antitetico-polari nel campo dell'"ideale", autonomamente esistente e pertanto non ridotto a riflesso, meccanicamente sovrastrutturale, di un fantomatico "fattore economico"; dall'altro (e qui la differenza con Heidegger  palese) quest'unit contraddittoria non  pensata come la precipitazione fatale e destinale della storia dell'Occidente in un punto temporale chiamato "presente", ma viene visto come il coronamento di "tendenze" confliggenti nel passato, prive comunque di qualsivoglia automaticit unidirezionale, cos come  nelle filosofie teleologiche della storia. Analizziamo sommariamente il primo aspetto. Abbiamo a suo tempo privilegiato Heidegger su Weber come interprete filosofico "radicale" del Novecento, in quanto ci  sembrato di individuare in Heidegger un approccio monistico al reale. Se, infatti, il reale  concreto nella sua unit, anche il pensiero che lo "'riflette" deve 189 assumere una sua concreta unit teoretica. Heidegger si rifiuta (a differenza di Weber) di scorporare metodologicamente i valori filosofici e le scienze, da un lato, e di enfatizzare le differenze fra le metodologie delle scienze della natura e le scienze sociali, dall'altro. Questo corretto approccio filosofico gli permette di "pensare" la societ capitalistica (da lui mai definita esplicitamente come tale) come datit rigorosamente impersonale in s, che produce per l'apparenza necessaria del massimo di personalizzazione esistenzialistica nella scelta umanistica" dei valori economici, politici e filosofici, e del massimo di pseudo-oggettivit del mondo delle scienze, sia "pure" che "applicate" (ed  questa, appunto, la radicalizzazione dell'apparente scissione fra soggetto ed oggetto come portato destinale dell'inveramento tecnico del pensiero metafisico). Su questo punto Lukcs non  lontano dall'approccio metodologico heideggeriano (che , appunto, rigorosamente "monistico"). Vi  in lui, per, un'articolazione: concreta molto maggiore, dovuta all'uso del metodo dialettico ed al rifiuto del sapienzialismo. differenzialistico. Trattando del neopositivismo, Lukcs vede benissimo i risvolti necessariamente mistico-esistenzialistici insiti in questa interpretazione filosofica delle scienze, ma distingue acutamente fra una variante teorica (di cui  individuato come massimo esponente Carnap) che accetta ed interiorizza integralmente la manipolazione capitalistica ed una variante teorica (che trova in Wittgenstein l'esempio pi interessante) che esistenzializza la reazione psicologica alla manipolazione capitalistica vivendola in modo conflittuale, senza per abbandonare l'approccio neopositivistico all'universo sociale e naturale (17). La trattazione lucacciana dell'esistenzialismo  .(a parere dello scrivente) indebolita dal fatto che Lukcs connota come massimo esistenzialista proprio Heidegger (dando di Essere e Tempo quella lettura "'esistenzialistica" che fu tipica in Italia di Pietro Chiodi, dallo scrivente non condivisa e respinta nella terza parte di questo saggio). Lukcs distingue due forme di esistenzialismo, una chiusa e sorda verso il materialismo storico (quella di Heidegger), destinata a ripetere all'infinito la disperazione di fronte al vicolo cieco cui .il capitalismo ha portato la singola esistenza umana, ed un'altra che ambisce essere la filosofia esistenziale del materialismo storico (quella di Sartre), senza per riuscire ad esserlo, a causa della accettazione del neopositivismo come metodologia scientifica e | conseguente rifiuto della visione dialettica della natura (18). Lukcs vede la fusione antitetico-polare dell'esistenzialismo e * 190 del  neo-positivismo come . tipica anche della teologia contemporanea. Nella quarta parte di questo saggio, dedicata a Bloch, abbiamo gi rilevato la superiorit relativa di Bloch rispetto a Lukcs nell'analizzare la filosofia della religione (ove superiorit significa soltanto maggiore "radicalit"). In proposito non  affatto rilevante l'osservazione secondo cui Lukcs "non sentiva il fatto religioso" (19). La filosofia della religione di Lukcs si struttura in due temi fondamentali. In primo luogo, vi  un'interpretazione del cristianesimo e della sua permanenza nella storia: contro Nietzsche e contro tutte le riduzioni del Cristianesimo a platonismo per le masse risentite ed individiose, Lukcs parla del fascino storico della figura, peraltro integralmente umana, di Ges Cristo, come forma originaria e modello di rapporto fra il particolare e l'universale, capace di sopravvivere al fatto (cui Lukcs da molta importanza). che la parusia, cio il secondo avvento di Ges e la conseguente instaurazione del regno di Dio, non si  verificata (20). In secondo luogo, vi  un'interpretazione delle correnti principali della teologia contemporanea (qui Lukcs mette insieme sia i cattolici che i protestanti) come seconda tappa del cosiddetto "compromesso bellarminiano", che secondo Lukcs inaugur il gentlemans agreement fra religione, scienze e societ nell'epoca capitalistica (21). La teologia contemporanea abbandona ogni pretesa di dimostrare l'esistenza "cosale" di Dio (come entit dotata di coscienza antropomorfica in qualche punto del tempo o dello spazio), ed in questo modo abbandona di fatto anche la funzione feudale e medioevale di essere direttamente unideologia di legittimazione dei rapporti sociali, per diventare una forma di esistenzialismo popolare, integralmente psicologizzato, in cui si "risponde" a quei bisogni esistenziali fondamentali cui la scienza non potrebbe dare risposta (22). Passiamo ora al secondo aspetto. Il passato storico non  mai visto in Lukcs come una premessa al destino teleologico ed unilineare in cui viviamo. Non vi  mai (come troppo spesso in Heidegger) una "catena filosofica continua" che va da Parmenide a Spengler: Parmenide e Platone non sono gli iniziatori di nulla, cos come Nietzsche non  il "coronamento" di nessuna tendenza fatale. Vi , certo, una tendenza filosofica generalissima che Lukcs individua come fondamentale, e che definisce come "tendenza al carattere disantropomorfizzante del rispecchiamento scientifico" della realt, che trova comunque le sue radici nella stessa vita quotidiana dell'individuo associato; ma questa tendenza  accompagnata robustamente da una tendenza contraria, antropomorfizzante e spesso ri-antropomorfizzante, che parte 191 anch'essa dalla vita quotidiana. Non c', dunque, come. in Heidegger, una tendenza fatalisticamente destinale, predeterminata e teleologica, della storia della filosofia occidentale, ma lo sviluppo di una unit dialettica contraddittoria fra tendenza @ al rispecchiamento disantropomorfizzante della realt processuale e tendenza alla riantropomorfizzazione di questo processo, che viene effettuata anche, e soprattutto, dai grandi filosofi (23). Vi  qui un punto di importanza fondamentale. Molti pensano che ci sia, da un lato, una tendenza, tipica dei "semplici" e degli ignoranti, al pensiero antropomorfico  e teleologizzante, frutto di un rispecchiamento "rozzo" dei fatti materiali della vita quotidiana, mentre i dotti, i filosofi, gli intellettuali, incarnerebbero la tendenza al disincanto, alla razionalizzazione, alla rinuncia ad ogni antropomorfizzazione ed ad ogni teleologia astratta (tracce di questa concezione sono riconoscibili negli autori pi diversi, da Croce a Gramsci ad Althusser, ed assumono una forma caricaturale nei pi stupidi dei loro ripetitori) (24). Lukcs respinge questa dicotomia, rassicurante quanto falsa.  L'unit contraddittoria, che lega insieme la tendenza disantropomorfizzante e quella riantropomorfizzante,  costitutiva di tutti i grandi pensatori, da Aristotele a Leibniz, da Hegel a Marx, e passa dentro il loro pensiero. Il lettore sa che tutta la prima parte di questo saggio  una lettura di Marx in questa chiave determinata (mentre Lukcs sembra invece "salvare" Marx da questa dicotomia contraddittoria, ponendolo al di l di essa) (25). Lukcs dedica, ad esempio, analisi profondissime al pensiero di Aristotele: da un lato, Aristotele  il pensatore che anticipa genialmente le caratteristiche strutturali dell'agire teleologico, limitandolo ferreamente alla sola prassi umana; dall'altro,  il pensatore che estende alla natura una considerazione teleotbgica | finendo con il pensarla in modo integralmente antropomorfico (26). Si  prima fatto l'esempio di Hegel: da un lato, Hegel  il pensatore delle determinazioni riflessive e della costitutivit della loro interazione dialettica, in modo che non si pu mai dare una visione antropomorfizzante del processo storico in quanto tale; dall'altro,  il pensatore che, concependo la sostanza come soggetto, finisce con il perdere alcune delle conquiste fatte a suo tempo da Spinoza, e con il ricostituire in modo antropomorfico una storia dello Spirito come risultato "enfatico" ed autoespressivo di uno svolgimento dialettico semplice e pienamente teleologico (27). Crediamo che gli esempi fatti (da Aristotele a Hegel) siano indicativi. Lukcs riesce a connotare (in modo radicalmente unitario) la situazione presente come "solidariet antitetico-polare 192 fia esistenzialismo e neo-positivismo" proprio perch non ricostruisce in modo unilineare duemila anni di storia della filosofia (come fa Heidegger), ma cerca di pensare fino in fondo la contraddittoriet multilineare (che passa dentro tutti i pi grandi pensatori) fra tendenze disantropomorfizzanti e tendenze riantropomorfizzanti. E' questa una tendenza che egli ovviamente estende in modo particolare alla teoria estetica, ma che purtroppo non possiamo documentare in questa sede, in cui i siamo posti un obiettivo teorico del tutto differente: mostrare come la parte "sistematica" della riflessione ontologica lucacciana, che ora affronteremo, non salta fuori come un fungo dopo la pioggia, ma emerge dialetticamente da un esame genealogico di tendenze teorico-pratiche non unilineari e predeterminate, e viene dopo un'interpretazione della filosofia occidentale come  unit. processuale-contraddittoria di tendenze antropomorfizzanti e disantropomorfizzanti e dopo una doppia diagnosi di rifiuto teorico (della solidariet antitetico-polare fra esistenzialismo e neopositivismo, da un lato; della rivitalizzazione degli antitetico-polari marxismi orientale ed occidentale, dall'altro). A questo punto, possiamo finalmente discutere brevemente la proposta ontologica lucacciana, seguendo lo stesso tracciato della parte sistematica della Ontologia (28). 5. Il lavoro come forma originaria e modello della prassi Come si  gi rilevato poco sopra, Lukcs nega ogni forma generalizzata di teleologia non soltanto nella natura inorganica ed organica, ma anche nella societ (intesa come un'unica processualit, olisticamente predeterminata), e ne limita la validit ai singoli atti di quell'agire umano-sociale la cui forma pi esplicita ed il cui modello  il lavoro. Occorre fare qui subito una distinzione preliminare. La nozione di "lavoro" pu essere inserita in due contesti rilevanti assolutamente differenti, che ne dettano le regole di declinazione (ed ovviamente di polemica su diverse concezioni). In un primo contesto rilevante, il concetto di "lavoro"  centrale per il materialismo storico e la critica dell'economia politica, e la sua corretta interpretazione (che porta a respingere tutte le nozioni di lavoro schiacciate su Hegel, Smith o Ricardo, eccetera)  compito del materialismo storico stesso, in una "lotta senza fine" contro le nozioni astoriche, aspecifiche e quindi metafisiche di lavoro. In un secondo contesto rilevante, il concetto di "lavoro"  centrale per la forma filosofica del discorso in cui viene pensato il materialismo 193 storico stesso, ed  qui (e solo qui) che si pone il problema del lavoro come forma esplicita e come modello. Senza una ferrea distinzione fra i due contesti rilevanti, il regno della confusione  inaugurato, e l'analisi teorica si blocca immediatamente (29). Inserita nel contesto rilevante del materialismo storico e della critica dell'economia politica, la nozione di "lavoro in generale" semplicemente non esiste (se non, ovviamente, come "astrazione ideale", di fatto mai concretamente applicabile in una analisi determinata). Per quanto concerne il materialismo storico, infatti, l'unit teorica minima" da cui partire  sempre il lavoro diviso (e dunque mai il "lavoro"): dalla dissoluzione delle comunit primitive alla formazione degli stati nobiliari e sacerdotali, dal modo di produzione schiavistico a quello feudale, eccetera, il "lavoro diviso" si manifesta in una ricca gamma di forme tecniche, simboliche, etico-religiose, che uniscono ovviamente il piano strutturale e quello funzionale. Per quanto concerne la critica dell'economia politica, inoltre, l'"unit teorica minima" da cui partire  sempre il lavoro capitalistico diviso (e dunque mai il "lavoro"): dalla sottomissione formale a quella reale del lavoro al capitale fino all'approfondimento "impersonale" del rapporto . di produzione capitalistico nella forma apparentemente "neutra" del processo "tecnico" del lavoro, eccetera, il "lavoro capitalistico diviso" s manifesta in una ricca gamma di forme che solo l'indagine empirica e lo studio continuamente aggiornato pu adeguatamente documentare. Ogni tentativo di parlare del "lavoro" saltando le determinazioni essenziali del "lavoro diviso" ed ancor pi del "lavoro' capitalistico diviso" significa uscire consapevolmente  dal | materialismo storico in direzione di "metafisiche del lavoro" di vario tipo e colore, oggi presenti in gran numero sul "mercato politico" (30). Diverso  invece il contesto rilevante dello scontro strategico fra forme filosofiche del discorso alternative e confliggenti, che si pongono il problema di interpretare filosoficamente" il materialismo storico stesso. In questo contesto il problema principale non  quello della determinazione delle modalit differenziate con cui la "divisione del lavoro" si presenta nei vari modi di produzione, ma  quello dell'individuazione delle modalit differenziate con cui la filosofia pensa la "specificit" dell'essere sociale rispetto a quello naturale. E' qui, allora, che si pone il problema della categoria del "lavoro" come unit specifica di causalit e teleologia, di forma originaria e di modello per la prassi umana (31). Le filosofie grandi-narrative (con cui si  gi polemizzato) 194 mettono alla storia (preventivamente spogliata della forma storica) una sorta di "diavolo in corpo". Il massimo di "animismo" si unisce qui paradossalmente con il massimo di "artificialismo" (se ci si consente il linguaggio alla Piaget): il flusso temporale  dotato di un "supplemento di senso" e di anima e di una impersonale teleologia sovrastorica, che da un lato  priva di una "forma umana", e dall'altro enfatizza gli aspetti antropomorfici del modello di homo faber in vario modo "costruttore del comunismo" e lavoratore nei cantieri del socialismo (32). Le filosofie deterministico-naturalistiche, d'altra parte, partendo dalla giusta considerazione ontologica che "l'essere della sfera della vita  basato ineliminabilmente sulla natura inorganica cos come l'essere sociale sull'intero essere naturale" (considerazione, questa, sistematicamente dimenticata dai vari storicismi ed umanesimi integrali), dimenticano che la diversit qualitativa fra le due sfere riposa sulle tre determinazioni essenziali del lavoro, della posizione teleologica che lo produce, e soprattutto infine della decisione alternativa che necessariamente precede quest'ultima (33). Le decisioni alternative, infatti, producono sequenze causali in vario modo necessarie, che a loro volta danno luogo a specifiche "soglie di irreversibilit" storica. L'analogia fra comportamento animale e comportamento umano (tipica non solo di correnti "reazionarie" legate alla sociobiologia ma anche di correnti "democratiche" legate a varie forme di etologia comparata) rappresenta una giusta e sana reazione alle formulazioni retoriche sull'inimitabile. unicit dell'Uomo (che al tempo di Marsilio Ficino e di Pico della Mirandola ebbero certo una funzione progressiva, perduta peraltro da tempo), ma finisce in ultima istanza con il far dimenticare che il mondo animale non d luogo a sequenze di "modi di produzione" socialmente alternativi nell'ambito della stessa specie. E', questo, un punto teorico ovvio, ma estremamente rilevante, forse ancor pi della questione della differenza fra l'ape e l'architetto (Marx), o della questione della competenza comunicativa differenziata come connotato specificatamente "umano" (Habermas) (34). La filosofia ontologico-sociale indaga invece "la realt oggettiva per scoprire lo spazio reale per la prassi reale". La "realt essente in s" non  affatto un dato cosale esterno al soggetto che deve. essere fotografato o in vario modo "rispecchiato", ma  un processo che si costituisce con determinati livelli di irreversibilit: il "ricambio organico" con la natura modifica irreversibilmente la natura come "immediatezza"; il lavoro capitalistico diviso ed il mercato mondiale fanno diventare il neo-primitivismo (cos come il neo-schiavismo o il neo-feudalesimo industriale) qualcosa di i 195 qualitativamente diverso dal vero primitivismo, che  qualcosa di irreversibilmente perduto, cos come gli antichi Greci. La realt sociale, essente in s, non  una mera "finalit senza scopo" (secondo l'efficace definizione data da Kant del mondo organico), ma  un concreto insieme di possibilit ontologiche, che non passeranno per mai dalla potenzialit alla attualit (per usare l'insuperata terminologia di Aristotele) senza il determinante intervento della posizione teleologica umano-sociale. Per ripetere qui un esempio gi fatto altrove, il modo di produzione capitalistico contiene in s ontologicamente la "crisi" come risultato necessario di migliaia di posizioni teleologiche di imprenditori ognuno dei quali, preso separatamente, intraprende nell'ottica illusoria dell'armonia economica, dell'equilibrio economico generale, eccetera; d'altra parte, contiene in s la potenzialit ontologica della transizione al socialismo, che non si attuer peraltro mai senza un insieme processuale di posizioni teleologiche coscienti degli individui e delle classi. | Il "lavoro" non  che la "forma originaria" ed il "modello" di questa posizione specificatamente teleologica. In quanto "forma originaria" rimanda ad un insieme di atti che rendono il "ricambio organico con la natura" qualcosa di coscientemente posto, che sviluppa in seguito in processuale irreversibilit livelli specifici di produzione sociale organizzata e complessa. In quanto "modello" il lavoro si differenzia da altre forme di attivit umana 'originaria", quali ad esempio il gioco, che incorporano modalit qualitativamente differenti dell'intreccio ontologico fra posizioni teleologiche. Il rapporto fra lavoro e gioco  ovviamente di grande complessit e di enorme interesse filosofico, e possiamo qui solo accennare all'esistenza di questo problema. Non mi sembra tuttavia che il "gioco assolva una funzione servile nell'ambito del paradigma marxiano del lavoro", e vi sia perci una gerarchia di valori e di dignit: il lavoro rimanda per ontologicamente oltre s stesso, mentre il gioco  caratterizzato dall'immanente autosoddisfacimento. La dimensione ludica non produce livelli di irreversibilit ontologico-sociale, ma vive ontologicamente nell'eterno ritorno del sempre eguale, solo apparentemente compromesso dalla pluralit polimorfa dell'agire ludico stesso (35). La differenza qualitativa fra gioco e lavoro  qui illustrata sotto il segno di una modalit ontologico-sociale, e non comporta quindi "gerarchie" di valori, apologie del sudore sulla fronte, condanna dell'homo ludens come peccatore, ed altre sciocchezze. Il lavoro  dunque "modello" (Vorbild) della prassi non certo perch riassume ed incorpora in s tutte le dimensioni della prassi stessa (che  196 sfaccettata, inesauribile, ricca di significati e di dimensioni irriducibili a forme ideal-tipiche di qualsiasi sorta), ma solo in quanto esprime appieno quella che  la caratteristica pi tipica della prassi, la trasformazione. Senza una base nella prassi reale, nel lavoro, come sua forma originaria e suo modello, la stessa esaltazione del concetto di prassi generica si converte necessariamente in una sorta di contemplazione idealistica (e non deve allora stupire che il massimo di attivismo soggettivistico unilaterale nell'agire politico - pensiamo al "terrorismo sociale diffuso", sciaguratamente propagandato e attuato negli anni '70 in Italia - coesista tranquillamente con una immagine del comunismo come desiderio di consumo da parte di soggetti sociali "ricchi di bisogni" esaudibili da un universo di macchine cibernetiche incorporanti ormai l'intero general intellect umano). La stessa trasformazione non pu pi essere letteralmente pensata come un insieme complesso di posizioni teleologiche, ma semplicemente "accade" con la sapienziale solennit dell'evento" e con l'indicibilit del "mistico" (36). E' questa, ovviamente, una concezione filosoficamente degenerativa del prassismo generico e dell'attivismo sganciato da qualsiasi visione ontologica dei processi sociali. Ben maggiore rispetto meritano le preoccupazioni di chi teme conseguenze "riduzionistiche" della nozione di lavoro come modello della prassi (ed  questo quasi sempre il caso degli apologeti filosofici della ontologia della speranza di Ernst Bloch) (37). Sfugge peraltro spesso a costoro quello che definiremo un felice paradosso filosofico contenuto nell'enfasi lucacciana sul lavoro come forma originaria e come modello, e che ora discuteremo brevemente: il fatto che  proprio la forma filosofica del discorso di tipo ontologico-sociale, incentrata sul lavoro come forma originaria e modello della prassi, a dare tutte le garanzie di poter funzionare come antidoto e vaccino (ci si passi l'immagine biologica) alle interpretazioni del materialismo storico come "paradigma della produzione", economicismo riduttivo ed apologia del lavoro come fonte di ogni ricchezza. 6. Un felice paradosso filosofico Il marxismo della II Internazionale, come  noto, si costitu sostanzialmente come teoria della rivendicazione "integrale" dei frutti del "lavoro" inteso come fonte di ogni ricchezza. La "colpa" in proposito non  tanto di Kautsky (il quale non poteva ignorare a tal punto la differenza teorica fra Adam Smith e Karl Marx), 197 quanto delle volgarizzazioni di tipo lassalliano diffuse dalla socialdemocrazia tedesca. Era del resto la stessa "composizione di classe" che faceva da supporto storico e sociologico alla socialdemocrazia a fare da "committente"ad una simile concezione lavoristica (che definiremo d'or in poi "paradigma della produzione"). | Meno noto  forse il fatto che dentro lo stesso processo intellettuale di Karl Marx  riscontrabile una tendenza a prendere sempre pi esplicitamente le distanze da qualsiasi possibile equivoco di tipo "produttivistico": si va infatti da alcune formulazioni dell'Ideologia tedesca e soprattutto della Prefazione del '59 o della Lettera a Kugelmann (che in effetti possono consentire filosofie della storia intrise di metafisica produttivistica talvolta "ingenua') alle decise ed esplicite note '"antilavoristiche" contenute nella Critica al rogramma di Gotha (1875) ed ancor pi nelle Glosse al Manuale di economia politica di A. Wagner (1879-80). L'evoluzione marxiana in proposito era, da un lato, un'autodepurazione critica interna al suo pensiero (che non cessava mai di "correggersi" e di riformularsi), e si confrontava, dall'altro lato, con gli equivoci dei primi "marxisti" che calavano il suo pensiero negli stampi consueti del pensiero borghese dominante, intriso di economicismo e di positivismo (38). L'enfasi antiproduttivistica resta certo in Marx qualcosa di ambivalente: da un lato (come ha fra l'altro rilevato Stanley Moore) Marx respinge sempre i "valori" utilitaristici e produttivistici del capitalismo borghese, fino a "riempire" la sua idea di comunismo futuro con un "immaginario" ricavato da estrapolazioni di tipo "classico", gli antichi otium ed humanitas, in sostanza gli antichi Greci coniugati allo sviluppo delle forze produttive; dall'altro, le continue apologie del concetto di "produzione che si sviluppa senza limiti" (accompagnate dalle critiche feroci a tutti gli economisti che anche solo ipotizzano "limiti alla produzione") non sono certo casuali in Marx, ma documentano tendenze a considerare talvolta la "natura" come un "fondo inesauribile" cui si pu sempre far ricorso (39). Si apre qui ovviamente uno spazio per l'"interpretazione". Non sbaglia, dunque, chi (come Agnes Heller) prende atto del fatto che, sulla base della mera filologia marxiana,  possibile sostenere con buoni argomenti sia un "paradigma del lavoro" (come fa infatti il Lukcs dell'Ontologia) sia un "paradigma della produzione". Non  possibile qui discutere in dettaglio le ragioni teoriche (non tutte chiaramente esplicitate) per mezzo delle quali la Heller respinge entrambi i paradigmi filosofici (definendo, fra l'altro, il 198 "paradigma" lucacciano del lavoro un cartesianesimo materialistico, ed un "tentativo incoerente ed autocontraddittorio di riplasmare il marxismo sulla base del paradigma del lavoro"). Le argomentazioni della Heller si sviluppano "a cascata", in tre momenti successivi: in primo luogo, vi  una critica del paradigma della produzione, il quale, facendo della "produzione" destoricizzata e desimbolizzata il ''momento soverchiante" e la "variabile indipendente" dello sviluppo storico (la cui catena progressiva  la "crescita delle forze produttive"), diventa una rozza filosofia della storia; in secondo luogo, vi  una critica del paradigma del lavoro, la cui autocontraddittoriet consisterebbe nell'inserimento della "posizione teleologica" dei singoli individui (che in effetti non  una "filosofia della storia", ma un semplice modello della prassi specificatamente umana) in una filosofia della storia scaglionata in tre momenti costitutivi (la produzione, intesa come arretramento della barriera della natura esterna, la de-naturalizzazione dei singoli attori, intesa come arretramento della barriera della natura interna, ed infine la universalizzazione delle integrazioni) in cui la "produzione"  la forza motrice; in terzo luogo, vi  una vaga e confusa "proposta alternativa", basata su una "struttura di oggettivazioni che ogni essere umano deve appropriarsi per sopravvivere in un dato ambiente culturale" (le cui componenti sarebbero tre: l'uso degli oggetti fatti dall'uomo, l'osservanza dell'insieme culturalmente definito dei costumi, l'uso del linguaggio comune). La Heller vuole, . evidentemente, criticare soprattutto il paradigma della produzione (con il quale si intende il marxismo monopolistico di stato dei paesi a socialismo reale, dei quali l'Ungheria fa parte, pur essendo certo il pi "liberale" in senso assoluto). E' questo il suo obbiettivo principale, al punto da, vedere nell'Ontologia un paradigma della produzione "mascherato" e riformulato, una filosofia della storia che "si vergogna" (40). L'equivoco in cui cade la Heller  a nostro parere sintomatico, e carico di possibili insegnamenti filosofici. Il "progresso storico" nella Ontologia (di cui la Heller individua correttamente i tre momenti costitutivi, anche se li riformula nell'insopportabile e stopposo linguaggio della sociologia funzionalistica e della "teoria dell'azione sociale") non  affatto una "filosofia della storia" la cui direzione  segnata dalla "produzione come forza motrice", ma  solo un "insieme di possibilit ontologiche concrete", specificamente ed inscindibilmente collegate ai vari modi di produzione marxianamente concepiti. Per fare un esempio, la "universalizzazione delle integrazioni" non  la sincronizzazione finale armonica delle posizioni teleologiche di tutte le personalit "comuniste" sviluppate 199 e riconciliate con il genere sulla base della ricchezza produttiva pi alta possibile, ma  solo una possibilit storica che ontologicamente sorge esclusivamente sulla base del capitalismo e della astrattizzazione casuale degli individui, tutti ormai giuridicamente "eguagliati"; nel modo di produzione schiavistico ed in quello feudale l'"universalizzazione" non  ontologicamente possibile, cos come il passaggio dalla singolarit alla individualit non  possibile sulla base delle societ di caccia e di raccolta (41). Il modo di produzione capitalistico  infatti filosoficamente un campo di possibilit ontologiche qualitativamente nuove. In senso "positivo",  qualitativamente nuova la possibilit di sviluppo generico-universale della personalit umana; in senso "negativo",  anche qualitativamente nuova la possibilit di un pericoloso squilibrio fra sistema umano ed ambiente naturale (e si vedano in proposito le fondamentali posizioni, dallo scrivente largamente condivise, di G. Bateson e di A. Wilden) (42). Il punto filosoficamente centrale non  allora soltanto la ripetizione ad nauseam che il lavoro  la "fonte" di ogni ricchezza soltanto per i pensatori borghesi e non certo per Marx (per il quale essere un lavoratore "produttivo" era una disgrazia!), e neppure la sottolineatura necessaria che in Marx la vera ricchezza  sempre in ultima istanza l'aumento del tempo liberato ed arricchito (ove i due attributi usati riassumano tutti e tre i "momenti costitutivi" della Heller). Questo  gi largamente noto (43). Si tratta invece di capire come la posizione teleologico-sociale del lavoro ha prodotto soglie ontologiche di irreversibilit in cui le posizioni alternative degli "attori sociali" (per usare l'orribile linguaggio in uso nelle social sciences contemporanee) sono divenute per la prima volta nella storia cariche di "possibilit oggettive" in direzione del superamento della estraneazione oppure, al contrario, in direzione di un approfondimento degli squilibri catastrofici fra sistema umano ed ambiente naturale. E! questo, a parere dello scrivente, un felice paradosso filosofico. , Soltanto l'enfasi ontologico-sociale sulla categoria di "lavoro" pu in realt combattere efficacemente contro i prometeismi produttivistici del "lavoro" i quali (come gi a suo tempo acutamente osservato da Walter Benjamin nelle sue Tesi di filosofia della storia) identificano lo "sviluppo tecnico" con il "filo della corrente" in cui la classe operaia nuota. La categoria ontologico-sociale di lavoro  dunque incompatibile sia con il pessimismo catastrofistico di chi oggi ha gi aprioristicamente decretato che la specie umana  fatalmente destinata a non poter "controllare" il mostruoso Ge-stell che ha prodotto, sia con 200 l'ottimismo idiota di chi aspetta la felicit e la pace sociale dalla computerizzazione e dallo sviluppo dell'ingegneria genetica. Essa non  infatti il supporto "nascosto" di una filosofia della storia (come pensa Agnes Heller), ma: la premessa ontologica che permette di intendere un arco di possibilit storiche del tutto determinate. Se questo  vero, il contesto rilevante in cui Lukcs parla di "lavoro" nella Ontologia non  lo stesso in cui si muovono Aristotele ed Hartmann. E' invece un contesto specifico, inscindibile da una analisi materialistica delle tendenze storiche del modo di produzione capitalistico in questo scorcio del XX secolo (44). 7. Alcuni problemi della riproduzione sociale  La riproduzione sociale  un complesso di complessi", caratterizzato da una gerarchizzazione flessibile e sempre mutevoli di questi "complessi", che hanno tempi e modalit di sviluppo non omogenei. Vi  qui un elemento comune a pensatori molto diversi (da Lukcs a Bloch allo stesso Althusser), uniti dal comune rifiuto di concepire il tempo storico come una "totalit espressiva . semplice" (caratteristica, quest'ultima, comune a tutte le varie forme di hegelo-marxismo e di storicismo, compreso lo storicismo positivistico, che feticizza la "crescita delle scienze" e delle forze produttive) (45). E' infatti errato, come rileva Lukcs, "separare la storicit dalla socialit e, come avviene spesso, accettare l'una e negare l'altra. Dalla circostanza che storia e sociologia vengono insegnate in cattedre distinte non consegue per nulla che nel processo di sviluppo dell'umanit storia e societ siano fattori reciprocamente autonomi" (46). L'unit dello sviluppo fra storia e societ consiste specificatamente in ci, che non soltanto i vari "complessi" relativamente autonomi della riproduzione umano-sociale (dal linguaggio all'economia, dal diritto alla sessualit, dalla guerra alla produzione artistica) hanno un carattere storico e perci mutano nel tempo (in modo non genericamente eracliteo-tutto muta-ma con soglie determinate di irreversibilit), ma muta anche la collocazione di ogni singolo "complesso" nella gerarchizzazione riproduttiva dell'insieme sociale (il "politico" nell'antichit, il "religioso" nel feudalesimo cristiano europeo, l'"economico" nel capitalismo di concorrenza, eccetera). Si' tratta di una "doppia determinazione temporale", che rappresenta la croce e la delizia degli "storici" marxisti, la maggioranza dei quali ha gi peraltro attuato con successo il "salto epistemologico"' da una storiografia ancora economicistica e riduttivistica ad una storiografia pi avvertita e 201 multidimensionale, in grado di recepire i pi diversi stimoli (dalle Annales alla oral history) (47).  Il nesso di storicit e di socialit  riscontrabile nell'evoluzione temporale (mai teleologicamente predeterminata) dei vari n "complessi". Questo  ben visibile, ad esempio, nella storia sociale dell'alimentazione, in cui non vi  certo solamente il "passaggio" dal crudo al cotto (con tutte le sue ovvie conseguenze di carattere simbolico-rituale, studiate in particolare dagli strutturalisti francesi), ma  riscontrabile e documentabile una "unificazione alimentare" dell'umanit, come portato del mercato mondiale (inesistente, ad esempio, al tempo degli antichi, in cui il disgusto e la ripugnanza per i cibi non consueti erano fenomeni assai diffusi). Questa "unificazione alimentare" non  altro che un "campo di possibilit alternative", ontologicamente parlando: solo le scelte consapevoli degli "attori sociali" possono infatti decidere se la vasta e ricca variet culinaria ed alimentare verr conservata in un mondo unificato (come  sperabile), oppure se l'unificazione alimentare avverr sotto il segno di un impoverimento standardizzato a base di hamburger e di chips e di una eliminazione progressiva di tutte le peculiarit alimentari {con l'esclusione del consumo di prestigio o dell'eccentricit socialmente prevista) (48). Nella storia sociale della sessualit ci  ovviamente ancora pi visibile e ricco di insegnamenti. E' chiaro, infatti, che il coito di Enea e di Didone non  eguale a quello di Romeo e Giulietta o a quello di Vronskij e di Anna Karenina. Non ci sta qui soltanto una generica evoluzione che presenta soglie di irreversibilit di carattere nient'affatto ciclico (ad esempio, baster ricordare come oggi - considerando l'enorme maggioranza degli uomini - l'attrazione sessuale fra fratelli e sorelle possa giudicarsi estinta; oppure come sempre pi il rapporto sessuale avvenga fra soggetti giuridicamente liberi ed affettivamente consenzienti, da cui deriva la non accettazione sociale - probabilmente irreversibile - dello stupro o del matrimonio combinato). E neppure vi  soltanto il fenomeno ontologico della autonomizzazione di livelli simbolici via via raggiunti dalla sessualit umana, in piena eterogenesi dialettica dei fini che erano stati originariamente proposti (ad esempio, la legittimazione spiritualizzata dell'amore omosessuale contenuta nel Convito di Platone  servita per "nobilitare" il rapporto eterosessuale successivo; oppure, la spiritualizzazione stilnovistica della "donna angelicata", che era in origine esplicitamente separata dalla sessualit, si  evoluta via via nell''amore romantico", esplicitamente risessualizzato). Indubbiamente, dall'ascesi spiritualistica cristiana  sorta la moderna interiorit erotica 202 borghese, che in definitiva fu da essa preparata storicamente. Questa "interiorit erotica borghese"  una soglia ontologico-sociale irreversibile, ed  sul suo terreno che si apre una vasta gamma di atteggiamenti possibili, che vanno dalle moderne ideologie della "superiorit maschile" alle teorizzazioni femministiche, di tipo anch'esse differenzialistico ed astorico (la "differenza originaria".del "maschile" e del "femminile", proclamata in modo consapevolmente adialettico,  l'elemento .filosoficamente comune che unisce in solidariet antitetico-polare il conservatorismo sessuale maschilista ed il femminismo . naturalistico-metafisico). L'unilaterale conservatorismo di questi atteggiamenti, riprodotto oggi dalla manipolazione industriale dell'erotismo e dell'immaginario sessuale quotidiano (che  oggi un fenomeno di massa - ogni condanna esclusivamente moralistica della pornografia rischia di non coglierne i caratteri "strutturali" che essa ha nella moderna societ), insieme con l'ultima trincea ideologica della difesa della diseguaglianza fra uomo e donna (la teoria della "complementariet"), non potranno nascondere a lungo il fatto che vi  oggi uno spazio ontologico nuovo per una reale, bilaterale "eguaglianza" nel rapporto fra i sessi, che potr forse in futuro lasciarsi alle spalle le "opposizioni" fra emancipazione e liberazione ed i contrasti fra il perseguimento della "differenza specifica" fra i sessi e la tensione verso l'umano - comune che li unisce (49). Anche il linguaggio ha ovviamente una storia sociale che non presenta immanenti teleologie, ma  connotata da, discontinuit e da soglie ontologiche di irreversibilit. Vi , in primo luogo, una discontinuit "forte" fra comunicazione animale e comunicazione umana, che spesso  messa in ombra dallo "specialismo" degli etologi e dei semiologi, i quali quasi sempre conoscono migliaia di importantissimi particolari tecnici : delle loro due discipline, ma trascurano la questione del corretto orientamento filosofico da dare al problema. Aspetti essenziali della comunicazione animale trapassano indubbiamente quasi immutati nella comunicazione umana, mentre aspetti qualitativamente nuovi sorgono in relazione con il "lavoro" specificatamente umano-sociale; in primo luogo, il linguaggio diventa l'organo ed il medium della continuit dell'essere sociale, luogo non tanto della cumulativit illimitata dell'esperienza trasmissibile fra le generazioni quanto della stessa possibilit del mutamento qualitativo di essa; in secondo luogo, (poich, come dice Hegel, solo per gli uomini "il noto in genere, appunto, perch noto, non  conosciuto") la specificit irreversibilmente differenziale sta nel fatto che per l'uomo sociale la "conoscenza comporta una dilatazione estensiva ed intensiva dell'ignoto" (con i connessi 203 momenti dell'informazione, della generalizzazione e del senso). L'oscillazione necessariamente ontologica del linguaggio fra il polo del noto (da comunicare) ed il polo dell'ignoto (da svelare), costitutiva della specificit dell'essere sociale, ha prodotto il terreno obbligato della considerazione filosofica del linguaggio. Come  noto, vi  stata una sistematica trascuratezza dell'importanza del medium simbolico da parte dei numerosi riduzionismi economicistici della realt (come ad esempio lo stalinismo, che creava per contemporaneamente una orwelliana neo-lingua per rendere pi difficile ogni comunicazione tendente al trascendimento consapevole della realt politico-sociale data). Vi  oggi, invece, una tendenza del tutto opposta, che mette il linguaggio al centro della considerazione filosofica. Questa tendenza, che enfatizza le dimensioni linguistiche dell'uomo, si scinde grosso modo in due parti: da un lato, vi  chi ritiene che il linguaggio  il medium privilegiato per "svelare" la realt (pensiamo all'ermeneutica, ma soprattutto a Heidegger, che non pu essere assolutamente ridotto a quest'ultima); dall'altro, vi  chi ritiene che il linguaggio  il medium privilegiato per "costruire" la realt (pensiamo al secondo Wittgenstein, al movimento analitico di Cambridge e di Oxford, che ha influenzato le teorie sociologiche dell'interazionismo simbolico e della "costruzione della realt sociale", ed ancor pi all'odierno progetto di ricostruzione del materialismo storico sulla base di una teoria generale dell'agire comunicativo di Jurgen Habermas). Non possiamo in questa sede discutere le debolezze dei disvelatori e dei costruttori dell'Essere attraverso il linguaggio. A proposito di Heidegger, si  gi detto come la corretta istanza heideggeriana di una conoscenza ontologico-sociale del tempo presente, monisticamente rappresentato in una "immagine del mondo" che iega insieme filosofia, scienza della natura e scienze sociali, sia necessariamente vanificata dalla sua concezione unilineare e destinale della temporalit storica, che rende letteralmente "impensabile" la prassi trasformatrice e, connotando il "lavoro" come attivit nichilistica ed "umanistica", deve necessariamente scivolare in una nozione sapienziale ed evocativa del linguaggio. A proposito di Habermas, si  visto come. l'iniziale separazione fra lavoro ed interazione (tenacemente mantenuta ed anzi sempre pi approfondita negli ultimi anni) abbia rappresentato un "punto di fuga" dai quale ormai la "teoria dell'agire comunicativo" si sta allontanando in velocit uniformemente accelerata dal sistema solare e planetario del materialismo storico. Questa teoria ha ormai una sua .peculiare logica di crescita e di 204 "complessificazione" che diventa sempre pi un oggetto monografico per habermasologi professionali (50). E' interessante, invece, notare come il problema ontologico del linguaggio si presenta regolarmente in certi "snodi" fondamentali del processo storico (pensiamo al movimento dei sofisti ed al Cratilo di Platone, da un lato, ad Herder ed alla linguistica romantica, dall'altro). La tendenza linguistica contemporanea  anch'essa legata al superamento irreversibile di alcune soglie ontologico-sociali, dovuto alla mondializzazione del modo di produzione capitalistico (e non  un caso che soltanto dopo che il sistema-mondo si  veramente attuato, gli storici possano retrodatare variamente la sua comparsa, come fanno Braudel e soprattutto Wallerstein). L'unificazione linguistica del mondo non si manifesta soltanto nella difficolt e nell'affanno con cui,le varie lingue nazionali cercano di resistere alla koin semplificata e banalizzata dell'inglese giovanile, commerciale e tecnico (anche qui, vi  la compresenza dialettica della nuova e positiva possibilit ontologica della comunicazione universale - non raggiunta al tempo di altre precedenti "lingue veicolari", come il greco, il latino, l'arabo, il francese - e del negativo impoverimento operazionale della comunicazione linguistica nell'inglese as a foreign language, incorporante modalit esistenzialistico-positivistiche di rapporto con il mondo nella sua apparente asettica "neutralit espressiva") (51). L'unificazione linguistica del mondo  un fatto ontologico, caratterizato filosoficamente dalla compresenza di una nuova modalit astratto-universale della comunicazione linguistica, da un lato (ormai tutta l'umanit  astrattizzata dalla generalizzazione mondializzata del mercato e della produzione capitalistica, che rende omogeneo il medium linguistico-espressivo), e dal simultaneo moltiplicarsi di linguaggi specialistici e settoriali, dovuti alla frammentazione ed alla complessificazione della produzione. Oggi, dunque, la compresenza del massimo di comunicabilit "astratta" dell'esperienza umana e del massimo di incomunicabilit fra linguaggio comune e linguaggi specialistici  un "fatto" ontologicamente dialettico. Non possiamo dunque stupirci dell'attenzione che il pensiero contemporaneo dedica al problema del linguaggio, anche se possiamo dolerci delle tendenze idealistiche ed irrazionalistiche che sono generalmente veicolate attraverso la filosofia del linguaggio contemporaneo (52). Considerazioni analoghe possono essere fatte anche per il diritto. Lukcs riprende nell'Ontologia considerazioni gi fatte su Storia e Coscienza di Classe a proposito della tendenza idealistica a feticizzare i rapporti giuridici ed a staccarli dai rapporti 205 LI economico-sociali che il "diritto" esprime in forma falsamente asettica e "formalizzata" (la polemica contro la feticizzazione idealistica del "diritto"  forse il maggiore elemento di continuit. fra le due opere, per il resto tanto diverse) (53). L'illusione "giuridica" si manifesta, come  noto, in forme diverse nel capitalismo occidentale e nel socialismo reale, ma  in un'ultima istanza "unica" (il che fa diventare Kelsen e Visinskij assai pi vicini di quanto sembrerebbero a prima vista): l'autonomizzazione illusoria del sistema di norme giuridiche (sia di diritto pubblico che di diritto privato) produce, a livello sia di ideologia che di falsa coscienza, l'errata convinzione che siano i rapporti "legali" a determinare i rapporti sociali, e non viceversa. Ad Ovest, certamente, prevale l'illusione giuridica dell'eguaglianza formale dei "punti di partenza" degli individui, titolari astrattamente degli stessi diritti e doveri e portatori di "libert in generale"; ad Est, invece, l'abolizione della propriet giuridica privata dei mezzi di produzione e la conseguente propriet giuridica pubblica di essi viene fatta passare per appropriazione reale dei produttori sulle condizioni della produzione; in entrambi i casi, comunque, l'illusione giuridica rappresenta una forma di falsa coscienza necessaria che deve essere "superata" da una analisi storico-materialistica ispirata ad  un'ontologia determinata dell'essere-cos sociale e politico (54). Questa non  comunque che la necessaria critica "in negativo" dell'illusione giuridica. In positivo occorre per rilevare che vi  anche qui una soglia di irreversibilit ontologica, determinata dal potenziale emancipativo contenuto nella formalit e nell'astrattezza del diritto borghese, superiore sia alla "saggezza tradizionale" della giustizia del cad musulmano (per usare l'espressione di Max Weber), sia alla casualit informale dei "processi popolari" (da quello fatto a Socrate a quelli svolti durante la rivoluzione culturale cinese). Altra cosa , ovviamente, la "giuridicizzazione ossessiva di tutti gli ambiti di vita", scioccamente voluta da tutti i feticisti del diritto e giustamente temuta da chi, come Jurgen Habermas, vede in essa una forma di "colonizzazione" di tipo nuovo del quotidiano. E' comunque certo che il "superamento" dell'astrattezza della "forma giuridica" non potr ritornare alla perduta informalit primitiva (che comunque non  mai esistita in forma "laica", ma sempre e soltanto intrisa di riti e di miti), e che il comunismo  al di l, e non al di qua, della soglia ontologica irreversibile prodotta dal diritto borghese formale ed astratto (che per, come la stessa "interiorit erotica borghese", non  che un punto di partenza) (55). 206 La stessa "economia" , infine, un complesso autonomo della riproduzione sociale complessiva. Come si sa, uno dei problemi principali del materialismo storico consiste nella determinazione precisa dell'autonomia specifica dell'"'economico" nei differenti modi di produzione, ed in che misura esso sia (per usare un linguaggio . althusseriano) "determinante in ultima istanza". Leggermente diversi sono i problemi che sorgono da. una giusta valutazione filosofica dell'"economia" all'interno di una prospettiva di tipo ontologico<sociale. Si ha qui, infatti, una lotta "filosofica" su, due fronti opposti (ed antitetico-polari): da un lato, la sopravvalutazione sistematica del ruolo "autonomo" dell'economia nella riproduzione sociale, legata alla valutazione dell'economia come "regina" delle scienze sociali ed al feticistico ed illusorio "isolamento dell'economico" dagli altri complessi; dall'altro, la sottovalutazione idealistica della nozione marxiana di sfruttamento (connessa con le note distinzioni fra lavoro e forza-lavoro, valore d'uso e valore di scambio, eccetera), come se la riproduzione capitalistica potesse "fondarsi" sopra un rapporto di "dominio" sostanzialmente sganciato dalla estorsione del plusvalore. In questa "lotta filosofica" occorre sempre ribadire vere e proprie ovviet. Ad esempio, non  mai esistita una vera e propria "economia pura" che abbia funzionato senza violenza (56). Naturalmente, "al livello del pensiero astratto si pu delineare senza contraddizione il concetto di puramente economico", ed  anzi decisiva per la teoria l'elaborazione di questo concetto (le "leggi dell'economia", eccetera). La stessa "violenza" non  poi un fattore astorico, metafisicamente cosale, e presenta anch'essa soglie di irreversibilit ontologica in rapporto alla sua "necessit funzionale" per la riproduzione dell'economico (la stessa crudelt di Hitler non ha nulla a che fare, neppure a livello di superficiale analogia, con quella, poniano, di Assurbanipal, Nerone o Genghiz Khan, a meno che si creda nell'"eterno ritorno del sempre eguale", al marchio di Caino ed al kantiano "male radicale"). Non si  qui di fronte ad un mero fatto "genealogicamente ricostruibile" (si pensi agli studi di Foucault sui corpi ribelli ed i corpi "docili", ed alle differenze fra le strategie di controlio attraverso le esecuzioni capitali "crudeli" che annientavano il corpo e le tecniche panoptiche di incarcerazione); il rapporto fra economia e violenza  sempre un rapporto ontologico-determinato, che gli "economisti" devono sempre "dimenticare" per alimentare la falsa coscienza necessaria con cui esercitano la loro "triste scienza". Questa "dimenticanza" non  ovviamente eguale per tutti, ed occorre francamente distinguere fra la pleiade di spocchiosi roteatori di pipa che 207 incitano ai "sacrifici" affiancati ai mezzibusti televisivi e studiosi come Gunnar Myrdal o Joan Robinson (57). Avendo l'intero essere sociale una costruzione ontologica unitaria (il lavoro, in quanto elemento ultimo, non ulteriormente scindibile, della sfera economica,  fondato su di una posizione teleologica e pertanto tutti i momenti che producono la struttura e la dinamica della sfera economica sono anch'essi atti teleologici direttamente o indirettamente orientati verso il processo lavorativo o messi in moto da esso) la sfera economica non si differenzia in nulla dai restanti campi della prassi sociale. In questo senso la sfera dell'economia non ha affatto nella "tecnica" il suo presunto "momento fondamentale" (come riteneva Bucharin) e non costituisce neppure una sorta di "seconda natura" che si distinguerebbe qualitativamente per struttura e dinamica dalle altre parti dell'essere sociale (come ritenevano Plechanov e Stalin). Il fatto per che non si possa affatto contrapporre in termini metafisico-assoluti, senza gradini, la sfera economica alla sovrastruttura non iegittima affatto la riduzione del complesso delle posizioni teleologiche entro l'essere sociale ad un "minestrone uniforme ed indifferenziato" (58). La soglia ontologica irreversibile, qualitativamente nuova, con ia quale il capitalismo spezza il precedente continuum temporale (a sua volta gi differenziato in un ricco multiversum),  infatti caratterizzata dalla doppia compresenza di una modalit storicamente specifica: da un lato, il rapporto di produzione capitalistico rivoluziona incessantemente le forze produttive, distruggendo sempre pi le modalit "naturali" del ricambio organico con la natura stessa; dall'altro, il furto di tempo di lavoro - come dice Marx - diventa progressivamente (anche se non teleologicamente) una "ben misera base" per la produzione e la distribuzione della ricchezza. Il carattere ontologicamente determinante del "momento economico" (che sconsiglia l'adozione affrettata di formulazioni "interazionistiche" e pluralistiche che dichiarano "abolita" ogni distinzione fra struttura e sovrastruttura) non sta dunque in ingenue rappresentazioni grafiche e topologiche (per le quali l'economia "sta sotto", fa da "zoccolo" alla politica ed alla ideologia), e neppure nella sua presunta esenzione dalla struttura teleologica dell'agire umano-sociale, ma risiede 0 esclusivamente nella centralit riproduttiva dell'estorsione del plusvalore e del suo realizzo come profitto nella societ mondializzata del capitalismo. Ovviamente, come tutti i complessi riproduttivi, anche l'economia ha un "momento ideale", che  tipico e caratterizzante dell'ontologia dell'essere sociale, cui ora brevemente faremo cenno. 208 8. La realt materiale del "momento ideale" A prima - vista, l'affermazione lucacciana secondo cui "il momento essenzialmente separatorio dell'essere sociale  costituito non dalla fabbricazione di prodotti, ma dal ruolo della coscienza" pu sembrare la prima proposizione di un manifesto filosofico idealistico. Si tratterebbe per di un'impressione errata. Infatti la delimitazione materialistica dell'essere della natura rispetto all'essere sociale deve attribuire alla coscienza un ruolo decisivo ed attivo perch l'ontologia specifica del complesso problematico dell'individuo socializzato contraddittoriamente nel modo di produzione capitalistico (la libert, la possibilit, la necessit) si lascia analizzare soltanto attraverso l'analisi del ruolo attivo della coscienza (59). Nel lavoro la posizione teleologica prodotta nella coscienza (cio un momento ideale) deve precedere la realizzazione materiale, e la stessa apparente "legalit oggettiva" (inesorabilmente indipendente dalla consapevolezza cosciente che se ne ha) delle cosiddette "leggi economiche"  in definitiva la sommatoria impersonalizzata ed automatizzatasi di originari "elementi primi teleologici", le posizioni alternative degli individui. Nell'ontologia del lavoro infatti gi Marx ha mostrato che la tradizionale contrapposizione fra teleologia e causalit non  sostenibile; mentre infatti la dinamica dell'essere naturale  determinata dalla causalit senza la teleologia, l'intrecciarsi di causalit e teleologia  una. caratteristica ontologica primaria dell'essere sociale. La decisione alternativa degli uomini non resta per al livello del lavoro semplice, al mero ricambio organico con la natura, ma  diretta alla coscienza di altri uomini, in modo che essi compiano da s, "spontaneamente", gli atti lavorativi desiderati dal soggetto della posizione (60). La realt materiale del momento ideale  dunque intrecciata inestricabilmente alla realt materiale delle ideologie. Il "momento ideale" non pu dunque essere accostato ed identificato con le strutture materiali neurofisiologiche del cervello e con le loro funzioni (si pensi a Cabanis ed a La Mettrie, ma anche a Vogt e Moleschott), ma  la speciale funzione dell'uomo come soggetto dell'attivit lavorativa sociale (un soggetto, ovviamente, complesso, non suscettibile di divenire il fantoccio grande-narrativo di una filosofia della storia pre-iscritta nella processualit concreta) (61). La diversa (e spesso alternativa) trattazione della realt materiale del momento ideale occupa l'intera storia della filosofia occidentale (ma anche cinese ed indiana). Spinoza, ad esempio, aveva gi collegato le idee adeguate, espresse con le parole del #  209 linguaggio, proprio con la capacit di riprodurre nello spazio reale una forma data in parole. Anche Hegel aveva gi espresso con assoluta esattezza la peculiarit fondamentale dell'attivit vitale umana: la capacit dell'uomo (come essere pensante) di guardare in se stesso come standosene "a parte", come in qualcosa d'"altro", come in un oggetto speciale o, in altre parole, di trasformare gli schemi della sua propria attivit nell'oggetto di essa medesima (62). | Marx, con la sua metafora dell'ape e dell'architetto,  erede sia di Spinoza che di Hegel: l'uomo ha la necessit di un momento di "estraneazione" e di "alienazione" delle cose da se stesso come premessa ontologica della sua stessa presa di coscienza ideale (e qui ha ragione Hegel), ma insieme (e qui ha torto Hegel e ragione Spinoza) la sua apparente alienazione non  altro che la necessaria oggettivazione nel mondo esterno del suo essere sociale, caratterizzato dal lavoro come modello di unit fra causalit necessaria posta da una teleologia e forma originaria della prassi umana rivolta alla trasformazione. I "marxismi" successivi a Marx hanno in generale perduto la capacit di trattare in modo adeguato la peculiarit materiale del "momento ideale", dando luogo ad una gamma di posizioni che vanno da una "spiritualizzazione" estrema del momento. ideale stesso, spogliato di ogni determinazione materiale (ad esempio in Max Adler), fino ad una cancellazione arrogantemente economicista e naturalistica di ogni "idealit" (in Plechanov, ma soprattutto nella teoria e nella prassi dello stalinismo, che occultava cos maldestramente il fatto che la presunta "oggettivit sociale" era quasi sempre il "risultato volontaristico delle risoluzioni del partito") (63). Di tanto in tanto, ovviamente, pensatori in vario modo "marxisti" hanno cercato una via personale di approdo al "momento ideale", ingegnandosi di evitare la soluzione neo-kantiana, formalistico-astratta, della separazione fra realt fenomenica ed idealit astratta, per la quale in definitiva si lotta contro il capitalismo mossi da un imperativo categorico di tipo morale e si concepisce il comunismo come un "ideale regolativo" e come un concetto-limite scisso dall'esperienza quotidiana. Antonio Gramsci, come  noto, deve essere considerato ancor oggi un teorico notevole della autonomia specifica" del momento ideale (teoria dell'egemonia e della guerra di posizione, teoria degli intellettuali organici, eccetera), superiore di gran lunga in freschezza e profondit a buona parte dello stucchevole "gramscismo" successivo, la cui mancanza di sviluppo deve essere imputata alla sua precoce 210 incorporazione in una ideologia di legittimazione di un ceto politico-partitico. In Gramsci, tuttavia, la forma filosofica del discorso che fa da "supporto" alle sue numerose e geniali osservazioni sull'autonomia specifica dell'ideale non  affatto un'ontologia sociale basata sul "lavoro", ma  un "paradigma della produzione" di tipo storicistico, che sincronizza la "coscienza del produttore" comunista con la socializzazione capitalistica della produzione sociale. Muta dunque lo stesso "valore di posizione" del ruolo del "momento ideale",  muta anche il nesso fra causalit e teleologia. La "democrazia dei produttori" ed il moderno Principe voluti da Antonio Gramsci non sono dunque affatto qualcosa di "inseribile" in modo indolore nella prospettiva dell'Ontologia, ma fanno parte di un "complesso teorico" radicalmente diverso (anche se di grande qualit e di tutto rispetto, storico e culturale) (64). Un discorso parzialmente diverso deve essere fatto a proposito del cosiddetto "marxismo di Mao Tsetung", del quale non discuteremo certamente qui gli aspetti legati specificatamente alla rivoluzione cinese (come rivoluzione di tipo nazionale e contadino), limitandoci ad una brevissima riflessione sul ruolo materiale del "momento ideale" nel suo pensiero. In Mao Tsetung il "momento ideale" non appare sotto l'aspetto dell'addestramento educativo, di tipo spesso confuciano (pensiamo a Liu Sciao Chi ed ai suoi scritti su come diventare un "buon comunista"), ma assume talvolta una vera dimensione ontologico-sociale, co-fondativa della realt sociale intesa nella sua dimensione pi ampia. Ci non avviene per mai in modo sistematico ed univoco, ma  sempre pi o meno "annegato" in considerazioni frammentarie ed estemporanee, legate a congiunture politiche ed a lotte di fazione quasi sempre oscure ed ingarbugliate, che solo la pietas e la fides dei maoisti occidentali potevano elevare a corpus dialettico e materialistico di dottrine coerenti. La stessa storia della Rivoluzione Culturale  in proposito istruttiva, per quel poco almeno che possiamo ricostruire: costante  la polemica contro la "neutralit" della scienza e della tecnica applicate alla produzione industriale ed agricola, fino a parlare esplicitamente di una vera e propria "teoria reazionaria delle forze produttive" come nemico ideologico principale nella "fase storica del socialismo". La rottura con il "paradigma della produzione" (che, come si  visto, non  strutturalmente in grado di tener conto del "momento ideale" se non nella forma sfigurata e - mistificata della -'coscientizzazione" pedagogica)  indubbiamente visibile, ma non vi  neppure un approdo al "paradigma del lavoro" in senso ontologico (approdo che non aveva probabilmente i presupposti minimi necessari, sul piano storico e sociale, per essere 211 coscientemente perseguito) (65). La transizione al socialismo  infatti una processualit coscientemente perseguita, ed  inconcepibile senza un'adeguata considerazione: delia realt materiale del momento . ideale. Quest'ultimo non  per qualcosa di "aggiunto", di contorno al piatto principale, ma  un elemento costitutivo della transizione stessa, concepita come azione teleologica. 9. Problemi filosofici della nozione negativa di ideologia Il momento. ideale comprende sempre anche, in modo ontologicamente costitutivo, un momento ideologico. Nel corso della lunga storia del pensiero filosofico si sono periodicamente ripresentate posizioni che, in vario modo ed usando differenti linguaggie terminologie, hanno annunciato di voler "far piazza pulita di ogni traccia di ideologia", fino al raggiungimento di una perfetta "trasparenza" (o autotrasparenza, la cosa non cambia affatto nell'essenziale). Come  noto,  in circolazione un'interpretazione di Marx che, appoggiandosi su citazioni realmente ricavabili dalle sue opere (ma non dal loro spirito complessivo, come noi crediamo), vede in Marx il radicale eliminatore di ogni traccia di ideologia e di falsa coscienza. Secondo una versione ingenua di questa interpretazione, il geniale Marx sarebbe del tutto immune dal momento ideologico, mentre tutto il marxismo successivo non sarebbe che una mostruosa galleria ideologica degli orrori; secondo una versione pi sofisticata, anche in Marx vi sarebbero momenti ideologici rilevanti, destinati per ad essere via via eliminati dal "tprocesso storico" e dai suoi pi geniali continuatori, fino al raggiungimento di una situazione ottimale di pieno scientifico e di vuoto ideologico. Questa interpretazione "trasparenzialistica" deve per essere respinta. Al contrario, esiste ontologicamente una specifica "inamovibilit della mediazione ideologica". Secondo la determinazione generale che Marx fornisce dell'ideologia, essa  lo strumento sociale con il cui ausilio gli uomini combattono in conformit ai propri interessi i conflitti che nascono dal contraddittori sviluppo economico. Se questi "interessi" fossero per qualcosa di chiaro, trasparente, cosalmente "dato" dall'esterno, non esisterebbe ovviamente neppure lo spazio ontologico per la possibilit manipolatrice di soggetti che (come si  detto poco sopra) si dirigono alla coscienza di altri uomini, in modo che essi compiano da s gli atti lavorativi desiderati dai soggetti della posizione. Occorre dungue una determinazione pi ristretta della 212 precedente, ma anche pi precisa, di ideologia: essa consiste nel fatto che con l'ausilio delle ideologie gli uomini portano alla coscienza e combattono i loro conflitti sociali (66). Lo "spazio ideologico"  dunque un sistema complesso di "regni combattenti". Non  prevedibile che esso possa scomparire in una "totalit pacificata" (cos come non  prevedibile che possa scomparire in una "scienza perfetta dell'amministrazione delle cose" lo spazio specifico dell'"economico"). In questo "spazio" si inseriscono dialetticamente le posizioni teleologiche dei soggetti, che non sono ovviamente mai mere richieste economiche di tipo cosale-operazionistico (del tipo: costruite le Piramidi!; lavorate nelle miniere di argento!; partite per la guerra! accettate il regolamento di disciplina della fabbrica!), ma che incorporano sempre elementi mitici, linguistico-simbolici, e pi in generale "ideologici". n proposito  necessario non cadere in errori di tipo classificatorio-valutativo (gi commessi, ad esempio, da Engels, influenzato qui dal positivismo dell'epoca), tendenti a dividere le ideologie in due grandi classi: le ideologie "stupide e primitive", prive di qualsiasi base sperimentale e sprovviste di argomentazioni razionali, e le ideologie "accettabili", anche se prive di vera e propria dignit scientifica (ed a questo proposito la critica lucacciana ad Engels, svolta nell'Ontologia,  di grande acutezza) (67). L'ideologia utilizza massicciamente, ad esempio, l'analogia": Ges pensa se stesso come il profeta Isaia, Lutero pensa se stesso nelle vesti di Paolo, Robespierre si rappresenta la propria pratica politica attraverso le toghe dei Gracchi, Lenin cerca di non cadere negli errori fatti dai giacobini francesi, e cos via. Si  qui in presenza di una modalit costitutiva della produzione ideologica. Essa ha infatti una duplice, contraddittoria, inscindibile natura ontologica: in negativo, fornisce ai soggetti delle posizioni teleologiche inseriti nel conflitto sociale una falsa rappresentazione della natura e della societ, e pertanto anche della loro interrelazione strutturale con essa; in positivo, fornisce a questi stessi soggetti uno spazio di possibilit, linguistica e concettuale, per la conduzione strategica vittoriosa di questi conflitti stessi. Essa  comunque ineliminabile, e vive appunto soltanto nella modalit delia relazione conflittuale (senza che per questo, come vedremo, elimini del tutto il problema ontologico della "verit" delle opposte rappresentazioni conflittuali) (68). In negativo, ovviamente, l'ideologia  sempre stata un'arma per le classi dominanti (cui ha sempre anche fornito, in generale con un forte "sconto", la falsa coscienza necessaria per rappresentare 213 se stesse come emanazione del volere: degli dei, prima, di un unico Dio, poi, dell'umanit unificata dalla razionalit e dalla libert, infine). Dal punto di vista della critica dell'economia politica, il problema  ovviamente quello della soglia ontologica temporalmente irreversibile in cui ci troviamo storicamente oggi, il modo specifico e determinato in cui si pone per le classi dominanti oggi la produzione funzionale della mistificazione ideologica. Lo scrivente condivide in proposito (con qualche divergenza di dettaglio) l'impostazione che da in proposito l'Ontologia: la questione "strategica" fondamentale per la forma filosofica del discorso borghese-capitalistica  l'abolizione "concettuale" dello spazio teorico fra fenomeno ed essenza dei fatti sociali, la cancellazione della stessa possibilit linguistica di disoccultare le forme di falsa coscienza necessaria per la riproduzione dei rapporti di produzione dominanti. Di qui vengono, ad. esempio, l'attacco alla dialettica, giustamente individuata dal pensatore borghese pi "epocale" del tempo presente, sir Karl Popper, come "nemico irriducibile" della manipolazione capitalistica permanente dell'economia e della politica (che viene ribattezzata da Popper "ingegneria sociale a spizzico"), e la riproposizione in diverse salse della teoria della deideologizzazione, cio della "fine delle ideologie", che sarebbero ora integralmente sostituite da "imperativi sistemici" di tipo integralmente tecnico e neutrali rispetto alla produzione filosofica ed ideologica (69). Il fatto che la produzione capitalistica venga presentata dagli ideologi borghesi sotto il segno ideologico della "naturalit" e della "neutralit" non sembrerebbe a prima vista una novit ontologica. Da sempre, le classi dominanti hanno presentato il loro dominio come "naturale". Tuttavia, una novit ontologica esiste, e presenta aspetti promettenti ed aspetti problematici: in primo luogo, infatti, la stessa generalizzazione e mondializzazione del modo di produzione capitalistico ha "unificato", per la prima volta nella storia, lo "spazio ideologico" in cui si svolge il conflitto fra le classi, mettendo le basi per una "sintassi comune" della presa di coscienza; in secondo luogo, invece, l'inevitabile e di per se assai positivo crollo della "vecchia sintesi" ideologica marxista-leninista non ha per ora prodotto gli elementi minimi necessari ad una "nuova sintesi", lasciando spazio soltanto a ciniche apologie del decisionismo politico, da un lato, ed alla disseminazione differenzialistica  dell'irresponsabilit socialmente organizzata, dall'altro (70). La questione del ruolo "positivo" dell'ideologia resta per aperta, ed. a questo ora accenneremo brevemente. 214 10. Problemi filosofici della nozione positiva di ideologia Come rileva acutamente Lukcs, se qualcuno - anche dopo un periodo molto lungo di oblo - volesse rendere metodologicamente attuale Platone o Cartesio, gli basterebbe ritornare al metodo in s e per s. Essendo invece la dottrina marxiana una sintesi di nuovo genere fra filosofia e scienza, il suo rinnovamento deve legarsi organicamente a una conoscenza teorica della situazione attuale, e ad una autocritica rigorosa degli esiti e dei fallimenti delle rivoluzioni proletarie. E' questo ovviamente un compito per. il materialismo storico e per la critica dell'economia politica di oggi, cui non possiamo neppure accennare. E' invece utile ripetere ancora una volta che, dal punto di vista filosofico, questo programma scientifico non pu essere neppure correttamente posto se si parte con il "piede sbagliato" della separazione assoluta fra scienza ed ideologia (71). # Il marxismo infatti inserisce se stesso nel complesso problematico delle ideologie in modo assolutamente consapevole, senza alcuna illusione di 'avalutativit pura" e senza alcuna propensione a stabilire un dilemma rigido fra scienza e ideologia per quanto concerne il proprio "statuto epistemologico". Questo dilemma rigido  definito da Lukcs "pura metafisica a base gnoseologica", e si manifesta in forme assai diverse, unificate tutte dalla feticizzazione ultrarazionalistica di una presunta separabilit pura fra ideologia e scienza. Ovviamente, vi  una separazione specifica fra i due complessi, fondata sulla loro funzione nell'essere sociale: la scientificit si fonda sull'intento di riconoscere la realt oggettiva cos com' in-s, mentre l'ideologicit si fonda sulla base della rappresentazione conflittuale degli interessi con la quale i soggetti costruiscono le loro posizioni teleologiche. I due complessi sono per coestensivi e consustanziali, ed ogni separazione assoluta sfocia filosoficamente in una vera e propria "metafisica a base gnoseologica". In primo luogo, infatti,  vano decidere (come ritiene invece necessario Max Weber) se l'oggettivazione cui si intende pervenire sia scienza o ideologia: il pensiero di Marx, ad esempio, non ha mai cercato di nascondere la propria genesi storico-sociale con una "atemporalit" costruita in forma gnoseologica, e si  anzi sempre collocato dentro la lotta di classe del tempo. La scientificit e/o l'ideologicit dei risultati cui si perviene sono intessute insieme nella stessa posizione teleologica (la quale, non bisogna dimenticarlo, ha sempre nel lavoro la sua forma originaria ed il suo modello). In secondo luogo, infine, la gnoseologia non  mai 215 l'organo adatto per distinguere l'ideologia da ci che l'ideologia non ;  la funzione sociale infatti che decide se qualcosa diventa o no ideologia, e su questo fatto la gnoseologia per sua natura non ha nulla da dire (72). La chiarezza teorica su questo punto  essenziale (e tanto pi lo , se pensiamo che scuole ricche di meriti storici come quella di Louis Althusser sono entrate in crisi irreversibile anche e soprattutto per l'incapacit di padroneggiare la delicatissima dialettica di elemento scientifico ed elemento ideologico all'interno dell'unica posizione teleologica che li produce entrambi). L'elemento ideologico, che non pu ontologicamente essere eliminato, deve essere invece padroneggiato e "tenuto sotto controllo". Questo non pu per essere fatto sulla base delle metafisiche a base gnoseologica, e neppure sulla base delle trascurate superficialit, di tipo generalmente storicistico, che proclamano l'irrilevanza del fattore ideologico o filosofico per quanto riguarda l'adesione ad un programma politico-partitico concreto. E' questa, come  noto, la posizione "filosofica" ufficiale del PCI (forse l'unica), secondo cui il partito comunista  una organizzazione politica che chiede a chi ne fa parte soltanto di riconoscersi nel programma politico che propone e per ia definizione del quale stabilisce determinate regole (il centralismo democratico, obbligatorio ovviamente solo per gli iscritti, la cui adesione  del tutto volontaria, potendo sempre i dissenzienti "andarsene" nell'ampia societ civile esterna, di cui si sancisce l'irreversibile gestione pluralistica e democratica), mentre non gli chiede invece di condividere una determinata filosofia e tanto meno una sua particolare interpretazione (73). Si tratta, a parere dello scrivente, di una posizione filosofica molto problematica, e sinceramente insoddisfacente. Nessuno pu ovviamente rimpiangere il "partito ideologico", che stabilisce con riunioni della direzione (composta di politici professionali, e non certo di specialisti) il verdetto di scientificit su questioni di fisica o di biologia ed il verdetto di correttezza filosofica sull'esistenza o meno di Dio o sull'interpretazione di Lenin, Gramsci o Marx. E' questo un "superamento" dello stalinismo che tutti si augurano irreversibile, con il quale per il problema della "ideologicit" di un programma politico dato (che  formalmente altra cosa, ma che si identifica poi di fatto con la "linea politica") non  affatto "chiuso", ma risulta appena "aperto". | Il programma politico e la linea politica non vengono infatti elaborati nel vuoto pneumatico di una presunta "neutralit" ideologico-filosofica, ma sono anch'essi posizioni teleologiche 216 concretamente intessute di scientificit e di ideologicit (cio, di una rappresentazione della realt. in s, che si chiede di accettare, e di una interpretazione della realt per s, che si chiede di condividere). Non si tratta allora di "chiedere" l'accordo sulla valutazione della dialettica trascendentale di Kant o della scienza della logica di Hegel, e neppure sulla trasformazione dei valori in prezzi (una simile concezione del "pluralismo delle opinioni" pu venire in mente ovviamente soltanto ad un filosofo professionista). Si tratta invece di capire che non vi pu essere nessuna fondazione seria di un programma politico (e dunque neppure di una "linea politica") al di fuori di un'esplicito accordo su di una "posizione teleologica fondamentale", che rimanda ovviamente ad una serie di opzioni filosofiche limitate (74). A questo proposito la sola garanzia contro la strumentalizzazione tattico-politica della teoria non Pu certo consistere nell'eliminazione di quest'ultima, sostituita da affermazioni generiche e dalia quotidianit parlamentare, ma pu risiedere solo nella corretta valenza della teoria stessa. In caso contrario, la manipolazione soggettivistica della linea politica pu diventare ancora maggiore in mancanza assoluta di una filosofia politica e di un'ideologia di orientamento. Una politica rivoluzionaria (e talvolta anche solo seriamente riformistica) non pu certo basarsi sul pluralismo delle "opinioni filosofiche" fondamentali, come se l'esistenza della '"estraneazione" fosse una option casualmente sostenuta a seconda dei gusti, e come se l'orientamento ideologico fosse un extra facoltativo poco rilevante per l'azione pratica. A questo proposito, invece, la realt materiale ed ontologica della estraneazione non si lascia ricondurre al relativismo scettico-pluralistico delle opinioni cortesemente confliggenti in cortesi dibattiti; essa non  un articolo di fede da imporre ai "credenti" nel comunismo marxiano, ma rappresenta un punto di partenza sia per una teoria dell'individuo che per una teoria della societ (ed  questo, appunto, il problema storico della democrazia e delle sue forme di esistenza concreta, che  possibile affrontare in senso ontologico-sociale soltanto dopo aver acquisito idee chiare sulla guestione della estraneazione) (75). 11. Il significato ontologico-sociale della estraneazione Un'adeguata trattazione ontologico-sociale dell'estraneazione  resa difficile dagli equivoci semantici che si sono accumulati su questo termine. Per evitare le deformazioni principali, occorre subito "considerare l'estraneazione un fenomeno esclusivamente db; 217 storico-sociale, che si presenta a determinate altezze dello sviluppo e da quel momento assume nella storia forme sempre differenti, sempre pi chiare. La sua costituzione, dunque, non ha nulla a che vedere con una generale condition humaine e tanto meno possiede una universalit cosmica". E' questo, ovviamente, un punto di partenza teorico necessario (dimenticato non solo dalle filosofie esistenzialistiche pi banalmente astoriche, ma anche da filosofie pi nobili come quella di Hegel, che generalizzava l'estraneazione in forme logico-speculative per fondare meglio il pensiero assoluto, la cui incarnazione adeguata era il soggetto-oggetto identico), ma non ancora sufficiente: il fatto che non esista una estraneazione come categoria generale o, tanto meno, sovra-storica, antropologica, ma che l'estraneazione abbia sempre un carattere storico-sociale, ed in ogni formazione ed ogni periodo venga sempre messa in moto ex novo dalle forze sociali realmente operanti, non ci dice ancora qualcosa di essenziale sulla natura dell'estraneazione specificatamente umana (76). l Per impostare correttamente il problema occorre tener conto del fatto che la posizione teleologica del lavoro, pur essendo nell'essenziale monisticamente unitaria e non ulteriormente riducibile, si sviluppa dialetticamente in due direzioni potenzialmente divergenti: lo sviluppo delle capacit umane e lo sviluppo della personalit umana. Per formulare ci in modo pi preciso: lo sviluppo delle forze produttive  necessariamente anche sviluppo delle capacit umane, ma - e qui emerge plasticamente il problema dell'estraneazione - lo sviluppo delle. capacit umane non produce obbligatoriamente quello della personalit umana (77). Il problema dell'estraneazione non si fonda dunque, in modo metafisico, sulla "scissione originaria dell'unit", sulla cosiddetta "deiezione", eccetera, ma risiede esclusivamente nello spazio dialettico concreto che sorge dalla contraddizione fra sviluppo delle capacit e sviluppo della personalit. Insistiamo qui sul termine di "contraddizione dialettica", in guanto fra capacit e personalit non esiste affatto una "opposizione reale": lo sviluppo della personalit dipende anche, per molti aspetti, da un pi elevato ed approfondito livello delle singole capacit, e solo sulla necessaria base di queste ultime pu fondarsi. Una personalit ricca e multilaterale priva di capacit concrete, da un lato, ed uno sviluppo multiforme di capacit trasformative concrete sulla base di un impoverimento della personalit, dall'altro, sono entrambe astrazioni prive di contenuto storico reale. La continuit specifica del processo storico (senza la cui 218 presupposizione materialistica il "tempo" si frantumerebbe in spezzoni spenglerianamente irrelati) consiste. proprio nella determinazione concreta delle discontinuit dentro le quali si svolge, in modo sempre diverso e peculiare, la dialettica fra sviluppo delle capacit e sviluppo (o sottosviluppo) della personalit. Il "progresso" non  dunque affatto "estraniante" per sua natura (se ci si permette un'affermazione di sapore kantiano, la proposizione "il progresso  estraniante" non  n un giudizio analitico, n un giudizio sintetico a priori o a posteriori  ci si invischierebbe qui in una metafisica a base gnoseologica), ma piuttosto progresso (delle capacit) ed estraneazione (della personalit) sono lati di un complesso concreto che possiede in ultima istanza un'unica processualit di tipo ontologico-sociale (78). Questa dialettica resta in generale per il pensiero "borghese" (ed anche per quello che si etichetta come "socialista" e "comunista") un segreto nascosto da sette sigilli La contraddittoriet del progresso, infatti, "non viene intesa nella ideologia borghese per quel che , un carattere intrinseco di ogni movimento in avanti della societ, ma viene invece ossificata in. un'unica semplicistica antinomia, nella quale si ha, da un lato, una adesione pi o meno assoluta e, dall'altro, un rifiuto in sostanza Totale. La prima linea muove dall'epoca delle illusioni circa il libero commercio e giunge alla venerazione per l'odierno capitalismo, l'altra comincia, diciamo, con Schopenhauer, passa per Spengler e arriva all'attuale nichilismo". Una simile antinomia irrigidita  riscontrabile anche nel pensiero della cosiddetta "sinistra" (sit venia verbo!); da un lato, il pensiero riformista e socialdemocratico resta in generale fermo all'uomo spontaneamente creato dall'economia capitalistica, di cui vengono "realisticamente accettate" le tendenze estranianti a considerare il nesso pubblico-privato sotto il segno del decisionismo manipolatorio e del consumo di prestigio; dall'altro, l'ala estremistica tende a considerare il mutare dell'uomo nel flusso della storia come conseguenza della sua propria prassi, compiuta in maniera consapevole (come risposta consapevole) ed auto-organizzata (79). La solidariet antitetico-polare fra queste posizioni pu essere ovviamente dettagliata, ma non sarebbe questo il problema principale. Come si  detto sopra, l'estraneazione non esiste se non nella forma specifica di un complesso determinato di estraneazioni che hanno una scansione storica discontinua (dunque, la dialettica fra capacit e personalit non  la stessa, se non in un senso generico e formale-astratto, in Caio Giulio Cesare ed in Dante Alighieri, in Newton ed in Einstein). In proposito  bene dire che, - Pai 219 cos come il complesso di estraneazioni deriva da un risultato "non coscientemente voluto" di una serie di posizioni teleologiche originarie la cui "risultante"  un complesso di legalit ontologiche nuove, analogamente, nel processo sociale ed individuale di lotta contro l'estraneazione la prassi concreta ha ila priorit sul cosiddetto "rispecchiamento cosciente" degli interessi (ed  del resto filosoficamente insuperata l'impostazione teorica di Lenin, che vedeva nella prassi spontanea "di risposta" dell'uomo la "forma embrionale della coscienza") (80). Occorre dunque rifiutare un atteggiamento puramente "coscienzialistico" verso. le posizioni teleologiche rivolte contro il contemporaneo complesso di estraneazioni. ' questa la ragione per la quale, in Lukcs, la "vita quotidiana" rappresenta l'elemento primario, non ulteriormente riducibile (vi  qui un'evidente analogia con la forma del "lavoro"), a partire dal quale si originano le | posizioni teleologiche, in vario grado "coscienti", tendenti ad approfondire l'estraneazione oppure, alternativamente, a combattere contro di essa. E' stata, probabilmente, la lunga consuetudine di Lukcs con il romanzo e pi in generale con la letteratura a produrre, come "ricaduta filosofica", la valorizzazione ontologico-sociale della forma della quotidianit come modello, non ulteriormente riducibile, della dialettica fra le tendenze estranianti e disestranianti dentro l'essere sociale (81). Vi sarebbero da fare in proposito decine di osservazioni filosofiche ma, non potendolo fare, ci limiteremo a sottolineare i due punti forse pi rilevanti. In primo luogo (come si  gi anticipato nell'introduzione di questo lavoro) lo sviluppo economico sembra aver acquisito, nel capitalismo, il carattere della totale illimitatezza, mentre in tutte le societ precapitalistiche esistevano limiti strutturali allo sviluppo illimitato. Questa caratteristica ontologica, specifica del capitalismo, fa diventare l'estraneazione un fenomeno sociale universale (nel suo nesso di illimitato sviluppo delle capacit e di illimitata manipolazione della personalit), che predomina tra gli oppressori cos come tra gli oppressi, tra gli sfruttatori cos come tra gli sfruttati. Nelle societ a sviluppo limitato (pensiamo alla Grecia classica ed anche, sia pure in forma qualitativamente assai pi limitata, al Rinascimento europeo) per una parte degli individui sembrava esserci almeno negli stati iniziali un modo per sfuggire all'estraneazione generale, ora ci  del tutto escluso: l'estraneazione degli sfruttati ha il suo esatto corrispettivo in quella degli sfruttatori. Questa: generalizzazione "necessaria" della realt ontologica della. estraneazione  per simultaneamente una 220 generalizzazione della "possibilit ontologica generalizzata" della lotta contro di essa (82). In secondo luogo, Lukcs d del presente una valutazione assai realistica, lontana sia dal pessimismo aprioristico sia dall'ottimismo storico (ed in proposito sono da respingere le interpretazioni errate di Lukcs come "ultimo ottimista storico" del XX secolo). Secondo Lukcs, "da un lato il problema dell'estraneazione non  mai stato cos diffuso - e proprio nella sua forma diretta, aperta, espressa, - dall'altro non si  mai dato un periodo di alta socialit in cui la ribellione autentica, pratica, contro il sistema economico dominante e contro la sua ideologia fosse cos debole e inefficace come nel recente passato" (83). Questa valutazione lucacciana  tanto pi fondata quanto pi pensiamo all'incapacit dei movimenti giovanili anticapitalistici del Sessantotto a trasformare l'anticapitalisme in una vera e propria "passione durevole", capace di resistere all'assolutizzazione giovanilistica del valore centrale da dare alla giovinezza stessa. Sta qui la base ontologica di ci che Lukcs definisce l'"avvizzimento del soggetto nell'arco che va dallo specialismo alla stravaganza", i due poli estremi dell'estraneazione che il capitalismo sviluppa in base alla sua peculiare dialettica di accrescimento delle capacit (attraverso lo specialismo) e di particolarizzazione delle individualit (attraverso il conformismo non-conformistico del pullulare di singolarit stravaganti) (84). Lo specifico modo con cui si presenta la processualit capitalistica contemporanea, nel suo contraddittorio movimento fra necessit ontologicamente estranianti e possibilit ontologicamente disestranianti,  dunque la base filosofica salda e sicura con cui si possono porre sia i problemi dell'individuo che quelli della societ, che non sono ovviamente due polarit indipendenti ed irrelate, ma due "aspetti" dello stesso complesso problematico. Lo scrivente separer ora i due aspetti per mere ragioni scolastico-espositive: la dialettica "individuale" fra singolarit e particolarit, da un lato; la dialettica "sociale" fra etica e politica, dall'altro. La ricomposizione toccher soprattutto all'intelligenza del lettore. 12. La dialettica di particolarit e di generalit nel marxismo Il punto di partenza ontologicamente essenziale per intendere la storicit essenziale dell'uomo consiste nel concepirlo come processualit in divenire. Gi Marx a suo tempo afferm che la storia tutta  una trasformazione continua della natura umana, ed  questo, appunto, il fondamento marxiano della antropologia e della psicologia storica. Non bisogna per concepire questa processualit 221 in modo ingenuamente eracliteo, come una semplice tautologica affermazione sul divenire come "base sostanziale" dell'essere sociale: si pu in questo modo approdare al semplice storicismo o adirittura al nietzschiano "eterno ritorno del sempre eguale". Anche la processualit della personalit umana possiede le caratteristiche essenziali, ontologico-sociali, del lavoro: la produzione di soglie ontologiche irreversibili, l'unit specifica di causalit e teleologia, l'insieme determinato di posizioni teleologiche alternative, eccetera. Nell'Ontologia Lukcs pone il problema della processualit ontologica della personalit umana muovendo dalle "classiche" posizioni di Goethe e di Spinoza. In sintesi, infatti: "La personalit umana, solo quando intenda anche se stessa come un'entit processuale e non statica, non data una volta per tutte, pu nel processo della sua autorealizzazione conservarsi, riprodursi a un livello superiore, come permanentemente nuova rispetto a se stessa. Una tale personalit processuale-essente deve per... concepire... anche il proprio ambiente come un processo. Un tale modo di concepire il mondo soggettivo e oggettivo  dunque il presupposto teorico per l'autoconservazione pratica della personalit in un mondo anch'esso processuale, ma che si muove in maniera indipendente; tuttavia l'elevarsi a questo automovimento pu essere solo il risultato di una capacit di decisione interna" (85). Questa concezione  gi presente in Goethe intessuta di elementi romantici e titanici. Nell'essenziale, tuttavia, Goethe coglie gi in modo completo il nesso inscindibile che unisce il divenire processuale di ogni personalit con la necessit per l'uomo di agire senza conoscere tutte le circostanze che determinano la sua prassi, e quindi senza poter evitare l'estraneazione delle proprie pratiche concrete. La processualit non pu dunque evitare l'estraneazione, ma quest'ultima non  affatto un "destino" esterno, quanto un momento della processualit stessa, che contiene dunque al suo interno anche la possibilit di "dichiarare la guerra contro la propria auto-reificazione psichica" e la statica cristallizzazione di momenti gi trascorsi. La storia della grande filosofia ci consegna, se sappiamo leggerla -con attenzione, esempi concreti di "progresso teorico" nel modo di superare impostazioni limitate del rapporto fra prassi ed estraneazione. Ad esempio, Spinoza compie una correzione profonda "rispetto all'antropologia filosofica greca, per cui il dominio dell'uomo sui propri affetti non  pi quello della ragione sugli istinti (il che pu ancora essere treificato in un fatto trascendente, come appunto avvenne nel cristianesimo), ma quello degli affetti pi forti su quelli pi deboli", e questa correzione segna sul piano teorico il compimento dell'autocostituzione 222 processuale, terreno-immanente, dell'uomo (86). Il riportare la dinamica processuale all'immanenza (di contro alle vecchie forme trascendenti) permette di capire il nocciolo razionale ed il momento di verit delle filosofie della storia (pensiamo a Vico o a Fichte) ed anche delle svariate divisioni degli uomini in "caste spirituali". Si tratta di tentativi, necessariamente scolastici e rigidi, di concettualizzare il divenire processuale e la differenza qualitativa fra le personalit (87). Un forte momento di verit  anche contenuto o nelle enfatizzazioni metafisiche ed unilaterali della libert. La struttura ontologica primaria della libert non  affatto la cosiddetta "coscienza della necessit", che non ne  del resto neppure lo stadio conclusivo. In prima istanza,la libert si pone come rifiuto assoluto di lasciarsi comandare e di avallare con un assenso servile ci che si sa comunque aver avuto provvisoriamente successo. Questo momento "metafisico-assoluto" della libert, che ha ovviamente anche aspetti esteriori ridicoli e donchisciotteschi, nel suo totale rifiuto di qualsivoglia "mediazione", si fonda per su un presupposto ontologico del tutto esatto, che comprende a sua volta due aspetti correlati: da un punto di vista soggettivo, ci che determina l'individuo come personalit particolare  proprio la possibilit di assenso o di rifiuto alla "datit" storica immediata, in quanto quest'ultima richieda di essere approvata me valutata positivamente; da un punto di vista oggettivo, ci che determina la processualit storica  certo un determinato insieme di soglie di irreversibilit sociale (ed il donchisciottismo consiste propriamente nel rifiuto della coscienza di accettare la soglia di irreversibilit storica), ma  anche la totale assenza di predeterminazioni e di presunta razionalit del reale intesa come inesorabilit di quest'ultimo. Il dire no ai provvisori vincitori non  dunque solo un atto di coraggio morale astratto, ma  anche un riconoscimento del fatto ontologico che la processualit storica non si arresta mai, e recupera continuamente possibilit storiche che sembra essersi lasciata definitivamente indietro. Ci non  affatto in contrasto con il principio della soglia di irreversibilit, come pu sembrare a prima vista: irreversibile ontologicamente  infatti la costellazione determinata dalla discontinuit storica (appunto: non reversibile) dei modi di produzione sociali (in questo senso, la "bella conciliazione" fra pubblico e privato tipica della polis greca non torner mai pi); ontologicamente reversibile  invece una situazione storica caratterizzata dalla possibilit sociale di decisioni alternative. In questo caso, colui che perde ha il diritto di non accettare nella coscienza la propria sconfitta (88). 223 Con questo non facciamo per che aggirarci intorno. alla periferia teorica del problema. Secondo Lukcs, "l'usuale generalizzazione filosofica di un'unica e-metafisicamente-indivisibile libert  una vuota costruzione intellettuale". Lo sviluppo della societ produce infatti sempre nuovi campi della prassi umana in cui ci che di solito viene chiamato libert in generale appare riempito di contenuti diversi, plasmato da strutture diverse ed operante con diversa dinamica. Questa "molteplicit" delle sfere impedisce loro di fondersi del tutto in completa unit (per esempio la libert giuridica e quella morale), anche se la struttura dell'azione teleologica  ontologicamente unitaria. Da un lato, infatti, la crescita storica in direzione della complessit sociale richiede che tale pluralismo delle libert possa ricevere una fondazione ontologica, di contro al mero concetto astratto, metafisicamente unitario, della libert come viene assunto in molti sistemi filosofici; dall'altro, contemporaneamente, la vita quotidiana produce in continuazione una sensazione, unitaria anche se indistinta, di fare la propria vita da s mediante decisioni alternative, e per questo non pu mai scomparire del tutto dalla vita emotiva degli uomini quel complesso di esperienza interiore su cui poggia l'idea filosofica unitaria della libert (89). La compresenza dialettica di molteplicit e di unitariet nella categoria della libert ha rilevanti conseguenze per lo sviluppo processuale della personalit. La personalit processuale dell'uomo non cresce infatti in modo linearmente cumulativo, ma diviene solo .attraverso una dialettica fra particolarit, orientata in linea di massima verso la cerchia immediata dei propri bisogni ed interessi, ed individualit, che nel suo modo di essere, di pensare e di agire, si colloca all'altezza storica del genere umano. Il "genere umano" non ha per neppure esso una crescita lineare cumulativa, ma ha una storia discontinua, spezzata da soglie ontologiche di solito irreversibili, che fanno diventare la lotta della personalit individuale per la conquista della genericit-per-s (coscientemente voluta e consapevolmente vissuta) qualcosa di specificatamente storico (90). Ora, la "persona che vuole per mezzo di decisioni individuali rompere con la propria estraneazione, per poter compiere soggettivamente tale rottura deve possedere una prospettiva, in ultima analisi - ma solo in ultima analisi - di natura sociale, orientata, anche se in termini tragici, verso una qualche manifestazione della Qgenericit-per-s, e questo per poter effettivamente sollevarsi nel proprio interno al di sopra della sua particolarit intrisa di estraneazioni ed aggrovigliata in esse". Questo vale ovviamente per una molteplicit di figure, tragiche e 224 storiche, da Antigone al carabiniere Salvo d'Acquisto, ma non caratterizza affatto soltanto i "casi limite" dell'eroismo, investendo anche il problema della vita quotidiana e della concezione del mondo di ogni singolo individuo. In prima approssimazione, la concezione del mondo  il medium necessario per dialettizzare e far divenire coscientemente una determinazione riflessiva la "differenza" fra le genericit-in-s volta a volta imperanti e storicamente vincenti e la tensione verso la genericit-per-s dell'uomo. La cosa pu essere formulata diversamente, per coloro che possono provare ripugnanza per questo linguaggio hegelianeggiante: la concezione del mondo  un campo di forze psichico fra la riproduzione della realt e la reazione ad essa (91). Questo "campo di forza" non  sempre stato lo stesso dalle caverne ad oggi. Con l'irreversibile fine degli antichi Greci, il crollo della vita regolata dall'essere-della-polis distrugge la tutela sociale che l'io non-particolare trovava in quella condotta di vita. La crisi che ne deriva rende possibile il cristianesimo ed il suo lungo dominio ideologico, giacch l'io non-particolare, divenuto senza patria nell'antichit, sembra trovare un terreno di sviluppo con l'ausilio di una estraneazione religiosa; ma soltanto l'epoca di crisi che vede la nascita della moderna societ borghese provoca la soglia, ontologicamente irreversibile, in cui la dialettica fra personalit-particolare e non-particolare pu avvenire sotto il dominio dell'astrattezza "universale" e dell'estraneazione generalizzata (come si  gi detto nell'Introduzione di questo scritto) (92). . A questo punto, la "singolarit" dell'individuo particolare assume la forma del "privato" in modo radicalmente nuovo: davanti a s ha infatti uno stato di estraneazione generale, ed in essa il crescere della vita privata ad unico modo di esistenza dell'uomo singolo apre il problema della sensatezza o dell'assurdit della vita puramente individuale. Il problema, ripetiamo,  nuovo, non analogicamente assimulabile alle specifiche estraneazioni della polis dei greci o del medioevo cristiano (93). Di fronte all'estraneazione, la struttura dei comportamenti dell'individuo socializzato nel capitalismo  di tipo fondamentalmente "diadico": da un lato, vi sono diverse strategie comportamentali di accettazione e di approfondimento dell'estraneazione; dall'altro, vi sono tendenze, rese ontologicamente possibili dalle "novit" sociali e storiche che il capitalismo porta con se, di lotta dell'individuo in direzione della genericit-per-s. In pratica, la "diade" non esiste mai in forma pura, e non  in quanto tale che una vuota astrazione priva di contenuto concreto, dato 225 l'insopprimibile pluralismo e la radicale molteplicit delle libert. L'accettazione della estraneazione  da Lukcs definita brillantemente una forma di volgarit. L'essenza storico-ontologica della "volgarit" (prescindendo qui dalla ricca fenomenologia dei comportamenti concreti) sta in ci che a suo tempo Marx nei Grundrisse defin come autocompiacimento soddisfatto" delle realizzazioni limitate che di volta in volta un'epoca storica consegue (e Marx mostr anche che persino l'esaltazione basata su un fraintendimento dell'uomo della polis fu ideologicamente necessaria per dare slancio storico-universale alla trasformazione dell'assolutismo feudale in societ borghese). L'autocompiacimento soddisfatto e volgare del presente (da non confondersi certo con la consapevolezza delle soglie storiche di irreversibilit che differenziano ontologicamente il presente capitalistico del passato precapitalistico)  particolarmente visibile nei "sistemi ideali e sentimentali dell'estraneazione moderna, i quali, pur essendo al massimo grado conformistici, sembrano nell'immediato ipermoderni, ripudiano ogni cosa del passato ed ogni tradizione". E' questo un atteggiamento tipico del cosiddetto "conformismo non conformistico" (i cui esponenti Lukcs definisce "apprezzati collaboratori della. manipolazione universale"), la cui struttura teoretica, che si basa in genere (anche se non sempre) su filosofie di tipo esistenzialistico-neopositivistico, riposa su un vero e proprio odio verso la storia e l'eredit" della tradizione. Questo conformismo non-conformistico nutre in genere una particolare antipatia verso il XIX secolo, in quanto questo secolo cerc almeno (sia pur fra mille incoerenze ideologiche) di affrontare i conflitti fra particolarit e genericit puntando apertamente alla catarsi ed alla conciliazione (e questa  cosa che non pu che disturbare chi vuole l'adattamento aperto, celato o rimosso alla manipolazione imperante). Secondo Lukcs, "un essere sociale che sia orientato in prevalenza e anzi, come accade spesso, potenzialmente in maniera esclusiva verso i bisogni della particolarit, produce per necessit ontologica la noia a livello di massa proprio quando sembra aver soddisfatto i suoi bisogni" (e qui si fa riferimento alla moda degli happenings, alle varie forme di voyerismo sessuale, fino al culto della droga ed all'ammirazione ed addirittura alla pratica degli omicidi "immotivati"). Si ha qui a che fare con qualcosa di nuovo (in quanto tale non assimilabile per analogia alla ricca massa di comportamenti autodistruttivi caratteristici del crollo del mondo antico - lo spillone dei punks non  la stessa cosa del cilicio degli anacoreti, l'eroinomane non  eguale allo stilita, i capelli lunghi 226 non sono l'acconciatura "alla moda degli Unni" della Costantinopoli di Procopio di Cesarea, eccetera): l'enfatizzazione unilaterale ed astratta, ipermoderna e falsamente non-conformistica, della "libert assoluta" della particolarit di espandersi in tutte (!) le direzioni, porta alla contraddittoria coesistenza di una "onnipotenza astratta e di una concreta impotenza". Tutto si pu astrattamente fare, e nulla in realt ha il bench minimo senso; alla lunga, come gi rilevato a suo tempo da Thomas Mann, "l'anima non pu vivere di non-volont, e non voler fare una cosa non  un contenuto di vita". Nello stesso tempo, tuttavia, ci che sembra antitetico al conformismo non-conformistico dei contestatori "di sua Maest" e dei vari buffoni di corte del capitalismo, il serio e serioso specialismo professionale, non riesce ad essere un'alternativa durevole. Dalla mera dedizione ad un lavoro non deriva nessun. innalzamento dell'individuo al di sopra della sua particolarit (come si  detto sopra, lo sviluppo estremo delle capacit  la premessa ontologica per lo sviluppo della personalit, ma non  la medesima cosa), al massimo si ha un "appassionato avvizzire della personalit nella dedizione specifica" al lavoro, scisso dalla tensione significante verso la generalit-per-s. In questo caso, dunque, il soggetto in quanto tale avvizzisce per lo pi nell'ampio arco che va dallo specialismo alla stravaganza (94). Ancora una volta, e con insistenza, precisiamo che lo "scacco" cui va incontro il tentativo di "realizzare" la particolarit dell'individuo nel capitalismo non  qualcosa di connaturato alla finitezza della condition humaine. Quest'ultima, ovviamente,  la base ontologica naturale imprescindibile, e la tragicit-in-s della vita umana prematuramente interrotta si staglia come fondo ineliminabile dell'essere sociale (anche qui, per, la vita umana "dotata di senso" con consiste in un insieme quantitativo di anni, ma in un insieme complesso di relazioni e di oggettivazioni umano-sociali, come del resto gi detto a suo tempo dagli antichi Greci). Lo scacco  qualcosa di ontologicamente determinato, ed il fatto che spesso si psicosomatizzi in disagio esistenziale ed in turbe psicologiche  certo assai importante sul piano empirico, ma resta filosoficamente derivato. La via dell'assunzione dialettica del conflitto fra sviluppo della particolarit ed acquisizione della personalit  dunque un terreno obbligato per l'individuo astrattizzato dal capitalismo. Apertamente, questa realt viene negata da pochi: dai francofortesi ai seguaci di Fromm, dai personalisti cristiani all'ampia gamma di freudiani variamente esercitanti,  a prima vista un solo coro, un solo grande concerto di voci che ripetono a gran voce lo stesso ritornello 227 (sviluppando unilateralmente il proprio io l'esito obbligato  la . nevrosi narcisistica - occorre aprirsi alla molteplicit del reale!!!) (95). Sono pochissime, invece, le voci che dicono apertamente ed in modo diretto ci che invece appare pi essenziale: la quotidianit che cerca una conciliazione stabile con la vita manipolata nel capitalismo  condannata all'avvizzimento nella propria particolarit, e non vi  in definitiva alcuna alternativa all'anticapitalismo come "passione durevole" e strutturazione di senso da dare alla propria vita. In questa forma, la definizione di "passione durevole" data alla quotidianit processualmente anticapitalistica  ovviamente una frase vuota. E' ovvio, infatti, che la mera istanza anticapitalistica, separata dalle sue forme concrete di esistenza,  un'astrazione introvabile (eppure, anche l'idealismo unilateralmente astratto del citoyen contrapposto al materialismo sociale dell'homme ed all'egoismo del bourgeois  qualcosa di sostanzialmente nuovo nella storia, e non ha nulla a che vedere con l'antitesi fra "corpo" ed "anima" delle religioni). Nella realt accade spesso, inoltre, che una persona combatta con passione contro un'estraneazione che l'opprime fortemente ed in pari tempo trascuri del tutto altri campi, altre estraneazioni (e Lukcs nota correttamente come nel noto romanzo E adesso, pover'uomo? di Fallada un padre e un figlio, che sono sinceri e convinti attivisti nella lotta per la liberazione degli operai, cio lottano contro questa estraneazione, nei confronti della madre e della figlia rimangono invece oppressori e sfruttatori del peggior tipo piccolo-borghese, cio forze estranianti per gli altri e per se stessi) (96). Idealismo astratto e contraddittoriet reale nel comportamento quotidiano accompagnano necessariamente il tentativo di indirizzare in modo anticapitalistico la personalit processuale dell'individuo verso la genericit-in-s (e del resto, gi nella grande filosofia classica tedesca le figure dell'anima bella e del filisteo erano gi state previste ed analiticamente discusse). Tuttavia, solo l'autocompiacimento volgare fissa realmente questi momenti attribuendo loro valore in s ed impedendo la loro considerazione come forme di estraneazione. In proposito, il socialismo neo-kantiano, che gi vide l'impossibilit del capitalismo di trattare l'uomo come fine e non come mezzo per l'accumulazione, possedeva un forte momento di verit, indebolito per dall'enfatizzazione della morale dell'intenzione (contrapposta a quella del risultato) e dal rifiuto di considerare l'estraneazione come un insieme di categorie ontologiche (97). % e . 228 L'enorme difficolt (di cui siamo tutti attoniti spettatori) di trasformare l'anticapitalismo in una passione veramente "durevole" per un numero rilevante, o almeno significativo, di individui non  evidentemente soltanto un problema di conoscenza o di "chiarezza concettuale" (del tipo: diteci esattamente ed in modo univoco che cosa voglia dire essere anticapitalisti ed allora lo saremo, ma non prima!). Come i  gi rilevato, la posizione teleologica non presuppone affatto la perfetta e lucida coscienza delle sue modalit specifiche di realizzazione. Si  qui piuttosto di fronte, ancora una volta, ad un fatto ontologico: la forza della manipolazione particolaristica della personalit umana  oggi assai rilevante; l'anticapitalismo come "passione durevole" non pu confinarsi nel privato senza subire danni molto gravi, e richiede un agire organizzato, di tipo etico-politico. E' questo un problema filosofico cui non si pu sfuggire. 13. La. dialettica di etica e di politica nel marxismo L'impossibilit di confinare la passione durevole" anticapitalistica alla sfera della dialettica privata fra particolarit ed individualit  fondata sull'elevatissimo grado di socializzazione storica - della personalit umana contemporanea: cos come la particolarit "trascresce" in individualit senza che si possa stabilire un limite fra ie due sfere ontologicamente riconoscibile, analogamente l'etica trascresce" in politica sulla base perentoriamente unitaria dell'ontologia dell'essere sociale (98). Il rapporto fra etica e politica  certamente un problema complesso. Nella storia, si  data sia l'opzione per la fondazione della decisione umana su di un unico sistema normativo, sia l'opzione per una fondazione dualistica. Nel primo caso, si pu rifiutare l'esistenza di regole specifiche del comportamento politico", ed affermare l'esistenza di un unico sistema normativo, quello morale ( la posizione, ad esempio, di un Erasmo da Rotterdam); oppure si pu rifiutare l'esistenza di regole specifiche del "comportamento morale" ed affermare l'esistenza di un unico sistema normativo, quello politico ( la posizione, ad esempio, di un Thomas Hebbes). Nel secondo caso, accettata e data per scontata l'esistenza di pi sistemi normativi (in generale, nella forma dualistica del rapporto fra etica e politica) si pu optare per la prevalenza del sistema normativo dell'etica su quello della politica ( la posizione, ad esempio, di un Kant); oppure si pu optare per la . prevalenza del sistema normativo della politica su quello dell'etica ( la posizione, ad esempio, di Hegel) (99). 229 x La realt concreta, ovviamente,  molto pi ricca di questa classificazione sommaria in quattro "tipi ideali" (assai pi maxweberiani, tra l'altro, che veramente marxiani). Tuttavia,  possibile avvertire subito la profonda insufficienza di una fondazione unilateralmente aprioristica del comportamento etico o politico (la cultura di destra, del resto, fonda entrambi su di una fantomatica "sacralit" originaria), cos come di un dualismo irrelato, che sfocia necessariamente nell'insolubile dicotomia fra decisionismo politico cinicamente amoralistico e falsamente "concreto", da un lato, e moralit astratta della purezza formale dell'intenzione, dall'altro. Il rifiuto di una considerazione unitariamente ontologica dell'essere sociale, del resto, ha come conseguenza necessaria questa dicotomizzazione, pi o meno consapevole ed in vario modo articolata. In. colui che  forse il pi grande filosofo. italiano contemporaneo, Norberto Bobbio, la dicotomia fra etica e politica  risolta in una sorta di "proceduralismo tragico": di fronte al caotico disordine della vita economica e sociale del capitalismo (ed alla evidente incapacit del "movimento comunista" di affermare  una civilt libera dall'estraneazione) il pensiero mette ordine, un ordine ovviamente sempre fragile e continuamente revocabile, attraverso continue distinzioni e precisazioni di significati, di ambiti, di sfere. La riconosciuta autorit morale di Bobbio si fonda anche e soprattutto sull'indiscutibile spessore della sua riflessione filosofica, la quale, sul problema della democrazia, si riallaccia direttamente ad Immanuel Kant: come garantire proceduralmente delle comuni regole del gioco, prescindendo del tutto dal fatto che gli uomini siano angeli o diavoli, ma presupponendo per che siano almeno intelligenti (100). La tragicit del proceduralismo bobbiano sta nel fatto che non  riscontrabile in Bobbio alcuna fondazione ontologico-sociale dei comportamenti al di l di richiami ad una sorta di neo-giusnaturalismo (esistono diritti umani non negoziabili al di l del mero principio di maggioranza) (101). La funzione ordinatrice del pensiero, la dolce forza della ragione,  il solo argine al caos irrelato del politeismo dei valori e della polimorficit priva di direzione dell'agire umano nel mondo. In Bobbio la lotta accanita della particolarit contro le sue degenerazioni narcisistiche e variamente estetizzanti  sempre sostenuta ed approvata, senza per che vi sia, come in Lukcs, il riconoscimento ontologico-sociale di una dialettica fra il "dato" (le premesse economico-sociali costituite dalla mondializzazione capitalistica dell'umanit, unico presupposto per un socialismo 230 possibile) e la "possibilit" (la scelta anticapitalistica come unica reale passione durevole dotata di senso storico effettivo). Chi vuole andare oltre Kant, non pu comunque fingere che Kant non sia mai esistito. Analogamente, l'essenziale del pensiero di Norberto Bobbio deve essere considerato una soglia filosoficamente irreversibile: occorre respingere sia la dicotomizzazione irrelata fra etica e politica (in cui decisionismo cinico e moralismo dell'intenzione si sostengono in solidariet antitetico-polare), sia la loro fusione affrettata, ed occorre invece studiare pazientemente lo spazio storico-teorico che si apre fra i due termini (102). Con questo, per, il problema  stato appena impostato in termini gererali ed astratti. Per procedere, occorrer porre almeno tre domande teoricamente decisive: in primo luogo, esiste una teoria marxista della politica?; in secondo luogo, esiste nel marxismo uno spazio autonomo per l'etica?; in terzo luogo,  in grado la forma filosofica del discorso di tipo ontologico-sociale di mettere le basi per una reale (e non solo verbale) unificazione dello . spazio dell'etica e della politica? (103). L'esistenza nel materialismo storico di una autonoma teoria della politica  ovviamente dubbia. Ad esempio, ha ragione Bobbio . nel rilevare l'assenza di un insieme di apriori che permettano di definire un ordinamento democratico inteso come "forma politica" di una particolare struttura economica. Potremo riassumere in tre principi il nucleo di regole ideali di questo ordinamento: il suffragio universale e libero; la competizione tra gruppi politici organizzati, con conseguente possibilit per i cittadini di scegliere fra soluzioni diverse e di associarsi per determinarle; il principio della maggioranza numerica per le elezioni e le deliberazioni, a patto che non siano limitati e diritti delle minoranze. Tuttavia, il proceduralismo pluralistico (in positivo) ed il rifiuto del sistema a partito unico che "organizza" egemonicamente l'intera societ "civile" (in negativo) non possono certo diventare la teoria marxista della politica. Si tratta, certo, di una condizione necessaria, ma non ancora sufficiente. Una teoria della politica ispirata ad una visione ontologico-sociale riconosce, ovviamente, l'insopprimibile molteplicit pluralistica delle libert, ma non pu rinunciare all'incorporazione del "politico" nella processualit dinamica delle trasformazioni. di un modo di produzione. Da un ato, infatti, non si pu continuare a porre il problema di una "politica comunista" nei termini di una interpretazione corretta del concetto "autentico" di "dittatura del proletariato" in senso marxiano e leniniano, ed  in ogni caso impossibile (se si vuole restare fedeli ad una impostazione realmente ontologico-sociale dei problemi della transizione) cadere 231 in forme di giustificazionismo filosofico, variamente argomentato, della mancanza di "diritti civili" nei paesi a "socialismo reale", quasi si trattasse di diritti di libert borghesi, superflui o facoltativi (104). Dall'altra parte, per, non si pu neppure accettare l'invalicabilit dell'orizzonte estraniante del capitalismo come "luogo" dello scambio politico e dell'infinita, conflittuale, contrattazione di interessi (nobilitati talvolta terminologicamente come bisogni di soggetti sociali "ricchi'"). Un simile proceduralismo "conflittuale" non  mai, in genere, "tragico", perch accetta l'autocompiacimento volgare dei "meriti" e dei "bisogni" cos come questi ultimi si determinano nel soppraffattorio caos delle estraneazioni in reciproco conflitto. E' vero che (incolpevole Bobbio!) questa sciagurata tendenza sembra oggi filosoficamente vincente "a sinistra": nel disincanto generale del politeismo irrelato dei valori, privi di "fondamento ontologico" ma non-di prezzo corrente di mercato, scomparso l'Essere (ma non le curve di preferenza del consumatore), i meriti ed i bisogni si organizzano "democraticamente" per accedere al mercato politico". E' possibile che il materialismo storico non abbia ancor oggi un'adeguata teoria del politico e che occorra costruirla;  sicuro, comunque, che dovr farlo in una lotta senza compromessi e senz'alcuna conciliazione possibile contro quest'autocompiaciuto pluralismo irrelato della volgarit capitalisticamente estraniata. Anche l'esistenza di uno spazio autonomo nel materialismo storico per l'etica  qualcosa di teoreticamente dubbio. Neli'Ontologia non vi sono che le premesse generali per una discussione di questo importante problema, le cui dimensioni teoriche sono soprattutto due: in primo luogo, se si dia o meno in Marx uno spazio autonomo per l'etica, intesa come teoria della giustizia, oppure se il marxismo, correttamente inteso, sia "al di l" della giustizia; in secondo luogo, prescindendo del tutto da come si poneva il problema Marx, se sia opportuno o meno nell'ottica della ricostruzione del materialismo storico un rilancio della problematica specificatamente ed esplicitamente di tipo etico (105). A prima vista pu sembrare che nel materialismo storico marxiano non ci sia alcuno spazio per l'etica. Marx tende talvolta a vedere nei discorsi di tipo "etico" una variante di una "concezione giuridica" della societ, in cui appunto la "giustizia"  un concetto giuridico o legale, collegato alla legge ed ai diritti che gli uomini hanno sotto di essa: il superamento dello sfruttamento di tipo capitalistico non d luogo, dunque, ad una "giustizia socialista" in luogo delia precedente "ingiustizia capitalistica", ma pone il 232 problema della produzione, della circolazione e del consumo "al di l" delle concezioni etico-giuridiche di equit e di giustizia (106). Una simile interpretazione "amoralistica" di Marx non  del tutto scorretta, ma  incompleta, e finisce dunque con il diventare sbagliata. In primo luogo, infatti, la critica marxiana al capitalismo  ispirata ad una considerazione processuale della "dimensione ontologica posseduta dalla libert" (George Brenkert), in cui il termine "libert"  ontologico nella misura in cui esiste come molteplicit attivamente critica delle estraneazioni del capitalismo, ed ha perci uno "statuto" superiore a quello della "giustizia" inteso come perfetta equit retributiva; in secondo luogo, la stessa problematica della giustizia non pu essere ridotta ad un apriori giuridico-formale dell'equit, in quanto  fondativa della stessa teoria marxiana dell'estorsione del plusvalore e della critica all'apparenza dello "scambio eguo" che avverrebbe fra capitale e forza-lavoro in base al valore (107). In Marx c' dunque uno spazio autonomo per l'etica in base alle nozioni ontologiche di libert (in prima istanza) e di giustizia (in seconda istanza).In proposito il fraintendimento  per pressoch "assicurato", in quanto non ci vuole letteralmente nulla a "dimenticare" la paroletta "ontologico" (che significa che le nozioni di libert e di giustizia hanno valore unicamente nella processualit dialettica del superamento dell'estraneazione: particolare-individuale e collettivo-sociale, mentre fuori da questa processualit sono solo scatole vuote), considerando cos la libert un apriori astratto della possibilit formale di scelte alternative e la giustizia una norma ideale dell'equa retribuzione (e questo avviene, in genere, nei "marxisti pentiti", in cui l'anticapitalismo non  una passione durevole, ed  generalmente sostituito dal filocapitalismo straccione). Un rilancio della problematica etica del materialismo storico  dunque una "porta stretta" da cui bisogna comunque passare, pur sapendo che il carrozzone dei "valori"  oggi occupato da posizioni del tutto ostili ad una impostazione ontologica dell'essere sociale. Se questo, poi, dar luogo ad una "etica sistematica" (ma lo scrivente non lo crede possibile), o soltanto ad una critica etica sistematicamente immanente alle estraneazioni (e questo appare invece possibile,ed  in questa ottica che si colloca l'Ontologia), non  ovviamente possibile ora stabilirlo. L'unificazione fra etica e politica appare invece ontologicamente problematica, in guanto quest'"unificazione"  altra cosa. dalla "fondazione unitaria" dell'etico e del politico. Si tratta infatti di problemi diversi. Da un lato, infatti, la considerazione ontologico-processuale dell'essere soviale (che trova nel lavoro la sua forma originaria ed il suo modello)  indubbiamente fondativa del sapere etico e politico, e precede sul piano logico questi ultimi, che senza di esse sono un "tsapere senza fondamenti" strutturalmente aperto alla manipolazione estraniante. Dall'altro lato, per, il "sogno" della conciliazione finale nel comunismo dell'etico e del politico rimanda ad una concezione olistico-organicistica dell'individualit con la storicit sociale, che tratta come coestensive unit ontologicamente complesse che invece non lo sono affatto. In questo senso, l'identit "assoluta" dell'etico e del politico deve metterci in sospetto (cos come, del resto, la loro separazione assoluta, dicotomico-irrelata) (108). Vi  qui qualcosa di analogo alla vexata quaestio del rapporto fra filosofia e "scienza" nel materialismo storico, su cui varr la pena spendere qualche parola, ispirandoci ad un punto di vista ontologico-sociale. 14. L'autonomia relativa della forma filosofica del discorso Il rapporto fra filosofia e scienza nel materialismo storico , in prima .approssimazione, un'unit contraddittoria. La definizione conclusiva" di questo rapporto  resa impossibile non solo dagli "spostamenti semantici" dei due termini nella storia, ma dalla stessa "crescita della conoscenza" che il materialismo storico permette. Di tanto in tanto, certo, si fanno avanti pretese teoriche di vario tipo alla "soluzione definitiva" della questione, di cui occorre per diffidare. In proposito ci sembra che si diano due vie principali: la prima, che definiremo gnoseologico-epistemologica; la seconda, che definiremo ontologico-sociale. Entrambe hanno dalla loro buonissime ragioni, che meritano di essere esaminate; la seconda, tuttavia, sembra averne qualcuna di pi, ed  per questo che concluderemo questo studio indicando alcune soluzioni e soprattutto alcune linee di sviluppo filosofico del problema (109). La via gnoseologico-epistemologica alla discussione del rapporto fra filosofia e scienza nel materialismo storico ha alle spalle una rispettabile tradizione (oltre che una monumentale bibliografia), ed ha anche conseguito alcuni risultati teorici irreversibili. La riflessione sullo "statuto epistemologico" del materialismo storico (scienza, quasi-scienza, scienza sociale probabilistico-tendenziale, disciplina, metodologia di ricerca storico-sociale, filosofia, religione di salvezza imperfettamente laicizzata, e via elencando) ha prodotto intere biblioteche, i cui scaffali potrebbero essere ordinati a partire da due punti opposti "ideali": ad un estremo, la tesi che nega ogni carattere scientifico al materialismo storico, che sarebbe una (9 3] 234 religione filosofica di salvezza mascherata da "scienza", in cui la pretesa "scienza" avrebbe la doppia funzione di auto-illudere i propri seguaci e di legittimare le loro pretese al monopolio del potere politico; all'altro estremo, la tesi che afferma il carattere integralmente scientifico del materialismo storico, in cui la "scientificit" sarebbe, per cos dire, auto-espressiva, non avendo pi bisogno alcuno di una forma filosofica del discorso dentro cui. essere enunciata (ove l'espressione '"autoespressivit della scienza" sia sinonimo di "superfluit della filosofia"). Sono pochi, ovviamente, i sostenitori "estremisti", unilaterali ed integrali, di una di queste due tesi opposte; l'immensa maggioranza si colloca in una vasta gamma di posizioni "intermedie", che rimandano per tutte, in ultima inappellabile istanza, ad una dominanza (o. talvolta, pi cautamente, ad una preferenza) di uno dei due poli sull'altro opposto: o la filosofia domina sulla scienza, o la scienza domina sulla filosofia. La via ontologico-sociale alla discussione di questo rapporto rifiuta fin dall'inizio di entrare nella trappola di questa dicotomia polarizzata. Non si tratta qui soltanto di ripetere che ogni disciplina scientifica costituisce il proprio metodo ed ii proprio oggetto dentro un'indispensabile metafisica influente, la cui "influenza", appunto, perdura a lungo; e neppure soltanto di ripetere che la dialettica fra tendenze disantropomorfizzanti del rispecchiamento scientifico della natura e della societ (caratterizzate entrambe unitariamente dalla storicit) e tendenze riantropomorfizzanti dell'immagine filosofica di questo rispecchiamento  costitutiva della processualit complessa della conoscenza; e neppure infine di ripetere che il "momento ideale" non  mai costituito da una piena, trasparente coscienza del progetto teleologico, ma invece, a partire dalla "quotidianit" in cui si forma, comprende al suo interno elementi coscienti ed elementi inconsci. Tutto questo lo si  gi detto, e possiamo qui darlo per scontato. Si tratta di comprendere fino in fondo che nel. materialismo storico sia la filosofia che la scienza hanno una fondazione ontologica unitaria, insieme con. uno statuto epistemologico diverso (non si vuole infatti qui negare che un problema di "statuto epistemologico" comunque esista) (110). Nell'Ontologia Lukcs chiarisce, in primo luogo, "che a priori non c' nessun confine determinabile. con esattezza fra generalizzazioni scientifiche e filosofiche (e perfino oggi, in un periodo in cui la divisione del lavoro porta ad erigere barriere artificiose, feticistiche, fra i vari rami del sapere, di fronte a date generalizzazioni  difficile stabilire se hanno carattere filosofico o scientifico)". Tuttavia, mentre nelle scienze il metodo 235 deila generalizzazione si fa sempre pi spiccatamente disantropomorfizzante, al suo culmine esso contemporaneamente provoca . nella filosofia l'antropocentrismo. Il termine contemporaneamente deve essere sottolineato, perch, in contrapposto alla fondamentale tendenza antropomorfizzante delle arti, il metodo della filosofia non comporta mai una rottura con quello delle scienze. L'antropomorfizzazione, in una filosofia "scientifica",  infatti sempre strutturalmente "tenuta sotto controllo" dal metodo delle scienze, in quanto "antropocentrismo" significa solo che "per la filosofia l'essenza e il destino del genere umano, il suo donde e verso-dove, costituiscono un problema centrale permanente, pur se di continuo mutato in rapporto all'epoca storica". Di continuo, nella storia, siamo di fronte a "paradossi" che sono solo apparentemente tali: la prova ontologica dell'esistenza di dio, che dal punto di vista della sua logica immanente  costruita in maniera corretta, fa nascere da elementi disantropomorfizzanti un complesso concettuale antropomorfizzante; l'intero apparato matematico dell'astrologia rinascimentale, apparentemente del tutto disantropomorfizzato, era messo al servizio spirituale di un antropomorfismo estremo; infine, e soprattutto, la processualit irreversibilmente disantropomorfizzante del pensiero umano  la premessa per lo sviluppo del soggetto a personalit individuale (111). Sono, questi, paradossi solo apparenti. Proprio a partire da Marx, secondo Lukcs,  stato superato quel dualismo fra filosofia e scienza che era ancora predominante in Hegel, e che conduceva ad una "inaccettabile arroganza delia filosofia verso la scienza". Per la filosofia il punto d'appoggio d'Archimede  l'essere-specifico; la filosofia pu e deve richiedere soltanto che ogni scienza non entri il contrasto con la specificit dell'essere le cui leggi essa tenta di mettere in luce. D'altra parte, per, la scienza esercita un controllo vicendevole sulle generalizzazioni filosofiche, spontaneamente antropomorfizzanti, impedendo che ambiti specifici e particolari vengano scorrettamente estesi all'Essere in generale. Apparentemente, si tratta di considerazioni del tutto ovvie. Sappiamo per che non  cos: la vicendevole arroganza, variamente mascherata, prevale in generale sul controllo vicendevole. Vi sarebbe in proposito una lunga storia da ricostruire, cui non possiamo neppure accennare. Limitatamente al materialismo storico, ci rimane solo da .respingere la concezione, scientisticamente ingenua, secondo la quale si tratterebbe soltanto di attingere uno statuto epistemologico. sicuramente "scientifico" per poter lasciarsi alle spalle ogni possibile forma filosofica del discorso e diventare 236 totalmente auto-espressivo. E' questa un'ennesima variante del mito della trasparenza. Il materialismo storico e la critica dell'economia politica non crescono di fatto che all'interno di una forma filosofica del discorso determinata. Esserne consapevoli  comunque meglio che illudersi di essere "immuni" da ogni possibile ideologia (112). Con questa considerazione possiamo veramente chiudere. Non ci illudiamo, ovviamente, di aver "provato" la superiorit specifica della proposta ontologica di Lukcs sulle proposte, poniamo, di Ernst Bloch o di Martin Heidegger. Abbiamo, anzi, riservato ampio spazio a queste ultime, che restano punti alti, ed ineludibili, del pensiero del Novecento. Siamo stati, tuttavia, espliciti nell'indicare una via d'uscita all'attuale crisi filosofica. E' giusto, a questo proposito, confidare nella dolce forza della ragione. 237 NOTE 1. Come si ricorder, si  gi polemizzato alla fine della prima parte del presente scritto contro la tendenza a pensare che le categorie del materialismo storico, una volta che siano correttamente comprese nella loro determinatezza storica peculiare, siano gi di per s filosoficamente autoespressive. Si tratta di una reazione del tutto comprensibile, contro l'invadenza delle filosofie della storia edificanti e teleologiche, ma in cui ci sembra non si debba cadere. Si veda Lukcs, Ontologia dell'Essere Sociale (due voll. in tre tomi), Editori Riuniti, 1976 e 1981. Il traduttore e curatore, Alberto Scarponi,  anche autore di pregevoli saggi sull'Ontologia (usciti su Critica Marxista) che in generale lo scrivente condivide pienamente. Lukcs dedica ad Hartmann la seconda parte del primo volume dell'Ontologia. Se il lettore vuole iniziare con un testo semplice e chiaro di introduzione al pensiero di Hartmann pu vedere Nuove vie della ontologia, La Scuola, Brescia, 1975. Si tratta di un'opera uscita nel 1942, che pu servire come primo passo verso l'analisi del pensiero teleologico (cfr. Teleologisches Denken, Berlin, De Gruyter, 1951). Nel peraltro ottimo libro di Guido Neri, Aporie della realizzazione. Filosofia e ideologia nel socialismo reale, Feltrinelli, Milano, 1980, sono invece messe al centro le opinioni "conciliatorie" di Lukcs sulla riformabilit del socialismo reale, contrapposte a quelle, ben pi "severe", di Bloch. Questo  giusto, e certo queste informazioni devono essere date. Tuttavia, gui si segue un'altra strada, quella dell'analisi filosofica delle | posizioni ontologiche, a nostro parere inconciliabili con il "socialismo reale". Per la generazione politica cui appartiene lo scrivente, kautskismo e stalinismo sono qualcosa di lontano nel tempo e nello spazio, e sono poco pi reali deli'illuminismo francese o della riforma protestante. In quanto ai miti del marxismo terzomondista (da Mao a (Guevara) essi hanno certo avuto un ruoio determinante, ma soltanto come "miti". Lo storicismo togliattiano, involucro del cosiddetto "partito nuovo", e l'operaismo italiano di derivazione panzieriana, sono invece stati i due elementi reali, sul piano politico e culturale, da cui demarcarsi e cen cui fare i conti. Lo scrivente  stato perci costretto, dall'incantesimo ineliminabile della analogia storica, a leggere l'Ontologia senza poter capire fino in fondo quello che un contemporaneo di Lukcs avrebbe potuto probabilmente capire. Lo scrivente non condivide quindi per nulla le letture "attualizzanti" di Storia e Coscienza di Classe, sconsigliate esplicitamente dallo stesso Lukcs, e testardamente riproposte da mille lucacciani minori. Questo fatto ricorda molto la testarda abitudine di molti heideggeriani a considerare Heidegger un '"esistenzialista", nonostante Heidegger stesso abbia insistito per quarant'anni a dichiarare del tutto infondato questo atteggiamento. Naturalmente, Storia e Coscienza di Classe  un classico, che deve essere studiato in modo analitico come uno dei massimi capolavori del pensiero del Novecento, oltre che come un. idealtipo teoricamente insuperabile del marxismo occidentale (come argomentato nella seconda parte di questo scritto). 238 7. 8. Si dimentica spesso che nella Distruzione della Ragione Lukcs ritiene Weber un pensatore altrettanto irrazionalista di Nietzsche e di Heidegger. Chi ha letto la terza parte di questo saggio sa che lo scrivente non accetta la riduzione lucacciana di Heidegger a pensatore irrazionalista e nazisteggiante, portatore di un nichilismo esistenzialistico ed estetizzante chiamato "vivere-per-la-morte". Heidegger  invece analizzato come un punto alto del pensiero del Novecento, che parla del modo di produzione capitalistico in modo assai pi profondo (sia pure metaforizzato) di quanto faccia lo stesso Max Weber. Se per l'interpretazione che lo scrivente d. di Heidegger si dimostrasse del tutto infondata, ed insostenibile (ma lo scrivente ovviamente non lo crede), allora la stroncatura lucacciana di Heidegger apparirebbe (sempre allo scrivente) del tutto giustificata. Secondo Lukcs (cfr. Ontologia, I, p. 255) "Hegel stesso non ha mai concretizzato la serie dialettica. che va dall'identit alla diversit e differenza fino alla opposizione e alla contraddizione. Solo nei classici del marxismo essa  stata operante, ma poi anche su questa  caduto l'oblo. L'importanza di tale differenziazione  enorme, giacch la svalutazione 10. della dialettica da parte dei suoi avversari poggia per lo pi, e talvolta con relativa legittimit, sul fatto che i suoi fautori operano esclusivamente con le forme pi sviluppate, pi estreme, della contradditoriet, dimenticando le forme intermedie". Lukcs riassume l'ontologia hegeliana come segue (op. cit. p. 223): "Hegel concepisce la realt come una totalit di complessi in s, cio relativamente, totali; la dialettica oggettiva consiste nella genesi reale e nell'autodispiegamento, interazione e sintesi reale di questi complessi; perci anche l'assoluto in quanto quintessenza di questi movimenti totali non potr mai sollevarsi alla immobilit di una indifferenza trascendente rispetto ai movimenti concreti; al contrario, in quanto sintesi concreta di movimenti reali,  - ferma restando la sua assolutezza, esso stesso movimento, processo". Il movimento hegeliano, secondo Lukcs, non  mai passibile di un riposo finale, ma non si manifesta neppure mai nella forma del continuum ingenuamente eracliteo, in quanto  consustanziale alle determinazioni riflessive, di cui parliamo nelle note successive. Nelle circa cento pagine a stampa che Lukcs dedica ad Hegel questo fatto  ripetuto almeno dieci volte, con argomentazioni filologicamente e teoreticamente di altissimo interesse. Solo ragioni di spazio impediscono di riportare le necessarie citazioni. Per una accurata informazione bibliografica sulla ricchissima discussione tedesca sui rapporti fra la dialettica marxiana e quella hegeliana (in cui appunto si distingue fra dialettica enfatica e dialettica ridotta di esposizione) si veda Otto Kallscheuer, Marxismo e teorie della conoscenza, pp. 472-82, in Storia del Marxismo, Einaudi, 1982. Lukcs non distingue, sulla scorta di Engels, fra metodo aperto e sistema chiuso in Hegel, come molti, senza averlo neppure letto, pensano. Lukcs separa (Ontologia, I, pp. 225-26) la scoperta hegeliana delle "determinazioni riflessive" (ad esempio, soggetto, ed oggetto) dalla specifica soluzione hegeliana dei problemi aperti da questa scoperta, la trasformazione della sostanza in soggetto. Secondo Hegel, "la prossima verit del singolo immediato  dunque il suo venir riferito ad altro. Le 11. 239 determinazioni di questa riflessione sono quel che chiamiamo determinazioni riflessive". Poco dopo (op. cit. pp. 234-35) Lukcs collega alla riflessivit delle determinazioni concrete in cui il soggetto e l'oggetto sono incorporati (senza mai darsi in forma pura e separata) il problema che pi ci interessa in questa sede. La conservazione e la perdita dell'identit sono un processo reale, una possibilit ontologica. E' questione scientifica di primo piano - dice Lukcs in modo esplicito - stabilire se una nazione, una classe, eccetera, gi gi fino all'individuo, conserva o perde la propria identit. Quest'ultima  infatti anch'essa una determinazione riflessiva, e non pu certo darsi in modo grande-narrativo come. pienezza del soggetto o in modo deterministico-naturalistico come legalit automatica dell'oggetto. Si tratta appunto (come il lettore attento avr certamente colto) di una. negazione esplicita di una visione del marxismo di tipo dialettico-teleologico. Nelle circa centocinquanta pagine a stampa dedicate a discutere il carattere ontologico-sociale della filosofia di Karl Marx Lukcs si preoccupa, con puntigliosa coerenza, di respingere tutti i fraintendimenti accumulati in cento anni di storia del marxismo. Vi  dunque qui anche una sorta di breve storia del marxismo. Lukcs sostiene (Ontologia, I, p. 354) che i "residui della filosofia della storia hegeliana dentro il marxismo possono condurre fino ad affermare in termini logici la necessit teleologica del socialismo", e che "anche Engels in qualche occasione ha  subto il fascino della logicizzazione hegeliana della storia". Il ritorno di 12. 13. Engels a Hegel sta nella "storia spogliata della forma storica", cio nel primato inconsapevole del modo logico su quello storico di considerare gli eventi. Forma filosofica del discorso .di tipo ontologico-sociale significa, per lo scrivente, rifiuto consapevole della logicizzazione della storia. Un elemento particolarmente tragico della vita umana individuale sta infatti anche nel presupposto di continuit dell'esperienza morale e politica: ad esempio, l'ergastolano continua a scontare, dopo anni ed anni, le conseguenze di un "fatto" atomicamente concluso, indipendentemente da qualsivoglia rottura coscienziale, pentimento o congedo. In Italia questo fatto  reso particolarmente tragico dall'esistenza di centinaia di "terroristi" che hanno rotto idealmente con le loro azioni di lotta armata, ma non possono rompere con le conseguenze penali dei loro atti, e dal fatto che la sciagurata categoria del "pentitismo" ha ulteriormente reso priva di senso la categoria morale di "espiazione della pena": il pentito  diventato, per autonomasia, colui che non espia la pena. I "corpi rinchiusi" di Curcio e di Franceschini si autonomizzano sempre pi dalla formazione ideologica cristallizzata nel libro L'Ape e il Comunista. Ancora una volta, la tragedia umana non si riduce mai all'errore politico-ideologico. Lo scrivente condivide in proposito il duro giudizio lucacciano sulla filosofia di Sartre (cfr. Ontologia, passim, in particolare p. 171, Il), mentre trova talvolta eccessiva la tendenza a stroncare sistematicamente Ernst Bloch riducendolo a sostenitore del tempo soggettivizzato nella coscienza dell'individuo e contrapposto all'oggettivit del fluire temporale. Secondo l'interpretazione di Bloch data dallo scrivente nella quarta parte di questo saggio, Bloch non pu essere semplicisticamente assimilato ai sostenitori soggettivistici del "primato del tempo coscienziale su quello 240 14. 15. 16. degli orologi", in quanto si tratta di un pensatore che ha una concezione ontologica del tempo. E' vero, per, che Lukcs si scaglia in due occasioni proprio contro quelle che ritiene siano le insufficienze della concezione ontologica blochiana del tempo (Ontologia, I, pp. 94-95, e II, p. 437). Si veda, ad esempio, il libro collettivo Crisi della ragione, Einaudi, Torino, 1979. Nonostante la pluralit dei contributi, di diseguale valore ed assai differenziati, guesto libro  stato in grado, grazie anche ad un sapiente battage pubblicitario, di presentarsi con un identikit facilmente riconoscibile e "spendibile" nel mercato delle idee filosofiche: la fine irreversibile dei sistemi centrati (e si alludeva in forma metaforica al marxismo), la proclamazione del destino epocale della frammentazione (e si alludeva ad un insieme complesso, da Benjamin al "sommerso capitalistico"). Il tentativo di opporsi a questa tendenza (si veda La ragione fra crisi e progetto, numero 2 di Metamorfosi, Angeli, 1980)  in questa fase storico-politica necessariamente fragile, perch cerca di opporsi ad un'"apparenza necessaria", esistenzialistico-positivistica, della quotidianit capitalistica cos come si presenta alle determinazioni irrelate dell'intelletto scientifico ed ancor pi alla sensibilit epidermica dell'oggi. Per un altro esempio di ricostruzione "frammentata" della filosofia del Novecento si veda Romeo Bodei, Filosofia (in La cultura del 900, I, Mondadori, 1981), ed ancor pi la parte filosofica, curata da Cesare Pianciola, dell'ottavo volume del Materiale e l'Immaginario, Loescher, 1983. La manipolazione  sempre pensata come "ontologica" anche da Karel Kosk (cfr. Dialettica del concreto, Bompiani, 1965). E' un punto, questo, niente affatto ovvio, dal momento che siamo abituati a pensare la manipolazione in modo francofortese, come consumismo indotto dalla pubblicit di prodotti che esaudiscono bisogni non necessari oppure come propaganda politica che attiva componenti dell'inconscio di tipo sado-masochistico malamente represse dalla sottile crosta della civilt. La manipolazione  invece ontologica perch  costitutiva dell'unit contraddittoria, specifica del modo di produzione capitalistico e quindi niente affatto '"astorica", fra la necessit di riprodurre  rapporti capitalistici di tipo astrattizzante (ed estraniante), introiettata impersonalmente dal capitale come valore che si valorizza, e l'emergere di personalit concrete astrattamente in grado di rovesciare questa estraniazione. Questo fu compreso a suo tempo anche da Louis Althusser, il quale, seguendo (e semplificando) Heidegger, si accorse che l'umanesimo c' perch c' l'economicismo, e non certo nonostante quest'ultimo. Qualcosa del genere comprese anche a suo tempo Etienne Balibar (cfr. Irrazionalismo e marxismo, in Monthly Review, 6, 1978), che vede bene come l'irrazionalismo s sviluppa non certo nonostante il razionalismo, ma proprio a causa del razionalismo stesso, che rimane il "vero" antagonista, oggi, del materialismo storico (posizione, questa, probabilmente non condivisa da Ludovico Geymonat). Il pensiero post-moderno (sia nelle sue varianti soft, alla Vattimo, che nelle sue varianti hard, alla comunismo del desiderio di Negri)  non a caso affascinato dalla California come "figura dello spirito", per la compresenza fra microprocessori e macrobiotica, 17. 241 fabbriche robotizzate ed artigianato hippie, razzi spaziali e sette religiose. La formulazione lucacciana  una semplice elaborazione filosofica del senso comune quotidiano, ove quest'ultimo venga dialettizzato e sottoposto ad una serie di determinazioni riflessive. Si pensi ai "politici" di oggi, che si presentano come un "pieno" di valori etici ed esistenziali (alcuni dei quali ambiscono rappresentare un analogo "pieno sociale", ricco di virt, mentre altri, non meno ipocriti, vorrebbero "riempire un vuoto" di valori con il loro impegno), quali la libert, l'eguaglianza, la giustizia, eccetera, per poi legittimare il loro concreto agire politico con gli imperativi tecnici risultanti dalle scienze "positive": per vincere l'inflazione, come dice scientificamente l'economia politica, bisogna licenziare la gente e tagliare i servizi sociali; per evitare la guerra, come dice scientificamente la scienza politica, bisogna equilibrare gli armamenti ed accrescerli fino alla "soglia dissuasiva". Oggi, per "vedere" concretamente la psicosomatizzazione della solidariet antitetico-polare fra esistenzialismo e neo-positivismo, basta aprire il televisore; cambiando velocemente canale, s potr anche avere un effetto filosofico di derealizzazione e smaterializzazione dei rapporti sociali di produzione, sostituiti da rapporti simbolici. | | Quando Lukcs, in tutta seriet, propone un'analogia fra Carnap e Tommaso d'Aquino (pensatore esemplare, il primo, del capitalismo, il secondo invece del mondo feudale) coglie un punto storicamente essenziale. Tommaso d'Aquino propone una soluzione moderata e realistica alla sostanzializzazione delle essenze ideali eterne (indifendibile ormai nella forma estremistico-platonica dei "realisti" del secolo precedente, come Guillaume di Champeaux) che  estremamente funzionale alla ideologia della legittimazione del mondo sociale dell'epoca (e che viene infatti respinta dai francescani spirituali di allora, critici del feudalesimo in nome del pauperismo evangelico, che scelgono una forma di nominalismo filosofico radicale; c' solo il singolo cristiano praticante il modello di Cristo, non c' nessuna Chiesa reale, tanto meno se essa  corrotta; c' solo il singolo francescano spirituale praticante il modello di S. Francesco, non c' nessun Ordo Franciscanus, tanto meno se esso accumula ricchezze), anche se viene provvisoriamente respinta dall'arretratezza teologica dei papi dell'epoca. La "staticit" e la "permanenza" delle comunit sociali medioevali vengono filosoficamente metaforizzate in una forma di realismo aristotelico delle essenze immutabili. A differenza del feudalesimo, il capitalismo vive integralmente la "furia del dileguare", rivoluziona permanentemente la societ e la natura, rispetta la memoria storica ed il passato soltanto nella forma irrigidita e commercializzata dei musei e delle esposizioni a pagamento, *e rappresenta perci il proprio integrale disancoramento ontologico e la propria necessit impellente di manipolare i propri "oggetti" in una forma filosofica anti-essenzialistica ed operazionalistica (di cui Carnap fu certo insuperabile teorizzatore). In Wittgenstein, invece, il disagio esistenziale riesce a trovare una forma filosofica che si accompagna alla riduzione integralmente neo-positivistica del mondo (che lo porta paradossalmente, ma non troppo, ad ammirare Stalinz e si veda l'affascinante saggio di Terry Eagleton, Wittgenstein's Friends, in New Left Review, 135, 1982, p. 86 ssg). In frontale opposizione 242 18. con la lettura lucacciana di Wittgenstein (incarnante "una protesta a priori impotente contro la manipolazione universale della vita nell'ambito del capitalismo contemporaneo", vedi Ontologia, I, p. 60) il filosofo francese Dominigue Lecourt (cfr. L'ordre et les jeux, Grasset, 1981) valorizza Wittgenstein non soltanto contro Popper ed il suo autoritario tribunale epistemologico davanti al quale sir Karl convoca tutte le scienze e le pratiche politiche contemporanee, ma anche contro l'"ontologia", che Lecourt vede foucaultianamente come filosofia del rispecchiamento di un mondo chiuso ed imprigionato. Lo scrivente  d'accordo con la prima battaglia, ma non certo con la seconda, concependo lucaccianamente l'ontologia come filosofia della libert. Lo scrivente ha gi ampiamente motivato (nella quarta parte di questo . scritto, dedicata a Bloch, ed in riferimento soprattutto a Sebastiano Timpanaro) le ragioni teoriche che portano a respingere la soluzione 19. 20. storicistica della separazione fra dialettica della natura e dialettica della storia (cos come essa  praticata da Sartre, ed in generale dagli anti-engelsiani sistematici). Non bisogna assolutamente confondere l'isolamento metodologico della categoria di lavoro come forma ontologica e modello dell'azione umana (categoria specifica dell'ontologia sociale, e pertanto non afferente i complessi inorganici ed organici), con la separazione metodologica fra universo naturale ed universo storico-sociale. Si tratta di due scelte filosofiche assolutamente diverse (ed alternative): la prima porta verso l'ontologia dell'essere sociale, la seconda verso il cosiddetto storicismo marxista. i Si veda l'Autobiografia di Lukcs (op. cit. p. 27). Secondo Lukcs, c'era nella sua famiglia una totale indifferenza verso la religione, che costituiva solo una parte del protocollo domestico, in quanto entrava nella conclusione di matrimoni e nello svolgimento di altre cerimonie. Tuttavia,  impossibile analizzare le opere del giovane Lukcs senza tener conto del suo tentativo di esprimere in una forma linguisticamente ultralaicizzata contenuti religiosi tratti dal romanticismo e dalla filosofia di Kierkegaard. Ad una analisi pi ravvicinata, si possono notare due atteggiamenti lievemente diversi nella considerazione filosofica lucacciana sulla "tenuta temporale della fede cristiana". Secondo una prima ottica (cfr. Ontologia, I, pp. 14-15) la parusia promessa da Ges Cristo non si  verificata, ma questo "fallimento della rivelazione massima e centralissima non fu in grado di annullare la fede cristiana", perch mise in moto un meccanismo ricorrente di "ripetersi di parusie sostitutive" di tipo estremistico (Gioacchino da Fiore, eccetera), da un lato, e di riproduzione di una religione guotidiana, cauta ed amministrativa, dall'altro. La forza tranquilla di questa religione quotidiana si basa su una ontologia religiosa che altro non  se non l'elaborazione "colta" della tendenza del pensiero quotidiano alla antropomorfizzazione: carattere teleologico del cosmo e dello sviluppo storico, edificio antropocentrico del cosmo che, governato dall'onnipotenza di dio - il quale la esercita teleologicamente -, fa della vita umana il centro dell'universo. Secondo un'altra ottica (cfr. Ontologia, Il, p. 681), l'"'intatto fascino che da quasi due millenni irradia dall'immagine della personalit del Ges neotestamentario", e che ne fa appunto un caso unico non ripetibile da "parusie sostitutive" (e ciclicamente ritornanti, fino alla 21. 243 normalizzazione), sta nel fatto che "l'inconciliabilit pratica fra la predicazione etico-umana e la vigente societ "diventa un modello ed una forma originaria nella "lotta dell'umanit per la propria genericit". Le due ottiche, a parere dello scrivente, presentano differenze non irrilevanti: nel primo caso, si attiva, in modo tale da richiamare pensatori ciclico-ripetitivi (da Alberoni a Kuhn), una serie di meccanismi illusori di paruse ricorrenti destinate a fracassarsi contro gli elementi "fissi e statici" della vita quotidiana, l'eterno ritorno dell'illusione teleologica definitiva; nel secondo caso si valorizza in Cristo un modello, esemplare ed irripetibile, di rapporto fra la singolarit e la genericit dell'uomo. Con il termine "compromesso bellarminiano" Lukcs allude alla posizione del cardinale cattolico Roberto Bellarmino, che era disposto ad eccettare l'ipotesi copernicana come artificio gnoseologico, ma non come realt 22: 23. 24. ontologico-naturale (posizione condivisa dal pastore protestante Osiander, ma non da Galileo Galilei, che sub per questo il noto processo). Lukcs enfatizza al massimo la portata di questo compromesso bellarminiano, individuando in esso la radice genealogica dell'intera gnoseologia contemporanea, fino a Kant e soprattutto al neo-kantismo, da Lukcs particolarmente avversato. Lukcs non si fa per questo incantare da gran parte della teologia contemporanea, ivi compreso quel settore (che Lukcs definirebbe dotato di "conformismo non conformistico", cio di apparente scandalosit che nasconde un'immanente tendenza di conciliazione segreta con il sistema economico-sociale dominante) che parla di "morte di Dio", oppure di "integrale demitizzazione". Lo scrivente  d'accordo con Lukcs nel considerare come poco seria tutta la produzione teologica incentrata su variazioni psicologistiche alla Erich Fromm, e che cerca per la religione un confortevole cantuccio nei centri di igiene mentale e di risarcimento risacralizzante artificioso, previsto istituzionalmente per controbilanciare le nevrosi depressive per eccesso di desacralizzazione e di secolarizzazione; non  invece d'accordo con Lukcs quando quest'ultimo mette anche Bloch nell'innocua compagnia dei terapisti esistenziali travestiti da preti e da pastori. Le prime cento pagine della monumentale Estetica lucacciana (trad. di Anna Marietti Solmi, Einaudi, 1970) sono dedicate alla magistrale analisi (che serve di base all'interpretazione dello scrivente) della genesi e dello sviluppo del processo di disantropomorfizzazione scientifica e di riantropomorfizzazione filosofica. Ci che Lukcs definisce "falsa disantropomorfizzazione"  in sostanza ci che nel linguaggio dello scrivente  stato pi volte definito come tendenza a costruire una "grande narrazione". Non c' qui traccia dell'affascinante (e per integralmente antropomorfica) storia destinale della filosofia occidentale fatta da Heidegger, e gi criticata nella terza parte di questo saggio. Benedetto Croce (e si veda Francesco Valentini, La controriforma della dialettica, Editori Riuniti, 1966) riattua temi filosofici tipici della destra hegeliana, concependo la religione come filosofia degli incolti e la filosofia come religione dei colti. Gramsci ed Althusser non sono, ovviamente, "crociani", ma c' in loro la tendenza a separare nettamente senso comune e consapevolezza colta, ideologia e scienza, fino a teorizzare 244 25 26. 24 necessariamente la scissione fra dirigenti e diretti sublimata in scissione fra due forme di conoscenza aventi statuto qualitativamente diseguale. In Lukcs  invece sempre esplicito che la teleologia e l'antropomorfizzazione passando dentro classici del calibro di Aristotele ed Hegel, passano soprattutto anche nei cosiddetti "moderni detentori del sapere marxista". Vi  qui una non coincidenza fra il saggio dello scrivente e l'Ontologia. Si.  detto non coincidenza, in quanto non vi  alcuna divergenza sulia questione teorica centrale: in Marx la forma filosofica del discorso  ontologico-sociale, nella misura in cui Marx cerca di impostare in modo sistematicamente non teleologico nodi concettuali teleologizzati da Aristotele e da Hegel, i suoi due pi grandi predecessori. Per Lukcs Marx va "esattamente nel senso di Aristotele" (cfr. Ontologia, II, p. 47) a proposito della trattazione del fondamento ontologico del problema del lavoro, ovvero della "struttura ontologica della posizione teleologica". In Lukcs l'apprezzamento di Aristotele  molto diverso dall'atteggiamento di Heidegger verso Aristotele. A causa del suo "dispositivo teleologico" (cui si  fatto cenno) Heidegger tende ad enfatizzare la nozione di actualitas come esistenza, attuazione di una potenzialit, realizzazione di un'essenza, momento di ulteriore approfondimento della scelta platonica di far esistere l'Essere. Aristotele diventa cos una tappa della metafisica occidentale, inserita nel dispositivo teleologico heideggeriano. L'Aristotele di Lukcs  invece quello che nella Metafisica precisa che "ogni potenza  nello stesso tempo potenza di due cose contrarie, giacch, se da una parte ci che non ha la potenza di. esistere non pu essere propriet di alcuna cosa, dall'altra parte tutto ci che ha la potenza di esistere pu anche non passare all'atto. Quindi, ci che ha la potenza di essere pu essere ed anche non essere; epper la medesima cosa  potenza di essere e di non essere" (cfr. Ontologia, Il, p. 41). A differenza della cosiddetta bouleusis (il "puro volere", la decisione che si vuole fondativa), la proairesis aristotelica pone-in-essere una cosa (che potrebbe anche non essere) "il cui principio risiede in colui che la produce e non nell'oggetto prodotto", mentre il puro volere nichilisticamente sradicato da ogni dimensione ontologica  destinato a veder volatilizzarsi il proprio scopo ed a veder diventare integralmente "estraneo" il proprio stesso prodotto. Non si pu non pensare a tutti gli sgangherati "primati della prassi" di quei marxismi novecenteschi in cui la prassi (di cui ci si riempie la bocca)  sistematicamente pensata come assoluta, autofondativa, priva di dimensione ontologica. Un importante settore del marxismo francese, di derivazione althusseriana, ha respinto Hegel in nome di Spinoza proprio per sottolineare la presenzialit strutturale, ontologicamente costitutiva, dei rapporti sociali, e per respingere la dialettica "enfatica", teleologica, grande-narrativa. Si veda, per tutti, Pierre Macherey, Hegel ou Spinoza, Maspero, 1979. A varere dello scrivente, la "mobilitazione" di Spinoza contro Hegel  giusta se essa  limitata ad una "mossa teorica" contro lo storicismo (che  quasi sempre una forma un po' sgangherata di hegelo-marxismo), mentre diventa sbagliata quando, ignorando l'aspetto "non enfatico" delle determinazioni riflessive hegeliane, respinge l'intera dialettica in nome del differenzialismo (e si vedano gli scritti su Spinoza di Antonio Negri). 28. 29. 30. 31. 32: 245 Riassumiamo brevemente le ragioni che ci portano a valorizzare la ricostruzione lucacciana di contro a quelle di Heidegger e di Bloch. Analogamente ad Heidegger, Lukcs cerca di pensare sincronicamente il presente secondo un dispositivo dialettico di inversione: guanto pi si pensa la realt sociale sotto il dominio della categoria di attivit di un soggetto, tanto pi l'oggetto che necessariamente gli si contrappone appare dominato da una (falsamente ontologica) immodificabilit. A differenza di Heidegger, Lukcs non applica alla storia del passato un dispositivo teleologico, ma radica la dialettica fra tendenze disantropomorfizzanti e tendenze riantropomorfizzanti in una storia "a molte uscite possibili", e quindi non storicisticamente unilinearizzata. Qui vi , anche, la maggiore coincidenza fra Lukcs ed Ernst Bloch. A differenza di Bloch, Lukcs non cerca unradicamento ontologico: della prassi nella dialettica della natura, ma esclusivamente in uno sviluppo della nozione di "lavoro" come modello e forma originaria. La commedia degli equivoci ed il regno della confusione teorica  di solito intrattenuto dai "filosofi del lavoro" professionali. In genere ignari della determinatezza delle categorie marxiane (che essi pigramente ritengono oggetto specialistico per marxologi fanatici ed altri talmudisti) essi confondono il piano metafisico della "essenza del lavoro umano" con le forme fenomeniche di esistenza concreta di questo lavoro stesso. In proposito l'umanesimo cristiano del lavoro si fonda spesso su di una analogia antropomorfico-artificialistica con Dio, "fabbricante del mondo e dell'uomo". In perfetto accordo con la concezione di Robinson Cruso, Dio avrebbe dato il primo stock gratuitamente, il capitale iniziale da investire (la natura, ovviamente), che si tratterebbe di "far fruttare" a sua maggior gloria. Si rimanda ai numerosi studi di Gianfranco La Grassa. Gi in Raniero Panzieri  ovviamente presente l'idea-forza che il processo di lavoro capitalistico non incorpora soltanto modalit "tecniche" di produzione, ma contiene modalit socio-politiche di dominio di classe. Questa idea-forza  giusta, ma  purtroppo compromessa da una concezione non-ontologica del rapporto di capitale, che appare come qualcosa di "posto" dall'attivit operaia. Ci che in Panzieri  ancora "tenuto sotto controllo" dal suo sobrio istinto materialistico diventer puro idealismo soggettivo e gentilianesimo operaio nelle versioni di Tronti e di Negri, pilastri della catastrofica "ideologia italiana". Il "capitale" non  infatti una posizione teleologica (nel senso che  pianificabile dai capitalisti), ma  una risultante impersonale, non teleologica, di milioni di atti teleologici (in cui ovviamente anche la casualit gioca un grande ruolo). Si consiglia il bel saggio di Vittoria Franco, il lavoro come "forma originaria" nell'Ontologia di Lukcs, in Critica Marxista, 3, 1977. La Franco mostra di saper cogliere l'essenziale della questione. Afferma Lukcs (cfr. Ontologia, I, p. 10): "L'ontologia religiosa sorge dunque per la via opposta a quella dell'ontologia scientifico-filosofica: questa indaga la realt oggettiva per scoprire lo spazio reale per la prassi reale (dal lavoro all'etica); quella muove dai bisogni di un comportamento verso la vita, dai tentativi di dare un senso alla propria vita da parte dei singoli uomini nella quotidianit e costruisce un immagine del mondo che, 246 33. 34. 35 semmai, potrebbe costituire una garanzia di appagamento per quei desideri che si fanno sentire nel bisogno religioso". Cfr. Lukcs, Ontologia, II, p. 147. Non  un caso che Lukcs possa connotare le caratteristiche essenziali del "lavoro" soltanto nella seconda parte sistematica dell'Ontologia, dedicata alla "riproduzione". La "riproduzione" (attenzione, non la "produzione", che  un'astrazione potenzialmente economicistica!)  infatti il primo momento ontologico-processuale concretamente esistente. Anche Marx (si veda l'Ontologia, Il, p. 140) inizia la sua analisi della riproduzione sociale capitalistica dalla merce (nella sua unit dialettica di valore d'uso e di valore di scambio), anche se quest'ultima non pu essere assolutamente studiata al di fuori del suo nesso essenziale con il processo di lavoro capitalistico. Analogamente per Lukcs "il lavoro costituisce il punto di partenza ontologicamente pi adatto per l'esposizione del discorso sull'essere sociale in genere", mentre  la riproduzione la prima realt processuale ontologicamente concreta. Ci sta qui un complesso nodo di problemi. Lo scrivente  convinto che senza una specifica armonia fra mondo animale e mondo umano non vi sar comunismo alcuno, e che ogni tipo di manipolazione sistematica delle specie animali (brutale e crudele, oppure sofisticata ed indolore") rimanda ad una concezione filosofica storicistica ed anti-naturalistica che gli  estranea. Tuttavia  filosoficamente sempre l'uomo "sociale" che decide come trattare gli animali, in modo sempre storicamente specifico. L'amicizia fra uomini ed animali, sognata (giustamente) da ecologi, etologi - e naturalisti, non potr mai essere un "ritorno alla natura", ma solo il raggiungimento di uno scopo cosciente posto dall'uomo sociale sulla base della irreversibile "modernit". Diversi sono ovviamente i problemi filosofici dei paradigmi etologici e sociobiologistici. Per una buona bibliografia si veda Continenza-Somenzi, L'Etologia, Loescher, 1979; ed anche l'interessante saggio di Sergio Manghi, La sociobiologia e la critica "marxista", in Quaderni Piacentini, 7, 1982. Si rimanda qui all'utilissimo saggio di Amedeo Vigorelli, Il lavoro, il gioco e la festa, contenuto in Metamorfosi, 7, Angeli, 1983. Vigorelli esamina prima la collocazione filosofica del gioco all'interno del paradigma del lavoro in Marx, e si sofferma poi sulla liberazione festiva del gioco in Michail Bachtin. Vigorelli non cade nell'errore banal-sociologico di contrapporre polarmente lavoro e gioco (contrapposizione polare che non esiste comunque nella realt storica - il pioniere americano, stereotipo dell'homo faber capitalistico, lavora e gioca hard), e neppure propone un "paradigma del gioco" come base giocosa di una via divertente al socialismo. Ma finisce tuttavia con il sostenere la tesi della funzione vicaria e servile del "gioco" in Marx, e soprattutto in Lukcs (cui sembra contrapporre Bachtin, come colui che seppe capire la funzione ontologica strategica del gioco per la ricomposizione del corpo sociale diviso in classi). Vigorelli sembra mosso in prima istanza da una carica polemica contro i paradigmi laburistico-autoritari del "lavoro", che lo scrivente condivide entusiasticamente. La questione mi sembra per un'altra: il lavoro produce livelli di irreversibilit ontologica, sulla cui base si sviluppano in modo processualmente dialettico posizioni teleologiche 36. 37. 38. 39. 247 coscienti; il gioco non sembra avere questa caratteristica. Detto questo, nel comunismo lavoreremo indubbiamente di meno e giocheremo indubbiamente di pi. Un argomento, questo, in favore del comunismo. Vi  qui la chiave teorica per comprendere parte dello sbandamento filosofico avvenuto recentemente in Italia. Si pensi alla "riscoperta del mistico" in Baget Bozzo e Cacciari, alle metafore scientistiche ricavate da Thom e Prigogine di Marramao, fino al pendolarismo teorico di Antonio Negri dai Grundrisse a Pannella. Tutto questo irrazionalistico brancolare gira anche intorno al rifiuto di considerare la prassi come qualcosa di ontologico-sociale, come una "determinazione riflessiva". Penso a studiosi come Francesco Coppellotti, Gerardo Cunico, Laura Boella. , II "lavoro" sembra a molti insufficiente per "fondare" adeguatamente la prassi della trasformazione. Le stesse posizioni di Amedeo Vigorelli (citate nella nota 35) fanno parte di questa costellazione teorica. I "mutamenti di opinione" di Marx sono generalmente registrati nelle biografie di Marx (da quella classica di Mehring a quella recente di Mac Lellan), ma vengono raramente tematizzati in modo adeguato. Si veda S. Moore, Marx on the Choice between Socialism and Communism, Harvard University Press, 1980. Effettivamente in Marx vi  la specifica , compresenza fra due teorie qualitativamente diverse: secondo la prima, 40. socialismo e comunismo sono da collocare in successione temporale sulla base del "livello delle forze produttive" (se il livello  basso, il comunismo  ontologicamente impossibile e rimane un'istanza utopica, vista l'incapacit antropologica dell'individuo borghese a produrre secondo le capacit ed a limitare i bisogni facendo a meno del calcolo in "tempo di lavoro reale"); seguendo la seconda, il comunismo  un principio "superiore" (e non solo temporalmente "successivo") al socialismo, perch si basa sull'uomo nuovo, rinnovato, disinteressato, unito al genere, eccetera. Nel libro di Guerraggio-Vidoni gi citato in precedenza sono invece documentate dichiarazioni d'allarme di Marx sul "saccheggio" della natura da parte della produzione borghese capitalistica, che stanno per in ambigua compresenza con le lodi fatte a Ricardo come sostenitore della positivit della produzione illimitata. Si veda A. Heller, Paradigma della produzione e paradigma del lavoro, in Critica marxista, 4, 1981, ed anche il fascicolo speciale di Aut-aut, 157-58, 1977, dedicato a L'ultimo Lukcs e la scuola di Budapest. Sulla scuola di Budapest si veda anche l'ottimo saggio di Johann P. Arnason, Prospettive e problemi del marxismo critico nell'Est europeo, in Storia del Marxismo, IV, Einaudi, 1982. Le posizioni della Heller sono sostanzialmente respinte da commentatori italiani come Vittoria Franco, Alberto Scarponi e Guido Oldrini, mentre sono viste con maggior simpatia da altri commentatori come Amedeo Vigorelli e Laura Boella. Lo scrivente condivide le "finalit etico-politiche" della scuola di Budapest, tendenti ad una democratizzazione radicale delle societ dell'Est europeo, mentre  decisamente avverso sul piano filosofico a tutte le fondazioni "bisognistiche" del socialismo ed in particolare alla consapevole stroncatura della Heller della Ontologia dell'Essere Sociale. La Heller  ovviamente in lotta contro ogni filosofia della manipolazione ed ogni "dittatura 248 41. 42. 43. 44, 45. burocratica sui bisogni" (e si veda anche Mihly Vajida, Sistemi sociali oltre Marx, Feltrinelli, 1980); il modo migliore di legittimare filosoficamente questa giusta istanza politica non pu per fondarsi sull'abbandono delle valenze ontologico-sociali della filosofia marxiana in direzione di modellistiche ideal-tipiche di antropologia filosofica. L'antropologia filosofica pu qui utilizzare i risultati degli etnologi e degli antropologi (si veda Maria Arioti, Produzione e riproduzione nelle societ di caccia-raccolta, Loescher, 1980). I miti ed i riti, femminili e maschili, fanno ontologicamente parte di queste societ come la crisi economica fa parte del capitalismo. L'ipotesi del "selvaggio illuminista" non corrisponde affatto, come  noto, alle realt storiche osservate dagli antropologi. La successione (ovviamente non unilineare e non predeterminata) dei modi di produzione non  una filosofia della storia "mascherata", ma solo il quadro ontologico che stabilisce livelli di irreversibilit specifici a partire dai quali si aprono costellazioni di possibilit nuove. Ed  appunto il lavoro (e non il gioco) che determina questi livelli di irreversibilit storica. Si veda G. Bateson, Verso un'ecologia della mente, Adelphi, Milano, 1976, e le voci Comunicazione ed Informazione di A. Wilden sulla Enciclopedia, Einaudi. Come  stato osservato da molti commentatori (fra gli altri Michele Cangiani ed Augusto Illuminati) in Bateson la riconduzione del dominio progettante alla separazione cartesiana fra res extensa e res cogitans  assai notevole, la critica dell'umanesimo  ben pi circostanziata e persuasiva di quelle parallele di Heidegger e Foucault, e vi  in pi la messa in guardia contro ogni ideologia dell'umanit associata in una sorta di guerra di conquista verso l'ambiente naturale. I risultati teorico-politici raggiunti da Bateson (forse il punto pi alto del pensiero ecologico contemporaneo) devono essere, secondo lo scrivente, collocati interamente in una forma filosofica del discorso di tipo ontologico-sociale: la stessa concreta possibilit di inversione di tendenza di un rapporto squilibrato uomo-natura non pu che basarsi sul gi raggiunto livello di "arretramento della barriera naturale". ll termine "barriera"  certo odiosamente meccanicistico (evoca l'immagine di qualcosa che si "sposta"). E' chiaro tuttavia che la stessa mondializzazione del problema ecologico ed il fatto che l'umanit abbia almeno la possibilit astratta di porsi il problema del rapporto con la natura a livello "mondiale" sono fatti resi possibili dal nuovo terreno ontologico-sociale contemporaneo, qualitativamente diverso dal paleolitico e dal neolitico, da cui ci separano le soglie di irreversibilit temporale che il lavoro ha via via prodotto. Si vedano comunque, nell'Ontologia, le osservazioni di Lukcs sulla giornata lavorativa e sul "tempo libero", a p. 509 ssg., ed a p. 777 ssg. Ancora una volta, lo scrivente richiama l'attenzione sul fatto che il "contesto rilevante" in cui Lukcs parla di "lavoro" nell'Ontologia non  lo stesso di Aristotele e di Hartmann. In un periodo come questo, in cui tutti parlano di Wittgenstein e di "giochi linguistici", questo vorr pur dire qualcosa. E' su questa base almeno che lo scrivente ha ritenuto di poter imparare un po' di filosofia materialistica sia da Lukcs che da Althusser (indipendentemente dalle stucchevoli ed inutilizzabili distinzioni fra chi  249 per e chi  contro Hegel). In entrambi, infatti, la totalit  processuale e non  n "presupposta" n "espressiva". 46. Si veda L'Ontologia, II, p. 451. 47. Fra questi storici marxisti citiamo, alla rinfusa, Vilar, Topolski, Perry Anderson (cfr. Dall'antichit al feudalesimo, Mondadori, 1978). Il problema  sempre quello di acquisire la capacit di "conoscere la storia e non di riconoscerla", come scrisse Maurice Godelier. Una volta concepito il presente come storia in perenne fase di strutturazione - scrisse Alfred Schmidt nel 1975 - non  l'arbitrio dello storico, ma la situazione storica a decidere di ci che viene alla ribalta e di ci che rimane pi sullo sfondo. 48. Si veda l'Ontologia, p. 148. La storia deli'alimentazione non  d'altronde una mra ,"moda" snobistico-annalistica, ma  una componente storico-sociale dell'evoluzione dell'uomo. Essa ha superato anche la difficile soglia della manualistica scolastica (cfr. Scipione Guarracino, Storia dell'Et medioevale e moderna, Bruno Mondadori). 49. Si veda l'Ontologia, II, p. 149. Contro le falsificazioni (di tipo sia maschilistico che femministico) sulla "differenza ontologica" (di tipo cio astorico-originario) fra uomo e donna si veda Ida Magli, Matriarcato e potere delle donne, Feltrinelli, 1978, ed anche Eva Cantarella, L'ambiguo malanno, Editori Riuniti, 1981. Considerazioni acutissime sulla "sociopsicologia dell'attuale guerra fra i sessi" sono fatte da Christopher Lasch, La cultura del narcisismo, Bompiani, 1981, pp. 209-229. Inutile aggiungere che non esiste affatto un conflitto metafisico fra "uomo" (spontaneamente orientato alla dialettica ed al dominio sado-masochistico) e "donna" (spontaneamente orientata al differenzialismo antidialettico ed alla tenerezza polimorfa), ma esistono, da un lato, tensioni fra i sessi che solo una indesiderabile "utopia androgina" (Lasch, p. 229) potrebbe "annullare", e, dall'altro, un insanabile conflitto teorico-filosofico fra uomini e donne dialettici e uomini e donne differenzialistici. 50. Una sintesi della posizione lucacciana sul linguaggio si ha nell'Ontologia, II, pp. 187-205 e p. 388 ssg. A proposito di Habermas si vedano le note 9 e 11 della terza parte e la nota 25 della quarta parte. Habermas parte da due istanze teoriche del tutto condividibili: in primo luogo, afferma che "il progresso delle forze produttive ha portato ad una scomposizione altamente differenziata dei processi lavorativi... ma il potenziale cognitivo che  penetrato in questa socializzazione della produzione non ha alcuna affinit strutturale con quella coscienza pratico-morale che pu sorreggere i movimenti sociali che premono per un rivoluzionamento della societ borghese. Perci il progresso dell'industria non pone affatto al posto dell'isolamento degli operai, come afferma il movimento comunista, la loro associazione rivoluzionaria, ma solo una nuova organizzazione del lavoro al posto delia vecchia" (cfr. Per la ricostruzione del materialismo storico, p. 120); in secondo luogo, Habermas non crede affatto che il semplice sviluppo del linguaggio senza barriere sia gi di per s realizzazione del regno della libert (in presenza della produzione capitalistica), ma ritiene che, nella relazione tra l'elemento "materiale" del bisogno e l'elemento "ideale" del linguaggio, si costituiscono i presupposti della competenza comunicativa universale avente come possibile oggetto la critica materiale 250 del dominio. Habermas ha certo una grande considerazione per ii "momento ideale" nell'economia. Il "lavoro" non  per, come ritiene Habermas, una modalit ideal-tipica della produzione in generale, dispendio di attivit umana ed agire strumentale conforme a regole tecniche di previsione (per una critica a questa "riduzione positivistica della nozione di lavoro" si veda tutta un'ampia letteratura secondaria, da Krahl alla Heller, da Gozzi a Ferraro a Marzocchi, eccetera), ma  una forma originaria dell'agire che produce soglie ontologiche irreversibili, e dunque anche diversi livelli specifici di "interazione sociale". Il "momento ideale" dell'interazione sociale non pu essere dunque isolato dal processo di produzione, il cui mutamento rivoluzionario non si lascia "ridurre" alle modalit linguistiche dell'allargamento della competenza comunicativa. Habermas segue per un'altra via, e ci si permetta in proposito una piccola testimonianza personale. Avendo lo scrivente chiesto ad Habermas alcune precisazioni di dettaglio sulla differenza fra il suo progetto ricostruttivo del marxismo ed il progetto ontologico lucacciano (in occasione di un seminario filosofico tenuto in Italia nel settembre 1983), Habermas ha cortesemente risposto di non poterle dare, non avendo letto per nulla l'Ontologia. Si tratta di un'affermazione assolutamente sintomatica, data l'indiscutibile statura intellettuale e morale della persona. 51. Ci si intenda bene. Non si vuole certo sostenere che l'"'essenza" della lingua inglese  di tipo empiristico ed operazionistico, mentre, poniamo, il francese ha in s la finesse mentre il tedesco sarebbe "filosoficamente profondo". Come tutti sanno, l'inglese  la lingua di Blake e di Virginia Wolf, di Poe e di Shakespeare. Si allude qui a quella sorta di basic english, che sta diventando una lingua "universale" senza portare con s alcun fall out culturale di tipo realmente universalistico (come era il caso del greco nell'antichit classica, che si portava dietro la tragedia, l'epica, la filosofia, insieme con alcune altre bagattelle), e dell'inglese come medium dell'universalismo capitalistico americano, che si presenta come il "destino fatale" dell'umanit nel Duemila. In proposito lo scrivente preferisce di gran lunga lo sciovinismo europeistico del mitterandismo francese (che cerca giustamente di "difendere" la lingua e la cultura francofona) al ruere in servitium di gran parte dell'intellighentia italiana affascinata dall'altezza dei grattacieli di Manhattan. 52. Con questo, si intende soprattutto dire due cose. In primo luogo, pensatori come Wittgenstein e Habermas restano "epocali" (si condividano o meno le loro tesi) proprio in quanto individuano nel "linguaggio" un complesso strategico per la definizione dell'agire sociale contemporaneo (che  "linguistico" in un senso ontologicamente specifico e differenziato dall'agire sociale schiavistico o feudale). In secondo luogo, la riflessione ontologica sul linguaggio  resa oggi pressoch impossibile dalle nefaste influenze del riduzionismo sociobiologistico, da un lato, e della derealizzazione post-moderna del mondo, che tende a ridurre i rapporti sociali a "scambio simbolico" (si veda Baudrillard e Lyotard, ma anche le riviste italiane Aut-aut ed Alfabeta, fortemente colonizzate da questa tendenza derealizzante ed antimaterialistica). 53. Per le considerazioni lucacciane sul diritto si veda Storia e Coscienza di 54. DOS 251 Classe, Sugar, 1968, pp. 135-43, e si veda l'Ontologia, II, pp. 205-24 e pp. 478-82. L'illusione giuridica  particolarmente presente negli scritti "teorici" della scuola italiana cosiddetta dei neo-garantisti (Ferrajoli, in particolar modo). In generale i "garantisti" individuano nel diritto pubblico ed in quello penale i "punti-chiave" della riproduzione sociale borghese complessiva. E' in realt il diritto privato il luogo fondamentale della "formalizzazione astratta" del dominio capitalistico (cfr. Ettore Gliozzi, Dalla propriet all'impresa, Angeli, 1981). E' per questo che non si pu in genere avere alcuna "comprensione" di tipo populistico o terzomondistico per i "ritorni" al diritto islamico di un Khomeiny o di uno Zia Ul Haq. Tagli delle mani, lapidazioni, trasfusioni forzate per i condannati a morte, eccetera, non sono solo "atrocit" imperdonabili, ma veri e propri "ritorni indietro" nei confronti della soglia di irreversibilit borghese del diritto. Un discorso filosofico del genere deve essere fatto anche contro la tortura, ed in generale anche contro la pena di morte. Nella stessa ottica deve essere difeso l'irreversibile diritto della donna a decidere se abortire oppure no. Poich anche la depenalizzazione dei "reati" non  qualcosa di puramente casuale o convenzionalistico, ma presenta soglie ontologiche di irreversibilit, la "difesa della vita" oppure la "politica demografica di natalit" non pu comunque essere fatta in alcun caso ri-penalizzando il "reato" di aborto. Dis 57. Si veda Ontologia, II, p. 728. Ovviamente, la violenza non  presente soltanto in periodi particolari (come l'accumulazione originaria), e non  neppure sufficiente rilevare che la violenza (sotto forma di guerre e di spese per gli armamenti)  un fattore strutturale di "soluzione" delle crisi capitalistiche. La violenza  in realt una forma d'esistenza necessaria delle categorie economiche, finch almeno queste ultime abbiano come "base" una divisione antagonistica del lavoro ed una distribuzione inegualitaria del consumo. L'economista che agita la pipa-totem per legittimare "scientificamente" l'eternit della produzione capitalistica e la "giustezza" della distribuzione inegualitaria del prodotto  ovviamente quasi sempre una fastidiosa macchietta inconsapevole dello "statuto epistemologico" della propria disciplina (in compagnia con gli sciamani esquimesi e gli aruspici etruschi, anche se spesso molto meno attendibile). Le eccezioni sono per numerosissime. Citiamo qui Gunnar Myrdal (cfr. L'obiettivit nelle scienze sociali, Einaudi, 1973) e Joan Robinson. Della Robinson si vedano i numerosi scritti sulla teoria dello sviluppo e sulla filosofia economica. In Omaggio a Joan Robinson (cfr. Politica ed economia, 9, settembre 1983) Domenico Mario Nuti ricorda le lezioni della Robinson "agli studenti del primo anno, che ascoltavano un po' sgomenti le critiche serrate ad un corpo di dottrine che non avevano ancora imparate" e l'atteggiamento sempre pi scettico e pessimistico su di una "scienza" che contribuisce attivamente alla creazione di disoccupazione e racconta le favole delle "aspettative razionali". Un interessante sintomo teorico della fine dell'illusione nell'unicit "scientifica" della teoria economica sta nel fatto che il miglior manuale per l'insegnamento dell'economia nella scuola secondaria (cfr. Bianchi-Campanella, Economia politica, Hoepli, 1983) sia 252 giunto al totale abbandono della finzione di una teoria economica, ed alla esplicita trattazione sistematica delle grandezze macro- e micro-economiche secondo quattro teorie alternative: classica e sraffiana, neo-classica e marginalistica, keynesiana e marxista. 58. Si veda l'Ontologia, II, p. 341 e pp. 362-64. 59. Si veda G. Lukcs, L'uomo e la rivoluzione, Ed. Riuniti,. 1973, pp. 35-36 ed ancora p. 24 ssg. 60. Si veda Lukcs, Ontologia, II, p. 337 ed ancora pp. 335-51. 61. Si veda l'ottimo lavoro di E. lilienkov, Logica dialettica, Mosca, Progress, 1978, in cui la trattazione del "momento ideale"  forse ancor pi completa ed esauriente che nell'Ontologia. Lo scrivente non  un esperto di filosofia sovietica, e non  in grado di giudicare adeguatamente Ilienkov. Tuttavia, Logica dialettica sembra un piccolo capolavoro teorico, ricco di informazione e di equilibrio, che non sembra avere nulla in comune con le enciclopedie ideologiche del Diamat. La sottolineatura che Ilienkov fa dell'ideal'noe (momento ideale) appare anzi l'embrione di una implicita polemica con il "materialismo dialettico" come scolastica statuale. 62. In Spinoza, per esempio, un circolo pu essere definito come una "figura .in cui le linee tracciate dal centro alla circonferenza sono eguali". Tuttavia guesta definizione "non esprime affatto l'essenza del circolo, ma soltanto una certa sua propriet", e per giunta una propriet derivata, secondaria. Altro  quando la definizione racchiuder in s "la causa pi prossima della cosa". Allora il circolo deve essere definito nel modo seguente:" ... la figura descritta da una certa linea, un capo della quale  fisso e l'altro  mobile". Quest'ultima definizione offre il modo di costruire una cosa nello spazio reale. Qui la definizione nominale nasce insieme con l'azione reale del corpo pensante nel contorno spaziale dell'oggetto dell'idea. In tal caso l'uomo possiede anche l'idea adeguata, e non soltanto segni, espressi in parole. E questa  la concezione materialistica della natura dell'ideale. L'ideale esiste laddove si ha la facolt di ricostituire l'oggetto nello spazio, servendosi della parola, del linguaggio, in combinazione con il bisogno dell'oggetto, pi la sicurezza materiale dell'atto della creazione (cfr. Ilienkov, op. cit., pp. 268-69). 63. Si veda Lukcs, Ontologia, II, p. 337. .64. Si veda Gian Carlo Jocteau, Leggere Gramsci, Feltrinelli, 1975. 65. Si veda Mao Tsetung, Discorsi inediti, Mondadori, 1975, e soprattutto Su Stalin e sull'URSS, Einaudi, 1975. Tuttavia, neppure i sinologi specializzati sono per ora in grado di spiegare fino a che punto Mao condividesse i contenuti politico-culturali delle "campagne" che la sinistra cinese faceva a suo nome (contro Confucio e Lin Piao, contro il diritto borghese nel socialismo, sulla dittatura del proletariato, eccetera). In gueste "campagne" (per quanto  dato giudicare studiando le centinaia di articoli teorici pubblicati in francese ed in inglese in quegli anni) si faceva uso di "elementi" del pensiero marxista (come la Critica al Programma di Gotha) effettivamente incompatibili con la sistematizzazione scolastica del marxismo-leninismo staliniano. Importanti sono anche gli scritti dell'unica vera "mente teorica" della cosiddetta "banda dei quattro", Chang Chunchiao (cfr. Vento dell'Est, 38, 1975). 66. 67. 68. 69. 70. dl 12: : 253 Si veda Lukcs, Ontologia, II, pp. 452 e 727 ssg. Per la critica di Lukcs ad Engels si veda l'Ontologia, !I,. pp. 460-64. Engels distingue fra le stupidit antropomorfiche primitive, di tipo animistico, che servono da base alla produzione ideologica delle societ precapitalistiche, ed ideologie di tipo pi moderno (e fa l'esempio del socialismo ricardiano inglese) le quali, pur essendo scientificamente inesatte, permettono la presa di coscienza antagonistica della classe subalterna dei salariati nel capitalismo. Lukcs non ama giustamente il termine "stupidit", che ci farebbe assumere di fronte al passato un atteggiamento razionalistico-astratto. Non si vede infatti perch l'annuncio di Ges del prossimo avvento dell'anno di misericordia del Signore, il movimento donatista del tardo Impero Romano, l'annuncio di Gioacchino da Fiore delle tre Et, eccetera, debbano essere pi "stupidi" della teoria della distribuzione secondo il "lavoro" tipica del socialismo ricardiano o della teoria keynesiana delle aspettative razionali dei produttori e dei consumatori. Storicamente, sono semmai molto pi "stupidi" questi ultimi, dal momento che vi  la possibilit ontologica di una spiegazione assai pi dialettica e complessiva della processualit sociale e delle sue tendenze contraddittorie (si sta qui ovviamente scherzando). Per un approfondimento bibliografico e teorico di queste questioni si veda Ferruccio Rossi-Landi, Ideologia, Isedi, 1978. Lo scrivente non condivide comunque la tendenza alla riduzione massiccia del problema filosofico dell'ideologia alla semiotica ed alla ossessiva sottolineatura del "carattere intensamente linguistico dell'ideologia", presente nella pur notevole sintesi di Rossi-Landi. Vi  qui un nodo di problemi che non possono essere affrontati adeguatamente in questa sede (in sintesi: il complesso rapporto fra linguistica ed ontologia sociale). Lo scrivente condivide pertanto nell'essenziale il giudizio filosofico di Ludovico Geymonat (cfr. Riflessioni critiche su Kuhn e Popper, Dedalo, 1983). In comune vi  ovviamente il culto filosofico della "superficie" e la contrapposizione alla dialettica del vecchio detto simplex sigillum veri.La sostanziale solidariet antitetico-polare fra Popper e Colletti, da un lato, e gli irresponsabili differenzialisti post-moderni, dall'altro,  occultata da fattori secondari di stile, scrittura, e "destinatari sociali". Si veda Lukcs, Ontologia, II, p. 554. Lo scrivente ritiene la posizione lucacciana, filosoficamente ferma sulla inseparabilit ontologica di fondo fra scienza ed ideologia, superiore non soltanto al folklore italiano di cui  esponente oggi Lucio Colletti (in cui la metafisica a base gnoseologica assume aspetti allegramente romaneschi), ma anche alle ben pi nobili, ma altrettanto sterili, posizioni "separatorie" di Galvano Della Volpe e di Louis Althusser. Si veda Lukcs, Ontologia, II, pp. 541-50. Si tratta di dieci pagine circa, che meriterebbero di essere analizzate in dettaglio, cosa impossibile qui per ragioni di spazio. Lukcs rileva che mentre nella realt "le cose giuste possono essere dette con estrema veemenza e quelle sbagliate con l'atteggiamento della pi sovrana imparzialit", con l'esigenza della avalutativit si vuole in generale tranquillizzare una coscienza professionale", quella dello studioso in quanto studioso. Tuttavia, con la 254 #3 74, 75, 76. sincera intenzione soggettiva di non dare giudizi di valore si pu soltanto stabilire se il soggetto intende o no oggettivare una ideologia, il che a sua volta non ha nulla da vedere con il fatto che quanto viene oggettivato funzioni oggettivamente - volutamente o no - da ideologia. Del resto, in Max Weber l'intenzione avalutativa, soggettivamente perseguita con estrema onest intellettuale, sfocia nella costruzione della teoria ultraideologica della gabbia d'acciaio, metafisica dell'intrascendibilit assoluta del capitalismo costruita con materiali gnoseologici raffinatissimi. La pi recente formulazione di questa nota distinzione pu essere letta in un saggio di Gabriele Giannantoni in Rinascita, 39, ottobre 1983. Giannantoni aggiunge anche la propria "convinzione filosofica personale", l'essere cio Gramsci il punto pi alto della tradizione marxista in Occidente. La questione non  tuttavia quella del cortese pluralismo delle opinioni filosofiche presenti nel "ceto dei colti", ma potrebbe essere formulata prowisoriamente cos: quale concezione ideologica esplicita sta alla base di quelle particolari posizioni teleologiche che si chiamano compromesso storico, alternativa democratica, alternativa di sinistra, e via pluralisticamente cambiando (di linea politica)? Con questo non si vuole certo intendere che la forma filosofica del discorso di tipo ontologico-sociale deve diventare il "presupposto teorico" per il raddrizzamento culturale ed ideologico del PCI. E' anzi vero in un certo senso il contrario. Lo scrivente ritiene che soltanto nell'eventualit (al presente del tutto improbabile) che gli agenti sociali presenti ed organizzati nel PCI comincino a porre posizioni teleologiche coerenti in grado di dar luogo a legalit sociali sensate un discorso di tipo ontologico-sociale pu iniziare in Italia ad aver quella che si chiama nel brutto linguaggio delle scienze sociali una 'committenza". Le rovine provocate nello scorso decennio dal decisionismo degli "operaisti" e dal disastro ideologico-sociale delle cosiddette "regioni rosse" sono infatti di tale portata da rendere improbabile un rinnovamento interno di questo partito. Lo scrivente condivide infatti la posizione teorica (ben presente anche nel PCI) secondo la quale senza democrazia rappresentativa non c' democrazia alcuna. Questo resta per una sorta di postulato astratto-formale, valido solamente in negativo come rifiuto esplicito della cosiddetta "democrazia popolare" dei paesi dell'Est europeo. In positivo occorre uno studio sul meccanismo concreto di funzionamento delle forme della rappresentanza, che oggi riproducono la societ capitalistica in modo generalmente pi mafioso e criminale di un tempo. Anche la democrazia, come il lavoro,  in fondo un atto teleologico, non certo nel senso che essa debba estinguersi alla fine del processo sostituita dall'olismo organicistico del genere-per-s, ma nel senso che essa vive concretamente solo come insieme di posizioni teleologiche degli agenti sociali a partire dalia situazione ontologica di estraneazione. La filosofia di tipo neo-garantista ed anti-dialettico, diffusa in Italia, ritiene invece che la "rappresentanza" sia una sorta di forma pura, irrelata, di individui atomicamente isolati che si incontrano nella "societ civile". Si veda Lukcs, Ontologia, Il, pp. 559-60 e pp. 585-86. Ogni interpretazione psicologistica,. o filosoficamente esistenzialistica, della 295 "estraneazione", rende letteralmente impossibile l'uso di questa categoria. 77. Si veda Lukcs, Ontologia, Il, pp. 562-70. 78. Per l'ennesima volta insistiamo sul fatto che questa concreta processualit non pu avere un carattere grande-narrativo (non esiste infatti un unico soggetto titolare del "senso ultimo" della totalit processuale) e neppure deterministico-naturalistico (il "progresso" non contiene in s alcuna finalizzazione tendente alla "conciliazione" fra capacit e personalit, n tantomeno l'aumento delle capacit "determina" lo sviluppo della personalit - si veda la citazione di Wright Mills a p. 563). 79. Sulla dialettica del pensiero borghese si veda l'Ontologia, II, pp. 741-42; sui due estremi polari del pensiero "socialista" si veda invece a p. 757 ssg. I riformisti accettano realisticamente la struttura ontologica della qubtidianit capitalistica, finch le tendenze estranianti li pervadono fino al midollo (si veda la nota 74); gli estremisti sono quasi sempre incapaci di trasformare l'anticapitalismo in una "passione durevole" a causa del loro atteggiamento ultrasoggettivistico e radicalmente anti-ontologico verso l'essere sociale. 80. Sulla priorit della prassi (che, ovviamente, non ha nulla a che fare con il soggettivismo anti-ontologico delle cosiddette "filosofie della prassi") e sulla spontaneit come embrione della coscienza (che, ovviamente, non ha nulla a che fare con la feticizzazione estremistica della spontaneit della rude razza pagana) si veda Lukcs, Ontoliogia, II, pp. 732-38. 81. Si veda in proposito la magistrale analisi del capolavoro di Tolstoj La morte di Ivan Ilic, in Ontologia, IH, pp. 751-52. Gli esempi tratti dalia storia della letteratura sono per troppo numerosi per essere citati tutti. Basti dire che vi  qui la "prova provata" della continuit profonda fra l'Estetica e l'Ontologia, che appartengono entrambe alio stesso complesso teorico-problematico. 82. Si veda Lukcs, Ontologia, II, pp. 731-32. La citazione tratta da Engels nel suo Antiduhring  un capolavoro di acutezza e di preveggenza. 83. Si veda Lukcs, Ontologia, II, p. 754 ssg. Si tratta di una constatazione assai lucida, che non permette l'attribuzione a Lukcs di una sorta di "ottimismo storico". E' questa invece l'opinione di Cesare Cases (cfr. L'uomo buono, nei volume a pi voci a cura di Guido Oldrini "Il marxismo della maturit" di Lukcs, Napoli, Prismi, 1983). Lo scrivente, che ha imparato moltissimo dalla superiore pazienza, amabilit ed amicizia di Cesare Cases, non pu assolutamente seguirlo su questo punto. 84. Si veda Lukcs, Ontologia, II, p. 760. In questa densissima pagina sono contenuti gli elementi filosofici minimi per sviluppare ontologicamente una adeguata metafisica della giovent". Gi Hegel aveva a suo tempo filosoficamente letto il passaggio ontologicamente irreversibile dalla giovinezza alla maturit come rinuncia alla realizzazione totale di s dell'individuo nel mondo in favore della determinatezza della attivit lavorativa inevitabilmente specializzata, da accompagnarsi al riconoscimento nella coscienza morale della razionalit del reale. Lukcs accetta nell'essenziale la soglia hegeliana dell'irreversibilit fra giovinezza e maturit, ma non ne assolutizza esteticamente il carattere "tragico" (come vorrebbero gli interpreti benjaminiano-irrazionalistici. che si sono letteralmente "gettati" sul giovane Lukcs del tempo del suo amore per 256 86. Irma Seidler). Al contrario, il solo modo "razionale" di accettare la tragicit immanente a questa soglia di irreversibilit  la dialettizzazione fra capacit (specializzata) e personalit (generale-per-s). In direzione contraria va la feticizzazione atemporalistica ed aprocessuale della giovent come nunc aeternum (mentre la filosofia classica tedesca parlava pi correttamente di Verjungen, di "ringiovanimento" dell'umanit), che non pu strutturalmente dar Juogo ac alcuna "passione durevole". Si veda Lukcs, Ontologia, HI, p. 715. La scelta di Goethe  particolarnierte felice, in guanto quest'ultimo unisce elementi illuministici (pensiamo al Kant che definisce l'illuminismo l'uscita dell'uomo da uno stato di minorit che l'uomo deve imputare a se stesso) ed elementi romantici ed idealistico-oggettivi, che gli permettono di dialettizzare uomo, natura e societ. La teorizzazione goethiana degli elementi "inconsci" dell'agire umano permette di evitare l'atteggiamento razionalisticamente unilaterale, che concepisce le posizioni teleologiche come "poste" in perfetta coscienza. Si veda Lukcs, Ontologia, II, p. 718. La valorizzazione lucacciana di Spinoza (e si vedano le note di Scarponi in Pensiero Vissuto, cit., p. 230)  dovuta al fatto che per Lukcs il superamento "pratico" della particolarit (nell''"individuo") implica l'immanenza terrena e quindi rifiuta la religione, la. quale, rimandando all'aldil tale superamento pratico, tende a mantenere gli uomini nella condizione di "persone particolari". Spinoza  . d'altronde sempre interpretato in Lukcs come un filosofo dell'assoluta 87. 88. immanenza e di fatto come un "dialettico spontaneo". Ad esempio Fichte, nei Lineamenti dell'epoca presente aveva diviso la storia del mondo in cinque epoche: la prima, quella dell'innocenza del genere umano, era guidata dall'istinto; la seconda, quella della "incipiente peccaminosit", era dominata dall'autorit coercitiva e dalla fede assoluta; la terza, quella della "compiuta peccaminosit", caratterizzata dall'assenza di ogni autorit e dall'indifferenza verso la verit; vi erano poi ancora la quarta e la quinta, le epoche della scienza e dell'arte, in cui l'umanit avrebbe progressivamente superato l'estraneazione. Il giovane Lukcs, nel dialogo giovanile Sulla povert dello spirito aveva diviso gli uomini in tre "caste spirituali", quella della vita ordinaria e quotidiana (che si perde nella molteplicit inessenziale della vile infinit della vita), quella dell'opera (che si concentra in modo omogeneo alla realizzazione, e che  appunto caratterizzata dalla "povert dello spirito"), ed infine quella della vita vera ed autentica (dotata di bont selvaggia e spietata, cieca ed avventuriera). In proposito  da notare che tutta la svariata casistica filosofica delle epoche e delle caste deve essere intesa come una fase "preparatoria" alla comprensione dialettico-processuale della personalit in divenire. Quest'ultima, per, non conosce n caste (superiori o inferiori), n epoche di "coronamento". La processualit conosce infatti posizioni teleologiche, ma non contempla "stadi finali" e conclusivi del movimento storico. Si tratta di un nodo di problemi di grande importanza filosofica. La specifica dialettica storica fra reversibilit ed irreversibilit non pu essere ovviamente irrigidita in un formulario meccanico. Tuttavia, la "situazione" del singolo nella congiuntura storica determinata non  mai una 89. 90. SL 92: 93. 94. 257 manifestazione della condition humaine, ma  sempre in rapporto con il modo concreto con cui la particolarit dell'individuo lotta per la generalit-per-s dell'uomo. Nelle societ precapitalistiche questa lotta si svolgeva ovviamente al di qua di soglie ontologico-sociali realmente generali-astratte. Pensiamo ai Gracchi o alla resistenza dei repubblicani romani contro il cesarismo: nel linguaggio dell'antico poeta latino Lucano il dilemma fra valori soggettivi e necessit storica si espresse nel verso Victrix causa diis placuit, sed victa Catoni (cfr. Ontologia, I, p. 93). Pu succedere anche (cfr. Ontologia, II, p. 759) che "la dedizione a una causa di progresso pu assumere negli individui che la difendono forme umanamente estraniate e, all'inverso, nelia difesa di ci che  socialmente nocivo pu aversi in s, anche se in via eccezionale, una condotta soggettiva umanamente pura". Il fatto che il "momento sociale" sia soverchiante, ma non esclusivo,  dovuto ontologicamente ad una modalit assai precisa: l'individuo non  mai coestensivo al genere, la processualit individuale non  mai coestensiva alla processualit storica. Si veda Lukcs, Ontologia, II, pp. 352-54. Si veda gi la nota 38 della prima parte di questo scritto. Parlando di Marx, lo scrivente ha volutamente evitato di approfondire il tema della dialettica fra particolarit e generalit, ritenendo filologicamente opportuno di "dare a Lukcs quello che  di Lukcs". Ripetiamo tuttavia che l'impostazione lucacciana ci sembra del tutto affine a quella di Marx, la cui filosofia abbiamo gi definito come solidamente ontologico-sociale. Si veda Lukcs, Ontologia, II, p. 744 e p. 584. Per la seconda definizione si veda G. Lukcs, Marxismo e politica culturale, Il Saggiatore, 1972, p. 211. In proposito, Lukcs ricorda argutamente come William James iniziasse le sue lezioni sul pragmatismo con una citazione di Chesterton, il cui contenuto approvava senza riserve. Diceva Chesterton: "Vi sono individui - ed io tra questi - che ritengono che per un uomo la cosa praticamente pi importante sia la sua concezione del mondo. Per un affittacamere che esamina il suo inquilino  certo molto importante conoscere le entrate di costui, ma ancora pi importante  conoscere la sua filosofia". Secondo Lukcs, "se si sviluppa fino in fondo questo pensiero, si giunge a scoprire nelle azioni di ciascun uomo un particolare nesso sistematico che, da un lato,  determinato dal suo essere sociale, e dall'altro, conferisce a tutte le sue azioni immediate una unit di cui spesso egli stesso non  consapevole, o ne ha una consapevolezza fallace". Detto questo, se allo scrivente  possibile aggiungere qualcosa di ontologico a ci che hanno gi brillantemente detto Chesterton, James e Lukcs, finch esisteranno affittacamere ed inquilini ogni discorso sulla generalit-per-s dell'uomo rimarr una mera petizione di principio e regner soltanto l'estraneazione dell'equo canone. Si veda Lukcs, Ontologia, II, p. 587. Si veda Lukcs, Ontologia, II, p. 654. Lo scrivente ha qui autonomamente rielaborato (senza alcuna pretesa di originalit - d'altra parte il suo accordo con Lukcs  qui totale) temi cui l'Ontologia dedica almeno duecento pagine. Per una prima indicazione: sulla volgarit, pp. 603-4; sul conformismo non-conformistico, p. 782; sulla noia, pp. 779-81; sull'antipatia verso l'Ottocento, p. 527; sulla compresenza 258 95: 96. 97. 98. 99. di onnipotenza astratta e concreta impotenza, p. 434; sull'avvizzimento del soggetto fra specialismo e stravaganza, p. 760. Sullo homo psychologicus come forma d'esistenza contemporanea di quello che era un tempo l'homo oeconomicus si veda lo studio magistrale di Christopher Lasch sul narcisismo (che lo scrivente considera un capitolo "psicologico" dell'Ontologia). Tutta la ricchissima pubblicistica di tipo psicoanalitico e variamente psicologico, da cui siamo alluvionati,  di pochissima utilit, quando ignora la determinante ontologico-sociale della estraneazione nel moderno capitalismo. Oltre al Lasch, indichiamo qui soltanto due studi tedeschi: Klaus Ottomeyer, Comportamento sociale ed economia, Musolini, 1977, ed ancora Michael Schneider, Nevrosi e lotta di classe, Il Formichiere, 1976. Si tratta di due testi non a caso spariti dalle librerie, e pressoch introvabili, i cui difetti non possiamo analizzare adeguatamente in questa sede. | Tutta questa problematica  svolta in modo analitico nell'Ontologia, II, pp. 608-16. Per una critica al formalismo etico kantiano si veda l'Ontologia, Il, p. 599. Tuttavia (cfr. Ontologia, Il, p. 414) Lukcs aggiunge acutamente che "proprio un rappresentante fanatico della rilevanza esclusiva dell'intenzione, Kant, non appena si mette a parlare di fenomeni etici in qualche misura concreti,  costretto a reintrodurre dalla porta di servizio nella dialettica etica le conseguenze". L'atteggiamento antiontologico contraddistingue peraltro i neo-kantiani assai pi dello stesso Kant (cfr. Ontologia, IH, p. 652). Il lettore attento avr certo notato che mentre nell'Ontologia il significato di particolarit  univocamente negativo e quello di individualit univocamente positivo, lo scrivente usa con maggiore disinvoltura il termine di "particolarit" in senso ora positivo ora negativo. E' questa una scelta del tutto consapevole. Lo scrivente ritiene infatti che una concezione sobriamente ontologica della particolarit non permetta di andare oltre, nel presente momento storico, ad -una dialettica immanente alle sue tensioni interne (in direzione della generalit): l'individualit allora non  una "identit filosofico-antropologica" distinta dalla particolarit, ma una mera dimensione teleologica della particolarit stessa. Si veda Norberto Bobbio, Da Machiavelli in poi, un problema insolubile, in Rinascita, 24, giugno 1982. 100. Nel Progetto filosofico per la pace perpetua Kant afferma che, se anche la costituzione repubblicana  la pi adatta al diritto degli uomini, essa non potrebbe conservarsi che in uno Stato di angeli, mentre "il problema della costituzione di uno Stato  risolvibile, per quanto l'espressione possa sembrare dura, anche da un popolo di diavoli, purch siano dotati di intelligenza". In Kant (come in Adam Smith) c' ovviamente la tesi, tipicamente borghese, dell'armonia come sommatoria di egoismi confliggenti disposti a proceduralizzare il proprio conflitto, mentre Bobbio, pensatore del XX secolo, non crede pi alla "mano invisibile". 101. In Bobbio la tensione fra positivismo giuridico (pensiamo ai suoi studi su Kelsen) e giusnaturalismo (pensiamo a certe sue prese di posizione pubbliche solo apparentemente "strane", come quella sul diritto di aborto)  continua. 259 102. Negli ultimi trent'anni, Bobbio  sempre stato in grado di dire alcune ovviet teorico-politiche assolutamente note (ma non conosciute, come direbbe Hegel), come il fatto che il PCI non ha e non ha mai avuto una vera teoria politica, oppure che il PSI si sta storicamente trasformando in una banda Bassotti di assaltatori organizzati alla diligenza pubblica. E' questo un fatto storico apparentemente inesplicabile, che diventa per comprensibile se si pone mente alla funzione della ragione nel pensiero di Norberto Bobbio. Quest'ultima pone ordine (un ordine trascendentale in senso kantiano e centrato sulla produzione ordinatrice del soggetto che organizza l'esperienza e le da forma) in un caos mostruoso e senza forma, dove il sonno della ragione produce mostri. Non appena per questa funzione ordinatrice si adagia nell'autoappagamento cessa di essere tragica e diventa volgare, cosa che pu avvenire nei bobbiani minori, e che non avviene invece mai in Norberto Bobbio. 103. Queste  tre domande non sono mai esplicitamente affrontate nell'Ontologia. Lo scrivente elabora qui autonomamente delle possibili risposte in un'ottica ontologica personale, e non intende certo nascondersi dietro l'auctoritas lucacciana. 104. La questione merita di essere maggiormente chiarita, dal momento che l'atteggiamento soggettivo verso il cosiddetto "socialismo reale"  una questione di rilevante interesse filosofico, cui  impossibile sottrarsi in modo opportunistico. In prima, generale approssimazione, la questione della definizione esatta della natura del modo di produzione vigente in URSS non  una questione nominalistica, di lana caprina, priva di effetti conoscitivi, ma  fondativa ed orientante gli approcci successivi; in proposito, lo scrivente accetta nell'essenziale le tesi di Gianfranco La Grassa sulla natura sociale capitalistica dei paesi a socialismo reale. In seconda istanza, questa connotazione non ci dice ancora nulla di specifico, se non conosciamo il funzionamento reale delle societ socialiste; in proposito, la "mancanza di libert" che sarebbe ivi vigente  una determinazione assolutamente "vuota" in un'ottica ontologico-sociale, che non tollera la riduzione della molteplicit complessa degli: atti teleologici alternativi ad un solo modello ( un texano pi libero di un ucraino?  un newyorkese pi libero di un moscovita? - domande filosoficamente prive di senso). In terzo luogo, tuttavia, ogni giustificazionismo di tipo filosovietico (che lo scrivente ritiene perfettamente legittimo parlando del Nicaragua o dell'Angola - lo scrivente  qui in linea di massima d'accordo con Gbriel Garcia Marquez e con chi riconosce che - ahim - senza l'URSS i nicaraguensi verrebbero letteralmente sbranati) appare appunto ingiustificato non appena si assuma un'ottica ontologico-sociale:  infatti impossibile tollerare l'indifferenza e la mancanza di "diritti civili" in un sistema sociale come se fosse un'inezia teoreticamente irrilevante, Si tratta invece di un'estraneazione specifica, nuova, di cui occorre severamente rintracciare la genealogia, le cause, le tendenze, senza cadere in forme di storicistico giustificazionismo, Il "cossuttismo" non  certo una filosofia, e non merita che ripugnanza e disprezzo. 105. In proposito l'Ontologia ci soccorre poco. Un utilissimo strumento di lavoro  invece la raccolta di saggi contenuta in Marxismo e giustizia, Il Saggiatore, 1983, ed in generale tutto il dibattito (in buona parte in lingua 260 inglese) accesosi intorno al saggio di Rawls, Una teoria della giustizia, Feltrinelli, 1982. Lo scrivente non pu qui neppure accennare alle ragioni che lo portano al rifiuto della proposta teorica di sostituire Rawls a Marx, sostenuta in Italia particolarmente dal "marxista pentito" Salvatore Veca. Nella raccolta di saggi sopracitata lo scrivente si riconosce soprattutto nel bel contributo di Zyiad I. Husami, Marx sulla giustizia distributiva, che ha utilizzato largamente nell'argomentazione. 106. E' questa la posizione sostenuta nei saggi (contenuti nella raccolta Marxismo e giustizia citata nella nota precedente) di Allen W. Wood, La critica marxiana della giustizia e di Robert C. Tucker, Marx e la giustizia distributiva. E' questa anche la posizione di Rawls, che  servita in buona parte da "pretesto" ai rawlsiani italiani per sostenere che il marxismo, con il suo rifiuto dell'etica,  inservibile per una filosofia pratica, di tipo neo-contrattualista, che voglia "misurarsi" con i soliti "veri problemi" del presente. 107. Si veda l'utilissimo saggio di Maurizio Viroli, Etica e marxismo. A proposito di una recente discussione, in "Problemi della transizione", 9, 1982. Il saggio di Viroli  particolarmente importante in quanto prende in esame testi ignorati o non raccolti nel volume sopracitato Marxismo e giustizia. Fondamentale in proposito  il saggio di George G. Brenkert, Freedom and Private Property in Marx, in "Philosophy and Public Affairs", 1978, 2. E' qui che Brenkert parla della ontological dimension that freedom possesses, sulla quale lo scrivente  totalmente d'accordo, come tutto questo' libro documenta ampiamente. La posizione dello scrivente  tuttavia leggermente diversa da quella di Brenkert, in guanto si accettano anche le considerazioni di Husami sul significato critico-immanente della idea di "giustizia" in Marx. Uno sviluppo filosoficamente coerente di tutto questo complesso affascinante di problemi resta ancora comunque largamente da fare. 108. Ci pare questa anche la posizione di Lukcs nell'Ontologia. Ad ogni buon conto, sta qui la ragione della cautela dello scrivente nell'usare il termine di individualit con il significato di "superamento integrale della particolarit dell'uomo". 109. Riprendiamo qui nell'essenziale le tesi gi esposte in modo pi analitico nel saggio .Cosa possiamo chiedere al marxismo (nel testo collettivo Marxismo in mare aperto, Angeli, 1983, cit.). Alcune di queste tesi erano per esposte in modo ancora implicito e di conseguenza poco chiaro: l'impostazione ontologico-sociale restava sullo sfondo. Qui, invece, si intende esplicitarla nel modo pi aperto. 110. E' questo un punto teoretico di importanza strategica. La via ontologico-sociale non  affatto, giova dirlo in modo esplicito, una dichiarazione di guerra all'autonomia specifica della gnoseologia e dell'epistemologia. Entrambe le discipline esprimono fino in fondo problemi reali legati al rispecchiamento scientifico del mondo non appena quest'ultimo, resosi cosciente della necessit di una disantropomorfizzazione consapevole, attua una "riflessione di secondo grado" su se stesso. A questo proposito, la gnoseologia  intessuta di una vasta gamma di posizioni alternative, che vanno dalla intentio obliqua di Kant alla intentio recta del realismo gnoseologico nelle sue forme pi disparate, dalla 261 separazione di tipo criticista fra piano dell'essere e piano del conoscere alle riunificazioni di tipo dialettico fra logica formale, logica dialettica e teoria della conoscenza. L'epistemologia, d'altra parte, conosce anch'essa varie posizioni alternative, le quali per, secondo lo scrivente (si veda nota precedente) possono essere tutte ricondotte a due correnti principali: la corrente il cui principale esponente  Karl Popper, che tende a sottoporre la legittimit delle pretese conoscitive delle scienze ad un tribunale filosofico falsificazionista, pi o meno flessibile; e la corrente il cui principale esponente  Gaston Bachelard, che tende ad una storicizzazione immanente alla struttura processuale differenziata delle varie scienze (al plurale), rinunciando esplicitamente ad un tribunale filosofico falsificazionista. La discussione gnoseologica ed epistemologica non  dunque affatto impedita, irrisa, o sottovalutata da un'ottica sobriamente ontologico-sociale, che le riconosce invece un ambito specifico di studio e di dibattito. 111. Si veda Lukcs, Ontologia, II, pp. 520-21; pp. 423-26; pp. 440-43; pp. 550-51; pp. 436-37. Si consiglia ovviamente al lettore di studiare autonomamente le pagine qui indicate, ma si segnala anche che il rifiuto di una considerazione ontologica separata di filosofia e di scienza percorre tutta l'Ontologia lucacciana. 112. Vi sono, in proposito, indimenticabili pagine di Engels sull'illusione degli scienziati e degli economisti di essere "liberi" da ogni influenza ideologica e filosofica. Come osserva correttamente Lukcs (cfr. Marxismo e politica culturale, cit., p. 221), "la gran maggioranza delle lotte fra concezioni del . mondo nel nostro tempo avviene ancora in modo tale che - nel migliore dei casi - viene "persuaso" soltanto chi  gi persuaso. E perfino un obbiettivo tanto modesto come quello di rafforzare in una certa misura i seguaci della propria concezione del mondo, viene raggiunto in modo assai problematico. Quando si verifica una perturbazione sociale, queste difese artificiali si dimostrano quanto mai incapaci di opporre una resistenza". Senza una salda filosofia, infatti, non c' passione durevole di alcun tipo; e le filosofie non possono - fortunatamente - essere imposte per decreto. Centro Studi di Materialismo Storico 1. G. Bazzi, M. Cangiani, G.I, Giannoli, A. Illuminati, G. La Grassa, C. Preve, M. Turchetto, Marxismo in mare aperto, rilevazioni, ipotesi, prospettive 2. Costanzo Preve, La filosofia imperfetta. Una proposta di ricostruzione del marxismo contemporaneo Stampa Tipomonza V.le Monza, 129 - Milano Costanzo Preve Elogio della filosofia. Fondamento, verit e sistema nella conoscenza e nella pratica filosofica dai greci alla situazione contemporanea edilcice pelle plaisance Pubblicato su Koin, Periodico culturale  Anno X N 1- Gennaio 2003 Reg. Tribunale di Pistoia n 2/93 del 16/2/93 Direttore responsabile: Carmine Fiorillo Elogio della filosofia. Fondamento, verit e sistema nella conoscenza e nella pratica filosofica dai greci alla situazione contemporanea di Costanzo Preve $ 1. La filosofia, o pi esattamente la pratica filosofica,  una forma di cono- scenza della realt. Considero uno pseudoproblema, e non voglio intenzional- mente occuparmene in modo teoretico, se essa sia superiore o inferiore alla conoscenza scientifica, religiosa o artistica. Chi si mette in questo orizzonte di tipo gerarchico-topologico a mio avviso parte gi con il piede sbagliato. Il modo tradizionale positivistico di inquadrare la questione  la nota gerarchizzazione stadiale successiva religione-filosofia-scienza, e questo modo non  cambiato da Auguste Comte a Jurgen Habermas. Per alcuni la modernit si caratterizza pro- prio dall'abbandono dell'illusione che esista una specifica conoscenza filosofica. Non certamente per me. Per altri, che hanno il dono della fede religiosa (e non  il mio caso) la filosofia  di fatto propedeutica ed integrativa della fede stessa. La mia posizione  diversa sia da Jurgen Habermas sia da quella degli estensori dellenciclica Fides et ratio. Essa riprende invece intenzionalmente la concezione della filosofia che ereditiamo dagli antichi greci, miei venerati maestri, per cui la conoscenza filosofica ha come oggetto la verit e come metodo il dialogo. La mia posizione sar ispirata a questo principio. $ 2. Prima di iniziare l'esposizione, che sar strutturata in quattro punti suc- cessivi (antichi greci, dinamica della modernit, statuto filosofico del marxismo, situazione contemporanea) voglio subito fare due importanti precisazioni di ca- rattere semantico e filologico, chiarendo le radici greche dei due termini verit e fondamento. Il termine verit in greco antico si rende con aletheia. Aletheia significa di- svelamento, non-nascondimento, passaggio da una situazione di oscurit e di ignoranza ad una situazione di conoscenza e di visibilit. Questo concetto non  allora identico a quelli di certezza (empirica) o di esattezza (scientifica in senso moderno), perch la certezza e l'esattezza non si nascondono, e richiedono solo procedure consensuali per essere definite. Ma laletheia non pu essere per de- finizione oggetto di procedure consensuali, perch rimanda ad un fondamento che le precede sia sul piano logico che su quello ontologico. L'identit di logica e di ontologia non  allora una invenzione stravagante ed arbitraria di Platone e di Hegel, ma la semplice presa datto del fatto che il fondamento veritativo non pu essere definito in termini di procedure linguistiche consensuali, ma queste "i \ pelle plasance 3 ultime, pur necessarie, devono in qualche modo aderire al processo di progressivo disvelamento del fondamento stesso. Come  noto, a suo tempo Martin Heidegger propose una terza concezione di verit, che si pone in alternativa sia alla concezione della verit come corrispon- denza (e cio la concezione di tutte le filosofie religiose, dal cristianesimo tomistico al marxismo sovietico), sia alla concezione della verit come accordo linguistico e consensuale di tipo procedurale (e cio la concezione di tutte le filosofie di tipo relativistico e convenzionalistico, di centro, di sinistra e di destra). Ma qui non si vuole aderire o criticare la concezione heideggeriana. Non  questo l'oggetto di questo mio testo. Si vuole solo ribadire che il cammino verso la verit filoso- fica non  qualcosa di immediatamente evidente e neppure di proceduralmente costruito. La verit  aletheia, laletheia si nasconde, e ci che si nasconde deve essere ricercato. Il termine fondamento in greco antico si rende come aitia o logos. Il termine aitia rimanda ad una concezione allargata del moderno concetto di causa, non coincide con il concetto di causa emerso dopo la rivoluzione scientifica del Sei- cento e perci sfugge a tutte le critiche alla causalit come quelle inaugurate da Davide Hume. Aristotele non si inventa arbitrariamente i quattro significati di causa (materiale, formale, efficiente e finale), ma li prende dalla semantica quo- tidiana della lingua greca antica. Il termine logos, invece, significa fondamento, ma significa anche ragione e linguaggio, senza consentire per la separazione di principio fra fondamento, ragione e linguaggio che caratterizza invece la pratica moderna e postmoderna della filosofia, per cui quasi sempre il fondamento non esiste ed  un residuo metafisico da eliminare, la ragione  un'opinione soggettiva del tutto equivalente all'opinione per cui non esiste nessuna ragione ma solo un triste irrazionalismo caotico ed infondato, ed infine il linguaggio  lunica realt che mette ordine razionalmente in un ammasso caotico di fatti e di valori. Ho fatto questa doppia precisazione perch in italiano il termine fondamento rimanda semanticamente ad una sorta di base sottostante, di pavimento sopra cui vengono collocati i vari arredamenti della casa. Questo inganno semantico deve per essere subito segnalato. Il fondamento come sostanza sottostante si dice in greco antico hypokeimenon, che  anche il termine per indicare il soggetto inteso come substrato di conoscenze, passioni, desideri. Il fondamento come essenza si dice in greco antico ousia, e rimanda a ci che caratterizza in modo essenziale una sostanza (ad esempio, luomo  un animale essenzialmente razio- nale e sociale). Ma le vere ed uniche parole per indicare il fondamento restiamo solo aitia e logos, che non sono il pavimento di nulla.  necessario che il lettore tenga bene presenti questi chiarimenti semantici, perch se il termine fondamento viene concepito come pavimento ed il termine verit come certezza garantita dallesattezza non  possibile intendere la lettera e lo spirito della mia esposizione. $ 3. La mia esposizione sar strutturata sulla base di quattro momenti suc- cessivi. Ho scelto l'ordine storico-cronologico anzich l'ordine logico e tematico 4 1( | pelle plaisance perch sono stato abituato all'esposizione storica dei problemi filosofici preva- lente in Italia. Non escludo per che anche laltra opzione possa essere utile e illuminante. In primo luogo, comincer ovviamente dagli antichi greci. Prester attenzione ad alcune teorie (in parte alternative, in parte complementari) sull'origine storica, geografica e sociale della filosofia greca per metterle in rapporto con il problema della validit di questa filosofia stessa. Il problema della validit (Geltung) non coincide infatti con quello della genesi (Genesis). La genesi  sempre particolare, la validit, se c',  invece universale. Io ritengo la filosofia greca ed il suo modo di impostare il rapporto fra fondamento e verit valido ancora oggi. Scelgo dun- que decisamente Atene, non Gerusalemme. Non ho niente contro Gerusalemme, in particolare se viene concepita come luogo di incontro e di coesistenza pacifica (il che oggi scandalosamente non avviene) fra le religioni monoteistiche, ma il lettore deve sapere che ad Atene sono a casa mia, mentre a Gerusalemme sono sempre al massimo un viaggiatore curioso. In secondo luogo, esporr la mia personale concezione filosofica della mo- dernit, cio del periodo storico apertosi nel Seicento e nel Settecento, sulla base soprattutto dei tre parametri definiti dai concetti di Scienza, di Materia e di Storia. Non pretendo di dire nulla di veramente originale, perch in questi tre casi adotter le impostazioni a suo tempo sviluppate da Margaret Jacob, Maria Antonopoulou e Reinhardt Kosseleck. Riprender invece nellessenziale la so- luzione data da Hegel (in una interpretazione che devo soprattutto a Geraets). Per me Hegel  grande perch  il pi greco dei moderni, e cercher di chiarire perch penso questo. In terzo luogo, far alcune considerazioni sullo statuto filosofico del pensiero di Marx e del marxismo. A questo tema ho dedicato molti sforzi e molte pagine in passato, e potr dunque essere il pi possibile sintetico. Si tende in genere a pensare che Marx  stato un buon filosofo umanista ed utopico, ma  stato un cattivo scienziato sociale perch non ha azzeccato le sue previsioni (ruolo rivolu- zionario della classe operaia, stagnazione e crollo del capitalismo, eccetera). La mia valutazione  in proposito invertita. A mio avviso come scienziato sociale Marx  stato ottimo, ed i suoi errori di previsione devono essere considerati fisiologici e secondari (tipici comunque di ogni impresa scientifica, fallibile per sua natura), mentre  proprio lo statuto filosofico della sua dottrina che deve essere radical- mente modificato, in direzione di un ritorno esplicito ai greci ed in subordine allidealismo filosofico di Hegel. In quarto luogo, infine, far alcune considerazioni conclusive sulla situazione del dibattito filosofico contemporaneo, pi esattamente sulla congiuntura storica in cui ci troviamo.  necessario avere il coraggio di andare contro corrente. Non bisogna farsi spaventare dalle mode o dall'autorit dei principali filosofi legitti- mati dalla comunit universitaria mondiale, che ha oggi ancora meno sovranit degli stati nazionali europei. Non  sicuro che dalla resistenza possa sorgere la rinascita, ma  almeno possibile che questo possa avvenire. Fd | pelle plasance 5 $ 4. Per cominciare a capire i greci, bisogna prima di tutto comprendere bene leccezionalit della loro cultura. Uso il termine eccezionalit non nel senso di superiorit, ma nel senso di particolarit, di specificit e di unicit. Hegel a suo tempo lo afferm, ma io non oserei mai sostenere che la sapienza filosofica greca  stata superiore a quella indiana o cinese, se non altro perch non conosco a sufficienza le filosofie indiana e cinese per poter dare un giudizio teoretico serio. Il politicamente corretto che  diventato oggi il dogma di tutti gli intellettuali sradicati e superficialmente globalizzati attua un livellamento relativistico fra Socrate e lo sciamano siberiano e fra le tragedie di Sofocle e le danze dellisola di Bali. Il relativismo  la forma di assolutismo oggi prevalente, in quanto fa da supporto all'industria turistica dei villaggi facili e delle transumanze aeree della classe media globale nel mondo dei pittoreschi poveracci che mendicano in un inglese elementare. Ma riconfermando che eccezionalit non significa superiorit nel senso topologico di sopra e di sotto  necessario riaffermare che la cultura filosofica greca  stata qualcosa di assolutamente specifico. Questo non  capito da chi incorpora sbrigativamente i greci in una comune matrice simbolica indoeuropea (il trifunzionalismo di sovranit religiosa, forza fisica e fecondit alla Dumzil), e da chi ne fa deviare la cultura da matrici egizia- ne ed africane (Bernal) o mesopotamiche (Francfort). Queste derivazioni ci sono certamente state, nessuno le pu negare, ed a suo tempo neppure Hegel le neg. Ma Hegel comprese bene il punto essenziale, e cio che i greci assunsero certa- mente la loro mitologia da uno strato indoeuropeo precedente ed assimilarono forti influenze egizie e mesopotamiche, ma rielaborarono tutto questo in modo assolutamente originale ed eccezionale. Chi non comprende leccezionalit greca  del tutto disarmato di fronte al relativismo multiculturale postmoderno, ed  gi pronto per esserne assorbito ed annullato. $ 5. Un approccio pi serio al problema delle origini della sapienza filosofica greca  quello che ne sottolinea il carattere prefilosofico (Giorgio Colli) o religioso (Mario Attilio Levi). Distinguendo fra let dei sapienti e la posteriore et dei filosofi, Colli riprende certamente il grande suggerimento di Nietzsche, e segnala una problematica legittima e carica di suggestione. In quanto a Levi, egli afferma apertamente che la societ greca fu prima di tutto una comunit di credenti di- retta da una oligarchia o da una autocrazia monarchica, anche quando si present sotto le mentite spoglie di una pseudodemocrazia assembleare. Gli approcci di Colli e di Levi sono certo interessanti, ma finiscono con il cancellare ogni specificit dello spazio pubblico greco in cui la razionalit dialogica assumeva una carattere permanente e non solo casuale o congiuntura- le. La distinzione fra una prima et dei sapienti ed una seconda et dei filosofi  comune anche alle filosofie indiane e cinesi (ed in particolare a quelle cinesi). Il ruolo fondamentale dell'elemento religioso nel legame sociale era comune a tutte le societ antiche, dall'Egitto all'antico Israele, dagli etruschi ai romani delle origini. Nessuno contesta il ruolo dei sapienti e dei sacerdoti. Ma dovr pure essere sottolineato il fatto essenziale che gli antichi greci non disponevano 6 C | pelle plaisance di libri sacri e non dipendevano da una religione rivelata, per cui erano costretti per ragionare non tanto a negare i miti, ma a decostruire i loro miti per ricavarne significati razionali. Molto prima di Derrida e del decostruzionismo moderno i greci antichi praticarono il decostruzionismo, partendo dal patrimonio mito- logico non per negarlo ma per tradurlo in linguaggio tradizionale. $ 6. Un'altra corrente interpretativa ha invece insistito sul fatto che i primi fi- losofi, e gli ionici innanzitutto, non tirarono fuori i principi primi ed il problema dell'origine materiale del mondo (la cosiddetta arch) dalla loro testa o da una allo- ra inesistente approccio laico o scientifico inesistente prima dellet moderna, ma dalla trasposizione simbolica di interessi sociali parzialmente ricostruibili.  probabile che Talete fosse un esponente della classe dei sempre naviganti di Mileto, e che lacqua fosse anche un simbolo di legittimazione politica per la classe dei mercanti e dei marinai. Con questo non voglio dire che Anassimene, per cui larch era laria, fosse un esponente simbolico della classe dei costruttori di dirigibili o Eraclito, per cui invece era il fuoco, fosse un esponente simbolico della classe dei fabbri. Ma certamente questo ci fa riflettere sul rapporto organico fra filosofia ed ideologia, cio fra riflessione filosofica e produzione ideologica. Basta non ridurre luna all'altra, e distinguerle bene. Questa impostazione (e penso soprattutto ad Antonio Capizzi) ha per il merito di ricordarci che la filosofia greca nasce come una cosmoteoria, cio come una riflessione globale sulla realt che non separa il mondo naturale ed il mondo politico e sociale, ma li vede entrambi come un insieme ontologicamente non di- stinguibile. Oggi noi siamo talmente abituati a separare societ e natura, scienze sociali e scienze naturali, eccetera, da pensare che lattuale divisione universitaria delle discipline corrisponda veramente ad una separazione esistente nella realt. Il conflitto e la quiete (e gli stessi generi sommi di Platone) percorrono il mondo naturale e sociale come un cosmo unitario. Non si tratta certo dellanticipazione delle cosiddette leggi della dialettica unitarie del positivismo e del materialismo dialettico di Engels e Stalin. La su- periorit dei greci antichi sul marxismo volgare sta in ci, che nei greci antichi il cosmo era percepito intuitivamente come unitario (ci che in effetti ), mentre nei marxismi volgari si sovrappone alla storia reale delle presunte leggi della dialettica che non permettono mai di coglierla nella sua specificit. $7. Un'altra interessante impostazione (sostenuta dallinglese George Thomson e dal tedesco Alfred Sohr Rethel) afferma che i greci poterono unificare concet- tualmente il mondo naturale e sociale sotto lastrazione omogenea del termine Essere perch il suo presupposto era stato la generalizzazione della circolazione mercantile e del conio della moneta (avvenuto prima nellisola di Chio e successi- vamente ad Egina ed altrove). I valori d'uso scambiati come oggetti distinti infatti non sono mai astratti, ma sempre concreti. Solo il valore di scambio monetario d luogo ad un mondo veramente astratto, o meglio,  la cosiddetta astrazione reale di qualcosa di concretamente esistente nei fatti. Se i greci poterono definire fd | pelle plasance vi concettualmente lEssere come to on, lessere in generale senza determinazioni concrete, ci  stato secondo Thomson e Sohn Rethel perch essi hanno simboli- camente duplicato nel mondo concettuale un to on gi esistente, e cio il valore di scambio astratto dell'economia monetaria, estranea a tutte le altre civilt del- lantico Oriente (che infatti sembra che non abbiano mai prodotto un equivalente concettuale dell'Essere dei greci). Questa ipotesi, oggi quasi dimenticata, pu sembrare a molti un po folle. Io per non la trovo tale, anche perch credo che il concetto di astrazione reale in Marx sia sostanzialmente pertinente. Nello stesso tempo essa non mi convince. Solo i greci moderni (che lo hanno mutuato dalla filosofia moderna europea) esprimono il concetto di Essere come to einai, che non a caso non esiste in greco antico. Ma se peri greci antichi l'essere non era un infinito ma un participio, un to on e non un to einai, questo non  solo dovuto a spiegabili ragioni grammaticali e sintattiche, ma  dovuto ad un loro approccio di tipo concreto e materiale alla stessa astrazione dell'essere in generale, che non era mai separata dalla sua con- cretizzazione. Io ritengo che la stessa separazione fra concreto ed astratto, almeno nei termini oggi abituali, fosse estranea al pensiero filosofico greco originale, non ultima ragione questa per la sua presente attualit. S 8. Un approccio forse pi plausibile ci viene offerto a questo proposito dai filosofi italiani Fabio Bentivoglio e Massimo Bontempelli. I filosofi fondatori del pensiero greco vengono individuati in Parmenide ed Eraclito, e non nei naturali- sti ionici presocratici. La filosofia non nasce dalla ricerca dellarch materiale del mondo, ma dalla domanda di senso e dalla minaccia di insensatezza che deriva dalla dissoluzione dell'antica comunit religiosa (impropriamente definita come aristocratica). Lo stesso Essere di Parmenide  visto come unastrazione reale, non del valore di scambio come pensano Thomson e Sohn Rethel, ma dellinsie- me dei valori tradizionali etico-politici della polis di Elea, di cui Parmenide fu legislatore e in cui  ambientato il suo stesso poema. Aristotele, che scrisse la prima storia della filosofia greca, non era pi in grado di comprendere il trauma di questa minaccia di insensatezza, vecchia ormai di pi di due secoli, ed allora fin con il retrodatare ai primi filosofi ionici la propria personale ricerca delle quattro cause. Questa spiegazione  indubbiamente affascinante ed anche storiograficamente legittima. Essa  addirittura migliore a mio avviso di quella di Emanuele Severi- no, che come  noto enfatizza moltissimo la concezione dell'Essere di Parmenide come chiave per la comprensione del nichilismo occidentale, ma non d mai la genesi concettuale di questa concezione. Qui invece la genesi viene data. Resta comunque unobiezione, che cercher di formulare in modo sintetico ma com- prensibile. L'operazione di sottrazione dei valori etico-politici all'opera corrosiva del tempo, per cui viene fissata una Origine ontologicamente immodificabile precedente allo scorrimento nichilistico del Tempo, che tutto corrompe e tutto divora,  un'operazione tipica della Religione, non della Filosofia. In questo modo si risponde certamente alla minaccia dellinsensatezza ed al pericolo della I PA \ pelle plois ance perdita del senso prodotta sia dallo scorrimento del tempo che dallinfinit dello spazio, ma si risponde appunto in modo religioso e non filosofico. La filosofia mette la stessa insensatezza in mezzo (in greco es meson) allo spazio pubblico della comunit, assumendo il rischio dellinsensatezza come suo rischio organico e consustanziale. Sottrarre il pericolo dellinsensatezza a questo meson significa riportarlo alla rivelazione religiosa, che il pitagorico (o il probabile pitagorico) Parmenide riformula in linguaggio ad un tempo sapienziale e razionale, ma sem- pre religioso. Si tratta di un punto a mio avviso di importanza decisiva. $ 9. Sulla base dei ragionamenti sinteticamente ricordati nei cinque paragrafi precedenti, chiarir in questo nono paragrafo la mia personale concezione della natura e della specificit della filosofia greca. Ricordando che il logos  insieme fondamento, ragione e linguaggio, e che ogni isolamento di questi tre termini pu portare fuori strada, sono d'accordo nellessenziale, con il modo in cui Jean-Pierre Vernant imposta la questione. Cos come lo spazio cosmico non  infinito ed inde- terminato, nello stesso modo lo spazio politico si dispone intorno ad un centro (es meson). Gli uomini diventano oi mesoi, quelli che stanno in mezzo, perch solo in mezzo si pu mantenere l'equilibrio politico e cosmico (isorropia), sulla base inscindibile della isonomia (l'eguaglianza davanti alla legge) ed alla isegoria (il diritto eguale a parlare). Prego di prestare attenzione alla convergenza delle tre nozioni di isonomia, isegoria ed isorropia. Il presupposto del dibattito filosofico  appunto lisegoria, in cui gli uomini (oi isoi, ci mesoi) mettono in mezzo (es meson) il fondamento della verit comune (il logos), che non si manifesta per direttamente alla superficie, perch la verit si nasconde (aletheia), e deve essere sottratta alloccultamento mediante appunto lo stesso logos (il fondamento che ispira la ragione e si manifesta fenomenicamente come linguaggio). Come ha sempre sostenuto Mario Vegetti, l'opposizione fra lacropoli, luogo del sacro e degli hier (gli interessi sacri che concernono gli dei) e lagor, luogo degli hosia (cio degli affari profani che concernono la citt umana),  strutturale e fondamentale. Non bisogna per cadere nel fraintendimento moderno per cui lagor diventa la matrice del cosiddetto laicismo e lacropoli resta il luogo della pura religione. Non bisogna dimenticare mai che i greci non avevano testi sacri di una religione rivelata, e non potevano pertanto neppure per analogia ragionare come i cristiani, gli ebrei ed imusulmani. L'acropoli mette es meson il rapporto con gli dei, lagor mette es meson il rapporto fra gli uomini. Su questa base, d'accordo con Gabriele Giannantoni, ritengo che il vero fon- datore della filosofia greca sia lateniese Socrate. Egli si autopercepisce come un tafano, un moscone che non smette di dare fastidio al nobile cavallo della polis degli ateniesi. Ma questo  il suo contributo alla comunit, pi esattamente al Bene della comunit. Solo la comunit infatti, pu mettere il Bene es meson, cio in mezzo. Fuori della comunit, il Bene non  che una astrazione vuota, sostan- zialmente non filosofica. gd | pelle plasance 9 $ 10. Se si comprende quanto ho cercato di dire nel precedente paragrafo, che sintetizza telegraficamente la mia personale opinione sulla questione, si capir anche l'errore di chi contrappone il logos come linguaggio fabbricatore di signi- ficati arbitrari e concordati ed il logos come fondamento veritativo e ragione uni- versale. Questa contrapposizione  tipica del relativismo del tempo presente, che si basa su di un dialogo programmaticamente non veritativo in cui i significati pi credibili vengono costruiti con le argomentazioni pi plausibili ed apprezzate. Ma questo approccio non era neppure chiamato filosofia dai greci antichi, ma era correttamente definito come retorica, in un senso molto pi vicino a quello di Isocrate che a quello degli stessi sofisti. La polemica di Isocrate contro Platone si sviluppa infatti non tanto come proposta di una filosofia alternativa a quella platonica, quanto come negazione frontale della filosofia in quanto tale in favore della retorica elogiata in quanto tale. Isocrate era in proposito molto pi onesto dei pensatori postmoderni alla Richard Rotary, che propongono la retorica ed anzich chiamarla con il suo nome la chiamano scorrettamente filosofia. Questa  la ragione per cui sbagliano coloro che, come la studiosa francese Barbara Cassin, contrappongono il linguaggio al fondamento veritativo, e si inventano una tradizione logologica, che costruirebbe la ragione attraverso lo scambio linguistico, ad una tradizione ontologica, che pretenderebbe invece di conoscere lessere in s e le sue determinazioni. Questa mi sembra l'ennesima grande narrazione, che isola artificialmente due tradizioni, quella ontologica che va da Pitagora a Hegel, e quella logologica che va dai sofisti a Freud al po- stmoderno. In realt il termine stesso di ontologia non esiste neppure in grado antico, e nasce solo in Germania nel Seicento. I vari equivalenti dellinesistente termine di ontologia (la teoria delle idee di Platone, la filosofia prima di Ari- stotele, ecc.) non significano in realt assolutamente ontologia in senso moder- no, perch la filosofia prima come filosofia del fondamento veritativo  filosofia del logos della comunit, e non descrizione di una sorta di cielo o di pavimento da cui il linguaggio proviene o su cui il linguaggio cammina.  meglio dunque lasciar cadere queste inutili grandi narrazioni. Esse danno l'impressione ai dilettanti di disporre di un filo conduttore dell'intera storia del pensiero, ma  un'impressione del tutto illusoria. $ 11. Insistendo sul fatto che il logos insieme ontologico e dialogico  il solo vero fondamento autosufficiente del pensiero filosofico, e non ve ne sono altri sovraimposti o integrativi, la saggezza greca rifiuta l'ipotesi che vi sia anche una apokalypsis, cio una rivelazione segreta dei progetti della divinit monoteisti- ca. Le apocalissi si presentano regolarmente nel corso della storia, spesso in forma imperfettamente secolarizzata e laicizzata, come ad esempio la previsione marxista del crollo inevitabile del capitalismo o la profezia di Fukuyama sulla fine imperiale della storia. Ma il logos  nemico delle apokalypseis. Accomunate dal logos, che nellautentica forma originaria della filosofia  messo in mezzo, es meson, tutte le varie scuole filosofiche greche (platonismo, aristotelismo, epicu- reismo, stoicismo ecc.), che ci sembrano oggi cos diverse, si rivelano invece come 10 C | pelle plaisance ricche varianti plurali di un unico stile di pensiero, che ci permette di parlare di filosofia greca in generale. Bisogna che la differenza fra gli alberi non ci faccia perdere di vista che si tratta sempre di una sola foresta. Certo, quando ci accostiamo ad esempio a Platone, vediamo che la contraddi- zione passa allinterno della sua stessa opera fra un aspetto socratico, razionale e dialogico, ed un aspetto pitagorico, sapienziale e rivelativo. Ma a mio avviso l'elemento socratico prevale sempre su quello pitagorico, nella forma se non nel contenuto. Secondo me coglie il centro del problema Mario Vegetti, quando dice che in Platone si crea di fatto una tensione teoretica fra un elemento aperto, il Bene, ed un elemento chiuso, lUno.  normale che Platone finisca con lidenti- ficare i due elementi sotto il dominio pitagorico e geometrico dellUno, aprendo cos la via al neo-platonismo ed all'uso teologico del suo pensiero. Ma lidea del Bene per sua irresistibile natura continua ad essere un fondamento aperto, perch sempre sottoposto sia alla ragione che al linguaggio (logos). E questo, si badi bene, del tutto indipendentemente dalle intenzioni soggettive pitagorico- sapienziali dello stesso Platone. Un altro punto fondamentale  colto da Jacques Derrida, quando segnala il doppio carattere del termine pharmakon, ad un tempo medicina e veleno. Il so- spetto di Platone per la parola scritta e la sua aperta preferenza per quella orale, sempre presente all'ascoltatore, non  fatto risalire in modo sociologico alla cul- tura orale sapienziale precedente, ma  correttamente individuato nel fatto che la parola scritta si disperde in una molteplicit di interpretazioni frammentate, inevitabili nel rapporto solitario ed individuale del lettore con la parola scritta che non pu mai parlare, pronunciando la sola vera interpretazione autentica. Il fatto poi che Derrida ne tragga spunto per contrapporre il decostruzionismo al logocentrismo  interessante, ma non  il cuore del problema.  vero infatti che la parola filosofica scritta e sottratta alla presenza del dialogo parlato finisce con lassomigliare pericolosamente alla parola rivelata della Bibbia, dei Vangeli o del Corano, e diventa un semplice segnale da interpretare. La filosofia porta dunque dentro di s, nel momento in cui passa dalloralit alla scrittura e perde il centro comunitario, il meson, la possibilit della sua trasformazione in una ermeneu- tica interminabile. E lermeneutica interminabile, lungi dall'essere il segnale di una festosa seduta decostruzionistica, laicizzata, , a mio avviso, sempre la porta della teologia. $ 12. Sono cos giunto alla conclusione sul primo punto annunciato nel para- grafo 3. Mi resta solo da manifestare la mia personale opinione sulla dinamica storica di dissoluzione della filosofia antica nel periodo dei regni ellenistici e poi dell'impero romano. In proposito, credo che sia necessario respingere subito la teoria tautologica della decadenza, che Nietzsche fa addirittura risalire al ri- sentimento ed al rancore plebeo dei deboli e dei malriusciti. In realt, si tratta del fatto che il logos ontologico e dialogico presuppone un meson, un centro comuni- tario, mentre il Regno, e cio la basileia (pronuncia consigliata: vassila) instaura invece una dimensione verticale di dominio, che si manifesta prima come potere n Ad \ pelle plasance 11 militare dispotico e viene poi introiettato come potere provvidenziale, imposto cio dalla pronoia (provvidenza). La filosofia pu soltanto sopravvivere come conferenza colta alla Apuleio, allinterno di un inferno metropolitano descritto da Marziale e da Giovenale. I filosofi diventano ridicole macchiette dalla barba sporca irrise da Luciano di Samosata, oppure imperatori alla Marco Aurelio che non mettono in mezzo nessun logos dialogico, ma riflettono sulla totale insen- satezza del mondo. Questo fu compreso molto bene da Hegel, quando parl della basileia roma- na come di un luogo in cui gli individui sono posti come atomi in cui il solo elemento concreto  il prosaico dominio pratico, ed in cui regna ovunque il disorientamento ed il dolore per l'abbandono da parte di Dio. Non si poteva a mio avviso cogliere meglio il centro del problema. In proposito, nulla  pi signi- ficativo del modo di impostare il problema. In proposito, nulla  pi significativo del modo di impostare il problema di Paolo di Tarso (cfr. Lettera ai Corinzi, 7, 20- 4). Paolo propone una triplice via di liberazione ai liberi, agli schiavi ed ai liberti sulla base di un comune asservimento al potere divino. In mezzo, es meson, non c' pi la libert ed il logos, ma lasservimento consapevole vissuto con gioia. Qui si ha solo leffetto della distruzione della comunit umana che si disperde in atomi e pu soltanto pensare la propria ricostruzione in termini celesti. Ma a questo punto la filosofia greca se ne  andata, e Roma e Gerusalemme hanno scacciato Atene. $ 13. L'essenza della modernit  colta da Jurgen Habermas nella rinuncia ad ogni pretesa di valore conoscitivo del logos filosofico, prima ridimensionato e poi espulso dalla scienza. La mia opinione  esattamente contraria. Quella che Habermas chiama modernit  in realt la post-modenit, pi esattamente la deformazione postmoderna della modernit stessa. La modernit, che a mio avviso si costituisce in un processo sostanzialmente unitario da Spinoza a Marx (passando per Kant e per Hegel),  invece caratterizzata da una consapevole ripresa del logos razionale e dialogico autosufficiente (non asservito cio alla razionalizzazione della teologia monoteistica cristiana, ebraica e musulmana). Questo logos culminer con la filosofia della storia di Hegel e con la scienza della storia di Marx (entrambe ovviamente aperte, imperfette ed ampiamente correg- gibili). Questo logos  ancora attuale, e non  stato affatto sorpassato. Come ci insegna un bellissimo film italiano degli anni Sessanta un sorpasso azzardato pu portare alla morte dellincauto sorpassatore. Io respingo ogni tentativo di separare Spinoza da Hegel, e Hegel da Marx (come da trent'anni ormai propone Antonio Negri). Approvo invece ogni tentativo di mettere in rapporto di continuit dialettica Kant, Hegel e Marx (come ha recen- temente fatto Alberto Burgio). Non si tratta di certo di espungere artificialmente tutti i pensatori scomodi ed anomali (primo di tutti Rousseau), e neppure di costruire l'ennesima grande narrazione. Si tratta di comprendere che la moder- nit non intende espellere il logos filosofico, ma ridefinirne i limiti e la potenza sulla base non solo di alcune novit categoriali (e qui ricorder brevemente solo la Scienza, la Materia e la Storia), ma della radicale diversit sociale e politica 12 C | pelle plaisance rispetto al mondo greco, sulla base della fine della schiavit e della discrimina- zione femminile. $ 14. Come disse a suo tempo correttamente Hegel, Spinoza  linizio essen- ziale di ogni filosofare moderno. Io mi permetto di interpretare questo giudizio lusinghiero come un riconoscimento del fatto che Spinoza torna veramente alla concezione greca antica del logos come fondamento razionale autosufficiente estraneo ad ogni rivelazione divina. Da un punto di vista storico  certo importante ricordare la filosofia cartesiana, il meccanicismo e le stesse influenze libertine. Ma sul piano teorico ci deve essere dato per acquisito. Il filosofare moderno inizia con un consapevole ritorno allo stile razionale dei greci, con una critica religiosa a tutte le letture irrazionalistiche della Bibbia e con una critica politica a tutte le forme di dispotismo. Sono questi i tre elementi portanti del pensiero di Spinoza. Egli compie anche una critica ad ogni concezione antropomorfica della divinit, ed in questo modo mette le basi di ogni possibile futura critica dell'ideologia, perch ogni ideologia  sempre intessuta di due elementi fittizi, lipostasi (e cio la trasformazione inconsapevole di un particolare in un universale) e lantropomor- fizzazione (e cio la costruzione di tipo grande-narrativo di una storia continua e circolare, dotata di unOrigine, di un Soggetto e di un Fine). Egli distingue infine correttamente fra un secondo grado di conoscenza (scientifico) ed un terzo grado di conoscenza (filosofico), ed in questo modo non cade nella trappola positivistica di assorbire il terzo nel secondo. Si noti che con Spinoza abbiamo a che fare con un pensiero che  simulta- neamente forte, cio radicato in un fondamento, ed apertamente libertario e democratico. Egli  dunque una smentita vivente alla tesi di fondo del cosiddetto pensiero debole italiano, per cui un pensiero filosoficamente forte, cio fondato,  politicamente pericoloso perch pu prescrivere comportamenti obbligatori legittimati dalla sua pretesa di conoscenza della verit.  esattamente il contra- rio. Solo un pensiero debole, che rinuncia ad ogni fondamento dialogico e razio- nale (e vuole cio un dialogo non veritativo, e dunque retorico e non filosofico), pu legittimare comportamenti prescrittivi autoritari, e lo fa continuamente in nome di argomenti non filosofici, ma utilitaristici e geopolitici, e si veda la siste- matica approvazione del pensiero debole verso tutte le guerre imperiali a partire dallIrak 1991 fino alla Jugoslavia 1999. Spinoza  l'esempio di un pensiero forte e non prescrittivo. Solo la mancanza di logos mi costringe a supplire a questa mancanza con un bastone chiodato. $ 15. Esiste una leggenda filosofica infondata, pigramente ripetuta da secoli, per cui la scienza moderna, o meglio la rivoluzione scientifica moderna, sarebbe nata da una rivoluzione laica ed antireligiosa, che avrebbe imposto una concezione sperimentale e quantitativa, e cio matematica, del mondo ad una societ rilut- tante invischiata nei due sterili poli opposti dellaristotelismo o del naturalismo panteistico (chiamato a quel tempo ilozoismo), irrazionali barriere poste dal- n Al \ pelle plasance is l'ignoranza e dalla superstizione al progresso irreversibile e trionfale delluomo (e cio del borghese prima mercante, poi industriale ed infine finanziere). Le cose non sono andate in questo modo. Recenti studi di Margaret Jacob e di Robert K. Merton hanno accertato il nesso strettissimo fra il protestantesimo biblico, soprattutto nella sua versione puritana, e l'affermarsi sociale della scienza moderna. Il pensiero di Bacone, lungi dall'essere una anticipazione seicentesca del positivismo, era un pensiero millenaristico, che accoglieva le profezie bibli- che per cui la nuova scienza svolgeva una funzione liberatrice di utilit sociale. Si tratta di quella grande instaurazione di cui ha poi parlato Charles Webster. Boyle e Newton hanno legato strettamente la scienza matematica e sperimentale della natura con la presenza costante del divino nel mondo e nellarmonia della natura, pitagoricamente garantita dalla struttura matematica del creato. Richiamo qui una tesi ben nota agli studiosi e agli specialisti perch essa non  affatto nota alle persone di media cultura, legata allo stereotipo della lotta laica del progresso scientifico contro la superstizione religiosa. Certo, ammetto che anche se la genesi della scienza moderna  legata al messianesimo bibli- co, la sua affermazione universale finisce con leroderne le basi (morte di Dio, ecc.). Ma questa genesi non  affatto filosoficamente innocente. Essa si porta infatti dietro come suo rimosso proprio lidea dellonnipotenza della scienza, ed insieme del suo carattere provvidenzialistico. Con il positivismo e poi con il marxismo volgare questa idea si  imposta ai borghesi ed ai proletari come unovviet non pi bisognosa di esame critico razionale.  stato grande merito della filosofia moderna, in particolare di Kant e di Hegel, l'aver criticato questa concezione religiosa della scienza. Kant, spesso erroneamente considerato un apologeta assoluto della scienza moderna,  in realt il sostenitore di un primato della ragion pratica sulla ragion pura, e cio di un primato di una metafisica della libert sulla scienza dei fenomeni determinati necessariamente. Hegel, spesso erroneamente considerato un nemico delle scienze della natura, era invece un aperto difensore della grandezza dellintelletto scientifico (Verstand) e della sua funzione indispensabile. Semplicemente, essi rifiutavano il consenso ad una concezione religiosa e prescrittiva di una scienza biblicamente secolarizzata come provvidenziale ed onnipotente. $ 16. Il concetto scientifico moderno di Materia nasce per la prima volta fra il Seicento ed il Settecento, e non ha dunque una relazione di continuit e di omo- geneit con Democrito, Epicuro e Lucrezio. Non esiste dunque, e non pu esistere, nessuna grande narrazione continua ed omogenea che metta in scena la con- trapposizione politica ed ideologica fra materialisti (buoni) ed idealisti (cattivi). Il fatto che persone intelligenti come Engels e Lenin abbiano sinceramente creduto a questa contrapposizione millenaria non significa che essa sia veramente esistita. La stessa teoria dei modi di produzione di Marx, cui si fa talvolta riferimento per avallare questa grande narrazione filosofica inesistente, non pu in nessun modo legittimarla, perch non si tratta di una teoria degli stadi successivi (schiavismo, feudalesimo, capitalismo, ecc.) che si svolgono dentro una sorta di conduttura 14 C | pelle plaisance temporale omogenea, ma di una teoria della discontinuit qualitativa degli interi sistemi sociali, e dunque anche dell'eventuale ruolo ideologico della filosofia dentro di essi. Il cosiddetto materialismo, allora, o  una visione del mondo individuale disincantata della realt (come in Giacomo Leopardi), o  una forma di ateismo, in cui si ribadisce che se tutto  materia allora Dio, che ovviamente non pu essere materiale, non esiste. La fonte moderna di questa concezione  Cartesio e soprattutto i cartesiani. Essi erano chiamati in latino nullibisti (e cio in nessun luogo), perch negando che Dio potesse occupare una porzione limitata di estensione spaziale, e nello stesso tempo che potesse occuparla integralmente (tesi ovviamente panteistica), affermavano che egli esisteva, ma non stava in nessun luogo (nullibi). Una studiosa greca, Maria Antonopoulou, ha recentemente sostenuto la tesi per cui il concetto unitario, astratto ed omogeneo di materia nasce soltanto nel Settecento, in omologia e concomitanza con la diffusione della forma di merce capitalistica, che amava pensare ad un medium omogeneo altrettanto unitario ed astratto in cui circolare senza impedimenti. Si tratterebbe dunque di una vera e propria astrazione reale nel senso di Marx. Nel $ 7, a proposito di Thomson e di Sohn Rethel, ho gi fatto riferimento ad una teoria analoga sul rapporto fra nascita della forma di merce e di denaro-moneta e nascita delle astrazioni filoso- fiche pi generali come quella di Essere. Se per questa teoria retrodatata al VII secolo a.C. pu non sembrare convincente, essa mi sembra molto pi plausibile se aggiornata al vero e proprio inizio del capitalismo moderno. In ogni caso, non si tratta qui di adottare l'ipotesi della Antonopoulou. Si tratta di far riflettere tutti i cosiddetti materialisti che credono di difendere fieramente una tesi ope- raia, proletaria e rivoluzionaria, e non si rendono neppure conto dellinnegabile rapporto di omogeneit fra merce astratta e materia astratta. $ 17. Nulla sembra pi semplice del concetto di Storia. Essa sembra una pratica antichissima, legata ad Erodoto ed a Tucidide, a Polibio e a Tacito. Ma le cose non stanno esattamente in questo modo. Secondo lo studioso tedesco Reinardt Kosel- leck, la storia come concetto trascendentale riflessivo, cio come unificazione concettuale dell'intera temporalit universale pensata in modo potenzialmente omogeneo ed unitario, nasce solo nel Settecento. Prima c'erano state soltanto delle storie universali bibliche a sfondo religioso o messianico, oppure delle storie particolari (storia di Roma, storia di Napoli, ecc.). La storia comincia a ri- flettere non solo sui suoi personaggi, ma addirittura su se stessa (ed ecco perch  trascendentale e riflessiva) in un periodo di tempo che secondo Koselleck va dal 1750 al 1790. Se questo  vero (ed io penso che lo sia nellessenziale), c' allora materiale sufficiente per una nostra riflessione. $ 18. Riassumo qui brevemente il contenuto teorico dei tre paragrafi precedenti. La Scienza, la Materia e la Storia sono le tre principali novit (anche se non certo le sole) che la modernit non eredita dal patrimonio della filosofia greca, ma che trova costituite nel suo stesso orizzonte temporale, storico e sociale. Se n Ad \ pelle plasance 15 vogliamo applicare in modo brutalmente dogmatico la teoria di Marx della cosid- detta astrazione reale  evidente che il nuovo modo di produzione capitalistico, inesistente al tempo degli antichi greci, doveva dotarsi di una forza produttiva (la Scienza), omogeneizzare spazialmente il luogo di circolazione delle merci (la Materia) ed infine omogeneizzare temporalmente il luogo di sviluppo della riproduzione del rapporto di capitale (la Storia). Questo per non  sufficiente. La filosofia, infatti, non pu soltanto registrare lesistenza di astrazioni reali desunte dai rapporti sociali di produzione come una pura proiezione concettuale di forze materiali sottostanti. Molti marxisti hanno pensato e pensano questo, ed anch'io lho pensato a lungo, insieme con Sohn Rethel e con la Antonopoulou. Certo, anch'io credo che sia necessario prendere atto di questa registrazione, e mi oppongo ai non-marxisti che non lo fanno, e che non sospettano neppure che ci sia questo problema. Ma oltre alla registrazione ci vuole anche una sistema- zione concettuale. E questo mi permette finalmente di introdurre la nozione di sistema a fianco di quelle di fondamento e di verit. Ho atteso volutamente per farlo il $ 18, perch voglio chiarire la mia personale concezione di questa cate- goria. Con la parola sistema (in greco systema, pronuncia consigliata sistima) si intende in filosofia una totalit deduttiva del discorso. La parola, totalmente sconosciuta nel periodo classico, fu adoperata per la prima volta dal medico scet- tico Sesto Empirico per indicare l'insieme delle premesse e della conclusione o il semplice insieme delle premesse. Le filosofie classiche erano sistematiche, e quelle ellenistiche erano addirittura organizzate in un sistema triplice (logica, fisica ed etica). Hegel sostenne che la verit filosofica coincide con l'esposizione scientifica, e dunque sistematica. Personalmente, non ho mai creduto alla possi- bilit di separare il metodo ed il sistema di una filosofia, secondo l'approccio che Engels consigli a proposito della filosofia di Hegel. Ma non  ancora questo il punto che intendo veramente sottolineare. La filosofia moderna, e solo questultima, ed in particolare Hegel, deve in ogni modo sistemare l'irruzione delle nuove categorie di scienza, di materia, di storia, ma anche di individuo libero, eccetera, dentro un logos moderno che presenta novit rispetto a quello antico. In poche parole, un vero e proprio ritorno con- sapevole ai greci presuppone che si sistemino alcune novit prodotte dal tempo storico. E cos il pensiero scientifico, la materia fisica ed il progresso storico ven- gono sistemati in una nuova concezione che per tiene ferma l'eredit greca del carattere conoscitivo della filosofia. Non vi  qui lo spazio per mostrare come tutte e tre queste dimensioni vengono tenute in considerazione nel pensiero di Hegel, che appunto per questa ragione sistematica pu essere considerato il punto culminante, e purtroppo oggi ancora insuperato, del logos veritativo moderno. $ 19. Nel precedente $ 2 ho gi fatto notare che il logos antico, cio il fonda- mento veritativo della filosofia classica, che Platone chiam Bene (in sostanziale accordo anche con le altre scuole filosofiche non platoniche), era aperto e non chiuso. Non era dunque un fondamento di tipo pavimento, ma un fondamen- to di tipo finestra. Ed era un fondamento aperto sia che si presentasse come 16 CA | pelle plaisance discorso orale, tenuto aperto dalla conversazione e dal dialogo, sia che si presen- tasse come discorso scritto, in cui per la dispersione nella illimitata catena delle interpretazioni poteva trasformarlo in un pharmakon velenoso. In ogni caso, il sistema moderno di Hegel di esposizione della conoscenza filosofica  altrettanto ed ancor pi aperto, e non  per nulla chiuso. Il filosofo Geraets afferma che l'apertura del sistema hegeliano si ha nello Spirito Assoluto, ma io sono ancora pi estremista di Geraets, perch penso che l'apertura sia presente anche nello Spirito oggettivo (famiglia, societ civile, Sta- to), generalmente considerata un luogo chiuso del sistema hegeliano. Vediamo meglio.  possibile pensare che Hegel ritenesse le sue concezioni della famiglia (so- stanzialmente patriarcale), della societ civile (strutturata in corporazioni pro- fessionali) e dello Stato (che non era un baraccone burocratico autoritario, ma una sorta di partito progressista prussiano di centro-sinistra, secondo larguta definizione dello studioso olandese Adrian Peperzak) come il prodotto definitivo ed insuperabile del tempo storico. Bisognerebbe allora trarne la conclusione che egli era ancora pi stupido di Fukuyama. Ma io rilutto a trarre una simile sciocca conclusione, che attribuirebbe ad Hegel unautoconsapevolezza filosofica minore di quella di un giornalista medio delle pagine culturali dei quotidiani. Hegel non poteva essere cos sciocco da pensare di scendere a pianterreno in veste da camera e pantofole per decretare la fine della storia universale.  pi probabile che egli pensasse che nel suo tempo storico, pi esattamente nel suo tempo ap- preso con il pensiero, il massimo di realt razionale conseguibile fosse quello di una famiglia s patriarcale, ma anche fondata sulla libera scelta matrimoniale, sull'amore coniugale e sull'educazione comune dei figli, quello di una societ civile e professionale non ridotta alla civil society del dominio di una opinione pubblica asservita agli interessi economici dei potenti del denaro, ed infine quello di uno stato in grado di andare oltre i vecchi ceti signorili allora difesi da Metternich. In questo modo Hegel diventa meno sciocco, ed infatti cos io preferisco pensarlo. Geraets porta molti buoni argomenti per sostenere la natura aperta del sistema hegeliano. In particolare egli fa capire che non esiste in realt fine dellarte, fine della religione e fine della filosofia, ma che in tutti e tre i casi si tratta di fini provvisorie legate al tempo storico determinato di Hegel, che dava giudizi de- terminati sull'arte romantica, sul cristianesimo protestante luterano e sul proprio stesso sistema filosofico. Si tratta sempre di conclusioni non conclusive. Il logos moderno non sbatte mai davanti a porte chiuse, ma possiede sempre delle chiavi per aprirle. $ 20. E possiamo ora passare a Marx ed al marxismo. In proposito, io ho gi scritto molto su questi due argomenti, e potr perci essere in questa sede rela- tivamente veloce. In estrema sintesi, io penso che Marx abbia realizzato un vero progresso conoscitivo rispetto ad Hegel sul piano della storia come scienza, cio sul piano della concettualizzazione dei modi di produzione sociali, discontinui n Ad \ pelle plasance 17 e non seriali e successivi, ma abbia purtroppo invece accompagnato questo pro- gresso scientifico con un penoso regresso filosofico, che consiste invece nella ne- gazione di uno specifico valore conoscitivo della filosofia stessa. In questo modo il sistema va in cento pezzi e la Scienza, la Materia e la Storia, che la filosofia classica tedesca si era ben guardata dal far diventare i fondamenti del pensiero, lo diventano con risultati catastrofici. Ma i concetti e le pratiche moderne della scienza, della materia e della storia non sono mai veri fondamenti, e tantomeno fondamenti veritativi, ma solo astrazioni reali la cui genesi materiale non porta mai ad una validit universale. Ho riassunto in breve la mia tesi negativa sulla (non)-filosofia di Marx. Ma prima di procedere devo ancora segnalare un equivoco oggi diffusissimo, e cio il fatto che dopo la grande crisi del marxismo degli ultimi tre decenni non  asso- lutamente pi chiaro che cosa voglia dire essere marxisti e chi possa dichiararsi tale. Ci ha portato ad una tragicomica gabbia di matti, per cui alla fine marxista  soltanto chi si dichiara tale, situazione appunto da manicomio. In nessun altro campo umano questo avviene, ed infatti per essere medico, ingegnere, autista e seduttore non basta dichiararsi tale per esserlo.  anche possibile negare con lazzi ed insulti il titolo di marxista a chi ritiene di esserlo, e questo in nome di interpretazioni catacombali e fondamentalistiche del marxismo stesso, che avreb- bero certamente portato al rogo lo stesso Marx. Personalmente, considero Marx il coronamento (contraddittorio)del paradigma teorico moderno, non il fondatore del marxismo. I fondatori del marxismo furono storicamente Engels e Kautsky, in assenza forzata (perch causata da un precedente decesso) dello stesso Marx, che non fu mai marxista e lo disse anche in modo filologicamente accertabile. Io non voglio assolutamente caricare tutto sulle spalle del povero Engels, che mi  anzi personalmente ancora pi simpatico di Marx, ma purtroppo cos . Del resto anche Paolo di Tarso, e non Ges di Nazareth, fu il fondatore del cristianesimo che conosciamo. Per fare un esempio di quanto dico, voglio riportare le parole dello studioso italiano Danilo Zolo: Personalmente ho fatto i conti con il marxismo teorico quasi trent'anni fa, e presumo di averli fatti con seriet. Ho preso congedo dal marxismo per la mia impossibilit di condividerne i suoi tre pilastri teorici: la filosofia dialettica della storia con le sue presunte leggi scientifiche dello svi- luppo; la teoria del valore-lavoro come base della critica del modo di produzione capitalistico e come premessa della rivoluzione comunista; la teoria dellestin- zione dello Stato ed il connesso rifiuto dello stato di diritto e della dottrina dei diritti soggettivi. Non si pu negare che Zolo si sia espresso in modo mirabilmente conciso e chiaro per motivare il suo congedo dal marxismo. Vi  per un paradosso. Personalmente io mi dichiaro tuttora marxista, e nello stesso tempo sono pienamente d'accordo con Zolo nel congedo da tutti e tre questi (presunti) pilastri teorici del marxismo. Se il marxismo fosse questo, io sarei dieci volte meno marxista di Zolo. Allora, o Zolo si inganna, o io mi inganno, e si tratta di due possibilit da prendere entrambe in considerazione, 18 (C | pelle plaisance oppure come  pi probabile oggi il marxismo  giunto di fatto ad un tale punto di disgregazione teorica e sistematica da richiedere una discussione complessiva radicale. Essa tarda, perch la comunit residua di marxisti rimasti  una comu- nit conservatrice, ideologica ed identitaria, che non potr mai portare a termine nessuna discussione, perch ogni discussione non  tale se non investe appunto i fondamenti, e le comunit identitarie ed ideologiche non possono investire i loro fondamenti. Nessuna societ di astronomi geocentrici potr mai avallare un paradigma copernicano, come qualunque bambino sveglio pu capire. $ 21. In questo paragrafo cercher di esporre in estrema sintesi la mia personale spiegazione della genesi storica e psicologica delle ragioni per cui il giovane Karl Marx scelse di fondare la sua concezione del mondo non su di un fondamento filosofico, ma su di una programmatica non-filosofia. Il cosiddetto umanesimo rivoluzionario non  infatti un fondamento filosofico in senso proprio, e la co- siddetta rottura epistemologica (ammesso che sia mai esistita, il che io consento solo in parte)  comunque un episodio interno alla storia della concettualizzazione scientifica dei modi di produzione e dei loro concetti satellitari (forze produttive, rapporti sociali di produzione, ideologia), e non  certamente un fondamento filosofico. Se esaminiamo lopera giovanile di Marx Critica della filosofia del diritto di Hegel, che  il punto di partenza politico e psicologico della rottura di Marx con la societ borghese tedesca da cui proveniva, vediamo che essa contesta soprat- tutto la pretesa della classe burocratico-borghese prussiana, che si dichiarava ideologicamente hegeliana, di rappresentare ed interpretare veramente gli interessi generali della societ tedesca del tempo (fine anni Trenta/inizio anni Quaranta dell'Ottocento). Si trattava dunque di una critica molto concreta, in cui il destinatario politico era indicato a chiare lettere. Incidentalmente, questa critica  teoricamente del tutto affine a quella che verr fatta un secolo dopo ai critici della burocrazia politica degli stati comunisti, il che fa di Marx (e non di Trotzky o di Bordiga) il vero interprete ed anticipatore di ogni critica alle pretese universalistiche alle burocrazie politiche. Proseguiamo. In questa critica politica alle burocrazie prussiane che si autoper- cepivano come hegeliane Marx deve ovviamente passare alla critica teoretica, e la basa sulla nozione di ipostasi (poi sviluppata pi di un secolo dopo in Italia da Galvano Della Volpe e dalla sua scuola). Si tratta del fatto che queste burocrazie, appoggiandosi alla lettera (ma a mio avviso non allo spirito) della filosofia del diritto di Hegel, trasformavano surrettiziamente il particolare in universale, senza neppure rendersi conto di stare commettendo un errore logico e storico. Cos la famiglia diventava la Famiglia, la societ civile diventava la Societ civile e lo stato diventava lo Stato. Questa  lipostasi. Fino a questo punto, non si pu negare che Marx avesse ragione, e colpisse al cuore quel procedimento ipostatico tipico anche di tutte le mistificazioni precedenti, schiavistiche, ecclesiastiche, feudali e signorili, ecc. n Ad \ pelle plosance 19 Ma qui appunto si situa il problema che ci interessa. Fino a quando Marx cri- tica la trasformazione ipostatica della famiglia (tedesca e borghese e particolare) in Famiglia in generale come espressione dello Spirito Oggettivo (dimenticando peraltro il contesto con cui Hegel vent'anni prima aveva fatto questa operazione, che era di determinazione storico-ontologica e non di ipostatizzazione logica), non si pu certo dire che abbia torto. A mio avviso ha completamente ragione. Ma qui, appunto, questa negazione del cattivo universale ipostatico diventa ne- gazione di ogni universale filosoficamente fondato, e questo scivolamento  la tragedia del pensiero di Marx. Non a caso questa negazione integrale di ogni universale piace a Della Volpe, che era stato ed era ancora un ammiratore della filosofia empiristica di David Hume, grande negatore di ogni concetto universale fondato veritativamente. Non a caso il rifiuto integrale del marxismo da parte di Colletti, ammiratore di una scienza matematica della natura assolutizzata come nuovo Sapere Assoluto contro ogni filosofia ridotta a patetica metafisica, trover la sua lontana radice proprio in questo rifiuto giovane-marxiano di ogni univer- salismo. E potrei continuare a lungo, ma non  questa la sede. Concludiamo su questo punto. Il legittimo rifiuto del falso universalismo ipostatico degli hegeliani tedeschi scivola nellerrato rifiuto di ogni universale logico-ontologico. Al posto di esso, avremo in Marx un impasto di Scienza, di Materia e di Storia, cio di quelle astrazioni reali non filosoficamente mediate dal pensiero che invece la grande filosofia classica tedesca era riuscita a controllare sistemandole in un insieme teorico organico e coerente. La scienza marxista della storia nasce dunque nel suo stesso fondatore con un pauroso regresso filosofico, di cui a mio avviso paghiamo ancora oggi le conse- guenze. Qui sta a mio avviso il cuore della questione. $ 22. Ovviamente, il fatto che Marx abbia scelto di costruire la sua scienza del modo di produzione capitalistico, nelle tre dimensioni della sua genesi, del suo contraddittorio sviluppo ed infine del suo necessario esisto comunista, facendo a meno di qualunque fondazione filosofica veritativa (nel senso greco e poi spino- ziano ed hegeliano del termine), non vuol dire che non abbia anche di fatto pro- posto una filosofia. Si pu infatti dichiarare esplicitamente di non avere e di non voler nessun fondamento filosofico, ma  impossibile fare a meno di averne uno implicitamente. E questo  ovviamente anche il caso di Marx. Questo fondamento implicito  allora una forma di umanesimo rivoluzionario, in cui luomo  mosso al centro dell'agire storico in senso prometeico (e, del resto, Prometeo era l'eroe preferito di Marx, anche perch si era coraggiosamente opposto agli dei, che nel frattempo erano morti ed erano stati sostituiti dal modo di produzione capitalisti- co. Ma luomo nella storia finisce con il diventare necessariamente l'Uomo nella Storia, ed allora paradossalmente con queste due ipostasi Marx restaura proprio quella logica ipostatica che aveva poco generosamente rimproverato ad Hegel. Se l'uomo si realizza nella storia attraverso l'economia, concepita come il luogo dello sviluppo delle forze produttive e del conflitto distributivo che ne deriva, allora questo Uomo nella Storia finisce con il dar luogo ad una triade filosofica di 20 C | pelle plaisance umanesimo, economicismo e storicismo, triade unificata dalla comune formula di materialismo scientifico Ma quella sommatoria (umanesimo+ economicismo+storicismo) resa uguale a scienza materialistica, non  un vero fondamento filosofico veritativo, e non  dunque garantita da esiti nichilistici. Quanto qui dico in modo telegrafico non fu affatto capito da Louis Althusser e dalla sua scuola. Althusser fa unindebita equazione fra epistemologia e filosofia, dimenticando che lepistemologia ha a che fare con l'esattezza e con la certezza, e la filosofia con la verit, e sulla base di questa indebita equazione sostiene lan- tiumanesimo di Marx. Ma Marx  certamente un antiumanista epistemologico, perch luomo non  uno dei quattro concetti di cui si serve per la sua scienza sociale (modo di produzione, forze produttive, rapporti di produzione, ideolo- gia), ma  per implicitamente un umanista filosofico, perch l'Uomo nella Storia diventa il suo vero ed unico fondamento filosofico implicito. In ogni caso la scienza sociale unitaria che Marx cerc di sviluppare e di cui mise le fondamenta epistemologiche (da non confondere ovviamente con il fon- damento filosofico) fu quella nuova scienza preconizzata a suo tempo pi di un secolo prima da Giambattista Vico. Molte scienze serie, sia sociali che della natura, sono sorte senza fondamento filosofico veritativo, ma si sono creativamente sviluppate lo stesso, e non possiamo negare al marxismo il diritto che diamo alla fisica o alla biologia. L'orizzonte scientifico di Marx resta a mio avviso non solo serio, ma anche di fatto per ora insuperato. Per questo non ho paura a dichiararmi ancora marxista, e ritengo molti eso- di e molti congedi una mossa affrettata, perch  inutile congedarsi se non si riesce a proporre una sintesi epistemologica generale migliore di quella di Marx (prescindendo ovviamente dalle formulazioni che si dicono marxiste ma sono in realt impasti di economicismo volgare, di umanesimo astratto e di storicismo deterministico e/o profetico). Il dichiararsi ancora marxista  per me un doppio atto di resistenza e di modestia. Di resistenza contro i proclamatori della fine capitalistica della storia universale, e di modestia contro coloro che dichiarano sempre di essere oltre Marx laddove sono quasi sempre dietro Marx. In quanto scienza della storia, quella di Marx ovviamente fa errori e previsioni sbagliate senza smettere di essere tale, perch tipico di ogni progetto scientifico  l'errore e lautocorrezione. Non concedendo questo diritto a Marx il teorico della falsificabilit Karl Popper si rivela ingiusto e settario verso Marx stesso. In primo luogo il marxismo non ha scadenze temporali vincolanti per sanzionare la fal- sificazione o meno (1917?1945?1991?2086?2122?, ecc.). In secondo luogo, cos come la fisica ha abbandonato la teoria dello spazio e del tempo assoluto e la chimica la teoria del flogisto senza smettere di essere tali, nello stesso modo il marxismo pu abbandonare le teorie della centralit rivoluzionaria della classe operaia e proletaria e della stagnazione produttiva insita nella riproduzione capitalistica senza smettere di essere tale. n fi \ pelle plasance 21 \ $ 23. La storia del marxismo dal 1880 ad oggi  in realt solo una storia di dif- ferenti, confliggenti e successive formazioni ideologiche marxiste, per usare il termine proposto a suo tempo da Charles Bettelheim. Una storia unitaria del marxismo  semplicemente inesistente,  una grande narrazione a suo tempo giustamente stroncata da Lyotard, ed  solo una risorsa ideologica fantasmatica (immaginativa, avrebbe detto Spinoza) che lega insieme in modo identitario dirigenti e militanti politici. Il marxismo degli intellettuali  a sua volta an- chesso una formazione ideologica specifica, legata alle procedure di legittima- zioni universitarie ed ai limiti di compatibilit con le linee politiche decise dai dirigenti dei partiti di sinistra. Si tratta di storie che hanno pi a che fare con la sociologia dei gruppi che con la filosofia vera e propria, e che sono perci estranee ad un discorso sul fondamento veritativo. Il marxismo  stato incorporato nel Novecento in cinque pratiche politiche principali (sindacalismo rivoluzionario e riformistico, socialismo, comunismo storico novecentesco nella sua linea do- minante, formazioni minoritarie di contestazione fondamentalista, movimenti di liberazione nazionale anticolonialista ed anti-imperialista). In tutte e cinque queste pratiche politiche e sociali non c' mai un inesistente marxismo in ge- nerale, ma solo delle diverse formazioni ideologiche marxiste. Esse non sono l'oggetto di questa mia trattazione. Per concludere provvisoriamente sulla questione del comunismo marxista no- vecentesco, penso naturalmente che la formazione ideologica dominante, il mate- riale dialettico di tipo sovietico, debba essere fortemente separata dal pensiero di Marx, con il quale intrattiene un rapporto simile a quello che Dostojewsky disegn a proposito della relazione fra Ges di Nazareth e del Grande Inquisitore. Nello stesso tempo sono contrario a tutte le spiegazioni per cos dire monologiche del comunismo stesso, per cui esso viene sbrigativamente interpretato sulla base di una sola idea-forza (come l'illusione utopica che si rovescia necessariamente in totalitarismo di Frangois Furet o la proiezione lavorativa sociale della produzione fordista di fabbrica di Marco Revelli). Ogni formulazione monologica di questo tipo non ci dice praticamente nulla di Marx e del marxismo, e ci dice solo molto del profilo teorico personale di chi le propone. $ 24. Passiamo ora al quarto ed ultimo punto della mia esposizione proposta nel $ 3. Non  facile cogliere l'aspetto principale della situazione contemporanea. Dieci anni fa, nel 1992, avrei detto che essa era caratterizzata dalla caduta rovino- sa del comunismo storico novecentesco come sistema di Stati, e dunque da una generale restaurazione capitalistica globale (da cui lodierna globalizzazione, ecc.). Ma oggi, nel 2002, questa caduta rovinosa  stata ormai parzialmente san- cita, stabilizzata e metabolizzata, nel bene o nel male (a mio avviso nel male, per ragioni geopolitiche pi ancora che sociali), e l'aspetto principale sembra ormai la presenza di un vero e proprio impero mondiale. Con il termine di impero mondiale non mi riferisco assolutamente alla formulazione che ne  stata recentemente data in un libro di Antonio Negri e Michael Hardt. Non penso che esista, o sia in progressiva costituzione, una sorta 22 CA | pelle plaisance di impero mondiale deterritorializzato e soprattutto desovranizzato statualmente, costituito dalle polarit opposte e confliggenti di un dominio astratto del capitale da un lato e da moltitudini biopolitiche di disobbedienti dall'altro. Considero questo modello errato per molte ragioni, di cui qui ne ricorder solo due. In primo luogo, si tratta della somma di due paradigmi teorici entrambi erronei, il paradigma politico del cosiddetto operaismo italiano ed il paradigma antropolo- gico desiderante della scuola francese di Deleuze e Guattari. In secondo luogo, non si tratta di un vero testo innovatore rispetto alla tradizione marxista, ma di un testo che piuttosto porta a perfezionare il vecchio paradigma soggettivistico, ovviamente nelle sue successive metamorfosi (dalloperaio-massa fordista alle moltitudini post-fordiste). Questo modello  oggi egemone presso molti gene- rosi confusionari, e lo ritengo non linizio della soluzione di una crisi, ma una manifestazione empirica della crisi in corso. Detto questo, ritengo anch'io per che vi  oggi una situazione imperiale. Ma si tratta dell'impero americano degli USA, che non hanno affatto abolito il vecchio imperialismo antagonistico plurale, ma ne hanno modificato qualitativamente la natura con il nuovo elemento della soverchiante potenza militare asimmetrica, unita ad una egemonia culturale, linguistica e mediatica mai esistita prima nella storia. Questo impero si legittima religiosamente come investito di una messianica missione speciale, e questo spiega perch i suoi capi hanno sempre in bocca Dio, ridotto per ad idolo protestante e sionista. Esso  costituito da due classi, una classe di patrizi ispirati ad un fondamentalismo religioso anglosassone che si  secolarizzato in una forma di integralismo scientifico (e rimando qui il lettore al precedente $ 15, ed una classe di plebei provenienti dallemigrazione e dallo sradicamento di tutti i paesi del mondo, che trovano le loro nuove radici nelladesione ideologica e pratica della missione imperiale. Dal momento che questo testo  di carattere filosofico, e non economico-po- litico, non aggiunger altre considerazioni su questo punto. Esaminer solo tre aspetti direttamente filosofici del nuovo scenario imperiale, e dopo questo potr concludere. I prossimi tre paragrafi saranno cos dedicati ad una ipotesi generale sulla situazione filosofica oggi, alla questione della cosiddetta Tecnica ed infine al problema dell'identit del marxismo in questa nuova inedita situazione sto- rica. $ 25. Per capire la natura profonda dello scenario storico presente voglio ricor- dare la diagnosi filosofica di Hegel sul mondo romano che ho ricordato nel $ 12. Esso era caratterizzato da tre principali elementi, il prosaico dominio pratico, il fatto che gli individui erano posti solo come atomi, ed infine il disorientamento ed il dolore del mondo per l'abbandono da parte di Dio. Ritengo che tutti e tre questi elementi, con le modificazioni temporali tenute in conto, siano oggi non solo presenti ma addirittura caratterizzanti. Iniziamo dal prosaico dominio pratico. Esso  prosaico, perch anche se George Bush tiene sempre ipocritamente la mano sul cuore per ricordare Dio, tutti sentono odore di petrolio e non di incenso, e pertanto sanno che Dio  solo n Ad \ pelle plasance d3 un pretesto ideologico fittizio. Questo prosaico dominio pratico porta moltissimi ad una sorta di rassegnato cinismo, perch tutti sanno che chi ha gi fatto una volta Hiroshima la potr sempre ripetere, e chi lo ha dimenticato subir regolar- mente dei bombardamenti che solo gli sciocchi possono credere che si possano giustificare con motivi etici. Il dominio pratico spaventa la maggioranza, ma esalta alcuni, ed ecco perch Bin Laden cerca di opporsi praticamente scagliandosi contro i grattacieli. Con questo non intendo assolutamente giustificare chi ha voluto l11 settembre 2001 (il giustificazionismo mi  filosoficamente estraneo come lo  la moralit per gli speculatori finanziari), ma solo registrare in modo notarile che se uno vuole giustificarsi sulla base del proprio prosaico dominio pratico verr inevitabilmente ripagato con la stessa moneta. Solo un ristretto circo mediatico di giornalisti strapagati pu inventarsi motivazioni altamente morali dove si vuole solo terra, petrolio, materie prime, ecc., e lo si dice anche nellarti- colo stampato a fianco di quello dedicato alle alte motivazioni etiche della difesa dei diritti umani. Il secondo elemento  il fatto che gli individui vengono posti solo come atomi, e dunque la sola possibile comunit umana  quella del consumo, per cui in mezzo, es meson, non c' pi il fondamento, il logos, ma solo la merce (to emporeuma). Ed infatti la merce  il solo fondamento, non veritativo per eccellenza, del sistema capitalistico, ed il vecchio Marx lo aveva capito, scegliendo metodologicamente di cominciare cos il suo primo libro del Capitale. Da un punto di vista storico, l'affermarsi universale della merce pu essere ripercorso attraverso tre momenti fondamentali. In un primo momento la merce non  ancora astratta, ma  ancora socialmente e qualitativamente determinata, ed esistono allora leggi dello Stato contro il consumo opulento di plebei occasionalmente pi ricchi dei patrizi o dei nobili. In un secondo momento, che ha caratterizzato ad esempio il Novecento, con l'avanzamento della produzione di massa standardizzata la merce tende anch'essa ad essere serializzata ed in un certo senso democratizzata, e questo avviene gi prima dellaffermarsi del fordismo. In un terzo momento, che a mio avviso  iniziato solo da poco, la merce tende a personalizzarsi ad adattarsi ad ogni cliente pagante, fino allutopia capitalistica perfetta di una merce indivi- dualizzata per ogni abitante del pianeta. Questo processo non tende certamente al profilo antropologico che Marx ha definito della libera individualit (con- trapposta all'indipendenza personale borghese), ma ha bisogno di un libero consumatore per potersi affermare. In questo contesto atomistico, in cui la vecchia deviazione (clinamen, pa- rekklisis) epicurea avverr soltanto deviando verso differenti negozi e supermer- cati, lo spazio filosofico, rimasto per definizione senza verit e senza fondamento (perch la merce  un fondamento che ontologicamente e logicamente non pu programmaticamente essere vero, ma solo effettuale), diventa uno spazio di civile conversazione fra individui atomizzati e normalizzati.  questa esattamente la definizione imperiale americana prevalente di filosofia, sintetizzata mirabil- mente da Richard Rorty. La pratica anglosassone della filosofia analitica, che definisce sprezzantemente continentale tutta la tradizione filosofica ereditata 24 C | pelle plaisance da due millenni, riducendo gli antichi greci a progenitori di unetnia minore di operatori turistici e di affittacamere estivi,  appunto del tutto omogenea a questo spazio conversativo ad un tempo interminabile e completamente irrilevante. Il terzo ed ultimo elemento  l'abbandono doloroso del mondo da parte di Dio. Come gi in Hegel, qui il termine Dio sta per indicare un orizzonte di sensatezza, sostituito da uninsensatezza presentata come virile accettazione del disincanto del mondo provocato dal pensiero scientifico moderno. Il mondo ridotto a mercato (il monoteismo del mercato, secondo la corretta formulazione di Roger Garaudy)  appunto un mondo insensato, del tutto abbandonato da Dio, al di l del fatto che stuoli di dignitari religiosi siano spesso presenti alle cerimonie pubbliche in cui troneggiano i capi economici, politici e soprattutto militari del pianeta. Le persone di fede sincera e sofferta, per cui io nutro la massima conside- razione, tardano per a comprendere che lateismo realizzato non era quello delle artigianali scuole sovietiche in cui si diceva che non esisteva un demiurgo stellare creatore della materia ma che la materia stessa era lunico fondamento scientifico e filosofico possibile, ma  quello del dominio totalitario della merce capitalistica (non parlo della merce semplice, perch personalmente non credo nella teoria dell'estinzione integrale della merce, e neppure la auspico). Questo viene spesso ammesso a mezza bocca, ma non  certo cos che si pu lenire il dolore per l'abbandono di Dio, cio dellindispensabile orizzonte di sensatezza, senza il quale, come a suo tempo trascrisse Lukcs, la vita umana avvizzisce fra i due poli dello specialismo e della stravaganza. $ 26. La situazione attuale  da molti caratterizzata come lepoca dell'avvento della Tecnica. Con questa maiuscola, inevitabilmente ipostatizzata, si intende dire con Martin Heidegger con non si allude soltanto ai progressi della tecnologia, o all'applicazione della scienza alla produzione, ma si ha in mente una nuova configurazione globale dellintero spazio della vita umana sia individuale che associata, in cui la precedente tradizione metafisica occidentale si  realizzata appunto in tecnica planetaria. Non ho qui lo spazio per valutare analiticamente questa potente diagnosi di Heidegger. In estrema sintesi, dir che sul piano sto- riografico essa  solo una ennesima grande narrazione continua onnicomprensi- va, un affascinante racconto per studenti del primo anno di filosofia, ma che sul piano descrittivo della situazione attuale essa registra nel rarefatto linguaggio della filosofia una sensazione tragica di perdita globale di controllo da parte degli esseri umani dei loro stessi prodotti, che ormai si autonomizzano e sembrano non essere pi padroneggiabili. Questa sensazione  reale, e non se la  certamente inventata Heidegger. Non la si esorcizza con irrilevanti discorsi sulla pi o meno congiunturale adesione di Heidegger al nazismo nel 1933. A questa diagnosi heideggeriana si possono opporre due tipi di obiezioni fondamentali. La prima  che la nozione heideggeriana di Tecnica  una ipostasi generica ed astorica di qualcosa che  sempre determinato, e che in questo caso  luso capitalistico della tecnica propiziato da una concezione ristretta di scienza. Come si vede, questa critica  simile a quella che a suo tempo fece il giovane A Ad \ pelle plasance 25 Marx a Hegel, e che ho ricordato nel $ 21. La considero una obiezione debole e non conclusiva.  vero che la nozione filosofica heideggeriana di Tecnica deriva da una precedente grande narrazione omogenea e continua che va da Platone a Nietzsche, che di fatto nasconde discontinuit profondissime, e questo  do- vuto al fatto che Heidegger ignora e disprezza la nozione marxiana di modo di produzione, finendo con il fare della storia universale un oggetto di narrazione continua assolutamente simile a quella del marxismo staliniano, e semplicemente invertita (ma invertendo un cubo si ha sempre lo stesso cubo). Ma  anche vero che Heidegger registra pur sempre un fatto reale, e cio che ogni presunto possibile uso sociale alternativo della scienza e della tecnica  fino ad ora rimasto unipo- tesi teorica del tutto ineffettuale, perch priva di portatori storici reali. Prima di irridere alla frase sapienziale di Heidegger, per cui solo un dio pu ancora sal- varci, sarebbe bene non ricorrere alle scorciatoie infantili per cui salveranno la classe operaia dotata di nuovi capi politici, i tecnici informatici collegati in rete o le nuove moltitudini biopolitiche desideranti. Ma per favore, come dicono i due comici di Striscia la notizia! La seconda obiezione consiste nel dire che la nozione heideggeriana di Tec- nica, nel suo pessimismo,  smobilitante e di fatto fortemente apologetica del presente dominio capitalistico, il quale  considerato invincibile perch ormai corazzato dalla Tecnica stessa, eretta cos a divinit idolatrica invincibile. Si tratta di una nuova interiorit all'ombra del potere che di fatto ripropone in vesti heideggeriane la vecchia accusa che a suo tempo Lukacs rivolse agli intellettuali del cosiddetto Grand Hotel dellAbisso. Se non c pi niente da fare, questa  la conclusione, almeno coltiviamo la nostra individualit personale. Ma una simile psyche non pu essere un fondamento filosofico veritativo, ma soltanto una sorta di rifugio anti-atomico fornito delle maggiori comodit possibili. Se la techne  onnipresente, la psyche  impotente, e nessuna operazione cosmetica potr mai nasconderlo a lungo. Tuttavia, anche questa obiezione non  risolutiva. A mio avviso la nozione heideggeriana di Tecnica, che io peraltro non adotto,  al di l della dicotomia classica Ottimismo/Pessimismo. Essa  una sorta di ambiente, (Umwelt) e di imposizione anonima (Gestell), che in quanto tale non pregiudica ontologica- mente e logicamente la prassi umana libera.  certo possibile leggerla come la secolarizzazione novecentesca della ananke degli antichi greci, il destino fatale ineluttabile cui non si pu sfuggire. Ma la questione a mio avviso resta aperta, ed  bene non chiuderla frettolosamente. Io non intendo mettere Hegel e Marx in soffitta, ma nemmeno Heidegger, anche se so bene che molti heideggeriani esaltano Heidegger proprio per legittimare la messa in soffitta di Hegel e di Marx. Affari loro. $ 27. Il destino storico del marxismo oggi nella situazione imperiale descritta nel $ 25 resta incerta. Bisogna distinguere la sua crisi congiunturale dalla sua crisi strutturale. In Italia viviamo unapparente crisi del dibattito marxista universitario per il semplice fatto che non esiste pi la spartizione delle spoglie accademiche 26 C | pelle plaisance della Prima Repubblica fra cattolici, laici e marxisti (traduzione: DC, par- titi laici e PCI). Questa non  una crisi, ma il teatrino delle marionette. I gruppi marxisti fondamentalisti non sono mai in crisi, perch si riproducono sulla base di un commovente autismo manicomiale. La comunit marxista di lingua inglese  un simpatico party tollerante e pluralista in cui alcuni economisti si incontrano con una variopinta umanit no-global di pacifisti, ecologisti, femministe, difen- sori di foche e balene, ecc. Sia chiaro, considero questo un progresso rispetto ai congressi ideologici di intellettuali organici che portavano ognuno il loro con- tributo in attesa delle conclusioni politiche di un capo-burocrate scortato da baffute guardie del corpo. Non  comunque dall'attuale pluralismo accademi- co di mille workshops, in cui lunica sintesi sociale comune  il ristorante, che potremo uscire dalla crisi. Sul piano dell'analisi del moderno capitalismo abbiamo per ora solo membra staccate di spiegazioni economiche, politiche, culturali, ecc. Io stesso mi considero un dilettante in economia e in politologia, oltre che nella sempre pi attuale scien- za militare e strategica, ed ho alcune opinioni pi o meno sensate solo sull'aspetto culturale della moderna crisi, opinioni che esporr brevemente in un prossimo contributo per questa stessa rivista. Ritengo comunque che questo sia normale. La nottola hegeliana viene solo al crepuscolo, e siamo solo all'alba di questo nuovo capitalismo imperiale. Il primo libro del Capitale di Marx non avrebbe mai potuto essere scritto nel 1824 (prendendo ovviamente una data a caso). Sulla questione filosofica del fondamento, della verit e del sistema, oggetto di questo mio contributo, ho invece maturato finalmente con grande fatica e molte contraddizioni personali passate una posizione chiara. Io non posso sapere quali vie prender la futura analisi economica del capitalismo globalizzato contempo- raneo, ma so bene che lattuale deficit di fondazione filosofica veritativa di tutto il discorso anticapitalistico dellemancipazione umana ha gi fatto troppo male per continuare a mantenerlo in nome della lotta allidealismo, di una scien- za senza fondazione filosofica, di una lotta alla metafisica, di un laicismo disincantato, di una contrapposizione fra materialismo ed idealismo, di una civile conversazione senza presupposti veritativi eccetera eccetera. Non sar facile. Gli sbarramenti teorici e soprattutto psicologici saranno enormi. Ma se una prospettiva  aperta, allora possiamo sperare, sia pure in modo cauto e senza eccessive illusioni a breve termine. $ 28. Con questo ultimo paragrafo sono giunto alle conclusioni. Le conclu- sioni, naturalmente, sono che non ci possono essere conclusioni. Tanto meno ci possono essere conclusioni in questo momento, in cui, come ho appena detto sopra, una prospettiva si  appena aperta, una prospettiva che non  stata ancora assolutamente legittimata da una vera comunit anche piccola di pensatori criti- ci dellattuale societ capitalistica. Oggi tutti coloro che si oppongono vengono sbrigativamente etichettati con disprezzo come pacifisti ideologici o come an- tiamericani.  inutile andare a scuola da Isocrate per imparare argomenti retorici per difendersi da queste etichettature spregiative. Questi argomenti ognuno se n Al \ pelle plasance DI li fabbricher facilmente da s. Bisogna invece andare alla scuola di Socrate, di Platone, di Aristotele, di Spinoza, di Hegel, e soprattutto non avere paura della filosofia. Non avere paura della filosofia significa non avere paura della legittimit della conoscenza filosofica, della sua fondazione veritativa, e soprattutto di una concezione del fondamento come apertura logica, ontologica e dialogica. Il resto ci verr dato in sovrappi. Post-scriptum Sono stati recentemente pubblicati due libri di Luca Grecchi (cfr. L'anima umana come fondamento della verit, C.R.T., 2002; Karl Marx nel sentiero della verit, C.R.T., 2003) che meritano una attenta recensione critica. Essa non pu essere fatta in questa sede, ma mi riprometto di farla in futuro, nell'insieme e nei dettagli. Non c' a mio avviso fretta, perch non si tratta di tesi giornalistiche a rapida obsolescenza ed a veloce invecchiamento, ma di tesi incredibilmente controcorrente anche sul piano tematico.  la prima volta a mia conoscenza che un libro con un radicale contenuto di critica sociale al moderno capitalismo viene intitolato lanima umana come fondamento della verit. Io saluto con piacere questa coraggiosa innovazione, anche se non mi nascondo le difficolt di una inversione di tendenza nella attuale situazione spirituale e sociale. Ma non  questo l'oggetto di questo mio post-scriptum. Nei sue due libri Grecchi fa ripetutamente riferimento a miei lavori recenti, in modo quasi sempre molto critico. Dalmomento che mi sono lamentato a lungo che il mio lavoro fosse insegretito dalla comunit intellettuale italiana, in particolare di sinistra, sarei sciocco se ora fossi infastidito dal fatto che del mio pensiero ci si occupa, sia pure in modo fortemente critico. Non vi  per lo spazio, che sarebbe lungo, per rispondere a tutte le critiche analitiche fatte. Per questa ragione rimando questa discussione ad altra sede, e mi limito a toccare tre punti sollevati da Grecchi, il tema del marxismo, del relativismo, e del nichilismo. A proposito del marxismo, non ripeto qui le considerazioni fatte nei $$ 20,23 e 27 del testo che precede. Tutto questo mio testo pu essere del resto letto come una prima risposta alle obiezioni di Grecchi. Se mi si rimproverano errori, con- traddizioni o cambiamenti di posizione nelle mie opere, bisogna esaminare sepa- ratamente queste tre diverse cose. A proposito degli errori, li ammetto volentieri, in nome dell'ultima battuta del film con Marilin Monroe A qualcuno piace caldo, per cui nessuno  perfetto. Sulle contraddizioni, esse sono dovute anche al fatto che ci  voluto per me un lungo sforzo interiore per giungere alla legittimit della problematica della necessit di una conoscenza filosofica distinta nettamente da quella scientifica e dalla pratica ideologica. La filosofia come ancella della scien- za (che ha semplicemente sostituito, e non migliorato, la concezione cristiana medioevale della filosofia come ancella della teologia), oppure la filosofia come strumento dell'ideologia (comunista e proletaria) sono state due cose che mi sono 28 C | pelle plaisance state insegnate negli anni Settanta in modo talmente radicale che liberarmene (senza perdere le cose che avevo imparato pur sotto il dominio di queste con- cezioni errate)  stato uno sforzo di una intera vita. Le contraddizioni sono un ben piccolo prezzo da pagare. In questa ottica devono essere considerati anche i cambiamenti di posizione (in meglio o in peggio tocca sempre agli altri dirlo). Ho insegnato filosofia nei licei italiani per trentacinque anni, ed ho sempre cercato di interessare gli studenti non presentando un pensiero come staticamente perfetto e compiuto in una fotografia che compendia quarant'anni in un solo flash, ma mostrando come Platone ed Aristotele, Kant ed Hegel, Marx e Nietzsche nella loro vita cambiano d'opinione. Gli studenti hanno sempre apprezzato questo, perch ne hanno tratto la conclusione che se cambiano opinione loro che sono sui libri di storia della filosofia possiamo allora cambiarla anche noi. Questo vale non solo per i grandi, ma anche per Costanzo Preve. A proposito del relativismo, Grecchi ritiene che io non ne sia affatto uscito, e ci sia anzi dentro. Relativismo significa sostenere che non esiste un fonda- mento veritativo assoluto, e cio che la verit  relativa. Personalmente ritengo con Socrate che solo l'opinione  relativa, la verit no. Ma la dicotomia Relativo /Assoluto  semanticamente ambigua, perch il termine assoluto  spesso in- teso come sinonimo di compiuto, perfetto, portato a termine, e va dunque contro quella concezione di apertura dellassoluto che ho segnalato nel mio testo come sostenuta da Vegetti per Platone e da Geraets per Hegel. Inoltre il termine relativo, nel senso di particolare, entra a far parte in forma linguistica diversa della dicotomia Particolare/Universale. Contro l'ideologia della differenza io sono un sostenitore di principio delluniversalismo.  questo un punto che mi divide per esempio da Alain de Benoist, che pure stimo molto come pensatore. In questo sono un marxista classico alla Lukcs. Ma alluniversalismo si arriva solo gradatamente senza saltare le comunit reali esistenti, ed ecco perch sono con i comunitaristi alla Mac Intyre contro i sostenitori di un universalismo dialogico presupposto, sradicato da ogni comunit reale, difeso ad esempio da Habermas. Il loro preteso universalismo  per me solo la proiezione universitaria colta della falsa comunit globalizzata mondiale dell'impero americano. Io mi ritengo dun- que universalista e comunitarista, e per questo difendo anche lo Stato nazionale, la sua indipendenza culturale ed il diritto delle nazionalit senza Stato a costituirsi in Stato (ad esempio, i baschi). L'universalismo filosofico in me si sposa, a mio avviso senza contraddizione, con il comunitarismo ed il nazionalitarismo. Le mie stesse collaborazioni a riviste che difendono questi principi lo dimostrano. Passando all'ultimo problema del nichilismo, qui mi rendo conto che si tocca un dente che duole. Tutti coloro che lottano contro il nichilismo non sono d'accordo nel definirlo con precisione in modo chiaro ed univoco, e per questo ritengo che gli altri non siano abbastanza anti-nichilisti, e che siano anzi nichilisti. Grecchi mi consentir di non voler partecipare a questo gioco al massacro. Il nichilismo  un problema, non un bottone che si schiaccia per attivarlo o disattivarlo. Se per essere considerato un vero anti-nichilista io devo far violenza alle mie attuali convinzioni, per cui  impossibile sottrarre la verit al tempo (in una concezione n Al \ pelle plasance 29 a mio avviso difesa non solo da Heidegger ma anche da Hegel), e non bisogna dunque postulare una sottrazione originaria del fondamento veritativo allo scor- rimento temporale, allora mi spiace ma non posso far parte della confraternita dei veri anti-nichilisti garantiti. Allo stato attuale della mia riflessione, non posso e non voglio aderire a quella che considero una interpretazione neoplatonica della logica di Hegel. Pongo un problema, non mi interessa nominare nessuno e polemizzare con qualcuno. Le concezioni filosofiche non hanno indirizzi postali. L'antinichilismo fondato sulla sottrazione del fondamento ontologico veritativo al tempo esiste peraltro gi, ed  vecchio come il mondo. Si chiama religione, o pensiero religioso. Del resto, Severino ne d una (apparente) secolarizzazione laica, e non vedo proprio perch si debba andargli dietro, con tutto il rispetto. Con questo chiudo. Non pretendo di aver risposto in modo esauriente a Grec- chi, ma qui non pensavo tanto a lui, quanto ai lettori della rivista, che desiderano certamente iniziare dai problemi generali prima di scendere in dettagli polemici secondari. Nota bibliografica Questa breve nota bibliografica non  affatto completa ed esaustiva, ma riguar- da solo i pi importanti riferimenti nominativi o le problematiche collaterali che si dipartono dai vari paragrafi. Peril $2iriferimenti semantici ai termini greci di fondamenti e di verit sono tratti da N. Abbagnano, Dizionario di filosofia, Torino, UTET, 1964. Il $4 fa riferimento a M. Bernal, Atena nera. Le radici afroasiatiche della civilt classica, Parma, Pratiche editrice, 1991. Il $ 5 fa riferimento a due interessanti libri di G. Colli, La nascita della filo- sofia, Milano, Adelphi, 1975, e di M. A. Levi, Il senso della storia greca, Milano, Rusconi, 1979. Il riferimento del $ 6  ad Antonio Capizzi, curatore della bella antologia I presocratici, Firenze, La Nuova Italia, 1984. Per il $ 7 si vedano G. Thomson, I primi filosofi, Firenze, Vallecchi, 1973, e di A. Sohn Rethel, Lavoro intellettuale e lavoro manuale, Milano, Feltrinelli, 1977 e La scienza come coscienza alienata, in Sapere, n. 832, ottobre 1980. Peril $8 si veda il primo volume del manuale di M. Bontempelli-F. Bentivoglio, Il senso dell'essere nelle culture occidentali, Milano, Trevisini. Per il $9 si veda la mia fonte principale J. P. Vernant, Le origini del pensiero greco, Roma, Editori riuniti, 1976. La centralit della dicotomia simbolica fra Acropoli ed Agor sta alla base del manuale di M. Vegetti, Filosofie e societ, Bo- logna, Zanichelli, da me usato a lungo nel mio insegnamento liceale. La centralit di Socrate  magistralmente esposta in un breve testo di da G. Giannantoni, Il sapiente e la citt, in Rinascita, n. 36, settembre 1984. 30 C | pelle plaisance Il riferimento critico del $ 10  al libro di B. Cassin, L'effetto sofistico, Milano, Jaca Book, 2002. Il libro  comunque interessante per la sua opposizione fra lo- gologia ed ontologia, che per considero personalmente estranea allo spirito degli antichi greci. Il $ 11 fa riferimento alla tesi esposta da J. Derrida in La farmacia di Platone, Milano, Jaca Book, 1985. La tesi di Mario Vegetti sulla differenza fra il bene come fondamento aperto e lUno come fondamento chiuso  esposta con grande chiarezza in Lettera internazionale, n. 1., estate 1984. Per il $ 12, che riguarda lo sfondo storico della dissoluzione della filosofia greca, mi permetto di rimandare ai miei tre lavori. Sul ruolo della basileia el- lenistico-romana (pronuncia consigliata: vassila) cfr. L'educazione filosofica, Pistoia, C.R.T., 2000, pp. 45-66. Sul giudizio di Hegel sul mondo imperiale ro- mano (giudizio ripreso nel $ 25) cfr. L'assalto al cielo, Milano, Vangelista, 1992 pp. 74-78. Sullinterpretazione della Lettera ai Corinzi di Paolo di Tarso, ripresa da uno studio del filosofo greco Dimitris Kyrtatas, cfr. L'eguale libert, Milano, Vangelista, 1994 pp. 104-114 e passim. Il $ 13 sostiene una teoria della modernit filosofica che vede una continuit importante fra Kant, Hegel e Marx. Si veda in proposito il libro di A. Burgio, Strutture e catastrofi. Kant, Hegel e Marx, Roma, Editori riuniti, 2001. Il $ 15, dedicato alla genesi religiosa, protestante e puritana del paradigma scientifico moderno,  ispirato ai lavori di R. K. Merton, Scienza tecnologia e societ nellInghilterra del Seicento, Milano, Angeli, 1983 e soprattutto M. Jacob, Il significato culturale della Rivoluzione scientifica, Torino, Einaudi, 1992. A mio avviso questo binomio religione-scienza sta anche alla base dell'ideologia ame- ricana contemporanea della Special mission (missione speciale). Il $ 16  ispirato ad un libro che esiste solo in greco moderno, ma che mi  stato utilissimo per la comprensione della genesi del concetto filosofico di materialismo. Cfr. M. Antonopoulou, Prassi sociale e materialismo, Atene, Alexandreia, 2000. Per il $ 17 e l'assunzione del concetto di storia come concetto moderno tra- scendentale riflessivo mi permetto di rimandare al mio lavoro I secoli difficili, Pistoia, C.R.T., 1999. Per i $$ 18 e 19, ed il carattere aperto del fondamento filosofico in Hegel, illu- minante  a mio avviso il libro di T.F. Geraets, Lo spirito assoluto come apertura del sistema hegeliano, Napoli, Bibliopolis, 1985. I $$ 20-23 e 27 sono dedicati a Marx ed al marxismo. Poich ho scritto molto su questo tema, di cui sono in un certo senso un modesto specialista, riman- do ai miei due ultimi lavori, Marxismo e filosofia, Pistoia, C.R.T., 2002 e Nuovi saggi di marxismo e filosofia, Pistoia, C.R.T., 2003. I due libri sono largamente complementari, e nascono dalla collaborazione con la rivista Praxis del Campo Antimperialista di Assisi. Le dichiarazioni di D. Zolo sono tratte da una intervista a La Repubblica, 28- 9-2002. Le tesi di fondo della scuola dellavolpiana (che io rovescio integralmente nel $ 21) sono esposte in L. Colletti, Il marxismo ed Hegel, Bari, Laterza, 1969. Due delle spiegazioni monologiche del comunismo storico novecentesco, da me n Al \ pelle plasance ai fortemente criticate, sono quelle di F. Furet, Il passato di una illusione, Milano, Mondadori, 1995, e di M. Revelli, Oltre il Novecento, Torino, Einaudi, 2001. Per il $ 24 le tesi su di un impero globalizzato e deterritorializzato sono in A. Negri-M. Hardt, Impero, Milano, Rizzoli, 2002. Per la comprensione del $ 25  essenziale il nesso fra violenza soverchiante e copertura moralistica. Il modello di annientamento non  mai quello di Au- schwitz, ma  sempre quello insuperabile di Hiroschima. Per questo si veda il piccolo capolavoro di D. Fennell, The postwestern condition, London, Minerva press, 1999, che  stata una delle fonti del mio lavoro Il bombardamento etico, Pistoia, C.R.T., 2000. Per il $ 26, dedicato al concetto di Tecnica in Heidegger, si veda la ricca biblio- grafia segnalata in U. Galimberti, Psiche e techne, Milano, Feltrinelli, 1999. Una critica a Galimberti  contenuta nel libro di M. Bontempelli, Filosofia e realt, Pistoia, C.R.T., 2000, pp. 255-283. Non aggiungo qui altri testi, sebbene ne abbia ovviamente utilizzati molti altri. Essendo il mio testo aperto, correggibile e migliorabile, anche la bibliografia  correggibile e migliorabile. 32 ed | pelle plaisance Costanzo Preve IDEOLOGIA IIIALIANA saggio sulla storia delle idee marxiste in Italia Vangelista Costanzo Preve IDEOLOGIA IIALIANA saggio sulla storia delle idee marxiste in Italia Vangelista  1993 by Vangelista Editori Snc 20145 Milano, via Alberto da Giussano 15 Tutti i diritti riservati Quandero giovane erano i vecchi i miei maestri. Lasciai fuoco per forma fino a spegnermi. Soffrivo come un metallo che fosse forgiato. Andavo a scuola dai vecchi per imparare il passato. Ora che sono vecchio ho per maestri i giovani. Quel che non pu modellarsi deve essere infranto o piegato. Lezioni mi torturano che riaprono antiche suture. Vado a scuola dai giovani per imparare il futuro. Robert Frost, Quel che dissero i cinquant'anni Amo il mio lavoro e gli dedico cure continue. Ma mi scoraggia oggi questa grande lentezza nei risultati. E colpa del tempo. Il giorno diventa sempre pi scuro. Il vento soffia e la pioggia sconvolge ogni cosa. Preferirei guardare, piuttosto che scrivere. Costantino Kavafis, Dipinti In verit io non voglio separare e distinguere. Resterei solo troppo a lungo  pi della mia durata  e amo invece la compagnia. Da intruso che vuol farsi perdonare  il mio sorriso abituale. La verit divide   una mia bella frase. Giovanni Giudici, La coscienza sporca Introduzione Questo saggio sulla storia delle idee marxiste in Italia  ispira- to ad una ipotesi interpretativa relativamente semplice, che ren- deremo immediatamente esplicita. In breve: la tradizione mar- xista italiana che si  maggiormente sviluppata, fino a diventare egemone storicamente e largamente conosciuta allesterno, e fi- no a diventare sinonimo di marxismo italiano tot court,  sta- ta linterpretazione del marxismo in chiave di filosofia della prassi. Si  trattato di uninterpretazione del marxismo che non ne sottolineava volutamente gli aspetti di filosofia (secondo uninterpretazione comune a Sartre come a Bloch, a Lukcs co- me a Kosfk), oppure quelli di scienza (secondo uninterpreta- zione tipica delle correnti maggioritarie del marxismo della II e della III Internazionale, da Engels fino al materialismo dialetti- co sovietico), ma che ne enfatizzava invece gli aspetti di orienta- mento pratico, attivistico, politico. La filosofia della prassi come ancella della politica, in poche parole. Certo, non sono mancati in Italia marxisti autorevoli che hanno coltivato sia la filosofia che la scienza marxiste, innestandole quasi sempre su preesistenti correnti autoctone o internazionali. Ma essi sono spesso stati in un certo senso al margine della filosofia della prassi stessa, come se fosse in fondo un peccato da espiare ed una vergogna da nascondere il fatto di non fornire indicazioni concrete che potessero servire immediatamente da suggerimenti utilizzabili per la lotta politica, anzi per lelaborazione della linea politica, vista come lalfa e lomega di ogni riflessione teorica. Ebbene, la nostra interpretazione  invece che in Italia di vera e propria filosofia della prassi ce n' sempre stata molto poca, anzi pochissima, perch  sempre prevalso un perverso mecca- nismo manipolatorio, che ha sistematicamente selezionato della riflessione teorica soltanto quello che poteva essere utiliz- 7 zato empiricamente qui e subito per avallare, legittimare e giu- stificare una determinata linea politica, scelta quasi sempre per ragioni magari nobilissime e concretissime, ma del tutto estra- nee alla riflessione teorica strategica.  questa, allora, l'ideologia italiana. Non la filosofia della prassi, dunque, ma il primato empirico della pratica politica. La pratica politica, per, non  in alcun modo la prassi. Mentre infatti la nozione di prassi allude alla totalit dinamica e processuale della vita, e include lintera riproduzione del modo di produzione, integrandone le dimen- sioni culturali, politiche ed economiche, la pratica politica si muove esclusivamente al livello della riproduzione degli appa- rati di rappresentanza politica della societ capitalistica. I politi- ci di professione, onesti o disonesti, colti o ignoranti, devoti o opportunisti che siano, si muovono esclusivamente a questo li- vello della riproduzione dellessere sociale complessivo. Se la loro pratica, che pure riflette un piano reale e concreto del- l'essere, finisce con il dirigere la prassi complessiva, questul- tima impallidisce e svanisce progressivamente, fino a svuotarsi e ad annullarsi nichilisticamente. Questo svuotamento, almeno in Italia, si  esibito sotto gli oc- chi di tutti fra il 1989 e il 1991, in cui il Partito Comunista Italia- no si  sciolto dando vita a due formazioni diverse e rivali, il Par- tito Democratico della Sinistra, da un lato, programmaticamen- te e quasi provocatoriamente disinteressato alla teoria marxista frettolosamente sostituita con un cocktail di Habermas, Dahrendorf, Rawls, Bobbio, eccetera, e il Partito della Rifonda- zione Comunista, dallaltro, che non  affatto nato su di una ipo- tesi strategica di comunismo fondata su di una teoria discussa e presa sul serio, ma su di un'identit resistenziale di militanza e di fedelt ad una tradizione. Prima di queste date, daltra parte, si era gi consumato il rapporto con il marxismo sia della genera- zione del Sessantotto e del Settantasette, approdata in massima parte a forme postmarxiste di coscienza culturale e politica (in generale ad un solo obbiettivo, come il femminismo, il pacifi- smo e lecologismo), sia della comunit accademica ed universi- taria, distaccatasi dalle superficiali mode marxiste degli anni Settanta per rifluire nellostentato culto dello specialismo e del 8 settotialismo non pi vissuti con disagio e coscienza infelice, ma rivendicati con provocatoria volutt.  questa dunque lipotesi interpretativa di questo saggio: lau- toannientamento, lautodissoluzione, ora dolorosa ora grotte- sca, di una filosofia della prassi che era in realt quasi sempre stata (salvo eccezioni) una forma di primato e di direzione della pratica politica sulla prassi stessa, con il risultato di produrre un impersonale meccanismo di selezione e di manipolazione pra- ticistica della teoria, che non veniva presa in considerazione per il suo valore di (eventuale) verit o falsit, ma soltanto per la sua diretta utilizzabilit tattica in chiave di primato della politi- ca (nel senso che i francesi danno allespressione, intraducibile in italiano, ma efficacissima, di politique politicienne). Alla fine, questa politica di politicanti non ha ucciso la teoria (Occhet- to non pu certo uccidere Gramsci!), ma lha resa nichilistica- mente irrilevante, ridicola, quasi oscena. In altra sede, abbiamo definito tutto questo nichilismo. Al- tri hanno usato differenti espressioni. Ad esempio Lukfcs ha definito l'essenza dello stalinismo in termini di sistematico pri- mato della tattica sulla strategia. Se questo  lo stalinismo (ma la definizione  certo insufficiente) lItalia  stato sempre il paese- guida dello stalinismo. Certo, centrer qualcosa anche la longue dure della controriforma, del protestantesimo mancato, dello spagnolismo, del soffocante conformismo cattolico, del nicode- mismo, della dissimulazione onesta, eccetera. In proposito,  stata scritta unintera biblioteca, da De Sanctis a Gobetti. Volu- tamente, non intendiamo entrare in questi strati geologici della coscienza nazionale. Chi scrive non  un geologo, ed  del tutto ignorante sulla deriva dei continenti. La longue dure opportu- nistica e trasformistica della storia nazionale degli intellettuali  innegabile. Siamo il paese in cui il fascismo  stato al potere, mentre il co- munismo ha conosciuto solo l'opposizione, e dove  giunto al potere,  stato ben presto riassorbito nella tradizione nazionale del trasformismo. Questo saggio, per, non intende in nessun modo spingersi oltre, dal momento che su questa strada  inevi- tabile ripropotre considerazioni generiche sulleccezionalit 9 positiva o negativa degli italiani, e la letteratura su questa eccezio- nalit positiva (da Gioberti in poi) o negativa (da Gobetti in poi)  sterminata, avendo nutrito per decenni le polemiche fra laici (so- stenitori della riforma protestante mancata, e dunque dellecce- zionalit negativa) e cattolici (sostenitori del primato morale e ci- vile degli italiani, popolo papale e cattolico, dunque delleccezio- nalit positiva).  invece pi produttivo tornare all'ipotesi di par- tenza, e chiederci ancora una volta se sia plausibile ripercorrere laccidentato cammino della storia delle idee marxiste in Italia sotto langolo visuale del primato della pratica politica sul com- plesso di produzione della teoria. Riteniamo di s, e pensiamo che questo approccio si differenzi (ed anzi si contrapponga) ad almeno altri due approcci possibili, che legheremo rispettivamente ai no- mi di Norberto Bobbio e di Ludovico Geymonat. Vorremmo chiarire subito dove si situa esattamente la diversit dell'approccio di questo saggio da queste insigni tradizioni teorico-interpretati- ve, perch in questo modo il lettore pu apprezzare meglio la na- tura complessiva dell'approccio metodologico proposto. Norberto Bobbio si  occupato per decenni del marxismo ita- liano, in generale con monografie acute e precise (come quelle su Gramsci), in cui non ha mai mancato di proporre una propria personale interpretazione. Filosofo della politica, ha sempre te- nuto metodologicamente ben distinti i due campi dell'agire poli- tico e dellagire economico (il che fa a nostro avviso di Bobbio  come argomenteremo pi avanti  un pensatore molto pi crociano di quanto si immagini o si creda), con il risultato di diventare il pensatore italiano par excellence della democrazia intesa come sistema di procedure formali di legittimazione e di governo. In questo modo (e ci pu essere detto anche per pen- satori a lui affini, come lo storico delle idee comuniste Massimo Salvadori) la storia del marxismo e del comunismo diventa so- prattutto la storia dei rapporti di queste due entit con il proble- ma della democrazia, a sua volta sostanzialmente identificato con la questione del pluralismo elettorale, della conformit allo stato di diritto borghese-capitalistico, alla classica divisione dei poteri della tradizione costituzionalistica liberale, ai limiti 10. del potere delle maggioranze elettorali che si esprimono in un governo, alle garanzie individuali e collettive che si offrono ai dissenzienti che accettano a loro volta le regole del gioco. La democrazia come regole del gioco, per difla in breve. Non vogliamo certo irridere a questo approccio, tutt'altro.  per giusto rilevare subito che se si decide di ricostruire la logica teo- rica complessiva del dibattito marxista sulla base della questio- ne delle forme costituzionali del sistema politico, relegando le- storsione del plusvalore ai lavoratori produttivi in un limbo nebuloso per economisti di professione, si giunge ad un impo- verimento assai marcato dellanalisi, e i marxisti vengono allo- ra bobbiamente classificati sulla base della dicotomia fra de- mocratici (sostenitori cio della democrazia rappresentativa pluripartitica ad economia di mercato) e non democratici (so- stenitori di uneconomia pianificata autoritariamente a partito unico e a sindacato di stato). Questa questione  certo fonda- mentale, ma su questa base metodologica il novanta per cento del dibattito sul capitalismo ed il suo destino storico viene azze- rato, o meglio viene ridotto alla questione della vittoria dei co- munisti in una elezione pluralistica reversibile, come se il co- munismo fosse unopinione politica pura da proporre in un mercato delle idee. Pu anche darsi che sia cos (ma non lo cre- diamo, senza essere per questo sostenitori dellilliberalit e del totalitarismo), ma se  cos, allora il capitalismo non  un modo di produzione, ma la ricaduta economica accidentale di un siste- ma politico liberaldemocratico che ne rappresenta il prirzu7 metodologico ed il fondamento ontologico. Non ci si deve allora stupire che, se si decide di accettare il terreno di Bobbio come lunico perseguibile, gli si dia ragione in tutto, come avvenne nel 1976 nel noto dibattito su stato e democrazia pubblicato sulla ri- vista Mondoperaio. Su questo terreno Bobbio ha effettiva- mente ragione, non ci sono santi: come negare che la democra- zia, se  tale, non  soltanto sostanziale, ma  anche formale? Per chi coltiva con seriet il pensiero dialettico, come  possibile ne- gare seriamente che forma e contenuto fanno parte integrante di un unico complesso ontologicamente unitario, e che non si pu avere democrazia sostanziale senza la contestuale organizza- 11 zione giuridica di un sistema funzionante di garanzie formali? In questo modo, per, la storia complessiva del marxismo perde di significato, e Gramsci diventa un pensatore inferiore a Craxi (perch  indubbio che Gramsci zor era tout court per la demo- crazia pluripartitica capitalistica, mentre Craxi  un indiscusso difensore non solo delle elezioni pluripartitiche, ma addirittura del metodo proporzionale, che  indiscutibilmente pi demo- cratico e rappresentativo di quello uninominale e maggiorita- rio). Un bobbiano dir certamente che le cose sono pi com- plesse. Non dubitiamo affatto che esse siano pi complesse. In questa sede, per, vogliamo ribadire che la riduzione del marxismo a teoria della politica, da un lato, e l'ulteriore riduzio- ne della teoria della politica a teoria delle procedure di rappre- sentazione dei soggetti (come se i soggetti da rappresentare fossero gi costituiti dalla mano invisibile della societ, data per presupposta), dallaltro, non permettono metodologica- mente di cogliere il nesso fra marxismo, economia, politica e fi- losofia. Cos avviene a nostro avviso in Bobbio. Leconomia  abbandonata agli economisti (cio ai capitalisti), la filosofia  ri- formulata alla Abbagnano come una forma di empirismo esi- stenzialistico, ed il marxismo diventa una cattiva teoria della po- litica (che per diventare buona deve diventare semplicemente liberaldemocratica). Ludovico Geymonat ha sostenuto per decenni, sia nella sua fase neopositivistica sia nella sua ulteriore fase materialistico- dialettica, che il problema essenziale, primario, strutturale, della tradizione italiana del marxismo consisteva nel suo cattivo rapporto con la scienza moderna e con i suoi procedimenti. Ri- prendendo temi gi presenti in Cattaneo (ma anche in Vailati), Geymonat ha sempre insistito sul fatto che un marxismo di sag- gisti, letterati, storici e filosofi non  e non pu essere un buon marxismo, dal momento che la questione cruciale del Novecen- to  quella del metodo e dellimpresa scientifica. A differenza di Galvano Della Volpe (come chiariremo pi avanti), Geymonat ha sempre detto di voler conciliare il metodo scientifico con la dialettica, ed  perci sempre stato un filosofo a tutti gli effetti 12 (oltre che, ovviamente, uno dei maggiori storici della filosofia del Novecento italiano). Il problema teoretico (si noti bene, teoretico, non storico) che vorremo qui porci  per questo:  vero che la grande questione del marxismo italiano del Novecen- to  stata quella del suo cattivo e reticente rapporto con limpre- sa scientifica moderna?  vero che c sempre stato troppo He- gel e poco Galileo? . Chi scrive non crede n luna n laltra cosa. E infatti vero (e ci soffermeremo su questo pi avanti) che il primo grande dibatti- to sullo statuto teorico del marxismo italiano, quello triangolare fra Labriola, Croce e Gentile,  avvenuto fra filosofi e non fra scienziati. Ma forse che la concezione della scienza di Croce non era quella di altri insigni scienziati di professione dellepoca, come Poincar e Mach? Certo, questa filosofia della scienza pu non piacerci (e chi scrive non la condivide), ma non possia- mo dire che essa sia stata una filosofia di persone che ignoravano limpresa scientifica (forse che Mach e Poincar la ignoravano?). Pi in generale, questa impostazione geymonattiana pu far pensare che Gramsci e Togliatti, se avessero avuto una maggiore - cultura scientifica, e non soltanto una formazione letteraria e fi- losofica, avrebbero potuto impostare su basi pi solide la tradi- zione marxista italiana. Chi scrive non lo crede affatto. Gramsci era un ex-studente di lettere con una preparazione prevalente- mente filologica e linguistica, ma nel suo contrasto di fondo con Bordiga (che era un ingegnere, e per di pi un ingegnere coi fiocchi, dotato di una saldissima conoscenza dellimpresa scientifica) era a nostto avviso Gramsci ad aver ragione, non Bor- diga, anche se Gramsci connot il marxismo in termini di filo- sofia della prassi, e Bordiga lo connot sempre in termini di materialismo dialettico. Per ci che concerne Togliatti,  giu- sto dire che egli si circond di letterati crociani (e gentiliani) e di retori di salotti romani, mentre non lasci spazio a proposte co- me quelle di Geymonat di maggiore scientificizzazione del marxismo. Se questo avvenne, per (come cercheremo di mo- strare nel terzo capitolo della prima parte di questo saggio, de- dicato a Togliatti), non fu certo per insensibilit letteraria alla cultura scientifica (Togliatti anzi pensava che la borghesia capi- 13 talistica non sarebbe stata capace di sviluppare le forze produt- tive, e che il socialismo avrebbe vinto proprio per la sua maggio- re capacit economica in questo campo: e non esiste notoria- mente capacit economica vincente senza scienza, innovazione, tecnologia). Questo avvenne perch lo storicismo di Togliatti non era il frutto di una trascuratezza verso la scienza, ma era invece l'involucro necessario, ideologicamente necessario, di tutta la sua linea politica di via italiana al socialismo. Con questo, non vogliamo dire che Geymonat non abbia avuto grandi intui- zioni e non abbia avuto spesso ragione su cose essenziali (come nella sua critica al luddismo intellettuale presente anche nel Sessantotto degli studenti). In questa sede, ci limitiamo a dire che, cos come non crediamo allipotesi bobbiana della decisivi- t della questione della forma politica della democrazia rappre- sentativa, analogalmente non pensiamo che la questione decisiva del marxismo italiano sia stata quella del suo rapporto con la scienza. La questione decisiva, a nostro avviso, resta a tutti gli effetti quella del rapporto malsano fra processo di produzione della teoria, o meglio degli elementi strategici della teoria, e processo di selezione e manipolazione da parte di ceti politici professionali spesso deideologizzati e filosoficamente nichilisti, con la subordinazione del processo di produzione al processo di valorizzazione politica di essa. Per usare un termine a suo tempo impiegato da Karl Marx, il tema fondamentale  quello della sottomissione reale (si badi bene, reale, non solo forma- le) della teoria alla pratica politica, della strategia per il comuni- smo alla tattica elettorale della sinistra. Stabilito questo principio metodologico, non abbiamo cerca- to di forgiare a martellate lintera vicenda marxista italiana in questo stretto letto di Procuste. Il lettore interessato al dibattito ideologico marxista in Italia pu anzi leggere questo saggio an- che se non ne condivide per nulla l'impostazione metodologica. Per ragioni di chiarezza, abbiamo ritenuto opportuno dividere l'esposizione in due parti, proponendo anche di considerare co- me data-spartiacque nella storia del marxismo italiano non il 1945, cio la fine della seconda guerra mondiale e la vittoria del- 14 la Resistenza, ma il 1956, cio la riapertura della catena dei per- ch, come scrisse a suo tempo Franco Fortini, con unespres- sione che troviamo quasi perfetta nel suo suggerimento stori- co-filosofico. Confessiamo di aver esitato a lungo prima di deci- dere per questa scelta di periodizzazione. Non sarebbe stato giusto forse valorizzare maggiormente il 1921, data della fonda- zione del Partito Comunista dItalia, sezione italiana della Terza Internazionale? Non sarebbe stato opportuno sottolineare di pi il triennio 1943-45, che fu a tutti gli effetti un triennio perio- dizzante, e che lattuale ondata storiografica revisionista, che sullonda degli scritti di De Felice tende a rivalutare e a rilegitti- mare il fascismo di Mussolini (cui si rimprovera al massimo co- me una colpa lieve l'alleanza con Hitler!), vuole invece mette- re quasi in soffitta? Da un punto di vista storico,  giusto insistere sugli anni 1921 e 1945. Questo, per,  un saggio di storia delle idee, e la storia delle idee non ha sempre automaticamente la stessa periodizza- zione della storia storica. Palmiro Togliatti visse fino al 1964, ma il togliattismo, a nostro avviso, fu soprattutto un fenome- no ideologico degli anni Trenta, Quaranta e -Cinquanta, ed a partire dal 1956 esso fu contestato apertamente da correnti (co- me loperaismo di Raniero Panzieri) che sono invece difficil- mente concepibili prima di quella data. Pi in generale, la que- stione della non sincronizzazione fra momento di produzione di un pensiero e momento della sua conoscenza  complicata in Italia dal caso di Gramsci, che scrisse i suoi Quaderni a cavallo fra gli anni Venti e Trenta, e che cominci veramente a contare come pensatore originale a partire dagli anni Cinquanta. Come si vede, la periodizzazione  una brutta gatta da pelare. Abbiamo diviso la prima parte in tre distinti capitoli, dedicati rispettivamente alle origini del dibattito marxista italiano (La- briola, Croce, Gentile, Mondolfo, gli economisti eccetera), a Gramsci ed infine a Togliatti. Il lettore esperto non vi trover forse rilevanti novit metodologiche, ma pensiamo che alcune questioni, peraltro ben note agli esperti, vi siano sottolineate in modo originale, per permettere al principiante eventualmente desideroso di informarsi in modo maggiormente obiettivo di 15 cogliere alcuni punti teorici rilevanti. Alcuni giudizi sono for- se eccessivamente recisi, ma crediamo che sia meglio lunilate- ralit che la pappa concordistica. A proposito di Labriola, sul quale esiste unampia bibliografia critica, abbiamo voluto sotto- lineare che questo insigne filosofo della prassi non sfugge neppure lui alla scissione fra teoria e prassi. L'importanza di due filosofi assolutamente ron comunisti come Gentile e Mon- dolfo (luno prima liberale e poi fascista, laltro socialdemocra- tico riformista) nella fondazione della filosofia della prassi viene segnalata. Segnalate vengono anche le interessantissime anticipazioni (di Croce come di Loria, di Pareto come di Gra- ziadei) del dibattito economico di inizio secolo in rapporto a posizioni che negli anni Sessanta sembrarono nuovissime (da Sraffa a Napoleoni), e che invece spesso ricalcavano in modo quasi letterale formulazioni gi perfettamente compiute. Si  in- fine deciso (ma questo non  che comune senso del pudore) di segnalare espressamente come teorico di prima grandezza an- che il Bordiga del prefascismo. L'uomo non scrisse forse testi di standard universitario, ma mostr di capire abbastanza bene la natura imperialistica della prima guerra mondiale, e di rappre- sentare la variante italiana di una corrente internazionale, quella del determinismo e del crollismo capitalistico, che fu- rono poi incarnate rispettivamente da Bucharin e da Grossman. Vi  per una ragione pi importante che ci ha convinto a termi- nare con Bordiga il primo capitolo della prima parte. Siamo convinti che il pensiero di Gramsci non sia adeguatamente com- prensibile se non lo si intende come una risposta teorica a Bordiga. Studiare Gramsci senza Bordiga  come studiare Marx senza Hegel. Gramsci non  solo lalternativa tattico-politica a Bordiga (il fronte unico contro la pratica delloffensiva). Egli ne  anche e soprattutto lalternativa teorico-filosofica di fondo. Abbiamo deciso di parlare bene di Gramsci, ma questa in Italia non  certo una novit. Parlare bene di Gramsci  come parlare bene di Garibaldi. Bisogna vedere per in che modo si parla bene di Gramsci. Per quasi cinquantanni parlare bene di Gramsci  stata in Italia e allestero una moda conformistica, dal momento che Gramsci serviva da doppio ideologo della le- 16 gittimazione, per la via italiana al socialismo, in primo luogo, per un marxismo antidogmatico, creativo e non-sovietico, in secon- do luogo. Come il patriottismo, anche il povero Gramsci, senza sua colpa,  divenuto lultimo rifugio delle canaglie. La gran- dezza di Gramsci  indubbiamente stata quella di aver cercato di pensare fino in fondo lautonomia strategica della rivoluzione in Occidente. La sua ambiguit (per riprendere qui linsupe- rabile espressione di Perry Anderson)  stata quella di pensa- re la rivoluzione in Occidente sulla base di una situazione mol- to arretrata come quella italiana (anche se  possibile sostenere che questa ambiguit  stata proprio l'aspetto pi leninista di Gramsci: anche Lenin pens la rivoluzione anticapitalista a par- tire da una situazione arretrata come quella della Russia zarista). In ogni caso, crediamo che Anderson colga nel segno quando in- dividua la maggiore ambiguit di Gramsci nellinsanabile contraddizione fra la strategia (inevitabilmente) autoritaria della guerra di posizione e le esigenze della democratizzazione sociale e della sovranit politica individuale dei militanti. La nostra accettazione della tesi di Anderson su Gramsci  il presupposto esplicito che fa da ponte allinterpretazione qui proposta di Togliatti come personaggio-chiave del marxismo italiano del Novecento. Oggi parlare male di Togliatti  di moda, fino alle farneticazioni che lo hanno voluto corresponsa- bile della morte dei nostri soldati in Russia nel 1943. Questa non  per che bassa cucina polemica, su cui non vale la pena di spendere sforzi di comprensione filosofica. Togliatti  stato in un certo senso lo Stalin di Gramsci (nel senso per cui Stalin  stato lo Stalin di Lenin), cio colui che ha realizzato la strate- gia della guerra gramsciana di posizione nellunico modo possi- bile dopo Yalta e la seconda guerra mondiale: la guerra di posi- zione fra capitalismo (in regresso) e socialismo (in progresso) concretizzata come costruzione di casematte e trincee legali del socialismo in una societ come quella italiana. In questo sen- so, riteniamo che Togliatti non abbia tradito Gramsci, ma lo abbia in fondo applicato nell'unico modo realistico possibile. Nello stesso tempo, vi sono a nostro avviso due punti cruciali in cui Togliatti ron  a nostro avviso il prosecutore e legittimo ere- 17 de di Gramsci: da un lato, il suo storicismo ci sembra non una fi- losofia della radicale laicizzazione dei contenuti metafisici delle religioni, ma una vera e propria religione della politica (e cos interpreteremo la definizione data da Luporini allo storicismo, e da noi condivisa fino in fondo); dallaltro, la direzione politica sulla cultura, che Togliatti sempre rivendic, e attu quotidiana- mente (a differenza di molti suoi successori troppo ignoranti per poterlo fare), ci sembra proprio la realizzazione e la quintes- senza dell'ideologia italiana nellaccezione da noi proposta. E poich tutto questo saggio  ispirato alla convinzione della nega- tivit di questa eccezione, la prima patte si conclude con un giu- dizio critico sulleredit che Togliatti lasci ai suoi successori. Con questo non si intende affatto suggerire che Togliatti avreb- be dovuto fare diversamente. Questa  una sciocchezza grande come una casa. In proposito siamo fino in fondo crociani orto- dossi. Il passato  stato come  stato, e la storia non si pu fare con i se e con i ma. Quello che invece si pu sempre fare,  imparare dal passato per non doverlo ripetere. La seconda parte, non lo nascondiamo,  quella che ci interes- sa di pi, e di gran lunga. Questo avviene certo per motivi gene- razionali, dal momento che chi scrive era nel 1956 uno studenti- no della quarta ginnasiale, e tutta la sua educazione teorica e filo- sofica  avvenuta fra il 1956, lanno della riapertura della catena dei perch di fortiniana memoria, e il 1989, lanno del crollo po- litico e sociale del comunismo storico novecentesco. Non ha senso anticipare in questa introduzione le soluzioni teoriche che volta a volta daremo alla questione del giudizio filosofico sulle varie correnti del marxismo italiano.  invece opportuno anticipare alcune questioni metodologiche, che pur senza la pre- tesa di anticipare i giudizi e le analisi di merito che il lettore valuter in base alla propria personale opinione, hanno ispirato la forma complessiva dellanalisi ideologica qui condotta. Da- ta limportanza che attribuiamo allintera questione, preferiamo ripeterci piuttosto che sorvolare distrattamente su questioni in- terpretative centrali. In primo luogo, si pone la questione della natura del paradig- 18 ma culturale di riferimento del partito togliattiano di massa, do- po che il 1956 fece riaprire la catena dei perch. Esistono nume- rosi studi storici, politologici e sociologici sul PCI, che ci danno importanti informazioni sui suoi #rerds elettorali, sul suo inse- diamento sociale, sui festival dellUnit, e soprattutto sulla sua collocazione dentro il sistema politico italiano, nei suoi rap- porti con gli altri partiti (il PSI, la DC, eccetera) e con le piatta- forme politiche di fase (centrismo, centro-sinistra, compromes- so storico, neocentrismo craxiano, alternative pi o meno reali- stiche, eccetera). Ebbene, tutto questo ron  in alcun modo log- getto di questo saggio, e non certo perch il cielo della politi- ca sia illusorio (come ritiene loperaismo pi conseguente e coerente), ma perch questo gigantesco complesso di problemi non ha nulla a che fare con il marxismo, comunque concepito, ma con la sociologia delle organizzazioni, la scienza dei sistemi, eccetera. Abbiamo invece ritenuto (anche se, lo confessiamo, non ne siamo pienamente soddisfatti) di individuare nella cultu- ra di riferimento del PCI due principali componenti: il catto- comunismo, cio una forma di populismo interclassista e di corporativismo keynesiano, e leurocomunismo, cio una for- ma di socialdemocrazia liberaldemocratica e laica. Non diciamo evidentemente niente di nuovo.  invece interessante forse nota- re che cattocomunismo ed eurocomunismo non sono per nulla ideologie alternative, e neppure conflittuali (ad esempio sono entrambe pienamente caratterizzanti in Enrico Berlinguer), ma formano un fitto tessuto unitario, al punto che ideologie come quelle dellausterit e dellunit nazionale sono a tutti gli ef- fetti una sintesi di cattocomunismo e di eurocomunismo. Pet dirla in modo telegrafico: le cause esterne si manifestano nella forma di cause interne: il cattocomunismo e leurocomunismo sono le forme di manifestazione dellillusorio triangolo creato dalla tesi per cui la societ italiana ha tre componenti culturali, i socialisti (e comunisti), i laici ed i cattolici; questo triangolo, a sua volta,  frutto del mantenimento strumentale in vita delluni- t del CLN, che non permette di ricostruire storicamente in mo- do spregiudicato la natura di guerra civile della stessa Resi- stenza, come se si dovesse avere paura del fatto che la Resistenza 19  stata anche una guerra civile, e che nello stesso tempo i parti- giani ed i fascisti non devono essere messi sullo stesso piano, ed i primi sono migliori dei secondi. Vi  qui un nodo di problemi storiografici assolutamente soffocante, che questo saggio non pu sciogliere, ma pu soltanto contribuire (come nella psicoa- nalisi) a portare allo scoperto, rendendolo linguisticamente di- cibile. In secondo luogo, dal momento che il partito togliattiano di massa  stato storicamente la sede dellideologia italiana della direzione sulla teoria della pratica politica,  necessario distin- guere correttamente, fra gli oppositori (perch di oppositori ce ne sono stati tantissimi), gli oppositori di Sua Maest, cio gli oppositori illusori, ed i veri oppositori (indipendentemente dal fatto, che lasciamo alla libera opinione del lettore, se questi ulti- mi avessero ragione o no). La questione  delicatissima, perch nessuno ammette di essere un oppositore di Sua Maest, e tutti rivendicano a gran voce di essere stati, e di essere, degli opposi- tori terribili, anzi terribilissimi, anche se, ovviamente, unitari. Ma loppositore unitario  quasi sempre un non-oppositore, in particolare in un paese caratterizzato da una longue dure di tra- sformismo. Non pensiamo certo di essere riusciti in questo sag- gio a distinguere fra veri e presunti oppositori. Ma non ab- biamo neppure voluto evitare trasformisticamente la questione. In proposito, abbiamo individuato come veri oppositori i prin- cipali esponenti di ci che abbiamo definito il socialismo criti- co operaista (Raniero Panzieri), il comunismo critico operai- sta (Antonio Negri), e anche la tradizione bolscevica eretica (Amadeo Bordiga). Indubbiamente, Bordiga, Panzieri e Negri non esauriscono il panorama degli oppositori strategici. Ma abbiamo voluto limitarci a loro per non mettere troppa carne al fuoco, ed anche perch le loro tre posizioni sono a tutti gli effetti tipiche. Abbiamo trattato a parte alcuni casi di oppositori di Sua Maest, che a nostro avviso non sono mai usciti dalla logi- ca del paradigma togliattiano, e questo del tutto indipendente- mente dalla terribilit di quanto dicevano (ad esempio, Tronti e Cacciari sono sempre stati mille volte pi terribili di Panzie- ri, ma Panzieri era un vero oppositore, mentre i primi due han- 20 no sempre ferreamente rispettato le gesuitiche regole del gioco; se Luk4cs parl di interiorit all'ombra del potere, noi propo- niamo di parlare di demoniaco all'ombra del cattocomuni- smo). Abbiamo trattato nello stesso modo a parte le organizza- zioni politiche di estrema sinistra, extraparlamentari o meglio microparlamentari, degli anni Settanta ed Ottanta, senza paura di citare anche coloro che scelsero la lotta armata anticapitali- stica. In terzo luogo, abbiamo cercato di interrogare quelli che un tempo si chiamavano i critici borghesi del marxismo, e che in- vece a nostro avviso sono riusciti quasi sempre a capire del mar- xismo molto di pi della maggioranza dei marxisti stessi. Avremmo voluto originariamente distinguerli fra nobili e volgari, ma abbiamo deciso di abbandonare questa distinzio- ne un po insultante. Nessuno infatti vuole essere volgare, mentre tutti vogliono essere nobili. Nonostante tutta la nostra buona volont, il craxismo ed i suoi intellettuali organici ci sono sembrati veramente un po volgari, e cercheremo anche sommariamente di dire perch. In ogni caso, ci siamo limitati per ragioni di spazio a tre critici nobili del marxismo, Nor- berto Bobbio, Augusto Del Noce ed Emanuele Severino, cer- cando di motivare i nostri giudizi. In quarto luogo, abbiamo separato per chiarezza espositiva le quattro questioni distinte della filosofia, della scienza, della dia- lettica e dell'economia. Non  possibile qui scendere in dettaglio nelle soluzioni critiche date a questi quattro complessi di pro- blemi. A proposito della filosofia, abbiamo voluto sottolineare che la povert filosofica dello storicismo ha avuto come conse- guenza, paradossale ma anche logica, che il comunismo non  pi stato fondato da parte dei pensatori pi dotati (come Lupo- rini e Timpanaro) sul marxismo, ma su forme di materialismo non marxista (come ad esempio quella di Leopardi). A proposi- to della scienza, attraverso lanalisi dei due filosofi a nostro avvi- so pi rappresentativi (Della Volpe e Geymonat), abbiano volu- to esprimere fino in fondo la nostra personale posizione critica, per la quale non  possibile n separare la scienza dalla dialettica (come propose Della Volpe), e neppure fondare metodologica- 21 mente la scienza marxista sulla stessa base delle scienze della na- tura (come propose Geymonat). A proposito della dialettica, abbiamo voluto segnalare (e non riteniamo questa una ovviet) che le due forme di rifiuto della dialettica stessa, quella raziona- listica, kantiana e positivistica (Colletti), e quella irrazionalisti- ca, differenzialista, post-moderna, nietzschiana e heideggeriana (Vattimo), hanno in ultima istanza la stessa base filosofica, e so- no del tutto e cordialmente antitetico-polari. A proposito delle- conomia, infine, abbiamo voluto soffermarci sulla doppia #- passe sia della scuola ispirata da Sraffa sia di quella, diversissi- ma, di Claudio Napoleoni, mostrando come la prima finisca nel- la riduzione integrale del marxismo ad economia politica, men- tre la seconda sbocca invece nella dissoluzione filosofica inte- grale delleconomia stessa, sostituita da una critica puramente antropologica al capitalismo (pi evidente, a dire il vero, in un pensatore come Barcellona che nello stesso Napoleoni). Infine abbiamo ritenuto opportuno ricordare che si  posto in Italia il problema della traduzione del grande marxismo mondiale, e che la traduzione non  un fatto soltanto linguistico, ma concet- tuale, sociale e politico. In quinto luogo, per finire, abbiamo scelto di segnalare alcuni marxisti, a nostro avviso esemplari, e che riteniamo ingiusta- mente sottovalutati. Si dir che non  legittimo dedicare a Gian- franco La Grassa o a Massimo Bontempelli pi spazio che a Be- nedetto Croce o a Labriola. Se questo fosse un manuale scola- stico non sarebbe forse legittimo. Ma questo  un saggio teori- co, assai pi teoretico che storico, in cui ci che conta non  la fama collaudata (se cos fosse, Sgarbi e Pippo Baudo dovreb- bero avere pi spazio di Gramsci), ma la qualit (o meglio, ci che chi scrive ritiene essere la qualit) della riflessione, la novit delle proposte, il valore di posizione delle innovazioni suggeri- te, anche se queste innovazioni non vengono accettate. Il saggio termina con un breve capitolo di conclusioni, che vorrebbero essere tenute metodologicamente ben distinte dalle due parti che le precedono. Il lettore giudicher ovviamente in base alle proprie autonome opinioni. Qui ci limitiamo ad antici- 22 parne soltanto i temi fondamentali, con i quali #/ saggio si chiude, e la discussione invece si apre, se riteniamo che i saggi, buoni o cattivi che siano, non sono che strumenti, tracce, canovacci, promemoria per permettere un dibattito aperto. In primo luogo,  bene ricordare che, nonostante il gran par- lare che si fa di chiusura di un ciclo storico, di rifondazione, di nuovo inizio, eccetera, non c ancora nessuna vera consa- pevolezza del fatto che un ciclo  veramente finito. La situazione ricorda piuttosto quello che gli americani chiamano il polish good-bye, cio il congedo alla polacca. Si sta sulla porta per due ore, scambiandosi saluti, pacche sulle spalle, promesse di rivedersi presto, ma nessuno si decide ad andarsene. Analoga- mente oggi molti dicono che bisogna andare oltre un certo Marx, un certo Gramsci, un certo Togliatti, una certa tradizione marxista, ma poi non se ne vanno, restano sulla porta, non pos- sono congedarsi dal loro stesso congedo. Chi scrive ha invece concepito questa storia delle idee marxiste in Italia in unottica di bilancio di unepoca ideologica ormai irreversibilmente trascorsa, nella piena coscienza che sar necessaria ledificazio- ne di un nuovo paradigma concettuale radicalmente diverso da quello della tradizione (e a questo nuovo paradigma, o meglio alle sue premesse, stiamo lavorando da tempo, sapendo bene che non sar quello giusto, ma soltanto il frammento di un mosaico non ancora visibile). In secondo luogo, esauritosi finalmente il polisb good-bye, non si pu pensare di ritornare nellabitazione precedente. In altre parole (e lo sottolineeremo con forza nelle conclusioni) non ha pi nessun senso pensare di ricostruire un marxismo italiano. Il marxismo italiano  finito, insieme con la fine del- la sovranit economica degli stati nazionali capitalistici. Insieme con il marxismo italiano, finir anche la lunga e defatigante alta- lena fra eccezionalismo positivo ed eccezionalismo negativo, e si porranno le basi per una convergenza fra internazionalismo e cosmopolitismo, due termini che la tradizione marxista ha spesso contrapposto (ritenendo positivo il primo, e negativo il secondo), laddove si tratta invece di due dimensioni strutturali della stessa realt processuale. 23 In terzo luogo, infine, insieme con il marxismo italiano si dovr superare anche lideologia italiana, questo dominio del- la manipolazione degli apparati politici sulla strategia culturale e sociale. Questo superamento, appunto, sar internazionalistico e cosmopolitico insieme, dal momento che un nuovo comuni- smo, capace di andare oltre lorizzonte del comunismo storico novecentesco, dovr per forza assumere fin dallinizio una di- mensione non provincialistica. Per concludere, questo saggio comprender anche una bi- bliografia generale. Essa non avr ovviamente nessun carattere di completezza, ma sar mirata esclusivamente alla segnala- zione delle fonti direttamente utilizzate in questo saggio. Insie- me con i libri, verranno ovviamente segnalate anche e soprattut- to le riviste, senza le quali nessuna storia del marxismo italiano  possibile. 24 Parte prima I Le origini del marxismo teorico e dellideologia italiana fra Ottocento e Novecento Nella sua storia della filosofia greca Emanuele Severino dice ripetutamente che la filosofia nacque grande, dal momento che fin dallinizio pose la questione metafisica fondamentale, quella dellEssere e della sua permanenza. Dal momento, per, che Se- verino coglie bens lEssere, ma non coglie che lEssere di Par- menide non  che lunit astratta del lavoro sociale complessivo, che non bisogna dividere (e far diventare cos Nulla, dal mo- mento che lEssere unitario diviso non  pi Nulla) rendendolo cos inesistente, si crea una situazione teorica zoppicante e in- cresciosa. Il problema viene posto correttamente, ma dal mo- mento che il modo in cui viene posto non  corretto, lo stesso problema diventa insolubile. La soluzione della scissione dellu- nit astratta del lavoro sociale complessivo  il comunismo per- ch il comunismo  la concretizzazione moderna dell'unit del lavoro sociale complessivo che il capitalismo ha ad un tempo sviluppato e diviso. Severino, invece (ma su questo punto cru- ciale ritorneremo, in particolare nei capitoli cinque ed undici della seconda parte di questo saggio), si trova continuamente fra le mani un Essere di cui non sa per esattamente che cosa sia, e questo Essere diventa per forza di cose un insieme di valori im- 25 mutabili che il destino nichilistico della modernit vorrebbe sempre sciogliere, senza per mai riuscirci. Il marxismo teorico nasce in Italia pi o meno come lEssere di Severino. Esso nasce grande, perch fin da principio, ancora pi che in altri paesi come la Germania e la Francia, abbiamo una discussione sui fondamenti ultimi del marxismo (la discus- sione fra Labriola, Croce e Gentile), e nello stesso tempo questa discussione resta teorica, perch il movimento reale politico del tempo (dai socialisti agli anarco-sindacalisti) non sa che farsene, non capisce neppure che senso abbia, ritenendo che la questione pratica della politica sia sempre di natura tattico-organizzati- va, e che lalta teoria sia un lusso per intellettuali che (come dice un vecchio adagio) non hanno proprio niente di meglio da fa- re.  questo allora, in poche parole, il vizio di origine del no- stro marxismo, che questultimo si porter dietro per un secolo, fino ed oltre la crisi odierna. In una trattazione sommaria come questa,  bene partire da Antonio Labriola, e cos faremo. A differenza per di come mol- ti pensano, non riterremo affatto Benedetto Croce linterlocuto- re filosofico fondamentale di Labriola, ma piuttosto Gentile (e Mondolfo). Croce  invece fin dall'inizio un semplice critico integrale del marxismo, alla Weber e alla Popper. Parallela- mente alla discussione filosofica sul marxismo, si sviluppa in Italia anche una discussione sul suo statuto economico (Loria, Pareto, Graziadei), fino alla robusta sintesi deterministica e meccanicistica di Amadeo Bordiga, il massimo animatore poli- tico (termine forse curioso, ma che preferiamo a quello paluda- to di fondatore) del comunismo italiano nel 1921. Il marxismo di Antonio Labriola Protagonista di una discussione internazionale sul marxismo, corrispondente di Engels e di Sorel, anello di congiunzione fra l'alta cultura filosofica universitaria europea ed il marxismo, Antonio Labriola  generalmente considerato il fondatore italia- no del marxismo inteso come filosofia della prassi. Esistono 26 per questo ragioni filologiche serie, che per ci permetteremo di non citare in questo contesto. Chiediamoci invece:  veramente cos?  Labriola veramente il fondatore del marxismo inteso co- me filosofia della prassi? Non lo crediamo. Labriola visse sempre drammaticamente una schizofrenia, che caratterizz la sua intera attivit intellet- tuale. Da un lato, formul un sistema teorico rigoroso in chia- ve di comunismo critico e non di socialismo scientifico, in cui la tendenza al comunismo era ricavata dialetticamente dalle leggi generali di movimento della societ capitalistica, in sinto- nia e non certo in contrapposizione con Engels e con quasi tut- to il marxismo della II Internazionale (che si muovevano sulla stessa lunghezza donda). Dallaltro, drammaticamente consa- pevole dellimmaturit del capitalismo italiano, della corruzio- ne trasformistica della sinistra storica e della classe politica romana, e dellarretratezza culturale della borghesia della peni- sola, auspic sempre che la borghesia facesse almeno il pro- prio mestiere, e che i socialisti italiani mettessero da parte le loro rivendicazioni irrealizzabili per aiutare una sorta di bor- ghesia progressista ideale a modernizzare lItalia.  noto che Labriola auspic persino una politica coloniale italiana, pur di vedere il suo provinciale paese adeguarsi agli standard europei. Labriola non era certo colpevole di questa schizofrenia. Egli viveva anzi drammaticamente la sindrome dimpotenza politica tipica dellintellettuale, che vede spesso le questioni di fondo, strategiche, ma non riesce a trovare un momento tattico di con- vergenza con i politici empirici. Nel 1892 egli ron va a Genova per la fondazione del Partito Socialista, pur essendo stato invita- to da Turati, che lo sollecitava ad andare a Genova a difendere le sue idee (sic!). Pi esattamente egli scrisse: ...io mi rifiutai di andare a Genova perch Turati e gli altri di Milano mi scrive- vano: essere cosa impossibile un programma netto; convenire di barcamenarsi fra anarchici, socialisti ed operai puri; non essere gli operai italiani maturi per la politica; doversi attendere; an- dassi io a Genova a difendere le zie idee. In proposito, la pre- sunta intolleranza di Turati appare oggi un sogno, dal mo- 27 mento che Turati lo incitava almeno ad andare a difendere le sue idee, mentre oggi il ceto politico professionale, nei confronti di un tompiscatole come il Labriola, non lo inviterebbe affatto, ma gli scatenerebbe contro i cani ed il servizio dordine. Labriola non va a Genova, e si rinchiude progressivamente in un rancoroso silenzio. Egli vuole in realt collaborare ad una piattaforma teorica marxista seria, ma non trova interlocutori politici, e deve dunque limitarsi a discutere con Croce e con Gentile, perch i politici pratici, Turati in testa, ritengono che ci siano cose molto pi importanti da fare che discutere con La- briola (e queste cose sono poi sempre le stesse: fondazione di sezioni, tesseramento, campagne elettorali, lotte di frazione nei congressi). Lasciato a se stesso, Labriola elabora un marxismo filosoficamente bellissimo, teoricamente coerente, e politica- mente inapplicabile. Un marxismo, comunque, che presenta a nostro avviso un limite necessitaristico evidente. Alla fine del suo secondo saggio sul materialismo storico (la cosiddetta Dily- cidazione Preliminare), Labriola scrive alcune pagine singolari sulla natura del progresso umano, che sono a nostro avviso rive- latrici per comprendere la sua concezione generale della storia. Da un lato, si sviluppano considerazioni per provare che il pro- gresso non  necessario: progresso e regresso sono inerenti alle condizioni ed al ritmo dello sviluppo sociale in genere. Dallal- tro si conclude ribadendo la necessit dellinevitabile avvento della societ comunista in cui tutte le contraddizioni del mondo borghese saranno risolte. La contraddizione, ai nostri occhi evi- dente, non appare tale a Labriola, perch egli per progresso intende il concetto di uno sviluppo teleologico, che gli puzza di metafisica e che  quindi un concetto... borghese, laddove il fa- tale andare della storia (sic!), che il marxismo ha scoperto, non sarebbe un andare teleologico (cio a disegno aprioristico), ma uno sviluppo per vis 4 tergo, cio un risultato delle contraddi- zioni in cui volta a volta la storia si trova inserita. Questo  il capitolo dodicesimo della Dilucidazione Prelimi- nare, in cui non c nessuna filosofia della prassi, ma soltanto una riformulazione vittuosa del tema engelsiano della inesorabile necessit dellavvento del socialismo. Nel terzo discorso (intito- 28 lato Discorrendo di socialismo e di filosofia) Labriola invece pat- la esplicitamente di filosofia della praxis, che per definisce subito (e lo citiamo letteralmente, perch  importante!) come la semovenza delle cose, delle quali il pensiero  da ultimo un prodotto, contrapposta alla hegeliana semovenza ritmica di un pensiero per s stante. Lo stesso Labriola ha la civetteria di dire di star usando, con il termine semovenza delle cose, la prosa corrente. La filosofia della praxis  dunque la semovenza delle cose, e le cose sono ovviamente i rapporti sociali ed i rapporti di produ- zione, e non certo il fantomatico fattore economico degli eco- nomisti (contro cui ripetutamente Labriola polemizza). A no- stro avviso, per, la serzovenza delle cose non  una filosofia del- la prassi (o praxis che sia).  una formulazione deterministica dellavvento ineluttabile della societ comunistica.  dunque un paradosso, peraltro perfettamente spiegabile, che pensatori me- no dotati di Labriola, come Gentile e Mondolfo, debbano rifor- mulare in modo diverso lidea del marxismo come filosofia della prassi intesa come attivit soggettiva cosciente e non come ri- flesso derivato della semovenza delle cose. Il marxismo di Giovanni Gentile La sorte ha voluto che il filosofo del fascismo, luomo ucciso dai partigiani dei GAP a Firenze nel 1944 per aver aderito alla Repubblica di Sal, sia stato a tutti gli effetti il primo formulato- re teorico del marxismo come filosofia della prassi in Italia. Questa formulazione risale al 1899, e fu per esempio apprezzata (cosa che molti non sanno) da Lenin, che la defin il miglior sag- gio sul marxismo scritto da un autore non marxista. Le ragioni di questo apprezzamento sono molto semplici. Lenin, pur non avendo ancora condotto al tempo del suo giudizio sul lavoro di Gentile uno studio personale accurato sulla dialettica hegeliana,  gi profondamente convinto della natura filosofica del marxi- smo, e Gentile gli conferma che lopera di Marx non  affatto un canone di semplice interpretazione della storia (come sostenne 29 Croce), ma una vera filosofia della storia (come aveva del resto detto Labriola nel primo dei suoi discorsi). Secondo Gentile, questa filosofia della storia di Marx si basava per su due ambi- guit filosofiche evidenti: in primo luogo, attribuiva a Hegel una concezione platonica, cio idealistica, di Idea, laddove in He- gel lIdea non era platonicamente qualcosa di staccato dalla real- t, ma la semplice totalit dinamica della realt stessa; in secon- do luogo, non avendo compreso che la dialettica hegeliana non era applicata ad una realt trascendente, riteneva di doverla ro- vesciare per applicarla al contenuto empirico della prassi, che non  per secondo Gentile dialettizzabile in nessun modo, se non  riferita alla totalit ideale (che , appunto, quella di He- gel, e non pu essere in alcun modo la materia, principio non dialettizzabile per eccellenza). A nostro avviso, entrambe le obiezioni sono fondate. Da un lato,  vero che lidealismo di Hegel non  affatto platonico, cio staccato dalla processualit della realt, ma coincide con es- sa, per cui  corretto dire che Marx non rovescia lidealismo hegeliano, ma semplicemente lo applica alla totalit ideale della successione dei modi di produzione. Dallaltro,  vero che la materia empirica non  dialettizzabile. Ci che invece non c' a nostro avviso per nulla in Gentile, e che sfugge completa- mente al suo pur acuto sguardo filosofico,  la concretezza de- terminata dei modi di produzione, e di quello capitalistico in particolare. Quando Gentile parla di Hegel e di Marx, di dialet- tica e di empiricit, di idee e di materia, dice cose molto acute ed illuminanti. Nello stesso tempo, per, egli  il modello, quasi ca- ricaturale, di un approccio esclusivamente filosofico a Marx, in cui ci si occupa dottamente dello statuto teorico del materiali- smo storico (che Gentile  uno dei primi a riconoscere essere pressoch integralmente hegeliano, perch la dialettica  quella di Hegel, e non quella di una fantomatica materia filosofica), ma in cui non si parla mai di lotta di classe, di comunismo, di alienazioni capitalistiche, eccetera. Per Gentile, in realt, lo stes- so tema delle estraneazioni capitalistiche  inesistente, e in que- sto modo la sua stessa grande scoperta, la stretta unione fra Marx e Hegel, finisce con il lasciare il tempo che trova. 30 Il marxismo di Rodolfo Mondolfo Se Giovanni Gentile ha il merito di sostenere fin dal 1899 la profonda affinit filosofica fra Marx ed Hegel, Rodolfo Mon- dolfo ha il merito di sostenere, in un libro pubblicato nel 1912, la differenza qualitativa fra Marx ed Engels sul terreno filosofi- co, in un momento storico in cui la pressoch perfetta identit fra i due era un dato scontato sia presso i militanti socialisti sia presso gli studiosi di filosofia. In questa meritoria operazione, per, Mondolfo introduce alcune confusioni che finiscono con il guastare linsieme della sua proposta. Mondolfo vede in Marx il pensatore che ha unito una concezione critico-pratica della sto- ria (basata sullumanesimo riformatore e sul volontarismo poli- tico) con una filosofia della praxis (concepita in senso sostan- zialmente labrioliano e gentiliano), mentre scarica su Engels sia il materialismo dialettico, cattiva filosofia che pretende di far sparire l'opposizione tra filosofia e scienza, ma cade poi in una filosofia della natura, sia il materialismo storico, che tende a sua volta verso un insostenibile determinismo economico. Loperazione chirurgica di Mondolfo  perfettamente riusci- ta, peccato che il paziente sia motto. La distinzione fra Marx ed Engels  pertinente, ma lo scarico su Engels sia del materialismo dialettico sia del materialismo storico finisce con il far diventare Marx, privato di entrambi, un volontarista politico, un riforma- tore morale, un umanista liberale.  questa una filosofia genero- sa, a nostro avviso completamente sbagliata, che sembra fatta apposta per piacere ai politici pratici, da Turati a Nenni, che non vogliono farsi legare le mani da una teoria dei modi di produzione e della loro legalit sociale. Secondo la lettura di Gentile del rapporto fra Hegel e Marx, Hegel prende tutto, e a Marx non resta niente, per cui si pu legittimamente diventare prima liberali e poi fascisti con incorrotta coscienza filosofica. Secondo la lettura di Mondolfo del rapporto fra Engels e Marx, Engels prende tutto, a Marx non resta che letica, la morale, la- gire politico empirico, e si pu diventare prima riformisti e poi socialdemocratici con piena coerenza e senza trasformismi. Chi scrive, tuttavia, nonostante questa valutazione duramente critica 31 del nucleo teorico del pensiero di Gentile e di Mondolfo, ritiene che questi due autori siano stati a loro modo geniali, e che molti odierni critici popperiani del marxismo siano largamente al di sotto del loro livello e anche della loro onest filosofica. Benedetto Croce e il marxismo. Una morte simulata? In una sua operetta assai famosa, Croce fa nascere e morire il marxismo in Italia nell'arco di tempo del suo dibattito triangolare con Labriola e con Gentile. L'affermazione  di una tale grottesca e paranoica presunzione da meritare un commento. Come  possi- bile, si dir, avere un tale orgoglio luciferino da pensare veramen- te di esaurire un dibattito epocale con le proprie argomentazioni, per intelligenti che siano? In fondo, Croce si limita ad una opera- zione di demolizione teorica della legge del valore-lavoro di Marx, ridotta a conseguenza di un paragone ellittico fra unastratta so- ciet tutta lavoratrice ed assunta come tipo e una societ con capi- tale privato, e di salvataggio del materialismo storico assunto co- me semplice canone storiografico. Marx diventa un apostolo del- le genti e dei proletari, ed il comunismo una religione originata dalla dissoluzione dell'idea teistica da parte della sinistra hegelia- na e della sostituzione dell'elemento religioso con lUmanit. Si tratta di una critica filosofica discutibile, ma indubbiamente acu- ta. Nello stesso tempo, solo un paranoico che scambia se stesso con Platone e con Hegel pu pensare veramente di seppellire Marx con queste osservazioni critiche. Vorremmo spezzare qui una lancia a favore di Croce. Croce aveva a suo modo ragione nel considerare chiusa la discussione sul marxismo teorico in Italia, per il semplice fatto che i socialisti italiani, con Turati in testa (ma non solo), mostravano di non avere nessuna voglia di coltivare e prendere sul serio le obiezioni fatte al marxismo, e di concepire il socialismo come propaganda anticle- ricale, edificazione dei semplici, tatticismo politico. Croce ritiene di avere stroncato filosoficamente il marxismo, con la sua dop- pia critica alla teoria del valore e del plusvalore (il paragone ellit- tico) e alla teoria della alienazione (la dissoluzione dell'idea tei- stica in religione dellumanit), constata che nessuno lo prende sul 32 serio, e allora  come direbbe Stalin  passa allordine del giorno. Bisogner aspettare un Gramsci per vedere qualcuno che prende sul serio la teoria nel nostro amato paese. Ci che Croce contrappone al marxismo  peraltro a nostro av- viso assai povero. La sua riforma della dialettica hegeliana  in realt una controriforma, che spezza lunitariet dialettica dellEs- sere sociale e della contraddizione che lo determina in ambiti di fatto irrelati (nonostante tutti i tentativi di Croce di collegare in qualche modo i suoi distinti).  in particolare la distinzione cro- ciana fra etica ed economia a fornire inesauribili argomenti a tutti i difensori del capitalismo (compresi coloro che lo fanno oggi, al- l'epoca di Amato e di Maastricht). Con la distinzione fra economia ed etica  possibile infatti ristabilire il dualismo irrisolvibile fra un mondo dellutile economico, sottoposto alle leggi inesorabili e im- modificabili del marginalismo e del monetarismo, e un mondo del bene morale, in cui potranno agire gli onesti, i buoni, il volontaria- to, eccetera. Il grande Hegel non era stato cos sciocco da separare etica ed economia, e infatti le aveva trattate insieme nel suo Spirito Oggettivo, ben consapevole del loro intreccio ontologico. Croce inaugura invece quella controriforma della dialettica che consen- tir di delegare l'economia al Fondo Monetario Internazionale e letica ai moralisti laici, ai vescovi e al papa. Come stupirsi allora che Croce non poteva non dirsi cristiano! Certo che non poteva che dirsi cristiano, ma non certo per il riconoscimento storicistico dei valori morali cristiani nel mondo occidentale (che per Cro- ce, come per tutti i liberali,  lunico mondo dotato di vera sostan- za etica), quanto per il fatto che la distinzione fra economia ed eti- ca, con il primo mondo economico lasciato volta a volta allo schiavismo, al feudalesimo ed al capitalismo, e il secondo mon- do etico consegnato al bene, alla carit ed al peccato,  proprio il tessuto filosofico portante non certo di Cristo, quanto del cristia- nesimo storico. Croce non avrebbe mai potuto sedersi, a nostro av- viso, fra Hegel e Marx, che avrebbero sorriso alle sue distinzioni ontologiche fra economia ed etica, ma si sarebbe certamente se- duto oggi, e sarebbe stato benvenuto, fra Norberto Bobbio ed il cardinal Martini. 33 Marx in Italia fra economisti e sociologi A fianco della discussione filosofica fra Labriola, Gentile, Croce e Mondolfo, c stata nell'Italia giolittiana e pregiolittiana una discussione altrettanto ricca ed interessante, che ha visto impegnati economisti come Loria e Graziadei e sociologi come Pareto e Michels (un tedesco che fu per ben presto italiano di elezione). Questa discussione  oggi nota soltanto a pochi specialisti di storia delle idee, ed  un peccato, perch essa anti- cipa molti temi che discuteremo nel nono capitolo della seconda parte di questo saggio. In quel tempo Smith era gi molto noto, ma Ricardo era stato dimenticato, e Keynes e Sraffa appartene- vano ancora al futuro. Eppure, quasi tutti i temi attuali del rap- porto fra marxismo ed economia sono gi presenti, talvolta con nettezza e soprattutto con un maggior grado di comprensibilit, che non si pu che ammirare. I sociologi Pareto e Michels elaborarono allora tutti i temi fondamentali della toria delle lites, cio, in buona sostanza, dellimpossibilit sociale e sistemica del socialismo sotto qual- siasi forma. Per dirla in modo weberiano, i socialisti possono anche vincere, ma il socialismo mai (e Craxi ed Occhetto sareb- bero certamente daccordo con questa disincantata diagnosi!). Se ci si accosta alle loro elaborazioni, appare chiaro che la genesi scientifica e psicologica delle loto teorie sulle lites  in entram- bi i casi il socialismo: in Pareto la /ott4 teorica contro di esso, svolta con una ripresa del marginalismo che viene opposto alla teoria del valore marxiana con unincredibile acrimonia, che pe- raltro non sospetta mai che a fianco della teoria della sostanza del valore c' in Marx anche una teoria della forma e della astra- zione del lavoro stesso; in Michels la delusione verso la socialde- mocrazia, di cui si vede con acutezza la degenerazione partito- cratica ed elettoralistica, fino a diagnosticare negli apparati pro- fessionali dei partiti operai e nella loro autoriproduzione bu- rocratica la ragione di fondo dellinevitabile corruzione del so- cialismo. Lo ripetiamo: la lotta contro il marxismo e la delusione nei suoi confronti sono a nostro avviso la matrice psicologica fondamentale del disincanto e della conclusione pessimistica 34 sullinevitabilit di nuove classi sfruttatrici (e da Burnham a Gi- las, da Silone a Castoriadis non c' proprio che l'imbarazzo del- la scelta). Gli economisti Loria e Graziadei furono tra i primi, anche e soprattutto a livello internazionale, a fare le pulci allo statuto epistemologico delle teorie marxiane della trasformazione dei valori in prezzi e del plusvalore.  interessante che Loria sia sta- to uno degli interlocutori riconosciuti di Engels e di Kautzky sulle questioni economiche, e soprattutto che Graziadei (che fu sempre politicamente socialista e poi comunista) abbia anticipa- to con dovizia di argomentazioni la corrente neoricardiana del marxismo, fiorita a partire dalla rivoluzione sraffiana negli anni Sessanta, per la quale la lotta contro lo sfruttamento capitalistico non ha nessun bisogno di una teoria scientificamente insosteni- bile come quella sul plusvalore, bastandole ed avanzandole una teoria del sopralavoro erogato dalla classe operaia. Il marxismo teorico italiano che precede la rivoluzione dot- tobre del 1917 presenta gi dunque alcune caratteristiche teori- che di fondo, che riassumeremo qui ancora una volta. In primo luogo, esso avviene in totale mancanza di una committenza politica: i politici lottano ferocemente su questioni tattiche e mi- nisteriali, e non sanno cosa farsene della teoria. In secondo luo- go, i filosofi e gli economisti si ignorano con lottusa e provoca- toria supponenza che hanno gli specialisti di rami distinti del sapere che il mondo universitario vuole ontologicamente e logi- camente (e soprattutto concorsualmente) separati: ai filosofi interessano Hegel ed Engels, la logica e la dialettica, agli econo- misti interessa far venite la trasformazione dei valori in prez- zi. Se per caso le due problematiche si toccano (e non possono che toccarsi, dal momento che la teoria del valore di Marx pre- senta una doppia natura, qualitativa e quantitativa) essi arretrano come scottati da un metallo rovente. In terzo luogo, anche i pi dotati finiscono con lo scivolare in ipasses assai gravi: Labriola vuole sinceramente fondare la filosofia della praxis in modo non positivistico, e riattingere il significato globale, alla Vico, della- gire umano e della storia, ma nello stesso tempo ripropone la ne- cessit destinale del comunismo come semovenza delle cose, 35 angosciosamente coesistente con il desiderio che la borghesia nel frattempo faccia il suo mestiere, compreso quello coloniale; Croce  lunico che si occupa contemporaneamente di filosofia e di economia, ma proietta la sua personale paranoia di studioso disinteressato, che non vuole mescolare la verit con gli inte- ressi spiccioli dei proletari, nella distinzione fra un mondo logi- co, in cui coltivare il vero, un mondo economico, in cui fare i propri legittimi affari (ed  interessante che anche la scienza di- venti in Croce una economia del pensiero), ed un mondo eti- co, in cui coltivare le proprie esigenze morali.  un bel marxi- smo quello che nasce in Italia, ma siccome la sua bellezza non in- teressa a nessuno, essa sfiorisce ed appassisce come una stupen- da fanciulla che non esce mai dalla propria stanza e guarda il mondo dalle persiane socchiuse. Amadeo Bordiga e la conclusione delle origini del marxismo italiano La storiografia delle idee marxiste in Italia colloca general- mente Gramsci come momento periodizzante e spartiacque fra il vecchio e il nuovo. A nostro avviso questo non  del tutto esat- to, perch lascia sotto silenzio il fatto che fu Amadeo Bordiga, e non Gramsci, luomo della fondazione epocale del comunismo italiano nel 1921. Finch esisteva il PCI di Togliatti, e la sua esi- genza di distinguere i Padri della Chiesa e gli Eretici, questa fin- zione clericale era comprensibile. Oggi non pi. Bordiga  in fondo il primo marxista italiano che capisce al volo che cosa sia l'imperialismo, che la prima guerra mondiale  una guerra impe- rialistica per la spartizione del mondo, che il cosiddetto inter- ventismo democratico  una sanguinosa idiozia subalterna agli interessi dei mercanti di cannoni, che il PSI  una baracca para- lizzata dal correntismo parlamentaristico, e che dunque, per dirla in breve,  giunto il momento di sostituire il socialismo con il comunismo. Bordiga capisce queste cose, e si mette a praticarle politica- mente, prima che comincino a capirle Gramsci e Togliatti, Ser- 36 rati e Terracini. In una sua polemica con Angelo Tasca e con il culturalismo dei giovani socialisti, Bordiga ha modo (gi pri- ma del 1914) di formulare la sua teoria sul crollo del capitalismo e sul determinismo economico, una teoria che conserver in- crollabilmente fino alla morte (avvenuta nel 1970), e che ripren- deremo nel terzo capitolo della seconda parte di questo saggio. Questa teoria, che sar il punto di riferimento polemico di Anto- nio Gramsci, non  per il frutto di un provincialismo napoleta- no lontano dai grandi centri del dibattito (come Vico e Croce, Bordiga  un napoletano cosmopolita), ma  al contrario la ver- sione rigorosa, italiana, del marxismo tedesco della II Interna- zionale, che aveva sempre discusso seriamente la teoria della cri- si e del crollo del capitalismo.  Bordiga luomo di Zimmerwald e di Kienthal in Italia. Ed  Bordiga a farsi animatore instancabi- le della fondazione organizzativa del comunismo in Italia. Que- sta fondazione organizzativa, per, non era ancora una fonda- zione teorica. Per questo bisognava aspettare Antonio Gram- sci, che non fu mai un santo laico da issare in manifestazioni e cortei, ma che fu sempre un uomo acuto, intelligente, appassio- nato, che prendeva il pensiero sul serio. Un tipo duomo di cui oggi si  perso lo stampo. 37 II La rivoluzione in Occidente di Antonio Gramsci e la sua ambiguit di fondo Il pensiero di Gramsci  stato sottoposto in Italia ad una tale operazione di santificazione e di imbalsamazione che risulta realmente difficile ritornarvi in modo fresco. Per ragioni di edificazione burocratica, tesi di laurea, parteci- pazione a concorsi lottizzati, imitazione, eccetera, la bibliografia su Gramsci  letteralmente sterminata. Ogni sua paroletta  stata scomposta, interpretata, contestualizzata, filologicamente rico- struita, strumentalizzata, citata. Tutto ci  stato inevitabile. Il comunismo storico novecentesco ha avuto aspetti culturali di ti- po assai pi feudale che capitalistico, e la sacralizzazione della citazione di auctoritates ha sempre avuto lo scopo profano di duplicare simbolicamente la legittimit della direzione dei ca- pi politici proiettandola in un cielo incorrotto di exemzpla defun- ti. Il feudalesimo funziona esattamente cos, e dunque non biso- gna stupirsi. Il comunismo ha avuto una fase schiavistica, una fa- se feudale, speriamo che imbocchi ora una fase capitalistica (quella della libera individualit), in modo che prima o poi attin- ga anche una fase comunistica. Vorremmo dire subito spregiu- dicatamente che la maggior parte delle pagine scritte in lingua italiana su Gramsci merita di servire a ci cui spesso servono i li- bri vecchi: sostenere un tavolo traballante, riempire spazi vuoti sulle pareti, essere tirati dietro visitatori importuni, come avvie- ne nei romanzi umoristici di Wodehouse, in cui per la verit si ti- rano sempre i grossi tomi rilegati del Gibbon sulla caduta del- limpero romano. Chi scrive non . n un gramsciologo n un gramsciano, e si potr in questo capitolo una domanda voluta- 39 mente e quasi provocatoriamente banale: se Gramsci  stato cos in gamba, come tutti dicono, perch esattamente lo  stato? Per quali ragioni possiamo tranquillamente ripetere che egli  stato veramente in gamba? Il primo Gramsci: operaismo e Ordine Nuovo Il giovane studente sardo che si aggira infreddolito per le vie di Torino discutendo animatamente sotto i portici di via Po, il provinciale diviso fra linteresse per la letteratura e la filosofia e l'attrazione per la classe operaia organizzata, non  e non pu es- sere una Minerva uscita gi armata dalla testa di Giove. Nel capitolo precedente abbiamo molto insistito sul fatto che il mar- xismo italiano  stato fino ad allora un marxismo di intellettuali, mentre il socialismo italiano  stato un circo Barnum di ten- denze, tenute insieme da una sottile crosta politica e parlamenta- re. Non ci si pu proprio stupite che Gramsci cerchi brancolan- do la sua strada, sia addirittura tentato dallinterventismo de- mocratico, oscilli fra Bergson e Croce, si disperda fra cose im- portanti e vere e proprie sciocchezze. E quale giovane non fa questo? Forse che oggi Beethoven non si mescola con Dylan Dog, e Hegel con Benigni? Gramsci avrebbe forse dovuto esse- re un perfetto Labriola a vent'anni? Sarebbe assurdo pretenderlo.  invece interessante che, fin dal 1919, Gramsci ed i suoi amici, iniziando l'avventura edito- riale dell'Ordine Nuovo, individuino da subito il problema principale della rivoluzione comunista nella capacit da parte della classe opetaia di passare da una mera fase protestataria ad una fase costruttiva. Alla luce di polemiche recenti, si  voluto vedere nellordinovismo di Gramsci una forma di produttivi- smo, di utopia gestionale, di organicismo sociale.  questo a no- stro avviso un ettore critico di prospettiva storica. Gramsci non ha altro modo per sfuggire alla falsa alternativa fra riformisti e massimalisti al di fuori di una autonoma scelta operaista. Lo- peraismo in Gramsci non ha nulla a che vedere con ci che verr chiamato a partire dagli anni Cinquanta operaismo italiano, 40 perch non implica nessuna teoria sulla pianificazione del capi- tale o delluso capitalistico delle macchine (come in Panzieri), ma  una semplice teoria della base sociale della rivoluzione co- munista, gi analizzata da Gramsci in termini di rivoluzione con- tro il Capitale (di Marx). Il marxismo in Italia era sinonimo di evoluzionismo, attendismo, determinismo sociale. Gramsci  pienamente legittimato a cambiare terreno. Il suo presunto soggettivismo, che non si manc di rimproverargli, non era che la legittima e sacrosanta ricerca di un soggetto di massa della rivoluzione socialista. La classe operaia torinese della grande fabbrica gli sembr essere lunico soggetto sociale di massa ca- pace di fare da fondamento storico ad un progetto rivoluziona- rio in Italia. Il comunismo per Gramsci non  certamente ope- raismo, ma loperaismo  la premessa soggettiva del comuni- smo, il suo motorino davviamento e nello stesso tempo la sua locomotiva. Tutto questo non poteva che dar luogo a due possibili equivo- ci. In primo luogo, gli fu a lungo rimproverato da Bordiga e dal- la tradizione bordighista di aver trascurato il problema del par- tito, dell'avanguardia soggettiva generale e non solo fabbri- chista, di essere anarcosindacalista, eccetera. Alla luce dei comportamenti posteriori di Gramsci dirigente di partito, queste accuse non sembrano avere molto fondamento. Vi  per una seconda possibile accusa, pi interessante nella sua motiva- zione di fondo. Loperaismo di Gramsci pu infatti essere visto come una mascherata forma di fascinazione capitalistica, di sog- gezione e di subalternit al produttivismo della grande fabbrica automobilistica, come se la razionalit comunista non potesse essere altro che la gestione operaia della stessa logica generale di fabbricazione di beni di un certo tipo e fatti in un certo modo. Questa seconda accusa  a nostro avviso pienamente fondata fi- losoficamente, ma non ci sembra storica, nel senso che rilievi di questo tipo possono essere fatti soltanto oggi, alla luce di nuo- ve consapevolezze ecologiche, antropologiche, culturali. Anche nelle note dal carcere sullamericanismo e il fordismo Gramsci ritorn sulla relativa razionalit della produzione capitalistica di massa, e sulla preferibilit di una civilizzazione capitalistica 41 sviluppata ad una disgregazione contadina o ad un anarchismo piccolo-borghese. Questo significa che la fascinazione gram- sciana per il capitalismo (si noti bene: pi per il capitalismo che per la borghesia, che Gramsci disprezza, come quasi tutti i co- munisti della sua generazione, eccettuato forse soltanto Luk4cs) era radicata e profonda. Ma  questo a nostro avviso un vizio di tutto il comunismo storico novecentesco, e non certo soltanto di Gramsci. Il secondo Gramsci: fronte unico e Tesi di Lione La storia sacra del PCI, scritta fra il 1943 ed il 1989, present spesso Gramsci come luomo che condusse una lotta vittoriosa contro lestremismo di Bordiga e come il fondatore della via ita- liana al socialismo (disegnata per la prima volta al congresso di Lione del 1926), destinata ad essere concretizzata e sviluppata da Palmiro Togliatti, suo amico ed allievo. Le cose non andaro- no esattamente in questo modo, come sanno tutti gli storici del comunismo (e come invece non sapeva quasi nessun militante di base del vecchio PCI, come chi scrive ha avuto spesso modo di riscontrare). Gramsci non sarebbe probabilmente riuscito a vincere una battaglia di linea politica contro Bordiga con le sue sole forze italiane, e fu letteralmente posto alla direzione del Partito Comunista dItalia dal vertice dellInternazionale Co- munista, che voleva generalizzare a tutti i giovani partiti rivolu- zionari la tattica del fronte unico, o dellalleanza dal basso tra le forze di sinistra, una tattica in cui Gramsci si riconosceva, e che invece Bordiga rifiutava. A quel tempo era ancora relativa- mente facile distinguere in modo razionale una tattica di destra, di centro e di sinistra: la destra era per una alleanza organica con le forze tradizionali di sinistra, sulla base di una ipotesi di stabi- lizzazione economica del capitalismo; il centro era per una poli- tica di fronte unito dal basso con i lavoratori di tutte le tendenze, sulla base dellindividuazione di obiettivi economici e politici comuni; la sinistra era per una teoria delloffensiva, che com- portava un inevitabile isolamento (dal momento che nessunal- 42 tra forza era disposta ad accettare una piattaforma di offensi- va). Gramsci era di centro, robustamente di centro.  un fatto noto, ma non  a nostro avviso il fatto determinante. Per Gram- sci la tattica era sempre soltanto un momento di applicazione della strategia, e questo  lessenziale. : A prima vista, questa pu sembrare unovviet.  chiaro, in- fatti, che la tattica  correlata alla strategia. Ma chiediamoci:  chiaro veramente? Non lo crediamo. Gramsci faceva ancora parte di quel tipo umano di comunista idealista per cui lagire tattico doveva essere fondato su di una prospettiva storica sen- sata. Dopo la sua morte, prevalse il tipo umano del carrierista, del politicante di professione, del galleggiatore a tutti i costi, per cui la tattica di sopravvivenza politica  fine a se stessa. Questo tipo umano non si pone #7 il problema della natura storica del- la propria prospettiva politica, e considera anzi questo proble- ma una perdita di tempo. Per galleggiare sullacqua, infatti, non serve sapere se la costa  a destra o a sinistra. Solo chi nuota  in- teressato a saperlo, perch solo chi nuota vuole dirigersi da qual- che parte. Gramsci era un nuotatore, non un galleggiatore. La tattica politica di fronte unico richiedeva infatti una fonda- zione teorica strategica. Non  un caso, per fare un esempio, che Lukacs, autore di un libro filosofico ispirato alla contrapposi- zione frontale fra borghesia e proletariato, Storia e Coscienza di Classe, effettua a partire dal 1926 una svolta filosofica che  sot- terraneamente legata a una sua sempre maggiore adesione poli- tica a una linea di fronte unico (si pensi alle sue Tesi di Blum). Gramsci non ha tempo per la teorizzazione strategica nei suoi febbrili anni di militanza politica. Sar Mussolini, che lo fece ar- restare e rinchiudere in prigione, a permettergli paradossalmen- te di raggiungere limmortalit con i suoi Quaderni del Carcere. Unimmortalit pagata a carissimo prezzo, quella di un uomo in- namorato di una moglie che non pu vedere e toccare e di due fi- gli amatissimi con cui non pu giocare e che non pu veder cre- scere. Riteniamo che se non ci si china pensosi sui costi del pro- cesso di produzione dei Quaderni del Carcere non si pu nep- Dr apprezzarne la straordinaria densit intellettuale e filoso- ca. 43 Il terzo Gramsci: la rivoluzione in Occidente e i Quaderni del Carcere Si  detto che Gramsci  luomo della politica del fronte unico che si contrappone a Bordiga teorico e tattico della contrapposi- zione frontale. Il fronte unico dal basso  stato lultimo consiglio politico dato da Lenin al movimento operaio occidentale prima di morire (abbiamo sempre trovato bellissima questa formula- zione, che  di Perry Anderson). Chiuso in prigione, Gramsci organizza il suo tempo e la sua energia nella prospettiva di un progetto teorico complessivo, in cui a nostro avviso Bordiga  il principale interlocutore silenzioso, un assente di cui non si di- mentica mai la silenziosa presenza interlocutoria. Nella conclu- sione del primo capitolo abbiamo sostenuto che a nostro avviso Bordiga non  un rozzo estremista, ma  forse il punto pi alto della ricezione italiana del rzigliore marxismo della II Interna- zionale: teoria dell'imperialismo, centralit e primato del prole- tariato visto come unica classe rivoluzionaria, accettazione della teoria del crollo del capitalismo sulla base della vecchia e glorio- sa teoria dell'aumento della composizione organica del capitale e della caduta tendenziale del saggio di profitto. Questo marxi- smo, economistico, deterministico e meccanicistico,  peraltro lunico marxismo teorico disponibile a quei tempi, e il fatto che Bordiga ne sia un praticante ed un officiante non deve essere vi- sto come una sua colpa, ma come un suo merito. In URSS, Bu- charin scriver un manuale di materialismo storico (inteso come sociologia marxista) che si baser pi o meno su questi pre- supposti. Lo stesso materialismo dialettico staliniano, che aspet- ter il 1931 per essere formulato nella versione scolastica che re- ster sostanzialmente intatta fino al 1991, non  paradossalmen- te poi cos lontano dal bordighismo nella sua pi profonda ispi- razione filosofica, anche se ovviamente esso si basa sul ricono- scimento della piena natura socialista dell'URSS, che invece Bordiga negher appassionatamente dopo il 1945 (come ricor- deremo nel terzo capitolo della seconda parte). Il marxismo di Gramsci si costruisce in base ad un progetto qualitativamente diverso. Gramsci si rende perfettamente conto 44 che la rottura politica del 1917 in Russia ha dato luogo ad un pe- riodo storico nuovo, e ha posto il problema epocale del comuni- . smo in termini di possibilit concreta, e non solo pi di evoca- zione utopica e di protesta morale. Il 1917 russo, e il 1921 italia- no, non hanno per ancora dato vita ad una rottura teorica con il socialismo precedente. Paradossalmente, si pu dire che il co- munismo  una realt politica che continua a basarsi su di una le- gittimazione teorica socialista. La Terza Internazionale continua a pensarsi come lala sinistra del socialismo. Lala sinistra del socialismo per non  il comunismo, ma il massimalismo, ed il massimalismo non  che la protesta verbosa ed impotente con- tro il riformismo. Perch il comunismo, dunque, smetta di esse- re lala sinistra, massimalistica ed estremistica, del vecchio uni- verso spirituale socialista,  necessario che esso si basi su nuove fondamenta teoriche. Su nuove fondamenta teoriche. Riteniamo che il problema di Gramsci sia sostanzialmente quello che ci assilla oggi, negli anni Novanta del Novecento, dopo il crollo catastrofico della forza organizzata del comunismo storico novecentesco. Anche per noi la rifondazione comunista, forse possibile ma da non dare assolutamente per scontata, non pu essere soltanto la ripeti- zione e la riformulazione della vecchia ala sinistra (massima- listica) del movimento comunista storico test crollato, ma deve dar luogo a qualcosa di veramente nuovo. Gramsci, tenendo conto della sua condizione di ristretto in carcere, con una di- sponibilit limitata di libri e di giornali, sceglie correttamente la forma espositiva dei quaderni tematici. Egli  gi ristretto dal- la porta chiusa della cella, e non pu farsi ulteriormente re- stringere da una forma espositiva chiusa e dogmatica. Nella- pertura delle sue note e dei suoi commenti, chi scrive vede una palese metafora del suo bisogno di libert, politica, intellettuale e fisica. Il progetto teorico gramsciano  allora la proiezione filosofica complessiva della tattica leniniana del fronte unico. Il fronte uni- co vuole allargare la base politica attiva e militante della rivolu- zione. La questione teorica principale  quella della/largamzento della base culturale del marxismo, di cui Gramsci accetta la for- 45 mulazione labrioliana in chiave di filosofia della prassi, espun- gendo per quei residui necessitaristici che come abbiamo visto restavano nella pur geniale sintesi di Labriola. Preghiamo il let- tore di notare bene che abbiamo parlato di allargamento cultu- rale, non certo di allargamento ideologico. Lallargamento ideologico  infatti una forma di opportunismo dei principi, e coincide esattamente con la deideologizzazione, dal momento che la natura segreta dell'ideologia sta nel fatto che se essa non  presa sul serio ed  piegata strumentalmente ad esigenze tatti- co-politiche congiunturali, si consuma e si disintegra proprio quando sembra che venga messa sugli altari (e l'esempio delli- deologo sovietico Suslov non dovrebbe smettere di illuminarci). Lallargamento culturale  invece la vera forma della nozione di egemonia, per cui la stessa questione del nesso fra coercizione e consenso, forza e convinzione, momento democratico e mo- mento dittatoriale, diventa a nostro avviso soltanto una specifi- cazione politica secondaria. Gramsci si rende conto che il comu- nismo ha una base culturale ristretta ed asfittica, che  necessa- rio allargare. Una rivoluzione in Occidente non  soltanto una rivoluzione che deve investire una societ civile ricca e artico- lata, e che deve mobilitare un moderno Principe (con tutte le virt machiavelliane che ne conseguono: religione civile, orga- nizzazione militare, legittimazione integrale dalla conflittualit politica ordinata, eccetera). La rivoluzione in Occidente ' un ordine nuovo integrale (ed  un ordine, proprio nel senso che Machiavelli d alla parola ordine: una serie di istituzioni poli- tiche stabili e funzionanti). Il comunismo  un ordine nuovo. Gli ordini non sono altro che le leggi liberamente accettate nella coscienza degli uomini. Crediamo di essere cos riusciti a spiegare perch a nostro av- viso Gramsci  stato cos in gamba. Egli ha individuato in mo- do geniale il problema dellallargamento culturale del comuni- smo, ed ha anche compreso che il diritto alla filosofia riguarda tutti gli uomini, e non soltanto una lite di governanti. Resta il fatto, e non possiamo qui tacerlo, che questa scopetta geniale viene fatta nel quadro di due ambiguit fondamentali, di cui una almeno  stata fatale. 46 La tesi di Perry Anderson sullambiguit di Gramsci Una prima ambiguit generale dellelaborazione gramsciana appare agevolmente visibile se appena si pensa che quasi sem- pre Gramsci pensa la rivoluzione in Occidente 4 partire dalla ri- cognizione della societ e della storia italiana. Ma lItalia non  un paese tipico dell'Occidente. L'Italia  un paese per molti ver- si arretrato, in cui una rivoluzione borghese non ha mai avuto luogo (tale non  stata  e Gramsci lo sa benissimo  quella di Cavour, Mazzini e Garibaldi), e in cui si pongono problemi di modernizzazione capitalistica ben maggiori che nella maggior parte degli altri paesi europei.  dunque inevitabile che il co- munista Gramsci scivoli spesso nel modernizzatore borghese- capitalistico Gramsci. In Gramsci questa  appunto ancora sol- tanto unambivalenza, che diventer invece in Togliatti un vero e proprio fondamento strategico. Vi  per una seconda ambiguit, ancora maggiore, che il marxista inglese Perry Anderson ha avuto il merito di evidenzia- re con grande intelligenza critica. Secondo Anderson, la strate- gia della guerra di posizione, contrapposta a quella di movimen- to, che Gramsci consiglia esplicitamente al movimento comuni- sta occidentale, porta inevitabilmente con s una forma organiz- zativa autoritaria ed eterodiretta. La guerra di posizione  una guerra di generali, di ufficiali, di sergenti e di soldati che si abi- tuano ad ubbidire agli ordini. La virt principale della guerra di posizione  la disciplina, unita ad altre virt secondarie come la tenacia, lo spirito di sacrificio, la resistenza. Fra queste virt non c', o comunque non  certo al primo posto, quella dello spirito di iniziativa. Perry Anderson osserva acutamente che in questo modo viene scoraggiata quella sorta di diritto assoluto alla de- mocrazia diretta e alla partecipazione in prima persona che  invece la sintesi di forma e di contenuto del comunismo. Leg- gendo le sue acute pagine sembra di avere davanti agli occhi le centinaia di migliaia di militanti devoti del PCI che per quasi cinquanta anni hanno creduto nel partito in modo religioso, vendendone il giornale e sacrificando tutto il tempo libero per permettere la riuscita delle sue feste e delle sue manifestazioni, e 47 che hanno nello stesso tempo messo al primo posto delle loro virt politiche la fedelt e il sacrificio, lasciando poco a poco ca- dere allultimo posto lindipendenza personale di pensiero e di iniziativa. Certo, Gramsci non voleva tutto questo, e aveva nei confronti degli atteggiamenti fideistici e religiosi soltanto impa- zienza e rifiuto. Gramsci non fu mai cattocomunista (e vedre- mo nel primo capitolo della seconda parte che fu invece il cat- tocomunismo la matrice principale dellatteggiamento dogma- tico e religioso), e apparteneva ad una generazione di grandi idealisti. Resta il fatto, per, che lorganizzazione religioso- militare del comunismo, inevitabile conseguenza della strategia della guerra di posizione che deve completare una rivoluzione borghese mancata,  stata uno dei fattori anticomunisti pi gran- di del Novecento italiano. Gramsci mor nel 1937, prima che tutto questo fosse anche soltanto pensabile. A partire dagli anni Sessanta, Gramsci di- vent il pi grande pensatore internazionale di riferimento del marxismo critico, e nello stesso tempo il santo protettore della linea politica della via italiana al socialismo. Questi due aspetti non ci interessano sul piano teoretico, anche se ovviamente essi non possono essere storiograficamente ignorati o sottovalutati. Si tratta di un fenomeno filosoficamente penoso, che Gramsci stesso non avrebbe certamente amato ed apprezzato. In prima  istanza, Gramsci divent un guru internazionale del marxismo critico. Tutti coloro che volevano opporsi al materialismo dia- lettico sovietico, o che non si riconoscevano politicamente nel dogmatismo dei loro partiti comunisti, invocavano il nome di Gramsci come quello di un salvatore. Nello stesso tempo, tutti coloro che volevano condurre una lotta contro il riduzionismo economicistico marxista, e dare maggiore importanza alle co- siddette sovrastrutture culturali, letterarie ed artistiche, si ri- fecero alla auctoritas di Gramsci. Si trattava di unoperazione ideologica non solo legittima, ma anche pienamente giustificata, incondizionatamente positiva. In questo modo, per, si caricava sulle povere spalle di Gramsci la responsabilit di una dissolu- zione del marxismo in una innocua critica culturalistica della so- ciet capitalistica, che fu appunto la forma ideologica dominante 48 delleurocomunismo alla fine degli anni Settanta (come ricorde- remo pi avanti). Questo uso eurocomunista di Gramsci ha avuto una sua storia, in particolare in Francia, ma soprattutto in Spagna e in America Latina, e non  stata tutto sommato una sto- ria gloriosa. In seconda istanza, Gramsci divent un gurz della prima si- nistra italiana e venne santificato nel Pantheon italiano dei pa- dri della patria. Al suo nome vennero dedicati istituti di ricerca carichi di finanziamenti erogati dal sistema lottizzato dei partiti . (ed  interessante notare che lIstituto Gramsci, prima sotto Schiavone e poi sotto Vacca, divent uno dei principali fattori culturali attivi dellantimzarxiszzo in Italia). Migliaia di formichi- ne scrissero chilometriche ed alluvionali tesi di laurea sezionan- do il pensiero vivente di un uomo che aveva scritto le sue note in una cella, pieno dellangoscia di chi viene privato della sua liber- t. Questo paese cattocomunista, pieno di chiese e di monu- menti, non pu evidentemente fare a meno di icone religiose, e non poteva che trasformare in unicona il piccolo sardo gobbo che si aggirava senza soldi per le vie di Torino e che cercava di vincere la sua angoscia nella cella di Turi. Chi scrive preferisce pensare a Gramsci come a un grande iconoclasta, che commette l'inevitabile errore di pensare la razionalit produttiva socialista in termini di produttivismo e di fordismo, e la razionalit politi- ca comunista in termini di guerra di posizione e di organizzazio- ne religioso-militare, ma che  pienamente riscattato dallavere capito che senza un deciso allargamento culturale il comunismo  destinato al fallimento inesorabile. 49 III La via italiana al socialismo di Palmiro Togliatti e l'ambiguit gramsciana realizzata x La valutazione storica di Palmiro Togliatti  unoperazione difficile, dal momento che essa finisce con lidentificarsi con il pi complessivo giudizio sulla storia italiana degli ultimi decen- ni e sulla vicenda del comunismo storico novecentesco. Togliatti  un personaggio ingombrante, perch da un lato  un politico che ha avuto una funzione di direzione complessiva di processi che hanno coinvolto milioni di persone per quasi un cinquanten- nio, e dallaltro  pur sempre anche un intellettuale, un uomo che leggeva libri, li commentava e li scriveva, diversissimo anche antropologicamente dal tipo umano di politicante lettore di mazzette di giornali che peraltro egli stesso allev, e che alla fine sciolse fra il 1989 e il 1991 il suo capolavoro politico, il Partito Comunista Italiano. In questo breve capitolo non pretenderemo certamente di riuscire a dare un giudizio storico o politico su Togliatti. Ne da- remo soltanto uninterpretazione teorica di fondo, che nellin- sieme  assai semplice: a nostro avviso Togliatti ha realizzato in- tegralmente quella che in Gramsci era presente allo stadio em- brionale come ambivalenza, la costruzione dellorganizzazione comunista come struttura politico-militare atta a condurre una lunga guerra di trincea contro il capitalismo, con la conse- guenza inevitabile di far diventare la disciplina, la coesione, lu- nit di comando, la fluidit nellesecuzione degli ordini, eccete- ra, le virt politiche fondamentali del militante comunista. La ri- voluzione in Occidente, che in Togliatti diventer via italiana al socialismo, assume cos la forma strategica del conflitto di posi- 51 zione, contrapposto allestremismo che verr sempre assimilato nel buon senso popolare del militante ad un ingestibile e sangui- nosissimo conflitto di movimento. Nellinconscio popolare ita- liano il conflitto di movimento  associato al general Cadorna e alle sue irresponsabili e sanguinarie spallate, ed  del tutto evidente che se per movimento comunista si intende attacco alla baionetta contro le mitragliatrici del capitalismo allora il movimento comunista  un delirio di guerriglieri incoscienti, ad un tempo omicidi e suicidi. Nella tradizione autentica di Marx, il movimento comuni- sta non  un assalto all'arma bianca condotto contro munitissi- me trincee, cui occorre contrapporre una kautskiana strategia di logoramento assai pi razionale e meno sanguinosa (questa non  che lalternativa fra le dottrine militari di Cadorna e di Diaz applicata al conflitto novecentesco fra capitalismo e comu- nismo). Il movimento comunista  il movimento reale che abo- lisce lo stato di cose presenti, ma il termine movimento indi- ca l'insieme antropologico della abolizione del capitalismo, e  non soltanto le tattiche di lotta economico-sindacale o politico- partitica. Ora, se il movimento  il movimento temporale di un insieme antropologico,  evidente che non vi  nessun movimen- to comunista se il suo presupposto antropologico, luomo stes- so, viene socializzato politicamente in modo eterodiretto, sulla base di un modello militare costituito da generali, ufficiali, ser- genti e soldati semplici. Questa  linterpretazione di Togliatti che diamo in questo saggio. Come si noter, essa  certamente antitogliattiana, se proprio lo si vuole, ma non certo nel senso tradizionale del ter- mine. Tradizionalmente, infatti, Togliatti viene accusato per aver fatto, o per non aver fatto, cose che sono concepibili e visi- bili adesso, ma che a/lora non lo erano e non potevano esserlo. Vogliamo accusare Togliatti di non essere stato bordighista? E come avrebbe potuto esserlo, se il bordighismo si basava sulla mescolanza della teoria secondinternazionalista del crollo del capitalismo e della teoria delloffensiva frontale che la Terza In- ternazionale abbandon gi nel 1921? Lo vogliamo accusare di non essere stato trotzkista? Certo che non lo  stato, e come 52 avrebbe potuto esserlo, se la teoria della rivoluzione permanen- te non fu di fatto che uno schema scolastico, teoricamente affa- scinante e convincente, ma politicamente inapplicabile? Lo vo- gliamo accusare di essere stato stalinista? Certo che Togliatti  stato stalinista. Egli  anzi stato il primo degli stalinisti, per il semplice fatto che tutto il movimento comunista ufficiale  stato stalinista negli anni Trenta, Quaranta e Cinquanta, e non dimenticando di aggiungere che lo stesso stalinismo permet- teva la messa a punto di tattiche parzialmente diverse (come av- venne ad esempio nei dissensi fra Togliatti e Pietro Secchia a ca- vallo fra gli anni Quaranta e gli anni Cinquanta). Togliatti: lo stalinismo liberale Si  usata a lungo, a proposito di Togliatti, la categoria di dop- piezza. Togliatti avrebbe praticato la doppiezza, cio il doppio binario, perch si sarebbe presentato come un convinto sosteni- tore della costituzione e della democrazia rappresentativa, da un lato, mentre avrebbe preparato sotto banco la dittatura del pro- letariato a partito unico ed il totalitarismo dei gulag, dallaltro. Pacatamente, riteniamo che questa sia una vera e propria follia storiografica. Per sostenerla (e molti oggi la sostengono, nel cli- ma velenoso della resa dei conti e del revisionismo storiografi- co) bisogna credere seriamente che l'URSS, a partire dal 1945, si prefiggesse un attacco militare contro l'Occidente capitalistico e . pertanto coltivasse delle quinte colonne comuniste pronte a fare da quislings all'Armata Rossa e ai marescialli sovietici. Esiste una monumentale storiografia sulla guerra fredda, che purtroppo oggi viene dimenticata sugli scaffali delle bibliote- che, che dimostra che tutto questo  un mito infondato. Yalta fu sempre presa sul serio ad Est, mentre ad Ovest la politica di Fo- ster Dulles fu sempre quella del r0// back, cio del respingere in- dietro i russi riconquistando lEst europeo. Per riconoscere questo fatto storico non c nessun bisogno di essere politica- mente comunisti o filosoficamente marxisti, e non  neppure ne- cessario simpatizzare per il togliattismo. Chi scrive non simpa- 53 tizza affatto per esso, e si  invece sempre biograficamente ispirato ai suoi oppositori (e rinviamo qui il lettore in particolare ai capitoli tre e dieci della seconda parte di questo saggio). La verit storica, per, deve passare davanti alle opzioni filosofiche soggettive. La doppiezza, semmai,  stata piuttosto una dimensione psicologi- ca ed esistenziale di molti militanti comunisti, che compensavano in questo modo la loro soggettiva impotenza politica con il risarci- mento immaginario di una situazione rivoluzionaria comunista in cui poter fare finalmente la vera rivoluzione. Questa, per, non  doppiezza.  piuttosto qualcosa di simile a ci che veniva chiamato, nell'immaginario politico del comunismo tedesco degli anni Venti e Trenta, la grande sera, il solenne momento utopico della resa dei conti finale con il capitalismo. La linea politica di Togliatti non si basava in realt affatto sulla doppiezza. Essa si basava sulla scommessa strategica, di lungo pe- riodo, di poter portare a buon fine la lunghissima guerra di posi- zione con il capitalismo, e di poter dunque accettare in modo pie- no e convinto la democrazia dei partiti e dei sindacati. Questa non  doppiezza e non deve essere battezzata in questo modo. Nello stesso tempo, la linea di Togliatti ha dato luogo a nostro avviso ad una sorta di stalinismo liberale. Pienamente consapevoli della stra- nezza di questa espressione, vorremmo indicare qui subito le due ragioni fondamentali per cui l'abbiamo usata. In primo luogo, lo stalinismo non deve essere definito SN to in termini di burocratismo, dispotismo degli apparati politici, culto della personalit di Stalin e dei suoi pi stretti collaborato- ri, generalizzazione del sistema dei campi di lavoro forzato, pro- cessi e terrore di massa. Certo, tutto questo ci fu, e non deve es- sere dimenticato, anche perch lincapacit di uscirne strategi- camente resta a nostro avviso la causa storica fondamentale del collasso finale del comunismo storico novecentesco. Lo stalini- smo  stato anche e soprattutto convinzione profonda della s- periorit produttiva generale del sistema economico socialista ri- spetto a quello capitalistico. Il capitalismo, nella concezione di Stalin,  soprattutto putrefazione dello sviluppo delle forze pro- duttive, anarchia del mercato, spreco, parassitismo delle rendite fondiarie e degli interessi bancari, mancato utilizzo delle risorse 54 del lavoro produttivo. Togliatti non era un economista (ma lo erano molti suoi stretti collaboratori, da Pesenti a Sereni), ma condivideva pienamente questa concezione stagnazionistica del capitalismo, che si era profondamente radicata fra i quadri comunisti al tempo della III Internazionale, anche e soprattutto a causa della grande crisi del 1929. Qui sta, a nostro avviso, il ve- ro strato profondo, geologico, dello stalinismo di Togliatti, e il legame con la teoria gramsciana della guerra di posizione. In breve: i comunisti hanno tutto linteresse ad accettare la demo- crazia, e anzi a difenderla contro il fascismo, perch in ogni caso il tempo  loro amico, il tempo lavora per loro, dal momento che il capitalismo non  in grado di sviluppare veramente le forze produttive, mentre il socialismo lo . In secondo luogo,  indiscutibile che lo stalinismo ha storica- mente trasformato il principio del centralismo democratico nel- la proibizione pratica della lotta politica trasparente in base a documenti e piattaforme contrapposte. Questa proibizione non ha nulla di bolscevico, dal momento che anzi il partito bolsce- vico di Lenin, pur essendo una organizzazione politica da batta- glia, pratic sempre pienamente il metodo del confronto politi- co sulla base di documenti e di piattaforme congressuali con- trapposte. Questa trasparenza del dibattito, che escludeva come qualcosa di orribile la falsa unanimit monolitica, fu poi abban- donata a causa della guerra civile del 1918-21 e soprattutto a causa dei conflitti fra Stalin, Bucharin e Trotzkij. Togliatti assun- se sempre come un fatto normale la procedura del mzorolitismo esterno, con la relativa proibizione (o meglio, inconcepibilit quasi antropologica) del conflitto politico e ideologico sulla ba- se di documenti, mozioni e piattaforme congressuali contrappo- ste trasparenti. La lotta politica naturalmente avveniva, ed era durissima, ma non era trasparente. Questa modalit, a nostro avviso avvelenata e perversa, deformata e incurabile, dellagire politico era addirittura vissuta nella coscienza del militante co- munista come un tratto dorgoglio (contrapposto alla litigiosit del correntismo socialista, visto come casino e disordine pic- colo-borghese). Sono queste, a nostro avviso, le due modalit del codice gene- 55 tico togliattiano di partito che ci fanno parlare di stalinismo libe- rale, e non di doppiezza. Laccettazione dello stato liberale di diritto, della costituzione antifascista, del pluralismo dei partiti era strategica, e dunque non ha senso parlare di doppiezza. Nel- lo stesso tempo, la concezione del partito era quella di Stalin, non quella di Lenin. Togliatti: la religione storicista Il filosofo marxista italiano Cesare Luporini (su cui tornere- mo nel sesto capitolo della seconda parte di questo saggio), che pure fu sempre per decenni un convinto militante del partito di Togliatti, ma che non fu mai convinto dallo storicismo come filosofia, seppe connotare a nostro avviso in modo teoretica- mente insuperabile le contraddizioni dello storicismo stesso. Da un lato, lo storicismo  lunica interpretazione del marxismo perfettamente adeguata e corrispondente alla politica del parti- to, alla sua linea strategica. Dall'altra, essendo lo storicismo niente altro che il punto di vista del semplice scorrimento cumu- lativo in avanti del tempo storico, egli si chiede: se la totalit  quella di tutta la storia in svolgimento, non diventa essa stessa una totalit vuota in cui trionfa lempiricit, cio la politica come empiricit?. Crediamo che in queste due affermazioni vi sia tutto il necessario per sviscerare lessenziale della questione. Per poterlo fare, per, bisogna tradurre il difficile linguaggio filoso- fico di Luporini in un linguaggio pi semplice. Che significa totalit vuota in cui trionfa lempiricit? Signi- fica che se si toglie ogni fondamento al comunismo al di fuori di quello del richiamo allo scorrimento progressivo in avanti del tempo storico, unito con la giustificazione di tutto quanto si  fatto in passato in nome del pur sacrosanto richiamo allo stato deccezione, al posto del fondamento si installa di fatto la tatti- ca politica del caso per caso, e soltanto essa. La storia diventa una totalit vuota, e lempiricit pu insediarsi in essa proprio sul presupposto del suo preventivo svuotamento. Muoiono gli strateghi, sopravvivono i tattici. Declinano inesorabilmente i ti- 56 pi umani alla Gramsci, spinti dalla passione della conoscenza delle tendenze di lungo periodo dello sviluppo storico, entrano in scena i tipi umani che caratterizzano gli odierni politici di professione, cattivi attori stipendiati nel teatrino della politica spettacolo. Lo storicismo  dunque (e qui Luporini ha messo a nostro av- viso il dito sulla piaga) l'ideologia organica, o meglio la falsa co- scienza necessaria, dei politici di professione. Il richiamo alla storia ed al suo scorrimento  lintegrazione religiosa necessaria del piccolo cabotaggio sindacale e parlamentare. Vorremmo in- sistere su questo aspetto religioso della questione, perch molti commentatori pensano ingenuamente che la religione ci sia soltanto quando qualcuno va ostentatamente a messa e di- chiara di non avere dubbi sullesistenza di Dio. Se si pensa inve- ce al funzionamento normale, quotidiano, dellitalianissima reli- gione cattolica, si vedr che il richiamo innocuo e ineffettuale al- le grandi verit religiose copre una prassi ordinaria che non ha assolutamente nulla a che fare con esse, ma che ha egualmente bisogno di salvarsi lanima con la loro saltuaria e rassicurante evocazione (generalmente domenicale). Analogamente, la reli- gione storicista del comunismo rassicura il militante sul senso ultimo del suo agire riformistico quotidiano, e nello stesso tem- po non incide praticamente su di esso. Seguendo Max Weber, per, non ci chiederemo qui se Dio veramente esista o no, ma soltanto in che misura la fede si secolarizzi trasformandosi in ra- zionalizzazione della vita quotidiana (diamo infatti anche noi per scontato che non si possa sempre vivere con lardore dei martiri primitivi, e che una normalizzazione quotidiana sia ine- vitabile!). Ebbene, su questo punto il cattolicesimo si  rivelato pi abile e capace del togliattismo. Quest'ultimo si  progressi- vamente secolarizzato nel PCI degli anni Sessanta e poi nel PDS degli anni Novanta, formazioni ormai integralmente riassorbite nella normale riproduzione capitalistica (e qui Del Noce ha ra- gione, ed  per questa ragione che gli faremo tanto onore nel quinto capitolo della seconda parte di questo saggio). La ragio- ne sta nel fatto che lo storicismo  unideologia ingenuamente progressistica della storia che ripropone in modo populistica- 57 mente subalterno le illusioni positivistiche della concezione del mondo borghese dell'Ottocento, che non pu resistere in alcun modo alla critica corrosiva del nichilismo filosofico e della crisi dei fondamenti. Nello stesso tempo, lo storicismo era una for- ma di coscienza obbligata, assolutamente obbligata, se si voleva costruire il partito di massa cos come Togliatti lo ha costruito. Togliatti: la direzione politica sulla cultura Palmiro Togliatti, pur non essendo stato a nostro avviso un Gramsci, apparteneva put sempre ad una generazione colta, di lettori disinteressati di libri, una generazione che comprendeva fino in fondo il nesso fra politica e cultura (e che non pu essere paragonata in nessun modo a quella degli attuali politici di pro- fessione, che considerano tempo perduto tutto ci che  al di fuori della superficie della congiuntura politica). Egli era un convinto sostenitore della direzione politica sulla cultura, e su questo punto non si distingueva da uno Zdanov, anche se era molto pi aperto, colto e flessibile. Ci rendiamo perfettamen- te conto del fatto che il paragone con Zdanov pu sembrare of- fensivo, esagerato e provocatorio, dal momento che Zdanov chiuse sistematicamente la cultura sovietica a campi e settori della filosofia, della letteratura e dellarte sui quali invece To- gliatti apr in modo convinto. Il paragone viene per propo- sto non certo in base a criteri contenutistici, ma in base alla co- mune pretesa della possibilit e della necessit di una giurisdi- zione suprema della politica sulla cultura, e sull'opportunit di dotarsi di una politica culturale. Chi scrive non crede al fatto che il comunismo debba dotarsi di una politica culturale, e neppure che sia avvantaggiato dalla- verne una. Questo non certo sulla base della cosiddetta apoliti- cit della cultura (ci sembra ovvio che la cultura sia sempre politica, dal momento che avviene nelluniverso simbolico della polis umana e dei suoi rapporti sociali!), e neppure sulla base del primato degli intellettuali di professione sui politici (ci sembra anzi che nel contesto specifico del dibattito fra To- 58 gliatti e Vittorini, o fra Togliatti e Bobbio, sia stato il primo ad avere ragione nellessenziale in entrambi i casi). Chi scrive non crede n allapoliticit della cultura n alla possibilit di creare un partito degli intellettuali. Il fatto  che la direzione politica sulla cultura, anche quando giura e spergiura sul rispetto dello specifico artistico, musicale, letterario e filosofico, non coin- cide affatto con il riconoscimento del carattere politico in sen- so lato di ogni forma di cultura, ma si manifesta di fatto come una pretesa di classificazione e di valutazione del prodotto cul- turale in base a criteri che non sono mai quelli della verit (filo- sofica) e del valore estetico, ma che sono sempre quelli della fun- zionalizzabilit del prodotto culturale nel solco della propria li- nea politica. Il comunismo, in poche parole, deve avere una cul- tura, ma non una politica culturale. Chi crede alla politica cultu- rale crede anche, in ultima istanza, agli ingegneri delle anime di staliniana memoria, anche se poi non ha il coraggio di esplici- tare le conseguenze ultime della sua posizione. Ci non significa certamente che lagire politico deve essere indifferente al fatto culturale, o che non si ponga il problema della promozione o della divulgazione del prodotto culturale. Chi scrive crede ad una sinergia indiretta fra politica e cultura, ma la sinergia indi- retta z0n  una politica culturale. Togliatti credeva fortemente nella direzione politica sulla cul- tura, e riteniamo paradossalmente significativo il fatto che nella sua polemica con Vittorini, questultimo ne fosse in un certo modo speculare, dal momento che Vittorini non rivendicava tanto lautonomia della cultura stessa, quanto la direzione cultu- rale sulla politica (confondendo poi la cultura con leclettismo). L'aspetto principale della questione resta tuttavia a nostro avvi- so quello dellinesorabile meccanismo di selezione dei temi e dei problemi leciti e di quelli proibiti che viene inesorabilmen- te messo in piedi quando si accetta il principio della supervisio- ne politica sullo specifico culturale. Nessuna scoperta medica verrebbe mai fatta se i laboratori fossero messi sotto la supervi- sione amministrativa dei sindacati e dei partiti politici. I rappre- sentanti di questi ultimi si chiederebbero subito se i loro interes- si riproduttivi verrebbero o no intaccati da un mutamento stati- 59 stico significativo dellospedalizzazione, della durata delle tera- pie, della mortalit. Anche se pu sembrare provocatorio il dir- lo, riteniamo che il principio della direzione politica sulla cultu- ra segua la stessa inesorabile logica di fondo. Togliatti: impossibile eredit Togliatti sopravvisse otto anni al 1956 e alla proclamazione ufficiale della destalinizzazione. In quegli otto anni, hanno detto molti storici e commentatori, egli pot sciogliere ogni residua doppiezza (ma abbiamo gi detto che non crediamo a questa categoria!) e si incammin esplicitamente nella direzione di quella via italiana al socialismo basata sullintegrale accetta- zione dellorizzonte politico della democrazia e dello stato di di- ritto. Noi pensiamo invece che Togliatti abbia lasciato ai suoi successori una eredit impossibile, e che questi ultimi, dopo aver cercato di fare quello che fanno tutti gli eredi di questa terra, ve- nire in possesso dell'asse ereditario, ci abbiano infine rinuncia- to, non soltanto cambiando il nome della ditta (dal PCI al PDS), ma cambiandone anche le ragioni sociali. Che significa eredit impossibile? Lo abbiamo detto: leredit impossibile  una eredit di cui  impossibile venire in possesso. Ma, appunto, perch  impossibile? Riteniamo sia molto impor- tante capire esattamente dove stia questa impossibilit, perch altrimenti il discorso generale che stiamo conducendo diventa ambiguo ed equivoco. In breve, il presupposto fondamentale della strategia togliattiana stava nel fatto che i comunisti non era- no coloro che sostenevano gli interessi particolari di un gruppo sociale (sia pure nobile, come la classe operaia), ma erano co- loro che rappresentavano gli interessi storici generali della na- zione italiana nel suo complesso. Questa funzione generale (e non particolare), nazionale (e non corporativa) si basava a sua volta sul fatto che la borghesia, o i capitalisti, o tutti e due, non erano capaci e non sarebbero mai stati capaci di fare uscire l'I- talia dalla crisi, e per questo nobile compito sarebbe stato ne- cessario il moderno Principe, il partito comunista gestito sulla 60 base di un peculiare stalinismo liberale. Il PCI si basava proprio sulla pretesa della titolarit degli interessi generali. Esso non si pens mai come parte di un processo sociale complessivo, ma sempre come il punto di vista totale (ed in alcuni casi totali- tario) dellinsieme sociale. Una simile creatura non poteva riconvertirsi in modo indolore, una volta avvenuta nel 1989 la caduta del comunismo storico novecentesco, ad una rappresen- tanza particolare dei lavoratori salariati e dipendenti italiani. Sa- rebbe stata una fine troppo poco nobile per chi si era abituato per cinquantanni ad autorappresentarsi come il punto di vista degli interessi generali della nazione.  questo a nostro avviso il triste e meschino segreto dellattua- le PDS, il partito del trasformismo istituzionale dei Segni e dei La Malfa, il partito della riforma elettorale uninominale e mag- gioritaria, il partito della accettazione strategica dello smantella- mento del welfare state in Italia. Si tratta di un partito che non pu pensarsi come partito particolare, e che per pensarsi come partito generale, non potendo neppure pi credere alla propria funzione storica socialista, deve cercare una generalit fitti- zia nel cielo della morale o della riforma dei meccanismi istitu- zionali.  questa la ragione per cui abbiamo parlato dellirricevi- bilit della eredit di Togliatti, e nello stesso tempo della fatalit storica della dissoluzione del suo progetto. Questa, per,  unaltra storia, che ci costringe a chiudere questa prima parte del saggio per affrontare analiticamente un complesso di pro- blemi completamente diverso.  opportuno comunque, credia- mo, proseguire il discorso sulla natura storica del partito di Togliatti. 61 Parte seconda I La dinamica evolutiva del partito togliattiano di massa dal 1956 al 1991 La prima sinistra La storia politica delle idee marxiste in Italia dal 1956 al 1991  stata spesso descritta in termini di vecchia sinistra (il PSI, il PCI, il movimento operaio tradizionale dei sindacati e in parti- colare della CGIL, il sindacato di classe, eccetera) e di nuova sinistra (le eresie marxiste rimaste sempre minoritarie come il trotzkismo ed il bordighismo, le nuove eresie sorte negli anni Sessanta a cavallo fra movimento studentesco e minoranze ope- raie fortemente militanti, come loperaismo e il maoismo, ecce- tera). Chi scrive ritiene linguisticamente fuorviante questa di- stinzione, dal momento che il discrimine fra vecchio e nuo- vo non passa affatto tra queste forze: vi sono forze maggiorita- rie della vecchia sinistra (come il PCI) che in realt assorbono nel bene e nel male il nuovo sociologico ed economico della societ italiana, mentre alcune forze della nuova sinistra si de- finiscono proprio sulla base della ripresa integrale del marxi- smo degli anni Venti e Trenta. Se la distinzione fra vecchia e nuova sinistra  metodo- logicamente fuorviante,  fuorviante anche la distinzione, spes- sissimo usata, tra forze minoritarie e maggioritarie, o tra 63 forze parlamentari ed extraparlamentari. Da un lato,  as- solutamente evidente che il PCI e la CGIL sono state forze mag- gioritarie e parlamentari, mentre i gruppi del movimento stu- dentesco, i partitini della nuova sinistra degli anni Settanta e i gruppi operai militanti sorti ai margini dei sindacati sono stati forze minoritarie. Dallaltro, tuttavia, dal 1976 alcuni gruppi non sono pi stati extraparlamentari, ma al massimo micropar- lamentari (e questo non pu essere storicamente messo sotto  silenzio), mentre in molti ambienti, da quello studentesco a quello operaio attivistico e militante, i presunti minoritari sono stati fattualmente maggioritari (e anche questo storicamente vorr ben dire qualche cosa). Sulla base di queste sommarie considerazioni storiografiche, abbiamo ritenuto opportuno non usare se non incidentalmente e distrattamente le fuorvianti dizioni di vecchia e nuova sinistra, di forze maggioritarie e minoritarie, di gruppi parlamentari ed extraparlamentari, e di usare invece la dicotomia pi sobria e neutrale di prima e di seconda sinistra, intendendo per pri- ma levoluzione storica del capolavoro politico di Palmiro To- gliatti, il partito di massa, e per seconda sinistra quella che (a nostro avviso, ovviamente) a questo ha cercato di contrapporre unaltra strategia, radicalmente e qualitativamente diversa. Cer- to, questa seconda sinistra avrebbe anche potuto essere bat- tezzata laltra sinistra (come hanno fatto altri storici e com- mentatori). In ogni caso, l'essenziale  che la distinzione risulti chiara al lettore, al di l dei giudizi di valore inevitabilmente vei- colati dai due aggettivi vecchio e nuovo. Oggi un giovane che si accosti alle idee comuniste non ha pi alcuna ragione per schierarsi a posteriori in favore della prima o della seconda sini- stra, ed  per questo che occorrerebbe sempre privilegiare il mo- mento della comprensione storica su quello della (a volte sacro- santa) polemica. Chi scrive, per, fa parte di una generazione perduta che fra il 1956 e il 1989 ha dovuto schierarsi appassio- natamente in favore o contro la prima o la seconda sinistra, e il let- tore non pu quindi aspettarsi nessuna oggettivit, in particola- re nei capitoli uno, due e quattro di questa seconda parte. 64 Il partito togliattiano di massa  stato una comunit culturale globale. Esso ha coinvolto in varia misura milioni di persone, ricevendo militanza e dando appartenenza. Si  trattato di uno scambio equo, nel senso per in cui  equo anche lo scambio tra forza-lavoro e capitale: il valore duso della forza-lavoro  maggiore del suo valore di scambio, ed  per questo che pu na- scere un plusvalore, che pu essere poi ulteriormente diviso in profitto, interesse, eccetera. Nello stesso modo, il gigantesco va- lore duso della militanza gratuita di milioni di oscuri aderenti al PCI, che veniva in generale retribuito soltanto (ma era gi mol- to!) con la gratificazione e la fierezza del senso di appartenenza, creava anche uneccedenza di valore, la rappresentanza, con cui decine di migliaia di burocrati, deputati, senatori, giornalisti, cooperatori, eccetera, poterono acquisire stipendi e pensioni doro, diventando a tutti gli effetti membri individuali della clas- se dominante in Italia (e il lettore ha soltanto da fare i conti sulla differenza fra la pensione di un operaio e di un impiegato nor- mali e quella di un deputato nazionale o regionale con due legi- slature). Chi scrive crede veramente che vi sia un parallelismo quasi perfetto fra valore duso, valore di scambio e plusvalore, da un lato, e militanza, appartenenza e rappresentanza, dallal- tro. Ci non deve per scandalizzare nessuno, tanto meno un marxista, perch si ha qui a che fare con delle relazioni sociali as- solutamente oggettive, fatali, impersonali e strutturali, del tutto indipendenti degli investimenti emotivi ed esistenziali con cui i soggetti vivono psicologicamente il loro coinvolgimento. La mi- litanza  simbolicamente retribuita con appartenenza, ed in pi crea gratuitamente rappresentanza: questo  uno scambio sim- bolico, e lo scambio simbolico segue nellessenziale le stesse fer- ree regole di quello economico. Quando il senso di appartenen- za  grandissimo, la militanza  erogata con crescente entusia- smo, e in generale non mancano anche i risultati in termini di rappresentanza: se vengono progressivamente meno militanza ed appartenenza, cio identit (identit=militanza+apparte- nenza), la rappresentanza pu soltanto mantenersi sulla base degli interessi, ma a questo punto il PCI non  pi che un partito di cooperatori, architetti, artigiani, eccetera. 65 La questione dellanalisi del PCI in termini di comunit cultu- rale globale  ancora tutta da scrivere. Un saggio sulla storia del- le idee marziste, come quello che il lettore ha sotto gli occhi, non serve praticamente a nulla per capire le dinamiche di militanza, appartenenza, identit e rappresentanza di una comunit politi- co-culturale globale. Fenomeni come il lutto psicologico per le- sclusione dal popolo di sinistra, unesclusione che ha per de- cenni minacciato il dissenziente o leretico, sono pi importanti della comprensione delle differenze teoriche fra Geymonat e Della Volpe, Colletti o Napoleoni. Chi scrive ne  perfettamente consapevole. Nello stesso tempo, riteniamo che abbia egual- mente senso capire certe caratteristiche ideologiche di lunga durata. Il nazional-popolare Sulla scorta di preziose intuizioni di Gramsci, il PCI si volle prima di tutto come partito nazional-popolare. Un partito na- zional-popolare  un partito che vuole introdurre un Victor Hu- go l dove  sempre soltanto esistito un Alessandro Manzoni, cio una fruizione culturale di massa di prodotti semplici, leggi- bili ed avvincenti che sono sempre mancati al popolo italiano. Chi si  emozionato vedendo linterpretazione di Philippe Noi- ret in Nuovo Cinema Paradiso, che rappresenta assai bene lim- patto culturale del nuovo mezzo cinematografico nei paesi della provincia italiana degli anni Cinquanta, capir benissimo quan- to intendiamo dire. Il nazional-popolare non  mai stato becero populismo, ed il rispetto verso di esso che ebbero sempre critici letterari come Salinari o Sapegno e critici darte come De Grada e De Micheli deve ammonirci a non interpretarlo alla luce della cultura di massa degli anni Novanta, ma di valutarlo nel contesto della lotta per l'egemonia simbolica degli anni Cinquanta.  in questo senso assolutamente legittimo che la lotta per una cultura nazional-popolare si sia svolta pi che in campo letterario (an- che se Pratolini resta per noi un romanziere assolutamente note- vole), in campo cinematografico e nelle arti figurative. Sono stati 66 il neorealismo cinematografico e il realismo pittorico la vera espressione italiana del nazional-popolare. In questo senso, ha ragione chi insiste sul fatto che lItalia fu sempre un paese di se- condo piano per la letteratura e la filosofia, mentre  stato un paese di primo piano nellOttocento per la lirica e nel Novecen- to per il cinema e la pittura realista. Verdi, Rossellini, Guttuso e altri dunque, non certo Manzoni o Gentile (che spariscono di fronte a Balzac e ad Heidegger). Il nazional-popolare non pu resistere di lione alla sottomis- sione reale della cultura di massa al capitalismo, rappresentata appunto dal faticoso e doloroso traghetto dalla cultura popolare alla cultura di massa (che assume a nostro avviso la forma ege- monica del passaggio dal cinema alla televisione). Come tutti sanno, Pier Paolo Pasolini  stato in Italia lautore che ha espresso con il massimo di pathos e di drammaticit, anche filo- sofica, lidea della sostanziale irriformabilit della cultura di massa capitalistica (chiamata allora, un po ingenuamente, neo- capitalistica, laddove era forse pi esatto connotarla come in- tegralmente capitalistica, e non pi come prima borghese-ca- pitalistica: ma la nozione di capitalismo senza borghesia  sempre stata incomprensibile per i nostri intellettuali). Pasolini, sia come scrittore, sia come regista cinematografico,  stato il punto pi alto del tentativo di rappresentare luniverso popola- re unito con la coscienza dellavvento inesorabile di un mondo nuovo, assolutamente non pi gestibile. Alla luce della attuale consapevolezza culturale, appaiono ingenui certi dibattiti degli anni Sessanta fra gli apocalittici, pessimisti, e gli integrati, ottimisti. In realt il moderno capitalismo ha integrato lapoca- lisse, quotidianizzandola e normalizzandola, rappresentando ormai la normalit anormale del singolo nel capitalismo in modo insuperabile. Vi sarebbe qui ovviamente molto da dire, ma non vi  certo lo spazio per farlo: lattrazione dei giovani fans della musica verso figure ambigue e transessuali di cantanti cos diversi dai vecchi virili basettoni e dalle vecchie femminili ric- ciolone di alcuni decenni fa; il successo letterario di uno Stephen King e di film come il Silenzio degli Innocenti, che ci dicono ossessivamente che il mostro appare in realt come normale, ed 67 addirittura simpatico; il passaggio di massa dal fumetto we- stern-avventuroso alla Tex Willer al fumetto magico-irrazionali- stico alla Dylan Dog; eccetera, eccetera. Vi  qui molto da riflet- tere sullincapacit, la strutturale, incurabile incapacit della cul- tura di sinistra nel valutare sobriamente il prodotto culturale. Qualunque osservatore spassionato che esamini le pagine cultu- rali di giornali come l'Unit o il Manifesto (soprattutto il Manifesto) vedr facilmente che il luogo che fu un tempo del nazional-popolare  ora il luogo della pi sfrenata americanizza- zione espressiva ed estetica. Vi  qui un intero continente ine- splorato, quella della dialettica e della conversione degli opposti che potremo soltanto sfiorare nellottavo capitolo. Il catto-comunismo Il codice ideologico del PCI rimarrebbe incomprensibile, se non si presta attenzione a personaggi come Franco Rodano e gli ex-cattolici-comunisti degli anni Quaranta confluiti nel PCI. Se- guendo una consolidata tradizione definitemo questo fenomeno cattocomunismo, facendo per subito unavvertenza che con- sideriamo fondamentale per non cadere in equivoci ad un tempo penosi ed esilaranti. Il cattocomunismo  lincontro fra lo storicismo togliattiano ed il modernismo cattolico italiano, e pertanto ron  assoluta- mente lincontro fra il marxismo ed il cristianesimo, cio fra il marxismo di Marx ed il cristianesimo di Ges di Nazareth. Marx e Ges non centrano assolutamente niente, e il lettore do- vrebbe addirittura fingere che non siano mai esistiti, se vuole ca- pire qualcosa del cattocomunismo. Marx non era storicista, e tutto ci che c di buono nel suo pensiero comunista esiste pro- prio prescindendo dalla zavorra storicista. Ges di Nazareth era un profeta ebraico comunista attivo allinterno del modo di produzione antico-orientale, che volle coscientemente essere un servo sofferente per propiziare l'avvento dellanno di misericor- dia del Signore, e che considerava l'immortalit un dato univer- sale posseduto da tutti e non soltanto dagli aderenti ai culti di 68 salvezza ebraici o pagani. Il cattocomunismo  stato un mondo di burocrati e di preti, di senatori e di vescovi, di salotti roma- ni e di confessionali, di consiglieri del principe e di trasformi- smi, Lo storicismo  un marxismo senza rivoluzione, sostituita dallevoluzione, e il cattolicesimo  un cristianesimo senza mes- sianesimo, sostituito dall'organismo gerarchico e dalle piramidi di pretoni vestiti con diverse uniformi, dalla base al vertice. Con un comunismo gerarchico, formato da popolo plaudente e sa- cerdoti ben organizzati, il cattolicesimo pu dialogare. Il lettore si accorger agevolmente che chi scrive non ha alcu- na simpatia per il cattocomunismo. Qualche secolo fa i papi po- tevano impunemente bruciare la gente per eresie molto mino- ri di quelle presenti in questo saggio, ora non possono pi farlo, e dicono sfrontatamente che fra Galileo e la Chiesa ci fu soltanto uno spiacevole equivoco. Non vi sono limiti alla faccia tosta. Dal momento per che la corporazione degli scienziati  forte, men- tre quella dei filosofi non conta niente, essi si scusano con Gali- leo, non con Giordano Bruno, laddove sarebbe il caso di farlo anche con questultimo. In ogni caso, il cattocomunismo porta dentro la tradizione dello storicismo italiano anche istanze cer- tamente non spregevoli (pensiamo ad alcune ricadute del dialo- go conciliare degli anni Sessanta propiziato da Giovanni XXIIT), e anche alcune proposte filosofiche, che sono quelle che ci interessano in questa sede. Queste proposte girano tutte in- torno ad una, massima e centralissima: la distinzione fra mate- rialismo dialettico, filosofia atea del comunismo che non si pu accettare se si resta credenti, e materialismo storico, politica dalla parte dei poveri ed interpretazione scientifica della storia in evoluzione. Nel capitolo terzo vedremo come filosofi come Del Noce avranno buon gioco a rifiutare questa distinzio- ne, che pure appare ragionevole (essa sar accettata anche da eretici cattolici non cattocomunisti, come Giulio Girardi, che la adatter non al compromesso storico, ma alla teologia della libe- razione). In realt il materialismo storico viene identificato dal cattocomunismo con lo storicismo, e lo storicismo con la politi- ca del PCI. Il compromesso storico del periodo 1973-79 sar un puro prodotto del cattocomunismo, e ne assumer tutti gli 69 aspetti preteschi, consociativi, organicistici, intrallazzatori, che la storiografia non ha ancora adeguatamente studiato con la ne- cessaria spregiudicatezza. Leuro-comunismo Mentre il cattocomunismo rappresenta un fenomeno integral- mente giobertiano, trasformistico e italiano, leurocomunismo  invece un prodotto del laicismo cosmopolitico. Apparentemen- te, leurocomunismo, che visse come certe farfalle una breve ed effimera stagione fra il 1976 e il 1981, fu il coronamento dellipo- tesi gramsciana della rivoluzione in Occidente, che univa tradi- zione democratica a strategia della guerra di posizione e delloc- cupazione progressiva di casematte. Si trattava per di unidea che non poteva essere lasciata ad animali integralmente tattici e politici come Berlinguer, Carrillo e Marchais, sostanzialmente disinteressati ad una vera fondazione teorica di una politica che era effettivamente diversa da quella dei partiti legati allURSS e al suo modello globale di societ e di cultura. Anche Gramsci e Lenin erano certo stati animali politici. Ma essi erano stati animali politici provvisti di dimensione culturale strategica, che mancava totalmente ai loro epigoni, che volevano fare un eurocomunismo con forme-partito basate su modalit di or- ganizzazione, militanza, appartenenza, identit, rappresentan- za, eccetera, assolutamente eguali a quelle che erano servite a politiche qualitativamente opposte. Fra i grandi intellettuali marxisti europei, soltanto il francese Althusser e lo spagnolo Sa- cristin capirono immediatamente che leurocomunismo era un bluff, che semplicemente trasportava lo stalinismo nella social- democrazia senza modificarlo. Pi esattamente, leurocomuni- smo predicava la compresenza in un partito di una forma stali- niana e di una sostanza socialdemocratica. Quando Althusser ri- lev che non ci poteva essere comunismo senza dittatura del proletariato e Sacristin rilev che leurocomunismo promette- va un impossibile comunismo senza rottura rivoluzionaria si  qui di fronte ad un tipico caso non certo di intellettuali estremi- 70 sti, ma di intellettuali onesti che semplicemente dicono una veri- t scomoda che i politici cinici e deideologizzati non vogliono neppure sentire, e che neppure la mitica base pu sopportare, perch incrinerebbe il suo fideismo e il suo dogmatismo populi- sta. Leurocomunismo, cos, non fu che unideologia di transi- zione alla socialdemocrazia normale. La coniugazione di comu- nismo e democrazia, che resta un'istanza assolutamente legitti- ma e da perseguire in futuro,  qualcosa di troppo serio per es- sere solo predicato verbalmente e pretescamente. Enrico Berlinguer: compromesso storico e diversit morale Berlinguer fu un leader politico molto popolare sia presso la base del PCI sia presso unopinione pubblica pi larga. Amato da moltissimi, odiato da pochi (in particolare da un arco che va dai socialisti craxiani dassalto ai seguaci della lotta armata), Berlinguer mor simbolicamente in modo da attrarre la commo- zione e la simpatia di milioni di persone (e le elezioni della sua morte  dopo un collasso sulla tribuna di un comizio  furono anche le uriche in cui il PCI fece lunico, effimero, agognato sorpasso della DC). Sandro Pertini lo and a prendere come un figlio, e dopo la sua morte il PCI non ebbe pi un vero leader ad un tempo carismatico e razionale. Berlinguer fu dunque lu/- timo leader del PCI, e come suo ultimo leader lo giudicheremo. Berlinguer fu infatti il successore di Gramsci e di Togliatti, e non pu essere giudicato usando criteri filosofici, come quelli impie- gati per valutare Geymonat o Napoleoni. Egli deve essere giudi- cato sulla base di criteri pi generali e strategici, tipici di chi non si limita a scrivere libri ma ha responsabilit di direzione politica strategica di milioni di persone. Gramsci volle la tattica di fronte unico e la strategia del blocco storico che conquistava l'egemonia sulla base di una guerra so- ciale di posizione diretta da un moderno Principe. Togliatti vol- le la via italiana al socialismo e costru il partito storicista di mas- sa. Berlinguer volle la tattica del compromesso storico e lidenti- 71 t della diversit morale dei comunisti, titolo del loro diritto a governare il paese. Egli deve essere dunque valutato storica- mente su questi due elementi: il compromesso storico e la diver- sit morale. Il resto  cattocomunismo ed eurocomunismo, ideologia ed organizzazione, giornalismo e polemica spicciola. Chi scrive ritiene che si sia trattato non certo di due sbagli ir- reparabili, ma di due manifestazioni di vera e propria dis-ege- monia storica, che hanno necessariamente accompagnato, con inesorabile falsa coscienza necessaria, la fase di dissoluzione della variante italiana del comunismo storico novecentesco. Esaminiamole dunque separatamente. Come  noto, il compromesso storico fu proposto in occasio- ne dei dolorosi fatti del Cile e della morte di Allende nel 1973. La sostanza  semplice, e di buon senso comune: se i comunisti vogliono andare al governo, non ci possono andare con il 51%; ci vuole una maggioranza pi larga e solida. Si potrebbe obietta- re che i comunisti non sono affatto obbligati ad andare al gover- no, se non ce ne sono le condizioni storiche. In questo caso, pe- r, al posto della severa categoria oggettiva di condizioni stori- che si installa la mutevole categoria soggettiva di spinta o volont dellelettorato. Era indubbio che ci fosse veramente una spinta dell'elettorato perch il PCI assumesse responsabili- t di governo. Questa spinta era anche sociologicamente diffe- renziata e complessa, perch veniva sia dal grosso della classe operaia, ansiosa di veder consolidare le conquiste salariali e nor- mative del ciclo di lotte 1969-73, sia dalla piccola borghesia ur- bana ansiosa di protagonismo culturale ed amministrativo. In realt, il compromesso storico non era, e non poteva essere, unapplicazione parlamentare e governativa del gramsciano blocco storico. Esso ne era anzi lesatto contrario. Il gram- sciano blocco storico era la proiezione strategica della tattica le- niniana del fronte unico dal basso, mentre il compromesso sto- rico era la consociazione politica di vertice delle lites professio- nali di rappresentanza dei gruppi sociali nel sistema capitalisti co. Il compromesso storico non poteva dunque che essere una grande operazione trasformistica (nel senso del 1876 e di De- pretis), ideologicamente mascherata da alleanza per il progres- 72 so. In questa sede, non vorremmo neppure sopravvalutare (co- me molti fanno) luccisione di Aldo Moro e l'emergenza terrori- stica, che secondo alcuni avrebbero impedito o deformato la realizzazione del compromesso storico. Non lo crediamo affat- to. Il compromesso storico, in realt, si  perfettamente realizza- to, perch la sua essenza consisteva proprio nella consociazione contrattata del PCI nel sistema politico italiano. Era questa inte- grazione lalfa e lomega del compromesso storico, ed il fatto che questa integrazione sia rimasta imperfetta e subalterna  dovuto soltanto a fattori internazionali (esistenza dell'URSS, eccetera). Il compromesso storico  dunque, a rigore, il trionfo e la morte del progetto di Togliatti. Il partito storicista di massa viene fi- nalmente legittimato a governare, e subito dopo muore come tale. Il fatto che Berlinguer abbia cercato di ideologizzare il compromesso storico con la doppia teoria dellausterit e della diversit morale deve essere compreso con lapplicazione rigo- rosa della teoria marxiana delle ideologie, pi esattamente del- l'ideologia come falsa coscienza necessaria. Lideologia, come si sa, presenta il mondo come invertito, anzi lo percepisce struttu- ralmente come tale. In altre parole, nel rispecchiamento ideolo- gico il mondo appare esattamente rovesciato da come  vera- mente. Nel rispecchiamento ideologico del compromesso stori- co giungevano finalmente al potere gli onesti, o meglio i comuni- sti come rappresentanti delle mani pulite, dellausterit, del- lonest. Nella realt, perfettamente invertita, si stava edificando in quegli anni il sistema di Tangentopoli, la spartizione delle spoglie dellonnipervasivo e famelico sistema dei partiti. Sulla scena della politica si esibivano, applauditissimi ed amatissi- mi, il democristiano onesto Zaccagnini, il socialista onesto Perti- ni, il comunista onesto Berlinguer. Questi tre personaggi, per quanto ne sappiamo, erano veramente onesti, soggettivamente onesti. Ma in questo caso lintenzione soggettiva non vale niente, e Kant deve cedere a Marx. Ritenere che i comunisti possano ac- cedere alla direzione politica delle strutture rappresentative ca- pitalistiche restando e anzi diventando ancora pi onesti  una menzogna, che pu certamente essere creduta dal variopinto 73 popolo dei citrulli di professione, la cui rete si estende fino a Sa- marcanda, ma che non resiste al minimo esame strutturale dei rapporti sociali. Limplosione della Cosa fra il 1989 e il 1991 Dopo la morte di Berlinguer, avvenuta nel 1984, il PCI entr in ibernazione. Il gigantesco apparato amministrativo era senza identit, senza linea politica, senza teoria di riferimento. Ci che era ancora pi grave, non le cercava neppure. Il coperchio del pentolone copriva ormai a malapena un minestrone sempre pi immangiabile. Gli intellettuali universitari si ridefinivano cultu- ralmente a partite dal proprio specialismo linguistico, secondo la modalit della frammentazione che La Grassa illustra cos be- ne (e che riprenderemo nellundicesimo capitolo), e che invece lingenuit postmoderna gabella come espressione dellitriduci- bile pluralismo di soggetti differenti ontologicamente. Il popolo riscopriva identit regionali (la Lega) o sportive (i gruppi di ti- fosi ultras) non certo perch stava ritornando alla barbarie, ma perch lesplosione del progetto universalistico comporta ne- cessariamente una Bosnia quotidiana. I capitalisti, di fronte al crollo del comunismo storico novecentesco, aprivano le danze della fine della storia e dell'avvento della vera ed unica libert (la loro, ovviamente), e nello stesso tempo si accingevano alla pri- vatizzazione di tutto quello che Keynes e Beveridge, cio linter- vento dello stato nell'economia e lo stato del benessere, avevano dovuto concedere alle masse popolari nei decenni precedenti. A sinistra la frammentazione dei soggetti si manifestava nella torre di Babele dei nuovi soggetti che non riuscivano neppure pi a parlarsi l'uno con laltro, con politici, sindacalisti, ecologisti, femministe, pacifisti, eccetera, che elaboravano loro codici or- mai provocatoriamente incomunicabili (politologia sistemica, compatibilismo sindacalistico, fondamentalismo ecologistico, differenzialismo e separatismo femministico, umanesimo non violento pacifista, e via incomunicabilizzando). Tutto era pronto perch la Grande Afasia cominciasse. Rite- 74 niamo che il fil: di Nanni Moretti intitolato La Cosa rappresenti ci che  avvenuto in una sorta di neorealismo della dissoluzio- ne. La cosa  proprio il PCI che deve cambiare nome (perch l'azienda comunismo  fallita e occorre cambiare la ragione sociale della ditta senza far perdere il capitale ai soci, o meglio a quella parte di loro che si era piazzata professionalmente). Il periodo 1989-91 dovrebbe essere proiettato al rallentatore (co- me la moviola delle partite di calcio) per far capire ai giovani come funziona la politica quando  affidata ad un vertice di burocrati manipolatori e a una base educata alla fede (chi scrive non ha per la mitica base nessuna comprensione: ogni base ha il vertice che si merita, anche perch  sempre lei che lo elegge). AI vertice del PCI, comincia la Grande Sceneggiata. Occhet- to, ufficialmente successore di Gramsci e di Togliatti, si relazio- na direttamente con i media nel fondamentale e tucidideo di- scorso della Bolognina, in cui annuncia il cambiamento di no- me del PCI. DAlema, suo degno collaboratore, si distingue per due articoli di giornale (l'Unit), in cui scrive, il 12 otto- bre 1989, che il PCI non deve cambiare il nome comunista perch la tradizione del comunismo italiano non deve essere rin- negata, salvo poi a scrivere, il 23 novembre 1989, che bisogna cambiare il nome di comunista perch questo nome  interna- zionale e non solo italiano (ci rendiamo conto che sembra incre- dibile, ma rimandiamo il lettore scettico alle emeroteche). Piero Fassino, a nostro avviso la faccia tosta pi impagabile, scrive: ... in segreteria avevamo piena consapevolezza che il volto dEuropa stava mutando fra lestate e lautunno del 1989. Ma in quel momento eravamo impegnati in una campagna elettorale difficile (le elezioni comunali di Roma, dove si votava il 29 otto- bre 1989). Decidemmo cos di rinviare ogni decisione a dopo le elezioni. Laffermazione di Fassino  a nostro avviso degna di essere tramandata agli archivi (quelli della commedia dellarte, prima ancora di quelli del comunismo): in una crisi epocale del comu- nismo si aggiornano il dibattito e le decisioni a dopo unelezione comunale. Ci che colpisce (come gi a suo tempo rilev Han- nah Arendt)  la banalit del male, in questo caso la normalit 75 dellaffermazione di Fassino. In effetti per il professionista della politica lepocalit della crisi viene dopo le percentuali nelle ele- zioni amministrative. Tutte le tesi di Max Weber sul disincanta- mento del mondo sono ancora sortilegi di sciamani in confronto alla sublimit secolarizzata di Fassino. Mentre il vertice apriva linterminabile sceneggiata sulla fine del comunismo ed il nuovo inizio progressista e liberaldemocra- tico, la base implodeva in proteste e lamenti. Pi propriamente, lo zoccolo duro si scioglieva in lacrime. Abbiamo gi rilevato che il gigantesco caso storico del PCI  un fenomeno culturale e antropologico prima che politico. Alla base toglievano il no- me, e il nome  pur sempre segnale di identit. Come conserva- re l'identit senza il nome? Come proseguire la diversit? Co- me andare al governo senza perdere la propria rivoluzionariet? Il film di Moretti La Cosa mostra una base talvolta lucida talvolta farneticante, senza che emerga mai un bilancio razionale e dia- lettico del rapporto fra passato, presente e futuro del comuni- smo. Questo bilancio, per, era impossibile per una base cre- sciuta in quella specifica subalternit, e in quella mescolanza di militanza e di appartenenza che identificava il comunismo con il PCI e il suo destino. Chi scrive ritiene che questa implosione fosse inevitabile, e che per non avvenire sarebbero state necessarie due condizioni, che per non c'erano. In primo luogo, bisognava che ci si fosse gi abituati da tempo a separare la causa storica del comunismo con le vicende empiriche del comunismo storico novecentesco, in particolare con il PCUS e con il PCI. Per coloro che identifi- cavano le due cose, il 2/zck out era inevitabile. Coloro che invece avevano da tempo stabilito un rappotto autonomo critico con Marx, il marxismo e il comunismo, erano vaccinati e immuniz- zati. Ma il partito storicista di massa non poteva essere il luogo di simili campagne di vaccinazione, perch la vaccinazione era incompatibile con le modalit fideistiche del patriottismo della militanza. In secondo luogo, era forse possibile mantenersi comunisti anche in mancanza di una prospettiva e di una pratica nuove del comunismo (cos come  ora in fondo il caso del Partito della Ri- 76 fondazione Comunista, che non ha ancora fatto quasi nulla per una vera rifondazione di esso). Era necessario, per, abban- donare limpossibile eredit togliattiana della rappresentanza degli interessi nazionali italiani nel loro insieme, per ripiegare sulla trincea della difesa degli interessi del solo lavoro subordi- nato, salariato, dipendente o autonomo, con esclusione degli in- teressi di tutte le classi capitalistiche, quelle cio che vivono di lavoro salariato. Una simile sobria riconversione, di cui si mo- strarono capaci partiti comunisti come quello francese, spagno- lo, greco, portoghese, giapponese, eccetera, era per sbarrata per la tradizione comunista italiana. Essa voleva essere tutto, e scelse di essere riente proprio perch non poteva accettare di essere soltanto una parte, la parte che difende gli interessi eco- nomici dei salariati. Questo libro non pu e non vuole affrontare lattuale storia dei due partiti usciti dal PCI, il PDS e il PRC (partito democra- tico della sinistra e partito della rifondazione comunista). Ci  oggetto legittimo di polemica politica, e non di storia delle idee. In questa sede,  interessante per rilevare che di fronte ai prov- vedimenti del governo Amato della seconda met del 1992, ten- denti allo smantellamento coerente dello stato sociale in Italia con il ricatto dellunificazione europea di Maastricht, il PDS ab- bia preferito la torbida alleanza con i nemici della democrazia rappresentativa proporzionale (Segni, La Malfa, Scalfari, ecce- tera) alla lotta onesta ed aperta contro i provvedimenti economi- ci del governo. Ci non  purtroppo casuale. Finito il comuni- smo, nel PDS resta il cosiddetto interesse nazionale, che in questo caso  linteresse capitalistico delle compatibilit econo- miche. E necessario opporsi a questo esito, ma non lo si pu fare sulla base di unopposizione di Sua Maest, di unopposizione cio che accetti la logica dellunit con il suo contrario. L'unit degli opposti si manifesta cos come consociativismo dei contra- ri. Una brutta tradizione trasformistica italiana, che affrontere- mo nel tristissimo secondo capitolo. 77 II Lopposizione di Sua Maest alla prima sinistra dal 1956 al 1991 Un problema storiografico e metodologico Dopo aver ricostruito, sia pure per sommi capi e in modo in- completo, le tendenze generali di sviluppo strategico della pri- ma sinistra dal 1956 al 1991, si pone il problema di individuare le forze, intellettuali ed organizzative, che ad essa si sono oppo- ste. In proposito,  evidente che, a seconda delle proprie perso- nali opinioni, si tender a distinguere queste forze in vera op- posizione ed in falsa opposizione. La vera opposizione sar poi sempre di fatto quella che piace al commentatore, mentre la falsa sar quella che non gli piace, o non gli  piaciuta, spesso per ragioni personali e biografiche.  questa la ragione per cui preferiamo la dizione opposizio- ne di Sua Maest per indicare quella che a nostro avviso  sem- pre rimasta strategicamente interna, anche se spesso dissen- ziente e protestante (quando non soltanto mugugnante), alla logica complessiva di funzionamento della prima sinistra stessa. Le cose sono certo complicate dal fatto che questa oppo- sizione di Sua Maest si  manifestata sulla base di due dimen- sioni, luna prevalentemente politica (e qui sta lattenzione pre- stata a Pietro Ingrao) e laltra prevalentemente intellettuale (e qui si giustifica il riferimento a Rossana Rossanda). Per poter per comprendere in modo globale la questione dellopposizio- ne di Sua Maest, bisogna risalire al significato originario, ingle- se, del termine. In breve, nel costituzionalismo britannico lop- posizione di Sua Maest non  soltanto quella che deve essere garantita bobbianamente dagli abusi e dalla violazione delle regole del gioco di una maggioranza prevaricatrice, ma  unop- 79 posizione pienamente leale a Sua Maest, e non intende mai con- testarne i fondamenti ultimi di legittimit. Ed  allora questa lopposizione di Sua Maest.  quella che contesta, contesta, rumorosamente contesta, ma non investe mai nella sua contestazione i fondamenti ultimi di legittimit della prima sinistra. Questa opposizione  sempre e comunque, a no- stro avviso, lala sinistra della prima sinistra, e non pu uscire mai dalle logiche complessive del suo funzionamento e del suo destino storico generale. Nomenklatura politica e risarcimento ideologico. I giorni feriali e le prediche della domenica Per comprendere la dinamica del dibattito ideologico dentro la forma-partito comunista novecentesca  necessario partire dal fatto che esso era possibile nella sua prima variante, quella del Che Fare? di Lenin del 1903. Fu soltanto dopo il 1924 e la morte di Lenin che si cre il modello monolitico, che pretendeva luna- nimit nei momenti pubblici e nei documenti collettivi unitari e confinava il dibattito nei corridoi e nelle riunioni segrete. Si trat- ta di un fenomeno di importanza cruciale, che d luogo ad alcu- ne conseguenze decisive. In primo luogo, il partito si struttura, organizzativamente e psicologicamente, come un esercito che deve occupare uno stato, e appunto per questo deve preservare lunit e la rapidit del comando. Il noto principio del centrali smo democratico, che significa in sostanza che la minoranza deve portare avanti la linea politica decisa dalla maggioranza una volta che essa sia stata avallata dalle istanze legittime (con- gressi, direzioni, eccetera), non  altro che il principio normale con cui funzionano le aziende capitalistiche e lo stato borghese (anche alla FIAT si discute su quale modello puntare, e, una vol- ta deciso, anche gli ingegneri ed i managers poco convinti devo- no darsi da fare per sostenerlo). Il centralismo democratico  dunque un principio elementare per il funzionamento di qua- lunque associazione, da una bocciofila ad una societ di filateli- ci, da un'azienda meccanica ad un ministero. Chi trova per 80 ovvio e normale che esso debba anche funzionare in un par- tito comunista, sottovaluta il fatto che il partito non  uno stato o unazienda, e appunto rischia di diventarlo se lo si struttura se- condo questi principi.  inutile per lamentarsi e recriminare: il comunismo storico novecentesco si  modellato nella doppia forma della fabbrica capitalistica e dello stato, leconomicismo e lo statalismo sono stati le sue due modalit ideologiche essenzia- li, e questa  una delle ragioni epocali di fondo della sua sconfitta e del suo mancato decollo mondiale, in perfetta analogia con il mancato decollo del capitalismo medioevale del Trecento e del- la sua successiva rifeudalizzazione. In secondo luogo, risulta chiaro che lalternativa al centrali- smo democratico, il partito a correnti stabili ed organizzate, si- gnifica quasi sempre cadere dalla padella nella brace. Le opinioni possono esprimersi meglio, ma la loro cristallizzazione, non appe- na si organizza stabilmente allinterno di un sistema elettorale rap- presentativo, d luogo a piccole lites che si autoriproducono con- trattando il loro potere dinterdizione o di coalizione (e si veda le- sempio italiano del PSI di Nenni e di De Martino). Posto sul piano strettamente politico, il dilemma fra partito monolitico a centrali- smo democratico e partito correntizio ad oligarchia di vertici  in- solubile: la prima forma favorisce il momento della produzione, la seconda il momento della distribuzione. In terzo luogo, ci che  veramente rilevante nella forma-par- tito a centralismo democratico  la polarit che si stabilisce fa una antropologia della furberia al vertice (per cui occorre di- ventare astuti e manovrieri per emergere allinterno di lites for- temente conflittuali) e una antropologia della fedelt alla base (in cui lidentit e l'appartenenza non si costituiscono sulla base di unautonomia critica, ma sulla base dei sacrifici che si fanno per lorganizzazione, che diventa da mezzo un fine in s). La compresenza dolorosa delle due antropologie, della furberia e della fedelt, comporta necessariamente un nichilismo culturale totale, che alla fine disintegra lorganizzazione. In quarto luogo, infine, cos come le chiese non potrebbero amministrare la dimensione quotidiana e spicciola della vita reli- giosa (pentimenti, peccati, malattie, morti, nascite, solidariet, 81 eccetera) senza un indispensabile completamento simbolico globale di riferimento (Dio, lAldil, eccetera), analogamente la forma-partito del comunismo storico novecentesco non potreb- be gestire la quotidianit amministrativa, elettorale, organizzati va, militante, senza lindispensabile completamento simbolico della religione ideologica di riferimento, il marxismo ed il co- munismo. Abbiamo ovviamente distinto marxismo e comuni- smo, perch il marxismo (come la teologia e la storia della chiesa per i credenti)  riservato a studenti ed intellettuali, men- tre il comunismo come orizzonte ideale pu essere predicato a tutti, in particolare ai semplici. In questo modo, per, le predi- che della domenica si separano inesorabilmente dai giorni feria- li: per i credenti e le chiese si ha una fede senza messianesimo; per i comunisti si ha un marxismo senza rivoluzione. La coopta- zione della zomenklatura politica avviene sulla base di virt si- stemiche di organizzazione; il risarcimento ideologico si mani- festa nella forma delle omelie rivoluzionarie e nel regno della frase di sinistra. In sintesi: la frase di sinistra sostituisce inte- gralmente la ricerca e l'innovazione teorica e politica. Il demoniaco allombra del conformismo: Asor Rosa, Tronti e Cacciari Abbiamo insistito molto sul fatto che il partito storicista di massa non pu permettere un vero dibattito sui suoi fonda- menti ultimi, perch questo dibattito metterebbe in pericolo la sua stessa esistenza. Negli anni Sessanta, per, in particolare do- po la morte di Togliatti, comincia a sorgere in Italia una tenden- za critica che investe i presupposti teorici dello storicismo, an- che se questa tendenza riconosce la sovranit politica del PCI e non intende mai discuterne la legittimit storica ed elettorale. La messa in dubbio della sua sovranit politica sarebbe stata dia- bolica, e avrebbe comportato la scomunica. Anche un santo, per, permette ogni tanto ad un simpatico demonietto di ten- tarlo, dal momento che sa che alla fine comunque la virt sar vincitrice; analogamente, anche i cattocomunisti pi consociati- 82 vi e gli eurocomunisti pi socialdemocratici sopportano ogni tanto qualche ardita eresia culturale, tanto sanno perfettamente che non ne terranno nessun conto nellelaborazione della loro politica. Il demoniaco pu cos installarsi all'ombra del confor- mismo, cos come (nel linguaggio di Luk4cs) linteriorit pu coltivarsi all'ombra del potere. Alberto Asor Rosa, Mario Tronti e Massimo Cacciari sono tre intellettuali estremamente dotati ed originali, che hanno criticato fino in fondo i fondamenti teorici dello storicismo senza che da questa critica sorgesse la minima contestazione alla legittimazione monopolistica del PCI come unico portatore del progetto comu- nista in Italia. Asor Rosa, critico letterario e saggista, ha eroso i fondamenti della lettura nazional-popolare della nostra storia con una critica molto acuta del populismo. Tronti, politologo e studio- so di movimenti sociali, ha enfatizzato lo scontro diretto di classe fra operai e capitale come motore del movimento storico. Caccia- ri, filosofo geniale e contro corrente, ha criticato i fondamenti teo- rici dello storicismo con una valorizzazione sistematica di tutti i possibili pensatori antistoricisti, noti ed ignoti, dell'Ottocento e del Novecento. In una storia delle idee marxiste in Italia, questi autori meriterebbero certamente un'analisi accurata e precisa: in un saggio critico come questo  invece consentito andare subito al nocciolo dei loro contributi, e spiegare perch riteniamo il loro un sostanziale fallimento filosofico globale. Sulla parola fallimen- to occorre certo intendersi con chiarezza e pacatezza, anche per- ch molti autori considerano semplicemente falliti tutti coloro con cui non sono in sintonia. Chi scrive non condivide per nulla linterpretazione non genealogica del nichilismo che d Severino, la formalizzazione procedurale della democrazia che fa Bobbio, la fondazione epistemologica del marxismo nel modello delle scien- ze della natura che fa Geymonat, ma non si sognerebbe mai di considerare falliti Severino, Bobbio e Geymonat perch non la pensano come lui. Nel caso di Asor Rosa, Tronti e Cacciari, per, si ha a che fare con autori che si sono posti coscientemente il com- pito di distruggere lo storicismo per mettere qualcosa daltro al suo posto: e il fallimento consiste allora in ci, che essi hanno abbattuto la statua, e il basamento  rimasto vuoto. 83 Asor Rosa ha criticato il nazional-popolare ed il populismo letterario in nome della criticit della grande letteratura borghe- se, e ha soprattutto insistito sulla necessit di svecchiamento e di modernizzazione della cultura di sinistra italiana. La categoria della modernizzazione, per,  una categoria ambigua e a doppio taglio. La sinistra si  bens modernizzata, ma questa modernizzazione non  andata nella direzione delle speranze di Asor Rosa, ma nella direzione dellomologazione capitalistica pi sfrenata. Il fatto , per dirla in breve, che sinistra e mo- dernizzazione non sono categorie che ci aiutino a capire qual- cosa del mondo, ma pseudoconcetti fuorvianti che agiscono da scatole vuote e da idola baconiani. Tronti ha scritto libri e saggi molto importanti sulla lotta di classe. Egli non  stato fondatore delloperaismo (che a nostro avviso  stato Panzieri, e prima ancora di lui il gruppo francese di Socialisme et Barbarie e i tedeschi Korsch e Mattick), ma cer- tamente ha contribuito a dare al paradigma operaistico una for- ma rigorosa, filosoficamente fichtiano-gentiliana, ultrasoggetti- vistica ed azionistica. Cos come Asor Rosa, per, parte dalle giuste critiche al nazional-popolare ed al populismo, e giunge al fuorviante esito della sinistra modernizzante (che non esiste), analogamente Tronti parte dalla purezza dei rapporti sociali di produzione e giunge allesito fallimentare della autonomia del politico, cio allenfatizzazione dellagire politico puro. Dalla catena di montaggio a Cromwell, da Mirafiori al compromesso storico, dai picchettaggi operai al Parlamento, Tronti esprime fino in fondo una sorta di ingenuo trasformismo molto italiano, che unisce innocue e corrusche frasi gratificanti sul comunismo con il pi bieco opportunismo quotidiano. Cacciari ha scritto libri e saggi francamente geniali sulla criti- ca dei falsi fondamenti dello storicismo e del progressismo. Per- fetto. Alla fine di questa pars destruens, visto che da qualcosa bi- sogner pur partire una volta che si siano spazzati via i blocchi di partenza fasulli, Cacciari parte da fondamenti ancora pi fa- sulli di quelli che egli stesso aveva rimosso, come la Legge vete- rotestamentaria o la Decisione alla Karl Schmitt. Sia la Legge che la Decisione, per, sono fondamenti del tutto illusori, che non 84 consentono vere rifondazioni. Chi scrive ritiene Asor Rosa, Tronti e Cacciari autori di prima grandezza. Il loro fallimen- to, pertanto, non deve essere loro appiccicato con astio o sup- ponenza, ma deve farci riflettere su almeno due dimensioni teo- rico-pratiche decisive: in primo luogo, sul fatto che se ci si vuole veramente opporre ad una cultura politica che si intende sosti- tuire, non si pu poi trasformisticamente intrallazzare con essa; in secondo luogo, sul fatto che la semplice critica dei cattivi fon- damenti deve essere condotta con il triplice aiuto della genealo- gia, dellontologia e della dialettica, perch in caso contrario la distruzione pura si accompagner paradossalmente con la peg- giore continuit (e questo  ci che noi pensiamo). Pietro Ingrao e il consociativismo libertario Pietro Ingrao  per chi scrive il modello inarrivabile, massimo e principalissimo, delloppositore di Sua Maest. Il nostro ama- to paese  pieno di ingraiani entusiasti, che tuttora pendono dalle labbra del grande vecchio applaudendo ogni sua innocua frase di sinistra (e Ingrao dice spesso frasi di sinistra estrema- mente gratificanti) e di anti-ingraiani convinti, per cui Ingrao  la quintessenza dellopportunismo e della non affidabilit. Chi scrive si situa in posizione intermedia, anche se certamente pi vicino ai secondi che ai primi. Nello stesso tempo, siamo con- vinti da molti anni che lingraismo sia un fenomeno sociale e cul- turale dotato di una sua autonomia specifica, che deve essere studiato come se un individuo empirico chiamato Pietro Ingrao non sia mai esistito. Noi sappiamo che esiste, labbiamo visto, gli abbiamo parlato, abbiamo conversato affabilmente e abbia- mo cenato insieme in modo amichevole e conviviale. Possiamo dunque confermare: Ingrao esiste.  possibile leggere anche i suoi libri, i suoi saggi, i suoi discorsi parlamentari, in cui parla sempre di masse, di operai, di lavoro liberato, di comunismo. Noi pensiamo che egli sia assolutamente sincero, e non sia per- tanto affatto ipocrita. Nello stesso tempo, riteniamo che egli sia portatore di due caratteristiche teorico-politiche negative: in 85 primo luogo, una sorta di comunitarismo di partito, per cui la comunit di partito viene vissuta come un assoluto che non biso- gna scindere o dividere a nessun costo, come se essa fosse un va- lore in s (e leggiamo in questo modo il suo No al cambiamento del nome del PCI unito alla sua scelta maggioritaria per il PDS), laddove per chi scrive questo  il massimo dei disvalori (comunismo come identit, militanza ed appartenenza anzich comunismo come libera individualit autonoma); in secondo luogo, la letterariet e lesistenzialismo dellesposizione al posto del rigore e della ricerca di nuovi paradigmi, che fanno di Ingrao un politico che non ha mai dato in cinquant'anni il minimo con- tributo teorico innovativo. Ma il fenomeno veramente interes- sante  lingraismo, ossia la manifestazione collettiva esistenziale del popolo di sinistra, la sua anima lacerata dalla quotidianit dei giorni feriali e dalledificazione delle prediche della domeni- ca. Lingraismo  il desiderio di un mondo fatto solo di domeni- che,  il risarcimento delle mille miserie quotidiane sublimate in un discorso umanistico innocuo ma gratificante. Lingraismo  il ritorno del rimosso, la manifestazione verbale della voglia di co- munit che chiama s stessa comunismo. Lingraismo  il mo- do in cui il comunismo storico novecentesco (almeno in Italia) battezza la propria strutturale incapacit a riformare struttural- mente la propria forma-partito, e nello stesso tempo sogna ad alta voce di riuscire a farlo. Lingraismo  dunque un fenomeno collettivo, anonimo ed impersonale. Come tutte le religioni, esso ha anche un clero professionale, che vive di ingraismo conci- liando i peggiori intrallazzi partitici e giornalistici con fuochi dartificio serali di frasi di sinistra bellissime (come  stato bello, e come  stato innocuo, contrapporre alle frasi di destra di Amendola le frasi di sinistra di Ingrao!). In questo senso, lin- graismo  stato unindustria (anche Occhetto, politico nichilista quanto altri mai,  stato in un certo periodo ingraiano), senza cessare di essere anche uno stato danimo.  impossibile per seguire lingraismo ideale eterno nelle sue migliaia di seguaci, dal momento che lingraismo ideale eterno  una figura dello spirito, ed  pi produttivo esaminarlo nella sua incarnazione in una sola persona. In breve: cos come il socialismo in un solo 86 paese  stato Stalin, lingraismo in una sola persona  stata in Ita- lia Rossana Rossanda. Rossana Rossanda e la sinistra esistenzialista Insieme con il gruppo della rivista Il Manifesto (da non confondere con il quotidiano con lo stesso nome che esce ormai da ventitr anni) Rossana Rossanda fu radiata dal PCI nel 1969. Questa radiazione fu la fortuna della sua vita. Svincolata dalle necessit tattiche del piccolo cabotaggio di partito e dalle mise- rie del galleggiamento burocratico, essa pot diventare una sag- gista a 360 gradi, incarnando cos quella figura di intellettuale comunista indipendente che in Francia aveva impersonato Jean- Paul Sartre, e che invece in Italia mancava. Quando Sartre mor nel 1980, la Rossanda scrisse un necrologio significativamente intitolato Una vita splendida, e questo non  certo un caso. Essa fu anche amica di Althusser, ma a nostro avviso  in Sartre che la Rossanda trova il suo vero modello intellettuale. Un Sartre don- na, e pertanto non solo una Simone De Beauvoir, piegata sulla specificit femminista del secondo sesso. Una Sartre italiana, che interviene su tutto, e su tutto scrive, cercando di conciliare il comunismo con la pi assoluta libert di espressione. Insistiamo molto su questo aspetto francese della Rossan- da, perch si tratta di una figura che ha dovuto mediare in Italia alcune caratteristiche tipiche dellintellettuale francese, in primo luogo l'impegno, quellengagerzent che fu sempre la parola dor- dine del marxismo esistenzialistico parigino. Un marxismo che si pensava dunque principalmente come stato danimo di sini- stra e come storicit integrale dellesistenza colta e pensante, un marxismo minacciato forzatamente dal solipsismo e dal narcisi- smo, e reso sempre instabile dalla sua autoreferenzialit intimisti- ca.  questo, a nostro avviso, il marxismo di Rossana Rossanda. Il lettore critico potrebbe obiettare al fatto di aver collocato in questo saggio la Rossanda nellopposizione culturale di Sua Maest, e non insieme agli oppositori della seconda sinistra come Bordiga, Panzieri o Negri. Non  stata forse la Rossanda il 87 portavoce delle istanze della nuova sinistra? Non ha forse avuto il coraggio politico e morale di farsi radiare dal PCI, vio- lando le regole del gioco con la pubblicazione di una rivista? Certamente cos  stato. Se per abbiamo fatto egualmente que- sta scelta, ci  per una ragione metodologica essenziale, che consideriamo cruciale, al di l della singola questione della valu- tazione storiografica del pensiero della Rossanda, e che cerche- remo di motivare con due argomentazioni fondamentali. In primo luogo, la Rossanda ha sempre cercato di valorizzare tutto quanto sembrava innovatore a sinistra: Dubcek, Mao Tse- tung, Gorbaciov, ad esempio. Ora, questo era possibile soltanto mettendo fra parentesi la storia reale (che gridava, letteralmente gridava, la loro assoluta incompatibilit politica, culturale e idea- le), e ponendo in primo piano invece una sorta di luxemburghi- smo ideale, una Luxemburg senza spazio e senza tempo, una Lu- xemburg senza teoria del crollo e ridotta a libertarismo puro. In fondo, non parlavano tutti e tre di consigli dei lavoratori, non erano tutti e tre, Dubcek, Mao Tsetung e Gorbaciov per i consigli contro il dogmatismo del partito, per il sociale contro lo statuale, per la sinistra contro la destra? A nostro avviso, solo la fede luxem- burghiana e sartriana pu consentire simili impostazioni astori- che: masse e gruppi in fusione contro la serialit inerte dello sta- tuale, societ civile in rivolta contro i mastodonti ed i culi di pietra della burocrazia. Questa fede luxemburghiana e sartriana rimuo- ve, perch non li vuole vedere, gli aspetti socialdemocratici di Dubcek, i lati stalinisti di Mao, la natura globalmente nichilista e anticomunista di Gorbaciov. Tutto ci avviene perch non si vuo- le veramente lavorare per un #%0vo paradigma, radicalmente di- scontinuo rispetto allintera vicenda del comunismo storico nove- centesco, ma si vuole continuare con la valorizzazione dei punti alti della tradizione. Il continuismo sotterraneo si sposa con lin- novazione esistenziale, con il p4/bos letterario (questo s, veramen- te ingraiano), con la scrittura sorvegliata e di alto livello. In secondo luogo, la Rossanda ha sempre cercato di conciliare togliattismo e comunismo, in modo che si potesse simpatizzare contemporaneamente per Ingrao e per Toni Negri, per i CO- BAS e per Bruno Trentin, per il keynesismo di Caff e per il co- 88 munismo anarchico di Scalzone, per Adriano Sofri e per Vittorio Foa, in una parola, per tutto quello che si muoveva a sinistra. Tutto ci non  casuale, perch a nostro avviso in nessuno come nella Rossanda il marxismo ed il comunismo si identificano tanto nella sinistra, categoria pienamente metastorica e profonda- mente esistenziale. Essere comunisti  dunque, a tutti gli effetti, sentirsi comunisti. Essere comunisti  essere verazzente di sinistra (chi scrive ha in proposito una posizione assolutamente opposta: Craxi, Trentin e Occhetto sono a nostro avviso veramente di sini- stra, ed  proprio questa la ragione per cui non hanno nulla a che fare con il comunismo, comunque definito). Quello della Rossanda  allora un comunismo esistenzialistico, il comunismo in una sola persona che si manifesta come saggistica interminabile e come evocazione di una sinistra finalmente saggia ed unitaria. Questo marxismo esistenzialistico non porter mai nessun contributo alla soluzione del nostro attuale problema, la faticosa costruzione di un paradigma qualitativamente diverso da quello di tutto il comunismo storico novecentesco e di tutta la tra- dizione del movimento operaio. Quando la Rossanda si avventura timidamente nella teoria, si  di fronte ad un marxismo assoluta- mente ortodosso: classe-in-s che deve diventare classe-per-s (ma la classe-in-s non esiste!), masse creativamente luxemburghiane che si trovano sempre contro ottuse ed opache buroctazie stalinia- ne (ma ogni massa produce fisiologicamente la propria burocra- zia!), estremisti riottosi che non impareranno mai il buon senso, eccetera. Questo marxismo esistenzialistico non  in grado di comprendere la dinamica oggettiva della frammentazione capita- listica dei linguaggi (su cui ritorneremo nellundicesimo capitolo a proposito di Gianfranco La Grassa), e se la trova cos in casa, assi- stendo con impotenza alla disintegrazione del proprio universo ideologico proprio da parte di coloro che dovrebbero essere ami- ci. Ed  il caso del quotidiano Il Manifesto, il capolavoro della Rossanda, che esplode nella babele dei post-moderni purk, dei sindacalisti operaisti, dei politici occhettiani, dei corrispondenti dall'estero anticomunisti puri, dei keynesiani borbottoni, dei be- nettoniani demenziali. Esplosione che segna il tramonto di tutti i marxismi esclusivamente esistenzialistici. 89 III Lopposizione strategica alla prima sinistra: Bordiga, Panzieri, Negri La stesura del capitolo precedente  stata imbarazzante per chi scrive.  infatti sempre fastidioso (in particolare per chi non ha vendette cartacee da portate a termine, e scrive non pet col- pire ma per capire) giudicare se e fino a che punto un oppositore  veramente tale, oppure se la sua opposizione  soltanto quella di Sua Maest. Riteniamo per di non essere stati scorretti, e di avere almeno fornito due criteri metodologici espliciti per giustificare razionalmente la nostra tesi. Come si ricorder, i cri- teri sono stati i seguenti: in primo luogo, vi sono stati oppositori apparentemente terribili, degli antitogliattiani totali (Asor Rosa, Tronti, Cacciari, eccetera), che hanno per accettato le regole del gioco della casa madre, fino a configurare ci che abbiamo voluto definire il demoniaco all'ombra del cattocomunismo; in secondo luogo, vi sono stati coloro (e abbiamo scelto di evi- denziare Ingrao e la Rossanda) che hanno voluto conciliare to- gliattismo e comunismo, con la inevitabile conseguenza di tra- sformare il comunismo in stato danimo di tipo esistenzialistico inevitabilmente natcisistico. In questo capitolo, invece, segnaleremo i pensatori che hanno a nostro avviso dato forma ad una vera e propria opposizione strategica alla prima sinistra, prescindendo ovviamente dal fatto che avessero ragione o meno. Essi sono stati molti, ma ci sia- mo limitati qui a soltanto tre casi per permettere al lettore di co- gliere le ragioni teoriche di fondo di questa opposizione: nel- l'ordine, discuteremo i casi di Amadeo Bordiga, di Raniero Pan- zieri e di Antonio Negri. Prima, per,  necessario evidenziare la genesi storica ed ideologica della seconda sinistra, mostran- done il radicamento in una tradizione antica e mai interrotta. 91 Laltra linea e le sue radici: la dissidenza socialista e comunista Uno storico delle idee italiano, Attilio Mangano, ha definito altra linea la genesi storica della nuova sinistra, indivi- duando nelle quattro figure di Fortini, Bosio, Montaldi e Pan- zieri i personaggi esemplari di questa storia ideale alternativa al grande partito storicista di massa e alla sua logica statalistica di integrazione del movimento operaio. In un altro contesto, Cesare Cases ha parlato di tessitori di ragnatele, contrappo- nendo questi personaggi a figure di oppositori apparenti (co- me Giolitti nel PCI e Basso nel PSI) pienamente integrati nella classe politica e nelle sue logiche di governo (nel senso di go- verno delle strutture esistenti dellopposizione organizzata). Con la scelta di questi quattro personaggi, Mangano compie in realt un'opzione metodologica ben precisa: Fortini, Bosio e Panzieri vengono da una sorta di dissidenza basista e liberta- ria allinterno del socialismo di sinistra, ed il solo Danilo Mon- taldi mescola l'interesse per i marginali e gli esclusi con una sor- ta di bordighismo storico-filosofico (simili mescolanze impu- re sono peraltro assolutamente tipiche di ogni forma di pensie- ro eretico); la matrice archeologica della nuova sinistra vie- ne vista dunque non nel minoritarismo storico comunista, ma nel tradizionale libertarismo basista socialista. Chi scrive ha in proposito unopinione diversa da quella di Mangano. La matrice della nuova sinistra, che  poi a tutti gli effetti soltanto una seconda sinistra (perch non  affatto pi nuova delle linee maggioritarie del PCI e dello PSI  che con Berlinguer e Craxi riusciranno anzi ad avere un grande successo politico negli anni Settanta ed Ottanta  ma  semplicemente diversa, altra),  una mescolanza indistinguibile di elementi so- cialisti e comunisti rimasti minoritari. Libertarismo e radicali- smo, basismo ed estremismo, spunti trotzkisti e maoisti, rilettu- re di Gramsci e della Luxemburg, eccetera, tutto confluisce in un magma ideologico ribollente nella edificazione della secon- da sinistra. Ogni operazione di distinzione fra tradizione so- cialista e tradizione comunista risulta a nostro avviso del tutto li- 92 bresca, come se socialismo e comunismo fossero due razze di- verse da mantenere ben separate. In questo saggio, che non  un saggio di storia delle idee, ma un saggio teorico su//4 storia delle idee marxiste in Italia (e la differenza  essenziale, dal momento che un saggio teorico ha il diritto di sfrondare i particolari storiografici per arrivare subito al nucleo teorico delle questio- ni), cercheremo di andare subito al dunque: ed il dunque  li- potesi teorica di fondo in base alla quale si ritiene di potersi op- porre strategicamente alla linea del partito storicista di massa di Togliatti scontando tranquillamente anche il proprio minorita- rismo e la propria marginalit senza farsi impaurire. Riteniamo allora che i dunque siano fondamentalmente tre: una teoria del crollo del capitalismo opposta ad una teoria della lenta via evolutiva al socialismo (Bordiga); una teoria della rivoluziona- riet sociologica essenziale della classe operaia della grande fabbrica capitalistica opposta ad una teoria della crescita eletto- rale della rappresentanza politica del blocco storico formato da tutte le classi subalterne progressive (Panzieri); una teoria della maturit del comunismo da perseguire come obiettivo po- litico immediato opposta ad una teoria della modernizzazione capitalistica come stadio necessario per una ulteriore via al socialismo (Negri). In questo capitolo tratteremo questi tre dunque, e solo questi tre. Il bolscevismo atemporale di Amadeo Bordiga Abbiamo gi ricordato Bordiga nel primo e nel secondo capi- tolo della prima parte, rilevando che lo stesso pensiero di Gramsci non viene elaborato in un vuoto pneumatico, ma al- l'interno di unarticolata polemica complessiva contro il mecca- nicismo e il determinismo di Bordiga, al punto da poter dire (e chi scrive ritiene di poterlo sostenere senza difficolt in modo molto pi articolato di quanto venga fatto in queste telegrafiche note!) che Gramsci non ha mai scritto un anti-Croce, ma un anti- Bordiga s. Se infatti le note dal carcere di Gramsci vengono giu- dicate in base al progetto di un anti-Croce, esse falliscono il loro 93 obiettivo, perch il comunismo gramsciano non  ancora supe- riore alla logica complessiva della liberaldemoctrazia capitali- stica (come possiamo capire meglio 4 posteriori dopo il duro ri- sveglio del triennio 1989-91); se invece esse vengono giudicate in base al criterio del superamento del meccanicismo e del de- terminismo della tradizione marxista, pienamente travasatasi nella scolastica della Terza Internazionale, allora lopera di Gramsci  un pieno successo scientifico e filosofico. Se per Gramsci muore nel 1937, Bordiga, che pure gli  di due anni pi anziano, vive fino al 1970, e nel secondo dopoguerra  protago- nista di una solitaria battaglia ideale che non possiamo fare a me- no di considerare con ammirazione (e con un briciolo di inquie- tudine, perch non vorremmo che il comunismo del futuro si ri- ducesse ad una forma di testimonianza ultraminoritaria, che fa- rebbe diventare i comunisti personaggi simili agli anarchici e ai bordighisti: moralmente degni di rispetto, umanamente apprez- zabili, ma anche inesorabilmente messi ai margini della storia). In particolare,  degno di ammirazione il fatto che Bordiga sia riuscito, senza essere un sovietologo e senza avere nessuna par- ticolare competenza specifica in questioni economiche, a conno- tare la natura capitalistica dell'URSS in modo tanto attuale da essere quasi postmoderno. A differenza dei seguaci di Trotzkij e della teoria del collettivismo burocratico, per cui l'URSS non poteva essere connotata come societ capitalistica, perch man- cavano del tutto la borghesia imprenditrice, il mercato e la pro- priet privata dei mezzi di produzione, e vi erano al massimo gruppi burocratici di usurpatori della propriet pubblica, Bordiga, che vede nel capitalismo un grande meccanismo eco- nomico anonimo ed impersonale e non una societ guidata da un soggetto, scrive centinaia di pagine (divenute dopo il 1991 a tutti gli effetti profetiche) per spiegare che l'URSS  una societ che non  mai uscita dal capitalismo, e che al massimo ne co- struisce le basi destinate ad essere smantellate in un secondo tempo, portata a termine la grande accumulazione primitiva da parte dello stato-partito. Questa concezione impersonalistica del capitalismo di sta- to  notevole. Per usare i termini di Liliana Grilli, studiosa di 94 Bordiga e bordighista entusiasta: Dall'analisi che Bordiga fa della societ sovietica, sia dal punto di vista statico delle forme di produzione, che da quello dinamico delle leggi di funziona- mento. economico, la struttura economico-sociale dellURSS si configura come capitalismo mercantile ad industria statizzata. Tale definizione assume in Bordiga la portata di una vera e pro- pria riconsiderazione globale della stessa concezione del capita- lismo come modo storico di produzione ed  insieme anche ri- proposizione al proletariato occidentale degli obiettivi storici del comunismo rivoluzionario. Caratterizzato il capitalismo co- me sistema di appropriazione sociale del prodotto (anche se ancora di classe) ai fini non del consumo personale dei capita- listi ma dellaccumulazione del capitale, la portata alternativa del socialismo rispetto al capitalismo non si pone al livello delle forme di propriet (statali invece che private) n al livello delle forme di gestione (di partecipazione democratica anzich di ge- stione accentrata). Essa sta nel mutamento delle forme di pro- duzione, e nella scomparsa dellimpresa quale forma tipica del capitalismo in quanto produzione di valore. Non si pu dunque abolire il plusvalore senza abolire la for- ma di valore, e non si pu andare oltre la produzione capitali- stica mantenendone le categorie economiche. Questa verit bordighiana, tuttavia,  pur sempre una vecchia verit. Essa coincide esattamente con la precoce diagnosi infausta delle- sperienza sovietica fatta fino dagli anni Venti dai menscevichi e dai socialdemoctratici alla Hilferding: i russi non possono fare il socialismo, essi non possono al massimo che realizzare un capi- talismo di stato in cui il pattito comunista si fa carico sanguino- samente dei costi umani dellaccumulazione primitiva del capi- tale collettivo, e allora, perso per perso, non vale neppure la pena di aver fatto la rivoluzione del 1917 e di intestardirsi a con- tinuarla. E noto che Stalin rispose a queste critiche gi alla fine degli anni Venti, e che la vera tragedia consistette proprio nel fatto che non si riusc a trovare il modo di passare da un capitali- smo di stato collettivizzato al comunismo, dal momento che il plusprodotto sovietico fin con il passare dalla determinazione burocratica alla privatizzazione capitalistica diretta. Ma allora, 95 se dallURSS non ci si poteva aspettare nulla, se non il peggio, da cosa ci si poteva aspettare per Bordiga il superamento rivoluzio- nario del capitalismo? Dalla coppia tradizionale delle correnti di sinistra della Seconda Internazionale: la crisi catastrofica del capitalismo e linsorgenza rivoluzionaria del proletariato. Da cosa, se no?  questa la risposta di un bolscevismo atemporale, o se si vuo- le di un luxemburghismo eterno. Lingegner Bordiga, luomo della scienza e della tecnica, il marxista del tutto privo di lettera- riet e di metafisica (in apparenza) mostra di continuare a crede- re in un dogma religioso di fronte al quale l'avvento del Regno di Dio di S. Paolo appare una sobria previsione economica: lav- vento del grande crollo catastrofico del sistema con tutti gli indi- ci bancari e produttivi in caduta libera, che si unir in armonia prestabilita con il risveglio monoclassista della classe operaia internazionale. Il materialismo dialettico di Bordiga  in propo- sito assai discutibile: la materia indubbiamente c (crollo del capitalismo ed insorgenza della classe operaia), ma la dialetti- ca  assente, visto che nel frattempo il capitalismo mostra di avere imparato ad affrontare le crisi e la classe operaia cambia strutturalmente nella sua composizione oggettiva e nella sua co- scienza soggettiva. Il bordighismo  dunque una sorta di mes- sianesimo economicistico, anche se Bordiga resta a nostro av- viso uno dei grandi teorici della seconda sinistra. Il socialismo operaista di Raniero Panzieri Abbiamo visto che il partito storicista di massa, in cui Togliat- ti esercitava una vera e propria direzione politica della cultura (flessibile nella forma e ferrea nei contenuti), era organizzato sulla base del centralismo democratico in modo che non po- tessero sorgere al suo interno linee politiche strategicamente al- ternative, e che la cooptazione fosse lunica forma di selezione dei dirigenti permessa. La cooptazione, a sua volta,  una pale- stra di conformismo e una scuola di abilit manovriera, dal mo- mento che coloro che si espongono troppo in una linea politi- 96 ca diversa non possono fare a meno di suscitare forti avversioni, e hanno cos poche possibilit di essere maggioritariamente cooptati. Senza il meccanismo della cooptazione e la merito- crazia alla rovescia che esso necessariamente instaura, non po- tremmo mai spiegare come i partiti di Lenin e di Gramsci abbia- no rispettivamente prodotto Gorbaciov ed Occhetto. Essi sono prodotti purissimi della cooptazione, e chi non comprende che il difetto sta nel manico non rifonder mai nessun comunismo. Un uomo come Raniero Panzieri  invece un puro prodotto del rifiuto soggettivo della cooptazione e dellaccettazione dei meccanismi politici che la reggono. Egli non accett neppure le regole dapparato dentro un partito molto pi flessibile del PCI, come era il PSI degli anni Cinquanta (che, ricordiamolo, non era quello di Craxi degli anni Ottanta), e pag il prezzo della solitu- dine, dei licenziamenti e dellemarginazione per poter libera- mente sviluppare le sue ipotesi teoriche e politiche. Certo, unimpresa come quella della rivista Quaderni Rossi  anche qualcosa di collettivo, ma non bisogna neppure dimenticare il ruolo essenziale di una personalit decisa e coraggiosa. Panzieri  il vero fondatore delloperaismo italiano, una tendenza teo- rica di rilievo internazionale (che   appunto  italiana cos come italiano  il togliattismo, e se esse sono entrambe italiane ci avviene perch si tratta di realt opposte ma anche polari, contrarie ma anche solidali).  importante capire esattamente che cosa sia stato loperaismo, dal momento che non  affatto co- s semplice come sembra. Operaismo significa operai. Ma gli operai delloperaismo non sono le vittime sacrificali del Moloch capitalistico, con cui si de- ve condividere la condizione (come fece Simone Weil), e nep- pure gli operai del sindacalismo, che contrattano con le loro for- ze collettive gli aumenti di salario, la diminuzione della giornata lavorativa, l'aumento del controllo sulle condizioni dirette della produzione in fabbrica. Gli operai delloperaismo sono il sog- getto storico centrale del moderno capitalismo, la forza-lavoro associata che prefigura nella massificazione dei propri compor- tamenti la natura egualitaria e collettiva del comunismo. Lo- peraismo rappresenta il massimo possibile della sublimazione 97 sociologica della filosofia, anzi, il riassorbimento integrale della filosofia comunista nella sociologia marxista. Loperaismo , anzi, lidealismo soggettivo del marxismo, l'integrale sostituzione di Hegel con Fichte. LIo fichtiano di- venta la classe operaia, anzi la composizione di classe operaia, mentre il non-Io diventa la tecnologia, il macchinismo, le condi- zioni della produzione. Gli stessi due caposaldi teorici principa- li del pensiero di Panzieri (la non-neutralit delluso capitalisti- co delle macchine e la capacit del capitalismo di pianificare le- storsione del plusvalore) sono in realt funzioni subalterne di questo fichtianesimo operaio. Il solo limite del capitale  la forza della classe operaia, ed  solo da questa forza che ci si pu aspettare la lotta per il comunismo. Loperaismo  una forma di monoteismo rigoroso; cos come tutti i monoteismi accolsero le divinit politeistiche come enti subalterni (eoni, angeli, diavoli, eccetera), analogamente loperaismo accetta gli altri soggetti so- ciali soltanto se si proletarizzano, cio se accettano la propria subordinazione. Il Sessantotto  stato caratterizzato dallideolo- gia della proletarizzazione, una sorta di mistica sociologica di annientamento sovradeterminata ai processi congiunturali di af- fermazione delloperaio fordista italiano. In questo senso, lope- raismo  stato una vera eresia del marxismo, in un senso mol- to pi letterale di quanto non lo si creda.  noto che le eresie pauperistiche medioevali individuano nei servi della gleba e in generale nei poveri il soggetto per contestare e rovesciare il feu- dalismo, ed  altres noto che il feudalismo non fu rovesciato dai servi della gleba, ma da una classe sociale cui gli eretici neppure pensavano e di cui anzi si vergognavano, la borghesia commer- ciale e manifatturiera. Analogamente, loperaismo  stato lere- sia per eccellenza del marxismo, nel senso che ha creduto fino in fondo a ci che pure tutti i marxisti hanno sempre affermato, la centralit rivoluzionaria della classe operaia (ma anche la chiesa medioevale pi sfacciatamente feudale aveva sempre affermato a parole la povert di Cristo, senza peraltro mai tirarne le conclu- sioni politiche). Chi scrive non crede assolutamente che la classe operaia della grande fabbrica capitalistica sia il soggetto destinato a fare da 98 becchino del capitalismo. In quanto incarnazione sociologica della sottomissione reale del lavoro al capitale, la classe ope- raia non pu a nostro avviso che riprodurre indefinitamente lal- talena fra ribellismo produttivo e integrazione disciplinare che sorge dal rapporto di produzione diretto. Questa affermazione, che facciamo nel modo pi netto (per dirla meglio:  possibile che la classe operaia sia una classe rivoluzionaria, ma certamente non  una classe capace di superare il capitalismo con la sua rap- presentanza politica o sindacale; le sue migliori performances storiche del Novecento, peraltro di tutto rispetto, ci sembrano essere state lo stalinismo e la socialdemocrazia), non significa per noi che ci sono d/tr soggetti migliori dei rozzi operai (don- ne, contadini, emarginati, poveri, giovani, tecnici, intellettuali, artisti, mutanti, robot, cyborg, eccetera). Nox esistozo (ecco la terribile, insopportabile verit) soggetti gi dati in grado di su- perare il capitalismo, che debbano solo prendere coscienza, e passare cos dallo stato dellin-s allo stato del per-s. Il passag- gio della classe operaia dal proprio in-s al proprio per-s  a nostro avviso lo stalinismo, se essa vuol dirigere tutto e proleta- rizzare tutti quanti, o la socialdemocrazia, se si accontenta di un sano welfare state, peraltro sempre minacciato dalla crisi fiscale dello stato.  questa la ragione per cui consideriamo quella di Panzieri lultima, lestrema eresia di una ortodossia cui non cre- diamo ormai da tempo. Il comunismo autonomo di Antonio Negri Antonio Negri, detto Toni,  a nostro avviso il pensatore pi originale (e, perch no?, il pi grande) della seconda sinistra. Ci si chieder quali siano le ragioni di un simile apprezzamento tanto impegnativo. Chi scrive non dedicher forse lundicesimo capitolo per segnalare i contenuti di pensiero pi convincen- ti? Certamente. Questi contenuti di pensiero, per, sono gi a nostro avviso oltre l'orizzonte della sinistra, prima o seconda che sia. Nel caso di Negri, invece, siamo di fronte ad un teorico veramente notevole, imparagonabile per statura teorica e filoso- 99 fica alla maggior parte dei suoi contemporanei, che per  anco- ra dentro l'orizzonte marxista classico. Come tutti i pensatori veramente dotati, Toni Negri pensa an- che lui una cosa, ed una cosa sola. Egli vuole semplicemente so- stituire i Grundrisse al Capitale come fondamento teorico del comunismo, e in questo modo pone in modo radicale la questio- ne del passaggio diretto dal capitalismo al comunismo, saltando ogni fase di presunto completamento progressivo del capi- talismo stesso e soprattutto ogni regressiva costruzione del so- cialismo. Questa operazione radicale  fatta da Negri con coe- renza e rigore, ed  per questo che non ha senso paragonarla con tutti gli innocenti discorsi sul comunismo (da quelli di Tronti a quelli di Barcellona, da quelli di Ingrao a quelli della Rossanda) che accettano la compatibilizzazione con le strategie tradizio- nali togliattiane o sindacali. Abbiamo scritto il secondo capitolo della seconda parte per chiarire che tutti i discorsi sul comuni- smo che fanno da ornamento alla logica politica della tradizio- ne comunista storica novecentesca (e qui purtroppo lequivo- co nasce dal fatto che vi sono due termini eguali, comunismo! e comunismo*, per indicare realt diverse) sono acqua fresca, aria fritta e retorica per gente che ha tempo da perdere. Da un punto di vista politico, Negri  stato ondivago ed insta- bile. Ha parlato di operaio-massa, e poi di operaio-sociale (neo- logismo per indicare un soggetto sociologicamente non pi ope- raio senza con questo rompere traumaticamente con la tradizio- ne ecclesiastica del comunismo storico novecentesco).  stato anarchico, sostenitore di comitati di base e gruppi auto-organiz- zati, ed  stato ultrabolscevico, scrivendo un libro di lezioni su Lenin in cui cercava di adattare la tattica bolscevica allobietti- vo storico del perseguimento immediato del comunismo.  sta- to vittima di un processo politico, in cui sostanzialmente cerca- rono di caricargli sulle spalle l'assassinio di Aldo Moro. Incar- cerato, fu coinvolto in una rivolta carceraria, e brutalmente pic- chiato. Manipolato da Pannella come una sorta di Cicciolina di sesso maschile,  fuggito in Francia dove vive da intellettuale universitario internazionale e da vate del postcomunismo ecolo- gico-libertario. Poligrafo instancabile, spazia da Sraffa a Ke- 100 ynes, e da Leopardi alla fabbrica giapponese. Se per si cerca un filo conduttore in tutto questo vagare, lo si trova, e sta dove lo abbiamo segnalato: la sostituzione dei Grundrisse al Capitale, del comunismo al socialismo, dellappropriazione alla produ- zione, del godimento al sacrificio, di Spinoza a Hegel, dellim- mediatezza alla dialettica. Tutto questo fa un sistema coerente, anzi fa il sistema teorico pi coerente prodotto dalla seconda si- nistra dopo il 1956. . Questo sistema  a nostro avviso illusorio.  stato notato da un commentatore molto acuto, Augusto Illuminati, che i Grundrisse sono stati in una certa misura realizzati dal capitalismo, in un senso certo molto particolare e perverso: la produttivit globale del macchinismo capitalistico  salita a livelli incredibili, il tempo di lavoro umano diretto ha cessato di essere il fondamento del va- lore, ed il cosiddetto superamento della produzione di valore sembra parzialmente compiersi dentro lo stesso sistema di produ- zione capitalistico. Tutto questo, per, non porta nessun comuni- smo, non sviluppa nessuna coscienza comunista, ed  anzi compa- tibile addirittura con lo smantellamento del buon vecchio welfare state dellepoca fordista, con il ritorno sanguinoso del nazionali- smo e del razzismo, con la fioritura di ideologie neoliberaliste ed ultraprivatistiche. Il crollo del muro di Berlino, che Negri ha salu- tato con gioia come la fine dellequivoco autoritario del movimen- to comunista storico, non ha affatto liberato energie nascoste e sotterranee, ma ha brutalmente legittimato lunicit del dominio unipolare imperialistico. La metropoli negriana non  la meta- fora del comunismo dellappropriazione, ma il luogo dellemargi- nazione e della solitudine metropolitana. Chi scrive non intende minimizzare, sulla base di queste os- servazioni, la dimensione originale dellopera di Negri.  sicu- ro, per, che le riforme teoriche proposte dalla seconda sinistra non sono ancora minimamente in grado di risolvere i problemi strategici lasciati irrisolti dal togliattismo e dal partito storici- sta di massa. Nel prossimo capitolo sosterremmo in proposito che il fallimento storico globale dei tentativi organizzativi della seconda sinistra non  stato casuale, ma ha seguito una logica in un certo senso ferrea. 101 IV Limpossibile costruzione I tentativi di dare alla seconda sinistra una dimensione politica di massa Dopo aver discusso le questioni teoriche di fondo che stanno alla base di posizioni politiche come quelle di Bordiga, Panzieri e Negri,  bene ricordare, anche se solo sommariamente, i tenta- tivi pratici di costruzione organizzativa di una seconda sini- stra. Quasi un quarto di secolo ormai ci separa da quei tentati- vi, che impegnarono con entusiasmo e dedizione decine di mi- gliaia di persone. In questo capitolo non vi  certo lo spazio per ripercorrere la storia di quei tentativi, e ci limiteremo a darne una valutazione strettamente teorica.  bene per esplicitare fin da subito linterpretazione generale che diamo del fallimento storico di questi tentativi, indipendentemente dalla sincerit. e dalla buona fede soggettiva di chi li condusse. Le ragioni storiche di un fallimento politico Lo storico del Duemila che ripercorrer le ragioni non con- tingenti del fallimento della costruzione politica delle organizza- zioni di estrema sinistra sorte in Italia fra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta (fallimento, si intende, dellobiettivo di creare or- ganizzazioni con vera e propria base di massa) avr inevitabil- mente a che fare con la scelta di interpretazioni storiografiche al- ternative. Noi gli vorremmo suggerire qui di scartarne due, che a nostro parere non aiuterebbero a capire ci che  veramente successo. La prima interpretazione da scartare, quella pi storicisti- 103 ca,  questa: le organizzazioni della seconda sinistra non riu- scirono a creare una dimensione di massa alla loro azione politi- ca perch tentarono di fare concorrenza al PCI, e dal momento che il PCI aveva ragione, esse non potevano che avere inevitabil- mente torto; la gente, che non  stupida, e che sa ragionare sulle questioni essenziali assai pi di quanto molti non credano, lo cap, e si comport di conseguenza. Questa interpretazione a nostro avviso non regge. Il PCI non aveva affatto ragione, e lo si cap nel corso del tempo. La sua ipotesi storicistica era in real- t la copertura ideologica di una integrazione progressiva nella riproduzione generale del capitalismo che veniva ipocritamente coperta con innocue fumisterie verbali cattocomuniste, senza neppure avere il coraggio protestante di dire le cose apertamen- te e di fare una Bad Godesberg allitaliana. Solo i protestanti, pe- r, che prendono sul serio i testi e sono abituati al libero esame, possono fare una Bad Godesberg; i cattolici non possono farla, perch hanno sempre delegato al clero la discussione teologica. Non ha dunque senso dire che i successi elettorali della prima si- nistra negli anni Settanta abbiano dimostrato che essa aveva ra- gione, mentre i suoi oppositori avevano torto. n questo mo- do tautologico e falsamente storico si potrebbe dire che i porto- ghesi hanno avuto ragione a rimanere cattolici nel Cinquecento mentre gli svedesi hanno avuto ragione a diventare protestanti. Anche la tautologia (anzi, come direbbe Silone, la pantautolo- gia) deve avere dei limiti. La seconda interpretazione da scartare, quella pi sociologi- stica,  questa: la seconda sinistra fall nel suo tentativo di co- struire una dimensione di massa perch la sua base sociale non era proletaria, ma piccolo-borghese; i proletari capirono che i dirigenti ed i quadri di queste organizzazioni erano dei piccolo- borghesi, e non si fidarono di loro. Non lo crediamo. Negli anni Venti, i vari Bordiga, Gramsci, Terracini e Togliatti erano anco- ra pi piccolo-borghesi dei vari Negri, Sofri, Capanna, Brandi- rali, Vinci, senza che questo abbia giocato un ruolo significativo nella legittimazione dellorientamento comunista. In realt la se- conda sinistra fu la vera incarnazione dell'utopia proletaria, o meglio dell'utopia della proletarizzazione integrale della socie- 104 t. Questutopia  parte integrante del codice genetico del movi- mento comunista storico novecentesco, dal 1917 ad oggi. Se questo  vero, vorremmo suggerire una terza interpretazione, di tipo storico (si legga bene, storico, non storicistico). La seconda sinistra fiorita fra il 1956 e il 1989, e con pi forza fra il 1969 e il 1982, non fu a nostro avviso una manifestazione dellestremismo, malattia infantile del comunismo. Magari fosse stato cos! Le malattie infantili passano, e si diventa adulti abba- stanza in fretta. In realt, si trattava a nostro avviso di una tera- pia geriatrica, ormai tardiva e pertanto del tutto ineffettuale, di ringiovanire un vecchio, le cui funzioni vitali stavano inesorabil- mente declinando. Questo vecchio, perch di un vecchio ormai si trattava, era il movimento operaio novecentesco rel suo com- plesso, che non sopportava pi iniezioni di Gerovital. La propo- sta di tornare agli anni Venti e al comunismo militante di quel periodo, e di cercare in un altro spazio (Cuba, la Cina, l'America Latina, eccetera) e in un altro tewzpo (gli anni della III Interna- zionale e della Resistenza italiana) il ringiovanimento del pro- prio progetto non poteva che restare sulla carta, nella fantasia e nella memoria, cos come restano nella fantasia e nella memoria di un cinquantenne le vie, le piazze e le case in cui si mosse nei suoi vent'anni. Il comunismo storico novecentesco rel suo com- plesso era entrato a partire dagli anni Cinquanta in una tragica fase di senilit, nascosta dal fatto che apparentemente stava in- vece mietendo successi nuovi e inaspettati (fred elettorale posi- tivo della sinistra occidentale negli anni Sessanta e Settanta, instaurazione di nuovi regimi comunisti in Asia, America Latina e Africa, parit strategica militare fra Est ed Ovest, mode rivolu- zionarie nella giovent universitaria mondiale, compresa quella americana, eccetera). Questi successi erano per simili alla car- riera di un r74nager sessantenne.  arrivato al vertice, ha succes- so, non  mai stato tanto ricco e riverito, ma  anche ormai vec- chio, sempre pi vecchio. Fuor di metafora, non si riuscivano a innescare le ragioni di ringiovanimento della ditta Comunismo & Co., e per questo ogni tentativo di galvanizzazione attivistica finirono con lassomigliare alle sedute di ginnastica per la terza et. Il segreto, il terribile segreto, che non si poteva per dire e 105 neppure pensare, era questo: il comunismo poteva essere rin- giovanito, le ragioni del comunismo potevano essere riscoperte e rinnovate, ma guel comunismo era vecchio, irrevocabilmente vecchio. Bisognava dunque cercare un a/tro comunismo, dal momento che la prognosi di un comunismo basato sulla triade di statalizzazione-partitizzazione-sindacalizzazione non poteva che essere infausta. La seconda sinistra non pot, non riusc, o non volle andare verso un 4/tro comunismo. Se questo avvenne, per, dal momento che tutto ci che  reale  anche razionale, e ci che avvenne non poteva in fondo che avvenire cos come  avvenuto,  perch non c'erano le condizioni storiche generali per rendere socialmente possibile un altro comunismo. Il comu- nismo che cera, quello reale, era quello, e non ce nerano altri. La seconda sinistra visse cos la sua effimera esperienza storica, agitandosi, scindendosi, modificandosi, rimescolandosi, ri- strutturandosi, pentendosi, rinsavendo. Il processo di rimo- zione tanto comune fra gli ex-sessantottini delusi e riluttanti a ripercorrere razionalmente le ragioni del proprio impegno estremistico deve a nostro avviso essere spiegato in questo modo: si ha paura di pensare in termini brutali alla propria gio- vinezza perch si ha paura di dover ammettere che essa non  mai stata pura, e invece la si vorrebbe in tutti i modi preserva- re pura e incontaminata; in questo modo, per, non si potr mai diventare adulti, e si potr soltanto passare direttamente dall'infanzia alla vecchiaia.  questo, crediamo, il tragico desti- no della generazione del Sessantotto. Un destino, come si suol dire, che non si augurerebbe neppure al proprio peggior ne- mico. La doppia natura del Sessantotto Un quarto di secolo ci separa dal Sessantotto, e si continua a fingere di non poter ancora dare un giudizio storiografico ade- guato sul fenomeno nel suo insieme. Questo  un alibi infondato. Il Sessantotto  ormai uno dei fenomeni storici pi conoscibili e conosciuti del secolo. Pur tenendo conto della differenziazio- 106 ne estrema dei suoi contenuti (dagli USA alla Francia, dall'Italia alla Germania), il Sessantotto presenta un indiscutibile carattere unitario, che si basa appunto sulla sua doppia natura. Esso pre- senta infatti un aspetto rivoluzionario, basato su forme culturali incompatibili non con il capitalismo in generale ma con quello specifico capitalismo creatosi dopo il 1945, e un aspetto di mo- dernizzazione sistemica del costume e dei rapporti sociali ge- nerali, in direzione di una nuova forma di capitalismo meno ca- ratterizzata da forme borghesi di etica e quindi pi ampia e democratica. Il Sessantotto, dunque, come rivoluzione demo- cratica. Come tutte le rivoluzioni democratiche, il Sessantotto presenta unapparente contraddizione fra aspetti liberali ed aspetti socialisti (0 comunisti), dal momento che la libert libe- rale  sempre pensata come garantismo e individualismo, men- tre la libert socialista  praticata come assemblearismo ed egualitarismo. In realt, le rivoluzioni democratiche elidono sempre, nel loro svolgersi, le due ali estreme liberali e socialiste, senza per distruggerle, ma anzi incorporandole. Il Sessantotto italiano  un lungo sessantotto, che dura fino al 1974-75, non certo perch gli italiani siano stati meno seri e pi farfalloni dei francesi o dei tedeschi (che sciocchezza!), ma perch la necessit di democratizzazione della societ italiana e di allargamento del- le sue basi sociali era maggiore. Si ha cos, in pochi anni, un acca- vallarsi apparentemente disordinato di fatti democratici, dalla liberalizzazione degli accessi universitari all'aumento degli spazi autogestiti in fabbrica, dai privilegi apparentemente cotporati- vi del pubblico impiego alla legislazione di famiglia meno pa- triarcale, dalla legittimazione culturale integrale dellantifasci- smo e della resistenza fino alla legittimit universale dello scen- dere in piazza e del fare cortei. Agli occhi della scolastica libera- le e conservatrice, tutto questo appare solo un casino generaliz- zato, un carnevale della ragione, una felliniana prova dor- chestra anarchica e rumorosa. Agli occhi della scolastica marxi- sta dogmatica, tutto questo appare una rivoluzione comunista mancata per immaturit delle condizioni soggettive ed oggetti- ve. Chi scrive ritiene da tempo che la teoria del casino generale e la teoria della rivoluzione mancata siano le due facce della stessa 107 incomprensione profonda della fase storica. Alle soglie della transizione capitalistica odierna, che vede linformatica e la co- municazione sociale fare da padrone, e nel contesto di un raffor- zamento strategico e militare dell'URSS, che costringeva ad al- largare le basi sociali del capitalismo per aumentarne il consen- so, il Sessantotto  stato per il Novecento quello che il Quaran- totto  stato per lOttocento: un movimento destinato a perdere nella sua forma pura, e a contare molto nella sua forma pi in- diretta e diluita. In questo capitolo, per, non discuteremo le di- namiche sociali generali della modernizzazione sessantottina, ma soltanto le forme ideologiche di coscienza delle forze politi- che italiane che lo vissero soggettivamente come annuncio di una possibile rivoluzione comunista da tempo sognata. Lotta Continua e il populismo generazionale-comunitatio Luigi Bobbio, figlio di Norberto, fu a suo tempo militante e di- rigente politico del gruppo Lotta Continua dal 1969 al 1976, e ten- t di scrivere una storia razionale dellorganizzazione, studian- dola come avrebbe fatto con il PCdI di Gramsci, Togliatti, Bordi- ga e Terracini dal 1919 al 1926. Sette anni non sono poi poca cosa. Bobbio studia Lotta Continua come una sorta di piccolo e com- battivo partito comunista, che passa dalla linea delloffensiva e del siamo tutti delegati alla linea dellappoggio critico al PCI e al sindacato. Questa storia di Lotta Continua scritta da Bobbio non incontr mai i favori dei suoi ex-militanti, per una ragione molto semplice. Il lottacontinuista, vent'anni dopo, preferisce pensare alla propria storia in termini esistenziali, generazionali, aperta- mente irrazionalistici Questo atteggiamento (riscontrabile ad esempio in occasione del processo Calabresi, in cui un ex-ade- rente operaio, Leonardo Marino, accus lex-segretario Adriano Sofri di aver commissionato un delitto politico)  talmente diffuso presso i lottacontinuisti invecchiati (e chi scrive ne conosce molti) da far pensare che non possa essere un dato casuale o mar- ginale, ma assolutamente tipico di un'intera esperienza storica. Lotta Continua fu il gruppo a nostro avviso maggiormente 108 esemplare nella assolutizzazione unilaterale del lato rivolu- zionario del Sessantotto. Chi conosce la storia russa dellOtto- cento sa che i populisti dellepoca si innamorarono della clas- se contadina idealizzata fino ad avere con essa un breve idillio infelice, dal quale uscirono scindendosi in due gruppi, uno mag- gioritario, che riflu integralmente nel conformismo zarista, bor- ghese e feudale (e oggi la classe dirigente, dai giornali alla televi- sione,  piena di ex-Lotta Continua pienamente e provocatoria- mente integrati), e uno minoritario, che diede luogo a forme di terrorismo oppure alla faticosa costruzione del marxismo russo degli anni Ottanta e Novanta dellOttocento. Ebbene, lanalogia con Lotta Continua  sconcertante, se appena si sostituisce la paroletta classe contadina russa con la paroletta classe ope- raia italiana. Ci rimanda, evidentemente, allo spaesamento culturale di gruppi intellettuali relativamente numerosi, che per opporsi al vecchio establishment dei padri (e il romanzo di Tur- gheniev Padri e Figli  in proposito mille volte pi utile dei fa- mosi Derzoni di Dostojewsky per capire questo fenomeno) han- no bisogno di far riferimento ad un soggetto sociale idealizzato. Lotta Continua rappresent in modo quasi perfetto lincontro, fragile e provvisorio, di gruppi sociali che non avevano sostan- zialmente nulla in comune (la borghesia studentesca e la classe operaia della catena di montaggio della grande fabbrica fordi- sta), e che credettero di trovare unalleanza per portare a termi- ne i loro rispettivi progetti (sostituirsi ai padri come classe diri- gente  qui Pasolini si dimostr facile profeta  e creare una fabbrica pi vivibile in cui poter respirare). Il biennio 1975-76 rivel storicamente la fine di questo idillio, e Lotta Continua col- lass in poche settimane, permettendo soltanto ad un pugno di dirigenti opportunisti e di deputati astuti di saltare faticosamen- te sull'autobus della classe dirigente. Servire il Popolo e il maoismo cattolico-stalinista Il maoismo italiano presenta aspetti generali molto simili al pi vasto maoismo europeo, che si defin (anzi, si autodefin) 109 marxismo-leninismo, termine che risale allo Stalin degli anni 1924-26, come  bene non dimenticare. In termini stotici, questo maoismo fior in un quindicennio, che va dai primi anni Sessanta (rottura della Cina con lURSS) al 1976 (morte di Mao e incarce- razione della moglie e dei dirigenti dell'ala sinistra della rivolu- zione culturale cinese degli anni 1966-69). Il maoismo italiano presenta aspetti culturali (Natoli, Masi, eccetera) e aspetti politi- ci (partitini m-l di ogni tipo, forma e dimensione). Da un punto di vista teorico, il punto pi elevato del maoismo italiano  stato a nostro avviso la ricezione del pensiero del maoista francese Charles Bettelheim, che ha trovato in Gianfranco La Grassa (su cui torneremo nellundicesimo capitolo) il suo interprete pi dotato e creativo: natura sociale dell'URSS, continuazione della lotta di classe nello stato socialista (che non  dunque mai e non pu essere di tutto il popolo), critica alla presunta neutralit di classe della tecnologia e dello sviluppo economico, indivi- duazione nel partito comunista dellunico luogo politico in cui pu concentrarsi la funzione sociale della borghesia capitalisti- ca, eccetera; queste le novit teoriche e i temi esemplarmente svolti dal maoismo italiano, che fece dunque bene la sua parte nel ventennio cruciale 1960-1980. In questa sede, per, ricorderemo soltanto un particolare tipo di maoismo folkloristico, una sorta di catto-maoismo:  il grup- po di Servire Il Popolo, che organizz alcune migliaia di perso- ne nel giro di meno di un decennio sulla base di una militanza populistico-sacrificale, che attir soprattutto intellettuali desi- derosi di fondersi nelle masse e di espiare i loro peccati di orgo- glio culturale condividendo i pregiudizi pi assurdi e regressivi, purch venissero dal popolo stesso. Questo maoismo cattolico- stalinista ci  sempre sembrato interessantissimo, appunto per il suo carattere cattomaoista schiettamente italiano, anzi italiota. Abbiamo letto recentemente con vero divertimento unintervi- sta del suo leader carismatico, Aldo Brandirali, che dopo essersi fatto adorare dai suoi seguaci come capo illuminato del popolo italiano, si  convertito al cattolicesimo fondamentalista (ma guarda!), ha riscoperto Dio (ma davvero?) e tutta la vecchia sto- tia.  un vero peccato che lo spazio sia tiranno, e che sia necessa- 110 rio congedarsi dal tema di questo cattomaoismo populistico, perch personaggi come Fantozzi non sono veramente nulla al confronto. Un solo assaggio: i cattomaoisti organizzavano ma- trimoni comunisti con cerimonie politiche matxiste-leniniste e scrivevano sui loro giornali saggi sulla sessualit m-l, in cui con- sigliavano il numero degli amplessi, che non dovevano essere troppo numerosi per non stancare i proletari e distoglierli dalla lotta di classe. Sappiamo che il lettore serio penser che lo stia- mo prendendo in giro, e lo lasceremo con questo dubbio esi- stenziale lacerante. Potere Operaio e il futurismo metropolitano Se Lotta Continua  stato il gruppo pi esemplare del Ses- santotto, e Servire il Popolo il pi divertente e pittoresco, Pote- re Operaio  stato a nostro avviso il pi rigoroso e coerente.  noto che, dopo la morte di Aldo Moro, si processarono i suoi di- rigenti accusandoli di essere i capi occulti del terrorismo, anche se Potere Operaio si era sciolto come tale nel 1973. In questa se- de, non  possibile ripercorrere la sua interessante storia (fino allo stesso caso Feltrinelli, che Potere Operaio fu lunico a ti- vendicare scrivendo sul suo giornale che un rivoluzionario era caduto), ma  necessario dire brevemente dove stia propria- mente linteresse di questo gruppo. Esso fu diretto e ispirato da quel Toni Negri, che nel capitolo precedente abbiamo indicato come uno dei (pochissimi) marxisti italiani di rilievo del secon- do dopoguerra. Se Lotta Continua, dal nome stesso, esprime psicanaliticamente linterminabilit inesauribile della lotta del figlio contro il padre, che finisce soltanto con il congedo biologi- co dalla giovinezza destinata a uneterna nostalgia struggente, e Servire il Popolo maoizza e stalinizza il complesso regressivo di colpa della piccola borghesia cattolica imperfettamente comuni- stizzata, Potere Operaio oggettivizza direttamente lansia di do- minio sulla distribuzione delle merci e dei servizi del moderno capitalismo attraverso il dtour di una classe operaia ridotta ad un grande scardinatore delle porte del consumo. Potere 111 Operaio  qualcosa che con gli operai empirici non ha assoluta- mente nessun rapporto, e nello stesso tempo fonde insieme in modo assolutamente insuperabile Lenin e Marcuse, la volont politica di rivoluzione della forma-partito con la fine dell'utopia e il sogno del comunismo immediato. Abbiamo gi rilevato nel capitolo precedente che Negri legge il Che Fare? di Lenin come un grimaldello organizzativo per il proseguimento diretto del comunismo, e i Grundrisse di Marx come la legittimazione scientifica e filosofica di una lettura del capitalismo contempo- raneo come dispotismo dello stato-piano e come anticamera del comunismo-godimento.  curioso pensare che questo lucido delirio avveniristico abbia trovato per qualche mese un punto di tangenza con i buoni togliattiani del gruppo del Manifesto, luogo di luremburghismo onirico e di nostalgia per la comunit di partito, e ci dimostra che il Sessantotto  stato un provviso- rio incrocio di percorsi assolutamente diversi. Chi scrive ritiene il delirio avveniristico dei seguaci di Negri il punto pi alto della seconda sinistra, l'esposizione estatica di singolarit ormai rilut- tanti alla forma-partito del comunismo storico novecentesco. Questo delirio avveniristico non poteva ovviamente durare. Negri razionalizz il suo percorso con la metafora del passaggio dalloperaio-massa alloperaio sociale, per nascondere a se stes- so ed ai suoi lettori che si congedava da qualunque residuo so- cialista per passare allevocazione di comunit ormai del tutto svincolate da appartenenze lavorative fisse. La promessa non realizzata dell'avvento della maturit dei tempi del comunismo si rovesci nella frammentazione spaziale dei soggetti. Passando dal tempo allo spazio, il comunismo si suicid come storicismo e si ricostitu come nomadismo metropolitano, esodo dei sog- getti, autostop collettivo, concerti rock sempre pi estatici e de- menziali, microcomunit di amici sempre pi sballati e sfigati, singolarit inoperose contrapposte a individualit attive (per usare il linguaggio del filosofo heideggeriano-comunista france- se Nancy). Le teste pensanti di Potere Operaio (da Negri a Scalzone a Piperno) furono additate come cattivi maestri quando le- splosione del terrorismo politico delle Brigate Rosse e di Prima 112 Linea fece nascere la caccia frenetica agli ispiratori e ai mandan- ti. In realt si trattava di una contiguit, in quanto tale a nostro avviso senza alcuna rilevanza penale, che fu scambiata per conti nuit di direzione e di esecuzione. Potere Operaio non fu la ma- trice del tertorismo, per il semplice fatto che il terrorismo impli- cava morte e sacrificio, laddove lunione di Lacan, Deleuze e dei Grundrisse proposta da Potere Operaio evocava un comunismo del godimento immediato.  questo un punto essenziale che i sostenitori del teorema della continuit potereoperaismo-ter- rorismo non capirono mai. La lotta armata e la sua dinamica distruttiva  il Sessantotto responsabile per il tettorismo? Ecco una do- manda veramente insensata. Il fatto che essa venga continua- mente riproposta da cattolici e laici seriosi e sciocchi, cui non passa mai per la mente che con simili criteri anche Ges  re- sponsabile dellinquisizione e Montesquieu del colonialismo im- perialistico, la racconta lunga sulla cialtroneria della cultura giornalistica corrente. L'approccio demonologico alla questione del terrorismo e della lotta armata in Italia  fuorviante, perch d luogo alla triade del Delitto, del Castigo e del Pentimento, oppure alla ricerca del Complotto, dei Mandanti e del Grande Vecchio. Un affare per preti, nel primo caso, e per poliziotti, nel secondo caso. In questo saggio, dedicato alla storia delle idee marxiste, po- tremo tranquillamente ignorare il tema della ricostruzione stori- ca della lotta armata. Esistono in proposito molti libri, alcuni ac- curati e densi di informazioni. Esistono anche libri ideologici, che riferiscono sulle fonti della lotta armata. Chi scrive ritiene che la lotta armata sia stata, nellessenziale, un tragico errore. Preferiamo il sobrio e minimalistico termine di errore al po- sto di termini pi forti, come crimine o follia, per il sempli- ce fatto che il termine errore connota meglio la totale incom- prensione della fase storica, delle forze in gioco, della composi- zione sociale del paese. Colpisce, nei documenti delle formazio- 113 ni armate italiane (dalle Brigate Rosse a Prima Linea), lincredi- bile falsa coscienza ed automistificazione nella percezione di se stesse: lIRA irlandese e lETA basca si autointerpretano come avanguardie nazionaliste combattenti; la RAF tedesca sapeva bene di non rappresentare la maggioranza dei lavoratori tede- schi, e allora si autogiustificava come distaccamento armato del terzo mondo oppresso nelle metropoli imperialistiche; il peru- viano Sendero Luminoso intende ripetere lesperienza maoista cinese della lotta armata popolare di lunga durata; le formazioni italiane sembrano invece sempre in preda ad una vera e propria afasia ideologica, passando dallevocazione di centrali capitali- stiche occulte e mafiose ad esaltazioni retoriche di una classe operaia inesistente. La ragione di questa afasia, a nostro avviso, sta nel fatto che non si pu seriamente risolvere il complesso problema della de- mocrazia capitalistica, nel suo intreccio di formalismo astratto e di riconoscimento della legittimit dellagire politico legale dei singoli, in termini di pura mistificazione. Pi in dettaglio, le for- mazioni armate non escono dal girone della rappresentanza dei soggetti, anche se questa rappresentanza non discende da una legittimazione elettorale. I brigatisti rossi ritengono di rappre- sentare la classe operaia, cos come i militanti di Prima Linea ri- tengono di rappresentare l'operaio sociale, perch entrambi pensano che il capitalismo abbia gi unificato il soggetto sociale rivoluzionario, e non rimanga altro da fare che metterlo in movi- mento attraverso unavanguardia. Chi scrive insister partico- larmente nellundicesimo capitolo sul pensiero di Gianfranco La Grassa perch non si esce dal labirinto della confusione se non si capisce che il capitalismo non unifica affatto i soggetti, ma anzi li frammenta, e che non si risveglia nessun soggetto rivolu- zionario con azioni di avanguardia armata di questo tipo. La lot- ta armata  ottima per combattere il fascismo e conquistare la democrazia, ma  semplicemente poco opportuna per consegui- re il comunismo.  questo un segreto chiuso da mille sigilli sia per i terroristi che per i pacifisti, anche se ovviamente per ragio- ni opposte. I terroristi vogliono sostituirsi allattivit che costi- tuisce ontologicamente i soggetti sociali, come se questi ultimi 114 dovessero essere semplicemente rappresentati dalla lotta ar- mata. Non  un caso, dunque, che i seguaci della lotta armata si siano autorappresentati come nuovi partigiani, come se si po- tesse seriamente paragonare la democrazia cristiana o lazienda capitalistica ai fascisti e ai tedeschi. I pacifisti, invece, trasforma- no religiosamente la non-violenza in principio metafisico e sovrastorico, e perdono di vista cos che la lotta contro le estra- neazioni classiste assume necessariamente la forma della mesco- lanza tra forza e diritto, rottura violenta e trasformazione evolu- tiva. Leggendo i numerosi documenti dei gruppi armati, si rimane talvolta colpiti quasi fisicamente dalle semplificazioni allucina- torie delle loro analisi, e viene da pensare che abbiano veramen- te avuto dei cattivi maestri non certo nel senso che costoro li abbiano spinti al male metafisico ma in un significato pi ba- nale dinsegnamenti sbagliati. L'analisi del cosiddetto SIM (stato imperialista delle multinazionali)  unassurdit economi- ca, che proviene da una concezione per cui il capitale  un centro che ha un'unica direzione, laddove il capitale esiste soltanto nel- la forma di una molteplicit di differenti capitali in conflitto. Lanalisi della DC in termini di struttura di comando ultracapi- talistica fa sorridere, se si pensa al parassitismo assistenziale, al- la rete di clientele nel Sud dItalia, ai sostegni allagricoltura, al- l'intreccio fra volontariato giovanile e colonizzazione politica da parte della mafia e della camorra. Lanalisi del PCI in termini di tappo che comprime la rivoluzionariet delle masse popolari (probabilmente derivata dalla lettura incredibilmente semplifi- cata che Renzo Del Carria ha fatto della storia italiana)  vera- mente allucinatoria, se si conosce appena un poco la profonda affinit antropologica fra la base, i quadri intermedi e il vertice di questo partito. E potremmo continuare, ma non lo facciamo, perch non  questa la sede adatta. La lotta armata non  stata il fattore che ha impedito il bel compromesso storico, ma  stata un elemento che ha certa- mente contribuito a rafforzare indirettamente il sistema dei par- titi, la consociazione tangentizia, il craxismo, la dissoluzione della seconda sinistra. Coloro che la condussero non avevano 115 nessun mandato sociale per farlo, ed  bene ripeterlo pacata- mente, ma anche fermamente. Da Avanguardia Operaia a Democrazia Proletaria. Dalloperaismo militante ai nuovi soggetti. Ricordando Lotta Continua, Servire il Popolo, Potere Ope- raio, la lotta armata, abbiamo inteso enumerare quattro manife- stazioni organizzative del tentativo della seconda sinistra di contestare l'egemonia politica della prima. In questa enumera- zione non ci vuol essere nessun particolare giudizio di valore, ma una semplice costatazione storica; monografie accurate e ben scritte su ognuna di queste esperienze potrebbe indubbia- mente servire a tutti coloro che non volessero ripetere in futuro gli errori del passato, dal momento che  noto che chi non cono- sce la storia  destinato a ripeterla. Vi  per unesperienza politica della seconda sinistra che ha mostrato la capacit organizzativa di durare senza soluzione di continuit dal 1969 al 1991, ed  allora opportuno ricordarla: si  trattato di un gruppo politico nato nel 1969 come organizza- zione classista ed operaistica, che copriva con una mescolanza ideologica fra trotzkismo e maoismo antistalinista una ben pi corposa cultura classista ed operaista, ed evoluto progressiva- mente nel corso degli anni Settanta ed Ottanta in formazione mi- croparlamentare divenuta progressivamente ladunata di tutti i refrattari delle culture minoritarie di opposizione. Si tratta del gruppo di Avanguardia Operaia, trasformatosi (con confluenze minori) nel partito di Democrazia Proletaria. Ricordiamo qui il nome di Luigi Vinci, non certo perch si tratti di un teorico mar- xista innovatore, quanto perch questo dirigente ha incarnato la continuit organizzativa e la gestione tattica di questa esperienza per ventidue anni buoni. In un'ottica di ricostruzione filosofica delle idee marxiste, questa esperienza  meno interessante di quella di Lotta Continua e di quella di Potere Operaio, perch non si ha qui a che fare con un paradigma innovatore come quel- lo delloperaismo di Panzieri o del comunismo dei Grundrisse di 116 Negri. Avanguardia Operaia nasce come la proiezione politica di unesperienza consiliare di base (i cosiddetti CUB), che anzi- ch darsi una autocoscienza politica ispirata allanarchismo, a Mattick o Pannekoek incontra una sorta di leninismo organizza- tivo fortemente mescolato con spunti derivati da Rosa Luxem- burg, da Trotzkij e da Mao Tsetung. Questa forma di esasperato eclettismo  peraltro assolutamento tipica dellideologia dei gruppi dei primi anni Settanta, e in particolare della situazione milanese, se pensiamo che Milano era da tempo la capitale ideologica dItalia, la citt in cui il dibattito era stato pi ricco e pi fervido. La contraddizione principale del classismo opetaista, a no- stro avviso, sta nel fatto che esso si vive soggettivamente (con falsa coscienza necessaria) come globalmente alternativo al capi- talismo e dunque come schiettamente rivoluzionario, laddove (non essendo a nostro avviso la classe operaia un soggetto socia- le complessivo capace di andare oltre il modo di produzione ca- pitalistico) esso non pu nei fatti che trasformarsi in sindacali smo e in tatticismo politico non appena vuol passare dalla ba- se alla grande politica. Si tratta di unevoluzione assoluta- mente obbligata, di carattere sistemico, e non dovuto a tradi- mento o ad arbitrariet. Avanguardia Operaia si trasform quindi dopo il 1976 in Democrazia Proletaria, e questultimo gruppo, per sopravvivere in piccoli spazi sindacali, culturali e microparlamentari, non pot che adattarsi ai vincoli ferrei del si- stema politico: la creazione di una piccola e rissosa classe politi- ca di professione, spesso maggioritariamente pronta a passare alle formazioni che sembravano maggiormente tirare sul mer- cato elettorale (cio a promettere posti di deputato, portaborse, impiegato di cooperative, giornalista, eccetera); la creazione drogata di un capo carismatico da spendere nel sistema dei media attraverso gesti esemplari, quasi sempre pagliacceschi, gli unici che il sistema dei media registra (secondo il principio ine- sorabile per cui un cane che morde un uomo non fa notizia, ma un uomo che morde un cane s, riuscire ad addentare ai polpacci Andreotti avrebbe nel sistema dei media un impatto mille volte maggiore di quello della pubblicazione del Capitale di Marx); la 117 corsa affannosa e senza principi a tutte le novit pacifiste, fem- ministe ed ecologiste che gli anni Ottanta offrivano a iosa, senza ovviamente tener conto del fatto che queste ultime, nella loro forma unilaterale, non esprimevano affatto la richiesta di un ar- ricchimento non economicistico del marxismo e del comuni- smo, ma semplicemente lesplosione e la frammentazione dei soggetti sociali sempre pi subalterni; ed ancora tante altre cose, che qui per brevit tacciamo. Nel 1991 questa organizzazione, dopo lunghe vicissitudini tattiche, giunse all'appuntamento con la scissione del PCI e con la nascita del partito della rifondazione comunista. Essa ci giun- se per estenuata dalle scissioni e dagli abbandoni, al punto da non essere pi in grado di portare dentro la nuova formazione l'eredit storica e ideologica della seconda sinistra. Il partito della rifondazione comunista non nacque cos come una sintesi creativa delle eredit di entrambe le tradizioni (prima e seconda sinistra), ma come una continuazione ideale e organizzativa del- le ragioni del vecchio PCI nella nuova fase storica. Chi scrive ritiene questo un vero e proprio svantaggio culturale, e non in- tende in nessun modo nasconderlo. Dalla lacuna contingente, per, pu nascere anche dialetticamente qualcosa di buono. A un esame culturale pi ravvicinato, infatti, entramzbe le tradizioni erano inesorabilmente giunte al capolinea. Si pone dunque il problema di un vero e proprio nuovo inizio, ed  un peccato che questa espressione sia inflazionata, essendo stata mistificata- mente usata dai peggiori continuisti e trasformisti. Nei prossimi capitoli condurremo unanalisi volutamente non pi tattico-po- litica ( questo un mondo da cui non ci aspettiamo sinceramente nessuna innovazione), ma esclusivamente culturale, con la spe- ranza che da questa analisi emergano i primi suggerimenti per la costituzione di un nuovo paradigma teorico comunista (che  francamente la sola cosa che ci interessa in questa congiuntura storico-politica presente). 118 V I grandi confronti teorici con il marxismo: Bobbio, Del Noce e Severino Dopo aver analizzato, sia pur sommariamente, la dinamica cul- turale e politica della prima e della seconda sinistra,  possibile passare a unanalisi teorica pi ravvicinata dei rapporti fra il mar- xismo e le grandi oggettivazioni teoriche della filosofia, della scienza, della dialettica e dell'economia. Prima, per,  necessario ricordare alcuni pensatori di prima grandezza, che hanno saputo intetrogare il marxismo ad un livello fondamentale, cos co- me a suo tempo cercarono di fare Croce e Gentile. Interrogarsi sui fondamenti teorici del marxismo significa non perdersi nel labi- rinto, fastidioso e insignificante, delle polemiche spicciole di tipo giornalistico, ma riuscire a individuare gli strati pi profondi su cui la deriva del continente teorico comunista ha luogo. Questi pensatori sono come dei buoni geologi. Non si limitano a fotogra- fare la superficie, ma ci dicono che cosa ci sta a mille metri di pro- fondit. Riteniamo che pensatori di questo tipo ce ne siano stati molti, e se ci limitiamo a tre soltanto (Bobbio, Del Noce e Severi- no), ci avviene perch ci interessa discutere il nucleo teoretico da loro espresso, senza perderci nei pur significativi dettagli. Ritenia- mo inutile classificare questi pensatori in modo tipologico (laici o credenti, atei o cattolici, eccetera). Pensiamo, anzi, che non si debba neppure cominciare lanalisi senza avere prima rinunciato esplicitamente a quattro dicotomie assolutamente fuorvianti. Quattro dicotomie fuorvianti: destra e sinistra, progressisti e conservatori, laici e credenti, borghesi e proletari Abbiamo gi rilevato in precedenza come limbalsamazione e lingessamento delle correnti culturali italiane nella fuorviante 119 distinzione di comunisti, socialisti, laici e cattolici non abbia mai avuto alcun fondamento culturale autonomo, ma abbia soltanto indicato la duplicazione spirituale, quasi sempre sfrontata- mente strumentale, degli aderenti colti al PCI, PSI, PRI- PSDI-PLI e infine DC. Questa classificazione, del tutto inservi- bile per la cultura, serviva per alla spartizione di finanziamenti pubblici agli enti culturali, prima che la crisi fiscale dello sta- to, Maastricht, e il neoconservatorismo portassero alla fine dei facili finanziamenti a pioggia alle cordate colte in qualche mo- do protette dal potente ceto politico. Bisogna ora mettere in discussione distinzioni e tipologie che si situano ad un livello geologico ancora pi profondo, e che appunto per questa ragio- ne sono ancora pi fuorvianti e pericolose, cos come lo sono certe fissazioni di tipo orale o anale rimaste nellinconscio della psiche. i Una prima distinzione a nostro avviso da rifiutare  quella fra destra e sinistra. Destra e sinistra sono venerabili categorie sto- rico-politiche, non teoriche. Con esse si ricostruisce la storia po- litica degli ultimi duecento anni in Europa, ma non ci si pu per nulla orientare filosoficamente (ad esempio Heidegger, che  stato fieramente di destra, spiega il capitalismo nel suo intreccio fra scienza, tecnologia e immagine del mondo molto meglio di Engels, che  stato a suo tempo fieramente di sinistra). Il tentati- vo di trasformare le categorie di sinistra e destra da categorie fattuali, storico-politiche, in categorie filosofiche, idealtipiche, sulla base di parametri rigidi inevitabilmente astratti, non pu a nostro avviso riuscire. In questo modo, ad esempio, si finisce con il ricavare la nozione di comunismo con un procedimento di estremizzazione e di radicalizzazione del concetto di si- nistra. Il comunismo diventa cos lestrema sinistra. Questa metafora spaziale, che pretende di ricavare dei contenuti ideolo- gici da un segmento disegnato sulla sabbia, porta fuori strada. Se il comunismo  lestrema sinistra, la socialdemocrazia  la si- nistra, la liberaldemocrazia  il centro, il conservatorismo  la destra, il fascismo l'estrema destra. Ogni tentativo di complicare questa dicotomia, introducendo sempre nuovi parametri, da cui risulta che destra e sinistra possono cambiare posto come nel 120 gioco dei quattro cantoni, non risolve il problema ma lo ripro- duce in forma pi sofisticata, cos come in epistemologia il falsi- ficazionismo non cambia, se al posto della versione rigida di Popper se ne d una versione pi sofisticata alla Lakatos. In realt la dicotomia sinistra/destra, quando si vuole passare dagli schieramenti parlamentari alle analisi culturali, ci porta fuori strada, ed  proprio una manifestazione di quella ideologia ita- liana contro cui intendiamo polemizzare, la politicizzazione af- frettata e strumentale di tutte le possibili oggettivazioni del pen- siero. Questo  un errore che lo stesso Marx non faceva, per quanto  a nostra conoscenza. Una seconda distinzione da rifiutare  quella fra progressisti e conservatori, che pure  estremamente dura a morire. Tutti san- no che Rousseau e Leopardi, pet fare un esempio banale e noto a tutti, non furono affatto progressisti, mentre insigni sciocconi lo furono.  vero che la nozione di progresso fu difesa con argo- menti profondi e meditati da grandi pensatori, come ad esempio Luk4cs, che vede nellidea di progresso un'eredit legittima del Settecento e dell'Ottocento da rivendicare, e che si tratta soltan- to di dialettizzare per toglierne gli aspetti meccanicistici e po- sitivistici, effettivamente insostenibili dopo Auschwitz e Hiro- shima. Anche chi scrive ritiene che la nozione di progresso non possa essere gettata via ou? court. Senza una nozione di progresso non  infatti neppure pensabile il comunismo inteso come progressivo superamento delle estraneazioni in direzio- ne di una universalizzazione reale del genere umano. Nellacce- zione corrente, per, il progresso non ha affatto questo signi- ficato che comprende organicamente lunit fra incivilimento dei costumi sociali e aumento della conoscenza scientifica del- le leggi naturali, ma ha assunto un significato assai pi schemati- co e ingenuo. Il progresso  semplicemente il macchinismo, e questo  tutto. Per contro, la crescente consapevolezza del problema dell'ambiente, dei limiti dello sviluppo e della mi- naccia non soltanto dellinquinamento, ma dello stesso venit meno dello habitat naturale (buco nellozono, eccetera), induce a trattare con meno alterigia il vecchio termine di conserva- zione. 121 Una terza distinzione da lasciare alle spalle  quella fra laici e credenti. Certo, i credenti credono spesso in un Demiurgo Stellare chiamato Dio che avrebbe creato luniverso, magari at- traverso il big bang e prendendosi tutto il tempo astronomico, geologico e biologico necessario (dal momento che pate non si neghi a nessuno una croce di cavaliere, non si vede perch si debba negare a Dio il tempo darwiniano per l'evoluzione delle specie). Altri credenti, incerti sullesistenza matetiale, spazio- temporale, di un Demiurgo Stellare, e propensi a tacere sulla sua collocazione (come i cartesiani del Seicento, che non sapevano dove fosse Dio, ed erano chiamati nullibisti dal termine latino che indica come Dio non sia in nessun posto preciso), affermano invece lesistenza certa di un Principio Morale Superiore.  ap- punto quello che fanno tutti i laici, che sono quasi sempre dei credenti nullibisti, soprattutto in Italia, paese cattolico e non protestante, in cui il laicismo  la forma socialmente permessa di protestantesimo (il termine stesso di laico e di laicismo  quasi intraducibile nelle lingue protestanti, ortodosse e musul- mane, come linglese, il greco moderno e larabo, mentre  di ca- sa nelle lingue cattoliche, come il francese e litaliano). Il laici- smo  a nostro avviso una secolarizzazione pi rigorosa e meno fondamentalistica della tradizionale morale religiosa, che trasfe- risce in modo rigoroso le caratteristiche della religione al modo di produzione capitalistico spiritualizzato. I laici sono quasi sempre i pi accaniti sostenitori della modernizzazione capitali- stica, e sono anzi dei veri e propri fondamentalisti del capitali- smo. Andando risolutamente contro corrente, riteniamo da tempo che il modo di produzione capitalistico, atomizzando il singolo e rendendolo perci disponibile alla chiamata di un Es- sere di cui si  persa la capacit di decifrazione della genesi (che  lunit astratta del lavoro sociale, come chiariremo meglio pi avanti nel paragrafo dedicato a Massimo Bontempelli),  molto pi religioso del modo di produzione feudale. La sua religio- sit, per, si manifesta in modo meno organicistico-comunita- rio, perch si interiorizza nella singola individualit estraniata come credenza nella insuperabilit destinale del modo di produ- zione capitalistico e nella fatalit delle leggi della sua riproduzio- 122 ne. Questa credenza si manifesta a sua volta nel duplice aspetto del monetarismo e del moralismo, che ne secolarizzano rispetti vamente le due vecchie modalit classico-religiose della Neces- sit e della Libert. Il laico crede infatti generalmente nella ne- cessit dell'economia, i cui vincoli ci obbligano, lo vogliamo o no, ai sacrifici pi dolorosi e inevitabili, mentre la libert  confi- nata nelle due sfere derivate della riforma morale e di quella po- litica (in Italia: no a Tangentopoli, s alla riforma elettorale uni- nominale). Questa  religione del capitalismo, credenza nelle sue leggi, anzi nei suoi Voleri. Che cosa importa a questo punto che il Laico non creda nel Demiurgo Stellare o nel Grande Co- comero, come il cane Snoopy dei disegni a fumetti? Meglio cre- dere nel Demiurgo Stellare, nella Verginit di Maria e nella Im- macolata Concezione, piuttosto che credere nella religione del- l'economia capitalistica! Una quarta ed ultima distinzione, forse la pi radicata e data per scontata,  quella fra Borghesia e Proletariato, intese come categorie teoriche, filosofiche. Esse sono certamente categorie storiche e sociologiche, accertabili con la denuncia dei redditi, con il catasto dei beni immobili e con laiuto di fiscalisti, com- mercialisti e notai. Il prezzo delle case, degli alloggi e dei suoli urbani  un ottimo parametro, se lo si vuole, per distinguere so- ciologicamente borghesi e proletari, insieme con i luoghi di vil- leggiatura, le cliniche private, i mezzi di trasporto, la cilindrata dellautomobile, la scelta del ristorante e il rifacimento dei glutei e del seno. Se si ha un poco di tempo da perdere, i parametri per distinguere borghesi e proletari sono ancora pi numerosi. Se invece si vogliono usare queste due categorie per orientarsi filo- soficamente, il fallimento  assicurato. La Borghesia viene infatti spesso deplorevolmente confusa con il Capitalismo, ma questo  un obbrobrio concettuale, perch il capitaliimo  un sistema anonimo ed impersonale, integralmente disantropomorfizzato, mentre la borghesia  una classe-soggetto titolare di una co- scienza in continua e metamorfica mutazione. Il Proletariato  anchesso deplorevolmente confuso con la Classe Operaia, ma questultima  la classe sociologica che comprende linsieme dei lavoratori che Marx chiama produttivi, con esclusione dei 123 manager, mentre il proletariato  una classe filosofica, empirica- mente invisibile, che dovrebbe spezzare, insieme alle proprie catene radicali, le catene radicali dellintera umanit. In buona sostanza, ritenere che Borghesia e Proletariato continuino ad af- frontarsi e a combattere  una Grande Narrazione, che ipotizza lesistenza di due soggetti pieni, che garantiscono con la perma- nenza della loro identit storica originaria la realizzazione finale del loro progetto iniziale, rimasto sostanzialmente intatto. Tutto ci a nostro avviso non esiste, e non  che una forma popolare di una religione gnostica e dualistica delleterna lotta del Bene con- tro il Male. Il capitalismo invece esiste, e funziona non certo in base a due classi-soggetto originarie ed identiche, ma in base alla continua costituzione di agenti della produzione capitalistica. Fonte di tutto questo? Marx, una volta che lo si voglia leggere in modo critico e non mitico-religioso. Vi sarebbero molte altre cose da dire sulle quattro dicotomie che proponiamo di abbandonare con rito abbreviato, ma lo fa- remo in altra sede. In questo capitolo, ci siamo soffermati su di esse esclusivamente per far notare che quando ci si trova di fron- te a dei veri pensatori (come i tre che ora segnaleremo) non ha assolutamente nessun senso chiederci se essi siano cattolici o lai- ci, di destra o di sinistra, se non per ovvie ragioni di ricostruzio- ne biografica e d'ambiente. La vera domanda  invece questa: hanno costoro qualcosa di intelligente da dire o no? Se s, come pensiamo, dove stanno le cose intelligenti che possono insegnar- ci, anche se (come  il nostro caso) non le condividiamo quasi per nulla? Tutto il resto  veramente superfluo e poco rilevante. Norberto Bobbio e le idee marxiste Il filosofo torinese Norberto Bobbio  stato da molti conside- rato il vincitore teorico del 1989. Il crollo epocale del comuni- smo storico novecentesco non ha forse dimostrato con i fatti la superiorit della democrazia sulla dittatura? Non si  forse trattato di una verifica empirica della preferenza degli esseri umani per la libert, unita al loro ripudio per il totalitarismo? In 124 realt, Bobbio si  sempre qualificato non tanto come un apolo- geta puro della democrazia capitalistica, quanto come un teorico dellosservanza rigorosa delle regole del gioco. Egli ha tenuto fermo, per un cinquantennio (e quale cinquantennio!) il princi- pio della definizione formale della democrazia e dell'agire poli- tico, insieme con il rifiuto di ogni demonizzazione politica del comunismo. Da un punto di vista storico, egli  stato il grande temporeggiatore, il Quinto Fabio Massimo dellanticomunismo (o dellacomunismo) italiano del Novecento: i comunisti non dovevano essere emarginati, schiacciati, perseguitati; era meglio attendere il loro possibile e probabile riassorbimento nella teo- ria e nella pratica della democrazia liberale tradizionale; alla fi- ne, questo riassorbimento  avvenuto, in contemporanea con il crollo sociale dell'Est europeo. Ad un primo esame, il pensiero di Bobbio pu sembrare po- vero e poco originale. Da un lato, il suo pacifismo  poco pi di una forma di appoggio ad un arbitrato pacifico internazionale (gi perfettamente presente nel Kant della Pace Perpetua) e di una condanna allequilibrio del terrore e alle guerre atomiche impossibili (ma quando le guerre presentano il doppio carat- tere di essere non atomiche, e quindi possibili, e di essere per- messe da un legittimo organo internazionale, come quella degli USA contro Saddam Hussein nel 1991, egli si schier a favore). Dallaltro, il suo rifiuto filosofico della dialettica non si distingue in nulla da quello di Nicola Abbagnano e della scuola filosofica torinese degli anni Cinquanta e Sessanta. Eppure, riteniamo che la filosofia di Bobbio, che molti considerano essere poco pi di un prolungamento di un'attivit didattica universitaria partico- larmente feconda e fortunata, presenti in realt aspetti di pecu- liare profondit. A prima vista, lo ripetiamo, la filosofia politica di Bobbio  semplicissima e poverissima, e si compendia in due soli principi cardinali. In primo luogo, la classica separazione (crociana) fra economia e politica, per cui i sistemi politici e le loro regole di legittimazione sono indagati in modo completamente distinto dai rapporti sociali di produzione, marxianamente concepiti. In questo senso, quella di Bobbio non  tanto una critica della teo- 125 ria politica marxista, come molti opinano superficialmente, ma un vero e proprio rifiuto preliminare di prenderne in esame le premesse storico-ontologiche fondamentali. In secondo luogo, la limitazione rigorosa alla forma delle regole del gioco, per cui resta sullo sfondo non solo il contenuto economico e sociale che queste ultime devono esprimere, regolamentare e legittima- re, ma risulta ignorato anche il profilo antropologico che fa da supporto alle varie forme di governo (come avviene invece in Platone, Montesquieu e molti altri pensatori politici classici che Bobbio conosce benissimo). Non  questo, dunque, sempli- ce, banale formalismo? Il fatto  che la forza del formalismo sta nel suo essere il segre- to contenuto del capitalismo. Cos come in Kant il compito della filosofia della conoscenza sta nel dare soltanto la forma della co- noscenza, perch il contenuto di essa ci viene dallesterno, ana- logamente nel capitalismo i rapporti economici danno la sostan- za delle cose, e le regole politiche del gioco devono limitarsi a le- gittimarne le forme. Il capitalismo non  una economia sostan- tiva (per dirla con Polanyi), e il segreto della sua teoria politica sta in ci, che le regole del gioco, lungi dallessere soltanto un in- volucro esterno della politica, sono esattamente la forma sostan- ziale della politica stessa (cio ci che la determina come specifi- catamente capitalistica). In questo senso, il capitalismo  liberal- democratico nella sua pi profonda essenza, e tollera il fascismo . e il nazismo soltanto come eccezioni apparenti. In Bobbio, peraltro, vi  bens un concetto di fascismo, ma non c alcun concetto di imperialismo, proprio perch il fascismo  passibile di una condanna politica distinta da quella economica, mentre per criticare l'imperialismo bisogna per forza coniugare la poli- tica con l'economia. . Per capire meglio quanto andiamo dicendo occorre riflettere bene sulla cruciale nozione di unit del lavoro sociale complessi- vo (ove con il termine lavoro si intenda lintera riproduzione sociale dei rapporti di produzione, e non solo il lavoro inteso come produzione di oggetti materiali o di servizi immateriali). Nel feudalesimo lunit del lavoro sociale complessivo si realiz- za proprio concretizzandosi in separazioni castali sostantive 126 (diseguaglianza fra gli uomini, castalizzazione formale, distin- zione fra nobili e plebei, eccetera). Nel capitalismo, invece, lu- nit del lavoro sociale complessivo si realizza astrattizzandosi, dal momento che i singoli in-dividui, tutti formalmente eguali, che compongono la societ capitalistica, trovano il loro legame sociale, la loro connessione essenziale, attraverso la divisione del lavoro e lunificazione della forma di merce in via di princi- pio accessibile a #46# coloro che hanno i soldi per comprarla (e nel capitalismo tutti, formalmente, possono astrattamente com- prare le merci che vogliono). Questa astrattizzazione della for- ma di esistenza storica dellunit del lavoro sociale capitalistico complessivo si esprime, politicamente, in regole del gioco altret- tanto astrattizzate e formalizzate, esattamente quelle regole che Bobbio formula e riformula instancabilmente. In una parola: la concretizzazione politica del capitalismo  lastrattizzazione. La regola politica del gioco d la forma, e il contenuto  dato dal movimento dell'economia e della sua riproduzione apparente- mente non politica (crisi, sviluppo, tecnologia, eccetera). Se Kant  tanto importante nella storia della filosofia borghese mo- derna, ci sar pure per qualche ragione, no?  questa dunque, a nostro avviso, la grandezza di Bobbio. La sua analisi del marxismo  estremamente povera, e incorre an- che in equivoci clamorosi. Ad esempio, egli gli vuole applicare ad ogni costo la dicotomia collettivismo/individualismo, collo- cando il comunismo dalla parte del collettivismo e la liberalde- mocrazia dalla parte dellindividualismo, laddove per Marx il comunismo non  affatto collettivismo, ma trionfo della libera individualit. Nello stesso tempo, il suo disinteresse per tutti i pensatori maxisti che non si sono occupati di forme della poli- tica (da Lukcs a Althusser, da Bloch a Adorno)  totale e quasi ostentato. Eppure, lo ribadiamo, la sua grandezza sta nella- vere tenuto fermo il principio della formalit astratta delle rego- le del gioco, che abbiamo visto essere la concretizzazione del le- game sociale capitalistico. Dal momento che tutti i filosofi, dai pi piccoli ai pi grandi, pensano sempre e soltanto una cosa, e una cosa sola, la religione della formalit basta ed avanza per fare di Bobbio uno dei pi grandi filosofi italiani del Novecento. 127 Augusto Del Noce e le idee marxiste Abbiamo visto che la grandezza di Bobbio non deve essere individuata nel suo essere un critico del marxismo (egli pre- tende, per discutere, che i marxisti accettino tre presupposti che essi non possono accettare: che si possano separare economia e politica, che il comunismo sia una teoria delleguaglianza e non della libert, che il marxismo si basi sul collettivismo e non sul- lindividualit) o nel suo essere un pacifista (egli  in realt un sostenitore kantiano dellarbitrato internazionale, e per il resto trova giuste certe guerre e ingiuste certe altre, fino al clamo- roso esempio del 1991). La grandezza di Bobbio sta nel suo essere un teorico in positivo del capitalismo democratico. Per il capitalismo democratico il formalismo  sostanza, lastrattiz- zazione della norma  la sua specifica concretizzazione estrania- ta, dal momento che la concretizzazione sostanziale  sempre data dall'esterno dalla doppia forma della divisione sociale e tec- nica del lavoro, da un lato, e della merce capitalistica, dallaltro. La grandezza di Augusto Del Noce, il filosofo cattolico cri- tico del marxismo, deve essere vista altrove. Egli  sostanzial- mente un critico non del marxismo, quanto del cattocomunismo italiano, cui  legato da un ossessivo rapporto di odio-amore. Nel primo capitolo della seconda parte di questo saggio si  det- to che il cattocomunismo si basa sulla distinzione teorica fra il materialismo dialettico, identificato con lAteismo (e quindi inaccettabile), e il materialismo storico, identificato con la Storia (e quindi accettabile), e abbiamo rilevato che con questa opera- zione filosoficamente fragilissima ci si cacciava soltanto in una strada senza uscita (dal momento che sia il principio della Scien- za, posto dal materialismo dialettico, sia quello della Storia, po- sto dallo storicismo, sono in realt altrettanto e pi religiosi di quello di Dio). Del Noce, che appare a prima vista soltanto co- me un critico cattolico-tradizionalista del cattocomunismo ita- liano (Rodano, Balbo, eccetera),  in realt molto di pi. Egli fa notare correttamente che lAteismo non  soltanto una negazio- ne cosmologico-astronomica di Dio, ma ne  anche una nega- zione sociale e storica. Il comunismo  una sfida ai limiti antro- 128 pologici delluomo, segnati irrevocabilmente da Dio con il pec- cato originale, e il suo storicismo  allora assolutamente identico allateismo stesso, dal momento che il principio immanentistico del comunismo, gi stabilito dal pensiero borghese moderno, da Cartesio allilluminismo, non  che la versione proletaria e ope- raia dellUmanesimo ateo (l'Uomo al posto di Dio, anzich Dio che si fa Uomo in Cristo). Tutta la lunga polemica di Del Noce contro il marxismo mo- stra che per questo filosofo cattolico la teoria dei modi di produ- zione e delle estraneazioni capitalistiche letteralmente non esi- ste, che lEssere di conseguenza non  mai lunit astratta del la- voro sociale complessivo, che non lo sfiora mai il minimo dub- bio sulla natura integralmente comunista della testimonianza del Ges storico, e che il suo obiettivo polemico non  mai Marx, ma sempre il cattocomunismo italiano. In realt il marxi- smo, correttamente inteso e filosoficamente approfondito, non  un ateismo. Lateismo  un Umanesimo, lumanesimo a sua volta  un Naturalismo (non nel senso degli ecologisti estremisti, che sono in effetti antiumanisti, ma nel senso per cui l'Uomo ha una Natura umana immutabile), e il comunismo moderno  invece una pacata critica dialettica alle illusioni metafisiche ed apriori- stiche dellUmanesimo e del Naturalismo. Certo, la pretesa sta- liniana (e parzialmente togliattiana) che il partito comunista ab- bia il monopolio del senso della storia e della sua direzione  una pretesa atea, ma non certo perch si tratta di una pretesa marxista e comunista: essa  una pretesa atea perch, essendo lateismo una religione speculare, eguale e contraria al deismo, ritiene di poter togliere alla libera individualit la titolarit del senso della storia per avocarla ad un universale astratto come il Partito (definito o meno come Moderno Principe, eccetera). Nella sua polemica accanita contro il cattocomunismo, Del Noce scopre per due cose, che fanno di lui a nostro avviso un grande filosofo. In primo luogo, scopre che lateismo  in realt un nichilismo, dal momento che sostituire Dio con la Storia vuol dire in realt sostituirlo con Niente (anche il poeta Montale dir cose analoghe sulla inesistenza della Storia che chi scrive  ad un tempo montaliano e comunista  condivide pienamente). 129 Certo, Del Noce vorrebbe opporsi al Niente dellateismo nichi- listico con la dogmatica tradizionalistica cattolica, senza vedere che anch'essa  un prodotto dellarbitrio storico come quellillu- minismo che non gli piace. Come tutti i cattolici italiani, Del No- ce identifica a tal punto il cattolicesimo con il cristianesimo nella sua interezza, da non prendere neppure in esame le due obiezio- ni fondamentali che fanno ad esso rispettivamente lortodossia e il protestantesimo. Da un lato, non hanno certo torto gli orto- dossi a rilevare che, se si vuole aggiungere al magistero della Scrittura anche quello della Tradizione, allora  del tutto arbi- trario soggettivizzare questa tradizione monopolizzandola nelle mani monarchiche del solo papato cattolico. Dallaltro la- to, non hanno certo torto i protestanti nel rilevare che, se c unistanza abilitata ad interpretare la tradizione, non si vede perch non debba essere allora il singolo credente nellinteriori- t della sua coscienza sovrana (e chi scrive ha infatti sempre tro- vato molto pi coerenti, nel loro legittimo e sacrosanto antipapi- smo, gli ortodossi e i protestanti). Dal momento che il cattolice- simo non  un universalismo, ma solo la proiezione storica del medioevo carolingio nella sua doppia opposizione a Bisanzio e all'Islam, lassolutizzazione che di esso compie Del Noce, iden- tificandolo con il cristianesimo,  a nostro avviso del tutto inso- stenibile. Risultano, in breve, insostenibili due equazioni: catto- licesimo=cristianesimo; comunismo=ateismo. Vi  per un secondo punto, in cui Del Noce ha la mano felice. Egli diagnostica in modo correttissimo la patologia nichilistica del marxismo italiano, individuando nel suo storicismo la de- bolezza genetica che ne pu causare l'integrale riassorbimento nella normale modernizzazione laico-capitalistica. Se pensiamo che Del Noce effettua questa diagnosi infausta a partire dagli an- ni Sessanta (a nostro avviso, solo lui e Bordiga  accostamento che pu sembrare folle, ma che crediamo invece legittimo  rie- scono a stilare tanto precocemente una simile diagnosi azzecca- ta), e che questa diagnosi descrive in anticipo la trasformazione ideale e materiale del PCI in PDS quando ancora nessuno osava lontanamente immaginarla, dovremo riconoscere che la preveg- genza esiste. Nel caso di Del Noce, per, questa estrema acutez- 130 za nella previsione non viene dallequazione comunismo=atei- smo, che abbiamo visto essere infondata, ma nella corretta equa- zione storicismo=nichilismo. Dal momento che questa  lequa- zione giusta, e non la prima,  bene passare allesame del filosofo italiano che meglio lha capita. Emanuele Severino e le idee marxiste Se la questione del nichilismo  centrale, come crediamo, bi- sogna ammettere che Severino  un grande filosofo, per il sem- plice fatto che la capisce. Da un lato, Bobbio ritiene che il marxi- smo sia una sorta di nichilismo politico, perch non crede nella formalizzazione astratta delle regole del gioco, laddove invece il laicismo non lo sarebbe cos tanto, data la sua accettazione di esse (lo sfruttamento capitalistico  lo si ricordi bene  won  per Bobbio una regola del gioco, ma un presupposto esterno, esattamente come lo  il noumeno per Kant). Dall'altro, Del No- ce crede che il cattolicesimo possa sfuggire al nichilismo, dato il suo ancoraggio in credenze metafisiche certe perch rivelate da unistanza sovrastorica, eterna, immutabile. Emanuele Severino  pi grande di Bobbio e di Del Noce perch almeno capisce che, nichilismo per nichilismo, il laici- smo bobbiano e il cattolicesimo delnociano lo sono altrettanto del marxismo storicista (che peraltro anche lui  e qui sta la sua non grandezza  identifica con il comunismo moderno tout court). Severino ha una nozione pi vasta e articolata di nichili- smo, e include in esso correttamente il laicismo progressista, il marxismo storicista, e infine il cattolicesimo, sia nella variante di sinistra, cattocomunista, che nella variante di destra, tradi- zionalista e democristiana. La nozione del nichilismo  ricavata da Severino da una inda- gine radicale sulle origini della filosofia greca. In modo del tutto corretto Severino individua in Parmenide di Elea il pensa- tore pi grande e quello pi originario, dal momento che Parmenide avrebbe saputo porre correttamente il problema dellEssere nella sua forma pi pura ed insuperabile. Parmenide 131 non avrebbe dialettizzato lEssere con il Nulla ricavandone il Divenire (come avrebbero fatto in modo sostanzialmente analo- go Eraclito ed Hegel), ma lo avrebbe tenuto fermo alla sua stabi- lit e permanenza, dal momento che non cera altro modo per salvare il senso della vita umana dallannichilimento che la temporalit porta necessariamente con s. La dialettizzazione dellEssere con il Nulla su cui si fonda il marxismo, nella sua fol- le speranza di trovare nel divenire storico il fondamento ontolo- gico del comunismo, non si distingue qualitativamente per Seve- rino da due analoghe operazioni nichilistiche, quella della re- ligione cristiana che fa creare il Mondo da Dio a partire dal Nul- la, e quella del progressismo laico borghese, che vede nella Sto- ria il Luogo del Divenire dell'Uomo. Cos come Heidegger, Se- verino vede nella tecnica e nella scienza moderna assai pi una minaccia che una garanzia di salvezza, e in questa posizione non vediamo proprio niente di irrazionalistico e di premoder- no, dal momento che essa ci sembra piuttosto un onesto tico- noscimento di quanto ci avviene intorno ogni giorno. Sono piut- tosto due i rilievi critici che a nostro avviso Severino merita, e li faremo qui sommariamente, senza perderci in particolari anche utili, ma non essenziali. In primo luogo, Severino non d mai la genesi storica e filoso- fica del concetto di Essere in Parmenide. Vi  una corrente inter- pretativa, in cui ci riconosciamo, che sostiene, con ricca docu- mentazione geografica, storica ed archeologica, che lEssere di Parmenide deve essere inteso come la proiezione simbolica del- l'unit della polis di Elea nella sua inscindibilit fra 4cropoli ed agor, alto e basso, zona in ombra e zona illuminata dal sole, ec- cetera. Conosciamo le obiezioni filologiche a questa interpreta- zione, cos come conosciamo la parallela interpretazione di Sohn-Rethel (cui non crediamo) secondo cui lEssere astratto di Parmenide non  che la proiezione del valore di scambio delle- conomia monetaria greca, contrapposto al valore duso gerar- chizzato del modo di produzione antico-egizio ed orientale (da tempo vediamo in questa interpretazione di Sohn-Rethel la proiezione nel passato remoto del fraintendimento di Adorno 132 del pensiero di Marx, per cui al centro non c la divisione del la- voro, ma la forma di merce). Al di l di questi problemi, ci sta il fatto che lEssere di Parme- nide, che  Uno e Indivisibile, non pu essere a nostro avviso una semplice proiezione cosmologica e teologica, per cui lEsse- re sarebbe o lunit newtoniana o einsteiniana delluniverso (i greci non avevano a nostro avviso questa capacit tutta moderna di astrarre la natura dalla societ), oppure un Dio monoteisti- co filosoficizzato. LEssere di Parmenide, se  vera linterpreta- zione data in precedenza,  in realt lunit astratta del lavoro sociale complessivo nella forma specifica di quei tempi, che era- no appunto i tempi dellacropoli, del dominio del valore duso su quello di scambio, del primato dei sacerdoti e dei guerrieri sui mercanti,  questo lUno che deve essere tenuto unito,  que- sto lUno che non si deve nullificare dividendolo in gruppi anta- gonistici. In una parola: lEssere  lastrazione dellunit sociale, espressa nella forma religiosa della rivelazione sapienziale, la so- la possibile a quei tempi. Severino assomiglia allora a nostro avviso a Cristoforo Co- lombo. Quest'ultimo scopre l'America, ma non sa di esserci ar- rivato, ed  convinto allora di essere soltanto arrivato nelle Indie per la via pi breve. Analogamente, Severino scopre lunit del- lEssere come problema fondamentale della filosofia (altro che il cosiddetto primato dellEssere sul Pensiero, fraintendimento positivistico che il marxismo si porta dietro da cento anni!), ma non sospettando mai che lunit dellEssere non  altro che la connessione unitaria, dialetticamente essenziale, del lavoro so- ciale complessivo nullificato dallo sfruttamento, non pu esplorare la sua stessa geniale scoperta, e deve necessaria- mente tornare allEssere come Valore, o insieme di Valori, che  esattamente il significato che danno al termine essere i laici e i cattolici. Severino  allora un Colombo che aspetta ancora il suo Amerigo Vespucci. In secondo luogo, e di conseguenza, Severino finisce con la- vere del marxismo una nozione errata, assai simile a quelle so- stenute da Bobbio e da Del Noce: il marxismo come primato del valore delleguaglianza sul valore della libert, il marxismo 133 come negazione dellesistenza di Dio sostituito con la Scienza (materialismo dialettico) o con la Storia (storicismo), il marxi- smo come primato del collettivismo sullindividualismo, eccete- ra. Il marxismo, in realt (come ribadiremo nellundicesimo ed ultimo capitolo di questo saggio),  lunit di ontologia ed assio- logia, cio di conoscenza e valutazione, che sorge sul fondamen- to del rispecchiamento dellunit contraddittoria del lavoro so- ciale complessivo, scandito storicamente in diversi modi di pio- duzione. L'oggetto di Marx  pertanto lo stesso di quello di Par- menide e di Eraclito, di Platone e di Hegel, con l'essenziale dif- ferenza che Eraclito ed Hegel dialettizzano le Unit rispetti- vamente postulate da Parmenide e da Platone in modo atempo- rale (pi esattamente, in un modo che vede il tempo unicamente come fattore di dissoluzione). Nei prossimi capitoli, attraverso la deviazione di altri pensatori, cercheremo di chiarite come le vecchie dicotomie teoriche (materialismo/idealismo, scien- za/filosofia, dialettica/differenza) siano quasi sempre altrettanto inutili delle quattro dicotomie con cui abbiamo aperto questo capitolo (che consideriamo il capitolo filosoficamente centrale di questo saggio). 134 VI Le idee marxiste e la filosofia Una convivenza difficile Abbiamo molto insistito nei capitoli precedenti, e in partico- lare in quello su Togliatti, che nel paese per eccellenza degli sto- rici e dei filosofi, storia e filosofia sono state unificate nel com- plesso storicista, cio in una ideologia del primato della dire- zione politica. La storia corre cos il rischio della manipolazione e dell'uso strumentale: quando  utile ravvivare la memoria e il ricordo di combattenti, partigiani, eccetera, si fanno ponti doro alla memotialistica; quando questo non interessa pi al ceto po- litico e a quello giornalistico che se ne fa chiassoso amplificatore, loblo scende su un passato che non serve pi. Anche la filosofia corre rischi molto grandi. A differenza della storia, essa non ha neppure a che fare con i fatti, ma soltanto con opinioni spesso oscure, contestabili, evanescenti. Mentre lo storico ha a disposizione collaudatissime tecniche di ricerca, va- glio delle fonti, verifica, il filosofo non dispone di nulla di tutto questo, anche se si fa un gran parlare di ermeneutica e di teoria dellargomentazione. Lermeneutica  infatti un modo sofistica- to per indicare ci che nel linguaggio comune si chiama brutal- mente il mondo delle opinioni soggettive, inevitabilmente arbi- trarie, mentre tutte le riformulazioni moderne della teoria del- lagire comunicativa e delle sue regole (da Apel a Habermas) non riescono a nascondere di essere soltanto la riformulazione sofisticata e pedante di ci che al tempo degli antichi greci era chiamato retorica e dialettica. La filosofia non  dunque qualco- sa di scientifico. Una filosofia scientifica  un sole bagnato, unacqua asciutta, un logaritmo giallo, una pietra vivente. Certo, esiste una esposizione scientifica della filosofia, nel senso di Spinoza e di Hegel, ma non  questo il significato corrente di 135 scienza, e su questo punto preferiamo ispirarci al secondo Wit- tgenstein, e dare ai termini, ove possibile, sempre il loro signifi- cato comune. La filosofia resta per chi scrive il mondo della ri- cerca del senso e della minaccia della sua perdita, un discorso li- bero su di una totalit irrapresentabile, un tentativo di connota- re con parole spesso pedanti e oscure un rapporto ambiguo fra lindividualit concreta del singolo e l'orizzonte storico e sociale che lo trascende irrevocabilmente. Abbiamo sostenuto nel precedente capitolo che la nozione di Essere dev'essere ricondotta alla trasfigurazione simbolica del- lunit astratta del lavoro sociale complessivo, e quella di Nulla alla possibilit della sua scissione. La filosofia finch resta sul suo terreno e non accede alla scienza dei modi di produzione (anche se  come vedremo nel prossimo capitolo  la scienza dei modi di produzione non  scientifica come le altre, per- ch include la percezione della scissione sociale come estranea- zione: e lestraneazione non diventer mf un concetto scienti- fico in senso galileiano), non pu giungere a considerare lEs- sere come unit astratta del lavoro sociale complessivo. Essa pu per giungere a considerarlo come lunit astratta dellinte- ro genere umano, ed  per questo che riteniamo (a, differenza di come sostenne a suo tempo Althusser) che la filosofia marxista possa essere legittimamente un umanesimo, dal momento che lUmanesimo  pur sempre un modo ambiguo di connotare astrattamente lunit dell'intero genere umano (ad esempio, pet opporsi al razzismo e al sessismo,  giusto sostenere che lunica razza  quella umana e non ve ne sono altre). Il passaggio dalla considerazione dellunit astratta dellinte- ro genere umano alla considerazione della concretizzazione del- lunit del lavoro sociale complessivo contro le estraneazioni che lo scindono #0 pu essere fatto sul solo terreno della fi- losofia. Questo passaggio implica lo studio obbligatorio della storia, dell'economia, dellantropologia sociale, della psicolo- gia, della sociologia, eccetera. Le facolt universitarie di filosofia e pi in generale la comunit filosofica ufficiale non possono consentire un simile passaggio, perch sono istituzionalmente organizzate per impedirlo.  cos che deve essere concepito a 136 nostro avviso ci che viene generalmente battezzato dai marxisti (ambiguamente ed erroneamente) il passaggio dalla filosofia alla scienza: non un impossibile accesso del marxismo allo statuto scientifico della fisica e della chimica, ma una trascrescenza dalla considerazione astratta dellunit dell'intero genere umano alla considerazione concreta dell'unit del lavoro sociale com- plessivo. Senza impostare cos le cose, a nostro avviso, si entra in un labirinto senza uscite e senza filo di Arianna, e la filosofia diventa una cosa introvabile, vaga, soggettiva, a met tra la chiacchiera ispirata e oracolare ed il lusso culturale per gli ad- detti ai lavori. Lo statuto marxista della filosofia. Un problema aperto. Ci fu chi sostenne seriamente che il filosofo non  altro che un musicista senza talento. Con questa espressione severa e sprez- zante, amatissima da tutti i neopositivisti e condivisa sotto ban- co (ne siano assolutamente convinti!) dal 95% dei praticanti delle scienze dure, che pensano che l dove non ci sono calco- li, numeri ed esperimenti non ci sono in fondo che chiacchiere inutili, si intende dire che il filosofo, cos come lartista, vuole in fondo esprimere soltanto sentimenti soggettivi, ma non  nep- pure capace di farlo procurando piacere, come fanno almeno i pianisti e i violinisti. In realt, lattivit filosofica, cos come quella artistica,  assolutamente originaria e primaria, perch nasce dal tispecchiamento quotidiano degli eventi.  la quoti- dianit, cui nessuno di noi pu sottrarsi, che porta gioia e dolo- re, scacco e successo, salute e malattia, esaltazione e depressio- ne. La filosofia nasce dallelaborazione di secondo grado del senso di questa quotidianit, e il fatto che essa nasca grande (come dice Severino, che per come abbiamo visto non pu spiegare perch) con la nozione di Essere non  altro a nostro avviso che il riflesso estremamente astrattizzato della percezione quotidiana degli uomini del fatto che tutto il genere umano  Uno ed inscindibile, e che la scissione antagonistica porta dolo- re e morte, e che la morte  il Nulla. 137 Gran parte della filosofia marxista storica (cio quella del- lultimo secolo)  al di qua della percezione minima del proble- ma. Provenendo spesso da filosofi accademici di professione, prigionieri della ferrea divisione universitaria del lavoro che  anche la precondizione ontologico-sociale del loro status e della loro legittimazione mondana, essa  spesso stata soltanto la co- niugazione del marxismo con le varie correnti filosofiche via via presenti sul mercato delle idee (neokantismo, positivismo, esistenzialismo, fenomenologia, eccetera). In Italia non  stato diverso. In questo capitolo, per ragioni di brevit espositiva, non ci soffermeremo sui dettagli delle coniugazioni del marxi- smo. Ha invece senso porsi due problemi generali. In primo luogo, perch in Italia non ha mai avuto successo la forma sovie- tica dominante del marxismo, il materialismo dialettico. In se- condo luogo, perch la forma che  invece stata dominante, lo storicismo, ha fatto fallimento al punto tale che oggi la sola legit- timazione filosofica del comunismo sembra essere ormai il ma- terialismo solidaristico di Leopardi e di Epicuro. Il materialismo dialettico di tipo sovietico non ha mai avuto successo, in Italia, per ragioni di tipo storico non congiunturale. Non si tratta di tradizione (per cui la Russia avrebbe avuto Plechanov e Lenin, mentre lItalia avrebbe avuto Croce e Genti- le), oppure di propensione antropologica degli italiani per le belle lettere anzich per le scienze moderne. La ragione di fondo della mancata acclimatazione del digrzat (cio del materialismo dialettico sovietico) sta nel fatto che il diarzat  la religione atea, monopolistica, dellunicit del partito-stato, e che questa reli- gione (che definiremo un positivismo monoteistico, perch istalla la Materia al posto di Dio, e poi svolge le determinazioni dialettiche della Materia stessa secondo lenciclopedia positivi- stica delle scienze) non  compatibile con una strategia di fron- te unito e di egemonia culturale sullintera societ. Il diamzat  esclusivamente una filosofia di partito, e Togliatti non voleva espressamente una filosofia di partito. Il diarz4t sostiene espres- samente la non-esistenza di Dio, e questo non avviene certamen- te per rozzezza anticlericale, quanto per il fatto che il partito e la sua assolutezza divinizzata non possono consentire neppure 138 simbolicamente lesistenza di un principio che sfugga alla loro pianificazione globale del futuro. La Materia, invece,  un prin- cipio semplice, infinitamente manipolabile, e per farla muove- re basta introdurre la Dialettica, cio il Movimento. A nostro avviso, la natura filosofica del diarzat staliniano  stata non tanto ottocentesca (come ritenne Pannekoek in un geniale libro su Le- nin), quanto seicentesca, cio hobbesiana, e questo perch il partito si  sempre pensato come Leviatano e come monopolio della violenza legittima su di una societ frantumata in atomi egualizzati. Ad Hobbes, cos come a Stalin, bastano Materia e Movimento. In questo modo lEssere, che  in realt lunit astratta del lavoro sociale complessivo, cio l'insieme dinamico delle sue relazioni, pu essere desoggettivizzato e ridefinito co- me oggettualit manipolabile da un progetto pianificatore (nella storia della filosofia sovietica fra gli anni Venti e gli anni Trenta, questo spiega perch furono sconfitti sia Deborin, e la sua con- cezione hegeliana della dialettica, sia Rubin, e la sua concezione dell'economia come scienza dellinsieme dei rapporti sociali). Il materialismo dialettico non pu evolvere, ma soltanto collas- sare come un edificio in demolizione che crolla su se stesso (e si pensi al fatto che Raissa Gorbaciova era professoressa di mate- rialismo dialettico e Shevarnadze, oggi convertito alla religione ortodossa  Tbilisi val bene una messa!  era laureato in que- sta disciplina). Lo storicismo, invece,  una buona forma filosofica del di- scorso marxista quando il partito comunista non persegue una linea di dittatura del partito unico, ma conduce una lotta stori- co-evolutiva per la costruzione di un blocco storico che si esprime con una pluralit di partiti. Il difetto dello storicismo, per (come abbiamo rilevato nel terzo capitolo della prima par- te), sta nel fatto che esso scommette sul progresso storico, di cui rappresenta una feodicea laica. Teodicea, si sa, vuol dire giustifi- cazione di Dio, e del fatto che nonostante la sua esistenza c' un mucchio di male nel mondo (si pensi a Leibniz, Voltaire, eccete- ra). La teodicea laica giustifica invece tutto il male storico av- venuto nel passato in base alla positivit del fine da raggiungere, ed  dunque simultaneamente una grande narrazione teleologica 139 del futuro e un giustificazionismo storico del passato. A diffe- renza di come sostiene Popper, lo storicismo non consiste tanto nella pretesa di conoscibilit scientifica esatta degli eventi non ancora accaduti (questa  una tipica ossessione viennese, neopo- sitivistica, caratteristica di chi vuole nevroticamente legittimare i propri comportamenti in base ad una scienza), quanto nella concezione dellomogeneit del tempo storico e del suo scortri- mento, che garantisce il progetto progressista e la sua realizza- zione. - Questa  una cattiva filosofia. Essa , alla lunga, insostenibile, per il semplice fatto che il tempo stotico #ox presenta quegli aspetti cumulativi, omogenei e teleologici che lo storicismo gli attribuisce. In Gramsci, certamente, la riduzione della realt alla storicit era solo una polemica antimetafisica e anticattolica (che negava lesistenza di un Essere divino staccato dalla storia e so- vrapposto ad essa). Nello storicismo posteriore, per, cera a tutti gli effetti una religione. Non  allota un caso, ed  questa la tesi di fondo che sosteniamo in questo capitolo, che i filosofi co- munisti italiani pi dotati siano stati antistoricisti, ed abbiano fi- nito con il pensare filosoficamente il comunismo in modo del tutto separato dallo storicismo stesso. Faremo qui lesempio, fra i molti possibili, di due soli pensatori, Cesare Luporini e Seba- stiano Timpanaro. Cesare Luporini e il materialismo Vorremmo limitarci a Luporini, in questo paragrafo, per se- gnalare un pensatore estremamente dotato, che vive il suo anti- storicismo radicale allinterno di una militanza nel partito stori- cista di massa. Si tratta, per usare una espressione alla Luk4cs, di una interiorit antistoricista all'ombra dello storicismo politi- co. Il partito storicista di massa nutre la militanza della sua base con la fiducia nel progresso storico, mentre permette ad alcuni suoi intellettuali organici una professione di fede filo- sofica antistoricistica. Nel caso di Luporini, abbiamo a che fare con un filosofo che fa con i conti con due forme di antistoricismo 140 radicale venute dallestero, quella di Althusser e quella di Lu- kacs (che riprenderemo brevemente nel decimo capitolo). In entrambi i casi, Luporini non sposa integralmente le proposte di Lukacs e di Althusser, perch non  convinto, nel primo caso, dalla radicale critica althusseriana ad Hegel, e non pensa, nel se- condo caso, che si possa adottare fino in fondo il suggerimento lucacciano di considerare il lavoro forma originaria e modello di ogni prassi. L'interesse di Luporini per Althusser e Luk4cs di- mostra comunque che il nostro filosofo non si riconosce nella tradizione storicista italiana, e che per chi non si riconosce in es- sa  pi facile diventare un compagno di strada del PCI che un intellettuale veramente organico ad esso. In Luporini il materia- lismo e la dialettica diventano le due componenti metodologiche dellanalisi delle forme storiche dellessere sociale, allinterno di un pensiero che esclude recisamente ogni teleologia, e dunque ogni lieto fine prefissato del processo storico. L'aspetto pi in- teressante per, sta a nostro avviso nella valorizzazione esplicita del materialismo di Leopardi, o meglio nel suo nichilismo atti- vo, che Luporini vede come l'atteggiamento pi consigliabile oggi per lintellettuale marxista in preda alla crisi di valori politi- ci causata dal collasso del comunismo politico novecentesco. La filosofia del comunismo, in definitiva, non  per Luporini il ma- terialismo dialettico, e cio il mito della Scienza, e neppure lo storicismo, e cio il mito della Storia, ma il nichilismo attivo del- la solidariet di Leopardi, basato sul comune riconoscimento della fragilit materiale delluomo e nello stesso tempo sulla sua capacit di unirsi per difendersi dalla natura matrigna. Si tratta di una filosofia pienamente materialistica, che assomiglia tutta- via pochissimo al modo tradizionale di difendere il marxismo e il comunismo. Sebastiano Timpanaro e il materialismo Se Luporini  stato un esempio storico insigne di intellettuale organico politicamente al PCI che ne era anche filosoficamen- te disorganico, Timpanaro  stato invece a nostro avviso il ti- 141 pico rappresentante del marxismo filosofico indipendente, che ha sempre scelto la sua strada in modo completamente auto- nomo dal partitone storicista di massa e dai suoi problemi di tat- tica e di linea politica. Un tempo si sarebbe battezzato questo at- teggiamento individualismo piccolo-borghese, cui si contrap- poneva il caldo abbraccio proletario del partito che chiedeva ai suoi intellettuali la sottomissione alla direzione dei politici di professione come prova provata della loro vocazione popolare e proletaria. Questa novit, che poi novit non era perch era gi qualcosa di conosciutissimo nelle chiese, e in particolare in quella cattolica (il peccato di orgoglio che veniva rimesso con la confessione e la reintegrazione nella comunit dei fedeli), non tocc mai un materialista incallito come Timpanaro, che fu inve- ce sempre il prototipo del comunista indipendente, cio in definitiva il prototipo dellunica figura antropologica che pu resistere ai tracolli degli ippopotami e dei rinoceronti burocra- tici. Timpanaro  un filologo, non un filosofo, o meglio  un filoso- fo dilettante, nel senso che le sue considerazioni filosofiche sul materialismo sono sempre state estremamente semplici, pia- ne e comprensibili, sprovviste di qualunque virtuosismo tecni- co. Da un punto di vista strettamente teoretico, non mancano a nostro avviso in Timpanaro alcune ingenuit. Ad esempio, nella sua sacrosanta polemica contro lo storicismo, e la riduzione del- luomo sociale a storicit integrale, con esclusione della dimen- sione naturale e biologica di esso, Timpanaro si  lasciato andare a difese dello stesso Engels e del materialismo dialettico, visti come qualcosa che almeno non evacuava completamente il fon- damento corporale e materiale delluomo sociale.  vero che in Engels si trovano molte citazioni che mostrano una estrema at- tenzione alle dimensioni naturali, ecologiche, biologiche del- luomo (e infatti non  un caso che tutti gli studiosi che intendo- no dimostrare la piena compatibilit fra marxismo ed ecologia trovano in Engels spunti estremamente fecondi). Nellessenzia- le, per, per Engels il materialismo  semplicemente il metodo scientifico, visto da lui compatibile con la dialettica (e questa  la ragione per cui il vero marxista engelsiano italiano non  Tim- 142 panaro, ma Geymonat), mentre il materialismo dialettico  qual- cosa che non include mai il corpo umano e soprattutto la solida- riet leopardiana, essendo stato costruito appositamente per le- gittimare con una cosmologia generale ateo-materialistica il mo- nopolio del potere del partito-stato. Ci che invece distingue il materialismo di Timpanaro da quello di Luporini (dal momento che entrambi tendono a mette- re Leopardi come il filosofo pi adatto al comunismo)  inve- ce la rivalutazione di Epicuro, che Timpanaro ha in comune con il francese Jean Fallot. La concezione della scienza di Epicuro, in realt, non ha nulla in comune con quella di Engels, e neppure con quella emersa con Galileo e la rivoluzione scientifica moder- na del Seicento. Questa concezione, che definisce la scienza co- me qualcosa che non pu essere distinto dalle altre due dimen- sioni fondamentali delluomo sociale (il piacere e l'amicizia),  compatibile con ci che viene chiamato ricerca scientifica fi- nalizzata al benessere, alla salute e al tempo libero degli uomini (e non  pertanto assolutamente irrazionalistica, conservatrice, e via insultando), ma  incompatibile con la feticizzazione religio- sa della Scienza in s, questo idolo antropofago il cui culto ri- chiede sacrifici umani, senza neppure servire alla scoperta e alla realizzazione di ci che viene giustamente considerato utile (dalla cura dei tumori alle alte velocit dei treni, dagli impianti anti-inquinamento alla riduzione del tempo impiegato nei lavori domestici). I giganteschi stanziamenti economici necessari per la ricerca scientifica utile, infatti, che non ci sognamo neppure di negare, non hanno nessun bisogno del culto positivistico del- la Scienza, cos come laffermazione di una morale altruistica non ha nessun bisogno del paradiso e dellinferno per essere di- fesa e sostenuta. Timpanaro sembra uno dei pochi filosofi mate- rialisti italiani che comprendono questa elementare ovviet, ed  per questo che i suoi libri meritano di essere letti e studiati. Nello stesso tempo, per, ci sembra che il materialismo cor- porale di Luporini e di Timpanaro non possa ancora essere la soluzione trovata alla questione dello statuto della filosofia. Ab- biamo gi rilevato che la questione fondamentale della filosofia  quella dellarticolazione fra lunit del lavoro sociale complessi- 143 vo (lEssere, cio lEssere Sociale, dal momento che lEssere Naturale  il presupposto muto di questultimo, e diventa parlante soltanto filtrandosi nella socialit stessa) e la doman- da di senso che lindividualit umana le pone. Nella tradizione marxista italiana vi sono state a nostro avviso due risposte esem- plari alla questione dello statuto del materialismo: materiali smo=scienza (Della Volpe, Colletti, Geymonat); materialismo =corporeit solidale (Luporini, Timpanaro). Abbiamo visto come consideriamo la seconda migliore della prima. Resta il fat- to, per, che in questo modo le due dicotomie materiali smo/idealismo e filosofia/scienza restano, e con esse restano tutti i possibili equivoci che esse portano con s. Ci sembra allo- ra opportuno dedicare i tre prossimi capitoli a tre questioni cru- ciali. In primo luogo, alla questione della scienza, in cui soster- remo, contro corrente, che il comunismo non pu essere ogget- to di scienza, ma di una forma di sapere che non coincide con i significati che vengono dati ordinariamente a questa parola. In secondo luogo, alla questione della dialettica, in cui ricordere- mo che questultima non  il sapere della scissione di un Intero Originario, e neppure quello della Ricomposizione Forzata del Diverso. In terzo luogo, alla questione dell'economia, e al pro- blema dei rapporti conflittuali del marxismo con questultima. Di questi tre problemi, quello della scienza  forse il pi delica- to. Una barzelletta racconta che, dopo ventanni di studi, un eru- dito tedesco era giunto alla conclusione che lIliade e l'Odissea non erano state scritte da Omero, come si era creduto fino ad al- lora, ma da un greco che portava il suo stesso nome. Non vor- remmo giungere alla comica conclusione per cui il marxismo non  una scienza, ma un sapere che potrebbe anche chiamarsi con questo stesso nome.  dunque necessario chinarsi un poco sul problema, che presenta risvolti pratici non indifferenti. 144 VII Le idee marxiste e la scienza Un matrimonio fallito Il rapporto fra marxismo italiano e scienza  indubbiamente un nervo particolarmente scoperto. Abbiamo visto nel capitolo precedente come non sia affatto un caso che un aperto sostenito- re della natura del marxismo come scienza delle forme (nella fattispecie, Cesare Luporini) sia infine approdato consapevol- mente ad un comunismo legittimato in termini leopardiani di materialismo della solidariet umana. Tutti i programmi di rigo- rizzazione, assiomatizzazione, formalizzazione del matxismo sono infatti destinati a nostro avviso a fallire, per una ragione molto semplice. In breve: il marxismo ron  una scienza, e non lo pu diventare, non tanto e non solo per le sue premesse filo- sofiche o per la sua metafisica influente non scientificizzabile, quanto perch esso  la sintesi organica di un sapere scientifico sui modi di produzione sociali e di una pratica non scientifica di lotta cosciente contro lestraneazione, o pi esattamente contro le diverse estraneazioni prodotte dal modo di produzione capi- talistico. Dal momento che il comunismo 07 pu a nostro avvi- so essere scientificamente ricavato dalle semplici contraddizioni oggettive del capitalismo, ma deve anche essere voluto da soggettivit individuali e collettive appositamente costituitesi, risulta impossibile applicargli il metodo galileano delle necessa- rie dimostrazioni e delle sensate esperienze (cio del sapere ma- tematico assiomatizzato e degli esperimenti variamente verifica- bili o falsificabili). Ancora pi in breve: il capitalismo esiste, lo si voglia o no, ma il comunismo bisogna volerlo, e la volont uma- na non  oggetto di scienza, se a questo nome almeno  connesso il significato storico, seicentesco del termine, sorto sul terreno 145 delle scienze della natura e poi progressivamente esteso anche alle scienze della societ. Il matrimonio non poteva dunque che fallire (e fall gi ai tem- pi di Hilferding e di Plechanov, che dedicarono ai rapporti fra marxismo e scienza pagine indimenticabili). Ci avviene, si badi bene, non perch il comunismo sia una utopia impossibile (co- me sostenne Max Weber), oppure una utopia possibile ma non desiderabile (come afferm Karl Popper). Ci che stiamo cer- cando di sostenere non ha nulla a che vedere con le tesi di Weber e di Popper. Il fatto  che se si limitano loggetto ed il metodo del marxismo allanalisi delle contraddizioni economiche e so- ciali prodotte dalla contraddittoriet intrinseca, immanente, og- gettiva, della produzione capitalistica, il marxismo  allora effet- tivamente scientifico (nel senso di non soggettivo o arbitra- rio), ma se si vuole aggiungere (e senza questa aggiunta, questa piccola aggiunta, il marxismo non vive) anche il comunismo, al- lora non esiste proprio scienza che tenga. Comunque la si giri, il comunismo bisogna anche desiderarlo, volerlo, essere capaci di farlo. La capacit di farlo  per noi un dato dellantropologia filosofica e sociale, non della scienza. Abbiamo ritenuto opportuno esplicitare su questo terreno delicatissimo le nostre personali opinioni prima di affrontare lesame critico delle posizioni di due insigni marxisti italiani che si occuparono dei rapporti fra il marxismo e la scienza, per per- mettere al lettore di farsi pi agevolmente una sua opinione per- sonale, e ci siamo volutamente limitati a due soli pensatori, Gal- vano Della Volpe e Ludovico Geymonat, in modo che non si corresse il rischio di perdere di vista la foresta guardando sol- tanto gli alberi. Nellesame critico di Della Volpe e di Geymo- nat, infatti, vi sono a nostro avviso praticamente tutti gli elemen- ti necessari per comprendere filosoficamente il cuore della que- stione. Essi vollero garantire al marxismo uno statuto scientifi- co, il primo espungendone la dialettica come residuo metafisico, il secondo accettandola come metodo di storicizzazione del rap- porto fra verit assoluta e verit relative, ma si accinsero a no- stro avviso a un'impresa non solo impossibile, ma anche sconsi- gliabile, perch fuorviante.  importante capire esattamente 146 perch, e dove esattamente falliscano tutti i tentativi di questo tipo. Lo statuto marxista della scienza. Un problema aperto. Abbiamo visto nel capitolo precedente che la questione del- lunit del lavoro sociale complessivo si metaforizza filosofica- mente nella questione dellunit dell'intero genere umano. Karl Marx propose di risolvere scientificamente la questione della storicizzazione delle forme differenziate di unit del lavoro so- ciale complessivo con la sua teoria dei modi di produzione, da indagare a loro volta con un ricco apparato di concetti ulteriori (forze produttive, rapporti sociali di produzione, forme di pro- priet, classi fondamentali, ideologia, falsa coscienza, eccetera). A nostro avviso questa  stata una grande conquista scientifi- ca, nel senso per di Platone (la scienza  episteme   scien- za ad un tempo del Vero e del Bene) e di Hegel (la scienza  Wissenschaft   conoscenza dellAssoluto nella sua Interezza), non certo per nel senso di Galileo e di Newton. Sarebbe possi- bile sostenere che il materialismo storico di Marx  stato a tutti gli effetti una scienza nel senso di Galileo e di Newton se ci si li- mitasse alla questione della conoscenza delle leggi sociali ten- denziali, della prevedibilit statistica delle regolarit empiriche dei comportamenti associati e collettivi, eccetera, perch in que- sto caso si direbbe che, cos come la fisica non pu prevedere il comportamento della singola particella ma soltanto quello del- linsieme di esse, analogamente il marxismo non deve prevedere il singolo individuo, ma soltanto il comportamento tendenziale di insiemi pi vasti. Ad esempio, si pu prevedere scientifica- mente che le classi schiavistiche non sappiano risolvere allinfi- nito la questione della produttivit agricola, che le classi feudali siano poco portate allindustrializzazione, o che le classi capita- listiche siano minacciate dallinsubordinazione operaia (anche se vi sono esempi storici che smentiscono tutte e tre queste affer- mazioni). E invece impossibile prevedere scientificamente la co- stituzione di una soggettivit capace di fare il comunismo. Nello 147 stesso tempo, se la scienza sociale fosse soltinto il sapere delle legalit sociali tendenziali, Machiavelli, Montesquieu, Max Weber, Pareto, eccetera, sarebbero gi ottimi scienziati sociali: il Principe di Machiavelli  una miniera di possibile prevedibilit sociale. Il lettore certo conosce tutto il ricchissimo dibattito episte- mologico (da Popper a Lakatos, da Kuhn a Feyerabend, da Ba- chelard a Hanson), che  oggi arrivato persino ai manuali liceali della filosofia. Ebbene, sulla base di questo dibattito epistemo- logico  assolutamente impossibile concettualizzare il comuni- smo. Il comunismo  scientificamente impensabile. Se lo si vuole ad ogni costo pensare, come superamento delle estraneazioni che sorgono sulla base dellunit astratta ed antagonistica del la- voro sociale capitalistico complessivo diviso,  necessario intro- durre variabili antropologiche e psicologiche, individuali e so- ciali, che non possono essere fatte oggetto di scienza. Parados- salmente, unindagine sulle contraddizioni sociali oggettive del modo di produzione capitalistico che prescinda completa- mente dal comunismo potrebbe essere rigorosamente scientifi- ca, ma non sarebbe anche pi storico-materialistica nel senso di Marx. A noi queste sembrano banali ovviet, che gi a suo tempo Hilferding seppe anticipare in modo insuperabile con la metafo- ra della prevedibilit delle eclissi, che non richiedono sforzi sog- gettivi coscienti per essere realizzate.  vero che dopo Hilfer- ding quasi tutti i marxisti cercarono di riconfermare la scienti- ficit dello statuto epistemologico marxista, o con metodi filo- logici (sostenendo che per Marx ed Engels il comunismo era scientifico, e bisognava dunque che cos fosse), o con argomen- tazioni sulla inevitabilit del crollo economico del capitalismo, e sulla conseguente prevedibilit scientifica di questo crollo. Chi scrive pensa che si sia qui di fronte ad un tipico caso di religione inconsapevole. Tutti i lettori avranno fatto lesperienza di preto- ni ispirati che sostengono ad ogni pi sospinto che Dio  neces- sario per fondare una morale, e che se Dio non esistesse tutto di- venterebbe possibile, non ci sarebbero pi freni, e ognuno fa- rebbe ci che pi gli piace, eccetera. Balle. Una morale universa- 148 listica  praticabile sia in presenza di Dio che in sua assenza, co- me lesperienza di milioni di credenti mascalzoni e di atei virtuo- si (e viceversa) mostra ampiamente. Analogamente, alcuni cre- dono che se il comunismo non fosse una scienza allora cadreb- bero tutte le ragioni serie per sostenerlo, propugnarlo, preve- derlo e difenderlo. Balle. Il sapere sui modi di produzione re- sta un sapere della totalit dialettica, e in quanto tale una ep:- steme alla Platone e una Wissenschaft alla Hegel, senza per che vi sia, come in Platone, la garanzia bimondana dellesistenza del- lUno, e come in Hegel, la sicurezza del ritmo triadico che dal- lin-s porta al per-s. Questo sapere non  per una scienza, e chi vuole ad ogni costo che lo sia mostra di essere pienamente dentro l'ideologia positivistica-borghese ottocentesca, che ave- va semplicemente messo la Scienza al posto di Dio. Per dirla pe- t in modo tipografico,  esattamente eguale mettere Dio al po- sto della scienza, la Scienza al posto di Dio, ed anche lUomo al posto di tutti e due, se luomo cos divinizzato  visto come crea- tore della tecnica e padrone dellintero lavoro sociale complessi- vo.  questa la ragione per cui chi scrive tratter in questo capi- tolo dei due grandi marxisti italiani che si occuparono di scien- za, facendo loro tutto lonore possibile, ma anche mostrando di non condividere per nulla la loro preoccupazione di legare il pi possibile il comunismo al progetto scientifico della modernit. Galvano Della Volpe e il marxismo Come Cesare Luporini e Antonio Banfi, Galvano Della Volpe proviene da quel piccolo gruppo di professori universitari di fi- losofia gi attivi negli anni Trenta al tempo del fascismo, che in- contrarono il PCI di Togliatti fra il 1943 ed il 1945, e trovarono nel marxismo liberamente interpretato una base filosofica per la loro ulteriore attivit teorica. Non bisogna vedere a nostro avvi- so nessun particolare opportunismo (rileggendo, ad esempio, saggi ultrafascisti che Della Volpe scrisse negli anni Trenta); co- s come oggi ex-professori di marxismo-leninismo si scoprono mistici ortodossi o popperiani convinti (e questo non avviene 149 per una banale trabison des clercs, ma in conseguenza di sposta- menti tellurici, di massa, di interi gruppi intellettuali), analoga- mente era inevitabile che il coperchio messo dal regime fasci- sta sulluniversit italiana saltasse dando luogo agli esiti pi dif- ferenziati. Lattivit universitaria, ricordiamolo, non  una scuola filosofica, che comporti unit di spirito e di intenti; es- sa  un mestiere, come quello di infermiere, idraulico e spazzino, e non bisogna dunque stupirsi che le divergenze politiche la attraversino. Cos come Luporini, Della Volpe  spinto dallesigenza di de- terminare lo statuto scientifico del marxismo, del materiali- smo storico, del comunismo, e cos come Luporini, non  soddi- sfatto dalle risposte fornite dal materialismo dialettico sovietico e dallo storicismo italiano. Egli ritiene, che il presupposto di ogni scienza sociale sia lisolamento dal magma informe della to- talit storica che scorre nel tempo di un oggetto teorico che consenta lanalisi concreta della situazione concreta. Il meto- do per isolare, determinare, ritagliare questo oggetto  lastra- zione determinata, ma questa astrazione non pu determinar- si finch viene pensata in una totalit dialettica alla Platone e al- la Hegel. Secondo Della Volpe, le astrazioni alla Platone e alla Hegel sono caratterizzate dal massimo della genericit da un la- to (perch vengono ricavate dallautomovimento di una totalit inconoscibile), e dal massimo della cattiva empiricit dallaltro (perch sono costrette a interpolare surrettiziamente i contenuti concreti ipostatizzandoli in una universalit fittizia). Da un pun- to di vista filosofico, ci che fa Della Volpe non  che una ripeti- zione dotta ed articolata delle critiche rispettivamente condotte da Aristotele contro Platone e da Trendelenburg contro Hegel. Da un punto di vista politico, invece, il marxismo antidialettico  di Della Volpe rappresenta una critica implicita alle conseguen- ze pratiche dell'ideologia storicista: se il marxismo  infatti pri- ma di ogni altra cosa una scienza sociale basata su astrazioni de- terminate e sullisolamento di realt non-contraddittorie in cui diagnosticare opposizioni reali fra insiemi storici (le classi, eccetera), lo storicismo non  marxismo perch ambisce rispec- chiare un oggetto impossibile (lo scorrimento dellinzero tempo 150 storico, inconoscibile in via di principio, per le ragioni gi esau- rientemente elencate da Kant nella Ragion Pura a proposito de- gli oggetti metafisici come anima, mondo e Dio), e la politica ispirata allo storicismo sar una cattiva politica, idealista nella teoria ed empirista nella pratica. Quella di Della Volpe  allora a tutti gli effetti una sublimazione metodologica di una critica politica, cos come nel Medioevo il nominalismo teologico era una sublimazione filosofica di una critica sociale alle gerarchie sostantive feudali. Il rifiuto della dialettica pu infatti oggetti- varsi in almeno due modi contrastanti: da un lato, nellafferma- zione di una differenza ontologica originaria che sarebbe vano e totalitario voler conciliare (Vattimo, ottavo capitolo); dallal- tro, nellaffermazione di un antagonismo, cio di una opposizio- ne reale fra due soggetti inconciliabili (Panzieri e Negri, terzo capitolo). In questa sede, per, ci limiteremo a due soli ordini di rilievi. In primo luogo, Della Volpe sostiene che il giovane Marx  gi del tutto al di fuori della cattiva dialettica di Hegel, e che per- ci nel giovane Marx vi sono gi tutti gli elementi filosofici per una vera scienza sociale delle opposizioni reali (senza contrad- dizione). Questo ci sembra filologicamente e filosoficamente in- sostenibile. Da un lato, infatti, Althusser ha avuto buon gioco nel dimostrare che il giovane Marx  un umanista feuerbacchia- no, e che la critica ad Hegel condotta in nome di queste posizio- ni finisce con lattribuire all'umanit una sorta di racconto an- tropomorfico che narra l'avventura di un Grande Soggetto, l'Uomo, con il risultato che questo grande racconto sta al di sot- to dello stesso Hegel, per cui la storia almeno  un Processo sen- za Soggetto (per Althusser il soggetto di Hegel, lIdea, non  un soggetto antropomorfizzabile, e quindi non  a rigore un vero soggetto). Dallaltro, l'allievo di Della Volpe Lucio Colletti ha avuto buon gioco nel portare alle estreme conseguenze dissolu- tive il paradigma del suo maestro, rilevando che Marx fonda il suo sistema su contraddizioni dialettiche e non su opposizioni reali, e che dunque la pretesa di scientificit del marxismo si ba- sa sul presupposto di una economia naturale non contradditto- ria alienatasi in un mondo rovesciato; questo presupposto  151 scientificamente insostenibile, e cade cos lintero nesso fra scienza dei modi di produzione e comunismo. Chi scrive ritiene che, sul terreno che si  scelto, Della Volpe non pu obiettare nulla n ad Althusser n a Colletti, e che dunque questo terreno  sterile e infecondo. In secondo luogo, Della Volpe  un ammiratore esplicito della societ sovietica, in cui vede realizzato nellessenziale il princi- pio russoviano del riconoscimento dei meriti dellindividuo, anticamera del marxiano riconoscimento comunista dei bisogni.  chiaro che Della Volpe identifica nellessenziale la tematica del riconoscimento sociale dei meriti con quella della retribuzione socialista secondo il lavoro, sostenuta da Marx nella famosa Cri- tica al programma di Gotha. Sulla scia delle critiche di Krusciov al culto della personalit di Stalin, Della Volpe fa certamente molti rilievi ai difetti delle societ dellEst europeo e del- PURSS, ma sembra sempre convinto che nellessenziale il so- cialismo non possa essere che quello: la pianificazione centra- lizzata dell'economia, che garantisce la piena occupazione, la sa- larializzazione universale e la conseguente differenziazione mo- derata dei redditi in base al solo principio del lavoro-merito. A nostro avviso, questo non  comunismo marxiano, ma sociali- smo ricardiano. Se infatti, Marx non fosse proprio mai esistito (ripetiamo: mai esistito), e la sola teoria di riferimento del co- munismo fosse Fichte (uno stato commerciale chiuso garante della piena occupazione e della disuguaglianza moderata e non scandalosa) ed il socialismo ricardiano (la rendita viene abolita come reddito parassitario e residuo del privilegio feudale, men- tre il profitto viene distinto in salario dellimprenditore e in ren- dita del capitalista), si avrebbe un perfetto socialismo dellavol- piano. Il fatto  che la libera individualit marxiana  una no- zione filosofica, non scientifica, e ha bisogno di una dialettica dellintegralit del suo sviluppo. Della Volpe interpola lem- piricit dell'URSS cos come Hegel interpolava lempiricit del- la Prussia nel suo spirito oggettivo. Nello stesso tempo, Hegel salvava lapertura del suo stesso sistema con lo Spirito Assoluto, solo garante del progresso dellautocoscienza storica. Della Volpe, invece, risucchia lassolutezza dello Spirito (assoluto 152 =storicamente non esaurito) nella sua oggettivit (oggettivo =storicamente realizzato), e la sua scienza diventa allora quello che la scienza diventa sempre in questi casi: empirismo e positi- vismo. Ludovico Geymonat e il marxismo Se Della Volpe rappresenta la via maestra per ledificazione di una scienza non dialettica della societ, Geymonat  invece stato a tutti gli effetti la via maestra della conciliazione razionale della scienza con la dialettica, dellepistemologia con la filosofia. In questa sede non possiamo soffermarci sulla sua stupefacente at- tivit di storico della filosofia e di divulgatore della cultura, che lo colloca a tutti gli effetti fra le grandi figure della cultura italia- . na del Novecento.  invece importante tentare di dare una valu- tazione teoretica del Geymonat filosofo, prescindendo da un bi- lancio storiografico e politico della sua attivit complessiva. An- che per Geymonat, per, si impone una considerazione ester- nistica della sua vicenda complessiva: egli passa dal neopositi- vismo al materialismo dialettico sulla base di un vincolo ester- no alla teoresi pura, e questo vincolo esterno  la propria pro- fonda concezione comunista della vita e della storia. La filosofia di Geymonat pu essere definita in termini diver- si: realismo gnoseologico, materialismo dialettico, razionalismo critico, storicismo scientifico.  invece pi difficile definire con precisione la natura esatta della sua concezione del materialismo storico, che pu essere ricavata esclusivamente dalla pi genera- le concezione geymonattiana dello sviluppo dialettico delle scienze. Per Geymonat il materialismo storico marxista era una scienza sociale della totalit capitalistica, e il progresso della co- noscenza e dellazione che essa consentiva non era qualitativa- mente dissimile da quanto avveniva sul terreno delle altre scien- ze, e delle scienze della natura in particolare. Il marxismo , in buona sostanza, un frutto maturo del progetto scientifico mo- derno, delineatosi nellarco di tempo che va da Copernico a Ne- wton. Geymonat non sente il bisogno (come Della Volpe) di 153 espungere la dialettica dalla scienza, perch per dialettica egli intende due cose che possono tranquillamente convivere insie- me: da un lato, il riconoscimento dellantagonismo sociale ne- cessariamente provocato dalle forme di propriet che polarizza- no linsieme sociale in parti reciprocamente confliggenti; dallal- tro, il processo contraddittorio della conoscenza scientifica, che vede in lotta delle verit relative le une contro le altre in un progresso allinfinito verso un impossibile attingimento definiti- vo della verit assoluta, che esiste soltanto appunto nella dia- lettica infinita delle verit relative stesse. La dialettica  dunque ad un tempo antagonismo sociale e me- todo scientifico, e lantagonismo sociale  esso stesso oggetto le- gittimo di scienza. Allinterno di questo schema Geymonat con- duce battaglie filosofiche a nostro avviso estremamente centra- te. In primo luogo, contro i tentativi (Colletti, Viano, Paolo Rossi) di limitare il concetto di ragione al razionalismo non dialettico (escludendo cos dalla ragione Hegel e soprattutto Marx), Geymonat ribadisce una nozione allargata di ragione, che per, finisce a nostro avviso con il salvare correttamente Hegel, Marx e gran parte del marxismo (salvo quello occiden- tale), ma con lescludere la sacrosanta critica al nichilismo svol- ta da Nietzsche e da Heidegger, che  invece a nostro avviso del tutto razionale (se razionale vuol dire  come pensiamo vo- glia dire  semplicemente fondata). In secondo luogo, nel ri- badire il carattere di rispecchiamento della conoscenza uma- na, per cui lattivit conoscitiva si basa pur sempre sullinelimi- nabile presupposto dellesistenza della realt esterna indipen- dentemente dalla percezione soggettiva che si ha di essa. Ci che caratterizza Geymonat (che qui per non fa che ripetere letteral- mente le posizioni del Lenin filosofo)  la compresenza e la coesistenza pacifica della teoria gnoseologica del rispecchia- mento e della teoria hegeliana della dialettica. Chi scrive non  del tutto sicuro che le due teorie possano filosoficamente coesi- stere, dal momento che la logica dialettica hegeliana si basa su una costruzione della realt da parte di unattivit costituente, mentre la teoria classica del rispecchiamento, cio il realismo gnoseologico, si basa invece sul presupposto ontologico di una 154 realt che fa da condizione al pensiero. Riteniamo che in pro- posito sia necessario un lavoro di scavo, che prenda ad esempio in considerazione tutte le obiezioni fatte al Lenin filosofo (da Pannekoek a Korsch, da Sacristin ad Ilienkov), e che si spinga- no per fino al nucleo profondo del progetto leniniano di comu- nismo. Chi scrive  infatti convinto che la contraddittoriet della filosofia di Lenin (in breve: lidea che possano coesistere in mo- do non conflittuale una teoria materialistica del rispecchiamento gnoseologico di una realt esterna primaria data e una teoria dialettica della costruzione costituente della realt in base a de- terminazioni contraddittorie) sia semplicemente lo specchio e il riflesso astrattizzato della contraddittoriet della sua teoria poli- tica (in breve, lidea che possano coesistere in modo non conflit- tuale una teoria della sovranit dei consigli dei produttori e una teoria del monopolio politico del partito e delle sue organizza- zioni). Riteniamo per che questo vizio genetico del comuni- smo storico novecentesco debba essere studiato a parte, e la- verlo evocato in questo contesto ci serve soltanto per segnalare al lettore che a nostro avviso Geymonat rappresenta la variante italiana di questa insolubile contraddittoriet. Il pensiero di Geymonat si presta per a due critiche ulteriori. In primo luogo, il suo storicismo scientifico pu far pensare che il marxismo come scienza sociale sia anchesso inserito in una dialettica storica di progresso della conoscenza, con verit re- lative che diventano via via sempre migliori nel loro processo di rispecchiamento sempre pi adeguato delloggetto. Non lo cre- diamo, e questo per una semplice ragione. Il progresso delle scienze della natura (e Geymonat accetta che esso avvenga alla Kuhn per rivoluzioni scientifiche, e non certo in modo pacifico e cumulativo) ha come presupposto lo scorrimento stabile di una temporalit dentro la quale si passi appunto da Tolomeo a Co- pernico, da Newton a Einstein, da Lamarck a Darwin, eccetera. La natura, per cos dire, aspetta con pazienza illimitata che la conoscenza umana la esplori, in una dialettica di prove ed erro- ri, sbagli e successi, avanzamenti ed arresti. Il tempo storico, pe- r, non  a nostro avviso fatto in questo modo. Esso non aspet- ta e non dispone di una illimitata pazienza, per il semplice fatto 155 che esso non  che la forma sostanziale delle manifestazioni di esistenza della contraddittoriet ontologica dellunit del lavoro sociale complessivo. Se questo  vero, abbiamo allora la risposta del perch Geymonat ha fatto cose egregie a proposito della sto- ria dellastronomia e della fisica, ma non ha mai potuto applicare il suo storicismo scientifico alla concreta storia del marxismo. Il marxismo, infatti, non procede in un tempo omogeneo in cui avanza superando i suoi errori. In buona sostanza: lo storici- smo non pu essere diviso in letterario (cattivo) e in scientifico (buono); lo storicismo  sempre cattivo, a meno che per storici- smo si intenda soltanto la dialettica della conoscenza scientifica della natura (magari comprendendo in essa anche la conoscenza della psiche umana e dei suoi meccanismi metastorici). Essendo la storicit della storia discontinua (il che significa soltanto che, vichianamente, gli uomini non fanno la natura, ma la storia s), non pu esistere il presupposto continuativo della omoge- neizzazione engelsiana (e geymonattiana) della natura natura- le e della natura storica. In secondo luogo, il problema del comunismo (ed  questo  il lettore lo avr gi capito  il nostro chiodo fisso) non pu es- sere affrontato e risolto scientificamente. Geymonat si distin- gue positivamente da altri commentatori per il fatto di vedere nella libert, e non nella sola eguaglianza, il principio filosofico fondatore di esso. Si tratta di qualcosa che non  affatto sconta- to, se pensiamo che lideologia della libert  sempre stata stori- camente nel Novecento la bandiera del neoliberismo capitalisti- co. Anche in questo caso, Geymonat mostr di essere partico- larmente acuto. Egli fu tra i primi intellettuali italiani a compren- dere che il PCI, a partire dagli anni Ottanta, era una forza politi- ca e organizzativa perduta per il socialismo, non importa co- me definito, e che era necessario lavorare per una nuova forza comunista indipendente. In questo senso, egli fu a tutti gli effetti un vero e proprio anti-Ingrao e anti-Rossanda (in un significato non meschinamente polemico, ma culturalmente strategico), e fu forse il vero primo intellettuale organico del nuovo Partito della Rifondazione Comunista, anche se la morte gli imped di portare in esso il gusto per la lotta politica aperta e generosa. Ri- 156 fondatore del comunismo, Geymonat lo fu certamente. Rifonda- tore del marxismo teorico invece, a nostro avviso, no. Ma questo  un problema che riempir probabilmente i prossimi decenni, senza che vi sia nessuna garanzia di una possibile riuscita. 157 VIII Le idee matxiste e la dialettica Un amore impossibile La tradizione filosofica italiana si  sempre confrontata a fon- do con il problema della dialettica. Benedetto Croce propose a suo tempo di riformare la dialettica hegeliana opponendo a una dialettica degli opposti una dialettica dei distinti (anche se, come abbiamo cercato di sostenere nella prima parte di questo saggio, si atriva cos non a una riforma, ma ad una controriforma della dialettica). Antonio Gramsci osserv acutamente che la formulazione data da Bucharin al materialismo storico era poco dialettica, e aveva perfettamente ragione. Questa formulazio- ne non era dialettica per nulla, e faceva diventare il materialismo storico una teoria positivistica della successione degli stati di sviluppo della tecnologia, imperfettamente integrati con dosi esogene di lotta di classe. Con alle spalle antecedenti come Croce e Gramsci, si poteva pensare che vi fossero le basi per una discussione feconda e proficua sulla dialettica. Non  stato cos. Non potevano certamente bastare lavori di altissimo livello di storia della filosofia con particolare riguardo alla dialettica (come quelli di Mario Dal Pra sulla dialettica in Marx e di Sergio Landucci sulla dialettica in Hegel). Abbiamo visto, infatti, che la dialettica veniva da un lato rifiutata (e non poteva essere diversamente) dalluniversalismo razionalistico e formalistico di Bobbio (influenzato da Nicola Abbagnano, forse il pi conseguente e convinto nemico della dialettica nella storia della filosofia italiana del Novecento), e veniva dallaltro conci- liata con lo storicismo da Palmiro Togliatti. Fra Bobbio e To- gliatti, questi Scilla e Cariddi del pensiero e dellazione filosofica in Italia, la dialettica non poteva che risultare stritolata, e infatti lo fu. 159 In questa sede, non possiamo purtroppo scendere nei parti-- colari, put interessanti. Ci limiteremo per chiarezza e semplicit ad esaminare due negazioni della dialettica, la prima condotta (da Lucio Colletti) in nome della scienza, cio della non-scienti- ficit della confusione fra contraddizione dialettica ed opposi- zione reale, la seconda portata avanti (da Gianni Vattimo) in no- me del diritto alla differenza, cio della non componibilit e sin- tetizzabilit di elementi originari non conciliabili. I libri di Colletti e di Vattimo sono molto diffusi, ed esiste in proposito anche unampia letteratura critica. Qui si vorrebbe suggerire soltanto un approccio interpretativo che consideria- mo in parte nuovo. Nella loro enorme diversit filosofica, infat- ti, Colletti e Vattimo ci sembrano le due met dello stesso insie- me. Il razionalismo di Colletti, ispirato a Kant e a Popper, e lirrazionalismo di Vattimo, ispirato a Nietzsche e ad Heideg- ger, sono infatti a nostro avviso in fortissima solidariet antiteti- co-polare. In entrambi gli approcci la dialettica  rifiutata, dopo essere stata preventivamente definita in modo restrittivo e inac- cettabile. Riteniamo sia molto importante capire in che modo fi- losoficamente ci avvenga, in modo che risulti chiaro che la na- tura segreta del postmoderno appaia allo scoperto nel suo esse- re una sintesi organica di razionalismo dellintelletto astratto e di irrazionalismo dellintuizione originaria. Lucio Colletti e le avventure della dialettica Per amare la dialettica bisogna conoscerla, e per conoscerla bisogna promettere prima di rispettarla. Quando il grande filo- sofo francese Maurice Merleau-Ponty scrisse il suo capolavoro Le avventure della dialettica, indignato da quello che riteneva essere lultrabolscevismo di Sartre, egli se la prese con il per- vertimento della dialettica, la sua strumentalizzazione a fini giu- stificazionistici. La dialettica , in breve, una tecnica sofisticata per giustificare lingiustificabile. Se  questo,  chiaro che si deve rifiutarla. Ma  veramente questo? Non lo crediamo. L'approccio di Colletti  allinizio ben diverso da quello di 160 Merleau-Ponty. Colletti, che diventer negli anni Settanta e Ot- tanta il grande fustigatore del comunismo sui grandi quotidia- ni capitalistici (non borghesi, appunto, capitalistici; e tenia- mo molto a questa distinzione essenziale, da noi esposta nel quinto capitolo), ha un suo primo periodo comunista, e anzi comunista di sinistra. Egli  a tutti gli effetti un dellavolpiano dassalto, e pertanto un fiero critico del crocianesimo e della sua logica. C' in tutto questo a nostro avviso un lato involontaria- mente umoristico. Colletti  un anti-crociano filosofico fervente (antihegeliano, eccetera), ma nello stesso tempo  straordinaria- mente affine a Croce su di un punto essenziale e rivelatore: en- trambi abbandonano il marxismo perch si rendono tutti e due conto che non  una scienza, che il suo impianto epistemologico non regge, e che logicamente fa acqua. Allievo di Labriola, Croce si rende conto che il suo maestro sbaglia, e abbandona il marxismo. Allievo di Della Volpe, Colletti si rende anch'egli conto che il suo maestro sbaglia, ed abbandona anche lui il mar- xismo. Bisognerebbe raccontarlo al Che Guevara ed a tutti quel- li che sono diventati marxisti camminando fra i rifiuti delle me- tropoli del Terzo Mondo. C' chi aderisce e poi si stacca dal comunismo perch le prove teologiche di esso danno luogo a paralogismi, antinomie, fallacie naturalistiche. Tutti gli homzeless ed i disoccupati ringraziano, dopo aver imparato che la teoria di Marx presenta difficolt logiche che ne invalidano la pretesa di essere epistemologicamente pura. Non  per su questo terreno che si pu criticare Colletti. Colletti  un filosofo, e deve essere criticato filosoficamente. Egli propone tesi teoriche ben precise, a nostro avviso false. Quali? Fondamentalmente tre, che ci sembrano tutte errate. In primo luogo, l'identit fra scienza e materialismo. In secondo luogo, l'identit fra valore e alienazione. In terzo luogo, la con- traddizione dialettica come scissione di un Intero da ricostruire e non come opposizione reale da conoscere. Vediamo. Abbiamo sostenuto nel capitolo sesto che non  corretto iden- tificare scienza e materialismo, e abbiamo segnalato nel capitolo settimo che coloro che lo fanno tentano unimpossibile fonda- zione integralmente scientifica del marxismo. Sulla scorta del- 161 le tesi di Della Volpe, Colletti identifica la scienza con il materia- lismo, e dal momento che la scienza sarebbe incompatibile con la dialettica (poich Aristotele avrebbe avuto ragione contto Platone, e Kant contro Hegel), il materialismo lo sarebbe esso pure. Chi scrive non pensa che sia cos, e lo ha gi scritto in pre- cedenza. La scienza moderna  un'attivit astrattiva, assiomatiz- zante, sperimentale, mentre il materialismo  una pratica globale della propria corporeit e del suo nesso con la relazionalit umana e sociale. Il materialismo storico di Marx ha certo unam- bizione epistemologica integralmente scientifica, ma esso di- venta una pratica del comunismo soltanto quando il discorso sui modi di produzione trascresce in antropologia sociale anticapi- talistica. Lidentificazione fra materialismo e scienza che fa Col- letti  indebita, e ha come prima conseguenza una totale cecit storiografica. Colletti  costretto a mettere alla rinfusa dentro la casella materialismo dialettico Engels, Lenin, Stalin, Luk4cs, Korsch, eccetera, per il semplice fatto che tutti costoro sono schierati in favore della dialettica. Un simile criterio classifica- torio fa venire in mente Borges e le enciclopedie cinesi che clas- sificavano gli animali in alti, disegnati con finissimo pelo di cam- mello, e che da lontano sembravano mosche. Engels usa la dia- lettica per una enciclopedia delle scienze, Lenin per capire la contraddittoriet politica della realt, Stalin per edificare una scolastica del partito-stato, Luk4cs per criticare la reificazione capitalistica che considera eterni i rapporti borghesi di produ- zione, Korsch per identificare proletariato e classe operaia della grande fabbrica e vedere in questa unione il motore operaistico del comunismo moderno. Colletti mette borgesianamente tutti i dialettici da una parte, scrivendoli diligentemente nella gran- . de lavagna dei cattivi irrazionalisti.  questo un insigne esem- pio, a nostro avviso, di paranoia epistemologica, che assomi- glia assai pi allaristotelismo di Don Ferrante che al pensiero scientifico di Galileo. In secondo luogo, Colletti identifica nel marxismo la teoria del valore con la teoria dellalienazione. Nel prossimo capitolo torneremo su questo punto cruciale, e vedremo come questa teoria sia stata la base della nota scuola filosofico-economica 162 Colletti-Napoleoni. Questa identificazione  a nostro avviso er- rata. La teoria del valore non si identifica con una teoria della- lienazione, ma con una teoria delle estraneazioni. Non  la stessa cosa, e lo si pu anche agevolmente spiegare. Secondo Colletti la teoria del valore in Marx non  soltanto una teoria della sostanza del valore, cio del fatto che i beni-merci si scambiano secondo il criterio del tempo di lavoro sociale medio incorporato in essi, e che il plusvalore  unerogazione gratuita del valore duso della forza-lavoro scambiata con capitale da cui pu nascere il profit- to, ma  anche una teoria della forzza del valore, per cui i beni si presentano in una sorta di mondo rovesciato, o di mondo in- cantato, o di mondo a testa in gi, in cui appunto tutto ci pu avvenire. La teoria dellalienazione, che Marx mutua da Feuerbach,  appunto la teoria della forma del valore e si identi- fica con essa, perch se il mondo non fosse alienato, cio a testa in gi, i beni non potrebbero neppure assumere la forma del va- lore, e dunque del plusvalore. Il mondo capitalistico  dunque un mondo rovesciato rispetto ad un mondo naturale diritto, che il comunismo in sostanza restaurerebbe nella sua naturalit di dominio del valore duso su quello di scambio. La rivoluzione comunista sarebbe allora la pi grande delle restaurazioni. Chiediamoci: per Marx le cose stanno veramente cos? Ma neppure per sogno. Cos sarebbe, se Marx pensasse in modo rozzamente triadico che c stato un primzo mondo diritto (la co- munit comunista primitiva, in cui l'economia era povera, ma naturale), un secondo mondo rovesciato e alienato (lo schiavi- smo, il feudalismo, il capitalismo), e infine un terzo mondo rad- drizzato (il comunismo, in cui riavremo la naturalit, con in pi l'abbondanza). Ma questo non  che un breve corso sui Gruz- drisse tenuto al Club Mediterrane: l'abbondanza comunista in un mondo naturale all'ombra dei palmizi. Il comunismo di Marx non raddrizza proptio niente, se non alcune teste matte fi- losofiche. Il capitalismo non provoca alienazione, cio caduta da un precedente mondo diritto, ma estraneazioni, cio modali- t concrete della vita associata in cui il funzionamento anonimo delleconomia e il dominio di questultima sugli uomini compor- ta il diventare estranei degli uomini gli uni verso gli altri ap- 163 profondendo la scissione dellunit complessiva della loro ri- produzione sociale. La differenza  molto grande. Nel primo ca- so, si ha una teoria dellalienazione, cio della presunta scissione di ununit sociale originaria da ricostituire. Nel secondo caso, si ha una teoria delle estraneazioni, cio della formazione di sempre nuove configurazioni di sfruttamento e di separazione gerarchica fra gli uomini, che ci rendono estranei ed ostili mentre potremmo essere solidali. Colletti abbandona dunque un marxismo che egli ha preven- tivamente ridotto a caticatura, identificando materialismo e scienza, da un lato, valore e alienazione, dall'altro. Su questa ba- se, egli fa notare che la contraddizione dialettica (A-non A) non  scientifica, perch ipotizza la scissione idealistica di un Intero presupposto, mentre l'opposizione reale (A-B) lo sarebbe. La sociologia del conflitto alla Dahrendorf  dunque scientifica, perch in questo modo, come direbbe Sofri, la lotta  conti- nua fra capitale e lavoro, mentre il comunismo del povero Marx non lo , visto che vuole rticonciliare gli opposti contrad- dittori in unUnit pacificata. Qui finiscono, ovviamente, le av- venture collettiane della dialettica. Esse, lo ripetiamo ancora una volta, sono in tutto e per tutto degne di Benedetto Croce e del suo paragone ellittico. L'abbandono di Colletti del marxismo ci sembra simile a quello di certe coppie che non si sopportano pi, e anzich prenderne atto e lasciatsi civilmente, vogliono a tutti i costi dimostrare che laltro  iniquo e cialtrone. Perch, mio Dio, perch? Gianni Vattimo e le avventure della differenza La critica di Lucio Colletti alla dialettica  un differenzialismo nascosto che si maschera sotto un cerone razionalistico e positi- vistico. Ad una prima occhiata, si hanno soltanto le classiche cri- tiche di Kant alla metafisica che Popper ha applicato nel Nove- cento al marxismo, e che Colletti rielabora con verve e vivacit. Ad uno sguardo pi attento, si vede che questa stroncatura del 164 marxismo presuppone lidea neoplatonica di una Unit Origi- naria, la comunit naturale del lavoro e dei bisogni, che si scin- derebbe dialetticamente per poi ricomporsi necessariamente. La dialettica, insomma, sarebbe la previsione della fatalit ne- cessaria della ricomposizione di un Intero spezzato, metafisica- mente fondata sulla presupposizione di un Uno originario. Ab- biamo gi rilevato che tutto questo ricorda maggiormente le dottrine non scritte dellultimo Platone piuttosto che Hegel e Marx, e che se si ha voglia di abbandonare il marxismo (perch non ce lo ha mica ordinato il medico di essere marxisti!) non c' bisogno di ridurlo ad una caricatura neoplatonica. Il modo di produzione capitalistico non  una totalit dinamica che si possa ricavare per differenza da una societ naturale originaria; la stes- sa unit astratta del lavoro sociale complessivo (come abbiamo rilevato nel quinto capitolo e riprenderemo nellundicesimo) non  in alcun modo una societ naturale originaria, ma soltanto lidea generale ed astratta di Essere (nel senso di Parmenide e di Hegel). Il professore torinese Gianni Vattimo, forse il pi brillante esponente del cosiddetto pensiero debole e della lettura post- moderna e differenzialistica di Nietzsche e di Heidegger,  a no- stro avviso un Colletti rovesciato. Per Vattimo, Nietzsche e Hei- degger si contrappongono positivamente a Hegel e a Marx pro- prio perch non hanno una concezione dialettica della conci- liazione forzata delle differenze originarie. Il pensiero debo- le, differenzialistico, si contrapporrebbe appunto al marxi- smo, pensiero forte per eccellenza, perch non ambisce ad una conciliazione forzata delle differenze etiche e politiche fra gli uomini, riconoscendole invece integralmente nella loro piena legittimit ontologica. Si ha qui, in modo molto pi bobbiano di quanto sembri, una metafisica della permanenza del pluralismo. Mentre per Bobbio, kantianamente, non pretende di fonda- re filosoficamente questo pluralismo, ma lo presuppone, Vatti- mo ne d anche una vera legittimazione teoretica ampia ed arti- colata. Essa merita di essere brevemente ricordata, perch Vat- timo resta un pensatore dotato, e non un semplice mestierante della storia delle idee. 165 In primo luogo, Vattimo deve compiere una delicata opera- zione storiografica tendente a rilegittimare Nietzsche e Heideg- ger, considerati dalla cultura di sinistra dei pensatori di de- stra. Nietzsche ha inneggiato alla sanguinosa repressione della Comune di Parigi, mentre Heidegger ha addirittura aderito po- liticamente per un certo periodo della sua vita al nazionalsociali- smo di Hitler. Questa operazione non presenta per, a nostro avviso, particolari difficolt. Certo, filologicamente essa  fati- cosa, perch i testi ferocemente reazionari dei nostri due pen- satori sono numerosi ed inequivocabili, ma filosoficamente essa  fattibile. Da un lato, infatti,  perfettamente legittimo (e da Ba- taille a Deleuze vi  in proposito uninsigne tradizione) interpre- tare lo Ubermensch di Nietzsche come un Oltreuomo che va al di l delle illusioni edificanti delle promesse religiose e ideologi- che, e non come un Superuomo che deve schiacciare e sottomet- tere gli altri per realizzare militarmente la propria volont di po- tenza. Certo, Nietzsche ha scritto decine di passi in cui lo ber- mensch  pensato come un Superuomo, ma siccome ve ne sono decine di altri in cui invece appare come un Oltreuomo, non esi- stono effettivamente ostacoli teoretici insormontabili per prefe- rire la lettura anarchica, antiautoritaria, di sinistra di Niet- zsche. Dall'altro,  vero che Heidegger ha scritto discorsi di ret- torato e articoli schiettamente nazisti, ma  anche vero che la sua nozione di metafisica come realizzazione storica di un modo di entrare in rapporto con lEssere da parte delluomo non ha as- solutamente niente di nazista, e che lidea per cui lo scorrere del tempo storico consuma le illusioni ideologiche degli uomini assai meglio delle confutazioni razionalistiche e delle obiezioni scientifiche  assolutamente razionale e pertinente. Vattimo rie- sce cos a fare a proposito della differenza ontologica una du- plice, virtuosa operazione: rivaluta Nietzsche, il pensatore pa- gano critico di ogni monoteismo idolatrico e forzato, e assimila cos il comunismo ad una religione idolatrica; rivaluta Heideg- ger, il pensatore della differenza ontologica tra lEssere e gli enti (cio fra la verit temporale e le oggettivazioni storiche delluo- mo sociale), anche se deve interpretarlo in modo filologicamen- te aberrante come il filosofo dellEssere che si consuma e si ab- 166 bandona nella temporalit (e su questo Severino ha a nostro av- viso mille ragioni contro Vattimo). In secondo luogo, Vattimo riesce egregiamente a descrivere filosoficamente due innegabili modalit sociali della contempo- raneit. Da un lato, il fatto che il moderno capitalismo presenta un determinato carattere dionisiaco, incita al consumo, pro- muove la frammentazione e il pluralismo incomponibile delle forme di vita (purch, ovviamente, uno se le possa pagare), non richiede pi ascetismi calvinisti e vittuose rinunce al godi- mento, cos che effettivamente il politeismo paganeggiante di Nietzsche appare pi vicino al funzionamento complessivo del- l'economia del moralismo della rinuncia e della frugalit. Dal- laltro lato, il fatto che il riflusso politico e il fallimento epocale della generazione marxista degli ultimi due decenni assume esistenzialisticamente laspetto di un vero e proprio lasciar perdere le proprie illusioni di giovinezza assai pi che di un ve- ro e proprio superamento di queste ultime (e Vattimo ha co- struito su questo una vera interpretazione filosofica, contrappo- nendo la Verwindung, il lasciar perdere, alla berwindung, il su- peramento). Abbiamo rilevato nel quatto capitolo che il sessan- tottino deluso, nella sua sindrome narcisistica incontenibile cos bene analizzata da Christopher Lasch, non soppotta psicologi- camente la consapevolezza della doppia natura rivoluziona- ria-modernizzatrice della propria coscienza politica giovanile, e deve dunque lasciar perdere la prima componente senza ela- borarla, come se non fosse mai esistita. A nostro avviso, Vattimo riesce a trasfigurare filosoficamente il modo geniale questo feno- meno sociale con la sua interpretazione della Verwindung, assai meglio di tutte le lagnose e cattolicheggianti lamentazioni dei pentiti. In terzo luogo, il cosiddetto pensiero debole di Vattimo  in realt fottissimo, per almeno due ragioni convergenti. Da un lato, esso rappresenta oggi una legittimazione filosofica fortissi- ma del capitalismo, il cui pluralismo agonistico incomponibile  pienamente legittimato, e a cui si chiede soltanto un incivili- mento ermeneutico, un rispetto e una tolleranza per il diver- so, visto come titolare di unirriducibile originariet ontologi- 167 ca. Su questo versante, il pensiero di Vattimo incontra altre ro- bustissime tendenze della filosofia neocapitalistica contempora- nea, dal dialogo democratico dell'americano Rorty alla teoria dell'agire comunicativo del tedesco Habermas (tendenze niente affatto cattive e per nulla disprezzabili, ma a nostro avviso pie- namente apologetiche del capitalismo). Dall'altro il pensiero debole, che si presenta educatamente come lalfiere del plurali- smo contro ogni fondamentalismo politico o religioso,  invece sostenuto, amplificato, appoggiato, propagandato da tutti i me- dia, fino a diventare addirittura senso comune nella chiacchiera televisiva. Chi scrive ha avuto recentemente modo di assistere alla pubblicit dellultimo libro del divulgatore filosofico De Crescenzo, incredibile deformatore della filosofia greca antica, che si basava sulla contrapposizione, tipicamente debole, del positivo (il punto interrogativo) e del negativo (il punto escla- mativo). Il punto interrogativo sarebbe positivo perch spinge al dubbio, allindagine, alla discussione dialogica illimitata, mentre il punto esclamativo sarebbe negativo perch fanatizzan- te, passionale, assertorio. Questa distinzione  tipicamente de- bolista. Chi scrive propone qui un punto interrogativo cattivo e un punto esclamativo buono. Da un lato: Il Fondo Monetario Internazionale  poi veramente responsabile come dicono della fame del Terzo Mondo?. Dall'altro: La miseria dellAfrica  ormai intollerabile. Ecco un punto interrogativo superfluo e un punto esclamativo sacrosanto. Il debolismo, invece, tende proprio a scindere ontologia ed assiologia, rilevamento scienti- fico delle cose e loro valutazione, in modo da spezzare la que- stione della genesi dialettica dei valori etici dai rapporti sociali filtrati nella coscienza umana. Ed  appunto questa, per noi, la dialettica. Essa non , come opina Colletti, una teologia neoplatonica della scissione di un Intero originario, e neppure, come ritiene Vattimo, una terapia di riconciliazione forzata delle differenze incomponibili. Essa  un sapere genetico della produzione sociale delle contraddizio- ni, che non si limita a fotografare e a immortalare il momento originario del sorgere di esse (se cos fosse, il mito biblico del peccato originale sarebbe il culmine della dialettica), ma ne ac- 168 compagna lo sviluppo, la diversificazione, l'intreccio, la trasfor- , mazione, lapparente irriconoscibilit delle forme storiche di apparizione e di scomparsa. La dialettica marziana non  bi- mondana, come quella platonica, e non deve perci mettersi nel- la prospettiva della riconduzione dei Molti allUno, appunto perch non si fonda sulla scissione dellUno nei Molti. La dialet- tica marxiana  monomondana, come quella di Hegel, e non si distingue certamente da quella di Hegel perch il suo fondamen- to  la materia anzich lidea (su questo punto Gentile ha ragio- ne), ma perch si basa sulla piena assunzione del rz0do di produ- zione, e dello sfruttamento capitalistico che ne consegue, come reale presupposto. Anche per Hegel lIdea era linsieme dei rap- porti sociali fra gli uomini (e non certo soltanto la partenogenesi delle opinioni luna dalle altre!), ma questi rapporti sociali non comprendevano ancora, nella loro concettualizzazione, la cono- scenza di alcune fondamentali modalit della riproduzione com- plessiva delle societ storiche. La dialettica marxiana  dunque identica filosoficamente a quella hegeliana, e si differenzia soltanto per una proposta di ca- tegorie concettuali che includono la desiderabilit e la fattibilit del comunismo come spirito oggettivo nei rapporti fra gli uo- mini. In modo non scorretto il filosofo italiano Enrico Berti la definisce in termini di polarit di opposti in correlazione es- senziale. La dialettica, infatti, non pretende e non impone che gli opposti si uniscano in una sintesi definitiva e pacificata (che non pu essere altro che Dio, oppure  ma  la stessa cosa  la Fine della Storia!), ma chiede soltanto che essi vengano sempre considerati nella loro correlazione essenziale. Ci che per Berti non dice, e che a questo punto aggiungiuamo noi,  che lessenzialit della correlazione fra opposti polari in un mo- do di produzione caratterizzato dallantagonismo dei rapporti sociali  la contraddizione. La contraddizione, a sua volta, non ha bisogno di essere pensata come un Uno che si scinde in Molti (Colletti), o come i Molti che si ricompongono in Uno (Vatti- mo), ma le basta l'essere considerata come la modalit di esi- stenza storica di antagonismi risolvibili. Risolvibili, certo, non una volta per tutte e per sempre, ma semplicemente in una di- 169 mensione storica, culturale e politica del presente (il presente come storia, per dirla alla Sweezy). Colletti e Vattimo non ci aiu- tano, e nello stesso tempo non ci stanchiamo di riproporne la lettura a tutti coloro cui il marxismo interessa, perch si tratta di pensatori veramente eserzplari per capire come #on bisogna in- tendere la dialettica. Come vedremo nel prossimo capitolo, lat- teggiamento verso la dialettica influenza anche il modo di conce- pire l'economia, che molti superficialmente considerano una di- sciplina non filosofica per eccellenza. 170 IX Le idee marxiste e l'economia Un divorzio inevitabile Nel primo capitolo della prima parte di questo saggio abbia- mo gi rilevato che gli economisti di professione tendono ad avere un cattivo rapporto con la teoria marxiana del valore, per- ch o ne ignorano la dimensione qualitativa e si arrestano alla sostanza del valore ignorandone la forma, oppure ne colgo- no anche laspetto formale a fianco di quello sostanziale ma lo li- mitano poi soltanto alla circolazione, alla forma di merce e quin- di al mero feticismo della merce. La ripresa dopo il 1945 della discussione sul rapporto fra marxismo ed economia, sia sul ver- sante della storia economica (pensiamo ad Emilio Sereni), sia su quello della teoria economica (pensiamo a Giulio Pietranera), presenta aspetti di innegabile interesse, su cui per non ci sof- fermeremo in questa sede. Qui vorremmo segnalare, invece, a fianco della tipica figura di Antonio Pesenti (e chiariremo do- ve stia, a nostro avviso, la sua tipicit), le due tendenze fonda- mentali della discussione teorica italiana a proposito del rap- porto fra marxismo ed economia, quella risalente a Piero Sraffa e quella che fa capo a Claudio Napoleoni. La letteratura critica secondaria a proposito di Sraffa  gi- gantesca, e chi scrive, che non  economista di formazione e per- ci non pretende di dominare un continente teorico tanto vasto, non ne ha che sfiorato lo spessore. In questa sede, abbiamo pre- ferito insistere sul fatto che la lettura neoricardiana di Marx fatta da Sraffa non ha come conseguenza soltanto l'inserimento (o il reinserimento) di Marx nella catena degli economisti classici, con esclusione rigorosa e totale di tutte le (presunte) fumisterie hegeliane, ma finisce con il produrre una conseguenza pratica ancora pi importante, la doppia legittimazione del marxismo 171 cos interpretato presso il sapere universitario sull'economia, in primo luogo, e presso il sindacalismo salarialistico e conflittuali- stico, in secondo luogo. Il marxismo, riconciliato con lecono- mia, diventa cos utilizzabile sia per diventare rispettabile nei convegni e nei concorsi universitari di economia (dal momento che laspirapolvere neoricardiano toglie ogni pi piccolo granel- lo di logica dialettica hegeliana), sia per compilare dispense sin- dacali di sinistra, in cui con lausilio delle quattro operazioni di aritmetica risulta chiaro che il profitto e il salario, sommati in- sieme, sono inversamente proporzionali alla rendita, oppure che il profitto e il salario sono inversamente proporzionali. Tut- to ci d luogo a nostro avviso ad un vero e proprio neoricardi- smo, espressione teorica della pi totale economicizzazione del conflitto di classe, che a sua volta si divide in una variante di destra alla Sylos Labini (che abbiamo definito come la lotta di classe della grande borghesia contro la piccola borghesia), e una variante di sinistra sindacalistico-conflittualistica alla scuola di Modena (che abbiamo definito come la lotta di classe parallela della classe operaia contro la piccola borghesia stessa). La dis- soluzione di questa corrente comporta a nostro avviso anche la fine di qualunque residua comunit di economisti di sinistra. Pi interessante  invece il caso, per molti versi opposto, di Claudio Napoleoni. Mentre gli sraffiani cercano di curare il marxismo con dosi massicce di economia (il malato soffre di anemia filosofica? Diamogli allora una cura da cavallo di econo- mia, per via rettale, endovenosa e intramuscolare!), Napoleoni si rende conto progressivamente che lo schiacciamento eccessi- vo del marxismo (e di conseguenza del comunismo di cui il mar- xismo vuole essere la teoria) sulloggetto ed il metodo delleco- nomia politica ne pu significare la fine. Questo porta a un inevi- tabile divorzio, in cui per i due coniugi sembrano non avere imparato nulla dalla loro cattiva esperienza, perch l'economia, ritornata single, persevera nel suo neoricardismo pi sfrenato, mentre il marxismo, ridivenuto anche lui single, si riqualifica il- lusoriamente come innocua filosofia del disagio e dellalienazio- ne. 172 La conciliazione classica di Antonio Pesenti Chi scrive  un filosofo di formazione, che non intende certo spacciarsi per esperto di economia marxista; la sua formazione economica  a suo tempo avvenuta sul Marzale di Antonio Pesen- ti, che resta a tutt'oggi un insuperato capolavoro di sistematicit e di equilibrio nellinsegnamento dell'economia politica. Se per ri- cordiamo qui Pesenti, non  certo per ragioni biografiche, che il lettore ha diritto di ignorare. Chi leggesse oggi il Manuale di Eco- nomia Politica di Pesenti (e riteniamo ne valga ancora la pena) sa- rebbe introdotto in un mondo concettuale che ha di fatto creduto di poter conciliare la nozione di lavoro produttivo in Marx con la nozione di lavoro produttivo in Smith e Ricardo, oltre che natural- mente la teoria del valore-lavoro con la teoria dei prezzi di produ- zione.  questa che noi chiamiamo conciliazione classica. Come  ovvio Pesenti conosce perfettamente le differenze specifiche fra Marx, Smith, Ricardo, Malthus, Keynes, eccetera, e nello stesso tempo la sua concezione di lavoro produttivo  quella della pro- duzione di beni materiali, in un'ottica che vede nel capitalismo una tendenza alla stagnazione e nel socialismo un irresistibile im- pulso verso lo sviluppo. Pesenti  in questo senso un economista pienamente togliattiano e storicista: la classe operaia  il fulcro di un'alleanza antimonopolistica che pu unificare tutti i ceti medi produttivi e lintellettualit tecnico-scientifica; il keynesismo e lo stato del benessere sono certamente qualcosa di interno al sistema economico capitalistico, e nello stesso tempo contengono elemen- ti di socialit e di socializzazione delle forze produttive che il co- munismo potr ereditare. Si tratta di una concezione del rapporto fra marxismo ed economia che trova nel polacco Lange il rappre- sentante forse pi noto, e che Pesenti ha il merito di rappresentare degnamente in Italia, prima dell'arrivo della generazione di eco- nomisti che vorremmo situare sotto letichetta dal conflittuali smo al compatibilismo. La conciliazione ricardiana di Piero Sraffa La concezione dell'economia politica di Pesenti era a nostro avviso incompatibile con le regole logiche della corporazione 173 universitaria degli economisti. Essa prevedeva esplicitamente la teoria della forma e della sostanza del valore (anche se poi la pri- ma non era trattata: ma questo verr fatto dallallievo pi dotato di Pesenti, Gianfranco La Grassa), ed in pi cercava anche di  amministrare dignitosamente caposaldi della teoria economi- ca marxiana, come la trasformazione dei valori in prezzi, lau- mento della composizione organica del capitale e la caduta ten- denziale del saggio di profitto. Con il libro famoso di Piero Sraffa, invece, la trasformazione del plusvalore in sovrappi  compiuta, e lo sfruttamento pu fi- nalmente diventare una nozione fisica, o meglio fisicamente esprimibile, che presenta il vantaggio di diventare rappresen- tabile, finalmente rappresentabile, sia per la comunit accade- mica degli economisti che per la corporazione dei sindacalisti. In questa sede non intendiamo affrontare lo spinoso problema del ruolo di Sraffa, gi amico di Antonio Gramsci e figlio spiri- tuale degli anni Venti, allinterno del dibattito economico italia- no. Nel nostro paese c una vasta gamma di posizioni, che van- no da continuatori espliciti di Sraffa (come Pierangelo Garegna- ni) a suoi nemici teorici palesi (come Gianfranco Pala). Chi scri- ve non  in grado di scendere sul terreno tecnico degli argomenti strettamente economici pro o contro Sraffa. Sul piano filosofico  invece utile ricordare che le problematiche di Marx e di Ricar- do sono assolutamente non confrontabili, perch hanno un di- verso oggetto, e di conseguenza un diverso metodo. Per Ricardo il lavoro astratto  semplicemente lavoro in generale, lavoro omogeneo, che pu dare luogo a redditi differenziati come il sa- lario, il profitto, linteresse e la rendita, redditi che vengono tutti prodotti dal lavoro astratto stesso. Per Marx il lavoro astratto non esiste a priori, e vi  soltanto un processo di astrattizzazione crescente del lavoro, che comporta il passaggio dalla sottomis- sione formale alla sottomissione reale del lavoro al capitale. Marx non  dunque a rigore un vero successore degli economisti classici, perch non tratta il loro stesso oggetto, che  invece lo stesso che tratter John Stuart Mill, cio la neutralit della pro- duzione dei beni e l'eventuale non-neutralit della distribuzione delle merci. In Marx non  possibile distinguere economia e tec- 174 nologia, cos come non  del resto possibile distinguere econo- mia e politica (a differenza di come fa Norberto Bobbio). In Sraffa il capitale non  un rapporto sociale, ma  un rapporto economico. Detto pi precisamente, la socialit  ricavata dalle- conomia stessa, esattamente come avviene nel rispecchiamento ideologico della realt da parte della corporazione degli economi- sti di professione. Si pongono perci simultaneamente le condi- zioni per pensare la realt economica in termini di unit di conflit- tualit e di compatibilit: da un lato, infatti, si pu finalmente rico- noscere apertamente che non esiste mano invisibile o armonia nella retribuzione equa dei tre fattori produttivi originari (terra, lavoro e capitale), e che la retribuzione effettiva  invece determi- nata dai rapporti di forza generali fra agenti economici collettivi; dall'altro non si pu contestualmente non riconoscere che la cre- scita del sistema economico nel suo complesso, laddove si pongo- no problemi di crisi e non solo di equa distribuzione,  determina- ta da ferree compatibilit, che assumono allora il carattere delli- nesorabile necessit, la stessa che nel medioevo veniva riservata a Dio, e soltanto a lui (ed  per questo che chi scrive ha ripetuta- mente sostenuto che l'economia politica ha una struttura teorica teologica, che secolarizza in un linguaggio produttivo-distributivo il vecchio lessico religioso della teodicea). Chiedersi, dunque, se Sraffa sia marxista o no, di destra o di sinistra, eccetera,  assolutamente insensato. Con la sua ripro- posizione del neoricardismo Sraffa pone lunit di conflittuali- smo e di compatibilismo, al punto che tutti coloro che si chiedo- no ansiosamente dove siano finiti gli economisti di sinistra so- no a nostro avviso fuori strada. Sul terreno della scienza econo- mica non esistono economisti di sinistra, cos come non esistono anestesisti, fattucchiere, professori di greco e di latino, autisti e piloti di destra o di sinistra. Sylos Labini e la lotta di classe della grande borghesia contro la piccola borghesia Abbiamo rilevato che lincompatibilit fra Marx e Ricardo  assoluta. Nel primo caso, si ha una teoria della totalit delle rela- 175 zioni sociali sulla base dei rapporti di produzione. Nel secondo caso, si ha una teoria delle risorse produttive e della spartizione della torta che residua dalla razionale combinazione di queste stesse risorse produttive. Sulla base dellottica ricardiana, o neoricardiana, o socialista-ricardiana, si ha soltanto una confi- gurazione di lotta fra salario e profitto, alleanza di salario e pro- fitto contro la rendita, oppure alleanza di profitto e rendita con- tro salario.  il regno delladdizione e della sottrazione. In ter- mini hegeliani,  la sovranit dellintelletto astratto. In termini collettiani,  la rivincita delle opposizioni reali contro le con- traddizioni dialettiche. Le lotte operaie degli anni 1969-73 si rappresentarono in que- sti sciagurati termini. Abbasso la rendita! Viva i salari! Abbasso il profitto! Viva il reddito come variabile indipendente! Tutti i sindacalisti impararono il dialetto ricardiano, infinitamente pi . semplice della lingua marxiana. Si trattava, ovviamente, del ri- flesso culturalmente subalterno di qualcosa di molto serio, il sa- crosanto riequilibrio salariale che colmava almeno in parte la penalizzazione della condizione operaia tipica del primo door della fine degli anni Cinquanta. Lideologia dominante non era ovviamente quella del comunismo, ma quella della proletarizza- zione universale come valore cosmico-storico: eskizzo al posto di loden, cortei al posto di tavolini da caff, scontri con i fascisti e la polizia il sabato pomeriggio al posto degli scontri fra tifosi ultras la domenica pomeriggio, Ricardo al posto di Heidegger. In questo pittoresco scenario, in cui sembrava ci fossero sol- tanto capitalisti e operai, e dunque ricardianamente e sraffiana- mente soltanto profitti e salari, l'economista universitario Sylos Labini ebbe la pensata geniale di pubblicare un piccolo ed esplosivo saggio sulle classi sociali in Italia, continuamente riag- giornato negli anni successivi, in cui era invece registrata lin- quietante presenza di una galassia variopinta di ceti medi, com- mercianti, impiegati, statali, parastatali, eccetera. Si trattava, na- turalmente, della scoperta dellacqua calda, che per  spesso effettivamente celata da coloro che ce l'hanno a quelli che devo- no lavarsi la mattina spezzando i lastroni di ghiaccio. Sulla spin- ta operaia, effettivamente, si innestarono gloriosamente studenti 176 che non volevano pi fare esami di maturit difficili, statali desi- derosi di andare in pensione dopo pochi minuti di servizio, ec- cetera. Questo fenomeno non deve essere spiegato con categorie moralistiche, dal momento che si tratta di qualcosa di assoluta- mente fisiologico e strutturale: la grande borghesia volle co- scientemente la neutralizzazione politica della piccola borghesia accontentandola sul piano notmativo e salariale, in modo che la saldatura con la classe operaia non potesse avere conseguenze socialiste o comuniste. Tutto qui. Questa situazione ebbe in Sylos Labini il suo primo critico ap- passionato. A nostro avviso Sylos Labini  un esempio luminoso della lotta di classe ideologica della grande borghesia contro la piccola borghesia, di coloro che guadagnano venti milioni al mese contro quelli che ne guadagnano due o tre, dei veri ric- chi contro gli impiegati, dei baroni universitari contro i maestri elementari. Questa lotta di classe contro la microborghesia melmosa in nome delle virt imprenditoriali del grande capita- le e soprattutto delle grandi banche  a nostro avviso una delle cose pi merdose che esistano (e vorremmo che il lettore notas- se che per la prima ed ultima volta in questo libro usiamo voluta- mente unespressione tanto volgare), in quanto si manifesta ge- neralmente con lamenti in nome dei veri poveri, degli ultimi, dei disoccupati, degli operai onesti e frugali, eccetera. Gente abitua- ta a possedere yachts privati se la prende con gli impiegati che vogliono andare in vacanza ad ogni costo, in una dinamica de- menziale che vede, purtroppo, quella che chi scrive definisce la sindrome dei capponi di Renzo in cui, come nei Prozzessi Spo- si, i vari comparti del lavoro salariato e dipendente si azzuffano tra loro sotto gli occhi divertiti dei veri ricchi: abbasso i metal- meccanici, che fanno il secondo lavoro il pomeriggio, gridano i commercianti! Abbasso i commercianti, che non pagano le tas- se, gridano gli insegnanti! Abbasso gli insegnanti, che hanno troppe vacanze e non soffrono abbastanza, gridano gli operai! Bisogna dare atto a Sylos Labini di aver saputo genialmente so- stituire la marxiana lotta di classe con il conflitto fra il produtti- vismo virtuoso della grande borghesia e il corporativismo vi- zioso della piccola borghesa. Si tratta di qualcosa che ci ricorda 177 irresistibilmente le risse nei sa/oons del Far West, in cui ubtiaco- ni inveterati si picchiano fino a rotolare esausti sotto i tavoli, mentre restano in piedi i grandi allevatori pronti ad andare la mattina presto a farsi assegnare le terre gratuitamente. Il sindacalismo neoricardiano e la lotta di classe della classe operaia contro la piccola borghesia Il discorso fatto a proposito di Sylos Labini si applica a nostro avviso molto bene a sindacalisti neoricardiani come Bruno Trentin, erroneamente considerato per anni da tutti gli ingenui come persona veramente di sinistra. Il sindacalismo italiano  un iceberg gigantesco, in cui migliaia di distaccati dal lavoro fanno carriera alla faccia dei loro colleghi rimasti in fabbrica e in ufficio. Le contestazioni riservate ai sindacalisti dalle piazze ita- liane nel settembre e nellottobre del 1992, in occasione di quei: provvedimenti del governo Amato che hanno aperto la via a uno smantellamento del welfare state in Italia sono state purtroppo a nostro avviso qualcosa di rumoroso, ma anche di storicamente del tutto inefficace, perch non si  mai veramente vista la forza e la capacit collettiva di delegittimare i sindacati statalizzati e go- vernativi e di costruire sindacati alternativi. Gettare bulloni  un atto di estrema subalternit, infinitamente meno efficace di quanto lo sia voltare le spalle e andarsene.  invece utile cercare di capire le ragioni teoriche di fondo sia del cosiddetto tradi- mento sindacale sia della estrema subalternit sociale delle classi salariate. I sindacalisti neoricardiani sognano un mondo di salariati da rappresentare per leternit, e sanno molto bene che i loro desti- ni sono strettamente intrecciati a quelli dei capitalisti: capitale e lavoro salariato sono infatti termini polari della stessa realt, op- posti della stessa unit. AI tempo di Ricardo e dei socialisti ri- cardiani inglesi del 1830 si parlava molto di lotta contro la ren- dita fondiaria, ma oggi lepoca delle Corn Laws  finita. Oggi la rendita  finanziaria, ma  anche talmente intrecciata al profitto dimpresa da far apparire ingenuo e irrealistico il modello di una 178 societ basata su due soli redditi: profitti e salari. Di fronte a fol- le di operai di fabbrica inferociti per l'attacco al potere dacqui- sto dei loro salari, per la prospettiva di altri anni di lavoro prima di potere andare in pensione, per la paura di ammalatsi in una situazione di privatizzazione e di assicurazione privata della sa- nit, la corporazione dei sindacalisti neoricardiani ha una sola possibilit: deviare questa ira sacrosanta verso obiettivi di co- modo, limpiegato, l'insegnante, il piccolo commerciante, latti- giano che tira avanti con i denti un lavoro indipendente. . Si realizza qui lunit dialettica della lotta di classe della gran- de borghesia e della classe operaia contro la piccola borghesia, ma si realizza nella forma della manipolazione e dellinganno della classe operaia stessa. In questo scenario in cui donna Su- sanna Agnelli parla a nome dei giovani disoccupati contro il ra- gionier Fantozzi, si realizza a nostro avviso lapoteosi della scienza economica come scienza integralmente e pienamente ca- pitalistica: le leggi di riproduzione del capitale (come rapporto sociale di produzione e non certo come semplice somma di de- naro da risparmiare) si manifestano come apparente naturali- t di forze cui  vano e impossibile opporsi. La sinistra trema al pensiero di essere rozza e arretrata e di non conoscere a sufficienza l'economia, e corre verso la sua distruzione come fanno i buoi che trotterellano verso il macello. Nel rarefatto mondo dell'economia, in cui vent'anni fa il profitto appariva co- me residuo e limite del salario, oggi il salario appare come resi- duo e limite del profitto, mentre si ricostituisce un gigantesco esercito industriale di riserva di giovani disoccupati e di im- migrati extra-comunitari che non chiede di meglio che di diven- tare forza-lavoro salariata. La conflittualit cede alla compatibi- lit, e quelli che un tempo erano i giovani economisti rampanti di sinistra del neoricardismo (scuola di Modena, Michele Salvati, eccetera) sono oggi i consiglieri della moderazione salariale e normativa e dellaccettazione dei tristi vincoli dellaccumulazio- ne e del suo rilancio. Dal punto di vista teorico tutto ci si pu compendiare in un solo modo: la colpa di tutto questo sta nel- lingenuit, nellignoranza o nella malafede di chi insegn e cre- dette che Smith, Ricardo, Keynes e Marx abbiano parlato delle 179 stesse cose con le stesse categorie concettuali e allinterno dello stesso oggetto scientifico. Claudio Napoleoni e la dissoluzione delleconomia politica Abbiamo rilevato che la visione neoricardiana del mondo, trasformando il rapporto di produzione in relazione produtti- vo-distributiva, e unendo strettamente conflittualismo e compa- tibilismo, giunge ad una forma di platonismo industriale: al posto del platonico Bene, la sinergia fra Profitto d'Impresa e Mediazione Sindacale; al posto dei filosofi-re e della loro legitti- mazione a governare in base alla conoscenza della dialettica, commissioni di burocrati, industriali e sindacalisti legittimati a governare in base alla conoscenza delleconomia. Questa conce- zione del mondo  orribile, e si manifesta infatti in personalit intolleranti e nevrotiche. In alcuni suoi rappresentanti (pensia- mo ancora a Bruno Trentin) vi  anche una particolare insistenza nella critica al finalismo, cio nella critica a qualunque tentati- vo di trascendimento della societ capitalistica. In breve: un ri- torno a Bernstein, in cui il Fine  nulla, ma anche il Movimento non  pi gran cosa. Con Claudio Napoleoni si entra in un altro mondo, ideale e morale. Napoleoni  un raro esempio di economista-filosofo, cio di economista che riflette sui fondamenti ultimi della sua triste scienza, e che non si limita a recepirla dogmaticamente ripetendone i rituali. Mentre la maggioranza degli economisti si interessa al marxismo esclusivamente nella prospettiva di una teoria dei prezzi di produzione o di una teoria delle crisi, Napo- leoni, che pure conosce benissimo entrambi questi argomenti,  particolarmente attratto dalla teoria marxiana dellalienazione, che interpreta alla Colletti come teoria di un mondo rovesciato in cui tutto ci che  natura  ormai decaduto, e valuta alla Se- verino come teoria che ha preso atto del fondamentale nichili- smo della follia dell'Occidente. Da un punto di vista economi- co, Napoleoni ritiene che le due teorie marxiane della crisi e dei 180 prezzi di produzione non siano in grado di dimostrare scientifi- camente n il crollo necessario del capitalismo n lo sfruttamen- to delluomo sulluomo. Da un punto di vista filosofico, invece, il marxismo  impareggiabile nel descrivere lo spaesamento del- luomo contemporaneo in un mondo che egli stesso ha costruito ma che  diventato itriconoscibile, al punto tale da poter ripete- re con Heidegger che solo un Dio pu salvarci. Questa frase heideggeriana pu essere tradotta marxisticamente in questo modo: ci aspettavamo la salvezza (comunista) da un soggetto collettivo salvatore; ma il soggetto collettivo salvatore non esi- ste; non lo  la classe operaia (come pensavano Korsch, Panzieri e gli operaisti); non lo possono essere i poveri e gli emarginati (terzomondismo, teologia della liberazione); non lo pu essere il partito, perch si burocratizza e si corrompe irresistibilmente; non lo pu essere neppure il gerera/ intellect e lintellettualit tecnico-scientifica (Antonio Negri); siamo dunque finiti: se non c' un Soggetto, solo un Dio pu salvarci. Il fatto  che il comunismo non pu essere fatto da Soggetti, ma solo da soggettivit. Napoleoni capisce assai bene la diffe- renza fra critica dell'economia politica (Marx) ed economia po- litica critica (Ricardo, Keynes, Sraffa), e non cade dunque nel pacchiano errore del 95% dei suoi colleghi economisti, per cui questa elementare distinzione  un segreto chiuso da sette sigilli. Dopo aver capito questo, per, interpreta la critica dellecono- mia politica marxiana come teoria dellalienazione generalizzata e del soggetto che deve liberarci da questa alienazione stessa. Vediamo in questo un residuo filosofico di cattocomunismo. Non  certo il cattocomunismo consociativo di Rodano, ma  pur sempre cattocomunismo nel senso che il marxismo  tradot- to in un linguaggio religioso: caduta e redenzione, soggetto in- carnato che salva dallo stato di generale peccato. In una simile visione, che Napoleoni radicalizz fino al mo- mento della sua morte, non c posto n per l'economia politica n per la critica ad essa. Come abbiamo visto, questultima  ri- definita in termini di soggetto e di alienazione; la prima, invece,  costretta a tornare sempre sulle orme mille volte calpestate del neoricardismo, che  economia politica critica soltanto nel 181 senso che prende atto dellinesistenza delle armonie economi- che e della impossibilit di determinare la giusta retribuzione dei fattori produttivi per il solo intermediario del mercato. Si riapre cos quel vizioso eterno ritorno del sempre eguale passag- gio dal conflittualismo al compatibilismo, e poi ancora al conflit- tualismo e poi ancora al compatibilismo.  questo il circolo vi- zioso della ciclicit capitalistica dell'economia, che vede eterna- mente una sinistra conflittualistica sostituire provvisotiamen- te una destra compatibilistica, e viceversa. Se le cose stessero veramente cos, allora non basterebbe sospirare heideggeriana- mente: solo un Dio pu salvarci!. Bisognerebbe dire aperta- mente: Che Dio ci aiuti!. 182 X Il dibattito marxista internazionale e lItalia Un rapporto faticoso Esistono ragioni strutturali, di lunga durata, che hanno're- so per decenni assolutamente irricevibili stimoli culturali (0, co- me si dice oggi con linguaggio telematico, inputs culturali) pro- venienti dal grande dibattito marxista internazionale. A prima vista, questa sembra un'affermazione esagerata e paradossale. In fondo, non sono state numerose le traduzioni e gli studi critici su di esse? Certo, sono state numerose le prime e numerosi i se- condi. Ma qui non si parla del fatto banale che la gente sia entra- ta in libreria per comprare e per leggere Sweezy e Bettelheim, Adorno e Bloch, Althusser e Lukacs, o abbia affollato dibattiti in cui si parlava di loro. Qui si allude al fatto che il funzionamen- to storicista della prima sinistra e lideologizzazione operai- sta della seconda rendevano itricevibile qualsiasi discorso che scuotesse i fondamenti rispettivi dello storicismo e delloperai- smo. Il principio fondamentale del rapporto fra cultura e politi- ca (vero e proprio equivalente ideologico delleinsteiniano E=MC?)  questo: una innovazione teorica  irricevibile se il suo destinatario politico e sociale  irriformabile. Chi scrive  con- vinto da tempo che la dialettica di irricevibilit e irriformabilit debba essere messa al centro dellanalisi delle idee, che in caso contrario resta dolorosamente sovrastrutturale. Abbiamo dunque scritto questo capitolo sulla base metodolo-  gica di cinque fondamentali irricevibilit: il dibattito sulla natu- ra sociale dell'URSS  irricevibile perch  incompatibile con il mantenimento del mito del socialismo come rottura irreversibi- le con il sistema capitalistico, mito necessario per la coesione mi- 183 litante dei membri dei partiti comunisti storici novecenteschi; l'accoglimento della scuola di Francoforte e di Adorno  impos- sibile, perch laccettazione sincera della psicoanalisi e della cri- tica alla personalit autoritaria  incompatibile con le modalit sado-masochistiche della militanza e dellappartenenza ad un partito patriarcale; l'accoglimento di Bloch  impossibile, per- ch il doppio esame blochiano del giusnaturalismo borghese ri- voluzionatio e del messianesimo religioso apocalittico  incom- patibile con la strategia delle alleanze con laici e cattolici, che non devono essere inquietati e provocati ricordando loro le ra- dici eversive della loro stessa tradizione; l'accoglimento di Al- thusser  impossibile, perch la distruzione althusseriana di sei colonne ideologiche portanti del marxismo comune (lumanesi- mo, lo storicismo, leconomicismo, il triplice mito dellOrigine, del Soggetto e del Fine)  assolutamente incompatibile con la re- ligione di partito, base ineliminabile di quella triplice risorsa sistemica costituita dalla identit, dalla appartenenza e dalla militanza; infine, e soprattutto, l'accoglimento di Lukcs  im- possibile, perch la proposta della ontologia dellessere sociale al posto dello storicismo o del materialismo dialettico non  un semplice suggerimento filosofico, ma  qualcosa di incompatibi- le con una filosofia di partito, dal momento che il destinatario di questa proposta  direttamente il genere umano, cio la somma delle differenze delle libere individualit integrali senza partito. Abbiamo voluto insistere molto su questa quintupla irricevi- bilit, perch lirricevibilit politica e sociale  la premessa onto- logica fondamentale dellaccoglimento accademico e universita- rio. I due destinatari sono infatti inversamente proporzionali. La cultura universitaria, saggistica e specialistica segue infatti il principio capitalistico della frammentazione, e la sua manifesta- zione normale, e non patologica,  composta di temi come que- sti: la passeggiata pomeridiana di Kant a K6nigsberg come pre- messa dellimpetativo categorico; lo schizzo di fango in Van Gogh; gli incubi notturni di Cavour in rapporto al mazzinianesi- mo; lamore platonico fra visione e palpeggiamento; la pulitura delle lenti in Spinoza come etica della professionalit, eccetera. Assicuriamo il lettore di non stare affatto scherzando, ma di 184 conservare, come Buster Keaton, la faccia serissima. Linnova- zione teorica  irricevibile, quando il suo destinatario politico e sociale  irriformabile, e nello stesso tempo la sua neutralizza- zione culturalistica  fortemente probabile quando esiste un mercato solvibile per essa. La grande questione: la natura sociale dell'URSS Che cosa  stata l'URSS nei settantaquattro anni che vanno dal 1917 al 1991? Capitalismo o socialismo? Dittatura del proleta- riato o stato operaio degenerato? Modo di produzione asiatico modernizzato o collettivismo burocratico? Rivoluzione tradita o primo tentativo comprensibilmente imperfetto di fuoriuscita dal capitalismo? Si tratta di questioni appassionanti, che tocca- no il cuore del marxismo, e che dovrebbero essere discusse con la passione del comunista, ma anche con la spregiudicatezza ga- lileiana di chi  disposto anche ad ammettere che la realt pu andare contro i nostri desideri soggettivi, e che bisogna preferi- re come nelle analisi mediche la crudele verit alle diagnosi cari- tatevoli ma fuorvianti. Il dibattito internazionale sulla natura sociale dell'URSS  sta- to a nostro avviso un modello inarrivabile di controversia teori- ca seria, superiore a tutti gli effetti a dibattiti precedenti molto famosi, come quello fra Bernstein e Kautsky su revisionismo e ortodossia. In questo caso, infatti, si ha a che fare con un discor- so che mira direttamente alla centrale nozione matxiana di mo- do di produzione, una nozione che non tollera manipolazioni tattiche di politica spicciola, e che deve essere tematizzata senza nessun pietoso riguardo per i pregiudizi edificanti del militante devoto alla linea. Nel corso di alcuni decenni, questo dibattito internazionale ha espresso alcune posizioni esemplari, tutte ar- gomentate in modo ricco e articolato: il belga Mandel ha ripro- posto la vecchia tesi trotzkista della rivoluzione tradita e dello stato operaio burocraticamente degenerato; il tedesco Bahro ha riformulato in modo nuovo lipotesi del suo connazionale Witt- fogel sulla persistenza del modo di produzione asiatico in con- 185 dizioni inedite di sviluppo industriale accelerato; il francese Bettelheim, definendo la rivoluzione del 1917 come la grande illusione del Novecento, ha analizzato URSS come un partico- lare tipo di capitalismo burocratico di partito, in cui la propriet statale dei mezzi di produzione e la pianificazione economica dello sviluppo delle risorse non hanno fatto venir meno le leggi generali di riproduzione del modo di produzione capitalistico nel suo complesso, che non si manifestano al livello delle forme giuridiche o economiche della propriet e del mercato, ma al li- vello della riproduzione della divisione sociale e tecnica del la- voro complessivo; l'americano Sweezy ha sostenuto la posizione per cui l'URSS non  stata una societ socialista nel senso di Marx, ma nello stesso tempo non  stata neppure mai una socie- t definibile come capitalistica, perch la mancanza del nesso mercato-propriet privata impedisce di assimilarla ai normali capitalismi imperialistici novecenteschi, che hanno infine ripor- tato la vittoria su di essa nel 1991. Chi scrive sostiene una teoria intermedia fra quella di Sweezy e quella di Bettelheim. Riteniamo infatti che l'URSS sia stata una societ politicamente non capitalistica, in cui  stato fatto uno sforzo reale e non fittizio per il superamento del capitalismo (e pertanto la rivoluzione del 1917 ron pu essere definita come una grande illusione), ma in cui nello stesso tempo non si  mai riusciti a superare le leggi profonde di riproduzione del modo di produzione capitalistico (effettivamente incardinate nel processo di divisione del lavoro sociale), a causa del domi- nio globale mondiale del capitalismo stesso. Una societ sociali- sta cresciuta sotto l'egemonia esterna del capitalismo, insomma; qualcosa di simile al capitalismo medioevale nel Trecento che dovette infine cedere, con la rifeudalizzazione del Quattrocento, al dominio globale europeo del feudalesimo. In questa sede, co- munque, le opinioni di chi scrive non presentano alcun interes- se, mentre  giusto ricordare che ci furono molti saggisti e stu- diosi italiani che hanno portato i loro contributi a questa discus- sione (da Maitan a Rizzi, da Bongiovanni a Catone, da Bordiga a La Grassa). Ci che invece vale la pena rilevare  che questa di- scussione non pot 47 superare lo sbarramento inesorabile che 186 ha diviso per decenni piccoli gruppi di appassionati dal pi va- sto popolo militante di sinistra. Questo popolo voleva certezze, non dubbi, bandiere, non punti interrogativi. Oggi tutto questo  in un certo senso ormai sorpassato, salvo che in un punto es- senziale.  infatti aperta una discussione, italiana ed internazio- nale, sulle ragioni profonde del crollo dell'URSS nel triennio 1989-91 e sulla corretta interpretazione da dare alla figura di Gorbaciov, non tanto perch sia veramente interessante la figu- ra umana di questo burocrate senza principi, quanto perch re- sta parzialmente incomprensibile la natura delle forze sociali (0, se si vuole, della base di massa e della base di classe di queste forze sociali) che hanno promosso, o subito, questo smantella- mento politico-sociale. C' da sperare che la discussione sulle ragioni storiche di fondo sul crollo dell'URSS sia pi produttiva della discussione sulla sua natura, anche se ovviamente le due questioni sono strettamente connesse. Adorno in Italia fra apocalissi e integrazione Le ricostruzioni storiche sulla scuola di Francoforte, da quel- la di Jay a quella di Wiggershaus, insistono sulla estrema diso- mogeneit dei suoi componenti; solo una radicale, scorretta semplificazione pu tenere insieme il messianesimo di Benjamin e il pessimismo schopenhaueriano di Horkheimer, il freudismo libertario di Marcuse e la saggistica hegeliana di Adorno, la teo- ria della pianificazione del capitale di Pollock e la riformulazio- ne della liberaldemocrazia di Habermas. Da un punto di vista rigorosamente storiografico, chi scrive  daccordo con chi so- stiene che la scuola di Francoforte non esiste come insieme dotato di caratteristiche veramente unitarie, e che  molto me- glio studiare separatamente tutti coloro che con essa hanno avu- to a che fare. Il discorso cambia se dallaccurata valutazione storiografica dei singoli autori si passa al francofortismo come atteggiamento mentale e come tessuto culturale di riferimento. Cesare Cases ha ragione di rilevare, a distanza di pi di trent'anni, che la tradu- 187 zione dei Minima Moralia da parte di Renato Solmi nel 1954  stata un avvenimento culturale rilevante, dal momento che si trattava di qualcosa di incompatibile con lo storicismo domi- nante. Pi esattamente Cases scrive: Uno dei motivi della for- tuna dei francofortesi fu che la Scuola, e in particolare il pensie- ro e lopera di Adorno, rappresentava unalternativa di sinistra allegemonia del PCI... chi aveva a disposizione solo il marxi- smo appoggiato dal PCI, una volta che la fiducia verso questo partito veniva a mancare si ritrovava spiazzato...  significativo che gente come Lucio Colletti, fin da principio molto mal dispo- sto verso Adorno, sia poi passato senza remore nel campo av- versario, sia diventato cio anticomunista, mentre quelli come me e Fortini, che hanno avuto un punto di riferimento nella Scuola di Francoforte, hanno resistito meglio alla crisi del co- munismo di tanti marxisti pentiti. Riteniamo che Cases colga qui un punto essenziale. Abbiamo gi rilevato nel sesto capitolo, a proposito di Luporini e Timpa- naro, che si pu benissimo essere comunisti rifacendosi pi a Leopardi che a Marx, e dunque non c nulla di strano nel fatto che Cases o Fortini si dicano pi francofortesi che marxisti. Le etichette hanno veramente poca importanza.  invece interes- sante rilevare che lirricevibilit profonda, strutturale, del fran- cofortismo in Italia, non stava tanto in dettagli anche interessanti quali latteggiamento verso Hegel o Nietzsche (pochi hanno rile- vato che molti francofortesi hanno cercato di conciliare. questi due pensatori, considerati in generale come assolutamente in- compatibili), quanto nel fatto che la proposta di conciliare mar- xismo e psicoanalisi (perch questa , in soldoni, la sua proposta di fondo) era qualcosa che non poteva neppure essere preso in considerazione da parte di chi fondava la propria legittimit po- litica ed elettorale su modalit fideistiche di partecipazione su- balterna e di appartenenza comunitaria. Si sarebbe trattato di una vera e propria rivoluzione antropologica, e le rivoluzioni antropologiche sono ben pi profonde e decisive dei mutamenti di linea politica. Vi  qui a nostro avviso il problema della cru- cialit di Herbert Marcuse, un autore che crediamo sar in futu- ro molto rivalutato, per il fatto di aver posto con nettezza alme- 188 no quattro problemi filosofici essenziali: la natura rivoluziona- ria della dialettica hegeliana, e la radicale inopportunit di stac- care troppo Hegel da Marx; la specificit del marxismo sovieti- co come formazione ideologica assolutamente distinta dal pen- siero di Marx; la necessit di criticare il neopositivismo come forma filosofica tipica del capitalismo moderno; lindispensabi- lit, infine, di fare una lettura libertaria ed antiautoritaria della psicoanalisi, e di legarla ad un marxismo rinnovato radicalmen- te. Di fronte a queste quattro questioni, il tema degli errori teori- ci di Marcuse (che furono a nostro avviso numerosi) passa in se- condo piano. AI posto di questo (impossibile) incontro, ci fu spesso soltan- to linterminabile chiacchiera fra apocalittici e integrati. Era Adorno lannunciatore dellintegrazione irreversibile dellindi- viduo borghese nel tritatutto capitalistico, livellatore delle diffe- renze? Era Adorno lultimo profeta ebraico, che annunciava l'avvento delle apocalissi prossime venture compitamente vesti- to da pianista tedesco colto? Domande oziose, che venivano po- ste in assenza dei veri problemi che restavano invisibili. Bloch in Italia fra profetismo e accademia Le traduzioni di Ernst Bloch (ma a tutt'oggi mancano scanda- losamente in lingua italiana i suoi lavori sulla storia dellutopia, sul giusnaturalismo rivoluzionario, sulla storia del materiali smo) hanno costituito in Italia piccoli cenacoli di blochiani entu- siasti, che si comportano spesso come gli gnostici del tardo im- pero romano, fieri di possedere una conoscenza dalla quale la maggioranza  irrevocabilmente esclusa. La lingua di Bloch  difficile e oscura, perch si fonde in essa la tecnica espressiva dellespressionismo tedesco con la tradizione ermetica e neopla- tonica. In filosofia Bloch rappresenta il perfetto equivalente di chi in politica  definito spregiativamente un cane sciolto. Egli  provocatoriamente al di fuori di qualunque appartenenza teo- rica di cordata, e resta il modello ineguagliabile di un rappor- to individuale fra lintellettuale-filosofico del Novecento e il co- 189 munismo. Abbiamo gi rilevato nel secondo capitolo di questa seconda parte che Sartre, che  generalmente considerato come il massimo esempio novecentesco del rapporto tra filosofo indi- pendente e comunismo politico, stabilisca in realt questo rap- porto su di una modalit esterna al lavoro filosofico, quale  len- gagement, o impegno, e abbiamo anche affermato che le mo- . dalit esterne, esistenzialistiche, danno luogo a una cultura di sinistra assai pi che a una cultura marxista. Il rapporto con il marxismo, in filosofia, non pu fondarsi su principi esterni alla questione della fondazione teoretica del comunismo, a meno che appunto si decida (ma allora bisogna dirlo apertamente) che si preferisce privilegiare Leopardi o Epicuro piuttosto che Marx. Bloch ha vissuto novantadue anni (dal 1885 al 1977) mostran- dosi capace di una attivit filosofica che resta a nostro avviso prodigiosa. In questa sede non intendiamo soffermarci analiti- camente su quelli che sono i punti preferiti dai blochiani di stret- ta osservanza, come la scelta per una dialettica unitaria della na- tura e della storia (e dunque per Schelling contro Hegel) oppure per una fondazione utopica del comunismo, contro ogni cor- rente fredda di tipo positivistico. Chi scrive non condivide n la prima n la seconda, ritenendo Schelling un ispirato confusio- nario rispetto alla sobriet dialettica di Hegel, e soprattutto con- siderando lutopia qualcosa da cui tenersi lontani per il suo ca- tattere organicistico, comunitario-costrittivo e regolativo. In questa sede, per,  opportuno chiedersi perch una valanga rossa come Bloch sia rimasto in Italia un masso etratico noto a pochi raffinati, laddove i contenuti del suo pensiero avrebbero potuto scardinare pregiudizi consolidati e mefitici della tradi- zione italiana. Abbiamo ovviamente risposto da soli alla nostra stessa do- manda. Bloch  rimasto irricevibile appunto perch avrebbe scardinato queste pigre rendite di posizione. La spartizione fi- losofica italiana, duplicazione teorica della spartizione tangen- tizia fra comunisti, socialisti, laici e cattolici, prevede che venga- no ferreamente stabiliti i confini in filo spinato fra il comunismo (Gramsci e Togliatti), il socialismo (Nenni e Turati), i laici (Mazzini e Croce), e i cattolici (Sturzo e De Gasperi). Bloch en- 190 tra in questa spartizione tangentizia come un elefante in un nego- zio di cristallerie. Nella sua concezione marxismo, illuminismo e religione si incrociano in mille accoppiamenti peccaminosi. Se ci fosse Norberto Bobbio, direbbe certamente: Non si capisce pi niente! Chiamate i pompieri, che rimettano a posto le dico- tomie giuste, prima che sia troppo tardi!. Nella concezione blochiana, che  appunto lesatta antitesi della concezione della filosofia di Abbagnano e di Bobbio, lintero universo filosofico  riclassificato. Da un lato, solo lateo diventa un vero credente, perch solo il ribelle al Dio dei sacerdoti pu accogliere il mes- saggio profetico e apocalittico di una religione identificata con l'escatologia. Dall'altro, il marxismo viene invitato a incorpora- re organicamente il giusnaturalismo rivoluzionario borghese e giacobino, come fonte ben pi importante e decisiva delle- conomia politica inglese (e chi scrive ha fatto notare nel capitolo precedente che effettivamente il socialismo ricardiano, vertice massimo della scuola inglese di economica classica,  del tutto incompatibile con il tema marziano del comunismo come supe- ramento della forma di valore del lavoro). Cadono nella propo- sta blochiana le distinzioni stucchevoli e fittizie fra atei e creden- ti (cio fra signori che credono in un demiurgo stellare che sfug- ge ai migliori telescopi, e signori che invece pensano con Monod che il caso  sufficiente per spiegare Bush e le oloturie, Gorba- ciov e i canguri, De Michelis e gli spinaci). Non resta pietra su pietra, nella proposta blochiana, delledificio mirabilmente co- struito delle distinzioni fra democrazia formale e sostanziale, borghese e proletaria, capitalistica e operaia (dal momento che il grande giusnaturalismo moderno ha fondato una volta per tutte il nesso inscindibile fra formalit garantistica e contenuto eman- cipatorio delleguaglianza). Come tutti i grandi innovatori, Bloch  un grande riclassificatore, ed  appunto per questa ragione che il suo profetismo resta fuori nella pioggia a gridare inascoltato, mentre possono fiorire indisturbati i commenti eruditi sui suoi fecondi rapporti con figure minori, ma significative, della co- munit eschimese in Mozambico o dell'emigrazione politica bir- mana in Guatemala. 191 Althusser in Italia fra teoria e politica Nella sua recente e sconvolgente autobiografia, pubblicata postuma, Louis Althusser si mostra a nudo, e rivela al mondo in- tero di essere stato matto come un cavallo. Per chi ha avuto mo- do di conoscerlo personalmente, come lo scrivente, questa lettu- ra  un dolore quasi fisico. Il suo allievo forse pi noto nel mon- do, che  anche amico di chi scrive, ci ha detto che gran parte di ci che si legge sono menzogne, ma questo non cambierebbe a nostro avviso lessenziale della questione, perch la menzogna  sempre anche la segreta verit di chi la dice, dal momento che vi sono evidentemente ragioni profonde nellitresistibile im- pulso che spinge a comunicare agli altri fatti non veri. La gran- dezza filosofica di Althusser non cessa di stupirci, in particolare alla luce del crollo epocale dellesperienza del comunismo stori- co novecentesco. Egli seppe diagnosticare i difetti strutturali della sua ideologia portante con una tale acutezza e profondit, che a volte ci viene da pensare che la pazzia  forse un prezzo che i veggenti devono pagare per il successo delle loro prestazioni. Althusser diagnostic almeno sei difetti strutturali allo scafo della teoria comunista, ognuno dei quali avrebbe potuto bastare da solo al naufragio. In primo luogo, il suo Umanesimo, cio li- dea che sia sufficiente sostituire alla credenza in Dio la credenza nellUomo per rendere questultimo capace di vincere le aliena- zioni da lui stesso poste; un simile ateismo non  che apparen- te, perch ripropone sotto mentite spoglie una religione positi- vistica dell'umanit dietro la quale si nasconde il mito borghese e interclassista di unessenza naturalistica immutabile che costi- tuirebbe l'umanit stessa. In secondo luogo, il suo Storicismo, cio lidea che esista uno scorrimento omogeneo e cumulativo del tempo in cui si pu realizzare il progetto umanistico stesso con la sua fede nel progresso accrescitivo della coscienza morale e della conoscenza scientifica. In terzo luogo, il suo Economici- smo, cio lidea che lo sviluppo delle forze produttive, ossia del- la scienza e della tecnologia, farebbe esplodere semiautomatica- mente il vecchio involucro dei rapporti sociali di produzione: questi ultimi sarebbero classisti, mentre la tecnica sarebbe 192 neutrale. In quarto luogo, il mito dellOrigine, per cui la so- ciet deriverebbe da una sorta di unit primitiva la cui scissione semplice dovrebbe essere ricomposta, alla luce di una dialettica che si pensa come divisione dellUno in Molti e riunione dei Molti nellUno. In quinto luogo, il mito del Soggetto, che ipotiz- za un inesistente soggetto pieno che garantisce con il manteni- mento della propria identit iniziale la realizzazione finale del proprio progetto originario. In sesto luogo, il mito del Fine, che vede la storia precipitare in un punto, culmine e realizzazione perfetta di tutte le virtualit contenute in potenza nella propria essenza. Consideriamo questa critica althusseriana alla metafisica del movimento operaio la cosa pi geniale che si possa leggere dopo Spinoza ed Hegel. Nello stesso tempo, Althusser rilutta e recal- citra nellammettere a se stesso di pensare una cosa del genere, perch vorrebbe conciliare questa sconvolgente innovazione con il mantenimento della militanza e dellappartenenza abituale al partito comunista. Si tratta di una situazione veramente schi- zofrenica (che pu diventare paranoica se si ritiene che queste proposte non vengono accettate per disistima nei nostri con- fronti, laddove non possono chiaramente essere accettate da qualunque organizzazione che voglia mantenersi nella vecchia forma collaudata). In pi, Althusser propone queste sei scon- volgenti innovazioni allinterno di due involucri che ci sem- brano francamente inaccettabili. In primo luogo, Althusser propone di definire lo statuto filo- sofico del marxismo in termini di materialismo dialettico, cio di epistemologia e di teoria delle pratiche teoriche, e di mate- rialismo storico, cio di scienza marxista dei modi di produ- zione. Questa distinzione ci sembra blandamente schizofrenica: il comunismo dovrebbe infatti essere ricavato scientificamente dalla causalit strutturale dei modi di produzione, mentre la filosofia dovrebbe asceticamente ridursi ad epistemologia. In questo modo il massimo di scientismo positivistico si unisce al massimo di misticismo classistico, perch le masse divente- rebbero portatrici immanenti di comunismo, mentre il pensiero avrebbe come unico compito quello di portare la lotta di classe 193 nel dibattito ideologico. Ma il comunismo  una filosofia, non una scienza o una ideologia. Lideologia  falsa coscienza neces- sariamente legata ad una appartenenza, mentre la scienza pu ri- specchiare dialetticamente la natura con teorie sempre migliori, ma non pu in nessun modo ricavare il comunismo, che  una modalit antropologica dellagire umano allinterno di una con- cezione cosmologica nuova del mondo (nel senso greco di co- smo-teorica, non certo nel senso puramente astrofisico del ter- mine). In secondo luogo, Althusser suggerisce continuamente che le sei modalit ideologiche sopra elencate risultano da una intru- sione borghese nel marxismo proletario, veri cavalli di Troia del capitalismo nel movimento operaio. Tutto ci ci sembra pa- ranoico. Queste sei modalit religiose di interpretazione del mondo e della storia, lungi dallessere borghesi (la borghesia  filosoficamente molto pi disincantata, basta leggere Heideg- ger e Max Weber), sono schiettamente e genuinamente proleta- rie. Si tratta dei dogmi della religione di identit, militanza ed appartenenza di partito. Il militante deve potersi pensare come rappresentante dell'Umanit, alleato della Scienza e della Storia, membro di unorganizzazione che non cambia di natura nel pas- saggio dal Passato al Futuro, realizzatore del Sol dellAvvenire che render finalmente gli uomini liberi ed eguali; perch do- vrebbe, se no, fare i sacrifici pazzeschi che il comunismo storico novecentesco ha sempre gratuitamente richiesto ai suoi aderen- ti, a meno che si pensi che li facciano per permettere ai loro rap- presentanti di viaggiare in aereo, di mangiare in ottimi ristoranti e di andare in pensione con trattamenti eguali a quelli di un diri- gente dindustria capitalistica? Althusser mostra qui che anche Omero talvolta dormicchia, come dicevano gli antichi, e che  sempre difficile essere all'altezza delle proprie stesse scoperte. La ricezione italiana di Althusser fu comunque migliore di quella di Bloch cui si  sempre accennato. Da un lato, si aprirono certamente inconcludenti dibattiti sullo strutturalismo, sulla differenza fra Marx e Hegel, e sullinfluenza di Bachelard o di Lacan. Dallaltro lato, per, lalthusserismo si rivel essere lo strumento filosofico privilegiato per smontare definitivamente il 194 palco tarlato dello storicismo marxista italiano, anche se, ovvia- mente, era ormai troppo tardi negli anni Settanta e Ottanta per poter seriamente pensare di riformare un destinatario politico e sociale assolutamente e pervicacemente irriformabile. Lukdacs in Italia fra continuit e rifondazione Chi scrive ritiene, pacatamente ma fermamente, che Lukcs sia stato il pi grande filosofo marxista del periodo storico du- rato settantaquattro anni, cio dal 1917 al 1991. Non faremmo una tale impegnativa affermazione se non ci sentissimo in grado di motivarla con ragioni squisitamente teoretiche, e non solo storiografiche. Le motivazioni storiografiche, quando si parla veramente di filosofia, contano come il due di picche a briscola, cio poco. Le motivazioni teoretiche, invece, illuminano il deli- catissimo rapporto fra le astrazioni ideali che il filosofo produce senza poterle mai verificare o falsificare con le procedure che la scienza mette a disposizione degli scienziati (e che dal tempo di Galileo in poi sono sempre e solo due: matematica ed esperi- mento) e le astrazioni reali prodotte dalle forze che agiscono in un modo di produzione. Lukcs  grande perch tent, negli anni Venti, di fondare la filosofia del comunismo nellunit astratta fra soggetto e ogget- to, cio fra proletariato e svolgimento della storia universale; e fu ancora pi grande perch si accorse autonomamente di esser- si sbagliato, si corresse con unautocritica gradevolmente equili- brata, e propose infine negli anni Sessanta una nuova versione filosofica del comunismo in termini di ontologia dellessere so- ciale. Non sappiamo sinceramente se ammirare di pi questo piccolo ungherese attivo a Vienna, Berlino, Mosca e Budapest per la sua intelligenza filosofica oppure per la sua capacit di au- tocorrezione in un mondo di presuntuosi che non ammettono mai di essersi sbagliati. Chi scrive, in breve, ritiene che effettiva- mente la migliore forma filosofica possibile del discorso comu- nista sia proprio lontologia dell'essere sociale, e che la grandez- za di Lukacs stia proprio nellaverla ricavata dalla critica filoso- 195 fica delle forme teoriche precedenti (cos come avviene del resto in tutta la storia della filosofia: Platone nei confronti dei sofisti; Aristotele nei confronti di Platone; Spinoza nei confronti di Cartesio; Kant nei confronti di Hume e di Leibniz; Hegel nei confronti di Kant, Fichte e Schelling; Marx nei confronti di He- gel, Feuerbach e Smith). Luk4cs ritiene infatti di poter criticare lo storicismo alla fonte, cio in Hegel (attribuendogli intenzioni teleologiche che logicizzano indebitamente la storia), e il mate- rialismo dialettico alla fonte, cio in Engels (attribuendogli la scorretta identificazione della libert con la coscienza della ne- cessit). Si compie in questo modo una mossa filosofica strategica, che si contrappone alle due principali forme fallaci di filosofia mar- xista novecentesca senza con questo sposare il punto di vista an- timarxista del Novecento, che Luk4cs connota genialmente co- me solidariet antitetico-polare fra neopositivismo ed esisten- zialismo (cio fra rappresentazione tecnico-neutrale dei rappor- ti sociali capitalistici, pensati come naturali e immodificabili, in- tegrati da una compensazione morale ed esistenziale come pro- testa, a priori impotente, contro la loro dolorosa immodificabi- lit). La proposta era assolutamente geniale, anche se era del tutto irricevibile, essendo fatta ad un destinatario irriformabile. La fi- losofia di Lukacs si rivolgeva al genere umano ed al suo unico possibile correlato, la libera individualit moderna, saltando insiemi ontologicamente fittizi e provvisori come lo Stato, il Par- tito e la Classe. Questa era ovviamente la ragione fondamentale per lirricevibilit di Lukcs. Credere che un Partito-Stato po- tesse non dico adottare, ma anche soltanto prendere in benevola considerazione una proposta che dava al Genere e allIndividuo la titolarit del comunismo equivale a pensare che la chiesa cat- tolica possa fare un catechismo fondato sul libero esame e sulle- quiparazione del papa all'ultimo fedele della terra. Nello stesso tempo, la proposta di Lukcs presentava a nostro avviso alcuni difetti di struttura che la indebolivano, e che nello stesso tempo riflettevano la sua contraddittoriet sociale (cos come Althusser voleva riformare dallinterno il comunismo occidentale di op- 196 posizione, cos Luk4cs voleva riformare dall'interno il comuni- smo orientale di governo). In primo luogo, Lukcs parla esplicitamente di perseguimen- to della genericit per-s come fine del comunismo storico. Ma il per-s, a nostro avviso, non esiste. Perch il per-s possa esiste- re, infatti, bisogna presupporre un in-s che diventa appunto un per-s dopo essere dialetticamente uscito fuori-di-s. Chi scrive ritiene che questa sia pura mitologia. Hegel aveva certo il diritto di presupporre lin-s, perch appunto la rappresentazione borghese del mondo, da Marx correttamente connotata come ideologia, riteneva di realizzare la Ragione nella Storia. Marx eredita questo linguaggio hegeliano, perch appunto ritiene che la Classe Operaia, o Proletariato, sia appunto lin-s il quale, at- traverso la dolorosa odissea del fuori-di-s, cio della lotta di classe, raggiunger alla fine il per-s, cio il comunismo. Ma questa  a nostro avviso pura mitologia, basata sul paralogisma della confusione tra classe filosofica dei proletari e classe socio- logica dei salariati. Lukcs non esce a nostro avviso da questo in- cantesimo triadico, perch non esiste a nostro avviso una generi- cit in-s da realizzare con il comunismo. Per dirla con Althus- ser, che su questo punto ci azzecca, questo  mito dellOrigine. Il fatto  che n Luk4cs n Althusser vogliono ammettere lipotesi del mantenimento della possibilit del comunismo anche in as- senza della titolarit rivoluzionaria della classe operaia-proleta- riato, ritenendo evidentemente traumatica l'ammissione che, co- s come in tutti i modi di produzione che hanno preceduto il ca- pitalismo (antico-otientale, asiatico, schiavistico, feudale) le classi oppresse ron sono state quelle che li hanno rovesciati, ep- pure essi sono stati rovesciati lo stesso, analogamente nel capita- lismo pu benissimo avvenire un fenomeno analogo: il capitali- smo vetr superato, ma non verr superato da nessuna classe in- s che diventa per-s, cos come non esiste nessuna genericit in- s che debba diventare per-s. In secondo luogo, Lukfcs ritiene di poter proporre lontolo- gia dell'essere sociale come forma filosofica del discorso marxi- sta mantenendo bobbianamente le due dicotomie di razionali- smo e irrazionalismo e di materialismo e idealismo. Questo a no- 197 stro avviso  assolutamente impossibile. Da un lato,  vero che il razionalismo vero  qualcosa che incorpora la dialettica come sua forma essenziale, ma  anche vero che lo spettro dellirrazio- nalismo che questa polarit dicotomica fuorviante necessaria- mente evoca finisce con il non far capire che il razionalismo non dialettico (positivismo, eccetera)  mille volte pi irrazionali stico di Nietzsche o di Heidegger, non solo, ma addirittura del- la stessa astrologia. Dall'altro, se si comprende bene che il pro- blema dellEssere Ideale non  altro che lastrazione dell'Essere Materiale, che non  per nulla la materia, ma lunit del lavoro sociale complessivo a sua volta diviso contraddittoriamente a seconda dei vari modi di produzione, cade qualunque necessit di separare i materialisti come Epicuro o Feuerbach dagli ideali- sti come Platone e Hegel, e questa separazione appare proprio come priva di senso, perch il vero problema diventa quello di comprendere le modalit empiriche concrete del nesso fra unit e separazione del lavoro sociale complessivo del genere umano presente sul pianeta terra. Negli anni Ottanta si form in Italia una piccola comunit di filosofi marxisti di orientamento lucacciano (chi scrive ne fece pure parte). Da essa non venne fuori assolutamente nulla di in- novativo, perch mancavano del tutto i presupposti politici per passare dalla teoria alla prassi, cio dallautocoscienza astratta allazione sociale. Si tratt, alla luce del senno del poi che oggi  facile avere, dellultimo sussulto di un dibattito filosofico che non aveva ormai pi n committenti materiali n destinatari ideali, e che chiudeva in modo non del tutto inglorioso una sta- gione di confronti teorici appassionati, che abbiamo cercato in queste pagine di rievocare con simpatia, anche e soprattutto quando lo abbiamo fatto con intenzione fieramente critica. Pri- ma di finire per questa rievocazione del passato, ci permettere- mo di aggiungere un undicesimo capitolo in cui delineeremo ti- midamente alcune linee di pensiero ricostruttivo, che affidiamo ai giovani come destinatario essenziale di quanto siamo andati fino ad ora dicendo. 198 XI Linnovazione nella tradizione Un discorso delicato Giunti quasi al termine della seconda parte di questo saggio, il lettore critico potrebbe pensare che siamo stati troppo severi. A questo saggista, dir, non gli va proprio bene niente! Per ogni pensatore individualmente esaminato, osserver, c' una critica specifica che ne investe il nucleo teorico pi intimo e profondo. Dopo una simile girandola di critiche, si potrebbe avere quello che un tempo abbiamo sentito battezzare come leffetto val- zer, cio lo stordimento e il giramento di testa dopo aver molto roteato danzando. Si tratta dello stesso effetto causato dai vecchi manuali di storia della filosofia, gi presi di mira da Hegel, per cui si legge una disordinata filastrocca di opinioni casuali, alla fi- ne delle quali si approda a un robusto scetticismo e relativismo. In breve: dal momento che tanti cervelloni e cos insigni sapien- toni non hanno saputo mettersi daccordo fra di loro, ogni opi- nione  in fondo eguale a qualunque altra, lultimo che arriva ha sempre ragione per il semplice fatto che arriva alla fine, e anzi per favore lultimo spenga la luce e chiuda la porta! Chi scrive spera di non aver comunicato questo messaggio. A suo tempo Marx parl, nella sua prefigurazione scherzosa di un mondo basato sulla rotazione delle attivit umane, di un mondo di cacciatori, pescatori e critici critici. Questa ripetizione del termine, critico-critico, ci ha sempre fatto pensare. Anche nella teoria pura, infatti, il momento critico si giustifica sulla base di un ulteriore momento propositivo. In questo caso, il momento critico  tale perch  motivato, basato su ragionamenti comprensibili, che aprono verso un possibile orizzonte di riforma dei paradigmi concettuali.  infatti proprio questo il nostro intendimento. In questa seconda parte, nei capi- 199 toli uno e due, abbiamo criticato la prima sinistra, e nei capitoli tre e quattro, la seconda sinistra, in cui ci siamo formati sul pia- no generazionale e politico. Nel quinto capitolo, che continuia- mo a considerare centrale, pur non accogliendo per nulla la logi- ca complessiva del pensiero di Bobbio, Del Noce e Severino, abbiamo ritenuto pienamente legittimo il loro sacrosanto ap- proccio critico. A proposito della filosofia, abbiamo detto che la povert della proposta storicista  tale, da fare preferire inevita- bilmente una fondazione in termini di antropologia solidaristica leopardiana. A proposito della scienza, abbiamo sostenuto che il comunismo moderno di Marx, che non vuole fondarsi sulla previsione regolativa, non  e non pu essere in alcun modo una scienza. A proposito della dialettica, abbiamo visto come i due approcci critici di tipo razionalista e irrazionalista non siano in realt che uno solo, tendente a sacralizzare filosoficamente il pluralismo capitalistico delle differenze. A proposito delleco- nomia, abbiamo osservato che il marxismo non pu essere pen- sato n come capitolo di storia dell'economia politica classica n come momento di contrapposizione antropologica globale al- lintero mondo dell'economia stessa. A proposito della tradizio- ne cosmopolitica del marxismo, infine, abbiamo rilevato che nessuna tradizione straniera si  mai robustamente acclimata- ta nel nostro panorama teorico nazionale. Tutta questa lunga storia, per, non  certo stata un luogo di rovine, di ignoranza, di fraintendimento. Sarebbe questa, lo vogliamo qui ripetere an- cora e ancora, una visione paranoica della storia del marxismo. La vicenda storica complessa e drammatica del comunismo sto- rico novecentesco ha prodotto, contestualmente agli eventi poli- tici, un ampio complesso di soluzioni teoriche alternative, che devono essere tutte storicizzate e collocate nel loro contesto, per poter essere poi capite e spiegate. A questo punto, per, non sarebbe corretto congedarsi dal lettore senza proporgli la segnalazione di alcune posizioni teori- che italiane che ci sembrano migliori di altre, e da cui almeno partire. Chi scrive naturalmente ha le sue posizioni, ma sarebbe grottesco e di cattivo gusto andare oltre la critica immanente fino ad ora condotta pet entrare nel merito di proposte alterna- 200 tive. Questo  stato gi fatto e sar ancora fatto in altro luogo. In questa sede, invece, ci limiteremo a ricordare alcuni autori, mol- to meno noti di molti fino ad ora citati, ma a nostro avviso supe- riori per la qualit teorica della loro impostazione. Essere in- giusti  inevitabile. Nello stesso tempo, per, si giustifica qui pienamente il termine di cattivi maestri. I cattivi maestri non sono quelli che insegnano a fabbricare le bottiglie Molotov, o quelli che hanno la parola violenza sempre in bocca. I cattivi maestri possono anche essere persone mitissime, portatrici per di concezioni veramente alternative e realmente eversive di radi- cate e consolidate visioni del mondo. Chi scrive ha conosciuto, per fare un semplice esempio, persone che distribuivano volan- tini terribilmente rivoluzionari e antiborghesi davanti alle fab- briche, e nello stesso tempo, in quanto professori universitari di filosofia e di scienze sociali, ritenevano del tutto normale inter- rogare i propri studenti sui manuali di Abbagnano o di Bobbio, quintessenza estremamente distillata di una concezione capitali- stica del mondo. Costoro, per esempio, non sono certamente cattivi maestri. I veri cattivi maestri sono quelli che cercano di infrangere le regole culturali del gioco al livello pi profondo, non quelli che dicono di essere di sinistra anzich di destra. Essi sono per fortuna numerosi. Per non frastornare per il let- tore con troppi nomi ci siamo limitati a segnalare due casi a no- stro avviso esemplari, il primo in rapporto alla concezione gene- rale della filosofia e della storia, il secondo in rapporto pi spe- cificatamente al marxismo. Un rinnovatore filosofico: Massimo Bontempelli Massimo Bontempelli  un professore pisano che ha scritto otto volumi di storia generale e di storia della filosofia, in cui so- no contenute novit teoriche qualitative che non si trovano presso autori ben pi noti e affermati. Ne ricorderemo qui sol- tanto quattro, che riteniamo basilari per una ricostruzione di un paradigma culturale comunista coerente. In primo luogo, Bontempelli ha scritto una storia generale ba- 201 sata esclusivamente sulla nozione marziana di modo di produ- zione, e in particolare sul processo non teleologico di genesi, sviluppo, fioritura, contraddizioni specifiche e tramonto dei modi di produzione sociali. Una simile impostazione  assoluta- mente eversiva, in un paese che vuol essere la patria degli stori- ci, e in cui gli storici vengono distinti in progressisti e conserva- tori esclusivamente in base ai giudizi di valore che danno sui personaggi e sulle classi. Certo, riteniamo pi corretto parlare male di Mussolini piuttosto che parlarne bene, cos come rite- niamo sacrosanto dare un giudizio etico e politico inesorabile su Hitler e il nazismo. Tutto questo  ovvio, e nello stesso tempo non  che il 10% del problema. Il rimanente 90%, quello pi im- portante e quello di cui nessuno parla mai, consiste invece nel far comprendere bene, storicamente e dialetticamente, il funzio- namento oggettivo, inesorabile dei modi di produzione, e del perch da essi nascono personaggi come Alessandro il Grande e Gorbaciov, Savonarola e Garibaldi, Lenin e Caio Gracco, Spar- taco e Robespierre. Chi si impadronisce di questo sapere  vac- cinato dalle sciocchezze alla Fukuyama sulla fine della storia, e non resta schiacciato psicologicamente dal collasso del comuni- smo storico novecentesco. Per coloro che sono allenati a consi- derare il processo storico in termini di successione di modi di produzione, il comunismo non  mai unopinione di estrema sinistra contrapposta ad altre opinioni, ma  un possibile modo di produzione edificabile mondialmente in un futuro non trop- po lontano a partire da un certo modo di gestire le contraddizio- ni oggettive del modo di produzione capitalistico. In breve: il pensare in termini di storicit dei modi di produzione  il solo modo di essere alternativi al pensare in termini di opinioni di si- nistra contro opinioni di destra, opinioni progressiste contro opinioni conservatrici, e cos via continuando in questo scioc- chezzaio alla Bouvard e Pcuchet. In secondo luogo, Bontempelli ha il merito di aver raccolto e riproposto (anche se non ne  stato linventore) lipotesi genea- logica sulla nozione di Essere, chiave di tutto il pensiero filosofi- co occidentale che il capitalismo ha mondializzato, in termini di astrazione categoriale della unit della produzione sociale, da 202 cui risulta anche che il Non-Essere non  che lastrazione catego- riale della arbitrariet della distribuzione di beni e ruoli deri- vante dallo scambio delle merci e del denaro. Questa imposta- zione si contrappone sia a quella di un Severino o di uno Hei- degger, che colgono correttamente la crucialit ontologica della nozione di Essere in autori come Parmenide, ma non ne danno poi una spiegazione genealogica materialistica e dialettica, sia a quella di un Sohn-Rethel, che ne d invece una spiegazione ge- nealogica e dialettica, ma ritiene poi poco materialisticamente che lEssere rifletta lastrazione della merce e del denaro anzich riflettere lunit del lavoro sociale complessivo delle comunit politiche antiche (e infatti n Severino, n Heidegger, n Sohn- Rethel sono in grado di pensare veramente il Non-Essere se non come ettore, sbaglio, illusione, incantamento). La concezione dell'Essere in termini di unit del lavoro sociale complessivo, e del Non-Essere in termini di estraneazione e dissoluzione con- traddittoria di questa unit ha almeno due conseguenze incondi- zionatamente positive: in primo luogo, permette di comprende- re che loggetto specifico della filosofia del comunismo  pro- prio lEssere (o meglio, lessere sociale nella sua contradditto- riet immanente), cio lunit astratta del lavoro sociale com- plessivo, cui la teoria marxiana dei modi di produzione aggiun- ge tutta la ricca serie delle determinazioni specifiche differenzia- te; in secondo luogo, permette di superare la fuorviante e illuso- ria dicotomia di idealismo e materialismo, stabilita da Engels, recepita da Lenin e ufficializzata da Stalin, che a nostro avviso riflette soltanto l'illusione positivistica di una omogeneit di oggetto e di metodo fra la societ e la natura, come se lunit del lavoro sociale complessivo, le sue contraddizioni e le sue estra- neazioni fossero appunto omogenee alla natura-materia cos co- me essa  indagata dalle scienze empiriche e matematiche sorte a partire dal Seicento. In terzo luogo, Bontempelli ha popolarizzato unaccurata e storiograficamente convincente ricostruzione del Ges stori- co, cio di Ges di Nazareth (non dunque del Cristo, ma del- luomo Ges), in termini di purificazione comunista del tempio, e cio di riconquista materiale dell'unit egualitaria della produ- 203 zione sociale attraverso la mediazione profetica e messianica di un servo sofferente. Salta agli occhi il parallelismo fra questa lettura di Ges e la lettura di Parmenide sopra ricordata: lunit profonda fra religione e filosofia non viene argomentata, alla Hegel, in termini di rappresentazione e di concettualizzazione di un unico oggetto, lAssoluto, ma in termini di unit del lavoro sociale complessivo che la filosofia riflette in forma astrattizzata e la religione messianica invece persegue attivamente con il sa- crificio della morte. Limmortalit  cos il legittimo premio di chi vuole ricucire la scissione lacerante dellunit del lavoro so- ciale complessivo dilacerato in ricchi e poveri, sfruttatori e sfruttati. L'impostazione di Bontempelli  dinamite per tutti i cattocomunisti consociativi e cardinalizi, perch sostiene diret- tamente la natura comunista della predicazione di Ges, al di l della natura farisaica delle sinagoghe cattocomuniste. Siamo a conoscenza del fatto che in Italia la cultura marxista che si  oc- cupata del Ges storico (da Ambrogio Donini ad Umberto Ric- ca fino a Marcello Craveri) ha sempre preferito partire dalla so- stanziale non-storicit della sua vita, dal fatto cio che le fonti storiche sono ambigue e non risolutive, e che pertanto la natu- ra di Ges  assai pi un dato mitico e simbolico di quanto sia una fattualit reale scientificamente accertabile. La discussione ci ha sempre appassionato, ed  un peccato che non vi sia qui lo spazio di addentrarvisi. In breve, la nostra posizione  la se- guente: in primo luogo, ammettiamo che la storicit del Ges neotestamentario non  scientificamente accertabile al 100%, e che pertanto le argomentazioni scettiche di un Donini, di un Ricca o di un Craveri sono fondate ( fondato cio il dubbio, an- che radicale); in secondo luogo riteniamo fermamente che, ove si assuma lipotesi della storicit neotestamentaria, la sola lettura filologicamente plausibile  quella che legge in chiave comunista (ovviamente, comunista antico-orientale, non certo comunista moderna o comunista-marxiana!) la rivendicazione di un anno di misericordia del Signore da ottenere con una purificazione del tempio propiziata dalla testimonianza messianica e dal sacri- ficio di un servo sofferente. In quarto luogo, Bontempelli  uno degli studiosi che pi si  204 esposto nel sostenere non solo la somiglianza o lanalogia, ma la sostanziale identit del metodo dialettico in Hegel e in Marx (del metodo, non delloggetto, visto che in Marx l'oggetto  la stori- cit determinata dei modi di produzione, e in particolare il co- munismo come unit inscindibile di possibilit ontologica e di desiderabilit assiologica). A differenza di come molti pensano, lo stesso hegelo-marxismo tradizionale si  sempre tenuto ben lontano da una simile posizione, avendo sempre al massimo so- stenuto linnocua tesi dell'identit fra classe operaia e storia uni- versale. Chi invece accede (e molti vi hanno gi acceduto, come Lenin, che peraltro ha creduto di poter conciliare la dialettica di Hegel con il concetto engelsiano di scienza) alla comprensione della sostanziale identit fra Hegel e Marx, non pu pi cadere nellequivoco di confondere lepisterze dei greci, la Wissenschaft dei tedeschi e la science dei positivisti. Il comunismo  scienza del Bene, unit di matematica e di dialettica, non certo scienza in senso galileiano, newtoniano e darwiniano. Certo, il comunismo  sapere monomondano, e non certo platonico-bimondano, cos come  comunit egualitaria e non gerarchica. In forma estrema- mente abbreviata,  possibile dire questo: Galilei ed Hegel non sono conciliabili; il primo separa ontologia e assiologia (e ci  effettivamente possibile se si matematizza la natura e la si assio- matizza sulla base di procedure sperimentali riuscite), il secon- do le unisce; Marx segue necessariamente il secondo, perch la- zione associata degli uomini non  trattabile con le metodologie dellassiomatizzazione galileiana, e chi lo sostiene ricade in una forma di religione razionalistica dellintelletto astratto. Vi sareb- be, certamente, altro da dire su Bontempelli. Ma questi quattro punti bastano ed avanzano, a nostro avviso, per sostenere che egli  certamente un cattivo maestro, cattivo come ce ne sono pochi. Un rinnovato scientifico: Gianfranco La Grassa Se Bontempelli  un cattivo maestro, La Grassa  cattivissimo, diabolico, mefistofelico, infernale. In questo professore veneto 205 abbiamo infatti il massimo di innovazione che si presenta for- malmente come accurata, precisa, spesso pedante filologia mar- xiana e marxista. Dagli scritti di La Grassa non balzano fuori (come in quelli di Negri) allegri e polimorfi devastatori di super- mercati capitalistici che si servono senza pagare non pi di pane ma di caviale, oppure (come in quelli di Bordiga) schiere di pro- letari armati naturaliter bolscevichi. In essi troneggiano entit anonime e un po noiose, come la divisione del lavoro, lastra- zione delle categorie sociali, le transizioni capitalistiche, il capi- talismo lavorativo. Come  allora possibile, in mezzo a tanta astrattezza, essere veramente dei cattivi maestri degni di que- sto nome? Vediamo. Abbiamo gi rilevato che il paradigma marxista classico rischia di non poter sopravvivere al collasso epocale del fallimento dellassalto al cielo del comunismo storico novecen- tesco se non si mette nellottica di una coraggiosa riformulazione radicale, che non potr in nessun modo lasciare le cose come prima. Vi sono, in breve, almeno due punti in cui  necessario riformulare questo paradigma. In primo luogo,  bene confessa- re apertamente che il capitalismo non produce le soggettivit so- ciali che dovrebbero superarlo, dal momento che in nessun mo- do di produzione precedente le classi realmente sottomesse al suo funzionamento sono riuscite ad abbatterlo, e che in partico- lare la dinamica capitalistica  proprio quella della frammenta- zione dei soggetti e dei ruoli, e non certo quella della riunifica- zione o della omogeneizzazione. In secondo luogo,  bene rile- vare che la concezione marxiana del comunismo  ingenua, per- ch si basa su di una nozione naturalistica dei bisogni, come se gli stessi bisogni umani non fossero qualcosa di storicamente forgiato dal capitalismo stesso, e il comunismo potesse fornire a tutti beni posizionali eguali, ed esaudire per tutti gli inevitabili desideri differenziati delle libere individualit integrali (di qui nasce lidea utopistica secondo cui nel comunismo non vi saran- no pi n stato n mercato, e tutti potranno egualmente viaggia- re non solo fino a Vienna o a Parigi, ma anche fino a Giava e in Per, se lo vorranno). In breve: Marx  un comunista geniale e tuttora insuperato, ma le sue due teorie del capitalismo e del co- 206 munismo richiedono una sana revisione, peraltro fisiologica, se pensiamo che sono passati pi di cento anni. In un paese di reto- ri del marxismo, abituati a difenderlo avvocatescamente contro i suoi denigratori, La Grassa  un meccanico del marxismo, che ne smonta i pezzi e li sostituisce quando  necessario. Non c bisogno di essere un grande ingegnere per sapere che  meglio uno scassato macinino che funziona piuttosto di una fiammante fuoriserie immobilizzata con il suo motore inesorabilmente fuso. In primo luogo, La Grassa dimostra con unargomentazione analitica che la dinamica del capitalismo non  quella della omo- geneizzazione sociale e della produzione di soggetti eversivi bel- li e pronti (classe operaia, poveri del Terzo Mondo, intellettuali- t tecnico-scientifica, e via enumerando), che devono soltanto passare dallin-s al per-s, ma  una dinamica di frammentazio- ne.  questa la ragione, in breve, per cui  tanto difficile supe- rarlo; se il capitalismo semplicemente proletarizzasse sareb- be facile averne ragione, e basterebbe allora convincere i ceti medi recalcitanti che la proletarizzazione  un bene da accoglie- re con gioia, e non un male da evitare come la peste (come ha fat- to per quindici anni lestremismo sessantottino). La piena com- prensione della dinamica della frammentazione (che La Grassa studia soltanto in rapporto alla divisione del lavoro nella produ- zione industriale, laddove a nostro avviso la sua teoria funziona altrettanto bene nel mondo della produzione culturale)  per chi scrive la sola alternativa al ripudio del marxismo in direzione di teorie sistemiche che sacralizzano il capitalismo in nome della mitica complessit, che il sindacalismo neoricardiano rifor- mula a sua volta in chiave di compatibilit. Se il mondo, infat- ti,  infinitamente complesso,  necessario sforzarsi di compati- bilizzare le sue infinite parti; i sacrifici economici dei subalterni sono allora il prezzo inevitabile da pagare alla riproduzione compatibilizzata della complessit sistemica. Certo, La Grassa chiede un sacrificio dolorisissimo: il sacrificio della fede nel Soggetto, o meglio del soggetto bell'e pronto, regalatoci dal ca- pitalismo. Solo un maestro molto cattivo pu chiedere a dei poveri marxisti un sacrificio come questo, difficile da accettare anche perch i comunisti che sacrosantemente ancora resistono 207 non possono fare a meno di rappresentare i ceti economica- mente pi deboli e sfavoriti. Chi scrive  pienamente consape- vole di questa contraddizione, che per non ci sembra affatto devastante:  possibile, infatti, conciliare la piena assunzione politica della rappresentanza integrale dei gruppi sociali sfavo- riti (anche se  non dimentichiamolo mai  la rappresentan- za riproduce soltanto il capitalismo, e non fuoriusce mai da es- so) con la convinzione teorica dellinesistenza di soggettivit an- ticapitalistiche gi magicamente costituite. In secondo luogo, La Grassa connota il capitalismo con i due termini fondamentali di transizionale e di lavorativo. Il ca- pitalismo, da un lato,  un modo di produzione che presenta transizioni interne fortissime: ad esempio noi ci troviamo in una di esse, e il comunismo storico novecentesco  proprio stato sconfitto nel corso di questo delicato passaggio. Dallaltro, il ca- pitalismo non  solo sfruttamento, anzi non  neppure prevalen- temente sfruttamento: esso  in primo luogo lavoro, cio un modo di modellare globalmente la riproduzione sociale com- plessiva e di determinare lunit sostanziale di essa. Il comuni- smo, dunque, pu soltanto essere definito in termini di legame sociale alternativo, cio di ricostruzione globale non solo del mondo della distribuzione (da far diventare pi equa e meno ingiusta), ma soprattutto della riproduzione sociale comples- siva. Non si tratta dunque soltanto di lavorare meno, e di con- quistare cos tempo libero come tempo di vita (come propongo- no molti meritevoli teorici, di cui citiamo qui soltanto colui che a nostro avviso  il migliore, Andr Gorz); e non si tratta neppure soltanto di lavorare in modo diverso in fabbrica o in ufficio, ri- conquistando la ricchezza della professionalit artigiana perdu- ta (come hanno proposto altri ottimi teorici, di cui ricorderemo soltanto il pi dotato, Harry Braverman). Si tratta, pur tenendo conto delle legittime istanze di un Gorz e di uno Braverman, di andare oltre la dicotomia illusoria fra tempo di lavoro e tempo libero, per comprendere che la sfida comunista al capitalismo  ancora pi grande e difficile: il comunismo  un legame sociale complessivo radicalmente diverso dal legame sociale che unisce ferreamente insieme gli agenti della produzione capitalistica, sia 208 direttivi che esecutivi. Sarebbe facile e bello se il comunismo non fosse altro che un modo equo di distribuire i beni forniti dalla produzione sociale; basterebbe in proposito vincere le- goismo (e ce lavremmo gi fatta, visto che siamo gi riusciti ad andare sulla luna); le cose sono pi difficili, e La Grassa ha il me- rito di proporre un modello scientifico di modo di produzio- ne capitalistico che include espressamente questa difficolt anzi- ch occultarla (ed  questa la ragione per cui gli sono sempre sta- ti preferiti innocui chiacchieroni esistenzialisti, di sesso indiffe- rentemente maschile o femminile). Verso un nuovo paradigma comunista inedito ed inaspettato Le delicate innovazioni teoriche proposte da marxisti come Bontempelli e La Grassa sono a nostro avviso soltanto lantipa- sto di un banchetto che deve ancora essere nellessenziale im- bandito, se vogliamo che la crisi del marxismo sia produttiva di un salto di paradigma. Contro gli apologeti delleternit del ca- pitalismo, che ripetono che il marxismo  finito, irrevocabil- mente finito, e che appartiene ormai all'archeologia ideologica dell'Ottocento e del Novecento, molti marxisti e comunisti ri- masti tali si autoassicurano sostenendo che il comunismo ha cer- tamente avuto una crisi storica e un collasso politico, ma tutto questo non implica che vi sia stata una parallela crisi teorica: la teoria era giusta, ma  stata male applicata, e soprattutto gli uo- mini hanno tradito. Riteniamo questa posizione gravemente fuorviante, e abbia- mo scritto libri come questo con lesclusiva intenzione di con- trobatterla. In questo momento prevale certo unatmosfera cul- turale generale che non si aspetta una rinascita del marxismo. Se essa avverr, sar in buona patte inaspettata. Il problema fondamentale sta a nostro avviso nel fatto che tre grandi catego- rie di persone agiscono potentemente per rendere impossibile questa rinascita. In primo luogo, il ceto dei politici e dei sindaca- listi, che tendono irresistibilmente alla riduzione della com- 209 plessit sociale, e che non a caso stanno pilotando un passaggio dalla politica intesa come rappresentanza (che trova nel metodo elettorale proporzionale la sua forma naturale) alla politica in- tesa come spettacolo, manipolazione e decisione oligarchica contrattata fra lobbies finanziarie e mediologiche (che trova nel metodo elettorale maggioritario uninominale la sua forma natu- rale). In secondo luogo, il ceto dei professori universitari, questi sacerdoti della trinit formata dal Settorialismo, dalla Specializ- zazione e dalla Segmentazione del sapere, i quali si vantano tal- volta di non essere superstiziosi perch non credono in Allah o nella Trimurti ind, e poi credono che la totalit sociale si divida veramente nei campi separati dell'economia, del diritto, della sociologia, della filosofia, eccetera (superstizione, questa, di fronte a cui persino la dea fenicia Tanit era razionalismo puro). In terzo luogo, il ceto dei giornalisti, questi sacerdoti della trini- t formata dalla Chiacchiera, della Curiosit e dallEquivoco (per usare i termini impiegati da Heidegger nel 1927 in una sua insuperata formulazione), i quali sono ormai i portatori empirici dell'avvenuta sottomissione reale dellopinione pubblica al ca- pitale; opinione pubblica che (come intu il giovane Habermas non ancora del tutto riconciliatosi con il capitalismo)  oggi qualcosa di pienamente incorporato nei meccanismi generali della riproduzione capitalistica, e ha pertanto superato da tem- po quel livello di sottomissione formale indagato da un Balzac o da un Maupassant. Non ci illudiamo: politici, sindacalisti, professori e giornalisti faranno il possibile per impedire qualun- que rinascita del marxismo, e questo non perch siano cattivi o ben pagati (anche se, ovviamente, questo non guasta), ma perch il loro compito strutturale, organico,  proprio questo. Se la rinascita del marxismo sar inaspettata, la modalit della sua riformulazione radicale sar probabilmente inedita. Ripetia- mo qui per comodit del lettore cose che abbiamo gi detto nel corso di questo libro, dal momento che non vogliamo lasciarci * scappare nessuna occasione per insistere sui due termini di in- novazione e di paradigma. Per quanto riguarda il modello marxiano,  probabilmente fuorviante la sua riproposta nei vec- chi termini dellopposizione fra struttura e sovrastruttura. Il 210 primato della struttura non  stato infatti in passato corretta- mente inteso come primato del modo di produzione e delle sue leggi di riproduzione sulle formazioni economico-sociali (se infatti fosse questa la struttura, chi scrive sarebbe certamente per il pieno mantenimento del suo primato ontologico sulla so- vrastruttura), ma come primato dello sviluppo delle forze pro- duttive (intese come scienza, tecnologia, produttivit industria- le, da cui la sciagurata teoria antimarxista della cosiddetta rivo- luzione tecnico-scientifica), oppure come primato dei rapporti di produzione ridotti a puro scontro di classe (da cui tutti gli operaismi o i populismi che si occupano soltanto di come pren- dere il potere, e mai di come gestirlo veramente). Questa distin- zione era comprensibile in unepoca in cui il plusvalore relativo era meno importante del plusvalore assoluto, e in cui le forme culturali non erano ancora state realmente sottomesse al capita- le; ma con lavvenuta sottomissione reale delle sovrastrutture al- la struttura si verifica unintegrazione organica che sconsiglia la riproposizione dellopposizione nella sua vecchia forma. Per quanto riguarda la storia del marxismo, riteniamo fuor- viante la sua ricostruzione in termini di opposizione fra orto- dossia (Engels, Kautsky, Lenin, Stalin, Togliatti) ed eresia (Rosa Luxemburg, Pannekoek, Trotsky, Mao Tsetung, Panzieri, Ne- gri). Questa opposizione  spesso meramente politica, o storico- politica, e si limita a descrivere lo svolgimento delle scissioni e delle contrapposizioni fra maggioranze e minoranze, ma non en- tra quasi mai nel merito dei paradigmi teorici di riferimento, che quasi sempre erano comuni a ortodossi e ad eretici (Togliatti e Bordiga erano concordi nel negare al capitalismo la capacit di sviluppare le forze produttive, e Stalin e Trotsky concordavano pienamente sulla necessit di garantire al partito comunista un rigoroso monopolio politico nella transizione). Per quanto concerne, infine, il quadro filosofico fondamenta- le dove collocare la riformulazione del comunismo, abbiamo vi- sto in precedenza (e qui lo ripetiamo) che gran parte delle oppo- sizioni tradizionali deve essere radicalmente rivista.  fuorvian- te l'opposizione fra socialismo e comunismo, se essa viene intesa come separazione temporale fra i due momenti, con la conse- 211 guenza inevitabile di pensare il socialismo come regno dello sta- to e del mercato, ed il comunismo come regno dellesaudimento armonico di bisogni naturali in condizioni improbabili e utopi- che di comunit non statuali e di comunanze non mercantili.  fuorviante l'opposizione fra destra e sinistra, che mantiene una sua robusta legittimit quando la sinistra  ancora parzial- mente esterna all'omologazione nel sistema politico-culturale capitalistico, ma che la perde quando questultima ne diventa unappendice organica.  fuorviante l'opposizione fra progres- so e conservazione, che mantiene una sua robusta legittimit in presenza di residui precapitalistici, ma che la perde quando la generalizzazione capillare del legame sociale capitalistico fa di- ventare spesso la conservazione di comunit solidali e di valo- ri etico-politici non omologati migliore del progresso nellin- tegrazione subalterna.  fuorviante lopposizione fra laicismo e religione, che mantiene una sua robusta legittimit in presenza della pretesa feudale delle chiese di intervenire giuridicamente su comportamenti individuali in nome di dogmi rivelati, ma che la perde quando la forma prevalente di religione non  pi la fe- de nellesistenza di un demiurgo astronomico interstellare (che farebbe diventare il big bang un vero e proprio peto di Dio), ma  la credenza nellinesorabile destino dell'Economia capitali- stica e delle sue Leggi divinizzate.  fuorviante l'opposizione fra Borghesia e Proletariato, che mantiene la sua robusta legittimit in presenza dellalterit ottocentesca fra cappelli e berretti, tube e coppole, ma che la perde nella fusione novecentesca delle due soggettivit: fusione, questa, che fa a nostro avviso venir meno definitivamente la grande narrazione incentrata su soggetti pieni, che garantiscono con il mantenimento della loro identit iniziale la realizzazione finale del loro progetto originario, e an- che la grande rappresentazione basata sulla lotta interminabi- le fra due personaggi, luno ricco e antipatico, laltro povero e simpatico, con la populistica e illusoria vittoria finale del secon- do sul primo.  fuorviante lopposizione fra Classe Operaia e Burocrazia, se essa nasconde demagogicamente il fatto che la burocrazia non  altro che il nome che viene dato allincapaci- t sociale della classe operaia di esercitare la sua rappresentanza 212 direttamente, trattandosi appunto di una classe non di impren- ditori individualisti, ma di salariati dipendenti, che non possono fare a meno strutturalmente di farsi rappresentare da un ceto politico-sindacale non appena si passa dal livello della fabbrica a quello dello stato e dell'economia.  fuorviante lopposizione fra razionalismo e irrazionalismo, che mantiene una sua robusta legittimit quando si pretende che lastrologia sia eguale alla chi- mica e la lettura dei tarocchi alla radiologia (ma questo non lo pensano neppure i cartomanti!), ma che la perde quando si di- menticano Freud e Foucault, cio la determinazione psichica in- consapevole del nostro comportamento pubblico e privato e la funzione di legittimazione del potere da parte del sapere, e so- prattutto quando si dimentica che il comunismo non potr mai essere una scienza nel senso del razionalismo, dato il suo ca- rattere prevalentemente antropologico.  fuorviante lopposi- zione fra idealismo e materialismo, che dimentica loggetto uni- tario del sapere filosofico, lEssere come astrazione dellunit contraddittoria del lavoro sociale complessivo, e si inventa un dualismo rigido e presupposto fra soggetto e oggetto, che fini- sce con il classificare dalla parte giusta pensatori che non ci dicono nulla su questa astrazione e dalla parte sbagliata altri pensatori (da Platone a Hegel) che invece ce ne danno informa- zioni preziose.  fuorviante, infine, l'opposizione fra dialettica e differenza, che dimentica che la dialettica  bens lo svolgimento contraddittorio di due opposti in correlazione essenziale, e non solo lo scontro contingente fra due contrari in casuale conflitto, ma che la formazione irreversibile delle differenze ontologiche fra libere individualit integrali  proprio il contenuto essenziale del comunismo moderno, al di l e contro ogni sogno organici. stico della ricomposizione collettivistica del singolo nel Tutto. Ci siamo qui limitati ad una riesposizione sintetica e abbrevia- ta di temi gi sollevati nei precedenti capitoli per ricordare an- cora una volta al lettore che la riformulazione filosofica del para- digma teorico del comunismo  un compito gigantesco. Questa riformulazione, inoltre, non  che una parte, relativamente pic- cola, di un problema ancora maggiore. Siamo infatti in attesa di ricostruzioni storiche convincenti che ci dicano che cosa  vera- 213 mente successo al tempo di Stalin e perch dopo il 1956, da Kru- sciov a Breznev a Gorbaciov, il comunismo storico di stato si  rivelato irriformabile. Siamo in attesa di analisi sociologiche ac- curate, che non si limitino a ripeterci ci che gi sappiamo (che cio c' ancora la classe operaia di fabbrica, la piccola borghesia impiegatizia e il capitale finanziario), ma che ci illuminino sulle vere tendenze di fondo del tramonto delle vecchie classi e della formazione di classi nuove. Siamo in attesa di diagnosi economi- che aggiornate, che non si limitino a dirci che la privatizzazione del capitale pubblico formatosi nei tempi del contenimento ke- ynesiano del comunismo burocratico di partito  una necessit sistemica per integrare l'economia italiana nellazienda-Europa, questo stupendo sogno federalistico il quale, da Carlo Magno ad Altiero Spinelli, deve finalmente renderci concorrenziali con la- zienda-Giappone e lazienda-USA. Chi scrive, tuttavia,  in attesa di una particolare analisi, di ti- po psicologico e antropologico, che ci dia finalmente lidentikit di un nuovo tipo di comunista, che sappia elaborare compiuta- mente il lutto della morte del precedente tipo storico di comuni- smo per affrontare le nuove contraddizioni del capitalismo nella loro irripetibile specificit. Questa analisi, per,  lunica che non verr mai, per la semplice ragione che un profilo antropolo- gico nuovo non pu essere descritto o dedotto; esso  il prodot- to inedito, e spesso inaspettato, di configurazioni sociali ancora imprevedibili, che potremo soltanto pallidamente evocare nelle poche pagine della conclusione. 214 Conclusione Sulla porta della vecchia casa, in cui per quasi un secolo hanno vissuto i loro genitori e i loro nonni, i comunisti di questa fine se- colo si congedano dalle loro vecchie visioni del mondo. Questo congedo interminabile, che come abbiamo scritto nellintrodu- zione ricorda gli arrivederci alla polacca di cui parlano gli americani, e in cui non si riesce proprio ad andarsene, durer ancora molto tempo, e ci accompagner fin dentro il Terzo Mil- lennio. Se per questo avviene,  necessario che non ci si limiti a sollecitare con impazienza i ritardatari, ma bisogna capire fino in fondo le ragioni di questo ritardo. I paradigmi teorici non si cambiano come i cappotti, o come i calzini. Essi crescono ad- dosso agli uomini, ne modellano i sogni e le speranze, ne deter- minano i comportamenti politici, si introducono fin dentro il lo- ro immaginario, e provocano infine i due massimi sentimenti militanti, la soddisfazione e lirritazione. Chi scrive, ad esem- pio,  consapevole che le pagine precedenti provocheranno nei diversi lettori una gamma di reazioni. Leventuale irritazione  meglio dellindifferenza, perch spinge a contrapporsi e a defi- nirsi, e chi si contrappone e si definisce in opposizione a qualco- sa  costretto a dare le ragioni a se stesso di quanto fa. Non bi- sogna mai disprezzare lirritazione; in natura essa  una forma normale di contatto fra organismi viventi. Ma  soprattutto necessario capire il perch dellinevitabile lentezza dellarrivederci alla polacca. Leggiamo ad esempio qualche libro tratto dallabbondante memorialistica, quasi sem- pre autobiografica, dei militanti comunisti formatisi negli anni Venti, Trenta e Quaranta (Vidali, Roasio, Clocchiatti, Vaia). A differenza della leva deideologizzata di politicanti opportunisti degli anni Sessanta, che ha sistematicamente scavalcato e annul- lato quella parte di coetanei devota e disinteressata (ma, lo ripe- tiamo, ci avviene per ferree ragioni sistemiche dalle leggi di 215 cooptazione delle ltes politiche in contesto parlamentare-rap- presentativo) che si ispirava allesempio della generazione pre- cedente, questa leva classica ha sempre mostrato un genuino interesse per la cultura e lideologia. Si trattava, per, di una cul- tura e di una ideologia fortemente finalizzate alla militanza e al- l'appartenenza di partito, allinterno di un profilo complessivo che entr in crisi proprio quando il nesso militanza-appartenen- za non fu pi in grado di confrontarsi con la nuova situazione storica, largamente imprevista. Il nesso militanza-appartenenza, lungi dall'essere un equivoco o uno sbaglio, era la forma storica ideale per il doppio compito della costruzione del socialismo e della lotta contro il fascismo e il nazismo. Un fortissimo senso di identit, inevitabilmente separata dal pi vasto mondo dei non compagni,  stata la modalit fisiologica di esistenza sto- tica del comunismo storico novecentesco. Tutto ci, lo ripetia- mo, appartiene alla grande storia, e non pu diventare ogget- to di rimozione. Si tratta, inoltre, di qualcosa che accomuna il militante ortodosso stalinista e il militante eterodosso trot- skista (e sono impressionanti le analogie psicologiche e intellet- tuali che hanno legato questi acerrimi nemici: spirito di sacrifi- cio, subordinazione degli interessi personali e familiari a quelli dellorganizzazione, fiducia nella vittoria finale pur in mezzo alle peggiori traversie, senso di inutilit, angoscia e solitudine in ca- so di espulsione dallorganizzazione). E legittimo chiedersi: non  pericoloso congedarsi da questi elevati sentimenti? Non so- no forse questi sentimenti elevati di militanza e di appartenenza, di disponibilit alla disciplina e al sacrificio, eccetera, limpre- scindibile base antropologica per una rifondazione del comuni- smo? i Si tratta di domande che ci poniamo da anni. Alla base di que- ste domande, infatti, c' linterminabilit del polisb good-bye. Si sa, infatti, ci che si perderebbe andandosene, mentre non si sa che cosa si pu guadagnare in un luogo ancora sconosciuto. In un saggio come questo, evidentemente, non si pu affrontare se- riamente questo problema, se non nei suoi termini pi generali ed astratti. Una cosa, per,  possibile dirla: un mutamento di paradigma teorico, come quello che abbiamo ossessivamente 216 proposto in questo libro attraverso loccasione del riferimen- to storiografico al pensiero di altri, non pu lasciare immutata la modalit antropologica di concepire l'identit, la militanza, lap- partenenza, la rappresentanza di un partito comunista. La con- trapposizione fra rottura e continuit  dunque del tutto astrat- ta. In breve: il solo modo di essere allaltezza della continuit ideale con la grande militanza comunista del Novecento, orto- dossa o eretica che sia, consiste proprio nel prendere coscienza della necessit di una forte discontinuit storica. Si tratta di un fenomeno che si  gi presentato molte volte nella storia, e che non deve pertanto spaventarci. Dal momento che a questo pun- to del libro il lettore dovrebbe gi aver riflettuto sulle nostre considerazioni a proposito di Gramsci, potremo riformulare il problema cos: non siamo pi in una fase di guerra di posizio- ne, ma siamo entrati in un periodo di guerra di movimento; in un simile periodo si richiedono al soldato doti diverse. E due sono allora i problemi che si pongono subito: vi  ancora una di- mensione nazionale, italiana, della teoria, oppure siamo entrati ormai in una irreversibile dimensione cosmopolitica, o interna- zionale che sia?; ed ancora: quali saranno le forme politiche che potranno in un futuro ragionevole farsi carico di una teoria co- munista rinnovata? Due grandi, cruciali domande, con le quali intendiamo chiudere questo saggio sui cattivi maestri del mar- xismo italiano. Sulla prima questione, chi scrive ritiene che il marxismo ita- liano sia finito, irrevocabilmente finito, e che lespressione non abbia pi alcun senso storiografico determinato, al di l dellin- dicare un insieme di scritti vergati in lingua italiana da gente che ha il passaporto italiano in tasca. Il termine marxismo italia- no, quando esso aveva ancora un senso, ha volta a volta indica- to la ricezione in Italia del nascente marxismo tedesco (Labrio- la), lelaborazione di una rivoluzione in Occidente a partire dai dati storici e sociologici della realt italiana unitaria (Gramsci), il supporto culturale di riferimento della via italiana al sociali- smo (Togliatti). A nostro avviso i recenti giganteschi processi di internazionalizzazione del capitale, che hanno provocato la crisi epocale della regolazione statuale di tipo keynesiano, hanno fini- 217 to con il far scomparire il presupposto territoriale del marxi- smo italiano stesso, l'autonomia economica e sociale dello stato nazionale nato nel 1861. Ci non significa affatto, beninteso, n un accoglimento delle tesi separatiste di un Bossi (cui chi scrive  fieramente avverso), n unaccettazione delle compatibilit dellintegrazione europea di Maastricht (che chi scrive ritiene quanto di pi simile al fascismo possa esistere oggi, per le deva- stanti conseguenze che produrranno sui ceti economicamente pi deboli). Intendiamo soltanto dire che il marxismo italiano  finito, ed  una vera fortuna culturale e filosofica che sia finito: confrontarsi direttamente con i punti alti di ci che un tempo era chiamato pensiero borghese, come la severa teoria weberiana del disincantamento del mondo, e non pi con teorie provincia- lotte e arretrate, come il cattolicesimo di Gioberti o il metodolo- gismo di Croce, non potr che farci del bene. Da almeno due de- cenni, ormai, luso internazionale del pensatore marxista italia- no pi noto, Antonio Gramsci, prescindeva completamente dal- lItalia: il gramscismo internazionale oscilla in un arco di si- gnificati che vanno dalla valorizzazione delle forme di cultura popolare allenfatizzazione della societ civile e del suo pri- mato rispetto alla regolazione statuale. La fine del marxismo ita- liano  anche, paradossalmente, un portato derivato della fine del sistema dei partiti cos come li abbiamo conosciuti dal 1945 al 1992, nella loro lottizzazione sfrenata delle tradizioni italiane (da Mazzini a Croce, da Garibaldi a Gramsci, da Gioberti a Sturzo). Entriamo in una nuova dimensione, apertamente co- smopolitica, ed  veramente un bene. Sappiamo che la tradizio- ne terzinternazionalista ha distinto fra internazionalismo, buo- no, e cosmopolitismo, cattivo, legando il secondo termine alla borghesia e alla piccola-borghesia: il proletariato sarebbe stato ad un tempo nazionale (non nazionalista) e internazionalista, mentre la borghesia sarebbe stata cosmopolita, cio sradicata ed antinazionale. Questa distinzione potr forse ancora funzionare per il capitale finanziario transnazionale ( evidente che Gianni Agnelli, con i suoi alloggi di lusso a Parigi e New York,  cosmo- polita, mentre il pensionato di Teramo  fortemente nazionale), ma non funziona per il dibattito culturale e ideologico. Il marxi- 218 smo del futuro dovr essere cosmopolitico, apertamente co- smopolitico, e un buon corso di inglese e di francese sar sem- pre preferibile allagitare bandierine tricolori piantate su pen- sieri, come se questi ultimi fossero cavoli. In breve: il cosmo- politismo teorico  solidale con linternazionalismo politico, ne  anzi la forma filosofica adeguata, in piena e consapevole analo- gia con lilluminismo settecentesco, che era infatti pienamente cosmopolitico (e dove non lo era, non era che il supporto stru- mentale del dispotismo illuminato nobiliare). La seconda questione  pi delicata e complessa. In pi di cento anni di storia, il movimento operaio ha prodotto a nostro avviso tre fondamentali forme organizzative: il partito socialde- mocratico-laburista, che si legittima con una teoria di tipo evo- luzionistico-fabiano (chi scrive considera sostanzialmente omo- genee le forme tedesche, socialdemocratico-evoluzionistiche, e le forme britanniche, fabiano-laburistiche); il partito bolscevi- co-comunista, che si legittima con una ideologizzazione artificia- le della teoria di Marx, adattata a compatibilit di partito e di stato; i consigli anarcosindacalisti di democrazia diretta, che si legittimano con il riferimento all'unit di autogoverno politico e di autogestione economica (Bakunin, Sorel, Pannekoek, eccete- ra). Queste sono naturalmente soltanto tre forme pure e perfet- te, dal momento che nella realt si incontrano generalmente forme miste (cos come i modi di produzione esistono soltanto nella forma concreta di formazioni economico-sociali): ad esem- pio il partito comunista italiano, dal 1944 al 1989,  stato lunio- ne di una forma organizzativa bolscevico-comunista con un con- tenuto economico e amministrativo socialdemocratico-laburi- sta, in presenza di unideologia anarcosindacalista tollerata co- me sfogatoio marginale (Ingrao). Nel contesto del nostro di- scorso,  necessario rilevare che nessuna di queste tre forme po- litico-organizzative ci sembra in grado di accettare veramente l'innovazione teorica, e di andare perci al di l di quellideolo- gia (da noi battezzata nellintroduzione ideologia italiana) che vede la subordinazione strutturale della produzione teorica ai tempi ed ai modi della pratica politica tattica. Ci si intenda bene: il discorso che stiamo facendo non  un discorso che concerna le 219 nostre tesi, cio quelle che abbiamo proposto in questo saggio; esse potrebbero essere tutte sbagliate, mediocri e fuorvianti, e potrebbero essere giuste e feconde delle tesi assolutamente op- poste alle nostre; il problema  generale, e verte sulla capacit di una forma politica di farsi permeare o meno da una innovazione teorica, qualunque essa sia. Vi  allora una dimensione generale del problema, e tre dimensioni specifiche particolari. La questione generale  stata a suo tempo posta in modo insu- perabile da Platone nel VI libro della Repubblica, a proposito della nave di cui parla Socrate: se la guida del timone comporta per marinai potere, ricchezza ed onore  inevitabile che al timo- ne vadano non i pi competenti, ma i pi astuti, manovrieri, ro- busti e spregiudicati.  questa una verit magari banale e generi- ca (indubbiamente, non  storicamente determinata, per dirla con Galvano Della Volpe), ma anche sacrosanta. Chi non la comprende, non comprender mai in che modo Craxi ha potuto distruggere il partito di Turati, e Occhetto sciogliere il partito di Gramsci. I meccanismi di cooptazione e di rappresentanza della politica capitalistica, al di l delle ingenue concezioni di Norber- to Bobbio, sono ferreamente congegnati per riprodurre conti- nuamente lindecorosa rissa che si svolge sulla nave di Socrate: la vittoria di Giusy La Ganga su Antonio Gramsci  sicura come la vittoria del Milan sulla squadretta dell'oratorio di Lambrate. La dimensione particolare del problema  stata gi ripetuta- mente evocata in questo saggio, e la ripetiamo qui per pura co- modit del lettore: le tre forme organizzative sopra ricordate producono una inesorabile sottomissione reale della teoria alla loro riproduzione sistemica, e scattano dunque automaticamen- te ci che  incompatibile con questa riproduzione. In questo senso, chi crede che esista veramente un dibattito teorico den- tro una forma organizzativa  altrettanto ingenuo di chi pensa che vi sia equit nel capitalismo. La forma organizzativa social- democratico-laburista, essendo ministerialista, riformista, com- patibilista in economia, governativa ad oltranza, scarta tutte le analisi di tipo rivoluzionario ed anti-imperialista, o. meglio le mantiene in un ghetto tollerato e ininfluente. La forma organiz- zativa comunistico-bolscevica, basandosi sulla doppia risorsa 220 della militanza e dellappartenenza (al servizio della rappresen- tanza), scarta tutte le versioni del comunismo che non servano alla sua riproduzione sistemica. Le cose non vanno meglio, per (anzi a nostro avviso vanno peggio), pet tutte le teorie consiliati- stiche, anarchiche, anarcosindacaliste e movimentiste, perch queste ultime sono particolarmente mistificatorie, basandosi su di una inesistente autoattivit permanente di una base energe- ticamente iperattiva (che ovviamente non pu esistere). Chiun- que abbia un minimo di esperienza politica sa perfettamente che i pi grandi movimentisti sono quasi sempre i peggiori buro- crati, perch la rappresentanza di un movimento fluido e sen- za regole  necessariamente pi arbitraria e verticistica della rappresentanza di un partito strutturato con regole certe (in Italia vi sono esempi particolarmente comici di burocratismo movimentista che si possono trarre dal movimento verde, dai radicali tirannico-carismatici di Pannella, eccetera). E allora, che fare? Gi, che fare. In breve: il che fare consiste nel trovare una forma organizzativa in grado di accettare linno- vazione teorica, di valorizzarla, e di produrre ununit fra teoria e pratica non basata sulla falsa coscienza. Chi scrive ritiene che si tratter probabilmente di una quarta forma organizzativa, di- stinta dalle tre sopra ricordate. Allo stato attuale, questa affer- mazione  poco pi di una scommessa alla Pascal, perch non sappiamo assolutamente disegnare una ingegneria organizzati- va che ne delinei le strutture essenziali. Ci che vorremmo per sottolineare  che un simile modo di porre il problema  sbaglia- to alla radice. Non esistono geni che arrivino dagli spazi galattici pet dirci quale sar la forma organizzativa migliore del comu- nismo: a suo tempo Lenin non si invent il Che fare?, ma si limi- t a sistematizzare e a generalizzare qualcosa di gi esistente, una disponibilit militante di un certo tipo che si basava a sua volta su una determinata antropologia sociale diffusa nella Russia dei primi anni del Novecento. Le difficolt della rifondazione co- munista oggi stanno proprio nel fatto che non sappiamo ancora esattamente quale sar il tipo antropologico diffuso del comuni- sta del Duemila, e su quali basi esso definir la sua identit, la sua individualit, le nuove modalit della sua appartenenza e an- 221 che della sua militanza (perch non crediamo che queste ultime spariranno: certo, si modificheranno radicalmente).  necessario imparare da alcuni altri grandi organizzatori, co- me Paolo di Tarso e Giovanni Calvino. Paolo si occupa certa- menti di minuti particolari organizzativi delle prime comunit cristiane, ma imposta soprattutto la teoria generale antropo- logica del regno di Dio. Calvino sar a Ginevra un grande diri- gente politico, ma prima si occupa di questioni molto pi astrat- te e fondanti, dalla fede alla predestinazione alle opere. I comu- nisti oggi sono molto al di sotto di questi due grandi esempi. In breve: ritengono che lingegneria organizzativa sia pi impor- tante dellantropologia filosofica, laddove solo la seconda pu nutrire veramente la prima. Certo, ci vogliono entrambe, e chi scrive non lo nega per nulla, anche se, come Lenin, deve storce- re il bastone da una parte per raddrizzarlo, avendolo gli altri piegato per decenni dallaltra parte. Quando il bastone sar diritto, avremo una rifondazione co- munista. Prima di quel momento, che forse non tarder, non  male studiare Bobbio e Severino, Geymonat e La Grassa.  un buon modo per scaldare i muscoli, e per non dimenticare che i muscoli si scaldano per gareggiare in prima persona, e non per li- mitarsi a tifare sulle gradinate facendo la ola e mangiando pop- corn. 222 Nota bibliografica generale Tutti sanno ehe conoscendo la lunghezza del raggio  possibi- le determinare la circonferenza. Come il raggio di un cerchio, le teorie hanno una certa lunghezza. Il marxismo teorico novecen- tesco, nella sua ortodossia cos come nella maggior parte delle sue eresie, aveva un raggio sufficiente per combattere con suc- cesso gli effetti negativi dell'economia capitalistica pur allinter- no della riproduzione globale complessiva del modo di produ- zione capitalistico nelle sue transizioni lavorative interne. Il suo raggio era invece insufficiente per fuoriuscire dal capitali smo, e si tratta allora di disegnare un raggio filosofico pi lungo. A nostro avviso il marxismo teorico novecentesco non era sba- gliato, ma troppo corto. Tutto questo saggio si ispira a que- sta idea fondamentale, e tutte le ripetizioni di cui  costellato (il lettore noter che alcuni temi che riteniamo cruciali sono propo- sti quattro o cinque volte in contesti simili) sono giustificate da questa intenzione: mettere le basi per una teoria di raggio pi lungo. La ricostruzione di alcune vicende del marxismo italia- no, politiche (PCI, gruppi minoritari del Sessantotto, eccetera) e teoriche (Geymonat, Luporini, Colletti, eccetera), ci  servita esclusivamente per discutere del futuro (e invitiamo il lettore a rileggere i versi di Frost con cui abbiamo aperto questo saggio). Questa ricostruzione non  quasi mai divertente (si leggano i versi di Kavafis), e soprattutto divider i lettori a seconda delle loro opinioni preesistenti (si leggano i versi di Giudici). Tutto questo  inevitabile. La presente bibliografia  pertanto orienta- ta al solo suggerimento teorico, e non bisogna chiederle nulla sul piano della esaustivit e della completezza. Ci siamo serviti di due ricostruzioni della storia del marxismo italiano inedite nella nostra lingua: A. Tosel, Marx ex italigues, TER, Mauvezin 1991, e J.P. Potier, Lectures Italiennes de Marx, 1883-1983, Presses Universitaires de Lyon, 1986. Tosel si occu- 223 pa soprattutto dellelaborazione gramsciana della filosofia della praxis, nel suo doppio aspetto di critica a Gentile e a Croce (an- che se sopravvaluta, a nostro avviso, lo spessore filosofico di en- trambi gli antagonisti di Gramsci). Potier, oltre a ricordare op- portunamente figure come Loria, Pareto, Graziadei e Mondol- fo, ha il merito di dedicare a personaggi come Panzieri e Napo- .leoni lo stesso impegno riservato a teorici pi noti, come La- briola e Gramsci. Una ricostruzione veramente accurata del grande dibattito di fine Ottocento fra Labriola, Croce, Gentile e Sorel ci  data dal libro di C. Vigna, Le origini del marxismo teo- rico in Italia, Citt Nuova, Roma 1977. Chi vuole studiare Gramsci pu farlo in due distinte edizioni: la prima, tematica e non critica, pubblicata in sei volumi a parti- re dal 1948-51 da Einaudi ed Editori Riuniti, e pi volte ristam- pata; la seconda, critica e cronologica, pubblicata a partire dal 1975 da Valentino Gerratana, in quattro volumi (sempre Einau- di). Ci riferiamo, ovviamente, ai Quaderni del Carcere. Chi scri- ve, per ragioni di et si  formato sulla prima. La nostra inter- pretazione si ispira al libro di P. Anderson, Ambiguit di Gram- sci, Laterza, Bari 1978. Il giovane che si vuole accostare al pen- siero di Togliatti pu iniziare dal volume di Opere scelte curato da G. Santomassimo, Editori Riuniti, Roma 1974. Gli innumere- voli scritti agiografici di togliattologia (inni sacri, epinici, laudi, eccetera) sono a nostro avviso inutilizzabili. Sempre utile la bio- grafia di G. Bocca, Palmiro Togliatti, Laterza, Bari 1973. Ancora pi utile, perch ricostruisce l'atmosfera dellepoca di ferro in cui Togliatti visse,  il libro di G. Cerreti, Con Togliatti e Thorez, Feltrinelli, Milano 1973. Quelli di Togliatti erano proprio altri tempi, e la contestualizzazione della sua elaborazione teorica allepoca storica  particolarmente importante. La comica ammissione del dirigente del PDS Piero Fassino (non potevamo occuparci della crisi del movimento comunista internazionale, perch eravamo impegnati nelle elezioni ammi- nistrative di Roma!), che  a nostro parere il vero epitaffio che racconta il segreto della metamorfosi mostruosa di un partito rivoluzionario in azienda parlamentare, sta in A.A.V.V., Cera- vamo tanto amati, Napoleone, Roma 1991. Non abbiamo invece 224 potuto consultare le opere scelte di Occhetto, e ce ne scusiamo, perch, data la loro importanza epocale, aspettiamo ledizione critica in brossura curata dallo stesso Fassino. Speriamo che non tardi. Non conosciamo purtroppo libri metodologicamente ispirati alla nostra interpretazione della lunga durata del PCI (in breve: bisogna studiare non tanto lideologia e la politica, quanto la cultura e lantropologia dello zoccolo duro militante del partito): quello che pi si avvicina  il saggio di P. Ignazi, Da/. PCI al PDS, Il Mulino, Bologna 1992. Il PCI,  stato a nostro av- viso un fenomeno sociale globale, e bisogna partire dai suoi riti di iniziazione, identit ed appartenenza. Nello stesso tempo, bisogna studiarne sociologicamente la rappresentanza eletto- rale, indubbiamente popolare. Alla luce degli eventi della cri- si generale dei partiti del sistema politico italiano, che il 1992 ha incominciato ad evidenziare, la DC e il PCI appaiono molto pi simili di quanto si  sempre pensato: grandi partiti popolari di integrazione di unepoca di keynesismo e di fordismo, pilastri dello stato sociale, fratelli nemici di un mondo bipolare ora scomparso in direzione di un unipolarismo imperialistico per molti aspetti assai peggiore della configurazione geopolitica precedente (in particolare per i popoli del Terzo Mondo). Rite- niamo che il PCI sia stato migliore della DC per una ragione di fondo che anche il non-marxista dovrebbe apprezzare: il PCI ha almeno sognato una societ di eguali, senza ricchi e senza po- veri, senza padroni e senza subalterni, anche se gli si pu ovvia- mente imputare che il suo modello verticistico e burocratico la- vrebbe comunque resa impossibile e illusoria; la DC, invece, si  strutturata per cinquantanni sullassunzione presupposta di una societ gerarchica diretta da un pool di vescovi, finanzieri, capitalisti, che dirigevano in nome del bene comune un insie- me di gruppi protetti (in particolare contadini e piccola borghe- sia), in presenza di un clientelismo e di un voto di scambio apertamente proclamati.  giusto allora dare, come direbbe Sciascia, a ciascuno il suo. Di Asor Rosa, Tronti e Cacciari, nella loro ricca produzione, segnaliamo qui unopera sola: A. Asor Rosa, Scrittori e popolo, Savelli, Roma 1965; M. Tronti, Opera: e capitale, Einaudi, Tori- 225 no 1966; M. Cacciari, Krisis, Feltrinelli, Milano 1976. Le date di pubblicazione sono sintomatiche: alla met degli anni Sessanta  ormai matura la doppia delegittimazione culturale del togliatti- smo, sul versante della critica al populismo, al neorealismo e al nazionalpopolare, da un lato, e del rilancio delloperaismo e del classismo antagonistico, dallaltro; alla met degli anni Settanta  invece maturo linizio di una strategia filosofica di delegittima- zione globale del marxismo, in nome del grande pensiero bor- ghese disincantato (Nietzsche, Heidegger, Weber, Kelsen, Schmitt, eccetera). In questo senso, riteniamo sinceramente che Asor Rosa, Tronti e Cacciari non abbiano affatto usurpato la loro fama, ma se la siano fondamentalmente meritata. Le tre figure di Berlinguer, Ingrao e Rossanda sono state da noi affrontate in modo radicalmente diverso da quelle di Asor Rosa, Tronti e Cacciari. Si tratta di tre personaggi storici tipi- ci, che esprimono qualcosa di severo che li sovrasta: limpoten- za della sovrastruttura, ispirata alla moralit e allausterit, di fronte ad una struttura che porta irreversibilmente verso lin- tegrazione subalterna al capitalismo (Berlinguer); la protesta in- terminabile come ornamento del conformismo ed il verbalismo libertario come innocuo involucro del primato del partito sem- pre e comunque (Ingrao); lelzevirismo di sinistra e laccuratez- za letteraria della scrittura come sostituto permanente alla sca- bra severit di un paradigma culturale nuovo, secondo una mo- dalit retorica che il Seicento barocco italiano ha ben conosciuto (Rossanda). Grande importanza  stata invece data alle tre figure di Bordi- ga, Panzieri e Negri, da un lato, e alle tre figure di Bobbio, Del Noce e Severino, dallaltro. Si tratta di sei pensatori che i giovani dovrebbero veramente conoscere, se vogliono capire qualcosa della cultura italiana degli ultimi decenni. Su Bordiga si veda: A. Bordiga, Scritti scelti, Feltrinelli, Milano 1975; F. Livorsi, Ama- deo Bordiga, Editori Riuniti, Roma 1976; L. Grilli, Amadeo Bor- diga. Capitalismo sovietico e comunismo, La Pietra, Milano 1982. Lignoranza su Bordiga  ormai a nostro avviso intollera- bile. Panzieri  forse pi conosciuto, grazie alla rivista Quader- ni Rossi, ma gravi equivoci continuano a permanere sulla collo- 226 cazione storica della sua azione. Si veda lampia bibliografia cri- tica contenuta nella buona monografia complessiva di S. Manci- ni, Socialismo e democrazia diretta, Dedalo, Bari 1977. In man- canza di una ricostruzione complessiva dellesperienza ideolo- gica della nuova sinistra italiana, sono assai utili due libri che ne ricostruiscono la genesi, in uninterpretazione per (da noi non accolta) che ne privilegia il dissenso nel PSI rispetto al dissenso nel PCI. Si veda S. Merli, Laltra storia. Bosio Mon- taldi e le origini della nuova sinistra, Feltrinelli, Milano 1977, e A. Mangano, L'altra linea. Fortini Bosio Montaldi Panzieri e la nuova sinistra, Pullano, Catanzaro 1992. In quanto a Negri, non nascondiamo affatto che la sua figura ci sembra cruciale, per ca- pire almeno due punti fondamentali: la logica complessiva del minoritarismo comunistico-estremistico degli anni Sessanta e Settanta, che fu veramente unaltra cosa rispetto al PCI e alle sue appendici politiche e culturali; la logica complessiva della fuo- riuscita globale dalla tradizione del movimento operaio storico, visibile soprattutto negli scritti degli anni Ottanta. Da Padova a Parigi, dunque, il percorso di Negri ci sembra esemplare. Negri non  per per noi un vero cattivo maestro, nonostante lag- ghiacciante risata mefistofelica ed il calore della comunit prole- taria percepito calandosi il passamontagna. I cattivi maestri sono solo quelli che contribuiscono veramente a riformare il pa- radigma comunista, e Negri non lo fa. Si veda lutile intervista di A. Negri, Dalloperaio massa alloperaio sociale. Intervista sul- loperaismo, Multhipla, Milano 1979. Chi scrive ritiene per che il libro pi significativo e bello di Negri sia La fabbrica della stra- tegia. Trentatre lezioni su Lenin, CLEUP, Padova 1976. Il mar- xismo  identificato, sulla scorta dei Grurdrisse, con lattualit del comunismo, mentre il nucleo del leninismo  visto nel senso tattico della congiuntura, fino all'arte dellinsurrezione. Credia- mo che questo libro sia forse il pi significativo per capire la metafisica del minoritarismo comunista italiano degli anni Settanta: la rivoluzione deve essere fatta perch  matura, ed  matura perch non c' nessun bisogno di costruire il sociali- smo, dal momento che lestinzione della legge del valore-lavo- ro permette di praticare il comunismo da subito. In realt, ci 221 che si stava estinguendo era soltanto una fase del capitalismo (nel linguaggio di La Grassa, una transizione capitalistica), e la fase successiva avrebbe estinto sia l'ipotesi gradualista e storicista di Berlinguer sia l'ipotesi rivoluzionaria di Negri. Fondamentali restano le decine di riviste politico-culturali degli scorsi decenni: dai Quaderni Rossi a Classe Operaia, da Nuovo Impegno a Contropiano, da Quaderni Piacenti- ni a Lotta Continua, da Servire il Popolo a Potere Ope- raio, da Democrazia Proletaria a Marxismo Oggi, da Me- tamorfosi a Marx 101, da Politica e Classe a Primo Mag- gio (e potremmo continuare citando dettagliatamente decine di testate) c' stata una fioritura ideologico-culturale gigantesca, che attende ancora un bilancio meditato. Non possiamo certo farlo qui, e ci limitiamo a dire solo questo: le decine di riviste marxiste italiane uscite fra il 1956 e il 1989 hanno cercato di trovare una pietra filosofale, che per non esisteva, per la tra- sformazione nelloro rivoluzionario del piombo della stagnazio- ne irreversibile del movimento operaio storico novecentesco; esse sono state dunque riviste di alchimia assai pi che di chimi- ca, di sogno assai pi che di realt. Chi scrive ha pubblicato in esse per anni decine di articoli e saggi, e ne  fiero. Nello stesso tempo,  bene riconoscere che limpresa di mettere a punto un nuovo paradigma comunista complessivo non fu mai neppure tentata (per lovvia ragione che mancavano ancora le condizioni storiche minime per questo). Abbiamo accennato alla crucialit delle figure di Bobbio, Del Noce e Severino. Essi sono per chi scrive i tre maggiori filosofi borghesi italiani della seconda met del Novecento. Con il termine borghese (che per chi scrive  una lode e non un in- sulto) intendiamo: colui che interroga il marxismo dal punto di vista dello scetticismo radicale sulla possibilit ontologica del comunismo. Consideriamo mille volte pi nobile e produttivo lo scetticismo radicale che la fede populistica del popolo di si- nistra; il primo pu, forse, portare a un rinnovato convincimen- to comunista dopo la tempesta del dubbio e la perdita della fe- de; la seconda porta inevitabilmente alla disintegrazione dolo- rosa della coscienza storica. Citiamo solo tre libri: N. Bobbio, I/ 228 futuro della democrazia, Einaudi, Torino 1984; A. Del Noce, I/ problema dellateismo, Il Mulino, Bologna 1964; E. Severino, Gli abitatori del tempo, Armando, Roma 1978. Come tutti i veri pensatori, essi utilizzano pochissimi materiali essenziali, e con essi fanno miracoli: a Bobbio bastano due sole nozioni, separa- zione di principio fra politica ed economia, e invarianza delle re- gole del gioco formali; a Del Noce una sola, quella di male radi- cale che il cristianesimo accetta e che il laicismo-marxismo ri- muove; a Severino una sola, quella di identit fra nichilismo di- struttivo e fede nel divenire storico. Il minimo comun denomi- natore di tutti e tre, ovviamente, sta nel loro rifiuto testardo, sor- do, pervicace, inattaccabile da qualunque argomentazione, di distinguere fra svolgimento storico del comunismo novecente- sco e possibilit reale di un altro possibile comunismo del futu- ro. Rifiuto che connota, appunto, il loro essere borghesi. Ab- biamo detto borghesi, non capitalisti, perch in questo li- bro la nozione di pensatori capitalisti  riservata a coloro i quali, a nostro avviso, sono apologeti diretti della produzione capitalistica e della cultura che essa secerne, e non si limitano pertanto ad essere tragicamente scettici sul comunismo (atteg- giamento che chi scrive ritiene perfettamente legittimo e plausi- bile), ma si ritrovano pienamente nelluniverso capitalistico stesso (e citiamo qui Abbagnano, Colletti, Vattimo, Sylos Labi- ni, per limitarci a personaggi evocati nel testo). Il complesso tema del rapporto fra marxismo e filosofia  sta- to sottoposto ad una voluta, drastica semplificazione. In breve: la forma filosofica del discorso di tipo storicistico e progressisti- co  talmente debole da farle preferire in ogni caso un materiali- smo della corporeit e della solidariet. Questo non significa, per, che questo materialismo sia la migliore filosofia per il ma- terialismo storico. Per chi scrive essa resta una ontologia delles- sere sociale, anche se formulata in modo diverso da come fece Lukacs nei suoi ultimi anni di vita. Citiamo qui: S. Timpanaro, Sul materialismo, Nistri-Lischi, Pisa 1975, e C. Luporini, Dialet- tica e materialismo, Editori Riuniti, Roma 1974 (a p. XXX di questo libro c l'ottima definizione dello storicismo in termini 229 di totalit vuota che permette linterpolazione tattico-politica dellempiricit). La discussione del rapporto fra marxismo e scienza non pia- cer probabilmente ai numerosi dellavolpiani e geymonattiani italiani. Ammettiamo apertamente che essa richiederebbe ben maggiore analisi. Ci interessava, per, evidenziare un solo con- cetto: il marxismo, ed il comunismo che ne fa parte integrante,  una filosofia, non una scienza, perch la sua natura antropologi- ca non consente un suo trattamento sulla base dei modelli epi- stemologici delle moderne scienze della natura. Filosofia delle scienze e marxismo non hanno dunque lo stesso oggetto, e dun- que neppure lo stesso metodo (assiomatizzazione, falsificabilit, dialettica di verit relative ed assolute, eccetera). Citiamo qui: G. Della Volpe, Logica come scienza storica, Editori Riuniti, Ro- ma 1969, e L. Geymonat, Del marxismo, Bertani, Verona 1987. La discussione sul rapporto fra marxismo e dialettica aveva un solo scopo: chiarire che la dialettica non tratta della scissione di un intero semplice e di conseguenza non pu avere come og- getto pratico la ricomposizione forzata del molteplice. Mito del- lOrigine (scissione del semplice) e mito del Fine (ricomposizio- ne del molteplice) sono due ingenuit teoriche fuorvianti. La dialettica ha come oggetto esclusivo la contraddizione degli op- posti, che non  a sua volta altro che la correlazione essenziale fra contrari. Fra gli inguaribili confusionari citiamo qui senza al- cuna speranza che serva a qualcosa: L. Colletti, Il marxismo e Hegel, Laterza, Bari 1968, e G. Vattimo, Le avventure della dif- ferenza, Garzanti, Milano 1979. Sappiamo che il tema del rapporto fra marxismo ed economia  delicatissimo, e non pensiamo certo di averlo analizzato in mo- do sufficiente. Qui bisognava per dire che il marxismo non  una teoria economica di sinistra, ma una critica ad ogni econo- mia politica.  noto che esso ha come oggetto i modi di produ- zione. Etimologicamente, pro-dutre viene da pro-ducere, che vuole anche dire condurre innanzi. La pro-duzione non  per- tanto semplice fabbricazione di oggetti materiali in base a tecni- che, ma  organizzazione e gerarchizzazione di uomini e di rap- porti umani: alcuni sono schierati avanti, e altri indietro. Il co- 230 munismo non  pertanto a rigore un modo di produzione, ma  un modo di cooperazione, in quanto si baser (sempre che sia ontologicamente ed antropologicamente possibile: non ne siamo certo scientificamente sicuri) su di un co-operare egua- litario di individualit libere che non verranno pi pro-dotte, cio condotte avanti e indietro. Tutto questo  del tutto al di fuo- ri della scienza sociale capitalistica chiamata economia politica. Citiamo qui: A. Pesenti, Manuale di economia politica, Editori Riuniti, Roma 1972; P. Sraffa, Produzione di merci a mezzo di merci, Einaudi, Torino 1960; P. Sylos Labini, Saggio sulle classi sociali, Laterza, Bari 1974; C. Napoleoni, Discorso sullecono- mia politica, Boringhieri, Torino 1985. Non citiamo commenti su libri di Bruno Trentin, ritenendo che la fonte principale della critica economica a questo autore restino i fischi dei lavoratori italiani nei mesi di settembre e di ottobre del 1992. Sulla discussione a proposito della natura sociale dell'URSS citiamo: R. di Leo, I{ modello di Stalin, Feltrinelli, Milano 1977 (messa a punto spregiudicata, e a nostro avviso sostanzialmente corretta, del rapporto fra socialismo sovietico e classe operaia); A. Natoli, Sulle origini dello stalinismo, Vallecchi, Firenze 1979; B. Bongiovanni, Lantistalinismo di sinistra e la natura sociale dell'URSS, Feltrinelli, Milano 1975; P. Sweezy-C. Bettelheim, I/ socialismo irrealizzato, Editori Riuniti, Roma 1992. Lopinione di chi scrive  la seguente: rivoluzione dottobre sacrosanta; as- salto al cielo legittimo; comunismo come onore imperituro del XX secolo; immaturit storica generale del superamento siste- mico del capitalismo; socialismo politico come raggio troppo corto per andare oltre il modo di produzione capitalistico; vale la pena di provarci unaltra volta, e siamo ragionevolmente convinti che questo avverr, anche se non sappiamo come e quando. | A proposito della scuola di Francoforte si vedano: M. Jay, L'immaginazione dialettica, Einaudi, Torino 1979; R. Wiggers- haus, La scuola di Francoforte, Bollati Boringhieri, Torino 1992. Chi scrive si  occupato a lungo di Bloch, Althusser e Luk4cs, e si permette qui la faccia tosta di rimandare il lettore ai suoi scritti monografici. Come dice un proverbio piemontese: i asu 231 dCavour, gnn ai lauda, as laudu da sul (gli asini di Cavour, nessuno gli fa i complimenti, se li fanno da soli). Bontempelli e La Grassa sono autori che sono stati valorizzati per il loro carattere innovativo. Bontempelli ha scritto (in colla- borazione con Ettore Bruni e Fabio Bentivoglio) tre libri: M. Bontempelli-E. Bruni, I/ senso della storia antica, Trevisini, Mi- lano 1979; idem, Storia e coscienza storica, Trevisini, Milano 1983; M. Bontempelli-F. Bentivoglio, I/ senso dell'essere nelle culture occidentali, Trevisini, Milano 1992. I tomi di questi volu- mi sono rispettivamente due, tre e tre. Da un lato, Bontempelli ha a nostro avviso il merito di esplicitare una tesi storiografica che in Italia storici come Antonio Capizzi avevano gi avanzato: la categoria filosofica di Essere non pu sorgere da una pensa- ta geniale di Parmenide, ma si origina genealogicamente dalla proiezione dell'unit astratta del lavoro sociale complessivo, cui si vuol negare recisamente la contraddittoriet; lidealismo, allo- ra,  lastrazione non-contraddittoria dellunit sociale, mentre il materialismo diventerebbe l'accettazione della contradditto- riet che essa comporta; la dicotomia materialismo/idealismo, per, appare fuorviante, perch su questa base Eraclito ed He- gel, che accettano la contraddizione, diventerebbero materiali- sti, cosa assurda; ed  dunque meglio abbandonare questa di- cotomia tout court. Chi scrive si aspetta risultati positivi dallab- bandono di questa dicotomia, che non ha peraltro accompagna- to a caso lo sviluppo del comunismo storico novecentesco. Es- so, infatti, da Engels a Gorbaciov, ha perseguito lobiettivo di rispecchiare le leggi dello sviluppo sociale; queste leggi, pe- r, sono soltanto le leggi della riproduzione del modo di produ- zione capitalistico; la materia e la natura, una volta che sia- no astratte dalle scienze della natura e trasportate metaforica- mente nei rapporti sociali di produzione, sono solo la duplica- zione di questi ultimi; e questi ultimi sono quelli capitalistici. Dall'altro, Bontempelli ha svolto egregiamente il tema del messianesimo comunista di Ges, presupponendone lesistenza storica. Contro questa ipotesi si vedi, fra gli altri: A. Donini, Sto- ria del Cristianesimo, Teti, Milano 1977; U. Ricca, Processo alle religioni, Vangelista, Milano 1976; M. Craveri, Ges di Nazareth 232 dal mito alla storia, Giordano, Cosenza 1982. Chi scrive ritiene: che su basi puramente documentarie, testuali, lesistenza storica di Ges non possa essere in alcun modo provata; che su basi abduttive, indiziarie (alla Peirce, non alla Galileo o alla Popper),  improbabile che non ci sia stato storicamente un fatto che viene descritto in modo tanto conforme alla dinamica messiani- ca del contesto dellepoca; che  pertanto ragionevolmente pro- babile che un messia come Ges abbia veramente agito sotto Ponzio Pilato; che  non solo probabile, ma a questo punto qua- si certo, che un simile messia non potesse che perseguire la puri- ficazione comunista del tempio, sede della distribuzione dei be- ni nel modo di produzione antico-orientale (se no, che cosa mai avrebbe potuto significare la frase: seguitemi, e non preoccupa- tevi di nulla, perch sarete saziati? Si pensa forse che i poveri vi- vano daria, e siano economicamente disinteressati?). Gianfranco La Grassa ha lavorato con valenti collaboratori, come Maria Turchetto, Marco Bonzio, Franco Soldani, Michele Cangiani, Edoardo De Marchi, Giuseppe Bazzi. Qui citiamo soltanto: Le transizioni capitalistiche, Ediesse, Roma 1986; Il ca- pitalismo lavorativo, Angeli, Milano 1990. Abbiamo gi rilevato come il concetto di pro-duzione non possa essere ridotto a ci che Aristotele chiama lagire poietico, che produce cio oggetti materiali, ma debba anche includere ci che il filosofo greco chiama agire pratico, cio la produzione di comportamenti umani; in La Grassa entrambi gli aspetti della produzione sono tenuti presenti. Ci che gli economisti (compresi quelli di sini- stra) intendono per economia non  altro che la continuazio- ne di ci che i greci chiamavano crematistica: come acquisire ricchezze. Anche qui La Grassa si distingue per la sua corretta nozione di economia come scienza dei rapporti sociali (cfr. I. Rubin, Saggi sulla teoria del valore di Marx, Feltrinelli, Milano 1976). 233 Indice dei nomi Abbagnano Nicola, 12, 125, 159, 191, 201, 229 Adorno Theodor W., 127, 132, 183, 184, 187, 188, 189 Agnelli Gianni, 218 Agnelli Susanna, 179  Alessandro il Grande, 202 Allende Salvador, 72 Althusser Louis, 70, 127, 136, 141, 151, 152, 183, 184, 192, 193, 194, 196, 197, 231 Amato Giuliano, 33, 77, 178 Amendola Giorgio, 86 Anderson Perry, 17, 44, 47, 224 Apel Karl-Otto, 135 Arendt Hannah, 75 Aristotele, 150, 196, 233 Asor Rosa Alberto, 82, 83, 84, 85, 91, 225, 226 Bachelard Gaston, 148, 194 Bahro Rudolf, 185 Bakunin Michail, 219 Balbo Felice, 128 Balzac Honor de, 67, 210 Banti Antonio, 149 Barcellona Pietro, 22, 100 Basso Lelio, 92 Bataille Georges, 166 Baudo Pippo, 22 Bazzi Giuseppe, 233 Beethoven Ludwig van, 40 Benigni Roberto, 40 Benjamin Walter, 187 Bentivoglio Fabio, 232 Betgson Henti, 40 Berlinguer Enrico, 19, 70, 71, 73, 74, 92, 226, 228 Bernstein Eduard, 180, 185 Berti Enrico, 169 Bettelheim Charles, 110, 183, 186, 231 Beveridge William, 74 Bloch Ernst, 7, 127, 183, 184, 189, 190, 191, 194, 231 Bobbio Luigi, 108 Bobbio Norberto, 8, 10, 11, 12, 21, 33, 59, 83, 119, 124, 125, 126, 127, 128, 131, 133, 159, 165, 175, 191, 200, 201, 220, 222, 226, 228, 229 Bocca Giorgio, 224 Bongiovanni Bruno, 186, 231 Bontempelli Massimo, 22, 122, 201, 202, 203, 204, 205, 209, 232 Bonzio Marco, 233 Bordiga Amadeo, 13, 16, 20, 26, 36, 37, 41, 42, 44, 87, 91, 93, 94, 95, 96, 103, 104, 108, 130, 186, 206, 211, 226 Borges Jorge, 162 Bosio Gianni, 92 Bossi Umberto, 218 Brandirali Aldo, 104, 110 Braverman Harry, 208 Breznev Leonid, 214 Bruni Ettore, 232 Bucharin Nikolaj, 16, 44, 55, 159 235 Burnham James, 35 Bush George, 191 Cacciari Massimo, 20, 82, 83, 84, 85, 91, 225, 226 Cadorna Luigi, 152 Caff Federico, 88 Caio Gracco, 202 Calabresi Luigi, 108 Calvino Giovanni, 222 Cangiani Michele, 233 Capanna Mario, 104 Capizzi Antonio, 232 Carlo Magno, 214 Carrillo Santiago, 70 Cartesio, v. Descartes Cases Cesare, 92, 187, 188 Castoriadis Cornelius, 35 Catone Andrea, 186 Cattaneo Carlo, 12 Cavour Camillo Benso, 47, 184 Cerreti Giulio, 224 Che Guevara, v. Guevara Ernesto Clocchiatti Amerigo, 215 Colletti Lucio, 22, 66, 144, 151, 152, 154, 160, 161, 162, 163, 164, 165, 168, 169, 170, 180, 188, 223, 229, 230 Colombo Cristoforo, 133 Copernico Niccol, 153, 155 Craveri Marcello, 204, 232 Craxi Bettino, 12, 34, 89, 92, 97, 220 Croce Benedetto, 13, 15, 16, 22, 26, 28, 30, 32, 33, 34, 36, 37, 40, 93, 119, 138, 159, 161, 164, 196, 218, 224 Cromwell Oliver, 84 Dahrendorf Ralf, 8, 164 D'Alema Massimo, 75 Dal Pra Mario, 159 Darwin Charles, 155 236 De Beauvoir Simone, 87 Deborin A.M., 139 De Crescenzo Luciano, 168 De Felice Renzo, 15 De Gasperi Alcide, 190 De Grada Raffaele, 66 Del Carria Renzo, 115 Deleuze Gilles, 113, 166 Della Volpe Galvano, 12, 21, 66, 144, 146, 149, 150, 151, 152, 153, 161, 162, 220, 230 Del Noce Augusto, 21, 57, 69, 119, 128, 129, 130, 131, 133, 200, 226, 228, 229 De Marchi Edoardo, 233 De Martino Francesco, 81 De Micheli Mario, 66 De Michelis Gianni, 191 Depretis Agostino, 72 De Sanctis Francesco, 9 Descartes Ren, 129, 196 Diaz Armando, 52 Di Leo Rita, 231 Donini Ambrogio, 204, 232 Dostojevskij Fedor, 109 Dubcek Aleksander, 88 Dulles Foster, 53 Dylan Dog, 40, 68 Einstein Albert, 155 Engels Friedrich, 7, 26, 27, 31, 35, 120, 142, 143, 148, 162, 196, 203, 211, 232 Epicuro, 138, 143, 190, 198 Fraclito, 132, 134, 232 Fallot Jean, 143 Fassino Piero, 75, 76, 224, 225 Feltrinelli Giangiacomo, 111 Feuerbach Ludwig, 163, 196, 198 Feyerabend Paul, 148 Fichte Johann Gottlieb, 98, 196 Foa Vittorio, 89 Fortini Franco, 15, 92, 188 Foucault Michel, 213 Freud Sigmund, 213 Frost Robert, 5, 223 Fukuyama Francis, 202 Galilei Galileo, 13, 69, 143, 147, 162, 195, 205, 233 Garegnani Pierangelo, 174 Garibaldi Giuseppe, 16, 47, 202, 218 Gentile Giovanni, 13, 15, 16, 26, 28, 29, 30, 31, 32, 34, 67, 119, 138, 169, 224 Gerratana Valentino, 224 Ges di Nazareth, 33, 68, 98, 113, 129, 203, 204, 232, 233 Geymonat Ludovico, 10, 12, 13:14 211226671. 83; 143, 144, 146, 153, 154, 155, 156, 157, 222, 223, 230 Gibbon Edward, 39 Gilas Milovan, 35 Gioberti Vincenzo, 10, 218 Giolitti Antonio, 92 Giordano Bruno, 69 Giovanni XXIII, 69 Girardi Giulio, 69 Giudici Giovanni, 5, 223 Gobetti Piero, 9, 10 Gorbaciov Michail, 88, 97, 187, 191, 202, 214, 232 Gorbaciova Raissa, 139 Gorz Andr, 208 Gramsci Antonio, 9, 10, 12, 13, 15, 16, 17, 18, 22, 23, 33, 36, 37, 39, 40, 41, 42, 43, 44, 45, 46, 47, 48,49, 51,57, 58, 66, 70, 71, 75, 92, 93, 94, 97, 104, 108, 140, 159, 174, 190, 217, 218, 220, 224 Graziadei Antonio, 16, 26, 34, 35, 224 Grilli Liltana, 94, 226 Grossman Heryk, 16 Guevara Ernesto, 161 Guttuso Renato, 67 Habermas Jiirgen, 8, 135, 168, 187,210 Hanson N.R., 148 Hegel Georg Wilhelm, 13, 16, 30, 31, 32, 33, 35, 40, 98, 101, 132, 134, 135, 141, 147, 149, 150, 151, 152, 154, 159, 162, 165, 169, 188, 189, 190, 193, 194, 196, 197, 1987 199, 204, 205, 232 Heidegger Martin, 67, 120, 132, 154, 160, 165, 166, 176, 181, 194, 198, 203, 210, 226 Hilferding Rudolf, 95, 146, 148 Hitler Adolf, 15, 166, 202 Hobbes Thomas, 139 Horkheimer Max, 187 Hugo Victor, 66 Hume David, 196 Ignazi Pietro, 225 Ilienkov Evald, 155 Illuminati Augusto, 101 Ingrao Pietro, 79, 85, 86, 88, 91, 100, 156, 219, 226 Jay Martin, 187, 231 Kant Immanuel, 73, 125, 127, 131, 151, 160, 162, 164, 184, 196 Kautsky Karl, 35, 185, 211 Kavafis Costantino, 5, 223 Keaton Buster, 185 Kelsen Hans, 226 Keynes John Maynard, 34, 74, 100-101, 173, 179, 181 King Stephen, 67 Korsch Karl, 84, 155, 162, 181 237 Kosk Karel, 7 Krusciov Nikita, 152, 214 Kuhn Thomas, 148, 155 Labriola Antonio, 13, 15, 16, 22, 26, 27, 28, 29, 30, 32, 34, 35, 40, 46, 161, 224 Lacan Jacques, 113, 194 La Ganga Giusy, 220 La Grassa Gianfranco, 22, 74, 89, 110, 114, 174, 186, 205, 206, 207, 208, 209, 222, 228, 232, 233 Lakatos Imre, 121, 148 La Malfa Giorgio, 61, 77 Lamarck Pierre, 155 Landucci Sergio, 159 Lange Oskar, 173 Lash Christopher, 167 Leibniz Gottfried, 139, 196 Lenin, 17, 29, 44, 55, 56, 70, 80, 97, 112, 138, 139, 154, 155, 162, 202, 203, 205, 211, 221, 222 Leopardi Giacomo, 21, 101, 121, 138, 141, 143, 188, 190 Livorsi Franco, 226 Loria Achille, 16, 26, 34, 35, 224 Luk4cs Gyrgy, 7,9, 21, 42, 43, 121, 127, 140, 141, 162, 183, 184, 195, 196, 197, 229, 231 Luporini Cesare, 18, 21, 56, 57, 140, 141, 143, 144, 145, 149, 150, 188, 223, 229 Luxemburg Rosa, 88, 92, 117, 211 Mach Ernst, 13 Machiavelli Niccol, 46, 148 Maitan Livio, 186 Malthus Thomas, 173 Mancini Stefano, 227 238 Mandel Ernest, 185 Mangano Attilio, 92, 227 Manzoni Alessandro, 66, 67 Mao Tsetung, 88, 110, 117, 211 Marchais Georges, 70 Marcuse Herbert, 112, 187, 188, 189 Marino Leonardo, 108 Martini Carlo Maria, 33 Marx Karl, 14, 16, 23, 29, 30, 31, 32, 33, 34, 35, 41, 92, 68, 73, 76, 112, 117, 121, 123, 124, 127, 129, 133, 134, 147, 148, 151, 152, 154, 159, 161, 162, 163, 164, 165, 171, 173, 174, 175, 179, 181, 186, 188, 189, 190, 194, 196, 197, 199, 200, 205, 206, 219, 224 Masi Edoarda, 110 Mattick Paul, 84, 117 Maupassant Guy, 210 Mazzini Giuseppe, 47, 190, 218 Merleau-Ponty Maurice, 160, 161 Merli Stefano, 227 Michels Roberto, 34 Mill John Stuart, 171 Mondolfo Rodolfo, 15, 16, 26, 29, 31, 32, 34 Monod Jacques, 191 Montaldi Danilo, 92 Montale Eugenio, 129 Montesquieu Charles-Louis, 113, 126, 148 Moretti Nanni, 75, 76 Moro Aldo, 73, 100, 111 Mussolini Benito, 15, 43, 202 Napoleoni Claudio, 16, 22, 66, 71, 163, 171, 172, 180, 181, 224, 231 Natoli Aldo, 110, 231 Negri Antonio, 20, 87, 88,91, 93, 99, 100, 101, 103, 104, 111, 112, 117, 151, 181, 206, 211, 226, 227, 228 Nenni Pietro, 31, 81, 190 Newton Isaac, 147, 153, 155 Nietzsche Friedrich, 1594, 160, 165, 166, 167, 188, 198, 226 Noiret Philippe, 66 Occhetto Achille, 9, 34, 75, 86, 89, 97, 220, 225 Omero, 144, 194 Pala Gianfranco, 174 Pannekoek Horner Anton, 117, 139, 155, 211, 219 Pannella Marco, 100, 221 Panzieri Raniero, 15, 20, 41, 84, 87, 91, 92, 93, 96, 97, 98, 99, 103, 116, 1591, 181, 211, 224, 226 Paolo di Tarso, 96, 222 Pareto Vilfredo, 16, 26, 34, 148, 224 Parmenide, 25, 131, 132, 133, 134, 165, 203, 204, 232 Pascal Blaise, 221 Pasolini Pier Paolo, 67, 109 Peirce Charles Sanders, 233 Pertini Sandro, 71, 73 Pesenti Antonio, 55, 171, 173, 174, 231 Pietranera Giulio, 171 Piperno Franco, 112 Platone, 32, 126, 134, 147, 149, 150, 162, 165, 196, 198, 220 Plechanov Georgij, 138, 146 Poincar Jules-Henri, 13 Polanyj Karl, 126 Pollock Friedrich, 187 Ponzio Pilato, 233 Popper Karl, 26, 121, 140, 146, 148, 160, 164, 233 Potier Jean-Pierre, 223, 224 Pratolini Vasco, 66 Quinto Fabio Massimo, 125 Rawls John, 8 Ricardo David, 34, 173, 174, 175, 176, 178, 179, 181 Ricca Umberto, 204, 232 Rizzi Umberto, 186 Roasio Antonio, 215 Robespierre Maximilien, 202 Rodano Franco, 68, 128, 181 Rorty Richard, 168 Rossanda Rossana, 79, 87, 88, 89, 91, 100, 156, 226 Rossellini Renzo, 67 Rossi Paolo, 154 Rousseau Jean-Jacques, 121 Rubin LI., 139, 233 Sacristn Manuel, 70, 155 Saddam Hussein, 125 Salinari Carlo, 66 Salvadori Massimo, 10 Salvati Michele, 179 Santomassimo G., 224 Sapegno Natalino, 66 Sartre Jean-Paul, 7, 87, 160, 190 Savonarola Girolamo, 202 Scalfari Eugenio, 77 Scalzone Oreste, 89, 112, 196 Schelling Friedrich, 190 Schevarnadze Eduard, 139 Schiavone Aldo, 49 Schmitt Karl, 84, 226 Secchia Pietro, 53 Segni Mario, 61, 77 Sereni Emilio, 55, 171 Serrati Giacinto Menotti, 36-37 Severino Emanuele, 21, 25, 26, 83, 119, 131, 132, 133, 137, 167, 200, 203, 222, 226, 228, 229 Sgarbi Vittorio, 22 Silone Ignazio, 35, 104 Smith Adam, 34, 173, 179, 196 239 Socrate, 220 Sofri Adriano, 89, 104, 108, 164 Sohn-Rethel Alfred, 132, 203 Soldani Franco, 233 Solmi Renato, 188 Sorel Georges, 219, 224 Spartaco, 202 Spinelli Altiero, 214 Spinoza Baruch, 101, 135, 184, 193, 196 Sraffa Piero, 16, 22, 34, 100, 171, 173, 174, 175, 181, 231 Stalin, 17, 33, 54, 55, 56, 87, 95, 110, 139, 152, 162, 203, 211,214 Sturzo Luigi, 190, 218 Suslov Michail, 46 Sylos Labini Paolo, 172, 175, 176, 177, 178, 229, 230 Sweezy Paul, 170, 183, 186, 231 Tasca Angelo, 37 Terracini Umberto, 37, 104, 108 Tex Willer, 68 Timpanaro Sebastiano, 21, 140, 141, 142, 143, 144, 188, 229 Togliatti Palmiro, 13, 14, 15, 17, 18, 23, 36, 42, 47, 51, 52, 53, 54, 55, 56, 58, 59, 60, 61, 64, 71, 73, 75,82, 93, 96, 104, 108, 135, 138, 149, 159, 190, 211, 217, 224 Tolomeo, 155 Tosel Andr, 223 Trendelenburg Friedrich Adolf, 150 Trentin Bruno, 88, 89, 178, 240 180, 231 Tronti Mario, 20, 82, 83, 84, 85, 91, 100, 225, 226 Trotzkij Lev, 55, 94, 117,211 Turati Filippo, 27, 28, 31, 32, 190, 220 Turchetto Maria, 233 Turgeniev Ivan, 109 Vacca Giuseppe, 49 Vaia Alessandro, 215 Vailati Giovanni, 12 Van Gogh Vincent, 184 Vattimo Gianni, 22, 151, 160, 165, 166, 167, 168, 169, 170, 229, 230 Verdi Giuseppe, 67 Vespucci Amerigo, 133 Viano Carlo Augusto, 154 Vico Giovanbattista, 35, 37 Vidali Vittorio, 215 Vigna Carmelo, 224 Vinci Luigi, 104, 116 Vittorini Elio, 59 Voltaire Frangois-Marie Arouet, 139 Weber Max, 26, 57, 76, 146, 148, 194, 226 Weil Simone, 97 Wiggershaus Rolf, 187, 231 Wittfogel Karl August, 185 Wittgenstein Ludwig, 136 Wodehouse Pelham, 39 Zaccagnini Benigno, 73 Zdanov Andrej, 58 Indice Introduzione, 7 Parte prima . I Le origini del marxismo teorico e dellideologia italiana fra Ottocento e Novecento, 25 Il marxismo di Antonio Labriola, 26; Il marxismo di Giovanni Gentile, 29; Il marxismo di Rodolfo Mondolfo, 31; Benedetto Croce e il marxismo. Una morte simulata?, 32; Marx in Italia fra economisti e sociologi, 34; Amadeo Bordiga e la conclusione delle origini del marxismo italiano, 36. II La rivoluzione in Occidente di Antonio Gramsci e la sua ambiguit di fondo, 39 Il primo Gramsci: operaismo e Ordine Nuovo, 40; Il secondo Gramsci: fronte unico e Tesi di Lione, 42; Il terzo Gramsci: la rivo- luzione in Occidente e i Quaderni del Carcere, 44; La tesi di Perry Anderson sullambiguit di Gramsci, 47. III La via italiana al socialismo di Palmiro Togliatti e lambi- guit gramsciana realizzata, 51 Togliatti: lo stalinismo liberale, 53; Togliatti: la religione storici- sta, 56; Togliatti: la direzione politica sulla cultura, 58; Togliatti: l'impossibile eredit, 60. 241 Parte seconda I La dinamica evolutiva del partito togliattiano di massa dal 1956 al 1991. La prima sinistra, 63 Il nazional-popolare, 66; Il catto-comunismo, 68; Leuro-comuni- smo, 70; Enrico Berlinguer: compromesso storico e diversit mo- rale, 71; Limplosione della Cosa fra il 1989 e il 1991, 74. II Lopposizione di Sua Maest alla prima sinistra dal 1956 al 1991. Un problema storiografico e metodologico, 79 Nomenklatura politica e risarcimento ideologico. I giorni feriali e le prediche della domenica, 80; Il demoniaco allombra del confor- mismo: Asor Rosa, Tronti e Cacciari, 82; Pietro Ingrao e il conso- CARLO libertario, 85; Rossana Rossanda e la sinistra esistenzia- ista, 87. INI Lopposizione strategica alla prima sinistra: Bordiga, Pan- zieri, Negri, 91 Laltra linea e le sue radici: la dissidenza socialista e comunista, 92; Il bolscevismo atemporale di Amadeo Bordiga, 93; Il socialismo operaista di Raniero Panzieri, 96; Il comunismo autonomo di Antonio Negri, 99. IV Limpossibile costruzione. I tentativi di dare alla seconda sinistra una dimensione politica di massa, 103 Le ragioni storiche di un fallimento politico, 103; La doppia natu- ra del Sessantotto, 106; Lotta Continua e il populismo generazio- nale-comunitario, 108; Servire il Popolo e il maoismo cattolico- stalinista, 109; Potere Operaio e il futurismo metropolitano, 111; La lotta armata e la sua dinamica distruttiva, 113; Da Avanguardia Operaia a Democrazia Proletaria. Dalloperaismo militante ai nuo- vi soggetti, 116. 242 V I grandi confronti teorici con il marxismo: Bobbio, Del Noce e Severino, 119 Quattro dicotomie fuorvianti: destra e sinistra, progressisti e con- servatori, laici e credenti, borghesi e proletari, 119; Norberto Bob- bio e le idee marxiste, 124; Augusto Del Noce e le idee marzxiste, 128; Emanuele Severino e le idee marxiste, 131. VI Le idee marxiste e la filosofia. Una convivenza difficile, 135 Lo statuto marxista della filosofia. Un problema aperto, 137; Cesa- re Luporini e il materialismo, 140; Sebastiano Timpanaro e il mate- rialismo, 141. VII Le idee marxiste e la scienza. Un matrimonio fallito, 145 Lo statuto marxista della scienza. Un problema aperto, 147; Gal- vano Della Volpe e il marxismo, 149; Ludovico Geymonat e il mar- xismo, 153. VII Le idee marxiste e la dialettica. Un amore impossibile, 159 Lucio Colletti e le avventure della dialettica, 160; Gianni Vattimo e le avventure della differenza, 164. IX Le idee marxiste e l'economia. Un divorzio inevitabile, 171 La conciliazione classica di Antonio Pesenti, 173; La conciliazione ricardiana di Piero Sraffa, 173; Sylos Labini e la lotta di classe della grande borghesia contro la piccola borghesia, 175; Il sindacalismo neoricardiano e la lotta di classe della classe operaia contro la pic- cola borghesia, 178; Claudio Napoleoni e la dissoluzione delleco- nomia politica, 180. 243 X Il dibattito marxista internazionale e lItalia. Un rapporto faticoso, 183 La grande questione: la natura sociale dell'URSS, 185; Adorno in Italia fra apocalissi e integrazione, 187; Bloch in Italia fra profeti- smo e accademia, 189; Althusser in Italia fra teoria e politica, 192; Lukcs in Italia fra continuit e rifondazione, 195. XI Linnovazione nella tradizione. Un discorso delicato, 199 Un rinnovatore filosofico: Massimo Bontempelli, 201; Un rinnova- tore scientifico: Gianfranco La Grassa, 205; Verso un nuovo para- digma comunista inedito ed inaspettato, 209. Conclusione, 215 Nota bibliografica generale, 223 Indice dei nomi, 235 Finito di stampare nel mese di marzo 1993 dalla GECA Srl di Milano per conto di Vangelista Editori Snc 244 Costanzo Preve Storia. del | Materialismo I 2) GA editrice pelle plaisance Questa Storia del materialismo  il terzo ed ultimo volume di una trilogia tematica unitaria, di cui sono stati gi pubblicati due volumi dedicati rispettivamente ad una Storia della dialettica e ad una Storia dell'etica. Il presupposto di questa trilogia sta in ci, che  impossibile elaborare un metodo ed un contenuto filosoficamente adeguati ai tempi storici inediti in cui stiamo vivendo senza effettuare preliminarmente un ripensamento ed una ricostruzione radicalmente innovativi sul passato remoto e su quello prossimo della nostra tradizione occidentale. La consapevolezza di un tale programma non deve paralizzare ed indurre a rinunciare per quieto vivere. Dopo un'introduzione dedicata ai vari significati storici e teorici del materialismo, l'esposizione  strutturata in tre ampi capitoli. Nel primo si analizza storicamente e teoricamente il significato di materialismo come ateismo, e cio come critica alla religione. Nel secondo si indaga invece il significato vero e proprio del materialismo filosofico, che non  in alcun modo, come molti pensano, una semplice metafisica monistica dellunicit della . materia o una semplice sistematizzazione coerente dei risultati di volta in volta raggiunti dalle scienze naturali moderne post- galileiane, ma  invece la problematizzazione critica della deduzione storica delle categorie filosofiche ed ideologiche a partire dal loro contesto storico, sociale e genetico. Nel terzo si ha un ennesimo ritorno sulla storia del marxismo da Marx ad oggi, alla luce appunto del metodo esposto nel secondo capitolo, e cio della deduzione genetica delle stesse categorie marxiste dal contesto storico e sociale. In altre parole, un abbozzo di una storia marxista del marxismo. Il giudizio critico sui risultati teorici raggiunti in questa trilogia spetta ovviamente ai lettori critici, e solo a loro. Costanzo PrEvE (1943) ha studiato scienze politiche, filosofia e neoellenistica a Torino, Parigi ed Atene (1961-1967). Per trentacinque anni (1967-2002) ha insegnato filosofia e storia nei licei italiani. Ha pubblicato saggi ed articoli in italiano ed in altre lingue straniere. Per lEditrice Petite Plaisance ha gi pubblicato i . due precedenti volumi della trilogia, Storia della dialettica e Storia dell'etica. ISBN 88-7588-015-8 i  15 Collana diretta da Luca Grecchi . 6Ttov yp toys ovtuyovor cai dikm, Tola Euvmpis TOVE KAprepwrpa; Eschilo, Frammento 267. Tv mbeL uddoc dvta Kkupiws Exe Eschilo, Agamennone, 177. Evugper OMPpovetv VITt OTEVEL Eschilo, Eumenidi, 520. OUNOW CWPPpovElv ETLOTA0AL> Eschilo, Prometeo, 982. Costanzo PREVE, Storia del Materialismo ISBN 88-7588-015-8 Copyright 4  E Z007 editrice ; pelle plaisane Via di Valdibrana 311  51100 Pistoia Tel.: 0573-480013  Fax: 0573-480914 C. c. postale 44510527 www.petiteplaisance.it e-mail: info@petiteplaisance.it In copertina: Constantin Brancusi, Prometeo, 1911. Marmo bianco, lung. cm. 17,8; Philadelphia Museum of Art. Chi non spera quello che non sembra sperabile non potr scoprirne la realt, poich lo avr fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non pu essere trovato e a cui non porta nessuna strada. ERACLITO Agli amici Riccardo Di Vito e Silvia Irti Costanzo Preve STORIA DEL MATERIALISMO pelle plaisance ProLoGo IL COMPLETAMENTO ED IL PERFEZIONAMENTO DEL PROGETTO TEORICO COMPLESSIVO DI UNA TRILOGIA Questa Storia del materialismo costituisce il terzo ed ultimo volume di una trilogia filosofica iniziata con una Storia della dialettica ed una Storia dell'etica. Si tratta di tre successivi ritorni su di un unico tema, che assomiglia in un certo senso all'attivit di un decoratore che deve dare il bianco ad una parete. Qualche lettore avr certamente fatto lesperienza di comprarsi da solo vernice e pennelli per dare il bianco alle pareti della propria casa. In casi come questi, e particolarmente quando le pareti non sono state pi imbiancate da molto tempo, ed hanno via via assunto un colore diverso da quello originario, non  certo sufficiente una sola passata, ma ce ne vogliono almeno due, o preferibilmente tre. Ebbene, questa trilogia  stata confezionata esattamente con il criterio del buon decoratore che sa bene come le tre passate di vernice sono necessarie. La vernice acquistata resta di un solo ed unico colore, ma bisogna passarla tre volte. Il colore della mia vernice filosofica  quello che vorrebbe ad un tempo riprendere le tinte della tradizione rivoluzionaria, ed illuminare il nuovo ed inedito cielo delle contraddizioni storiche e sociali di oggi. Non poteva dunque essere n semplicemente il rosso, n semplicemente l'azzurro, ma bisognava cercare una tonalit nuova. Se poi l'abbia trovata o meno, tocca al lettore giudicare. . Tdealmente, questa trilogia inizia con la proposta di spostamento radicale del concetto di arch della filosofia greca. Un vero e proprio riorientamento gestaltico dell'intera tradizione occidentale pu avvenire soltanto se ci abitueremo gradualmente a passare da una nozione materiale (larch come acqua di Talete, come aria di Anassimene, eccetera) ad una nozione formale (larch come misura, metron, di Solone e Clistene). Questo spostamento ci porta a cogliere il punto fondamentale dei problemi del nostro tempo, e cio la dismisura e la illimitatezza delle ricchezze.  questo il punto fondamentale, e non certamente l'opposizione astratta fra pace e guerra e dunque fra pacifismo e guerrismo, che  certo fondamentale, ma  derivata dalla prima contraddizione, quella fra misura e dismisura. Non sono 7 ProLoco affatto fondamentali, ma sono del tutto derivate e del tutto secondarie, opposizioni come quelle fra destra e sinistra, che sono oggi solo delle protesi artificiali di manipolazione simbolica di un campo politico fittizio e privato di sovranit, fra ateismo e religione, che instaura una logomachia interminabile fra sostenitori e negatori astratti di un principio unitario di coerenza della totalit naturale e sociale, ed infine fra progresso e conservazione, i cui sostenitori reciproci hanno ormai perso da molto tempo la capacit di mettere razionalmente a fuoco che cosa realmente vogliono e che cosa non vogliono modificare e/o conservare. Stabilito il principio del metron come criterio per orientarsi in etica ed in politica, ne deriva necessariamente che un'etica non pu dar luogo ad interminabili dilemmi morali, ma deve partire da un giudizio complessivo di eticit o meno della societ in cui siamo temporalmente e spazialmente inseriti. Ora, qui ed ora, la societ in cui siamo inseriti, in quanto societ della dismisura e della illimitatezza del potere militare e finanziario, non permette alcuna eticit, ma soltanto una morale provvisoria limitata ai nostri rapporti con chi ci  pi vicino. Al di l di questa contiguit, c' soltanto una etica di resistenza alla dismisura ed alla illimitatezza. L'etica oggi si identifica allora con la resistenza. Ma la resistenza allillimitatezza ed alla dismisura implica automaticamente che noi dobbiamo porci il problema della natura e della dinamica del modo di produzione capitalistico, e quindi di Marx, del marxismo e delle contraddizioni che esso porta con s. Questa  la ragione per cui in tutti e tre i volumi della trilogia si torna sempre a Marx ed al marxismo, e si torna sempre con pennellate nuove. Il lettore giudicher sulla mia interpretazione complessiva del pensiero di Marx e del marxismo esposta nei tre volumi di questa trilogia.  probabile che la tesi che gli sembrer pi discutibile ed azzardata sia l'inserimento completo e senza riserve di Marx nella tradizione filosofica dellidealismo e non in quella del materialismo, sia pur variamente interpretato con dosi maggiori o minori di dialettica. Tuttavia, la tesi che personalmente considero pi innovativa ed alla quale tengo di pi non  questa, ma  quella esposta nei capitoli centrali della mia Storia dell'etica, in cui applico alla dinamica storica di sviluppo del capitalismo il modello della triade dialettica hegeliana, ed in cui sostengo che ci troviamo ormai interni al terzo momento di sviluppo del capitalismo stesso, quello di tipo speculativo, in cui il sistema sociale ormai si specchia direttamente (speculum) in s stesso, e cio nella merce pura nelle sue molteplici forme di apparenza fenomenica, ed ha in buona parte superato il momento della contrapposizione dialettica fra il polo borghese ed il polo proletario. Questo significa forse che ci troviamo ormai in una fase storica post-dialettica, in cui appunto la dialettica non 8 Il completamento ed il perfezionamento del progetto teorico complessivo di una trilogia funziona pi, e regna soltanto una dittatura onnipotente della tecnica e della . economia incorporata nella tecnica stessa, come affermano gli heideggeriani all'ombra del potere del capitale finanziario? Assolutamente no. Io, almeno, non penso questo, e per questa ragione ho iniziato con una Storia della dialettica. Senza una ridefinizione dei termini ontologici, infatti, ogni etica  impossibile, e restano soltanto forme di morale provvisoria di tipo ellenistico, quelle infatti che vengono proposte oggi dai consulenti filosofici, dagli psicologi e da gran parte degli apparati ideologici giornalistici, politici e/o universitari. Una riabilitazione filosofica della dialettica, almeno in Italia, va oggi decisamente controcorrente. Una buona ragione, questa, per promuoverla, in quanto ci che non va oggi controcorrente non vale neppure la carta su cui  stampato. Negli scorsi decenni, e particolarmente nel quarantennio 1966-2006 (per cui chi allora era ventenne oggi  sessantenne), l'attacco alla dialettica ha avuto due diverse genesi teoriche ed ideali, che potremmo ricondurre rispettivamente a Lucio Colletti ed a Gianni Vattimo, ma che alla fine sono confluite politicamente in una sola direzione. Per quanto riguarda Lucio Colletti, la sua liquidazione della dialettica con l'approdo finale allo scientismo pi positivistico mai esistito in Italia dai tempi di Ardig (ma senza il suo afflato di contestazione progressista e di modernizzazone culturale), non pu essere inquadrata soltanto nella dinamica di sviluppo interno della scuola di Galvano Della Volpe, ma deve essere vista in modo pi esternistico come la sanzione della autoliquidazione colta della comunit intellettuale marxista italiana. Il harakiri filosofico marxista di un'intera generazione era effettuato impugnando la spada della tradizionale critica alla dialettica, da Trendelenburg a Popper, utilizzando ovviamente anche le grandi ombre della critica di Aristotele alla dialettica di Platone, oltre alla critica anticipata di Kant alla posteriore dialettica di Hegel, il grande maestro di Marx. Ma non ci si deve far ingannare dallelemento puramente tecnico di queste critiche. Sotto queste raffinate argomentazioni ci stava un abbandono sociale di massa alla critica al capitalismo, e questo abbandono veniva ricoperto maldestramente dalla teologia kantiana di Colletti. Per quanto riguarda Gianni Vattimo, la sua sostituzione della logica della cosiddetta differenza alla logica della dialettica (a sua volta semplificata per poter prestarsi pi facilmente alla stroncatura) non aveva la stessa genesi della critica alla dialettica di Colletti, perch Colletti era stato per due decenni interno alla comunit marxista italiana, mentre Vattimo non lo era mai stato, ma si era affermato come interprete originale di Nietzsche ed Heidegger. Da un punto di vista ideologico, Vattimo accompagna l'evoluzione a sinistra di nuovi ceti medi libertari, e cio interessati ad 9 PROLOGO una liberalizzazione post-borghese e post-proletaria del costume, e del tutto indifferenti ed anzi recalcitranti verso tutte le utopie reazionarie di integrale proletarizzazione organicistica della societ. Nonostante i necessari riferimenti a Colletti ed a Vattimo, le ragioni del declino della dialettica sono state recentemente riformulate da un pensatore oggi molto alla moda, e cio Umberto Galimberti. Interpretando la diagnosi tecnica di Heidegger secondo la modalit che ho deciso di chiamare, scusandomi per lespressione faticosa ed anzi mostruosa, noncenientedaffarismo, il tramonto della dialettica  identificato con il tramonto delle soggettivit collettive di opposizione al moderno capitalismo finanziario, che secondo Galimberti sarebbe ormai del tutto identificato con l'apparato impersonale tecnico (in linguaggio heideggeriano Gestell) che oggi e presumibilmente anche domani e dopodomani domina e dominer il mondo. Pienamente consapevole di queste critiche alla Colletti, Vattimo, Galimberti, eccetera, e non facendomi nessuna illusione sul fatto che esse rappresentano realmente lo spirito del tempo (Zeitgeist) e quindi che tutto quanto gli si oppone verr ferocemente silenziato dallapparato mediatico del chiacchiericcio semicolto delle pagine culturali e dell'industria editoriale dominante, ho egualmente deciso di nuotare controcorrente, senza peraltro farmi nessuna illusione sulla possibilit di successo a breve o a medio termine. Le possibilit storiche e sociali di una vera riabilitazione della dialettica dipendono infatti da due fattori esterni. Il primo non  in mio potere, e posso solo segnalarlo. Il secondo  invece alla mia portata, e rappresenta infatti il contenuto di questa mia trilogia. Ci che non  assolutamente in mio potere, e che probabilmente non vedr mai data la mia et gi relativamente avanzata,  lo sviluppo di movimenti politici e sociali realmente sistemici, e non solo virtuali 0, ancor peggio, falsamente contestativi ed in realt pienamente integrati nello spettacolo falsamente pluralistico del politicamente corretto di oggi. Solo questi movimenti sistemici potrebbero in un tempo ragionevole imporre una svolta anche alla filosofia, questa nottola di Minerva che si alza solo al crepuscolo. In loro assenza il successo della cosiddetta filosofia analitica anglosassone  assicurato, visto che questa filosofia avanza insieme ai furgoni militari Usa e Nato, in quanto si tratta del solo metodo filosofico che ripudia integralmente la dialettica, perch non dispone neppure di parole e di concetti per indicare la totalit, e noi sappiamo, sulla scorta di Hegel e di Adorno, che solo il Tutto pu essere vero e/o falso, mentre la Parte pu essere solo certa o incerta, esatta o inesatta, veridica o bugiarda, eccetera. Per movimenti sistemici intendo allora veri movimenti in grado di creare difficolt all'impero ideocratico americano ed ai suoi mercenari e vassalli. L'odierno movimento detto pacifista, con il suo accompagnamento di ONG integrate 10 Il completamento ed il perfezionamento del progetto teorico complessivo di una trilogia nei meccanismi imperialistici ed il suo ceto politico professionale subalterno, non  ovviamente un movimento sistemico, e per questa ragione la sua filosofia non  quella della contraddizione dialettica, ma  quella della lagnosa esaltazione di tutte le possibili differenze esistenti nel teatrino del mondo. Avendo posto un segno di eguaglianza etica (e cio in questo caso immorale) fra dominio e resistenza al dominio, ribattezzati malignamente guerra e terrorismo, questo movimento si  degradato in un triste spettacolo di pecoroni salmodianti e belanti, irrilevanti sul piano interno e fiancheggiatori dell'impero sul piano esterno. Ma gi negli anni ottanta Giinther Anders, uno dei pi grandi filosofi realmente pacifisti del Novecento, aveva diagnosticato con sicurezza la degradazione del movimento pacifista in ritualizzazione teatrale mediatica di pecoroni salmodianti e belanti, in presenza di una sempre maggiore militarizzazione imperialista accompagnata dalla distruzione del diritto internazionale moderno fra popoli e stati (distruzione cui i cortei di pecoroni salmodianti e belanti si accodano, con il loro auspicio di sempre maggiori interventi umanitari, che loro vorrebbero per accompagnati da greggi di pecore anzich da stormi di cacciabombardieri e da divisioni corazzate seguite da contractors assassini). L'ideale sarebbe, ovviamente, che questi movimenti sistemici fossero basati su rivendicazioni sociali democratiche ed egualitarie. Io almeno sarei per queste ultime con tutto il cuore. In loro assenza, tuttavia, mi accontenterei a malincuore di semplici movimenti sistemici di tipo geopolitico, nazionale e statuale. Tutto questo, comunque, non  in mio potere, e posso solo assistervi come uno spettatore partecipante ma anche impotente, cos come erano gli spettatori romani del circo (lespressione  di Ernesto Che Guevara). Ci che invece  alla mia portata, e rappresenta il tema di questa Storia del materialismo,  invece la problematizzazione del vecchio e glorioso rapporto fra dialettica e materialismo. In proposito non ritengo sufficiente la vecchia e ormai scontata critica del Diamat, cio del materialismo dialettico codificato a partire dal 1931 da Stalin. Sarebbe come sparare contro la Croce Rossa. Bisogna andare molto oltre, marcare una discontinuit molto maggiore, e riscrivere appunto lintera storia del marxismo cos come l'abbiamo conosciuta fino ad ora. E tuttavia questo non basta ancora. Bisogna anche criticare a fondo la vecchia equazione fra ateismo e materialismo (e lo faccio nel primo capitolo), e soprattutto chiarire che lunico uso razionale possibile del termine materialismo pu essere trovata nella deduzione storico-strutturale delle categorie a partire dai rapporti sociali di produzione, e non certo nel rilancio di un'inutile e stucchevole metafisica della materia (e lo faccio nel secondo decisivo capitolo). 11 PROLOGO Il secondo punto  ovviamente connesso al primo. Gi molti prima di me si sono accinti a questo programma (primo fra tutti il grande Alfred Sohn-Rethel ed i suoi continuatori). Ma ci che  parzialmente mancato in costoro, ed io cerco di correggere,  la distinzione fra momento ideologico e momento propriamente filosofico nella genesi delle categorie. Senza questa distinzione, che la tradizione marxista generalmente ignora (e non solo in Sohn-Rethel, ma addirittura nel pi grande marxista del novecento, e cio Gyorgy Lukacs), non  possibile distinguere fra il valore veritativo metatemporale proprio della grande filosofia, ed il valore sociale ed identitario proprio della sola ideologia. La coazione economicistica e riduzionistica allequazione fra momento ideologico e momento filosofico  una malattia incurabile del marxismo cos come lo abbiamo conosciuto fino adoggi, esattamente come  incurabile la tendenza della filosofia accademica di pensare che fra ideologia e filosofia non ci sia nessun punto di tangenza sociale e dunque neppure nessuna genesi materiale (e quindi in realt fuor di metafora strutturale) in comune. Ho parlato di quello che era alla mia portata, e che ho cercato di realizzare non solo in questa Storia del materialismo, ma anche nell'intera trilogia. Mi aspetto ovviamente il massimo di silenziamento, e questo non certo per paranoia, autocommiserazione o tendenza alla lamentazione subalterna. No di certo. Mi aspetto il silenziamento perch sia la fama che il silenziamento sono strutturali, in quanto passano entrambi attraverso la mediazione dei gruppi intellettuali consolidati in una congiuntura storica particolare, e che si consolidano appunto tramite una divisione del lavoro e del potere con i gruppi dominanti. Ma chi scrive deve fare una scommessa con un futuro che non vedr mai, scommessa che ha sostituito oggi (ed  stato un bene) la precedente illusione su di un infallibile previsione deterministica e/o teleologica della storia. Il lettore non trover in questa Storia del materialismo qualcosa che pure avrebbe avuto il diritto di trovare. Non alludo solo ai significati di materialismo, che sono alcune decine, e non soltanto i due che ho analizzato in appositi capitoli (materialismo come ateismo e materialismo come deduzione sociale delle categorie ideali). Alcuni di questi significati sono stati ricordati nella Introduzione, il cui scopo  stato proprio quello di colmare vuoti e dimenticanze. Alludo invece ad un capitolo apposito che avrebbe dovuto esserci, dedicato alla storia ed alla filosofia delle scienze naturali, ed al concetto di materia da esse veicolato (ad esempio, nel passaggio generalizzato del concetto di materia come estensione e come massa al concetto di materia come energia e come campo). Ho preferito per non scrivere questo capitolo, che pure avrei potuto confezionare tagliando ed incollando da opere di divulgazione scientifica che pure posseggo ed ho 12 Il completamento ed il perfezionamento del progetto teorico complessivo di una trilogia anche parzialmente letto, per non cadere in quel particolare malcostume dei tuttologi che consiste nel parlare di un argomento che non si padroneggia per mancanza di preparazione specifica. Ritengo che il lettore non possa che essermi grato di questo piccolo passo all'indietro. 13 INTRODUZIONE IL MATERIALISMO COME CONCEZIONE GLOBALE DEL MONDO SIGNIFICATI STORICI E FILOSOFICI, METAFORE IDEOLOGICHE E POLITICHE, CONTRADDIZIONI E CHIARIMENTI 1. Apriamo il classico Dizionario filosofico di Nicola Abbagnano e cerchiamo per um primo orientamento le voci materia e materialismo. Per quanto riguarda la materia Abbagnano si esprime cos: Uno dei principi costitutivi della realt naturale, cio dei corpi. Le definizioni principali che ne sono state date sono le seguenti: 2) la m. come soggetto; b) la m. come potenza; c) la m. come estensione; d) la m. come forza; e) la m. come legge; f) la m. come massa; g) la m. come densit di campo. Le prime quattro sono definizioni filosofiche, le ultime due scientifiche. Per quanto riguarda invece il materialismo, Abbagnano fa notare che il termine fu usato per la prima volta nel 1674 da Robert Boyle, che era uno scienziato e non un filosofo professionale. Esso designa in generale ogni dottrina che attribuisce la causalit soltanto alla materia. In seguito Abbagnano distingue quattro significati di materialismo: 1) il materialismo metafisico o cosmologico, che si identifica con latomismo filosofico; 2) il materialismo metodologico, secondo il quale lunica spiegazione valida dei fenomeni  quella che fa ricorso ai corpi ed ai loro movimenti; 3) il materialismo pratico, che  quello che riconosce nel piacere lunica guida della vita; 4) il materialismo psicofisico, che  quello che ammette la stretta dipendenza causale dei fenomeni psichici da quelli fisiologici. In quanto al materialismo dialettico e storico, Abbagnano ritiene che debbano essere trattati a parte. Abbiamo cos un primo orientamento definitorio per trattare il nostro tema. Come  ovvio, sorgono immediatamente alcune difficolt, ed inizier ad elencarle subito. 2. In primo luogo, ci si pu chiedere se il cosiddetto materialismo cominci soltanto nel momento in cui  stato definito in quanto ismo autonomo, e cio da Boyle nel 1674, oppure se invece esisteva gi da prima anche se non era ancora stato sistematizzato in un ismo particolare (atomismo di Democrito ed Epicuro, eccetera). In generale si afferma che, ovviamente, il punto di vista filosofico che vede la materia come principio 15 INTRODUZIONE pienamente autosufficiente e capace di auto-organizzazione (0 autopoiesi) precede l'etichetta che gli  stata data da Boyle nel 1674, in quanto fin dall'antichit greca classica, per non parlare di tutte le altre tradizioni filosofiche indipendenti (India, Cina, eccetera), esisteva una spaccatura visibile fra coloro che si pronunciavano in qualche modo per un disegno intelligente esterno alla natura stessa e coloro che invece affermavano l'autosufficienza organizzativa del principio materiale della natura. Andando consapevolmente controcorrente, mi permetter pi avanti di discutere criticamente questo punto di vista tanto consolidato da sembrare addirittura ovvio.  In secondo luogo, il fatto che Abbagnano distingua quattro definizioni filosofiche e due scientifiche di materia pu essere contestato. Ad esempio i concetti di materia come potenza (Aristotele), come estensione (Cartesio) e come forza (Leibniz), che Abbagnano considera solo filosofici e quindi prescientifici, erano considerati pienamente scientifici nel tempo in cui vennero proposti, e con uno sforzo di fantasia possiamo tranquillamente immaginare che fra 500 anni anche le due ultime definizioni (materia come massa e come densit - di campo) saranno messe nell'archivio storico delle definizioni puramente filosofiche. In terzo luogo, infine, Abbagnano dimentica a mio avviso il significato di materia pi importante di tutti, e cio la materia come metafora, e cio come metafora di qualcosa d'altro che sta al suo posto nascondendosi, in modo che quando parliamo di materia e di materialismo in realt stiamo parlando d'altro. Sono quindi costretto a proporre le mie personali definizioni di materialismo, concepito come quel particolare ismo che si fonda  sullintegrale autosufficienza del principio materiale sia in ambito naturale che in ambito sociale. 3. Diamo allora quattro significati di materialismo, di cui solo il primo  letteralmente ed etimologicamente corretto, mentre gli altri tre sono pienamente metaforici, e cio dicono una cosa per indicarne in realt unaltra, che si tratta allora di mettere a fuoco secondo la sua dialettica interna. La dialettica infatti non  solo o principalmente un metodo, ma  una filosofia vera e propria. 1) Materialismo come pensiero scientifico.  l'unico significato di materialismo che possa essere considerato proprio. Ma appunto qui nascono le difficolt. Definirlo in questo modo significa di fatto sottrarlo integralmente al dialogo filosofico, perch il dialogo filosofico non ha assolutamente nulla da dire sui significati di materia, e cio di oggetto di . ricerca e di scoperta, in quanto questi significati sono di esclusiva propriet delle scienze particolari, dallastronomia alla fisica, dalla chimica alla 16 Il materialismo come concezione globale del mondo biologia, eccetera. La stessa epistemologia, o riflessione di secondo grado sulla natura, i limiti e gli esiti dell'attivit scientifica, non  a mio avviso un ramo della filosofia (come potrebbero infatti i filosofi giudicare sulla vera scientificit di ci di cui non posseggono i termini minimi di controllo e di giudizio?), ma  un momento interno della autoriflessione metodologica delle scienze stesse, delle loro procedure e dei loro protocolli. Come a suo tempo ha sostenuto in modo definitivo ( un'opinione personale, ovviamente, ma non vedo perch la devo tenere per me come se me ne vergognassi!) lateniese Socrate, la filosofia si occupa unicamente delluomo, secondo il detto delfico conosci te stesso, e si occupa della natura solo nella misura in cui entra in simbiosi diretta con luomo stesso. In questo, e vorrei essere chiaro in proposito, non c' nessun irrazionalismo e nessun disprezzo 0 sottovalutazione delle scienze naturali. Tutto al contrario.  proprio perch ho un grande rispetto per le scienze naturali e per le loro applicazioni tecnologiche utili (ce ne sono infatti anche di utili, oltre a moltissime dannose) che non vedo di buon occhio il chiacchiericcio pseudo-epistemologico incontrollato da parte di chi non potrebbe neppure superare un facile esame di matematica e scienze dell'ultimo anno del liceo scientifico (e questo ad esempio il mio caso, ma  il caso anche del 95% dei filosofi che mettono lepistemologia al vertice della filosofia contemporanea e dimenticano luomo inseguendo inutilmente Popper, Kuhn, Lakatos, Feyerabend e compagnia cantante). 2) Materialismo come consapevolezza del primato assoluto del corpo, sia del corpo dolorante sia del corpo gaudente (ma  la stessa cosa, perch il dolore ed il piacere hanno la stessa radice corporea). Questo secondo significato verr discusso in questa introduzione. E chiaro che, a differenza del primo significato, qui la materia  gi metafora, ed esattamente metafora della consapevolezza del piacere e soprattutto del dolore. 3) Materialismo come ateismo, e cio come metafora dellaffermazione della totale inesistenza di Dio. Questo significato verr discusso nel primo capitolo di questo saggio. 4) Materialismo come primato del substrato naturale e/o sociale, e cio come metafora del fatto che per comprendere l'evoluzione degli ideali umani bisogna partire da ci che sta al di sotto di loro, e cio i vincoli naturali della riproduzione in quanto tale oppure la struttura delle societ umane. In questo caso il materialismo  la metafora del primato dell'elemento materiale su quello ideale, e cio della riproduzione fisica della vita. Il materialismo di Marx  in proposito il frutto di una problematizzazione critica, quella del modello del semplice primato delle condizioni dette naturali (ed esaminer pi avanti il modello di Marvin Harris). Tutto ci verr discusso nel secondo capitolo di questo saggio. 17 INTRODUZIONE Prima, per, bisogna spingere fino in fondo il dubbio iperbolico, e problematizzare prima la questione della contraddizione interna all'attivit filosofica in quanto tale, e poi la questione della definizione, o meglio della capacit della definizione ad inquadrare veramente le cose. 4. Apriamo la Terminologia Filosofica di Adorno. Si tratta di un ciclo di lezioni tenute a Francoforte fra il 1962 ed il 1963, registrate su nastro magnetico, trascritte e poi pubblicate nel 1973 in Germania quattro anni dopo la morte di Adorno, avvenuta nel 1969. A mio avviso  fra i pi bei libri dell'intera filosofia del Novecento, un capolavoro oggi impensabile, ed impensabile perch viviamo nell'epoca del seppellimento (provvisorio) del pensiero dialettico, della generalizzata antipatia verso Hegel, della neutralizzazione di Marx ridotto ad innocuo profeta barbuto della globalizzazione, eccetera. Ma il fatto stesso che la Terminologia filosofica abbia potuto esistere quasi mezzo secolo fa, significa che forse anche in futuro potr esistere qualcosa di simile, In ogni caso io sacchegger questo libro geniale, in cui vi sono decine di pagine proprio sul materialismo, ed incomincio a farlo prima sulla natura della filosofia e poi sulla natura delle definizioni in filosofia. 5. Adorno individua correttamente la contraddizione massima e principalissima della filosofia nel fatto che essa  e insieme non  una specializzazione. Da un lato, infatti, la filosofia vorrebbe prima di tutto essere una saggezza universale, una saggezza interna al mondo preso nel . suo complesso (Weltweisheit), e questo per sua stessa natura esclude la | specializzazione come qualcosa di incompatibile con il suo oggetto e con il suo metodo. Ma nello stesso tempo la filosofia  coinvolta nel maestoso ed irreversibile processo di specializzazione del sapere insito nel progresso delle scienze particolari. In proposito Adorno cita argutamente Walter Benjamin, che aveva definito il linguaggio filosofico come una sorta di linguaggio di ruffiani, di gergo segreto di bricconi matricolati. La terminologia filosofica, in quanto lingua Segre per pochissimi, aveva per Benjamin un carattere sciamanico, tipico del sorriso dellaugure secondo Cicerone. Io penso che  sia opportuno prendere molto sul serio quanto dicono Adorno e Benjamin, ed utilizzarlo come punto di partenza ideale proprio per capire che cosa propriamente significa materialismo.  un fatto che la filosofia, nata come attivit non specialistica per sua propria natura individuale e sociale, in quanto la saggezza sul mondo naturale e sociale non pu essere per sua intima natura una scienza specialistica, non ha potuto fare a meno nel corso del suo sviluppo di elaborare una terminologia ultraspecialistica che sembra fatta apposta per 13 Il materialismo come concezione globale del mondo spaventare e tenere lontani tutti i profani, riservare il suo sapere ad alcuni sacerdoti esperti nei suoi rituali. Il fatto poi che tutte le scienze particolari abbiano un loro lessico ultraspecialistico che richiede anni ed anni per la sua acquisizione, e quindi anche la filosofia non pu fare a meno di questa ascesi specialistica, non  un buon argomento come sembrerebbe, perch-a differenza delle altre scienze particolari la filosofia dovrebbe ambire per sua natura ad una universalit linguistica immediata. Si crea cos un ossimoro ad un tempo grottesco ed inquietante, che fa della filosofia una sorta di specializzazione dell'universale, e cio di attivit destinata alla conoscenza terminologicamente e concettualmente specialistica di un oggetto universale come la conoscenza complessiva del mondo. A questa contraddizione ossimorica non si pu certo sfuggire con la cosiddetta volgarizzazione dei problemi, che  sempre e solo una banalizzazione di essi. Gi Brecht nei suoi famosi Dialoghi di profughi si prese gioco di quei corsi volgarizzati di marxismo, un marxismo senza Hegel e senza Ricardo (sic!), che finivano per ridurre Karl Marx, il fondatore della ditta, ad un ridicolo precursore di Stalin. Bisogna dunque che chi si occupa di filosofia, e quindi anche di etica, di dialettica e di materialismo, si faccia integralmente carico di questa curiosa contraddizione insita nellattivit filosofica in quanto tale. Alcune considerazioni ulteriori in proposito saranno forse di qualche utilit. 6. Se effettuiamo un rapido esame della storia della filosofia occidentale, vediamo che il lessico filosofico non  nato affatto specialistico, ma  nato semmai metaforico e sapienziale. In questo senso i cosiddetti primi filosofi non sono stati affatto i rappresentanti della nuova razionalit in opposizione al precedente pensiero mitico, come favoleggia la retrodatazione al mondo antico del modello settecentesco di razionalit illuministico-borghese, ma sono stati i precursori della vecchia sapienzialit orfico-sacerdotale (in questo senso  ma solo in questo senso  la scuola di Giorgio Colli ha pienamente ragione). Non era specialistico il lessico di Eraclito, ma metaforico, in quanto Eraclito parlava della societ della sua citt di Efeso attraverso la metafora della natura e delle sue contraddizioni dialettiche, E non era neppure specialistico il lessico di Parmenide e della sua categoria massima e principalissima, e cio quella di Essere, indipendentemente dal fatto che noi la interpretiamo alla Alfred Sohn-Rethel (lEssere come proiezione metafisica astratta che duplica lastrazione reale della moneta coniata), sia che la interpretiamo invece alla Massimo Bontempelli (lEssere come assolutizzazione permanente ed immutabile della buona legislazione di tipo pitagorico), eccetera. Comunque vogliamo interpretare i presocratici, ne 19 INTRODUZIONE risulta un lessico sapienziale e metaforico, esemplificato sul lessico oracolare, per cui non saremmo lontani dal vero se facessimo l'ipotesi che l'origine prima della filosofia greca non sta a Mileto, a Efeso, a Abdera 0 a Crotone, ma sta semmai a Delfo. In ogni caso, la filosofia come saggezza del mondo (Weltweisheit) non nasce con un lessico specialistico. Lo stesso Socrate, il fastidioso moscone della polis democratica di Atene, non avrebbe potuto fondare il logos sokratiks (riprendo qui lespressione di Olaf Gigon) se non avesse usato il lessico quotidiano del popolo di Atene, ivi compreso il lessico dei contadini e dei marinai analfabeti. In un certo senso, il primo lessico specialistico della filosofia occidentale nasce allinterno dellAccademia di Platone. Non  pi il logos sokratiks dellagor, ma  un lessico specializzato nella Scienza del Bene. Ed allora la scienza del bene, come la scienza della navigazione o quella della apicoltura, ha bisogno di un suo proprio lessico specialistico, che nella fattispecie  quello della dialettica ascendente (synagogh) e di quella discendente (diairesis). Ma la contraddizione individuata da Adorno resta, perch questo lessico specialistico  messo al servizio di un sapere universale, quello della conoscenza di s (secondo linterpretazione - da me condivisa  che di Platone ha dato Alessandro Biral). Il lessico di Aristotele  anch'esso specialistico, ma in senso diverso da . quello di Platone, perch il lessico della sua filosofia prima (il termine  posteriore di metafisica  particolarmente fuorviante, perch trasforma una metodologia dellimmanenza in una teologia della trascendenza) non  al servizio di una scienza del bene (negando la teoria delle idee, Aristotele nega anche di conseguenza lidea massima e principalissima, quella appunto del Bene), ma di una comprensione razionale della totalit. Questa comprensione della totalit  poi messa al servizio della buona vita (eu zen) e del principio della misura (metron) e non ha quindi molto senso far diventare Aristotele il precursore del moderno scienziato di laboratorio interessato prima di tutto alla natura in s. Aristotele era interno al principio della Weltweisheit, la saggezza del mondo, non della Wissenschaft intesa come scienza galileiana. Il lessico epicureo e stoico, essendo rivolto alla saggezza del metron contro il mondo della ricchezza smisurata e dei desideri illimitati, era anch'esso in una certa misura specialistico, ma era anche stato elaborato di proposito per essere appreso da tutti in pochi mesi. Questa relativa semplicit non era affatto casuale, perch le scuole epicurea e stoica si pensavano come scuole ad un tempo fondate sul piccolo gruppo egualitario di amici (liberi, schiavi, maschi e femmine) e su di una pretesa cosmopolitica di saggezza estendibile a tutti i popoli. i 20 Il materialismo come concezione globale del mondo Il lessico specialistico della filosofia, che era diventato relativamente facile e di agevole apprendimento con le scuole ellenistiche, ridiventa difficile ed estremamente tecnico con la scuola neoplatonica di Plotino e dei suoi successori. Anzi, con una certa forzatura, potremmo dire che il primo lessico filosofico programmaticamente specialistico ed incomprensibile per chi  dotato soltanto .di competenze linguistiche quotidiane  proprio quello neoplatonico. Mi sembra evidente che questa incomprensibilit specialistica esasperata sarebbe a sua volta storicamente incomprensibile se appunto non la interpretassimo anch'essa storicamente, e cio come raddoppiamento nel mondo dei concetti e dei termini della separazione sociale non tanto fra liberi e schiavi, separazione che durava gi da pi di mezzo millennio e che aveva mantenuto nellessenziale un lessico comune per entrambi questi due gruppi sociali (e pensiamo alla Lettere di Paolo di Tarso, rivolte ecumenicamente a liberi, liberti e schiavi con un linguaggio assolutamente identico), quanto fra honestiores e humiliores, le due grandi classi che preludono all'imminente spaccatura dicotomica feudale. Il lessico specialistico del tardo neoplatonismo pagano si trasmise al lessico teologico-filosofico della scolastica cristiana medievale, lessico che  in un certo senso il capolavoro assoluto ed il coronamento insuperabile dello specialismo terminologico programmaticamente e quasi provocatoriamente incomprensibile ai comuni mortali. Nello stesso tempo la natura intenzionalmente criptica ed ultraspecialistica del lessico filosofico-teologico medievale  di facilissima decifrazione, per almeno una ragione di fondo. In sintesi, il lessico ultraspecialistico di gruppo (in questo caso il gruppo degli oratores) raddoppiava nel mondo della separatezza semantica la separatezza dei tre ordines della societ (bellatores, oratores, laboratores), ognuno dei quali aveva la propria cultura e quindi il proprio lessico (l'amor cortese per i bellatores, la teologia platonica e/o aristotelica per gli oratores ed infine la cultura popolare oralmente tramandata per i laboratores, proprio quella che, dopo aver resistito per millenni,  stata recentemente incorporata e poi distrutta dalla cultura di massa del capitalismo). Il lessico specialistico continua in et moderna prima con il particolare linguaggio rinascimentale, ilozoistico e pampsichistico (e cio una sorta di naturalismo panteistico che era anche e soprattutto una macchina da guerra contro le teologie dellepoca  ed infatti Giordano Bruno lha pagata cara, e non poteva essere diversamente), e poi con il lessico incentrato sulla categoria seicentesca di sostanza, il cui abbandono da parte dellempirismo di Locke rappresenta a mio avviso anche e soprattutto l'abbandono simbolico di ogni fondazione filosofica sostanzialistica (e quindi non capitalistica) della societ, restando la sostanza una metafora comunitaria sia pure sotto un travestimento metafisico. 21 INTRODUZIONE Kant resta per nell'essenziale il vero fondatore del lessico filosofico specialistico di oggi. Da circa due secoli questo lessico filosofico specialistico  rimasto sostanzialmente immutato, e questo non  un caso, perch si  trattato dei duecento anni del capitalismo propriamente borghese (ed in quanto borghese, ovviamente anche proletario), in cui il lessico specialistico di Kant raddoppiava nel mondo delle idee delle esigenze sociali e strutturali. I limiti che Kant poneva alla metafisica erano i limiti che il mondo liberale poneva alle prescrizioni morali e politiche esterne alla pura logica della riproduzione capitalistica (che non a caso Kant esenta di fatto dalla teoria dei limiti), e l'Io penso posto e non socialmente dedotto ma semplicemente postulato rifletteva lautoposizione assoluta della razionalit capitalistica, che rifiuta di problematizzare la propria genesi sociale esattamente come Kant rifiuta di problematizzare i suoi postulati, ma semplicemente li pone. Lo stesso capitalismo  infatti (almeno nel suo raddoppiamento filosofico astrattizzato) una autoposizione assoluta, per cui la sua problematizzazione non potr mai avvenire attraverso Kant, ma soltanto attraverso la categoria di alienazione (Entfremdung), categoria addirittura impensabile in un'ottica kantiana (e non a caso), Ma qui si passa gi ai lessici specialistici post-kantiani di Hegel e di Marx. Oggi, in un'epoca storica inedita, che almeno per ora sembra andare (ma domani chiss) verso un ipercapitalismo globalizzato (da me definito con linguaggio volutamente hegeliano la fase sintetica e speculativa del capitalismo stesso, quella in cui la stessa dialettica sembra assumere forme nuove non necessariamente diadiche), il lessico specialistico kantiano e post- kantiano, definito continentale dall'arroganza imperialistica anglosassone (sarebbe infatti strano se unarroganza economica e militare non si raddoppiasse simbolicamente anche con una arroganza filosofica parallela), sta scivolando verso un nuovo lessico specialistico, quello della cosiddetta filosofia analitica. Questo passaggio non  assolutamente un enigma, ma  anzi facilmente comprensibile. Il lessico specialistico kantiano, infatti, aveva ancora dei termini per definire la totalit, anche se poi la giudicava immediatamente inconoscibile. Il fatto che per personalmente Kant la definisse inconoscibile diventava in un certo senso secondario, perch dal semplice fatto che nel suo lessico la totalit fosse oggetto di una connotazione linguistica e concettuale ne poteva risultare come possibilit che la stessa totalit diventasse conoscibile attraverso la sua trasformazione (Fichte e poi Marx), oppure conoscibile attraverso la ricostruzione dialettica del passaggio dal dato esterno all'autocoscienza interna (Hegel). Bisogna allora distruggere anche la semplice possibilit astratta che la filosofia possa parlare della totalit in quanto tale. 22 Il materialismo come concezione globale del mondo Nel suo Uomo ad una dimensione Marcuse comprese in tempo reale che il neopositivismo aveva proprio questo compito. Ma la vera e propria filosofia analitica anglosassone  in proposito molto pi performativa del semplice neopositivismo, perch nel suo apparato linguistico c' un solo concetto che non si pu neppure enunciare, ed  appunto la totalit, o pi esattamente la totalit sociale come oggetto di autoriflessione critica e dialettica. Si pu infatti analizzare tutto, al di fuori di un concetto di totalit che la critica e all'idea di metafisica che ha il compito di illegittimare. Mentre il lavoro sporco  affidato ai giornalisti di regime, la rifinitura sofisticata della critica alla metafisica  affidata ai cosiddetti grandi filosofi del jet set mediatico mondiale, come Jirgen Habermas e Richard Rorty, che il circo mediatico definisce grandi, appunto perch gettano via il bambino della metafisica buona insieme all'acqua sporca della metafisica cattiva. Residui della vecchia metafisica (come, in Italia, Emanuele Severino ed Umberto Galimberti) vengono tollerati solo e nella misura in cui tutta la loro metafisica serve a concludere che il cerchio del Nichilismo (Severino) e della Tecnica (Galimberti) si  chiuso su di noi, e che dunque il solo ismo che ci aspetta  il nientedafarismo. 7.Mi sono intenzionalmente soffermato a lungo sul precedente paragrafo di questa introduzione, anche se gran parte delle osservazioni anticipate verranno riprese e perfezionate nei prossimi capitoli, perch volevo in un certo senso prendere sul serio l'osservazione di Adorno sulla filosofia come compresenza di oggetto universalistico e di metodo specialistico. Questa compresenza non  aggirabile con buoni propositi di divulgazione o di traduzione (a mio avviso di fatto impossibile) nel linguaggio comune quotidiano dei contenuti della filosofia. Perch questa compresenza non  aggirabile? Non  aggirabile per una ragione concettualmente molto semplice. Il linguaggio comune quotidiano (e Adorno fu uno di coloro che cap meglio questo punto) non  il grado zero della semplicit, dellautenticit e della purezza, ma  anche e soprattutto il lessico del dominio, dellaccettazione introiettata del dominio stesso e delle sue alienazioni. Per questa ragione la filosofia, come ha detto molto bene Karel Kosik nella sua immortale Dialettica del concreto, non  il raddoppiamento sofisticato della concretezza, ma  la distruzione della pseudo-concretezza. La pseudo-concretezza si distrugge, anche e soprattutto, lasciandoci alle spalle dicotomie opposizionali improprie (come quella fra religione ed ateismo, o pi esattamente, materialismo inteso come razionalizzazione dellateismo) ed ancor pi separando sistematicamente i processi di genesi ideologica contingente e di universalizzazione veritativa di tipo filosofico. 23 INTRODUZIONE Ed essendo la distruzione di questa pseudo-concretezza l'oggetto di questo saggio, mi  sembrato opportuno soffermarmi a lungo sopra gi in questa introduzione. 8. Passiamo ora al modo in cui Adorno affronta il problema della definizione. La sua acuta consapevolezza del carattere specifico della conoscenza filosofica, per cui essa non doveva cercare in nessun modo un impossibile, inutile e suicida adeguamento all'oggetto ed al metodo delle scienze naturali moderne, lo teneva lontano da tutti quegli sciagurati benintenzionati in buona fede (cito alla rinfusa: Carnap, Popper, Geymonat, Colletti, Althusser) che invece nel Novecento hanno fatto di tutto per schiacciare la filosofia sul metodo delle scienze naturali. Qui Adorno  tuttora il modello di una grande saggezza, una saggezza profetica se riflettiamo sulla natura dei nostri tempi antifilosofici. Le scienze naturali moderne, infatti, non avrebbero mai potuto costituirsi senza una rigorosa unificazione concettuale dei termini, che dovevano diventare assolutamente univoci per poter permettere la formazione di una  comunit universale cosmopolitica di studiosi specialisti. Per le scienze naturali, infatti, lo specialismo non  affatto un tradimento verso quello che Husserl chiamava mondo della vita (Lebenswelt), ma una precondizione essenziale per poter studiare il mondo in s, come se appunto la soggettivit non esistesse. Quando Heidegger disse che la scienza non pensa, e questa affermazione fu subito presa come occasione dal chiacchiericcio positivista per tuonare contro il suo orribile irrazionalismo, si trattava soltanto di una tautologica ovvier, se per pensiero non si intende semplicemente lo studio della natura a partire dai codici stabiliti dalle varie scienze particolari, ma si intende la problematizzazione del mondo umano propriamente detto. Benedetto Croce disse qualcosa di simile quando parl di pseudo-concetti, anche se avrebbe potuto scegliere un termine meno offensivo per indicare la legittima differenza qualitativa fra concetti scientifici e concetti filosofici propriamente detti. I concetti filosofici propriamente detti, infatti, non sopportano per loro propria natura una unificazione terminologica definitiva. Se essa potesse avvenire come  avvenuto per la fisica o la biologia, sarebbe evidentemente la fine per l'umanit cos come l'abbiamo conosciuta fino ad ora. L'umanit diventerebbe integralmente robotizzata, ed allora persino lepoca della compiuta peccaminosit di cui parlava Fichte diventerebbe un parco dei divertimenti. Sarebbe infatti la fine della dialettica e l'avvento integrale della differenza, intesa per come differenza nei gusti merceologici e nel differenziato potere d'acquisto per poterli soddisfare. Nello stesso tempo la terminologia filosofica resta degna di analisi e di studio, perch quando 24 Il materialismo come concezione globale del mondo parliamo di filosofia usiamo dei termini, ed insieme con i termini utilizziamo competenze sociali sul loro uso, sul loro abuso, sul loro disuso ed infine su tutte le ricadute ideologiche, simboliche, metaforiche ed immaginative che si portano dietro. Adorno fa notare che lo stesso Kant, considerato come il papa per eccellenza della terminologia univoca dei concetti, in realt metteva in guardia dal loro utilizzo eccessivo. Nella Critica della ragion pura Kant si espresse letteralmente in questo modo: In filosofia non si deve imitare la | matematica e premettere la definizione, salvo che in via di semplice esperimento. E disse ancora: Per parlare esattamente, neanche un concetto dato a priori pu essere definito. Affermazione apparentemente stupefacente, se pensiamo che viene dal massimo teorico della priori mai esistito. Questo fatto per non mi opa Kant non era un neo-kantiano, o pi esattamente era tanto poco un neo-kantiano quanto Marx era un marxista come quelli venuti dopo. La definizione, o pi esattamente il processo del definire, nonostante sia di fatto ineludibile nel dialogo filosofico per non ridurlo ad una Babele di confusionari autoreferenziali in preda al bla-bla narcisistico incontrollabile, pu far dimenticare il fatto che siamo sempre e solo noi che definiamo, e che noi, a differenza di Dio, non possiamo dare il nome alle cose, anche se possiamo pur sempre, come direbbe Confucio, rettificare i nomi che nel frattempo si sono autonomizzati ed hanno perso ogni rapporto con le cose. 9.I due paragrafi precedenti erano necessari, per cos dire, per preparare il terreno, o pi esattamente il terreno che ho scelto per parlare del termine materialismo. Del materialismo come metafora dellateismo e del materialismo come deduzione strutturalistica delle categorie ideologiche e della loro eccedenza filosofica veritativa parler nei prossimi due capitoli. In questa introduzione mi concentrer invece su di un terzo significato di materialismo, che per  il primo in senso quotidiano, e cio del materialismo come consapevolezza del primato assoluto del corpo, sia come corpo gaudente che come corpo dolorante, e soprattutto come corpo dolorante, perch il dolore  pi forte del piacere. Una breve considerazione sulla matrice filosofica del buddismo non sar certo inutile. 10. Siddharta Gautama, solo in seguito detto Buddha (e cio lIlluminato) nacque in un castello signorile presso il villaggio di Lumbini, vicino a Kapilavastu, capitale della repubblica oligarchica dei Sakya, situata nel territorio dellattuale Nepal. Era figlio di un nobile della casta militare dei guerrieri ariani, gli Ksatryia. La data di nascita  stata collocata verso il 560 25 INTRODUZIONE a.C. Secondo gli storici annalisti cinesi Confucio nacque nel 551 a.C., e la riforma politica di Solone di Atene, che nella mia ricostruzione della filosofia occidentale introduce il principio del metron,;  del 592 a.c. Dal momento che Solone, Confucio e Siddharta Gautama non potevano conoscersi, e neppure influenzarsi vicendevolmente perch si muovevano in contesti geografici del tutto indipendenti, ma nello stesso tempo rispondevano in modo alternativo agli stessi problemi di orientamento umano nel mondo, ne segue che la tesi di Karl Jaspers per cui ci fu nella storia dell'umanit un periodo assiale in cui furono prodotti concetti veritativi anche per il futuro, e non soltanto contingenti ed ideologici, ha indubbiamente un suo fondamento. Solone, Siddharta Gautama e Confucio avevano qualcosa in comune fra loro, e cio il fatto che provenivano da settori intermedi della societ (cos come pi tardi fu il caso di Hegel e di Marx).  vero che Solone era un aristocratico (eupatrides) di grande prestigio, ma Buddha veniva dal gruppo castale intermedio dei guerrieri ksathrya, mentre Confucio visse tutta la vita come aiutante (tai fu), e cio come membro della nobilt decaduta dei chun tzu. Le stesse Upanishad, i testi fondamentali della filosofia indiana che precedono temporalmente (ma non di molto) Buddha, sono stati concepiti e scritti da pensatori di origine ksathrya, in polemica con la ritualit religiosa della casta dei bramini. La conclusione che se ne pu trarre (o almeno la conclusione che io personalmente ne traggo)  che gli strati sociali intermedi .- sono quelli in cui  pi facile che possa sorgere l'interrogazione critica e problematica sul significato globale dellesistenza. Secondo la tradizione, il padre di Buddha era ossessionato dalla profezia di un bramino, per cui il figlio avrebbe lasciato la famiglia e la sua condizione aristocratica per diventare un rishi, e cio un saggio della foresta. Il padre lo rinchiuse dunque in un vero e proprio giardino delle delizie, una zona protetta da cui non avrebbe mai dovuto uscire. Poi ci fu un giorno sconvolgente, in cui Buddha usc dal giardino delle delizie ed incontr quattro personaggi, un vecchio sofferente, un malato incurabile devastato dal dolore fisico, un morto lasciato per strada gi in putrefazione e mangiato dai vermi ed infine un monaco. Quella stessa notte, che i buddisti chiamano la notte della rinuncia, guard per lultima volta senza svegliarli la moglie ed il figlioletto di un anno, lasci il palazzo e la citt e divent un rishi, proprio ci che il padre non aveva voluto in nessun modo che diventasse. La storia di Buddha ha qualche analogia con quella di Francesco d'Assisi, anche se nel prosieguo del tempo egli abbandon la via dell'ascesa dei rishi, per approdare a una visione molto pi complessiva, chiamata la dottrina delle quattro nobili verit (non poi cos lontana - anche se pu sembrare a prima vista strano  dal tetrafarmakon, la teoria delle quattro medicine della scuola epicurea). Ma qui non si tratta di discutere il buddismo, quanto di 26 Il materialismo come concezione globale del mondo far notare come persino la dottrina apparentemente pi spiritualistica e meno materialistica che lumanit abbia mai prodotto, abbia inizio dalla scoperta del primato assoluto del corpo dolorante. La quarta figura che Buddha incontra (il monaco rishi)  soltanto la metafora della presa di coscienza (provvisoria, come vedremo) dellesistenza delle tre figure precedenti (il vecchio, il malato ed il morto). Queste tre figure sono la quintessenza della Materia, ed evidentemente la materia dolente assume un primato sulla materia gaudente, e cio la ricchezza, la moglie ed il figlioletto. L'estremo spiritualismo nasce cos da una sorta di ipermaterialismo, e questo non deve stupire chi si  nutrito di pensiero dialettico. E qui viene a proposito il richiamo di una lettera privata di Antonio Labriola a Benedetto Croce. 11. Nel 1904 il sessantunenne Antonio Labriola muore per un cancro alla laringe. Non riesce pi a parlare, e non riesce neppure pi ad inghiottire cibi solidi. Un mese prima della morte scrive al suo giovane amico Benedetto Croce. Si tratta di una lettera commovente, come spesso avviene per le lettere dei moribondi. In questo caso, per, egli mette a confronto il suo materialismo, risvegliato dal dolore fisico della sua grave malattia, con il cosiddetto idealismo di Croce e di Gentile. Tutti i miei calcoli sono falliti, confessa Labriola. Avrei voluto dedicare gli ultimi anni della mia vita a scrivere una summa delle mie concezioni. Ma tutto  finito, e non pensiamoci pi. Poi Labriola se la prende con Gentile, definito pazzo (sic!) perch vorrebbe una sana filosofia (ma Labriola rifugge dalla sana filosofia come dalla peste!), e con Croce, perch gli sembra che il suo filosofare sia composto da soli giudizi analitici. Ma tutto questo  solo un dettaglio. Ad un certo punto Labriola non ne pu pi, e sbotta: Negli ultimi trent'anni ho visto passare tante filosofie neokantiane, neocritiche, neopositivistiche, empiriocritiche, immanenti, contingenziali, neotomistiche, buddistiche, realidealistiche, fessistiche [sic!], ciarlatane, da averne piene le tasche e tutte le altre borse. E poi Labriola termina la lettera cos: Questa lettera  stata interrotta dal tentativo che ho fatto di ingoiare della crema, o del cacao, e non ci sono riuscito. Come vedi c' da rallegrarsi. Peccato che il tuo neoidealismo non possa nulla contro la sprucida [sprde] materia. Sprucida significa fragile, ed in ogni caso la lettera si conclude con il termine materia. Un breve commento. Sarebbe troppo facile limitarsi a constatare che la confutazione dellidealismo in nome dell'inaggirabile primato della materia da parte del morente Labriola, che constata la totale impotenza da parte dei sistemi filosofici davanti al tumore della laringe che non gli permette neppure di deglutire, non  di natura filosofica. I tumori possono uccidere 27 INTRODUZIONE imparzialmente sostenitori di tutte indistintamente le concezioni filosofiche, dai materialisti atei pi immanentisti ai neoplatonici pi spiritualisti, e questo non muta di un grammo la struttura delle argomentazioni razionali con cui ogni scuola difende le proprie posizioni. Ma  innegabile che la presenza della materia si avverte gi in presenza del corpo gaudente, con i conseguenti peccati di carne condannati soprattutto dalla tradizione cattolica, e molto di pi in presenza del corpo dolente, che il dolore riporta appunto alla consapevolezza della centralit della materia nella riproduzione umana. Senza arrivare a dire che lidealismo  un divertimento per corpi sani che non hanno tempo da perdere (ed io non penso affatto questo, perch mi considero un idealista consapevole della scuola di Hegel e di Marx), ed il materialismo  il momento della verit che giunge nella consapevolezza del dolore proprio e degli altri (ma soprattutto proprio), sarebbe sciocco non riflettere sui due esempi fatti di Siddharta Gautama e di Antonio Labriola. 12. Fedele al detto sopra ricordato di Kant, per cui termini e definizioni non possono che essere esposizioni provvisorie proposte al dibattito dialogico, direi che il nucleo essenziale pre-teorico e pre-filosofico del materialismo  proprio la consapevolezza del corpo, e del corpo dolente prima che del corpo gaudente. A questo punto, per, inizia il tema dellelaborazione filosofica sistematica di questo punto di vista. Nella filosofia europea moderna il primo grande (e insuperato) esponente della scuola materialista che ha il corpo umano concreto come suo fondamento  a mio avviso Schopenhauer. Pu essere allora interessante riflettere sul perch questa classificazione del pensiero di Schopenhauer, apparentemente ovvia, non  presente in nessuna storia della filosofia. Schopenhauer  classificato in molti modi (allievo anomalo di Kant, esponente massimo della reazione all'idealismo ed in particolare a Hegel, capostipite del cosiddetto irrazionalismo moderno destinato poi ad inverarsi in Nietzsche, eccetera), ma  sempre sistematicamente assente dalla consueta galleria dei . materialisti (Democrito, Epicuro, Lucrezio, D'Holbach, Leopardi, eccetera). Eppure, nessuno come Schopenhauer oppose in modo cos radicale e conseguente il corpo allo spirito nella sua furibonda lotta contro il fantasma di Hegel. Questa strana dimenticanza del ruolo fondamentale di Schopenhauer allinterno del materialismo inteso come filosofia della centralit del corpo (e qui sta propriamente l'elemento indiano del pensiero di Schopenhauer)  dovuta a mio avviso proprio al fatto che le tassonomie filosofiche tradizionali rimuovono il corpo vero e proprio (considerato  chiss perch  volgare, da cui deriva il fatto che partire dal corpo e dai suoi bisogni  28 Il materialismo come concezione globale del mondo connotato incongruamente come materialismo volgare), e lo sublimano in due ismi che con il corpo propriamente detto non c'entrano assolutamente niente, e cio il pessimismo oppure lirrazionalismo. E qui allora viene in primo piano lo Schopenhauer pessimista contrapposto a Leopardi, anche lui pessimista ma solidale e non egoista (Francesco De Sanctis, Sebastiano Timpanaro, Cesare Luporini, eccetera), oppure lo Schopenhauer irrazionalista e nemico del razionalismo dialettico (Gy6rgy Lukcs nella Distruzione della ragione). Come si vede, ancora una volta la cosiddetta materia  una metafora, un'occasione per parlare d'altro. Ha evidentemente ragione Sigmund Freud a collocare la rimozione al centro delle strategie della psiche individuale, ma questa rimozione agisce anche a livello subliminale nelle ricostruzioni della storia della filosofia. Parlare di corpo  evidentemente volgare, perch il corpo sanguina, suda e defeca oltre ad apparire nella sua giovanile bellezza nella simulazione pubblicitaria che sta oggi sostituendo la realt reale con la realt virtuale del raddoppiamento capitalistico contemporaneo. E allora il corpo  espulso dal cerchio magico della speculazione filosofica,  affidato alle cure di Madre Teresa di Calcutta (di cui si invoca per questo la santit, in base alla definizione seguente: santo = qualcuno che si accolla impegni che tutti cercano di evitare),  percepito solo in quanto sostanza che sta sotto al coito e/o alla malattia, ed  quindi volgare, in quanto sia il coito che la malattia hanno questo in comune, che entrambi sporcano il lenzuolo, Meglio allora rimuovere tutto questo, e ricorrere ad ismi pi rassicuranti come il pessimismo e lirrazionalismo. 13. Dal momento che lo stesso Adorno, nella Terminologia filosofica, dopo aver messo in guardia contro le definizioni rigide,ricorre al grande Hegel per dire che il modo migliore per definire un ismo (nel nostro caso, il materialismo)  quello di definirlo attraverso l'opposizione al suo contrario, in quanto definirlo nella sua illusoria separatezza equivale a definire una vuota astrazione, bisogna trovare allora il suo contrario. Ma il contrario, secondo la dialettica,  in realt il suo opposto in correlazione essenziale, per cui il materialismo in quanto tale non pu neppure esistere (cosa che generalmente sfugge a tutti i materialisti ignari della dialettica) senza essere correlato al suo opposto. Ma allora lunico concetto reale  lunit correlata degli opposti. E qual  allora l'opposto correlato del materialismo? Il marxista dir subito che l'opposto correlato del materialismo  lidealismo, sulla scorta di una abitudine inerziale inaugurata da Engels (non da Marx; da Engels) fra il 1875 ed il 1895. Ci ritorner pi avanti, ma dico subito che senza scepsi originaria, e cio senza mettere in dubbio questa tradizione inaugurata da 29 INTRODUZIONE Engels non  possibile procedere nella nostra riflessione. Un cristiano dir che l'opposto correlato del materialismo  lo spiritualismo religioso, che deduce i suoi valori dalla rivelazione divina razionalmente elaborata e rifiuta di ridurli alla sola materia. Come si vede, siamo gi in piena confusione terminologica. Cerchiamo allora di fare un po' di chiarezza prima di concludere questa introduzione e passare alla discussione sistematica dei prossimi tre capitoli. 14. Proviamo a partire dal significato comune e quotidiano dei termini, quello spontaneamente usato da tutti coloro (e sono la stragrande maggioranza) che sono del tutto ignari del lessico specifico della filosofia, anche se confusamente avvertono che c' forse qualcosa che non va in una disciplina che vorrebbe rivolgersi a tutti e poi utilizza uno dei linguaggi pi incomprensibili e criptici dell'intero orbe terracqueo. Nel linguaggio comune il materialista  quello che pensa solo ai soldi, e pensando solo ai soldi ed ai piaceri detti volgari (sempre sulla base della dicotomia sopra ricordata volgare/corpo e nobile/spirito) si tiene evidentemente stretto alla materia, mentre lidealista  quello che mette i suoi ideali utopici ed irraggiungibili davanti a tutto, e soprattutto davanti ai pochi soldi che pure servirebbero a lui ed ai suoi familiari. Credo che questo uso lessicale dei termini abbia solo due secoli circa, in quanto solo negli ultimi due secoli i soldi sono divenuti il criterio metafisico fondamentale per la comprensione del mondo. In ogni caso, il materialista  volgare, mentre lidealista  utopico. Tutti e due sono evidentemente lontani dalla messotes, il buon vecchio giusto mezzo che dovrebbe tenersi aristotelicamente lontano dagli opposti estremismi della volgarit che pensa solo ai soldi ed ai piaceri del corpo e dell'utopia che invece non pensa affatto ai soldi e persegue solo i piaceri dello spirito. - A questo punto,  inutile scoprire lesistenza dellacqua calda, e cio ribadire che il senso tecnico e filosofico dei ternini di materialismo e di idealismo non ha nulla a che fare con luso comune consolidato di questi termini stessi, che evidentemente  improprio, e deve essere corretto. Bella scoperta! L'uso comune dei termini non deve essere corretto, ma deve essere spiegato, ed il solo modo di spiegarlo  cercare di dedurlo dai rapporti sociali che lo hanno generato. Abbiamo visto nei paragrafi precedenti che il materialismo, al di l del suo significato tecnico-scientifico di sistematizzazione coerentizzata delle nozioni che fanno l'oggetto della conoscenza scientifica e dellapplicazione tecnologica,  soprattutto lidea della consapevolezza della centralit del corpo, gaudente e dolorante, e soprattutto della centralit del corpo dolorante, perch nella condizione umana il dolore prevale sul piacere in durata ed intensit (Epicuro in verit 30 Il materialismo come concezione globale del mondo non dice questo, anzi afferma il contrario, ma su questo punto preferisco seguire Giacomo Leopardi). Bisogna per fare ancora un passo avanti, e si pu farlo soltanto prendendo sul serio i significati quotidiani, volgari dei due termini. Il fatto che il sapere quotidiano ponga materialismo ed idealismo ai due estremi di un campo non solo teorico ma anche emozionale e passionale, non sar forse il sintomo ancora poco elaborato (ma elaborabile, se lo vogliamo) di un dato, per cui la loro esistenza  solo possibile allinterno di una unit dialettica ontologicamente omogenea? Detto in modo pi semplice, non esiste materialismo senza idealismo, e viceversa, per cui pensare alla vittoria di un termine sull'altro  pura illusione ideologica identitaria priva di qualsiasi base filosofica seria. Ripetuto in modo pi filosofico, diremo che lidealismo  semplicemente l'elaborazione dialettica delle contraddizioni del materialismo, ed inversamente il materialismo  solo l'elaborazione dialettica delle contraddizioni dellidealismo. Da questo personalmente ricavo due conseguenze metodologiche di grande importanza. In primo luogo, il fatto che bisogna riscrivere integralmente la storia del marxismo, senza fidarsi di nulla di quello che  stato scritto fino ad oggi, anche se  ovviamente bene non assumere atteggiamenti distruttori verso una tradizione ricchissima durata un secolo e mezzo. E bisogna riscriverla integralmente perch essa  stata costruita sul fondamento della lotta e dellauspicata vittoria finale del materialismo sullidealismo, o se si vuole della tradizione materialistica su quella idealistica. Da Engels (morto nel 1895) ad Althusser (morto nel 1990) la continuit di questa teodicea materialistica  impressionante. Ma se ci mettiamo da un punto di vista diverso, in cui materialismo e idealismo sono momenti correlati di una unica ontologia, scopriamo non solo che Marx  stato il terzo grande idealista dopo Fichte ed Hegel, ma anche che il suo indiscutibile materialismo  stato di fatto solo una metafora di due altre posizioni filosofiche, il suo ateismo ed il suo strutturalismo. In secondo luogo, di conseguenza, emerge la necessit di analizzare prima il rapporto fra materialismo ed ateismo, e poi il rapporto fra materialismo e strutturalismo sociale, e cio esistenza di strutture storiche la cui logica di riproduzione non coincide integralmente ( sufficiente per me questa formulazione estremamente cauta) con i progetti umani soggettivamente intesi. In questo modo si abbandona purtroppo il terreno su cui abbiamo discusso fino ad ora, quello della concezione di materia tratta dallo sviluppo delle scienze particolari e quello della centralit del corpo gaudente e dolente (con prevalenza di quello dolente). Tuttavia, entrambi questi due aspetti potranno forse essere parzialmente ricuperati nel proseguo della trattazione. 31 INTRODUZIONE Il saggio si svilupper cos in tre capitoli. Tutti e tre i capitoli presuppongono le analisi che ho svolto in due testi complementari sulla storia e sulla natura della dialettica e sulla correlazione essenziale fra lo spazio del comportamento etico e la natura misurata e/o smisurata dei rapporti economici. Il primo capitolo sar dedicato al rapporto fra materialismo e ateismo, il secondo al materialismo inteso come deduzione sociale delle categorie ideologiche e della loro eccedenza filosofica veritativa, ed il terzo infine ad un inizio, sia pure ancora zoppicante, di una riscrittura integrale della storia del marxismo. La chiusura di una triade dialettica ne apre immediatamente unaltra, che  per ancora chiusa nelle casseforti di un futuro integralmente imprevedibile. 32 CaprrtoLo Primo MATERIALISMO E RELIGIONE STORIA E FILOSOFIA DELLATEISMO NELLA SUA OSTILE COMPLEMENTARIET CON LA PERENNIT DELL'ESPERIENZA RELIGIOSA 1. Il primo significato di materialismo che discuter sar quello che identifica il materialismo con lateismo, e cio con l'affermazione filosofica dellinesistenza di Dio. Dico subito che a mio avviso questo significato di materialismo  improprio, cattivo e fuorviante, ed  perci meglio non utilizzarlo. Ripeto che per me i significati utili e fecondi di materialismo sono due. Il primo significato riguarda la centralit fisica del corpo, gaudente e/o dolente, con l'avvertenza che il dolore del corpo  primario di fronte al piacere del corpo stesso. Questo materialismo non  affatto volgare, anche se una tradizione demenziale lha cos battezzato senza suscitare la reazione necessaria, ed  stato discusso nella precedente Introduzione. Il secondo significato riguarda la deduzione sociale delle categorie, geneticamente ideologiche all'origine ma dotate di una eccedenza filosofica veritativa, e verr discusso nel secondo capitolo. In questo capitolo, invece, tratter il nesso dialettico fra ateismo e religione intesi come opposti in correlazione essenziale, con l'avvertenza per che questo nesso dialettico non  di per s n ateo n religioso, e soprattutto non  n idealista n tanto meno materialista. 2.  possibile che il lettore abbia a casa libri e saggi di argomento religioso, e magari anche una storia della religione cristiana oppure di tutte le religioni del mondo. Io ne ho a casa molte, a partire da quelle di tipo ateo (quelle del marxista italiano Ambrogio Donini e del marxista sovietico Serghej Tokarev), fino a quella classica in otto tomi curata da Giovanni Filoramo e pubblicata dall'editore Laterza. La storia delle religioni curata da Giovanni Filoramo si segnala per scrupolo e completezza, anche se ovviamente come per tutte le opere collettive affidate a specialisti si  di fronte alla compresenza di testi profondi e completi con testi verbosi, eruditi e confusi. Ma questo  inevitabile quando si ha a che fare con un tema  enciclopedico di questo tipo. In questa sede, che non  ovviamente specialistica, ma solo divulgativa (la divulgazione non  una parolaccia), mi fonder soprattutto sugli otto tomi curati da Filoramo. Amplier poi il discorso pi avanti. 33 CAPITOLO PRIMO 3. La prima cosa che si desume da una lettura attenta degli otto tomi della Storia delle religioni curata da Giovanni Filoramo, opera costruita sulla messa fra parentesi metodologica della esistenza o inesistenza di Dio stesso (intendendo per dio la divinit nelle sue innumerevoli versioni storiche e geografiche),  che non esiste una nozione univoca di Dio e della divinit (o delle divinit al plurale), e che non esistendo questa nozione univoca lo stesso ateismo finisce per non avere un oggetto preciso da negare. La critica alla concezione antropomorfizzante e soggettivistica di Dio, tipica della tradizione filosofica occidentale da Spinoza fino a Feuerbach e poi a Marx, non  assolutamente universalistica, ma  soltanto occidentale in senso stretto, perch non tocca concezioni della divinit intesa come energia cosmica (religioni indiane) oppure come natura pensata unitariamente come un tutto (pensiero cinese). L'ateismo propriamente detto  quindi un episodio, sia pure ragguardevole, delle vicende dialettiche della antropomorfizzazione soggettivistica della divinit ridotta ad unica entit monoteistica trascendente, e se ci si mette da un punto di vista dialettico, che  quello degli opposti in correlazione essenziale, questo stesso ateismo  un momento interno al pi generale fenomeno dell'esperienza religiosa delluomo. Con questo non intendo affatto dire che lateismo  impossibile, oppure che esso si fonda su di un equivoco o addirittura sullinsipienza (come sostenne a suo tempo il teologo Anselmo di Aosta con il suo famoso argomento ontologico, respinto da Tommaso d'Aquino ma non a caso apprezzato da Hegel). Non lo penso affatto. Si pu essere atei, e lo si pu essere a ragion veduta e con buoni argomenti scientifici e filosofici, anche se ridotto al suo elemento teorico di fondo lateismo  semplicemente una negazione critica della proiezione antropomorfizzante e soggettivistica come criterio di spiegazione dell'universo e della natura e quindi una fede (s, proprio una fede) nella capacit autopoieica dei sistemi complessi di organizzarsi da soli senza alcun cosiddetto disegno intelligente. Tuttavia, sia pur definito in questo modo, lateismo continua a non essere una posizione universalistica, perch il suo apparato critico non sfiora neppure la mistica, in primo luogo, e le concezioni naturalistiche del cosmo, in secondo luogo. Ma vediamo meglio, perch ne vale certamente la pena. L'ateismo  infatti un argomento che richiede un doppio approccio incrociato, un approccio di tipo storico ed un approccio di tipo teorico e definitorio. Sebbene il primo approccio debba essere premesso al secondo (il lettore ricordi le critiche di Adorno allillusione della definizione dei termini da me esaminate - ed entusiasticamente condivise  nellIntroduzione), far un'eccezione per ragioni di chiarezza, e comincer con lesaminare alcune definizioni. 34 Miaterialismo e religione 4. Apriamo il Dizionario Filosofico di Nicola Abbagnano alla voce Dio. Sostiene Abbagnano: Due sono le qualifiche fondamentali che i filosofi (e non soltanto loro) hanno attribuito ed attribuiscono a Dio: quella di Causa e quella di Bene. La prima  di natura cosmologica e la seconda  di natura etica. Per la prima Dio  il principio che rende possibile il mondo o l'essere in generale. Per-la seconda Dio  la fonte e il garante di tutto ci che di eccellente c' nel mondo. La voce del dizionario prosegue con un vero e proprio denso trattatello analitico, ma l'impostazione generale  quella contenuta nella definizione sopra riportata. Converr allora discutere questa definizione. Apparentemente questa definizione  molto sobria ed addirittura neutra fra credenti e non credenti, perch in effetti nelle conversazioni quotidiane usuali su Dio e sulla sua esistenza o non-esistenza Dio appare o nelle vesti cosmologiche del creatore o dellordinatore del mondo con un disegno intelligente, oppure nelle vesti etiche del garante dei valori morali supremi e della loro sostanziale intangibilit da parte delle mode storiche contingenti. Sulla scorta di Adorno possiamo tuttavia dubitare di questa apparente oggettivit terminologica, e vedere se invece per caso il diavolo si nasconde nel dettaglio. Ed il diavolo si nasconde proprio nel dettaglio. Non esiste infatti in filosofia, e non pu esistere neppure in via di principio, una definizione terminologica che non sia anche una interpretazione di parte. Ed in questo caso la parte  quella del punto di vista dellempirismo inglese e dello scetticismo relativistico, che separa (e si tratta di una separazione ontologica fatta passare per separazione puramente metodologica) il lato cosmologico della Causa edil lato etico del Bene. Una volta attuata questa apparentemente innocua separazione, i due lati possono essere trattati separatamente, in base alla cosiddetta fallacia naturalistica, per cui l'ordine dei fatti e lordine dei valori non hanno in comune alcun punto non solo di interpretazione, ma neppure di contatto e di tangenza. Se tratto separatamente il lato cosmologico, da un lato ho il creazionismo nelle sue varie forme, e dall'altro levoluzionismo immanentistico con i suoi miliardi di anni a disposizione per consentirgli quella autopoiesi del mondo minerale, vegetale, animale ed infine umano che, alla luce dei dati della scienza moderna della natura, non pu che risultare vincitore con punteggio tennistico rispetto allimprobabile ed antropomorfica ipotesi del cosiddetto disegno intelligente. Se invece tratto separatamente il lato etico, da una parte avr la trasmissione per rivelazione tradizionale di valori etici sorti nella Mesopotamia sumerico-accadico-ebraica anteriormente al benemerito impero persiano, fatti passare per valori morali insiti nella natura razionale 35 CAPITOLO PRIMO ' dell'intera umanit, e dall'altra la razionale ipotesi prima stoica e poi giunaturalistica per cui luomo  perfettamente in grado di costruire consensualmente una morale universale anche (e soprattutto) nell'ipotesi che Dio non esista (etsi Deus non daretur). Come si vede, linnocua separazione definitoria di Abbagnano fra lato cosmologico e lato etico del problema della religione  costruita apposta (consapevolmente o meno solo Dio lo sa!) per far vincere il punto di vista di Voltaire contro quello di Ratzinger. In un'ottica religiosa il lato cosmologico ed il lato etico, che Abbagnano separa, sono invece ontologicamente uniti. Se allora se ne mantiene l'inseparabilit ontologica, ne deriva che l'etica umana non pu staccarsi dalla generale cosmologia intesa come unit inscindibile del Divino e dellUmano. Ed allora Dio non pu essere metodologicamente diviso in un Ingegnere demiurgico stellare (lato cosmologico) ed in un Giudice cosmico del bene e del male (lato etico). Una volta attuata questa divisione apparentemente solo metodologica, e quindi terminologicamente neutrale, Abbagnano, Voltaire e Scalfari hanno gi vinto, e Tommaso, Pascal, Kierkegaard e Ratzinger hanno gi perso. . Eppure, tutti sanno che  almeno dai tempi della teologia neoplatonica di Plotino che l'equazione Uno=Bene=Dio  del tutto unitaria ed inscindibile. Se poi si passa alle religioni cosmologiche e naturalistiche orientali, in cui l'etica non  affatto laicizzata (e non  neppure laicizzabile in via di principio), ma deriva direttamente e senza mediazioni dalla concezione naturalistica globale del mondo naturale e sociale, vediamo che la definizione della divinit laicamente elaborata di Abbagnano non serve assolutamente a nulla. 5. Rivolgiamoci allora ad unaltra definizione, tratta dal Dizionario filosofico .in lingua francese di Rosenthal e Youdin pubblicato in URSS al tempo del compagno Stalin. Naturalmente la voce Dio non esiste, neppure in minuscolo, perch  noto che Dio non esiste, e soltanto la materia'esiste. E infatti la voce Materia c', anche se curiosamente (ma non troppo!) non se ne propone neppure una definizione, dandone lesistenza per scontata. Dicono i due filosofi di partito: Il mondo  materiale per sua stessa natura. La diversit dei fenomeni naturali  una manifestazione delle diverse forme della materia in movimento [per R. e Y. il movimento non  solo spostamento spaziale, ma  anche trasformazione temporale; nota mia]. La materia  la sorgente unica e la causa ultima di tutti i processi naturali. Si cita poi Engels: Non c' nulla di eterno al di fuori della materia in eterno cambiamento, in eterno movimento, e delle leggi secondo le quali essa si muove e si trasforma incessantemente. Si insiste poi sul fatto che la materia esiste indipendentemente dalla coscienza umana, e sul fatto che 36 , Materialismo e religione la religione e la filosofia idealistica hanno le stesse bassi gnoseologiche, e cio filosofiche. Incidentalmente, nella voce Materia di R. e Y. la parola Marx non  mai citata. Andiamoci a guardare anche la voce Religione, per vedere se almeno questa voce c'. Evviva! Questa voce c'. Leggiamone la definizione: La religione  un rispecchiamento aberrante, fantastico, nella testa degli uomini, delle forze naturali e sociali che li dominano. E ancora, citando Lenin: Essa  una delle variet delloppressione spirituale che pesa sempre e dovunque sulle masse popolari, schiacciate da un lavoro perpetuo per conto di altri, dalla miseria e dal loro stato di isolamento. Anche qui non si perde l'occasione per notare che la religione e la filosofia idealista hanno molti tratti comuni e le stesse origini gnoseologiche. Fra i compiti del socialismo vengono messi in primo piano quelli di affrancare i lavoratori dalle superstizioni religiose e di far acquisire ai lavoratori stessi una concezione del mondo scientifica. Il materialismo  cos definito in termini di distruzione del punto di vista religioso e di acquisizione di una concezione scientifica del mondo. Si dir che questo  un punto di vista rozzo e dogmatico tipico dei tempi oscuri del totalitarismo caucasico (pi esattamente, osseto-georgiano) del compagno Stalin. Ma neppure per sogno! Prendiamo allora un saggio del 1987 di Ludovico Geymonat, intitolato Materialismo e marxismo, in cui si propone un'ottima e concisa definizione di materialismo. Geymonat non  certo uno sprovveduto, ma fa parte insieme a Cesare Luporini ed a Sebastiano Timpanaro della triade dei massimi materialisti italiani della seconda met del Novecento. Afferma Geymonat: Il materialismo  oggi una concezione del mondo basata su due principi generali: 4) esiste una realt che trascende il soggetto umano e pu essere da esso conosciuta; b) non esiste un mondo al di l di quello in cui l'umanit vive ed opera, mondo ultraterreno al quale occorrerebbe fare riferimento per comprendere la sorte degli individui umani. Come si vede, non esistono differenze essenziali (al di l della forma pi o meno educata o aggressiva del discorso) fra Rosenthal e Youdin, da un lato, e Geymonat, dall'altro. In entrambi i casi il materialismo  definito in base a due parametri, la scienza e lateismo, o se si vuole la concezione scientifica del mondo unita alla tesi filosofica della inesistenza di Dio. Credo che dopo queste definizioni di Abbagnano, di Rosenthal e Youdin, e di Geymonat, sia giunto il momento di una piccola discussione critica. 6.I due punti di vista di Abbagnano, da un lato, e di Rosenthal, Youdin e Geymonat, dall'altro, son sono in grado di andare in profondit sulla questione della religione, o se si vuole del rapporto fra la religione e lateismo. 37 CAPITOLO PRIMO Detto altrimenti, il punto di vista cosiddetto laico, improprio termine italiano con cui si connota la visione del mondo del secolarismo anglosassone fondata su premesse di tipo empiristico (Locke) e scettico (Hume), ed il punto di vista cosiddetto marxista (ed in realt assai pi engelsiano che marxiano), non sono in grado di aiutarci ad andare a fondo sulla questione. E questo per ragioni superficialmente diverse, ma in realt segretamente complementari. In entrambi i casi siamo di fronte infatti ad una carenza strutturale di dialettica, intesa come filosofia generale e non soltanto come metodo, e di materialismo, inteso come metodo della deduzione sociale e strutturale delle categorie. Per quanto riguarda Abbagnano, dal momento che per la sua scuola le categorie cadono dal cielo della razionalit umana astratta e non devono essere socialmente dedotte, deduzione che ai suoi occhi sembrerebbe soltanto volgare determinismo ideologico meccanicistico, la separazione fra lato cosmologico e lato etico deriva da una radice sistematica preliminare data per scontata, o meglio per moderna, che  la critica di Locke all'idea di sostanza e di Hume alla categoria di causalit. Abbagnano non pu nemmeno sospettare che queste critiche siano solo il raddoppiamento metaforico nel cielo delle categorie astratte della critica che lo sviluppo capitalistico stava facendo per conto suo alla propriet fondiaria ed alla comunit che ne rendeva possibile la perpetuazione (categoria di sostanza), ed alla fondazione contrattualistica del potere politico per cui la societ era pensata come causata da un precedente contratto sociale a sua volta basato su di un eterno diritto naturale presupposto (categoria di causalit). Non potendo neppure sospettare tutto questo, Abbagnano  portato a considerare la | religione come insieme di idee (nel senso che a questo termine d l'empirismo di Locke), e di conseguenza come sistema di opinioni cosmologiche ed etiche necessariamente meno plausibile, alla luce della scienza moderna, della autopoiesi naturalistica, da un lato, e dell'etica convenzionalisticamente costruita, dall'altro. Pi avanti in questo capitolo parler della decisiva censura di Voltaire rispetto a Meslier, snodo decisivo e continuamente rimosso per comprendere la logica della legittimazione ideologica del capitalismo, e nel prossimo capitolo proporr invece una deduzione sociale complessiva dell'intero pensiero borghese-capitalistico. Sarebbe inutile allora anticipare in forma necessariamente compendiata e sintetica ci che verr esposto fra poco. Per quanto riguarda Rosenthal, Youdin e Geymonat, siamo apparentemente su di un terreno molto diverso da quello di Abbagnano (e di Norberto Bobbio, che in filosofia  una sorta di abbagnaniano inquieto, condividendone comunque gli aspetti principali, la ripugnanza verso Croce e Gentile, lantipatia verso lo Hegel filosofo, lo scetticismo rispetto al Marx 38 Materialismo e religione critico del capitalismo, lamore per lempirismo e lo scetticismo anglosassone, la lettura antimetafisica di Kant, eccetera). In comune per vi  lavversione verso Hegel, e la tenace convinzione per cui la religione e la filosofia idealistica hanno spiacevoli ed erronee radici comuni di tipo metafisico, che la modernit (modernit = concezione anglosassone del mondo + fatalit della produzione capitalistica come destinale gabbia d'acciaio dell'intera umanit presente e soprattutto futura) dovr prima o poi seppellire, lo vogliamo o no. | C' peraltro qualcosa di vero nella tesi per cui la religione (almeno per quanto riguarda le religioni monoteistiche cristiana, musulmana ed ebraica  per le altre non ci metterei affatto la mano sul fuoco) e la filosofia idealistica hanno elementi gnoseologici ed ontologici comuni.  assolutamente vero, ed infatti Hegel ha espresso questo semplicissimo e quasi intuitivo concetto con la distinzione fra rappresentazione religiosa (Vorstellung) e concetto filosofico (Begriff), distinzione che ha peraltro una sostanza metafisica comune, e cio appunto lo Spirito Assoluto. Abbagnano e Geymonat si differenziavano politicamente in modo polare (luno voleva l'impero capitalistico americano e la sua dittatura della libert senza eguaglianza, mentre l'altro voleva il socialismo sovietico e la sua dittatura dell'eguaglianza forzata senza libert), ma filosoficamente partivano da una identica posizione antireligiosa ed antiidealistica. In una fase temporale precedente della mia vita (1956-1991 circa) mi sono politicamente schierato con Geymonat e contro Abbagnano, ne sono fiero e felice, lo rivendico e non me ne vergogno affatto, anche se non posso esporre qui per ragioni di spazio, i motivi di questo mio atteggiamento (in breve, l'ostilit per la possibile esistenza di un unico soverchiante impero mondiale svincolato dalla legge internazionale, e non certo per ridicole ragioni atee, operaistiche, eccetera). Tuttavia la valutazione politica non deve essere confusa con la filosofia, ma deve essere accuratamente separata da essa. Su Abbagnano, come si  detto (ma uso questo cognome unicamente come segnalino del punto di vista borghese-capitalistico sublimato inideologia filosofica), torner pi avanti. Per ora mi limiter a dire brevemente qualcosa sui marxisti. La dichiarazione di questi marxisti sul fatto che la materia esiste indipendentemente dalla coscienza umana  una delle dichirarazioni pi dogmatiche che siano mai state fatte allinterno della nostra galassia (sulle altre galassie non mi pronuncio, per ora). Questo realismo gnoseologico, che Rosenthal e Youdin hanno in comune con Tommaso d'Aquino e con Joseph Ratzinger,  in effetti il punto di vista di tutte le religioni, che devono presupporre qualcosa di esterno e di precedente alla mediazione dialettica del pensiero umano, la Materia in un caso e Dio nell'altro. Sebastiano 39 CAPITOLO PRIMO Timpanaro, il massimo sostenitore italiano del materialismo inteso come primato della consapevolezza del corpo dolorante, in nome del principio fondante della cosiddetta fragilit biologica, ha rilevato che il materialismo non pu essere ridotto a gnoseologia, e pertanto a realismo gnoseologico, | perch comporta anche e soprattutto una visione ed una percezione complessiva del mondo, che ha appunto la fragilit biologica delluomo come suo fondamento ultimo di tipo metafisico. Ritengo en passant che abbia perfettamente ragione (ricordo qui la lettura di Labriola e Croce citata nella Introduzione), ma che non stia qui il nocciolo della questione. Ed il nocciolo della questione sta a mio avviso in ci, che il materialismo marxista postmarxiano e la religione cristiana filtrata dalla teologia razionale tomistica hanno la stessa base gnoseologica dogmatica, e su questa base il pensiero di Marx non avrebbe mai potuto nascere, indipendentemente dallincerta autoconsapevolezza filosofica (a mio avviso estremamente mediocre) dello stesso Marx. Se infatti pongo Dio e/o la Materia fuori e prima della conoscenza umana, come presupposto non mediato dalla costituzione dialettica del pensiero, avr in entrambi i casi necessariamente un sacerdozio professionalmente deputato alla conservazione sacrale del primato metafisico di questa premessa metafisica. E allora, sacerdozio per sacerdozio, meglio un sacerdozio di Dio che un sacerdozio della Materia. Faccio questa impegnativa affermazione del tutto pacatamente ed a ragion veduta, in quanto il concetto di Dio  pi comprensivo della difficolt del reale di quello di Materia. Del resto, chi volesse saggiare questa mia affermazione paradossale sulla base delle evidenze storiche constater che in nome di Dio si continua ancora a contestare il presente ordine mondiale (vedi in proposito  Ahmadinejad), mentre i sacerdoti della Materia, preso atto del fatto che la materia stessa stava evolvendo verso una storicit capitalistica e non comunista, hanno mostrato in pieno giorno la loro natura di nichilisti sciagurati e senza Dio, da veri ultimi uomini nicciani, e si sono velocemente riciclati in tempo reale in personale politico specializzato al servizio dell'impero americano e della sua rete di basi militari fornite di armi atomiche.  Di questo ateismo non sappiamo proprio cosa farcene. Anzi, di questo ateismo apparentemente laico e razionalistico, che dissacra tutto, all'infuori della riproduzione economica capitalistica e della liberalizzazione del costume che ne  oggi la forma culturale dominante, posso dire che mi  venuto veramente a noia. Con queste considerazioni, sgradevoli per il lettore pio e timorato, praticante religioso della dittatura idolatrica del politicamente | corretto, ma spero gradite per il lettore critico che non ne pu fisicamente e spiritualmente pi del clima mefitico che regna nella cultura dei nostri giorni, concludo la prima parte di questo capitolo, e passo ad una rapida 40 Miaterialismo e religione ricostruzione storica del rapporto fra religione ed ateismo nella tradizione filosofica occidentale. 7. Erano materialisti i materialisti dell'antichit? Ecco una domanda apparentemente provocatoria ed inutile, che  per un dubbio iperbolico che  bene porsi prima di proseguire lanalisi e la ricostruzione storica. In decenni di indefessi studi filosofici ho letto molte opere sui materialisti dell'antichit che davano per scontata la loro natura materialistica, da Benjamin Farrington a Paul Nizan. In effetti, leggendo Lucrezio si hanno pochi dubbi sulla sua negazione degli dei e sulla spiegazione rigorosamente naturalistica del mondo. E tuttavia  bene chiarire se e fino a che punto il termine materialismo e la correlata nozione di materia avessero lo stesso valore semantico e conoscitivo che hanno per noi. La concezione lineare-progressistica del sapere scientifico d per scontato che la risposta sia positiva. Democrito, Epicuro, Lucrezio, eccetera, per non parlare di Aristotele (la cui natura materialistica  affermata da molti studiosi, in polemica con coloro che lo vedono come un intelligente precursore della teologia di Tommaso - tanto per non fare nomi, Giovanni Reale). Tutti costoro avrebbero avuto in comune con Galilei, Newton, Lavoisier, Darwin ed Einstein la stessa nozione filosofica di Materia come presupposto autosufficiente di studio esterno alla coscienza umana, anche se ovviamente, sapendone molto di meno sul piano strettamente scientifico, ne avrebbero avuto nozioni diverse (la materia come potenza e come estensione anzich la materia come energia e come campo, eccetera). Ed in effetti, se non ipotizziamo un presupposto filosofico-metafisico omogeneo, pur nella differenza evidente delle definizioni astronomiche, fisiche, biologiche, eccetera, non diventa possibile neppure una storia filosofica omogenea e continua del materialismo. Questa storia filosofica omogenea e continua, cara a Farrington, Nizan e Geymonat, oltre che a Rosenthal e Youdin, accetta ovviamente lesistenza delle discontinuit rivoluzionarie dei paradigmi alla Kuhn, ma tiene duro sul presupposto della continuit di un unico principio filosofico di Materia. Semplicemente, se Lucrezio avesse potuto frequentare una facolt di fisica nel Novecento, avrebbe modificato lui stesso le sue insufficienti concezioni scientifiche di Materia, ma non avrebbe modificato la continuit del suo principio filosofico. Ne siamo proprio sicuri? Io non lo sono proprio per niente, eppure sono decenni che studio attentamente i greci. In proposito, sono particolarmente inattendibili ed esilaranti gli storici sovietici della filosofia, oggi probabilmente sostituiti da camarille filo-occidentali ancora pi incompetenti di loro, che sostengono che il cristianesimo, questo modello insuperabile di superstizione e di oppressione ideologica delle masse (che evidentemente 41 CAPITOLO PRIMO prima erano meno oppresse  ma ne siamo proprio sicuri?), ha dovuto distruggere per affermarsi la precedente coricezione spontaneamente materialistica e naturalistica dei greci. Ma davvero? A me risulta, salvo errore, che il cristianesimo se ne  fatto un baffo di Democrito, Epicuro e Lucrezio, che evidentemente in quel contesto storico contavano come il due di picche a briscola, ed ha invece dovuto distruggere lo stoicismo ma soprattutto il neoplatonismo, filosofia che quanto a idealismo antiscientifico non  proprio stata seconda a nessuno. Si crede forse che Giuliano detto lApostata fosse portatore di una concezione filosofica ispirata al materialismo greco (ammesso che sia esistito)? Sappiamo bene che non fu cos. Il cristianesimo, per affermarsi, dovette distruggere il neoplatonismo organizzato in scuole, anche se ovviamente ne incorpor molti elementi. Ristabilita questa elementare verit storica, torniamo allora al dubbio iperbolico ricordato allinizio di questo paragrafo: erano veramente materialisti i materialisti greci antichi? 8. Si afferma, e viene in generale dato per scontato, che il materialista antico per eccellenza sia stato Epicuro, che avrebbe bens corretto in alcuni punti il precedente atomismo materialistico di Democrito, ma ne avrebbe nellessenziale continuato la tradizione. A mio avviso, questa connotazione  errata, a meno che si presupponga l'equazione materialismo=naturalismo, e la conseguente centralit normativa in senso ontologico della natura venga surrettiziamente interpolata con il principio del primato della materia. Questa interpolazione  settecentesca, e la sua retrodatazione ad Epicuro  scorretta sia sul piano storiografico che sul piano prettamente teoretico. Epicuro non fa neppure parte della storia dellateismo. Non si tratta solo del fatto, ben noto, per cui egli ha esplicitamente affermato lesistenza degli dei, connotandoli come immortali felici che non si occupano delle vicende umane. Chi interpreta questa ammissione epicurea come semplice opportunismo tattico per non farsi perseguitare da maggioranze fanatiche ed intolleranti, attua una retrodatazione anacronistica, e non coglie l'elemento essenziale della vera e propria religione di Epicuro, che era una religione di tipo immanentistico-naturalistico, e non certamente un rifiuto ateo della religione. Ai tempi di Epicuro quello che oggi definiamo sommariamente ateismo non era affatto la semplice negazione della presunta esistenza della divinit, ma era la concezione espressa da Platone nel decimo libro delle Leggi, per cui lateismo assume tre forme: a) la negazione dellesistenza della divinit; b) la credenza che la divinit esista ma non si occupi delle cose umane; c) la credenza che la divinit possa essere propiziata con doni e offerte. Se si segue questa definizione platonica diventano automaticamente 42 Materialismo e religione atei non solo i deisti volterriani (caso b), ma anche e soprattutto i preti cattolici che organizzano preghiere pubbliche di supplica a Dio (caso c).  anche interessante notare che per Platone (il libro decimo delle Leggi  in senso assoluto la prima analisi dellateismo della storia della filosofia occidentale) la forma pi grave di ateismo non  la prima, ma  la terza. La prima per Platone  solo il frutto di un errore, per cui si pensa essenzialmente che la materia, dura e molle, pesante e leggera, preceda l'opinione, la previsione, l'intelletto, larte e la legge. In termini moderni, la definiremmo semplicemente un errore epistemologico di tipo riduzionistico. La seconda opinione  pi grave della prima, perch consisterebbe nel ritenere la divinit talmente pigra ed indolente da essere inferiore al pi comune mortale che invece vuol rendere perfetta la sua opera, grande o piccola che sia. Qui Platone coglie con grande acutezza, con un anticipo di due millenni, la tradizione logica del miserabile deismo volterriano, che vorrebbe da un lato mantenere il profilo soggettivistico ed antropomorfico della divinit, e poi in modo incongruo vuole togliere a questo profilo ci che  invece proprio di ogni profilo soggettivistico, e cio l'impulso al perfezionamento. Ma qui  e ci torneremo pi avanti - questo miserabile deismo non interventistico non fa che raddoppiare nel mondo delle idee il fatto che nessun soggetto deve intervenire nella riproduzione dell'economia capitalistica, che si riproduce da sola senza alcun tipo di intervento esterno. | Il terzo tipo di ateismo per per Platone  il peggiore, perch significa non soltanto raffigurarsi la divinit come un cattivo artigiano contento del suo prodotto imperfetto, ma raffigurarsela come un cane che, ammansito dai doni, permette di depredare le greggi. Da queste osservazioni appare chiaro che Platone non  un precursore filosofico ideale della religione cristiana cos come essa si  concretamente strutturata, e su questo punto i due baffuti gemelli, opposti e complementari, e cio Nietzsche e Stalin, rivelano di non aver capito nulla della delicata dialettica di continuit ma soprattutto di rottura fra la religione platonica e quella cristiana. Altro che comune punto di vista degli schiavi invidiosi (Nietzsche) oppure radici gnoseologiche comuni (Stalin)! Ma torniamo al nostro Epicuro. In un'ottica platonica,  chiaro che Epicuro  un ateo del secondo tipo, e non del terzo. Ma questo ateismo non ha nulla a che fare con quello contemporaneo, che nasce sulla base di una negazione polemica del teismo e del deismo, ed  perci una vicenda appena bisecolare. Si tratta di un naturalismo positivo, dovuto al fatto che per i greci la natura era sempre natura naturans, e cio principio demiurgico attivo, e non era n poteva essere natura naturata da una divinit, come  indiscutibilmente il cristianesimo successivo (salvo novit teologiche di cui 43 CAPITOLO PRIMO confesso di non essere ancora a conoscenza). Secondo una intelligente osservazione di Franco Voltaggio, la verit per Epicuro esiste, e non  altro che la piena riconquista della naturalit della condizione umana. La religione di Epicuro dunque esiste anch'essa, ed  un culto comunitario-amicale della riconquista della naturalit della condizione umana. Questo presuppone, ovviamente, che vi sia una natura (attenzione, non una materia, ma una natura), che essa sia razionalmente conoscibile e che infine esista una naturalit della condizione umana. Franco Voltaggio nota opportunamente che l'accoglimento sia degli schiavi che delle prostitute nel Giardino Epicureo non  casuale, ma  dovuta proprio al programma di accertamento di quale sia propriamente la vera naturalit della condizione umana. Schiavi e prostitute ne rappresentano il maggiore avvilimento (Marx dir poi alienazione, e secondo me non esiste una grande differenza concettuale di principio, al di l del diverso quadro storico, perch lidealismo di Marx non  che un programma di compiuto naturalismo di tipo epicureo). Nel caso dello schiavo, la forza fisica necessaria per ottenere dalla terra e dalla stessa natura quanto basta per soddisfare i bisogni  degradata a fatica, ed inoltre i suoi frutti sono sottratti a chi la compie, per cui il lavoro finisce con il produrre sofferenza anzich eliminarla. Nel caso della prostituta, il sesso, origine e prosecuzione della vita,  stato mercificato e la condizione della necessit naturale della generazione viene degradata a superfluit e non necessit di un lusso fra i tanti, la lussuria appunto. La teoria dei bisogni di Epicuro si fonda strutturalmente (ma pensiamo duemila anni dopo a Herbert Marcuse ed alla sua teoria dei bisogni alienati dal capitalismo, che  eguale al cento per cento a quella di Epicuro  eppure Marcuse  bollato come idealista dagli sciocchi fautori di un materialismo puro) sullaccertamento dei bisogni naturali e sul ripudio di quelli artificialmente creati dalla cultura.  noto che per Epicuro la natura, criterio normativo della riproduzione della vita individuale e sociale, porta a ricercare il piacere ed a fuggire il dolore. Tuttavia ripetere questo mantra noto a qualsiasi studente liceale distratto non  di alcun aiuto per comprendere il naturalismo epfcureo, se non si considera il punto centrale della questione, e cio la polemica di Epicuro con Aristippo di Cirene e con i cirenaici, anch'essi fautori del primato del piacere, ma di un piacere attuale, presente ed in movimento. Epicuro  stato forse il massimo rappresentante del principio di selezione razionale dei piaceri e dei bisogni dell'intera storia della filosofia, e la sua eventuale traduzione politica porterebbe ad una perfetta equazione fra etica ed economia. Una comunit razionalmente amministrata (economia, il nomos delloikos) coinciderebbe con una comunit in grado di selezionare i bisogni naturali da quelli artificiali, promuovendo la generalizzata soddisfazione 44 Materialismo e religione dei primi per tutti (etica, intesa come ethos, costume comunitario, e non certo casistica di dilemmi morali irrisolvibili). Apro qui subito una parentesi su Marx, anche se poi tutto ci verr ripreso in seguito. La concezione naturalistica (ripeto ancora  e questa volta con maggiore pedante solennit  naturalistica: non certo atea, e neppure materialistica) di Epicuro  sostanzialmente la stessa di quella di Marx. Anche Marx  un filosofo della libert e non della necessit, e quindi  un epicureo .e non uno stoico (stoici sono invece i socialdemocratici tedeschi allievi indiretti di Agostino e di Lutero e cultori del riconoscimento introiettato della necessit storica inesorabile). Ma Marx  soprattutto un teorico della limitazione dei bisogni al loro generalizzato soddisfacimento democratico, sulla base di una sostanziale normativit della natura. In questo senso Marx  veramente incompatibile con lo spirito del capitalismo, che  illimitato e smisurato per sua natura, coltiva il desiderio e non il bisogno, ed  quindi anche del tutto incompatibile con letica del metron, come ho cercato di mostrare in uno dei volumi di questa trilogia. Epicuro respinge l'insegnamento di origine pitagorica secondo cui i beni degli amici appartengono a tutta la comunit (koin ta ton filon), in quanto tale forma di comunit istituzionale implica l'assoluta mancanza di fiducia negli amici. Pu sembrare a prima vista un argomento ipocrita contro il moderno comunismo, che non si  fondato sulla benevolenza soggettiva della comunit ma sullo statalismo organizzato istituzionalmente, ma anche in questi casi, a parte il fatto che ai tempi di Epicuro ogni comunismo di tipo istituzionale moderno era non solo impossibile ma anche impensabile,  bene riflettere sulle cause di fondo della dissoluzione del comunismo storico novecentesco realmente esistito (1917-1991). I cittadini sono diventati formalmente compagni, ma poich questi compagni non sono per nulla divenuti amici (personalmente ho conosciuto pochi fenomeni sociali meno amicali del comunismo storico novecentesco nelle sue organizzazioni settarie), alla fine questo compagnonnage astrattamente affermato e concretamente negato  crollato su se stesso. Ho ricordato nell'Introduzione la lettera che Labriola ha scritto a Croce poco prima di morire. Ed Epicuro, poco prima di morire, informando lamico e discepolo Idomeneo delle sue condizioni, scrive: Ti scrivo queste righe vivendo e, nel contempo, terminando il giorno felice della mia esistenza. Le | sofferenze alla vescica ed allo stomaco sono state continue e non hanno perso nulla della loro violenza. Ma contro questi mali si leva ci che rende lanima lieta e che  fondato sulla memoria dei nostri passati incontri. Quanto a te, prenditi cura dei figli di Metrodoro [un allievo ed amico precocemente deceduto] con l'entusiasmo che tu, fin dalla giovinezza, hai manifestato nei miei confronti sia per me che per la filosofia. 45 CAPITOLO PRIMO In punto di morte, Epicuro identifica di fatto il segreto della filosofia con il prendersi cura dei figli dell'amico Metrodoro. Occorre riflettere a fondo su questo fatto, e non pensare che sia solo un dettaglio biografico magari commovente, ma teoreticamente irrilevante. Epicuro ha affermato (sentenza 44) che rende pi felici donare che ricevere. Donare non significa solo essere generosi, ma soprattutto essere colmi di gioia (eidon), come e pi di quando si riceve. Infatti non c' felicit (char) pi grande della gratuit (charis) del donare. Walter Otto fa notare che il testo greco  intraducibile, in quanto noi non abbiamo pi a disposizione nessun concetto con cui esprimere, unitamente alla gioia del s, la gratuit del suo agire. In questo io personalmente, e mi si corregga se sbaglio, non vedo nessun ateismo e nessun materialismo. Vedo invece una concezione normativa della natura, in cui per (cito ancora Voltaggio) la razionalit  piuttosto un punto di arrivo che un punto di partenza, ed  lesito di una vera e propria storia naturale delluomo. Ma allora mi chiedo: allinterno della filosofia moderna e contemporanea, quale  la scuola che ha sviluppato in modo pi conseguente, sistematico e rigoroso il concetto per cui la ragione umana (Vernunft) non  solo una facolt conoscitiva della mente umana pensante, ma  un punto darrivo comunitario-sociale ed  lesito di una vera e propria storia naturale delluomo, nel senso ovviamente di seconda natura, la natura storica che si innesta e si affianca a quella biologica? La mia risposta  questa: si tratta della scuola idealistica e dei suoi tre principali esponenti successivi, e cio Fichte, Hegel e Marx. Ma allora Marx sarebbe un allievo di Epicuro, e la dialettica nella sua saggezza segreta non  avrebbe istituito una sorta di linea diretta fra lidealismo antico di Platone e quello moderno dei tre tedeschi sopra nominati, ma avrebbe invece istituito un percorso segreto che ha portato al rovesciamento del naturalismo di Epicuro in quello di Marx? Ancora una volta,  meglio enunciare un paradosso piuttosto che ripetere continuamente un pregiudizio. Io infatti penso esattamente quanto ho appena scritto. Ma quanto ho appena scritto non fa parte n della storia dellateismo n della storia del materialismo propriamente detti., Fa invece parte, se si vuole, della storia di un ismo che potremo provvisoriamente battezzare un naturalismo dialettico. Con l'avvertenza tuttavia, ricordando la messa in guardia di Adorno, che le definizioni terminolgiche sono sempre in ultima istanza false, false non perch sbagliate, ma false in quanto sempre e solo provvisorie. von 9. Se quello di Epicuro non  stato un ateismo materialistico, ma semmai un naturalismo razionalistico e comunitario (e quindi solidale), quello di  Hobbes  invece stato a tutti gli effetti un ateismo materialistico, ose vogliamo 46 Materialismo e religione un materialismo ateo. E, come Epicuro  stato lispiratore indiretto di Marx, Hobbes  stato il grande ispiratore sia del materialismo dialettico del compagno Stalin sia del pessimismo borghese alla Norberto Bobbio. Questa affermazione paradossale pu sembrare a prima vista infondata, ed appunto per questo merita una breve discussione ad un tempo critica ed aporetica. Il materialismo di Hobbes  un materialismo corpuscolare, e cio un materialismo inteso come corpo esteso e come corpo sostanziale. Non c' qui una differenza qualitativa con il materialismo atomistico di Epicuro, e questo  un argomento ulteriore per farci capire come lo stesso principio materiale (l'atomo di Epicuro, il corpuscolo di Hobbes) pu portare a due esiti metafisici e politici assolutamente opposti, e cio ad una filosofia della libert e della comunit solidale in Epicuro e ad una filosofia della necessit, del dispotismo e dellegoismo in Hobbes. Come non mi stancher di ripetere, pensare che di per s il materialismo sia l'anticamera di una filosofia popolare e progressista  una ingenuit sprovvista di ogni fondamento storico e razionale. Hobbes  ancora pienamente interno sia alla metafisica della sostanza sia all'orizzonte del giusnaturalismo. Per quanto concerne la metafisica della sostanza, rimando all'ipotesi che far nel prossimo capitolo e che  sviluppata sulla base di una intuizione di Simmel, e cio che l'orizzonte della sostanza  il raddoppiamento metafisico nel cielo dei concetti dellesistenza sottostante di una societ comunitaria caratterizzata dalla prevalenza della propriet fondiaria. Per quanto concerne il giusnaturalismo, invece, quello di Hobbes  veramente un tipo di giusnaturalismo molto particolare perch, come nota Max Horkheimer, per Hobbes il diritto naturale  essenzialmente il surrogato del comandamento divino del medioevo, il che lo porta a considerare effettivamente il regime assolutistico come condizione del benessere di tutti. Dopo avere sviluppato queste due acutissime osservazioni, in modo del tutto incongruo, Horkheimer definisce questa di Hobbes una ingenuit. Ingenuo mi sembra invece Horkheimer (lo scritto da cui traggo la citazione  del 1930, tre anni prima della presa del potere di Hitler). Muovendosi ancora sul terreno della sostanza, e cio della societ tradizionale, agraria e comunitario-dispotica, e non ancora su quello dell'esperienza, e cio della societ borghese, mercantile e finanziaria, Hobbes non pu ancora permettersi la cosiddetta tolleranza, e per questa ragione usa il diritto naturale esattamente come i suoi predecessori usavano il comandamento divino. Dio diventa appunto non tanto la Natura, quanto proprio la Materia, interpretata meccanicisticamente come un insieme di spinte e controspinte gravitazionali. La teoria della gravitazione di Newton  da questo punto di vista la sistematizzazione scientifica perfezionata del 47 CAPITOLO PRIMO clima filosofico che aveva gi messo al posto dell'utopia platonica di Galileo il modello dei pesi e dei contrappesi. Questo materialismo rigoroso deve paradossalmente (ma non troppo) unirsi ad un ateismo totale raddoppiato con una costrizione religiosa imposta dallo Stato. Tutte le banali storie della filosofia registrano semplicemente il fatto, apparentemente un po inquietante, che lateo Hobbes era anche sostenitore .di ununica obbligatoria Chiesa di Stato con la connessa proibizione della libert di interpretazione della religione stessa. In questo tuttavia non c' alcuna contraddizione, se ci si mette dal punto di vista del metodo dialettico e non della logica formale. Chi utilizza il diritto naturale e la teoria della sostanza come surrogati del comandamento divino medievale trasforma in divinit il principio materiale, e questo principio materiale non deve essere lasciato libero ad interpretazioni divergenti, che: diventerebbero inevitabilmente strumenti ideologici per la contestazione prima e per la ribellione armata poi, ma deve essere ferreamente monopolizzato dal potere statale. Il compagno Stalin fece tesoro di questo insegnamento hobbesiano, e quando nel 1931 - con un decreto del comitato centrale del PCUS - rese obbligatorio non solo il materialismo dialettico, ma anche un'unica e sola interpretazione di esso, realizz il programma del suo precursore inglese seicentesco, in cui la Materia diventa Religione, ed in pi bisogna impedire ai teologi rissosi di interpretarla diversamente. Certo, non esistevano ancora le condizioni storiche per un ateismo esplicito di Stato, ma i dogmi cristiani erano tutti reinterpretati e piegati alla compatibilit assoluta con il suo giusnaturalismo meccanicistico socialmente impiegato . come surrogato del precedente comandamento divino. Per questa ragione lateo Hobbes si occup sistematicamente di teologia, in quanto la teologia ricopriva a quellepoca lo spazio concettuale e sociale che oggi ricopre l'ideologia. Dal momento che tutto il sistema di Hobbes si fonda sul timore, non dobbiamo stupirci che definisca la religione come il timore di potenze invisibili. Questo spiega come il suo ateismo, lungi dall'essere liberatorio, impone invece al potere statuale lorganizzazione capillare del timore per le potenze invisibili. Adorno afferma argutamente che in questo modo la religione di Stato deve essere ingoiata come si ingoiano le pillole medicinali, e questa geniale affermazione adorniana mi ricorda irresistibilmente il modo con cui i miei conoscenti di giovent ungheresi e romeni dovevano ingoiare la religione atea dei partiti comunisti allora al potere, e cio il materialismo dialettico, una metafisica corpuscolare del movimento universale che a mio avviso risale appunto a Hobbes e non a Marx. Adorno aggiunge anche che paradossalmente in questo modo Hobbes giungeva ad una integrale negazione della materia stessa, che per Adorno  anche e soprattutto un 48 Materialismo e religione principio edonistico. Il massimo materialista moderno nega cos la materia come principio edonistico, nella sua ossessione per l'obbedienza universale garantita dal timore di potenze invisibili. Hobbes  anche generalmente connotato come un avversario della democrazia, ma sfuggono quasi sempre le radici teoriche di questo suo rifiuto per la democrazia stessa. Eppure esse sono esposte con stupefacente chiarezza nel primo dialogo del suo Belemoth. In esso scrive che gli impostori rivoluzionari che disturbano la quiete pubblica, e devono per questo essere repressi a partire da una normalizzazione ideologica delle universit (su questo punto del controllo ideologico delle universit Hobbes ritorna in modo ossessivo, perch a quei tempi erano praticamente il solo apparato ideologico funzionante, mancando ancora il circo mediatico-televisivo di oggi), si sono familiarizzati con i principi democratici di Aristotele e Cicerone (sic!). Questa affermazione  a prima vista stupefacente, perch in nessun manuale normalizzato di filosofia politica Aristotele e Cicerone sono classificati come pensatori democratici. Eppure, dal suo punto di vista, Hobbes ha perfettamente ragione. Non si tratta solo del suo maniacale odio verso Aristotele, odio anch'esso pi che giustificato, perch Aristotele riteneva luomo un essere razionale e sociale per natura, mentre invece Hobbes lo ritiene per natura un essere irrazionale ed asociale. Si tratta del fatto (cito letteralmente) che Aristotele considera che lanima sia la causa prima del movimento del corpo, e di conseguenza dell'anima stessa, e questo porta alla dottrina del libero arbitrio. Questa identificazione della teoria politica della democrazia con la teoria filosofico-teologica del libero arbitrio  stupefacente, ma occorre ringraziare Hobbes per la sua sincerit, esattamente come bisogna ringraziare Romano Prodi per avere detto in un momento di sincerit che i residui del comunismo parlamentare italiano del 2006 sono soltanto folklore del tutto innocuo. In effetti Hobbes va veramente a fondo della questione, non si perde in tassonomie inutili e verbose sulle forme di Stato e di governo, ma comprende in modo assolutamente radicale e geniale che la democrazia presuppone una teoria dell'anima dotata di libero arbitrio che muove il corpo, e cio di un momento ideale formale che muove un momento materiale sostanziale. In questo senso Aristotele e Cicerone, in genere classificati come oligarchici dalle tassonomie universitarie, sono realmente pensatori democratici. Franco Voltaggio fa notare opportunamente che in Hobbes vi sono per anche spunti contraddittori. Da un lato, Hobbes  attratto dall'idea dellautoma, cio dell'uomo pensato come uomo-macchina (immagine che piacer anche un secolo dopo al materialista La Mettrie), per cui il cuore  una pompa, i nervi delle corde, le articolazioni ruote, il tutto al servizio di 49 CAPITOLO PRIMO quel principio del movimento che per Hobbes  la base di tutto. Ma dall'altro lato Hobbes, discutendo (e respingendo) l'argomento ontologico di Cartesio per dimostrare lesistenza di Dio, anticipa in un certo senso lobiezione di Kant, per cui  illegittimo passare dalla pensabilit dell'essenza di Dio all'affermazione fattuale della sua esistenza. Hobbes afferma argutamente che supporre che luomo, per il fatto di pensare, sia anche una sostanza pensante, equivale a supporre che un uomo che passeggi sia per ci stesso una passeggiata. Ma se il passaggio da Dio all'Uomo  impossibile, ne risulta che solo un passaggio dallUomo all'Uomo  possibile, e con questo la dignit umana, negata a parole,  implicitamente riaffermata di fatto. Ho utilizzato fin qui le osservazioni su Hobbes di commentatori originali ed intelligenti come Horkheimer, Adorno e Voltaggio, e concluder ora con alcune osservazioni personali riassuntive. Epicuro  un pensatore della libert e della solidariet proprio perch non  n un ateo n un materialista, ma  un naturalista rigoroso e coerente. Il naturalista rigoroso e coerente sa che in natura esiste sia l'elemento ideale che quello materiale, e che  sbagliato pensare che luno derivi dall'altro (0 viceversa). Hobbes invece  veramente un materialista, in quanto ritiene con ammirevole coerenza che sia la materia (intesa in senso di corporeit e di movimento) a determinare rigorosamente le idealit, e teme dunque sopra ogni altra cosa le posizioni che affermano in modo democratico che lanima sia la causa prima del movimento del corpo, tesi che porterebbe inevitabilmente al libero arbitrio, che a sua volta  il presupposto ultimo della libert politica intesa come diritto assoluto alla libert di parola in assemblea (la greca isegoria). Bisogna dunque colpire alla radice questa concezione colpendo addirittura Aristotele e Cicerone, nonostante il fatto contingente che il primo fosse contrario al suffragio assembleare universale del modello Clistene-Pericle ed il secondo fosse addirittura un esponente degli optimates ed un nemico dei populares. Ma Hobbes  molto pi intelligente e lungimirante degli sciocchi di corte vedute che giudicano un pensatore strategico riducendolo alle sue irrilevanti scelte politiche tattiche della sua vita terrena. Hobbes  stato, e sar anche in futuro, il pensatore del Potere. "Non ho detto uno dei tanti pensatori del Potere, ho detto il pensatore del Potere. Ho gi accennato al fatto che Stalin  stato un suo allievo indiretto (e neppure .poi tanto). Dire che il potere si fonda sul consenso  una ipocrisia che non sta in piedi, perch il consenso  sempre per sua natura contingente, temporaneo e revocabile, mentre per sua natura il potere non pu pensarsi e soprattutto viversi quotidianamente come contingente, temporaneo e revocabile. La gente gli darebbe il suo consenso per rinchiudere in galera gli assassini e per finanziare opere pubbliche e sistemi di assistenza sociale, ma glielo toglierebbe immediatamente se questo potere stesso decidesse una 50 Materialismo e religione guerra che non coinvolgesse soltanto mercenari specializzati, ma richiedesse carne da cannone generalizzata. Il potere deve dunque essere invisibile (arcana imperii), esattamente come la religione, che lateo e materialista Hobbes definisce correttamente come timore di potenze invisibili. Schmitt ha ovviamente perfettamente ragione nel constatare (uso questo verbo, anzich quello di affermare o di sostenere) che il potere  potere di decidere dello Stato di emergenza, e cio di sospensione della libert intesa come libero arbitrio dei cittadini, filosoficamente fondato sullanima umana come fondamento della verit.  L'allievo torinese di Hobbes, Norberto Bobbio,  stato nella sua vita una dimostrazione coerente dellimpostazione di Hobbes. Il potere - essendo in fondo un potere di fatto , quando il potere di fatto, fino al 1943, era nelle mani del regime fascista, era comprensibile (anche se fonte di postuma ed irrilevante vergogna) che si scrivesse una lettera di supplica a Mussolini. Poi, con il 1943, il potere di fatto pass alle bombe americane ed inglesi, ed i bombardamenti ebbero il potere di muovere anche le coscienze, che trasformarono il liberalismo crociano ed azionista da potenzialit pura ad atto. Dal 1945 al 1999 Bobbio fu il pensatore per eccellenza delle regole, e cio del fatto che il potere non potesse essere definito in base ai suoi contenuti sostanzialistici (come affermavano gli opposti ma convergenti sostanzialismi dei preti e dei comunisti), ma unicamente in base alla formalit delle sue procedure di legittimazione. Ma quando nel 1999 il Potere, e cio la decisione politica dell'Impero Geopolitico Americano (IGA, sigla molto migliore della sigla USA), alleato con irrilevanti baffetti post-comunisti in cerca di riciclaggio e di legittimazione, decise di attaccare lo Stato sovrano della Jugoslavia, e questo contro ogni regola formale (contro le Nazioni Unite, che non lo consentirono, contro la Costituzione Italiana, che lo impediva espressamente, e persino contro la carta della Nato, che non lo prevedeva come casus belli), Bobbio si alline immediatamente, approvando, avallando e mostrando cos il segreto della filosofia politica moderna. Naturalmente, non intendo affatto porre un segno di eguaglianza fra Stalin e Bobbio. Stalin era immensamente pi giustificato, data la situazione di emergenza reale in cui era immerso, che era dovuta in ultima istanza (ma non avrebbe certamente potuto ammetterlo apertamente) alla debolezza strategica e sociale del progetto comunista, minoritario per sua propria natura. Bobbio invece non rischiava assolutamente niente. Era gi ricco, rispettato, onorato, senatore a vita. Eppure il Potere esercita presso i filosofi materialisti lirresistibile attrazione che esercita la vista di un bambino per un pedofilo, il profumo di una giovane donna per un vecchio inveterato seduttore ed il frusciare delle banconote per un industrialotto berlusconiano medio. 51 CAPITOLO PRIMO Sar magari sgradevole da dire, ma ogni tanto quando ci vuole ci vuole. Nel caso di Bobbio, poi, vale il principio di Amicus Plato, sed Magis Amica Veritas. Ho scelto di non rispettare neppure le idee politiche di mio padre, che pure era mio padre, figuriamoci se mi fermo davanti ad auctoritates dell'odierna dittatura del politicamente corretto. Il fatto  che io, a differenza di Hobbes, credo che avesse ragione Aristotele, e che lanima sia la causa prima del movimento del corpo, e quindi dell'anima stessa, e quindi del libero arbitrio. In quanto al potere, come a suo tempo disse Falstaff: Signori, la vita  breve! Camminiamo almeno sulla testa dei re!. 10. C' ancora chi, per pigrizia inerziale, considera il materialismo del barone dHolbach un materialismo volgare. Consiglio a costui la lettura attenta, peraltro facile ed agevole, del piccolo capolavoro di dHolbach, Il buon senso, introdotto e curato da Sebastiano Timpanaro. In realt il materialismo di dHolbach non solo non  volgare, ovviamente, ma a mio avviso  il punto pi alto del pensiero materialistico moderno, pi alto di Feuerbach ed anche molto pi alto di Marx, se ovviamente per materialismo si intende lo sviluppo sistematico del fondamento della Materia, inteso come ilemonismo, e cio come esistenza della sola materia, da cui tutto il resto deve essere rigorosamente dedotto. Il materialismo di d'Holbach  perfetto e compiuto nel suo genere, nel senso che se si cerca di migliorarlo e di ampliarlo si esce necessariamente dal raggio del materialismo propriamente detto, e si entra  volenti o nolenti  in qualche forma di idealismo, come fu ovviamente il caso di Marx. La Storia, infatti, non  in alcun modo una . metafora della Materia, e viceversa, per cui se voglio concettualizzare la storia stessa come concetto cosmopolitico e trascendentale riflessivo, devo necessariamente produrre categorie idealistiche, cos come se voglio fare la doccia devo necessariamente aprire il rubinetto dell'acqua. Ma torniamo a dHolbach. Quello che propongo al lettore  un riorientamento gestaltico radicale, per cui questo pensatore di primo piano del Settecento illuministico francese non deve essere visto come il prodromo, l'annunciatore, il precursore di qualcuno che verr dopo di lui e sar molto migliore (Marx, per non fare nomi), ma invece proprio come il tetto moderno insuperabile del materialismo propriamente detto. Devo ora portare alcuni argomenti in appoggio a questa mia impegnativa dichiarazione. In primo luogo, come riassume correttamente Voltaggio, i principi fondamentali del materialismo di dHolbach sono riassumibili nellidentificazione della natura umana con la natura in generale, nella riconduzione integrale delluomo morale all'uomo fisico, e nella conseguente deduzione da questa di un nuovo peculiare concetto di felicit pubblica e privata. Come si vede, un sistema filosofico rigoroso e coerente, per cui 52 . Materialismo e religione solo lincorreggibile stupidit dei commentatori ha potuto considerare questo pensatore eclettico, secondario ed addirittura volgare. D'Holbach non si limita a dire che luomo appartiene alla natura, ovviet tautologica nota a tutti, e che la natura stessa (rammento la lettera di Labriola a Croce) ci ricorda comunque se per caso lo dimenticassimo in qualche momento di delirio di immortalit e di onnipotenza. D'Holbach parte proprio dal principio dellidentificazione (o pi esattamente, della deduzione) della natura umana dalla natura in generale.  questo il principio in cui il naturalismo coincide effettivamente con il materialismo. DHolbach e Hobbes sono allora i due (mi spiace, non ne conosco altri) pensatori fondatori della filosofia marxista di Engels, Lenin e Stalin, filosofia che si fonda effettivamente sulla rigorosa identificazione della natura umana con la natura in generale, e non ingannino le superficiali aggiunte dialettiche incollate sopra che  nella sua Terminologia filosofica - Adorno, con ammirevole moderazione, ha definito barbara superstizione. Si dir che anche Marx fa la stessa cosa, identifica la natura umana conla natura tout court, e dunque  un superstizioso barbaro anche lui. Errore. Non  cos. In primo luogo, e qui cito letteralmente Adorno, il concetto di dialettica, che deriva da dialego, che significa intrattenersi, parlare insieme, discutere, in se stesso non  affatto concepibile senza un soggetto che pensi, che rifletta e che si muova; attribuire semplicemente e ciecamente la dialettica ad una materia interamente a-soggettiva sarebbe la pi barbara superstizione. Credo di poter affermare che Marx  stato lontanissimo da questa concezione. Ho voluto citare qui Adorno non perch abbia bisogno di auctoritates per sostenere ci che posso tranquillamente sostenere da solo, ma perch ogni tanto  bene fare qualche eccezione per gli amici della citazione autorevole. C' poi un secondo aspetto del problema. Per Marx la natura umana appartiene certamente alla natura in generale, come per dHolbach, ma a differenza di d'Holbach Marx utilizza il concetto dialettico-idealistico di ente naturale generico (Gattungswesen), concetto che presuppone organicamente lidealismo di Fichte ed Hegel, in quanto la natura presa in s non pu ovviamente subire alienazioni (Entfremdungen), ma soltanto la genericit pu subirle, perdendosi in particolarit storicamente determinate (ad esempio, lo sfruttamento capitalistico), particolarit che a loro volta sono integralmente storiche, e allora bisogna costruire un concetto unificato di storia cosmopolitica delluomo in modo trascendentale e riflessivo, e quindi idealistico, perch il materialismo pu soltanto proiettare in modo non dialettico la materia sottostante nelle idee soprastanti. Questa  la ragione per cui, se ci si mette dal punto di vista di d'Holbach (cosa che io non faccio, perch mi ritengo un libero allievo di Marx),  53 CAPITOLO PRIMO impossibile fare meglio di lui, e allora il barone franco-tedesco, lungi dall'essere volgare, deve essere messo alla stessa altezza di Spinoza e di Kant, come esponente di un paradigma teorico perfetto in s. In secondo luogo, dHolbach  il massimo teorico dellateismo, nel senso che non soltanto nega lesistenza di Dio in tutte le possibili forme ateistiche (gesuiti) o deistiche (gli incipriati Locke e Voltaire), ma anche e soprattutto sostiene che il potere politico, costituito da una mescolanza odiosa di anarchia e di dispotismo, s basa sul diritto divino dei re e quindi sulla religione, per cui la religione in quanto tale, e non solo nelle sue forme pi superstiziose e fondamentalistiche (diremmo oggi),  il fondamento filosofico di un potere ingiusto che si frappone fra gli uomini ed il loro legittimo perseguimento della felicit. Il lettore deve prestare una particolare attenzione a questa tesi di dHolbach, che non  per nulla nuova ( infatti gi presente in alcuni pensatori greci e romani), ma che  tuttora estremamente diffusa in un certo senso comune anticlericale e bestemmiatore, e che  stata anche recepita sostanzialmente da Lenin e poi dalle strutture ideologiche partitiche e statuali del comunismo storico novecentesco ingloriosamente defunto da quasi vent'anni. Ridotta all'osso, e con le modificazioni storiche posteriori al 1789 che sarebbe superfluo segnalare, questa tesi sostiene che  la religione il principale fondamento ideologico dello sfruttamento classista, con il ben collaudato congegno ideologico del rimando della vera giustizia al mondo ultraterreno dopo la morte, laddove in questo mondo, a causa del peccato originale, bisogna accettare le gerarchie sociali volute da Dio. So bene che nella generalizzata ignoranza che regna nel mondo non tanto degli incolti quanto dei semicolti parziali questa tesi  riferita a Marx, ed  perci ritenuta marxista. i Ebbene, no, cari signori, questa tesi  di dHolbach, e non  neanche poi tanto stupida, perch la storia  piena di tristi verifiche fattuali di questa tesi stessa. Pi avanti vedremo invece, a partire dalla critica di Pannekoek alla filosofia atea di Lenin, che questa tesi, parzialmente valida nelle societ precapitalistiche,  invece del tutto inapplicabile alle societ capitalistiche sviluppate, i cui meccanismi di integrazione sociale e di legittimazione ideologica non sono pi per nulla religiosi. In terzo luogo (ma questo non  l'aspetto pi importante) d'Holbach riprende una tesi gi presente in Spinoza e che verr ripresa pi tardi da Engels (e dallinterpretazione che di Spinoza dar il marxista russo Plechanov), per cui la libert umana coincide con la comprensione della necessit della natura. Questa tesi  di lontana origine stoica, e si contrappone in modo netto all'impostazione di Epicuro, che  invece stata la principale 54 Materialismo e religione fonte di ispirazione della filosofia di Marx, che unisce laleatoriet libera della deviazione epicurea (clinamen, parekklisis) con l'individuazione del soggetto di questa deviazione, e cio l'ente naturale generico (Gattungswesen). Il lettore non deve equivocare sullo spirito di questo paragrafo su d'Holbach. Non era mia intenzione fare le pulci a dHolbach, e cio criticarlo con fastidiosa supponenza. Tutto al contrario. D'Holbach  il pi grande e coerente materialista moderno che conosca, ed appunto per questo su queste basi materialistiche rigorose non  possibile attingere un punto di vista realmente storico. Ma il cosiddetto materialismo storico non pu essere soltanto l'aggiunta della consapevolezza storica alla struttura filosofica del materialismo con la sua identificazione della natura umana con la ntura in generale. Esso presuppone una fondazione idealistica, che infatti verr, anche se poi sar rimossa, ma questa fondazione idealistica dovr abbandonare il terreno del materialismo stesso. Cercher di chiarire ulteriormente questo punto cruciale nei prossimi paragrafi. i 11. Il pensiero di Ludwig Feuerbach  particolarmente interessante per il nostro tema, perch Feuerbach unisce strettamente materialismo ed ateismo, almeno secorido le correnti storie della filosofia. Se poi questo sia vero oppure sia invece largamente mitologico lo vedremo in questo stesso paragrafo. Metto soprattutto in guardia il lettore a non credere sulla parola a ci che riportano con pigra inerzialit i manuali di storia della filosofia, per cui ci sarebbero due Feuerbach, un materialista antropologico sofisticato che afferma che Dio non esiste, in quanto si tratta solo della essenza umana alienata e trasferita in una divinit che non  altro che la sua replicazione proiettata ed invertita, ed un materialista volgare che invece dice che luomo  quello che mangia (der Mensch ist, was er isst), cui si aggiunge sempre in modo pio e virtuoso che c' anche il Partenone, la Nona Sinfonia di Beethoven, e via mostrando che non siamo solo stomaci ma anche laureati in lettere e storia dellarte.  allora necessario anche per Feuerbach un sano riorientamento gestaltico. Il punto da cui partire, a mio avviso, sta nell'abbandono dell'idea per cui Hegel era credente in Dio, sia pure in modo sofisticato e furbesco, mentre invece Feuerbach non lo era, era ateo, e diceva apertamente che Dio non esiste, ed era solo l'alienazione dell'essenza umana con la sua debita inversione fra soggetto e predicato. Questo punto di vista fa coincidere lateismo filosofico, e lo stesso materialismo, con lautoproclamazione veridica del proclamante, per cui se io in una conversazione casuale in treno dico al primo viaggiatore che sono ateo (anzi, che non ci credo), allora basta ed avanza. Baster ed avanzer nei rapporti personali, ma in sede di storia della filosofia lautoproclamazione veridica non  un argomento. In 55 CAPITOLO PRIMO realt (ricorro ancora al saggio Voltaggio) il punto di vista di Feuerbach non  per nulla una negazione o un abbandono del punto di vista di Hegel, ma  semplicemente una interpretazione ed una rielaborazione di un passaggio della Fenomenologia dello Spirito dello stesso Hegel. Nel costruire la figura filosofica del cristianesimo, Hegel dice che la coscienza umana, andando alla ricerca di una forma intrasmutabile ed eterna di s, configura un essere superiore ed eterno, e cio appunto Dio. Questa configurazione equivale alla alienazione della coscienza in altro da s e allora, stante lirraggiungibilit della forma intrasmutabile, produce altres linfelicit della coscienza. Se le parole hanno ancora un senso, se ne ricava che la sola cosa veramente intrasmutabile ed eterna  lAutocoscienza della specie umana intesa come Spirito Assoluto, e non certamente la singola empirica coscienza individuale che non pu che morire con il corpo (tra parentesi   questo il concetto di immortalit di Antonio Gramsci). In questo senso, che  il solo senso logico possibile, Hegel era assolutamente ateo, cos come lo erano Feuerbach e Marx, con la differenza, che ammetto essere rilevante, per cui il recupero dellassolutezza della divinit non d luogo ad una frustrante infelicit ed insoddisfazione, come era (saggiamente) per Hegel, ma d luogo ad un umanesimo integrale di tipo prometeico potenzialmente ottimistico. Se lateo  il non-credente nella permanenza intrasmutabile ed eterna dell'anima individuale propriamente detta, non sono atei soltanto Epicuro, Hobbes, dHolbach, Feuerbach e Marx, eccetera, ma sono egualmente ed integralmente atei anche Aristotele ed Hegel. Le storie della filosofia sono quasi sempre in proposito stupidamente reticenti, con effetti pittoreschi ed umoristici nella ricaduta culturale per i non specialisti. Feuerbach non rovescia dunque Hegel, ma semplicemente d una interpretazione umanistico-prometeico-ottimistica alla sua figura dell'illusione nella eternit intrasmutabile della coscienza individuale, che Hegel invece molto pi saggiamente lasciava nella sua forma tragica ed aporetica, nonostante poi (in modo a mio avviso incongruo) dicesse che con l'Assoluto, e cio con la definitiva riconciliazione della coscienza con se stessa, le ferite dello spirito sono sanate senza lasciar traccia. Sebbene io provi soggettivamente la massima antipatia per gli urli di odio e di disprezzo di Kierkegaard contro Hegel, devo ammettere che su questo punto l'esagitato danese aveva ragione, in quanto  impossibile che le ferite dello spirito vengano sanate senza lasciar traccia, se non appunto in quellirrilevante mondo eterno che  lo Spirito Assoluto, della cui esistenza (in particolare quando siamo nelle condizioni fisiche dell'ultimo Labriola) non possiamo che farcene un baffo. Ma qui ritorna sempre la metafora pi idiota del mondo, che  quella del rovesciamento, anzi del rovesciamento dialettico. Ho usato il moderatissimo 56 Materialismo e religione e sobrio termine di idiota perch la dialettica  per sua natura  non si rovescia mai, ma semplicemente trapassa, superando e conservando ad un tempo, dalla Tesi alla Antitesi e poi dalla Antitesi alla Sintesi, e cos via.  infatti Feuerbach non rovescia per nulla Hegel, rovesciando la religione in ateismo e lidealismo in materialismo, ma semplicemente interpreta la figura hegeliana dell'illusione soggettiva della intrasmutabilit e dell'eternit della empirica coscienza individuale in termini ottimistici, prometeici ed attivistici (e quindi pienamente idealistici). Nello stesso modo, anche se questa metafora idiota risale a lui stesso (ma quandoque dormitat atque Homerus), Marx non ha affatto rovesciato la dialettica hegeliana rimettendola dalla testa sui piedi (come se la dialettica hegeliana si basasse sulle idee intese come opinioni e contenuti di coscienza alla Locke), ma ha semplicemente cercato di applicare, con risultati non sempre felici, il metodo dialettico ricavato da Hegel ad un oggetto inedito, e cio il concetto di modo di produzione capitalistico. Altro che rovesciamento! Lasciamo il monopolio dei rovesciamenti ai commensali goffi che rovesciano i bicchieri o la saliera, con annesse disgrazie, eccetera! Il presunto materialista Feuerbach  allora una sorta di idealista antropologico che interpreta in senso ottimistico-prometeico lidea (capito bene, cari lettori: lidea) di essenza umana. C' per anche un sano aspetto realmente materialistico in Feuerbach, ed  lidea che anche e soprattutto la scienza della alimentazione sia una scienza dialettica, e cio uri sapere filosofico di grande importanza. In definitiva, luomo  quello che mangia. Ho sempre trovato insopportabilmente idiota la connotazione di volgare a questo ragionevole materialismo, soprattutto se pensiamo a quanta gente oggi non pu permettersi una alimentazione sana e regolare, non ha accesso all'acqua potabile e pi in generale non ha accesso allo spirito, perch come  noto primum vivere, deinde philosophari. In realt Feuerbach ha perfettamente ragione. Il diritto a mangiare ed a bere acqua pulita  infatti un fondamento filosofico essenziale per comprendere la sensatezza della totalit sociale, ed.in definitiva coincide con il diritto al metron come criterio dell'etica, come ho gi avuto modo di affermare nel mio saggio di questa trilogia dedicato all'etica. In un mondo dominato da una crematistica smisurata ed illimitata, luomo o mangia troppo (fast-food imperiali con cibo spazzatura, esportati nelle province culturalmente e militarmente sottomesse) o mangia troppo poco. E questo non riguarda per nulla l'economia, il FMI o la Banca Mondiale. Riguarda la filosofia come sapere della sensatezza della totalit umana e sociale. Viva dunque il materialismo volgare di Feuerbach! 57 ) / CAPITOLO PRIMO 12. L'ultimo ritratto dei grandi atei materialisti  quello di Jacob Moleschott. L'ho messo per ultimo non perch sia il pi grande (il pi grande degli antichi  Epicuro, ed il pi grande dei moderni  dHolbach), ma perch  in senso assoluto il pi scandaloso, e solo ci che  scandaloso merita veramente di essere segnalato. Per capire Moleschott, per, bisogna collocarlo nell'ambiente culturale del positivismo tedesco in cui si  formato, anche se Moleschott era personalmente olandese. i Il positivismo tedesco  un fenomeno pochissimo noto in Italia, anche se non sono ovviamente mancate monografie specialistiche. Eppure il positivismo tedesco  la matrice storica e teorica pressoch unica della filosofia del marxismo, che come  (non troppo) noto  nato come risposta sistematica ad una committenza ideologica diretta della socialdemocrazia tedesca. Tutto ci che non  tedesco nel marxismo, da Labriola a Plechanov, viene dopo che gi i giochi erano stati fatti, e l'impianto teorico generale di base era gi stato messo a punto. Ora, questo impianto teorico generale  quello del positivismo tedesco, che  in quasi tutte le sue manifestazioni una forma di naturalismo materialistico rigoroso. In questo ambiente si formarono Lange e Laas, gli ispiratori indiretti del sistema filosofico di Engels poi battezzato marxismo. Questo  lambiente in cui Vogt pronunci il suo famoso mantra, per cui il pensiero sta al cervello nella stessa relazione in cui la bile sta al fegato e l'urina alle reni. Si potrebbe pensare che una simile affermazione possa dare fastidio ad un hegelo-marxiano estremista come chi scrive. Neppure per idea. L'affermazione di Vogt mi sembra anzi del tutto sobria e razionale, in quanto non vedo perch il pensiero dovrebbe essere superiore sul piano etico- valoriale alla bile ed allurina. Senza bile e senza urina il pensiero non pensa semplicemente pi, e non c' bisogno di essere un urologo per saperlo. Nellordine delle precondizioni per la riproduzione della vita il medico viene prima del professore di filosofia, e questo ovvio primato materiale  anche economicamente rispecchiato dalla differenza fra il costo di una visita medica specialistica ed il costo di una lezione privata di filosofia (ne so qualcosa quando esercito personalmente la seconda attivit e devo poi pagare la prima). Il punto di vista della filosofia idealistica non consiste nel negare virtuosamente la ragionevolissima affermazione di Vogt, ma consiste nel partire da questa per elaborarla successivamente. E qui il cosiddetto materialismo mi accompagna fino ad un certo punto, ma da un certo punto in poi (sostanzialmente da quando arriva la mediazione della storicit e lautoriflessione dialettica che essa comporta) deve necessariamente intervenire una qualche forma di idealismo, a meno che decida (come hanno fatto Epicuro e d'Holbach) di non inserire nel mio sistema di pensiero 58 Materialismo e religione un elemento storico, e di accontentarmi di mettere in relazione diretta luomo e la natura. Come si vede, il buon materialismo non  mai frutto di stupidit o di incomprensione, ma  il prodotto di una consapevole rinuncia alla storia. Non si  infatti per niente obbligati a prendere in considerazione l'elemento storico-dialettico della riproduzione umana e sociale. Si pu anche non farlo. Se lo si fa, per, la filosofia finisce effettivamente con il coincidere con l'idealismo, come Hegel a suo tempo afferm esplicitamente mentre Marx lo rimosse per poi freudianamente subire il ritorno del rimosso. Jacob Moleschott, medico, chimico e biologo olandese, professore universitario di fisiologia ad Heidelberg, pubblic nel 1852 una critica scientifica ad unopera del collega Liebig pubblicata nel 1842 (su cui non mi soffermer in questa sede), e venne subito espulso per questo dall'universit. A suo tempo Spinoza aveva fatto benissimo a rifiutare un incarico in quella stessa universit, in cui poi sessant'anni dopo Moleschott non riusc ad entrare per ragioni razziali (era un ebreo) e politiche (era socialista) anche il buon Lukfcs. A suo tempo ho percorso la passeggiata dei filosofi di Heidelberg, ma essa dovrebbe essere ribattezzata passeggiata dei filosofi politicamente corretti. Cacciato dalle universit tedesche per materialismo, Moleschott venne poi ad insegnare prima a Torino e poi a Roma, dove divenne un idolo dellanticlericalismo laico italiano. Moleschott fu un teorico della assoluta fisiologica normalit della morte, vista come un processo in cui l'individuo, decomponendosi nel suolo, restituisce alla natura ed all'ambiente le sostanze organiche da cui risultava composto, per cui queste sostanze saranno poi riassunte in quel processo ascendente il cui esito  la vita. La stessa morte, infatti,  una interruzione del processo solo apparente, non pu essere concepita come una frattura radicale e comunque come una dimensione qualitativamente opposta alla vita. In questo modo, tutti gli interrogativi attorno al futuro destino dell'uomo nell'aldil vengono a cadere. Il movimento operaio e socialista non si spinse fino ad abolire il seppellimento del cadavere in una cassa (Marx fu sepolto cos) o la cremazione delle ceneri (Engels fu cremato e le sue ceneri disperse nel Mar del Nord), ma se avesse dovuto essere realmente conseguente con la filosofia materialistica di Moleschott i cadaveri proletari avrebbero dovuto essere semplicemente inumati completamente nudi nel terriccio di orti e di frutteti, in modo da facilitare la riproduzione della vita. Il fatto  che luomo  anche e soprattutto un animale simbolico, e questo suo carattere non  riducibile ad invenzione di preti, rabbini, bonzi ed altri orribili filosofi idealisti. 13. Ho fino ad ora descritto una galleria di ritratti di filosofi sicuramente materialisti ed atei, o pi esattamente di filosofi descritti come atei e 59 CAPITOLO PRIMO . materialisti che per in alcuni casi (vedi Epicuro) non lo erano veramente. Ci siamo per fino ad ora soltanto scaldati i muscoli. Ora arrivano veramente le cose serie, intese come la decifrazione dei meccanismi sociali degli utilizzi ideologici dellateismo e del materialismo. E poich da qualche parte bisogna pur cominciare, inizier con quella che chiamer la Censura di Voltaire. Per comodit del lettore, presentiamo per prima la figura del Censurato. Jean Meslier era un curato di campagna francese, che ogni domenica celebrava la sua brava messa e faceva la sua brava predica. Nel 1729 muore a 65 anni di et, e lascia ai suoi parrocchiani uno scritto intitolato Il mio testamento. Sorpresa! Sorpresa! Si trattava di una veemente diatribaycontro la religione, il clero, la nobilt e lintero sistema feudale. Il male sociale radicale  individuato da Meslier nella ripartizione iniqua delle ricchezze, e la causa di questa iniquit  la propriet privata. La religione, in particolare il cristianesimo,  soltanto una favola odiosa, concepita dai preti esclusivamente per mantenere il popolo nella sottomissione e nellabbrutimento. Gli uomini per loro natura nascono invece eguali. Per abolire la diseguaglianza, i poveri devono unirsi, organizzarsi ed abbattere i tiranni. Meslier si immagina la societ futura come una federazione di comunit autogestite, in cui tutti lavoreranno e tutti potranno godere del frutto del loro lavoro ad eguale titolo. Esaminando con attenzione le radici filosofiche di Meslier, si vede che ha elaborato la sua concezione ad un tempo ateo e comunista sotto l'influenza di Spinoza, che ai primi del Settecento era considerato come lateo per eccellenza. Egli critica infatti il dualismo di Cartesio, ed ovviamente sostiene la natura materiale e quindi mortale dellanima. La natura  per Meslier la sola realt, esiste autonomamente ed  retta da leggi necessarie, per cui non  affatto il prodotto dell'attivit di un Dio creatore. La materia ha in s il suo essere ed il suo movimento, e per conseguenza  inutile cercare fuori di essa il principio del suo essere e del suo movimento. Il Testamento di Meslier non cade nelle mani di preti o confratelli pii e timorati, e quindi non viene subito distrutto. Dal 1730 comincia ad essere ricopiato a mano, e vive una vita catacombale fino a quando nel 1762 degli estratti non verranno pubblicati da Voltaire. Il testo integrale deve aspettare ancora un secolo per essere pubblicato, e lo sar soltanto nel 1864. Quando verr integralmente pubblicato, si vedr che Voltaire ha censurato sistematicamente tutti i brani sociali, egualitari, comunisti di Meslier, e ha evidenziato soltanto i brani antireligiosi ed anticlericali. Ebbene, in questa censura di Voltaire, che i manuali di filosofia ignorano (ma generalmente ignorano anche Meslier, considerato troppo rozzo per i palati fini degli adolescenti, almeno quelli del vecchio liceo borghese ormai scomparso da 60 Materialismo e religione tempo), io individuo invece un sintomo decisivo per la piena comprensione del nesso fra ateismo e materialismo, da un lato, e legittimazione ideologica della societ capitalistica, dall'altro. Ma spieghiamoci meglio, perch ne vale veramente la pena. A quasi 300 anni dalla morte del povero Meslier (me lo immagino quando per guadagnarsi la pagnotta predicava dal pulpito il contrario di ci che pensava nell'intimo della sua coscienza) la logica dei giornali laici ed anticlericali (tipo La Repubblica e L'Espresso in Italia) segue lo stesso identico principio censorio che ha ispirato a suo tempo Voltaire: ogni giorno stoccatine e stoccatone ai preti, a Ratzinger, ai vescovi, alle religioni organizzate, ed ogni giorno diffamazione, silenzio ed irrisione contro tutto quello che nel mondo resta di comunistico o semplicemente di critico della disuguaglianza delle ricchezze. Si tratta evidentemente di qualcosa che non  solo casuale 0 congiunturale, se questo codice volterriano, applicato per la prima volta nell'edizione del Testamento di Meslier, gode quasi 300 anni dopo di tanto vigore. Evidentemente il furfante incipriato, lispiratore degli Scalfari e dei Flores dArcais, aveva colto un aspetto essenziale della questione, che compendier cos: a differenza dei posteriori marxisti sciocchi ed anticlericali, che hanno sempre pensato che la religione sia la colonna ideologica fondamentale per la legittimazione della disuguaglianza sociale, il furfante incipriato aveva capito precocemente per tempo che il vero pericolo non stava nel dire che Dio non esiste e che se lo sono inventati i preti per mangiare i bocconi pi prelibati e per palpeggiare le perpetue, ma stava nel diffondere opinioni sociali di tipo egualitario. Non si sa mai! Qualcuno potrebbe infatti pensarci su! A questo punto, bisogna riflettere sulla questione in modo pi approfondito. 14.  utile a questo punto aprire una parentesi strutturalistica sul metodo del buon vecchio Marx. Nei modi di produzione precapitalistici, ed in particolare in quelli che abbastanza correttamente lo studioso egiziano Samir Amin chiama modi di produzione tributari, in cui il prelevamento prevalentemente militare del tributo  esterno alla produzione comunitaria del plusprodotto sociale da prelevare, produzione le cui tecniche produttive sono ancora in massima parte interne alla comunit dei produttori stessi, gli elementi ideologici della sottomissione gerarchica legittimata dalla religione e dal suo clero sono ancora presenti, anche se a mio avviso essi sono sempre stati troppo sopravvalutati, in quanto  sempre la spada, e non laspersorio, ad avere lultima parola. La sopravvalutazione dell'imbonimento religioso della sottomissione voluta da Dio, senza il quale i sistemi precapitalistici non avrebbero funzionato, mi sembra unesagerazione del ceto degli intellettuali, che per aumentare il proprio 61 CAPITOLO PRIMO ruolo laico contestativo si sono sempre anche immaginati un ruolo dei preti pi importante di quello che era in realt. Un bell'impalamento di contadini ribelli seguito da un generalizzato stupro delle loro mogli, figlie e sorelle  sempre stato a mio avviso molto pi importante per la legittimazione sociale dellavallo pretesco agli ordini sociali. Ed infatti oggi, mentre gli alleati subalterni ed impotenti dell'impero americano inviano le loro truppe in missione di pace fingendo che il loro compito principale sia quello di dare caramelle ai bambini o al massimo di riparare le tubature degli acquedotti distrutti alcuni giorni prima dai bombardamenti umanitari, i soldati dell'impero americano in prima persona, che sanno benissimo che solo il terrore funziona veramente (it really works), fanno filtrare le foto delle torture di Abu Ghraib e di Guantanamo in modo che i ribelli, battezzati terroristi, sappiano bene che cosa gli aspetta se continuano a rompere le palle agli interessi delle multinazionali. La funzione dei preti  ridotta al minimo, praticamente soltanto a celebrare i funerali dei soldati imperiali morti per la pace e contro il terrorismo. Si dir che questo  tipico solo del capitalismo. Non  vero. Era gi cos anche nel buon vecchio feudalesimo, che si fondava non tanto sulla lettura manipolata dei Vangeli, quanto sul sano terrore delle 48 ore di libero saccheggio concesse abitualmente quando le truppe irrompevano dentro le mura. Quando il 29 maggio 1453 Costantinopoli fu presa dai turchi ottomani il vincitore, Maometto II fatih, il conquistatore, dovette limitare il saccheggio a sole 24 ore, perch in un solo giorno i turchi baffuti stuprarono tutte le donne disponibili, sgozzarono tutti i vecchi e soprattutto scalpellarono tutte le pietre ed i mosaici di valore. Eh . no, cari amici, la violenza militare, allora ed oggi, era il vero fattore di controllo sociale, non il monopolio della religione! Detto questo, e piegato opportunamente il bastone dalla parte giusta, ammetto che anche l'ideologia religiosa aveva una certa (sia pure limitata) importanza nelle formazioni sociali tributarie. Non si spiegherebbe altrimenti il fatto che gli eretici fossero generalmente bruciati vivi, impalati, messi su di una graticola, eccetera, e questo da parte di cleri organizzati che qualche secolo dopo si indignano virtuosamente della repressione dei comunisti. Se qualcuno viene impalato, un sano atteggiamento materialista, attento cio alla materia fornita da carne, sangue, membri tagliati (leggete il martirio delleretico Dolcino nella buona citt piemontese di Vercelli, e vedrete che gli hanno tagliato l'uccello - con rispetto parlando  prima di bruciarlo sul rogo), eccetera, ci fa concludere che questi poveracci erano socialmente pi pericolosi del sottoscritto, le cui osservazioni blasfeme sono ormai socialmente del tutto innocue, perch annegate nella saturazione editoriale a rapidissima obsolescenza e nel silenziamento cui sono condannati i piccoli editori politicamente scorretti. 62 Miaterialismo e religione Ammetto dunque volentieri il (limitatissimo) ruolo della religione come ideologia della legittimazione sociale disegualitaria nelle societ precapitalistiche di tipo tributario. Ma il fatto che Voltaire, che certo conosceva i suoi polli, potesse gi nel lontano 1762 censurare la parte sociale comunistica del Testamento di Meslier ed evidenziare invece la parte atea ed anticlericale significa, almeno secondo la mia chiave di lettura, che la prima parte poteva essere forse in qualche modo pericolosa, mentre la seconda non lo era per niente, perch l'ordine costituito, che in un altro saggio di questa trilogia ho definito tardosignorile e protoborghese, non si reggeva affatto sulla religione, ma su ben altro. E su cosa si reggesse, lo discuteremo brevemente nel prossimo paragrafo. 15. L'ordine tardosignorile e protoborghese, matrice e prima forma storica della societ capitalistica, si basava gi su strutture fortemente laicizzate, in cui precedenti contenuti religiosi erano gi stati ampiamente trasformati. Pensiamo allilluminismo moderato francese alla Voltaire, all'ideologia inglese dellempirismo e dellindividualismo possessivo, ed allo stesso esangue antigesuitismo politico nei paesi cattolici (Portogallo, Francia, eccetera). Certo, ancora negli anni Cinquanta del Novecento per entrare alla Fiat di Torino ci voleva la raccomandazione del parroco, ma questo di per s non voleva dire che il legame sociale capitalistico italiano del boom economico si basasse su di un fondamento religioso, quanto sul fatto che le forme ideologiche della classe contadina recentemente urbanizzata erano pi adattabili alla disciplina di fabbrica di quanto lo fossero quelle della vecchia classe operaia urbana socialista. Il capitalismo, infatti, tende per sua natura a privatizzare la pratica religiosa, non ad utilizzarla come ideologia comunitaria di legittimazione politica e sociale. In condizioni normale di riproduzione, il capitalismo neutralizza ogni tipo di contestazione strategica al suo funzionamento con due tecniche ampiamente collaudate, leconomicizzazione del conflitto con conseguente integrazione consumistica dei salariati, e la nazionalizzazione delle masse con conseguente formazione di comunit aggressive, sciovinistiche e (quando  il caso) anche razzistiche. Come si vede, la religione qui non gioca praticamente alcun ruolo, ed in questo senso il furfante incipriato Voltaire aveva visto giusto quando aveva scelto di censurare la parte comunista del Testamento di Meslier, e di evidenziare soltanto la parte atea ed anticlericale. 16. Pu essere interessante verificare se e fino a che punto il modello strutturalistico originale di Marx nell'analisi della riproduzione capitalistica di tipo sistemico (e non solo congiunturale) abbia tenuto in conto il fattore 63 CAPITOLO PRIMO religioso nella costituzione delle strutture ideologiche di questa riproduzione. Se facciamo questa verifica (che generalmente nessuno fa) ci accorgiamo agevolmente che il fattore religioso, inteso sia in senso positivo (credenza e fede) sia in senso negativo (scetticismo ed ateismo), non gioca praticamente alcun ruolo. E allora, come stanno veramente le cose? Cerchiamo di vedere brevemente come stanno. Non intendo negare che Marx fosse ateo, oppure addirittura, come  stato sostenuto dallo studioso italiano Luciano Parinetto, che il suo ateismo fosse una leggenda. Marx era certamente ateo, e se vogliamo porre la questione in modo scherzoso (ma non troppo) quando era sobrio e pensante era ateo alla Feuerbach e quando era leggermente brillo (e lo era spesso) lo era alla dHolbach, e cio sacramentando contro i preti. Ma il punto di vista sulla religione e sullinesistenza di Dio di un esule tedesco a Londra con la barba brizzolata che parlava inglese con forte accento straniero non ha alcuna importanza per la questione strutturalistica che ci interessa, e cio quella dell'eventuale legame organico fra religione e capitalismo. A mio avviso non ce n' praticamente quasi nessuno. Il capitalismo si riproduce ideologicamente non con l'avallo trascendentale di una divinit che legittima la disuguaglianza dei ceti o delle caste, ma  come ho appena sostenuto  con il possesso esclusivo della tecnologia produttiva, con leconomicizzazione del conflitto salariale e distributivo, con il consumismo e la sua relativa integrazione, con la nazionalizzazione imperialistica delle masse (che avviene oggi con lagitare la minaccia del terrorismo fondamentalistico islamico), eccetera. Esiste per anche una corrente filosofica marxista che sostiene invece che c un nesso organico fra religione e capitalismo, e dunque anche la critica alla religione  preliminare e consustanziale alla critica dell'economia politica. Il cosiddetto feticismo della merce, infatti, sarebbe solo una duplicazione laicizzata del feticismo della divinit, per cui solo distruggendo lidea che esistano potenze in qualche modo ipostatizzate, e cio separate dal mondo reale ed erette in potenze soprannaturali eterne (in questo caso l'eternit di Dio), si potrebbe poi distruggere anche lidea che ci siano potenze terrene altrettanto indistruttibili ed eterne (in questo caso, la forma di merce dell'economia capitalistica con conseguente eternizzazione della propriet privata e dello sfruttamento). Ho personalmente coltivato nella mia giovinezza questi sofisticati giochi filosofici hegelo-marxiani (che poi in Italia assumevano paradossalmente la forma anti-hegeliana della scuola di Della Volpe e Colletti), ma oggi penso che si tratti  per dirlo in modo sobrio e moderato  di sostanziali sofisticate sciocchezze. Il gioco della distruzione dialettica delle ipostatizzazioni, infatti, equivale in buona traduzione in lingua corrente a dire che il 64 . Materialismo e religione capitalismo ha un fondamento ideologico religioso, e che quindi per smascherare questo carattere religioso bisogna prendersela con la religiorie in generale, e siccome la religione in generale non esiste, ma ogni paese ha i suoi pretoni e pretini variamente vestiti con diversi colori, bisogna prendersela con questi preti, ed il solo modo politico performativo per potersela prendere con successo con la religione  allearsi con i cosiddetti laici. Qui la sindrome Tafazzi, e cio la sindrome del personaggio che si martella i coglioni da solo, raggiunge punte di vera e propria inarrivabile sublimit. Allearsi infatti con i cosiddetti laici contro i residui illiberali delle religioni organizzate, che ovviamente non possono fare a meno  senza suicidarsi  di avere un loro organico punto di vista sulletica sociale complessiva, magari legittimando filosoficamente questa alleanza con sofisticati ragionamenti sul nesso fra critica alla religione (ipostatizzante) e critica all'economia politica (anch'essa ipostatizzante), significa appunto sostituire Marx con Tafazzi, in quanto la riproduzione capitalistica non  affatto religiosa, ma  laica per sua propria intima essenza. Come si vede, il fatto che Marx fosse poi personalmente ateo (e non c' alcun dubbio che lo fosse) non ha nulla a che vedere con il problema materialistico (e quindi strutturalistico) del ruolo della pratica religiosa nella riproduzione capitalistica. Esso non  certo eguale a zero (non sono cos estremista da affermarlo, in campo sociale nulla  mai uguale a zero), ma  certamente da prefisso telefonico. Capirlo significherebbe propiziare un buon riorientamento gestaltico. Ma la stupidit identitaria anticlericale non lo permetter presto. 17. Il marxismo di Lenin, che  poi storicamente stato alla base del cosiddetto marxismo-leninismo (codificato e sistematizzato per la prima volta da Stalin fra il 1924 ed il 1926, quando gi Lenin era morto e sepolto e non poteva pi metterci il becco),  invece fortemente antireligioso, e propugna un ateismo esplicito e militante. Il comunista, per Lenin, deve essere ateo, perch se non fosse ateo non capirebbe che l'umanit  autonoma nel suo progetto di emancipazione e liberazione (matrice Fichte e Feuerbach) e che inoltre i preti di ogni colore si opporranno sempre alla rivoluzione dei proletari (matrice d'Holbach). Tutto il comunismo storico novecentesco recentemente defunto (1917-1991) si  basato sullateismo detto scientifico, nel senso che la scienza moderna dimostrerebbe in modo infallibile che Dio non esiste, e quindi solo vecchiette superstiziose e piccoli borghesi spiritualisti possono ancora credere a simili idiozie. Ora, lidea che la scienza moderna dimostrerebbe che Dio non esiste  una idea positivistica al 100%, e solo chi confonde la struttura teorica del positivismo con il metodo di Marx (e cio il 95% dei cosiddetti marxisti, percentuale di cui lo scrivente 65 CAPITOLO PRIMO non fa parte) pu sostenerla. La dimostrazione della inesistenza di Dio di tipo positivistico  sempre e solo una forma di tomismo rovesciato (ed il cubo rovesciato resta lo stesso cubo, solo appunto rovesciato), per cui la vecchia gloriosa prova della Causa Prima senza la quale il mondo non avrebbe potuto essere messo in movimento e la materia cosmica non avrebbe potuto essere creata (e allora da dove viene?) viene rovesciata in Presupposto Autopoietico, per cui non c' bisogno di una causa prima per spiegare le cose, ma bastano tempo, spazio, materia e movimento per darci la ragion sufficiente del mondo in cui viviamo. Ma simili discussioni, lungi dall'essere moderne, si facevano gi al tempo di Democrito e di Platone, in modo molto pi spiritoso e meno supponente. Il Presupposto Autopoietico della capacit auto-organizzativa della Materia Eterna  altrettanto religioso della Causa Prima che fa il mondo. Non voglio fare il pesce in barile. Personalmente, se la mia insignificante persona conta qualcosa in una discussione filosofica necessariamente impersonale, mi convince molto di pi il Presupposto Autopoietico di quanto mi convinca (ha smesso di convincermi a 14 anni, et in cui generalmente si passa  o si passava  dalla causa prima al presupposto autopoietico) la Causa Prima. In questo senso, se proprio vi fa piacere, sono ateo. Ma il termine mi sembra del tutto vuoto, perch la teoria della Causa Prima staccata dal mondo che lo progetta come un ingegnere progetta un ponte,  del tutto estranea ad ogni esperienza religiosa propriamente detta (e si vedano su questo gli stupendi studi di Marco Vannini). L'ateismo di Lenin era storicamente spiegabile con l'innegabile ruolo svolto dalla chiesa ortodossa russa per legittimare lassolutismo zarista. In | proposito, il fatto che lateo militante Lenin autodefinisse il proprio personale marxismo ortodosso, utilizzando proprio la categoria simbolica che gli era pi odiosa, ce la racconta lunga non solo sul rimosso di cui parla Freud, ma sulla situazione politico-culturale del tempo di Lenin, che era assolutamente specifica, determinata e storicamente congiunturale. Ma poi Lenin prese il potere nel 1917, fond il moderno comunismo nel 1918 (cambio di nome al partito socialdemocratico, eccetera), e la sua personale e rispettabile concezione ateo-positivistica divent dogma indiscutibile per il baraccone comunista recentemente defunto. Lo studioso marxista che cap meglio questo problema fu a mio avviso lastronomo olandese Anton Pannekoek, autore negli anni trenta di una magistrale monografia sulla filosofia di Lenin, disponibile anche in lingua italiana. Pannekoek sostiene che Lenin, muovendosi in una realt sociale ancora non pienamente capitalistica, adotta inconsapevolmente il modello di materialismo tipico appunto delle societ non ancora pienamente capitalistiche, e cio il modello del materialismo francese illuministico (dHolbach, eccetera), in cui l'attacco ai preti era centrale, perch i preti 66 Materialismo e religione + appunto giocavano ancora un ruolo essenziale nella legittimazione sociale. Sebbene personalmente abbia sostenuto nei paragrafi precedenti una posizione leggermente diversa, per cui gi allora i preti e la religione non giocavano un ruolo decisivo, devo ammettere che Pannekoek coglie molto bene l'aspetto pi importante della questione. E l'aspetto pi importante della questione, che riprender pi dettagliatamente nel terzo ed ultimo capitolo, sta nel fatto che i comunisti novecenteschi, in questo caso sulla scorta di Lenin, hanno combattuto la battaglia culturale con la sofisticata borghesia capitalistica novecentesca con unarmamentario ideologico settecentesco, anteriore quindi non solo a Hegel, ma addirittura a Marx. Ora, quando si combatte una battaglia novecentesca con un apparato ideologico settecentesco le spiegazioni sono due, e soltanto due. La prima spiegazione, tautologica, in linguaggio kantiano analitica, e quindi insufficiente,  che un coglione si comporta necessariamente da coglione, e che quindi la sua sconfitta  pi che meritata. Si tratta di una spiegazione che respingo. La seconda spiegazione respinge la teoria della coglioneria, ma deve necessariamente avanzare l'ipotesi della subalternit strutturale. Se ci si rivolge infatti a gruppi sociali incurabilmente subalterni, come  il caso della classe operaia, salariata e proletaria (parlo di quella effettuale, non di quella ideale alla Marx o idealtipica alla Weber), non si pu che proporre una religione rovesciata, che della religione mantiene il presupposto dogmatico dellesistenza di un mondo indipendente da noi e non mediato dalla nostra coscienza. La conclusione filosofica che propongo  quindi questa, che so perfettamente insopportabile ed odiosa alle orecchie pie e politicamente corrette di ci che resta del marxismo, sia universitario che militante, e cio settario-identitario: il marxismo non si  affatto sviluppato sulla base di un passaggio benefico dallidealismo al materialismo (storico, dialettico, eccetera), ma tutto al contrario da un precedente momento idealistico (ispirazione idealistica unita ad una analisi strutturalistica  impropriamente e metaforicamente definita materialistica  dei modi di produzione storici e sociali) ad un posteriore momento positivistico (impropriamente chiamato anch'esso materialistico, nel senso che solo la Materia Autopoietica esiste e la Causa Prima ed il Disegno Intelligente sono roba per vecchiette e piccoli borghesi). Su simili basi  mi spiace dirlo  la Fine era gi parzialmente contenuta nel Principio. 18. Il primo capitolo qui sarebbe concluso, ma dal momento che nei prossimi due non vi sar pi l'occasione di tornare in modo sistematico sul rapporto fra ateismo e religione, credo che possa essere interessante discutere 67 CAPITOLO PRIMO ancora su tre problemi considerati di attualit. Il primo  quello del cosiddetto ritorno della Religione e del Sacro nelle apparentemente laicizzate societ dette post-moderne, il secondo  quello del fenomeno religioso dei neo-conservatori americani, detti feo-con, ed il terzo  il tema del fondamentalismo islamico. Tutti e tre i temi sembrerebbero smentire le mie precedenti tesi sul nesso dialettico di ateismo e religione, in quanto al contrario sembrerebbe che siamo di fronte invece a fenomeni che testimonierebbero la centralit della legittimazione religiosa delle strutture sociali e politiche contemporanee. Il tema  interessante, e non si pu mettere sotto silenzio. Per questa ragione dedicher i tre paragrafi finali di questo primo capitolo alla discussione di questi tre distinti problemi. 19. Il cosiddetto Ritorno del Sacro di cui si  parlato e si parla molto nell'ultimo decennio,  in gran parte una mistificazione mediatica, per il semplice fatto che il cosiddetto sacro non pu ritornare dopo che se ne era andato, dal momento che il Sacro propriamente inteso  stato,  e sar sempre, trattandosi di una componente antropologica strutturale e permanente della condizione umana, che nessun presunto disincantamento del mondo potr mai abolire. Il circo mediatico nei paesi occidentali detti avanzati  culturalmente in stretto rapporto con le lites universitarie dei professori di scienze economiche e sociali, e pi in generale con gli intellettuali, termine che non connota assolutamente l'insieme delle persone che fanno uso del loro intelletto critico per cercare di capire il mondo che gli sta intorno, ma indica invece un ceto separato, come i bramini indiani, la cui esistenza socialmente riconosciuta passa appunto attraverso il riconoscimento da parte delle classi al potere, che nell'attuale capitalismo postborghese e postproletario sono le oligarchie finanziarie. Questo ceto  completamente autoreferenziale. Se la maggioranza dei suoi membri smette di credere in Dio, dice che Dio  morto, o almeno che non esiste. Se la maggioranza dei suoi membri non  pi interessata alla giustizia ed alla uguaglianza sociale, dice che l'utopia comunista si  trasformata in terrore politico, e che la grande narrazione della modernit si  conclusa nel definitivo disincanto della postmodernit. Eccetera, eccetera. Trenta anni fa tutto era sociale, Ges era un comunista, i western all'italiana stavano con i peones contro i proprietari terrieri, persino la scienza era di classe, ed erano classiste non solo la letteratura e la filosofia, ma anche l'astronomia e la geometria. Vent'anni fa tutto era femminile e femminista, la spaccatura del mondo era fra uomini e donne, la differenza dei sessi era ontologica e radicale, e nel frattempo piccoli gruppi di donne in carriera imponevano le 68 Miaterialismo e religione quote rosa ed i dipartimenti di women studies. Dieci anni fa lutto era multiculturale, non esistevano pi nazioni, stati, classi sociali, eccetera, ma solo un gioioso melting pot di multicolori bambini Benetton che danzavano felici. Eppure il sociale, il femminile ed il multiculturale di per s non solo ci sono sempre stati, ma anche continuano ad esserci come e pi di prima anche quando, e soprattutto quando, i gruppi autoreferenziali, narcisisti c corrotti dei cosiddetti intellettuali smettono di nominarli e di interessarsene. Lo stesso capita ovviamente anche nel caso della Religione e del Sacro. In quanto legittimo bisogno antropologico, che solo la barbarie positivistica pu pensare possa sparire con un buon corso divulgativo sulla formazione dell'universo fra big bang e steady state (grande esplosione iniziale oppure stato stazionario), il Sacro non pu tornare, perch c' sempre stato.  invece vero, e sarebbe sciocco non cercare in qualche modo di capirlo, che le religioni organizzate tradizionali che conosciamo sono effettivamente in crisi (ma lo sono da almeno due secoli circa, non  proprio una novit). Oggi le religioni organizzate (ad esempio il cattolicesimo italiano) sono ridotte a comunit elettive strutturalmente minoritarie, in quanto organizzano sempre e solo una minoranza di appartenenti alla societ. Certo, la stragrande maggioranza continua a passare attraverso cerimonie religiose formali nei cosiddetti riti di passaggio (battesimo, comunione, matrimoni religiosi), ma questo avviene pi per conformismo sociale che per vera e propria appartenenza comunitaria. E la ragione per cui le religioni organizzate, che solo uno 0 due secoli fa organizzavano quasi lintera societ, organizzano solo oramai minoranze elettive, che cio scelgono la propria professione di fede esplicita, sta fondamentalmente in ci, che  proprio la forma comunitaria della vita che  venuta meno, in quanto la logica del dominio capitalistico della merce  quella della individualizzazione estrema del consumatore. Ritenere che le comunit elettive minoritarie dei praticanti religiosi siano pi reazionarie della folla laica dei senzadio ordinari  una idiozia laica che solo appunto una categoria ignorante e supponente come quella degli intellettuali pu pensare. Quanto dico, ovviamente, non implica che chi scrive faccia poi personalmente parte di questa comunit elettiva minoritaria. Ed infatti non ne faccio parte, ma solo perch casualmente il mio Dio  quello di Spinoza e non quello di Ratzinger. Ma questo fatto casuale non deve portarmi a sposare l'insopportabile supponenza degli intellettuali laici, che ogni volta che vedono la folla in Piazza San Pietro si stupiscono e parlano allora di ritorno del Sacro. Eh no, purtroppo oggi il senso del Sacro  provvisoriamente molto minoritario, ma non  detto che sar cos per sempre. 69 CAPITOLO PRIMO 20.  un fatto largamente noto che negli USA esiste una adesione di massa alla religione pi alta che in Europa, la professione di ateismo  malvista in quasi tutti i gruppi sociali, il presidente Bush junior  un credente rinato, e che esiste una robusta corrente intellettuale chiamata dei feo-con, cio dei conservatori religiosi. Questa massoneria di dubbie origini (fra cui c' anche una lontana origine trotzkista evoluta in apologia della rivoluzione permanente capitalistica  avventure della dialettica, direbbe Merleau- Ponty), ha attualmente la direzione ideologica complessiva delle guerre imperiali americane, che nell'ultimo decennio hanno distrutto non soltanto l'Onu, ma l'intero diritto internazionale fra Stati. A questa massoneria anglosassone aderisce ideologicamente anche una variopinta armata cosmopolitica di nichilisti senzadio, come Oriana Fallaci e Giuliano Ferrara, gente che solo pochi anni fa quando sentiva parlare di Dio portava la mano alla pistola. Questo fenomeno non ha nulla a che fare, ma proprio nulla, con il Ritorno o la Permanenza del Sacro. Si tratta di una idolatria vera e propria, o pi esattamente di un culto imperiale americano, come era diventato il culto mazdeo al tempo degli ultimi imperatori sassanidi di Persia. Il culto imperiale americano  una sorta di deismo del dollaro, o di deismo dollarizzato, che non ha nulla a che fare con lesperienza religiosa e con il Senso del Sacro. Anche al tempo dell'impero romano esisteva una religione ufficiale romana cui non si chiedeva di credere, ma soltanto di sacrificare, ed infatti i cristiani non erano perseguitati perch non ci credevano, ma semplicemente perch non acconsentivano ad un rito formale di sottomissione politica e militare. Il culto imperiale americano non crede in Dio, e neppure in Ges Cristo, considerato uno smidollato pacifista medio-orientale (cosa che in effetti parzialmente era), ma crede solo negli UsA, o pi esattamente nella missione divina degli Usa nel mondo. In questo senso  un culto messianico, in quanto crede in una ben precisa missione che ha un suo Messia, il popolo americano appunto, ed  un culto apocalittico, perch minaccia continuamente la distruzione atomica del mondo se il mondo intero non si sottometter prima 0 poi al suo dominio incontrollato. La massoneria teo-con (peraltro congiunturale  prima o poi i Democratici liberal rivinceranno le elezioni, senza peraltro che cambi nulla nel dominio militare americano nel mondo, che  una costante bipartisan), il culto imperiale americano, il deismo del dollaro e l'idolatria messianica ed apocalittica non sono un fenomeno religioso in senso proprio. Non sono neppure un fenomeno biblico, anche se per questo libro, l'Antico Testamento, ricavato copiando miti sumerici precedenti fatti passare per invenzione originale ebraica, non ho personalmente alcuna simpatia, bastandomi ed avanzandomi la tradizione 70 Materialismo e religione filosofica classica. La Bibbia, infatti, piaccia o meno,  comunque meglio di questo culto imperiale idolatrico. 21. Il fondamentalista saudita Bin Laden ha abbattuto le Torri Gemelle di New York 111 settembre 2001, ma questo abbattimento non  un fenomeno propriamente religioso. Certo, la disponibilit al sacrificio del suicidio da parte dei dirottatori  parzialmente anche un fenomeno religioso, e sarebbe sciocco negarlo, dal momento che oggi le convinzioni laiche di tipo liberale o comunista non potrebbero mai convincere nessuno a rinunciare alla propria vita fisica per una causa politica generale. Questo per  dovuto ad una peculiare dialettica involutiva della cultura laica occidentale, per cui la distruzione del senso ultimo di tutte le cause universali, distruzione dovuta a cinquant'anni di corrosione scettico-dialettica, ha portato ad una situazione in cui lultimo valore rimasto  il corpo fisico in quanto tale. Il fatto che l'Islam {ma non solo) sia meno secolarizzato comporta che in questa cultura il corpo in s non  lultimo valore intangibile possibile, ma  ancora il possibile mezzo per un sacrificio spirituale. Questo, per, non c'entra direttamente con la religione in s. | Oggi l'impero americano ed i suoi mercenari possono fare a meno di sacrificare direttamente i corpi non perch siano pi civili, ma semplicemente perch dispongono di maggiori macchinari distruttivi. Questa, ad esempio,  la situazione asimmetrica delloppressione sionista nei confronti delloppresso palestinese. Ma l'Occidente dovrebbe vergognarsi di questa situazione asimmetrica, e non vantarsi di una sua (inesistente) maggiore civilt. E perch questo avviene?  semplice. Perch non c pi religione. 71 CAPITOLO SECONDO MATERIALISMO E FILOSOFIA | LA RISCRITTURA DELLA STORIA DELLA FILOSOFIA OCCIDENTRALE E LA DEDUZIONE STORICO-MATERIALISTICA DELLE CATEGORIE FILOSOFICHE E IDEOLOGICHE NELLA LORO DISTINZIONE QUALITATIVA 1. Dopo il primo significato, discusso nel capitolo precedente (materialismo come ateismo), discuter ora in questo secondo capitolo un secondo significato di materialismo, quello di materialismo come strutturalismo. Se nel primo caso la materia era solo una metafora per indicare l'inesistenza di Dio, in questo secondo caso  una metafora per indicare la presenza dominante di una struttura, da cui bisogna partire per dedurre in un secondo momento tutte le produzioni ideali delluomo, o pi esattamente delluomo in societ, ed ancora pi esattamente delluomo in societ visto in una prospettiva storico-evolutiva.  allora indispensabile fare alcune considerazioni preliminari sul termine struttura. 2. Il termine struttura, desunto dallarchitettura,  usato per la prima volta da Cicerone per indicare una successione ordinata di pensieri. Questo significato  tuttora largamente in uso, perch si parla ancora oggi di pensiero ben strutturato, nel senso di catena di argomenti posti in una successione coerente e potenzialmente convincente. Il fatto che il pensiero venga assimilato ad una casa, e quindi ad una costruzione, non  affatto casuale, ma indica a mio avviso il carattere costruttivistico di ogni possibile razionalit, persino di quella che apparentemente  soltanto intuitiva ed immediata, e non sembra a prima vista costruita. Le intuizioni, infatti, sono in ogni caso i fondamenti di una successiva costruzione, che senza questo primo momento necessariamente olistico non potrebbe neppure essere intrapresa. Per questa ragione i nemici della dialettica, liquidata come tentativo di pensare olisticamente la totalit, mi sono sempre sembrati un po' sciocchi, dal momento che persino i loro tentativi di liquidare il concetto di totalit dialettica presuppongono un momento intuitivo precedente, anch'esso ovviamente olistico. Ma torniamo alla struttura. Nella sua accezione di relazione fra due o pi componenti in funzione della formazione di un tutto, il concetto di 73 CAPITOLO SECONDO struttura appartiene gi al lessico filosofico greco. L'antichista britannico Hussey ha proposto di tradurre la parola armonie, tratta da un frammento di Eraclito, come struttura. Non conosco il contesto e gli argomenti con cui Hussey ha sostenuto questa tesi, ma ad occhio e croce penso di non essere d'accordo, in quanto nel lessico filosofico contemporaneo il termine struttura (da cui strutturalismo, eccetera) . spesso contrapposto polemicamente al termine dialettica (vedi i dibattiti tardonovecenteschi su questo punto, in particolare all'interno del marxismo francese), mentre in Eraclito abbiamo invece semmai una fusione organica fra momento strutturale e momento dialettico. In ogni caso, gi in Eraclito abbiamo lidea della ricerca delle relazioni nascoste che articolano lo scandirsi dei singoli eventi del cosmo naturale e sociale, eventi che sembrano a prima vista indipendenti e scollegati, ma che si rivelano in un secondo momento organicamente interconnessi. A questo punto, se lo svelamento delle relazioni nascoste  il punto di vista che Eraclito intende esprimere con il termine armonie, meglio tradurre il termine struttura semplicemente con verit (aletheia). Il termine greco verit, che nella tradizione filosofica occidentale successiva ha assunto prevalentemente i significati di corrispondenza (fra termini ed eventi esterni) e di coerenza (fra proposizioni), in greco significa invece non-nascondimento, e pi esattamente svelamento di ci che appare a prima vista nascosto. In questa sede non mi interessa il fatto che Heidegger sia partito da questa indiscutibile etimologia per intraprendere la sua critica demolitrice della tradizione metafisica occidentale (sebbene ovviamente questo fatto sia interessantissimo anche per il nostro tema), quanto il fatto che nel nesso originario fra struttura e nascondimento ci sta etimologicamente il compito di ogni strutturalismo, e cio il disvelamento di ci che non appare in superficie, ed  quindi nascosto. Trascurando qui i numerosissimi significati di struttura, dalla biochimica alla scienza dei materiali, mi limito a segnalare i due significati principali di struttura nel dibattito filosofico contemporaneo, quello risalente a Claude Levy-Strauss e quello risalente a Karl Marx. Entrambi i significati sono ovviamente materialistici al cento per cento. Qui, per, mi limiter a discutere il termine nel significato della teoria dei modi di produzione di Marx. Sebbene questa teoria sia notissima, ne formuler ancora una volta un telegrafico compendio per comodit del lettore non specialista in questioni marxiane e marxiste. 3. Il concetto centrale dello strutturalismo di Marx (erroneamente connotato come materialismo)  quello di modo di produzione. Il modo di produzione  un concetto olistico, in cui (parafrasando Hegel e Adorno) 74 Materialismo e filosofia il Vero  il Tutto, ed il Tutto  determinato dalla combinazione fra dialettica e struttura del modo di produzione stesso. Colgo l'occasione per dire che non si tratta affatto di un concetto perfetto (non esistono concetti perfetti, tutti i concetti sono storici). Questo concetto presenta caratteri economicistici, storicistici e riduzionistici innegabili, che non sono solo fraintendimenti successivi di una originaria perfezione, ma derivano dalla natura del concetto stesso. Nello stesso tempo, non sono a conoscenza di un metodo migliore di quello di Marx (se qualcuno lo conosce, mi avverta e gliene sar grato), in quanto sullattuale mercato delle idee tutti i suoi presunti superatori usano apparati concettuali peggiori, non importa se questi apparati siano stati escogitati e proposti storicamente prima o dopo lo stesso Marx. In ogni caso, tornando al modo di produzione,  evidente che questo stesso concetto non  originario (e come potrebbe esserlo?), ma rimanda al precedente concetto di Storia, e pi esattamente di storia universale cosmopolitica pensata come unico concetto trascendentale riflessivo (Koselleck). E dal momento che la storia universale cosmopolitica pensata come unico concetto trascendentale riflessivo  nata come prodotto ideologico borghese, e borghese che pi borghese non si pu, ne consegue che la stessa nozione marxiana di modo di produzione  un esempio da manuale di tutto ci che vogliamo sostenere in questo capitolo e pi in generale nella trilogia di cui questo libro  solo una parte, e cio che una nozione ha una genesi di tipo ideologico, perch deve servire a legittimare teoricamente interessi economici e sociali, in questo caso borghesi, ma nello stesso tempo produce una specifica eccedenza filosofica universalistica che ha una validit veritativa, perch  vero che si pone il problema di una unificazione etica del genere umano, una volta che abbiamo accertato che si  messa in moto una dinamica di globalizzazione. La nozione di modo di produzione, quindi,  un sottoprodotto (o se volgiamo  un danno collaterale per i borghesi, come luranio impoverito lo  per i popoli dei Balcani e per i soldati Nato che li hanno massacrati) del concetto di storia universale cosmopolitica come concetto trascendentale riflessivo geneticamente elaborato per servire contingenti interessi borghesi, ma poi trasfigurato nella sua eccedenza filosofica in verit possibile per una umanit riconciliata con s stessa. La sua origine borghese  quindi indiscutibile, e non pu farci nulla il gracchiare epistemologico dei marxisti puri che lo vorrebbero scientifico al cento per cento. Questa nozione unitaria di modo di produzione, tuttavia, si determina e si specifica soltanto attraverso tre sue determinazioni dialettiche, e cio interattive, che sono le forze produttive sociali, i rapporti sociali di produzione ed infine le ideologie, o pi esattamente le formazioni ideologiche di consenso e/o di contestazione. 75 CAPITOLO SECONDO Fra queste tre determinazioni dialettiche interattive, poi, quella che  dominante e primaria a mio avviso  la seconda, quella dei rapporti sociali di produzione, laddove invece sia le forze produttive che le ideologie sono derivate e secondarie. Ma qui entriamo gi nel dettaglio delle scuole marxiste, di cui parler nel terzo ed ultimo capitolo, laddove per ora non bisogna allontanarsi dal problema che ci interessa, e cio dal problema del nesso fra produzione ideologica che deve essere in qualche modo dedotta dai sottostanti rapporti di produzione ed eccedenza filosofica veritativa che ne risulta. 4.  questo il tema della deduzione sociale delle categorie, che si contrappone al semplice tema della deduzione trascendentale proposto da Kant e dalla posteriore tradizione neokantiana. Gi implicito nel programma teorico di Marx ed Engels, e poi sviluppato per la prima volta in modo sistematico nel 1900 da Georg Simmel nella sua stupenda ed illuminante Filosofia del denaro (il primo grande classico inconsapevolmente marxista del Novecento, che si mangia in insalata tutti gli illeggibili zibaldoni economicisti alla Kautsky, Luxemburg, e via enumerando), questo tema viene per la prima volta focalizzato negli anni Venti e Trenta del Novecento da Alfred Sohn- Rethel. Con questo, tuttavia, non intendo affatto avallare tutte le impropriet e le stupidaggini che possono essere state dette (e che io stesso posso dire) in base a questo metodo. Il metodo della genesi ideologica delle categorie e della loro successiva eccedenza filosofica veritativa  infatti un metodo, che si pu usare bene oppure male. A mio avviso, resta lunico significato serio e possibile del termine materialismo. Nello stesso tempo, non bisogna ubriacarsi con questo metodo, e far qui un solo esempio per chiarire quanto intendo dire. 5. Mi  capitato di leggere a suo tempo una spiegazione genetica complessiva della filosofia di Leibniz che riassumer pi o meno cos. Leibniz avrebbe espresso per la prima volta in rarefatta forma filosofica la nuova realt dellindividualismo borghese e del funzionamento automatico del mercato capitalistico e della sua correlata mano invisibile. In questa ottica la sua monade sarebbe stata la proiezione metafisica del nuovo individuo isolato ed autosufficiente borghese, ad un tempo materiale e spirituale, mentre la sua armonia prestabilita sarebbe stata appunto la nuova armonia sociale prodotta dai meccanismi automatici del mercato capitalistico, eccetera, eccetera. i Questa spiegazione genetica mi sembra impropria, e per dirla tutta mi sembra una sciocchezza. In primo luogo, Leibniz  pienamente interno alla problematica seicentesca della Sostanza, il cui abbandono da parte di Locke 76 Materialismo e filosofia  semmai funzionale al passaggio dal mondo della propriet fondiaria di tipo comunitario al mondo della produzione industriale e della ricchezza di tipo commerciale e finanziario. In secondo luogo, Leibniz  interessato ad una teologia conciliativa fatta apposta per unire cattolici e protestanti, e vive circa un secolo prima del vero e proprio sviluppo capitalistico, per cui la retrodatazione proposta da questa interpretazione mi sembra del tutto fantasmatica ed infondata. Nello stesso tempo preferisco correre il rischio di dire sciocchezze e di proporre deduzioni sociali del tutto infondate piuttosto che rimuovere il problema squisitamente materialistico della deduzione sociale delle categorie. Come ho gi ampiamente ricordato sulla base della auctoritas di Rousseau,  meglio enunciare un paradosso che ripetere un pregiudizio. E questo vale soprattutto per il nostro tema. In proposito, discuter brevemente nell'ordine il tema della deduzione genetica di alcune categorie ideologiche e filosofiche, e cio nell'ordine il tema del nesso fra Occidente e Libert, passando poi ai termini filosofici classici di Essere, Natura, Sostanza e Scienza. 6. Non esiste e non pu esistere la Prima Ideologia, l'Ideologia Matrice, quella da cui tutte le altre sono poi derivate come l'umanit deriva da Adamo e da Eva. Se per prendiamo sul serio il mito originariamente sumerico e poi copiato dagli estensori ebrei del primo libro dell Antico Testamento, e cio quello della cacciata dal Paradiso Terrestre a causa del peccato femminile della curiosit di Eva, dall'avere staccato cio la Mela della Conoscenza del Bene e del Male dallalbero della Sapienza, ne possiamo ricavare alcune libere interpretazioni. L'innocenza primitiva, infatti, consisteva nella pratica spontanea, immediata ed irriflessa del Bene, in questo caso del bene come semplice riproduzione della vita sulla terra (il paradiso terrestre, cio il giardino non ancora coltivato e privo anche degli animali da caccia e da allevamento). Questa pratica immediata ed irriflessa del Bene, e cio in linguaggio moderno della cosa giusta da fare,  peraltro presente anche nella saggezza dei filosofi cinesi, soprattutto taoisti, che certamente non devono avere avuto rapporti diretti o indiretti con le civilt antiche mesopotamiche, e da questa significativa coincidenza potremo allora trarre una conclusione strutturalistica, per cui evidentemente larchetipo (uso qui il termine dello psicanalista Jung) della Imnocenza Primitiva deve in qualche modo aver rispecchiato un fatto reale, e cio la raffigurazione dello stato di Innocenza come di qualcosa che precede la divisione antagonistica delle classi sociali. La teoria quantitativa del valore di Marx sar anche errata, almeno nella forma calcolistica che ha assunto nella storia del marxismo, ma l'ipotesi dell'Archetipo dell'Innocenza resta plausibile, ed  un'ipotesi che solo il metodo inaugurato da Marx rende accessibile. 77 CAPITOLO SECONDO Mordendo la mela, nasce la consapevolezza della contraddizione dialettica fra Bene e Male. L'Origine e la Fine di ogni grande narrazione sono necessariamente i luoghi dellinesistenza della dialettica. Ma una volta che la scissione si  compiuta, la dialettica regna sovrana. Da essa nasce allora l'ideologia, che  semplicemente la sistematizzazione coerente delle costellazioni simboliche del Bene e del Male, sistematizzazione messa al servizio di interessi sociali sorti sulla base della divisione sociale del lavoro. Questi interessi sociali confliggono fra di loro, ed il loro conflitto produce quelleccedenza razionale universalistica che  lo spazio della filosofia. La filosofia, cos come larte, la religione e la stessa scienza, nasce geneticamente in un contesto necessariamente classista, ma nello stesso tempo non  classista per sua natura, come invece ha sostenuto scioccamente in modo suicida per pi di un secolo la tradizione marxista. Ma su questo ovviamente ritorner pi avanti. Se  del tutto inutile andare alla ricerca della Prima Ideologia, quella che ha poi dato vita a tutte le altre successive,  invece possibile stabilire con uninevitabile grado di convenzionalit una delle prime ideologie della nostra cultura. Si tratta del rapporto fra Occidente e Libert, o meglio dell'Occidente come terra eletta della libert, e l'origine di questa ideologia pu essere cercata nelle Storie di Erodoto. In proposito, alcune rapide osservazioni possono essere di qualche utilit. Erodoto si muove in un cerchio magico segnato da una certa inconsapevole schizofrenia. Nei primi libri delle sue storie descrive i popoli che fanno parte dell'impero persiano, e non pu fare a meno di riportare il fatto che il dominio persiano stesso  estremamente liberale (uso impropriamente un termine moderno impensabile a quei tempi) e rispettoso delle differenze linguistiche, culturali e religiose. Negli ultimi libri invece, dedicati alle guerre vittoriose dei greci contro i persiani, egli solleva la bandiera dell'Occidente contro l'Oriente, e cio della libert greca contro il dispotismo del Re dei Re di Ecbatana, Susa e Persepoli. La superiorit del cosiddetto occidentalismo nasce allora in un certo senso con Erodoto. Ed  curioso, se pensiamo che la civilt greca era una civilt schiavistica (anche se  al tempo di Erodoto - si trattava di uno schiavismo ancora sottomesso alla logica riproduttiva del modo di produzione dei piccoli proprietari indipendenti), mentre la stragrande maggioranza dei popoli del mondo persiano non conosceva e praticava lo schiavismo, ma varie forme non schiavistiche di dispotismo comunitario. Lo stesso Erodoto va in Egitto, sale sulle piramidi, parla con i sacerdoti, e poi d per scontato che le piramidi siano state costruite da schiavi, cosa che tutti gli egittologi oggi sanno non essere assolutamente vera. Ebbene, nella proiezione indebita della produzione schiavistica su sistemi sociali che 78 Materialismo e filosofia schiavisti non erano per nulla, accompagnata dalla pretesa di una complessiva superiorit culturale dello schiavismo stesso, sta quello che chiamo occidentalismo. Esso non  cambiato da allora. Semplicemente oggi si tratta della replicazione dello stesso meccanismo, e cio della proiezione indebita della produzione capitalistica su altri sistemi sociali, accompagnata dalla pretesa di una complessiva superiorit culturale del capitalismo stesso. Ci torner sopra pi avanti. Per ora basti aver capito la logica (logica ideologica) di questa proiezione indebita, ingenua al tempo di Erodoto, sofisticata e perci anche pi odiosa e ripugnante oggi. 7.Il concetto di Essere  un concetto fondante della tradizione filosofica occidentale. Esso indica un'idea di Permanenza, che non  di per s incompatibile con la concezione correlata e complementare di Mutamento dialettico, ma pone comunque lidea di Permanenza come primaria. Ora, lidea di Permanenza in qualche modo rispecchia lesperienza quotidiana, che constata come lacqua permanga sia che sia calda sia che sia fredda, e + l'essere umano permanga sia che sia giovane, adulto o vecchio. Nello stesso tempo anche lidea di Mutamento rispecchia lesperienza quotidiana, che constata come lacqua possa trasformarsi in ghiaccio o in vapore, il vivo si trasformi in morto, eccetera. In sintesi, il fatto della permanenza e del mutamento deriva integralmente dall'esperienza quotidiana, e gli empiristi alla Locke ne hanno tratto la logica conclusione per cui le rispettive idee di permanenza e di mutamento hanno anch'esse una base empirica fondante. L'idea generale di Permanenza e di Mutamento non  per un contenuto di coscienza di tipo empiristico-lockiano, ma  una trasposizione metafisica assolutamente ideale che sostantivizza sia la Permanenza che il Mutamento. Dal momento che la tradizione greca da Parmenide in poi ha fatto esattamente questo, e ha trasformato lEssere e il Divenire da semplice trasposizione astratta di un contenuto di coscienza ricavato dall'esperienza quotidiana in vero e proprio Principio Ideale, come  ben noto per chi conosce la storia della filosofia, se ne possono ricavare due conseguenze. La prima conseguenza, che definir ad un tempo supponente ed idiota,  che i nostri progenitori hanno commesso un ridicolo errore, quello di scambiare una copula (la terza persona del verbo essere connessa organicamente ad una aggettivazione) per una sostanza, e dobbiamo arrivare allora noi, muniti della saggezza di Carnap, Wittgenstein e dei filosofi analitici anglosassoni a mettere a posto le cose, con la scoperta che tutta la filosofia non  altro che una irrilevante attivit di musicisti privi di talento musicale (questo  il punto di vista dell'idiota Carnap). Peccato che Parmenide, prima di scrivere il suo folle poema, non sia passato a chiedere chiarimenti a Cambridge o a Oxford. Se fosse passato a Oxbridge gli 79 CAPITOLO SECONDO avrebbero certamente detto di non confondere la copula con la sostanza, e la civilt occidentale si sarebbe evitata 2.000 anni di filosofia, che come  noto  quella cosa con la quale e senza la quale si rimane tali e quali. - Questa volgare idiozia, tuttavia, deve anchessa essere spiegata materialisticamente, perch la nascita di un idiota  puramente contingente e non deve di per s essere dedotta (ad un certo professor Krug che gli chiese di dedurgli la sua penna, Hegel rispose che lo Spirito aveva cose ben pi importanti da fare e che lo stesso contingente era in un certo senso necessario), mentre la generalizzazione ed il successo di un punto di vista idiota richiede una deduzione sociale e materialistica. Ed essa sta allora in ci, che il venir meno della necessit ideologica immediata della legittimazione metafisica di una societ, dovuto al fatto che il capitalismo si legittima da solo con la performativit economica consumistica, spinge irresistibilmente gli idioti, che non sono certamente idioti per nulla ma lo sono per una qualche ragione, a proclamare con supponente sicurezza che allora la metafisica in s  frutto di un errore logico che potrebbe essere immediatamente corretto con un master (a pagamento) in filosofia analitica, propedeutico ad un master in business administration. La seconda conseguenza, che cerca di evitare la strada siponn ed idiota del grillo parlante neopositivista, ci porta invece all'ipotesi per cui se i nostri progenitori come Parmenide hanno deciso di sostantivizzare l'Essere, qualche ragione ci deve pur essere stata, e si tratta allora di cercare di capire la ragione di fondo. La discussione di questo problema richiederebbe un voluminoso trattato monografico, che  impossibile qui. Mi limiter allora a segnalarne prima tre soluzioni (Emanuele Severino, Alfred Sohn-Rethel, Massimo Bontempelli), e ad avanzare poi la mia personale ipotesi. 8. Emanuele Severino  un filosofo italiano che da decenni ripete il suo mantra fondamentale, per cui l'intera civilt occidentale  fondata sul pi totale Nichilismo, il nichilismo stesso essendo fondato sullerrata credenza del divenire delle cose. Sarebbe allora necessario non tanto un ritorno ai Greci o a Platone, ma addirittura a Parmenide e solo a Parmenide, in quanto solo Parmenide, di cui non disponiamo peraltro neppure di un testo intero (il suo poema infatti ci  giunto solo in frammenti), avrebbe individuato una volta per tutte la questione fondamentale. La filosofia greca posteriore, il cristianesimo (con la teoria della creazione dal nulla, che in questo modo, ammettendo il nulla originario, rende logicamente plausibile anche il nulla finale), il progressismo marxista (con la teoria della storicit integrale di tutte le cose - ma qui faccio subito notare che Severino confonde Hegel e Marx con Benedetto Croce ed il suo storicismo assoluto) ed infine lo sviluppo 80 Materialismo e filosofia tecnico-economico capitalistico incontrollato il cui telos largamente inconsapevole, ma non per questo meno fatale,  la distruzione ecologica del pianeta, sono tutte e quattro manifestazioni di un'unica e sola radice,.e cio la scelta nichilista dell'abbandono della saggezza parmenidea. In proposito il discorso sarebbe lungo, ed in questo paragrafo mi limiter a quattro ordini di osservazioni. In primo luogo, Severino coglie a mio avviso, sia pure in modo insopportabilmente sapienziale (ma oggi la sapienzialit generica ed evocativa  un buon ingrediente pubblicitario per il successo di pubblico, del tipo della signora-bene che alla fine di una conferenza filosofica dice che  stata meravigliosa, anche se non si  capito niente), un dato reale della nostra riproduzione sociale complessiva, e cio la totale Insensatezza. Essendo un filosofo di professione, cerca un fondamento di questa Insensatezza, e ritiene di trovarlo nel Nichilismo, che egli non definisce alla Nietzsche o alla Heidegger, ma a modo suo, come qualunque filosofo originale deve o dovrebbe fare. Sono dunque sciocche ed ingenerose le critiche supponenti di parte positivista, che lo accusano di usare termini non traducibili operativamente in fatti ed eventi. Chi vuole questa traducibilit operativa di fatti ed eventi faccia il cronista sportivo o il fotografo di bonobo sugli alberi, ma non. il filosofo. Di fronte a questi supponenti nanetti persino Severino fa la sua modesta figura. In secondo luogo, Severino estende talmente tanto il raggio del termine Nichilismo da renderlo del tutto privo di operativit, non solo in senso neopositivistico, ma anche nel senso della determinatezza del concetto di Hegel. Se Marx avesse usato il concetto di sfruttamento per mettere insieme gli egizi che costruivano le piramidi e gli operai di fabbrica avrebbe appunto fatto come Severino, ma Marx era molto pi intelligente di Severino, e non ha fatto questo errore. Il nichilismo di Severino  infatti come la notte dell'assoluto di Schelling, quella in cui tutte le vacche sono nere. Vedremo pi avanti che proprio questa genericit  la ragione dellindiscutibile successo giornalistico e mediatico di Severino nella provincia italiana. In terzo luogo, Severino non prova mai a chiedersi il perch della genesi storica e sociale della categoria di Essere in Parmenide, nonostante sia indubbiamente in possesso di tutte le competenze storiche e filologiche per  farlo:In questa scelta radicalmente destoricizzante c' ovviamente una ferrea logica interna. Severino ha una concezione sapienziale della filosofia, e la concezione sapienziale della filosofia implica che il sapiente (un tempo Parmenide, oggi Severino) viene illuminato dall'alto di una verit astorica e senza tempo, per cui il tempo stesso viene degradato ad illusione, In Severino la scelta destoricizzante ha un suo ammirevole estremismo, e dal momento che sono anch'io un estremista (ma di un estremo opposto, 81 CAPITOLO SECONDO come avr gi cominciato a sospettare il lettore) non posso che ritenerla legittima. Legittima, certamente, ma anche vuota, astratta, e per questo incapace di illuminarci veramente sul problema. In quarto luogo, infine, non posso fare a meno di una valutazione sociologica finale. Emanuele Severino scrive che la colpa di tutto  del Nichilismo sullorgano di stampa del nichilismo italiano, e cio il Corriere della Sera, cos come il suo allievo Umberto Galimberti scrive che la colpa di tutto  della Tecnica, o pi esattamente della tecno-economia, sullorgano di stampa della tecno-economia italiana, e cio La Repubblica. Non intendo affatto fare del moralismo, tipo pecunia non olet (olet, eccome se olet!), per riprendere limmortale pragmatista Vespasiano, oppure suggerire al lettore che io sottoscritto non farei mai nulla del genere. Sono questi gli argomenti delle signore brutte ed invidiose che facevano tappezzeria nei vecchi balli borghesi mentre le signore avvenenti venivano invece invitate. Se fossi invitato a scrivere su questi giornaloni del capitale finanziario, principale nemico dei popoli del mondo (ma appunto - pensando questo  sar difficile che mi invitino!), credo che lo farei anche gratis, perch tipico dellintellettuale, sia pure anomalo,  il cercare di diffondere il proprio punto di vista (lha fatto anche Franco Fortini, prima di essere cacciato per aver toccato l'impero americano ed i suoi soldati assassini). Il problema non  allora cripto-moralistico o cripto-invidioso, ma  appunto pienamente materialistico, e per questo la sua trattazione deve avvenire in un saggio sul materialismo. Come  possibile allora che la critica al nichilismo possa essere ospitata nel massimo organo di stampa del nichilismo, e la critica del dominio della tecno-economia nel massimo organo di stampa della tecno-economia? Il discorso sarebbe lungo, e non pu faladicie essere fatto sulla base tautologica del liberalismo, per cui i veri liberali ospitano volentieri anche intelligenti opinioni dissenzienti. I veri liberali ti cuocerebbero su di una graticola a fuoco lento se si mettessero veramente in pericolo i loro profitti, e dunque non pu essere questa la ragione. E la ragione probabilmente sta in ci, che proprio l'approccio generico e destoricizzante al nichilismo ed alla tecnica di Severino e Galimberti  non solo del tutto innocuo, ma  addirittura un omeopatico positivo per la legittimazione del capitalismo contemporaneo. Se infatti il Nichilismo e la Tecnica vengono presentati in una forma di Onnipotente Fatalit, contro cui non c' di fatto pi niente da fare (quello che in questa stessa trilogia ho spesso definito in termini di nientedafarismo), si ottiene il risultato solo apparentemente paradossale di giustificare lo stato di cose che le provocano. Solo i bestioni burocratici semianalfabeti del comunismo storico novecentesco erano tanto rozzi da censurare in modo animalesco le opinioni pericolose. La 82 Materialismo e filosofia legittimazione ideologica del capitalismo, immensamente pi sofisticata di quella delle bestie sopra citate, utilizza il mezzo segnalato da Edgar Allan Poe nella Lettera Rubata, e cio mette l'enigma davanti a tutti, in modo che nessuno pensi a cercarlo proprio l. Ne sono consapevoli Severino e Galimberti? Non lo so, ma non sta qui l'aspetto principale della questione. Sono i manipulitisti maniaci, che riducono lintero mondo vitale allinsignificante dettaglio dellarraffa-arraffa, la cosa meno interessante del mondo, possono essere veramente interessati al problema degli onorari spediti a Severino ed a Galimberti in cambio delle loro diagnosi infauste sulla follia dell'Occidente.  invece importante rilevare una cosa, che mai Platone avrebbe collaborato al giornale del tiranno Dionisio, oppure Epicuro al giornale dei diadochi ladroni Antipatro o Lisimaco. Qui la lunga durata dellipocrisia gesuitica non c'entra nulla. Qui si pone il problema della totale irrilevanza materiale e sociale della testimonianza filosofica, qualunque essa sia. I giornali di Paolo Mieli e di Eugenio Scalfari, la cui ragion dessere non solo storica ma addirittura sistemica, e quindi materiale (ed  questo - appunto  il materialismo),  proprio il dominio del Nichilismo e della Tecnica, utilizzano una profilassi auto-immune per prevenire una possibile (anche se improbabile) critica sociale al loro nichilismo ed alla loro tecnica, profilassi auto-immune che consiste proprio nella preventiva auto- vaccinazione in forma debole (e quindi innocua) degli stessi principi potenzialmente critici. Lo sanno (nel senso che ne sono consapevoli) Severino e Galimberti? Ecco una domanda che pu soltanto interessare al gossip semi-colto delle riviste femminili. Il problema materiale, che discutiamo in questo intero secondo capitolo, non sta nel fatto che lo sappiano ma se ne freghino (per denaro, vanit, status sociale, visibilit, o altri difetti umani e troppo umani), ma nella funzione strutturale di tutto questo. 9. Nell'interpretazione di Alfred Sohn-Rethel, esempio paradigmatico del secondo significato che attribuisco al termine materialismo, e cio deduzione sociale delle categorie non solo ideologiche ma anche filosofiche, il termine Essere di Parmenide non cade dal cielo e neppure  primariamente dovuto ad una intuizione sapienziale di questo (probabile) pitagorico di Elea, ma  il risultato di un raddoppiamento nel cielo delle astrazioni puramente teoriche di una precedente astrazione reale, e cio lastrazione del valore di scambio puro incarnato nella moneta coniata (che viene appunto coniata prima in Lidia, poi a Chio ed Egina ed infine in tutto il mondo greco). Per usare un'espressione letterale di Sohn-Rethel, chiunque abbia in tasca delle monete, deve avere anche in testa delle astrazioni concettuali ben determinate, ne sia o meno cosciente. In altri termini, finch scambio direttamente valori duso con altri valori d'uso (ad esempio un gregge con 83 (CAPITOLO SECONDO uma abitazione, un campo coltivato con una nave di legno, eccetera) non esiste ancora lastrazione-scambio vera e propria, mentre questa astrazione- scambio nasce quando la moneta, valore di scambio astrattamente puro, permette il raddoppio mentale, e quindi filosofico, dellAstrazione in quanto tale, di cui il concetto di Essere astratto  la massima forma possibile e pensabile. Per capire la genesi storica del pensiero di Sohn-Rethel, che non  affatto assurda come sembra a prima vista, bisogna prima tornare alla Germania degli anni Venti del Novecento, luogo di tutte le possibili sperimentazioni filosofiche del tempo (dalla fenomenologia ad Heidegger, dal neopositivismo al marxismo critico e dissidente, eccetera). Il livello della discussione filosofica di quel decennio  stato talmente alto che in effetti la miseria dei nostri tempi ha difficolt a ricostruirlo. In ogni caso, la teoria genetico- materialistica di Sohn-Rethel presuppone che ricordi, sia pure in modo sommario, le posizioni principali della teoria della conoscenza prevalenti in quegli anni. In primo luogo, esisteva la posizione filosofica tradizionale di Kant e del successivo neo-kantismo. Nata dalla cosiddetta rivoluzione copernicana, e cio dallinversione della centralit del problema della conoscenza dalla conoscibilit dell'oggetto alle capacit conoscitive del soggetto (riflesso questo - aggiungo io  della correlata emersione sociale e politica del soggetto nella fase protoborghese del capitalismo), veniva postulato un Io Penso che a sua volta era titolare di raggi di conoscenza diseguali, a seconda del fatto che fossero inseribili in un contesto spazio-temporale (matematica e . fisica) oppure non fossero inseribili in questo contesto (metafisica ed idee di anima, universo e Dio).  socialmente chiaro che questa teoria kantiana dei limiti della conoscenza raddoppiava nel mondo rarefatto della metafisica l'esigenza borghese di limitare i poteri dispotici dellassolutismo . tardosignorile (ho scritto  chiaro, ma in realt  chiaro a me ed a tutti coloro che usano il metodo genetico-dialettico di Marx, mentre  stupido ed assurdo per gli altri). Il fatto , per, che questo Io Penso di Kant  una postulazione, una autoposizione arbitraria, e non si cerca in nessun modo di dedurla. In secondo luogo, esisteva la critica fenomenologica di Husserl alla teoria delia conoscenza di Kant, critica che poi rese possibile anche la successiva teoria di Heidegger sul rapporto fra l'essere e il tempo. In questa intelligentissima critica Husserl faceva notare, in breve, che astrazioni come il Cogito di Cartesio e l'Io Penso di Kant non cadevano per nulla dal cielo, e quindi non potevano essere postulate in modo autoassertivo e privo di criticit, ma erano a sua volta prodotte dalla rivoluzione scientifica di Galileo, che metteva tra parentesi il mondo della vita umana concreta 84 Miaterialismo e filosofia (Lebenswelt) per ritagliare da questo mondo un sottomondo particolare, quello della calcolabilit e della quantificazione matematica del reale. La conseguenza non poteva essere che la produzione di una scienza priva di moralit individuale e sociale, che creava un mondo parallelo di numeri al posto delle esigenze sociali ed umane. Questa critica di Husserl (a mio avviso, ovviamente) era intelligentissima, ma dal momento che Husserl (come peraltro pi tardi Heidegger) ignorava completamente il metodo di Marx, pensando evidentemente con la tipica supponenza accademica tedesca che Marx fosse un economista sindacalista di sinistra interessato soltanto alla ripartizione del reddito (il Marx neoricardiano di oggi, in poche sciagurate parole), non si tentava neppure lontanamente di spiegare socialmente come era nata questa deviazione galileiana. In altri termini, il Galileo di Husserl  altrettanto inspiegabile del Parmenide di Severino. In terzo luogo, esisteva il punto di vista marxista tradizionale, fondato sulla separazione dicotomica fra idealismo (cattivo) e materialismo (buono). I marxisti pi stupidi si limitavano a ripetere questa dicotomia con lottuso dogmatismo dei pecoroni al pascolo. I marxisti pi intelligenti invece si rendevano conto che questa dicotomia doveva essere socialmente spiegata, e cercavano di spiegarla con il criterio del processo lavorativo e della connessa divisione sociale del lavoro. In altre parole, le classi dominanti, progressivamente esentate dal faticoso lavoro manuale e dal rapporto con la materia che questo faticoso lavoro comporta, avrebbero sublimato questo distacco dalla materia con l'elaborazione di un punto di vista idealista, spiritualista, religioso, la cui finalit ideologica era quella di giustificare appunto il loro dominio, in base appunto alla superiorit dello Spirito sulla Materia. Le classi dominate, invece, costrette ad un continuo quotidiano legame con la materia, sarebbero state spontaneamente materialiste, e per impedire che questo materialismo spontaneo evolvesse in visione del mondo coerente, ed anzi coerentemente rivoluzionaria, ci sarebbe stato bisogno di un apparato di mistificazioni idealistiche gestito da gruppi specializzati di sacerdoti vestiti in tutto il mondo di diversi colori. A mio avviso questa spiegazione classistica spiega certamente di pi di quella kantiana (che  autopostulata, e quindi programmaticamente non spiega niente, ed appunto per questo  preferita dal sapere universitario), ed anche di pi di quella husserliana (che almeno mette in dubbio il carattere autoevidente e progressistico della scienza galileiana), ma cade in un punto, peraltro decisivo, e cio cade nel presupposto non spiegato per cui il punto di vista parziale derivante dalla divisione sociale del lavoro produrrebbe una concezione olistica globale e totale del mondo, e cio appunto la dicotomia materialismo (lavoro manuale faticoso e sporco) ed idealismo (lavoro intellettuale di manipolazione ideologica di simboli). 85 CAPITOLO SECONDO In quarto luogo, infine, cera la nascente Scuola di Francoforte, che gi negli anni venti cercava di recuperare il punto di vista della Totalit di Hegel, totalit che non era appunto n idealista n materialista, ma partiva dalla ricerca di un punto di vista olistico. Sohn-Rethel accetta questo quarto punto di vista, rifiuta i primi tre, e lo radicalizza ulteriormente, giungendo al concetto di sintesi sociale dominante. Volendo classificare questo punto di vista si Sohn-Rethel, potremmo connotarlo come un'eresia di estrema sinistra della scuola di Horkheimer e Adorno, cos come il successivo tradimento di Habermas potrebbe essere definito come una deviazione di estrema destra. In questo caso, Sohn-Rethel riscrive lintera storia della filosofia occidentale, ed in questo senso lo considero grande. Detto questo, mon sono daccordo con praticamente nessuna delle soluzioni interpretative specifiche che egli d, a partire dall'ipotesi per cui lEssere di Parmenide  una astrazione di un'altra astrazione, quella del valore di scambio puro incarnato nella moneta coniata. Credo che lorigine di questa errata interpretazione sia limportanza esagerata data allo scambio in quanto tale. L'ebreo Sohn-Rethel, che vive in un clima in cui l'ebraismo era condannato . dagli antisemiti come baluardo dellarricchimento attraverso il valore di scambio puro, rovescia l'accusa e nello stesso tempo ne accetta fino ad un certo punto la plausibilit, ma ne scarica la responsabilit non su Mos, ma sullarianissimo Parmenide. In ogni caso, credo che non bisogna gettare via il bambino con lacqua sporca. L'idea (di Adorno e di Sohn-Rethel) che sia la Totalit che decide del primato della prevalenza di certe categorie su certe . altre (idea che assumo personalmente come criterio metodologico in questo saggio, e pi in generale nell'intera trilogia),  a mio avviso migliore dell'idea per cui il materialismo e lidealismo vengono rispettivamente generati l'uno dal lavoro manuale e laltro dal lavoro intellettuale, molto migliore della semplice critica di Husserl al carattere programmaticamente disumano della scienza matematica della natura e incomparabilmente migliore della autoposizione autoreferenziale alla Kant che si inventa un lo Penso originario da cui poi organizza la separazione fra scienza e metafisica, cio fra cosa conta per laccumulazione del capitale e delle ricchezze, e cosa invece non conta nulla e pu tranquillamente essere abbandonato al libero chiacchiericcio metafisico degli intellettuali. Ho riassunto qui una posizione di principio. Nello stesso tempo mi sembrava impossibile scrivere una breve storia del materialismo ignorando proprio Sohn-Rethel, e cio uno dei pi grandi materialisti del Novecento. Oggi questo geniale pensatore  interamente dimenticato, ma si tratta solo di un momento congiunturale in cui dominano provvisoriamente gli sciocchi. Quando i tempi cambieranno, le sue ipotesi torneranno di attualit. Per ora, 86 Materialismo e filosofia invece, passiamo ad una ipotesi alternativa sulla genesi storica della categoria di Essere, quella di Massimo Bontempelli. 10. Il filosofo pisano Massimo Bontempelli  colui che, allinterno della produzione filosofica italiana, ha sviluppato in modo pi rigoroso, coerente e convincente il punto di vista del grammatico alessandrino Diodoto, che secondo Diogene Laerzio aveva sostenuto che il libro di Eraclito non trattava della natura, ma del governo dello Stato, e che gli accenni alla natura vi stavano dentro in funzione di modello. Naturalmente, ci sono stati anche molti altri antichisti che hanno sviluppato punti di vista analoghi (ricordo qui solo Antonio Capizzi e Mario Vegetti), in una contrapposizione virtuosa con altri pur insigni storici della filosofia che hanno fatto nascere le idee filosofiche per intuizione, partenogenesi e magia (ricordo qui solo, per par condicio, Nicola Abbagnano e Ludovico Geymonat). E tuttavia Bontempelli  il solo che non soltanto ci ha costruito sopra una intera storia della filosofia (che infatti proprio per questa ragione non ha avuto alcun successo, perch nulla viene punito come laver osato scuotere il tranquillo sonno dogmatico dei pecoroni), ma ha esteso il suggerimento di Diodoto non solo ad Eraclito, ma anche e soprattutto a Parmenide ed alla sua categoria di Essere. Bontempelli applica di fatto quella che ho chiamato nellIntroduzione la lettura metaforica delle categorie filosofiche, che vengono lette appunto come metafore di rapporti sociali. Nona caso, questo applicatore del metodo genetico di Marx  anche un estimatore di Hegel, e particolarmente dello Hegel della Scienza della Logica. Egli ignora per senza neppure discuterla linterpretazione di Sohn-Rethel (non so per se perch ne ignori lesistenza oppure se la consideri troppo idiota per'essere presa seriamente in considerazione), e propone invece un'altra lettura, secondo la quale il concetto dell'Essere come Eternit e Permanenza riflette semplicemente il concetto di eternit e permanenza della Buona Legislazione, di origine probabilmente pitagorica, della polis di Elea. Ci sono anche interessanti parallelismi fra il proemio del poema parmenideo e la conformazione geografica della collina su cui si trova Elea e dei due piccoli porti marittimi del Tirreno, ma questi parallelismi, pur degni di essere presi in considerazione, non sono a mio avviso il punto  essenziale della sua interpretazione. Questo punto invece sta in ci, che il modo migliore di mettere al sicuro l'eccellenza della Buona Legislazione pitagorica di Elea (di cui Parmenide fu molto probabilmente il creatore, come Solone lo fu di quella ateniese basata sul metron), era quello di raddoppiarla metaforicamente con una teoria generale ed astratta della bont della permanenza e della negativit del cambiamento. In altri termini lEssere di Parmenide fissa per sempre una sorta di inarrivabile perfezione della Buona 87 CAPITOLO SECONDO Legislazione stessa. L'interpretazione dell'allievo pisano del grammatico alessandrino Diodoto mi sembra plausibile, certamente pi di quella di Sohn- Rethel, mentre di quella di Severino non parlo, perch ho gi espresso il mio (severo) parere sulle evocazioni sapienziali ripetute come un mantra contro il Nichilismo e pubblicate su organi ufficiali del nichilismo stesso. In realt Bontempelli coglie qui (e non solo qui) il punto essenziale della questione, per cui non c' modo di capire qualcosa della genesi della filosofia greca antica se non si assume fino in fondo il presupposto genetico dell'origine sociale delle categorie. A questo punto devo per onorare l'impegno assunto con il lettore alla fine del settimo paragrafo con la promessa di discutere il mio, personale punto di vista sulla questione della genesi storica e sociale della categoria astratta di Essere. 11. Da un punto di vista filosofico, la nozione greca di Essere cos come si trova in Parmenide assomiglia moltissimo alla nozione cinese di Ta0 cos come si trova in Lao Tse. L'esperto in dialogo filosofico interculturale dell'Unesco, Raimundo Panikkar, ha parlato di equivalenti omeomorfi per connotare concetti nati in culture geograficamente non comunicanti (ad esempio Grecia e Cina, ma questo discorso vale anche in buona misura per l'India, oltre che evidentemente per le civilt precolombiane), ma che sono per in qualche maniera traducibili. Questa impostazione di Panikkar, che personalmente condivido, si contrappone alla cosiddetta ipotesi linguistica Sapir-Whorf, elaborata studiando la lingua degli indiani Hopi dell'Arizona, che sostiene invece l'assoluta intraducibilit linguistica, e quindi culturale, dei concetti che esprimono visioni del mondo olistiche complessive incommensurabili. Sarebbe interessante discutere qui le tesi contrapposte di Panikkar e di Sapir-Whorf, ma non c lo spazio sufficiente, edallora mi limiter ad esplicitare la ragione di fondo per cui personalmente preferisco, e quindi adotto, la posizione di Panikkar. Il punto essenziale sta infatti a mio avviso in ci, che una comune connotazione semantica non solo di oggetti materiali ma di concetti che esprimono una visione olistica del mondo deve avere necessariamente una comune base storico-materiale che ne faccia da minimo comune denominatore, e questo deve valere anche per concetti come Essere e Tuo. Naturalmente, non  possibile nessun esperimento scientifico liberatore, ed  necessario fermarsi alle ipotesi. Ma ci sono ipotesi ed ipotesi. Non tutte le ipotesi infatti sono uguali. L'ipotesi che l'universo sia nato da un big bang  oggi sempre pi contestata da molti astrofisici, e non  affatto detto che sia vera, ma  indubbiamente pi vera del mito per cui tutto l'universo  sorto in conseguenza dello sbadiglio di una gigantesca tartaruga che 88 Materialismo e filosofia evidentemente gli preesisteva (in questo  ma solo in questo  sono seguace della teoria della verit di Ludovico Geymonat). A questo punto l'ipotesi che faccio  questa, e cio che concetti filosofici portatori di una equivalenza omeomorfa (lEssere di Parmenide ed il Tao di Lao Tse, ma non solo questi) devono essere necessariamente sorti da un'esperienza collettiva comune, che definir in prima approssimazione come la sensazione (concettualmente mediata) del fatto che si stava perdendo un precedente equilibrio (0, quanto meno, qualcosa di percepito come tale) fra Natura e Societ. Naturalmente n la natura in s, n la societ in s esistono, ed entrambe devono essere mediate dal pensiero. Ma nella Cina di Lao Tse e nella diaspora greca di Parmenide esisteva evidentemente una comune percezione di una comune perdita di naturalit. In Cina si stavano sviluppando stati combattenti feroci e feudali, che certo dovevano la loro natura dispotica alla funzione di coordinamento parzialmente coattivo dei lavori idraulici necessari per una agricoltura regolare, ma nello stesso tempo stavano spingendo fino a livelli intollerabili l'oppressione religiosa, politica e militare, con conseguenti differenziate reazioni filosofiche (scuola Yin-Yang, scuola di Mo Ti, legismo autoritario, confucianesimo tradizionalistico, e appunto infine tacismo). Nella diaspora greca si stava sviluppando l'economia mercantile e monetaria, che inevitabilmente dissolveva i vecchi legami tribali precedenti. Questi legami non erano naturali per nulla, in quanto anch'essi avevano avuto una origine storica precedente (disegnata in modo abbastanza plausibile da Georges Dumzil e dalla sua scuola), ma erano comunque percepiti socialmente come naturali. Ed  allora questa percezione sociale della naturalit che viene prima della nuova artificialit sociale e politica che produce quel senso olistico di perdita del nesso originario di natura e societ, e cio di macrocosmo naturale e di microcosmo sociale, che sta alla base della unitariet concettuale e simbolica dell'Essere in Grecia e del Tao in Cina. 12. Il concetto astratto di Essere  a mio avviso la sorgente prima della visione dialettica del mondo. Si tratta di una tesi molto nota, che non ho certo inventato io, ma vorrei darne egualmente una formulazione personale che ritengo originale. Da un lato,  vero che il concetto di Essere in quanto tale, come percezione sociale diffusa ed in un secondo momento concettualmente elaborata, rappresenta una verit storica inoppugnabile, e cio lunit del macrocosmo naturale e del microcosmo sociale. In tutte le societ pre-industriali, in cui l'interazione fra organizzazione sociale e natura esterna  diretta (societ di raccolta, di caccia e di pesca, di allevamento, orticoltura ed agricoltura di 89 (CAPITOLO SECONDO sussistenza), la Natura coincide con lunit di macrocosmo naturale e di microcosmo sociale, unit che non  per nulla una superstizione, ma  al contrario un presupposto scientifico di sopravvivenza superiore alle stesse prestazioni scientifiche dei moderni premi Nobel. Dall'altro,  falso che Natura e Societ si sviluppino secondo le stesse leggi di sviluppo. Dal momento che luomo  la misura di tutte le cose (Protagora),  un animale razionale e sociale (Aristotele), ed  un ente naturale generico (Marx), ne consegue che ad un certo punto, prodottasi la fessurazione di macrocosmo naturale e di microcosmo sociale, lUno originario (nesso ontologico inscindibile di Natura e Societ) si scinde in una Diade (il rapporto dialettico fra l'elemento naturale impersonale e l'elemento sociale personale). Per questa ragione la critica di Platone a Parmenide non  un errore, come opina Severino, ma al contrario  lintelligentissima presa datto dellesistenza della scissione. Quando si ha la compresenza del Vero e del Falso le conseguenze sono due. Dal punto di vista della logica formale siamo di fronte ad una contraddizione logica, che rende errato lintero ragionamento. Il punto di vista della logica dialettica, quella che in varie forme fu sostenuto prima da Platone e Plotino in forma bimondana, e poi da Fichte, Hegel e Marx in forma variamente monomondana, si fa invece carico della contraddizione dialettica, ed in base a questo farsi carico pu affermare tranquillamente che l'unit fra Natura e Societ, metaforizzata da Parmenide nel concetto di Essere,  ad un tempo vera e falsa. Incidentalmente, l'ipotesi di Bontempelli resta comunque la migliore possibile, perch questa unit immutabile  stata probabilmente metaforizzata dal pitagorico Parmenide come immutabilit della Buona Legislazione contro lazione corrosiva del dissolvimento del denaro, a sua volta metaforizzato nel concetto di Nulla. In sintesi: non  infatti vero, e non  stato ampiamente dimostrato come vero negli ultimi 3.000 anni in tutto il mondo, che il potere corrosivo del Denaro, reso smisurato ed indeterminato, nullifica, e cio rende simile al Niente, ogni possibile Buona Legislazione? E non sta qui la verit di Parmenide, che le letture destoricizzanti alla Severino necessariamente occultano, ed appunto per questo possono essere ospitate (ed ampiamente pagate, ma questa  uninezia per moralisti manipulitisti a me estranei come i coccodrilli del Nilo) negli organi di stampa del Nichilismo Organizzato? 13. Passando al concetto di Natura, consiglio subito al lettore una analisi comparativa dei due concetti di Natura e di Materia, analisi comparativa resa possibile da un buon dizionario filosofico. Se essa non comportasse alcune decine di pagine la farei in questa sede, ma ritengo di poter invece 90 Materialismo e filosofia arrivare subito al nucleo della questione. La prima cosa che risulta chiara  che i due concetti non sono sovrapponibili n teoricamente n storicamente, per cui spesso il cosiddetto materialismo appare essere una sorta di riduzionismo indebito applicato al naturalismo. La distinzione di Aristotele fra materia e forma  invece in proposito molto saggia, perch mette precocemente in guardia contro ogni possibile riduzionismo. La polemica seicentesca contro la cosiddetta causa finale aristotelica, polemica necessaria per l'affermazione della nuova visione meccanicistica della fisica, effettivamente incompatibile con il mantenimento delle cause finali, ha finito con il gettare via il bambino con lacqua sporca, preparando quel materialismo settecentesco che una vera analisi materialistica della sua natura e della sua funzione sociale (penso alla magistrale analisi di Maria Antonopoulou) non consente pi di connotare semplicemente come progresso tout court. Nella tradizione filosofica cinese, sostanzialmente non teistica, deistica e monoteistica, il naturalismo  sempre stato il codice descrittivo e prescrittivo fondamentale, il terreno comune su cui poi si muovevano e si differenziavano le varie scuole di pensiero. Anche nella tradizione filosofica indiana, panteistica nel buddismo e politeistica nellinduismo, il naturalismo  sempre stato non solo presente ma anche dominante. Nella tradizione occidentale, a causa della parziale vittoria ottenuta fra il 200 ed il 500 d.C. dal creazionismo biblico sul naturalismo greco {che a mio avviso  ma il lettore lo avr gi capito  era molto pi saggio), la considerazione filosofica della Natura ha sempre dovuto in qualche misura sottomettersi alla prescrizione imperativa creazionistica della distinzione fra natura naturans e natura naturata. Le varie forme di panteismo cristiano o di teologia negativa (da Scoto Eriugena a Meister Eckhart) hanno opportunamente cercato di ridurre ed anche eliminare la scissione fra Dio e il Mondo (e su questo Meister Eckhart  andato molto pi avanti anche di Scoto Eriugena), ma l'attrazione gravitazionale dellantropomorfismo biblico ha finito sempre per ricondurle a testimonianze marginali. Contro la razionalit della filosofia greca, che concilia il principio soggettivo dell'anima umana come fondamento della verit ed il principio impersonale della eternit della natura, si  sempre mobilitato il testo biblico, in particolare nella catastrofica parte veterotestamentaria, sempre amata dai confusionari, in quanto il testo biblico  costruito proprio sulla tendenza spontanea del linguaggio comune ad antropomorfizzare ed a soggettivizzare tutto quello che avviene. Coloro che insistono sul fatto che il linguaggio biblico  immensamente pi espressivo del linguaggio della filosofia hanno ragione, ma nello stesso tempo non sanno che cosa dicono, perch  vero che il linguaggio biblico  ricavato dal linguaggio comune, ma il linguaggio 9 CAPITOLO SECONDO comune ha proprio questa sciagurata particolarit, che non distingue ci che  personale da ci che per sua natura nonlo  e non lo pu essere. Quando leggo le apologie del cardinal Martini o del priore di Bose del linguaggio biblico contrapposto al linguaggio della filosofia mi sento ancora pi vicino ai miei maestri Greci, e soprattutto al mito di Ulisse che se non si fosse premunito prima sarebbe stato incantato dal canto delle Sirene ed avrebbe perduto insieme con il suo corpo anche la sua anima. Chi ama i dettagli pu riflettere sul fatto che nellinserto culturale domenicale de Il Sole 24 Ore, organo del capitale finanziario pi incontrollato e totale, e quindi di quell'incrocio fra Nichilismo e Tecnica da cui mettono (apparentemente) in guardia Severino e Galimberti, viene censurato ogni minimo accenno positivo a Marx ed al marxismo, mentre invece trionfano contemporaneamente il neopositivismo e la filosofia analitica, da un lato, ed il lessico biblico di Ravasi, dallaltro. E questo non  un caso, perch lantropomorfizzazione biblica (preferibilmente veterotestamentaria, perch il povero Ges di Nazareth  insopportabilmente buonista, con possibili ricadute cattocomuniste)  solo laltra faccia compensativa ed innocua dellimpersonalit del dominio dei mercati e del capitale finanziario, che fornisce a questo dominio un supplemento danima del tutto innocuo. La mitologia sumerica e babilonese, sfacciatamente copiata dai primi estensori dell'Antico Testamento,  in effetti mille volte pi innocua di qualsiasi critica dialettica alla Dismisura ed alla Illimitatezza delle attuali oligarchie capitalistiche. . 14. Non  qui possibile ripercorrere la storia del concetto di Natura allinterno dell'immaginario occidentale, se non per ricordare ancora una volta che l'eterno dissidio fra creazionismo e panteismo naturalistico  oggi approdato (provvisoriamente) al dissidio tragicomico fra la teoria del Disegno Intelligente da parte di un Dio sicuramente anglosassone e la teoria maggiormente universalistica della Autopoiesi dei sistemi complessi cui sono stati concessi miliardi di anni per organizzarsi. Chi intende dilettarsi di questa tenzone (poco) cavalleresca pu utilmente leggere da un lato le pubblicazioni dei Testimoni di Geova, baluardo del disegno intelligente che pi intelligente non si pu, e dall'altro le riviste degli atei razionalisti sbeffeggiatori della divinit antropomortfica e cultori di Darwin come vate sommo della vera verit scientifica del mondo. lo ammiro molto Darwin, e fra Darwin ed i Testimoni di Geova scelgo Darwin. Ma nello stesso tempo preferisco Marx a Darwin, nel senso che do per scontato che lipotesi evoluzionistica sia la migliore disponibile, ma sono molto pi interessato al perch materialistico-sociale della permanenza delle visioni ingenuamente antropomorfizzanti e creazionistiche del mondo, dai Testimoni di Geova alla cerimonia pagana 92 Materialismo e filosofia del sangue di San Gennaro a Napoli con le autorit (?) presenti, eccetera. | razionalisti spiegano tutto conil mantra tautologico per cui i coglioni, essendo coglioni, si comportano da coglioni, ma un allievo di Marx come me non pu accontentarsi di questa tautologica idiozia. Evidentemente esiste una segreta complementariet dialettica, tutta da scoprire, fra la concezione razionalistica della natura delle pagine culturali volterriano-scalfariane di La Repubblica, da un lato, e la credenza popolare diffusa nelle Madonne che piangono, dall'altra. Chi si accontenta di constatare questo fatto, lo constati pure, ma questa trilogia non  per lui. Chi invece vuol riflettere sul concetto di Natura  invitato a proseguire, ed il modo migliore per farlo  quello di prendere in considerazione le acute ipotesi del filosofo francofortese Alfred Schmidt sulle differenze nel concetto di Natura in Hegel e in Marx. 15. Sulle differenze e le somiglianze dei sistemi teorici rispettivi di Hegel e di Marx sono state scritte intere biblioteche, ma i libri da salvare dal prossimo incendio della biblioteca di Alessandria sono a mio avviso relativamente pochi. A quella che Marx ha chiamato a suo tempo la critica roditrice dei topi potremmo lasciare tranquillamente due intere sezioni di questa biblioteca. La prima sezione, che definir della Stupidit Semplice, o Stupidit Primaria,  quella in cui si parla, si riparla e si straparla del rovesciamento cui Marx avrebbe sottoposta la dialettica di Hegel, rimettendola dalla testa sui piedi. Ne ho gi parlato, ovviamente, ma l'argomento  di tale-spontanea ed ingenua comicit da richiedere ritorni continui. Secondo questa concezione Hegel avrebbe sviluppato una dialettica fra idee, intese lockianamente come opinioni o contenuti di coscienza, per cui la storia intera sarebbe stata una lunga tenzone fra apparati argomentativi miranti ad un reciproco convincimento (ammetto che questa demenziale concezione della storia  proprio lidea di modernit che si fa l'addomesticato Habermas, che sta al suo maestro Adorno come Christian De Sica sta a suo padre Vittorio), mentre Marx, che non era cos stupido ed ingenuo, ha capito fin da piccolo chela storia non era costituita da uno scontro fra idee, ma da uno scontro fra classi sociali antagonistiche allinterno di un conflitto dialettico fra forze produttive e rapporti di produzione. La seconda sezione, che definir della Stupidit Complessa, o Stupidit Secondaria,  quella in cui si parla, riparla e straparla della incompatibilit assoluta fra Marx, scientifico che pi scientifico non si pu, ed anzi ancora  pi scientifico di Galileo, Newton, Darwin e Max Weber messi insieme, e Hegel, il pagliaccio mistico idealista neoplatonico erede dei sacerdoti delfici e dei guaritori filippini. Questa sezione si  riempita negli ultimi decenni di pesantissimi tomi scritti dalle scuole di Galvano Della Volpe, Lucio Colletti e Louis Althusser. I chirurghi educati con la lettura di questi tomi hanno 93 CAPITOLO SECONDO bens cercato di separare chirurgicamente i corpi dei gemelli siamesi Hegel e Marx, ma hanno avviato questa operazione senza neppure avere fatto le radiografie. Se le avessero fatte, avrebbero scoperto che i due gemelli non erano uniti superficialmente da strisce di pelle sulla schiena, ma avevano (ahim) organi vitali in comune. Ed in questo modo l'operazione  riuscita perfettamente, tanto  vero che i due gemelli sono morti entrambi. Il lettore apprezzer sicuramente la mia moderazione nel giudicare le correnti anti- hegeliane del marxismo, e il fatto che mi sia astenuto dallesplicitare che cosa ne penso veramente con nomi e cognomi, perch se lo avessi fatto sarei stato da denuncia penale per diffamazione e turpiloquio. Ma Alfred Schmidt non fa parte di queste due pittoresche correnti. Egli si chiede invece se vi sia veramente qualcosa di profondo che differenzi Hegel e Marx, e lo trova nel concetto di Natura. Secondo Schmitt la filosofia della natura di Hegel  ispirata ed impregnata di una concezione teologica e quindi irredimibile della natura stessa. Per Hegel la natura  il confine del concetto logico, in quanto rappresenta ci che non pu essere in alcun modo risolto, che oppone resistenza allinterno di noi e di cui dobbiamo appropriarci, ma che nello stesso tempo si fa beffe della filosofia come filosofia. Non a caso, per Hegel la natura  soltanto una irredimibile alienazione dell'idea logica, che non ammette uno sviluppo nel tempo ma soltanto una dispersione nello spazio. Si tratta di una concezione che dal punto di vista meramente scientifico (e quindi estraneo alla pura speculazione filosofica)  stato superato dallevoluzionismo (ma lo era gi dal trasformismo di Lamarck), ma da un punto di vista filosofico resta del tutto valida allinterno di una concezione pessimistica dell'impossibilit di risolvere veramente la Natura stessa in Spirito, e quindi in qualche modo di spiritualizzarla. A proposito di Marx il nostro francofortese intelligente pensa invece che lo stesso Marx su questo punto si allontani nettamente da Hegel per riprendere la concezione vitalistica della natura tipica del romanticismo tedesco ed in particolare di Goethe, la concezione di una natura che cresce nel tempo e non  solo dispersa nello spazio. In un celebre passo dei Manoscritti economico-filosofici del 1844 Marx parla di naturalizzazione delluomo ed umanizzazione della natura, formulazione sbalorditiva che Goethe avrebbe certamente sottoscritto ma che Hegel avrebbe cancellato con un tratto di penna come una sciocchezza, dal momento che Hegel in sostanza pensava che luomo non dovesse naturalizzarsi ma semmai de- naturalizzarsi ed in quanto all'umanizzazione della natura si trattava soltanto di un simpatico delirio di Schelling dopo una buona bevuta di vino del Reno. Esiste invece, e Schmidt ovviamente lo ammette, il concetto di ricambio organico fra Uomo e Natura, espressione che Marx usa peraltro in modo ripetuto e consapevole. Dice infatti Schmidt: Il punto di partenza dell'analisi 94 Materialismo e filosofia marxiana  lo scambio organico di uomo e natura, dove si dichiara che la base pi prossima ed immediata del pensiero e della coscienza non  costituita dalla natura in quanto tale, e neppure dalla natura delluomo, ma dalle forme del confronto di questultimo sia con la natura sia soprattutto con i suoi simili. Ci costituisce ancora una volta la differenza rispetto al materialismo premarxiano, che era puramente naturalistico.  giunto allora il momento di un paragrafo di commento. 16. Ho citato lungamente Schmidt perch son d'accordo con lui nei suoi commenti sulla differenza fra Hegel e Marx rispetto al concetto di Natura. Hegel pensava allinterno di una concezione irredimibile di natura (che peraltro' Schmidt definisce teologica, pensando probabilmente al pessimismo luterano), e da questa concezione irredimibile ed esterna al potere dellidealismo filosofico discende non solo la riduzione del movimento naturale a dispersione spaziale e non a trasformazione temporale, ma anche un punto di vista paradossalmente ultra-materialistico.  infatti una tipica tesi dellultramaterialismo (da Giacomo Leopardi a Sebastiano Timpanaro) che la natura non  minimamente compatibile con i progetti umani, sia individuali che collettivi, e luomo non pu in alcun modo coinvolgerla in essi, ma pu al massimo prenderne atto per mettere in atto appunto strategie di solidariet reciproca puramente umana. Marx invece si lascia andare ogni tanto a formulazioni come resurrezione della natura (sic!), che dovrebbe accompagnare ed integrare l'emancipazione umana, formulazioni poi riprese da quel filone schellinghiano del marxismo che vede nel superconfusionario Ernst Bloch il suo principale esponente novecentesco. A questo punto, aggiungo solo due osservazioni conclusive in proposito. In primo luogo, occorre notare che quando i supermaterialisti antiidealisti alla Timpanaro e nipotini vari invocano a gran voce pi Marx (e soprattutto pi Engels) e meno Hegel, non sbagliano solo grottescamente bersaglio ma anzi si picchiano sui (metaforici) coglioni da soli secondo il ben collaudato metodo Tafazzi.  infatti Hegel il vero teorico (e si rilegga ancora lultima lettera di Labriola a Croce) dellirredimibile estraneit della natura ai progetti umani, mentre i nipotini Marx ed Engels sono del tutto interni al confusionismo romantico (Marx) e positivistico (Engels). Ancora una volta,  pericoloso ripetere pecorescamente le geremiadi del pensiero laico contro Croce e Gentile, visti come i nipotini irrazionalisti di Hegel, senza andare a verificare di persona le fonti (come ha fatto il serio tedesco Schmidt), da cui risulta senza possibilit di dubbio che il vero materialista in questo caso era proprio Hegel (sorpresa! sorpresa!), mentre Marx ed Engels si muovevano nel torbido e confuso panorama panteistico ed ilozoistico tardo-goethiano 95 CAPITOLO SECONDO della fede in riscatti e resurrezioni della natura (e questo in un'epoca in cui il Viagra non era stato ancora inventato!), ed in programmi confusionari ma seducenti ed evocativi (nonch retorici ed irrilevanti) di naturalizzazione dell'uomo e di umanizzazione della natura. Volete vedere lUomo Naturalizzato? Bene, si vedano le sfilate massificate dei proletari plaudenti di fronte al compagno Stalin che li saluta benevolmente con il suo sorriso caucasico, pi esattamente osseto-georgiano. Volete vedere la Natura Umanizzata? Bene, si faccia una bella gita al lago dAral per contemplare la desertificazione realizzata dai piani quinquennali sovietici. In secondo luogo, non posso sottrarmi ad una valutazione personale su questo punto. In proposito, ritengo che abbia mille volte ragione lidealista Hegel e mille volte torto il materialista Marx, ma che questo avvenga per una inversione dialettica (viva la dialettica!), per cui proprio lidealismo estremo alla Hegel capisce sobriamente che la cosiddetta natura  del tutto intrasformabile da progetti ideali, ed infatti resiste ad ogni sua affrettata idealizzazione (ripeto, leggere la lettera di Labriola a Croce). Marx invece vorrebbe il materialismo, ma non sa bene che cosa cavolo vuol dire, ameno che voglia dire che Dio non esiste, luomo  quello che mangia e che vengono prima i rapporti di produzione e dopo i sistemi di opinioni corrispondenti. Ed ecco allora, che, preso da una frenesia tardo-goethiana, comincia a fanfalucare su resurrezioni e riscatti della Natura, e su innocui giochi di parole come naturalizzazione delluomo ed umanizzazione della natura. Frasi vuote ma pur sempre sacerdotali e pretesche, che per un secolo i burocrati mangioni hanno fatto salmodiare ai loro intellettuali organici mentre saltavano le code provocate dalla loro stessa incompetenza. 17. Questo paragrafo  cortissimo, perch  dedicato ad una definizione di materialismo non ancora proposta al lettore. Riprendendo Althusser, possiamo definire il materialismo come ne pas [se] raconter d'histoires, cio come non raccontar[si] delle storie. Un'epigrafe da scalpellare su tutti gli Istituti per lo studio della Dialettica e del Materialismo. 18. E passiamo ora alla veneranda categoria di Sostanza. Il termine latino substantia (come del resto subjectum)  la traduzione letterale del greco hypokeimenon, ossia ci che sta sotto. Nella tradizione filosofica, per, substantia  stato usato piuttosto come traduzione del greco ousia, con cui non ha nessun legame glottologico. Qusia, infatti, deriva da ousa  participio presente femminile del verbo einai, e cio essere  che in greco classico significa la casa e i poderi, gli averi e i beni. Dal momento che si tratta di una parola femminile, potremmo dire che la Sostanza  la figlia prediletta 96 Materialismo e filosofia dell'Essere. E se lEssere  una forma concettuale metaforizzata dellunit originaria fra Natura e Societ, la Sostanza  sua figlia, in quanto questa unit originaria partorisce appunto la casa e i poderi, gli averi e i beni. Se questo pu sembrare strano al lettore, abituato alle insipide dossografie che da noi spesso (non sempre) usurpano il titolo di Storia della Filosofia, non sembrava strano a Georg Simmel, che pubblic nel 1900 unopera memorabile intitolata Filosofia del Denaro. Simmel scrive: La propriet fondiaria, la sostanza che  relativamente impossibile perdere e che  pi protetta dalla legge, era lunica che potesse garantire al cittadino greco la persistenza e lunit del suo senso della vita [...] in ci consiste la persistenza del concetto di sostanza che caratterizza tutta la filosofia greca. Difficile essere pi chiari. Certo, si tratta di una ipotesi filosofica indimostrabile, mille volte pi interessante e materialistica per delle insensate dossografie che a suo tempo Hegel condann come insipide filastrocche di opinioni casuali. A mio avviso questa ipotesi di Simmel  sensatissima, a meno che noi vogliamo considerare il fatto che la categoria di sostanza sia centrale a partire da Aristotele per finire con Leibniz, e cio esattamente per il periodo storico della prevalenza della propriet terriera in Europa, come puramente accidentale. Personalmente scommetto che non era affatto accidentale.  per necessario fare ancora un passo avanti, che Simmel personalmente non ha fatto, ma che far io seguendo le sue tracce. Prima ancora di Alfred Sohn-Rethel, e in modo quasi sempre pi convincente di lui, Simmel ha inaugurato il metodo della deduzione sociale delle categorie, ed anche per questo fu messo ai margini nell'ambiente soffocante e supponente dell'universit tedesca del suo tempo, come del resto nota acutamente Lukcs nel necrologio che gli dedic nel 1918. Tuttavia io credo che se il termine ousia, tratto da 0usa, significhi realmente propriet (del tipo: la propriet di un farmaco, ecc.), il significato complementare di kypokeimenon alluda a ci che sta sotto non tanto ad una propriet terriera, quanto proprio ad una comunit (koinonia). La Sostanza, quindi, non metaforizza filosoficamente soltanto la propriet fondiaria, ma metaforizza in modo ancora pi deciso la connessione sociale comunitaria, ed  ci che sta sotto alla pluralit degli individui. Con l'emergere dell'economia capitalistica, la connessione sociale non avviene pi attraverso un'astrazione che deve pur sempre esprimere, sia pure in modo metaforico, il retroterra comunitario della vita in societ, ma pu avvenire sulla base  non pi sostanziale, ma meramente relazionale  di un nuovo sistema di concetti del tutto affrancati dalla necessit di riferirsi, sia pure solo simbolicamente, ad una sostanza sottostante. Con il capitalismo, infatti, il legame sociale non  pi sostanziale, ma  solo relazionale. 97 CAPITOLO SECONDO Non solo non  pi necessaria la sostanza, ma non  neppure pi necessario credere che esista qualcosa al di l della pura connessione mercantile. Infine, non  pi neppure necessario credere al nesso di causalit fra gli eventi successivi. Tutto ci, che le storie dossografiche della filosofia segnalano senza minimamente cercare di spiegarlo, deve invece essere geneticamente spiegato.  giunto il momento di parlare dellempirismo di Locke e dello scetticismo di Hume. Ma  anche giunto il momento di segnalare con particolare forza che la vera ed unica filosofia propriamente borghese non  affatto lidealismo tedesco, ma  invece il nesso fra empirismo di Locke e scetticismo di Hume, fusi armonicamente insieme nella nuova economia politica di Smith e di Ricardo. Vediamo come in dettaglio. 19. Locke  noto non solo per il suo moderatissimo costituzionalismo liberale a base giusnaturalistica, su cui si bas poi Thomas Jefferson per scrivere nel 1776 la Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti, che tuttora il circo universitario occidentale considera la vetta pi alta del pensiero umano, ma anche per la critica dell'idea di sostanza (cfr. Saggio sull'intelletto umano, IL, XXI, 1-4). Per i particolari rimando il lettore al testo originale. Qui voglio solo far notare  dal momento che il diavolo si nasconde sempre nel dettaglio - il curioso modo di argomentare di Locke, che contrappone il punto di vista del bambino a quello dellorefice. Il bambino  colui che, se gli si chiede che cosa  qualcosa, ripete il nome di questo qualcosa, e mostra cos di non avere la minima idea di che cosa veramente sia. L'orefice invece, se gli si chiede che cosa  l'oro, non si perde in fumose elucubrazioni sulla sua presunta essenza, ma ne descrive subito con competenza e chiarezza le sue caratteristiche empiriche. In proposito, ci sono almeno due aspetti interessanti da rilevare. In primo luogo il bambino, che qui  reso sinonimo di Getto,  colui che cerca la sostanza delle cose, e non si rende conto che non fa altro che ripetere in modo tautologico il nome della cosa stessa, senza aggiungerci niente di concretamente conoscibile. In questo modo Locke tratta da bambini, e cio da cretini, tutti i precedenti filosofi della sostanza, da Aristotele a Spinoza, mostrando cos una arroganza incredibile nascosta sotto i modi cortesi dellincipriato gentiluomo inglese whig. Si pu allora sospettare (per ora non dico altro) che non abbia capito niente di cosa veramente dicevano, come capita ai nanetti anti-hegeliani che non capiscono assolutamente che cosa dice Hegel, ma egualmente lo trattano da cretino, proiettando inconsapevolmente su di lui la propria segreta natura. 98 Materialismo e filosofia In secondo luogo, l'esempio dellorefice contrapposto al filosofo sostanzialista ci mostra alla luce del sole che Locke non capisce neppure quale sia l'oggetto della filosofia. Mentre l'oggetto della conoscenza del fabbro  il rame ed il ferro, e l'oggetto della conoscenza dellorefice  l'oro (e nessuno pu contestare una simile ragionevole ovviet) l'oggetto della filosofia  la considerazione valoriale della totalit (la Weltweisheit di cui parla Adorno), ed il concetto di sostanza  sempre servito non tanto per affermare un ignoto X segretamente contenuto nel rame o nelloro, ma nel cercare di pensare il fondamento unitario delle cose. Certo,  possibile dire alla romanesca: Del fondamento unitario delle cose non me ne pu fregare di meno, perch a me interessa solo che Totti segni alla Lazio, ed il resto pu andare anche a farsi fottere!. Ci invece che non  consentito  occuparsi di filosofia, da un lato, e trattare da bambini cretini tutti i pi grandi filosofi del passato, da Aristotele a Spinosa. A questo punto, un breve commento. L'ipotesi che faccio, ripresa in parte da Simmel, ma anche estesa dalla semplice propriet fondiaria alla vera e propria comunit,  che la Sostanza sia anche (anche, non solo) una metafora del substrato comunitario che sta sotto la semplice relazionalit atomistica fra gli uomini e pi in generale fra i gruppi sociali. Il passaggio da un legame sociale in qualche modo comunitario (anche se dispotico, signorile, diseguale, eccetera) ad un legame sociale atomistico ispirato allindividualismo possessivo viene raddoppiato dai filosofi-ideologi che approvano, sostengono e si riconoscono in questo passaggio con una parallela delegittimazione astratta di questo fondamento. Ed  infatti ci che Locke fa. C' per un secondo punto altrettanto rilevante. Quando Locke suggerisce un esame comparativo fra chi difende la categoria di sostanza, che come abbiamo visto riguarda sempre il fondamento unitario di tutto il reale, e non solo delle pere e degli oggetti doro, ed il competente professionale che sa tutto su di un singolo argomento specifico, effettua quel gioco delle tre carte concettuale che consiste nello scambiare furtivamente (ma solo appunto i babbioni empiristi ci cadono) la carta della totalit con la carta della particolarit, buttando via la carta della dialettica, che potrebbe connettere organicamente le sue carte precedenti. E tutti a dire: Bravo Locke! Sublime Locke! Basta con i metafisici chiacchieroni! Viva la Borsa di Londra! Viva il giudizio dei Mercati!. E infatti il segreto di questo gioco delle tre carte sta in ci, che tolta la Sostanza che fa da fondamento ideale alla totalit, unico oggetto cui si pu applicare un giudizio complessivo valoriale, e cio etico e morale, la totalit resta lo stesso, ma  fondata ormai pi soltanto dallinvisibile (0 se vogliamo visibilissimo, ma ormai solo pi dalla economia e non pi dalla filosofia) 99 CAPITOLO SECONDO mano del mercato e della connessione relazionale mercantile. Come i teorici dellesistenza del Purgatorio, che mezzo millennio prima di Locke legittimarono indirettamente il nuovo prestito ad usura di banchieri e mercanti, nello stesso modo lincipriato Locke toglie di mezzo la metafisica, in modo che resti soltanto l'economia. Che poi si rendesse conto di quanto stava facendo e lo volesse consapevolmente, oppure agisse convinto di fare soltanto le pulci a colleghi continentali come Cartesio e Leibniz, lo lascio allonniscienza divina. .-20. Se qualcuno dei lettori ha a casa una storia del pensiero controrivoluzionario (0 reazionario) europeo, la vada a sfogliare, e ci trover certamente Burke, De Maistre, Donoso Cortes, Spengler, Evola, Gentile, Schmitt e compagnia cantante. I cattivoni! 1 reazionari! I nemici della rivoluzione! Vergogna! Vergogna! Politicamente corretto! Antifascismo! Vigilanza! Vigilanza! Vigilanza! In questa orgia di buoni sentimenti liberali, democratici e soprattutto politicamente corretti il buon lettore non ci trover il nome di Hume. Ma come - diranno i custodi della banalit - Hume  un classico del pensiero liberale, non certo del pensiero controrivoluzionario! Davvero? Un buon riorientamento gestaltico non far certamente male a nessuno. Se chi scrive dovesse compilare una breve storia del pensiero europeo controrivoluzionario inizierebbe da un'operetta di Hume pubblicata nel 1748 ed intitolata I/ contratto originario. Lopera  ovviamente dedicata alla dimostrazione della totale inesistenza di qualsiasi contratto sociale, connotato come una finzione metafisica priva di reale esistenza storica. In questo nulla di male, visto che grandi del pensiero come Hegel e Marx hanno anch'essi considerato inesistente e fittizio il contratto sociale che dovrebbe istituire la societ ritenendo (e nel mio piccolo devo dire che sono pienamente d'accordo con loro) che la societ si costituisce in altro modo, con la violenza, con la forza del convincimento religioso, con la gestione dello sviluppo delle forze produttive, con la paura del dominato verso il dominatore, eccetera. Ma qui  interessante il perch del fatto che Hume insista tanto nel mostrare la totale inesistenza del contratto sociale, che era stato il fondamento teorico del pensiero politico europeo nei 200 anni precedenti il 1748. Hume lo dice chiaramente: il contratto sociale  un espediente che ha la sola funzione di legittimare la resistenza, e cio in prospettiva prima la ribellione e poi la rivoluzione contro l'ordine costituito, affermando che la decadenza del contratto fra sovrano e popolo  giusta nel caso in cui il sovrano venga meno ad impegni presi in precedenza. Non possiamo quindi mettere sullo stesso piano ideologico la critica al contrattualismo di 100 Miaterialismo e filosofia pensatori come Hume, Hegel e Marx. Hume vive in un momento storico in cui di fatto il contrattualismo legittimava il diritto alla rivoluzione, e per questo, e solo per questo, egli ne invalida le pretese di credibilit. Il contrattualismo sosteneva in ultima istanza che il potere politico era causato da un contratto sociale precedente, anche se poi andava da varianti che oggi definiremmo di destra (Thomas Hobbes) a varianti che oggi definiremmo di sinistra (Jean Jacques Rousseau). Bisognava dunque giungere al cuore della questione, e sostenere che la causalit non esiste neppure. Ed  ci che Hume fa (cfr. Estratto del Trattato sulla Natura Umana). A parte lo stravagante esempio impiegato (le palle da biliardo che noi crediamo causino lurto delluna contro laltra), Hume fa leva non sulla causalit, ma sullabitudine e sul fatto che ci si aspetta automaticamente che da una azione ne segua un'altra. E qui Hume fa quattro esempi in successione: il sovrano impone una tassa perch prevede che i sudditi la pagheranno; il generale guida all'attacco i soldati presupponendo in essi un certo grado di coraggio; il mercante si regola in base alla fiducia che ha nel suo agente; il padrone d disposizioni ai servitori nella convinzione che vi obbediranno. Come si vede, non c nessun bisogno di presupporre n una Sostanza originaria n una Causalit istituente. La stessa mente umana, lungi dall'essere una res cogitans, cio una sostanza pensante alla Cartesio,  paragonata da Hume ad una specie di teatro, dove le diverse percezioni fanno la loro apparizione, passano e ripassano, scivolano e si mescolano con un'infinita variet di atteggiamenti e situazioni. Tutto questo richiede un ulteriore breve commento. 21. Ci stiamo avvicinando infatti (ed era ora!) alla stanza dei segreti di tutta questa questione. E nella stanza dei segreti, e pi esattamente nella cassaforte che soltanto la combinazione fra dialettica e materialismo potr aprire, ci sta il nucleo della questione, che  quello delle due concezioni alternative di natura umana. Esiste infatti una concezione di natura umana che definir sostanzialistico-normativa, che  quella (con ovvie differenziazioni) di Protagora, Aristotele, Spinoza, Hegel e Marx, e quella che definir invece funzionalistico-descrittiva, che  quella (con ovvie differenziazioni) di Hume e di Nietzsche. Nella prima concezione, sostanzialistico-normativa, la natura umana  vista non solo come qualcosa di universalisticamente presente e pertanto definibile per tutti gli individui e per tutti i popoli in tutte le epoche storiche ed in tutti i contesti geografici, ma anche appunto come una sostanza composta di razionalit, socialit ed idealit di buona vita individuale e collettiva che pu per perdersi (e cio alienarsi), e quindi pu e deve essere recuperata. Come si vede, in questo caso la sostanza  certo metafora di qualcosa d'altro, 101 CAPITOLO SECONDO ma non solo non  contrapposta alla storicit, ma ne  invece il presupposto. Il presupposto di una storicit sensata e sottoposta al giudizio filosofico di valore olistico e complessivo, naturalmente, e non solo dellinsensata storicit teatrale di Hume, in cui gli attori entrano ed escono. Nella seconda concezione, funzionalistico-descrittiva, la sola concezione realmente compatibile con linsensato entrare ed uscire dal mercato (perch il teatro di Hume non  altro che la metafora del mercato da cui si entra e si esce ed in cui si scivola), la natura umana  solo l'insieme delle reazioni prevedibili allinterno di una societ appunto mercantile. Si tratta dellarte del venditore ambulante, che sa bene (meglio di Hume sicuramente) che deve fondarsi su di una scienza empirico-psicologica delle illusioni e delle aspettative del compratore. In questa situazione, ovviamente, i concetti di ente naturale generico (Gattungswesen) e di alienazione (Entfremdung) sono addirittura impensabili, perch non esiste nessuna genericit da alienare e tutta l'esperienza umana  ricavata dalla rete invisibile (e quindi non sostanziale) dei rapporti mercantili. Non  possibile adottare contemporaneamente Hume e Marx. I due pensatori sono incompatibili. Questo non impedisce che si possa imparare da tutti e due, e di gustare le finezze di un pensatore che pure non condividiamo. Purch, appunto, non lo incaselliamo per pigrizia inerziale nella casella che non gli compete. 22. Quanto ho appena rilevato pu essere utile anche per un sommario esame del concetto di Scienza. Sulla natura del concetto di Scienza si pensa in generale di sapere gi tutto, ma anche in questo campo un sano dubbio iperbolico non pu che fare molto bene. Esiste una implicita narrazione della Marcia Trionfale della Scienza moderna che viene generalmente data per scontata, e che invece  solo una volgarizzazione grottesca del punto di vista capitalistico sul mondo. Comprendiamo brevemente questa Marcia Trionfale della Scienza moderna. C'erano un tempo gli uomini primitivi, del tutto ignari della struttura scientifica del mondo, che credevano in superstizioni, totemismi, magie e miti (ah,ah, che sciocchil!). Poi assistiamo ad un certo progresso ingegneristico (piramidi egizie, muraglia cinese, eccetera). Tuttavia prevaleva ancora un'inutile zavorra filosofica (ed inizia il mantra abituale: quella cosa con la quale senza la quale si rimane tale e quale, ah, ah!), che faceva s che alla fisica venissero appiccicate illusioni filosofiche (geocentrismo perch si pensava che la terra creata da Dio fosse al centro dell'universo, eccetera). Inoltre non c'erano applicazioni tecnologiche perch al tempo dello schiavismo non erano possibili, in quanto gli schiavi avrebbero spaccato tutto, mentre gli operai salariati se ne guardano bene (un dubbio: ma sar 102 Materialismo e filosofia veramente cos, oppure continuiamo a ripeterlo per bovino conformismo inerziale?). Poi arriva la Chiesa e la Santa Inquisizione, che si oppongono al Progresso, che invece i protestanti favoriscono (viva, viva i protestanti!). Fate caso al processo a Galileo (orrore, orrore!). C' ancora un periodo di confusionari pasticcioni tipo Giordano Bruno, e poi finalmente arriva Newton, preceduto dal precursore italiano Galilei. Da allora comincia veramente la vera scienza. Si parte dal cannocchiale, si passa alla macchina a vapore, al treno, allaereo, alla bomba atomica, al computer, eccetera. Non vi sono limiti al progresso scientifico (viva!viva!), che lotta contro gli irrazionalisti, tipo lettrici zingare della mano, guaritori filippini, credenti nel disegno intelligente, interpreti dei fondi di caff, madonne che piangono, eccetera. Vergogna! Vergogna! La Marcia Trionfale della Scienza moderna ci promette invece un futuro mirabile: potremo comunicare con tutti senza neppure vederli e toccarli con Internet, i robot teleguidati combatteranno senza perdite umane contro Stati-canaglia, terroristi, insorgenti ed altri fanatici straccioni, e potremo ordinare i figli che vogliamo addirittura con il colore degli occhi preferito. Non  meravigliosooo! Eppure questa Marcia Trionfale della Scienza moderna, che ho qui esposto in modo volutamente grottesco, ma non poi cos lontano dalla realt,  in realt diffusissima oggi, e nutre quel vero e proprio odio verso linterrogazione filosofica critica del mondo che sarebbe appunto necessaria. C' chi si  scandalizzato perch Heidegger ha scritto che la Scienza non pensa, ma si tratta di una pia indignazione del tutto inutile, perch Heidegger non ce l'aveva affatto con la dignit e con l'utilit pratica della scienza stessa (personalmente sono ancora vivo esclusivamente grazie ai progressi della scienza medica e della tecnica chirurgica, e non sono tanto cretino da sputare sulla mano che mi ha guarito), ma semplicemente constatava che il metodo scientifico non si pone per sua intrinseca natura il problema del significato complessivo di quanto faceva, e doveva allora necessariamente intervenire in seconda battuta l'interrogazione filosofica, proprio quella che la Marcia Trionfale della Scienza moderna irride con i pi volgari lazzi e sghignazzi. In proposito, dal momento che il discorso sarebbe lungo, mi limiter a due soli ordini di osservazioni. In primo luogo, la cosiddetta scienza moderna nacque storicamente come lultima forma di un'utopia rinascimentale. Cassirer ha fatto notare a suo tempo che per Galilei l'accordo generale fra matematica e natura, e cio l'armonia fra il pensiero e la realt, per cui il gran libro della natura sarebbe scritto in caratteri matematici,  una convizione soggettiva, anteriore ad ogni riflessione filosofica. Gi, ma dove viene questa convinzione soggettiva? Secondo una ennesima osservazione acuta di Franco Voltaggio, si tratterebbe di una vera e propria speranza che sorge nel contesto di due 103 CAPITOLO SECONDO secoli di platonismo rinascimentale, e cio da Marsilio Ficino e da Pico della Mirandola. Lungi dall'essere perci una virtuosa rottura con le chiacchiere filosofiche rinascimentali (chiacchiere che ispirarono il dipinto di Raffaello La scuola di Atene), il metodo scientifico galileiano ne rappresenta una derivazione, ed anzi lultima grande derivazione. In secondo luogo, ho gi accennato molto spesso all'ipotesi storiografica della studiosa greca Maria Antonopoulou, per cui il cosiddetto materialismo non nasce a caso nel Settecento europeo grazie alla semplice generalizzazione e sistematizzazione delle indiscutibili scoperte scientifiche sulla cosiddetta materia, come afferma dogmaticamente la Marcia Trionfale della Scienza moderna, ma sorge sulla base della esigenza indiretta, ma non per questo meno fattuale, di una unificazione metafisica del mondo, in cui la metafisica in questione era proprio la metafisica spaziale omogenea dello scorrimento della merce capitalistica, che non poteva pi autoconcepirsi allinterno del mondo duplicato del mondo bimondano precedente. Mi rendo conto che l'ipotesi della Antonopoulou pu sembrare altrettanto poco plausibile di quella di Sohn- Rethel sul nesso fra lastrazione filosofica dell'Essere e lastrazione reale della moneta coniata, ma io credo che in questo caso bisogna avere il coraggio di prendere sul serio ipotesi che appaiono assurde semplicemente perch esiste una inerzia storiografica che ci ha abituati diversamente. La questione pu essere compendiata pi o meno in questo modo.  vero che la deduzione sociale delle categorie, con conseguente scivolamento dalla committenza ideologica diretta o semidiretta al posteriore consolidamento concettuale,  molto meno sicura, ovvia e rassicurante della normale deduzione teorica tradizionale, sia che essa segua la vita collaudata del realismo gnoseologico (Tommaso d'Aquino, Engels, Lenin, eccetera), sia che essa segua la via inaugurata da Kant (deduzione trascendentale, eccetera). Me ne rendo perfettamente conto. Ma se il termine materialismo vuole attingere una dimensione realmente dialettica, ed intendo dialettica in senso storico, o se si vuole storico-materialistico, allora non possiamo semplicemente continuare a ripetere che siamo materialisti perch siamo atei e non crediamo nel Dio personale e teleologico della tradizione cristiana, oppure perch ci rendiamo conto fino in fondo della fragilit biologica del nostro corpo e della menzogna delle illusioni storiche sulle magnifiche sorti e progressive del secolo superbo e sciocco (Giacomo Leopardi).  Bisogna fare un passo avanti, e tentare la deduzione storica e sociale delle categorie. In questo sforzo possiamo certamente fare errori di riduzionismo storico e di semplificazione, che possono anche irritare chi si ispira a metodi pi tradizionali. Ma questi errori, possibili ed anzi probabili, sono errori interni ad un approccio  questo s  veramente materialistico, 104  Materialismo e filosofia nel senso di genetico. Chi preferisce il tran-tran della dossografia tradizionale si accomodi pure. Non far magari sbagli dovuti ad interpretazioni affrettate, ma si limiter a ripetere le sterili giaculatorie della sterilizzazione accademica del potenziale esplosivo e rivoluzionario del nesso dialettico fra genesi storica ed ideologica dei concetti e loro possibile universalizzazione veritativa. 23. La deduzione sociale e dialettica delle categorie (che, ripeto,  lunica forma teorica di materialismo che mi sento di professare, sostenere, favorire e difendere, oltre a quella basata sulla fragilit biologica, che non  per propriamente teorica)  uno strumento delicatissimo, che si rompe inevitabilmente se lo si usa male. Nei paragrafi che restano di questo secondo capitolo discuter alcuni problemi che sorgono dal corretto uso di questo delicatissimo strumento. 24, In primo luogo, non bisogna confondere questo strumento metodologico, che si fonda sulla categoria idealistica di totalit olistica, con la rispettabile (ma diversa) teoria del condizionamento della Sovrastruttura da parte della Struttura, e cio con il metodo che viene attribuito (con buone basi filologiche) a Marx ed Engels. Questo metodo oggi non va di moda, ed  squalificato come deterministico, riduzionistico, economicistico, eccetera. Sebbene io non ne sia un fautore, ci andrei molto piano a squalificarlo frettolosamente. In realt non  poi un cattivo metodo, ed  comunque immensamente migliore del metodo di chi pensa che le idee nascano le une dalle altre per partenogenesi o che siano le elucubrazioni del ceto intellettuale a determinare la logica dello sviluppo sociale. Nello stesso tempo, pur con tutti i suoi evidenti meriti storici, il metodo della determinazione della Sovrastruttura da parte della Struttura che poi in un secondo momento retroagisce sulla prima (e cio il metodo che potremmo chiamare della determinazione primaria e della retroazione secondaria) non  un vero metodo dialettico, perch la dialettica  sempre e soltanto logica della totalit, e non pu diventare logica della determinazione di un Uno e della retroazione di un Altro. So bene che gli economisti pensano proprio questo, ed i marxisti che riducono il marxismo ad una correzione di sinistra di Ricardo lo pensano ancora di pi, ma questo non  un argomento sufficiente per dovergli dar retta. A suo tempo lo stesso Engels scrisse ad un suo corrispondente che lui e Marx, elaborando lo schema Struttura-Sovrastruttura, avevano in un certo senso esagerato storcendo troppo il bastone da una parte per le necessit polemiche dellepoca in cui questo modello teorico era stato elaborato. Si tratta di una ammissione che solo un uomo onesto e geniale come Engels poteva fare. Nello stesso tempo questa ammissione si limit ad un generico 105 CAPITOLO SECONDO invito a considerare con cura la cosiddetta autonomia specifica delle sovrastrutture ideologiche, religiose, giuridiche, eccetera, invito che ad esempio Antonio Gramsci accolse nei suoi Quaderni dal carcere, senza per che si modificasse minimamente il dualismo insito nel modello della determinazione primaria strutturale e della retroazione secondaria sovrastrutturale. Questo mio studio sul materialismo sarebbe inutile se non riuscissi almeno a mettere la pulce nell'orecchio sul fatto che per rivoluzionare il modello epistemologico marxista (la cui crisi  oggi ammessa da quasi tutti, al di fuori del piccolo mondo dei fondamentalisti settari dei gruppetti) bisogna prima di tutto restaurare il punto di vista hegeliano della considerazione dialettica della totalit globale. Ma chi non capisce il nesso organico fra rivoluzione e restaurazione  fuori dalla dialettica, ed  allora di fatto impossibile aprire un canale comunicativo dialogico e razionale. 25, In secondo luogo, deve essere chiaro che nessun metodo, sia pure il migliore, pu consentirci di prevedere il futuro. E per prevedere il futuro non intendo certo prevederlo nei dettagli, cosa che neppure Plechanov nei suoi momenti di delirio deterministico riteneva possibile (del resto Hegel aveva detto lapidariamente a suo tempo che anche il contingente  necessario), ma proprio prevederlo in generale. E qui bisogna avere il coraggio di distruggere gli idoli, compresi gli idoli pi amati. Karl Marx pensava di poter prevedere strategicamente il futuro, anche se ovviamente esso restava tatticamente indeterminato. Egli pensava (e ci ritorner sopra in modo pi dettagliato nel prossimo capitolo) che le contraddizioni interne al capitalismo portassero necessariamente al socialismo ed al comunismo. Una interpretazione radicalmente possibilistica di Marx  sempre ovviamente possibile (come quella che ha fatto meritoriamente in Francia Michel Vade, nellottuso silenzio della stracotta comunit marxista), ma queste interpretazioni non devono farci dimenticare che la tendenza principale del pensiero di Marx  necessitaristica. Ebbene, diciamocelo chiaramente: da un punto di vista materialistico non  in alcun modo necessario che il capitalismo evolva verso forme di societ di tipo solidale, comunitario, o in qualche modo comunista. Certo,  impossibile che ci sia un capitalismo senza contraddizioni, ed  probabile e prevedibile che nel futuro, anche abbastanza prossimo, si sviluppino nuove contraddizioni dialettiche anche dirompenti. Certo (ed  questo uno dei temi del mio lavoro sulletica di questa trilogia)  poco probabile, per non dire da escludere, che queste contraddizioni dialettiche si sviluppino secondo la dicotomia Borghesia/Proletariato, perch si pu dire che la logica triadica immanente allo sviluppo del concetto di Capitale porta irresistibilmente ad un capitalismo sintetico-speculativo di tipo post-borghese e post-proletario. 106 Materialismo e filosofia Ma non esistono sintesi definitive, ogni sintesi  provvisoria, e da ogni nuova sintesi nascono nuove scissioni. Nello stesso tempo, non  pi decentemente possibile continuare a sostenere la tesi necessitaristica del rovesciamento del capitalismo in comunismo. 26. Mentre il necessitarismo appare sempre pi unonesta illusione positivistica, il materialismo culturale dellantropologo americano Marvin Harris appare a prima vista pi credibile. In alcuni saggi di affascinante lettura Harris parte dal modello della effettiva disponibilit delle risorse di sopravvivenza da parte delle societ primitive. Sebbene Harris si sia limitato alle societ dette primitive  possibile estrapolare il suo metodo anche ai problemi odierni (ad esempio, il problema delle declinanti riserve di petrolio). Anche questo metodo  indubbiamente materialistico, come lo sono le discussioni sulle energie alternative. Ma, appunto, questo non pu essere l'oggetto di uno studio filosofico. Ho lasciato alcune importanti questioni in sospeso. Ma spero di poterle non dico completare ma almeno riprendere nel prossimo terzo ed ultimo capitolo in cui, con il pretesto di ritornare per l'ennesima volta sullinesauribile tema del marxismo, continuer in realt a scavare nel terreno del materialismo. In fondo, una storia materialista del marxismo non  ancora mai stata scritta. Non sar certamente io a riuscire a fare una cosa tanto difficile, ma almeno tenter di sollevare il problema. 107 CAPITOLO TERZO IL MATERIALISMO E LA STORIA DEL MARXISMO DA MARXx A OGGI UN RITORNO INTERMINABILE SULLO SPAZIO TEORICO DELLA AUTORIFLESSIONE FILOSOFICA DELLE CONTRADDIZIONI SOCIALI FRA SCIENZA, UTOPIA, DIALETTICA E METAFISICA 1. Karl Marx, che una lunga tradizione dogmatica ed inerziale definisce come materialista (se soltanto storico o invece anche e soprattutto dialettico lo discuteremo pi avanti), era invece un idealista, e mi arrischier addirittura a dire un idealista al cento per cento. Egli fu lidealista conclusivo della triade dei grandi idealisti tedeschi, e cio nell'ordine Fichte, Hegel e Marx. So bene che la tradizione inserisce al secondo posto Schelling, ma in proposito io condivido l'approccio di Hegel, che defin a suo tempo la filosofia di Schelling uno spinozismo kantiano, spinozista nel contenuto e kantiano nel metodo. Ora, uno spinozista kantiano pu indubbiamente essere un grande filosofo originale, e non mi sogno affatto di contestarlo. Ma idealista no, questo non poteva esserlo. Se per il mio lettore pio, cauto e tradizionalista vuole inserire anche il buon Schelling nella serie lo faccia pure, ed in questo caso Marx non sar pi il terzo, ma il quarto. La cosa  anche letterariamente migliore, perch originariamente i moschettieri erano tre (Athos, Porthos e Aramis), ma solo con larrivo del quarto, e cio D'Artagnan, si passa dalla teoria alla prassi, e cio alle avventure meravigliose che abbiamo letto tutti da piccoli. 2. Marx  stato un grande filosofo idealista perch ha elaborato (anche se implicitamente e senza sforzarsi di organizzarlo e di sistematizzarlo  e fece molto male a fare cos, ed a perdere tempo in sciocchezze contingenti come  la demenziale polemica con un certo signor Vogt, il che gli port via un anno intero di lavoro) un sistema filosofico, che ha a suo fondamento il concetto di alienazione (Entfremdung). Ora, la materia (Materie), comunque la si voglia definire, pu soltanto per sua natura svilupparsi, diversificarsi, collassare entropicamente, eccetera, ma non pu assolutamente in alcun modo alienarsi. Soltanto l'ente naturale generico (Gattungswesen) pu alienarsi, ma pu farlo soltanto allinterno di una dialettica di tipo idealistico, e nessun sofisma giustificatorio potr farci nulla. Assimilare 109 CAPITOLO TERZO l'ente naturale generico (Gattungswesen) alla materia (Materie) significa passare da un grado ontologico ad un altro, e questo passaggio indebito, per sua natura caro all'ideologia che vive infatti di questi passaggi indebiti e se ne nutre,  invece mortale per la filosofia propriamente detta, oltre che per la cosiddetta scienza (in senso galileiano), che avanza proprio rispettando rigorosamente la connessione organica ed inscindibile fra il proprio oggetto ed il proprio metodo specifico. 3. Nello stesso tempo, Marx era anche un materialista, nel senso che la sua personale autoconsapevoleza soggettiva (che resta per il fattore teoricamente meno importante) era di tipo materialistico, ed inoltre era indiscutibilmente sia ateo sia strutturalista, ed abbiamo visto che i due principali significati metaforici di materialismo nella storia della filosofia occidentale sono stati lateismo e lo strutturalismo. Il discorso che intendo sviluppare sinteticamente in questo terzo ed ultimo capitolo conclusivo (non solo di questo libro ma dell'intera trilogia) riguarda sia Marx, sia il marxismo successivo fino allattuale crisi. Facendo un passetto dopo laltro, e cercando di spiegare tutti i passaggi senza saltarne nessuno, comincer prima dalla natura storica dellidealismo (gi discussa nel capitolo precedente), passer poi alla triade dei grandi idealisti Fichte, Hegel e Marx, determiner ancora una volta la natura innovativa dello specifico idealismo di Marx, mostrer come tutti coloro che hanno voluto negare gli elementi idealistici presenti nel suo pensiero hanno necessariamente dovuto abbandonare il marxismo nel suo complesso (Lucio Colletti per un razionalismo alla Popper e Louis Althusser per un improbabile materialismo aleatorio), ed affronter infine i tre temi della sua autoconsapevolezza materialistica, del suo ateismo ed infine del suo strutturalismo economico e sociale. Ripeter ovviamente cose che ho gi detto e ridetto dentro e fuori i limiti di questa trilogia. Ma chi si ripromette di fare effettuare al lettore un riorientamento gestaltico integrale, in modo che cominci ad intravedere un coniglietto l dove aveva sempre visto unochetta, deve ripetere, ripetere e ripetere, e non avr mai ripetuto ancora abbastanza. La separazione dell'elemento ideologico da quello filosofico, separazione difficilissima proprio perch i due elementi provengono dalla stessa matrice storico- genetica,  infatti un'operazione cui il lettore medio non  abituato, ed in particolare il lettore marxista, il pi avvelenato da un secolo di ideologismo parossistico. 4. L'inizio storico da cui partire per collocare il pensiero di Marx  l'illuminismo europeo. Nel capitolo precedente ho gi analizzato la dialettica 110 Il materialismo e la storia del marxismo da Marx a oggi fra l'elemento ideologico borghese e l'elemento filosofico universalistico, e qui lo riepilogo ancora una volta per comodit del lettore non abituato al lessico specialistico che inevitabilmente devo usare. Dal punto di vista della genesi ideologica delle categorie che ha prodotto, lilluminismo europeo  stato il raddoppiamento culturale complessivo della presa del potere delle nuove classi borghesi europee nella loro lunga lotta (alternata con compromessi di vario tipo) con le classi feudali e signorili. Fra queste categorie si distinguono: la categoria di Dio del deismo, un Dio svincolato da ogni suo riferimento comunitario, e quindi necessariamente particolaristico, e riformulato integralmente come principio di intelleggibilit generale del nuovo mondo post-comunitario astrattamente unificato dalla generalizzazione della nuova forma di merce; la categoria di storia dello storicismo progressista, in cui il nuovo progresso storico rompe con le innumerevoli storie precedenti e permette di pensare idealmente un'unica storia universale cosmopolitica, la storia della generalizzazione nel mondo intero globalizzato dei nuovi rapporti di produzione capitalistici; la categoria di Materia come substrato omogeneo spaziale universale, trasposizione astratta nel cielo dell'ideologia del nuovo mercato unico liberale e liberista in cui potesse idealmente scorrere la nuova merce ridotta a puro valore di scambio, nuovo fondamento unico dello spazio sacralizzato interamente orizzontale e non pi dantescamente verticale; la categoria di Lavoro inteso come lavoro astratto portatore dellunit dialettica di valore d'uso e di valore di scambio, il lavoro come semplice tempo di lavoro sociale medio contenuto nel bene-merce; ed infine la categoria di Morale come semplice autoreferenzialit soggettiva autonoma, sintesi impraticabile di Dovere e di Libert, elevata a nuovo fondamento post-religioso delletica borghese appunto perch inattuabile. Ho qui ripetuto le cinque fondamenta ideologiche del nuovo pensiero borghese (il dio del deismo, il progresso del nuovo storicismo, la materia del nuovo materialismo, il lavoro della nuova economia politica inglese scettico-empiristica ed infine la nuova morale kantiana autonoma) per ricordare ancora una volta al lettore che queste cinque categorie sono il prodotto di una deduzione sociale delle categorie partendo dal contesto sociale classistico determinato. Ma, come ho lungamente sostenuto nel capitolo precedente, la produzione ideologica ha una eccedenza filosofica veritativa, come era peraltro del resto gi avvenuto nei periodi storici precedenti. In questo caso l'eccedenza filosofica veritativa risiede principalmente nellidea di autodeterminazione del soggetto libero, individuale e collettivo, e nella necessit di porre mano ad una legislazione pubblica in grado di garantire questa autodeterminazione del soggetto libero. Questa autodeterminazione del soggetto libero, sorretta da una legislazione pubblica 111 CAPITOLO TERZO in grado di garantirla,  una conquista filosofica veritativa universale, e non  dunque riducibile ai cinque elementi ideologici descritti in precedenza.  questa appunto l'eccedenza filosofica veritativa universalistica che non si riduce alla semplice deduzione materialistica delle categorie teoriche della struttura sociale sottostante. 5. Come ho gi chiarito nel capitolo precedente, l'idealismo classico tedesco  in prima istanza una fisiologica problematizzazione dialettica delluniversalismo illuministico astratto. In questo senso, lungi dal volersi opporre ad esso, ne  una concretizzazione necessaria. La successione triadica . dei tre grandi idealisti tedeschi (Fichte, Hegel e Marx) non  allora casuale, ma risponde ad una profonda necessit dialettica che va molto al di l dei singoli pensatori. Fichte rappresenta la Tesi, e quindi il momento intellettivo ed astratto di questa posizione dialettica. In lui il mondo della compiuta peccaminosit, a sua volta elaborazione della coscienza infelice dellottimismo illuministico, Viene per la prima volta investito del rapporto fra l'Io ed il Non-Io (fuori di metafora, del rapporto fra lattivit etica dell'intera umanit pensata come un unico soggetto storico trascendentale riflessivo, da un lato, e la resistenza opposta a questa attivit universalistica sia dagli istinti naturali che dai pregiudizi sociali). In questo modo Fichte  il vero indiscusso fondatore della filosofia della prassi. Chi attribuisce questa fondazione a Marx non sa letteralmente che cosa dice, e semplicemente ripete i pregiudizi che la pigrizia storiografica ha accumulato in due secoli. Hegel rappresenta lAntitesi, e quindi il momento della contraddizione dialettica e della scissione. Le sue sintesi sono sempre e solo ideali, e non potrebbero ovviamente non esserlo. In quanto pensatore della contraddizione dialettica e della sintesi puramente ideale egli  in un certo modo un filosofo molto superiore a Marx sul piano veritativo, perch la verit del mondo sociale. oggi la contraddizione dialettica, e non certo un suo presunto superamento del tutto inesistente. Marx rappresenta la Sintesi, e quindi il momento speculativo in cui la coscienza si specchia (speculum) nella sua stessa autocoscienza storica. E questa autocoscienza storica si vede nello specchio come alienata, e quindi bisognosa della propria disalienazione, che non pu non passare attraverso una prassi di rovesciamento dell'esistente (umwdlzende Praxis). Dalmomento che nel capitolo precedente ho gi esaminato la deduzione sociale delle categorie generali dellidealismo classico tedesco non lo ripeter qui ancora una volta, e passer allora direttamente a Marx. Un Marx, ovviamente, interpretato come il terzo e conclusivo idealista, lidealista speculativo del concetto (Begriff). 112 Il materialismo e la storia del marxismo da Marx a oggi 6. Nei due capitoli precedenti ho gi ripetutamente sollevato molti problemi riguardanti Marx che ora devo solo pi compendiare per chiarezza del lettore. In estrema sintesi  possibile dire che Marx  erede di una serie di fonti storiche e filosofiche: a) Dall'illuminismo Marx eredita lidea generale di illuminazione critica (Aufkldrung), il che comporta la metafora generale della contrapposizione fra la Luce della conoscenza e le Tenebre dell'ignoranza. Sono invece molto critico verso la tesi per cui Marx avrebbe ereditato, migliorandolo, il materialismo illuministico francese, ed ho infatti esposto questa mia critica nei capitoli precedenti. b) Dall'idealismo in generale Marx eredita non tanto il metodo dialettico inteso come semplice strumento neutrale applicabile a campi distinti del sapere, quanto il punto di vista della totalit.  questo il punto assolutamente essenziale. Il punto di vista della totalit, che Marx eredita dall'intero idealismo, e quindi non solo da uno o pi dei grandi idealisti,  allora non solo il luogo del rapporto fra Marx e gli idealisti (e che ci sia stato un rapporto non lo negano neppure i pi feroci odiatori dello hegelo-marxismo, tipo Colletti o Althusser), ma il luogo dell'appartenenza organica di Marx allidealismo stesso, pur nella sua ovvia variet di correnti e di interpretazioni. c) Ne deriva, ed ho deciso di segnalarla appositamente, l'assoluta incompatibilit fra il metodo ed il contenuto del pensiero di Marx con il pensiero di Kant e con il neokantismo di ogni specie. Questa mia osservazione non implica assolutamente disprezzo o sottovalutazione verso Kant ed il neokantismo, tutto al contrario. Io infatti stimo talmente Kant ed il neokantismo (un solo nome di pensatore che stimo: Cassirer) da individuarvi il vero pensiero polarmente opposto a quello di Marx. Altra cosa , invece, il fatto che molti neokantiani siano stati e siano tuttora socialisti. Alla critica al capitalismo si pu accedere in molti modi (marxiana, religiosa, neokantiana, neoheideggeriana, eccetera), non ce n' uno solo, e chi scrive  giunto in proposito ad una tranquilla conclusione pluralistica. d) Da Fichte Marx deriva molte cose, e fondamentalmente due. Primo, lidea di stare vivendo in unepoca della compiuta peccaminosit, anche se poi ne formula diversamente il concetto. Secondo, lidea di prassi, o di filosofia della prassi, che Marx non ha assolutamente scoperto, come ripetono i dossografi pigri, ma ha copiato integralmente da Fichte, come  peraltro facile verificare. e) Da Schelling Marx non ha copiato niente, per sua fortuna, ma ha per ripreso il tema goethiano-schellinghiano della concezione 113 CAPITOLO TERZO vitalistica della natura, come ho gi ricordato in un precedente capitolo a proposito della tesi di Alfred Schmidt. Questo filone vitalistico  poi stato ripreso nel Novecento dal geniale confusionario Ernst Bloch. f) Da Hegel Marx non ha assolutamente preso soltanto il metodo dialettico, come ha poco saggiamente affermato Engels con la sua contrapposizione fra metodo dialettico rivoluzionario e sistema idealistico conservatore, ma ha preso lidea del sistema filosofico ed olistico complessivo. In proposito Adorno, nella da me saccheggiata Terminologia filosofica, dice apertamente che quella di Hegel  una filosofia complessiva, da cui non si pu staccare forma e contenuto, metodo e sistema. g) Dagli inglesi, ed in particolare dall'economia politica classica inglese (Smith, Ricardo, eccetera), Marx ha preso molto, ma forse su di un punto (peraltro decisivo) si  sbagliato. Ne ha infatti (probabilmente) sottovalutato la potenza dei suoi presupposti filosofici empiristico- scettici, credendo che fosse relativamente facile innestarci sopra il metodo dialettico ed il punto di vista della totalit olistica. Ma vediamo le cose le cose in modo pi analitico, non dimenticando mai che  il materialismo l'oggetto segreto e sfuggente di queste note. 7. Marx ha indubbiamente ereditato il razionalismo illuministico, inteso come esplicita esclusione di ogni presupposto teorico basato su di una qualsivoglia Rivelazione. L'ispirazione illuministica di Marx non pu essere seriamente negata, ed in questo senso il modello di razionalit illuministica dura tuttora, e per questo i nemici espliciti dell'illuminismo (Cornelio Fabro, Augusto Del Noce, eccetera) continuano a prendersela anche con il pensiero contemporaneo.  Chi vuole inchiodare il pensiero umano ad un preventivo giuramento sull'esistenza del Peccato Originale, ed intende di fatto imporre questa premessa totalmente irrazionalistica (a meno che si tratti di una metafora religiosa di una legittima concezione pessimistica sulla cattiveria irredimibile delluomo - ma allora di Dio non c' proprio nessun bisogno, e basta ed avanza un normale pessimismo ateo basato sugli imperativi territoriali delluomo-bestia), deve necessariamente anche odiare e disprezzare lIlluminismo.  peraltro interessante che uno dei fondatori del pensiero illuministico, l'inglese John Locke, ha posizioni incerte ed oscillanti sullo stesso razionalismo. Nel Saggio sull'intelletto umano Locke dice esplicitamente che l'intelletto deve accettare soltanto ci che pu essere dimostrato razionalmente. Pochi anni dopo, contraddicendosi apertamente, scrive La 114 Il materialismo e la storia del marxismo da Marx a oggi ragionevolezza del cristianesimo, dove afferma papale papale che a fianco dell'esperienza e del ragionamento luomo deve anche accettare la Rivelazione, purch sia ragionevole. Il fatto che un filosofo dotato come Locke possa cadere in contraddizioni che non verrebbero perdonate ad un sedicenne distratto deve a sua volta essere spiegato. Locke si rende perfettamente conto che la religione cristiana, sia pure nella laicizzatissima ed ipocrita forma anglicana, che come  stato detto spiritosamente, non  altro che il partito conservatore dei tories riunito in preghiera, non pu essere interamente razionalizzata. Ed allora basta che sia ragionevole, ove il termine di ragionevolezza significa che non ha obiezioni irragionevoli di nessun tipo contro lo sviluppo dell'economia capitalistica. Il deismo, infatti, rappresenta un vero involucro ragionevole dello sviluppo in un certo senso universalistico dei rapporti di produzione capitalistici, ed infatti per questa ragione piace molto a Voltaire, lipocrita che censura la parte comunista del Testamento di Meslier. Le varie religioni non deistiche sono infatti rissose e superstiziose, ma sono anche comunitarie, e per questo non possorio piacere a Locke ed a Voltaire.  interessante che lipocrita Locke, dovendo scrivere un testo politico sulla tolleranza, esclude dall'accesso alle cariche politiche i cattolici ed i settari religiosi, anticipando in modo lungimirante di tre secoli il Politicamente Corretto di oggi, che tollera tutti, all'infuori dei cattolici e dei settari di oggi, e cio i comunisti di vario tipo (non parlo ovviamente degli ex-comunisti riciclati in personale mercenario dell'impero americano o dei simil-comunisti riciclati in cortei autoreferenziali e belanti di massimalismo verbale estensivo, sempre pronti a fare da guardia plebea di supporto al grande capitale finanziario), e soprattutto gli anti-imperialisti ed antisionisti di vario tipo. Chi intende scrivere una ricostruzione storica delle idee filosofiche dell'illuminismo censurando queste contraddizioni, come se fossero semplici ed innocue incongruenze soggettive di brave persone, non potr che finire in banalit dossografiche. Sono le contraddizioni logiche, infatti, il sintomo dell'influenza dei fattori storico-sociali, e cio classisti, della produzione filosofica. 8. La banalit ripetuta da pi di un secolo per cui Marx avrebbe ereditato dall'intero idealismo il metodo dialettico deve essere abbandonata, sia pure dopo una commovente cerimonia funebre con tutti gli onori ed i pianti abituali. Torner pi avanti ancora su questo punto decisivo. Per ora basti ripetere che Marx, anche nel caso che non lo si voglia classificare come lultimo dei grandi idealisti ( il mio caso, ma mi rendo anche perfettamente conto che una simile audacia tassonomica possa fare andare-di traverso il comune pasto storiografico appena ingurgitato!), ha comunque ereditato 115 CAPITOLO TERZO dall'intero idealismo (e dunque non soltanto da Hegel) il punto di vista della totalit. Gi, ma quale totalit? Qual , propriamente parlando, la totalit che Marx interpreta, sviluppa e tematizza dialetticamente come tale? Qui, caro lettore, dovr stupirti, perch risponder in modo molto diverso da come in generale si risponde a questa cruciale domanda. Gli studiosi di marxologia che hanno messo la categoria di totalit al centro della loro interpretazione di Marx (Rosdolsky, Reichelt, eccetera) hanno generalmente risposto che l'oggetto teorico cui Marx applica questa categoria  proprio il Capitale (Das Kapital). In altre parole, lungi dal fare una semplice analisi descrittiva di tipo empiristico della societ capitalistica, che lo avrebbe inevitabilmente portato a disperdersi in mille particolari storicamente contingenti, Marx avrebbe costruito idealmente un concetto unitario (Begriff) di Capitale (Kapital), e lo avrebbe fatto utilizzando la logica hegeliana dell'essere, dell'essenza e del concetto, e particolarmente la logica intermedia dell'essenza, quella in cui Hegel studia le determinazioni specifiche concrete e non soltanto le genericit astratte (ad esempio la Produzione in Generale, che nella logica hegeliana farebbe parte solo della categoria dell'essere non ancora specificato e determinato). In altre parole, la Totalit che per Hegel sarebbe lo Spirito (Geist), per Marx sarebbe il Capitale (Kapital). Stimo molto coloro che hanno scritto ponderosi volumi per sostenere questa tesi, ma mi permetto di non condividerla. A mio avviso Marx era certamente un idealista al cento per cento, e quindi non ha senso accettare mezze misure del tipo era un materialista, ma con tracce di idealismo (questa mezza misura, appunto perch tutto ci che  mezzo deve essere portato a termine, apre la strada a Lucio Colletti), ma la sua totalit non era il Capitale, ma la Storia Universale (Weltgeschichte). In altre parole, la totalit implicita che Marx costruisce non  in nessun modo economica, ma  una totalit di filosofia della storia,  soltanto di filosofia della storia. Spieghiamoci meglio, perch ne vale proprio la pena. Non intendo negare, ovviamente, che Marx costruisce olisticamente il concetto di Capitale come totalit unitaria dialetticamente strutturata.  certamente cos. Il concetto di modo di produzione capitalistico, da non confondere con le specifiche societ capitalistiche di tipo storico-geografico luna diversissima dall'altra (i capitalismi inglese e giapponese sono ovviamente l'uno molto lontano dall'altro),  un concetto pienamente olistico, e tutte le sue determinazioni interne (forze produttive, rapporti di produzione, sistemi ideologici, eccetera) non esistono se non al suo interno, e solo il metodo intellettualistico astratto (Verstand) pu analizzarle come se fossero del tutto autonome ed autofondate.  evidente che  cos, e non mi sogno affatto di negarlo. 116 ll materialismo e la storia del marxismo da Marx a oggi Tuttavia, il problema fondamentale non sta qui. Marx  un signore che non avrebbe mai e poi mai potuto concettualizzare in modo unitario la totalit olistica del Capitale in s (Das Kapital an Sich), se prima non avesse preventivamente concettualizzato la totalit temporale di Storia Universale (Weltgeschichte). E non  neppure particolarmente difficile capirlo. Nel sistema dialettico di Hegel, sistema in cui lo stesso metodo dialettico  parte consustanziale ed inseparabile (esiste infatti in Hegel un'unit inscindibile di metodo e di sistema, cosa che Engels non ha capito e che da allora per pi di un secolo la stragrande maggioranza dei marxisti non ha capito), la storia universale ovviamente c', ma  fatta terminare con il presente storico del suo tempo. Con questo Hegel non intendeva affatto, come gli attribuiscono gli sciocchi teorici della fine della storia (dal grande Kojve al nanesco Fukuyama), sostenere che l'umanit aveva raggiunto il top con gli sciocchi e codini re di Prussia con i loro junker pieni di birra e di cicatrici sulle guance a causa dei loro demenziali duelli, ma semplicemente porsi una consapevole autolimitazione filosofica, del tipo: Mi dispiace, signori, ma se volete conoscere il futuro rivolgetevi alle chiromanti. Io mi limito a dedurre il presente dal passato, visto che vi offro una ricostruzione dialettica e fenomenologica del passato stesso. Di pi, non dovete aspettarvi. In me metodo e sistema sono inscindibili. Sappiate, se ancora non lo avete capito, che la nottola di Minerva, e cio della autoconsapevolezza storica, si alza solo al crepuscolo. A questo punto Marx non eredita assolutamente il metodo dialettico di Hegel ripudiandone il sistema, ma propone un altro sistema idealistico alternativo, in cui lintera storia universale passata, presente e futura viene olisticamente totalizzata in un solo concetto trascendentale-riflessivo, per cui da una Origine (il comunismo primitivo) si sviluppa una progressiva alienazione, peraltro benefica e necessaria e quindi non riducibile per nulla ad una caduta religiosa, che porta per ad una Fine, la societ comunista emancipata. Non parlo qui, ovviamente, degli argomenti puramente economici che vengono portati da Marx per sostenere questa tesi (sviluppo delle forze produttive, acutizzazione della lotta di classe, formazione progressiva del lavoratore collettivo cooperativo associato, organizzazione politica della classe operaia, salariata e proletaria, caduta tendenziale del saggio di profitto, eccetera). Io do questi argomenti assolutamente per scontati, e nello stesso tempo li considero globalmente irrilevanti, se non si capisce che tutti questi argomenti secondari sono inseriti ed incorporati in una superiore totalit olistica che non ha nulla a che fare con l'economia nel senso di Smith e di Ricardo, ma  dipendente esclusivamente da una precedente filosofia della storia, che  una storia universale cosmopolitica (kosmopolitische Weltgeschichte). 117 (CAPITOLO TERZO Trascurando per ora Fichte e Schelling, si hanno allora due sistemi idealistici completi di connessione organica ed inseparabile di metodo e di sistema. Il primo sistema idealistico (Hegel)  caratterizzato da un consapevole arresto della totalit della storia universale cosmopolitica intesa come concetto trascendentale riflessivo al presente storico, ed ha come simbolo la nottola di Minerva. Il secondo sistema idealistico (Marx)  caratterizzato da un consapevole prolungamento della totalit della storia universale pensata olisticamente al futuro prevedibile, che come  noto  il futuro della prevedibilit del passaggio dal capitalismo al comunismo sulla base delle contraddizioni dialettiche interne alla stessa riproduzione capitalistica. Si tratta di due sistemi idealistici, ed in entrambi la totalit olisticamente intesa  la storia universale, e soltanto la storia universale. Alla luce del senno di poi (2007), devo dire con rincrescimento, ma. anche con decisione, che il sistema idealistico di Hegel si  rivelato migliore di quello di Marx.  vero, la nottola di Minerva si alza solo al crepuscolo, e non all'alba. Questo, peraltro, non  affatto un argomento contro il comunismo o per il capitalismo.  un argomento, per, contro la cosiddetta prevedibilit scientifica, o presunta tale, del comunismo. Mi rendo conto che in questo modo bisogna abbandonare l'elemento messianico, di origine ebraica e cristiana, del pensiero di Marx.  proprio cos. Questo elemento deve essere abbandonato. Abbandonandolo, tutte le direzioni politiche e burocratiche, che per pi di un secolo hanno sfruttato l'elemento messianico per subornare il popolo dei credenti, e con questo sfruttamento sono passate dalle pezze sul sedere ai letti di piume, si trovano prive del loro principale fattore di potere, come se i faraoni egizi avessero dovuto confessare che con o senza piramidi non cera differenza, perch tanto Osiride non esiste. Basta dunque con la favoletta di Hegel idealista e Marx materialista, di Hegel che dispone di un metodo rivoluzionario ma lo inserisce in un sistema conservatore, ed infine di Marx che adotta il metodo rivoluzionario di Hegel per inserirlo finalmente in un sistema anch'esso rivoluzionario che pu prevedere in-fal-li-bil-men-t l'esito comunista della storia. Ce l'hanno fatta ingozzare per un secolo e mezzo. Non-se-ne-pu-pi! Viva il grande Hegel, viva il grande Marx, rimettiamoli sui piedi tutti e due, e sar sempre troppo tardi. 9. Il problema filosofico del rapporto fra Marx e Kant  di importanza decisiva, perch negli ultimi 150 anni Kant  stato quasi sempre la porta girevole per uscire da Marx e pi in generale dal modo dialettico di pensare. Fra Marx e Kant, o pi esattamente fra Marx ed il modo di ragionare di Kant, esiste una alternativit inconciliabile ed una incompatibilit assoluta. Questa mia affermazione potr sembrare a prima vista eccessiva e troppo 118 Il materialismo e la storia del marxismo da Marx a oggi estremistica, ma sono convinto che lo sembrer di meno dopo che avr svolto una serie di ragionamenti.  necessario per comprendere fin da subito il cuore del problema. Ed il cuore del problema sta in ci, che in genere la lettura filosofica neokantiana di Marx  solidale e complementare con una lettura economica neoricardiana dello stesso Marx. E questo non certo perch l'economista David Ricardo fosse un kantiano, perch anzi ne conosceva probabilmente solo il nome (e neppure questo  sicuro), e le sue fonti filosofiche erano lempirismo di Locke e lo scetticismo utilitaristico di Hume (gi allora gli anglosassoni ignoravano con supponente disprezzo la filosofia continentale), ma perch la lettura filosofica neokantiana e la lettura economica neo-ricardiana di Marx sono solidali nellespulsione non solo della dialettica ma anche dell'idea di totalit olistica. In comune c' sempre la buona vecchia antipatia verso Hegel, e non a caso. Quando Habermas sferr il calcio dellasino verso i gi defunti Horkheimer e Adorno, tanto migliori e pi profondi di lui, lo pot sferrare attraverso la mediazione del rifiuto di Hegel. Se si legge quel vero e proprio necrologio della grande scuola francofortese che  Il discorso filosofico della modernit, testo tragicomico che sostiene che per essere moderni bisogna prima rifiutare il pensiero metafisico di Hegel e di Marx, si noter che la tesi per cui la metafisica  incompatibile con la modernit  sostenuta con un linguaggio fumoso e stopposo, lontano dalla profondit di Adorno, attraverso il solito imbevibile miscuglio di kantismo e di positivismo. Il lettore noter la mia moderata sobriet nei confronti di Habermas, e sappia che il mio giudizio di fondo  quasi irriferibile. To non nego certamente i grandi meriti che Kant ha avuto ai suoi tempi (ripeto: ai suoi tempi). Come ho gi sostenuto in precedenza, Kant ha raddoppiato nel cielo della metafisica la teoria dei limiti della normativit coattiva del potere, ed ha perci prodotto una grandissima filosofia veramente liberale. Dal momento che il contenuto filosofico veritativo di una grande filosofia, come  certamente stata quella di Kant, ha una eccedenza specifica rispetto al contesto ideologico che lha vista nascere, non ho difficolt ad ammettere che Kant continua ad avere ancora una certa validit. Ma a mio avviso la critica che il primo idealismo ha fatto a Kant a partire gi dal 1794, e cio da quando Kant era ancora vivo,  ancora pi attuale di Kant stesso,  perch coglie gi con insuperabile chiarezza il punto centrale della questione, e cio che i dualismi di Kant fornivano la base essenziale per una filosofia dogmatica, che non permetteva cio di unire la teoria e la prassi, in quanto il suo pensiero si basava proprio sulla istituzionalizzazione della divisione di principio fra teoria e prassi. Ed  per questo, infatti, che tutti coloro che sono usciti dal raggio di Marx (o non ne sono mai entrati) attraverso la porta girevole di Kant (lultimo esempio noto  Habermas, ma gi lasfissiante filosofia neokantiana di Abbagnano e Bobbio pu insegnarci molto, sia pure 119 (CAPITOLO TERZO nel piccolissimo microcosmo provinciale di Torino), hanno potuto gettar via il bambino (il pensiero olistico della totalit da costruire dialetticamente) con lacqua sporca (le intollerabili scemenze del marxismo burocratico cucito con le scemenze storiciste degli straccioni organici agli elefanti ed agli ippopotami partitici). Non nego neppure che al kantismo abbiano aderito grandi personalit e spiriti illuminati. I professori socialdemocratici neokantiani della Germania primonovecentesca, nauseati dalla pappa evoluzionistica di Kautsky, hanno cercato di mostrare il nesso organico fra kantismo e critica al capitalismo, rilevando che il capitalismo sfruttando la gente tratta l'Uomo come mezzo e . non come fine, pi esattamente come mezzo per lestorsione del plusvalore e non come fine per una societ di liberi e di eguali. Sacrosanto. Giustissimo. Impeccabile. Per dirla alla romana, tuttavia, al capitalismo non ne pu fregare di meno di stare trattando la gente come mezzo e non come fine, e non  neppure con argomenti tanto eterei che la giusta incazzatura degli sfruttati potr essere opportunamente aizzata. Tuttavia, la questione come ho detto non  Kant, ma il modo di ragionare di Kant. Ed al modo di ragionare di Kant bisogna prestare una particolare attenzione, perch Marx si lega con tutto, per usare un linguaggio gastronomico e culinario, ma c' almeno un modo di pensare con cui non pu assolutamente legarsi, ed  appunto il modo di ragionare di Kant. Su questo punto sar necessario fare alcune riflessioni nel prossimo paragrafo. 10. Il codice genetico del modo di ragionare di Kant  luniversalismo astratto, e l'universalismo astratto ha una caratteristica, che non  per nulla una simpatica anticamera preparatoria delluniversalismo concreto, ma una mirabile macchina da guerra filosofica contro ogni possibilit di determinare dialetticamente luniversalismo astratto in universalismo concreto. Si tratta di una questione filosofica cruciale, che purtroppo sfugge a molti confusionari benintenzionati.  necessario dunque segnalare dove esattamente stanno i meccanismi propri al modo di ragionare di Kant ed ai suoi numerosissimi usi ideologici. Il discorso sarebbe lungo ed articolato, e richiederebbe una amplissima discussione monografica. Non potendola fare in questa sede per ragioni di spazio, mi limiter ad esaminare solo due punti cruciali. In primo luogo, il modo di ragionare di Kant  incompatibile con il concetto di alienazione (Entfremdung), concetto irrinunciabile e fondante del pensiero di Marx, senza il quale non c' pi marxismo, come non ci sarebbe pi teologia se si togliesse Dio. Nella prospettiva di Marx luomo  un ente naturale generico (Gattungswesen), un essere per natura politico, sociale e comunitario (politikn zoon), ed i sistemi sociali che ne impediscono il senso sociale e 120 Il materialismo e la storia del marxismo da Marx a oggi comunitario, e che lo imprigionano in una sola dimensione produttiva, come  il capitalismo, lo alienano. Ora, nel modo di ragionare di Kant tutto questo non solo non c', ma non  neppure concettualmente articolabile. Per Kant l'uomo da un lato  un essere originariamente libero, la cui libert come  noto  postulata 4 priori perch non potrebbe essere razionalmente dimostrata, e dallaltro  un legno storto, e cio un essere che contiene nella sua natura impulsi radicali al male. L'unione di libero arbitrio originario e di legno storto produce uno scenario indeterminato in cui non  mai previsto, e non potrebbe esserlo in alcun modo, che luomo si perda e debba poi ritrovarsi con una prassi rivoluzionaria.  dunque del tutto ovvio che pensatori come Habermas, dovendo sferrare il calcio dell'asino ai suoi maestri francofortesi, comincino con il disfarsi del concetto di alienazione (Entfremdung), considerata residuo metafisico di una improbabile secolarizzazione religiosa. In quanto ai marxisti duri e puri alla primo Colletti ed alla primo Althusser, che vorrebbero liquidare il concetto idealistico di alienazione per avere finalmente il vero marxismo scientifico, e tanto scientifico che pi scientifico non si pu,  evidente che hanno lavorato senza saperlo per la liquidazione kantiana del marxismo stesso, seguendo ovviamente il loro eroe eponimo Tafazzi. In secondo luogo, e questo punto  ancora pi importante del primo, il modo di ragionare di Kant isola sistematicamente lUniversale ed il Particolare, in modo che in ogni congiuntura storica sia sempre possibile restare ciechi e sordi rispetto al fatto che questi due poli complementari sono astrattamente separabili ma sono poi di fatto sempre concretamente uniti. Astrattamente il cristianesimo era buono anche nel 1480, ma se nel 1480 Torquemada lo utilizza per bruciare vivi gli eretici bisogna mettere fra parentesi la sua astratta bont, e bisogna concretamente opporsi ad esso, almeno finch la congiuntura storico-temporale non  passata. Astrattamente lunit europea  una buona cosa, anzi buonissima, ma se nel 2007 essa si concretizza come subalternit diplomatica e militare all'impero americano e come politica economica distruttiva verso i ceti salariati bisogna mettere fra parentesi la sua astratta bont, e bisogna concretamente opporsi ad essa, almeno finch la congiuntura storico-temporale non  passata. Astrattamente i diritti umani universali della carta dell'ONU del 1948 sono una buona cosa, ma se di fatto nel 2007 essi vengono utilizzati come copertura ideologica di legittimazione per bombardare popoli e per distruggere il diritto internazionale promuovendo il cosiddetto interventismo umanitario (in realt una spregevole copertura per i fini geopolitici di potenza militare dell'impero americano) allora diventano cattivi, bisogna mettere fra parentesi la loro astratta bont ed opporsi ad essi, almeno finch la congiuntura storico- temporale non  passata. 121 CAPITOLO TERZO Ho fatto solo tre esempi passati e presenti, ma ne avrei ovviamente potuto fare ancora molti altri. Ma il lettore attento avr gi capito che il modo di ragionare di Kant  una struttura paralizzante per sua natura, una macchina ideologica per impedire ogni concretizzazione determinata del nesso fra teoria e pratica. Chi vuole sia Marx sia il modo di ragionare di Kant sappia che solo i bambini si intestardiscono a volere contemporaneamente cose lun laltra incompatibili. 11. Ho gi fatto notare che in un certo senso Marx eredita da Fichte lidea della Prassi, e cio del fatto che la filosofia deve trasformare il mondo e non solo interpretarlo (e chi pensa che Marx abbia scoperto questo principio  invitato a sfogliare, sia pure distrattamente, una buona storia della filosofia idealistica), e da Schelling, o meglio dalla tradizione tedesca di Goethe, lidea del Riscatto della Natura. Mi sono soffermato su questo punto nel capitolo precedente, e posso dunque limitarmi a qualche integrazione. Si rimprovera in genere a Fichte di essere stato incompleto, e di aver trattato nel suo sistema soltanto la prassi umana trascurando la Natura, che invece poi Schelling avrebbe opportunamente inserito. Ebbene, io penso che questo rimprovero a Fichte sia sbagliato, e che invece Fichte abbia fatto benissimo a non inserire per principio la Natura nel suo sistema idealistico. E questo non solo e non tanto per le ragioni che furono poi addotte da molti pensatori posteriori (Giovanni Gentile 1899, Jean Paul Sartre 1958, eccetera), secondo cui a dialettizzarsi pu essere soltanto un Soggetto, e non certo un aggregato impersonale come la Natura, ma per una ragione molto pi di fondo, e cio per il fatto che la Natura in quanto tale (non parlo di alberi piantati dall'uomo o di animali addomesticati, eccetera)  il Limite Invalicabile della prassi umana stessa, e non pu essere in alcun modo un elemento dialetticamente integrabile. . Nel momento in cui saggiamente Fichte rifiuta di integrare nel suo sistema la Natura in quanto tale, egli si dimostra paradossalmente il pi grande dei materialisti mai esistiti, perch il massimo della consapevolezza materialistica umana (vedi Leopardi, eccetera)  proprio sapere che la Natura  il Limite Invalicabile dell'Uomo, e non certo un polo dialettico. Far in proposito due esempi tratti dalla letteratura, o meglio dalla vita quotidiana. 12. Lo scrittore portoghese Jos Saramago ha ricordato che suo nonno, un contadino analfabeta, poco prima di essere portato in ospedale in attesa di una prevedibile morte imminente, si conged dagli alberi che aveva lui stesso piantato abbracciandoli e mormorandogli qualcosa piangendo. Saramago fa notare che un atto in un certo senso sublime viene compiuto non da un sofisticato intellettuale, ma da un contadino analfabeta. Il nonno 122 Il materialismo e la storia del marxismo da Marx a oggi di Saramago, se le parole hanno ancora un senso, non si dialettizza con la natura, dal momento che dialettizzarsi significa innescare una prassi trasformatrice, ma semplicemente la piange come limite insuperabile della propria morte individuale. Qui c' la tristezza del congedo, non certo la dialettica della natura. Lo scrittore italiano Tiziano Terzani, viaggiatore poliglotta colto e curioso del mondo, viene informato di essere affetto da una malattia incurabile e, dopo un umanissimo tentativo di guarigione attraverso modernissime tecniche chirurgiche occidentali, cerca di vivere la sua ultima parte di vita attraverso la pratica della saggezza filosofica universale, e quindi n greca n orientale, ma appunto universale. Anche qui, la Natura non si presenta come polo dialettico da superare ed integrare, ma come Limite da sopportare, o meglio da accettare sopportandola. Le splendide pagine che Terzani ci ha lasciato devono essere lette (o almeno, io le ho lette) come Sublimazione della Accettazione di un Limite, non certo come una dialettizzazione con un polo integrabile della mia prassi trasformatrice. L'espressione del giovane Marx, per cui bisogna naturalizzare luomo ed umanizzare la natura, l'ho gi detto, non mi piace. Vedo in essa una eco schellinghiana certamente inconsapevole, ma non per questo meno fastidiosa. In punto di morte Labriola avrebbe definito fessistica, e cio idiota, una simile filosofia. Questo non significa, deve essere ben chiaro, che sia insensata lespressione vivere secondo natura, nel doppio senso del massimo rispetto per lambiente ecologico esterno (e cio il rispetto che per sua natura laccumulazione capitalistica smisurata non pu avere) e di uno stile di vista sobrio e misurato. Ma l'idea prometeica di riscattare la natura mi suona appunto di un prometeismo intollerabile, laddove la natura deve essere considerata unicamente come il presupposto esterno non dialettizzabile della prassi umana. Su questo punto, lo ripeto, il saggio Fichte, considerato dagli sciocchi (si veda ad esempio la storia della filosofia di Bertrand Russell, che scrisse che Fichte aveva spinto lidealismo fino ad un punto molto vicino alla pazzia) come un idealista estremista,  invece stato il materialista pi rigoroso della storia della filosofia occidentale. 13. Su Hegel mi sono gi soffermato a lungo, ed  inutile ripetere cose gi dette nei capitoli precedenti e nei due volumi complementari di questa trilogia. Dal momento per che repetita juvant, ripeter il mio mantra preferito a proposito del rapporto fra Hegel e Marx. Primo: questo rapporto  organico, e chi cerca di allontanare Marx da Hegel non solo dovr fare sfracelli filologici, ma finir per applicare il metodo Tafazzi e per lavorare per la coppia neokantismo in filosofia/neoricardismo 123 CAPITOLO TERZO in economia. Se lo vuol fare si accomodi, nella storia della filosofia c' posto per tutti, ma almeno sappia dove andr inevitabilmente a parare. Secondo: Marx  stato lultimo dei grandi idealisti, il terzo se si contano solo Fichte ed Hegel, il quarto se si conta anche Schelling, il quinto se si conta anche Feuerbach, di cui ho dato in precedenza una interpretazione idealistica. Personalmente sono convinto che basti fermarsi a tre, perch sono daccordo con Hegel che Schelling  stato uno spinozista kantiano e sono d'accordo con Schmidt che rileva in Feuerbach aspetti di vero materialismo edonistico di tipo classico. Terzo: ripropongo il punto di vista di Adorno nella sua grande Terminologia Filosofica, per cui quella di Hegel  una filosofia in cui non si pu staccare metodo e sistema, con la conclusione che non  possibile trapiantare un metodo idealistico (la dialettica) su di un sistema materialistico, e cio ateo e strutturalistico, come quello di Marx. La comprensione di questo punto resta, ovviamente, lo scopo principale di questo mio saggio. Questo, per, ci costringe a passare da Marx a Engels. 14. A suo tempo Engels scrisse che il proletariato  l'erede della filosofia classica tedesca. Una dichiarazione meditata, che merita un commento, anche perch  molto nota e viene ripetuta sacralmente da pi di un secolo, senza peraltro che sia diventata oggetto di riflessione critica. In proposito, limiter il mio commento a due soli punti essenziali. In primo luogo, tenendo conto del momento storico in cui fu fatta, e cio il cruciale ventennio 1875-1895 in cui nacque il marxismo come sistema teorico organico e soprattutto coerentizzato, l'affermazione di Engels  pienamente giustificata, ed  anche molto felice ed indovinata. Engels capisce perfettamente che, presa nel suo insieme, la filosofia classica tedesca, e cio soprattutto lidealismo con il suo prolungamento a Feuerbach,  stata un movimento di emancipazione trasferito nel linguaggio specialistico della filosofia. Siamo lontanissimi sia da Popper, che la interpreta come un tentativo di consacrare le societ chiuse, sia da Althusser e da Colletti, che la interpretano come una palla al piede metafisica da abbandonare appena possibile, sia infine da Gentile e da Croce che la interpretano rispettivamente come avallo del fascismo e/o del liberalismo conservatore. A differenza di questi confusionari, Engels coglie perfettamente il cuore della questione, e cio che la filosofia classica tedesca  nella sua pi intima essenza una filosofia della rivoluzione. Certo, con il senno del poi, sappiamo oramai (o almeno alcuni sanno, ed altri si rifiutano di prendere atto del bilancio storico dellultimo secolo) che il proletariato inteso come classe degli operai e dei salariati non sembra essere titolare di una capacit complessiva di superamento modale del capitalismo, e che in ogni caso il mitico 124 Il materialismo e la storia del marxismo da Marx a oggi lavoratore collettivo cooperativo associato non si  formato, ma almeno per ora sono invece cresciuti processi di divaricazione, frammentazione ed integrazione consumistica e nazionalistica dei gruppi sociali subalterni. Ma questo  il senno del poi, la nottola di Minerva che si alza al crepuscolo, e siccome lidealismo di Marx era una scommessa razionale sulla totalizzazione anticipata del corso complessivo della storia universale (Weltgeschichte) pensata olisticamente come un unico concetto (Begriff) trascendentale riflessivo, l'affermazione di Engels era giustificatissima, ed era anche ammirevole per coraggio etico e politico. Quindi, lungi da me la sciocca irrisione di questa formulazione in nome dellovvio e miserabile senno del poi. La domenica sera sono capaci tutti di indicare l'esito di tutte le partite di calcio segnate sulla schedina del Totocalcio. Nessuno  pi sciocco del supponente grillo parlante che conciona sulla base degli esiti finali compiuti di qualcosa. In secondo luogo, tuttavia, se  vero (o era almeno allora verosimile) che il proletariato, prima tedesco e poi internazionale, era l'erede della filosofia classica tedesca, di cui Hegel era indiscutibilmente l'esponente principale,  allora incongruo che il trasferimento filosofico di questa eredit proposta da Engels avvenisse, per iniziativa dello stesso Engels, nel penoso modo in cui  avvenuto. Sia chiaro: non mi interessa assolutamente fare il grillo parlante contro Engels, personaggio di grandissimo livello intellettuale, anche se a volte un po dilettantesco. Ma devo constatare che il modello filosofico che egli fin con il proporre, che era indubbiamente una forma di materialismo dialettico, sia pure meno rozzo e dogmatico delle posteriori varianti russe e sovietiche di esso, non solo non era una forma di eredit del contenuto e del metodo della filosofia classica tedesca, ma ne era per alcuni aspetti il contrario. Con questo sono consapevole di non stare dicendo nulla di nuovo, ma di stare semplicemente riproponendo la tesi classica del marxismo occidentale, da Rodolfo Mondolfo in poi. Nei prossimi tre paragrafi la riproporr per in forma assolutamente nuova ed inedita, e perci non priva di interesse. In altre parole, le fonti dirette o indirette di Engels sono state a mio avviso soprattutto due, e cio la lettura materialistica di Kant proposta fra il 1866 ed il 1873 da Albert Lange e la lavagna dei buoni e dei cattivi proposta fra il 1879 ed il 1884 da Ernst Laas. Mi rendo conto di stare proponendo una pista interpretativa e storiografica del tutto inedita sia in Italia sia allestero, ma credo che se non si danno ipotesi azzardate tanto vale tornare a leggere le vecchie pappe dossografiche tranquillizzanti e soporifere. 15. Il primo libro del Capitale di Karl Marx esce in lingua tedesca ad Amburgo nel 1867. Gli anni Sessanta dell'Ottocento sono in Germania gli 125 CAPITOLO TERZO anni del tentativo di seppellimento di Hegel come cane morto e del cosiddetto ritorno a Kant. La monografia classica di Kuno Fischer su Kant che inaugura ufficialmente il ritorno  del 1860. Il libro di Otto Liebmann, in cui si proponeva una storia di tutta la filosofia tedesca dellultimo secolo e che concludeva che Kant era sempre il migliore di tutti,  del 1865. Ma il libro fondamentale del ritorno a Kant  quello di Friedrich Albert Lange, e si intitola Storia del materialismo (cos come, si parva licet, si chiama questo mio modestissimo contributo). In questo libro Lange interpreta il materialismo come fenomenismo rigoroso e conseguente, ed afferma che Kant  stato in un certo senso il pi grande e rigoroso dei veri materialisti, perch ha ricacciato nellinconoscibile mondo del noumeno (Cosa in S [Ding an Sich], e Concetto Limite [Grenzbegriff]) tutto ci che  fuori dell'esperienza fenomenica. In altre parole, Lange ridefinisce il materialismo come teoria rigorosa dei limiti fenomenici della conoscenza, e dal momento che la scienza  sempre e soltanto scienza di fenomeni, e tutto il resto  metafisica prescientifica e premoderna, il materialismo coincide con la conoscenza scientifica. Pi di un secolo dopo, Ludovico Geymonat non dir cose diverse. Il clima filosofico che regna negli anni in cui  pubblicato il primo libro del Capitale di Marx  dunque quello del ritorno a Kant. Non ci si lasci per ingannare. Il ritorno a Kant  solo un ritorno positivistico a Kant, in quanto la cultura tedesca dellepoca  sempre e solo robustamente positivistica, ma nello stesso tempo non  soddisfatta degli involucri filosofici stranieri con cui viene incartato il positivismo stesso, e cio il razionalismo del francese Comte e lempirismo dell'inglese Stuart Mill. A questo punto il vecchio ma tedeschissimo Kant pu essere riesumato e riciclato come fondatore di un nuovo positivismo critico, che sappia dare un fondamento critico migliore alla nuova riduzione a scienza di tutto il sapere umano. La filosofia viene cos integralmente ridotta a gnoseologia, e cio a teoria della conoscenza. Il resto viene marginalizzato prima ed espulso dopo come metafisico. Un breve commento. La riduzione pressoch integrale della filosofia a teoria della conoscenza, con le innocue aggiunte estrinseche di etica, estetica, eccetera, non pi integrate in una totalit olistica di tipo dialettico, rappresenta insieme un seppellimento della filosofia stessa, resa oramai del tutto innocua. Non esiste infatti nulla di pi innocuo ed irrilevante della teoria della conoscenza, la cosa pi inutile del mondo con la sola (parziale) eccezione della parrucca incipriata. Agli scienziati ed ai ricercatori la teoria della conoscenza con la sua sorella pi giovane, lepistemologia, non serve a nulla, perch la teoria della conoscenza  proprio quella cosa con la quale senza la quale si scopre o non si scopre tale e quale. Nessuno scopritore modemo nel campo della fisica, della chimica, della biologia, della medicina, 126 Il materialismo e la storia del marxismo da Marx a oggi eccetera, ha mai scoperto nulla sulla base della lettura di opuscoli di teoria della conoscenza. Nello stesso tempo, imponendo la limitazione dell'oggetto della filosofia alla teoria della conoscenza di un reale concepito come presupposto, le si toglie l'oggetto della totalit olistica, che era stato quello di Fichte (la trasformazione di cui la prassi umana  capace nell'epoca della compiuta peccaminosit), di Hegel (la totalit del presente storico concepito come unione dialettica di realt e di razionalit), ed infine di Marx (la totalit della storia universale dal passato comunitario al futuro comunista attraverso il presente regno delle contraddizioni antagonistiche). Quello che ho definito precedentemente modo di ragionare di Kant non  un particolare secondario.  qualcosa - per dirlo in modo un po sommario e settario ma sostanzialmente esatto  che rende impossibile pensare filosoficamente la proposta dialettica dellidealismo rivoluzionario di Marx. 16. Nelle sue mirabili e tuttora metodologicamente non superate Lezioni sulla storia della filosofia, Hegel aveva seppellito due concezioni insostenibili della storia della filosofia stessa. In primo luogo, aveva seppellito lidea della storia della filosofia come dossografia cumulativa, e cio (per usare le sue stesse parole) come disordinata filastrocca di opinioni casuali. Per Hegel la storia della filosofia ha una logica interna di sviluppo, anche se ovviamente in essa c' larghissimo spazio per il casuale ed il contingente. . In secondo luogo, e questo secondo punto  ancora pi importante del primo, Hegel mette in guardia da quella che ho deciso di chiamare la lavagna dei buoni e dei cattivi, per cui partendo da un inizio convenzionale (Talete, Socrate, eccetera) sistilano due elenchi, da una parte i filosofi buoni, che stanno cio dalla parte giusta, e dall'altra i filosofi cattivi, che si possono impunemente insolentire come ignoranti, irrazionalisti, antiscientifici, eccetera. La lavagna dei buoni e dei cattivi  il modo in cui sono peraltro strutturate le storie della filosofia delle confessioni religiose: da una parte tutti i filosofi che hanno creduto nel Dio giusto, e cio il nostro, e dall'altra tutti i filosofi che non ci hanno creduto, o perch atei o perch idolatri, eretici o scismatici. Per riproporre la lavagna dei buoni e dei cattivi ci vuole la nuova mentalit positivistica tedesca del tempo, che distrugge lintelligente impostazione dialettica di Hegel per trasferire nel fanatismo scientifico il punto di vista della Santa Inquisizione, nel frattempo integrata con alcuni dipartimenti di scienze naturali. E allora, fra il 1879 ed il 1884, Ernst Laas scrive unopera monumentale, intitolata Platonismo e positivismo, in cui la lavagna dei cattivi si chiama platonismo e la lavagna dei buoni si chiama positivismo. L'intera storia della filosofia precedente diventa un campo di battaglia bismarckiano (Kampfplatz). Sotto la rubrica del platonismo Laas colloca i filosofi pi diversi: 127 CAPITOLO TERZO Aristotele, Spinoza e Kant per il carattere matematizzante delle loro dottrine; Fichte, Schelling e Rousseau per le loro tendenze misticheggianti verso l'assoluto; Leibniz perch pone una norma morale che non deriva dalla sensibilit; Cartesio e Hegel perch affermano un'attivit spirituale spontanea che non  condizionata dal mondo naturale; e infine tutti coloro che in un modo o nellatro riconoscono un principio teologico trascendente non riconducibile alla vita terrestre delluomo. Il positivismo non pu che allineare i nomi di Protagora, che ne  il fondatore, di David Hume e di Stuart Mill, Secondo Laas neppure Comte  un vero positivista, perch si  inventato una fanfaluca come la religione dell'umanit. Il lettore si sar gi accorto che la lavagna dei buoni e dei cattivi proposta da Laas  troppo squilibrata da una parte. I cattivi sono troppi, ed i buoni sono troppo pochi. Ma qui  il principio che conta. E il principio  quello della lavagna dei buoni e dei cattivi, che Engels seppe proporre in una variante migliore di quella di Laas, integrandola con la lettura materialista di Kant fatta da Lange. Vediamo come, perch questo tragicomico paradigma  quello che il cosiddetto movimento comunista si  portato dietro per pi di un secolo. 17. Anche in Engels, ovviamente, la Materia  una metafora di qualcosa d'altro, che si tratta appunto di scoprire, E di che cosa  metafora la Materia per Engels? Faccio un ipotesi: per Engels la Materia  metafora della necessit ineluttabile della transizione dal capitalismo al socialismo, necessit ineluttabile che viene chiamata Materia per condensare tutta la variet plurale degli eventi storici ed economici in un solo concetto (Begriff). In altre parole, anche per Engels Ja Materia  unIdea, l'Idea di Materia appunto, che a sua volta  una metafora di un processo ritenuto oggettivo ed esterno a noi che  appunto la transizione stessa. Questo comporta almeno due conseguenze immediate. In primo luogo, la riduzione del materialismo a realismo gnoseologico. Il materialismo consiste nel rispecchiare nel pensiero un processo materiale che avviene fuori di noi. Anche per i preti, peraltro, la realt non viene costruita idealmente da noi, ma  fuori di noi, solo che si chiama Dio e non solo Materia. In secondo luogo, lintera storia della filosofia  ricostruita alla Laas (anche se non secondo i suoi esatti criteri) secondo il modello della lavagna dei buoni e dei cattivi. L'unica modificazione consiste nel sostituire alla coppia di Laas platonismo/positivismo la coppia materialismo/idealismo. Siamo chiari. Tutte le conquiste della filosofia classica tedesca vengono cos perdute. Altro che eredit! Ed ora cerchiamo di vedere, sia pure sommariamente, in che modo vengono perdute. 128 Il materialismo e la storia del marxismo da Marx a oggi 18. Friedrich Engels (1820-1895)  stato di fatto lunico fondatore e sistematizzatore del materialismo filosofico marxista, e allora  assolutamente necessario prestare una attenzione particolare alla sua figura. Tutto il secolo posteriore della filosofia marxista, con tutte le sue avventure ideologiche di superficie,  sostanzialmente interno alla sua instaurazione, perch quella di Engels  stata una vera e propria instaurazione. Se Marx non fosse mai esistito, la teoria dei modi di produzione non sarebbe mai esistita, ma se Engels non fosse mai esistito, il materialismo filosofico marxista non ci sarebbe mai stato. Engels  stato una figura pienamente ottocentesca, ed anche una figura pienamente erede dellenciclopedismo illuminista. Il lettore non creda che alla mia critica radicale ed inesorabile verso la sua intera filosofia si accompagni un disprezzo o una sottovalutazione per la sua figura.  esattamente il contrario. Psicologicamente ed umanamente, mi sento pi vicino a Engels che a Marx. Engels era un borghese enciclopedico, completamente estraneo sia allo specialismo universitario, che la normalizzazione positivisticadi met Ottocento aveva imposto eliminando figure ancora enciclopediche come Kant e Hegel e sostituendole con nuovi Fachidioten (idioti specializzati), sia al settarismo politico che utilizzava la scienza della societ come semplice ideologia di compattamento organizzativo e di mobilitazione strumentale. Di fronte a Marx, Engels si considerava un secondo violino. Nel suo discorso sulla tomba di Marx, utilizzando i due termini genio e talento, Engels disse che Marx era stato un genio, e lui soltanto un talento. Uomo dotato di interessi a 360 gradi, dallarte militare al cristianesimo primitivo, dalla questione delle abitazioni malsane alla storia della filosofia, Engels incarnava quella figura di intellettuale complessivo e nello stesso tempo (non  contraddittorio come sembra) di dilettante geniale che oggi si  perduta. Engels non avrebbe mai elaborato un sistema ideologico su commissione di alcuni politicanti cinici. Ma lo stesso Engels elabor spontaneamente un sistema ideologico sulla base di una committenza indiretta della socialdemocrazia tedesca nata dopo il 1875. I sistemi prodotti su committenza diretta di gruppi di burocrati fanno schifo e durano pochi anni. Engels invece lavor in piena indipendenza e libert, senza alcuna pressione ed alcun controllo esterno, ed appunto per questo cre un vero capolavoro. Nel dire che  un capolavoro ribadisco anche che personalmente non ne condivido una sola riga. Ma questo avviene, ad esempio, anche per Kant, il che non mi impedisce di ammettere apertamente che il sistema filosofico di Kant  un capolavoro inarrivabile. Il lettore si tenga lontano dai commentatori che identificano i capolavori con i testi che condividono. Tutti i criteri di giudizio sono inevitabilmente un po narcisistici, ma in questo 129 CAPITOLO TERZO caso il narcisismo autoreferenziale ucciderebbe la storia della filosofia. Il grande Hegel, ad esempio, non cadde mai in questo errore. A differenza di Hegel, Locke mostr a mio avviso di non essere un grande filosofo proprio connotando i sostenitori della sostanza, da Aristotele a Spinosa, come bambini, e come bambini nel senso di cretini. Non nego dunque la grandezza di Engels. Ma questo riconoscimento deve essere solo l'anticamera di un esame spregiudicato delle sue posizioni. 19. Marx mor nel 1883. Se fosse stato vivo nel 1888, anno in cui fu pubblicata lopera filosofica fondamentale del materialismo di Engels (cfr. Ludwig Feuerbach e la fine della filosofia classica tedesca), l'avrebbe condivisa 0 se ne sarebbe dissociato? Ecco una domanda per cultori della negromanzia e del contatto medianico con i defunti, una domanda di fatto priva di alcun interesse. Ad occhio e croce, parlando a ruota libera come se fossimo al bar, direi che Marx non si sarebbe dissociato perch aveva smesso di occuparsi di filosofia dopo il 1846, aveva rimosso integralmente il suo giovanile idealismo ed il lessico della alienazione con cui aveva potuto organizzare la sua critica al capitalismo, ed aveva interamente metabolizzato questo lessico nella sua critica dell'economia politica. Non ritengo questo un bene, come opina la scuola althusseriana nemica del concetto di alienazione, ma lo ritengo un male. Lo scuso, per, perch lo considero uno spiacevole prezzo da pagare per conseguire lascesi produttiva che lo ha portato alla maniacale fissazione verso la riproduzione economica del capitalismo. Senza questa maniacale ascesi produttiva non avremo avuto probabilmente il suo capolavoro, ma questa non  una ragione per non capire che ci sono stati anche dei pesanti prezzi da pagare. Ed uno di questi prezzi, probabilmente il principale,  stato la neutralizzazione di ogni sensibilit filosofica. Solo un anestetizzato totale come Marx era diventato rispetto alla filosofia, poteva non accorgersi neppure di stare passando da un modello filosofico idealista ad un (implicito) modello positivista. In proposito la colpa non  di Marx, che ha sublimato questa rimozione con una grande creazione originale, ma dei posteriori pecoroni conformisti, che non l'hanno rilevata nonostante fosse come la lettera rubata di Edgar Allan Poe, e cio sotto gli occhi di tutti. 20. Ma torniamo all'opera di Engels del 1888, pubblicata cinque anni dopo la morte di Marx. Il 1888  la data di inizio del materialismo marxista, che prima non esisteva ancora. Invito il lettore interessato al marxismo ad andare a rileggersi questa splendida operetta divisa in quattro agili capitoli. L trover la matrice di tutto. Il primo capitolo  dedicato appunto ad una critica di Hegel in cui si propone la classica contrapposizione fra metodo dialettico rivoluzionario e 130 Il materialismo e la storia del marxismo da Marx a oggi sistema metafisico idealistico. Ho gi fatto notare in precedenza che questa separazione astratta di metodo e di sistema non regge, perch la dialettica non  un metodo come la logica formale, ma  una filosofia complessiva che fa tutt'uno col sistema in cui  incorporata. I sistemi di Hegel e di Marx sono diversi non per il motivo che dice Engels, ma perch quello di Hegel  un sistema consapevolmente limitato alla nottola di Minerva che si alza al crepuscolo, mentre il sistema di Marx intende totalizzare olisticamente il passato, il presente ed il futuro della Weltgeschichte (storia universale). Entrambi i sistemi sono idealisti, e semmai quello di Marx lo  ancora di pi di quello di Hegel, perch si arrischia a prevedere addirittura il comunismo come compimento ideale dell'umanit, sulla base ovviamente della previsione scientifico-positivistica della necessaria transizione dal capitalismo al comunismo. Nel secondo capitolo Engels scrive la sua lavagna dei buoni e dei cattivi, seppellendo completamente la storia della filosofia di Hegel (che non prevedeva buoni e cattivi) e sostituendola con quella di Laas (che invece era proprio costruita sulla lavagna dei buoni e dei cattivi). Egli formula quella che chiama la questione fondamentale della filosofia (ohib!), che definisce come quella del rapporto fra Essere e Pensiero. I materialisti dicono che prima c' lEssere (si intende, l'essere materiale) e dopo il Pensiero, ed invece gli idealisti dicono che c' prima il Pensiero e poi, soltanto dopo, lEssere. Esistono poi i cosiddetti agnostici (Engels nomina Hume e Kant) che negano la conoscibilit del mondo. Per Engels, invece, la questione della conoscibilit o meno del mondo non  di tipo filosofico, ma di tipo esclusivamente pratico. Nel processo di conoscenza e di attivit pratica, sostiene Engels, l'inconoscibile cosa in s di Kant diventa finalmente una cosa per noi. Negli ultimi due capitoli Engels non aggiunge nulla di sostanziale, ma si limita a criticare Feuerbach perch non era riuscito ad applicare il materialismo ai fenomeni sociali, cosa che Marx invece avrebbe fatto. A questo punto chi scrive, che pure sa perfettamente di essere un nano rispetto ad Engels, si permetter un piccolo spregiudicato commento, in nome del fatto che anche i nani, salendo sulle spalle dei giganti, possono talvolta vedere pi lontano di loro. 21. Preso nel suo insieme, il libro di Engels del 1888  una sciocchezza. Con questo, non intendo negare il diritto alla sciocchezza, diritto di cui ho sempre fatto abbondantemente uso. Citer solo qui quattro esempi illustri, in modo che il lettore si renda conto che il diritto alla sciocchezza  qualcosa di eterno nella ricca storia del genere umano. Platone, il grande Platone, il fondatore della tradizione filosofica occidentale, scrive nel suo tardo dialogo Le Leggi che l'organo politico che 131 CAPITOLO TERZO gestisce il potere nella nuova polis, denominato Consiglio Notturno, deve sguinzagliare squadroni della morte segreti per far fuori i dissidenti, ed in particolare gli atei. E questo, lo si noti bene, Hiatone: colui che ha scritto capolavori come il Fedro e il Convito. Aristotele, il pi grande classificatore tassonomico della storia della filosofia, dovendo classificare gli strumenti (ergaleia), li classifica in tre grandi gruppi: strumenti silenziosi (laratro), strumenti semiparlanti (il bue, che infatti muggisce) ed infine strumenti parlanti (gli schiavi, che infatti parlano come noi). Questa classificazione, degna di una buona bevuta di vino resinato,  stata fatta seriamente. Kant, il fondatore della morale borghese moderna, richiesto se si dovesse rivelare ad un assassino armato di coltello che il fuggiasco che stava inseguendo si era nascosto nella soffitta della sua casa, rispose che non si poteva mentire neppure a lui, anche se si poteva sempre sperare che il fuggiasco se la cavasse lo stesso scappando per i tetti. Qualunque babbeo privo di studi filosofici ed ignaro di kantismo avrebbe detto spontaneamente: No, non  qui. Vada alla Malpensa, perch  gi partito per le Maldive. Ma il teorico della morale autonoma, per cui la veridicit assoluta  la precondizione trascendentale di ogni moralit, ricordandosi di essere un pedante prussiano e non un astuto siciliano, dice che anche in questo caso non si pu violare il principio della veridicit. Hegel, il grande Hegel, il pensatore che a mio avviso si mangia tutti gli altri in insalata, afferma ad un certo punto che un certo pianeta (pi esattamente, un satellite di un pianeta) non pu esistere sulla base di una corretta deduzione dell'intero. Dopo pochi mesi il pianeta viene scoperto, e da allora tutti gli idioti del mondo si sentono in diritto di far notare, con qualche ragione, che non bisogna lasciarsi andare a deduzioni arrischiate, per cui la totalit non esisterebbe, mentre la sola cosa seria che c'  l'esperimento caso per caso ex post. Ho fatto quattro esempi di grandi, per mostrare come il diritto alla sciocchezza  un diritto naturale innato delluomo. Anche Engels, allora, pu e deve essere messo in questa nobile compagnia. E passiamo ora ad un rapido esame di dettaglio della natura di queste sciocchezze. 22. In primo luogo, il pensare che il noumeno di Kant sia i sorta di elemento materiale della conoscenza (la cosa in s e non per noi) significa ignorare che lo stesso Kant, nella seconda edizione della Critica della ragion pura, lo ha ridefinito in termini di concetto limite (Grenzbegriff). Il dire  come fa Engels  che la pratica sociale, la scienza e l'industria ce lo rendono sempre pi conoscibile significa confondere il noumeno con il mondo dei fenomeni, perch Kant non avrebbe avuto alcuna obiezione al fatto che il 132 Il materialismo e la storia del marxismo da Marx a oggi mondo dei fenomeni diventa sempre pi conoscibile per l'uomo sulla base di progressive scoperte scientifiche. Ma, appunto, ci che si conosce sempre di pi  sempre e solo il fenomenismo. Si capisce allora la radice del fraintendimento di Engels. Questo fraintendimento nasce dalla lettura di Kant fatta da Lange nella Storia del materialismo del 1866, in cui l'elemento materiale del kantismo  visto proprio nel fenomenismo, solo oggetto della ricerca scientifica, laddove ogni metafisica era spazzata via come residuo prescientifico. La cosa in s diventa come un terreno minerario, in cui sempre nuove macchine e sempre nuove trivelle consentono di scavare infinitamente. Il kantismo diventa cos positivismo, e la somma di kantismo e di positivismo viene chiamata . materialismo. Mi pare chiaro, allora, che questa materia di Engels  una metafora metafisica di qualcos'altro. E questo qualcosa d'altro  la convinzione materiale dellesistenza, esterna al soggetto, di una legge materiale della transizione necessaria, e per di pi scientificamente dimostrata (il famoso passaggio del socialismo dallutopia alla scienza), dal capitalismo al comunismo. In questo modo un Idealismo della Storia Universale passata, presente e futura era travestito da Materialismo della legge della transizione necessaria. 23. In secondo luogo, la ricostruzione della storia della filosofia dai greci ad oggi in termini di lavagna dei buoni e dei cattivi non avrebbe dovuto essere tollerata, se appena ci si fosse ricordati della ben diversa e superiore metodologia dialettica di Hegel. E poi, che cosa vuol dire primato dell'Essere sul Pensiero, e viceversa? Ricordo un corso di filosofia marxista in un paese comunista europeo negli anni Sessanta in cui ci spiegarono che Berkeley negava lesistenza della materia, ma se per caso in un naufragio gli fosse entrata in bocca lacqua del mare se ne sarebbe accorto che la materia esiste, e prima di morire sarebbe passato al materialismo. E noi tutti a ridere come coglioni, convinti che tutti i filosofi precedenti erano stati idioti al di fuori del solo Engels, con la parziale eccezione di Epicuro, Lucrezio e d'Holbach. E poi c' chi si meraviglia ancora della sparizione pressoch integrale del materialismo storico e dialettico dopo il 1991! Se si prende alla lettera la teoria del materialismo come primato dell'essere sul pensiero allora Parmenide diventerebbe il primo materialista. Ma evidentemente per primato si intende la precedenza della materia, intesa come atomi, molecole, eccetera, sul pensiero che la rispecchia. Se allora nella lavagna dei buoni e dei cattivi di Laas i platonici erano tantissimi, mentre i positivisti erano pochissimi, nella lavagna dei buoni e dei cattivi di Engels i materialisti erano anch'essi molto pochi, mentre idealisti in vario 133 CAPITOLO TERZO modo erano tutti i filosofi migliori, da Platone ad Aristotele, da Spinoza a Leibniz, da Kant a Hegel. E il paradosso allora stava in ci, che il proletariato avrebbe dovuto diventare lerede della filosofia classica tedesca, che era per idealista al cento per cento, adottando una filosofia che aveva costruito una lavagna dei cattivi, sulla quale tutta la filosofia classica tedesca era segnata. Avventure della dialettica? No, avventure della scemenza. 24. Dal 1873 al 1883 Engels scrisse per uso privato alcuni quaderni dedicati al rapporto fra dialettica e natura, o pi esattamente fra metodo dialettico e scienze della natura. Negli anni Venti del Novecento, dopo la rivoluzione d'Ottobre del 1917, questi quaderni giunsero in Unione Sovietica, e furono pubblicati nel 1925 sotto il nome di Dialettica della natura. E qui comincia una vera e propria avventura della dialettica, a mio avviso la pi interessante dell'intera storia del marxismo novecentesco. Per evitare ogni spiacevole equivoco, dico subito che non considero affatto stupida questa opera di Engels, in particolare tenuto conto del fatto che si tratta di appunti per uso personale. Al contrario. Mentre a mio avviso  una vera sciocchezza, e non l'ho nascosto dietro ipocrite formulazioni possibiliste, la classificazione dicotomica del 1888 dei buoni e dei cattivi, non  affatto una sciocchezza la ricerca di regolarit dialettiche nella natura. Engels fa osservazioni acutissime, di cui ricordo in particolare le critiche a Darwin e soprattutto le mirabili pagine sul ruolo del lavoro nella formazione e nello sviluppo delluomo, pagine che furono poi di fatto riprese da Lukcs nella sua stesura dell'Ontologia dell'essere sociale. Vorrei sottolineare questo punto perch a suo tempo Engels non pubblic queste note, pur se avrebbe potuto farlo quando voleva, e questo vorr ben dire qualcosa. Il fatto poi che si sia lasciato andare ad ipotizzare le famose leggi della dialettica, che diventarono poi la base metafisica del marxismo di Stalin, non deve essere imputato ad Engels, in primo luogo perch non avrebbe mai potuto sospettarlo cinquant'anni prima, ed in secondo luogo perch ai tempi di Engels il pensiero scientifico dominante ragionava effettivamente in termini di leggi, e la cosiddetta crisi dei modelli scientifici dei primi anni del Novecento non c'era ancora stata, e nessuno pu essere colpevolizzato per non aver saputo ci che lintera comunit degli scienziati del tempo non sapeva ancora. Il problema allora non  Engels. Il problema sta in ci, che il materialismo consiste proprio non nellaffermazione metafisica per cui la materia precede il pensiero, ma nella deduzione sociale delle categorie, e nel modo in cui una ideologia politica di legittimazione si impadronisce simbolicamente della storia della filosofia precedente e degli stessi dibattiti scientifici in corso per sviluppare una visione del mondo mirata a creare un senso di appartenenza 134 Il materialismo e la storia del marxismo da Marx a oggi identitaria che a sua volta possa retroagire nella realt sociale. Ed  qui, e solo qui, che parlare allora di materialismo diventa sensato, come cercher di mostrare nei prossimi paragrafi. 25. Vi  per un possibile equivoco che deve essere chiarito prima ancora di iniziare una discussione critica. Vi  chi infatti, sia in passato sia soprattutto oggi, in cui  di moda negli ambienti intellettuali allineati al politicamente corretto, effettua una sorta di corto circuito fra critica filosofica e teoria globale del marxismo storico novecentesco (ed  il mio caso) e condanna integrale del fenomeno complessivo del comunismo storico novecentesco 1917-1991 (e non  il mio caso). Dalmomento che si tratta di un problema molto delicato, mi vedo in un certo senso costretto a rendere esplicite alcune mie opinioni storico-politiche, in modo da non lasciare nessun dubbio sulla natura teorica e sulle intenzioni pratiche del mio atteggiamento di fondo. In primo luogo, ritengo che il socialismo europeo organizzato nei partiti nazionali della Seconda Internazionale (1889-1914) sia fallito nel 1914 con la sua vile e sporca adesione alla prima guerra mondiale imperialistica (1914- 1918). Si tratta di una vergogna inenarrabile ed incancellabile. Dal 1914, e non certamente dal 1917 (vedi Nolte, Furet, eccetera), deve partire un giudizio storico equilibrato sul Novecento. Tutte le teorie sul totalitarismo alla Arendt non lo fanno, e per questa ragione a mio avviso valgono a malapena la carta su cui sono scritte. In secondo luogo, l'iniziativa di Lenin in base alla quale fu portata a compimento la rivoluzione russa dellOttobre 1917 deve essere ritenuta ottima, benefica e provvidenziale. Viva Lenin! Occorre aggiungere, per, che la teoria di Marx c'entra molto poco (sulla questione del livello delle forze produttive aveva di fatto ragione Kautsky, non Lenin), mentre a legittimare integralmente la presa del potere dei bolscevichi fu a mio avviso soltanto la sacrosanta risposta al bagno di sangue del 1914. Lo stesso aggiustamento teorico del paradigma marxista classico alla Kuhn (nell'epoca dellimperialismo le rivoluzioni socialiste si iniziano a partire non dai punti alti dello sviluppo industriale capitalistico, ma dagli anelli deboli della catena mondiale imperialistica, eccetera) non ha per me molto significato. Gli aggiustamenti ai paradigmi epistemologicamente zoppicanti sono cosette di poco conto. Ci che conta fu che la decisione leninista fu sacrosanta. Per la prima volta nella storia dell'umanit il potere delle classi dominanti fu realmente posto in discussione. Viva Lenin! In terzo luogo, la stessa fondazione della Terza Internazionale (1919-1943) deve essere considerata buona e benefica. Questo per non in Europa o in America Latina, in cui sovrappose un modello avanguardistico e ben presto burocratico ad.un movimento operaio e socialista che seguiva logiche 135 CAPITOLO TERZO maggioritarie del tutto diverse, alla base di cui ci stava peraltro un presupposto inconfessabile e rimosso (quello per cui la classe operaia, salariata e proletaria metropolitana non  una classe rivoluzionaria in senso marxiano), ma in Asia ed in Africa, in cui il comunismo si identific con lanticolonialismo e lantiimperialismo, e fu per questo che ebbe successi reali (Cina, eccetera). In quarto luogo, la stessa politica di Stalin (1924-1953) deve a mio avviso essere giudicata buona nellessenziale. I suoi errori, che in alcuni casi divennero crimini, non sono certo dovuti ad una deviazione di destra che diede il potere ad una burocrazia sfruttatrice (come ha sostenuto per pi di mezzo secolo lerronea interpretazione trotzkista e bordighista), ma tutto al contrario a deviazioni settarie di estrema sinistra, che permisero vergognose mattanze plebee (1936-1938) e consentirono che il sistema carcerario (il Gulag) diventasse una struttura permanente di sfruttamento schiavistico. Lo stesso rimprovero (e cio la deviazione settaria di estrema sinistra) deve essere fatto a Mao Tse Tung fra il 1966 ed il 1976. In proposito, al di l della condanna morale (che ci vuole, certamente, ma che non spiega nulla sul piano storico), bisogna invece prendere in considerazione le cause storiche della doppia sconfitta (di Stalin 1956 e di Mao 1976), e non invece dare soltanto fiato alle tautologiche trombe lamentose della condanna del totalitarismo in nome del potere eterno del capitale finanziario globalizzato di oggi. In quinto luogo, il fenomeno dei liquidatori del comunismo storico novecentesco (Krusciov 1956 e Gorbaciov 1985-91) deve essere condannato, ma nello stesso tempo interpretato in chiave non ideologica ma strutturale, come fenomeno prima di stabilizzazione sociale della classe burocratica di Stato (Krusciov 1956) e poi di controrivoluzione sociale complessiva delle nuove classi medie sorte proprio sul terreno dello sviluppo sociale socialista (Gorbaciov 1985-1991). Costoro furono peggio di Stalin, non meglio, come farfuglia la nuova storiografia ispirata alla condanna globale del Novecento, connotato come secolo dell'orrore fordista. In sesto luogo, per finire, la dissoluzione del sistema geopolitico e militare socialista compiutasi nel triennio mefitico 1989-1991, non fu linizio di una pecoresca e belante era buonista di pace mondiale, ma linizio per il mondo dell'era spaventosa e barbarica del dominio geopolitico unilaterale dell'impero ideocratico americano, svincolato da qualunque residuo di diritto internazionale, con l'ONU ridotto ad accozzaglia impotente. Il sistema socialista era pur sempre un contrappeso, che oggi non c' pi. Queste sei osservazioni non erano neppure necessarie in uno studio sul materialismo connesso con lo studio dell'etica e della dialettica. Ma  sempre bene che questo mio esame critico impietoso non venga scambiato per l'atteggiamento di Maramaldo, che mentre infieriva sul vinto Francesco 136 Il materialismo e la storia del marxismo da Marx a oggi. Ferrucci si sent dire: Vile, tu uccidi un uomo morto!. Sparare oggi sul comunismo storico novecentesco  un atto vile assimilabile a sparare sulla Croce Rossa, ed appunto per questo  lo sport preferito dallapparato mediatico pagatissimo, dallapparato universitario ideologicamente incorporato (Abbasso Marx! Viva tutti gli altri!) e soprattutto dalla parte maggioritaria della sciagurata generazione del pentitismo sessantottino. Ed ora, torniamo alla critica filosofica. 26. Nel 1879 l'enciclica Aeterni patris consacrava ufficialmente il pensiero di Tommaso d'Aquino come teologia di riferimento obbligatoria della Chiesa Cattolica. Nel 1931 il comitato centrale del Pcus consacra la versione di partito del materialismo storico e dialettico uscita vincitrice negli scontri teorici con le scuole rivali degli anni 1918-1931 come unica filosofia consentita in Unione Sovietica. Nel 1938 il saggio di Stalin Materialismo storico e materialismo dialettico diventa il testo filosofico di riferimento obbligatorio per tutti i comunisti del mondo. Ancora nel 1944, in piena seconda guerra mondiale, in cui ogni giorno morivano al fronte migliaia di soldati, il comitato centrale del Pcus si scomoda per condannare ufficialmente un manuale di filosofia di un certo Alexandrov, in cui Hegel veniva trattato con eccessiva benevolenza, in quanto lidealismo tedesco avrebbe dovuto essere definito secondo le autorit di partito in termini di reazione aristocratica contro la rivoluzione francese. E potremmo continuare. Gli studiosi liberali, di fronte a questo fenomeno inedito (o meglio, ecclesiastico e chiesastico) di controllo politico della filosofia, si limitano in modo tautologico a ribadire che un regime totalitario si comporta in modo totalitario. Ma chi non aderisce a questa virtuosa tautologia si chiede invece: ma perch diavolo ficcare il naso anche nel dibattito filosofico, che  plurale per sua propria essenza? Non  forse una manifestazione di debolezza anzich di forza? Gi,  proprio qui l'enigma. Si tratta di una manifestazione di debolezza. Solo un sistema strutturalmente debole ritiene di dover ficcare il naso nel dibattito filosofico. Vediamo ora meglio il perch. 27. Mi avvio alla conclusione di questo capitolo e di questo saggio. Quando (ed  il mio caso personale) si  completamente al di fuori di ogni tradizione storiografica consolidata ed organizzata e si tende, sia pure in modo ancora fragile, ad un nuovo sistema filosofico per quanto eclettico (ma i Kant e gli Hegel non nascono ad ogni angolo di strada!), bisogna ripetere e ripetere, riassumere e riassumere, chiarire e chiarire, e non si sar comunque al riparo dai fraintendimenti, persino dei fraintendimenti in perfetta buona fede. Chi  infatti abituato da decenni ad una certa percezione 137 CAPITOLO TERZO gestaltica, preferir morire piuttosto che sottoporsi allo choc percettivo del riorientamento gestaltico. In ogni caso, e lo dico una volta per tutte, io non nutro alcuna illusione di dialogo produttivo di tipo socratico con le vecchie scuole marxiste rimaste. Esse affonderanno a poco a poco come corazzate in disarmo, del tutto inadatte al nuovo triste tipo di guerra ideologica che ci aspetta. Il lettore allora abbia pazienza, e mi consenta di concludere con una ennesima ripetizione generale. 28. Karl Marx (1818-1883)  stato lultimo dei grandi idealisti tedeschi. Se il proletariato, prima tedesco e poi universale, avesse potuto diventare erede della filosofia classica tedesca, e cio con ogni evidenza dell'idealismo, che  sempre diritto e non rovesciato, e che unisce sempre strettamente metodo e sistema, avrebbe ereditato il sistema idealistico di Marx. E questo sistema idealistico era una filosofia della totalit, totalit che  sempre per definizione un'Idea (lidea di totalit, appunto). Questa filosofia della totalit era una interpretazione idealistica della storia universale cosmopolitica (kosmopolitische Weltgeschichte), esattamente come lo erano state le filosofie precedenti dei suoi maestri Fichte ed Hegel, con la sola differenza che Marx intende (incautamente, come poi si vedr) totalizzare passato, presente e futuro (dalla comunit primitiva al comunismo sviluppato moderno), mentre Hegel saggiamente si era limitato a totalizzare il passato ed il presente, senza che peraltro questo implicasse una inesistente fine della storia. L'avere vissuto la sua giovinezza filosofica nel contesto storico del decennio 1835-1845, caratterizzato in superficie (ma solo in superficie) dallo scontro largamente manipolato fra Destra e Sinistra hegeliana, port il giovane Marx ad una sorta di comprensibile e scusabile schizofrenia teorica, per cui da un lato elaborava un sistema filosofico implicito largamente idealistico, basato sulla nozione di ente naturale generico (Gattungswesen) la cui potenzialit interna di tipo aristotelico (dynamei on)  quella di superare progressivamente l'alienazione (Entfremdung), e dall'altro si dichiarava materialista nel senso di ateo, sotto la duplice influenza della sua lettura di Epicuro (la deviazione materiale degli atomi metaforizzata come libert umana dell'individuo concreto) e della sua lettura di Feuerbach (lateismo umanistico come posizione corretta da correggere ed integrare con la lotta di classe comunista). Il connotare Marx come materialista e rovesciatore di Hegel  frutto di un autofraintendimento teorico dello stesso Marx che si  poi consolidato nel tempo come pigra ed inerziale tradizione dogmatica di scuola. La Materia per Marx  una semplice Metafora dell'ateismo, e cio della critica alla concezione teo-antropomorfica della divinit gi criticata da Spinoza nella sua Etica, e dello strutturalismo, e cio della concezione per cui una vera 138 Il materialismo e la storia del marxismo da Marx a oggi filosofia della storia dellemancipazione umana deve essere validata da una teoria della determinazione da parte della Struttura (e cio dal rapporto interattivo fra forze produttive e rapporti di produzione dentro un modo di produzione storicamente determinato) sulle Sovrastrutture (ideali, ideologiche, religiose, giuridiche, artistiche, eccetera). Una concezione specifica e non metaforica di Materialismo ha invece senso soltanto in tre casi particolari: a) Metodo e sistema della deduzione sociale e storica delle categorie prima ideologiche e poi filosofico-veritative (teoria delleccedenza), in opposizione a tutte le concezioni dossografiche della storia del pensiero umano, ed in opposizione anche alla concezione alla Kant per cui non c' bisogno di una deduzione sociale (e cio materiale), ma basta ed avanza una deduzione trascendentale pura delle categorie stesse. b) Consapevolezza esistenziale della fragilit biologica delluomo (Leopardi, ultima lettera di Labriola a Croce, Timpanaro, eccetera). Questa consapevolezza non  in opposizione, ma  anzi integrativa, della concezione di Epicuro del piacere misurato, in cui l'accento, che solitamente cade sul piacere (edon), deve invece cadere sulla misura (metron), il che fa di Epicuro l'erede a pieno titolo della saggezza greca di Solone e di Socrate (e pi del primo che del secondo). Nella misura in cui il marxismo ha una etica, questa  l'etica di Epicuro. Oggi, per, nell'epoca della Dismisura e della Illimitatezza della Ricchezza del capitale finanziario globalizzato, ogni etica sociale  impossibile, ed  solo possibile una morale provvisoria (sia individuale che comunitaria  ed ecco perch occorre ripensare il comunitarismo  di resistenza e di solidariet). c) Generalizzazione interdisciplinare dei risultati acquisiti dalla ricerca scientifica specialistica sulle varie forme della cosiddetta materia. Questa generalizzazione, per, non ha di per s a che fare con la filosofia propriamente detta, che  nata a suo tempo come /ogos sokratikos, e quindi come consapevole e sobria autolimitazione ai soli rapporti umani e sociali. Continuatori (largamente inconsapevoli) del logos sokratikos sono stati in epoca moderna Fichte, che saggiamente non incorpora la natura nella sua dialettica, Hegel, che invece formalmente incorpora anche la natura ma di fatto la tratta come mera negativit che luomo non pu assorbire nella sua evoluzione, ed infine Lukcs, che nell'epoca della dissoluzione del tragicomico materialismo dialettico, la religione identitaria delle burocrazie comuniste, si ripromise, pur con mille incertezze e contraddizioni, di edificare una ontologia limitata al solo essere sociale. 139 CAPITOLO TERZO Questi tre significati di materialismo sono stati ampiamente segnalati in questo studio, insieme con il quarto significato (materialismo come ateismo), che per  largamente improprio, perch si pu essere atei ed idealisti nello stesso tempo. | Dopo il 1846 Marx ritiene di non doversi pi occupare di filosofia, e di concentrare tutti i suoi sforzi nella sola critica dell'economia politica. Scelta legittima, anche se discutibile, che di fatto ha permesso l'elaborazione della sua mirabile e tuttora largamente valida concezione (di cui continuo soggettivamente e considerarmi un allievo indipendente).  per errata linterpretazione della cosiddetta rottura epistemologica fra il primo ed il secondo Marx (Louis Althusser e scuole althusseriane posteriori). Marx non rompe mai con la sua fondazione pienamente idealistica (l'ente naturale generico protagonista di un progetto emancipativo globale dentro lo scenario della storia universale cosmopolitica pensata unitariamente come un unico concetto trascendentale riflessivo). Semplicemente la sua premessa idealistica viene metabolizzata, e quindi organicamente assorbita, nella sua concezione critica dell'economia politica, attraverso la fusione della teoria hegeliana dellalienazione e della teoria smithiano-ricardiana del valore, fusione che produce una teoria unica. Questa interpretazione, anticipata da Franz Petry in Germania e da Isaac Rubin in Russia,  stata poi sviluppata correttamente nel marxismo italiano degli anni Settanta del Novecento da Claudio Napoleoni e da Lucio Colletti. Il fatto poi che Claudio Napoleoni ne abbia tratto la conseguenza che esiste una critica dell'economia politica (che poi lui confondeva con la critica alla Tecnica di Heidegger) ed una economia politica critica neo-ricardiana di sinistra (sulla cui base fare poi il consigliere del moderno principe PCI, poi dopo la sua morte PDS e DS), non mi riguarda,  ma riguarda solo la venerabile ombra di Napoleoni. Il fatto poi che Lucio Colletti ne abbia tratto la conclusione che tutto l'impianto teorico della teoria di Marx era platonico, neoplatonico, hegeliano, antiscientifico ed altri mostri di varia natura, eccetera, e bisognava allora allontanarsene e ricongiungersi alle urla di Popper in favore dell'eternit del capitalismo, non mi riguarda, ma riguarda solo la venerabile ombra di Lucio Colletti. Resta il fatto che  vero che la teoria di Marx ha come fondamento filosofico la fusione fra una teoria filosofica dell'alienazione ed una teoria economica del valore. Queste due teorie, per, sono logicamente incompatibili, e la loro incompatibilit logica d inevitabilmente luogo ad una compresenza di elementi scientifici e di elementi utopistici. Quella di Marx  allora a tutti gli effetti una utopia scientifica, e chi non sopporta lossimoro  invitato a cambiare l'oggetto dei suoi studi. In un certo senso, tuttavia, i teorici del marxismo come utopia (Ernst Bloch) ed i teorici del marxismo come scienza (Louis Althusser), che si pensano lun laltro come reciprocamente incompatibili se 140 Il materialismo e la storia del marxismo da Marx a oggi non come sciocchi (sciocchi utopisti e/o sciocchi scientisti) sono in realt segretamente complementari, perch ognuno di loro pensa radicalmente solo un lato (irrelato) della questione. Si tratta - come ognuno vede  di una comune mancanza di dialettica. Toccher allora ai pensatori del futuro (ma noi dellattuale generazione non ci saremo gi pi da tempo - si tratta di una delle poche cose di cui sono ragionevolmente sicuro) districare questo nodo gordiano e ricomporre in una unit olisticamente costruita l'elemento utopico e l'elemento scientifico di Marx. A puro titolo di incerta previsione posso solo dire che bisogner quasi sicuramente rinunciare all'elemento organicistico dell'utopia (la societ comunista intesa come comunit della trasparenza integrale fra gli individui  incubo da evitare e non da sperare) ed all'elemento deterministico della scienza (il futuro come luogo della previsione frutto di un prolungamento futurologico delle tendenze sociali attuali  non  cos, il futuro  sempre ontologicamente il novum, o se si vuole, un experimentum mundi). 29. Friedrich Engels (1820-1895)  molto pi importante di Marx per determinare correttamente la genesi e lo sviluppo del cosiddetto materialismo marxista, che  in realt una sua integrale creazione. Al di fuori di alcune marginali province geografiche (come quella italiana, cui dedicher pi avanti un sommario paragrafo) il marxismo mondiale, il solo che abbia veramente contato, si  filosoficamente costruito sulla base di tre opere filosofiche di Engels (Anti-Diihring, Ludwig Feuerbach e la fine della filosofia classica tedesca, Dialettica della natura). Sono queste le tre opere (lo ammetto, poco divertenti e filosoficamente indigeste, ma anche l'olio di fegato di merluzzo lo ) che bisogna aver letto e studiato, se si vuole (ma non ce lo ha certamente ordinato il medico) aprire consapevolmente il becco sulla natura del marxismo. Ed  appunto ci che oggi non fa nessuno, perch sfido lo studioso curioso a trovare una sola dj queste opere in una qualunque libreria del mondo felice del politicamente corretto. In Engels c' una felice schizofrenia. Da un lato, ha vissuto la sua giovinezza nell'epoca degli entusiasmi olistici di riscatto del tardo romanticismo tedesco. Dall'altro, ha vissuto la sua maturit produttiva nell'epoca del positivismo egemonico ed affermato. Come il dottor Jekill e mister Hyde, Engels ha innestato un metodo ed un contenuto integralmente positivistici su di un substrato psicologico e culturale tardo-romantico. Su questo punto pi acuto e pi intelligente di Marx (altro che solo talento e non genio!) - che era scioccamente convinto che la previsione scientifica della formazione di un lavoratore collettivo cooperativo associato alleato ad un fantomatico General Intellect potesse essere la filosofia di se stessa (concezione simile a quella di Wittgenstein, per cui una volta usata la scala 141 CAPITOLO TERZO per salire la si pu anche buttare via!), e dunque della filosofia non ce ne fosse pi bisogno (io ammiro Marx, consento il diritto alla sciocchezza, ma questa idiozia  veramente troppo grossa!) , Engels capiva invece che la filosofia  una attivit permanente ed indistruttibile delluomo in quanto tale, e quindi saggiamente cerca di organizzarne una credibile e soprattutto sistematica, perch il sistema  un bene e non un male, a differenza di come pensano i post-moderni, i blob e compagnia cantante. Il suo sistema, per,  cattivo. Ed  cattivo perch non poteva essere che cattivo, visto che era figlio di due genitori incorreggibilmente cattivi, la penosa subalternit culturale della classe operaia tedesca, da un lato, e la saccenteria positivista dell'universit tedesca dall'altro. Ma ho gi accennato a Lange ed a Laas, e qui mi permetter di compendiare ancora una volta i due punti essenziali della questione. In primo luogo, la filosofia classica tedesca  grande soprattutto in ci, che ha superato brillantemente il punto di vista del realismo gnoseologico religioso, dello scetticismo inglese e del criticismo kantiano per riaffermare l'unit sacrosanta fra Soggetto ed Oggetto della Totalit pensabile, che  l'inserimento della societ storica attuale nella storia universale. Ho parlato della sola societ, o meglio del solo essere sociale, perch la natura non  ontologicamente incorporabile nei progetti umani. Fichte lo cap perfettamente, ed ecco perch  il pi materialista dei grandi idealisti, quello che sa bene che la Prassi  dialettica, ma la Natura non lo . Invece Schelling non lo cap assolutamente, e per questo resta uno spinozista kantiano (Hegel), ed a mio avviso non  neppure un idealista. In quanto a Hegel ed a Marx, nellessenziale tornano a Fichte, anche se Hegel ritiene opportuno inserire il tutto in una triade totalizzante (Idea-Natura-Spirito), che per di fatto neutralizza la natura isolandola dalla prassi umana, e Marx si lascia andare a (sia pure inedite) banalit sulla naturalizzazione delluomo e sulla umanizzazione della natura. Chi pensa che per salvaguardare gli equilibri ecologici del pianeta e per salvare le balene e le foche, oltre che per non morire di inquinamento, eccetera, ci voglia una dialettica della natura o qualcosa del genere non capisce - mi dispiace  i termini filosofici elementari del problema. La natura resta un vincolo esterno all'uomo, ed appunto per questo bisogna rispettarla. Ora, Engels vorrebbe ereditare la filosofia classica tedesca abolendone il cuore massimo e principalissimo, e cio lunit Soggetto-Oggetto, e sostituendolo con la buona vecchia gnoseologia religiosa di Tommaso d'Aquino, per cui la conoscenza rispecchia un mondo esterno dato per presupposto. Ma, appunto, la teoria del realismo gnoseologico per cui rispecchiamo progressivamente in modo sempre migliore un dato esterno dato per preliminare funziona unicamente appunto per la natura naturale, 142 Il materialismo e la storia del marxismo da Marx a oggi e non per la natura sociale. Certo, sono d'accordo che per conoscere la materia, intesa come materia astronomica, fisica, biologica, eccetera, la gnoseologia del realismo  giusta e corretta (rimando qui ai libri di Ludovico. Geymonat). Ma questo non funziona per il mondo storico e sociale, in cui la filosofia della prassi dice appunto che la trasformazione  anch'essa conoscenza. Certo, se si vuole dire che per trasformare il mondo sociale bisogna prima conoscerlo (storia, sociologia, economia, eccetera) si dice una ovviet, che nessuno pu seriamente contestare. Ma il fatto  che Natura e Societ hanno due statuti ontologici incompatibili: la prima si pu conoscere per rispecchiamento gnoseologico progressivo, la seconda invece  unit di trasformazione soggettiva e di conoscenza oggettiva. Mi sembra allora chiara la ragione materiale della confusione di Engels, che  possibile capire soltanto con il metodo materialistico della deduzione sociale delle categorie: Engels unificava natura e societ perch voleva estendere il principio della necessit della natura anche al principio della necessit dell'evoluzione sociale, identificata con la presunta (ed in realt inesistente!) previsione scientifica della necessit del passaggio dal capitalismo al socialismo. C' ancora qualcuno, oggi, che intende riaffermare veramente questo principio? Bene, mi congratulo, e mi spiace che abbia speso malamente i soldi per acquistare questo saggio. In secondo luogo, la filosofia classica tedesca  grande soprattutto in ci, che ha superato brillantemente il punto di vista per cui lintera storia della filosofia occidentale pu essere scritta sulla base di una lavagna dei buoni e dei cattivi, In proposito non conosco nulla di meglio della ricostruzione storica di Hegel, che si fonda proprio metodologicamente sul rifiuto della lavagna dei buoni e dei cattivi (il che non implica che io poi sia d'accordo con lui nei dettagli - ad esempio, non credo che Hegel abbia capito a fondo Epicuro, che a mio avviso tratta troppo male). Engels restaura penosamente la lavagna dei buoni e dei cattivi, con la sua borgesiana classificazione surreale dei buoni materialisti e dei cattivi idealisti, per di pi entrambi definiti in modo gnoseologico e non ontologico, cio in termini di teoria del rispecchiamento. Non torno pi nei penosi dettagli, che ciascuno potr esaminare in una storia sovietica della filosofia (ce ne sono anche in traduzione francese, inglese e tedesca, e quindi accessibili allo studioso italiano ignaro del russo). Ma  chiediamoci  a cosa serve la lavagna dei buoni e dei cattivi applicata alla storia del pensiero occidentale? Semplice, anzi semplicissimo. Serve a costituire una storia sacra, una grande narrazione trans-storica, un teatro dello scontro fra Buoni e Cattivi con auspicabile vittoria finale dei Buoni (alla fine saremo tutti materialisti, e con le budella dell'ultimo prete impiccheremo lultimo filosofo idealista piccolo- borghese). Serve, in poche parole, a ridurre la filosofia ad ideologia. Ma solo 143 CAPITOLO TERZO dei subalterni incurabili possono veramente pensare di ridurre lattivit filosofica, libera e veritativa per sua propria essenza, ad attivit ideologica di partito. 30. Lenin (1870-1924)  stato il grande rivoluzionario del 1917, il grande combattente contro il massacro della guerra imperialistica (1914-1918), e soprattutto il grande combattente anti-imperialista per cui lo stesso arretrato emiro dell'Afghanistan che resisteva agli inglesi era da preferire come alleato ai socialdemocratici civili che si alleavano organicamente con le borghesie imperialiste. Al grande Lenin personalmente mi sono ispirato e tuttora mi ispiro nella mia solidariet nei confronti del popolo palestinese oppresso dal sionismo e del popolo iracheno invaso e massacrato dall'impero assassino, in mezzo al coro di solidariet della sinistra metropolitana che alza le sue rauche grida in favore dei bombardamenti umanitari. E dunque viva sempre Lenin! Tuttavia, come dice lultima battuta del film americano A qualcuno piace caldo, nessuno  perfetto. E neppure Lenin lo . Il grande rivoluzionario resta un grande rivoluzionario, ma in filosofia le sue posizioni sono non solo penose, ma francamente odiose e pericolose. E questo non tanto e non solo per la sua difesa della teoria del rispecchiamento (un peccato veniale!), o per la sua idea balzana per cui il noumeno di Kant sarebbe un elemento materiale della conoscenza (qui il buon Lange ha colpito ancora!), ma per la sua consapevole e reiterata affermazione della cosiddetta partiticit della filosofia. Ma se la filosofia  partitica, allora lultimo coglione burocratico semianalfabeta giunto al comitato centrale pu sentirsi autorizzato non solo a condannare a morte Socrate e Giordano Bruno (gi fatto!), ma anche a mettere al bando le produzioni filosofiche di uno Spinoza, di un Kant o di uno Hegel. Ho lasciato da parte Marx, il santificato fondatore della ditta, che i burocrati non poterono mummificare essendo gi stato seppellito a Londra nel 1883, ma che sarebbe stato molto probabilmente inviato in un Gulag o fucilato, come peraltro genialmente anticipato dal Grande Inquisitore de I fratelli Karamazov di Dostojevski quando gli portano davanti l'incorreggibile rompiballe anarcoide Ges di Nazareth. Tutto questo  mi spiace  non si pu spiegare materialisticamente se non con l'ipotesi dell'irredimibile subalternit culturale e sociale della classe storica di riferimento. So bene che si tratta di una ipotesi fastidiosa per le orecchie pie e timorate del marxista di stretta osservanza. Io non sono responsabile del suo pio smarrimento. Provi invece lui a fare una ipotesi materialistica alternativa, e prometto che la prender in esame accuratamente. 144 Il materialismo e la storia del marxismo da Marx a oggi 31, Il cosiddetto marxismo occidentale meriterebbe una analisi dettagliata, in quanto si tratta della coscienza infelice della ortodossia politica comunista crollata nel triennio 1989-1991. Non esiste dunque una contrapposizione geografica Occidente/Oriente, dal momento che la libera pratica marxista in Giappone o in Corea  di fatto occidentale, mentre il marxismo di partito del comunismo francese  sempre stato robustamente orientale. Si tratta di una storia unitaria, al di l di apparenti scontri su questioni di dettaglio (rapporto Marx-Hegel, trasformazione dei valori in prezzi di produzione, natura della dialettica, ed altri punti pur interessanti ma specialistici). Si tratta di una lunga storia di impotenza istituzionalizzata, e per di pi di una impotenza vissuta anche soggettivamente come tale, nella generalizzata sensazione di non poter comunque cambiare le cose, e che ogni innovazione teorica diventa  irricevibile se il destinatario  radicalmente intrasformabile. Il marxismo occidentale  nel suo insieme una religione novecentesca per intellettuali, o se si vuole una gnosi novecentesca per intellettuali, o ancora pi esattamente una religione gnostica novecentesca per intellettuali. In quanto tale si  trattato dellorganizzazione sociale e microcomunitaria di gruppi di testimoni completamente impotenti, in cui per la stessa impotenza  stata a modo suo una forma di grandezza, perch anche di fronte alle pi bestiali reazioni delle burocrazie comuniste (cito qui solo l'imprigionamento del marxista tedesco Rudolph Bahro nella defunta Repubblica Democratica Tedesca) questi gruppi di testimoni hanno mantenuto la loro fiducia nella riformabilit globale del marxismo. Per questa ragione non mi interessa enfatizzare le palesi differenze teoriche fra questi gruppi (ad esempio le due incompatibili formulazioni di Althusser e di Luk4cs) per sottolineare soltanto la loro impotente grandezza testimoniale. Il vecchio Hegel li avrebbe probabilmente connotati in termini di protesta impotente della coscienza infelice contro la dura realt storica intrasformabile. La maggior parte di coloro che si sono occupati di marxismo occidentale (non parlo qui dei dottrinari della varie scuole rissose, veri e propri capponi di Renzo Tramaglino che si beccano lun laltro mentre vengono portati in pentola per essere cucinati  ma qui siamo nel manicomio delle appartenenze ideologiche identitarie) sono stati troppo ingenerosi nei suoi confronti. Ad esempio Perry Anderson, che pure  in genere uno dei commentatori pi equilibrati della cultura marxista mondiale rimasta, e si  occupato a lungo in modo sistematico del marxismo occidentale, lo rimprover per aver effettuato una regressione dall'economia alla filosofia, compiendo cos un percorso inverso rispetto a Marx. Questa accusa a mio avviso non sta n in cielo n in terra. In primo luogo, se questa inversione di direzione dall'economia alla filosofia c' stata (ed 145 CAPITOLO TERZO indubbiamente c stata), c' stata per una ben precisa ragione materiale, e cio che mentre il terreno dell'economia era coperto (sia pure coperto male delle teorie del crollo economico del capitalismo, eccetera), quello della filosofia non lo era pi, e doveva appunto essere ricostruito. In secondo luogo, rimproverare i marxisti occidentali di non avere saputo parlare alle masse  una tautologica banalit, perch le masse occidentali realmente esistenti non hanno mai avuto nella loro grande maggioranza interesse per il comunismo politico e tantomeno per il marxismo teorico, avendo gi imboccato da molto tempo la via della integrazione consumistica del conflitto, al di l di piccole nicchie fisiologiche testimoniali di militantismo di avanguardia.  dunque del tutto ingeneroso accusare un nano di non arrivare ai ripiani pi alti dellarmadio. Il marxismo occidentale non ha mai potuto uscire dal cortissimo raggio della religione gnostica novecentesca per intellettuali, e deve essere quindi giudicato non sulla base di una impossibile sua influenza nella grande storia universale del pensiero, ma unicamente come una forma di epicureismo minoritario di estrema sinistra, e cio di testimonianza di nicchia. E come testimonianza di nicchia  stato una delle principali correnti filosofiche del Novecento, non certo minore del neopositivismo, della fenomenologia, dello heideggerismo, eccetera, ma anzi a mio avviso ancora migliore. 32. Apro qui una breve parentesi sulla storia del marxismo in Italia. Per ragioni che riguardano la storia nazionale italiana, il marxismo in Italia  stato uno dei pochissimi marxismi nazionali nel Novecento che non  stato praticamente (o  stato pochissimo) influenzato dalla corrente materialista di Engels, Lenin e Stalin. In effetti, per studiare la storia del marxismo in Italia, la lettura delle tre opere citate di Engels  quasi inutile. Vi sono per questo alcune ragioni di fondo, ma qui mi limiter a ricordarle brevemente. In primo luogo, le origini della discussione marxista italiana risalgono ad un triangolo di fine Ottocento (Antonio Labriola, Giovanni Gentile, Benedetto Croce), in cui lautore di riferimento non  Engels, e neppure la coppia Kautsky-Bernstein, ma  lo stesso Labriola, che ha un profilo filosofico assolutamente particolare ed irriducibile a qualunque altro. In secondo luogo, i Quaderni del carcere di Antonio Gramsci, la cui ricca parte filosofica  stata poi la fonte autoritativa principale del dibattito filosofico marxista in Italia dopo il 1945, sviluppano una critica diretta alle due forme di idealismo di Croce e di Gentile, mentre ignorano quasi del tutto le fonti filosofiche di Engels e di Lenin. Per alcuni, come Geymonat, questo  stato un male, mentre per altri (come chi scrive)  stato invece un bene. 146 Il materialismo e la storia del marxismo da Marx a oggi In terzo luogo, quando Palmiro Togliatti, a partire dal 1945, ha costruito il PCI come partito nuovo di massa, ha anche scelto una base filosofica aperta e flessibile ispirata allo storicismo e non certamente al materialismo dialettico dei manuali sovietici. Si  trattato di una scelta molto intelligente, in quanto si innestava nella continuit di quellidealismo di sinistra che aveva portato molti intellettuali negli anni trenta ad aderire al comunismo in modo del tutto indipendente da Stalin. In quarto luogo, infine, la sola variante marxista italiana che si contrappose allo storicismo di Togliatti, e cio loperaismo di Raniero Panzieri, fu anch'essa del tutto estranea al materialismo filosofico di Engels e Lenin, ma si ispir invece piuttosto alla sociologia del conflitto anglosassone, unita ad una lettura neo-ricardiana dell'economia di Marx. Un'analisi della dinamica particolare del marxismo italiano e del suo rapporto con il materialismo esula per dal contenuto di questo saggio. 33. Posso allora chiudere finalmente il mio gi troppo lungo discorso con un consiglio metodologico per il lettore. Il lettore ovviamente legge poi come vuole, ma questo non toglie che anche lautore ha il diritto ad un educato suggerimento metodologico. In primo luogo, il problema della dialettica ed il problema del materialismo restano un solo ed unico problema. Ci che conta, infatti,  il modo in cui viene costruita e pensata la totalit olistica con cui noi pensiamo la realt, prima in modo semplicemente intuitivo e soltanto dopo in modo razionale e strutturato, mentre la presa in considerazione separata della , dialettica e del materialismo  meno importante. In questo senso, se noi prima non intuiamo il carattere distruttivo ed alienante della riproduzione capitalistica illimitata e smisurata, distruttrice dell'ambiente e delle stesse radici antropologiche comunitarie delluomo, nessun argomento posteriore potr mai in qualche modo convincerci. Questo non  affatto irrazionalismo, Dio ce ne scampi, ma soltanto presa datto di una esperienza quotidiana, il fatto cio che largomentazione viene generalmente in supporto di una preventiva intuizione olistica della totalit alienata. Il modo di ragionare kantiano e l'abitudine religiosa a stilare la lavagna dei buoni e dei cattivi non solo non aiutano, ma impediscono di orientarsi liberamente nella ricostruzione del passato e nella valutazione del presente. In secondo luogo, l'etica e la politica senza una base filosofica sono nulla, e sono anzi quasi sempre pompose raccolte di banalit convenzionali. Con questo, non intendo dire per discutere del bene e del male e per partecipare all'attivit politica bisogna prima seguire un corso triennale di filosofia. Non sono mica scemo. Intendo invece dire che senza una preventiva concezione filosofica del mondo, generalmente implicita 0 poco esplicitata, concezione 147 CAPITOLO TERZO che  alla portata anche e soprattutto di chi in vita sua non ha mai neppure sentito nominare una volta Platone ed Aristotele, Kant e Hegel, eccetera, non  neppure possibile letica e la politica. La mia trilogia, purtroppo o per fortuna, si rivolge esclusivamente a coloro che invece in qualche modo padroneggiano la terminologia filosofica e la storia della filosofia. So bene che non sono molti. Ma in futuro, ed  una speranza razionale, potranno essere forse di pi. Spero che questa trilogia li aiuti a crescere, e soprattutto dia loro pi sicurezza, fiducia e speranza. 148 NOTA BIBLIOGRAFICA GENERALE La bibliografia critica sul materialismo  sterminata. Qui mi limiter a segnalare alcuni dei testi ricordati nel mio saggio e che ho consultato recentemente per riorganizzare meglio le idee. Non ricordo qui, perch l'ho gi fatto altrove, la mia personale bibliografia critica riguardante il marxismo, il comunitarismo e pi in generale la mia proposta ricostruttiva della filosofia antica, moderna e contemporanea. La rilettura pi feconda  quella del capolavoro di T. W. Adorno, Terminologia filosofica, 2 vol., Einaudi, Torino, 1975. Qui la terminologia filosofica  veramente esposta in modo dialettico, con continui rimandi da un concetto al suo opposto. Se ci si vuol rendere conto di che cosa significhi decadenza in filosofia, si legga quel vero e proprio calcio dell'asino ai suoi maestri di ]. Habermas, Il discorso filosofico della modernit, Laterza, Bari- Roma, 1987. Un'indispensabile introduzione storica e terminologica ai concetti usati  contenuta in A. Pacchi, Materia, Isedi, Milano, 1976 ed in P. Casini, Natura, Isedi, Milano, 1975. Estremamente ricco di spunti  il dialogo di W. Post-A. Schmidt, Che cos' il materialismo, Laterza, Bari-Roma, 1976. Dai rilievi di Schmidt ho tratto il concetto di natura in Marx elaborato in questo mio scritto. La definizione di Ludovico Geymonat  tratta da Materialismo e Marxismo, in Marxismo oggi, I, novembre 1987. Molto utile mi  stata la silloge di M. Cingoli, Marxismo Empirismo Materialismo, Marcos y Marcos, Milano, 1986. Per la concezione di materialismo nellultimo Althusser si veda idem, Sul materialismo aleatorio, Unicopli, Milano, 2000. Di Timpanaro si veda S. Timpanaro, Sul materialismo, Nistri Lischi, Pisa, 1975, ma ancor meglio il breve ma ricco Dialogo sul materialismo con Fabio Minazzi in Marx 101, 4,1991. Sul materialismo etnologico si veda M. Harris, Cannibali e Re, Feltrinelli, Milano, 1979. Mi sono ampiamente servito di due storie della filosofia. La prima  quella di M. Bontempelli-F. Bentivoglio, Il senso dell'essere nelle culture occidentali, Trevisini, Milano, 1992. La seconda, ampiamente citata,  quella di F. 149 NOTA BIBLIOGRAFICA GENERALE Voltaggio, I filosofi e la storia, Principato, Milano, 1981. Nel panorama dell'editoria scolastica italiana, si tratta dei due testi che si sono maggiormente avvicinati ad una deduzione sociale delle categorie. A proposito del mondo antico si veda P. Nizan, I materialisti dell'antichit, Bertani, Verona, 1972, e la lettura completamente opposta di W. Otto, Epicuro. All'insegna del Veltro, Parma, s.d. Molto importanti sono i due testi di P. T. d'Holbach, Sistema della natura, Utet, Torino, 1978; Il buon senso, Garzanti, Milano, 1985. La commovente lettera di Antonio Labriola che ho parzialmente citato  contenuta in A. Labriola, Lettere a Benedetto Croce, Editrice 1.5.5, Napoli, 1975. A proposito di Severino e Galimberti, da me ampiamente citati, si vedano i due lavori monografici di Luca Grecchi: Nel pensiero filosofico di Emanuele Severino, Editrice Petite Plaisance, Pistoia, 2005; Il pensiero filosofico di Umberto Galimberti, Editrice Petite Plaisance, Pistoia, 2006. Per una concezione filosofica della religione non ridotta ad antropocentrismo cerimoniale vedi M. Vannini, Mistica e filosofia, Piemme, Casale Monferrato, 1996. Sulle fonti classiche di Sohn-Rethel si veda: A. Sohn-Rethel, Lavoro intellettuale e lavoro manuale, Feltrinelli, Milano, 1977; Il denaro. L'apriori in contanti, Editori Riuniti, Roma, 1991. Il classico di Simmel, mai abbastanza letto e studiato,  G. Simmel, La filosofia del denaro, Utet, Torino, 1984. Letta bene, quest'opera ci introduce dentro l'enigma del crollo del comunismo storico novecentesco e della correlata vittoria del capitalismo. Ma questo  un enorme continente teorico da discutere a parte. Per una ottima storia del marxismo in Italia si veda C. Corradi, Storia dei marxismi in Italia, Manifestolibri, Roma, 2005.  Non ritengo opportuno riportare alla fine di questa nota bibliografica moltissime fonti che pure ho utilizzato. Alcune sono in lingua greca, e quindi inutilizzabili per il lettore italiano. Altre sarebbero utilizzabili, perch in lingua inglese, francese e tedesca, ma di fatto sono introvabili ed indisponibili, perch si tratta di edizioni sovietiche sparite e distrutte nel diluvio universale del 1991. Se ne occuperanno certamente archeologi delle prossime generazioni. Per ora ritengo che il compito di chi scrive sia anche quello di conservare la memoria di dibattiti che a suo tempo entusiasmarono una intera generazione. 150 Indice PROLOGO Il completamento ed il perfezionamento del progetto teorico complessivo di una trilogia .................................vv INTRODUZIONE Il materialismo come concezione globale del mondo. Significati storici e filosofici, metafore ideologiche e politiche, contraddizioni e chiarimenti ............... CAPITOLO PRIMO Materialismo e religione. Storia e filosofia dellateismo nella sua ostile complementariet con la perennit dell'esperienza religiosa ...............MMririin CAPITOLO SECONDO Materialismo e Filosofia. La riscrittura della storia della filosofia occidentrale e la deduzione storico-materialistica delle categorie filosofiche e ideologiche nella loro distinzione qualitativa .............svvriiiiiiiirir rienza * CAPITOLO TERZO  Il materialismo e la storia del marxismo da Marx a oggi. Un ritorno interminabile sullo spazio teorico della autoriflessione filosofica delle contraddizioni sociali fra scienza, utopia, dialettica e Metafisica .......Mirirrirecerecnene NOTA BIBLIOGRAFICA GENERALE ...........c.c.scccceciccrcriicecizin irene rcerereneizioniceo mansecesentoreo 151 Costanzo Preve STORIA DELLA DIALETTICA Questa breve storia della dialettica  stata pensata e scritta sulla base di un criterio dialettico, quello della compresenza necessaria in una sola unit concettuale di due opposti in correlazione essenziale. Questi due opposti in correlazione essenziale sono lElemento Contingente e lElemento Permanente nella produzione di verit filosofiche. Da un lato, tutte le categorie filosofiche sono prodotte all'interno di un ben preciso contesto storico e sociale, non cadono dal cielo, non sorgono da una generica ed improbabile ispirazione, e non possono evitare un ... uso ideologicoed una strumentalizzazione politica e religiosa. Questo  s il Contingente. a Dall'altro, queste stesse categorie producono verit (e falsit) filosofiche che sopravvivono al loro tempo ad aiutano gli uomini di tutte le epoche ad interpretare la loro condizione umana. E questo  il Permanente. L'unione di Contingente e di Permanente  l'elemento dialettico della storia della filosofia. In quindici brevi e concisi capitoli storici vengono indagati alcuni sistemi di pensiero dialettico e non. Si tratta nellordine: dell'origine della filosofia greca e di Eraclito, di Socrate, di Platone, di Aristotele, dei neoplatonici antichi e Plotino, dei filosofi cristiani medioevali, di Rousseau, di Kant, di Fichte, di Hegel, di Marx, dei problemi del rapporto fra materia- lismo e dialettica, della dialettica nel pensiero marxista, della natura sociale e filosofica delle critiche alla dialettica ed infine, per concludere, si tenta una in-terpretazione dialet- tica della situazione storica attuale. Il solo modo che ha la carta per scusarsi con gli alberi che sono stati tagliati per confezio- narla  quello di fare da supporto materiale ad idee nuove ed originali. Il lettore ne trover certamente molte, inedite ed a prima vista un po sconcertanti. L'ideale per aprire quella discussione filosofica radicale e senza rete che molti spiriti sensibili oggi auspicano. PREMESSA / INTRODUZIONE: Dialettica e filosofia nella storia bimillenaria del pensiero occidentale CaritoLo PRIMO: La genesi storica, sociale e ideale della filosofia greca / CarmroLo SECONDO: La dialettica di Socrate /CAritoLO TERZO: La dialettica di Platone / CAPITOLO QUARTO: La dialettica di Aristotele / CAPITOLO QUINTO: La dialettica dei neoplatonici antichi /Caprroto sesto: La dialettica dei teologi e dei filosofi cristiani /CAPrTOLO SETTIMO: La dialettica di Rousseau /CaprroLo OTTAVO: La dialettica di Kant /CarrTOLO NONO: La dialettica della prima forma di idealismo moderno: Fichte / CarrtoLo DECIMO: La dialettica della seconda forma di idealismo moderno: Hegel / CarrroLo - unpicesmo: La dialettica della terza ed ultima forma di idealismo moderno: Marx / Captroro DODICESIMO: L'impossibile matrimonio fra dialettica e materialismo / CAPITOLO TREDICESIMO: L'illusoria teologia dialettica unificata di natura e societ: la tragicomica storia del materialismo dialettico / CAPITOLO QUATTORDICESIMO: Le critiche politico-filosofiche alla dialettica da Eduard Bernstein a Lucio Colletti /CarrroLO QUINDICESIMO: La dialettica oggi. L'incubo della fine capitalistica della storia ed il sogno di una utopia concreta di emancipazione / CAPITOLO sEDICESIMO: Conclusione e sintesi / NOTA BIBLIOGRAFICA GENERALE COMMENTATA 152 Costanzo Preve STORIA DELL'ETICA L'etica nasce storicamente come funzione sociale diretta della riproduzione comunitaria, secondo una logica che la teoria dell'evoluzione di Darwin descrive in modo sostanzialmente esatto. Ma, dal momento che luomo  un ente naturale generico dotato di ragione e linguaggio, e che il suo sviluppo sociale si compie dialetticamente attraverso un'articolazione classista della comunit, ad un certo punto sorge necessariamente una problematizzazione morale dei fondamenti dell'etica tradizionale. Questa storia dell'etica, ispirata al metodo della logica della storia di Karl Marx, parte dalla dialettica dicotomica fra Misura e Dismisura nel modo di produzione dei piccoli produttori indipendenti della Grecia classica e si sviluppa sulla base di passaggi storici successivi. Si considerano in particolare il modo di produzione schiavistico antico ellenistico-romano, i due aspetti delletica cristiana dal momento messianico al momento gerarchico feudale, ed infine l'etica nel capitalismo periodizzato in tre momenti successivi (epoca di transizione tardosignorile e protofeudale, capitalismo classico dicotomico scisso in borghesia e proletariato, ed attuale capitalismo smisurato senza classi postborghese e postproletario). Un capitolo  poi dedicato al dilemma etico del comunismo storico novecentesco recentemente defunto (1917-1991). I tre capitoli finali del saggio sono dedicati alla discussione di questioni filosofiche concernenti la fondazione teorica di un'etica che sia all'altezza delle sfide del mondo attuale. Il mondo attuale  connotato come un mondo che non rende possibile alcuna fondazione razionale dell'etica che non sia un'etica della resistenza.  questa ad un tempo la premessa e la conclusione di questo saggio. Senza resistenza all'immoralit strutturale del mondo attuale non  possibile alcuna etica, ed ogni discussione sugli ismi appare priva di orizzonte e di consistenza. Premessa: Chiarimento al lettore del metodo impiegato in questa storia dell'etica INTRODUZIONE: Sulle tracce incerte di una continuit nell'oggetto del ruolo dell'etica nelle societ umane /CarrtoLO PRIMO: Il nesso di etica e di religione nella etnogenesi delle comunit umane / CAPITOLO SECONDO: L'etica nel modo di produzione dei piccoli produttori indipendenti della Grecia classica dai presocratici ad Aristotele /CartroLo TERZO: L'etica nel modo di produzione schiavistico ellenistico e romano da Epicuro al tramonto del mondo antico /CarmoLo QUARTO: L'etica messianica di salvezza nel primo cristianesimo fino alla normalizzazione costantiniana / CAPITOLO QUINTO: L'etica gerarchica nel modo di produzione feudale europeo comparata con l'etica di altri modi di produzione tributari / CaritoLo sesto: L'etica della modernit europea nell'epoca di transizione tardosignorile e protoborghese / CAPITOLO SETTIMO: L'etica nel modo di produzione capitalistico classico nelle sue varianti complementari borghese e proletaria / CaritoLo OTTAVO: Il ruolo dell'etica nel contesto del comunismo storico novecentesco recentemente ed irreversibilmente defunto (1917-1991) / CaritoLo Nono: L'etica nel modo di produzione capitalistico attuale integralmente ed inaspettatamente postborghese e postproletario / CAPITOLO pecMO: Le critiche e gli smascheramenti della morale, presupposti inconsapevoli dell'etica nichilistica postborghese e postproletaria / CAPITOLO UNDICESIVO: Il luogo filosofico di unaporia. Il pensiero di Karl Marx fra superamento della morale ed etica dell'emancipazione / CAPITOLO DODICESIMO: Fra le macerie dell'utopia scientifica di Marx. Determinismo teleologico, messianesimo secolarizzato ed ontologia dell'essere sociale /INOTA BIBLIOGRAFICA GENERALE 153 il giogo 1. Luca Grecchi, La verit umana nel pensiero religioso di Sergio Quinzio. 2. AA. VV., Sumbdllein. Riflessioni sugli scritti di Umberto Galimberti. Federico Bordonaro, L'et della tecnica? Appunti di lettura di Psiche e Techne  Michele Marolla, Dalla crisi della ragione alla coscienza simbolica. Esposizione e osservazioni critiche intorno al saggio di U. Galimberti, La terra senza il male. Jung: dall'inconscio al simbolo  Franco Toscani, Sacro, tecnica, etica nel pensiero di Umberto. Galimberti  Diego Melegari, Dall'equivoco alla possibilit  Alberto Giovanni Biuso, Corpo e Tempo - Costanzo Preve, Marx e Heidegger. Pervasivit della tecnica e critica culturale al capitalismo nei due classici ed in alcuni loro interpreti contemporanei  Giuseppe Bailone, La malattia genetica del marxismo. Obiezioni al Marx e Heidegger di Costanzo Preve  Giuseppe Bailone, I vizi di Galimberti e il peccato di Aracne. 3. Umberto Galimberti - Luca Grecchi, Filosofia e Biografia. 4. Luca Grecchi, Nel pensiero filosofico di Emanuele Severino. 5. Luca Grecchi, Corrispondenze di metafisica umanistica. 6. Luca Grecchi, Il necessario fondamento umanistico della metafisica. 7. Costanzo Preve  Luca Grecchi, Marx e gli antichi Greci. 8. AA. VV., Dialettica oggi. Costanzo Preve, Elogio della filosofia. Fondamento, verit e sisterna nella conoscenza e nella pratica filosofica dai greci alla situazione contemporanea  Giuseppe Bailone, La verit si pu mettere ai voti?  Enrico Berti, Si pu parlare di una evoluzione della dialettica platonica?  Mario Vegetti, La dialettica nella Repubblica di Platone - Domenico Losurdo, Contraddizione oggettiva e analisi della societ: Kant, Hegel, Marx - Giovanni Stelli, Alcune osservazioni sulla dialettica hegeliana  Nello De Bellis, Note a margine sulla dialettica di Hegel  Alberto Giovanni Biuso, Dialettica e benedizione. Sull'antropologia greca di Friedrich Nietzsche  Michele Marolla, Riflessioni sull'attualit della dialettica. 9. Luca Grecchi, Conoscenza della felicit. Premessa di Mario Vegetti. 10. Luca Grecchi, Il pensiero filosofico di Umberto Galimberti. Presentazione di Carmelo Vigna. 11. Costanzo Preve, Storia della Dialettica. 12. Marino Gentile, La metafisica presofistica. Con una Appendice su Il valore classico della metafisica antica. Introduzione di Enrico Berti. 13. Costanzo Preve, Storia dell'Etica. 14. Enrico Berti, Incontri con la filosofia contemporanea. 15. Luca Grecchi, Il presente della filosofia italiana. 16. Costanzo Preve, Storia del Materialismo. 17. Giovanni Casertano, La nascita della filosofia vista dai Greci. 18. Mario Vegetti, Scritti con la mano sinistra. 19. Diego Fusaro, Incursioni nella filosofia moderna. 154 altri nostri titoli Massimo Bontempelli, Il respiro del Novecento. Percorso di storia del XX secolo (1914- 1945). Paul Forman, Fisici a Weimar. La cultura di Weimar, la causalit e la teoria quantistica. A cura di Tito M. Tonietti. Costanzo Preve, Hegel Marx Heidegger. Un percorso nella filosofia contemporanea. Luca Grecchi, L'anima umana come fondamento della verit. Daniela Belliti, Dopo il totalitarismo. Filosofia e politica nel pensiero di Hannah Arendt. Luca Grecchi, Karl Marx nel sentiero della verit. Gianfranco La Grassa, Il capitalismo oggi. Dalla propriet al conflitto strategico. Per una teoria del capitalismo. Luca Grecchi, Verit e dialettica. La dialettica di Hegel e la teoria di Marx. Costanzo Preve, Le contraddizioni di Norberto Bobbio. Per una critica del bobbianesimo cerimoniale. Eric Weil, Pensare il mondo. Filosofia Dialettica Realt. Costanzo Preve, Un secolo di marxismo. Idee e ideologie. Carlo Carrara, La domanda del senso. Per una filosofia del ri-trovamento. Giancarlo Paciello, Quale processo di pace? Cinquant'anni di espulsioni e di espropriazioni di terre ai palestinesi. Costanzo Preve, Verit filosofica e critica sociale. Religione, filosofia, marxismo Massimo Bontempelli, Filosofia e Realt. Saggio sul concetto di realt in Hegel e sul nichilismo contemporaneo. Federico Dinucci, Marx prima di Marx. Teoria del valore e processi di globalizzazione. Diego Melegari, I/ problema scongiurato. Note su Antonio Negri e il partito del General Intellect. Costanzo Preve, Individui liberati, comunit solidali. Sulla questione della societ degli individui. Marino Badiale, La Mappa e il Paesaggio. Osservazioni critiche sull'epistemologia del Novecento. Costanzo Preve, Il bombardamento etico. Saggio sull'Interventismo Umanitario, sullEmbargo Terapeutico e sulla Menzogna Evidente. Marco Salvioli, Kenosi e De-centramento. Il concetto di Dio tra J. Derrida e M. C. Taylor. Costanzo Preve, Marxismo, Filosofia, Verit. Massimo Bontempelli-Costanzo Preve, Ges uomo nella storia, Dio nel pensiero. Federico Dinucci, Materialismo aleatorio. Saggio sulla filosofia dell'ultimo Althusser. Massimo Bontempelli - Costanzo Preve, Nichilismo Verit Storia. Un manifesto filosofico della fine del XX secolo. Costanzo Preve, I secoli difficili. Introduzione al pensiero filosofico dell'Ottocento e del Novecento. Giancarlo Paciello, La nuova Intifada. Per il diritto alla vita del popolo palestinese. Andrea Cavazzini, Teoria, Ideologia, Storia. Note critiche su un inedito di Althusser. Roberto Signorini, Arte del fotografico. I contini della fotografia e la tesine teorica degli ultimi venti anni. 155 altri nostri titoli Gianfranco La Grassa, L'imperialismo. Teoria ed epoca di crisi. Costanzo Preve, L'educazione filosofica. Memoria del passato - Compito del presente - Sfida del futuro. Andrea Cavazzini, Evento e concetto. Filosofia e Storia della Filosofia. Costanzo Preve, Le avventure dell'ateismo. Religione e materialismo oggi. Massimo Bontempelli, La conoscenza del bene e del male. Costanzo Preve, Destra e Sinistra. La natura inservibile di due categorie tradizionali. Fabio Bentivoglio, Aristotele: Metafisica. Scienza, natura e destino dell'uomo Costanzo Preve, Marxismo e Filosofia. Note, riflessioni e alcune novit. Paolo Turi, mile Durkheim e il problema dell'ordine. Giancarlo Paciello, La conquista della Palestina. Le origini della tragedia palestinese. Massimo Bontempelli, Tempo e Memoria. La filosofia del tempo tra memoria del passato, identit del presente e progetto del futuro. Fabio Bentivoglio, Giustizia conoscenza e felicit. Idee, miti e attualit ne La REPUBBLICA di Platone. Maria Luisa Tornesello, Il sogno di una scuola. Lotte ed esperienze didattiche negli anni Settanta: controscuola, tempo pieno, 150 ore. Allegato il cd-rom (per Windows) con l'audiovisivo Oltre il libro di testo, Parole ed esperienze di opposizione nella scuola dell'obbligo degli anni Settanta di Maria Luisa Tornesello e Roberto Signorini. Roberto Signorini, Alle origini del fotografico. Lettura di The Pencil of Nature (1844- 46) di William Henry Fox Talbot. 156 EGERIA Letteratura, arte, pensiero d'Europa Scrittrici del Novecento europeo. K. Bove - G. MANZINI - E. LASKER-SCHULER - V. WooLr - S. WEIL - M. CVETAEVA. : Interventi di: D. Marcheschi - M, Ghilardi - U. Treder - M. Del Serra - G. Fiori - C. Graziadei. La Minima. Due atti di MaurA DEL SERRA, con una nota di Daniela Marcheschi. Novanta. Verso un'arte di pensiero, di AMEDEO ANELLI. E. Aspozzo - G. Bar - S. CARDINALI - A. CAVALIERI - A. CESARI - F. DE BERNARDI - F. FEDI - G. GN - S. NIHLN - C, Rosi - F. ScaTOLI - M, TRANI - W. XERRA. Prose e interviste di MARGHERITA Gupacci. A cura di Ilaria Rabatti. Di poesia e d'altro - vol. I, di Maura DEL SERRA. M. MADDALENA - JACOPONE - L. DELLA RoBBIA - W. SHAKESPEARE - G. HERBERT - J. I. DE LA CRUZ - G. B. Vico - U. Foscoto - C. COLLODI - F. NIETZSCHE. Poeti del Novecento europeo. G. TRAKL - A. AcHMaTOva - T. S, ELIOT - F. G. Lorca - P. PAOLO PASOLINI - E. SODERGRAN. Interventi di: R. Carifi - M, Colucci - R. Sanesi - A. Melis - M. Del Serra - D. Marcheschi. Il fuoco e la rosa. I Quattro Quartetti di Eliot e Studi su Eliot, di MarcHERITA Gumacci. A cura di Ilaria Rabatti. Di storia in storia: la biblioteca italiana di Hjalmar Bergman, di Yrja HAGLUND. Il Segugio del Cielo e altre poesie, di Francis THoMPsoN. A cura di Maura Del Serra. Drammaturghi del Novecento europeo. H. Issen - L. PIRANDELLO - A. CAMUS - B. BrEcHT - S. BECKETT. . Interventi di: G. Antonucci - M. Argenziano - U. Ronfani - L. Zagari - K. Elam. Di poesia e d'altro - vol. II, di MAurA DEL SERRA. E THomrson - A. PANZINI - E. LASKER-SCHOLER - D. CAMPANA - A. OnORRI - V. S. SOLOV'V. Filo di perle Ain Zara Macno, Parole d'amore. A cura di Ilaria Rabatti. Luisa GiaconI, Dalla mia notte lontana. A cura di Haria Rabatti. MARGHERITA Gumacci, La voce dell'acqua. Quaderno di traduzioni, a cura di Giancarlo Battaglia e Ilaria Rabatti [autori tradotti: William Blake, Hilda Doolitle, Thomas S. Eliot, Gabriela Mistral, Richard Eberhart, Robert Frost, Archibald MacLeish, Ezra Pound, Tu Fu, Mao Tse-tung, Federico Garcia Lorca, Vicente Aleixandre, Jorge Guilln, Cristopher Smart, Marie Under, Kathleen Raine, Henrik Visnapuu, Francis Thompson, Czeslaw Milosz, Elizabeth Bishop, John Keats]. 157 Nel vento Maura DEL SERRA, Crescita e costruzione: immagini del giardino. Giuseppe Giusti, Il Gingillino. A cura di Giampiero Giampieri e Luigi Angeli. Simone Wert, Le Poesie. Introduzione e traduzione di Maura Del Serra. DanreLa MarcHeschI, Destino e sorpresa. Per Giuseppe Pontiggia, con i suoi primo scritti sul Verri . Nicota Lisi, Voci da una parlata e altri segni. Con uno scritto di Margherita Guidacci, Lisi o la celestiale assenza. Maura Det SERRA, Congiunzioni. Ventiquattro poesie inedite. ALBERTO Giovanni Biuso, Inni alla Luce. GiovannI Di Farco, La campagna del Caos. Storia della casa natale di Luigi Pirandello. Introduzione di Andrea Bisicchia. Antigone, collana di teatro Maura DeL SERRA, La Minima. Con una nota di Daniela Marcheschi. Maura Det Serra, Dialogo di Natura e Anima. Auserto Severi, Aracne. Con uno scritto di Alberto Pozzolini. CHiara GUARDUCCI, La neve in cambio. Lucifero, La Carogna, Camera ardente. Maura Det SERRA, Eraclito. Due risvegli. Con uno scritto di Jacopo Manna. Costanza CAGLI, L'amore con Erode. Con uno scritto di Isolina Baldi e Postfazione di Maura Del Serra. Maura DeL SERRA, Scintilla d'Africa. Cinque scene. Con uno scritto di Marco Beck. ANTONELLA Lumini, Caino. Dramma del buio e della luce. Con uno scritto di Paolo Coccheri. 158 ... Se uno ha veramente a cuore la sapienza, non la ricerchi in vani giri, come di chi volesse raccogliere le foglie cadute da una pianta e gi disperse dal vento, sperando di rimetterle sul ramo. La sapienza  una pianta che rinasce solo dalla radice, una e molteplice. Chi vuol vederla frondeggiare alla luce discenda nel profondo, l dove opera il dio, segua il germoglio nel suo cammino verticale e avr del retto desiderio il retto adempimento: dovunque egli sia non gli occorre altro viaggio. MARGHERITA GUIDACCI Finito di stampare  dalla Tipografia DAMI, in Pistoia, TIPOGRAFIA DAMI dal 1965 nel mese di settembre 2007 per conto della editrice peli plaiane Costanzo Preve Gli antichi, i moderni, lumanesimo e la storia Alcuni rilievi a partire dagli ultimi lavori di Luca Grecchi e di Diego Fusaro ediliice pelile plaisance Koin Periodico culturale Anno XVIII  NN 1-3 Gennaio-Giugno 2011 Reg. Trib. di Pistoia n 2/93 del 16/2/93. Direttore responsabile: CARMINE FiorILLO. www.filosofico.net/koine  www.petiteplaisance.it lucagrecchi@tiscali.it  fusarod@libero.it Direttori Luca Grecchi Diego Fusaro Ci rivolgiamo a lettori che vogliano imparare qualcosa di nuovo, che dunque vogliano pure pensare da s. KARL MARX ... Se uno ha veramente a cuore la sapienza, non la ricerchi in vani giri, come di chi volesse raccogliere le foglie cadute da una pianta e gi disperse dal vento, sperando di rimetterle sul ramo. La sapienza  una pianta che rinasce solo dalla radice, una e molteplice. Chi vuol vederla frondeggiare alla luce discenda nel profondo, l dove opera il dio, segua il germoglio nel suo cammino verticale e avr del retto desiderio il retto adempimento: dovunque egli sia non gli occorre altro viaggio. MARGHERITA GUIDACCI Copyright  2011 editric pelle plasane Chi non spera quello Associazione culturale senza fini di lucro che non sembra sperabile non potr scoprirne la realt, poich lo avr fatto diventare, www.petiteplaisance.it , con il suo non sperarlo, e-mail: info@petiteplaisance.it 7 Via di Valdibrana 311 - 51100 Pistoia qualcosa che non pu essere trovato j S e a cui non porta nessuna strada. Tel.: 0573-480013 uv COSTANZO PREVE Gli antichi, i moderni, lumanesimo e la storia. Alcuni rilievi a partire dagli ultimi lavori di Luca Grecchi e di Diego Fusaro PROLOGO Luca Grecchi ha recentemente pubblicato un nuovo libro che ha gi ricevuto alcuni autorevoli attestati di stima. Si tratta di La filosofia della storia nella Grecia classica, Petite Plaisance, Pistoia, 2010. In proposito, il lettore di questo volume della rivista Koin pu leggere un mio impegnato saggio (cfr. Le avventure della coscienza storica occidentale. Note di ricostruzione alternativa della storia della filosofia e della filosofia della storia), scritto sulla base di una prima lettura critica del saggio di Grecchi, e cui lo stesso Grecchi fa ripetutamente riferimento nella parte finale del suo libro. Qui non si ripeteranno ovviamente le argo- mentazioni gi svolte in questo mio saggio, ora a disposizione del lettore di Koin, ma si aggiungeranno alcuni rilievi utile per la migliore comprensione dei temi in discussione. Recentemente sono stati anche pubblicati due saggi di Diego Fusaro (Bentornato Marx, Bompiani, Milano, 2009 ed Essere senza tempo, Bompiani, Milano, 2010). In queste somma- rie note non intendo scriverne una recensione, e neppure una critica. Di una segnalazione esse non hanno alcun bisogno, perch sono state pubblicate da una casa editrice molto importante, e che gode di una ottima distribuzione. Ne prender invece spunto per alcuni commenti rigorosamente personali. UN OMAGGIO AD UNA GRANDE DONNA DEL NOVECENTO, JACQUELINE DE ROMILLY Negli ultimi giorni del 2010  morta la grande antichista francese Jacqueline De Romilly, a 97 anni di et, piena di anni e di onori (pliris imeron kai timn). In Italia ella era nota sol- tanto in un pubblico di specialisti, ma in Francia era nota come Sartre o Camus. Si impegn infatti tutta la vita non solo nella traduzione e nel commento dei classici antichi, ma so- prattutto nella difesa del carattere umanistico dell'insieme della grande cultura greca del V secolo avanti Cristo, e della necessit di non lasciar cadere in Europa la grande tradizione degli studi classici. Chi conosce gli studi di Luca Grecchi avr certamente familiarit con nomi quali quelli di Jaeger, Stenzel, Pohlenz ed Otto, ma la De Romilly (che compare un po meno nei testi di Grecchi) era comunque degna di questi grandi nomi.  quindi bene che si sappia che nel suo impegno culturale Grecchi non  solo, perch pu legittimamente accompagnarsi a queste grandi anime. Per quanto mi riguarda personalmente, il personag- 3 CostTANZO PREVE gio dellanno 2010  stata Jacqueline De Romilly, e questo giudizio potr sembrare strano, curioso ed esagerato soltanto a chi non capisce l'attualit per noi contemporanei delluma- nesimo greco. UN DUBBIO IPERBOLICO: ABBIAMO VERAMENTE BISOGNO DI UNA FILOSOFIA DELLA STORIA PER LA NOSTRA EMANCIPAZIONE UMANISTICA? Esiste una significativa formulazione di Karl Lwith (che Fusaro cita approvandola, Bentornato Marx, pag.106), che suona cos: La filosofia materialistica, quale Marx la con- cep, si presenta non come semplice negazione, ma insieme come la realizzazione mate- rialistica dellidealismo hegeliano. Non si poteva essere pi chiari e pi espliciti di cos. E tuttavia, il diavolo si nasconde nel dettaglio, e non  opportuno credere sulla parola neppure ad una autorit come Lwith. Non pu esistere infatti una realizzazione materialistica di un sistema idealistico, e tan- to meno di una filosofia idealistica della storia. Pu certamente esistere un tentativo di con- cretizzazione pratico-politica di una filosofia idealistica della storia, ma questa concretizza- zione non cessa (e non pu cessare) di avere un fondamento idealistico. Ogni filosofia della storia, comunque si presenti, ha sempre come unico fondamento ideale la unificazione ideale del tempo storico passato, presente e futuro.  dunque un fatto tautologico che ogni filosofia della storia sia idealistica per definizione, ed  solo un fattore di inutile confusione il fatto di chiamare materialistica la concretizzazione pratico-politica, come se da solo (e non accompagnato, come i cani da passeggio) il termine idealismo si identificasse con la contemplazione inattiva, e fosse necessaria per chiarezza una pleonastica stampel- la, dimenticando che lo stesso concetto di prassi trasformativa  integralmente idealistico per definizione (e per questo Fichte basta ed avanza, ed  del tutto superfluo lagitare la cosiddetta speranza di Bloch, concetto non solo indeterminato ma anche escatologico, come se lidealismo fosse compatibile con la escatologia  il che non , e mille volte non ). L'escatologia fa parte di una sequenza monoteistica di origine ebraica, e non  possi- bile innestarla nellidealismo, che ha invece una origine integralmente greca, e questo del tutto indipendentemente dal fatto che i greci possedessero o meno una filosofia della storia in un significato analogo a quello moderno post-settecentesco (e che essa inizi con Vico, Voltaire, Herder o altri non  rilevante). Non insisterei tanto su questo punto, per me ovvio e preliminare, se non fosse diffusa una lettura impropria della filosofia della storia di Hegel da intendere come secolarizzazione romantica di una precedente escatologia ebrai- co-cristiana, laddove essa invece (almeno a mio parere) non  altro che un superamento- conservazione dei limiti astratti del precedente pensiero illuministico. La filosofia della storia quindi, ogni filosofia della storia possibile,  sempre idealistica per definizione tautologica, in quanto unifica idealmente un flusso temporale connet- tendo insieme il passato, il presente ed il futuro in un unico concetto trascendentale ed (auto)riflessivo. E tuttavia, se il requisito fondamentale di ogni filosofia della storia  la connessione ideale fra passato, presente e futuro ci si pu chiedere seriamente (ed ecco un dubbio iperbolico, se ce n' uno) se quella di Hegel sia stata veramente una filosofia della 4 Gli antichi, i moderni, l'umanesimo e la storia. Alcuni rilievi a partire dagli ultimi lavori di L. Grecchi e di D. Fusaro storia. Naturalmente, non intendo spingere il senso dello spaesamento e del paradosso fino ad affermare che il pi famoso di tutti i filosofi della storia, il grande Hegel, non  stato un filosofo della storia. Ma se la filosofia della storia c' soltanto quando si  in presenza della unificazione ideale tra passato, presente e futuro, allora in Marx c' sicuramente una filosofia della storia (la previsione futurologica in Marx  essenziale), ma in Hegel non c', perch Hegel si interdice esplicitamente di vaticinare in qualunque modo su un futuro pos- sibile (la nottola di Minerva si alza soltanto al crepuscolo), e questo al di l di citazioni sul progresso, eccetera, che ai suoi tempi erano usate come il prezzemolo. In Hegel il passato  ricostruito come teatro dialettico dello sviluppo della autocoscienza della libert, e su questo non vi possono essere dubbi. Se lo sviluppo della autocoscienza della libert basta da solo per fare una filosofia della storia, allora  chiaro che in Hegel c'. Ma non c', in- vece, se la proiezione nel futuro prevedibile ne  individuata come ingrediente essenziale. Autori come Kostas Papaioannou (filosofo fra i pi significativi del Novecento, ma poco noto in Italia) hanno identificato in Hegel il massimo esponente di una vera e propria deificazione della storia, e pertanto di una idolatria secolarizzata, che Marx non avrebbe fatto altro che recepire dandole semplicemente una coloritura comunista. Salvo errore, mi sembra che sia questa la interpretazione di fondo di Fusaro, sviluppata specialmente in Essere senza tempo. Se  cos, colgo l'occasione per esplicitare il mio educato dissenso, al di l dell'apparato filologico e citazionistico, che per me non  pi rilevante. Sono infat- ti passato dalla fase di che cosa ha veramente detto Marx alla fase caratterizzata dalla domanda se Marx avesse ragione o torto nel fondare una filosofia della storia che non si accontentava del nesso fra passato e presente (non importa se poi il presente era inteso come epoca della compiuta peccaminosit in Fichte, o come epoca della riconciliazione fra reale e razionale in Hegel), ma intendeva comprendere anche la prevedibilit del futuro. Ebbene, detto con tutta la modestia ed il senso delle proporzioni, se Marx pensava questo, aveva torto. Ed aveva torto perch, detto in breve, una filosofia della storia che non si ac- contenta di tematizzare il nesso fra passato e presente, ma intende anche parlare del futuro, deve necessariamente prendere una di queste due vie, apparentemente opposte ed in realt complementari: la via profetica, escatologica e messianica, che non ha nulla di idealistico (e neppure di materialistico, del resto), ma  un prodotto derivato dell'ebraismo e del primo cristianesimo (non oltre il IV secolo, peraltro); oppure la via positivistica, per cui il futuro viene (illusoriamente) ricavato da una estrapolazione della uniformit delle leggi della natura a quelle (peraltro inesistenti) della societ. Lidealismo pu essere commentato, ac- cettato o rifiutato, ma una cosa resta sicura, e cio che esso  incompatibile sia con il mes- sianesimo escatologico, sia con la previsionalit positivistica. Papaioannou osserva che la differenza essenziale fra il logos ellenico classico ed il logos illuministico moderno, sta nella rinuncia del logos ellenico a fondare sulla storia il progetto di equilibrio sociale e politico. Una tesi diversa da quella di Grecchi, ma soprattutto diversa da quella di Fusaro. Ammesso infatti, e non concesso, che secondo la tesi di Lwith-Fusaro Marx abbia semplicemente futurizzato, radicalizzandola ulteriormente, la filosofia della storia di Hegel, questo  esattamente il fardello di cui  necessario disfarsi. Ammetto io stesso di non avere le idee del tutto chiare. Mi  chiaro, infatti, che non abbiamo nessun bisogno di una filosofia della storia necessitaristica, deterministica e tele- 5 CostTANZO PREVE ologica, che non pu che essere escatologica e/o positivistica. Da qui la mia simpatia per Georges Sorel. Ma a volte mi chiedo (ed  appunto un dubbio iperbolico) se non faremmo bene a rinunciare del tutto ad una filosofia della storia (intesa come illusoria padronan- za concettuale ideale unificata dellarco temporale passato-presente-futuro), e ritornare al punto di vista del logos greco, che praticava la misura (metron) e l'equilibrio sociale (isorro- pia), oltre alla prevalenza della democrazia sulla oligarchia, e della economia sulla crema- tistica, senza nessun bisogno di una filosofia della storia. Ecco un rasoio di Occam che potrebbe esserci utile oggi. ARISTOTELE E LA QUESTIONE DELLA NASCITA DELLA FILOSOFIA I rilievi fatti in precedenza sul carattere contrastivo e non omogeneo (e tanto meno so- vrapponibile in una concordistica ed inesistente continuit occidentalistica, magari da bandire contro l'Islam) fra il logos greco e la ragione illuministica rimarrebbero del tutto generici ed ineffettuali se non ci sforzassimo di concretizzarli. In termini chiari e sem- plici, il logos greco si basa sul tentativo di realizzazione della giustizia (dike) senza neces- sariamente passare per la mediazione del tempo storico come indispensabile fondazione ontologica, e cio per la concezione moderna di origine illuministica che sostituisce il nesso Storia-Progresso al precedente fondamento di legittimazione religioso. Da circa tre secoli il principio della Giustizia si realizza (ammesso che si possa realizzare) nella storia e solo nella storia. Per i greci non era cos, e non era cos probabilmente (il lettore noter il mio cauto probabilmente) in assenza di un principio monoteistico e creazionistico da elabo- rare dialetticamente o da secolarizzare. Il logos greco, in prima istanza,  una misura sociale da realizzare democraticamente in una comunit politica (la sottolineatura  necessaria perch ogni termine usato  indispen- sabile). Dei tre principali significati di logos (ragione, linguaggio e calcolo), il significato de- cisivo  il terzo, inteso come calcolo sociale delle giuste proporzioni della divisione (nemein, da cui nomos) delle ricchezze e del potere. I tre concetti di dike (giustizia), metron (misura) e logos (calcolo sociale) sono uno ed un solo concetto, che sostituisce integralmente quello ebraico e poi cristiano e musulmano di Divinit creatrice e quello moderno di Storia e Progresso. A differenza di come molti dicono oggi, il comunismo platonico era qualcosa di estremamente pratico e concreto, e non aveva nulla a che fare con una pretesa popperiana fascinazione per i tiranni legislatori (la cosiddetta  e del tutto inesistente  sindrome di Siracusa), tanto  vero che Platone, pur invitato, rifiut di recarsi a Megalopoli perch questultima aveva rifiutato nella sua legislazione il principio della distribuzione eguali- taria dei beni (Diogene Laerzio, III, 23). E lo stesso Platone non lascia dubbi, nel Filebo, di identificare il principio del Buono-Uno con quello di ordine e di misura. Gli esempi potreb- bero essere moltiplicati, ma questi a mio avviso sono gi pi che sufficienti. Le origini della filosofia greca stanno quindi nellesigenza di concretizzare una misura sociale da realizzare democraticamente (attraverso l'eguaglianza davanti alle leggi, isono- mia, e leguale diritto all'accesso al discorso pubblico, isegoria) in una comunit politica, in modo che questo potesse fare da freno (katechon) alla dissoluzione (phthor). Qui pur- 6 Gli antichi, i moderni, l'umanesimo e la storia. Alcuni rilievi a partire dagli ultimi lavori di L. Grecchi e di D. Fusaro troppo lo stesso Aristotele (Metafisica, 982 b 22) ci confonde le carte, quando afferma che quando cera gi pressoch tutto ci che necessitava alla vita ed anche alla agiatezza ed al benessere, allora si cominci a ricercare questa forma di conoscenza, e cio la filosofia. Sembrerebbe quindi che la filosofia sia nata come un lusso superfluo, e non a caso i lati- ni espressero questa idea nel motto primum vivere, deinde philosophari. Nello stesso modo Aristotele fa nascere la filosofia di un sentimento generico, destoricizzato e desocializzato come la meraviglia, e poi classifica i suoi predecessori in base al criterio, anch'esso desto- ricizzato e desocializzato, delle quattro cause (materiale, formale, efficiente e finale). Su questo punto lo seguono commentatori moderni come Giovanni Cerri (Parmenide, Poema sulla Natura, Rizzoli, Milano, 1993), che interpretano Parmenide come un precursore degli astrofisici moderni come Hawking (vedi pp. 67-69). Non dico che questa lettura non possa e debba essere fatta, e che non abbia riscontri filologici. Ma la chiave per comprendere i pri- mi filosofi sta nel capire che essi non erano anche legislatori comunitari, ma che essi erano soprattutto legislatori comunitari. Qui una lettura storica comparata e contrastiva dei primi filosofi greci e dei profeti bibli- ci ebraici pu essere decisiva ed illuminante. Entrambi avevano il problema di presentarsi e di accreditarsi come credibili ed autorevoli presso le loro rispettive comunit, ed allora il problema stava nel modo di conseguire questa credibilit e questa autorevolezza. Nel caso dei profeti ebraici, il solo modo era quello di denunciare la violazione del patto che istitui- va l'alleanza fra la divinit ed il suo popolo eletto, ma questo presupponeva il riferimento ad una divinit creazionistica. I greci si muovevano nellassenza pi totale di una divinit creazionistica, il che faceva della natura (physis) il solo possibile criterio di legittimazione normativa. Questo non significa che l'interesse presocratico per la natura fosse soltanto pretestuoso e strumentale. Al contrario, esso era profondo e reale. Ma la natura, solo ed unico luogo della crescita, della aggregazione e della dissoluzione, era il solo modello nor- mativo per indagare la societ, come del resto rilev il grammatico alessandrino Diodoto citato da Diogene Laerzio. La filosofia greca nasce quindi da un bisogno pratico di contrastare la dissoluzione so- ciale e comunitaria (schiavit per debiti metaforizzata come misura indeterminata, apei- ron), ed Aristotele si sbaglia a farla originare da una generica meraviglia sorta in base ad un gi raggiunto benessere. Non ce lho con Aristotele, di cui resto un ammiratore. Chiunque pu sbagliarsi. Aristotele si  sbagliato in astronomia, pu benissimo essersi sba- gliato anche sulla origine della filosofia. Ma questo comporta un richiamo sulla necessit di una deduzione sociale delle categorie del pensiero. IL PROBLEMA DELLA DEDUZIONE SOCIALE DELLE CATEGORIE DEL PENSIERO Il tema della deduzione sociale delle categorie del pensiero (e non solo delle categorie ideologiche, che sono ovviamente sociali al 100%, ma proprio delle categorie filosofi- che propriamente dette) non dovrebbe essere monopolio esclusivo di pochi autori (Alfred Sohn-Rethel, Maria Antonopoulou, parzialmente Antonio Capizzi), ma dovrebbe essere oggetto di valutazione pi ampia. Cos purtroppo non . La maggior parte degli studiosi 7 CosTANZO PREVE ignora addirittura che esista (sono abituato a vedere cadere dalle nuvole presunti lu- minari della filosofia appena gli si cita Sohn-Rethel), e quei pochi che ne hanno avuto un vago sentore lo liquidano immediatamente come estremistico, di sinistra, relativistico, sociologico, riduzionistico, eccetera. E tuttavia, non  questo il modo giusto di impostare il problema. In termini storici, il metodo della deduzione sociale delle categorie del pensiero nasce come contestazione storica novecentesca determinata del metodo neokantiano (e quindi kantiano) della deduzione trascendentale delle categorie stesse. Quest'ultimo  appunto trascendentale perch la legittimazione dell'uso delle categorie stesse  vincolato alle forme a priori della sensibilit (spazio e tempo), e quindi rifiuta l'equazione fra gnoseolo- gia ed ontologia, piano dell'essere e piano del pensiero. Questo metodo rifiuta quindi non solo la metafisica religiosa cristiana (Tommaso d'Aquino, eccetera), ma anche e soprattutto il pensiero greco, sia platonico che aristotelico. Kant doveva delegittimare socialmente e storicamente la normativit religiosa, e questo pu essere fatto soltanto portando a termine una distribuzione formalistica del soggetto (gi iniziata con il Cogito di Cartesio), attraver- so una sua integrale destoricizzazione e desocializzazione. Questa destoricizzazione e questa desocializzazione, che Kant portava a termine nel doppio ambito della teoria della conoscenza e della morale,  parallela e convergente con lanaloga ed omologa destoricizzazione e desocializzazione attuate da Hume e da Smith nellambito della autofondazione economica della societ capitalistica, resa autonoma da qualsiasi fondazione religiosa (esistenza di Dio), politica (contratto sociale) e filosofica (di- ritto naturale). Il paradosso dialettico sta peraltro in ci, che si ha qui il massimo invertito della storicit, e della socialit borghesi-capitalistiche, fondate sullindividuo-imprenditore slegato programmaticamente da ogni vincolo comunitario. Non c' quindi nulla di estremistico, riduzionistico, sociologistico e relativistico nel me- todo della deduzione sociale delle categorie, anche se alcuni dei suoi sostenitori (come Sohn-Rethel) lo praticavano in questa prospettiva, prospettiva cui io mi oppongo radical- mente e fieramente, dal momento che io respingo il sociologismo relativistico, prodotto dalla assolutizzazione dello storicismo ed anticamera del nichilismo in tutte le sue vario- pinti versioni. Questo metodo raddrizza semplicemente i processi di destoricizzazione e di desocializzazione, a loro volta inscindibilmente connessi con i processi di accumulazione capitalistica (di cui sono un controcanto di accompagnamento filosofico, e non solo o prin- cipalmente ideologico). Spero che questo ora risulti chiaro. LUCA GRECCHI E L'EREDIT GRECA DELL'UMANESIMO ANTI-CREMATISTICO Il profilo filosofico originale di Luca Grecchi  ormai consolidato e ben delineato, e pu essere compendiato in due punti principali. Primo, una interpretazione del pensiero greco classico come umanesimo anti-crematistico. Secondo, una valutazione complessiva, ad un tempo teoretica e pratica, per cui il modello dellumanesimo anti-crematistico  oggi pi attuale, e quindi pi proponibile, del modello dello storicismo progressistico, che ha mo- strato nel corso di due secoli alcune debolezze strutturali (uso qui un linguaggio inge- 8 Gli antichi, i moderni, l'umanesimo e la storia. Alcuni rilievi a partire dagli ultimi lavori di L. Grecchi e di D. Fusaro gneristico) in senso relativistico e nichilistico. Dal momento che condivido tutto il discorso di Grecchi (con l'eccezione  rilevante ma non decisiva  per cui considero normativa nel pensiero greco la natura e non la storia nel senso narrativo moderno del termine), mi sar facile scomporre i due elementi dellumanesimo e della anti-crematistica antichi. Sono daccordo con Grecchi sul fatto che se di una centralit si pu parlare nel pen- siero antico, si tratta di una centralit umanistica, e non invece teocentrica, ontocentrica o fisiocentrica.  questa una eredit della De Romilly cui prima ho accennato. Il pensiero greco non  teocentrico, per la nota ragione per cui i greci non seguivano una religione monoteistica e creazionistica rivelata in libri sacri di cui un qualsiasi clero potesse (auto) dichiararsi custode e gestore, gli dei erano molti ed erano ricavati miticamente da una te- ogonia naturalistica. Il pensiero greco non era ontocentrico (a differenza di come hanno sostenuto pensatori peraltro rilevanti come Heidegger o Severino) perch lEssere (pensiamo a Parmenide) era sempre e solo una metafora naturalistica della permanenza nel tempo e della correlata intangibilit di una legislazione sociale comunitaria di tipo pitagorico (e richiamo qui il ca- pitolo precedente sulla necessit di una deduzione sociale delle categorie, senza la quale il presunto essere cade dal cielo come un meteorite). Ma il pensiero greco non era neppure fisiocentrico, nonostante fosse dipendente da una precedente unit ontologica fra macroco- smo naturale e microcosmo sociale (tema che ha una lunga storia, da Mondolfo a Voegelin). A rigore, lunico pensiero veramente fisiocentrico che personalmente conosco  il positivi- smo ottocentesco, che pretende ricavare e dedurre le comunit sociopolitiche da presunte leggi estrapolate dal mondo della natura astronomica, fisica, chimica e biologica (e que- sto in tutte le sue varianti, di destra come la sociobiologia americana o di sinistra come il materialismo dialettico sovietico). No, i greci non erano fisio-centrici, ma umanistici. Ma dove stava l'elemento specifico di questo umanesimo greco antico? Qui sta il 100% del problema, perch lumanesimo generico e senza determinazioni pu fare da trave- stimento a qualsiasi cosa.  raro infatti che nella storia sistemi politici disumani non si siano invece presentati come umanistici e difensori delluomo. La humanitas di Cicerone era perfettamente compatibile con un impero schiavistico ed oligarchico di rapina. L'umanesimo rinascimentale, certo inarrivabile artisticamente, era la copertura ideologica di un papato corrotto fino al midollo e di una oligarchia di mercanti e banchieri rinobilitati (Medici, eccetera). Nel Novecento Althusser (con qualche ragione) ha denunciato nel co- siddetto umanesimo marxista la copertura della rinuncia alla lotta di classe. E potremmo continuare, ma  inutile sprecare altra carta preziosa. L'elemento specifico dellumanesimo greco sta infatti nel suo essere stato un umanesi- mo comunitario, ed il fatto che fosse anche anticrematistico non ne  che una logica con- seguenza, in quanto una comunit crematistica  un deserto umido ed un logaritmo gial- lo. Questo afferma Socrate quando sostiene che l'oggetto privilegiato della filosofia  il Conosci te stesso, in cui il fe stesso non  certamente l'individuo isolato e privo di legami sociali, ma  l'individuo radicato in una comunit solidale. E del resto questo  anche il punto di vista di Platone quando polemizza con la pleonexia ed il pleonektein, e cio con larricchi- mento individualistico. CostTANZo PREVE Ed infine questo  il punto di vista di Aristotele, quando connota luomo come animale sociale, politico e comunitario (polititon zoon) e come animale dotato di ragione, linguaggio e soprattutto capacit di calcolo sociale equilibrato e misurato. In questa solida tradizione si situa bene Luca Grecchi. La distinzione aristotelica fra economia e crematistica  centrale per definire lumanesi- mo filosofico di Luca Grecchi, ma in questo Grecchi pu rifarsi ad almeno due autorevoli predecessori. In primo luogo, quella che Karl Marx un po impropriamente defin critica dell'economia politica, era in realt una critica della fondazione e della riproduzione della crematistica capitalistica, che stava alla povera crematistica aristotelica come la grande in- dustria all'artigianato. In secondo luogo, Karl Polanyi si serv proprio della distinzione ari- stotelica per mostrare come la normalit nella storia umana sia stata lincorporazione della economia nella pi ampia riproduzione comunitaria complessiva, la sua autonomizzazio- ne  stata invece una eccezione storica occidentalistica, priva di qualunque legittimazione etica universalistica. E si potrebbe continuare. Si dir che in questo modo Grecchi si inserisce nella tradizione economicistica e ridu- zionistica della cultura di sinistra. Nulla di pi inesatto dal momento che il pensiero di Grecchi, al di l della sua esplicita natura egualitaria, solidaristica e comunitaria,  del tutto estraneo ai codici ideologici della sinistra europea tradizionale. Questa sinistra ha una matrice ad un tempo storicistica e positivistica, e la sua evoluzione dialettica interna la porta in direzione relativistica e nichilistica (su questo lanalisi di Augusto Del Noce mi sembra del tutto esatta, al di l del suo fondamentalismo cattolico, che si pu anche non condividere, ed infatti io non lo condivido). Grecchi  invece sostenitore esplicito di una concezione veritativa della attivit filosofica, concezione sbrigativamente liquidata come reazionaria, conservatrice e tradizionalista dalla sinistra, invischiata nella mitologia storica del Progresso. La sinistra tende anzi a retrodatare simbolicamente la dicotomia Destra / Sinistra alla dicotomia Acropoli / Agor (vedi il manuale di Storia della filosofia Zanichelli di Mario Vegetti), come se la riforma ultrademocratica di Clistene di Atene non fosse mescola- ta dal concetto di mescolanza (anamixis) dei gruppi sociali di origine pitagorica. La sinistra tende ossessivamente a vedere nel mondo greco classico la centralit dello schiavismo (in questo curiosamente simile a Nietzsche, sia pure con una inversione valutativa del giudi- zio), laddove il modo di produzione schiavistico in senso marxiano caratterizza soltanto il mondo ellenistico-romano, mentre il mondo della Atene classica era semmai caratterizzato da un modo di produzione di piccoli produttori indipendenti. La natura progressistico- futuristica della sinistra la porta a sospettare del classicismo, persino paradossalmente in studiosi ideologicamente di sinistra che pure conoscono molto bene le lingue classiche ed il mondo antico. E si potrebbe continuare. L'interpretazione di Grecchi del mondo antico in termini di umanesimo anticrematistico  quindi del tutto estranea alla dicotomia Destra/ Sinistra, che applicata alla storiografia filosofica  soltanto fonte di inutili confusioni settarie. In una cultura drogata dalla appar- tenenza ideologica identitaria  normale che Grecchi debba scontare una certa solitudine, ma questa solitudine  il prezzo giusto da pagare per la lunga durata in cui si colloca la prospettiva del suo pensiero. 10 Gli antichi, i moderni, l'umanesimo e la storia. Alcuni rilievi a partire dagli ultimi lavori di L. Grecchi e di D. Fusaro I TRE ELEMENTI PRINCIPALI DEL PROFILO FILOSOFICO DI Diego FUSARO Non avendo ancora compiuto i trent'anni di et, Diego Fusaro  un enfant prodige della filosofia italiana, e questo non pu che provocare invidie ed avversioni in un mondo carat- terizzato dal settarismo, dalla chiusura mentale e dalla pi totale e provocatoria mancanza di meritocrazia. Ma poich io sono del tutto estraneo a questo mondo, e per di pi nutro sentimenti di amicizia personale con Fusaro, mi sia concesso di giudicarlo in questa sede in termini di puro profilo filosofico. In estrema sintesi, tre sono gli elementi principali rilevabili nel profilo filosofico di Fusaro: un ritorno esplicito alla sequenza filosofica espressiva della linea Fichte-Hegel- Marx di contro alla tendenza postmoderna che privilegia invece la sequenza espressiva Nietzsche-Heidegger, quasi sempre coniugata con linterpretazione francese Foucault- Deleuze (vedi Gianni Vattimo, ma anche Toni Negri); l'inserimento esplicito di Karl Marx nella scuola dellidealismo moderno, al di l di oscillazioni materialistiche considerate rilevanti, ma secondarie; infine, una sostanziale esclusione della centralit del concetto di prassi rivoluzionaria trasformativa in Marx, sostituita da una lettura incentrata su di una filosofia futuristica della storia integrata dal concetto di Speranza di origine blochiana, che rischia (almeno a mio parere) di ricondurre Marx a quella scuola dei critici della civilt (kulturkritiker) del tipo di Adorno e di Heidegger, scuola di cui la manipolazione capitalisti- ca attuale non ha alcuna paura, considerandola (giustamente) come facilmente integrabile nellinnocuo chiacchiericcio colto odierno. Ma trattiamo questi tre punti separatamente. Iniziamo dal primo punto. Nato nel 1983, Fusaro appartiene alla prima generazione filosofica italiana del tutto postuma al decennio 1975-1985, decennio in cui venne consu- mato il tragicomico congedo ideologico dalla precedente grande abbuffata pseudomar- xista del ventennio 1955-1975. Come avviene alla fine di grandi smodati banchetti, prima si trinca come se si fosse Humphrey Bogart e poi si va a vomitare in bagno; in questo caso, a vomitare il pastone Marx-Lenin-Mao-Gramsci troppo frettolosamente ingurgitato. Per dirla con Woody Allen, questo pastone non serve neppure pi per fare colpo sulle ragazze. Il normale modo educato di effettuare questo congedo  stato quello accademico caratte- rizzato dalla triade Habermas-Bobbio-Rawls (su cui ha scritto pagine illuminanti Perry Anderson). Un modo alternativo, in cui pomposi accademici si sono travestiti da mem- bri di centri sociali,  stato quello del cosiddetto niccianismo di sinistra (in proposito si veda Jan Rehmann, I Nietzscheani di sinistra, Odradek, Roma, 2009). I due modi hanno per marciato divisi e colpito uniti, in quanto si trattava in sostanza di liberare gli intellettuali accademici (quintuplicati negli apparati universitari dopo il 1968, secondo un illuminan- te studio di Bernd Rabehl) dai loro pregressi complessi di colpa verso il proletariato, nel frattempo degradato a plebe populista, oppure sublimato (ma  lo stesso) in Moltitudini Biopolitiche in lotta contro un impero deterritorializzato, e quindi purificato della sua pre- cedente natura imperialista. Chi va al di l della pittoresca superficie semicolta infarcita di citazioni in tedesco (senza traduzioni, cos non siamo infastiditi da dilettanti non invitati), capisce che questi fuochi artificiali nascondevano un fenomeno sociale molto pi profondo e strutturale, la fine di quella che i sociologi francesi Boltanski e Chiapello hanno definito la secolare alleanza di sinistra fra la critica economica e sociale alle ingiustizie produttive 11 CostTANZo PREVE e distributive del capitalismo, e la critica artistica e culturale alla ipocrisia dei costumi della vecchia borghesia tradizionale. Da tutta questa merda (termine molto usato da Marx) Fusaro  immune per ragioni squisitamente generazionali. Nato nel 1983, non aveva semplicemente bisogno di uccidere freudianamente i padri Hegel e Marx per liberarsi dallabbraccio sudato dei ceti politici e delle plebi plaudenti al loro seguito. E quindi il ritorno alla sequenza espressiva Fichte- Hegel-Marx in Fusaro avviene dopo il lyotardiano disincanto postmoderno verso le grandi narrazioni, e non ha neppure bisogno di fare il solito stucchevole giuramento di fedelt weberiano sul politeismo dei valori e sul disincanto del mondo. Ci vorrebbero migliaia di pagine dottissime per argomentare la attualit del ritorno alla sequenza filosofica espressiva Fichte-Hegel-Marx e la necessit di archiviare educatamen- te e con tutti gli onori la sequenza alternativa Nietzsche-Foucault-Deleuze (su Heidegger bisognerebbe forse fare un discorso a parte, salvandone lintelligentissima ed illuminante interpretazione di Nietzsche). E dal momento che - come dice un arguto proverbio ingle- se  la beneficienza comincia a casa propria, rimando alle migliaia di pagine che ho scritto in proposito nel trentennio 1980-2010, in cui ci sono certamente fisiologiche oscillazioni e correzioni di rotta, ma in cui la centralit della sequenza Fichte-Hegel-Marx non  mai messa in discussione. E quindi, per farla breve, non posso che lodare Fusaro per quello che sta facendo, senza cadere in quella forma di settarismo autofagico tipico degli intellettuali di sinistra, per cui si colpisce ferocemente chi ti sta pi vicino suscitando soddisfazione in chi invece ti sta pi lontano. Passiamo ora al secondo punto. Recentemente Fusaro  approdato alla pacata conclu- sione della sostanziale appartenenza di Marx alla tradizione idealistica moderna di Fichte e di Hegel, laddove in precedenza vi erano ancora oscillazioni terminologiche ed ossimori un po opportunistici (fra cui, innegabile, quello di idealismo materialistico). Tutto que- sto non stupisce e fa onore alla sua intelligenza teoretica, perch mi rendo conto che non  facile staccarsi dalla lettura filologica dei testi di Marx e dalle sue virtuose professioni di materialismo, certo soggettivamente oneste e sincere. Qui mi dispiace dirlo, perch non  molto fine ed educato, ma rivendico una assoluta primogenitura, oramai pi che decen- nale, documentata in decine di pubblicazioni a stampa. Il fatto che tutto questo non mi sia stato riconosciuto non fa parte della fisiologia del dibattito filosofico pubblico, ma di una branca delletologia animale chiamata sociologia degli intellettuali di sinistra, gruppo forse superiore a quello degli scorpioni, ma non di molto. E tuttavia, al di l di queste miserie, l'approdo di Fusaro ad una interpretazione di Marx come idealista (moderno, non certo antico nel senso di Pitagora e di Platone) deve essere salutata con vera soddisfazione, come di fronte ad una liberazione del pensiero. Il problema non  concettualmente di difficile soluzione, ma presuppone la piena com- prensione della differenza fra il concetto di metafora (filosofica) ed il concetto di fondamento (filosofico).  del tutto chiaro che la materia in Marx non ha nulla a che fare con il termine usato per indicare l'oggetto (peraltro differenziato) delle varie scienze della natura, ma  usato come metafora (in greco significa trasporto) di qualcosa d'altro. Si tratta princi- palmente di due trasporti metaforici, la materia come ateismo (Dio non esiste, materia ed energia sono autopoietiche, con o senza big bang originario) e la materia come strut- 12 Gli antichi, i moderni, l'umanesimo e la storia. Alcuni rilievi a partire dagli ultimi lavori di L. Grecchi e di D. Fusaro turalismo (in ogni modo di produzione sociale la totalit riproduttiva  unitaria, ma in essa la struttura prevale sulle varie sovrastrutture). A questi due trasporti metaforici se ne possono aggiungere altri due, la materia come prassi trasformatrice rivoluzionaria e non come semplice contemplazione critica della totalit sociale, e la materia come consegui- mento di una libert concreta, definita pertanto materiale e non solo formale. Volendo, si possono aggiungere altri trasporti metaforici, la materia come scienza galileiana (Galvano Della Volpe) e la materia come centralit leopardiana della fragilit umana (Sebastiano Timpanaro e Cesare Luporini). Non ci sono limiti ai travestimenti metaforici del termine materia e del materialismo, che possiamo tranquillamente trasformare anche in edo- nismo (Onfray, eccetera). Ad un certo punto, per, bisogner pure arrestare la giostra e scendere. Il fondamento filosofico del pensiero di Marx sta invece in una idea unificata, e per- tanto in una totalit concettuale espressiva unitaria, di storia universale del genere umano, visto come teatro di processi strutturali di perdita, acquisizione, alienazione, conquista ed emancipazione. Questo  a tutti gli effetti idealismo in senso filosofico, anche se non ho nulla in contrario, per far piacere agli ortodossi, a chiamare materialismo la teoria della nascita, sviluppo, tramonto e transizione dei modi di produzione sociali (intesi come unit di strutture produttive  forze produttive e rapporti di produzione  e sovrastrutture ideo- logiche), teoria che  in realt strutturalistica, anche se parla ovviamente di forze materia- li (violenza, metalli, produttivit, guerra, dominio, ecc.). A questo punto, per farla breve, se Fusaro ci  arrivato, non posso che dire con soddisfazione benvenuto a bordo. Il terzo ed ultimo punto  il pi imbarazzante e delicato, e farei anche volentieri a meno di trattarlo, se il problema filosofico non andasse al di l del pur necessario riserbo perso- nale. Dopo tanti libri dedicati a Marx, Fusaro non pu nascondersi dietro le (presunte, ed in realt inesistenti) citazioni risolutive del suo autore, e deve accettare di essere giudicato come interprete espressivo di questo autore. E l'interprete espressivo  appunto colui che d una interpretazione globale espressiva dell'autore stesso. Ma chiariamo meglio la questione. Come tutti i docenti universitari di filosofia, Fusaro coltiva una fede ingenua nella de- cisivit della citazione risolutiva. Da tempo ho perduto questa fede, che pure ho coltivato per decenni (e che ad esempio lamico Bobbio lodava). In realt ogni citazione non  un fatto atomico, di per s espressivo della totalit che si presuppone contenuta in essa come un macrocosmo in un microcosmo, ma  il risultato di una operazione soggettiva di selezione e di filtraggio. Se un autore ci avesse lasciato solo dieci pagine, o anche meno, si potrebbe forse citare con una certa sicurezza (ma il caso di Parmenide dovrebbe gi met- terci sullavviso). Ma quando lautore ci ha lasciato migliaia di pagine, le contraddittoriet sono sempre presenti. Nel caso di Marx, a volte il lavoro appare come costo sociale reale in senso naturalistico (Lippi), ed a volte come astrazione unitaria di valore e di alienazio- ne (Colletti-Napoleoni). A volte il capitalismo  indicato come presupposto indispensabile per il comunismo, e poi nella nota lettera a Vera Zasulic si dice l'esatto contrario. A volte si parla di scienza in senso filosofico-hegeliano, ed a volte si ripropone la concezione de- terministica positivistica. Hegel a volte  un maestro, ed a volte  un mistico romantico secolarizzatore della teologia cristiana. Non voglio certamente infierire su Marx, di cui 13 CostTANZo PREVE sono un ammiratore ed un allievo critico. Ma per me ogni citazione  sempre e solo una selezione, e testimonia al massimo una fusione di orizzonti, che dice molto di pi sul commentatore che sullautore. Il Marx di Fusaro  un filosofo hegeliano della storia al 100%, che deve ovviamente futurizzare Hegel, perch da Hegel il comunismo non pu venir fuori come un coniglio dal cappello (a meno che, con Herbert Marcuse, si dica che il Razionale deve diventare ne- cessariamente Reale, ma a questo punto Hegel diventa solo un pretesto per dire le proprie legittime cose, che peraltro io politicamente condivido). Ho gi fatto notare in precedenza, e qui lo ribadisco, che la filosofia della storia di Hegel non pu essere futurizzata per sua propria natura, in quanto essa concerne esclusivamente l'arco temporale passato-presente, mentre si interdice di parlare di futuro. Ma per il momento lasciamo cadere questo punto, pur cruciale, per indagare in che modo concretamente Fusaro futurizza la filosofia mar- xiana. In Fusaro il ruolo della prassi  di fatto inesistente, ed  sostituito da un continuo accenno ad una vaga ed indeterminata speranza nel senso di Ernst Bloch. Ho gi fatto notare, e qui lo ribadisco, che il concetto di speranza nel pensiero greco  semplicemente una divinit di tipo mitologico, e non ha nessuno statuto filosofico (verificare per credere), mentre nel pensiero ebraico essa  il supporto messianico, apocalittico ed escatologico di un riscatto del mondo. Bloch  un mistico ebraico rivoluzionario, che non ha nessun rapporto con l'apparato categoriale dellidealismo. Personalmente, preferisco un rivolu- zionario messianico allucinato ad un capitalista scettico, weberiano e pragmatico e ad un intellettuale postmoderno e nichilista, ma questo non ha nulla a che vedere con lo statuto veritativo della filosofia (cui pure Fusaro formalmente aderisce). Nulla al mondo potr far- mi preferire linesistente Speranza alla (solo provvisoriamente per ora) inesistente Prassi. La prassi esiste ontologicamente, la speranza no. Cerchiamo di chiarirci le idee quando parliamo di prassi, ed in proposito non consiglie- r mai abbastanza la lettura di Karel Kosik, Dialettica del concreto. Gli sciagurati che hanno diretto per mezzo secolo il comunismo italiano hanno ridoto la prassi alla distribuzione di volantini (pur necessaria), alla frittura di salamini alle Feste dell'Unit ed alla firma di appelli testimoniali identitari (che anche io peraltro ho firmato a decine). Se uno usciva dal suo studio e sfilava in manifestazione dietro gli amati dirigenti con ai lati masse di pecoroni plaudenti, faceva della prassi, mentre per i pi arditi e deliranti la prassi era il sentire il calore delle comunit operaie e proletarie indossando il passamontagna (il lettore postmo- derno non ci creder, ma ho solo citato letteralmente Toni Negri). Non  certamente que- sta la prassi la cui assenza rimprovero nella interpretazione di Marx di Fusaro. Se Fusaro bruciasse le camionette della polizia come un black bloc, impiccasse in effige la Gelmini o urlasse esagitato il suo odio verso il capitalismo non cambierebbe assolutamente nulla nel suo codice filosofico, per cui nella futurizzazione marxiana di Hegel la risibile speranza (aveva ragione Monicelli a criticarne lo straripante uso retorico attuale) sostituisce la prassi rivoluzionaria. In questo modo, diciamolo francamente, Marx  forse bentornato, ma  bentornato solo in quanto decaffeinato (lespressione  di Slavoj Zizek), e ridotto ad un innocuo critico della civilt. Ma la questione merita un ultimo approfondimento finale. 14 Gli antichi, i moderni, l'umanesimo e la storia. Alcuni rilievi a partire dagli ultimi lavori di L. Grecchi e di D. Fusaro NOTE SULLA RIPRODUZIONE DELL'INDUSTRIA FILOSOFICA E SULLO SPETTACOLO  COLTO DELLA ATTUALE GLOBALIZZAZIONE CAPITALISTICA I precedenti rilievi possono certo essere letti come una critica a Diego Fusaro, e sicu- ramente lo sono. Lo sono, perch qui vige laureo principio del niente di personale, ed il cuore della critica sta in ci, che la categoria di speranza non pu sostituire la categoria di prassi nella filosofia idealistica della storia di Marx, che in quanto tale non futurizza semplicemente la filosofia della storia di Hegel, ma la modifica qualitativamente con lin- serimento del concetto inedito di prassi rivoluzionaria. Ma conviene forse esaminare il saggio di Fusaro Essere senza tempo, perch qui Fusaro non deve pi nascondersi dietro lo schermo universitario di una sapiente citatologia selettiva, ma pu invece esplicitare la propria interpretazione del tempo presente. Dal momento che mi sembra (salvo errore) di condividerla nellessenziale, ritengo inutile parafrasarla, e pi utile invece considerarne la tesi di fondo utilizzando il mio lessico concettuale. Prima, per, devo fare una considera- zione preliminare sul modo in cui funziona oggi lo spettacolo colto riservato ai palati fini dei colti e dei semicolti nelle nostre metropoli capitalistiche. Il circo mediatico televisivo, sostanzialmente unificato a destra, al centro e a sinistra dai vincoli ferrei del Politicamente Corretto,  al diretto servizio delle oligarchie capitalistico- finanziarie che dominano il mondo. Esso tiene sotto ricatto permanente il ceto politico su- balterno di servizio attraverso il pretesto morale-giudiziario, ed utilizza saltuariamente il clero universitario in veste di autorevoli esperti (non pi di una decina per paese a seconda delle specializzazioni). Il circo mediatico si esprime davanti a masse di pecoroni televisivi passivizzati (fra cui metto anche me stesso) attraverso tre forme principali di spettacolo: sportivo, violento e pornografico. Ma qui ci interessa soltanto un quarto tipo di spettaco- lo, rivolto a coloro che Stefano Benni a suo tempo defin Gente di una Certa Kual Kultura. Si tratta di uno spettacolo raffinato, che definirei in prima approssimazione una sorta di Pluralismo Manipolato, con esclusione solamente degli estremisti di sinistra politicamente scorretti (il che mi ricorda la teoria della tolleranza di Locke, che tollerava tutti all'infuori di atei, cattolici e non-conformisti). Ma la cosa deve essere approfondita. In Essere senza tempo Fusaro sviluppa la tesi di Koselleck, per cui la modernit non  tanto caratterizzata dall'idea di progresso in quanto tale, ma assai pi dall'idea di accelera- zione del progresso stesso. Questo d luogo ad una societ della fretta, in cui da un lato ci si affretta, ma dall'altro non si va pi da nessuna parte, perch non esiste pi lidea di una direzionalit temporale emancipativa della storia stessa. A mio avviso questa tesi, che  giusta nellessenziale (ma anche del tutto priva di potenzialit rivoluzionarie, come avvie- ne per tesi come quelle di societ liquida di Bauman), pu essere spiegata sviluppando non tanto la pur giusta intuizione di Koselleck, quanto piuttosto la tesi di David Harvey, che individua il passaggio dal cosiddetto Moderno al cosiddetto Postmoderno non solo nella produzione globalizzata e flessibile (nel linguaggio marxiano, la struttura), ma anche nel passaggio dal modello normativo del Tempo del progresso al modello normativo dello Spazio della globalizzazione (in linguaggio marxiano, la sovrastruttura). Non si tratta qui di scegliere fra Koselleck e Harvey (sebbene ovviamente io scelga Harvey), quanto di ca- pire che la dialettica della societ contemporanea pu essere compresa soltanto sulla base 15 Costanzo PREVE della teoria marxiana dei modi di produzione, con cui indubbiamente Koselleck civetta, ma che non mette al centro del proprio schema interpretativo, come del resto fanno tutti i kulturkritiker, da Nietzsche a Simmel, da Adorno a Heidegger. E tuttavia Adorno coglie il centro del problema, quando nelle prime pagine della sua Dialettica Negativa si esprime cos: Nessuna teoria sfugge pi al mercato: ognuna viene offerta come possibile tra le opinioni concorrenti, tutte possono essere scelte, e tutte assor- bite. Adorno dimentica qui di aggiungere che si tratta non del mercato in s, ma di una nicchia di mercato molto piccola, la nicchia di mercato culturale (ad occhio e croce, una nicchia di mercato del 2%, rispetto ad un 98% riservato alla manipolazione mediatica, allo spettacolo sportivo, allo spettacolo violento ed allo spettacolo porno). E tuttavia la cosa  rilevante, se pensiamo che nel medioevo cristiano chi svelava i meccanismi della riprodu- zione ideologica della societ veniva bruciato vivo sul rogo, laddove oggi i kulturkritiker hanno il loro spazio negli apparati universitari e nelle consulenze per le riviste femminili (pensiamo ad Umberto Galimberti, pagatissimo teorico della integrale consumazione della lunga storia della metafisica occidentale in dispositivo tecnico planetario oramai immodi- ficabile). La chiave di questo paradosso dialettico non sta tanto nella accelerazione del progresso e nei suoi esiti nichilistici, quanto nella natura di ci che potremo chiamare oggi l'Assoluto. Gli apologeti del mercato capitalistico globalizzato alla Eugenio Scalfari pubblicano saggi critici in cui festeggiano la fine dei due precedenti Assoluti, il Dio monoteistico cristiano e la sua funzione normativa nei costumi individuali e sociali ed il suo succedaneo marxista, il Progresso nella Storia. E tuttavia, ripetendo la nota frase di Woody Allen, se Dio  morto e Marx  morto, non per questo la societ pu sentirsi bene. Una dittatura del mercato si  sostituita alle vecchie (presunte) dittature teocratiche e ideocratiche, e qui sta il vero para- dosso dialettico da svelare. Il Libero Mercato  in realt lunico fattore storico e sociale che non pu essere liberalizzato, laddove tutte le opinioni, soprattutto quelle dei kulturkritiker, possono invece essere liberalizzate, in quanto socialmente irrilevanti. L'irrilevanza di tutte le opinioni critiche  direttamente proporzionale alla irrilevanza assoluta ed esclusiva dei vincoli del mercato globalizzato. Ipotizziamo che in Europa, sulla base di lotte sindacali secolari, gli operai abbiano otte- nuto mezz'ora di mensa aziendale. Ebbene, se in Mongolia  stato adottato il Nuovo Metodo per l'Ingozzamento Veloce del Metalmeccanico (in acronimo NIVM)), che riduce i tempi a soli cinque minuti, allora le leggi implacabili del mercato concorrenziale (un Assoluto rispetto al quale i vecchi assoluti religiosi e progressisti erano ancora tentativi artigianali) compor- tano la fine di duecento anni di progresso, accelerato oppure no. Si tratta di qualcosa che  sotto gli occhi di tutti, e che non richiede raffinate interpretazioni filosofiche per capirlo. Il sistema liberalizza tutto (con la parziale momentanea eccezione dellantisemitismo e della pedofilia), al di fuori dell'unico Assoluto che non liberalizza, il mercato globalizzato e le sue leggi. Il fatto che il mercato culturale assorba tutto non significa che il compito della filoso- fia critica sia diventato irrilevante e privo di valore. Ho fatto tutta la vita il professore di filosofia, e non me ne lamento. Ho recentemente letto che la CGIL Scuola ha ribattezzato gli insegnanti lavoratori della conoscenza, e lirresistibile comicit subalterna di questa 16 Gli antichi, i moderni, l'umanesimo e la storia. Alcuni rilievi a partire dagli ultimi lavori di L. Grecchi e di D. Fusaro concezione mi ricorda una vecchia battuta di un film comico: Vai avanti tu, che a me viene da ridere!. Se vuole essere fedele alla sua eredit greca (e qui, lo ripeto, la interpretazione umanistica ed anti-crematistica di Grecchi spicca per intelligenza e pertinenza) ed al carat- tere idealistico ed emancipativo della sequenza Fichte-Hegel-Marx (da mettere tutti e tre sullo stesso piano, con un occhio di riguardo per Fichte) allora essa deve incorporare nella sua stessa struttura ontologica ed assiologica il concetto di prassi trasformativa rivoluzionaria. Questo deve avvenire anche in assenza di soggetti sociali collettivi credibili, e l'assenza di questi soggetti non deve diventare un alibi per lautolimitazione autocensoria alla semplice de- nuncia culturale, che di per s non pu superare lo stadio di prodotto culturale di nicchia. Naturalmente, sono perfettamente consapevole che non basta proclamare solennemen- te tutto questo perch questa proclamazione abbia effetti pratici. Alla fine, non si pu sfug- gire al triste principio per cui le armi della critica non possono sostituire la critica delle armi. Ma le armi non hanno nulla a che fare con limpotente terrorismo minoritario e con il rovesciare cassonetti nutrendo lo spettacolo televisivo violento. Le armi sono un nuovo pensiero, che riproponga la prassi umana (e non la semplice speranza intesa come attesa messianica) al centro della trasformazione sociale. 17 Costanzo Preve Storia della Dialettica 6 | edili MI pelle plaisan Q Costanzo Preve STORIA DELLA DIALETTICA Storia della Dialettica Il lettore ha sotto gli occhi, e potr liberamente giudicare, una sintetica storia della dialettica nel pensiero occidentale. Si tratta in realt di una storia molto "breve", anzi "brevissima". Non ho per ritenuto opportuno di dilungarmi, non certo perch non ne valesse la pena, ma perch  inutile portare vasi a Samo, e cio, detto fuor di metafora, aggiungere altri inutili quintali di carta ai quintali gi esistenti dedicati alla dialettica, alle differenti definizioni che ne sono state date, ed infine alle monografie specialistiche sui vari pensatori pi o meno noti che se ne sono occupati. (Dalla prefazione) x A | editrice \\\ pelle plaisance \ p. Al pl Editrice petite plaisance 2006 Pistola MGQE Creative Commons ISBN 88-7588-083-2 STORIA DELLA DIALETTICA Premessa Il lettore ha sotto gli occhi, e potr liberamente giudicare, una sintetica storia della dialettica nel pensiero occidentale. Si tratta in realt di una storia molto "breve", anzi "brevissima". Non ho per ritenuto opportuno di dilungarmi, non certo perch non ne valesse la pena, ma perch  inutile portare vasi a Samo, e cio, detto fuor di metafora, aggiungere altri inutili quintali di carta ai quintali gi esistenti dedicati alla dialettica, alle differenti definizioni che ne sono state date, ed infine alle monografie specialistiche sui vari pensatori pi o meno noti che se ne sono occupati. Di questo far cenno nella nota bibliografica generale commentata, che  anche in un certo senso un capitolo a parte. In questa premessa mi limiter quindi ad alcune segnalazioni utili per la lettura. In primo luogo,  chiaro che in un lavoro del genere  impossibile evitare di cadere in errori o in fraintendimenti. Non si tratta ovviamente delle interpretazioni che dar a molti pensatori, interpretazioni del tutto anomale ed atipiche ma che rientrano nella mia pi completa libert ermeneutica, quanto di errori veri e propri. Se  cos, prego tutti coloro che per caso rilevassero questi errori di scrivermi e di segnalarmeli per una eventuale seconda edizione migliorata. Il mio indirizzo : Costanzo Preve, via Piazzi 33, 10129 Torino. Nella generale dissoluzione contemporanea di ogni comunit indipendente e "gratuita" di studiosi, siamo tornati al "medioevo" degli indirizzi personali. Ma forse  meglio cos. In secondo luogo,  chiaro che non ho potuto n soprattutto voluto scrivere una storia "completa" della dialettica nel pensiero occidentale. Vi sono molti autori "saltati", che pure sarebbero stati interessanti da analizzare. Tuttavia, non ho perseguito di proposito una pur possibile "completezza" enumerativa, preferendole un discorso pi lineare e sintetico. Il mio discorso, infatti, in un certo senso "precipita" nel quindicesimo ed ultimo capitolo, in cui tento di disegnare un profilo sommario del tempo storico in cui ci  dato di vivere proprio alla luce dell'eredit dialettica del pensiero occidentale. A questo punto, anche se sono appena accennati Epicuro, gli stoici, eccetera, il danno non sar grave. Il lettore ha a sua disposizione storie della filosofia ricchissime e dettagliate. In terzo luogo, il lettore si trover di fronte non solo ad alcune novit interpretative, come  normale che sia, ma anche di fronte ad alcune innovazioni filosofiche relativamente "scandalose". Nei manuali di filosofia vengono in genere classificati come "idealisti" tre pensatori tedeschi dell'epoca romantica (Fichte, Schelling e Hegel), mentre Marx viene in genere connotato come critico dell'idealismo e quindi come materialista, pi o meno dialettico (anche se pochi giungono fino al punto di connotarlo erroneamente come fondatore del "materialismo dialettico", togliendo in questo modo l'onore della scoperta al buon Engels). Nella mia interpretazione, invece, non si parla di Schelling (non perch non lo meriti, ma perch non fa parte a mio avviso dell'idealismo propriamente storico e sociale), ed in compenso vengono classificati come idealisti dialettici Fichte, Hegel e Marx. Questo pu stupire o scandalizzare a piacere, o anche solo sollevare un sorrisino di compatimento o suscitare una frettolosa alzata di spalle. Non intendo convincere nessuno, ma solo portare socraticamente (ed aristotelicamente) alcuni ragionamenti "probabili" a supporto di questa interpretazione. In quarto luogo, infine, suggerisco al lettore di collocare questa mia breve storia della dialettica nel contesto pi ampio ed articolato dei miei lavori pi recenti, che ricorder nella nota bibliografica generale. Se infatti sono andato un po' "di fretta" su alcuni decisivi argomenti, ci  dovuto al fatto che mi sono soffermato pi ampiamente su di essi in altre sedi. Cos facendo, credo che questo mio lavoro ci abbia guadagnato in chiarezza e snellezza. Viviamo in un'epoca storica apparentemente adialettica, o se si vuole poco dialettica. Ci  gi avvenuto altre volte in passato, e questo deve servirci da sia pur povera consolazione. Il tempo "generazionale" della nostra vita  breve, e non coincide praticamente mai con i tempi storici pi lunghi dei movimenti storici e sociali decisivi. Forse, come dice un proverbio cinese,  un bene non dover vivere in un periodo storico "interessante". Coloro che si trovarono ad avere vent'anni nel 1914 o nel 1939, vissero indubbiamente in un'epoca storica pi interessante della stagnazione morale ed antropologica in cui siamo (apparentemente) immersi, ma ne pagarono anche prezzi per noi quasi incredibili. E allora si potrebbe dire come nel film Quarto Potere a proposito della stampa:  la dialettica, bellezza! Introduzione Dialettica e filosofia nella storia bimillenaria del pensiero occidentale La filosofia  un'attivit sociale, e come tutte le altre attivit sociali emerge direttamente dal lavoro e dal linguaggio umani, lavoro e linguaggio che hanno una peculiare caratteristica "generica" rispetto al lavoro di molti animali (castori, api, termiti, eccetera). A suo tempo Karl Marx rilev acutamente questa differenza essenziale fra il comportamento animale ed il comportamento umano, osservando che mentre l'architetto deve anticipare nel suo pensiero il progetto della costruzione che si accinge a fare, l'ape invece non costruisce l'alveare sulla base di una progettazione libera preventiva, ma sulla base di un suo corredo genetico integralmente programmato. Da questa osservazione di Marx  passato un secolo e mezzo di studi etologici comparativi sul comportamento animale ed umano, ma non mi sembra che vi sia stato aggiunto nulla di rilevante. In quanto architetti del peculiare e differenziato legame sociale che costruiscono, gli uomini filosofeggiano, mentre le api non lo fanno. Si potrebbe per obiettare che gli uomini non hanno sempre filosofeggiato, mentre invece hanno sempre dovuto mangiare, bere e difendersi dal freddo e dal caldo. Le societ (impropriamente) dette "primitive" hanno costruito indubbiamente attivit in vario modo simboliche (miti, totemismo, magia, eccetera), ma non risulta che abbiano anche aperto uno specifico spazio "filosofico" nelle loro comunit. L'uomo dunque indubbiamente filosofeggia "per natura", perch questo deriva appunto dalla sua specifica natura di architetto e non di ape, ma a questa potenziale natura deve anche aggiungersi "in atto" uno spazio sociale particolare, integralmente storico, in cui questa potenzialit naturale possa esplicarsi. Il lettore si accorger a questo punto che sono stato costretto ad impiegare una categoria filosofica che storicamente risale ad Aristotele, quella del passaggio dalla potenza all'atto. Se la filosofia  una attivit storica e sociale, anche le categorie verbali e concettuali che utilizza saranno di conseguenza storiche e sociali. E sarebbe infatti ben strano che, se la filosofia  un'attivit storica e sociale, le categorie verbali e concettuali che usa non lo fossero, e fossero invece per cos dire "cadute dal cielo". Eppure,  proprio questa la finzione insostenibile con cui sono costruite pi del novanta per cento delle storie occidentali della filosofia. A un certo punto, in modo misterioso, qualcuno comincia a porsi lo strano problema se il mondo in cui viviamo sia derivato dall'acqua, dal fuoco o dall'aria oppure se ci sia qualcosa di stabilmente ed eternamente vero o se invece tutto sia relativo e convenzionale. Come  possibile una simile assurdit? E possibile,  possibile. Ed  possibile, appunto, perch anche questa assurdit ha una specifica origine sociale, e cio quella che potremo chiamare l'ideologia della destoricizzazione volontaria (0, pi esattamente, in un primo tempo inconsapevole, e poi consapevole). Nella misura in cui il soggetto pensante tende a pensare ed a concepire il mondo sociale in cui vive come una sorta di eternit permanente i cui valori riproduttivi sono insuperabili, e poco importa che siano schiavistici, feudali, capitali-stico- liberali oppure infine staliniano-comunisti, eccetera,  inevitabile che si accompagni a questo modo di vedere anche una parallela destoricizzazione concettuale, in cui la genesi storica dei concetti  cancellata ed al suo posto si afferma una sorta di "validit" astratta. Il primo grande filosofo che  caduto in questo (comprensibile) errore  stato forse Aristotele (e vedremo nel capitolo quarto che  proprio per questa ragione che in lui la dialettica  sottovalutata). Per fare un esempio pi moderno, la grande storia della filosofia di Nicola Abbagnano, che  pure ricchissima di profondit e di erudizione,  integralmente costruita su questa rimozione della genesi storica e sociale dei concetti. E questo non  un caso, perch tipico del cosiddetto "liberalismo laico"  l'assolutizzarsi come forma matura della razionalit in s. Ma torniamo al carattere integralmente sociale dell'attivit filosofica. Questo carattere integralmente sociale permane anche e soprattutto quando il filosofo vive integralmente isolato e medita in solitudine. Eraclito di Efeso, ad un certo punto della sua vita, era talmente schifato dal comportamento dei suoi concittadini che and a vivere isolato fra le pietre di un tempio, e la sola attivit "sociale'che continu a svolgere fu il giocare a dadi con i ragazzini. Eppure, se ne converr facilmente, anche questa scelta di sdegnosa solitudine era integralmente "sociale", perch aveva come genesi della scelta di esodo, secessione ed isolamento lo schifo che gli facevano i suoi cittadini corrotti e maneggioni. Anche Robinson Cruso filosofeggia nella sua isola solitaria senza poter parlare con nessuno, ma tutti i suoi pensieri derivano da un monologo interiore che  in realt un dialogo silenzioso o con s stesso sdoppiato o con un interlocutore evocato nella sua fantasia sulla base della sua precedente educazione, quella cio che aveva preceduto il naufragio. La filosofia come attivit sociale si serve dunque di parole e di concetti che hanno anch'essi un'integrale genesi sociale, di cui  utile fare sempre la "deduzione storica". Noi esprimiamo infatti i nostri concetti astratti in parole, esattamente come esprimiamo in parole gli oggetti materiali e gli eventi che ci riguardano o di cui siamo venuti a conoscenza. Ho letto da qualche parte che gli esquimesi del Canada hanno trentanove parole per indicare la neve, e non alludo ad aggettivi legati ad un unico sostantivo (del tipo neve fresca, neve bagnata, neve ghiacciata), ma proprio a trentanove sostantivi diversi. E questo non deve stupire, perch nella vita materiale degli esquimesi, e quindi nella loro riproduzione individuale e sociale, la neve ha un'importanza centrale e bisogna sempre trattarla in modo differenziato, laddove immagino che fra i pigmei della foresta equatoriale del Congo, dove non nevica mai, non ci sia nessun termine per indicare la neve, ed i bambini pigmei dicano neige o snoiu sulla base della loro precedente colonizzazione europea, francese o inglese. Sarebbe allora strano che il linguaggio filosofico e le categorie che esso usa non seguisse lo stesso principio della neve degli esquimesi o della foresta equatoriale dei pigmei. Le due lingue filosofiche principali della tradizione occidentale sono state il greco antico prima ed il tedesco poi, e sarebbe assurdo slegare la genesi di questo lessico dalle condizioni storiche e sociali in cui  nato ed in cui  stato poi adottato. Eppure  ci che si fa continuamente. Il termine greco logos, il termine indiano dharma, il termine tedesco Entfremdung (alienazione), eccetera, non possono certamente essere tradotti nella lingua degli esquimesi e dei pigmei perch non corrispondono a nessuna esperienza collettiva ed individuale di questi popoli. Nello stesso tempo, tutti questi termini sono in via di principio traducibili con lunghissime perifrasi esplicative, e nello stesso tempo anche dopo queste lunghissime perifrasi esplicative essi non risultano affatto sovrapponibili a termini "locali". Il lettore deve allora prestare un'attenzione particolare a questo insieme di problemi: i concetti derivano da parole, le parole nascono da precise situazioni naturali e sociali (la neve, la ragione, la democrazia, eccetera), le parole ed i concetti sono in linea di massima traducibili, ma nello stesso tempo non sono sovrapponibili. E questa non-sovrapponibilit  appunto il sintomo della loro preventiva genesi storica e sociale. I due poli opposti che ci interessano (e la dialettica  appunto sempre fatta di poli opposti in correlazione obbligata) sono allora un polo positivo (la traducibilit) ed un polo negativo (la non-sovrapponibilit). Per capire meglio quanto ho sinora detto possiamo fare un sommario esame comparativo fra la filosofia greca antica e la filosofia cinese antica. Questo esame comparativo  particolarmente utile perch, allo stato attuale delle fonti,  possibile escludere con decisione ogni rapporto fra le due civilt, che ignoravano integralmente l'esistenza l'una dell'altra. Mentre  possibile documentare legami generalmente indiretti fra il pensiero greco e quello egizio, anatolico, assirobabilonese, persiano, eccetera, un rapporto fra il pensiero greco e quello cinese pu essere tranquillamente escluso. Se allora ci mettiamo nell'ottica di un loro sistematico esame comparativo (ottica in cui lo scrivente si  messo, sia pure in modo necessariamente dilettantistico per quanto riguarda il lato "cinese") risultano molte cose interessanti, che per brevit compendier qui in due sole grandi classi. In primo luogo, emergono concetti molto simili, ed a prima vista addirittura eguali, come ad esempio quello di struttura permanente della riproduzione complessiva della natura e della societ e della corrispondente collocazione umana in essa (il logos in greco ed il tao in cinese) e quello di contraddizione dialettica immanente nell'apparente unit degli eventi e dei concetti (il polemos di Eraclito e la scuola dello yin- yang della dialettica cinese antica). Da questo fatto si pu dedurre, o io almeno deduco, che gli uomini associati in comunit, posti di fronte a situazioni comparabili di crisi dei significati etici della loro riproduzione abituale, reagiscono elaborando sistemi concettuali largamente simili, o almeno comparabili e traducibili. Deduco inoltre da questo fatto una seconda conseguenza, ancora pi importante della prima, e cio quella della sostanziale unit razionale ed antropologica del genere umano. In secondo luogo, tuttavia, i sistemi concettuali greco e cinese non sono per nulla sovrapponibili, e questa non- sovrapponibilit non pu essere seriamente spiegata se non con la differente genesi storica e sociale dei concetti stessi. In altre parole, il logos greco ed il tao cinese non ricoprono lo stesso spazio semantico. Dal termine logos emerge con il tempo una sempre maggiore differenziazione fra il macrocosmo naturale ed il microcosmo sociale, con la conseguente differenziazione fra soggetto ed oggetto, o pi esattamente fra soggetto conoscente ed oggetto conosciuto. In questo spazio concettualmente divaricato pu sorgere da un lato l'idea monoteistica e poi teistica della differenziazione fra un Dio creatore ed un mondo creato, e dall'altro l'idea di una storia umana che si differenzia da quella ciclico-naturale per essere invece lineare, orientata e "progressista". Dal termine tao emerge invece una visione del mondo in cui natura e societ sono maggiormente fuse insieme in una logica riproduttiva comune, ed in cui non  possibile alcuna "fessurazione" dalla quale possa emergere una divinit monoteistica pensata in modo antropomorfo come creatrice e progettista del mondo stesso. Secondo il sinologo di Lipsia, Moritz, che a suo tempo mi ha iniziato alla filosofia cinese, questo  dovuto anche e soprattutto a ragioni di genesi materiale e geografica. In Cina il peso dominante dell'agricoltura nella riproduzione sociale, unito alla necessit periodica di lavori collettivi di tipo idraulico, ha portato ad una minore differenziazione fra la riproduzione naturale e quella sociale, mentre in Grecia, data la natura del territorio e l'importanza decisiva della navigazione e del commercio marittimo, il mondo sociale (e quindi storico) ha potuto differenziarsi maggiormente da quello naturale. Sarebbe allora assurdo-pensare che le categorie filosofiche astratte siano "piovute dal cielo", e non abbiano nessun rapporto genetico con le condizioni sociali circostanti. Con questo non voglio affatto sostenere un rigido determinismo di tipo geografico-economico nella genesi complessiva dell'attivit filosofica. La scuola del maestro Mo era cinese, eppure sosteneva l'esistenza di una divinit monoteistica di tipo personale, mentre Baruch Spinoza era europeo al cento per cento, eppure la sua concezione panteistica ed immanentistica del mondo, depurata da ogni illusione monoteistica di tipo personalistico, era per molti aspetti simile alla sapienza filosofica orientale. In altri termini, l'uomo come ente naturale generico  prima di tutto un ente libero, e su questo punto torner molto spesso, in particolare nel capitolo undicesimo dedicato a Karl Marx. Torniamo invece ora al discorso principale che intendo condurre in questa introduzione. E chiediamoci subito:  possibile proporre una solida definizione univoca e concordata di quali siano l'oggetto ed il metodo della filosofia, oppure si tratta di una illusione impossibile? La risposta non pu essere che no. Si tratta di un'illusione impossibile. E certamente possibile proporre una definizione personale di filosofia e poi - in base a questa definizione assunta come postulato iniziale - scrivere mille pagine rigorose e senza contraddizioni logiche (ad esempio, Spinoza lo ha fatto). E invece impossibile raggiungere un'unanimit sociale talmente perfetta da permettere l'enucleazione concordata volontaria di una definizione unica di filosofia, sia per quanto riguarda l'oggetto che per quanto riguarda il metodo. A volte nella storia si costituiscono dittature talmente pervasive e permanenti da imporre per un certo periodo di tempo un'unificazione forzata e statualmente imposta dell'oggetto e del metodo della filosofia (e ci  per esempio avvenuto nella teologia cristiana e musulmana medioevale, cui era imposta la premessa dell'esistenza di Dio, o nello stalinismo sovietico, in cui l'oggetto ed il metodo della filosofia erano forzosamente identificati con una particolare interpretazione obbligata dell'ideologia di partito marxista-leninista). Questo, per, non pu durare per sempre, a causa appunto del carattere generico ed aperto dell'ente naturale umano (Grattungswesen). E allora tipico e specifico della filosofia, o pi esattamente della pratica filosofica, il non poter mai giungere ad una unificazione concordata dell'oggetto e del metodo. E questo, lungi dall'essere una debolezza della filosofia,  proprio la sua forza. Le scienze naturali moderne (astronomia, fisica, chimica, biologia, eccetera) hanno appunto come caratteristica quella di aver saputo conseguire un'unificazione mondiale concordata sia dell'oggetto che del metodo. Questo  avvenuto, per, sulla base della riduzione del problema filosofico della verit ai due problemi distinti e non coincidenti della certezza e dell'esattezza, pi esattamente della certezza fisica e dell'esattezza matematica. Esiste ovviamente (e non potrebbe essere diversamente) anche una scuola filosofica che identifica l'oggetto ed il metodo della verit con l'oggetto ed il metodo della certezza e dell'esattezza, e si chiama positivismo, cos come sono esistite ed esistono scuole filosofiche che negano la pertinenza della stessa idea di verit e la considerano un'illusoria proiezione religiosa, o pi esattamente un'inutile duplicazione razionalistica della religione. Questa "pluralit"  allora del tutto normale. Tutti capiscono che  un bene, e non certo un male, che la filosofia non possa raggiungere un'unificazione "scientifica" concordata del suo metodo e del suo oggetto. Se questo fosse possibile, ma per fortuna non lo , l'umanit diventerebbe uno squallido e noioso gregge robotizzato. Ci sono oggi in movimento gigantesche forze storiche che tendono proprio a questo, a trasformare cio l'intera umanit in uno squallido e noioso gregge robotizzato di consumatori distinti solo per livelli di reddito e quindi di capacit di acquisto, in modo che la diversit umana diventi solo un caso particolare della merceologia. Per sua natura, la filosofia non pu essere "organizzata", e quindi non pu essere neppure "normalizzata". Possono per essere organizzate e normalizzate, almeno per un certo periodo, le sue pratiche ufficiali e "politicamente corrette" di tipo accademico ed editoriale. E questo  appunto ci che avviene oggi. Ma esiste un fattore di lungo periodo che ostacola la realizzazione di questo progetto normalizzatore da incubo, ed  appunto la dialettica. E questo consente appunto la trattazione congiunta della filosofia e della dialettica, secondo il titolo di questa introduzione. A questo punto, qualche lettore vorrebbe forse una prima buona elencazione dei diversi significati storici e teorici dei due termini "filosofia" e "dialettica". Nulla di pi facile, soprattutto per chi  in possesso di alcuni buoni dizionari filosofici, e non solo in lingua italiana. Non mi sembra proprio il caso. Si tratterebbe di una erudizione falsamente rassicurante, e gi Platone metteva giustamente in guardia dalle definizioni scritte ed "immobili" che non possono rispondere. A mio avviso un saggio filosofico non deve avere la struttura narrativa di un documento burocratico, che nel titolo enuncia gi tutto quello che verr detto dopo, ma del romanzo poliziesco, in cui il lettore all'inizio non sa ancora come andr a finire", ed anzi si arrabbierebbe molto con coloro che glielo dicessero rovinandogli cos il piacere della lettura.  invece sensato che io dia subito le mie personali definizioni provvisorie, e revocabili in qualsiasi momento previo convincimento della loro erroneit e della loro insostenibilit, di filosofia e di dialettica, sia per quanto riguarda l'oggetto che per quanto riguarda il metodo. Non sarebbe neppure necessario farlo, perch dovrebbero risultare indirettamente dalla lettura dei capitoli. Ma lo faccio egualmente in nome del detto per cui la sola oggettivit" possibile in filosofia, in assenza delle procedure di verificabilit e di falsificabilit proprie delle scienze naturali moderne,  l'esplicitazione chiara delle proprie premesse. Per quanto riguarda la filosofia, essa ha per me come oggetto la conoscenza veritativa dei problemi irrisolvibili della condizione umana, ed il suo metodo  quello dialogico, fondato sullo scambio di vedute sistematico, critico e sempre pi approfondito. Il lettore pu stupirsi di una apparente contraddizione logica, che evidentemente  voluta: come  possibile che si possa avere una conoscenza veritativa, se si ammette che si tratta di problemi in via di principio insolubili? Ma la contraddizione a mio avviso  solo apparente, e fondata su di un equivoco linguistico e concettuale: i problemi in via di principio solubili (dando qui per scontato che comunque questa solubilit  sempre temporanea e soggetta a revisioni epistemologiche radicali) lo sono in base a categorie come la certezza, l'esattezza o la convenzione costituzionale, legale, giuridica e giudiziaria. La verit invece ha come oggetto ci che  insolubile in via di principio, ma che egualmente fa da orizzonte e da prospettiva per l'agire umano. Ed allora il metodo non pu che essere il dialogo, inteso per come dialogo libero, effettuato con amicizia e benevolenza ed infine interminabile (pi esattamente, il cui termine  dato solo dalla mortalit umana individuale, che appunto interrompe" il dialogo, e non pu certamente risolverlo). Per quanto riguarda la dialettica, la definisco come la logica di questa irrisolvibilit. La dialettica, appunto, scioglie" sempre ogni irrigidimento storico e sociale che si presenta come definitivo, e che ovviamente non lo . Se questo  il suo oggetto, il suo metodo  l'ontologia, ove per metodo ontologico" si intenda la corretta individuazione delle categorie specifiche di ogni campo del cosiddetto essere", sia naturale che sociale. Abbiamo allora, lo ricordo ancora una volta, quattro categorie distinte che, tenute opportunamente a mente, possono aiutare il lettore a districarsi in questo percorso che gli propongo: la filosofia ha come oggetto la conoscenza veritativa di problemi in via di principio irrisolvibili, ed ha come metodo il dialogo, mentre la dialettica  la logica di questa irrisolvibilit, ed ha come metodo l'ontologia, e cio il chiarimento delle categorie specifiche di ogni regione" dell'essere che si ha di fronte. Il discorso sarebbe ancora lungo, ma mi sono ripromesso di cercare di essere molto breve e sintetico in questa storia della dialettica. Quanto ho infatti per ora enunciato in forma necessariamente apodittica dovr essere chiarito e motivato in modo non certo conclusivo, ma almeno sufficiente per un primo approccio analitico. Ed  quello che cercher di fare nei quindici capitoli che seguiranno. Capitolo primo La genesi storica, sociale e ideale della filosofia greca Il primo storico in assoluto della filosofia greca, il grande Aristotele,  venuto circa duecento anni dopo la sua genesi storica e sociale, e questa genesi - a sua volta -  la sola guida possibile per capire il contesto in cui certe parole sono state usate e certi concetti sono stati proposti, come ho gi sostenuto nella introduzione. Posso fare infatti concessioni su molte questioni, ma non sul carattere storico e sociale della genesi delle categorie filosofiche. Duecento anni di distanza rappresentano un indice quasi infallibile di fraintendimento. Del resto, a volte ce ne vogliono molto meno di duecento per portare a fraintendimenti tragicomici. A soli cinquant'anni circa dalla morte di Marx la sua utopia scientifica (l'ossimoro  naturalmente volontario) dell'emancipazione universalistica dell'ente umano e naturale generico era gi diventata un'ideologia di legittimazione per la gestione monopolistica del potere politico da parte di un partito che si considerava titolare della conoscenza scientifica infallibile del futuro dell'umanit.  passato meno di un secolo dalla morte di Kant e di Hegel, e Kant - che intendeva fondare una nuova metafisica e non aveva nessunissima intenzione di demolirla o di distruggerla - veniva interpretato come una sorta di positivista con la parrucca incipriata e come esaltatore del dato scientifico" rispetto alle fumisterie indimostrabili, mentre Hegel, che aveva posto il principio della libert incondizionata dell'autocoscienza alla base della sua filosofia della storia, veniva interpretato come un precursore teorico delle dittature (ribattezzate pudicamente societ chiuse"), indifferentemente fasciste (Giovanni Gentile) o comuniste (Gyorgy Lukacs). A questo pittoresco e tragicomico destino non poteva evidentemente sfuggire neppure il problema della genesi storica e sociale della filosofia greca. Aristotele giunge appunto circa duecento anni dopo l'inizio della filosofia greca, e questo in un periodo storico caratterizzato dalla trasmissione orale della memoria e dalla scarsit estrema di testi scritti, che erano appunto scritti a mano su materiale estremamente deperibile. La tendenza a retrodatare al passato i propri specifici e legittimi interessi teorici e pratici  allora quasi irresistibile, in particolare in un periodo storico in cui il passato era considerato venerabile", il che faceva diventare immancabilmente venerabili anche i propri interessi. Ed  infatti esattamente quello che fa Aristotele. Aristotele fa nascere la filosofia dal senso di meraviglia che si ha di fronte alla natura. Dal momento che in una definizione  importante ci che si dice, ma a volte  ancora pi importante ci che si tace o si considera ovvio, scontato o poco interessante, la meraviglia di Aristotele per la sola natura implica che invece la societ" in cui viveva non gli provocasse pi nessuna meraviglia, ma soltanto la legittima curiosit per la sua adeguata classificazione politica ed economica. Questo  peraltro esattamente l'atteggiamento dei filosofi neoliberali e filo-capitalisti di oggi, per cui la societ capitalistica stessa, sia essa o meno imperialistica elo in via di globalizzazione, eccetera, non produce nessuna meraviglia critica, ma solo un ovvio e scontato senso di "positivit", e cio di esistenza assolutamente incontrovertibile, per cui tutti i residui dubbi iperbolici sulla sua natura non vengono neppure pi chiamati "filosofici", ma soltanto "continentali", per connotare geograficamente un piccolo continente invecchiato e cosparso di basi militari imperiali. Nello stesso modo, ad Aristotele la natura suscitava "meraviglia", ma il fatto che Alessandro il Macedone occupasse la Grecia o che la societ fosse schiavistica non gliene suscitava alcuna, e considerava tutto questo un dato prefilosofico. Per Aristotele il mondo era concettualmente ricostruito mediante il concetto di causa (aitia, ation), e pi esattamente mediante la combinazione di quattro cause (materiali, formali, efficienti e finali). Dal momento che per lui questo era il fondamento concettuale e filosofico del mondo, non ci si pu stupire del fatto che classificasse tutti i filosofi che lo avevano preceduto incasellandoli in quattro categorie che rispecchiavano ognuna ovviamente le quattro cause. Ed allora abbiamo gli esponenti della scuola delle cause materiali (l'acqua di Talete, l'aria di Anassimene, eccetera), delle cause formali (il numero in Pitagora, le idee in Platone, eccetera), e cos via. Si  cos di fronte a quello che Marx chiamava "falsa coscienza necessaria", da non confondere ovviamente con la bugia, la malafede o l'incompetenza. Aristotele, ovviamente, non era n bugiardo n in malafede n incompetente, ma superava tutti noi di molte grandezze. Nello stesso tempo, in quanto credeva sinceramente che i primi filosofi greci due secoli prima si ponessero gli stessi problemi che si poneva lui, non si pu negare che Aristotele fosse in preda ad una (legittima ma fuorviante) falsa coscienza. E infatti molto poco probabile che duecento anni prima di Aristotele, in un periodo storico caratterizzato dal passaggio da una societ tradizionale per molti aspetti ancora fortemente tribale e comunitaria, ad una societ nuova fondata sulla libera compravendita di schiavi e di merci resa possibile dalla moneta coniata individualmente posseduta, i primi filosofi fossero realmente interessati ad ipotesi che oggi chiameremmo "scientifiche" sulla origine o sul principio originario (arche) delle cose. Certo, che essi si occupassero anche di arche  inoppugnabile, e non intendo certo negarlo. Il vero problema di questi filosofi, per, un problema integralmente storico, sociale e comunitario, e quindi politico, era la minaccia di insensatezza ed il pericolo di dissoluzione sociale integrale che nasceva irresistibilmente in questa transizione. Ne era consapevole Aristotele? Non lo so, ovviamente, ma mi arrischio a dire di no: non ne era consapevole. In caso contrario lo avrebbe detto in qualche modo, anzich parlare di "meraviglia" rispetto alla natura e di quattro cause genetiche delle cose. Si trattava dei suoi problemi, non di quelli dei primi filosofi. Che questi filosofi parlassero di arche  inoppugnabile.  per almeno probabile, secondo la ragionevole ipotesi di Antonio Capizzi (uno storico della filosofia greca che avrebbe meritato molta miglior fortuna, e che invece non l'ha avuta in un contesto accademico pigramente conformistico), che l'arche non debba essere letta con gli occhiali della problematica della scienza moderna di Galileo e di Newton, ma debba essere vista come metafora di qualcsa d'altro". E questo qualcosa d'altro, in un contesto ancora largamente caratterizzato dalla indistinzione ontologica fra macrocosmo naturale e microcosmo sociale, non pu che essere la legittimazione della convivenza sociale comunitaria. Questa  peraltro anche l'opinione dello storico della filosofia antica Massimo Bontempelli: la minaccia di insensatezza provocata dai nuovi rapporti individualistici e mercantili, e non la semplice arche intesa come principio generico materiale originario del cosmo naturale, deve essere vista come la sorgente sociale pi probabile nella costituzione genetica delle categorie teoriche dei primi filosofi greci. Questi filosofi vengono in genere definiti o come presocratici" o come naturalisti ionici". Entrambe le categorie classificative sono largamente insufficienti. Il termine presocratici" significa soltanto anteriori a Socrate", ma questo non vuol dire niente, perch nessuno definirebbe oggi Kant un pre-hegeliano o Hegel un pre-heideggeriano. In quanto a naturalisti ionici", invece, ionici lo erano veramente (anche se non tutti), ma che fossero naturalisti" invece  tutto da accertare. Non c' dubbio che abbiano scritto poemi che furono poi intitolati Sulla natura (peri physeos), ma la natura di cui si occupavano non  quella che viene chiamata oggi con questo nome ed  studiata nelle facolt di fisica, chimica, biologia e scienze naturali, ma una sorta di metafora vivente dell'unit fra cosmo naturale e cosmo sociale. Del resto, come  possibile pensare seriamente che Pitagora volesse occuparsi dei numeri in quanto tali e non in quanto via privilegiata per una conoscenza di tipo magico- sacerdotale del mondo? E come  possibile pensare seriamente che Parmenide si sia inventato il termine Essere traendolo dalla sua testa, e non abbia invece trasposto in una categoria metafisica la sua preoccupazione e la sua avversione per i mutamenti sociali dissolutivi della polis di Elea in cui viveva? Non voglio qui consigliare al lettore di aderire tout court a molte ardite teorie genetiche, come quella proposta dagli antichisti Thomson e Sohn-Rethel, per cui persino il concetto pi generico ed astratto possibile, quello di Essere (to ori), derivava materialmente con una astrazione proiettiva dall'astrazione materiale che gli stava alla base, quella del valore di scambio altrettanto generico ed indeterminato prodotto dalla moneta coniata. Mi sembra effettivamente un'ipotesi ardita, il che non toglie ovviamente che non potrebbe essere anche vera (da quando in qua l'arditezza  un argomento contro la verit?). Ma preferisco comunque questa arditezza genealogica, per riduzionistica" che possa sembrare (o essere), alla banalit di chi continua a fare cadere dal cielo le categorie filosofiche, come se un signore chiamato Parmenide si potesse inventare" l'esistenza dell'Essere passeggiando per gli stretti sentieri sassosi a picco sul Tirreno. Lo spazio filosofico, quindi, nasce e si sviluppa come spazio sociale dell'inedita indagine sulle ragioni che hanno portato la societ greca del tempo (che non  ovviamente ancora quella di Pericle, di Socrate e di Platone) alla concreta minaccia di insensatezza e di dissoluzione. Una minaccia, sia detto subito con tutta la forza possibile, del tutto formalmente analoga alla minaccia di insensatezza e di dissoluzione che abbiamo oggi, la minaccia di una societ in cui il denaro ed il consumo sono ormai i soli fondamenti del legame sociale e comunitario. E allora, perch si ritiene Talete un filosofo in quanto si  posto il problema dell'arche come fondamento naturale primario (nel suo caso l'acqua), e non invece Solone, che per garantire la permanenza della polis degli Ateniesi contro la minaccia della sua dissoluzione ha posto come fondamento sociale il metron, e cio la misura della ricchezza e del possesso? Per quale ragione l'acqua  un fondamento filosofico ed invece la misura non lo ? E evidente che la risposta non pu essere che una, e banalissima: l'acqua  un fondamento, e la misura non lo , perch Aristotele vedeva ormai certi problemi, e non ne vedeva neppure pi certi altri, come del resto mutatis mutandis avviene anche oggi. L'oggetto della filosofia dei primi pensatori greci  allora la minaccia di insensatezza e di dissoluzione sociale e comunitaria prodotta dal sempre maggiore affermarsi dei rapporti mercantili, la cui natura immanente era quella di dissolvere la precedente comunit e di ricomporla nella forma degli individui atomizzati portatori di capacit di acquisto "privato" differenziale. Il metodo che essi usavano non era per ancora il cosiddetto dialogo, cio il passaggio del logos in un rapporto fra individui ormai costituiti come liberi (di questo metodo parler nel prossimo capitolo dedicato all'ateniese Socrate), ma era ancora il vecchio metodo della sophia, e cio della tradizionale sapienza di tipo religioso. E mentre allora Antonio Capizzi e Massimo Bontempelli ci guidano per l'orientamento genealogico materiale sull'origine della filosofia greca, Giorgio Colli ci guida invece nella comprensione del carattere strutturalmente sapienziale" del metodo dei primi filosofi. Fra i due orientamenti (che potremmo sommariamente e scorrettamente definire materialistico" e sapienziale") non vedo personalmente opposizione ed esclusione, ma piuttosto complementariet. Un discorso analogo pu essere fatto ovviamente anche per la dialettica vera e propria. Bisogner aspettare Socrate per vedere la dialettica incorporata nelle tecniche del vero e proprio dialogo, ma questo deve essere necessariamente connesso con la libera agor di Atene. Nel parmenideo Zenone la dialettica  una specifica arte confutatoria che consiste nell'assumere inizialmente la tesi da combattere e nello svilupparla poi al fine di portarla all'autocontraddizione, come avviene nei mai pienamente confutati argomenti contro il moto e la molteplicit (Achille e la tartaruga, eccetera). Ma non sta qui l'aspetto principale della questione. L'enigma della corretta interpretazione della dialettica nell'epoca presocratica sta infatti a mio avviso quasi integralmente nella figura storica di Eraclito, che resta oscuro" (skoteins) solo per chi non tenta di interpretarlo al di l della lettera. Ho gi fatto notare che il solo modo di comprendere l'altrimenti oscuro concetto di Essere in Parmenide  quello di interpretare questo concetto volutamente astratto e generico come una metafora della permanenza, e pi esattamente della permanenza simbolica di una legislazione politica giusta" di tipo comunitario che sapesse esorcizzare il divenire" della dissoluzione individualistica portata dalla nuova ricchezza monetaria. Se poi, come  altamente probabile, Parmenide  anche stato un pitagorico, questa interpretazione  molto pi confermata che smentita, perch tipico del pitagorismo era la trasposizione dell'armonia dal campo musicale e geometrico al campo sociale e politico. Interpretazioni del tutto destoricizzate di Parmenide, come quella molto conosciuta di Emanuele Severino, ci dicono indubbiamente molto dello stesso Severino e delle sue opinioni sulla tecnica, sul cristianesimo e sulla societ contemporanea, ma non ci dicono invece praticamente nulla su Parmenide, che diventa una semplice auctoritas arcana cui Severino "appende" la propria giacca. La presentazione scolastica di Parmenide come partigiano dell'Essere e di Eraclito come partigiano del Divenire  invece semplicemente vergognosa. Essa si basa sull'etichetta incollata ad Eraclito del famoso punta rei (tutto scorre), espressione che non si trova nei frammenti originali attribuiti al suo poema, intitolato pi probabilmente Le Muse anzich Della Natura, e che invece deriva dall'insegnamento ateniese dell'eracliteo Cratilo. In realt Eraclito e Parmenide cercavano di pensare filosoficamente lo stesso problema, che era concretamente sociale, anche se travestito sapienzialmen-te da una mascheratura mitica. Diogene Laerzio (cfr. IX, 15) ricorda che il grammatico Diodoto aveva gi attestato che il libro di Eraclito non trattava della natura, ma del governo dello Stato, e che gli accenni alla natura vi stavano dentro in funzione di modello. I grammatici non avevano le prevenzioni filosofiche di Aristotele, e per questa ragione erano in grado di cogliere meglio il carattere ancora mitico di questi vecchi testi, laddove Aristotele voleva a tutti costi inserirli nel letto di Procuste delle quattro cause. Eraclito faceva parte della generazione politica di Aristagora di Mileto e di Ermodoro di Efeso, e cio della generazione che rifiut la sottomissione ai persiani del re Dario e che restaur l'isonomia, cio l'eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Questa isonomia, tuttavia, si accompagnava in Ermodoro ed in Eraclito, che era un suo seguace e compagno, alla necessit di instaurare in citt un'austerit egualitaria che impedisse il lusso sfrenato e l'ostentazione delle ricchezze. Gli efesini preferirono la sottomissione alla Persia piuttosto che seguire questa via basata sul metron, e cio sulla misura, ed allora Eraclito attu una secessione personale dalla sua stessa citt, che non poteva pi amare ed in cui non poteva pi identificarsi. In questo senso, anche se non fu condannato a morte come Socrate, anche Eraclito entr in insanabile conflitto con i suoi concittadini. Nell'interpretazione di Capizzi, che considero ragionevole, la cosa pi stupida sarebbe interpretare il polemos di Eraclito come la constatazione che in natura esiste un casino generale bellico o addirittura una darwiniana lotta di tutti contro tutti. Sulla base dell'autorevole e venerabile interpretazione di Diodoto,  meglio considerare lo scritto di Eraclito come un'interpretazione cosmica" delle leggi efesine di Ermodoro, all'interno di una concezione in cui il macrocosmo naturale ed il microcosmo sociale sono ancora uniti (concezione che negli stessi anni in Cina era difesa per gli stessi scopi sociali anche da Confucio e da Lao Tse, senza che ovviamente fossero possibili influssi reciproci sia pure mediati ed indiretti). Per questa ragione Eraclito parla di un universo retto da una comune legge divina, capace di mettere confini persino al sole e di catturarlo se per caso avesse voluto uscirne, di un ordine celeste immutabile che  anche fuoco semprevivo", del fuoco e del fulmine che puniscono le ingiustizie, della guerra tra i contrari che produce armonia, della morte degli elementi da cui nasce a nuova vita una diversa specie di elementi. In questo modo Eraclito suggeriva agli efesini (egli era infatti un patriota efesino cos come Socrate era un patriota ateniese) un ordine isonomico da non modificare, una legge da difendere con la vita, una guerra da combattere senza temere la morte, una rettitudine ed una sobriet da osservare in nome della giustizia universale. Come si vede, la dialettica di Eraclito, cui perfino Hegel rese omaggio come ad un suo nobile precursore, non intende affatto legittimare una sorta di casino generale "eracliteo" in cui tutto scorre, tutto si muove, e tutti combattono contro tutti. In questo scenario alla Dario Fo, Parmenide  un signore che sta fermo in modo ieratico proclamando in modo demenziale che l'Essere  mentre il Non-Essere non , mentre Eraclito, in nome del ballo di San Vito e del principio del rock contro quello del "lento", come nel tormentone di Adriano Celentano, si muove continuamente rovesciando tutti i mobili della stanza. La dialettica non  allora l'arte del casino generale e del movimento ad ogni costo, come nelle interpretazioni demenziali del movimentismo comunista novecentesco in cui la "prassi" equivale al muoversi frenetico senza meta, ma  la conoscenza ontologicamente determinata della realt sociale comunitaria, che il travestimento "naturalistico" deve solo permettere di essere meglio conosciuta. Eraclito contrappone ci che  comune (koinn), ed  cio tipico della isonomia democratica, a ci che  particolare nel diritto consuetudinario nobiliare (Frammento 89). Egli equipara anche la ricchezza privata all'infamia (Frammento 125 a), e ripete che il popolo deve combattere in difesa della legge isonomica come combatterebbe sulle proprie mura contro il nemico (Frammento 44). Lo stesso Frammento 49, per cui per lui uno solo ne vale diecimila, se  il migliore, non deve essere interpretato alla Nietzsche in modo aristocratico e superuomistico, ma al contrario come l'orgogliosa rivendicazione di non-conformit all'opinione maggioritaria dei suoi concittadini. Chiama Pitagora caposcuola dei ciarlatani (Frammento 81), ma lo fa soltanto nel contesto di una difesa delle leggi scritte rispetto alla semplice oralit consigliata da Pitagora, oralit che poi come  noto pass anche a Platone. Questo presunto sostenitore del tutto scorre e del casino generalizzato" (vedi Frammento 30) dice letteralmente che questo ordine [isonomico] identico per tutti non lo fece n un uomo n un dio. Esso  da sempre,  e sar fuoco sempre vivo, che regolarmente si accende e regolarmente si spegne". E potrei continuare a lungo, ma penso che il concetto sia stato gi chiaramente espresso: la dialettica non  casino generale in movimento, ma accertamento ontologico della natura della societ. Su questa base, possiamo passare ora al grande Socrate. Capitolo secondo La dialettica di Socrate Chi era il vero Socrate? Da circa due secoli, e cio da quando  sorta la lettura filologica e critica moderna dei testi antichi (in coincidenza niente affatto casuale con le proposte di ricostruzione del vero Ges storico"), ci si chiede quale sia veramente stato il Socrate storico". Anzich riassumere qui le posizioni distinte di questa nobile diatriba che certamente proseguir anche in futuro (e sar bene che prosegua, per le ragioni che ora esporr brevemente), chiarir subito al lettore la mia personale posizione in tre punti distinti. In primo luogo, il fatto che Socrate non abbia scritto nulla non  soltanto un interessante dato storico, che poi Platone trasformer filosoficamente nella tesi della superiorit del discorso orale su quello scritto, ma  la precondizione di un mito di fondazione, ed esattamente del mito di fondazione della filosofia occidentale. Se infatti il fondatore della filosofia occidentale avesse scritto qualcosa o sarebbe diventato uno dei tanti scribacchini come il sottoscritto, destinati ad annullarsi nella saturazione della folla dei concorrenti, oppure sarebbe diventato una sorta di guru religioso i cui scritti appunto avrebbero dato origine a scuole rivali di interpretazione interminabile, come  avvenuto per i rabbini ebraici, i preti cattolici ed i monaci buddisti. La filosofia doveva nascere come spazio dialogico non scritto, in quanto solo in questo modo poteva sottrarsi al destino degli scritti religiosi (o parareligiosi, si pensi al marxismo novecentesco come ideologia di legittimazione ex-post di linee politiche decise da professionisti della decisione politica provocatoriamente ignari degli aspetti filosofici dello stesso pensiero di Marx) destino ineluttabilmente scritto" nel loro carattere rigido anzich fluido. Il socratismo"  allora il mito di fondazione originario della religione dei filosofi, e cio di quella peculiare religione che si fonda sul dialogo razionale. La stessa razionalit", ed  questo un punto sistematicamente incompreso da tutti i positivisti,  anch'essa una fede", la fede nella razionalit, appunto, e nella sua capacit pratica di risolvere, se non tutti, almeno molti problemi. Il big bang del socratismo  allora necessariamente una X, una posta in gioco di strategie discorsive che non possono, programmaticamente, fare riferimento ad un testo, ma che possono invece costituire progressivamente testi diversi in conflitto (o in solidariet) reciproco. In secondo luogo, tendo personalmente a dar ragione a Hegel, che nelle sue Lezioni di storia della filosofia sostenne che Platone non  in nessun modo una fonte attendibile per ricostruire l'originale pensiero autentico di Socrate, ma che  preferibile fidarsi dei Memorabili di Senofonte. Si obbietta in generale che Senofonte non capiva niente di filosofia, mentre invece Platone ci capiva indubbiamente qualcosa, ed allora ne deriva che per capire un filosofo ci voleva un suo collega, e non un guerriero ed avventuriero di professione come Senofonte. Non sono affatto d'accordo. Il modo pi sicuro di fraintendere un filosofo  affidarsi ad un altro filosofo di eguale o simile grandezza. Un modo sicuro per non capire Platone  affidarsi ciecamente all'opinione di Aristotele, cos come un buon modo per non capire Marx  affidarsi all'interpretazione di Engels. Diogene Laerzio, che capiva palesemente molto poco di filosofia, ma ne era per sinceramente appassionato e certamente comprendeva i suoi limiti,  a mio avviso un'ottima fonte, perch non cerca di duplicare" il pensiero del filosofo di cui tratta sovrapponendogli" il suo in modo da conferirgli una maggiore auctoritas. Questo modesto saggio in quindici capitoli non ha affatto la presunzione di consegnarvi bene impacchettata la vera interpretazione" dei pensatori che interpello, ma ha semplicemente l'ambizione di dirvi come la penso io in proposito, in modo da stimolarvi (e non c' miglior stimolo dell'eventuale irritazione, che sta alla filosofia come l'eccitazione sta al rapporto sessuale) a riflettere su come la pensate voi. Le cosiddette interpretazioni" sono sempre e soltanto posizioni originali mascherate da un omaggio quasi sempre ipocrita nei confronti di una auctoritas. Se infatti dicessi: Preve pensa cos e cos, eccetera, si alzerebbe subito un mormorio malevolo ed invidioso, del tipo ma perch ci rompe le scatole questo pensatore di quarta fila?", mentre invece interpretando Marx c' forse una possibilit su mille (come vedete, sono molto ottimista) di essere preso in considerazione. Richiamo comunque l'attenzione su di uno specifico paradosso della filosofia, per cui proprio l'attivit che per sua natura intrinseca non dovrebbe aver bisogno di auctoritates procede invece basandosi su di esse. Che dire? Esister forse, Dio non voglia, una natura gregaria e conformistica della nostra civilt che ha sempre bisogno di assicurazioni e riassicurazioni per cui quello che dico  anche quello che ha detto Pinco Panco, re dell'Universo? In terzo luogo, per concludere, ritengo corretta nell'essenziale la tesi avanzata per la prima volta da Olaf Gigon nel 1947, per cui il cosiddetto discorso socratico" (logos sokratiks)  un genere letterario ateniese, pi esattamente un genere letterario patriottico in cui la citt di Atene rivendicava a se stessa la scoperta e la fondazione della pratica filosofica, strappandola in questa modo sia alla Ionia sia alla cosiddetta Magna Grecia (megale Elias). Come tutte le tesi un poco estreme e scandalose (che sono per anche le pi interessanti, in quanto a mio avviso se una tesi non  estrema e scandalosa non vale neppure la carta su cui  scritta), essa deve esser presa con beneficio di inventario. Ritengo per che essa si avvicini molto alla realt. Il logos sokratiks, imperniato sul dialogo dialettico, raddoppia nel cielo della filosofia il logos democratico che derivava dalla isonomia ateniese e soprattutto dalla isegoria, e cio dal diritto di parola cui tutti i cittadini nell'assemblea (ecclesia). Il logos ionico si era invece presentato in una forma naturalistica (anche se, come ho detto nel capitolo precedente raccogliendo la preziosa indicazione di Diodoto, questa forma naturalistica mascherava un contenuto politico-sociale), mentre il logos italico (Pitagora, Empedocle, eccetera) si era invece presentato in una forma sapienziale. Ma la forma sapienziale non era adatta ad un contesto culturale caratterizzato dalla iso-nomia (eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge) e dalla isegoria (eguale accesso alla parola pubblica). In questo contesto culturale la sapienza (sophia) doveva necessariamente passare per il dialogo. In questo modo, e vorrei insistere molto su questo punto cruciale, il filosofo ateniese Socrate, spesso superficialmente considerato un nemico della democrazia, era invece paradossalmente un purissimo prodotto organico alla democrazia stessa. Il logos sokratiks, infatti, non pu semplicemente esistere senza metodi e contenuti democratici, anche e soprattutto quando critica gli eccessi e l'infondatezza di molte decisioni formalmente democratiche (ad esempio la messa a morte dei generali delle Arginuse, contro cui Socrate condusse un'aperta battaglia politica che certamente gli procur molte antipatie destinate ad accrescere la maggioranza dei giudici popolari che lo condannarono a morte). Ho messo cos le carte in tavola" davanti al lettore. Ora, per, dir in breve come la penso io su Socrate. E partir da un'informazione di Diogene Laerzio poco sfruttata (cfr. II, 19- 20): ... lo storico Duride dice che fu un lavoratore salariato, lavor la pietra e che sono sue le Cariti vestite che si trovano sull'Acropoli, mentre Aristosseno, figlio di Spintaro, dice che egli si arricch investendo il capitale, ne ricav gli interessi, e poi investiva di nuovo". Questa notizia  interessante. Insomma, Socrate era uno scalpellino o era un benestante che viveva di rendita? La domanda, posta in questo modo moderno (Socrate borghese o Socrate proletario?),  del tutto insensata se riferita all'antica Atene. A differenza di come viene presentata da frettolose ricostruzioni, l'antica Atene non era assolutamente una societ parassitaria in cui gli schiavi producevano per permettere ai liberi di oziare (come i marxisti deplorano ed invece i nietzschiani esaltano, nella loro comune pittoresca ignoranza dell'antichit), ma era una comunit in cui il lavoro schiavistico era marginale e concentrato in alcune attivit particolari (miniere del Lavrion, eccetera), mentre il vero lavoro collettivo era eseguito da piccoli produttori indipendenti agricoli ed artigianali. Questa era la base della democrazia dei greci, ed anche la base del loro spirito di indipendenza. Da questo mondo proviene Socrate. Ed  per questo del tutto normale che un uomo dominato dal daimon dell'interrogazione filosofica facesse prima lo scalpellino e poi riuscisse a vivere modestamente di rendita, in quanto lo scalpellare dall'alba al tramonto gli avrebbe impedito di andare a discutere nell'agor. La compulsione al lavoro ed al guadagno  una porcheria sociale posteriore alla nascita dell'economia politica, del tutto ignota ai nostri antichi progenitori. Il logos sokratiks ateniese, ad un tempo pratica sociale e genere letterario, presuppone una societ di piccoli produttori indipendenti ed  quasi impensabile senza di essi. Veniamo ora ai cosiddetti "contenuti" dell'insegnamento socratico. In proposito, mentre ho invitato a diffidare di Aristotele quando ricostruisce a modo suo la genesi originaria della filosofia greca, in cui sovrappone i suoi interessi ad un n contesto radicalmente diverso, sono invece portato a dargli sostanzialmente ragione quando parla di Socrate. Per questo citer e commenter brevemente alcuni passi aristotelici (cfr. Metafisica, XIII, 4,1078 b), che a mio avviso ci permettono di cogliere l'essenza della questione. Dice Aristotele: "Socrate si occup delle virt etiche e per primo cerc su j esse definizioni universali [...|] con i ragionamenti cercava l'essenza, perch cercava di sillogizzare, ma il principio dei sillogismi  l'essenza". Pu essere utile un breve commento. Dal momento che ad Aristotele interessa il metodo logico-sillogistico, che ritiene di aver migliorato rispetto ai tempi di Socrate, non gli passa neppure per la mente di ricordare l'ironia, e cio l'affermazione di sapere di non sapere, e la maieutica, e cio l'arte di far partorire la verit con il dialogo sulla base del presupposto orfico-pitagorico dell'innatismo virtuale. Questo "silenzio"  estremamente significativo, in quanto Aristotele ritiene di sapere, ed espone infatti il suo sapere (in questo resta un buon allievo di Platone). E ritiene di sapere, perch nel frattempo si era chiusa quella finestra storica di crisi dei valori politici all'interno della quale si era costituito il logos sokratiks. Non si tratta di maggior "dogmatismo" rispetto ad una maggiore "problematicit", in quanto questo modo di porre i problemi  psicologistico e finiremmo con il dover fare un'impossibile anamnesi psicoanalitica sulle rispettive mamme di Socrate e di Aristotele. Si tratta del fatto che una crisi di virt politiche si era chiusa, e si era chiusa in direzione di una dissoluzione definitiva di un certo tipo di comunit politica. Aristotele vive infatti in un'epoca in cui l'etica e la politica si erano separate, ed infatti sulla base di questa separazione egli pu scrivere separatamente un'Etica ed una Politica. Socrate non avrebbe neppure potuto capire una simile separazione, perch per lui etica e politica facevano ancora tutt'uno e costituivano un nesso inseparabile. La virt (aret)  inscindibilmente etica e politica, nel mondo comunitario di Socrate, al punto che egli non scappa neppure dal carcere (si veda il dialogo Critone) perch la stessa giustizia" (dikaion) non pu essere pensata separatamente dalla comunit (e qui il koinn, il comune,  lo stesso in Eraclito ed in Socrate). Nel silenzio sull'ironia e sulla maieutica, e nel fraintendimento sull'etica separata dalla politica, Aristole  paradossalmente veritiero, purch questa verit venga letta in controluce sul lato opposto della sua veridicit" soggettiva. Scrive ancora Aristotele: Due cose, infatti, possono essere correttamente attribuite a Socrate: i ragionamenti induttivi e la definizione dell'universale [...] ma Socrate non poneva come separati gli universali n le definizioni. Quegli altri [sottinteso i platonici; nota mia] invece li separarono e denominarono tali enti idee". Contro la scuola inglese del Burnet e del Taylor, che ha sempre sostenuto la tesi della sostanziale ortodossia socratica di Platone, io penso invece che Aristotele abbia qui sostanzialmente ragione. E vero che egli non fu un allievo diretto di Socrate, e nacque quindici anni dopo la sua morte. Ma  vero anche che era molto "vicino" temporalmente e spazialmente a fonti dirette, anche se non si pu escludere che volesse anche lui ripararsi dietro l'auctoritas dell'eredit socratica, attribuendogli la sua teoria dell'universale come "astrazione mentale" anzich come "idea" vera e propria in senso platonico. In ogni caso,  assolutamente impossibile sapere chi abbia ragione, ed il convincimento personale non  una dimostrazione filosofica o filologica. Nel mio caso,  proprio l'adesione sostanziale alla tesi del Gigon sul logos sokratiks come genere letterario nazionale ateniese che mi porta ad escludere la presenza nel concreto Socrate storico di una tesi sostanzialmente tanto rigida e "pitagorica" come quella delle idee e delle idee-numeri. L'akropolis di Crotone non  l'agor di Atene. Il logos sokratiks ateniese non mi sembra compatibile per sua natura con una dottrina tanto sistematica come quella delle idee.  invece possibile dire qualcosa di pi sicuro sul cruciale concetto di "virt" (aret) in Socrate. Il concetto di virt ha subito negli ultimi secoli una vera e propria catastrofe semantica, che lo ha ridotto a moralismo ipocrita e bacchettone, una mescolanza improbabile di sacrificio di s e di rigore dei costumi ed una sorta di penosa alleanza di altruismo e di castit. Quando ero giovane le ragazze "virtuose", come la Pamela di Richardson, erano quelle che risparmiavano la verginit per un buon matrimonio. Ora, di "virt" del genere si pu proprio farne a meno. Per i greci l'aret era priva di qualsiasi retrogusto moralistico, e significava soltanto la qualit propria di qualcosa. L'aret della buona terra era la sua fertilit, quella di una spada il suo taglio, quella dei piedi del corridore la sua velocit. La virt di qualcosa  ci che le permette di compiere nel modo migliore possibile la sua funzione (cfr. Repubblica ,1, 352-53). Se ci si mette in questa ottica, la famosa equazione socratica di virt e di sapere perde ogni mistero, ed  inutile obbiettarle che uno potrebbe anche sapere che cosa sia il bene e poi non farlo spinto dai vizi. Tutto questo  banale, ed era gia perfettamente noto anche a Socrate. Socrate intende dire che, come la spada ha come virt propria quella di tagliare bene, nello stesso modo l'uomo ha come virt propria l'arte politica della partecipazione alla propria comunit. Platone (e si veda l'illuminante Lettera VII) vive all'interno di una crisi ignota alla generazione di Socrate, quella della vera e propria dissoluzione dei fondamenti sociali che erano ancora familiari a Socrate e che avevano reso possibile il logos sokratiks. In quanto ad Aristotele, che nasce quando Platone ha gi pi di quarant'anni, non esiste pi per lui un orizzonte sociale e politico unitario in cui tutte le virt umane possano unificarsi in una (la kalokagathia ateniese del tempo di Pericle, l'essere cio riconosciuto come bello e buono" dalla propria comunit di appartenenza), ed  allora inevitabile che le virt si moltiplichino e si distinguano l'una dall'altra, per cui Varete diventa mesotes, giusto mezzo. A nessun contemporaneo di Socrate sarebbe mai venuto in mente definire la virt in termini di giusto mezzo, anche se il concetto di misura nei comportamenti umani (metron) era gi molto rispettato, ed ispira le riforme politiche prima di Solone e poi di Clistene. Facciamo dunque attenzione a non attualizzare" troppo il termine virt, che in Socrate precede l'avvento del moralismo religioso monoteista. Nello stesso modo, evitiamo la pur spontanea connotazione di Socrate come "pensatore del dialogo".  normale che filosofi democratici e liberali come Guido Calogero, stanchi del dispotismo fascista e sospettosi del nuovo dogmatismo comunista, proiettino sull'ateniese Socrate la loro legittima e sacrosanta esigenza di un nuovo legame sociale complessivo basato non pi su dogmi, ma sul dialogo. Ma oggi dialogo significa esposizione di punti di vista diversi che vengono scambiati fra soggetti dissenzienti per "ammorbidire" in qualche modo le distanze iniziali nella speranza che questo ammorbidimento porti infine ad un consenso contrattato come unica alternativa alla violenza reciproca. Tutto questo  molto buono e molto utile, ma non c'entra molto a mio avviso con il dialogo socratico. Il dialogo socratico  una specifica tecnica che segue regole severissime e spossanti, e non c'entra nulla n con l'utopia dialogica di Guido Calogero n con la civile conversazione fra scettici liberali di Richard Rorty. Questa tecnica implica un copione fisso, che presenta sempre due momenti (l'ironia e la maieutica) e talvolta giunge anche ad un terzo (la definizione). Non sempre questo terzo momento conclusivo  possibile, ed in questo caso il dialogo  aportico, perch deve limitarsi a registrare l'impossibilit di una definizione concordata. Questo  allora il logos sokratiks, il modello patriottico nazionale ateniese di filosofia che ha come suo mito di fondazione originario proprio il fatto di non poter essere messo per iscritto, nella sua duplicazione simbolica del "parlato" dell'assemblea politica dei cittadini. E per finire,  attuale la figura di Socrate? Per me la vera attualit di un pensatore coincide al cento per cento con la sua inattualit nel mondo manipolato del circo meditico e del politicamente corretto. La virt politica socratica con il suo logos sokratiks egualitario, reciproco, isonomico ed ise-gorico, privo di auctoritates e rigoroso, dunque opposto alla chiacchiera in libert che viene oggi denominata "dialogo",  la cosa oggi pi inattuale che ci sia nell'epoca dei talk show televisivi manipolati. Su questa inattualit si fonda, naturalmente, l'estrema attualit di Socrate. E per questo Socrate  una figura contemporaneamente storica, cio incomprensibile al di fuori del contesto della virt politica comunitaria ateniese, ed eterna, in quanto paradigmatica della condizione umana. Chi scrive e chi legge queste righe saranno morti da tempo, e Socrate sar sempre attuale come exemplum della perennit dell'interrogazione filosofica. Ci voleva un dilettante irritante e smodato come Nietzsche per interpretare Socrate come rappresentante della decadenza, e per connotare come decadenza l'interrogazione socratica sull'essenza. Nietzsche  talmente estraneo allo spirito dei greci antichi, di cui si serve unicamente come martello nella sua lotta paranoica contro i fantasmi democratico-egualitari che lo ossessionano, da non capire che il logos sokratiks  greco esattamente come il Partenone, i giochi di Olimpia, l'oracolo di Delfo, la tragedia di Eschilo, la commedia di Aristofane e la lirica di Saffo. In questa incomprensione di Nietzsche, che nella sua unilaterale idiozia  pur sempre pi produttiva di stimoli e di reazioni delle lodi conformistiche salmodianti e belanti a Socrate come esponente del "dialogo" inteso come chiacchericcio interminabile (il Gerede di Heidegger), io leggo l'incapacit strutturale dei moderni di relazionarsi con gli antichi greci. Ma, si dir, come fai tu a criticare gli altri, pretendendo di saperti relazionare mentre gli altri non saprebbero farlo? Buona domanda. Ad essi risponderei socraticamente che almeno io so di non saperlo, e che la sola cosa che so  che  impossibile attualizzare" i greci antichi, perch il cristianesimo li ha fatti volare via per sempre. Ma anche se il contesto storico e culturale in cui visse Socrate  volato via per sempre, resta il modello ideale della sua concezione integrale di virt politica e umana. E questa  l'unica affermazione integralmente platonica" che mi sento di poter fare a cuor leggero. Capitolo terzo La dialettica di Platone Platone traduce il progetto pitagorico della conoscenza di ci che  immutabile nella lingua, o pi esattamente nel genere letterario del logos sokratikos. Dal momento che il profilo inimitabile di Platone  proprio dovuto a questa mirabile fusione fra socratismo e pitagorismo, non  facile stabilire quale sia il sostantivo e quale sia invece l'aggettivo qualificativo. Possiamo lasciare per ora in sospeso questo problema definitorio, anche perch a seconda delle citazioni e dei contesti a volte prevale l'uno ed a volte l'altro. Nel dialogo aportico letelo, aportico in quanto non si conclude con una definizione liberatoria, Socrate (che da ora in avanti sar citato solo in quanto portavoce di Platone, e dunque non di vero" Socrate) respinge la proposta definitoria di Teeteto (Scienza = Sensazione), identificandola curiosamente con la posizione di Protagora per cui l'uomo sarebbe la misura (metron) di tutte le cose (cfr. 51 e). Le obiezioni platoniche sono tre: primo, nessuna sensazione  stabile, e quindi nessuna conoscenza basata sulla sensazione sarebbe stabile; secondo, se l'uomo, e cio l'individuo,  la misura di tutte le cose, saremo obbligati a tener conto dell'opinione di tutti gli uomini, cosa evidentemente impossibile; terzo ed ultimo infine, se l'uomo  la misura di tutte le cose, Protagora finisce con il darsi torto da solo, perch la formula che propone non fa che riflettere la sua personale misura, e non potrebbe allora essere eretta a massima universale.  bene dunque notare subito due cose. In primo luogo, Platone parte qui dal concetto di misura (metron), che era la base comune da cui partivano tutti indistintamente i filosofi greci, in quanto da Solone in poi il metron era un concetto politico, ed indicava la misura ideale cui appunto commisurare i rapporti economici fra i cittadini, rapporti che se diventavano smisurati" avrebbero portato alla dissoluzione della polis stessa. Ci sta qui quello specifico rapporto di incorporazione (l'embeddedness di cui parla Polanyi) dell'economia nella politica che il capitalismo liberale ha infranto, e la cui sparizione impedisce oggi alla stragrande maggioranza degli interpreti moderni di capire gli elementi minimi della filosofia politica dei greci, che ruotava sempre intorno al concetto di limitazione politica della libera disponibilit delle ricchezze individuali. In secondo luogo, dal momento che il metron implica per definizione la misurazione aritmetica e geometrica, il solo modo ragionevole per opporsi al mobilismo" di Protagora non poteva che essere il ricorso al metodo di Pitagora. Le matematiche a base pitagorica giocano dunque nella filosofia di Platone un ruolo fondamentale, che  per sempre propedeutico (e si veda la teoria dei quattro distinti gradi di conoscenza esposta in Repubblica, 510, ab). In Platone, come del resto pi tardi in Spinoza, il metodo matematico  fondamentale ed imprescindibile, ma non conclusivo, come lo  invece nei positivismi di tutti i tipi. In sintesi, Platone utilizza il logos sokratiks nel suo metodo dialogico per cercare di unire Solone e Pitagora, il metron politico dell'equilibrio della comunit politica (isorropia) ed il metron numerico che ci stacca dalla sfera protagorea del divenire incessante (cfr. Repubblica, VII, 525-26). Le matematiche, in ogni caso, restano una propedeutica (propaideia; Repubblica, VII, 531 d). Questa posizione di Platone si differenzia quindi sia dallo scetticismo relativistico attribuito a Protagora (se a ragione o a torto lo lascio qui in sospeso), sia da ogni tipo di concezione scientifica moderna di tipo galileiano, che vede nelle matematiche un modello di scienza [episteme) e non una propaideia. La teoria delle idee vera e propria appare per la prima volta nel Cratilo (cfr. 386 e). Anche qui Socrate si rivolge ad Ermogene criticando Protagora, che  evidentemente non tanto la bestia nera" quanto il vero avversario serio" di Platone (laddove Gorgia non lo , perch gli  talmente lontano ed alieno da non essere neppure un interlocutore polemico). Dice Socrate:  chiaro che le cose hanno per loro natura un certo essere permanente, ousia, che non  relativo a noi e non dipende da noi. Esse non si lasciano trasportare qua e l a seconda della nostra immaginazione, ma esistono per conto loro, secondo il loro essere proprio e conformemente alla loro natura". Ricordando il concetto di arete cui ho gi accennato nel capitolo precedente dedicato a Socrate, diremo che la virt specifica delle idee  quella di essere indipendenti dall'opinione che noi ci facciamo di loro. E impossibile fare una dichiarazione anti-relativistica altrettanto chiara. Il concetto di dialettica in Platone presuppone allora la chiara comprensione di quanto ho sino ad ora segnalato. Il lettore avr notato che nel capitolo precedente dedicato a Socrate ho volutamente evitato di attribuirgli uno specifico concetto di dialettica, perch il logos sokratiks coincide con lo spazio stesso della dialettica, integralmente assorbita nella pratica linguistica dello spazio dialogico. Nel mondo di Socrate la retorica era l'arte di fare discorsi lunghi senza essere interrotti, mentre la dialettica era semplicemente l'arte di fare domande e dare risposte brevi seguendo sempre il filo del discorso ed essendo in grado di rilevare immediatamente le contraddizioni logiche in cui cadeva l'interlocutore. Solo con Platone la dialettica diventa invece quella che possiamo chiamare la Scienza del Bene attraverso il metodo ascendente (synagogh) e quello discendente (diairesis). Ci torner. Per ora  sufficiente rilevare che senza l'innesto del programma pitagorico nel logos sokratiks,  impossibile capire il concetto di dialettica in Platone. Come sempre Platone si relaziona con Protagora, come ho gi indicato nel caso del Teeteto (151 e), e della Repubblica (510 ab). Nel dialogo Protagora (356 e), Platone osserva che se si dovesse scegliere per la nostra salvezza fra il pari ed il dispari, avremmo bisogno di una seconda scienza della misura diversa da quella che ci permette semplicemente di definire il pari ed il dispari, e dunque di una scienza della misura che ci permetta di definire il pari ed il dispari in funzione della nostra salvezza. Nel Politico (cfr. 283 c) si arriva finalmente a questa definizione doppia di scienza della misura (episteme metritik). Da un lato le matematiche, che si occupano solo delle relazioni di grandezza e di piccolezza. Dall'altro la dialettica, che si occupa di rapporti in funzione della giusta misura (pros to metrion). Da sole le matematiche secondo Platone (cfr. Repubblica, 533 c) ci fanno vedere dell'essere solo delle immagini da sogno (os oneirottousi men peri to on). Il dialettico, allora, e cio il filosofo che possiede la dialettica,  identificato da Platone con il sinottico, e cio con colui che vede le cose alla luce di una unit, che  poi sempre quella del Bene. La definizione  in Repubblica, VII, 537 c: chi  capace di una vista d'insieme  dialettico, chi invece non ne  capace non lo " (o men gar synoptiks dialektiks, o de me ou). Mi scuso per la traslitterazione, ma credo che anche coloro che non conoscono l'alfabeto greco possano egualmente capire il fondo della questione. Questa dialettica  bimondana, e comprende quindi un rapporto fra due mondi, collegati solo da rapporti di imitazione (mimesis) e di partecipazione (metexis). Il lettore deve prestare una particolare attenzione a questo punto, perch nei capitoli decimo ed undicesimo dedicati ad Hegel ed a Marx sosterr invece che la loro dialettica  monomondana, e quindi diversa in linea di principio da quella di Platone. In estrema sintesi la bimondanit del modello dialettico di Platone  dovuta al fatto che la scienza di riferimento di Platone era la matematica, mentre in Hegel ed in Marx la monomondanit deriva invece dal fatto che la loro scienza di riferimento  la storia. Ma torniamo ora al nostro autore. La dialettica di Platone comprende due momenti, uno ascendente e l'altro discendente. La dialettica ascendente (synagogh) si eleva da idea ad idea fino all'idea suprema del Bene, che secondo Platone sorpassa in maest e potenza la stessa essenza ed  quindi al di l di essa" ( cfr. Repubblica, VI, 509 b). La dialettica discendente, invece,  quella che Platone paragona all'arte del macellaio che sa disarticolare un corpo secondo le sue naturali articolazioni (cfr. Fedro, 265e). E qui Platone si esprime in maniera assolutamente inequivoca:  di questo, Fedro, che sono personalmente molto innamorato. Di queste divisioni [diaireseon] e di queste riunificazioni [synagogon], per poter essere capace di parlare e di pensare. Inoltre, se appena vedo in qualcun'altro una capacita di portare lo sguardo in direzione di una unit che sia l'unit naturale di una molteplicit, ebbene, non mi stancher di corrergli dietro". Fin qui ho messo a disposizione del lettore alcune citazioni essenziali. Non amo personalmente il metodo delle citazioni per dimostrare una tesi, ma nel caso dei filosofi antichi  impossibile farne a meno, laddove in quelli contemporanei  a mio avviso pi facile parafrasarli. Ed ora passiamo alla discussione. In primo luogo, la dialettica ascendente e discendente di Platone, che ha come oggetto il Bene e come propedeutica la matematica, non deve essere in alcun modo identificata con la sua teoria politica. Incidentalmente, non esiste neppure un'unica teoria politica in Platone, perch la Repubblica e le Leggi danno luogo a due modelli radicalmente diversi, e personalmente non sono mai stato soddisfatto della facile spiegazione per cui Platone in vecchiaia sarebbe stato deluso" dopo i suoi tre tragicomici viaggi a Siracusa, e quindi sarebbe passato dal primo modello utopico al secondo modello realistico". Platone era la stessa persona, saldissima nella difesa della sua teoria delle idee, e non me lo vedo configurare il cosiddetto Consiglio Notturno delle Leggi (organizzazione segreta consacrata ad uccidere gli oppositori o a renderli desaparecidos) unicamente perch deluso". Non si diventa nazisti per delusione. C'era evidentemente un'ambivalenza in Platone, con una conseguente patologica oscillazione fra soluzioni opposte, e niente affatto complementari, come avviene peraltro per la maggior parte dei filosofi politici; basti pensare a Lenin, oscillante fra il massimo di anarchismo autogestionario e libertario (vedi Stato e Rivoluzione) ed il massimo di autoritarismo repressivo e dispotico (vedi i suoi scritti durante la guerra civile russa 19181921). Se ora mettiamo da parte un testo imbarazzante come le Leggi, vediamo che nella Repubblica la teoria politica si risolve quasi integralmente in educazione (paideia), ed a sua volta l'educazione, a parte la ginnastica e la musica che devono educare l'armonia del corpo, si risolve integralmente in armonia dell'anima (psych), e quindi non c' distinzione fra filosofia e dialettica. Si avvicina dunque molto al problema il filosofo italiano Biral, che in un magnifico studio su Platone ha sostenuto che lo scopo suprema del filosofo  l'educazione dell'anima pi ancora di quella della polis (che al suo tempo era ancora vista come un'anima collettiva, punto di vista che spar due generazioni dopo e spar per sempre), e cio l'equilibrio fra la parte desiderativa, la parte nobile e coraggiosa e la parte razionale ed intellettiva.  chiara l'importanza in Platone della centralit simbolica del numero tre (tre anime, tre classi sociali, eccetera). In proposito l'origine diretta viene probabilmente dalla scuola di Pitagora e dal suo simbolismo numerico, ma nessuno mi toglie dalla testa (anche se ammetto di non poterlo dimostrare) che la vera origine del simbolismo ternario  quello che Georges Dumezil chiama trifunzionalismo indoeuropeo (sovranit religiosa, forza fisica e fecondit). In secondo luogo, sulla base dei rilievi precedenti, considero del tutto assurdo accusare Platone di essere un teorico di una societ chiusa" ed un nemico della cosiddetta societ aperta". Il fatto che una simile dilettantesca accusa fatta da Karl Popper (serio professionista dell'epistemologia e ridicolo dilettante nella storia della filosofia occidentale) abbia potuto essere presa sul serio - e sia diventata attraverso la fondazione Soros la filosofia ufficiale nel paesi dell'Est europeo, che ha sostituito l'altrettanto ridicolo e simmetrico materialismo dialettico -, non ci dice assolutamente nulla sui greci, nostri venerati progenitori, ma ci dice invece molto sulla miseria morale e filosofica dei nostri tempi. L'utopia neoliberale ed ultra-capitalistica della fine della storia in un grande mercato geograficamente illimitato che si riproduce eternamente (o almeno fino allo spegnersi" del nostro sistema solare), ed in questo modo sbarra la strada a qualsiasi mutamento temporale qualitativo,  un tale incubo che non pu affatto stupirci che psicoanaliticamente i suoi sostenitori lo rovescino attribuendolo ai loro avversari (e questo spiega anche a mio avviso il perch del fatto che per esorcizzare e rimuovere questo sospetto Popper non odi solo il marxismo, ma odi altrettanto ed ancora di pi la psicoanalisi). Naturalmente Platone non intendeva affatto teorizzare una societ chiusa", in quanto non era uno storicista" che per abitudine sacralizza il mondo dell'immanenza ritenendo che non ne esista nessun altro. Nella robusta teoria bimondana di Platone lo Stato era anch'esso ideale", e l'immobilit fa solo parte del mondo ideale stesso, e non di quello reale. In proposito, il libro della Repubblica che preferisco (non intendo impegnarmi per altri o proporre una tesi "generalista")  l'ottavo, quello in cui Platone parla delle cosiddette "degenerazioni": timocratica, oligarchica, democratica e tirannica; degenerazioni la cui logica dialettica di sviluppo  molto simile a quella che duemila anni dopo disegner Hegel nella Fenomenologia dello Spirito. E cos come Eraclito e Confucio, spazialmente tanto lontani, rispondono a modo loro allo stesso problema della minaccia dall'insensatezza in cui cade una societ quando crollano i suoi fondamenti simbolici precedenti, nello stesso modo Platone ed Hegel, temporalmente tanto lontani, rispondono a modo loro allo stesso problema del rovesciamento nel suo contrario di un principio etico-politico ordinatore che si irrigidisce e non sa o non pu "dialettizzarsi" con se stesso se non in modo dissolutivo. In secondo luogo, la doppia dialettica ascendente e discendente di Platone (synagogh e diairesis), pur non risolvendosi integralmente in una teoria politica determinata,  pur sempre la duplicazione astratta di un'utopia politica. Nella dialettica ascendente l'individuo "ascende" al bene politico rappresentato dalla comunit virtuosa dei cittadini, e questo d luogo ad una psicosociologia, mentre nella dialettica discendente la comunit virtuosa dei cittadini "discende" al singolo individuo, dando luogo cos ad una vera e propria sociopsicologia. Il lettore liberale moderno ci vedr qui una intollerabile tentazione "organicistica", e quindi totalitaria. Ma  bene ricordare che sia l'organicismo che il totalitarismo sono incubi politici dell'ultimo secolo, e che la loro retroazione all'Atene di Platone  demenziale sul piano storico e sgradevole su quello storiografico. I profili liberali, comunisti e fascisti erano ovviamente del tutto estranei a Platone. Il suo problema  un altro, e lo si pu esporre in questo modo: ci sono due modi di fondare il bene politico, quello che lo fonda sulla paideia (e sulla propaideia costituita dalle matematiche), e quello che lo fonda sulla casualit derivata dallo scontro di opinioni infondate sostenute con una oratoria di tipo retorico. Se Platone  "attuale", e cos come Socrate lo  nella misura in cui  radicalmente "inattuale" perch viviamo oggi in un'orgia di manipolazioni e di sondaggi che hanno integralmente svuotato la democrazia, lo  perch il problema del bene politico e della sua fondazione resta sempre attuale. Nella Repubblica Platone consiglia di proibire gli scritti che rappresentano gli dei in forma caricaturale, osservazione molto saggia se riflettiamo sul fatto che oggi la libert del caricaturista di rappresentare Ges che si masturba in croce, Maometto con un candelotto nel turbante o Mose con il naso adunco che conta il denaro, eccetera,  considerata sacra e fondante della nostra sacrosanta civilt liberale dell'arbitrio assoluto scambiato per libert. In terzo luogo, non bisogna aver paura ad affrontare i cosiddetti "lati sgradevoli" di Platone, come la sorveglianza statale sulla produzione letteraria e filosofica, l'eugenetica ed il comunismo (limitato peraltro ai soli soldati della repubblica). Sembra quasi che Platone debba essere fatto oggetto di una sorta di "prendere o lasciare", tutto buono o tutto cattivo, cos come peraltro i comunisti dogmatici e gli anticomunisti fanatici hanno fatto con Marx, che sarebbe anche lui o tutto buono o tutto cattivo. Chi si mette in questa ottica idolatrica rivela di non sapere che cosa realmente significa il termine "dialettica". Pi che essere "discendente" la dialettica  infatti ascendente, ma l'ascesa integrale pu essere fatta solo nel mondo delle idee eterne, laddove ogni singolo uomo concreto, sia pure venerabile come Platone, nel tempo nasce, nel tempo vive e nel tempo muore. La perfezione non  di questo mondo, e quindi non esistono filosofi "perfetti". La dialettica ci insegna questa semplice verit, in quanto l'uomo  un essere intermedio, partecipa della divinit e della bestia, ed anche Platone partecipa della divinit e della bestia. Gli "attualizzatori" frenetici e fanatici diranno (e continueranno a dire, perch la stupidit scaccia la saggezza cos come la moneta cattiva scaccia la buona) che Platone  stato un "precursore" del fascismo perch era caduto nella tentazione eugenetica, ed un precursore del "comunismo" perch sosteneva la comunanza dei beni dei guardiani della volitela (la cui traduzione pi che "repubblica" dovrebbe essere "polis costituzionale" o "comunit retta da leggi giuste"). Trascinato dalla mefitica ed avvelenata atmosfera ideologica in cui mi  toccato di vivere, ammetto francamente di fronte al lettore che anch'io sono caduto per anni in questa bovina tentazione ideologica attualizzante, ed ho sostenuto davanti a studenti liceali distratti che mentre Democrito, in quanto "materialista", era in un certo senso di "sinistra", Socrate e Platone erano invece precursori della "destra", in quanto nemici del principio di maggioranza e fautori di una sorta di dittatura illuminata di oligarchie politiche "idealiste". La cosa pi grottesca in questa faccenda sta in ci, che nei miei anni universitari avevo avuto maestri competenti ed intelligenti che avrebbero dovuto vaccinarmi da queste idiozie ideologiche attualizzanti. Ma il vaccino non riesce se si preferisce la via identitaria dell'appartenenza ideologica alla via sobria ed oscura della corretta collocazione storica di un autore. E cos, anzich esserne disgustato, fui fulminato dalla seguente definizione letta negli anni sessanta in un dizionario filosofico sovietico tradotto in lingua francese: Platone, filosofo idealista della Grecia antica, nemico del materialismo e della scienza, avversario della democrazia ateniese e difensore della aristocrazia reazionaria di Atene... Marx ha scritto nel Capitale che la sua Repubblica  solo una idealizzazione ateniese del regime delle caste dell'antico Egitto. Oggi la sua teoria  utilizzata dagli ideologi reazionari contemporanei nella loro lotta contro la scienza ed il movimento rivoluzionario delle masse". Non mi pento affatto di questo traviamento ideologico. L'adattamento al capitalismo  infatti una via talmente sbagliata che anche le esagerazioni" pi demenziali appaiono un triste prezzo da pagare per l'operazione di sganciamento" da questo adattamento stesso. L'errore sta nell'eterniz-zare e nel sacralizzare questa operazione di sganciamento. Per fortuna la divinit, o il caso, o tutti e due, mi hanno dato il tempo per capire che uno dei principali insegnamenti della dialettica sta nel non identificare la filosofia e la pratica con l'ideologia e le sue tentazioni semplificatrici. Capitolo quarto La dialettica di Aristotele Nella nuova Atene modernizzata e ristrutturata che cerca di uscire dal casino caotico della metropoli balcanica-medio- orientale, c' una zona archeologico-pedonale piena di caff culturali in cui la piccola borghesia ateniese colta di sinistra" va a fare interminabili discussioni politico-filosofiche cui ho spesso partecipato. Uno di questi caff si trova esattamente nel luogo in cui pi di duemila anni fa si trovava il Portico Dipinto (Sto Poikile), non lontano peraltro dal giardino (kepos) di Epicuro. I vecchi epicurei ed i vecchi stoici avevano perduto ogni illusione di poter contare" in politica nel quadro del cannibalico dominio delle oligarchie ellenistiche gonfie dei soldi rapinati all'impero persiano, ed avevano effettuato un esodo ed una secessione da questo mondo tenuto insieme dal denaro. Nello stesso modo i nuovi epicurei ed i nuovi stoici si riuniscono in gruppi amicali di discussione e di vita comune, prendendo atto del fatto che nel mondo di Bush, di Blair e dei loro servili fantocci europei, non c' per ora (ma nessuno sa esattamente fino a quando) niente da fare, ed un ripiegamento in un privato protetto non  vigliaccheria o tradimento, ma una forma fisiologica di difesa. Il Giardino di Epicuro ed il Portico Dipinto di Zenone erano accomunati dalla riduzione integrale della dialettica alla logica e dal fatto che l'oggetto della filosofia fosse ristrutturato in tre campi distinti (logica, fisica ed etica). A Platone non sarebbe mai venuto in mente che la logica dialettica avrebbe potuto essere trattata separatamente dall'etica e dalla politica, e vedeva invece correttamente la logica dialettica come parte essenziale ed integrante dell'etica e della politica, intese entrambe come luogo della dialettica ascendente e discendente verso il Bene della Comunit (koinn, koinonia). Ma il comune" per il Giardino di Epicuro si restringe nel piccolo gruppo di amici riuniti in base all'affinit psicologica ed esistenziale, mentre lo stesso comune" per il Portico Dipinto si allarga al mondo intero (kosmopolis, oikoumene). Il lettore portato per la dialettica capir subito che i due fenomeni apparentemente opposti del restringimento epicureo e dell'allargamento stoico, sono in realt espressioni complementari e solidali di un unico evento sottostante, la perdita integrale di sovranit economica e politica. Come sempre, fenomeni di questo tipo si ripetono. Oggi viviamo la compresenza di un restringimento egoistico della nuova miserabile classe media globale di benestanti metropolitani in piccoli gruppi elettivi, e di consumatori colti" (e su questo basti leggere con intelligenza i nuovi modelli di consumo proposti dalle nuove riviste maschili e femminili per ricchi e semiricchi), restringimento unito ad un allargamento falsamente cosmopolitico di esportazione dei diritti umani universali" nel mondo tenebroso dei baffuti e dei barbuti che ancora tardano a globalizzarsi", o pi esattamente ad anglobalizzarsi". Vista in questa ottica sociomorfica, la fusione di logica e di dialettica effettuata da epicurei e stoici segnala a mio avviso, nel rarefatto mondo delle concezioni filosofiche, il divorzio irreversibile fra le categorie della teoria ed il loro significato direttamente sociale, come era invece il caso delle filosofie di Eraclito e di Platone. Il Giardino ed il Portico Dipinto dovevano pur sempre confrontarsi con il problema squisitamente ed integralmente sociale del fondamento della sensatezza elo dell'insensatezza complessiva e globale dei mondo. Il Giardino sostenne che il mondo era di per s integralmente insensato, in quanto mosso da atomi che si congiungevano o si dividevano nel vuoto cosmico per caso, mentre il Portico Dipinto sosteneva che il mondo aveva una sua sensatezza occulta e segreta che si trattava di scoprire con metodo logico sostanzialmente induttivo (il cosiddetto sillogismo stoico"), e che coincideva con ci che pi tardi latini e cristiani denominarono provvidenza" (pronoia). Dato il carattere opposto (ma complementare) di queste risposte sulla natura del mondo,  naturale che i due concetti apparentemente opposti (ed in realt complementari) di libert e di necessit venissero declinati in modo diverso. Nella sua tesi di laurea discussa nel 1841 Marx ebbe buon fiuto nel capire che l'epicureismo non era tanto caratterizzato dal tema della necessit, quanto da quello della libert dell'individuo, libert pensata metaforicamente attraverso la categoria di deviazione spontanea degli atomi (parekklisis, clinamen). In ogni caso la libert e la necessit, lungi dall'essere dei contrari indipendenti, sono degli opposti in correlazione essenziale all'interno di un'unica unit dialettica. Se abbiamo compreso che l'unificazione stoica ed epicurea di logica e di dialettica non appartiene ad una (inesistente) storia della logica, ma riflette un processo sociale di quei tempi, e cio la fine della dialetticit" della societ greca intesa come una totalit espressiva, con conseguente ripiegamento nella piccolissima comunit elettiva del giardino degli amici elo (ma  lo stesso) della fuga in avanti astratta nella cosmopoli ecumenica del mondo intero, siamo allora pronti ad affrontare il problema della natura della dialettica secondo Aristotele. Questa natura  ben nota, e mi limiter qui a riassumerla in modo telegrafico. Aristotele distingue la logica vera e propria, che si muove nel campo del certo e cerca premesse certe ed incontrovertibili, dalla dialettica deuteragonistica" che si muove nel campo dell'incerto e del probabile, e pertanto non pu che partire da premesse solo probabili e non certe. Come vedremo nell'ottavo capitolo, Kant propose una concezione di dialettica molto simile a quella aristotelica (la cosiddetta logica dell'apparenza"), e questo a mio avviso non pu essere solo un caso, ed  allora sensato cercarne, sia pure con cautela, l'influsso indiretto di determinazioni storiche e sociali. Nello stesso tempo, Aristotele non si sogna neppure di squalificare la dialettica (sugli squalificatori" contemporanei di essa mi soffermer nel capitolo quattordicesimo), la considera molto utile e la pone al di sopra della cosiddetta eristica", cio del ragionamento che parte da premesse inconsistenti. Si ha allora un triplice piano del pensiero: logica = premesse certe, dialettica = premesse probabili o verosimili, eristica = premesse incerte ed inconsistenti. Non c' dubbio che questa saggia tripartizione aristotelica sia comunque migliore di quella dei contemporanei che innescano risse ideologiche del tipo Dialettica Si/Dialettica No, quasi sempre senza avere la pazienza di districare i fili della matassa. Eppure il problema centrale resta quello di capire fino in fondo il perch Aristotele abbia optato per questa tripartizione anzich seguire la via del suo maestro Platone.  intuitivo il fatto che chi non crede nella teoria delle idee e nel mondo sopramondano ed iperuranico delle idee eterne, non pu ovviamente prendere la via della dialettica discendente ed ascendente, per il semplice fatto che non esiste un Alto simbolico da cui discendere ed a cui ascendere. Nello stesso tempo  bene non limitarsi a questa lapalissiana e tautologica conclusione, ma cercare di comprenderne il meglio possibile le ragioni storiche, sociali, logiche ed ontologiche che stanno alle spalle di questa scelta aristotelica. Scelta la quale non fu solo un affare privato del giovane geniale macedone di Stagira, ma che ebbe conseguenze gigantesche nello sviluppo posteriore dell'intera filosofia occidentale non solo fino a Kant ed a Hegel e Marx, ma anche e soprattutto fino ad oggi. Si pu in proposito partire da una breve riflessione sul concetto aristotelico di scienza (episteme). Episteme deriva etimologicamente da epistamai, che significa sto in piedi, o pi esattamente sto in piedi su di un terreno stabile e sicuro. La logica, la dialettica e l'eristica possono essere allora paragonate a tre personaggi che stanno tutti e tre in piedi, ma su terreni progressivamente sempre meno sicuri e pi instabili. La sicurezza consiste nella certezza delle premesse del ragionamento deduttivo, ma da questo non bisogna frettolosamente trarre la conclusione, a suo tempo tratta dall'inglese Bacone, per cui Aristotele avrebbe tout court preferito la deduzione, sicura ma sterile, all'induzione, insicura ma feconda. Aristotele sa perfettamente che anche i primi principi di ogni deduzione devono essere preventivamente "indotti", e cio intuiti, e che allora i confini fra logica e dialettica sono comunque labili ed incerti. La dialettica di Aristotele  quindi molto pi vicina a quella dell'eleatico Zenone che a quella di Platone, in quanto di fatto pu giocare un ruolo positivo soltanto confutando le tesi dell'eristica. Nello stesso tempo, il piano solido e sicuro su cui poggia l'episteme resta sempre in ultima istanza comunitario, e si basa sul consenso sociale alla correttezza di una certa intuizione. Se ad esempio io propongo come definizione di uomo i due termini di animale politicosociale e comunitario (politiktn zoon) e di animale dotato di ragione, linguaggio e capacit di calcolo matematico (zoon logon echon), e non invece di animale accidentalmente biondo o bruno, sano o malato, alto o basso, di lingua greca o persiana, eccetera, ci avviene per una ragione anch'essa pienamente sociale e comunitaria, in quanto ai tempi di Aristotele era ancora diffuso un senso comune comunitario e razionale che portava all'assenso maggioritario verso queste due definizioni. La "definizione" in Aristotele  dunque sempre derivante da un accordo comunitario. Quando Hobbes defin l'uomo un animale asociale e Nietzsche lo defin un animale istintuale ed irrazionale, ed entrambi trovarono entusiasti sostenitori ed ammiratori, ci avvenne perch nei tempi in cui vissero si era temporaneamente formato un senso comune che favoriva l'accoglimento generalizzato di queste (improprie ed anche francamente idiote) definizioni. L'allontanamento di Aristotele dal modello matematico di conoscenza, allontanamento che sarebbe poi durato in occidente molto a lungo e cio fino alla rinascita platonica cinquecentesca (Copernico) ed alla nascita della moderna scienza matematica della natura di Galileo e Newton (entrambi platonici),  stato un "danno collaterale" della sua eccessiva polemica contro il platonismo, che ha finito con il coinvolgere oltre alle idee "etiche" anche le idee matematiche. Nello stesso tempo, il fatto che nonostante questo rifiuto sostanziale della matematica (ma non certo dell'esperimento) Aristotele sia diventato il modello dello scienziato, al punto che Raffaello lo dipinge mentre indica la terra da studiare anzich il cielo platonico delle idee come fa il suo venerabile maestro,  dovuto a motivi storici oggettivi, cio all'impossibilit di matematizzare adeguatamente il mondo della natura, all'infuori delle orbite astronomiche dei pianeti. In questa matematizzazione, che allora era gi possibile, gli aristotelici si dimostrarono maestri. In un certo senso, date le tentazioni magico-pitagoriche delle matematiche antiche, il rifiuto aristotelico della spiegazione matematica del mondo (ancora tentata nel Timeo dal suo maestro Platone) appare non solo spiegabile ma anche razionale. Aristotele vive pur sempre ancora in un clima culturale comunitario legato alla polis, e per questa ragione non  tentato dalle due soluzioni apparentemente opposte ed in realt convergenti del ripiegamento epicureo nel piccolo gruppo apolitico di amici che vivono nascosti" (lathe biosas) e della fuga in avanti stoica nella cosmopoli ecumenica. In lui vive sempre l'ideale del metron, e cio della misura sociale che possa impedire la dissoluzione della comunit, anche se  ormai tramontata l'utopia della isonomia, che aveva nutrito l'ammirazione di Eraclito per il codice di Ermodoro. Considero per francamente demenziale la traduzione moderna di classe media" per indicare l'ideale sociale di governo di Aristotele, per il semplice fatto che le parole hanno un'evoluzione semantica, ed oggi classe media" significa soprattutto una sorta di terziario allargato di impiegati, piccoli imprenditori, insegnanti, commercialisti, medici ospedalieri, eccetera, in sostanza gente che vive pi di stipendi che di salari, ed ha sopra di s Cordero di Montezemolo e sotto di s i lavoratori flessibili e precari. In realt la classe media di Aristotele, che non c'entra nulla con la media e piccola borghesia di oggi,  il gruppo sociale composto dai piccoli e medi produttori indipendenti, un gruppo sociale che continua a dipendere dall'economia (e cio dalla cura della casa, oikos), e non dalla crematistica (e cio dal farsi i soldi con lo scambio di merci, chremata). Fu solo nel 1776 che Adam Smith unific trionfalmente in un'unica disciplina l'economia e la crematistica, e su questa unificazione si costitu il Partito unico degli Economisti che regge le nostre decadenti societ, partito unico che si nasconde dietro le irrilevanti simulazioni ideologiche della Destra e della Sinistra omologate, la cui esistenza avrebbe suscitato sia in Platone che in Aristotele le pi liberatorie risate, sia pure con la necessaria mediazione di qualche commedia di Aristofane con consulenza consigliata di Giorgio Gaber. I piccoli e medi produttori di Aristotele erano soprattutto indipendenti, e non dipendevano quindi dall'oligarchia finanziaria e dal circo ideologico- mediatico. Al tempo di Aristotele c'erano indubbiamente retori intelligenti come Isocrate, ma non c'era ancora la categoria degli anarchici all'ombra del capitale finanziario che oggi fa da supporto antropologico ed economico alla casta politicamente corretta dei cosiddetti "intellettuali". La situazione sociale ed intellettuale dei tempi di Aristotele non era quindi degradata come quella di oggi. Nello stesso tempo ci si pu chiedere ancora una volta se ci fosse, e quale fosse, la vera causa (nel quadruplice senso di causa materiale, formale, efficiente e finale) del rifiuto di Aristotele di adottare la concezione platonica di dialettica. Causa "esterna", intendo, perch la causa "interna" l'abbiamo gi segnalata, ed  ovviamente il suo rifiuto di adottare la teoria delle idee. In proposito,  possibile soltanto fare ipotesi storico-sociali di massima. Se guardiamo ai contenuti e non alla realt biografica, Aristotele appare al cento per cento un allievo postumo di Protagora, e non certo di Socrate e di Platone. Non ci sono purtroppo pervenute le sue opere essoteriche, e cio scritte per il pubblico, e pertanto non sappiamo se e fino a che punto abbia usato oppure no il metodo del logos sokratiks, che, non dimentichiamolo mai, era anche e soprattutto un genere letterario ateniese. Protagora era certamente per Yisono-mia, mentre Aristotele probabilmente concordava sul fatto che i teti, cio gli ateniesi nullatenenti, fossero esclusi dal voto, ma a questo pur interessante fatto non darei qui troppa importanza. In comune per Protagora ed Aristotele avevano il fatto decisivo per cui la scienza della convivenza politica era una scienza mondana (e mondana  il contrario di iperuranico- bimondana), una episteme basata sulla corretta interpretazione della natura umana. L'uomo  la misura di tutte le cose anche e soprattutto per Aristotele. Certo, si tratta dell'uomo in generale, l'animale razionale e comunitario, e non di una somma di singoli uomini privi di caratteristiche unitarie. Tuttavia, non abbiamo motivo di pensare che anche Protagora non avesse la stessa concezione "generale" di uomo, tanto  vero che Platone lo individua come suo vero avversario, laddove Gorgia gli  talmente alieno da non interessargli neppure. In fondo, Ratzinger pu discutere con un allievo di Marx o di Hegel, cio di personaggi che consentono sul concetto di universalit, mentre non avrebbe nulla da dire di fronte a Marco Pannella o ad Emma Bonino ed altri apologeti del nichilismo e del relativismo pi esasperati. Con chi sostiene che l'essere delle cose si riduce integralmente al linguaggio con cui queste cose vengono espresse, linguaggio che cambia ogni vent'anni in base al suo uso sociale, un sostenitore della filosofia non ha assolutamente nulla da dire. Le due posizioni teoriche che sostengono rispettivamente il carattere normativo di una idea eterna del Bene elo di una interpretazione razionale condivisa della natura umana hanno almeno un terreno di discussione. Il carattere comunitario e razionale della natura umana, punto di partenza condiviso da Protagora e da Aristotele, criticato da Socrate e negato esplicitamente da Platone,  per pur sempre una premessa verosimile e probabile, in quanto la rispettiva natura del politikn (il politico, il sociale ed il comunitario) e del logikn (il razionale ed il linguistico)  pur sempre qualcosa cui si pu arrivare solo induttivamente ed intuitivamente. Induttivamente, perch risulta da osservazioni ripetute, comparate e sistematizzate sui comportamenti umani in situazioni storiche e geografiche diverse. Intuitivamente, perch in fondo alla catena delle induzioni c' pur sempre un momento di scelta e di decisione che giunge tutto d'un colpo. La definizione aristotelica della dialettica come sapere del probabile e del verosimile, e non tout court del "vero", mi sembra allora estremamente razionale ed intelligente. Certo, essa  frutto di una rinuncia, la rinuncia ad avere una vera e propria scienza del bene sociale. Se queste osservazioni sono giuste, o anche solo "dialetticamente" probabili e verosimili, ne deriver che Aristotele non  stato un criticone (e tanto meno uno "stroncatore") della dialettica, ma al contrario ne  stato un sostenitore solido e pacato nella linea di Protagora. Venendo dopo Platone e prima di Epicuro e dello stoico Zenone di Cizio, Aristotele partecipa di entrambi i periodi storici. Dal periodo precedente al suo conserva l'esigenza di una teoria generale della societ giusta (dikaion) ed il rifiuto di ripiegamento in piccoli gruppi amicali di esodo e secessione, oppure di fughe in avanti cosmopolitiche in cui la comunit ideale (ed impotente) dei saggi sta al posto della sovranit della decisione politica comunitaria. Del periodo successivo al suo condivide la fine della meraviglia" che i primi filosofi avevano ancora avuto sulla nuova natura del legame sociale mercantile e schiavistico, che non gli piace ma che non ritiene di poter cambiare. Il ripiegamento del metodo dialettico dal Vero al Verosimile  allora la trasfigurazione teorica di un compromesso pratico e sociale. L'unica cosa veramente sicura e certa  ci che  in nostro potere, come ad esempio il condurre una vita buona (eu zen) o trovare la felicit in una vita dedicata alla riflessione filosofica (bios theoretiks). Questo  l'aspetto individualistico, stoico-epicureo in anticipo, del pensiero di Aristotele. Ma resta l'esigenza di fondare la convivenza sociale su di una scienza se non vera almeno verosimile, quella della natura umana, e questa esigenza era la stessa di Protagora, ed anche la stessa di Platone, anche se sappiamo che Platone aveva scelto la via della dialettica ascendente e discendente in vista della comunione dei generi" (koinonia ton ghenon) anzich quella della conoscenza induttiva della natura umana. Alla base c' per un principio normativo comune, che per Platone  il Bene e per Aristotele  la Natura Umana. Questo fa di Platone e di Aristotele dei membri di un unico e comune partito filosofico, che si contrappone al partito filosofico di Gorgia e di tutti i nichilisti ed i relativisti antichi (pochi, anzi pochissimi) e contemporanei (molti, anzi moltissimi). Aristotele, dunque, era un moderato amico della dialettica, e non un suo nemico precursore del positivismo. La sua concezione della dialettica, salvo errore, era molto pi vicina a quella di Marx di quanto lo potesse essere quella di Platone, il che fa di Marx un aristotelico" molto pi che un platonico. Ma per esaminare questa tesi indubbiamente controcorrente, il lettore dovr aspettare il capitolo undicesimo, con l'avvertenza di non saltare" quelli intermedi, perch alle tesi filosofiche ci si arriva sempre gradatamente, e non conviene dunque mai saltare" nulla. Capitolo quinto La dialettica dei neoplatonici antichi Per comprendere la dinamica e la natura della dialettica neoplatonica  assolutamente necessario indagare la sua genesi storica. Certo, la genesi storica non  tutto, perch quello che conta  anche e soprattutto la validit posteriore permanente o meno dei contenuti e dei metodi di una filosofia. Ma se  vero, come penso che sia, che la veritas filia temporis, non  detto che questo principio debba necessariamente portare ad un relativismo per cui tutto sarebbe inconfrontabile perch la sua determinatezza temporale impedirebbe ogni considerazione universalistica". La filosofia  contemporaneamente un prodotto inimitabile del proprio tempo storico ed un modello sovratemporale adatto a far discutere in ogni tempo. E questo si adatta in particolare alla filosofia neoplatonica. Questa filosofia nacque per salvare" le verit contenute nelle vecchie religioni politeistiche non solo dei greci, ma di tutti i popoli del vicino oriente ellenistico, e quindi anche le religioni egizie, me- sopotamiche, eccetera. Il suo fondatore, Plotino, era un egiziano che sicuramente oltre alla lingua greca conosceva anche quella copta della sua regione, ed attraverso di essa aveva avuto certamente un contatto diretto con la vecchia religione egizia, che per molti aspetti era ancora viva sotto un sottile travestimento ellenistico. Il suo modo di leggere Platone non poteva certamente essere quello abituale presso gli accademici antichi, in cui il "platonismo" era diventato una sorta di eristica distruttiva rivolta ossessivamente contro il modello stoico di conoscenza, definito dogmatico. Plotino riprese integralmente la dialettica discendente (diairesis) e quella ascendente (synagogh) ma l'unificazione dell'Uno con il Bene (unificazione peraltro gi esplicitamente presente in Platone) port ad una riformulazione in cui la dialettica discendente diventava Emanazione dell'Uno (proodos) e la dialettica ascendente diventava Ritorno all'Uno (epistrofe). Erano cos state messe le basi per un nuovo codice filosofico, perfetto nella sua insuperabile semplicit: Uno = Bene = Dio. Si dir che questo codice era monoteistico e non politeistico.  certamente cos, ma chi si stupisce di questo dimentica che tutta la filosofia antica considerava il politeismo mitico popolare la formulazione esterna di un sostanziale monoteismo filosofico rigoroso. Platone parla apertamente di Uno-Bene, ed il suo demiurgo-artigiano  solo un "ingegnere delle idee e dei numeri eterni". Aristotele parla dell'unica divinit in termini rigorosamente filosofici, definendola con cinque termini complementari (causa prima, motore immobile, fine ultimo, atto puro e pensiero del pensiero) . Epicuro  l'unico pensatore antico non monoteista, che per non prende saviamente la via dell'ateismo, ma la strada pi saggia della separazione fra il mondo degli dei ed il mondo della storia, in cui gli dei sono soltanto esempi di vita felice, giusta e beata. In quanto agli stoici, essi sono dei monoteisti rigorosi, ed hanno come divinit la Ragione Cosmica (logos) e la Provvidenza (pronoia). Plotino non si inventa allora nessun monoteismo, che c'era gi ed era robustissimo, ma semplicemente gli d una forma sistematica e rigorosa, che trova nella filosofia dialettica di Platone. La dialettica  infatti una scala ideale" che mette in connessione l'Uno e i Molti. La sua filosofia non avrebbe avuto alcun successo se fosse ancora esistita la polis socratica dei piccoli produttori indipendenti e sovrani, il cui logos avrebbe assunto la forma orizzontale del confronto dialogico fra posizioni diverse, e non invece la forma verticale dell'emanazione e del ritorno all'Uno. Ma tutto questo non esisteva pi da tempo. Come ha rilevato acutamente Hegel nelle sue considerazioni di filosofia della storia, nel clima spirituale dell'impero romano in cui visse Plotino il solo elemento concreto era il prosaico dominio pratico", ed in questo modo Roma ha spezzato il cuore del mondo, paralizzando e spegnendo nel suo Pantheon l'individualit di tutti gli dei e di tutti i grandi spiriti". La formulazione precisa di Hegel, cui a mio avviso non si pu aggiungere e togliere nulla perch in s  compiuta,  questa: Il mondo romano, nel suo disorientamento e nel suo dolore per l'abbandono da parte di Dio, ha generato il dissidio con la realt ed il comune anelito ad una soddisfazione che pu essere raggiunta solo interiormente, nello spirito, ed ha cos preparato il terreno per un superiore mondo spirituale". Nel quindicesimo capitolo far notare che la situazione odierna  analoga a quella che Hegel descrive per il mondo romano. Il Pantheon multiculturale di oggi, lungi dell'esaltare le culture che formalmente accetta ed esalta, le paralizza e le spegne nel mondo integralmente privato del Dio della mercificazione e della aziendalizzazione capitalistica universale. Il solo elemento concreto dell'odioso dispotismo militare americano sul mondo  appunto il suo "prosaico dominio pratico", e questo sta spezzando il cuore del mondo perch tutti sentono che Dio (metafora della sensatezza comunitaria) lo sta abbandonando, e allora tutto diventa (0 ridiventa) possibile. Questo  il mondo che ha di fronte a s Plotino, un mondo in cui non  pi possibile il dialogo democratico del logos sokratiks, ma solo l'esposizione dialettica di un processo ideale di Emanazione e di Ritorno. Lo studioso Mario Vegetti, uno dei migliori commentatori della filosofia antica, avanza l'ipotesi che l'insistenza di Plotino nella categoria di Uno pu essere interpretata come la metafora della figura dell'Imperatore romano, che proprio in quel periodo cominciava ad assumere apertamente vesti sacrali di tipo orientale. Con la fine della relativa "eguaglianza dei liberi" tipica del clima culturale greco-romano classico e con l'avvento di una nuova concezione apertamente gerarchica della dignitas, era inevitabile che le filosofie del Giardino e del Portico Dipinto tramontassero insieme con il contesto sociale che ne aveva favorito la diffusione, in particolare per quanto riguarda lo stoicismo nell'aristocrazia senatoria paradossalmente egualitaria" e si affermasse invece una visione filosofica del mondo apertamente gerarchica e trascendente. Nato nel 205 in un villaggio egiziano, Plotino a ventotto anni va ad Alessandria d'Egitto alla scuola di Ammonio Sacca, ed  interessante che si riproduca dopo pi di cinquecento anni il rapporto simbolico fra Socrate e Platone, perch Ammonio Sacca non ha scritto nulla ed esercitava un magistero esclusivamente orale, mentre Plotino invece mette per iscritto tutto quello che elabora. Nel 243 Plotino si unisce ad una spedizione militare romana contro i Sassanidi di Persia, ed anche questo non  un caso, perch  in Mesopotamia che Plotino ritiene di poter trovare gli stimoli filosofici che gli interessano. Dopo la sconfitta romana e l'uccisione di Giordano III Plotino va a Roma, esattamente come si andrebbe oggi a New York, e cio nel centro culturale e politico dell'impero. Nel 263 Plotino tiene lezioni addirittura all'imperatore Gallieno ed alla moglie Solonina, che gli finanziano la costruzione di una citt, chiamata Platonopoli, i cui lavori di costruzione vengono effettivamente iniziati, ed interrotti solo con la morte di Galieno. Anche in questo caso, il parallelismo con Platone  esplicito, perch la tradizione tramanda che Platone abbia fatto appunto tre viaggi in Sicilia per riuscire a realizzare concretamente la sua utopia politica. Platonopoli, che doveva sorgere in Campania, non fu mai terminata. Ma anche se lo fosse stata, sarebbe diventata al massimo una sorta di campus universitario, o per meglio dire una mescolanza fra campus universitario e convento benedettino. La freccia del tempo storico  irreversibile. Leggendo le Enneadi di Plotino  relativamente facile farsi un'idea di che cosa intendesse dire quando parlava di Emanazione e di Unit. Dio non progetta il mondo, in quanto Plotino capiva bene che trasformarlo in un progettista cosmico avrebbe voluto dire antropomorfizzarlo in modo intollerabile (e qui mi sembra che avesse colto correttamente il punto da cui nascono tutte le idolatrie, l'attribuzione a Dio cio di un profilo umano, o almeno ricalcato sul modello umano). Dio emana il mondo come la luce dal Sole o il profumo da un'essenza odorosa. Qui abbiamo gi tutto l'oriente con il suo culto del profumo ed ancor pi l'eredit lontana della religione egiziana antica, che con Akhenaton aveva gi identificato l'unica divinit con il disco solare. Dio infatti non vuole, ad un certo momento del tempo, produrre qualcosa di diverso da s, ma da sempre, senza che se lo proponga, e senza alcun mutamento, emana la realt senza che questa emanazione gli faccia perdere nulla della sua eterna consistenza. Si ammetter che questa forma di monoteismo filosofico  molto migliore di tutte quelle varianti pi o meno antropomorfiche posteriori per cui Dio diventa un raddoppiamento umano, varianti che poi furono criticate in modo radicale da Feuerbach, da cui il giovane Marx attinse il suo ateismo. La concezione neoplatonica della divinit, concezione che certamente influenz fortemente Spinoza, non sarebbe diventata la preda facile" che Feuerbach riusc tanto facilmente ad impallinare, al di l ovviamente di qualsiasi ulteriore considerazione teologica. Ma dalle Enneadi risulta anche inequivocabilmente una concezione pi sociale e terrestre" di Uno. Per Plotino infatti l'unit  anche alla base del valore morale delle cose umane. L'amicizia fra due persone, infatti,  un bene perch crea fra loro pi unit di quanta non ce ne fosse prima. L'assassinio  male, perch sottrae una persona all'unit ideale dei viventi. E lo Stato, infine,  tanto pi giusto quanto pi grande  l'unit fra i suoi cittadini. Come si vede, persino nella filosofia apparentemente pi lontana dalla realt materiale che sia mai esistita l'Uno  sempre una metafora di rapporti sociali buoni, e cio consensuali e comunitari. Plotino muore nel 270, e solo sette anni dopo, nel 277, viene crocefisso a Ctesifonte, capitale dei Sassanidi, il filosofo persiano Mani. La coincidenza di date non  per nulla casuale. A Roma come a Ctesifonte il mondo dell'epoca soffriva per l'abbandono da parte di Dio, e le vecchie religioni -olimpica a Roma e zoroastriana a Ctesifonte - non erano evidentemente in grado di dare una risposta a questo abbandono traumatico e doloroso. I corpi sociali sono evidentemente come i corpi umani, e non sopportano oltre ad un certo punto l'inutile accanimento terapeutico, come avvenne per la societ nobiliare francese nel 1789 o per il comunismo storico novecentesco realmente esistito fra il 1985 ed il 1991. Il grande edificio di Plotino per gli sopravvisse. E gli sopravvisse perch Plotino aveva magistralmente elaborato un codice filosofico perfetto fondato sulla triplice equazione Uno = Bene = Dio, in cui la dialettica tornava ad essere la scala sacra che gi Platone aveva intravisto e cominciato a costruire. Non  allora un caso che questo codice, che per circa trecento anni fu utilizzato soprattutto da pensatori che volevano "salvare" la religione olimpica dei greci (e si pensi all'imperatore Giuliano ed al suo effimero tentativo di restaurazione di un politeismo spiritualizzato e reso filosoficamente in termini di monoteismo pluralistico gerarchizzato), diventasse in un tempo relativamente breve il codice filosofico preferito dalle teologie della nuova religione cristiana. Resta il problema delle radici sociali del successo di questo codice, sia in ambiente cristiano che in ambiente islamico. Lo studioso egiziano Samir Amin, con cui ho avuto modo di discutere a lungo di questo problema fra il 1986 ed il 1988, ha avanzato in proposito una ipotesi che considero abbastanza verosimile. Secondo Samir Amin il modo di produzione tributario"  quel particolare modo di produzione in cui il plusprodotto sociale, che viene in larga parte consumato dai gruppi sociali sfruttatori dominanti, viene prelevato attraverso l'intervento determinante di un apparato statale che utilizza ideologicamente una copertura religiosa. Dal momento che questo prelevamento, a differenza di quello capitalistico (che passa attraverso la finzione dello scambio di equivalenti fra capitalisti e salariati) e di quello schiavistico (che passa attraverso la divisione sociale nei due gruppi distinti dei liberi e degli schiavi),  un prelevamento aperto, palese e trasparente, in cui  chiaro che c' chi d e c' chi toglie,  assolutamente necessaria una metafisica che sacralizzi il carattere divino di questo prelevamento. Per questa ragione la metafisica monoteistica a base neoplatonica, con il suo codice teorico virtualmente perfetto (Uno = Bene = Dio),  stata entusiasticamente adottata sia dalle classi dominanti tributarie cristiane che da quelle islamiche. E questo spiega anche indirettamente il perch in questo contesto tributario, non importa se posto sotto la Croce o sotto la Mezzaluna, l'opposizione filosofica a questa metafisica neoplatonica ha dovuto prendere necessariamente la forma del ritorno ad Aristotele, sia nella philosophia di Tommaso d'Aquino, sia nella falsa/a (in arabo filosofia) di Averro. Considero l'ipotesi di Samir Amin verosimile, e quindi adottabile, sia pure ovviamente con le dovute necessarie cautele. Questa ipotesi, per, spiega solo l'uso ideologico e sociale del neoplatonismo, e non pu n vuole spiegare il suo eventuale contenuto di verit che resta una volta fatta la "tara" della visione del mondo prodotta dal modo di produzione tributario. E per questo, allora, pu essere utile tornare ancora una volta al rapporto fra i neoplatonici antichi ed il Platone originale vissuto cinquecento anni prima. Pochi decenni dopo la sua morte, Platone sembrava morto e seppellito per sempre (un po' come Marx oggi, mi sia consentita questa innocua analogia), e basta un piccolo esame del periodo per capirlo. I suoi successori, Speusippo e Senocrate, si diedero a ricerche ed a sintesi di tipo astronomico e matematico in cui non c'era pi traccia alcuna della sua utopia politica del Bene comunitario. Il suo migliore allievo, Aristotele, sembra farsi un punto d'onore nel confutare una per una le sue tesi principali. L'Accademia da lui fondata diventa il prototipo dello scetticismo antico, in modo ancora pi sistematico e conseguente della stessa scuola di Pirrone. Il Giardino di Epicuro ed il Portico Dipinto di Zenone fanno come se Platone non fosse mai esistito. Se fosse esistito allora il circo mediatico di oggi, mille scribacchini incompetenti ed arroganti avrebbero scritto sui loro papiri e sulle loro pergamene quello che scrivono oggi su Marx e Hegel, che peraltro non hanno mai letto ma di cui hanno "sentito dire" e "orecchiato" qualcosa nella chiacchiera disorientante del semicolto. Avrebbero infatti scritto: "Bisogna mettere Platone in soffitta, nessuno lo prende pi sul serio, non viviamo pi nel classico, viviamo nel post-classico, nel post-classico c' solo posto per una civile conversazione multietnica e multiculturale con i Galli, gli Iberici, i Caldei, i Traci, gli Sciti, gli Etiopi, gli Etruschi, eccetera, purch ovviamente abbiano abbastanza dracme e sesterzi in tasca. Andiamo a sentire le conferenze di Rortius, Ecus e di Galimbertus, quelle s che sono interessanti e parlano di problemi concreti!". E Platone, come un grande fiume, entr sottoterra in una grotta carsica (cos come, ci scommetterei la mia pensione, capiter anche a Marx). Ma fin con il riemergere, ovviamente, perch il problema del Bene  un problema incancellabile, e nessuna cena di Trimalcione o nessuna magia di Apuleio potr mai farlo sparire. Cinquecento anni dopo, Plotino lo riporta alla superficie, insieme a Plutarco ed a pochi altri, ma pu farlo soltanto portandolo in cielo perch sulla terra regnava ormai il mondo romano abbandonato da Dio. Considero assolutamente plausibili le spiegazioni sociali di Mario Vegetti e di Samir Amin sulla funzione simbolica del neoplatonismo, per la legittimazione prima del tardo-impero e poi dell'estorsione tributaria latina, greca ed araba raddoppiata da una gerarchia metafisica ideale ricalcata sulla gerarchia sociale reale, ma resta il fatto che nel neoplatonismo resta un nucleo indissolubile di verit, che si tratta allora di indicare con chiarezza prima di concludere questo capitolo. Il nucleo di verit del neoplatonismo fu individuato da molti grandi pensatori successivi, da Giovanni Scoto Eriu-gena a Nicola Cusano, da Marsilio Ficino fino a Hegel. Ed il nucleo di verit sta in ci, che il Vero esiste e non  semplicemente una convenzione o una illusione, ed il Vero  il Tutto, perch le parti scollegate e divise, e cio dialetticamente non connesse, sono certamente fattuali, certe, esatte e veridiche, ma propriamente vere" non sono, e non potranno mai diventarlo. Nello stesso tempo il fatto che solo il Tutto pu essere Vero resta un'affermazione vuota alla Schelling (ed  per questa vuotezza", gi rilevata da Hegel, che non inserir volutamente Schelling fra i tre grandi idealisti moderni Fichte, Hegel e Marx) se non viene integrata da una concezione dell'uomo, concezione che i neoplatonici antichi seppero intelligentemente indicare, perch partivano pur sempre dal fondamento dell'anima (psyche). Senza partire dalla singola determinatezza che fa da microcosmo dell'intero, infatti, e questo microcosmo  la psyche,  difficile arrivare da qualche parte, e limitarsi adornianamente a dire che il Vero  il Tutto resta una frase vuota. I neoplatonici furono grandi, perch videro nell'uomo l'essere dotato di una specifica anima", un essere intermedio fra gli dei e le bestie. A questo propriamente serve la scala dialettica neoplatonica, tolta all'uso ideologico che ne fu fatto'e che correttamente hanno segnalato Mario Vegetti e Samir Amin. Questo concetto di uomo come essere intermedio fu segnalato nel Quattrocento da Nicola Cusano in questo splendido brano: Potest igitur homo esse humanus deus ataue deus humaniter, potest esse humanus angelus, humana bestia, humanus leo aut ursus, aut aliud quodcumque". Si tratta di un latino rinascimentale facile, ed il lettore mi permetter di non tradurlo. Chi scrive fa parte dell'ultima generazione salvata" dalle riforme scolastiche distruttive alla Berlinguer-Moratti, e dal modello delle Tre I (inglese, impresa, informatica), ed in cui il francese illuministico era ancora la lingua franca della cultura europea. Se dopo di me verr il diluvio o il paradiso (o qualcosa di intermedio) solo il cielo lo sal  invece importante segnalare almeno due punti decisivi della citazione neoplatonica di Cusano. In primo luogo, l'uomo pu essere aliud quodcumque, qualsiasi altra cosa. Non  dunque programmato come gli altri animali dalla sua costituzione genetica ad essere una cosa particolare. Come dir pi tardi il neoplatonico moderno Marx, l'uomo  un ente naturale generico (Gattungswesen), traduzione in tedesco del quodcumque del suo compatriota tedesco Nicol da Cusa (Kues). In quanto quodcumque e Gattungswesen l'uomo, sia pure sulla imprescindibile base del suo corredo genetico, pu dar luogo a configurazioni familiari, sociali e politiche diversissime. In secondo luogo, tuttavia, il qualunque cosa" non deve essere inteso in modo nichilistico e relativistico come qualsiasi cosa in generale. L'uomo  infatti un essere intermedio fra due entit opposte ontologicamente definibili, e cio da un lato l'humanus deus atque deus humaniter, e dall'altra invece l'humana bestia, l'humanus leo aut ursus, con tutte le conseguenze sociali e comportamentali del caso. Cusano e Plotino non usano e non possono usare il moderno concetto di alienazione (alination, Entfremdung), perch non si collocano come l'idealismo moderno (Fichte, Hegel e Marx) in un'ottica monomondana, ma di fatto il loro pensiero individua egualmente il problema della possibile perdita da parte dell'uomo della propria essenza umano-divina e della connessa possibilit sempre umana del suo recupero. Ed in ci sta l'eredit meravigliosa e perenne del neoplatonismo di Plotino e di Cusano, che non si riduce solo allora alla sua funzione ideologica peraltro segnalata. Capitolo sesto La dialettica dei teologi e dei filosofi cristiani Le religioni sono vere? Ed, in particolare,  vera la religione cristiana? Come si fa a sapere che tra le sue differenti varianti storiche la pi vera"  quella del culto cattolico romano? Ed in che senso sarebbero false" le altre religioni? Sarebbero false perch non sono state rivelate nel solo autentico vero modo oppure lo sarebbero perch i contenuti morali e sociali che propongono sarebbero peggiori dei nostri (o di quelli che noi riteniamo essere i nostri")? Ed infine, se le religioni sono false, allora l'ateismo sarebbe vero? Ed in che senso sarebbe vero? Lo sarebbe perch afferma sobriamente che non esiste altro che la materia nello spazio e nel tempo, ed il resto  tutta impostura"? Grandi domande. Cominciamo a rispondervi. Nel precedente capitolo ho molto insistito sul fatto che il neoplatonismo, nato per salvare" la vecchia religione olimpica e politeistica dei greci dandole una copertura filosofica monoteistica di tipo platonico, ha infine prodotto un codice", il codice neoplatonico appunto (Uno = Bene = Dio), che  poi servito, e non poteva non servire, a legittimare teologicamente tutte e tre le forme di monoteismo impropriamente detto oggi abramitico" dal politicamente corretto. La dialettica platonica, nella forma riveduta e corretta (ma non falsificata) del neoplatonismo, si  rivelata lo strumento quasi perfetto, o comunque a mio avviso insuperabile, per questa formulazione filosofica della religione. La mia tesi di fondo in questo capitolo  la seguente: per legittimare filosoficamente il cristianesimo non c' di meglio della dialettica platonica, nella formulazione migliorata datale dal codice neoplatonico (Uno = Bene = Dio), ma per saggiarne l'eventuale verit ci vuole una dialettica di tipo aristotelico, nel senso di logica del verosimile e del probabile. Ed  questa proprio la dialettica che user in questo capitolo. Lo far per punti, in modo che il lettore possa seguire meglio il ragionamento. Le categorie fondamentali di tipo dialettico- aristotelico che user sono quelle derivate dalla coppia verosimile/inverosimile, una coppia che sta in mezzo, e quindi non coincide affatto con la coppia metafisica vero/falso, e neppure ovviamente con la coppia matematizzante esatto/inesatto. In primo luogo, fra le molteplici teorie sulla natura delle religioni e del bisogno religioso, ritengo particolarmente verosimile quella proposta a suo tempo da Max Weber, per cui il compito delle religioni  quello di amministrare la quotidianit del Sacro, contrapposto dialetticamente al Profano (dialettico = unit di opposti in correlazione essenziale), e allora le religioni "vincenti" non sono quelle che restano attaccate alle loro origini messianiche elo apocalittiche, per loro natura instabili e provvisorie, ma sono quelle che in vario modo "razionalizzano" i contenuti messianici originari trasformandoli in regole etiche quotidiane per una riproduzione sociale comunitaria non distruttiva e dissolutiva. La funzione stabilizzatrice di questa razionalizzazione religiosa  la stessa di quella della democrazia proposta da Solone e Clistene, che produsse il logos sokratiks come sua "cerimonia pubblica", l''eresia politica platonica" fondata sulla differenziazione educativa dei cittadini ed infine l'esodo e la secessione del Giardino e del Portico Dipinto. In modo molto saggio questa democrazia antica non scelse la via suicida dell'ateismo, come poi fece il comunismo storico novecentesco (l'ateismo  infatti un'ideologia, e tutte le ideologie perdono a lungo termine con la filosofia e con la religione), ma la via della coesistenza pacifica con la ritualit religiosa tradizionale, che  verosimile pensare sia radicata nella natura umana, ed  dunque restia a tutti i tentativi di sradicamento, a meno che questo sradicamento sia solo una trasformazione (ad esempio, la religione azteca in religione cattolicoromana, ed il luogo sacro al Serpente Piumato in luogo sacro della Santa Vergine di Guadalupe). Il lettore avr notato che ho usato due volte la categoria aristotelico-dialettica di verosimile, e non certo le categorie dialettiche ascendenti e discendenti di Platone. In secondo luogo, ritengo del tutto inverosimile (vulgo: non ci credo), che un signore chiamato Ges di Nazareth sia stato ucciso, e sia poi risorto dalla morte, prefigurando cos la resurrezione finale di tutti gli esseri umani passati, presenti e futuri. Il fatto  talmente inverosimile che considero assolutamente penoso il tentativo di darne delle presunte prove storiche" (le pie donne davanti al sepolcro vuoto, i viandanti di Emmaus, la curiosit di San Tommaso, eccetera). Chi si mette su questa strada a mio avviso  pi ateo" di un commissario politico bolscevico, perch degrada la divinit a fenomeni di suggestione individuale e collettiva. In proposito il pi grande ed insuperabile teologo cristiano di tutti i tempi (ripeto: di tutti i tempi) mi sembra essere stato ed essere tuttora Tertulliano, che mise la parola fine al problema della palese inverosimiglianza con la magnifica formulazione credo quia absurdum". Lo scarso successo di Tertulliano presso gli apparati ecclesiastici contemporanei e posteriori, insieme con il vago imbarazzo suscitato anche solo evocando la sua insuperabile ed onesta formulazione,  dovuto ad un fenomeno di ipocrisia strutturale, che  evidentemente un fattore ineliminabile nella riproduzione del legame sociale. Nessuna societ, infatti, potrebbe legittimarsi sulla base dell'assurdit. Quale papa infatti potrebbe pretendere di essere obbedito se ammettesse apertamente che la auctoritas si basa su di una premessa assurda? La vittoria tennistica di Tommaso d'Aquino su Tertulliano  quindi scritta a priori nelle cose stesse. Ma si tratta, come vedremo, della vittoria di Aristotele e della sua teoria della natura umana, non la vittoria della fede" nella ripresa dei battiti del cuore molte ore dopo la morte sulla croce. In terzo luogo, ritengo verosimile che Ges di Nazareth sia stato crocifisso sulla base di un accordo informale fra l'autorit politico-militare romana di occupazione (Ponzio Pilato) ed il sinedrio collaborazionista mafioso ebraico, che si sono spartiti cos le responsabilit della condanna a morte. Se consideriamo parzialmente credibili, e quindi verosimili, i testi evangelici, risulta poco verosimile che Ges fosse un partigiano zelota armato, mentre era pi verosimile che avesse frequentato precedentemente ambienti di esseni, cio di comunit in attesa messianica di un Maestro di Giustizia. E dal momento che il maestro di giustizia  appunto qualcuno che fa giustizia (terrena e comunitaria), diventa verosimile che Ges si facesse annunciatore di un Anno di Misericordia del Signore (cfr. Luca 4, 1430), e cio di una redistribuzione di tipo parzialmente comunistico" della ricchezza sociale, unita alla liberazione di coloro che erano divenuti schiavi per debiti. Dal momento che questo annuncio messianico (cfr. Isaia 53; Saggezza di Salomone 2, 13-20) non era un reato penalmente rilevante nella legislazione repressiva dell'occupante romano, per poter crocifiggere il rompiscatole Ges bisognava inventarsi un reato di insurrezione armata di tipo zelotico, che  esattamente quello che fecero gli occupanti romani ed i loro collaborazionisti sadducei e farisei. E allora Ges fu crocefisso per il reato di essere re dei Giudei", che era l'appellativo dato ai capi partigiani armati zeloti, che volevano per l'appunto sostituire un nuovo regno di Giudea" alla provincia romana occupata, e che poi tentarono di farlo con l'insurrezione generale del 67-70, finita come  noto con la grande ingiustizia dell'espulsione del popolo ebraico dalla Palestina, ingiustizia che non viene certamente sanata dall'insediamento sionista in Palestina e dall'espulsione dei suoi abitanti arabi, notoriamente del tutto innocenti sia dei fatti del 67-70, sia del genocidio di Hitler 1939-'45. Quanto dico, che  aristotelicamente verosimile, non c'entra comunque nulla con la credenza inverosimile nella resurrezione, ma c'entra invece molto, anzi moltissimo, con quella che dovrebbe essere la dottrina sociale" delle chiese cristiane, dottrina fondata sull'anticomunismo laddove invece il fondatore della ditta era a modo suo comunista", e ci risulta verosimilmente dai testi. In quarto luogo, infine, la religione cristiana non sarebbe mai nata su queste basi ebraico-messianiche, e si sarebbe esaurita in pochi decenni come accadde per altre centinaia di rivelazioni messianiche seguite infallibilmente dallo sterminio dei loro sostenitori se Paolo di Tarso, cittadino romano di lingua greca, non l'avesse riformulata come dottrina di salvezza universale non legata ad un unico presunto popolo eletto". Questa riformulazione universalistica non avrebbe mai potuto avvenire, o almeno  verosimile che non avrebbe potuto avvenire, senza la concezione cosmopolitica e provvidenzialistica (kosmopolis, pronoia) diffusa nei tre secoli precedenti dalla scuola del Portico Dipinto. Paolo riformul questa concezione nella forma dell'asservimento volontario di liberi, liberti e schiavi ad un Unico Salvatore (cfr. Lettera ai Corinzi 7, 20-24), e fu questa la forma che assunse il cristianesimo per poi attestarsi su di essa per venti secoli. E questa allora l'episteme cristiana, e cio il fondamento su cui sta in piedi la fede nella resurrezione, l'absurdum tertullianeo che in quanto tale non pu essere oggetto di dialogo filosofico nel senso del logos sokratiks, unita all'esortazione all'asservimento simbolico volontario interclassista (liberi, liberti e schiavi) ad un Dio liberatore. Ma questo Dio, appunto, se vuole essere pensato filosoficamente, non pu che esserlo nella forma della equazione Uno = Bene, che i neoplatonici antichi seppero mirabilmente realizzare. L'adozione da parte dei cristiani della filosofia neoplatonica, allora, non fu in nessun modo un tradimento" del messaggio sociale messianico comunista" del cosiddetto vero" Ges di Nazareth, ma fu una fisiologica, normale e provvidenziale operazione di adattamento ad una realt sociale integralmente mutata, che non avrebbe permesso in alcun modo l'applicazione del messaggio originario. Ho studiato a suo tempo in dettaglio il trentennio decisivo della istituzionalizzazione del cristianesimo (310-340), e non mi stupisce affatto che le chiese organizzate abbiano calato su questo trentennio un silenzio asfissiante, forse maggiore addirittura di quello calato sulla vita verosimilmente ricostruibile del Ges storico. Non parlo solo della scelta di Costantino, uomo cinico e crudele, di legittimare prima (313) e di istituzionalizzare poi (325) il cristianesimo come strumento del potere imperiale. La cosa  troppo ovvia per aver bisogno di essere dimostrata, se pensiamo che gi nel 314 al concilio di Arles (oggi diremmo in tempo reale", un solo anno dopo il 313) la chiesa scomunica gi tutti coloro che rifiutavano il servizio militare, fregandosene altamente del fatto che gran parte dei suoi santi e dei suoi martiri erano stati proprio soldati che avevano rifiutato il servizio.  invece interessante che la chiesa insista sul fatto che la verit, se  vera, non pu essere messa ai voti, quando in realt tutto il dogma cristiano nacque sulla base di una casuale messa ai voti. Il concilio di Nicea, aperto il 22 maggio 325, e di cui sono poi misteriosamente spariti tutti i verbali della discussione, vide la vittoria della posizione di Atanasio (e cio quella trinitaria) su quella di Ario, che pi sobriamente considerava Ges una sorta di uomo di Dio" (del tipo di Maometto con Allah, se mi si perdona la semplificazione). Questa vittoria fu frutto di una casuale messa ai voti sulla base di una normale prassi di maggioranza e minoranza, e fu resa possibile dalla determinante posizione dell'imperatore Costantino, il cui consigliere, Osio vescovo di Cordova, riteneva saggiamente che un Cristo-Dio sarebbe stato un principio sacrale di legittimazione imperiale molto superiore di quanto lo sarebbe stato un Cristo tipo Platone, Mos o Maometto. Il 325 vide l'inizio (il lettore ha letto bene: l'inizio) di un secondo ciclo di persecuzioni talvolta ben pi pericoloso e crudele del primo di tipo neroniano e dioclezianeo, in cui vennero colpiti i vari donatisti ed altri ribelli del tempo.  anche curioso che Costantino, che pure nel 325 aveva favorito la vittoria di Atanasio su Ario, probabilmente per le ragioni che avevano spinto Osio a consigliarlo in tal senso, se ne pent quasi subito, per cui dieci anni dopo (335) convoca un concilio a Tiro, condanna Marcello ed Atanasio, i massimi teorici del dogma trinitario niceno e riabilita l'ottantenne Ario. In quanto a Costantino, secondo Eusebio di Cesarea viene avvelenato due anni dopo (337) dai suoi cugini. E poi c' della gente che se la prende con Stalin. Le origini del cristianesimo istituzionale sono integralmente tessute di votazioni casuali a maggioranza (325), di ritorni indietro di 180 gradi (335) e di complotti sanguinosi (337). Sono d'accordo sul fatto che la verit non pu essere messa ai voti, ma se coloro che lo affermano rivestiti di stole dorate ripensassero al modo in cui si  storicamente costituito il loro dogma avrebbero certamente buone ragioni per riflettere sul modo in cui lo Spirito Santo (Agion Pneuma) si afferma (o pretende di affermarsi) nel mondo. Ma lasciamo per un momento questa valle di lacrime per tornare alla nostra amata dialettica. Molti studiosi sostengono che Ario rappresentava il vero" spirito razionalistico greco, riluttante ad avallare le assurdit in cui credeva invece Tertulliano (crocifissione, morte, resurrezione, ascesa al cielo, promessa di immortalit per tutti, eccetera), e con Atanasio ha invece vinto una sorta di inspiegabile irrazionalismo demenziale. Ad esempio, Engels credeva qualcosa del genere. Mi permetto di dissentire. In primo luogo, beati coloro che ritengono di conoscere il vero" spirito greco. Io non ho la presunzione di annoverarmi fra costoro, eppure da una vita frequento gli spiriti dei greci dalla colazione alla cena. In secondo luogo, e questo punto  ben pi importante del primo, il dogma trinitario niceno dell'incarnazione divina del Padre nel Figlio mi sembra corrispondere meglio all'intuizione neoplatonica (confermata da Cusano, come ho rilevato nel capitolo precedente) per cui l'uomo, essere intermedio fra Dio e le bestie,  parte integrante per di un'unica scala divino- umana in cui si d un'unica dialettica ontologicamente unitaria discendente-ascendente, e viceversa. Fu naturalmente una iattura (qui esprimo la mia eretica opinione, senza alcuna pretesa di diventare eresiarca) che su questa sobria e razionale concezione neoplatonica si innestasse la sciagurata antropomorfizzazione della divinit di origine ebraica. Una divinit antropomorfica (si veda George Bush, lo Hitler dei nostri tempi sciagurati) stabilisce alleanze con popoli e punti di vista privilegiati, laddove una buona emanazione (aporroia, proodos)  universalistica per sua propria natura, e ride dei buffoni che pretendono di parlare a suo nome. L'opinione per cui il dogma dell'incarnazione di Atanasio  filosoficamente superiore alla sobria visione di Ario, nonostante a prima vista sembri proprio il contrario, fu autorevolmente sostenuta da Hegel, ed io personalmente la condivido. Per condividerla, infatti, non  necessario crederci", perch la dialettica ha questa caratteristica, che non pretende mai che si creda", ma semplicemente che ci si ragioni sopra. La societ feudale europea istituzionalizz il cristianesimo (proclamazione del Sacro Romano Impero nell'800, eccetera), e d per scontata nel lettore la conoscenza dettagliata di questo fatto notissimo. Per sua natura, il cristianesimo  fede, e non filosofia, e la sua stessa weberiana razionalizzazione della vita quotidiana nasce originariamente dal costume consolidato nei popoli non da una dialettica ascendente-discendente elo da una teoria della natura umana. Il suo raddoppiamento" filosofico  per inevitabile, per il semplice fatto che la gente ragiona (zoon logon echon), e ragiona non da sola ma in societ (politikn zoon), e ragionando fa filosofia lo voglia oppure no, eccetera, il serbatoio da cui il cristianesimo assunse la sua filosofia fu per fortuna il grande serbatoio della grecit, e questo lo protesse dai miti barbarici di tipo biblico, pieni di stragi fra pretendenti al trono, stermini di innocenti bambini egizi massacrati per punire il faraone, ammazzamenti in tenda da parte di Giuditta appena giaciutasi con Oloferne, ed altre cose tribali di questo tipo. Dallo stoicismo il cristianesimo desunse il concetto di provvidenza (pronoia), ma i due depositi principali restarono il platonismo e l'aristotelismo. Il loro intrecciarsi ed il loro lottare l'uno contro l'altro sono una vera e propria radiografia che, se letta in controluce, permette di capire un millennio di pensiero occidentale. L'uso ideologico del platonismo e dell'aristotelismo, naturalmente, non deve mai far dimenticare i rispettivi contenuti di verit che queste due venerabili scuole ci hanno tramandato. Il fatto che le opere di Aristotele fossero tradotte in epoca relativamente tarda dall'arabo al latino saltando" il greco, dai traduttori di Toledo,  generalmente presentato come un deprecabile fatto casuale, dovuto allo scarso numero di conoscitori della lingua greca nell'occidente feudale. Sciocchezze. Se ci fosse stato un bacino sociale di accoglimento della filosofia di Aristotele (la falsafa di Averro) si sarebbero trovati in cinque anni traduttori persino dal mongolo e dal turcomanno. In realt la domanda sociale" di filosofia aristotelica presuppone un ambiente urbano socialmente articolato in cui la filosofia possa essere praticata in modo relativamente libero, laddove lo schema gerarchico del neoplatonismo feudale (e qui ha ragione Samir Amin) si adattava meglio allo schema trinitario della societ europea del tempo (bellatores, oratores e laboratores), ed una buona gita guidata a Mont Saint-Michel in Normandia permette di capirlo al volo. La filosofia di Aristotele viene acclimatata in Europa nel duecento, secolo delle cattedrali gotiche e della grande rinascita urbana, commerciale e manifatturiera. Con questo il platonismo non viene affatto spazzato via, anzi, e la stessa teologia francescana lo preferir sempre alle novit aristoteliche, troppo razionalistiche per i suoi gusti orientati alla simplicitas ed alla paupertas. Lo stesso Occam, a mio avviso la figura pi interessante della teologia medioevale della chiesa invisibile (altro che anticipatore medioevale dell'empirismo), non  un aristotelico, perch gli basta applicare alla logica i due principi della paupertas e della simplicitas per giungere al semplicissimo concetto per cui il vero cristiano  l'individuo, non ulteriormente divisibile e resecabile, che imita la povert e la semplicit di Cristo. Come poi il principio dell'individualit, cui Occam diede un contenuto cristiano, sia poi evoluto in una forma possessiva borghese dopo Hobbes, ebbene questo  un oggetto privilegiato della dialettica, e lo affronteremo nel prossimo capitolo dedicato alla critica fatta da Rousseau al contrattualismo del suo tempo. Tornando alle traduzioni di Aristotele in latino,  noto che prima Alberto Magno e poi Tommaso d'Aquino le utilizzarono per edificare il magnifico palazzo della teologia domenicana medioevale. Si tratt, e non poteva essere altrimenti, di un ritorno indiretto alla filosofia della natura umana di Protagora e di Aristotele, in cui la convivenza umana e le sue forme giuridiche e politiche non viene pi dedotta da una lettura fondamentalistica dell'antico testamento (come avviene in Bush, lo Hitler dei nostri tempi), ma da un'interpretazione razionalistica della natura umana. Da Tommaso d'Aquino a Ratzinger c' qui una continuit che solo i superficiali non riescono a vedere, ed infatti i teologi cristiani intessono oggi le loro logomachie con i laici proprio sulla base razionalistica delle cosiddette verit naturali", e non pi sull 'auctoritas dei dogmi rivelati. Su questa base, e qui concludo, lo stesso Tommaso d'Aquino giunse a giustificare l'appropriazione comunista dei beni, sostenendo che in caso di estrema necessit tutte le cose sono comuni" (omnia sunt communio). Principio cui il neoliberalismo di oggi non  ancora arrivato. Ma non  mai troppo tardi. Capitolo settimo La dialettica di Rousseau ! Mentre l'individuo  una realt ontologica e filosofica, l'individualismo  una ben precisa ideologia politica che non avrebbe neppure potuto sorgere se prima non avesse avuto storicamente luogo una specifica individualizzazione privatistica della societ occidentale. Tuttavia, il termine latino in-dividuum, ente non ulteriormente divisibile,  solo il calco del greco a-tomon, e significa quindi atomo sociale", una sorta di principio originario che ha in se stesso il proprio fondamento. Ma nessun ente umano pu avere in se stesso il proprio fondamento assoluto. Non lo pensavano Eraclito e Platone, e non lo pensavano neppure Aristotele ed i neoplatonici, pagani o cristiani che fossero. In breve, questi nostri nobili progenitori pensavano che l'individuo, che essi preferivano intelligentemente chiamare anima" (psyche), o era parte di una comunit sociale e politica all'interno della quale esercitava le proprie virt etiche, oppure era un essere intermedio fra le divinit e le bestie, e come essere intermedio partecipava delle une e delle altre, e non era pertanto titolare di un'impossibile libert assoluta, astratta ed incondizionata. Se dovessi (so di espormi molto, ma quando ci vuole ci vuole) dire quale sia la proposizione filosofica pi stupida e fuorviante del Novecento, secolo che ha prodotto idiozie su scala industriale, direi che  questa frase di Sartre del 1946: "La natura umana non esiste, l'uomo semplicemente ,  ci che vuole essere. Nessuno sar mai in grado di spiegare le proprie azioni in rapporto ad una specifica e determinata natura umana. In altre parole, il determinismo non esiste. L'uomo  libero. L'uomo  libert". Un anno dopo, nel 1947, nella sua Lettera sull'Umanesimo (testo trenta volte pi geniale di quello di Sartre L'esistenzialisimo  un umanesimo, ed il lettore capir presto il perch), Martin Heidegger diagnostic subito genialmente che cos'era che non andava in questa prometeica ed infondata sparata di Sartre, e cio l'apologia dello sradicamento originario elevata a principio ontologico (o pi esattamente pseudo-ontologico, in quanto ogni esistenzialismo  negazione dell'ontologia), e sostenne che in questo modo "ogni essente girava su se stesso come animal rationale". Non si poteva capire meglio l'essenza del problema. Mentre il pensiero greco aveva sostenuto l'esistenza della natura umana, l'aveva definita, e per evitare che potesse essere interpretata come pura potenzialit astratta l'aveva collegata con il concetto di "atto" (energheia), ed aveva poi perfezionato questa scoperta con l'inserimento neoplatonico dell'uomo inteso come essere intermedio in una scala ontologico- dialettica che lo inseriva in un arco di possibilit esistenziali limitate ai due estremi dagli dei e dalle bestie, l'idiozia e lo sradicamento novecenteschi si illudono di poter fondare l'uomo su se stesso. Ma l'uomo fondato su se stesso gira su se stesso come una trottola e non pu in questo modo andare da nessuna parte. Se poi scendiamo su di un piano non pi filosofico ma politico-sociologico, il fatto che questa frettolosa e stupida posizione di Sartre abbia potuto avere tanta fortuna non pu stupire. L'allontanamento del marxismo storico novecentesco dalla posizione potenzialmente idealistico-aristotelica di Marx (il lettore aspetti l'undicesimo capitolo per leggere le motivazioni che porter per giustificare teoricamente questa connotazione) consiste infatti in ci, che da un lato si cade in un determinismo meccanicistico che dovrebbe "dedurre" l'avvento ineluttabile del comunismo dal movimento interno dello sviluppo obbligato della produzione capitalistica, e dall'altro si cade invece in una posizione apparentemente contraria, che nega la natura umana e vede la libert umana come un assoluto che pone se stesso e non ha bisogno di nient'altro per essere posto. Il lettore che conosce la dialettica, e sa bene che gli opposti sono sempre in correlazione essenziale anche e soprattutto in quella particolare ontologia che  L'Ontologia della Stupidit, non se ne stupir. Gli altri invece si stupiranno, ma allora non mi resta che consigliargli un corso elementare di dialettica. Nel concreto "intellettuale di sinistra" europeo novecentesco, uno dei profili umani meno filosofici e pi arroganti della lunga storia evolutiva dell'uomo sapiens, il determinismo teleologicamente prefissato di Kautsky (imprudentemente ereditato da Lenin, che io per tengo a scusare, perch almeno ha fatto la rivoluzione del 1917) si  sempre sposato con il prometeismo della libert assoluta di Sartre, con il bel risultato di gettare nel pozzo le faticose conquiste del pensiero greco da Eraclito a Plotino. Chi non ha ancora capito che a questo punto  inutile continuare a fare la guardia al bidone di benzina vuoto e ci vuole una "svolta"  refrattario a qualunque lezione sia della filosofia che della storia, che pure a partire dal 1923 Giovanni Gentile ha voluto intelligentemente che fossero praticate insieme. Ma torniamo al nostro "individuo" moderno. Dal momento che questo individuo  un in-dividuum, un ente non ulteriormente divisibile,  chiaro che questo concetto non pu che avere come sua genesi storica e sociale una divisione, e cio una resecazione. E da che cosa, di grazia, questo in-dividuum  diviso, e cio  resecato? Ma  chiaro.  diviso, e cio  resecato e tagliato via da una comunit precedente, in modo da poter immaginare che sia originario. A Socrate non sarebbe mai venuto in mente di essere "originario". Sapeva di essere un membro libero della polis degli ateniesi, e che la sua libert si esercitava in uno spazio sociale ben preciso. Non si tratta ovviamente di fare l'apologia neoclassica di questo spazio sociale. Si trattava di uno spazio sociale che discriminava gli schiavi, gli stranieri e le donne, e che decideva periodicamente a maggioranza democratica integrale massacri come quello degli abitanti dell'isola di Milo che avevano avuto il torto di voler restare neutrali nella demenziale guerra fra Atene e Sparta. Questa libert socratica non era per niente "organicistica", perch implicava sempre il poter dire s oppure no, all'interno di un orizzonte decisionale in cui questi s e no erano per fondati e trovavano la propria sensatezza. Ora per Hobbes, il primo teorico cosciente della nuova produzione mercantile precapitalistica, deve inventarsi uno stato di natura di individui originari in cui ciascuno  un lupo per l'altro (homo homini lupus), stato di natura che a sua volta  pensato come una guerra permanente di tutti contro tutti (bellum omnium contra omnes). Questo dato di natura, ovviamente, non  mai esistito. Come a suo tempo ha rilevato Horkheimer in un suo magistrale studio sugli inizi della filosofia borghese della storia, questo stato di natura hobbesiano caratterizzato dalla guerra sociale di tutti contro tutti  una metafora del nuovo legame sociale capitalistico caratterizzato dall'appropriazione capitalistica selvaggia ed incontrollata. Non  allora un caso che Hobbes individui proprio in Aristotele e nella sua razionale teoria della natura umana il vero nemico da abbattere. La filosofia di Aristotele  per Hobbes un mostro metafisico" (Empousa), in quanto sostiene che l'uomo  un animale razionale e sociale. Eh no, signori! L'uomo  invece un animale irrazionale e asociale. O meglio,  un animale che possiede pur sempre tanta razionalit da fargli capire che, dal momento che il valore principale per tutti  la vita, conviene delegare integralmente allo Stato i propri presunti diritti originari (pactum subjectionis) piuttosto che vivere in uno stato di timore e di insicurezza permanenti. Su questa base hobbesiana, tuttavia, la produzione capitalistica non avrebbe mai potuto consolidarsi ed assestarsi. Il mercato delle merci (fra cui la merce principale, la forza- lavoro salariata) ha bisogno di raddoppiarsi con un mercato delle opinioni, in quanto le stesse opinioni sono pur sempre un segnalatore" della riproduzione sociale cos come lo  il prezzo per le merci normali. Il capitalismo  spontaneamente liberale", non certo fascista (e tanto meno ovviamente comunista"). Furono allora prima Locke (inizialmente su di una base ancora ispirata al Diritto Naturale ed al Contratto Sociale) e poi Hume (gi assestato su di una base scettica ed utilitaristica che negava ogni fondamento sia al Diritto Naturale che al Contratto Sociale) che misero realmente le fondamenta filosofiche stabili e permanenti alla visione capitalistica del mondo, che si fonda da allora su di una doppia sacralit, la sacralit della libert e la sacralit della Propriet, sacralizzate insieme in una peculiare unit metafisica che cercheremo fra poco di chiarire. E giunge allora Jean-Jacques Rousseau. Rousseau ha dato in vita un meraviglioso consiglio preventivo ai suoi futuri commentatori affermando in modo lapidario: "Preferisco indulgere nei paradossi, piuttosto che nei pregiudizi". In effetti, non si potrebbe dire di meglio. Chi indulge nei paradossi molto spesso sbaglia, ma almeno il suo  uno sbaglio fecondo e produttore di effetti positivi, mentre invece il rimestatore di pregiudizi, che oggi ha assunto la forma del "Robot Replicante Politicamente Corretto", resta un sacerdote della banalit pietrificata. Il pensiero di Rousseau  un monumento al paradosso, e nello stesso tempo un monumento alla libera intelligenza umana, e questo lo dico in quanto, come cercher di mostrare fra poco, non condivido affatto n il metodo n la sostanza del suo pensiero. Ma per me l'eventuale condivisione o l'eventuale dissenso non sono mai stati criteri per giudicare la grandezza di un filosofo. Chi si muove in base a questo criterio fa del Narcisismo, non della Storia della Filosofia degna di questo nome. Dal momento che bisogna pur partire da qualcosa, per riflettere su Rousseau partir da questa sua citazione illuminante: "Nego che la malvagit sia connaturata alla specie come insegna il sofista Hobbes, o che sia necessario ammettere la dottrina del peccato originale, propagandata dal retore Agostino". Dal momento che in questa breve frasetta c' contenuto in nuce tutto Rousseau far immediatamente tre ordini di rilievi. In primo luogo,  importante rilevare il fatto che Rousseau attacca contemporaneamente il cristianesimo (il retore Agostino) e l'ideologia che oggi chiameremmo "borghese" (il sofista Hobbes). Questa critica duplice diventer poi l'asse portante - pi di un secolo dopo - della cultura cosiddetta "marxista". Certo, ci si pu chiedere se e fino a che punto Rousseau avesse capito l'essenza del cristianesimo e dell'ideologia borghese oppure ci stesse solo proiettando sopra i suoi fantasmi. Un cristiano potrebbe dire che l'essenza del cristianesimo, o pi esattamente del messaggio evangelico,  l'amore fraterno (agape), e non certo il peccato originale. Ottima osservazione, se per trascuriamo il fatto che una delle principali critiche che i pensatori cristiani novecenteschi hanno rivolto al marxismo (un nome fra tutti, Augusto Del Noce)  stata proprio quella di aver negato il peccato originale e di avere cos promosso un impossibile prometeismo umanistico assoluto. Sarebbe bene allora decidersi su quale linea polemica assestarsi e quale argomento decisivo presentare, in nome del sano e vecchio principio del rasoio di Occam. In quanto al difensore liberale dell'ideologia borghese, egli potrebbe dire che il principio della societ basata sulla propriet privata non  affatto l'egoismo hobbesiano, ma al contrario l'opposto  principio della simpatia e dell'immedesimazione simpatetica nell'altro sostenuto prima da David Hume e poi da Adam Smith, principio effettivamente vigente nello scambio di merci, perch se io non mi immedesimo nei desideri e nei bisogni del compratore non posso neppure vendergli nulla. Tutti sanno infatti che un mediocre commesso viaggiatore sa sulla natura umana concreta dei suoi contemporanei cento volte di pi di un normale psicologo e mille volte di pi di un normale filosofo. Detto questo, la strategia filosofica di Rousseau resta assolutamente paradigmatica, nella sua scelta di investire contemporaneamente le due metafisiche gemelle e complementari del cristianesimo e del laicismo borghese. In Italia, dove siamo letteralmente soffocati dal teatrino delle logomachie (pi esattamente, delle batracomiomachie) fra cattolici" (maglia nera) e laici" (maglia azzurra), logomachie cui bisogna assolutamente iscriversi se si vuol comparire nella lottizzazione delle tavole rotonde politicamente corrette e pluralistiche (cui infatti io non posso partecipare anche e soprattutto perch non sono iscritto a nessuno dei due partiti, e quindi logicamente non esisto" nella simulazione culturale lottizzata), la doppia battaglia di Rousseau  ancora certamente di attualit. In secondo luogo, come ha a suo tempo genialmente rilevato Ernst Cassirer, Rousseau fonda in questo modo la religione occidentale della Politica, che in questo modo ha meno di tre secoli di vita. Nella fase storica precedente, quella della societas Christiana, il male nel mondo non era mai considerato come qualcosa di sociale", ma come qualcosa di voluto da Dio, che bisognava allora in qualche modo giustificare" (donde la teodicea" di Leibniz e la contro- teodicea di Voltaire, eccetera). Ora, invece, la colpa dell'ingiustizia e del male nel mondo non  pi di Dio, ma  della Societ. Si tende in genere a credere che il punto di vista lassistico e tollerante verso il crimine o verso l'insuccesso scolastico, per cui la colpa non  dei singoli, ma della societ", sia un principio che risale a Marx. Errore. Si tratta della banalizzatone e della volgarizzazione successive di un principio che risale a Rousseau, che per non era un idiota, e non avrebbe mai detto che la colpa di qualcuno che sgozza una vecchietta per comprarsi una dose non  di questo ignobile criminale, ma  della societ, della famiglia, dell'ambiente, del capitalismo, della scuola, delle multinazionali, di tutto, insomma, ad eccezione di questo scellerato coglione. La Sinistra Politicamente Corretta e filosoficamente Analfabeta, che ha sempre pensato che Marx fosse all'origine di questo demenziale sociologismo morale, laddove si tratta invece di un particolare fenomeno di deresponsabilizzazione sociologica degli individui dovuta proprio all'indebolimento della soggettivit borghese classica, vada pure al suicidio in compagnia di queste banalit, ma non pensi che la colpa sia di Marx (e neppure di Rousseau). In terzo luogo, infine, Rousseau  di fatto il fondatore simbolico della interminabile logomachia fra la Destra, che pensa che la colpa (o il merito) della Diseguaglianza  della natura, e la Sinistra, che pensa invece che la colpa (o il demerito) della Diseguaglianza  della Societ. Su questa base,  bene dirlo subito, ogni dialettica  impossibile. La dialettica, infatti, interviene solo quando i due opposti, che sono poi sempre e solo due contrari in correlazione essenziale, vengono "sciolti" nella loro rigidit opposizionale e ridefiniti all'interno del movimento dialettico stesso e delle sue necessarie determinazioni.  Rousseau un precursore della critica di Marx al capitalismo, oppure no? Non  facile rispondere esaurientemente a questa legittima domanda,ma prover egualmente a farlo. Si dice spesso che Rousseau ha in testa una societ di piccoli produttori indipendenti che vivono in comunit a misura d'uomo" in cui  possibile la pratica della democrazia diretta assembleare, e sono possibili di conseguenza anche l'autogoverno politico e l'autogestione economica integrali, laddove nella societ urbana, industriale e complessa" di Marx tutto questo non sarebbe possibile. Non sono d'accordo. L'utopia consiliare di Marx (e di Lenin, vedi Stato e Rivoluzione)  indiscutibilmente di tipo russoviano. Eppure il marxismo l'ha ereditata, ed ha a mio avviso fatto benissimo ad ereditarla. La discontinuit fra Rousseau e Marx deve essere allora individuata in un altro elemento, che  ad un tempo teorico e pratico. Rousseau si muove sul terreno del Diritto Naturale e del Contratto Sociale, e sarebbe sciocco rimproverarlo su questo punto, come sarebbe sciocco rimproverare Aristotele perch non conosce la fisica di Galileo, Newton e Einstein. Sulla base della sua acuta ed intelligente interpretazione del Diritto Naturale e del Contratto Sociale, egli esercita una critica radicale al precedente Patto Iniquo e propone di sostituire questo patto iniquo che consacra la diseguaglianza con un nuovo Patto Equo che permetta di superarla. Cos come il codice neoplatonico (Uno = Bene = Dio)  alla base di ogni teologia monoteistica successiva, nello stesso modo il codice russoviano (la sostituzione di un nuovo patto sociale equo al precedente patto sociale iniquo)  alla base di ogni progetto rivoluzionario. Il posto di Rousseau nella storia della filosofia occidentale  cos assicurato per i secoli dei secoli, e non saranno certo dilettanti come Fukuyama o Huntington a scalzarlo con la loro teoria sulla fine americana della storia o sullo scontro di civilt in cui  necessario schierarsi con l'impero criminale di Bush. Nello stesso tempo, esiste una specifica carenza dialettica in Rousseau che occorre diagnosticare con precisione per non rischiare di caderne vittima. Il patto sociale di Rousseau  infatti un patto che viene stipulato fra solitudini originarie. E probabile (anzi a mio avviso quasi sicuro) che Rousseau abbia proiettato sull'intera societ del suo tempo la condizione di solitudine esistenziale in cui ha vissuto tutta la sua vita, senza madre, praticamente senza padre, invischiato in un rapporto affettivo morboso con una madre-amante fittizia, padre di figli sistematicamente abbandonati sulla ruota del conventi, in litigio continuo con tutti i suoi interlocutori, a suo agio solo nelle passeggiate solitarie e nella silenziosa erboristeria, la sua vera sola ed unica passione. Il suo stesso modello pedagogico fondamentale, il giovane Emilio,  un solitario che viene educato leggendo il Robinson Cruso di Defoe ed imparando a fare con le proprie mani tutto quello di cui ha necessit. Il contratto sociale che Rousseau propone all'umanit  un contratto fra individui solitari originari, che trovano nelle feste e nelle cerimonie pubbliche (su cui Rousseau non a caso insiste ossessivamente) l'unico reale momento di coesione e di socializzazione. Hegel individu genialmente il "difetto di fabbricazione" della filosofia politica di Rousseau in quella che defin la "furia del dileguare", e cio la fretta di correre avanti verso la nuova fondazione della societ lasciandosi dietro ogni precedente aggregazione comunitaria, dalla famiglia ai gruppi professionali. Engels gli riconobbe invece la paternit dello schema dialettico che poi Marx avrebbe riempito di contenuti determinati (e cio Tesi: comunismo primitivo egualitario; Antitesi: alienazione nella societ dei falsi bisogni, del lusso e della diseguaglianza; ed infine Sintesi: il comunismo come ristabilimento dell'eguaglianza originaria alienata), ma secondo me ha ragione Hegel, non Engels. La trafelata corsa in avanti verso un patto sociale stipulato fra solitudini originarie  soltanto il rovesciamento non dialettico dello stesso schema delle solitudini egoistiche di Hobbes, e non pu che incorrere negli stessi fallimenti. La dissoluzione del comunismo storico novecentesco, che come Rousseau persegu la via dello scioglimento di ogni societ intermedia fra l'individuo, da un lato, e lo stato-partito comunista, dall'altro, ci trasmette l'insegnamento per cui non bisogna pi in futuro seguire la stessa strada. E se esiste un insegnamento "dialettico", ebbene questo  sicuramente il pi "dialettico" di tutti. Lode dunque a Rousseau, ma lode a chi ha commesso un errore pratico e concettuale in cui non ricadere pi. Capitolo ottavo La dialettica di Kant La piena comprensione della natura della dialettica in Kant  di cruciale importanza per intendere in modo giusto lo sviluppo dell'intera filosofia occidentale. Apparentemente, Kant ritorna alla vecchia posizione di Aristotele che distingueva logica e dialettica, e come per Aristotele la dialettica  la logica del verosimile, nello stesso modo per Kant la dialettica  la logica dell'apparenza. Qui per finiscono le somiglianze, e comincia invece il discorso serio e determinato. Aristotele si trova di fronte l'edificio veritativo eretto da Platone, un edificio veritativo che aveva nella dialettica la sua logica della verit, anche se nei suoi tardi dialoghi detti appunto "dialettici,  lo stesso Platone che insinua volutamente nel lettore dei dubbi non solo metodici, ma addirittura iperbolici (uso qui la terminologia di Descartes). Ed il dubbio iperbolico massimo e principalissimo, per non dire unico, del metodo dialettico sta nel pensare che esso dia luogo solo ad una logica dell'illusione e quindi della menzogna. Aristotele non si sogna neppure di "sparare" sulla dialettica come faranno poi in un clima avvelenato ed ideologizzato, e quindi infetto per definizione, i vari Bernstein e Colletti (qui rimando il lettore al capitolo quattordicesimo). Semplicemente, egli la "derubrica" a logica del probabile e del verosimile. Il punto essenziale della questione sta per in ci, che al tempo di Aristotele non esisteva una chiesa monoteistica strutturata in cui la religione funzionasse da ideologia politica di legittimazione statuale (o peggio partitica). La sua "metafisica", che  in realt una filosofia "prima" di tipo ontologico (e quindi estremamente saggia e corretta),  una proposta "gratuita" di interpretazione filosofica del mondo, e non certo un apparato teorico da adattare alle esigenze del potere. Nella misura in cui non proponeva neppure una visione gerarchizzata del mondo (come  in effetti parzialmente vero per il neoplatonismo) non si adattava neppure a funzionare come raddoppiamento simbolico del potere in una societ "tributaria" (ricord qui l'interpretazione di Samir Amin). II contesto storico in cui vive Kant  radicalmente diverso. Kant rappresenta il liberalismo in filosofia, o pi esattamente nel rarefatto mondo delle idee filosofiche che si illude di essere autonomo ed indipendente dai conflitti sociali e dalla rappresentazione del legame sociale comunitario. E come il problema fondamentale della filosofia politica del liberalismo era quello dei limiti del potere politico, nello stesso modo il problema fondamentale di Kant era quello di fissare dei limiti a quel particolare raddoppiamento ideologico del potere politico signorile ed assolutistico che era il potere metafisico". Non c' qui lo spazio per riassumere in dettaglio la terza parte della Critica della Ragion Pura, intitolata Dialettica Trascendentale, in cui Kant dimostra con estrema abilit come l'uso dialettico delle tre idee metafisiche di Anima, Mondo e Dio d luogo inevitabilmente ad un paralogisma (falso ragionamento), a quattro antinomie irrisolvibili ed infine a tre prove inconsistenti e del tutto incapaci di dimostrare" l'esistenza di Dio. Il lettore pu utilmente rivolgersi ad una buona storia della filosofia. Qui  invece pi opportuno riflettere sulla natura sociale e storica della dialettica (o pi esattamente, della critica alla dialettica) di Kant, cosa che i manuali generalmente non fanno, o perch lo ritengono superfluo e non pertinente all'argomento, oppure (come io sospetto) perch non riescono neppure a sospettare il problema. Le storie della filosofia sono infatti quasi sempre organizzate sulla base di una premessa del tutto falsa, e cio che le idee filosofiche caschino dal cielo o nascano come funghi, anzich essere una produzione sociale, pi esattamente un raddoppiamento dei rapporti sociali trasferiti in un cielo di idee, opinioni e convinzioni che si credono originarie. Un po' di psicoanalisi filosofica (Freud) o di terapia del sospetto (Ricoeur) non farebbe male. Ma  impossibile (o almeno io ho smesso di crederci da tempo) raddrizzare le gambe ai cani.  evidente, per fugare ogni grottesco equivoco deterministico e sociologistico, che Kant non "lavora su commissione" della borghesia capitalistica liberale del suo tempo, cos come gli inventori medioevali del purgatorio non lavoravano direttamente su commissione dei mercanti lombardi che prestavano ad usura e quindi volevano lasciarsi una via di uscita. Il filosofo, se  un vero filosofo e non un miserabile scribacchino a contratto, dice le cose in cui crede, e si stupirebbe anzi, oltre che indignarsi, se qualcuno sospettasse che ha una "committenza", sia pure mediata ed indiretta. Eppure, lo dico francamente, mi si pu chiedere tutto, ma non di rinunciare alla convinzione per cui anche (e soprattutto) le idee filosofiche nascono in un preciso contesto sociale e rispondono a bisogni conoscitivi e di orientamento anch'essi sociali. Il fatto che il marxismo ideologico novecentesco abbia trasformato questa profonda idea in una sgradevole burletta manipolata da maiali burocratici supportati da seguaci urlanti, non  un argomento per gettare via il bambino con l'acqua sporca. E l'acqua sporca  l'uso ideologico della pratica filosofica, mentre il bambino da salvare  l'idea della produzione sociale della conoscenza. Torniamo a Kant. Kant vive in un periodo storico (la seconda met del settecento) in cui la legittimazione metafisica dell'ordine sociale era gi da tempo in crisi, anche se si continuava a tentare - per salvarla - una sorta di accanimento terapeutico (pastori luterani in Germania, gesuiti nei paesi cattolici, eccetera). Ci voleva per un genio filosofico come lui per esporre in modo rigoroso e sistematico le ragioni teoriche per cui era bene che il mondo dei fenomeni, e cio degli oggetti di conoscenza costruiti da una funzione intellettiva universalistica, si staccasse dal mondo dei noumeni", cio da quelle entit puramente pensabili ma non conoscibili e tanto meno sperimentabili che per molti secoli erano stati sopra (teoria della trascendenza) oppure sotto (teoria della sostanza) alla costituzione sociale della comunit gerarchicamente strutturata in differenziali di potere, sapere, ricchezza e forza militare. Sarebbe per ridicolo, anche se questa ridicolaggine  frequente nelle storie della filosofia, presentare Kant come un inconsapevole (o poco consapevole) precursore della concezione positivistica della scienza, vista come forma di sapere unica ed autosufficiente. Kant si dichiarava (e lo era) nnamorato della metafisica", e considerava l'esigenza di totalizzazione metafisica del mondo naturale e sociale insita nella natura umana e pertanto assolutamente non sradicabile. Si tratta di un fatto ben noto anche agli studenti del primo anno di filosofia. Eppure questo fatto ben noto  sistematicamente dimenticato dai moderni kantiani", che sono quasi sempre dei normali positivisti filosoficamente un po' acculturati. Nei confronti delle indimostrabili idee metafisiche di Anima, Mondo e Dio, Kant utilizza la buona vecchia dialettica confutatoria di Zenone, sia pure ovviamente su di una base aggiornata di tipo newtoniano che utilizza la categoria di intuizione sensibile e di costituzione esclusivamente spazio- temporale dei fenomeni oggetto di conoscenza intellettiva. Ma questa  sola tecnica. II punto essenziale della questione sta in ci, che Kant  assolutamente convincente, e qualunque lettore si metta ad esaminare le sue immortali pagine confutatorie non potr che approvarle. I difensori della vecchia metafisica "dimostrativa" non possono che uscirne sconfitti, e la loro inevitabile sconfitta dialogico-argomentativa non  che il riflesso raddoppiato della parallela sconfitta ideologico-politica delle forze che volevano continuare a legittimare il loro potere ed il loro modello di societ con un rimando metafisico. Tuttavia, ci si pu chiedere quali siano le ragioni storiche del fatto che Kant continui a sembrare "attuale" anche dopo pi di duecento anni, dal momento che non siamo a Ryadh oppure a Khartoum, in cui si potrebbe sostenere l'attualit di Kant contro le legittimazioni del potere islamico, ma viviamo in luoghi ormai interamente secolarizzati e laicizzati, in cui neppure pi le chiese cristiane delle varie confessioni ritengono seriamente di potersi assestare sulle vecchie trincee metafisiche, e combattono ormai le loro battaglie sulla base di una ripresa e di una riattualizzazione della vecchia teoria aristotelica della ragione naturale e della conoscenza della natura umana in societ. Si tratta di un segreto di facilissima interpretazione. La critica dialettico-confutatoria di Kant demolisce le pretese conoscitive, che erano per anche nello stesso tempo pretese di legittimazione sociale e politica, della vecchia metafisica che ambiva ad una conoscenza "vera" della totalit religiosa del mondo. La totalit, dice Kant con ottimi argomenti, pu soltanto essere oggetto di riflessione, non di conoscenza vera e propria. E per il vero problema storico che si afferma all'inizio dell'Ottocento sta ormai in ci, che il principio ontologico della Totalit passa dal cielo alla terra, e diventa il problema della valutazione ontologica globale della totalit storica e sociale, che appunto la scuola idealistica ritiene (a mio avviso correttamente) di poter insieme conoscere e valutare, o pi esattamente conoscere ontologicamente e valutare assiologicamente. A questo punto Kant si rivela non solo utile ma addirittura necessario. Gli ottimi argomenti dialetticoconfutatori che Kant aveva impiegato contro la metafisica classica, e di conseguenza contro le sue pretese ideologiche di legittimazione sociale, possono essere riciclati e riattualizzati contro la nuova pericolosa metafisica che nasce dalla sacrosanta pretesa di voler dare una valutazione globale della nuova societ borghese-capitalistica, E probabile che Kant non abbia potuto rendersi conto di questo possibile mutamento di funzione sociale della sua mirabile filosofia critica. Sorta per porre dei limiti di tipo liberale alle pretese assolutistiche della metafisica, la sua filosofia muta di funzione in meno di un decennio, e viene riformulata in modo da poter porre dei limiti alle pretese di giudizio globale, e cio "totale", sulla nuova societ borghese capitalistica. Nel prossimo capitolo, dedicato a Fichte, questo mutamento di funzione storica verr discusso in modo pi approfondito. Quello che  certo  che Kant non era uno stupido ed arrogante positivista, e viveva ancora in un periodo felice (il periodo magico del passaggio epocale dall'illuminismo al romanticismo) in cui sembrava ancora impossibile, per dirla con Hegel, che ci potesse essere un popolo civile senza metafisica. E infatti egli non intende affatto distruggere e demolire la metafisica, ma intende sostituire quella vecchia e fallace con una nuova e migliore. La sua metafisica  allora direttamente un'etica. Il problema, per, che a mio avviso porter infine al fallimento del suo pur nobile tentativo,  che non  possibile costruire un'etica sociale su base individuale, passando cio attraverso una somma di intenzioni soggettivamente oneste e pure degli agenti sociali pensati come originari. Cos come Rousseau non pu riuscire a costruire un vero nuovo patto sociale equo al posto del vecchio patto sociale e iniquo sulla base di una somma di solitudini originarie l'Emilio-Robinson autosufficiente), nello stesso modo Kant non pu pensare che si possa veramente costruire una nuova metafisica, identificata con una etica sociale autosufficiente (autonoma" e non eteronoma, nel suo linguaggio specifico), sulla base di una morale dell'intenzione formale dei suoi agenti. La morale dell'intenzione di Kant  del resto parallela ed omologa alla teoria dell'imprenditore capitalistico di Adam Smith. Fa quel che devi, avvenga quello che pu, sostiene Kant. Intraprendi nel miglior modo possibile, e la mano invisibile" del mercato metter le cose a posto, afferma Smith. Questo doppio provvidenzialismo implicito sta alla base sia della morale kantiana sia dell'economia smithiana. E vi  in proposito un sintomo interessante nelle analisi kantiane che i commentatori preferiscono troppo spesso mettere sotto silenzio, quasi come se ne vergognassero. Si sa che grandi patologie a volte si annunciano con piccoli sintomi, e la stessa cosa avviene per la morale kantiana, a partire da un fatterello apparentemente marginale ma sintomatico. Kant si lasciava spesso trascinare in discussioni di tipo controversistico su casi detti concreti", che sono in generale casi in cui un principio generale considerato valido  costretto a smentire la sua presunta universalit astratta ed a consentire eccezioni. Anche il pi grande sostenitore dell'integrale abolizione della tortura dovrebbe obtorto collo ammettere che se torturando un attentatore che ha posto una bomba in un luogo segreto la cui esplosione ucciderebbe sicuramente almeno un innocente (non parliamo poi di mille innocenti) fosse possibile disinnescare in tempo questa bomba, la tortura diventerebbe ragionevolmente praticabile. Anche il pi deciso sostenitore dell'abolizione della pena di morte dovrebbe deflettere dalla sua posizione se fosse possibile dimostrare con assoluta sicurezza che in un caso specifico la deterrenza prodotta da questa pena di morte porterebbe alla salvezza di centinaia di innocenti (ed infatti gli oppositori della pena di morte devono ripiegare sull'argomento utilitaristico per cui essa "non serve a niente", e basta ed avanza una bella deterrenza carceraria per ottenere effetti positivi). In sostanza, il fatto che chi si mette sul terreno dei principi formali assoluti ( terreno in cui indubbiamente si  messo Kant) deve poi quasi sempre introdurre "eccezioni" che finiscono con il distruggere il suo bell'edificio teorico finalmente coerente  per me un argomento decisivo per concludere che aveva ragione Aristotele quando diceva che il giudizio etico non ha mai nessun a priori, ma  sempre frutto di una decisione concreta e di una deliberazione sul particolare frutto di una saggezza pratica (sophrosyne, prudentia) che non sopporta vincoli formali astratti, del tipo degli imperativi categorici kantiani. Se qualcuno preferisce il linguaggio tennistico con il suo relativo punteggio, allora scriverei questo risultato in tre soli set: Aristotele-Kant 6-0, 6-0, 6-0. Espresso in modo inequivocabile e plastico il mio giudizio sulla morale kantiana, vorrei anche introdurre un'ipotesi sulle ragioni del suo apparentemente incredibile successo presso i preti, i moralisti, i professori universitari di filosofia, ed altre categorie totalmente staccate dalla vita quotidiana. Il successo dell'inapplicabile morale kantiana ha le stesse basi teoriche e sociali del successo bimillenario dell'etica evangelica del porgere l'altra guancia al nemico che ti schiaffeggia: la loro totale ed integrale inapplicabilit.  questo un punto teorico ad un tempo elementare ed incomprensibile per il fariseo e per l'ipocrita medio. Una morale parzialmente applicabile d infatti luogo ad inevitabili controversie applicative (morale utilitaristica, morale eudemonistica, morale religiosa rivelata, morale del sentimento, morale consuetudinaria, eccetera). Una morale totalmente inapplicabile, invece, come  quella kantiana,  a suo modo perfetta, perch instaura una tale schizofrenica separazione fra mondo della forma e mondo del contenuto da saldare cos tutti e due. Facciamo un esempio appunto "controversistico". Kant sostiene che la menzogna deve essere evitata in ogni caso, sempre e dovunque, perch in mancanza di una sicura conoscenza noumenica della verit (Wahrheit), il contratto sociale reciproco deve almeno basarsi sul principio della veridicit (Wahraftigkeit). Il vero  noumenico, ma il veridico, cio il detto sinceramente e senza mentire,  fenomenico. Come si vede, il kantismo vive di dualismi, dualismi che a mio avviso riflettono la schizofrenia del mondo borghese nascente, che in teoria  onesto, illuministico e razionale ed in pratica  furfantesco, utilitarista e magnamagna. Bene, fu obbiettato a Kant: ma se qualcuno inseguito da un assassino si rifugia in casa tua, e l'assassino ti chiede se per caso il tizio si  rifugiato da te, non  forse il caso di mentire? Bene, il buon senso non-kantiano ed aristotelico avrebbe la risposta pronta, che non richiede una laurea in filosofia: certo,  legittimo mentire, e salvare cos la vita dell'inseguito. Ebbene, udite udite, Kant risponde che anche in questo caso non si pu derogare al principio assoluto ed incontrovertibile della veridicit (Wahraftigkeit), e quindi non si pu mentire all'assassino. Si pu comunque "sperare", aggiunge Kant, che l'inseguito possa egualmente fuggire (immagino, per i tetti o con un dirigibile attaccato al solaio), ed in ogni caso si sarebbe penalmente liberi da ogni colpa. Per Kant, evidentemente, il fatto di poter essere assolti in tribunale era pi importante del fatto di salvare la pelle all'inseguito dall'assassino. Prego il lettore di credermi, anche se gli sembrer incredibile. Eppure io non mi stupisco affatto, perch non si ha qui solo a che fare con la nota fanatica stupidit del luterano di provincia tedesco, cui un po' di elasticit mediterranea non potrebbe che fare del bene, ma si  di fronte alla vera e propria tragedia di qualsiasi morale formale a priori. Detto questo, il ruolo di Kant per la fondazione dell'idealismo moderno resta innegabile, e gli idealisti stessi lo hanno pi volte riconosciuto. Hegel, infatti, riconosce a Kant il merito di aver restaurato la dialettica riattribuendole un senso obiettivo e mostrando che certe determinazioni del pensiero sono, per loro stessa natura, necessariamente contraddittorie e portano - lasciate a s stesse - ad irreparabili errori. Kant avrebbe per sfortunatamente tirato l'errata conclusione che la ragione  incapace di superare la contraddizione, laddove sono invece queste stesse determinazioni a presentarsi come costituzionalmente contraddittorie, perch ha attribuito la contraddittoriet al solo pensiero e non anche alla realt. Il principio per cui la contraddizione fa invece parte della realt  il fondamento dell'idealismo. La terminologia  in proposito ingannatoria, perch la teoria filosofica per cui la contraddizione dialettica fa parte della realt dovrebbe essere denominata realismo, se i termini potessero riacquistare un senso oggettivo. A proposito dei tre capitoli successivi, che dedicher rispettivamente a Fichte, Hegel e Marx, ho avuto la tentazione di definirli episodi del realismo filosofico, perch considero infatti costoro non come idealisti" (per me i soli veri idealisti" sono Platone e Plotino, se i termini vengono usati correttamente) e neppure come materialisti" (per me infatti Marx  un universalista, non un materialista, come cercher di chiarire pi avanti), ma come veri e propri realisti. E tuttavia la saggezza ci consiglia di sottometterci provvisoriamente alla dittatura della tradizione terminologica consolidata, nella quale il realismo"  inteso in senso gnoseologico come teoria del rispecchiamento della conoscenza umana a partire da un dato presupposto come esterno, i cui principali esponenti nella tradizione occidentale sono stati Tommaso d'Aquino e Lenin, e questo non a caso, perch tutte le religioni monoteistiche, non importa se fondate su Dio elo sulla Materia, devono presupporre religiosamente" un dato esterno della conoscenza. Tutte le filosofie veramente rivoluzionarie, invece, si fondano necessariamente sull'unit ontologica di soggetto e di oggetto e sul corrispettivo processo dialettico progressivo di autocoscienza del soggetto stesso. Ma qui Kant si ferma e deve fermarsi. Grande teorico dei limiti della conoscenza umana, e di riflesso grande ideologo della negazione delle normative della metafisica, Kant si  fermato esattamente nel punto in cui invece comincia la filosofia contemporanea. Egli era legittimato integralmente a farlo, come uomo del suo tempo. I moderni kantiani alla Habermas lo sono un po' meno, e vedremo nei prossimi capitoli il perch. Capitolo nono La dialettica della prima forma di idealismo moderno: Fichte I due principali passaggi d'epoca della storia della filosofia occidentale sono stati probabilmente quelli che hanno portato prima da Platone ad Aristotele, e poi da Kant alla filosofia dell'idealismo tedesco. In entrambi i casi la questione della dialettica ha giocato un ruolo centrale. Si  invece sempre riflettuto troppo poco sul fatto, spesso considerato ovvio ed indegno di ulteriore interrogazione critica, che nei due casi citati c' stato un vero capovolgimento, e cio una vera e propria inversione, nel modo in cui  stata considerata la dialettica in questi due delicati trapassi d'epoca. Nel primo caso (passaggio da Platone ad Aristotele) c' stato un declassamento della dialettica, che da logica del vero in Platone diventa logica del verosimile in Aristotele, in cui in linguaggio sportivo potremmo dire che la dialettica passa dalla serie A alla serie B. Nel secondo caso (passaggio da Kant a Fichte e poi pi in generale all'idealismo tedesco posteriore) c' stato invece un innalzamento della dialettica, una sua promozione alla classe superiore, per cui da logica dell'apparenza che finisce inevitabilmente con l'invischiarsi in paralogismi, antinomie e dimostrazioni inadeguate, essa diventa invece la logica propria sia alla logica vera e propria, sia soprattutto alla logica di sviluppo dell'agire umano nel mondo, e cio dell'agire storico. Questi sono i fatti, gli incontrovertibili fatti. I fatti per sono l proprio per essere interpretati. E allora, possiamo ritenere un fatto puramente casuale che la dialettica dopo Platone sia stata "retrocessa" (uso sempre un linguaggio calcistico), mentre dopo Kant  stata invece "promossa alla serie superiore"? Personalmente, non lo ritengo per nulla un fatto casuale, ma un fatto che deve e pu essere spiegato. In questo caso, allora, credo che vi sia una differenza specifica fra le due epoche storiche, che cercherei di formulare telegraficamente in questo modo: la totalit che cercava Platone aveva alla base la nostalgia, mentre la totalit che cercavano Fichte, Hegel e soprattutto Marx (il terzo grande idealista della serie) aveva invece come suo motore ideale un'utopia. Spieghiamoci meglio. Al tempo di Platone, la bella unit dialettica della comunit politica greca stava irreversibilmente tramontando.  poco probabile che Platone non lo capisse. A mio avviso, certamente lo aveva capito. La Repubblica, spesso frettolosamente definita in termini di "utopia politica", nel senso di modello che si sa bene essere praticamente irrealizzabile e che si vuole proporre comunque come paradigma ideale di armonia e di giustizia degno in ogni caso di imitazione (mimesis), era in realt la sublimazione filosofica di una nostalgia, ed  per questo che Platone indulge tanto nella rievocazione dei tempi passati, fino all'Atlantide disegnata nel Crizia che poi ha dato luogo a tante ipotesi storiche e geografiche di pura fantasia. Platone sa bene che questo modello razionale  "reale", nel senso che  realmente presente nell'unico mondo che per lui  veramente "reale" in senso proprio, e cio il cielo iperuranico delle idee, ma sa anche che questo modello reale-razionale (anche per lui, come per Hegel, vige ontologicamente ed assiologicamente questa equazione) non potr mai diventare "effettuale" (pragmatiks, wirklich) in quanto non c' alcuna possibilit che questo si realizzi. La sua dialettica ascendente e discendente (sinagoghe, diairesis)  dunque il sogno di una cosa e la sublimazione di una nostalgia. E qui appunto sta la sua forza che l'ha resa immortale. Cos come Scorate non avrebbe mai potuto impersonare il mito di fondazione del logos filosofico se avesse scritto qualcosa, in quanto solo la parola non scritta pu essere messa all'origine della pratica filosofica laddove la parola scritta e sacralizzata sta all'origine della religione istituzionalizzata, nello stesso modo Platone non avrebbe mai potuto impersonare il mito di fondazione della filosofia politica se avesse proposto qualcosa di "realizzabile". Aristotele prende sobriamente atto di questa palese ed evidente irrealizzabilit, e trasforma questa realistica presa d'atto in "retrocessione" della dialettica, che passa cos dalla serie A della Verit alla serie B della Verosimiglianza. Si tratta della vittoria postuma di Protagora su Socrate, ma non si tratta affatto di una sconfitta della filosofia intesa come logos sokratiks, il cui valore logico ed ontologico di discorso veritativo (o pi esattamente, potenzialmente veritativo) una volta generato diventa immortale. Nel delicato ventennio di passaggio dal criticismo all'idealismo (1790-1810) siamo di fronte ad un orizzonte storico e sociale ben diverso. In quanto teorico consapevole del liberalismo nel campo della filosofia, e cio della fissazione di limiti alle pretese assolutistiche di fondazione della metafisica, Kant fa ancora uso della dialettica nel senso confutatorio di Zenone e di Aristotele, ed in questo  semplicemente inarrivabile, perch ancora oggi ci si domanda stupefatti come sarebbe possibile fare pi e meglio di come ha fatto (la stessa domanda, sia detto incidentalmente ma non casualmente, che ci si pone spontaneamente di fronte alla musica di Mozart o di Beethoven). Ma l'epoca di gestazione e di trapasso (uso qui l'espressione di Hegel) che l'Europa vive nel ventennio 1790- 1810  un'epoca che produce necessariamente un'utopia politica, l'utopia della realizzazione sociale concreta e pacifica dei contenuti "razionali" che un secolo di illuminismo aveva pur sempre proposto e sviluppato. In questo contesto storico la dialettica non  una bizzarra invenzione di visionari tedeschi, come suggerisce il meschino punto di vista positivistico e post- positivistico di oggi, ma  semplicemente la "ricaduta" filosofica di un movimento autonomo della societ europea del tempo. Certo, l'utopia borghese non si realizzer, ed al suo posto si affermer la logica sistemica dell'accumulazione capitalistica, i cui "filosofi spontanei" sono Locke e Hume, e non certo Fichte e Hegel. Ma questa utopia borghese resta come utopia del ringiovanimento filosofico del mondo (Verjungen), ed il ringiovanimento utopico del mondo ha bisogno di una dialettica come logica del vero e non solo come logica della confutazione e / o del verosimile. Il restauratore del significato platonico di dialettica fu Fichte, figlio della classe contadina tedesca, che nel 1794, scrivendo e pubblicando la sua immortale Dottrina della Scienza (Wissenschaftslehre), stabili metodologicamente la differenza di principio fra la "logica formale" e la "dottrina della scienza". La logica formale  la scienza dell'uso corretto delle categorie del pensiero, e si basa sulla separazione metodologica di principio fra forma e contenuto. La dottrina della scienza, invece, che  una vera e propria scienza filosofica (mentre invece la logica formale non lo ), presuppone un rapporto organico fra un soggetto che progetta, agisce, trasforma e modifica il mondo ed un oggetto naturale elo sociale che ne viene di conseguenza agito, modificato e trasformato. Fichte, che si autodefinisce "idealista" mentre invece a mio avviso  un "realista", definisce la realt in termini di sviluppo dialettico fra i due opposti in correlazione essenziale del principio dell'Io e del Non-Io, per cui la dialettica stessa pu essere definita come l'unificazione sintetica dell'opposizione creatasi attraverso la determinazione reciproca. La scienza filosofica c' allora, secondo Fichte, soltanto dove c' un fondamento che consiste nell'unit logica fra soggetto ed oggetto. Per quello che pu valere, sono pienamente d'accordo. Da strumento della logica confutatoria contro le pretese assolutistiche della metafisica, la dialettica diventa (o ridiventa) lo scheletro che sorregge la carne ed il sangue della scienza filosofica fondata sull'unit fra soggetto ed oggetto. Unit fra soggetto ed oggetto la quale, come almeno a me sembra chiaro (ma al lettore chiss),  solo la metafora filosofica della fiducia nella trasformabilit radicale del mondo reale che in quel ventennio aurorale della nuova civilt moderna (17901810) sembrava ancora possibile. Come reagisce Kant? In modo assolutamente prevedibile, reagisce con un atteggiamento di totale e provocatoria incomprensione. Sacerdote dei limiti,  cieco, sordo e muto di fronte ad una logica dialettica dell'utopia. Il 7 agosto 1799 fa pubblicare una solenne dichiarazione contro la filosofia di Fichte, in modo che fosse ben chiaro a tutti che lui non c'entra nulla con quest'ultima. Dopo aver deplorato che Fichte non si fosse limitato a fare il ripetitore della sua propria filosofia ed averla definita come filosofia dell'elemento scolastico", Kant dichiara: Con la presente dichiaro di considerare la dottrina della scienza di Fichte un sistema del tutto insostenibile. Pura dottrina della scienza  infatti n pi n meno che mera logica, la quale, con i suoi principi, non pu presumere di arrivare fino all'elemento materiale della conoscenza. Essendo pura logica, astrae dal contenuto di questa, e volerne tirar fuori un oggetto reale  fatica sprecata, ed  un'impresa alla quale non si era ancora messo nessuno. E se poi la si tenta si  costretti, ammesso che sia valida la filosofia trascendentale, a passar subito oltre di essa, ed a finire nella metafisica".  difficile essere pi chiari, e nello stesso tempo mostrare un'incomprensione tanto radicale. Presupponendo il famoso elemento materiale della conoscenza" (immagino che Kant alluda al noumeno come cosa in s", Ding an sich, che essendo in s non  per noi"), Kant rivela che sotto ogni criticismo sta sempre un presupposto che con rincrescimento non posso che chiamare materalistico-volgare.  volgare non perch sorbisce rumorosamente il brodo della minestra, ma perch presuppone che la realt esterna non possa mai per principio essere realmente mediata" dalla prassi umana, presupposto che il materialismo volgare ha in comune con tutte le religioni rivelate di questo mondo.  generalmente ammesso che il termine fichtiano di Io rappresenta una metafora trasparente del concetto unitario di Umanit concepita come titolare di un'attivit autosufficiente, che pu determinarsi soltanto in un rapporto con il Non-Io da essa stessa posto, a sua volta concepito come una metafora della "resistenza" naturale e sociale che viene posta a tutti i progetti di emancipazione e di "ringiovanimento" del mondo, senza appunto dimenticare mai che il primo idealismo fichtiano  prima di tutto una filosofia romantica della giovinezza, vista come la sola forza vitale che pu opporsi alla cosiddetta "epoca della compiuta peccaminosit" (questa sbalorditiva espressione  esattamente quella usata da Fichte). E questo d luogo ad almeno due ulteriori osservazioni di tipo storico. In primo luogo, Platone non avrebbe mai potuto pensare l'unit dialettica trasformatrice del mondo in termini di un lo inteso come metafora dell'attivit generale umana.  non avrebbe mai potuto farlo perch ai suoi tempi l'unit metaforica del mondo non poteva certo essere una ancora inesistente Umanit intesa come un unico soggetto agente della storia universale cosmopolitica, concetto che comincia faticosamente ad emergere nella scuola stoica del Portico Dipinto, sulla base della sublimazione filosofica della unificazione politica della cosmopoli attuata con mezzi militari da Alessandro il Macedone (oikoumene). Per Platone l'Uno  certamente il Bene, ma lo  sulla base di una astrazione comunitaria limitata, la polis ben diretta da una vera politela e non abbandonata all'arbitrio di un t'iranno consigliato da sofisti senza onore e senza saggezza. Il Bene platonico non  e non pu essere oggetto di un movimento storico di emancipazione universalistica, e per questa ragione la sua dialettica  bimondana, ascendente e discendente, e non storico- monomondana. L'Io storico fichtiano  quindi per Platone letteralmente impensabile, cos come lo spazio-tempo di Einstein lo sarebbe stato per il pur grande Aristotele. In secondo luogo, Kant non avrebbe mai potuto aderire al programma filosofico rivoluzionario di Fichte. In modo estremamente acuto Kant si rende conto che il miglior modo di diffamare la filosofia fichtiana  quello di presentarla come un ritorno della vecchia metafisica (il famoso elemento scolastico"). Cos come sar poi sistematicamente per due secoli con i vari kantiani posteriori fino e oltre Habermas, l'inconoscibilit delnoumeno diventa la metafora dell'intrascendibilit della societ borghesecapitalistica, un'intrascendibilit che ovviamente non esclude l'accettabilit di politiche riformistiche di tipo prima liberale e poi socialdemocratico, ma che nega a priori la possibilit di un trascendimento sociale globale considerato utopicamente impossibile, e quindi necessariamente anche potenzialmente totalitario (e si veda in proposito la storia del kantismo italiano, in particolare nella sua paradigmatica variante torinese di Nicola Abbagnano e di Norberto Bobbio, che vivono la situazione bloccata dell'opposizione reale senza contraddizione fra due poli egualmente sterili, il feudalesimo industriale e l'impotenza patetica e programmatica della classe operaia della grande fabbrica fordista). La filosofia di Fichte, a mio avviso,  semplicemente splendida. Certo, nei prossimi due capitoli studieremo le modificazioni che verranno proposte prima da Hegel e poi da Marx. Con questo, non intendo dire che essa non contenga errori. E quale filosofia non li contiene? In ogni caso, la filosofia di Fichte contiene compiutamente in s sia una filosofia dell'ateismo umanistico sia una filosofia della prassi politica attivale chi ripete che si tratta di due integrali invenzioni di Feuerbach e di Marx, non fa che ripetere una convenzionale e conformistica asineria. Cerchiamo di spiegarci meglio. A proposito di ateismo, nel 1799 Fichte fu brutalmente licenziato dall'universit di Jena con l'accusa di "ateismo". In questa vicenda c' tutto il copione abituale di queste storie, sempre diverse in superficie e sempre eguali nel fondo. C' lo studente incauto ed estremista (un certo Forberg) che dice apertamente quello che il professore nascondeva sotto formulazioni astratte e sofisticate. C' il solito cittadino anonimo indignato che scrive alle autorit contro i "cattivi maestri". C' il clima di isterismo emergenziale della cosiddetta "opinione pubblica" (ieri la rivoluzione francese, oggi il terrorismo, eccetera). C' la solita sordida vigliaccheria opportunistica dei colleghi professori, che Fichte ingenuamente ritiene che solidarizzeranno con lui in nome della libert d'opinione, e che immancabilmente lo gettano a mare godendo come mandrilli perch con il suo licenziamento si fa subito libero un posto da spartire e su cui lucrare uno stipendio in pi (in questo caso ad approfittarne  Schelling). In poche parole Fichte  licenziato, e potr riabilitarsi solo quando avr riformulato in senso apertamente neoplatonico il suo pensiero sostenendo che con il termine Jo non bisogna intendere il Genere Umano nella sua autosufficienza ontologica, ma proprio il buon vecchio Dio biblico personale di Martin Lutero e di tutta la consolidata pretoneria tedesca. Non voglio certo accusare Fichte di vilt. Nessuno di noi sa che cosa farebbe o come si comporterebbe, non dico di fronte a degli strumenti di tortura, ma anche solo di fronte ad un banale licenziamento senza pensione. Forse al posto di Galileo avrei anch'io esclamato Viva Tolomeo! Viva l'astronomia geocentrica! Abbasso Copernico!", ed al posto di Giordano Bruno avrei esclamato Viva il papa e la sua infallibilit! Viva il miracolo di San Gennaro! Viva l'Inquisizione!". O magari no, sarei andato alla morte triste ma non sottomesso. Questa per  psicologia contingente, non filosofia. Oggi c' gente che striscerebbe ai piedi dei potenti non certo per paura di essere internati e torturati a Guantanamo, ma semplicemente per farsi pubblicare un libro o per passare davanti ad un concorrente in un concorso universitario. Un Fichte redivivus direbbe che siamo ancora nell'epoca della compiuta peccaminosit. A proposito della filosofia della prassi, c' gente che crede veramente che se la sia inventata per la prima volta il giovane barbuto Karl Marx sul suo quadernetto in cui scriveva le cosiddette Tesi su Feuerbach. Prima di lui nessuno ci aveva mai pensato, ed ora arriva finalmente qualcuno che scopre l'uovo di Colombo, e cio che i filosofi avevano fino ad allora soltanto interpretato il mondo, e si trattava invece di trasformarlo. Il povero Platone non l'aveva capito, voleva soltanto interpretare il mondo, non trasformarlo. Per questo fece tre viaggi turistici in Sicilia, non avendo alcuna intenzione di trasformare" secondo un modello ideale la polis di Atene. Io so bene che nella storia della filosofia il principio di Imbecillita  sempre stato ancora pi importante del principio di Non- contraddizione, ma certe volte sono stupito anch'io del suo furoreggiare incontrollato ed incontinente. In realt, il principio filosofico della identit tendenziale fra conoscenza e prassi  gia perfettamente esposto da Fichte nei pi piccoli dettagli, e questo non deve stupire, perch il suo principio dialettico fondamentale risiede nella trasformazione continua che l'Io esercita nei confronti del Non-Io, trasformazione che tra l'altro produce lo stesso principio della soggettivit empirica individuale e di gruppo, che Fichte deduce appunto dialetticamente da questa unit contraddittoria fra Jo e Non-Io.  evidente che Kant non avrebbe mai potuto seguirlo su questa strada, ma poteva almeno risparmiarsi di valutarlo come un metafisico attardato che non lo aveva "capito" e che continuava a correre dietro all'elemento scolastico. Lo stesso parziale "ripiegamento" del secondo ed ultimo Fichte non pu essere compreso al di fuori della sua contestualizzazione storica. Non sono uno specialista di biografia fichtiana, e per questo non so proprio dire se la riformulazione religiosa e neoplatonica del suo modello dialettico faccia parte dell'eterna storia dell'opportunismo e della conciliazione adattativa con il reale, che Hegel definiva "ululare con i lupi" (mii den Wolfen heulen), oppure debba essere inserita in un processo di autentica riscoperta della religione. In ogni caso, non cambia nulla per quanto riguarda la valutazione del suo modello filosofico originario. L'opera politico-economica di Fichte, lo Stato Commerciale Chiuso, potrebbe tranquillamente essere riproposta integralmente oggi come critica della globalizzazione e del suo delirio neoliberista. Leggere per credere. L'opera intitolata La missione del Dotto anticipa in forma nobile quella concezione dell'impegno universalistico dell'intellettuale che molti credono sia stata inventata dal marxismo, laddove Fichte non propugna saggiamente nessuna fantomatica organicit" ad una classe sociologica specifica e tantomeno ad un partito politico determinato, ma sostiene molto pi sobriamente ed intelligentemente un impegno universalistico" che cerchi un rapporto diretto con l'idea di Umanit, in un momento storico in cui chi diceva umanit" non era ancora come oggi l'araldo dei bombardamenti umanitari contro gli stati-canaglia in nome di una democrazia che puzza di petrolio. Gli stessi Discorsi alla Nazione Tedesca, spesso frettolosamente dipinti come un'anticipazione del nazionalismo tedesco razzista alla Hitler, eccetera, sono invece del tutto immuni da queste potenziali derive negative. Il richiamo alla autenticit" linguistica e culturale dei tedeschi ha in Fichte una funzione puramente difensiva e patriottica contro il burocratismo dell'impero di Napoleone I, e non  in alcun modo un'anticipazione di superiorit razziale" che per essere fondate" dovettero aspettare Gobineau, Rosenberg ed il darwinismo sociale di origine positivistica. Si tratta di una pseudocultura per dilettanti e confusionari del tipo di Adolf, qualcosa con cui Fichte non ha mai avuto nulla a che fare. Il nostro tempo, purtroppo, non pu pi capire la grandezza di filosofi come lui. Ma anche il nostro tempo prima o poi passer. Capitolo decimo La dialettica della seconda forma di idealismo moderno: Hegel Un personaggio degli stupendi Dialoghi di profughi di Bertolt Brecht afferma ad un certo punto di non aver mai incontrato una persona priva di senso dell'umorismo che avesse capito la filosofia di Hegel. Ho personalmente alcuni dubbi sulla corretta comprensione di Hegel da parte di Brecht, visto che essa era mediata da quell'incurabile positivista che era Karl Korsch, ma concordo entusiasticamente sul suo giudizio. La comprensione della filosofia di Hegel presuppone quella particolare versione moderna dell'ironia di Socrate che  appunto l'attribuire la conoscenza assoluta soltanto appunto all'Assoluto, e nel riconoscere invece nella singola coscienza umana determinata, qualcosa che deve essere prima "dialettizzata" nello spazio e nel tempo della specificit storica. Altre scuole filosofiche ne sono del tutto prive, perch i loro seguaci si installano sempre con arrogante sicurezza o nell'Essere (heideggeriani), o in Dio (teologi vari), o nell'Io Penso (kantiani di varia osservanza). I kantiani, ad esempio, mi sono sempre parsi una scuola priva di senso dell'umorismo, anche se mi dicono che un viaggiatore ne ha incontrati alcuni che ne sembravano dotati nella penisola del Labrador. Il kantiano si installa generalmente  nell'appercezione trascendentale, altrimenti detta Jo Penso, e comincia a lanciare giudizi conoscitivi e morali a destra e a manca sulla base della pi completa e pervicace formalizzazione e destoricizzazione, in modo che a volte emergono dubbi sul mondo esterno, ma mai su se stesso. Ma se qualcuno non "relativizza" se stesso  inutile che poi pretenda di relativizzare il mondo esterno sostenendo la piena conoscibilit dei soli fenomeni. L'hegelismo invece ha come punto di partenza il sano rapporto iniziale dello scetticismo con la filosofia, argomento socratico cui non a caso Hegel ha dedicato un libro apposito. Parlare di Hegel significa subito chiarire immediatamente che cosa si pensa della sua dialettica e del suo sistema. Per farla breve, io ne penso tutto il bene possibile. Considero l'antipatia verso Hegel, fenomeno che si accompagna di regola alla pi completa ignoranza sulle sue autentiche posizioni, un fenomeno appunto integralmente sociale, attraverso cui si pu capire in controluce moltissimo sulla natura culturale e di una societ determinata. In linea di principio, pi una cultura  alienata" (e cercher pi avanti di chiarire il termine), pi antipatizza verso Hegel. Ma per non dar luogo subito a pittoreschi fraintendimenti,  bene chiarire preliminarmente due punti metodologici essenziali. In primo luogo, l'idealismo di Hegel non  bimondano come quello di Platone, ma  integralmente monomondano, in quanto il suo modello epistemologico implicito non  la matematica, ma la storia. Naturalmente, questo non sarebbe stato possibile se (come sostiene correttamente lo studioso tedesco Koselleck) nella seconda met del Settecento la storia universale umana non fosse diventata un concetto trascendentale riflessivo", e cio il supporto di una unificazione temporale sensata della vicenda complessiva del Genere Umano pensato come una totalit (presupposto che anima ovviamente anche il concetto di Io in Fichte). Erodoto sar anche stato il padre" della narrazione storica, ma non  certamente stato il padre della filosofia della storia universale secolarizzata (non parlo qui ovviamente della storia biblica, che era anch'essa universale, ma non in senso filosofico). Questo non implica per affatto il cosiddetto storicismo assoluto", che con Hegel non c'entra proprio niente. Lo storicismo assoluto parte dal fatto che tutto  storia, e non c' nulla al di fuori della storia. Questa posizione, il cui inevitabile sbocco  il nichilismo relativistico pi totale che si rovescia dialetticamente in positivismo, e cio in culto giustificazionistico del vincitore chiunque egli sia, non  di Hegel, anche se l'antipatia organizzata verso Hegel gli attribuisce questa sciocchezza da circa due secoli. Questa posizione, lo ripeto,  del liberale Croce e del "marxista" Togliatti, ma non  di Hegel. Non lo , e lo si pu dimostrare anche filologicamente. Mentre Platone d luogo ad una filosofia della trascendenza (sia pure mediata dialetticamente dall'imitazione e dalla partecipazione, mimesis e metexis), Hegel costruisce una filosofia dell'immanenza. L'Assoluto  il Soggetto Universale (metafora dell'intera umanit che unificandosi idealmente giunge cos alla piena comprensione della sua stessa natura storica e sociale), soggetto che comprende un Tutto di cui le cose singole non sono che articolazioni dialettiche. Faccio notare che Hegel non  mai stato cos stupido (anche se l'antipatia verso Hegel glielo ha attribuito) da dire che esistono, sono esistiti o esisteranno in futuro singoli individui empirici che capiscono, hanno capito o capiranno tutto. Ci pu soltanto pensarlo, appunto, una persona priva di senso dell'umorismo. Tale soggetto universale  quello che Hegel chiama Idea, o Concetto (Begriff). Questo secondo termine  il pi espressivo sulla base proprio della sua etimologia. Concetto, da concipere (come Begriff, da begreifen) vuol dire ci che "comprende", cio "prende insieme". Il concetto  cos la comprensione, l'universale che "comprende" le sue determinazioni in uno sviluppo dialettico. Ed  in questo senso che  assolutamente concreto (cfr. Enciclopedia, p. 164). Quanto all'Idea, in senso preciso,  per Hegel la realizzazione adeguata del concetto, ed Hegel la definisce (cfr. Enciclopedia, p. 213) "l'unit assoluta del concetto e dell'oggettivit", e cio il vero in s e per s. Riflettiamo un attimo su queste esatte parole di Hegel, perch esse contengono l'essenza del problema. Platone non avrebbe mai detto che l'idea  l'unit assoluta del concetto e dell'oggettivit. Avrebbe detto che l'idea  il vero concetto universale, e basta. Ma per Hegel la logica, che pure esiste nella sua ontologica separatezza dalla storia concreta (e quindi non  uno storicista, e tanto meno uno storicista assoluto come don Benedetto o il compagno Palmiro),  ancora una sorta di Dio prima della creazione del mondo", come si esprime argutamente lui stesso. Ma Dio prima della creazione del mondo  un'entit puramente astratta, che non si presta per sua natura ad una autocoscienza concreta. Come potrebbe infatti autocomprendersi, se prima non si determinasse in una catena dialettica di eventi interconnessi? Solo un kantiano, notoriamente privo di senso dell'umorismo, pu pensare che l'Anima, il Mondo e Dio non sono oggetti di conoscenza a posteriori, ma in compenso l'Io Penso cada dal cielo come un meteorite per permetterci di conoscere il mondo, dia luogo ad ottime deduzioni trascendentali, ma guarda un po' Lui Stesso non ha bisogno di essere dedotto"! Un'esperienza quasi quarantennale mi ha insegnato che il far rilevare questo fatto ad un kantiano gli provoca sconcerto ed irritazione, segno evidente che la stessa brechtiana mancanza di senso dell'umorismo  un fatto anch'esso storico e sociale. La dialettica di Hegel, dunque, presuppone il superamento e la mediazione di due posizioni unilaterali, e cio l'ontologismo assoluto, per cui c' una verit filosofica in s anche prima e senza la creazione del mondo, e lo storicismo assoluto, per cui la verit filosofica non esiste, ma si risolve integralmente nel divenire storico. Il sentiero filosofico di Hegel  strettissimo, e corre fra i due abissi dell'ontologismo assoluto e dello storicismo assoluto. Un'adeguata nozione di "concetto" (Begriff)  l'equivalente della cordata sicura per gli alpinisti. Ma chi non ha ancora capito che la filosofia  un sentiero difficile che passa fra i due burroni dell'autoproclamazione dogmatica del possesso preventivo della verit, da un lato, e del nichilismo relativistico dell'annullamento nel flusso storico contingente, dall'altro, deve essere fermamente sconsigliato dall'occuparsene. La filosofia inizia, non finisce, con la comprensione del fatto che l'ontologismo assoluto e lo storicismo assoluto sono due opposti in solidariet antitetico-polare, e sono i due opposti della stessa identica presunzione dogmatica di sapere ci che non si sa. In secondo luogo, infine, e questo punto  importante almeno quanto quello precedente, la filosofia di Hegel a rigore non  un pensiero dialettico, ma un pensiero speculativo. L'oggetto del pensiero di Hegel  la "fatica del concetto" (Anstrengen des Begriffes), ed un pensiero che si affaticasse solo fino al punto di comprendere la natura dialettica del movimento delle cose avrebbe sprecato invano la sua fatica. Secondo Hegel il "lavoro" del pensiero logico comprende tre momenti: 1) il momento astratto, quello dell'intelletto (Verstand), la cui funzione  quella di "isolare" le determinazioni in modo da poterle esaminare con attenzione una per una; 2) il momento propriamente dialettico, quello della ragione negativa, che  anche quello da cui sorge la contraddizione, che sorge nel concetto solo nella misura in cui il concetto "raddoppia" la realt; 3) il momento speculativo, che  quello della ragione positiva in cui ci si pu elevare alla sintesi (cfr. Enciclopedia, 79). Questo momento dell'unit  detto speculativo perch il concetto si riconosce negli oggetti come in uno specchio (in latino speculum). Fin qui, mi sono limitato a riassumere ci che c' in qualunque buona esposizione della teoria hegeliana. Ora, per, bisogna trarne alcune importanti conclusioni filosofiche nel commento, perch molti fraintendimenti di Hegel nascono proprio qui. Il lettore deve sapere comunque che il vero problema non  mai quello dei legittimi e comprensibili fraintendimenti di Hegel, che potrebbero facilmente essere chiariti con un pacato dialogo filologico, ma  sempre e soltanto quello dell'antipatia verso Hegel, contro la quale non c' letteralmente nulla da fare perch si tratta sempre di un fenomeno sociale refrattario alla ragione dialogica. In ogni caso, presupponendo che almeno alcuni lettori di questo mio saggio ne siano immuni, proseguiamo nella spiegazione di questo secondo punto decisivo di chiarimento. Ho gi fatto notare che la logica del concetto" (Begriff), che  la sola parte realmente speculativa e non soltanto astratta (l'essere) e dialettica (l'essenza) della logica di Hegel, non pu essere compresa al di fuori della sua differenza" con l'ontologismo assoluto (un Dio prima della creazione del mondo  infatti semplicemente un Dio che non esiste, cosa su cui avrebbero sicuramente concordato pensatori tanto lontani come Plotino e Feuerbach), da un lato, e con lo storicismo assoluto (che  infatti solo puro positivismo, come rilev acutamente nel 1941 Herbert Marcuse nella sua critica fulminante a Giovanni Gentile contenuta nel suo capolavoro Ragione e Rivoluzione), dall'altro. Nello stesso modo, non ha senso attribuire a Hegel un concetto pseudoeracliteo di dialettica, del tipo panta rei, tutto scorre, tutto si muove e viva il casino generale del movimento assoluto trasformato in divinit dialettica tuttofare. La dialettica in Hegel  sempre subordinata al momento speculativo, anche se  sempre preferita all'assolutizzazione ed alla sacralizzazione dell'intelletto astratto che ha trovato in Kant il suo massimo sacerdote moderno. Vedremo nei prossimi capitoli come il marxismo, che sacralizza ed assolutezza magicamente la dialettica come puro movimento di tipo pseudoeracliteo opponendola ad una fantomatica "metafisica" definita in termini di logica della permanenza, non ha assolutamente colto la natura profonda del pensiero di Hegel. C' un terzo punto, per, che  ancora necessario sottolineare con forza. Hegel aveva a suo tempo connotato l'idealismo di Schelling in termini di "spinozismo kantiano", e cio di metafisica dell'intelletto. Egli resta fedele al principio spinoziano dell'immanenza, e per questo connota genialmente Spinoza come il "principio essenziale di ogni filosofare" (si intende, di filosofare moderno). Ma se vi resta fedele, non pu ammettere che gli attributi ed i modi siano semplicemente nella sostanza. Devono infatti essere dedotti dalla sostanza come sue differenziazioni necessarie. In Spinoza non c' lo sviluppo dialettico che domina la sua filosofia. Spinoza dice molto bene che ogni determinazione  una negazione, ma ignora la negazione della negazione che permette lo sviluppo dell'essere e del pensiero. Il suo Assoluto  dunque un ricettacolo infinito che contiene semplicemente le sue determinazioni finite ed ha in questo modo le caratteristiche di una semplice cosa. Ma l'Assoluto di Hegel, che  soggetto e non sostanza,  un processo, un progresso, un divenire. Esso si manifesta come Entwicklung, termine che ho volutamente lasciato in tedesco perch significa contemporaneamente sviluppo ed evoluzione, termini non identici che hanno per un identico significato, quello di divenire determinato secondo la propria essenza, e non di divenire astratto della contingenza pura. Si tratta di una riformulazione moderna del vecchio principio di Aristotele che vede il possibile come essente in possibilit" (dynamei on), e non semplicemente di contingente puro e possibile astratto (kat to dynaton). Ed  ovviamente questa una delle cose che il partito filosofico kantiano non sopporta di Hegel, in quanto per questo partito filosofico la libert  sempre e solo pura possibilit astratta e libera, raddoppiamento filosofico (qui so di essere irritante, ma lo sono volutamente) della pura possibilit libera ed astratta dell'imprenditore nel mercato capitalistico libero. Ci che Spinoza esplica con un parallelismo, Hegel lo fa diventare risultato di una evoluzione. L'anima non  solo un'idea parallela ad un corpo, ma  frutto di un'evoluzione della natura. Fra parentesi,  esattamente cos che personalmente io interpreto la teoria dell'evoluzione di Darwin: i corpi evolvono fino ad avere un'anima pensante, e non c' nulla di male a pensare che questo avvenga sulla base di una pura casualit statistica, perch come ha peraltro ben detto Hegel, anche il casuale ed il contingente sono necessari. Per Spinoza la finalit  sempre e soltanto una illusione antropomorfica, che nasce attribuendo alla natura un inesistente cervello di progettista. Il termine hegeliano di Bestimmung, invece, significa sia determinazione che destinazione, ed  per questa ragione che come nel caso precedente di Entwicklung (sviluppo-evoluzione)  consigliabile lasciarlo in tedesco. Un quarto ed ultimo problema: Hegel  un filosofo che assomiglia maggiormente a Platone o ad Aristotele? Si risponde in generale meccanicamente: ma non c' dubbio, a Platone. Platone infatti riconosce alla dialettica la natura .di logica della realt, esattamente come Hegel (lasciando qui da parte il problema se poi la realt sia bimondana o monomondana), laddove Aristotele la derubrica a semplice tecnica confutatoria o a logica del solo verosimile. Ebbene, io penso invece che Hegel assomigli pi ad Aristotele che a Platone. In primo luogo la logica di Hegel e quella di Aristotele sono entrambe logiche ontologiche, per entrambi le leggi del pensiero sono anche le leggi dell'essere, ed  con una lunga citazione della Metafisica di Aristotele che Hegel conclude la sua Enciclopedia. Ma ci che avvicina di pi i due grandi pensatori  la loro concezione dell'universale come qualcosa che si realizza esclusivamente nel particolare. Nel linguaggio di Hegel, il particolare (das Besondere)  l'essenza che si particolarizza determinandosi (cfr. Enciclopedia, p. 24). Cos come per Aristotele, l'esperienza  il solo punto di partenza veramente sicuro, in quanto il suo ruolo  quello di dare a questo contenuto empirico (all'origine subito solo passivamente) la garanzia della necessit (cio della connessione logicamente necessaria, non certo della fatalit ultraterrena idolatrica), la forma dell'a priori che rappresenta la libert del pensiero (cfr. Enciclopedia, p. 12). Siamo cos paradossalmente tornati al logos sokratiks, ed al fatto che la vera libert del pensiero non consiste nello sparare arbitrariamente tutte le idiozie che ci vengono alla mente ed alla bocca, ma consiste nella dura disciplina della sottomissione libera e volontaria alla connessione logicamente necessaria. Questo  infatti il dialogos socratico, non il chiacchericcio dei talk show di oggi, che  l'esatto contrario del dia-logos, perch tra un interlocutore e l'altro (dia, in greco) non passa il logos, che  ragione, ma solo il narcisismo irritante dell'assoluto arbitrio dell'opinione. Hegel si dimostra cos il grande erede della saggezza filosofica dei greci. Egli non rompe affatto con Fichte, ma semplicemente ne corregge certe generose unilateralit soggettivistiche.  stato dimostrato da tempo che il Reale di cui parla Hegel, e che per lui si identifica con il Razionale, non coincide affatto con tutto ci che avviene in quanto avviene, che  semplicemente quello che con linguaggio leibniziano potremmo chiamare principio di ragion sufficiente". Nel linguaggio di Hegel lo stupro di una donna, il rogo di un eretico, lo sterminio dei detenuti ebrei e zingari nei campi di lavoro nazisti, eccetera, non sono fenomeni reali" nel senso che egli d a questa parola, ma momenti oscuri dovuti ad una carenza di razionalit che tocca alla filosofia spiegare, e non certo giustificare, legittimare e consacrare. Ed  stato anche dimostrato che egli non era cos disperatamente deficiente da pensare veramente che la storia universale dell'uomo fosse finita con la monarchia prussiana degli Hohenzollern di Berlino (attribuire al grande Hegel le idiozie di Fukuyama  un vero fenomeno di pornografia filosofica), ma pensava semplicemente (ed a mio avviso sbagliava, ma questa  un'altra faccenda) che il costituzionalismo prussiano del suo tempo fosse semplicemente una determinazione storica migliore (Bestimmung) del concreto sviluppo storico del suo tempo (Entwicklung), migliore comunque delle tre forme storiche da lui ritenute peggiori, e che erano: lo stato feudale austriaco dei vecchi ceti" di Metternich; la societ civile capitalistica e mercantile inglese in cui il mercato aveva sostituito lo Stato come unit etica superiore; ed infine la furia del dileguare" russoviana e robespierrista del progetto giacobino che per Hegel era condannato a rovesciarsi dialetticamente dalla virt al terrore, e cio dal perseguimento dell'astratta virt politica egualitaria all'applicazione di mezzi terroristici" per poterla imporre ai recalcitranti. Potrei continuare sui pittoreschi fraintendimenti di Hegel, ma voglio ancora insistere con il lettore sul fatto che l'antipatia verso Hegel  oggi, e lo  da molto tempo, un fatto sociale del tutto indipendente dai problemi della sua corretta ricostruzione filologica e filosofica, che ho qui riassunto e riepilogato in soli quattro punti (Hegel fra assolutismo ontologico ed assolutismo storicistico, Hegel teorico speculativo e non semplicemente dialettico, Hegel e il finalismo spinoziano, Hegel ed il particolarismo aristotelico). L'antipatia verso Hegel  assolutamente normale in una societ il cui legame sociale non  stabilito sulla base di una razionalit sostanziale, ma sulla base invece della connessione mercantile e della sua consustanziale idolatria del mercato, connessione mercantile che trova nel costituzionalismo liberale di Locke, nella psicologia associazionistica di Hume ed infine nel formalismo destoricizzante di Kant, i suoi tre fondamenti teorici preferiti. Hegel continua ad avere ovviamente i suoi fans filosofici, come lo scrivente. Ma questi fans, pur presenti sia pure in posizione minoritaria in nicchie accademiche marginali (come era peraltro il caso anche di Platone ed Aristotele in epoca ellenistica), sono tenuti lontani da qualunque posizione politica in grado di influenzare veramente il quadro delle decisioni strategiche, che vengono prese (o pi esattamente, non prese) in base ai ciechi automatismi del mercato assolutizzato e divinizzato. Ed  chiaro che se il Mercato  l'unico Assoluto, la Ragione non pu certamente esserlo. Qui sta la solida base dell'antipatia verso Hegel, fenomeno sociale e non certo solo teorico, di cui per il momento non si vede ancora il tramonto. Ma chi vivr vedr. Capitolo undicesimo La dialettica della terza ed ultima forma di idealismo moderno: Marx Ha scritto alla fine degli anni settanta Michel Foucault, nel contesto di ripetuti commenti positivi sui "nuovi filosofi" Andr Glucksmann e Bernard Henry-Lvy, e sulla loro critica al marxismo come sistema di pensiero complessivamente totalitario: "Coloro che hanno la speranza di salvarsi con la contrapposizione dell'autentica barba di Marx al naso finto di Stalin perdono il loro tempo". Chi scrive  fiero di stare perdendo il suo tempo, ma appunto il discorso non fa qui che incominciare. Bisogna infatti distinguere accuratamente tre problemi diversi, quello dell'interpretazione di Marx, quello del fraintendimento di Marx ed infine quello dell'antipatia verso Marx. Il primo  un problema squisitamente filosofico, il secondo  un problema politico, il terzo  un problema sociologico e generazionale. Anche se il terzo  il meno importante, comincer da quello, per poi passare al secondo e poi al primo, che  il vero ed unico oggetto di questo capitolo. Il problema dell'antipatia verso Marx deve essere visto come caso particolare e subalterno del pi generale problema dell'antipatia verso Hegel, su cui mi sono gi soffermato nel capitolo precedente. Ho gi fatto notare che l'idealismo di Hegel rappresenta una utopia filosofica basata sulla convinzione che la realt storica effettuale possa infine ricongiungersi con la realt speculativa determinata dallo sviluppo dell'autocoscienza del genere umano, metaforizzato nel travestimento linguistico del cosiddetto Spirito Assoluto. Certo, la mia  un'interpretazione e solo un'interpretazione, e non potrebbe essere diversamente per tutti coloro che praticano la filosofia senza il delirio narcisistico di onnipotenza di essere stati i soli, nella Storia, ad avere scoperto la Vera e Definitiva Verit su di un Filosofo (verit che in quanto tale non  neppure alla portata del filosofo stesso).  per un'interpretazione filologicamente pi verosimile di chi interpreta Hegel come un neoplatonico, e cio come un sostenitore di un'ontologia assoluta, oppure come uno storicista, cio come un sostenitore della sovranit assoluta del fatto. In ogni caso, l'antipatia verso Marx non ha la stessa natura dell'antipatia verso Hegel, che  primaria e direi anche molto pi significativa ed importante, in quanto Hegel  l'unico vero e proprio grande filosofo del passato recente del tutto incompatibile con lo spirito capitalistico (cos come a suo tempo lo fu Platone per lo spirito ellenistico di conciliazione con il mondo romano). Si badi bene, per antipatia verso Marx" non intendo affatto alludere all'avversione politica a Marx. Quest'ultima  un fenomeno spiegabilissimo, legittimo e del tutto fisiologico, e non suscita alcun problema di interpretazione. No, l'antipatia verso Marx  un fenomeno storico e sociale largamente generazionale, diverso e specifico in senso spaziale e temporale, ed  oggi un fenomeno di rimozione e di riconversione della sciagurata generazione sessantottina europea (e latino-americana) ed anche degli apparati burocratici professionali dell'ultima fase di agonia del comunismo storico novecentesco (1917-1991). Questa generazione senza Dio e senza onore deve sublimare nell'antipatia verso Marx (che non aveva mai veramente studiato e di cui non si era mai veramente occupata a fondo) la propria riconciliazione con il capitalismo globalizzato a guida imperiale americana. In quanto tale, l'antipatia verso Marx non  aggredirle con gli strumenti dialogici e razionali del logos sokratiks, in quanto  un fenomeno psicoanalitico, pi esattamente di psicologia sociale generazionale. Se si parla invece del fraintendimento di Marx, ci si muove su di un altro terreno, immensamente pi trasparente e di facile interpretazione. In alcuni casi, si tratter del fisiologico prezzo da pagare per i tentativi di interpretazione di un pensiero che l'autore stesso (come  il caso per Marx) non ha mai sistematizzato e coerentizzato, ed allora, per cos dire, chi non risica non rosica, per cui trovo assolutamente legittimo che un lettore critico ed informato mi accusi di aver frainteso" Marx esponendolo in modo cos poco convenzionale. In altri casi, il cosiddetto fraintendimento"  in realt un adattamento obbligato per trasformare un pensiero originalmente aportico, e quindi contraddittorio (nel senso della logica formale basata sul principio di noncontraddizione), in un pensiero dogmatico, e quindi adatto a funzionare come ideologia di legittimazione e di riferimento iden-titario per appartenenze sociali, politiche e sindacali. Nel caso del marxismo, vedremo che la sua interpretazione in chiave atea e materialistica (capitolo dodicesimo), ed ancor pi in chiave deterministica e teleologica (capitolo tredicesimo),  stata la precondizione necessaria per il suo successo. Nessuna scienza elo nessuna religione potrebbero mai essere fondate su di una base verosimile, incerta ed aportica. Ve lo immaginate un cristianesimo fondato sulla seguente base:  indubbio che Ges sia stato un incomparabile maestro di giustizia e di pace, ma  incerto se sia veramente risorto, ed anzi alla luce della scienza moderna  francamente poco verosimile!"? Ed ancora: Il grande Maometto non ha fatto altro che esporre la visione del mondo dei beduini arabi del suo tempo". E via farneticando. I fraintendimenti eventuali sono dunque di due tipi: fraintendimenti ermeneutici, come quello che esporr fra poco e di cui posso essere poi accusato, e fraintendimenti sistemici, che sono la precondizione per l'accoglimento dogmatico, e quindi ideologicamente performativo, di un pensiero che il destinatario sociale ideale (e reale) non sopporterebbe mai che fosse esposto in modo aportico, e quindi dubbioso ed incerto. Passiamo ora all'interpretazione di Marx. In pi di un secolo ce ne sono state un centinaio, e credo che non ci sia nulla di strano se ne aggiunger qui una centounesima. Come ha detto Rousseau, meglio un paradosso che un pregiudizio. E paradossale la mia interpretazione  davvero, ma questo non mi impedir certamente di formularla. Come sempre avviene nel libero dibattito filosofico, il lettore giudicher. Se sar d'accordo, tanto di guadagnato. Se non sar d'accordo, come  pi probabile, ne sar comunque stimolato ad elaborare una sua personale visione, e sar un bene per tutti. La pratica filosofica  infatti una delle pochissime pratiche umane (e forse addirittura l'unica) in cui pu capitare che quello che perde in realt vince, perch volendo accertare la verit (o meglio, la sua migliore approssimazione possibile), pu ammettere con gioia che la soluzione del suo interlocutore  ancora migliore della sua. Un'altra delle caratteristiche, non mi stancher mai di dirlo, del logos sokratiks. In primo luogo, la filosofia ispiratrice di Marx (parlo qui di filosofia ispiratrice, non di epistemologia della sua teoria dei modi di produzione, che  una sorta di strutturalismo dialettico, come vedremo nel prossimo capitolo) non  certo un materialismo, ma un universalismo, e pi esattamente un idealismo universalistico dell'emancipazione umana. Ed  un universalismo, per il semplice fatto che la categoria di "alienazione", che  appunto la categoria dialettica (e cio negativa, non ancora speculativa) principale nella filosofia di Marx,  una categoria idealistica per sua stessa essenza, in quanto la Materia per sua propria natura non si pu "alienare", ma soltanto evolvere da uno stato iniziale indifferenziato a stati evolutivi ulteriori sempre pi determinati. Ma questa  evoluzione (Entwicklung), non certo alienazione (Entfremdung). Laddove c' alienazione, l c' necessariamente idealismo. In Fichte l'alienazione  di fatto concentrata nel Non-Io, che  per pur sempre produzione inconscia dell'Io, e non dato esterno primario, come finisce di fatto con l'essere nell'impostazione di Kant, definito in generale criticista, laddove a mio avviso egli  piuttosto un "materialista dogmatico", in quanto presuppone dogmaticamente senza dedurla l'esistenza a priori di un dato materiale esterno (il noumeno o cosa in s, non importa se fluidificata in un secondo momento in Grenzbegriff concetto limite). In Hegel l'alienazione  maggiormente dialettizzata, e diventa cos esteriorizzazione dello spirito che, pur uscendo fuori di s, resta comunque interno ad un processo che dalla vera e propria esteriorizzazione (Entausserung) porter poi al superamento- conservazione (Aufhebung). In Marx, terzo ed ultimo dei grandi idealisti (fra cui - mi spiace per i suoi fans - non annovero Schelling, che resta a mio avviso un kantiano spinozista, secondo la geniale connotazione di Hegel) l'alienazione diventa teoria del lavoro alienato, in un senso che chiarir pi avanti. L'analisi del concetto di alienazione (Entfremdung) permette di capire in modo insuperabile la genesi storica e sociale delle categorie, e per questo utilizzer le mie competenze di ellenista. In greco moderno alienazione" si dice allotriosi, termine artificialmente coniato dal verbo allotriono, ma si tratta di un termine inesistente in greco antico che Platone, Aristotele ed Epicuro non avrebbero mai capito e non avrebbero mai potuto usare. Il suo lontano equivalente funzionale potrebbe essere aporroia, termine con cui i neoplatonici antichi connotavano il processo di emanazione continua dall'Uno ai Molti. Ma il termine aporroia implica, sia pure all'interno di una sostanziale unit ontologica, e quindi panteistica, del mondo, una dialettica discendente ed ascendente, e quindi bimondana. E questo non  un caso, perch se  vero che la nozione di storia come concetto trascendentale riflessivo che esprime l'unit del genere umano nasce solo nel settecento (Koselleck), ne deriva che Platone, Aristotele, Epicuro e Plotino non avrebbero mai potuto usarla, e l dove non c' il concetto non c' neppure la parola. I greci moderni, dunque, hanno dovuto reinventare un termine filosofico passando attraverso la mediazione concettuale della lingua tedesca per il semplice fatto, assolutamente ignoto ai kantiani ma pur sempre alla portata dell'intelletto filosoficamente educato, che le categorie filosofiche pi astratte hanno sempre una determinata genesi storica e sociale, e senza comprendere questa genesi la storia della filosofia diventa allora, secondo la definizione geniale che ne ha dato Hegel, una semplice dossografia alla Diogene Laerzio, e cio una noiosissima filastrocca di opinioni casuali. Il fatto  che il termine alienazione, o meglio il suo uso filosofico, presuppone un precedente fatto storico, e cio che la totalit dei rapporti sociali possa essere intuita come "alienata". Ed alienata significa allora "allontanata". Ed allontanata da che cosa? Ma  chiaro. Allontanata non tanto da un'origine nel frattempo decaduta e perduta e che si tratta allora di "recuperare" con un ritorno alla primitivit (tendo ad escludere che Marx avesse una concezione tanto religiosa dell'alienazione, dal momento che il Ritorno all'Origine nel frattempo Corrotta  il codice di ogni religione), quanto allontanata da un'Idea di Genere Umano realmente razionale. Vi sono molti ottimi e dettagliati studi sul concetto di alienazione e sui differenti significati del suo uso in Hegel, Feuerbach, Marx, eccetera. Ad essi rimando il lettore. Ma non vorrei che gli alberi ci facessero perdere di vista l'unit della foresta. E l'unit della foresta sta in ci, che al di l dell'elencazione dei diversi significati ed usi del termine di alienazione (Entausserung, Entfremdung), questo termine pu soltanto essere usato in un contesto filosofico idealistico. Non esiste un'alienazione materiale, a meno che si intenda con questo termine indicare lo sfruttamento classista del lavoro umano, che  per un dato "materiale" che rende necessaria una interpretazione "ideale", e cio l'idealismo. Chi  il soggetto dell'idealismo emancipativo di Marx? Da un punto di vista filosofico non  la classe operaia, salariata  proletaria, che ne  peraltro la determinazione empirica (Bestimmung) dello sviluppo dialettico del capitalismo (Entwicklung), ma  l'ente naturale generico umano (Gattungswesen), che pu essere definito alienato solo nella misura in cui preventivamente si accetti la tesi per cui la trasformazione della natura inorganica fa parte appunto della sua essenza. Scrive Marx: La trasformazione della natura inorganica  la riprova che l'uomo  un essere appartenente ad una specie [/.... Il lavoro estraniato strappando all'uomo l'oggetto della sua produzione, gli strappa la sua vita di essere appartenente ad una specie [...] e muta il suo primato rispetto agli altri animali nello svantaggio consistente nel fatto che il suo corpo organico, la natura, gli viene sottratta" (cfr. Manoscritti economico-filosofici del 1844). La socialit dell'uomo, che viene appunto alienata da questo processo di espropriazione, viene cos delegata alle merci ed allo scambio sul mercato. Il rapporto sociale fra le persone si presenta per cos dire rovesciato, come rapporto sociale fra le cose e non pi fra esseri umani (reificazione, Verdinglichung). La merce assume cos il ruolo del feticcio (feticcio delle merci, Warenfetizismus), in quanto appare dotata di valore autonomo ed originario, rimanendo cos occulti i rapporti sociali umani che tale valore hanno prodotto (cfr. Il Capitale, I, La merce, 4), il che comporta un programma pratico di rovesciamento dialettico di questa situazione storica. In uno schema dialettico hegeliano, il momento astratto  quello della logica riproduttiva dell'alienazione, il momento dialettico  quello della lotta contro l'alienazione, ed infine il momento speculativo  quello del superamento dell'alienazione, in cui c' per anche una parziale conservazione (Aufhebung) dei valori umani e culturali prodotti durante le epoche storiche alienate". Il comunismo come cancellazione del passato e mondo prometeico dell'Uomo nuovo (utopia burocratica che molti generosi confusionari hanno creduto conforme alla filosofia originale di Marx) presuppone non certo l'inveramento della dialettica idealista" di Marx, quanto la sua negazione in nome di una nozione puramente astratta di soggettivit. Si tratta, filosoficamente parlando, di un russovianesimo utopico-regressivo, o, se si vuole (il lettore kantiano mi perdoni), di un kantismo di estrema sinistra privo di dialettica. Legioni di confusionari, partendo da una frasetta distratta presente in Marx (ma ci ritorner sopra nel prossimo capitolo), hanno ripetuto per pi di un secolo che Marx ha raddrizzato" la dialettica di Hegel, che stava sulla testa, rimettendola sui piedi. Questa immagine da circo non  a mio avviso che fonte di pittoreschi fraintendimenti. Hegel non pensava affatto che la storia camminasse sulle idee", intese come opinioni ideologiche, ma chiamava Idea l'insieme complessivo di tutti i rapporti umani. Non c'era dunque assolutamente niente da rimettere sui piedi", al di fuori ovviamente dell'imbecillit umana, che resta la sola Cosa in S realmente esistente (Dummheit als Ding an Sich). La vera differenza fra la dialettica di Hegel e quella di Marx non sta in questa piroetta di pagliacci, ma nel fatto che la dialettica di Hegel, come la civetta, uccello sacro a Minerva, si alzava solo al crepuscolo, e quindi era una semplice dialettica del bilancio storico del passato, mentre la dialettica di Marx, che ambiva alla dimostrazione scientifica del passaggio dell'umanit al comunismo (pensato idealisticamente al cento per cento come societ umana fondata sul lavoro collettivo e sociale non alienato), era una dialettica della prefigurazione utopica del futuro. Utopica era peraltro anche la filosofia di Hegel, per il semplice fatto che tutto l'idealismo  sempre in qualche misura utopico (non parlo dello storicismo assoluto impropriamente considerato "idealismo" del camerata Giovanni, del compagno Palmiro e di don Benedetto, che  in realt una forma di positivismo giustificazionistico). Ma si trattava di un utopismo che si inibiva volutamente la prefigurazione. Anche Marx, peraltro,  a volte segretamente attratto da questa sobria forma di idealismo, quando dice, sia pure un po' distrattamente, che "non si possono scrivere ricette per le osterie del futuro", cadendo peraltro anche lui in quest'umano errore. Qual  allora la natura della dialettica di Marx? Non mi sembra poi cos difficile disegnarne i tratti. Essa non poteva prima di tutto essere una riproposizione (come dice Lucio Colletti sulla base di Trendelenburg) della dialettica platonica e neoplatonica. Questa dialettica bimondana, in ragione proprio della sua natura bimondana e quindi duplice, era una dialettica della ascensione (logos synagoghiks) ed una dialettica della divisione (logos diairetikos). Marx non pu separare ascensione e divisione, dialettica ascendente e dialettica discendente, per il semplice fatto che il suo non  un codice neoplatonico (Uno = Bene = Dio), ma  un codice storico i cui tre momenti sono quello intellettivo, dialettico e speculativo, e sono tutti e tre momenti della storia umana intesa universalisticamente come concetto trascendentale riflessivo. L'aporroia dei neoplatonici (emanazione ed allontanamento dall'Uno-Bene-Dio) diventa allotriosi dell'umanit (alienazione del lavoro umano intesto come alienazione proprio di ci che l'uomo ha come suo elemento ontologico differenziato dagli animali). Si tratta allora di una dialettica al cento per cento idealistica, e quindi niente affatto materialistica, ma distinta da quella di Platone, di Plotino, di Fichte ed infine di Hegel. La dialettica di Marx presenta anche sani elementi aristotelici. Egli utilizza infatti molto spesso la dialettica intesa come arte confutatoria che parte dalle contraddizioni logiche presenti nelle tesi avversarie, per evidenziarne l'infondatezza. La confutazione dialettica maggiormente presente in Marx  quella che consiste nel mostrare come la produzione capitalistica che i suoi sostenitori presentano come naturale" e conforme alla vera natura dell'uomo (Locke, Hume, Smith, eccetera) in realt naturale" non sia per nulla, ma derivi da episodi storici estremamente casuali e contingenti presenti nella sola storia non solo dell'occidente, ma anche di una zona estremamente limitata dell'occidente. Nello stesso tempo, Marx riconosce il carattere parzialmente provvidenziale" (c' qui un'evidente eredit dello stoicismo antico mediato dal messianesimo ebraico-cristiano posteriore) di questa negativit capitalistica, la cui negazione della negazione"  appunto il suo comunismo. Ma c' molto altro ancora di Aristotele. In primo luogo, il fatto che in Marx il comunismo si determina sempre e solo nel particolare (das Besondere), ed  infatti definito nei Grundrisse in termini di libera individualit", il momento speculativo finale della dialettica della dipendenza personale (momento intellettivo) e dell'indipendenza personale (momento dialettico). Chi crede che per Marx il comunismo fosse pensato in termini di tribalismo collettivistico in cui l'individuo, pensato come peccaminosa astrazione anarcoide piccoloborghese, si annulla nel caldo abbraccio proletario, pu andare utilmente a vendere gelati o caldarroste, ma non pensi di essere "marxista". In secondo luogo, Marx applica continuamente la logica della verosimiglianza aristotelica, e non certo quella ascendente-discendente neoplatonica, quando analizza la categoria della possibilit nel senso della dynamei-on, e cio nel senso della possibilit ontologica dell'emancipazione presente nella natura umana cos come la storia l'ha prodotta, ed in questo modo si tiene lontano dalle due metafisiche opposte e convergenti dell'ottimiso assoluto e del pessimismo assoluto, metafisiche le cui squadre giocheranno sempre nella divisione calcistica per dilettanti. Detto questo, non nascondiamoci dietro un dito (razionalistico). L'antipatia verso Marx  oggi un fatto generazionale e sociale. Nessun pacato argomento potr scalfirla. Bisogna che "passi la nottata", direbbe Eduardo de Filippo. Oggi parlare di Marx significa scommettere sul futuro. Capitolo dodicesimo L'impossibile matrimonio fra dialettica e materialismo Nel precedente capitolo ho sostenuto che la filosofia ispiratrice di Marx non era per nulla un introvabile materialismo", ma era al cento per cento un vero e proprio idealismo", e pi esattamente la terza ed ultima forma dell'idealismo tedesco dopo quelle di Fichte e Hegel (Schelling invece  da me considerato uno spinozista kantiano", per usare i termini impiegati dallo stesso Hegel). So di andare contro corrente, ma so anche che  meglio proporre paradossi che enunciare pregiudizi (il lettore noter che  la terza volta che lo ripeto). Bisogna ora affrontare il problema iniziando da una possibile obiezione fondamentale. L'obiettore infatti potrebbe dire cos: Caro signore, c' un argomento inconfutabile per confermare il materialismo di Marx. E non si tratta tanto della sua critica all'idealismo di Hegel e della sua adesione giovanile alla filosofia materialistica di Feuerbach, quanto del fatto che Marx stesso si proclamava e si autodefiniva materialista, e bisogna presupporre che sapesse esattamente quello che diceva. Ora, non vorr per caso essere cos presuntuoso da saperne di pi su Marx di quanto Marx riteneva di sapere su se stesso? Il commento filosofico, per essere convincente, deve partire dalla filologia dei testi, e la filologia ci dice che Marx visse tutta la sua vita sapendo perfettamente e dichiarando pubblicamente di essere un materialista consapevole, compiuto e rigoroso". Ottima obiezione. Partiamo allora da essa. Non star qui a ricordare che il modo in cui un pensatore si autointerpreta non  la prova provata infallibile ed inconfutabile della verit del suo pensiero, ma solo della veridicit soggettiva del suo legittimo modo di autopercepirsi nella congiuntura storica in cui vive, congiuntura che detta quasi sempre in modo imperioso la terminologia identitaria di appartenenza del pensatore stesso. E allora risulta chiaro che nella specifica congiuntura storica (il decennio 1835-45) e geografica (Germania) un pensatore era costretto dalla dittatura terminologica vigente ad autodefinirsi in termini di idealismo (hegeliano) o di materialismo (feuerbachiano). Ma la cosa merita un'indagine pu seria. La divider allora in due parti. In un primo momento far alcune osservazioni storiche e teoriche generali sulla nozione di Materia e sulla storia del cosiddetto materialismo. In un secondo momento sosterr invece una tesi mia personale, e cio che il termine Materia nel lessico filosofico di Marx  sempre e solo una metafora per connotare due "ismi" diversi, l'ateismo prima e lo strutturalismo poi. Iniziamo dal primo punto. Il termine "materialismo", gi anticipato da Bayle, compare per la prima volta in Leibniz in contrapposizione ad "idealismo", nel contesto specifico della polemica filosofica che Leibniz conduce contro la filosofia di Spinoza, giudicata "materialista" perch "atea", e di fatto solo per questo. Siamo ai primi del Settecento. Le storie del materialismo in genere retrodatano per il cosiddetto "atteggiamento materialistico" ai presocratici, a Democrito, a Epicuro, a Lucrezio, eccetera, vedendo in costoro i nobili precursori della "concezione scientifica del mondo" in lotta contro la religione e la superstizione. Questa retrodatazione  un episodio tragicomico della mancanza di senso storico del positivismo prima e del marxismo ufficiale poi. Ho in casa molti libri in molte lingue costruiti su questa apologia del materialismo antico identificato come l'alba dell'ateismo scientifico moderno. Si tratta a mio avviso, ovviamente, di fraintendimenti radicali dello spirito filosofico dei greci. Ho ricordato nel primo capitolo Diodoto, che interpretava correttamente il pensiero di Eraclito come un pensiero politico che usava metafore naturalistiche, ma non era per nulla un "materialista" in senso moderno. Epicuro  generalmente interpretato come un "materialista a 18 carati", ma c' per esempio una magistrale lettura di Walter Otto che ne propone una interpretazione del tutto alternativa. In ogni caso, per tutti gli antichi il problema della materia si identificava con quello che oggi chiamiamo il problema dello "spazio", ed in questo caso erano tutti materialisti, Pitagora, Democrito, Platone, Aristotele, Epicuro, eccetera, in quanto davano risposte differenziate allo stesso problema. Per Pitagora esisteva uno spazio geometrico, divisibile all'infinito, ed i paradossi di Zenone sul movimento sono per l'appunto rivolti a demolire la coerenza logica della aritmo-geometria di Pitagora, separando cos aritmetica e geometria, separazione che diventava cos la metafora spaziale della separazione ideale fra mondo intelleggibile e mondo sensibile. Leucippo e Democrito definiscono lo spazio come il vuoto che circonda gli atomi, posizione che come  noto sar ripresa da Epicuro e dagli stoici, che sono su questo punto "epicurei" al cento per cento. Cosa che non mi stupisce per niente, perch il loro spazio infinito ed immateriale che circonda il cosmo era anche la metafora dell'illimitatezza ideale della cosmopoli ellenistica, contrapposta al limite (peras) della comunit politica precedente. Platone nel Timeo intende lo spazio come materia informe (chora), luogo primordiale in cui si uniscono, materia e forme ideali. Lo spazio vuoto si identifica allora con la materia informe (il che farebbe di Platone, nel lessico di oggi, un "materialista" al cento per cento). Aristotele definisce lo spazio (che per lui  un luogo, topos) come il limite dei corpi, e per questa ragione respinge il concetto di vuoto. Se allora esaminiamo meglio le concezioni del "mondo materiale" dei filosofi antichi, vedremo che essi non si dividevano per nulla in materialisti ed idealisti, ma si dividevano secondo due distinti parametri, quello della esistenza o meno del vuoto e quello della esistenza o meno di una mente ordinatrice delle cose. C'erano allora non i materialisti e gli idealisti ma, se mi si permette un po' di innocuo umorismo, i vuotisti" ed i pienisti", da un lato, ed i causalisti" ed i casualisti" dall'altro. Leibniz  in grado di distinguere i due gruppi dei materialisti e degli idealisti perch vive in un'epoca caratterizzata dalla fisica di Newton e dalla connessa esigenza di interpretare lo spazio ed il tempo newtoniani o come cose materiali" realmente esistenti, o come semplici rapporti di contemporaneit o di contiguit. Ma il Settecento  anche il primo secolo in cui  relativamente legale" (anche se ancora un po' pericoloso) esprimere apertamente opinioni atee (Diderot, Lamettrie, D'Holbach, eccetera), ed allora il materialismo diventa la copertura scientifica" obbligata dell'ateismo, con tutte le conseguenze del caso. Personalmente aderisco addirittura all'ipotesi avanzata dalla filosofa greca Maria Antonopoulou, ipotesi certamente indimostrabile, ma che considero verosimile, e verosimile proprio perch paradossale (in genere il non-paradossale  poco interessante). Secondo la Antonopoulou il concetto filosofico di Materia viene unificato teoricamente nel Settecento non a caso, ma come riflesso metaforico astrattizzato di uno spazio che doveva diventare lo spazio unificato dello scorrimento della merce capitalistica, un libero scorrimento in tutte le direzioni incompatibile con i due spazi precedenti, l'alto della trascendenza ed il basso della immanenza. Se si trattasse solo di questa operazione di unificazione" si potrebbe anche concludere che essa  stata largamente casuale. Ma il Settecento vede anche altre due unificazioni ideali che si accompagnano all'unificazione dello Spazio-Materia, l'unificazione simbolica del Tempo nella storia intesa come concetto trascendentale riflessivo che possa fare da supporto ad una filosofia universalistica della storia, che infatti nasce negli stessi decenni tardosettecenteschi della nascita delle filosofie esplicitamente materialistiche, e l'unificazione di tutte le attivit trasformative della materia "naturale" nel concetto di Lavoro, che come lavoro astratto, quantificabile e commisurabile, far da base al concetto di valore-lavoro della nuova economia politica inglese. Del resto, l'unificazione simbolica di questi tre parametri (Spazio-Materia, Tempo- Storia, Lavoro-Economia) era stata preceduta da due sintomatiche critiche antimetafisiche, la critica di Locke alla categoria di sostanza, con cui si criticava metaforicamente l'idea che ci fosse un substrato "comunitario" ineliminabile sotto la rete dei rapporti mercantili capitalistici, e la critica di Hume alla categoria di causalit, con cui si criticava metaforicamente l'idea che la convivenza umana fosse "causata" da un contratto sociale di tipo politico, laddove questa convivenza viene ora pensata come il frutto automatico e spontaneo della "mano invisibile" del mercato. In definitiva, solo chi ritiene che le categorie filosofiche non debbano essere dedotte in modo storico e sociale pu considerare un fatto "neutrale" le due critiche (alla Sostanza ed alla Causalit) e le tre unificazioni simboliche e metaforiche (Spazio-Materia, Tempo-Storia e Lavoro-Economia). Altro che lotta millenaria fra i due soldatini del Materialismo e dell'idealismo che agitano le due bandierine della Scienza e del Progresso contro la Religione e la Superstizione! Se poi passiamo a personaggi come Spinoza, Fichte ed Hegel, vediamo che il loro "idealismo"  molto spesso pericolosamente materialistico". Spinoza nega quello che oggi viene definito dai nuovi creazionisti il disegno intelligente" da parte di una divinit intesa antropomorficamente. Fichte viene sbattuto fuori dall'universit di Jena per ateismo", e questo proprio per la natura immanentistica e storica del suo sistema idealistico. Hegel  considerato l'estensore di un sistema filosofico fondato sull'immanenza rigorosamente monomondana, ed in quanto al Dio prima della creazione del mondo si ha una sua sintomatica riduzione alla pura logica astratta di essenze non ancora determinate, e quindi a rigore del tutto inesistenti. Per chiudere su questo primo punto, ogni onesta ricostruzione della storia del cosiddetto materialismo" non pu che giungere alla conclusione che il concetto unificato di Materia in senso moderno  una costruzione molto tarda, e non  affatto una sorta di astrazione perenne che ci giunge dagli antichi greci o addirittura da prima ancora. Passando ora alla seconda questione,  innegabile che Marx si  dichiarato materialista. Questo  certamente un argomento rilevante, ma non conclusivo, a meno che si concordi sul fatto che la storia della filosofia occidentale pu essere ricostruita appiccicando l'una dopo l'altra le dichiarazioni che i filosofi fanno su se stessi. Se non accettiamo questo principio tautologico-narcisistico, allora le cose cambiano, e possiamo fare l'ipotesi ragionevole che il materialismo" di Marx fosse una formulazione metaforica di due altri ismi" sistematici, l'ateismo e lo strutturalismo. Marx infatti non era uno scienziato come lo sono gli astronomi, i fisici, i eliimici ed i biologi, eccetera. Se lo fosse stato, allora il problema sarebbe risolto da s, perch ogni scienziato lavora sulla materia" cos come quest'ultima  definita non certo da filosofi incompetenti, ma dagli specialisti di ogni specifica disciplina. Il modo per con cui ogni corporazione di specialisti definisce l'oggetto ed il metodo specifici della propria disciplina non pu e non deve essere l'oggetto di una trattazione come la mia, in base a quel principio filosofico fondamentale che  il principio del pudore. Il principio del pudore, infatti, mi impedisce di concionare con supponente incoscienza sul! oggetto e sul metodo di discipline che non ho mai studiato, che ho finito di studiare subito dopo l'esame liceale di maturit, per cui da quel momento mi sono sentito molto meglio. Sarei contento che un analogo principio del pudore venisse anche praticato dagli "scienziati" quando parlano di filosofia, ma questo  impossibile, perch l'idea che la filosofia sia un libero campo di idiozie a ruota libera di cui tutti sono capaci una volta bevuto un bicchierino di troppo  talmente forte, da rendere sempre possibile l'invasione di campo da parte di positivisti semianalfabeti che si nascondono dietro le loro lauree in scienze naturali. Se allora partiamo dal fatto che Marx non era uno "scienziato" specialista, ed allora della "materia" non poteva che parlare in modo metaforico, il problema diventa quello di capire quello che intendeva esattamente quando ne parlava. A mio avviso intendeva fondamentalmente due cose: l'inesistenza di Dio, o ateismo, e l'esistenza di una struttura sociale, o strutturalismo. Esaminiamo i due significati separatamente. Per quanto riguarda l'ateismo, non c' alcun dubbio che Marx fosse ateo, si pensasse come tale e si dichiarasse tale. Ma ateismo significa a-teismo, con l'alfa privativo, e non  allora un concetto originario, ma  un concetto derivato e secondario, che connota un rifiuto delle pretese ontologiche conoscitive e delle pretese morali normative del teismo, e cio della concezione personalistica della religione. In un quadro culturale confuciano, oppure in un quadro culturale buddista e induista, il termine ateo" non avrebbe quasi significato, o almeno non l'avrebbe nel senso occidentale cristiano della parola. Marx per era un tedesco dell'Ottocento, ed il suo ateismo derivava da quello illuministico settecentesco, particolarmente francese, mediato dall'ateismo umanistico di Feuerbach, che a sua volta era solo a mio avviso una radicalizzazione di una posizione teorica gi potenzialmente presente nel pensiero di Hegel. E ho detto radicalizzazione, non rovesciamento o ribaltamento. Questo ateismo nega il cosiddetto disegno intelligente nella creazione del mondo", ed  quindi predisposto ad accettare entusiasticamente teorie scientifiche come quella dell'evoluzionismo di Darwin in tutte le sue varianti, che tocca poi alla scienza specialistica particolare discutere, e non certo all'ontologia generale. Questo ateismo nega dunque con forza che ci possa essere una sorta di Ingegnere Stellare Progettista del cosmo naturale, unito nella stessa persona ad un Giudice Cosmico Universale che premi i buoni e punisca i cattivi dopo la loro morte. Se questo  materialismo, allora indubbiamente Marx lo era. Ma appunto questo era solo ateismo", e l'ateismo come posizione puramente negativa (rifiuto nella credenza in un ingegnere stellare progettista, in un giudice cosmico universale e in una sopravvivenza individuale delle anime incorporee, senza o con una successiva resurrezione dei corpi, eccetera)  compatibile con ogni tipo di filosofia, dall' empirismo al positivismo, dall'idealismo al nichilismo di vario tipo. Spinoza, Hegel, Marx, Nietzsche e Heidegger non credevano tutti e cinque nel Dio cristiano (o in quello ebraico e musulmano), erano quindi tecnicamente "atei", eppure questa povera connotazione puramente negativa non ci dice ancora assolutamente nulla sulle loro specifiche filosofie, e tanto meno sulla natura di un loro eventuale "materialismo". Per quanto riguarda lo strutturalismo, Marx ad un certo punto abbandona la riflessione filosofica, convinto di averci ormai tratto tutto quello che se ne poteva trarre, e lo fa prima dei trent'anni (1818-1848), in modo a mio avviso molto incauto, perch trent'anni sono in generale l'et in cui si incomincia a filosofare. L'abbandono della filosofia coincide nella vita di Marx con la scoperta dell'economia politica inglese, al cui oggetto egli applica la critica idealistica dell'alienazione del lavoro umano. Da questo "matrimonio" (oggetto dell'economia politica inglese, e cio valore di scambio delle merci e sue avventure nel mercato, e metodo idealistico tedesco, e cio critica della alienazione) nasce quel prodotto nuovo, inedito ed inimitabile che  la critica dell'economia politica. Critica globale e radicale dell'intera economia politica, e non certo "economia politica di sinistra", dal punto di vista dei salari contro i profitti, come da pi di un secolo opina il ricardismo che si crede marxismo, raddoppiamento filosofico dell'oca che si crede un'aquila. L'oca, peraltro,  un animale rispettabilissimo, cos come lo  la difesa sindacale del potere d'acquisto dei salari, ma non pu volare come un'aquila, e quindi non pu ritenere di poter fare una rivoluzione globale complessiva. L'abbandono della filosofia da parte di Marx fu certo un errore positivistico, ma fu anche il prezzo da pagare per l'elaborazione della sua teoria del modo di produzione capitalistico. Una volta portata a termine la modellistica" di questo concetto (il modo di produzione, appunto), quella che era per Hegel la totalit espressiva dell'Idea divent la totalit espressiva del modo di produzione capitalistico, che per Marx  una sorta di Concetto dei Concetti. Il concetto dei concetti  allora una struttura, e le tre determinazioni dialettiche che vengono necessariamente dedotte" da questo concetto dei concetti sono concetti interconnessi dipendenti, e cio forze produttive (pi esattamente, sviluppo contraddittorio delle forze produttive sociali), rapporti di produzione (pi esattamente, rapporti di produzione sociali caratterizzati da un bipolarismo di classi fondamentali) ed infine ideologia (pi esattamente sistemi ideologici di legittimazione elo di contestazione, esprimenti in varia misura forme di falsa coscienza necessaria degli agenti storici). Questo concetto dei concetti (il modo di produzione), che produce tre concetti dialettici subordinati (forze produttive, rapporti di produzione, ideologia), d luogo ad una particolare forma di strutturalismo dialettico, che viene incautamente ed impropriamente metaforizzato con il termine assolutamente fuorviante di Materia. L'accoglimento di questa modellistica sociale, infatti,  del tutto indipendente dalla credenza o meno in un Dio personale ebraico, cristiano o musulmano, cos come lo sono gli accoglimenti di teorie di tipo sociologico, psicologico, giuridico, fisico, chimico o biologico. Anche se per ipotesi il nostro mondo derivasse da un disegno divino intelligente, o invece derivasse da una casuale aggregazione di atomi che hanno avuto miliardi di anni di tempo per combinarsi e dare luogo alle varie forme di mondo minerale, vegetale, animale ed umano, eccetera, non cambierebbe assolutamente nulla per quanto riguarda lo statuto scientifico della proposta di Marx basata su di un solo concetto dei concetti (il modo di produzione) e sui tre concetti articolati dialetticamente in reciproca correlazione essenziale (forze produttive, rapporti di produzione ed ideologia). E questo, appunto,  strutturalismo, non materialismo. Un'interpretazione dell'evoluzione sociale non  in nessun modo un'interpretazione della materia. Chi lo pensa si  sbagliato di facolt, deve essere accompagnato fuori dalla facolt di storia e di sociologia e gli si deve indicare la fila per iscriversi alla facolt di chimica. Nello stesso tempo,  evidente che questo che per me  dal punto di vista puramente teorico un equivoco (e cio pensare che l'ateismo e lo strutturalismo potessero essere connotati come "materialismo") nonlo  quando per pi di un secolo milioni di persone vi aderiscono. E questa adesione di massa ad un equivoco teorico non  allora un equivoco teorico, e non pu e non deve essere spiegata con il logos sokratiks puro e semplice. Posso allora chiudere questo capitolo con una ipotesi: nel momento in cui la teoria di Marx diventa "marxismo", e cio una gigantesca ideologia di legittimazione e di orientamento di movimenti sociali di massa che a poco a poco investono il mondo intero (cosa fino ad allora non avvenuta per nessuna religione storica precedente), questo idealismo universalistico dell'emancipazione diventa necessariamente una nuova religione. E le religioni hanno bisogno di un unico fondamento monoteistico non aporetico. Questo fondamento allora non  pi Dio, e neppure l'idea, ma diventa la Materia, principio spaziale che si temporalizza nella Storia e si determina nel Lavoro. Il modo in cui questa nuova religione atea trinitaria (Materia, Storia, Lavoro) former il suo clero sar l'oggetto del prossimo capitolo. Capitolo tredicesimo L'illusoria teologia dialettica unificata di natura e societ: la tragicomica storia del materialismo dialettico Karl Marx non fu in nessun modo il fondatore del successivo "marxismo", inteso come dottrina sistematizzata e coerentizzata, a partire dalla quale si potesse sviluppare un canone ortodosso, i cui allontanamenti potessero formare posizioni "eretiche" o "revisioniste". Il termine "marxismo ortodosso" non ha dunque alcun senso, esattamente come logaritmo giallo o geometria portoghese, a meno che si intenda, come storicamente si  inteso, quella particolare formazione ideologica filosoficamente positivistica, economicamente crollistica e sociologicamente operaia, eccetera, che fu elaborata congiuntamente dall'enciclopedico Engels e dal pedante Kautsky nel ventennio 1875-1895, e che ha continuato sostanzialmente a dominare fino al crollo inglorioso del comunismo storico novecentesco realmente esistito (1917-1991). Non sto dicendo che Marx non avrebbe fondato il "marxismo" se avesse potuto farlo. Non sono d'accordo con chi lo interpreta come un semplice pensatore morale, come Maxi- milien Rubel, o come un semplice economista ricardiano innovatore, come Piero Sraffa. No, Marx era un idealista rivoluzionario tedesco della scuola di Hegel, che credeva nei sistemi" e non solo nei metodi, i quali metodi senza sistemi sono puri giochi per disoccupati cronici. Semplicemente, aveva una forte autoconsapevolezza critica di tipo scientifico, ed era consapevole di essere riuscito a costruire un sistema" largamente incompiuto ed aportico. Per questa ragione non fond" il marxismo, e certo non perch non lo volesse e fosse un sostenitore della problematicit illimitata e del dubbio metodico che non si sviluppa (Entwicklung) e non si determina (Bestimmung) mai nel tempo e nello spazio. Ma un sistema aportico non poteva interessare le classi operaie, salariate e proletarie del tempo, che invece volevano, e dunque di fatto commissionavano", un sistema dogmatico, facilmente apprendibile e facilmente spendibile nel mercato delle ideologie sociali contrapposte. Non ha dunque senso contrapporre religiosamente il meraviglioso ed infallibile Marx all'enciclopedico positivista Engels ed al pedante determinista Kautsky, come fanno i cultori dell'idolatria marxiana di tutti i tempi. No, il marxismo" realmente esistito fu un fenomeno integralmente storico e sociale, e come tale deve essere indagato, non certo come tradimento" del messaggio originario o come deviazione" (clinamen, parekklisis) dalla sua spontanea traiettoria. Il cuore del problema fu colto a suo tempo da Antonio Gramsci in una nota dei suoi Quaderni dal carcere. Gramsci not che il marxismo, che lui chiamava in modo a mio avviso sostanzialmente corretto filosofia della prassi" (ogni idealismo  per sua natura una filosofia della prassi, perch vuole avvicinare la realt all'idea), nacque come cultura intermedia", che era un po' superiore alla cultura popolare media, di livello molto basso, ma era anche assolutamente inadeguata per combattere le ideologie delle classi colte, mentre invece la nuova filosofia di Marx era nata proprio per superare la pi alta manifestazione culturale del tempo, la filosofia classica tedesca. Gramsci coglie in questa geniale osservazione il punto essenziale della questione, ma si ferma come sempre a met strada (e non poteva fare diversamente, in quanto comunista critico "interno" al suo movimento). Non basta infatti rilevare che il marxismo nacque come cultura "intermedia", superiore alla cultura popolare del suo tempo (che era addirittura al di sotto della divulgazione positivistica) ma inferiore alla cultura borghese, e quindi incapace di superarla. Bisogna anche cercare di darne le ragioni sociali, perch ogni superiorit o inferiorit filosofica complessiva ha sempre ragioni sociali "materiali" (e cio strutturali) che la spiegano. E le ragioni sociali stanno in ci, che solo la borghesia  (o meglio era) una classe realmente "dialettica", in quanto il capitalismo  la formazione sociale pi mutevole e rivoluzionaria dell'intera storia dell'umanit, laddove le classi subalterne aspirano invece religiosamente ad uno "stato stazionario" di soddisfacimento comunitario dei bisogni essenziali degli individui e dei gruppi. Cercare di dotare una classe strutturalmente subalterna di una visione dialettica del mondo era quindi un nobile progetto destinato "dialetticamente" a fallire. Mi rendo conto di stare dicendo qualcosa di fastidioso ed antipatico per le orecchie dei cultori pii e timorati del mito operaio, salariato e proletario ma (ed  la quarta volta che lo scrivo) i paradossi sono pur sempre meglio dei pregiudizi. In questo modo la filosofia marxista non venne costruita su basi idealistiche, ma su basi positivistiche. Non poteva essere diversamente. La classe operaia della seconda rivoluzione industriale, in particolare in Europa, voleva prima di tutto rispettabilit sociale, e l'equivalente culturale della rispettabilit sociale  l'adesione a quella che in quel momento le classi dominanti ritenevano la forma di cultura pi rispettabile. E nel decennio 1875-1895 la forma di cultura filosofica pi rispettabile era la critica positivistica e kantiana all'idealismo. Fra il 1866 ed il 1873 era stata pubblicata la Storia del Materialismo di Friedrich Albert Lange, in cui si affermava che il solo modo di poter realmente fondare il materialismo scientifico moderno era il ritorno al metodo di Kant, che limita la vera conoscenza al mondo dei fenomeni e rende illegittima la metafisica del mondo dei noumeni. La cosa in s diventava cos l'elemento materiale esterno presupposto, il che non poteva che dare luogo ad una teoria del rispecchiamento, esattamente come poi sostennero Engels, Lenin, Stalin e compagnia cantante. Fra il 1879 ed il 1884 usc la monumentale storia della filosofia occidentale di Ernst Laas, in cui i duemila anni precedenti erano ricostruiti in base alla dicotomia oppositiva di Platonismo (cattivo) e di Positivismo (buono). Sebbene nell'opera di Laas l'incasellamento dei vari autori non fosse lo stesso di quello proposto poi da Engels pochi anni dopo, chi si prendesse la briga di rileggere Laas (io l'ho fatto) vedrebbe che la dicotomia di Engels Idealismo/Materialismo ricalca in modo sospetto (ma significativo) la dicotomia di Laas Platonismo /Positivismo. E tutto questo non deve affatto stupire. Lange e Laas erano i punti alti della rispettabilit filosofica borghese del tempo, ed  dunque del tutto normale che la rispettabilit filosofica proletaria gli fosse "ricalcata" sopra. La principale ossessione positivistica consisteva nel tentativo di unificare concettualmente le cosiddette "leggi di sviluppo" della natura e della storia. E questo non deve stupire, perch essendo il positivismo una filosofia intimamente e strutturalmente borghese (anche se in continua solidariet dialettica antitetico-polare con quel suo apparente contrario complementare che era la filosofia del martello di Nietzsche, un positivista in permanente crisi di identit) esso non poteva che tendere a naturalizzare il dominio della borghesia, rendendolo simbolicamente "eterno" con il suo radicamento metaforico nella "natura". A questo punto, una classe non subalterna e veramente rivoluzionaria avrebbe "sparigliato" le carte in tavola, opponendo a questo positivismo naturalistico una sorta di ontologia rivoluzionaria del solo essere sociale, senza prendere la strada di un monismo socialnaturale o naturalsociale. Gi, una classe non subalterna. Proprio quello che ovviamente non c'era. Gramsci si  cos fermato a met strada. Egli intendeva discutere il dogma, ma non bestemmiarlo o criticarlo radicalmente. Ma qui chi si ferma a mezza strada dovr inevitabilmente essere magneticamente riattirato al punto di partenza. La filosofia del materialismo dialettico di Engels pu essere sommariamente definita in termini di riproposizione positivistica di un pensiero primitivo. Questa definizione pu a prima vista apparire scandalosa o inutilmente insultante, ma non  cos, se appena ci si riflette un po' sopra. Il pensiero primitivo, come affermano tutti i suoi studiosi professionali,  caratterizzato dalla fisiologica indistinzione fra macrocosmo e microcosmo, o pi esattamente fra macrocosmo naturale e microcosmo sociale, visti come le due parti organiche ed interconnesse di un'unica realt monistica inevitabilmente divinizzata. L'idea quindi che esistano leggi uniche, anche se non identiche, nella natura e nella societ,  dunque un'idea primitiva, ed  infatti soltanto con la fessurazione" di questa presunta identit organica fra natura e societ che nasce la riflessione filosofica, anche se tutti i suoi primi concetti (e si veda il capitolo primo di questo saggio) sono inevitabilmente costituiti da un raddoppiamento" sociale di un riferimento naturale (Eraclito, Confucio, eccetera). Il ristabilimento attuato da Engels di questa idea primitiva di omogeneit ontologica fra natura e societ, e cio fra macrocosmo naturale e microcosmo sociale,  quindi un'inconsapevole ritorno ad un pensiero mitico-religioso che non avrebbe dovuto mai avvenire in nessun caso, e deve essere visto come un sintomo non tanto e non solo di un pur evidente dilettantismo filosofico del volonteroso enciclopedico amico di Marx, quanto invece un sintomo della committenza indiretta di una classe penosamente subalterna e bisognosa di sostituire la vecchia religione di Dio con la nuova religione della Materia. Si dir che  colpa di Engels. Ma neppure per sogno. Come ha recentemente dimostrato il filosofo svedese Sven Eric Liedman,  stato proprio Marx nel Capitale del 1867 a parlare di leggi dialettiche in questi esatti termini: E qui, come nelle scienze della natura, la legge scoperta da Hegel nella sua Logica rivendica la sua ragion d'essere, e cio che delle semplici modificazioni quantitative si trasformano in differenze qualitative". C' per un piccolo particolare, e cio che nella sua Logica Hegel non ha mai parlato di leggi dialettiche. Il concetto di leggi dialettiche  estraneo non solo alla filosofia hegeliana, ma alla sua intera epoca. Il concetto stesso di "legge" ( Loi, Law, Gesetz)  un derivato prima della sistemazione teorica di Comte, e poi del tipo di pensiero evoluzionistico che fiorisce nel solco di Darwin, in un momento storico in cui numerosi uomini di scienza erano alla ricerca di leggi dell'evoluzione unificata generale della natura e della societ e di costanti nelle variazioni. Il materialismo dialettico  quindi un prodotto di imitazione subalterna, o pi esattamente un'ideologia ricavata e ricalcata sul modello "rispettabile" di filosofia del trentennio 1860-1890. Ora, il vero problema non  quello di spiegarne la genesi, che  palese, quanto quello di spiegare le radici storiche e sociali della sua totale irriformabilit per un intero secolo (1889-1989). Non  affatto grave dire che il mondo  stato creato dallo sbadiglio di un coccodrillo sacro primigenio, anzi.  invece grave che in un secolo (e che secolo!) la teoria dello sbadiglio del coccodrillo sacro non sia stata sostituita da una teoria migliore. E c' allora solo una spiegazione "materialistica" (e cio strutturalistica, vedi capitolo precedente), e cio che ogni innovazione teorica migliorativa  irricevibile se il suo destinatario sociale  intrasformabile. Con tutta la migliore buona volont (e l'ho avuta per decenni, fino a quando ho capito che sarei morto di "buona volont")  difficile spiegare perch una concezione primitiva come quella delle leggi dialettiche unificate della natura e della storia, comprensibile in Eraclito e Confucio ma non sulla base delle scoperte moderne, abbia potuto "reggere" tanto a lungo, emarginando, diffamando, ingiuriando e minacciando tutti i pensatori che si dichiaravano interni" al progetto comunista che la contestavano (Korsch, Benjamin, Lukacs, eccetera). C' allora una sola spiegazione strutturale", e cio che si trattava della sola teologia materialistica che potesse fare da supporto alla Religione del Proletariato. Questa religione non poteva basarsi sul codice idealistico di Fichte, Hegel e Marx, perch questo codice idealistico  un codice dell'attivit, e cio della prassi vittoriosa, ed in quanto tale  necessariamente un codice dell'identit soggetto-oggetto, ed una classe che si sa subalterna non pu adottare un simile codice che evidenzierebbe la sua subalternit. Essa deve basarsi su di un codice dogmatico (nel senso esatto della critica di Fichte ed Hegel a Kant), in cui viene presupposta l'esistenza di un mondo di leggi socionaturali indipendenti dalla volont umana, che garantiscono il lieto fine storico del progetto comunista.  questa la radice strutturale" (o se si vuole, materiale) della sconfitta sistematica, umiliante, continua, ripetuta, reiterata ed infine francamente tragicomica di ogni tentativo di sostituire il materialismo dialettico con profili filosofici pi decenti, tipo la filosofia della prassi (Antonio Gramsci) o l'ontologia dell'essere sociale (Gyorgy Lukacs). Una parentesi sulla cosiddetta dialettica della natura". Non sto dicendo che essa sia per principio impossibile, come hanno sostenuto filosofi pur rispettabili come Giovanni Gentile o Jean-Paul Sartre. Hegel l'ha applicata nella parte del suo sistema dedicato alla Natura, e molti scienziati di valore come Langevin hanno sostenuto che essa ha buone capacit euristiche. Non nego che possa avere buone capacit euristiche, e che possa essere un fattore sussidiario (oltre veramente non mi sento di andare) della ricerca scientifica, in particolare per la dialettizzazione" (e cio per la relativizzazione) dei paradigmi scientifici nel senso di Thomas Kuhn. Ma anche ammesso che sia cos, questa moderata e sussidiaria funzione euristica applicata alla storia delle scienze naturali non c'entra assolutamente nulla con la pretesa metafisica primitiva, o pi esattamente primitivo-positivistica, che ci sia una ontologia unificata della natura e della storia. Questa ontologia unificata non esiste, a meno che non mi si dica che con i numeri si possono contare le pietre, i cammelli, i borghesi ed i proletari. Le catastrofi ecologiche, lungi dall'essere un fenomeno interno alla dialettica della natura, sono fenomeni integralmente sociali e solo sociali. Certo, un terremoto o un maremoto (tsunami) non sono fenomeni sociali, ma sono del tutto sociali le strutture di prevenzione e di assistenza. E sono comunque diverse le presunte "leggi" geologiche della formazione dei terremoti e le presunte "leggi sociali" dell'assistenza alla vittime e della ricostruzione delle loro societ. L'omogeneit illusoria di natura e di societ, a meno che si voglia solo ribadire l'ovviet tautologica per cui la societ in qualche modo "presuppone" la natura (bravo, "provaci ancora Sam"), fa solo parte di una mitologia religiosa. Ma qui aveva mille volte ragione Giacomo Leopardi ad ammonire che la natura non si occupa di noi. E nella misura in cui noi stessi ci occupiamo di noi, ce ne occupiamo progettando sistemi di vita in comunit che non "ricalcano" in alcun modo la natura "precedente". Sta qui, e solo qui, il nocciolo della questione. Io resto, e lo sono anzi ora pi che mai in questo triste periodo storico di restaurazione e di prepotenza imperiale, un ammiratore dell'opera politica di Lenin, in particolare di quel vero e proprio capolavoro di tattica politica che fu la rivoluzione russa del 1917. Ma il suo libro filosofico Materialismo ed Empiriocriticismo resta a mio avviso un infortunio sgradevole ed ingiustificabile. Per farla breve, io penso che avessero ragione nell'essenziale gli empiriocriticisti, e che lui invece avesse torto. Tra l'altro, la rivoluzione d'ottobre del 1917 fu un vero e proprio fenomeno storico "empiriocriticista" in quanto, lungi dal rispecchiare inesistenti leggi rivoluzionarie interne alla logica riproduttiva del capitalismo imperialistico del tempo, fu il frutto di un "incontro a mezza strada" (eminentemente empiriocriticista) fra un oggetto (la disponibilit soggettiva rivoluzionaria di larghe masse di operai, contadini e soldati) ed un soggetto (il progetto tattico e strategico rivoluzionario della direzione bolscevica guidata appunto da Lenin). Altro che teoria del rispecchiamento! Ma evidentemente Lenin teneva alla teoria del rispecchiamento perch la vedeva come l'unica diga possibile contro lo scatenamento del surrealismo rivoluzionario dei confusionari, ognuno dei quali in effetti era portato a definire "oggettivit" il punto arbitrario di incontro fra le proprie velleit ed il mondo esterno. Questo forse spiega (anche se a mio avviso non giustifica) la vera e propria ferocia che Lenin metteva nelle dispute filosofiche, ferocia che  ben documentata nell'ottimo libro di memorie di Valentinov. Lenin era un fanatico riduttore dello spazio filosofico a spazio ideologico, e questo era un prezzo (forse scusabile) da pagare per poter portare a termine la sua mirabile opera rivoluzionaria. Si dice in generale che almeno fosse un lettore di Hegel, come si evince peraltro dai suoi Quaderni Filosofici. Ho i miei dubbi. Il suo Hegel era molto spesso un paravento per una sorta di confuso eraclitismo rivoluzionario. Come  infatti possibile sostenere che bisogna imparare qualcosa da Hegel quando poi si nega e si irride alla pi importante acquisizione di Hegel, e cio al valore conoscitivo e veritativo autonomo della filosofia in quanto tale? Qui probabilmente Lenin riprendeva la posizione erronea di Engels, per cui bisognava distinguere in Hegel il metodo ed il sistema, o pi esattamente il metodo dialettico rivoluzionario buono, da un lato, ed il sistema metafisico conservatore cattivo, dall'altro. Mi si permetta di dire che si tratta di una sciocchezza, sia pur risalente ad una venerata auctoritas. Nell'idealismo, e non pu essere diversamente, metodo e sistema sono fusi insieme fino ad essere indistinguibili se non con operazioni del tutto artificiali, dal momento che ogni metodo  sempre e solo metodo di un sistema. Ho gi fatto notare nel capitolo dedicato a Fichte che la separabilit fra metodo e sistema pu essere fatta solo sulla base della logica formale, che separa forma e contenuto, ma non sulla base della dottrina filosofica della scienza, che invece esiste solo sulla base della loro organica interconnessione. In Hegel, come del resto in Marx, non esiste una logica formale. La stessa Scienza della Logica di Hegel non  una logica formale, sia pure di tipo "dialettico", ma  la logica di un sistema complessivo, e solo di questo. Con il termine "sistema", ovviamente, non intendo le opinioni contingenti di Hegel sulla famiglia, le corporazioni, il cattolicesimo o l'arte rinascimentale, eccetera, ma la connessione organica con cui Hegel interpreta la totalit come Idea, e quindi come Concetto dei Concetti. Dopo la vittoria del comunismo, ci fu per quattordici anni (1917-1931) un periodo di incerto pluralismo filosofico, degno di essere studiato nel dettaglio (io comunque l'ho fatto, e ci ho imparato molto). Si svilupp una gamma di posizioni, che andarono dal tentativo di Gyorgy Lukacs di rifondare la filosofia marxista sull'identit di soggetto ed oggetto, e cio di proletariato e storia universale (cfr. Storia e Coscienza di Classe, 1923), e gli attacchi volgari alla filosofia in quanto tale vista come perdita di tempo "borghese" (non c' limite all'idiozia, se non la mancanza di ossigeno). Il pluralismo, che fu a suo modo un raddoppiamento "colto" del pluralismo economico della NEP, fu risolto in modo amministrativo dal comitato centrale del PCUS, che stabil nel 1931 che da allora in poi in URSS ci sarebbe stata una sola ed unica filosofia consentita, quella del materialismo dialettico. In questo modo Socrate mor una seconda volta, ed il logos sokratiks fu sostituito integralmente dal logos grafeiokratiks (termine greco per indicare la burocrazia). Questo logos grafeiokratiks sopravvisse fino al triennio 1989-91 in condizioni di monopolio, in una situazione in cui la minaccia di provvedimenti amministrativi aveva integralmente sostituito le argomentazioni, non importa se veritative (Platone) o verosimili (Aristotele), bimondane (Plotino) o monomondane (Fichte, Hegel, Marx). Il problema non sta in questa follia, ma nel fatto che questa follia sia stata accettata ed introiettata da deficienti autonominatisi "intellettuali". Capitolo quattordicesimo Le critiche politico-filosofiche alla dialettica da Eduard Bernstein a Lucio Colletti A questo punto, la parte pi acuta dei miei lettori sar gi certamente arrivata a sospettare che io non sia esattamente quello che potremo definire un filosofo kantiano".  proprio cos, caro lettore, mi congratulo con te! Effettivamente, non sono un filosofo kantiano. Ma conformemente allo spirito di un saggio sulla storia della dialettica, devo ora fare un piccolo rovesciamento, e cominciare a parlare bene di Kant. Parlare bene di Kant significa riconoscere che il suo uso della dialettica come confutazione delle infondate pretese metafisiche di conoscenza integrale del mondo  sostanzialmente buono e legittimo. Io non amo il neokantismo contemporaneo che considera infondate le pretese di conoscenza che sorgono sulla base delle dottrine filosofiche di Hegel e di Marx, perch appunto considero queste pretese di conoscenza (e di valutazione etica dell'esistente) assolutamente fondate, anzi fondatissime, anzi le sole fondate che attualmente vedo in circolazione. Ma questa  un'altra storia, che con il Kant storico non ha molto a che fare. La critica dialettica di ispirazione kantiana alle pretese dogmatiche resta per molti aspetti (non per tutti) la prosecuzione del logos sokratiks nel nuovo mondo della filosofia universitaria europea nata alla fine del Settecento in Germania e poi diffusasi in tutto il mondo come la musica di Beethoven e la fisica di Einstein. Se questo mondo  spesso narcisistico ed autoreferenziale, e quindi antipatico, la colpa non  di Kant, e la terza parte della Critica della Ragion Pura intitolata Dialettica Trascendentale resta un indiscusso capolavoro del pensiero umano. Per questa ragione la critica "dialettica" di Eduard Bernstein al codice marxista di Kautsky, esposta in un libro pubblicato nel 1899, deve essere considerata un fatto fisiologico e positivo, e non un malvagio atto controrivoluzionario della piccola borghesia filistea tedesca rivolto contro l'immortale teoria di Marx. Si tratta dell'apertura della famosa prima grande "crisi del marxismo", la prima di molte altre successive. Si trattava di una critica dialettica di tipo kantiano contro le pretese della metafisica crollistica di Kautsky di poter "conoscere" il decorso passato, presente e soprattutto futuro del capitalismo, prevedendone infallibilmente il sicuro crollo. Con il senno del poi, e pi esattamente con il senno della conoscenza del ventesimo secolo, appare chiaro che il "kantiano" Bernstein aveva ragione contro il "positivista determinista e meccanicista" Kautsky. Vittoria peraltro prevedibile. Ma c'era un verme nella mela, e non fu affatto facile individuarlo per quella generazione di pensatori cresciuti nel clima tardopositivistico. Per noi, oggi,  invece certamente pi facile, purch il problema venga correttamente impostato. Bernstein aveva perfettamente ragione nel demolire la metafisica del crollo di Kautsky (Zusammenbruchstheorie), e fece benissimo ad usare il metodo confutatorio dialettico di Kant per farlo. Ma, appunto, butt via il bambino con l'acqua sporca, e pi esattamente il bambino della dialettica con l'acqua sporca della teoria del crollo. Non si era infatti reso conto che la teoria meccanicistica del crollo di Kautsky, cui l'ultimo Engels aveva sciaguratamente dato un avallo evoluzionistico (so che molti commentatori vogliono salvare" Engels, ma mi sembra che i suoi ultimi testi del 1895 parlino chiaro), lungi dall'essere una teoria dialettica, ne era anzi la pi completa negazione. Il tutto ha dunque assunto una natura comica, dovuta al fatto che sia Bernstein che Kautsky erano entrambi completamente digiuni di Hegel, che in quel momento era ancora un vero cane morto", ed essendo digiuni di Hegel erano anche del tutto privi di senso dell'umorismo. Come nelle operette satiriche diffuse in quel tempo, Bernstein si comportava alla stregua del marito tradito che davanti alla porta del supposto amante della moglie gli intimava: Fai uscire mia moglie, sciagurato!", laddove la moglie non era affatto in quella casa, ma era da tempo scappata con un altro in tutt'altra direzione. Non possiamo allora stupirci del fatto che questa prima crisi del marxismo non abbia partorito neppure un topolino. Sebbene non abbia partorito teoricamente neppure un topolino (altro che il mutamento qualitativo di paradigma che sarebbe stato necessario in un'epoca in cui il pensiero borghese serio stava gi affrontando la crisi dei fondamenti e di conseguenza abbandonando il positivismo) la prima grande crisi del marxismo si era ancora svolta in un momento storico di sostanziale ascesa del movimento operaio e socialista e di conseguenza del marxismo come sua ideologia identitaria di riferimento. Gli esiti furono, in estrema sintesi, un indebolimento della teoria di Kautsky del crollo del capitalismo ed un rilancio della dialettica identificata ormai con l'atteggiamento rivoluzionario in politica. Non manc ovviamente chi volle intestardirsi sulla cosiddetta "dimostrazione economica" dell'inevitabile crollo del capitalismo, e fra costoro si distinse Rosa Luxemburg, sacerdotessa dell'economicismo classista pi estremo e per questa ragione destinata a diventare nella seconda met del Novecento il simbolo dello spontaneismo delle masse contro il principio del cattivo e prepotente partito leninista. In Italia, paese appunto della commedia dell'arte, ci fu chi identific la storia del marxismo con l'arco di tempo della propria adesione personale ad esso, e cos don Benedetto Croce proclam solennemente la morte del marxismo, morte clinicamente provata dal suo personale allontanamento. Ho sempre trovato sublime questo narcisismo autoreferenziale assoluto (assoluto - non a caso - come lo storicismo assoluto), ma ho spesso avuto il sospetto che ci sia qualcosa nell'aria di Napoli (o nella pizza, o nel caff, chi lo sa) che renda l'incontro di Pulcinella con Marx particolarmente problematico (un secondo esempio  quello di Amedeo Bordiga, un signore non privo di una sua partenopea genialit, che persegu per tutta la vita un concetto di comunismo ricavato dagli esami di meccanica razionale e di macchinari industriali della facolt di ingegneria civile). In ogni caso il cuore della questione sta in ci, che per la ben nota eterogenesi dei fini l'attacco assolutamente motivato di Bernstein alla metafisica crollistica di Kautsky port di fatto alla graduale identificazione della dialettica con l'atteggiamento soggettivamente rivoluzionario. Il classico indiscutibile di questo fenomeno furono i Quaderni Filosofici di Lenin. La vittoria dei bolscevichi nel 1917 rilanci ovviamente, e non poteva essere altrimenti, la versione dialettica" del marxismo, fino alle opere filosofiche dei primi anni venti di Lukacs e di Korsch. Lo stesso Antonio Gramsci, sia pure nella particolare condizione di carcerato,  del tutto interno ed organico a questa rinascita dialettica del marxismo, mentre non ha alcun senso interpretarlo come l'ispiratore post mortem (Gramsci mor nel 1937 in una clinica vicino a Roma) del PCI del dopoguerra, che come tutte le organizzazioni di tipo pretesco e cardinalizio aveva bisogno di santini da portare in processione per l'edificazione dei fedeli. Faccio parte di una generazione che ha spesso dovuto superare la viscerale avversione verso Gramsci a causa dell'uso pretesco e clericale che ne veniva fatto, e che poi quando l'ha letto senza pregiudizi ha scoperto che in realt si trattava di uno spirito superiore, un uomo libero ed intelligente (con i pregiudizi del tempo, ovviamente, ma chi non ne ha scagli la prima pietra). L'identificazione di fatto della dialettica con lo spirito rivoluzionario era incompatibile con la costruzione del socialismo in un solo paese, costruzione che pur essendo a mio avviso inevitabile in quel contesto storico determinato (e qui sono d'accordo con il georgiano baffuto Stalin contro l'ucraino barbuto Trotzky) era incompatibile con il mantenimento del marxismo in una situazione di libero dibattito aperto. Ogni dissenziente diventava cos automaticamente un nemico del popolo". Dal momento che fare un libero uso pubblico del proprio intelletto (definizione kantiana dell'illuminismo tuttora sacrosanta) comportava il rischio di diventare un nemico del popolo, la conseguenza fu che tutti impararono a stare zitti ed a nascondere nel foro interno della coscienza il loro dissenso. Mezzo secolo di questa terapia port infine a Gorbaciov, Eltsin ed alla finale vittoria definitiva con punteggio tennistico dei baroni ladri e degli oligarchi, in confronto ai quali la stessa vecchia e degenerata aristocrazia zarista era un'associazione socialdemocratica di mutuo soccorso. La dialettica dovette cos essere "normalizzata". Non potendo normalizzarla con un buon vecchio ritorno alla sua retrocessione alla Karl Popper, il baffuto georgiano la normalizz con la sua neutralizzazione nella metafisica del materialismo dialettico, come ho gi brevemente indicato nel capitolo precedente. In questo modo, e questo  un punto che non  generalmente capito bene dai commentatori, Stalin non si limit a "deformare" il marxismo, ma semplicemente lo neutralizz completamente rendendolo addirittura del tutto inessenziale e puramente coreografico ed ornamentale. E questo non  un caso, perch anche nel medioevo il Vangelo era il liber aerethicorum per eccellenza, e mentre per qualunque altra cosa bastava un pater, ave, gloria la libera interpretazione delle sacre scritture portava velocemente al rogo. Di questo non mi stupisco affatto, perch persino il Grande Inquisitore dei Fratelli Karamazov di Dostoievski, cui viene trascinato davanti Ges di Nazareth, decide di condannarlo a morte come potenziale eversore pur avendolo perfettamente riconosciuto. Stalin avrebbe fatto la stessa cosa con Marx, ed in questo riconosco (il lettore mi perdoni, ma questo  un saggio sulla dialettica!) una sua macabra e dialettica grandezza. Dopo il 1945 il problema della dialettica continu ad essere in qualche modo legato a quello della critica al capitalismo. In linea generale i memici della dialettica continuarono ad essere i fautori del capitalismo stesso, sia nella variante liberale tradizionale (Karl Popper) sia nella variante socialdemocratica europea (Jrgen Habermas). Non  un caso che nel mondo rarefatto del dibattito filosofico, l'attacco alla dialettica passa sempre prima per un attacco a Hegel, considerato il portatore di una posizione metafisica premoderna, quella per la quale la conoscenza filosofica potrebbe ambire ad una valutazione globale, sia ontologica che valoriale, della totalit sociale, laddove il Moderno sarebbe invece caratterizzato dal disincanto weberiano. Il disincanto, poi, si scopre sempre che  identificato con lo spezzettamento conoscitivo del mondo da parte delle singole scienze sociali particolari e dal confinamento della filosofia a metodologia oppure a terapia linguistica. In altre parole, il disincanto  identificato con la divisione universitaria del lavoro intellettuale. L'attacco diretto a Marx  in genere delegato ai giornalisti semicolti della pagina culturale, oppure ai discorsi politici della domenica tipo Silvio Berlusconi, per cui Marx  indifferentemente visto come il responsabile culturale o dei gulag di Stalin o dell'inefficienza degli impiegati dello Stato. Nel mondo sofisticato del dibattito filosofico, il modo migliore di attaccare Marx  sempre quello di passare prima per l'attacco a Hegel, ed in questo c' una logica molto razionale, perch effettivamente la logica dialettica di Marx assomiglia molto a quella di Hegel, con le debite differenze che ho segnalato in precedenza (la dialettica di Marx  quella del gallo che annuncia il mattino, e quella di Hegel  quella della civetta che annuncia la sera). Colpisci Hegel, ed il colpo a Marx ti verr dato gratis in sovrappi. E allora curioso che molti insigni marxisti (ne indico tre: Galvano Della Volpe in Italia, Louis Althusser in Francia, Manuel Sacristan in Spagna) si siano ingegnati ad allontanare Marx il pi possibile da Hegel, laddove invece sarebbe stato necessario fare tutto il contrario, e cio avvicinarlo il pi possibile, e Marx avrebbe avuto tutto da guadagnarci, perch filosoficamente parlando Hegel gli  superiore, come Platone lo  rispetto a Plotino. Avvicinare Marx a Hegel avrebbe voluto dire "ammorbidire" certe posizioni utopico-messianiche, da un lato, e certe altre posizioni deterministico-mecannicistiche, dall'altro. Ma i tre signori indicati fra parentesi, e che ormai appartengono oggi al mondo dei pi, hanno perseguito la via dell'allontanamento anzich la via dell'avvicinamento, e lo hanno fatto in perfetta buona fede e con buone intenzioni (ma di buone intenzioni sono piene le fosse!), convinti di poter finalmente separare la dialettica materialistica e scientifica dalla dialettica idealista, borghese, mistica e neoplatonica, di Hegel. Si  trattato di un vero abbaglio. Dal momento che, come ho cercato di mostrare nel capitolo dodicesimo, il "materialismo" non c'entra nulla, per "materialistico" essi intendevano probabilmente "strutturalisti co". Sul piano strutturale la dialettica di Marx non  per nulla diversa da quella di Hegel, cos come la matematica  la stessa per i fisici, i chimici ed i biologi. Certo, Hegel non si occupa delle contraddizioni fra le forze produttive ed i rapporti di produzione, da un lato, e fra i capitalisti ed i lavoratori, dall'altro. Ma sempre di contraddizioni dialettiche si tratta, e cio di opposti in correlazione essenziale. Un po' diverso  il caso di Lucio Colletti. Lucio Colletti inizia la sua carriera di marxista con una critica al materialismo dialettico di Lenin e poi di Stalin, ed ottiene buoni risultati in questo"smascheramento" . E infatti questo un campo in cui l'uso della dialettica confutatoria di Zenone, Aristotele e Kant ottiene ottimi risultati, perch il materialismo dialettico  una metafisica immensamente pi dogmatica ed infondata di quelle religiose tradizionali. Direi di pi. Smascherare dialetticamente" quella vera e propria imbalsamazione e neutralizzazione della dialettica che  il materialismo dialettico  un gioco da ragazzi. Poi Colletti, in collaborazione con Claudio Napoleoni, giunge ad una scoperta filologica e filosofica assolutamente geniale, e cio alla sostanziale identit fra la teoria filosofica dell'alienazione e la teoria economica del valore in Marx. Nel contesto infatti del modo di produzione capitalistico (e non, si badi, in quello della storia universale come concetto trascendentale riflessivo) c' alienazione nella misura in cui il valore di scambio ha impregnato l'intero legame sociale umano. La cosa curiosa sta in ci, che questa scoperta, che personalmente condivido completamente e che per me  una ragione in pi per valutare positivamente l'idealismo di Marx,  invece per Colletti il pretesto per abbandonare il marxismo (e si veda per questo il dettagliato libro di Orlando Tambosi). Colletti scopr infatti l'acqua calda, e cio nella fattispecie il fatto che Marx utilizzava contraddizioni dialettiche (del tipo A/Non-A) anzich opposizioni reali senza contraddizione (del tipo A/B), le sole secondo la logica di Kant che possano veramente dare luogo ad una conoscenza scientifica. Non vorrei che il lettore pensasse che l'orizzonte politico e sociale del marxismo, e cio la critica del capitalismo, si possa abbandonare per la scoperta di paralogismi puramente logici. Neppure il professore universitario pi pazzo lo fa. Sarebbe come dire che uno smette di credere in Dio perch legge la confutazione kantiana delle prove ontologiche, cosmologiche e fisico-teologiche. No, uno prima smette di credere in Dio in base ad una intuizione olistica prerazionale, e poi  in grado di approvare la dialettica di confutazione della teologia. Nello stesso modo uno prima  schifato dal marxismo (in generale per la ripugnanza che comincia a provare per i marxisti" che si dichiarano tali e che si distinguono per cinismo, prepotenza, incompetenza ed arrivismo) e poi cerca argomenti sofisticati per giustificarlo in quel calderone che ho in precedenza definito la doppia antipatia verso Hegel e verso Marx. A questo punto, il fatto che l'esito sia la vita privata o Berlusconi  interessante solo per i settimanali di pettegolezzi e gossip. Prima scatta una volont psicologica soggettiva accompagnata da un riorientamento olistico complessivo che ti fa vedere l'intero mondo diversamente (in questo caso, l'intero mondo capitalistico diventa improvvisamente normale" e non pi alienato), e poi, se per caso hai competenze filosofiche, scopri provvidenzialmente che non  possibile la trasformazione dei valori in prezzi di produzione (oh! oh!) e che le opposizioni reali sono in realt contraddizioni dialettiche di tipo neoplatonico e non scientifico (oh! oh!). A parte queste interessanti avventure della dialettica", a mio avviso il punto principale sta in ci, che nella seconda met del Novecento la dialettica non  stata praticata nella forma hegeliana classica, e cio quella dei tre momenti astratto, dialettico propriamente detto e speculativo, ma ci si  sempre fermati ai primi due momenti, e cio astratto e dialettico, senza mai arrivare allo speculativo. Si  sempre fatta soltanto una critica interminabile dell'astratto (metafora per indicare la razionalit capitalistica dell'intelletto strumentale), e si  chiamata questa critica "dialettica", laddove cos non era. Far l'esempio di due scuole apparentemente diversissime come il movimento maoista occidentale (Charles Bettelheim) e la scuola di Francoforte (Theodor W. Adorno). In entrambi i casi, e cio la dialettica interminabile di Mao Tse Tung e la dialettica negativa di Adorno, non si  mai fatto della dialettica nel senso speculativo di Hegel. Nel caso di Mao, si  accolta con entusiasmo la dialettica cinese, che per definizione non  speculativa, perch  sempre aperta (l'uno si divide in due anzich il due si riunisce in uno). Ma questa dialettica deriva dalla scuola yin-yang, quella dei due principi eterni in movimento reciproco, che d luogo ad un concetto di contraddizione che  espresso dall'ideogramma cinese mao duri, in cui c' una lancia irresistibile (mao) ed uno scudo imperforabile (duri). E cos, come lo yin e lo yang coesisteranno in eterno, nello stesso modo la lancia irresistibile e lo scudo imperforabile si scontreranno in eterno. Questa sorta di eraclitismo, bene o male che lo si giudichi, non pu per sua natura dar luogo ad un esito "speculativo" nel senso di Hegel, ma connota soltanto un generico divenire antagonistico delle cose. Si dir che la sofisticata dialettica negativa di Adorno non c'entra molto con questo taoismo cinese del movimento permanente yin-yang. All'atto pratico, per, il rifiuto dell'esito speculativo  identico. Adorno attua una pi che quarantennale critica alle antinomie della civilt borghese, ad un tempo colpevole degli esiti totalitari che lui rifiuta e ricettacolo ideale di modelli di vita degni di rispetto e nostalgia. Questa dialettica  cos chiamata "negativa", ma non ce ne sarebbe neppure stato bisogno, in quanto anche per Hegel la dialettica era "negativa" se decideva di fermarsi e sostare nel suo secondo momento di semplice critica dell'astratto rifiutando ogni esito speculativo (peraltro anche in Hegel sempre provvisorio, perch solo l'Assoluto in Hegel non  provvisorio perch partecipa dell'infinito, laddove l'Oggettivo, e cio lo storicamente determinato, lo  invece sempre). In Mao la dialettica  soltanto registrazione della conflittualit umana pensata come eterna, in cui lo stesso "comunismo"  diluito in un eraclitismo permanente. In Adorno la dialettica  invece nostalgia di un modello di vita borghese perfetta, al punto che il suo allievo Krahl osserv che il suo maestro "non aveva saputo congedarsi dal suo congedo". Questo non ci deve per stupire. Per fortuna, le avventure della dialettica non sono finite. Nel prossimo capitolo il lettore potr prenderne atto in modo pi completo. Capitolo quindicesimo La dialettica oggi. L'incubo della fine capitalistica della storia ed il sogno di una utopia concreta di emancipazione La dialettica oggi. E l'oggi non  un oggi generico, ma l'oggi determinato temporalmente dell'anno 2006. Questo oggi ha appunto ben precise coordinate spaziali e temporali che sarebbe assurdo mettere fra parentesi e rimuovere. Si tratta dello spazio della cosiddetta globalizzazione, nome con cui si intende l'unificazione capitalistica integrale del pianeta, e del tempo di un dominio imperiale del tutto slegato da ogni residuo diritto internazionale che si  messianicamente identificato con l'intera umanit, in nome della quale minaccia, occupa e bombarda. Si dir che la filosofia non deve occuparsi di questo. Vorrei prendere molto sul serio questa considerazione, e non respingerla subito con una rapida alzata di spalle. Chi pensa per che la filosofia non dovrebbe occuparsi di questo, ma lasciare queste miserie umane ai politologi, ai politici, agli economisti, ai sindacalisti, ai militari, agli studiosi di geopolitica e di geostrategia, eccetera, immagina che la filosofia possa vivere, conoscere e progredire rimuovendo il mondo ostile e costruendo isole protette di amici riunitisi in base alla loro affinit spirituale. A suo tempo, questa fu la soluzione del Giardino di Epicuro. Pi tardi, fu la soluzione dei monaci di San Benedetto da Norcia. Ammetto apertamente che si tratta di una scelta praticabile, e non voglio certo irriderla o diffamarla in nome di un generico ed astratto appello all'impegno a tutti i costi". Si impegna chi si vuole impegnare. Non  detto che tutti debbano farlo. Si pu anche decidere che l'insopportabilit o l'immodificabilit del mondo esterno sono ormai divenute tali da sconsigliare ogni agitazione priva di prospettive visibili e di consigliare un ripiegamento in una secessione organizzata e in esodo di sopravvivenza regolata. Lo hanno fatto in passato, si pu fare anche oggi. E tuttavia c' anche chi non sceglie questa via, magari dopo averla presa in considerazione e dopo averla pacatamente scartata e rifiutata. Per coloro che scelgono questa via la dialettica  inutile. L'esodo e la secessione non si riproducono dialetticamente. Basandosi su di una astrazione, pi esattamente di una astrazione dalla societ, i praticanti dell'esodo e della secessione possono anche immaginare di stare seguendo la via della sapienza indiana di Siddharta o la via cinese del saggio Lao Tse, ma seguono in realt la via del buon vecchio intelletto astratto della separazione. Chi si separa dal tutto non pu che praticare la logica della separazione della parte dal tutto, e questa logica esiste gi da secoli, e si chiama appunto logica dell'intelletto astratto. L'ingegnere specialista ed il monaco neobuddista, sia detto con tutto il rispetto che meritano, praticano appunto questa logica di separazione dell'intelletto astratto. Chi invece intende praticare la dialettica del concreto, la sola dialettica che esiste, dovr occuparsi appunto del concreto, che  concreto di molte determinazioni. E il concreto di molte determinazioni  oggi il mondo reale storico e geografico. Platone poteva occuparsi di un concreto pi piccolo, che era il concreto della comunit politica ideale, dei modi della sua costituzione e della sua gestione ed infine delle forme della sua corruzione e progressiva dissoluzione. Hegel si dovette occupare gi di una comunit un po' pi grande, quella dello Stato moderno e delle famiglie e corporazioni professionali che lo costituivano e lo rendevano concreto". Ma oggi, a differenza che ai tempi di Platone e di Hegel, il mondo  diventato di fatto globale, e questo del tutto indipendentemente dal fatto che la categoria di globalizzazione" sia economicamente adeguata o non intenda invece soltanto coprire virtuosamente un insieme conflittuale di realt imperialistiche ih feroce lotta reciproca. Se il mondo  diventato globale, ci vorr una dialettica della globalit. E per questo non significa certamente che le dialettiche di cui ci siamo occupati fino ad ora nei precedenti capitoli sono finite, o per cos dire scadute". Non sono scadute per niente. Dalla contingenza storica nasce la permanenza filosofica. Ci vorr per un'altra e nuova rete di specificazioni, e di questo allora dovr occuparsi questo capitolo. In estrema sintesi, ci vorr una pars destruens ed una pars costruens, metafore per indicare una dialettica discendente ed una dialettica ascendente. La dialettica discendente dovr oggi confutare le pretese di verit di quello che definir il lessico dell'impero; la dialettica ascendente dovr invece contribuire a costruire concettualmente il Dialogo delle Libere Comunit. Ho messo volutamente le maiuscole perch i concetti meritano la maiuscola. Ora esaminiamo separatamente il lessico dell'impero prima ed il dialogo delle libere comunit poi. Il lessico dell'impero  l'equivalente contemporaneo di quello che nel suo romanzo fantapolitico 1984 George Orwell defin Neolingua (Newspeak). La neolingua sostituisce la lingua normale, che mira alla connotazione consensuale dei termini concreti ed astratti per rendere possibile la cooperazione nel lavoro (matrice originaria storica ed ontologica del linguaggio) ed il confronto di opinioni rivolto all'organizzazione delle societ umane. E la sostituisce per imporre un lessico totalitario in cui il significato delle parole non  pi rivolto a connotare relazioni sociali ed umane potenzialmente paritarie, ma rapporti di dominio travestiti da vere e proprie pseudo- oggettivit semantiche manipolate. Il sacerdozio deputato alla gestione di questa sacralizzazione del linguaggio manipolato del dominio  oggi il circo mediatico, in particolare (ma non solo) televisivo, mentre il circo universitario delle facolt di filosofia, storia e scienze sociali ne  diventato un supporto, cos come nel medioevo le biblioteche teologiche dei conventi domenicani e francescani facevano da supporto ai gruppi inquisitoriali deputati al controllo del consenso. Il progresso", se vogliamo chiamarlo cos, ha fatto s che il controllo sia oggi flessibile e non rigido come un tempo, e certamente la saturazione televisiva  pi performativa per ottenere il consenso delle vecchie tenaglie roventi. Ma sempre di sacerdozio si tratta. La buona e vecchia dialettica ha fatto s che il vero sacerdozio oggi  proprio il laicismo", che vuole ridicolizzare tutte le religioni monoteistiche invecchiate perch ne possa restare solo una, la religione del monoteismo del mercato capitalistico. Per questa ragione la cintura protettiva del lessico dell'Impero  affidata al cosiddetto Politicamente Corretto, una dittatura linguistica e simbolica che decide ci che pu essere detto e ci che non pu essere detto. La saggezza popolare un tempo diceva: "Scherza con i fanti e lascia stare i santi". Ma oggi il politicamente corretto decide chi si pu prendere in giro e chi no. In questo 2006  consentito disegnare Cristo che fa l'indossatore di mutande firmate, Maometto che circola con un candelotto di dinamite sul turbante, mentre chi rappresentasse Mose che conta le monete d'oro verrebbe subito licenziato per antisemitismo e nazismo di ritorno. Fuori del nostro mondo impazzito, che si ritiene emancipato perch privo ormai di ogni senso della sacralit, c' chi mantiene ancora un minimo senso del rispetto per tutte le religioni. Sono stato molto colpito da una fotografia di un corteo di donne turche a Istanbul, con una ragazza che portava un cartello con su scritto "Isa sizden utaniyor" (Ges Cristo si vergogna di voi). Non aveva scritto Maometto (Mehmet), ma proprio Ges (Isa). Al di fuori dei fanatismi politici artificialmente irrigati, la gente semplice  quasi sempre capace di cogliere il nucleo della questione. Oggi la dialettica confutatoria di Zenone, Aristotele e Kant deve essere messa al servizio della critica alla nuova metafisica del Lessico dell'impero. Cominciamo ad elencare senza alcuna pretesa di completezza alcuni termini sacri di questo lessico dell'impero. Diritti Umani I diritti umani sono i diritti che per natura spettano all'uomo in quanto tale. Si tratta di un prodotto specifico del giusnaturalismo europeo moderno, ma gi gli stoici antichi credevano in un diritto naturale cosmopolitico, ed in tutte le civilt del mondo sono stati prodotti equivalenti (Panikkar li chiama equivalenti omeomorfi") del diritto naturale. Credo fermamente che il senso di giustizia, sia pure variamente articolato, derivi dalla stessa natura dell'uomo, e non condivido allora per nulla la cosiddetta teoria della tabula rasa di Locke. Ma qui il discorso si farebbe lungo, non si pu fare in questa sede, ed arrivo subito al nocciolo della questione. I diritti umani infatti esistono, ma sono propriet indivisa dell'intera umanit, e nessuno pu arrogarsi il diritto di impossessarsene e di bombardare in loro nome. E per evidente che una societ basata sulla propriet privata pensi anche i diritti umani come una nostra propriet privata, la propriet privata dell'Occidente capitalistico ed imperiale. In questo modo noi invadiamo i paesi pi deboli in nome dell'esportazione armata dei Diritti Umani. E cos come le uova gettate dagli aerei si rompono nella caduta, ed una volta rotte non si possono pi mangiare, nello stesso modo i diritti umani gettati con le bombe una volta arrivati al suolo si rivelano disumani", e non si possono pi consumare. La libert La libert esiste veramente, ed  una propriet ontologica indivisibile dell'essere umano come ente naturale generico. La libert  come il respiro, chi ne  privato vive in apnea, e pur di poter respirare a pieni polmoni molto spesso  disposto anche a barattare la precedente modesta eguaglianza senza libert. Chi ha sostenuto che la libert  un lusso borghese di cui i rudi proletari con le mani callose non sanno che farsene ha mentito, ed ha infine pagato molto cara questa menzogna. Ma la libert" che oggi viene esportata dai bombardieri imperiali e dai loro ridicoli mercenari  solo una protesi per l'estensione del dominio delle multinazionali capitalistiche, che montano immediatamente un circo mediatico ed accademico di simulazione pluralistica" per legittimare la propria occupazione privatistica integrale del territorio. L'uso ma- nipolatorio del termine libert" ha gi migliaia di anni, ed uno studio semantico-comparativo delle ideologie del dominio sarebbe indubbiamente molto utile. Processo di Pace Altrimenti detto Road map, il processo di pace significa annessione brutale dell'intera citt di Gerusalemme, nuova capitale religiosa dell'impero in cui tutti i vassalli verranno chiamati ad una cerimonia di sottomissione e di espiazione, laddove Washington rester solo una capitale politica (la distinzione fra capitale politica e religiosa era gi presente presso gli Aztechi, in particolare fra Tenochtitlan e Tezcoco). Significa reclusione dei palestinesi cacciati dalla loro terra in alcuni bantustan senza continuit territoriale, manodopera a buon prezzo per il popolo dei signori (Herrenvolk). Se poi qualcuno si stupir di questo rovesciamento delle parti (ed io confesso che non cesso di stupirmi) allora dir: la dialettica, bellezza! Democrazia La democrazia  il potere del popolo, o pi esattamente il processo dinamico che porta il popolo al potere, ve lo mantiene e controlla che non vi sia in atto un processo di espropriazione delle decisione. Oggi in Europa non c' democrazia, perch il popolo non pu essere al potere se le decisioni economiche sono in mano ad alcune multinazionali finanziarie e le decisioni militari strategiche sono in mano a basi americane armate di armi atomiche installate in permanenza a sessant'anni (60) dalla fine della seconda guerra mondiale che avrebbe dovuto "liberare" (sic!) l'Europa e renderla sovrana delle sue decisioni. Potremmo ovviamente continuare. Ma il succo della questione sta in ci, che oggi la metafisica da legittimare non  pi la vecchia e bonaria trinit noumenica di Anima-Mondo- Dio del vecchio Kant, ma  il nuovo feroce lessico dell'impero. Qui la dialettica confutatoria e smascheratoria pu continuare ad essere molto utile. Per il momento constato che  poco usata,  continuamente minacciata dal ricatto del politicamente corretto amministrato dal circo mediatico e dalla consorteria accademica anglofona unificata, ma oso sperare che si tratti solo di un'eclisse temporanea, dovuta alla sinergia patogena fra riconversione pentitistica della generazione sessantottina, crollo dissolutivo del comunismo storico novecentesco con riciclaggio semicriminale dei suoi apparati burocratici economicistico-nichilistici e delirio di onnipotenza neo-con dell'impero impazzito (il termine neo-con deve essere inteso nel significato francese del termine). La dialettica critica di confutazione del lessico dell'Impero, che ha come cassa di risonanza, di istupidimento programmato, di manipolazione scientificamente studiata e di saturazione psicologica integrale il circo mediatico e televisivo in particolare (cosa di cui si  accorto pensino l'ultraliberale e filocapitalista assoluto Karl Popper),  solo per la pars destruens dell'intera faccenda, ed  quindi del tutto insufficiente. Come per la Scuola di Francoforte, essa resta soltanto una testimonianza di protesta e consapevolezza puramente negativa, anche se necessaria. E infatti indispensabile anche una dialettica positiva, che si pu provvisoriamente connotare come Dialogo delle Libere Comunit. Ho scritto "comunit" e non "individuo" non certo perch non creda alla possibilit di dialogo filosofico costruttivo fra liberi individui indipendenti. Ci credo, eccome, e l'ho praticato per tutta la vita e non cesser di praticarlo finch potr. Semplicemente la somma di individui isolati, sia pur critici, disponibili ed intelligenti, non  in grado di costituire la massa sociale critica minima per lottare contro il lessico dell'Impero. L'impero ha anzi previsto questo tipo di critica programmaticamente impotente, ed infatti ha messo al posto della demenziale rigidit autoritaria del penoso comunismo storico novecentesco, che controllava persino i saggi su Platone per verificare se per caso non fossero poco "materialisti", un sistema flessibile di nicchie a paratie stagne in cui i "dissenzienti" possano dividersi in gruppi e scuole diverse. Il sistema attuale tende a dividere i lavoratori manuali salariati (perch abbiano minore potere di contrattazione nella vendita della loro forza-lavoro) ed invece ad unire ed a aggregare gli intellettuali in gruppi politicamente corretti in qualche modo controllabili, lasciandone fuori soltanto alcuni eremiti inassimilabili (negazionisti storici, ecologisti radicali, fondamentalisti comunisti, eccetera). II punto di partenza socratico di un nuovo dialogo odierno, che ribattezzerei in greco (moderno) pankosmiopoietiks logos, e cio logos mondializzato e globalizzato, pu essere a mio avviso il presupposto socratico (ma esteso al mondo intero) dell'ironia, e cio dell'ammettere preliminarmente di sapere di non sapere quale sia la migliore forma di vita e di costume sociale. Chi allora vuole partecipare in condizioni paritarie a questo logos mondializzato e globalizzato, in cui idealmente l'agor di Atene  l'intero pianeta, deve mettere sullo stesso piano la costrizione al velo in Afghanistan e l'abbandono sulle strade degli homeless negli USA, l'infibulazio-ne del clitoride in Somalia e la vendita di armi da guerra nei supermercati negli USA, il matrimonio combinato dalle famiglie nelle campagne della Turchia e la libera convivenza fra sessi (o all'interno dello stesso sesso) in Olanda o in Danimarca. Un relativista assoluto dir a questo punto che non esiste e non pu esistere un criterio filosofico veritativo che possa prima confrontare questi modi di vita e poi giudicarli" in termini di male minore elo di bene maggiore. Dal momento che ogni dialettica ha sempre necessariamente un presupposto non dialettico all'origine, ed anche in questo caso non pu essere che cos, diremo che il presupposto non dimostrato ed indimostrabile sta nel semplice e nudo fatto che i partecipanti potenziali al dialogo (comunit ed individui) accettino di parteciparvi. Il secondo presupposto non  per un presupposto, e consiste nel convincimento che esista un Universale etico e politico (per ora lasciamo aperto il problema se lo sia alla Platone, alla Plotino, alla Hegel o alla Marx) che si possa raggiungere attraverso il dialogo. L'utopia dialogica sarebbe allora quella che potesse portare consensualmente a queste conclusioni:  bene che le donne possano portare sul capo quello che vogliono, fazzoletti, foulards oppure se lo vogliono niente;  bene che nessuno venga lasciato a dormire per strada per mancanza di soldi;  bene che l'infibulazione del clitoride femminile venga proibita per legge;  bene che il matrimonio sia libero ma non combinato, e che comunque il matrimonio eterosessuale potenzialmente famigliare non venga messo giuridicamente sullo stesso piano delle libere (e sacrosantemente permesse e tutelate) unioni di altro genere. Eccetera, eccetera. Il lettore dir che in questa esemplificazione io non ho affatto raggiunto l'universalit, ma ho semplicemente manifestato le mie personali empiriche preferenze politiche e culturali, socialmente rivoluzionarie e culturalmente pi conservatrici. Naturalmente  cos, e lo ammetto apertamente. Ma io non pretendo di essere il logos, come non pretendevano di esserlo Platone (il logos  l'Uno-Bene), Plotino (il logos  l'Uno-Bene inteso come divinit che emana la sua pienezza), Hegel (il logos  l'Assoluto), eccetera. Ogni individuo empirico, come io sono,  sempre e soltanto una parte minima del tutto, una vera e propria casualit storica e psicologica, ma questo non significa che questo individuo non partecipi" (metexis) di un comune elemento razionale che ci lega tutti in una comunit ideale. La comunit ideale, appunto, viene rispecchiata e raddoppiata da una filosofia idealista. Essa non c' ancora. Quella di Hegel era ottima ai suoi tempi, ma era caratterizzata da elementi di eurocentrismo e di occidentalismo a volte quasi razzistico (e si leggano le sue considerazioni sui musulmani, sull'Africa, sulla Cina, sull'India, eccetera). Quella di Marx era (a mio avviso, naturalmente) ancora migliore, ma era indebolita da un mito sociologico proletario (inesistente) sul quale veniva proiettata l'intera umanit futura, che era considerata e concepita come una sorta di Proletariato Ideale finalmente Unificato, ed unificato speculativamente attraverso il negativo della precedente lotta di classe (lato dialettico), rivolta a superare il punto di vista capitalistico-borghese (lato astratto- intellettualistico). Se quanto dico  anche solo in piccola parte vero, ne consegue che oggi abbiamo bisogno di una nuova filosofia idealistica e dialettica mondiale, di cui quelle di Platone, Plotino, Fichte, Hegel e Marx non saranno che delle anticipazioni. Ed a questo auspicio devo fermarmi. Se infatti pretendessi di cominciare a concretizzare" questo ancora inesistente logos globalizzato finirei inevitabilmente nella situazione dell'italiano pittoresco impersonato dal comico Alberio Sordi a Londra, e cio di farsi ridere dietro da tutti". Come nella vita di tutti i giorni  bene non credersi Napoleone, che tutte le barzellette connotano come segno inequivocabile di pazzia, cos in filosofia  bene non credersi Platone, Hegel e Marx. Ma un conto  non credersi questi nobili personaggi en presbeia kai dynamei (in nobilt e forza), come direbbe Platone, e un conto  invece non imparare da loro il logos ad un tempo dialettico ed ontologico. Assicuro il lettore che personalmente ho sempre cercato di imparare da loro, e continuer a farlo. Capitolo sedicesimo Conclusione e sintesi Una breve ricostruzione della storia della dialettica, come quella intrapresa ed esposta nei quindici precedenti capitoli, presuppone una preventiva lettura della storia della filosofia occidentale, che l'attuale globalizzazione ha comunque in una certa misura mondializzato. Si pone allora un problema, che  opportuno discutere in questa conclusione:  possibile scrivere oggi una storia sensata" della filosofia occidentale che non cada da una parte nella semplice dossografia, e cio nella pura e semplice esposizione neutra ed asettica, anche se onesta", delle filosofie volta a volta prese in considerazione, o dall'altra parte in una irritante ideologia, in cui i vari pensatori esposti sono incasellati nelle due lavagne dei buoni" e dei cattivi" in funzione del punto di vista settario del compilatore che si erge a (ridicolo) tribunale definitivo della storia? Non so se sia possibile, ma so che si pu sempre provare a farlo. L'applicazione del metodo dialettico alla storia della filosofia dovrebbe sempre tener conto della Contingenza (nella genesi storica e sociale di una filosofia) e della Permanenza (della sua validit che resiste all'azione corrosiva del tempo). Questo non significa affatto che tutti i filosofi esposti debbano esserci simpatici" oppure (il che  assolutamente impossibile) che noi dobbiamo condividerli tutti. Chi condivide tutti non condivide in realt nessuno. In questo mio scritto, ad esempio, il lettore si  certo accorto che io condivido assai poco Kant e condivido molto di pi Hegel. Non vedo come sarebbe possibile scrivere oggi una storia della filosofia che non fosse una mera dossografia per esami universitari senza prendere filosoficamente posizione o per Kant o per Hegel. Kant e Hegel, infatti, rappresentano due risposte alternative al problema dell'atteggiamento verso la cosiddetta metafisica", termine improprio ed ambiguo che poi vuol dire quasi sempre adesione o meno ad una concezione veritativa della conoscenza filosofica integrata (ma non esaurita) dalle conoscenze scientifiche specialistiche. E dunque assolutamente impossibile chiedere ad uno storico della filosofia - che non intenda solo scrivere una monografia specialistica - di essere neutrale" rispetto all'impostazione ed alla soluzione dei principali problemi filosofici. Solo un venditore di tappeti pu pensare che il filosofo possa non essere in qualche modo di parte". La filosofia  infatti un dialogo fra parti. Solo un paranoico in crisi di delirio di onnipotenza potrebbe pensare di essere il Tutto e di parlare in suo nome. Il Tutto peraltro esiste, ma  conoscibile solo dalle sue Parti, che restano Parti per ragioni ontologiche ineliminabili. Chiunque ha il diritto di credersi Dio, oppure di parlare a suo nome. Se  innocuo, non fa male a nessuno. La sola cosa che non pu fare  partecipare ad un dialogo filosofico. La storia della filosofia occidentale  inevitabilmente sempre oggetto di una grande narrazione" (grand rcit), per usare il termine del filosofo francese Jean-Francois Lyotard, grande narrazione filosofica della storia dell'occidente che non  in quanto tale n classica, n moderna, n tantomeno postmoderna, ma  solo la ricaduta inevitabile (ed a mio avviso del tutto legittima) del tentativo insito nella natura umana di dare un senso compiuto a ci che di per s ne sarebbe privo, e cio la concatenazione temporale delle produzioni filosofiche. E tuttavia la rinuncia alla grande narrazione filosoficamente sorvegliata ci fa cadere dalla padella nella brace, e cio nella falsa antinomia dossografia/ideologia. La dossografia, che  sempre utilissima ed a volte provvidenziale, da Diogene Laerzio a Nicola Abbagnano (autore della migliore dossografia filosofica italiana dell'ultimo cinquantennio),  costruita sulla rinuncia anticipata alla dialettica fra Contingente e Permanente nella storia della filosofia, ed il lettore (o lo studioso) che vi si forma sopra sar inevitabilmente portato a pensare che le categorie filosofiche cadano dal cielo o nascano dalla fantasia creatrice umana pura, perch la loro genesi storica e sociale  programmaticamente esclusa. L'ideologia, che in linea di massima  peggiore della semplice dossografia, incasella le produzioni filosofiche nel letto di Procuste della polemica politica di breve respiro, ed ha come caratteristica la negazione del carattere veritativo della conoscenza filosofica stessa, sempre relativizzata agli scontri politici e sociali dell'epoca e sempre privata della sua aspirazione all'eternit. Sapendo di scrivere in ogni caso una grande narrazione, cio qualcosa che il mondo non contiene ma che noi in qualche modo aggiungiamo al mondo, si tratta di sottoporre questa grande narrazione ad un controllo filosofico. E questo controllo non pu che essere il dialogo. Il primo e massimo esempio di dialogo filosofico, il logos sokratikos, non pu fare a meno di utilizzare la dialettica come strumento di confutazione, prima, e come via ascendente verso il concetto vero, poi. Qui, e solo qui, la filosofia si stacca dalla religione, senza che questo implichi affatto automaticamente che debba negarla (0 approvarla). La filosofia esiste allora sempre e solo all'interno di uno spazio dialogico e critico fra almeno due filosofi, in agone amichevole. L'agone  qualcosa in cui qualcuno vince e qualcuno perde, e l'agone amichevole  quello in cui il perdente  anche lui soddisfatto se pu riconoscere che il vincitore ha meritato di esserlo. AI di l delle utilissime dossografie, io conosco tre vere e proprie storie della filosofia occidentale elaborate negli ultimi secoli, quella di Hegel, quella di Heidegger ed infine quella costruita da vari autori all'interno del comunismo storico novecentesco recentemente defunto (1917-1991). Le riassumer brevemente e senza alcuna pretesa di completezza, per poi tornare all'uso della dialettica come criterio per poterle in qualche modo giudicare. Hegel  stato il primo grande filosofo che ha cercato di costruire una storia della filosofia sensata ed appunto "filosofica", che non fosse solo un racconto dossografico alla Diogene Laerzio. Ho gi fatto notare in un precedente capitolo che egli era stato in un certo senso preceduto da Aristotele, che aveva idealmente organizzato il pensiero precedente (ai suoi tempi gi vecchio di due secoli) intorno al concetto di causa (aitia, aition), o pi esattamente intorno al concetto ordinatore delle quattro cause. Si trattava per di un principio del tutto estrinseco, che tagliava fuori come inesistente, o pi esattamente come inavvertito, il problema della minaccia sociale di perdita del senso della convivenza comunitaria, che invece io mi sono permesso di mettere all'origine del pensiero filosofico. Non  comunque un caso che Hegel sia stato il primo fondatore moderno della storia della filosofia come "racconto unitario sensato". Kant non poteva esserlo, perch si muoveva all'interno delle due opposizioni assolutamente astratte" fra conoscenza vera e fenomenica e conoscenza impossibile e metafisica, da un lato, e fra etica autonoma e formale ed etica eteronoma e contenutistica, dall'altro. Il lettore qui potr forse dissentire, ma a mio avviso su queste basi dicotomiche si pu fare solo della dossografia. Hegel invece trasferisce il suo modello dialettico di passaggio graduale e contraddittorio dall'astratto al concreto (pi esattamente, dall'essere al concetto attraverso la mediazione necessaria dell'essenza) dalla semplice logica, e cio da Dio prima della creazione del mondo, al mondo realmente creato, e cio alla storia intesa come concetto trascendentale riflessivo. In questo modo la storia della filosofia acquista un senso, e questo senso consiste nella sempre maggiore concretizzazione delle categorie logiche attraverso i vari filosofi successivi, nessuno dei quali semplicemente sbaglia" oppure ha ragione", concorrendo tutti invece al grande lavoro dello Spirito, ed essendo in questo modo tutti eroi del pensiero". Trovo personalmente questa concezione di Hegel sensatissima, e non la considero affatto in modo meschino (come hanno fatto Schopenhauer e Kierkegaard nella generazione immediatamente posthegeliana, e come fanno oggi tutti i nani e tutte le ballerine della superficialit contemporanea) una pensata arbitraria di uno svevo che si credeva Dio, ma la considero invece una normale e fisiologica produzione del punto arto raggiunto dall'autocoscienza filosofica occidentale nel momento magico del passaggio dall'illuminismo al romanticismo. La concezione di Hegel fu poi alla base della riforma del 1923 di Giovanni Gentile, che soggettivamente avrebbe sperato che l'insegnamento della filosofia in Italia non prendesse la via dossografica della filastrocca di opinioni casuali (via quanto mai diseducativa, perch comunica l'idea che la filosofia sia un insieme inutile e casuale di pensa te" soggettive quasi sempre paradossali ed insensate, del tipo penso dunque sono" oppure L'To pone il Non-Io"), ma riprendesse la corretta impostazione di Hegel. Tutto questo si rivel impossibile. Quella di Hegel era un'utopia logica e concettuale. Dopo la sua morte il positivismo distrusse alle fondamenta il principio razionale che la reggeva, sostituendolo con l'idea che la filosofia  solo un momento adolescenziale della storia del progresso, e che l'unico parametro reale per poter giudicare il progresso stesso  il sempre maggiore affinamento matematico delle leggi scientifiche. Il Vero, in questo modo, non  il Concreto delle determinazioni della convivenza umana metaforizzata attraverso la categoria del Bene, ma diventa E=mc, e cio un'equazione. E questo con tutto il rispetto per Einstein, che non era personalmente un positivista, ed era invece attratto dalla sintesi filosofica di Spinoza, per cui la verit non consisteva in una laurea in scienze naturali, ma nella conoscenza intellettuale di Dio (e si legga per questo il quinto libro dell'Etica). La storia della filosofia di Hegel resta cos il modello di un'utopia non realizzata. In trentacinque anni di insegnamento della filosofia non ho mai visto un solo collega ispirarsi a questa concezione nella pratica quotidiana del suo insegnamento. Io stesso non l'ho fatto mai, il che ovviamente non  un argomento, perch potrebbe darsi che Hegel abbia avuto assolutamente ragione, e che i tempi storici che l'hanno seguito hanno preso un'altra strada non perch fosse migliore o pi scientifica", ma perch evidentemente il tempo della casuale dossografia rispecchia il tempo dello scontro politico-sociale fra principi astratti", e cio fra principi del tutto particolari o al massimo dialettici", e cio incapaci di sintesi speculativa. Ma non  detto che ci che  stato impossibile nel recente passato lo sia anche nel futuro. La storia della filosofia disegnata e concretizzata da Heidegger rappresenta invece a prima vista un semplice rovesciamento di quella di Hegel. Mentre in Hegel il pensiero era in progresso nel corso dei secoli, ed il filo conduttore di questo progresso era la sempre maggiore concretizzazione delle categorie filosofiche stesse, in Heidegger il pensiero occidentale  invece segnato da una decadenza, dovuta al fatto che le scelte teoriche di Platone hanno innescato un processo metafisico" alla fine del quale si ha la risoluzione tecnica", e quindi anonima, impersonale ed insuperabile (Gestell) della storia dell'Occidente, divenuto nel frattempo con la globalizzazione economica mondiale il modello dell'intero pianeta.  chiaro che Heidegger  stato influenzato in questa concezione da Nietzsche, che gi a suo tempo aveva rivolto a Socrate ed a Platone accuse in fondo non poi cos lontane da quelle di Heidegger (intellettualismo, fissazione per la semplice essenza e quindi oblio dell'essere in quanto tale, eccetera). Il fatto poi che in un secondo tempo Heidegger abbia criticato lo stesso Nietzsche, considerato in termini di coronamento della tradizione soggettivistica occidentale e non in termini di critico e martellatore" di quest'ultima, non cambia per l'essenziale della lettura heideggeriana. Come nel caso di Hegel, anche nel caso di Heidegger  impossibile saltare" la valutazione complessiva in termini storici e sociali. Hegel scrive nel momento magico dell'utopia romantica della pienezza dei tempi, in cui si poteva pensare che l'Autocoscienza non fosse un'invenzione arbitraria di un signore di Stoccarda con cattedra a Berlino, ma fosse invece il modo astrattizzato di indicare un progresso reale nella storia dell'umanit, sia pure solo occidentale e non ancora mondializzata. Heidegger scrive dopo il 1918, in cui l'empirica sconfitta della Germania guglielmina era stata gi interpretata da Spengler in termini di tramonto dell'Occidente" (Untergang des Abendlandes), senza dimenticare appunto che nella lingua tedesca occidente" si traduce con terra della sera". Heidegger, che una storiografia frettolosa, ideologizzata, incline al gossip (la sua relazione con Hannah Arendt ha oggi una bibliografia pi ampia di quella rivolta al suo pensiero filosofico propriamente detto) ha ridotto a provinciale tedesco in piccozza e cappello tirolese simpatizzante per Hitler, fu invece un grandissimo filosofo. I grandi filosofi sono l'equivalente culturale dei sismografi, in quanto registrano" (per chi sa leggere le loro carte sismografiche) i grandi mutamenti culturali d'epoca. Ora, il grande mutamento culturale del Novecento  stata la prima guerra mondiale (19141918), il grande bagno di sangue civile" consensuale scatenato dalle borghesie europee. Anche se oggi questo bagno di sangue tende ad essere assolto" dal circo mediatico-politico, e visto anzi come un grande evento patriottico interclassista nazionale, laddove vengono indicati esclusivamente come cattivi" i totalitarismi politici del Novecento, ogni individuo libero e non completamente rincoglionito dal Politicamente Corretto e dal Lessico dell'impero capisce perfettamente che la radice del male europeo del Novecento non sta nei cosiddetti "dittatori" del periodo fra le due guerre mondiali, ma sta in quegli anonimi diplomatici in marsina che hanno scagliato milioni di uomini a scannarsi l'un l'altro. Heidegger almeno capisce e registra in modo sismogrfico questo fatto epocale, e per questo la sua storia della filosofia segnata dalla categoria di decadenza (parakm), almeno ci dice qualcosa sul mondo, laddove il chiacchericcio liberale non  altro che un rumore di fondo del ben pi importante altoparlante delle quotazioni di borsa. II metodo di Marx avrebbe forse potuto inaugurare un tempo nuovo nella storia della filosofia. Non fu cos. Fu un'occasione mancata, mancata per troppo positivismo e per troppo ideologismo. Secondo un'interessante testimonianza personale di Belfort Bax, Engels era un maniaco della deduzione delle teorie filosofiche e religiose dalle condizioni storiche e sociali. Lo scettico empirista inglese Belfort Bax allora lo sfid a "dedurre" le scuole gnostiche del tardo impero romano, ed Engels si sarebbe dichiarato sconfitto, non avendo saputo farlo. Sia detto del tutto incidentalmente e senza presunzione, se c' una cosa facile da fare  proprio spiegare con il metodo storicogenetico la nascita e lo sviluppo delle scuole gnostiche nel tardo impero romano. Ma non sta qui il nocciolo della questione. Ed il nocciolo sta in ci, che Engels aveva effettivamente intuito l'esistenza di un metodo genetico nella costituzione delle categorie filosofiche, ma non credendo nella filosofia stessa, e cio nella sua capacit di conoscenza veritativa della realt, fin per ridurla a semplice elencazione delle cosiddette leggi logiche del pensiero", oppure a supporto unificatore delle scienze particolari nella cosiddetta concezione scientifica del mondo" (e si veda in Italia il materialismo dialettico" di Ludovico Geymonat). In questo modo tutte le conquiste di Fichte e di Hegel furono perdute, e si torn di fatto a Kant, per cui non esisteva una dottrina della scienza" che pensasse insieme forma e contenuto, ma soltanto una logica formale. La filosofia marxista nacque allora (ma ne ho gi parlato nel capitolo tredicesimo) come una forma di kantismo (Lange) e di positivismo (Laas), per cui il criterio di demarcazione fra (cosiddetto) idealismo e (cosiddetto) materialismo non era logico elo ontologico, ma era soltanto gnoseologico (il cosiddetto primato, in termini di precedenza, fra essere e pensiero, intesa come teoria del riflesso conoscitivo). Su queste basi equivoche, non ci poteva essere nessuna storia dialettica della filosofia. La storia della filosofia non sopporta l'elencazione dei cattivi e dei buoni in due distinte lavagne. Scrivere su due distinte lavagne, ognuno lo capisce,  il massimo di pensiero non dialettico, perch la dialettica scrive su di una lavagna unica, e collega nomi e categorie con freccette che indicano complementariet ed azione reciproca. A questa fallacia preliminare si aggiunse subito l'ideologizzazione e la politicizzazione parossistica e maniacale di tutti i pensatori e di tutte le scuole di pensiero (Protagora progressista e Platone reazionario, Epicuro progressista e Plotino reazionario), in un crescendo demenziale che trova nei manuali sovietici (e cinesi, per quanto ne so) il loro punto massimo di assurdit pura alla Kafka ed alla Borges. Come si spiega questa deriva demenziale? Se un Belfort Bax me lo chiedesse, direi che questa deriva demenziale raddoppia nel mondo rarefatto della storia della filosofia la dicotomia oppositiva fra Borghesia e Proletariato, che vengono simbolicamente retrodatati" fino ad Efeso, Atene e Mileto in modo da istituire una grande narrazione immaginaria in cui i partiti, socialista prima, e comunista poi, sono visti come le locomotive della storia universale. In questa immagine antropomorfizzata del mondo si ha cos in modo assolutamente religioso prima una divinit-vasaio, che modella il mondo partendo dall'argilla, poi una divinit-artigiano, che  gi in possesso di modelli aritmetici per progettare le cose, poi una divinit-orologiaio, che d la prima spinta caricando la pendola del cosmo per poi lasciar fare integralmente alle rotelline ed ai congegni mirati di questa pendola stessa, ed infine una divinit- locomotiva che in un mondo laicizzato e collocato sui binari" del progresso conduce i passeggeri della Classe Unica alla Stazione Finale di un Comunismo concepito come Fine della Storia, modello demenziale del tutto privo di dialettica che non cambia con il gioco linguistico delle tre carte consistente a chiamare la storia Preistoria e la fine della storia Storia vera e propria. D'altra parte, non  a mio avviso una soluzione neppure la concezione cinese della dialettica della scuola yin-yang e della contraddizione intesa come mao-dun  (lancia-scudo), concezione che come  noto fu di Mao Tse Tung, perch in questo modo si perde il momento della sintesi storica speculativa e si approda ad una sorta di eraclitismo senza Eraclito. Siamo dunque per ora privi di una sensata storia della filosofia. Ma questo non deve stupirci, perch un mondo insensato non pu produrre una storia della filosofia sensata. Ci si lamenta del cosiddetto materialismo", e poi non si capisce che questo materialismo non consiste nell'adesione alle teorie di Feuerbach, ma semplicemente nel consumismo, e cio nella riduzione dell'uomo a semplice unit materiale" di consumo. Ci si lamenta del cosiddetto nichilismo", e poi non si capisce che una societ basata sul dominio totalitario del valore di scambio e della merce divinizzata  appunto nulla, perch il valore di scambio non  un fondamento, n etico n ontologico. Il ricorso a Dio come garanzia suprema contro il materialismo ed il nichilismo  in proposito destinato a fallire a priori, e fallir sicuramente anche a posteriori, se non si colgono le radici materiali (uso finalmente questa parola) di questi due ismi. Ma qui il mio studio finisce, e la filosofia del presente comincia. Non sar certo io a scriverla, ma qualcuno prima o poi (e spero prima) la scriver. Su questo nutro un moderato ma saldo ottimismo. Capitolo diciassettesimo Nota bibliografica generale commentata Questo saggio sulla storia della dialettica, che compendia anche molte mie sparse riflessioni precedenti ed in una certa misura le sistematizza in vista di un auspicabile approfondimento ulteriore,  dedicato ad un gruppo di amici (in particolare Giuseppe Bailone, Carmine Fiorillo, Luca Grecchi, Diego Melegari e Gianfranco Padello) che contro venti e maree ed attraverso momenti difficili ha continuato a tenere aperto uno spazio di discussione iniziato nel 1997 con la casa editrice CRT ed ora passato alla nuova casa editrice Petite Plaisance, sempre di Pistoia. E tipico del nostro tempo che il mantenimento di uno spazio di riflessione filosofica, pur senza disprezzare in alcun modo l'attivit universitaria e quella politica, ed anzi utilizzandone spesso i risultati, si fondi principalmente su rapporti personali al di fuori di ortodossie politiche identitarie di appartenenza megapartitica elo micropartitica, oppure di divisioni specialistiche del lavoro di tipo universitario. Nella stessa casa editrice sono state recentemente pubblicate due opere consacrate alla dialettica. La prima, che costituisce un numero della rivista Koin (Aa.Vv., Dialettica oggi, 2005), comprende interventi di studiosi noti e meno noti, in cui il lettore pu trovare un'ampia gamma di stimoli e di approfondimenti su autori antichi (Platone, Aristotele) e moderni (Kant, Hegel, Marx, Nietzsche). La seconda (C. Preve- L. Grecchi, Marx e gli antichi greci, 2006) espone in forma dialogica un contenuto analogo a quello del presente saggio, il cui punto ispiratore essenziale  quello della sostanziale continuit ideale fra antichi e moderni, e cio fra la filosofia greca classica e la filosofia dialettica moderna, continuit ideale che  anche sempre affermata nelle opere di Luca Grecchi, e che merita di essere rivendicata. In Italia infatti, sotto l'influsso della critica alla dialettica di Hegel e di Marx operata da Lucio Colletti e dalla sua scuola, che ha sempre indicato come punto debole e metafisico" gli elementi di continuit e di contiguit fra la dialettica antica e quella moderna, sostenendo che bisognava liberarsi di questi elementi per accedere ad un pensiero veramente scientifico e moderno", si  fatta strada in molti ambienti (ma le cose stanno forse lentamente cambiando oggi) l'idea che la dialettica fosse un cane morto" da abbandonare nei grandi ripostigli delle cose vecchie. L'opinione mia e di Grecchi  esattamente opposta. La dialettica di Hegel e di Marx, che deriva dallo strappo che Fichte seppe coraggiosamente fare nei confronti del pur ben emerito (a suo tempo) criticismo di Kant,  certamente diversa da quella di Platone e di Plotino ( infatti bimondana e non monomondana), ma ha indubbiamente aspetti fortemente affini. E questo, lungi dall'essere un male,  un bene. Anzi,  proprio stupendo che sia cos. Non pu infatti esserci un popolo civile senza metafisica. No alla parola d'ordine della fine della metafisica. La metafisica invece ci vuole, purch sia buona. E si tratta allora di vedere che cosa sia la buona metafisica" di cui siamo in cerca. Ed ora alcuni titoli generali sulla dialettica.  consigliabile per il lettore non specialista il ricorso ad un buon dizionario filosofico ed a una buona storia della filosofia. Per quanto riguarda i dizionari filosofici consiglio quello classico di N. Abbagnano, Dizionario di Filosofia, Utet, Torino, 1964 (pi volte ristampato, ed ora arricchito e migliorato dalla benemerita opera di F. Fornero), e quello pi agile ma molto soddisfacente curato da P. Rossi, Dizionario di filosofia, La Nuova Italia, Firenze, 2000. La storia della filosofia di Abbagnano  stata probabilmente la pi solida e meglio riuscita dell'intera seconda met del Novecento italiano, e ne fanno fede le continue ristampe e la sua innegabile utilizzabilit. Nello stesso tempo essa  costruita sulla base del rifiuto integrale del metodo della deduzione storica e sociale delle categorie, che io invece uso in questo saggio, rischiando consapevolmente l'errore di riduzionismo che il metodo genetico comporta. Tutto questo non avviene certamente a caso. Il metodo dell'astrazione semantica del significato del concetto destoricizzato e della parola che lo connota  a mio avviso l'equivalente del primo momento dialettico di cui parla Hegel, quello della astrazione intellettuale, ed  dunque non un errore, ma un momento necessario da cui bisogna assolutamente passare. Non  per il momento finale. C' infatti un secondo momento, quello propriamente dialettico, che coincide con l'uso ideologico del termine in un contesto storico determinato, momento in cui sciaguratamente il marxismo si  sempre fermato, e ci vorrebbe un terzo momento, quello speculativo, in cui appunto  necessario fondere dialetticamente insieme in un'unit contraddittoria il momento della Contingenza, o della genesi storica e sociale delle categorie, ed il momento della Permanenza, o della validit universale spaziale e temporale di esse. Ma questo  appunto lo scheletro metodologico" di questo mio saggio. Un manuale di storia della filosofia da cui ho imparato molto (e ne ho conosciuti ed impiegati molti in 35 anni di lavoro come insegnante di filosofia, e posso quindi considerarmi senza presunzione un vero esperto nel loro uso)  quello di M. Bontempelli e F. Bentivoglio, Il senso dell'essere nelle culture occidentali, Trevisini, Milano, 1992. Faccio riferimento soprattutto alla ipotesi sulla nascita della filosofia presocratica come risposta ad una minaccia di insensatezza sociale, in primo luogo, ed alla valorizzazione di Platone ed Hegel, in secondo luogo. Ritengo tuttavia che ci sia anche una lettura di Hegel eccessivamente monomondana", come se Hegel fosse solo una sorta di Plotino redivivus e di neoplatonico moderno, dimenticando che la logica hegeliana  sempre e solo un Dio prima della creazione del mondo, e diventa concreta" (e cio esistente) solo a partire dalle determinazioni storiche, e non prima. In ogni caso, ho imparato molto anche dal loro lavoro Percorsi di verit nella dialettica antica, Spes, Milazzo, 1996, in cui si parla di Eraclito, Platone e Plotino. Il libro collettivo Studi sulla dialettica, Taylor, Torino, 1958 (poi pi volte ristampato) tratta separatamente Platone, Aristotele, gli stoici, Kant, Hegel e Marx, ed  tuttora un piccolo capolavoro di chiarezza nello spirito di Nicola Abbagnano e Norberto Bobbio. Estremamente utili sono i tre volumi curati da E Vidoni, Le dialettiche antica, moderna e contemporanea, Canova, Treviso, 1996. Tornando ora alla successione cronologica degli argomenti,  prima di tutto necessario porsi il problema degli influssi orientali sulla dialettica greca antica. Per questo si veda H. Frankfort, La filosofia prima dei greci, Einaudi, Torino, 1966. In mancanza di fonti certe, il problema non pu essere risolto per via filologica, ma solo congetturale o attraverso indizi. Personalmente, non dubito che la filosofia abbia anche avuto influenze indiane, egiziane e mesopotamiche, ma credo anche fermamente che essa sia cos come la conosciamo un prodotto originale ed irripetibile dei greci, e solo di essi. Cos come l'idea generica di evoluzione  presente anche in molti popoli primitivi (mi scuso per questo termine improprio, ma non intendo usarlo in modo razzistico, al contrario), ma la prima vera e propria teoria dell'evoluzione  quella di Darwin del 1859, nello stesso modo (ed ancora di pi) spunti filosofici ci sono senz'altro anche presso i pigmei Mbuti o i nomadi del deserto del Gobi, ma la filosofia vera e propria  un originale prodotto dei greci. Un'ottima introduzione ai primordi della filosofia greca  nel capolavoro assoluto di G. Thomson, Iprimi filosofi, Vallecchi, Firenze, 1973. Un inquadramento sobrio e preciso di molti problemi storici  in AA.VV, Marxismo e societ antiche (a cura di M. Vegetti), Feltrinelli, Milano 1977. Sui cosiddetti presocratici" consiglio le due ottime antologie commentate: I presocratici (a cura di A. Capizzi), La Nuova Italia, Firenze 1984, e I presocratici (a cura di S. Maso), Paravia, Torino, 1993. Utile  anche una lettura di ci che resta della produzione sofistica (cfr. I sofisti, a cura di A. Capizzi, La Nuova Italia, Firenze, 1976). Sulla figura di Socrate molto buona  la sintesi francese di F. Wolff, Socrate, PUF, Paris 1983. Fra le antologie italiane consiglio Socrate (a cura di G. Cambiano), Principato, Milano, 1970 e Socrate (a cura di A. Capizzi), La Nuova Italia, Firenze 1973. L'insieme di citazioni che ho usato per la definizione precisa della dialettica di Platone  ricavato dallo stupendo saggio di J. Brun, Platon, PUF, Paris 1963. Sulla dialettica platonica ottima l'antologia critica e commentata di Platone, La dialettica (a cura di W. Cavini), Le Monnier, Firenze 1982, con ricca bibliografia di orientamento. Su Aristotele consiglio lo studio introduttivo di P. Doni-ni, La filosofia di Aristotele, Loescher, Torino 1982. Un vero piccolo capolavoro di orientamento  il saggetto di E. Berti, Logica aristotelica e dialettica, Cappelli, Bologna, 1983. Berti ha anche curato una raccolta di saggi illuminanti sulla dialettica che consiglio incondizionatamente al lettore (cfr. AA. VV., La contraddizione, Citt Nuova editrice, Roma, 1977). Su Epicuro consiglio l'ottima raccolta di P. Innocenti, Epicuro e l'epicureismo, Theorema, Milano, 1994. Ci si trovano anche le opinioni di Hegel e di Marx su Epicuro, assolutamente fondamentali per poter inquadrare bene il loro stesso pensiero dialettico. Si veda su Rousseau P. Casini, Introduzione a Rousseau, Laterza, Bari, 1974 e A. Illuminati, Rousseau, La Nuova Italia, 1975. Il migliore bilancio filosofico di Rousseau, a mio avviso, resta per pur sempre quello fatto da Hegel, che i successivi commentatori (Merleau-Ponty, eccetera) non hanno fatto che riprendere in vario modo. La filosofia di Kant non  un oggetto specifico di questo studio. Si veda comunque, per inquadrare il pensatore, F. Mori, La filosofia di Kant, Loescher, Torino, 1990. Sul diritto a mentire e sulla soluzione kantiana, a mio avviso rivelatrice della sua astrattezza", cfr. P. Boituzat, Un droit de mentir, PUF, Paris 1993. Sul divorzio fra Kant e Fichte, vera matrice dell'idealismo moderno, cfr. C. Cesa, Le origini dell'idealismo, Loescher, Torino 1981. Il pianeta Hegel"  talmente vasto che mi limiter qui a ricordare soltanto le utilizzazioni dirette che ne sono state fatte nel mio saggio. Si veda per iniziare V. Verra, La filosofia di Hegel, Loescher, Torino, 1979. Le citazioni sulla dialettica di Hegel sono state riprese da R. Serreau, Hegel, PUF, Paris 1972, testo per molti aspetti insuperabile per chiarezza, concisione e precisione. Il testo base  ovviamente G. F G. Hegel, Scienza della logica, Laterza, Bari, 1978. Sconsiglio di leggere questo testo senza aiuti. Per questo aiuto, all'inizio necessario, si pu usare E. Fleischmann, La logica di Hegel, Einaudi, Torino, 1975, ed ancor meglio AA. VV. La logica di Hegel e La Dialettica (a cura di M. Sacchetto), Paravia, Torino, 1993. Utile  anche S. Landucci, La contraddizione in Hegel, La Nuova Italia, Firenze, 1978. L'interpretazione che ho dato di Marx  esclusivamente farina del mio sacco, e non ritengo allora opportuno autocitarmi, anche se, come dice un proverbio inglese, la beneficenza dovrebbe cominciare a casa propria. Mi limito allora a pochissimi testi che hanno avuto un'influenza decisiva nella mia personale interpretazione della dialettica in Marx. Il primo  il capolavoro immortale di K. Kosk, Dialettica del concreto, Bompiani, Milano, la cui lettura ha contribuito molto a confermarmi nella mia vocazione filosofica. Il secondo  un testo purtroppo introvabile dopo il crollo dell'URSS, e cio E. Ilenkov, Logica dialettica, Edizioni Progress, Mosca, 1978. Data la soffocante censura dei bisonti burocratici sovietici del tempo, Ilenkov deve usare un linguaggio esopico", ma il succo del suo discorso viene fuori lo stesso. Se i gruppi dirigenti sovietici avessero saputo pensare in quel modo dialettico", forse il baraccone avrebbe potuto salvarsi. Mi rendo conto per che se mia nonna avesse avuto le ruote sarebbe stata una locomotiva. Le mie tesi sul materialismo, o pi esattamente sul nonmaterialismo di Marx saranno certo sembrate strane a prima vista. Non mi pare proprio il caso. La dialettica serve proprio a questo, ad abituare ai paradossi. Nella storia della filosofia, o almeno a me sembra, il materialismo non  mai stato una posizione dialettica", ma ha sempre lavorato" per altri scopi. Per accompagnare con l'idea di materia" la ricerca scientifica (cfr. A. Pacchi, Materia, Isedi, Milano, 1976). Per avallare posizioni apertamente edonistiche (cfr. A. Schmitt, Il materialismo antropologico di Feuerbach, De Donato, Bari, 1975). Come sinonimo puro e semplice di ateismo, e cio di inesistenza di Dio. Come sinonimo leopardiano di consapevolezza della fragilit umana (cfr. S. Timpanaro, Sul materialismo, Nistri-Lischi, Pisa, 1975). In quanto al materialismo dialettico, lo considero un equivoco increscioso. Se qualcuno vuol sentire l'altra campana, che invece espone le argomentazioni per la sua condivisione, legga E. Fiorani, Engels ed il materialismo dialettico, Feltrinelli, Milano, 1971. Le tesi del filosofo svedese Liedman, che a mio avviso dimostrano che in Hegel non c' mai stata nessuna teoria delle leggi dialettiche, che sono una superfetazione positivistica posteriore di Marx e di Engels, sono contenute in AA. VV., Engels, savant et rvolutionnaire, PUF, Paris 1997. Sulla testimonianza di Belfort Bax a proposito della tendenza di Engels a dedurre" socialmente tutte le produzioni filosofiche religiose, si veda Colloqui con Marx ed Engels (a cura di H. M. Enzensberger), Einaudi, Torino, 1977, p. 458. Una testimonianza interessante sulla furia teologica di Lenin nel difendere il materialismo dialettico si ha in N. Valentinov, I miei colloqui con Lenin, Il Saggiatore, Milano, 1969. Il fatto che la filosofia materialistica dovesse riflettere" una (inesistente) tendenza all'inevitabile passaggio al socialismo era evidentemente l'equivalente teologico leniniano dell'esistenza esterna" di Dio per un cristiano, e per questo era tanto inferocito con l'empiriocriticista Valentinov. Sull'ostilit verso la dialettica in Colletti si legga la sintesi collettiana di O. Tambosi, Perch il marxismo  fallito, Mondadori, Milano, 2001. Il titolo  berlusconiano, perch il brasiliano Tambosi si era limitato nel titolo originale a polemizzare contro l'eredit hegeliana. Ma questa  l'Italietta in cui viviamo. Interamente collettiano  anche l'uttlissimo lavoro espositivo di L. Albanese, II concetto di alienazione, Bulzoni, Roma, 1984. Un buon aggiornamento del dibattito si ha infine in F. Vander, Contraddizione e divenire, Mimesis, Milano, 2005. E questo (per ora)  tutto. Indice Premessa Introduzione Dialettica e filosofia nella storia bimillenaria del pensiero occidentale Capitolo primo La genesi storica, sociale e ideale della filosofia greca Capitolo secondo La dialettica di Socrate Capitolo terzo La dialettica di Platone Capitolo quarto La dialettica di Aristotele Capitolo quinto La dialettica dei neoplatonici antichi Capitolo sesto La dialettica dei teologi e dei filosofi cristiani Capitolo settimo La dialettica di Rousseau Capitolo ottavo La dialettica di Kant Capitolo nono La dialettica della prima forma di idealismo moderno: Fichte Capitolo decimo La dialettica della seconda forma di idealismo moderno: Hegel Capitolo undicesimo La dialettica della terza ed ultima forma di idealismo moderno: Marx Capitolo dodicesimo L'impossibile matrimonio fra dialettica e materialismo Capitolo tredicesimo L'illusoria teologia dialettica unificata di natura e societ: la tragicomica storia del materialismo dialettico Capitolo quattordicesimo Le critiche politico-filosofiche alla dialettica da Eduard Bernstein a Lucio Colletti Capitolo quindicesimo La dialettica oggi. L'incubo della fine capitalistica della storia ed il sogno di una utopia concreta di emancipazione Capitolo sedicesimo Conclusione e sintesi Capitolo diciassettesimo Nota bibliografica generale commentata Questa breve storia della dialettica  stata pensata e scritta sulla base di un criterio dialettico, quello della compresenza necessaria in una sola unit concettuale di due opposti in correlazione essenziale. Questi due opposti in correlazione essenziale sono lElemento Con- tingente e lElemento Permanente nella produzione di verit filosofi- che. Da un lato, tutte le categorie filosofiche sono prodotte allin- terno di un ben preciso contesto storico e sociale, non cadono dal cielo, non sorgono da una generica ed improbabile ispirazione, e non possono evitare un uso ideologico ed una strumentalizza- zione politica e religiosa. Questo  il Contingente. Dall'altro, queste stesse categorie producono verit (e falsit) filosofiche che soprav- vivono al loro tempo ad aiutano gli uomini di tutte le epoche ad interpretare la loro condizione umana. E questo  il Permanente. L'unione di Contingente e di Permanente  l'elemento dialettico del- la storia della filosofia. In quindici brevi e concisi capitoli storici vengono indagati alcuni sistemi di pensiero dialettico e non. Si tratta nell'ordine: dell'origi- ne della filosofia greca e di Eraclito, di Socrate, di Platone, di Aristotele, dei neoplatonici antichi e Plotino, dei filosofi cristiani medioevali, di Rousseau, di Kant, di Fichte, di Hegel, di Marx, dei problemi del rapporto fra materialismo e dialettica, della dialetti- ca nel pensiero marxista, della natura sociale e filosofica delle cri- tiche alla dialettica ed infine, per concludere, si tenta una in- terpretazione dialettica della situazione storica attuale. Il solo modo che ha la carta per scusarsi con gli alberi che sono stati tagliati per confezionarla  quello di fare da supporto mate- riale ad idee nuove ed originali. Il lettore ne trover certamente molte, inedite ed a prima vista un po sconcertanti. L'ideale per aprire quella discussione filosofica radicale e senza rete che molti spiriti sensibili oggi auspicano. Costanzo Preve (1943) ha studiato scienze politiche, filosofia e neoellenistica a Torino, Parigi e Atene nel contesto del clima cultu- rale e politico degli anni Sessanta del Novecento. Ha insegnato per trentacinque anni (1967-2002) filosofia e storia nei licei italiani. Ha pubblicato numerosi libri, saggi ed articoli non solo in italiano, ma anche in altre lingue europee. In questo libro si ha una sintesi, bre- ve ma relativamente completa, delle sue concezioni fondamentali sulla natura della conoscenza filosofica. ISBN 88-75883-083-2 OSO Costanzo Preve Le avventure della coscienza storica occidentale Note di ricostruzione alternativa della storia della filosofia e della filosofia della storia ediliice pelile plaisane Koin Periodico culturale Anno XVIII  NN 1-3 Gennaio-Giugno 2011 Reg. Trib. di Pistoia n 2/93 del 16/2/93. Direttore responsabile: CARMINE FiorILLO. www.filosofico.net/koine - www.petiteplaisance.it lucagrecchi@tiscali.it  fusarod@libero.it Direttori Luca Grecchi Diego Fusaro Ci rivolgiamo a lettori che vogliano imparare qualcosa di nuovo, che dunque vogliano pure pensare da s. KARL MARX ... Se uno ha veramente a cuore la sapienza, non la ricerchi in vani giri, come di chi volesse raccogliere le foglie cadute da una pianta e gi disperse dal vento, sperando di rimetterle sul ramo. La sapienza  una pianta che rinasce solo dalla radice, una e molteplice. Chi vuol vederla frondeggiare alla luce discenda nel profondo, l dove opera il dio, segua il germoglio nel suo cammino verticale e avr del retto desiderio il retto adempimento: dovunque egli sia non gli occorre altro viaggio. MARGHERITA GUIDACCI Copyright dd (I | editrici pelle P (alsariee Chi non spera quello Associazione culturale senza fini di lucro che non sembra sperabile non potr scoprirne la realt, poich lo avr fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non pu essere trovato e a cui non porta nessuna strada. ERACLITO www.petiteplaisance.it e-mail: info@petiteplaisance.it Via di Valdibrana 311  51100 Pistoia Tel.: 0573-480013 COSTANZO PREVE Le avventure della coscienza storica occidentale Note di ricostruzione alternativa della storia della filosofia e della filosofia della storia 1. Introduzione. Storicit e coscienza della storicit della filosofia occidentale. 2.Il pensiero greco classico. L'incorporazione della coscienza storica nel modello normativo della natura ricostruita idealmente come canone di riferimento della vita della comunit sociale umana. 3. La civilt cristiana medioevale. L'assorbimento della coscienza storica nella sacralizzazione simbolica, piramidale e gerarchica, del mondo sociale umano. 4. L'et moderna borghese-capitalistica occidentale. Lo sviluppo della coscienza storica come costituzione ontologica ed assiologica dello sviluppo universale e veritativo del genere umano. 5. Il postmoderno come globalizzazione delloccidentalismo senza coscienza infelice. L'annullamento della coscienza storica in una metafisica del presente integralmente de storicizzata e frantumata. 1. INTRODUZIONE. STORICIT E COSCIENZA DELLA STORICIT DELLA FILOSOFIA OCCIDENTALE Sul fatto che luomo sia un ente storico non vi sono dubbi, almeno in superficie. Tutto ha una storia, ovviamente, anche i sistemi solari, i minerali, i vegetali e gli animali, ma la coscienza della storicit sembra appartenere soltanto al genere umano, almeno su questa terra. E tuttavia, il fatto di essere indubbiamente un ente storico, ed il fatto di avere coscien- za della propria storicit non coincidono. Questa non-coincidenza dovrebbe essere messa al centro dell'attenzione filosofica, eppure questo non avviene. E tuttavia, uno dei modi (non lunico, ovviamente) di ricostruire razionalmente lintera storia dell'umanit (pensata unitariamente, e quindi idealmente, in un solo concetto trascendentale-riflessivo),  pro- prio quello di ricostruirla (sia pure sommariamente e con un grado inevitabile di semplifi- cazione) sulla base della coscienza della storicit. Questa coscienza della storicit non  affatto un dato, ma  un risultato che pu anche essere perso o dimenticato. Facciamo solo due esempi sommari. I cosiddetti primitivi non avevano probabilmente un'adeguata coscienza della storicit, che pure caratterizzava ontologicamente le loro comunit sociali, in quanto vivevano direttamente questa storici- t nella forma della omogeneit ontologica (e quindi anche gnoseologica-conoscitiva) fra 3 CosTANZo PREVE macrocosmo naturale e microcosmo sociale. La loro strettissima dipendenza della natura (caccia, pesca, raccolta, pastorizia, eccetera) faceva s, ovviamente, che questa piena coin- cidenza fra macrocosmo naturale e microcosmo sociale (probabile matrice del sentimento religioso come percezione immediata, e poi elaborata in riti sociali, della loro unit) stesse alla base della loro percezione olistica globale del mondo. In una simile situazione, tendo ad escludere che i cosiddetti primitivi (il termine  improprio, positivistico-evoluzioni- stico, e me ne scuso con gli specialisti che giustamente non lo utilizzano pi, consapevoli della sua ambiguit) potessero sviluppare un concetto di storicit, non solo della natura, ma anche e soprattutto di loro stessi. Per fare un secondo esempio, lattuale pensiero detto frettolosamente (ma anche corretta- mente) postmoderno rappresenta la perdita sofisticata dell'idea di storicit. Naturalmente, i pomposi accademici postmoderni non sono scusabili, a differenza dei pelosi primitivi, e quindi sono gnoseologicamente, epistemologicamente e soprattutto ontologicamente mol- to inferiori a loro. I primitivi, infatti, non potevano accedere alla categoria di coscienza storica nello stesso modo in cui non potevano accedere ai treni, agli aerei, alla penicillina ed allinsulina. Essi vivevano direttamente la fusione immediata fra macrocosmo naturale e microcosmo sociale, ed intuivano questa fusione nella forma di totem zoomorfici, di magie mimetiche, di miti di fondazione, sia teogonici che cosmogonici, eccetera. I postmoderni, invece, si sono trovati di fronte ad un'eredit di quasi tre secoli di coscienza storica, ed anzich perfezionarla e migliorarla (eliminandone - il che era del tutto possibile  i resi- dui elementi di progressismo, determinismo, lieto fine teleologico, logicizzazione dialettica prefissata del corso storico, eccetera), hanno deciso di abolirla, formalmente in nome della cosiddetta critica alle grandi narrazioni (Lyotard, e dopo la breccia da lui aperta migliaia di accademici vocianti), ed in realt sulla base dellelaborazione del lutto delle loro pre- cedenti visioni del mondo ispirate ad un marxismo estremistico, in cui lIdiozia era stata eretta a principio metafisico di prospettazione del futuro. Questa loro soggettiva elabora- zione del lutto generazionale si incontr (per ragioni non certo aleatorie, ma strutturali) con una oggettiva esigenza ideologica delle nuove oligarchie finanziarie (purtroppo non ancora sufficientemente colpite dalla recente crisi esplosa nel 2008), che dovevano e devo- no sacralizzare il presente capitalistico ergendolo in fine della storia. Ripeto, la concezione della omogeneit fra macrocosmo naturale e microcosmo sociale, tipica dei primitivi, e la concezione della fine capitalistica della storia tramite lo smascheramento delle grandi narrazioni utopico-rivoluzionarie, tipica dei postmoderni, sono entrambe fondate su di un comune rifiuto della coscienza storica, ma la prima  antropologicamente  e soprattutto eticamente  immensamente superiore alla seconda. In un'ottica contrastiva (ed il metodo contrastivo  il migliore per imparare una lingua straniera partendo dal contrasto con la propria lingua madre) il genere umano appare il solo in grado di effettuare rivoluzioni sociali. Api, formiche e termiti non ne sono capaci, perch la loro societ  determinata direttamente (ed unicamente) dalla loro informazione genetica. Quando assister ad una rivoluzione delle api contro la loro Ape Regina, e non prima, abbandoner tristemente il mio presupposto ontologico sulla differenza qualitativa fra luomo (inteso come ente naturale generico) e gli altri animali, compresi animali supe- riori, e certamente simpatici, come il bonobo, lo scimpanz, il cane ed il cavallo. Il genere 4 Le avventure della coscienza storica occidentale umano fa rivoluzioni (e certamente ne far anche in futuro, alla faccia di postmoderni e proceduralisti liberali), mentre le termiti nel termitaio non ne faranno mai. La storicit, o pi esattamente la coscienza storica, non  un dato. Precisiamo: la storicit muta  un dato, ma la coscienza storica  un risultato.  questo un possibile criterio di ricostruzione dell'intera storia della filosofia occidentale dagli antichi greci ad oggi, pro- babilmente migliore del vecchio criterio aristotelico (certamente grande ai suoi tempi, ma oggi a mio avviso sorpassato, e sorpassato proprio in forza del principio della coscienza storica), secondo cui i suoi predecessori furono classificati in base alla loro preferenza per una delle quattro cause (materiale, formale, efficiente e finale). E dal momento che delle quattro cause elencate la causa materiale viene per prima, ne consegue che i filosofi trattati per primi (Talete, Anassimene, eccetera) sono quelli che si sono concentrati sulla causa materiale principale (acqua, aria, eccetera). A distanza di duemila e quattrocento anni, i manuali di storia della filosofia iniziano con Talete, ed in questo modo gli studenti si con- vincono che la filosofia nasca con l'indagine delle cause materiali, generalmente chiamata (in modo del tutto scorretto) passaggio dal mythos al logos. Si crea cos una vera e propria grande narrazione positivistica, iniziata con Talete e finita (provvisoriamente) con la signo- ra Rita Levi Montalcini. Su queste basi, diventa inevitabile la formazione di una visione del mondo di tipo scientifico, in cui alla filosofia viene assegnato il regno delle chiacchie- re inutili ed opinabili, ed alla scienza il regno delle cose serie, calcolabili e dimostrabili, ma soprattutto utili. Nel prossimo primo capitolo vedremo che le cose non stanno esatta- mente cos, e lo vedremo proprio sviluppando il tema della storicit delle societ umane. Rifiuteremo, ovviamente, anche il vergognoso modello veicolato oggi dalle due principali strutture culturali egemoniche (il circo mediatico ed il clero universitario, che  sempre clero, anche e soprattutto quando appare in superficie laicizzato e secolarizzato), per cui l'umanit va dalle caverne alla globalizzazione capitalistica, e cio dalla fusione di macro- cosmo naturale e di microcosmo sociale fino al disincanto generalizzato verso le grandi narrazioni (traduzione in linguaggio comune: le intenzioni rivoluzionarie di sostituire ad una societ classista una societ senza classi). L'uomo, si  detto,  un ente storico. Ma non mi accontento certamente di un'antropo- logia filosofica che riduce luomo alla sua storicit, soprattutto quando la storicit diventa una sorta di divinit idolatrica che occupa tutto lo spazio filosofico culturale esistente. La storicit senza fondazione ontologica si identifica di fatto (al netto di distinzioni sofistiche per esperti) con il relativismo dei valori, ed il relativismo dei valori non  che la manife- stazione superficiale del nichilismo. Appunto perch il Nulla  Nulla, tutto di conseguen- za diventa relativo. Sono presenti oggi in ambito postmoderno posizioni che definirei di nichilismo tranquillizzante. La loro base sta in ci, che ormai la societ  vista come un insieme di individui originari irrelati fra loro, o meglio messi in relazione reciproca soltan- to da procedure di convivenza. La visione del mondo ideale per una societ ricca, sia pure inquietata da aspettative decrescenti per giovani disoccupati, flessibili e precari. Si d il caso che questa societ sia assediata dai 9/10 di un'umanit dolente che preme contro le mura di questa oasi di benessere (largamente artificiale, perch fondata su rapporti econo- mici e soprattutto militari). Questa umanit dolente si muove in base a visioni del mondo non proceduralistiche, ma contenutistiche, il cui contenuto  una richiesta di eguaglianza, 5 CosTANZO PREVE sia pure spesso espressa in un modo che i sofisticati proceduralisti chiamano fondamen- talistica. L'uomo, quindi,  un ente storico, senza che questa connotazione debba essere letta su- bito in termini di storicismo relativistico. Il pur benemerito marxismo storico novecentesco (da non confondere e da distinguere accuratamente con il pensiero marxiano originario)  morto proprio di storicismo relativistico, e chi pensa sinceramente di poterlo rilanciare con lo stesso codice storicistico e relativistico  a mio avviso un vero idiota (ed in questo caso non vedo perch dovrei usare un educato termine accademico). Ci vorr una nuova base filosofica che sostituisca il vecchio storicismo relativistico, e questa sar probabilmen- te una versione dellontologia dell'essere sociale. In proposito, considero storicamente be- nemerita la versione datane dal vecchio Lukcs (morto nel 1971), che nello stesso tempo valuto come corretta e volenterosa, ma anche largamente incompleta. Ho quindi rilevato la sostanziale correttezza, ma anche l'insufficienza, del termine di uomo come ente storico. Penso che si possa partire dalla concezione tipica della antropo- logia marxiana, quello di uomo come ente naturale generico (Gattungswesen). Trascuro qui i problemi filologici, ed anche il problema della corretta traduzione in lingua italiana del termine Gattungswesen. Rifiutando radicalmente la distinzione althusseriana fra un Marx giovane, filosofo idealista dellalienazione (e quindi anche dell'ente naturale generico) ed un Marx maturo, scienziato materialista dei modi di produzione senza pi presupposti filosofici umanistici (distinzione che mi affascin in giovent, ed il cui abbandono integra- le considero una delle mie vittorie filosofiche personali pi feconde e proficue), credo che potremo iniziare questo saggio proprio con l'elaborazione sistematica dei tre termini, che scrivo ora separati da un trattino (ente-naturale-generico) proprio per poterli analizzare meglio separatamente. Dicendo che luomo  un ente, diciamo subito che non  un Essere (con la maiusco- la). Purtroppo, non sono due termini che derivino direttamente dal linguaggio comune, e sarebbe invece meglio che lo fossero, in modo che il cuore della questione venisse capito subito anche da chi non dispone di una specifica competenza nella terminologia filosofica.  curioso che Adorno abbia a suo tempo svolto un corso sfociato poi - dopo la sua morte  in un saggio intitolato Terminologia Filosofica, in cui  con il suo solito spirito corrosivo (e sottilmente nichilista) - sosteneva che la terminologia filosofica in quanto tale era una trap- pola per i gonzi, accecati da paroloni incomprensibili. Naturalmente, non  affatto cos. La terminologia filosofica, lungi dall'essere un inganno aristocratico per pochi,  la cosa pi democratica che esista, perch permette potenzialmente a tutti di impadronirsene, purch si paghino ovviamente i modesti prezzi dello studio e della concentrazione. Dicendo che luomo  un ente, e non un Essere, mostriamo subito di aver capito il punto essenziale, e cio che luomo non pu autodefinirsi da solo, ma pu farlo soltanto in rapporto a qual- cos'altro, e questo qualcos'altro (l'essere, appunto) pu essere una divinit (il Dio mono- teistico delle religioni monoteistiche che hanno sostituito in gran parte del mondo i poli- teismi naturalistici precedenti, spesso inglobandoli e sottomettendoli e non semplicemente cancellandoli), oppure una comunit umana veramente definita. La stessa definizione di Heidegger, per cui luomo  un ente alla luce dell'Essere, non  affatto cattiva, sia pure declinata in modo non storico e destinale-profetico, per il fatto che almeno presuppone 6 Le avventure della coscienza storica occidentale lEssere, e non cade nella stupidaggine, prima sartriana e poi postmoderna, per cui lEssere non esiste, o perch si  consumato nella storia (Vattimo), o perch nel pensiero post- metafisico  diventato pura procedura senza base ontologica (Habermas), o perch dopo Kant e lIlluminismo settecentesco  diventato un residuo metafisico indimostrabile dalla scienza moderna, vista come unica forma di conoscenza valida e legittima (razionalismo laico, positivismo, eccetera). Definire luomo come ente in rapporto ad un essere pu essere declinato in tre distinti modi. Primo, che lessere non esiste, e che quindi lente storico  l'essere ontologico di se stesso, posizione che fu elaborata per prima dai sofisti greci, entr in letargo nella societ cristiana medioevale, rinacque con lateismo settecentesco e trov infine in Nietzsche il suo vero sistematizzatore, in quanto luomo diventa un atomo di volont di potenza senza alcuna base ontologica (e quindi comunitaria, non essendo altro lontologia che la base razionale della comunit), retto unicamente da una logica di accrescimento della volont di potenza stessa. La sostituzione di Nietzsche a Hegel (e quindi a Marx, perch un Marx nietzschiano  una impossibilit logica e storica)  appunto la base filosofica di tutto il pen- siero postmoderno. In secondo luogo, lEssere esiste, ma si identifica appunto con Dio, o meglio con una divinit trascendente rivelatasi attraverso libri sacri (e sacralizzati), che si tratterebbe allora di interpretare correttamente (ermeneutica religiosa), visto che Dio non  disponibile per consulenze decisive. In questo modo lattivit filosofica diventa unermeneutica dipenden- te da testi essi stessi sottratti all'indagine veritativa (perch presupposti come veritativi a priori sulla base del loro carattere sacro), lontologia diventa necessariamente teologia, ed il risultato  una onto-teo-logia. Ancora una volta, Heidegger ha saputo trovare il termine giusto per designare questa posizione.  il caso, ovviamente, delle tre religioni monoteisti- che ebraica, cristiana e mussulmana. In terzo luogo (e questa  ovviamente la mia posizione, per nulla originale, ma derivata dai tre grandi idealisti tedeschi Fichte, Hegel e Marx, al di l di come quest'ultimo venga connotato dalla manualistica corrente e dalla maggioranza dei suoi interpreti) lEssere  identificato con il processo storico, il teatro in cui si svolge lauto-apprendimento del gene- re umano.  evidente che questo approccio esclude sia il riferimento alla rivelazione divina (Essere = Dio), sia il riferimento al nichilismo storicistico (Essere = Nulla). Questo non significa che si debba ad ogni costo mettere un segno di eguaglianza fra le due posizioni precedenti. Personalmente, non mi riconosco in nessuna delle due, ma non vi metto asso- lutamente un segno di eguaglianza. La posizione religiosa  immensamente migliore della posizione nichilistica. Almeno la posizione religiosa ammette lesistenza di una differenza fra l'ente e l'essere stesso, mentre la posizione ateo-nichilistica identifica l'essere e lente sotto il segno dellassolutezza dellente, con la conseguenza inevitabile della sacralizza- zione dell'individuo svincolato da ogni legame (la posizione modernamente sviluppata da Stirner, e non  un caso che Marx vi abbia dedicato per criticarla gran parte della sua Ideologia Tedesca, che non deve essere vista althusserianamente come lopera della rottura epistemologica, ma come lopera della liquidazione teorica di Stirner, e pertanto parados- salmente come unopera di riavvicinamento oggettivo a Hegel, al di l dellirrilevante superficie dei termini polemici). Costanzo PREVE La dipendenza dell'ente dall'essere, comunque la si voglia declinare, comporta la collocazione dell'essere nella sfera naturale. Se infatti l'ente umano  un ente naturale (e certamente lo ), bisogner esaminare accuratamente e spregiudicatamente in che senso propriamente lo . Dal momento che gran parte dei fraintendimenti in proposito deriva- no proprio dall'essere passati troppo velocemente su questo tema (luomo come essere naturale), non sar certamente spazio sprecato dedicarci una pur sommaria riflessione, per cui dopo potremo procedere pi speditamente. Il fatto che luomo sia antropologicamente un essere naturale  paradossalmente lunico elemento comune sia alle teologie creazionistiche dei tre grandi monoteismi religiosi sia agli scienziati evoluzionisti darwiniani, in generale laicizzati e completamente atei (atei nella forma materialistica europea o nella forma ipocrita ed educata dell'agnosticismo anglosassone). Per il creazionismo (parlo solo di quello cristiano, sugli altri due non mi pronuncio per incompetenza specialistica) luomo  un ente naturale, in quanto inseri- to e voluto da Dio nel gran disegno della natura, o meglio del riscatto della natura. Qui certamente la teologia cristiana si impiglia in insanabili contraddizioni (almeno a mio pa- rere), perch da un lato luomo  stato creato a immagine e somiglianza di Dio ( questo un punto cui a mia conoscenza nessuna teologia ha mai rinunciato, pena la caduta nello gnosticismo), e dall'altro  decaduto nel peccato originale, cosa che Dio non avrebbe mai fatto, il che comporta la pacata conseguenza che evidentemente Dio non ha fatto luomo al cento per cento a sua immagine e somiglianza. Si risponde in genere da parte dei teologi a questa ragionevole obiezione che Dio ha creato luomo dotandolo di libero arbitrio, ed  proprio il dono del libero arbitrio che ha permesso la caduta e il peccato originale. Sar magari cos, ma dal momento che  innegabile che Dio, in base alla sua prescienza, non poteva non sapere in anticipo che cosa Adamo ed Eva avrebbero fatto, appare evidente che questo libero arbitrio  un dono fittizio, in quanto incompatibile con la predestinazione divina.  questa la ragione per cui la teoria della grazia del retore intollerante Agostino ha avuto tanto successo, e per cui Lutero e Calvino sono stati indubbiamente pi rigorosi razionalmente dei cattolici, ivi compresi i gesuiti. Ho voluto intenzionalmente lasciarmi andare ad un minimo (sorvegliato) di teologia popolare, per mostrare come il creazionismo non deve soltanto affrontare una lotta impari e destinata alla sconfitta con il pi credibile evoluzionismo scientifico darwiniano, ma deve anche tener conto di alcune contraddizioni logiche interne al suo modello esplicativo del mondo. Dio avrebbe cos creato una natura gi potenzialmente decaduta, e non si vede bene come questa natura decaduta, sia pure dopo l'intervento di Ges di Nazareth (che non avrebbe per abolito il peccato originale, a meno che si gettino via le Scritture Ebraiche, erroneamente definite Antico Testamento, per lasciar soltanto i Vangeli  cosa che per altro io farei se fossi un consulente esterno a contratto), possa farsi portatrice di un complessivo disegno divino di salvezza. Abbandono qui la scatola dei giochi del piccolo teologo fai-da-te, che ho aperto soltanto per mostrare provocatoriamente che tutti hanno diritto al libero ragionamento teologico, e non solo i teologi ufficiali sponsorizzati dalle varie chiese, come se la teologia fosse una disciplina organizzata e organizzabile da istituzioni monopolistiche di cosiddetti esper- ti. In ogni caso, ripeto che sull'uomo come ente naturale concordano tutti, dai teologi creazionisti agli scienziati evoluzionisti. Questi ultimi insistono sul carattere autopoietico 8 Le avventure della coscienza storica occidentale della materia in movimento, che ha a disposizione milioni di anni per fare esperimenti, dai primi protozoi (il brodo primordiale di un famoso divulgatore televisivo italiano) allhomo sapiens, preferibilmente bianco, anglosassone e titolare di pacchetti azionari, quin- di vertice del processo dell'evoluzione. Oggi i gruppi intellettuali orfani di Marx e del co- munismo storico novecentesco, che la moda universitaria riduce oggi (ma domani chiss?) a totalitarismo utopistico, si sono buttati avidamente su Darwin, visto come il grande Papa Ateo della Scienza. Stando cos le cose, confesso la mia (moderatissima) preferenza verso il creazionismo, non certo perch ci creda (considero infatti molto pi plausibile levolu- zionismo, of course), quanto perch se devo credere nellindimostrabile Big Bang tanto vale allora credere in Dio. Spero che il lettore non mi accusi di irrazionalismo, ma anche se lo facesse ammetto che questo non mi farebbe n caldo n freddo. L'uomo  quindi certamente un ente naturale. Ma detto questo non abbiamo ancora det- to niente di preciso. Questo ente naturale  infatti anche un ente storico, ed allora cosa si- gnifica storico-naturale? Significa forse che esistono leggi comuni allo sviluppo naturale ed allo sviluppo specificatamente storico-naturale? Il famoso (e pi stupido che famigerato) materialismo dialettico sovietico lo ha sostenuto, sulla base di innocui quaderni di appunti di Engels concepiti per uso personale e mai pubblicati. Questa naturalizzazione del pro- cesso storico, assimilato analogicamente ad un processo di storia naturale (Naturprozess), era necessaria per ragioni ideologiche di compattamento del popolo dei militanti comu- nisti, convinti cos di nuotare secondo la corrente non solo della storia, ma anche della natura. Alla luce della storia della filosofia occidentale, si  trattato di uno strano incrocio far la mentalit positivistica ottocentesca (abbasso la filosofia, opinabile e soggettiva, e viva la scienza, dura come una roccia!) e l'eredit secolarizzata della predestinazione calvinista, in cui la Storia illuminista sostituiva semplicemente la Divinit monoteistica tradizionale. Ma lasciamoci alle spalle questo pittoresco residuo del secolo passato, ed affrontiamo invece il cuore del problema antropologico dell'ente naturale, che  quello della famosa natura umana. Che luomo appartenga alla natura  un dato di fatto. Il fatto che esista o meno una natura umana, invece, non  un dato di fatto, ma  un oggetto di polemica scientifica e filosofica. Il pensiero filosofico greco non ha mai avuto dubbi sul fatto che esistesse una natura umana comune a tutti gli uomini, e che fosse possibile determinarne con sufficiente pre- cisione le caratteristiche principali. Ma di questo mi occuper in modo pi articolato nel prossimo capitolo. A mio avviso lumanesimo del pensiero filosofico greco, studiato da Luca Grecchi, si basa anche e soprattutto su questa idea-forza. Certo, il pensiero greco  pienamente cosciente del fatto che i diversi popoli hanno usi diversi ed anche opposti (pensiamo ad Erodoto che nota che alcuni popoli seppelliscono i loro morti ed altri invece addirittura li mangiano per evitare che siano mangiati dai vermi), ma questa variet di usi e di comportamenti non comporta l'inesistenza della natura umana. Alla base c' la totale estraneit dei greci alle modalit del pensiero moderno kantiano e neo-kantiano, ed al fatto che per loro le categorie ontologiche e le categorie gnoseologiche coincidono perfettamen- te. Lungi dall'essere ingenua questa posizione  esatta e sensatissima (ed infatti verr ripresa integralmente da Hegel e da Marx, pensatori non certamente ingenui), laddove l'eccezione kantiana deriva dalla contingente necessit di confutare le prove dellesistenza 9 CostTANZzo PREVE di Dio, e l'eccezione neo-kantiana dalla necessit, determinata dal nuovo sapere universi- tario politicamente neutrale ed innocuo, di ridurre la filosofia a pura teoria della conoscen- za, teologia del capitalismo (Lukacs) e scienza per nullatenenti (Colletti). La posizione del pensiero filosofico greco, per cui non solo esiste la natura umana, ma addirittura essa  al centro dell'indagine filosofica (il delfico e socratico conosci te stes- so gnothi s'eautn), passer nellessenziale al posteriore pensiero filosofico cristiano, ed anzi costituir sempre unovviet fino a Kant e al neokantismo. L'attuale papa tedesco Ratzinger lha riportata al centro dellantropologia filosofica cristiana, e questo non pu che suscitare l'approvazione anche di chi (come  il mio caso) non si riconosce nella sua teo- logia creazionista rivelata. In ogni caso, data la centralit dellesistenza della natura umana (base del carattere naturale dell'ente umano), pu essere interessante segnalare le ragioni di chi ritiene utile ed anzi indispensabile negarla. Come ho appena rilevato (ma  indispensabile ripeterlo fino alla noia) il pensiero filoso- fico greco dava assolutamente per scontato che esistesse una natura umana. E questo non solo per la sua origine delfica, non a caso pienamente rivendicata da Socrate, ma anche e soprattutto perch la nozione di natura umana era considerata come il riferimento norma- tivo fondamentale per la direzione della stessa comunit umana, sociale e politica. Ed in effetti, in mancanza di una normativit basata (esplicitamente o implicitamente) su di una filosofia della storia, che come vedremo pi avanti insorge soltanto nel contesto della mo- dernit borghese-capitalistica, il riferimento normativo naturale restava lunico possibile, tanto pi in assenza manifesta di libri sacri rivelati la cui interpretazione fosse monopolio di uno specifico clero sacerdotale. In epoca cristiana la normativit in ultima istanza passa dalla natura umana interpretata filosoficamente (e quindi liberamente) a Dio, ma essendo Dio creatore e regolatore della stessa natura umana, di fatto il fondamento normativo resta, sia pure sequestrato da un clero specializzato e titolare monopolistico dell'unica corretta interpretazione. La svolta avviene con David Hume. Come  noto, egli definisce la natura umana in ter- mini di naturalit dello scambio e di attitudine psicologica alla anticipazione dei reciproci desideri (del venditore ma soprattutto del compratore, di cui il venditore anticipa men- talmente i bisogni e la stessa potenziale solvibilit monetaria). Siamo cos di fronte al primo progetto sistematico e filosoficamente giustificato di auto-istituzione della societ (ovvia- mente, della sola societ borghese-capitalistica). Auto-istituzione significa soprattutto su- peramento di ogni etero-istituzione. Nel caso di Hume le precedenti etero-istituzioni erano sostanzialmente tre: l'istituzione religiosa, ma Hume  scettico nei confronti dellesistenza di Dio, e connota lo stesso deismo razionalistico, la variante preferita dagli stessi illuministi volterriano-massonici, come superstizione degli intellettuali; l'istituzione filosofica, attra- verso la teoria dei diritti naturali delluomo, di cui Hume nega recisamente lesistenza, e soprattutto la dimostrabilit; infine, l'istituzione politica, e cio il contratto sociale, di cui Hume vede genialmente la potenziale pericolosit sociale rivoluzionaria (e qui si consuma la sua rottura con Rousseau, che i manuali di storia della filosofia attribuiscono in generale alle nevrosi e allisterismo del ginevrino). La teoria della natura umana, che nei greci era la base per la normativit della comunit sociale, e non certo dell'individuo robinsoniano slegato da ogni dovere sociale, diventa in 10 Le avventure della coscienza storica occidentale Hume la giustificazione naturalistica dello scambio capitalistico come manifestazione storica dell'essenza delluomo. Non possiamo allora stupirci se, con il tramonto del vecchio giusnaturalismo, consumatosi con la decapitazione del virtuoso Robespierre nel 1794, si faccia strada una tendenza a negare la stessa esistenza della natura umana, riducendola ad un dato sociologico, e cio all'insieme dei rapporti sociali di produzione di volta in volta esistenti nella storia. La causa delle classi oppresse e dominate, difesa nel medioevo dal messianesimo pauperistico ed allinizio dell'et moderna (e fino ovviamente a Rousseau ed a Robespierre compresi) dal diritto naturale rivoluzionario, passa ad una sorta di so- ciologismo storicistico senza basi filosofiche: la natura umana non esiste,  un'invenzione delle classi dominanti, esiste solo la lotta di classe nel rapporto di produzione, che produce differenti nature umane. Questo errore, che Fichte ed Hegel non fecero, lo fece parzialmente Marx, che per oscil- l parzialmente fra una negazione della natura umana (Tesi su Feuerbach) ed il suo implicito riconoscimento nella sua filosofia della storia, che cercher di ricostruire pi avanti. Pi tardi, gli antropologi ed etnologi, in genere non solo filosoficamente analfabeti ma anche odiatori della filosofia in quanto tale, considerata come chiacchiera metropolitana men- tre essi lavorano sul campo con primitivi vari, approdano ad un relativismo integrale, cadendo in un errore in cui i greci non sarebbero mai caduti, in quanto i greci, come ho rilevato in precedenza, sapevano bene che gli usi dei popoli erano diversi, ma la natura umana restava la stessa. Infine, in piena epoca postmoderna (che definir pi avanti come epoca delloccidentalismo senza coscienza infelice), la polemica contro la natura umana verr fatta in nome del pensiero debole, e cio del pericolo della sua pretesa normativit nei confronti dei differenziati stili di vita minoritari ed anticonformisti, per cui a poco a poco lanticonformismo ostentato diventer una sorta di conformismo prescrittivo gestito simbolicamente dalla casta degli intellettuali. L'uomo  quindi un ente storico ed un ente naturale. Egli  anche un ente generico, in quanto non specifico, e cio non programmato a priori dalla sua informazione geneti- ca (come appunto capita alle societ gregarie delle api, delle formiche e delle termiti). In sintesi, l'essere umano generico  la sintesi indissolubile ed inestricabile di naturalit e di storicit. Esiste allora una storicit specifica di questo intreccio di naturalit e di storicit. In que- sta ottica, ogni ricostruzione della storia della filosofia  anche una ricostruzione della fi- losofia della storia.  esattamente quella che tenter nei prossimi quattro capitoli, dedicati rispettivamente ai greci, alla civilt cristiana medioevale, alla cosiddetta modernit (ter- mine che non amo, anzi aborro per la sua ambiguit, ma che mi trovo purtroppo davanti come un masso), ed infine alla postmodernit in cui mi  dato passare gli ultimi anni della mia vita, e che considero con disprezzo, in termini fichtiani, come un'epoca della compiuta peccaminosit. Anticipo qui brevemente alcuni temi che svilupper, perch credo nelleffi- cacia dellanticipazione e della ripetizione. Il grande pensiero filosofico classico  caratterizzato dalla incorporazione della coscien- za storica (gi allora esistente, se pure non certo nella forma moderna) nel modello nor- mativo della natura ricostruita idealmente come canone (nomos, logos) della buona vita della comunit. A mio avviso, questo non comporta ancora una vera e propria filosofia 11 CostTANZo PREVE della storia, perch lo scorrimento della temporalit non  ancora visto come il teatro del- la costruzione dialettico-veritativa delluniversalit della verit (in cui ovviamente i greci non solo credevano, ma intendevano come premessa e nello stesso tempo finalit della filosofia). Il grande pensiero cristiano medioevale (coni suoi palesi difetti, immensamente supe- riore alla miseria scettica dellattuale postmoderno) non era affatto caratterizzato in prima istanza dal messianesimo escatologico (pur presente, ma a mio avviso marginale e non primario), ma da un assorbimento mistico della coscienza storica nella sacralizzazione simbolica del mondo. Questo permette a Dante di trattare Virgilio come se questultimo fosse stato un suo contemporaneo. In genere questo atteggiamento viene sbrigativamente bollato di destoricizzazione. E tuttavia la coscienza storica non sparisce certamente (co- munque, molto meno che nellorrendo postmoderno), ma viene riassorbita in una pienezza temporale del presente, caricato di simboli e di allegorie. Il pensiero cosiddetto moderno (ma non esiste affatto omogeneit fra il periodo che va da Cartesio a Kant, e cio il periodo della costituzione formalistica ed astratta del sog- getto, ed il periodo caratterizzato dai tre grandi idealisti successivi Fichte, Hegel e Marx)  invece il periodo in cui lo sviluppo della coscienza storica appare come costituente del significato dello sviluppo universale e veritativo del genere umano. Ed infine, il periodo cosiddetto postmoderno, che definir come il periodo della globa- lizzazione di un occidentalismo senza coscienza infelice, vede l'annullamento (0 meglio, speriamo, il tentativo di annullamento) della coscienza storica, che il periodo precedente aveva bene o male messo al centro dell'attenzione filosofica, in una desolata metafisica del presente integralmente destoricizzato e frantumato. Questo quadro di massima, ovvia- mente, verr indagato nel quinto ed ultimo capitolo con maggiori dettagli. Nell'ottica da me scelta, una vera e propria filosofia della storia si sviluppa soltanto nell'et moderna (comunque post-cartesiana e post-kantiana), in quanto soltanto in essa la temporalit  ontologicamente ed assiologicamente costitutiva. Nel periodo greco, in quello cristiano-medioevale ed ovviamente in quello attuale postmoderno non esiste in- vece una vera e propria filosofia della storia. E tuttavia, soltanto lultimo periodo merita l'appellativo fichtiano di epoca della compiuta peccaminosit. Come si vede, la filosofia riprende il suo insindacabile diritto di giudicare il suo tempo storico, uscendo dalle pastoie della citatologia ossessiva ad uso di concorsi universitari (comunque ed in ogni caso truccati e lottizzati). 12 Le avventure della coscienza storica occidentale 2. IL PENSIERO GRECO CLASSICO. L'INCORPORAZIONE DELLA COSCIENZA STORICA NEL MODELLO NORMATIVO DELLA NATURA RICOSTRUITA IDEALMENTE COME CANONE DI RIFERIMENTO DELLA VITA DELLA COMUNIT SOCIALE UMANA Secondo Dumzil, la societ indoeuropea  caratterizzata da una sorta di trifunzionali- smo, ad un tempo simbolico e sociale, in cui convivono le tre funzioni della sovranit, della forza fisica e della fecondit. Il dominio simbolico del numero tre sugli altri numeri non caratterizza certamente soltanto quel popolo indoeuropeo che i romani chiamarono poi greco dal probabile nome di un fiumicello epirota, ma indubbiamente nella cultura greca posteriore ellenica il numero tre  ossessivamente presente, dalle tre anime di Platone alla costituzione triadica della sua polis ideale fino alla benedetta e mai abbastanza lodata ed ammirata ellenizzazione del cristianesimo che trasform il rigido monoteismo ebraico in un trinitarismo dialettico, in cui Hegel (ma non soltanto lui, per fortuna) vede la specificit del cristianesimo. Il cristianesimo, infatti, non  un monoteismo puro e semplice, ma  un monoteismo trinitario, anche se il suo clero occidentalizzato e carolingio fa tutto il possibile per non farlo capire ai suoi stessi fedeli. In quanto indoeuropei, i greci sono originariamente venuti da fuori, e sono giunti in Grecia come conquistatori, sovrapponendosi ai popoli originari (Pelasgi, eccetera) ed as- sorbendoli gradualmente. Il primo problema dei conquistatori, una volta impadronitisi delle cose, dei beni e delle persone dei vinti (in questo senso la figura hegeliana della na- scita del dominio e della sottomissione del servo al padrone rispecchia probabilmente un fatto realmente avvenuto agli albori della grecit),  quello di dividersi secondo regole certe le spoglie del vinto, ed in particolare le sue terre. Ma dividersi in greco si dice nemein, da cui nomos (legge, regola). Prima di ogni altra cosa, il nomos  nomos del nemein, cio della corretta divisione. La civilt greca nasce certamente da una usurpazione, come peraltro tutte le civilt militari antiche (nel Medio Oriente persiano i greci non erano visti come popolo colto di filosofi ed artisti, ma come popolo di medici e di buoni guerrieri), ma da una usurpazione che si pone subito il problema della legalizzazione della divisione, e cio del nomos del nemein fra i guerrieri maschi. I greci si posero quindi precocemente il problema di evitare le zuffe fra guerrieri (non a caso lIliade di Omero inizia con un contrasto fra Achille ed Agamennone per un bottino di guerra, in questo caso per una fanciulla troiana prigioniera). L'evitare la zuffa continua, il polemos di tutti contro tutti,  quindi linizio ideale del pensiero filosofico greco, e di come il nomos possa evitare la zuffa disordinata per il nemein del guerriero indoeuropeo, la cui ten- denziale omosessualit era probabilmente derivata dal periodo in cui i gruppi di giovani guerrieri abbandonavano gli insediamenti originari (steppe russe, zone ipererboree, Asia centrale?  lo lascio agli specialisti come Haudry) e vivevano per anni fra di loro, con pro- babili adozioni da parte degli adulti verso i giovani, il che non implicava affatto necessaria- mente la penetrazione (vedi in proposito l'intervento di Pausania nel Convito di Platone). All'origine, quindi, c' il nomos del nemein. Ma il nomos del nemein  appunto il logos, erroneamente tradotto esclusivamente come parola pubblica e ragione comunicativa (logon didonai), laddove si trattava sopra ogni altra cosa di calcolo in vista della corretta distribu- 13 CostTANZzo PREVE zione e ripartizione. Certo, il termine logos assumer certamente pi avanti il significato di parola pubblica (da cui dia-logos, che passa dall'uno allaltro), e da qui di ragione che appunto d ragione di quanto afferma (appunto, logon didonai), ma all'origine il logos (da cui il verbo loghizomai, calcolo)  soltanto il calcolo della buona divisione del nemein. In ul- tima istanza, il logos ed il nomos coincidono. La legge pubblica deve prima di tutto regolare che il nemein non si trasformi in zuffa. E la zuffa nasce soprattutto quando qualcuno vuole prendersi tutto oltre a ci che gli spetta, e cio non vuole impadronirsi del limitato, ma dellillimitato (e cio, in greco, dellapeiron). Non esiste in greco un termine per indicare la societ in senso moderno, perch per i greci la societ pensabile e praticabile  una comunit (koinn, koinonia). Una comunit sen- za nomos, quindi,  minacciata dalla dissoluzione (phthor). Il come evitare la dissoluzione, ed il come porvi in qualche modo un freno (katechon) non  allora soltanto uno dei tanti elementi costitutivi del pensiero greco, ma ne  l'elemento fondamentale ed il principio, larch. Non a caso, il termine principio  anche il termine che indica il potere ed il dominio, in quanto il potere ha come compito massimo e principalissimo, e praticamente unico, quello di salvaguardare il fondamento (arch) del mantenimento della comunit (koinonia). La comunit, per mantenersi, deve soprattutto salvaguardare tre caratteristiche essenziali: la misura (metron), che  ad un tempo misura fra le componenti psicologiche dell'anima e le componenti sociali della citt; l'equilibrio (isorropia), che  anch'esso equilibrio fra le componenti dell'anima e le componenti della comunit; ed infine la concordia fra i cittadini (omonia), che viene garantita attraverso l'eguaglianza dei diritti (isonomia) e leguale acces- so al discorso pubblico (isegoria). Mi sono permesso di ripetere quello che dovrebbe essere ben noto a qualsiasi princi- piante dello studio della civilt greca classica, ma che non lo  per nulla, ricoperto prima del neoclassicismo, poi dalle stupidaggini del dilettante Nietzsche (i greci erano meravi- gliosi pigri contemplativi mantenuti dal lavoro di schiavi), ed infine dal chiacchiericcio sinistrese politicamente corretto (i greci avevano schiavi ed emarginavano le donne e gli stranieri). Sui greci sono state deposte tonnellate di polvere, in modo che effettivamente, bench i tratti generali della loro societ siano relativamente chiari (a chi vuol conoscerli, naturalmente, non certo ai turisti per caso, ai crocieristi, ai manigoldi e ai maramaldi), bi- sogna prima togliere questa polvere, e poi rifletterci su. Come si noter agevolmente, in questo quadro c' posto soltanto per una storia come racconto (mythos), e quindi per una storia non ancora unificabile in una filosofia della sto- ria universalistico-veritativa come costituzione temporale della verit stessa intesa come autocoscienza-per-s dell'umanit (il concetto hegeliano, Begriff, che non significa catego- ria conoscitiva o contenuto di coscienza, ma significa autocoscienza libera del soggetto), ed allora soltanto per un insieme di differenti storie (la storia delle guerre persiane in Erodoto, la storia della guerra del Peloponneso in Tucidide, eccetera). La vera normativit della vita comunitaria non  infatti cercata dai greci nella storia, ma nella natura. La numerologia sacra pitagorica, lungi dall'essere una curiosit orientale (come dicono alcuni manuali, che Dio li perdoni!), corrisponde invece interamente allo spirito greco, ed a come portare avan- ti il logos (calcolo), il corretto nomos del nemein, in modo da ottenere alla fine lomonia dei cittadini attraverso lisorropia, e quindi l'applicazione sistematica del metron. 14 Le avventure della coscienza storica occidentale In questo quadro relativamente stabile e chiaro irrompe un principio disgregatore rela- tivamente nuovo e prima del tutto inesistente, e cio la moneta coniata, giunta dalla Lidia di Creso prima allantistante isola di Chio e poi ad Egina, la pi grande delle isole del golfo Saronico, quello su cui si affaccia lAttica, e quindi Atene. La moneta coniata porta con s inevitabilmente la propriet privata, laccumulazione di beni monetari, la dismisura delle ricchezza (apeiron), ed infine, ciliegina sulla torta del classismo, la schiavit per debiti. La schiavit per debiti  per sua propria natura l'elemento determinante per la dissoluzione della polis, e di qualunque polis, ed in questo senso (ma solo in questo) Solone di Atene  il primo vero filosofo, il quale anzich porsi lirrilevante e secondario problema se il mondo sia derivato da un principio liquido (Talete) o gassoso (Anassimene), si  posto il ben pi importante e fondamentale problema di come imporre una legislazione (nomoi) che im- pedisse la schiavit per debiti. Soltanto uno sciocco privo di consapevolezza storica pu veramente pensare che la questione dellacqua o dellaria sia pi importante di quel vero e proprio atto fondativo della filosofia occidentale che fu l'intervento di Solone contro la schiavit per debiti. Si dir che  stato Aristotele a porre le basi di questa follia, classificando i filosofi pri- ma di lui in base alle quattro cause originarie (materiale, formale, efficiente, finale). Ma si dimentica di aggiungere che Aristotele vive pi di trecento anni dopo l'introduzione ad Atene della schiavit per debiti, non  pi in grado di ricostruirne la genesi, afferma in modo (a mio avviso incongruo) che essa nasce dalla meraviglia (thaumazein, tralascio qui i diversi significati del verbo, campo di esercitazione per confusionari e chiacchieroni), anzi- ch dalla necessit di frenare (katechon) la dissoluzione della comunit (koinonia), ed in ogni caso il suo problema non  fornire una teoria della genesi della filosofia, ma semplicemente ricordare le soluzioni metafisiche precedenti per far emergere in modo contrastivo la sua propria soluzione (Sostanza, Materia e Forma, Atto e Potenza, eccetera). Ma torniamo ai nostri veri greci, non a quelli dei manuali inutili e fuorvianti. La nota critica di Aristotele alla teoria delle idee di Platone (peraltro anticipata dallo stesso Platone nei dialoghi cosiddetti dialettici)  prima di ogni altra cosa una critica alla numerologia pitagorica, e pertanto una critica alla geometrizzazione della filosofia politica, che infatti Aristotele ricostruisce su basi completamente diverse, non numerologiche, ma fondate sul nesso fra potenza ed atto applicata alla societ. E tuttavia anche in Aristotele ad essere nor- mativa  sempre la natura, e non certo la storia intesa come accrescimento della coscienza sociale attraverso lo svolgimento dialettico della temporalit costituente della verit. Per Aristotele (cos come per gli aristotelici medioevali cristiani e per i successivi fautori del materialismo dialettico sovietico) la verit  corrispondenza con un dato esterno, e per lui il dato esterno non  ovviamente il Dio cristiano o la Materia di Engels e di altri confusionari positivisti, ma  la buona vecchi Natura (physis). La quale, derivando dal verbo phyo (cre- scere), ha in se stessa il principio evolutivo autopoietico di sviluppo, che per non  caotico e tantomeno aleatorio, ma  retto dalla regolarit interna del passaggio dalla potenza (dynamis) all'atto (energheia). In linguaggio aristotelico, possiamo dire che la numerologia pitagorica e platonica era la causa formale della costituzione della polis ideale, ed  chiaro (almeno a me) che la po- lemica insistita di Aristotele verso la teoria delle idee era soprattutto una polemica con- 15 CostTANZO PREVE tro le Idee Numeri, e cio contro la costituzione politica della polis sulla base di rapporti geometrici fra numeri (nello stesso modo, mutatis mutandis, per cui la polemica di Hume contro la causalit necessaria era in realt una mascherature della sua polemica contro la costituzione della societ in base alla causazione del contratto sociale). Ma Aristotele ab- bandona interamente la prospettiva della decisivit della causa formale (inscindibile dalla numerologia geometrica pitagorica e platonica) per accedere alla decisivit della causa fi- nale. E la causa finale per Aristotele  la buona vita comunitaria (eu zen), sulla base della potenzialit fornita dall'essere luomo un animale politico, sociale e comunitario (politikn zoon), ed un animale fornito di ragione, linguaggio e soprattutto capacit di calcolo politico (zoon logon echon).  possibile insistere maggiormente su Aristotele intellettuale organico della media propriet agraria schiavistica (Mario Vegetti), oppure su Aristotele precursore di Marx in quanto critico della crematistica (Karl Polanyi, Luca Grecchi). Sebbene questa discussione sia certamente molto interessante, la possiamo per il momento lasciare da parte, in quanto non tocca che marginalmente il problema della coscienza storica e della filosofia della sto- ria. Per il momento basti rilevare (o meglio anticipare) che il passaggio di Aristotele da una teoria numerologica della politica (Pitagora e Platone) ad una teoria basata sulla potenzia- lit umana di poter giungere alla vita buona su basi non numerologiche (eu zen)  fondata sulla distinzione fra possibilit come contingenza, casualit ed aleatoriet (kat to dynatn) e la possibilit come potenzialit gi contenuta in modo immanente in una sostanza (dy- namei on). In poche parole, si tratta della teoria marxiana della possibilit in potenza del passaggio dal capitalismo classista ad una societ senza classi. La tradizione storiografica enfatizza in genere pi del dovuto le differenze fra Aristotele ed i suoi successori epicurei e stoici. Non voglio certamente negare queste differenze, la cui base materiale e strutturale sta tutta nella progressiva transizione da un modo di produ- zione di piccoli proprietari e produttori indipendenti (pur ovviamente in presenza di schia- vi) ad un vero e proprio modo di produzione schiavistico generalizzato, propiziato dalla grande monetarizzazione dell'economia conseguente alla conquista dell'impero persiano (strutturalmente non schiavistico) da parte del bandito macedone ubriaco Alessandro, il vero distruttore del modello politico dellellenismo classico. E tuttavia Aristotele, Epicuro e gli stoici concordano sul fatto che lunica vita buona  la vita secondo natura (kat physin), segno questo della permanenza della normativit naturale ideale della grecit. La polis aristotelica ben governata, la comunit epicurea degli amici e l'amicizia cosmopolitica de- gli stoici sono indubbiamente tra strutture diverse, ma tutte e tra hanno la natura, e non la storia, come normativit. Qui sta lunit sostanziale del modello greco di vita, unit messa in ombra da chi vede gli alberi e non la foresta, e cio le differenze teoriche fra scuole anzi- ch la sostanziale unit di forma filosofica di vita. L'evoluzione della scuola platonica dal dogmatismo di Platone allincredibile scet- ticismo dei suoi successori, per cui in et ellenistica accademico diventa sinonimo di scettico (fino almeno alla provvidenziale e mai abbastanza lodata restaurazione platonica di Plotino),  generalmente registrata dagli storici, come se si trattasse di un semplice dato, per cui ad un certo punto Speusippo e Senocrate cominciano ad occuparsi di irrilevanti stupidaggini astronomiche, politicamente del tutto inespressive, anzich proseguire nelle 16 Le avventure della coscienza storica occidentale nuove condizioni storiche la ricerca del Bene politico del fondatore, mille volte socialmente pi importante delle loro irrilevanti sciocchezze astronomiche (uso volontariamente un linguaggio provocatorio esagerato, in modo che anche il lettore torpido abbia una leggera scossetta elettrica corroborante). Ma qui si  di fronte ad una inesorabile logica dialettica, per cui chi chiede alla numerologia alla fine non stringe che il vuoto, perch la numero- logia di per s (sganciata dal contesto pitagorico in cui aveva direttamente un carattere sociale e politico) non pu che rovesciarsi nel suo contrario. Gli esempi storici posteriori sono numerosi, e sarebbero assai educativi se la gente tenesse aperte le orecchie. Cos come la numerologia pitagorico-platonica si trasform dialetticamente nel suo contrario, e cio in scetticismo accademico, cos la fondazione positivistico-engelsiana del comunismo si rovesci nel suo contrario, e cio in disincanto maxweberiano ed in critica lyotardiana alle grandi narrazioni, e la fondazione althusseriana del materialismo storico su basi scienti- fiche prive di espressivit filosofica si rovesci nel suo contrario, lassurda apologia totale dellaleatoriet. Ma qui, purtroppo, la storia della filosofia non insegna nulla, perch  ben- s una maestra, ma  una maestra che insegna in un'aula vuota. Anche se dovrebbe essere addirittura inutile accennarvi, rilevo con forza che non sto affatto proponendo uninterpretazione monocausale e riduzionistica della genesi della fi- losofia greca. Non penso affatto che lunica genesi della grande filosofia classica sia esclu- sivamente la reazione comunitaria alla schiavit per debiti. Ogni teoria rigorosamente mo- nocausale rischia di non cogliere il suo obiettivo. Da studioso ed ammiratore di Alfred Sohn-Rethel, che a suo tempo si mise su di una strada del genere (lastrazione filosofica del concetto parmenideo di Essere come risultato della duplicazione teorica nella mente della duplicazione monetaria), so bene che imboccando questa via si finisce fuori strada. Sostengo soltanto che la schiavit per debiti fu il detonatore sociale, che mise in moto una concatenazione di concetti, tutti indistintamente esemplificati sulla base di un concetto di natura normativa (physis), che permisero in un secondo tempo ai greci di auto-rappresen- tarsi la propria collocazione cosmica allinterno del mondo. Non nascondo infatti di praticare (e di proporre, per ora del tutto inutilmente, ma in certe cose il tempo  galantuomo) una interpretazione metaforica dei due grandi concetti di Anassimandro (apeiron come infinito ed indeterminato) e di Parmenide (fo on come es- sere stabile ed immutabile). Non bisogna dimenticare mai che i greci, in particolare i co- siddetti presocratici (termine improprio, perch lateniese Socrate  stato in realt lultimo dei presocratici, cio dei filosofi pubblici che si relazionavano direttamente con il popolo), erano ancora largamente interni alla fusione fra macrocosmo naturale e microcosmo socia- le, come del resto ha affermato il grammatico alessandrino Diodoto (ricordato da Diogene Laerzio) a proposito del poema di Eraclito sulla natura, che secondo Diodoto in realt par- lava della societ e della politica. In breve, a mio avviso lapeiron di Anassimandro non  che la metafora cosmologica e giudiziaria (diken didonai) dellinfinitezza e dellindeterminatezza delle ricchezze moneta- rie, laddove il to on di Parmenide non  che la metafora dell'eternit atemporale e della per- manenza nel tempo immodificata ed immodificabile della perfetta legislazione pitagorica, che essendo stata formulata in forma geometrica rappresenta una verit non opinabile, e soprattutto non modificabile. La filosofia greca ha avuto certamente molte motivazioni, e 17 CostTANZO PREVE fra esse certamente anche la curiosit cosmologica di Talete (anche se personalmente con- sidero nel vero Mondolfo e Capizzi, che ne hanno in vario modo cercato una genesi nella politica e nel lavoro artigianale umano), ma la porta da cui  passata ha due pilastri, lin- finito-indeterminato di Anassimandro e l'essere intemporale di Parmenide. So benissimo (eccome se lo so!) che oggi prevalgono interpretazioni misteriche, ieratiche e sapienziali, che possono prevalere soltanto in un'epoca come la nostra, di perdita della coscienza sto- rica e dellindignazione politica. Non intendo qui neppure nominare il pi noto diffusore italiano di questa impostazione, perch il fastidio che mi provoca  tale da farmi subito cambiare canale, come si direbbe con la metafora del telecomando (del resto ci troviamo in un'epoca in cui si scrivono ontologie del telefonino e del telecomando). Ma torniamo ai greci per respirare un'aria migliore. Il discorso sarebbe appena iniziato, ma dobbiamo qui terminarlo per ragioni di equilibrio espositivo complessivo. Per chiarez- za, mi limito a due sole conclusioni sintetiche riassuntive. In primo luogo, se  vero che la natura serve da modello normativo per la preservazio- ne della comunit, che ha come suo fondamento e causa finale la buona vita dei cittadini (non di tutti, perch gli schiavi non vengono presi in considerazione, pur non negando loro in teoria una formale umanit), la storia non appare come costitutiva della buona vita stessa, e se  cos (come io credo), ne deriva che non esiste nei greci una vera e propria filo- sofia della storia nel senso moderno del termine. Non esiste neppure a mio avviso una vera e propria ideologia del progresso (il termine greco proodos non significa progresso, tanto  vero che Plotino lo usa nel senso di emanazione, e proodos come progresso esiste solo in greco moderno come traduzione dal latino e dal francese). In poche parole, non esiste una ideologia del progresso perch non esisteva ancora il suo portatore storico e sociale, la borghesia capitalista. La borghesia capitalista aspetta la maturazione dei profitti, non di rendite fondiarie, ed ha quindi bisogno di un tempo lineare cumulativo ed omogeneo, laddove chi si aspetta rendite fondiarie pensa il tempo come eterno ritorno ciclico delle stagioni. Se il dilettante Nietzsche ci avesse seriamente pensato, magari facendo visita a Londra al barbuto Marx, gli sarebbe forse venuto il sospetto che l'eterno ritorno del sempre uguale dei greci non era soltanto il prodotto della loro visione tragica del cosmo (che non mi sogno certamente di negare, ed anzi ribadisco con forza), ma era anche il pi prosaico eterno ritorno delle stagioni e dei raccolti (vedi Esiodo). Certo, i greci oltre che contadini erano anche navigatori, ed il navigatore sa bene di essere in balia del caso (tyche). In ogni caso, la natura resta il canone di riferimento della percezione temporale dei greci. In secondo luogo, come aveva a suo tempo ben compreso Hegel, la filosofia greca non si divide engelsianamente in materialisti ed idealisti, per il semplice e nudo fatto che tutti i greci erano idealisti, compresi quelli che non introducevano nella cosmologia una divinit ordinatrice, ma si limitavano a presupporre atomi, vuoto e caso, con o senza deviazione (clinamen parekklisis). Si tratta di un punto di facile comprensione, ma sul quale molti confu- sionari successivi hanno imbrogliato le carte, identificando il materialismo con latomismo e lateismo (ma di greci atei ce n'erano veramente pochi, e certamente Epicuro non era fra essi, secondo l'ottima interpretazione di Walter Otto). E perch tutti i greci, nessuno escluso, erano idealisti? Ma perch essi concepivano la verit come visibilit di un oggetto mentale ideale, ed infatti il termine greco idea proviene 18 Le avventure della coscienza storica occidentale dal verbo orao, che significa appunto vedere, e solo vedere. Personalmente, considero pro- fondamente errata la dilettantesca interpretazione di Heidegger, che contrappone la verit come disvelamento (aletheia) alla verit come corretta visione (orthotes), e questo perch, a differenza di Heidegger (so bene che Heidegger  un mostro sacro, ma anche i mostri sacri a volte si ingannano), la corretta visione si identifica al cento per cento con il disvelamento. Del resto, se si legge senza forzature il mito della caverna di Platone, si  in presenza di un processo di disvelamento attraverso una visione progressiva sempre pi corretta. Ho cercato a lungo di capire le motivazioni dellinterpretazione di Heidegger della dottrina platonica della verit, non le ho mai trovate, ma sospetto che si tratti di una indebita retroa- zione di una polemica contro il soffocante neokantismo delle universit tedesche. Ma lidea di Platone non  in alcun modo la premessa del fenomeno dei neokantiani, in quanto lidea platonica ha una base ontologica di riferimento, mentre il fenomeno dei neokantiani risulta soltanto da una degradazione gnoseologica dei compiti veritativi della filosofia. L'idealismo greco, con tutte le sue derivazioni teoriche, ha avuto certamente una genesi (genesis) particolare, sorta nel contesto di una struttura sociale che oggi non esiste pi. E tuttavia questa genesi particolare ha prodotto una validit ontologica universale (Geltung), che  ancora oggi attualissima. E perch attualissima? Perch non  cambiato il problema della divaricazione fra l'arricchimento individualistico, crematistico ed infinito-indetermi- nato (apeiron) e la tendenza contraria alla salvaguardia della comunit sociale e politica attraverso il nomos che regolamenta il nemein attraverso il logos, che passa certamente anche e soprattutto attraverso il dialogos politico. Un dialogo veritativo sulla condizione umana, non un cortese e sofisticato chiacchiericcio occidentalistico alla Richard Rorty, e quindi il dialogo di Socrate, non quello dei talk-shows. 3. LA CIVILT CRISTIANA MEDIOEVALE. L'ASSORBIMENTO DELLA COSCIENZA STORICA NELLA SACRALIZZAZIONE SIMBOLICA, PIRAMIDALE E GERARCHICA, DEL MONDO SOCIALE UMANO Il problema del rapporto fra cristianesimo, storia e filosofia  estremamente delicato, ed allora la cosa migliore  impostarlo in modo originale, trascurando lalluvionale biblio- grafia che si  accumulata sopra negli ultimi secoli. Ho detto delicato, non certo com- plesso, perch ritengo semplicemente che non esistano problemi complessi, e che la co- siddetta complessit sia un'invenzione dellepistemologo confusionario francese Edgar Morin (non a caso negatore esplicito della necessit di un fondamento veritativo per le scienze sociali), che in questo modo ha fornito al ceto universitario opportunistico una facile ideologia per il loro fare i pesci in barile e sottrarsi alla decisione sui pi scottan- ti problemi dellepoca in cui vivono. Esistono problemi di facile soluzione e problemi di difficile soluzione. Esistono problemi la cui soluzione, in via di principio possibile, non  ancora all'orizzonte. Esistono infine problemi in via di principio insolubili. Ma i problemi complessi sono soltanto facili alibi per opportunisti (da decenni sento dire che il proble- IS ma dei rapporti fra sionisti e palestinesi  complesso, laddove non lo  per niente, ma 19 CostTANZo PREVE dipende semplicemente dai rapporti di forza fra un popolo espropriato della sua terra e un'ideologia razzista che ne giustifica l'espropriazione in nome di memorie bibliche o del senso di colpa degli europei per il genocidio hitleriano, di cui i palestinesi restano del tutto innocenti). Quindi, nessuna complessit, ma delicatezza del problema, perch qualsiasi cosa dicia- mo feriremo qualcuno, e scontenteremo qualcun altro. Ritengo si possa utilmente comin- ciare dalla discussione di un saggio di Benedetto Croce, forse il suo pi famoso e citato, per cui non possiamo non dirci cristiani. Sar vero? Personalmente, non lo credo per nulla. Croce, che non era cristiano per nulla (ed infatti era stato anche scomunicato negli anni Trenta dalla chiesa cattolica, ed i suoi libri messi all'indice), intendeva dire che qualsiasi europeo del Novecento, non importa quale fosse la sua visione filosofica del mondo di riferimento, non poteva non avere metabolizzato in qualche modo la bimillenaria eredi- t cristiana, magari secolarizzandola e laicizzandola in vario modo. Capisco bene quello che Croce intendeva dire, ma non sono ugualmente d'accordo per nulla, a meno che per cristianesimo si intenda un umanesimo generico della libert, cosa che, se io fossi perso- nalmente cristiano, negherei recisamente e con forza (su questo punto, rimando ai libri di Sergio Quinzio). I cristiani, da quello che posso saperne considerandoli dall'esterno della loro fede, credono in un Dio monoteistico, si rifiutano recisamente di ridurre la trascen- denza ad immanenza, ritengono la storia un teatro della salvezza e non un semplice spazio vuoto di insensatezza (tipo Schopenhauer o materialismo aleatorio di Althusser), ed infine testimoniano la fede nellimmortalit individuale, alcuni nella forma pitagorico-platonica dell'immortalit dell'anima, ed altri (pochi, a mia conoscenza) nella forma paolina della resurrezione dei corpi. Se sbaglio, mi si corregga, ed accoglier volentieri le correzioni. Ma non mi si dica che non possiamo non dirci cristiani. Odifreddi e de Benoist, ad esempio, non sono cristiani. E quindi partiamo dal fatto che si pu essere, se lo si vuole, cristiani e non cristiani, e non possiamo sempre metaforizzare il contenuto del cristianesimo in uma- nesimi generici o immanentismi caritatevoli e/o rivoluzionari. Passo ad un secondo punto, anche se lo svilupper meglio nel prossimo quarto capito- lo.  di moda da circa un secolo parlare di escatologia giudaico-cristiana, come se esistesse una comune base religiosa ebraico-cristiana. Ma questa comune base religiosa non esiste affatto, ed  un'invenzione di gruppi ristretti di universitari tedeschi di origine ebraica, di cui il pi famoso  Karl Lwith (e la cui controparte marxista  stato Ernst Bloch). Di l na- sce la teoria comunemente accettata e pappagallescamente ripetuta da tutti i confusionari per cui il marxismo  sorto da una secolarizzazione dellescatologia ebraico-cristiana nel linguaggio dell'economia politica. Ma il fatto che migliaia di colorati pappagalli lo ripeta non significa che sia vero. Nel prossimo capitolo cercheremo di chiarire (senza peraltro grandi speranze di vedere accogliere questa tesi) che il marxismo semmai deriva da una di- storsione positivistica dell'originale teoria della storia di Marx, la quale a sua volta deriva dalla filosofia idealistica della storia dello stesso Marx, basata sullelaborazione dialettica della coscienza infelice della borghesia, a sua volta gi filosoficamente impostata dai due grandi idealisti che precedettero Marx, il grande Fichte ed il grande Hegel. Incidentalmente, non esiste nessuna escatologia unitaria ebraico-cristiana. Le due reli- gioni, diverse luna dall'altra in modo radicale, danno uninterpretazione opposta del noto 20 Le avventure della coscienza storica occidentale brano di Isaia sul Servo Sofferente e l'Uomo dei Dolori. Per i cristiani il Servo Sofferente  naturalmente Ges di Nazareth, mentre per gli ebrei  il popolo ebraico nella sua interez- za, in particolare dopo lOlocausto hitleriano 1941-1945. Ognuno pu ovviamente credere a quello che vuole, ma ritengono disonesto far credere ai confusionari (che compongo- no da sempre la stragrande maggioranza dell'umanit sofferente) che vi sia compatibilit fra l'individuazione del servo sofferente in Ges di Nazareth o invece nel popolo ebraico nel suo complesso. Si pu credere nella teologia che si vuole (personalmente, non credo in nessuna), ma non affermare che sia compatibile il ritenere che il servo sofferente sia Ges (figura che il Talmud ebraico riempie di disprezzo) oppure il popolo ebraico vittima dell'Olocausto. Detto in termini semplici, se un'unica religione ebraico-cristiana non esiste, non  mai esistita e non esister mai, allora perch gli intellettuali occidentalisti, compresi quelli pi atei e senzadio, fanno intendere che esista? Ma perch loccidentalismo odierno riclassifica e reinterpreta tutta la variet religiosa del mondo in termini di Occidente contro l'Islam, il nuovo nemico fondamentalista, per cui i due campi sono cos ridefiniti: da un lato un unico blocco occidentalistico-sionista, la religione unificata ebraico-cristiana, con a lato il Dalai Lama buddista arruolato come consulente psicologico-spirituale e cappellano anti-cinese; dall'altro il diabolico regno fondamentalista musulmano, con gli uomini barbuti e kamikaze e le donne sepolte sotto il burka. A proposito di messianesimo e di escatologia (entrambi termini assolutamente inesi- stenti nel pensiero greco) occorre fare un rilievo fondamentale. Il fatto che vi sia messiane- simo non comporta affatto che vi sia gi una filosofia della storia, o che si sia in presenza di essa, o almeno dei suoi prodromi e presupposti. C' filosofia della storia soltanto l dove c' filosofia, e la filosofia si caratterizza per fornire argomenti razionali (logon didonai) alle sue affermazioni. L'annuncio messianico, che sia escatologico o apocalittico, o tutti e due, non fornisce nessun fondamento filosofico alle sue promesse, e quindi semplicemente non fa parte della storia della filosofia. Tutte le ricostruzioni della storia della filosofia della storia che cominciano con Agostino dovrebbero essere cortesemente archiviate, perch la filosofia della storia comincia con Herder (o se proprio vogliamo con Vico e Voltaire), e prima non esiste. Il messianesimo religioso non  una filosofia della storia. Chi inoltra pensa che il messianesimo faccia parte della tradizione cattolica dovrebbe in proposito prendere in mano il Catechismo Cattolico oggi vigente. AI numero 1042 si chia- risce senza ombra di dubbio che solo alla fine dei tempi, il regno di Dio giunger alla sua pienezza. Dopo il giudizio universale i giusti regneranno per sempre con Cristo, glorificati in anima e corpo, e lo stesso universo sar rinnovato. Non intendo gettarmi in unesegesi di una religione in cui personalmente non credo, ma se le parole hanno ancora un senso, sia pure allegorico e anagogico, mi pare di capire che non viene volutamente fornita alcuna indicazione per capire se e quando arriveremo alla fine dei tempi (a meno che si parli di terremoti, guerre atomiche o spegnimento del sistema solare). In mancanza di qualsiasi co- ordinata, il messianesimo cristiano  eguale a quello farisaico, per cui a parole ci si dichiara ancora messianici, ma in realt il regno di Dio viene rinviato alle calende greche, e cio a mai. Ci mi fa capire molte cose su Kant, il cui concetto limite  costruito ed esemplificato proprio sulleterno rimando della divinit. 2 CostTANZo PREVE Sempre a proposito del messianesimo, rimando il lettore allattenta lettura dei numeri 675 e 676 del Catechismo Cattolico. Essi sono stati in realt scritti contro il comunismo, ed era difficile essere pi chiari ed espliciti: La massimo impostura religiosa  quella dell Anti- Cristo, cio di uno pseudo-messianesimo cui luomo glorifica se stesso al posto di Dio... questa impostura anti-cristiana si delinea nel mondo ogni qualvolta si pretende di realizza- re nella storia la speranza messianica che non pu essere portata a compimento se non al di l di essa, attraverso il giudizio escatologico. Anche sotto la sua forma mitigata, la Chiesa ha rigettato questa falsificazione del regno futuro sotto il nome di millenarismo, soprat- tutto sotto la forma politica di un messianesimo secolarizzato intrinsecamente perverso. Questo messianesimo secolarizzato intrinsecamente perverso  ovviamente il comuni- smo storico novecentesco realmente esistito, che in genere i teologi cattolici fanno risalire a Marx, mostrando di essere esperti in esegesi biblica, ma non certamente in marxologia critica. Qui si capir ancora una volta la crucialit assoluta del far risalire l'intenzione fi- losofica di Marx (la si condivida oppure no, questa  unaltra cosa) al pensiero filosofico anti-crematistico greco ed alla grande filosofia borghese della storia (e cio Fichte e Hegel), e non certamente ad una inesistente e fastidiosa escatologia giudaico-cristiana nel linguag- gio dell'economia politica. Il marxismo  stato infatti una (storicamente inevitabile) di- storsione positivistica (e allora deterministica, necessitaristica e quindi teleologica) di una filosofia della storia derivata dallelaborazione della coscienza infelice borghese, non certo una secolarizzazione messianica. In proposito,  interessante che la diagnosi del marxismo come grande narrazione messianica sia comune alla teologia cattolica, al razionalismo laico ed al postmoderno. Ci vorr fare un pensierino il lettore conformista, virtuoso, pio, secola- rizzato e politicamente corretto? Perch no! Mai porre limiti alla Divina Provvidenza!  peraltro difficile negare che il cristianesimo nacque interamente messianico, una ver- sione che lo avrebbe certamente fatto scomunicare in base ai numeri 675 e 676 del Catechismo Cattolico (vedi in proposito la parabola del Grande Inquisitore dei Fratelli Karamazov di Dostojevski). Bisogna proprio destoricizzare completamente Ges di Nazareth per affer- marlo, cosa in contraddizione insanabile con la reiterata affermazione che Ges  stato una figura storica. Ma la sua storicit  evidentemente limitata alla sua resurrezione, mentre evidentemente la storicit del significato sociale inequivocabile dell'annuncio dellAnno di Misericordia del Signore (in proposito Luca 4, 14-30) viene sempre pudicamente nascosta, per non inquietare Del Noce, Casini e Buttiglione. L'annuncio di Ges era interamente messianico e rivoluzionario, e per questo fu condannato a morte e crocifisso, anche se sotto la falsa accusa di essere stato un capo degli zeloti armati (questo significa il cartiglio Ges Nazareno Re dei Giudei). Sia chiaro. Non me la prendo affatto con la chiesa cattolica per la sua negazione del messianesimo. Non intendo neppure sostenere la tesi sociologica e riduzionistica del Ges sindacalista conflittuale e guerrigliero sociale. Questa tesi ridicola  soltanto laltra faccia della tesi dominante, altrettanto ridicola del Ges salmodiante in processioni pecoresche. Si tratta sempre in ultima istanza della polarit dualistica tra Trascendenza ed Immanenza. Scusi, reverendo, Ges era trascendente, e parlava solo del regno dei cieli dopo la morte, oppure era immanente, e parlava invece del rivoluzionamento immediato del classismo su questa terra? Ma Ges, non essendo un neokantiano, ed ignorando le antinomie bobbiane, 22 Le avventure della coscienza storica occidentale non era n trascendente n immanente, ma fondeva entrambe le cose, ed era immanente proprio nella misura in cui era del tutto trascendente. Non essendo una pastorella del suo gregge, non rimprovero alla chiesa di aver messo in frigorifero il messianesimo sociale, per scongelarlo soltanto in un generico e kantiano concetto-limite della storia. Penso anzi che abbia fatto bene a farlo. In proposito accetto nellessenziale la diagnosi di Max Weber, per cui quasi tutte le religioni (e comunque sicu- ramente il cristianesimo, non per il confucianesimo e lo shintoismo giapponese) nascono messianiche, ma se restassero messianiche per pi di tre generazione finirebbero con lo scomparire e l'essere riassorbite, e se invece sopravvivono e si riproducono nel tempo pos- sono farlo soltanto riformulandosi organizzativamente sulla base della gestione simbolica della vita quotidiana e dei suoi passaggi pi delicati (nascita, crescita, famiglia, malat- tia, morte, carit, eccetera). La promessa messianica viene invece regolarmente disattesa, e questo per molte ragioni, di cui qui ne citer solo due: in primo luogo, perch purtroppo Dio non esiste (mi scuso sinceramente con i credenti, che personalmente antepongo sem- pre ai cosiddetti laici, termine con cui si intendono in genere gli individualisti filosofi- camente relativisti e nichilisti, e quindi utilitaristico-capitalisti), e non esistendo non pu purtroppo garantire lesaudimento della promessa messianica; secondo, perch in genere i poveri, i derelitti e gli oppressi riescono al massimo nei casi migliori a gestire una coope- rativa o una bocciofila, ma sono strutturalmente incapaci di gestire in modo non classista una societ articolata. Queste considerazioni erano necessarie, perch il lettore comprendesse il punto di vista filosofico dello scrivente. Non mi interessa assolutamente spiegare al credente che si illude, in quanto la scienza moderna (Newton, Darwin, Freud, Einstein) avrebbe definiti- vamente smentito la fede religiosa.  questo il terreno anglosassone-imperiale, in cui ti- rano assurdi libri di scienziati che spiegano che Dio non esiste in base alle scienze naturali, ed in cui Darwin vince sempre con punteggio tennistico contro Ratzinger.  questo il terre- no del miserabile laicismo italiano della rivista Micromega, opposto antitetico-polare, e pertanto complementare, della rivista Civilt Cattolica. Dal momento che io mi occupo di filosofia, e non di geologia e di astrofisica, vorrei contribuire a spostare iltema su di un ambito filosofico. Non intendo disprezzare la certezza delle ipotesi dell'et della terra o sullautopoiesi degli organismi viventi, ed anzi al contrario le pongo molto in alto. Ma qui mi occupo di verit filosofica, non di esattezza matematica, di certezza fisica verificabile e/o falsificabile, di veridicit artistica e letteraria, eccetera. Il cristianesimo nasce quindi messianico con Ges di Nazareth, e resta ovviamente mes- sianico anche con Paolo di Tarso, che lo trasforma per in un messianesimo universalistico, trasformazione non da poco. Pur essendo infatti un fariseo, Paolo parlava il greco, e nella sua testa erano penetrate le idee elleniche di universalismo e di unit del genere umano, probabilmente attraverso la vulgata stoica che era dominante ai suoi tempi (che erano an- che i tempi di Seneca). Combinando il messianesimo di Ges di Nazareth ed il concetto greco (e non solo greco, ma integralmente ed esclusivamente greco) di universalismo e di unit del genere umano Paolo produce il concetto di Cristo (e cio di unto del signore), da cui poi nel vangelo giovanneo risulter il concetto di /ogos (la cui curiosa traduzione latina di verbum mi ha sempre ricordato i tormenti dei paradigmi dei verbi latini e greci nel 23 CostTANZO PREVE vecchio liceo classico). La trasformazione di Ges prima in christs e poi in logos produsse il codice genetico della fede cristiana, e da allora questo codice  rimasto sostanzialmente intatto nei secoli. Abbandonarlo per adeguarsi al mondo moderno o per secolarizzarsi sarebbe un suicidio per il cristianesimo, che per i cristiani non faranno, a differenza del gruppo sociale pi stupido del mondo, i comunisti, che hanno creduto di salvare il comu- nismo dalla sua crisi trasformandosi in liberalcapitalisti. Questo non ha comportato allora una messianizzazione escatologica del mondo, in quanto gi nel secondo secolo questo messianesimo era gi interamente rientrato in una economia quotidiana della solidariet e della carit (questa disillusione port al fenomeno detto della gnosi, peraltro presto rientrato, restando la Gnosi una sorta di Francoforte del cristianesimo), e questo fu weberianamente un bene per il cristianesimo, che evit cos un suo riassorbimento. Comport invece una risacralizzazione del mondo, che era invece sta- to di fatto desacralizzato non tanto dallo scetticismo di conferenzieri postmoderni tipo Luciano di Samosata, quanto proprio dal suo apparente contrario, e cio dallaccoglimento pluralistico e tollerante di tutte le divinit conosciute nel Pantheon imperiale romano. Come in molti altri casi, anche qui Hegel coglie genialmente il centro della questione. Se tutti gli dei del territorio imperiale romano vengono accolti in un solo Pantheon, e possono coesistere educatamente in una generica humanitas (che peraltro copriva una societ schia- vistica con giochi gladiatori quotidiani e con stupri padronali autorizzati di schiavi e schia- vette bambine), significa che questi dei non esistono. Se io infatti mi devo plasticamente raffigurare in fotografia la morte di Dio oggi, non me la raffiguro nelle sfilate dei travestiti del Gay Pride oppure nei banchetti della coppia sionista spiritata Pannella-Bonino, ma me la vedo plasticamente davanti nelle riunioni ecumeniche pecoresche di preti, pastori, pope, rabbini, ulema, bonzi, buddisti, stregoni Sioux, eccetera, da cui escono documenti generici sull'umanesimo all'ombra delle speculazioni cannibaliche del grande capitale finanziario. Il cristianesimo, quindi, fu prodotto anche e soprattutto dallinsofferenza nei confronti del- la falsit dellumanesimo schiavistico romano (con le correnti filosofiche greche ridotte a talk-shows senza televisione) e dalla provocatoria compresenza di tutte le divinit autoriz- zate dell'impero. Alla fine, lunica divinit non autorizzata vinse. Speriamo che avvenga cos anche oggi, in quanto quello che diciamo  sostanzialmente lunico pensiero non-au- torizzato privo di accesso alla visibilit mediatica apparentemente pluralistica, in cui tutti i plurali dicono la stessa cosa singolare. In termini filosofici, la sacralizzazione cristiana del mondo si riallaccia (certo, senza saperlo) alla vecchia fusione primitiva fra macrocosmo naturale e microcosmo sociale. Per questa ragione la sua matrice  assai pi naturale che storica. Certo, esiste indubbiamen- te una storia della salvezza, che per  sottratta a qualsiasi autoriflessione filosofica libera (e pertanto non  una vera filosofia della storia), ma questa storia della salvezza  ricondot- ta ad un quadro metafisico naturalistico (anche se Dio diventa il creatore della natura). Sta qui la famosa ellenizzazione del cristianesimo. Che intellettualmente Ratzinger vorrebbe riportare nel pensiero contemporaneo attraverso il concetto normativo di natura umana, che a suo tempo Aristotele elabor in modo gi pressoch completo. Ellenizzazione del cristianesimo significa infatti centralit normativa della natura umana. 24 Le avventure della coscienza storica occidentale Tralascio qui, perch la presuppongo come largamente nota al lettore, la vera e pro- pria medioevalizzazione feudale del cristianesimo e la sua trasformazione in religione di legittimazione dei rapporti gerarchici fra bellatores, oratores e laboratores, e cio della socie- t detta tripartita. Presuppongo come noto anche il riaffiorare della tendenza messianica (Gioachino da Fiore), e dello sviluppo di eresie di contestazione di questa realt gerarchico- feudale. Metto molto in alto (immensamente pi in alto della miserabile filosofia postmo- derna di oggi) la teologia medioevale, sia nella forma domenicana di Tommaso d'Aquino sia nella forma francescana di Guglielmo di Occam. Tendo a mettere Occam un po pi in alto di Tommaso, perch solo Occam ha avuto il coraggio di collocare nel singolo cristiano la pratica della paupertas e della simplicitas, togliendone la gestione al baraccone corrotto dei pretoni di Avignone. Ma non  questa la sede per approfondire questa questione. Oggi siamo in piena secolarizzazione. La secolarizzazione, per, non  una opinione, ma  il processo storico per cui la legittimit della societ non  pi data da una sacraliz- zazione religiosa del mondo, ma  data dal semplice legame anonimo del valore di scam- bio, e quindi dall'economia politica, che se fossi un prete definirei come il vero anticristo, lasciando stare il povero comunismo nel frattempo defunto. Certo, sbagliarsi di Anticristo mi sembra un po grave per una teologia degna di questo nome. Individuarlo a Cuba e nella Corea del Nord invece che a Wall Street e a Piazza Affari mi sembra un vero errore filosofico. Approvo Ratzinger perch almeno non affronta la secolarizzazione attraverso la auto-secolarizzazione dei teologi-sociologi suicidi ed attraverso la liberalizzazione teolo- gica incontrollata e pazza alla Hans Kiing, mantenendo non tanto lautoritarismo vaticano (come dicono i laici) quanto una teologia unificata aristotelica, e quindi greca. Baster? Ai posteri l'ardua sentenza. Io mi limito, da esterno totale, a fare il tifo per le persone intelligenti contro i cretini incurabili. 4. L'ET MODERNA BORGHESE-CAPITALISTICA OCCIDENTALE. LO SVILUPPO DELLA COSCIENZA STORICA COME COSTITUZIONE ONTOLOGICA ED ASSIOLOGICA DELLO SVILUPPO UNIVERSALE E VERITATIVO DEL GENERE UMANO La fondazione filosofica della societ borghese moderna presenta un'interessante con- traddizione, assai pi rivelatrice di quanto possa sembrare ad una prima osservazione su- perficiale. Da una lato, essa viene fondata in modo apparentemente naturalistico e destori- cizzato, a partire dalla antropologia pessimistica ed anti-aristotelica di Thomas Hobbes per poi passare alla teoria della naturalit della propriet privata fondata sul lavoro individua- le robinsonianamente inteso (daltronde Locke e Defoe sono figli dello stesso ambiente storico), ed infine alla teoria della natura umana di David Hume, gi precedentemente segnalata, in cui la natura umana diventa il teatro immutabile (una sorta di versione par- menidea del capitalismo) della logica riproduttiva del valore di scambio. Dall'altro lato, contemporaneamente e contraddittoriamente, a fianco di questa fonda- zione naturalistica (0 per meglio dire, pseudo-naturalistica) si sviluppa la vera e propria fondazione storica della stessa modernit, allinizio con la critica alla teodicea di Voltaire 25 CostTANZO PREVE (cui personalmente non attribuisco per un ruolo rilevante) e poi con la filosofia tedesca della storia, che inizia con Herder, si sviluppa con Fichte e Hegel, e culmina infine in Marx. Come spiegare questa compresenza di naturalit e di storicit nello sviluppo della concezione borghese della modernit? In via di semplice ipotesi, direi che questa strana compresenza di tendenze incompatibili e contraddittorie si spiega solo se separiamo me- todologicamente il concetto di Capitalismo da quello di Borghesia, e non perseveriamo bovinamente nella fusione dei due termini, come se il capitalismo fosse semplicemente un treno di cui la borghesia  il macchinista. Certo, i due termini si intrecciano continuamente in forme sempre diverse. Ma in estrema sintesi il capitalismo, in quanto realt anonima, strutturale, impersonale e cieca, trova la sua fondazione in una pseudo-naturalit, come se la produzione capitalistica non fosse altro che l'affermazione della vita secondo natura, una volta spazzata via la presunta artificialit delle istituzioni feudali, mentre la borghe- sia, in quanto soggettivit collettiva capace di autoriflessione teorica razionale (illumini- smo, idealismo, positivismo, filosofia della crisi, adesione al rivoluzionarismo comunista, disincanto postmoderno, eccetera), ha assolutamente bisogno della temporalit storica per poter interpretare se stessa. L'anima economica del capitalismo  quindi del tutto astorica e pseudo-naturalistica (ed infatti l'economia politica  disgustosa per tutte le sensibilit filosoficamente educate, proprio a causa della sua provocatoria astoricit, in cui la storia si presente sempre spogliata di ogni sua forma storica), mentre lanima filosofica della borghesia da circa trecento anni  dialettica, e quindi storica, al di l delle forme prese da questa storicit. Ho gi sostenuto nel capitolo precedente che il semplice messianismo religioso non  ancora una filosofia della storia, perch non c' filosofia se non c' una autoriflessione disposta a mettere in discussione i suoi stessi fondamenti fornendo ragione di essi (logon didonai). E quindi iniziamo le nostre riflessioni sulla modernit ipotizzando che soltanto in et moderna nasce una vera e propria filosofia della storia, ed  proprio per questa ragione che lattuale pensiero postmoderno vuole ucciderla, per poter sbarazzarsi del bambino buttando via lacqua sporca (secolarizzazione millenaristica, distorsione positivistica, ide- ologizzazione parossistica di tutto il pensiero umano, eccetera). Ma ogni cosa a suo tempo. Ora limitiamoci a fare un passo per volta. Nella sua pregevole operetta sugli inizi della filosofia borghese della storia il francofor- tese Max Horkheimer comincia con Machiavelli, continua con lutopismo rinascimentale (Moro, Campanella, eccetera) e con Hobbes, e termina infine con Vico, cui attribuisce gran- de importanza e che loda per aver conservato una istanza suprema di giudizio estranea alla storia stessa, e cio Dio. In questo campo ognuno pu ovviamente fare quello che vuo- le, dal momento che la storia della filosofia (per fortuna!) non  una scienza esatta. A mio avviso, per, la vera e propria filosofia moderna della storia inizia solo con Vico, e gi cos la datazione appare discutibile. E tuttavia liniziare con Vico appare metodologicamente razionale, e questo per una ragione che ho notato sfugge quasi sempre ai commentatori frettolosi e superficiali. Questi commentatori sono affascinati dalla secolarizzazione delle categorie teologiche precedenti (che  con Schmitt - non mi sogno affatto di negare), e di conseguenza sono affascinati dalle considerazioni di Voltaire sul terremoto di Lisbona con la connessa critica della teodicea di Leibniz, centrale poi nel romanzo filosofico Candide. 26 Le avventure della coscienza storica occidentale Ma, a mio avviso, non  questa la pista giusta, anche se non nego che sia un comodo sen- tiero secondario. La pista giusta, a mio avviso, sta nella critica di Vico al razionalismo di Cartesio, ed alla sua palese insufficienza per capire quello specifico oggetto di indagine filosofica che  il processo storico. La critica al razionalismo matematico, e non la semplice secolarizzazione del messianesimo e/o teodicea,  quindi la vera chiave per comprendere la vera genesi della filosofia moderna della storia. Ma, data limportanza del tema, questo merita una attenzione particolare. Come  ovvio, Vico non poteva conoscere e padroneggiare i quattro aspetti principali della teoria del materialismo storico di Marx (nell'ordine: teoria della decisivit strutturale dei modi di produzione; teoria della deduzione sociale delle categorie del pensiero; teoria dell'ideologia; infine, teoria della falsa coscienza necessaria degli agenti storici). Se avesse potuto padroneggiarli, gli sarebbe stato chiaro che il Cogito di Cartesio non poteva cadere dal cielo, ma derivava da un processo di costituzione formalistica del soggetto, un sog- getto astratto e destoricizzato che fosse in grado di istituire un pensiero astratto, presup- posto materiale indispensabile per il lavoro astratto del modo di produzione capitalistico. Com' (non a tutti) noto, questo processo di costituzione formalistica del soggetto astratto, ed astratto perch destoricizzato, si sarebbe concluso con l'Io Penso (Ich denke) di Kant. Ma Vico, pur non potendo ovviamente precorrere il suo tempo (non pu esistere Darwin nel Seicento, e Freud nel Settecento), coglie tuttavia genialmente il punto principale del problema, e cio che un soggetto interamente formalizzato e destoricizzato non pu per sua propria intrinseca natura impadronirsi della storia, e tantomeno di una comprensione sensata del corso storico stesso. Il cogito deve quindi essere sostituito dal verum ipsum fac- tum. E tuttavia il fatto, una volta stabilito ed isolato dal flusso continuo degli eventi, deve essere anche valutato, giudicato ed interpretato. Qui nasce la storia, e con la storia quella sua ricaduta che si chiama filosofia della storia. Secondo la corretta intuizione di Koselleck, la storia universale dell'umanit, intesa come concetto idealmente unificato in senso trascendentale ed autoriflessivo (ed autori- flessivo perch filosofico, e quindi niente teodicea o semplice secolarizzazione automa- tica ed irriflessa di una escatologia messianica rivelata) non nasce prima della met del Settecento europeo. Ci si pu mettere dentro anche Vico oppure no, ma le cose non cam- biano comunque nellessenziale. A me pare evidente (richiamo qui i quattro aspetti del materialismo storico ricordati sopra) che la filosofia della storia moderna nasce nel contesto di una costituzione della coscienza borghese (e ripeto borghese, non capitalistica), e le sue categorie devono essere socialmente dedotte, in quanto la filosofia della storia adempie ad una palese funzione ideologica di legittimazione antifeudale, ed il suo universalismo risulta dalla falsa coscienza necessaria della borghesia stessa, che si autointerpreta come lintero genere umano nel suo processo progressivo di autocoscienza razionale. Ho dovuto necessariamente esprimermi in modo un po pesante, ma meglio la pesantezza espressiva dellincompletezza teorica. Se  vero che il nucleo permanente della filosofia moderna della storia  la percezione dellaccrescimento della coscienza unitaria del genere umano attraverso lesperienza della temporalit, allora non c' dubbio che anche Kant ne fa parte integrante, nonostante il suc- cessivo neokantismo abbia messo in ombra questa dimensione del Maestro riducendolo 27 CostTANZO PREVE ad uno sciocco ed inutile esperto in teoria specialistica della conoscenza scientifica. Da un lato, Kant non si fa soverchie illusioni sulla natura umana, e la definisce anzi un legno storto (in proposito, dopo aver combattuto per decenni questa visione pessimistica in nome del progressismo marxista e della sua stolida cecit verso l'elemento tragico del- la vita, sono oggi incline a prenderla seriamente in considerazione  ma sar certamente l'et), laicizzando cos la propria intima adesione alla teoria del peccato originale ed alla sua enfatizzazione protestante e pietista. Dall'altro, Kant parla di ci che possiamo spera- re, ed in ci che possiamo sperare c' in primo luogo la convinzione che il genere umano vada verso il meglio. E tuttavia, da buon kantiano, Kant sa bene che il futuro non  preve- dibile, perch  al di fuori delle coordinate spazio-temporali della sensibilit, e quindi il fu- turo storico  assolutamente noumenico (nella variante del concetto-limite, Grenzbegriff).  per interessante che Kant ricordi il suo entusiasmo per la rivoluzione francese del 1789, e connoti questo entusiasmo come un indizio del fatto che effettivamente le cose stia- no procedendo verso il meglio. Si tratta di una nozione che Kant ha in comune con spiriti eletti come Gramsci, con la differenza ovviamente che l'entusiasmo di Gramsci non deriva dal 1789, ma dal 1917 russo. Vale la pena ricordarlo, in un momento storico di estrema de- generazione morale, in cui il 1917  considerato dal circo accademico dei contemporaneisti come un colpo di stato di terroristi. E tuttavia Kant resta integralmente nel contesto illuminista, di cui in un certo senso  il punto pi alto e coerente. Il contesto illuminista era caratterizzato dalla delegittimazione del potere ideologico normativo della religione, che trovava nella metafisica trascendente la sua base teorica di coerentizzazione. Kant delegittima non tanto le pretese conoscitive della metafisica (si tratta di una interpretazione neokantiana di Kant, tipica di un'epoca che intende ridurre a tutti i costi la verit filosofica a giustificazione gnoseologica), quanto la sua pretesa normativa della struttura signorile dei rapporti sociali tardo-feudali. In questo modo, per, la sua filosofia critica perdeva paradossalmente qualsiasi funzione realmente critica, perch proprio in quei decenni (del tutto indipendentemente da Kant) la legittima- zione dell'insieme sociale passava dalla metafisica religiosa alla nuova economia politica. Kant stava delegittimando i preti, proprio quando questi ultimi stavano perdendo qual- siasi funzione di legittimazione, e la funzione di legittimazione passava a Locke, Hume e Smith. In estrema sintesi, lidealismo classico tedesco nei suoi maggiori tre rappresentanti suc- cessivi (Fichte, Hegel e Marx  bisogna che il lettore si abitui a questa nuova collocazione di Marx, che verr comunque chiarita in seguito) pu essere definito come una grande au- tocritica razionale dell'illuminismo. L'illuminismo, infatti, non viene affatto respinto (come avverr per il successivo pensiero reazionario della restaurazione), ed anzi viene dato per presupposto. Se ne riconosce anche largamente il valore di posizione storica necessario e progressivo. Nello stesso tempo se ne individua l'insufficienza, e la si individua proprio sul terreno che pi ci interessa in questa sede, e cio la filosofia della storia del genere umano. L'illuminismo, infatti (parlo qui della foresta e non dei singoli alberi), si collocava allin- terno dell'ideologia del progresso (con la nota eccezione di Rousseau, il cui illuminismo  limitato alla sola teoria del contratto sociale, svincolata dall'idea di progresso, ma limitata 28 Le avventure della coscienza storica occidentale alla sostituzione di un contratto politico equo al precedente contratto politico iniquo), ma finiva con lidentificare automaticamente il progresso stesso con la diffusione del pensiero scientifico (nel senso di progresso nelle scienze della natura) e con lo smascheramento delle religioni rivelate, ridotte in genere a imposture. Certo, il panorama  pi vario e ricco, ma nellessenziale lilluminismo trovava il suo centro nel nesso fra smascheramento dellimpo- stura delle religioni rivelate (comune sia alla sua variante deista che alla sua variante atea) e progresso della conoscenza della natura. Non a caso, lattuale laicismo si  idealmente fermato al 1790, ed ha infatti respinto sia le religioni positive (imposture di preti prepotenti e clericali), sia la tradizione idealistica (ultima versione dellorrenda metafisica prescienti- fica), sia infine il comunismo marxista (secolarizzazione dellescatologia giudaico-cristiana nel linguaggio dell'economia politica). Il fatto che la filosofia seria si sia fermata nel 1790, e dopo ci sia stato soltanto un caff filosofico per colti (alla tribuna) e semicolti (in platea), la racconta lunga sull'attuale degradazione della filosofia contemporanea. Il minimo comun denominatore dell'unica filosofia della storia dei tre grandi idealisti tedeschi (Fichte, Hegel e Marx) sta in ci, che non solo si tratta di una filosofia della libert, ma che la libert  intesa risolutamente come un concetto (Begriff). Sta qui la differenza radicale con la concezione della libert in Kant, che era invece concepita come un postulato del libero arbitrio, che non richiedeva alcuna genesi storica. Il concetto (Begriff) non  altro che lautocoscienza libera del soggetto diventato consapevole della sua natura attraverso lesperienza storica, e questa caratteristica lo distingue appunto non solo dall'idea plato- nica ma anche e soprattutto dal postulato kantiano. Vale la pena ripetere in proposito cose gi dette, in modo da non lasciarci indietro punti delicatissimi non chiariti a sufficienza. Esisteva gi in greco antico una parola per indicare la libert intesa come autodetermi- nazione (autopragha). E tuttavia il contesto storico e semantico del termine non era omo- geneo a quello moderno, data lesistenza della schiavit, cio di una condizione struttura- le di non-libert, che neppure l'ipocrisia filosofica poteva nascondere. Lo stesso Hegel, criticando lo stoicismo antico, rileva correttamente come gli antichi fossero costretti a far ripiegare la libert nella coscienza interiore (e come nel caso dellepicureismo, in un grup- po ristretto e protetto di amici allinterno di una casa-giardino), come compenso sublimato ed impotente di una situazione data per intrasformabile, in cui lineluttabilit dello schia- vismo giocava lo stesso ruolo degradante dell'odierna ineluttabilit del capitalismo. Lo sdoppiamento dellunitariet ontologica della libert in libert politica (per pochi) ed in una libert interiore (potenzialmente per tutti, anche per gli schiavi) rendeva impossibile agli antichi il conseguimento di un concetto unitario di libert, ove il concetto non sia una semplice categoria astratta, ma debba intendersi come conseguimento della libera autoco- scienza del soggetto. Nell'antichit era certamente possibile lidea (ed infatti il platonismo ci arriv brillantemente), ma non era possibile il concetto, perch esso sarebbe equivalso con la liberazione degli schiavi, cosa che il modo di produzione schiavistico (e qui si inse- risce la teoria strutturale di Marx) rendeva impossibile in via di principio. Questo per quanto concerne gli antichi. Per quanto concerne Kant le cose sono ovvia- mente molto diverse. Come i suoi predecessori cartesiani ed i suoi successori positivisti (e weberiani) Kant aveva un concetto di scienza ricalcato profondamente nelle sole scienze della natura (ai suoi tempi galileiano-newtoniane), e su questa base il concetto di libert 29 Costanzo PREVE (intesa come libero arbitrio) era del tutto indimostrabile ed indeducibile, e questo  aperta- mente ammesso da Kant nella sua Dialettica Trascendentale (le antinomie dell'idea di mon- do). Kant  quindi costretto o a negare la libert (ed ovviamente non intende farlo, perch tutto il suo sistema cos faticosamente costruito si disgregherebbe immediatamente), op- pure a postularla. La filosofia della storia dellidealismo classico tedesco (lo ripeto, perch il lettore ha bisogno di abituarsi al necessario riorientamento gestaltico, quella di Fichte, Hegel e Marx) nasce proprio dallinsoddisfazione verso la soluzione kantiana della libert come postulato e come libero arbitrio. La libert, infatti, non  un postulato, ma  un risultato, e non  li- bero arbitrio, ma  autocoscienza adeguata. Il paradigma filosofico  interamente cambiato. Il problema che assillava Kant, e cio quello di delegittimare la metafisica celeste, diventa assolutamente periferico, marginale e secondario, in quanto i tre idealisti comprendono che la metafisica non  in cielo, o non lo  ormai pi da tempo, me  su questa terra, e solo su questa terra deve essere cercata. L'idealismo, infatti, pu anche essere definito come una metafisica terrestre. Ma terrestre non significa affatto immanente, perch la stessa terrestri- t  sintesi di immanenza e di trascendenza (e del resto Marx lo cap quando defin la merce capitalistica una entit sensibilmente sovrasensibile). A questo punto sarebbe necessario scendere in dettaglio nelle tre successive filosofie delle storia di Fichte, Hegel e Marx. Essendo questo impossibile per ragioni di spazio e di economia dell'esposizione, mi limiter a toccare rapidamente i punti pi importanti. Prima per di affrontare dettagliatamente i tre pensatori, sottolineo i due punti essenziali che tutti hanno in comune. In primo luogo, la scienza che emerge da una considerazione della filosofia della storia universale delluomo intesa come percorso dellautocoscienza sogget- tiva della libert non  in alcun modo una scienza nel senso di Galileo, Newton, Cartesio e Kant (cio una scienza che postula la costituzione formalistica di un soggetto conoscente destoricizzato), ma  una scienza filosofica che mette in stretta relazione il soggetto e log- getto. Il chiarimento di questo punto  stato soprattutto opera di Fichte. In secondo luogo, la scienza filosofica  una scienza del concetto, inteso come punto finale di un processo di autocoscienza libera del soggetto. Il chiarimento di questo punto  stato soprattutto opera di Hegel, che definisce correttamente la verit non come corrispondenza della mente con un oggetto gi dato (per Hegel una piccolezza), ma come corrispondenza del concetto (e cio del soggetto) con la sua oggettivit (e cio con lesteriorizzazione pratico-materiale della capacit del soggetto stesso). Marx non ci aggiunge praticamente nulla, se non la sua concretizzazione per cui non ci sar nessuna corrispondenza del soggetto con la sua oggettivit fino a quando il genere umano non si sar mostrato nei fatti capace di produrre una comunit universale non classista. Ancora una volta, una sobria teoria della libert delluomo, che non c'entra niente con fastidiose stupidaggini universitarie tedesche della secolarizzazione dellescatologia giudaico-cristiana nel linguaggio dell'economia politica. Fichte produce una filosofia della storia in cui viene affermato expressis verbis che la li- bert  la destinazione delluomo. Altro che postulato del libero arbitrio! La libert non  un postulato, ma una destinazione. Fichte, in questo erede di Rousseau, parte dallinnocenza del genere umano, in cui la ragione domina attraverso l'istinto. Su questo punto sar molto pi saggio e concreto Hegel, che non idealizza i primitivi ed i buoni selvaggi illuministi, 30 Le avventure della coscienza storica occidentale ma sa benissimo che possono essere cannibali e crudeli fin dall'origine, e che il dominio nasce dallo scontro fra il vincitore ed il vinto. In un secondo momento, secondo Fichte, la ragione si afferma nella forma dellautorit e della coercizione esterna, e questo  purtrop- po reso necessario per frenare le tendenze peccaminose degli individui. Anche su questo punto, nulla di pi diverso da Hegel. Mentre per Hegel lo stato  reso necessario non dalla peccaminosit degli individui, ma dalla necessit di effettuare una mediazione comunitaria (inevitabilmente istituzionalizzata) fra le pulsioni particolaristi- che della famiglia e della societ civile moderna, per Fichte lo stato  una triste necessit dovuta alle provvisorie tendenze peccaminose degli individui. La teoria di Marx dellestin- zione dello stato nel comunismo, con tutte le differenze specifiche di cui sono perfettamen- te consapevole,  a mio avviso una diretta conseguenza della teoria di Fichte sullo stato come male necessario, che diventer inutile quando tutti gli individui saranno divenuti pienamente autonomi e consapevoli (ed allora, secondo Marx, sulla nota base del grande sviluppo delle forze produttive, tutti potranno dare secondo le proprie capacit e ricevere secondo i propri bisogni). Ogni filosofo onesto deve esplicitare il suo giudizio sul proprio presente storico. Com' noto, per Hegel il proprio presente storico era un'epoca di gestazione e di trapasso in cui stava emergendo l'insufficienza sia della vecchia societ semifeudale degli ordini (legitti- mata dal cristianesimo inteso come mera religione positiva), sia della critica distruttiva ed unilaterale dell'illuminismo individualistico ed utilitaristico. Per Fichte il proprio tem- po era soprattutto unepoca della compiuta peccaminosit, ed  a un tempo curioso e scandaloso che gran parte dei manuali di storia della filosofia ignorino completamente questo cruciale concetto della filosofia fichtiana. E perch il proprio tempo era un'epoca della compiuta peccaminosit? Personalmente sono molto intrigato da questa definizione, perch personalmente (e lo dir nel prossimo capitolo) ritengo che il mio tempo che sto vivendo in questo mio ingresso nella cosiddetta terza et sia anch'esso un tempo della compiuta peccaminosit, ed allora per me la piena comprensione del significato dell'espressione fichtiana non  un freddo dato neutrale di carattere filologico, ma  invece una questione attuale e scottante. Per Fichte il suo tempo era un'epoca della compiuta peccaminosit perch la critica illu- ministica delle religioni positive, sia pure giustificata e necessaria, le aveva completamente delegittimate, e nello stesso tempo non era riuscita a proporre una credibile alternativa complessiva. Certo, questo a quei tempi riguardava soltanto ristretti gruppi di intellet- tuali, e non certo la stragrande maggioranza dei contadini e degli artigiani (gli operai veri e propri ai tempi di Fichte erano quasi inesistenti), che essendo rimasti del tutto estranei allilluminismo, non potevano neppure essere stati turbati dalle sue proposte. Ma Fichte proveniva proprio dalla classe contadina povera, ne conosceva la cultura e le esigenze, e aveva capito precocemente come la vulgata illuminista sotto certi aspetti era addirittura peggiore delle prediche del parroco, in quanto distruggeva senza costruire, delegittimava le verit precedenti senza sostituirle in alcun modo. Oggi, due secoli dopo, quando ormai la distruzione illuministica delle vecchie verit religiose, amplificata dalla televisione, ha praticamente toccato l'insieme della popolazio- ne europea (che infatti per questa ragione non riesce pi a capire la cultura del cosiddetto S1 CostTANZO PREVE Terzo Mondo, rimasta ad un livello appunto fichtiano), possiamo riuscire veramente a ca- pire (se lo vogliamo, ovviamente) che cosa significa epoca della compiuta peccaminosit. Ma Fichte non si crogiola in questo pessimismo aristocratico per deficienti benestanti, come accadr nei due secoli posteriori per tutti i pagliacci che riempiono le pagine della storia della filosofia, il cui succo  che il mondo  di merda, ma per fortuna questa merda non devo spalarla io, perch c' sempre qualcun altro che lo far (servi, salariati poveri, immigrati, badanti, eccetera). Fichte considera provvisoria e transitoria l'epoca della com- piuta peccaminosit, e la vede superabile dallaffermazione sociale e politica del concetto di verit dellidealismo, in cui la verit  riconquistata ( proprio il termine che usa) come principio e come valore. La riconquista idealistica della verit ( questo il punto che avvi- cina maggiormente Fichte a Platone) dovrebbe inaugurare lepoca delluomo redento, per cui ogni attivit si svolger alla luce della ragione e della libert. Il linguaggio  certamente sotto molti aspetti religioso, ma metto in guardia ancora una volta dal considerarlo in ter- mini di messianismo secolarizzato. Non  cos. Si tratta invece dellelaborazione di un pro- getto di filosofia della storia pienamente razionale, che parte da una autocritica dei limiti dell'illuminismo e dalla necessit di una scienza filosofica della verit del genere umano. Esiste ovviamente un pizzico di enfasi romantica, ma non vedo come si possa criticare un pensatore romantico perch era romantico. Passando a Hegel,  noto che egli critic Fichte per cattiva infinitezza, e cio per aver assunto il punto di vista di Kant della asintotica interminabilit del corso storico, che in questo modo non si determinava mai, e non determinandosi mai non si concretizzava in modo soddisfacente.  noto che il concetto di determinazione (Bestimmung)  centrale per la comprensione di Hegel, ed  spiacevole che lo si confonda con la teoria della fine della storia. Nonostante alcuni pensatori geniali (un solo nome: Kojve) abbiano interpretato Hegel in questo modo, ed altri abbiano preso sul serio Kojve ed abbiano creduto che Hegel fosse stato talmente cretino da far finire il mondo con la sua empirica esistenza in veste da camera (un solo nome: Althusser), Hegel non pensava di essere il coronamento messianico finale della storia universale, dal momento che cercava di non finire nel mani- comio di Berlino, ma pensava invece che la temporalit storica si determinasse, e cio si coagulasse, in momenti relativamente stabili, e lo pensava in particolare sulla base di una critica a Rousseau, che accusava (a mio avviso giustamente) di furia del dileguare. E tuttavia, a mio avviso, Hegel mostr qui una deplorevole ingenerosit verso Fichte, tipica di molti filosofi, che enfatizzano spesso eccessivamente i motivi di divergenza anzi- ch valorizzare i momenti di concordanza (i successivi marxisti hanno elevato questa arte a vette sublimi di settarismo e di cannibalismo autofagico).  vero che Fichte determina poco quanto sostiene, ma il punto sta altrove, e cio sta nel fatto incontestabile del suo rifiuto della libert come postulato (da cui deriva poi a cascata tutta lastoricit di Kant, elevata a parossismo dai successivi neokantiani), e della contestuale affermazione della libert come autocoscienza libera che si determina nella prassi trasformatrice, secondo un successivo fi- lone che parte dal giovane Marx (un fichtiano che si crede materialista perch era diventato ateo) per arrivare al generoso sardo Antonio Gramsci.  largamente noto che la filosofia della storia di Hegel  una filosofia del progresso dellautocoscienza della libert stessa nella storia: nel mondo antico-orientale uno solo era 32 Le avventure della coscienza storica occidentale libero (il faraone, il re babilonese, limperatore persiano), nel mondo greco-romano solo alcuni erano liberi (i cittadini non sottoposti a schiavit), ed infine nel mondo moderno (il mondo cristiano protestante tedesco) tutti erano diventati liberi (grazie anche alla rivo- luzione francese del 1789, che Hegel tenne sempre in gran conto). Per Hegel, tuttavia, si accede alla libert solo mediante lautocoscienza della libert (si pensi alla nota figura dia- lettica dei rapporti fra servo e signore), ma questo non significa affatto che sia sufficiente la libert interiore nella coscienza, ed Hegel infatti prevede espressamente questa fattispecie a proposito dello stoicismo antico, e dice apertamente che questa non  vera libert, ma una falsa libert. I posteriori marxisti, che accusarono Hegel di avere una concezione puramen- te idealistica della libert mostrarono di non averne neppure una minima conoscenza filologica, perch Hegel dice espressamente che in situazione di schiavit non c' nessuna libert, e la libert inizia con la soppressione della schiavit. Se pensiamo al confusionario Nietzsche, adorato dai postmoderni, che ha fatto ripetutamente lapologia della schiavit come presupposto indispensabile della libert creativa dei Migliori, mentre Hegel  tuttora diffamato come nemico della libert (Popper, eccetera), vediamo che non cera bisogno che i surrealisti si inventassero il surrealismo, perch esso era gi presente nella storia della filosofia. La libert dellautocoscienza, lungi dall'essere contrapposta per Hegel alla libert reale, era il presupposto materiale della stessa libert reale, senza la quale quest'ultima sarebbe stata impossibile. Del resto, Marx rest sulla stessa identica posizione, quando afferm che il presupposto per la libert delle classi oppresse era la coscienza di classe. Dal momento che questo  hegelismo puro al 100 per cento, bisogna dire che in questo caso si verifica quello che  raccontato da Molire nel Borghese Gentiluomo, per cui costui parla in pro- sa senza neppure accorgersene, esattamente come i marxisti usavano categorie hegeliane pure credendo di averle rovesciate a testa in gi. Qui  lo ammetto - l'equivoco  talmente comico da provocare un vero e proprio effetto di straniamento. Per comprendere il passaggio logico dallidealista Hegel allaltrettanto (e forse pi, per- ch pi fichtiano) idealista Marx ci pu aiutare un sintomo linguistico anomalo. Da un lato, infatti, Marx sa bene che il modo di produzione capitalistico si differenzia radicalmente dal modo di produzione schiavistico perch nel primo il lavoratore  un salariato libero, che viene bens sfruttato, ma nella forma dellestorsione di plusvalore mascherato da scam- bio degli equivalenti (per cui la forza-lavoro contiene un valore duso per il capitalista maggiore del valore di scambio con cui  stata legalmente comprata). Dall'altro, Marx usa ossessivamente il termine di schiavit salariata, termine formalmente improprio, perch i salariati non sono affatto schiavi. Credo che cominciando a scavare in questa palese im- propriet linguistica si possa arrivare al nocciolo del problema, e cio alla discrepanza ne- cessaria (o meglio alla complementariet) che c' in Marx fra la sua filosofia universalistica della storia universale (per cui luomo finch non  completamente libero resta schiavo) e la sua teoria strutturalistica dei modi di produzione e del modo di produzione capitalistico in particolare, in cui  del tutto chiaro che il lavoratore salariato non  uno schiavo, perch allo schiavo non si estorce plusvalore, ma semplicemente pluslavoro mediante la coerci- zione fisica diretta. 33 CosTANZO PREVE Insomma - ci si pu e ci si deve chiedere - l'operaio moderno del modo di produzione capitalistico  un salariato libero o uno schiavo salariato? In base alla logica formale ed al principio logico formale di contraddizione non pu essere contemporaneamente tutti e due, e deve perci essere o luno o laltro. Ma qui, appunto, si tocca con mano (almeno per chi non ha ancora le dita atrofizzate dalla scolastica e dalla citatologia) che per avvicinarsi a Marx e per prenderlo sul serio (lo si accetti o lo si respinga  unaltra faccenda da trattare a parte) la logica formale non basta e ci vuole la logica dialettica. E la logica dialettica non si divide in logica dialettica idealistica ed in logica dialettica materialistica, oppure in logica a testa in gi o a testa in su (questa  la logica dei saltimbanchi da circo), ma  una ed una sola, ed al massimo si applica ad oggetti conoscitivi diversi (nel caso di Marx, alla teoria dei modi di produzione, totalmente assente e non prevista da Hegel). Questa logica dialettica, per cui si  contemporaneamente un lavoratore libero ed uno schiavo salariato, permette (se lo si vuole, ovviamente, ma per ora non lo si vuole) di risolvere lannoso problema della compresenza in Marx di un lato materialista e di un lato idealista. Da un lato, infatti, la teoria della storia di Marx  una teoria della genesi, sviluppo, deca- denza e transizione dei modi di produzione sociali. Si tratta di una teoria definita da un se- colo e mezzo di materialismo storico, ma dal momento che la materia  semplicemente sinonimo di struttura e di prevalenza delle forze materiali (e cio sviluppo delle forze produttive nel loro intreccio con la forma classista dei rapporti di produzione) sulle forze ideali (le sovrastrutture giuridiche, politiche e filosofiche), sarebbe meglio per non inge- nerare equivoci definirlo strutturalismo storico. Ma il termine materialismo ha prevalso per pure ragioni ideologiche, perch si voleva a tutti i costi non lasciare dubbi sul fatto che si era atei, che Dio non esisteva, che era un'invenzione delle classi dominanti, e che tutto procedeva da un Big Bang puramente materialistico. In questa concezione, ovviamente, l'Uomo non era il soggetto della storia, in quanto non esistevano altro che forze anonime ed impersonali puramente strutturali (il processo senza soggetto di Louis Althusser). Dall'altro, questa storia  incorporata strettamente (ed a mio avviso non pu essere separata, pena la morte del complesso espressivo unitario) in una filosofia idealistica della storia, difficilmente separabile da quelle precedenti di Fichte e di Hegel. Come queste ulti- me, essa si sviluppa sulla base del rifiuto della teoria kantiana della libert come postulato non dedotto (e non dedotto perch l'impostazione individualistica ed anticomunitaria di Kant lo rendeva del tutto indeducibile), ma si differenzia da queste ultime ( e pi da quella di Hegel che da quella di Fichte, che ha in comune con quella di Marx il primato della pras- si, cui per Marx aggiunge la categoria hegeliana della determinazione storica concreta) in base ad un doppia addizione originale. In primo luogo, Marx parte dalla figura hegelia- na della dialettica servo-signore, la applica alla storia universale dell'umanit (concepita idealmente come un solo concetto unitario riflessivo, e cio capace di libera auto-riflessione valutativa ed assiologica), e constata che la servit resta, non  stata abolita, e pertanto il libero lavoratore moderno  anche uno schiavo salariato. In secondo luogo, Marx innesta la figura del rapporto servo-signore nellulteriore figura hegeliana della coscienza infelice, che per non  pi declinata in forma religiosa come scissione fra Uomo e Dio, ma  rifor- mulata come coscienza infelice per il mancato esaudimento delle promesse emancipatrici ed universalistiche dell'illuminismo. Ho fatto rilevare in precedenza che lidealismo clas- 34 Le avventure della coscienza storica occidentale sico tedesco deve e pu essere interpretato come una autocritica radicale dell'illuminismo stesso, ed in Marx questa autocritica giunge finalmente alla sua pi piena radicalit (per Marx essere radicali significa prendere le cose alla radice). Ed infatti lilluminismo non ha neppure toccato il cuore del problema delluniversalismo filosofico razionale, che  il man- cato superamento pratico del rapporto servo-signore, insieme con la fallimentare soluzione della coscienza infelice che ne deriva attraverso il semplice binomio di Pensiero Scientifico e di Economia Utilitaristica (il codice del cosiddetto laicismo contemporaneo). Chi sostiene che in Marx, a differenze che in Fichte e Hegel, non esiste una filosofia della storia universale dovrebbe pi utilmente dedicarsi alla pesca con la lenza, nella quale, se ha pazienza, potrebbe forse ottenere qualche risultato. Marx esplicita apertamente nei suoi Grundrisse la sua personale concezione della storia universale dell'umanit in termini di progresso della libert (sostanziale e non formale, secondo il modello esplicitato nell'opera giovanile Sulla Questione Ebraica e mai pi abbandonato), attraverso il passaggio dalla dipendenza personale (con cui Marx metaforizza i modi di produzione precapitalistici, schiavistici e feudali in particolare) all'indipendenza personale (con cui Marx metaforizza la condizione umana nel modo di produzione capitalistico) fino alla libera individualit, con cui Marx allude chiaramente al futuro e non ancora esistente modo di produzione comunistico. Come ho cercato di mostrare in precedenza non ha molto senso proseguire la diatriba se Marx sia stato materialista, o idealista, oppure un po l'uno ed un po' laltro, a seconda del- le sue distrazioni. Tutti i commentatori mediocri si gonfiano come rane quando credono di individuare contraddizioni ed incongruenze nei grandi. Perbacco, se ho scovato una contraddizione in Platone, Aristotele, Spinoza, Kant, Hegel e Marx, e loro non se ne erano accorti, mentre invece io s, significa che sono pi Grande di loro, anche se il mondo male- detto, invidioso, cinico e baro non me lo riconosce! Invece di seguire questa via paranoica,  molto meglio ipotizzare che le contraddizioni dei Grandi non siano dovute a distrazione o meglio ad ingenua stupidit; ma trovino la loro radice in contraddizioni storiche e tempo- rali oggettivamente insuperabili, che vengono riflesse dal pensiero come in uno specchio (senza che questo comporti da parte mia l'accettazione della teoria realistico-gnoseologica del rispecchiamento, buona per la scienza della natura, ma inapplicabile ai fatti storici pre- senti caratterizzati dall'intervento della prassi umana). Quella di Marx, in sintesi,  una filosofia idealistica della storia universale, ricostruita attraverso la mediazione teorica del materialismo storico, o teoria dei modi di produzione. E qui innesto non la verit finalmente scoperta, ma semplicemente la mia personale fal- libile interpretazione. Il tempo storico che ci separa da Marx ha indebolito (anche se non interamente falsificato) tre sue previsioni esplicite. Primo, che l'insorgere delle crisi capi- talistiche segnalasse il tramonto e la fine del modo di produzione capitalistico, laddove sembra invece che non sia affatto cos, permettendo invece al capitalismo di liberarsi delle sue scorie ristrutturandosi su nuove basi. Secondo, che la classe capitalistica, come era gi avvenuto per le classi sfruttatrici e dominanti precedenti (proprietari di schiavi, nobili, despoti asiatici, eccetera), ad un certo punto si sarebbe dimostrata stagnante ed incapace di sviluppare ulteriormente le forze produttive, laddove sembra proprio che sia il contrario, e che le classi capitalistiche si stiano invece rivelando le pi capaci della storia a sviluppare 35 CostTANZO PREVE le forze produttive, sia pure in un quadro di inquinamento ambientale e di degradazione ed istupidimento di massa. Terzo, che le classi operaie, salariate e proletarie sarebbero state il vettore sociale e storico del superamento del modo di produzione capitalistico, laddove lesperienza degli ultimi cento e cinquanta anni ha mostrato con la chiarezza del cristallo la facilit del capitalismo nellintegrarle, per cui, dove hanno seppur provvisoriamente preso il potere (si tratta del benemerito comunismo storico novecentesco 1917-1991 recentemente defunto, purtroppo) lo hanno fatto non certo nellutopica forma della democrazia diretta, dellautogoverno politico consiliare e della autogestione economica delle unit produttiva (l'utopia marxiana del comunismo senza stato, a mio avviso segretamente derivata dallar- monia prestabilita di Leibniz), ma nella forma obbligata di un dispotismo burocratico di partito e di stato. Meglio di niente  aggiungo  ma qui Marx non c'era, o se c'era dormiva. Caduti questi tre elementi, che hanno costituito lo scheletro del marxismo per pi di un secolo, ne resta in piedi un quarto, fino ad oggi disprezzato da tutti gli estremisti, i confu- sionari, i maniaci della scienza scientifica che pi scienza non potrebbe essere (approdati oggi al suo contrario, e cio al nulla in cui si incontrano atomi aleatori e cadono meteoriti) e gli odiatori positivisti della fondazione filosofica veritativa della comprensione della storia universale. Il quarto che resta in piedi dopo la caduta dei primi tre  la fondazione filosofica veritativa della comprensione della storia universale. Disprezzata dagli sciocchi, essa resta in piedi come una casa con le fondamenta ben costruite. E se il pensiero di Marx avr un futuro, come io sono pacatamente convinto, sar per questa unica ragione. Non a caso,  qui che il pensiero postmoderno concentra la sua ruspa demolitrice. Ma di questo parler pi diffusamente nel prossimo capitolo. Non c' qui lo spazio, e neppure la necessit, di sunteggiare un'ennesima breve sto- ria del marxismo. Qui ricordo soltanto che io respingo decisamente linterpretazione del fraintendimento del sacro ed intoccabile pensiero di Marx, quasi che Marx fosse un Parmenide che parlava tedesco, e mi situo invece sul terreno metodologico dello stato di necessit. Nella sua forma dialettica, aporetica, incompiuta e soprattutto filosofico-ideali- stica il pensiero di Marx era irricevibile per una classe intimamente dominata e subalterna come la classe operaia, salariata e proletaria della seconda rivoluzione industriale (1874- 1914 circa). Essa non pot recepirla che in una forma dogmatico-religiosa (la dottrina di Marx), che a quei tempi inevitabilmente era gestita da studiosi positivisti, in quanto il positivismo era la concezione dominante dei rapporti fra filosofia e scienza nelle universit (tedesche, ma non solo tedesche). Questo rapporto era costruito sulla base di una subordi- nazione canina della filosofia alla scienza, considerata lunica ideazione conoscitiva valida, con la conseguenza (esplicita in quella forma di positivismo raffinato ed educato che era il neokantismo, un positivismo che mangia il pesce con le forchette da pesce) che la filosofia diventa una specie di donna di servizio gnoseologica ed epistemologica, anzich essere la padrona di casa come ai tempi felici dellidealismo classico tedesco. Il comunismo storico novecentesco non fece che degradare ulteriormente la filosofia da gnoseologia ad ideologia identitaria di partito. Stupisce soltanto che alla fine di questo percorso di odio per la filoso- fia, ormai sbalzati dalla carrozza della storia e con il culo per terra, i residui marxisti in attivit non se ne siano ancora accorti. 36 Le avventure della coscienza storica occidentale Vale la pena indicare un punto solo. Dove sta esattamente il cuore della distorsione po- sitivistica dell'impianto idealistico della filosofia marxiana della storia? Dovendo limitarci ad un solo punto, direi che risiede nella confusione fra dialettica logica e dialettica storica, con la conseguenza di identificare la dialettica logica con la dialettica storica, il che compor- ta una indebita logicizzazione deterministico-teleologica della storia, e quindi una storia spogliata della sua forma storica. Ma cerchiamo di spiegarci meglio. La dialettica logica (cos come  esposta nella tuttora insuperata Scienza della Logica di Hegel) non  una dialettica che possa essere automaticamente trasportata nel corso sto- rico concreto, perch si tratta di una logica dellacquisizione progressiva della libert del soggetto nel concetto, inteso come luogo dellottenimento dellautocoscienza dell'intera specie umana (l'ente naturale generico di cui ho gi parlato nellIntroduzione di questo scrit- to). In quanto dialettica puramente logica, essa  effettivamente anche necessitaristica e teleologica, ma si tratta di un necessitarismo e di una teleologia che valgono unicamente a livello coscienziale, e che non bisogna in nessun modo trasportare in ambito storico- concreto. Questa indebita logicizzazione della storia - come ho detto sopra  non  che una storia fasulla e fittizia, una storia spogliata della sua forma storica, in quanto la stessa temporalit futura  succhiata nella sua previsione anteriore. La dialettica storica, invece,  del tutto imprevedibile, per il semplice e nudo fatto che, essendo la prassi umana generica e non specifica, non  prevedibile. Il futuro delle api e delle termiti  prevedibile (e neppure questo lo  in base ad un tempo molto lungo, vedi evoluzione, eccetera), ma il futuro delluomo non  prevedibile, perch la sua prassi (per definizione imprevedibile)  costitutiva della stessa temporalit, che non scorre per nulla al di fuori di questa prassi (argomento ulteriore, questo, per respingere la teoria gnoseo- logica del rispecchiamento). Non esiste quindi nessun corso unilineare della storia (tipo la teoria dei cinque stadi della storia universale imposta dagli apparati ideologici e scolasti- ci del comunismo storico novecentesco), e non esiste neppure la previsione scientifica dellinevitabile sbocco dell'umanit in una societ senza classi sulla base degli automatismi della crescita delle forze produttive. Ancora una volta, siamo di fronte ad una distorsione positivistica della filosofia idea- listica della storia, e non certo ad una (inesistente) secolarizzazione dellescatologia giu- daico-cristiana nel linguaggio dell'economia politica o ad un dispotismo totalitario (vedi gli sciagurati ed imperdonabili numeri 675 e 676 del Catechismo Cattolico). Siamo di fronte ad una impossibile scientificizzazione della storia, cui si vuole applicare ad ogni costo il concetto di legge di comtiana memoria (il malloppo positivista di Auguste Comte  del 1830). Ma la storia non ha leggi. La storia ha certamente regolarit riscontrabili, che danno luogo ad imprecise analogie storiche. La storia  certamente maestra di vita, purch non pretenda di alzarsi, prendere in mano il gesso, e scrivere sulla lavagna formule matematiche. Chi ama il pensiero greco sa gi che questo fu a suo tempo il modo in cui Platone applic alla politica (non ancora alla storia universale, che non c'era) il metodo numerologico pitagorico. Ma se la storia non  geometria, non  neppure fisica. La naturalizzazione fisicalista della storia ha avuto un colpo mortale nel 1989, con il picconamento postmoderno del muro di Berlino. Ma questo ci introduce allo scenario attuale, caratterizzato dall'odio verso la storia e dalla rinaturaliz- 37 CostTANZO PREVE zazione economicistica del vivere sociale, che comporta la provvisoria (ma fino a quando?) vittoria di David Hume contro Karl Marx. 5. IL POSTMODERNO COME GLOBALIZZAZIONE DELL'OCCIDENTALISMO SENZA COSCIENZA INFELICE. L'ANNULLAMENTO DELLA COSCIENZA STORICA IN UNA METAFISICA DEL PRESENTE INTEGRALMENTE DE STORICIZZATA E FRANTUMATA Il codice filosofico postmoderno, tuttora fiorente a distanza di quasi trent'anni dalla sua prima formulazione a cavallo fra gli anni Settanta a gli anni Ottanta del Novecento, viene presentato da Jean-Frangois Lyotard come disincanto nei confronti delle grandi narrazioni. Non si tratta ancora di una teoria della fine della storia (qui ci sar il passaggio da Lyotard a Fukuyama, che presuppone per il fatto del crollo dissolutorio del comunismo storico novecentesco, da non confondersi per carit con il comunismo utopico-scientifico di Marx  lossimoro non  ovviamente frutto di distrazione, ma  intenzionale), e nello stesso tem- po di fatto avremo negli anni seguenti una fusione ideologica dei due termini, per cui la storia finisce economicamente con l'affermazione del capitalismo finanziario globalizzato, finisce politicamente con il gioco di forze bipolare del tutto indistinguibili ed omogenizzate su tutti i temi essenziali di politica interna ed estera, ed infine finisce ideologicamente con la fine della storia attraverso il disincanto nei confronti delle grandi narrazioni, che ave- vano come minimo comune denominatore la credenza verso una filosofia della storia. Il moderno finirebbe, e comincerebbe il postmoderno, proprio sulla base del fatto che il moderno sarebbe stato costruito su delle illusioni, mentre il postmoderno non le avrebbe pi. Ma quali sarebbero queste illusioni? Se si guardano le cose pi da vicino, vedremo che lunica vera illusione smentita dalla storia sarebbe l'illusione di poter passare da una societ classista ad una societ non classista. Qui nella gabbia degli imputati ci sta di fatto il solo Marx, o meglio lo spettro di Marx secondo la felice formulazione di Derrida, in quanto (come si  cercato di chiarire nel precedente capitolo) Marx era stato colui che ave- va sistematizzato, coerentizzato e concretizzato politicamente lintera filosofia idealistica tedesca della storia, attraverso la concezione della libert sostanziale e non pi solamente formale. Lyotard cerca in modo dilettantesco di confondere le carte, perch parla anche di altre grandi narrazioni fallite, come la grande narrazione cristiana della storia della salvezza o la grande narrazione economico-capitalistica del benessere per tutti attraverso il mercato. Mea sono trucchi infantili. La sola ed unica grande narrazione di cui Lyotard pre- dica il congedo attraverso il disincanto  quella marxista. Chi ha conosciuto personalmente Lyotard (ed io l'ho personalmente conosciuto a Parigi negli anni Sessanta del Novecento) sa benissimo che in questa teoria generale del disincanto (TGD) Lyotard metaforizza il pro- prio personale disincanto, nato dallo scioglimento del piccolo gruppo marxista Socialisme ou Barbarie, che in opposizione allo statalismo partitico staliniano (e prima ancora leni- niano) concepiva il superamento del capitalismo sulla base della democrazia diretta dei consigli dei lavoratori. Appare allora chiaro che la genesi storica del codice del disincanto postmoderno verso le grandi narrazioni deve potersi individuare in una dialettica coscien- 38 Le avventure della coscienza storica occidentale ziale interna ad una eresia marxista. Gli apparati ideologici del capitalismo ci si butteranno sopra a pesce in modo parassitario, quando si accorgeranno (il che avvenne in pochi anni) che avevano scoperto per caso la gallina dalle uova doro, e che la crisi coscienziale per la delusione di una piccolissima eresia marxista poteva diventare il codice giornalistico ed universitario dell'intera prossima fase storica. La scoperta di Lyotard assomiglia infatti a quelle ricorrenti scoperte della bollitura dellacqua calda che sconvolgono ogni tanto lo scenario del teatro dei burattini gestito da accademici distratti e da giornalisti analfabeti. Da un lato, il fatto che il socialismo evocato da Marx fosse una democrazia diretta e non uno statalismo partitico dittatoriale (e cio, una dittatura del proletariato nella forma di autogoverno politico consiliare) risaliva agli anni Venti, ed aveva per pi di mezzo secolo costituito una vera e propria forza politica, sia pure minoritaria (Gorter, Pannekoek, Korsch, Mattick, fino a Castoriadis). Dall'altro, lidea che la costruzione di una societ senza classi in una moderna societ complessa (per dirla con il confusionario Morin) fosse impossibile stava alla base della scuola detta delle lites (Mosca, Pareto, Michels, ma soprattutto, Max Weber e Burnham). Il problema allora non sta nella eventuale novit della scoperta di Lyotard, ma nelle ragioni sociali e storiche del suo immediato successo. Il fatto  che Lyotard aveva effettivamente annusato di trovarsi allinterno di un'epoca di gestazione e di trapasso, anche se si era fermato a met strada nella sua comprensione.  allora necessario ridurre al minimo le pur pittoresche e liberatorie polemiche contingenti, per cercare di capire in profondit la natura di questa epoca di gestazione e di trapasso, per dirla con Hegel. Se infatti non si cerca di apprendere nel pensiero il nostro tempo con categorie filosofiche, tanto vale dedicarsi al Gratta e Vinci. Per dirla in modo estremamente sintetico, ma credo corretto nellessenziale, il fatto che ci troviamo ancora interamente nel quadro del cosiddetto Moderno, e per nulla affatto nel quadro del Postmoderno,  dato da una ragione estremamente semplice, e cio che siamo sempre nel quadro del capitalismo e della produzione capitalistica, e la transizione den- tro cui ci troviamo  semplicemente quella da una forma di capitalismo ancora prevalen- temente borghese (anche se tardoborghese, e quindi diversa comunque da quella in cui visse Marx) ad una nuova forma, che si configura come tendenzialmente postborghese e postproletaria. Ma questo non comporta la fine del cosiddetto moderno. Restano in piedi infatti tutte le sue categorie, dalla sensatezza della storia universale alla schiavit salariata, fino all'elaborazione della coscienza infelice nei confronti delle degenerazioni sociali e cul- turali che questa produzione capitalistica comporta. Ed  per questo che non siamo affatto oltre. Non siamo oltre per nulla, o meglio siamo soltanto oltre alcune configurazioni ideologiche ossificate, che impediscono la piena comprensione della novit dellattuale presente storico. E di qui nasce il paradosso, peraltro dialetticamente spiegabile, per cui alcuni tartufi dello scenario culturale contemporaneo sono contemporaneamente postmo- derni e sostenitori di costellazioni ideologiche sorpassate (antifascismo in assenza comple- ta di fascismo, religione olocaustica come elaborazione del lutto per avvenimenti cessati nel 1945, insistenza maniacale sulla dicotomia Destra /Sinistra, eccetera). Qui deve essere cercata, e facilmente trovata, la debolezza della visione postmoderna della storia. Ma la questione deve essere sviscerata meglio. 39 CostTANZo PREVE Per comprendere infatti meglio la portata distruttiva del codice postmoderno a propo- sito della coscienza storica  necessario qui ricordare quanto gi rilevato nel capitolo pre- cedente, per cui il capitalismo non si giustifica filosoficamente con argomenti morali, ma si pone direttamente con David Hume (figura mista di filosofo e di economista, e non certo per caso) sulla base dellintegrale auto-istituzione della societ in base alla naturalit del valore di scambio, con esplicita esclusione, in Hume sempre ossessivamente insistita, della fondazione religiosa (critica del deismo e del teismo razionale in nome dello scetticismo), della fondazione politica (critica del contratto sociale come causazione politica della so- ciet), ed infine della fondazione filosofica (critica radicale della plausibilit del diritto na- turale). Questa fondazione  naturalistica, e quindi per nulla storica, sebbene Hume fosse uno storico, ed utilizzasse strutturalmente la storia per argomentare la naturalit eterna della produzione basata sulla propriet privata e sullo scambio. Kant non modifica affat- to questo modello naturalistico, fornendogli soltanto un impotente supplemento morale (l'imperativo categorico) ed aggiungendovi una fondazione astorica della libert in termini di postulato non dedotto storicamente. Il grande idealismo classico tedesco (Fichte, Hegel e Marx) reintrodusse invece decisamente la storicit, in modo che la storicit diventasse il principale strumento di legittimazione universalistica della comunit sociale. Non si tratta- va per di una storicit storicistica, e cio relativistica, nichilistica e priva di fondazione ontologica e veritativa, che si afferm soltanto dopo la distorsione positivistica della filoso- fia della storia, riformulata come pseudo-scienza e come nesso perverso di determinismo e di teleologia necessitaristica. E tuttavia, nonostante questa distorsione positivistica, il Novecento conobbe egualmente pensatori critici del capitalismo che mantennero fermo il valore della fondazione filosofica di quanto dicevano (mi limito qui, fra i molti, a ricordare soltanto l'italiano Gramsci, il ceco Kosk, lungherese Lukcs ed il russo Ilienkov, senza voler far torto ai non citati). Ora invece il postmoderno ha in programma di distruggere questa fondazione storica, gettando via il bambino della fondazione storica con lacqua sporca della grandi narrazioni. Cos, eliminata la storia, si riaffaccia prepotente la vecchia fondazione naturalistica del capitalismo. Finalmente Locke e Hume possono seppellire Hegel e Marx. Per queste ragioni sono del tutto insufficienti le definizioni di postmoderno date da Lyotard (incredulit rispetto alle grandi narrazioni), di Jameson (filosofia dellepoca della produzione flessibile e conseguentemente del lavoro precario) e di Harvey (filosofia della globalizzazione in cui lo spazio del mercato mondiale sostituisce il tempo del progresso). Queste tre definizioni (e molte altre che non vale qui la pena di ricordare, perch non si tratta qui di erudizione, ma di comprensione teorica dellessenziale) colgono ovviamente alcuni aspetti di superficie, ma non giungono al cuore della questione. Ed il cuore della questione sta in ci, che il postmoderno  il codice ideologico di un'epoca nuova nella storia del capitalismo, l'epoca del capitalismo post-borghese e post- proletario. In quanto post-borghese, questo capitalismo pu trionfalmente tornare al mo- dello naturalistico di Hume, su cui sono costruiti tuttii testi universitari di economia (a partire dal pi famoso del mondo, quello di Samuelson), scaricando tutto il precedente ciarpame borghese, la storicit, il progresso, la coscienza infelice, la dialettica servo-signo- re, l'inquietudine, la cattiva coscienza, eccetera. In quanto post-proletario pu finalmente 40 Le avventure della coscienza storica occidentale trattare i suoi salariati non pi come soggetti politici minacciosi dotati di una loro visione del mondo, positivistica fine che si vuole ma comunque eversiva, ma come semplici unit manipolabili di forza-lavoro flessibile, ideologicamente neutralizzati dalla loro incor- porazione nelloccidentalismo imperiale. In breve, il postmoderno configura uno scenario nuovo, anche se temporaneo, quello di un occidentalismo senza coscienza infelice. Mano a mano che loccidentalismo si libera della sua coscienza infelice precedente (che come  noto si era cristallizzata in una filosofia universalistica della storia), si sviluppano quei suoi osceni succedanei che sono l'industria selettiva del pentimento cerimoniale e l'ideologia coattiva del politicamente corretto. Sia l'industria selettiva del pentimento ce- rimoniale sia l'ideologia coattiva del politicamente corretto non sono oggi oggetto della riflessione filosofica comune, il che equivale a parlare di inquinamento senza tenere in al- cun conto gli scarichi abusivi ed illegali. Il politicamente corretto impedisce persino la ver- balizzazione di tutto ci che di inquietante si muove nella societ, che non potendo essere verbalizzato necessariamente marcisce ed erompe in violenza regressiva, il che equivale a fare una seduta di psicoanalisi in cui per il paziente  obbligato a non dire una sola paro- la. A proposito della continua lagnosa e lamentosa industria del pentimento, essa trionfa nei pentimenti lontani ed ormai innocui (pentimento dei turchi per il 1915 e gli armeni, pentimento dei tedeschi per il 1945 e gli ebrei, eccetera), laddove i crimini recenti non solo non sono oggetto di pentimento, ma sono anzi fieramente rivendicati (aggressione alla Jugoslavia del 1999, occupazione dell'Afghanistan dal 2001, aggressione all'Iraq del 2003, eccetera). In ogni caso, anche nei casi in cui possiamo concedere ai pentimenti la since- rit morale, tutto questo non ha nulla a che vedere con la dialettica servo-signore e con la coscienza infelice. Il battersi il petto, per di pi quasi sempre in modo ipocrita,  solo un succedaneo dellautocritica dialettica dei limiti dell'illuminismo e delle sue promesse non mantenute. Dal momento che in tutto questo saggio ho fatto lapologia dellidealismo, fino ad incor- porarvi dentro anche lo stesso materialismo storico (cosa che so perfettamente che i residui marxisti sopravvissuti alla catastrofe non mi perdoneranno, ed  un peccato, perch cos perderemo inutilmente altro tempo prezioso), ora mi concedo un'osservazione bassamente materialistica: secondo alcune stime recentissime gli Stati Uniti d'America, con il 4,5% della popolazione mondiale, consumano circa il 24% delle risorse del pianeta. Ora, che cosa c'entra tutto questo con la filosofia? Risponder brevemente cos: con la filosofia in senso proprio niente, ma con la strutturazione istituzionale delle cattedre di filosofia nel mondo occidentale invece molto. Dal momento che la strutturazione istituzionale delle cattedre di filosofia nel mondo occidentale ha pur sempre un ruolo di socializzazione culturale delle giovani generazioni, non  del tutto indifferente che le giovani generazioni siano tenute il pi lontano possibile dalla considerazione olistica della totalit sociale, totalit che ha pur sempre occupato un posto importante negli ultimi due secoli. Questo, lo ripeto, con la filosofia perenne dai greci a Marx (la sola, ovviamente, degna di essere presa in considerazione) non c'entra assolutamente nulla. Come scrisse a suo tempo genialmente Heidegger, la filosofia non si pu organizzare, e sopravvive intatta a tutte le manipolazioni organizzative, di centro, di destra, di sinistra, di sopra, di sotto o di lato. Ma se la filosofia non si pu organizzare, in compenso pu essere organizzata, e pertanto 41 CostTANZO PREVE manipolare, la sua dimensione accademica e pubblica (nelle forme delle conferenze pubbli- che sponsorizzate in Italia da banche ed enti locali). Tutto ci che  socialmente inquietante deve essere scoraggiato, tutto ci che  innocuo deve essere incoraggiato. L'avvento del postmoderno in un certo senso rovescia la situazione del vecchio rap- porto fra Schopenhauer e Hegel. Duecento anni fa Schopenhauer si permise di insolentire Hegel, tanto migliore e pi intelligente di lui, perch aveva portato la filosofia ad occuparsi del pubblico, della famiglia, della societ e dello stato. Ma oggi Schopenhauer  andato al potere, perch oggi il potere non inneggia pi allo stato ed alla sensatezza borghese della filosofia della storia, ma inneggia anzi al suo contrario, linsensatezza del divenire storico, il primato idolatrico ed ossessivo dell'economia, l'impresa come forma di vita privilegiata cui tutte le altre forme devono adattarsi, la fine degli stati nazionali, lirrilevanza delle na- zioni come comunit immaginarie, il multiculturalismo gestito dai mezzi di comunicazio- ne di massa, i migranti multietnici al posto dei vecchi noiosi proletari, eccetera. In questa situazione  ancora possibile fare prognosi razionali sul breve e medio pe- riodo (il lungo  nelle mani della Morte, del Caso o di Dio - il lettore barri la casella che preferisce)? Questa odiosa egemonia del postmoderno durer ancora a lungo? Naturalmente non lo so. Posso ipotizzare che in questa congiuntura, caratterizzata dalla sinergia fra dominio delle grandi oligarchie finanziarie e dal pentimento elaborato della fallimentare generazione colta del cosiddetto Sessantotto, mito di fondazione di un capi- talismo liberalizzato dei costumi, non si vedono assolutamente sbocchi. In termini hegelia- ni, non  affatto chiaro in quale direzione avvenga la gestazione ed il trapasso. La filosofia non ha bisogno di essere salvata perch  come una molla indistruttibile. Pi la si comprime, e pi salta su. E tuttavia oggi la fase della compressione forzata pu durare alcuni decenni (nella storia  gi successo in passato), e le attuali strutture postmo- derne degli apparati universitari possono bruciare, e stanno gi bruciando, un'intera generazione. Sono talmente bene insediate negli apparati accademici, che sinceramente non penso ci sia per ora niente da fare. In ogni caso, sono solo in grado di fare due ordini di ragionamenti. In primo luogo, una parte della mia generazione (sono del 1943) ha erroneamente cre- duto che la filosofia potesse essere salvata praticandola con una politicizzazione ed una ideologizzazione, preferibilmente di sinistra. Una grossolana illusione. Proprio mentre pensavamo questo, la sinistra stava terminando il suo ciclo storico. Come ha rilevato correttamente Luc Boltanski, la sinistra si  storicamente costituita con l'alleanza fra una critica economico-sociale alle ingiustizie distributive del capitalismo ed una critico artisti- co-culturale alle forme di vita ipocrite della borghesia. A partire dal Sessantotto, il capi- talismo ha intrapreso il superamento della sua fase borghese, ed ha liberalizzato in senso ultra-individualistico i suoi precedenti costumi reazionari. Da allora la cosiddetta sinistra  finita, ed ha cominciato a diffamare il popolo accu- sandolo di populismo, ed ad esaltare tutti i marginali, come se da essi soltanto potesse derivare l'alternativa al capitalismo. Lo scandalosamente sopravvalutato Foucault ha so- stituito il grande Hegel. In secondo luogo, la smania di essere all'altezza dei tempi, di aggiornarsi, di secola- rizzarsi, di abbandonare la metafisica (il pensiero deve essere post-metafisico, dice il pi 42 Le avventure della coscienza storica occidentale famoso intellettuale di oggi, il tedesco Habermas) ha portato ad una sorta di dittatura della sociologia, intesa non come legittima disciplina universitaria, ma come riflesso immediato dello scorrimento della cosiddetta modernizzazione. Nel frattempo la cosiddetta moder- nizzazione, che sta agli intellettuali come il culto di Padre Pio sta ai semplici, stava eroden- do la stessa modernit, al punto che pi ci si modernizzava pi si usciva da essa. Credo che si cominci vagamente a capire lo sviamento degli ultimi decenni, in cui le facolt di filosofia sono diventate cloni del pifferaio di Hamelin, che porta i poveri lemming a suicidarsi nel mare. E allora? Allora resta la grande tradizione filosofica, lunica che esiste, quella che comincia con i greci, e prosegue fino alla met del Novecento circa, prima che iniziasse l'epoca dei pub- blicitari. Se il termine metafisica  stato usato a lungo con un sorrisino di compatimento, bisogna ricominciare ad usarlo con fierezza. Non siamo ancora a questo punto, ma forse ci arriveremo. Al centro della metafisica deve sedere con onore la grande filosofia moderna della storia. 43Costanzo Preve. Preve. Keywords: fascismo, antifascism – antifascism in assenza completa di fascismo, comunita, comunitarismo, la mascalzonaggine imperdonabile dell’invasione a Grecia;colonizzazione imperialista,storia dell’etica, storia ontologico-sociale della filosofia, vico anti-capitalista. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Preve," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Prini: la ragione conversazionale dell’implicatura conversazionale di Dedalo e il volo d’Icaro – la scuola di Belgirate -- filosofia piemontese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Belgirate). Filosofo italiano. Belgirate, Verbano-Cusio-Ossola, Piemonte. Grice: “I like Prini, but I won’t expect his “Discorse e situazione” to be about Firth’s context of utterance!” Pensare è infatti la maniera più profonda del nostro desiderare – “XXVI secoli nel mondo dei filosofi" (Caltanissetta, Sciascia). Tra i maggiori esponenti dell'esistenzialismo.  Studia ad Arona e Pavia sotto LORENZI. Studia SORBATTI sotto LEVI e SCIACCA. Studia l’accademia di Plotino. P. s'è legato al gruppo di gioco di filosofi che SCIACCA riune intorno a se. Quando SCIACCA si trasfere a Genova tutto il gruppo lo segue. Insegna a Genova, Perugia, Roma e Pavia. “Lo scisma sommerso” (Milano, Garzanti) analizza la spaccatura sotterranea che si è creata nella chiesa cattolica tra il magistero ufficiale e la fede e le scelte di vita dei credenti. Un tema che diviene centrale è il tema del male. Scrive “XXVI secoli nel mondo dei filosofi” -- «un ripensamento, una sorta di commiato personale dai filosofi e dai problemi che gli sono stati cari per tutta la vita. Accanto al discorso apofantico, che definisce in modo univoco il suo oggetto e che vuol dimostrare le sue verità in modo necessario, apre lo spazio per la ‘conversazione’. In “Verso una ontologia della conversazione” (Roma, Studium), risalire la dimenticanza della conversazione ad Aristotele, il quale ritene i discorsi semantici non vero-funzionali e quindi estranei al campo del linguaggio-oggetto sino del meta-linguaggio della filosofia. In “Discorso e situazione” (Roma, Studium) definisce in modo più dettagliato gl’ambiti della conversazione. Nella molteplicità dell’uso logico della ragione, delinea un esame sistematico delle diverse forme della conversazione razionale “situata”, ossia in relazione al suo proprio oggeto o topico ed al suo proprii conversatori, e precisamente la verifica come forma della prova del discorso oggettivo o scientifico, la categoria della testimonianza e la determinazione particolare come ‘forma’ della ‘prova’ della conversazione. È stata un ricerca non inutile, credo, se ha messo in luce, per un verso, contro lo scientismo, la pluralità dell’uso della ragione, e per un altro verso, la fondamentale convergenza di quelle forme del discorso razionale in una dottrina della verità ostensiva dell’essere, o un’ontologia semantica. Gl’uomini di cui la filosofia deve occuparsi sono gl’italiani concreti. In “Il corpo che siamo: introduzione all'antropologia etica” (Torino, SEI) studia i corpi degl’italiani come elementi costituiti della inter-soggettività in un’unità psico-fisica del resto. Già SERBATTI fa questo movimento verso i corpi, parlando di sentimenti fondamentali corporei. In “Il paradosso d’Icaro” (Roma, Armando) elabora la distinzione tra mero bisogni dei corpi e desideria o volonta. I bisogni, cioè le necessità di avere, si distingueno dalla volontà di essere autenticamente.  Il domandare intorno al senso di ciò che è e di ciò che si *è* un domandare che mette in questione anche i domandanti stessi.  In ‘L’ambiguità dell’essere’ (Genova, Marietti) caratterizza l’essere come ’ambiguo’: necessità assoluta (al modo di Velia), bontà o finalità assoluta, o come libertà od opposizione assoluta. Cerca queste tre modalità, ritenendole tutte essenziali all'essere e, insieme, non deducibili l’una dall'altra. Define questa sua concezione problematicismo ontologico. Dal momento che l’essere è in sé ambiguo, esso non si lascia completamente definire e dimostrare dal discorso apofantico e si presta alla conversazione. C’è un carattere ludico nell'atteggiamento del credente, quando pretende di poter mettere tra parentesi la propria fede e di essere anch'egli, nella ricerca della verità, come dice Husserl, ein wirklicher Anfänger, un vero e proprio principiante.  Fa una distinzione tra il nucleo del messaggio evangelico e le forme che esso ha via via assunto nella storia, critica delle posizioni più tradizionaliste della chiesa, specialmente in filosofia -- si veda in particolare “La filosofia cattolica” (Roma, Laterza) --, invito al dialogo tra la chiesa e la modernità tutta intera, e proposta di una nuova inculturazione, oggi, di quel messaggio evangelico. Un passagio di “ Lo scisma sommerso” mostra in modo disambiguo ciò che ha in mente. Per questa mentalità generata dalla civiltà della scienza esistono uno spazio e un tempo scientifici nei quali è impossibili proporsi di trovare, per esempio, il periodo storico di una presunta prima coppia progenitrice di tutto il genere umano o l'ubicazione dell'Eden, di cui parlano in un senso simbolico che è da determinare i primi racconti della Genesi. E andando soltanto un poco in profondità nella coscienza giuridica moderna, post-illuministica, del rapporto tra colpa e castigo, chi potrebbe oggi accettare l'idea, trasmessa dalla teologia penale di Agostino nell'interpretazione della Lettera ai Romani di Paolo, che l'umanità intera abbia ereditato da Adamo non solo la pena eterna del suo peccato, ma anche la responsabilità della sua stessa colpa?»  Altre saggi: “La metodologia della testimonanza” (Roma, Studium); “Serbatti: i sentimenti fondamentali corporei, ” (Roma, Armando); “Storia dell'esistenzialismo” (Roma, Studium); “Plotino e l'umanesimo interiore” (Milano, Vita e Pensiero); “Il potere” (Roma, Studium); “Terra di Belgirate”; Torino, Sosso); “Un filosofo che canta i Salmi. “Croce e Gentile”, Il P. sommerso; Il desiderio di essere. L'itinerario filosofico; L'ontologia del desiderio”. Flematti, “Prini”. Pietro Prini. Prini. Keywords: il volo d’Icaro. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Prini” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza. Grice e Prisciano. Grammatico latino (sec. 5º-6º d. C.) di Cesarea in Mauritania; visse a Bisanzio, dove insegnò lingua latina sotto l'imperatore Anastasio. Compose la maggiore opera di grammatica latina a noi pervenuta, la Institutio de arte grammatica, in 18 libri: i primi 16 (Priscianus maior) la vera e propria grammatica, gli ultimi 2 (Priscianus minor) la sintassi. P. traduce e riduce da grammatici greci (Erodiano e Apollonio Discolo), compila da latini (da Varrone a Flavio Cafro) con abbondanti citazioni di autori. La fortuna dell'Institutio fu grande, soprattutto nel Medioevo, e certa sua terminologia e altre particolarità tecniche sopravvivono tuttora. Compose varî altri scritti minori: sulla derivazione dei numeri romani da quelli greci; sui metri delle commedie di Terenzio; l'esegesi grammaticale del primo verso di ciascuno dei dodici libri dell'Eneide; il Panegirico dell'imperatore Anastasio; una traduzione, in 1087 esametri, della Periegesi di Dionigi di Alessandria, ecc.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Prisciano: la ragione conversazionale dell’implicatura conversazionale di Simmaco – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A philosopher and friend of Simmaco.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO! Ossia, Grice Priscilliano: la ragione conversazionale dell’implicatura conversazionale di Nerone – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. He has the distinction of being the first philosopher put to death for ‘heresy’ by the Roman Catholics. What Priscillian says is that the world is an evil place whither souls are sent as a punishment. What he implicates is that Nerone is right! Priscilliano.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Probo: la ragione conversazionale dell’implicatura dell’in-plicatura conversazionale -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. He studies under Eusebio at the same time as Sidonio, and may have assisted Eusebio in his teaching. He married the cousin of Sidonio, the daughter of Simplicio. “All very confusing, and possibly unimportant, historically speaking from the standpoint of philosophy if it were not for the fact that Sidonio coined the term ‘inplicatura’ [sic].” – Grice. Probo

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Procle: la ragione conversazionale o la diaspora di Crotone – Roma – filosofia basilicatese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. Metaponto, Basilicata -- A Pythagorean, cited by Giamblico.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Prodi: la ragione conversazionale e l’artifice della ragione e l’implicature conversazionale dei cani di Pavlov – la scuola di Scandiano -- filosofia emiliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Scandiano). Filosofo italiano. Scandiano, Reggio Emilia, Emilia Romagna -- Grice: “While he likes semiotics, Prodi is the Italian C. L. Stevenson, who read English at Yale! No philosophy background!” Studia e insegna a Bologna. A Bologna fonda il progetto biologia cellulare. Svilupa un approccio semiotico alla biologia.  Con “Il neutrone borghese” (Bompiano, Milano), ha pubblicato anche alcuni romanzi e racconti, tra cui Lazzaro, biografia romanzata -- con riflessi autobiografici -- di Spallanzani. Il saggio “Il cane di Pavlov”; “Opera narrativa” (Diabasis, Reggio Emilia). Altre opere: “Scienza e potere” (Il Mulino, Bologna); “La scienza, il potere, la critica” (Mulino, Bologna); “Onco-logia sperimentale” (Esculapio, Bologna); “Le basi materiali della significazione” (Bompiani, Milano); “La biologia dei tumori” (Abrosiana, Milano); “Soggettività e comportamento” (Angeli); Orizzonti della genetica” (L'Espresso); Patologia Generale (CEA); “La storia naturale della logica” (Bompiani, Milano); “L'uso estetico del linguaggio” (Mulino, Bologna); Lazzaro: il romanzo di un naturalista” (Camunia, Brescia); “Onco-logia” (Esculapio, Bologna); “Gl’artifici della ragione” (Sole 24 ore, Milano); -- cunning of reason – cf. Speranza, Grice, Kantotle, Kant, Hollis, razionalismo e relativismo -- “Il cane di Pavlov” (Camunia, Brescia); “Alla radice del comportamento morale” (Marietti, Milano); “Teoria e metodo in biologia” (Clueb, Bologna); “L'individuo e la sua firma”; “Biologia e cambiamento antropo-logico” (Mulino, Bologna); “Il profeta” (Camunia, Brescia); Conferenza "P.”, Repubblica  Apprezzato anche da Dossetti, “La parola e il silenzio” (Paoline,  in riferimento ad un articolo che si rifaceva ai geni invisibili della città di Ferrero. Sul sottotitolo -- i “geni invisibili” della città. Dizionario biografico degl’italiani, istituto dell'enciclopedia. Giorgio Prodi. Prodi. Keywords: il cane di Pavlov. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Prodi” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Prospero: la ragione converzionale del contro-potere del Quirinale e l’implicatura conversazionale laica – la scuola di Pescosolido -- filosofia lazia --  filosofia italiana – Luigi Speranza (Pescosolido). Filosofo italiano. Pescosolido, Frosinone, Lazio. Studia e insegna a Roma. Studia Kelsen. Collabora con “L'Unità”. I suoi interessi sono principalmente rivolti al sistema istituzionale e la filosofia politica della sinistra. La sua filosofia e aspramente criticate da TRAVAGLIO, che lo ha accusa di "pagnottismo". Tra i punti di dissenso, vi è la posizione nei confronti della democrazia diretta, e nei confronti della fiducia riposta da Travaglio, e dal Movimento 5 stelle di GRILLO, nella intrinseca infallibilità del giudizio espresso dagl’elettori e del popolo della rete.  Sinistra Italiana. Saggi: “La politica post-classica”; “Il nuovo inizio”; “Nostalgia della grande politica”; “La democrazia mediata”; “Sistemi politici e storia”; “La filosofia politica della destra” (Newton Compton); “I sistemi politici” (Newton Compton); “Politica e vita buona, Euroma la Goliardica, Sinistra e cambiamento istituzionale”; “Storia delle istituzioni in Italia” (Riuniti); “Il fallimento del maggioritario”; “La politica”; “Teorie e profili istituzionali” (Carocci); “Lo stato in appalto. Berlusconi e la privatizzazione del politico (Manni); STATO IN APPALTO – la privatizzazione del publico -- “Politica e società globale” (Laterza); “L'equivoco EQUIVOCO GRICE ri-formista” (Manni); “Alle origini del laico” (Angeli); “La costituzione tra populismo e leaderismo” (Angeli); -- il duce dirigge – il duca di Mantova -- “Filosofia del diritto di proprietà” (Angeli); “Perché la sinistra ha perso le elezioni” (Ediesse); “Il comico della politica”; “Nichilismo e aziendalismo nella comunicazione di Berlusconi” (Ediesse); “Il libro nero della società civile”; “Il nuovismo realizzato” (Bordeaux); “Gramsci” (Bordeaux). Addio al mito del capo, Il Manifesto, Contro-potere del Quirinale, Left-avvenimenti, Prodi, l'errore più grande della sinistra europea è stato dimenticare il lavoro, il manifesto, Gravagnuolo, Grillo, il travaglio di Marco nel duello tv con Prospero l'Unità  Gl’organismi di sinistra da "Sinistraitaliana.si"  Sinistra Italiana rispolvera il Pci: nascono le nuove Frattocchie. Ma a Testaccio. Michele Prospero. Prospero. Keywords: implicatura laica, lo STATO IN APPALTO, contro-potere del quirinale, sinistra, diestra – come categorie filosofiche – il parlamento francese -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Prospero” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Prosseno: la ragione conversazionale della setta di Sibari – Roma – filosofia calabrese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Sibari). Filosofo italiano. Sibaria, Cassano all’Ionio, Cosenza, Calabria. Pythagorean – Giamblico.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia,  Grice e Prudenzio: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dela psisco-machia – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Portico. A career in public service. His main treatise is “Psycho-Machia,” on the soul’s fight between good vitue and evil vice. People bring suffering on themselves by making bad choices. Aurelio Clemente Prudenzio.

 

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